Mândûkyakârikâ upanisad. Testo sanscrito a fronte 8845280934, 9788845280931

"Mândûkyakârikâ upanisad" è tradizionalmente considerate un trattato autorevole per l'interpretazione del

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Mândûkyakârikâ upanisad. Testo sanscrito a fronte
 8845280934, 9788845280931

Table of contents :
Copertina
Frontespizio
Copyright
Avvertenze
Genesi fonetica delle lettere
Note sulla pronuncia
Elenco delle abbreviazioni
Riferimenti bibliografici
INTRODUZIONE
MANDUKYAKARIKA UPANISAD
Saluto di Sankara
Introduzione di Sankara all’Upanisad
CAPITOLO 1 - [Fondato sulle scritture]
Note al Capitolo 1
CAPITOLO II - Sulla non realtà [della dualità]
Note al Capitolo 2
CAPITOLO III - Sulla non dualità
Note al Capitolo III
CAPITOLO IV - Sulla estinzione del tizzone ardente
Note al Capitolo IV
Considerazioni sul Capitolo IV
GLOSSARIO
indice

Citation preview

BOMPIANI testI A frONte Direttore

GIOvANNI reAle



gaud – . apa – da – – ma n .d . u kyaka rika upaniS.ad Testo sanscrito a fronte

Introduzione, traduzione e note di Raphael

BOmpiani teSti a frOnte

I proventi che si ricavano dai diritti d’Autore di questo libro vengono devoluti all’Associazione ÅŸram Vidyå “no prof it”. © 2016 ÅŸram Vidyå, Via Azone 20 – 00165 Roma

ISBN 978-88-587-6181-6 © 2016 Bompiani/RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli 8 - 20132 Milano Realizzazione editoriale: Vincenzo Cicero - Rometta Marea (ME) I edizione Testi a fronte gennaio 2016

Avvertenze Al testo italiano – Le parentesi quadre [ ] sono nostre e racchiudono: termini o parti sottintese nel testo; parti integrative che si è ritenuto opportuno inserire per la migliore comprensione del discorso. – Le parentesi tonde ( ) racchiudono: l’originale sanscrito di termini o frasi in esame appartenenti alla Må√ƒ¥kyakårikå; la traduzione in italiano dei termini sanscriti; brevi frasi esplicative. – Le virgolette alte “ ” racchiudono le parti, tratte dai testi, consistenti sia di singole parole sia di brevi frasi; discorsi all’interno di citazioni. – tra virgolette basse « » sono racchiuse le citazioni da fonti scritturali. – In corsivo sono sempre riportati: i termini sanscriti (es. prå√a, loka), a meno che si tratti di nomi propri di persona e località, ecc., e i termini italiani di particolare interesse in un dato contesto. – L’uso del maiuscolo e del minuscolo risponde a un criterio convenzionale entrato nell’uso corrente (es. Brahman, åtman, Hira√yagarbha, måyå, ecc.). Lo stesso dicasi per le parole composte, separate, formanti titoli di testi o altro. – eventuali discordanze riguardanti le fonti scritturali derivano dalla non uniformità delle redazioni e delle ripartizioni dei testi da cui sono state attinte.

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Avvertenze

– I rimandi ai s¥tra della Må√ƒ¥kya Upani≤ad, alle kåri­ kå di Gauƒapåda e ai versi degli altri testi citati sono dati secondo la numerica usata nel testo, per es.: Må. vII, Må. Kå. 2.32, Bÿ. I.Iv.10, Mai. vI.22. Al testo sanscrito – Per la traslitterazione del testo sanscrito dall’originale devanågarı sono stati adottati i criteri correntemente usati senza operare, con qualche deroga, alcuna separazione delle parole. – Per la divisione delle parole si è seguito il criterio sillabico sanscrito. Questo vale anche per le parole sanscrite riportate nel testo italiano.

note editoriali – I commenti e le note ai s¥tra della Må√ƒ¥kya Upani≤ad e alle kårikå di Gauƒapåda sono stati posti alla fine di ogni Capitolo. – Le citazioni delle Upani≤ad sono tratte, a meno che non sia specificata diversa edizione, dal volume Upani≤ad a cura di raphael. Bompiani, Milano 2010.

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Avvertenze

Genesi fonetica delle lettere

gutturali

palatali

cerebrali

dentali

labiali

In funzione della zona di emissione, dall’interno verso l’esterno

brevi

a

i

ÿ

ø

u

lunghe

å

ı



¬

¥

Aspirazione pura Aspirazione ridotta

h ¢

Vocali

(a) e-ai

Dittonghi

o-au (i) y

Semivocali

(u) r

l

v

Consonanti sorde

k

c



t

p

sorde aspirate

kh

ch

†h

th

ph

sonore

g

j

ƒ

d

b

sonore aspirate

gh

jh

ƒh

dh

bh m

nasali



§

ñ



n

Sibilanti





Ÿ



s

risonanza nasale pura risonanza conforme

æ µ

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Avvertenze

note sulla pronuncia vengono indicate solo le lettere aventi un suono particolare, o diverso dall’italiano. Quelle non indicate si pronunciano approssimativamente come in italiano. Le cerebrali, o retroflesse, si pronunciano flettendo la punta della lingua all’indietro. Il trattino sopra la vocale (å, ¥, ecc.) prolunga il suono (aa, uu, ecc.). Le consonanti aspirate (kh, ch, ecc.) mantengono il medesimo suono seguito da breve aspirazione. ÿ ø k g § c j ñ gn

= = = = = = = = =

tra r e ri tra l e li c dura di casa g dura di ghiaccio n di angolo c palatale di centro g palatale di giro gn di gnosi suoni separati: g dura o gutturale ed n dentale (es.: Agni=Ag­nì) † = t siciliana di cutieddu ƒ = d siciliana di beddu √ = n di caverna y = i di ieri Ÿ = sc di sciame (palatale: lingua premuta contro il palato) ≤ = sc di scibile (cerebrale: lingua retroflessa sul palato) æ = risonanza nasale pura o assimilata alla consonante seguente jñ = un suono semplice tra la gn di gnosi e il gh di ghiaccio k≤ = i due suoni ravvicinati ¢ = breve aspirazione h = sensibile aspirazione, distinta dalla eventuale consonante precedente (es. black­hole)

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Avvertenze

elenco delle abbreviazioni Bha. Gı.

Bhagavadgıtå

Bÿ.

Bÿhadåra√yaka Upani≤ad

Bra. S¥.

Brahmas¥tra

Chå.

Chåndogya Upani≤ad

ÙŸa.

ÙŸa (våsya) Upani≤ad

Ka.

Ka†ha Upani≤ad

Må.

Må√ƒ¥kya Upani≤ad

Må. Kå.

Må√ƒ¥kyakårikå

Mai.

Maitry Upani≤ad

Mu.

Mu√ƒaka Upani≤ad

Pra.

PraŸna Upani≤ad

Âve.

ÂvetåŸvatara Upani≤ad

Tai.

Taittirıya Upani≤ad

Yå. Dha. S¥.

Yåjñavalkıyadharmas¥tra

rIferIMentI BIBLIoGrAfICI Må√ƒ¥kyopani≤ad, with the kårikå of Gauƒapåda and the bhå≤ya of Âa§kara, translated into english by M. Dvivedi. theosophical Publication fund, Bombay 1909. Må√ƒ¥kyopani≤ad, with the Kårikås of Gauƒapåda and the commentaries of Âa§kara, Ånandagiri & Âa§karånanda. edited by Å. Âarma Kathavate, Poona 1911. ÙŸåvåsya, Kena, Ka†ha, PraŸna & Mu√ƒaka Upani≤ads, with the commentaries of Âa§kara, råmånuja & Ånandagiri; Må√ƒ¥kyopani≤ad, with the commentary of Gauƒapåda, supplemented by the commentaries of Âa§kara & Ånandagiri; Aitareya & ÂvetåŸvatara Upani≤ads, with the commentary of Âa§kara. Madras 1939. Må√ƒ¥kya Upani≤ad et Kårikå de Gauƒapåda, publiée et traduite par e. Lesimple. Adrien Maisonneuve, Paris 1944. La Må√ƒ¥kyôpani≤ad avec les karikas de Gaudapada et les Commentaires de Çaµkaracarya. traduction de Marcel Sauton. Adyar, Paris 1952. Gauƒapåda­Kårikå edited with a complete translation into english, notes, Introduction and Appendices by raghunath Damodar Karmarkar. Bhandarkar oriental research Institute, Poona 1953. Mandukya Rahasya Vivriti, A Commentary on Sri Gauda­ pada’s Mandukya Karikas, by Swami Satchidananda Saraswati. Holenarsipur 1958. Die Mandukya­Upanishad des Atharvaveda, mit den Karika des Gaudapada über dieselbe. Sechzig Upanishad’s des Veda aus dem Sanskrit übersetzt und mit einleitungen und

rIferIMentI BIBLIoGrAfICI

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Anmerkungen versehen von Dr. Paul Deussen Professor an der Universität Kiel. zweite Auflage. Leipzig, f.A. Brockhaus 1905 (Darmstadt 1963). Paul Deussen, Sixty Upanisads of the Veda (english translation by v.M. Bedekar and G.B. Palsule), 2 vols. Motilal Banarsidass, Delhi 1980. The Må√ƒ¥kyopanishad with Gauƒapåda’s kårikå and Âa§kara’s commentary. translated and annotated by Svåmi Nikhilånanda. Ârı Råmakrishna Åshrama, Mysore 1968. Må√ƒ¥kyagauƒapådıya with Âa§kara Bhå≤ya and Anu b h¥­ tisvar¥påcårya’s Ïippa√am, edited by S.R. Krishnamurti Shastri, P.v. Sivarama Dikshitar. the Sanskrit education Society, Madras 1978. Upani≤ad bhå≤yam, edited by S. Subrahma√ya Âåstri, vol. I. Mahesh Research Institute, Mount Abu, Varå√ası 1979. ÙŸa, Kena, Ka†ha, PraŸna, Mu√ƒa, Må√ƒ¥kya Upani≤ads, with the commentary of Âa§kara Åcårya and the Gloss of Ånanda Giri, edited by e. röer. “Bibliotheca Indica” vol. vIII. osnabruk 1980. Complete Works of Sri Sankaracharya in the original Sanskrit, vol. VIII, Commentaries on the Upanishad: ÙŸa, Kena, Ka†ha, PraŸna, Mu√ƒaka, Må√ƒ¥kya, Aitareya, Taittirıya, Chåndogya, Bÿhadåra√yaka, Nÿsiµhatapanıya Upani≤ads. Samata Books, Madras 1983. Må√ƒ¥kya Upani≤ad con le kårikå di Gauƒapåda e il com­ mento di Âa§kara. traduzione dal sanscrito e note di raphael. Collezione vidyå, roma 1984. The ÅgamaŸåstra of Gauƒapåda, edited, translated and annotated by vidhushekara Bhattacharya. Motilal Banarsidass, Delhi 1989. Må√ƒ¥kya Upanishad and kårikå and Âa§kara’s commen­ tary translated into English by Svåmi Gam bhırånanda. (In Eight Upani≤ads, vol. II). Advaita Ashrama, Calcutta 1989.

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rIferIMentI BIBLIoGrAfICI

Gauƒapåda, ÅgamaŸåstra. Introduzione, testo sanscrito, traduzione, commento, lessico, bibliografia a cura di Icilio vecchiotti. Ubaldini editore, roma 1989. Thirteen Principal Upani≤ads, vol. II, Må√ƒ¥kya Upani≤ad with Gauƒapåda­kårikås, critically edited with exhaustive Introduction, Âa§kara Bhå≤ya, Comparative Study and full comments with old and modern interpretations by J.H. Dave. Bharatiya vidya Bhavan, Bombay 1990. Mu√ƒaka and Må√ƒ¥kya Upani≤ads, with Gauƒapåda kårikå in “the Word Speaks to the faustian Man” vol. II, edited by Som raj Gupta. Motilal Banarsidass, Delhi 1995. Conciencia y Realidad. estudio sobre la metafísica advaita con la Må√ƒ¥kya Upani≤ad, las Kårikå de Gauƒapåda y comentarios de Âa§kara. edición de Consuelo Martín. editorial trotta, Madrid 1998. Strumenti per lo studio dell’ÅgamaŸåstravivara√a. A cura di Alberto Pelissero. Con una traduzione annotata del commento alle strofe di Gauƒapåda ascritto a Âa§kara. Leo S. olschki, firenze 2002. Må√ƒ¥kya Upani≤ad in Upani≤ad a cura di raphael. Bompiani “testi a fronte”, Milano 2010.

«L’immortale non può divenire mortale, né, parimenti, il mortale [divenire] immortale. Un cambiamento di natura non potrà avvenire in alcun modo». Må√ƒ¥kyakårikå 3.21

INTRODUZIONE

La Må√ƒ¥kya Upani≤ad fa parte dell’Atharvaveda e appartiene al periodo relativamente antico. Per quanto breve, essa riassume tutta la visione metafisica della dottrina delle Upani≤ad. Per chi è “intuitivo” questa Upani≤ad può compen­ diare l’intera sådhanå realizzativa. In essa si prendono in considerazione l’Essere metafisico o non qualificato, l’Essere­causa o l’Uno ontologico, gli stati molteplici dell’Essere­Unità, la possibilità degli enti di trasmi­ grare nell’uno o nell’altro stato esistenziale, l’identità dell’anima­jıva con l’Essere­Uno e quindi con l’Essere metafisico, la tecnica dell’ascesi mediante il mantra Om. Gli stati dell’Essere­Unità sono sintetizzati in tre, ma questi tre non sono che un solo stato con modalità vibratoria triplice. A sua volta questa unità manifesta rappresenta una delle infinite determinazioni dell’Es­ sere metafisico, del Non Essere, dell’Uno metafisico o Assoluto, in altri termini del Brahman nirgu√a (non qualificato) o Turıya (il Quarto). Gli stati esistenziali sono “modi di essere”, stati vibratori che esprimono qualità; così gli enti, secondo le qualità che manifestano, possono trovarsi in uno o l’altro stato vibratorio vitale. Per esprimere queste modalità vibratorie in termini concettuali, l’Upani≤ad si serve di determinati nomi; abbiamo così lo stato di pråjña, di taijasa, di viŸva, e, per quanto riguarda lo stato incondizionato o infinito, di Turıya. Il piano di viŸva è lo stato fisico denso, lo stato grossolano che attualmente stiamo sperimentando;

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INTRODUZIONE

quello di taijasa è lo stato sottile o iperfisico; in esso ci ritiriamo quando dormiamo e quando lasceremo la “veste” grossolana o corpo fisico. ViŸva e taijasa inferiore differiscono solo in quan­ to hanno vibrazioni diverse, come il colore violetto può differire dal colore giallo­oro; essi sono formali, caratterizzati dal dualismo soggetto­oggetto, dalla cau­ sa­effetto e dalla condizione individuata. Come già abbiamo detto, l’ente che si trova in taijasa inferiore ha deposto solo il suo involucro carnale, rimanendo con tutte le sue facoltà intellettivo­volitive, sensoriali e di coscienza. Pråjña è lo stato causale, germinale, il noumeno dell’intera manifestazione, è l’essenza­seme dell’Ente. In esso originano e in esso fanno ritorno tutte le cose; in pråjña l’effetto, come tutte le polarità manifeste, si reintegra nella causa. Comunque, ciò rappresenta un aggregato di energie qualificate (gu√a) di diversa natura espressiva, energie spesso contraddittorie, come si svelano anche sul piano di viŸva. L’individuo è prigioniero di queste energie per cui “sogna” in viŸva e, se non ha avuto il Risveglio, si trasferiscono in taijasa. Ma il Risveglio può aversi su qualunque piano esistenziale perché la realizzazione non dipende da tempo e da spazio. L’ente, in quanto jıva, in pråjña è sintesi­unità di se stesso, è coscienza pura senza alcuna sovrapposizione oggettuale; pråjña è dunque uno stato di compiutezza, di non desiderio, di assenza di dualità, di non movi­ mento. Esso è Conoscenza pura, conoscenza non più di oggetti­fenomeni, ma del Soggetto ultimo; l’essere si conosce per se stesso e in se stesso; a questo livello la conoscenza diventa coscienza, non “coscienza di...”,

INTRODUZIONE

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ma coscienza che svela se stessa, dal momento che in pråjña non vi sono oggetti o dati di qualunque ordine e grado perché il tutto ritorna allo stato potenziale. Se in viŸva e taijasa la realtà si esprime in termini “Io sono questo”, in pråjña si esprime in termini “Io sono”; il “questo” (in quanto oggetto conoscibile) spa­ risce, per cui rimane la pura consapevolezza di ciò che si è. Quando invece il jıvåtman si risolve in “Io sono Quello”, il quale è il fondamento, si reintegra nel suo sostrato non qualificato e non determinato (Turıya). La reintegrazione si ha quando ci si risveglia alla con sapevolezza dell’åtman. Ciò implica che la li­ berazione non è una “conquista”, non è un effetto di una causa, perché lo stato di unità (åtman-Brahman) è sempre esistito, solo che per l’ente caduto nell’avidyå tale stato è virtuale, potenziale. Ciò che occorre, quindi, è Svegliarsi a ciò che realmente e profondamente si è, di là da ogni “so­ vrapposizione” velante. In ultima analisi, e vista sotto certe prospettive, la stessa liberazione è una semplice categoria mentale da cui occorre altresì affrancarsi; la kårikå 2.32 dice: «Questa è la suprema verità: non vi è né nascita né vi è cessazione di essere, né aspirante alla libe­ razione, né liberato, né alcuno che sia in schiavitù». La Må√ƒ¥kya Upani≤ad, di grande interesse inizia­ tico, acquista maggior valore per l’aggiunta delle kårikå di Gauƒapåda, alcune delle quali fanno parte integrante della stessa Upani≤ad. Gauƒapåda divide l’opera in quattro Capitoli così denominati:

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INTRODUZIONE

1. Ågama Prakara√a, Capitolo che tratta della Tra­ dizione scritturale (ågama). 2. Vaitathya Prakara√a, Capitolo che tratta del non reale (vaitathya), o carattere fenomenico, o apparenza, dell’esperienza. 3. Advaita Prakara√a, Capitolo che tratta della non dualità (advaita). 4. AlåtaŸånti Prakara√a, Capitolo che tratta della estinzione del tizzone ardente o soluzione del triplice fenomeno universale (alåtaŸånti). In essa Gauƒapåda svela, per la prima volta, in modo chiaro e conciso, l’asparŸayoga o asparŸavåda, lo yoga metafisico, il sentiero del senza contatto o relazione che porta non all’unione con il Dio­persona, ma alla Liberazione integrale dallo stesso Dio­persona. La Mukti Upani≤ad sostiene che la Må√ƒ¥kya Upani≤ad da sola porta alla realizzazione suprema. Questo yoga, è bene dirlo, richiede una grande maturità psicologica, un intelligente e sagace discer­ nimento intellettivo e una mente non condizionata da preconcetti eruditivi; l’asparŸavåda è per i ricercatori della Verità ultima (oujs iva), per gli amanti della co­ noscenza pura o sapienza (philosophía), per coloro che cercano l’Essere ultimo non il fenomeno­divenire; non è per i mistici devozionali o per coloro che fan­ no poggiare la loro sådhanå su tecniche psicofisiche. Tale yoga prende anche la denominazione di ajåtivåda (dottrina della non­generazione). Secondo Platone, conoscere il solo nome di una cosa non implica conoscere l’essenza (oujs iva) della cosa stessa. Si veda Teeteto, sulla conoscenza­scienza.

INTRODUZIONE

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Âa§kara, con il Vedånta advaita, riprende, a sua volta, la tematica advaita di Gauƒapåda, esponendola con un rigore dialettico molto approfondito. V’è da notare che per quanto il termine “metafisi­ ca” sia stato spesso degradato a semplice condizione extrasensoriale, iperfisica, in questo contesto, come in ogni contesto iniziatico, esso dev’essere inteso come di là dallo stato grossolano, sottile e causale, di là dallo stesso Essere ontologico e dai suoi stati molteplici. Dunque, solo il Quarto stato è metafisico in quanto l’Essere, con i suoi vari sistemi di coordinate, si trova già sul piano della “sostanza”, della natura (prakÿti). Il soprannaturale non è semplicemente di là dal fisico, ma di là dal sottile e dallo stesso causale­germinale rientrando essi nel naturale, formale e non formale. Le note di Raphael vogliono essere solo un’esempli­ ficazione più accessibile per il ricercatore occidentale – non introdotto nella vasta tematica filosofica induista e buddhista – nei confronti del più vasto e incisivo com­ mentario (bhå≤ya) di Âa§kara del quale sono riportati, lungo il testo, dei passaggi.1

1 Per questa opera si rimanda alla Må√ƒ¥kya Upani≤ad con le kårikå di Gauƒapåda e il commento di Âa§kara. Collezione Vidyå.

MÅ÷‡ÎkyakÅrikÅ Upani≥ad

Saluto di Âa§kara M’inchino profondamente a quel Brahman, il quale, benché senza nascita, appare esser nato mediante il suo potere imperscrutabile; benché sempre in riposo, appare in movimento; benché uno, appare multiplo a coloro la cui visione è divenuta deformata dalla percezione dei diversi attributi degli oggetti, quel Brahman distruttore di ogni timore per coloro che in lui trovano rifugio. Saluto, prostrandomi, il Maestro del mio Maestro, il più venerabile tra i venerabili, il quale, vedendo le creature affogate nell’oceano di questo mondo – oceano infestato da paurosi squali quali la nascita e la morte – ha dato, per compassione verso gli esseri, questo nettare, difficile da bere persino per gli dei e che giace nelle profondità dell’oceano che sono i Veda, Veda che egli svela con la potenza del suo intelletto illuminato. Con tutto il cuore offro l’omaggio al mio Maestro il quale distrugge la paura della trasmigrazione. Con la luce del suo intelletto illuminato egli ha dissipato l’oscurità delle illusioni in cui si trovava la mia mente e ha spezzato per sempre la mia paura dell’apparire e dello sparire nel terribile mare del saæsåra. Coloro che trovano rifugio ai suoi piedi possono realizzare l’infal­ libile conoscenza delle Upani≤ad, la pace e l’umiltà. Om

Om

Om

Introduzione di Âa§kara all’Upani≤ad Questi quattro Capitoli [con le kårikå], che rias­ sumono la quintessenza dell’insegnamento vedåntico, hanno inizio con le parole: “Om è tutto questo...”. perciò non bisogna occuparsi, in modo separato, del soggetto, dell’oggetto da perseguire e della loro relazione, perché ciò che costituisce la relazione – soggetto e oggetto in quanto fine – è qui posto in modo evidente. È co­ munque opinione della dottrina che un autore, volendo esporre un trattato (prakara√a), dovrebbe brevemente menzionarli. Ora, si può dire che questo trattato possiede un soggetto poiché svela il mezzo per raggiungere un certo fine [la Liberazione], per cui contiene la relazione specifica; possiede, altresì, l’oggetto, fine da conseguire, e quindi indirettamente il soggetto agendi. Qual è, dunque, questa finalità? È ciò che voglia­ mo spiegare: proprio come un uomo, colpito da una malattia, riprende la sua salute quando riesce a elimi­ narne la causa, così l’åtman, [apparentemente] colpito dall’identificazione con la sofferenza, riprende il suo stato normale quando svanisce [l’illusione del] la dua­ lità, la quale si dimostra come universo fenomenico. il fine a cui tende [questo trattato] è la realizzazione della non dualità. poiché la dualità fenomenica è un’ideazione dell’ignoranza [metafisica], essa può essere sradicata tramite la Conoscenza; quindi questa opera ha lo scopo di svelare la Conoscenza (vidyå) di Brahman. Ciò viene affermato dai testi vedici quali: «invero, là dove è come

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MÅ÷‡ÎkyakÅrikÅ

se vi fosse la dualità, là... l’uno vede l’altro... l’uno conosce l’altro. Ma quando, per lui, tutto è divenuto il suo stesso åtman, allora... per mezzo di che cosa e che cosa si potrà vedere?... allora per mezzo di che cosa e che cosa si potrà conoscere?» (Bÿ. ii.iV.14, iV.V.15 e iV.iii.31). Così, il primo Capitolo, dedicato interamente a con­ siderare il significato di Om, si basa sulla Conoscenza tradizionale [vedica] che offre la possibilità di realiz­ zare la realtà dell’åtman. il secondo Capitolo tende a dimostrare – per mezzo della pura ragione – la non realtà del mondo fenomenico della dualità, eliminan­ do la quale si raggiunge la non dualità, proprio come la realtà della corda viene svelata quando si elimina l’illusione del serpente, ecc., proiettata su di essa. il terzo Capitolo ha il fine di stabilire razionalmente la verità della non dualità, in modo che questa non venga negata dallo stesso processo argomentativo con cui viene accettata. il quarto Capitolo cerca di confutare, con gli stessi argomenti degli avversari, tutti i punti di vista contrari all’insegnamento dei Veda e che si oppongono alla verità della non dualità (advaita). È messa in evidenza l’inanità di simili punti di vista che si contraddicono l’un l’altro.

Osservazioni preliminari di Âa§kara in che modo la conoscenza del significato di Om diviene un aiuto per realizzare la natura essenziale dell’åtman? Ecco la spiegazione: certi passi della Âruti, come i seguenti, affermano: «Quella parola che tutti i Veda testimoniano e alla quale tutte le pratiche asceti­ che fanno riferimento, mirando alla quale [gli uomini]

INTRODUZIONE DI ÂA°KARA ALL’UPANI≥AD

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intraprendono il brahmacarya, quella parola ti esporrò sinteticamente: essa è Om. Questo sostegno è il mi­ gliore. Questo sostegno è il supremo» (Ka. i.ii.15,17), «O Satyakåma, in verità questo stesso Brahman, il quale è [conosciuto come] supremo e non supremo, è la sillaba Om. perciò colui che [così] conosce, con questo supporto soltanto, consegue uno dei due» (Pra. V.2), «invero, Om è il sole: così si dovrebbe meditare e riconoscere se stessi» (Mai. Vi.3), «Om. Così è il Brahman» (Tai. i.Viii.1), «...tutto questo è la stessa sillaba Om» (Chå. ii.XXiii.3). ne consegue che come la corda è il sostrato dell’il­ lusione­serpente, così l’åtman­senza­secondo, realtà suprema, è il sostrato di proiezioni mentali, quali il soffio vitale (prå√a), ecc., che sono irreali. Quindi, è soltanto Om il sostrato di quell’illusione proiettiva la quale rappresenta gli oggetti non reali, come il prå√a, ecc. Om possiede, dunque, lo stesso carattere essenziale dell’åtman, poiché è il nome che conviene a questo åtman. Tutte le rappresentazioni mentali, come il prå√a, ecc., le quali hanno l’åtman come sostrato e che sono denominate da parole – che sono poi modificazioni di Om – non esistono se non come semplici nomi. Ci­ tiamo, a sostegno di quanto precede, i seguenti passi della Âruti: «...mentre ogni sua modificazione [formale] non è altro che mera denominazione di nome...» (Chå. Vi.i.4). «Tutto questo [universo], sostenuto da Quello (Brahman), è tenuto insieme dal filo della parola e dal susseguirsi dei nomi». «di tutti questi [oggetti, non si può fare l’esperienza] che per mezzo dei nomi», e così via. per cui l’Upani≤ad [in questione] afferma: «Om è tutto questo...».

CapiTOLO i fOndaTO SULLE SCriTTUrE

athågamapra ka ra√am omityeta da k≤a ra mida æ sa rva æ ta syopavyå khyå na æ bh¥taæ bhavadbhavi≤yaditi | sa rvamoækå ra eva yaccånyattri kålåtıtaæ tadapyoækå­ ra eva || I || sa rva æ hyetadbra hmåya måtmå bra hma so ’ya måtmå catu≤påt || II || jåga ritasthåno ba hi≤prajña¢ saptå§ga ekonaviæŸatimu­ kha ¢ sth¥labhugvaiŸvåna ra¢ prathama ¢ påda¢ || III || svapnasthåno ’nta ¢prajña ¢ saptå §ga ekonaviæŸatimu­ kha ¢ pravivi ktabhuktaijaso dvitıya ¢ påda¢ || IV || yatra supto na kañcana kåmaæ kåmayate na kañcana svapnaæ paŸyati tatsu≤uptam | su≤uptasthåna ekı bh¥ta¢ prajñånaghana evå ’’nandama­ yo hyånandabhukcetomukha ¢ pråjñastÿtıya ¢ påda¢ || V ||

Capitolo

fondato sulle

sCritture

S¥tra dell’Upani≤ad i ­ Om è tutto questo. di ciò una chiara spiegazione: [ciò che è] il passato, il presente e il futuro è soltanto l’oækåra. E ciò che oltrepassa il triplice tempo è an­ cora la sillaba Om.1 ii ­ invero, tutto ciò è Brahman. Questo åtman è Brahman e l’åtman ha quattro piedi­quarti (påda).2 iii ­ il primo piede è vaiŸvånara, la cui sede [di azione] è lo stato di veglia (jågaritasthåna); esso conosce (prajña) [gli oggetti] esterni, possiede sette membra, ha diciannove bocche ed è il fruitore degli oggetti grossolani.3 iV ­ il secondo piede è taijasa la cui sede è lo stato di sogno: esso conosce l’interno [piano sottile], possiede sette membra, ha diciannove bocche, ed esperisce [gli oggetti] del sottile (pravivikta).4 V ­ Questo è lo stato di sonno profondo in cui il dormiente non gode più di alcun [oggetto] di affezione, né esperimenta alcun sogno. il terzo piede è pråjña la cui sfera è lo stato di sonno profondo (su≤upta); in esso [l’ente] è riunificato (ekıbh¥ta), è una unità omogenea di coscienza­conoscenza. in esso vi è beatitudine e si fruisce di tale beatitudine; è la bocca della conoscenza [di sogno e veglia].5

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MÅ÷‡ÎkyakÅrikÅ. i. ÅGaMa prakara÷a

e≤a sa rveŸva ra e≤a sa rvajña e≤o ’nta ryå mye≤a yoni ¢ sa rvasya prabhavåpyayau hi bh¥tånåm || VI ||

atraite Ÿlokå bhavanti ba hi≤prajño vibhurviŸvo hyanta¢prajñastu taijasa¢ | ghanaprajñastathå pråjña eka eva tridhå smÿta ¢ || 1.1 || da k≤i√å k≤imukhe viŸvo manasyantastu taijasa¢ | å kåŸe ca hÿdi pråjñastridhå dehe vyavasthita¢ || 1.2 || viŸvo hi sth¥labhu§nityaæ taijasa¢ pravivi ktabhuk | ånandabhuktathå pråjñastridhå bhogaæ nibodhata || 1.3 || sth¥la æ ta rpayate viŸva æ pravivi kta æ tu ta ijasa m | ånandaŸca tathå pråjñaæ tridhå tÿptiæ nibodhata || 1.4 || tri≤u dhåmasu yadbhojyaæ bhoktå yaŸca pra kı rtita¢ | vedaitadubhayaæ yastu sa bhuñjåno na lipyate || 1.5 || prabhava ¢ sa rvabhåvånåæ satåmiti viniŸcaya ¢ | sa rvaæ janayati prå√aŸceto查npuru≤a¢ pÿtha k || 1.6 ||

Cap. i fOndaTO SULLE SCriTTUrE, Vi-1.6

33

Vi ­ Questo è il Signore della Totalità (sarveŸvara), l’Onnisciente, l’Ordinatore interno, questo è la Sorgente di tutto [l’esistente]; in esso originano e si riassorbono tutti gli esistenti.6 Inizio delle kårikå di Gauƒapåda 1.1 ­ invero, viŸva [primo piede o quarto] è onniper­ vadente e [in esso] si esperimentano gli oggetti esterni (båhya); in taijasa si esperimentano quelli interni [sot­ tili]; in pråjña si esperimenta l’unità [indivisa]. Così [l’ente], sebbene uno soltanto, è considerato triplice. 1.2 ­ ViŸva è nell’apertura dell’occhio destro, taijasa è all’interno della mente e pråjña nello spazio (åkåŸa) racchiuso nel cuore: [così lo stesso jıvåtman] è situato nel corpo in maniera triplice. 1.3 ­ invero viŸva esperisce sempre [gli oggetti] grossolani, taijasa esperisce quelli sottili, similmen­ te pråjña fruisce della beatitudine. La fruizione è, così, triplice. 1.4 ­ ViŸva gode il [mondo] grossolano, taijasa quello sottile e pråjña [gode] la beatitudine. La frui­ zione è, dunque, triplice. 1.5 ­ Colui che conosce questa diade: oggetto di fruizione e soggetto fruitore rispondente ai tre stati, non viene affetto [dall’oggetto di fruizione neanche quando] ne fruisce. 1.6 ­ L’origine concerne tutte le entità esistenziali: questo è indubbio. Prå√a genera tutto, il Puru≤a [ir­ radia] separatamente i raggi di coscienza­intelligenza [dei jıva].

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vibh¥tiæ prasavaæ tvanye manyante sÿ≤†icinta kå ¢ | svapnamåyåsa r¥peti sÿ≤†i ranyai rvi kalpitå || 1.7 || icchåmåtraæ prabho¢ sÿ≤†i riti sÿ≤†au viniŸcitå¢ | kålåtpras¥tiæ bh¥tånåæ manyante kålacintakå ¢ || 1.8 || bhogå rthaæ sÿ≤†i rityanye krıƒå rthamiti cåpa re | devasyai≤a svabhåvo ’yamåpta kåmasya kåspÿhå || 1.9 ||

nånta¢prajñaæ na ba hi≤prajñaæ nobhayata¢prajñaæ na prajñånaghanaæ na prajñaæ nåprajñam | a dÿ≤†a mavyava hå rya magrå hya ma la k≤a √a ma ci ntya ma­ vyapadeŸya mekåtmapratyayaså ra æ prapa ñcopaŸa ma æ Ÿå nta æ Ÿiva madvaita æ catu rtha æ ma nya nte sa åtmå sa vijñeya ¢ || VII ||

Cap. i fOndaTO SULLE SCriTTUrE, 1.7-Vii

35

1.7 ­ Ma alcuni pensatori credono che la manife­ stazione sia l’espressione del potere [della divinità], mentre altri la concepiscono variamente come avente la medesima natura di un sogno o di una illusione mentale. 1.8 ­ La manifestazione è unicamente la [espressione della] volontà del Signore, affermano alcuni dalla salda convinzione; mentre altri, che speculano sul tempo, pensano che [la manifestazione] proviene dal tempo. 1.9 ­ Alcuni [pensano che] la manifestazione è un oggetto di fruizione [dello stesso Signore], altri che ha la funzione di un gioco e che sia la sua stessa na­ tura; ma quale desiderio [può aversi] in colui che ha appagato ogni volere? S¥tra dell’Upani≤ad Vii ­ non è conoscente­cosciente del [mondo] in­ terno, né di quello esterno, né è cosciente­conoscente di entrambi, non è una unità omogenea di coscienza­ conoscenza, non è cosciente né non cosciente, esso è invisibile, non agente, inafferrabile [con i sensi], indefinibile, impensabile, indescrivibile; esso è l’unica essenza di consapevolezza in quanto åtman, senza al­ cuna traccia di manifestazione, è pacificato, benefico, è non duale. [i Saggi] lo considerano il Quarto. Quello è l’åtman e come tale dev’essere conosciuto.7

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atraite Ÿlokå bhavanti nivÿtte¢ sa rvadu¢khånåmıŸåna ¢ prabhuravyaya ¢ | advaita¢ sarvabhåvånåæ devasturyo vibhu¢ smÿta¢ || 1.10 || kå rya kå ra√abaddhau tåvi≤yete viŸvataijasau | pråjña¢ kåra√abaddhastu dvau tau turye na sidhyata¢ || 1.11 || nå ”tmånaæ na pa råæŸcaiva na satyaæ nåpi cånÿtam | pråjña¢ kiñcana saævetti turyaæ tatsarvadÿksadå || 1.12 || dva ita syågra ha √a æ tu lya mubhayo¢ pråjñatu ryayo¢ | bıjanidråyuta¢ pråjña¢ så ca turye na vidyate || 1.13 || svapnanidråyutåvådyau pråjñastvasvapnanidrayå | na nidråæ naiva ca svapnaæ turye paŸyanti niŸcitå¢ || 1.14 || anyathå gÿh√ata¢ svapno nidrå tattvamajånata¢ | vipa ryåse tayo¢ k≤i√e turıyaæ padamaŸnute || 1.15 || anådimåyayå supto yadå jıva ¢ prabudhyate | ajamanidramasvapnamadvaitaæ budhyate tadå || 1.16 ||

Cap. i fOndaTO SULLE SCriTTUrE, 1.10-1.16

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Kårikå di Gauƒapåda 1.10 ­ Nell’immutabile Signore non duale si estin­ guono tutte le sofferenze. Questo risplendente Turıya è considerato [il fondamento] onnipervadente di tutte le esistenze. 1.11 ­ ViŸva e taijasa sono condizionati dalla causa e dall’effetto; pråjña, invece, è condizionato dalla causa. Ma in Turıya non esistono quei due [causa ed effetto].8 1.12 ­ Pråjña non conosce né se stesso né altro, né la verità e neppure la non verità; ma Turıya è l’eterno testimone di tutto. 1.13 ­ La non percezione della dualità è uguale per entrambi: pråjña e Turıya. Pråjña è associato al sonno [profondo] che è il seme, mentre questo [sonno] non esiste in Turıya.9 1.14 ­ i primi due [viŸva e taijasa] sono associati al sogno e sonno, mentre pråjña al sonno senza sogni. Ma quelli di salda certezza non scorgono in Turıya né il sogno né il sonno. 1.15 ­ il sogno è di colui che percepisce in modo difforme [gli oggetti], il sonno è di colui che non percepisce [affatto] l’oggettività. Quando queste due difformità vengono rimosse si consegue lo stato di Turıya.10 1.16 ­ Quando il jıva [prima] velato dalla måyå senza inizio si risveglia, allora realizza il non­nato, la non dualità, il senza sonno e il senza sogno.11

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prapañco yadi vidyeta niva rteta na saæŸaya ¢ | måyåmåtramidaæ dvaitamadvaitaæ paramårthata¢ || 1.17 || vi kalpo viniva rteta kalpito yadi kenacit | upadeŸådayaæ vådo jñåte dvaitaæ na vidyate || 1.18 ||

so ’ya måtmå ’dhya k≤a ra moækå ro ’dhi måtra æ på då måtrå måtråŸca pådå a kå ra ukå ro ma kå ra iti || VIII || jåga ritasthåno vaiŸvåna ro ’kå ra¢ prathamå måtrå ”pte­ rådimattvådvå ’’pnoti ha vai sarvånkåmånådiŸca bhavati ya evaæ veda || IX || svapnasthånastaijasa ukå ro dvitıyå måtrotka r≤ådubha­ yatvådvå utka r≤ati ha va i jñå nasaætati æ sa må naŸca bhavati nåsyåbra hmavitkule bhavati ya evaæ veda || X ||

Cap. i fOndaTO SULLE SCriTTUrE, 1.17-X

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1.17 ­ Se il dispiegamento universale esistesse, ces­ serebbe di esistere: non vi è dubbio. Questa dualità, che è måyå [= movimento], dalla prospettiva della realtà suprema è non dualità [Turıya, il quale ne è il fondamento].12 1.18 ­ La molteplice proiezione cesserebbe di esi­ stere se fosse stata immaginata da qualcuno [da un ente particolare]. Questa spiegazione ha lo scopo di facilitare l’insegnamento. Quando [la suprema realtà] è conosciuta, la dualità non esiste [più, per cui rimane solo Turıya]. S¥tra dell’Upani≤ad Viii ­ Questo è lo stesso åtman [avente quattro piedi] la cui natura, in relazione alle sillabe, è identica all’oækåra. L’Om, composto di misure, rappresenta i piedi [i quarti dell’åtman] e i piedi sono le misure. Le sillabe­lettere sono a, U, M. iX ­ VaiŸvånara, la cui sede è la condizione di veglia, è la lettera a, la prima misura, in virtù della sua [totale] pervasività oppure perché è la prima [let­ tera dell’alfabeto]. Certamente colui che così conosce consegue tutti i desideri e diventa il primo. X ­ Taijasa, la cui sede è [la condizione] di sogno, è la lettera U, la seconda misura, in virtù della sua superiorità oppure per la sua posizione intermedia. Certamente, colui il quale così conosce espande la co­ noscenza e si trova in accordo [col tutto]. nella famiglia di tale uomo non vi sarà alcuno che ignori il Brahman.

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su≤uptasthåna ¢ pråjño ma kå rastÿtıyå måtrå miterapıte­ rvå minoti ha vå idaæ sa rvamapıtiŸca bhavati ya evaæ veda || XI ||

atraite Ÿlokå bhavanti viŸvasyåtvaviva k≤åyåmådisåmånyamutka†am | måtråsampratipattau syådåptisåmånyameva ca || 1.19 || taijasasyotvavijñåna utka r≤o dÿŸyate sphu†am | måtråsampratipattau syådubhayatvaæ tathåvidham || 1.20 || ma kå rabhåve pråjñasya månasåmånyamutka†am | måtråsampratipattau tu layasåmånyameva ca || 1.21 || tri≤u dhåmasu yastulyaæ såmånyaæ vetti niŸcita¢ | sa p¥jya¢ sarvabh¥tånåæ vandyaŸcaiva mahåmuni¢ || 1.22 || a kå ro nayate viŸvamukå raŸcåpi taijasam | makåraŸca puna¢ pråjñaæ nåmåtre vidyate gati¢ || 1.23 ||

Cap. i fOndaTO SULLE SCriTTUrE, Xi-1.23

41

Xi ­ Pråjña, la cui sede è il sonno profondo, è la lettera M, la terza misura, in virtù della sua misurazio­ ne oppure in cui [il tutto] si riassorbe. Colui che così conosce, di certo, misura tutto questo [triplice mondo] e diviene la sede del suo assorbimento. Kårikå di Gauƒapåda 1.19 ­ Quando si è compresa la natura di viŸva, con la misura di a, risulta evidente l’identità con il primo e si avrà anche l’identità con la pervasività. 1.20 ­ Quando si conosce l’identità di taijasa con la lettera U, si percepisce in modo chiaro la preminenza della misura [U] e nello stesso modo si avrà [anche] la natura intermedia. 1.21 ­ Con pråjña si ha l’identità con la misura M e quindi la [capacità] di misurazione [dei mondi] e il loro riassorbimento. 1.22 ­ Quegli di salda certezza, il quale conosce l’identità dei tre stati è certamente un grande muni (saggio silenzioso), degno di adorazione e di venera­ zione da parte di tutti gli esseri. 1.23 ­ La lettera a conduce a viŸva, la lettera U a taijasa e, ancora, la lettera M a pråjña. Ma nell’amåtra (non misurabile) non vi è altro da conseguire.13

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a måtraŸcaturtho ’vyava hå rya ¢ prapañcopaŸa ma ¢ Ÿivo ’dvaita evamoækåra åtmaiva saæviŸatyåtmanå ”tmånaæ ya evaæ veda || XII ||

atraite Ÿlokå bhavanti oækå raæ pådaŸo vidyåtpådå måtrå na saæŸaya ¢ | oækå raæ pådaŸo jñåtvå na kiñcidapi cintayet || 1.24 || yuñjıta pra√ave ceta¢ pra√avo brahma ni rbhayam | pra√ave nityayuktasya na bhayaæ vidyate kvacit || 1.25 || pra√avo hyapa raæ bra hma pra√avaŸca pa raæ smÿta ¢ | ap¥rvo ’nantaro ’båhyo ’napara¢ pra√avo ’vyaya¢ || 1.26 || sa rvasya pra√avo hyådi rmadhyamantastathaiva ca | evaæ hi pra√avaæ jñåtvå vyaŸnute tadananta ram || 1.27 || pra√avaæ hıŸva raæ vidyåtsa rvasya hÿdi saæsthitam | sa rvavyåpinamoækå raæ matvå dhı ro na Ÿocati || 1.28 ||

Cap. i fOndaTO SULLE SCriTTUrE, Xii-1.28

43

S¥tra dell’Upani≤ad Xii ­ L’Om senza misura è il Quarto, non agen­ te, senza alcuna traccia di manifestazione, benefico, non duale. Così la sillaba Om è l’åtman. Colui che conosce ciò, immerge l’åtmå [manifesto] nell’åtman [supremo].14 Kårikå di Gauƒapåda 1.24 ­ Si conosca la sillaba Om piede per piede, [perché] non vi è dubbio che i piedi sono le misure. avendo conosciuto la sillaba Om piede per piede, non si pensi più a nulla. 1.25 ­ La coscienza dev’essere in identità con il pra√ava (Om), il pra√ava è il Brahman esente da paura. Colui che è assorto costantemente nel pra√ava non ha più timore in nessuna condizione.15 1.26 ­ Invero, pra√ava è il Brahman non supremo; e pra√ava è considerato anche il [Brahman] supremo. Pra√ava [supremo] è privo di causa (ap¥rva), di ef­ fetto, senza interno e senza esterno, non soggetto a decadimento.16 1.27 ­ invero pra√ava [in quanto Brahmå] è il principio, il mezzo e anche la fine di tutto. in verità, avendo conosciuto così il pra√ava, si consegue imme­ diatamente tale [identità con l’åtman]. 1.28 ­ In verità si conosca il pra√ava come ÙŸvara [il Signore principiale] stabilito nel cuore di ognuno. avendo conosciuta la sillaba Om come onnipervadente, il saggio risoluto è di là dal conflitto.

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amåtro ’nantamåtraŸca dvaitasyopaŸama ¢ Ÿiva ¢ | oækå ro vidito yena sa muni rneta ro jana ¢ || 1.29 || ityågamapra ka ra√am

cAP. I FONDATO SULLE ScRITTURE, 1.29

45

1.29 ­ colui che ha realizzato il senza misura (amåtra) è benefico e senza dualità. Colui che ha realizzato la sillaba Om è il vero [saggio] silenzioso (muni) e nessun altro essere.17 Fine dell’Ågama Prakara√a

nOTE aL CapiTOLO i 1i

­ La triplice temporalità, costituita dal passato (bh¥­ tam), presente (bhavat) e futuro (bhavi≤yad), rappresenta la totalità della manifestazione di ÙŸvara, il “tutto questo” del s¥tra, e risponde al suono Om. Ma, oltre il triplice tempo, v’è l’atemporale o il Brahman non manifesto, il quale è sempre Om, quale fondamento del Tutto. Om è il “Verbo” di potenza che manifesta e regge il tripli­ ce mondo, in Esso originano e si dissolvono tutte le cose. il non manifesto corrisponde allo stato germinale, cau­ sale (kåra√a), potenziale. L’intera manifestazione, nelle sue illimitate possibilità qualitative e quantitative, è contenuta nel seme potenziale; così un intero albero, con i suoi rami, frutti, con le sue foglie, ecc., è contenuto in potenza nel seme. La manifestazione è lo sviluppo della potenza prin­ cipiale. il manifesto porta in emergenza o in oggettività le sue potenzialità. Si può dire che il manifesto “evolve” solo se si considera questo termine nell’accezione di sviluppo, di evoluzione del seme, di passaggio dalla potenza all’atto. Corrisponde allo stato ontologico, al “Mondo delle idee” di platone. il tutto esistente è l’espressione del “Verbo”, o nota fondamentale determinata e qualificata, dell’Essere. Vista dalla prospettiva dell’Essere, la manifestazione è un tutto presente; nell’Essere vi è l’alfa e l’omega. 2 ii

­ L’Om è Brahman; il “Verbo” è Brahman. Bra­ hman è il nome originario, l’Om è il suono­essenza. Se ogni cosa manifesta, a diversi gradi vibratori, ha l’Om come nota fondamentale, allora tutti gli enti (åtman) sono Om­Brahman. Quello (Brahman) sono “io”. in questo s¥tra si mettono in evidenza tre cose:

nOTE aL CapiTOLO i

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– Brahman sagu√a rappresenta l’unità della totalità del mondo dei nomi e delle forme; la causa originaria da cui parte il processo manifestante. – il jıva degli enti è della natura del Brahman nirgu√a. – Brahman sagu√a, o ÙŸvara, ha quattro parti o påda. Esso, per quanto unità, si esprime in tre stati vibratori; allo stesso modo che un individuo, pur essendo uno, espe­ risce a livello di veglia, di sogno e di sonno profondo. Questi, dunque, sono stati di consapevolezza, sono moda­ lità esistenziali. Così, se si osservano le cose da una certa prospettiva, non v’è un “al di qua” o un “al di là”, v’è la possibilità di moltiplicarsi, ma tutte le cose trovano la loro unità nella Causa principiale. di là da questa vi è il fonda­ mento del tutto esistente chiamato Turıya. La stessa “morte” corporale dell’ente (passaggio da viŸva a taijasa) non è altro che un mutamento di ritmo, di condi­ zioni, di coordinate nell’apparente fluire del manvantara. 3 iii

­ il primo quarto, o påda (piede), è denominato vaiŸvånara (o viŸva) e il riflesso dell’åtmå incarnato esperisce, su tale piano o sfera vibratoria, gli oggetti grossolani (si veda Pra. Vi. 5). Con che cosa li esperi­ sce? Con i vari sensi, o organi sensori, con le “bocche”, le aperture o finestre mediante cui entra in contatto col mondo oggettivo o grossolano. il corpo fisico, nel suo complesso, è il rivestimento dell’ahaækåra che crea il rapporto con la sfera grossolana di viŸva, la quale risponde alla condizione di veglia o di ciò che si chiama con tale nome. L’oscuramento, derivato dalla prakÿti-gu√a, fa in modo che l’ahaækåra (senso dell’io) si riconosce come: “sono questo corpo”, “la mia realtà è il mondo oggettuale esterno”. La visione “materialistica” della vita nasce dall’iden­ ti ficazione dell’ego­ahaækåra con questo corpo e col

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piano di viŸva. Così la sua realtà è di ordine materiale, empirico, oggettivo, esterno a sé in quanto soggetto. da qui il condizionamento e l’alienazione; risponde al Mito di narciso. 4 iV

­ il secondo quarto, o påda, è chiamato taijasa e la sua sfera di attività è quella sottile o iperfisica. Taijasa significa luminoso perché questa sfera vibratoria sottile è splendente, radiante. L’analogia è col sogno; come nel sogno l’universo notturno, effetto delle våsanå, è proiettato dall’imma­ ginazione del manas (mente), così in taijasa la potenza immaginativa della mente plasma geometrie di pensieri e sentimenti proiettandoli con immediatezza. Questo mondo sottile (in riferimento a quello grossolano di viŸva) è caratterizzato dall’aspetto psiche dell’åtmå. Taijasa può essere diviso in due dimensioni o sfere vibratorie: quella caratterizzata dall’ahaækåra, dall’in­ dividualità umana, o parallela all’umana, e subumana, e quella in cui opera la buddhi. La prima è sotto il dominio del desiderio­mente empirico (kåma­manas), aspetto individuale; la seconda è sotto il dominio dell’intuizione superconscia (nóesis): è la sede del jıva, aspetto universale. in termini alchemici si può dire che la prima rappresenta il Mercurio ( ) dominato dalla terra­sale (P), mentre la seconda rappresenta il Mercurio ( ) rettificato dominato dallo Zolfo (Q); oppure la prima è dimensione lunare, la seconda è solare. «al riguardo alcuni (i såækhya) affermano che è l’at­ tributo­qualità (gu√a) che, in virtù della differenziazione nella natura (prakÿti), provoca la schiavitù [del riflesso] dell’åtman attraverso la determinazione [e le altre fa­ coltà mentali], e che dalla distruzione di difetti quali la determinazione [e le altre] si ha in verità la liberazione.

NOTE AL CAPITOLO I

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in effetti è soltanto con la mente che si vede, con la mente che si ascolta; il desiderio, la immaginazione, il dubbio, la fede e l’assenza di fede, la fermezza e l’instabilità, la vergogna, il pensiero e la paura: tutto questo è soltanto la mente. Trascinato e reso impuro dalle correnti delle qualità, instabile, vacillante, preda della confusione mentale, pieno di desiderio, distratto, [l’essere così condizionato] cade nella possente iden­ tificazione, per cui [ritiene]: “io sono tale”, “questo è mio”. pensando in tal modo, si lega da se stesso come un uccello in una rete».1 Con la buddhi ci si trova nel mondo sottile degli... dei e il jıva può, superato l’ahaækåra, rispondere ai ritmi universali dell’Essere. «È per questo che bisogna sforzarci di fuggire di qui a lassù al più presto. E fuga è rendersi simili a dio secondo le proprie possibilità: e rendersi simili a dio significa diventare giusti e santi, e insieme sapienti».2 il manas è tipico dell’individualità umana ed è mediante esso che si esprime l’ahaækåra, il senso dell’egoità, dell’individuato propriamente detto. «La mente è superiore rispetto ai sensi; il sattva [= in­ telletto puro] è superiore rispetto alla mente; il grande åtmå è al di sopra del sattva; l’immanifesto è superio­ re rispetto al Mahat... Ma superiore all’immanifesto (avyakta) è il Puru≤a, onnipervadente e senza qualità, realizzando il quale l’essere vivente si libera e rag­ giunge l’immortalità».3 1

Mai. VI. 30. Teeteto 176 a­ B. platone, Tutti gli scritti, a cura di G. reale. Bompiani, Milano. 3 Ka. II. III. 7­8. 2

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«Conosci l’ åtmå come il padrone di un carro e il corpo, invero, come il carro stesso. Conosci invero l’intelletto come il carrettiere e la mente come la stessa briglia... colui, il quale è dotato di discernimento, avendo il controllo della mente, è sempre puro. Costui consegue quella mèta dalla quale non torna più a nascere».1 «in primo luogo, in noi l’auriga guida un carro a due cavalli; inoltre, dei due cavalli, uno è bello e buono e derivante da belli e buoni; l’altro, invece, deriva da opposti ed è opposto. difficile e disagevole, di necessità, per quel che ci riguarda, è la guida del carro».2 Taijasa, dunque, ha due aspetti: uno rappresentato dall’intellettualità pura (buddhi o nóesis), che guarda al mondo causale principiale, o “Mondo delle idee” per platone, l’altro rappresentato dalla mente immaginativa (manas), che guarda al mondo delle “rappresentazioni” sensoriali o del sensibile. L’ahaækåra costituisce un prisma che scompone la Luce universale della buddhi in un raggio particolare; esso differenzia ciò che è sintesi e unità. più oltre, quanto si dirà di questa sfera sottile sarà riferito, in linea di massima, al dominio inferiore di taijasa. Quando lascia il rivestimento grossolano o carnale, il raggio di luce incarnato del jıva (Mai. Vi.31) si ritira in tale sfera; ma questa sfera inferiore può essere esperita anche quando si possiede il corpo fisico; anzi la si esperisce, ma non v’è ricordo. Molti individui, più di quanto si possa pensare, la esperiscono consciamente perché, per varie ragioni, hanno la capacità di depolarizzarsi dal­ l’elettromagnetismo del fisico denso. 1 2

Ibid. i. iii. 3­9. platone, Fedro 246 a­ B. Op. cit.

NOTE AL CAPITOLO I

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il mondo di taijasa, di cui si parla, come d’altra parte quello fisico, ha, a sua volta, diverse modalità vibratorie, quindi diverse possibilità di vita dove gli enti, secondo il loro particolare status coscienziale, o della loro sintoniz­ zazione individuata, trovano corrispondente posto e attività. Se alcuni hanno fatto esperienza di tale sfera e poi hanno cercato di descriverla, occorre rilevare che le descrizioni non possono considerarsi assolute proprio perché ognuno può descrivere solo l’“ambiente” da cui è stato attratto. d’altra parte, questo criterio di valutazione è valevole anche per il piano di viŸva. Un altro errore che si fa spesso è quello di considerare un ente più saggio e compiuto solo perché è passato, come generalmente si dice, di là dal velo. Taijasa, nella sua estensione inferiore, è la sfera intermedia, quella dello psichico; è la dimensione ove il kåma­manas (emo­ zione­immaginazione) è imperante; quindi è la sfera del fluttuante, dell’evanescente, del non costante, delle opi­ nioni e delle ombre. in questo piano sottile, come si può dedurre, la dire­ zione dell’ente è caratterizzata dai suoi desideri più pressanti, dalle sue espressioni qualitative non risolte che fungono da meccanismo di scelta e orientamento. Ciò perché in taijasa la “sostanza” è particolarmente sensibile e risponde immediatamente alla forza del­ l’emozione e dell’immaginazione. in esso, si può dire, l’emozione­immaginazione è tutto; in viŸva la “sostanza” è più inerziale, pesante e rallentata, impedendo una sua rapida “conformazione”, per quanto non in termini di assolutezza. in taijasa, ogni ente si crea, come nel sogno e parlando in termini religiosi, il suo inferno, il suo purgatorio o il suo paradiso secondo lo stato coscienziale raggiunto o il suo magnetismo psichico determinante. Così si possono fare esperienze terrificanti, ma anche esaltanti, con tut­

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te le sfumature intermedie. E ciò risponde a una legge universale e naturale di giustizia. Ognuno si premia e si castiga da se stesso. Se ne deduce, inoltre, che taijasa è la sfera del misticismo polare caratterizzato cioè dal dua­ lismo creatore­creatura, paradiso­inferno, buono­cattivo, ecc.; è la sperimentazione di alcuni tipi di samådhi che, per quanto possano offrire intenso appagamento, appar­ tengono pur sempre al dominio dello psichismo inferiore. Comunque, molti ne sono attratti, e se si considera che ogni ente nel tempo­spazio si trova con un suo particolare stato coscienziale e vibratorio, si può riconoscere che ogni cosa è al suo giusto posto.1 «... così come è la determinazione che un essere umano ha [concepito] in questo mondo, così diviene allorché si diparte da qui; [pertanto] egli deve esercitare la deliberazione».2 La conoscenza, infine, per quanto vi sia pensiero e discriminazione, avviene non più mediante l’analisi logica e concettuale, come in viŸva, ma per una sorta di “sensibilità vibrazionale” verso l’oggetto. È la ricettività psichica di un ente verso l’altro; e, secondo la più o meno ampia capacità di risposta, un ente percepisce l’ambiente e gli enti circostanti; è l’ottava inferiore dell’intuizione superconscia della buddhi; infatti nello stato superiore di taijasa la conoscenza è l’effetto del discernimento intuitivo, è conoscenza di archetipi­noumeni più che di fenomeni. in pråjña, poi, come si vedrà, si ha una conoscenza d’identità perfetta perché il soggetto e l’oggetto coincidono. Si dà adesso un quadro riassuntivo di taijasa e viŸva con i rivestimenti dell’åtmå. 1 2

Si veda Mai. iV.2. Chå. iii. XiV. 1.

53

Universale

Åtmå

vijñånamayakoŸa o buddhimayakoŸa Sottile

Taijasa

Superiore

NOTE AL CAPITOLO I

inferiore

ahaækåra

manomayakoŸa

annamayakoŸa

individuale

Grossolano

ViŸva

prå√amayakoŸa

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­ il terzo quarto, o påda, è chiamato pråjña, cono­ scenza sintetica, ed è assimilato al sonno profondo senza sogni o su≤upti. Ciò è molto indicativo perché mentre nei due precedenti stati il tutto è caratterizzato dal soggetto­ oggetto, dal vedente e dal visto, dal sognatore e dal sogno, ecc., quindi dal dualismo polare, in pråjña la dualità sparisce e il tutto si risolve nell’unità. Qui l’åtmå è in se stesso, con se stesso e per se stesso, è nell’eterno presente. Mentre in viŸva e taijasa è l’oggetto che crea felicità, in pråjña vi è beatitudine, perciò pråjña è summa pax, è uno stato che non dipende da fattori esterni. L’ente, quindi, vi ritrova la sua vera dimora, la sua patria, il suo giusto posto, la sua totalità, senza dipendere da niente se non da se stesso. Questo stato rappresenta il savikalpasamådhi, il più alto samådhi sul piano della manifestazione. Essendo l’origine e il germe potenziale di qualificati sviluppi, esso costituisce la vera natura­essenza­noumeno dell’ente, come il seme di un fiore è la rappresentazione noumenica precisa e reale del fiore. E come il fiore è contenuto nel seme, così viŸva e taijasa sono contenuti in pråjña. Occorre precisare, comunque, che la mani­ festazione è un’“ideazione” simultanea (l’esempio del seme potrebbe essere fuorviante). La molteplicità di cose proiettate nel sogno viene creata simultaneamente dall’ente che sogna. È l’ente empirico che, sperimentando un particolare sistema di coordinate, concepisce la Totalità come avente una nascita e un’evoluzione nel tempo. La manifestazione non si perfeziona nel tempo, essa è solo l’irradiazione dell’idea primordiale. L’idea contiene in sé la totalità della vita o gli stati molteplici esistenziali. Un pianeta non è altro che un’idea materiata, un’idea con un suo stato vibratorio. ViŸva è l’idea che vibra a una certa intensità e frequenza, è suono­luce, è numero­qualità.

NOTE AL CAPITOLO I

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Un’incarnazione stessa dell’ente rappresenta uno dei tanti “fotogrammi” separato arbitrariamente dalla sua unità esistenziale e ogni “fotogramma” può essere rettificato, trasformato, lungo il percorso di vita dell’ente: l’åtmå è polidimensionale. Pråjña, poi, è uno stato di coscienza, non un “luogo” particolare, esso è già in noi, non è fuori o estraneo a noi. Comprendere la propria autentica natura, con tutte le illimitate possibilità, è “vibrare” pråjña. Se molti, pur trovandosi in viŸva, esperiscono coscientemente il piano di taijasa inferiore, pochi sono invero coloro che esperiscono taijasa superiore e pochissimi coloro che sperimentano o, meglio, sono l’unità di pråjña. Pråjña è di là dal mondo dei nomi e delle forme; esso è la sfera spirituale, è lo stato conoscitivo puro perché rappresenta il noumeno, e questo contiene tutte le potenzialità di essere. La conoscenza non è quindi in riferimento a oggetti; anzi, non si può neanche parlare di conoscenza, ma di autoevidenza; è la sfera dell’aseità. nello stato di pråjña, l’åtmå, o jıva, costituisce la prima espressione dell’åtman assoluto, come Brahmå, o ÙŸvara, rappresenta la causa principiale che riceve il suo essere dal Brahman nirgu√a (non qualificato). in prå­ jña sparisce ciò che gli enti umani chiamano bene­male, buono­cattivo, piccolo­grande, ecc., perché sparisce ogni polarismo, ogni dualismo, ogni opposizione. in pråjña vi è unità, indivisibilità; non è l’Uno­senza­secondo (Quar­ to stato), perché rappresenta quell’uno da cui irradia il secondo e quindi la differenziazione. È il punto geome­ trico che, per quanto senza dimensione, forma la prima determinazione di un piano. Pråjña è una scintilla del fuoco principiale. «Questo åtman, il quale è all’interno del mio cuore, è più piccolo di un grano di riso o di un chicco d’orzo,

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o di un granello di senape o persino del nocciolo di un granello di senape. Questo åtman, il quale è all’interno del mio cuore, è più grande della terra, più grande del cielo intermedio, più grande del cielo supremo, più grande di [tutti] questi mondi». «Questo åtman, il quale è all’interno del mio cuore, è il fondamento di tutte le azioni, di tutte le istanze, di tutti gli odori e di tutti i sapori, colui che pervade il tutto, è privo di parola e libero da ogni volere. Questo è il Brahman: con questo diverrò identico dopo essere dipartito da qui. Colui il quale nutre questa certezza e non ha nessun dubbio [realizzerà il Brahman]. Così, allora, parlò certamente Âå√ƒilya...». «Om. poi [vien detto]: in questa cittadella del Brahman, vi è questo piccolo ricettacolo che ha la forma di un fiore di loto. al suo interno vi è un piccolo spazio (åkåŸa). Quello, che è all’interno di esso, è ciò che si deve ri­ cercare; Quello, invero, è ciò che si deve conoscere».1 6 Vi

­ in esso, essendo pråjña lo stato principiale di ogni possibile movimento, ogni cosa appare e scompare; in esso emergono gli stati di taijasa e viŸva, con le loro illimitate modalità di espressione, individuali e universali, e in esso ritornano. Essendo l’origine del tutto, conosce spontaneamente la totalità del suo essere; è l’Ordinatore interno perché, pur non agente, coordina e dirige, con la sua sola presenza, tutte le espressioni dei suoi differenti stati; essendo la prima determinazione è, appunto, la sorgente di ogni ulteriore sviluppo. «Un eterno frammento di Me, apparso come anima vivente (jıvabh¥ta) nel mondo dei mortali, attira a 1

Chå. iii. XiV. 3­4; Viii. i. 1.

NOTE AL CAPITOLO I

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sé i [cinque] sensi e la mente (manas), come sesto organo, i quali trovano il loro fondamento in prakÿti. Quando il Signore [interno] assume un corpo­forma e quando l’abbandona prende seco questi (indriya), come il vento raccoglie i profumi da un luogo [por­ tandoseli dietro]».1 Sul piano di taijasa, il corpo di contatto con la cor­ rispondente sfera di vita, l’åtmå se lo crea da sé, con la sua potenza proiettiva; sul piano di viŸva invece il suo rive­ stimento fisico viene creato da coloro che rappresentano i suoi genitori. Ma ciò non dev’essere considerato in termini di assolutezza; basti pensare che il fisico­grossolano non è altro che energia condensata, relativamente stabilizza­ ta, o massa inerziale che può essere risolta appunto in energia. ancora, occorre distinguere quelli che sono i piani esistenziali, o i sistemi di coordinate, e ciò che è l’ente­coscienza che esperisce tali sistemi. i tre stati, si è detto in precedenza, sono tre livelli vibratori esistenziali in cui l’åtmå vive, si muove ed è. Oltre i tre stati vi è il Quarto (Turıya) che è il fon­ damento per cui i tre stati possono essere ed esistere. L’andare e venire (trasmigrazione) dallo stato di pråjña a quello di viŸva e viceversa è descritto nella Bÿhadåra√yaka Upani≤ad (iV. iV. 1­25). Occorre eviden­ ziare che questi “quarti” non hanno una successione tem­ porale. Essi sono considerati dal punto di vista empirico. 7 Vii

­ «Colui che vede attraverso la vista, colui che si muove nel sogno, colui che è profondamente addormen­ tato e Quello che trascende colui che è profondamente addormentato: questi sono i suoi quattro differenti [stati]. di loro il Quarto (Turıya) è il più grande».2 1 2

Bhagavadgıtå XV. 7­8, a cura di Raphael. collezione Vidyå. Mai. VII. 11. 8.

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«... il primo piede è vaiŸvånara, la cui sede [di azio­ ne] è lo stato di veglia... il secondo piede è taijasa la cui sede è lo stato di sogno... Questo è lo stato di sonno profondo...».1 «i primi due sono associati al sogno e sonno, mentre pråjña al sonno senza sogni. Ma quelli di salda certez­ za non scorgono in Turıya né il sogno né il sonno».2 il Quarto stato, che è di là dai tre stati, non può essere oggetto di linguaggio, non ha metro di paragone, non si presta a correlazioni e a discussioni. La sua realtà, o evidenza, può essere descritta in termini di “negazione”, nel senso che non è ciò che la mente sensoria può per­ cepire o pensare. non si dovrebbe neanche considerarlo uno “stato”, né un oggetto di esperienza né un punto di vista; non è neanche l’Unità principiale, questa ha in sé la potenzialità della molteplicità, ma il Quarto è Uno­ senza­secondo, è atto puro, non mescolato ad alcuna potenza, è l’infinito nella sua vera accezione. La mente (manas) potrebbe vacillare di fronte a questa realtà che non consente immagine di relazione. L’Uno ontologico è il tronco da cui si dipartono i rami e i frutti, ma il Quarto rappresenta la radice invisibile, allo stesso tempo trascendente e onnipervasivo. Si può dire che la manifestazione, o la natura triplice, “appare” su questo schermo, il quale rappresenta la costante assoluta e senza secondo. «Turıya rappresenta l’essenza [o fondamento] dell’å­ tman», commenta Âa§kara. L’Om con suono (Ÿabda) è assimilato al Brahman sagu√a, questo Quarto (turıya) è il Brahman nirgu√a, il senza suono, aŸabda.3 1 2 3

Må. s¥tra iii. iV. V. Må. Kå. 1. 14. Si veda Mai. Vi. 22.

NOTE AL CAPITOLO I

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«[io cerco rifugio in Quello il quale è] privo di parti, senza attività, pacificato, esente da imperfezione, pri­ vo di difetti e il supremo ponte verso l’immortalità, simile a fuoco che ha arso il proprio combustibile».1 Turıya è un termine del Ígveda che significa “quarto” e nelle Upani≤ad viene indicato come il Brahman nirgu­ √a. “Quarto” in quanto è di là dai tre stati dell’Essere­ ÙŸvara, o Brahman sagu√a; ciò implica che Esso trascende l’intera manifestazione­fenomeno per cui risponde alla realtà ultima o suprema oltre la quale non si può postu­ lare altro ente di qualunque ordine e grado. Si dà anche il nome di assoluto, di supremo indivisibile di là dal tempo­ spazio­causa e da ogni rapporto che possa inficiare la sua infinitezza. Si può anche dire che Turıya rappresenta, in termini metafisici, il fondamento per cui lo stesso principio cau­ sale trova la sua ragion d’essere e, di conseguenza, tutto ciò che da esso proviene. Turıya è ciò che dà Unità e armonia al principio causale e quindi alla manifestazione. «il fondamento è dunque l’Essenza essente entro sé, e questa è essenzialmente fondamento solo nella mi­ sura in cui è fondamento di Qualcosa, di un altro».2 il fondamento è ciò che rende possibile la stessa cono­ scenza e l’intera vita degli enti in quanto possono cono­ scere e conoscersi. il Turıya si può paragonare all’Essere non nato di parmenide, all’Uno­Bene di platone che dà ragion d’essere al “Mondo delle idee”, all’Uno di plotino che trascende il Noûs ontologico. Si può notare che a livello metafisico, o henologico, si ha una concordanza di vedute e una identità in ri­ 1

Âve. VI. 19. Enciclopedia delle Scienze filosofiche. parte i, Sezione ii, a g §121. 2 Hegel,

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guardo alla Verità­realtà ultimativa. Tutte le dicotomie, le differenziazioni esclusive, anche religiose, le varie contrastanti opinioni del mondo del sensibile vengono integrate, trascese e risolte sul piano henologico. ipotizzare un qualcosa di là dal Quarto­Turıya, o dall’Uno supremo e indivisibile, ci sembra una forzatura produttrice di incongruenze, di irrazionalità; oltre al fatto che il problema non solo non viene risolto, ma diventa inconciliabile perché due assoluti sono contraddittori. né l’Occidente metafisico, né l’Oriente delle Upani≤ad propongono un “quinto” o “sesto” oltre l’infinito acausale o l’assoluto indivisibile. L’assoluto è assoluto e, accedendo a esso, si perviene alla “fine del percorso”, come sostengono le Upani≤ad, parmenide, platone e plotino, solo per fermarci a questi eminenti Maestri. 8 1.11

­ Se pråjña rappresenta il germe, il seme o la causa della produzione, allora taijasa e viŸva, che sono suoi sviluppi, rappresentano l’effetto sottile l’uno e l’ef­ fetto grossolano l’altro. Ora, per risolvere l’effetto (sottile e grossolano) oc­ corre rientrare nella causa prima o stato principiale. in pråjña l’ente, si è visto precedentemente, riposa in se stesso, con se stesso e per se stesso, è illuminato dalla sua propria luce perché si è risolto nella sua vera unità. non percepisce dualità e nessuna cosa che sia esterna a se stesso come Essere, o diversa da se stesso. il suo velo, o sovrapposizione, è rappresentato solo dall’avidyå primigenia, oppure da quel limite che appartiene alla natura di ogni “determinazione”. Pråjña è la prima determinazione, è l’Essere qualifi­ cato (sagu√a), quindi ha in sé la natura dell’apparire e dello sparire.

NOTE AL CAPITOLO I

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Visto dalla prospettiva metafisica, pråjña è limite, è una specificità, è Uno­molti, e alcuni enti, avendo assimilato la conoscenza, vogliono trascendere anche questo stato. Turıya è di là dal tempo, dallo spazio e dalla causa. Turıya è causa di se stesso, è causa delle cause, oppure è il non causato, quindi è senza origine e senza fine; Turıya è la possibilità infinita di tutte le determinazioni causali, men­ tre pråjña rappresenta solo una potenzialità determinata. 9 1.13

­ Occorre far attenzione a non confondere la non dualità di Turıya con l’unità di pråjña. in altri termini, bisogna distinguere la sfera ontologica (dell’Uno prin­ cipiale o matematico ideale) da quella prettamente me­ tafisica. L’Uno matematico è l’inizio di una determinata serie, quindi della molteplicità, e questo è pråjña; Turıya è l’autentica non dualità o Uno­senza­secondo perché è esente da inizio, da principio, da unità, intesa come origine della serie, è di là da ogni “secondo”. Turıya, dunque, è di là dal numero. dire uno è quanto dire due e tre, ecc., ma dire non due significa uscire dalla numerazione, dalla quantità e dalla qualità, significa affer­ mare l’Unità, o quell’Uno assoluto che non implica serie. La non dualità è il culmine, l’apice di tutte le con­ cezioni religiose o filosofiche monoteistiche, dualistiche e pluralistiche. È l’Uno­Bene di platone, l’Uno di plotino o l’Essere di parmenide. dallo stato di pråjña si può ritornare sul piano uni­ versale, o anche individuale, secondo il grado di rea­ lizzazione che si è raggiunto, ma da Turıya non v’è più ritorno. E l’Upani≤ad, con le kårikå di Gauƒapåda, esprime proprio questa realtà senza nascita (ajåti). Si veda ancora la kårikå successiva (1.14). 10 1.15

­ Se la veglia è caratteristica di viŸva, il sogno di taijasa e il sonno profondo di pråjña, Turıya è di là da

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queste tre condizioni, per quanto le contenga. nello stato sottile e grossolano si ha un percepire alterato perché si è guidati dalla sensitività, dalla rappresentazione mentale o dall’opinione sensoriale. L’individuo non percepisce, ad esempio, il vero al­ bero o il vero vaso, ma l’immagine che si fa del vaso o dell’albero, per cui la verità in sé, o la “cosa in sé”, non è conosciuta. Con la nostra mente sensoriale percepiamo sempre fenomeni, i quali, fra le altre cose, fluttuano nel divenire. il fenomeno è un “secondo”, è altro dall’Essere perché è meno dell’Essere. il conoscere sensoriale avviene perché i cinque sensi trasferiscono alla mente (sesto senso) tutti i dati di un oggetto che riescono a reperire e percepire; la mente, a sua volta, elabora questi dati e, mediante l’analisi, la deduzione, l’induzione, il ricordo, ecc., formula un con­ cetto dell’oggetto. Ciò dimostra che questa conoscenza avviene per mezzo di strutture mentali che sono solo concetti; ma un concetto non è l’autentica verità di un dato, ne è solo una rappresentazione. inoltre, un concetto è sempre in riferimento a qualche cosa, per cui si ha questa triplicità: soggetto conoscitore, mente­concetto, oggetto di conoscenza. Tale triplicità però esclude la vera conoscenza di ciò che è Unità­Essere, per cui la conoscenza concettuale può riferirsi solo a fenomeni che sono altro da sé, e alle leggi che regolano questi fenomeni. inoltre, tale conoscenza riduttiva vela l’essenza dell’ente il quale è costretto a peregrinare nella sfera di taijasa e in quella di viŸva, cioè nel mondo delle opinioni, delle ombre e dei miraggi. Conoscere il nome di una cosa non significa conoscere l’essenza della cosa stessa (si veda platone, Teeteto). 11 1.16

­ “... måyå senza inizio...” perché essa, prove­ nendo da un manvantara precedente non risolto, non dà

NOTE AL CAPITOLO I

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possibilità di conoscere l’inizio del manvantara attuale per mancanza di relazione temporale. il tempo può essere stabilito tra due punti egualmente esistenti nel tempo; ma se il primo punto viene a mancare non si ha il preciso inizio di riferimento. 12 1.17

­ La manifestazione non ha esse, quindi deve dipendere da altro per essere; se è nata deve anche peri­ re, di qui il considerarla come semplice apparenza, cioè appare e scompare all’orizzonte di qualcosa che è e non diviene. La nascita, intesa come qualcosa che prima del suo nascere non esisteva, non può avere alcuna validità per i motivi che si possono riscontrare nelle kårikå 2.20 segg., 3.19 segg. Quando si parla della non nascita (ajåti) si vuole dire che la manifestazione non è l’atto volitivo di un Ente che ha fatto nascere qualcosa che prima non esisteva. Un albero fiorito non è altro che lo “sviluppo” di un seme preesistente: si può dire che la manifestazione è semplicemente un passaggio dalla potenza all’atto dello stato ontologico. E il seme ontologico è il risultato di un seme non risolto di un ciclo cosmico precedente. 13 1.23

­ in queste ultime kårikå vengono date le identità delle lettere o dei suoni (aUM) con i tre stati. Turıya risponde all’Om privo di suono, o all’assenza del suono manifesto. Âa§kara scrive nel suo commento a questa kårikå: «E, infine, il suono M conduce a pråjña; ma quando, a sua volta, il suono M si estingue, la causalità stessa si supera, per cui non rimane più nulla che debba essere compiuto»1 e possiamo aggiungere: conosciuto. 1 Cfr. Må√ƒ¥kya Upani≤ad con le kårikå di Gauƒapåda e il commento di Âa§kara. Op. cit.

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Così si può comprendere che lo sviluppo dell’indi­ vidualità corporea si ha in viŸva, lo sviluppo estensivo degli stati extracorporei formali e non formali si ha in taijasa, lo sviluppo sovraindividuale e universale si ha in pråjña; infine, la realizzazione suprema o la liberazione integrale dal manifesto formale, non formale universale e principiale si ha in Turıya quale fondamento del tutto esistente. 14 Xii

­ L’aUM,1 in quanto pura essenza del suono, è inafferrabile dagli enti sensoriali, anche perché la sua realizzazione implica il non percepire più l’apparenza, il visto, il polare. Esso è Om non qualificato (nirgu√a), non determinato. Dice Gauƒapåda (kårikå 1.29): «Colui che ha realizzato il senza misura è benefico e senza dualità. Colui che ha realizzato la sillaba Om è il vero [saggio] silenzioso (muni) e nessun altro essere». i termini Om, Quarto, Turıya, Brahman nirgu√a si equivalgono. La realizzazione di Turıya è il vero scopo del sen­ tiero metafisico che risponde a questa Upani≤ad. Se la parola metafisica designa “di là dal fisico”, e col termine “fisico” si designa la “sostanza­natura”, allora la visione metafisica va di là dal naturato e dallo stesso naturante. parlare, ad esempio, di taijasa in termini di metafisica, come spesso avviene, è improprio perché taijasa è sostan­ ziale e “materiale” quanto la sfera di viŸva, consistendo la loro differenza solo in gradi di “densità”, e quindi di vibrazione, come dimostra Gauƒapåda nel secondo capitolo del testo. Pråjña è la sfera ontologica, ma questa è la radice del molteplice. ÙŸvara è il Signore dei tre mondi. 1 L’aUM privo di parti (a­måtra), senza misura, è il fondamento metafisico del suono primigenio.

NOTE AL CAPITOLO I

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15 1.25

­ Quando si comprende lo spirito dell’Om quarto per quarto, quando vengono integrati i tre piani esistenziali la mente si rende silenziosa perché non ha più nulla a cui pensare per cui si trova nello stato di avasthåtrayasåk≤in (Testimone dei tre stati). Si può comprendere la profonda implicanza e l’enorme possibilità realizzativa. 16 1.26

­ I due Brahman (apara e para) non sono due Enti distinti e contrapposti (dualità); il Brahman non su­ premo o sagu√a (qualificato) riceve l’esse dal Brahman supremo o nirgu√a (non qualificato). Se si vogliono vedere le cose dal punto di vista del­ l’ultima verità, solo il Brahman nirgu√a rappresenta la realtà suprema; il “secondo”, nella sua triplice espressione manifesta, è solo “apparenza” nei confronti dell’“Uno­ senza­secondo”. 17 1.29

­ Âa§kara commenta: «Di là da ogni misura (amåtra) c’è Turıya. Måtra vuol dire misura, e ciò che oltrepassa ogni misura e ogni grandezza è chiamato ana­ ntamåtra». Se ÙŸvara­Essere è la misura di tutte le cose manifeste, Turıya è di là da ogni misura perché trascende ogni determinazione di tempo, di spazio e di causa. Se la Må√ƒ¥kya Upani≤ad, che è la quintessenza del Vedånta, propone il mantra aUM è perché vi sono tra l’aUM e gli stati dell’Essere, e tra l’Essere universale e quello individuale, delle precise corrispondenze. L’essere umano è dotato di sette cakra maggiori, collocati nel corpo prå√ico o iperfisico lungo la colonna vertebrale, ma tre sono i cakra essenzialmente importanti; ora il risuonare il mantra in questi tre cakra significa farli dischiudere e far vibrare la coscienza all’unisono con l’universale.

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Quando Gauƒapåda nella kårikå 1. 23 sostiene che la lettera a conduce a viŸva, la lettera U a taijasa e la lettera M a pråjña, ciò non va preso nel senso figurato o come una congettura intellettiva. i cakra sono centri di coscienza dell’ente derivanti dal corpo causale, e i suoi tre piani di attività rispondono alla veglia, al sogno e al sonno senza sogno. Se si conosce che il m¥lådhåra cakra contiene il fuoco che alimenta la “terra” o il corpo grossolano, che l’anåhata cakra è la sede del jıvåtman nel suo corpo sottile, governatore dei tre primi cakra, partendo dal m¥lådhåra, che l’åjñå cakra è la sede dell’åtmå unificato alla prakÿti nella forma causale del pra√ava Om, allora si può comprendere che i tre stati, di cui parla l’Upani≤ad, sono precisi stati di coscienza che devono essere realizzati, aprendo le tre porte di accesso. Vi sono vari tipi di yoga o di dottrine che indicano la strada per realizzare i tre stati, ma la loro finalità spesso è quella del raggiungimento del savikalpasamådhi o dello stato indiviso di pråjña­ÙŸvara. Così, in termini alchemici, questi tre stati e cakra rappresentano il sale (P) o fuoco formale, il Mercurio ( ) o fuoco mercuriale e lo Zolfo (Q) o fuoco incorruttibile. potremmo ancora parlare di fuoco individuato, fuoco radiante e Fuoco noumenico. (Notiamo che Gauƒapåda intitola il suo quarto capitolo delle kårikå: “Sulla estin­ zione del tizzone ardente”). per dare un’analogia con la Tradizione alchemica oc­ cidentale si ha: – rettificazione del P – Separazione del

dal P

– fissazione dello Q, o soluzione del

in Q

NOTE AL CAPITOLO I

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in questa sede non ci è dato sviluppare adeguatamente tali sequenze (opera al nero, al bianco e al rosso),1 ma co­ loro che, soprattutto occidentali, le comprendono, possono benissimo realizzare pråjña, l’Uno che tutto compenetra, ricordando che: «il fuoco si genera e si nutre col fuoco ed è figlio del fuoco, per questo occorre che ritorni al fuoco, sì che non tema il fuoco».2 L’asparŸavåda è un sentiero di fuoco, è il culmine di ogni tipo di ascesi, e porta al nirvikalpa samådhi o allo stato nirgu√a, lo stato non differenziato del Brahman (Quarto stato). L’asparŸa è lo yoga metafisico puro, e per seguirlo occorre avere una mens informalis perché una mente condizionata dal tempo­spazio­causa può concepire solo l’Essere principiale. Jñåna è conoscenza, ma questa co­ noscenza non verte sui fenomeni, come si è visto prece­ dentemente, né sullo stesso noumeno, ma sulla Costante assoluta, sul fondamento. È una conoscenza d’identità perché non opera sulla relazione soggetto­oggetto; è una “conoscenza prima” che non appartiene al manas­mente. L’immediata presa di consapevolezza di Turıya, me­ diante jñåna, porta alla Liberazione (dall’ignoranza me­ tafisica) nella stessa vita, così da realizzare lo stato di jıvanmukta, il “Liberato in vita”; e ciò rappresenta l’indi­ cazione e lo scopo di questa Upani≤ad di cui Gauƒapåda sviluppa e approfondisce la tematica.

Cfr. La Triplice Via del Fuoco ed ’Ehjeh ’Aœer ’Ehjeh di ra­ phael. Collezione Vidyå. 2 n. flamel, Le Désir désiré, Vi. 1

CAPITOLO II suLLA nOn reALTà [deLLA duALITà]

a­tha­­ va­i­ta­thya­pra­ka­ra­√a­m om­|­va­i­ta­thya­æ­sa­rva­bhå­vå­nå­æ­sva­pna­å­hu­rma­nı­≤i­√a­¢­|­ a­nta­¢sthå­nå­ttu­­bhå­vå­nå­æ­sa­ævÿta­tve­na­­he­tu­nå­­||­2.1­|| a­dı­rgha­två­cca­­­kå­la­sya­­­ga­två­­­de­Ÿå­nna­­pa­Ÿya­ti­­|­ pra­ti­bu­ddha­Ÿca­­va­i­sa­r va­sta­smi­nde­Ÿe­­na­­vi­dya­te­­||­2.2­|| a­bhå­va­Ÿca­­ra­thå­dı­nå­æ­Ÿr¥ya­te­nyå­ya­p¥rva­­ka­m­|­ va­i­ta­thya­æ­te­na­­va­i­prå­pta­æ­sva­pna­­å­hu­¢­pra­kå­Ÿi­ta­m­||­2.3­|| a­nta­¢sthå­nå­ttu­­ ­bhe­då­nå­æ­ ta­små­jjå­ga­r i­te­­ smÿ­ta­m­ |­ ya­thå­­ ta­tra­­ ta­thå­­ sva­pne­­ sa­ævÿta­tve­na­­ bhi­dya­te­­||­2.4­|| sva­pna­jå­ga­r i­ta­sthå­ne­­ hye­ka­må­hu­r ma­nı­≤i­√a­¢­ |­ bhe­då­nå­æ­ ­hi­­­ sa­ma­tve­na­­­ pra­si­ddhe­na­i­va­­ he­tu­nå­­||­2.5­|| å­då­va­nte­­ ca­­ ya­nnå­sti­­ va­r ta­må­ne­­ ’pi­­ ta­tta­thå­­ |­ vi­ta­tha­i­¢­ sa­dÿŸå­¢­ sa­nto­ ’vi­ta­thå­­ i­va­­ la­k≤i­tå­¢­||­2.6­||

Capitolo

sulla non realtà [della dualità]

2.1­ -­ Om.­ I­ saggi­ asseriscono­ la­ non­ realtà­ di­ tutte­ le­ cose­ [percepite]­ in­ sogno,­ sia­ perché,­ invero,­ esse­ hanno­ sede­ all’interno­ [della­ mente],­ sia­ perché­ sono­ circoscritte­ [spazialmente].1 2.2­-­Per­brevità­di­tempo­[il­dormiente]­non­percepisce­ qualcosa­ andando­ [realmente]­ nei­ luoghi­ [visti­ in­ sogno];­ in­ verità­ costui­ al­ risveglio­ non­ si­ trova­ in­ quel­ luogo­ [di­ sogno]. 2.3­ -­ Inoltre,­ l’inesistenza­ di­ carri,­ ecc.­ [visti­ in­ sogno]­viene­interpretata­dalla­Âruti­come­logica­conseguenza.­Si­afferma­invero,­in­base­a­tale­[ragio­namento],­ che­la­non­realtà­acquisita­in­sogno­è­convalidata­dalla­ stessa­ Âruti. 2.4­-­Come­gli­oggetti­interni­circoscritti­nel­sogno­ sono­ non­ reali,­ allo­ stesso­ modo­ sono­ non­ reali­ [gli­ oggetti]­ allo­ stato­ di­ veglia. 2.5­ -­ In­ verità,­ proprio­ sulla­ ben­ nota­ logica­ e­ per­ l’identità­ della­ percezione­ delle­ diverse­ cose­ [viste­ in­ sogno­ e­ nella­ veglia]­ i­ saggi­ affermano­ che­ le­ condizioni­ di­ sogno­ e­ di­ veglia­ sono­ della­ stessa­ natura.2 2.6­-­Ciò­che­non­è­reale­all’inizio­e­alla­fine,­ugualmente­[non­è­reale]­­nell’intervallo.­Per­quanto­gli­ogget­­ti­ (vartamåna =­ciò­che­esiste,­l’esistente)­[di­­veglia]­sono­ della­stessa­natura­(sadÿŸa =­conforme)­non­reali­[come­ quelli­ di­ sogno],­ tuttavia­ vengono­ considerati­ reali.3

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MÅ÷‡ÎkyakÅrIkÅ.­ II.­ VaITaTHya­ Prakara÷a

sa­pra­yoja­na­tå­­ te­≤å­æ­ sva­pne­­ vi­pra­ti­pa­dya­te­ ­| ta­­små­då­dya­nta­va­ttve­na­­mi­thya­i­va­­kha­lu­­te­­smÿ­tå­¢­||­2.7­|| a­p¥rva­æ­ sthå­ni­dha­r mo­ hi­­ ya­thå­­ sva­rga­ni­vå­si­nå­m­ |­ tå­na­ya­æ­ pre­k≤a­te­­ ga­två­­ ya­tha­i­ve­ha­­ su­Ÿi­k≤i­ta­¢­||­2.8­|| sva­pna­vÿttå­va­pi­­ tva­nta­Ÿce­ta­så­­ ka­lpi­ta­æ­ tva­sa­t­ |­ ba­hi­Ÿce­togÿhı­taæ­ sa­ddÿ≤†a­æ­ va­i­ta­thya­me­ta­yo¢­||­2.9­|| jå­gra­dvÿttå­va­pi­­ tva­nta­Ÿce­ta­så­­ ka­lpi­ta­æ­ tva­sa­t­ | ba­hi­Ÿce­togÿhı­ta­æ­ sa­dyu­kta­æ­ va­i­ta­thya­me­ta­yo¢­||­2.10­|| u­bha­yora­pi­­ va­i­ta­thya­æ­ bhe­då­nå­æ­ sthå­na­yorya­di­­ |­ ka­­e­tå­nbu­dhya­te­­bhe­då­n ko­va­i­te­≤å­æ­vi­ka­lpa­ka­¢­||­2.11­|| ka­lpa­ya­tyå­tma­nå­­ ”tmå­na­må­tmå­­ de­va­¢­ sva­må­ya­yå­­ |­ sa­­ e­va­­ bu­dhya­te­­ bhe­då­ni­ti­­ ve­då­nta­ni­Ÿca­ya­¢­||­2.12­|| vi­ka­rotya­pa­rå­nbhå­vå­na­nta­Ÿci­tte­­ vya­va­sthi­tå­n­ |­ ni­ya­tå­æŸca­­ ba­hi­Ÿci­tta­­ e­va­æ­ ka­lpa­ya­te­­ pra­bhu­¢­||­2.13­||

CaP.­ II­ SULLa­ NON­ rEaLTÀ­ [dELLa­ dUaLITÀ],­ 2.7-2.13

73

2.7­-­La­loro­intrinseca­utilità­viene­contraddetta­nel­ sogno.­Perciò,­essendo­dotati­di­un­inizio­e­di­una­fine,­essi­ [i­due­stati]­sono­considerati­giustamente­come­non­reali. 2.8­-­Invero,­gli­oggetti­[percepiti­in­sogno]­costi­tui­sco­no­proprietà­dello­stesso­individuo­che­si­trova­in­una­data­ condizione­[di­sogno],­­come­­per­­gli­abitanti­del­cielo.­Il­ sognatore­esperisce­tali­[oggetti]­come­un­individuo­ben­ informato­li­esperisce­qui­[nello­stato­di­veglia].4 2.9­-­Invero,­nella­modificazione­che­è­il­sogno­[soggettivo],­ ciò­ che­ è­ proiettato­ dalla­ mente­ all’interno­ è­ non­ reale,­ mentre­ ciò­ che­ è­ sperimentato­ dalla­ mente­ all’esterno­ [oggettivo]­ viene­ considerato­ reale;­ ma­ invero­viene­constatata­la­non­realtà­di­ambedue.5 2.10­ -­ Invero,­ anche­ nell’attività­ mentale­ di­ ve­glia,­ ciò­ che­ è­ immaginato­ all’interno­ della­ mente­ viene­ considerato­ non­ reale,­ mentre­ ciò­ che­ è­ appreso­ dalla­ mente­ all’esterno­ [della­ mente­ stessa]­ è­ reale;­ ma­ è­ ragionevole­ [asserire]­ la­ non­ realtà­ di­ ambedue.­ 2.11­ -­ Se­ si­ dà­ la­ non­ realtà­ dei­ diversi­ oggetti­ percepiti­in­ambedue­gli­stati,­chi­conosce­questi­diversi­ oggetti?­ e­ chi,­ invero,­ è­ colui­ che­ li­ proietta?­ 2.12­ -­ Per­ mezzo­ del­ potere­ di­ måyå,­ il­ risplendente­ åtmå­ appare­ oggetto.­ Questo­ soltanto­ è­ la­ base­ [fondamento]­della­conoscenza­degli­oggetti.­Così­è­la­ definitiva­ conclusione­ del­ Vedånta.6 2.13­-­Quando­la­mente,­sorretta­dal­Signore,­si­di­rige­ verso­ l’esterno­ immagina­ la­ molteplicità­ degli­ oggetti­ [quali­il­suono,­ecc.,­relativamente­permanenti],­quando­ la­ mente­ si­ dirige­ verso­ l’interno­ (anta¢-citta)­ immagina­[come­våsanå]­diverse­idea­zioni­[impermanenti]...7

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MÅ÷‡ÎkyakÅrIkÅ.­ II.­ VaITaTHya­ Prakara÷a

ci­tta­kå­lå­­ hi­­ ye­­ ’nta­stu­­ dva­ya­kå­lå­Ÿca­­ ye­­ ba­hi­¢­ |­ ka­lpi­tå­­ e­va­­ te­­ sa­r ve­­ vi­Ÿe­≤o­ nå­nya­he­tu­ka­¢­||­2.14­|| a­vya­ktå­­ e­va­­ ye­­ ’nta­stu­­ sphu­†å­­ e­va­­ ca­­ ye­­ ba­hi­¢­ |­ ka­lpi­tå­­ e­va­­ te­­ sa­r ve­­ vi­Ÿe­≤a­stvi­ndri­yå­nta­re­­||­2.15­|| jı­va­æ­ ka­lpa­ya­te­­ p¥rva­æ­ ta­to­ bhå­vå­npÿtha­gvi­dhå­n­ | bå­hyå­nå­dhyå­tmi­kå­æŸca­i­va­­ya­thå­vi­dya­sta­thå­smÿ­ti­¢­||­2.16­|| a­ni­Ÿci­tå­­ ya­thå­­ ra­jju­ra­ndha­kå­re­­ vi­ka­lpi­tå­­ |­ sa­­r pa­dhå­rå­di­bhi­rbhå­va­i­sta­dva­då­tmå­­ vi­ka­lpi­ta­¢­||­2.17­|| ni­Ÿci­tå­yå­æ­ ya­thå­­ ra­jjvå­æ­ vi­ka­lpo­ vi­ni­va­r ta­te­­ |­ ra­jju­r­ e­ve­ti­­ cå­dva­i­ta­æ­ ta­dva­d­ å­tma­vi­ni­Ÿca­ya­¢­||­2.18­|| prå­√å­di­bhi­ra­na­nta­i­Ÿca­­ bhå­va­i ­re­ta­i ­r vi­ka­lpi­ta­¢­ |­ må­ya­i­≤å­­ta­sya­­de­va­sya­­ya­yå­­sa­æ mohi­ta­¢­sva­ya­m­||­2.19­||

CaP.­ II­ SULLa­ NON­ rEaLTÀ­ [dELLa­ dUaLITÀ],­ 2.14-2.19

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2.14­ -­ ...­ perché,­ invero,­ sia­ quelli­ che­ sono­ [percepiti]­ all’interno­ [della­ mente]­ aventi­ la­ durata­ della­ loro­ ideazione,­ sia­ quelli­ [percepiti]­ all’esterno­ in­ quanto­ connessi­ con­ due­ [diversi]­ momenti­ temporali,­ tutti­ loro­ sono­ soltanto­ rappresentazioni­ mentali;­ la­ loro­ qualificazione­ distintiva­ non­ è­ causata­ da­ alcun­ [altro­ fattore].­ 2.15­ -­ Sia­ gli­ [oggetti]­ all’interno,­ che­ non­ sono­ manifesti,­ sia­ quelli­ all’esterno­ che­ sono­ oggettivati,­ sono­ solo­ rappresentazioni­ mentali;­ la­ sola­ qualificazione­ distintiva­ si­ ha­ dai­ differenti­ organi­ dei­ sensi. 2.16­ -­ dapprima­ [il­ Signore]­ irradia­ il­ jıva,­ quindi­ i­ singoli­ oggetti­ interni­ ed­ esterni.­ [dalle­ impressioni­ suscitate]­dalla­memoria­[il jıva]­ottiene­la­cognizione. 8 2.17­ -­ Come­ una­ corda­ che,­ non­ venendo­ accertata­ nella­ oscurità,­ è­ variamente­ immaginata­ come­ oggetti­ quali­ un­ serpente,­ un­ rigagnolo­ [d’acqua],­ ecc.,­ così­ l’åtmå­ viene­ variamente­ immaginato. 2.18­ -­ Come­ le­ varie­ ideazioni­ [di­ serpente,­ ecc.]­ cessano­di­presentarsi­quando­la­corda­è­stata­accertata­ essere­ solo­ [una­ semplice]­ corda,­ così­ avviene­ per­ l’accertamento­ dell’åtman. 2.19­ -­ [La­ realtà-åtman]­ viene­ variamente­ immaginata­ come­ questi­ innumerevoli­ oggetti,­ [per­ esempio]­ il­ prå√a,­ ecc.­ Ciò­ è­ dovuto­ alla­ måyå­ che­ vela­ il­ risplendente­ [åtman].9

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MÅ÷‡ÎkyakÅrIkÅ.­ II.­ VaITaTHya­ Prakara÷a

prå­√a­­ i­ti­­ prå­√a­vi­do­ bh¥tå­n ıti­­ ca­­ ta­dvi­da­¢­ |­ gu­√å­­ i­ti­­ gu­√a­vi­da­sta­ttvå­nıti­­ ca­­ ta­dvi­da­¢­||­2.20­|| på­då­­ i­ti­­ på­da­vi­do­ vi­≤a­yå­­ i­ti­­ ta­dvi­da­¢­ |­ lokå­­ i­ti­­ loka­vi­do­ de­vå­­ i­ti­­ ca­­ ta­dvi­da­¢­||­2.21­|| ve­då­­ i­ti­­ ve­da­vi­do­ ya­jñå­­ i­ti­­ ca­­ ta­dvi­da­¢­ |­ bhokte­ti­­ ca­­ bhoktÿvi­do­ bhojya­m i­ti­­ ca­­ ta­dvi­da­¢­||­2.22­|| s¥k≤ma­­ i­ti­­ s¥k≤ma­vi­da­¢­ sth¥la­­ i­ti­­ ca­­ ta­dvi­da­¢­ |­ m¥rta­­ i­ti­­ m¥rta­vi­do­ ’m¥rta­­ i­ti­­ ca­­ ta­dvi­da­¢­||­2.23­|| kå­la­­ i­ti­­ kå­la­vi­do­ di­Ÿa­­ i­ti­­ ca­­ ta­dvi­da­¢­ |­ vå­då­­ i­ti­­ vå­da­vi­do­ bhu­va­nå­n ı­ti­­ ta­dvi­da­¢­||­2.24­|| ma­na­­ i­ti­­ ma­novi­do­ bu­ddhi­r i­ti­­ ca­­ ta­dvi­da­¢­ | ci­tta­m i­ti­­ ci­tta­vi­do­ dha­r må­dha­r ma­u­ ca­­ ta­dvi­da­¢­||­2.25­||

CaP.­ II­ SULLa­ NON­ rEaLTÀ­ [dELLa­ dUaLITÀ],­ 2.20-2.25

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2.20­ -­ Coloro­ che­ conoscono­ il­ prå√a­ considerano­ il­ prå√a­ come­ [realtà-åtman];­ coloro­ che­ conoscono­ i bh¥ta­ considerano­ la­ realtà­ come­ bh¥ta;­ coloro­ che­ conoscono­ i gu√a­ considerano­ la­ realtà-åtman come gu√a; coloro­ che­ conoscono­ i­ tattva­ considerano­ la­ realtà-åtman come­ tattva. 2.21­-­Coloro­che­conoscono­i­piedi­[quarti]­considerano­i­piedi­(påda)­come­åtman;­coloro­che­conoscono­ gli­oggetti­[empirici]­considerano­gli­oggetti­sensoriali­ come­åtman;­i­conoscitori­dei­loka­considerano­l’åtman come­ loka;­ coloro­ che­ conoscono­ i­ deva­ considerano­ l’åtman come­ deva. 2.22­ -­ Sono­ i­ Veda­ per­ i­ conoscitori­ dei­ Veda­ e­ i­ sacrifici­(yajña)­per­i­conoscitori­di­quelli­(Baudhayana),­ è­ il­ fruitore­ (bhoktÿ)­ per­ i­ conoscitori­ del­ fruitore­ [Såækhya]­e­l’oggetto­di­fruizione­per­i­conoscitori­di­ quello­ (materialisti). 2.23­-­È­ancora­il­sottile­per­i­conoscitori­del­sottile;­ o­ [l’esistenza]­ grossolana­ per­ i­ conoscitori­ del­ grossolano;­ è­ la­ Forma­ [Persona]­ per­ i­ conoscitori­ della­ Forma;­ è­ il­ senza­ forma­ per­ i­ conoscitori­ del­ senza­ forma­ [che­ non­ credono­ in­ alcuna­ forma]. 2.24­ -­ È­ il­ tempo­ per­ i­ conoscitori­ del­ tempo,­ le­ direzioni­ spaziali­ per­ i­ conoscitori­ di­ queste,­ le­ teorie­ magiche­per­i­ conoscitori­delle­dottrine­[magiche],­e­ i­ [quattordici]­ mondi­ per­ i­ conoscitori­ di­ questi. 2.25­ -­ È­ la­ mente­ (manas)­ per­ i­ conoscitori­ della­ mente­ e­ l’intelletto­ (buddhi)­ per­ i­ conoscitori­ di­ questo;­ è­ citta per­ i­ conoscitori­ di­ citta;­ è­ il­ dharma­ e­ l’adharma­ per­ i­ conoscitori­ di­ questi.10

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MÅ÷‡ÎkyakÅrIkÅ.­ II.­ VaITaTHya­ Prakara÷a

pa­ñca­vi­æŸa­ka­­ i­tye­ke­­ ≤aƒvi­æŸa­­ i­ti­­ cå­pa­re­­ | e­ka­tri­æŸa­ka­­ i­tyå­hu­ra­na­nta­­ i­ti­­ cå­pa­re­­||­2.26­|| lokå­æ lloka­vi­da­¢­ prå­hu­rå­Ÿra­må­­ i­ti­­ ta­dvi­da­¢­ | strı­pu­æna­pu­æsa­ka­æ­la­i­§gå­¢­pa­rå­pa­ra­ma­thå­pa­re­­||­2.27­|| sÿ≤†i­r i­ti­­ sÿ≤†i­vi­do­ la­ya­­ i­ti­­ ca­­ ta­dvi­da­¢­ | sthi­ti­r i­ti­­ sthi­ti­vi­da­¢­ sa­r ve­­ ce­ha­­ tu­­ sa­r va­då­­||­2.28­|| ya­æ­bhå­va­æ­da­rŸa­ye­dya­sya­­ ta­æ­bhå­va­æ­sa­­ tu­­ pa­Ÿya­ti­­ | ta­æ­cå­va­ti­­sa­­bh¥två­­’sa­u­ta­dgra­ha­¢­sa­mu­pa­i­ti­­ta­m­||­2.29­|| e­ta­i ­re­≤o­ ’pÿtha­gbhå­va­i­¢­ pÿtha­ge­ve­ti­­ la­k≤i­ta­¢­ | e­va­æ­ yo­ ve­da­­ ta­ttve­na­­ ka­lpa­ye­tso­ ’vi­Ÿa­§ ki­ta­¢­||­2.30­|| sva­pna­må­ye­­ ya­thå­­ dÿ≤†e­­ ga­ndha­r va­na­ga­ra­æ­ ya­thå­­ | ta­thå­­vi­Ÿva­m i­da­æ­dÿ≤†a­æ­ve­då­nte­≤u­­vi­ca­k≤a­√a­i­¢­||­2.31­|| na­­ ni­rodho­ na­­ cotpa­tti­r na­­ ba­ddho­ na­­ ca­­ så­dha­ka­¢­ | na­­ mu­mu­k≤u­r na­­ va­i­ mu­kta­­ i­tye­≤å­­ pa­ra­må­r tha­tå­­||­2.32­||

CaP.­ II­ SULLa­ NON­ rEaLTÀ­ [dELLa­ dUaLITÀ],­ 2.26-2.32

79

2.26­ -­ alcuni­ [i­ såækhya]­ dicono­ che­ [la­ realtà]­ consiste­ di­ venticinque­ [categorie]­ e­ altri­ [i­ seguaci­ dello­ yoga]­ di­ ventisei,­ [per­ i påŸupata]­ di­ trentuno,­ e­ per­ altri­ sono­ senza­ fine. 2.27­ -­ I­ conoscitori­ degli­ oggetti­ mondani­ considerano­ [la­ realtà]­ gli­ oggetti­ mondani;­ gli­ åŸrama­ per­ i­ conoscitori­ di­ questi,­ il­ genere­ ma­schile,­ femminile­ e­ neutro­ per­ i­ grammatici;­ il­ [Brahman]­ supremo­ e­ non­ supremo­ per­ altri.­ 2.28­ -­ È­ la­ creazione­ per­ i­ conoscitori­ della­ creazione,­ la­ dissoluzione­ per­ i­ conoscitori­ di­ questa,­ la­ conservazione­ per­ i­ conoscitori­ della­ conservazione,­ ma­ tutte­ queste­ sono­ sempre­ [concezioni]­ sovrapposte­ alla­ realtà-åtman. 2.29­-­Un­ente­non­vede­altro­che­l’oggetto­che­gli­ viene­prospettato;­la­comprensione-aspirazione­di­quel­lo­ [oggetto]­ lo­ avvicina­ [fino­ a­ diventare­ quell’oggetto]. 2.30­ -­ Per­­ quanto­­ esso­ ­[l’åtman]­ ­non­­ ­sia­­ diverso­­ [co­me­essenza]­da­queste­cose­[di­cui­si­è­parlato],­tuttavia­viene­definito­come­fosse­diverso.­Colui­il­quale­in­ verità­conosce­così,­interpreta­[i­Veda]­senza­incer­tezze.11 2.31­-­Come­il­sogno,­la­proiezione­magica­[del­mago]­e­la­città­celeste­dei­Gandharva­sono­visti­[aventi­ natura­di­fenomeni],­così,­[similmente]­questo­universo­ è­ visto­ dai­ saggi­ del­ Vedånta.12 2.32­-­Questa­è­­la­­suprema­­verità:­non­­vi­­è­­né­­nascita­né­vi­è­cessazio­ne­di­essere,­né­aspirante­(sådhaka)­ alla­liberazione,­né­liberato­(mukta),­né­alcuno­che­sia­ in­ schiavitù.13

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MÅ÷‡ÎkyakÅrIkÅ.­ II.­ VaITaTHya­ Prakara÷a

bhå­va­i ­ra­sa­dbhi­re­vå­ya­ma­dva­ye­na­­ ca­­ ka­lpi­ta­¢­ | bhå­vå­­ a­pya­dva­ye­na­i­va­­ ta­små­da­dva­ya­tå­­ Ÿi­vå­­||­2.33­|| nå­­ ”tma­bhå­ve­na­­ nå­ne­da­æ­ na­­ sve­nå­pi­­ ka­tha­ñca­na­­ | na­­ pÿtha­§ nå­pÿtha­k ki­ñci­di­ti­­ ta­ttva­vi­do­ vi­du­¢­||­2.34­|| vı­ta­rå­ga­bha­ya­k rodha­i ­r mu­ni­bhi­r ve­da­på­ra­ga­i­¢­ | ni­rvi­ka­lpo­hya­ya­æ­dÿ≤†a­¢­pra­pa­ñcopa­Ÿa­mo­’dva­ya­¢­||­2.35­|| ta­små­de­va­æ­ vi­di­tva­i­na­ma­dva­i­te­­ yoja­ye­tsmÿ­ti­m­ | a­dva­i­ta­æ­ sa­ma­nu­prå­pya­­ ja­ƒa­va­lloka­må­ca­re­t­||­2.36­|| ni­stu­ti­r ni­r na­ma­skå­ro­ ni­¢sva­dhå­kå­ra­­ e­va­­ ca­­ | ca­lå­ca­la­ni­ke­ta­Ÿca­­ ya­ti­r yå­dÿcchi­ko­ bha­ve­t­||­2.37­|| ta­ttva­må­dhyå­tmi­ka­æ­dÿ≤†vå­­ta­ttva­æ­dÿ≤†vå­­tu­­bå­hya­ta­¢­|­ ta­ttvı­bh¥ta­sta­då­rå­ma­sta­ttvå­da­pra­cyu­to­ bha­ve­t­||­2.38­|| i­ti­­ va­i­ta­thya­pra­ka­ra­√a­m

CaP.­ II­ SULLa­ NON­ rEaLTÀ­ [dELLa­ dUaLITÀ],­ 2.33-2.38

81

2.33­-­[L’åtman]­è­immaginato­in­molteplici­oggetti­ non­ reali,­ mentre­ [viene­ riconosciuto]­ persistente­ in­ quanto­non­duale;­per­cui­i­molteplici­oggetti­vengono­ [im­maginati]­ nella­ stessa­ non­ dualità.­ Perciò­ la­ non­ dualità­ è­ benefica. 2.34­ -­ Questo­ [universo]­ molteplice­ non­ appare­ in­ modo­autonomo­né­dipendente­da­altro­[fattore];­non­vi­ è­ nulla­ che­ sia­ diverso­ e­ non­ diverso.­ Così­ dichiarano­ i­ conoscitori­ della­ Verità. 2.35­-­dai­saggi­assorti­nel­silenzio­che­sono­esenti­ dall’attaccamento,­ dalla­ paura­ e­ dalla­ collera­ e­ perfettamente­ competenti­ nei­ Veda,­ invero­ questo­ [åtman] viene­ realizzato­ come­ di­ là­ dai­ concetti­ (nirvikalpa),­ senza­ alcuna­ traccia­ di­ manifestazione­ (prapañcopaŸama)­ e­ in­ quanto­ non­ duale.­ 2.36­ -­ Perciò,­ avendo­ compreso­ così­ [il­ muni]­ si­ deve­ concentrare­ [solo]­ sulla­ non­ dualità­ e­ avendola­ conseguita­ si­ deve­ comportare­ nel­ mondo­ come­ [se­ fosse]­ di­ tardo­ intelletto.­ 2.37­-­L’asceta­itinerante­è­al­di­là­delle­lodi,­degli­ omaggi,­ dei­ rituali­ e,­ presi­ come­ sostegni­ il­ mutevole­ [corpo­ grossolano]­ e­ l’immutabile­ [åtman],­ si­ affida­ alle­circostanze­[per­qualunque­necessità­contingente].14 2.38­-­avendo­realizzato­la­verità­dentro­di­sé­come­ sfera­ interiore­ e­ realizzato­ la­ verità­ esterna,­ divenuto­ [tutt’uno]­ con­ la­ verità­ eterna­ [questa]­ non­ può­ [più]­ venir­ meno.15 Fine del Vaitathya Prakara√a

nOTe AL CAPITOLO II

2.1­-­ Nel­primo­capitolo­la­non­dualità­è­stata­esaminata­in­riferimento­alla­Âruti­(Tradizione­non­umana),­nel­ secondo­e­negli­altri­capitoli­Gauƒapåda­vuole­dimostrare­ la­ non­ dualità­ con­ l’aiuto­ della­ ragion­ pura,­ sì­ da­ venire­ incontro­a­quanti­sono­polarizzati­soprattutto­nell’intelletto. È­opportuno,­a­questo­punto,­fare­una­precisazione:­per­ l’asparŸavåda e­ l’advaitavåda il­ termine­ non­ reale­ non­ deve­ intendersi­ nel­ senso­ assoluto­ di­ non­ esistente.­ Per­ esempio,­quando­si­dice­che­il­mondo­oggettivo­è­irreale­ ciò­ non­ vuol­ dire­ che­ il­ mondo­ è­ inesistente­ come­ “le­ corna­ di­ una­ lepre”­ (commenta­ Âa§kara),­ ma­ che­ non­ è­ reale­nei­confronti­della­realtà­assoluta,­quindi­il­mondo­ oggettivo­è­un­effetto-fenomeno­relativo­che­nasce,­cresce­ e­ muore.­ La­ caducità­ della­ manifestazione­ è­ affermata­ anche­ dall’evidenza­ empirica. alla­ domanda:­ che­ cosa­ è­ reale?­ l’asparŸavåda risponde:­è­reale­ciò­che­è­di­là­dal­tempo,­dallo­spazio­e­ dalla­causa.­E­poiché­ciò­che­cade­sotto­il­triplice­aspetto,­ spazio-tempo-causa,­risulta­essere­movimento,­cangiamento,­contingenza,­fenomeno­che­appare­e­scompar­e,­allora­ ciò­ che­ è­ di­ là­ da­ queste­ categorie­ dev’essere­ costante,­ sempre­ identico­ a­ se­ stesso,­ non­ contraddittorio,­ senza­ nascita­(ajåti,­da­cui­ajåtivåda,­altro­nome­dello­yoga che­ Gauƒapåda­espone­in­questa­Upani≤ad),­non­determinato;­ quindi,­ infinito. Questa­ visione­ conoscitiva­ non­ appartiene­ solo­ all’Oriente­ tradizionale­ ma,­ si­ può­ ripetere,­ è­ identica,­ in­ quanto­ princìpi,­ a­ quella­ occidentale.­ 1

NOTE AL CAPITOLO II

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In­altri­termini,­sia­l’Oriente­sia­l’Occidente­metafi­si­co­ pongono­­un­­ordine­­di­­realtà­­che­­rappresenta­il­­Fondamento­ del­ tutto­ esistente­ ed­ è­ ciò­ che­ dà­ l’esse sia­ al­ Prin­cipio­causale­sia,­naturalmente,­a­tutto­quello­che­da­ tale­Prin­ci­pio­procede:­si­veda­Parmenide­con­l’Essere­il­ quale­trascende­quello­ontologico­manifestante;­Platone­con­ l’Uno-Bene­che­è­di­là­dal­“Mondo­delle­Idee”;­Plotino­con­ l’Uno­che­è­di­là­dal­Noûs­quale­Intelligenza­prin­cipiale. E­ che­ rapporto­ possono­ avere­ questi­ due­ ordini­ di­ realtà?­ Il­ Fondamento,­ con­ la­ sua­ stessa­ presenza,­ dà­ possibilità­ di­ movimento­ al­ Principio­ causale;­ come­ il­ sole,­con­la­sua­semplice­presenza­radiante,­dà­possibilità­ al­ pianeta­ di­ produrre,­ di­ essere;­ il­ fuoco­ radiante­ del­ sole­ (fotoni)­ concede­ al­ seme­ della­ pianta­ di­ svilupparsi­ ed­essere,­eppure­il­sole­rimane­equidistante­e­ fermo­nei­ confronti­ del­ suo­ sistema;­ senza­ il­ sole­ lo­ stesso­ pianeta­ terra­ sarebbe­ morto;­ ma­ altresì­ l’intera­ manifestazione­ senza­ quel­ Fondamento­ non­ potrebbe­ neanche­ esistere. Tutto­ ciò­ implica­ che­ la­ Causa­ prima,­ non­ essendo­ aseità,­ deve­ avere­ dietro­ di­ sé­ un­ qualcosa­ che­ possa­ darle­ la­ sua­ ragion­ d’essere. Quindi­il­rapporto­nirgu√a­(non­qualificato)­e­sagu√a (qualificato)­è­una­questione­di­radianza,­il­secondo­riceve­ l’input (Fiat lux)­dal­primo,­sviluppando­così­i­suoi­semi.­

2.5­-­ Il­problema­che­si­pone­è­questo:­generalmente­ si­ sostiene­ che­ mentre­ la­ condizione­ di­ veglia­ è­ reale,­ quella­ di­ sogno­ è­ irreale.­ Ma­ si­ può­ chiedere:­ su­ che­ cosa­ è­ basata­ quest’affermazione?­ Si­ risponde:­ sul­ dato­ di­ percezione­ e­ sulla­ stessa­ percezione­ consapevole. Gauƒapåda­però­dimostra­che­i­dati­di­percezione­e­la­ stessa­ percezione­ di­ veglia­ e­ di­ sogno­ sono­ identici,­ c’è­ in­ entrambi­ i­ casi­ percezione­ consapevole,­ per­ cui­ essi­ debbono­ avere­ la­ stessa­ natura. 2

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MÅ÷‡ÎkyakÅrIkÅ.­ II.­ VaITaTHya­ Prakara÷a

2.6­ -­ La kårikå pone­ l’accento­ sui­ dati­ percettivi:­ questi­hanno­una­nascita,­crescita,­maturazione­e­termine­ evidenti,­ sia­ nella­ condizione­ di­ veglia­ sia­ in­ quella­ di­ sogno. Per­ quanto­ gli­ oggetti­ di­ veglia­ e­ sogno­ abbiano­ una­ origine­ e­ una­ fine,­ tuttavia­ si­ considerano­ reali­ quelli­ di­ veglia,­ mentre­ dovrebbero­ ritenersi­ entrambi­ non­ reali. Si­ può­ obiettare­ che,­ per­ quanto­ presentino­ le­ stesse­ caratteristiche,­gli­oggetti­di­veglia­hanno­una­loro­finalità­ determinata,­servono­a­scopi­legittimi­e­razionali:­placano,­ ad­ esempio,­ la­ sete­ e­ la­ fame;­ una­ sedia­ serve­ alla­ sua­ funzione­ specifica,­ ecc. 3

2.8­-­anche­nel­sogno­gli­oggetti­servono­a­determinati­ fini:­ così­ ci­ si­ serve­ della­ sedia­ per­ sedersi­ e­ si­ appaga­ la­ fame­ con­ del­ cibo­ gradevole­ proiettato­ dalla­ mente. Inoltre,­ l’utilità­ degli­ oggetti­ di­ veglia­ non­ è­ assoluta­ perché­un­dato­allo­stato­di­veglia­può­essere­contraddetto­ nel­ sogno­ e­ viceversa;­ la­ ricchezza,­ ad­ esempio,­ che­ si­ ha­ nella­ veglia,­ non­ la­ si­ trasferisce­ nel­ sogno. Si­ può­ obiettare­ che­ gli­ oggetti­ di­ sogno­ sono­ spesso­ deformi,­ grotteschi,­ ecc.,­ mentre­ quelli­ di­ veglia­ sono­ di­ aspetto­ normale­ e­ razionale. anche­ questa­ verità­ non­ è­ assoluta­ perché­ pure­ nella­ veglia­ possono­ incontrarsi­ forme­ grottesche­ e­ inusitate­ tali­ da­ impaurire­ l’osservatore.­ Tale­ obiezione,­ poi,­ non­ è­ valida­ perché­ si­ deve­ riconoscere­ che­ ogni­ modalità­ di­ vita­ ha­ le­ sue­ caratteristiche,­ le­ sue­ peculiarità­ di­stintive­ che­possono­ovviamente­differire­da­altre­modalità­di­vita. Un­ viaggiatore­ che­ nella­ veglia­ si­ reca­ in­ un­ paese­ straniero,­incontra­necessariamente­degli­oggetti­che­non­ ha­mai­visto,­o­che­presentano­aspetti­differenti­da­quelli­ visti­ nel­ proprio­ paese;­ il­ comportamento­ di­ un­ popolo­ può­ essere­ considerato­ assurdo­ da­ un­ altro,­ e­ così­ via. 4

NOTE AL CAPITOLO II

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2.9­ -­ Confutata­ la­ tesi­ secondo­ la­ quale­ gli­ oggetti­ per­cettivi­ di­ veglia­ e­ sogno­ differiscono,­ ora­ Gauƒapåda­ passa­ ad­ analizzare­ la­ percezione­ del­ soggetto. Nello­ stato­ di­ veglia­ la­ percezione­ è­ caratterizzata­ da­ un­ percipiente­ e­ da­ un­ oggetto­ percepito;­ ma­ anche­ nel­ sogno­ si­ ha­ un­ soggetto­ che­ percepisce­ e­ un­ oggetto­ che­ viene­percepito;­e­come­nella­veglia­un­oggetto­può­procurare­ dolore­ o­ gioia­ al­ soggetto­ percipiente,­ così­ anche­ nel­ sogno­ vi­ sono­ oggetti­ che­ procurano­ sofferenza­ o­ felicità­al­soggetto­percettivo.­E­come,­ancora,­nella­veglia­ è­ ritenuto­ reale­ tutto­ ciò­ che­ è­ oggettivo­ e­ non­ reale­ ciò­ che­ è­ soggettivo,­ similmente­ nel­ sogno­ è­ ritenuto­ reale­ ciò­ che­ è­ oggettivo­ e­ non­ reale­ ciò­ che­ è­ soggettivo. Si­ può­ obiettare­ che­ il­ sogno­ è­ un­ affare­ privato­ del­ sognatore­ e­ riguarda­ solo­ lui,­ mentre­ la­ veglia­ è­ un­ dato­ generale­ che­ coinvolge­ altre­ persone. Si­può­rispondere­che­anche­nel­sogno­il­sognatore­non­ è­ solo,­ perché­ sono­ coinvolte­ tante­ altre­ persone,­ come­ appunto­ nella­ veglia.­ Nel­ sogno,­ ad­ esempio,­ si­ insegna­ a­ degli­ allievi,­ si­ fanno­ discorsi­ alla­ folla,­ si­ parla­ ai­ familiari,­si­partecipa­ad­esperienze­di­gruppo,­e­così­via. Si­ può­ altresì­ obiettare­ che­ il­ sogno­ non­ è­ altro­ che­ una­ reminiscenza­ della­ veglia,­ per­ cui­ ne­ costituisce­ una­ semplice­ appendice. Si­ può­ rispondere­ che­ per­ quanto­ ciò­ sia­ anche­ vero,­ tuttavia­ non­ può­ considerarsi­ un­ assoluto.­ Nel­ sogno­ si­ esperimentano­cose­ed­eventi­che­non­si­verificano­nella­ veglia;­ inoltre,­ nel­ sogno­ si­ hanno­ delle­ intuizioni­ che­ completano­l’esperienza­di­veglia.­Questi­casi­hanno­una­ loro­ precisa­ evidenza.­ E­ quando­ un’esperienza­ di­ sogno­ riesce­a­influenzare­e­modificare­lo­stato­di­veglia­non­può­ essere­considerata­un’illusione;­un’illusione­non­produce­ alcun­ evento,­ non­ determina­ comportamento­ o­ scelte,­ né­ può­ risolvere­ un­ problema. 5

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Si­ può­ ancora­ affermare­ che­ la­ percezione­ di­ ve­glia­ presenta­una­continuità­intelligente­di­categorie­mentali­e­ una­produzione­intelligente­di­prodotti­per­avvantaggiare­ l’ente­ di­ veglia. Si­ può­ replicare­ che­ la­ percezione­ di­ sogno­ è­ altresì­ conseguenziale,­ rispondente­ alle­ necessità­ dello­ stato­ in­ questione,­soprattutto­se­si­considera­che­l’ente­di­sogno­ esperimenta­diverse­costellazioni­di­eventi,­ognuna­con­una­ tematica­ di­ fondo.­ Inoltre,­ l’ente­ di­ sogno,­ come­ risulta­ evidente,­ produce­ tutti­ quei­ prodotti­ che­ sono­ necessari­ alla­ sua­ necessità. Si­può,­in­definitiva,­chiedere:­da­quale­prospettiva­si­ afferma­ che­ il­ sogno­ non­ è­ reale? dalle­obiezioni­fatte­risulta­che­il­sogno­viene­analizzato­dalla­prospettiva­dello­stato­di­veglia­e­dal­sistema­di­ pensiero­della­veglia.­Ma­è­possibile­giudicare­un­sistema­ di­coordinate­dalla­prospettiva­esclusiva­di­un­altro­sistema?­ È­ razionale­ sostenere­ che­ la­ tridimensionalità­ è­ un­ sogno-illusione­ perché­ dalla­­ prospettiva­ bidimensionale­ essa­ non­ è­ percepita? Un’indiscussa­razionalità­e­una­rigorosa­logica­deduttiva­ sono­ pur­ sempre­ relazionate­ a­ un­ preciso­ sistema­ di­ pen­siero,­per­cui­esse­non­possono­recepire­e­comprendere­ sistemi­ di­ pensiero­ diversi. Un­ sistema­ di­ pensiero­ si­ muove­ sempre­ nell’ambito­ di­una­circonferenza­chiusa,­e­se­dovessero­venir­meno­le­ sue­ premesse­ crollerebbero­ le­ conclusioni.­ Per­ esempio,­ un­ sistema­ di­ pensiero,­ o­ punto­ di­ vista,­ sostiene­ che­ la­ realtà­può­essere­percepita­solo­mediante­i­sensi.­rimane­ ovvio­ che,­ “se­ ci­ si­ identifica”­ con­ tale­ corrente­ di­ pensiero,­la­si­rende­assoluta,­per­cui­si­vengono­a­escludere­ a priori tutte­ le­ altre­ possibili­ correnti­ di­ pensiero­ che­ possono­ postulare­ punti­ di­ vista­ diversi.­ In­ seguito­ (kårikå 2.19-28)­ Gauƒapåda­ indica­ come­ l’unica­ realtà­ può­ essere­ vista­ in­ modo­ differente­ dai­

NOTE AL CAPITOLO II

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molteplici­ enti,­ per­ cui­ ognuno­ può­ ritenere­ valida­ la­ propria­ premessa­ e­ la­ propria­ conclusione. Per­ l’asparŸavåda­ vi­ sono­ verità­ relative­ o­ “gradi­ di­ verità”­ che­ sono,­ appunto,­ l’espressione­ delle­ varie­ prospettive­ degli­ enti,­ ma­ che­ si­ annullano­ nella­ realtà­ suprema.­ Così­ l’asparŸavåda­ rimane­ duttile;­ quando­ si­ muove­ sul­ piano­ del­ relativo­ non­ nega­ il­ dualismo,­ il­ monismo­ e­ neanche­ il­ fenomenismo,­ ma­ li­ considera­ “possibili­ punti­ di­ vista”­ che­ contengono­ gradi­ di­ verità. 6 2.12­ -­ La­ chiara­ conclusione­ del­ Vedånta,­ secondo­ Âa§kara,­è­di­dimostrare­che­la­conoscenza,­come­la­memoria,­ ha­ un­ fondamento­ che­ è­ l’åtman;­ la­ corda­ appare­ serpente­tramite­la­måyå-avidyå­perché­la­mente­empirica­ proietta­ il­ serpente­ e­ lo­ sovrappone­ alla­ corda,­ cioè­ alla­ realtà-åtman­(vedi­kårikå­2.­18).­Ma­l’intelletto­(buddhi)­ riconosce­la­corda­per­ciò­che­è,­e­questo­intelletto-conoscenza­ha­come­fondamento­Brahman-åtman;­come­dimostra­lo­stesso­Platone­che­pone­alla­verità­e­alla­conoscenza­ il­fondamento­che­è­l’Uno-Bene­(Politéia­VI,­508­e­-­509­a).

2.13­-­ Se­gli­oggetti­percepiti­nei­due­mondi­(veglia­ e­ sogno,­ o­ viŸva e­ taijasa) non­ sono­ reali­ assoluti,­ essi­ infatti­ nascono­ e­ periscono,­ chi­ è­ il­ loro­ creatore­ e­ chi­ il­ soggetto­ percipiente? Il­ creatore­ degli­ oggetti,­ come­ lo­ stesso­ percettore,­ è­ l’ahaækåra. Il­supporto­o­il­fondamento­di­questa­polarità­ soggetto-oggetto­ è­ l’åtman. Questi­ è­ la­ fonte­ o­ la­ radice­ del­tutto,­senza­di­esso­nessuna­cosa­potrebbe­esistere,­né­ allo­stato­causale­né­a­quello­sottile­né­a­quello­grossolano. Il­ primo­ s¥tra del­ DÿgdÿŸyaviveka dice:­ «Una­forma-oggetto­viene­percepita,­ma­è­l’occhio­che­ percepisce.­ Quest’ultimo­ viene­ percepito­ dalla­ mente­ la­quale­diviene­soggetto­percipiente.­Infine,­la­mente,­ con­le­sue­modificazioni,­viene­percepita­dalla­consa7

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pevolezza­–­Testimone­il­quale­non­può­essere­og­getto­ di­percezione».1 Ora­ si­ può­ comprendere­ come­ l’oggetto­ e­ il­ soggetto­ sono­ percepiti­ da­ un­ Testimone­ ultimo­ che,­ appunto,­ è­ dietro­questa­antinomia.­In­altri­termini,­si­può­parlare­di­ dualità,­ o­ polarità,­ perché­ dietro­ a­ essa­ vi­ è­ un­ ente­ che­ l’asserisce.­ Ogni­ dualità­ implica­ un­ terzo­ fattore­ che­ ne­ rappresenta­ la­ sintesi­ e­ la­ conclusione. L’åtman, dunque,­irradia­un­raggio­di­consapevolezza­ che­rappresenta­il­jıva (si veda­kårikå 16)­e­questo,­a­sua­ volta,­ prolunga­ il­ raggio­ di­ consapevolezza­ sul­ triplice­ livello­individuato­del­manas-kåma-viŸva;­su­quest’ultimo­ livello­ opera­ l’ahaækåra,­ mentre­ sul­ piano­ universale­ opera­ direttamente­ il­ jıva mediante­ i­ corpi­ della­ buddhi e­ dell’ånanda-beatitudine;­ e­ il­ jıva­ è­ della­ natura­ del­ Brahman (Bra.­ S¥.­ IV.IV.4).2­ Il­ jıva­ è­ ciò­ che­ dà­ vita­ ai­ vari­ corpi,­ da­ quello­ di­ viŸva­ a­ quello­ dell’ånanda­ (cfr.­ Platone,­ Cratilo­ 339­d). 8 2.16­-­Gli­oggetti­esterni,­stato­di­virå†,­sono­proiezioni­ del­jıva?­No;­sono­Idee­di­ÙŸvara,­cioè­del­jıva universale­ principiale.­Un­dato­oggettivo,­o­soggettivo,­non­è­altro­che­ un’idea del­pensatore­individuale­o­universale.­Un­vaso­è­ solo­un’idea-immagine­che­un­demiurgo­ha­reso­oggettivagrossolana­ sul­ piano­ di­ viŸva o virå†, oppure­ soggettiva,­ meglio­ sottile, sul­ piano­ di­ taijasa o hira√yagarbha.

2.19­-­ Qual­è­il­rapporto­del jıva con­il­mondo­degli­ oggetti?­a­questo­punto­sarebbe­utile­rileggere­quanto­si­è­ detto­prima­e,­soprattutto,­la­nota­al­s¥tra­VI­del­l’Upani≤ad. 9

1­ DÿgdÿŸyaviveka,

s¥tra 1,­ a­ cura­ di­ raphael.­ associazione­ Eco­culturale­ Parmenides,­ roma­ 2014. 2­ Cfr.­Brahmas¥tra di­Bådaråya√a­a­cura­di­raphael.­associazione­ Eco­culturale­ Parmenides,­ roma­ 2013.

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NOTE AL CAPITOLO II

adesso­ si­ può­ dare­ un­ quadro­ sintetico­ dei­ piani­ esistenziali­ e­ della­ costituzione­ dell’ente­ individuale­ per­ meglio­comprendere­l’as­sieme.­Inoltre,­per­dimostrare­che­ questa­triplice­ripartizione,­più­il­Quarto­che­è­metafisico,­ non­ è­ tipica­ dell’Advaita,­ si­ dà­ un­ qua­dro­ degli­ stati­ dell’Essere­ secondo­ altri­ rami­ della­ Tradizione. Åtman

• •­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ • ­ ­ ­ Universale

Individuale­ ­ Pråjña Taijasa ViŸva

ÙŸvara Hira√yagarbha Virå†

Åtman



ÅnandamayakoŸa

corpo causale

(sonno profondo)

Jivåtman BuddhimayakoŸa

superiore

ManomayakoŸa

corpo sottile

Prå√amayakoŸa

inferiore

AnnamayakoŸa

corpo grossolano

­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ Individualità­ umana

Ahaækåra

­­­­­­­­riflesso­ ­­­­­­­­­­­­­di­coscienza­­ ­­­­­­­­­­­­­incarnata



(sogno)

(veglia)

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Le­prime­tre­guaine,­partendo­dal­basso,­si­con­di­vidono­ con­gli­animali­(anche­l’animale­ha­un­manas rudimentale,­ per­ quanto­ questo­ sia­ la­ caratteristica­ fondamentale­ dell’essere­ umano).­ Le­ altre­ due­ guaine­ si­ condividono­ col­ “mondo­ degli...­ dei”. L’åtman­è­trascendente­la­manifestazione,­per­quanto­ le­ dia­ sostegno­ e­ alimento. Secondo­ la­ Tradizione­ del­ Tao­ si­ ha­ questo­ quadro: Wou-ki­ (Unità­ Metafisica) •

­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­•­ ­ Tai-ki

­ ­

•­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ • ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ Tien­ ­ ­ ­ ­ ­ Ti ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ (Cielo)­ ­ ­ ­ (Terra) Secondo­ la­ Qabbålåh: aziluth •

­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ •­ ­ Briah

•­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ • ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ ­ yezirah­ ­ ­ ­ ­ assiah

NOTE AL CAPITOLO II

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L’individuo,­identificandosi­con­il­mondo­esterno­e­con­ le­sue­concettualizzazioni,­crede­che­queste­cose­debbano­ rappresentare­la­realtà­ultima;­e­poiché­le­rappresentazioni­ sono­ tante,­ in­ continuo­ mutamento,­ egli­ è­ costretto­ ad­ avere­ tante­ diverse­ verità­ spazio-tempo­rali. L’esempio­della­corda­e­del­serpente,­o­altro,­è­tipico­ dell’insegnamento­ del­ Vedånta. La­ corda­ è­ immaginata­ serpente,­ bastone,­ ghirlanda,­ filo­ d’acqua,­ ecc.,­ secondo­ la­ prospettiva­ da­ cui­ si­ pone­ l’ente­ osservatore­ (i­ vari­ sistemi­ di­ pensiero). Si­ può­ capire­ da­ ciò­ quanti­ punti­ di­ vista­ diversi­ si­ possono­ avere,­ per­ quanto­ tutti­ cerchino­ di­ indicare­ quell’unica­ realtà­ che­ è­ immutabile.­ Il­ materialista­ identifica­ la­ realtà­ suprema­ con­ la­ “materia”,­ l’idealista­ la­ identifica­ con­ l’idea,­ lo­ spiritualista­ con­ lo­ spirito,­ il­ teista­ col­ dio-persona,­ e­ così­ via­ secondo­ le­ prospettive­ che­ il­ manas può­ concepire­ o­ rappresentare.­ Gauƒapåda,­ nelle­ kårikå che­ seguono,­ ne­ indica­ parecchie.

2.25­ -­ alcuni,­ che­ considerano­ la­ mente­ come­ fattore­ prima­rio,­ spiegano­ il­ reale­ assoluto­ come­ semplice­ ideazione-pensiero;­quindi­si­pongono­esclusivamente­sul­ piano­ del­ sensibile­ escludendo­ l’intelligibile­ perché­ per­ loro­que­sto­non­è­altro­che,­ugualmente,­una­modificazione­ della­ mente­ empirica.­ Tale­ prospettiva­ di­ vedere­ le­ cose­ non­ tiene­ conto­ di­ sfere­ conoscitive­ che­ solo­ con­ la­ nóesis,­ la­ buddhi o l’intuizione­superconscia­possono­essere­conosciute.­ancora,­ non­ si­ tiene­ conto­ dell’esperienza diretta­ dell’ente­ il­ quale­ può­ sperimentarle­ di­ là­ da­ ogni­ formulazione­ ideale­ e­ concettuale-mentale. C’è­ da­ aggiungere­ anche­ questo:­ l’ente,­ in­ quanto­ io-ahaækåra,­ crede,­ anzi­ ha­ la­ certezza,­ che­ sia­ lui­ a­ muovere­i­suoi­veicoli,­com­­preso­il­corpo­fisico,­sia­lui­a­ muovere­ il­ pensiero,­ a­ creare­ idee,­ concetti,­ ecc.,­ invece­ 10

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sono­ i­ veicoli-gu√a­ che­ lo­ sospingono­ a­ muoversi,­ così­ da­ considerarsi­ ciò­ che­ non­ è: «...­o­come­un­attore­­che­cambia­veste­a­ogni­istante...».1 «Come­l’animale­legato­a­un­mezzo­di­trasporto,­così­ questo­ prå√a­ [l’ente­ individuato]­ è­ legato­ a­ questo­ corpo».2 «Perché­ ÙŸvara,­ o­ arjuna,­ risiede­ nella­ regione­ del­ cuore­ di­ tutti­ gli­ esseri­ e,­ mediante­ il­ potere­ di­ måyå (prakÿti),­fa­muovere­tutte­le­creature­come­se­ciascuna­ di­ esse­ non­ fosse­ altro­ che­ una­ ruota­ di­ una­ grande­ macchina».3 L’autentico­ risveglio­ avviene­ quando,­ senza­ “uccidere”­ i­ veicoli-gu√a,­ che­ appartengono­ alla­ prakÿti,­ l’ente­ perviene­ a­ essere­ padrone­ di­ questi­ fattori­ che,­ in­ ultima­ analisi,­ non sono;­ quando,­ ancora,­ è­ lui­ a­ decidere­ se­ pensare­ o­ non­ pensare,­ se­ muoversi­ o­ essere­ ciò­ che­ è. Per­ quanto­ la­ forza­ dei­ gu√a-veicoli­ sia­ oltremodo­ po­ten­te,­ può­ sembrare­ strano­ che­ questa­ sua­ potenza­ possa­essere­neutralizzata­col­semplice­rimanere­fermi­in­ se­ stessi,­ con­ se­ stessi­ e­ per­ se­ stessi,­ riconquistando­ la­ propria Unità,­ di­ là­ dalle­ ombre­ che­ oscurano­ e­ velano­ colui­ che­ da­ sempre­ giace­ sul­ Trono­ dell’eternità.

2.30­ -­ Un­ altro­ errore­ è­ quello­ di­ ritenere­ che­ il­ “ser­­pente”,­ la­ “ghirlanda”,­ e­ quindi­ il­ prå√a, ecc.­ possano­ sussistere­ senza­ il­ supporto­ del­ Brahman, cioè­ che­ il­ relativo­ possa­ sussistere­ senza­ l’assoluto,­ il­ movimento­ dinamico­ senza­ un­ centro­ statico,­ una­ forma­ qualunque­ senza­ la­ sua­ struttura­ sottile,­ ecc.;­ in­ altri­ termini,­ che­ l’effetto­ possa­ sussistere­ senza­ la­ causa. 11

1 2 3

Mai.­ IV.­ 2. Chå.­ VIII.­ XII.3. Bha.­ Gı.­ XVIII.­ 61.

NOTE AL CAPITOLO II

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Ora,­per­l’asparŸa,­l’universo­è un­fenomeno-effetto­il­ quale­non­ha­vita­propria­indipendente­dal­suo­fondamento­ il­ quale­ gli­ dà­ l’esse. 12 2.31­ -­ Se­ l’universo­ è­ un­ fenomeno-effetto,­ è­ divenire,­ è­ movimento­ (måyå)­ esprimentesi­ in­ suono­ e­ colore,­allora,­visto­dalla­prospettiva­dell’Essere,­esso­non­ è­che­un­“sogno”,­una­proiezione­geometrica­del­Grande­ architetto­universale,­proiezione­che­appare e­scompare, per­ cui­ non­ può­ considerarsi­ verità­ costante. riportiamo­ alcuni­ passi­ ­della­­ Tradizione­­ occi­den­­tale­ che­sono­molto­significativi­e­rispondenti­all’Insegnamento­ dell’asparŸavåda. Ecco­ come­ si­ esprime­ Parmenide:

«[Ne­ consegue­ che]­ rimane­ solo­ un­ discorso­ della­ Via­ (oJdov~)­ che­ è.­ Su­ questa­ via­ ci­ sono­ segni­ (sh`ma)­ rivelatori­ assai­ numerosi:­ wJJ~ ajgevnhton ejo;n ejstin:­ che­ l’Essere­ è­ non-nato,­ ajnwvleqrovn­ incorruttibile, infatti­ è­ intero­ (ou\lon)­ nel­ suo­ insieme,­ immobile­ e­ senza­ fine­ (ajt evleston). Né­ mai­ era,­ né­ sarà,­ perché­ è­ ora­ tutto­ insieme­ uno­ (ün = quindi­ non­ molti),­ continuo­ (sunecev~). Quale­ nascita­ (gevnna)­ infatti­ cercherai­ di­ esso?... Quale­ necessità­ lo­ avrebbe­ mai­ costretto­ a­ na­scere...1 di­conseguenza,­né­il­nascere­né­il­perire­concesse­ad­ esso­ la­ dea­ Divkh...­ infatti­ se­ è­ nato,­ non­ è;­ e­ neanche­ può­ essere­ se­ mai­ dovrà­ esistere­ nel­ futuro.­ Così,­ la­ nascita­ è­ svanita­ e­ la­ morte­ si­ è­ spenta. E­ neppure­ è­ divisibile­ perché­ il­ tutto­ rimane­ identico­ a­ se­ stesso 1

risponde­ all’ajåtivåda­ di­ Gauƒapåda.

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né­ c’è­ in­ alcuna­ parte­ un­ di­ più­ che­ possa­ ostacolare­ la­ sua­ unità­ né­ c’è­ un­ di­ meno­ perché­ l’Essere­ è­ tutto­ pieno­ di­ se­ stesso... Per­ esso­ saranno­ nomi­ tutte­ quelle­ cose­ che­ hanno­ deliberato­ i­ mortali­ convinti­ che­ fossero­ vere...».1 L’insegnamento­parmenideo­pone­l’Essere­in­quanto­è­ e­non­diviene,­il­quale­trascende­il­divenire;­Esso­è o{lon (completo­ in­ se­ stesso,­ intero),­ ajnupovqeto~ (incondizionato),­ e{n­ (unità­ pura):­ mentre­ tutto­ il­ resto­ rappresenta­ il­ formale­ sensibile­ in­ quanto­ fenomeno-fainovmenon che­ appare­e­scompare­al­l’orizzonte­dell’Essere­supremo,­per­ quanto­ il­ fenomeno-apparenza­ può­ esistere­ perché­ c’è­ sempre­l’Essere­che­gli­dà­ragion­d’essere.­Tutto­il­passo­ di­ Par­menide­ è­ perfettamente­ in­ accordo­ con­ quello­ che­ espone­ Gauƒapåda.

2.32­ -­ Se­ le­ cose­ sono­ viste­ dalla­ prospettiva­ metafisica­ –­ ciò­ che­ poi­ interessa­ l’Upani≤ad in­ questione,­ Gauƒapåda­e,­diremo­lo­stesso­Parmenide­–­si­può­affermare­ che­ nascita­ e­ dissolu­zione,­ schiavitù­ e­ liberazione­ sono­ termini­ correlativi­ che­ trovano­ posto­ solo­ nella­ dimensione­ del­ sensibile­ per­ cui­ sono­ verità­ contingenti.­ Parmenide­dice:­ dovxa~ d’ ajpo; tou`de broteiva~ = le­opinioni­ dei­ mortali. Il­ più­ grande­ dramma­ dell’individuo­ è­ quello­ di­ considerarsi­contingente­e­perituro.­Una­concezione­ri­duttiva­ del­ reale­ porta­ all’insoddisfazione,­ all’angoscia­ e­ infine­ alla­ violenza.­ Si­ è­ detto­ in­ precedenza­ che­ l’ente­ può­ direzionarsi­ verso­ tante­ strade­ in­ perfetta­ libertà,­ come­ può­ rimanere­ “motore­ immobile”. 13

1­ Parmenide,­ Sull’Ordinamento della Natura, fr. 8,­ a­ cura­ di­ raphael.­ Collezione­ Vidyå.

NOTE AL CAPITOLO II

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2.37­ -­ Queste­ tre­ ultime­ kårikå sono­ di­ tale­ facile­ com­prensione­intellettiva­che­non­hanno­bisogno­di­spiegazioni,­ ma­ altresì­ così­ difficili­ da­ realizzare­ che­ per­ alcuni­ non­ basterà­ un’esistenza­ intera. 14

15 2.38­-­ Comprendendo­mediante­viveka (discernimento)­ e­ ri­solvendo­ mediante­ vairågya (distacco­ psicologico),­ l’en­te­ si­ emancipa­ dall’errore­ di­ essersi­ assimilato­ allo­ stato­ individuato­ (con­ le­ tre­ ultime­ guaine)­ e­ a­ quello­ uni­versale­ (con­ le­ due­ prime­ guaine-corpi),­ così­ da­ realizzare­ quell’unica­ realtà­ suprema,­ la­ Costante­ o­ l’Unosenza-secondo. Si­dà,­ora,­un­riassunto­dei­punti­fondamentali­di­questo­ secondo­ capitolo. Comunemente,­e­in­modo­aprioristico,­si­afferma­che­la­ condizione­ di­ sogno­ è­ non­ reale,­ mentre­ quella­ di­ veglia­ è­reale.­Gauƒapåda­dimostra,­invece,­come­la­condizione­ di­ sogno­ non­ differisce­ da­ quella­ di­ veglia;­ egli­ prende­ in­ considerazione­ l’oggetto­ e­ il­ soggetto­ di­ percezione­ dei­ due­ stati,­ li­ analizza­ e­ li­ confronta­ e­ conclude­ che­ non­ si­ trovano­ elementi­ validi­ che­ possano­ in­ assoluto­ differenziarli. Inoltre,­ un­ fenomeno,­ o­ altro,­ va­ visto,­ valutato­ e­ giudicato­dal­suo­naturale­e­proprio­contesto­esistenziale.­ Non­ si­ può­ giudicare­ un­ dato­ prendendo­ come­ base­ di­ valutazione­ o­ di­ misura­ il­ fisico-denso,­ oltre­ al­ fatto­ che­ questa­valutazione­implica­aver­stabilito­aprioristicamente,­ e­in­termini­assoluti,­l’esistenza­di­una­sola­realtà,­quella,­ appunto,­ fisica­ a­ cui­ tutto­ il­ resto­ deve­ raffrontarsi. Così­ si­ afferma­ che­ il­ sogno­ è­ tale­ solo­ quando­ ci­ si­ sveglia,­ quindi­ dal­ punto­ di­ vista­ della­ veglia;­ ma­ se­ si­ accetta­ questa­ conclusione­ si­ può­ a­ ragione­ affermare­ –­ dalla­posizione­coscienziale­del­sogno­–­che­la­veglia­non­ è­reale,­difatti­a­colui­che­lascia­il­piano­fisico­per­taijasa il­primo­appare­un­incubo­da­cui­finalmente­si­è­liberato.

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MÅ÷‡ÎkyakÅrIkÅ.­ II.­ VaITaTHya­ Prakara÷a

Stabilito­che­i­due­stati­non­sono­dissimili,­Gauƒapåda­ conclude­che,­avendo­essi­un’origine,­uno­sviluppo­e­una­ fine,­non­possono­considerarsi­reali­assoluti;­sono­quindi­ semplici­fenomeni­contingenti­ed­effimeri,­o­gra­di­di­verità,­ma­non­sono­la realtà.1­ancora:­da­do­ve­provengono­ questi­stati­contingenti?­dalla­mente­dell’ahaækåra­(l’io­ empirico)­la­cui­natura­è­quella­di­immaginare-proiettare­ fino­a­solidificare­l’immagine­o­archetipo.­La­manifestazione­ è­ lo­ sviluppo,­ a­ diversi­ gradi­ di­ condensazione,­ di­ semi­ non­ risolti­ di­ un­ manvantara precedente. «Il­ bråhma√a,­ avendo­ riconosciuto­ che­ i­ vari­ mondi­ sono­ [il­ risultato]­ del­ karma­ [non­ risolto]...».2 Ma­ se­ la­ manifestazione,­ o­ un­ manvantara, va­ e­ viene,­appare­e­scompare,­si­deve­postulare­l’annichilimento­ e­ il­ nulla? Se­il­serpente,­o­altro,­va­e­viene,­appare­e­scompare,­ che­ cosa­ rimane­ al­ suo­ posto? rimane­ la­ corda,­ risponde­ Gauƒapåda;­ rimane­ la­ Costante,­Brahman-åtman. Ed­è­questa­Costante­che­dev’essere,­ più­ che­ pensata­ o­ dimostrata,­ realizzata­ e­ at­tuata.­ L’asparŸa­ è­ il­ sentiero che­ offre­ la­ certezza­ della­ nostra­ immortalità­ ed­ eternità­ perché­ rappresenta­ l’estinzione­ del­“tizzone”­o­del­fuoco­ardente.­Si­veda­il­Capitolo­IV.

1­Questa,­per­essere­tale,­deve­trovarsi­nel­tempo,­nello­spazio,­e­ fuori­dal­tempo­e­dallo­spazio;­un­qualcosa­che­appare­e­scompare,­ che­ adesso­ è­ e­ poi­ non­ è­ più­ non­ può­ considerarsi­ la­ realtà;­ può­ solo­ definirsi­ fenomeno-apparenza­ privo­ di­ aseità. 2­ Cfr.­ Mu.­I.­II.­12.

CAPITOLO III suLLA nOn duALITà

a­thå­dva­i­ta­pra­ka­ra­√a­m om­ |­ u­på­sa­nå­Ÿri­to­ dha­r mo­ jå­te­­ bra­h ma­√ i­­ va­r ta­te­­ | prå­gu­tpa­tte­ra­ja­æ­sa­r va­æ­te­nå­sa­u­ kÿpa­√a­¢­smÿta­¢­||­3.1­|| a­to­ va­k≤yå­mya­kå­r pa­√ya­ma­jå­ti­­ sa­ma­tå­æ­ ga­ta­m­ | ya­thå­­ na­­ jå­ya­te­­ ki­ñci­jjå­ya­må­na­æ­ sa­ma­nta­ta­¢­||­3.2­|| å­tmå­­ hyå­kå­Ÿa­va­jjı­va­i ­rgha­†å­kå­Ÿa­i ­r i­vodi­ta­¢­ | gha­†å­di­va­cca­­ sa­§ghå­ta­i ­rjå­tå­ve­ta­nni­da­rŸa­na­m­||­3.3­|| gha­tå­di­≤u­­ pra­lı­ne­≤u­­ gha­†å­kå­Ÿå­da­yo­ ya­thå­­ | å­kå­Ÿe­­ sa­æpra­lı­ya­nte­­ ta­dva­jjı­vå­­ i­hå­­ ’’tma­ni­­||­3.4­|| ya­tha­i ­ka­smi­ngha­†å­kå­Ÿe­­ ra­jodh¥må­di­bhi­r yu­te­ | na­­ sa­r ve­­ sa­æpra­yu­jya­nte­­ ta­dva­jjı­vå­¢­su­k hå­di­bhi­¢­||­3.5­|| r¥pa­kå­r ya­sa­må­k hyå­Ÿca­­ bhi­dya­nte­­ ta­tra­­ ta­tra­­ va­i­ | å­kå­Ÿa­sya­­ na­­ bhe­do­ ’sti­­ ta­dva­jjı­ve­≤u­­ ni­r √a­ya­¢­||­3.6­||

Capitolo

sulla non dualità

3.1­-­Om.­L’aspirante­che­ricorre­a­pratiche­devozionali­crede­di­trovarsi­nel­Brahman­generato­perché­[pensa­ che]­prima­della­manifestazione­[Quello]­era­non­nato.­ Perciò­costui­è­considerato­un­essere­[di­mente]­limitata.1 3.2­-­Quindi,­esporrò­[Quello]­che­è­esente­da­limitazioni,­ che­ è­ privo­ di­ generazione­ (ajåti)­ e­ che­ giace­ in­ uno­ stato­ di­ equilibrio.­ [Ascoltate]­ come,­ in­ nessun­ modo,­ nulla­ nasca,­ per­ quanto­ sembri­ nascere.­ 3.3­ -­ Questa­ è­ la­ spiegazione­ in­ merito­ alla­ generazione:­ l’åtman­ viene­ considerato­ sotto­ forma­ di­ jıva (scintilla­ dell’åtman),­ allo­ stesso­ modo­ dello­ spazio­ racchiuso­ in­ un­ recipiente­ e­ anche­ come­ oggetti­ compositi­ al­ pari­ dei­ recipienti,­ ecc. 3.4­ -­ Come­ alla­ distruzione­ del­ recipiente­ [vasi,­ brocche,­ ecc.]­ l’etere­ racchiuso­ nel­ recipiente­ si­ risolve­ nell’etere­ [universale]­ così­ i­ jıva­ [si­ risolvono]­ nell’åtman. 3.5­ -­ Quando­ un­ unico­ etere­ dentro­ un­ vaso­ viene­ contaminato­ da­ polvere,­ fumo­ o­ altro,­ tutti­ [gli­ altri­ spazi­ racchiusi­ in­ altri­ vasi]­ non­ vi­ partecipano,­ così­ è­ per­ il­ jıva­ circa­ l’appagamento,­ ecc.­ 3.6­ -­ Benché­ le­ forme,­ gli­ effetti­ e­ le­ definizioni­ [degli­ eteri­ racchiusi­ nei­ vasi,­ ecc.]­ certamente­ differiscano­ luogo­ per­ luogo,­ tuttavia­ åkåŸasya na bheda¢ asti:­non­vi­è­differenza­nell’etere­[universale­che­resta­ unico].­ Così­ è­ la­ conclusione­ in­ relazione­ al­ jıva.­

100

MÅ÷‡ÎkyAkÅrikÅ.­ iii.­ ADVAiTA­ PrAkArA÷A

nå­­ ”kå­Ÿa­sya­­ gha­†å­kå­Ÿo­ vi­kå­rå­va­ya­va­u­ ya­thå­­ | na­i­vå­­ ’’tma­na­¢­ sa­då­­ jı­vo­ vi­kå­rå­va­ya­va­u­ ta­thå­­||­3.7­|| ya­thå­­ bha­va­ti­­ bå­lå­nå­æ­ ga­ga­na­æ­ ma­li­na­æ­ ma­la­i­¢­ | ta­thå­­ bha­va­tya­bu­ddhå­nå­må­tmå­­ ’pi­­ ma­li­no­ma­la­i­¢­||­3.8­|| ma­ra­√e­­ sa­mbha­ve­­ ca­i­va­­ ga­tyå­ga­ma­na­yora­pi­­ | sthi­ta­u­ sa­r va­Ÿa­r ı­re­≤u­­ å­kå­Ÿe­nå­vi­la­k≤a­√a­¢­||­3.9­|| sa­§ghå­tå­¢­ sva­pna­va­tsa­r ve­­ å­tma­må­yå­vi­sa­rji­tå­¢­ | å­dhi­kye­­ sa­r va­så­mye­­ vå­­ nopa­pa­tti­rhi­­ vi­dya­te­­||­3.10­|| ra­så­da­yo­ hi­­ ye­­ koŸå­­ vyå­k hyå­tå­sta­i­tti­r ı­ya­ke­­ | te­≤å­må­tmå­­pa­ro­jı­va­¢­kha­æ­ya­thå­­sa­æpra­kå­Ÿi­ta­¢­||­3.11­|| dva­yordva­yorma­dhu­jñå­ne­­ pa­ra­æ­bra­h ma­­ pra­kå­Ÿi­ta­m­­­| pÿthi­vyå­mu­da­re­­ ca­i­va­­ ya­thå­­ ”kå­Ÿa­¢­ pra­kå­Ÿi­ta­¢­||­3.12­||

CAP.­ iii­ SULLA­ NON­ DUALiTÀ,­ 3.7-3.12

101

3.7­ -­ Come­ l’etere­ dentro­ a­ un­ vaso­ non­ è­ né­ una­ modi­ficazione,­ né­ una­ parte­ (avayava)­ dello­ spazio­ [unico­ universale],­ così­ il­ jıva­ non­ è­ né­ una­ modificazione,­ né­ una­ parte­ dell’åtman. 3.8­ -­ Come­ ai­ bambini­ il­ cielo­ appare­ contaminato­ da­ impu­rità,­ così­ a­ coloro­ che­ sono­ privi­ di­ mente­ [discriminante]­ anche­ l’åtmå­ appare­ contaminato­ da­ impurità. 3.9­ -­ Sia­ in­ relazione­ alla­ cessazione­ e­ alla­ stessa­ origine­[come­jıva],­sia­anche­in­rapporto­all’andare­e­ al­ venire­ [nella­ trasmigrazione],­ sia,­ altresì,­ in­ merito­ alla­ esistenza­ in­ tutti­ i­ corpi,­ [l’åtmå]­ non­ differisce­ dall’etere.2 3.10­-­Tutti­gli­aggregati­dell’åtmå­[corpo,­sensi,­ecc.]­ sono­ prodotti,­ come­ nel­ sogno,­ dalla­ måyå (prakÿti).­ Nessuna­argomentazione­valida­potrebbe­dimostrare­la­ loro­ realtà­ o­ la­ loro­ uguaglianza­ o­ superiorità.­ ­ 3.11­-­Gli­involucri,­come­quello­costituito­di­essenza­ [del­ cibo­=­corpo­ fisico]­ e­ gli­ altri,­ sono­ stati­ spiegati­ ­nella­ Taittirıya Upani≤ad­ (ii.ii.1,­ ii.iii.1­ segg.);­ il­ loro­jıva­è­il­supremo­[åtman],­che­è­stato­estesamente­ illustrato­ attraverso­ la­ similitudine­ dell’etere.3 3.12­-­Nella­[esposizione­della]­conoscenza­del­miele­ (si­veda­Madhubråhma√a,­Bÿ.­ii.V.19)­si­è­dimostrato­ che­ in­ ogni­ contesto­ duale­ [individuale­ e­ divino]­ vi­ è­ un­ solo­ Brahman­ supremo;­ così­ si­ è­ mostrato­ come­ l’etere­ che­ pervade­ la­ terra­ è­ lo­ stesso­ di­ qualsiasi­ organismo­ [vivente].

102

MÅ÷‡ÎkyAkÅrikÅ.­ iii.­ ADVAiTA­ PrAkArA÷A

jı­vå­tma­nora­na­nya­tva­ma­bhe­de­na­­ pra­Ÿa­sya­te­­ | nå­nå­tva­æ­ni­ndya­te­­ya­cca­­ta­de­va­æ­hi­­sa­ma­ñja­sa­m­||­3.13­|| jı­vå­tma­no¢­ pÿtha­ktva­æ­ ya­tprå­gu­tpa­tte­¢­ pra­k ı­r ti­ta­m­ | bha­vi­≤ya­dvÿttyå­­ga­u­√a­æ­ta­nmu­khya­tva­æ­hi­­na­­yu­jya­te­­||­3.14­|| mÿlloha­vi­sphu­li­§gå­dya­i­¢­ sÿ≤†i­r yå­­ codi­tå­­ ’nya­thå­­ | u­på­ya­¢­ so­ ’va­tå­rå­ya­­ nå­sti­­ bhe­da­¢­ ka­tha­ñca­na­­||­3.15­|| å­Ÿra­må­stri­vi­dhå­­ hı­na­ma­dhya­motkÿ≤†a­dÿ≤†a­ya­¢­ | u­på­sa­nopa­di­≤†e­ya­æ­ ta­da­r tha­ma­nu­ka­mpa­yå­­||­3.16­|| sva­si­ddhå­nta­vya­va­sthå­su­­ dva­i­ti­no­ ni­Ÿci­tå­­ dÿƒha­m­ | pa­ra­spa­ra­æ­vi­r u­dhya­nte­­ ta­i ­ra­ya­æ­na­­ vi­r u­dhya­te­­||­3.17­|| a­dva­i­ta­æ­ pa­ra­må­r tho­ hi­­ dva­i­ta­æ­ ta­dbhe­da­­ u­cya­te­­ | te­≤å­mu­bha­ya­thå­­ dva­i­ta­æ­te­nå­ya­æ­na­­ vi­r u­dhya­te­­||­3.18­||

CAP.­ iii­ SULLA­ NON­ DUALiTÀ,­ 3.13-3.18

103

3.13­ -­ La­ non­ alterità­ del­ jıva­ con­ l’åtman­ viene­ in­se­gnata­­attraverso­­la­­[loro]­­non­­distinzione,­­men­tre­ quella­­ che­­ è­­ la­ ­molteplicità­ ­viene­ ­rigettata;­ ciò­ può­ essere­ compreso­ [solo­ considerando­ la­ non­ dualità].4 3.14­ -­ La­ separazione­ del­ jıva­ dall’åtman,­ quale­ è­ dichiarata­ [nei­ Veda],­ prima­ che­ [nelle­ Upani≤ad]­ si­ parlasse­ della­ manifestazione,­ va­ [intesa]­ in­ senso­ secondario­e­in­relazione­a­un­risultato­futuro­perché­tale­ [distinzione]­non­può­essere­intesa­nel­senso­primario... 3.15­ -­ ... e­ la­ manifestazione,­ delineata­ variamente­ attraverso­gli­esempi­dell’argilla,­dell’oro,­delle­faville­ sprizzanti­ovunque,­ecc.,­costituisce­un­mezzo­didattico­ (upåya)­per­far­comprendere­[l’idea­dell’unità],­ma­non­ vi­ è­ alcuna­ distinzione­ in­ nessun­ senso.­ 3.16­ -­ Gli­ stadi­ di­ vita­ (åŸrama)­ sono­ ripartiti­ in­ tre­che­rispondono­a­tre­gradi­di­comprensione­(dÿ≤†a):­ inferiore,­ mediano­ e­ superiore.­ Questa­ meditazio­ne­ viene­impartita­per­compassione­[per­i­primi­due­gradi]­ in­ modo­ [da­ perseguire]­ il­ loro­ scopo.5 3.17­-­i­dualisti­sono­fermamente­convinti­delle­varie­ te­­si­ inerenti­ alle­ loro­ conclusioni,­ [ma­ sono­ costretti]­ a­ contrad­dirsi­ reciprocamente.­ [invece]­ questa­ [non­ dualità]­ non­ è­ in­ contraddizione­ con­ alcuno.6 3.18­ -­ Poiché­ la­ non­ dualità­ (advaita)­ è­ la­ verità­ suprema­(paramårtha),­si­può­sostenere­che­la­dualità­ è­ [una­ possibilità­ accidentale]­ di­ quella.­ Per­ i­ dualisti­ vi­ è­ dualità­ in­ ambedue­ i­ casi­ [assoluto­ e­ relativo].­ Per­ tale­ motivo­ questa­ [non­ dualità]­ non­ si­ oppone­ [ai­ dualisti].7

104

MÅ÷‡ÎkyAkÅrikÅ.­ iii.­ ADVAiTA­ PrAkArA÷A

må­ya­yå­­ bhi­dya­te­­ hye­ta­nnå­nya­thå­­ ’ja­æ­ ka­tha­ñca­na­­ | ta­ttva­to­bhi­dya­må­ne­­hi­­ma­r tya­tå­ma­m ÿta­æ­vra­je­t­||­3.19­|| a­jå­ta­sya­i­va­­ bhå­va­sya­­ jå­ti­m i­ccha­nti­­ vå­di­na­¢­ | a­jå­to­ hya­m ÿto­ bhå­vo­ ma­r tya­tå­æ­ ka­tha­me­≤ya­ti­­||­3.20­|| na­­ bha­va­tya­m ÿta­æ­ma­r tya­æ­na­­ ma­r tya­ma­m ÿta­æ­ta­thå­| pra­kÿte­ra­nya­thå­bhå­vo­na­ka­tha­ñci­dbha­vi­≤ya­ti­­||­3.21­|| sva­bhå­ve­nå­m ÿto­ ya­sya­­ bhå­vo­ ga­ccha­ti­­ ma­r tya­tå­m­ | kÿta­ke­nå­m ÿta­sta­sya­­ ka­tha­æ­ sthå­sya­ti­­ ni­Ÿca­la­¢­||­3.22­|| bh¥ta­to­ ’bh¥ta­to­ vå­­ ’pi­­ sÿjya­må­ne­­ sa­må­­ Ÿru­ti­¢­ | ni­Ÿci­ta­æ­ yu­kti­yu­kta­æ­ ca­­ ya­tta­dbha­va­ti­­ ne­ta­ra­t­||­3.23­|| ne­ha­­ nå­ne­ti­­ cå­­ ”mnå­yå­di­ndro­ må­yå­bhi­r i­tya­pi­­ | a­jå­ya­må­no­ ba­hu­dhå­­ må­ya­yå­­ jå­ya­te­­ tu­­ sa­¢­||­3.24­|| sa­mbh¥te­ra­pa­vå­då­cca­­ sa­mbha­va­¢­ pra­ti­≤i­dhya­te­­ | ko­ nve­na­æ­ ja­na­ye­di­ti­­ kå­ra­√a­æ­ pra­ti­≤i­dhya­te­­||­3.25­||

CAP.­ iii­ SULLA­ NON­ DUALiTÀ,­ 3.19-3.25

105

3.19­-­È­per­mezzo­di­måyå­che­questo­[åtman]­non­ nato­ può­ differenziarsi­ e­ in­ nessun­ altro­ modo­ perché­ se­ la­ differenziazione­ fosse­ reale,­ allora­ l’immortale­ diverrebbe­ mortale.­ 3.20­-­i­disputanti­sostengono­la­nascita­per­­sino­di­un­ ente­non­nato,­ma,­invero,­come­può­un­ente­non­nato­ (bhåva ajåta)­e­immortale­divenire­mortale­? 3.21­ -­ L’immortale­ non­ può­ divenire­ mortale,­ né,­ pa­rimenti,­ il­ mortale­ [divenire]­ immortale.­ Un­ cambiamento­ di­ natura­ non­ potrà­ avvenire­ in­ alcun­ modo.­ 3.22­ -­ Quegli,­ il­ quale­ crede­ che­ un­ ente­ di­ natura­ immortale­ possa­ divenire­ mortale,­ come­ può­ [a­ un­ tempo­sostenere]­che­l’immortale,­in­quanto­nato,­possa­ conservare­ ancora­ la­ sua­ natura­ immortale?8 3.23­ -­ [Nei­ testi]­ si­ parla­ di­ realtà­ e­ non­ realtà;­ in­ me­rito­ a­ ciò­ solo­ quello­ che­ è­ accertato­ dalla­ Âruti,­ e­ sostenuto­ dalla­ ragione,­ costituisce­ [il­ vero­ significato­ della­ Âruti­ stessa],­ e­ niente­ altro.9 3.24­-­Poiché­dalla­Tradizione­[si­apprende]:­«...­qui­ [in­Quello]­non­esiste­alcuna­molteplicità»­(Ka.­ii.i.11)­ e­ anche:­ «...­indra,­attraverso­la­ måyå,­viene­perce­pito­ come­ di­ molteplice­ forma…»­ (Bÿ.­ ii.V.19),­ «...­pur­ es­sendo­ ­non­ nato­ appare­ molteplice»­ (Yå. Dha. S¥. 31.19),­ ne­ consegue­ che­ esso­ (åtman)­ può­ nascere­ [solo]­ attraverso­ la­ måyå.10 3.25­-­Con­la­negazione­del­sommo­potere­[creativo]­ (saæbh¥ti)­ viene­ negata­ [anche]­ la­ nascita­ [dell’universo].­ Nel­ passo:­ «Chi­ mai­ lo­ farebbe­ rinascere?»­ (Bÿ.­iii.iX.28.7)­viene­esclusa­ogni­causa­[di­nascita].11

106

MÅ÷‡ÎkyAkÅrikÅ.­ iii.­ ADVAiTA­ PrAkArA÷A

sa­­ e­≤a­­ ne­ti­­ ne­tı­ti­­ vyå­k hyå­ta­æ­ ni­hnu­te­­ ya­ta­¢­ | sa­­r va­ma­grå­hya­bhå­ve­na­­ he­tu­nå­­ ’ja­æ­ pra­kå­Ÿa­te­­||­3.26­|| sa­to­ hi­­ må­ya­yå­­ ja­nma­­ yu­jya­te­­ na­­ tu­­ ta­ttva­ta­¢­ | ta­ttva­to­ jå­ya­te­­ ya­sya­­ jå­ta­æ­ ta­sya­­ hi­­ jå­ya­te­­||­3.27­|| a­sa­to­ må­ya­yå­­ ja­nma­­ ta­ttva­to­ na­i­va­­ yu­jya­te­­ | va­ndhyå­pu­tro­ na­­ ta­ttve­na­­ må­ya­yå­­ vå­­ ’pi­­ jå­ya­te­­||­3.28­|| ya­thå­­ sva­pne­­ dva­yå­bhå­sa­æ­ spa­nda­te­­ må­ya­yå­­ ma­na­¢­ | ta­thå­­jå­gra­ddva­yå­bhå­sa­æ­spa­nda­te­­må­ya­yå­­ma­na­¢­||­3.29­|| a­dva­ya­æ­ca­­ dva­yå­bhå­sa­æ­ma­na­¢­sva­pne­­ na­­ sa­æŸa­ya­¢­| a­dva­ya­æ­ca­­dva­yå­bhå­sa­æ­ta­thå­­jå­gra­nna­­sa­æŸa­ya­¢­||­3.30­|| ma­nodÿŸya­m i­da­æ­ dva­i­ta­æ­ ya­tki­ñci­tsa­ca­rå­ca­ra­m­ | ma­na­so­hya­ma­n ı­bhå­ve­­ dva­i­ta­æ­na­i­vopa­la­bhya­te­­||­3.31­||

CAP.­ iii­ SULLA­ NON­ DUALiTÀ,­ 3.26-3.31

107

3.26­-­Data­la­natura­inafferrabile­[del­Brahman],­il­ passo­ della­ Âruti:­ «Quello,­ [descritto­ con­ la­ formula]:­ “non­è­così,­non­è­così”,­è­questo­åtmå»­(Bÿ.­iii.iX.26)­ nega­ tutto­ ciò­ che­ è­ stato­ esposto­ [in­ termini­ duali],­ per­ cui­ il­ non­ nato­ è­ autorisplendente­ (prakåŸa).12 3.27­ -­ La­ nascita­ di­ un­ ente­ che­ già­ esiste­ può­ logicamente­ essere­ ammessa­ tramite­ la­ måyå,­ e­ non­ in­ senso­ reale.­ Chiunque­ [crede]­ che­ le­ cose­ nascano­ in­ senso­ reale,­ invero­ può­ [riferirsi]­ solo­ alla­ nascita­ di­ ciò­ che­ è­ già­ nato.­ 3.28­ -­ La­ nascita­ di­ ciò­ che­ non­ è­ reale­ non­ può­ essere­ ammessa­ logicamente­ né­ attraverso­ la­ måyå­ e­ nemmeno­ in­ senso­ reale.­ il­ figlio­ di­ una­ donna­ sterile­ non­ nasce­ né­ in­ modo­ reale­ e­ neppure­ attraverso­ la­ måyå.13 3.29­ -­ Come­ nel­ sogno­ la­ mente­ si­ muove­ [producendo]­ l’ap­pa­renza­ della­ dualità­ mediante­ la­ måyå [soggetto-oggetto],­ così­ nella­ veglia­ la­ mente,­ tramite­ il­ movimento­ della­ måyå,­ appare­ come­ dualità. 3.30­ -­ E­ non­ vi­ è­ dubbio­ che­ nel­ sogno­ la­ mente,­ per­ quanto­ unica,­ ha­ l’apparenza­ della­ dualità;­ così­ non­vi­è­dubbio­che­[anche]­nella­veglia­la­mente­[pur­ essendo]­ unica­ ha­ l’apparenza­ della­ dualità. 3.31­-­Questa­dualità­è­percepita­dalla­mente­insieme­ con­ tutto­ ciò­ che­ vi­ è­ di­ mobile­ e­ immobile.­ infatti,­ quando­la­funzione­della­mente­cessa,­la­dualità­non­viene­più­percepita­[perché­si­è­nell’Uno-senza-secondo].

108

MÅ÷‡ÎkyAkÅrikÅ.­ iii.­ ADVAiTA­ PrAkArA÷A

å­tma­sa­tyå­nu­bodhe­na­­ na­­ sa­§ ka­lpa­ya­te­­ ya­då­­ | a­ma­na­stå­æ­ ta­då­­ yå­ti­­ grå­hyå­bhå­ve­­ ta­da­gra­ha­m­||­3.32­|| a­ka­lpa­ka­ma­ja­æ­ jñå­na­æ­ jñe­yå­bhi­nna­æ­ pra­ca­k≤a­te­ | bra­h ma­­ jñe­ya­ma­ja­æ­ni­tya­ma­je­nå­ja­æ­vi­bu­dhya­te­­||­3.33­|| ni­gÿhı­ta­sya­­ ma­na­so­ ni­r vi­ka­lpa­sya­­ dhı­ma­ta­¢­ | pra­cå­ra­¢­sa­­tu­­vi­jñe­ya­¢­su­≤u­pte­­’nyo­na­­ta­tsa­ma­¢­||­3.34­|| lı­ya­te­­ hi­­ su­≤u­pte­­ ta­nni­gÿhı­ta­æ­ na­­ lı­ya­te­ | ta­de­va­­ni­rbha­ya­æ­bra­hma­­jñå­nå­loka­æ­sa­ma­nta­ta­¢­||­3.35­|| a­ja­ma­ni­dra­ma­sva­pna­ma­nå­ma­ka­ma­r ¥pa­ka­m­ | sa­k ÿdvi­bhå­ta­æ­sa­r va­jña­æ­nopa­cå­ra­¢­ka­tha­ñca­na­­||­3.36­|| sa­r vå­bhi­lå­pa­vi­ga­ta­¢­ sa­r va­ci­ntå­sa­mu­tthi­ta­¢­ | su­pra­Ÿå­nta­¢­ sa­k ÿjjyoti­¢­ sa­må­dhi­ra­ca­lo­ ’bha­ya­¢­||­3.37­||

CAP.­ iii­ SULLA­ NON­ DUALiTÀ,­ 3.32-3.37

109

3.32­-­Quando,­grazie­all’attuazione­della­verità­che­ è­ l’åtman,­ [la­ mente]­ non­ proietta­ più­ immaginazioni,­ allora­ raggiunge­ lo­ stato­ di­ assenza­ di­ mente­ (amanasta)­ e,­ in­ assenza­ del­ percepibile,­ essa­ [diviene]­ non­ percipiente. 3.33­-­Si­attesta­che­la­conoscenza­non­concettuale,­ senza­ nascita,­ non­ è­ diversa­ dal­ conoscibile.­ il­ conoscibile­ Brahman­ è­ non­ nato­ ed­ eterno­ [per­ cui]­ il­ non­ nato­ conosce­ il­ non­ nato.­ 3.34­ -­ Si­ deve­ conoscere­ il­ comportamento­ della­ mente­ perfettamente­ silenziosa­ priva­ di­ qualsiasi­ ideazione­(nirvikalpa)­e­dotata­di­discernimento.­Lo­stato­ della­ mente­ nel­ sonno­ profondo­ non­ è­ simile­ a­ quella­ [mente­ esposta­ precedentemente]. 3.35­ -­ infatti­ nel­ sonno­ profondo­ la­ mente­ si­ assopisce,­ mentre­ [non­ è­ così­ quando]­ è­ perfettamente­ silenziosa.­ La­ mente­ [di­ un­ asparŸin]­ si­ risolve­ nel­ Brahman,­luce­della­conoscenza­onnipervadente,­esente­ da­ timore.­ 3.36­ -­ [Brahman]­ è­ senza­ nascita,­ senza­ sonno­ e­ senza­ sogno,­ senza­ nome­ e­ senza­ forma,­ risplendente;­ è­ la­ base­ di­ ogni­ conoscenza.­ Non­ vi­ è­ alcuna­ pratica­ rituale­ [da­ esercitare­ in­ relazione­ al­ Brahman].­ 3.37­ -­ [L’åtman-Brahman]­ è­ libero­ da­ ogni­ operazione­ mentale­ e­ da­ ogni­ espressione­ di­ pensiero.­ È­ supremamente­ pacificato,­ eterno­ splendore,­ identico­ a­ se­ stesso,­ immutabile­ e­ privo­ di­ timore.

110

MÅ÷‡ÎkyAkÅrikÅ.­ iii.­ ADVAiTA­ PrAkArA÷A

gra­ho­ na­­ ta­tra­­ notsa­rga­Ÿci­ntå­­ ya­tra­­ na­­ vi­dya­te­ | å­tma­sa­æstha­æ­ta­då­­jñå­na­ma­jå­ti­­sa­ma­tå­æ­ga­ta­æ­||­3.38­|| a­spa­rŸa­yogo­ va­i­ nå­ma­­ du­rda­rŸa­¢­ sa­r va­yogi­bhi­¢­ | yogi­no­ bi­bhya­ti­­ hya­små­da­bha­ye­­ bha­ya­da­rŸi­na­¢­||­3.39­|| ma­na­so­ ni­gra­hå­ya­tta­ma­bha­ya­æ­ sa­r va­yogi­nå­m­ | du­¢kha­k≤a­ya­¢­pra­bodha­Ÿcå­pya­k≤a­yå­­Ÿå­nti­re­va­­ca­­||­3.40­|| u­tse­ka­­ u­da­dhe­r ya­dva­tku­Ÿå­gre­√a­i ­ka­bi­ndu­nå­ | ma­na­so­ ni­dra­ha­sta­dva­dbha­ve­da­pa­r i­k he­da­ta­¢­||­3.41­|| u­på­ye­na­­ ni­gÿh√ı­yå­dvi­k≤i­pta­æ­ kå­ma­bhoga­yo¢­ | su­pra­sa­nna­æ­ la­ye­­ ca­i­va­­ ya­thå­­ kå­mo­ la­ya­sta­thå­­||­3.42­|| du­¢ kha­æ­ sa­r va­ma­nu­smÿtya­­ kå­ma­bhogå­nni­r va­r ta­ye­t­ | a­ja­æ­ sa­r va­ma­nu­smÿtya­­ jå­ta­æ­ na­i­va­­ tu­­ pa­Ÿya­ti­­||­3.43­||

CAP.­ iii­ SULLA­ NON­ DUALiTÀ,­ 3.38-3.43

111

3.38­ -­ Colà­ [nel­ Brahman-åtman],­ dove­ non­ esiste­ operazione­ mentale,­ si­ è­ di­ là­ dall’accettazione­ e­ dal­ rifiuto.­Allora­la­conoscenza­si­risolve­nell’åtman­senza­ nascita,­nello­stato­di­equilibrio­[privo­di­cambiamento].14 3.39­ -­ Lo­ yoga­ definito­ “senza­ contatto”­ (asparŸayoga),­ invero,­ è­ difficile­ da­ comprendere­ per­ parecchi­ [aspiranti]­yogin­perché­essi­sentono­la­paura­dove­non­ c’è­ paura,­ e­ ne­ hanno­ timore. 3.40­ -­ Per­ questi­ yogi [che­ non­ seguono­ l’asparŸa]­ l’assenza­ di­ paura,­ la­ soluzione­ della­ sofferenza,­ il­ risveglio­della­consapevolezza­[dell’åtman]­e­la­stessa­ indistruttibile­ pace­ dipendono­ [solo]­ dalla­ disciplina­ mentale.15 3.41­-­Così,­il­controllo­mentale­[si­ottiene]­con­uno­ sforzo­incessante­­come­­[quello]­­per­prosciugare­l’ocea­no­ goccia­­ a­­ goccia­­ con­­ [l’utilizzo­ ­di­ un­ filo­ di­ erba]­ kuŸa. 3.42­-­Sia­che­la­mente­si­disperda­con­il­desiderio­ e­la­frui­zione­[conseguente],­oppure­quando­sia­soddisfatta­ nel­ sonno­ profondo,­ essa­ dev’essere­ controllata­ con­mezzi­appropriati,­[perché]­la­condizione­del­sonno­ profondo­ è­ [ugualmente­ dannosa]­ quanto­ quella­ del­ desiderio.­ 3.43­ -­ Si­ deve­ ritrarre­ [la­ mente]­ dalla­ fruizione­ [che­ è­ il­ prodotto]­ del­ desiderio,­ rimembrando­ costantemente­ che­ tutto­ [il­ mondo­ delle­ apparenze]­ è­ [causa­di]­conflitti.­rimembrando­costantemente­il­non­ nato,­ invero­ il­ nato­­ [la­ dualità]­ ­non­­ si­ percepisce­ più­ (na paŸyati =­non­ lo­ si­ vede,­ non­ lo­ si­ scorge­ perché­ viene­ risolto).­

112

MÅ÷‡ÎkyAkÅrikÅ.­ iii.­ ADVAiTA­ PrAkArA÷A

la­ye­­ sa­mbodha­ye­cci­tta­æ­ vi­k≤i­pta­æ­ Ÿa­ma­ye­tpu­na­¢­ | sa­ka­≤å­ya­æ­ vi­jå­nı­yå­tsa­ma­prå­pta­æ­ na­­ cå­la­ye­t­||­3.44­|| nå­­ ”svå­da­ye­tsu­k ha­æ­ ta­tra­­ ni­¢sa­§ga­¢­ pra­jña­yå­­ bha­ve­t­ | ni­Ÿca­la­æ­ ni­Ÿca­ra­cci­tta­me­k ı­ku­r yå­tpra­ya­tna­ta­¢­||­3.45­|| ya­då­­ na­­ lı­ya­te­­ ci­tta­æ­ na­­ ca­­ vi­k≤i­pya­te­­ pu­na­¢­ | a­ni­§ga­na­ma­nå­bhå­sa­æ­ni­≤pa­nna­æ­bra­hma­­ta­tta­då­­||­3.46­|| sva­stha­æ­Ÿå­nta­æ­sa­ni­rvå­√a­ma­ka­thya­æ­su­kha­mu­tta­ma­m­| a­ja­ma­je­na­­jñe­ye­na­­sa­rva­jña­æ­pa­ri­ca­k≤a­te­­||­3.47­|| na­­ ka­Ÿci­jjå­ya­te­­ jı­va­¢­ sa­mbha­vo­ ’sya­­ na­­ vi­dya­te­ | e­ta­tta­du­tta­ma­æ­ sa­tya­æ­ ya­tra­­ ki­ñci­nna­­ jå­ya­te­­||­3.48­|| i­tya­dva­i­ta­pra­ka­ra­√a­m

CAP.­ iii­ SULLA­ NON­ DUALiTÀ,­ 3.44-3.48

113

3.44­ -­ Si­ risvegli­ [la­ mente­ svanita]­ nel­ sonno­ profondo;­ ancora,­ si­ pacifichi­ la­ mente­ dispersa­ [tra­ gli­ oggetti,­ecc.];­si­riconosca­[la­mente]­quando­è­colorata­ [dal­ desiderio­ latente],­ ma­ non­ si­ disturbi­ la­ mente­ pacificata. 3.45­ -­ Non­ si­ goda­ la­ felicità­ colà­ [in­ quello­ stato]­ ma­ mediante­ il­ discernimento­ si­ divenga­ privi­ di­ attaccamento.­ Quando­ la­ mente­ tende­ a­ uscire­ [da­ tale­ condizione]­ con­ grande­ zelo­ deve­ essere­ riunificata­ con­ se­ stessa.­ 3.46­-­Quando­la­mente­non­cade­[nel­sonno­profondo]­e­non­si­disperde­più­[tra­gli­oggetti,­ecc.],­quando­ è­ priva­ di­ fluttuazione­ e­ non­ ha­ immagini­ riflesse­ [di­ oggetti,­ ecc.],­ allora­ essa­ si­ risolve­ nel­ Brahman. 3.47­-­[L’åtman]­è­stabilito­in­se­stesso,­pacificato,­ è­estinzione­[di­ogni­dualità],­è­inesprimibile,­suprema­ pienezza,­ non­ nato,­ è­ ciò­ che­ dev’essere­ conosciuto;­ esso­è­definito­[il­fattore­fondante]­di­ogni­conoscenza.­ 3.48­ -­ Nessun­ jıva­ nasce,­ perché­ non­ esiste­ [causa­ di]­ nascita.­ Questa­ è­ la­ suprema­ verità:­ nessuna­ cosa­ viene­ generata.16 Fine dell’Advaita Prakara√a

NOTE­AL­CAPiTOLO­iii 1 3.1­ -­ Se­ la­ realtà­è­ una­ e­ una­ sola,­ allora­ un­ indivi-

duo­che­crei,­con­la­sua­forma mentis, il­dualismo­oppure­ scinda­ la­ realtà,­ lo­ si­ può­ ritenere­ caduto­ sotto­ il­ velo­ dell’annebbiamento.­ il­ problema­ della­ kårikå­ è­ soprattutto­ filosofico:­ vi­ sono­alcuni­che­considerano­il­Creatore­e­la­creatura­due­ enti­ distinti­ e­ separati­ che­ mai­ potranno­ ricongiungersi;­ considerano­ la­ creatura­ dipendente­ dal­ Creatore,­ al­ quale­ essa­ deve­ rendere­ culto­ e­ conto­ delle­ proprie­ azioni;­ con­siderano­ Brahman, la­ realtà­ suprema,­ eternamente­ di­ là­ dal­ tempo,­ spazio,­ causa,­ caduto­ nel­ tempo-spaziocausa;­ in­ altri­ termini,­ considerano­ il­ Non-nato­ caduto­ nella­ generazione. Âa§kara­ commenta:­ «UpåsanåŸrita¢­ significa­ adoratore­ che­ ricorre­ a­ upåsanå,­ cioè­ a­ esercizi­ devozionali­ quali­ mezzi­ per­ la­ sua­ liberazione.­ Ecco­ la­ convinzione­ [di­ tale­ adoratore]:­ “io­ sono­ un­ adoratore­ e­ Brahman­ è­ l’oggetto­della­mia­adorazione.­Per­quanto­io­sussista­nel­ Brahman­ condizionato,­ per­ mezzo­ della­ mia­ adorazione­ raggiungerò,­ dopo­ la­ morte­ del­ mio­ corpo,­ il­ Brahman incondizionato.­ Prima­ della­ manifestazione­ la­ totalità,­ compreso­ me­ stesso,­ non­ era­ che­ il­ Brahman­ non­ nato.­ Quindi­per­mezzo­dei­miei­esercizi­devozionali­ritornerò­ ciò­ che­ ero­ prima­ della­ mia­ nascita,­ per­ quanto­ adesso­ mi­ trovi­ nel­ Brahman­ condizionato”».1 in­questo­terzo­Capitolo­Gauƒapåda­affronta­il­pro­blema­ metafisico­ della­ non­ generazione­ del­ Brahman e­ scrive:­ 1­ Cfr. Må√ƒ¥kya Upani≤ad con­ le­ kårikå di­ Gauƒapåda­ e­ il­ commento­ di­ Âa§kara.­ Op.­ cit.­

NOTE AL CAPITOLO III

115

«[Ascoltate]­ come,­ in­ nessun­ modo,­ nulla­ nasca,­ per­ quanto­ sembri­ nascere».1 2 3.9­ -­ Com’è­ che­ l’åtman, per­ quanto­ non­ “caduto”,­ sembra­ esser­ caduto­ nella­ schiavitù­ o­ nella­ generazione? Com’è­ che­ Brahman, per­ quanto­ non­ nato,­ sembra­ esser­ nato? Nascita­ implica­ cambiamento­ di­ stato,­ di­ natura;­ sottintende­ movimento­ e­ dualità. L’etere­ contenuto­ in­ una­ brocca­ può­ considerarsi­ diverso­ dall’etere­ che­ si­ trova­ fuori­ della­ brocca? E­ per­ quanto­ la­ brocca­ possa­ subire­ eventuali­ modificazioni,­in­che­modo­l’etere,­che­sta­dentro­di­essa,­potrà­ esserne­condizionato?­Si­può­chiedere­adesso:­come­nasce­ la­ brocca­ o,­ nel­ nostro­ caso,­ come­ sono­ prodotti­ i­ vari­ “aggregati”,­quali­il­corpo­fisico,­quello­del­manas,­ecc.? Âa§kara­commenta:­«Gli­aggregati­corporei,­ecc.,­analoghi­ alle­ brocche­ di­ cui­ si­ parla­ nel­ testo,­ sono­ prodotti­ dalla­prakÿti sospinta­dal­rajas­alla­stregua­dei­corpi­che­ noi­ percepiamo­ nel­ sogno­ o­ come­ quelli­ proiettati­ dal­ mago.­ in­altri­termini,­questi­[corpi,­ecc.]­non­ sono­reali­ [dal­ punto­ di­ vista­ della­ verità­ ultima]». La­ brocca­ o­ il­ corpo­ (fisico,­ mentale,­ ecc.)­ sono­ elementi­che­appaiono­e­scompaiono­perché­dalla­prospettiva­ dell’Uno­ essi­ non­ sono,­ cioè­ non­ hanno­ aseità. Mediante­ la­ måyå­ le­ idee­ del­ sognatore­ vengono­ “animate”,­ vengono­ proiettate­ sul­ proprio­ schermo­ sì­ da­ “apparire”­ personaggi­ coscienti­ e­ in­ movimento.­ Però­ questi­ personaggi­ o­ corpi­ animati,­ non­ avendo­ una­ loro­ realtà­intrinseca,­non­possono­considerarsi­né­nati­(venuti­ all’esistenza­ reale),­ né­ aventi­ in­ sé­ una­ mèta­ finalizzata.­ Ciò­ che­ “appare”­ è­ una­ rappresentazione­ grafica­ di­ un­ ente­ il­ quale­ sta­ dietro­ l’apparire­ e­ lo­ scomparire.

1­ Må.

Kå.­ 3. 2.­

116

MÅ÷‡ÎkyAkÅrikÅ.­ iii.­ ADVAiTA­ PrAkArA÷A

Voler­assimilare­Brahman al­mondo­delle­ombre­e­dei­ fenomeni­non­è­conforme­a­ragione.­L’etere­è­all’interno­ del­ vaso,­ ma­ è­ il­ vaso­ a­ costituire­ il­ fenomeno,­ «...­così­ il­ jıva­ non­ è­ né­ una­ modificazione,­ né­ una­ parte­ dell’åtman»­ (3.7);­ perché­ il­ jıva­ non­ è­ altro­ che­ l’åtman,­ non­ una­ modificazione­ o­ trasformazione.­ 3 3.11­-­Gli­aggregati­sono­particolari­impressioni­mo-

dali­o­momenti­dialettici­dell’ente­e,­mentre­essi­possono­ esserci­o­non­esserci,­l’ente­è­sempre­costante.­Dunque,­tutto­ è­Brahman­perché­senza­di­Esso­nessuna­cosa­può­venire­ all’esistenza, ma­non­tutto­è­Brahman­perché­Brahman­non­ è­la­prakÿti,­non­è­le­forme­che­vanno­e­vengono. Ciò­che­la­kårikå vuole­mettere­in­evidenza­è­che­questi­ aggregati­non­hanno­vita­propria,­non­sono­aseità,­per­cui­ non­v’è­dualità,­né­hanno­una­nascita­reale;­gli­aggregati­ appartengono­ alla­ natura­ dei­ fenomeni,­ e­ questi­ possono­ avere­la­loro­ragion­d’essere­perché­c’è­quel­Fondamento­ che­ gli­ dà­ la­ possibilità­ di­ apparire­ e­ scomparire 4 3.13­

-­ Se­ l’etere­ esterno­ al­ vaso­ è­ Brahman­ di­ là­ dal­ nome,­ dalla­ forma,­ dal­ tempo,­ dallo­ spazio­ e­ dalla­ causa,­ l’etere­ rac­chiuso­ nel­ vaso­ è­ l’åtman. Ma­ l’etere­ entro­ il­ vaso­ e­ quello­ fuori­ del­ vaso­ sono­ identici,­ appartengono­ alla­ stessa­ natura,­ e­ poiché­ il­ vaso­ non­ è­ distinto­dall’åtman,­perché­ogni­appa­renza­viene­integrata­ nell’åtman-Brahman,­ non­ si­ potrà­ parlare­ di­ dualità­ o­ di­ realtà­ molteplici.­ “So ’ham:­ io­ [sono]­ Quello”. 5 3.16­

-­ i­ testi­ vedici,­ per­ la­ loro­ particolare­ natura,­ trattano­ della­ dualità,­ dell’Unità­ e­ della­ Non­ dualità,­ ma­ ciò­vien­fatto­per­sopperire­alle­varie­mentalità­e­capacità­ ricettive­degli­enti.­Non­v’è,­dunque,­contraddizione,­ma­ comprensione­ verso­ coloro­ che,­ ancora­ sotto­ l’imperio­ del­l’avidyå, non­ riescono­ a­ innalzarsi­ fino­ al­ punto­ più­ alto­ dell’insegnamento­ (paravidyå).

NOTE AL CAPITOLO III

117

«A­ lui­ egli­ allora­ rispose:­ “Due­ sono­ le­ conoscenze­ che­ devono­ essere­ realizzate;­ così,­ invero,­ è­ ciò­ che­ i­ conoscitori­ del­ Brahman­ affermano­ da­ sempre:­ la­ suprema­ e­ la­ non­ suprema”».1 Un­ bambino­ nella­ sua­ insicurezza­ abbisogna­ dei­ sostegni­ materno­ e­ paterno;­ un­ giovane­ si­ autogoverna­ e­ intravede­ il­ mondo­ circostante­ come­ una­ realtà­ a­ cui­ è­ legato­ e­ a­ cui­ partecipa­ a­ pieno­ diritto;­ un­ ente­ maturo,­ cadutegli­tutte­le­illusioni,­comprende­che­il­mondo­circostante­è­un­fenomeno­che­appare­sul­grande­palcoscenico­ della­vita­e­scompare­inesorabilmente.­D’altra­parte,­ogni­ ente,­essendo­åtman­immortale,­prima­o­poi­deve­rientrare­ in­ se­ stesso­ per­ scoprirsi­ Brahman-åtman. 6 3.17­-­Ogni­differenziazione­conoscitiva­porta­alla­con­-

trad­dizione­perché­promossa­dal­soggetto-oggetto­empirico. Âa§kara­commenta:­«Come­i­diversi­organi­di­un­ente:­ mani,­ piedi,­ ecc.,­ non­ sono­ in­ conflitto­ gli­ uni­ con­ gli­ altri,­ così­ è­ la­ nostra­ visione­ conforme­ ai­ Veda; cioè­ il­ riconoscimento­dell’unità­dell’åtman­in­tutti­gli­esseri­non­ entra­in­conflitto­con­le­teorie­distintive­le­quali,­invece,­ si­ contraddicono­ reciprocamente». L’alienazione,­ a­ tutti­ i­ livelli,­ è­ il­ frutto­ di­ una­ concezione­ dualistica­ della­ realtà. 7 3.18­ -­ Se­ tutti­ i­ punti­ di­ vista­ si­ risolvono­ nell’Uno-

senza-secondo,­ si­ può­ riconoscere­ che­ la­ via­ metafisica­ (asparŸavåda) non­si­oppone­ad­alcuno,­mentre­le­filosofie­ e­ le­ religioni,­ che­ poggiano­ la­ loro­ convinzione­ sulla­ dualità­ della­ vita,­ sono­ relativiste­ ed­ esclusiviste. Una­visione­metafisica­della­vita­riconduce­ogni­co­­sa­ al­ Principio­ unico,­ impersonale,­ indivisibile,­ onnicomprensivo. 1­ Mu.­ i. i.

4.­

118

MÅ÷‡ÎkyAkÅrikÅ.­ iii.­ ADVAiTA­ PrAkArA÷A 8 3.22­-­il­Maestro­Gauƒapåda,­in­questi­ultimi­aforismi,­

è­ di­ una­ profonda­ chiarezza­ filosofica. Sono­delle­formulazioni,­queste,­che­possono­ac­co­starsi­ benissimo­ a­ quelle­ dei­ più­ grandi­ filosofi­ occidentali. il­mortale­è­movimento­e­divenire,­l’immortale­è­permanente­ e­ costante. Se­ l’universo­ è­ movimento­ e­ fenomeno,­ si­ potrà­ mai­ equiparare­ con­ la­ Costante­ o­ l’immortale? Che­cosa­c’è­da­cambiare­in­un­mondo­che­è­già­cambiamento?­ in­ un­ mondo­ nel­ quale­ non­ si­ fa­ in­ tempo­ a­ definire­ che­ già­ il­ definito­ è­ costretto­ a­ sparire? Che­ cosa­ c’è­ da­ stabilire­ ed­ eternare­ in­ un­ mondo­ il­ cui­ destino­ è­ quello­ di­ apparire­ e­ scomparire? 9 3.23­

-­ L’Essere­ è­ e­ non­ diviene,­ essendo­ fuori­ del­ tempo-spazio-causa,­ per­ cui­ non­ può­ nascere;­ la­ nascita­ può­concepirsi­in­riferimento­a­qualcosa­che­ha­una­causa,­ di­ qui­ lo­ stato­ ontologico­ in­ quanto­ causa­ principiale­ da­ cui­ si­ esteriorizza­ la­ manifestazione;­ sarebbe­ lo­ stato­ di­ ÙŸvara,­o­quello­del­“Mondo­delle­idee”­di­Platone­o­del­ Noûs­ di­ Plotino. Sotto­ la­ prospettiva­ metafisica­ non­ sarebbe­ neanche­ esatto­ parlare­ di­ nascita­ perché­ gli­ archetipi­ ontologici­ non­ nascono,­ essendo­ già­ esistenti,­ ma­ si­ sviluppano,­ si­ esteriorizzano­sotto­la­spinta­del­gu√a rajas­(vedi­Maitry Upani≤ad­ iii.­5)­ portandosi­ in­ oggettività. i­ testi­ vedici­ dichiarano­ infatti:­ «È­luminoso­perché,­invero,­il­Puru≤a­è­senza­forma.­È­ insieme­sia­all’esterno­sia­all’interno­[di­tutto]­perché,­ invero,­ è­ senza­ nascita».1 10 3.24­

-­ Âa§kara­ commenta:­ «Se­ la­ creazione­ fosse­ reale,­ la­ molteplicità­ dovrebbe­ essere­ altrettanto­ reale­ e­ 1­ Mu.­ ii. i.

2.­

NOTE AL CAPITOLO III

119

non­ci­dovrebbe­essere­alcun­testo­per­dimostrare­la­loro­ irrealtà.­ Ma,­ in­ effetti­ vi­ è­ un­ testo­ che­ afferma:­ “... qui­ [in­ Quello]­ non­ esiste­ alcuna­ molteplicità...­ Va­ di­ morte­ in­ morte­ colui­ il­ quale­ qui­ vede­ solo­ molteplicità”».1 Quindi,­ «...­solo­ quello­ che­ è­ accertato­ dalla­ Âruti,­ e­ so­stenuto­ dalla­ ragione,­ costituisce­ [il­ vero­ significato­ della­ Âruti­ stessa],­ e­ niente­ altro»­ (3.23). in­altri­termini,­per­un­eventuale­ultimo­giudizio­occorre­ rifarsi­ alla­ Conoscenza­ superiore­ (paravidyå). Una­manifestazione­molteplice­comporterebbe­che­tutti­ gli­ enti­ esistenziali­ dovrebbero­ trovarsi­ tra­ loro­ distinti,­ separati­ e­ anche­ assoluti. Ora,­ mentre­ l’assoluto­ è­ un­ compiuto­ in­ se­ stesso,­ si­ ha­ invece­ l’evidenza­ di­ enti­ formali­ relativamente­ manchevoli;­ d’altra­ parte,­ se­ la­ distinzione­ o­ separazione­ degli­ enti­ fosse­ assoluta,­ in­ che­ modo­ si­ potrebbe­ avere­ tra­ loro­ la­ comunicazione? Se­la­molteplicità,­o­dualità,­fosse­assoluta,­l’igno­ranza­ e­ la­ conoscenza,­il­ bene­ e­ il­ male,­ e­ tutte­ le­ altre­ dualità­ non­potrebbero­essere­mai­risolte,­e­inane­sarebbe­lo­stesso­ sforzo­ dell’uomo­ di­ lottare­ per­ la­ propria­ emancipazione­ e­ per­ un­ mondo­ migliore. Da­ quanto­ sopra­ si­ conclude­ che­ la­ “creazione”­ non­ è­ altro­ che­ semplice­ apparenza­ per­ cui­ occorre­ porsi­ sul­ piano­ della­ realtà­ suprema,­ cioè­ del­ Non-nato­ (ajåta)­ il­ quale­rappresenta­la­Causa­fondante.­Vedi­nota­seguente.­ 11 3.25­ -­ «Quale­ necessità­ lo­ avrebbe­ mai­ costretto­ a­

na­scere,­ prima­ o­ dopo,­ se­ non­ deriva­ da­ alcuno?».2 «Questo­ essere­ non­ nasce­ né­ muore,­ non­ venne­ a­ essere­ da­ alcunché,­ né­ alcuno­ [venne­ a­ essere­ da­ Lui].­ 1­ Ka.­ ii. i.11.­ 2­Parmenide,

Sull’Ordinamento della Natura,­fr.­8.­9-10.­Op.­cit.

120

MÅ÷‡ÎkyAkÅrikÅ.­ iii.­ ADVAiTA­ PrAkArA÷A

È­non­nato,­eterno,­sempre­uguale­e­antico;­non­viene­ distrutto­ quando­ il­ corpo­ viene­ distrutto».1 «Entrano­ in­ una­ oscurità­ ancora­ più­ profonda­ coloro­ i­ quali­ sono­ devoti­ alla­ produzione».2 12 3.26­

-­ La­ realtà,­ se­ è­ Unità­ senza­ secondo,­ non­ po­­trà­ mai­ essere­ afferrata­ da­ una­ mente­ che­ operi­ sul­ piano­ del­ secondo,­ quindi­ della­ dualità.­ Si­ vedano­ più­ oltre­ le­ kårikå­ 36-37.­ La­ mente­ può­ percepire­ e­ interpretare­ solo­ fenomeni,­ mai­ il­ noumeno;­ la­ mente,­ per­ sua­ natura,­ opera­ con­ le­ categorie­ del­ soggetto­ e­ dell’oggetto;­ la­ mente­ pone­ sempre­ di­ fronte­ a­ sé­ tutti­ i­ possibili­ dati,­ ma­ la­ realtà­ senza­ secondo­ non­ può­ essere­ posta­ di­ fronte­ a­ nessuno;­ la­realtà­non­è­oggetto­di­dimostrazione­concettuale,­ma­ di­ attuazione­ metafisica. Sotto­questa­prospettiva­si­può­comprendere­il­limite­e­ l’ingenuità­ della­ filosofia­ dianoetica­ in­ genere­ che­ vuole­ dimostrare­ “razionalmente”­ l’ultima­ verità­ o­ la­ realtà­ suprema. L’agnosticismo­positivistico­è­conseguenza­di­una­errata­ premessa.­ il­ non­ giusto­ accostamento­ dialettico­ alla­ realtà­ ha­ portato­ questa­ corrente­ di­ pensiero­ a­ disconoscere­e­rifiutare­la­realtà­più­profonda­e­significativa­del­ proprio­ essere. Disconosciuta­la­linea­verticale­e­la­stessa­metafi­sica,­ la­direzione­non­poteva­essere­che­verso­la­con­quista­del­ mondo­fenomenico­e­meccanico,­portando­così­l’individuo­ a­ una­ completa­ metallizzazione­ e­ alienazione. Seguendo­ questa­ linea­ di­ pensiero­ si­ può­ arrivare­ a­ questo­assurdo:­io­esisto­in­quanto­mi­penso,­la­mia­realtà­ 1­ Ka.­ i. ii. 18.­

2­ ÙŸa.­ 12.­ Per­ questo­ passo­ cfr.­ anche­ ÙŸa Upani≤ad­ con­ il­ commento­ di­ Âa§kara.­ Collezione­ Vidyå.

NOTE AL CAPITOLO III

121

di­essere­dipende­dal­pensarmi­come­tale;­così,­il­Grande­ Artefice­ creatore­ dei­ mondi­ esiste­ perché­ lo­ penso,­ lo­ affermo;­se­non­potessi­pensarlo­Egli­non­potrebbe­esistere. 13 3.28­

-­ Affermare­ la­ nascita­ dell’esistente­ è­ contro­ ra­gione,­affermare­la­nascita­dell’inesistente­è­un­assurdo. il­ già­ esistente­ non­ ha­ necessità­ di­ nascere,­ e­ l’inesistente­ è­ impossibile­ che­ possa­ nascere. È­ bene­ dunque­ meditare­ attentamente­ l’ajåtivåda­ per­ evitare­ di­ cadere­ in­ errori­ in­ cui­ sono­ cadute,­ purtroppo,­ anche­ alcune­ correnti­ di­ pensiero­ le­ quali­ sono­ propense­ a­ credere­ che­ l’ajåtivåda­ abbia­ liquidato­ il­ mondo­ considerandolo­ semplice­ “illusione”.­ Dalla­prospettiva­dell’ajåtivåda­si­distinguono­due­fattori:­quello­gnoseologico­che­risponde­a­opinione,­igno­ranza­ metafisica,­ conoscenza­ che­ appare­ e­ scompare,­ prodigio,­ come­ la­ proiezione­ del­ mago­ che­ sfugge­ a­ ogni­ tipo­ di­ discriminazione­ (si­ veda­ Vivekac¥ƒåma√i,­ Ÿloka­ 109);­ quello­che­riguarda­la­manifestazione­formale,­o­fenomeno,­ risponde­alla­prakÿti,­la­sostanza­che­crea­le­forme.­ E­ sotto­ quest’ultimo­ fattore­ l’universo­ non­ è,­ dicono­ in­ modo­ inequivocabile­ Gau­ƒapåda­ e­ Âa§kara,­ come­ “il­ figlio­di­una­donna­sterile­o­le­corna­di­una­lepre”;­non­è,­ dunque,­ un­ niente,­ un­ non­ esistente.­ Quando­ l’ente­ vede­ il­ “serpente”,­ o­ la­ manifestazione,­ vuol­ dire­ che­ senza­ dubbio­ qualcosa­ percepisce;­ ma­ che­ cosa­ percepisce?­ Ecco­ il­ punto­ cruciale­ della­ problematica­ dell’ajåtivåda.­ Percepisce­ vera­mente­ la­ Verità­ suprema,­ la­ realtà­ senza­ secondo?­ O­ percepisce­ un­ semplice­ fenomeno?­ E­ se­ percepisce­solo­un­fenomeno,­questo,­non­essendo­aseità,­ deve­ sottintendere­ il­ noumeno.­ 14 3.38­-­Come­nel­sogno­(che­non­è­semplice­illusione,­

co­me­ s’intende­ questo­ termine­ in­ Occidente)­ la­ mente,­ pur­ essendo­ una­ e­ indivisa,­ è­ capace­ di­ “proiettare”­ sul­

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MÅ÷‡ÎkyAkÅrikÅ.­ iii.­ ADVAiTA­ PrAkArA÷A

suo­stesso­schermo­illimitate­costellazioni­oggettuali­sì­da­ far­ apparire­ la­ molteplicità­ delle­ cose,­ allo­ stesso­ modo­ la­ grande­ Mente­ universale­ (Mahat) “proietta”­ sul­ suo­ immenso­ schermo­ interi­ universi­ che­ appaiono­ ai­ nostri­ occhi­ora­come­serpente,­ora­come­ghirlanda,­filo­d’acqua,­ ecc.­ secondo­ l’interpretazione­ dei­ vari­ enti. 15 3.40­

-­ L’asparŸayoga­ è­ lo­ yoga metafisico­ puro­ e­ molti­ aspiranti­ yogi ne­ hanno­ timore­ perché,­ attaccati­ ancora­ all’individualità­ o­ al­ serpente­ fenomenico,­ predomina­ in­ loro­ l’istinto­ di­ conservazione­ di­ sé.­ La­vera­morte­avviene­non­quando­il­corpo­fisico­ab­bandona­l’ente,­ma­quando­il­jıva,­che­è­eterno­1­e­risplendente­di­per­sé,­distacca­il­suo­riflesso­di­consa­pevolezza­ dal­corpo. 16 3.48­-­il­jıva­è­della­natura­dell’åtman­e,­quindi,­del­

Brahman­supremo.­Un­raggio­di­sole­non­nasce­né­muore,­ esso­è­della­stessa­natura­del­sole­e­in­esso­si­rein­te­gra.2 «… l’anima,­quando­si­sia­infiammata­d’amore­per­Lui­ [l’Uno],­ si­ spoglia­ di­ qualsiasi­ forma­ che­ possieda,­ persino­ di­ quella­ intelligibile­ che­ sia­ in­ essa:­ poiché­ chi­abbia­altro­interesse­e­si­dedichi­ad­esso,­non­può­ né­ guardare­ a­ Lui­ né­ accordarsi­ con­ Lui.­ L’anima­ per­ accoglierlo­ da­ solo­ a­ solo,­ non­ deve­ avere­ nulla­ per­ sé­ né­ di­ bene­ né­ di­ male…­ allora­ essa­ lo­ vede­ apparire­ improvvisamente­­ in­ ­sé;­ nulla­ c’è­ ormai­ tra­ l’anima­e­il­Bene,­essi­non­sono­più­due­ma­una­cosa­ sola;­ e­ nemmeno­ potresti­ distinguerli­ finché­ Egli­ è­ presente...».3 1­ Cfr.­ Bra.

S¥.­ ii.­ iii. 17.­

2­ Cfr.­ Pra.­ Vi. 5;­ Ka.­ ii. i. 5;­ Bra.

S¥.­ iV. iV. 4. Enneadi­ Vi. 7, 34,­ a­ cura­ di­ Giuseppe­ Faggin­ con­ il­ greco­ a­ fronte.­ Presentazione­ di­ G.­ reale.­ Bompiani,­ Milano. 3­ Plotino,­

NOTE AL CAPITOLO III

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Questo­passo­di­Plotino­–­stupendo,­elevato,­di­grande­ conforto­ e­ che­ trasmette­ la­ forza­ e­ lo­ sprone­ al­ risveglio­ di­ciò­che­realmente­si­è­–­indica­l’identità­dell’anima­con­ l’Uno­ metafisico­ il­ quale­ trascende­ lo­ stesso­ intelligibile­ causale­ (Noûs)­ o­ “Mondo­ delle­ idee”­ di­ Platone. in­termini­advaita,­con­il­mahåvåkya “Tat tvam asi”:­ Tu­(jıva)­sei­l’Uno-senza-secondo,­si­ha­la­stessa­identica­ visione.­ Chi­ha­contemplato,­che­sia­un­contemplante­occidentale­o­orientale,­non­può­non­dire­la­stessa­verità,­a­volte­ con­ l’identica­ concettualizzazione.­ il­ che­ vuol­ dire­ che­ soltanto­ a­ questo­ livello­ può­ dirsi­ che­ vi­ è­ una­ identica­ e­una­sola­Verità-realtà­non­duale;­di­qui,­ancora,­si­può­ parlare­di­Unità­della­Tradizione­che­trascende­le­differenziazioni,­ opposizioni­ e­ affezioni­ di­ ogni­ natura­ e­ grado. Si­ ripetono­ certe­ idee­ perché­ si­ vuole­ mettere­ in­ risalto­ che­ l’Upani≤ad,­ e­ quindi­ le­ note­ annesse,­ è­ un­ preciso­ insegnamento­ che­ va­ meditato­ e­ attualizzato­ per­ cui­ le­ ripetizioni­ hanno­ una­ loro­ validità,­ e­ ciò­ è­ tipico­ dell’insegnamento­ tradizionale.

CAPITOLO IV suLLA esTInzIOne deL TIzzOne ArdenTe

a­thå­lå­ta­Ÿå­nti­pra­ka­ra­√a­m jñå­ne­nå­­ ”kå­Ÿa­ka­lpe­na­­ dha­r må­nyo­ ga­ga­nopa­må­n­ | jñe­yå­bhi­nne­na­­sa­mbu­ddha­sta­æ­va­nde­­dvi­pa­då­æ­va­ra­m­||­4.1­|| a­spa­rŸa­yogo­ va­i­ nå­ma­­ sa­r va­sa­ttva­su­k ho­ hi­ta­¢­ | a­vi­vå­do­ ’vi­r u­ddha­Ÿca­­ de­Ÿi­ta­sta­æ­ na­må­mya­ha­m­||­4.2­|| bh¥ta­sya­­ jå­ti­m i­ccha­nti­­ vå­di­na­¢­ ke­ci­de­va­ hi­ | a­bh¥ta­syå­pa­re­­ dhı­rå­­ vi­va­da­nta­¢­ pa­ra­spa­ra­m­||­4.3­|| bh¥ta­æ­ na­­ jå­ya­te­­ ki­ñci­da­bh¥ta­æ­ na­i­va­­ jå­ya­te­­ | vi­va­da­nto­ ’dva­yå­­ hye­va­ma­jå­ti­æ­ khyå­pa­ya­nti­­ te­­||­4.4­|| khyå­pya­må­nå­ma­jå­ti­æ­ ta­i ­ra­nu­modå­ma­he­­ va­ya­m­ | vi­va­då­mo­ na­­ ta­i­¢­ så­rdha­ma­vi­vå­da­æ­ ni­bodha­ta­­||­4.5­||

Capitolo

sulla estinzione del tizzone ardente

Questo­ quarto­ Capitolo­ può­ considerarsi­ la­ sintesi­ dei­ tre­ capitoli­ precedenti.

4.1­ -­ [A­ colui]­ il­ quale,­ per­ mezzo­ della­ [sua]­ cono­scenza,­simile­allo­ spazio-etere­e­ che­non­differisce­ dall’oggetto­ del­ co­no­scere,­ ha­ compiutamente­ realizzato­ i­ dharma (i jıva)­ pa­ra­gonabili­ al­ cielo­ [infinito],­ m’inchino­ [come]­ al­ migliore­ tra­ gli­ esseri­ dotati­ di­ due­ piedi. 4.2­ -­ Rendo­ omaggio­ a­ quello­ yoga noto­ come­ a­ sparŸa­(senza­contatto­o­relazione),­[fonte­di]­beatitudine­ per­tutti­gli­esseri,­benefico,­esente­da­disputa,­da­contraddizioni­e­insegnato­[dalle­stesse­Scritture].1 4.3­-­Invero,­alcuni­ricercatori­sostengono­la­nasci­ta­ di­ ciò­ che­ è­ già­ esistente, altri­ [sostengono]­ la­ nascita­ di­ciò­che­è­non­esistente,­contrapponendosi­reciprocamente. 4.4­-­Un­dato­che­già­esiste­non­può­rinascere­e­un­ dato­non­esistente­non­può­nascere­affatto.­Disputando­ [in­ tal­ modo],­ in­ effetti­ [dimostrano­ di­ essere]­ non­ dualisti­ (advaita)­ perché­ affermano­ implicitamente­ la­ non­ generazione.­ 4.5­ -­ Noi­ approviamo­ la­ non­ generazione­ [come­ viene]­implicitamente­affermata­da­loro,­e­non­vogliamo­disputare.­Comprendiamo­[invece]­questa­[visione]­ libera­ da­ ogni­ disputa.­

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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ.­ Iv.­ ALåTAÂånTIPrAKArA÷A

a­jå­ta­sya­i­va­­ dha­r ma­sya­­ jå­ti­m i­ccha­nti­­ vå­di­na­¢­ | a­jå­to­ hya­m ÿto­ dha­r mo­ ma­r tya­tå­æ­ ka­tha­me­≤ya­ti­­||­4.6­|| na­­ bha­va­tya­m ÿta­æ­ma­r tya­æ­na­­ ma­r tya­ma­m ÿta­æ­ta­thå­| ­pra­k ÿte­ra­nya­thå­bhå­vo­ na­­ ka­tha­ñci­dbha­vi­≤ya­ti­­||­4.7­|| sva­bhå­ve­nå­m ÿto­ ya­sya­­ dha­r mo­ ga­ccha­ti­­ ma­r tya­tå­m­ | kÿta­ke­nå­m ÿta­sta­sya­­ ka­tha­æ­ sthå­sya­ti­­ ni­Ÿca­la­¢­||­4.8­|| så­æsi­ddhi­k ı­­ svå­bhå­vi­k ı­­ sa­ha­jå­­ a­k ÿtå­­ ca­­ yå­­ | pra­k ÿti­¢­ se­ti­­ vi­jñe­yå­­ sva­bhå­va­æ­ na­­ ja­hå­ti­­ yå­­||­4.9­|| ja­rå­ma­ra√a­ni­r mu­ktå­¢­ sa­r ve­­ dha­r må­¢­ sva­bhå­va­ta­¢­ | ja­rå­ma­ra­√a­m i­ccha­nta­Ÿcya­va­nte­­ ta­nma­n ı­≤a­yå­­||­4.10­|| kå­ra­√a­æ­ ya­sya­­ va­i­ kå­r ya­æ­ kå­ra­√a­æ­ ta­sya­­ jå­ya­te­­ | jå­ya­må­na­æ­ka­tha­ma­ja­æ­bhi­nna­æ­ni­tya­æ­ka­tha­æ­ca­­ta­t­||­4.11­|| kå­ra­√å­dya­dya­na­nya­tva­æ­ ta­ta­¢­ kå­r ya­ma­ja­æ­ ya­di­­ | jå­yå­må­nå­ddhi­­va­i­kå­ryå­tkå­ra­√a­æ­te­­ka­tha­æ­dhru­va­m­||­4.12­||

CAp.­ Iv­ SULLA­ ESTINZIONE­ DEL­ TIZZONE­ ARDENTE,­ 4.6-4.12

129

4.6­ -­ I­ disputanti­ sostengono­ la­ nascita­ per­sino­ di­ un­ ente­ non­ nato,­ ma,­ invero,­ come­ può­ un­ ente­ non­ nato­ e­ immortale­ divenire­ mortale­? 4.7­ -­ L’immortale­ non­ può­ divenire­ mortale,­ né,­ pa­rimenti,­ il­ mortale­ [divenire]­ immortale.­ Un­ cambiamento­ di­ natura­ non­ potrà­ avvenire­ in­ alcun­ modo.­ 4.8­ -­ Colui­ il­ quale­ crede­ che­ un­ ente­ di­ natura­ immortale­ possa­ divenire­ mortale,­ come­ può­ [a­ un­ tempo­sostenere]­che­l’immortale,­in­quanto­nato,­possa­ conservare­ ancora­ la­ sua­ natura­ immortale? 4.9­-­La­[vera]­natura­[di­un­ente]­è­quella­acquisita­ per­sempre,­che­è­intrinseca,­innata­e­non­prodotta,­ciò­ che­ non­ perde­ la­ propria­ essenza­ [immutabile];­ così­ dev’essere­ compresa.2 4.10­ -­ Tutti­ i­ dharma (jıva)­ sono­ per­ loro­ natura­ perfettamente­liberi­da­vecchiaia­e­morte.­Immaginando­ la­ vecchiaia­ e­ la­ morte­ e­ identificandosi­ con­ simili­ immaginazioni­[erronee]­decadono,­allontanandosi­dal­la­ loro­ natura­ [immortale]. 4.11­ -­ Se­ la­ stessa­ causa­ non­ è­ altro­ che­ l’effetto­ allora­si­sostiene­che­la­causa­nasce­[in­quanto­effetto].­ Ma­se­viene­a­nascere,­come­può­essere­senza­nascita?­ E­ come­ può­ essere­ permanente­ (nitya)­ quando­ viene­ a­ dissolversi? 4.12­-­Se­[l’effetto]­non­è­differente­dalla­causa­[Såæ­ khya],­l’effetto­[dev’essere]­senza­nascita.­E­se­l’effetto­ nasce,­come­può­la­stessa­causa­essere­eterna?

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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ.­ Iv.­ ALåTAÂånTIPrAKArA÷A

a­jå­dva­i­ jå­ya­te­­ ya­sya­­ dÿ≤†å­nta­sta­sya­­ nå­sti­­ va­i­ | jå­tå­cca­­ jå­ya­må­na­sya­­ na­­ vya­va­sthå­­ pra­sa­jya­te­­||­4.13­|| he­torå­di­¢­ pha­la­æ­ ye­≤å­må­di­rhe­tu­¢­ pha­la­sya­­ ca­ | he­to¢­ pha­la­sya­­ cå­nå­di­¢­ ka­tha­æ­ ta­i ­r u­pa­va­r √ya­te­­||­4.14­|| he­torå­di­¢­ pha­la­æ­ ye­≤å­må­di­rhe­tu­¢­ pha­la­sya­­ ca­ | ta­thå­­ ja­nma­­ bha­ve­tte­≤å­m­pu­trå­jja­nma­­ pi­tu­r ya­thå­­||­4.15­|| sa­æbha­ve­­ he­tu­pha­la­yore­≤i­ta­vya­¢­ kra­ma­stva­yå­­ | yu­ga­pa­tsa­mbha­ve­­ ya­små­da­sa­mba­ndho­vi­≤å­√a­va­t­||­4.16­|| pha­lå­du­tpa­dya­må­na­¢­ sa­nna­­ te­­ he­tu­¢­ pra­si­dhya­ti­ | a­pra­si­ddha­¢­ka­tha­æ­­he­tu­¢­­pha­la­mu­tpå­da­yi­­≤ya­ti­­||­4.17­|| ya­di­­ he­to¢­ pha­lå­tsi­ddhi­¢­ pha­la­si­ddhi­Ÿca­­ he­tu­ta­¢­ | ka­ta­ra­tp¥rva­ni­≤pa­nna­æ­ ya­sya­­ si­ddhi­ra­pe­k≤a­yå­­||­4.18­|| a­Ÿa­kti­ra­pa­r i­jñå­na­æ­ kra­ma­kopo­ ’tha­­ vå­­ pu­na­¢­ | e­va­æ­ hi­­ sa­r va­thå­­ bu­ddha­i ­ra­jå­ti­¢­ pa­r i­dı­pitå­­||­4.19­||

CAp.­ Iv­ SULLA­ ESTINZIONE­ DEL­ TIZZONE­ ARDENTE,­ 4.13-4.19

131

4.13­ -­ Invero,­ non­ vi­ è­ una­ soluzione­ valida­ se­ [si­ ammette­ che]­ l’effetto­ viene­ a­ nascere­ da­ una­ [causa]­ non­ nata;­ se­ poi­ si­ [ammette]­ che­ l’effetto­ è­ nato­ da­ una­ causa­ che­ è­ già­ nata,­ non­ si­ perviene­ ad­ alcuna­ stabile­ soluzione. 4.14­ -­ Come­ può­ l’assenza­ d’inizio­ (anådi)­ essere­ dichiarata,­ nei­ riguardi­ della­ causa­ e­ dell’effetto,­ da­ coloro­ per­ i­ quali­ l’effetto­ è­ l’origine­ della­ causa­ e­ la­ causa­ è­ l’origine­ dell’effetto?­ 4.15­ -­ Coloro­ per­ i­ quali­ l’effetto­ è­ l’origine­ della­ causa­ e­ la­ causa­ è­ l’origine­ dell’effetto­ [dichiarano]­ similmente­ la­ nascita­ di­ un­ padre­ dal­ figlio. 4.16­ -­ Se­ vi­ è­ la­ possibilità­ di­ origine­ della­ causa­ e­ dell’effetto­ occorre­ ricercare­ l’ordine­ di­ successione­ perché­ se­ la­ [loro]­ origine­ è­ simultanea,­ [allora]­ non­ vi­ è­ [tra­ loro]­ una­ relazione­ [causale],­ come­ nel­ caso­ delle­ corna­ [di­ un­ bovino].­ 4.17­ -­ venendo­ a­ sorgere­ dall’effetto,­ la­ causa­ non­ può­ essere­ stabilita.­ E­ una­ causa­ che­ non­ è­ stabilita­ [venuta­ all’esistenza]­ non­ può­ produrre­ un­ risultato.­ 4.18­-­Se­l’esistenza­della­causa­dipende­dall’effetto­ e­l’esistenza­dell’effetto­dalla­causa,­[allora]­quale­dei­ due­ [causa­ ed­ effetto]­ è­ nato­ per­ primo­ in­ rapporto­ al­ quale­ si­ abbia­ l’esistenza­ [dell’altro]?­ 4.19­-­L’incapacità­[di­rispondere­a­questa­domanda­ significa]­non­avere­una­conoscenza­completa,­oppure,­ ancora,­ vi­ è­ un’arbitraria­ disposizione­ dell’ordine­ di­ successione.­ Così,­ invero,­ l’assenza­ di­ generazione­ viene­ messa­ in­ evidenza­ dai­ risvegliati.­

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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ.­ Iv.­ ALåTAÂånTIPrAKArA÷A

bıjå­§ ku­rå­k hyo­ dÿ≤†å­nta­¢­ sa­då­­ så­dhya­sa­mo­ hi­­ sa­¢­ | na­­hi­­så­dhya­sa­mo­he­tu­¢­si­ddha­u­så­dhya­sya­­yu­jya­te­­||­4.20­|| p¥rvå­pa­rå­pa­r i­jñå­na­ma­jå­te­¢­ pa­r i­dı­pa­ka­m­ | jå­ya­må­nå­ddhi­­va­i­dha­rmå­tka­tha­æ­p¥rva­æ­na­­gÿhya­te­­||­4.21­|| sva­to­ vå­­ pa­ra­to­ vå­­ ’pi­­ na­­ ki­ñci­dva­stu­­ jå­ya­te­ | sa­da­sa­tsa­da­sa­dvå­­ ’pi­­ na­­ ki­ñci­dva­stu­­ jå­ya­te­­||­4.22­|| he­tu­r na­­ jå­ya­te­­ ’nå­de­¢­ pha­la­æ­ cå­pi­­ sva­bhå­va­ta­¢­ | å­di­r na­­ vi­dya­te­­ ya­sya­­ ta­sya­­ hyå­di­r na­­ vi­dya­te­­||­4.23­|| pra­jña­pte­¢­ sa­ni­m i­tta­tva­ma­nya­thå­­ dva­ya­nå­Ÿa­ta­¢­ | sa­æ kle­Ÿa­syopa­la­bdhe­Ÿca­­ pa­ra­ta­ntrå­sti­tå­­ ma­tå­­||­4.24­|| pra­jña­pte­¢­ sa­ni­m i­tta­tva­m i­≤ya­te­­ yu­kti­da­rŸa­nå­t­ | ni­m i­tta­syå­ni­m i­tta­tva­m i­≤ya­te­­ bh¥ta­da­rŸa­nå­t­||­4.25­||

CAp.­ Iv­ SULLA­ ESTINZIONE­ DEL­ TIZZONE­ ARDENTE,­ 4.20-4.25

133

4.20­-­L’esempio­[del­rapporto]­del­seme­e­del­germoglio­invero­è­da­verificare.­Un­esempio­che­non­ha­ una­prova­valida­non­può­essere­utilizzato­per­stabilire­ ciò­ che­ è­ l’oggetto­ di­ dimostrazione. 4.21­-­La­non­conoscenza­relativa­all’antecedente­e­ al­susseguente­(causa­ed­effetto)­dimostra­l’assenza­di­ generazione­ in­ quanto,­ se­ è­ vero­ che­ un­ ente­ viene­ a­ nascere,­ perché­ non­ si­ conosce­ la­ causa­ antecedente? 4.22­-­Nessun­ente­nasce­da­se­stesso­(svata)­né­da­ qualche­cosa­d’altro.­Nessun­ente­può­nascere­se­[già]­ esisteva;­ oppure­ [non­ v’è­ nascita]­ da­ ciò­ che­ prima­ non­ esisteva,­ né­ [contemporaneamente]­ dall’esistente­ e­ dal­ non­ esi­stente.­ 4.23­ -­ Una­ causa­ non­ nasce­ da­ un­ [effetto]­ che­ è­ senza­ inizio,­ né­ un­ effetto­ nasce­ in­ modo­ autonomo­ [da­ una­ causa­ senza­ inizio]­ perché­ una­ causa­ che­ non­ esiste­[o­che­non­ha­causa]­invero­non­esiste­in­quanto­ principio­ [causale]. 4.24­ -­ [Si­ sostiene­ che]­ l’appercezione­ è­ connessa­ con­ il­ suo­ proprio­ oggetto­ altrimenti­ si­ avrebbe­ l’eliminazione­della­dualità­[soggetto-oggetto].­Da­un’altra­ teoria­ filosofica­ viene­ ammessa­ l’esistenza­ [dei­ dati­ esterni]­ per­ il­ fatto­ che­ si­ percepisce­ la­ sofferenza.­ 4.25­ -­ Dalla­ prospettiva­ della­ ragione­ empirica,­ l’ap­percezione­ deve­ essere­ connessa­ con­ il­ proprio­ oggetto.­Ma­dalla­[prospettiva]­della­Realtà­[suprema]­ la­ causa­ non­ ha­ natura­ di­ causa­ [perché­ è­ di­ là­ dalla­ causa­ e­ dall’effetto].3

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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ.­ Iv.­ ALåTAÂånTIPrAKArA÷A

ci­tta­æ­na­­ sa­æspÿŸa­tya­r tha­æ­nå­r thå­bhå­sa­æ­ta­tha­i­va­­ ca­| a­ ­bh¥to­ hi­­ ya­ta­Ÿcå­r tho­ nå­r thå­bhå­sa­sta­ta­¢­ pÿtha­k­||­4.26­|| ni­m i­tta­æ­ na­­ sa­då­­ ci­tta­æ­ sa­æpÿŸa­tya­dhva­su­­ tri­≤u­­ | a­ni­m i­tto­ vi­pa­r yå­sa­¢­ ka­tha­æ­ ta­sya­­ bha­vi­≤ya­ti­­||­4.27­|| ta­små­nna­­ jå­ya­te­­ ci­tta­æ­ ci­tta­dÿŸya­æ­ na­­ jå­ya­te­ | ta­sya­­pa­Ÿya­nti­­ye­­jå­ti­æ­khe­­va­i­pa­Ÿya­nti­­te­­pa­da­m­||­4.28­|| a­jå­ta­æ­ jå­ya­te­­ ya­små­da­jå­ti­¢­ pra­k ÿti­sta­ta­¢­ | pra­k ÿte­ra­nya­thå­bhå­vo­ na­­ ka­tha­ñci­dbha­vi­≤ya­ti­­||­4.29­|| a­nå­de­ra­nta­va­ttva­æ­ ca­­ sa­æså­ra­sya­­ na­­ se­tsya­ti­ | a­na­nta­tå­­ cå­­ ”di­ma­to­ mok≤a­sya­­ na­­ bha­vi­≤ya­ti­­||­4.30­|| å­då­va­nte­­ ca­­ ya­nnå­sti­­ va­r ta­må­ne­­ ’pi­­ ta­tta­thå­­ | vi­ta­tha­i­¢­ sa­dÿŸå­¢­ sa­nto­ ’vi­ta­thå­­ i­va­­ la­k≤i­tå­¢­||­4.31­||

CAp.­ Iv­ SULLA­ ESTINZIONE­ DEL­ TIZZONE­ ARDENTE,­ 4.26-4.31

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4.26­ -­ La­ mente­ non­ entra­ in­ contatto­ con­ gli­ oggetti­ [esterni],­ così­ pure­ non­ [entra­ in­ contatto]­ con­ le­ ideazioni.­ Infatti,­ un­ oggetto­ [anche­ nella­ veglia]­ non­ ha­ una­ esistenza­ reale­ [assoluta]­ e­ le­ ideazioni­ non­ sono­ distinte­ dalla­ stessa­ mente.4 4.27­ -­ La­ mente­ in­ nessuno­ dei­ tre­ stadi­ temporali­ entra­ in­ contatto­ con­ la­ causa­ [costituita­ dagli­ oggetti­ esterni];­d’altra­parte­non­essendoci­la­causa­come­può­ verificarsi­ una­ falsa­ percezione­ degli­ oggetti?­ [Oltre­ al­ fatto­ che­ viene­ a­ mancare­ una­ relazione­ causale].­ 4.28­ -­ perciò­ la­ mente­ non­ ha­ nascita­ [in­ termini­ reali],­ né­ ha­ nascita­ ciò­ che­ viene­ percepito­ attraverso­ la­ mente­ (dÿŸya =­oggetto­ della­ mente,­ il­ visibile).­ Coloro­ che­ percepiscono­ la­ nascita­ di­ quella­ [mente],­ invero­sono­simili­a­coloro­che­vedono­le­tracce­[degli­ uccelli]­ impresse­ nel­ cielo.5 4.29­-­[Secondo­i­disputanti­dualisti]­ciò­che­è­non­ nato,­ nasce.­ poiché­ l’assenza­ di­ generazione­ è­ la­ sua­ natura­ ne­ consegue­ che­ un­ cambiamento­ di­ natura­ in­ nessun­ modo­ potrà­ avvenire.­ 4.30­-­Inoltre,­se­il­divenire­ciclico­(saæsåra)­fosse­ privo­ di­ inizio­ e­ senza­ termine­ non­ potrebbe­ esserci­ neanche­ liberazione,­ la­ quale­ ha­ un­ inizio­ [dalla­ prospettiva­ del­ jıva].6 4.31­ -­ Ciò­ che­ non­ è­ reale­ all’inizio­ e­ alla­ fine,­ ugual­mente­ [non­ è­ reale]­ ­nell’intermedio.­ per­ quanto­ gli­ ogget­­ti­ (vartamåna =­ciò­ che­ esiste,­ l’esistente)­ [di­­veglia]­siano­della­stessa­natura­(sadÿŸa­=­conforme)­ non­ reale­ [come­ quelli­ di­ sogno],­ tuttavia­ vengono­ con­siderati­ reali.

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sa­pra­yoja­na­tå­­ te­≤å­æ­ sva­pne­­ vi­pra­ti­pa­dya­te­ | ta­små­då­dya­nta­va­ttve­na­­mi­thya­i­va­­kha­lu­­te­­smÿtå­¢­||­4.32­|| sa­r ve­­ dha­r må­­ mÿ≤å­­ sva­pne­­ kå­ya­syå­nta­r ni­da­rŸa­nå­t­ | sa­ævÿte­­’smi­npra­de­Ÿe­­va­i­bh¥tå­nå­æ­da­rŸa­na­æ­ku­ta­¢­||­4.33­|| na­­ yu­kta­æ­ da­rŸa­na­æ­ ga­två­­ kå­la­syå­ni­ya­må­dga­ta­u­ | pra­ti­bu­ddha­Ÿca­­ va­i­ sa­r va­sta­smi­nde­Ÿe­­ na­­ vi­dya­te­­||­4.34­|| mi­trå­dya­i­¢­sa­ha­­sa­æma­ntrya­­sam­bu­ddho­na­­pra­pa­dya­te­| gÿhı­ta­æ­ cå­pi­­ ya­tki­ñci­tpra­ti­bu­ddho­ na­­ pa­Ÿya­ti­­||­4.35­|| sva­pne­­ cå­va­stu­ka­¢­ kå­ya­¢­ pÿtha­ga­nya­sya­­ da­rŸa­nå­t­ | ya­thå­­ kå­ya­sta­thå­­ sa­r va­æ­ ci­tta­dÿŸya­ma­va­stu­ka­m­||­4.36­|| gra­ha­√å­jjå­ga­r i­ta­va­tta­ddhe­tu­¢­ sva­pna­­ i­≤ya­te­ | ta­ddhe­tu­två­ttu­­ ta­sya­i­va­­ sa­jjå­ga­r i­ta­m i­≤ya­te­­||­4.37­||

CAp.­ Iv­ SULLA­ ESTINZIONE­ DEL­ TIZZONE­ ARDENTE,­ 4.32-4.37

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4.32­ -­ La­ loro­ intrinseca­ utilità­ [nella­ esperienza­ di­ veglia]­ viene­ contraddetta­ nel­ sogno.­ perciò,­ essendo­ dotati­ di­ un­ inizio­ e­ di­ una­ fine,­ essi­ sono­ considerati­ giustamente­ non­ reali.­ 4.33­ -­ Tutti­ gli­ enti­ [percepiti]­ nel­ sogno­ sono­ non­ reali­perché­la­loro­percezione­è­all’interno­del­corpo.­ In­ questo­ luogo­ circoscritto,­ invero,­ donde­ potrebbe­ aversi­la­percezione­degli­enti­[esterni]­al­percipiente­? 4.34­ -­ Non­ è­ ragionevole­ esperire­ [vicende­ di­ sogno]­ recandosi­ [in­ quel­ luogo]­ per­ la­ incompatibilità­ di­ tempo.­ Una­ volta­ che­ si­ è­ destati­ non­ ci­ si­ trova­ in­ quel­ luogo­ di­ sogno.­ 4.35­ -­ Di­ una­ discussione­ con­ amici­ e­ altri­ [in­ sogno,­ il­ dormiente]­ destandosi­ non­ ottiene­ conferma;­ e­ qualsiasi­cosa­abbia­acquistato­[in­sogno]­non­la­trova­ nello­ stato­ di­ veglia. 4.36­-­Inoltre,­nel­sogno­il­corpo­non­possiede­realtà­ per­ via­ di­ un­ altro­ corpo­ [quello­ di­ veglia]­ visto­ separatamente­[da­ quello].­Come­il­ corpo­[nel­sogno],­ così­ tutto­ ciò­ che­ viene­ percepito­ mediante­ la­ mente­ non­ possiede­ realtà­ [assoluta].­ 4.37­ -­ per­ via­ della­ esperienza­ [del­ sogno]­ analoga­ a­ quella­ di­ veglia­ [di­ soggetto-oggetto],­ si­ sostiene­ che­ il­ sogno­ è­ l’effetto­ dello­ stato­ di­ veglia.­ però­ si­ considera­reale­lo­stato­di­veglia­solo­da­colui­che­[da­ questa­ posizione]­ giudica­ l’essere­ sognante.

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u­tpå­da­syå­pra­si­ddha­två­da­ja­æ­ sa­r va­mu­då­h ÿta­m­ | na­­ca­­bh¥tå­da­bh¥ta­sya­­sa­æbha­vo­’sti­­ka­tha­ñca­na­­||­4.38­|| a­sa­jjå­ga­r i­te­­ dÿ≤†vå­­ sva­pne­­ pa­Ÿya­ti­­ ta­nma­ya­¢­ | a­sa­tsva­pne­­ ’pi­­ dÿ≤†vå­­ ca­­ pra­ti­bu­ddho­ na­­ pa­Ÿya­ti­­||­4.39­|| nå­stya­sa­ddhe­tu­ka­ma­sa­tsa­da­sa­ddhe­tu­ka­æ­ ta­thå­ | sa­cca­­ sa­ddhe­tu­ka­æ­nå­sti­­ sa­ddhe­tu­ka­ma­sa­tku­ta­¢­||­4.40­|| vi­pa­r yå­så­dya­thå­­ jå­gra­da­ci­ntyå­nbh¥ta­va­tspÿŸe­t­ | ta­thå­­sva­pne­­vi­pa­ryå­så­ddha­rmå­æsta­tra­i­va­­pa­Ÿya­ti­­||­4.41­|| u­pa­la­mbhå­tsa­må­cå­rå­da­sti­va­stu­tva­vå­di­nå­m­ | jå­ti­stu­­ de­Ÿi­tå­­ bhu­ddha­i ­ra­jå­te­stra­sa­tå­æ­ sa­då­­||­4.42­|| a­jå­te­stra­sa­tå­æ­ te­≤å­mu­pa­la­mbhå­dvi­ya­nti­­ ye­ | jå­ti­do≤å­­ na­­ se­tsya­nti­­ do≤o­ ’pya­lpo­ bha­vi­≤ya­ti­­||­4.43­||

CAp.­ Iv­ SULLA­ ESTINZIONE­ DEL­ TIZZONE­ ARDENTE,­ 4.38-4.43

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4.38­ -­ poiché­ la­ nascita­ non­ è­ un­ fatto­ dimostrato,­ [la­ Âruti]­ sostiene­ che­ ogni­ cosa­ è­ senza­ nascita.­ Inoltre,­ il­ non­ essere­ non­ può­ nascere­ dall’essere.­ Ciò­ è­ impossibile.­ 4.39­ -­ Avendo­ visto­ il­ non­ reale­ (asat)­ nella­ [condizione­ di]­ veglia­ lo­ rivede­ poi­ nel­ sogno.­ E­ avendo­ visto­oggetti­non­reali­nel­sogno­non­li­vede­[poi­nella­ condizione]­ di­ veglia.7 4.40­ -­ L’irreale­ non­ può­ avere­ l’irreale­ come­ causa,­ né­il­reale­può­avere­come­causa­il­reale,­né­il­reale­può­ avere­come­causa­l’irreale,­né­[infine]­l’irreale­può­avere­ come­ causa­ il­ reale. 4.41­ -­ Come­ nella­ veglia­ a­ causa­ di­ un­ errore­ cogni­tivo­ (viparyåsa)­ si­ può­ entrare­ in­ contatto­ con­ oggetti­ non­ reali­ come­ se­ fossero­ reali­ [assoluti],­ così­ nel­ sogno,­ a­ causa­ di­ un­ errore­ cognitivo,­ si­ possono­ vedere­ oggetti­ [apparentemente­ reali]­ che­ sono­ solo­ colà­ [in­ quello­ stato­ di­ sogno].­ 4.42­-­Il­processo­causale­della­percezione­empirica­ [della­ manifestazione]­ è­ stato­ indicato­ dai­ saggi­ per­ comprensione­ verso­ coloro­ che,­ per­ virtù­ del­ comportamento­ appropriato­ al­ loro­ [stadio­ di­ vita],­ sogliono­ affermare­l’esistenza­reale­della­manifestazione­sempre­ timorosi­ della­ non­ generazione. 4.43­ -­ per­ coloro­ i­ quali,­ timorosi­ della­ non­ generazione,­deviano­per­la­loro­percezione­[della­dualità],­ gli­ errori­ dovuti­ [nell’accettare]­ la­ generazione­ non­ si­ maturano­[in­frutti]­perché­tale­errore­è­insignificante.8

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u­pa­la­mbhå­tsa­må­cå­rå­nmå­yå­ha­stı­ ya­thocya­te­ | u­pa­la­mbhå­tsa­må­cå­rå­da­sti­­ va­stu­­ ta­thocya­te­­||­4.44­|| jå­tyå­bhå­sa­æ­ ca­lå­bhå­sa­æ­ va­stvå­bhå­sa­æ­ ta­tha­i­va­­ ca­ | a­jå­ca­la­ma­va­stu­tva­æ­ vi­jñå­na­æ­ Ÿå­nta­ma­dva­ya­m­||­4.45­|| e­va­æ­ na­­ jå­ya­te­­ ci­tta­me­va­æ­ dha­r må­­ a­jå­¢­ smÿtå­¢­ | e­va­me­va­­ vi­jå­na­nto­ na­­ pa­ta­nti­­ vi­pa­r ya­ye­­||­4.46­|| ÿju­va­k rå­di­kå­bhå­sa­ma­lå­ta­spa­ndi­ta­æ­ ya­thå­ | gra­ha­√a­grå­ha­kå­bhå­sa­æ­ vi­jñå­na­spa­ndi­ta­æ­ ta­thå­­||­4.47­|| a­spa­nda­må­na­ma­lå­ta­ma­nå­bhå­sa­ma­ja­æ­ ya­thå­ | a­spa­nda­må­na­æ­ vi­jñå­na­ma­nå­bhå­sa­ma­ja­æ­ ta­thå­­||­4.48­|| a­lå­te­­ spa­nda­må­ne­­ va­i­ nå­­ ”bhå­så­­ a­nya­tobhu­va­¢­ | na­­ ta­to­ ’nya­tra­­ ni­spa­ndå­nnå­lå­ta­æ­ pra­vi­Ÿa­nti­­ te­­||­4.49­||

CAp.­ Iv­ SULLA­ ESTINZIONE­ DEL­ TIZZONE­ ARDENTE,­ 4.44-4.49

141

4.44­ -­ Come­ un­ elefante­ [evocato­ dal­ mago],­ per­ quanto­ illusorio,­ in­ virtù­ del­ suo­ comportamento­ appropriato­[a­quello­dell’elefante]­viene­percepito­come­ reale,­ così,­ a­ causa­ della­ percezione­ empirica­ e­ del­ comportamento­adeguato,­si­dice­che­un­dato­percepito­ sia­ reale.­ 4.45­ -­ Ciò­ che­ ha­ l’apparenza­ della­ generazione,­ ciò­ che­ ha­ l’apparenza­ del­ movimento­ e,­ ugualmente,­ ciò­ che­ ha­ l’apparenza­ della­ sostanzialità­ [oggettiva]­ è­ senza­ nascita,­ immobile­ e­ insostanziale,­ pacificato­ e­ non­ duale.­ 4.46­ -­ Così­ la­ mente­ è­ senza­ nascita­ e­ i­ dharma (enti­in­manifestazione)­sono­considerati­privi­di­nascita.­ Coloro­ i­ quali­ conoscono­ ciò­ non­ cadono­ nell’errore.9 4.47­-­Come­un­tizzone­ardente­posto­in­movimento­ sem­bra­essere­una­linea­dritta,­curva,­ecc.,­così­la­mente­ in­movimento­appare­essere­il­percipiente­(soggetto)­e­ il­ percepito­ (oggetto). 4.48­ -­ Come­ un­ tizzone­ ardente­ quando­ non­ è­ in­ movimento­non­produce­[alcuna]­apparenza­ed­è­senza­ nascita,­così­la­mente­quando­non­si­trova­in­movimento­ non­ produce­ [alcuna]­ apparenza­ [di­ soggetto-oggetto]­ ed­ è­ senza­ nascita.­ 4.49­ -­ Quando­ il­ tizzone­ ardente­ è­ in­ movimento­ le­ apparenze­ [percepite]­ non­ gli­ vengono­ da­ nessuna­ parte,­ né­ vanno­ altrove­ quando­ è­ fermo,­ né­ rientrano­ nel­ tizzone­ ardente.­

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na­­ ni­rga­tå­­ a­lå­tå­tte­­ dra­vya­två­bhå­va­yoga­ta­¢­ | vi­jñå­ne­­ ’pi­­ ta­tha­i­va­­ syu­rå­bhå­sa­syå­vi­Ÿe­≤a­ta­¢­||­4.50­|| vi­jñå­ne­­ ­spa­nda­må­ne­­ va­i­ nå­­ ”bhå­så­­ a­nya­tobhu­­va­¢­ | na­­ ta­to­ ’nya­tra­­ ni­spa­ndå­nna­­ vi­jñå­na­æ­ vi­Ÿa­nti­­ te­­||­4.51­|| na­­ ni­rga­tå­ste­­ vi­jñå­nå­ddra­vya­två­bhå­va­yoga­ta­¢­ | kå­r ya­kå­ra­√a­tå­bhå­vå­dya­to­ ’ci­ntyå­¢­ sa­da­i­va­­ te­­||­4.52­|| dra­vya­æ­ dra­vya­sya­­ he­tu­¢­ syå­da­nya­da­nya­sya­­ ca­i­va­­ hi­ | dra­vya­tva­ma­nya­bhå­vo­vå­­dha­rmå­√å­æ­nopa­pa­dya­te­­||­4.53­|| e­va­æ­ na­­ ci­tta­jå­­ dha­r må­Ÿci­tta­æ­ vå­­ ’pi­­ na­­ dha­r ma­ja­m­ | e­va­æ­ he­tu­pha­lå­jå­ti­æ­ pra­vi­Ÿa­nti­­ ma­n ı­≤i­√a­¢­||­4.54­|| yå­va­ddhe­tu­pha­lå­ve­Ÿa­stå­va­ddhe­tu­pha­lodbha­va­¢­ | k≤ı­√e­­ he­tu­pha­lå­ve­Ÿe­­ nå­sti­­ he­tu­pha­lodbha­va­¢­||­4.55­|| yå­va­ddhe­tu­pha­lå­ve­Ÿa­¢­ sa­æså­ra­stå­va­då­ya­ta­¢­ | kŸı√e­­ he­tu­pha­lå­ve­Ÿe­­ sa­æså­ra­æ­ na­­ pra­pa­dya­te­­||­4.56­||

CAp.­ Iv­ SULLA­ ESTINZIONE­ DEL­ TIZZONE­ ARDENTE,­ 4.50-4.56

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4.50­-­Esse­[apparenze]­non­provengono­dal­tizzone­ ardente­ a­ causa­ della­ inesistenza­ [in­ loro]­ di­ sostanzialità.­ Anche­ in­ relazione­ alla­ mente­ [le­ apparenze]­ devono­ essere­ proprio­ così,­ perché­ le­ apparenze­ non­ sono­ dissimili­ [tra­ loro].10 4.51­ -­ Quando­ la­ mente­ è­ in­ movimento­ [come­ nel­ sogno­e­nella­veglia],­invero,­le­apparenze­non­vengono­ a­ essa­ da­ nessuna­ parte,­ né­ vanno­ altrove­ quando­ è­ ferma,­ né­ rientrano­ nella­ mente.­ 4.52­ -­ Esse­ non­ provengono­ dalla­ mente­ perché­ prive­ di­ sostanza­ e,­ a­ causa­ dell’assenza­ di­ relazione­ di­ causa-effetto,­ esse­ sono­ inconcepibili. 4.53­ -­ Invero,­ una­ sostanza­ può­ essere­ l’origine­ di­ [un’altra]­ sostanza,­ e­ certamente­ un­ [particolare]­ dato­ può­essere­la­causa­di­un­differente­altro­dato.­Ma­per­ le­ anime­ manifeste­ [jıva]­ non­ si­ può­ ammettere­ né­ la­ natura­di­sostanza­né­la­natura­differente­[da­altra­cosa]. 4.54­ -­ Né­ i­ dharma­ individuati­ sono­ generati­ dalla­ sostanza­mentale­(citta)­né­questa­è­prodotta­dai­dharma [esterni].­ Così­ i­ saggi­ sostengono­ l’assenza­ di­ nascita­ di­ causa­ ed­ effetto­ (hetuphalåjåti). 4.55­-­La­causa­e­l’effetto­emergono­quando­vi­è­la­ rap­pre­sentazione­mentale.­Quando­la­rappresentazione­ men­tale­ cessa­ non­ vi­ è­ il­ sorgere­ né­ della­ causa­ né­ dell’effetto.­ 4.56­-­Fin­quando­vi­è­la­rappresentazione­mentale­di­ causa­ed­effetto­si­perpetua­la­ruota­del­divenire­ciclico.­ Quando­ la­ rappresentazione­ mentale­ della­ causalità­ e­ dell’effetto­ è­ risolta­ il­ saæsåra­ cessa­ di­ prodursi.­

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sa­ævÿtyå­­ jå­ya­te­­ sa­r va­æ­ Ÿå­Ÿva­ta­æ­ nå­sti­­ te­na­­ va­i­ | sa­dbhå­ve­na­­hya­ja­æ­sa­rva­mu­cche­da­ste­na­­nå­sti­­va­i­||­4.57­|| dha­r må­­ ya­­ i­ti­­ jå­ya­nte­­ jå­ya­nte­­ te­­ na­­ ta­ttva­ta­¢­ | ja­nma­­må­yopa­ma­æ­te­≤å­æ­så­­ca­­må­yå­­na­­vi­dya­te­­||­4.58­|| ya­thå­­ må­yå­ma­yå­dbıjå­jjå­ya­te­­ ta­nma­yo­ ’§ku­ra­¢­ | nå­sa­u­ ni­tyo­na­­ cocche­dı­­ ta­dva­ddha­r me­≤u­­ yoja­nå­­||­4.59­|| nå­je­≤u­­ sa­r va­dha­r me­≤u­­ Ÿå­Ÿva­tå­Ÿå­Ÿva­tå­bhi­­dhå­ | ya­tra­­ va­r √å­­ na­­ va­r ta­nte­­ vi­ve­ka­sta­tra­­ nocya­te­­||­4.60­|| ya­thå­­ sva­pne­­ dva­yå­bhå­sa­æ­ ci­tta­æ­ ca­la­ti­­ må­ya­yå­ | ta­thå­­ jå­gra­ddva­yå­bhå­sa­æ­ ci­tta­æ­ ca­la­ti­­ må­ya­yå­­||­4.61­|| a­dva­ya­æ­ca­­ dva­yå­bhå­sa­æ­ci­tta­æ­sva­pne­­ na­­ sa­æŸa­ya­¢­| a­dva­ya­æ­ca­­dva­yå­bhå­sa­æ­ta­tha­­jå­gra­nna­­sa­æŸa­ya­¢­||­4.62­|| sva­pna­dÿkpra­ca­ra­nsva­pne­­ di­k≤u­­ va­i­ da­Ÿa­su­­ sthi­tå­n­ | a­√ƒa­jå­nsve­da­jå­nvå­­ ’pi­­ jı­vå­npa­Ÿya­ti­­ yå­nsa­då­­||­4.63­||

CAp.­ Iv­ SULLA­ ESTINZIONE­ DEL­ TIZZONE­ ARDENTE,­ 4.57-4.63

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4.57­-­Attraverso­il­velamento­nasce­ogni­cosa;­perciò­ non­ vi­ è­ certamente­ nulla­ di­ permanente.­ Infatti,­ dalla­prospettiva­della­Realtà­[suprema]­ogni­cosa­è­non­ nata­ per­ cui­ non­ vi­ è­ di­ certo­ alcun­ annientamento.11 4.58­ -­ I­ dharma­ che­ così­ nascono,­ in­ realtà­ non­ nascono­perché­la­loro­nascita­è­considerata­attraverso­ la måyå­e­questa­måyå­non­esiste­[in­termini­assoluti]. 4.59­-­Come­da­un­seme­illusorio­nasce­un­germoglio­ [illusorio],­ che­ non­ è­ né­ eterno­ né­ distruttibile,­ così­ la­ stessa­ logica­ è­ applicabile­ in­ relazione­ ai­ dharma.­ 4.60­ -­ In­ riferimento­ ai­ dharma­ non­ nati­ non­ vi­ è­ alcuna­ nozione­ di­ permanente­ e­ impermanente.­ Laddove­le­definizioni­non­possono­essere­impiegate,­colà­ nes­suna­considerazione­­[assoluta]­può­essere­espressa.12 4.61­ -­ Come­ nel­ sogno­ la­ mente­ si­ muove­ [producendo]­l’apparenza­della­dualità­(soggetto-oggetto),­così­ nello­ stato­ di­ veglia­ la­ mente­ si­ muove­ [producendo]­ l’apparenza­ della­ dualità­ tramite­ la­ måyå.­ 4.62­ -­ E­ non­ vi­ è­ dubbio­ che­ nel­ sogno­ la­ mente­ [pur­ essendo]­ unica,­ appare­ duale;­ nello­ stesso­ modo­ non­ vi­ è­ dubbio­ che­ [anche]­ nella­ veglia­ la­ mente­ [pur­essendo]­unica­appare­duale.­(Si­vedano­le­kårikå 3.29-30). 4.63­-­Anche­gli­esseri­nati­da­un­uovo­o­nati­dalla­ fermenta­zione,­ che­ lo­ sperimentatore­ vede­ nel­ sogno­ come­esistenti­effettivamente­nelle­dieci­direzioni­[dello­ spazio],­ mentre­ vaga­ nel­ [mondo]­ di­ sogno...

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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ.­ Iv.­ ALåTAÂånTIPrAKArA÷A

sva­pna­dÿkci­tta­dÿŸyå­ste­­ na­­ vi­dya­nte­­ ta­ta­¢­ pÿtha­k­ | ta­thå­­ ta­ddÿŸya­me­ve­da­æ­ sva­pna­dÿkci­tta­m i­≤ya­te­­||­4.64­|| ca­ra­ñjå­ga­r i­te­­ jå­gra­ddi­k≤u­­ va­i­ da­Ÿa­su­­ sthi­tå­n­ | a­√ƒa­jå­nsve­da­jå­nvå­­ ’pi­­ jı­vå­npa­Ÿya­ti­­ yå­nsa­då­­||­4.65­|| jå­gra­cci­tte­k≤a­√ ı­yå­ste­­ na­­ vi­dya­nte­­ ta­ta­¢­ pÿtha­k­ | ta­thå­­ ta­ddÿŸya­me­ve­da­æ­ jå­gra­ta­Ÿci­tta­m i­≤ya­te­­||­4.66­|| u­bhe­­ hya­nyonya­dÿŸye­­ te­­ ki­æ­ ta­da­stı­ti­­ nocya­te­ | la­k≤a­√å­Ÿ¥nya­mu­bha­ya­æ­ ta­nma­te­na­i­va­­ gÿhya­te­­||­4.67­|| ya­thå­­ sva­pna­ma­yo­ jıvo­ jå­ya­te­­ mri­ya­te­­ ’pi­­ ca­ | ta­thå­­ jı­vå­­ a­m ı­­ sa­r ve­­ bha­va­nti­­ na­­ bha­va­nti­­ ca­­||­4.68­|| ya­thå­­ må­yå­ma­yo­ jı­vo­ jå­ya­te­­ mri­ya­te­­ ’pi­­ ca­ | ta­thå­­ jı­vå­­ a­m ı­­ sa­r ve­­ bha­va­nti­­ na­­ bha­va­nti­­ ca­­||­4.69­|| ya­thå­­ ni­r mi­ta­ko­ jı­vo­ jå­ya­te­­ mri­ya­te­­ ’pi­­ vå­ | ta­thå­­ jı­vå­­ a­m ı­­ sa­r ve­­ bha­va­nti­­ na­­ bha­va­nti­­ ca­­||­4.70­||

CAp.­ Iv­ SULLA­ ESTINZIONE­ DEL­ TIZZONE­ ARDENTE,­ 4.64-4.70

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4.64­-­…­quelle­[forme]­sono­solo­oggetti­di­percezione­per­la­mente­dello­sperimentatore­sognante,­non­ esistono­ separatamente­ da­ quella­ [mente].­ Similmente­ si­ sostiene­ che­ la­ mente­ di­ colui­ che­ esperimenta­ nel­ sogno­ è­ un­ oggetto­ di­ percezione­ solo­ per­ lui.­ 4.65­ -­ Invero­ (vai)­ gli­ esseri­ nati­ da­ uova­ o­ dalla­ fermentazione­ che­ [lo­ sperimentatore]­ vede­ –­ mentre­ vaga­continuamente­nello­stato­di­veglia­(jågrat)­–­come­ esistenti­ in­ tutte­ le­ direzioni­ [dello­ spazio],­ sono­ solo­ oggetto­ di­ percezione…­ 4.66­ -­ ...­quelle­ [esperienze]­ sono­ oggetti­ di­ percezione­per­la­mente­[nello­stato]­di­veglia,­non­esistono­ separatamente­da­quella­[mente].­Similmente,­si­sostiene­ che­ la­ mente­ di­ colui­ che­ è­ sveglio­ è­ per­ lui­ solo­ un­ oggetto­ di­ percezione.­ 4.67­ -­ Invero,­ essi­ [l’io­ e­ il­ non­ io]­ sono­ entrambi­ oggetto­di­percezione­l’uno­in­funzione­dell’altro.­[Alla­ domanda]­ se­ esistono­ [separatamente]­ si­ risponde:­ no.­ Entrambi­sono­inconoscibili­separatamente­perché­l’uno­ viene­ appreso­ solo­ in­ quanto­ [c’è]­ l’altro.­ 4.68­ -­ Come­ un­ ente­ visto­ in­ sogno­ nasce­ e­ ugualmente­ muore,­ così­ tutti­ questi­ enti­ nascono­ e­ scompaiono. 4.69­ -­ Come­ un­ ente­ [proiettato­ dal­ mago­ è]­ illusorio,­ così­ tutti­ questi­ enti­ sono­ e­ poi­ non­ sono­ [più]. 4.70­ -­ Come­ un­ ente­ creato­ artificiosamente­ nasce­ e­ ugualmente­ scompare,­ così­ tutti­ questi­ enti­ sono­ e­ poi­ non­ sono­ [più].­

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na­­ ka­Ÿci­jjå­ya­te­­ jı­va­¢­ sa­æbha­vo­ ’sya­­ na­­ vi­dya­te­­ | e­ta­tta­du­tta­ma­æ­ sa­tya­æ­ ya­tra­­ ki­ñci­nna­­ jå­ya­te­­||­4.71­|| ci­tta­spa­ndi­ta­me­ve­da­æ­ grå­hya­grå­ha­ka­va­ddva­ya­m­ | ci­tta­æ­ni­r vi­≤a­ya­æ­ni­tya­ma­sa­§ga­æ­te­na­­ kı­r ti­ta­m­||­4.72­|| yo­ ’sti­­ ka­lpi­ta­sa­ævÿtyå­­ pa­ra­må­r the­na­­ nå­stya­sa­u­ | pa­ra­ta­ntrå­bhi­sa­ævÿtyå­­ syå­nnå­sti­­ pa­ra­må­r tha­ta­¢­||­4.73­|| a­ja­¢­ ka­lpi­ta­sa­ævÿtyå­­ pa­ra­må­r the­na­­ nå­pya­ja­¢­ | pa­ra­ta­ntrå­bhi­ni­≤pa­ttyå­­ sa­ævÿtyå­­ jå­ya­te­­ tu­­ sa­¢­||­4.74­|| a­bh¥tå­bhi­ni­ve­Ÿo­ ’sti­­ dva­ya­æ­ ta­tra­­ na­­ vi­dya­te­ |­ dva­yå­bhå­va­æ­sa­­bu­ddhva­i­va­­ni­r ni­m i­tto­na­­jå­ya­te­­||­4.75­|| ya­då­­ na­­ la­bha­te­­ he­t¥nu­tta­må­dha­ma­ma­dhya­må­n­ | ta­då­­ na­­ jå­ya­te­­ ci­tta­æ­ he­tva­bhå­ve­­ pha­la­æ­ ku­ta­¢­||­4.76­||

CAp.­ Iv­ SULLA­ ESTINZIONE­ DEL­ TIZZONE­ ARDENTE,­ 4.71-4.76

149

4.71­ -­ Nessun­ ente­ nasce;­ perciò­ non­ esiste­ [alcuna]­ nascita.­ Questa­ è­ la­ suprema­ verità,­ nessuna­ cosa­ è­ nata.13 4.72­-­Questa­­dualità­­che­­[appare­come]­percipiente­ e­ percepito­­ è­­ solo­­ una­ ­modificazione­­ mentale.­ ­Ma­­ [dalla­ prospettiva­ della­ suprema­ Realtà]­ la­ mente­ non­ entra­ mai­ in­ contatto­ con­ alcuno­ (nirvi≤ayam),­ perciò­ viene­ proclamata­ costantemente­ senza­ relazione­ (asparŸa).­ 4.73­ -­ Ciò­ che­ dalla­ visuale­ empirica­ si­ proietta­ mentalmente­non­ha­alcuna­esistenza­dalla­prospettiva­ della­ Realtà­ suprema.­ Così­ l’esistenza­ [di­ un­ dato],­ sostenuta­da­altre­scuole­filosofiche­[dal­punto­di­vista­ empirico],­ non­ esiste­ affatto­ dalla­ visuale­ della­ Realtà­ assoluta.­ 4.74­ -­ È­ dalla­ visuale­ empirica­ velante,­ secondo­ le­ conclusioni­di­altre­teorie­filosofiche,­che­[si­considera]­ Quello­ come­ nato.­ Ma­ dalla­ prospettiva­ della­ Realtà­ suprema­non­si­può­nemmeno­parlare­di­senza­nascita.14 4.75­ -­ vi­ è­ un­ tenace­ attaccamento­ a­ ciò­ che­ appare;­ ma­ colà­ [nella­ Realtà­ suprema]­ la­ dualità­ non­ esiste.­ Quegli­ il­ quale­ abbia­ riconosciuto­ appieno­ la­ non­esistenza­della­dualità,­divenuto­libero­dalla­causa­ non­ rinasce­ [più].15 4.76­ -­ Quando­ la­ mente­ non­ percepisce­ le­ cause­ superiori,­ inferiori­ e­ medie,­ allora­ si­ affranca­ dalla­ nascita;­ in­ assenza­ della­ causa­ l’effetto­ donde­ mai­ [potrebbe­ provenire?].16

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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ.­ Iv.­ ALåTAÂånTIPrAKArA÷A

a­ni­m i­tta­sya­­ ci­tta­sya­­ yå­­ ’nu­tpa­tti­¢­ sa­må­­ ’dva­yå­­ | a­jå­ta­sya­i­va­­ sa­r va­sya­­ ci­tta­dÿŸya­æ­ hi­­ ta­dya­ta­¢­||­4.77­|| bu­ddhvå­­ ’ni­m i­tta­tå­æ­ sa­tyå­æ­ he­tu­æ­ pÿtha­ga­nå­pnu­va­n­ | vı­ta­Ÿoka­æ­ ta­thå­­ kå­ma­ma­bha­ya­æ­ pa­da­ma­Ÿnu­te­­||­4.78­|| a­bh¥tå­bhi­ni­ve­Ÿå­ddhi­­ sa­dÿŸe­­ ta­tpra­va­r ta­te­ | va­stva­bhå­va­æ­sa­­bu­ddhva­i­va­­ni­¢sa­§ga­æ­vi­ni­va­rtate­­||­4.79­|| ni­vÿtta­syå­pra­vÿtta­sya­­ ni­Ÿca­lå­­ hi­­ ta­då­­ sthi­ti­¢­ | vi­≤a­ya­¢­sa­­hi­­bu­ddhå­nå­æ­ta­tså­mya­ma­ja­ma­dva­ya­m­||­4.80­|| a­ja­ma­ni­dra­ma­sva­pna­æ­ pra­bhå­ta­æ­ bha­va­ti­­ sva­ya­m­ | sa­k ÿdvi­bhå­to­hye­va­i­≤a­­dha­r mo­dhå­tu­sva­bhå­va­ta­¢­||­4.81­|| su­k ha­må­vri­ya­te­­ ni­tya­æ­ du­¢ kha­æ­ vi­vri­ya­te­­ sa­då­ | ya­sya­­ka­sya­­ca­­dha­rma­sya­­gra­he­√a­­bha­ga­vå­na­sa­u­||­4.82­|| a­sti­­ nå­stya­sti­­ nå­stı­ti­­ nå­sti­­ nå­stı­ti­­ vå­­ pu­na­¢­ | ca­la­sthi­robha­yå­bhå­va­i ­rå­vÿ√otye­va­­ bå­li­Ÿa­¢­||­4.83­||

CAp.­ Iv­ SULLA­ ESTINZIONE­ DEL­ TIZZONE­ ARDENTE,­ 4.77-4.83

151

4.77­-­La­mancanza­di­nascita­che­la­mente-soggetto­ raggiunge­ quando­ è­ priva­ di­ causa,­ diviene­ identica­ a­ se­stessa­e­non­duale;­quella,­non­generata,­preesisteva­ [prima­ della­ realizzazione].17 4.78­-­Realizzando­l’assenza­di­causa­in­quanto­verità­ [ultima],­ si­ consegue­ lo­ stato­ che­ è­ privo­ di­ conflitto,­ di­ desiderio­ e­ di­ timore. 4.79­ -­ È­ a­ causa­ del­ tenace­ attaccamento­ alle­ apparenze­ oggettuali­ [ai­ vari­ fenomeni­ contingenti]­ che­ la­ mente-soggetto­ si­ volge­ attivamente­ verso­ siffatte­ [apparenze].­Quella,­avendo­compreso­la­loro­non­esistenza,­diventa­priva­di­relazione­[o­priva­di­sostegni]­ (ni¢sa§ga)­ e­ si­ ritira­ in­ se­ stessa.­ 4.80­ -­ La­ [coscienza]­ che­ si­ distoglie­ da­ attività­ esterne­ ritorna­ in­ se­ stessa­ (nivÿtti)­ e­ consegue­ uno­ stato­ stabile­ (niŸcala =­privo­ di­ movimento).­ Invero­ [questo­ stato]­ è­ l’obiettivo­ del­ saggio,­ e­ quello­ [stato]­ è­ senza­ nascita­ e­ non­ duale.­ 4.81­-­[Quello­stato­reale]­è­senza­nascita,­quindi­sen­za­ sonno­e­senza­sogno­e­si­presenta­pienamente­rifulgente­ di­per­sé.­Infatti,­lo­stesso­ente­[che­è­l’å tman]­è­costantemente­risplendente­in­virtù­della­sua­essenziale­natura.­ 4.82­ -­ A­ causa­ dell’appropriazione­ per­ qualunque­ oggetto,­Quello,­il­Signore­(l’åtman),­rimane­facilmente­ nascosto­ e­ con­ difficoltà­ viene­ scoperto.18 4.83­ -­ [Asserendo­ che­ l’åtman]­ “esiste”,­ “non­ esiste”,­ “esiste­ e­ non­ esiste”,­ o­ ancora,­ “non­ esiste­ [affatto]”,­il­non­discriminante­lo­vela­tramite­[le­idee­di]­ mutevolezza,­ immutabilità,­ o­ ambedue­ insieme,­ e­ non­ esistenza­ assoluta.19

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ko†ya­Ÿca­ta­sra­­ e­tå­stu­­ gra­ha­i ­r yå­så­æ­ sa­då­­ ”vÿta­¢­ | bha­ga­vå­nå­bhi­ra­spÿ≤†o­ ye­na­­ dÿ≤†a­¢­ sa­­ sa­r va­dÿk­||­4.84­|| prå­pya­­sa­rva­jña­tå­æ­kÿtsnå­æ­brå­hma­√ya­æ­pa­da­ma­dva­ya­m­| a­nå­pa­nnå­di­ma­dhyå­nta­æ­ ki­ma­ta­¢­ pa­ra­m ı­ha­te­­||­4.85­|| vi­prå­√å­æ­ vi­na­yo­ hye­≤a­­ Ÿa­ma­¢­ prå­k ÿta­­ u­cya­te­ | da­ma­¢­pra­k ÿti­då­nta­två­de­va­æ­vi­dvå­ñŸa­ma­æ­vra­je­t­||­4.86­|| sa­va­stu­­ sopa­la­mbha­æ­ ca­­ dva­ya­æ­ la­u­k i­ka­m i­≤ya­te­ | a­va­stu­­sopa­la­mbha­æ­ca­­Ÿu­ddha­æ­la­u­ki­ka­mi­≤ya­te­­||­4.87­|| a­va­stu­ a­nu­pa­la­mbha­æ­ ca­­ lokotta­ra­m i­ti­­ smÿta­m­ | jñå­na­æ­jñe­ya­æ­ca­­vi­jñe­ya­æ­sa­då­­bu­ddha­i­¢­pra­kı­rti­ta­m­||­4.88­|| jñå­ne­­ ca­­ tri­vi­dhe­­ jñe­ye­­ kra­me­√a­­ vi­di­te­­ sva­ya­m­ | sa­r va­jña­tå­­ hi­­ sa­r va­tra­­ bha­va­tı­ha­­ ma­hå­dhi­ya­¢­||­4.89­||

CAp.­ Iv­ SULLA­ ESTINZIONE­ DEL­ TIZZONE­ ARDENTE,­ 4.84-4.89

153

4.84­ -­ Queste­ [esposte]­ sono­ le­ quattro­ [teorie]­ alternative,­ con­ l’accettazione­ di­ una­ di­ loro,­ il­ Signore­ [l’åtman]­rimane­sempre­nascosto.­Ma­colui­che­è­realizzato,­ perché­ privo­ di­ contatto­ [con­ tali­ concezioni],­ è­ onniveggente­ (illuminato).20 4.85­-­Che­cosa­si­potrebbe­mai­voler­compiere­dopo­ aver­conseguito­la­perfetta­illuminazione­e­il­Brahman senza­ secondo,­ non­ affetto­ da­ inizio,­ mezzo­ e­ fine?21 4.86­ -­ Si­ dice­ che­ questa­ [realizzazione­ non­ duale]­ conferisce­­ai­­saggi­­la­­dignità,­­la­naturale­calma­mentale,­l’autodominio­e­lo­spontaneo­equilibrio.­Conoscendo­ così­ [il­ saggio]­ raggiunge­ la­ pacificazione­ del­ cuore.­ 4.87­-­Lo­stato­comune­[di­veglia]­che­si­sperimenta­ come­ oggetto­ è­ quello­ della­ dualità.­ [Similmente]­ lo­ stato­ordinario­[di­sogno]­è­quello­dell’esperienza­duale­ per­ quanto­ l’oggetto­ (avastu)­ [è­ non­ sostanziale]. 4.88­-­Tradizionalmente­si­sostiene­che­vi­è­uno­stato­ senza­oggetto­[esterno­o­interno]­e­privo­di­esperienza,­ al­di­sopra­di­ quelli­ordinari.­L’oggetto­di­conoscenza­ [dei­ tre­ stati]­ è­ quello­ che­ dev’essere­ realizzato­ [cioè­ il­ Quarto],­ ciò­ viene­ celebrato­ dai­ risvegliati. 4.89­-­Quando­vi­è­la­conoscenza­del­triplice­oggetto­ in­ successione­ [i­ tre­ stati­ dell’Essere],­ quando­ è­ realizzata­ [la­ Realtà­ suprema],­ allora­ per­ colui­ di­ elevato­ intelletto­ si­ svela­ per­ sempre­ l’intera­ conoscenza.­

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he­ya­jñe­yå­pya­på­kyå­ni­­ vi­jñe­yå­nya­gra­yå­√a­ta­¢­ | te­≤å­ma­nya­tra­­ vi­jñe­yå­du­pa­la­mbha­stri­≤u­­ smÿta­¢­||­4.90­|| pra­k ÿtyå­­ ”kå­Ÿa­va­jjñe­yå­¢­ sa­r ve­­ dha­r må­­ a­nå­da­ya­¢­ | vi­dya­te­­ na­­ hi­­ nå­nå­tva­æ­ te­≤å­æ­ kva­ca­na­­ ki­ñca­na­­||­4.91­|| å­di­bu­ddhå­¢­ pra­k ÿtya­i­va­­ sa­r ve­­ dha­r må­¢­ su­ni­Ÿci­tå­¢­ | ya­sya­i­va­æ­bha­va­ti­­k≤å­nti­¢­so­’mÿta­två­ya­­ka­lpa­te­­||­4.92­|| å­di­Ÿå­ntå­­ hya­nu­tpa­nnå­¢­ pra­k ÿtya­i­va­­ su­ni­r vÿtå­¢­ | sa­rve­­dha­rmå­¢­sa­må­bhi­nnå­¢­a­ja­æ­så­mya­æ­vi­Ÿå­ra­da­m­||­4.93­|| va­i­Ÿå­ra­dya­æ­ tu­­ va­i­ nå­sti­­ bhe­de­­ vi­ca­ra­tå­æ­ sa­då­ | bhe­da­ni­mnå­¢­pÿtha­gvå­då­sta­små­tte­­kÿpa­√å­¢­smÿ­tå­¢­||­4.94­|| a­je­­ så­mye­­ tu­­ ye­­ ke­ci­dbha­vi­≤ya­nti­­ su­ni­Ÿci­tå­¢­ | te­­ hi­­ loke­­ ma­hå­jñå­nå­sta­cca­­ loko­ na­­ gå­ha­te­­||­4.95­||

CAp.­ Iv­ SULLA­ ESTINZIONE­ DEL­ TIZZONE­ ARDENTE,­ 4.90-4.95

155

4.90­ -­ Ciò­ che­ si­ deve­ evitare,­ ciò­ che­ si­ deve­ conoscere,­ ciò­ che­ si­ deve­ accettare­ e­ ciò­ che­ si­ deve­ rendere­ inattivo­ devono­ essere­ compresi­ chiaramente­ fin­ dall’inizio.­ I­ tre­ stati­ [esistenziali]­ tranne­ quello­ che­ si­ deve­ realizzare­ [il­ Quarto]­ sono­ considerati­ tradizionalmente­ percezioni­ [dell’avidyå]. 4.91­ -­ Tutti­ i­ jıva­ devono­ essere­ conosciuti­ della­ natura­ dell’etere­ ed­ eterni.­ Invero,­ per­ essi­ non­ esiste­ alcuna­ molteplicità,­ in­ nessun­ luogo.­ 4.92­ -­ Tutti­ i­ dharma­ sono­ fin­ dal­ principio­ per­ loro­ natura­ autorisplendenti­ e­ immutabili.­ Colui­ che­ ha­attualizzato­la­[suprema]­quiete­cognitiva­consegue­ l’immortalità.­ 4.93­ -­ Invero,­ tutti­ i­ dharma­ fin­ dall’inizio­ sono­ pa­cificati,­ privi­ di­ origine­ e­ per­ loro­ stessa­ natura­ per­fettamente­ imperturbabili­ (distaccati),­ identici­ a­ se­ stessi­ e­ non­ dissimili­,­ ­come­ ­[la­­ stessa­ realtà]­ è­ non­ nata,­­identica­a­se­stessa­(såmya)­e­perfettamen­te­pura.­ 4.94­ -­ Ma­ la­ perfezione­ conoscitiva,­ in­ verità,­ non­ si­ ha­ per­ coloro­ che­ procedono­ sempre­ nella­ diversità,­ che­ sono­ inclini­ alla­ distinzione­ e­ che­ parlano­ di­ dualità.­ perciò­ essi­ sono­ tradizionalmente­ considerati­ degni­ di­ compassione.­ 4.95­-­Invero,­solo­quelli­che­hanno­una­ben­salda­ convinzione­in­merito­a­ciò­che­è­non­nato­e­identico­ a­ se­ stesso,­ costoro,­ invero,­ sono­ dotati­ di­ elevata­ conoscenza;­ l’ente­ comune­ non­ può­ comprendere­ questa­ [verità].­

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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ.­ Iv.­ ALåTAÂånTIPrAKArA÷A

a­je­≤va­ja­ma­sa­æ krå­nta­æ­ dha­r me­≤u­­ jñå­na­m i­≤ya­te­ | ya­to­ na­­ kra­ma­te­­ jñå­na­ma­sa­§ga­æ­ te­na­­ ki­r tı­ta­m­||­4.96­|| a­√u­må­tre­­ ’pi­­ va­i­dha­r mye­­ jå­ya­må­ne­­ ’vi­pa­Ÿcina­¢­ | a­sa­§ga­tå­­ sa­då­­ nå­sti­­ ki­mu­tå­­ ’’va­ra­√a­cyu­ti­¢­||­4.97­|| a­la­bdhå­va­ra­nå­¢­ sa­r ve­­ dha­r må­¢­ pra­k ÿti­ni­r ma­lå­¢­ | å­da­u­ bu­ddhå­sta­thå­­ mu­ktå­­ bu­dhya­nta­­ i­ti­­ nå­ya­kå­¢­||­4.98­|| kra­ma­te­­ na­­ hi­­ bu­ddha­sya­­ jñå­na­æ­ dha­r me­≤u­­ tå­yi­na­¢­ | sa­rve­­dha­rmå­sta­thå­­jñå­na­æ­na­i­ta­dbu­ddhe­na­­bhå­≤i­ta­m­||­4.99­|| du­rda­rŸa­ma­ti­ga­mbhı­ra­ma­ja­æ­ så­mya­æ­ vi­Ÿå­ra­da­m­ | bu­ddhvå­­pa­da­ma­nå­nå­tva­æ­na­ma­sku­rmo­ya­thå­ba­la­m­­||­4.100­|| iti­ alåta­Ÿåntiprakara√am itya­tha­r va­ve­di­yamå√ƒ¥kyopani≤at­ sa­må­ptå

CAp.­ Iv­ SULLA­ ESTINZIONE­ DEL­ TIZZONE­ ARDENTE,­ 4.96-4.100

157

4.96­ -­ Si­ sostiene­ [dalla­ Tradizione]­ che­ la­ conoscenza,­ relativa­ agli­ enti­ non­ nati,­ è­ [anch’essa]­ senza­ origine­e­non­relazionata.­poiché­la­conoscenza­non­si­ rapporta­[con­altri­oggetti]­per­questo­viene­proclamata­ libera­ da­ connessione.22 4.97­ -­ Se­ colui­ che­ è­ privo­ di­ discernimento­ mantiene­anche­una­minima­idea­di­nascita,­vi­sarà­sempre­ un­attaccamento:­per­cui­[è­inutile­dire]­di­risolvere­lo­ schermo­ velante.23 4.98­ -­ Nessun­ dharma (jıva)­ si­ trova­ sotto­ alcun­ velo;­ per­ natura­ sono­ privi­ di­ impurità­ e,­ similmente,­ illuminati­ed­eternamente­liberi.­Così­sono­le­guide­[in­ virtù­ della­ loro­ conoscenza]. 4.99­-­­Invero,­­la­­conoscenza­­dell’illuminato,­­la­­qua­le­­è­onnipervadente,­­non­­si­­relaziona­­con­­al­cun­­oggetto;­ così­ tutti­ i­ dharma­ sono­ [in­ identità­ con­ la­ stessa]­ conoscenza.­­Ciò­­non­è­stato­evidenziato­dall’Illumi­nato.24 4.100­-­Dopo­aver­realizzato­quello­stato­imperscrutabile,­ insondabile,­ non­ nato,­ in­ identità­ con­ se­ stesso,­ perfettamente­puro­e­non­duale,­noi­gli­rendiamo­omaggio.­

Fine  dell’Alåta Ÿånti  Prakara√a Fine  della  Må√ƒ¥kya  Upani≤ad  dell’Atharva  Veda (con  le  kårikå  di  Gauƒapåda) 

nOTe AL CAPITOLO IV 1 4.2­

-­ vi­ sono­ diversi­ tipi­ di­ yoga:­ dall’ha†hayoga all’asparŸayoga,­ passando­ per­ il­ bhaktiyoga, råjayoga, layayoga, ecc.,­vi­è­un­crescendo­di­posizioni­co­scienziali­ e­ di­ mete­ che­ rispondono­ adeguatamente­ ai­ bisogni­ dei­ vari­ aspiranti. Si­è­visto­che­vi­sono­tre­stati­dell’Essere­più­il­Quar to;­ ora­vi­sono­tipi­di­yoga, basati­su­aspetti­psicofisici,­che­ portano­ allo­ stato­ di­ Virå†,­ di­ Hira√yagarbha,­ oppure­ di­ ÙŸvara, l’Essere­per­eccellenza­o­ontologico.­Fino­a­questo­ stadio­si­può­parlare­di­yoga, nell’accezione­del­termine,­ cioè­ di­ unire­ due­ dati­ o­ enti­ che­ sono­ distanziati.­ Così,­ il bhakta  tende­ all’unione­ col­ suo­ Amato­ universale­ e­ il­ råjayogi  a­ reintegrarsi­ nello­ stato­ di­ Puru≤a. Ma,­­quando­­si­­parla­­di­­asparŸayoga,­ il­­termine­yoga va­­inteso­nel­senso­di­risvegliare­la­consapevolezza­a­ciò­ che­realmente­si­è,­il­che­implica­attuare­l’identità­con­Turı­ ya,­il­fondamento­metafisico­che­regge­il­tutto­esistente. La­Conoscenza­metafisica,­quindi­l’asparŸavåda, non­ disconosce­il­dualismo­né­il­monoteismo­perché­li­considera­come­due­punti­della­circonferenza­cono­scitiva;­per­ cui­il­monoteista­e­il­ dualista­possono­avere­difficoltà­di­ “vedere”­ il­ centro­ della­ circonferenza;­ di­ conseguenza­ l’asparŸa­è lo­yoga che­non­si­oppone­ad­alcuno,­sostiene­ Gauƒapåda,­e­ciò­è­naturale­perché,­non­essendo­un­punto­ di­ vista­ filosofico­ razionale­ né­ teo­logico­ dogmatico,­ si­ pone­nel­dominio­dei­princìpi,­laddove­vige­l’universalità­ e­ la­ sintesi­ di­ tutti­ i­ possibili­ punti­ di­ vista,­ cioè­ si­ pone­ al­ centro­ della­ circonferenza.­ La­ Conoscenza­ metafisica­ è­ il­ tronco­ da­ cui­ si­ dipartono­ tutti­ i­ rami­ conoscitivi­ e­ rappresenta­ il­ polo­ immutabile­ per­ tutto­ un­ manvantara.  I rami­ possono­ anche­ nascere­ e­ morire,­ ma­ ciò­ non­ si­

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verifica­ per­ quel­ tronco­ che­ è­ trascendente­ il­ tempospazio.­ Alla­ Conoscenza­ metafisica­ non­ si­ arriva­ né­ con­ le­ opere,­ né­ con­ la­ fede­ religiosa,­ né­ col­ raziocinio­ del­ manas­ (per­ quanto­ possano­ costituire­ dei­ preliminari­ anche­ utili,­ e­ spesso­ indispensabili),­ ma­ con­ l’“evidenza­ diretta”­ perché­ nell’intellettualità­ pura­ (buddhi-nóesis) il conoscitore­ coincide­ con­ la­ conoscenza­ e­ con­ l’oggetto­ di­ conoscenza L’asparŸa­ è­ lo­ yoga senza­ sostegni,­ perché­ il­ conoscitore­ è­ privato­ di­ tutti­ gli­ attributi­ dell’ente,­ nella­ sua­ totale­ estensione,­ dal­ momento­ che­ nel­l’“evi­denza­ diretta”­ vengono­ a­ mancare­ tutti­ i­ dati­ di­ relazione­ su­ cui,­ invece,­ poggia­ l’individualità.­ AsparŸa­ significa­ non­ contatto,­ non­ relazione­ perché­ è­ di­ là­ da­ ogni­ “secondo”­ con­ cui­ possa­ relazionarsi;­ di­ qui­anche­la­denominazione­di­ajåta:­ciò­che­non­è­stato­ generato­ per­ cui­ prende­ il­ nome­ anche­ di­ ajåtivåda. 2 4.9­ -­ In­ questa­ kårikå­ si­ dà­ la­ spiegazione­ del­ concetto­ di­ natura,­ dal­ momento­ che­ alcuni­ credono­ che­ l’in­­trinseca­natura­di­ un­ dato,­o­ l’aseità,­possa­ “mutarsi”­ e­ “trasformarsi”. nella kårikå­ in­ esame­ il­ termine­ prakÿti­ significa:­ natura­propria­di­qualunque­dato.­Non­ha­riferimento­alla­ sostanza­ con­ cui­ sono­ fatte­ tutte­ le­ forme­ (nåma-r¥pa).­ Il­ termine­ prakÿti­ va­ collegato­ agli­ altri­ due:­ svå bhå vi kı  e sva bhå va m. Commenta­ Âa§kara:­ «Le­ caratteristiche­ intrinseche­ di­ una­cosa,­per­esempio­il­calore­e­la­luce­ del­ fuoco,­ecc.,­ non­mutano­nel­tempo­né­nello­spazio.­Così­pure­ciò­che­ è­ connaturato,­ per­ esempio­ la­ capacità­ di­ un­ uccello­ di­ volare­ nell’aria,­ è­ chiamata­ natura».1 1­ Cfr. Må √ƒ¥kya  Upani≤ad  con­ le­ kårikå  di­ Gauƒapåda­ e­ il­ commento­ di­ Âa§kara.­ Op.­ cit.­

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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ.­ Iv.­ ALåTAÂånTIPrAKArA÷A

Si­ accennava­ nel­ primo­ Capitolo­ che­ la­ natura­ di­ un­ dato­ non­ può­ né­ trasformarsi­ né­ può­ essere­ oggetto­ di­ discussione.­ Di­ tutto­ si­ può­ discutere­ tranne­ sulla­ natura­ intrinseca­ delle­ cose. Se­la­natura­del­Reale­è­quella­della­atemporalità­allora­ il ciò  che  è­ non­ potrà­ né­ nascere­ né­ divenire­ perituro­ e­ temporale. Se­la­natura­dell’Infinito­è­l’infinitezza,­Esso­non­potrà­ mai­ divenire­ finito: «L’immortale­non­può­divenire­mortale,­né,­pa­rimenti,­ il­ mortale­ [divenire]­ immortale.­ Un­ cambiamento­ di­ natura­ non­ potrà­ avvenire­ in­ alcun­ modo».1 Sotto­questa­prospettiva­si­può­affermare­che­l’Uno,­se­ è­veramente­tale,­non­potrà­mai­“trasformarsi”­nei­molti,­ né­ l’Essere­ “trasformarsi”­ in­ divenire,­ né­ l’Assoluto­ in­ relativo.­ Allora,­ partendo­ da­ giuste­ premesse,­ ci­ si­ può­ chiedere:­ ciò­ che­ si­ percepisce­ come­ nascita,­ crescita­ e­ morte­ (divenire),­ che­ cosa­ è?­ Ecco­ il­ punto­ cruciale­ del­ problema. Spesso­ si­ parte­ da­ premesse­ filosofiche­ sbagliate­ e­ le­ conseguenze,­ ovviamente,­ non­ sono­ logiche­ e­ razio­nali. Così,­ ad­ esempio,­ considerando­ reali  il­ divenire­ e­ il­ mortale,­ non­ si­ riesce­ poi­ a­ capire­ come­ l’Essere­ o­ Dio,­ lo­ si­ chiami­ come­ si­ vuole,­ concepito­ come­ infinito,­ sia­ potuto­cadere­nel­mortale­e­nel­finito;­così,­ancora,­come­ l’åtman  imperituro­ e­ “perfetto”­ sia­ potuto­ cadere­ nel­ perituro­ e­ imperfetto. Il­ problema­ posto­ in­ tali­ termini­ non­ può­ avere­ soluzio­ne;­ non­ può­ averla­ perché­ la­ premessa­ aprioristica,­ essendo­ mal­ posta,­ non­ offre­ via­ di­ uscita. La­premessa­giusta­crediamo­sia­proprio­quella­di­Gauƒapåda,­ e­ quindi­ di­ questa­ Upani≤ad,­ cioè:­ con­siderato­ 1

Må. Kå. 4.7.

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che­l’Essere,­se­è­immortale,­non­può­d’un­tratto­trovarsi­ mortale­ (cioè,­ modificarsi),­ né­ il­ senza­ tempo­ trovarsi­ nel­ tempo,­ né­ l’incausato­ trovarsi­ nel­ causato,­ allora­ ciò­ che­si­definisce­come­finito,­imperfetto,­causato,­mortale,­ ecc.,­ che­ cosa­ è? Considerato­ che­ Brahman­åtman­ è­ senza­ nascita­ e­ senza­ morte,­ quindi­ di­ là­ dal­ tempo-spazio-causa,­ allora­ ciò­ che­ si­ percepisce­ come­ tempo-spazio-causa­ che­ cosa­ può­ rappresentare? posto­ che­ la­ corda,­ nell’esempio­ classico­ di­ Gauƒapåda­ (2.17),­ è­ della­ natura­ dell’infinitezza,­­ del­ senza­ tem­po,­ecc.,­ciò­che­si­vede­come­serpente,­ghirlanda,­filo­ d’acqua,­ ecc.­ (cioè­ il­ molteplice­ divenire­ e­ il­ mutevole),­ che­ cosa­ è? 3 4.25­ -­ per­ coloro­ che­ si­ trovano­ sotto­ il­ velo­ della­

måyå­avidyå l’oggetto­esterno,­distinto­dal­soggetto,­esiste­ ed­è­reale.­Su­ciò­l’asparŸavåda­è­d’accordo­col­realismo­ oggettivistico­filosofico.­però,­per­l’asparŸa, questa­realtà­ oggettiva­ viene­ considerata­ frutto­ di­ un­ certo  modo  di­ vedere;­ costituisce­ un­ punto­ di­ vista­ che­ può­ essere­ tenuto­ presente­ solo­ in­ determinate­ condizioni­ o­ da­ un­ particolare­ sistema­ di­ coordinate. Sotto­ altre­ prospettive,­ si­ scopre­ che,­ rimosso­ il­ velo­ (costituito­dai­gu√a)­che­oscura­la­mente,­l’oggetto­esterno­ e­ ogni­ forma-evento­ non­ sono­ altro­ che­ un­ chiaro-scuro­ che­appare­e­scompare­all’orizzonte­dell’ente­percipiente;­ di­qui­l’avidyå­mediante­la­quale­si­considera­il­percepito­ come­ reale­ assoluto,­ quando­ reale­ assoluto­ non­ è­ perché­ gli­ manca­ l’essere. L’asparŸavåda contempla­tre­gradi­di­conoscenza-verità:­quella­che­è­frutto­di­avidyå (conoscenza­sensoriale),­ quella­che­è­frutto­di­vidyå (conoscenza­sovrasensoriale)­ e­ quella­ che­ è­ frutto­ di­ paramårtha,­ lo­ strumento­ conoscitivo­che­offre­la­suprema­verità (conoscenza­d’identità).

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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ.­ Iv.­ ALåTAÂånTIPrAKArA÷A

Inoltre,­ occorre­ tenere­ presente­ che­ la­ dialettica­ di­ Gauƒapåda­sulla­causalità­si­riferisce­ad­alcune­concezioni­ del­ suo­ tempo­ come­ quelle­ del­ Buddhismo,­ dei­ Jaina,­ del Såækhya,­ ecc. Quando­l’ente­umano­si­definisce­solo­mente-corpo­(e­ la­ mente­ dianoetica­ è­ un­ altro­ corpo,­ anche­ imperfetto)­ gli­ viene­ naturale­ percepire,­ osservare­ e­ concettualizzare­ l’oggetto­ esterno­ come­ reale,­ ma­ ciò­ è­ normale­ perché­ considera reale­la­sua­stessa­mente-corpo,­mente­che­opera­ tramite­ i­ cinque­ sensi,­ per­ cui­ sia­ il­ soggetto­ percipiente­ sia­ l’oggetto­ percepito­ risultano­ entrambi­ reali-assoluti.­ Ciò­che­non­è­normale­è­che­simile­visione­viene­assolutizzata­a­ tal­ punto­da­ rifiutare­ogni­ altra­possibile­verità,­ considerandola­come­pura­astrazione­non­verificabile­dalla­ mente-corpo.­ E­ ciò­ non­ ci­ sembra­ conforme­ a­ ragione­ perché­ si­ rifiuta­ e­ si­ nega­ ciò­ che­ non­ si­ conosce,­ o­ non­ si­ vuole­ conoscere.­ D’altra­ parte,­ per­ negare­ occorre­ accettare­ a  priori­ l’oggetto­ della­ non­ accettazione.­ Non­ si­ può­ negare­ il­ nulla. 4 4.26­

-­ Nel­ sogno­ non­ vi­ sono­ né­ oggetti­ né­ idee­ distinti­ dalla­ mente­ del­ sognatore,­ anche­ se­ a­ questi­ essi­ “appaiono”­ separati­ (dualità­ soggetto-oggetto).­ Così­ nell’universo­ di­ veglia­ non­ vi­ sono­ né­ oggetti­ né­ idee­ distinti­ dal­ “Sognatore­ principiale”. In­ altri­ termini,­ l’intera­ manifestazione­ ­formale­­ non­­ è­ altro­ che­ movimento­ che­ crea­ forme-oggetti,­ a­ qualunque­dimensione,­la­cui­ ajrchv (arché)­è­la­m¥la­prakÿti,­la­ sostanza­ primordiale;­ un­ vaso­ è­ solo­ una­ modificazione­ dell’argilla,­ che­ ha­ preso­ una­ determinata­ forma,­ esso­ non­ è­ aseità,­ quindi­ non­ può­ essere­ indipendente­ dalla­ sostanza­ da cui­ è­ fatto. La måyå consiste­ in­ questo­ movimento­ sostanziale,­ tò  fai nò menon,­ che­ crea­ forme,­ volumi,­ ecc.­ Così­ si­ ha­ una­ percezione­ che­ percepisce­ solo­ il­ vaso,­ vi­ è­ invece­

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una­ conoscenza­ che­ percepisce­ la­ sostanza­ una­ indifferenziata­ dalla­ quale­ viene­ prodotto­ il­ vaso­ (Unità­ della­ vita­ontologica).­Da­questa­prospettiva­si­può­ricono­scere­ che,­ essendo­ la­ sostanza-prakÿti­ in­ continuo­ movimento,­ il­ vaso­ ­non­ ­è­ ­altro­­ che­­ un­ ­“accidente”,­­ un­ ­qualcosa­­ che­ è­ e­ nello­ stesso­ tempo­ non­ è­ perché,­ appunto,­ non­ ha essere.­ Ciò­ implica­ che­ il­ percepibile­ non­ è­ oggettivazione­ men­tale­ dell’ente­ in­ divenire,­ ma­ è­ il­ principio­ causale­ che,­ mediante­ la­ prakÿti,­ porta­ in­ oggettività­ i­ semi­ non­ risolti­di­un­altro­manvantara.1­Quindi­da­non­confondere­ col­ soggettivismo­ psicologico­ e­ col­ solipsismo. 5 4.28­

-­ Le­ kårikå  25-27­ espongono­ la­ visione­ de­gli­ idealisti­soggettivi­e­Gauƒapåda­ne­condivide­le­ri­sultanze,­ ma­ non­ in­ assoluto.­ Infatti,­ nella­ presente­ kårikå  egli­ traccia­ il­ suo­ reale­ punto­ di­ vista­ che­ è­ il­ superamento­ dell’idealismo­soggettivo.­Gauƒapåda­non­condivide­neppu­re­il­nichilismo­assolutista­di­altre­scuole­filosofiche­le­ q­uali­ asseriscono­ che­ tutto­ è­ vacuità,­ persino­ il­ soggetto­ perci­piente.­ Se­ tutto­ è­ vacuità­ ci­ dev’essere­ un­ soggetto­ per­cipiente­ che­ affermi­ tale­ vacuità,­ quindi­ il­ soggetto­ non­ può­ essere­ vacuità,­ diversamente­ si­ arriverebbe­ a­ que­sto­ assurdo:­ la­ vacuità­ afferma­ la­ vacuità,­ il­ niente­ afferma­ il­ niente. Così,­si­può­comprendere­come­l’asparŸavåda non­è­né­ nichilista,­né­realista­oggettivista­(secondo­cui­è­reale­solo l’oggetto­ esterno),­ né­ idealista,­ per­ quanto­ di­ queste­ due­ ultime­ scuole­ di­ pensiero­ condivida­ alcuni­ aspetti­ a­ certi­ livelli.­ Esso­ è­ essenzialmente­ di­ ordine­ metafisico,­ vale­ a­ dire,­ trascende­ l’intera­ manifestazione,­ per­ cui­ accetta­ una­Realtà­ultimativa­la­quale­rappresenta­il­fondamento di­ tutto­ ciò­ che­ appare­ e­ scompare. 1

Cfr.­il­S¥tra VI dell’Upani≤ad.

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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ.­ Iv.­ ALåTAÂånTIPrAKArA÷A

6 4.30­ -­ Se­ il­ divenire­ risulta­ eterno,­ l’ente­ individua-

to,­ essendo­ figlio­ del­ dive­nire,­ non­ potrebbe­ pervenire­ alla­“fine­­del­­percorso”­­realizzativo­­(si­­veda­­la­­kårikå 4.­38). 7 4.39­

-­ Nel­ secondo­ Capitolo­ (2.5),­ Gauƒapåda­ ha­ messo­ in­ evi­d enza­ soprattutto­ la­ percezione­ mentale­ sensoriale,­ o­ verità­ relativa­ (vyavahåra),­ la­ quale­ risulta­ identica­ nei­ due­ stati­ di­ sogno­ (svapna)­ e­ di­ veglia­ (jå­ grat);­ in­ essi­ vi­ è­ soggetto­ e­ oggetto,­ vi­ sono­ oggetti­ di­ fruizione,­ vi­ sono­ conflitti,­ ecc.­ Adesso­Gauƒapåda­va­oltre­e­ponendosi­dalla­prospettiva­ paramårtha­ (conoscenza­ suprema)­ mette­ in­ rilievo­ come­i­due­stati­di­conoscenza­e­di­coscienza­sono­asat,­ non­ realtà­ assoluta.­ Si­ veda­ la­ kårikå­ 4.90­ e­ segg. 8 4.43­-­La­coscienza­åtmå­non­è­di­là­dall’Essere,­fuori­

dell’Essere,­ sotto­ o­ sopra­ l’Essere,­ non­ è­ mai­ “uscita”­ (nata)­dall’Essere,­in­modo­da­avere­da­una­parte­l’Essere­ e­ dall’altra­ l’ente,­ l’individualità­ o­ lo­ stesso­ universo­ (dualità).­ L’ente­ è­ nell’Essere,­ si­ muove­ nell’Essere,­ vive­ nell’Essere.­ La­ coscienza­ si­ è­ solo­ spostata­ di­ prospettiva;­ l’ente-coscienza,­ circoscrivendosi­ mediante­ gli­ upådhi­corpi,­ha­diretto­la­sua­attenzione­a­questi­ultimi,­ credendoli­ reali. «Eppure­ eri­ “tutto”­ anche­ prima...».1 La­ falsa­ percezione­ della­ propria­ Identità,­ la­ quale­ è­ indivisibile,­ porta­ a­ creare­ dualità:­ soggetto-oggetto. La­ “caduta”­ rappresenta­ un­ errore­ di­ prospettiva,­ ma­ essa­non­è­ assoluta,­perché­l’aria­racchiusa­nel­ vaso­mai­ 1 plotino,­ Enneadi­ vI,­5.­12.­ Op.­ cit.­ Anche­ Iv,­8.­1.­ Si­ leggano­ questi­ pas­si­ di­ plotino­ perché­ coincidono­ con­ ciò­ che­ dice­ Gauƒapåda.

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potrà­ essere­ diversa­ o­ distinta­ da­ quella­ fuori­ del­ vaso.­ E­ la­ “caduta”­ perdura­ fino­ a­ quando­ quella­ prospettiva  (avidyå) non­ è­ risolta,­ o­ il­ raggio­ di­ coscienza­ incarnato­ non­crea­l’identità­con­l’åtman,­o,­ancora,­fino­a­quando­ il gu√a tamas,­ che­ vela­ e­ oscura­ la­ Realtà­ in­ noi,­ non­ è­ stato­ risolto­ dalla­ conoscenza­ noetica. E­ coloro­ che­ si­ credono­ “usciti”­ dall’Essere­ a­ che­ cosa­ vanno­ incontro? Costoro­ deviano­ dal­ retto­ sentiero,­ ma­ gli­ errori­ che­ sorgono­dall’accettare­la­creazione­e­la­dualità­non­portano­ frutti­reali perché­essi­possono­pensare­solo­illusoriamente­ di­ uscire­ dall’Essere­ supremo;­ in­ altri­ ter­mini,­ essi­ sono­ dei­“dormienti”­che­prima­o­poi­do­vranno­svegliarsi:­Tat  tvam  asi:­ tu,­ jıva,­ sei­ Quello.1 9 4.46­-­Tenere­­sempre­­presente­­la­­prospettiva­­metafi-

si­ca­da­cui­Gauƒapåda­si­pone,­diversamente­alcune­kåri­ kå possono­ essere­ incomprensibili,­ per­ non­ dire­ assurde,­ alla­ mente­ razionale.­ Quando­ si­ afferma­ che­ nessuna­ cosa­reale­è­mai­nata,­non­si­esclude­l’“apparizione”­del­ fenomeno.­Tutti­i­veicoli-corpi­dell’intera­manifestazione­ appaiono­ e­ scompaiono­ perché­ sono­ figli­ del­ tempo;­ un­ fenomeno,­ non­ avendo­ assolutezza,­ non­ si­ può­ dire­ che­ sia­ nato­ in­ quanto­ realtà.­ per­ Gauƒapåda­ la­ realtà­ è­ ciò­ che­ è­ e­ non­ diviene,­ è­ l’eterno­ acausale,­ è­ il­ fondamento­ di­ tutte­ le­ apparenze.­ Il­ corpo­ fisico­ dell’ente­ è­ un­ fenome­no­ formale­ che­ ap­ pare all’orizzonte­ del­ Testimone­ non­ nato­ e­ scompare­ al­l’orizzonte­ dello­ stesso­ Testimone.­ Tale­ corpo­ non­ è­ il­ nulla,­ perché­ del­ nulla,­ nulla­ si­ può­ dire,­ ma­ è­ un­ oggetto­ aleatorio,­ un­ semplice­ momento­ temporale,­ che­ non­ avendo­ valenza­ assoluta­ si­ dissolve,­ cessa­ di­ essere­ perché,­ appunto,­ non  è.­ Si­ vedano­ le­ kårikå­ seguenti. 1

Cfr.­ Bÿ.­ I.Iv.10­ e­ Chå.­ vI.vIII.7.

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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ.­ Iv.­ ALåTAÂånTIPrAKArA÷A 10 4.50­-­Così,­dalla­prospettiva­gnoseologica,­l’avidyå

(co­no­scenza­ erronea)­ non­ ha­ origine­ sostanziale,­ e­ voler­ trovare­l’inizio­dell’avidyå­è­come­voler­ritrovare­le­orme­ di­ un­ uccello­ nell’aria,­ o­ gli­ oggetti­ di­ sogno­ quando­ ci­ si­ sveglia. 11 4.57­-­La­nascita,­intesa­come­l’uscir­fuori­dall’Essere,­

non­ è­ accettabile;­ è­ solo­ mediante­ un­ velamento­ o­ uno­ spostamento­di­prospettiva­che­si­potrà­parlare­di­nascita.­ Ma,­dal­punto­di­vista­della­Realtà­suprema,­non­vi­è­né­ nascita­ né­ morte,­ quindi­ non­ vi­ è­ alcun­ annientamento. 12 4.60­-­Se­il­Brahman­åtman­non­ha­nascita,­non­può­

avere­alcuna­relazione­polare­o­duale­come­causa-effetto,­ eterno­ e­ perituro,­ ecc. 13 4.71­

-­ Questa­ tesi­ viene­ proposta­ esclu­sivamente­ dalla­ prospettiva­ del­ Non-nato­ o­ del­ Fondamento­ per­ cui­ tutto­ può­ esistere,­ e­ senza­ il­ quale­ nessuna­ cosa­ può­ concepirsi­ ed­ essere. per­ riuscire­ a­ comprendere­ le­ affermazioni­ di­ Gauƒapåda,­ apparentemente­ ardite­ e­ poco­ comprensibili­ alla­ mente­ empirica,­ occorre­ necessariamente­ non­ perdere­ di­ vista­ il­ punto­ dialettico­ da­ cui­ si­ pone:­ egli­ parte­ dalla­ constatazione­ che­ vi­ è­ un’unica­ e­ sola­ Realtà­ e,­ di­ conseguenza,­ un’unica­ verità­ la­ quale­ sovrasta­ tutte­ le­ verità­parziali­che­la­sfera­delle­opinioni­propone.­Questa­ Realtà-verità­ non­ nata­ è­ di­ là­ dal­ mondo­ del­ sensibile­ e­ da­ quello­ intelligibile. parlando­in­termini­platonici­si­può­dire­che­una­cosa­ è­porsi­dalla­prospettiva­dell’Uno-Bene,­e­un’altra­cosa­è­ porsi­ dalla­ prospettiva­ dell’Essere­ ontologico­ (o­ Mondo­ delle­ Idee).­ Se­ poi­ ancora,­ scendendo­ di­ dimensione,­ ci­ si­pone­esclusivamente­dalla­visione­del­sensibile­le­cose­

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cambiano­ a­ un­ punto­ tale­ che­ viene­ rovesciata­ la­ stessa­ Realtà-verità­ suprema. Quindi­ Gauƒapåda­ si­ pone­ dallo­ stato­ del­ Non-nato­ e­ interpreta­ il­ mondo­ del­ divenire­ da­ quella­ posizione. Nell’antica­ Grecia­ anche­ parmenide,­ ponen­dosi­ dalla­ prospettiva­ dell’Essere­ non­ nato,­ interpreta­ il­ divenire­ delle­ cose­ in­ termini­ di­ “apparenza”,­ secondo­ le­ indicazioni­ della­ dea­ Dike.­ «Tuttavia­ anche­ ciò­ devi­ apprendere:­ come­ le­ cose­ che­ appaiono­ (dokou`nta) devono­ in­ modo­ corretto­ essere­ valutate».1 E­ la­ stessa­ cosa­ fa­ Gauƒapåda. I­ due­ filosofi,­ Gauƒapåda­ e­ parmenide,­ partono­ dallo­ stesso­ principio­ incausato­ e­ proseguono­ a­ considerare­ il­ mondo­ sensibile­ come­ “apparenza”. Scrive­ parmenide:­ «Quale­ nascita­ infatti­ cercherai­ di­ esso?...­ Del­ non­ essere­ non­ ti­ permetterò­ né­ di­ affermarlo­ né­ di­ pensarlo­ perché­ è­ impossibile­ affermare­ o­ pensare­ ciò­ che­ non­ è».2 E­ Gauƒapåda­ prosegue:­ «La­nascita­di­ciò­che­non­è­reale­non­può­essere­ammessa­ logicamente­ né­ attraverso­ la­ måyå­ e­ nemmeno­ in­senso­reale.­Il­figlio­di­una­donna­sterile­non­nasce­ né­ in­ modo­ reale­ e­ neppure­ attraverso­ la­ måyå.­ I­ disputanti­ (vådin)­ sostengono­ la­ nascita­ per­sino­ di­ un­ ente­ non­ nato,­ ma,­ invero,­ come­ può­ un­ ente­ non­ nato­ e­ immortale­ divenire­ mortale­?».3 1 parmenide,­Sull’Ordinamento della Natura,­­fr.­1.31-­32.­Op.­cit.­ 2

Ibid. fr.­ 8.6-9.

3 Må. Kå. 3.28­e­20.

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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ.­ Iv.­ ALåTAÂånTIPrAKArA÷A

parmenide­ dichiara­ ancora:­ «...­Costoro­ sono­ guidati,­ contemporaneamente­ sordi­ e­ ciechi,­ uomini­ senza­ intelletto­ per­ cui­ Essere­ e­ non­ essere­ sono­ supposti­ la­ stessa­ cosa­ e­ non­ la­ stessa­ cosa­ e­ per­ essi­ di­ tutto­ vi­ è­ una­ via­ che­ volge­ in­ senso­ opposto».1 E­Gauƒapåda­parla­di­enti­disorientati­che­confondono­ l’Essere­supremo­(Brahman­åtman)­con­il­prå√a,­i­bh¥ta,­ ecc. «Coloro­che­conoscono­il­prå√a­considerano­il­prå √a come­ [realtà-åtman];­ coloro­ che­ conoscono­ i­ bh¥ ta considerano­ la­ realtà­ come­ bh¥ta...­ coloro­ che­ conoscono­ gli­ oggetti­ [empirici]­ considerano­ gli­ oggetti­ sensoriali­ come­ åtman...».2 Ci­ si­ trova­ sulla­ stessa­ linea­ di­ parmenide,­ con­ modalità­espressiva­diversa.­Si­può­notare­che­anche­plotino­ parla­dell’Uno­non­nato­che­sovrasta­la­stessa­Intelligenza­ principiale­ (Noûs),­ e­ di­ conseguenza­ tutto­ il­ percepibile. Si­ veda­ oltre­ la­ kårikå­ 4.73. 14 4.74­ -­ Si­ può­ notare­ l’intento­ di­ Gauƒapåda­ di­ far­

com­prendere­ la­ prospettiva­ metafisica:­ nascita­ e­ non­ nascita,­ movimento­ e­ immobilità,­ mortale­ e­ immortale,­ reale­e­irreale,­ecc.,­come­si­è­già­accennato,­sono­sempre­ verità­ di­ relazione,­ quindi­ empiriche. «Se­ tu­ cerchi­ questo­ principio,­ non­ cercare­ nulla­ al­ di­ fuori­ di­ Lui,­ ma­ cerca­ le­ cose­ che­ vengono­ dopo­ di­ Lui;­ ma­ Lui­ lascialo­ stare!».3 1 parmenide,­­Sull’Ordinamento  della  Natura,­­fr.­­6.8-9.­Op.­cit.­ 2 Må. Kå. 2.20-21.

3 plotino,­Enneadi,­vI.8.18.­Op.­cit.

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15 4.75­ -­ L’asparŸin,

in­ fondo,­ non­ rinuncia  alle­ cose­ del­ mondo­ perché,­ dal­ punto­ di­ vista­ della­ verità­ ultima,­ ed­ è­ quella­ che­ interessa­ l’asparŸavåda, le­ cose...­ non­ sono,­ cioè­ non­ hanno­ l’esse.­ La­ posizione­ coscienziale­ del saænyåsin­asparŸin  non­ è­ la­ rinuncia­ come­ comunemente­ s’intende­ poiché­ questo­ termine­ presuppone­ un­ qualcosa­ a­ cui­ si­ deve­ rinunciare.­ Si­ può­ anche­ dire­ che­ è­l’atteggiamento­dei­dualisti­la­vera­rinuncia,­l’abbandono,­il­distacco­dalle­cose­del­mondo­e­dal­mondo­perché­ per­ loro­ i­ dati­ oggettivi­ sono­ reali;­ ma­ per­ l’asparŸin  non­ v’è­ alcuna­ rinuncia,­ fuga­ o­ distacco­ da­ attuare:­ il­ mondo,­ con­ le­ sue­ espressioni­ vitali,­ non­ è­ altro­ che­ il­ serpente­ sovrapposto­ alla­ corda,­ e­ quando­ si­ realizza­ il­ Brahman­åtman  non­ ci­ sono­ più­ cose­ da­ cui­ distaccarsi,­ esse­ hanno­ perso­ il­ loro­ valore. D’altra­ parte,­ l’asparŸin­ si­ è­ risolto­ in­ quel­ Fon­damento­che­è­di­là­dal­mondo­delle­cose,­dalla­sfera­delle­ opinioni­ e­ di­ là­ dal­ tempo. Un­sistema­solare­appare­nel­tempo­e­lo­stesso­tempo­ lo­ divora;­ chi­ è­ fuori­ del­ tempo­ (non­ nato)­ considera­ il­ sistema­ solare­ già­ divorato­ e­ morto. 16 4.76­

-­ Âa§kara­ commenta:­ «Le­ cause­ più­ alte­ [supe­riori]­ sono­ quei­ doveri­ prescritti­ per­ gli­ ordini­ sociali­ e­ gli­ stadi­ di­ vita­ e­ che­ sono­ compiuti­ da­ persone­ non­ attaccate­ai­risultati,­per­cui­conducono­al­conseguimento­ degli­ stati­ coscienziali­ degli­ Dei­ e­ di­ altri;­ sono­ atti­ puramente­virtuosi.­Le­cause­intermedie­consistono­in­quei­ doveri­ associati­ a­ certe­ pratiche­ estranee­ alla­ religione­ e­ la­ cui­ osservanza­ permette­ a­ un­ essere­ di­ innalzarsi­ fino­ allo­stato­umano­[razionale],­ecc.­Le­cause­inferiori­sono­ quelle­tendenze­particolari­conosciute­come­completamente­ irreligiose­e­che­portano­alla­nascita­tra­gli­esseri­inferiori,­ ecc.­ Ma­ quando­ la­ mente­ si­ dissolve­ nell’åtman, che­ è­ Uno-senza-secondo,­si­è­liberi­da­ogni­produzione,­si­è­di­

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là­ da­ tutte­ quelle­ cause,­ superiori,­ intermedie­ e­ inferiori,­ proprio­ perché­ esse­ non­ hanno­ essere». 17­4.77­ -­ «Eppure­ eri­ “tutto”­ anche­ prima;­ ma­ poiché­

ti­ sei­ aggiun­to­ qualcosa­ d’altro­ oltre­ il­ tutto,­ tu,­ proprio­per­questa­aggiunta­sei­diventato­piccolo,­poiché­ l’ag­giunta­non­veniva­dal­Tutto­–­al­quale­non­si­può­ aggiungere­ nulla!­ –­ bensì­ dal­ non-tutto».1 18 4.82­-­Quando­le­qualificazioni­(gu√a),­di­qualunque­

natura,­pon­­gono­­un­velo,­uno­schermo­alla­mente,­l’åtman rimane­nascosto.­La­realizzazione­consiste­nel­dissolvere­ lo­ schermo­ in­ modo­ da­ creare­ l’identità­ con­ Quello.

«Quello­ [l’åtman]­ è­ Colui­ che­ molti,­ pur­ avendone­ udito,­ non­ hanno­ potuto­ afferrare­ e­ che­ molti­ [altri],­ pur­ascoltandone,­non­possono­conoscere.­Raro­è­colui­ che­ ne­ parla,­ privilegiato­ colui­ che­ lo­ ha­ compreso,­ [ma­ ancor­ più]­ raro­ è­ [l’aspirante]­ conoscitore­ [di­ Quello]­ istruito­ da­ qualcuno­ qualificato».2 19 4.83­-­Si­veda­il­Frammento­6.8-9­di­parmenide­ripor-

tato­a­pag.­168. 20 4.84­

-­ Le­ quattro­ teorie­ esaminate­ sostengono­ ri­spettivamente:­ l’esi­s ten­z a,­ la­ non­ esistenza,­ con­t emporaneamen­te­ l’esistenza­ e­ la­ non­ esistenza,­ e­ infine­ la­ non­ esistenza­ assoluta. 21 4.85­-­L’idea­è­che­qualsiasi­esperienza­diviene­inu-

tile,­ come­ afferma­ anche­ la­ Gıtå:

«Né­l’azione­né­la­non­azione­possono­mai­interessare­ un­ simile­ essere­ in­ questo­ mondo;­ egli­ non­ dipende­ 1 plotino,­Enneadi­vI.5.12.­Op.­cit. 2 Ka.­I.II.7.

Cfr.­anche­Bha. Gı. II.­29;­vII.­3.

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più­ da­ alcuno;­ né,­ per­ qualunque­ scopo,­ può­ trovare­ rifugio­ negli­ esseri».1 22 4.96­ -­ La­ conoscenza­ di­ cui­ si­ parla­ è­ conoscenza­

noetica,­metafisica,­inerente­allo­stesso­Essere­principiale;­ è­co­noscenza­d’identità,­quindi­non­è­conoscenza­empirica­ la­ cui­ natura­ è­ di­ generare­ solo­ concetti. Si­ può­ dire­ che­ è­ una­ conoscenza­ che­ verte­ esclusivamente­ su­ ciò­ che­ noi­ realmente­ siamo;­ risponde­ anche­ al­ detto­ “Conosci­ te­ stesso”­ proposto­ dal­ Dio-Apollo­ sul­ frontespizio­ del­ tempio­ di­ Delfi,­ di­ cui­ Socrate­ è­ stato­ il­ profondo­ interprete­ ed­ educatore.­ La­ Bÿhadåra√yaka  Upani≤ad,­come­le­altre­Upani≤ad,­per­via­diretta­risponde­ con­ il­ “So  ’ham”:­ “Io­ [sono]­ Quello”,­ cioè­ Brahman­ supremo;­quindi­il­jıvåtman,­nell’ente­umano,­e­il­Brahman coincidono­ in­ modo­ perfetto. «Dopo­ aver­ realizzato­ quello­ stato­ imperscrutabile,­ insondabile,­non­nato,­in­identità­con­se­stesso,­perfettamente­puro­e­non­duale,­noi­gli­rendiamo­omaggio».2 23­ 4.97­

La­ sådhanå dell’asparŸa­ consiste,­ dunque,­ nel­ con­­s iderare­­ gli­ oggetti­ grossolani­ (Virå†),­ sottili­ (Hira √ya garbha), ger­mi­nali­ o­ noumenici­ (ÙŸvara) come­ appartenenti­ al­ dominio­ della­ relazione,­ del­ rapporto­ e­ del­ contatto;­ ciò­ implica,­­ dalla­­ prospettiva­ ­metafisica,­­ che­­essi­riguardano­la­sfera­dell’apparenza-fenomeno.­Si­ vedano­ le­ kåri kå  4.88-89. La­realtà,­in­quanto­tale,­dev’essere­una­e­indivisibile;­ in­ altri­ termini,­ dev’essere­ asparŸa. L’Infinito­non­ha­né­grandezza­(piccola­o­grande),­né­ durata­(successione­di­momenti­brevi­o­lunghi),­l’Infinito­ 1 Bha. Gı.­III.18.­ 2 Må. Kå. 4.100.

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è­di­là­da­ogni­grandezza­e­durata­perché­non­è­né­tempo­ né­ spazio,­ per­ quanto­ questi­ possono­ essere­ estesi­ fino­ all’illimitato. 24 4.99­ -­ Così­ i­ dharma

non­ hanno­ relazione­ con­ gli­ oggetti,­ sono­ asparŸa; ciò­ implica­ che­ sono­ della­ natura­ del­ Non-nato,­ del­ Brahman  nirgu√a, di Turıya, senza­ nascita­ e­ senza­ fine.­ Ma­ alcuni­ possono­ arrivare­ solo­ a­ comprendere­ la­ dualità­ Creatore-creatura,­ possono­ concepire­ la­ dimensione­ teologica.­ Altri,­ che­ non­ sono­ qualificati­ per­ af­ferrare­ l’Unità­ principiale,­ propongono­ l’evoluzione­all’infinito­dei­dharma, senza­mai­rag­giungere­ la­ perfezione.­ Sostenere­che­un­Dio­crei­i­vari­dharma, e­gli­universi,­ rendendoli­poi­incapaci­per­tutta­l’eternità­di­reintegrarsi­ in­ Esso,­ significa­ammettere­ una­ serie­ di­ incongruenze­ e­ lacune­ da­ cui­ difficilmente­ si­ potrà­ uscire,­ oltre­ al­ fatto­ che­ questo­ Dio,­ così­ concepito,­ presenta­ indifferenza­ e­ insensibilità­ verso­ le­ sue­ creature.

Considerazioni  sul  Capitolo  IV 1.­ Se­ l’Essere-Dio­ è­ causa­ e­ gli­ enti­ sono­ effetti,­ si­ dovrà­riconoscere­che­gli­effetti­possono­reintegrarsi­nella­ causa­perché­essi­sono­modificazioni­di­quella.­Un­effetto­ non­ può­ essere­ distinto­ dalla­ causa,­ né­ quindi­ causa­ ed­ effetto­possono­considerarsi­dualità­assoluta.­Anzi,­l’effetto­ è­ la­ stessa­ causa­ che­ si­ configura­ come­ una­ determinata­ “modalità”­ di­ essere­ (vedi­ kåri kå  4.11­ segg.). 2.­ Se­ gli­ enti­ autocoscienti­ sono­ emanazione­ o­ creazione­ di­ Dio­ o­ dell’Essere,­ allora­ essi­ sono­ della­ stessa­ natura­dell’Essere,­anche­se­esprimenti­propri­“particolari”­ aspetti,­ dal­ momento­ che­ dal­ nulla,­ o­ da­ un’assoluta­ non­ realtà,­ nulla­ può­ venire­ a­ essere.­ Se­ la­ loro­ natura­ è­ identica,­ci­si­chiede,­in­che­senso­una­sola natura­debba­ trovarsi­ in­ contrapposizione­ con­ se­ stessa? 3.­Se­gli­enti­autocoscienti­non­avessero­la­possibilità­ di­ “comprendere”­ il­ proprio­ “Genitore”­ e­ di­ ritornare­ a­ Esso,­ sarebbero­ eternamente­ manchevoli,­ incompiuti,­ alienati­e­orfani,­e­se­fossero­tali­non­vi­sarebbe­per­essi­ alcuna­ speranza­ né­ perfezione­ che­ possa­ colmare­ la­ loro­ eterna  e assoluta  incompiutezza. D’altra­parte,­da­un­Dio­perfetto­non­possono­nascere­ enti­ imperfetti. Sotto­ questa­ prospettiva­ la­ stessa­ concezione­ dell’evoluzione­postulata­dai­dualisti­diventa­una­“concessione”­superflua,­perché­non­risolve­il­problema­essenziale,­ risultando­ solo­ un­ gioco­ inutile­ e­ beffardo. 4.­Se­gli­enti­e­l’universo­sono­creazioni­con­un­inizio,­ devono­ avere­ anche­ una­ fine;­ ora,­ quando­ essi­ avranno­

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termine­ dove­ andranno?­ Si­ dissolveranno­ nel­ nulla?­ Il­ nulla,­ si­ è­ detto,­ non­ può­ esistere,­ esiste­ solo­ come­ categoria­ mentale.­ Se,­invece,­non­hanno­nascita­e­fine,­allora­sono­infiniti­ed­eterni­quanto­la­causa­prima­non­causata,­e­poiché­ due­infiniti­paralleli­o­contrapposti­non­possono­coesistere­ perché­ si­ annullerebbero­ reciprocamente,­ si­ può­ dedurre­ che­ i­ due­ non­ possono­ non­ essere­ unità­ indivisa. 5.­Se­l’Essere,­o­la­persona­divina,­ha­in­sé­Intelligenza­ e­ potenza,­ perché­ dovrebbe­ creare degli­ enti,­ o­ dharma,­ che­ sarebbero­ poi­ eternamente­ manchevoli­ e­ alienati? E­ se­ anche­ si­ postulasse­ un­ mediatore­ tra­ la­ persona­ divina­e­gli­enti,­che­fungesse­da­legame,­rimarrebbe­pur­ sempre­ il­ fatto­ che­ gli­ enti­ sarebbero­ ugualmente­ privati­ della­ possibilità­ di­ ricongiungersi­ al­ “Genitore”. 6.­ Se,­ ancora,­ il­ Divino,­ in­ quanto­ totalità,­ è­ uni­tà­ assoluta,­potrà­mai­trovarsi­in­esso­una­dualità­irriducibile­ come­ creatore­ creatura? 7.­E­anche­se­­i­­dharma­avessero­facoltà­di­libero­arbitrio,­ ciò­ non­ risolverebbe­ il­ problema;­ una­ volta­ risolti­ i­ loro­ even­tuali­ errori,­ dovrebbero­ reintegrarsi­ nel­ Dio­ genitore.­ Da­quanto­brevemente­è­stato­esposto,­si­deduce­che­i­ dharma non­ sono­ altro,­ nella­ loro­ più­ profonda­ essenza,­ che­ la­ causa­ non­ generata,­ e­ non­ possono­ non­ esserlo,­ e­ solo­ in­ modo­ apparente  possono­ essere­ velati,­ limitati­ e­ separati. L’ente­ può­ “credersi”­ un...­ serpente,­ ma­ in­ effetti­ è­ sempre­ stato­ e­ sempre­ sarà­ la...­ corda. può­circoscriversi,­può­essere­velato­dai­gu√a, ma­ciò­ sarà­ sempre­ un­ fattore­ relativo.

COnsIderAzIOnI suL CAPITOLO IV

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«È­ per­ virtù­ di­ måyå che­ Brahman appare­ universo»­ dicono­ i­ Veda. «L’Autoesistente­ rese­ gli­ accessi­ esterni­ incapaci­ [di­ co­glierlo]:­per­questo­[l’essere­individuato]­vede­[so­lo]­le­cose­­all’esterno­­e­­non­­l’intimo­­åtman.­Qualche­ saggio,­ aspirando­ all’immortalità,­ divenuto­ uno,­ rivolgendo­ all’interno­ la­ vista­ [esteriore],­ vide­ l’intimo åtman».1 È­per­­virtù­di­måyå-avidyå­che­l’individuo­(condizionato­ dai­ gu√a)­ ­può­ considerare­ l’universo­ come­ Realtà­ assoluta. La­più­grande­tragedia­che­possa­capitare­a­un­vivente,­ seguendo­ la­ concezione­ di­ alcune­ dottrine­ evoluzionistiche,­ è­ quella­ di­ essere­ creato  da­ un­ Ente­ supremo,­ per­ il­ semplice­ motivo­ di­ farlo­ evolvere­ all’infinito,­ per­ cui­ è­ forzatamente­ sospinto­ a­ elevarsi­ per­ espandere­ sempre­ più­orizzontalmente­la­sua­coscienza­e­chiedere­maggiore­ perfezione,­ la­ quale­ rimane­ pur­ sempre­ relativa­ perché­ la­ progressione­ della­ perfezione­ è­ all’infinito.­ L’ente,­ per­ quanto­ possa­ innalzarsi­ e­ dilatarsi,­ ha­ di­ fronte­ a­ sé­ un­ ulteriore­ gradino­ da­ superare­ che,­ sebbene­ superiore­ al­ precedente,­ è­ ugualmente­ manchevole­ e­ imperfetto­ di­ fronte­ al­ susseguente. In­ altri­ termini,­ si­ asserisce­ un­ dualismo­ assoluto:­ da­ una­ parte­ un­ perfetto­ (lo­ si­ deve­ anche­ ammettere­ se­ si­ postulano­degli­enti­perfettibili),­dall’altra­una­molteplicità,­ da­esso­creata,­che­è­imperfetta­o­perfettibile­all’infinito,­ senza­una­fine,­senza­la­speranza­della­completa­maturazione­ e­ ciò­ comporta­ una­ eterna­ infelicità. E­l’ente,­sapendo­a priori che­il­suo­destino­“forzato”­ è­pur­sempre­l’imperfezione,­quindi­il­conflitto,­non­può,­ legge­ permettendo,­ non­ fermarsi­ dov’è,­ nel­ posto­ o­ nel­ 1 Ka. II.1.1.

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gradino­su­cui­già­si­trova,­rifiutando­quel­processo­evoluzionistico­all’infinito­che­si­dimostra,­in­ultima­analisi,­ come­ un­ procedere­ senza­ soluzione­ o,­ peggio­ ancora,­ come­ una­ tragica­ beffa.­ Tra­ un­ individuo­ umano­ imperfetto­ e­ un­ più­ eccelso­ Essere­ imperfetto,­ è­ consigliabile­ rimanere­un­individuo­umano,­se­non­altro­per­la­minore­ responsabilità­ che­ si­ ha. Quando­ il­ problema­ evolutivo­ lo­ si­ pone­ in­ termini­ di­ un­“sempre­più”,­di­“carriera­gerarchica­o­spirituale”,­nella­ coscienza­dell’ente­non­può­non­scatenarsi­un­grande­travaglio,­una­tensione­e­persino­uno­spirito­di­competizione. Quando­ gli­ enti­ sono­ trascinati­ forzatamente­ ad­ accrescersi­ a­ dismisura­ in­ un­ perpetuo­ divenire­ senza­ fondo,­ costretti­a­ricevere­mansioni­e­responsabilità­di­sempre­maggiore­importanza­e­ampiezza,­la­vita­diventa­lotta,­diventa­ angoscia­ senza­ neanche­ la­ consolazione­ della­ soluzione. Altri­evoluzionisti­sostengono­invece­che­gli­enti,­nati imperfetti­ e­ manchevoli,­ evolvendo­ nel­ tempo-spazio,­ raggiungeranno­l’assolutezza.­Questi­concedono­qualcosa­ di­ più­ dei­ precedenti­ evoluzionisti,­ ma­ fanno­ dipendere­ l’Assoluto­dal­tempo (kårikå 2.24). Il­termine­“divenire”­ qui­ è­ appropriato­ perché,­ invero,­ l’ente-zero­ non­ è­ Asso­luto,­ ma­ lo­ “diverrà”.­ In­ altri­ termini,­ per­ codesti­ evoluzionisti­il­tempo,­o­il­divenire,­porta­all’Essere:­però­il­ Buddha,­in­ accordo­con­ tutte­le­ Tradizioni,­sostiene­ che,­ “andando”,­ non­ si­ arriva­ mai. «Né­ un­ bene­ così­ concepito­ sarebbe­ maggiormente­ bene­ perché­ è­ eterno,­ dal­ momento­ che­ il­ bianco­ eterno­ non­ è­ più­ bianco­ del­ bianco­ di­ un­ sol­ giorno».1 Ma­ come­ si­ può­ divenire­ se­ già­ non­ si­ è?­ E­ se­ già­ si­ è,­ non­ v’è­ alcun­ motivo­ per­ divenire.­ Se­ il­ termine­ evo­luzione­ significa­ ­passare­ da­ ­uno­ stato­ di­ natura  a un­ al­tro,­ ciò­ significa­ infirmare­ il­ principio­ d’identità­ 1­Aristotele,­Etica Nicomachea,­I­(A),­6,­1096­b­5.­Laterza,­Bari.

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dell’essere,­ il­ che­ non­ è­ conforme­ a­ ragione­ perché­ un­ dato­ la­ cui­ natura­ è­ A­ non­ può­ trasformarsi­ in­ altro­ la­ cui­ natura­ è­ B.­ Un­ meno­ non­ può­ divenire­ un­ più,­ e­ un­ non­ Dio­ un­ Dio. Se­ l’ente­ non­ ha­ in­ sé­ la­ potenzialità­ di­ essere­ ciò­ che­è,­mai­potrà­raggiungere­lo­stato­dell’Essere.­Inoltre,­ il­ tempo-spazio­ non­ è­ altro­ che­ una­ “finzione”­ mentale,­ un­ sistema­ di­ coordinate­ che­ risponde­ a­ una­ categoria­ di­ pensiero.­ Si­ vedano­ le­ kårikå  4.3­ segg. Il­principio­supremo­non­può­dipendere­da­condizioni­ di­ tempo-spazio-causa,­ perché­ non­ può­ avere­ categorie­ mentali.­ L’Assoluto,­ o­ l’Infinito,­ è­ totale­ pienezza­ che­ si­ completa­ in­ se­ stesso.­ Il­ divenire­ porta­ al­ divenire­ e­ l’Essere­ porta­ all’Essere.­ Una­ quantità­ d’ignoranza­ più­ una­ quantità­ d’ignoranza­ divengono­ solo­ due­ quantità­ d’ignoranza,­ non­ già­ la­ conoscenza. Nel­ divenire,­ e­ teorizzando­ il­ divenire,­ si­ pospongono­ necessariamente­ i­ problemi­ fondamentali­ dell’ente.­ Chi­ vuole­ uscire­ dal­ divenire-movimento-cangiamento­ (saæsåra)­ deve­ fermarsi,­ deve­ reintegrarsi­ nel­ “Motore­ immobile”­ che,­ con­ la­ sua­ sola­ presenza,­ dà­ vita­ a­ tutte­ le­ apparenze­ e­ mutamenti. L’Assoluto,­ come­ si­ è­ già­ accennato,­ non­ è­ tempo­ infinito,­ considerato­ come­ una­ successione­ o­ durata­ illimitata,­ né­ spazio­ infinito,­ considerato­ come­ infinita­ grandezza­ (questi­ si­ trovano­ sempre­ sul­ piano­ del­ relativo);­ il­ principio­ supremo,­ nella­ sua­ più­ vera­ accezione,­ è­ senza­ tempo,­ senza­ spazio,­ senza­ secondo.­ nella Fisica,­ Aristotele­ asserisce­ che­ il­ principio­ supremo­ deve­ essere­ immobile,­ perché­ solo­ l’immobile­ è­ causa­ assoluta­ del­ mobile.­ per­ spiegare­ ogni­ movimento­ occorre­ ammettere­ un­ principio­ di­ per­ sé­ non­ mosso.1 1 Cfr.­ Aristotele,­ Fisica  vII, ­1, ­242­­a­ 35­ segg.;­ Metafisi c a II, ­2, ­994­b­ 5­ segg.

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Un­dato­comune­agli­evoluzionisti,­ma­ciò­è­una­conseguenza­ inevitabile,­ è­ di­ considerare­ l’“esperienza”­ un­ basilare­ e­ indispensabile­ fattore­ di­ evoluzione,­ di­ avanzamento,­ di­ progresso. L’esperienza,­essendo­un­procedimento­di­ordine­empirico­ e­ dualistico,­ non­ può­ portare­ all’Essere,­ al­ Non­ agente,­ al­ Motore­ immobile. L’Essere­non­può­dipendere­da­cose­che­appartengono­ alla­ dimensione­ del­ contingente,­ del­ fenomenico­ o­ della­ måyå­ perché,­ come­ prima­ si­ è­ detto,­ non­ dipende­ da­ tempo-spazio-causa. L’esperienza­ empirica­ è­ l’effetto­ dell’azione,­ è­ frutto­ dell’agire;­ l’esperire­ implica­ muoversi.­ L’azione­ è­ ka­ rma,­e­il­karma e­l’avidyå sono­i­fattori­indissolubili­che­ portano­ alla­ trasmigrazione. Karma-azione­ è­ desiderio­ irrequieto­ e­ fame­ di­ ac­quisizioni­ che­ servono­ come­ appoggio­ e­ giustificazione­ per­ la­ perpetuazione­ dell’io.­ Ma­ perché­ questo?­ perché­ l’ente,­ avendo­ dimenticato­ la­ sua­ vera­ pienezza,­ è­ co­stretto­ a­ esperire­ e­ acquisire­ cose­ compensatorie­ con­ le­ quali­ colmare­ la­ sua­ transitoria­ mancanza­ di­ essere. L’esperienza-azione­ implica­ estroversione,­ uscir­ fuori­ dalla­propria­aseità,­ma­la­realizzazione­e­la­compiutezza­ non­ si­ trovano­ fuori­ dell’Essere;­ l’Essere­ lo­ si­ realizza­ solo­ con­ un­ atto­ di­ consapevolezza­ immediata,­ di­ “enstasi”­ che­ non­ è­ frutto­ dell’agire­ o­ dello­ sperimentare­ ma­ del­ “Contemplare”,­ del­ “ve­dere”,­ del­ “Conoscere”;­ né,­ ancora,­ si­ può­ ricondurre­ la­ realizzazione­ dell’ente­ a­ un’esperienza­ sensibile. Diremo­ che­ l’ente,­ una­ volta­ proiettatosi­ fuori­ di­ sé,­ “oblìa”­ il­ suo­ stato­ naturale,­ costringendosi­ nella­ spe­rimentazione­ del­ saæsåra­ (mito­ di­ Narciso),­ ma­ è­ proprio­ quando­ la­ sperimentazione­ cessa­ che­ l’ente,­ ripiegando­ su­ se­ stesso,­ si­ ritrova­ nella­ sua­ propria­ pienezza.

COnsIderAzIOnI suL CAPITOLO IV

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L’esperienza­ empirica,­ più­ che­ strumento­ di­ ascesi,­ è­ strumento­ che­ perpetua­ la­ dualità­ Essere-divenire. Si­ può­ anche­ dire­ che­ l’autentica­ esperienza­ porta­ al­ riconoscimento­ della­ non­ esperienza,­ porta­ al­ riconoscimento­ del­ morire­ all’esperienza,­ e­ ciò­ è­ un­ aspetto­ Ÿivaita,­essendo­Âiva il­principio­che­va­di­là­dalle­forme,­ di­ là­ dai­ nomi,­ di­ là­ dalla­ sperimentazione.­ Di­ conseguenza,­ la­ stessa­ liberazione-realizzazione­ non­ implica­ un­“muoversi”,­un­“trasformarsi­in­altro”,­un­alterarsi,­un­ mutarsi,­ma­implica­solo­un­comprendersi,­uno svegliarsi­ dal­sonno-sogno­individuale­e­universale,­un­riconoscersi, un­ essere­ ciò­ che­ si­ è.  È­ da­ questa­ posizione­ coscienziale­ che­ può­ essere­ proposta­l’azione,­essendo­questa­non­più­fine­a­se­stessa,­ perché­ permeata­ dall’Accordo­ con­ l’Universale,­ con­ la­ Giustizia­ (si­ veda­ platone),­ perché­ collegata­ al­ ÿta e al Dharma­ del­ principio,­ edificando­ così­ una­ Civitas­ sulla­ base­ della­ sapientia  divina.

glossario Vengono riportati alcuni termini sanscriti con il loro particolare significato nel contesto di questa opera

abåhya: senza esterno, I. 26. åbhåsa: apparenza, IV. 51. abhåva: non esistenza, II. 3; IV. 83. abhaya: privo di paura, privo di timore, III. 37, 39, 40; IV. 78. abheda: non distinzione, III. 13. abhilapa: espressione, III. 37. abhiniveŸa: tenace attaccamento, IV. 75. abhinna: privo di differenziazione o frammentazione, IV. 1. abhisaævÿti: velamento, visuale empirica [di velamento], IV. 73. abh¥ta: non esistente, non realtà, non essere, III. 23; IV. 3, 4, 26, 38. abh¥tåbiniveŸa: tenace attaccamento alle apparenze, IV. 75, 79. abuddha: privo di mente [discriminante], III. 8. acala: immutabile, III. 37; IV. 45. acara: immobile, III. 31. acintya: impensabile, inconcepibile, S¥tra VII; IV. 52. adhvan: stadio temporale, IV. 27. ådhyåtmika: interno, sfera individuale, II. 16, 38.

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ådi: il primo, l’inizio, l’origine, il principio, I. 19; II. 6; IV. 14, 15, 23, 31, 92. ådimat: dotato di un inizio, IV. 30. ådiŸånta: pacificato fin dall’inizio, IV. 93. adÿ≤†a: invisibile, S¥tra VII. ådyantavattva: dotato di un inizio e di una fine, II. 7. advaita: non dualità, non duale, S¥tra VII; I. 10, 16, 17; S¥tra XII; II. 18, 36; III. 18. advaya: non duale, unico, senza secondo, II. 33, 35; III. 30; IV. 4, 45, 62, 80, 85. advayåtå: senza secondo, non duale, II. 33. agråhya: inafferrabile [con i sensi], S¥tra VII. agråhyabhåva: la natura inafferrabile [del Brahman], III. 26. aja: non nato, senza nascita, I. 16; III. 1, 19, 26, 33, 36, 47; IV.11-13, 38, 45, 46, 57, 60, 74, 80, 81, 93, 95, 96, 100. ajåta: non nato, assenza di generazione, mancanza di nascita, III. 20; IV. 6, 21, 29, 42, 43, 77. ajåti: privo di generazione, assenza di generazione, senza nascita, III. 2, 38; IV. 4, 5, 19. akalpaka: non concettuale, III. 33. åkåŸa: spazio, etere, I. 2; III. 4, 6, 7, 9, 12. akathya: inesprimibile, III. 47. ak≤aya: indistruttibile, III. 40. alabdhåvara√a: non sottoposto ad alcun velo, IV. 98. alak≤a√a: indefinibile, S¥tra VII.

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alåta: tizzone ardente, IV. 47-50. amanastå: assenza di mente, III. 32. amåtra: senza misura, non misurabile, S¥tra XII; I. 23, 29. amÿta: immortale, III. 19-22; IV. 6-8. amÿtatva: immortalità, IV. 92. am¥rta: senza forma, II. 23. anåbhåsa: che non ha immagini riflesse, che non produce apparenza, III. 46; IV. 48. anådi: privo di inizio, assenza di inizio, eterno, IV. 14, 30, 91. anådimåyå: måyå senza inizio, I. 16. anånåtva: in identità con se stesso, IV. 100. ånanda: beatitudine, I. 4. ånandabhug: che esperisce la beatitudine, I. 3. ananta: senza fine, innumerevole, II. 19, 26. anantamåtra: ciò la cui misura è senza fine, I.29. anantatå: senza termine, IV.30. ananyatva: non alterità, non differente, III. 13; IV. 12. anåpannådimadhyånta: non affetto da inizio, mezzo e fine, IV. 85. anapara: privo di effetto, I. 26. anidrå: senza sonno, I. 16; III. 36; IV. 81. animitta: assenza di causa, IV. 27, 77, 78. aniŸita: non accertato, II. 17. anitya: non eterno, IV. 59.

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anÿta: la non verità, I. 12. anta¢prajña: che sperimenta gli oggetti interni, I. 1. antaryåmin: l’Ordinatore interno, S¥tra VI. anta¢sthåna: situato all’interno, II. 1, 4. anupalambha: privo di esperienza, IV. 88. anutpanna: privo di origine, IV. 93. anutpatti: mancanza di nascita, IV. 77. anyabhåva: la natura differente, IV. 53. anyathåbhåva: cambiamento di natura, III. 21; IV. 7, 29. apara: non supremo, I. 26; II. 27. aparijñåna: conoscenza non completa, IV. 19. apavåda: la dottrina della negazione, III. 25. aprasiddha: che non è stabilito, IV. 17. aprasiddhatva: un fatto non dimostrato, IV. 38. apravÿtta: privo di attività, IV. 80. apÿthagbhåva: non esser diverso, II. 30. åptakåma: colui che ha appagato ogni volere, I. 9. ap¥rva: privo di causa, I. 26. artha: oggetto, IV. 26. ar¥paka: senza forma, III. 36. asa§ga: senza relazione, IV. 72, 96. aŸåŸvata: impermanente, IV. 60. asat: non essere, non esistente, non reale, II. 9, 10; IV. 22, 38, 40.

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asparŸayoga: lo yoga del senza contatto o relazione, III. 39; IV. 2. åŸrama: stadi di vita, II. 27; III. 16. asvapna: senza sogno, I. 16; III. 36; IV. 81. asvapnanidrå: sonno senza sogno, I. 14. atigambhıra: insondabile, IV. 100. åtman: S¥tra II, VII, VIII, XII; I. 27; II. 17, 18; III. 3, 4, 7, 11, 13, 14, 19, 32, 38. åtmamåyåvisarjita: gli aggregati dell’åtmå prodotti dalla måyå, III. 10. åtmasaæstha: stato di equilibrio [privo di cambiamento] nell’åtman, III. 38. åtmasatyånubodha: attuazione della verità che è l’åtman, III. 32. åtmaviniŸcaya: l’accertamento dell’åtman, II. 18. avastu: non sostanziale, IV. 87, 88. avastutva: ciò che è insostanziale, IV. 45. aviruddha: esente da contraddizioni, IV. 2. aviŸe≤a: non dissimile, IV. 50. avitatha: non irreale, II. 6. avivåda: esente da disputa, IV. 2, 5. avyakta: non manifesto, II. 15. avyapadeŸya: indescrivibile, S¥tra VII. avyavahårya: non agente, S¥tra VII, XII. avyaya: non soggetto a decadimento, immutabile, I. 10, 26.

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bahis: fuori, all’esterno, II. 14, 15. bahiŸcetas: all’esterno della mente, II. 9. bahisprajña: che sperimenta gli oggetti esterni, I. 1. bhåva: ente, I. 6; II. 29; III. 20, 22. bhoga: fruizione, I. 3, 9; III. 42, 43. bhoktÿ: fruitore, I. 5; II. 22. bh¥ta: realtà, ciò che è esistente, I. 22; II. 20; III. 23; IV. 3, 4, 33, 38, 41. bıjanidrå: sonno-seme, I. 13. buddha: risvegliato, illuminato, saggio, IV. 19, 42, 80, 88, 98, 99. buddhi: intelletto, II. 25. calåcala: il mutevole e l’immobile, II. 37. caturtha: quarto, il “Quarto”, S¥tra VII. cetaæŸu: raggi di coscienza, I. 6. cetas: coscienza, mente, I. 25; II. 9, 10. cetasgÿhıta: sperimentato dalla mente, II. 9, 10. citta: mente, sostanza mentale, II. 13, 25; III. 44-46; IV. 26-28, 46, 54, 61, 62, 66, 72, 76, 77. cittadÿŸya: ciò che è percepito dalla mente, IV. 28, 36, 77. cittakåla: la durata della ideazione, II. 14. cittaspandita: modificazione mentale, IV. 72. cittek≤a√ıya: oggetti di percezione per la mente, IV. 66.

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dama: autodominio, IV. 86. deŸita: insegnato, indicato, IV. 2, 42. deva: risplendente, essere luminoso, I. 10; II. 12, 19, 21. dharma: ente, ente individuato, IV. 1, 6, 8, 10, 21, 33, 53, 54, 58-60, 81, 91-93, 96, 98, 99. dharmådharma: [la diade] dharma-adharma, II. 25. dharmadhåtu: la natura essenziale, IV. 81. dharmaja: gli enti individuati generati, IV. 54. dhıra: risoluto, I. 28. dravya: sostanza, sostanzialità, IV. 50, 53. dravyatvåbhåva: inesistenza di sostanzialità, privo di sostanza, IV. 50, 52. dravyatva: la natura di sostanza, IV. 53. dÿ≤†ånta: l’oggetto di dimostrazione, IV. 20. du¢kha: sofferenza, conflitto, difficoltà, I. 10; III. 40, 43; IV. 82. du¢khak≤aya: soluzione della sofferenza, III. 40. durdarŸa: difficile da comprendere, imperscrutabile, III. 39; IV. 100. dvaita: dualità, I. 17, 18; III. 18, 31. dvaitin: dualista, III. 17. dvaya: dualità, IV. 72, 75, 87. dvayåbhåsa: apparenza della dualità, III. 29, 30; IV. 61, 62. dvayåbhåva: la non esistenza della dualità, IV. 75. dvayakåla: i due momenti temporali [inizio e fine], II. 14.

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dvayanåŸa: eliminazione della dualità, IV. 24. dvi: due, I. 11. dvipada: dotati di due piedi, IV. 1. ekåtmapratyayasåra: unica essenza di consapevolezza in quanto åtman, S¥tra VII. ekıbh¥ta: riunificato, S¥tra V. gagana: cielo, III. 8. ghana: unità indistinta, I.1. gha†åkåŸa: l’etere racchiuso nel vaso, III. 4, 5, 7. graha: accettazione, III. 38; IV. 84. gråhyagråhaka: il percipiente e il percepito, IV.72. graha√a: esperienza, IV. 37. hetu: causa, origine, IV. 14, 15, 17, 18, 23, 53, 76, 78. hetuphala: causa-effetto, IV. 16. hetuphalåjåti: l’assenza di nascita, di causa ed effetto, IV. 54. hetuphalåveŸa: la rappresentazione mentale di causa ed effetto, IV. 55, 56. hetuphalodbhava: il sorgere della causa e dell’effetto, IV. 55. hetvabhåva: assenza di causa, IV. 76. hita: benefico, IV. 2. hÿd: cuore, I. 2, 28. ıŸåna: il Signore, I. 10. ÙŸvara: il Signore, I. 28.

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jågaritasthåna: lo stato di veglia, S¥tra III. jågrat: veglia, III. 29, 30; IV. 61, 62, 65, 66. janman: nascita, III. 27, 28; IV. 15. jaråmara√a: vecchiaia e morte, IV.10. jaråmara√anirmukta: libero da vecchiaia e morte, IV. 10. jåta: nato, III. 27, 43; IV. 13. jåti: generazione, nascita, III. 3, 20; IV. 3, 6, 28. jåtido≤a: gli errori dovuti [nell’accettare] la generazione, IV. 43. jåtyåbhåsa: che ha l’apparenza della generazione, IV. 45. jıva: ente, scintilla, riflesso-raggio dell’åtman, I. 16; II.16; III. 3-7, 11, 13, 14, 48; IV. 46, 63, 65, 68-70. jñåna: conoscenza, III. 33, 38; IV. 1, 88, 89, 96, 99. jñånåloka: luce di conoscenza onnipervadente, III. 35. jñeya: il conoscibile, III. 33, 47; IV. 1, 88-91. jñeyåbhinna: non diverso dal conoscibile, III. 33; IV. 1. kåla: il tempo, I. 8; II. 2, 24; IV. 34. kålavid: il conoscitore del tempo, II. 24. kalpita: ciò che è immaginato, proiettato; rappresentazione mentale, I. 18; II. 9, 10, 14, 15. kalpitasaævÿti: visuale empirica velante, IV. 74. kåmabhoga: desiderio di fruizione, III. 42, 43. kåra√a: causa, I. 11; III. 25; IV. 11, 12. kåranabaddha: condizionato dalla causa, I. 11. kårya: effetto, I. 11; III. 6; IV. 11, 12.

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kåryakåra√abaddha: condizionato dall’effetto e dalla causa, I. 11. kåryakåra√atåbhåva: assenza di relazione di causa-effetto, IV. 52. koŸa: involucro, involucro energetico, III. 11. ko†ya­Ÿca­ta­sra: le quattro [teorie] alternative, IV. 84. krama: successione, IV. 16, 89. k≤ånti: la quiete cognitiva, IV. 92. laukika: lo stato ordinario (sia di veglia che di sogno), IV. 87. laya: riassorbimento, dissoluzione, I. 21; II. 28; III. 42, 44. loka: mondo, ente comune, II. 21, 36; IV. 95. lokottara: lo stato al di sopra di quelli ordinari, IV. 88. manas: mente I. 2; II. 25; III. 29-31, 34, 40, 41. måyå: movimento, velamento, proiezione magica, I. 17; II. 19, 31; III. 19, 24, 27-29; IV. 58, 61. måyåmaya: fatto di måyå, illusorio, IV. 59, 69. mithyå: non reale, II. 7; IV. 32. mok≤a: liberazione, IV. 30. mukta: liberato, II. 32; IV. 98. mumuk≤u: chi aspira alla liberazione, II. 32. muni: saggio silenzioso, I. 22, 29. nånåtva: molteplicità, III. 13; IV. 91. nåsti: che non è, che non esiste, IV. 83. navyavasthå: assenza di una valida soluzione, IV. 13.

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nåyaka: guida, IV. 98. nidarŸana: spiegazione, III. 3. nidrå: sonno, I. 14, 15. nigraha: disciplina, controllo, III. 40, 41. ni¢sa§ga: privo di attaccamento, privo di relazione, III. 45; IV. 79. nimitta: causa, IV. 25, 27. nirbhaya: esente da paura, I. 25; III. 35. nirnimitta: libero dalla causa, IV. 75. nirodha: cessazione di essere, II. 32. nirvikalpa: al di là dei concetti, privo di ideazione, II. 35; III. 34. nirvi≤aya: che non entra in contatto con alcunché, non in contatto con oggetti, IV. 72. niŸcala: privo di movimento, III. 22; IV. 80. niŸcita: di salda certezza, accertato, I. 14, 22; II. 18; III. 17, 23. nispanda: fermo, immoto, IV. 49. nitya: eterno; permanente, III. 33; IV. 11, 72. nyåyap¥rvaka: come logica conseguenza, II. 3. oækåra: la sillaba Om, il pra√ava, S¥tra VIII; I. 24-29. påda: stato, piede, S¥tra II-V; IV. 100. paramårtha: la Realtà suprema, la suprema Verità, I. 17; II. 32; III. 18; IV. 73, 74. phala: effetto, risultato, IV. 14, 15, 17, 18, 23, 76.

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prabhava: origine, I. 6. prabhu: il Signore, I. 8, 10; II. 13. pråjña: designa lo stato del jıva­ a livello causale, corrisponde alla condizione di sonno profondo, I. 1, 3, 4, 11-14; S¥tra XI; I. 21. prajñå: discernimento, III. 45. prajñånaghana: unità omogenea di coscienza-conoscenza, S¥tra V, VII. prajñapti: appercezione, IV. 24, 25. prakÿti: natura, sostanza, la natura intrinseca di un ente, III. 21; IV. 7, 9, 29, 92, 93. prakÿtinirmala: privo per natura di impurità, IV. 98. pralına: distruzione, III. 4. pra√ava: l’Om, la sillaba Om, I. 25-28. prapañca: dispiegamento, I. 17. prapañcopaŸama: senza alcuna traccia di manifestazione, S¥tra VII, XII; II. 35. pråpya: ciò che deve essere conseguito, IV. 85. prasava: manifestazione, I. 7. pravivikta: stato sottile, I. 4. praviviktabhug: colui che esperisce lo stato sottile, S¥tra IV. p¥rvåparåparijñåna: non conoscenza relativa all’antecedente e al susseguente, IV. 21. sadasat: il reale-non reale, esistente-non esistente, IV. 22, 40. saddhetuka: avente causa nel reale, IV. 40.

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sådhya: oggetto di dimostrazione, IV. 20. sama: stesso, identico, III. 23; IV. 77, 93. Ÿama: calma mentale, IV. 86. samådhi: contemplazione, III. 37. såmånya: identità, I. 19. samapråpta: mente pacificata, III. 44. samatva: condizione di identità, stato di equilibrio, II. 5; III. 2, 38. saæbhava: origine, nascita, III. 9, 25, 48; IV. 16, 38, 71. sambuddha: colui che ha compiutamente realizzato i dha­ rma, IV. 1. saækleŸa: sofferenza, IV. 24. saæsåra: divenire ciclico, IV. 30, 56. saæŸaya: dubbio, I. 17, 24; III. 30; IV. 62. saæsthita: stabilito, I. 28. saævÿti: copertura, velamento, velante, IV. 57, 74. såmya: identità, in identità con se stesso, IV. 93, 95, 100. sa§ghåta: oggetti compositi, III. 3, 10. Ÿånta: pacificato, S¥tra VII; III. 47; IV. 45. Ÿånti: pace, indistruttibile pace, III. 40. sarvajña: l’Onnisciente, base di ogni conoscenza, S¥tra VI; III. 36, 47. sarvajñatå o sarvajñåtva: perfetta illuminazione, conoscenza intera (onniscienza), IV. 85, 89. sarveŸvara: il Signore della Totalità, S¥tra VI.

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ŸåŸvata: permanente, eterno, IV. 57. ŸåŸvatåŸåŸvata: permanente e impermanente, IV. 60. sat: l’esistente, il reale, II. 9; III. 27; IV. 22 , 37, 41. satya: la verità, I. 12; III. 48; IV. 71, 78. Ÿiva: benefico, S¥tra VII, XII; I. 29; II. 33. smÿta: tradizionalmente accettato, IV. 88, 90, 94. sÿ≤†i: creazione, manifestazione, I.7-9; II. 28; III. 15. sthåna: stato, condizione, II. 5, 11. sthånidharma: l’ente individuato che si trova in una data condizione, II. 8. sth¥la: grossolano; il piano di esistenza grossolano, I. 4; II. 23. sth¥labhug: che esperisce gli oggetti grossolani, I. 3. sukha: felicità, beatitudine, pienezza, III. 45, 47; IV. 2. s¥k≤ma: sottile, II. 23. sunirvÿta: perfettamente imperturbabile, IV. 93. su≤upti: sonno profondo, III. 34, 35. su≤uptasthåna: lo stato di sonno profondo, S¥tra V. svabhåva: la propria autentica natura, I. 9; III. 22; IV. 8. svamåyå: il potere di måyå, II. 12. svapna: sogno, I. 14, 15; II. 1, 3-5, 7, 31; III. 29, 30; IV. 32, 33, 36, 37, 39, 41, 61-64. svapnasthåna: lo stato di sogno, S¥tra IV. svapnamaya: fatto di sogno, IV. 68. svapnamåyå: il sogno e la proiezione magica, II. 31.

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svapnavÿtti: modificazione di sogno, II. 9. svastha: stabilito in se stesso, III. 47. taddÿŸya: oggetto di percezione, IV. 64, 66. tadvid: colui che conosce, II. 20-25, 27, 28. taijasa: splendente, luminoso, S¥tra IV; I. 1-4; S¥tra X; I. 11, 14, 23. tattva: realtà, verità, oggettività, I. 15; II. 20, 30, 38; III. 19, 27, 28; IV. 58. tattvavid: conoscitore della Verità, II. 34. tattvıbh¥ta: divenuto tutt’uno con la realtà, II. 38. tåyin: onnipervadente, IV. 99. trikåla: il triplice tempo, S¥tra I. turıya: il “Quarto”, I. 10-15. uccheda: distruzione, annientamento, IV. 57. ucchedin: distruttibile, soggetto a distruzione, IV. 59. upacåra: pratica rituale, III. 36. upadeŸa: istruzione, insegnamento, I. 18. upalabdhi: percezione, IV. 24. upalambha: percezione empirica, IV. 42-44, 90. upapatti: dimostrazione, argomentazione, III. 10. upåsanå: meditazione, pratiche devozionali, III. 1, 16. utåvara√acyuti: risoluzione dello schermo velante, IV. 97. utpåda: nascita, IV. 38. utpatti: generazione, manifestazione, III. 1, 14.

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utsarga: risoluzione, III. 38. utseka: incessante, III. 41. uttama: supremo, III. 47, 48; IV. 71. uttama adhama madhyama: superiore, inferiore e medio, IV. 76. vaiŸåradya: perfezione conoscitiva, IV. 94. vaiŸvånara: relativo a tutti gli uomini, S¥tra III. vaitathya: non realtà, II.1, 3, 9-11. vandhyåputra: “il figlio di una donna sterile”, III. 28. vastu: ente, ciò che esiste, esistente, realtà, IV. 22, 44. vastvåbhåsa: ciò che ha l’apparenza della sostanzialità, IV. 45. vedapåraga: perfettamente competente nei Veda, II. 35. vedåntaniŸcaya: la definitiva conclusione del Vedånta, II. 12. vedavid: conoscitore dei Veda, II. 22. vibhu: onnipervadente, I. 1, 10. vibh¥ti: manifestazione, I. 7. vijñåna: mente, IV. 47, 48, 50-52. vijñeya: ciò che deve essere realizzato, ciò che si deve conoscere, S¥tra VII; III. 34; IV. 9, 88, 90. vikalpa: proiezione molteplice, ideazione, I. 18; II. 18. vikalpita: immaginato, variamente concepito, I.7; II. 17, 19. viparyåsa: errore conoscitivo, falsa percezione, I. 15; IV. 27, 41. viparyaya: errore, IV. 46.

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vipra: saggio, IV. 86. viŸårada: perfettamente puro, IV. 93, 100. viŸe≤a: qualificazione, qualificazione distintiva, II. 14, 15. viŸva: il Tutto considerato nella sua unità-interezza, II. 31. vitatha: non reale, II. 6; IV. 31. vyavasthå: soluzione stabile, IV. 13. yajña: sacrificio, II. 22. yati: asceta itinerante, II. 37.

iNDiCE avvertenze riferimenti bibliografici introduzione

5 10 15

MÅ÷‡ÎkyakÅrikÅ upaNi≥aD

Considerazioni sul Capitolo IV

23 25 29 46 69 82 97 114 125 158 173

glossario

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Saluto di Âa§kara Introduzione di Âa§kara all’Upani≤ad Capitolo i fondato sulle scritture Note al Capitolo i

Capitolo ii sulla non realtà [della dualità] Note al Capitolo ii

Capitolo iii sulla non dualità Note al Capitolo iii

Capitolo iV sulla estinzione del tizzone ardente Note al Capitolo iV