Luoghi e Architetture della Grande Guerra in Europa: I sistemi difensivi dalle teorizzazioni di Karl von Clausewitz alla realtà della Prima Guerra Mondiale 9781407310374, 9781407340166

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Luoghi e Architetture della Grande Guerra in Europa: I sistemi difensivi dalle teorizzazioni di Karl von Clausewitz alla realtà della Prima Guerra Mondiale
 9781407310374, 9781407340166

Table of contents :
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Presentazione
Indice Generale
I: 1915 – 1918: LA MONTAGNA “FORTE”. IL CASO DEL MONTE CASTELLAZZO (TN)
II: BARBED WIRE DURING THE GREAT WAR: ORIGINS, TACTICAL THEORIES, DIFFUSION AND IMPACT ON THE REPRESENTATION OF CONFLICT
III: ARCHITETTURA E GEOGRAFIA DEL TERRITORIO IN CONFLITTO: LE LINEE DIFENSIVE IN EUROPA NELLA GRANDE GUERRA
IV: OPERE DI MINA: LA GALLERIA DI DEMOLIZIONE DI BRIENNO (COMO)
V: STRADE E OPERE DIFENSIVE MILITARI DELL’ALTO GARDA BRESCIANO: UN PATRIMONIO DA CONOSCERE E SALVAGUARDARE
VI: L’OPERA DIFENSIVA PERMANENTE AI MASI DI CLAEMP (TRENTO – ITALIA)
VII: IL RAGGIO DI DIVIETO DI FABBRICA. BASI LEGISLATIVE ED EFFETTI SUL TERRITORIO NELL’AMBITO DEL SISTEMA FORTIFICATO AUSTRO-UNGARICO DEL TIROLO MERIDIONALE
VIII: LO SBARRAMENTO BRENTA-CISMON 1866-1918: UNA FORTEZZA A CAVALLO TRA RISORGIMENTO E MODERNITÀ
IX: TERRITORIO E FORTIFICAZIONI: LA LORO VALORIZZAZIONE. IL PATRIMONIO MONUMENTALE MILITARE MODERNO NELLA REALTÀ LOMBARDA DI OGGI
X: GLI IMPIANTI A FUNE E GLI EVENTI BELLICI: DAL PIAVE ALLA MONTAGNA
XI: CATTARO – AUSTRO-HUNGARIAN WAR HARBOUR AND FORTRESS
XII: LA FORTIFICAZIONE “ALLA MODERNA” DA AVERULINO DETTO “IL FILARETE” ALLE TEORIZZAZIONI DI KARL VON CLAUSEWITZ
XIII: THE MEMORY OF THE GREAT WAR ON THE ASIAGO PLATEAU: THE FORT CORBIN
XIC: ESERCITO E TERRITORIO: L’ACCASERMAMENTO COME FENOMENO DI TRASFORMAZIONE DELLA CITTÀ E DEL TERRITORIO NEGLI ESEMPI DI CREMONA, DEL QUADRILATERO NELLO SPECIFICO DI MANTOVA, VERONA, PESCHIERA, LEGNAGO, E DI PIZZIGHETTONE TRA OTTOCENTO E NOVECENTO
XV: NEW DUTCH WATER LINE: IMPLEMENTATION LEADS TO NEW QUESTIONS
XVI: THE PRE-WAR PERIOD OF THE AUSTRIAN FORTIFICATION IN TRENTINO - CONSTRUCTION, TECHNOLOGY AND ARMAMENT
XVII: THE SECRET LANDSCAPE: THE DEFENCE SYSTEM AND GREAT CAVE WORKS OF THE LOMBARD STRETCH OF THE NORTHERN FRONTIER
XVIII: LA LINEA D’ARRESTO E GLI APPRONTAMENTI FORTIFICATI SUI CRINALI DEL PARCO ALTO GARDA BRESCIANO

Citation preview

BAR S2438 BREDA (A cura di) LUOGHI E ARCHITETTURE DELLA GRANDE GUERRA IN EUROPA

B A R

HYPOGEAN ARCHAEOLOGY Research and Documentation of Underground Structures Edited under the Aegis of the Federazione Nazionale Cavità Artificiali (F.N.C.A.) No 7

Luoghi e Architetture della Grande Guerra in Europa I sistemi difensivi dalle teorizzazioni di Karl von Clausewitz alla realtà della Prima Guerra Mondiale A cura di

Maria Antonietta Breda

BAR International Series 2438 2012

HYPOGEAN ARCHAEOLOGY Research and Documentation of Underground Structures Edited under the Aegis of the Federazione Nazionale Cavità Artificiali (F.N.C.A.) No 7

Luoghi e Architetture della Grande Guerra in Europa I sistemi difensivi dalle teorizzazioni di Karl von Clausewitz alla realtà della Prima Guerra Mondiale A cura di

Maria Antonietta Breda

BAR International Series 2438 2012

ISBN 9781407310374 paperback ISBN 9781407340166 e-format DOI https://doi.org/10.30861/9781407310374 A catalogue record for this book is available from the British Library

BAR

PUBLISHING

HYPOGEAN ARCHAEOLOGY Research and Documentation of Underground Structures The study and registration of artificial cavities means the documentation of underground structures. Just as Man started creating buildings on the surface of the Earth, over the course of time, he also perforated the surface thus creating new spaces and handing down structures which are essentially intact, which can be studied, restored and even utilised. In fact there exists an underground heritage, consisting of structures both built and buried underground over the passing of time. Our interpretation and understanding of such structures is a source of interesting information on our past, in favour of the present. This series was created under the aegis of the Federazione Nazionale Cavità Artifi ciali (F.N.C.A.). Both the logo and the title were especially created by the editors of this series ([email protected]; c/o British Archaeological Reports, 122 Banbury Road, Oxford OX2 7BP, England, Tel +44 (0) 1865 310431 e-mail: [email protected]) and their use is reserved for the sole purpose of this product. The aim is to create a base for the disclosure of relevant, scientific research studies, whether monographs, the works of various authors or documentation from conferences and conventions and a series of easily consultable tools for the development of artificial cavity research.

ARCHEOLOGIA DEL SOTTOSUOLO Ricerca e Documentazione delle Strutture Sotterranee Censire e studiare le cavità artificiali vuol dire documentare le architetture sotterranee. Come ha costruito in superficie, così nel corso del tempo l’Uomo ha perforato il sottosuolo creando spazi e lasciando architetture sostanzialmente integre, leggibili e pertanto studiabili, recuperabili e talora fruibili. Difatti nel mondo esiste un patrimonio sia ricavato nel sottosuolo, sia rimasto in esso sepolto nel corso del tempo. La sua lettura e la sua comprensione forniscono interessanti dati sul nostro passato, auspicabilmente in funzione del presente. L’edizione di questa serie è creata sotto l’aegis della Federazione Nazionale Cavità Artifi ciali (F.N.C.A.). Sia il marchio sia il titolo sono stati creati appositamente dagli editori di questa serie ([email protected]; c/o British Archaeological Reports, 122 Banbury Road, Oxford OX2 7BP, England, Tel +44 (0) 1865 310431 e-mail: [email protected]) e sono utilizzabili solo in rapporto a questo prodotto. Lo scopo è la costituzione di una sede nella quale possano trovare divulgazione i lavori di ricerca meritevoli sul piano scientifico, siano essi monografie, opere di autori vari e atti di convegni e congressi, mettendo a punto una serie di strumenti di agevole consultazione ed utilizzo per lo sviluppo degli studi sulle cavità artificiali.

I

Atti a cura di (Congress Proceedings by): Maria Antonietta Breda

Coordinamento editoriale (Editorial co-ordinator) di: Davide Padovan

Ogni Autore ha lui solo la piena proprietà intellettuale e la responsabilità dei testi e delle immagini da lui utilizzati.

La Curatela degli Atti, il Coordinamento Editoriale, il Comitato Scientifico e l’Editore non hanno la responsabilità di una eventuale violazione dei diritti d’autore sui testi pubblicati.

II

Comitato Scientifico: Marco Balbi - Presidente della Società Storica per la Guerra Bianca (SSGB) Roberto Basilico - Presidente della Federazione Nazionale Cavità Artificiali François -Xavier Bernard - Comitato scientifico della rivista “La Grande Guerra”, membro della SSGB Maurizio Boriani - Direttore del Dipartimento di Progettazione dell’Architettura Politecnico di Milano (D.P.A.) Maria Antonietta Breda - Ricercatrice in Storia dell’Architettura del D.P.A., Politecnico di Milano Gianluca Padovan - Presidente dell’Associazione Speleologia Cavità Artificiali Milano

Organizzazione del I Congresso Internazionale su Conoscenza e Valorizzazione delle Opere Militari Moderne: «Luoghi e Architetture della Grande Guerra in Europa. I sistemi difensivi dalle teorizzazioni di Karl von Clausewitz alla realtà della Prima Guerra Mondiale»: Maria Antonietta Breda

Hanno partecipato all’organizzazione: Associazione Speleologia Cavità Artificiali Milano, Consolato Generale di Finlandia – Sede di Milano, Dipartimento di Progettazione dell’Architettura del Politecnico di Milano, Federazione Nazionale Cavità Artificiali, Fortidelgarda. it, Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto, Napoli Underground, Servizio Gestione Eventi ed Orari Didattici del Politecnico Bovisa, Società Stereoscopica Italiana, Società Storica per la Guerra Bianca.

Patrocinio: Associazione Speleologia Cavità Artificiali Milano Comunità Montana Parco Alto Garda Bresciano Ente Regionale per i Servizi all’Agricoltura e alle Foreste – Regione Lombardia Federazione Nazionale Cavità Artificiali Napoli Underground

Regia, registrazione e montaggio Antonio Giaccio Andreas Turconi

Diretta video Napoli Underground Registrazione visibile su: Napoli Underground Channel http://www.napoliundergroun.org/it/component/article/58-nug-channel.html

III

POLITECNICO DI MILANO Dipartimento di Progettazione dell’Architettura

IV

A ricordo dell’Avvocato Antonio Serra, Console onorario di Finlandia a Milano

«Tucidide di Atene ha scritto la storia della guerra fra i Peloponnesi e gli Ateniesi, come combatterono tra loro, cominciando la sua opera fin dai primi sintomi di tale guerra, in quanto prevedeva che sarebbe stata grande e più degna di essere narrata rispetto a quelle avvenute in precedenza. Arguiva ciò dal fatto che ambedue i contendenti giungevano ad essa al culmine della loro potenza in ogni settore e dal fatto che vedeva come il resto del mondo greco si schierava con l’uno o con l’altro, in parte allineandosi subito, in parte meditando di farlo in seguito. Questo fu certamente il più grande sconvolgimento che abbia mai interessato i Greci e una parte dei barbari e che si sia esteso, per così dire, alla maggior parte dell’umanità» Tucidide, La guerra del Peloponneso

«L’intera Grecia, infatti, portava le armi, dal momento che le abitazioni erano indifese e le relazioni fra gli uni e gli altri insicure, e si aveva l’abitudine di vivere in armi come i barbari» Tucidide, La guerra del Peloponneso

V

VI

Conoscenza e Valorizzazione delle Opere Militari Moderne «Luoghi e Architetture della Grande Guerra in Europa. I sistemi difensivi dalle teorizzazioni di Karl von Clausewitz alla realtà della Prima Guerra Mondiale» Knowledge and Valorisation of Modern Military Architectures «Sites and architectural structures of the great war in Europe. Territorial defense systems from the theories of Karl von Clausewitz to the reality of the First World War» I Congresso Internazionale a cura di Maria Antonietta Breda – Politecnico di Milano I International Congress curated by Maria Antonietta Breda – Politecnico di Milano Mercoledì 16 - giovedì 17 novembre 2011 Aula Castiglioni, Edificio PK, Campus Bovisa, Milano

Presentazione In prossimità del centenario dell’inizio della Prima Guerra Mondiale (2014, ma e per l’Italia é il 2015) si è ritenuto importante aprire una discussione sulla storia e sul destino delle architetture e dei sistemi territoriali dell’epoca tutt’oggi esistenti. L’obiettivo, nonché l’auspicio, è che gli Stati impegnati e divisi dai conflitti possano oggi mantenere la memoria dei fatti attraverso la conservazione e la valorizzazione delle fortificazioni, con metodi progettuali condivisi e in una prospettiva di pace. Il Primo Congresso Internazionale su Conoscenza e Valorizzazione delle Opere Militari Moderne: «Luoghi e Architetture della Grande Guerra in Europa. I sistemi difensivi dalle teorizzazioni di Karl von Clausewitz alla realtà della Prima Guerra Mondiale», si è svolto il 16 e il 17 Novembre 2011, nell’aula Castiglioni del Campus Bovisa del Politecnico di Milano. Aperto al pubblico, con ingresso libero, si è rivolto innanzitutto agli studenti universitari, agli studiosi e a quanti a vario titolo hanno operato e operano sul territorio avendo cura del patrimonio materiale e immateriale della Grande Guerra. Venti relatori provenienti da Austria, Francia, Italia, Olanda e Svizzera hanno presentato i propri studi ad un pubblico numeroso, costituito prevalentemente da giovani. I casi presentati hanno apportato un significativo arricchimento agli studi esistenti. I lavori congressuali sono stati seguiti anche via internet grazie alla diretta video sulla web TV napoliunderground. org, promossa e curata da Fulvio Salvi di Napoli Underground, con il valido ausilio dei tecnici di sala Antonio Giaccio e Andreas Turconi. Colgo l’occasione per ringraziare Manuela Cotta Ramusino per aver portato i saluti del Consolato onorario di Finlandia di Milano e tutti coloro i quali hanno partecipato al Congresso, tra cui gli Allievi della Scuola Militare Teullié di Milano, accompagnati da alcuni loro insegnanti. Si deve segnalare che due interventi non sono presenti negli Atti: uno perché non pervenuto, l’altro in quanto non accettato.

VII

I dati aggiornati sui sistemi difensivi europei, presentati dai relatori, inducono a spunti di riflessione sul recupero e la valorizzazione sia delle singole opere, sia degli interi sistemi. Si tratta di temi particolarmente vivi e sentiti in questo periodo, per l’avvicinarsi, come già accennato, del centenario della Prima Guerra Mondiale. Per tale ricorrenza in Europa stanno sorgendo numerose iniziative culturali e si stanno recuperando luoghi ancora abbandonati o non valorizzati legati alla Grande Guerra. Ritengo che la diffusione delle conoscenze e degli studi su questo patrimonio architettonico, paesaggistico e culturale sia il mezzo migliore per contribuire a creare una cultura di pace e a formare le generazioni più giovani al valore della Storia. La conoscenza del passato è un bene prezioso perché regala le chiavi di lettura per comprendere il presente ed è la base solida su cui costruire il proprio futuro. Più specificatamente, nel percorso di formazione degli architetti e degli ingegneri, la conoscenza della tecnica costruttiva, dei materiali, dell’organizzazione dei cantieri di queste opere e delle relazioni che esse instaurano con i luoghi in cui sono inserite, sono necessarie per progettarne un rinnovata fruizione. Progetti che dovrebbero il più possibile tendere a conservarne l’originalità ed il valore. Questo congresso è il primo di tre previsti dal Programma di ricerca triennale «Il progetto di architettura per il patrimonio culturale. Restauro, riuso, musealizzazione» avviato dall’1 Gennaio 2011. Il programma é svolto da me sottoscritta, Maria Antonietta Breda, Ricercatrice TD in Storia dell’Architettura presso il Dipartimento di Progettazione dell’Architettura del Politecnico di Milano nel periodo 2011-2013. Il contratto di ricerca è cofinanziato dalla Regione Lombardia; responsabile scientifico è il professor Maurizio Boriani. Con questa ricerca si desidera studiare e far conoscere il panorama delle opere difensive europee e i relativi progetti di conservazione, valorizzazione, musealizzazione e riuso; nonché i sistemi di restauro e di conservazione dei manufatti, proposti e applicati in contesti analoghi, sia nelle esperienze europee, sia in altre esperienze. Il programma di ricerca si articola nei seguenti punti: 1. Storia. Origine e sviluppo dei sistemi difensivi europei: dalle opere in muratura e terrapienate dell’Ottocento, alle batterie corazzate in calcestruzzo di cemento armato e ai successivi valli fortificati del Novecento. 2. Conservazione dei manufatti architettonici e degli elementi del “paesaggio militare”. Metodologie di restauro, conservazione e progettazione architettonica per la riqualificazione delle singole opere e dei sistemi difensivi di età contemporanea. 3. Valorizzazione di opere e di sistemi territoriali e paesistici. Esperienze di musealizzazione o altre modalità di valorizzazione delle singole opere e dei sistemi difensivi, soprattutto in relazione al contesto territoriale in cui sono inserite, anche per quanto attiene agli aspetti gestionali. All’interno del programma di lavoro si collocano i tre congressi «Conoscenza e Valorizzazione delle Opere Militari Moderne» (novembre 2011, novembre 2012 e novembre 2013), nei quali mettere a confronto i risultati dello studio personale con le più significative esperienze internazionali. I risultati dei lavori congressuali saranno restituiti con la pubblicazione dei relativi Atti all’interno della collana Hypogean Archaeology, dei British Archeological Reports di Oxford. Maria Antonietta Breda (Politecnico di Milano)

VIII

INDICE GENERALE

Hypogean Archaeology I Congresso Internazionale su Conoscenza e Valorizzazione delle Opere Militari Moderne: «Luoghi e Architetture della Grande Guerra in Europa. I sistemi difensivi dalle teorizzazioni di Karl von Clausewitz alla realtà della Prima Guerra Mondiale» Presentazione (Maria Antonietta Breda)

I VII

1 - 1915 – 1918: la montagna “forte”. Il caso del Monte Castellazzo (TN) 1915 - 1918 the “mountain fortress”. The case of Mount Castellazzo (Trent) (Marco Balbi) 2 - Barbed Wire during the Great War: Origins, Tactical Theories, Diffusion and Impact on the Representation of Conflict I reticolati durante la Grande Guerra: origini, teorie tattiche, diffusione e impatto sulla rappresentazione del conflitto (François-Xavier Bernard)

1

21

3 - Architettura e Geografia del territorio in conflitto: le linee difensive in Europa nella Grande Guerra Architecture and geography of the area involved in the conflict: defensive lines in Europe during the Great War (Maria Antonietta Breda) 35 4 - Opere di mina: la galleria di demolizione di Brienno (Como) Works of mine: the gallery of demolition of Brienno (Como) (Maria Antonietta Breda, Sara Fumagalli, Gianluca Padovan)

81

5 - Strade e opere difensive militari dell’Alto Garda Bresciano: un patrimonio da conoscere e salvaguardare Military roads and fortifications in Alto Garda Bresciano area: an heritage to know and protect (Alberta Cazzani, Camillo Sangiorgio)

133

6 - L’opera difensiva permanente ai Masi di Claemp (Trento – Italia) A permanent structure on the “Masi” of Claemp (Trent – Italy) (Massimo Chianello)

153

7 - Il raggio di divieto di fabbrica. Basi legislative ed effetti sul territorio nell’ambito del sistema fortificato Austro-Ungarico del Tirolo Meridionale The building ban radius. Legal bases and effects of the Austro-Hungarian fortified system of South Tyrol (Nicola Fontana)

169

8 - Lo sbarramento Brenta-Cismon 1866-1918: una fortezza a cavallo tra risorgimento e modernità The “Brenta-Cismon” stronghold complex 1866-1918: a fortress in between renaissance and modernity (Luca Girotto)

181

9 - Territorio e fortificazioni: la loro valorizzazione. Il patrimonio monumentale militare moderno nella realtà lombarda di oggi Landscape and fortifications: their valorization. The monumental modern military heritage in the Lombardy reality of today (Fosco M. Magaraggia)

199

10 - Gli impianti a fune e gli eventi bellici: dal Piave alla montagna Cableways and wars: from the Piave river to the mountain (Alessandro Martinelli)

213

IX

11 - Cattaro – Austro-Hungarian war harbour and fortress Cattaro – il porto militare austroungarico e la fortezza (Volker Konstantin Pachauer)

221

12 - La fortificazione “alla moderna” da Averulino detto “il Filarete” alle teorizzazioni di Karl von Clausewitz The “modern” fortification from Averulino, known as Filarete to the theories of Karl Von Clausewitz (Ginluca Padovan)

233

13 - The memory of the Great War on the Asiago plateau: the Fort Corbin La memoria della Grande Guerra sull’Altopiano di Asiago: il Forte Corbin (Ilaria Panozzo)

259

14 - Esercito e Territorio: l’accasermamento come fenomeno di trasformazione della città e del territorio negli esempi di Cremona, del Quadrilatero nello specifico di Mantova, Verona, Peschiera, Legnago, e di Pizzighettone tra Ottocento e Novecento Army and Territory: The barracks as a phenomenon of transformation of the city and the territory: the situation of Cremona, the Quadrilatero Mantua - Verona - Peschiera - Legnano, and Pizzighettone between nineteenth and twentieth centuries (Luciano Roncai)

279

15 - New Dutch Water Line: implementation leads to new questions La nuova Waterlinie olandese: i risultati di 10 anni di valorizzazione (Peter Ros)

287

16 - The pre-war period of the Austrian fortification in Trentino - Construction, technology and armament Il periodo prebellico della fortificazione austriaca in Trentino. Costruzione, tecnologia e armamenti (Willibald Rosner)

293

17 - The secret landscape: the defence system and great cave works of the Lombard stretch of the Northern Frontier Il paesaggio segreto: il sistema difensivo e le grandi opere in caverna della Frontiera Nord della Lombardia (Antonio Trotti)

305

18 - La linea d’arresto e gli approntamenti fortificati sui crinali del Parco Alto Garda Bresciano The defensive barrier and fortified ridge works in the Parco Alto Garda Bresciano (Luca Zavanella)

325

X

1915 – 1918: La montagna “forte”. IIl caso del monte Castellazzo (TN)

1915 – 1918: LA MONTAGNA “FORTE”. IL CASO DEL MONTE CASTELLAZZO (TN) Autore Marco Balbi

Società Storica per la Guerra Bianca

Sommario All’inizio della Grande Guerra molti forti sul fronte italiano, costruiti tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900, vennero disarmati. La loro funzione tattica di sbarramento e interdizione venne di fatto assunta da alcune cime che vennero trasformate in vere e proprie fortificazioni attraverso la costruzione di capisaldi blindati, trincee in cemento armato, gallerie e postazioni d’artiglieria. La morfologia stessa delle montagne subì profondi cambiamenti, ancora oggi riscontrabili sul terreno: come sul Serauta, Col di Lana, Som Pauses. Il Castellazzo, cima trentina posta in posizione strategica in Val Travignolo, a cavallo fra passo Rolle e passo Valles, rappresenta un esempio unico in questo senso, perfettamente conservato che, in vista dell’anniversario del centenario dello scoppio della Grande Guerra, merita di essere conosciuto e valorizzato. Abstract 1915 - 1918 THE “MOUNTAIN FORTRESS”. THE CASE OF MOUNT CASTELLAZZO (TRENT) At the beginnig of the First World War many fortresses on the Italian mountain front, built between XIX and XX century, were disarmed. Their tactical function of interdiction and barrage was assumed by some peaks, transformed in fortifications by the building of armoured trenches, strongpoints, tunnels and gun pits. Also their morphology changed, and we can see it today on Serauta, Col di Lana, Som Pauses. Castellazzo, a strategic Trentine mount between Passo Valles and Passo Rolle, is a good example of this process and deserves to be known and preserved. 1 - Premessa Il fronte italiano della Prima guerra mondiale ebbe la caratteristica unica e straordinaria di attraversare, per la maggior parte della sua estensione, zone montuose fra le più alte d’Europa. Evento che non si riscontra in nessun altro dei fronti della Grande Guerra, italiani e austriaci si ritrovarono a combattere a quote elevate, addirittura fin quasi ai 4000 metri del gruppo Ortles-Cevedale, e in condizioni ambientali estreme e mai provate prima. Prima ancora che con il nemico, i soldati dovettero combattere con il freddo, le valanghe, i congelamenti, la scarsità di rifornimenti. Tutto questo, però, non era stato previsto dai comandanti e dagli strateghi dei due paesi prima del conflitto. Le dottrine prevedevano una difesa nelle valli e, al massimo, sui passi più importanti.

1. 1

Per questo, a partire dalla seconda metà dell’800, il Regno d’Italia e soprattutto l’Impero Austro-Ungarico, iniziarono un’opera di fortificazione dei confini sbarrando le vallate e le principali vie di penetrazione con un sistema di opere fortificate permanenti, ancora oggi ben visibile, che andava dalla Valtellina fino alle Alpi Giulie. Questo processo iniziò a ridosso delle guerre risorgimentali e terminò pochi mesi prima dello scoppio della Grande Guerra, con l’allestimento di fortificazioni di tipo sempre più moderno. Un esempio importante e significativo del lungo e imponente processo fortificatorio dei valichi alpini è quello della strada del Passo del Tonale, che collega la Valcamonica e quindi la Lombardia con la Val di Sole e il Trentino. Nel 1880 gli Austriaci costruirono il forte di Strino, in Val Vermiglio, e il forte di Barbadifiori allo sbocco della Val del Monte in territorio di Pejo. Nel 1891 fecero seguito gli sbarramenti di Velon, in Val di Stavel, e nel 1908 i fortilizi di Mero e Zacarana immediatamente a nord della rotabile. Nel 1911, sull’opposto versante della valle, venne ultimato anche il forte dei Pozzi Alti, sotto la Presanella, dotato di pezzi in cupola corazzata. A tale complesso di opere da parte italiana si contrapponeva il solo forte Corno d’Aola sul Dosso Prepazzone, sopra Ponte di Legno, a 1964 metri di quota, dotato di quattro pezzi da 149 in cupola blindata (Viazzi 1981, p. 21). 2 - La guerra e il disarmo dei forti Lo scoppio della guerra e l’inizio delle ostilità rivelarono, però, ben presto l’inadeguatezza e l’inutilità di gran parte di queste fortificazioni. A parte qualche raro episodio, come sugli Altipiani, in cui le fortezze rivestirono, almeno all’inizio delle ostilità, un ruolo di dissuasione e addirittura di caposaldo, in questo caso contro l’avanzata italiana, nella quasi totalità degli episodi i forti si limitarono ad effettuare qualche tiro d’artiglieria in appoggio o in contrasto all’avanzata italiana, ma senza mai rivestire un ruolo da protagonisti. Nella maggior parte dei casi questi forti si ritrovarono o troppo a ridosso del fronte, e quindi preda dei colpi dell’artiglieria avversaria che inflisse gravi danni, o troppo arretrati rispetto alla linea dei combattimenti e, quindi, di fatto inutili. Questo del disarmo dei forti fu un fenomeno molto diffuso che riguardò sia le fortificazioni austriache che quelle italiane. In molti casi i pezzi d’artiglieria vennero smontati dalle cupole corazzate o prelevati dalle postazioni corazzate e trasferiti in località più sicure, nel caso dei forti più vecchi e più vulnerabili, o più avanzate e quindi più

I Congresso Internazionale su Conoscenza e Valorizzazione delle Opere Militari Moderne

efficaci, nel caso dei forti costruiti in posizioni difensive troppo arretrate. Da parte italiana ci si rese subito conto che l’artiglieria d’assedio austriaca utilizzava già obici di grosso calibro, da 38 centimetri, e mortai da 30,5 e 42 centimetri, capaci di tiro arcuato con granate che andavano da 287 a 1000 chilogrammi di peso; le batterie corazzate italiane tipo Rocchi erano invece progettate e realizzate per sopportare il tiro radente di colpi di medio calibro fino a 210 chilogrammi, con granate pesanti al massimo 90 chilogrammi (Belotti 2009, p. 204).

obici da 100 mm) e posizionarli in postazioni campali nei dintorni. Stessa sorte per il Forte Corno, nelle Giudicarie, e forte San Biagio, in Valsugana (Tabarelli 1988). L’unica funzione che questi forti mantennero, in molti casi, fu quella di far sprecare munizioni d’artiglieria all’avversario. Non sempre, infatti, ci si accorgeva dell’abbandono da parte dell’avversario dei forti: anzi, attraverso alcuni accorgimenti, come la sistemazione di finte cupole in cemento e di tronchi di legno che imitavano i pezzi, o l’accensione di luci all’interno nella notte, i contendenti facevano intendere al nemico che le fortezze erano ancora in piena efficienza inducendolo a continuare nei bombardamenti e a sprecare preziose munizioni d’artiglieria. Dopo l’abbandono del Forte Tra i Sassi, per esempio, gli austriaci continuarono ad illuminarlo di notte e gli italiani, credendolo ancora in uso, continuarono a bombardarlo: per tutto il mese di luglio del 1915 sul forte e nelle sue adiacenze caddero da 50 a 60 granate di grosso calibro ogni giorno (Viazzi 1985, p. 31).

Vediamo qualche esempio. Il 5 luglio 1915, dopo dieci ore di bombardamento e 76 colpi sparati dall’artiglieria italiana, un proiettile da 210 centrò il Forte Tra i Sassi, a Passo Valparola, ed esplose all’interno, costringendo la guarnigione ad abbandonarlo (Viazzi 1985, p. 30). Stessa sorte subirono il Forte di Corte e la tagliata di Ruaz, in Val Cordevole, che avrebbero dovuto sbarrare la strada agli italiani in direzione del Passo Pordoi e del Passo Campolongo. In pochi giorni vennero demoliti dal tiro delle artiglierie italiane (Viazzi 1985, p. 29). Altro esempio di inadeguatezza delle fortificazioni rispetto alle nuove esigenze tattiche è quello del forte Venini al Dossaccio di Oga, in Valtellina. Posto a 1730 m di quota sulle pendici orientali del Monte Masucco, a ovest della Conca di Bormio, il forte disponeva di quattro pezzi da 120/40 in cupola corazzata che potevano battere lo sbocco della Val Braulio, le creste del Cristallo e lo Scorluzzo: tutti obiettivi in territorio italiano! Dopo qualche tiro, peraltro efficace, sul passo dello Stelvio, il Comando italiano decise che il forte era in posizione troppo arretrata e lo disarmò, spostando le sue artiglierie in avanti per avere un campo di tiro più efficace: due pezzi furono trasferiti al Monte delle Scale e due ai cosiddetti Fortini, sulla strada dello Stelvio (Viazzi 1976, pp. 26-27).

3 - Le montagne si fortificano A discapito di quanto previsto dai comandi, sia italiano che austriaco, la guerra in breve tempo si spostò sulle montagne. I passi, le forcelle, le cime, vennero occupate dalle truppe, prima in maniera provvisoria, poi in pianta stabile. Gli uomini furono costretti a rimanere sulle quote più alte anche durante l’inverno e la montagna si popolò. I problemi logistici per rifornire di armi, munizioni, viveri, combustibili per il riscaldamento, alloggi le truppe furono enormi, ma vennero a poco a poco risolti, anche con l’utilizzo e lo sviluppo di tecnologie del tutto nuove come quelle per la costruzione e il funzionamento delle teleferiche.

Stessa sorte, sempre in Valtellina, subì il forte Sertoli ai Canali, i cui 4 cannoni da 149 A furono rimossi nel luglio del 1915, collocati su affusti campali e piazzati in posizioni coperte distanti dal forte (Belotti 2009, p. 77). Anche il Forte di Corno d’Aola, in Valcamonica, che pure fu uno dei più utilizzati nelle prime fasi della guerra e che vide le proprie artiglierie contribuire ai primi combattimenti sull’Adamello, per la fine del 1915 venne completamente disarmato e i pezzi da 149 trasferiti all’aperto a Dosso delle Pertiche (Belotti 2009, pp. 169-170). Anche lo sbarramento italiano delle Giudicarie, fra cui il Forte di Valledrane, venne ben presto disarmato.

La guerra, quindi, si spostò in quota. Il campo di battaglia cambiò morfologia e i comandi si dovettero adeguare. I forti, rimasti a fondovalle, perdettero in gran parte la loro funzione tattica e strategica e le cime, di fatto, presero il loro posto. Le montagne, loro malgrado, si fortificarono. Alcune cime, poste in posizioni strategicamente fondamentali, si trasformarono in veri e propri fortilizi con caverne, gallerie, postazioni per artiglierie e mitragliatrici in bunker, sistemi logistici complessi. In pratica, diventarono dei veri e propri forti in alta quota che, anziché venire costruiti ex novo, sfruttarono la morfologia e le caratteristiche delle montagne per trarne il massimo vantaggio tattico.

In campo austriaco, oltre ai due esempi già citati e al caso del forte Dossaccio (fig. 1), che vedremo in dettaglio più avanti, ricordiamo i casi del Forte Someda, vicino a Moena, in Val di Fassa, i cui pezzi (due cannoni da 120 mm e due obici da 150 mm, oltre a quattro mitragliatrici) già nel 1915 vennero trasferiti a Passo San Pellegrino; il già citato forte Saccarana, in Val di Sole, fu ripetutamente colpito dalle artiglierie del forte italiano di Corno d’Aola e per questo il Comando austriaco decise di asportarne i cannoni (sei

In alcuni casi questo processo venne pianificato e governato (vedi l’esempio del Monte Castellazzo di cui parleremo più avanti), in altri nacque casualmente, dettato dalle esigenze tattiche del momento e poi venne consolidato. Di fatto, dunque, le montagne presero il posto dei forti, la funzione strategica delle linee e dei capisaldi fortificati venne acquisita dai massicci montuosi. Fu una tendenza tattica generalizzata, caratteristica del fronte di guerra italiano, che vide le fortificazioni “trasferirsi” in quota: i forti in

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Fig. 1. Il Forte Dossaccio. Le bocche da fuoco sono state sostituite con tronchi verniciati di nero per ingannare il nemico. (Foto di Marco Balbi) 10 chilometri di gallerie, con sezione minima di 2 x 2,5 m, in cui trovarono posto centrali elettriche, laboratori, officine, cucine, magazzini. Sotto al Dente italiano fu costruita una galleria ad anello, lunga 110 m e con sezione di 2,2 x 2,5 che aveva due sbocchi sul versante sud del Dente. Da essa dipartivano rami laterali che portavano alle feritoie, armate complessivamente con cinque mitragliatrici, due bocche da fuoco d’artiglieria ed un lanciafiamme. Dal canto loro gli Austriaci sul loro Dente realizzarono dieci postazioni per mitragliatrici e sei per pezzi d’artiglieria, disposte su due piani, al di sotto delle quali vi era un terzo piano logistico. Per la difesa esterna schieravano, in camminamenti e trincee blindate, diciotto lanciabombe, dieci lanciagranate, quattro lanciafiamme, tre cannoni da 75 mm, due cannoni da 37 mm e dieci postazioni per mitragliatrice (Stefanon 1980, p. 371 e segg.).

valle disarmano e i monti si trasformano in forti, prendendo il loro posto. All’inizio furono ovviamente gli austriaci a fortificarsi in quota, per opporsi all’avanzata italiana. Ma poi, nel prosieguo della guerra, con l’andirivieni del fronte e delle controffensive austriache, toccò anche agli italiani armare le montagne per arginare le avanzate austriache. 3.1 - Il Col di Lana Un esempio facile da leggere di questa sostituzione di ruoli è quello sopra citato della Val Cordevole. La difesa della valle e l’opposizione all’avanzata italiana era affidata alla Tagliata Ruaz e al Forte di Corte: ma questi vennero subito demoliti o fortemente danneggiati dall’artiglieria italiana e quindi resi inservibili. Il loro ruolo strategico fu quindi acquisito dal monte alle loro spalle, il Col di Lana, che pian piano si fortificò, si dotò di trinceramenti, caverne, postazioni blindate per l’artiglieria che fermarono i tentativi di avanzata italiani.

4 - La guerra di mine: come nel ’700 Questo nuovo ruolo delle montagne comportò anche un adeguamento delle tattiche per la loro conquista ed è estremamente interessante notare una forte analogia fra la guerra di conquista dei monti, trasformati in fortificazioni, e la guerra d’assedio dei secoli precedenti: in questo caso molto spesso l’assedio si concludeva vittoriosamente grazie alla costruzione di gallerie sotterranee che raggiungevano i bastioni che poi venivano fatti esplodere con poderose

3.2 - Il Pasubio Un altro tipico caso di montagna trasformata in fortificazione è quello del Pasubio. Qui, addirittura, furono entrambi i contendenti a trasformare le due cime del monte in fortificazioni contrapposte. Gli italiani sul Pasubio scavarono più di 50 chilometri di trincee e camminamenti,

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mine, facendo crollare le mura e aprendo così il varco agli assedianti. La stessa cosa successe nella Grande Guerra: in molti casi si tentò di forzare la difesa dell’avversario scavando lunghe gallerie nelle viscere delle montagne che raggiungevano le posizioni avversarie fatte poi esplodere caricando la gallerie con quintali di esplosivo. I già citati Col di Lana e Pasubio sono due classici esempi di questo tipo di guerra ma ce ne furono molti altri come il Lagazuoi, il Colbricon, il Monte Cimone, ecc.

fu la fortificazione del Monte Castellazzo che, anche dal punto di vista morfologico, ricorda e riprende in maniera impressionante la struttura di un forte. 6 - Il forte Dossaccio Nella seconda metà dell’800, dopo le guerre risorgimentali, il Comando supremo austriaco si pose il problema della difesa del Tirolo meridionale dalle possibili penetrazioni italiane e, in particolare, della difesa di Trento. Nel 1881 il colonnello Julius Vogl, Capo del Genio di Innsbruck e poi direttore dei lavori di fortificazione del Sud Tirolo, presentò un voluminoso memoriale dove alle considerazioni di strategia più generali si affiancavano studi particolari sulle singole vie di penetrazione e dettagliate proposte di fortificazione (Fontana 2004, p. 46). Per quanto riguarda la via di penetrazione del Primiero, Vogl inizialmente propose uno sbarramento in Val Cismon, all’altezza della località San Silvestro, che avrebbe permesso di proteggere la Valle di Primiero, la Val di Fiemme e la Valsugana. La costruzione da parte italiana della rotabile che portava a Passo Cereda, rese però questa idea superata in quanto avrebbe permesso agli italiani di prendere alle spalle lo sbarramento. Si decise, perciò, di arretrare la difesa lungo la barriera montuosa della Val di Fiemme. Vogl individuò due punti di forza: uno sbarramento allo sbocco della Val San Pellegrino, nei pressi di Someda, e uno nei pressi di Paneveggio, in Val Travignolo. Il primo avrebbe difeso il Passo di San Pellegrino, il secondo i Passi Valles e Rolle, chiudendo così gli accessi alla Valle di Fiemme.

Così come negli assedi del ’700 anche nella guerra di montagna del Primo conflitto mondiale diventarono fondamentali e protagonisti i minatori del Genio: se l’eroe dell’assedio di Torino del 1706 è il geniere Pietro Micca, che salvò la città con una contromina, il conquistatore del Col di Lana è Gelasio Caetani di Sermoneta, sottotenente del Genio che, forte della sua esperienza nelle miniere d’America, progettò, mise in opera e fece brillare la mina sotto la cima del monte (Viazzi 1985, pp. 56, 207 e segg.) che spazzò le difese e i difensori austro-ungarici dando modo alle fanterie italiane di occupare le posizioni. Il soldato-minatore (o il minatore-soldato, dato che molti di questi genieri praticavano questa professione nella vita civile prima di essere arruolati), assurge a protagonista del conflitto al pari dei fanti e degli alpini. Un’altra, non meno importante, conseguenza di questo tipo di guerra, questa volta non militare, è che alcuni monti in seguito al brillare delle mine cambiarono per sempre la loro morfologia: il Col di Lana perse la cima e si abbassò di alcuni metri; la parete sud del Piccolo Lagazuoi venne martoriata dalle mine italiane e austriache e ancora oggi i coni di deiezione dei detriti rocciosi conseguenti ai brillamenti incombono sul passo di Falzarego; il Colbricon perse uno dei tre denti fra la cima italiana e quella austriaca.

A Paneveggio Vogl nel 1883 riconobbe nello sperone roccioso del Dossaccio un’ottima posizione per il controllo della valle e della strada che da Passo Rolle scendeva verso Predazzo. Per assolvere questo compito venne proposta la realizzazione di un forte permanente sul Dossaccio e di uno sbarramento stradale in località Busi (Fontana 2004, p. 63). Nel 1886 vennero iniziati i lavori per le opere accessorie: la strada di accesso, le baracche del cantiere, l’impianto idrico, l’abbattimento del bosco. Alla fine del 1888 venne completato il progetto definitivo del forte che fu inviato a Vienna per l’approvazione. La costruzione del Forte iniziò nel luglio del 1890 e si concluse nel settembre 1901. Il Forte era armato da quattro cannoni da 12 cm modello 80 in casematte protette da corazze d’acciaio con feritoie, quattro mortai da 15 cm modello 78 in cupola corazzata girevole, sostituiti nel 1906 da obici da 10 cm modello 05, e da nove mitragliatrici (Fontana 2004, pag. 134).

5 - La Val Travignolo: un esempio La Val Travignolo, in provincia di Trento, è una laterale della Val di Fiemme che si distacca dalla valle dell’Avisio all’altezza di Predazzo e, dopo pochi chilometri, termina ai piedi delle Pale di San Martino, dando accesso al Passo Rolle da un lato, che la collega al Primiero, e al Passo Valles dall’altra, che porta a Falcade e alla Valle Biois. È una valle strategicamente molto importante in quanto se gli italiani fossero riusciti a conquistarla e a percorrerla, avrebbero avuto strada aperta verso la Valle di Fiemme e quindi alla Val d’Adige. Proprio per questo già alla fine dell’800 l’impero austro-ungarico provvide a sbarrarla con il cosiddetto “sperre Paneveggio” costituito dal Forte Dossaccio e da Forte Buso.

In realtà questo Forte, come gli altri della sua generazione e del suo tipo, i Forti Vogl, nacque vecchio. Già nel 1900 erano oggetto di critiche, in quanto concentravano postazioni di combattimento e locali di servizio in un unico blocco, avevano murature esposte al tiro avversario e visibili da lontano e corazze frontali deboli. Già nel 1913 il Comando del XIV Corpo d’Armata di Innsbruck ne prevedeva il disarmo (Fontana 2004, p. 167). Il 13

In Val Travignolo, ed è questo il motivo per cui ne parliamo, ci furono due esempi classici e fisicamente contrapposti e fronteggianti, dei due processi di cui si è accennato sopra: il disarmo dei forti da un lato e la fortificazione dei monti dall’altro. Da un lato, infatti, pochi mesi dopo l’inizio del conflitto, da parte austriaca ci fu il disarmo del Forte Dossaccio mentre da parte italiana a partire dal 1916 ci

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Fig. 2. Forte Dossaccio. Gli obici da 10 cm in cupola corazzata nelle nuove postazioni ad est del forte (sullo sfondo). (Foto di Marco Balbi)

Fig. 3. Il campo fortificato del Forte Dossaccio in una cartina della Sezione cartografica della 4° Armata italiana (1 aprile 1917). Si notano chiaramente le nuove postazioni di obici e cannoni evacuati dal forte. (Biblioteca Museo Risorgimento di Milano)

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gennaio 1915, ancora prima dello scoppio della guerra, fu istituita un’apposita commissione per il disarmo dello sbarramento Paneveggio. Il nuovo appostamento per gli obici fu individuato in un modesto rilievo roccioso situato 150 metri ad est del forte, verso la sella delle Carigole. Furono predisposte le nuove postazioni in caverna e si iniziò trasferendo le prime due cupole corazzate. Per la fine dell’estate tutti e quattro gli obici erano nella nuova batteria. Come prestabilito, al loro posto sul tetto del forte vennero costruite delle finte cupole in calcestruzzo dotate ciascuna di un finto cannone in legno per trarre in inganno il nemico (Fontana 2004, pp. 168-169).

zona. Venne occupato una prima volta nel giugno del 1915 da reparti del II/60° fanteria italiano, provenienti da Passo Valles. Le difficoltà di rifornimento della posizione e l’esposizione al fuoco nemico spinsero però il Comando italiano ad abbandonarlo subito dopo. Occupato dagli austriaci della 55° Gebirgsbrigade, il monte venne attaccato il 22 ottobre successivo da un plotone del 49° fanteria, che lo occupò praticamente senza colpo ferire. I pochi soldati austriaci di stanza sul monte non opposero infatti resistenza. Protagonista dell’azione fu il soldato De Maria che da solo prese prigionieri i dieci soldati di presidio, azione per la quale fu decorato di Medaglia di bronzo al Valor Militare (Bettega 1998, pp. 133-134). Vera e propria spina nel fianco per gli austriaci, il Castellazzo, che aveva l’unico neo di essere distante dalle linee di rifornimento, venne trasformato dai minatori del Genio in un vero e proprio fortilizio e rimase in mano italiana fino all’autunno dei 1917 quando la linea del fronte dolomitico venne abbandonata a causa degli eventi di Caporetto (figg. 6 - 8).

Anche le artiglierie in casamatta vennero montate su affusti e trasferite. Due pezzi vennero messi in batteria nelle vicinanze delle cupole, mentre gli altri due vennero posizionati nel campo trincerato del Piccolo Lusia, a quota 1953 (fig. 2). Fu trasferito anche il riflettore in cupola corazzata. Anche i pezzi del Forte Buso subirono la stessa sorte. Tutta la zona del forte venne trasformata in un caposaldo con trincee blindate e postazioni per mitragliatrici, collegato con le linee che risalivano verso Lusia, per il controllo della Valle del Travignolo. Il fronte, però, non arrivò mai fino a qui (fig. 3). La funzione strategica di sbarramento contro l’avanzata italiana venne di fatto acquisita dalla prima linea che si snodava sulle cime della catena del Lagorai, che aveva il suo punto chiave nella Cima del Colbricon dove, anche qui, si svolse una cruenta guerra di mine (fig. 4).

7.2 - Descrizione dei manufatti Cominciamo la descrizione dei manufatti del Castellazzo partendo dalla cima e dall’anticima, che vennero trasformate in osservatorio (fig. 9) mediante lo scavo di trincee nella roccia e la costruzione di una baracca per l’alloggiamento del presidio di vetta (fig. 10). Da qui si dominavano il Passo Rolle, il fronte del Colbricon e dei Lagorai, la Val Travignolo, la zona di Cima Bocche e la strada per il Valles. La prima cupola rocciosa (fig. 11) che si incontra scendendo dalla cima e percorrendo l’altipiano verso nord (che chiameremo cupola n. 1), venne perforata da una galleria che, raggiungibile tramite un camminamento scavato nella roccia, partendo dal rovescio dell’altura (est) dopo pochi metri si divide in due bracci: quello di destra termina con una feritoia blindata per mitragliatrice che guarda il versante nord della valle. Quello di sinistra dopo pochi metri si divide a sua volta in altri tre bracci, ognuno terminante con una feritoia blindata per mitragliatrice direzionate verso obbiettivi diversi, dal Passo Rolle alle Buse dell’Oro (fig. 12). La prima feritoia, quella più a sud, è particolarmente interessante per la sua struttura: la parte terminale della postazione non è scavata nella roccia ma è costituita da una galleria a volta in cemento armato, la cui facciata esterna è ricoperta di pietre locali per ottenere un effetto mimetico (figg. 13 - 19).

7 - Il Monte Castellazzo 7.1 - Le vicende belliche Il Castellazzo è un monte di 2333 metri di altitudine, che si erge all’inizio della valle, di fronte alle Pale di San Martino, e che ha la struttura di un altipiano che digrada dalla cima, posta a sud, verso nord. È un monte completamente isolato, una specie di isola, che domina il Passo Rolle, a sud, la Val Venegia, a est, il Passo Valles, a nord, e la testata della Val Travignolo a ovest (fig. 5). Questo lungo piano declinante presenta quattro piccoli rilievi sul ciglio occidentale, quattro collinette rocciose, che anche dal punto morfologico ricordano in maniera abbastanza sorprendente quattro cupole corazzate di un forte. Caratteristica che, come vedremo, venne sfruttata dagli Italiani che ne fecero quattro capisaldi fortificati. Già fra il 1867 e il 1871 il Castellazzo venne preso in considerazione dal generale austriaco Kuhn come possibile caposaldo di una linea di opere campali avanzate che avrebbero dovuto difendere le Valli di Fiemme e Fassa da una possibile invasione italiana (Fontana 2004, p. 61). Ma l’idea venne poi scartata e, come abbiamo già visto, la linea di difesa venne arretrata a Paneveggio. Nonostante la posizione strategicamente fondamentale, il Castellazzo non fu teatro di combattimenti particolarmente cruenti o prolungati. Anzi, fu uno dei monti meno contesi della

La cupola n. 2 ha una struttura più complessa. Sul versante posteriore presenta due caverne ricovero poste a quote diverse e unite fra loro da una scalinata scavata nella roccia che le collega anche alla trincea-osservatorio posta sulla sommità della cupola. Alla base della scalinata vi è l’ingresso per due postazioni di mitragliatrice in caverna, anch’esse terminanti con due feritoie in cemento mimetizzate nella roccia (figg. 20, 21). Il versante occidentale della cupola, quello sul ciglio del monte, presenta una profonda

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Fig. 4. Il pozzo di una delle cupole corazzate da 10 cm nei pressi del Forte Dossaccio come appare oggi. (Foto di Marco Balbi)

Fig. 5. Immagine del Monte Castellazzo che ne evidenzia la posizione strategica. (Foto di Marco Balbi)

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Fig. 6. 1916. La cima del Castellazzo utilizzata come osservatorio dalle truppe italiane. (Foto Brigadoi, Archivio Andrea Bianchi)

Fig. 7. 1916. La cima del Castellazzo viene impiegata anche per riprese fotografiche. (Foto Brigadoi, Archivio Andrea Bianchi)

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Fig. 8. Primi lavori di fortificazione del Monte Castellazzo da parte delle truppe italiane. (Foto Museo della guerra di Rovereto) .

Fig. 9. Monte Castellazzo: le quote fortificate. (Foto di Marco Balbi)

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Fig. 10. Monte Castellazzo: le postazioni della cima con i resti della baracca ricovero. (Foto di Marco Balbi) .

Fig. 11. Monte Castellazzo: la cupola n. 1. (Foto di Marco Balbi)

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Fig. 12. Monte Castellazzo: rilievo delle gallerie della cupola n. 1. (Disegno di Bettega Adone, Bettega 1998, p. 182) .

Fig. 13. Monte Castellazzo: cupola n. 1, feritoia A, esterno. (Foto di Marco Balbi)

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Fig. 14. Monte Castellazzo: cupola n. 1, feritoia A, interno. (Foto di Marco Balbi)

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Fig. 15. Monte Castellazzo: cupola n. 1, feritoia B, esterno. (Foto di Marco Balbi) .

Fig. 16. Monte Castellazzo: cupola n. 1, feritoia B, interno. (Foto di Marco Balbi)

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Fig. 17. Monte Castellazzo: cupola n. 1, feritoia C, esterno. (Foto di Marco Balbi) .

Fig. 18. Monte Castellazzo: cupola n. 1, feritoia C, interno. (Foto di Marco Balbi)

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Fig. 19. Monte Castellazzo: cupola n. 1, feritoia D, interno. (Foto di Marco Balbi) .

Fig. 20. Monte Castellazzo: cupola n. 2, la scala esterna. (Foto di Marco Balbi)

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Fig. 21. Monte Castellazzo: cupola n. 2, la prima feritoia (a sinistra), la trincea esterna (al centro) e la galleria ricovero bassa (a destra). (Foto di Marco Balbi) spaccatura nella roccia che costeggia tutto il perimetro anteriore della sommità: la fenditura venne sfruttata dagli italiani che lo trasformarono in un camminamento blindato e probabilmente in parte coperto.

completata da una postazione per mitragliatrice in caverna raggiungibile con una piccola cengia, oggi in parte franata, che parte da una sella posta alcune decine di metri a est della sommità del monte, in prossimità del punto in cui la mulattiera di accesso sbuca sull’altipiano. La galleria si apre con un portale a volta in cemento (fig. 24) e termina con una feritoia in cemento per mitragliatrice, del tipo di quelle realizzate per le cupole, che sbocca circa a metà altezza della parete che domina gli accessi da sud al monte.

La cupola n. 3 è quella forse più interessante: il versante posteriore presenta la doppia entrata di una galleria di grosse dimensioni, protetta da un muro paraschegge e fiancheggiata dai resti di un baraccamento. La galleria termina in una camera da cui parte una scala in cemento (fig. 22) che, tramite un portale anch’esso in cemento, sbuca in un manufatto di grande interesse: si tratta di una postazione in calcestruzzo a cielo aperto, scavata nella sommità della cupola (probabilmente sfruttando una fenditura naturale), la cui base presenta un pozzo perfettamente circolare con, sul lato ovest, un prolungamento rettangolare che presenta ancora i resti di un rivestimento in tavole di legno. Il pozzo circolare a circa metà della sua altezza presenta una modanatura che senza dubbio serviva al brandeggio di un piccolo pezzo d’artiglieria contraerea o, più probabilmente, di un riflettore. Il pozzo rettangolare sembra infatti essere l’alloggiamento per un motore che serviva ad elevare e abbassare il riflettore (fig. 23).

Un’altra feritoia in cemento è visibile a metà altezza della parete sottostante la vetta ed è accessibile da una galleria che inizia alla base del canalone retrostante. Un’ultima postazione in caverna è situata in una roccia emergente dal versante prativo sul lato ovest del monte, sotto la cupola n. 1. La difesa ravvicinata del monte era quindi garantita dal tiro incrociato di almeno nove mitragliatrici in caverna. Sul plateau dell’altipiano sono visibili numerose tracce di camminamenti che collegavano le postazioni con le retrovie, resti di baraccamenti in pietra e un enorme rifugio scavato nella roccia. Il monte è collegato con le retrovie attraverso una bella mulattiera, ben conservata, che sale dal vallone retrostante attraverso una serie di tornanti: ancora oggi presenta muri di contenimento ben conservati (fig. 25). In prossimità del tratto iniziale della mulattiera sono presenti alcune grosse caverne ricovero con piazzole antistanti che probabilmente ospitavano pezzi d’artiglieria.

La quarta quota è invece una sorta di promontorio proteso verso la Val Venegia: essa è traforata da una caverna ricovero passante di grosse dimensioni che probabilmente ospitava un pezzo d’artiglieria. La difesa del monte è

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Fig. 22. Monte Castellazzo: cupola n. 3, scala e accesso al pozzetto in cemento armato. (Foto di Marco Balbi)

Fig. 23. Monte Castellazzo: cupola n. 3, vista dall’alto del pozzetto in cemento armato per riflettore (?). (Foto di Marco Balbi)

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Fig. 24. Monte Castellazzo: ingresso ad arco in cemento alla galleria sottostante la cima che porta ad una postazione con feritoia. (Foto di Marco Balbi)

Fig. 25. Monte Castellazzo: tornanti della mulattiera di accesso alla cima e ricoveri in caverna. (Foto di Marco Balbi)

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Fig. 26. Monte Castellazzo: resti della tettoia di ricovero per i muli. A destra, il sito della stazione di arrivo della teleferica dalla Val Venegia. (Foto di Marco Balbi)

Fig. 27. Monte Castellazzo: resti delle baracche ricovero degli artiglieri dei pezzi da 149 mm posizionati nei dintorni. (Foto di Marco Balbi)

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Nel vallone retrostante, che digrada e termina sul versante che guarda la Val Venegia, è ancora ben leggibile la base logistica che serviva le truppe in prima linea: sono ancora visibili resti di baraccamenti, cucine, magazzini, caverne ricovero per pezzi d’artiglieria, la tettoia per il ricovero dei muli (fig. 26), l’arrivo della teleferica che saliva dalla Val Venegia. Sia nel pianoro retrostante il monte che nel vallone che lo divide dal Monte Costazza sono inoltre ancora ben visibili e individuabili le piazzole per i pezzi d’artiglieria da 149 mm, con i resti dei supporti delle tettoie mimetiche e le riservette di munizioni (fig. 27).

Rovereto, 25 – 29 giugno 1978, Edizione Comprensorio della Vallagarina, Rovereto. - Tabarelli G.M. 1988, I forti austriaci nel Trentino, Temi, Trento. - Viazzi L. 1976, Guerra sulle vette. Ortles.Cevedale: 1915-1918, Mursia, Milano. - Viazzi L. 1981, I diavoli dell’Adamello. La guerra a quota tremila 1915-1918, Mursia, Milano. - Viazzi L. 1985, Col di Lana monte di fuoco 1915 – 1917, Mursia, Milano. 9 - Riferimenti dell’Autore

7.3 - Una proposta di tutela e valorizzazione

Marco Balbi Società Storica per la Guerra Bianca Via Guido Rossa n. 7/3; 20090 Buccinasco (MI) [email protected] www.guerrabianca.it

Il Castellazzo rappresenta dunque un unicum, un perfetto esempio di organizzazione di una postazione fortificata d’alta montagna con i capisaldi, l’osservatorio, le difese, la base logistica, le postazioni d’artiglieria (nei dintorni erano presenti molti pezzi da 149 mm): un impianto perfettamente assimilabile a quello di un forte permanente. Proprio per questi motivi il Castellazzo merita di essere tutelato e valorizzato. Il sito si trova all’interno del territorio del Parco Naturale di Paneveggio e delle Pale di San Martino. Purtroppo nel 2009 sulla cima del monte è stata posta una statua a soggetto religioso e da quel momento il sito, fino ad allora poco conosciuto e scarsamente frequentato, è diventato meta di migliaia di pellegrini che stanno mettendo in serio pericolo l’equilibrio naturalistico del luogo, che peraltro è riserva integrale. Anche le vestigia della guerra, soprattutto la mulattiera e le postazioni della cima, sono sottoposte ad una frequentazione di massa che ne mettono in pericolo l’integrità e la conservazione. Nulla, però, è stato fatto per segnalare agli escursionisti la storia del luogo e l’importanza del sito e per sensibilizzarli al rispetto dei manufatti. Sarebbe quindi auspicabile la posa in opera di tabelle didattiche che illustrino le vicende di guerra del monte e indichino l’importanza dei siti che potrebbero anche essere facilmente resi visitabili tracciando un itinerario con segnavia, ripulendo dalla vegetazione i manufatti più interessanti e mettendo in sicurezza le postazioni in caverna per renderle accessibili alla visita. 8 - Bibliografia - Bettega A. 1998, Soldati contro montagne, Gino Rossato Editore, Valdagno. - Belotti W. 2009, Le batterie corazzate, Regione Lombardia, Museo della Guerra Bianca in Adamello, Temù. - Fontana N. 2004, K.u.K. Werk Dossaccio. Storia di un forte corazzato di montagna (1886-1915), Quaderni del Parco, 4, Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino, Tonadico. - Stefanon G. 1980, Fortificazioni ed apprestamenti difensivi sul Pasubio, in Benvenuti S., La Prima guerra mondiale e il Trentino, Atti del Convegno Internazionale,

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Barbed wire during the great war: origins, tactical theories, II diffusion and impact on the representation of conflict

BARBED WIRE DURING THE GREAT WAR: ORIGINS, TACTICAL THEORIES, DIFFUSION AND IMPACT ON THE REPRESENTATION OF CONFLICT Autore François-Xavier Bernard

Comitato scientifico della rivista “La Grande Guerra” (MARVIA Edizioni), membro della Società Storica per la Guerra Bianca

Abstract The military use of barbed wire, which was introduced during the American Civil War, witnessed significant development with the Russian-Japanese War. Its defensive potential was slowly appreciated by European powers in the years leading up to 1914. The First World War established barbed wire as a symbol of the conflict, on par with the trenches. Sommario I RETICOLATI DURANTE LA GRANDE GUERRA: ORIGINI, TEORIE TATTICHE, DIFFUSIONE E IMPATTO SULLA RAPPRESENTAZIONE DEL CONFLITTO L’uso militare dei reticolati, che risale alla guerra civile americana, si sviluppa con la guerra russo-giapponese del 1904-1905. Le potenzialità di questo strumento difensivo vengono lentamente percepite dagli stati maggiori delle potenze europee, ma sarà la guerra di posizione del 19141918 a trasformare il filo spinato in simbolo del conflitto, alla pari con le trincee. 1 - Introduction «We recognize the distorted faces and the flattened helmets – it’s the French. They reach what is left of our wire and already they’ve clearly had losses. A whole line of them is wiped out by the machine-gun near us; but then it starts to jam, and they move in closer. I see one of them run into a knife-rest, his face lifted upwards. His body slumps, and his hands stay caught, raised up as if he is praying. Then the body falls away completely and only the shot-off hands and the stumps of the arms are left hanging in the wire» (Remarque 1996, p. 97). This excerpt Erich Maria Remarque’s All Quiet on the Western Front (picture 1) references some of the wellknown symbols of the Great War: helmets, machine guns and the use of barbed wire both as fencing and as a kniferest. Barbed wire, originally invented for agricultural use, quickly became a characteristic feature on the landscapes of contemporary wars, and later a symbol of oppression, through its use at Nazi concentration camps and the expression “iron curtain” coined by Winston Churchill in his speech at Fulton in 1946… How was this development possible? I’ll present, in this brief paper, the origins of barbed wire and barbed wire fencing. Additionally, I’ll analyze its development for use in the military field during the Boer War, the 1904-1905 Russian-Japanese war and

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during the First World War. Barbed wire’s representation as a definitive feature of modern combat will be described using examples from these wars. 2 - Agricultural origins The first aspect of barbed wire to consider is the relatively recent invention and further developments in the military realm. It is impossible to establish a precise date of birth or even the name of its inventor, even if the patents which define this invention are numerous. The conceptual use of barbed wire was developed more or less simultaneously in France and the United States in the 1860s. As far as we know, there weren’t contacts between the various French and American inventors, but this coincidence is not quite a surprise. In fact, in both countries, social and economic context was favourable and allowed for the development of this kind of innovation. First of all, the United States and France were two nations with strong agricultural backgrounds (indeed barbed wire was used primarily to restrict movement of livestock) and the Industrial Revolution had simplified its production process. The first patent, registered in France on July 7, 1860, by Léon-Eugène Grassin-Baledans (no. 45827), was a system of twisted iron with sharp projections. With the patent of Gilbert Gavillard, dated August 27, 1867 (no. 7757027), the barbed wire begins to have the shape we know. Indeed, his inventions was named “ronces artificielles” (artificial thorns). In the meantime, in the United States, if we don’t take in account the patents registered by Alphonso Dabb from Elizabethport (New Jersey) on April 2, 1867, Lucien B. Smith from Kent (Ohio) on June 25, 1867, and William D. Hunt (patent no. 67.117 registered on July 23, 1867), we can estimate that today’s notion of barbed war originated in 1873 at the DeKalb County Fair (Illinois). At this agricultural fair, farmer Henry M. Rose unveiled his new invention to the public: a strip of wood studded with short metal points. At first, these strips of wood were attached to animals, and then to fences. The patent was registered on May 13, 1873. Three visitors of the fair, Joseph F. Glidden, Issac L. Ellwood and Jacob Haish saw potential in his invention, and worked up their own versions of the simple concept. All three of them registered patents between 1874 and 1892, which was the beginning of years of legal proceedings, which ended in 1892 with a decision of the United States Supreme Court in favour of Glidden. His patent was registered on November 24, 1874 (no. 157.124) (pic. 2). In its first version, the metal points were bent around a wire. Since the grip loosened over time, he had the simple and ingenious idea to lock them with a second

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Fig. 1. All Quiet on the Western Front, the 1930 movie directed by Lewis Milestone. wire. At this stage of this discussion, it may be useful to summarize the reasons of the superiority of barbed wire in the agricultural field, especially because we’ll find the same advantages with its military implications:

for the first time during the 1870-71 Franco-Prussian War, but in fact there is evidence of use before this date. For example, the Belgian Lieutenant Général Brialmont, in his famous Fortification à fossés secs published in 1872 (when he was colonel), wrote: «The Prussians have performed at Tegel during the 1869-1870 artillery tests with a bombing of a 5 mm diameter fence fixed on 5-feet stakes. These fences were bombarded with 12 cm and 15 cm projectiles. Some stakes were destroyed, but the wire still represented an insurmountable obstacle for the infantry». Brialmont expands his theories about the efficiency of wire fencing in another work, La fortification du champ de bataille published in 1878. In this book, he recommends the use of wire fencing, with the following dimensions at least 10 meters wide and 1.50 meters high, a height of 90 cm being sufficient to block infantry and only 40 cm to stop mounted cavalry. By his estimation, a group of 12 untrained men are able to lay 40 meters of wire per hour. For this reason, he declares: «We can state that the importance of accessory defences, far from being reduced, has increased. That’s why infantrymen should be equipped with the tools needed to create these types of defence, and since wire fencing is among the most effective and easy one to prepare, battalions should carry some rolls on their wagons» (Brialmont 1878, p. 21).

- resistance to bad weather and heat deformation; - hard to break or cut; - light weight; - Economical. In 1874, its cost was about $10 for 10 kgs, and only $1 in 1884. This explains the fact that production jumped from 5 metric tons in 1874 to more than 40,000 metric tons in 1880 (Jacquin 1992). For some years, the actual effect on the cattle remained a point of discussion. Barbed wire was accused of hurting the animals. This explains the quick development of variants of barbed wire with pieces of wood placed between them with thorns, to reduce the “offensive” side and increase its “deterrent” one. 3 - Military Uses: Development Before the Great War Military use of barbed wire doesn’t come directly from the agricultural use we have just studied. In fact, it is mainly an evolution of the use of wire (without thorns) used during the conflicts of the nineteenth century. It is usually stated that wire (not the “barbed” one) was used

We must keep in mind that Brialmont was a real “maître-

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Barbed wire during the great war: origins, tactical theories, diffusion and impact on the representation of conflict

à-penser” in both Belgium and France and that his works were officially taught to the engineer corps. Before the 1904-1905 Russian-Japanese War of 1904-1905, wire fencing, barbed or not, was already known and used. Barbed wire as a military element appears during the 18981900 Spanish-American war (Trew 1998, pp. 5-21) and during the second English-Boer war in Transvaal (18991902) (Krell 2002, p. 49).

on the use of a belt with a width of at least 30 meters in order to defend intermediate works of the fortresses built according to the 1887 program (pic. 4). In the meantime, there was a development of the use of wire for “temporary fortifications”, as shown by this extract of a book written in 1906, La France et l’Allemagne en 1906 : La guerre possible, par un diplomate: «Then, we must defend Nancy. It is important, from now, to make its defence more powerful and lasting, to build around the town temporary fortifications. Today’s fortifications systems provide powerful tools which allow to quickly create a temporary stronghold almost as resistant like a permanent fortified camp. For that are sufficient enormous supplies of poles, wire and barbed wire, at selected points and labourer tools in sufficient quantities to give, if necessary, to all inhabitants of the outskirts of Nancy» (Razac 2009, pp. 54-55).

We won’t study in this document the role of barbed wire in the construction of the first “concentration camps”, as the study is only about its military one. At first used to protect British railway lines (as it was done in America in order to avoid the accidental passage of livestock on railway lines), Kitchener based his strategy on the implementation of thousands of “blockhouses” (about 8000) used to control the country. At first, the distance between them was 1.5 miles (this distance represented twice the range of the British rifles). The barbed wire allowed the implementation of this strategy, because it allowed, with a reduced cost, the defence of these blockhouses, but also the limitation of movement of the Boer forces. This system was always efficient: introduction of bells in the fences allowed for the detection of intruders at night. The construction of this system of blockhouses with barbed wire had a cost of only £ 300,000 against a total cost of the war estimated at £ 200,000,000 (Netz 2004, p. 66).

We can see this type of use in a photograph taken during the war in Reims: Reims,fils de fer barbelés dans la rue Fléchembault (pic. 5). Therefore, already some years before the beginning the of the Great War, the use of wire fencing and barbed wire was well known in French Army and some inventions we usually link to the First World War were created before the conflict. To give an example, an information note written on February 24,1908, by the 4ème Direction is about «la mise en œuvre des réseaux de fil de fer système Brun». In 1909 Revue du Génie published a series of articles about the works built by French Engineers in Morocco. In its issue dated september1909, an article written by the Engineer commander Fesch, describes with a several details the use of barbed wire fencing to defend a stronghold in 1908 (pic. 6). Note that we find again the use of bells used to avoid night attacks, and these bells were built created using bottle caps. The advantages of wire fencing were well known before the outburst of the First World War. Let’s see how it was used during the Great War.

We find again the barbed wire during the 1904-1905 Russo-Japanese War, along with trenches and mines, as evidenced by the testimony of a war correspondent: «The preparation of the defence lines of Chiouchampou had been organized by Russians at the beginning of the conflict and made with care by the Engineer corps. [...] Several and powerful accessory defence systems complete these works. [...] Wire fencing and barbed wire fencing, tiger holes with and without sticks, put in diagonal on four rows, electrically operated mines, in a few words all kinds of official systems have been used and give these places an impressive aspect» (Kahn R. 1905, pp. 265-266; quoted in Razac, p. 50). The importance of wire fencing is confirmed by this other testimony, written by a Russian officer: «I must insist on the fact that the most efficient accessory defences is wire fencing; it’s almost impassable, almost invulnerable to artillery fire. It represents the most difficult obstacle for the attacker» (Soloviev 1906, p. 34; quoted in Razac, p. 50).

5 - Wire Fencing and Great War At the outbreak of the Great War, the military usefulness of wire fencing is well known and the French army had several stocks of this kind of material. That’s why statements of historians who think that the first wire fencings were improvised with «wire found in villages» (Miquel 1983, p. 192) must be carefully checked, even if we cannot exclude that there were some requisitions. Indeed, in the 1910 edition of the famous French catalogue Manufrance (Manufacture Française d’Armes et Cycles - Saint-Etienne), page 885 makes reference to «thorns of galvanized steel wire with barbs». The last official information about wire fencing was presented in a booklet entitled Notice relative à l’installation des réseaux de fil de fer autour des ouvrages. According to it, the best solution was the use of poles from 1.50 to 2 metres high, put in diagonal every 2 or 3 metres, to create a system of fencing 30 metres deep (Ministère de la Guerre 1914, pp. 25-26).

4 - The French Situation Before 1914 We have seen that wire fencing was well known by French Army. Its use is described in official manuals, such as the Manuel complet de fortification, written by Colonel Plessix and Lieutenant-Colonel Legrand-Girarde (picture 3, 3rd edition, 1900). Note that the wire used is not barbed. In his course “La fortification cuirassée et les forteresses” given at the école de guerre between 1906 and 1909, Lieutenant-Colonel Piarron de Mondésir insisted

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Fig. 2. Barbed wire patent invented by Glidden and the tool used to produce it. (Source: Internet)

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Fig. 3. Plessix, colonel, Legrand-Girarde, lieutenant-colonel, Manuel complet de fortification, 3rd ed., 1900, pp. 82,83. .

Fig. 4. La fortification cuirassée et les forteresses, lesson given at the école de guerre,1906-1909, lieutenant-colonel Piarron de Mondésir. (Source: Guy François)

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Fig. 5. Reims, fils de fer barbelés dans la rue Fléchembault. (Source: Gallica)

Fig. 6. The Revue du Génie published in 1909 some articles about the Engineers’ work in Morocco. Illustration: some pages of the Spetember issue.

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The same document describes the poles known as «pig’s tails», which are screwed into the ground and therefore allow to be planted in the ground silently. This system will be copied by the Germans starting from April 1915, and his known under the name “Hindernis-Schraubpfahl” (pic. 7).

the crucial role of machine-gun during the Great War without taking in account the wire fencing. We could even state that both are complementary, as each one has a precise function: - Wire fencing reduces the speed of the movement of the attacker for a given time unit. - The machine gun increases the volume of fire for the same time unit (Netz 2004, p. 102).

Moreover, at the beginning of the war, the French army had considerable stocks of wire and barbed wire, as evidenced by a note dated October 5, 1914 published in the appendices of the Armées françaises dans la Grande Guerre (AA. VV. 1931, p. 39) series of books (pic. 8). It refers to the sending on August 30 of 50 tons of barbed wire and 75 tons of wire for the Second Army, followed by a delivery of 17 tons of barbed wire, 40 tons of wire and 1000 Brun systems on September 30, and so on for all the French Armies. There are several types of barbed wire, according to the number of barbs by metre:

The Development of New Weaponry and the Rediscovery of Forgotten Ones. Without mentioning the rediscovery of plate armour or strange protection systems to allow soldier to go close to fencing (we can find such scenes in Francesco Rosi’s movie, Uomini contro, inspired by Lussu’s book Un anno sull’altipiano, translated in English with the title Sardinian Brigade) (pic. 11), we’ll just evoke the rediscovery of trench mortars (which were able to send projectiles or anchors, such as the Mattei mortar, used with some success in France), pliers for wire-cutting (classical ones or Malfatti models) or put on guns which were able to cut wire with one shot.

- «Agricultural»: 7 by metre. - «Strong»: 14 by metre. - «American»: 19 by metre. What are the advantages of wire fencing? - Light weight. - Easy to create and to install (pic. 9 and pic. 10). - Resistant to traditional bombing (the rediscovery of mortars is a consequence of the use of fencing). - Flexibility, even when cut. - Minimal profile. - Occupies a low volume. - Cost is very low. It was calculated that the production/ destruction ratio (projectile/replacement) was about 15 to 140 (Netz 2004, pp. 112-113).

The Tank. In fact, the intensive use if barbed wire is one of the main causes of the development of another weapon: the tank. The relationship between them is a direct one. The proof is a memorandum written by Winston Churchill in 1915: «If artillery is used to cut wire, the directions and the imminence of the attack is proclaimed days beforehand. But by this method [the use of tanks] the assault follows up the wire-cutting almost immediately, i.e. before any reinforcements can be brought by the enemy or any special defensive measures taken» (Churchill 1947, p. 86). The introduction of tanks, which is one of the causes of the German defeat on the Western front, is the cause of the decline of barbed wire too. But, at the end of the conflict, it’s still a main part of the battlefield landscape. To give the reader and idea of the volumes used by each army, here is the list of booty collected by Italian forces some months after its victory against Austro-Hungarian Army: «[…] For metallic elements: 15,813 quintals of nails, 13,100 quintals of screws, 22,667 quintals of buttons, 15 wagons of hardware, 6 wagons of chains, 23,994 iron sheets, 11,718 quintals of barbed wire (corda spinosa), 32,000 meters of wire, 51,606 knife-rests, 222,862 iron stakes and 13,270 of these famous materassi bulgari [Bulgarian mattresses] which were put by the enemy in all tiger holes or in the entrances to his lines» (Regio Esercito Italiano 1988, document 659, pp. 1516-1521). Such figures remain very low, if we compare them to the production of US Steel during the Great War, even if only a minimal part of its production was used on the European front: 2.8 millions of miles! (Netz 2004, p. 108). At the end of the war, we can calculate that there were about 600 kms of barbed wire for each square kilometre of trench (Bourne 2000, p. 19; quoted in Krell, p. 58) we can therefore state that there was a real iron river across the Europe, along the thin line of trenches.

6 - The Impact on the Conflict The Cavalry Crisis. As it is well known, the mounted cavalry, which was tactically very important until the end of nineteenth century, found its decline ith the Great War. This decline is often associated with the main element of this war, i.e. the trenches, but some evidences show that this decline was foreshadowed during the first phase of the conflict (until autumn 1914), known as “race to the sea”: «The subdivision of lands into fields by wire fencing is rapidly increasing... A few strands of wire, or a bit of difficult ground, will delay a mounted advance quite long enough for the rifle to do deadly work» (Dundonald T. E. 1926; quoted in Netz, p. 87); or this other German testimony: «The advance of the cavalry was impeded by the more and more intensified cultivation of the country and the industrial works. Wire fences, drainage works, slag heaps, collieries, factory walls, railroads culverts, canals and other artificial constructions rendered harder and harder the advance itself and prevented quite often the entering into action of large mounted cavalry masses» (Colonel Von Poseck, quoted in Netz p. 88). Wire Fencing and the Machine Gun. One cannot explain

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Fig. 7. Postcard published by the Daily mail.

Fig. 8. Source: Armées françaises dans la Grande Guerre. 28

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Fig. 9. Barbed wire in Limey.

Fig. 10. Barbed wire in Limey-Rémenauville.

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Fig. 11. A scene of the movie Uomini contro, directed by Francesco Rosi.

Fig. 12. A dead over barbed wire.

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Fig. 13. The logo of the Archeologia della Grande Guerra project (Italy).

Fig. 14. The logo of the Società Storica per la Guerra Bianca (Italy).

Fig. 15. A barbed wire network in Argonne region. (Agence Meurisse)

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Fig. 16. Helft uns siegen, a propaganda postcard published in 1917.

Fig. 17. Burne-Jones, The prince entering the briar wood, 1869. . 32

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7 - The Impact on the Conflict Representation

a permanent element of occidental story of art. There are indeed several paintings associated with the theme of the thorn crown, based on this extract of gospels of Matthew (27:29), John (19:2) and Marc (15:17) («And they clothed him with purple, and platted a crown of thorns, and put it about his head») (pic. 18: Hieronymus Bosch, Christ Mocked (The Crowning with Thorns), 1508-1509, London, National Gallery). In the collective imaginary, we can then suppose that the image of the wounded soldier in the wire fencing is linked to the idea of martyrdom.

Barbed wire is a permanent element in the memories of the soldiers of the Great War. I’ve begun this paper with the quote of the famous book of Erich Maria Remarque. We could quote this extract of the book of George Coppard: «Hundreds of dead, many of the 37th Brigade, were strung out like wreckage washed up to a high-water mark. Quite as many died on the enemy wire as on the ground, like fish caught in the net. They hung there in grotesque postures. Some looked as though they were praying; they had died on their knees and the wire had prevented their fall. From the way the dead were equally spread out, whether on the wire or lying in front of it, it was clear that there were no gaps in the wire at the time of the attack» (Coppard G. 1980, p. 60; quoted in Razac, p. 60) (pic. 12).

8 - Conclusion, Acknowledgement The military use of barbed wire, known since the end of 19th century, was well known by European military staffs at the beginning of WW1. The 1914-1918 war will transform barbed wire in a characteristic element of the conflict, on par with the trenches. It cannot be considered as the symbol of the Great War, because its role in the excruciating experience of the concentration camps of World War II will transform it in a symbol of oppression. As a conclusion, I will quote the wonderful expression of Olivier Razac: «Under all latitudes, where is kept the memory of bloody battles, sieges, of the blocks, the divisions that have marked the history of the twentieth century, the barbed wire is required to perform the role of thorn of the memory» (Razac 2009, p. 19).

Can we consider barbed wire a symbol of the Great War? According to Olivier Razac (Razac 2009, p. 60), this view is problematic. Ranzac believes that barbed wire is represented more artistically than as a long-term representation of the war. Indeed, barbed wire must be accompanied by other elements to be associated with the Great War. To give some examples well known by Italian public, the logo of the “Progetto archeologia della Grande Guerra”(pic. 13) is based on the concept of trench/ excavation, under a symbolical barbed wire, whereas the symbol of the Società Storica per la Guerra Bianca (pic. 14) is an edelweiss with a barbed wire transformed in ivy. According to me, it’s the vegetal – therefore alive – aspect of barbed wire which is the base of its symbolic power (pic. 15). It is interesting to note that many French soldiers during the First World War use the expression “fil de fer ronce” (iron wire-thorn): «We advance 50 meters into the forest and we must lay the wire-thorns and we scratch our hands. The Boches let us work and did not fire on us. It’s worth it for 50 meters, it will take a long time to get to Berlin» (personal communication of Jean-Claude Poncet).

I would like to express my gratitude to all those who gave me the possibility to complete this paper: my friends of

In addition to the terminology, we can find the same kind of representation of barbed wire in works of art, which becomes a thorn. If we take as an example the German poster for the sixth war loan (Sechste Kriegsanleihe), the famous “Helft uns siegen!” done by Fritz Erler in1917 (pic. 16), we see a soldier, his face smeared with the mud of trenches, with a look that goes beyond the spectator. He look at the no man’s land with bright eyes, as if they were illuminated by an inner light. The landscape of the trench is reduced to a few factors: what looks like a trunk is actually a pile of barbed wire and cut pieces of barbed wire, which looks like ivy. The soldier becomes a warrior and defeats the cut ivy-wire. This poster can be linked in some way to a work dated 1870-1873, The Legend of the Briar Rose, from the British painter Sir Edward BurneJones (pic. 17). This work is based on the theme of the Sleeping Beauty, in which a prince-hero goes through a wood of thorns to find his love. If we want to go even further, we can even state that the thorn and the spine is

Fig. 18. Hieronymus Bosch, The Crowning with Thorns, 1508-1509, London, National Gallery.

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French Web Forum Pages 14-18 (http://pages14-18. mesdiscussions.net/) and especially François Dauger, Pierre Fath, the general Guy François, Bernard Labarbe, Bernard Larquetou, Jean-Claude Poncet for their kind help and support during my research work. A very special thank to Brennan Gauthier for his review of the text.

London. - Jacquin P. 1992, Le Cow-boy. Un Américain entre le mythe et l’histoire, Albin Michel, Paris. - Kahn R. 1905, Journal d’un correspondant de guerre en Extrême-Orient, Calmann-Lévy, Paris. - Krell A. 2002, Devil’s Rope: A Cultural History of Barbed Wire, Reaktion books, London. - Ministère de la Guerre 1914, Ecole de Fortification de campagne, «Notice relative à l’installation des réseaux de fil de fer”, Imprimerie Delmas G., Bordeaux. - Miquel P. 1983, La Grande Guerre, Fayard, Paris. - Netz R. 2004, Barbed Wire: An Ecology of Modernity, Wesleyan University Press, Middletown (Connecticut). - Plessix L.-G. 1900, Manuel complet de fortification, 3rd edition, Berger-Levrault & ie Editeurs, Paris-Nancy. - Razac O. 2009, Histoire politique du barbelé (Champs Essais), Flammarion, Paris. - Remarque E. M. 1996, Niente di nuovo sul fronte occidentale, (edizione originale Im Westen nichts Neues, Propylaen-Verlag, Berlin, 1929), Mondadori, Milano. - Soloviev 1906, Impressions d’un chef de compagnie, Librairie Militaire Chapelot R. et Cie, Paris. - Trew D. 1998, Warwire: The History of Obstacle Wire in Warfare, McLean, Texas. - Regio Esercito Italiano – Comando Supremo – Ufficio Tecnico 1988, Materiali acquisiti entro l’aprile 1919 dalla organizzazione recuperi, costituita al termine del conflitto, in Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito, L’Esercito italiano nella Grande Guerra (1915-1918) - Vol. V - Le operazioni del 1918, Tomo 2 bis – Documenti, Roma.

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Architettura e Geografia del Territorio in conflitto: III le linee difensive in Europa nella Grande Guerra

ARCHITETTURA E GEOGRAFIA DEL TERRITORIO IN CONFLITTO: LE LINEE DIFENSIVE IN EUROPA NELLA GRANDE GUERRA Autore Maria Antonietta Breda

Politecnico di Milano Dipartimento di Progettazione dell’Architettura

Sommario La costruzione di quello che diverrà il paesaggio della Grande Guerra trova la sua origine già agli inizi del Novecento, quando nei territori di confine fra gli Stati si costituiscono ampie “linee” difensive (singolarmente leggibili come micro paesaggi) che occupano sostanzialmente tutto il continente europeo e in particolare, in direzione Sud-Nord si sviluppano quasi interrottamente dal Mediterraneo alle isole Frisie del Mare del Nord. Tali sistemi e opere si basano sulle caratteristiche dei luoghi, sullo sviluppo raggiunto dalla tecnologia e dalla tecnica costruttiva, sulle strategie militari oltre che sullo sviluppo degli armamenti, e sono rese possibili anche dalla costituzione ed organizzazione di corpi tecnici speciali come l’Arma del Genio. A tale paesaggio europeo che possiamo chiamare della difesa permanente, durante gli anni della guerra si somma il paesaggio europeo della difesa campale. Quest’ultimo sfrutta ampiamente le caratteristiche del terreno in cui si svolgono gli scontri ed è un paesaggio decisamente più fragile che lascerà minori tracce. La presente relazione descrive con uno sguardo architettonico e geografico “dall’alto” i territori in conflitto. È un preludio agli studi che saranno presentati in queste due giornate e che offrono invece uno sguardo da vicino a costruzioni permanenti o campali, a opere naturali adattate alle esigenze belliche, a micro sistemi difensivi, con l’obiettivo di conoscere per non dimenticare, per non ripetere e, soprattutto per coloro che avranno occasione di progettare, per conservare e per valorizzare le tracce dei sistemi difensivi permanenti e campali, sia come singole opere che come elementi di un vasto e articolato paesaggio. Abstract ARCHITECTURE AND GEOGRAPHY OF THE AREA INVOLVED IN THE CONFLICT: DEFENSIVE LINES IN EUROPE DURING THE GREAT WAR The shaping of what will become the landscape of the Great War begins with the twentieth century, when the border areas between large states are transformed in defensive lines (which can be individually considered as micro landscapes) that occupy almost all European continent and in particular, North-South direction, from Frisian islands to the Mediterranean Sea. Such systems and works are based on the characteristics of the locations, on the development achieved by technology and construction techniques, as well as military strategies and development of armaments, and is made possible by the constitution and organization of special technical bodies such as the Army Corps of Engineers. In this European landscape that we can call

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the permanent defense system, we must add a temporary defense system born with the First World War. The latter extensively uses the characteristics of the terrain where the fighting takes place and is a much more fragile landscape that leaves fewer traces. This study describes analyses the conflict areas according to an architectural and geographical point of view and represents an introduction to the studies that will be presented in these two days. These studies will offer a closer look to permanent buildings or temporary ones, to natural landscapes adapted to the needs of war, micro defense systems, which must not be forgotten and helped to be preserved, as single elements and part of the landscape. 1 - Introduzione La Prima Guerra Mondiale comincia come guerra di movimento nel 1914, tranne che in Italia dove, nel 1915, gli Austriaci si attestano su posizioni già fortificate e si ritirano dai punti poco o affatto difendibili per attestarsi e trincerarsi su quelli meglio difendibili, come sui rilievi. Un caso eclatante è Cortina, la quale viene abbandonata dagli Austriaci che si ritirano sulle cime circostanti: Lagazuoi, Tofane, Cristallo, ecc. L’avanzata o il ritiro dei belligeranti va a sfruttare opere permanenti già esistenti, spesso adattate alle mutate condizioni della guerra, ma costruite prevalentemente tra fine Ottocento ed inizio Novecento, in conseguenza della politica di fortificazione dei confini (sull’evoluzione delle fortificazioni si vedano i saggi di Gianluca Padovan e Willibald Rosner, mentre come caso esemplificativo di una fortezza tra Risorgimento e modernità si veda il saggio di Luca Girotto). Delle preesistenti fortificazioni, tuttavia, alcune assolvono alla funzione per la quale erano state costruite come ad esempio il forte di Duaumont in Francia, parte del campo trincerato di Parigi, o la fortezza polacca di Przemysl I territori della guerra sul continente europeo, dai monti Urali ai Pirenei, sono costellati di fortificazioni permanenti, fortificazioni campali e fortificazioni provvisorie, queste ultime due sono sistemi di trincee e reticolati (su questo specifico tema si veda il saggio di Farnçois Xavier Bernard) costruiti durante le azioni di guerra, ma mentre quelle campali sono realizzate sul campo di battaglia, in prima linea, quelle di campagna sono più complesse e comprendono tutte le opere per le retrovie. È stato scritto che: «Chilometri di trincee si snodavano in Francia, nella pianura polacca e russa e tra le montagne venete, friulane e giuliane» (AA.VV. 1993, p. 845). Tali opere sono prevalentemente sotterranee o scavate nel suolo per renderle meno visibili. Per la costruzione di nuove

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fortezze permanenti o per l’adeguamento di quelle esistenti s’impiega il calcestruzzo di cemento o il cemento armato, mentre i materiali delle trincee sono prevalentemente terra, sacchi di sabbia e/o terra, legno per quelle improvvisate e calcestruzzo o cemento armato per quelle predisposte preventivamente. Per i ricoveri si utilizza generalmente il calcestruzzo di cemento ed in alcuni casi il cemento armato. A proposito delle trincee così riassume l’Ing. Raddi: «Tutti sanno oramai in che cosa consista una trincea. Essa non è altro – generalmente – che una fossa scavata entro un terreno per il riparo dei soldati dai proiettili nemici. Talvolta esse sono coperte da legnami e frasche di alberi; talvolta completate con parapetti di sacchi di sabbia o di terra. Se le trincee sono di vari ordini esse vanno collegate fra loro a mezzo di camminamenti o strade interne di comunicazione. Gli austriaci, che avevano già predisposto la difesa contro di noi da tempo, avevano costruito trincee in cemento armato munite di tutto il confort desiderabile, specie per gli ufficiali. Il soldato italiano trovò il terreno indifeso, quindi guidato dai propri ufficiali a furia di piccone e mine, dovè costruirsi strade, passi, sentieri, trincee, ridotte, ecc., spiegando un’attività e attitudine sorprendenti insieme ad un buon senso pratico che è proprio del soldato italiano» (Raddi 1918, pp. 19-20).

rimanda ai saggi di Marco Balbi, Massimo Chianello e Ilaria Panozzo). Oltre che nei principali teatri di guerra, anche in altri territori ci si preoccupò d’intervenire sulle opere di difesa già esistenti. Per esempio la Gran Bretagna rafforzò il proprio sistema fortificato della costa, in particolare con le opere a Scapa Flow all’estremo Nord, a Felixstowe nel sud della costa orientale, a Dover e con il rafforzamento dell’estuario del Thames, del Tyne e di Humber, nel centro della costa orientale con la costruzione dei forti Haile Sand e Bull Sand unitamente alle grandi batterie costiere Sunk Island, Killingholme, Kilnsea, Godwin e Spurn (Rolf 2004, p. 169). Non vi è dubbio che le caratteristiche fisiche dei territori (natura dei suoli, idrografia, presenza e tipo di vegetazione, ecc.) e l’orografia hanno avuto influenza sulle opere. I sistemi, pur non differenziandosi molto tra di loro per quanto riguarda la concezione, sono strettamente legati alle condizioni orografiche e alla natura del terreno di cui un esempio lampante è lo sfruttamento delle grotte in aree carsiche, per costruire osservatori, depositi o ripari per le truppe. In diversi casi l’orografia ed il profilo delle montagne subì importanti modifiche con l’introduzione di gallerie, trincee di cemento armato, postazioni in caverna, ecc. (per un approfondimento specifico su questi aspetti si veda il saggio di Marco Balbi).

Naturalmente alle opere militari si affiancano tutte quelle opere di infrastrutturazione del territorio necessarie per gli spostamenti di uomini e mezzi, come ad esempio il completamento, l’ampliamento e la manutenzione di vie di comunicazione già esistenti o la costruzione di nuove strade, sia rotabili sia ferrate, la creazione di sistemi di teleferiche per superare i dislivelli di quota, ecc. I lavori stradali sono affidati al Genio Civile mobilitato a disposizione delle intendenze del Regio Esercito in base al Regio Decreto del 1 Dicembre 1912, n. 1462 (per un approfondimento su queste tematiche si rimanda ai saggi di Alberta Cazzani, Camillo Sangiorgio e Luca Zavanella per le strade, Alessandro Martinelli - per le teleferiche).

La natura del terreno fu anche alla base della «guerra di mina» o «guerra sotterranea», che venne nuovamente ampiamente applicata durante la Grande Guerra su tutti i fronti. Si ricorda a tal proposito in Italia gli assedi al Monte Cimone (fig. 8), Pasubio (figg. 9, 10), Corno Battisti (fig. 11), Col di Lana, Piccolo Lagazuoi (vedere utilmente il testo di Mario Ceola, La guerra sotterranea attraverso i secoli, Museo Storico Italiano della Guerra - Rovereto, Rovereto 1939, nonché i lavori puntuali ed articolati dello studioso austriaco Robert Striffler). La «guerra di mina» prevede la costruzione di cunicoli sotterranei (di mina e di contromina) per far demolire tramite lo scoppio di mine le postazioni soprastanti. Così è definita la contromina: «Sin dall’antichità è la principale contromisura alla mina. Si tratta di una galleria o di un semplice cunicolo scavato in direzione dell’analogo scavo avversario [la mina. N.d. A.], allo scopo di intercettarlo, occuparlo e quindi distruggerlo, generalmente incendiandone la struttura lignea di sostegno» (Padovan 2009, p. 272). Si segnala che «con lo sviluppo delle artiglierie, in particolare di quelle di grosso calibro (metà del XIX sec.), la tecnica di mina viene momentaneamente abbandonata. Una breve parentesi si registra nel corso della guerra russo-giapponese (1904), quando il generale Liten Maresuke Nogi assedia la piazzaforte russa di Port Arthur in Manciuria (Cina). Dopo disastrosi assalti frontali, in attesa di ricevere adeguate artiglierie il generale Nogi ricorre ai tradizionali sistemi di assedio: trincee d’avvicinamento e mine. Nel corso della Prima guerra mondiale l’impiego di mine e contromine cerca di spezzare la staticità del fronte, basato sul trinomio difensivo reticolato-trincea-mitragliatrice e sull’uso delle artiglierie. Un largo e tragico impiego avviene soprattutto sul fronte montano italo-austriaco» (Padovan 2009, pp. 293-295).

2 - I territori 2.1 - I teatri di guerra In Europa i fronti hanno come teatro delle operazioni belliche parte delle zone di frontiera dei diversi stati coinvolti, aree che naturalmente si modificano nel corso della guerra a seconda dell’avanzare o dell’arretrare degli eserciti (figg. 1 - 7). Nel 1915 il fronte occidentale interessa i territori di confine tra l’Impero Germanico, la Francia, il Belgio, il fronte orientale vede coinvolti i territori di confine tra l’Impero Russo, la Boemia, l’Austia-Ungheria, la Romania, la Serbia, l’Albania e la Grecia e il fronte italiano vedi coinvolti i territori alpini lungo tutto il confine tra Italia e Austria-Ungheria (per l’approfondimento di opere e sistemi austro-ungarici alla frontiera tra Italia e Austria si veda il saggio di Willibald Rosner; per il fronte dell’est -Montenegro- si veda il saggio di Volker Konstantin Pachauer; per le opere italiane sul fronte orientale si

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Fig. 1. Mappa dei teatri di guerra delle potenze centrali nella primavera del 1915 (Bollati G. A., La Guerra mondiale 1914-1918, 1927).

Fig. 2. Carta d’insieme del teatro di guerra occidentale (Bollati G. A., La Guerra mondiale 1914-1918, 1927).

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Fig. 3. Mappa della dislocazione dei belligeranti nel teatro di guerra occidentale (Gioda B., La Guerra mondiale 1914-1918. Le grandi operazioni per terra e per mare. Tavole, 1926).

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Fig. 4. Mappa della frontiera tra Italia e Austria. Le fortezze permanenti sono indicate con una stella (R., L’Austria e la frontiera italiana, in Rivista di Artiglieria e Genio, Gennaio1908, XXV, Annata, Volume I, Roma, Tavola I). 2.2 - Territori esterni al teatro di guerra

della frontiera svizzera, col concetto che sul rispetto della neutralità svizzera in caso di guerra non bisogna farsi alcuna illusione, e che è dubbio che la stessa Svizzera tenga a tale rispetto e non si schieri probabilmente, in entrambe le ipotesi di guerra, contro di noi. È quindi di avviso che gli studi per la organizzazione difensiva permanente si estendano a questo tratto di frontiera e che acquistino anzi importanza specialmente quelli che meglio si colleghino alle operazioni della frontiera austriaca. Viene quindi ad esaminare i provvedimenti difensivi occorrenti tra altro per le seguenti linee d’operazione: 1° - Terreno fra Lago Maggiore e lago di Como (saliente ticinese); 2° - Linea d’operazione Mera – Adda – Ricordate le precedenti deliberazioni per la sistemazione difensiva di tale tratto di frontiera e messo in evidenza come fosse stato deciso di affidare la difesa alle forze mobili, nota che tale concetto

Occorre ricordare che durante il periodo della guerra le opere di fortificazione si fecero anche su confini non direttamente coinvolti nelle battaglie. È questo, per esempio, il caso del confine tra Svizzera e Italia e della cosiddetta «Linea Cadorna». Essa si sviluppa dalla Valle d’Aosta, prosegue in Piemonte (settore Sempione-Toce: Monte Massone, Stretta di Bara, territorio di Ornavasso e sui monti Zeda, Vada, Spalavera, Carza nel Verbano) e termina in Lombardia (settore Verbano-Ceresio, Ceresio Lario, Mera-Adda, fino al Pizzo del Diavolo sulle Alpi Orobie) (Crosa Lenz, Ragozza 2007, pp. 83-85). Lo schema difensivo è frutto di decisioni risalenti agli inizi del Novecento: «Nel Gennaio 1911 l’ufficio Difesa dello Stato formulò uno schema di sistemazione difensiva

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Fig. 5. Mappa di alcune campagne sul fronte orientale nel 1914 (Gioda B., La Guerra mondiale 1914-1918. Le grandi operazioni per terra e per mare. Tavole, 1926).

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Fig. 6. Mappa dell’invasione della Russia nel 1915 (Gioda B., La Guerra mondiale 1914-1918. Le grandi operazioni per terra e per mare. Tavole, 1926).

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Fig. 7. Mappa dell’invasione della Serbia nell’Ottobre-Novembre 1915 (Gioda B., La Guerra mondiale 1914-1918. Le grandi operazioni per terra e per mare. Tavole, 1926).

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Fig. 8. La posizione e lo sviluppo delle gallerie di mina italiane ed austriache sul monte Cimone (Guidetti A., L’Altopiano di Tonezza e M. Cimone nella Grande Guerra, in Rivista di Artiglieria e Genio, Agosto 1926, 65a Annata, Roma, pp. 1471-1472). .

Fig. 9. Profilo altimetrico e planimetria delle gallerie di mina italiane ed austriache sul monte Pasubio (Ferreri G., Il Pasubio. Sistemazione di una posizione alpina e guerra di mina, in Rivista di Artiglieria e Genio, Marzo 1926, 65a Annata, Roma, allegato II, p. 616).

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Fig. 9a. Legenda della mappa indicante le gallerie di mina italiane ed austriache sul monte Pasubio (Ferreri G., Il Pasubio. Sistemazione di una posizione alpina e guerra di mina, in Rivista di Artiglieria e Genio, Marzo 1926, 65a Annata, Roma,allegato II, p. 616).

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Fig. 10. Versante occidentale del Pasubio. La sella fra il dente austriaco e quello italiano dopo la guerra (Ferreri G., Il Pasubio. Sistemazione di una posizione alpina e guerra di mina, in Rivista di Artiglieria e Genio, Marzo 1926, 65a Annata, Roma,allegato II, p. 610). . trova la sua ragione nella ricca rete stradale che è a sud in qualunque evenienza. D’accordo con la Francia furono della linea Luino- Ponte Tresa – Porlezza e nella natura previste tutte le eventualità che potevano presentarsi in collinosa del terreno, che non presenta una linea definita di caso di violazione della neutralità svizzera e fu stabilito difesa e si presta invece ad una azione campale. Aggiunge il modo di farvi fronte. Queste fortificazioni assorbirono però che la questione vuol essere esaminata nei riguardi grande quantità di mano d’opera e di materiali, i quali del minimo impiego di truppe, ed è da tener presente andarono a detrimento delle seconde e terze linee del ancora che su quel terreno collinoso esistono posizioni che teatro di guerra. Su queste molto pure si fece, ma assai più costituiscono appigli tattici di grande valore, il possesso dei si sarebbe potuto fare se non vi fosse stata preoccupazione quali faciliterebbe molto l’azione campale: tali sarebbero alcuna pel confine svizzero, e se non si fosse dovuto dare le posizioni di M. [monte, N.d.A.] Campo dei Fiori, di la precedenza alle prime linee, per le quali non bastarono M. della Colonna e di M. Piambello; la prima delle quali sempre i mezzi disponibili a soddisfare le richieste dei fronteggia l’intero fascio stradale anzidetto, e le altre, che comandanti d’armata. Ciò spiega ampiamente come, fiancheggiano detto fascio, consentono di batterlo alle all’epoca di Caporetto, le linee arretrate del teatro di guerra origini» (Archivio del Museo Storico Italiano della Guerra non avessero ancora quell’efficienza che il Comando di Rovereto, p. 3). supremo avrebbe voluto dar loro» (Cadorna 1923, p. 208) (figg. 12 - 15). È da notare che contemporaneamente al dibattito e agli studi promossi dallo Stato Maggiore dell’Esercito si Per un approfondimento sul tratto lombardo della iniziò a costruire tali opere di difesa negli anni Dieci del Linea Cadorna si vedano i saggi di Sara Fumagalli, Novecento e che i lavori proseguirono con diverse fasi negli Fosco Magaraggia e Antonio Trotti. Per una lettura anni della Guerra. A proposito del suo rafforzamento tra il sulle caratteristiche del territorio di frontiera tra Italia e 1916 ed il 1917 così scrive Luigi Cadorna: «Appartiene a Svizzera si veda il successivo punto 5, in cui si è riportato quest’epoca l’ordine dato di fortificare il confine svizzero. integralmente il testo di A. Bergonzi: Geografia Militare. Non entrerò al riguardo in particolari, trattandosi di lavori Teatro d’operazione Italo-Svizzero (1926-1929). Si vuole all’infuori del teatro delle nostre operazioni. Mi limiterò a qui ringraziare Francesca Boldrini, profonda conoscitrice dire che lungo tutta la frontiera fu creato, negli anni 1916 di tale sistema difensivo, per la disponibilità a condividere e 1917 un sistema di fortificazioni a linee multiple dei tipi con i miei laureandi informazioni e documenti da lei più recenti, che dava pieno affidamento di ben resistere studiati negli archivi militari e per aver partecipato da

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Fig. 11. Profilo altimetrico e planimetria delle galleria di mina del Corno Battisti (Ferrario C., La difesa del Pasubio e del Corno Battisti, in Rivista di Artiglieria e Genio, Febbraio 1935-XIII, LXXIV Annata, Fascicolo II, Roma, Schizzo n. 4).

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Fig. 12. Tratto di trincea nel comune di Ardena, in provincia di Varese (agosto 2011). (Foto M.A. Breda) .

Fig. 12a. Postazione in caverna nel comune di Ardena, in provincia di Varese (agosto 2011). (Foto M.A. Breda)

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Fig. 13. Castello di Vezio (Varenna - Como): Scalinata d’accesso alle opere in caverna della Linea Cadorna (agosto 2011). (Foto M.A. Breda)

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Fig. 14. Cupola del Forte Montecchio presso Colico (novembre 2010). (Foto M.A. Breda) .

Fig. 15. Un tratto di trincea recuperato e restaurato nel Parco Spina Verde di Como (ottobre 2010). (Foto M.A. Breda)

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Fig. 16. Lo scavo di una trincea di seconda linea a sud-est di Reims nel 1915 (Villate R., Les conditions géographiques de la guerre. Etude de Géographie Militaire sur le Front Français de 1914 à 1918, Paris 1925, p. 256). attenta uditrice alle due giornate del Congresso. La studiosa è anche autrice di diverse pubblicazioni, tra cui in bibliografia: Boldrini 2004, 2005, 2006.

in conflitto: «C’est bien à vous, mes chers camarades du front, que je dédie cet ouvrage. Je le fais en souvenir des années passées ensemble dans les Vosges, en Artois, dans la Somme, à Verdun, en Champagne, en Alsace. J’ai combattu au milieu de vous et je me rappelle souvent le temps passé à la tȇte de ma section ou de ma compagnie. Pendant le longues journées de secteur ou les nuits calmes, je songeais déjà aux questions que je vai traiter dans cet ouvrage. Les circostances mȇme de notre vie me faisaient réfléchir à l’action des faits géographiques. Quand nous étions dans des tranchées près du Château de Carleul, au pied de Notre-Dame de Lorette, nous avons été par une eau qui sourdait du sol. Plus tard nous avons apprécié la valeur des arbres et des forȇts pour nous protéger de la vue des avions ennemis; nous respirons et reprenions souffle dans ces bois qui bordent les plateaux du Soissonnais. Nous avons comparé la facilité du travail en Champagne à l’impossibilité où nous étions de creuseur certaines roche des Vosges. Ces fait ont été l’origine de ce travail. Vous trouverez, en feuilletant ces pages, des souvenirs de notre vie passée. Mais ces souvenirs ne suffisaient pas pour arriver à la conclusion que les faits géographiques ont une action sur les opérations militaires. Je n’avais vu pendant que j’étais au milieu de vous que des détails: petit centre de compagnie, tout au plus secteur de division. Bien des faits m’échappaient. J’ai eu l’occasion de pouvoir travailler après la guerre au milieu de certaines de milliers de rapports, comte-rendus, ordres, instructions; bien des

2.3 - Le condizioni geografiche della guerra La relazione tra fattori fisici e umani nella costruzione dei sistemi di difesa è stata ampiamente studiata dal capitano di fanteria francese Robert Villate. Al termine del conflitto egli pubblica un interessante libro sulle condizioni geografiche della guerra. L’autore, durante il suo servizio, sperimenta personalmente la relazione tra uomo e terreno di battaglia; alcuni anni dopo il termine della guerra, forte di un approfondito studio sui documenti, divulga le sue esperienze di soldato in trincea e i risultati della sua ricerca con il libro: Les conditions géographiques de la guerre. Etude de Géographie Militaire sur le Front Français de 1914 à 1918, Payot, Paris 1925. Il volume è dedicato alla memoria del fratello, Paul-Louis-Clément Villate, sotto tenente del 7° reggimento del Genio, caduto in guerra il 5 dicembre 1914 nella foresta d’Argonne e degli ufficiali, sotto ufficiali e soldati suoi superiori e suoi camerati del 17 reggimento di fanteria (Ancien Auvergne), morti per la Francia. Robert Villate motiva il suo libro nell’introduzione qui di seguito riportata. Essa ci offre uno spaccato delle sue riflessioni e vi troviamo menzionati alcuni dei territori

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armi e il terreno: «Dans tous les conflits armés qui se sont succédé depuis que l’homme existe, on retrouve toujours trois facteurs: les hommes, les armes et le terrain. De tous temps, il a fallu tenir compte de chacun d’eux» (Villate 1925, p. 13). Nel suo studio prende in considerazione i seguenti fenomeni geografici: le caratteristiche geologiche, i caratteri dei rilievi, gli ostacoli idrografici: paludi, fiumi, etc., la vegetazione: boschi e foreste; l’antropizzazione del territorio: città e villaggi, strade e vie ferrate; i fatti meteorologici (figg. 16 - 19). La stretta relazione tra opera militare e caratteri fisici del territorio è rinvenibile anche nel fatto che la letteratura specialistica, per esempio i testi della Scuola d’Applicazione d’Artiglieria e Genio, vengono impostati sulla localizzazione delle fortificazioni. Abbiamo così, per esempio, testi distinti per le fortificazioni di montagna e per quelle di litorale.

influences nouvelles me sont apparues au cours de leur étude. […] Je voulais montrer que le terrain est un facteur de la guerre qu’il est impossible de négliger, que l’homme ne peut désintéresser du milieu qui l’environne quand il se bat, et qu’il est obligé de tenir comte des différents accidents du sol et des variations du temps.» (Villate 1925, p. 9). Ancora nell’introduzione l’autore ricorda inoltre che Inglesi, Americani e Tedeschi hanno studiato la geografia della guerra, e numerose opere sono state pubblicate su questo argomento (Villate 1925, p. 10). Molti sono gli esempi, realmente vissuti, illustrati da Robert Villate per far comprendere al lettore la facilità o la difficoltà di realizzare opere campali e provvisorie a seconda della natura geologica del terreno. L’autore arriva ad asserire che i fattori della guerra sono tre: gli uomini, le

Fig. 17. «Si lavora per togliere il fango, implacabile nemico del fante in trincea» (Borozzino A., Reticolati, Roma 1933, fig. 2).

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Fig. 18. Estratto di mappa con i tipi di terreno e la loro praticabilità (Villate R., Les conditions géographiques de la guerre. Etude de Géographie Militaire sur le Front Français de 1914 à 1918, Paris 1925, p. 32).

Fig. 19. Trincee sulla neve nella Regione dei Vosgi nel gennaio 1917 (Villate R., Les conditions géographiques de la guerre. Etude de Géographie Militaire sur le Front Français de 1914 à 1918, Paris 1925, p. 304).

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2.4 - La fortificazione della montagna

austriaca di Malborghetto (fig. 23). Per un approfondimento sulle fortificazioni permanenti di montagna alla frontiera tra Italia e Austria si veda il successivo paragrafo 4.2.

Per comprendere con precisione cosa si intenda, in termini militari, con «montagna», si riporta il seguente passo scritto in una dispensa per gli allievi ufficiali della Scuola d’Applicazione d’Artiglieria e Genio: «Le montagne tra le particolarità naturali geografiche e topografiche che influiscono sulle operazioni militari, dopo i mari, sono le più importanti. Sotto la denominazione di terreni di montagna, come sotto quella di terreni di pianura, comprenderemo una grandissima varietà, che pei primi va dalle montagne più colossali e più aspre alle colline, passando pei monti e per gli altipiani terminanti su uno o più lati da ripidi declivi, od a gradoni e montuosità, varii di importanza. Di modo che v’ha continuità dalla regione di pianura intesa con le maggiori accidentalità ancor proprie di essa, alla regione montana intesa con le minori accidentalità che le si possono attribuire. I terreni montani o si trovano in zona di confine continentale di uno Stato, o sul suo confine marittimo, oppure all’interno di esso. In montagna, i punti strategici permanenti da fortificare o comunque da difendere e tenere sotto controllo sono: i passi principali tra le maggiori valli, i punti di incontro delle strade principali sia lungo le valli o i rami interposti sia fra i monti, le strette difficilmente aggirabili, i ponti o i guadi più importanti dei corsi d’acqua principali nelle valli o allo sbocco delle stesse» (Bonazzi 1891, Fortificazione di Montagna, pp. 1-3) (figg. 20 - 22). In tempo di pace, sulla base della politica di ogni nazione, a difesa dei confini degli Stati si costruiscono fortificazioni permanenti anche sui rilievi. Ne è un esempio la fortezza

Tra il 1915 ed il 1918, anche le più alte montagne divennero luogo di guerra e si adottarono le fortificazioni campali o provvisorie. In Italia e particolarmente in Alta Valtellina, alla frontiera tra Italia e Austria, le postazioni si erigono in posizioni impervie e le gallerie si scavano anche nel ghiaccio. Così riporta una testimonianza: «Le “gallerie di ghiaccio” servirono grandemente come “mezzi di protezione e di offesa ed anche di rifornimento”: ma sempre, causa la pochezza delle forze, la loro costruzione venne considerata come opera complementare di difesa a cui la truppa si dedicava con mezzi scarsi e nei momenti liberi dagli altri servizi. Bisognava, specie nei primi tempi, lavorare ed, invece di riposare, combattere! […] Nei primi mesi si fece quello che si poté, poi, via via, lavorando e migliorando, nell’ultimo anno di guerra si raggiunse la piena efficienza. Si erano costruite, infatti, opere veramente mirabili per la tecnica e l’ardimento. Zone impervie, anche a quote assai alte, erano state rese relativamente facili sia colla riattivazione di numerosi sentieri e colla costruzione di ricoveri, con costruzioni di mulattiere, e con adatte trasformazioni di sentieri in mulattiere sia colla costruzione di camionabili, alcune vere opere d’arte, che concorsero, decisamente a risolvere il problema dei rifornimento di materiali e di truppa là ove il sussidio delle teleferiche non era consigliabile o scarsamente sfruttabile» (Urangia Tazzoli s.d., p. 35) (figg. 24 - 26).

Fig. 20. Planimetrie, sezioni e prospetti di un tipico forte di montagna (Bonazzi A., Fortificazione permanente, Parte seconda, Titolo terzo: Fortificazione permanente contemporanea, Capo IX, Fortificazione di Montagna, Scuola d’Applicazione d’Artiglieria e Genio 1891, Tavola VI).

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Fig. 21. Planimetrie, sezioni e profilo di un ramparo da costruirsi su terreno ristretto (Bonazzi A., Fortificazione permanente, Parte seconda, Titolo terzo: Fortificazione permanente contemporanea, Capo IX, Fortificazione di Montagna, Scuola d’Applicazione d’Artiglieria e Genio 1891, Tavola V). .

Fig. 22. Tracciati e profili di fortificazioni in terreni montani (Bonazzi A., Fortificazione permanente, Parte seconda, Titolo terzo: Fortificazione permanente contemporanea, Capo IX, Fortificazione di Montagna, Scuola d’Applicazione d’Artiglieria e Genio 1891, Tavola II).

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Fig. 23. Un forte di montagna austriaco: Forte Hensel, facente parte dello sbarramento di Malborghetto (Bennati L., Evocazioni guerresche, in Rivista di Artiglieria e Genio, Lugl.-Agos. 1942, XX, Anno LXXXI, N. 7-8, Roma, p. 729).

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Fig. 24. Postazione italiana alla “Punta sciatori” (m. 3400) sulla Cresta di Baeckman – Baeckmangrat in Alta Valtellina (Urangia Tazzoli T., La Guerra sulle alte vette e sui ghiacci del Gruppo Ortles-Cevedale (Alta Valtellina) anni 1915-1918, Milano s.d., fig. VII).

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Fig. 25. Una galleria di ghiaccio austriaca sotto la vetta est del Monte Cristallo a 3431 m s.l.m. (Urangia Tazzol T., La Guerra sulle alte vette e sui ghiacci del Gruppo Ortles-Cevedale (Alta Valtellina) anni 1915-1918, Milano s.d., fig. XXIII).

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Fig. 26. . Una baracca italiana costruita in un crepaccio del ghiaccio sulla vetta di Punta San Matteo a 3684 m .s.l.m. (Urangia Tazzoli T., La Guerra sulle alte vette e sui ghiacci del Gruppo Ortles-Cevedale (Alta Valtellina) anni 1915-1918, Milano s.d., fig. XXXIII). .

Fig. 27. Planimetria, prospetto e sezione del forte corazzato di Spith all’imbocco del canale di Portsmouth in Gran Bretagna (Bonazzi A., Fortificazione permanente, Parte seconda, Titolo terzo: Fortificazione permanente contemporanea, Capo X, Fortificazione dei Litorali, Scuola d’Applicazione d’Artiglieria e Genio 1891, Tavola II).

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2.5 - La fortificazione del litorale

scientifica. È sui litorali che converrà studiare i progetti di fortificazione, con la massima diligenza ed avvertenza, e col giusto equilibrio necessario, per evitare del pari le esagerazioni economiche, che qui più che altrove potrebbero tornar esiziali, come le spese sconfinanti dallo scopo, qui più che altrove facili ad incontrarsi. Sarà necessario dunque che gli ufficiali del genio incaricati, si dedichino alla risoluzione dei tanti , svariati, e qualche volta assai difficili problemi in cui s’imbatteranno, con la preparazione voluta, e con il tenace proposito di ben corrispondere al mandato» (Bonazzi 1891, Fortificazione dei Litorali, pp. 164-165) (fig. 27).

Per quanto riguarda i litorali, ancora Bonazzi, nelle sue lezioni sulla fortificazione permanente dei litorali così riporta: «I mari costituiscono le più importanti tra le particolarità naturali geografiche che influiscono sulle operazioni militari, perché determinano azioni speciali da eseguirsi con mezzi d’indole caratteristica. Le terre (continentali, insulari, peninsulari, piane, montane, ecc.) lungo cui il mare si estende, terminano ad esso con una striscia che prende il nome di Litorale, (o lido, o spiaggia, o costa), la quale militarmente deve considerarsi come di confine dello Stato cui appartiene. L’acqua quale nemico delle offese nemiche si presenta allo stesso modo tanto rispetto ad un litorale marittimo, che alle sponde o rive dei grandi fiumi, lagune, golfi profondamente insenati tra terre, per cui le considerazioni da farsi circa la difesa dei litorali, varranno per analogia (e con le debite modificazioni o riduzioni); anche per quelle delle rive delle acque entro terra che possono essere percorse da naviglio di guerra. I litorali di uno Stato appartenendo ai confini di esso sono dunque tutti militarmente importanti» (Bonazzi 1891, Fortificazione dei Litorali, pp. 1-2). Anche per i litorali esiste una relazione tra la natura e la configurazione degli stessi e le opere di fortificazione da costruirsi. A tal proposito così continua Bonazzi: «La natura e configurazione loro, esercita una grande, e qualche volta essenziale influenza sullo sviluppo ed entità delle difese in massima e delle fortificazioni in ispecie, sul genere, sulle forme, modalità varie di esse. Così ad es. come pei confini di terra hanno importanza grandissima qual ostacolo le catene montane, per un confine marittimo saranno utilissimi litorali montagnosi che offrono scarsi passi, facilmente difendibili, ad un nemico sbarcato o proveniente da una strada litoranea; oppure litorali sui quali riescano difficili gli sbarchi o per mancanza di spiagge e di seni adatti, o per ampi bassi fondi, scogli subacquei, ecc. Invece lunghi litorali pianeggianti, con acque profonde, tanto più se forniti di ampie insenature offerenti buoni ancoraggi coperti ai venti più temibili o riparati da isole, si potranno paragonare ai confini di pianura aperti, o tutt’al più difesi naturalmente da un grosso fiume, a sponde facili. L’importanza dei litorali come confini è variabile e graduale, oltreché in ragione delle facilità o difficoltà più o men grandi, che derivano dalla natura, configurazione, vicissitudini atmosferiche, ecc., per la posizione loro rispetto agli obbiettivi interni di maggiore valore, rispetto ai mari che più interessano lo Stato, o dai quali più facilmente possono provenire le offese di maggior entità» (Bonazzi 1891, Fortificazione dei Litorali, pp. 8-9)

3 - I sistemi di fortificazione 3.1 - La fortificazione campale o passeggera e provvisoria «Lo scudo del soldato immenso e multiforme è il terreno colle sue innumerevoli accidentalità; cominciando dallo stratega, che muove le masse umane, e arrivando fino al tiratore isolato, che maneggia solo il suo fucile, ognuno non trionfa che in ragione della sua abilità nell’utilizzare la natura del terreno» (Maggiorotti 1900, p. 56). La frase espressa nel 1896 dal generale SaintMars, comandante del XII corpo francese, e riportata dal Maggiorotti, illustra con precisione e sintesi il ruolo e i caratteri della «fortificazione passeggera». Essa è il riparo che il soldato singolo predispone durante le azioni di guerra, ma è anche la natura del terreno sfruttata dallo stratega nel predisporre il movimento degli uomini. La fortificazione passeggera é ampiamente descritta nel 1900 dal Capitano del Genio Andrea Maggiorotti nel suo libro La Fortificazione passeggera coordinata alla tattica ed il compito dell’ufficiale del Genio nelle svariate sue applicazioni. Trattando delle generalità del sistema così scrive: «In guerra la fortificazione passeggera è impiegata da un combattente o per aumentare l’efficacia dell’azione propria, o per diminuire l’efficacia dell’azione nemica. I lavori elementari che servono ad aumentare l’efficacia dell’azione propria sono: a) la preparazione di apposite posizioni di sparo, comode e relativamente sicure, per le truppe che devono far fuoco, affinché il tiro di queste abbia la massima esattezza ed efficacia, b) la preparazione del campo di manovra, affinché questa si svolga rapida e facile, sgombrando il terreno dagli ostacoli, riattando o costruendo strade, ponti, ecc.; c) la preparazione del campo di tiro, affinché si possa ricavare dalle moderne armi da fuoco tutto il vantaggio che la loro grande portata permette di ritrarre. I lavori elementari che servono a raggiungere lo scopo di diminuire l’efficacia dell’azione nemica sono: a) la preparazione di apposite e riparate posizioni di aspetto o di attesa per le truppe che non fanno fuoco, affinché queste siano sottratte ai colpi del nemico; b) la preparazione di ostacoli sul campo di manovra del nemico con ingombri, distruzioni, ecc. lungo le sue linee di marcia» (Magiarotti 1900, pp. 1-2) Tutti questi lavori sono improntati alla massima semplificazione e celerità (figg. 28, 29).

Infine, per quanto riguarda le opere, così sintetizza Bonazzi al termine della sua opera: «È sui litorali che si avranno opere semplicissime, poco più che batterie campali, ed opere di medio tipo, combinate con impianti robustissimi per artiglierie dei massimi calibri in casamatte ferree, o su affusti a scomparsa, realizzanti tutti i maggiori progressi odierni di tecnica militare, di meccanica e tecnica

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Quali sono gli strumenti in dotazione alle truppe per la predisposizione di tali lavori? La dotazione di strumenti è considerata di «importanza grandissima, pari all’importanza che ha l’impiego di tale fortificazione nelle moderne guerre. Questi strumenti si possono dividere in: «strumenti da terra» (badili, vanghe, gravine, picconi, ecc.), «strumenti da legno» (picozze, picozzini, roncole seghe, segacci, ecc.) e «strumenti speciali», intendendo con questo nome quelli che riguardano speciali mestieri (muratori, fabbri, minatori, ecc.)» (Maggiorotti 1900, p. 39). Dalla comparazione degli strumenti in uso nei principali eserciti europei l’autore segnala che «i principali eserciti d’Europa hanno dotata la loro fanteria di strumenti portatili: solamente l’esercito italiano, pur essendo a pari degli altri per molti perfezionamenti, non ha ancora un attrezzamento portatile di fanteria» (Maggiorotti 1900, p. 40) (fig. 30). Relativamente alla fortificazione campale nel 1913 il Ministero della Guerra pubblicò le Istruzione sui Lavori del campo di battaglia dove si spiegano con precisione gli apprestamenti dei ricoveri e delle trincee. In questo testo si ribadisce che «I lavori del campo di battaglia, nelle loro svariate forme, servono talvolta per agevolare la manovra; secondariamente valgono ad offrire copertura rendendo meno micidiali gli effetti delle armi nemiche. Essi vanno oggidì intensificandosi per la molteplicità degli elementi che concorrono a dare il buon successo, e sono resi maggiormente possibili per il perfezionamento dei mezzi tecnici e l’aumento delle dotazioni» (Ministero della Guerra 1913, pp. 1-2).

e costituire un valido appoggio alle truppe combattenti. Perché ciò avvenga, è necessario rendere il terreno stesso atto a coprire le truppe, durante le varie fasi del combattimento, e in maniera che esse possano usare efficacemente le proprie armi e resistere alla potenza distruttrice di quelle dell’avversario. Inoltre il terreno modificato colla fortificazione deve favorire i movimenti delle truppe che lo occupano e ostacolare quelli delle truppe attaccanti. Ora i mezzi di protezione dati dal terreno cogli ostacoli naturali, o ottenuti per mezzo della fortificazione non sono altro che rilevati, o masse coprenti e diaframmi o maschere; i primi servono a coprire in tutto, o in parte i combattenti dal tiro avversario e i secondi ad occultare le truppe e i lavori eseguiti, alla vista dell’avversario stesso. Infine per favorire i movimenti delle proprie truppe e ostacolare quelli delle truppe avversarie, sono necessari i lavori di comunicazione e i lavori di distruzione i quali debbono essere condotti colla massima celerità e in relazione colle esigenze tattiche del momento. E poiché sul campo di battaglia, il combattente può trarre grande vantaggio, dalle condizioni dell’avversario esposto all’azione del fuoco partente dalla posizione fortificata, è sempre opportuno giovarsi degli ostacoli e dello sgombro del campo di tiro. Gli ostacoli, collocati a distanza conveniente davanti alla posizione fortificata, servono a trattenere l’avversario anche momentaneamente, sotto una efficacissima azione di fuoco, mentre lo sgombro del campo di tiro, vale entro certi limiti, ad eliminare tutto ciò che può coprire l’avversario stesso dai tiri della difesa. Ora le masse coprenti, le maschere, i lavori di comunicazione, i lavori di distruzione, gli ostacoli e lo sgombro del campo di tiro sono appunto gli elementi costitutivi della fortificazione» (Marinelli, Sinossi 1915, pp. 4-5).

Nelle Istruzioni si spiega anche a chi spettano i compiti dell’apprestamento, vale a dire le truppe del Genio per i lavori più complessi, la truppa per i trinceramenti campali: «I lavori più complessi e di più spiccato carattere tecnico sono in massima di competenza del genio, con o senza ausiliarî di altre armi. Gli altri lavori e in particolar modo i trinceramenti campali, che non richiedono per la loro esecuzione truppe specialmente addestrate e mezzi più complessi, sono di competenza delle stesse truppe che debbono valersene. Tutti gli ufficiali debbono essere in condizione di dirigere i lavori del campo di battaglia per la parte di competenza delle armi rispettive, e debbono, inoltre, avere una certa conoscenza dei lavori di ordinaria spettanza dell’arma del genio» (Ministero della Guerra 1913, p. 2). Al testo, semplice e di immediata comprensione, fanno seguito molti schemi grafici che aiutano a memorizzare i vari tipi e le loro forme e dimensioni (fig. 31). Sempre in materia di fortificazione campale nel 1915 il Colonnello Luigi Marinelli, predispone un opera in due volumi Sinossi di Fortificazione e Atlante di Fortificazione ad uso degli Allievi della Scuola Militare di Modena; il primo volume è composto dal solo testo mentre il secondo raccoglie le Tavole grafiche.

È utile ricordare che la finalità della fortificazione campale non è di immobilizzare gli uomini al terreno ma di predisporre linee di riparo per avanzare. La fortificazione campale nel passato era concepita come strumento di difesa passiva; agli inizi della Grande Guerra questo sistema è invece da considerarsi come indispensabile all’offensiva, il suo scopo è di rendere possibili i movimenti nel raggio d’azione del fuoco nemico (figg. 32, 33). Pertanto: «i ripari sono l’elemento principale della fortificazione del campo di battaglia. Nella loro disposizione d’insieme, i lavori per proteggere la fanteria sulla linea di combattimento comprendono dunque: 1° l’adattamento di tratti di strada in rialzo, o incassata, di argini, di canali, di piccoli fossi, di siepi, ecc. sviluppantisi principalmente secondo una linea (cortina difensiva) i quali si rendono atti, con lievi lavori, a proteggere i tiratori (ripari) o anche semplicemente a coprirli alla vista o a nasconderli (maschere o diaframmi). 2° la costruzione di tratti di trincea, lunghi qualche decina di metri, adattati alla sinuosità del terreno senza verun riferimento a linee geometriche e separati da intervalli di qualche metro nei tratti, della linea suddetta, ove mancano le accidentalità naturali da usufruire come ripari» (Marinelli, Sinossi 1915, p. 9).

Lo scopo di tale sistema difensivo e dei suoi elementi costitutivi sono così descritti: «La fortificazione campale ha per iscopo di aumentare il valore tattico del terreno; essa deve impiegarsi durante lo svolgimento dell’azione

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Fig. 28. Profili di trincee (Maggiorotti A., La Fortificazione passeggera coordinata alla tattica ed il compito dell’ufficiale del Genio nelle svariate sue applicazioni, Tavole, Roma 1900, Tav. IV). Fig. 29. Profili di scavo per trincee e posizioni di riparo (Maggiorotti A., La Fortificazione passeggera coordinata alla tattica ed il compito dell’ufficiale del Genio nelle svariate sue applicazioni, Tavole, Roma 1900, Tav. V). .

Fig. 30. Grafico comparativo degli strumenti da zappatore in uso presso le compagnie di fanteria dei principali eserciti europei (Maggiorotti A., La Fortificazione passeggera coordinata alla tattica ed il compito dell’ufficiale del Genio nelle svariate sue applicazioni, Tavole, Roma 1900, Tav. III).

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Fig. 31. Esempi di lavori da zappatore: istruzioni per la costruzione di appostamenti (Ministero della Guerra, N. 116 Istruzione sui Lavori del campo di battaglia, Roma. 1913, pp. 44-45).

Fig. 32. Posizione di trinceramenti in relazione all’orografia del terreno (Marinelli L., Atlante di Fortificazione, Scuola Militare, Modena 1915).

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Fig. 33. Schema grafico di fortificazione campale (Marinelli L., Atlante di Fortificazione, Scuola Militare, Modena 1915).

Fig. 34. Profili di alcuni tipi di postazione per uomini (Marinelli L., Atlante di Fortificazione, Scuola Militare, Modena 1915, Tav. III).

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I ripari sono previsti sia per gli uomini che per le «armi pesanti» quali mitragliatrici, obici, mortai, ecc. Generalmente i ripari campali per i soldati sono di due tipi: semi-interrati e totalmente interrati. I ripari si differenziano a seconda della posizione che il soldato prenderà: a terra, in ginocchio, seduto in piedi. Queste situazioni sono bene illustrate dalle figure delle Tavole III e IV dell’Atlante di Fortificazione. Nei ripari lo scavo è approfondito quanto basta per ripararsi e consentire il tiro con l’arma da fuoco in dotazione, mentre lo sviluppo longitudinale e trasversale dei punti d’appoggio è in relazione alle misure del corpo di un uomo. La natura del suolo è determinante sia per effettuare lo scavo, sia per preparare l’adeguato riporto di terra. Nella posizione sdraiata è consigliato uno scavo profondo dai 25 ai 30 cm e la stessa misura vale per il riporto a cui appoggiarsi fatto con la terra dello scavo. Nella posizione seduta si approfondirà lo scavo di 1,2 m; la seduta è consigliata a meno 70 cm, con un sedile profondo 40 cm e alto 50 cm; l’appoggio per i piedi, sul fondo dello scavo, è di 40 cm. Nella posizione in ginocchio sono previste due soluzioni: l’una per una posizione più accovacciata con uno scavo profondo 30 cm e l’altra, leggermente più elevata, con uno scavo profondo 40 cm.; la larghezza dello scavo per entrambi i casi è di 1,3 m. Nella posizione in piedi lo scavo avrà una profondità di 1,2 m e un riporto di terra di 50, 60 o 70 cm, in modo che dalla base dello scavo, alla massima altezza del riporto, la misura complessiva del riparo corrisponda all’altezza dell’uomo da riparare, normalmente 1,7-1,8 m.

livello del terreno naturale (fig. 34). Evidentemente sono i più vantaggiosi dal lato della invisibilità, però richiedono maggiore scavo e quindi maggior tempo di quello che occorre per i semi-interrati; non si possono dare in tutti i terreni e non sempre riesce facile smaltire la terra in modo da non smascherare il lavoro eseguito. Quando in montagna, come accadrà spesso, non sia possibile, o non convenga eseguire scavi di una certa profondità, si farà uso di appostamenti e ripari costruiti in legname, pietrame, ghiaia ecc. (figg. 35, 36). Per evitare rimbalzi o proiezioni pericolose per i difensori, si dovrà coprire la sommità di tali ripari con zolle di terra» (Marinelli 1915, p. 22). Elementi accessori di questi ricoveri sono le «nicchie per le munizioni» e i «gradini per la posizione di attesa». Ai ripari delle prime linee occorre associare anche i ripari per le riserve, finalizzati a dare ricovero ai soldati non impiegati in azioni di guerra. Essi possono essere ripari naturali o artificiali. I primi sono costituiti dagli argini, dai rilevati di terra, dai fossati dai boschi, ecc., mentre i secondi sono tratti più o meno estesi di trincee, le quali debbono sporgere il meno possibile dal terreno e risultare defilate al tiro delle artiglierie nemiche (Marinelli 1915, p. 77) (fig. 35). Nella fortificazione campale abbiamo sopra ricordato che hanno grande importanza anche i «lavori di comunicazione», vale a dire le strade, i passaggi e i ponti sui corsi d’acqua, sul ghiaccio, ecc. Durante la Grande Guerra il telegrafo elettrico, il telegrafo ottico, il telefono, gli aeroplani, gli aerostati, i dirigibili, la radiotelegrafia, costituirono l’indispensabile completamento alle comunicazioni ordinarie.

Marinelli così commenta le figure del suo Atlante (figg. 34, 34a; le due tavole contengono tutte le figure citate da Marinelli nel brano qui riportato): «a) ripari semi-interrati. – Sono i più vantaggiosi perché a parità di defilamento, richiedono il minimo lavoro di scavo e quindi il minimo tempo per costruirli. La fig. 25 rappresenta una trincea per tiratori a terra la quale non richiede che 15 o 20 minuti di tempo per essere costruita e può servire per una prima e immediata copertura contro i tiri di fucileria. La figura 26 rappresenta una trincea per tiratori seduti, che si ottiene ampliando il fosso della precedente e aumentando conseguentemente le dimensioni della massa coprente. Si può ottenere una trincea per tiratori seduti, anche in altro modo (fig. 27) quando il terreno si presti al taglio di scarpe molto ripide e si possa lavorare fuori della vista e del fuoco dell’avversario. In questo caso si può accrescere la protezione del tiratore mediante bonetti. La fig. 28 rappresenta una trincea per tiratori in ginocchio che si ottiene o ampliando direttamente quella per uomini a terra, o passandovi da quella per uomini seduti. La fig. 29 e 30 indicano due tipi di trincee per tiratori in piedi alle quali si può pervenire dalla trincea per uomini in ginocchio. Nella fig. 31 sono indicate, con linee punteggiate, le varie fasi del lavoro a cominciare dalla trincea elementare per uomini a terra, fino a quella per uomini in piedi. La fig. 32 e 33 rappresentano due trincee che si possono adottare in terreno inclinato e acclive verso il nemico. b) ripari interrati. – Sono quelli che hanno il ciglio di fuoco a

È altresì utile la conoscenza delle vie di comunicazione carrozzabili a maggior ragione se si desidera promuovere interventi di recupero ad ampio spettro all’interno di un territorio. Le strade per il transito delle truppe in campagna si distinguono in: «vie d’armata, vie di colonne in marcia e vie di colonne per il combattimento. Si chiamano vie d’armata le grandi strade esistenti, di 8 m. al minimo di larghezza, che si assegnano ai grandi riparti di truppe in marcia (divisioni, corpi d’armata, armate), e ai convogli che li accompagnano. È pressoché impossibile aprire in campagna tratti considerevoli di strade di questa natura, poiché occorrono tempo e mezzi rilevanti; se ne può aprire, in via eccezionale, qualche breve tronco durante un assedio. Si dicono vie di colonne in marcia, quelle strade abbozzate, specie di piste, che servono più specialmente per impedire per es., l’incrociamento di colonne che marciano su strade ordinarie, per facilitare gl’incolonnamenti, per accedere agli accampamenti, per evitare strette, ecc. le vie di colonne per il combattimento, sono in genere delle semplici piste che si tracciano sul campo di battaglia per convogliarvi grande masse di truppe, specie quelle a cavallo, sia per portarle sulla fronte di combattimento, sia per effettuare gli spostamenti richiesti durante l’azione, ciò che rende necessario più strade parallele poco distanti fra loro. Queste vie di colonna, debbono essere possibilmente larghe da 15 a 20 m., e più o meno sviluppate a seconda

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della natura e della configurazione del terreno. Per costruire vie di colonne, occorrono generalmente lavori di poca entità e cioè: taglio di argini; passaggi attraverso ai fossati con riempimenti di terra, con rampe di raccordo, o con ponticelli; aperture nei muri, nelle palizzate, nelle siepi; abbattimento di piante ecc.» (Marinelli, Sinossi di Fortificazione 1915, pp. 78-79).

3.3 - La fortificazione permanente «In tutti gli Stati, non esclusi quelli costituiti da territori pianeggianti, o privi di grandi accidentalità geografiche, esistono alcuni punti i quali per ragioni militari o politiche, assumono tale importanza da doverne assicurare il possesso col sussidio della fortificazione permanente. Per quanto la fortificazione permanente possa oggi costituire un mezzo sussidiario, che contribuisce soltanto in via secondaria al risultato decisivo di una campagna dipendente essenzialmente dalle operazioni delle forze mobili, pure non sarebbe ragionevole sostenere che la fortificazione non è più necessaria in quanto coll’odierno sviluppo delle comunicazioni, qualunque punto strategico può essere aggirato. Né più razionale sarebbe il concetto di sostituire alla fortificazione permanente quella campale, o quella provvisoria, perché variando i mezzi di offesa e di difesa, mancherebbe il tempo di condurre a termine i lavori di rafforzamento iniziati al principio della campagna. Dunque fin dal tempo di pace si dovrà provvedere alla sistemazione di opere capaci di opporre una tenace resistenza all’assalitore che tenta di espugnarle cercando di distruggere, o danneggiare i mezzi di combattimento contenuti nelle opere stesse» (Marinelli Sinossi di Fortificazione, p. 131).

Le fortificazioni provvisorie sono costituite da trincee profonde, dotate d’apposite banchine di tiro, postazioni per armi a tiro rapido, nonché ricoveri e servizi, per agevolare il presidio del fronte da parte del fante (fig. 36). Sono in grado di offrire un riparo più sicuro e una maggior comodità rispetto agli scavi frettolosi delle trincee campali. Da quanto appreso fin’ora dai manuali tecnici si può conoscere la fortificazione dei campi di battaglia solo in parte. Si crede che per comprenderla veramente in tutta la sua drammaticità vada immaginata (perché fortunatamente noi oggi possiamo solo immaginarla) nel momento della sua costruzione. Occorre considerare innanzitutto l’uomo, il soldato. Tutto era affidato alla loro motivazione al combattimento, alla determinazione a rimanere vivi e alla capacità di scavare il terreno, a volte in fretta e con la possibilità di rafforzarlo solo in un secondo momento. Per ripararsi essi avevano a disposizione il terreno e pochissimi mezzi: le zappe, i sacchi di tela da riempire, la terra stessa dello scavo, pali di legno e per i lavori più consistenti, attrezzature come martelli pneumatici, perforatrici, esplosivi, ecc. Se attraverso i manuali possiamo apprendere la tecnica costruttiva, possiamo invece avvicinarci al vissuto degli uomini attraverso le fonti letterarie. Si rimanda quindi a quella ampissima letteratura, scritta da autori di ogni nazione coinvolta, che si è sviluppata subito dopo la guerra ed è composta principalmente dalle testimonianze di chi dalla guerra è tornato e ne ha voluto raccontare un aspetto.

La fortificazione permanente in uso nel periodo della Grande Guerra è il campo trincerato. Il Colonnello Marinelli così spiega questo sistema fortificatorio: «é una cintura costituita da una o più linee di opere staccate, intramezzate o non, da batterie permanenti od occasionali. Relativamente allo scopo da raggiungersi colle opere staccate, e in relazione alla postazione e al numero delle batterie intermedie, varie sono le opinioni e quindi varii sistemi proposti, sistemi, che possono raggrupparsi in tre scuole, e cioè: a) scuola dei forti corazzati; b) scuola dei fronti corazzati; c) scuola della completa separazione degli organi della difesa lontana, da quella della difesa approssimata. La scuola dei forti corazzati, più che una modificazione radicale dell’arte fortificatoria del periodo precedente, non rappresenta che una serie di miglioramenti, aventi per iscopo, di portare i varii elementi della difesa, in condizione di poter resistere agli odierni mezzi di distruzione. L’organizzazione della linea di cintura è fondata sull’impiego di opere permanenti, in punti di appoggio tali, da poter esercitare l’azione alle grandi distanze; le opere devono inoltre prestarsi per una difesa individuale, e autonoma e assicurare, in pari tempo il fiancheggiamento degli intervalli, i quali possono essere protetti da batterie permanenti e occasionali. Per soddisfare a tali compiti, occorre che le artiglierie sieno sotto corazza, che le opere sorgano in posizioni, dalle quali si possa dominare e battere efficacemente il terreno vicino e essere premunite contro gli attacchi di viva forza, anche dopo un vivo bombardamento. Devono perciò essere armate di cannoni, per l’azione lontana; e di cannoni a tiro rapido e mitragliere per l’azione vicina; essere circondate da parapetti per fucileria, e dal fosso come ostacolo; contenere ricoveri sufficienti e il completo

3.2 - L’esperienza della guerra La fortificazione campale e provvisoria assumono grande importanza durante la Prima Guerra Mondiale perché più efficaci ed elastiche (Padovan 2009, p. 261). Tuttavia tra l’inizio e la fine della guerra la sua struttura si modifica a causa dello sviluppo della potenza degli armamenti. Vediamo quindi succintamente in cosa consiste questo cambiamento: «In un primo tempo essa consiste in una linea di centri di resistenza collegati da trincee protette da reticolati di filo di ferro spinato. Negli anni 19171918 la fortificazione si orienta verso l’organizzazione di posti di vedetta e di ascolto distribuiti lungo il fronte e collegati con la retrostante linea di resistenza priva di ricoveri. Dietro ad essa si costruiscono varie linee di trincee profonde, con ricoveri a prova di bomba e posti di comando anche in casamatta. Lungo il fronte montano si fa largo uso di ricoveri e postazioni scavate nella roccia, sfruttando anche le cavità naturali» (Padovan 2009, p. 261).

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munizionamento per potere bastare a sé stesse, anche se investite. In tal modo l’attaccante, per impadronirsi di tali punti d’appoggio, sarà obbligato ad eseguire vere e proprie operazioni d’assedio. La scuola dei fronti corazzati, è fondata sul concetto di svolgere un’intensa azione di fuoco frontale, su tutta la linea, per una profondità di un paio di chilometri, coll’intento di cagionare all’assalitore gravi perdite, nel caso tentasse di attraversare, di viva forza, una zona battuta. Le opere da impiegarsi all’uopo, debbono essere piccole, al fine di presentare un bersaglio minimo e tale cioè di costringere l’avversario a spiegare le proprie artiglierie, a distanze inferiori ai 2000 m. La difesa, ottenendo simile risultato, si troverà in grado di rendere vani gli sforzi di queste artiglierie, perché avrà agio di indurle facilmente al silenzio. La cintura dei forti staccati, viene a tal fine organizzata con due, o più linee di opere corazzate,disposte in guisa, da poter raggiungere il doppio scopo e cioè: di battere, con fuochi incrociati, il terreno frontale e gli’intervalli fra un forte e l’altro, nonché darsi reciproco appoggio. I fautori di tali sistema, fra altri sono: il von Sauer, lo Schiebert, lo Schümann. Il Mayer, ecc. La scuola della completa separazione degli organi della difesa lontana, da quella della difesa approssimata è fondata sul concetto di costituire la linea di resistenza, con punti di appoggio aventi azione limitata alla difesa vicina e al fiancheggiamento degli intervalli, in modo, da potere impedire gli attacchi di viva forza, mentre l’azione frontale lontana, cioè la lotta con l’artiglieria dell’attaccante, viene affidata esclusivamente alle batterie erette negli intervalli. La line di cintura è perciò costituita: da forti costruiti nei punti di grande importanza tattica, che interessa di conservare, per tutta la durata della guerra e da batterie poste negli intervalli fra un forte e l’altro. I forti vengono armati con artiglierie a tiro rapido le quali, non esplicando la loro azione di fuoco, durante la lotta lontana, possono essere installate a cielo scoperto, durante la lotta lontana sono pure installate a cielo scoperto; ma convenientemente occultate. I fautori di questo sistema sono. Il Weliscko, lo Schott, il Voorduin, il Laurent, il Lo Forte, ecc. Tutti tre i sistemi sopra accennati, sono stati applicati: il primo nelle fortificazioni della Mosa nel Belgio (piazza di Liegi e di Namur) e nella difesa di Venezia in Italia; il secondo nel rafforzamento della linea del Serhet in Rumania (teste di ponte di Galatz – di Nomaloasa – di Jocksani); il terzo ad Amserdam. Nei riguardi pratici però possiamo dire che il sistema, il quale meglio risponde alle vere esigenze della difesa, è il sistema dei forti corazzati, inquantoché gli altri sistemi, non risultano scevri d’inconvenienti d’ogni sorta» (Marinelli, Sinossi di Fortificazione 1915, pp. 165-167).

di cannoni e obici, disposte su due linee a scacchiera, sottratte anch’esse alla vista del nemico. Il numero delle batterie intermedie, deve risultare molto superiore al numero di quelle che devono effettivamente armare, per rendere facile, alle bocche da fuoco della difesa, un cambiamento di posizione, allorquando il nemico è riuscito a rettificare il tiro sopra una, di tali batterie. A tale scopo dietro la linea degli appostamenti d’artiglieria, ricorre una via di comunicazione, occultata anch’essa alla vista dell’avversario. Completano il campo trincerato. Alcuni magazzeni alla prova, sistemati fuori delle opere, per le munizioni, per i viveri e per i materiali varii; un sistema di comunicazioni permanenti, (strade ordinarie, reti telegrafiche e telefoniche); osservatori; stazioni ottiche; colombaie, aerostai ecc, finalmente una cinta continua attorno al nucleo con carattere di sicurezza, salvo il caso, che alcune circostanze speciali di località non consiglino di adottare una cinta d’assedio. Il tipo di forte che il generale Rocchi propone (figg. 293 e 293 Sez. AB) [fig. 37a, nel presente contributo. N.d.A.] consiste in un nocciolo di calcestruzzo, contenente i magazzini per le munizioni, gli alloggi per il presidio e 4 o 6 cannoni da 120 mm. Su affusti corazzati a scomparsa (tipo Schüman) distanti tra loro da 20 a 30 m. Il rilievo del banco di calcestruzzo, sul terreno d’impianto, è di 2 m. Silla fronte e sui fianchi, il nocciolo è avviluppato da un semplice parapetto in terra, il cui ciglio, ha un rilievo di m. 1,50. Questo parapetto costituisce la posizione di combattimento per la fucileria e per l’artiglieria leggera (mitragliere e cannoncini a tiro rapido). Agli angoli di spalla e di gola, sono disposti 4 affusti corazzati a scomparsa per cannoni a tiro rapido, destinati alla difesa approssimata. L’opera è chiusa alla gola per mezzo di una parete costituita da una lamiera di ferro con feritorie. La sicurezza contro gli attacchi di viva forza, si ottiene con un fosso largo m. 20 avente la scarpa rivestita e la controscarpa in terra. Il fiancheggiamento è fatto mediante 4 caponiere metalliche» (Marinelli, Sinossi di Fortificazione 1915, pp. 167-168). 4 - La fortificazione permanente dei fronti di guerra in pianura, in montagna e sulla costa A conclusione della trattazione della fortificazione permanente si ritiene interessante soffermarsi su alcune fortificazioni permanenti di pianura, di costa e di montagna, che furono impegnate nelle operazioni belliche del primo conflitto mondiale. Non potendo qui operare una trattazione completa ed esaustiva, ci si limita a segnalare alcune opere che hanno contribuito a costruire il paesaggio permanentemente fortificato di alcuni fronti di guerra. In particolare, per la pianura, s’illustrerà il caso del sistema fortificato del Belgio (Namur, Liegi e Verdun). Quale esempio di fortificazione in montagna si accennerà al sistema difensivo austriaco costruito alla frontiera con l’Italia, rimandando per una lettura completa e contemporanea al saggio di Willibald Rosner, in questi Atti. Per i sistemi costieri si accennerà al territorio di Gallipoli, alle difese dello Stretto dei Dardanelli e alle fortificazioni

Un esempio di campo trincerato a forti corazzati è il Tipo del Generale Rocchi (fig. 37): «La linea di cintura, a distanza di 8 km. dal nucleo, è costituita da opere permanenti (forti) poste ad intervalli di 4 km e armate da poche e potenti artiglierie, disposte in modo da risultare indistruttibili. I forti sono appoggiati da batterie annesse, mascherate dal terreno e armate con obici da 150 mm. Negli intervalli si preparano delle batterie intermedie armate

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Fig. 34a. Profili di alcuni tipi di ricovero per uomini (Marinelli L., Atlante di Fortificazione, Scuola Militare, Modena 1915, Tav. IV).

Fig. 35. Esempi di trinceramenti con postazioni coperte (Marinelli L., Atlante di Fortificazione, Scuola Militare, Modena 1915).

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Fig. 36. Soldato in trincea in un momento di tregua (Borozzino A., Reticolati, Roma 1933, fig. 4). .

Fig. 37. Schema di Campo trincerato a forti corazzati del Generale Rocchi (Marinelli L., Atlante di Fortificazione, Scuola Militare, Modena 1915, Tav. LVII).

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Fig. 37a. In alto, planimetria e sezione del tipo di forte proposto dal Generale Rocchi. Esso consiste in un nocciolo di calcestruzzo, contenente i magazzini per le munizioni, gli alloggi per il presido e quattro o sei cannoni su affusti corazzati a scomparsa distanti tra loro da 20 a 30 metri. In basso, schema di campo trincerato a fronti corazzati tipo del von Sauer: la linea di cintura dista 8 km circa dal nucleo. Essa è formata con doppia o tripla fila di torri corazzate autonome contenute ciascuna in una piccola opera di calcestruzzo a intervalli di 500/1000 m. Le opere sono disposte a scacchiera a distanza di 500 m ca. fra fila e fila; non vi è il fosso-ostacolo, r per parare ai colpi di mano, si fa uso di difese accessorie opportunamente preparate (Marinelli L., Atlante di Fortificazione, Scuola Militare, Modena 1915, Tav. LVII). .

Fig. 38. Mappa con l’indicazione delle fortificazioni permanenti principali, costruite alla frontiera tra Germania Francia e Belgio (Cirincione G., Fortificazione permanente, per gli Ufficiali Allievi del Genio, Tavole, Torino 1925, Tav. 83).

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tedesche sulla costa belga. Per un approfondimento sulle opere austriache della costa del Montenegro e per la conoscenza del loro stato attuale rimando al saggio di Volker Kontantin Pachauer, sempre in questi Atti.

forte di Boucelles e in sinistra Mosa l’opera di Flémalle per battere la zona a monte del fiume; chiudevano la cerchia il fortino di Hollogne, il forte Loucin, che batteva la strada e la ferrovia di Bruscelles, ed i fortini Lantin e Liers. Il perimetro della cinta delle opere era di circa 50 km» (Cirincione 1925 b, p. 9). Namur era invece circondata da una corona di nove forti analoghi a quelli di Liegi, disposti approssimativamente a trapezio. Vi erano quattro grandi forti triangolari: S. Héribert, Suarlée, Cognelée, Andoy, tre piccoli forti triangolari: Dave, Emines, Marchovelette e due piccoli forti quadrangolari: Naizeret e Malonne. Le opere distavano tra loro dai 4 ai 6 chilometri, mentre le distanza tra le opere e la città di Namur variava dai 4 ai 10 chilometri. La piazzaforte di Namur, similmente a quella di Liegi, aveva un perimetro di circa 50 chilometri (Cirincione 1925 b, pp. 9-10) (fig. 40).

4.1 - Fortificazioni permanenti di pianura del fronte occidentale In Belgio i principali campi trincerati erano quelli di Liegi e di Namur (costruiti sulla Mosa tra il 1888 ed 1891 e migliorati nel 1906-1909) e di Anversa (risalente al 1880 per rafforzare l’ostacolo naturale della Schelda, anch’esso migliorato tra il 1906 ed il 1909). Il campo trincerato di Anversa era costituito da 15 forti e 12 ridotte (Cirincione 1925 b, pp. 3-12). Così osserva Cirincione a proposito di tale sistema: «Liegi e Namur con il campo trincerato di Anversa costituivano (fig. 337. Tav. 83; riprodotte in fig. 38 [N.d.A.]) il sistema difensivo al quale doveva appoggiarsi l’esercito nel caso che la neutralità del Belgio venisse violata» (Cirincione 1925 b, p. 4). Tale sistema era stato voluto da Brialmont, il quale temeva un invasione dell’esercito tedesco proprio attraverso quei territori. Il dettaglio di tale sistema è ben spiegato dallo stesso Cirincione: «La testa di ponte di Liegi (fig. 332 tav. 82; riprodotte in fig. 39 [N.d.A.]) comprendeva una cintura di forti disposti su di un solo ordine circolare, a 2 – 6 Km di intervallo ed a distanza media di 6 km dal nucleo sprovvisto di cinta di sicurezza. Ogni forte, capace di difesa autonoma, con un presidio di circa 450 uomini, permetteva d’esercitare con le bocche da fuoco installate in casematte corazzate girevoli l’azione a distanza assicurando con le stesse artiglierie il fiancheggiamento degli intervalli. I forti presentavano un bersaglio poco visibile per quanto costruiti in posizioni dominanti ed importanti per battere le vie di accesso ordinarie, ferroviarie e fluviali. Erano di quattro tipi: triangolari o quadrangolari, piccoli e grandi. Senza collegamento diretto tra di essi erano riuniti mediante sola linea aerea alla centrale della città» (Cirincione 1925 b, p. 6).

Non molto distante dal confine belga, in territorio francese, il Campo Trincerato di Verdun fu teatro d’importanti battaglie. Le fortezze ivi esistenti vennero ampiamente ammodernate nei primi anni del Novecento: «All’inizio della guerra, il Verdun comprendeva, oltre la Cittadella e la vecchia cinta, due linee di forti staccati: quella interna a 2,5-6,5 Km dalla piazza, con opere in muratura ordinaria e senza corazzatura (solo i forti Tavannes e Souville avevano qualche ricovero in calcestruzzo e Sauville una torre da 155); e quella esterna a Km 5-8 con opere in genere di calcestruzzo e con alcuni pezzi sotto corazza, la piazza disponeva complessivamente di 6 torri ad eclisse con cannoni da 155 destinati all’azione lontana; 14 torri binate ad eclisse per cannoni da 75 destinati a contribuire al fiancheggiamento; 23 casamatte di Bourges con 46 cannoni da 75 destinati al fiancheggiamento degli intervalli. […] Il munizionamento (800 colpi per pezzo e complessivamente 611000 proietti), conservato in otto polveriere in caverna era stato trasportato in depositi intermedi in roccia avvalendosi di una ben organizzata ferrovia a scartamento ridotto. Per la protezione del presidio si avevano oltre le caserme, 34 ricoveri in calcestruzzo ed alcuni altri scavati in roccia, scaglionati fra gli intervalli dei forti della linea esterna. Il perimetro della piazza era di circa 45 km con intervalli fra le opere di Km 1,5-2,5 (salvo le opere di Charny e di Froideterre su ciascuna delle rive della Mosa a valle distanti circa 3,5 Km)» (Cirincione 1925 a, pp. 3335) (fig. 41 - 41c).

La testa di ponte di Liegi era costituita complessivamente da sei forti principali e sei fortini. Forti triangolari grandi erano quelli di Barchon, Fléron, Boucelles, Loucin, Pontisse, mentre piccoli erano quelli di Evégnée, Hollogne, Lantin, Liers. Quadrangolare e grande era il forte di Flémalles e quadrangolari piccoli erano quelli di Chaudfontaine ed Embourg (figg. 39a, 39b). I forti erano così dislocati: «A nord, più ravvicinato alla frontiera olandese, sulla sinistra della Mosa, sorgeva il forte Pontisse che, distando oltre 10 km dal confine, lasciava oltre Visé una zona non battuta, e sulla riva destra il forte Barchon: le due opere dovevano battere la Mosa a valle. A sud-est di Barchon sorgevano il fortino Evégnée ed il forte Fléron, che dovevano esercitare la loro azione sul terreno a cavallo della ferrovia di Aquisgrana. Sulle rive della Vesdre erano eretti i fortini di Chaudfontaine e di Embourg per sorvegliare le adiacenze della ferrovia di Verviers, principale comunicazione con la Germania, fra l’Ourthe e la Mosa, verso sud sorgeva il

4.2 - La fortificazione permanente di montagna alla fronte Austria-Italia L’Austria aveva costruito un sistema di difesa ampio dallo Stelvio a Tarvisio, mentre da Tarvisio al mare faceva affidamento sullo spiegamento di forze mobili). Tale sistema comprendeva: una serie di sbarramenti sulle più importanti comunicazioni eretti pressoché ai confini, il campo trincerato di Trento, il ridotto di Fortezza (Fort Cauzenfeste) (Cirincione 1925 a, p. 3). Il campo trincerato di Trento appartiene alla sopra illustrata scuola dei forti corazzati, sostenuta oltre che da Leithner anche da

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Fig. 39. . Schema del campo trincerato di Liegi (Cirincione G., Fortificazione permanente, per gli Ufficiali Allievi del Genio, Tavole, Torino 1925, Tav. 82). .

Fig. 39b. Tipo di forte triangolare piccolo e quadrangolare grande adottati nel campo trincerato di Liegi (Cirincione G., Fortificazione permanente, per gli Ufficiali Allievi del Genio, Tavole, Torino 1925, Tav. 82).

Fig. 40. Schema del campo trincerato di Namur (Cirincione G., Fortificazione permanente, per gli Ufficiali Allievi del Genio, Tavole, Torino 1925, Tav. 82).

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Fig. 41. Schema del campo trincerato del Verdun (Cirincione G., Fortificazione permanente, per gli Ufficiali Allievi del Genio, Tavole, Torino 1925, Tav. 83).

Fig. 41b. Schema del Forte di Vaux presso il campo trincerato del Verdun (Cirincione G., Fortificazione permanente, per gli Ufficiali Allievi del Genio, Tavole, Torino 1925, Tav. 82).

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Fig. 41c. Schema dell’opera intermedia di Thiaunont nel campo trincerato del Verdun (Cirincione G., Fortificazione permanente, per gli Ufficiali Allievi del Genio, Tavole, Torino 1925, Tav. 82). .

Fig. 42. Le difese italiane ed ex austriache lungo l’antico confine e le principali comunicazioni del Trentino (Cirincione G., Fortificazione permanente, per gli Ufficiali Allievi del Genio, Tavole, Torino 1925, Tav. 24).

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Brialmont, von Brunner, Degnise, Rocchi, De la Silave, ecc. La sua linea di cintura era costruita da sbarramenti situati nei punti di passaggio obbligato più favorevoli al difensore (Cirincione 1925 a, pp. 3-4).

in Vallarsa; limitati lavori si erano compiuti sul massiccio Col santo-Pasubio; erano completamente ultimate invece le opere di Dosso del Sommo» (Cirincione1925 a, p. 11). 4.2.2 - Il campo trincerato di Trento

4.2.1 - Gli sbarramenti

«Il campo trincerato di Trento, che informato al concetto fondamentale del Leithner sulla fortificazione in montagna [scuola dei forti corazzati sostenuta oltre che da Leithner anche da Brialmont, von Brunner, Degnise, Rocchi, De la Silave, ecc. N.d.A. ], aveva la sua linea di cintura costruita da sbarramenti situati nei punti di passaggio obbligato più favorevoli al difensore, esplicò funzioni maggiori per quanto sempre limitate» (Cirincione 1925 a, p. 3). Così continua Cirincione: «L’organizzazione del campo trincerato di Trento, costituito in massima parte da opere del primo periodo delle artiglierie rigate, integrate da costruzioni compiute affrettatamente all’inizio della guerra europea ed incomplete, non costituiva certamente una difesa temibile per quanto il terreno fosse tale da consentire con pochi mezzi ed in breve tempo la creazione di una valida difesa. Durante la guerra Trento funzionò da importante centro logistico: vi vennero impiantati vasti depositi, magazzini bene riforniti, laboratori e officine ottimamente attrezzate, ed il rendimento delle comunicazioni venne notevolmente aumentato con l’impianto di numerose teleferiche e di ferrovie a scartamento ridotto» (Cirincione 1925 a, p. 8). La mappa (fig. 43) mostra il complesso delle opere che costituirono il campo trincerato di Trento: si tratta di opere permanenti, batterie allo scoperto, batterie in cupola, batterie in caverna, tagliate, batterie antiaeree, ridotti e caserme.

La localizzazione delle opere militari è descritta con precisione e rappresentata dal Cirincione (fig. 42) che così scrive: «Funzioni più importanti ebbero gli sbarramenti avanzati, più efficienti perché gradualmente migliorati fin dal tempo di pace, principalmente dopo il 1906 quando, con l’assunzione del Conrand a capo di S. M. si era esplicata una maggiore attività lavorativa sulla frontiera italiana costruendo nuove strade e ferrovie migliorando le opere esistenti, ed erigendone altre potentemente organizzate e spinte verso il confine. Le difese sulle comunicazioni del Trentino erano raggruppate nelle seguenti zone difensive: zona di Nanders [F. Nanders (1)] a sbarramento della rotabile del colle di Rezia; zona Stelvio [appostamenti – F. Klein Bodino (2) – F. Comogoi (3)] a sbarramento della rotabile dello Stelvio; zona Tonale e val di Peio [F. Saccarana (8) – F. Strino (5) – F. Velon (6) – F. Forni Alti (7) verso il Tonale, e F. Fratta Secca (4) e F. Barba dei Fiori (9) verso val di Peio] a difesa della provenienze dal Tonale e dalla strada di Val di Peio; zona di Lardaro [F. Monte Corno (10) – F. Larino (11) – F. Danzolino (12) – F. Revegler (13) batteria peschiera – F. Por (14)] a sbarramento della rotabile delle Giudicarie; zona di Riva [batteria Bella Vista- Batteria Ponale e tagliata (15) sulla strada del Ponale; F. Garda (16) – F. Tombio (17) – F. S. Nicolò (18) – B.rio di mezzo (19) – F. Alessandro (20) – F. di Mago (21)] a difesa del bacino di Riva; zona val d’Adige [opere in costruzione del Vignola (22) e dello Zugna (23)] a sbarramento della valle Lagarina; zona Vallarsa Folgaria-Lavarone [F. Matassone (24) e Pozzacchio (25) in costruzione - F. Doss del Sommo (26) – F. Sommo Alto (27) F. malga Cherle (28) F. Belvedere (29) F. Luserna (30) F. Busa di verle (31)- Opera di Cima Vezzena (32) a difesa delle valli dei due seni, dell’astico e dell’Assa]» (Cirincione 1925 a, pp. 8-10).

4.3 - La fortificazione permanente sulla costa: la penisola di Gallipoli e lo Stretto dei Dardanelli La penisola di Gallipoli è esemplare per le sue caratteristiche fisiche; esse costituivano un ostacolo naturale ad eventuali azioni belliche: «La penisola di Gallipoli, lunga Km 80 e larga alla sua metà Km 17, con colline poco elevate e brulle, senza risorse, coi maggiori centri verso gli Stretti, con scarse e cattive comunicazioni, coi rilievi ad andamento trasversale facilitanti la difesa, si opponeva per i suoi ostacoli naturali allo svolgimento di operazioni offensive»(Cirincione 1925 b, pp. 175-177 ).

Dal punto di vista del periodo e delle modalità costruttive di queste opere occorre segnalare che «per rafforzare gli sbarramenti più importanti, alle già esistenti opere permanenti ottocentesche vanno a sommarsi opere costruite con modernissimi criteri ad esempio dello sbarramento di Lardaro faceva parte il modernissimo forte Por, ultimato nel 1915. Anche le difese del settore val Lagarina – Vallarsa – Folgaria - Lavarone presentavano carattere di assoluta modernità. Nella zona tra Garda e Brenta, allo scoppio della guerra erano da poco iniziate le opere per portare a termine il vasto programma del 1907 di opere in calcestruzzo, corazzatura e roccia». Inoltre: «erano anche da poco iniziate le opere che dovevano sorgere al Vignola ed allo Zugna per le quali si erano completate le strade di accesso e portati a buon punto i lavori preparatori; erano in stato di progredita costruzione le opere di Mattasone e Pozzacchio

Piuttosto articolata e ben sviluppata era la difesa lungo la seconda parte dello Stretto dei Dardanelli (fig. 44). Così ancora riporta Cirincione: « Il terreno limitante lo stretto è a colline piatte e basse; la costa europea (penisola di Gallipoli) (fig. 307. Tav. 101), unita e quasi a picco sul mare, è poco accessibile, mentre quella asiatica, maggiormente articolata, è di più facile accesso. Lo stretto dei Dardanelli, lungo Km 80, comprende un tratto rettilineo, largo 400500 metri, dal mar di Marmara a Nagara, ed un tratto sinuoso da Nagara all’Egeo, di larghezza variabile da m. 1300 (stretto di Tchanach) a m 700 (sbocco nell’Egeo). […] Le difese erette nel secondo tratto del canale erano

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Fig. 43. Schema del campo trincerato di Trento (Cirincione G., Fortificazione permanente, per gli Ufficiali Allievi del Genio, Tavole, Torino 1925, Tav. 25). .

Fig. 44. Esemplificazioni di sistemi difensivi della costa (Cirincione G., Fortificazione permanente, per gli Ufficiali Allievi del Genio, Tavole, Torino 1925, Tav. 101).

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Il sistema era composto da una linea di trinceramenti quasi continui, con reticolati, ed ogni batteria con installazioni singole o multiple erano in cemento armato e circondate da difese proprie. Gli osservatori, poco appariscenti, erano lontani dai pezzi ed in genere sulla linea più avanzata delle dune. Le torri e le costruzioni sopraelevate preesistenti erano utilizzate come osservatori di gruppo per la sorveglianza e per l’osservazione del tiro. Le batterie erano di vari modelli dalle più antiche alle più moderne. Il personale alloggiava in batterie, negli osservatori o in casermette appositamente costruite dietro le dune. In particolare i ricoveri presso le batterie erano muniti di robuste coperture, erano costruiti a regola d’arte ed erano ben difesi contro l’umidità. Erano in calcestruzzo anche i posti di comando e gli osservatori. I rifornimenti tra le batterie e tra queste ed i depositi, situati in posizioni molto arretrate, erano garantiti dalle ferrovie a scartamento ridotto tenute in piena efficienza. Tra le più importanti batterie vi era la batteria Von Tirpitz (fig. 44). Un’opera colossale così descritta da Cirincione: «Impiantata in posizione opportunamente scelta, aveva estesa azione verso mare e verso ovest sulle posizioni franco-inglesi. Costruita nel 1915, faceva parte della difesa di Ostenda ed era situata all’estremità sud occidentale della città, ad un chilometro circa dalla costa, in posizione difficilmente identificabile rendendo così incerto il tiro di controbatteria. Il terreno sabbioso impose fondazioni su palafitte, e solo verso la metà del 1916 la batteria potè iniziare il fuoco, pur continuandosi i lavori di protezione. L’armamento era costituito da 4 cannoni da 280 da marina con gittata massima di 25 km. Un sistema di osservatori bene concepito ed organizzato permetteva il tiro alle grandi distanze mediante l’impiego di un telemetro monostatico di 8 metri di base che serviva anche per la batteria Cecilia essendo installato in un osservatorio a metà intervallo tra le due batterie. Il fronte occupato dai quattro pezzi era di 200 m. Ogni pezzo su affusto a perno centrale, era sistemato in un pozzo in calcestruzzo di 15 m di diametro e di 4 di profondità. Due dei pozzi però erano più profondi per permettere una maggiore elevazione all’arma. I serventi erano protetti da un blinda mento metallico. Il munizionamento era conservato in locali alla prova, due lateralmente ad ogni pezzo con coperture di due metri di calcestruzzo e con soprastante strato di terra (1.m). La batteria funzionava elettricamente, ed era servita da un binario a scartamento ridotto (m. 0,60). Presso l’ingresso vi era un ampio ricovero per il personale, ed un secondo più arretrato, sulla cui copertura si avevano due mitragliatrici antiaeree, serviva per gli ufficiali. La batteria ed il suo accesso erano convenientemente mascherati con piantagioni, e l’opera era circondata da reticolati soprattutto per tenere a distanza i curiosi» (Cirincione 1925 b, pp. 193-194).

divise in due gruppi: Quelle del primo gruppo allo sbocco dell’Egeo, comprendevano il forte di Sedd-ul-Bahr (VI254), riorganizzato come batteria bassa e completato da due batterie alte, sulla costa europea, ed il forte di Kumkalessi (IV-254, II-150), al quale era stato aggiunto un forte moderno bastionato, ed una batteria alta, sulla costa asiatica; l’armamento principale complessivo pare fosse di 16 cannoni Krupp di grosso e di medio calibro. Completavano l’organizzazione alcune batterie di campagna, tre linee di mine tra Sedd-ul Bahr e Kum-kalessi, due batterie lancia siluri e diversi proiettori. La difesa del secondo gruppo (zona di Tehnak) comprendevano dieci batterie sulla costa europea su tre scaglioni (uno basso, uno a metà costa ed uno alto) con un armamento complessivo di circa 50 cannoni di grosso calibro e sette obici, e tre opere moderne sulla costa asiatica con complessivamente 36 bocche da fuoco, integrate da batterie lancia siluri sistemate tra le rocce, numerosi proiettori, una ostruzione per sottomarini ed un vasto campo di mine all’altezza di punta Kepher. Alcune batterie permanenti (complessivamente XIII 152 e VI obici da 105) e numerose batterie occasionali di obici da 105 e di piccoli calibri piazzate lungo le sponde collegavano i due gruppi. Più arretrata vi era la vecchia ma robusta opera di Nagara sulla riva asiatica, rafforzata da due batterie moderne e facente sistema col forte di Bogdali, sulla riva europea appoggiato da tre batterie alte. Queste buone difese, trascurate durante il regno di Obdul-Hamed, messe in efficienza e migliorate durante la guerra con l’Italia e coi Balcani erano state rimodernate con materiale e personale tedesco sotto la energica direzione del generale Limau Von Sanders quando apparve la probabilità di un’azione contro gli Stretti […]. Con le opere citate facevano sistema lo sbarramento dell’Istmo di Boulair costituito da opere campali appoggiate a tre capisaldi (Forti Vittoria, Sultano e Napoleone costruiti durante la guerra di Crimea e migliorati durante quelle balcaniche» (Cirincione 1925 b, pp. 175-177). 4.3 - La fortificazione permanente sulla costa: le difese tedesche sulla costa belga I tedeschi avevano costruito sulla costa Belga alcune batterie costiere con l’intento di difendere i porti di Ostenda e di Zeebrugge, dove vi erano basi per i sottomarini (fig. 44). Tale originario sistema venne gradualmente sviluppato durante la Prima Guerra Mondiale fino a costituire un sistema difensivo dell’intera costa da Niewport al confine con l’Olanda (Cirincione 1925b, p. 188). Anche in questo caso ha particolare rilevanza la natura della costa che Cirincione così descrive: «lungo la costa belga, parallelamente alla spiaggia, a circa m. 100 dal mare, corre una linea di dune alte 10-15 cm, con una profondità variabile da 100 a 1000 m. Il terreno dietro le dune, alto tre metri sul livello del mare, è piatto, scarsamente abitato, con vegetazione bassa che si estende fino a 5 km dalla costa dove comincia la vegetazione arborea. Sulla spiaggia corre un’ottima strada, che a nord di Ostenda, si svolge dietro le dune» (Cirincione 1925 b, p. 188).

5 - A. Bergonzi, Geografia Militare. Teatro d’operazione Italo-Svizzero, Dispensa 3, Riservato ad uso della Scuola di Guerra, 2° anno, 56° Corso (1926-29). Estratto Si riporta un estratto dello testo di Bergonzi (la dispensa

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Fig. 45. Schizzo oro-idrografico del teatro d’operazioni italo-svizzero (Bergonzi A., Geografia Militare, Dispensa 3, Riservato ad uso della Scuola di Guerra, 1926-29, 2° anno, 56° Corso). . Possiamo prendere come limiti di questo teatro è composta da 41 pagine di testo e da una tavola (fig. d’operazione: 45), perché la sua lettura consente di approfondire la - a S. il Po, dalla confluenza della Dora Baltea ad conoscenza del territorio alla frontiera tra Italia e Svizzera. Ostiglia; Si vedrà come il teatro d’operazioni non si svolge sulla - ad E. la linea Ostiglia – Verona, la Valle dell’Adige fino linea di confine tra i due Stati, ma su di un territorio molto alle sue sorgenti al Colle di Resia, poi il confine Austropiù ampio che riguarda entrambe le nazioni. Esso è di Svizzero; particolare interesse per in quanto il teatro d’operazioni - a N. il Reno, da Basilea alla lacinia S.E. del L. di indagato comprende il territorio alpino lombardo in tutta Costanza; la sua estensione e buona parte di quello prealpino e di - ad W. Il confine Franco-Svizzero e la valle della Dora pianura, allungandosi, a sud, fino al fiume Po. Baltea. «TEATRO D’OPERAZIONI ITALO-SVIZZERO. CONFIGURAZIONE DEL TEATRO D’OPERAZIONE GENERALITÀ Planimetricamente questo teatro d’operazione ha forma Attenendoci ai criteri esposti nella premessa, anche molto irregolare e presenta due restringimenti notevoli in nell’esame di questo teatro d’operazione e nello stabilirne corrispondenza al Reno ed alle Alpi, cioè ai due ostacoli i limiti, non faremo ipotesi di alleanze politiche o di più importanti della regione. situazioni determinate. Affinché lo studio sia proficuo, Infatti il lato settentrionale, per quanto riguarda le grandi però occorre che l’Ufficiale, col proprio raziocinio, dia operazioni di guerra, può essere limitato al tratto del Reno volta a volta conveniente valore e peso alle caratteristiche fra Stein e Basilea, ossia a circa 100 Km. di fronte, dato geografiche ed agli apprezzamenti che andremo esponendo, che ad est di Stein il L. [lago. N.d.A.] di Costanza non si secondo le circostanze di fatto. È ovvio, infatti, che i criteri presterebbe alla traversata di grosse forze. e la condotta delle operazioni per una guerra localizzata Procedendo verso sud, la fronte si va sempre più allargando, fra Italia e Svizzera differirebbero sensibilmente da quelli e fra Ginevra e Finstermünz, limite estremo dell’Engadina da quelli che si dovrebbero adottare contro una Svizzera Svizzera, raggiunge press’a poco i 300 Km.; si restringe fiancheggiata dalla Francia oppure dall’Austria e dalla poi in corrispondenza alla displuviale alpina (C. Ferret – Germania. Giogo di S. Maria) e vieppiù a sud di questa, ed infine si allarga nuovamente nella valle del Po. LIMITI DEL TEATRO D’OPERAZIONE

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Architettura e Geografia del Territorio in conflitto: le linee difensive in Europa nella Grande Guerra

Altimetricamente questo teatro d’operazione comprende il Giura e l’Altopiano Svizzero, la pianura Padana e quella parte del sistema Alpino, che fa da elemento separatore. Il Giura orge fra la depressione Saona – Dou – Porta Burgundica e l’Altopiano Svizzero, con carattere di anticlinale rispetto a queste due grandi depressioni tettoniche. L’Altopiano Svizzero, partendo dal solco L. di Neuchatel – Aar – L. di Costanza, si eleva, procedendo verso le Alpi, a guisa di spalto, intramezzato qua e là da rilievi collinosi. La zona Alpina è costituita da tre successive barriere parallele: - Le Prealpi Svizzere; - Le Alpi Bernesi e le Alpi di Garona; - Le Alpi Pennine, le Alpi Lepontine, le Alpi Retiche. A sud della displuviale alpina abbiamo una zona di media e di bassa montagna molto intricata e complessa: notevole vi è la catena Mesolcina, che parte da Pizzo Tambò e va a finire, variamente ramificata, sulla conca del L. di Lugano, intermedia fra le conche del L. Maggiore e del L. di Como. Le Prealpi lombarde si appoggiano a nord delle Alpi Lepontine e Retiche, e si estendono dal L. Maggiore al L. di Garda, andando a confondersi verso sud con le colline del Varesotto, della brianza, del Bresciano e del Garda. La pianura Padana, infine, comprende l’alta e la bassa pianura coi caratteri già noti. Nel versante settentrionale della displuviale alpina si aprono quattro grandi valli, e cioè quella del Reno, del Rodano, della Reuss e dell’Aare. Le due prime corrono inizialmente in direzione equatoriale ed in senso opposto, poi piegano verso nord, girando rispettivamente le Alpi di Garona (gruppo della Calandra) con le prealpi di Wallen e le Alpi bernesi occidentali (massiccio dei Diablerets). Intermedie fra queste sono le altre due valli: quella della Reuss ha direzione sud-nord e costituisce, unitamente alla valle del Ticino, la comunicazione naturale più diretta tra la Germania meridionale e la pianura Padana; la valle dell’Aare ha direzione S.E. – N.W. ed attraverso al Passo di Grimsel si collega con la alta valle del Rodano. Le opposte valli del Rodano e del Reno nel loro tratto longitudinale formano un lungo corridoio, a sud del quale si aprono le valli della Dora baltea, del Ticino e dell’Adda coi relativi affluenti. Il massiccio del M. Rosa e le sue diramazioni meridionali separano la valle della Dora Baltea dalla valle del Ticino; la catena Mesolcina divide quest’ultima dall’Adda ed il terreno è siffattamente conformato, che queste valli e quelle dei loro affluenti (Toce, Brenno, Moesa, pel Ticino; Liro, Mera per l’Adda) convergono rispettivamente al L. Maggiore ed al L. di Como, cosicché le strade che le seguono formano due fasci distinti. A nord del grande solco del Rodano – Reno ne abbiamo un altro, abbastanza ben marcato a seguito, in fatti, da rotabili ed, in parte, anche da ferrovie; è il solco Montreux (L. di Ginevra) – Passo di jaman – alto corso del F. Sarine – Passo di Mösor – T. Simme – Laghi di Thun e di Brienz –

Passo di Brünig – L. di Sarnen – laghi dei Quattro Cantoni, di Zug e di Zurigo conca di Sargans, solco che fino al Lago dei Quattro Cantoni segna ance il limite orografico fra le Alpi e le Prealpi Svizzere. Altri solchi longitudinali importanti troviamo a sud di quello Rodan-Reno, nessuno però, egualmente lungo: ad occidente il solco della valle longitudinale della Dora Baltea, fra Aosta e Châtillon: ad oriente tre solchi successivi, scaglionati da nord a sud: Reno posteriore – Albula – Landwasse; val Bregaglia (Mera) – Engadina (Inn); Valtellina (Adda). Quest’ultimo trova prolungamento verso ovest per la valle di Gravedona – Passo di S. Jorio – val Morobbia – Bellinzona – L. maggiore depressione di S. Maria Maggiore (Centovalli e val Vigezzo) – Domodossola. Da quanto abbiamo detto risulta evidente che è questo un teatro d’operazioni prevalentemente montano: i grandi solchi longitudinali e trasversali, sia tettonici sia d’erosione, che vi si trovano, variamente combinati, hanno consentito bensì lo svilupparsi di una buona rete di comunicazioni rotabili e ferrovie, relativamente ricca anche in traverso alla displuviale alpina, ma tali comunicazioni sono per così dire localizzate ed i movimenti di grosse masse offrono difficoltà e subiscono limitazioni non lievi in tutto lo scacchiere alpino, che costituisce la parte maggiore e più delicata dell’intero teatro di operazioni. Procedendo dal Reno, tratto Basilea – Stein, verso sud, per imboccare le due vallate del Reno a Sargana, e del Rodano a Villeneuve, bisogna allargarsi sino a 300 km. Circa, onde le operazioni procederebbero per vie decisamente divergenti; dopo i due punti ora nominati proseguirebbero parallele o quasi fino al passaggio o quasi della displuviale alpina, ai valichi estremi rotabili del Gran S. Bernardo e del Giogo di S. Maria, e quindi leggermente convergenti sino alla Pianura Padana». LINEA DI CONFINE Il confine Italo-Svizzero ha inizio a M. Dolent (M. Bianco) e corre sulla displuviale delle Alpi Pennine e delle Leponzie sino al Gries – Horn, lasciando alla Svizzera l’alta valle Divedro (Sempione). Dopo il Gries – Horn la linea di confine abbandona la displuviale e volge capricciosamente in traverso alle rughe del corrugamento, discendendo nella regione montuosa fra Toce e Maggia fino a sud di Brissago; taglia il L. Maggiore, lasciando Pino all’Italia, raggiunge la Tresa (emissario del L. di Lugano); lascia all’Italia parte della lacinia [sponda. N.d.A.] occidentale del L. di Lugano con Porto Ceresio; passa a sud di Chiasso, segue le pendici meridionali della catena Mesolcina e sviluppandosi tortuosamente ascende su quest’ultima, attraversando nuovamente il L. di Lugano, la cui lacinia orientale rimane all’Italia con la Val d’Intelvi, e giunge allo Spluga. Abbandona poi di nuovo la displuviale, lascia valdi Lei all’Italia, taglia le Alpi Retiche settentrionali e scende in val bregaglia (Mera) ad ovest di Cartasegna, sì che gran parte di questa valle rimane alla Svizzera; indi sale sulle Alpi Retiche meridionali e corre su queste, lasciando alla Svizzera val Poschiavo, quindi si svolge su di un

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contrafforte fra la val di Livigno ed Engadina,lasciando all’Italia valle Livigno; risale poi sulla displuviale fino allo Stelvio,segue il contrafforte fra val Sulden e val Monastero, taglia quest’ultima, lasciandone la testata alla Svizzera, e per Piz Urtiola e per Piz Sesvenna (contrafforte fra alto Adige ed Engadina) giunge a Piz Lat (ovest del passo di Resia), ove s’inizia il confine Austriaco. In nostro confine con la Svizzera è dunque caratterizzato dal fatto che anziché svolgersi sulla displuviale orografica, naturale linea divisoria delle stirpi e degli interessi che, nelle catene ben elevate come l’alpina, scendono spontaneamente al piano, lungo i corsi d’acqua, oscilla invece variamente in traverso alle rughe ed alle sinclinali, rispettando interessi storici e ragioni politiche anzichè tendenze geografiche. Ed invero, su 400 Km. di sviluppo della cresta principale alpina, quanti ne intercedono fra il M. Dolent e Piz lat, solo 250 Km. circa servono di confine fra Italia e Svizzera, mentre lo sviluppo lineare della linea di confine raggiunge ben 725 Km. La Svizzera possiede entro i limiti geografici naturali dell’Italia, cinque salienti di diversa estensione: il saliente di Gondo (val Divedro), quello del Canton Ticino, val Bregaglia (Mera), val Poschiavo, val Monastero, e tutti i valichi rotabili della displuviale, meno il Gran S. bernardo, lo Spluga ed il Giogo di S. Maria. L’Italia invece possiede il territorio geograficamente Svizzero solo le due piccole Valli di Lei e di Livigno. Siamo dunque ben lontani dalla frontiera montana naturale,fatto questo che si presta a considerazioni militari speciali e richiede un esame particolareggiato della zona di confine, sia per l’importanza delle considerazioni in sé stesse, sia perchè questa frontiera corrisponde, all’ingrosso, al gruppo delle Alpi Centrali, gruppo che, anche se scientificamente non fa corpo a sé, costituisce pur tuttavia un’importante realtà di geografia umana.

della Linea Cadorna: riscoperta di un patrimonio storico militare, in AA.VV., Cassano, Ferrera e Rancio. Aspetti, eventi ed immagini di tre paesi della Valcuvia, edizione Comuni di Cassano Valcuvia, Ferrera di Valcuvia e Rancio Valcuvia, Varese. - Boldrini F. 2005, La Linea Cadorna in Val Travaglia, in Loci Travaliae, XVI, Valtravaglia. - Boldrini F. 2006, La difesa di un confine. Le fortificazioni campali della Linea Cadorna nel Parco Spina Verde di Como, Parco Regionale Spina Verde, Como. - Bonazzi A. 1891, Fortificazione permanente, Parte seconda, Titolo terzo: Fortificazione permanente contemporanea, Capo IX, Fortificazione di Montagna, Scuola d’Applicazione d’Artiglieria e Genio. - Bonazzi A. 1891, Fortificazione permanente, Parte seconda, Titolo terzo: Fortificazione permanente contemporanea, Capo X, Fortificazione dei Litorali, Scuola d’Applicazione d’Artiglieria e Genio. - Borozzino A. 1933, Reticolati, Edizioni Ardita, Roma Anno XI. - Cadorna L. 1923, La guerra alla fronte italiana fino all’arresto sulla linea della Piave e del Grappa (24maggio 1915 – 9 novembre 1917), Volume primo, Nuova edizione con l’aggiunta di un’appendice su l’intervento del Maresciallo Foch in Italia, Fratelli Treves Editori, Milano. - Cirincione G. 1923, Considerazioni e deduzioni tratte dal comportamento delle opere permanenti sulla fronte trentina durante la grande guerra, in Rivista di Artiglieria e Genio, XL (62a) Annata, Volume II, Roma, pp. 140172. - Cirincione G. 1925 a, Lezioni di Fortificazione permanente, parte III La fortificazione in Montagna, Torino. - Cirincione G. 1925 b, Lezioni di Fortificazione permanente, parte IV La fortificazione in pianura. Parte V la fortificazione costiera, Torino. - Crosa Lenz P., Ragozza P.A. 2007, La Linea Cadorna nel Verbano Cusio Ossola. Dai sentieri di guerra alle strade di pace, Provincia Verbano Cusio Ossola Assessorato Cultura e Turismo, Gravellona Toce. - De Antoni C. 1912, La guerra d’assedio, in Rivista di Artiglieria e Genio, Febbraio, XXIX (51a) Annata, Volume I, Roma, pp. 239-283. - Ferrario C. 1935, La difesa del Pasubio e del Corno Battisti, in Rivista di Artiglieria e Genio, Febbraio XIII, LXXIV Annata, Fascicolo II, Roma, pp. 299-342. - Ferreri G. 1926, Il Pasubio. Sistemazione di una posizione alpina e guerra di mina, in Rivista di Artiglieria e Genio, Marzo, 65a Annata, Roma, pp. 590-618. - Gioda B. 1926, La Guerra mondiale (1914-1918). Le grandi operazioni per terra e per mare. Tavole, Società Tipografica Modenese Antica Tipografia Soliani, Modena. - Guidetti A. 1926, L’Altopiano di Tonezza e M. Cimone nella Grande Guerra, in Rivista di Artiglieria e Genio, Agosto, 65a Annata, Roma, pp. 1449-1472. - Maggiorotti A. 1900, La Fortificazione passeggera coordinata alla tattica ed il compito dell’ufficiale del Genio nelle svariate sue applicazioni, Enrico Voghera, Roma.

SUDDIVISIONE DEL TEATRO D’OPERAZIONE IN SCACCHIERI Questo teatro d’operazione, in relazione alle sue caratteristiche fisiche, si può suddividere in tre scacchieri: 1°) – Scacchiere Alpino – 2°) – Scacchiere dell’Altopiano Svizzero – 3) – Scacchiere Padano. 6 - Bibliografia e documenti d’archivio 6.1 - Bibliografia - AA.VV. 1993, Dizionario di Storia, Il Saggiatore - Bruno Mondadori, Milano. - Bennati L. 1942, Evocazioni guerresche, in Rivista di Artiglieria e Genio, Lugl.-Agos. XX, Anno LXXXI, N. 7-8, Roma, pp. 726-734. - Bergonzi A. 1926-29, Geografia Militare. Teatro d’operazione Italo-Svizzero, Dispensa 3, Riservato ad uso della Scuola di Guerra, 2° anno, 56° Corso. - Bollati G. A. 1927, La Guerra mondiale 1914-1918, Vol. III, Carte. - Boldrini F., Contini S. 2004, Il percorso Valcuviano

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- Marinelli L. 1915, Atlante di Fortificazione, Scuola Militare, Modena. - Marinelli L. 1915, Sinossi di Fortificazione, Scuola Militare, Modena. - Ministero della Guerra 1913, N. 116 Istruzione sui Lavori del campo di battaglia, Voghera Enrico Tipografo editore del Giornale Militare, Roma. - Padovan G. 2009, Archeologia del sottosuolo. Manuale per la conoscenza del mondo ipogeo, Mursia, Milano. - R. 1908, L’Austria e la frontiera italiana, in Rivista di Artiglieria e Genio, Gennaio, XXV Annata, Volume I, Roma, pp. 120-153. - Raddi A. 1918, Il risanamento delle trincee in guerra, in Giornale dell’Ingegnere architetto civile ed industriale, Volume 10, Fascicolo 1, Gennaio 1918, pp. 19-21. - Rolf R. 2004, A dictionary on modern fortification, PRAK Publishing, Middelburg. - Urangia Tazzoli T. (s.d.), La Guerra sulle alte vette e sui

ghiacci del Gruppo Ortles-Cevedale (Alta Valtellina) anni 1915-1918, Editore Luigi Alfieri, Milano. - Villate R. 1925, Les conditions géographiques de la guerre. Etude de Géographie Militaire sur le Front Français de 1914 à 1918, Payot, Paris. 6.2 - Documenti d’Archivio Archivio del Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto: [senza autore], Sunto dei precedenti relativi alle difese fra il lago Maggiore e il lago di Como. 7 - Riferimenti dell’Autore Maria Antonietta Breda Politecnico di Milano Via Durando n. 10; 20158 Milano [email protected]

Capponiera della batteria corrazzata Forte Corbin. (Foto M. A. Breda)

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Batteria corrazzata italiana: Forte Corbin in Valsugana. (Foto M. A. Breda)

Riserva d’acqua potabile di Forte Corbin ricavata all’interno di una grotta. (Foto M. A. Breda)

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Opere di mina: la galleria di demolizione di Brienno (Como) IV

OPERE DI MINA: LA GALLERIA DI DEMOLIZIONE DI BRIENNO (COMO) Autori Maria Antonietta Breda Sara Fumagalli Gianluca Padovan

Politecnico di Milano Dipartimento di Progettazione dell’Architettura Federazione Nazionale Cavità Artificiali Associazione Speleologia Cavità Artificiali Milano

Sommario Sulla sponda occidentale del Lario, ad una distanza di 10 km a nord dalla città di Como, si trova l’abitato di Brienno. Il lavoro proposto riguarda lo studio di una galleria di demolizione stradale, opera militare realizzata nel contesto dei lavori di fortificazione previsti dalla “Linea Cadorna” e realizzati a partire dall’anno 1916. L’opera studiata, una cavità artificiale perfettamente conservata, è posta a nord del paese, lungo la vecchia strada di percorrenza che da Como porta al Piano di Spagna e a Colico, punti di confluenza della Valchiavenna e della Valtellina. Abstract WORKS OF MINE: THE GALLERY OF DEMOLITION OF BRIENNO (COMO) The town Brienno is situated on the western shore of Como Lake. The following work is about the study of a demolition tunnel, wich was built together with “Linea Cadorna” since 1916. The demolition tunnel, an artificial cavity perfectly preserved, is along the old road that leads in the Northern part of Como Lake, at the confluence of Valchiavenna and Valtellina. 1 - Il passaggio obbligato Nel corso della Storia si sono elette a difesa delle aree e delle semplici strade, le quali, una volta bloccate, interdivano l’accesso ad un retrostante territorio o ad una città. La difesa poteva consistere nello sbarrare architettonicamente e militarmente il passaggio, oppure demolendolo. Il brano tratto da Ab urbe condita di Tito Livio introduce e inquadra il tema dell’intervento, nonché il suo specifico oggetto: la galleria stradale di Brienno e l’impianto di demolizione per renderla temporaneamente impraticabile. Ecco il ricordo dell’interruzione del Ponte Sublicio sul Tevere, a Roma, nell’anno 509 a., primo anno della Repubblica: «Cum hostes adessent, pro se quisque in urbem ex agris demigrant; urbem ipsam saepiunt praesidiis. Alia muris, alia Tiberi obiecto uidebantur tuta: pons sublicius iter paene hostibus dedit, ni unus uir fuisset, Horatius Cocles; id munimentum illo die fortuna urbis Romanae habuit. Qui positus forte in statione pontis cum captum repentino impetu Ianiculum atque inde citatos decurrere hostes uidisset trepidamque turbam suorum arma ordinesque relinquere, reprehensans singulos, obsistens obtestansque deum et hominum fidem testabatur nequiquam deserto praesidio eos fugere; si transitum pontem a tergo reliquissent, iam plus hostium in Palatio Capitolioque quam in Ianiculo fore. Itaque monere,

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praedicere ut pontem ferro, igni, quacumque ui possint, interrumpant: se impetum hostium, quantum corpore uno posset obsisti, excepturum. Vadit inde in primum aditum pontis, insignisque inter conspecta cedentium pugnae terga obuersis comminus ad ineudum proelium armis, ipso miraculo audaciae ob stupefecit hostes» (Tito Livio, Ab Urbe Condita, II,10); (Poiché il nemico era ormai vicino, ognuno per proprio conto si trasferì dalla campagna in città; e la città fu cinta di difese. Alcuni punti apparivano ben protetti dalle mura, altri dall’ostacolo che creava il Tevere; per poco, invece, il ponte Sublicio non consentiva il passaggio ai nemici, se non fosse stato per un uomo solo, Orazio Coclite: tale sostegno ebbe quel giorno la fortuna di Roma. Costui, che per caso si trovava di guardia sul ponte, avendo visto occupare il Gianicolo con un assalto improvviso e i nemici scendere di lassù a precipizio, mentre i suoi, sgomenti, abbandonavano tumultuosamente le armi e le file, trattenendoli a uno a uno, parandosi innanzi a loro e chiamando a testimoni gli dei e gli uomini, gridava che era inutile che essi fuggissero dopo aver abbandonato il posto; se avessero passato il ponte e se lo fossero lasciato alle spalle, ben presto ci sarebbero stati più nemici sul Palatino e sul Campidoglio che non sul Gianicolo. Perciò li esortava, li incitava a distruggere il ponte col ferro, col fuoco, con ogni mezzo possibile: lui avrebbe sostenuto l’impeto dei nemici, per quanto poteva resistere una persona sola. Si slancia quindi verso la testa del ponte e chiaramente riconoscibile tra quelli che mostravano le spalle ritirandosi dal combattimento, per aver volto le armi ad ingaggiare battaglia a corpo a corpo, col suo stesso prodigioso coraggio stupì i nemici) (Livio T. 1997, pp. 388-391). 2 - Luigi Cadorna e la Frontiera Nord Luigi Cadorna (1850 – 1928) era figlio di Raffaele Cadorna (1815 – 1897), generale che «fu nominato nel 1870 comandante del corpo di spedizione incaricato dell’occupazione di Roma ed entrò nella città il 20 settembre» (Enciclopedia Rizzoli Larousse 2003, p. 19), il cui fratello Carlo (1809 – 1891) fu capo del centro-sinistra, ministro della pubblica istruzione, dell’interno, ambasciatore a Londra e presidente del Consiglio di Stato. Nel luglio del 1914 Luigi Cadorna fu nominato Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, incarico che tenne fino al 9 novembre 1917, dopo il disastroso cedimento del fronte italiano nel settore della conca di Plezzo-Caporetto. Discutibile nelle sue concezioni strategiche, ha legato il proprio nome alla cosiddetta «Linea Cadorna» e alle logoranti quanto inutili battaglie dell’Isonzo. Per quanto concerne queste ultime,

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si può accennare all’Isonzo il quale «è il fiume fatidico, a cavaliere del quale si svolsero, con oscillazioni di non grande ampiezza, due terzi e più della guerra 1915-’18. Diede esso il nome a dodici battaglie, svoltesi tra il giugno 1915 e l’ottobre 1917, e le sue acque rifletterono tutte le fiamme della guerra» (Touring Club Italiano 1930, pp. 10-11). Sulla «Linea Cadorna» si può utilmente riportare una doverosa puntualizzazione dello studioso Antonio Trotti: «Il sistema difensivo italiano alla Frontiera Nord verso la Svizzera è popolarmente – ed impropriamente – noto come “Linea Cadorna” dal nome del generale Luigi Cadorna che, quale Capo di Stato Maggiore, ne dispose soltanto le fasi finali della realizzazione. Assegnare il nome di Cadorna all’intero sistema sottintendendone in un certo qual modo la paternità, è storicamente errato in quanto esso fu il risultato di quasi cinquant’anni di studi strategici e tattici, di progetti, di indagini e rilievi sul terreno, cui solo in parte seguirono effettive realizzazioni pratiche. La Frontiera Nord è un complesso quasi continuo di opere fortificate permanenti, semipermanenti e campali, disposto prevalentemente nel corso della Prima Guerra Mondiale, a protezione del territorio del Regno d’Italia al confine con la Confederazione Elvetica» (Trotti A. 2011, pp. 35-36).

sistemazione lateralmente ad esso era stata studiata in modo da rendere l’inconveniente il minore possibile. Lungo tutte le accennate posizioni, nonché a sud del lago di Lugano, nei punti atti a completare le difese, fu creato negli anni 1916-1917 un sistema di fortificazioni a linee multiple dei tipi più recenti che dava pieno affidamento di poter resistere in qualunque evenienza. Una ricca rete di strade, in gran parte camionabili, dava accesso alle principali posizioni e le metteva tra loro in comunicazione, rendendo più facile la manovra delle truppe. Nella zona orientale la miglior linea di difesa era quella segnata dalle Alpi Orobie, dal lago di Como fino a nord del colle dell’Aprica, e lungo la medesima fu creato un sistema di fortificazioni con criteri analoghi a quelli seguiti nella zona centrale. Le strade dello Spluga e del Maloia erano sbarrate nella stretta di Dervio, che si appoggia al monte Legnone. Un doppio sistema di fortificazioni fronteggiava lo sbocco della strada del Bernina nell’Adda. Il primo era eretto presso il confine, sui monti che racchiudono l’ultimo tratto della valle del Poschiavo. Il secondo sorgeva sui monti del versante sinistro di Val d’Adda, i quali coprono il colle della Aprica, e si collegava con le difese del nodo del Mortirolo sulle quali avrebbero ripiegato i difensori dello Stelvio e dell’alto Adda. A questo vasto complesso di strade e di fortificazioni non fu possibile di dar mano nel 1915 essendo la mano d’opera assorbita dai più urgenti lavori lungo le linee di difesa di prima linea del teatro di guerra italo-austriaco, e non si poté iniziarne la costruzione che nella primavera del 1916. Né poteva sorgere il timore che questi grandiosi lavori potessero urtare la giusta suscettibilità del governo svizzero, come se noi dubitassimo delle sue ripetute assicurazioni di leale neutralità; poiché, data la cordialità dei rapporti tra i due Stati, non era difficile fare intendere al Governo svizzero che tutte le misure di difesa che si sarebbero attuate alla nostra frontiera non erano dirette contro il paese amico, ma contro l’avversario che intendesse violarne la neutralità per invadere il nostro suolo» (Cadorna L. 1925, pp. 40-42).

2.1 - «Costruzione di lavori difensivi nella regione di frontiera» Tralasciando le considerazioni del generale Luigi Cadorna sull’importanza che il Canton Ticino rimanga neutrale, in quanto, in caso contrario, e vedendolo sotto l’influenza di uno stato diverso dalla Confederazione Elvetica, avrebbe messo a rischio i confini nord della Lombardia e quindi del territorio italiano (figg. 1, 2), si possono riportare alcune sue parole sull’assetto difensivo: «Tenuto conto di tutte le precedenti considerazioni, occorreva adunque di provvedere per far fronte all’eventuale gravissimo pericolo. I provvedimenti da prendersi erano di due ordini: a) costruzione di lavori difensivi nella regione di frontiera; b) predisposizioni pel trasporto di truppe nella medesima. Lavori difensivi. Questi dovevano, naturalmente, svilupparsi lungo la miglior linea di difesa al di qua della frontiera. Non mi occuperò più della sottozona occidentale per la sua scarsissima importanza e perché era già difesa, nella stretta di Bard, dalle fortificazioni erette per far fronte ad un attacco francese. Nella zona centrale, la migliore e più ristretta linea difensiva, come emerge dalle considerazioni precedentemente fatte, partiva dalla stretta della Barra in Val Toce, poi, per l’aspro massiccio del monte Zeda scendeva al lago Maggiore al sud di Cannobio e continuava tra il Lago Maggiore e il lago di Como, lungo la Tresa tra Luino e Ponte Tresa, coperta poi dal lago di Lugano ed appoggiata a destra al gruppo di Monte Calbigo, fortissima posizione che domina la depressione Porlezza-Menaggio. Questa linea aveva il grave inconveniente di avere al centro un tratto di territorio svizzero che s’insinuava alle nostre spalle nella conca di Mendrisio; ma questo avrebbe potuto essere da noi occupato assai prima del nemico che avesse violata la neutralità svizzera; ed inoltre la nostra

3 - La Frontiera Nord e le vie d’accesso al Lario (Lago di Como) (di Maria Antonietta Breda) Senza entrare nel dettaglio dei progetti e delle successive realizzazioni difensive, all’apice del Lario giungono due importanti direttrici: la viabilità dalla «Valle Tollina» (Valtellina) e quella dalla «Valle di Clavenna» (Valchiavenna). Prima d’immettersi fisicamente nella pianura caratterizzata dallo specchio lacustre incontrano, o meglio incontravano, le aree acquitrinose, a nord, del fiume Mera con il lago di Novate Mezzola e ad est il Pian di Spagna, area paludosa percorsa dai meandri del fiume Adda, prima della rettifica ottocentesca. Questa era la cosiddetta «porta nord» del territorio lombardo, fortificata e guardata da numerosi castelli e torri d’avvistamento, poi divenuta la porta del Ducato di Milano, chiusa ai primi del XVII secolo con il Forte di Fuentes e le fortificazioni minori a sua corona, come il Forte d’Adda (figg. 3, 4, 5). Giussani, ai primissimi del XX secolo, così inquadra il

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Opere di mina: la galleria di demolizione di Brienno (Como)

Fig. 1. Tavola raffigurante il «Confine Italo – Svizzero» ai primi del XX secolo, difeso dalla cosiddetta Linea Cadorna (Cadorna L. 1925, Altre pagine sulla Grande Guerra, Mondadori A., Milano, tav. 1). .

Fig. 2. Dipinto su muro situato in una delle stanze della batteria corazzata Forte Montecchio Nord, raffigurante il settore di confine con la Svizzera. (Foto G. Padovan)

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territorio: «Non v’ha sbocco di valle alpina, che in tempi remoti non fosse difeso da torri, castelli o fortezze: non poteva esserne quindi sprovvista l’estremità settentrionale del Lario, là dove le acque dell’Adda e del Mera entrano ad impinguarlo del suo maggiore alimento. È quello il punto di tutta l’immensa cerchia alpina, in cui le strade scendono in maggior copia dagli alti valichi a riunirsi agli sbocchi; strade che, giungendo dai paesi più vasti e più ricchi d’Europa, erano, prima del traforo S. Gottardo, le vie più battute delle genti, poiché di là passava gran parte dei viaggiatori, delle mercanzie e degli eserciti che andavano e venivano in Italia, dalla Rezia, dalla Svizzera, dal Tirolo, dalla Germania, dalla Lorena, dalla Borgogna e persino dalle lontane Fiandre» (Giussani A. 1905, p. 258).

permanente in pozzi partecipa che dovrà essere spostata su Montecchio nord, anziché su Montecchio sud, poiché da quella posizione si ha un efficace azione sulla strada di riva occidentale del lago di Como e sull’importante obiettivo costituito dai ponti di Dongo e dalle regioni adiacenti, di più meglio si può battere la stretta di Novate-Mezzola e contrastare le provenienze dalla Valtellina» (Comando del Corpo di Stato Maggiore s.d., pp. 8-9). 3.1 - La difesa del Pian di Spagna: l’opera di demolizione a Verceia (di Maria Antonietta Breda) I documenti del 1911 informano anche al proposito delle viabilità ad uso militare e dell’interdizione dell’intero Pian di Spagna, mediante allagamento: «Si dà corso (foglio 2568 del 30-10-911) ai progetti per la costruzione delle strade di accesso alle posizioni di Fuentes e di Piona, e il Ministero assegna la somma di L. 26.000 (dispaccio 19585 del 16-12911). La prima di dette strade ha origine presso le cascine di Monteggiolo, alle quali fa capo una strada comunale, ha uno sviluppo complessivo di m. 1050 circa, una larghezza di m. 3, cunetta compresa, con pendenza massima del 10%. La seconda ha origine dalla piazza di Olgiasca, ha uno sviluppo complessivo di m. 300, ha una larghezza di m. 3, cunetta compresa, con pendenza compresa fra l’8 e il 10%. [...] S.E. il generale Majnoni (foglio 173 dell’1112-911) trasmette uno studio relativo alla possibilità di allagamento del Pian di Spagna (Colico) inteso ad ottenere un concorso efficace allo sbarramento passivo della linea d’operazione Mera-Adda. Questo Comando (foglio 117 del 20-1-912) esprime l’avviso che sia da soprassedere pel momento dal dar corso ai provvedimenti studiati per la predetta inondazione e ne enumera le ragioni fra le quali sono da rilevarsi: 1°- l’ingente somma richiesta (circa L. 800 mila), 2°- il valore del provvedimento verrà assai menomato dalla nuova sistemazione difensiva permanente divisata sia nei pressi di Colico, sia per fronteggiare le provenienze della valle del Poschiavino» (Comando del Corpo di Stato Maggiore s.d., pp. 11-12).

Poco prima della Grande Guerra le strade uscenti dalla Valtellina e dalla Valchiavenna erano controllate innanzitutto dalla batteria corazzata denominata Forte Montecchio Nord, situata appena a nordovest di Colico su di uno sperone roccioso (fig. 6). Il vicino Forte di Fuentes fu riutilizzato e sull’opera a tenaglia (parte alta del Forte) si costruirono due postazioni d’artiglieria, ognuna per quattro pezzi, sfruttando anche preesistenti locali sotterranei come riservetta munizioni e ricovero (fig. 7). Stando a documenti dello Stato Maggiore dell’Esercito, possiamo vedere le disposizioni che dovevano garantire la difesa del territorio. Eccone alcuni stralci: «Sbarramento della linea d’operazione Mera – Adda. Questo Comando, sulla base del risultato degli studi compiuti dalle autorità territoriali e dopo aver sentito il parere degli ispettori generali d’artiglieria e del Genio, e anche quello di S.E. il generale Majnoni, determina (foglio 862 del 10-4-911) che alla sistemazione della regione Colico – Fuentes, nel fine di sbarrare le linee d’operazioni Adda – Mera, si provvede essenzialmente: 1°- Costruendo un opera a Montecchio sud, da armarsi con 4 cannoni da 149A installati in pozzi protetti da copertura metallica robusta rivolgendo la direttrice verso Domaso. 2°- Mediante l’occupazione di Fuentes, costruendo l’accesso carrareccio e due spianamenti per artiglierie campali, uno con direttrice verso nord [Valchiavenna. N.d.A.] e l’altro verso est [Valtellina. N.d.A.]. 3°- Mediante l’occupazione di Piona, che avrà carattere provvisorio in attesa che sia costruita l’opera di Montecchio e che sarà armata con 4 cannoni da 149 A o G su affusto d’assedio e cingoli e con qualche mitragliatrice. Però anche dopo costruita l’opera di Montecchio, gioverà che la occupazione di Piona divenga sussidiaria di quell’opera nel fine specialmente di fiancheggiarla e di difendere le interruzioni stradali circostanti» (Comando del Corpo di Stato Maggiore Ufficio Difesa dello Stato s.d., pp. 4-5). Qualche mese dopo, nel mese di luglio, si modifica parzialmente la precedente direttiva: «In seguito ai risultati del viaggio dei Generali svoltasi lungo la frontiera Svizzera, questo comando (foglio 1659 del 7-7-911) informa a nuovi criteri le direttive già date per lo studio dei progetti per la costruzione dell’opera permanente che deve costituire il perno dello sbarramento Mera – Adda e per l’occupazione di Fuentes e della penisola di Piona. [...] Per la batteria

In direzione nord si realizzerà, invece, un’opera di demolizione per interrompere, mediante brillamento di mine, sia la rotabile sia la strada ferrata, entrambe in galleria e colleganti con la Valchiavenna: «Questo comando, stabilito di completare la sistemazione difensiva permanente della frontiera alpina chiudendo anche l’aperto saliente ticinese, dispose col foglio 1245 del 24 maggio 1911 che, in relazione alle nuove condizioni di fatto che sarebbero venute a crearsi colle divisate fortificazioni, venisse ripreso in esame tutto il sistema di interruzioni stradali predisposte nella regione in argomento, nel fine di ben coordinare il relativo funzionamento all’azione delle fortificazioni tenendo presenti anche le modificazioni avvenute nella viabilità. Nel fine sopraccennato e in relazione agli studi fatti al riguardo ed ai pareri espressi sull’argomento dalle varie autorità competenti, questo comando prese le seguenti determinazioni: a) Riconobbe l’opportunità di predisporre l’interruzione della ferrovia e

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Fig. 3. Colico, frazione Erbiola, Colle di Montecchio: foto dei primi del Novecento di una casa-torre del cosiddetto «Castello di Colico», probabilmente realizzato sui resti di una fortificazione precedente. (Archivio Ass.ne S.C.A.M.)

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Fig. 4. L’originario e primo accesso al Forte di Fuentes visto dall’interno, incassato nella tenaglia; le truppe napoleoniche, malauguratamente, demolirono quasi interamente la grande fortificazione. (Foto M.A. Breda) .

Fig. 5. Foto del torrione a pianta circolare, preesistente alla costruzione del Forte di Fuentes e del quale ha costituito parte delle cosiddette difese esterne (Giussani A. 1905, Il Forte di Fuentes. Episodi e documenti di una lotta secolare per il dominio della Valtellina, Tipografia Editrice Ostinelli, Como, p. 311). Così annota Belloni: «Per togliere ogni possibile punto di riferimento ad un eventuale attaccante i genieri demolirono la torretta rotonda dell’antica fortezza spagnola che ancora si ergeva sul lato occidentale» (Belloni L.M. 1990, Occupazione avanzata frontiera nord “O.A.F.N.” analisi storico-tipologica dell’impianto, in Allevi P., Roncai L. -a cura di-, Architettura fortificata in Lombardia, Editrice Turris, Cremona, p. 30).

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Fig. 6. «Panorama delle valli dell’Adda, del Mera e del Piani di Spagna, preso dal Forte di Fuentes» (Giussani A. 1905, Il Forte di Fuentes. Episodi e documenti di una lotta secolare per il dominio della Valtellina, Tipografia Editrice Ostinelli, Como, tav. III).

Fig. 7. Interno del locale sotterraneo della tenaglia superiore del Forte di Fuentes, riutilizzata come riservetta munizioni e ricovero con la costruzione, in superficie, di due postazioni in muratura, per quattro pezzi d’artiglieria ciascuna. (Foto G. Padovan)

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della strada ordinaria di vallemera in corrispondenza del lago di Mezzola e ne ordinò lo studio (foglio 1318 del 27 maggio 1914). [Ecc. N.d.A.]» (Comando del Corpo di Stato Maggiore s.d., p. 21). L’opera scavata nella roccia e rivestita in mattoni è analoga alle gallerie di demolizione di Nobiallo e di Brienno, seppure di dimensioni maggiori. Si compone di una galleria con andamento a spezzata dotata di diciassette bracci con altrettanti pozzi di mina, intasabili con acqua erogabile da alcune cisterne. Oggi è ancora percorribile e fa parte di un progetto di recupero: «Ogni parte della galleria di mina è essenziale e preziosa, frutto di lavoro duro ed accurato, opera di manovalanze specializzate esperte. I rivestimenti e le finiture sono realizzate in materiali di prima scelta e curate nei minimi dettagli. Gli accessori e le parti degli impianti ancora presenti in sito (serramenti, staffe, zanche, targhe, scale graduate, golfari, tubature, saracinesche, prigionieri, isolatori e altri elementi di impianto elettrico, ecc.) sono oggetti rarissimi, la cui musealizzazione è necessaria e improcrastinabile là dove gli oggetti sono asportabili» (Trotti A. 2011, p. 245).

le difese italiane attraverso Porlezza, avrebbe potuto giungere a Menaggio e, oltre a risalire la Strada Regina, l’avrebbe senza dubbio discesa per raggiungere Como. Anche a difesa di questo passo gli apprestamenti militari erano presenti. Tutto il settore del Ceresio e della fascia montana che costeggia il lato sud della rotabile (attuale Statale n. 340), che da Porlezza scende a Menaggio, era difesa mediante opere campali. In particolare, nella zona di Monte Crocetta, almeno un chilometro di trincee, dotate anche di casematte e rifugi sotterranei, sono state rese visitabili al pubblico, nell’ambito del «Progetto Linea Cadorna 2005-2010» (figg. 10, 11, 12). L’importante incrocio tra la strada discendente e quella lacuale poteva essere tenuto ulteriormente sotto controllo e sotto tiro dagli osservatori e dalle batterie in caverna situati nella sponda opposta, presso Vezio (figg. 13, 14, 15). Sempre leggendo i documenti del Comando del Corpo di Stato Maggiore, possiamo apprendere alcune disposizioni inerenti la difesa del saliente ticinese verso il lago di Lugano e del lago di Como, sponda ovest: «S. E. il generale Mainoni (foglio 266 e 273 del 3-7-912) trasmette alcune proposte per completare le difese del saliente ticinese verso il lago di Lugano e del lago di Como dalla parte di terra. Questo comando (foglio 1980 del 26-7-912), tenuto presente la necessità di avere fin dal primo aprirsi di eventuali ostilità una formidabile azione di artiglieria sulle comunicazioni principali che attraversano il saliente ticinese o vi tendano, approva la proposta di occupare, all’evenienza anche con artiglieria di m.c., la posizione presso Cà del Monte per battere ad utile ed efficace distanza di tiro la diga e il ponte di Melide e le strade ripuarie del lago di Lugano. Aderisce pure alla proposta di occupare con una batteria da 75 A la posizione che trovasi in immediata vicinanza dei ruderi del Castello di Vezio per agire sulla importantissima arteria stradale Porlezza-Menaggio e sulle strade ripuarie del lago di Como ed anche per chiudere a sud il lago stesso, proteggendo anche la città di Como» (Comando del Corpo di Stato Maggiore s.d., pp. 12-13). Le opere in caverna sono oggi in proprietà privata, ma quasi perfettamente conservate e mantenute (figg. 16, 17, 18, 19, 20). Salendo verso la cresta del monte si possono osservare i resti di altri apprestamenti e i ruderi di una casermetta (figg. 21, 22).

3.2 - La difesa della Strada Regina: l’opera di demolizione a Nobiallo (di Maria Antonietta Breda) In caso di cedimento del fronte lungo l’Alta Valtellina, o di penetrazione attraverso la Rezia Chiavennasca, una rotabile particolarmente utile per giungere alla pianura lombarda era ed è rappresentata dal tracciato della cosiddetta «Strada Regina», la quale costeggia la sponda occidentale del lago e giunge direttamente a Como. Il tracciato originario è antico e utilizzato già in epoca romana, seppure vi sia la lecita supposizione che sia opera delle popolazione celtiche, le quali vivevano nel territorio. Nel corso del tempo la strada è stata rifatta in vari punti e un po’ più in alto di alcuni metri, ma tenuta sempre in funzione e controllata da numerose opere di fortificazione. Nel corso del XIX secolo alcuni tratti in cui s’inerpicava sui fianchi montani strapiombanti nel lago sono stati rettificati, scavando delle gallerie stradali, alcune delle le quali, a loro volta, sarebbero state oggetto di lavori per renderle inutilizzabili mediante opere di mina. Un punto che si poteva interrompere con discreta facilità è rappresentato dalla galleria stradale posta poco a nord di Menaggio, in località Nobiallo (figg. 8, 9). La sua interruzione avrebbe bloccato una eventuale penetrazione da nord, ovvero dalla Valtellina, dalla Valchiavenna o dalla Valle San Iòrio, passando per Gravedona. Oppure, ugualmente, avrebbe impedito all’avversario di risalire da sud, superando Menaggio. La galleria di demolizione realizzata superiormente e a cavallo della galleria si presenta strutturata ad “esse”, in salita e con sei bracci, ognuno dei quali recante un pozzo di mina con relativo fornello. Anche in questo esemplare l’intasamento era effettuato mediante acqua, erogata da apposite tre cisterne interne.

4 - L’ultimo sbarramento prima di Como: l’opera di demolizione di Brienno Una ulteriore linea di eventuale penetrazione avversaria rimaneva più a sud ed era costituita dalla Valle d’Intelvi. Anche qui le opere difensive non mancavano. Tuttavia, se l’avversario le avesse superate, sarebbe giunto alla conca di Argegno e quindi alla Strada Regina ed il punto migliore per bloccarla era a Brienno (tav. n. 1). L’antico abitato affacciato sul lago è sorto a ridosso di una ben precisa linea difensiva, eretta sfruttando le caratteristiche orografiche. Uno sperone roccioso costituito da Calcare di Moltrasio scende quasi verticalmente nel lago, formando una barriera difendibile che funge da spartiacque tra nord e sud. Un tempo la Strada Regina, correndo a pochi metri

Nel caso in cui un eventuale avversario, svizzero o d’altra nazionalità, ma penetrato in Svizzera, avesse forzato

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Fig. 8. Vista panoramica di Menaggio e di uno scorcio del Lario, con l’indicazione della galleria stradale presso Nobiallo. (Foto M.A. Breda) .

Fig. 9. Dettaglio del tratto di costa lacuale presso Nobiallo, con l’indicazione della galleria stradale (A) e della soprastante opera di demolizione (B). (Foto M.A. Breda)

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Fig. 10. Trincea situata nella zone del Monte Crocetta, in posizione dominante sopra Menaggio, resa visitabile al pubblico grazie al lavoro dell’Associazione Nazionale Alpini Sezione di Como Gruppo di Menaggio, nell’ambito del «Progetto Linea Cadorna 2005-2010». (Foto M.A. Breda)

Fig. 11. Altro tratto di trincea, con parapetto in muratura e postazione defilata, situata nella zona del Monte Crocetta. (Foto M.A. Breda)

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Fig. 12. Postazione in muratura, di poco superiore un settore di trincea di combattimento , situata nella zona del Monte Crocetta. (Foto M.A. Breda). .

Fig. 13. Castello di Vezio, situato al di sopra dell’abitato di Varenna, in una immagine d’epoca. (Archivio Ass.ne S.C.A.M.)

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Fig. 14. Accesso ad un’opera in caverna situata al di sotto del recinto principale del Castello di Vezio. È composta da quattro piccole postazioni dotate di feritoia riquadrata in cemento, rivolte verso il lago e la sponda di Menaggio. (Foto M.A. Breda) .

Fig. 15. «Batteria blindata per quattro pezzi da 149 – ricoveri ed osservatorio in caverna» prima parte della planimetria (Archivio Terzo Reparto Infrastrutture Ufficio Demanio del Genio Militare di Milano).

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Fig. 16. Proiettile del mortaio da 305 mm Skoda, austriaco: era in grado di demolire qualsiasi tipo di batteria corazzata italiana. (Foto G. Padovan)

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Fig. 17. «Batteria blindata per quattro pezzi da 149 – ricoveri ed osservatorio in caverna» seconda parte della planimetria. (Archivio Terzo Reparto Infrastrutture Ufficio Demanio del Genio Militare di Milano) .

Fig. 18. Accesso a uno degli impianti sotterranei, esterni al borgo di Vezio. (Foto M.A. Breda)

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Fig. 19. Tratto di galleria scavata nel Calcare di Esino, accessibile dal «sentiero verso Fiumelatte». (Foto M.A. Breda) .

Fig. 20. Foto panoramica, la quale inquadra uno scorcio dell’area dove si trovano i resti delle opere di Castel Vezio (A). Al di sotto abbiamo il borgo di Varenna (B) e di fronte vi è Menaggio (C). (Foto M.A. Breda)

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Fig. 21. Costruzione situata a lato e a controllo del sentiero che da Vezio sale verso Ortanella, eretta sui resti di una struttura preesistente. (Foto G. Padovan)

Fig. 22. Ruderi di una casermetta situata al di sotto del sentiero che da Vezio sale verso Ortanella, nelle immediate vicinanze della precedente struttura, alla fig. 21. (Foto G. Padovan)

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Tav. 1. Punti di invasione e opere di difesa.

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al di sopra dello specchio acqueo, s’inerpicava su tale sbarramento, passando attraverso il passo tagliato nella roccia e protetto da opere di fortificazione. Oggi si passa tra il cimitero a destra e la chiesa a sinistra. Quest’ultima poggia le fondamenta direttamente sui resti di due ben distinte fortificazioni: la prima, più grande, conserva solo i lacerti delle fondazioni, solidamente ancorate alla roccia strapiombante. La seconda, arretrata di poche decine di centimetri rispetto alla prima, mantiene un paio di locali tra loro comunicanti e di cui si è steso il rilievo planimetrico nel corso delle nostre indagini. Nel XIX secolo l’incomodo passaggio in cresta è stato sostituito da una galleria stradale scavata nella roccia viva e poi parzialmente rivestita. Orlando Chiari, nella sua guida Le mie montagne, così ce ne parla dando un colore diverso alla cronaca storica, troppo spesso fatta d’incolori documenti e piani di battaglia: «andiamo alla ricerca del signor Gianpiero Brigatti, depositario delle chiavi della galleria, e lo incontriamo mentre è di ritorno dal suo orticello; è un uomo molto lucido e in gamba nonostante i suoi novantanni di età, è infatti nato nel 1915. Gianpiero, che è l’incaricato del comune di Brienno, ci porta a visitare l’opera realizzata durante la guerra del 1915-1918. [...] La galleria che vogliamo visitare si trova in località Puncet, ed è stata realizzata sotto il piazzale della chiesa della madonna delle Grazie. Notiamo due cancelli, quello di sinistra immetteva in un piccolo locale in cui era posizionato il generatore di energia elettrica, necessario per illuminare la galleria. Entriamo in quello di destra, su cui è incisa la data: 1917. Subito a destra troviamo il pozzo n° 5» (Chiari O. 2007, pp. 94-96). In questi ultimi anni, grazie soprattutto al sindaco di Brienno Patrizia Nava (Lista Civica), l’opera è tenuta pulita e aperta al pubblico. E questo nonostante i problemi che il Comune deve continuamente affrontare, contando quasi esclusivamente su sé stesso: non ultimo l’alluvione del 2011, che ha causato ingenti danni; l’immagine di una casa sventrata dall’esondazione del torrente si può vedere nella tavola n. 2 (tav. n. 2).

ma non di distruggerla completamente. Interrompendola si costringeva l’eventuale avversario a non poter percorrerla innanzitutto con i traini delle artiglierie e tutto l’equipaggiamento “pesante”, costringendolo ad attestarsi per lo sgombero delle macerie e la messa in sicurezza del passaggio. Questo avrebbe consentito, da parte italiana, di organizzare le difese ed operare un contrattacco per la riconquista del settore e, quindi, della viabilità. Alla tavola n. 5 (tav. n. 5) la planimetria mostra l’articolazione dell’impianto: si tratta di una galleria rettilinea e in leggera pendenza lunga complessivamente 34,94 m, nella cui parte terminale è stata ricavata la polveriera più piccola (Santa Barbara) e in cui venivano conservati gli inneschi. Sette bracci si staccano da questo asse principale. Il primo è il ramo d’accesso, il quale lascia subito alla destra il pozzo n. 5. Di fronte vi è il condotto in muratura che comunicava con la stanza del generatore e attraverso cui passavano i cavi elettrici. Quasi in asse vi è il secondo ramo, con la stanza di casermaggio, la cisterna e il pozzo n. 6. Il terzo ramo conduce alla polveriera, mentre i due successivi alla seconda cisterna e al pozzo n. 4, con di fronte il pozzo n. 3. L’ulteriore ramo in direzione ovest conduce alla terza cisterna e al pozzo n. 2, mentre di fronte vie è l’ultimo ramo con il pozzo n. 1. Al centro di ogni galleria vi è la copertura in lastre di pietra del sottostante canaletto di scolo delle acque d’infiltrazione o dovute all’eventuale tracimazione dell’acqua dalle cisterne. Il tutto è convogliato ad uno scarico situato lateralmente al pozzo n. 1. Un ulteriore pozzetto, sicuramente comunicante con la sottostante galleria (come già osservato presso quella di Nobiallo), se a posteriori ha assolto la funzione di scarico delle acque d’infiltrazione, in origine è servito (con ogni probabilità) all’esatto tracciamento della galleria principale. Le tre cisterne (tav. n. 6) servivano a garantire il completo riempimento (intasamento) dei pozzi da mina ed erano alimentate con acqua sorgiva o d’infiltrazione, raccolta tra la camicia in cemento e la matrice rocciosa. Semplicemente azionando i rubinetti, uno per pozzo, si consentiva il rapido fluire dell’acqua. I sei pozzi (tav. n. 7) sono a sezione quadrangolare, di quasi in metro per lato, e a pochi centimetri dal fondo presentano un poco profondo fornello, volto in direzione della sottostante galleria da minare. Ognuno ha una profondità differente, ma tutti sono rivestiti in cemento lisciato, sono provvisti di scala metallica suddivisa in tre tratte fissata ad una delle pareti e potevano essere chiusi con una serie di tre parallelepipedi in cemento, dotati di maniglie metalliche. In uno soltanto (il n. 2) è stata effettuata l’immersione, per controllarne esattamente le dimensioni e la fattura. Nei restanti pozzi le misure sono state prese mediante rotelle metriche, flessometri e gravi, illuminando il tutto con potenti torce elettriche subacquee. Le due polveriere (tav. n. 8) sono costituite da camere a pianta quadrangolare entro cui è stata realizzata una stanza in muratura, anch’essa a pianta quadrangolare, con apertura sulla volta sigillata da una

4.1 - Lo stato dell’opera Il nostro lavoro è consistito essenzialmente nello stendere il rilievo planimetrico in pianta e in sezione della galleria di demolizione. Questo ci ha permesso, e permette, di comprendere la sua costruzione, la sua funzione e il suo mantenimento nel tempo (tavv. n. 3 e n. 4). Al di sopra della galleria stradale si è scavata una galleria di demolizione provvista di sei pozzi da mina dotati degli appositi fornelli, al fine di bloccare temporaneamente la viabilità della galleria mediante il parziale crollo della roccia circostante tramite il brillamento delle cariche d’esplosivo. Nell’ultimo paragrafo del presente contributo si proporrà il testo integrale del Riassunto delle esperienze di mina eseguite dal 1900 al 1910 presso il 5° reggimento genio per distruggere gallerie ferroviarie, al fine di documentare nel dettaglio l’utilizzo di tali sistemi difensivi. Il compito di queste particolari opere di demolizione era di interrompere momentaneamente la rotabile in galleria,

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Tav. 2. Brienno – inquadramento territoriale.

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Tav. 3. Sovrapposizione.

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Tav. 4. Lo studio dell’opera – funzioni.

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Tav. 5. Lo studio dell’opera – rilievo.

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Tav. 6. Lo studio dell’opera – cisterne.

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lastra di vetro. L’intercapedine consentiva di isolare la camera interna, la quale era illuminata da una lampada, esterna e posta sopra la summenzionata lastra di vetro. Sia l’accesso interno, sia quello interno, erano sigillabili con porte lignee. Lo scavo della roccia è stato rivestito interamente in mattoni a vista, con sigillature in malta idraulica, ma lasciando appositi fori di scarico per le acque d’infiltrazione. Il pavimento, come si è già accennato, è in cemento bocciardato e caratterizzato, al centro dalle lastre litiche a copertura dell’impianto idraulico d’esfiltrazione. Sulla volta a botte di ogni ramo vi è una duplice canalina in muratura incassata, dove passavano i cavi della corrente, la quale serviva sia alla consueta illuminazione, sia all’eventuale innesco delle cariche per il brillamento delle mine. La permanenza dei soldati nel tempo ha fatto sì che qualcuno lasciasse scritto almeno il proprio nome e cognome, incidendoli sui mattoni o scrivendoli con la grafite soprattutto sulle superfici in cemento lisciato. Le ultime tavole dello studio mostrano come sarebbe stata utilizzata l’opera, anche confrontandola con gli impianti di Nobiallo e di Verceia (tavv. n. 9 - n. 12).

così gravi che finora non può ancora dirsi pienamente risoluto. Tra le esperienze fatte al riguardo in questi ultimi anni sono da notarsi, per gli importanti risultati conseguiti, quelle compiute dal 5° reggimento genio nel decennio 1900-1910 in gallerie ferroviarie abbandonate dal servizio. Scopo di tali esperienze era quello di chiarire alcuni punti rimasti ancora controversi nelle esperienze degli anni precedenti, e cioè la disposizione delle cariche e la loro entità, l’efficacia dell’intasamento acqueo coll’impiego della balistite, i sistemi di innescamento, di accensione delle cariche, ecc. Le esperienze eseguite furono sei, cioè: due a Romagnano Vietri (Basilicata) – anni 1900 e 1902; due a Tanno (Chiavenna) – anni 1907 e 1909; due a Manarola (linea Genova-Spezia) – anni 1907 e 1910. Di ciascuna di tali esperienze si indicano in appresso i principali dispositivi adottati, i risultati conseguiti e le deduzioni che scaturirono dall’esame comparativo delle esperienze stesse. I. Esperienze eseguite a Romagnano Vietri nel 1900 alla galleria ferroviaria N. 6. Disposizione delle mine (Tav. I, fig. 1a e 2a). – Consisteva in un gruppo di 5 fornelli, dei quali 4 contro i piedritti (2 per ciascun fianco della galleria e alla distanza di 12 m) e col centro in un piano orizzontale a 3,50 m dal piano stradale della galleria; il 5° fornello sopra la volta di quest’ultima in chiave ed in corrispondenza al centro del rettangolo formato dai 4 precedenti fornelli. I 4 fornelli laterali avevano una linea di minor resistenza di 4 m e la carica era di 400 kg di balistite per ciascun fornello. Per quello in chiave la linea di minor resistenza era di 3,50 m e la carica di 600 kg di balistite.

4.2 - Considerazioni Lo studio del passato è sempre salutare, soprattutto se ci aiuta a comprendere lo stato dell’arte delle opere oggetto d’indagine. Oggi le opere difensive sono andate in parte perdute o si trovano in stato di rudere. Riteniamo sia importante portare a conoscenza di tutti almeno quelle opere ancora in buono stato di conservazione. Tali architetture possono diventare oggetto di consoni riutilizzi. Invece di costruire, cavare e cementificare si può operare altrimenti senza svilire le risorse naturali, preservando e presentando il nostro patrimonio storico, architettonico e archeologico. Se le cavità naturali, come le grotte, sono frutto del lavoro di madre natura e non vanno demolite e nemmeno snaturate, le cavità artificiali sono opera dell’uomo e come tali possono essere riqualificate e possono essere vissute non come un “ostacolo”, ma come un patrimonio di cui usufruire. L’indagine speleologica si rivela quindi un importante contributo allo studio di tali architetture e la considerazione che nasce spontanea è che questo metodo possa servire ad aprire un nuovo orizzonte per lo studio e la ricerca di un aspetto del passato, in funzione del presente.

Intasamento. – Fornello D – colonna d’acqua alta 3,00 m sul fondo della camera da mina, con due ordini di sbadacchi costituiti da travetti di legno lateralmente incastrati nella roccia, l’uno a metà altezza del pozzo, l’altro all’imbocco. Fornello D’ – colonna d’acqua alta 2,00 m sul fondo della camera da mina, con camera d’aria compresa fra la superficie dell’acqua ed uno sbadacchio di legname situato a 0,50 m da quest’ultima. Fornello D’’ – colonna d’acqua alta 2,50 m sul fondo della camera da mina. Fornello D’’’ – colonna d’acqua alta 3,25 m sul fondo della camera da mina. Fornello E – lo spazio compreso fra la parete del vano rettangolare scavato nella roccia e la cassa contenete l’esplosivo (0,50 m) riempito d’acqua fino a 1,10 m, talché la cassa che poggiava sul fondo risultava completamente immersa nell’acqua, la cui superficie era libera.

5 - Rivista Artiglieria e Genio: «Riassunto delle esperienze di mina» Si riporta il testo integrale dello studio relativo alle sperimentazioni sulle gallerie di mina pubblicato nella Rivista di Artiglieria e Genio, Volume I del Gennaio 1912: «Riassunto delle esperienze di mina eseguite dal 1900 al 1910 presso il 5° reggimento genio per distruggere gallerie ferroviarie. Il problema dell’ostruzione in tempo di guerra delle grandi gallerie ferroviarie è dal lato militare di una importanza vitale come lo ha dimostrato luminosamente la campagna franco-germanica del 187071. Ma esso è talmente complesso e presenta difficoltà

La natura della roccia per questi fornelli era la seguente: Cunicolo d’accesso ai pozzi D e D’; calcare compatto durissimo (petardi per lo scavo). Pozzi D e D’; calcare tenero (piccone). Cunicoli d’accesso ai pozzi D’’ e D’’’; in parte calcare compatto duro, in parte tenero (petardi e piccone per lo scavo). Pozzi D’’ e D’’’; l’uno in roccia

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Tav. 7. Lo studio dell’opera – pozzi.

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Tav. 8. Lo studio dell’opera

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Tav. 9 . L’abbattimento della galleria stradale (quota pozzi e disposizione delle cariche).

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Tav. 10. L’abbattimento della galleria stradale.

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Tav. 11 . Opere di difesa sulla direttrice lariana occidentale – Verceia.

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Tav. 12. Opere di difesa sulla direttrice lariana occidentale – Nobiallo.

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dura, l’altro in roccia tenera (petardi e piccone per lo scavo). Cunicolo d’accesso alla camera da mina E; calcare compatto (petardi per lo scavo). Camera da mina E – calcare tenero (l’intera grande camera da mina venne scavata facendo uso del solo piccone).

sulla carica stessa. La qualità della roccia era di natura calcarea, di durezza variabile; e, precisamente, dura in corrispondenza del cunicolo della camera esterna, meno dura dove vennero ricavati il cunicolo e la camera centrale, e meno dura ancora in corrispondenza del cunicolo e della camera interna. Nell’avanzata si fece uso di petardi. Le 3 camere da mina furono invece scavate col solo piccone, e ciò per evitare la caduta dei pezzi di roccia dalla volta della sottostante galleria.

Innescamento. – Si fece uso di salsiccioni inneschi formati con 3 mezze cartucce di gelatina e 6 cilindretti di fulmicotone. Si fece uso dell’elettricità per il brillamento. Effetti d’esplosione. (Tav. I, figg. 3a, 4a, 5a, 6a, 7a). – Delle 5 mine, 4 sole ebbero effetto utile per l’ostruzione della galleria e la 5a si sfogò (fornello D’’) attraverso alle numerose e profonde fenditure che solcavano il versante della montagna. Le 4 cariche che esplosero utilmente dettero luogo ad un ingombro di 800 m3 inclusi i materiali rimasti negli imbuti laterali; calcolando solo il materiale che costituirebbe l’ostruzione, questo sarebbe di 550 m3.

Innescamento. – Si innescarono metà delle cassette. Le mine furono fatte brillare con l’elettricità. Effetti d’esplosione. (Tav. I, figg. 9a, 10a). – 1. La distruzione della galleria per circa 35 m ed il distacco dell’intero blocco roccioso in cui quella era ricavata sono dovuti esclusivamente alla detonazione simultanea delle mine di 550 e 440 kg; l’una collocata, come si disse, in chiave, e l’altra di fianco al piedritto esterno della galleria. 2. La carica di 220 kg di balistite, collocata nella camera da mina laterale interna, ha esploso senza raggiungere la massima intensità, e i suoi effetti si limitarono, nell’interno della camera in cui era situata, ad intaccare assai leggermente per una profondità massima di 0,20 m la parete contro cui era applicata e ad asportare completamente il gradino roccioso con cui il cunicolo terminava verso il fondo. (Tav. I, figg. 11a, 12a).

Osservazioni. – La quantità complessiva di esplosivo impiegata per le 5 mine suddette fu di 2200 kg di balistite; paragonando tale quantitativo all’ingombro ottenuto di 800 m3, risulta che per ogni kg di balistite la roccia proiettata fu di 800/2200 = 0,363 m3, e se si tien conto soltanto del materiale di ingombro e si esclude perciò il fornello D’’, risulta per ogni kg di balistite, 550/1800 = 0,305 m3. II. Esperienze eseguite a Romagnano Vietri nel 1902 (galleria N. 4). L’esperimento consisteva nel brillamenti di 3 cariche, poste rispettivamente in 3 camere da mina da ricavarsi nella roccia avvolgente la parte non rivestita della galleria abbandonata N. 4, situata presso la galleria d’esercizio, detta della Botte (linea ferroviaria Eboli-Salerno). I centri delle 3 cariche dovevano trovarsi in un medesimo piano verticale e normale all’asse di detta galleria e così disposti, rispetto al perimetro della galleria stessa, da far risultare, per la carica situata in chiave, una linea di minor resistenza di 5 m, e per le altre due cariche, simmetriche, rispetto a quella centrale, e sopraelevate di 3,50 m sul piano della galleria, una linea di minor resistenza di 4,00 m. (Tav. I, fig. 8a). A queste 3 camere si doveva accedere per 3 distinti cunicoli di 1 per 1,50 m circa, da ricavarsi nel massiccio roccioso avvolgente la detta galleria N. 4, con imbocco da un ripiano soprastante. Le cariche dovevano essere di balistite del N. 1 e contenere 550 kg quella in chiave, 440 kg quella del piedritto esterno e 220 kg quella del piedritto interno. Quest’ultima fu fatta con carica ridotta, per tema di danneggiare la galleria di esercizio, che distava di 45 m da quella da demolire. Per la stessa ragione, la carica del fornello in chiave, che prima era stata stabilita in 600 kg, fu ridotta a 550 kg. Le cariche furono condizionate in cassette di latta, contenente ciascuna 55 kg di balistite, e furono fatte esplodere con l’elettricità, innescando metà delle cassette. L’intasamento usato fu quello acqueo, in modo che l’acqua circondava da ogni lato la carica, sistemata contro la parete della camera rivolta verso la galleria da distruggere, e si sopraelevava di 0,60 m

Per darsi ragione del mancato effetto del fornello interno si ricordano alcuni esperimenti precedentemente eseguiti: Anno 1899. Esperienze ad Aisone. Roccia dura e di buona qualità. Carica: 10 kg di balistite. Camera da mina cubica, di capacità eguale al volume della carica e scavata lateralmente al pozzo d’accesso. Linea di minor resistenza: 2,00 m; intasamento ad acqua alto 1,00 m. Si effettuarono due prove, ed i risultati ottenuti furono rispettivamente così classificati: buono per l’una, ottimo per l’altra. Con intasamento ad acqua alto 3 m si ripeterono due prove, classificandone i risultati: buono per l’una ed ottimo per l’altra. Anno 1899. Esperienze di mina nella galleria a Romagnano Vietri. Tre cariche disposte in un medesimo piano verticale normale all’asse della galleria, di cui una in chiave e due situate in posizione simmetrica contro i piedritti della galleria. Carica per ciascun fornello: 133 kg di balistite. Camera da mina cubica, di capacità eguale al volume della carica, ricavata lateralmente al pozzo d’accesso. Linea di minor resistenza, comune ai tre fornelli: 4,00 m. Intasamento: colonna d’acqua alta 2 m sopra la carica. Esito: gli effetti si limitarono a sconquassare l’involucro roccioso della galleria con leggeri accenni di deformazione nel rivestimento della galleria stessa. Anno 1900. Esperienze a Bardonecchia. Banco roccioso duro ed omogeneo. Carica: 40 kg di balistite. Camera da mina cubica, di capacità eguale al volume della carica, ricavata non più lateralmente, ma sistemata nel fondo stesso del pozzo d’accesso. Linea di minor resistenza: 3,00 m. Intasamento ad acqua alto 3 m quanto cioè il pozzo di

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accesso. Risultato completo. Anno 1900. Esperienze di mina a Romagnano Vietri. Carica: 200 kg di balistite collocata contro il piedritto della galleria (rivestita). Camera da mina di capacità eguale al volume della carica (1,00 x 0,50 x 0,40), ricavata lateralmente al fondo del pozzo d’accesso, dalla parte del piedritto da abbattere, in parte scavata nella parete del pozzo stesso ed in parte, fino ad avere la prestabilita capacità, nell’interno della roccia. Linea di minor resistenza: 4,00 m. Intasamento ad acqua alto 2,50 m sul fondo della camera da mina. Esito completo.

carica ottenuta con la formula [1], ed n=1,55 per quello in chiave, ciò che equivale a triplicare la carica ottenuta con la formula [1]. Questa carica si tenne inferiore alla carica del fornello esterno, per il timore di danneggiare la galleria d’esercizio. Si usò l’intasamento acqueo per i tre fornelli, e si tenne per i 2 laterali, L=11/10 h; per quello centrale ¼ di meno circa. Per l’accensione si usò la miccia detonante si balistite e polvere. Gli effetti ottenuti furono i seguenti (Tav. II, figg. 15a, 16a, 17a, 18a, 19a, 20a): a) Il fornello esterno (quello corrispondente al pozzo n.1) diede luogo ad effetti esterni enormi, e ad effetti interni non molto rilevanti. Verso l’esterno: un imbuto largo 10 m ed alto 15 m circa, con notevoli proiezioni di materiale nel piano sottostante. Tale materiale venne calcolato in 1500 m3 circa, ed era costituito, oltre che da detriti, da grossi massi di roccia, uno dei quali raggiungeva circa 120 m3. Verso la galleria abbandonata: un imbuto profondo 2 m circa e largo 6,45 m, con proiezione di 100 m3 circa di materiale, che ingombrò la galleria abbandonata in tutta la sua larghezza per un tratto lungi 8,00 m. b) Il fornelli centrale (quello corrispondente al pozzo n. 2) non sfondò la volta, ma diede luogo a proiezioni di materiale che si confusero con quelle del fornello precedente; sconquassò completamente il cunicolo da mina, e produsse verso la galleria abbandonata un imbuto largo 3,10 m e profondo 1,10 m. Di più la volta della ripetuta galleria abbandonata venne lesionata e rotta in blocchi di dimensioni variabili, i quali rimasero in alto per mutuo contrasto. c) Infine il fornello interno (quello corrispondente al pozzo n. 3) non diede luogo ad effetti utili apprezzabili, perché oltre all’allargamento del pozzo, produsse soltanto qualche fessura verso la galleria abbandonata.

Tenuto conto di tali risultati, sarebbe ben difficile addebitare l’insuccesso avuto dalla mina preparata per abbattere il piedritto interno della galleria ad insufficienza di carica (220 kg) rispetto alla linea di minor resistenza di 4,00 m. Sembrerebbe quindi più razionale l’ascrivere il fatto ad una delle seguenti cause, o come parrebbe più del caso, alla loro concomitanza: a) Incompleta detonazione della carica stessa; supposizione giustificata dal fatto che la camera da mina ed il cunicolo d’accesso rimasero quasi intatti, come già si è accennato, per cui nella prima la parete opposta alla carica ed il cielo conservarono perfettamente la loro forma e l’intonaco di cemento, mentre nelle precedenti esperienze e con cariche minori ed in roccia pressoché di egual natura, anche con esito negativo, le camere da mina ed un tratto più o meno lungo del cunicolo vennero sempre completamente deformati e distrutti; b) Poco opportuna distribuzione dell’acqua d’intasamento, in relazione alle dimensioni della carica (0,70x0,80x0,40, quest’ultima dimensione misurata sulla direzione della linea di minor resistenza), per cui lo spazio di 0,85 m occupato dall’acqua lateralmente alla carica è risultato, forse, eccessivo; cosicché per ogni unità di superficie, contro la quale si desideravano i maggiori effetti, non si ebbe che una aliquota della pressione totale sviluppata dall’esplosione, insufficiente allo scopo.

IV. Prima esperienza nella galleria di Manarola. La galleria abbandonata di Manarola è scavata nello sperone roccioso di Zuccarello, fra le stazioni di Corniglia e Manarola, e dista dalla galleria in esercizio di 50 m circa, misurati ove si scavarono i pozzi per l’esperienza. La roccia nella quale venne scavata la galleria è costituita da calcare schistoso, di compattezza variabile e con stratificazione quasi regolare, ed è rivestita soltanto nelle pareti. La galleria ha una larghezza massima di 4,60 m ed altezza da 6,50 a 6,80 m. Per eseguire l’esperienza, si scavarono 3 pozzi con gli assi in un piano verticale normale all’asse della galleria da ostruire e con la linea di minor resistenza di 4 m. La tavola II, figg 21a, 22a, 23a, 24a, mostra la disposizione di questi pozzi e delle cariche. La carica adottata per i 3 fornelli fu di 180 kg di balistite per ciascuno e fu dedotta dalla formula suindicata,i cui però si fece m = 3,27 perché la roccia, se era compatta era però meno dura di quella di Tanno. Si fece n = 1,73 nella formula C’= C(√1+n2 -0,41)3. L’intasamento adottato fu quello acqueo, di lunghezza L=11/10 h, cioè 4,40 m. In realtà però il pozzo centrale, nell’eseguire l’intasamento acqueo con quello di terra, ridotto a pochi centimetri soltanto per mancanza di tempo. Il brillamento venne ottenuto con 2 distinti circuiti di miccia detonante di

III. Prima esperienza nella galleria abbandonata di Tanno. Nella galleria ferroviaria abbandonata di Tanno si fecero due esperienze di mina per l’ostruzione della galleria stessa. La galleria di Tanno è scavata in roccia durissima costituita da anfiboloscisti con filoni di granito e silice; è ad un sol binario e perciò ha una larghezza massima di 4,80 m e non è rivestita, ad eccezione per l’imbocco a monte, ove pareti e volta sono rivestite per un tratto di 4 m. Per eseguire la 1° esperienza, si scavarono 3 pozzi, come risulta dalla Tav. II, figg. 13a, 14a. Calcolo delle cariche. – Si fece uso della formula: C=0,20 mh3 [1] – combinata con l’altra C’=C (√1+ n2 -0,41)3. In esse si fece m=4,24 ed h=4 per il fornello esterno e per quello in chiave, ed eguale a 2 m per quello interno, e ciò perché la galleria d’esercizio distava appena di 27,45 m. Inoltre nella formula [2] si fece n=1,73 per i fornelli laterali, il che equivale a quadruplicare la

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Opere di mina: la galleria di demolizione di Brienno (Como)

Tav. I, fig. 1°. .

Tav. I, fig. 2°.

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Tav. I, fig. 3°. .

Tav. I, fig. 4°.

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Tav. I, fig. 5°. .

Tav. I, fig. 6°.

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Tav. I, fig. 7°.

Tav. I, fig. 8°.

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Tav. I, fig. 9°. .

Tav. I, fig. 10°.

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Tav. I, fig. 11° e 12°. .

Tav. II, fig. 13°.

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Tav. II, fig. 14°. .

Tav. II, fig. 15°.

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balistite e polvere, dai quali si diramarono le micce pure detonanti per le cassette, ognuna delle quali era munita di 2 inneschi di fulmicotone di 50 g.

b) I fornelli dei pozzi n. 1 e 2 diedero effetti, verso l’interno della galleria, incompleti, poiché non si ottenne lo sfondamento della volta della galleria, ma si ebbe un distacco parziale, verso l’interno, della volta della galleria medesima, essendo risultato fra le pareti, contro cui erano applicate le cariche e l’imbuto prodotto nella volta un diaframma di roccia grosso 1,20 m per il fornello n. 2, e 2 m per il fornello n. 1. Si è calcolato che dei materiali ingombranti l’interno della galleria, oltre 90 m3 dovuti ai fornelli del pozzo n. 3, 24 m3 siano dovuti all’azione del fornello n. 1 e 31 m3 al fornello n. 2. I due fornelli n. 1 e 2, ebbero però considerevoli effetti all’esterno della galleria, sulla falda soprastante la galleria medesima. Si misurò e calcolò che il fornello n. 1 produsse 80 m3 di materiale smosso esternamente alla galleria e 290 m3 ne produsse il fornello n. 2. Anche i due fornelli del pozzo n. 3, oltre agli eccellenti effetti prodotti nell’interno della galleria, ebbero qualche effetto all’esterno, però di poca entità, calcolandosi a 20 m3 il volume dei materiali smossi lungo la falda. Dall’esame delle figg. 33 a 34 a della tav. III, si possono rilevare gli effetti prodotti dalle mine nella falda montana esterna alla galleria. In complesso: nell’interno della galleria si ebbe un ingombro di 154 m3 di materiali, costituito da un cumulo di lunghezza massima di 23 m e altezza massima di 5 m. All’esterno della galleria, in corrispondenza delle mine, dove il terreno appariva completamente sconvolto, si potevano valutare in totale 390 mc di materiali smossi e proiettati fuori dal loro sedime. In totale quindi si ebbero:

Risultati ottenuti. (Tav. II, fig. 25a, 26a, 27a). Da un sommario esame della galleria ferroviaria abbandonata, del cunicolo e del terreno circostante, si rilevò: 1°. che l’azione dei due fornelli contro i piedritti fu assai efficace, perché la galleria ferroviaria abbandonata risultò completamente ostruita. Il solido di interruzione aveva forma di tronco di piramide con la base inferiore di 28 x 4,60 m; quella superiore di 2 x 2 m, altezza di 7 m: cioè un’altezza maggiore di quella della galleria abbandonata, in conseguenza dei franamenti causati dal fornello centrale. In totale 375 m3 circa di materiale proiettato nell’interno della galleria; 2°. che l’azione in basso del fornello centrale fu limitatissima, e ciò presumibilmente in causa dell’insufficiente intasamento; 3°. che i massi caduti erano nella gran parte di grossezza tale, da richiedere l’impiego di mazze da pietrame o di petardi prima del loro trasporto; 4°. che i due fornelli ai piedritti agirono in modo uguale e simmetrico. V. Seconda esperienza alla galleria di Tanno. I 3 pozzi occorrenti per l’esperienza si scavarono a 13 m di distanza dalle estreme tracce di commozione, prodotte nel terreno circostante dal brillamento del 1907. Il dispositivo dei 3 fornelli fu il seguente (Tav. III, fig 28a): un fornello in chiave con h=3; un fornello al fianco esterno con h=4. La carica di questo fornello fu posta a 5m superiormente al piano stradale della galleria, cioè in corrispondenza delle reni della volta. Il fornello interno fu costituito da due piccoli rami orizzontali dipartentesi dal fondo del pozzo e lunghi 3m, con h=2,50 m dal piano stradale della galleria. Le cariche furono calcolate come nella prima esperienza di Tanno, essendosi usata la balistite per esplosivo, con le seguenti varianti: si fece n=1,73 m per le due cariche ai fianchi e n=2,50 m per la carica centrale, cioè si impiegarono 225 kg per i fornelli in chiave e per quello esterno, e 56 kg per ciascuno dei due fornelli del fianco interno. Intasamento acqueo con L=11/10 h. Innescamento e brillamento come nella precedente esperienza di Manarola.

154 m3 di roccia proiettata nell’interno della galleria. 390 m3 di roccia smossa e proiettata lungo la falda. 544 m3 totale generale. Finalmente giova osservare che i fornelli del pozzo n. 3 diedero luogo anche ad un leggero contraccolpo nella galleria d’esercizio, producendo il distacco di circa 1 m3 di materiali dal piedritto più vicino della galleria medesima. Il piccolo ingombro venne però subito rimosso, e l’amministrazione ferroviaria non ebbe alcuna lagnanza da muovere. In altri termini, tenuto conto solo del materiale proiettato nella galleria, si ebbe per ogni kg di balistite circa 0,30 m3 di roccia. VI. Seconda esperienza di Manarola. I nuovi lavori di mina vennero eseguiti in corrispondenza ad una sezione situata a 18 m da quella dell’esperienza del 1907: la roccia era colà calcarea, scistosa, a stratificazione regolare e di compattezza varia. Si praticarono 3 camere da mina (Tav. IV, fig 35a): una in chiave, con linea di minor resistenza di 3 m, che fu caricata con 180 kg di balistite, e due contro i piedritti, col centro di carica a 2,20 m sul piano stradale della galleria, e con linea di minor resistenza di 4 m, che furono caricate entrambe pure con 180 kg di balistite ciascuna. Si seguirono cioè gli stessi criteri adottati per la seconda esperienza di Tanno, in cui si fece m=3,27 ed n=1,73 per i fornelli ai fianchi ed n=2,50 per quello centrale. Le cariche dei 3 pozzi furono

Risultati ottenuti. (Tav. III, figg 29a, 30a, 31a, 32a, 33a, 34a): a) I 2 fornelli del pozzo n. 3 diedero effetti ottimi e superiori a quanto si poteva prevedere. Non solamente la parte rocciosa, contro la quale erano applicate le cariche, venne demolita, con la produzione di un imbuto ben deciso e netto, ma i materiali vennero proiettati fin contro la parete opposta della galleria. Inoltre gli imbuti parziali relativi ai 2 fornelli, sebbene la linea di minor resistenza fosse di 2,50 m e la distanza fra i centri dei due fornelli fosse di 5,40 m, si compenetrarono completamente. Il volume del’imbuto complessivo, prodotto dai 2 fornelli di che trattasi, fu di 60 m3; quello del materiale smosso e proiettato 99 m3.

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Tav. II, fig. 16°. .

Tav. II, fig. 17° e 18°.

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Tav. II, fig. 19° e 20°. .

Tav. II, fig. 21°. .

Tav. II, fig. 22°.

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collocate all’estremità di rami orizzontali paralleli all’asse della galleria, partendo dal fondo del pozzo e lunghi 3,30 m ciascuno. L’intasamento usato fu quello acqueo, usando la formola L= nh; però in quello centrale, essendo insufficiente l’intasamento, si impiegò il calcestruzzo, in luogo dell’acqua, nell’angolo formato dal pozzo col ramo e per la lunghezza di 1 m. Effettuato il brillamento con miccia detonante di balistite e polvere con inneschi di tubetti e gelatina, si ebbero gli effetti seguenti (Tav. IV, figg 36a, 37a, 38a, 39a, 40a, 41a): I due fornelli dei fianchi sfondarono completamente la roccia che li divideva dalla galleria, formando due imbuti dell’apertura massima di 20 a 22 m misurata sui fianchi della galleria, ed un cumulo di materiali alto fino a 7 m circa, costituito in parte da frantumi ed in parte da massi, alcuni del volume fra 1 e 2 m3. Il fornello in chiave non riuscì a sfondare la volta, ma solo a staccare da questa una calotta grossa 1,50, larga quanto la galleria e lunga circa 12 m, e a produrre alcune grosse fenditure che dal pozzo si estendevano fino al cielo della galleria. Il volume complessivo del materiale proiettato nell’interno della galleria fu di circa 550 m3, il che corrisponde a circa un metro cubo di materiale, per ogni kg di esplosivo impiegato. Nello specchio annesso si sono riassunte le suindicate esperienze, indicando altresì i risultati avuti in ciascheduna di esse.

scavo richiese sempre l’uso del petardo, specialmente nei rami al fondo dei pozzi. Di una durezza eccezionale era poi la roccia nella galleria di Tanno. II. Le cariche, costituite di balistite in grani in tutte le esperienze, vennero disposte in gruppi di 3, con i centri in un piano verticale normale all’asse della galleria; solo nelle esperienze di Romagnano Vietri del 1900, si disposero le cariche in numero di 5 a padiglione. In tutte queste esperienze è meritevole di un esame speciale la disposizione delle cariche disposte lateralmente a quella centrale. Nella seconda esperienza di Tanno, allo scopo di diminuire il lavoro nello scavo dei pozzi, che nella prima esperienza si era addimostrato molto faticoso, ed anche per contribuire con maggiore efficacia allo sfondamento della volta in concomitanza col fornello centrale, si credette opportuno disporre la carica laterale esterna molto in alto, in modo da corrispondere alle reni della volta stessa. Ma i risultati ottenuti dimostrarono che il minor lavoro dello scavo del pozzo andava a forte detrimento dell’effetto di rottura e quindi di ostruzione della galleria. La ragione di ciò sembra possa essere la seguente: in tutte queste esperienze si è dimostrato palesemente che la difficoltà di rottura di una parete rocciosa cresce immensamente a misura che cresce la concavità della parete rivolta verso l’interno della galleria. Ora se si pone una carica in corrispondenza dei reni della volta, si va appunto incontro a siffatta difficoltà, la quale, se è alquanto minore di quella che incontra la mina disposta sopra la chiave di volta, è pur sempre considerevole; se invece si pone la carica laterale al disotto del piano di imposta della volta e precisamente in modo che corrisponda a circa metà altezza del piedritto, si renderà molto più facile il rovesciamento di questo, perché esso è formato o da una parete piana o da una parete leggermente concava, ossia con un raggio di curvatura molto grande. La disposizione delle cariche laterali, situate più in basso dell’imposta dell’arco, fu adottata nei due esperimenti di Manarola con ottimo risultato per tutti e quattro i fornelli, due per ogni esperienza. Nel 2° esperimento di Tanno la carica interna fu posta nel modo dianzi detto, quella esterna invece fu situata in corrispondenza dei reni della volta, come testé si è accennato e i risultati dimostrarono quanto sia più conveniente la prima disposizione rispetto alla seconda.

Deduzioni. In seguito alla serie di esperienze sopra descritte occorre esaminare: 1° le condizioni in cui si trovano le galelrie sottoposte ad esperimenti; 2° la disposizione delle cariche; 3° la quantità di esplosivo impiegata, l’intasamento eseguito e gli effetti ottenuti. I. Le gallerie esperimentate erano tutte ad un solo binario. Quelle di Romagnano Vietri erano scavate in roccia di natura calcarea, di consistenza vetrosa e di durezza alquanto variabile, ma che diminuiva a misura che lo scavo si approfondiva, tanto che nelle esperienze dl 1902 alcune camere di mina, come già si è detto, si poterono scavare senza ricorrere ai petardi, ma solamente con l’uso di picconi. Inoltre è da tener presente che, quantunque le gallerie in esame fossero tutte per strade ferrate ad un solo binario, pure quella sperimentata a Romagnano Vietri nel 1902 aveva perduto il sesto caratteristico della galleria ferroviaria ad un solo binario. Infatti per effetto dei petardoni di avanguardia, fatti esplodere in detta galleria nel 1899, che non solo fecero cadere l’intero suo rivestimento, ma formarono altresì nei piedritti rocciosi degli imbuti compenetrantisi, il primitivo profilo a raggio di curvatura in chiave molto piccolo, adottato non per resistere a spinte della roccia, ma solo per dare sufficiente stabilità alla leggera struttura del rivestimento di protezione, s’era di molto modificato, ed ora la volta della nuda roccia presentava sesto assai ribassato. La roccia nelle esperienze di Manarola era più dura di quella incontrata nelle esperienze di Romagnano Vietri, e lo

III. Nelle esperienze del 1900 si impiegarono a Romagnano Vietri per i fornelli laterali 400 kg di balistite e per il centrale 600 kg. Per i primi si fece h = 4 e per il secondo h = 3,50. Per stabilire la carica dei fornelli laterali, si fece uso della formola fissata per il Fréjus: C = 6 h3, in cui C è la carica in gelatina esplosiva, e la carica centrale fu stabilita empiricamente. Si ignorano i criteri che servirono di base per stabilire quella formola. Se si paragonano queste cariche con quelle adottate nelle due esperienze di Manarola e nelle due di Tanno, per quanto si riferisce ai fornelli laterali, si deduce: che la carica C, dedotta dalla formula C = 0,20 m h3, (in cui m = 2,50, h = 4) sarebbe C = 32; combinata con l’altra formola: C’ = C

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Tav. II, fig. 23° e 24°. .

Tav. II, fig. 25°, 26°, 27°. .

Tav. III, fig. 28°.

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Opere di mina: la galleria di demolizione di Brienno (Como)

(√ 1 + n2 -0,41)3 ; nella quale, con n = 1,73, si ottiene C’ = 4 C, ossia C’ = 128 kg; e qualora per maggior sicurezza si volesse fare n=1,80, la carica sarebbe risultata di 32 x 4,50 = 144 kg. Cioè sensibilmente inferiore a quella usata a Romagnano-Vietri. E che calcolando in tal modo la carica si dovesse ottenere un effetto più che soddisfacente, lo dimostrano i risultati favorevoli ottenuti in cinque prove fatte in tre esperienze diverse, nelle quali la roccia era più resistente di quella di Romagnano Vietri, specialmente quella di Tanno. Si può osservare che in esperienze fatte l’anno prima, pure in Romagnano Vietri, in roccia simile a quella dell’esperimento del 1900, e nelle quali si usarono cariche di 133 kg, gli effetti furono insignificanti e quasi nulli. Ma la causa di questi risaltati, anziché attribuirsi all’insufficienza della carica, va ricercata anzitutto nella deficienza di intasamento, che fu stabilito in 2 m, mentre avrebbe dovuto essere almeno di 4 m, o meglio di 7 m circa. In secondo luogo, alla disposizione delle cariche laterali, che risultano in corrispondenza delle due reni della volta, anziché in corrispondenza dei piedritti. Il risultato negativo ottenuto nel fornello interno, caricato con 220 kg di balistite nella seconda esperienza di Romagnano Vietri eseguita nel 1902, è ancora più meritevole d esame. Col metodo adottato in questi ultimi anni dal 5° genio nel calcolare le cariche, e più sopra ricordato, risulta che per ottenere una carica di 220 kg di balistite, bisogna fare, nella citata formola, n = 2,05, cosicché se, nonostante cariche così forti, l’effetto fu quasi nullo, la causa principale deve attribuirsi all’insufficienza di intasamento (appena 0,60 m). E confortano questa asserzione altre 2 esperienze eseguite sempre a Romagnano Vietri nel 1899. Si sperimentarono due cariche poste in identiche condizioni contro i fianchi di una stessa galleria con linea di minor resistenza di 4 m, con carica l una di 400 kg di balistite e l’altra di 200 kg. Intasate l’una e l’altra con 2 m d acqua, diedero risultati pressoché uguali, cioè nel 1° caso la massa ingombrante la galleria fu di 110 m3, nel 2° caso di 100 m3. Il che prova che l’insufficienza di intasamento produsse effetti molto limitati (0,25 di m3 di rottami per ogni kg di balistite nel 1° caso, e 0,50 m3 nel 2° caso). L intasamento avrebbe dovuto essere : nel 1° caso L = n h = 2,50 x 4 = 10; nel secondo caso L = 2,05 x 4 = 10,20. La necessità di avere un perfetto intasamento è dimostrata anche dalle esperienze sovracitate di Aisone. Nelle esperienze varie eseguite a Romagnano Vietri fu sempre impiegato un intasamento più o meno incompleto, il che indusse nella conclusione di impiegare una grande quantità di esplosivo, per ottenere effetti che si sarebbero avuti, qualora si fosse fatto il necessario intasamento. E tanto è vero ciò, che talora si aumentarono le cariche sino a 400 kg, mentre sarebbe stato sufficiente, come si è visto, una carica di 144 kg di balistite, se regolarmente intasata. Né è a ritenere che vi sia contraddizione fra gli effetti ottenuti, abbastanza soddisfacenti, con la mina carica di 200 kg di balistite fatta esplodere nel 1899, e quelli nulli della mina carica di 220 kg di balistite fatta esplodere nel 1902, poiché questa aveva non solo, come si è visto, un intasamento di appena 0,60 m d’acqua, ma aveva altresì il ramo di accesso alla carica

in posizione tale da facilitare grandemente l’uscita dei gas, come mostra all’evidenza la Tav. I figg. 11a 12a: mentre l’altra, oltre ad avere un intasamento di 2 m d’acqua, aveva la carica disposta in modo da rendere meno agevole la sfuggita dei gas. A maggiormente confermare la necessità di bene intasare le cariche in genere, e nel caso in esame quelle di balistite, si pongano a raffronto le Figg. 36a, 37a, 38a, 39a, 40a, 41a della Tav. IV con le Figg. 42a, 43a, 44a della stessa tavola, relative, queste, alle esperienze eseguite a Romagnano Vietri nel 1899, e risulta evidente l’effetto di gran lunga maggiore ottenuto a Menarola rispetto a quello di Romagnano Vietri. In quelle lo svasamento nel senso orizzontale delle mine laterali, caricate ciascuna con 180 kg di balistite, raggiunse o superò i 20 m, in questa fu appena di 7,62 m nella mina carica con 400 kg di balistite, e di 7,15 m in quella carica con 200 kg di balistite. Si noti inoltre come nella mina di 400 kg l’effetto contro la parete opposta alla linea di minor resistenza fu molto sensibile, talché quest’ultima rovinò per 2,50 m nel senso della profondità; nell’altra mina di 200 kg rovinò per 2,10 m; tale lavoro quindi andò a detrimento dell’effetto che si voleva ottenere. Invece nelle due mine di Manarola gli effetti si arrestarono alla parete del pozzo opposta alla linea di minor resistenza. Effetti simili si erano ottenuti anche nella prima esperienza di Manarola, ma lo svasamento fu alquanto inferiore perché l’intasamento era minore, e la disposizione delle cariche non era cosi favorevole come in quelle della seconda esperienza di Manarola. Ad ogni modo il raggio dell’imbuto risultò, nella prima esperienza, di 5,50 m, cioè superiore ad h = 4, come doveva risultare, essendo la mina sopraccarica; mentre, come è noto, per la mina ordinaria, in questo caso si sarebbe ottenuto r = 4. Nelle esperienze invece di Romagnano Vietri si ebbe in un caso, con la carica di 400 kg, r = 3,81 e nell’altro con la carica di 200 kg, r = 3,57; raggi cioè di mine sotto cariche, mentre, come si è visto, erano mine sopraccariche e in quella di 400 kg il raggio r doveva avere un valore più del doppio di quello che si ebbe. Occorre poi rilevare che nell’esperienza di Romagnano Vietri del 1902 si ebbe bensì lo sfondamento della volta, ma le condizioni statiche di quest’ultima, come si accennò, erano ben più favorevoli di quelle della galleria di Manarola, sia per essere la roccia molto più tenera, sia per avere la volta a sesto ribassato, sia infine per essere stata la volta stessa in parte scossa per effetto dei petardoni ivi praticati gli anni antecedenti. E ciò è provato anche dal seguente confronto. La quantità di esplosivo impiegata nella precitata esperienza di Romagnano Vietri fu, relativamente, non poco inferiore a quella usata nella seconda esperienza di Manarola, nella quale non si riuscì a sfondare la volta. In fatto in questa esperienza la carica impiegata a tale intento fu di 180 kg di balistite, e di 1 kg di gelatina ossia 10 volte superiore a quella data dalla formula C = 0,20 m h3 = 0,20 x 3,27 x 33 = 17,16. A Romagnano Vietri fu invece impiegata una carica di 550 di balistite, mentre applicando

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Tav. III, fig. 29°.

Tav. III, fig. 30°, 31°, 32°.

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Opere di mina: la galleria di demolizione di Brienno (Como)

Tav. III, fig. 33°. .

Tav. III, fig. 34°.

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Tav. IV, fig. 35°. .

Tav. IV, fig. 36°.

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Tav. IV, fig. 37°. .

Tav. IV, fig. 38°.

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Tav. IV, fig. 39° e 40°.

Tav. IV, fig. 41°.

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Opere di mina: la galleria di demolizione di Brienno (Como)

Tav. IV, fig. 42°. .

Tav. IV, fig. 43° e 44°.

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la stessa formula sarebbe stata C = 0,20 x 2,50 x 53 = 62,50. S’impiegò quindi una carica 8,6 volte superiore alla carica C. Come si vede adunque questa carica fu inferiore a quella usata, con risultato negativo, a Manarola, quantunque in questo secondo caso l’intasamento fosse stato eseguito con grande cura e perciò la carica si trovasse in condizioni senza confronti più favorevoli di quella di Romagnano Vietri. Ora nonostante le favorevoli condizioni alla rottura della galleria di Romaganno Vietri, come sopra si è detto, l’ingombro della galleria stessa risultò di 35 m. Se invece si fosse disposta all’incirca la stessa quantità di esplosivo ripartita in 3 gruppi di mine, a circa 20 m fra loro, collocati contro i piedritti della galleria, con linea di minor resistenza di 4,5 m ciascuno e con carica di circa 205 kg di balistite, cioè di poco superiore a quella impiegata nell’interruzione in esame (kg 1230 in luogo di 1210), si avrebbe avuto una ostruzione lunga quasi 60 m, cioè quasi doppia di quanto si ottenne con quella esperienza.

Vezio, la Famiglia Greppi ed in particolare Marco Airoldi. Si ringrazia l’Amministrazione Comunale di Brienno ed in particolare il Sindaco, Patrizia Nava. Si ringrazia il Terzo Reparto Infrastrutture Ufficio Demanio del Genio Militare di Milano ed in particolare il Maggiore Fernando Pusceddu. Si ringrazia inoltre l’Archivio Storico del Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto ed in particolare Nicola Fontana. Si ringrazia il Museo della Guerra Bianca in Adamello e in particolare Antonio Trotti. 7 - Bibliografia Belloni L.M. 1990, Occupazione avanzata frontiera nord “O.A.F.N.” analisi storico-tipologica dell’impianto, in Allevi P., Roncai L. -a cura di-, Architettura fortificata in Lombardia, Editrice Turris, Cremona, pp. 30-33. Cadorna L. 1925, Altre pagine sulla Grande Guerra, Mondadori A., Milano.

Oltre a ciò è da considerare che una serie di 3 o più fornelli per ciascuno dei fianchi della galleria, con i raggi di esplosione compenetrantisi far di loro, produrranno all’atto dell’esplosione due enormi squarci per ciascun fianco, profondo poco più della linea di minor resistenza, che generalmente è di 4 m almeno, sicché il cielo della volta rimarrà privo di appoggi laterali per più decine di metri, e per conseguenza, o rovinerà col rovesciamento dei piedritti o se rimarrà ancora aderente alla rimanente roccia, si troverà in equilibrio talmente instabile, anche per effetto della violenta scossa subita all’atto dell’esplosione, da obbligare a ricorrere a robusti puntellamenti con non lieve perdita di tempo. Da quanto si è esposto, pare si possa conchiudere che per ostruire una galleria ferroviaria ed avere risultati certi, conviene, di massima, minare i due piedritti e stabilire una serie di fornelli tali da ottenere un’interruzione della lunghezza da 60 a 100 m. La carica in tal caso va calcolata, ponendo di massima n = 1,80, cioè C’ = 4,50 C e la lunghezza d’intasamento facendo L = n h» (P.S. 1912, pp. 5-27).

Chiari O. 2007, Le mie montagne, Arti Grafiche Pizzi, Milano. Comando del Corpo di Stato Maggiore Ufficio Difesa dello Stato s.d., Sunto dei precedenti relativi alle difese fra il Lago Maggiore ed il Lago di Como, dattiloscritto in Archivio Storico del Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto. Enciclopedia Rizzoli Larousse 2003, Enciclopedia, vol. 4, Milano. Giussani A. 1905, Il Forte di Fuentes. Episodi e documenti di una lotta secolare per il dominio della Valtellina, Tipografia Editrice Ostinelli, Como. Livio T., Storia di Roma dalla sua fondazione, Scandola M. (trad. di), vol. I (Libri I-III), Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1997.

6 - Contributi e ringraziamenti

P.S. 1912, Riassunto delle esperienze di mina eseguite dal 1900 al 1910 presso il 5° Reggimento Genio per distruggere gallerie ferroviarie, in Rivista di Artiglieria e Genio, Vol. I, Tipografia Enrico Voghera, Roma, pp. 5-27.

Nel presente contributo i paragrafi 3, 3.1, 3.2 e 5 sono di Maria Antonietta Breda. Gli altri paragrafi sono di tutti e tre gli autori.

Touring Club Italiano 1930, Sui campi di battaglia del Medio e Basso Isonzo, Milano.

La restituzione su CAD e le tavole sono state effettuate da Roberto Basilico e Sara Fumagalli.

Trotti A. 2011, Le grandi opere in caverna della Frontiera Nord. I sistemi difensivi e le grandi opere fortificate in Lombardia tra l’Età Moderna e la Grande Guerra, Vol. 2, Regione Lombardia, Museo della Guerra Bianca in Adamello, Varese.

Alle operazioni di studio e di rilievo delle opere hanno partecipato, oltre agli autori del presente contributo, le seguenti persone alle quali va il nostro ringraziamento: Roberto Basilico, Claudio Carnello, Laura Coos, Luca Fachera, Maurizio Gatti, Francesco Ragozzino. Si ringrazia la Polizia Municipale di Menaggio e in particolare Moreno Ortelli. Si ringrazia l’Associazione Nazionale Alpini Sezione di Como Gruppo di Menaggio e in particolare Tino Ortelli. Si ringrazia l’Associazione Turistica Castello di

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Strade e opere difensive militari dell’alto Garda Bresciano: un patrimonio da conoscere e salvaguardare v

STRADE E OPERE DIFENSIVE MILITARI DELL’ALTO GARDA BRESCIANO: UN PATRIMONIO DA CONOSCERE E SALVAGUARDARE Autori Alberta Cazzani Camillo Sangiorgio

Dipartimento di Progettazione dell’Architettura del Politecnico di Milano Dipartimento di Progettazione dell’Architettura del Politecnico di Milano

Sommario La viabilità storica è un bene culturale lineare, costituito oltre che dal manufatto viario e dalle relative opere di ingegneria stradale (muri di sostegno, gallerie, ponti, opere per la regimazione delle acque, etc.), anche da edifici di supporto, legati alle antiche funzioni commerciali, militari, produttive o religiose della strada e dal paesaggio naturale o antropico in cui il percorso è inserito. Una strada - di antiche origini o di più recente costruzione - forma dunque un sistema complesso, di interesse tecnico, architettonico e paesistico. Se nello specifico si considerano i percorsi militari ancora conservati nell’alto Garda bresciano, lungo la linea del fronte italo-austriaco della Prima Guerra Mondiale, si rilevano tracciati caratterizzati da particolari opere di ingegneria stradale (imponenti muri in pietra a secco, tornanti, lunghi tratti selciati, gallerie, ecc.) connessi a numerose trincee, opere difensive e a resti di villaggi, ospedali e forti. Si tratta di un patrimonio complesso di particolare valore storico, culturale e architettonico all’interno di aree di notevole interesse paesaggistico e naturalistico. L’intervento intende mostrare la consistenza attuale di tale patrimonio e le metodologie di studio e di rilievo che sono state sperimentate allo scopo di documentare i caratteri e i materiali costruttivi analizzati, le problematiche evidenziate e i criteri di salvaguardia proposti nell’ambito di ricerche sviluppate dal Dipartimento di Progettazione dell’Architettura del Politecnico di Milano su incarico della Regione Lombardia. Abstract MILITARY ROADS AND FORTIFICATIONS IN ALTO GARDA BRESCIANO AREA: AN HERITAGE TO KNOW AND PROTECT The historic roads are a cultural linear heritage, made not only by the trace, but also by the road works (walls, tunnels, bridges, drain wells, etc.) and by the connected buildings related to the ancient commercial, military, industrial or religious functions. They form a technical, architectonic and landscape interested complex system. If we consider specifically the military roads still conserved in alto Garda Bresciano area, along the Italian-Austrian front line, we find traces with particular road works - like monumental drystone walls, hairpin bends, cobbled sections, tunnels - joined with many trenches, fortifications and ruins of soldiers villages, hospitals and forts. It is a complex heritage with a lot of historic, cultural and architectural value linked to a wonderful natural landscape. The paper shows the current state of this heritage and the study and survey methodologies used by the Dipartimento di Progettazione

dell’Architettura of Politecnico di Milano for Regione Lombardia to document and analyze the constructive features, the materials, the conservation problems and to define management guidelines. 1 - Strutture viarie Le strutture viarie dell’area alto gardesana presentano un notevole interesse storico e paesaggistico e significative potenzialità per essere recuperate come supporto ad un escursionismo consapevole dei valori culturali e naturali presenti sul territorio. In particolare lo studio della viabilità militare realizzata nell’alto Garda a cavallo del primo conflitto mondiale nelle zone di confine tra l’Italia e l’allora Impero Austro Ungarico, a supporto delle operazioni belliche, dimostra la presenza di una fitta rete di percorsi, connessi a fortificazioni e opere difensive ancora oggi ben conservati e con vocazioni turistiche e museali. Il sistema alto gardesano è stato quindi considerato e compreso all’interno di un più complesso progetto di valorizzazione, promosso dalla Regione Lombardia, costituito da un itinerario escursionistico di lunga percorrenza - denominato Sentiero della Pace lombardo - che dallo Stelvio al Garda recupera strade, mulattiere e sentieri in gran parte realizzati con particolare perizia tecnica dai militari, come parte di un piano regionale generale per la valorizzazione della viabilità turistica ed escursionistica. Preme infatti ricordare che da una quindicina d’anni l’Azienda Regionale delle Foreste della Regione Lombardia e la stessa Regione, in collaborazione con il Dipartimento di Progettazione dell’Architettura del Politecnico di Milano, hanno promosso progetti finalizzati all’analisi, al recupero e alla valorizzazione della rete escursionistica lombarda: dal censimento e inventario della sentieristica regionale, alla indicazione di tecniche e criteri di intervento, alla definizione di percorsi di media e lunga percorrenza - destinati ad un escursionismo dolce, quindi di non particolare difficoltà e finalizzato anche alla visita di siti di interesse storico, culturale o ambientale - che si sviluppano in gran parte lungo tracciati già esistenti (privilegiando quelli di interesse storico). Ci si è posti l’obiettivo di predisporre un piano che individuasse una maglia sufficientemente articolata di itinerari e il collegamento della rete lombarda con quella delle regioni e paesi confinanti, oltre alla connessione tra il sistema delle aree protette: in particolare parchi regionali, riserve e monumenti naturali, Parchi Locali di Interesse Sovracomunale (si vedano in proposito: Boriani, Cazzani, Marcarini, Sangiorgio, 1997; Boriani, Cazzani, Marcarini, Sangiorgio 1999). Gli stessi studi sono stati adottati dalla

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I Congresso Internazionale su Conoscenza e Valorizzazione delle Opere Militari Moderne

Regione Lombardia, ai sensi della Delibera di Giunta Regionale 1 marzo 2000 n.6/48929, Approvazione del Piano dei percorsi escursionistici di interesse naturalistico e storico integrati con il sistema delle aree protette (in: BURL, Terzo Supplemento Straordinario al n. 17, venerdì 28 aprile 2000).

difficili - dovevano collegare il fondovalle con le seconde linee del fronte, dove erano realizzati i villaggi militari, punto di partenza per la prima linea. Per superare i notevoli dislivelli e i pendii più ripidi le strade furono ricavate con opere di scavo a monte e con la costruzione di possenti muri di contenimento a valle (quasi sempre in pietra a secco, ma talvolta anche in calcestruzzo), lungo tracciati che spesso prevedevano un consistente numero di tornanti. Il sedime stradale era delimitato da cordoli esterni in pietra e poteva essere pavimentato o lasciato in fondo naturale. Verso valle le strade erano delimitate da cippiparacarri in pietra o in calcestruzzo. Particolare attenzione era inoltre posta alla regimazione delle acque piovane mediante la realizzazione di canalette e tombini di raccolta e scolo. Ponti e gallerie completavano la struttura viaria cui si connettevano - come già ricordato - le necessarie strutture di supporto alle attività militari costituite da diversificati manufatti quali opere fortificate (trincee, forti, grotte e gallerie, rifugi, ecc.), postazioni di tiro, caserme, casermette e baracche per l’alloggiamento delle truppe, ospedali. Tale sistema viario costituisce quindi la struttura portante del Sentiero della Pace lombardo permettendo di far conoscere e valorizzare i numerosi resti di manufatti e infrastrutture realizzati con incredibile maestria durante la Prima Guerra Mondiale.

In coerenza con tale piano generale approvato si sono redatti diversi progetti esecutivi: tra questi un itinerario che segue il confine orientale della Regione Lombardia, denominato - come già detto - Sentiero della Pace lombardo (fig. 1). Il percorso si sviluppa lungo la linea del fronte italo-austriaco che durante la Prima Guerra Mondiale ha interessato il territorio lombardo: partendo da Livigno, attraverso il Parco Nazionale dello Stelvio, il Parco dell’Adamello e i territori della Comunità Montana della Val Camonica, della Val Trompia e della Val Sabbia, giunge sino al Parco dell’alto Garda Bresciano (Boriani, Cazzani, Sangiorgio 2001). Il tracciato si collega, all’altezza di Limone sul Garda, dopo aver percorso quasi 600 chilometri, al Sentiero della Pace trentino assunto quale riferimento di questa iniziativa. Il Sentiero attraversa quindi da nord a sud il territorio bresciano seguendo il confine orientale della Provincia creando una continuità tra importanti aree protette e permette di raggiungere numerosi beni dall’elevato valore naturalistico e ambientale, posti anche ad alta quota, cui si associa un notevole interesse storico legato agli eventi del primo conflitto mondiale: in assenza delle opere stradali, realizzate a scopi militari, molti luoghi toccati dal percorso sarebbero raggiungibili solo da alpinisti o escursionisti esperti. Queste zone furono infatti luoghi di combattimento che hanno visto gli opposti schieramenti scontrarsi a quote così elevate (spesso superiori ai 2000 metri) e in un ambiente ostile come quello montano. A testimonianza di quei tragici eventi restano ancora oggi numerose opere difensive situate in luoghi di particolare interesse paesistico e collegate da una rete di strade, mulattiere e sentieri di arroccamento spesso ancora in buono stato di conservazione, testimonianza preziosa di un sapere costruttivo e di una profonda conoscenza del territorio (fig. 2).

Risulta importante in proposito sottolineare che i manufatti stradali storici - e in particolare quelli legati agli eventi e ai combattimenti della Prima Guerra Mondiale - costituiscono oggi una risorsa importante, sia in sé, in quanto mostrano la cultura tecnico-costruttiva del passato e documentano la storia di eserciti e uomini che li hanno percorsi, sia per il loro perfetto integrarsi nel paesaggio locale attraverso l’uso di materiali reperiti sul posto e il basso impatto ambientale delle opere costruttive eseguite. La loro diffusione capillare consente inoltre un accesso al territorio, in particolare a quello montano, molto utile ancor oggi per il suo controllo e monitoraggio (incendi, frane, regimazione delle acque, conservazione dell’ecosistema); il loro recupero e valorizzazione a fini escursionistici consente infine di rivitalizzare economicamente aree oggi marginali e in abbandono, che potrebbero trovare proprio in questa loro marginalità, che ha evitato interventi di modernizzazione e trasformazione, una importante risorsa di naturalità e di cultura.

Come è noto, durante la Prima Guerra Mondiale si è combattuto schierando un gran numero di uomini e materiali che dovevano essere supportati dai necessari sistemi di infrastrutture e servizi e protetti da opere di fortificazione. La necessità di spostare truppe consistenti e i relativi apparati implicò l’incremento della rete viaria esistente, soprattutto in aree montane - come quelle dell’alto Garda - dove la situazione viabilistica non permetteva il movimento di un esercito dotato anche di mezzi pesanti. Con specifico riferimento alle strategiche aree connesse al fronte dell’alto Garda bresciano, il Genio militare realizzò in questo territorio di confine una capillare e moderna rete viaria adeguando le tecniche costruttive moderne con i materiali disponibili sul luogo, perché evidentemente più economici e convenienti. Le strade - spesso superando luoghi particolarmente impervi e situazioni di transitabilità

Preme osservare che i percorsi militari non vanno considerati come conclusi nell’ambito del proprio sedime, in quanto presentano una forte relazione spaziale e percettiva con il significativo sistema paesistico circostante di particolare interesse naturalistico, costituito da vaste aree a prato e a pascolo, boschi, emergenze geologiche e botaniche. In questo senso l’intervento di tutela e di valorizzazione non potrà essere puntuale e circoscritto, ma dovrà riferirsi a questo complesso sistema, considerando l’attuale grado di conservazione dei beni e degli elementi di interesse storico, verificando la compatibilità degli interventi possibili e definendo criteri di gestione e di

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Strade e opere difensive militari dell’alto Garda Bresciano: un patrimonio da conoscere e salvaguardare

Fig. 1. In alto a sinistra: il tracciato del Sentiero della Pace lombardo, itinerario di lunga percorrenza lungo il confine est della Regione Lombardia. Il percorso, lungo circa 600 chilometri, attraversa da nord a sud il territorio bresciano seguendo il confine orientale della Provincia, recuperando strade e percorsi realizzati a scopi militari durante il primo conflitto mondiale e connettendosi con numerosi beni dall’elevato interesse storico, naturalistico e ambientale. Sotto: estratto della tavola del Sistema Infrastrutturale del Piano Territoriale di Coordinamento del Parco regionale dell’alto Garda Bresciano del 2003 in cui sono evidenziati le strade secondarie e i percorsi escursionistici, comprendendo anche le strade militari storiche. In alto, a destra: scheda descrittiva (allegata al Piano Territoriale di Coordinamento del Parco regionale dell’alto Garda Bresciano del 2003) per l’individuazione e la valorizzazione delle testimonianze della Prima Guerra Mondiale nei territori di Tremosine, Magasa, Tignale e Toscolano Maderno in cui sono riportati i caratteri identificativi, gli elementi costitutivi dei manufatti, gli elementi di contesto e i fattori di vulnerabilità.

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riuso finalizzati alla salvaguardia dei valori storici del territorio. Le strade militari sono infatti dei manufatti a rischio di trasformazione: interventi di modernizzazione al fine di permetterne la transitabilità automobilistica, lo sfruttamento a fini turistico o, in alternativa, l’abbandono, rischiano di fare scomparire alcuni tracciati, anche quelli più interessanti dal punto di vista storico e ambientale. Risulta dunque necessario mettere in atto una strategia di valorizzazione di queste opere, che sia però compatibile con la loro delicatezza. Per una migliore conoscenza della rete viaria storica la fase analitica deve prevedere, oltre a ricerche storiche e documentarie, sopralluoghi e indagini sul campo, allo scopo di rilevare i caratteri del sedime stradale, la presenza di opere di ingegneria stradale, i manufatti edilizi legati alla viabilità e le aree di valenza paesistica e culturale connesse ai percorsi. Considerando il tracciato viario come bene culturale lineare e diffuso sul territorio, risulta infatti di fondamentale importanza, per poter definire criteri di tutela e di recupero, prendere sempre in esame il rapporto strada-contesto e quindi valutare sempre la strada in connessione all’area ad essa funzionalmente, spazialmente e visivamente connessa.

architettonici e materici costitutivi - e l’importanza del tracciato storico. Risulta infine necessario che siano presi in considerazione attentamente gli aspetti tecnici del recupero e della conservazione dei manufatti stradali antichi, soprattutto di quelli realizzati in pietra a secco (muri di sostegno e di confine, piccole opere di ingegneria stradale, pavimentazioni in lastricato o in acciottolato, ecc.), per i quali si vanno perdendo le professionalità tradizionali. Per questo dovrebbero essere promosse iniziative tese alla conoscenza dello stato di fatto e delle tecniche costruttive antiche (attraverso il rilievo di campagna e lo studio scientifico delle tipologie edilizie) e alla definizione dei corretti interventi di restauro e manutenzione (nella convinzione che, anche in questi casi, si ha a che fare con veri “monumenti”, da salvaguardare nei loro caratteri materici e costruttivi), ponendo particolare attenzione alla formazione professionale dei tecnici e degli operai, alla definizione di specifici capitolati delle opere da eseguirsi, alla creazione di veri e propri cantieri-scuola e alla realizzazione di esperienze pilota. Appare importante ancora una volta ricordare che, per la sua specifica natura, un progetto di recupero e di valorizzazione del sistema viabilistico escursionistico deve rientrare in un progetto di pianificazione di grande scala (paesistica e territoriale in primo luogo, comunale successivamente) che coinvolga tutti i beni e le aree correlati ai percorsi e formanti quindi un sistema continuo da conservare nel suo complesso. Spetta cioè alla pianificazione territoriale e urbanistica affrontare in modo efficace e coerente l’insieme dei problemi della tutela e dell’uso di sistemi di beni (storici o ambientali che siano) così diffusi e rilevanti, e anche così ricchi di potenzialità. Come già evidenziato, è necessario considerare i percorsi come beni territorialmente diffusi: oltre alla struttura del tracciato bisogna quindi tenere conto della complessità e della ricchezza degli elementi architettonici o paesistici connessi, altamente caratterizzanti il percorso stesso e prevedere per essi interventi particolari: proprio perché numerosi e diversificati sono gli elementi costruttivi che li caratterizzano e particolarmente difficili sono spesso le caratteristiche geo-morfologiche delle aree che attraversano, essi presentano particolari e specifici problemi di conservazione, recupero e progettazione; conseguentemente, congruenti e diversificati devono essere i criteri e le tecniche di intervento.

Tenuto conto di tali considerazioni, appare necessario partire da un accurato rilievo architettonico e materico, per poter definire il livello di permanenza delle componenti storiche e della complessità delle opere stradali originarie. In particolare, relativamente alle componenti costruttive stradali storiche è fondamentale rilevare oltre ai caratteri del sedime stradale, la presenza di muri di delimitazione, di sostegno e/o di confine, originariamente, in genere, a secco, in alcuni casi oggi con notevoli problemi di degrado (spanciamenti, dissesti, crolli) dovuti alla manutenzione assente o insufficiente, o alla parziale o totale ricostruzione con murature in pietra e malta o in calcestruzzo armato, con la conseguente perdita dei caratteri materici storici. Sarà inoltre opportuno analizzare anche le opere di ingegneria stradale (ponti, guadi, opere fortificate, gallerie, cippi, ecc.) e tutti i manufatti e le aree di valenza culturale e paesistica connessi spazialmente al percorso che concorrono a costituire un significativo sistema. Lo studio della viabilità militare storica non deve evidentemente avere come unico obiettivo finale il censimento e l’analisi dei percorsi individuati e il rilievo e la schedatura dei manufatti connessi ai percorsi stessi, ma anche la definizione del livello di permanenza storica dei tracciati e dei relativi problemi di conservazione, per poter individuare criteri di valorizzazione, recupero e gestione del sistema viario, delle aree e dei beni connessi.

Come criteri preliminari il progetto di recupero di un itinerario storico dovrà quindi definire l’insieme degli interventi necessari: la tutela - mediante una adeguata pianificazione - del contesto territoriale del percorso, la conservazione e il recupero degli eventuali manufatti significativi presenti lungo il tracciato o nelle immediate vicinanze, la conservazione e la manutenzione del percorso in sé e delle opere di ingegneria che lo sostengono, ma anche la definizione di criteri di gestione e manutenzione futura e la programmazione delle compatibilità funzionali, nonché l’insieme dei servizi a supporto e ad incentivo dell’uso.

Alla redazione di specifiche tavole su cui riportare l’inventario dei tracciati e il rilievo della viabilità storica dovrà quindi seguire uno specifico elaborato di sintesi, su cui evidenziare potenzialità e problematiche relative alla rete stradale antica: andranno quindi mostrati gli esiti delle precedenti analisi, indicando la sostanza storica considerandone il livello di permanenza materica storica, ossia del livello di conservazione dei caratteri tipologici,

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Fig. 2. Inventario della viabilità militare realizzata - in occasione della Prima Guerra Mondiale - in Lombardia: particolare dell’area dell’alto Garda bresciano, scala all’origine 1:50.000. Risulta quindi evidente dalla indicazioni sopra descritte che un progetto di valorizzazione e recupero della viabilità - con particolare riferimento alla viabilità militare - deve tenere conto di molti aspetti: da quelli storico-culturali a quelli tecnologici e costruttivi e a quelli geologico-naturalistici,. Sarebbe quindi opportuno che nella definizione del progetto fossero coinvolti professionisti dotati delle specifiche competenze caso per caso necessarie (storico-culturali, architettoniche, paesistiche, geologiche, idrauliche,

geotecniche, agronomiche, forestali, naturalistiche, ecc.) perché siano trovate soluzioni progettuali ottimali per la valorizzazione di un patrimonio così complesso. Sarà necessario, come già sottolineato, eseguire una attenta analisi dello stato di fatto del percorso e dei relativi manufatti per poter definire un progetto di intervento particolareggiato. Specifica attenzione dovrà essere posta nel caso in cui si riscontri la permanenza di materiali storici

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Fig. 3. Rilievo a vista della viabilità militare dell’alto Garda: quaderno di campagna con schema dei tracciati e annotazioni redatto da Camillo Sangiorgio.

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Fig. 4. Il Sentiero della Pace lombardo nel tratto compreso nel Parco dell’alto Garda Bresciano, da Capovalle al Passo Rocchetta, rilievo dello stato di fatto: la tavola è stata redatta a seguito di un attento sopralluogo con lo scopo di individuare le fortificazioni e le strutture militari (trincee, forti, caserme, alloggiamenti, ospedali), i servizi esistenti e la consistenza dei tracciati, degli elementi, dei materiali costruttivi (piani di calpestio, muri di sostegno o recinzioni, gradonate, ponti, gallerie) e del relativo stato di conservazione, specificando le problematiche puntuali (impossibilità di transito, frane, passaggi difficoltosi, ecc.). In alto: localizzazione dei manufatti su una base cartografica digitale e associazione tramite un Sistema Informativo Geografico (GIS) dei dati quantitativi e qualitativi rilevati nel corso dei rilievi sul campo. Tali dati risultano essere così aggiornabili e incrementabili. In basso: elaborati cartografici su supporto cartaceo redatti a partire da basi cartografiche digitali e banche dati gestite dal Sistema Informativo Geografico (GIS). Carta del Terreno - Fogli 88 e 89, scala all’origine 1:10.000.

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Fig. 5. La viabilità militare dell’alto Garda bresciano collega il fondovalle con le linee del fronte superando i dislivelli con tracciati caratterizzati da numerosi tornanti. Le strade sono spesso sostenute da possenti muri di contenimento in pietra a secco o in calcestruzzo.

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e di tecniche costruttive tradizionali (selciati, acciottolati, scalinate, muri in pietra a secco, ecc.): i manufatti dovranno essere conservati e, nel caso si trovassero in stato di degrado dovranno essere restaurati, con un intervento che preveda la conservazione di caratteri tipologici, architettonici e materici storici e la massima compatibilità con il contesto. Sono in tal proposito da evitare interventi di cementificazione o asfaltatura di selciati e acciottolati o di ricostruzione in calcestruzzo armato di muri a secco di sostegno, mentre sono auspicabili tutte quelle opere eseguite nel rispetto dell’ambiente naturale circostante, che risultino ben integrate con esso, ossia quelle opere che utilizzano materiali locali, tecniche costruttive tradizionali e propongano, nel caso di consolidamento di frane o scarpate, nella costruzione di paramassi o paravalanghe, interventi impiegando le tecniche ormai consolidate di ingegneria naturalistica. Si dovranno inoltre individuare i problemi di intervento emergenti: riconnessione dei percorsi interrotti, restauri e consolidamenti necessari, rimozione o mitigazione delle cause di degrado paesistico e ambientale e degli eventuali usi attuali incompatibili e definizione di un piano di tutela e del quadro giuridico ad esso connesso: vincoli di salvaguardia, rapporti con i diritti di proprietà e di transito vigenti, rapporti con la pianificazione comunale ed intercomunale. 2 - Viabilità militare Lo studio della viabilità militare finalizzato alla definizione del progetto del Sentiero della Pace lombardo ha fatto riferimento a tali premesse metodologiche e operative, avendo come fine quello di conservare e valorizzare il patrimonio legato agli eventi della Prima Guerra Mondiale: un attento sopralluogo ha consentito di individuare non solo le caratteristiche dei percorsi da coinvolgere e dei relativi beni architettonici e paesistici, ma anche gli interventi necessari (figg. 3, 4). In particolare le strade militari comprese nel territorio del dell’alto Garda Bresciano (fig. 5) - come già evidenziato - sono in maggioranza caratterizzate da numerose e significative opere di ingegneria stradale: imponenti muri in pietra a secco, tornanti, lunghi tratti selciati, gallerie, elementi per la regimazione delle acque meteoriche, ecc. (figg. 6, 7) e si connettono a manufatti a servizio/supporto delle attività militari: cippi, pietre miliari, fontane, ricoveri, trincee, alloggiamenti per i soldati, ecc. (figg. 8, 9, 10). Esse inoltre attraversano aree di eccezionale interesse paesaggistico e naturalistico (fig. 11). Percorrendo i tracciati realizzati in occasione della Prima Guerra Mondiale nell’area dell’alto Garda bresciano si attraversano infatti aree a bosco, significative faggete, vaste aree a pascolo e a prato - un tempo connesse a malghe e alpeggi – godendo di sorprendenti panorami e osservando emergenze botaniche (esemplari arborei monumentali, flora spontanea di particolare rarità), geologiche e faunistiche: in queste aree è possibile imbattersi anche in orsi e aquile, oggetto di recenti progetti di re-introduzione e popolamento da parte del parco regionale dell’alto Garda bresciano, istituito nel

1989 per salvaguardare un sistema di paesaggi lombardi di singolare interesse e rara bellezza. Passando ai piedi dei monti Tombea e Tremalzo fino alla Bocca di Cablone e a quella dei Fortini, è quindi possibile apprezzare uno straordinario ambiente, potendo visitare lungo il tragitto ciò che rimane delle numerose trincee, opere difensive, villaggi, ospedali e forti. Giunti all’altezza di Limone del Garda si può scendere verso il lago e imboccare la Bassa Via del Garda che con andamento pressoché parallelo alla linea di costa giunge fino al Salò, oppure sconfinare fuori regione per andare a raccordarsi con il sistema dei forti austroungarici dell’alto Garda trentino. La ricerca riferita alla viabilità militare alto gardesana ha quindi avuto inizio con il censimento e la catalogazione delle antiche strade e dei manufatti ad essa connessi, rilevandone i caratteri architettonici e materici, analizzandone l’attuale stato di permanenza e d’uso, evidenziandone le più diffuse tipologie di degrado e definendo criteri di recupero. Allo scopo si è anche redatto uno specifico capitolato speciale per le opere di restauro, da utilizzare per i futuri interventi da compiersi su questa importante testimonianza storico-architettonica (Boriani, Cazzani, Sangiorgio 1999). Lo studio ha dimostrato che il sistema della viabilità militare storica dell’alto Garda - grazie anche alla connessione esistente con la rete sentieristica, le aree naturalistiche e i siti di particolare interesse storico-artistico - possiede interessanti potenzialità turistico-escursionistiche, permettendo di raggiungere aree altrimenti difficilmente accessibili, oltre che culturali e museali. Più nello specifico una prima fase analitica ha consentito di riportare su specifiche Carte del Terreno le caratteristiche del tracciato (tipologia e materiali costruttivi del piano di calpestio, presenza di muri di sostegno o di gradonate) e la consistenza dei tracciati, e del relativo stato di degrado, specificando le problematiche puntuali (impossibilità o divieto di transito, frane, fondo sconnesso o cedevole, presenza di vegetazione infestante, passaggi difficoltosi, aree degradate, ecc.). Si sono inoltre segnalate le emergenze militari storiche (fortificazioni, caserme, alloggiamenti, trincee) e le strutture di servizio esistenti (parcheggi, aree di sosta, bar, ristoranti, fermate autobus, stazioni ferroviarie, campeggi, alberghi, uffici turistici, centri parco, ecc.). Il rilievo del percorso, restituito su uno specifico elaborato cartografico, ha nel dettaglio evidenziato: - i caratteri costruttivi storici dei percorsi, considerando sia gli elementi costituenti il tratto, quali pavimentazioni, muri di sostegno, gradinate, opere di regimazione idraulica, ponti, gallerie, ecc. che gli elementi funzionalmente connessi, quali cippi, soste, fontane, sedili, cappelle, ecc., fornendo anche un giudizio sullo stato di conservazione della “sostanza storica” complessiva, prevedendo tre categorie: sostanza storica elevata, media, scarsa; - i più significativi elementi di interesse storico, architettonico, etnografico connessi: oltre ai manufatti

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Fig. 6. Esempi di gallerie naturali e di interventi di messa in sicurezza delle pareti rocciose lungo la viabilità militare dell’alto Garda bresciano.

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Fig. 7. Particolari di un ponte e di un muraglione in pietra a secco a sostegno di un tratto di strada militare dell’alto Garda bresciano. relativi agli eventi bellici (fortificazioni, trincee, alloggiamenti per le truppe, ecc.), si sono evidenziati edifici di particolare interesse quali musei, monumenti, giardini, aree agricole storiche e relativi manufatti connessi, testimonianze di antiche attività industriali; - gli elementi di rilevanza paesistica: punti panoramici e siti di particolare rilevanza ambientale; - i vincoli esistenti e le destinazioni d’uso definite dalla pianificazione: per le aree oggetto di intervento è infatti indispensabile verificare la compatibilità del progetto con la zonizzazione riportata sugli strumenti di Piano vigenti a livello comunale e comprensoriale; - i principali servizi di supporto agli itinerari, ossia rifugi, bivacchi, parcheggi, aree sosta attrezzate, rete dei mezzi pubblici con relative fermate, stazioni, porti e imbarcaderi, attracchi, impianti di risalita, oltre alle strutture turistiche (Pro-loco, APT, Uffici turistici, centri parco, centri visite, ecc.) e ricettive (campeggi, alberghi, ostelli, aziende

agrituristiche, trattorie, locande, bar, ecc.) di supporto; - i problemi emergenti individuati, quali impossibilità di transito, divieto di transito, aree private inaccessibili, aree degradate, discariche, cave, elementi di disturbo visivo, traffico promiscuo, ecc. - le eventuali situazioni di rischio o pericolo: frane o fratture strutturali, zone franose o alluvionabili, aree recentemente colpite da incendi o da eccezionali eventi atmosferici, edifici pericolanti, tratti di percorsi cedevoli, ponti crollati, ecc. - lo stato di degrado, che costituisce un problema per la percorribilità del tratto, ad esempio: fondo fangoso, fondo cedevole-franoso, presenza di rovi e arbusti infestanti, presenza di vegetazione d’alto fusto infestante, ecc. A questo rilievo è seguita una tavola di progetto (fig. 12) con la definizione delle opere puntuali o lineari di restauro o manutenzione necessarie alla transitabilità del percorso,

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Fig. 8. Alcuni dei manufatti riscontrabili lungo la viabilità militare dell’alto Garda bresciano: una fontana che riporta la denominazione del Genio Militare e la data di esecuzione, una pietra miliare e un tombone per il deflusso delle acque meteoriche.

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Fig. 9. Manufatti militari connessi alle strade realizzate in occasione della Prima Guerra Mondiale lungo il fronte dell’alto Garda bresciano: rifugi e depositi in caverna nei pressi di passo Nota. tenendo conto dei problemi di degrado e/o di alterazione individuati (fig. 13) e indicando gli interventi minimali di supporto alla fruizione della viabilità escursionistica: segnaletica a diversi livelli, punti sosta, ecc., indicando priorità, modalità e tecniche di intervento, con particolare attenzione per la conservazione dei caratteri storici e per la compatibilità con il contesto (fig. 14). Si sono inoltre precisati gli enti competenti per l’esecuzione per i diversi tratti e si è calcolata una stima dei costi di realizzazione. In particolare gli interventi progettuali previsti a carattere puntuale e lineare sono dettagliatamente descritti in uno specifico capitolato, completo della stima di massima dei costi relativi. Sono inoltre definite le priorità di esecuzione e i lotti funzionali dell’intervento. La “priorità di esecuzione” per i diversi interventi è stata definita tenendo conto dei seguenti criteri: - Interventi di priorità 1: opere che rendono possibile la percorribilità e la fruizione del Sentiero della Pace

lombardo. Risultano quindi assolutamente indispensabili, in quanto la loro esecuzione garantisce la continuità del Sentiero, ora invece interrotto da tratti difficilmente percorribili o addirittura impraticabili. Tali opere devono quindi essere compiute al più presto, perché necessarie alla realizzazione del Sentiero. - Interventi di priorità 2: opere auspicabili, in quanto migliorano una situazione attuale di criticità, risolvendo in particolare problemi relativi ad una maggiore sicurezza per i fruitori e/o una più facile accessibilità o percorribilità del Sentiero. Risulta auspicabile, ma non indispensabile, che vengano realizzate al più presto. - Interventi di priorità 3: opere che costituiscono una alternativa migliore a quella attualmente praticabile, in quanto più sicura, di migliore qualità architettonica, o attraverso aree di maggiore interesse paesistico, ecc. Questi interventi non risultano al momento indispensabili per la immediata fruizione del Sentiero, comunque percorribile

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Fig. 10. Esempi di manufatti militari connessi alla viabilità militare dell’alto Garda: fortificazioni e alloggiamenti per le truppe, ora in stato di notevole degrado.

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Fig. 11. Elementi di particolare interesse paesaggistico: panorami, emergenze geologiche, elementi naturalistici: boschi, alberi monumentali isolati, cascate connessi alla viabilità e ai manufatti militari dell’alto Garda bresciano. una volta conclusi gli interventi di priorità 1 e si potranno quindi eseguire anche in tempi successivi. Gli interventi indicati con priorità 2 o con priorità 3 spesso necessitano di appositi rilievi di dettaglio e di relativi progetti esecutivi in quanto presentano complesse e diversificate problematiche progettuali che richiedono lunghi tempi sia di progettazione (tenendo conto anche delle necessarie pratiche amministrative) che di realizzazione e non sono quindi stati sempre computati. Si tratta infatti di interventi che mostrano un problematico stato idrogeologico e geotecnico dei luoghi, che presentano connessioni-interferenze con strade o opere pubbliche (interessando quindi i rispettivi enti preposti alla gestione di questi manufatti), oppure aree di proprietà privata (per cui si devono definire le eventuali procedure per convenzioni/espropri, ecc.). I “lotti funzionali di intervento” sono stati definiti allo scopo di raggruppare tra loro diversi interventi per prevederne la contemporanea

esecuzione, per una migliore e più efficace realizzazione del Sentiero. I lotti funzionali di intervento sono stati definiti seguendo questi criteri: - si sono considerate le priorità di esecuzione delle opere: nello stesso lotto sono compresi interventi con le medesime priorità; - si sono considerati gli enti territorialmente competenti sui diversi tratti del Sentiero, inserendo nello stesso lotto interventi di competenza dello stesso Ente. In questo modo risultano già definiti i lotti di intervento sulla base delle diverse Comunità Montane ed Enti Parco interessati dal percorso, che saranno presumibilmente delegate alla realizzazione esecutiva delle opere stesse. 3 - Il Sentiero della Pace Lombardo Il rilievo e le indicazioni di progetto del Sentiero della Pace

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Fig. 12. Il Sentiero della Pace lombardo nel tratto compreso nel Parco dell’alto Garda Bresciano, da Capovalle al Passo Rocchetta, progetto di fattibilità: si sono definite le opere necessarie alla percorribilità dell’itinerario (necessità di opere di manutenzione al fondo stradale o ai muri di sostegno, necessità di opere per la messa in sicurezza dei tratti più esposti e pericolosi, ecc.) oltre agli interventi minimali di supporto necessari alla fruizione della viabilità escursionistica: segnaletica a diversi livelli, punti sosta, ecc. indicando modalità e tecniche costruttive, priorità di intervento ed enti competenti per la realizzazione dei diversi tratti e calcolando una stima di massima dei costi di esecuzione delle opere. In alto: localizzazione dei manufatti su una base cartografica digitale e associazione tramite un Sistema Informativo Geografico (GIS) dei dati quantitativi e qualitativi rilevati nel corso dei rilievi sul campo. Tali dati risultano essere così aggiornabili e incrementabili. In basso: elaborati cartografici su supporto cartaceo redatti a partire da basi cartografiche digitali e banche dati gestite dal Sistema Informativo Geografico (GIS). Carta di sintesi - Fogli 88 e 89, scala all’origine 1:10.000.

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Fig. 13 Particolari delle caratteristiche del percorso alto gardesano con alcune delle problematiche individuate che necessitano di interventi di recupero. In alto: dissesto-erosione di un impluvio con la perdita di un tratto stradale; sotto: frana con conseguente crollo di porzioni di muratura di sostegno della strada.

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Fig. 14. Estratti dal capitolato per l’esecuzione degli interventi di recupero dei tracciati antichi, con particolare attenzione ai percorsi militari, in cui si sono considerati i problemi di recupero, restauro e manutenzione delle opere e dei manufatti componenti la viabilità. Si sono trattati con specifico riguardo le tecniche e i materiali costruttivi storici tradizionali dei diversi percorsi (muri di sostegno in pietra a secco, acciottolati, opere di regimazione delle acque piovane, ecc.), ponendosi come obiettivo la massima compatibilità con lo stato dei luoghi.

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Fig. 15. Interventi di recupero eseguiti lungo la viabilità militare storica dell’alto Garda con insufficiente attenzione ai materiali e ai metodi costruttivi tradizionali, con la conseguente scarsa integrazione con il contesto storico e paesistico.

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lombardo sono stati ordinati in una serie di “file di progetto” che hanno consentito la redazione delle tavole, aventi come supporto cartografico la Carta Tecnica Regionale, elaborate in ArcView - ESRI alla scala 1:10.000 per tutta l’area di indagine. Si sono associate apposite tabelle per le interrogazioni sui dati informatizzati, predisponendo un sistema informativo territoriale (GIS) che consente eventuali aggiornamenti e interconnessioni con altri dati. La trasposizione su supporto informatico di tutte le carte e la redazione del GIS è stata eseguita da Camillo Sangiorgio.

manufatti componenti ad essa connessi, con particolare riferimento alle tecniche costruttive storiche, riportate nei Criteri guida per la pianificazione, la progettazione e il recupero dei percorsi escursionistici, nell’ambito della Seconda fase dello studio di un sistema regionale dei percorsi escursionistici di interesse storico e naturalistico, Politecnico di Milano, ARF. - Boriani M., Cazzani A., Sangiorgio C. 2001, Sentiero della Pace lombardo. Studio di Fattibilità per la realizzazione di un itinerario escursionistico di lunga percorrenza lungo il confine orientale della Regione Lombardia, Dipartimento di Progettazione dell’Architettura del Politecnico di Milano, Azienda Regionale delle Foreste della Regione Lombardia, Regione Lombardia, Direzione Generale, Qualità dell’Ambiente, Milano.

Il Sentiero della Pace lombardo è stato quindi pensato come un tracciato-museo che permetterà di far rivisitare o scoprire luoghi ricchi di memorie passate, testimonianze di importanti fatti storici e di tanti uomini che vissero la difficile esperienza del fronte e contemporaneamente di far conoscere diversi ambienti montani con uno stretto contatto di natura-storia-cultura. Allo stato attuale, con particolare riferimento all’area alto gardesana, solo alcuni degli interventi previsti sono stati messi in pratica e manca un piano di attuazione del progetto, con il risultato che si sono talvolta eseguite opere che non hanno tenuto conto del complesso sistema della viabilità militare gardesana e dell’itinerario che si è definito per valorizzarla. Le stesse opere non sempre risultano finalizzate alla conservazione e valorizzazione delle permanenze storiche e dei caratteri paesistici, utilizzando tecniche costruttive e/o materiali estranei all’antico impianto e all’ambiente circostante e quindi poco compatibili se non addirittura di impatto (fig. 15). Ci si augura pertanto che futuri interventi di recupero e valorizzazione vengano previsti, non in modo frammentato e sporadico e considerando con maggiore attenzione i caratteri storici di questo straordinario patrimonio che come già più volte sottolineato - costituisce una eccezionale risorsa culturale, architettonica e paesistica e non può essere dimenticato e violato, anche per ricordo e rispetto di tutti quei coraggiosi uomini che realizzarono quelle strade e quei manufatti e combatterono in quei territori per costruire il nostro presente. 4 - Bibliografia - Boriani M., Cazzani A., Marcarini A., Sangiorgio C. 1997, Studio di un sistema regionale dei percorsi escursionistici di interesse storico e naturalistico, Dipartimento di Progettazione dell’Architettura del Politecnico di Milano, Azienda Regionale delle Foreste della Regione Lombardia, Regione Lombardia, Milano. - Boriani M., Cazzani A., Marcarini A., Sangiorgio C. 1999, Seconda fase dello studio di un sistema regionale dei percorsi escursionistici di interesse storico e naturalistico, Dipartimento di Progettazione dell’Architettura del Politecnico di Milano, Azienda Regionale delle Foreste della Regione Lombardia, Regione Lombardia, Milano. - Boriani M., Cazzani A., Sangiorgio C. 1999, Capitolato Speciale Tipo relativo alla realizzazione, al recupero e al restauro della viabilità escursionistica, delle opere e dei

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L’opera difensiva permanente aiVIMasi di Claemp (Trento – Italia)

L’OPERA DIFENSIVA PERMANENTE AI MASI DI CLAEMP (TRENTO – ITALIA) Autore Massimo Chianello

Comitato tecnico-scientifico speciale per la tutela del patrimonio storico della I Guerra Mondiale, MIBAC

Sommario Sulla montagna sovrastante l’abitato di Sant’Antonio Mavignola (TN) e a pochi passi dai Masi di Claemp sorge a circa m 1545 di quota il rudere di un’opera difensiva permanente austriaca; inedita a livello monografico nella bibliografia italiana, essa si presenta come un sito di grande interesse storico. La fortificazione è raggiungibile salendo lungo un camminamento parzialmente interrato rinforzato sul lato est da un muro eretto con blocchi e con schegge di granito locale. Il lato est della fortificazione è rivolto verso la Valle di Campiglio ed è attraversato da due file sovrapposte di feritoie verticali per fucile. Il sito militare di Claemp aveva una posizione dominante ed avvantaggiata da una grande possibilità di osservazione che spaziava dalla Valle di Campiglio a Carisolo: era sufficiente appostarsi presso gli adiacenti Masi di Claemp per osservare una parte del gruppo dell’Adamello ed anche la dorsale montuosa che separa la Val d’Amola e la Valle di Nardis. Abstract A PERMANENT STRUCTURE ON THE “MASI” OF CLAEMP (TRENT – ITALY) On the mountain above the village of St. Anthony Mavignola (Trentino) and within walking distance of Masi di Claemp (1545 m) is located an Austrian permanent defensive work, unstudied in Italy until now, although a its great historical interest. This study is the result of surveys carried out by the writer in the period 2008-2009 and its scope is to contribute to the knowledge of this monument still unknown to most scholars and public. The fort can be reached by climbing along a path partially buried and reinforced on the eastern side by a wall constructed with blocks and shards of local granite. The eastern side of the fortification is facing the Valley of Campiglio and is crossed by two tiers of vertical slits for guns: thirty-eight are visible in the bottom row, thirty-one at the top. The military Claemp site had a dominant position and allowed a good sight that ranged from the Valley of Campiglio to Carisolo. Form the nearby farms of Claemp it was possible to observe a part of the Adamello group and also the mountain ridge that separates the AmolaValley and the Nardi Valley. 1 - Premessa Percorrendo le valli e le montagne del Trentino Alto Adige è ancora possibile ammirare numerosi forti austriaci costruiti a guardia della frontiera con il Regno d’Italia

negli anni precedenti l’inizio della prima guerra mondiale: alcuni di questi sono famosi a causa del ruolo avuto durante le operazioni militari, altri sono meno conosciuti ma non per questo sono meno importanti avendo comunque partecipato alle vicende belliche od essendo stati costruiti in posizioni talvolta davvero mirabili. Tuttavia non può essere taciuta l’esistenza di altre fortificazioni permanenti di minori dimensioni e meno conosciute ma comunque dotate di caratteristiche degne di studio perciò in questa sede viene descritta una di queste; le righe che seguono sono frutto delle ricognizioni da me compiute nel 2008 e desiderano contribuire alla conoscenza di un monumento tuttora ignoto alla maggior parte degli studiosi e del pubblico. 2 - Inquadramento storico di un’opera sconosciuta Sulla montagna sovrastante l’abitato di Sant’Antonio Mavignola, e a pochi passi dai Masi di Claemp, sorge a circa 1545 m di quota un’opera difensiva permanente; non essendo descritta nelle principali monografie sui forti austriaci del Trentino e non essendo segnalata nella mappa storica dei Forti austriaci pubblicata dalla Provincia di Trento, essa si presenta come un sito veramente meritevole di studio e di conservazione. Il suo aspetto architettonico denota una datazione precedente la Prima guerra mondiale; anzi, un’ipotesi recentemente formulata ha voluto riferirla alle operazioni militari di Napoleone Bonaparte in Trentino, ma tale ipotesi non appare facilmente sostenibile. Inoltre, datare al 1805 la sua costruzione significherebbe anticiparla alla costruzione della fortezza di Franzensfeste (in provincia di Bolzano, nella Valle dell’Isarco) e di quella di Nauders (in Austria) ritenute le prime costruite. Una sintetica cronologia dei principali avvenimenti napoleonici in Trentino ed in Austria non sembra favorevole ad una datazione al 1805 (1796: Napoleone entra in Trento. 1797: Napoleone vince la battaglia di Rivoli Veronese, dopo la vittoria i Francesi ritornano a Trento. 1797: Napoleone arriva a Klagenfurt. 1797, 10 Aprile: gli Austriaci riconquistano Trento. 1801: i Francesi riconquistano Trento. 1805: i Francesi conquistano Wien. 1805: a seguito del trattato di Presburgo l’Austria cede alla Baviera il Trentino, il Tirolo ed il Vorarlberg. 1809: i Francesi occupano Wien. 1809: a seguito del trattato di pace di Schönnbrunn la Baviera cede il Trentino, Bolzano e Merano al Regno Italico). L’ingresso nella Valle Giudicarie e nella Valle di Sole di un reparto di volontari italiani armati (1848) e la situazione generata dal trattato di Villafranca (1859) dimostrarono che il Trentino occidentale era divenuto terra di confine, pertanto risultò opportuno edificare fortificazioni

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permanenti per difendere gli accessi occidentali; tra il 1849 ed il 1850 furono compiute ricognizioni per determinare i luoghi in cui costruire le fortificazioni e tra le località scelte ci furono il Passo del Tonale, il Lago d’Idro, Strino (Valle di Sole), Lardaro e Limarò (Valle Giudicarie), l’area di Madonna di Campiglio, Gomagoi. A confermare l’esigenza di costruire sistemi difensivi permanenti sulle strade e sui percorsi naturali che conducevano in Austria ricordiamo una comunicazione all’Imperatore d’Austria nella quale l’Arciduca affermava: «Credo che sia necessario occupare con qualche compagnia i diversi punti in cui ci sono passi e strade di montagna, come in Val di Sole e la strada del Tonale; il passo del Bormio e la Rocca d’Anfo, che dovrebbero essere i più importanti del Tirolo. Invece non vi è nemmeno un soldato (…) credo che i passi sopra citati siano da occupare con forze militari … giacché non sarebbe il caso di chiamare i bersaglieri provinciali per proteggere i passi, e assicurarli contro l’avanzata dei corpi franchi (…) perché essi dovrebbero stare di guardia lontani di casa e perciò malcontenti» (Zieger 1936, p. 40).

fortificazione salendo dentro un camminamento parzialmente interrato, ma evidente, rinforzato sul lato est da un muro eretto con blocchi e con schegge di granito locale (fig. 2); l’estremità più elevata del camminamento è adiacente ad un ingresso attualmente coinvolto da un grande strato di crollo. L’opera difensiva di Claemp si presenta come un edificio monovolume a pianta rettangolare allungata, con cospicuo sviluppo verticale fuori terra, dotato di due file sovrapposte di feritoie (figg. 3, 4), difeso da una caponiera (figg. 5 - 8). Secondo le informazioni disponibili la lunghezza misurabile è compresa tra 30 m e 45 m, la larghezza misurabile è di 5 m, l’altezza conservata supera i 3 m; ma bisogna considerare che la costruzione è parzialmente interrata, specialmente il lato ovest che è coperto nel pendìo della montagna. La fortificazione è costruita con blocchi di granito locale assemblati con malta e adoperando una tecnica edilizia simile all’opera quadrata, in qualche punto non proprio regolare sicché appare stilisticamente più vicina all’opera poligonale di quarta maniera. Questa particolare conformazione può essere osservata in corrispondenza dell’angolo formato dal muro esterno est e dal muro della caponiera (fig. 5). Qui esiste una struttura in calcestruzzo armato con tondini di ferro che sembra un intervento cronologicamente successivo all’impianto architettonico originario e forse può essere interpretato come un aggiornamento strutturale dell’opera difensiva, ipoteticamente attribuibile a lavori databili all’inizio della Prima guerra mondiale; la conferma di questa ipotesi potrà scaturire dallo studio combinato dei documenti di archivio e delle murature.

Allo scopo di conoscere la storia dell’opera difensiva di Claemp sarà necessario consultare i documenti di archivio conservati in Austria, infatti nel Kriegsarchiv di Wien è conservato il fondo archivistico “Tiroler Sperren”, nella sezione “Territorialkommanden”. Grande parte del fondo è formata dai documenti della “K.u.k. Geniedirektion Riva”, cioè un Comando militare austriaco istituito con circolare n. 8446 del 3-12-1907 che cominciò ad operare a partire dal 1-1-1908; esso era responsabile della costruzione e della manutenzione delle opere difensive permanenti e campali nell’area inclusa tra la Valle Giudicarie e la Valle di Terragnolo. Nella documentazione della “K.u.k. Geniedirektion Riva” sono inclusi documenti pertinenti i cantieri e gli uffici tecnici attivi nel territorio di competenza: è il caso del “K.u.k. Bauleitung Mavignola” (1914-1915) che ci interessa in maniera specifica per la situazione militare di Claemp, nonchè del “Militaer-Bau-Aufseher in Lardaro” (18971908), del “K.u.k. Militaerbauleitung in Riva” (19041905), del “K.u.k. Installationsleitung Garda” (19061907), del “Bauleitung Tombio” (1907-1911), del “K.u.k. Militaerbauleitung in Lardaro” (dal 1910: “Bauleitung Carriola”) (1908-1915), del “Bezirksgenieoffizier in Lardaro” (1912-1913) 3 - La fortificazione presso i Masi di Claemp

Il lato est della fortificazione è rivolto verso la Valle di Campiglio ed è attraversato da due file sovrapposte di feritoie verticali per fucile: trentotto sono visibili nella fila inferiore, trentuno in quella superiore (figg. 3, 4), ma in origine dovevano essere più numerose. Le feritoie della fila inferiore sono costruite con quattro componenti, cioè uno inferiore, due mediani laterali, uno superiore e scolpiti nel granito con una cura tale da presentare una minima variazione nelle misure delle aperture esterne: 29-30 cm per la sommità, 50-51 cm per il lato destro, 52-53 cm per il lato sinistro, 30,5-31 cm per la base (fig. 6). La seconda feritoia della fila inferiore fu successivamente rimaneggiata poiché ostruita con malta allo scopo di alloggiare un tubo metallico, ancora parzialmente visibile.

L’opera difensiva è situata a pochi metri dai Masi di Claemp ed è raggiungibile percorrendo la strada forestale che sale dal paese di Sant’Antonio Mavignola, oppure il sentiero che sale dalla località Mistrin (fig. 1); questo sentiero è certamente interessante non solo considerando il panorama, ma anche perché in molti punti conserva strutture architettoniche le quali potrebbero essere riferibili all’originario percorso stradale che collegava la viabilità di fondovalle con l’opera difensiva in oggetto. Se si proviene dai Masi di Claemp si accede alla

Nella fila superiore di feritoie è possibile notare qualche differenza, infatti ce ne sono alcune non conservate nella forma originale: ridotte alla sola metà inferiore, esse sono sormontate da blocchi di granito posizionati orizzontalmente; questo intervento, così diverso dalla qualità architettonica che caratterizza il resto della costruzione, fa domandare se esso appartenga ad una fase di ristrutturazione o di riutilizzazione dell’opera difensiva. La fila superiore di feritoie proseguiva con almeno una feritoia situata nel lato corto nord-est che sovrasta la caponiera (figg. 8-10). Nella

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Fig. 1. Topografia del territorio: posizione dei Masi di Claemp e dell’opera difensiva permanente. (Foto di Massimo Chianello)

Fig. 2. Camminamento che sale all’opera difensiva permanente. (Foto di Massimo Chianello)

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fila superiore è indubbiamente interessante la terza feritoia a partire dall’angolo della caponiera, perché nella malta sulla quale è montato l’elemento inferiore della feritoia è stata incisa l’epigrafe «MD». La caponiera è parzialmente interrata nel versante curvo ed ha tre feritoie nel lato che fa angolo con il muro principale (fig. 5), quattro nel lato curvo (fig. 7), due in quello posteriore (fig. 8); il suo sviluppo in altezza era minore di quello della struttura principale (figg. 7, 8), quindi poteva essere protetta dal tiro di fiancheggiamento effettuabile dal livello superiore, nel cui lato corto sopravvive una feritoia per fucile (figg. 8, 9) forse affiancata da una seconda feritoia (figg. 9, 10).

di tessuto trattato con bitume, nella condizione di parziale distacco. Nella parte superiore del muro est sono inserite quattro staffe metalliche (fig. 17) che potrebbero essere quanto rimane del sistema di sostegno di un ballatoio d’accesso alle feritoie del livello superiore. L’ambiente n. 5 è invaso da un grande crollo che pure conserva lacerti della protezione fatta di tessuto trattato con bitume. Intorno alle aperture interne di alcune feritoie è rimasta un’unità stratigrafica di rivestimento di colore bianco e di perimetro rettangolare che fa pensare all’esistenza di un telaio rettangolare, ipotesi avvalorata dalla presenza di quattro fori ognuno dei quali è situato in corrispondenza della metà di ogni lato della feritoia (fig. 18): queste tracce forse sono interpretabili come alloggiamenti di perni metallici destinati a sostenere portelli di chiusura oppure scudi metallici.

A contatto con l’esterno del muro est affiora una struttura costruita in opera cementizia di malta e di pietre (fig. 11); nella sua sommità si apre la bocca quadrata di un pozzo dotato di quattro scalini di ferro fissati nel muro dell’opera difensiva (fig. 12) che permettono di scendere in un locale ipogeo interpretabile come cisterna d’acqua, perché le sue pareti sono rivestite di malta idraulica. Inoltre, un muro divisorio pure rivestito di malta idraulica (fig. 13) e in posizione ortogonale al muro est, ricorda senz’altro il lato di una vasca (ad esempio, le parti visibili di questa struttura ricordano la cisterna d’acqua del Werk Luserna). L’odierno strato di riempimento impedisce di capire se esistano altri scalini e se il pavimento del locale si trovi ad una maggiore profondità, cosa possibile perché per raggiungere il livello di calpestìo oggi visibile non sarebbero necessari quattro scalini.

4 - La tipologia dell’opera difensiva A causa dello stato di conservazione il primo impatto visivo non consente di determinare la tipologia né di capire il compito dell’opera difensiva. Le interpretazioni proposte finora dagli studiosi sono: “caposaldo difensivo di artiglieria”, “fortino-caserma”, “forte”, “fortino”, “caserma”, “caserma fortino”. Restando comunque il fatto che le feritoie dominano la Valle di Campiglio, non si può escludere che l’opera abbia avuto relazione con le fortificazioni campali costruite nelle immediate vicinanze (fig. 19). I documenti militari rintracciati, ma non ancora pubblicati, hanno fatto immaginare la fortificazione di Claemp come elemento di un sistema difensivo strutturato sulle località Doss del Fò - Valchestria - Claemp – Sant’Antonio Mavignola - Limeda - Doss del Sabion.

La visita dell’interno inizia dalla caponiera sul retro della quale c’é un ingresso al cui esterno, accanto allo stipite destro, rimane un frammento di intonaco di rivestimento. L’interno dell’edificio oggi appare diviso in cinque ambienti invasi da strati di crollo aventi estensione e volumi diversi; il pavimento è nascosto da uno spesso strato di riempimento formato da terra, crolli, detriti. Gli ambienti comunicano tra loro mediante un’apertura rettangolare sormontata da un architrave costruito in calcestruzzo (fig. 14). Lo spazio interno è organizzato nel modo seguente (fig. 15; si consideri che la fig. 15 non è un rilievo grafico in scala):

Lo studio dei documenti di archivio permetterà di conoscere l’autentico ruolo militare di Claemp e la fisionomia delle fortificazioni e delle strutture logistiche edificate nell’area, pertanto in questa sede preliminare è necessario rinunciare ad ipotesi sulla suddetta linea difensiva; tuttavia desideriamo proporre le riflessioni suscitate dalle ricognizioni che abbiamo effettuato su queste montagne. Il sito militare di Claemp aveva una posizione dominante ed avvantaggiata da una grande possibilità di osservazione che spaziava dalla Valle di Campiglio a Carisolo: era sufficiente appostarsi presso gli adiacenti Masi di Claemp per osservare una parte del gruppo montuoso dell’Adamello ed anche la dorsale montuosa che separa la Val d’Amola e la Valle di Nardis, quest’ultima importante come accesso e retrovia per le postazioni austriache ubicate sull’impervia cresta Cima di Tamalè - Ago Nardìs - Cima Botteri Monte Gabbiolo. La presenza di un caposaldo difensivo presso i Masi di Claemp poteva assumere un’importante funzione di arresto verso forze provenienti dalla Valle di Nambrone, situata a brevissima distanza da Claemp ed in posizione sottostante (fig. 1). Infatti, reparti alpini italiani saliti dalla Val di Sole avrebbero potuto raggiungere il Passo Scarpacò o il Passo Valgelada e da qui discendere nella Valle di Nambrone e proseguire fino a Carisolo, da

- caponiera; n. 1; - ambiente rettangolare; n. 1a; - ambiente rettangolare; n. 2; - ambiente rettangolare, il maggiore; n. 3; - ambiente rettangolare; n. 4; - ambiente rettangolare; n. 5. Nelle pareti dell’ambiente n. 2 rimangono alcuni alloggiamenti di travi portanti; inoltre, nel muro che lo separa dall’ambiente n. 3 esiste una nicchia rettangolare in cui si affaccia l’estremità di una tubazione verticale, seguita da altri alloggiamenti di travi (fig. 16). L’ambiente n. 3 ha la superficie maggiore ed è invaso da cospicui strati di crollo che palesano la tecnica edilizia del livello superiore e conservano ampi lacerti di una protezione fatta

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Fig. 3. Opera difensiva ai Masi di Claemp. Lato est. (Foto di Massimo Chianello)

Fig. 4. Lato est. Caponiera. (Foto di Massimo Chianello)

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Fig. 5. Lato est. Dettaglio della muratura. (Foto di Massimo Chianello)

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Fig. 6. Dettaglio di una feritoia della fila inferiore. (Foto di Massimo Chianello)

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Fig. 7. Caponiera. Sullo sfondo si nota una feritoia per il tiro di fiancheggiamento. (Foto di Massimo Chianello)

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Fig. 8. Caponiera, lato curvilineo. (Foto di Massimo Chianello)

Fig. 9. Lato nord. Feritoia per il tiro di fiancheggiamento. (Foto di Massimo Chianello)

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Fig. 10. Lato nord. Resti di una feritoia della fila superiore. (Foto di Massimo Chianello)

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Fig. 11. Cisterna d’acqua: veduta esterna. (Foto di Massimo Chianello)

Fig. 12. Cisterna d’acqua: accesso e scala a pioli di ferro. (Foto di Massimo Chianello)

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Fig. 13. Cisterna d’acqua: ipogeo e struttura interna. (Foto di Massimo Chianello)

Fig. 14. Interno dell’opera difensiva. Una delle aperture che collegano gli ambienti interni. (Foto di Massimo Chianello)

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Fig. 15. Disegno schematico dell’opera difensiva. (Foto di Massimo Chianello)

Fig. 16. Ambiente n. 2, muro rivolto a nord. A sinistra: nicchia rettangolare in cui si affaccia l’estremità di una tubazione verticale; a destra: alloggiamento di trave che conserva ancora la testata lignea. (Foto di Massimo Chianello)

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Fig. 17. Interno dell’opera difensiva. Nella parte alta del muro sono rimaste quattro mensole di ferro ubicate sotto la fila superiore di feritoie. Sulla superficie dello strato di crollo che occupa l’ambiente si vede una feritoia caduta dalla fila superiore, smontata in due pezzi. (Foto di Massimo Chianello)

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Fig. 18. Interno dell’opera difensiva. Lato interno di una feritoia del livello inferiore; si notano tracce evidenti di un’unità stratigrafica di rivestimento. (Foto di Massimo Chianello)

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Fig. 19. Planimetria schematica della località Masi di Claemp. Le frecce indicano postazioni (P) ed alcuni camminamenti (C). (Foto di Massimo Chianello) cui sarebbe stato possibile arrivare comodamente in Val di Genova ed in Val Rendena, causando gravi conseguenze nello schieramento difensivo austriaco. Per meglio apprezzare un simile teatro operativo è sufficiente salire sul Doss del Fò per raggiungere il camminamento che incombe sulla Valle di Nambrone ed osservare da qui il terreno sottostante.

1 - Bibliografia - Chianello M. 2009, Un’opera difensiva permanente ai Masi di Claemp, in Archeologia della Grande Guerra, 2, pp. 36-49. - Provincia Autonoma di Trento s.d., Forti austriaci del Trentino 1860-1915, Trento. - Zieger A. 1936, La lotta del Trentino per l’unità e per l’indipendenza, 1850-1861, Trento.

Intorno ai Masi di Claemp esistono tuttora trincee e camminamenti (fig. 19) scavati nel terreno e muniti di paramenti costruiti con blocchi di granito, alcuni dei quali danno accesso a piazzole più o meno grandi. Uscendo dalla caponiera dell’opera difensiva e percorrendo l’attiguo pendio si incontrano quattro basamenti costruiti con pietre e con malta; negli immediati dintorni c’è un sentiero che sale alla Malga Valchestria ed attraversa un bosco solcato da camminamenti, alcuni dei quali hanno un’ampia visuale sulla posizione di Claemp: quindi un sistema che insieme all’opera difensiva di Claemp offre la chiara sensazione di trovarsi al cospetto di un caposaldo, soprattutto se valutato insieme agli apprestamenti difensivi situati nel bosco sovrastante Claemp ed a quelli situati sulla cresta del Doss del Fò.

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Il raggio di divieto di fabbrica. Basi legislative ed effetti sul territorio nell’ambito del sistema fortificato Austro-Ungarico del Tirolo meridionale VII

IL RAGGIO DI DIVIETO DI FABBRICA. BASI LEGISLATIVE ED EFFETTI SUL TERRITORIO NELL’AMBITO DEL SISTEMA FORTIFICATO AUSTRO-UNGARICO DEL TIROLO MERIDIONALE Autore Nicola Fontana

Museo Storico Italiano della Guerra, Rovereto

Sommario Nel contributo verranno descritte anzitutto le norme legislative alla base del cosiddetto “raggio di divieto di fabbrica” attorno alle opere di fortificazione austroungariche. in secondo luogo se ne esamineranno gli effetti sul territorio e le reazioni delle autorità politiche del Tirolo meridionale, interessate ad impedire che l’applicazione della legge contrastasse i piani di espansione edilizia e delle attività industriali dei centri urbani più importanti della regione (in particolare di Trento e di Riva del Garda). Abstract THE BUILDING BAN RADIUS. LEGAL BASES AND EFFECTS OF THE AUSTRO-HUNGARIAN FORTIFIED SYSTEM OF SOUTH TYROL This study is mainly about the legal bases of the factory bae contribution will be described primarily those laws commonly called “building ban radius” around AustroHungarian fortifications. Then, we will see the effects on the country and the reactions of political authorities of South Tyrol, who feared that the application of the law could harm the expansion plans of construction and industrial activities of the most important urban centers of the region (mainly Trento and Riva del Garda). 1 - «Uno studio delle servitù militari» «Uno studio delle servitù militari», ha scritto Gianni Oliva in un saggio pionieristico apparso ormai trent’anni fa, «(…) diventa quindi una via per comprendere la prospettiva nella quale si è impostato il rapporto esercito-territorio e le conseguenze a cui ha portato un’ottica di militarizzazione che nel sacro principio della «sicurezza nazionale» trovava giustificazione ad ogni imposizione» (Oliva 1981, p. 200): rapporto che lo storico torinese, analizzando la realtà italiana tra la seconda metà del XIX secolo e l’inizio degli anni Trenta del Novecento, trovò caratterizzato da una sostanziale subordinazione del territorio, degli interessi dei privati e di quelli delle amministrazioni locali alle esigenze della difesa nazionale, in altre parole, dello Stato. In concreto l’aggravio costituito dalle servitù militari si palesava sotto forma di deprezzamento del valore delle campagne che vi erano soggette, di forti limitazioni allo sfruttamento agricolo del territorio nonché all’espansione delle attività industriali infine, in alcuni casi, di fastidiosi vincoli allo sviluppo urbanistico delle città. È questa una lettura delle servitù che ci sembra utile riprendere al fine di un approccio critico al tema del rapporto tra fortificazioni, esercito, territorio e popolazione nel caso

specifico del Tirolo tra la fine del XIX ed il primo decennio del XX secolo. Prima di affrontare il cuore del problema è necessario esaminare la norma legislativa che disciplinava l’area di rispetto attorno alle fortificazioni nella monarchia austro-ungarica. Conosciuta col nome di Festungsrayonsgesetz, la legge era di fatto un prodotto del neoassolutismo anche se entrò in vigore agli albori dell’era costituzionale: approvata infatti con sanzione imperiale del 21 maggio 1856 e con i successivi decreti del Ministero dell’interno, della giustizia e del Comando Supremo d’armata del 21 dicembre 1859, essa venne pubblicata sul Bollettino delle leggi dell’impero del gennaio dell’anno successivo nella forma di “direttive sul raggio delle piazze fortificate” (Directiven über den Rayon befestigter Plätze). Sino a quel momento infatti la materia era disciplinata dalle disposizioni della sesta sezione dell’Ingenieurs-Reglement (art. 1-10), approvato dall’imperatore Francesco I con decreto del 29 aprile 1831, disposizioni che imponevano un’area di rispetto di 1.140 metri attorno alle piazze fortificate e subordinavano la concessione dei permessi di fabbrica al parere della Direzione Generale del Genio ed alla sottoscrizione della cosiddetta “reversale di demolizione”, di cui si tratterà fra breve (Sr. k.k. Majestät Franz des Ersten, 1832, pp. 5870). Coerentemente a questi principi la nuova legge, suddivisa in tredici articoli, sanciva l’obbligo di sgombero di ogni tipo di ostacolo – edifici, canali, scavi o quant’altro avrebbe potuto offrire una copertura alle operazioni di assedio del nemico – dalle superfici di terreno poste di fronte agli spalti delle fortezze. Il divieto di fabbrica era distinto, in base ad un calcolo proporzionale alla potenza balistica delle artiglierie del tempo, tra il raggio ristretto (engerer Bauverbotsrayon) corrispondente alla cosiddetta “area di assedio” e pari a 570 metri, in cui vigeva il divieto assoluto, ed il raggio ampio (weiterer Bauverbotsrayon) esteso per 1140 metri in cui le concessioni edilizie erano subordinate al consenso delle autorità militari (art. 1, 3, 7). Assolute erano anche le restrizioni entro il raggio esteso nel caso di superfici non edificate al momento dell’applicazione della legge (art. 7). Nell’ambito dei campi trincerati e delle piazzeforti esisteva inoltre un’area di rispetto anche all’interno della cintura fortificata e comunque i passaggi di accesso al vallo principale dovevano rimanere del tutto sgombri per almeno 9,50 metri: i canali dei fossati o attraversanti le mura come anche le piazze e le vie prospicienti non potevano essere modificati se non previa autorizzazione del Comando di fortezza oppure della locale Direzione del Genio militare (art. 9 e 12). Attorno

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alla linea di fortificazioni del centro urbano (Noyau) vigeva un raggio di 570 metri.

le autorità centrali militari si mossero sin dal 1870 in direzione di una modifica della legge.

La legge offriva un certo margine di flessibilità in considerazione delle condizioni locali di difesa e della natura del terreno: infatti era considerato superfluo il raggio ristretto là dove non sussistesse il pericolo di un assedio regolare (art. 1) o entro quelle porzioni di terreno sottratte alla visuale, e quindi al tiro, dei difensori (art. 4) mentre per le fortezze di montagna il divieto di fabbrica poteva essere fatto valere soltanto in quei punti ritenuti accessibili agli attaccanti (art. 5). Ai privati era consentita la modifica o l’ampliamento degli edifici di loro proprietà inclusi nei raggi purché entro i limiti fissati da una commissione mista politico-militare ed in ogni caso nel rispetto delle altezze, dell’aspetto esteriore, dei materiali delle strutture preesistenti nonché dei regolamenti edilizi vigenti (art. 8 e 11). Limiti che però non potevano essere imposti sui terreni sottratti alla visuale ed al tiro dalla linea delle fortificazioni. Il permesso delle autorità militari alla fabbrica era però vincolata alla compilazione ed all’iscrizione all’ufficio tavolare della cosiddetta “reversale di demolizione” (Demolierungs-Revers) con la quale il proprietario si impegnava ad attenersi scrupolosamente alle modifiche al progetto imposte dal Genio militare, a tollerare la costruzione di strutture militari e soprattutto a provvedere nei tempi fissati dai militari alla demolizione di tutte le fabbriche esistenti sul proprio fondo senza accampare pretese di indennizzo. Al contrario nel caso in cui la demolizione fosse stata compiuta dall’esercito il proprietario era tenuto a coprire le relative spese. Per queste forti restrizioni al diritto di proprietà non era prevista alcuna forma di risarcimento, tuttavia non era negata la possibilità di ricorso attraverso l’amministrazione politica o la procura di finanza, anche se la decisione sulle controversie come anche su tutti i casi dubbi spettava alle autorità centrali militari di Vienna (Reichs-Gesetz-Blatt für das Kaiserthum Oesterreich, 1860).

Il primo progetto fu presentato dal ministro della guerra Alexander von Koller, il 28 settembre 1874 (ÖStA, KA, MfLv, Politischer Teil, Kt. 676, N. 13623/2459: RKM Abt. 8, n. 4179, 28.9.1874). Formata da quarantacinque articoli e distinta in due parti, l’una dedicata alla tutela delle necessità militari e l’altra agli aspetti prettamente finanziari la proposta riprendeva ampiamente l’analogo testo in vigore in Germania , salvo distinguersene per l’estensione del raggio anche all’interno del corpo delle piazzeforti. Nella versione austriaca la legge ammetteva un significativo ampliamento della sfera d’azione delle servitù attraverso l’introduzione di tre raggi paralleli a partire dagli spalti: la prima estesa per 600 metri, la seconda per altri 900 e la terza per ulteriori 900 metri (ma in casi eccezionali poteva raggiungere i 2.500 metri) ma in compenso riconosceva il diritto ad un indennizzo per i proprietari penalizzati in forma diretta o indiretta dalle limitazioni, riconoscimento che però non poteva essere fatto valere nelle realtà in cui era già stato applicato il raggio di divieto di fabbrica in base alla legge del 1859, nei terreni di proprietà dello Stato e nei cimiteri (art. 37). L’indennizzo, che sarebbe stato corrisposto nella misura adeguata per compensare la perdita di valore dei terreni o per l’abbattimento di edifici, poteva consistere in denaro, in una rendita oppure in sgravi fiscali (art. 38-40). La legge non fu però sottoposta al voto del Parlamento e venne abbandonata per alcuni anni probabilmente a causa del concorso di due fattori: da una parte per le complesse trattative col governo ungherese in materie inerenti la difesa comune, dall’altra per l’oggettiva difficoltà, del resto emersa assai presto, nel conciliare il punto di vista dell’amministrazione dell’esercito con quella dei ministeri comuni e del governo austriaco, anch’essi pure divisi su alcuni nodi fondamentali (ÖStA, KA, GnStb OpB, Kt. 724: Entstehung des Festungs-Rayonsgesetztes). Ma la necessità di una revisione della legge venne avvertita prepotentemente all’inizio degli anni ’90 in conseguenza ai numerosi cantieri di fortificazione aperti alla frontiera nord-orientale e sud-occidentale della monarchia.

2 - Necessità per la modifica della legge Un così rigido controllo sul territorio finì inevitabilmente per entrare in conflitto con gli interessi non solo dei proprietari privati, penalizzati dai limiti imposti al libero utilizzo dei propri fondi e dalla drastica perdita di valore degli stessi, ma anche delle amministrazioni comunali che perseguivano dei piani per lo sviluppo delle industrie e quindi per l’espansione urbanistica. La prima reazione nota alla legge giunse infatti dal governo municipale di Olmütz, punto di grande importanza strategica per le operazioni militari verso la Germania ma anche nodo ferroviario e centro di vivaci traffici commerciali. Il 12 marzo 1869 il municipio inviò al Parlamento di Vienna ed al Ministero della difesa territoriale una petizione in cui si chiedeva l’affrancamento dalle reversali per consentire l’impianto di nuove industrie (Stenographische Sitzungsprotokolle der Delegation, 1869, p. 303). Di fronte a queste e ad altre proteste che giungevano dalle diverse regioni dell’impero

Non a caso il fronte principale dei critici alla legge nel Reichsrat si formò tra i deputati conservatori della Galizia, regione di eminente importanza strategica per le operazioni militari contro la Russia: riuniti nel cosiddetto Polenklub, nel gruppo parlamentare polacco, attraverso la promozione di una riforma della legge e la richiesta di abrogazione delle reversali essi cercarono di tutelare gli interessi non solo dei proprietari fondiari ma anche della borghesia delle città di Cracovia e di Przemyśl, che nell’imposizione delle servitù vedevano un serio impedimento alle loro aspirazioni di sviluppo economico, sociale ed urbanistico. La lunga serie di interpellanze, proposte e risoluzioni sull’argomento presentata dal Polenklub venne inaugurata dall’intervento di Josef Popowski alla camera dei deputati il 27 giugno

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Il raggio di divieto di fabbrica. Basi legislative ed effetti sul territorio nell’ambito del sistema fortificato Austro-Ungarico del Tirolo meridionale

1891, col quale egli chiese, oltre ad un adeguamento della legge alla moderna concezione bellica ed al riconoscimento del diritto all’indennizzo per i proprietari di edifici e terreni inclusi nei raggi, una sostanziale semplificazione delle reversali ed uno snellimento delle pratiche per la concessione dei permessi di fabbrica (Stenographische Protokolle über die Sitzungen, 1891, vol. II, pp. 13261327). La domanda per una riforma della legge venne poi riformulata nelle successive sedute della Camera dei deputati del 19 giugno 1893, del 17 giugno, del 6 luglio 1895 e del 10 giugno 1896 ottenendo tanto dal Ministero della guerra quanto dal Ministero della difesa territoriale niente di più di generiche rassicurazioni. Anche dopo aver incassato l’appoggio alla risoluzione con la quale si vincolava il governo comune a compiere passi concreti nella direzione indicata anni prima da Popowski (dicembre 1896) non si registrarono progressi apprezzabili. Si dovette attendere la seduta del 14 maggio 1898 perché il Ministero della guerra desse finalmente notizia della nascita di una nuova bozza (agosto 1897) trasmessa nel frattempo ai ministri competenti (Stenographische Sitzungsprotokolle der Delegation, Wien 1901, pp. 30-36). Il nuovo testo, accogliendo le principali richieste della popolazione senza sacrificare le esigenze di difesa, concedeva da una parte l’abrogazione delle reversali, l’abbandono del divieto assoluto di fabbrica nel raggio ristretto, una certa flessibilità nella demarcazione del raggio ed imponeva dall’altra un’ area di rispetto (che raggiungeva i 2.200 metri dalle mura delle fortezze) e l’autorità del Comando di fortezza in materia di concessioni edilizie. Dopo oltre un decennio di stasi si trattava senza dubbio di un segnale incoraggiante anche se realisticamente le autorità centrali militari, consapevoli delle forti difficoltà che avrebbero incontrato soprattutto sul versante della copertura finanziaria, mostrarono sin dall’inizio di non nutrire illusioni sui tempi di approvazione. Di fatto i pareri del governo austriaco e di quello ungherese non giunsero mai e quando il Ministero per la difesa territoriale convocò, tra gennaio e febbraio 1903, una commissione formata dai rappresentanti dei ministeri (delle finanze, degli interni, della giustizia, delle ferrovie e dell’agricoltura) per discutere il problema, nonostante l’unanimità raggiunta su gran parte degli articoli della nuova legge, il tentativo di accordo fallì per le tenaci resistenze del Ministero comune delle finanze alle norme relative agli indennizzi, per la ragguardevole entità dei costi (ÖStA, KA, MfLv, Präsidium, Kt. 817, N. 2426-XVI, 11.5.1912). Intanto la pressione per una riforma della legge del 1859 e, soprattutto, per l’abrogazione delle reversali e la concessione di indennizzi cresceva, nella Camera dei deputati come anche nelle Delegazioni, di anno in anno e non veniva più esercitata, come era avvenuto nel decennio precedente, dal solo gruppo parlamentare polacco anche se quest’ultimo rimase sempre, per così dire, in prima linea: alle interpellanze ed alle petizioni che denunciavano i disagi degli abitanti delle piazzeforti della Galizia si erano infatti

aggiunte analoghe iniziative, in favore delle rispettive aree di provenienza, da parte dei deputati tirolesi – sia liberali che clericali (Schorn, Tambosi, Conci, Delugan) –, delle coste istriane e della Dalmazia e, più tardi, anche da parte del gruppo parlamentare socialista. Anche i discorsi avevano assunto accenti più aspri: nell’interpellanza al Ministero della difesa territoriale presentata alla Camera dei deputati il 22 novembre 1899 il conservatore Wladimir Bolesta Koszlowski denunciò il palese conflitto tra la legge sul raggio di divieto di fabbrica, l’articolo 365 del codice civile (diritto all’indennizzo in caso di espropri di Stato) e l’articolo 5 della legge costituzionale del 21 dicembre 1867 che sanciva l’intangibilità della proprietà privata. Eppure – accusarono allora i deputati polacchi – era stata consentita l’applicazione di una legge di epoca e di concezione precostituzionale che comportava di fatto un esproprio, aveva arrecato ingenti danni economici ai privati – verso i quali gli istituti bancari si dimostravano restii a concedere del credito ipotecario ed eventualmente solo per il valore del terreno e non delle parti edificate – ed aveva avuto l’effetto di inibire l’espansione edilizia nonché lo sviluppo delle industrie nelle città ridotte a piazzeforti (Stenographische Protokolle über die Sitzungen, II. Band, Wien 1900, pp. 1105-1106). In realtà si è visto come le autorità centrali militari avessero cercato di superare il lungo periodo di stallo, incontrando un ennesimo fallimento. Il progetto non fu abbandonato, al contrario venne tenacemente perseguito negli anni successivi, come dimostra il costante contatto tra il Ministero della guerra, della difesa e quello comune delle finanze sulla spinosa questione degli indennizzi, fino a quando il 26 aprile 1909 il ministro della guerra Schönaich decise di annunciare l’imminente stesura di una nuova bozza di legge, la quarta dal 1874 (ÖStA, KA, MfLv, Politischer Teil, Kt. 680, N. 1848 Dep. XVI, 9.7.1910). Nonostante le remore del Ministero delle finanze una prima versione della legge fu portata a termine dopo due anni, nell’aprile del 1911, e quindi trasmessa ai due ministeri della difesa, quello austriaco e quello ungherese con l’intento di giungere al più presto ad un testo condiviso (ÖStA, KA, MfLv, Präsidium, Kt. 817, N. 1990 Dep. XVI, 27.4.1911). Mentre dal Parlamento continuavano a fioccare le richieste per una soluzione definitiva al problema, il prolungarsi dello scambio di note tra Vienna e Budapest era un segnale rivelatore delle oggettive difficoltà che si opponevano al proposito di redigere un testo il più possibile omogeneo per le due parti della monarchia pur nel rispetto delle reciproche differenze nell’ordinamento amministrativo interno. Tra i maggiori punti controversi c’era il problema di una chiara ripartizione delle competenze tra autorità militari e civili, sul quale fu infine possibile raggiungere un accordo attribuendo alle prime di tutti gli affari concernenti l’estensione del raggio, le restrizioni alla proprietà privata e la qualifica delle diverse tipologie di fortificazioni ed alla seconda dell’espletamento delle pratiche inerenti

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alle domande di concessioni edilizie, ai ricorsi ed agli indennizzi sebbene la ferma opposizione del governo ungherese facesse sì che l’ultima parola su vertenze e risarcimenti venisse conferita ai due ministeri della difesa (ÖStA, KA, MfLv, Präsidium, Kt. 817, N. 2426 Dep. XVI, 11.5.1912). Nel contempo si era presentata anche la necessità di adeguare la bozza alle norme introdotte dalla nuova legge sulle prestazioni di guerra, congedata dal Parlamento il 26 dicembre 1912, in particolare a quegli articoli che regolamentavano il caso di occupazione di suolo privato per scopi militari (Reichs-Gesetz-Blatt für die im Reichsrate..., 1912, n. 236).

destinata a proteggere la frontiera con la Lombardia. Il direttore delle costruzioni fortificate, maggiore Victor Gustav Herrmann ne dispose l’applicazione nell’agosto del 1861 (TLA, Statth., Militär, fasz. 715, n. 21094, 4.8.1861). La notificazione della Luogotenenza all’indirizzo dei capitanati circolari e delle preture venne pubblicata il 10 agosto. Le commissioni si riunirono in settembre senza incontrare particolari difficoltà. Solo nel caso di Riva del Garda il Municipio elevò una dura protesta a causa di una diversa interpretazione della legge: mentre infatti i rappresentanti dell’erario militare erano decisi a imporre attorno al forte S. Nicolò i due raggi, quello ristretto e quello esteso per 360°, così come previsto per i forti isolati, l’amministrazione civica era invece del parere che il forte dovesse essere classificato come una batteria costiera e che gli spettasse pertanto un unico raggio di soli 570 metri se non addirittura inferiore per via dell’estensione degli angoli morti sul fronte verso il monte Brione. In realtà la protesta, trasmesso alla Pretura della città, lasciava trasparire un’insofferenza di carattere più generale, sia verso le prescrizioni della legge – definita del resto “odiosa” – che verso la stessa esistenza del forte, già preoccupante fonte di danni e di malumori per i proprietari dei terreni limitrofi (ACR, Sezione austriaca, 39 II c, B. 465: n. 98/1861, 10.10. 1861).

Apportata anche quest’ultima modifica l’ultima versione nota del progetto di legge fu congedata dal Ministero della guerra nell’estate del 1913 (ÖStA, KA, MfLv, Präs., Kt. 817, N. 4324 Dep. XVI, 11.7.1913.). Il testo, articolato in 48 articoli organizzati a loro volta in sei parti, prevedeva un ampliamento della sfera di controllo militare sul territorio ma allo stesso tempo introduceva significative concessioni ai proprietari, prima fra tutte l’abolizione delle reversali e poi un maggiore ambito di ingerenza dell’amministrazione politica. Come nelle precedenti, anche in questa versione erano contemplati tre raggi di cui i primi due estesi per 600 metri ciascuno ed il terzo si sviluppava per ulteriori 1.200 metri conservando anche un’area di rispetto sia verso l’interno della linea delle fortificazioni (50 metri) che attorno alle difese del centro cittadino (300 metri). Ora però era ammessa la possibilità di concedere una riduzione di quelle stesse aree a seconda della morfologia del terreno e dietro domanda di soggetti pubblici e privati (art. 1-5). Ai proprietari dei terreni soggetti alle limitazioni prescritte all’interno dei raggi, tranne quelli situati entro il cosiddetto Noyau, era riconosciuto il diritto ad un indennizzo a titolo di compensazione per la perdita di valore d’acquisto, indennizzo che in generale doveva essere corrisposto in forma di rendita pari al 6% dell’entità complessiva del risarcimento da ammortizzare in 37 anni. Vagheggiata e discussa per quarant’anni, una nuova legge sul raggio di divieto di fabbrica e sulle restrizioni alle proprietà private – a causa dei pesanti oneri che essa avrebbe imposto alle casse statali ed alle complicate trattative sia col Ministero comune delle finanze che con il governo ungherese, non entrò mai in vigore. Alla vigilia del primo conflitto mondiale la cancelleria del Ministero della guerra stava infatti ancora lavorando alla redazione finale di un dettagliato rapporto sulle motivazioni alla base delle singole nome che avrebbe dovuto accompagnare la bozza di legge nel successivo iter parlamentare (ÖStA, KA, MfLv, Präs., Kt. 818, N. 3127 Dep. XVI, 3.6.1914).

Alle rimostranze non venne data alcuna risposta ma un provvidenziale decreto del Ministero della guerra del 17 marzo 1863 sgravò inaspettatamente le proprietà soggette alle servitù militari delle fortezze non solo nella zona di Riva del Garda ma anche in tutto il Tirolo. Basandosi infatti sul primo paragrafo dell’art. 5 della legge, riferito allo specifico caso degli sbarramenti di montagna, il Ministero aveva infatti invitato le Direzioni del Genio militare di Trento e di Fortezza a preoccuparsi unicamente di mantenere sgombre quelle porzioni di terreno comprese nel campo di tiro frontale delle artiglierie, il che sul piano pratico sortì l’effetto di un quasi completo abbandono dei raggi (TLA, Statth., Militär, fasz. 733, n. 25457/3943: n. 9299, 25.9.1895). Di fatto questa interpretazione della legge venne osservata per un arco di tempo relativamente lungo anche perché, come spiegò più tardi il ministro della difesa Welser von Welsersheimb alla Camera dei deputati, nel territorio circostante alle fortezze tirolesi non era stata constatata un’attività edilizia tale da suscitare preoccupazione (Stenographische Protokolle über die Sitzungen, Band II, 1902, p. 10036). All’inizio degli anni Novanta dell’Ottocento, di fronte al moltiplicarsi delle fabbriche indesiderate in prossimità delle fortezze ed agli scarsi riscontri dei ripetuti richiami alle autorità politiche per la tutela dell’integrità delle aree di rispetto il Comando del 14° Corpo d’armata prima ed il Ministero della guerra poi si convinsero che non era più possibile procrastinare ulteriormente la piena applicazione della legge. Come emerse nel corso dei successivi rilievi la maggior parte delle amministrazioni comunali

3 - L’applicazione della legge nel Tirolo meridionale Non resta ora che chiedersi come la legge fu applicata nel Tirolo meridionale e quali furono gli effetti. All’epoca in cui la legge sul raggio di divieto di fabbrica entrava in vigore, nel Tirolo meridionale fervevano i preparativi per l’erezione della duplice linea di fortezze di sbarramento

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ne ignoravano completamente l’esistenza e del resto alcune di esse non disponevano neppure di un’adeguata raccolta del “Bollettino delle leggi dell’impero”: la nuova pubblicazione di quelle norme, anche in considerazione degli ambiziosi progetti di fortificazione allora in fase di studio, era divenuta a quel punto effettivamente necessaria (ASTN, CA, B. 278, n. 6541: n. 10895, 25.6.1896). Il piano per la sistematica demarcazione dei raggi attorno alle fortezze del Tirolo venne quindi inaugurato nell’estate del 1894 con precedenza per le fortificazioni poste sotto la giurisdizione della Direzione del Genio militare di Bressanone, dove nel giro di pochi mesi si attendeva alla fine dei lavori di costruzione dello sbarramento di Landro e del forte di Plätzwiese (TLA, Statth., Militär, fasz. 733, n. 19958/3122: n. 5565, 10.8.1894): al termine della fase di studio preliminare e convocate come da prassi le commissioni miste politico-militari, i relativi raggi di divieto di fabbrica furono fissati nel terreno con la posa di cippi di pietra (contrassegnati con la sigla BVR) tra l’agosto ed il settembre 1895. Intanto con decreto del 24 novembre dell’anno precedente il Ministero della guerra aveva dato ordine alla Direzione del Genio militare di Trento di redigere un progetto complessivo dei raggi di divieto di fabbrica per le fortezze di sua competenza. I piani furono approvati in via definitiva il 10 dicembre 1895, autorizzando l’avvio dei preparativi in accordo con l’amministrazione politica a diverso livello, dalla Luogotenenza ai comuni (ÖStA, KA, KM, 8. Abt. 1895 117/7 n. 2467, 10.12.1895). I lavori delle commissioni miste chiamate a delimitare le aree, seguiti per parte militare dal capitano Gustav Falu, furono aperti a Riva del Garda il 3 marzo 1896 e proseguirono con le opere della Fortezza di Trento (30 marzo – 20 aprile), dello sbarramento di Lardaro (17-18 aprile), del Tonale (12 maggio) per concludersi con i forti Al Buso e Dossaccio del gruppo di Paneveggio (23 giugno). Tuttavia le pratiche si chiusero soltanto tre anni dopo perché oltre alla registrazione delle servitù nei libri di archiviazione e del catasto fondiario, all’approvazione della Procura di finanza e della Giunta provinciale di Innsbruck serviva anche l’avvallo, attraverso una delibera che sancisse la sottomissione alle servitù e consentisse l’impianto dei cippi, delle amministrazioni comunali coinvolte, il che non fu sempre possibile conseguire in breve tempo per le perplessità sollevate nei consigli. 4 - La situazione ai primi del XX secolo Intanto spettò ai capitanati distrettuali il compito della pubblicazione delle norme sul raggio di divieto di fabbrica, sulle conseguenti restrizioni alla proprietà e sulle pratiche da istruire per la concessione dei permessi di fabbrica entro il raggio esteso. Nonostante le notificazioni dell’amministrazione politica, rinnovate di volta in volta in occasione dell’apertura dei nuovi cantieri di fortificazione e nonostante la pubblicazione delle norme sulle pagine della stampa locale (Notificazione, “Gazzetta di Trento”, n.

28, 5.2.1897), i comandi militari non furono mai del tutto persuasi dell’efficacia di questi strumenti tanto più che nel corso del primo decennio del XX secolo continuarono a lamentare frequenti casi di infrazioni ed abusi, attribuiti per lo più all’ignoranza della legge tra la popolazione (ASTN, CDTN, B. 488, XXXV 120/1914: n. 11255, 24.5.1910) ma anche alla deliberata volontà di aggirare il divieto poiché numerosi privati, una volta ottenuto il consenso di fabbrica, si erano rifiutati di sottoscrivere la reversale di demolizione (ÖStA, KA, MfLv, Politischer Teil, Kt. 679, n. 46055-XVI, 1.11.1904). Come disposto dal decreto del Ministero della guerra del 1° settembre 1896 la sorveglianza sulle aree di rispetto attorno alle opere di fortificazione spettava agli uffici edili militari – in primo luogo alle Direzioni del Genio (ACTN, OA, Esibiti politici del Magistrato politico economico e del Comune 1895, X 287 1895: n. 26516, 22.9.1896) – ma in seguito fu necessario rafforzare i controlli prima con l’impiego di pattuglie della gendarmeria (ASTN, CDTN, B. 280: n. 11, 31.1.1900), poi, per effetto del decreto del Ministero della difesa del 1° novembre 1904, obbligando l’amministrazione politica a diverso livello a comminare, in caso di infrazione, severe misure disciplinari variabili a seconda della gravità da una sanzione pecuniaria (fino a 100 fiorini) all’arresto fino a quattordici giorni in conformità alle leggi del 1854 e del 1857 sul rispetto dei divieti imposti da autorità statali (Reichs-GesetzBlatt für das Kaiserthum Oesterreich, Jhg. 1854, n. 96; Jhg. 1857, n. 198). I capitanati erano inoltre tenuti ad invitare i capicomune all’osservanza del regolamento edilizio del Tirolo che all’art. 54 attribuiva loro specifiche responsabilità sulla vigilanza delle fabbriche nei rispettivi territori. Nel contempo si cercò di affermare il diritto per i rappresentanti dell’erario militare di partecipazione alle commissioni edilizie. L’insieme di questi provvedimenti doveva d’altra parte prevenire il ricorso alla misura estrema della demolizione forzosa (ÖStA, KA, MfLv, Politischer Teil, Kt. 679, n. 46055-XVI, 1.11.1904). La situazione registrò un sensibile miglioramento soltanto negli anni immediatamente precedenti allo scoppio del primo conflitto mondiale, dopo che il Ministero della difesa territoriale ebbe rafforzato il ruolo del Comando provinciale della gendarmeria di Innsbruck nell’opera di vigilanza, obbligando le pattuglie a compiere un controllo ogni due settimane e ad inoltrare regolare rapporto al Capitanato distrettuale ed alla Direzione del Genio militare competente (TLA, Statth., Abt. IX, 1911, XXXV331/2347: n. 3818, 30.8.1911). Se si valuta nel suo insieme il carteggio prodotto tra gli ultimi anni dell’800 ed il 1914 l’impressione che si ricava è quella di una ferma volontà delle autorità militari di preservare, attraverso le aree di rispetto, le condizioni minime necessarie ad un’efficace azione delle artiglierie delle fortezze anche a prescindere dalle proteste – in caso di resistenza era previsto il ricorso all’esproprio (ASTN, CDTN, b. 425, 1912 XXXV120/724: n. 9058, 20.9.1896) – e dagli interessi dei singoli proprietari. Una fermezza, quella dei rappresentanti

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dell’erario militare, che almeno nel caso degli sbarramenti periferici fu nei fatti alquanto relativa anche entro il raggio di divieto assoluto di fabbrica – atteggiamento indotto talvolta da considerazioni di natura opportunistica se non addirittura intrinsecamente politica – là dove fossero in discussione interessi collettivi.

raggio di divieto di fabbrica esteso dell’omonimo forte in costruzione dal 1908, il piccolo abitato andò quasi completamente distrutto nel rovinoso incendio del 9 agosto 1911. Su pressione della rappresentanza comunale il 27 settembre la Direzione del Genio militare di Trento presentò al Ministero della guerra un’istanza perché una parte di superficie edificabile venisse affrancata dai vincoli del raggio e dalla reversale di demolizione (ÖStA, KA, MfLv, Präs., Kt. 817, n. 4427-XVI, 7.10.1911). La proposta venne accolta ed anche di fronte alla successiva richiesta di svincolo per una superficie più ampia di terreno non venne opposta alcuna riserva (ÖStA, KA, MfLv, Präs., Kt. 817, n. 5534-XVI, 7.12.1911).

Ad ogni modo le autorità militari si dimostrarono particolarmente sensibili alle ragioni economiche delle comunità locali, ad esempio di quelle del Comune di Vermiglio, al quale nel settembre del 1896 e nell’ottobre dell’anno successivo il Ministero della guerra accordò il permesso di proseguire i lavori di costruzione di una fabbrica di mattoni “alle Pozze di Velon”, situata entro il raggio di divieto di fabbrica del forte Strino, nonché di sistemazione di un sentiero “alle Strete di Velon” necessario all’impresa Feltrinelli per il trasporto delle borre (ASTN, CDC, B. 62: n. 159, 4.6. 1896; n. 322, 18.9.1896; n. 1373, 20.7.1897; n. 2013, 22.10.1897). Più tardi, nel gennaio del 1909, venne sancita l’assegnazione della malga Termenago al raggio esteso del blockhaus Pejo in seguito alle proteste della rappresentanza comunale di Pejo, che si era rifiutata di sottoscrivere i protocolli di commissione ravvisando nell’inclusione della malga nel raggio ristretto, dove vigeva il divieto assoluto di fabbrica, un «grave danno (…) causato alla montagna di questo povero Comune» (ASTN, GMA, Sc. 67: Protocollo di sessione della rappresentanza comunale, Pejo 2.11.1908). Nel caso di Vetriolo, compreso da progetto entro il raggio di divieto di fabbrica della prevista fortificazione campale del colle di Busa Grande, il Ministero della guerra preferì rinunciare alla prosecuzione della pratica per non penalizzare la relativa stazione termale (ÖStA, KA, KM, 8. Abt. 1913 20-13/10/18 n. 2294, 4.3.1913). Una certa tolleranza venne dimostrata anche nei confronti degli edifici pubblici – per l’ampliamento della scuola popolare di Mattarello si rinunciò nel novembre 1905 ad imporre la reversale di demolizione (ÖStA, KA, MfLv, Politischer Teil, Kt. 679, n. 52914-XVI, 26.11.1905; n. 98-XVI, 16.2.1906) mentre le scuole di S. Giorgio nel Comune di Arco (1904) e di Nago (1906) furono del tutto affrancate dai raggi estesi dei forti del Brione e di Nago (ÖStA, KA, MfLv, Politischer Teil, Kt. 679, n. 41330-XVI, 23.9.1904; N. 102-XVI, 20.12.1906) – o comunque verso le infrastrutture di pubblica utilità, specie se con ricaduta positiva sull’esercito, come la posa di una linea ad alta tensione tra Biacesa e Rovereto (ASTN, GMA, Sc. 42 fasc. 2c: n. 539, 15.6.1906; Sc. 23: n. 437/1, 12.7.1906) oppure come l’acquedotto tra la fonte alle pendici del monte Casella di Dentro (Innergsell), gli abitati di Moso e Villgrater, costruito tra il 1910 ed il 1911 dal Comune di Sesto entro il raggio del forte Mitterberg (ÖStA, KA, MfLv, Politischer Teil, Kt. 680, n. 656-XVI, 15.3.1911; n. 1555-XVI, 20.6.1911).

Nonostante le concessioni ed i trattamenti per così dire benevoli in singoli casi rimaneva comunque vivo, per la collettività dei proprietari, il problema delle restrizioni imposte dalla legge e – soprattutto – il conseguente danno derivato dalla perdita di valore di terreni e fabbricati per il quale, come si è visto, lo Stato non riconosceva alcuna forma di indennizzo. Prima di esaminare le reazioni delle autorità politiche alla delimitazione dei raggi di divieto di fabbrica sembra opportuno cercare di rendere un’idea quantitativa del fenomeno. Nella tabella 1 sono riportate in ettari le superfici di terreno soggette alla data del 1914 alla servitù del raggio entro ciascun distretto politico del Tirolo. Dal momento che dalle fonti d’archivio è stato possibile dedurre dati esatti soltanto in riferimento alle opere di fortificazione erette dalle direzioni del Genio militare di Trento e di Riva del Garda in epoca successiva al 1904 (inclusi però anche i forti Strino e Rocchetta, mentre mancano i dati sul raggio attorno ai depositi di munizioni fortificati Cost’Alta e Tezzeli) e che per il calcolo delle rimanenti aree si è stabilito un valore medio di 270 ettari a fortezza, quelle qui presentate sono da considerare stime approssimative, per quanto presumibilmente non lontane dalla situazione effettiva. Messe in rapporto con la superficie complessiva del distretto politico di riferimento, le aree soggette alla servitù del raggio di divieto di fabbrica, pur essendo talvolta di entità relativamente importante (si veda Borgo, Cles, Riva, Rovereto, Tione e Trento), presentano un valore percentuale alquanto modesto (sulla media dell’1% nei distretti interessati da opere di fortificazione, escluso il caso estremo di Trento) anche per l’evidente localizzazione in regioni circoscritte di ciascun sistema fortificato. Infatti valori registrano un significativo aumento percentuale là dove i sistemi fortificati erano più omogeneamente distribuiti all’interno del distretto, come nel caso di Trento (10,01%) (fig. 1) e di Riva del Garda (4,86%). Tradurre in termini economici l’aggravio imposto dalle servitù appare, anche in considerazione delle ampie lacune negli archivi del Genio militare austriaco, un compito non facile. È tuttavia possibile farsi un’idea sommaria attraverso le informazioni raccolte nella tabella che segue. In essa viene fornita una comparazione del valore complessivo

5 - Il caso di Luserna in rapporto al suo omonimo forte e le situazioni concomitanti È interessante infine il caso di Luserna. Incluso entro il

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Il raggio di divieto di fabbrica. Basi legislative ed effetti sul territorio nell’ambito del sistema fortificato Austro-Ungarico del Tirolo meridionale

Capitanato distrettuale

Gruppo Superficie del Area soggetta al raggio di fortificato distretto (in ha) divieto di fabbrica (in ha)

Ampezzo Borgo Bressanone Brunico Cavalese Cles Landeck Lienz Meran Riva Rovereto Tione Trento Mezzolombardo

Buchenstein / Tre Sassi Lavarone/forte Colle delle Benne Franzensfeste Landro / Plätzwiese Paneveggio / Moena Tonale / Pejo Nauders Sexten Gomagoi Riva Valmorbia / Folgaria Lardaro Trento / Tenna Rocchetta

Totale



dei terreni posti attorno agli sbarramenti di Folgaria, di Lavarone, di Tonale e Pejo prima e dopo essere stati inclusi nei rispettivi raggi, fornendo così una stima precisa della svalutazione subita per l’assoggettamento alla servitù. Il valore medio risultante dalla tabella – si tenga conto che le superfici considerate erano costituite per lo più da bosco ad alto fusto (46,2%) e da pascolo (37,09%) – indica una perdita di valore media attestata attorno al 10%. Benché parziali i dati qui esposti rendono un’immagine concreta del danno economico inferto dai raggi di divieto di fabbrica e spiegano il perché delle resistenze opposte dalla popolazione sin dall’inizio. In ordine di tempo i primi a presentare protesta furono i comuni di Cognola e di Tenna, colpiti il primo dal raggio della batteria Martignano ed il secondo da quello dell’omonimo forte. Mentre il Capocomune di Cognola Filippi nella lettera al Capitanato distrettuale di Trento del 7 aprile 1896, pur confermando l’accordo per l’impianto dei cippi di pietra, denunciò il «grave danno che ne deriverebbe per il rimarchevole deprezzamento del suolo» (ASTN, CDTN, B. 425, 1912 XXXV-120/724: n. 356, 7.4.1896), il Capocomune di

Sbarramento

Area soggetta (in ha)

Valore %

36.976 72.913 120.289 183.756 76.477 116.626 187.756 214.982 239.595 35.334 72.660 122.679 70.734 26.760

810,00 1.864,00 540,00 810,00 810,00 1.521,02 150,00 540,00 270,00 1.716,93 1.618,50 1.277,50 7.083,00 18,50

2,19 2,56 0,45 0,44 1,06 1,30 0,08 0,25 0,11 4,86 2,23 1,04 10,01 0,07

1.577.537

19.029,45

1,20

Tenna Enrico Malpaga lamentò l’inclusione di gran parte dell’abitato nel raggio e le carenti delucidazioni fornite ai proprietari (ASTN, CDTN, B. 425, 1912 XXXV-120/724: n. 298, 6.6.1896). Le richieste di modifica del raggio o di totale abrogazione dello stesso sottoposte in quell’occasione furono energicamente respinte dalla Direzione del Genio militare di Trento, che si rifiutò di inoltrarle al Ministero della guerra ritenendo che tutto quello che si poteva concedere alle due comunità era già stato concesso (ASTN, CA, B. 278: n. 1577, 21.10.1896; ASTN, CDTN, B. 425, 1912 XXXV-120/724: n. 10294, 23.10.1896). Pur messo di fronte a questa netta risposta delle autorità, il Comune di Cognola mantenne fermo, finché possibile, il suo proposito presentando un ulteriore ricorso al Comando di Fortezza il 12 luglio 1897 e continuando nel contempo a rifiutarsi di sottoscrivere i protocolli di commissione. Ma dovette infine cedere, probabilmente perché, come era verificato in altri casi, gli venne prospettata la minaccia del ricorso all’esproprio (ASTN, CDTN, b. 425, 1912 XXXV-120/724: n. 543, 10.7.1897; n. 763, 14.7.1897).

Valore monetario (in corone)

Valore successivo alla delimitazione dei raggi (in corone)

Folgaria 957,00 1.824.700

1.642.230 (- 10,00%)

Lavarone 1.324,00 5.801.400

5.121.710 (- 11,71%)

Tonale e Pejo 1.521,02 3.238.152

2.914.093 (– 10,00 %)

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I Congresso Internazionale su Conoscenza e Valorizzazione delle Opere Militari Moderne

6 - Le iniziative presso il Parlamento di Vienna

violazione di diritti, che erano stati acquisiti in buona fede e pertanto ha arrecato sensibili danni ai singoli proprietari. Di fatto le proprietà che si trovavano nella zona di divieto di fabbrica e che nel frattempo sono state comprate e vendute, sempre libere da ogni servitù, poiché la legge non era stata applicata, e perciò esse sono state valutate e pagate in cifre superiori rispetto a quanto sarebbero state valutate e pagate se la zona di divieto di fabbrica fosse stata delimitata all’epoca della costruzione delle fortezze» (Stenographische Protokolle über die Sitzungen, Band X, 1902, pp. 8701-8702).

Intanto le voci che si levavano contro il raggio di divieto di fabbrica nel Tirolo meridionale avevano raggiunto il Parlamento di Vienna. Il 21 ottobre 1896 il cattolico conservatore tirolese Johann Schorn depose alla Camera dei deputati un’interpellanza, sottoscritta tra gli altri anche dal deputato trentino don Emanuele Bazzanella, nella quale in appoggio alle rimostranze degli abitanti delle frazioni di Moso, Kiniger e Innerberg in Val di Sesto, incluse nel raggio del forte Mitterberg, veniva contestato il vincolo del consenso di fabbrica da parte del Ministero della guerra e dell’assoggettamento alla reversale di demolizione anche per modesti lavori di modifica delle case e si poneva la questione – già sollevata in precedenza dal gruppo parlamentare polacco – sulla conformità di quelle norme al Codice civile. Si chiedeva infine di tutelare il diritto di proprietà tramite ampie concessioni ai privati e di spiegare il motivo per cui la preannunciata nuova legge tardava ad arrivare in Parlamento. Il ministro della difesa Welser von Welsersheimb rispose nella sessione del 16 dicembre 1896 sostenendo l’atteggiamento benevolo dei militari verso le domande di fabbrica private – quattro quelle accolte sino a quel momento anche entro il raggio di divieto assoluto di fabbrica – e la piena legittimità della legge in vigore (ÖStA, KA, KM, Präs. 1896 70-31/3, n. 6376, 8.12. 1896; Stenographische Protokolle über die Sitzungen, Band XXII, 1896, p. 28239).

Il 15 dicembre dell’anno successivo fu il cattolico Baldassarre Delugan a deporre alle Delegazioni il testo di un’interpellanza in cui, facendo esplicito riferimento al caso del Trentino (in particolare a Trento e a Riva del Garda), veniva chiesta una nuova legge nelle forme più volte indicate dal Parlamento ma con effetto retroattivo (Stenographische Sitzungsprotokolle der Delegation, 1902, pp. 20-21). Non avendo ottenuto risposta il deputato, sostenuto dal collega di partito Bazzanella e dal liberale Valeriano Malfatti presentò il 3 aprile 1905 una nuova interpellanza alla Camera sottolineando ancora una volta, ma con un testo più articolato, le ragioni che giustificavano l’improcrastinabile necessità quantomeno di una profonda revisione della legge in vigore: «tanto in quest’aula quanto anche nelle Delegazioni i deputati e delegati del Trentino hanno ripetutamente portato lagnanze pesanti e motivate contro le norme della legge del 21 dicembre 1859 e dimostrato con chiarezza, quanto questa legge sia gravosa e dannosa per gli abitanti delle città e dei distretti al confine dell’impero in conseguenza alla crescente costruzione di opere di fortificazione e di laboratori d’artiglieria oppure in seguito al deposito di esplosivi. (...) Un enorme carico sulle spalle della proprietà edilizia e fondiaria situata all’interno del raggio di fortificazione, impoverimento dei proprietari dei relativi fondi, restrizione delle fonti d’entrata per le casse comunali, limitazione dell’attività edilizia, penalizzazione degli interessi economici di tutti i paesi in generale, tutte queste sono le conseguenze della legge del 21 dicembre 1859, con la quale viene negato un equo indennizzo per i proprietari danneggiati. Appare del tutto ingiusto che per la tutela di un interesse collettivo, com’è la difesa territoriale, vengano inflitte a singoli cittadini e a comuni oneri maggiori rispetto agli altri» (Stenographische Protokolle über die Sitzungen, Band XXXII, 1903, pp. 28536-28537).

Significativamente le iniziative parlamentari successive furono assunte dai deputati trentini, congiuntamente liberali e cattolici. Essi si distinsero assieme al Polenklub nell’azione di pressione al governo per il sollecito congedo di una legge più liberale. Lasciando momentaneamente da parte gli interventi in favore della città di Trento la prima importante presa di posizione contro gli effetti della legge sul raggio di divieto di fabbrica risale all’8 febbraio 1902, quando il liberale Antonio Tambosi trovò in Parlamento l’appoggio necessario per far approvare il testo di una risoluzione che chiedeva una nuova legge che sancisse l’abrogazione della reversale di demolizione ed il riconoscimento del diritto ad un indennizzo per i proprietari gravati da servitù militari (Stenographische Protokolle über die Sitzungen, Band X, Wien 1902, p. 8670). Nella sessione del 13 febbraio Tambosi presentò un’interpellanza, sostenuta anche dai deputati cattolici Enrico Conci, Emanuele Bazzanella e Baldassarre Delugan, la cui parte introduttiva fornisce un’interessante descrizione dell’impatto della legge sulla popolazione: «solo nel 1895 venne disposta la delimitazione del raggio di divieto di fabbrica prescritto da legge nella zona delle fortificazioni di Trento, e ciò nonostante queste fortificazioni fossero state costruite molti anni prima ed all’epoca della loro costruzione non erano state fatte valere né le norme della predetta legge, né era stata comunicata l’intenzione di applicarle. Perciò si creò un gravame non indifferente per gli estesi possedimenti alla periferia della città e la tardiva applicazione della legge comportò un’effettiva

Interpellanze di analogo tenore furono ripresentate alla Camera, sempre a firma di Delugan, il 21 aprile 1910 ed il 6 ottobre dell’anno successivo, senza però che dal governo giungesse un qualche riscontro (Stenographische Protokolle über die Sitzungen, 1910, n. 853 der Beilagen, 21 aprile 1910; XXI. Session, Wien 1911, n. 606 der Beilagen.). L’insofferenza verso il raggio di divieto di fabbrica ed i suoi vincoli assunse carattere decisamente più marcato, sino all’aperto scontro con le autorità militari, là dove si verificava un insanabile conflitto

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Il raggio di divieto di fabbrica. Basi legislative ed effetti sul territorio nell’ambito del sistema fortificato Austro-Ungarico del Tirolo meridionale

con le ambizioni di sviluppo economico ed urbanistico coltivate dalle amministrazioni civiche (Fontana, 2011, pp. 66-93). Si è visto d’altra parte come l’erario militare avesse cercato, nel limite del possibile, di escludere dai raggi i centri abitati o comunque di imporre sugli stessi condizioni non eccessivamente penalizzanti, ma nel caso di Trento l’estrema vicinanza delle opere di fortificazione ai nuclei urbani impedì di fatto il raggiungimento di un accordo soddisfacente con la parte politica senza inficiare in qualche modo i piani di difesa, per cui le ragioni dell’esercito vennero fatte prevalere. 7 - Il caso della città di Trento Dagli anni Ottanta dell’Ottocento la città di Trento era interessata da un processo di trasformazione tanto sotto il profilo dell’assetto urbanistico quanto economico, orientato faticosamente, a promuovere lo sviluppo del settore terziario (Leonardi, 1985, pp. 13-64). Un processo questo che, partendo dai favorevoli presupposti creati nel corso degli anni Cinquanta dall’abbattimento delle mura medievali, dall’apertura della ferrovia Verona-Bolzano e dalla modifica del corso del fiume Adige, era stato favorito dall’ascesa al potere municipale di una classe politica liberale, espressione della borghesia commerciale ed imprenditoriale, delle libere professioni e della piccola possidenza, la quale cercò di sfruttare quei margini di autonomia in materia di gestione finanziaria e del proprio patrimonio garantiti dallo Statuto cittadino del 1851 per perseguire un ambizioso programma di ammodernamento della città, concepita come centro propulsore di un “risorgimento economico” i cui effetti benefici si sarebbero dovuti estendere dal capoluogo a tutto il territorio provinciale. Tale visione dinamica del governo municipale, proiettata al di là dei confini della città-distretto, venne sostenuta soprattutto sotto il podestà Paolo Oss-Mazzurana (1884-1895) attraverso una serie di interventi mirati all’espansione edilizia, al risanamento di quartieri insalubri, alla realizzazione di nuovi quartieri per gli operai, all’ammodernamento dei servizi con l’introduzione e municipalizzazione dell’energia elettrica (1890), all’incentivazione dell’industria turistica e non per ultimo allo sviluppo di una rete di tramvie elettriche di collegamento tra il centro urbano e le valli circostanti (ferrovia della Valsugana nel 1896, ferrovia Trento-Malè nel 1909), sostenendo in definitiva l’idea di una città potenziata nella sua posizione di centro burocratico e commerciale (Corsini 1985, pp. 13-46). In questo contesto il 20 marzo 1896 giungeva alla cancelleria del Municipio – ricopriva allora la carica di podestà Antonio Tambosi – l’avviso dell’imminente demarcazione nel terreno dei raggi di divieto di fabbrica del Doss Trento e della batteria Martignano, raggi che avrebbero interessato in particolare il settore settentrionale e nord-occidentale della città (ACTN, OA, Esibiti politici

del Magistrato politico economico e del Comune 1895, X 287 1895: n. 2868, 20.3.1896). Le commissioni si riunirono il 30 ed il 1° aprile con la partecipazione dei proprietari del fondi e dei rappresentanti del magistrato civico, del capitanato distrettuale e del capitano Gustav Falu per parte dell’erario militare. Al termine dei lavori le parti convenute accettarono di sottoscrivere i protocolli, ma il Comune tenne a sottolineare che il raggio avrebbe rappresentato «un gravissimo impedimento allo sviluppo della città in quelle plaghe, che per essere vicinissime alla stazione ferroviaria sono le più adatte all’erezione di nuove fabbriche e conseguentemente un tale deprezzamento del suolo da fabbrica, da giustificare certamente il desiderio di qualche concessione e facilitazione» (ACTN, OA, Esibiti politici del Magistrato politico economico e del Comune 1895, X 287 1895, Protocollo, 30.3.1896). In gioco era lo sviluppo di aree strategiche per la politica di espansione edilizia, tra queste la zona tra la ferrovia e l’Adige ed il borgo di Piedicastello, sul quale il Comune aveva già investito la somma di 20.000 fiorini per l’acquisto del terreno destinato alla costruzione di case operaie. Per questo motivo nella seduta dell’8 aprile il consiglio comunale conferì alla Giunta l’incarico di compiere i passi necessari per ottenere straordinarie concessioni dal governo (ACTN, OA, Protocollo della sessione del Consiglio comunale di Trento degli 8 aprile 1896, p. 20). Una settimana più tardi Tambosi si rivolse al ministro per un intervento presso il Ministero della guerra in favore della città, elencando le infauste conseguenze del raggio sulla vita economico-sociale di Trento: deprezzamento dei terreni, disincentivo a nuove fabbriche (tra cui le case progettate per migliorare le condizioni igienico-sanitarie della classe operaia) e riflessi sullo sviluppo della linea ferroviaria. In concreto il Comune chiedeva un totale affrancamento dal raggio dell’area compresa tra l’Adige e la ferrovia fino a Sardagna e lungo la strada di Gardolo tra la ferrovia e la collina di Piazzina (ACTN, OA, Esibiti politici del Magistrato politico economico e del Comune 1895, X 287 1895: n. 2489, 15.4.1896). Con dispaccio del 23 giugno il Ministero della guerra rese nota al Municipio la propria soluzione, consistente nello svincolo dal raggio del settore compreso tra la stazione e l’Adige (salvo la porzione settentrionale dello stesso), della fascia rappresentata dal canale di scolo ed una piccola area a mezzogiorno del Doss Trento: un compromesso questo giudicato in un primo tempo «abbastanza favorevole» ed approvato dal consiglio comunale (ACTN, OA, Esibiti politici del Magistrato politico economico e del Comune 1895, X 287 1895: n. 246, 19.7.1896). Due anni dopo si rese necessario presentare un’ulteriore domanda di svincolo anche per i fondi di Campotrentino, Centa, per i quali era stata decisa la destinazione a quartiere industriale, come anche delle Ischie fino alla strada delle Bettine. Accolta da parte militare anche questa richiesta, il perimetro definitivo del raggio di divieto di fabbrica del Doss Trento e della batteria Martignano venne delimitato nel protocollo

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I Congresso Internazionale su Conoscenza e Valorizzazione delle Opere Militari Moderne

di commissione del 14.3.1899 (ACTN, OA, Esibiti politici del Magistrato politico economico e del Comune 1895, X 56 1898: n. 9950, 10.4.1898; n. 133, 16.2.1899).

costruzione del cosiddetto “fortino del Fersina” (Stützpunkt Fersina), in realtà una batteria campale per due cannoni da campagna, era stata proposta dal Comando di Fortezza non solo per munire il sistema difensivo del centro urbano, sino ad allora appena abbozzato sulla carta, di un terzo caposaldo (oltre al Doss Trento ed al castello del Buonconsiglio), ma anche quale pretesto per mantenere sgombro da ostacoli, attraverso l’imposizione del raggio di divieto di fabbrica, l’intero fronte meridionale del Noyau (ASTN, GMA, Sc. 22: Instruierender Bericht lit. D, luglio 1901; ÖStA, KA, KM, 8. Abteilung 1901 10-53/2 n. 2219, 21.11.1901). Sfortunatamente però questo progetto era destinato a collimare decisamente con i piani di espansione della città in quella zona, per cui quando con decreto del 15 aprile 1902 venne disposta la demarcazione del relativo raggio di divieto di fabbrica e le parti interessate furono convocate per prendere parte ai lavori, il Municipio respinse l’invito negando la presenza dei propri rappresentanti al consesso. Le ragioni di questo netto rifiuto furono spiegate poco tempo dopo alla Luogotenenza di Innsbruck in una lunga lettera di protesta contro una misura «ritenuta del tutto ingiustificata» (TLA, Statthalterei, Militär, fasz. 733: n. 20760/1520: n. 4584, 9.5.1902). Le tesi del Municipio furono considerate legittime dal Commissariato di polizia, che in un lungo rapporto alla Luogotenenza di Innsbruck non solo confermò la notevole portata del danno inferto agli interessi vitali della città ma avvertì delle possibili ripercussioni politiche della vertenza in quanto essa avrebbe potuto rafforzare tra i cittadini l’impressione di un Tirolo meridionale trattato dall’amministrazione centrale alla stessa stregua di una “provincia di conquista”, senza alcun riguardo per i sentimenti e gli interessi della popolazione (TLA, Statth., Militär, fasz. 733: n. 22629/1635: n. 2253, 23.5.1902).

L’equilibrio così raggiunto tra amministrazione dell’esercito e municipio venne rotto cedendo il passo allo scontro nel momento in cui, pochi anni dopo, venne deciso di imporre un raggio di divieto di fabbrica sia attorno al castello del Buonconsiglio che al cosiddetto “fortino del Fersina”. Nel primo caso la decisione era stata presa dal Ministero della guerra con decreto del 19 ottobre 1901 al dichiarato scopo di impedire al Comune l’attuazione dei propri progetti edilizi attorno alla piazza d’armi con grave pregiudizio per il campo di tiro dalle feritoie del castello verso sud-est. D’altra parte il Ministero si preoccupò di raccomandare alla Direzione del Genio militare di Trento la limitazione del raggio ad un’area strettamente necessaria alla difesa del complesso e la stesura di un progetto che tenesse conto degli interessi della popolazione cittadina, salvo però imporre il divieto assoluto di fabbrica sulle superfici non edificate (ACTN, OA, Esibiti politici del Magistrato politico economico e del Comune 1895, X 287 1895: n. 42408, settembre 1901). Il raggio venne delimitato il 16 dicembre dello stesso anno e pubblicato il 30 (ACTN, OA, Esibiti politici del Magistrato politico economico e del Comune 1895, X 287 1895: Protocollo, 16.12.1901). La reazione del governo municipale giunse con insolito ritardo, il 3 febbraio 1902, quando il Consiglio comunale diede mandato alla Giunta di intervenire perché si ottenesse una riduzione del perimetro del raggio e la concessione di indennizzi per le proprietà rimanenti (ACTN, OA, Protocollo della sessione del Consiglio comunale di Trento del 3 febbraio 1902, pp. 11-12). Ma l’obiettivo reale era ben più ambizioso: la cessione del castello in quanto monumento storico di grande valore e non, come sosteneva l’esercito, fortezza idonea alla difesa. Quattro giorni dopo il podestà Luigi Brugnara trasmise al Ministero della guerra una ferma nota di protesta lamentando le ripercussioni negative del raggio sia sull’espansione edilizia della città che sul valore economico dei fondi e promettendo ricorsi in ogni sede competente. A questa nota seguì una petizione sottoscritta da alcuni dei proprietari coinvolti (ACTN, OA, Esibiti politici del Magistrato politico economico e del Comune 1895, X 287 1895: n. 1585, 7 febbraio). Nonostante l’appoggio della Luogotenenza di Innsbruck e le pressioni del Ministero dell’interno il Ministero della difesa territoriale respinse nettamente le richieste (Stenographische Protokolle über die Sitzungen, Band XI, 1902, pp. 10036-10037). Anche le trattative per la cessione del monumento, avviate in accordo col Ministero del culto e dell’istruzione sin dal 1900, fallirono di fronte all’irremovibile volontà dell’esercito di mantenerne il possesso perché considerato caposaldo fondamentale per la difesa del centro (Noyau) della città (ÖStA, KA, KM, Präs. 1903 33-20/1 n. 298, 7.3.1903).

La questione raggiunse presto il parlamento. Il 4 giugno il liberale Antonio Tambosi ed il cattolico Enrico Conci presentarono alla Camera dei deputati un’interpellanza chiedendo, oltre ad una nuova legge, l’abbandono del progetto e di ogni altra iniziativa analoga utile soltanto a soffocare la città entro un opprimente anello di ferro (Stenographische Protokolle über die Sitzungen, Band XVI, 1902, pp. 13759-13760). Due giorni dopo Conci sottopose alle Delegazioni il testo di una risoluzione tesa a congelare la diatriba fino almeno al congedo di una nuova legge. Nel suo appassionato intervento Conci denunciò il provvedimento come un inaccettabile attacco ai diritti dei cittadini ed al naturale processo di espansione urbana nonché come un atto che si prestava tra l’altro ad essere interpretato come una forma di ritorsione per le manifestazioni antimilitariste del dicembre 1900: «per la popolazione di una piccola città è certamente molto duro, senza avere colpa e per unilaterale disposizione dell’amministrazione militare, essere colpita da un così grande svantaggio e non poter far valere alcuna richiesta di risarcimento. Si può osservare, che il singolo può rinunciare alla sua proprietà nell’interesse generale e per un indennizzo proporzionato (...). Però il fatto che la

Nel contempo si era aperto un altro fronte di scontro. La

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superiore amministrazione militare compia un tanto ampio e nelle sue conseguenze enormemente dannoso attacco al diritto privato dei cittadini e sottragga ad un’intera città ogni possibilità di un ulteriore sviluppo senza concedere un indennizzo ai danneggiati, questo valica, onorevole Delegazione, tutti i confini dell’ammissibile. Non voglio dire che questo provvedimento dell’amministrazione militare debba produrre tra i circoli interessati e soprattutto tra la popolazione di Trento, com’è ovvio, la più profonda animosità contro l’amministrazione militare; pure non voglio fare accenno al fatto che la popolazione di Trento sa spiegarsi questo provvedimento solo come una specie di ritorsione da parte dei militari per la nota manifestazione antimilitarista fatta verso la fine del 1900 in seguito ai numerosi gravi eccessi militari accaduti a Trento. Credo però che non si debba accettare che una città sia mandata in totale rovina per una disposizione dell’amministrazione militare» (Stenographische Sitzungsprotokolle der Delegation, 1903, p. 322). La risoluzione fu approvata il giorno dopo (Stenographische Sitzungsprotokolle der Delegation, 1903, p. 340 e 386). Irritato per i dubbi sollevati dal municipio il Comando del 14° Corpo d’armata di Innsbruck reagì chiedendo alla Luogotenenza di portare comunque a termine la demarcazione del raggio invitando il solo capitano distrettuale a prendervi parte (TLA, Statth., Militär, fasz. 733: n. 23705/1689: n. 873, 2 giugno 1902). Al rischio concreto di inasprire ulteriormente lo scontro le autorità superiori civili e militari preferirono piuttosto prendere il tempo necessario per trovare una soluzione accettabile per entrambe le parti. Ancora una volta si tentò la via del compromesso: in novembre il Ministero della guerra, pur non volendo rinunciare al fortino ed al relativo raggio, si dichiarò disposto ad affrancare dalla servitù i fondi considerati di maggiore valore nella misura di 142.500 mq (TLA, Statth., Militär, fasz. 733: n. 49808/3605: n. 45566, 20.11.1902). Ma anche questa offerta venne giudicata inaccettabile per cui il Ministero ordinò alla Direzione del Genio militare di portare comunque a termine la demarcazione del raggio in accordo col solo Capitanato distrettuale (ASTN, GMA, Sc. 22: n. 48, 19.1.1903).

dei ministri Ernest von Koerber una nuova interpellanza in cui, riferendosi al mancato rispetto della risoluzione del 7 giugno 1902 denunciava «un palese disprezzo per i diritti dei singoli proprietari, come pure verso l’istituzione costituzionale e parlamentare delle Delegazioni» da parte dell’esercito. Ancora una volta veniva invocata una nuova legge, purché con effetto retroattivo (Stenographische Protokolle über die Sitzungen, Band XXIII, 1903, pp. 20098-20099). Anche questo tentativo risultò infruttuoso perché Koerber, intervenendo sulla questione il 9 dicembre, si limitò associarsi al punto di vista del Ministero della difesa e ad affermare la legittimità delle procedure seguite dalle autorità militari. Non c’erano infine i margini per accogliere la richiesta di sospendere il provvedimento in attesa di una nuova legge, perché i tempi di approvazione della stessa si preannunciavano molto lunghi (Stenographische Protokolle über die Sitzungen, Band XXVI,1904, pp. 22995-22996). Nel frattempo il Municipio aveva intrapreso anche la via del ricorso alla corte amministrativa, senza successo (ACTN, OA, Protocollo della sessione del Consiglio comunale di Trento del 12 giugno 1903, p. 83; Stenographische Sitzungsprotokolle der Delegation, 1904, p. 494). L’ultima speranza cadde il 16 febbraio 1904, quando il ministro della guerra Heinrich von Pitreich bocciò la risoluzione Conci-Tambosi assicurando di aver fatto il possibile perché non venisse arrecato danno agli interessi della città (Stenographische Sitzungsprotokolle der Delegation, 1904, p. 494). Fu una sconfitta di breve durata per il magistrato cittadino, non tanto per l’ulteriore riduzione del raggio incassata nel

Le autorità militari, avendo constatato l’inconciliabilità delle posizioni, erano dunque decise a procedere a prescindere dal parere del Municipio (Stenographische Protokolle über die Sitzungen, Band XXI, Wien 1903, pp. 1884518846). Appresa la notizia dell’imminente convocazione della commissione per la delimitazione del raggio (2425 aprile) perché invitato solo in qualità di proprietario di alcuni dei fondi interessati, il Municipio cercò ancora una volta di opporre resistenza, ma senza risultato. Il perimetro del raggio venne reso pubblico il 30 aprile da un avviso del Capitanato distrettuale di Trento (ACTN, OA, Esibiti politici del Magistrato politico economico e del Comune 1895, X 287 1895: n. 9924, Notificazione, Trento 30.4.1903). Solo due giorni prima il deputato popolare Enrico Conci aveva indirizzato al presidente del consiglio

Fig. 1. La città di Trento e sobborghi nel 1802.

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gennaio 1906 quanto piuttosto per la più radicale decisione del Ministero della guerra nel novembre dell’anno successivo di abolirlo assieme a quello del castello del Buonconsiglio, logica conseguenza del nuovo indirizzo di politica militare inaugurato dal capo di Stato Maggiore Franz Conrad von Hötzendorf che non riconosceva più alla Fortezza di Trento quella centralità nel sistema difensivo tirolese attribuitale dalla seconda metà dell’Ottocento. Di conseguenza la realizzazione del Noyau venne stralciata dall’agenda del Genio militare ed il fortino del Fersina finì demolito (TLA, Statth., Militär, fasz. 733: n. 1917/217, 11.1.1906; ÖStA, KA, MfLv, Politischer Teil, Kt. 680, n. 1176-XVI, 9.11.1907; ACTN, OA, Protocollo della sessione del Consiglio comunale di Trento del 20 novembre 1907, p. 114).

Auszug aus dem k.k. Ingenieurs-Reglement…, Vienna 29 aprile 1831, pp. 58-70. - Stenographische Sitzungsprotokolle der Delegation des Reichsrates. Zweite Session, Wien 1869. - Stenographische Sitzungsprotokolle der Delegation des Reichsrates. Siebenunddreissigste Session, Wien 1902. - Stenographische Sitzungsprotokolle der Delegation des Reichsrates. Achtunddreissigste Session, Wien, 1903. - Stenographische Protokolle über die Sitzungen des österreichischen Reichsrates, XI. Session, Band II, Wien 1891. - Stenographische Protokolle über die Sitzungen des Hauses der Abgeordneten des österreichischen Reichsrates, XVII. Session, Band II, Wien 1902. - Stenographische Protokolle über die Sitzungen des österreichischen Reichsrates, XI. Session, Band XXII, Wien 1896. - Stenographische Protokolle über die Sitzungen des Hauses der Abgeordneten des österreichischen Reichsrates, XVII. Session, Band X, Wien 1902. - Stenographische Protokolle über die Sitzungen des Hauses der Abgeordneten des österreichischen Reichsrates, XVII. Session, Band XI, Wien 1902. - Stenographische Protokolle über die Sitzungen des Hauses der Abgeordneten des österreichischen Reichsrates, XVII. Session, Band XVI, Wien 1902. - Stenographische Protokolle über die Sitzungen des Hauses der Abgeordneten des österreichischen Reichsrates, XVII. Session, Band XXI, Wien 1903. - Stenographische Protokolle über die Sitzungen des Hauses der Abgeordneten des österreichischen Reichsrates, XVII. Session, Band XXXII, Wien 1903. - Stenographische Protokolle über die Sitzungen des Hauses der Abgeordneten des österreichischen Reichsrates, XVII. Session, Band XXVI, Wien 1904. - Stenographische Protokolle über die Sitzungen des Hauses der Abgeordneten des österreichischen Reichsrates, XX. Session, Wien 1910. - Stenographische Protokolle über die Sitzungen des Hauses der Abgeordneten des österreichischen Reichsrates, XXI. Session, Wien 1911.

8 - Abbreviazioni Abt. ACR ACTN ASTN B. BBD CA CDC CDTN Dep. fasc. fasz.

Abteilung (sezione) Archivio comunale di Riva del Garda Archivio comunale di Trento Archivio di Stato di Trento Busta Befestigungs-Baudirektion (Direzione delle costruzioni fortificate) Consigliere aulico Capitanato distrettuale di Cles Capitanato distrettuale di Trento Department (Dipartimento) Fascicolo Faszikel (Busta)

9 - Bibliografia - Corsini U. 1985, Paolo Oss Mazzurana e il partito economico, in Garbari M. (a cura di), Trento nell’età di Paolo Oss Mazzurana, Atti del Convegno (tenuto a Trento, 3-4 giugno 1983), Società di Studi Trentini di Scienze Storiche, Trento, pp. 13-46. - Fontana N. 2011, La città-guarnigione di Trento. Militari e popolazione civile nella piazzaforte asburgica 18801914, “Studi trentini. Storia”, A. 90, n. 1, pp. 63-93. - Leonardi A. 1985, Problemi ed orientamenti economici nel Trentino tra Ottocento e Novecento, in De Gasperi e il Trentino tra la fine dell’800 e il primo dopoguerra, in Canavero A. e Moioli A. (a cura di), Reverdito, Trento, pp. 13-64. - Oliva G. 1981, Esercito e territorio nella legislazione sulle servitù militari 1859-1932, “Rivista di storia contemporanea”, n. 2, pp. 199-217. - Reichs-Gesetz-Blatt für das Kaiserthum Oesterreich, Jhg. 1854, 1857, 1860. - Reichs-Gesetz-Blatt für die im Reichsrate vertretenen Königreiche und Länder, Jhg. 1912. - Sr. k.k. Majestät Franz des Ersten politische Gesetze und Verordnungen für sämmtliche Provinzen des Oesterreichischen Kaiserstaates, mit Ausnahme von Ungarn und Siebenbürgen, 59. Band, Wien 1832: n. 26,

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Lo sbarramento Brenta-Cismon 1866-1918: una VIIIfortezza a cavallo tra risorgimento e modernità

LO SBARRAMENTO BRENTA-CISMON 1866-1918: UNA FORTEZZA A CAVALLO TRA RISORGIMENTO E MODERNITÀ Autore Luca Girotto

Società Storica per la Guerra Bianca

Sommario La relazione tratteggia lo sviluppo dello “sbarramento Brenta-Cismon”, sistema difensivo integrato italiano a sbarramento delle vie d’invasione dal Trentino orientale, analizzandone la nascita, l’aggiornamento con i tentativi d’aggiornamento delle fortificazioni obsolete, l’evoluzione e le sorti belliche fino all’amaro destino finale. Un singolare intreccio tra modernità e relitti del passato che cercava di “fare sistema” a fronte di un travolgente progresso della potenza e della precisione delle artiglierie d’assedio, si troverà ad affrontare “la prova del fuoco” in condizioni di totale inadeguatezza per il disarmo graduale operato nei primi due anni e mezzo di guerra. Abstract THE “BRENTA-CISMON” STRONGHOLD COMPLEX 1866-1918:AFORTRESS IN BETWEEN RENAISSANCE AND MODERNITY The report focuses on the birth and sad destiny of the so-called “Sbarramento Brenta-Cismon”, a complex net of fortifications meant to face a potential A-H invasion between 18th and 19th century. It evolved in a singular mixture of modern, concrete-made, armoured forts and obsolete road blockades still relying on stone roofs and walls. From 1915 on, this strange union proved unsuccessful in front of “the modern art of war” when facing the appalling improvement of modern siege artillery. Gradually deprived of all its guns, ammo stocks and spare materials in the first two years of war, the “Sbarramento Brenta-Cismon” was simply a group of massive buildings lacking any real offensive capability in the late 1917, when the Italian retreat from Trentino, after the ill-famed Caporetto battle, occurred. 1 - La politica fortificatoria italiana dopo il 1866 Con la conclusione, tutto sommato vittoriosa nonostante le cocenti sconfitte subite per terra e per mare nell’estate del 1866, della guerra che vide il regno d’Italia e la Prussia contrapporsi al tradizionale e comune nemico asburgico, la monarchia dei Savoia acquisì l’intero Veneto e parte della Venezia Giulia. La ex contea principesca del Tirolo non venne invece minimamente coinvolta dalle mutilazioni territoriali che tra 1859 e 1866 privarono l’Austria del Lombardo-Veneto; le vicende internazionali ed i trattati di pace finirono tuttavia per trasformare il saliente tirolese da “territorio interno” dell’impero in vera e propria “marca di confine”. L’attuale linea di demarcazione tra la parte sudorientale della provincia di Trento e le adiacenti province di

Belluno e Vicenza coincide con discreta approssimazione al vecchio confine italo-austriaco post-1866. In quest’area, come peraltro su tutta la rimanente frontiera con l’impero asburgico determinatasi in conseguenza dei trascorsi eventi bellici, il regno sabaudo si trovò di fronte alla necessità di provvedere adeguatamente alla difesa del territorio. L’Austria, infatti, non disperava affatto di prendersi la rivincita alla prima buona occasione. La difesa dell’estesa frontiera alpina nord-orientale divenne quindi da subito una questione vitale per i governanti italiani. Per esaminare la fondamentale esigenza della difesa del Regno, già nel 1862 era nata un’apposita Commissione Permanente per la Difesa Generale dello Stato presieduta dal principe Eugenio di Savoia Carignano, la quale, nell’agosto del 1871, presentò al Ministro della Guerra la sua Relazione a corredo del Piano Generale di difesa dell’Italia. Detto piano, quasi completato nel 1866, aveva dovuto venire completamente rivisto in seguito all’annessione del Veneto ed alla successiva presa di Roma. Va rilevato che l’occupazione del regno pontificio e la presa di Roma deteriorarono assai i rapporti italo-francesi, al punto da suscitare nel governo sabaudo preoccupazioni tali da far considerare prioritario il rafforzamento delle difese alpine occidentali anziché di quelle al confine austriaco. L’utopistico programma di questo Piano Generale, che prevedeva addirittura 97 punti fortificati (di cui 47 di nuova costruzione, 19 da ristrutturare completamente e 41 da rimodernare) per una spesa di 306 milioni di lire dell’epoca, venne comunque tempestivamente ridimensionato: le piazzeforti scesero a 77 ed i milioni a 142 (il Ministro della Guerra, praticando ulteriori tagli, riuscì a far calare ancora l’importo fino a 90 milioni), ma anche così il programma si rivelò irrealizzabile, nonché dispersivo dato che lasciava solo le briciole per il rafforzamento delle frontiere alpine realmente a rischio. Nelle zone montane la difesa del confine avrebbe dovuto essere ancora affidata a singoli forti di fondovalle, strutture a casematte murarie ospitanti le artiglierie responsabili dell’interdizione materiale delle rotabili al transito delle forze nemiche. Una notevole accelerazione al processo di adeguamento difensivo fu impressa nel 1882 dalla conclusione del Trattato della Triplice Alleanza tra Italia, Germania ed Austria. La ridefinizione del ruolo strategico della penisola, che esso implicava, rese indilazionabile la sistemazione del settore alpino. E se l’alleanza con gli Imperi Centrali portò inizialmente ad un rafforzamento delle misure difensive verso la Francia, essa paradossalmente determinò anche misure di potenziamento del confine con l’Austria soprattutto sul saliente trentino, dove quest’ultima disponeva dell’assoluto controllo degli sbocchi attraverso

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i quali avrebbe potuto far affluire verso la pianura veneta le sue armate.

attraverso un contenimento delle spese andò a discapito anche degli stanziamenti militari. A ciò si aggiunse il disastroso esito dell’avventura coloniale in Eritrea ed Etiopia, dove la sconfitta di Adua mise temporaneamente fine al dispendioso conflitto che per anni aveva drenato buona parte dei finanziamenti riservati alle forze armate. Prostrato moralmente e soprattutto economicamente, il paese scivolò per alcuni anni in una specie di limbo. Dal 1896, i vari governi che si succedettero alla guida della nazione accettarono passivamente e tacitamente una stasi quasi totale dei lavori di fortificazione che si protrasse fino ai primi anni del ’900 e fu così vistosa che i servizi informativi austriaci, sempre interessatissimi a quanto accadeva all’incerta e poco stimata alleata, fissarono al 1896 la fine del cosiddetto “primo periodo fortificatorio” del regno e solamente al 1904 l’inizio della seconda stagione fortificatoria della quale si avrà modo di parlare più oltre.

Iniziato nel 1880 e presentato nel 1885, il nuovo Piano Generale per la Difesa dello Stato (o piano Ferrero, dal nome del Ministro della Guerra) localizzò nella regione alpina il principale teatro operativo futuro, prevedendo la realizzazione di svariati capisaldi a carattere difensivo, capaci però di mutarsi al momento opportuno in efficienti basi d’appoggio per operazioni controffensive da lanciare in territorio avversario. L’impostazione difensiva, fino ad allora imperniata sul classico forte di fondovalle a cavallo della linea di comunicazione, mutò velocemente. Si passò infatti al concetto di “sbarramento”, inteso come sistema fortificato basato su opere di dimensioni contenute in grado di appoggiarsi reciprocamente per trattenere l’invasore nell’accidentata zona montuosa e dare il tempo per organizzare la controffensiva. Ogni fortificazione concorreva con un ruolo specifico alla difesa del terreno assegnato: il forte di fondovalle, trasformato in opera d’interdizione, forniva il tiro di sbarramento sulla rotabile di pertinenza, mentre le batterie fiancheggianti, dai rilievi circostanti, proteggevano l’opera principale impedendone il bombardamento da parte dell’artiglieria d’assedio avversaria e concorrevano a battere il terreno antistante e soprattutto i valichi e le posizioni la cui occupazione da parte del nemico avrebbe pregiudicato la difesa. Il piano Ferrero instradò l’attività fortificatoria su due direttrici fondamentali: da un lato si tentò di incrementare la capacità di resistenza delle vecchie opere di fondovalle; dall’altro si fece fronte all’aumentata potenza delle artiglierie d’assedio tentando di restituire funzionalità agli sbarramenti vallivi mediante l’ampliamento del loro raggio d’azione grazie all’aggiunta di opere fiancheggianti poste sulle alture. Ma anche il piano Ferrero, pur lodevole per le intenzioni, era nato già vecchio: di conseguenza, le realizzazioni previste erano ancora in costruzione quando l’evoluzione tecnica delle artiglierie le rese ampiamente superate. L’impiego di nuovi esplosivi tanto più potenti della polvere nera, come l’acido picrico o il fulmicotone, nelle granate dirompenti (le famose “granate torpedini”), nonché il miglioramento delle capacità di penetrazione dei proietti nelle masse murarie dovuto all’aumentata precisione del tiro curvo (obici e soprattutto mortai) e all’entrata in servizio di pezzi di calibro via via crescente, avevano reso evidente l’assoluta mancanza di resistenza delle vecchie strutture in pietrame e terra sotto bombardamento. Gli anni tra il 1880 ed il 1895, grazie alle circostanze politico-economiche prima ricordate, vedevano comunque la disponibilità di ingenti risorse finanziarie, che permisero un notevole sviluppo sia della costruzione di nuove opere permanenti che del loro equipaggiamento ed armamento. Tra il 1872 ed il 1895 le spese effettivamente sopportate dalle casse del Regno d’Italia per la fortificazione delle frontiere superarono i 400.000.000 di lire dell’epoca. Il piano Ferrero era dunque nato in un periodo favorevole. Tutto cambiò invece a partire dai primi anni novanta, quando la nuova linea politica di ricerca del pareggio di bilancio

2 - Le tipologie fortificatorie del 1° periodo Il fervore di attività innescato dalla nuova politica fortificatoria, a partire dalla fine degli anni ’70 dell’800, vide affermarsi in Italia due principali tipologie di fortificazione, decisamente in grave ritardo tecnologico se raffrontate all’effettivo progresso, su scala europea e mondiale delle moderne artiglierie: la tagliata e la batteria fortificata. Le “tagliate” rappresentarono le prime opere d’interdizione di montagna sul confine veneto-trentino. Esse erano solitamente collocate nel fondovalle, lungo le probabili vie di irruzione dell’avversario, per controllare il transito dove esso sarebbe stato più agevole. Erano in sostanza degli sbarramenti stradali, ossia fortificazioni permanenti costruite a cavallo delle rotabili o sulle prime pendici di un versante, precedute da profondi fossati sia sul fronte principale che sul fronte di gola e munite di cannoni in casamatta. Il campo d’azione dello sbarramento era pertanto limitato, dovendo esso essenzialmente controllare col fuoco punti ravvicinati di passaggio obbligato, e si estendeva solitamente al tratto di strada nelle immediate vicinanze ed al territorio adiacente, sul quale si trovavano comunque numerosi angoli morti. La protezione verticale era fornita da muraglie di 2,5-3 metri di spessore e la difesa ravvicinata era assicurata da feritoie per fucilieri e da postazioni per cannoni di piccolo calibro a tiro rapido. Contro le possibili offese dall’alto, data la modesta importanza attribuita fino a quell’epoca al tiro curvo dei mortai, le misure protettive erano alquanto carenti: le pur robuste volte in pietrame, con uno spessore usuale non superiore ai 90 cm, non garantivano certo elevata resistenza alla penetrazione e si ricorreva abitualmente alla sovrapposizione di una consistente massa di terra setacciata, in maniera da formare uno spesso terrapieno (alto fino a tre metri) atto ad assorbire l’energia cinetica dei proiettili avversari ed a ridurne gli effetti distruttivi sui locali sottostanti. Le cannoniere delle casematte erano ampie e svasate verso l’esterno, onde permettere l’agevole brandeggio delle artiglierie, ma le appariscenti

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aperture che si realizzavano così nelle fronti esposte al nemico erano estremamente pericolose in quanto visibili da lontano e imboccabili con relativa facilità dalle armi automatiche e soprattutto dai cannoni da campagna e da montagna a disposizione dell’assediante. Spesso le guance delle cannoniere erano rivestite da pietrame disposto a formare dei gradini, che rendevano meno facile il rimbalzo verso l’interno di proiettili che avessero colpito le superfici limitanti il vano della cannoniera stessa. L’ingresso prevedeva il superamento obbligatorio del fossato mediante un ponte metallico scorrevole all’indietro o trasversalmente. Con il Piano Generale per la Difesa dello Stato del 1885 (piano Ferrero), alle opere d’interdizione montana, già esistenti o in costruzione sulle principali vie di comunicazione, iniziarono ad affiancarsi nuove costruzioni funzionali al concetto di sbarramento alpino: le “batterie fortificate”. Stante il limitato raggio d’azione delle artiglierie posizionate nelle tagliate, concepite essenzialmente per agire sulla rotabile di fondovalle, l’azione a distanza ed il controllo del rimanente probabile terreno di battaglia dovettero infatti venire affidati ad opere permanenti situate in posizione più elevata e spesso anche più avanzata. In base alle differenti tipologie, queste fortificazioni per il combattimento a distanza possono essere classificate in quattro categorie: opere in casamatta, protette da strutture in pietrame e muratura ma prive di corazzatura metallica; opere casamattate munite di corazzatura; opere o batterie con apprestamenti a cielo aperto, ossia “in barbetta”(cosiddette perché le fiammate degli spari passavano rasente, ovvero “facevano la barba”, all’erba dello spalto anteriore; le artiglierie erano infatti posizionate in piazzole scavate nel terreno ed avevano libero campo di tiro); batterie provvisorie dotate di protezione frontale e laterale, con o senza fossato di gola. Le opere del primo tipo (che potevano esser considerate delle caserme difensive) e quelle del secondo assomigliavano alle tagliate, ma erano dotate di più ampi e profondi fossati con pareti verticali completamente rivestite in pietrame. Il muro di scarpa era protetto contro i tiri diretti. Raramente però la difesa del vallo anteriore era demandata a cofani o gallerie di controscarpa, essendo molto più frequenti (ed economiche) le fuciliere difensive praticate nella scarpa stessa. Le opere del terzo tipo erano a cielo scoperto, nelle quali le artiglierie erano protette solamente sui fianchi e di fronte: si trattava quindi di postazioni di seconda linea, per il combattimento a lunga distanza, teoricamente non minacciabili dalle fanterie nemiche. I pezzi, usualmente cannoni da 120 mm o da 149 mm, erano schierati singolarmente o a coppie, separati da traverse blindate per limitare gli effetti di un colpo in pieno e soprattutto dei tiri d’infilata o di rovescio. Le piazzole, costituite da piattaforme in cemento sulle quali i pezzi erano montati su affusti da difesa, avevano spesso accessi protetti nella parte posteriore e potevano comunicare attraverso corridoi sotterranei. Le traverse erano solitamente vuote all’interno e potevano fornire protezione ai serventi o fungere da

deposito per il munizionamento di pronto impiego. Da qui era possibile scendere nel corridoio principale, che percorreva tutto il fronte di combattimento della fortificazione. Le opere del quarto tipo erano postazioni d’artiglieria anticipatamente preparate, nelle quali gli apprestamenti avevano solamente lo scopo di proteggere le bocche da fuoco e tutt’al più le scorte di munizioni. Il terrapieno frontale poteva avere uno spessore fino a sei metri e le traverse sporgevano di molto sopra il parapetto anteriore. Mancava sempre il fossato frontale e raro era quello di gola. 3 - L’armamento pesante nelle opere del 1° periodo fortificatorio Le opere alpine italiane del primo periodo fortificatorio, sia quelle a carattere di tagliata stradale che le batterie protette, avevano solitamente un armamento principale costituito da cannoni a retrocarica. I modelli più utilizzati erano il cannone da 15 GRC/ret, il cannone da 12 GRC/ret, il cannone da 9 ARC/ret ed il mortaio da 15 AR (il numero indica il calibro del pezzo; le lettere indicano invece il materiale metallico del quale era costituita l’arma [G= ghisa, A= acciaio] e le caratteristiche della bocca da fuoco [R= rigato, C= cerchiato, ret= retrocarica]). Il cannone da 15 GRC/ret, meglio conosciuto come 149G era stato adottato dall’esercito nel 1882 ed era un pezzo di artiglieria d’assedio con affusto rigido originariamente a ruote. Munito di otturatore a vitone, aveva una volata tronco conica e pesava circa 3300 kg (oltre 5000 sull’affusto d’assedio con cingoli Bonagente, adottato nel 1905). La gittata era di oltre 8 chilometri, con proiettili del peso di quasi 40 kg, a shrapnel o dirompenti. Il cannone da 12 GRC/ret divenne noto nel primo conflitto mondiale come 120G ed era stato adottato nel 1881. Dotazione usuale di opere in casamatta e di batterie di protezione, aveva una gittata di 6 chilometri ed un peso di oltre 1500 kg. Il cannone da 9 ARC/ret era assai diffuso nelle opere degli sbarramenti alpini. Pezzo ad affusto rigido come i precedenti, pesava 500 kg ed aveva una gittata di oltre 6 chilometri. Per la sua efficacia nel tiro alle brevi distanze contro la fanteria, venne impiegato soprattutto per la difesa ravvicinata nei cofani di gola e nelle gallerie di controscarpa. Per il loro tiro curvo, particolarmente adatto a battere zone altrimenti defilate come gli angoli morti presso le opere oppure aree coperte da rilievi montuosi, i mortai da 15 AR/ret su affusto a cassa (meglio noti come mortai da 149A) ebbero una grande diffusione nelle tagliate. La loro gittata variava da 1,5 a 4 chilometri ed entro questo raggio la capacità di penetrazione dei loro proietti, soprattutto grazie alla particolare traiettoria che ne incrementava la velocità e conseguentemente l’energia cinetica, era di molto superiore a quella delle altre armi testé descritte. Per il fiancheggiamento delle opere, soprattutto contro l’azione delle fanterie, venivano inoltre impiegati cannoncini di piccolo calibro da 42 mm e da 57 mm a tiro rapido, in grado di sparare granate e cartocci a mitraglia.

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Affiancavano, o a volte sostituivano, queste piccole artiglierie i primi esemplari di mitragliatrici che il giovane regno d’Italia aveva iniziato a procurarsi all’estero: si trattava in principio di pesantissime Gatling statunitensi a canne multiple rotanti con caricatore a gravità, e di non meno ingombranti Nordenfeldt, alle quali gradualmente si sostituirono le più moderne ma ancora pesanti Gardner mod. 1886.

alimentare tale direttrice, oltre alla massa di truppe in grado di affluire dalla val di Fiemme lungo la rotabile di passo Rolle, pure le forze provenienti dal Tesino sia attraverso la strada della Roa (con confluenza in val Cismon al ponte della Serra) sia lungo la appena terminata rotabile del passo Brocòn (con confluenza in Val Cismon, dalla valle del Vanoi, attraverso il passo della Gobbera). Anche le forze eventualmente discese da Celado su Arsiè, di cui s’è già accennato, avrebbero potuto infine concorrere da sud all’attacco della piana di Fonzaso.

4 - La prima fase fortificatoria del nuovo confine tra Brenta e Cismon

Alla luce della complessità della minaccia e, non meno importante, dell’impossibilità di incrementare in tempi ragionevoli l’entità dei finanziamenti già disponibili, nei primi anni ’80 il governo optò, in attesa di futuri ampliamenti, per la realizzazione di una sola fortezza di sbarramento da collocarsi nel punto in cui la sua azione fosse in grado di parare più minacce contemporaneamente. L’opera, una colossale tagliata con due fronti di combattimento rivolti a settentrione ed a meridione, avrebbe dovuto sorgere a chiusura totale del punto più stretto del Canal di Brenta: nella gola tra Cismon e Primolano in località Tombione. Essa, sbarrando il cosiddetto “stradone imperiale” a valle di Primolano, pareva ottenere il massimo risultato con il minore sforzo costruttivo e finanziario: bloccava infatti la via per Bassano a tutte le ipotizzabili colonne d’attacco, eccezion fatta per quelle eventualmente discendenti dalla Piovega di sotto e da Incino che avrebbero dovuto venire fronteggiate da forze mobili e che non avrebbero comunque potuto avere consistenza tale da rappresentare un pericolo immediato. La presenza di un secondo fronte di combattimento, rivolto verso Cismon, garantiva comunque la fortificazione da improvvisi colpi di mano provenienti dal territorio presumibilmente “amico”. L’opera da realizzare al Tombione non poteva però in nessun modo aiutare concretamente a parare la minaccia su Feltre, dato che lasciava l’avversario libero di dilagare in tutta la zona tra Primolano, Fastro, Lamon, Arsiè e Fonzaso. Occorreva sbarrare quindi anche la val Cismon e provvedere con altri apprestamenti alla protezione dell’altopiano di Celado e di tutti i rilievi tra il corso del Brenta e quello del Cismon, come pure di quelli sulla sinistra idrografica di quest’ultimo. Ma questa sarebbe stata materia di discussione per gli stanziamenti, futuri. Per il momento la commissione si limitò ad ipotizzare, proponendone la progettazione (già nel 1882), ma rinviando ogni decisione esecutiva a successivi pronunciamenti governativi, altri impianti fortificatori presso il villaggio di Primolano, sul retrostante Col del Gallo e nella gola del torrente Cismon a valle del ponte della Serra.

Al termine della guerra del 1866, l’analisi compiuta dagli comandi militari italiani incaricati della difesa del confine tra il neoconquistato Veneto ed il margine sudorientale dell’ex contea principesca del Tirolo aveva subito evidenziato l’importanza della zona compresa nel triangolo Primolano - Fonzaso - Cismon per lo sbarramento del Canal di Brenta e per la difesa delle strade che, a sud di Primolano, si dipartono dalla rotabile Bassano - Trento e la collegano da una parte con Feltre e dall’altra con l’altopiano dei Sette Comuni. Fino al 1874 tuttavia, era mancato un ragionevole ed univoco progetto generale di difesa confinaria. Nella sua relazione a corredo del Piano Generale di Difesa dell’Italia presentata nel 1871, la Commissione Permanente per la Difesa dello Stato aveva comunque individuato nella zona genericamente indicata come “Primolano” uno dei 47 punti nei quali erigere nuove fortificazioni. Anche la successiva versione “ridotta” del medesimo piano manteneva tale posizione prevedendo anzi per essa stanziamenti complessivi per £ 1.300.000. Non era certo necessario disporre di strateghi di stampo napoleonico per individuare le direzioni lungo le quali si sarebbero potute in quest’area presentare le minacce d’invasione dal Tirolo verso Bassano e Feltre. La prima, e la più evidente, direttrice di marcia di un eventuale aggressore era ovviamente quella che seguiva il corso del Brenta dal confine di Martincelli verso Primolano e Cismon. Ad essa si affiancava una via secondaria attraverso la quale le forze austriache, partendo dalla conca del Tesino, sarebbero calate su Arsiè, Fastro e Primolano attraverso l’altopiano di Celado, per minacciare Cismon sia confluendo nella colonna principale lungo il Brenta sia aggirando il massiccio del Col del Gallo passando dai villaggi di Rocca ed Incino. Non poteva inoltre essere trascurata l’esistenza della boscosa e sopraelevata regione di Frizzone Tirolese, contigua alla piana di Marcesina in destra Brenta. Un’azione offensiva nemica in direzione di Enego, con successiva discesa in fondovalle lungo le due strade della Piovega di sopra e della Piovega di sotto, avrebbe addirittura messo contemporaneamente in pericolo Primolano e Cismon. Ma se Bassano metaforicamente piangeva a causa delle molteplici minacce che su di essa incombevano dall’“iniquo confine” di Valsugana, neppure Feltre aveva di che rallegrarsi: la val Cismon, accidentata ed angusta ma percorsa da un’ottima strada carrozzabile, rappresentava la principale via di discesa alla piana di Fonzaso e da qui, per la stretta di Arten, a Feltre. Potevano

Nel 1884 iniziavano dunque i lavori per la costruzione del Tombion il cui primo lotto venne completato l’anno successivo. Il nuovo Piano Generale per la Difesa dello Stato presentato nel 1885 dal generale Ferrero, Ministro della Guerra, superando il vecchio concetto del forte di sbarramento di fondovalle a favore di quello di “sbarramento alpino ad opere staccate” individuava

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località e zone ove, secondo la commissione elaboratrice, avrebbero dovuto venire costruite o rinforzate opere di fortificazione. Per il settore di nostro interesse, venivano esplicitamente menzionate le località di Primolano (opera da costruirsi ex novo), Fontanelle di Fastro (idem), Col del Gallo (idem), Faller (idem) e Tombione (opera da rinforzare ed adeguare alla luce delle recentissime innovazioni tecnologico-architettoniche e dottrinali). Venivano pertanto poste le basi dello sbarramento alpino denominato “Fortezza Brenta-Cismon”, nel quale i forti del Tombion, di Primolano e di Faller avrebbero dovuto rappresentare le opere di interdizione stradale diretta (tagliate), mentre a Col del Gallo ed a Fontanelle di Fastro avrebbero dovuto sorgere le batterie di protezione ad azione lontana. (figg. 1, 2) Nell’insieme, il complesso di fortificazioni programmato dal piano Ferrero per questa zona avrebbe dovuto avere un carattere eminentemente difensivo, per impedire all’aggressore l’avanzata lungo le valli del Brenta e del Cismon; al tempo stesso era tuttavia previsto che lo sbarramento garantisse la creazione di una zona sicura per la radunata, Canal di Brenta e conca di Arsiè - Fonzaso - Feltre, in previsione di un attacco alla valle dell’Adige attraverso la Valsugana; e questo anche a prescindere da una ipotetica aggressione austriaca. Approfittando della assolutamente eccezionale disponibilità di fondi che a partire dal 1885 aveva fatto seguito all’approvazione del piano summenzionato, i vertici militari riuscirono ad ottenere con relativa rapidità nuovi finanziamenti per il settore Brenta-Cismon; tra il 1885 ed il 1886 fu così possibile affiancare al Forte Tombion una duplice batteria di protezione costruita su Col del Gallo e realizzare lo sbarramento materiale della valle del Cismon mediante un’opera di interdizione stradale per il controllo del transito sull’unica rotabile di valle in grado di sopportare il traffico pesante. Sorse così la tagliata Covolo di Sant’Antonio lungo la vecchia strada, ancora oggi percorribile ma non più usata dagli autoveicoli, che dagli impianti idroelettrici di Fonzaso conduce al ponte della Serra lungo un percorso intagliato nella viva roccia ed a picco sul torrente. Per la costruzione si scelse uno slargo della cengia, caratterizzato da una ampia ma poco profonda cavità naturale, presso il bivio dal quale si diparte il ripido tracciato della vecchia carrozzabile di collegamento per Faller. La progettazione delle rimanenti due opere previste dal piano Ferrero per il completamento dello sbarramento Brenta-Cismon, tagliata di Primolano e tagliata-batteria fortificata di Fontanelle di Fastro, era iniziata ancora nel 1882 e si era conclusa verso il 1887/88. I lavori iniziarono però con notevole ritardo rispetto a quelli di Col del Gallo e della tagliata del Covolo di Sant’Antonio, anche se l’attività progredì poi alacremente, tanto che le opere erano praticamente terminate entro la fine del 1894. Progettista, e direttore dei lavori fino al 1895, fu l’ingegnere triestino (ma di origine russa) Giovanni Ivanoff, che successivamente si sarebbe occupato anche della costruzione dei nuovi forti corazzati di Cima Campo e Cima Lan. Il complesso fortificatorio

concepito dall’Ivanoff avrebbe dovuto risolvere un dilemma che i secoli precedenti avevano visto rimanere insoluto: dominare da vicino la conca di Primolano ed il nodo stradale che sul paese si imperniava (quindi sorgere in posizione più bassa e vulnerabile rispetto alle provenienze dalla sella di Fastro) ed allo stesso tempo controllare dall’alto la strada Arsiè – Fastro - Scala di Primolano (ovvero posizionarsi su un rilievo, anche modesto, più alto di Fastro stesso e dunque privarsi del controllo diretto del fondo della Valbrenta). Giovanni Ivanoff risolse brillantemente il problema progettando due distinte fortificazioni: una inferiore, la tagliata Scala, ed una superiore, la tagliata (e batteria) Fontanelle. La prima chiudeva a mezza costa l’intera sella di Fastro con un’opera principale sul lato ovest ed una casamatta minore sul lato est, collegate da una galleria trasversale per fucilieri a dominio dei tornanti della Scala. Le sue artiglierie potevano agire in Valbrenta e teoricamente contrastare la possibile discesa nemica lungo la strada della Piovega di sopra. La seconda sorgeva sulla costa ad ovest di Fastro in località Cima della Scala, presso la frazione denominata Fastro Bassanese, subito a destra della strada Primolano-Feltre. Le sue artiglierie battevano quest’ultima via da Fastro stesso fino al bivio delle strade per Arsiè e per Mellame. L’opera di Fontanelle sbarrava inoltre materialmente, autentica tagliata, la vecchia rotabile che da Fastro si dirigeva un tempo per Fastro Bassanese a monte Sorist costeggiando le pendici del col dei Barc e da qui, divenuta semplice tratturo, scendeva a Tezze. Una caponiera coperta, munita di numerose feritoie per fucilieri, fungeva da collegamento tra le due tagliate, correndo in superficie ed adattandosi all’orografia locale in modo da dominare i tornanti della strada della Scala sia a monte che a valle dell’opera inferiore (fig. 3). Tutte e quattro le tagliate dello sbarramento, la cui costruzione aveva severamente messo alla prova l’apparato tecnico-amministrativo del Genio militare italiano che aveva tra l’altro dovuto servirsi di tecnici ed imprese civili per poter rispettare i tempi stabiliti, avevano però un raggio d’azione piuttosto ridotto relativamente al tiro delle artiglierie; questo era dovuto in parte alla posizione in cui sorgevano, che doveva innanzitutto rispondere ad esigenze di difesa vicina ed essere quindi in stretto rapporto con la rotabile da interdire, ed in parte alla disposizione sfavorevole delle feritoie che ostacolava un’efficace copertura dei due versanti della valle del Brenta. A queste carenze potevano solo parzialmente supplire le due batterie di Col del Gallo, numericamente limitate ed in posizione troppo arretrata. Per completare il dispositivo di difesa della fortezza Brenta-Cismon vennero pertanto previste delle postazioni per batterie occasionali, alcune costituite da semplici appostamenti campali ed altre da piazzole già predisposte mediante spianamento del terreno. Le artiglierie ad esse destinate sarebbero state messe a disposizione del comando di sbarramento e opportunamente schierate solo in caso di previste ostilità.

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Fig. 1. Schizzo generale dello sbarramento di Val Brenta e di Val Cismon, anno 1912. (Archivio Centrale dello Stato)

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Fig. 2. Il fronte sud (lato Cismon) della tagliata del Tombion. L’immagine è successiva al 1910, come testimoniato dalla presenza del tunnel artificiale per l’attraversamento ferroviario dell’opera. (Archivio Luca Girotto)

Fig. 3. La tagliata Scala (opera inferiore) e la batteria Fontanelle (opera superiore) costituivano lo sbarramento della sella di Fastro, sopra il villaggio di Primolano. (Archivio Ruggero Dal Molin)

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5 - La nuova giovinezza dello sbarramento Brenta Cismon

comunque venire rispettati. La data inizialmente stabilita per il completamento dei lavori era la fine del 1913, ma per diverse costruzioni l’entrata in servizio dovette essere rinviata addirittura a dopo il 24 maggio 1915. Tra il 1904 ed il 1915 venne quindi collocato dai servizi informativi austriaci il 2° periodo di fortificazione del Regno. Ed in verità la duplice monarchia aveva di che preoccuparsi: le previsioni asburgiche, anche se solitamente pessimistiche, attestavano il probabile sbarramento di tutti i migliori accessi alla pianura entro l’inizio del 1912, quantificando nella somma di £ 25.330.000 la spesa italiana per nuovi forti di sbarramento tra il 1903 ed il 1911 ed in £ 39.450.000 quella per l’armamento delle opere e per le nuove dotazioni d’artiglieria. Nel 1914 la sistemazione difensiva era tuttavia ancora molto arretrata rispetto ai piani del 1908, al punto che lo Stato Maggiore, in quella primavera, si accorse addirittura che le compagnie di artiglieria da fortezza disponibili non erano nemmeno sufficienti a guarnire a pieni organici tutte le opere già armate! Allo scoppio della guerra europea, nell’estate del ’14, addirittura 12 delle 44 opere in cantiere erano ancora lontane dal completamento o ancora in corso d’armamento. Grazie a nuovi stanziamenti e ad una accelerazione frenetica dei lavori, alla fine del 1914 solo 3 opere risultavano ancora incomplete; di esse, una venne collaudata nell’agosto del 1915 (Forte Lisser, nello sbarramento Brenta-Cismon), una seconda (Forte Campomolon, nello sbarramento Agno-Assa) rimase incompleta, parzialmente scoperta e priva delle cupole corazzate, mentre la terza (opera prevista su monte Toraro) rimase solamente allo stato progettuale.

5.1 - La politica fortificatoria italiana dal 1904 al 1915 Dal 1897 al 1903 gli stanziamenti per la costruzione di nuove opere permanenti, sia nell’arco alpino che all’interno del Regno e sulle coste, subirono uno stallo completo. Molte vecchie fortificazioni risalenti alla fine del XIX secolo, precedentemente sottoposte a revisione e manutenzione o a tentativi più o meno riusciti d’adeguamento, vennero abbandonate, lasciate andare in rovina o addirittura demolite. Solo a partire dal 1904 l’Italia giolittiana, finalmente meno condizionata dalle sanguinose delusioni in terra coloniale dell’ultimo scorcio del secolo precedente e non più assillata da gravissimi problemi finanziari, poté cimentarsi in un nuovo e impegnativo sforzo di rafforzamento militare mirato anche ad aumentare il suo peso politico e contrattuale nell’ambito della Triplice Alleanza. Il Ministro della guerra, generale Ottolenghi, già nel 1903 espose comunque chiaramente al governo le gravissime deficienze dei sistemi fortificati di confine, evidenziando come fossero in pratica completamente indifesi, alla luce dei nemmeno tanto recenti progressi delle artiglierie che avevano reso ormai superate tutte le vecchie opere, le pianure del basso Friuli, i passi del Tonale e dello Stelvio, le valli d’Assa, d’Astico, del Brenta e del Cismon, le Giudicarie, l’alto Piave e l’alto Tagliamento. All’inizio del 1904 divenne operativo il nuovo piano di radunata dell’esercito nel teatro d’operazioni nord-orientale, nell’ipotesi di conflitto con l’impero asburgico. Per la sua esecuzione era previsto un tempo minimo di 26 giorni, durante i quali la vitale difesa delle aree di ammassamento di truppe e materiali sarebbe stata affidata agli sbarramenti fortificati sulle frontiere. Alle opere fortificate si chiedeva in sostanza di arrestare l’invasore per almeno 25-28 giorni sulle principali direttrici di marcia provenienti dall’Austria. Esse dovevano attirare il cannoneggiamento nemico e permettere lo schieramento delle artiglierie di grosso calibro, proteggendole con il loro tiro e resistendo anche con dotazioni ridotte come quelle che sarebbero state disponibili all’esordio del conflitto, in attesa dell’arrivo di bocche da fuoco e rifornimenti che non si sarebbero potuti ammassare precedentemente in zona di confine.

5.2 - Dalle opere in pietrame alle batterie corazzate I progressivi miglioramenti intervenuti nella produzione delle artiglierie nella seconda metà dell’800 condussero al rapido declino delle fortificazioni costruite con pietrame ed eventualmente ricoperte da terrapieni. Anche le opere di montagna a casamatta muraria divennero presto troppo vulnerabili, sia per le protezioni inadeguate sia per l’eccessiva visibilità legata alla posizione ed alla struttura casamattata.Le trasformazioni consistettero dapprima essenzialmente nell’aumento dell’efficacia delle masse coprenti, con la sostituzione del terrapieno e della pietra da parte dei nuovi materiali cementizi. Il calcestruzzo, impasto acquoso di cemento a lenta presa, sabbia e pietrisco, si rivelò la soluzione più adatta avendo come caratteristica principale un’elevata tenacità sotto l’azione di un urto o di un’esplosione il cui effetto viene limitato alle immediate adiacenze del punto di scoppio. La facilità di trasporto, di preparazione e di lavorazione, che rendeva sufficiente, se ben diretta, anche una manovalanza poco qualificata, ne estese rapidamente l’uso anche alle nuove opere di montagna. Successivamente ci si preoccupò di ridurre la visibilità delle costruzioni, abbassandole e rendendole sfuggenti e defilate in modo da offrire un bersaglio minimo al tiro diretto ormai in grado di fare breccia quasi ovunque, migliorando anche le possibilità d’azione sia lontana (artiglierie più potenti ed in casematte metalliche girevoli)

Nel 1911 il Capo di Stato maggiore, gen. Pollio, modificò sensibilmente l’orientamento strategico italiano per organizzare una strategia difensivo-controffensiva nella quale alle truppe di copertura appoggiate alle opere permanenti sarebbe stato chiesto di operare anche oltreconfine sin dall’apertura delle ostilità, per ostacolare la radunata nemica prima ancora della sua avanzata. Con il nuovo Piano Generale per la difesa dello Stato, redatto nel 1908 dal Comitato di artiglieria e Genio, venne finalmente impresso rinnovato vigore alla fortificazione alpina e vennero avviati la maggior parte dei progetti che portarono all’apertura di ben 44 cantieri per opere corazzate moderne lungo la frontiera orientale. I tempi previsti non poterono

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che vicina (caponiere e cofani metallici, torrette retrattili) e le comunicazioni interne e tra le opere. Le scuole di arte fortificatoria che, dopo un lungo periodo di incertezza, si imposero verso la fine dell’Ottocento in Europa furono tre, differenziate in rapporto agli obiettivi perseguiti ed al numero delle batterie intermedie coinvolte: quella dell’“ordinamento a forti corazzati”, quella dell’“ordinamento a fronti corazzati” e quella della “completa separazione degli organi della difesa lontana da quelli della difesa vicina”. In Italia prevalse la linea concettuale perseguita dal Brialmont, sotto forma di una sua variante elaborata soprattutto dal generale Enrico Rocchi: la scuola dei forti corazzati ridotti, a difesa indipendente. Essa poteva considerarsi una versione “all’italiana” nel senso deteriore del termine, dato che, pur seguendo le teorie dei sostenitori dei forti corazzati, si proponeva di contenere numero, dimensioni, armamento ed equipaggiamento delle singole opere, onde limitarne gli elevatissimi costi di realizzazione. Il concetto-base era quello di opere robuste ed isolate, possibilmente su rilievi dominanti e quindi al sicuro dalle offese dell’artiglieria nemica e dalle sorprese della fanteria, non troppo costose, in grado di battere le antistanti opere permanenti nemiche e le artiglierie campali in avvicinamento, disposte ad intervalli di circa 4 chilometri in modo da concedersi reciproco appoggio di fuoco. Le strutture fortificate costruite solo pochi anni prima in base al piano Ferrero, o addirittura ancora in costruzione, erano dunque ormai obsolete. Ma demolirle o abbandonarle come si stava facendo in altri stati europei apparve al governo italiano ed ai militari uno spreco intollerabile; molto meglio sarebbe stato, si ritenne, tentare innanzitutto l’adeguamento delle vecchie opere aumentandone la protezione e ricorrendo a soluzioni innovative per l’armamento. Il risultato del tentativo, strutture ibride frutto del disperato sforzo d’integrazione dei nuovi materiali con le realizzazioni tradizionali in pietrame e terra, fu deludente in relazione alle spese necessarie. Esso tuttavia servì, unitamente al nuovo concetto di forte corazzato ridotto del gen. Rocchi, a dare un indirizzo peculiare alla fortificazione di montagna in Italia. Secondo questo orientamento l’azione delle truppe mobili destinate alle operazioni attive doveva sommarsi a quella delle truppe destinate alla difesa statica delle opere fortificate. Gli sbarramenti alpini mantenevano il loro ruolo, ma le loro componenti venivano distinte in opere avanzate, con il compito di trattenere l’attaccante in attesa dell’organizzazione delle forze difensive mobili, ed elementi passivi, che sarebbero entrati in causa con la loro robustezza per frenare il nemico nel caso in cui l’arresto non si fosse potuto ottenere sulla prima serie di fortificazioni. Quindi gli elementi fortificatori venivano ad essere disposti su due linee trasversali alla valle da difendere; più avanzate le opere di carattere attivo, più arretrate le opere di sbarramento. L’organizzazione difensiva in montagna prevedeva perciò: una prima linea di elementi di carattere attivo o di combattimento e, eventualmente, di opere

autonome ad azione lontana; una seconda linea costituita da opere di interdizione e completata da interruzioni stradali e posti di protezione e di vigilanza. Largo assegnamento veniva fatto sulle truppe alpine appoggiate da artiglieria da montagna. La tipologia adottata per gli elementi di combattimento a carattere permanente negli sbarramenti alpini del fronte nord-orientale fu rappresentata usualmente dalle batterie corazzate impostate sullo schema elaborato dal gen. Rocchi. Come opere passive di sbarramento potevano invece servire ancora le vecchie tagliate, sia pure con i dovuti adeguamenti ed integrate da potenti artiglierie e da interruzioni stradali. 5.3 - La batteria corazzata Il cardine del sistema difensivo elaborato da gen. Rocchi era la batteria corazzata proposta dallo stesso ufficiale. Nelle batterie degli sbarramenti alpini costruite alla frontiera nord-est dal 1904 al 1915 venne in generale mantenuta l’impostazione-tipo, sia pure con varianti a volte migliorative dell’efficienza ed a volte, più spesso, dettate da ragioni di economia. Il forte, sempre casamattato, era costituito da un ristretto banco di calcestruzzo a prova di bomba, a pianta rettangolare, di 10-15 m di larghezza e 60-80 di lunghezza. Il complesso, solitamente articolato su due livelli, si appoggiava se possibile ad un banco roccioso precedentemente scavato. Sulla copertura, perfettamente defilata e livellata rispetto al terreno adiacente, emergevano solo le cupole metalliche coprenti le installazioni a pozzo. L’armamento era solitamente costituito da 4 o da 6 cannoni di medio calibro disposti su una unica linea parallela all’asse maggiore della batteria. Le armi erano installate su affusti girevoli, con copertura a cupola in acciaio in grado di ruotare di 360° solidalmente all’affusto stesso. I pozzi, circolari, sprofondavano per vari metri nel calcestruzzo e l’unico modo di giungervi era un cunicolo che mediante una breve rampa di scale immetteva nel corridoio trasversale della batteria. La distanza interasse tra i pozzi era di 10 o 12 metri ed intercalati ad essi stavano dei vani adibiti a deposito per le munizioni di pronto impiego non innescate. L’affusto nel pozzo era protetto tutt’intorno dal notevole spessore della scarpa interna del parapetto, ma il cunicolo d’accesso, sulla parte posteriore, costituiva un pericolosissimo punto debole: il problema era l’assottigliamento della copertura che la posizione e l’inclinazione della rampa d’accesso comportavano in corrispondenza dell’ingresso al pozzo. La collocazione dell’installazione, affondata nel banco di calcestruzzo, permetteva comunque di ridurre il diametro necessario alla cupola riducendone la visibilità ed il peso, nonché facilitandone la rotazione, che poteva essere motorizzata o manuale. L’acciaio di ottima qualità metteva le cupole in condizione di resistere bene alle granate-torpedini fino al calibro da 149 mm anche se la composizione in tre spicchi (installazioni Armstrong) o in due calotte semisferiche (installazioni Schneider) rappresentava un elemento di debolezza a fronte del

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monoblocco di fusione costituito dalle analoghe cupole Skoda di fabbricazione austriaca. La forma lenticolare a saetta molto ridotta, leggermente ellissoidale schiacciata dalla parte della cannoniera, favoriva la deviazione o il rimbalzo dei proiettili sparati con tiro radente e da breve distanza. Per impedire ai colpi in arrivo di sconvolgere la copertura nelle immediate vicinanze del bordo del pozzo mettendo a nudo le parti profonde dell’installazione e per tutelare il personale, la parte superiore del parapetto, dove poggiava il margine della cupola, era rinforzato da un anello metallico ancorato al calcestruzzo, denominato avancorazza e formato da 6 spesse piastre di ghisa indurita inchiavardate le une alle altre per facilitarne la messa in opera. Sotto l’avancorazza, il calcestruzzo della parte frontale aveva almeno 4 m di spessore, mentre la volta della batteria era di poco superiore ai due metri, giungendo al massimo a 2,5 m. Tale spessore era ritenuto sufficiente per resistere all’azione dei medi calibri fino ai 149 mm e, forse, ai 210 mm, ma si trovò in guerra a dover fare i conti con gli impatti, all’epoca inimmaginabili, dei proiettili da 305 e 420 mm che sviluppavano una potenza venti volte superiore a quella per la quale erano state collaudate le coperture e che, contro ogni previsione prebellica, cadevano dall’alto, essendo sparati da obici e mortai anziché da cannoni. Basti pensare che il proiettile del mortaio austriaco Skoda da 305 mm mod. 1910 pesava 390 kg e quelli degli obici da 380 e 420 mm rispettivamente 800 e 1.000 kg. Il potere di penetrazione del proiettile da 305 mm nel calcestruzzo, per semplice caduta, era di 2,90 m; quello del 380 era di quasi 5 m; a ciò doveva poi aggiungersi l’effetto devastante della carica esplosiva di decine di chili, che agiva dall’interno a guisa di spaventosa mina in grado di devastare ogni cosa nei locali dell’opera centrata, anche con la sola onda di pressione. A fronte di queste cifre, il peso del proiettile italiano da 149 mm, termine di paragone per la valutazione della resistenza delle coperture, era di soli 42 kg!

al fondo del fossato tramite una galleria munita di porte corazzate che si apriva sulla scarpa. Il perimetro dell’opera era inoltre circondato completamente da fasce di reticolati, ed a volte, ma solo parzialmente sui lati non altrimenti difendibili (forte di Cima Campo), da alte grate metalliche. Per il presidio di fucilieri che doveva garantire la difesa vicina erano spesso predisposte, talvolta sulla copertura stessa del forte, talaltra sul ciglio superiore della scarpa del fossato, delle trincee in calcestruzzo con banchina di tiro dove ogni pochi metri era presente una piazzola per mitragliatrice su treppiede. Ad esse si poteva solitamente accedere tramite rampe di scale direttamente dall’interno dell’opera. Quasi scomparsi, perché costosi e di complessa realizzazione, cofani e gallerie di controscarpa. Il tiro d’infilata nel fossato era ottenuto dalle dominanti posizioni delle trincee per fanteria e talvolta da cofani di scarpa, in calcestruzzo o metallici, dotati di mitragliere o, raramente, di pezzi a tiro rapido. Il fossato di gola era talvolta battuto da un fortino di scarpa (traditor) come a forte Lisser, oppure da più gallerie di scarpa opportunamente ubicate (forte di Cima Campo). 6 - L’armamento principale della batteria corazzata Per armare le nuove opere in cantiere e in progetto, già nel 1903 era stato scelto il cannone da 149A, prodotto dalla ditta Armstrong di Pozzuoli ed entrato in servizio per la prima volta nel 1905. Poiché però la Armstrong non era in grado di soddisfare in tempi ragionevoli l’intera richiesta, l’amministrazione militare affidò anche ad altri stabilimenti nazionali il compito di provvedere all’equipaggiamento dei pozzi con installazioni compatibili. Ma anche così la produzione non garantiva il rispetto dei tempi stabiliti, essendo il 1912 la data ultima entro la quale dovevano venire consegnate tutte le installazioni complete per i forti da ultimare l’anno successivo. Nel 1909 venne pertanto affidata una commessa anche alla ditta Schneider, accettando in servizio anche il cannone Schneider da 149 mm in acciaio che aveva le medesime caratteristiche balistiche del prodotto nazionale. Per ragioni di risparmio, vennero però in seguito riutilizzate anche vecchie artiglierie, quali gli ormai antiquati pezzi a tiro teso da 120G e da 149G, ed il moderno cannone Armstrong da 120/40 a tiro rapido. Le installazioni adottate per le opere corazzate modello Rocchi dal 1904 al 1915 furono complessivamente sette:

Poiché, quando possibile, lo sbancamento del terreno prima della costruzione dell’opera prevedeva il risparmio dell’eventuale banco roccioso nella parte che si sarebbe anteposta alla scarpa, la protezione frontale dell’opera risultava aumentata di molto. Quando invece lo spianamento rimuoveva l’intera sommità del rilievo destinato ad accogliere la costruzione, dopo la gettata la fronte di scarpa veniva per quanto possibile nuovamente ricoperta con terra di riporto. Per la protezione ravvicinata dagli attacchi di fanteria, venne quasi sempre mantenuto il valido ostacolo rappresentato dal fossato circonferenziale che avvolgeva l’intero complesso o ne proteggeva le fronti più esposte, riempito da cavalli di Frisia e cosparso di torpedini terrestri interrate; solitamente largo almeno 6-8 metri, esso poteva essere attraversato su un unico ponte metallico retrattile, che immetteva nel cortile di gola protetto da un muro a feritoie rinforzate con piastre d’acciaio. Il muro di controscarpa, normalmente non esposto a tiri diretti, era rivestito in pietrame. Dall’interno dell’opera era a volte possibile (forte di Cima Lan) accedere

mod. I (Ispettorato) per cannone da 120G mod. I (Ispettorato) per cannone da 149G mod. A (Armstrong) per cannone da 120/40 mod. A (Armstrong) per cannone da 149A mod. G (Grillo) per cannone da 149A mod. S (Schneider) per cannone da 149S mod. AM (Armstrong Montagna) per cannone da 149A Le nuove opere corazzate dello sbarramento Brenta-Cismon furono equipaggiate solamente con installazioni a pozzo di modello Armstrong per cannoni da 149A (forti di Cima Lan e Cima Campo) e di modello Schneider per 149S (opera

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corazzata di monte Lisser. L’installazione Armstrong per cannone da 149A comprendeva una cupola in acciaio al nickel (acciaio al nickel, o acciaio duro, era caratterizzato da una tempera più forte di quella dell’acciaio comune, che gli conferiva maggiore resistenza alla penetrazione senza diminuire quella alla rottura) del diametro di 4,75 m e del peso di 180 quintali, composta da tre spicchi uniti da chiavette e dello spessore di 14 cm. Ad ulteriore protezione del personale la cupola era internamente rivestita da una fodera (sottocorazza) composta di due lamiere sovrapposte di 1,2 cm ciascuna, che elevava a 16,4 cm lo spessore totale. L’intero complesso contenuto nel pozzo, comprensivo di volata, affusto e piattaforma con tutti i meccanismi connessi, aveva l’enorme peso di 99,83 tonnellate! La bocca da fuoco ospitata nella cupola Armstrong era il già noto cannone da 149/35, in acciaio al nichelio, derivato dal vecchio, ma ancora operativo 149G. La volata lunga 4,5 m assicurava una gittata massima di oltre 11 km ad un proiettile di 40 kg., mentre l’escursione verticale variava da +42° a –8° (fig. 4). L’installazione modello Schneider per cannoni da 149S era molto simile al modello Armstrong: era anch’essa contenuta in un pozzo ricavato in una massa di calcestruzzo e non sporgeva da essa che per la sola corazza, attraverso la cui cannoniera trovava passaggio la volata del pezzo. L’intero complesso si componeva di un cannone da 149 mm di produzione francese che, incavalcato sopra un affusto a piattaforma girevole sopra un rocchio centrale

fissato al calcestruzzo, era protetto da una cupola corazzata di acciaio cementato (l’acciaio cementato presenta le stesse caratteristiche del metallo composto -lastre accoppiate di ferro ed acciaio- e la superficie esposta all’urto è indurita mediante carburazione ottenuta ad alta temperatura) e temprato in grado di ruotare, solidalmente all’affusto ed al cannone, sopra una rotaia circolare assicurata essa pure al calcestruzzo. La cupola a sua volta era circondata da una avancorazza composta di 6 segmenti di ghisa indurita alti 1 m e dello spessore di 27,5 cm in alto e 15,5 cm in basso. Il rinculo del cannone era assai ridotto (solamente 0,45 m) e l’installazione era dotata di un modernissimo dispositivo scacciafumo ad aria compressa. La casamatta corazzata cupolare destinata a proteggere pezzo ed artiglieri era costituita da due mezze calotte sferiche d’acciaio cementato, temprate con tempra differenziale, dello spessore di 140 mm. La corazza vera e propria era poi foderata all’interno da due lamiere d’acciaio sovrapposte, ciascuna di 12 mm di spessore, che costituivano la cosiddetta “sottostruttura metallica”. Come nell’installazione Armstrong, il settore orizzontale di puntamento era di 360. Il cannone da 149A S poteva sparare due tipi di proietti: la granata da 149 S in acciaio, caricata con trotyl fuso contenuto in una custodia di cartone, del peso di 42 kg e lo shrapnel da 149 S, del peso di 52 kg e contenente 1057 pallette (in lega composta dal 90% di piombo e 10% di antimonio) di 1,5 cm di diametro. Ogni installazione (cioè ogni cannone da 149A ), secondo la dotazione stabilita per le batterie già armate nel 1915, aveva a disposizione 300 granate e 465 shrapnels.

Fig. 4. La cupola (installazione Armstrong) n° 4 di forte Leone su Cima Campo. (Archivio Luca Girotto)

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7 - Una novità preziosa: le cannoniere in roccia

1914, dopo che parte dei lavori preliminari (spianamenti, miglioramento della viabilità, rifornimenti e depositi idrici) era già stata progettata e realizzata a partire dal 1907. Sarebbe esagerato e fuorviante sostenere che i nuovi forti, che tra il 1906 ed il 1915 andarono ad aggiungersi alle precedenti strutture difensive della Fortezza BrentaCismon, fossero stati concepiti sin dall’inizio del secolo come un complesso unico ed armonico, destinato ad agire sinergicamente al resto dello sbarramento. È vero tuttavia che progettisti e costruttori poterono pensare, dislocare ed equipaggiare ogni singola opera in prossimità del confine di stato, senza dover tenere in conto alcuna reale minaccia austriaca analoga e preoccupandosi solamente di individuare la situazione tattica ideale per l’adempimento dei compiti loro affidati.

Una progressiva presa d’atto della pericolosa inadeguatezza delle batterie corazzate ad esplicare appieno i compiti loro affidati, a causa dell’eccessiva vulnerabilità, cominciò ad insinuarsi nelle alte sfere militari italiane ben prima che il 2° periodo fortificatorio del Regno fosse avviato a conclusione. Il problema della protezione delle batterie ad azione lontana non poteva tuttavia essere avviato a nuova soluzione cancellando quanto si stava ancora costruendo e, ove possibile, si preferì pertanto affiancare, non sostituire, alle opere permanenti in calcestruzzo un altro modello di batteria, fortificata non solo dall’uomo ma anche dalla natura: la batteria corazzata in caverna. Quando, come accadde anche nel settore Brenta-Cismon per l’opera di Coldarco, si intendeva allestire un appostamento permanente in caverna con armi ad installazione fissa, su affusto a candeliere per i calibri minori e su affusto da difesa per gli altri, era necessario garantire un campo di tiro sufficientemente ampio agendo non sull’arma, che era ancorata al terreno, bensì sulla dimensione della cannoniera. Si avevano così delle aperture eccessivamente ampie, per le quali era necessario provvedere ad una almeno parziale chiusura mediante corazze. Negli appostamenti dei calibri maggiori si optava solitamente per una corazzatura applicata all’imbocco della feritoia, mentre per i calibri campali minori come il 75A l’affusto a candeliere agevolava anche l’eventuale applicazione di uno scudo solidale all’arma; la cannoniera restava così libera e consentiva un ampio brandeggio della bocca da fuoco attorno al perno centrale. Non mancavano tuttavia situazioni, tipica quella di Coldarco in Valbrenta, nelle quali pezzi su affusto a candeliere si avvalevano della protezione di corazze applicate all’imbocco delle cannoniere.

Man mano che gli stanziamenti ne rendevano possibile l’avvio, ogni successiva realizzazione poté pertanto venire pensata ed integrata, senza assilli di sorta, con il già esistente. La modestia dell’apparato difensivo di frontiera dell’impero asburgico in quest’area rese inoltre possibile procedere serenamente all’adeguamento, anziché alla dismissione, o peggio alla demolizione, dei vecchi apprestamenti risalenti al primo periodo fortificatorio. Il risultato fu, per i tempi, sufficientemente soddisfacente, quasi un “modello didattico di nuovo sbarramento alpino”: un accettabile connubio nel quale moderne batterie corazzate e vecchie tagliate opportunamente aggiornate concorrevano, secondo le proprie potenzialità, a restituire nuova giovinezza alla Fortezza Brenta-Cismon. Pur nell’impossibilità economica e, ancor più, tecnicodottrinale di collocare fortificazioni permanenti di moderna concezione sui rilievi tatticamente importanti ai due lati della valle del Brenta, le varie commissioni succedutesi nell’incarico di adeguamento e aggiornamento degli sbarramenti alpini durante il primo periodo fortificatorio del Regno avevano individuato anche lassù delle posizioni ritenute assolutamente indispensabili per l’appostamento di batterie occasionali di protezione, a tutela delle sottostanti tagliate. Ad ovest del Canale, già prima del 1896, erano così improvvisamente comparse piazzole per l’appostamento di medi calibri sul rotondeggiante cocuzzolo di monte Lisser, a dominio della piana della Marcesina, e sullo sperone boscoso a nord di Coldarco, a picco sulla Valsugana ed in ottima situazione per contribuire a proteggere il sottostante complesso difensivo di Primolano. Ad est, tra gli altri, nuovi spianamenti solo occasionalmente protetti da un modesto terrapieno frontale erano stati realizzati presso malga Campo, dove si trovava anche una capiente cisterna per acqua piovana, e nei pressi della vetta di Cima Lan. Ma anche così la situazione delle tagliate di fondovalle era tutt’altro che rassicurante, in relazione ai rapidissimi progressi compiuti sia dalle artiglierie in termini di gittata e penetrazione, che dalle protezioni delle opere permanenti in rapporto all’avvento del calcestruzzo. Del problema era ben cosciente anche il progettista dello sbarramento stradale di Primolano-Fastro, ingegnere Giovanni Ivanoff, il quale aveva sempre visto con preoccupazione

8 - Il 2° periodo fortificatorio nel settore di confine tra Brenta e Cismon Purtroppo per il giovane regno sabaudo, al confine nordorientale il potenziamento della rete difensiva, attraverso l’incorporazione di batterie corazzate di nuova costruzione negli sbarramenti alpini preesistenti non assunse che raramente i caratteri di omogeneità e razionalità che sarebbero stati necessari. Per vari motivi ciò tuttavia non si verificò nel settore Brenta-Cismon, dove l’assenza di fortificazioni austriache moderne in prossimità del confine fece sì che la realizzazione delle nuove batterie corazzate destinate a ripristinare l’efficienza dello sbarramento omonimo si sviluppasse senza l’assillo di dover costantemente rincorrere l’avversario. Fu cioè possibile anticipare e prevenire, almeno qui, l’attività fortificatoria della duplice monarchia. Toccò anzi all’impero austroungarico impegnarsi in un tardivo tentativo di protezione della zona di confine a cavallo dell’asta del Brenta, tra la conca del Tesino e la piana della Marcesina, mediante moderne opere corazzate. La mancanza di tempo e di fondi adeguati determinò però l’abbandono di tale programma difensivo prima del

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la assenza di adeguate opere di protezione al di sopra del forte della Scala, su Col dei Barc, Cima Campo e Cima Lan. Né del resto la posizione bassa e poco difendibile della tagliata era in qualche modo modificabile, visto il suo ruolo di interdizione stradale, senza comprometterne irrimediabilmente la funzione. La soluzione era allo studio già prima del 1904, ed il ruolo dell’Ivanoff non fu secondario nel concepimento del nuovo apparato difensivo in sinistra Brenta, articolato su Cima Campo e Cima Lan. Ma, nonostante che il netto miglioramento delle sorti economiche del Paese avesse permesso in quell’anno la ripresa dell’attività fortificatoria, solamente nel 1906 i primi finanziamenti e gli interminabili iter burocratici arrivarono in porto, permettendo l’apertura del cantiere dell’opera di Cima Campo. I lavori per la costruzione della batteria corazzata di Cima Campo, la più vasta e potente dell’intero sbarramento, coprirono un arco di tempo di sette anni, dal 1906 al 1912, e si svolsero sotto la direzione del capitano, poi maggiore ed infine generale, del genio Antonio Dal Fabbro (fig. 5). L’istituzione di una Commissione Permanente per la Difesa Territoriale nel 1907 e la stesura del definitivo progetto per la riqualificazione del sistema fortificato permanente in funzione antiaustriaca, lungo la frontiera dallo Stelvio all’Adriatico, precedettero di poco i lavori, avviati nel 1908, per la costruzione della seconda batteria corazzata dello sbarramento Brenta-Cismon: l’opera di Cima Lan, acquattata tra larici ed abeti a 1261 metri di quota sopra la val Cismon. Nel 1910 ebbero inoltre termine i lavori, intrapresi nel 1908 sul versante italiano, per il completamento della linea ferroviaria internazionale Trento-Bassano che nel tratto austriaco era però pienamente operativa fino a Tezze già dal 1896. Il transito della strada ferrata nella strettoia Cismon-Primolano rese necessario l’attraversamento dell’omonima vecchia tagliata e questa fu l’occasione per provvedere ad un adeguamento dell’opera, allo scopo di mantenerla al passo con i tempi. Data la vantaggiosa posizione nella quale sorgeva, anche quell’ormai obsoleto sbarramento sarebbe potuto infatti tornare utile, se integrato in un contesto più ampio e moderno. Nel 1910 lo sbarramento Brenta-Cismon era ormai prossimo al suo assetto definitivo: doveva passare ancora poco tempo prima che anche il prativo dosso di monte Lisser venisse sconvolto da schiere di operai intenti allo spianamento dell’area di vetta, in previsione dell’erezione dell’ultimo forte corazzato moderno destinato alla chiusura del Canal di Brenta. Il cantiere vero e proprio venne aperto a cavallo tra gli anni 1911 e 1912 e l’attività progredì così rapidamente che a fine 1913 anche l’opera corazzata più elevata di tutto lo sbarramento poteva considerarsi ultimata, eccezion fatta per le installazioni a pozzo. Al momento di armare la batteria non erano però disponibili installazioni Armstrong per 149A e si dovette ovviare a tale carenza ricorrendo al quasi analogo modello Schneider. Di pari passo con l’edificazione di forte Lisser procedette l’attività volta a migliorare la condizione operativa

della batteria campale destinata a presidiare il ripiano di Coldarco a scopo di fiancheggiamento delle opere di fondovalle all’altezza di Primolano. Dopo alcune visite di un’apposita commissione della direzione del genio militare di Padova, si decise che la costruzione di una struttura protetta in calcestruzzo non sarebbe stata conveniente sia per l’eccessivo costo in rapporto ai vantaggi che la sua ubicazione avrebbe comportato sia per le oggettive difficoltà tecniche che questa scelta avrebbe comportato. La direzione del genio competente optò quindi per un’opera in caverna destinata ad accogliere quattro cannoni da 75A ed un osservatorio d’artiglieria. Gli scavi iniziarono nel 1912 ed inizialmente era prevista l’installazione di pezzi su affusto campale, a ruote; per questo motivo le feritoie vennero mantenute di modeste dimensioni, almeno fino a quando non venne comunicata la decisione di dotare la batteria incavernata di quattro pezzi da 75 mm su affusto a candeliere, protetti da scudi. 9 - La fortezza Brenta – Cismon in “corso d’opera” Nel 1912 la fortezza Brenta-Cismon, ancora incompleta, era considerata dai Comandi italiani come dispositivo a carattere offensivo soprattutto in val Brenta e fra Brenta e Cismon, dove erano presenti opere permanenti sotto cupola. All’ala destra, in val Cismon ed a levante di questa, il sistema aveva invece un carattere prettamente difensivo, basandosi solamente su una vecchia tagliata, su appostamenti occasionali e su una strada militare d’arroccamento nelle Vette Feltrine ancora non completata. Forte Lisser a quell’epoca era molto indietro, nonostante che i cannoni da 149A S e le relative munizioni fossero giunti alla stazione ferroviaria di Primolano sin dall’agosto 1911: eseguiti tutti gli scavi, erano appena state iniziate le murature. L’ultimazione era prevista per la fine del 1913. Coldarco, che doveva battere il fondovalle, procedeva bene: erano bene inoltrati gli scavi, da terminarsi prevedibilmente nell’estate del ’13. Non era ancora armato. Forte Tombion, vecchia opera d’interdizione del Canal di Brenta, era in piena efficienza con una dotazione di soli quattro cannoni da 75A e due mortai da 149 mm. La tagliata della Scala, della quale si apprezzava l’ottima ubicazione, aveva un armamento limitato a vecchi pezzi da 75 mm su affusto rigido che avevano sostituito i 42 mm a tiro rapido. Si stava ancora lavorando al completamento della galleria casamattata posta attraverso la sella di Fastro, per estendere il settore di tiro verso Tezze. Nelle medesime condizioni era la tagliata delle Fontanelle. L’appostamento occasionale di S. Vito poteva ospitare una batteria in grado di concorrere con Coldarco a battere il fondo Valbrenta. Il forte di Cima Campo a fine 1912 era pronto e completamente armato; nelle prove di tiro di collaudo aveva dimostrato l’ottima scelta della posizione ai fini di migliorare la gittata dei pezzi. Cima Lan ospitava un’altra opera in pozzi sotto cupola pesante con azione principale da Col Balestrina (oggi Col della Cimogna) alla gola del Cismon. Completamente armata ed operativa, necessitava ancora di piccoli lavori interni di finitura.

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La tagliata Covolo di Sant’Antonio era considerata «… vecchia opera di poco valore, ma ben ubicata per chiudere la rotabile …».

3) opere di seconda linea, destinate ad integrare l’opera dei forti di prima linea ed a fornire un appoggio in caso di ritirata: batteria occasionale di San Vito e batterie di Col del Gallo.

10 - Fine lavori e mancata prova del fuoco Lo scoppio del primo conflitto mondiale, nell’agosto del 1914, impresse una brusca accelerazione all’attività fortificatoria ai confini del Regno. Per il novembre di quell’anno, anche le nuove opere a cavallo del Brenta erano praticamente tutte completate, e la fortezza BrentaCismon aveva assunto una condizione di piena efficienza. Le fortificazioni di questo esteso sbarramento alpino venivano classificate in tre raggruppamenti, in relazione alla loro collocazione ed ai compiti conseguentemente attribuiti, distinguendo:

Si trattava, come è facile notare alla luce dell’evoluzione delle fortificazioni richiamata nei capitoli precedenti, di un sistema difensivo alquanto eterogeneo per armamento, protezioni ed epoca di costruzione. Anche se solo vent’anni separavano, ad esempio, la costruzione della tagliata della Scala da quella di forte Lan, un abisso tecnologico e concettuale divideva le due opere. Restava ancora da dimostrare la bontà di questa forzata coabitazione, imposta essenzialmente da motivi di bilancio, di fronte ad una prova del fuoco che a fine 1914 pareva pericolosamente imminente.

1) opere di prima linea, il cui campo di tiro doveva garantire la copertura dell’intera area dello sbarramento, con attenzione particolare alle vie di possibile irruzione, nonché permettere di bersagliare obiettivi posti oltrefrontiera; appartenevano a questa categoria le opere di Lisser, Coldarco, Cima Campo e Cima Lan; 2) opere di interdizione delle rotabili principali: forte Tombion, tagliata della Scala, tagliata delle Fontanelle e tagliata del Covolo di Sant’Antonio;

L’entrata in guerra dell’Italia, il 24 maggio 1915, trovò la fortezza Brenta-Cismon pienamente operativa dato che sin dal giorno antecedente per le opere dello sbarramento era stato dichiarato, come si diceva all’epoca, lo «stato di resistenza». Ma le inizialmente favorevoli circostanze belliche, allontanando dal confine la linea di combattimento (spostatasi ad occidente nella Valsugana trentina ed a nord alla testata delle valli del Cismon e del Vanoi), crearono le premesse per la progressiva ed incruenta disgregazione

Fig. 5. La copertura di Forte Leone, l’opera corazzata edificata tra 1906 e 1912 su Cima Campo: in evidenza le sei cupole Armstrong e, al centro, la torretta corazzata retrattile della direzione di tiro. Sulla sinistra, la postazione per fanteria per il combattimento ravvicinato. Sullo sfondo, il massiccio di Cima D’Asta. (Archivio Luca Girotto)

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Fig. 6. Il fronte di gola del forte Leone a Cima Campo, dopo l’occupazione austriaca. (Archivio Luca Girotto)

Fig. 7. Le rovine del forte di Cima Lan, dopo il brillamento delle riservette di munizioni di pronto impiego operato dai genieri del battaglione alpini Val Brenta il 12 giugno 1917. (Archivio Luca Girotto)

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di quello che prima del conflitto era stato ritenuto uno dei migliori esempi di “integrazione di antico e moderno” in tema di fortificazioni di confine del giovane regno. Inutili se lasciate ad impolverarsi nelle casematte delle singole opere, le artiglierie e le mitragliatrici a disposizione del comando di fortezza vennero in buona parte smontate e trasferite su affusti d’assedio e campali già nell’estate del 1915, allo scopo di incrementare la modesta potenza di fuoco delle divisioni di prima linea nel settore Brenta - Vanoi - Cismon. La sconvolgente distruzione di forte Verena ad opera dei proiettili da 30,5 cm di pochi mortai Skoda schierati nel giugno 1915 sull’altopiano di Vezzena, minò definitivamente le fondamenta della fiducia italiana anche nelle loro opere corazzate più moderne: i pochi pezzi da 149 rimasti sotto cupola, tra l’autunno del 1915 e la primavera del ’16, vennero quasi tutti spostati all’esterno delle opere. Nel giugno 1916 il solo forte di Cima Campo disponeva ancora di due pezzi operativi in installazioni a pozzo e poté così prendere parte, infliggendo e subendo colpi, alla controffensiva italiana al di là del Brenta lungo il ciglio settentrionale dell’Altopiano dei Sette Comuni. Ma, al momento del ripiegamento italiano dalla Valsugana al monte Grappa nel novembre 1918, nessuna delle moderne opere corazzate e delle vecchie tagliate conservava alcuna vestigia delle originarie dotazioni: le recenti batterie in calcestruzzo, così come le vecchie opere in pietrame, potevano al più fungere, con le loro solide strutture murarie, da capisaldi blindati per fanteria e come tali vennero a volte utilizzati dai reparti di retroguardia per rallentare l’inseguimento austriaco ai danni delle colonne in ritirata. A Cima Campo, infatti, un battaglione di alpini si sacrificò, cadendo in gran parte prigioniero dopo due giorni di asperrimi combattimenti, all’interno delle disarmate (e minate) strutture di forte Leone (fig. 6). Quasi tutte le altre opere, già disarmate da lunga pezza, conobbero la triste sorte loro riservata dalle direttive del Comando supremo per la ritirata: la tagliata della Scala, la batteria Fontanelle e forte Tombion, assieme alla tagliata del Covolo di S. Antonio ed a forte di Cima Lan, vennero fatte esplodere dai genieri italiani subito prima di cadere in mano nemica. Solo forte Lisser, per mancanza di tempo e di esplosivi, e la batteria in caverna a Coldarco (disarmata sin dall’estate 1915) vennero occupati pressoché intatti dagli austriaci (fig. 7).

necessità di “riciclare” l’esistente per ragioni di risparmio nella seconda fase fortificatoria poco importa: quello che conta è che in nessuna forma tale integrazione ebbe la possibilità di testare pregi e difetti, essendo venuta a mancare quella “prova del fuoco” di fronte alle moderne artiglierie che probabilmente avrebbe evidenziato la totale inadeguatezza non solo delle vecchie tagliate, ma anche, e purtroppo soprattutto, delle costosissime batterie corazzate evolutesi dall’originario «modello Rocchi». 11 - Bibliografia - AA.VV. 1994, Guida ai forti italiani e austriaci degli Altipiani, Rossato, Novale-Valdagno. - AA.VV. 1991, L’arma del Genio, Rivista Militare, Roma. - AA.VV. 1915, Monografia dell’installazione in pozzo da 149A Schneider, Lab. foto-litografico d’artiglieria, Roma. - Ago P. 1928, Considerazioni sulla fortificazione permanente di frontiera, in Rivista di Artiglieria e Genio, Roma. - Araldi A.1882, Gli ostacoli naturali e la fortificazione, Zanichelli, Bologna. - Ascoli M., Russo F. 1999, La difesa dell’Arco alpino 1861-1940, Roma. - Barilli M. 1958, Storia del 7º reggimento Alpini, Tipografia Castaldi, Feltre. - Bettega A., Girotto L. 1996, 1914-1918, Tra le rocce e il vento e la neve… Storia ed immagini della grande guerra sui monti del Vanoi e di Fiemme, Aviani, Udine. - Borgatti M. 1898, La fortificazione permanente contemporanea, Cassone, Torino. - Cadorna L. 1934, La guerra alla fronte Italiana, Treves, Milano. - Ceva L. 1981, Le forze armate, Utet, Torino. - Cirincione G. 1923, Considerazioni e deduzioni tratte dal comportamento delle opere permanenti sulla fronte trentina durante la grande guerra, in Rivista di Artiglieria e Genio, vol. 2, Stabilimento Tipografico, Roma. - Cirincione G. 1931, Lezioni di fortificazione permanente, Stabilimento Tipografico Rattero, Torino. - Curami A., Massignani A., Bertè T., Cappellano F. (a cura di) 1999, L’artiglieria italiana nella grande guerra, Rossato, Novale-Valdagno. - Dal Fabbro A. 1988, Il generale Antonio dal Fabbro, vita ed opere, Archivio Dal Fabbro, libro II - tomo I, dattiloscritto inedito, Sedico (BL). - De Donà A., Musizza W. 1987, Le fortificazioni del Cadore (1904-1918). Il forte di monte Tudaio e le altre difese dell’Oltrepiave, ed. Ribis, Udine. - De Donà A., Musizza W., Toscani A. 1988, Le fortificazioni del Cadore (1904-1918). I forti di monte Rite e Pian dell’Antro con le altre difese della Chiusa di Venas, ed. Ribis, Udine. - De Donà A., Frescura D., Musizza W. 1990, Le fortificazioni del Cadore (1904-1918). Il forte di Col Vidal con le altre difese della stretta di Tre Ponti, ed. Ribis, Udine.

La triste ed anonima parabola bellica dello sbarramento Brenta-Cismon si concluse quasi esattamente un anno dopo, quando le forze austriache in ritirata dal Grappa e dal Canal di Brenta provvidero a completare le distruzioni precedenti demolendo con l’esplosivo la batteria Fontanelle, il già danneggiato forte di Cima Lan e parte delle strutture di forte Leone a Cima Campo. Usciva così, mestamente e definitivamente, dalla Storia un sistema fortificato che aveva provato a proporre una improbabile integrazione di elementi dell’antica arte fortificatoria ottocentesca con i più recenti sviluppi dell’architettura difensiva d’inizio Novecento. Che il tentativo fosse stato indubbiamente suggerito, se non imposto, dalla disperata

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I Congresso Internazionale su Conoscenza e Valorizzazione delle Opere Militari Moderne

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Territorio e fortificazioni: la loro valorizzazione. Il patrimonio IXmonumentale militare moderno nella realtà lombarda di oggi

TERRITORIO E FORTIFICAZIONI: LA LORO VALORIZZAZIONE. IL PATRIMONIO MONUMENTALE MILITARE MODERNO NELLA REALTÀ LOMBARDA DI OGGI Autore Fosco M. Magaraggia

Museo della Guerra Bianca in Adamello

Sommario Partendo sempre da una rigorosa ricerca storica intorno ai manufatti militari e alla loro evoluzione tecnologica e strategica e passando per lo studio pluridisciplinare dei territori in cui sono situati, la Regione Lombardia nell’ultimo decennio ha saputo costruire una serie di interventi di valorizzazione integrata di queste importantissime testimonianze storiche che favorissero la loro conoscenza, ma anche la loro fruizione in chiave ludica. Da luoghi di guerra, sofferenze e sangue a luoghi di pace e di godimento culturale ed ambientale in cui condurre i ragazzi a conoscere i luoghi della Storia divertendosi. Elaborando con Università, Volontariato culturale ed Autonomie locali progetti di valorizzazione estremamente flessibili secondo le caratteristiche specifiche, la Lombardia ha saputo invogliare decine di migliaia di lombardi e di “forestieri” a visitare ed a vivere la Storia. Strumenti di questa valorizzazione sono stati: la istituzione di Parchi culturali integrati (es. il Parco culturale integrato della “Guerra Bianca: il suo territorio, le sue genti”; la creazione di percorsi storico-culturali (es. i percorsi della Frontiera Nord in Lombardia); i percorsi storico-letterari (es. la individuazione-documentazione del percorso “Carlo Emilio Gadda alpino e scrittore in Alta Valle Camonica”), per finire con l’istituzione dell’Archivio Info-telematico dei beni della Grande Guerra in Lombardia strumento preziosissimo e ricco per ogni ricerca storica sulla Grande Guerra in Lombardia (www.aigg.com). Abstract LANDSCAPE AND FORTIFICATIONS: THEIR VALORIZATION. THE MONUMENTAL MODERN MILITARY HERITAGE IN THE LOMBARDY REALITY OF TODAY Combining rigorous historical research of the technological and strategic evolution of military artifacts with the multidisciplinary study of the territories in which they are located, the Region of Lombardy has, in the last decade, built a series of ‘integrated valorizations’ of these important historical sites, which not only favor knowledge about them but also enable their playful use. From places of war, suffering and blood-shed emerge places of peace and cultural-environmental enjoyment in which young people can learn about history while having fun. Lombardy has been able to entice tens of thousands of Lombardi as well as “foreigners” to visit and live history through the development of flexible and context-specific projects in collaboration with universities, non-profit cultural associations and local governments. The instruments

of this valorization process were: the establishment of integrated cultural parks (e.g. the Integrated Cultural Park “White War: its Territory, its People”); the creation of historical-cultural walkways (e.g. the Walkways of the Northern Frontier in Lombardy) and of historical-literary walkways (e.g. the creation and documentation of the walkway “Carlo Emilio Gadda: Alpine Soldier and Writer in Alta Valle Camonica”) and finally the establishment of the Digital Archive of Material Goods of the Great War in Lombardy, a rich and invaluable tool for any historical research on the Great War in Lombardy (www.aigg.com). 1 - Introduzione Questa mia relazione è abbastanza atipica nel quadro delle altre relazioni di un congresso internazionale sulle fortificazioni moderne in quanto introduce un argomento fondamentale nello studio, analisi e valorizzazione del manufatti storico-militari, ovvero che fare ex post. Parlerò, infatti, delle politiche pubbliche, dei modi e delle regole per le azioni di valorizzazione in Lombardia e per la fruizione pubblica dei beni storici, in particolare di quelli della Grande Guerra. Ovvero: - dell’interesse pubblico a valorizzare e promuovere la fruizione dei beni storici della Grande Guerra, in primis dei forti e dei sistemi fortificati alpini; - delle motivazioni istituzionali e civili che hanno portato la Regione Lombardia ad occuparsi istituzionalmente d questi manufatti storici; - delle prospettive di intervento di enti pubblici e privati in questo ambito di azione pubblica; per chiudere, con un giudizio storico, ovviamente ex post, sulla difesa passiva dei territorii e del suo costo economico e sociale. 2 - Le testimonianze storiche della Grande Guerra A chi interessano le testimonianze storiche della Grande Guerra? Innanzitutto una premessa “storica”: quando una dozzina di anni fa iniziammo, a livello di ufficio [Struttura “Sviluppo culturale del territorio” di Regione Lombardia. N.d.C.], ad occuparci dei manufatti della Grande Guerra nel territorio lombardo ci scontrammo subito con una idea manichea di Cultura. Schematizzando: Cultura era considerata la produzione complessiva sino al XVII° secolo, con poche eccezioni successive, soprattutto per la produzione figurativa e qualche sprazzo di produzione architettonica. C’era una sorta di cesura culturale tra chi si occupava della “Alta Cultura” e chi si occupava della “bassa cultura”. Detta così la cosa sembra drammatica ed inconciliabile, ma nella realtà le cose erano più sfumate,

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I Congresso Internazionale su Conoscenza e Valorizzazione delle Opere Militari Moderne

più allusive, ma tutto si riduceva a scarsità di risorse finanziarie per il Moderno, sempre con l’eccezione dell’Arte figurativa.

- i 2.200 visitatori paganti che nel solo mese di agosto hanno affollato le nuove sale del Museo della Guerra Bianca di Temù, diretto da John Ceruti che voi tutti conoscete, ed aperto anticipatamente in occasione della stagione estiva e che sarà ufficialmente inaugurato nella primavera del 2012; -il grande interesse e la grande partecipazione della gente verso la Grande Guerra, ultima in ordine cronologico, ma non certo per partecipazione, è stato il recentissimo viaggio del Treno della Memoria. Partito il 29 ottobre 2011, 90 anni dopo il treno che portò, nel 1921, la salma del Milite Ignoto sino all’Altare della Patria a Roma, il treno sulla sua strada ha trovato ovunque folle di cittadini a rendergli omaggio. Partito dalla stazione di Cervignano sabato 29 ottobre ed arrivato a Roma il 2 novembre, ha addirittura visto una fermata eccezionale a Conegliano dove il treno è stato costretto ad una fermata non prevista dalla folla sui binarii. Dopo 90 anni i sentimenti della popolazione verso la Grande Guerra sono ancora molto forti; - il successo del bel romanzo ambientato nel Veneto del ’17, dopo Caporetto: «Non tutti i bastardi sono di Vienna» di Andrea Molesini ed edito dalla Sellerio di Palermo, in pochi mesi giunto alla sua 7° edizione; - la ristampa completa degli scritti di Gadda a cura della prestigiosa casa editrice Adelphi, segnale molto forte di un diffuso interesse per i Diari, le lettere e gli altri scritti dell’ingegnere- alpino; - la partecipazione di pubblico alla mostra realizzata nella splendida cornice di Villa Necchi Campiglio di Milano, dal titolo «Sironi: la guerra, la vittoria, il dramma», a cura di Paola Gian Ferrari e Lodovico Isolabella. Mostra che espone 43 opere, oltre che di Sironi, anche quelle di grandi artisti suoi contemporanei che “ritrassero” la Grande Guerra, come Gio Ponti, Balla, Dix, Marussing, Carrà, Leger; - le numerose opere di studiosi del primo conflitto mondiale editate con regolarità dalla casa editrice Gaspari di Udine e che sono distribuite in tutta Italia; - i preziosi Quaderni di studio “Aquile in guerra” pubblicati regolarmente della Società Storica per la Guerra Bianca e che si esauriscono in poco tempo; - ultimissimo episodio è quello rappresentato dal recentissimo film di Steven Spielberg «War Horse» del 2011, ma che arriverà sugli schermi italiani nel 2012. È un film sulla Grande Guerra vista dagli occhi di un cavallo presente sullo scenario francese. Scene corali straordinarie, battaglie vivissime ed emozionanti, personaggi che ci sembrano di “riconoscere”, insomma un bel film.

La pressione e le sollecitazioni di associazioni locali e di amministratori locali ci dette una mano a reperire risorse per i nostri progetti di valorizzazione del patrimonio storicoculturale della Grande Guerra. Dodici anni fa potemmo partire con il finanziamento del censimento e la mappatura dei manufatti più significativi del sistema fortificato della frontiera Nord, cioè della Linea Cadorna nelle province di Varese, Como e Lecco. Nel frattempo, per nostra fortuna, si verificava a diversi livelli un interesse sempre più crescente nei confronti di questo importantissimo spezzone della nostra storia e questo ovviamente agiva da facilitatore per i nostri progetti. Oggi possiamo affermare senza tema di smentita che a tantissimi cittadini, non solo italiani, interessa la storia della Grande Guerra e questo interesse è noto anche a livello istituzionale. Andiamo però per gradi. La storia della Grande Guerra, o forse è meglio parlare di storie della Grande Guerra, è come il vino di grande qualità: più passano gli anni più migliora. È banale e scontata la osservazione, tutta psicologica, che i grandi fatti storici più passa il tempo più si diluiscono e subiscono una rarefazione nella memoria collettiva tanto che le guerre puniche e le crociate quasi divengono coeve; per la Prima Guerra Mondiale no, questo non è avvenuto, anzi è ben presente nella coscienza collettiva. Per la Grande Guerra, infatti, succede il contrario di altri fatti storici: l’interesse per la sua storia, per le sue storie, cresce sempre più e si moltiplicano i segnali di un sempre maggiore interesse, di una sempre maggiore attrattività dei suoi luoghi, dei suoi manufatti, delle sue storie per un pubblico di appassionati sempre più vasto. Come spiegare diversamente la riedizione dei vecchi testi o la stampa di nuovi testi sulla Grande Guerra o ambientati durante la Grande Guerra, con addirittura case editrici dedicate e/o specializzate nella Grande Guerra con testi di autori italiani e stranieri? E il fiorire di convegni vieppiù raffinati ed approfonditi sulla Grande Guerra che si svolgono qua e là in Europa? E l’aumento di visitatori nei musei, nei forti e sulle fortificazioni della Grande Guerra? e la cura che moltissime amministrazioni locali hanno verso i monumenti ai Caduti della Grande Guerra? Un elemento generale: se verificate in Internet, i siti sulla Grande Guerra superano per numero tutti gli altri argomenti possibili ed immaginabili, con una unica eccezione: i siti che parlano di sesso; solo quest’argomento in Internet “batte” l’argomento Grande Guerra ....

Ognuno di noi potrebbe facilmente citare numerosi altri esempi di un interesse che non diminuisce nel tempo, ma che anzi nel tempo si rafforza. Forse perché la Grande Guerra colpì tutte le famiglie e tutte le Comunità, tant’è che nell’immediato dopoguerra in tutti, proprio tutti, i paesi, le città, i villaggi furono eretti monumenti ai Caduti e lapidi con i loro nomi. Ancora oggi colpisce il grande numero di caduti elencati su lapidi e monumenti di borghi pur molto piccoli che videro decimata la “meglio gioventù” (fig. 1).

Veniamo ad esempi più specifici. Tralasciamo, perché ne abbiamo solo notizie indirette, lo strepitoso Museo della Grande Guerra appena inaugurato l’11 novembre scorso a Meaux, vicino Parigi, costato ben 28 milioni di euro, con i suoi 20.000 oggetti e 30.000 documenti, facciamo qualche esempio a noi più vicino di questo interesse così diffuso, anzi in aumento, verso la Grande Guerra:

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3 - L’interesse per la storia della Seconda guerra mondiale Per inciso: questo interesse sempre più diffuso per la storia recente sta investendo le memorie ed i manufatti della Seconda guerra mondiale. L’interesse, ad esempio, per le affascinanti fortificazioni in caverna della Grande Guerra ha contagiato l’interesse sempre maggiore per le “caverne” della Seconda guerra mondiale: i rifugi antiaerei. I “misteriosi” rifugi antiaerei di Milano, ma anche di Vienna e del Canton Ticino stanno spingendo sempre più gente di ogni età a partecipare alle visite guidate ed ai sopralluoghi. Così come, dopo decenni di oblio, in Francia sono aumentati a dismisura i visitatori ai bunker del Vallo Atlantico; valga per tutti l’esempio di Arcachon dove, oltre ai numerosi visitatori dei manufatti “a riva”, ci sono sempre più sommozzatori che visitano i bunker ormai inghiottiti dal mare, unendo passione storica a passione per il mare. Un altro fenomeno imponente di afflusso di visitatoti che in grandissimo numero si recano sui luoghi della Seconda guerra mondiale, ad esempio, si verifica ormai da oltre un decennio ad Obersalzberg, nelle Alpi bavaresi, là dove sorgeva in così detto “Nido dell’Aquila”

di Hitler e dove oggi sorge un ristorante panoramico, e dalla cucina mediocre; nessuno ormai avanza più l’ipotesi di una massa di nostalgici del nazismo, ma i più lo spiegano come una forma di turismo culturale itinerante che visita sì Obersalzberg, ma anche gli altri luoghi storici come i lager ed i bunker. Proprio per valorizzare e far conoscere il periodo storico che va dall’avvento del fascismo sino al secondo dopoguerra, ma soprattutto per non dimenticare, la Lombardia si è dotata di una legge ad hoc, la l.r. 1 del 2010 “Sostegno alle attività di studio e memoria sui fondamenti e lo sviluppo dell’assetto democratico della Repubblica”. La legge n.1 privilegia, tra l’altro, gli interventi verso le scuole e verso il volontariato culturale. In questo scorcio di 2011, inoltre, sta per essere depositato in Consiglio regionale un progetto di legge di iniziativa consiliare che prevede la estensione dei benefici e degli obblighi della legge regionale n. 28 del 2008 “Promozione e valorizzazione del patrimonio storico della Prima guerra mondiale in Lombardia” anche al patrimonio storico e culturale della Seconda guerra mondiale. Io condivido in pieno questo progetto di estendere la valorizzazione e la conservazione

Fig. 1. Veduta aerea del forte Montecchio (anche detto forte Lusardi) a Colico (Lc). (Foto AIGG)

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dei beni culturali del secondo conflitto mondiale perché non è la vicinanza a noi che sminuisce la loro importanza, anzi la esalta con la nostra partecipazione.

Manca un progetto di ampio respiro, sostenuto anche finanziariamente da enti pubblici e sponsor privati, per la rilevazione, studio e valorizzazione complessiva del patrimonio storico, culturale monumentale della Seconda guerra mondiale quale, ad esempio, tutto il sistema difensivo urbano sotterraneo e le fortificazioni alpine coeve; se il progetto di legge che si diceva dovesse divenire legge della Regione Lombardia, allora tutto questo potrebbe realizzarsi. Insomma ci sono segni chiari ed inequivocabili di un forte interesse nascente per i fatti, i luoghi e le testimonianze dell’ultimo conflitto mondiale da cui è nata l’Europa Unita e gli enti pubblici e privati devono collaborare per poterlo soddisfare al meglio.

Nel frattempo già adesso i progetti di studio e valorizzazione del patrimonio culturale materiale ed immateriale del secondo conflitto mondiale sono numerosi: - è già stato finanziato un primo progetto di percorso storico-letterario “ La Brianza del Cavallo Rosso: percorsi culturali intorno alla vita ed alle opere di Eugenio Corti” con capofila le Province di Monza e Brianza e di Lecco, due Comuni, un Consorzio e due Associazioni culturali; Corti che ha raccontato intensamente la seconda guerra mondiale e la lotta partigiana, sullo sfondo della sua Brianza; - in Alta Valle Camonica, ad Edolo, con la partecipazione di ben sette Comuni, è stato formalmente avviato l’Ecomuseo della Resistenza, il cui riconoscimento regionale è in via di perfezionamento; - recentissimamente è in via di definizione il piano di ricerca storica sul contributo dato dalle formazioni partigiane di ispirazione cattolica, i così detti “fazzoletti bianchi”, alla Liberazione dell’Italia dal nazifascismo (fig. 2).

4 - Perché e come raccontare questa storia? Perché e come raccontare questa storia? Ci sono però tanti modi di raccontare la Storia. Uno dei modi più efficaci e partecipati è quello di raccontarla attraverso le testimonianze direttamente sui luoghi che videro lo svolgersi dei fatti storici ed “in contatto” con quello che è rimasto di tangibile nel territorio; insomma il territorio come “testimone narrante”. Cosa sarebbe stata l’Italia

Fig. 2. Due dei quattro pezzi da 149 S nelle cupole blindate originali del Forte Montecchio di Colico (Lc). (Foto di Gattulli)

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senza la Prima Guerra Mondiale? E l’Europa Unita sarebbe stata possibile senza i lutti e le distruzioni immani della Seconda Guerra Mondiale? Che cosa hanno tratto di positivo le genti da questi due mostruosi “fatti” della nostra storia più recente? Produrre cultura è anche rispondere a queste questioni. Ma procediamo per gradi e torniamo all’oggetto di questo nostro convegno: i forti e le fortificazioni moderne dell’arco alpino. In Lombardia non si è pensato, e quindi progettato, il recupero e la fruibilità dei Forti della Grande Guerra come luoghi espositivi e di mera scampagnata per un turismo domestico, quanto piuttosto come “luoghi di opinione” in cui raccontare sì i fatti bellici, ma soprattutto far percorrere itinerari, anche mentali, che vogliono far riflettere sul valore della Pace e sulle nuove sfide della convivenza internazionale. Raccontare ed esporre sì la cronologia storica che ha portato alla edificazione dei Forti, ma senza indulgenze a compiacimenti per le soluzioni militari che si scelsero all’epoca. Soluzioni militari che non possono oggi essere più concepite e postulate. Siamo tutti d’accordo che la memoria collettiva non può né deve essere cancellata, ma oggi questi luoghi e questi manufatti raccontano anche e soprattutto la loro inadeguatezza e la loro inattualità a risolvere i problemi di convivenza di popoli pur uguali nella loro diversità. Il concetto stesso di frontiera si è evoluto: già le frontiere fisiche di quando eravamo noi bambini non rassomigliano in nulla alle frontiere psicologiche e culturali dei nostri figli. I miei figli Sveva e Gherri non percepiscono più il “passaggio” da un Paese europeo all’altro come attraversamento di una “linea”, una cesura, ma semplicemente come un cambio di lingua. Questioni ed osservazioni retoriche e quasi scontate, certo, ma che possono dare il senso postumo a tragedie quali questi monumenti testimoniano a noi ed ai nostri figli. 5 - Le politiche pubbliche di valorizzazione dei monumenti storici recenti in Regione Lombardia Quali sono state le politiche pubbliche di valorizzazione dei monumenti storici moderni in Regione Lombardia? Queste considerazioni cosa hanno comportato concretamente nell’azione pubblica in Lombardia? Hanno comportato che il singolo forte, la singola batteria in caverna, il singolo cimitero militare fossero visti come elementi di un sistema complesso che a suo tempo coinvolse nella sua costruzione territori più ampi di quello strettamente afferente il singolo manufatto, e hanno comportato il coinvolgimento delle comunità civili, oltre alle formazioni più strettamente militari nella opera di valorizzazione e tutela. Sulla base di questa visione integrata, questi manufatti sono stati rilevatimappati-studiati e sono stati presentati ai cittadini ed ai visitatori come un sistema perfettamente calato ed integrato nel territorio; territorio da fruire nella sua interezza perché elementi importanti sì, ma non esaustivi di un territorio. Il territorio deve essere “letto”, letto e quindi raccontato

nella sua interezza storica, sociale e culturale. Raccontare, ad esempio, la Linea Cadorna come mero fatto di architettura militare è decisamente incompleto e monco, se non si raccontano le decine di migliaia di maestranze civili che vi furono coinvolte, direttamente ed indirettamente, nella sua costruzione; se non si parla dello straordinario valore in una dinamica evolutiva e di cambiamento culturale di quello che si rivelò come primo contatto tra tante piccole comunità chiuse e quasi isolate delle nostre montagne “invase” da maestranze militari giunte da ogni parte d’Italia; se non si fa conoscere quale “benedizione” fossero questi lavori bellici per l’economia di mera sopravvivenza per queste popolazioni montane che videro per la prima volta entrare nella economia quasi “curtense” di queste valli, un flusso regolare di denaro sonante che durò per un intero anno; come non raccontare che per questi luoghi remoti la prima viabilità moderna fosse proprio quella costruita dai militari per scopi bellici? Questo è stato considerato importante per valutare i progetti da sostenere con i finanziamenti regionali: far toccare con mano e far conoscere non solo e non tanto l’aspetto bellico dei Forti e dei sistemi fortificati “sopra e dentro le montagne”, ma la realtà complessa in cui furono edificati e che conseguenze ebbero nel tempo per le popolazioni circonvicine coinvolte all’epoca non solo dagli eventi bellici. Ma vediamo come, nello specifico, le politiche pubbliche lombarde hanno risposto e sono andate incontro non solo verso questo diffuso interesse per tutto quello che riguarda la vita durante la Grande Guerra, ma come lo valorizzano e come lo raccontano. Immaginate 240 chilometri di fortificazioni dal lago Maggiore al Pizzo del Diavolo, perfettamente intatte, la Linea Cadorna; e poi 170 chilometri di trincee, ridotte, strade, cimiteri dal Pizzo del Diavolo al lago di Garda, cioè i territori della così detta Guerra Bianca con manufatti militari che a volte si collocano sopra i 3000 metri di quota, a volte nelle viscere della montagna. Manufatti uniti da una rete infinita di strade militari là dove, sino alla fine del XIX secolo, non vi era viabilità, al eccezione di una sentieristica locale e “minimalista”. Nei territori di questo sistema difensivo, o meglio di questi sistemi fortificati, vi sono veri e propri gioielli di architettura militare moderna perfettamente conservati. Si consideri che nel resto dell’Europa non sono sopravvissute opere di tale dimensione e grado di conservazione; ad esempio, i forti delle regioni ad est della Lombardia, tutti danneggiati dai reciproci violenti bombardamenti già nell’estate del 1915, conobbero anche tutti i profondi danneggiamenti causati dai cercatori di metalli degli anni ’30 che operarono su precise indicazioni delle autorità civili dell’epoca. In Lombardia ciò avvenne in pochi isolati casi, ma per la totalità della Linea Cadorna e dei forti sopravvissuti ad est l’insulto di questi cercatori fu evitato dall’essere i manufatti ancora in mani militari sino al secondo dopoguerra; per alcuni sino agli anni ’60 del secolo scorso.

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Fig. 3. Logo ufficiale del Convegno. (Foto AIGG)

Fig. 4. Trincea restaurata nella zona dello Stelvio. (Foto AIGG)

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La Lombardia, nella immane disgrazia della guerra, fu più fortunata ed “ereditò” forti pressocché intatti: basti pensare al Forte Lusardi a Colico, meglio conosciuto come forte Montecchio, oppure Forte Canali a Tirano e Forte Venini ad Oga, sopra Bormio. Il primo con i suoi cannoni ancora nelle torrette blindate ed il terzo perfettamente restaurato e con le blindature intatte; il secondo che con un relativamente semplice intervento di messa in sicurezza potrebbe essere anche lui agibile per il turismo culturale. Tutti e tre immersi in un paesaggio bellissimo e mozzafiato, vicini a centri storici di qualità e ad aree protette. Tra Forte Montecchio e Forte Canali, si trova un manufatto militare raro in Europa per condizioni di conservazione: la mina di Verceia in Valchiavenna, scavata nella roccia con sedici camere di scoppio collegate tra di loro e destinata a far franare la montagna nel lago di Mezzòla per bloccare una eventuale invasione da parte degli eserciti degli Imperi centrali attraverso i Grigioni; mina fortunatamente mai fatta esplodere lasciandoci così ancora intatto un paesaggio decisamente suggestivo che in caso contrario, se fatta esplodere, la mina avrebbe squarciato e “ferito” in modo orrendo. Giungendo essa intatta sino ai nostri giorni è monito alla follia di una guerra che altrove ferì in modo perenne il territorio alpino, scapitozzando per centinaia di metri cime alpine sino ad allora inviolate. Senza voler entrare nel dettaglio dei coevi e pregevoli progetti veneti, trentini, friulani, e per restare in Lombardia, citiamo alcuni dei più recenti e significativi che hanno visto il finanziamento di Regione Lombardia. In premessa bisogna dire che anche la Regione Lombardia, le Autonomie Locali ed il Volontariato culturale, con il coinvolgimento di alcune Università, già da tempo hanno saputo “precorrere” questo interesse diffuso ed anzi hanno contribuito ad incentivare attuando progetti culturali integrati di valorizzazione quali ad esempio: - il censimento dei manufatti della Linea Cadorna in territorio prealpino per una estensione di circa 240 chilometri, progetto partito nel lontano 2000; - il censimento dei manufatti della Guerra Bianca per una estensione di circa 180 chilometri, partito nel 2002; suo sviluppo è stato la individuazione- rappresentazione di percorsi storico-ambientali che hanno coperto la maggior parte dei territori pre-alpini ed alpini lombardi di nordest; - l’avvio nel 2003 del “Parco culturale integrato della Guerra Bianca: il suo territorio, le sue genti”, con il coinvolgimento di oltre 40 soggetti pubblici e privati; - l’organizzazione del convegno internazionale “1918 - 2008 la Grande Guerra: il fronte alpino, la società, la memoria storica” in occasione del 90° della fine del primo conflitto mondiale: convegno che vide la partecipazione ufficiale della Repubblica dell’Austria con la applauditissima prolusione di apertura del suo Console Generale in Italia, Dottoressa Teresa Indjein-Untersteiner e con le relazioni di due studiosi austriaci. Tra le tante interessantissime relazioni, e senza voler far torto ad alcuno, è da segnalare

per la sua novità assoluta in un tale contesto, la relazione tenuta dal Capitano Andrea Ilàri, comandante del Nucleo T.P.C. dei Carabinieri di Monza dal titolo: “I Beni culturali della Grande Guerra in Lombardia, tutela, valorizzazione ed attività dei Carabinieri del Nucleo T.P.C.”. Intorno al convegno fu organizzata una settimana di spettacoli dal vivo e proiezioni di film, molto partecipati, organizzati dalla Cineteca di Milano. Gli Atti possono essere richiesti alla Società Storica per la Guerra Bianca; il video La guerra in fronte può essere richiesto direttamente alla Cineteca di Milano (fig. 3). Più recentemente hanno avuto attuazione: - la messa on line del primo step dell’Archivio infotelematico generale dei Beni della Grande Guerra in Lombardia: www.aigg.org, avviato nel 2010 ed in progress, entro cui confluiranno tutti i “giacimenti” della Regione, della Associazione, del Museo della Guerra Bianca di Temù ( Bs ) e Colico ( Lc ) e di terzi; - il nuovo Museo della Guerra Bianca di Temù che, pure aperto provvisoriamente (la sua inaugurazione ufficiale è prevista per la primavera 2012), ha avuto oltre 2.200 visitatori nel solo mese di agosto 2011; - il progetto “Percorso storico e letterario sovracomunale Carlo Emilio Gadda, alpino e scrittore in Alta Val Camonica” promosso dal comune di Edolo e che vede coinvolti altri otto comuni, la Comunità montana della Valle Camonica, il Museo della Guerra Bianca di Temù, il Distretto culturale di Valle Camonica, l’Associazione degli Alpini della Valle Camonica e l’Ecomuseo delle Fiamme Verdi e cofinanziato da Regione Lombardia; il convegno di presentazione del Percorso e degli studi che sono alla base della sua costruzione, tenutosi a Edolo sabato 8 ottobre 2011, ha visto la presenza di eminenti studiosi e di numerosi appassionati di ogni età; - il progetto “La difesa del Lario: forti ed altre opere difensive della Prima guerra mondiale nelle province di Sondrio, Lecco e Como”, promosso dall’Area Protetta Pian di Spagna e che vede coinvolti tre province e quattro comuni, ecc. - il Censimento dei monumenti dedicati ai Caduti della Grande Guerra in Lombardia, con capofila il Politecnico di Milano; censimento iniziato nel 2011, partendo dalle province di Milano Monza e Brescia. - la digitalizzazione e la messa in rete, in un sistema aperto, dell’Albo dei Caduti lombardi della Grande Guerra in Lombardia, con capofila la Società storica della Guerra Bianca I lavori sono partiti nel 2010 e dovranno concludersi nel 2011 (fig. 4). Ma come mai la Regione Lombardia si interessa e finanzia progetti sulla Grande Guerra, addirittura dotandosi di una legge ad hoc, la già citata l.r. n.28 del 2008 “Promozione e valorizzazione del patrimonio storico della Prima guerra mondiale in Lombardia”? Perché valorizza le testimonianze in senso lato della Prima guerra mondiale nell’ambito di una sua politica di valorizzazione delle eccellenze culturali, storiche e paesaggistiche del proprio

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Fig. 5. Veduta area del Forte Fuentes da Colico (Lc). (Foto AIGG) territorio? Ogni territorio ha delle specificità culturali e storiche che lo connotano e che costituisco quasi un brand che lo distingue e lo connota. A solo titolo di esempio possiamo richiamare il brand dei Camuni, marchio che contraddistingue territorio, abitanti ed aziende della media Val Camonica; oppure il brand Guerra Bianca che contraddistingue l’Adamello ed i suoi territori contigui. Ma gli esempi si possono moltiplicare ad libitum: la Via Francigena per le province di Pavia e Lecco, il territorio di Matilde di Canossa nell’Oltrepò mantovano già diventato un vero e proprio brand per la produzione agroalimentare in 23 Comuni, con tanto di logo; o le abbazie del sud Milano e i Navigli o il Romanico del Garda e così via. Oppure, appunto, la Linea Cadorna e la Guerra Bianca. Ma vediamo insieme quali specificità hanno i progetti di valorizzazione del patrimonio storico e culturale finanziati e promosso in Lombardia (fig. 5).

- deve essere un progetto in partenariato pubblico- privato con esplicitato ex ante il capofila con responsabilità anche amministrativo-contabili; - devono essere precisati esplicitamente gli apporti dei singoli partners; - deve avere alla sua base un rigoroso studio scientificamente valido; - deve avere elementi significativi di innovazione; - deve avere esplicitato un programma di comunicazione e promozione finale, con particolare attenzione allo strumento Internet; - deve avere individuato ex ante, il suo target di destinazione (terza età, età scolastica, ecc.); - deve essere già previsto un modello di gestione o quanto meno una sua ipotesi dettagliata e condivisa; - vi deve essere un ritorno certo per le comunità locali coinvolte, non solo in termini di turismo culturale e quindi di reddito, ma anche e soprattutto come conoscenza e consapevolezza della propria storia e delle origini della propria cultura per le popolazioni locali; - spese strutturali ammesse al finanziamento: esclusivamente quelle per la messa in sicurezza dei manufatti e la loro migliore accessibilità al pubblico, escludendo tutte quelle opere che potrebbero cancellare o alterare le tracce della Storia.

6 - Finanziare i progetti La Regione Lombardia ha posto, quindi, alla base dei suoi interventi, alcuni elementi imprescindibili, senza i quali non vi è finanziamento regionale: - il progetto culturale deve nascere in loco, da soggetti istituzionali o dal Volontariato culturale. Unica eccezione, i progetti nati in ambito universitario, ma anche le Università comunque devono cercare e costruirsi un partenariato con soggetti “terzi”;

Per tutti i progetti culturali integrati per la valorizzazione dei beni immobili della Grande Guerra e ammessi al

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Fig. 6. Postazione blindata per due mitragliatrici sulla Linea Cadorna in provincia di Lecco. (Foto AIGG) finanziamento regionale queste condizioni di base sono state ampiamente e rigorosamente rispettate. Attraverso la definizione, la emanazione e la pubblicizzazione di “Inviti a presentare progetti di valorizzazione” questi requisiti sono stati esplicitamente richiesti, pena l’esclusione dalla selezione. Da sottolineare che la selezione avviene attraverso il coinvolgimento formale di esperti regionali di diverse discipline proprio per la natura interdisciplinare ed integrata di questi progetti. In particolare va evidenziato e richiamato con forza il primo di questi requisiti, la conditio sine qua non nella politica di valorizzazione culturale lombarda: la attenta e puntuale ricerca storica e demoantropologica alla base di ogni progetto: non vi è progetto culturale integrato serio che non abbia alla base una ricerca scientifica delle fonti, un riscontro storico, una rilevazione dei beni immobili, mobili ed immateriali, una valutazione della loro accessibilità sul territorio, nel caso di beni immobili, o in archivio o in museo, nel caso di beni mobili e immateriali. Di progetti “fantasiosi” o approssimativi ne sono arrivati tanti in questi anni, ma nessun progetto senza una solida base scientifica e “teoretica” è stata ammesso a finanziamento (fig. 6). Tutti i progetti lombardi finanziati hanno dovuto sottostare a questa scelta di politica culturale della Regione. Ad esempio, ma potremmo farne decine di altri, alla base del citato Parco culturale integrato “La Guerra Bianca: i suoi territori e le sue genti” c’è un accurato studio, documentale

ed in situ, delle fonti storiche ed un censimento georeferenziato dei manufatti militari presenti su quello che fu il fronte dell’Adamello. Anche per facilitare i progetti di valorizzazione dei forti e dei sistemi fortificati dell’arco alpino lombardo, la Regione Lombardia ha finanziato una ricerca pluriennale, conclusasi nel 2011 con la pubblicazione dell’ultimo volume che, insieme al precedente, ne è testimonianza di accuratezza e scientificità del lavoro sin qui svolto. Perché valorizzare proprio i sistemi fortificati alpini tra i tanti beni culturali che ha la Lombardia? Per più di una ragione: - la Regione negli anni ’80 del secolo scorso ha fatto censire tutte le fortificazioni presenti sul proprio territorio, ma non fece censire i forti e le fortificazioni moderne. Ci si fermò ai manufatti eretti agli albori dell’Età moderna. Si è posto, pertanto, la necessità di completare la rilevazione ed il censimento di questi importanti manufatti presenti sul territorio regionale; - perché questi manufatti rappresentano una sorta di filo di Arianna, un filo rosso che può guidare alla scoperta di un territorio ricchissimo di eccellenze culturali, storiche, paesaggistiche e perché no, di eccellenze eno-gastronomiche e di artigianato artistico: chi ama la montagna, chi ama la storia, chi ama la cultura alpina troverà un percorso non solo fisico, ma soprattutto culturale e naturalistico di grandissimo fascino; - perché a livello locale, per effetto di iniziative di

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associazioni di volontariato culturale, per effetto di politiche turistiche e culturali di singoli Comuni, perché alcune università avevano iniziato ad interessarsi a questi manufatti ed ai fatti storici ad essi collegati e tutto ciò ha comportato una sempre maggiore richiesta di intervento regionale.

Come è noto, sin dal Neolitico l’attuale territorio lombardo è stato crocevia di popoli tra il Nord del Mediterraneo ed il Sud dell’Europa Centrale; crocevia di popoli, di mercanti e di eserciti. Quindi incrocio di numerosissime vie di terra e di acqua. Proprio per tutelare e difendere queste direttrici di comunicazione, da secoli in Lombardia, come nel resto dell’Europa, si sono costruite fortezze, fortificazioni e chiuse con l’intento, spesso illusorio, di fermare, bloccare, impedire il transito di moltitudini più o meno bellicose. Basti pensare alla rete di fortezze fatte costruire intorno al Ducato di Milano, o la successione organica di fortezze lungo tutto il corso dell’Adda in Valtellina nel XVI secolo (allora territorio dei Grigioni) cui rispose Milano, allora sotto il dominio spagnolo, con la costruzione del poderoso Forte Fuentes a Colico (da cui Pian di Spagna) a sbarrare lo sbocco verso la Brianza ed il Milanese. Ma di esempi storici chiunque ne potrebbe fare a bizzeffe. La Lombardia, proprio per questa sua storia di invasioni e transiti di popoli ed eserciti, ha un ricchissimo patrimonio ed un pressoché completo campionario di architetture militari: castelli, rocche, cinte murarie, torrioni, sino ai forti ed ai sistemi fortificati di epoca moderna. Ciò avvenne sino a tutto il XIX secolo con la costruzione di forti, culminata nel XX con la costruzione della così detta Linea Cadorna: 240 chilometri di fortificazioni e forti, dal lago Maggiore al Pizzo del Diavolo nella Bergamasca. Fortificazioni mai coinvolte in episodi di guerra, se non in limitatissimi casi durante la guerra partigiana contro i nazifascisti durante la Seconda guerra mondiale (Monte San Martino in provincia di Varese e forte Montecchio a Colico).

A questo punto sorge spontanea una domanda: ma qual’è l’interesse regionale a sviluppare progetti di valorizzazione in questo ambito? Ed a cascata si pongono altre domande supplementari: - perché proprio uno studio ed un censimento georeferenziato di Forti e Fortificazioni che abbracciano tutto l’arco alpino lombardo? - perché costruire con le Comunità locali progetti innovativi di valorizzazione che abbiano come filo conduttore la Grande Guerra? Si potrebbe continuare oltre, ma la risposta a tutti questi quesiti ed altri ancora che si potrebbero avanzare è dal punto di vista istituzionale teoricamente semplice: perché è un’azione di Governance per lo sviluppo culturale, sociale ed economico di territori in una certa qual misura “marginali” perché remoti dal centro; territori che hanno visto per anni il loro abbandono da parte della popolazione attiva, ma che la Regione ha saputo contenere prima ed invertire dopo questo fenomeno di abbandono proprio con tutta una serie di azioni di Governance complessiva della Montagna. Voglio chiudere questo argomento citando Walter Belotti, Presidente della Associazione del Museo della Guerra Bianca in Adamello e che ha al proprio attivo ben 25 pubblicazioni sull’argomento: «Tutela e valorizzazione per noi significano dare a queste magnifiche opere, come spetta loro, la dignità di beni culturali nel pieno senso del termine, ed inserirle in un circuito di turismo culturale di qualità, che integri queste eccellenze storiche con le altre offerte culturali, ambientali, paesaggistiche che i territori della Lombardia offrono a piene mani agli studenti di ogni ordine e grado come ai turisti italiani e stranieri».

8 - Le fortificazioni moderne in Lombardia: non più artiglierie per le fortezze, ma fortezze per le artiglierie La “storia” di questi interventi specifici della Regione Lombardia la abbiamo già raccontata in dettaglio nei numerosi convegni degli anni scorsi e nei diversi volumi sui beni storici della Grande Guerra in Lombardia; qui ed ora vorrei parlare brevemente di una caratteristica propria delle fortezze moderne rispetto a tutte le tipologie precedenti. Caratteristica ben nota agli studiosi, ma utile richiamare per la mia esposizione. Una caratteristica saliente e distintiva che compare in nuce in alcuni progetti di fortificazioni rinascimentali (cfr. i 45 fogli militari di Leonardo nel Codice Atlantico, e i progetti rimasti di altri pochi ingegneri rinascimentali), ma che all’epoca conobbe pochissime realizzazioni concrete (valga per tutte l’esempio del rivellino di Lugano, costruito su disegno di Leonardo ). Ma qual’è questa caratteristica distintiva fondamentale delle fortezze moderne? Che caratteristiche hanno i sistemi fortificati moderni in Lombardia?

7 - Lombardia fortificata Un’altra ragione molto importante ha spinto la Regione ad intervenire in questo ambito: perché non si può prescindere, nello studiare la cultura della Lombardia, dallo studiare tutti i fattori materiali ed immateriali scaturiti dall’essere la Lombardia “crocevia di popoli”. Attraverso la Lombardia passarono tutti, o quasi tutti, i popoli europei, la Lombardia è la regione italiana più ricca di Vie Storiche e una delle regioni più munita di fortificazioni. Per sintetizzare, ma non banalizzare, possiamo dire che i viaggiatori, quasi sempre armati, sin dal Neolitico hanno attraversato la Lombardia, qualcuno vi si è fermato ed ognuno vi ha lasciato un frammento della propria cultura e questi frammenti e questi lasciti oggi costituiscono la peculiarità culturale lombarda. Ma andiamo per gradi e facciamo un lungo passo in dietro e vediamo quale è il patrimonio storico della Lombardia nell’ambito “fortificazioni”.

In estrema sintesi: tra il XV ed il XVI secolo, nei disegni e nei progetti, quasi tutti abbozzati e quasi mai concretizzati, comincia ad apparire una nuova filosofia costruttiva: non tanto modificare fortezze preesistenti per renderle più efficienti rispetto alle artiglierie che si andavano vieppiù evolvendo, ma costruire fortezze “intorno” alle artiglierie,

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Territorio e fortificazioni: la loro valorizzazione. Il patrimonio monumentale militare moderno nella realtà lombarda di oggi

alle batterie, alle polveriere. Non tanto difendere le mura con le artiglierie, quanto piuttosto difendere le artiglierie con le mura. Noi ci limiteremo a tratteggiare alcuni elementi distintivi storico-strutturali presenti in costruzioni militari dell’arco alpino lombardo che meglio “raccontano” questa caratteristica moderna. Anche in Lombardia, come nel resto dell’Europa, quella delle fortezze, delle cittadelle, dei castelli è una storia di riuso, ricostruzione, adeguamenti strutturali e funzionali stratificati nel tempo per adeguarli alle necessità belliche coeve. Spesso ricostruite su preesistenti siti fortificati romani che sfruttavano al meglio le caratteristiche orografiche più atte alla difesa passiva, ed adeguandole man mano alle tecniche di assedio medievali. Nel Medio Evo, com’è noto anche ai bambini, si rialzarono mura e torri, divenute altissime per renderle il più inaccessibile possibile alle macchine d’assedio dell’epoca. Con l’avvento delle artiglierie, al contrario, le mura e le torri furono ribassate ed inspessite per resistere ai loro colpi. Questo portava spesso alla definizione teorica di realtà costruttive unificate nelle varie Signorie; il massimo di conformità fu raggiunto su di un amplissimo territorio, quello del regno francese del XVII secolo. Quello francese rispecchia in pieno questa filosofia dell’adeguamento e del riuso delle strutture difensive preesistenti; citiamo a questo proposito il grande ingegnere-costruttore Vauban che per conto del Re Sole ristrutturò e costruì fortezze, forti e cittadelle in tutta la Francia. Vauban in effetti ristrutturò, adeguò e, soprattutto ampliò, ma di nuovo costruì ben poco. Geniale nelle soluzioni, si cimentò solo marginalmente nella costruzione ex novo di nuovi forti, nuove fortezze. D’altra parte egli era un grande esperto di assedi, piuttosto che di resistenza ad essi. In Lombardia abbiamo, uno tra gli altri, un esempio perfetto di questo modo di procedere, trasformando il preesistente, piuttosto che edificare ex novo una fortezza: il forte di Anfo in provincia di Brescia, fortezza che dal XV secolo sino alla Grande Guerra si trasformò per adeguarsi vieppiù alle nuove tecnologie ed alle nuove tattiche militari. Una gita ad Anfo, oltre che essere molto gratificante dal punto di vista ambientale e naturalistico, è estremamente istruttiva ed illuminante anche per l’appassionato. Eccoci arrivati al dunque: le fortezze ed i forti moderni sono progettati e costruiti in funzione esclusiva, o quasi, dell’artiglieria. Il costruire ex novo una fortificazione per i propri cannoni e per difendersi da quelli del nemico è la caratteristica peculiare della fortezza moderna. Per la Lombardia mi limiterò a sfiorare un caso concreto di fortezza moderna dell’arco alpino, anche se datato, ma quale primo esempio di fortezza moderna vale la pena richiamarla: la costruzione della fortezza di Fuentes sulla sommità di uno dei montelli (più precisamente il Monticello) di Colico, in provincia di Lecco. Fatta costruire dal Fuentes, governatore spagnolo del Ducato di Milano, tra il 1603 ed il 1606, non è un adattamento su di un insediamento militare precedente, via via ammodernato

ed adeguato, ma costruito ex novo per sbarrare la strada ai Grigioni verso l’alto Lario ed il Milanese principalmente attraverso l’uso delle artiglierie di cui fu fornito; funzione che svolse egregiamente, tant’è che i Grigioni chiesero a Napoleone Buonaparte di farlo saltare in aria (nonostante esso fosse stato già disarmato) in cambio del permesso di passaggio dell’esercito francese, diretto in Italia; cosa che Napoleone fece fare puntualmente ai suoi genieri. Pur semi distrutto dai Francesi, durante la Grande Guerra ospitò, in barbetta, pezzi di artiglieria ad adiuvandum della batteria corazzata del forte Lusardi di Colico, detto forte Montecchio. Forte - fortezza - cittadella, lascio a voi la sua definizione; a noi interessa come punto di partenza del nostro ragionamento perché, sull’arco alpino lombardo, è il primo e migliore esempio di fortezza che oltre a sbarrare, a chiudere, a difendere, ha una peculiarità interessante: è una fortezza costruita intorno e per i suoi cannoni. Ora facciamo un salto di quasi tre secoli e vediamo cos’è successo sull’arco alpino dopo l’Unità d’Italia del 17 marzo 1861, più precisamente sul confine austro-ungarico sul fronte della difesa passiva. A fronte di artiglierie sempre più potenti, l’Impero austriaco e il Regno d’Italia costruirono forti e batterie corazzate vieppiù potenti sia come armamenti che come blindature in calcestruzzo ed acciaio. Pur profondendo in queste opere imponenti e numerose fiumi di denaro ed a fronte di tempi di costruzione più “lenti” dell’evoluzione tecnologica degli armamenti pesanti, i due contendenti giunsero alla dichiarazione di guerra con armamenti pesanti ben più potenti dei forti stessi. Ergo: nelle prime settimane di guerra i bombardamenti violentissimi resero pressocché inoperativi i reciproci forti, non più adeguati ed efficienti. Quelli rimasti attivi durante il conflitto furono quasi esclusivamente quelli che avevano postazioni di artiglieria in barbetta, fuori dalle mura pur poderose, ma rivelatesi così fragili nei confronti di proietti nuovi; valga per tutti l’esempio del forte di Oga, sopra Bormio, i cui pezzi furono collocati in barbetta, tra i boschi, in posizione avanzata. 9 - Cannoni non sopra le montagne, bensì dentro le montagne Negli ultimissimi anni pre-bellici, gli alti comandi a fronte dello sviluppo “incontrollabile” dell’artiglieria, iniziarono a far costruire forti e batterie “nella” montagna, scavando ambienti atti all’armamento pesante più moderno nella viva roccia. Gli ingegneri militari elaborarono linee tecniche di scavo ed attuazione d’installazioni sotterranee complesse in cui cercarono di prevedere e risolvere i più diversi problemi di funzionamento, dagli scarichi dei fumi dei cannoni, al drenaggio delle acque, alla difesa dai gas e così via. I cannoni così dai forti e dalle piazzole nei boschi “affondarono” nella montagna, con tutti i loro serventi. Per chi fosse interessato ai particolari tecnici può fare riferimento ai numerosi manuali militari che trattano di installazioni in caverna. Esistono, infatti, vari manuali tecnici a ciò dedicati; per tutti ne cito uno dell’esercito

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I Congresso Internazionale su Conoscenza e Valorizzazione delle Opere Militari Moderne

imperiale: Der Kavernenbau che trovò applicazione lungo tutto il fronte, ma diede il meglio di sé sul Carso.

e la propria cultura. Ora resta un ulteriore sforzo delle politiche pubbliche per il prosieguo nell’opera di recupero, studio e valorizzazione delle testimonianze monumentali storico-culturali della Seconda guerra mondiale con, ad esempio, l’applicazione piena della già citata legge regionale n.1 del gennaio 2010. Se la Storia non si ferma e continua a “scrivere” le sue pagine, a maggior ragione noi non possiamo fermarci (fig. 7).

Per la Lombardia valga, come già detto, il sistema fortificato meglio noto come “Linea Cadorna”, che si stende per ben 240 chilometri dal Lago Maggiore al Pizzo del Diavolo nella montagna bergamasca. Lungo la Linea Cadorna, infatti, l’approntamento di grandi caverne per l’alloggiamento dell’artiglieria fu una prassi “normale” che ci ha lasciato esempi straordinari ed intatti di questi forti sotterranei, naturalmente blindati da centinaia di metri di roccia sovrastante ed in posizioni panoramiche straordinarie. Su questa base è facile capire che, pur nella standardizzazione dei manufatti di architettura militare, nell’arco alpino lombardo le tipologie costruttive si diversificano e ciò, unita all’orografia vieppiù diversa del territorio montano, alle specificità culturali e naturali locali, alle attività artigianali ed agro-alimentari di qualità tipiche costituiscono un potentissimo attrattore verso appassionati o semplici turisti colti ed attenti.

10 - La storia deludente delle fortificazioni storiche A conclusione del mio intervento voglio sottolineare un giudizio storico e funzionale che emerge dallo studio sul campo e dai documenti: la natura illusoria e costosissima della difesa passiva e la sua sostanziale inutilità, a prescindere dalla sua evoluzione tecnica e strategica. Questo perché anche gli esempi più noti e più poderosi in tutto il mondo mostrano come queste splendide “macchine di guerra”, questi straordinari sistemi difensivi non sono stati in grado di svolgere il loro precipuo compito di difesa passiva dei confini. Molto brevemente richiamo qui alcuni esempi di sistemi fortificati che, pur imponenti e muniti per la loro epoca, NON svolsero il loro compito:

A mio giudizio, spesso, anche se non sempre, il sistema delle autonomie locali lombarde ha saputo farsi carico della propria storia locale come parte di una più grande e complessiva Storia nazionale ed europea. Senza retorica, ne stupidi auto compiacimenti, possiamo affermare che dai siti preistorici su su sino ai siti della Grande Guerra, la Lombardia ha saputo preservare e tutelare la propria storia

- La Grande muraglia cinese, la cui costruzione iniziò addirittura nel 215 avanti Cristo e con i suoi 8851 chilometri circa di lunghezza (ultima misura rilevata dai satelliti orbitali) per una larghezza media di circa sei

Fig. 7. Cannone da 10,4 mm mod.1915 dell’Esercito Imperiale emerso dai ghiacciai del Cevedale. (Foto AIGG)

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metri, svolse funzioni difensive soprattutto verso tribù locali, impedendone scorrerie; ma nulla potè contro lo sconfinamento dei Mongoli che conquistarono tutta la Cina. - Il Vallo di Adriano (Vallum Aelium) la cui costruzione iniziò nel 122 d.C. e che ancora oggi attraversa orizzontalmente la Gran Bretagna per ben 120 chilometri, non impedì per nulla le scorrerie dei Pitti verso la Britannia. Per i sistemi fortificati moderni ci limiteremo ad elencare alcuni ben noti sistemi fortificati e su cui esiste una consistente letteratura storica e tecnica a cui si rimanda per ogni approfondimento, indicandone qui solo la data ufficiale di inizio dei lavori di costruzione. Evidenziamone uno in particolare: il “Vallo Atlantico” fatto costruire da Hitler, con la collaborazione attiva del governo di Vichy, dai Pirenei atlantici sino alle coste belghe per una lunghezza di ben 1.287 chilometri, in una successione di poderose opere in calcestruzzo che ancora oggi incutono timore nei visitatori, allora fortemente presidiate dalle truppe germaniche, fortificazioni potentemente armate e che pur tuttavia non impedirono alle forze alleate di invadere e liberare la Francia. La linea dei forti alpini della frontiera orientale (Italia Austria 1864- 1915) La Linea Cadorna (Italia 1914-1915) La Linea Maginot (Francia 1930)

La Linea Stalin (Russia 1928) Il Vallo Alpino (Italia 1931) La Linea Metaxtas (Grecia 1936) La Linea Sigfrido(Germania 1938) Il Vallo Atlantico (Francia 1941) Si immaginino i costi immani di queste opere smisurate e, in definitiva, inutili perché non assolsero il compito per cui furono costruite. Ai costi inaccettabili delle guerre, si aggiunsero ad abundantiam i costi smisurati della loro preparazione. Per inciso, nel nostro specifico dei manufatti della Grande Guerra, ci sono noti con precisione i costi di tutte le fortificazioni di epoca moderna, sia italiane che austriache. Un discorso a parte andrebbe fatto per il così detto “Vallo antifascista” per tutti noi noto come Muro di Berlino, lungo ben 166 chilometri e fatto erigere dal governo comunista tedesco nell’agosto 1961 e smantellato a furor di popolo il 9 novembre 1989. Fu fatto erigere col compito esplicito di rendere definitiva la divisione tra Germania Ovest e Germania Est. Opera che costò grandissimi sacrifici finanziari alle sgangherate finanze della DDR, ma che soprattutto costò tante vite umane (200 uccisi, quasi tutti giovani). Sappiamo tutti come andò a finire. Se il loro impiego in guerra fu deludente e sicuramente non all’altezza delle aspettative dei contrapposti Stati Maggiori, la loro influenza sui territori di appartenenza e

Fig. 8. Bellissimo scorcio delle quattro cupole originali del forte Montecchio; notare in fondo la torretta retrattile dell’ufficiale di tiro. Tutti i pezzi e le relative cupole girevoli sono perfettamente funzionanti. (Foto di Gattulli)

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per le popolazioni limitrofi fu spesso enorme. Fu creata una fitta rete di vie in territori in cui la viabilità era pressoché inesistente, pur se spesso risalente al Neolitico. La influenza sull’economia e la cultura delle popolazioni locali fu molto forte, non solo perché rappresentò spesso la prima esperienza diffusa di uso della moneta per le paghe ricevute durante la costruzione dei forti, ma anche la prima esperienza di “contatto” con genti che venivano da altre parti di quella Italia, da poco unificata. Nel dopoguerra, poi, i forti furono spesso l’unica fonte di sopravvivenza per dei territori profondamente devastati dai fatti bellici e che nei “tecuperanti” ebbe una fonte di guadagno, pur ai limiti della sopravvivenza. Esempi, ognuno di noi è grado di farne altri, ma il discorso ci porterebbe lontano. Resta il fatto di porre la gente al centro dell’azione di valorizzazione, raccontando alla gente di oggi, ai giovani, la gente di allora. In primis le storie delle comunità locali di allora raccontate alle comunità locali di oggi (fig. 8).

- Magaraggia F.M. 2011, Beni storico-militari e loro valorizzazione culturale, in , Ed. Museo della Guerra Bianca. 12 - Riferimenti dell’Autore Fosco M. Magaraggia, già Dirigente della Struttura “Sviluppo culturale del territorio” di Regione Lombardia. Socio Onorario del Museo della Guerra Bianca di Temù (Bs) e Colico (Lc) [email protected]

11 - Bibliografia essenziale Per l’approfondimento delle fortificazioni e dei manufatti storici della Grande Guerra e loro funzione in relazione alla viabilità storica: - Belotti W. 2004/2006, Dallo Stelvio al Garda: alla scoperta dei manufatti della Prima Guerra Mondiale, Volumi I e II, Ed. Museo della Guerra Bianca in Adamello. - Belotti W. 2009, I sistemi difensivi e le grandi opere fortificate in Lombardia, Ed. Museo della Guerra Bianca in Adamello. - Boldrini F. 2006, La difesa di un confine, Ed. Parco Regionale Spina Verde. - Boriani M., Cazzani A. 1993, Le strade storiche, un patrimonio da salvare, Ed. Guarini. - Fior M. 1999, Strade, frontiere e conflitti tra il Milanese e le terre di San Marco: il forte spagnolo di Fuentes, in Quaderni dell’Ateneo di Bergamo, pp. 57-76. - Meneghelli F., Valdinoci M. 2010, Il sistema difensivo della Lessinia, Ed. Orion. - Trotti A. 2011, Le grandi opere in caverna della frontiera Nord, Ed. Museo della Guerra Bianca in Adamello. Per l’approfondimento delle politiche pubbliche per la valorizzazione dei manufatti storici: - Magaraggia F.M. 2003, Interventi Integrati per lo sviluppo del turismo culturale in Lombardia, in Atti del Convegno “La memoria della Grande Guerra nel Trentino”, Ed. a cura della Provincia Autonoma di Trento. - Magaraggia F.M. 2005, Il turismo culturale in Lombardia. Parco culturale integrato: una filosofia, in Atti del Convegno “La cultura nella formazione per un turismo di qualità”, Ed. Istituto Mario Varalli, Milano, pp. 80-99. - Magaraggia F.M. 2010, Memoria storica e Comunità locali, in Atti del Convegno “1918 2008. La Grande Guerra: il fronte alpino, la società, la memoria storica”, Ed. Società storica per la Guerra Bianca.

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Gli impianti a fune e gli eventiXbellici: dal Piave alla montagna

GLI IMPIANTI A FUNE E GLI EVENTI BELLICI: DAL PIAVE ALLA MONTAGNA Autore Alessandro Martinelli

Azienda Ceretti & Tanfani

Sommario Il trasporto a fune: un settore di eccellenza tecnica italiana nel panorama della Grande Guerra. L’origine internazionale di questo mezzo e lo spirito degli ingegneri Ceretti e Tanfani. La modernità della concezione tecnica dei manufatti e del loro utilizzo. Spunti per ricerche sulla anomalia politica e strategica che permise lo sviluppo della tecnologia specifica. Abstract CABLEWAYS AND WARS: FROM THE PIAVE RIVER TO THE MOUNTAIN Rope transportation: a field of Italian technical excellence in the Great War mainframe, its international origin, and the spirit of Ceretti and Tanfani’s engineers. Modernity of the structures’ technical conception and their use. Research ideas: have there been any political and strategic anomalies that acted upon the developpement of this specific technology? 1 - Premessa L’idea di utilizzare corde e funi per il sollevamento e per il trasporto si perde nella notte dei tempi e, come per molte cose umane, il loro uso per scopi militari non ha storia dissimile. Egiziani e cinesi, giapponesi e veneziani, non possiamo sapere chi ringraziare, ma tutti hanno utilizzato corde per muovere e sollevare merci e persone. Una cosa però è certa: la fune metallica moderna ed i motori a vapore, elettrici e a petrolio, determinarono, tra la metà dell’Ottocento e la metà del Novecento, uno straordinario sviluppo di questa low-tech, che si rivelò uno strumento versatile, economico ed antesignano delle basse emissioni. Come per molte innovazioni ottocentesche, il suo studio fu avviato dagli ingegneri minerari, ma ebbe ben presto applicazioni turistiche e propagandistiche; trasporti a fune furono utilizzati come attrazioni per le grandi esposizioni tanto in voga a cavallo dei secoli XIX e XX. In pieno fervore futuristico la nuova tecnologia fu applicata per la prima volta negli Stati Uniti per scopi turistici, ma non ci volle molto perché gli ingegneri militari se ne impadronissero, soprattutto in Italia e in Germania. 2 - Ceretti & Tanfani Intanto nel 1894 era nata a Milano la Ceretti & Tanfani, su iniziativa dei due giovani ingegneri Giulio Ceretti, bolognese ventiseienne e Vincenzo Tanfani, trentunenne,

possidente anconetano, con lo scopo espresso di costruire impianti di trasporto a fune. L’impresa conobbe subito un certo successo e presto collaborò con gli ufficiali del genio militare (fig. 1). Le Scuole di Guerra erano all’epoca soprattutto scuole di ingegneria militare, e quelle italiane erano allora impegnate a migliorare i sistemi di difesa, le fortificazioni, i bastioni artificiali. L’utilità del trasporto a fune fu evidente al momento di modernizzare i grandi forti delle valli piemontesi e della Val d’Aosta, con cui l’Itala, membro della Triplice Alleanza, intendeva prevenire l’ennesima invasione dal confine francese. Ma la scuola del Genio ed i suoi eccellenti ufficiali-ingegneri già da tempo si stavano dedicando allo studio di impianti funiviari trasportabili e mobili, tanto che il modello italiano prende il nome di funivia “maglietta” dal nome del comandante Maglietta che ne diede la prima dettagliata descrizione (fig. 2). La loro collaborazione con la Ceretti & Tanfani cominciò a dare i suoi frutti alla esposizione di Milano del 1906, dove fu esposto un impianto “maglietta” brevettato e perfettamente funzionante, mentre la scuola tecnica militare torinese codificava nel dettaglio, per mano del maggiore Pasetti, le specifiche costruttive e d’uso di questa tecnologia proprietaria, migliore di quella tedesca sotto molti aspetti: maggior semplicità d’uso, minor peso da trasportare, minor tempo di installazione. I primi impianti mobili, dopo le prove alla base del passo del Monginevro, erano stati collaudati sul lago di Garda ed approvati dalle commissioni militari (figg. 3, 3a). La prova del fuoco non tardò: l’occasione per il collaudo operativo degli impianti militari mobili di trasporto a fune fu subito fornita dalla invasione della Libia, dove furono utilizzate per la prima volta queste piccole funivie a motore trasportabili. L’esperienza libica convinse definitivamente i comandi italiani della necessità di sviluppare dispositivi tecnologici per sostenere guerre per allora moderne; la scarsa diffusione delle teorie di von Clausevitz favorì questo approccio, a svantaggio dell’addestramento e della formazione delle truppe; per l’uso delle funivie trasportabili era specificatamente previsto che solo l’ufficiale in comando fosse competente; ricordo che all’epoca l’analfabetismo nella truppa era molto superiore al cinquanta percento. Fortuna volle che in ambiente di montagna fossero impiegati reparti di alpini orgogliosi e preparati, ben motivati a usare mezzi come gli impianti di risalita mobili che divennero determinanti nel presidio del territorio; l’incoscenza della truppa fece il resto, dal momento che

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questi mezzi furono ampiamente e apertamente adoperati per trasportare uomini, pur essendo previsto il loro uso esclusivo per armi e munizioni e vettovaglie (fig. 4). Per inciso ci tengo a sottolineare come lo sviluppo tecnico italiano subito prima e durante la Grande Guerra sia spesso sottovalutato; non solo la Ceretti & Tanfani, ma la FIAT con il suo camion 18BL, che tutti gli eserciti delle Potenze Alleate utilizzarono, la Caproni con i suoi bombardieri, la Carcano con i suoi fucili 91, usati persino dall’esercito giapponese, non sono state iscritte tra i nomi gloriosi della nostra storia, non sono studiate nelle scuole, quasi che il massimo delle dotazioni fossero la bicicletta di Enrico Toti e i muli; ma la qualità tecnica e costruttiva di questi prodotti fu eccezionale, tanto che Kennedy fu ucciso da un Carcano 91 e che ancora esistono impianti mobili Ceretti & Tanfani funzionanti. 3 - La funzione delle funivie a servizio dei fronti L’uso delle funivie mobili consentiva di superare ostacoli micidiali a terra, come trincee dismesse, campi minati, corsi d’acqua e acquitrini di fango, che spesso si formano Fig. 1. Disegno in prima di copertina di un fascicolo illustrativo inerente un brevetto della Ceretti & Tanfani. (Ceretti & Tanfani S.A. 1933, Porteurs aerienne de guerre, publié par le bureau de propagande de la Société Anonyme Ceretti & Tanfani, Milano – Bovisa)

Fig. 2. «L’installation illustrée ci-dessus constitue vraiment le premier exemplaire de porteur aérien et a été terminé dand nos Usines en 1905 pour la Direction du Génie Militaire de Turin sur les données du Commandant Luigi Maglietta, aujourd’hui Général. Il était du type à câble unique d’une longueur de 500 mètres. Il a été essayé à Cesana (Turin) et a fonctionné ensuite pendant la guerre de Lybie en Cirénaïque». (Ceretti & Tanfani S.A. 1933, Porteurs aerienne de guerre, Milano – Bovisa, p. 3)

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Fig. 3. «Une Commission nommée par le Ministère de la Guerre a résumé en un rapport les objection faites à ce premier exemplaire qui qui n’a pas été toutefois répété. Dans la suite notre Maison a repris pour son propre compte l’étude du problème en passant, sans autre, au type tricâble, et après de longues et très laborieuses expériences, elle est arrivée au type définitif breveté qui a été essayé par les Autorités Militaires à Gargnano (Lac de Garde) en 1914 et Accepté après résultats favorables, comme il résulte du procès-verbal que nous reproduisons textuellement à la page suivante. Près de mille exemplaires de ces installations ont été fournies pendant la guerre aux armées alliées, en plus de nombreux types divers, créés expressement pendant cette période». (Ceretti & Tanfani S.A. 1933, Porteurs aerienne de guerre, Milano – Bovisa, pp. 3-4)

Fig. 3a. «Procès-verbal d’acceptation» datato 21 ottobre 1914. (Ceretti & Tanfani S.A. 1933, Porteurs aerienne de guerre, Milano – Bovisa, p. 5)

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Fig. 4. «Inspection d’une ligne». (Ceretti & Tanfani S.A. 1933, Porteurs aerienne de guerre, Milano – Bovisa, p. 52)

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Fig. 5. «Petit C.T. remplaçant un gros pont abbatu». (Ceretti & Tanfani S.A. 1933, Porteurs aerienne de guerre, Milano – Bovisa, p. 47) al passaggio dei mezzi corazzati (fig. 5). Potevano essere installate da piccoli reparti, 16-20 uomini, anche mal addestrati, purché ben equipaggiati e comandati da un ufficiale preparato; potevano essere portate vicino al sito prescelto con i muli o con il 18BL, od ancora messe in serie approvvigionando le tratte successive attraverso quelle dello stesso impianto appena montato (fig. 6). La funicolare monofune “Maglietta” era migliore di quelle bifune tedesche “Boudon”; la fune poteva essere in un unico pezzo e veniva portata da una fila di uomini a catena, oppure in più parti, con giunture brevettate; prevedeva 5000 kg di materiale per una linea completa di 500 metri; il peso massimo di un singlo pezzo dell’impianto era di circa cento chili, considerato all’epoca trasportabile e la linea era capace di portare 150 chili a un metro al secondo nelle due direzioni; cioè in una notte si poteva portare a destinazione un secondo impianto. Sottolineo: dico di notte perché da “muti passaron quella notte i fanti” a il terzo che accende la sigaretta a ta-pun ta-pun, son tutte cose che ci indicano come, in una guerra di quel genere, potersi muovere con relativa sicurezza di notte, ed approvvigionare postazioni di tiratori di notte, fosse un vantaggio strategico non piccolo, allora sottovalutato ma che perfettamente conferma il ruolo del morale e della preparazione teorizzato da von Clausevitz (fig. 7). Qualcuno mi ha suggerito che una funivia d’emergenza Ceretti & Tanfani fosse quanto di operativamente più simile ci fosse allora ad un elicottero Apache. Questo tipo di struttura venne anche usato per superare corsi

d’acqua, sia durante le avanzate che durante le ritirate; 500 metri consentivano l’attraversamento di fiumi importanti e la natura stessa del presidio consentiva di renderla inoperante per gli inseguitori senza l’ausilio di esplosivo ed in tempi brevissimi, ritirando la fune. La velocità alla quale era possibile montare e rimontare gli impianti è ben evidenziata dall’episodio in cui a Plava, sull’Isonzo, uno di questi fu messo in opera in 48 ore dall’uscita dalla fabbrica a Milano, alla faccia dei muli. Il 4 novembre 1918 l’esercito italiano aveva installato 2300 km di impianti di cui il novanta per cento trasportatori di fortuna o mobili, quasi tutti Ceretti & Tanfani (figg. 8a, 8b). Sul Montello, sul Pasubio , sul Grappa, sul Monte Cucco, sul fronte del Garda, si possono ancora trovare pezzi abbandonati, ed anche impianti recuperati in uso. Confrontati ai 750 km installati dalle truppe austrungariche, indicano con chiarezza quale fu il loro ruolo nella ripresa dopo Caporetto. La storia della Ceretti & Tanfani prende da qua in poi una direzione che la porta a costruire impianti in tutto il mondo, civili e militari, a costruire durante la guerra di Etiopia la più lunga funivia di tutti i tempi, oltre 70 km da Massaua all’Asmara. Dal settembre 2011 la Ceretti & Tanfani non esiste più, ma sarebbe bello che la memoria di questo marchio si legasse indissolubilmente alla storia della più rilevante pagina della rinascita della nostra Nazione e che l’approfondimento storico dell’impatto tecnologico sulla Grande Guerra non si limitasse all’uso della mitragliatrice, dei lanciafiamme e dei gas, ma ne esaminasse a fondo gli aspetti logistici (fig. 9).

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Fig. 6. «Très intéressante installation: deux petites stations permettant l’union de deux points très éloignés». (Ceretti & Tanfani S.A. 1933, Porteurs aerienne de guerre, Milano – Bovisa, p. 51)

Fig. 7. «Transport effectué pendant la nuit». (Ceretti & Tanfani S.A. 1933, Porteurs aerienne de guerre, Milano – Bovisa, p. 41)

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Fig. 8a. TDati statistici sull’installazione di teleferiche “di fortuna”, smontabili e fisse sul fronte italo-austriaco nel corso della Grande Guerra, con tabella relativa alle installazioni italiane. (Ceretti & Tanfani S.A. 1933, Porteurs aerienne de guerre, Milano – Bovisa, p. 6)

Fig. 8b. Dati statistici sull’installazione di teleferiche “di fortuna”, smontabili e fisse sul fronte italo-austriaco nel corso della Grande Guerra, con tabella relativa alle installazioni austriache. (Ceretti & Tanfani S.A. 1933, Porteurs aerienne de guerre, Milano – Bovisa, p. 7)

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Fig. 9. «Le transport d’un blessé». (Ceretti & Tanfani S.A. 1933, Porteurs aerienne de guerre, Milano – Bovisa, p. 55)

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Cattaro – austro-hungarian XIwar harbour and fortress

CATTARO – AUSTRO-HUNGARIAN WAR HARBOUR AND FORTRESS Autore Volker Konstantin Pachauer

Austrian Society for Fortress Research – Oegf, Graz

Abstract Content of this presentation is the actual state of researches about the former Austro-Hungarian war-harbour of Cattaro in the Bay of Kotor in Montenegro. It shall give an overview of the reasons why and in which forms of military architecture in the different stages of reinforcment this place was fortified. The changing function of the “Kriegshafen Cattaro” and the unique topography ended in a system of fortifications, that didn´t form a girdle fortress nor a war-harbour in their traditional meaning. As a result we can find all typologies of land, mountain and coastal fortifications the Austro-Hungarian Empire built in the periode between the early 1830s till outbreak of war in 1914. Also a special type of mountain-fortification in the carst, that can only be found in Southern Dalmatia and Bosnia and Hercegowina. The different typologies will be discribed by chosen examples. The last, but also very important part of the presentation will give an overview of the great value of the whole system “Kriegshafen Cattaro” as a historic and architectural monument. Also the alarming loss of substance and historic artefacts and very bad development in the general state of preservation in the last years. This will be followed by the current situation of protection by law in Montenegro and what sites are protected. Sommario CATTARO – ILPORTO MILITAREAUSTROUNGARICO E LA FORTEZZA Lo scopo di questa relazione è di presentare lo stato attuale delle ricerche sull’ex-porto austro-ungarico di Cattaro nella baia di Kotor in Montenegro. Verranno elencati le ragioni e le diverse forme di architettura militare delle diverse fasi di sviluppo di questo luogo. Le funzioni mutanti del “Kriegshafen Cattaro” e la topografia particolare del luogo sono all’origine di un complesso di fortificazioni, che non sono né una rete di fortificazioni né un porto militare nel senso tradizionale del termine. Il risultato è un insieme di fortificazioni terrestri, costali e di montagna tipiche dell’architettura militare austro-ungarica del periodo tra il 1830 e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale nel 1914. Possiamo anche aggiungere a questo elenco un tipo speciale di fortificazioni nella regione del Carso, caratteristiche della zone della Dalmazia meridionale e della Bosnia-Erzegovina. Le diverse tipologie verranno descritte con alcuni esempi. Nell’ultima parte della relazione presenteremo una panoramica dell’enorme valore del sistema “Kriegshafen Cattaro”, come monumento storico e architettonico, malgrado lo stato generale di

abbandono degli ultimi anni. Verrà anche presentato il sistema legislativo di protezione in Montenegro e la lista dei siti protetti. 1 - Introduction Among the fortresses of the former Austro-Hungarian Empire “Kriegshafen Cattaro”, later renamed to “Kriegshafen Castelnuovo”, was besides fortess of Przemysl one of the most important fortified places during World War I. After outbreak of the conflict between Montenegro and Austro-Hungaria in summer 1914, the forts of the second defence district of Cattaro (Kotor) were till January of 1916 in the centre of the combat zone. Therefore these forts and the fortress in general was one of the fortresses, that stood in conflict for more than one and a half year. The experiences made in the combat around Cattaro had great influence on the further use of fortresses – not only for Austro-Hungaria. So this former war harbour is to rank among the most important European fortresses of WWI. As a consequence of the topography, we can find around the Bay of Kotor all types of permanent coastal-, mountain- and land fortification through a periode of the 1830s till 1914/18. Permanent fortification was reinforced by a series fo field fortification all during the war. As most of the objects are preserved - some of them still in a very good state of preservation - we can find a total system of fortification that shows us a `cut section` through the development of Austro-Hungarian fortification of the 19th and early 20th century. Although the historic and architectural value of this ensemble, the Austro-Hungarian fortification around the Bay of Kotor is quite unknown. Not only by the local people of Montenegro, but also by regional and international fortress experts. Under the main goals of the author is the scientific research on this topic to provide information for people of its region, visitors and interested tourists, further on to support an initiative to bring the system “Kriegshafen Cattaro” on the list of protected monuments of the (new) state of Montenegro. This paper is a shortcut from the actual state of researches of the autor. 2 - Gerneral overview The former Austro-Hungarian war harbour of Cattaro is situated on the southern tip of Dalmatian coast, so the most southern point of the Empire. Cattaro was connected with the public and a military telegraph net. At Klinci a radiostation was errected with a 85m high mast. From it wireless radio communication with similar stations at Sebenico

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(Sibenik) and Sarajevo was possible. Finally the Bocche di Cattaro (Bay of Kotor) was connected with the Bosnian railway net (narrow gauge). The end of this railway was the station at Zelenika. Just before outbreak of WWI a road between Ragusa (Dubrovnik) and Castelnuovo (Herceg Novi) was finished. A line communication by ships was operated by the Adriatic Lloyd.

(Zadar). Fortified area of Cattaro spreads 27.5km from north (Werk Dvrsnik) to south (Traste group) and about 20km from east (upper fortress of Cattaro) to west (Seefort Punta d´Ostro). For a better organization, the Kriegshafen was devided into three defence districts (fig. 1): -1 st defence district (I. VB) - Castelnuovo; - 2nd defence district (II. VB) - Krivosije; - 3rd defence district (III. VB) –-Teodo.

Fortress command was together the command of 47th Infantry Troop Division. This was subordinate to XVIth Korps Command with its office in Ragusa. Head of this was the higher Military Command of Dalmatia (Militärkommando Dalmatien) with its centre in Zara

After reorganisation in October 1914 a fourth defence district was added. This consisted of the area west of Herceg Novi, north of Molunat. Each district had an own

Fig. 1. Artillery sketch of Kriegshafen Cattaro. Situation of 1914. (Graphic: Volker Konstantin Pachauer)

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commander, an district artillery command and reserve troops. Head of them was the harbour commander. Troops of the forts were composed with fortress artillery (Festungsartillerieregiment Nr. 5, Freiherr von Rouvroy), infantry, medic troops, engineers, telephonists and others. Through the years Cattaro had different strategic goals. This changed with general geographic situation, different conception by Austro-Hungarian staff of military but also with development of tactics and weaponry. From 1913 on its tasks were defined as: 1. The possess of the Krivosije as initial point for own offensives.

2. To fight enemy gun positions in the border area (Zalazi, Krstac and Kuk). 3. Blocking the main communications across the Krstac saddle and through the Zupa valley and to protect the city of Cattaro. 4. To prevent maritime landings in the district of Bay. 5. Finally to cover a retreating fleet or single ships from an enemy fleet. The task to serve as a naval port and war harbour was not given much attention by reason of its topography. To have only one small mouth at the entranc of the bay would make it easy for an enemy fleet to block the harbour and prevent

Fig. 2. Phases of development of Kriegshafen Cattaro. (Graphic: Volker Konstantin Pachauer)

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the own fleet from an outbreak (an opinion seemed to be prooved after the experiences of Russian-Japanese War and the battle for Port Arthur 1905). The new weapon of the submarines showed during WWI, that it is too risky to block permanently a war harbour of an enemy, that is in the possess of u-boats. As a consequence, Cattaro became more important as maritime base for the Austro-Hungarian Navy during WWI and was permanently reinforced.

The next important phase (3rd phase) for Cattaro was the years between 1881 and 1893. In that time fell the experiences of a second insurrection (1882/83), the finishing of the new road Cattaro – Cetinje and the introduction of explosive shells into warfare. For the first time a systematic fortification of the Krivosije was realized, including four groups of fortifications with a total of eight permament forts and three provisoric forts, transferred during the 1880s in permanent ones too. Along with this a series of caserns and defendable troop quaters was errected in this area. Another important step was to secure the city of Cattaro and the new road across the Krstac saddle. Therefore the Batterie B at Vrmac ridge and the Fort Gorazda on this hill were removed and replace by modern armoured forts between 1884 and 1886: Batterie Vermac (later renamed to: Batterie Skaljari) and Thurmfort Gorazda. These were among the first Austro-Hungarian forts that used armoured shields and revolving turrets to protect its armament.

2.1 - Development of Fortress Cattaro can be subsumed into five general phases First phase is the periode between 1838 and 1851 (fig. 2). In that time first new fortifications were errected by Austrian Empire along the border to princedom of Montenegro. These small forts had to cover the main communications in this Karst area. They were quite isolated without each others protection. That meant, these forts had to withstand an attack at any time, also in peacetimes. Threatening was only by small infantry troops without - or with quite old and small calibre - guns. These fortifications had conformities in style with old Turkish and Serbian fortifications like the Kulas and Karaulas. The very first object to be errected was the Fort Dragalj (1838) in the valley of Dragalj, north of Risan to protect the strategic and important commercial road Risan –Niksic. Four more forts were built southeast of Cattaro in the mountainous region east of Budva. Fort Stagnjevic (former an abbey), Fort Spiridione, Fort Kopacs and Fort Presieka all at the beginning of the 1840s. They formed a kind of girdle very close to the border. Although, they couldn´t give protection to each other, they were in optical connection.

The fourth phase of development and one of the busiest ones was the periode between 1894 and 1905. The most important works were the realization of a second defence line at the entrance of the bay. The small channel between Kobila peninsula and Lustica peninsula was protected by three groups of fortifications. These groups were Kobila, Caballa and Lustica with all together eight batteries, three guard houses, a defendable casern at lustica, some points for observation and search lights and supporting objects. All together around 20 buildings. Another three mortar batteries were installed to enforce the inner and outer harbour defences. One batterie was installed in Seefort Mamula, one close to Seefort Punta d´Ostro at Prevlaka peninsula and another battery with four mortars next to Fort Spagnol, north of Castelnuovo (Herceg Novi). Although this works, the focus of the seaside defences was laid now to this second line. Except this only few work was done to reinforce the landside defences. A first guard house at Teodo (Tivat) was realized to secure the begins of its arsenal. And last but not least the forts of the third defence district were reinforced by the errection of Werk Vermac, north of Batterie Skaljari. Vermac, with a powerful armament, was from now on the new cornestone of the landside defences.

The time between 1852 and 1880 can be subsumed as the second phase of Fortress Cattaro. During this time, in 1853, Cattaro was officially declared as War Harbour. As a consequence, the entrance to the bay had to be fortified methodically. So a outer defence line between Prevlaka peninsula, island of Rondoni and Punta d´Arza (Lustica peninsula) was realized. Core of this line was the coastal fort Mamula (Seefort Mamula) along with the coastal fort Punta d´Ostro (Seefort Punta d`Ostro) and coastal tower Arza (Küstenthurm Arza). All were built in the middle of the 1850s. Landside defences were reinforced at the same time by a new heavily armed fort north of Budva: Fort Kosmac. As a consequence of the war of 1859 a series of fieldfortifiation was realized in the area of Cattaro (Vrmacridge) and across the Zupa-valley to control the main road between Budva and Cattaro. These provisoric forts and batteries were party transferred into semi-permanent style in the following years. In this periode falls the first insurrection were many of the border forts north and east of Budva came into action. The newly Fort Kosmac was nearly conquered – during fights the commander died. Fort Stagnjevic was even captured by the insurgents and burned down. Many of its soldiers including the commander died.

The last or fifth phase started 1906 till outbreak of war in the summer of 1914, so this phase wasn´t finished any more. During this time no special focus in the development can be found. So it can be subsumed as a finishing of the phases before. The so called Noyau of Teodo was finished by adding another five guard houses. Blockhaus Klinci at Lustica peninsula should protect the groups of Caballa and Lustica along with the Radiostation Klinci against infantry attacks in their back. An important work was done to complete the seaside defences. A group near Radisevice, including a coastal fort with this name and another Blockhaus (similar to the guard houses of Tivat) was realized near the village Radisevice (Radovici) north of Traste bay (Bay of Bigovo). This group was supported

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by another group on Traste-ridge, including an armoured fort and a small permanent infantery stronghold, in its task to defend the bay against an enemy landing operation. In the last years before outbreak of WWI a new concept for the landside defences was worked out, but just few first works started. As one of the most important topics Austro-Hungarian high officers saw in the possess of the Krivosije. So a girdle of new armoured forts (among them Dvrsnik, Goli Vrh, Vranovo Brdo and Hoher Vermac) should replace the older ones from the 1880s. Only Werk Dvrsnik was begun around 1910 but couldn´t be finished until 1914. In this case, not only as a lack of money, but also as a consequence of the Balkan Wars of 1912/13, when some of the projects were cancelled. The not realized forts, that were planned till 1918, can be subsumed as a projected sixth phase for Fortress Cattaro. In addition to the forts before, some other projects should be realized in this phase. The (just finished) Traste group should be demolished and as an compensation the group of Radisevice reinforced by an armoured fort near Blockhaus Radisevice. The seaside defences at the entrance of the bay should be strengthened by at least one 42cm battery with four howitzers (at Prevlaka peninsula). The landside of Castelnuovo should be protected against an enemy attack by a series of at least four small armoured forts. In this case, for the first time the hole in the ring around Bay of Kotor would have been closed. As mentioned before few of this projects were realized or even begun. Beside Werk Dvrsnik the projected battery for coastal howitzers was begun in 1915 (and probably armed with one howitzer in 1916) and the network of roads was constantly expanded. 2.2 - Geographical location The Bay of Kotor is located on the eastern part of the Adriatic Sea quite in the middle of its north-south dimension. Geographically it is part of the Western Balcans and kultural right on the crosspoint between East and West, Central - and Southern Europe. Although situated on an important communication through the Adriatic region, it´s main worth as a naval base and war harbour is caused by the topograhic situation of the bay. The Bay of Kotor is cut in about 30km into the Dinaric Coastal Mountains. It consists of several bays connected by small channels. This forms a safe harbour with a capacitiy for big fleets, which was already used by the Greek in the Antique (settlement in Risan). 2.3 - Short historic overview 1797, during Napoleonic Wars, the new found Kingdom of Dalmatia becomes part of the Austro-Hungarian for a short time. As a consequence of the Wiener Kongress 1814/15 the Bay of Kotor as the southern part of Dalmatia comes under Austrian rule again. At that time a series of Venetian, Spanish and French fortification existed, which were used by the new force. It took nearly two

decades, when first new fortifications were built. They were realized as a line of small mountain forts at the land front to protect the communications across the border to Montenegro. It took another twenty years when the Reichsbefestigungskommission discussed about the further fortification of Cattaro. It was decidet in 1853 to declare Cattaro as a war harbour and to reinforce the defences on the seaside first. So a line of three forts was realized at the outer entrance of the bay, including Küstenthurm Arza, Seefort Mamula and Seefort Punta d´Ostro on the southern tip of Prevlaka peninsular. As a consequence of the war from 1859 the landside defences were reinforced by fieldworks, that were partly transferred into permanent forts in the following years. These fortifications were brought to state of war in the year 1866, but were not involved into the conflict. Only three years later, in 1869, the first insurrection broke out in the Krivosije. In this carstic, mountainous region north of Risan the conflict went into a guerilla war, in which the forts played an important role as bases and strongholds. But, as a consequence of their partly isolated location, some of them were sieged for months. Fort Dragalj was at least isolated for three and a half months during winter 1869 and 1870. The field army had to be split, which caused many victims to support the forts with water, food and amunition. In this conflict Austrians produced special armour to reinforce the small forts for the first time. Just a view years after the occupation of Bosnia and Hercegwinga, a little more than ten years after the first insurrection, the second insurrection broke out in 1881. In this conflict the tactic on Austrian side was changed and isolated forts were not defended. They were abandoned and blown up not to cause as many victims under the field army and troops of the forts any more. On the other hand, strategic important locations were heavily fortified with small guardhouses and field fortifications to form small groups of fortifications. Focus on this works was again the Krivosije. The results of this second conflict and the fact, that southern Dalmatia was after occupation of Bosnia and Hercegowina now linked by roads with the rest of Austro-Hungarian Empire, led to a new phase of Fortress Cattaro. It´s military worth as naval port and especially as a border fortress grow in the opinion of a new Reichsbefestigungskommission. So new fortifications were built to secure the Krivosije and new armoured forts were errected near the city of Kotor. General situation did not change until 1905, when Montenegro received modern Russian and Serbian artillery. Now, some of the forts had to be reinforced and the channel of Cattaro was not save any more. As a consequence the arsenal for the navy was transferred to Teodo (Tivat). During Balkan War of 1912/13 Kriegshafen Cattaro was put once more in state of war. In that time, some of the permanent open batteries in the second defence district were demolished as they were thought, not to be defendable. Fortress Cattaro didn´t came into action but some of the fieldworks and

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trenches were kept until outbreak of the war.

The tower in the gorge has a diameter of around 42 meters with 14 rooms at each of the two levels. These are connected by doors in the middle of radial organised walls. Gunembrasures are cut into the outer walls while windows connect the casemattes with the inner courtyard. This has a diameter of about 17 meters. Through an open staircase you can reach the first floor. Another staircase opposite to the entrance connects the ground floor with the roof of the tower, which could be used as open battery too. A chamber in the entrance corridor served as a lift to raise the guns on the first floor or the roof. In the basement there is a cistern for rainwater and a chamber for collecting the faecals. Crenaillated walls connect the tower with the battery in the front. It has a diameter of nearly 120 meters. The central part in the front is an open battery without traverses. To reinforce Mamula, in the 1890s an open battery for four 21cm mortars with traverses and an observation cupola on top was errected. Unchanged till 1914 remained the two casemated batteries at the flanks. They consisted of each seven casemattes for guns and one casematte for amunition close the gorge walls. The rooms had average dimensions of 14 meters depth and 4.5 meters width. To the courtyard they had a combined door/window and in the outer wall a gun embrasure. All casemates were linked by doors too. The roof could be used as an open wall for coastal guns. Around 1900 on both flanks each an armoured observation cupola with attendance rooms was installed. The outer walls have a dimension of 2.2m, the inner walls nearly 1.5m. The casemattes are protected by vaults with an aditional layer of earth.

On the 5th of August 1914 the Kingdom of Montengro declared war to Austro-Hungarian Empire. Mainly the 3rd defence district was involved into fights. Montenegrinians wanted to lay down the Austro-Hungarian forts with their artillery. Therefore especially the forts Vermac, Skaljari and Gorazda suffered heavy damage. But garrison of these Werke managed to keep them able to use. Austrian positions were only able to be held in accordance with the battleships of the Navy. Their heavy artillery and precise fire kept superiority of arms by the Austrian forces. In the autumn of 1914 the French fleet attacked the outer seaside defences of Cattaro three times. Although using a great amount of ammunition, the shelling was quite little success. Three hits caused small damages at Seefort Mamula and a lucky hit damaged the observation cupola of Wachaus Lustica. The officers barrack at Prevlaka peninsula (near Seefort Punta d’Ostro) was totally destroyed by a French 30.5cm shell. On the other hand, the French fleet c out of range of the war harbours coastal guns, so they didn’t suffer any damage. Due to the success of AustroHungarian submarines, no attack with battleships was made against Cattaro from 1915 on. At the beginning of February 1918 the famous seamen rebellion took place. Troops of the coastal batteries didn´t join the mutineers and even fired due to order of harbor commander some shells on battleship Kaiser Karl VI. On the third day, as mutineers didn’t get support from other parst of the Austro-Hungarian Navy, nor from workers of the Empire, they finally surrendered.

Although Seefort Mamula sits on an island, it is protected by a 6m wide and nearly 3m deep dry ditch (except the central part in the front, where is not ditch). The environment could be defended by frontal fire with guns and rifles from the batteries, the tower and the crenelated walls conneting them. These walls had also a parapeted walk on top. The island could only be reached by a small molo in the gorge side which was used for support with amunition, food and troops too. From the molo a small road lead to the entrance door in the left flank. This door could be flanked from the left battery and the tower and was protected by a drawbridge over the ditch. Mamula was built with perfect shaped ashlar made from local limestone. You can find some nice architectural details at the embrasures, doors and the cornice. Seefort Mamula is a very representative and well preserved example of this type of Austro-Hungarian coastal fortification. It is abandoned and at the moment free accessible.

In November 1918 the Bay of Kotor becomes part of the SHS State. Many of the naval vessels were already commited by the Austro-Hungarian Empire. During the wars and also after WWII, the Bay of Kotor remained an important naval base for the Yugoslavian Navy, which used beside the Arsenal in Tivat many of the former Austro-Hungarian fortifications. In 1943, during WWII, some fortifications of the first and second defence district played a role during the fights between Italians and Germans forces. 3 - Describtion of the different typologies of fortification by chosen examples 3.1 - Examples for coastal fortification: Seefort Mamula This coastal fort was built in the middle of the 1850s on the small island of Rondoni (fig. 3) at the entrance of the Bay of Kotor. This island devides the entrance into two channels – one smaller between Mamula and Arza and one larger on the northern side directed to Prevlaka. It had to defend the entrance of the Bay against enemy ships and protect the two channels. As a consequence of its construction periode, it was realized as a reduit fort. It has a stiff symmetric layout. A two storey, casematted circular tower in the gorge forms the reduit. Front of this sits a battery in form of a two-third circle.

3.2 - Küstenbatterie Caballa This coastal battery is an immanent part of the seaside defences of Cattaro and part of the so called group of Caballa. This group was realized in the years 1894 till 1897 to reinforce the entrance of the Bay of Kotor. After a discussion the focus was laid now on a second line in the area Kobila – Caballa – Lustica. This new defence line had

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Fig. 3. Left flank of Seefort Mamula. (Ph. 2007: Volker Konstantin Pachauer)

Fig. 4. View on left (15cm) battery of Küstenbatterie Caballa. (Ph. 2007: Volker Konstantin Pachauer)

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to protect the small channel between Kobila- and Lustica peninsula. Beside this coastal battery this group consists of a torpedo battery, a flanking battery, a guardhouse servings as troop accomodation and some storage buildings. All objects were linked with roads and the molo of Porto Rose. The task of Küstenbatterie Caballa was – together with the batteries of Kobila and Lustica - to defend the entrance of the bay against enemy warships and to prevent enemy landings at Prevlaka peninsula.

defence district). As the border runs quite close and nearly 500 meters higher than the emplacement this new fort had to resist heavy bombardment. As a consequence, one of the first so called unit forts was realized. That means, the guns are protected by early Austrian (Witkowitz Iron Works, Teschen) and German (Gruson Works, Magdeburg) armour. The cupola is now the last remaining of this type from the Austrian fortification era. Gorazda has a unusual symmetric layout for a mountainfortification. Around a cylindric centre with the cupola on top we have two wings. Both wings and centre have two levels. On the upper level (ground floor) we can find five casemattes for 12cm guns on the front. In the gorge are the troop quarters along with supporting facilities like power plant, kitchen and the toilets. Between both parts runs a corridor connecting them. On the flanks we can find traditory batteries for each two guns, flanking the intervalls. On top of the fort is the Gruson type cupola installed. This was armed with the same 12cm guns as in the front battery. The lower level consits of further accomodation rooms, the ammunition magazines, another toilet and the poterns to the caponiers. Front side is protected by an aditional layer of earth, the same as the roof. On it we have on both wings an infantry trench for close defence. These are connected by staircases with the corridor in the ground floor. The main communication between the levels is a staircase in the centre. The fort is surrounded by a deep ditch with scarp and counterscarp walls defended by four caponiers. The gorge is protected against direct hits by a kind of envelope. To reach the entrance we have to get over two ditches. The main door ist aditionally protected by a rollbridge.

Caballa has a rectangular layout and consists – in fact – of two batteries in a line (fig. 4). The right battery has four 21cm mortars and the left battery was designed for four 15cm coastal guns. The object is surrounded by a six meters wide and five meters deep dry ditch. It was defended by a caponier on the left shoulder point and another one at the right gorge point, where the entrance could be defended too. The entrance was protected by two doors forming an inner bailey. This bailey could be flanked by rifles from casemates nearby. From it you could enter a small courtyard at the gorge or a corridor, which was connected with the batteries on the first floor by a linear staircase. From this corridor the right caponier and the casemates for the guard were accessable too. Through the courtyard you could reach the casemates in the left part of the object. It consists of the troop barracks, amunition magazines for both batteries, a kitchen, sanitary rooms and other facilities. A main staircase in the front wall and another small staircase in the left flank connected the casemattes with the batteries on the first floor. The platforms both of the gun and the mortar battery are seperated by traverses including the alert rooms and the hand amunition. A corridor on the frontside links the traverses. All together five elevators guarantee the support with shells and cartridges. On top of two of the traverses a fixed observation cupola is installed. One cupola for each battery. These were reachable from a ladder at the backside. A crenellated wall froms the gorge of the battery. From embrasures in this wall and from the flanks frontal rifle fire could be given to control the sourroundings. A permanent barbed wire obstacle around the ditch gave additional protection. Küstenbatterie Caballa is - although loss of substance in the last years - preserved in a very good condition and shows us a modern type of a (large) Austro-Hungarian coastal battery. It is abandoned and freely accesseble.

As Montenegro received in 1905 new and more powerful artillery Thurmfort Gorazda had to be reinforced. Changes were made in the armament, close defence was improved with three machineguns. Also the roof was party reinforced. Probably the most important change was the assembly of two observation cupolas on the infantry position. This works were finished by 1907. Armament changed furthermore until 1914. During WWI, it was bombed by the Montenegrinian Army with limited success. Damages were constantly repaired but in 1916, after Montenegro was defeated, Gorazda lost its military value and was mostly disarmed. After 1918 Gorazda was used by the Jugoslavian Army, probably as storage for ammunition. It is now abandoned and freely accessable.

3.3 - Examples for landside fortification: Thurmfort Gorazda

3.4 - Werk Vermac This fort was built after decision of the Reichsbefestigungskommission on the place of a former provisoric fort of the late 1880s. It was errected in the same periode as Küstenbatterie Caballa from 1894 to 1897. For a long time Werk Vermac was the most modern and powerful fort of the landside defences and the key position of the 3rd defence distric. With its powerful armament it had to support Batterie Skaljari and Werk Gorazda in

Thurmfort or Werk Gorazda was built from 1884 to 1886, just two years after the second insurrection (fig. 5). It had to defend (together with Batterie Skaljari) the newly built road between Cattaro (Kotor) and Cetinje and to fight enemy batteries in the Krstac area. Another task was along with Battery Kavac - control of the Zupa-valley. It forms the southern end of the eastern defence line (third

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Fig. 5. View on right flank of Thurmfort Gorazda. (Ph. 2008: Volker Konstantin Pachauer)

Fig. 6. View on the gorge barracks of Werk Vermac. (Ph. 2007: Volker Konstantin Pachauer) their task to defend the road from Kotor to Cetinje and fight enemy gun-positions in the Zalazi-Krstac-Kuk area. Additionally Vermac was used to defend the Zupa valley. It had an armament of eight 12cm guns and four 10cm howitzers. In ist layout, it is similiar to the mountain fortification errected at the Italian border at that time. It is constructed in two levels and has an irregular pentagonal

shape. Ditch defence was provided by three carponiers. At the gorge side was the barracks (fig. 6) including troop accomodation, sanitary facilities, kitchen, power supply and hospital ward. Directly connected with the barracks are the gorge caponier and the right shoulder caponier. Partly on the roof (second floor) is a battery for four 15cm mortars along with two observation cupolas.

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On the frontside on the first floor, Vermac consists of two batteries for four 12cm guns each. The left battery is broken forming two half batteries and a larger range of horizontal fire. Right battery is in a line. Below the gun casemattes are the amunition rooms located. Both battery and magazines are linked by a corridor on the inner side. This corridor connects the battery block with the barracks too. An elevator at the angle point of both batteries serves for the ammunition supply and can be used as lift for the guns. Another lift is situated in the centre of the barracks corridor, which supplies the mortar battery and partly the gun batteries. Vertical communication was provided by two staircaises at the flanks of the barracks building. From the left battery corridor a staircase led up to the mortar battery. Unusual was the idea to use four 8cm fieldguns on the roof for close defence. A freestanding wall with loopholes both on the flanks and the gorge provided aditional frontal rifle fire for close defence. All other guns were mounted in armoured casemates or in steel cupolas.

Plattformwerke, maybe as a consequence of it’s late date of completion. It is in the tradition of older tower forts, comparable to examples of the 1850s. For example the Küstenthurm Arza at the entrance to Bay of Kotor. In this case, the open battery sits on the roof. The ground floor shows a symmetric hexagonal layout with a round courtyard in the centre. An open staircase in this courtyard connects the groundfloor with the battery on top. Two annexes on opposite sites include the accomodation rooms from which two small caponiers in this axis can be accessed. On the southern side of this object, another courtyard protects the entrance to the fort. The caponiers and the outer gate are surrounded by a ditch. Barbed wire forms an aditional permanent barrier around the object. From the caponiers and the tambour the other walls and the sourrounding area could be flanked by rifle fire. The battery on top had twelve alternative embrasures for ist two guns, so two embrasures of each side. Westfort Crkvice has only two regular windows. Both directed to the entrance courtyard. The other cuts in the walls are for rifle embrasures or for ventilating. All apertures including the gun embrasures can be used for rifle fire too. The entrance is protected by two doors. The outer one is protected by a drawbridge and embrasures from casemattes of the ground floor. Afterwards you enter the tambour. From this, a second door leads to a corridor in the tower, from which you can reach the inner courtyard and the casemattes of the ground floor. From both sides this door was protected by embrasues. On the right side, there was the local for the guard. Below this entrance corridor is a cistern for rain water, collected on the roof. In the ground floor we can find rooms for storage facilities in the centre, a kitchen and the toilets on the northern side and troop accomodation on both wings. The ammunition magazine is connected with the battery by a lift. A chamber at the southside of the inner courtyard could be used as elevator for the guns (similiar to the gorge tower of Seefort Mamula).

As Montenegro got new artillery material in 1905, decision was made, to reinforce Werk Vermac. Among some other works the crenellated walls on top very removed, an additional layer of 1.5m concrete came on the roof and a bomb proof observation cupola was installed. Beside this work, the armament of the mortar battery was changed: 10cm howitzers replaced the older 15cm mortars. This works were finished in 1907. All armour was of Austrian origin (Skoda). Due to its importance to the defence of the naval port, it was heavily bombed by Montenegrinian batteries in WW1. Although it was seriously damaged, the garrison was able to repair the damages. After the occupation of Montenegro by the Austrian Army at the beginning of 1916, Werk Vermac was completely repaired but partly disarmed. After the war Vermac was in use by the Yugoslavian Army. It is now abandoned and in good general condition, but will become part of a mixed apartment- and hotel complex in the near future. 3.5 - Westfort Crkvice

The object was built from local limestone, so outer and inner walls and the vaults of the ground floor. The surface of the walls was covered with plaster. Only the two wings had a horizontal roof from concrete on corrugated iron sheets. To keep this rooms dry, the concrete roof was covered by a shed roof. For this time a quite modern construction. All in all, Westfort Crkvice is a quite good preserved example of a special type of Austro-Hungarian (mountain) fortification with a specific design, that can be found only in a very few examples in the karst region of Dalmatia, Bosnia and Hercegowinga. At the moment it is free accessible

As mentioned already before, the karst area of the Krivosije was fortified by a special typology of Austro-Hungarian fortification, the so called Plattformwerke. This is a combination of a kind of guardhouse or small defendable casern connected with an open gun emplacement (Plattform) mostly for two 9cm guns. Westfort Crkvice (fig. 7) is part of Crkvice group with consists of a large complex of caserns and support buildings for the troops, forming a small military town. This complex is protected in the east by the Ostfort of Crkvice and on the western part by the Westfort Crkvice. It was built in 1887/88 as the last Werk in the second defence district of this periode. It’s main task was to control the road from Han over Crkvice saddle to Risan and Herceg Novi and to protect the camp of Crkvice.

4 - Preservation and Protection The system of former Kriegshafen Cattaro consisted in total of around 80 fortification objects. Of them, around 50 are preserved. Some in very good condition like Gorazda

The disign of this fort is different from the other

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Cattaro – austro-hungarian war harbour and fortress

Fig. 7. View to the gorge of Westfort Crkvice. Situation around 1900. (Repro Österreichisches Staatsarchiv Vienna) and Vermac, some are just ruins any more. Although some are in bad condition, the whole ensamble shows a good state of preservation. Another important fact is, that development of Austro-Hungarian armoured fortification can seen here. From first armoured cupola of German origin (Gruson Works, Magdeburg), first armoured casemates of Austro-Hungarian production (Witkowitz Works, Teschen) till the last type of armoured cupolas made by Skoda works. Beside this many historic worthful parts of interior like ammunition lifts, iron staircases and electric installation are preserved here. These parts can´t be found anywhere anymore. From all this fortifications, only two (!) are officially protected by law: Seefort Mamula and Fort Kosmac. When we look to abroad, for example, the fortress ensemble of Amsterdam is protected as a UNESCO monument. Beside this, for many objects it is even difficult to find out, who is the owner now. Some of the forts are still military property, many in private hands. Some of the guard houses around Tivat are used for living. The focus of (the very young) state of Montenegro on historic monuments is given to the periode of Venetian time and sacral buildings. Even of this periode and typology of buildings

are many not protected. Responsible organization is the Ministry of Culture represented by the Regional Institute for Conservation of Cultural Monuments Kotor. As a reason of this general situation, we can follow a very bad development in the preservation of these fortresses. Especially during the last 5 years. Some objects are misused as a stonequarry. Mainly objects that are apart from larger settlements. For example the forts in Krivosije and Fort Kosmac. As a consequence, as mentioned before, Kosmac is protected and in possess of Cultural Ministry of Kotor. Another loss of substance that is a big problem, are the metal parts. The doors and shutters for the windows made from steel were cut off and sold as scrap metal. Even parts of iron staircases. The entrance door of Werk Traste is a significant example (fig. 8 and 9). Till June 2006 both wings (made of steel) were still in place. By the next visit in February 2007 the left part was already missing. Some locals or small companies try to sell these artefacts to museums or interested collectors by internet hoping to make good money. Even worse is the situation with small parts, like the electric installation or the original room numbers. During the last five years, nearly all of them were stolen. It can be

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Fig. 8 - 9. Door of Werk Traste. Left picture situation of February 2006. Right picture situation at February 2008. (Ph.: Volker Konstantin Pachauer) Conrads von Hötzendorf, Sonderabdruck aus den Militärwissenschaftlichen Mitteilungen, Eduard Ritter v. Steinitz und Theodor Brosch Edler v. Aarenau, Vienna 1937. Leitfaden für den Unterreicht in der Beständigen Befestigung, Moriz Ritter von Brunner, L.W. Seidel & Sohn, Vienna 1880. - Die beständige Befestigung und der Festungskrieg, Ernst Freiherr von Leithner, R.V. Waldheim, Vienna 1893. - Die Anfänger der Panzerfortification in ÖsterreichUngarn, Militaria Austriaca Nr. 16 S. 83-101, Willibald Rosner, Gesellschaft für Österreichische Heereskunde, Vienna 1994. - Die Österreichisch-Ungarische Gebirgsfortification der Ära Vogl, Militaria Austriaca Nr. 15 S. 33-51, Willibald Rosner, Gesellschaft für Österreichische Heereskunde, Vienna 1994. - Der Österreichisch-Ungarische Befestigungsbau 18201914, Kurt Mörz de Paula, Verlagsbuchhandlung Stöhr, Vienna 2000. - Constructions-Details der Kriegs-Baukunst, 2 Bände, k.k. Technisches- und Administratives Militärkomitee, Vienna 1880. - Hvratske Obalne Utvrde U 19.i.20 stoljecu, Arhiv Split, Split 1993.

supposed, that they were removed by “cultural tourists” as nice souvenirs. Another problem are large building sites – nearly all of them planned for touristic complexes - pushed from foreign investors. Many of the fortifications situated in a wonderful landscape (“genius loci”) or close the shore are threatened by such projects. Among them are: Seefort Mamula, Küstenturm Arza (both at the sea) and Werk Vermac on a wooded hill above the city of Kotor. Therefore the whole system of former Kriegshafen Cattaro, including the surrounding landscape, should be immediately protected by law. Actual an initiative is starting, to formulate a proposal to bring - at least the forts in the responsibility of Kotor – on the list of protected monuments of Montenegro. 5 - Soures State Archive of Austria – Kriegsarchiv (KA), Vienna: - Documents of the General Genie Inspektor (GGI), Genie- und Planarchiv (GPA), Neue Feldakten (NFA), Manuskriptensammlung Reichsbefestigung (Ms Rb) and library. - KA – library, Fd 15 1/8, Statistische Bauberichte. - Blaues Meer und Dunkle Bauten – Eine umfassende baugeschichtliche Bestandsaufnahme und kulturhistorischdenkmalfachliche Bewertung der Befestigungsanlagen des ehemaligen K.u.K. Kriegshafens Cattaro, Volker Konstantin Pachauer, TU Graz, Graz 2008. - Die Reichsbefestigung Österreich-Ungarns zur Zeit

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La fortificazione “alla moderna” da Averulino dettoXII “il Filarete” alle teorizzazioni di Karl von Clausewitz

LA FORTIFICAZIONE “ALLA MODERNA” DA AVERULINO DETTO “IL FILARETE” ALLE TEORIZZAZIONI DI KARL VON CLAUSEWITZ Autore Gianluca Padovan

Associazione Speleologia Cavità Artificiali Milano – Federazione Nazionale Cavità Artificiali

Sommario La fortificazione “alla moderna” nasce dall’intersezione a 45° di due quadrati ed è teorizzata da Averulino detto “Il Filarete”. Si genera un perimetro difensivo ad angoli salienti e rientranti che fino alla fine del XVIII secolo si esprimerà in molteplici varianti. La tecnologia imprimerà successivamente nuove scelte. Nel XIX secolo si manterrà in Karl von Clausewitz il concetto che la difesa, seppure relativa e legata all’intento di conservare, è la più forte delle forme di guerra. Le fortezze possono controllare direttamente il territorio e imprimere alla guerra «un aspetto più coordinato». Il loro valore strategico condiziona l’andamento delle operazioni. I piani di campagna si orientano soprattutto verso la conquista delle piazzeforti. Le varianti e la tecnologia, uniti al pensiero tattico, condurranno all’irrigidimento degli scontri nel corso del primo conflitto mondiale, col trinomio reticolato, trincea, mitragliatrice. Abstract THE “MODERN” FORTIFICATION FROM AVERULINO, KNOWN AS FILARETE TO THE THEORIES OF KARL VON CLAUSEWITZ The “modern” Italian and European fortification comes from the intersection at 45degrees of two squares. It generates a defensive perimeter with salient angles which will be expressed until the end of 18th century in multiple variations. Due to the progress of technology during 19th century, new forms will be created. With Carl von Clausewitz, the concept of defense, will be considered as the strongest form of war. The fortresses can directly control the territory and give the war a «direction». Their strategic value has an impact on the operations. The campaign plans are oriented mainly towards the conquest of the fortresses. Variants and technology, combined with tactical thinking, will lead to harshening of the battles during the First World War, because of the use of barbed wire, trenches, and machine guns. «L’invenzione della polvere, il perfezionamento costante delle armi da fuoco dimostrano già sufficientemente che la tendenza alla distruzione dell’avversario, insita nel concetto della guerra, non è stata in realtà stornata, o alterata, dal progresso civile» (Karl von Clausewitz, Della Guerra). 1 - Il patrimonio architettonico militare Le strutture militari sono connesse agli aspetti bellici

di difesa e di offesa. Conoscere le opere militari vuole dire sapere per quale motivo e in che modo siano state realizzate e a quale concetto di strategia rispondessero. Nell’arte militare la strategia è una tecnica e si occupa della condotta generale della guerra e, meno in esteso, individua gli obiettivi generali e finali di un ampio settore di operazioni, in modo tale da conseguire la vittoria con il minor dispendio possibile di uomini e di materiali. La tattica è anch’essa una tecnica, ma indirizzata ai principi e alle modalità d’impiego delle truppe e dei mezzi bellici i quali operano a contatto con l’avversario ed è il modo di agire considerato più consono al fine di raggiungere un obiettivo o comunque un risultato. La fortificazione serve innanzitutto a proteggere chi è più debole o si considera tale, sia per penuria di uomini di fronte ad un avversario più numeroso, sia di mezzi materiali d’offesa. Le opere militari permanenti rientravano nel concetto strategico di difesa del territorio in caso d’attacco, ma anche nel concetto d’attacco da portare a un settore avversario in caso di guerra, fungendo come basi di partenza o comunque d’appoggio. La conoscenza della storia e più nello specifico delle difese permanenti serve alla riconversione del singolo oggetto. L’oggetto, in sé, serve a ricordare chi siamo stati, anche se può continuare ad esistere assolvendo ben diverse funzioni dal motivo per il quale è stato costruito. 1.1 - Il concetto di attacco e difesa di una struttura inamovibile Fatta la debita premessa, citiamo Wolfram von Eschenbach, il quale, ai primi del XIII secolo, compone il Parzival. In un passo così parla del protagonista innanzi ad un poderoso castello: «Parzival allora riprese il cammino e di buona lena si mise a trottare - sicura e possente, s’ergeva diritto come fosse tornito. Solo il vento o uno che volasse avrebbe potuto arrivare là dentro, ma nessuno fargli danno da terra in assalto. Torri e alte sale in gran numero si ergevano là con fortificazioni meravigliose. Anche se tutti gli eserciti della terra l’avessero cinto d’assedio, quelli di dentro non avrebber dato in trent’anni, un solo pane, per esserne sciolti» (von Eschenbach 1995, p. 155, V, 226). In linea di massima tutto rimane immutato fino al maggio 1940, quando il «Gruppo d’assalto Granito», composto da paracadutisti tedeschi montati su alianti, occupa e costringe alla resa il forte belga di Eben Emael in una manciata di ore. Le strategie e le tattiche si evolvono nel corso dei secoli, anche interessando l’ambito delle difese permanenti come castelli, rocche, piazzeforti. Gli strattagemmi in campo ossidionale si ripetono anch’essi per millenni, ma solo con la Seconda Guerra Mondiale

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la fortificazione intesa nel senso di edificio in muratura o, meglio, in calcestruzzo di cemento armato, si rivela decisamente meno affidabile e meno capace di resistere di quanto fino ad allora si fosse sostenuto. Certamente si conoscevano i limiti di una struttura inamovibile, certamente si erano prese le necessarie contromisure per continuare a perpetuarne i concetti di base oltre la prova della Prima Guerra Mondiale, ma il termine del secondo conflitto mondiale vede anche la fine dell’epoca delle «fortificazioni permanenti». Oggi sono «pezzi da museo». Tutte e indistintamente fanno parte della nostra storia e noi dobbiamo avere la cura di occuparcene per mantenerle vive nella nostra memoria, affinché la Storia, quella con la esse maiuscola, possa essere nostra maestra di vita. La conoscenza della Storia ci deve impedire di ricadere nei medesimi errori, innanzitutto affidando alle armi la risoluzione apparente di contrasti (anch’essi apparenti) tra nazioni. In pratica, per quanto possa apparire oramai tardi, non si deve ricadere nel disegno di quegli individui e di quelle lobby che abilmente e fraudolentemente hanno fatto in modo che la guerra fosse il loro strumento di potere, per impossessarsi dell’economia e del territorio di numerose nazioni. Per tale motivo occorre avere un occhio di riguardo per la conoscenza e il recupero di tali strutture.

Un’ultima nota: il forte di Eben Emel era il perno di un sistema di difesa permanente a ridosso della frontiera con l’Olanda ed era protetto verso nordest dal Canale Alberto, con l’argine verso il forte scavato nella roccia, alto circa quaranta metri e largo poco più di venti metri. 3 - Dal castello al bastione Indicativamente, e per taluni aspetti anche arbitrariamente, si può collocare al cosiddetto “periodo neolitico” la formazione di abitati e il sorgere delle prime cinte murarie di pietre a secco. È possibile comporre svariati volumi trattanti le opere difensive antecedenti l’uso delle armi da fuoco e in questo ambito si vuole solo accennare alla struttura meglio nota, il castello. La sua difesa si basa innanzitutto sull’opporre all’avversario un ostacolo alto e apparentemente invalicabile, come il muro di cortina (figg. 1, 2). Se il castello suscita di per sé un fascino innegabile, giova ricordare che la sua articolazione, funzionale ai concetti difensivi e tattici, si protraggono per tutto il Medioevo, fino agli inizi del Rinascimento. Rimane ben presente nelle mode, nei costumi, nella conduzione delle operazioni belliche, fino a diventare un modello di vita e di società per lungo tempo idealizzato. Il castello protegge, soprattutto chi vive nelle campagne, dai venti di guerra, dalle scorrerie, dal passaggio di eserciti stranieri. Valga ad esempio il ricordo del cosiddetto «ricetto». Nelle città, generalmente già cinte da mura, retaggio di un passato governato da Roma, il castello è sede del signore locale o di colui che controlla la città per conto del duca, del re, dell’imperatore o del papa. Ma nel contempo il castello imprime un proprio ordinamento al territorio, alla viabilità. Opera il controllo del territorio ad essi soggetto e, conseguentemente, dei suoi abitanti. Machiavelli constata come i principi costruiscano le fortificazioni per avere un rifugio sicuro: «È suta consuetudine de’ principi, per potere tenere più securamente lo stato loro, edificare fortezze, che sieno la briglia et il freno di quelli che disegnassino fare loro contro, et avere uno refugio securo da uno subito impeto»; ma concludendo afferma che: «io lauderò chi farà le fortezze e chi non le farà, e biasimerò qualunque, fidandosi delle fortezze, stimerà poco essere odiato da’ populi» (Machiavelli 1974, pp. 106-108, XX).

Tornando al concetto di difesa statica, noi lo vediamo mutare dall’antichità all’epoca moderna con l’introduzione degli esplosivi e delle armi da fuoco. Lo vediamo successivamente evolvere per adeguarsi all’impiego massiccio dell’aviazione, ma la possibilità di penetrare all’interno di un ristretto perimetro fortificato mediante un’azione rapidamente condotta dall’alto lo vede semplicemente cadere. Ecco che cosa ci dice Maurizio Setti nel libro La conquista di Eben Emael: «Alla Germania spetta il riconoscimento, oltre che di aver sviluppato precocemente rispetto ad altri Paesi unità di paracadutisti militari, anche di aver impiegato per prima truppe aviotrasportate per attaccare a occidente. La conquista dell’aeroporto di Oslo-Fornebu in Norvegia il 9 aprile 1940, l’interruzione delle comunicazioni fra il nord e il sud del Paese sabotando più volte la linea ferroviaria per Dombas nei giorni seguenti, l’assalto e la difesa ad oltranza di Narvik costarono perdite notevoli alle forze armate tedesche e le operazioni di aviolancio sugli obiettivi in Olanda non furono né semplici né incruente. Ma Eben Emel, il forte belga di cui tutto il Paese andava fiero e dietro il quale si sentiva sicuro, venne sopraffatto da un pugno di uomini con un’azione organizzata e condotta in maniera così perfetta da diventare il punto di riferimento di tutte le missioni speciali pianificate da quel momento in poi» (Setti 2004, p. 6). In pratica, la possibilità di penetrare fisicamente all’interno di un perimetro fortificato, difeso esternamente da ostacoli antifanteria, anticarro, fossati e canali attraversabili solo attraverso ponti (provvisti di cariche di demolizione per la rapida distruzione) o utilizzando imbarcazioni (affondabili mediante armi a tiro rapido alloggiate in casamatta), fa capire che si devono rivedere completamente i concetti di fortificazione.

Nel tempo gli impianti difensivi si perfezionano anche con l’impiego di vari materiali da costruzione e con l’aggiunta di contrafforti, torri, fossati e avancorpi. Lento, ma costante, il mutamento delle soluzioni difensive è in un certo senso la risultante dell’applicazione di nuove tecnologie, subordinate all’impegno economico e al tempo a disposizione per la realizzazione. Le innovazioni sono dettate anche dall’evoluzione delle armi, i cui risultati conseguiti vanno a rendere inefficace il tipo di fortificazione in corso d’adozione. Si ricordi che nella costruzione delle opere militari non ovunque, e non allo stesso modo, si applicano gli ammodernamenti o si apprende degli insuccessi.

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La fortificazione “alla moderna” da Averulino detto “il Filarete” alle teorizzazioni di Karl von Clausewitz

Fig. 1. Vista interna della parte trecentesca della cinta muraria in pietra calcarea locale della città di Visby, sull’isola di Gothland (Svezia). (Foto G. Padovan)

Fig. 2. Particolare di una macchina bellica fatta disegnare dal Valturio, ispirata alla testuggine. (Valturio R., De Re Militari, 1472)

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Fig. 3. Bombarda fine XV – inizi XVI secolo. (Anonimo, Codice S.I.V.5, 6v)

Fig. 4. 1553, assedio di Monticello: «Ritratto di Monticello dello stato di Siena, con l’assedio, e batteria. Quello, che si debbe fare per prouedere ad un luogo, che habbia ad aspettare l’assedio». (Maggi Girolamo, Castriotto Iacomo, Della fortificatione delle città, Venezia 1583, Libro Terzo, cap. XX, p. 97)

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Compaiono poi le prime bocche da fuoco, usate soprattutto per demolire le opere murarie, con l’indiscusso vantaggio di possedere una gittata superiore alle usuali macchine neurobalistiche (figg. 3, 4). Le torri e le cortine merlate alla guelfa o alla ghibellina divengono inadatte a sostenere le nuove tecniche ossidionali. Ogni struttura si abbassa e s’ispessisce per meglio resistere ai colpi. Si muniscono sistematicamente i fossati con muri di controscarpa e opere addizionali, ponendo così le basi per lo sviluppo della “fortificazione a fronte bastionato”, altrimenti nota come fortificazione “alla moderna”. 3 - La fortificazione “alla moderna” Antonio Averulino (o Averlino), detto il Filarete, tra il 1458 e il 1464 compone il Trattato di Architettura, in venticinque libri, dedicandolo a Francesco Sforza; in un secondo momento ne dedica copia anche a Pietro de’ Medici. Immagina che un architetto, nel quale egli stesso s’identifica, illustri ad un signore, rappresentato dallo Sforza, come si procede nell’edificazione di una città cinta di mura, unitamente alle opere accessorie esterne: «E perché possiate meglio intendere, partirò in tre parti questo mio dire. La prima conterrà l’origine delle misure e così dello edifizio, e donde derivò; e come si debbe mantenere, e delle cose opportune per fare esso edificio; e così quello s’appartiene di sapere a chi vuole edificare per essere buono architetto, e quello ancora contro ad esso si dee osservare. La seconda conterrà il modo e la edificazione a chi volesse fare una città, e in che sito e in che modo deono essere scompartiti gli edifizii e le piazze e le vie, a volere che fusse bella e buona e perpetua secondo il corso naturale. Nella terza e ultima parte conterrà di varie forme d’edifizii secondo che anticamente s’usava, e ancora alcune cose da noi trovate e anche dalli antichi imparate, che oggi dì sono quasi perdute e abbandonate. E per ragioni s’intenderà che anticamente si facevano più degni edifizii che ora non si fanno» (Averlino 1984, p. 12, I). Più avanti, ecco dare il nome alla sua creazione: «Sì che io intendo adesso principiare il disegno della sopradetta città, il quale disegno appellerò “Averliano”, e la città appelleremo “Sforzinda”, la quale edificheremo in questa forma» (Averlino 1984, p. 53, II). L’importanza della Sforzinda risiede nel fatto che si compone di una cintura difensiva a pianta stellare, con otto punte (figg. 5, 6), progenitrice delle fortificazioni bastionate che seguiranno fino a tutto il XVIII secolo: «Il sistema fortificato nasce dall’intersezione a 45° di due quadrati, e l’andamento del perimetro risulta ad angoli salienti e rientranti. Otto torri rotonde stanno sui salienti e la loro congiunzione determina un recinto esterno ottagonale, a cortine più basse, sulle cui metà vi sono le antiporte. Sulle porte e sulle torri confluiscono le strade radiali, a prefigurare uno schema radiocentrico, anche se il centro della città si conforma secondo una disposizione ortogonale» (Fara 1989, p. 151). Così ce la descrive Averulino, situata nella valle «Inda», attraversata

dal fiume «Sforzindo»: «Hai veduto il sito. Credo come a me ancora a te debba piacere, e spezialmente sendo posta detta valle sotto buona aire, e fertile e abbondante, come per isperienza si vede. Io t’ho detto come io voglio mediante il potere dell’antedetto edificare questa città, e prima di fare il mio disegno, il quale starà in questa forma e proporzione: la prima forma sarà due quadri a dosso l’uno all’altro, non iscontrando gli angoli insieme, ma l’uno angolo verrà equalmente distante intra due angoli. Dell’uno e dell’altro quadro la proporzione angulare sarà di distanza tra l’uno angolo all’altro dieci stadii che è uno miglio e quarto, sì che sarà la circunferenza di questi due quadri “ottanta” stadii; il suo diametro sarà ventotto stadii. Sarà la circunferenza angulare ottanta stadii. Questa è la forma del disegno che t’ho detto. E in ogni angolo io intendo fare tondo, cioè una torre tonda» (Averlino 1984, pp. 59-61, II). La descrizione a volo d’uccello è poi la seguente: «Le mura prima ottangulate saranno grosse braccia sei, e alte voglio che siano quattro volte quanto sono grosse. Le porti saranno negli angoli non retti; poi le strade si partiranno dalle porte e andranno tutte al centro. E quivi farò la piazza, la quale sarà per la lunghezza uno stadio, e pel largo sarà mezzo stadio. E in testa d’essa sarà la chiesa catedrale colle sue appartenenze. Dall’altra testa sarà la corte, cioè il palazzo signorile, e ancora altri palazzi appartenenti, come quello del podestà e quello del capitano, con tutte quelle cose che a loro s’appartiene. Sarà in mezzo della detta piazza una torre, fatta a mio modo, alta tanto che per essa si discernerà el paese. Poi faremo dall’un canto all’altro della piazza due altre piazze: cioè una per li mercatanti, l’altra per fare il mercato delle cose meccaniche, cioè delle cose che bisognano per vivere. E in su questa risponderà il palazzo del capitano, e in su l’altra risponderà quello del podestà» (Averlino 1984, p. 63, II). Il racconto si sviluppa giorno dopo giorno, alternando spiegazioni tecniche a momenti conviviali e filosofici. Il rito della fondazione è ben descritto nel Libro Quarto e si comincia con lo scavare una fossa, dove verranno deposti numerosi oggetti: «Le cose sono queste le quali io ho ordinate: in prima si è una pietra di marmo dove è scritto gli anni Domini, cioè il millesimo, e il nome della vostra Signoria e del sommo pontefice e così il mio, e una cassa di marmo che sopra la detta pietra sarà collocata, nella quale è dentro uno libro di bronzo, dove è fatto memoria di tutte le cose di questa nostra età e anche degli uomini degni da loro fatte» (Averlino 1984, p. 103, IV). Vengono inoltre collocati oggetti di bronzo, vasi contenenti miglio, frumento, ecc., nonché vasi di vetro contenenti acqua, vino, latte, olio e miele. Per spiegare il perché di tutto ciò così Averlino espone: «La ragione per che io metto queste cose in questo fondamento si è che come ogni uomo sa che tutte le cose che hanno principio hanno a ’vere fine, quando sarà quel tempo, si troveranno queste cose; e per questo da loro saremo ricordati e nominati, come che noi nominiamo o per cavamento o ruina si truova alcuna cosa degna; noi abbiamo cara e piaceci avere trovata quella cotal cosa che rapresenti antichità e il nome di quegli che l’hanno fatto» (Averlino 1984, p. 104, IV). Spiegando il perché dell’acqua

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Fig. 5. Pianta schematica della Sforzinda, risultante dall’intersezione a 45° di due quadrati. (Antonio Averlino, Trattato di Architettura, 1458-1464, f. 13 v.)

Fig. 6. Pianta della Sforzinda, dove il tracciato difensivo presenta torri circolari a rinforzo dei salienti; in posizione sudovest vi è l’acquedotto che giunge al centro. (Antonio Averlino, Trattato di Architettura, 1458-1464, f. 43 r.)

contenuta nel vaso ecco che cosa scrive: «L’acqua perché ci metti? Perché egli è uno elemento che per sé medesimo è netto e puro e chiaro e molto utile a ogni persona: se non è imbruttata con altra materia, sempre è lucida e chiara; e così debbono essere gli abitatori della città, che debbono essere chiari e netti e debbono fare utile alli altri; e così come l’acqua s’intorbida e guastasi per essere accompagnata con altre materie brutte o con cosa non conveniente a essa, così gli uomini delle terre per male usanze si guastano e torbidansi» (Averlino 1984, p. 105, IV).

di piazza, in linea teorica più esposto all’offesa di un assediante. Tale punto d’incontro va quindi rinforzato e pure per un secondo motivo: si deve poter tenere sotto controllo, con il tiro radente, almeno le facce esterne delle cortina. Meglio se si riesce a tenere sotto tiro anche quelle interne. Come esempio calzante si può ricordare che il Castello di Milano è costruito a cavallo delle mura urbane e, in epoca sforzesca (seconda metà del XV secolo), rinforza la cinta aggiuntiva che lo protegge verso l’esterno. Tale cinta, denominata Ghirlanda, era provvista di torri a pianta circolare angolari e protese verso l’esterno. Corrispondentemente, verso l’interno, vi erano semitorri basse e dotate di feritoie anche per armi da fuoco, le quali avevano la funzione di controllare gli spazi retrostanti la Ghirlanda.

3.1 - Il sistema difensivo della Sforzinda Limitandoci al periodo medievale e alle fortificazioni di pianura, vediamo che l’incontro di due tratti di cortina muraria generano solitamente un saliente. In pratica formano un angolo proteso verso l’esterno del corpo

Averlino offre all’esterno otto salienti, ma ben difesi:

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Fig. 7. Castel Beseno (Trento): torrione dotato di casematte per l’alloggiamento delle bocche da fuoco, costruito a rinforzo della cinta medievale. (Foto G. Padovan) dota le otto punte della Sforzinda di torri a pianta circolare, più alte della cortina stessa. Ottiene sedici tratti cortina rientranti verso il corpo di piazza, con un duplice vantaggio: a) non offre alcun tratto perfettamente frontale ad un eventuale fronte esterno, come ad esempio lo offre una semplice figura quadrata, rettangolare o poligonale; b) ogni coppia di tratti di cortina si guarda ed ha la possibilità di operare una reciproca difesa. Questo è il concetto innovativo di tale impianto. Successivamente architetti e ingegneri militari proporranno, e in una certa misura faranno realizzare, una vasta gamma di bastioni (baluardi), variamente articolati, a difesa degli apici e delle cortine (fig. 7). Il tutto è completato dalle porte ricavate negli angoli rientranti, anticipando il concetto di porta incassata in una tenaglia (evoluzione della porta ricavata nella breve cortina posta tra due torri sporgenti). Il corpo di piazza è protetto esternamente dal fossato con acqua. 3.2 - Lo sviluppo della fortificazione a fronte bastionato Fino a tutto il XVI secolo l’ingegneria militare europea è sviluppata da personaggi famosi, tra i quali si ricordano Francesco di Giorgio Martini, Giuliano da Sangallo, Leonardo da Vinci (fig. 8), Niccolò Machiavelli, Michelangelo Buonarroti, Antonio da Sangallo il Giovane, Giulio Savorgnano, Nicolò Tartaglia. Tra questi

spicca anche l’ingegno di uno straniero, Albrecht Dürer. Abbiamo inoltre Francesco de’ Marchi: «Nel trattato del Marchi edito nel 1599 vengono descritti un gran numero di sistemi. Vi sono delineate le opere esterne da lui chiamate pontoni, che avranno diffusione nel Sei e Settecento, quali la mezzaluna, la lunetta, la tenaglia e la controguardia» (Fara 1989, p. 159) (figg. 9 - 14). I progetti di fortificazioni a pianta stellare sono basati sull’applicazione di teorie matematiche, tenendo conto della gittata dei cannoni e della necessità di eliminare gli “angoli morti”, ovvero i punti dove i proiettili non arrivano (figg. 14 - 17). Ma uno dei sistemi portanti della difesa di una piazzaforte è l’impianto sotterraneo di contromina. Tra la fine del XVI e il XVIII secolo si dotano le fortificazioni di gallerie sotterranee con una certa sistematicità, ricavandole solitamente al di sotto del perimetro difensivo principale. In caso di assedio il loro scopo è individuare e intercettare qualsiasi lavoro di scavo avversario e interrompere la loro progressione tramite combattimento sotterraneo o distruzione del cunicolo di attacco per mezzo di una esplosione (fig. 18). Le parole di Galileo Galilei aiutano a comprendere come una fortificazione vada presa, rendendo vane le difese costituite dalle cortine e dalle bastionature:

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Fig. 8. Studio di Leonardo da Vinci per un tratto di cortina protetto da fossato e rinforzato da una pronunciata scarpa entro cui sono praticate le feritoie; la casamatta, in sezione, è raggiungibile attraverso una lunga scalinata, il cui accesso è situato alle spalle e ben distante della cortina. (Leonardo da Vinci, Codice Atlantico, f. 116 r)

Fig. 9. Francesco de’ Marchi: fortificazione a pianta stellare con cinque bastioni (o baluardi), dotati di fianchi rientranti e batterie in barbetta, e altrettanti rivellini. L’opera è circondata da fossato delimitato da strada coperta di controscarpa e spalto; sono evidenziati gli angoli di tiro dei cannoni. In alto vi è l’impianto difensivo in sezione. (Marini Luigi, Architettura militare di Francesco de’ Marchi illustrata da Luigi Marini, Tomo IV, Parte I, Roma 1810, tav. II)

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Fig. 10. Francesco de’ Marchi: fortificazione a pianta stellare la cui particolarità è di avere una curiosa forma ottagona compressa, completamente circondata da un canale: i due punti di accesso sono protetti da rivellini. (Marini Luigi, Architettura militare di Francesco de’ Marchi illustrata da Luigi Marini, Tomo IV, Parte I, Roma 1810, tav. XX) «I mezzi, con i quali s’offendono ed espugnano le fortezze, pare che siano principalmente cinque, cioè: - la batteria, quando con l’artiglierie s’apre di lontano una muraglia, e per l’apertura si fa adito per entrare nella fortezza; - la zappa, che si fa accostandosi alla muraglia, e con pali di ferro, con picconi, ed altri instrumenti, si rovina; - la terza è la scalata, quando con le scale si monta sopra la muraglia; - la quarta è la mina, la quale, per la forza del fuoco rinchiuso in una cava sotterranea, rovina in uno istante una muraglia; - la quinta finalmente è l’assedio, quando, togliendo ai difensori ogni sorte di sussidio, si costringono per la fame a rendersi» (Pellicanò 2000, p. 100). Durante il XVIII secolo l’esperienza bellica fa si che si consideri necessario un sistema permanente di gallerie di contromina che diviene un efficiente, sebbene costoso, strumento bellico. Le gallerie sono costruite in trincea e poi ricoperte, oppure scavate direttamente nel sottosuolo. Vengono generalmente rivestite con un paramento murario e dotate di una volta di copertura in modo da proteggerle da infiltrazioni e umidità, condizione necessaria per poter utilizzare la polvere nera.

Altri elementi che si rivelano indispensabili sono la presenza di opere casamattate, a protezione soprattutto delle artiglierie, e di gallerie di collegamento per il rapido spostamento dei soldati anche sotto il fuoco avversario. Si costruiscono inoltre strade coperte lungo il perimetro esterno, marcato dalla sistemazione degli spalti e dalle controscarpe dei fossati, in cui sempre più frequentemente vengono ricavate gallerie dotate di feritoie per tenere sotto controllo il fossato stesso. Non mancano le opere sotterranee di collegamento. «L’architettura militare dell’età moderna nasce, indipendentemente dalla preesistenza di circuiti antichi, in riferimento a un sistema geometrico, in cui, come in un campo magnetico, ogni variazione indotta si ripercuote sul sistema; e questo sistema si rapporta a quello prospettico» (Fara 1988, p. 94). «La prima architettura fortificata alla moderna si manifesta quando l’artiglieria ha già conseguito un certo grado di sviluppo, in ritardo rispetto al Brunelleschi, nonostante una comune cultura di base» (Fara 1989, p. 81) (fig. 19). Con il perfezionarsi delle artiglierie e l’impiego sistematico di mortai che lanciano anche grandi proiettili esplosivi (XVII-XVIII sec.), si sviluppano sempre più le opere

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Fig. 11. Particolare della tavola precedente: si noti come i fianchi del rivellino possano essere tenuti sotto controllo (rasati) dalle artiglierie disposte sui bastioni, mentre ai torrioni circolari sia deputata la difesa della faccia del bastione nonché quella della piazza interna al rivellino. (Marini Luigi, Architettura militare di Francesco de’ Marchi illustrata da Luigi Marini, Tomo IV, Parte I, Roma 1810, tav. XX) Fig. 12. Interessante esempio di baluardi poco protesi all’esterno delle cortine, ma dotati di ampi fianchi rientranti e appena accennati orecchioni, protetti frontalmente da così dette “frecce”, ovvero opere staccate a pianta triangolare, più basse del bastione e delle cortine, con fianco verso il corpo di piazza aperto; l’impianto precorre quelli che saranno i sistemi adottati soprattutto nel XVIII secolo. (Marini Luigi, Architettura militare di Francesco de’ Marchi illustrata da Luigi Marini, Tomo IV, Parte II, Roma 1810, tav. LXXXI)

Fig. 13. Francesco de’ Marchi: articolata fortificazione a pianta stellare con baluardi compositi, a loro volta protetti da controguardie; i rivellini sono ampi e romboidali. (Marini Luigi, Architettura militare di Francesco de’ Marchi illustrata da Luigi Marini, Tomo IV, Parte I, Roma 1810, tav. VII)

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Fig. 14. Prospetto di un fianco di opera difensiva dotata di feritoie inferiori per armi da fuoco leggere, superiori per cannoni; alla sommità vi sono i merloni per le artiglierie in barbetta. A lato, in sezione, vi sono le gallerie di comunicazione e i camini d’aerazione. (Marini Luigi, Architettura militare di Francesco de’ Marchi illustrata da Luigi Marini, Tomo IV, Parte I, Roma 1810, tav. XXXII) Fig. 15. Cinta bastionata con pezzo d’artiglieria (k) che spara al di sopra del “fosso diamante” (cd) e della strada coperta (h), tenendo sotto controllo lo spalto (ab). In nota: «Fosso fatto fare dal Conte Guido Rangone à Pinaruolo». (Maggi Girolamo, Castriotto Iacomo, Della fortificatione delle città, Venezia 1583, Libro Primo, cap. XII, p. 30)

Fig. 16. Particolare del fianco rientrante di un bastione protetto dal pronunciato orecchione: il sistema serve ad alloggiare quattro pezzi d’artiglieria, i quali hanno la funzione di tenere sotto controllo il lato esterno della cortina e una faccia del bastione adiacente. (Maggi Girolamo, Castriotto Iacomo, Della fortificatione delle città, Venezia 1583, Libro Secondo, cap. XXVI, p. 65)

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Fig. 17. Dettaglio fotografico del fianco rientrante di un bastione cinquecentesco delle mura di Bergamo, fatte costruire dalla Serenissima Repubblica di Venezia. Si possono notare le due ampie feritoie che servivano ai pezzi in casamatta; lo spalto è stato modificato alla sommità da lavori recenti, i quali hanno eliminato i merloni dietro cui erano posizionati i cannoni in barbetta. (Foto G. Padovan)

Fig. 18. Pianta d’epoca del Forte Minzon d’Aragona (Spagna), difeso da truppe francesi e assediato dagli Spagnoli, tra il 27 settembre 1813 e il 14 febbraio dell’anno seguente. In alto a destra, al punto C, vi è una batteria spagnola che spara contro il forte e sotto, parallele e contrassegnate con le lettere a, b, c, ecc., vi sono le gallerie di mina che cercano di giungere sotto le difese del forte per farle saltare. Dalla parte opposta si scavano, e con efficacia, le contromine. (Solaris E., Giacomo Antonio Pasquale detto San Giacomo, in Rivista di Artiglieria e Genio, dicembre, vol. IV, Tipografia Enrico Voghera, Roma 1909, pp. 343-348)

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Fig. 19. Fortificazione pentagonale dotata di falsabraga, con cinque rivellini all’interno di un fossato con acqua; all’esterno, la strada coperta ha davanti uno spalto assai breve, protetto da un secondo fossato con acqua. (Sardi P., Architettura militare, Venezia 1639) esterne (rivellini, controguardie, opere a corno, opere a corona, capponiere, lunette, etc.) allargando il perimetro difensivo nell’intento di tenere il più lontano possibile le batterie avversarie dalla fortificazione principale, nonché per frangere l’impeto delle fanterie, i cui fucili divengono più precisi e di veloce caricamento. Un ottimo e quasi completamente integro esempio di fortificazione a pianta stellare, mantenuto in efficienza fino ai primi anni del XIX sec. con ampliamenti e migliorìe, è la Cittadella di Alessandria, progettata da Giuseppe Francesco Ignazio Bertola nel 1727. In Francia abbiamo Blaise-Françoise de Pagan (16041665), da molti definito un geniale e innovativo ingegnere militare, dai cui studi hanno tratto spunto in molti. Sébastian Le Prestre, signore di Vauban (1633-1707), Maresciallo di Francia e ufficiale del Genio, nel suo tempo si rivela maestro nell’architettura militare e nella condotta degli assedi; i suoi trattati divengono famosi. Si ricordano inoltre Bernard Forest de Bélidor (1697-1761), Bengt Wilhelm Carlsberg (1696-1778), Marc-René de Montalembert (1714-1800) La scuola di Montalembert si impone, anche con il lavoro dei suoi successori, rappresentando un modello per l’architettura militare europea del XIX secolo (Fara 1989, p. 243-248). Menno van Coehoorn (16411704) imprime una svolta alla tecnica di fortificazione olandese, sfruttando al meglio le possibilità offerte dal terreno caratterizzato dalla falda d’acqua prossima alla superficie (Ponzio 1997, p. 32).

3.3 - Da città fortificate a fortificazioni prive d’abitanti Una certa attenzione alla funzione e al significato delle opere fortificate viene dedicata anche da Karl von Clausewitz, nel suo trattato Della Guerra (pubblicato postumo nel 1832 dalla figlia, Maria von Clausewitz). Al paragrafo «Piazzeforti» von Clausewitz osserva che, fino all’epoca degli eserciti permanenti, i castelli e le città fortificate hanno assolto al principale compito di proteggere i loro abitanti e il feudatario locale. Tale funzione va poi a modificarsi fino a che le fortezze assumono la funzione, se opportunamente collocate, di controllo diretto sul territorio (figg. 20, 21). Ecco le parole del generale prussiano: «Il signorotto, quando si vedeva premuto da tutte le parti, riparava nel proprio castello per guadagnar tempo e attendere un momento più favorevole; le città cercavano di tener lontane da sé, grazie alle loro fortificazioni, le temporanee nubi temporalesche della guerra. Ma questi compiti semplicissimi e naturalissimi delle fortificazioni andarono trasformandosi ed accrescendosi: i rapporti fra un punto di tal natura e tutto il territorio circostante e le truppe dislocate nel territorio stesso, ed ivi combattenti diedero ben presto ai punti fortificati un’importanza maggiore, una funzione influente anche al di fuori delle loro mura e che contribuì in modo essenziale alla conquista od alla conservazione del possesso della regione, all’esito fortunato od infelice dell’intera lotta» (Clausewitz von 1978, p. 498, VI, X).

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Poterono quindi diventare anche «un mezzo per dare alla guerra un aspetto più coordinato. Così esse vennero ad assumere quel valore strategico che per lungo tempo venne considerato di tanta importanza per dar l’impronta fondamentale ai piani di campagna, i quali si orientavano piuttosto verso la conquista di una o più piazzeforti anziché verso la distruzione delle forze nemiche» (Clausewitz von 1978, p. 498, VI, X). Questo vero o supposto valore strategico va a detrimento dell’obiettivo originario, tanto che von Clausewitz così conclude: «Questo compito astratto fece perdere di vista del tutto quello originario, e si addivenne al concetto di fortezze prive di città e di abitanti» (Clausewitz von 1978, pp. 498-499, VI, X).

di ascolto distribuiti lungo il fronte e collegati con la retrostante linea di resistenza priva di ricoveri. Dietro ad essa si costruiscono varie linee di trincee profonde, con ricoveri a prova di bomba e posti di comando anche in casamatta. Lungo il fronte montano si fa largo uso di ricoveri e postazioni scavate nella roccia, sfruttando anche le cavità naturali. L’esperienza della Prima Guerra Mondiale, lo sviluppo balistico delle artiglierie pesanti, l’affermarsi dell’aviazione come arma offensiva e l’impiego dei mezzi cingolati, determinano la quasi totale assenza di ogni architettura elevata e chiaramente individuabile al di sopra del terreno. Le opere di difesa sono ricavate nel sottosuolo e le parti emergenti interrate e protette esternamente da ostacoli anticarro (fossati e “denti” di cemento), campi minati e difese leggere per le fanterie. Si vengono così a sviluppare campi trincerati, forti corazzati, ma soprattutto “linee difensive” con opere avanzate di primo arresto (posti di osservazione, reticolati, ostacoli anticarro) e opere arretrate di resistenza a oltranza (artiglierie, mitragliatrici e armi controcarro), anche appoggiate da sistemi di casematte, variamente articolate nel sottosuolo.

3.4 - La fortificazione a cavallo tra Ottocento e Novecento Con la fine del XVIII secolo si conclude il momento della fortificazione “alla moderna” a fronte bastionato. L’applicazione della canna rigata e il caricamento posteriore, l’impiego di granate ogivali con cariche di lancio più efficaci, fanno sì che nella seconda metà dell’Ottocento le artiglierie aumentino la loro gittata e divengano più precise e devastanti (figg. 22, 23). Questo comporta una rapida modifica non solo del concetto di fortificazione, ma l’applicazione di nuovi sistemi difensivi, dotati ancor più di opere semisotterranee e sotterranee per proteggere le artiglierie, i soldati di guarnigione e i servizi logistici. La difesa si struttura con la costruzione di “cinture” di forti al cui centro rimane la piazzaforte principale o “corpo di piazza”. Si fa uso sempre maggiore di casematte corazzate, torrette e cupole girevoli in acciaio (anche a scomparsa), nonché lo sviluppo di “opere in caverna”, ovvero scavate nella roccia. Campi trincerati, piazze a forti staccati, con forti corazzati e difese campali permanenti, si sviluppano rapidamente sul continente europeo. Nella seconda metà del XIX sec. il maggiore William Palliser progetta un proietto, la cui punta conica in ferro risulta particolarmente dura a seguito di determinati procedimenti, in grado di perforare le corazzature. Col medesimo sistema il metallurgista Hermann Gruson von Magdeburg-Buckau capisce che si possono ottenere lastre di ferro idonee alle corazzature e decisamente resistenti. Successivamente l’ingegnere belga Henri-Alexis Brialmont (1821-1903) idea alcuni sistemi di fortificazione che porteranno il suo nome: «alla Brialmont» (figg. 24 - 34).

4 - Karl von Clausewitz: la difesa Uno dei concetti principali del trattato spiega per quali motivi la difensiva è una forma di guerra più forte dell’offensiva. In ogni caso, in conformità con i concetti espressi dei precedenti capitoli, von Clausewitz ritiene che se la difesa è meno onerosa dell’attacco, quindi più facile, rimane comunque negativa se non serve alla preparazione di una congrua risposta. In sostanza, il tempo impiegato a difendersi deve servire a caricare il colpo, auspicabilmente risolutivo, attaccando e sconfiggendo l’avversario: «Se è vero che la difensiva è la più forte delle due forme di condotta di guerra, ma che il suo scopo è negativo, ne consegue che si deve impiegarla solo fino quando se ne ha bisogno perché si è troppo deboli, e che occorre al contrario abbandonarla appena si divenga così forti da potersi proporre lo scopo positivo» (Clausewitz von 1978, p. 445, VI, I 2). Nel Capitolo Primo (Attacco e difesa) del Libro Sesto (La difensiva) il Generale così principia: «Qual’è l’idea fondamentale della difesa? Parare un colpo. Qual’è la sua caratteristica? Attendere il colpo che si deve parare. È dunque questo il carattere distintivo di ogni azione difensiva. Ma una difensiva assoluta sarebbe in completa contraddizione con l’idea di guerra poiché equivarrebbe a supporre che uno solo degli avversari compia atti di guerra; perciò la difesa non può essere che relativa e il criterio sopraddetto non si applica che al concetto integrale della forma della guerra, senza estendersi alle sue singole parti»; inoltre: «il concetto complessivo integrale che presiede alla difesa è l’attesa e la reazione; il che non è affatto in contraddizione con l’idea fondamentale di guerra» (Clausewitz von 1978, p. 443, VI, I 1). In definitiva la

All’inizio della Prima Guerra Mondiale la fortificazione è costituita da ridotte, forti, sbarramenti stradali, piazzeforti, con qualche zona organizzata a campo trincerato, altre a fronte bastionato. I risultati ottenuti con le “fortificazioni permanenti” rimangono inferiori al previsto e le moderne artiglierie in grado di demolirle. Assume invece importanza la fortificazione campale, perché più efficace ed elastica. In un primo tempo essa consiste in una linea di centri di resistenza collegati da trincee protette da reticolati di filo di ferro spinato. Negli anni 1917-1918 la fortificazione si orienta verso l’organizzazione di posti di vedetta e

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Fig. 20. Immagine di Fort l’Écluse (comune di Léaz – Ain – Francia) alla metà degli anni Ottanta del XX sec. Si tratta di una fortificazione di sbarramento costruita nelle propaggini del massiccio del Giura, a controllo della viabilità e del sottostante fiume Rodano, a partire dal 1832. Da qui una galleria s’inoltra nella montagna e sale fino alla sommità del rilievo, lasciando più di dieci piani con casematte, depositi, pozzi di collegamento, ecc. (Foto G. Padovan)

Fig. 21. Caserma fortificata di Fort l’Écluse, vista dall’esterno, dotata di casematte e opere sotterranee di comunicazione con ridotte e avamposti. Singolare la torre di vedetta, in foggia medievale. (Foto G. Padovan)

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strategia difensiva consente di parare i colpi ed impiegare abilmente le risposte.

della guarnigione ma in collegamento con essa, possono effettuare. Ed invero, corpi di truppe che sarebbero troppo deboli per affrontare da soli l’avversario possono esser posti in grado, dalla protezione che le mura della piazza offrono loro in caso di bisogno, di mantenersi nella regione, e, in certo qual modo, di dominarla» (Clausewitz von 1978, p. 500, VI, X).

4.1 - I vantaggi della difensiva Nel capitolo successivo (Vantaggi della difensiva) si spiega per quale motivo la difesa tenda a conservare e quindi risulti, a parità di mezzi, più facile dell’attacco. In pratica: «tutto il tempo non utilizzato dall’attaccante va a profitto del difensore: questi raccoglie senza aver seminato. Ogni omissione dell’attacco, dovuta ad errore, timidità od indolenza, si converte in profitto per il difensore» (Clausewitz von 1978, p. 445, VI, I 2). Se mediante una strategia difensiva si consegue una vittoria, si ha un risultato chiaramente favorevole, con un dispendio di forze generalmente inferiore a quello avversario, e questo, secondo il Generale, risponde all’andamento della guerra perché si comincerebbe con la difensiva per poi passare all’offensiva. Inoltre: «fare la guerra non significa soltanto subirla. Quando il difensore ha acquistato qualche vantaggio notevole, la difesa ha adempiuto al suo compito: ed allora, per conservare il vantaggio, occorre rendere il colpo al nemico, altrimenti ci si espone a una certa perdita. La saggezza impone di battere il ferro quando è caldo, di utilizzare cioè la superiorità acquisita, per garantirsi da un secondo attacco» (Clausewitz von 1978, p. 462, VI, V). Il concetto pratico e un po’ pittoresco è che «Un pronto e vigoroso passaggio all’offensiva – il lampo della spada vendicatrice – è la parte più brillante della difesa» (Clausewitz von 1978, p. 462, VI, V).

Secondo il Generale le piazzeforti sono ottimi appoggi difensivi, in quanto consentono, in primo luogo, di costituire preziosi depositi di viveri, armi e munizioni che il difensore sfrutta efficacemente a proprio vantaggio. Si prestano bene anche a difendere i centri abitati, sbarrare le strade, controllare i guadi, punti di sosta nello spostamento delle truppe, a protezione di estesi alloggiamenti militari e, ovviamente «come scudo vero e proprio contro l’attacco avversario» (Clausewitz von 1978, p. 504, VI, X 7). Per quanto concerne la realizzazione di fortificazioni montane: «esse aprono o sbarrano interi sistemi stradali di cui costituiscono i nodi, sì da dominare tutta la regione attraverso la quale tali strade adducono ai monti; e sono da considerarsi come veri pilastri del sistema difensivo dei monti stessi» (Clausewitz von 1978, p. 509, VI, X 11). Per quanto riguarda la sua collocazione nei pressi di una catena montuosa: «non conviene disporre piazzeforti in vicinanza dei monti, dalla parte di là verso il nemico, perché ne riesce difficile la liberazione. Se, invece, esse sono situate al di qua, l’assediarle sarà difficilissimo al nemico, perché la catena montana taglia la sua linea di comunicazione» (Clausewitz von 1978, p. 515, VI, XI).

4.2 - La piazzaforte

4.3 - La posizione forte

Soprattutto ancora ai primi dell’Ottocento la guerra era improntata sul movimento, conseguentemente il trattato di von Clausewitz considera e tratta le piazzeforti in rapporto alla strategia applicata. Tuttavia molti dettami e molte considerazioni si sono trovate attuali anche un secolo dopo. Per quanto riguarda l’efficacia di una piazzaforte questa «si compone di due diversi elementi, il passivo e l’attivo. Mediante il primo, la piazzaforte protegge la località e tutto ciò che in essa è contenuto: mediante il secondo esercita una certa influenza sulla regione circostante, anche al di là del raggio d’azione dei cannoni della piazza. Quest’elemento attivo consiste negli attacchi che la guarnigione può intraprendere contro qualunque avversario che le si avvicini fino ad un certo limite. Quanto maggiore è la forza della guarnigione, tanto maggiori saranno i nuclei di truppe che potranno essere da essa invitati all’esterno a tal fine: e quanto maggior è la forza di questi nuclei, tanto più essi potranno, di massima, allontanarsi dalla piazza. Ne consegue che il raggio attivo di efficacia di una grande piazza è non solo più forte in valore intensivo, ma anche più esteso che non quello di una piccola. Ma l’elemento attivo consta anch’esso a sua volta, in certo qual modo, di due parti: le operazioni della guarnigione propriamente dette, e quelle che altre aliquote d’esercito grandi o piccole, non facenti parte

«Lo scopo di una posizione forte è quello di rendere pressoché inattaccabili le forze che la guarniscono: e, con ciò, o proteggere direttamente una determinata zona, oppure proteggere soltanto le forze schierate nella zona stessa, affinché esse concorrano, indirettamente, alla protezione del nostro territorio» (Clausewitz von 1978, p. 524, VI, XIII). Trattando la difesa dei territori montuosi e la condotta delle operazioni tattiche, von Clausewitz non può adeguatamente considerare le potenzialità offerte dalle creste montuose alla difesa in quanto l’alpinismo non si era ancora sviluppato. La guerra tra i monti e tra i ghiacci, quindi in ambiente impervio, presentava ancora ostacoli insormontabili e si tendeva ad evitare tali aree come difficoltose alla difesa stessa, su larga scala. Dedica comunque alcuni capitoli all’argomento, trattandolo con chiarezza e, se si può dire, con assoluta lungimiranza: «XV. Difesa in montagna», «XVI. Ancora della difesa in montagna» e «XVII. Ancora della difesa in montagna». Seppure ritenga il terreno montano sfavorevole alla difesa, tuttavia afferma: «È innegabile che un piccolo gruppo di uomini, il quale abbia scelto una buona posizione in montagna, acquista una elevata capacità di resistenza» (Clausewitz von 1978, p. 537, VI, XV). E ancora: «Così la difesa passiva acquistava, da un terreno di montagna, un elevato grado di forza intrinseca» (Clausewitz

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Fig. 22. Uno dei due cannoni di fine Ottocento della Bofors, esposto all’interno di Forte Mondascia della Linea Lona (Biasca) in Svizzera. (Foto G. Padovan)

Fig. 23. Particolare dell’altro cannone della Bofors, esposto a Forte Mondascia. É stato realizzato nel 1889. (Foto G. Padovan)

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Fig. 24. Particolare della tavola LII, che mostra il sistema di difesa tramite allagamento di ampie porzioni di territorio, in questo caso di Vercelli, tra l’Elvo, il Sesia e il Po. (Borgatti M. 1898, La fortificazione permanente contemporanea, parte I, Tipografia G.U. Cassone, Torino, tav. LII) von 1978, p. 537, VI, XV). Il Generale, in ogni caso, esprime giustamente le proprie riserve sulla resistenza completamente affidata alla difesa in montagna e così introduce le sue argomentazioni: «Concludiamo dunque col sancire che un piccolo gruppo di uomini, in montagna, è molto forte. È chiaro, di per sé, come ciò divenga di utilità decisiva in tutti i casi in cui si tratti di resistenza relativa» (Clausewitz von 1978, p. 537, VI, XV). Questo sempre nel quadro di una guerra di movimento, dotata di artiglierie ad avancarica e di un servizio logistico non meccanizzato.

la capacità di stabilire un fronte continuo persino sulle vette più alte, mantenendo anche grazie alle teleferiche un adeguato servizio di rifornimento. Ma, anche questo, von Clausewitz lo aveva detto, seppure mettendo in guardia dal considerarlo come certo in quanto si trattava, all’epoca, solo di una teorizzazione: «In conseguenza il concetto di una difesa nei monti si presenterebbe nel senso che questi, se corrono all’incirca parallelamente alla fronte di difesa, siano da considerarsi come un grande ostacolo all’accessibilità, come una specie di muraglia, i cui accessi sono formati dalle valli. La difesa propriamente detta dovrebbe avvenire perciò sulla cresta di questa muraglia (e cioè, sull’orlo degli altipiani a contatto dei monti), e dovrebbe tagliare trasversalmente le vallate principali» (Clausewitz von 1978, p. 555, VI, XVII).

4.4 - L’influenza della montagna sulla conduzione di uno scontro Così ci dice von Clausewitz: «Se la difesa in montagna è più debole, potrebbe essere motivo per l’attaccante di puntare a preferenza contro i monti: ma ciò avverrà di rado, perché le difficoltà di rifornimento e stradali, l’incertezza sull’accettazione o meno da parte dell’avversario di una battaglia principale per l’appunto nei monti, ed anche l’incertezza sullo schieramento del grosso avversario nei monti o no, equilibreranno abbondantemente quel possibile vantaggio» (Clausewitz von 1978, p. 553, VI, XVI 4). Se la montagna è considerata una barriera strategica, si conviene altresì che la difesa di una catena montuosa obblighi il frazionamento dell’esercito in diretto rapporto al numero dei passi da difendere, nel caso di una possibile penetrazione avversaria. Un secolo dopo si avrà

5 - Un accenno alla realtà dei fatti All’entrata in guerra, l’Italia attacca l’Austria-Ungheria. Le catene di fortificazioni a protezione del confine vengono così a trovarsi in retrovia e non servono, se non in rari casi, all’operatività del fronte. Certamente le fluttuazioni del fronte stesso porteranno anche tali opere ad avere una parte, seppure piccola, nel conflitto. Gli Austroungarici potranno invece fruire delle difese approntate in tempo di pace, pur con la limitazione imposta dall’economia, pur nei limiti delle fortificazioni permanenti esistenti lungo il confine del Sud Tirolo. Limiti comunque ben sopperiti dal valore

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delle truppe territoriali, almeno nella prima e critica parte del conflitto. L’esplicazione difensiva la possiamo così leggere: «La cooperazione delle piazzeforti dell’attaccante abbraccia soltanto quelle situate in prossimità della frontiera ed è perciò scarsa. Per il difensore, invece, essa si estende profondamente nell’interno del territorio, chiama in giuoco parecchie piazze; e la loro efficacia complessiva ha una forza intensiva incomparabilmente maggiore»; si riprende e si sintetizza quindi, a conclusione del paragrafo, un articolato e già espresso concetto: «Una piazzaforte che costringa ad un vero assedio e sia in grado di sostenerlo, pesa naturalmente molto di più, nella bilancia della guerra, di una che con le sue opere si limiti a tener lontano il pensiero della conquista di quel punto, e quindi non assorbe realmente forze eccessive e non le logora» (Clausewitz von 1978, p. 466, VI, VI 2). Nella seconda parte del conflitto le truppe austroungariche passeranno all’attacco, con il tentativo di sfondamento lungo la direttrice principale della Val d’Adige (Battaglia del Solstizio) e con lo sfondamento a Plezzo-Caporetto. Tuto ciò in perfetta osservanza dei dettami fondamentali espressi nel Della Guerra di von Clausewitz. Poi subentreranno altri fattori, politici ed economici, i quali determineranno la resa dell’impero austroungarico e la cessazione delle ostilità. Questo senza nulla togliere al valore di entrambe le parti contendenti. 5.1 - La Landwehr (“milizia mobile” o “territoriali”) Il Generale dedica un certo spazio alla cosiddetta “milizia mobile”, in quanto nel corso delle guerre napoleoniche ha potuto apprezzarne i vantaggi, pur nella consapevolezza dei suoi limiti. Se essa si mantiene per quello che è, ovvero una milizia, si avrà sempre a disposizione «un’entità di forze molto più estesa [di quello che è un esercito regolare. N.d.A.]», di carattere molto meno determinato, molto più facilmente aumentabile per effetto di energie spirituali e di orientamento politico. In queste cose stava l’essenza della Landwehr: a questa cooperazione dell’intero popolo si deve lasciare una certa libertà mediante la sua organizzazione: altrimenti, col ripromettersi dalla Landwehr qualche cosa di speciale si insegue un’ombra. Non si può peraltro misconoscere l’intima correlazione fra quest’essenza della Landwehr e il concetto della difesa: è quindi, altresì, che questa specie di Landwehr sarà sempre più in connessione con la difesa che non con l’attacco, e che essa paleserà principalmente nella difesa quegli effetti mediante i quali la difesa diviene superiore all’attacco» (Clausewitz von 1978, p. 466, VI, VI 2). 6 - «Che cos’è la guerra?» Nel Capitolo Primo (Che cosa è la guerra?) del Libro Primo (Dell’essenza della guerra) Carl von Clausewitz evidenzia la natura della guerra tra le popolazioni cosiddette civili: la politica, che nella sua forma elementare è un «duello su vasta scala», prevede e consente una attività bellica, la

quale «comprende due forme, l’attacco e la difesa». Ed ecco che cos’è la guerra, nella sua essenza più intima, ecco che cos’è la vera costituente di quest’atto formale esteso su macroscale e coinvolgente ogni aspetto del vivere civile, comunitario e sociale: «Ma la guerra non è un passatempo, un divertimento consistente nel rischiare e riuscire, un’opera di libera ispirazione; è un mezzo serio inteso ad uno scopo serio. Tutto ciò di cui essa si appropria nel giuoco variopinto della fortuna, degli slanci appassionati, del coraggio, della immaginazione, dell’intuizione, non costituisce che particolare del mezzo. La guerra di comunità – nazioni intere, e specialmente nazioni civili – nasce sempre da una situazione politica e vien provocata solo da uno scopo politico: costituisce dunque un atto politico. Se essa fosse una manifestazione completa, indisturbata, assoluta di forza, quale dovremmo dedurla dalla pura astrazione, allora, dall’istante in cui la politica le ha dato vita, si sostituirebbe ad essa come alcunché di assolutamente indipendente, la eliminerebbe, non seguendo più che le proprie intrinseche leggi, come la esplosione di una mina non è più suscettibile di essere guidata dopo che si è appiccato fuoco alla miccia. È in tal modo che fin’ora si è concepita la cosa, quando una disarmonia fra politica e condotta di guerra ha fatto pensare a distinzioni teoriche del genere. Tuttavia, non è così; anzi, questa concezione è radicalmente falsa. Nel mondo della realtà la guerra non è, come abbiamo veduto, una cosa così assoluta che la sua tensione si risolva», portando questa considerazione conclusiva al paragrafo: «Così, la politica si estrinseca attraverso tutto l’atto della guerra, esercitando su questa un influsso continuo, per quanto è consentito dalla natura delle forze che nella guerra si manifestano» (Clausewitz von K. 1978, vol. I, pp. 36-37, I, I 23). Nel paragrafo successivo (La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi) così riprende: «La guerra non è dunque solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi» e fatte salve alcune eccezioni e particolarità, le quali non possono in alcun modo mutare il concetto, «il disegno politico è lo scopo, la guerra è il mezzo, ed un mezzo senza scopo non può mai concepirsi» (Clausewitz von K. 1978, vol. I, p. 38, I, I 24). Per quanto concerne la cosiddetta Grande Guerra, o Prima Guerra Mondiale, mi si permetta di rilevare come un trattato di non belligeranza ci legasse all’Austria e alla Germania. Inoltre, allo scoppio del conflitto nel 1914, se fossimo rimasti neutrali, avremmo ricevuto gli stessi territori che ci avrebbero dato Francia e Inghilterra se fossimo intervenuti al loro fianco, ma con l’aggiunta di qualche isola greca in più e il bacino minerario dell’Adalia in Turchia. Ma, prescindendo da questi dati di fatto, posso rilevare che la conduzione della guerra denotò una forte impreparazione al fronte su cui si sarebbe dovuti operare e una scarsità di mezzi cronica per tutta la durata della guerra. Basti solo pensare che l’esercito italiano è entrato in guerra con un terzo delle truppe armato di fucili ad avancarica. Altri Stati

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ci dovettero poi prestare l’artiglieria pesante perché noi ne eravamo carenti. I soldati italiani in generale e le truppe alpine per quanto concerne innanzitutto la guerra combattuta in montagna e alta montagna, hanno dimostrato un valore e uno spirito di abnegazione che ha sopperito alla penuria di materiale e alla discutibile strategia dello Stato Maggiore del Regio Esercito. Per quanto concerne il fronte montano e in primis quello delle Dolomiti, posso considerare che le opere di fortificazione permanente erette dagli Austriaci nel XX secolo, e nello specifico le batterie corazzate, ovvero dei forti, hanno assolto perfettamente alla loro funzione. Quasi tutti ben strutturati, hanno formato l’ossatura del fronte. I concetti di difesa e soprattutto di difesa dinamica hanno trovato nel fronte montano tenuto dalle truppe austriache una buona applicazione. A mio avviso innanzitutto perché la difesa è stata assegnata anche e soprattutto alle truppe territoriali, a cui va il merito principale della tenuta iniziale del fronte stesso.

ancor oggi al nostro massimo Istituto di guerra si studia la storia cercando di trarne dei principi o delle conferme di principi. Noi, che ci siamo sempre opposti vivamente agli eccessi ed alle deformazioni degli studi storici ed abbiamo avuto la soddisfazione di vederli recentemente ridotti entro i giusti limiti, dobbiamo ancora dire che – se non si segue per essi un indirizzo realistico, come appunto propugnava Clausewitz – saranno sempre non solo inutili, ma dannosi in quanto generano negli allievi il convincimento che in guerra predomini l’elemento intellettualistico astratto, il che è in contrasto con la realtà più palmare. Molto ci sarebbe da dire sulla tendenza all’intellettualismo e all’astrazione, tendenza venutaci dalla Francia con l’illuminismo settecentesco, che ha impestato quasi tutta la cultura italiana, sviandola dalla sua via nazionale che è quella del positivismo critico, indicata da Machiavelli e Guicciardini. Ma per tornare a Clausewitz, è stranissimo che le sue idee, travisate dai commentatori di terza o quarta mano, siano state del tutto capovolte in Italia» (Canevari 1939, pp. 135-136).

1. Avevano una perfetta conoscenza dei luoghi da difendere. 2. Avevano le proprie case e i propri cari esattamente alle spalle della linea difensiva che dovevano tenere. 3. Erano consci del fatto che erano stati attaccati in seguito alla rottura di un trattato di non belligeranza. Erano quindi consci di un tradimento.

Parlando poi di Antoine Henri barone di Jomini, generale e scrittore militare svizzero di origine italiana, Emilio Canevari lo definisce «trionfatore nel campo teorico», inquadrandolo così, rispetto al pensiero di von Clausewitz: «già ufficiale dell’esercito napoleonico, poi passato al servizio dello Czar, il quale si era proclamato inventore del “sistema delle linee di operazioni” e limitava lo studio della guerra principalmente all’esame delle forme operative e cioè, insomma, all’elemento geometrico della guerra, senza curarsi di penetrare l’intima sostanza di questo complesso fenomeno. Tutte queste teorie sono per Clausewitz “saggi da respingere”; esse hanno dei meriti per avere analizzato alcuni lati del vasto problema della guerra, ma ne trascurano la parte fondamentale e cioè, da un lato, la connessione con la politica; dall’altro, le forze morali e intellettuali; esse “tendono verso grandezze determinate” mentre in guerra tutto è indeterminato; il calcolo non si può esercitare che sulle variabili; “la guerra è solcata in ogni direzione da forze morali”» (Canevari 1939, p. 141).

Nel libro di Gunther Langes La guerra fra rocce e ghiacci vi è la foto di un anziano combattente della Grande Guerra sul fronte dolomitico. Si tratta di «un caporale degli Standschützen che già nel 1866 è stato decorato della medaglia d’oro al valore nella guerra contro l’Italia, ed è nuovamente sceso sul campo allo scoppio della guerra nel 1915» (Langes G. 1981, p. 29). 7 - Un commento alla conoscenza del trattato di von Clausewitz Nel 1939 il tenente colonnello di fanteria Emilio Canevari lascia una esposizione sintetica dell’opera di von Clausewitz, con una premessa lapidaria e disincantata riguardo la conoscenza dei suoi principi in seno innanzitutto all’Esercito Italiano (all’epoca Regio Esercito). Eccone uno stralcio: «Le idee di Clausewitz sono quasi completamente sconosciute in Italia “e questa lacuna – ha scritto S.E. il Maresciallo Caviglia – influisce sulla instabilità delle basi della nostra dottrina militare”. Infatti, quello che rende le idee di Clausewitz “definitivamente acquisite” come si esprimeva il generale Dragomirof, è che egli non ha cercato di stabilire una teoria transeunte della guerra, ma piuttosto ha determinato in quale senso debbono essere considerati e impostati tutti i problemi militari e d’altra parte, ha sceverato, con un lavoro puramente scientifico, quanto è temporaneo da quanto è continuativo nel fenomeno bellico, assegnando il giusto posto alla scienza, alle dottrine ed ai metodi. In Italia, invece, su questi argomenti si è ancora più o meno alle idee di Jomini sugli “immortali principi”:

8 -Bibliografia - Averlino A. detto Il Filarete 1984, Trattato di Architettura, Finoli A.M., Grassi L. (a cura di), vol. I, Edizioni Il Polifilo, Milano. - Canevari E. 1939, Clausewitz e la teoria della guerra, in Ministero della Guerra, Rassegna di Cultura Militare. Rivista di Fanteria – Rivista di Artiglieria e Genio, n. 2, febbraio, Roma. - Clausewitz von K. 1978, Della guerra, trad. di Bollati A. e Canevari E., Mondadori, Cles (TN). - Eschenbach von W. 1981, Parzival, trad. di Bianchessi G., TEA, Torino. - Fara A. 1988, Bernardo Buontalenti. L’architettura, la guerra e l’elemento geometrico, SAGEP Editrice, Genova.

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- Fara A. 1989, Il Sistema e la Città. Architettura fortificata dell’Europa moderna dai trattati alle realizzazioni 14641794, SAGEP Editrice, Genova. - Langes G. 1981, La guerra fra rocce e ghiacci. La guerra mondiale 1914-1918 in alta montagna, Casa Editrice Athesia, Bolzano. - Machiavelli N. 1974, Il Principe, Firpo L. (a cura di), Einaudi, Torino. - Pellicanò A. 2000, Del periodo giovanile di Galileo Galilei. Il trattato di fortificazione. Alle radici del pensiero

scientifico e dell’urbanistica moderni, Gangemi Editore, Roma. - Ponzio G. 1997, Brevi lineamenti della fortificazione olandese dal XVI al XVIII secolo, in Pietra e acciaio. Quaderni dell’Associazione per gli Studi di Storia e Architettura Militare, Acuto G., Mongiano P. (a cura di), Borgone, pp. 30-36. - Setti M. 2004, La conquista di Eben Emael. 10-11 maggio 1940, Ugo Mursia, Milano.

Fig. 25. Esempi di due campi trincerati di fine XIX secolo: Colonia e Roma. Le due città sono esternamente protette da una cintura di forti, con lo scopo di tenere un eventuale avversario il più lontano possibile dal corpo di piazza principale. (Borgatti M. 1898, La fortificazione permanente contemporanea, parte I, Tipografia G.U. Cassone, Torino, tav. XXIV)

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Fig. 26. Campo trincerato di Strasburgo: la città presenta la cittadella a pianta stellare, con opere bastionate dei secoli precedenti, e una cintura di forti esterna. Alla sinistra sono rappresentati schematicamente tre tipi di forti. (Borgatti M. 1898, La fortificazione permanente contemporanea, parte I, Tipografia G.U. Cassone, Torino, tav. XXV)

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Fig. 27. «Batteria intermedia “Brialmont”». Si tratta di una forte corazzato armato con sei pezzi d’artiglieria in blinde girevoli. (Leithner von E. 1895, La fortificazione permanente e la guerra di fortezza, Rocchi E. (traduzione), Voghera Enrico, Roma, tav. I)

Fig. 28. «Fig. 108. Torre di ferro e di legno per 2 cannoni da cm 34 del Mougin» e «Fig. 109. Cupola di ghisa indurita per 2 cannoni da cm 40 del Gruson». (Borgatti M. 1898, La fortificazione permanente contemporanea, parte II, Tipografia G.U. Cassone, Torino, tav. XV)

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Fig. 29. Supporto da fortezza per mitragliatrice Gardner. (Zunino P.E. 1911, Particolari di fortificazione permanente, in Rivista di Artiglieria e Genio, vol. II, giugno, Tipografia Enrico Voghera, Roma, fig. 3a) Fig. 30. Mitragliatrice all’interno di una caponiera metallica a scomparsa. (Zunino P.E. 1911, Particolari di fortificazione permanente, in Rivista di Artiglieria e Genio, vol. II, giugno, Tipografia Enrico Voghera, Roma, fig. 7a) Fig. 31. Fossato esterno del Forte di Tingstäde, nell’isola di Gothland (Svezia), del 1903. (Foto G. Padovan)

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Fig. 32. Una delle cupole, oramai prive dei pezzi d’artiglieria da 105 mm, del Forte di Tingstäde, batteria corazzata del 1903. (Foto G. Padovan)

Fig. 33. Particolare dell’otturatore del cannone da 149 S, uno dei quattro pezzi che tutt’oggi armano la batteria corazzata denominata Forte Montecchio Nord (Colico – Lecco). (Foto G. Padovan)

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Fig. 34. Parte sommitale di Forte Montecchio Nord (Colico – Lecco), con le cupole corazzate in acciaio e i pezzi da 149 S; alle spalle, in direzione sudovest, si scorge il Lario, meglio noto come Lago di Como. (Foto G. Padovan)

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The memory of the great war onXIII the Asiago plateau: the Fort Corbin

THE MEMORY OF THE GREAT WAR ON THE ASIAGO PLATEAU: THE FORT CORBIN Autore Ilaria Panozzo

Military History Museum fort of Punta Corbin

Traduzione Virgilio Panozzo

Military History Museum fort of Punta Corbin

Abstract The fortress known as Forte Corbin owes its name to the locality in which it was built, Punta Corbin on the western end of the plateau of Asiago also known as the plateau of the Seven Communes. It was an Italian fortress of WW1 and was part of the fortified line erected at the beginning of the 1900s on the plateau of Asiago. It was active only during the first year of the war and it had a very marginal role. After the end of the war it was used for a short period for training and then abandoned. During the 1900s, the structure felt the impact of the social, economic and political conditions of the country, being plundered by the “recuperanti” (scavengers) who made a living from the sale of metals extracted or obtained via pick, shovel, sledge hammer and even dynamite. The Italian government put the fortress up for for sale and eventually the structure was bought by the PANOZZO family, who, since 1982 has been carrying out extensive restoration works aimed to return the structure, as close possible, to its original state and thus a “living” link with the past. It is now recognized as a historic military museum, inside which one can observe the relics found on site during the restoration works and photographs which show the fort as it was in 1915-1918. That the restorative work was carried out with its function as a teaching museum is, indeed, the key point of difference between Fort Corbin and the other fortresses of the plateau of Asiago. The conservation of the traces of the past renders this fortress fundamental for the preservation and the diffusion of the memories of WW1 on the plateau. Sommario LA MEMORIA DELLA GRANDE GUERRA SULL’ALTOPIANO DI ASIAGO: IL FORTE CORBIN Il Forte di Punta Corbin è una fortezza italiana della Prima Guerra Mondiale che faceva parte della linea fortificata costruita all’inizio del ’900 sull’Altopiano di Asiago. Attivo solo nel primo anno di combattimento, il Corbin ebbe un ruolo marginale nello svolgersi delle vicende belliche. Alla fine del conflitto fu usato per addestramenti e in seguito abbandonato. Nel corso del ’900subì le conseguenze delle contingenze sociali, politiche ed economiche del Paese. Depredato dai recuperanti, fu venduto dal demanio e acquistato nel 1942 dalla famiglia Panozzo che, dal 1982 a oggi, ne cura il recupero. Nel corso degli anni i proprietari hanno realizzato un restauro di tipo conservativo che ha mantenuto il Forte il più possibile originale in modo che

si possano percepire gli effetti della guerra e del tempo che è trascorso. Oggi è riconosciuto come museo storico militare, si può visitare quasi completamente e ospita al suo interno una mostra permanente di reperti trovati sul posto e fotografie d’epoca che rivelano com’era il Forte nel periodo 1915-1918. Ciò che lo caratterizza rispetto ad altri luoghi di guerra dell’Altopiano è l’attenta musealizzazione a scopo didattico. La conservazione delle tracce del passato, infatti, fa del Forte Corbin un luogo fondamentale per la diffusione della memoria della Grande Guerra sull’Altopiano di Asiago. 1 - Introduction At this point in time, when all what is part of the past is being considered as an asset to be kept at any cost, it is useful to pause and reflect on the different ways in which the sites called “sites of the memory” perform their fundamental role in maintaining the memory of WW1. When one analyzes the memory of that particular war, there are some very important concepts to consider, such as the protection of the historic assets, the values which it can transmit through an appropriate museum and the use of the sites by the public. To understand the relationship between society and the memory of WW1, one has to also consider tourism which is now the main channel of contact between the people and history and it is also the expression of collective memory because it reflects the tendency and the mentality of the public. In the last decade, WW1related tourism has shifted from museums to the areas where the combat took place which, treated as a museum, have become an occasion to learn about the war and at the same time offer different typologies of approach to the topic. To such purpose, if one puts his attention to the contemporary use of the memory he can understand how the different strategies adopted in the sites of combat can influence the approach of the visitor with the memory of that war. The interventions for the renovation of military structures sometimes do not do justice to the true value of the historic asset because they are guided by the expectations of the public rather than by the true interest of upholding the memory of such an important event with educational accuracy and fidelity. This statement can be confirmed in the specific reality of the plateau of Asiago, an area where there are still many relics of WW1, thus rendering it an important History Tourism area. On the plateau of Asiago the ecotourism of WW1, with the benefit of law No.78 / 01, has realized large

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projects of restoration of the battle sites that has not been entirely successful. The Historic Museum Fort Corbin is of a different class because, in its case the memory is not part of the ecomuseum but it is complementary. In the case of fort Corbin we deal with a museum with such characteristics which make it unique in the area. And this not only because it is a private property or because it is in good condition, but also because of the testimonies retained by the asset from the beginning of the 1900s to date. Even within its limitations and its deficiencies, this fort has achieved good results in the area of keeping alive accurate memories and engaging the public. The analysis of the experience of Fort Corbin will show what can be the consequences of some choices of management and of the formation of a museum. The comparison between Fort Corbin and the Ecomuseum of the plateau will show the different results achieved by two approaches, born by the common wish of preserving the memory.

Grenadiers, who were defending mount Cengio. When at the end of June of that year the Austro-Hungarian troops retired to the other side of the Valdassa and to the mountains at the north of Asiago, there was no longer any fighting on the western end of the plateau and Fort Corbin became an emplacement and an observatory. As already stated elsewhere, after the conflict was over Fort Corbin was used as barracks during summer army training until the late 20s when it was abandoned entirely (pic. 5, 6, 6a, 7, 7a). 3 - Forte Corbin as a testimony of the Italian history The study of the the history of this fortress reveals that its history followed that of the country and that it was affected by its political, economical and social contingencies. During the 30s the structure was left in complete abandon by the Italian government and as was the case for all the other sites of the battles, fort Corbin became a centre of activities by the “ recuperanti”. What had been left standing by the Austrian bombs became the victim of the destructive actions of the “recuperanti” over a period of decades. The first ones to move in were the local authorities who among other things removed the stones of the magazine to erect the monument to the Fallen of Tresche’ Conca. They removed the bitumen of the roofing to use it for the floors of the school buildings of the town being rebuilt. At that time the emphasis was to celebrate the myth of the Fallen Soldier and to erect monuments to His memory to the detriment of the ecology of the battle sites. Once the removal of materials from the site for public use was over, the recuperanti moved in to carry out the rest. Part of the structures which had come through unscathed fell under the hands of the scavengers who with pick and shovel and TNT took great care to remove all what could be sold, leaving behind the walls and the rooves with piles of debris and rubbish.

2 - Fort Corbin during WW1 This fort is located in the western section of the tableau of Asiago, near Monte Cengio and the village of Tresché Conca. It was one of the Italian forts which constituted the Italian defensive line in the Prealps along the border with Austria, to the north of Vicenza. It was built at the beginning of the 1900s on a cliff at 1100 metres above the sea level, facing on to the Valdastico. The fort was constructed with the intended purpose of protecting Valdastico from any Austro-Hungarian invasion. It was erected some time before WW1 and designed to be one of the main fortresses of the area, with six guns instead of the usual four. Its role during the conflict was not very relevant: its activity was limited to the first few months of the war and after that time it became a center for observation of military movements of the enemy (pic. 1 - 3). When on June 12th 1915 Austrian bombs hit Fort Verena and put it out of action after killing tens of Italian soldiers, the Italian Engineers realized that the Italian fortresses were too weak to resist the strength of the Austrian bombs. In order not to lose both the fortresses and armour it was decided to disarm the structures and to relocate the guns in areas where they could not be easily detected. Without their armour and their guns, the Italian fortresses on the plateau became weak and inefficient: their war activities lasted a short time and were of little consequence. During the summer of 1915, Fort Corbin was deprived of its guns and, as the photographs of the time show, what is visible in lieu of the guns are tree trunks which were installed to deceive the enemy and delay for as long as possible the news that the fortress had been disarmed (pic. 4). A strong bombardment to which fort Corbin could not reply revealed to the enemy the inefficiency of the fort, which was occupied by the Austro-Hungarians during the Strafexpedition in may of 1916. During May, fort Corbin became the scene of hand to hand battles between the Austro-Hungarians and the Italian soldiers, namely the

At that stage the Italian government, having in the meantime demonstrated no interest to keep alive the memory of WW1 (the old enemy had become the ally!), could no longer make use of the fort in such a state and it decided to put it up for sale as all the other forts of the same era on the plateau. At that time it was not easy to find a buyer; in the end only fort Corbin was sold and in 1942 it became the property of Emilio Panozzo, a member of the family who were the owners of the site before it was confiscated for the erection of the fort. The price paid was of Italian Lire 3,000, as estimated by the government officials. The intention of the Panozzos was that of using the area covered by grass as a pasture for their herd since it was next to the site on which they kept their animals during the summer months. The sale of this asset did not cause any ripple among the population for the fact that the old enemy was now the ally and therefore the memory of WW1 was being played down to the point that even the date of November 4th, the celebration of victory, was nearly ignored in the little towns with the official ceremonies taking place at the

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Fig. 1. Corbin Fort beginning (primarily) of the Great War 1915 (Museum of the renaissance and the resistance of Vicenza).

Fig. 2.Aerial photo of Fort Corbin today. (Photo Archive Panozzo)

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Fig. 3. The Astico valley view from the fort. (Photo Archive Panozzo)

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Fig. 4. Tree trunks instead of the barrels of guns. (Photo Archive Panozzo)

Fig. 5. Entrance to the fortress and the cable car arrives 1916. (Photo Antonio Longo)

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Fig. 6. The building’s operational Corbin during the Great War. (Photo Archive Panozzo) .

Fig.6a. The operational building today. (Photo Panozzo)

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Fig. 7. Walkway within the fort during the war (the War History Italian Museum – Rovereto).

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Fig. 7a Walkway within the fortress today. (Photo Panozzo)

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monumental shrines erected in the 1930s. Once WW2 was over and the economic conditions of the country started to improve, the fort began to attract people holidaying on the plateau during the summer months. Their attraction was due to the ecology of the area and the enjoyment of holidays after the privations and the sufferings of WW2. Unfortunately this type of tourism of the 1950s and 1960s did not do any good to the site as the visitors, more often than not, left behind their mark in the form of ruins, writing on the walls and piles of rubbish all over the site where they were camping. Some of them also combed the site with metal detectors to recoup what had been missed earlier by the recuperanti. The graffiti left by these visitors were left in place by the owners as part of the history of the fort itself. This was the darkest period in the history of the memory of WW1 on the plateau. Those who visited the site to remember the history were very few in comparison with those visiting the site for leisure and once on site they behaved like civilized people. At the same time as this mass tourism was spreading, there were also a few people among the more educated strata of society who were beginning to take an interest on the sites where WW1 had been fought. In the seventies Fort Corbin became the set for some scenes of the film “The recuperanti” by Ermanno Olmi and later it became a matter of study by some historians who contributed to furthering the knowledge of WW1 fought on the plateau. In the 80s, when public opinion began to favour remembering WW1 and the sites where the battles were fought, some associations, and volunteers, contributed with their work to save those assets from the effect of the elements in a race against time. It was at that time that the son of the owners of fort Corbin, Severino Panozzo, at his own expense, started to carry out the first works to rescue the structure. He did this not so much with the intention of establishing a museum but for the personal feelings that the structure evoked in him. This marked the commencement of the transformation of fort Corbin into the present museum, and the process is still taking place today. 4 - The fortress becomes a museum The Panozzo family, still the owners of the fort, engaged themselves in the removal of rubbish, debris and unwanted vegetation which covered most of the site. They also carried out some interesting works of maintenance and conservation which, due to the passing of the time, became more numerous and urgent, and at the same time more interesting and onerous. At a later stage, recognizing the cultural importance of the site and the interest shown by the public which frequently and freely visited the site, the works being carried out were oriented also to attract as many people as possible to continue to visit the site. Great care was taken to make the place safe and to clean out as many areas as possible to allow free circulation both within and outside the structure. In addition, due to requests from the public to know about the history of the fort and the

structure itself, the owners organized the printing of a map. During the progress of the cleaning and restoration works, numerous artifacts were coming to light so much so that the owner thought it useful to set aside a small area as a museum where those relics could be stored so that they could be seen by visitors to inform them that they were visiting a very old structure. This was the starting point for the establishment of the museum which was developed during the years (pic. 8, 9, 10, 11). Although it was something which was started without any ambition and with no program at all, the intervention for the recovery of the fort became an undertaking to preserve the memory of the past and to create a museum for the benefit of the public. This was a new happening on the plateau and the rescue of the communal fortresses in the area took place only some twenty years later. The works being carried out attracted an ever increasing number of visitors who encouraged the owners to continue in their effort. Since the fort is far away from the nearest town and in complete isolation, the presence of visitors induced the owners to set aside inside the structure a small area for refreshments. This activity became useful because, among other things the supply of refreshments was not only attracting more visitors but it was also bringing in some funds which were very useful to continue the works which were financed only by the owners: both the volunteers and the associations only assisted in the works on public territory. At the beginning of the 1990s it was already a museum, the only fortress on the plateau to be organized and open for the public to visit it. The conservation of the fort received important recognition when the troupe of Super Quark arrived on the plateau to prepare a documentary on military archaeology. Among the fortresses on the plateau they selected fort Corbin as it was the largest and articulated and, furthermore, it could be visited and studied intimately; it was deemed ideal for a TV documentary. Mr. Alberto Angela described this fort as an “archaeological jewel, well preserved and above all very well kept”. A few years later with the installation of a set of photovoltaic cells it was possible to illuminate the inside rooms, the corridors and the underground areas and the fortress acquired all the characteristics of a museum with space inside set aside for the artifacts till then housed, at risk, outside. In concomitance with the census foreseen by regional law No 48/97 and with the elaboration of the Project supported by national law No 78/01, the Superintendence of Verona recognized fort Corbin as a historic-military museum and imposed architectonics bonds on the structure. In that period, the “Comunità Montana dei Sette Comuni”, the leader of the Project for the Ecomuseum of WW1 in the Prealps of the province of Vicenza, formulated for the Panozzo family the proposal of a convention which would allow them to get access to the contributions offered by law No 78/01. Since this entailed not just simply money contributions

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Fig. 8. Corridor of armament today. (Photo Panozzo)

Fig. 9.Building control. (Photo Panozzo)

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Fig. 10 Underground tunnel that connects today. (Photo Panozzo)

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Fig. 11 Map of the fort with a path for visitors. (Doc. Panozzo)

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Fig. 12 The cover of the guidebook by the owners in 2009. (Doc. Panozzo)

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Fig. 13. The two new exhibition halls inside the building control. (Photo Panozzo) .

Fig. 14. The two new exhibition halls inside the building control. (Photo Panozzo)

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to use in the structure but also large interventions to be realized at the discretion of the group looking after the ecomuseum, the owners of the fort decided to reject the proposal. It was not an easy decision, but it was motivated by the impossibility to maintain the obligations foreseen by the convention as a conditio sine qua non, and by the wish of the owners to continue to manage the fortress in accordance with their idea of recuperation outside of any obligation. Forte Corbin did not necessitate the same large expenditures of intervention which were necessary in the structures of which the Ecomuseum had to take care. The owners preferred to continue with their own financial effort and in accordance with their idea of improvement of the asset. If one could do an estimate of the expenses footed to date for an undertaking of such size, the result would be very high: nobody has ever attempted to do such a calculation also because the result could be very debatable. In the year 2000, in any case, the forecast of future expenditure for the works still to be undertaken and for the upkeep of the structure induced the proprietors to introduce an entry fee. When the works of recuperation had reached a good stage and the more pressing works were considered to have been taken care of, the proprietors decided not to stop with their manual works but at the same time to direct part of their energies to the didactic aspect of the project. They feared that physical works alone were insufficient to ensure that any visit to the fort was an historically informative experience. The first thing that the owners did was to print a map of a suggested route with numbers and arrows with relative explanations so that the visitors could visit the whole structure and understand where they were and where they were going. After some studies and further observations the owners decided to make themselves available to accompany groups of tourists and school parties to fully inform them about the history of the fort (pic. 12, 13, 14). These activities, together with the works of restoration, have transformed fort Corbin into a museum which reflects the character of the owners. 5 - Cultural value of the recovery and the public of fort Corbin Even though this is a private initiative which started as a spontaneous action and without a definite program, what has been done presents a precise and coherent attempt to inspire, maintain and develop historic consciousness. The Panozzo family have always considered themselves as the owners of a public utility of large cultural significance, of a testimony which concerns all the people who recognize themselves as part of the history of Italy. The consciousness of being the owners of a piece of national history is safeguard enough to ensure that the asset should not be closed off for the sole use of the owners but that it should instead be used by the community to reinforce the memory of history. To achieve this purpose the owners took the decision to adopt a very conservative approach to the works of restoration to retain as much as possible the traces left during the years since its construction. Due to the

lack of funds, all the interventions were carried out in an artisan and economic way, without using any specialized materials and respecting the original style. Where it was necessary to carry out more invasive works, such as the rebuilding of stairs, for example, those were carried out without any intent to camouflage the new work but allowing it to stand out to give the visitors the chance to recognize the restorative work and to imagine what the structure would have looked like when first built. For this reason even the graffiti on the walls have been left standing as they also represent a period in the history of tourism in the plateau of Asiago and can offer the possibility of discussing topics beyond those of the history of WW1. This type of conservation has granted the fort its state of “ruin”, in other words to become a piece of the past which underwent the action of time and for this reason it keeps information both of the past and of the present. This is what the anthropologist Marc Auge’ had once to say of the relationship between time and history: “the ruin is the time which escapes history: a panorama, a mixture of nature and culture which gets lost in the past and emerges in the present as a sign with no other meaning but that of the feeling of the time which elapses and remains at the same time” (Augé 2004, p. 94). The fort, in its present form, constitutes a real testimony of the past and can inspire meditation on the time, on the nature and on the history of both yesterday and today. The aim of the action inside the fort is to present a pedagogic approach to the site so that the visit to it becomes a moment of reflection and not just the pleasure of a discovery and the admiration of surroundings. To achieve this it was decided to avoid “the trivialization of memory” - that is, the attitude which brings to the present the memory of the past without a real understanding of what happened. This phenomenon, studied by both the philosopher Tzvetan Todorov and the historian George Lachman Mosse, neutralizes the real memory of the war, reducing it to something obvious and familiar rather than solemn and terrible. The trivialization uses a sterile memory which prevents the understanding of the past and also of the present and according to Todorov “plays on the immediate reactions of the people, making superfluous the intellectual meditation which is necessary to understand correctly myths and symbols”(Mosse 1998, p. 162). Fort Corbin was set up without the use of models, military fittings or acoustic simulations and it was not rebuilt as it “should” have looked, with the structure left as it had been left by history. The owners agree with Todorov when he says that “the good use of the memory is what serves a right cause, not that which is limited to reproduce the past” (Todorov 2001, pp. 209-211) and that in a visit to a war site the imagination is more important than the sensorial impact. If memory is trivialized with simulations, the visitor-spectator becomes absorbed by the theatricality and has no time to consider the drama and the real meaning

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of the war. As a result what is reached is “a maximum of signs and a minimum of sense”, with a concentration on the representation of the war at the expense of its comprehension. In this way the “sites of memory” become “the memory of sites” and the memory of the topographical site becomes more important than the site itself (Varotto 2001, pp. 963-968). Furthermore, with such trivialization, the sites become little theatres or playgrounds where, rather than rousing pedagogical reflections and the pursuit of peace, the memory of the war disappears to make room for the experience of the moment. Trivialization, on the other hand, very often gives immediate success and easy gains, but the owners have given preference to avoid the spectacle and not to “cash in” on the site in which human beings had lived moments of terror and sufferings and were also killed.

respect for the site and do not appreciate what they could be visiting. This type of behaviour is disappearing but it is still visible even today. Whoever is fond of history and of the conservation of the cultural assets and likes tourism of a cultural type, buys a ticket as they understand to what purpose that money will be put. This is the tourist who wants to know the history of the fort and recognizes the importance of the monument. Those who do not have a particular interest on the fort because they are not used to visiting museums and live some cultural experiences, buy a ticket only not to stay outside. They are more curious than interested. Generally, they leave the site with a new enthusiasm not only for history, but for the value of its preservation, as well as a sense of having contributed to this. This is the most frequent attitude and demonstrates that many tourists could be educated to value cultural tourism.

To this effect the owners refused to give permission to play Soft-Air inside the structure, an American sport which consists of a simulated war in which participants are dressed in camouflaged overalls and are supplied with toy guns with which they must defeat the enemy by firing plastic bullets. Instead, the Fort is managed in such a way as to give visitors an authentic, “untouched” historical experience which may, in turn, generate interest for future tourists. To promote a correct use of the site and the respect of the memory which it represents, the owners have decided to select, as far as it is possible, the visitors and to formulate rules which are to be respected. To this purpose an entry ticket is required. The money obtained in this way becomes not only a contribution towards the expenses already sustained by the owners but also an instrument of selection of the visitors and to make them responsible for their behaviour while on site. It has been realized that the entry fee has a psychological effect on the public. Since the entry fee has been introduced the owners have been able to classify three different categories of visitors and to recognize the effect of the entry ticket on those groups. When entry was free, everybody visited. Many did not recognize the importance of the site and considered the occasion as leisure or sightseeing only. Notwithstanding all the efforts by the owners to impose some sort of order with the respect of the site and the prohibition of some activities like camping or playing sport, this type of tourism was characterized by acts of vandalism and by the amount of rubbish left behind. Some tourists only came on site to view the panorama and took no notice of what they were visiting. Those who visited the site to learn its history had to put up with the rest of the public and to endure their sometimes disrespectful attitude. Since the fort became a museum and the entry fee was introduced, none of the misbehaviour of the past has taken place.

The owners have noticed that since the introduction of the entry ticket, tourists leave the site in a much cleaner condition than before. The experience of the owners indicates that the introduction of the entry fee, considered by some as an obstacle, represents instead an effective method to enhance the status of the site and to lead the population towards respect and a desire for knowledge. The very action of purchasing a ticket and entering a museum enhances the recognition of the value of the place and the respect for it. The ultimate result is better informed people, a more respectful ambience and the elevation of the fort’s status. The very low fee (4 euros) is very affordable for the vast majority of the population and this favours widespread involvement in a cultural process. The fact that many choose to visit the area and enter the fort thus forming a relationship with this type of conservation of the past is a guarantee of a larger and better diffusion of the “tourism of memory”. As a consequence of the choices made by the owners on the type and form of the renovation, of the respect of nature in the surroundings, of the enhancement of the panoramic location and the method of transforming the structure into a museum, fort Corbin is now a showpiece in which the symbiosis between history and environment favours a profound reflection on what has been and on the relationship between man, environment and war. 6 - Comparison with the Ecomuseum: exchange and growth of the two types of museums Since we are talking about WW1 on the tableau of Asiago, we feel that we must talk also about the Ecomuseum of the Prealps of the province of Vicenza, a “museum of the environment” constructed on the Vicentinian mountains to study, to observe, to keep and to enhance the memory of WW1. It is a very wide museum which is formed by many museums of the first conflict of world- wide scale, part of an even larger system of museums covering all the front of WW1 in the Veneto region, thus forming an enormous ring of museums of WW1. Particularly, it may be interesting to compare the large section of the ecomuseum of the

There are now three types of behaviour among the visitors: Whoever is not interested in visiting the fort is definitely not going to buy the entry ticket and stays outside. Generally these are persons who have no interest in WW1, have no

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tableau and the small reality of fort Corbin, which can be considered as complementary (although in some respects they are opposite). The ecomuseum of the plateau of Asiago was born at the beginning of the 2000s thanks to the collaboration between the “Comunità montane” (communities of the mountains) of the province of Vicenza which, driven by the intention to recover, preserve and enhance the traces of WW1 still present in the territory, could get access to the funds made available in accordance with law No. 78/01 for the protection of the historic assets of WW1. In addition there was the intention of creating a museum space which may function for the information and the education of the public. The ecomuseum, therefore, does not only satisfy the expectations of tourists, but tries to channel them towards more educational forms of tourism. For this reason, the assets recovered are furnished with show-cases in which there is the description of the area, its history and its location relative to the other sites of the war, so that the approach to the sites of the memory is not passive, but active and conscious. The Comunità Montane have also carried out an ideal itinerary which connects all the various expressions of historic memory, thus creating a museum of the sites and this was done not just in order to attract as many people as possible, but rather to teach the visitors and to promote and disseminate knowledge of the war events. The ecomuseum by putting together history, ecology and nature, aims to present to the public a direct approach with the territory and guarantees the tourist a theoretical but also practical knowledge, obtained by visiting the sites of the memory, living and touching the traces of WW1 (fig. 15). Certainly, this type of museum has both positive and negative aspects. It has in fact limits and risks to be confronted. Persons, who establish a museum in a war territory have the obligation and the responsibility to recognize the limit between recovery and reconstruction, so as to avoid the alteration of the site where the intervention takes place. If the asset to be rescued is in very poor condition it is hard to intervene without causing changes, but what is important is to make every effort to maintain as much as possible of the traces to allow the public an honest reading of the asset converted into a museum, a critical understanding of what was left by the war and also a perception of the passing of the time. Some of the works of restoration carried out on the plateau have led to discussions and arguments about the reconstruction of the structures, the artfulness of some interventions and the obliteration of important traces of history. The intervention which more than others has been most controversial on the plateau is that of the fort Campolongo, an intervention which visitors classify as invasive. The structure had been in a very bad state for a few decades and it certainly made difficult the job of the restorers who had to reconstruct parts of the structure. Apart from that, even if one considers the difficulty of adopting the correct philosophy of recovery

and of respecting it in all the phases of the construction, one must admit that the result misses the mark of faithfully preserving memory. The structure has been upgraded making use of photographs of the era and has been brought back to its “original” state of before the war; spectators who visits the site are to be forgiven if they think that they ares visiting a completely new asset. Once a structure is rebuilt the ruins are annulled, the time lapse is obscured and with it also the traces left behind by it. There is little educative value because the “new” structure has nothing to teach. We are coming back to the concept of trivialization of the memory of WW1 because a reconstruction such as the one carried out on fort Campolongo runs the risk of having only a visual impact but not a psychological or an intellectual one and the project falls outside the parameters of a museum with educational intent. According to Marc Augé the restoration of ruins may be considered a type of spectacular representation and this phenomenon “makes thinner every day the border between reality and its representation, between reality and fiction” (Augé 2004, p. 58). The intervention on fort Campolongo has erased the most important signs of the war and the effort of conservation has had very little effectiveness on the facade where a very smooth concrete was used to delineate the large hole which had been plugged up. The result of repairing the damages caused by the bombs is that of erasing an important phase of history to create a reality which does not exist- as if war had not taken place. On the matter of ruins Augé added: “while everything concurs to make us believe that history is finished and that the world is a spectacle in which that end is represented, we need to find time to believe in history. This could be today the vocation of the pedagogic ruins” (Augé 2004, p. 43). Without any traces of the war, therefore, it is necessary to propose a leap in time which has no educational usefulness and does not provoke any particular reflection. Furthermore the fort displays a large difference between the inside and the outside. The structure has been rebuilt but the inside has been left bare and unutilized, making the restoration the final aim. The fort has become very unconvincing and evocative. Fortunately, fort Campolongo is an isolated case. Even the people involved in the restoration admit to having achieved a very particular recovery which will be the only one of this type. The intervention on Fort Verena, on the other hand, has shown more consideration of the traces of time and, generally, it has respected the authentic memory of the war. In this case, even though the surface of the walls of the structure is a bit too modern, the filling of the gash made by the bomb of June 12th 1915 has not been strangled by concrete. Having been made safe by the use of grates it can yet communicate the tragedy of that day when just one gunshot destroyed the fortress and caused the death of forty soldiers. The entity of the crater of Verena inspires the visitor to remember the event and to reflect on the gravity of war, with a greater educational effect than Campolongo.

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Fig. 15. The powder magazine. (Photo Panozzo) What amazes is the fact that after all the works carried out on the above sites, they have been effectively abandoned and are open to the public without any controls. If one considers the large amount of money spent on such a project, it is difficult to avoid the conclusion that the Comunità Montana are underestimating the risk incurred in leaving the results obtained in the hand of the public without any control. To engage the services of a custodian would be quite expensive but it would also be a guarantee of respect because, as has been observed by the proprietors of fort Corbin, not all visitors have a marked civic sense and not all of them know or appreciate the area they are visiting. The presence of a responsible person would be an important instrument both for the proper use of the sites and for the information to visitors. The experience of fort Corbin indicates that in any form of recovery, if one wishes for the results to last over the years, it is necessary to prepare for the future constant care of the environment, something that the Ecomuseum cannot guarantee because of economic factors. If the intention was to leave the sites open to everybody and without limits, it could have been sufficient to make them safe and leave them in their original state, using the funds granted by law 78/01 for periodical interventions of maintenance and conservation.

These considerations, compared with the experience of fort Corbin, lead us to believe that a more appropriate enhancing of the vestiges of WW1 can be obtained principally by conserving the real traces and encouraging cultural tourism through which one can learn to read the traces of history still present in the environment and to reflect on the tragedy of WW1. At the moment, the fact that it is not possible to visit the Ecomuseum with guided tours encourages the “do it yourself “ tourism with the consequent undervaluation of sites and the areas in which they are located. Unfortunately, the deficiencies in the tourist organization mean that the Ecomuseum remains very little known and therefore often visited unconsciously. 7 - Conclusion All what has been said so far about the history of fort Corbin in comparison with the case of the Ecomuseum serves to indicate that private management is not less effective than public- rather, the contrary- and notwithstanding the fact that it is hampered by the lack of funds from the public sphere and is therefore limited from an economic point of view, generally it attains good and lasting results. The results obtained at fort Corbin, certainly more humble than

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those of the Ecomuseum, are so much more appreciable if one considers that they are the result of a private concern which does not receive any national funds. Furthermore, notwithstanding the smaller financial capabilities, over these the years fort Corbin has developed also a touristic aspect, unlike the Ecomuseum. The strength of Corbin is the presence of the owners who, beyond the fact that they are the promoters of the restoration, are at the same time the custodians and the tourist guides, in other words the point of reference for the visitors. The purchase of fort Corbin by the Panozzo family has revealed itself as a positive aspect because the same owners who preferred to avoid the Corbin becoming part of the Ecomuseum are today the guarantee of the maintenance program which the Ecomuseum cannot guarantee. The management of a structure as complex as fort Corbin presents problems that are not always easy to solve. At the moment, for example, a part of the structure is closed to the public because it is too compromised and too expensive to restore. The only solution could come from the sponsorship from a society or an institution prepared to invest in culture but at this stage this appears as a utopia. The owners also lament a logistic deficiency outside of their control but resides with the local administration which is charged with the maintenance of the road of access to the fort. The condition of the cart-road does not allow for bus transport, with the obvious repercussion on the school parties which would like to get there. There is no cooperation between the council of Roana and the owners, and this fact shows once more that the public sphere is often unable to exploit in the most convenient way the opportunity of an incomparable cultural, touristic and economic opportunity that a museum of WW1 can represent. Thanks to the work of the owners who are relentlessly proceeding with the works of recovery of the fort, the appreciation of the public is always great- to the point that many visitors return regularly to the site to keep in touch with the latest progress. To improve fort Corbin there are still many more things to be done and the Panozzos consider this task as their mission to carry out in the years to come. Parents and offspring actively cooperate to provide as effective a management as possible of the structure and its contents, a project which survives in a symbiosis of manual and intellectual work. Looking at the museums on the tableau presented in this paper it is to be noted that the protection and the enhancement of historic assets can initiate from the same starting point, that is from common intentions, to obtain completely different results depending on the course of action selected during the activities. It is probable that the different modalities of approach to the memory of WW1 are due to different interpretations of the concept of enhancement. It is a question of two examples of enhancement which are both positive for human values and the educational aims by which they are characterized. They were both born in the attempt to fight potential oblivion by reviving the memory of the tragic events which afflicted the tableau and by stimulating reflection

on fundamental values like peace, respect and brotherhood between peoples. Without doubt, to favour the knowledge of the sites of the war and to remind what the soldiers went through in that tragic experience is a good way in which to try to educate people in peace and tolerance. 8 - Bibliography - Augé M. 2004, Rovine e macerie. Il senso del tempo, Bollati Boringhieri, Torino. - Corà V., Pozzato P. (a cura di) 1916, La Strafexpedition. Gli altipiani vicentini nella tragedia della Grande Guerra, Gaspari Editore, Udine. - Inseghi M. ( a cura di) 1997, I luoghi della memoria. Simboli e miti dell’Italia, Laterza, Roma-Bari. - Inseghi M. 1989, Il mito della Grande Guerra, Il Mulino, Bologna. - Moss G. 1998, Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, Laterza, Roma - Bari. - Panozzo I. 2009, Guida alla visita del Forte Corbin e alla sua storia, Input edizioni, Grisignano(VI). - Panozzo V. 1998, Tresché Conca terra di emigranti, Progei editore,Verona. - Ravenna D., Severini G. 2001, Il patrimonio storico della grande guerra. Commento alla legge 7 del marzo 2001 n. 78, Gaspari editore, Udine. - Regione Veneto, Ministro per i Beni e le Attività Culturali (a cura di) 2010, Ecomuseo Grande Guerra Veneto. - Rigoni P., Varotto M. (a cura di) 2009, L’Altopiano dei Sette Comuni, Cierre, Verona. - Todorov T. 2001, Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti, Milano. - Touring Club Italiano 1984, Novant’anni di turismo in Italia 1894-1984, TCI, Milano. - Valente L., Dall’Igna G. ( a cura di ) 2003, Percorrendo i luoghi della memoria, Associazione Ricercatori Storici, Schio (VI). - Varotto M. c.s., Riserve indiane della memoria. I luoghi della Grande Guerra tra lifting e fiction, in Atti del XXX Convegno Geografico Italiano (Firenze 10-12 settembre 2008), Patro Editore, Bologna, pp.963-968. www.ecomuseograndeguerra.it. Sito ufficiale dell’Ecomuseo della Grande Guerra nel Veneto.

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XIV Esercito e territorio: l’accasermamento come fenomeno di trasformazione della città e del territorio negli esempi di Cremona, del quadrilatero nello specifico di Mantova, Verona, Peschiera, Legnago, e di Pizzighettone tra Ottocento e Novecento

ESERCITO E TERRITORIO: L’ACCASERMAMENTO COME FENOMENO DI TRASFORMAZIONE DELLA CITTÀ E DEL TERRITORIO NEGLI ESEMPI DI CREMONA, DEL QUADRILATERO NELLO SPECIFICO DI MANTOVA, VERONA, PESCHIERA, LEGNAGO, E DI PIZZIGHETTONE TRA OTTOCENTO E NOVECENTO Autore Luciano Roncai

Istituto Italiano dei Castelli

Sommario Le mutazioni, la consistenza e le tipologie degli accasermamenti nelle piazzeforti lungo il Mincio e l’Adda dalla Restaurazione alla prima Guerra Mondiale ed i rapporti con i tessuti urbani delle città. Abstract ARMY AND TERRITORY: THE BARRACKS AS A PHENOMENON OF TRANSFORMATION OF THE CITY AND THE TERRITORY: THE SITUATION OF CREMONA, THE QUADRILATERO MANTUA - VERONA - PESCHIERA - LEGNANO, AND PIZZIGHETTONE BETWEEN NINETEENTH AND TWENTIETH CENTURIES. Mutations and consistency of the barracks in fortresses along the Mincio and the Adda, from the Restoration to World War I and the relationship with the urban population. 1 - Introduzione È ben noto che all’atto della rotta di Caporetto quando l’esercito italiano, che aveva trovato il coraggio, la volontà e l’efficienza di resistere all’invasione delle truppe AustroUngariche e tedesche arrestando eroicamente l’invasione del nemico, le truppe italiane disorganizzate e sbandate vennero riorganizzate secondo la loro efficienza in due nuclei: i corpi d’armata VI, XXV, XXVIII e XXX vennero riposizionati a “Lonigo”, i corpi d’armata II, XII e XIV a “Borgo S. Donino”. Il riordinamento di sbandati, di armi e di reparti nelle località di Castelfranco Emilia, Mirandola, Sassuolo, Guastalla, sulla sponda emiliana del fiume Po che garantiva con Piacenza un’importante attrezzatura logistica, nonché assai efficaci collegamenti via d’acqua tramite il fiume Po, navigabile con il Mincio fino a Mantova, tramite la rete stradale con Mantova e con Cremona, Pizzighettone e Lodi (Giardino 1929) offrendo una efficace e adeguata disponibilità di casermaggi e di attrezzature logistiche. All’indomani della vittoria le linee di difesa della “patria” sarebbero state poi riorganizzate secondo i nuovi assetti territoriali e marittimi che erano stati ampliati ponendo problematiche diverse anche sotto il profilo della conduzione della guerra, degli armamenti e della logistica; sotto quest’ultimo aspetto si poneva il problema degli accasermamenti connessi ad esempio

alla smilitarizzazione delle difese della città di Mantova (Fontana 1989-90; Bonora-Previdi, Roncai 2008) ed alla definitiva evoluzione di Cremona, Pizzighettone e Lodi a semplice sede di accasermamento o di solo deposito. Da quel momento quindi iniziò una lenta ma percepibile azione che avrebbe avuto come prassi l’abbandono dei vecchi acquartieramenti, in generale composti da edifici cinque-seicenteschi e sovente ex religiosi soppressi a partire dalla seconda metà del secolo XVIII (pratica questa incrementata in epoca napoleonica) in alcuni casi affiancati, talora sostituiti con corpi di fabbrica più moderni. Tale scelta influenzò notevolmente la capacità delle caserme che furono oggetto di un complesso aggiornamento e vennero inquadrate all’interno di un progetto di logistica più moderno, efficiente ed adatto alle nuove esigenze della guerra alla luce di quanto emerso nel corso della Prima Guerra Mondiale appena conclusa, e con la sperimentazione di una diversa tipologia di fabbricati e di alloggiamenti per i militari più rispettosi dell’igiene della salute dei militari. A questo riguardo pare opportuno riflettere su quali fossero stati gli assetti delle caserme nei secoli precedenti, almeno nell’area lungo la linea del Mincio, dell’Adda e del Po. In questa occasione si ritiene utile iniziare dai primi decenni del secolo XVII segnalando che a Sabbioneta era stata predisposta una caserma per l’alloggiamento del presidio spagnolo, elevando questa piazza ad una delle principali piazzeforti per la difesa ai confini, in particolare del confine orientale (Cremona, Pizzighettone, Lodi, Lecco) e di quello con i Grigioni (Busechini, Sbarbati, Roncai 2010) di cui Sabbioneta doveva costituire quasi un antemurale. La conformazione di quella modesta caserma simile ad un piccolo convento con un cortile contenuto da corpi di fabbrica a vari piani disimpegnati da balconate, pare possa essere preso a prototipo di quelle caserme che per più di due secoli e mezzo sarebbero state realizzate trasformando conventi e monasteri affittati dapprima e poi requisiti all’atto delle soppressioni attuate tra Settecento ed Ottocento (Descrizione del quartiere della Camera di Sab.ta, in Archivio di Stato di Milano, Militare P.A., b.381, Sabbioneta). Eccetto Pizzighettone, che nel corso della seconda metà del secolo XVII e dopo l’assedio di Cremona era stata modificata, riorganizzata ed ampliata con la realizzazione di Gera, il grosso dell’accasermamento era costituito dagli edifici monastici maschili e femminili presi in affitto dal Ducato di Milano o dalle municipalità nonché da spazi e volumi di privati presi in affitto, in particolare quelli più belli, appartenenti alla nobiltà locale, come

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alloggi per gli ufficiali comandanti ai vari livelli.

prevedendo un risarcimento per l’uso di spazi e di edifici.

A questo proposito pare opportuno far presente che l’accasermamento, con le forme e gli assetti assunti nel tempo come pure con la collocazione all’interno del nucleo urbano, costituisce sia un vincolo, ma anche una significativa opportunità per definire ed influenzare il rapporto dei militari con la società civile ed in generale anche con quella religiosa, dentro e fuori le mura durante il periodo storico sopra citato. Per comprendere la base culturale di questo rapporto pare utile partire dalla comprensione della teoria e della pratica della Guerra, rilevando e considerando l’accasermamento e la caserma nei primi decenni del Novecento all’epoca della Prima Guerra Mondiale. Da questo punto di vista assume un interesse particolare quanto il generale Luigi Zuccari già comandante dalla scuola di guerra nei primi anni del secolo XX, aveva elaborato definendo cosa fosse in generale la “Logistica” da un lato e dall’altro come la caserma rientrasse nella logistica ed influenzasse i rapporti con le diverse partizioni dell’esercito (Roncai, Baio, 2011). Egli negava che la logistica potesse essere una sola, e tale convinzione era stata accolta dalle più alte autorità militari, e per questo inserita nella dispensa editata per la scuola di guerra nell’anno Accademico 1934-35, costituendo un riferimento teorico che all’epoca molte nazioni Europee non solo non avevano, ma addirittura negavano. «Infatti la logistica, considerata come ramo a sé dell’arte militare, fu sempre discussa e non tutti gli scrittori le attribuirono gli stessi compiti ed obiettivi. Per questo, per tale indeterminatezza, che da sempre emerge dalle definizioni e dalle idee espresse dagli scrittori militari che della logistica hanno trattato, rispetto agli oggetti e finalità dell’organica, della tattica e della strategia, la logistica venne considerata a sé soltanto dalla scuola italiana salvo un aggiornamento di pensiero negli anni seguenti» (Scuola di Guerra, Anno Scolastico 1935-36, pp. 1-7).

2 - Gli alloggi militari Un problema che diviene piuttosto grave a partire dal Seicento, è dato costituito dalla carenza di caserme, che comunque cominciano a sorgere come tali solo nella seconda metà del secolo, al presentarsi di nuove esigenze logistiche, amministrative, disciplinari, militari e per l’aumento della dimensione numerica degli eserciti. In ogni caso, i soldati continuano come nei secoli precedenti, ad alloggiare presso i civili. È opportuno far notare che quando non combatte il soldato risiede in alloggi il cui fornitore percepisce un’indennità militare, sotto forma di pagamento. Il soldato paga il proprio vitto e quello dei suoi familiari, se sposato o con prole, inoltre è ben nota la difficoltà del soldato a mantenere sé stesso e la famiglia. Quando non sono direttamente impegnati sul campo di battaglia o nelle esercitazioni, essi cercano di arrotondare i lori stipendi aiutando i contadini nelle loro attività o scegliendo mansioni artigianali, talvolta a discapito delle corporazioni cittadine. A questo proposito è stato indagato il caso di Cremona: nel 1600 l’acquartieramento in città è ben organizzato, infatti nel dicembre dl 1616 viene stipulata una convenzione che stabilisce le norme da seguire in caso di alloggiamenti straordinari, ordinari e per truppe in transito (Rizzo 1987; Cutillo 1995-96; Bellano, Zanoni 1995-96). Nell’eventualità di alloggiamenti straordinari la città poteva accogliere fino a 3000 razioni di fanteria o 1000 di cavalleria, più costosa a causa del mantenimento di cavalli, mentre il contado poteva ospitare fino a 1000 razioni di fanteria. Gli alloggiamenti ordinari in città constavano di 2400 razioni, mentre il contado doveva mettere a disposizione gli alloggi per due compagnie di cavalleria. Le truppe in transito, infine, potevano disporre di vitto o alloggio forniti dagli abitanti, o dai deputati agli alloggiamenti, qualora i primi non potessero occuparsene. La convenzione stabiliva una commissione per giudicare le abitazioni più adatte all’alloggio delle truppe e per controllare i disordini che spesso si verificavano tra civili e militari; oltre a Cremona, la convenzione si estendeva anche a Sesto, Paderno, Soresina, Casalbuttano e a numerosi altri paesi lombardi. La situazione in quest’area nel secolo successivo per molti aspetti fu più difficile anche per i problemi legati al sostentamento dei militari ed alla loro necessità di lavorare per guadagnare soldi per sé e per i famigliari al seguito.

L’accasermamento delle truppe appare nei secoli assai eterogeneo come assetto sia che avvenga entro sia fuori i nuclei urbani, in particolare in occasione degli assedi di città. Infatti gli eserciti, privi di una “logistica” come quella attuale, trovavano la “sussistenza” e quindi anche il ricovero, o con altra parola l’alloggiamento, in forme e “location” assai eterogenee con accampamenti temporanei in campagna, negli edifici sparsi nelle campagne, nelle residenze private, nei conventi e monasteri, nelle chiese, occupando spazi più o meno contrattati con le autorità locali e con i privati. Alle soglie del secolo XVII, nella lunga fase della conduzione e dell’affinamento della guerra attraverso l’uso di armi da fuoco nonché con la lenta trasformazione della difesa degli Stati della modalità “a zona” a quella “ai confini” si manifesta l’esigenza, in particolare nelle città dotate di mura trasformate in cinte bastionate assettate a Piazzeforti stabilmente presidiate e disponibili ad accogliere cospicui corpi militari in transito, di dotarsi di accasermamenti stabili o comunque di norme che consentissero la presenza temporanea di militari

Già nei secoli precedenti Cremona era stata la seconda piazzaforte dello Stato milanese e la sua importanza era indubbia, soprattutto per la ricchezza e le risorse del suo territorio; con il Settecento questo ruolo venne riconfermato e potenziato e anche se con le drammatiche vicende economiche, militari e le epidemie la situazione era profondamente mutata (Dell’Era, Vaiani 1993-94). Ovviamente il problema più importante causato da questa

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nuova situazione, era l’alloggiamento dei soldati stanziati in città: infatti era necessario trovare edifici dove poter collocare le truppe. Poiché gli eserciti nei loro spostamenti si portavano appresso i propri feriti le cose si complicavano ulteriormente: non esistendo una regolamentazione precisa, ed essendo i reggimenti dislocati un po’ dovunque vi fosse posto, gli ospedali militari si collocavano in luoghi diversi rispetto all’alloggio del reggimento di appartenenza. Inoltre l’esercito non era composto esclusivamente da soldati, ma anche dalle loro famiglie; e altri individui che poco avevano a che fare con la disciplina militare. Le famiglie che seguivano i militari trovavano posto all’interno della stessa caserma dove erano collocati i famigliari e, anche se si erano tentati sforzi per dividere gli scapoli dagli ammogliati, la vita della comunità era altamente promiscua. Questa situazione era ulteriormente amplificata dal fatto che spesso lo spazio a disposizione delle caserme era esiguo rispetto al numero dei militari, i quali quindi dovevano vivere gomito a gomito: ad esempio, per far stare più letti nello stesso locale, si disponevano questi l’uno attaccato all’altro, e in ogni letto poi trovavano posto non meno di due persone. La promiscuità di questi luoghi era determinata anche dalla possibilità per i civili di entrare e uscire liberamente dalle caserme. I militari sovente intrattenevano diversi commerci con gli abitanti della città consistenti in acquisti di vino, pane e alimenti in genere, ma anche noleggio di attrezzi come zappe, carriole, badili, carri ed animali da trasporto. Quindi la zona militare tendeva ad avere contorni che sfumavano in vario modo in quella civile, e questo era accentuato anche dalla possibilità dell’alloggiamento in case civili o in albergo. I militari infatti avevano la possibilità di alloggiare anche in luoghi diversi della caserma: se, ad esempio, un soldato si trovava di stanza nella sua città d’origine poteva benissimo stabilirsi nella sua abitazione, presentandosi la mattina al proprio reggimento e rientrando a casa la sera. Era concesso anche alloggiare in locande, alberghi e osterie se in città non vi era posto nelle caserme, sovente però la scelta di alloggiare in locande era a discrezione dei singoli soldati che abbandonavano in massa i locali militari preferendo quelli delle locande. Un secondo ordine di problemi era determinato dalla necessità di dover collocare in ogni città i magazzeni che dovevano contenere le vivande, le masserizie e i foraggi. Si può quindi facilmente immaginare come l’urbanistica della città e la sua società civile potessero essere interessate da queste imponenti presenze immobiliari. Come già sopra descritto le caserme non erano quindi luoghi esclusivamente militari e tanto meno erano istituzioni regolate da rigide normative; infatti potevano essere trasferiti in diverse parti della città in base alle esigenze del momento, il periodo di guerra o di pace influenzava il numero ed il tempo di permanenza dei militari. I comandanti poi auspicavano il raggruppamento secondo l’appartenenza ad un singolo reggimento, per questo diveniva urgente ed importante

recuperare edifici abbastanza ampi per potervi accasermare tutti i militari. La scelta di detti edifici non solo doveva tener conto della distanza dai luoghi militarmente strategici della città che erano in generale le porte, il castello con la sua piazza, i magazzini ecc. ma doveva rispondere anche all’esigenza di permettere un maggior controllo sui militari per contrastare il fenomeno della diserzione, e di consentire ai responsabili del governo delle comunità una buona convivenza con la popolazione residente. Alla fine del secolo XVII come già accennato, a causa delle guerre e delle pestilenze, la popolazione si ridusse drasticamente come ben noto in tutta la Lombardia, ma con percentuali assai diverse nei vari territori: a Cremona fu particolarmente alta e per questo motivo la città nel Settecento si doveva presentare con molti spazi vuoti, immobili disabitati o sotto utilizzati, per cui non pare ci siano state grandi difficoltà nell’affittanza di immobili o di parte di essi con l’opportunità di poter alloggiare un reggimento in ciascun edificio, in particolare in quelli di proprietà religiosa, ivi compresi i palazzi nobiliari. La qualità degli immobili però pare essere stata assai modesta, se non con qualche eccezione, nonché carente e pericolosa sotto il profilo igienico e strutturalmente fatiscente. Al numero degli edifici privati già utilizzati come caserme in affitto si aggiunsero con le soppressioni ecclesiastiche attuate da Giuseppe II anche di conventi e monasteri alcune parti dei quali erano già state talora affittate nei decenni precedenti. In questa epoca si resero necessari altri spazi ed immobili da destinare a depositi di armamenti, di viveri e stalle per animali, quando questi non venivano alloggiati ai piani superiori degli immobili come è documentato a Cremona per i cavalli (Bellano, Zanoni 1995-96). Tutto questo patrimonio di immobili aventi utilizzi diversi dall’accasermamento venne in qualche modo attivato in aree il più possibile decentrate rispetto al nucleo urbano residenziale ed in prossimità tra di loro anche per consentire una migliore gestione ed un maggior controllo dei militari oltre che per facilitare e semplificare l’accesso ai punti nevralgici degli apprestamenti difensivi in caso di guerra. Queste linee di indirizzo nella gestione della logistica vennero attuate ad esempio non solo a Lodi, ma in generale anche in altre aree e regioni dell’Alta Italia (Vismara Chiappa 1980; Menghi 1985; Novati 1996-97; Manzelli 1991; Cova 1963). In Lombardia, sin dai primi anni del secolo, l’amministrazione militare venne disciplinata dal regolamento militare emanato da Eugenio di Savoia, che nel 1707 istituisce un’unica cassa militare generale, gestita amministrativamente dal Commissario generale dello Stato, e dipendente dal Governatore e Capitano generale dello Stato di Milano. In questa amministrazione il Commissario generale aveva molte incombenze: spediva gli ordini di pagamento dei Generali, Ufficiali e soldati al tesoriere della cassa generale militare, assisteva alle riviste dei reggimenti per meglio controllarli e infine decideva gli alloggiamenti, le marce e il transito delle truppe

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nel territorio Stato di Milano. Per svolgere al meglio queste mansioni il Commissario generale si avvaleva di collaboratori tra cui segretari, delegati, ufficiali luogo tenenti e commissari. Questa organizzazione introdusse criteri di efficienza che consentirono di ottenere una valida ed efficiente gestione anche economica della logistica. A partire dalla seconda metà del Settecento sulla spinta della riforma teresiana dello Stato e con l’abolizione della feudalità si avvertì la volontà di rinnovare anche l’apparato militare austriaco, con la realizzazione del Consiglio aulico di guerra, che divenne uno degli organi amministrativi più efficienti e, questo slancio innovativo venne esteso anche alle provincie della Lombardia. A questo proposito nel gennaio del 1758 il Consiglio aulico di guerra emanò il Regolamento riguardante la competenza dello stato generale delle diverse cariche militari, ad esempio tutti i generali beneficiarono dello stesso trattamento economico, purché in servizio. Queste disposizioni furono i primi passi volti alla costituzione di una classe militare, dotata di prerogative e privilegi peculiari, riconosciuti dallo Stato con validità in tutti i territori della monarchia asburgica. Poiché questo regolamento razionalizzava la struttura militare, durante gli anni Sessanta del secolo XVIII si ottenne la riduzione delle spese ed il numero dei militari stanziati nel territorio lombardo.

del Regno di Italia, il problema dell’alloggio delle truppe divenne più evidente anche per le quantità e pertanto si assistette ad un utilizzo maggiore di edifici religiosi precedentemente acquisiti mediante la soppressione degli ordini religiosi che ne erano proprietari, e pure di immobili di dimensione modesta esistenti o requisiti in quegli anni nell’intero territorio anche rurale. Sotto questo aspetto un esempio ben noto anche per la sistematicità degli interventi è costituito dalla capitale del Regno d’Italia Milano che arrivò ad ospitare anche 50.000 militari con funzione non solamente militare. (Adami 1928; Patetta 1980; Collarini 1984). Questa politica portò non solo ad interventi migliorativi di diversi edifici già utilizzati come caserme che sarebbe culminato con la sistemazione del castello ma in particolare venne progettato un nuovo edificio sull’area della basilica di San Francesco in piazza S. Ambrogio secondo moduli distributivi e volumetrici mutuati dalle norme del Genio Militare Francese e destinato all’alloggio del corpo dei Veliti Reali (Roncai 2003). L’opera progettata da Luigi Voghera sotto la direzione del Colonnello Rossi capo della logistica militare, che non poté essere terminata alla caduta di Napoleone ma solo diversi decenni dopo, costituì un esempio di caserma moderna per l’epoca che avrebbe influenzato ancora all’epoca dell’Unità dell’Italia ad esempio la caserma a Voghera (Mentasti, Ollino 199394).

3 - I quartieri militari Nel quadro del “Riformismo Teresiano” del Settecento la caserma non si identificava ancora con un luogo a destinazione esclusivamente militare e regolato da precise normative, tuttavia, si assistette a diversi tentativi di riforma delle istituzioni militari che tendevano a realizzare la specializzazione delle infrastrutture ed alla formazione di corpi diversi. Comincia ad apparire evidente ai governanti ed ai generali la necessità di disporre di casermaggi con criteri nuovi nonché capienti per accogliere il numero dei militari che aumentava sempre più per soddisfare le complessità della nuova guerra; questa esigenza venne acuita anche dal bisogno di raggruppare gli uomini onde meglio controllarli. Le truppe che alloggiavano in case private sparse nella città creavano infatti gravi problemi di efficienza e in particolare legati alla reperibilità e prontezza nella ricostruzione dei reparti che costituivano in questa epoca una opportunità importante per combattere il nemico. Se questi furono gli indirizzi e le problematiche dei governanti e dei militari imperiali che avviarono la costruzione di un esercito organizzato efficiente e preparato, la tendenza all’organizzazione delle truppe venne definitivamente attuata con l’arrivo in Italia degli eserciti Francesi (si segnala per meglio documentare la dimensione e l’importanza della evoluzione organizzativa dell’esercito di Napoleone Le guide des sous officiciers de l’infanterie francaise. Sixieme edition, Paris, Cordier 1814. Desidero ringraziare P. Allevi per la segnalazione e la consultazione di questa guida).

Nel periodo della restaurazione il governo AustroUngarico non solo riutilizzò l’intero patrimonio ma affidò all’Ingegnere Giovanni Voghera nella veste di ingegnere del Genio di Milano l’incarico di completare la caserma dei Veliti, facilitato nel compito dall’essere il fratello dell’originario progettista (Roncai 2002). La ventata di rinnovamento almeno funzionale degli acquartieramenti venne estesa a tutto il territorio del Regno d’Italia e come tale investì la piazzaforte di Lodi che riassunse nel periodo napoleonico il ruolo già ricoperto nel corso del dominio spagnolo del Ducato di Milano, cioè cardine della linea difesa ai confini verso l’Est ed al contempo di antemurale della Capitale Milano. La politica di acquisizione dei patrimoni appartenenti alle congregazioni religiose fu assai grande dimensionalmente e provocò anche in Lodi una importante e drastica mutazione d’uso tale da alterare il paesaggio urbano. Se per molti edifici conventuali l’acquisto da parte di privati, che non indugiarono a procedere a grosse demolizioni o a frammentazioni di proprietà, per questo alterò l’immagine delle vie e della qualità degli spazi cittadini, un discorso diverso va invece fatto per le strutture destinate ad uso pubblico, per le quali la riconversione funzionale fu in genere caratterizzata per la pubblica amministrazione da una politica edilizia meno distruttiva di quella privata, ed almeno parzialmente in sintonia con i predecessori austriaci, organizzando un efficiente complesso di pubblici servizi, sostitutivo di quelle funzioni in precedenza quasi esclusivamente a carico delle congregazioni religiose.

In Lombardia, nel periodo della Repubblica Cisalpina e

A questo proposito anche gli impianti militari, in una sorta

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di inusitata complementarietà organizzativa, svolsero un ruolo decisivo visto che al di là delle imprescindibili necessità delle truppe, furono spesso in grado di assicurare servizi ai civili. Accanto a caserme, cavallerizze e scuderie per i soldati e magazzini per le scorte dell’esercito, le armate francesi allestirono ad esempio imponenti strutture ospedaliere ed attrezzati impianti per la produzione del pane. Questi apprestamenti, assolutamente indispensabili ma talvolta insufficienti durante le campagne di guerra, costituivano invece un utile supporto alle strutture civili in periodi relativamente più tranquilli, tanto da rimanere legati a questa funzione anche dopo la fine del periodo napoleonico (Ferrario, Mariani 1989-90). Come è emerso dall’interpretazione dei documenti raccolti, un rilevante supporto tecnico per i diversi interventi edilizi di questo periodo fu fornito proprio dal Genio Militare francese di cui facevano parte ufficiali specializzati come il già citato Colonnello Rossi che, in collaborazione con ingegneri e capomastri locali, realizzarono precisi rilievi di molti dei complessi edilizi cittadini. Questo materiale iconografico, corredato a volte dalle indicazioni sui lavori da compiersi o da minuziosi inventari dei beni mobili, costituisce un prezioso supporto al materiale documentario. Il sistema delle installazioni militari alla vigilia dell’Unità d’Italia venne a costituire un importante elemento di continuità tra il ventennio napoleonico ed il periodo successivo, tanto che la funzione militare rimase per tutta la prima metà del XIX secolo una delle più importanti della città. In effetti dopo la caduta di Napoleone nel 1814, l’Austria tornò a presidiare il territorio ristabilendo il precedente sistema amministrativo e destinando agli apparati militari una rilevante quantità di locali cittadini, in gran parte chiese e conventi che le importanti soppressioni napoleoniche attuate nei confronti degli ordini religiosi, avevano destinato ad uso dell’esercito. Come si è già evidenziato, il riuso degli edifici conventuali e monastici era avvenuto per semplice sostituzione funzionale, mentre ne era rimasto sostanzialmente invariato l’impianto architettonico di base. Le proprietà ex religiose sopra citate erano costruite infatti secondo schemi tipologici identificabili essenzialmente in una struttura edilizia dotata di grandi spazi comuni ed un’ampia corte centrale, che ben si adattava alle esigenze degli apprestamenti militari; anche la sovrapposizione di stanziamenti militari a strutture preesistenti, dunque già inserite nel tessuto urbano secondo una logica strategica estranea alla loro nuova funzione, aveva altresì consentito di escludere l’ipotesi di un preciso ed evidente disegno strategico o di un reale progetto di controllo sociale nella dislocazione delle caserme. Il caso di Lodi costituisce un esempio importante per documentare il fenomeno della riorganizzazione dell’alloggiamento dei militari e del rapporto che questo tipo di architettura militare avrebbe assunto con il tessuto urbano. Dopo un vuoto documentario di circa quindici anni dal cambio di regime fu proprio questo spazio ad essere coinvolto nell’ampio progetto comunale che prevedeva il

riordino di tutte le strutture di pubblica utilità della città. Infatti l’area della SS. Trinità alla fine degli anni Trenta era stata indicata come la sede più opportuna per una grande caserma che il Comune aveva pensato di realizzare in sostituzione dei più fatiscenti acquartieramenti cittadini, la cui progettazione avvenne in ben quattro anni. Questa imponente architettura, studiata per alloggiare un migliaio di soldati e quattrocento cavalli, doveva risultare una struttura confortevole, salubre ed ariosa per i militari, senza nuocere al commercio ed alla visibilità cittadina; indispensabili a questo proposito risultavano pertanto una posizione piuttosto defilata rispetto alla città ed un’ampia disponibilità di spazio al contorno, caratteristiche che di certo non mancavano al quartiere della SS. Trinità, soprattutto in considerazione della prevista demolizione delle caserme Santissima e Quartierone. Nel suo insieme l’edificio era di forma rettangolare con il lato principale di 95 metri e quello laterale di 56 metri, l’altezza di quasi 19 metri, mentre lo spazio abitabile dei rispettivi piani era di metri 6,4 quello del piano terreno, di 5,9 metri per il primo e di 5,8 metri per il secondo. Secondo le intenzioni la nuova caserma avrebbe dovuto sostituire gran parte delle vecchie strutture cittadine, quasi tutte bisognose di costose riparazioni e, a causa della loro dislocazione presso le antiche chiese lodigiane, ormai inadatte a soddisfare le più moderne esigenze di efficienza delle truppe. La Congregazione Municipale però si trovò costretta per questioni economiche ad un deciso ridimensionamento della iniziativa; dopo più di 10 anni dovette far predisporre un progetto di edificio meno dispendioso riducendone la capacità a circa 200 soldati ed altrettanti cavalli. Il nuovo progetto prevedeva la demolizione di una sola delle due caserme esistenti nel luogo e avrebbe consentito di ridurre il costo ad una cifra più sostenibile. Più piccola di dimensioni e con un’altezza massima di 13 metri, questa nuova caserma era strutturata su due piani che si sviluppavano attorno ad una grande corte porticata; la disposizione degli ambienti prevedeva anche in questo caso la collocazione dei magazzini dei foraggi, le scuderie, le cucine, la fucina del maniscalco ed altri locali di servizio al piano terreno, mentre i due piani superiori erano destinati agli alloggi dei militari ai magazzini delle divise, alle sellerie ed alle latrine; nel grande cortile dovevano poi trovare posto due pozzi da cui attingere l’acqua potabile e gli abbeveratoi per i cavalli, erano previste inoltre una capiente cisterna per le acque pluviali e di una più piccola che serviva per la loro depurazione. L’area interessata dal progetto definitivo comprendeva lo spazio fino ad allora occupato dalle caserme Santissima e Quartierone nonché la cavallerizza scoperta; una volta demolite tutte queste strutture, si sarebbe dovuto realizzare la grande caserma di cavalleria e due cavallerizze scoperte posizionate rispettivamente a nord ed ad Est dell’edificio militare. Quando finalmente si trattò di dare inizio ai lavori, l’amministrazione comunale, si vide però costretta all’ennesimo rinvio; infatti nonostante l’evidente

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ridimensionamento del progetto e i quantificati possibili ricavi dalle demolizioni, si presentò in quel periodo una precarietà finanziaria della Congregazione Municipale che impedì di assicurare la liquidità necessaria all’impresa. Ancora nel 1859 la Congregazione fu sollecitata dalla Imperial Regia Delegazione Provinciale austriaca a predisporre un riassetto degli alloggiamenti militari in quanto si prevedeva di aumentare da 1.900 a 4.000 soldati il presidio cittadino. La richiesta di alloggi eccedente di oltre 2.000 posti la capacità delle strutture militari a quel tempo disponibili, fece maturare la proposta di una nuova occupazione di altre proprietà religiose (Zambarieri 1982). Per questo venne prevista la sistemazione delle chiese di S. Antonio, S. Chiara, S. Agnese, dell’Angelo Custode e dei Vespertini, nonché le case di S. Giacomo, Berlucchi, Morandoni, la casa parrocchiale della Maddalena e parte del Seminario Vescovile.

eccellenza” già alla fine del periodo napoleonico, ma tale qualifica venne ufficialmente sancita quando, regnante Maria Luigia d’Austria, la Duchessa acconsentì allo stanziamento di una sua guarnigione nel territorio piacentino, trasformando così la piazzaforte in un punto chiave del sistema difensivo asburgico contro il Piemonte (Uber 1989). Al Genio Militare austriaco venivano ceduti: le caserme del castello di S. Bernardo del Carmine, di S. Sisto, della Cittadella, delle Benedettine, di S. Bartolomeo, di S. Francesco, la scuderia Vasara, di S. Lorenzo, del S. Sepolcro, i forni di S. Giovanni, la caserma Darmstadt, di S. Agostino, e le porte della città con i locali annessi (Archivio di Stato di Piacenza, Mappe e Disegni, B.18, Inventario e stato conservativo di magazzini e caserme AUSTRIACI [1822-1848]). Il binomio Piacenza - esercito durato quindi da quasi due secoli non riguardava solamente l’area urbana ma si allargava con una più ampia cintura di apparati difensivi alle aree esterne alla piazzaforte sino ad assumere l’assetto di un campo trincerato con fortini, opere a corona, ecc. collocate in aree opportune per controllare e proteggere le direttrici di accesso all’abitato.

Mancando a tutt’oggi notizie sull’effettiva militarizzazione di questi locali, militarizzazione in ogni caso provvisoria vista la riscontrata assenza di ogni loro successiva citazione tra le strutture militari della città, si deve ritenere che non venne attuato il progetto. E’ invece stato possibile raccogliere interessanti informazioni relative ai servizi di sussistenza connessi a questo previsto aumento della guarnigione che consentono di illustrare i rapporti tra militari e struttura urbana. Dovendo infatti provvedere ad esempio a razioni di pane di gran lunga superiori a quelle che erano in grado di assicurare i panifici esistenti, la Congregazione fu costretta a ricorrere ad un massiccio sfruttamento dei prestinai civili e ad attrezzare altri sette forni provvisori, idonei per la realizzazione di questi ultimi impianti, venne preso in considerazione una porzione delle mura cittadine nei pressi del magazzino di S. Giovanni battista, a sua volta parzialmente utilizzata per la preparazione ed il raffreddamento del pane (Novati 199697; Burlini, Meazzi, Molteni 1992-93).

Con la costituzione dello Stato Unitario, questo assetto difensivo venne adattato alle esigenze difensive delle nuove Capitali Torino dapprima e Firenze poi, e l’analisi di questa evoluzione consente di individuare e spiegare anche le ragioni del mancato interesse della comunità alla riqualificazione della città secondo i servizi, gli apparati urbanistici, (vie, piazze, giardini, ecc.) coerenti alla cultura delle città nella seconda metà del XIX secolo. La riforma da parte dello Stato Maggiore dell’esercito italiano della importanza strategia e militare di Piacenza in quanto collocata sul Po, nonché sull’incrocio delle vie colleganti il nord e il sud della penisola, si attuò con l’incremento degli stanziamenti militari ed un rafforzamento di una ininterrotta cintura di forti, valli e terrapieni ecc., collegati fra di loro e con tale assetto Piacenza diveniva uno dei punti strategici fondamentali per la difesa della nuova Patria assieme a Pavia, Pizzighettone, Casale Monferrato, Alessandria e Genova (Uber 1989).

L’epilogo del 17 marzo 1861, giorno della proclamazione del Regno d’Italia, segnò l’inizio di un’epoca nella quale le trasformazioni urbane, sempre più caratterizzate da questioni fondiarie legate alla localizzazione di nuove funzioni privilegiate, avrebbero condizionato pesantemente anche l’assetto del sistema di attrezzature militari. Molto spesso le aree occupate da questa funzione diventeranno una sorta di merce di scambio per favorire gli interessi di grandi operatori fondiari. Se da una parte cominciava a farsi sentire la questione della perdita di significato della funzione militare nella città borghese, dall’altra risultava determinante la strategica localizzazione di queste stesse strutture all’interno del tessuto edilizio cittadino. Collocate infatti sulle direttrici dello sviluppo urbano che portarono ad esempio alla realizzazione delle nuove infrastrutture ferroviarie, queste aree venivano inevitabilmente a giocare un ruolo di primo piano negli interessi del capitale fondiario nel dopoguerra.

È in questo periodo che la comunità decise di accogliere un contingente militare superiore del 20% alla popolazione della città e per questo vennero resi disponibili per l’esercito gli acquartieramenti già utilizzati dagli Austriaci assieme ad altri spazi ed ambienti. Anche quando già negli anni ottanta dell’Ottocento era già parsa evidente la perdita di importanza militare di questa piazzaforte, come pure di quelle di Pavia e Pizzighettone (Cfr. ad es. per Pizzighettone: Migliorini 1990, Nani 1998-99) Piacenza per motivi di politica economica locale conserva ancora il suo “status”. Per comprendere questo fenomeno è opportuno segnalare che la comunità locale manifestò un attaccamento alla politica di aumento della militarizzazione della città spiegabile con il desiderio di garantire un tornaconto economico non solo al ceto dei possidenti ma anche ai ceti dei meno abbienti come i piccoli commercianti, gli artigiani, gli operai che consentiva buoni redditi ai primi, e occasioni di lavoro

Nel caso di Piacenza, la città divenne “militare per

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Esercito e territorio: l’accasermamento come fenomeno di trasformazione della città e del territorio negli esempi di Cremona, del quadrilatero nello specifico di Mantova, Verona, Peschiera, Legnago, e di Pizzighettone tra Ottocento e Novecento

per gli altri. Quando più tardi i danni economici provocati dalla presenza delle servitù militari si incrementarono e non furono più accompagnati dai vantaggi che avevano avvallato la decisione di incrementare la militarizzazione del territorio per la decisione dei militari di ridurre di circa il 50% le truppe stanziate (da 4349 nel 1895 a 2701 nel 1899) la politica cittadina mutò radicalmente. Purtuttavia, nonostante l’affermarsi di questa nuova situazione, gli spazi e gli edifici dismessi dalle autorità furono pochi forse per timore di cedere aree che sarebbero potute tornare utili in futuro. Volendo concludere queste brevi note relative al problema della evoluzione dell’accasermamento dal secolo XVIII, pare di poter segnalare che al termine della Prima Guerra Mondiale sia l’assetto formale e distributivo della specifica tipologia architettonica sia il rapporto tra questa ed il tessuto urbano che la accoglieva si è profondamente modificato conseguentemente alla dottrina della difesa degli stati, della difesa delle comunità locali, alla evoluzione delle armi nonché dello stato giuridico del militare e del mutato rapporto tra questo e la comunità civile. Tale evoluzione si è poi ulteriormente accelerata nei decenni successivi alla fine della Prima Guerra Mondiale; pressoché tutti tali parametri fisici architettonici ed urbanistici si annullarono poi definitivamente negli anni successivi al Secondo Conflitto Mondiale. 4 - Bibliografia - Adami V. 1928, Milano e gli alloggi militari, in Città di Milano, Rivista Municipale Mensile, N.11, 30 novembre, A. VI, Milano (estratto). - Bellano B., Zanoni A. 1995-96, Dall’acquartieramento alla caserma tra il XVII e il XIX secolo nella Lombardia Storica, Tesi di laurea, Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura, Rel. Roncai L. – Sandri M. G. - Bonora-Previdi C., Roncai L. 2008, L’Architettura: da Città Ducale a Capoluogo di Provincia, in Storia di Mantova. Le radici del presente 1792 – 1960, Romani M. A. (a cura di), Tre Lune edizioni, Mantova, pp.73-156. - Burlini S., Meazzi B., Molteni M. 1992-93, Lodi :Strategie militari delle truppe e loro posizionamento per il controllo della città dalla fine della dominazione austriaca all’arrivo di Napoleone, Ricerca per il corso di Storia della città e del territorio, prof. Roncai L., Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura. - Busechini V., Sbarbati M. L., Roncai L. 2010, Pizzighettone e Gera nel XVII secolo. Ingegneri, progetti, realizzazioni e costi, in Colmuto–Zanella G., Roncai L., Scaramellini G. (a cura di), Fortificazioni nel bacino dell’Adda, Atti del convegno, Varenna Villa Monastero, 15 ottobre 2005, Istituto Italiano dei Castelli Sezione Lombardia, Tipolitografia Polaris, Sondrio, pp. 139-160. - Collarini S. 1984, Il sistema delle attrezzature militari nelle trasformazioni urbanistiche di fine Ottocento, in Rozzi R. (a cura di), La Milano del piano Beruto (18841889); Società Urbanistica e architettura nella seconda

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New dutch Water Line: implementation leads to new questions XV

NEW DUTCH WATER LINE: IMPLEMENTATION LEADS TO NEW QUESTIONS Autore Peter Ros

Project Manager International Affairs - Project Office New Dutch Waterline

Abstract The New Dutch Waterline was a military line of defence. It was the main Dutch defence line from 1815 till 1940 to protect the western part of the Netherlands. The line was established as a protective ring approximately 85 km long and 3-5 km wide around the Dutch cities of Muiden, Utrecht, Vreeswijk and Gorinchem and consist of 53 fortresses, 5 fortified towns, 2 castles, 7 indundation fields and 1000 other small elements. Many places and buildings which belonged to the Waterlinie still are visible today. Therefore it was decided in the year 2000 to redevelopment this military line. The national government has launched the New Dutch Waterline as a National Project to coordinate the collaboration between five ministeries, five provinces, 25 municipalities and three water boards who are all involved in the project. The five concerned ministries and provinces signed an administrative agreement to develop the New Dutch Waterline together. The provinces, together with the municipalities and water boards will translate the policy at the local level. Public and private parties will also be included in the process. The entire process will continue until around 2020. The presentation will explain the success of this coorporation and shows the results after 10 years of work and a total investment of 200 million euro. The results are that 20 fortifications have different new functions like a wine shop, meeting place for businesses, weddings, B & B, housing and centres for education. Furthermore are bicycle and walking routes are developed for recreational purposes. Sommario LA NUOVA WATERLINIE OLANDESE: I RISULTATI DI 10 ANNI DI VALORIZZAZIONE La Waterlinie, ovvero Linea d’Acqua, era un sistema di difesa militare che rappresentava la principale di difesa della parte occidentale del paese tra il 1815 e 1940. La linea formava un anello protettivo di circa 85 km di lunghezza e 3-5 km di larghezza attorno alle città di Muiden, Utrecht, Vreeswijk e Gorinchem ed era costituita di 53fortezze, 5 città fortificate, 2 castelli, 7 campi allagabili e 1000 elementi minori. Molti dei luoghi e degli edifici che appartenevano alla Waterlinie sono ancora oggi visibili. Per questa ragione è stato deciso nel 2000 di valorizzare questa linea di difesa. Il governo ha avviato il progetto nazionale della nuova Waterlinie per coordinare l’azione di cinque ministeri, cinque province, 25 comuni e tre enti responsabili di zone di acqua, tutti coinvolti nel progetto. I cinque ministeri interessati e le province hanno firmato un accordo amministrativo per sviluppare insieme la Nuova Waterlinie. Le province, i comuni e gli

enti responsabili delle zone acquatiche traducono a livello locale le decisioni del governo. Il settore pubblico e i partner privati sono anche coinvolti nel processo, che durerà fino al 2020. La presentazione spiegherà il successo di questa cooperazione e mostrerà i risultati dopo 10 anni di lavoro e 220 milioni di euro di investimento, che hanno preso la forma di enoteche, luogo di incontro per le aziende, location per matrimoni, B & B, alloggi e centri per l’istruzione. Inoltre sono stati sviluppati percorsi a piedi e in bicicletta per scopi ricreativi. 1 - Introduction The New Dutch Water Line (Nieuwe Hollandse Waterlinie; www.hollandsewaterlinie.nl) is one of the remarkable lines of defence found in the Netherlands, an impressive application of a military strategy designed to protect the most densely populated part of the Netherlands, the “Randstad”, against enemies from the east in times of war. The Randstad is the conurbation of the cities of Amsterdam, Rotterdam, The Hague, and Utrecht, four important economic centres. After losing its military function, the New Dutch Water Line served as a green space in the Randstad, counterbalancing the urbanisation. It was embraced by the national spatial planning policy, with the intention of using it as an example of how to manage heritage sites in heavily urbanised areas. Heritage sites and spatial development have traditionally been poles apart. In this article, we would like to discuss particular mechanisms which have been used to protect the New Dutch Water Line heritage site against spatial development. This is merely the beginning of an offensive strategy in which alliances will be made with parties who traditionally have been unsympathetic towards the notion of preserving heritage sites. 2 - Introduction The New Dutch Water Line was a line of military defence stretching from the former Zuiderzee (South Sea) at Muiden to the Biesbosch wetlands in the southwest. The Line formed a protective ring around the cities in the important north-western provinces, and was approximately 85 kilometres long and three to five kilometres wide. It was an impressive application of a military strategy designed to defend the cities of Amsterdam, Rotterdam, The Hague, and Utrecht against enemies from the east in times of war. The defensive weapon of the New Dutch Water Line was the water itself. Ten “basins” could be filled with

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water thanks to an ingenious water management system of sluices, inundation canals, and existing waterways and dams. These areas formed natural depressions in the landscape. In addition, good use was made of the natural variations in the landscape. A seemingly shallow layer of water, on average only 40 cm deep, was sufficient to make the area treacherously impassable for people, vehicles or horses. At the same time it was too shallow to be navigated by boat. The Water Line could be completely flooded in just under three weeks. At the weak points, which were often situated higher, several casemates and group shelters and a total of fifty forts were erected. Additionally the Line consists of five fortified towns, Muiden, Weesp, Naarden, Gorinchem, and Woudrichem.

flooded for too long over too large an area. Those living in the flooded areas were understandably dissatisfied with the inundations. Certainly when salt water from the Zuiderzee was used, the farmland was unusable for long periods afterwards. The locals often tried to sabotage the inundations or bribe the soldiers. The decision was therefore taken to execute the inundations in a more controlled fashion and to better protect the places where the water was let in. Sluices were created at various places, temporary structures were rebuilt into permanent fortifications, and at Nieuwpoort the inundation sluice was even built under the city hall to protect it from angry farmers. Napoleon first initiated extending the existing “old” Dutch Water Line to the east, creating the “New” Dutch Water Line. This resulted in the city of Utrecht being enclosed within the line. Cornelis Kraijenhoff, a doctor and patriot with a great interest in the military, played an important part in this. Kraijenhoff showed Napoleon around the line and was part of the committee to which Napoleon gave the order to draw up the plans. After Napoleon was overthrown, it was Kraijenhoff who once more proposed the plans for improving the Water Line.

The New Dutch Water Line had a permanent garrison of approximately 12,000 men. In times of international tension, the garrison was increased by 6,000 men. During threat of war, the Line was brought up to “organic strength”. This meant that 33,000 to 36,000 men were quartered there. In order to have an unobstructed field of fire in the Line in times of war, the area surrounding each of the defences was divided into circular zones measuring three hundred, six hundred, and one thousand metres in radius. These were known as the “Verboden Kringen wet,” or Law of Forbidden Circles, 1853. There were various building and farming regulations within these zones. For example, within the three-hundred metre circle, only wooden houses could be built. In the event of war, all obstacles within the three circles, such as houses, other buildings and trees, could be demolished or burned, without exception.

In the nineteenth century, the Water Line was further perfected and transformed into an optimal inundation system. The large floodable areas on both banks of the river Lek were reduced to a breadth of just a few kilometres. In order to better defend Utrecht, a new ring of forts was erected around the city to protect the areas that were situated too high to be inundated. The invention of new sorts of artillery and grenades led to many adaptations and changes in the Water Line, often at great expense. When converted to modern figures, the amount of money invested in the New Dutch Water Line between 1815 and 1940 is equivalent to tens of billions of euros. This makes it probably the largest infrastructural activity in the Netherlands. Although it has been put in a state of defence three times, the Line has never truly had the opportunity to show its defensive capabilities. The New Dutch Water Line finally lost its military function in 1963.

2.1 - From Old to New Dutch Water Line With the signing of the Union of Utrecht in 1579 and the consequent formation of the Dutch Republic, the provinces of North and South Holland and Utrecht began to pursue a common defence policy. While up to this point only isolated local use had been made of water as a means of defence, from here on plans were made for a genuine line of defence. The intention was to make the best possible use of the geographic conditions in order to defend the largest possible area. A floodable strip of land was selected, located between Muiden and the river Lek, the Old Dutch Water Line. In 1672, known in Dutch history as the “disaster year,” the line was brought into full use in connection with the invasion of the country by French troops, and large parts of the country were placed under water. Despite the heavy frost which resulted in the line being passable in places, it held out as a defence. This was instrumental in the Republic’s ability to survive the Year of Disasters.

2.2 - The end of the military function After the Second World War, the Water Line lost its military function as a result of modern tactical developments and a changing view of safety. The Water Line became forgotten. At that time owned by the Ministry of Defence, the various portions of the Line, isolated and hidden from view, received almost no attention. The forts were secluded and almost invisible from the public roads. Very few people knew anything about the original purpose of the forts. Gradually, however, various initiatives arose with the intention of respecting both the physical remnants and the history of the Dutch Water Line. In the 1990s, the awareness of the importance of maintaining and improving this extraordinary cultural and historical monument materialised in political spheres.

After the French withdrew in 1673, the States of Holland decide to make the line more durable and permanent. Up to that point, the wartime inundations had been improvised rather than systematic, by cutting through dikes and raising bulwarks. This resulted in too many polders remaining

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New dutch Water Line: implementation leads to new questions

3 - From vision to implementation The New Dutch Water Line has now become a deep military secret where a very modern battle is taking place: a feverish conflict of interests in the fight for space. The New Dutch Water Line is part of the national legacy. By using the past to gain inspiration for the future, we also gain meaning, beauty, and a cohesive landscape. The issues of spatial planning in the centre of the Netherlands can be interpreted as a cultural project. The alliance between cultural history and spatial planning offers unexpected opportunities. 3.1 - National project In 1999, government leaders from the Dutch Ministries of Culture, Housing & Environment, Agriculture, and Transport published the “Nota Belvedere”. The purpose of this policy document was to take cultural history into account during land-use planning in the Netherlands. Cultural history is used here as a collective term for archaeology, monuments, and historical geography. “Preservation through development” is the Nota Belvedere’s motto. Cultural history should provide a source of inspiration for spatial development. As an example of how cultural history can be integrated into spatial design, the government has launched the New Dutch Water Line Project. The Water Line was chosen because of the complex spatial and administrative task of collaborating between five ministries, five provinces, 25 municipalities and five water board districts. In 2008, these different parties signed an administrative agreement, known as the “Rijnauwen Pact,” with the purpose of developing the New Dutch Water Line. This was so that the plans could be executed quickly. The provinces, together with the municipalities and water board districts, are to transfer the national policy to the local level. Public and private parties will also be included in the process. The entire process will continue until around 2020. 3.2 - The vision In 2002, the New Dutch Water Line Project Office created a spatial vision, “Panorama Krayenhoff,” named after the original designer of the Water Line. This vision was implemented in the National Spatial Strategy. This policy document designated the Water Line as one of the twenty National Landscapes and it became part of the spatial superstructure of the Netherlands. The Panorama Krayenhoff Line Perspective describes the protection and development of the historical landscape of the Water Line. The goal of this jointly implemented vision document is to determine a common spatial policy for the entire Line and to give impetus to the establishment of spatial planning on a provincial level. This calls for a variety of measures. As far as safeguarding monuments and limiting spatial planning are concerned, much can be accomplished. But in many cases it is also possible to alter the spatial changes, either planned or arising independently, around the Water Line, such that they support and embody the characteristics of the

Water Line (the “Water Line profile”). This characteristic Water Line profile is typified by the following main points: - Accentuating the main military line of defence. - Keeping the former inundation plains and fields of fire open. - Expanding and developing the area to the west of the main line of defence. - The west side of the Line has traditionally been characterised by density of population, and the east side by openness. - After all, the area to the west of the main line of defence was the area to be defended, where it was safe to live. It was necessary that the area to the east remain open in order to be able to see the enemy’s approach. 3.3 - Ambition The confrontation between on the one hand the Line’s essential characteristics, and on the other hand spatial development, takes place on many levels. The ambition in all of these confrontations must be to regard the Line as the basis for spatial development. If the Water Line is seen as an issue of sectorial interest, it will compete with every other spatial and programmatic demand in a particular area. This could result in the Line being seen as an inconvenience. If the Water Line is seen as an integral design project, it acquires a different perspective. The Line suddenly becomes a powerful underpinning feature within the area. A unity is created which determines identity across provincial boundaries. This cultural-historical quality can be successfully expressed by using the basic structure of the Line as a foundation for prioritising and developing spatial usage in the Central Netherlands region. The presence of a structural element of this sort already distinguishes the Randstad from other conurbations. Preserving and strengthening this structural element will be of conclusive importance in the future in terms of recreation, tourism, and international junctions policy. 3.4 - Implementation With the establishment of Panorama Krayenhoff, the Project is concentrating on formulating a programme of development which will guide implementation. The Line Perspective is after all in the visionary stage, and is not yet a fully developed organisational plan. The implementation is arranged into seven project portfolios directed towards regions and one national portfolio. Each of the portfolios covers a large number of projects which are related in terms of design, implementation and exploitation. Portfolio committees for the individual regions have already been established and will set up their own implementation programmes on the basis of a mutually determined directive. The challenge at present is to forge the implementation programmes of the various portfolios into one goal for the entire Line. 3.5 - Listed as protected heritage In September of 2009, the Minister of Culture announced

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that the New Dutch Water Line was to be placed on the list of National Monuments. The registration of the New Dutch Water Line brings us one step closer to a new approach towards protecting monuments. This approach enables the protection of not just the monument itself, but also its environment, and makes it possible to designate landscapes, canals and dikes as culturally and historically valuable. This was not an option in the past. For the Water Line this means that the portions built for military purposes will be protected as such. Besides the possibility of developing objects other than buildings as valuable, the procedures for both owners and governments have been simplified and are thus faster. At the same time, it is now easier to redesignate a monument’s use, so that forts and other monuments can be used for purposes other than those for which they were originally built.

concrete shell was placed around it at a later date. After researching the possibilities for repairing the structure, an independent bureau suggested placing dilatation joints in the concrete shell and then filling the joints with a flexible material. This controls the tension in the concrete shell and prevents the occurrence of further cracks. The ground floor of the guardhouse and the sheds were to serve as recreation and catering space in the fort’s new function. The café in the guardhouse became the central location of the grounds. The three wooden sheds were designated as recreation area and dormitory. They offer a total of 48 beds, two large conference and recreation rooms, a large kitchen and two small kitchens. No definite plans have yet been made for the metal shed. The cellar of the guardhouse, however, remained in the possession of its original residents, the bats. The climate in this space was perfect for these nocturnal animals and the decision was made to preserve this as it was.

4 - Three examples of development in the Water Line Allocating new functions to the cultural-historical elements and spatial edicts could strengthen both sides. In this framework, we will examine three projects. Each of the projects takes place at a different level. The first example describes a new use for a fort, the second example illustrates a regional approach, and the final project relates to methods by which entrepreneurs can utilise heritage sites through developing new recreational products.

On 13 July 2007, ten years after its purchase by the municipality of Utrecht, Fort aan de Klop opened its doors to the public. After just under two hundred years of existence, the grounds are open to the public. In its first season, the fort welcomed a handful of campers, a few groups staying the night, several conferences, and countless locals who came to drink coffee and tea. The bombproof café has proven to be a hit. The neighbouring districts had long felt the lack of a catering establishment with a large terrace in green surroundings.

4.1 - Example 1: Redeveloping Fort de Klop In 1997, the Municipality of Utrecht bought Fort de Klop (www.fortaandeklop.com). The municipality’s aim was “Preservation through development.” It was important that justice was done to the fort’s character, that it complement existing facilities in the area, and that it be made accessible to the public. The intention was to build a café and a small campsite and/or hostel on the grounds. Its location on the river Vecht and on footpaths and bicycle routes made the fort appealing to hikers and cyclists. The fort could also serve as a public park for the neighbouring districts of Overvecht and Zuilen. The design was as follows: The municipality would finance the necessary physical restorations, after which the developer would fund the measures necessary for redesignation. Potential developers were approached in 2001. Joost Batelaan was chosen as a suitable manager. Not until 2004 did the municipality receive the necessary financing from the province of Utrecht, the national government, and the European Union. The European subsidy was connected to a European project entitled “Crossing the Lines”. This European project resulted not only in a sum of money, but also in the exchange of technical knowledge about restoring forts.

4.2 - Example 2: Regional development of the “Lingekwartier” On 23 November 2007, the agreement of intent “Lingekwartier” was signed at Fort Asperen (www. lingekwartier.nl). This completed the first phase of a regionally-oriented approach to the forts along the river Linge. Two forts, Fort Asperen and Fort Nieuwe Steeg, form part of the 300-hectare grounds. Besides the forts, there are several hydraulic works which form part of the New Dutch Water Line. The goal is to strengthen the ability of the region to defend itself against future threats such as the construction of houses and industrial estates. This threat is not pressing at the moment, but such things can change overnight, especially in a region located so close to the Randstad and other economic centres. By taking a coordinated approach, i.e. not developing simply an individual fort or bicycle path, and by paying attention to opportunities in the market and economic vitality, it is possible to strengthen the protection of the area. The rough draft for the Lingekwartier, designed by the architect Peter van Assche of the architectural bureau SLA, is based on the Kringenwet (Law of forbidden circles, see paragraph 1). In the centremost circle between the two forts a “water line landscape” was to be laid in phases. New construction is discouraged in this area. There are fewer regulations in the outermost circle.

While the developer was being chosen, restoration began on the guardhouse and the sheds. The main obstacle to restoration was the guardhouse itself. This structure had originally been erected in stonework, and a reinforced

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New dutch Water Line: implementation leads to new questions

The two forts are the most conspicuous objects and therefore the most central objects in the plans for the Lingekwartier. Fort Asperen has a reputation for being a “culture fort” since 1984. In 2006 the British artist Peter Greenaway held the exhibition “Ark: A Flood Warning” there. Part of the plan is for Fort Nieuwesteeg to have a public purpose for the first time. It will be a so-called “geofort” with an exhibition relating to maps and navigation. This might include anything from the Blaeu atlas of 1635 to TomTom navigation systems. The intention is that both forts would act as “magnets” for regional development. A ferry connection between the two defensive works is also a possibility. In order for the Lingekwartier project to succeed, it is essential that the different parties are willing to cooperate. The Province of Gelderland, the municipalities of Lingewaal and Geldermalsen, the Water Board District of Rivierenland, and the Dutch Forestry Commission, which owns the land, are of great importance in achieving this. 4.3 - Example 3: Cooperation among entrepreneurs Along with re-using the forts, one of the aims is to develop a good atmosphere for entrepreneurs within the area of the New Dutch Water Line. It is also desirable that entrepreneurs develop products which have a strong connection to the sense of place in this region. The New Dutch Water Line is currently participating in a European Interreg IVB project, COLLABOR8 (www.collabor8.me). Within the framework of this project, entrepreneurs are stimulated to mutually cooperate and to follow high standards of quality and certain sustainability standards. Along with this, the identity of the region is promoted as a unique selling point. The entrepreneurs within the New Dutch Water Line are asked to meet the challenge of arriving at a set of principles which the Water Line as a brand will radiate. The project is a cooperation between nine partners. The leading partner is South Kerry Development Partnership, a development organisation in southwest Ireland. There are also two partners in Wales, the Brecon Beacons and the neighbouring borough of Merthyr Tydfil. In England there are two regions, the Westcountry Rivers Trust and the South Downs. There are two participating regions in Flanders, Meetjesland and Merode. The regions in the Netherlands are the municipality of Tilburg and the New Dutch Water Line. There are two reasons why the New Dutch Water Line is participating in this project. The first reason is to increase awareness of its history among entrepreneurs. This will enable them to develop a greater understanding of the landscape in which they work. That may in turn stimulate them to relate their products to the identity of the Water Line area. The second reason is that the clients of these entrepreneurs are also the visitors to the area of the New Dutch Water Line. As a result of a strong connection between products and the regional identity, visitors will be unmistakeably aware that they are in the area of the New Dutch Water Line. Stimulating entrepreneurs to mutually cooperate will bring about entrepreneurial

networks. These networks would be able to present all sorts of new and innovative combinations of products and arrangements, or product packages. One example could be a cycle rental shop which cooperates with the manager of a fort, a professional storyteller, and a restaurant in order to mutually develop a bicycle route. By means of a GPS device, children would be able to answer various Water Line quiz questions while following the route. Up to now the New Dutch Water Line has organised three clusters of entrepreneurs. Since the summer of 2009, these clusters have been actively developing new product packages which have a strong link to the forts and the landscape of the New Dutch Water Line. The clusters are comprised of entrepreneurs currently managing various forts as well as entrepreneurs not located specifically at the forts. This has led to a diverse network which includes entrepreneurs in recreation, IT businesses, event organisation bureaus, filmmakers, professional storytellers, and businesses in various other fields. It is hoped that this will lead to new products which attract the attention of a broad public and awaken their interest in the magnificent history of the New Dutch Water Line. 5 - Implementation leads to new questions The three cases described above show that projects are implemented on various levels within the New Dutch Water Line region. Each project has achieved success in its own way. Fort de Klop has increased the public accessibility of the surrounding area, the openness of the area around the river Linge has been protected by the Lingekwartier project, and entrepreneurs are working to bring the heritage of the area closer to the public. Yet it is much too early for the New Dutch Water Line Project Bureau to pat itself on the back and claim that success has been achieved. These projects also indicate that the current practice of implementation has its limits. Many questions remain unanswered. We can divide the questions into those relating to technology and those relating to social and procedural issues. This is briefly explained below. 5.1 - Technological questions Up to now the search for technological solutions has been very creative, but in many cases the solutions are specific to the project. Fort de Klop, for example, searched for a good solution to the bat problem. Space was created for this protected species to exist alongside human activities. However, this does not always occur without friction. The flora and fauna laws and the related bat question call for an accumulation of knowledge on this subject. This must be found not just in the Netherlands, but also elsewhere in Europe. This issue is one of those to be discussed at an upcoming European conference currently in preparation. Ecology is not just of importance from the point of view of legislation, but also from the point of view of its intrinsic historical value. We know too little about the original plans

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for planting the areas around the forts. Where we do have this information, it calls for an appraisal of how to take this into account when doing restoration work.

such as integration or health care? Every such connection could ultimately lead to a greater social significance of and involvement in cultural history. In terms of society, the question is how to bring about a change in people’s way of thinking. This more than anything else will determine the success of the New Dutch Water Line. No matter how much money is invested in developing the physical landscape, if people do not acknowledge and engage in the story of the Water Line, every effort will be pointless.

Fort de Klop teaches us that new kinds of uses for the Water Line also require new and innovative building methods. The knowledge gained in this way is only a beginning. The questions of construction in and around forts are very specific, and it is necessary to search for solutions on a case-by-case basis. This requires continuous technological innovation. This has to do not only with the technological execution, but also with the proper historical considerations. In other words, which time period should be presented when doing restoration work? As far as quality of design is concerned, it can be said that the designer had a large role in each of the projects discussed above. It is also possible to question whether this awareness of design is already present within the entire area of the New Dutch Water Line. To what extent is it desirable to work according to the principles of commonly created standards of design? These standards of design ought to offer guidelines for a basic cultural and historical quality of design. The Office of the Chief Government Architect and the New Dutch Water Line Quality Team both have an important role to play in this.

6 - Conclusion Despite the visibility of the early successes in implementing the New Dutch Water Line Project, we are now being confronted with the vagaries of implementation. We at the New Dutch Water Line Project Office are well aware that we do not have all the answers. We need to search for answers to technological and restoration questions, procedural questions, and social questions. This wide scope of issues demands a wide variety of people and groups able to provide answers. To achieve this, the national project must delve to the regional and local levels. Only then will the New Dutch Water Line Project Office be capable of making new and unexpected alliances with parties able to help it solve these questions.

5.2 - Social and procedural questions

7 - Bibliography & Websites

The three projects described above, particularly the Lingekwartier project, show that a process which encourages cooperation and rapport between parties is essential for successful implementation. This is true not only in terms of developing an administrative base, but also for creating a base of residents, entrepreneurs, and other local concerned parties. The latter in particular is often ignored, or only receives attention at a very late stage of planning. If the story of the Water Line is told better and more engagingly, it will be possible to generate more interest. Is it possible to utilise oral history as a technique to demonstrate how the story can be applied to new developments? Ultimately, new ideas will need to be found to connect people to all the cultural and historical beauty of the Water Line. Entrepreneurs should be stimulated to develop products which are associated with this culturalhistorical story. Ideally they should cooperate from the realisation that the Water Line can be a unique selling point and therefore can compete with surrounding regions. This is not only true for the tourism sector. There are many opportunities for entrepreneurs in the cultural sector, from performing arts to crafts. The cultural sector can contribute strongly to connecting people to the Water Line. Along with entrepreneurs, other social sectors should be involved with the Water Line. A possible example is the “Stichting Herstelling” (Recovery Foundation), which helps troubled youths get back on track. They learn skills by assisting with the restoration of various forts. This is a fantastic example of how youth community work, social reintegration, and cultural history can combine. Would it not be possible to set up these kinds of Water Line alliances with sectors

- Advies Kwaliteitsteam aan Liniecommissie over adressering enveloppen. Utrecht (2005). - De Hollandse Waterlinie- van concept naar uitvoering. Published in: Topos, May 2006. Wageningen. - De Nieuwe Hollandse Waterlinie. Matsier N., Keyzer, C. de, Schepel, S. 2001. Zwolle. - Een kloppend hart voor de buurt- de herontwikkeling van Fort Aan de Klop. Steenhuis stedebouw/landschap. 2008. - Lingekwartier – samenhang forten en omgeving. Bert Bukman. Published in: Monumenten, year 29, number 1/2, January/February 2008. - NHW: uitvoering leidt tot nieuwe kennisvragen. In: Vitruvius, tijdschrift voor erfgoed. Juni 2009. - Op zoek naar de identiteit van Asperen. Weijschedé, T.J., Mulder, J.R. Wageningen, 2007. - Panorama Krayenhoff; Linieperspectief. Stuurgroep Nationaal Project NHW, Utrecht (2004). - Sterk Water - de Hollandse waterlinie. Will, C. Utrecht (2002). - Uitvoeringsprogramma NHW – concept 2. Projectbureau NHW, Utrecht (May 2006). - Waterlijn number 24, September 2008. Newsletter of the National New Dutch Water Line Project. http://www.lingekwartier.nl/ http://www.fortaandeklop.nl/ http://www.hollandsewaterlinie.nl/ http://www.fortasperen.nl/ http://www.collabor8.me/ http://www.herstelling.nl/

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The pre-war period of the austrian fortification in Trentino - construction, technology and armament XVI

THE PRE-WAR PERIOD OF THE AUSTRIAN FORTIFICATION IN TRENTINO - CONSTRUCTION, TECHNOLOGY AND ARMAMENT Autore Willibald Rosner

Lower Austrian State Archives / Niederoesterreichisches landesarchiv, Wien

Abstract The last period of the Austrian fortification in Trentino was the attempt to create a system of barriers and forts according to an operational idea of Franz Conrad von Hoetzendorf. The Austrian Engineers Corps at this time was in a phase of professional changeover. Therefore the forts realized between 1906 and the beginning of the Great War were somehow a “work in progress”. After the introduction, my remarks are divided in four parts. The first section will deal with the conditions that Conrad found when he became Chief of Staff. The second shows Conrad’s ideas about the strategic and operative function of the Alpine area in the Southwest. The third part will present the forts of Conrad’s period and the final part concerns a few mentions about the service of the forts during the Great War. Sommario IL PERIODO PREBELLICO DELLA FORTIFICAZIONE AUSTRIACA IN TRENTINO. COSTRUZIONE, TECNOLOGIA E ARMAMENTI L’ultimo periodo della fortificazione austriaca in Trentino è stato caratterizzato dal tentativo di creare un sistema di barriere e forti secondo un’idea operativa di Franz Conrad von Hoetzendorf. Il Corpo del Genio austriaco a quest’epoca era in una fase di transizione professionale. Pertanto i forti realizzati tra il 1906 e l’inizio della Grande Guerra erano in qualche modo un “work in progress”. Dopo l’introduzione, la relazione è divisa in quattro sezioni. La prima sezione illustrerà le condizioni esistenti al momento dell’insediamento di Conrand, la seconda si soffermerà sulle idee di Conrad relativamente alla funzione strategica e operativa della zona alpina del sud-ovest. La terza parte presenterà le fortezze del periodo di Conrad e la quarta parte riguarderà il servizio dei forti durante la Grande Guerra. 1 - Introduction The subject of my comments is the fortification of a certain Alpine region in the Southeast of the Habsburg Monarchy the Trentino. That period of the Austrian fortification stood under the formative influence of the Chief of the General Staff of the Austro-Hungarian Army, Franz Freiherr Conrad von Hoetzendorf. At the beginning it is usefull to do some short remarks on the intellectual conditions of his conception. My comments will not discuss the reasons why Conrad developed his known and sometimes obsessive attitude towards the Kingdom of Italy at great length. Anyway it’s necessary to mention that it’s the duty

of a Chief of the General Staff to consider all possible cases of military conflicts which may occur and to present appropriate military (!) solutions in order to master them (Rosner 2007, pp. 105-108). Conrad wasn’t a politician, und from that point of view his thoughts were charged with emotions generated by the experiences he made during his service as the commanding officer of the territorial commands in Trieste and in Tyrol. His generation of Austrian officers grew up under the intense impression of the massive loss of territory in Northern Italy (Rosner 1987, pp. 143-144). They learned from their predecessors, that the wars of 1859 and 1866 were lost even though the Austrian Army had won all battles against the Italian Reign. Without foreign help - France and Prussia - Italy never would have been victorious. So those officers generation had an intense feeling for revenge as well as they thought to be superior to Italy. On the other side it’s important to mention, that Conrad’s generation for decades was waiting for the final and decisive war with Russia. That War was considered to be unavoidable since the early Eighties of the century as it was clear that this war may cost the Austrian Empires existence. Otherwise Conrad’s considerations as those of all leading European soldiers of the 19th century were strongly influenced by the idea, that campaigns can only be successfully mastered if the operations are guided in a strictly offensive way. Therefore we have to keep in mind that the education of the Austrian officers as well was revolving around offensive solutions for every possible tactical or operational situation. That fact applied especially for the training officers of the general staff (Kronenbitter 2003, p. 99). It is reported for example, that officers failed at staff academy examinations, if they offer defensive solutions. On the other hand we have to recognize, that fortification is a static element of warfare and the purpose of terrain reinforcement is a defensive one. The Austrian Engineers Corps knew that very well. Their aim was to build up fortifications and fortresses which were appropriate for many cases, but mainly to secure regions with a defensive intention. Medias in res now. My remarks are divided in three parts. The first section will deal with the conditions that Conrad found when he became Chief of Staff. The second shows Conrad’s ideas about the strategic and operative function of the Alpine area in the Southwest. The third part will present the forts of Conrad’s period and the final part concerns a few mentions about the service of the forts during the Great War.

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2 - The conditions

The system wasn’t without gaps. Above all the area of the south-eastern Dolomites and the area of Cortina d’Ampezzo remained without any fortifications. From the West to the East the first fort of that new type was Corno in the Giudicarie. It was a solitaire but used the old barrier Lardaro as a fortified valley position. The next was the so called Mittelbatterie on Riva’s Monte Brione. It was a single work as well, armed only with canons and built up on a special place. The next two forts belonged to the southern front of the fortress of Trento: Romagnano and Matarello were symmetrically constructed und regulary equipped forts. Such likewise was the couple of the barrier Tenna: the forts Tenna and Colle delle Benne on the Eastern front of the fortress Trento (pic. 1).

The Alpine Front against Italy passed a certain development which is influenced by the political history as well as by the military resources and possibilities. 1859 brought the loss of Lombardia. Southern Tyrol (I use that term always including the Trentino because that’s corresponding with the contemporary realities. Nota bene: This is not a political or ideological statement!) got a new border in the west. Since 1815 the Tyrol had been an interior province and there had been no necessity to protect its southern borders by fortifications. Until 1866 in a sometimes hectic way Austria built a lot of new forts in the Quadrilatero as well as on the Western Frontier - on Stelvio and Tonale, in the Guidicarie, in Riva and on the western front of Trento (Rosner 2007, pp. 35-38). It was in vain, as we know. 1866 the Venetian Province too was to be ceded to the Appenine Kingdom. The peace treaty between Austria and Italy produced a long and difficult new border, and it made Southern Tyrol an endangered eccentric surrounded by Italian territory. On the other hand Italy too had the problem that the Venetian plain had a delicate geographic situation, because it could be cut off by an attack from the Southern Tyrol. The saliente trentino was a problem for both of the adversaries as well.

As already mentioned the south-eastern Dolomites got no fortifications because the possible solutions turned out to be very expensive and questionable from a military point of view as well. So the next fortified place was the barrier of Paneveggio behind the Passo Rolle. It was a classical combination composed by the Einheitswerk Dossaccio and the blockhouse Al Buso. North of that barrier the isolated fort Moena secured the Pellegrino valley. The next barrier was Buchenstein and it was again of regular construction. The main fort was the La Corte accompanied by the street blockhouse Ruaz. The Valparola Pass was secured with the little fort Tresassi which was armed only with two 8 cm canons in minimal embrasure mounting. It was technically outdated very soon. The region of Cortina remained unfortified because of the diverse problems caused by the great number of possible approaches. The discussion concerning the number and the emplacements of the projected forts as the enormous financial requirements was as endless as useless.

In the following years Austria licked her wounds, but since the 1870ies a half-hearted fortification program began. A lot of discussions and commissions took place. The leading man in the Army, the victor of Custoza, Archiduke Albrecht, was an enemy of fortifications. Anyhow the important thing was the notorious lack of money, which was typical for the Austrian Army. At first the completion of the fortress Trento was made and since the Eighties a great program, the so called Vogl period blocked most of the passes and valleys of the Dolomites (Rosner 1994, pp. 33-49).

The next two forts were singles. The high mountain fort Plätzwiese was to be exceptional not only because of it’s deviating armament of two mortars and 11 machine guns but also in account of the altitude of the emplacement. It was the highest built Austrian fort on 2040 m. The fort Landro in the next valley to the East is a very interesting construction. It is divided in two works, one for the mortar battery and one for the canon battery in a higher position. The last of the Tyrolean barriers was the Sperre Sexten. It was composed of two main forts: Mitterberg in a higher position and Haideck in the valley but both constructed as Einheitswerks. In order to have some completeness, it is necessary to mention that the period of Vogl produced two forts on the Carinthian border also and a completion of the old fort Malborghet in the Canale del Ferro.

The result was a chain of barriers of a certain structure. The forts were not built up directly at the border but on places suited to fight the enemy when he would be canalized in narrow defilées. Most of them were composed as couples of a unit fort in a dominating position and a blockhouse out of the enemy’s sight just at the main street. The unit forts were armed with 12 cm canons in minimal embrasure mountings placed in armoured casemates und with 15 cm mortars or in the later years of that period 15 cm howitzers as well but both in armoured turret mounting. The theory was that the concentration of the heavy armament in a passively very strong fort, constructed on an ideal place could spare money and military resources as well. Those so called Einheitswerke (unit forts) had the duty to fight the enemy with long range weapons suited for direct and indirect fire as well, especially by dominating the places where the adversary could establish counter batteries. In some cases two works of that type formed a barrier, while in same other cases there was only one Einheitswerk by itself.

The following decade was a time of stagnation in theory and practice as well. The General Staff leaded by the old confidential of Emperor Francis Joseph, General Beck, was not able to develop a reasonable conception for a new fortifications system of the Austro-Hungarian Monarchy. According to that fact the Austrian Staff of Genie had no technical answer to the increasing range and effect of the

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new heavy artillery constructed by Krupp, SchneiderCreuzôt or even Škoda. In addition to that the notorious lack of financial funds for affairs of the entire state - the “old Austrian illness” - was very stable in that period. Every budget had to be negotiated in a tiring way by the so called “Delegations”, which were a committee of both of the parliaments and therefore seldom a place of reason but a platform for the narrow-minded national quarrels. So the existing barriers and fortifications were modernized and only a few new forts and blockhouses were built. In most of the forts the outdated 15 cm mortars were replaced by 10 cm howitzers. In Southern Tyrol the last works of the Vogl style were completed, for example the above mentioned Matarello. It was already clear at that time, that the ceilings of the Vogl forts were too weak to stand a bombardment by modern heavy guns. The only new main fort built after 1900 was Garda on the southern flank of Riva di Garda’s Monte Brione. It was a linear developed battery type work similar to the Italian forts of this time. The decision to erect a second fort Tombio - in the fortress of Riva fell just before Conrad took over his new position in 1906. At this moment the existing fortifications of Southern Tyrol were technically outdated and from a strictly military point of view even useless.

3 - The Conrad’s ideas Since Anton von Schoenfeld (Chief of the General Staff 1876-1881; Rosner 1986) the Austrian General Staff dealed with two scenarios (Rosner 2007, pp. 91-105). The defensive one would take place when Austria will be engaged on a second theatre of war, namely in the East against Russia. The Italian Army would attack with her Main Force just over the Isonzo in direction of Ljubljana and further on to Vienna, while secondary actions would take place against the Trentino, the important Austrian supply route in the Pustertal (Pusteria) and also against the region of Tarvisio to flank the main forces on Isonzo. According to these considerations it is interesting to take a look on the Italian intentions. In the first time past 1866 there was no chance for the Italian Army to perform such an action. The deployment was planned at the Adige. After the building of barriers in the southern Dolomites the marching-up could be moved to the Piave. Not until 1912 in the period of Pollio the Italian Army was able to deploy at the Tagliamento-Line under the condition that the fortifications in the Cadore and in Friuli had been finished. In the offensive scenario Austria could battle with Italy

Fig. 1. The barriers southeast of Trento. Extract from Sketch 8; Oesterreich Ungarns Letzter Krieg, Ergaenzungsheft 10 (Vienna 1937).

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without a third player. That was the desirable case as well. The marching-up was planned deep inside Italian territory because the General Staff considered the mountain regions as insufficient areas to mass and supply troops. In the first years past 1866 the plan was to march up on the river Adige, to fight a decisive battle between Po and Adige and then to go towards Rome or towards Milano. According to the increasing possibilities of the Italian Army the deployment moves back to the Bacchiglione and finally to the Tagliamento. Since the moving back of the line of deployment the idea of an attack out of the Vicentinian Alps became a certain importance. In the late Seventies, when Schoenfeld made his considerations, the idea was turned down because of the lack of efficient routes, of water and of garrisons on the Altopiani. Just at this time the young Conrad has become a captain of the General Staff, and he was busy with the deployment plans in the Geographic Bureau.

The second idea that he preserved from the early times of his service in the General Staff was the attack out of the Altopiani. In contrast to the Schoenfeld time the mountain regions meanwhile had been developed. Better roads and infrastructure on the one side and higher mobility of heavy artillery in the mountains as well had changed the situation radically. The second aspect was the increasing ability of the Italian Army to march-up forward in the Venetian Plain. The Italians improved their fortificational system step by step. A great program took place: A chain of new forts on the Tyrolean border was erected. The important fact was that since 1912 the fortifications in the Cadore and on the Tagliamento secured the marching-up in Friaul (Friuli) and the intended main attack over the Isonzo in direction of Ljubljana and Vienna. Conrad’s plan now was to encircle the supposed Italian Main Force in the Northeast of the Venetian plain by a strong attack out of the Alps. The provided forces had to gather southeast of Trento on the Altopiani. That massing of troops near the border and as it were face to face with the expected Italian attack forces made it necessary to secure their deployment area. Conrad was not a fan of fortifications. He thought that they would prejudice a not very active commander to stick to them. He proposed to build them only if there is an operative purpose to do so. In Southern Tyrol he wanted to secure the western border and his marching up area on the Altopiani. The rest was of minor interest and could be neglected. He for example suggested that the fortress of Trento had to be put out of service. His position was not strong enough to reach that point, but he succeeded in getting through his fortification program although he was not able to finish it.

When he became Chief of Staff over 25 years later in 1906, he knew the area very well because he had been Commander of the Territorial Commands in Trieste as well as in Innsbruck. His considerations are to comment in three points: his plan of a preventive War against Italy, his operative solution and the resulting fortification program of him. The idea of a preventive war against Italy is a result of the recognition that it would be impossible for the Austrian Army to battle on two or more theatres of war. Therefore just Schoenfeld, Chief of Staff in the late Seventies, brought up the idea of a preventive war to avoid a war against Italy and Russia at the same time. He expected that Italy would attack as soon as a war with Russia took place, just the same way as she did 1866 when Prussia attacked the Danube Monarchy. So he suggested to attack Italy, destroy her Army and to force her to a secure peace just before the war with Russia would take place. Then it would be possible to stand against Russia with a good chance of success. We remember now: Just at this time Conrad was a young Captain in the General Staff. I think that the origins of his plans are here to find. After Italy had became member of the Central Alliance the idea was cancelled for nearly 20 years. Beck revised Schoenfelds scenarios in the early Eighties and at last he cancelled any further development of the existing war plans as well.

The core of his conception was the barrier LavaroneFolgaria and the flanking Barriers Adige-Arsa and Valsugana-Grigno. Here he wants to perform the deployment of the task force which was attached to go down and invade the Venetian plain. Only in the centre the barrier Lavarone-Folgaria had been completed at last. The rest remained incomplete - mainly because the discussions especially about the question of the Valsugana barrier was very difficult and long. The at least completed barrier Lavarone-Folgaria consisted of seven fortifications. First it was planned to fortify the access to the altopiani only. The construction of fort on the Monte Rust near Chiesa was started but stopped just after the road was completed. Meanwhile Conrad’s conception had been accepted and so he could enlarge the barrier. The fort construction on Monte Rust therefore was cancelled, and a short period of reconnaissance and discussions with the Chief of the Staff of Genie began. The result was the Lavarone-wing of the barrier consisting of two main forts (Hauptwerk) - Lusern (alt. 1550m) and Verle (alt. 1517m) - and the interval fort (Zwischenwerk) Gschwent on the Belvedere (alt. 1170m). Their duty was to secure the altopiani of Lavarone, Vezzena and Luserna for the gathering of the forces, which would attack in direction to the Sette Comuni. Then the decision

Conrad was convinced that the Alliance was not worth the paper. And he was right in principle. Besides he has a third adversary - Serbia, who was suspected to act in the same way as Italy. Now he remembered the ideas of his military youth. The idea to trigger off a preventive war against the Reign of Italy come to a new and important life. In order to get a safe back for the Russian War Conrad planned two phases, just as his predecessor Schoenfeld - first Italy and the Balkan, then Russia. He persecuted the idea with an intensity that made him suspect of being a war monger. The Emperor didn’t love him, the politicians hated him and the Italian government as well as the Army observed him with suspicion.

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Fig. 2. Fort Lusern an its strongpoints Oberwiesen and Viaz. Ground plan, Austrian State Archives, Dept. War Archives, Vienna. (Reproduction: W. Rosner) .

Fig. 3. Fort Lusern, ground floor. Ground plan, Austrian State Archives, Dept. War Archives, Vienna. (Reproduction: W. Rosner)

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to secure the communication to the Folgaria plain over the passo Sommo led to a main fort construction on the Dosso Cherle (alt. 1431m). In order not to be token for Verle the finished fort was named Sebastiano according to the near village San Sebastiano (pic. 2, 3, 4).

Arsa. A large number of commenced projects had been ceased too. 4 - The forts of Conrad’s period The period of Conrad’s forts last from 1908 until the beginning of the war. It was again a period of technical insecurity. We find three different types which can show us quick change of techniques and tactical ideas. The first Forts of Conrad’s period had been compact constructions with small dimensions. Unfortunately just they would be those which had to stand the heaviest shelling in war. A significant example of that type is Werk (fort) Lusern (Campo di Luserna) (Rosner 2007, pp. 295-306). It was built up and equipped from 1907 to 1912. The main armament was a battery of four turret howitzers of 10cm calibre. The battery was connected with the casemates corps in the gorge on the left flank forming an angle of 35° with it. That was the place of a traditore battery (2 - 8cm casemate canons) as well. The work was surrounded by a dry ditch in the front and on the right flank. In the right shoulder the counterscarp was situated. It was fitted with two 6cm casemate canons. The fort had 11 machine-guns. Two strongpoints — Oberwiesen and Viaz - with six or two machine-guns respectively observed the terrain on the right

The next step was the inclusion of the whole Folgaria and Serrada region into the barrier to create the marchingup area for the troops attached to advance versus Arsiero and Schio. The most right fortification was the main fort Serrada on the Dosso del Sommo (alt. 1670m). The interval between Serrada and Sebastiano was locked with the Zwischenwerk Sommo on the Sommo Alto (alt. 1602,85m). The last built up fortification of the barrier was the armoured observation point Posten Vezzena on the Cima di Vezzena (alt. 1908m) in principle an outpost of Verle it has to manage the artillery observation for that fort. Verle in fact had a very poor field of fire in its front and it had the task to support the Tenna barrier in the Valsugana with fire. Both of those duties were only to be fulfilled by the help of that observation post. The projected barriers on the flanks - left “Valsugana-Grigno” and right “EtschArsa” (Adige-Arsa) - had just been commenced when the war broke out. The only fort construction that was in an advanced state was Valmorbia near Pozzacchio in the Val

Fig. 4. Fort Sebatsiano/Cherle. Ground plan, Austrian State Archives, Dept. War Archives, Vienna. (Reproduction and adaption: W. Rosner)

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Fig. 5. Fort Gschwent. Ground plan, Austrian State Archives, Dept. War Archives, Vienna. (Reproduction and adaption: W. Rosner)

Fig. 6. Fort Serrada. Ground plan, Austrian State Archives, Dept. War Archives, Vienna. (Reproduction and adaption: W. Rosner)

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Fig. 7. Fort Sommo. (Photograph: W. Rosner)

Fig. 8. Fort Verle 1915. (Photograph; collection W. Rosner)

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flank. The fort was dominated by the Italian forts Monte Verena and Campolongo by altitude and armament. Nearly right of the same construction and armament as well was the “sister” Werk Verle (Cima Verle) (Rosner 2007, pp. 306-315). The difference was that the fort had no external strongpoints. The armament was four howitzers in turrets, two traditore guns of 8cm caliber, four 6cm casemate canons in the counterscarp and 15 machineguns. The construction began in 1908 and the fort was finished in 1913. The third fort of that type is Sebastiano (Cherle) (Rosner 2007, pp. 332-341).It was a little bit more modern because the width and depth of the fortification was enlarged and the traditor was equipped with 10cm howitzers. It was begun in 1908 and completed in 1913. The armament consisted of four 10cm howitzers in turrets, two as traditores in casemates, then two 6cm casemate canons in the counterscarp and 17 machine-guns. As a compact fortification also the little observation post on the Cima di Vezzena has to be mentioned (Rosner 2007, pp. 323-328). It was armed with six machine-guns and The construction was finished in 1914. A certain type of forts with a touch of future was the “divided fort”. They had been built up later and they had been planed by younger officers - Serrada, Gschwent (Belvedere) and Sommo (pic. 5, 6, 7, 8, 9).

Gschwent was planned as an interval fort on the Belvedere (Rosner 2007, pp. 316-323). The components of the fort are separated at great distances and connected with posterns. In the gorge there was a usual casemates corps. A postern led to the battery consisting of three 10cm howitzers in turrets. In the right, the left an in the front there were strongpoints with machine-guns - altogether 22. A mighty ditch with a projecting counterscarp was cut through the rocky hill. The fort was completed in 1912. Serrada was the second main fort of the Folgaria wing of the barrier (Rosner 2007, pp. 349-357). It was separated in four complexes which were arranged just one behind the other. In gorge there was a huge and mighty casemates corps which carried two turrets with the standard howitzer. A postern led to the front battery with the other couple of turrets. The next was a machine-gun shelter from which the front postern went under the ditch and to the counterscarp. Serrada was finished after the beginning of the war in November 1914. It had four 10cm howitzers in turrets, two 6cm casemate canons in the counterscarp and 22 machine-guns. The most interesting fort of the barrier without doubt is Sommo. It was an interval fort which had a very long planning phase (Rosner 2007, pp. 341-348). At least the result was a fort with four separated components: In the rear was a little casemates corps carrying the battery of

Fig. 9. Fort Serrada 1916. (Photograph; collection W. Rosner)

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two howitzers. A strongpoint in the front and a second one on the right were connected with the rear complex by long posterns constructed by mining methods. The fort was finished in August 1914. The next step was the cavern fort. From that type as mentioned above only Valmorbia was begun but remained incomplete. When the war broke out the work was cancelled. Except the battery the whole fort was transferred into the rock. It was a system of posterns and casemates which served as a large shelter in the war. For a time the Italians took possession of the fort.

enemies look each other in the eye and the theatre changed to the Folgaria plain. The intensity and bloodiness of the fights there in fact was much more severe than in Lavarone. In winter time the fighting stopped because of massive snow falls. Early in 1916 the deployment began for the so called “Strafexpedition”. The shelling continued until May 1916 and caused a lot of new and severe damages especially of the Lavarone forts. Except Gschwent every fort gets an access tunnel. In same cases those tunnel systems were enlarged and used as shelters and stores. After the “Strafexpedition” had moved the front line forward, the forts were repaired. Lusern and Verle remained in their state as defendable shelters without artillery, while the Posten Vezzena was made a makeshift strongpoint. All other forts were recovered in their original state. By the cause of the notorious lack of military resources in Austria-Hungary the crews, part of the fort artillery, most of the machineguns and the ammunition were token out of the works very soon and sent to the front. When the Austrian front collapsed in late October ’18 the forts were at last abandoned and token by the British and Italian forces without any resistance.

4 - The service of the forts during the Great War In summer 1914 the war began but not in the Southwest. It became clear that the barriers at the Altopiani would not play their assigned role. They had to face a battle of resistance for which they had not been constructed for. Their purpose was to secure a deployment area for a few days or weeks and not do resist for a year or more. In fact their tactical position was very crucial because they were not situated on the most favorable point but at the edges of the deployment area. That means that the Italian positions and forts were higher than the Austrian. The Austrian forts could reach the Italian front line but the forts and artillery positions were nearly out of range. It was necessary to fight them with heavy artillery which in fact was not available in May 1915. Not before more than a month the first 30,5cm mortar came from the north-eastern theatre of war.

To sum up one may say that the success of the Austrian forts is questionable as well. Their assigned role to secure a certain area just for a short time was obsolete when the war broke out. In summer and autumn 1915 the Lavarone forts had to be disarmed to avoid further destruction of the weapons. The lost their state as fortifications and changed to great defendable shelters. The Folgaria forts on the other hand acted as normal batteries. The point was that the forts equipments, in concrete their traditore guns, machine guns and crews were the backbone of the defense. In a kind of sarcasm it is true, that it would have been cheaper to establish six field batteries and a lot of machine gun positions. Nevertheless this was Austria! The mentioned weapons would not have been available if the forts didn’t exist.

Since summer 1914 the equipment and arming of the barriers took place. The real period of the war against or with the forts lasted from May 1915 until May 1916. At the very beginning of the war the Italians attacked the Lavarone area as they did also in August 1915. The decisive point was that the Italians did not profit from the fact that in May 1915 the Austrian line was only manned with a few regular troops while the rest was territorial militia like the Standschützen. After four days intensive shelling the Italian attack against the Lavarone forts was very cautious and failed. The unexpected success made the Austrian defenders very selfconfident though there were a lot of crises. For example: Both the commanding officers of Lusern and Verle suffered a nervous breakdown. The first of them tried to surrender but he found no enemy to give over his fort. The second left his fort in panic while his officers took over the command in same kind of mutiny. The superior headquarters had no idea what happened on the front line and accepted those dubious proceedings. In August the Austrians stroke back the attacks on the Lavarone plain with routine. At that point of the war the forts were already heavily damaged and the disarming began.

5 - Literature - Die Habsburger Monarchie 1848–1918, Vol. V. Die Bewaffnete Macht, Vienna 1987. - Fontana N. 1994, Per la storia della difesa del valico del Tonale. Le fortificazioni austriache nelle valli Vermigliana e Pejo, in Annali del Museo Storico Italiano della Guerra 3, Rovereto, pp. 131-154. - Fontana N. 1996/1997, Le vicende progettuali dello “Zwischenwerk Sommo” (T.So.) sull’Altipiano di Folgaria, in Annali del Museo Storico Italiano della Guerra 5/6, Rovereto, pp. 179-207. - Fontana N. 2004, Das Trentino und der Erste Weltkrieg. Regionale Quellenbestände in Trentiner Archiven, in Zwischen Nation und Region. Weltkriegsforschung im interregionalen Vergleich. Ergebnissen und Perspektiven, Tirol im Ersten Weltkrieg. Politik, Wirtschaft und Gesellschaft 4, Innsbruck 2004, pp. 219-232. - Fontana N. 2004/2005, Valmorbiawerk, la fortezza incompiuta, in Annali del Museo Storico Italiano della

At the neighboring Folgaria section the Italians waited too long with any attack. The Austrians involved them in grueling engagements about singular positions in the forefront. Meantime they advanced their defensive line forward the forts so that they could act like conventional batteries in the backline. It was October 1915 when the

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Guerra 12/13, Rovereto, pp. 21-70. - Grestenberger E. A. 2000, K.u.k. Befestigungsanlagen in Tirol und Kärnten 1860–1918, Wien. Hentzschel R. 1999, Oesterreichische Gebirgsbefestigungen im Ersten Weltkrieg. Die Hochebenen von Folgaria und Lavarone, Bozen/Bolzano. - Hentzschel R. 2008, Festungskrieg im Hochgebirge, Bozen/Bolzano. - Kronenbitter G. 2003, Krieg im Frieden. Die Führung der k.u.k. Armee und die Großmachtpolitik ÖsterreichUngarns, Studien zur Internationalen Geschichte 13, Munich. - Panthenius H. J. 1984, Der Angriffsgedanke gegen Italien bei Conrad von Hötzendorf. Ein Beitrag zur Koalitionskriegsführung im Ersten Weltkrieg, Dissertationen zur neueren Geschichte 15, Vienna/ Cologne, 2 voll. - Rauchensteiner M. 1993, Der Tod des Doppeladlers. Österreich-Ungarn und der Erste Weltkrieg, Graz. - Rolf R. 2004, A Dictionary of Modern Fortification, Middelburg. - Rolf R. 2011, Festungsbauten der Monarchie, Middelburg. - Rosner W. 1986, Anton Freiherr von Schoenfeld als Chef des Generalstabes, Institut fuer Oesterreichische Geschichtsforschung, (Institute for Austrian historical research), thesis of diploma (unprinted), Vienna. - Rosner W. 1987, Die konkreten Kriegsplanungen des Oesterreichisch-ungarischen Generalstabes gegen

Russland und Italien von 1876 bis 1881, University of Vienna, thesis of diploma (unprinted), Vienna. - Rosner W. 1994, Militärhistorische Archivbestände zum Ersten Weltkrieg in Rom und Trient, in Scrinium 48 (1994), Vienna, pp. 411 passim. - Rosner W. 1994, Die österreichisch-ungarische Gebirgsfortifikation der Ära Vogl (1883/84−1900), in Militaria Austriaca 15 (1994), Vienna, pp. 33-49. - Rosner W. 1995, Die Anfänge der Panzerfortifikation in Österreich-Ungarn, in Militaria Austriaca 16 (1995), Vienna, pp. 83-99. - Rosner W. 2003, La difesa del confine orientale del Sudtirolo con le fortificazioni, in Una trincea chiamata Dolomiti. Atti del Convegno 1915 − 1917. Una guerra, due trincee. Ein Krieg − zwei Schützengräben. Cortina, 14 e 15 dicembre 2001, Collana Storica 23, Udine, pp. 17-28 (in German, vide: Rosner W. 2005). - Rosner W. 2003, La fortificazione degli altopiani trentini e l’offensiva del 1916, in 1916 − La Strafexpedition. Gli Altipiani vicentini nella tragedia della Grande Guerra, Collana Storica 26, Udine, pp. 73-87. - Rosner W. 2005, Die fortifikatorische Sicherung der Ostgrenze Südtirols, in Ein Krieg − zwei Schützengräben. Österreich − Italien und der Erste Weltkrieg in den Dolomiten 1915−1918, Bozen/Bolzano, pp. 267-280 (in Italian, vide: Rosner W., La fortificazione 2003). - Rosner W. 2007, Fortifikation und Operation – Die Sperre Lavarone-Folgaria, University of Vienna, dissertation (unprinted), Vienna, 2 voll.

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The secret landscape: the defence system and great cave works of the Lombard stretch of the Northern Frontier XVII

THE SECRET LANDSCAPE: THE DEFENCE SYSTEM AND GREAT CAVE WORKS OF THE LOMBARD STRETCH OF THE NORTHERN FRONTIER Autore Antonio Trotti

White War Museum in Adamello – curator and head of education

Abstract The Lombard stretch of the Northern Frontier defence system was laid out in a series of trenches across the Verbano, Ceresio and Lario valleys, with the aim of protecting the pre-Alpine massifs that had been designated and prepared as powerful artillery strongholds. An unbroken series of provisional and permanent works among which, as far as the quality and quantity of labour required to construct them was concerned, some great works dug deeply into rock stand out. The works, that have been considered and studied as components of complex defence systems laid out across the area, constitute a fairly rich heritage which is, howewer, barely known about if at all: in this report we can outline an overview of this heritage by analysing its material and historical characteristics and its current state of conservation and risk of damage. What emerges is the invaluable texture of a hidden landscape, made up of apparently physically robust objects that are so terribly fragile when up against the violence of time and the outrages of mankind. Sommario IL PAESAGGIO SEGRETO: IL SISTEMA DIFENSIVO E LE GRANDI OPERE IN CAVERNA DELLA FRONTIERA NORD DELLA LOMBARDIA Il sistema difensivo della Frontiera Nord della Lombardia era organizzato su più linee di opere campali distese tra gli assi vallivi del Verbano, del Ceresio e Lario, a protezione dei massicci prealpini organizzati a potenti capisaldi d’artiglieria. Un’ininterrotta teoria di opere provvisionali e permanenti, tra cui spiccano, per quantità e qualità di lavoro occorso alla loro realizzazione, alcune grandi opere scavate profondamente nella roccia. Le opere, percepite e studiate quali elementi di sistemi difensivi complessi e articolati sul territorio, costituiscono un patrimonio assai ricco, ma poco o per nulla conosciuto: qui se ne tratteggia una visione d’insieme, analizzandone le caratteristiche materiali e storiche e lo stato attuale di conservazione e di rischio. Quella che si delinea è la trama preziosa di un paesaggio nascosto, fatto di oggetti apparentemente robusti nella materia e così terribilmente fragili nell’affrontare la violenza del tempo e gli oltraggi dell’uomo. 1 - A border that needs defending: the defence of the Alps 1.1 - The Alpine arc, a natural defence for northern Italy The Alpine arc is one of the most complex terrains in Europe: the grandest mountain system in Europe, an

immense watershed between the basin of the Po and the waterways of the Venetian Plain and the great raincollecting basins of the Rhône, the Rhine and the Danube. The Alps, a natural geographical barrier, have always created difficulties both for commercial transport between Italy and the rest of Europe and army movements, above all, those beyond the Alps, directed towards the south by powers interested in the riches of our country [Translator’s note: Italy] (fig. 1). 1.2 - The grand access routes across Switzerland and South Tyrol This natural barrier, however, is not impenetrable. Indeed, there are particular places in the Alps where it is possible to get through without having to climb to high levels or where access tunnels can be built without needing to tackle excessive quantities of rock. These solutions are rapidly reduced in number if the aim is to get large, modern-style military units across the Alps: the logistics for this require practicable roads or railways (fig. 2). Concentrating on the 600-kilometre Northern Frontier, at the border with Switzerland, from Mont Dolent to Dreisprachenspitze (a.k.a. Piz da Trais Linguas or Cima Garibaldi), going from west to east, the access routes at the start of the twentieth century were, between the Aosta Valley and Piedmont: - The Great St Bernard Pass carriage road (a route that dates back to the Ancient Roman era which goes from lower Valais (Swiss canton) to the Aosta Valley and, from there, to Turin. The Simplon carriage road and railway; and, in Lombardy: - the Gothard carriage road and railway; - the Splügen Pass carriage road and railway; - the Bernina Pass carriage road and railway. Now shifting our perspective to the 170-kilometre stretch of the 1914 border between Lombardy and South Tyrol (the present-day provinces of Bolzano and Trento), from Dreisprachenspitze (a.k.a. Piz da Trais Linguas or Cima Garibaldi) to the western shore of Lake Garda, the possible routes were: - the Stelvio Pass carriage road; - the Tonale and Mendelpass carriage road; - the Aprica Pass carriage road. Had a foreign army intended to move down into Italy by crossing Switzerland or an Italian army unit needed to proceed northwards, in both directions access would have only been possible via these routes.

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Fig. 1. From an observation post near the cave-based battery at Monte Orsa, Monte Arbostora and, on the right, the Melide dam-bridge, the main strategic objective of the Northern Frontier defence system between the province of Varese and Intelvese. 1.3 - The Kingdom of Italy and the defence of the Alpine border

the Swiss border and the county of Tyrol and the remaining 41 along the border with Austria-Hungary).

Immediately after the proclamation of the Kingdom of Italy (1861), and with a subsequent shift of power within Europe, the Standing Committee for State Defence (set up in 1862) initially turned its attention to the reinforcement of the pre-existing defence system at the border with France. Only later did it focus on the Northern Frontier that bordered with the Swiss Confederation but still with an anti-French perspective. This meant the reinforcement of the Aosta Valley blockade and the construction of a blockade at the upper end of the Ossola Valley, close to the entrance to the Simplon railway tunnel. Indeed, this was the embryo of what was to grow into the Northern Frontier defence system. Along the border, from the Stelvio Pass to the Adriatic Sea, since 1860 Austria had already been duly organising a complex defence system to serve during a probable Italian attack, particularly at the Trentino border (blockades at Trafoi, Peio, Tonale and Lardaro, strongholds at Riva del Garda and Trento, fortified systems of the upland plains). Despite the alliance, in the years following 1881, the Austro-Hungarian army repeatedly carried out military manoeuvres and exercises at various points close to the Italian border. During the same years, Enrico Cosenz, the Italian army Chief of Staff, had prepared a plan in the event of war against Austria: he anticipated that the main action would take place towards Trentino, targeting Brenner so as to successively descend towards Vienna via the county of Tyrol and the Inn Valley. Given that the nature of Cosenz’ plan was, essentially, aggressive, the need to organise a solid defence system at the border was somewhat diminished (fig. 3).

1.4 - The Great War front Luigi Cadorna, appointed Chief of Staff on July 10th 1914, rejected Cosenz’ plan and concentrated every offensive effort on the east – the 90-kilometre front of the Julian Alps – looking to break through towards Ljubljana and Zagreb, which would have then led to the core of the AustroHungarian Empire at Vienna and Budapest. A secondary, essentially defensive, role was assigned to the other 900 kilometres of front between the Stelvio Pass and the Carnic Alps. The southern Trentino front only gained importance after the heavy Austrian offensive of May and June 1916 (the “Strafe-Expedition” or ‘punitive expedition’). Finally, following the Austro-German breach of October and November 1917 (the ‘Caporetto offensive’), the main front withdrew forever in the Veneto region, on Monte Grappa and the river Piave. 1.5 - The preliminary works of 1915 Since the beginning, the war at the Italo-Habsburg border emerged as a violently aggressive action by the Kingdom of Italy towards the Austro-Hungarian empire and it was already heavily involved in activity on the eastern front (Galicia). During 1915, Italian military works along the entire front were of a preparatory nature and were limited to points where the front was, effectively, fought over: there, access was improved and the front and secondary lines’ defence systems were perfected even though they were destined to be overcome by the victorious advance in the enemy camp. Italy still thought that the war would not last long and the victory of the allied forces was taken for granted.

The changes of strategy and the availability of more financial resources allowed for the creation of a complex, armour-plated battery-based system which was studied and proposed by an Artillery officer, Enrico Rocchi: between 1904 and 1914, along the Alpine arc, 48 of these imposing structures were set up (4 at the French border, 2 along the Northern Frontier towards Switzerland, 1 surveying both

1.6 - The layout of the war works That was not the case, however: in 1916 the conflict had taken on the characteristics of trench warfare and high

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Fig. 2. The main passes and road and rail networks between central Switzerland and the Po Valley at the threshold of the First World War (from: Rovighi 1987, modified and enhanced, incorporated into map © De Agostini, 2007). .

Fig. 3. Forte Montecchio Nord, at Colico, one of the “Rocchi-type” armour-plated batteries incorporated into the Northern Frontier defence system.

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Fig. 4. The massive system of trenches at the redoubt of San Giuseppe at Cassano Valcuvia, Varese. (Photograph by Domenico Semeraro, 2004)

Fig. 5. Road map with progress routes for transferring an Italian army from the Po Valley to Medio-Reno, 2nd hypothesis of 1898-1912 (from: Rovighi 1987). 308

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command understood that it would not be brief nor easy, at least not until the possible complete attrition of one of the two sides. The systematic failure of the first 5 “shoulder charges” on the Isontino front and the partial success of the heavy Austro-Hungarian offensive carried out on the Trentino salient on May 15th and June 16th 1916 (the socalled “Strafe-Expedition” i.e. “punitive expedition”) seriously called into question the very outcome of the conflict, forcing the high command to face up to reality (fig. 4).

incidentally, by a substantial financial contribution from Austria. Consequently, in the Valais, modern fortified systems were built at Saint Maurice and the Gothard railway-road hub constructed while in the canton of Ticino, works were carried out on Monte Generoso and at the San Jorio Pass and the Gordola-Magadino-Monte Cenerimonti di Mediglia blockade was established downstream of Bellinzona.

From the spring of 1916, military works spread remarkably, involving systematically the entire front and, in some cases, spreading backwards for tens of kilometres. In the mountains, work was started to construct a widespread network of roads, mule tracks and paths, completing and reinforcing not only the front lines but also numerous secondary ones. The work required enormous numbers of both military and civilian workers in an immense effort, probably excessive, which was necessary due to the unpreparedness to tackle a war scenario that had never been experienced before. It was this change of conditions that led Italy to start taking into serious consideration the chance that the central armies intended to adopt a new offensive against their new enemy on the southern front. The “Strafe-Expedition” was seen as confirmation of this abrupt strategic change: old defence plans were dusted down regarding both the Trentino salient (a natural access route towards the Lombard-Venetian Plain) and in the vicinity of the Swiss border.

On the other hand, reading from north to south, the 2nd hypothesis plans make it very clear what the possible access routes towards the Po Valley and Milan would be, in the event of a German violation of Swiss neutrality – not such a remote possibility considering the flimsiness of the Triple Alliance and Switzerland’s supposed friendliness towards its German neighbours.

2 - Strategic role of the Northern Frontier 2.1 - The possible Italian violation of Swiss neutrality As a consequence of the Triple Alliance, the Italian strategy plans in the event of conflict with France did not anticipate combat along the difficult border of the Piedmont Alps, but rather the dispatch of an entire army across Austrian territory in support of German operations in Alsace (1st hypothesis). Thinking about a rapid war that would be victorious for Germany, the need to quickly take care of such a manoeuvre, in order to be able to sit with dignity at the peace negotiations table, clashed with the fact that the Austrian carriage roads would be congested by the mobilisation of the Austro-Hungarian army who clearly would have priority. Despite the official declarations of the Italian government and the Army Chief of Staff, intended to assure the Swiss Confederation its neutrality would be respected, a 2nd hypothesis had been drawn up in 1889 and revised in 1898 which contemplated different ways to cross Switzerland (fig. 5). More or less aware of this possible outcome and stimulated by the climate of irredentism flickering through the lands where Italian was spoken, at the turn of the century, Switzerland, keen to protect its own neutrality, built imposing fortifications on the Italian border helped,

2.2 - The possible German violation of Swiss neutrality

3 - The defence towards Switzerland 3.1 - The defence of the Northern Frontier before 1914 e The progressive worsening of relationships between the allies within the Triple Alliance and the flourishing pro-German behaviour among the upper echelons of the Swiss army convinced the Italian government to take into serious consideration the chance, in the event of war, of Austro-German troops being able to invade via the passes along the central Swiss Alps and rapidly reach and occupy the industrial and financial nerve centres of our country [Translator’s note: Italy]. In the years between 1901 and 1914, studies were followed up along the entire length of the Northern Frontier and works were initiated to make blockades for the main access routes to the Po Valley available: this work began to construct an array of rearguard strongholds, destined to house batteries or pieces of medium-calibre heavy field artillery positioned in the open air. Access to these structures was easy due to purposely built roads. In particular, three artillery blockades were built in the Great St Bernard Valley (at Plan Puitz, on the northern hillside of Gran Testa and at Testa di Crevacol) (fig. 6). On Colico Plain, since 1901, two artillery battery had been organized as blockades for the entrance to the Chiavenna Valley and the lower end of the Valtellina Valley (respectively located on the Piona peninsula and on Montecchio Est at Colico, where today the armour-plated batteries can be found among the runs of the seventeenthcentury Spanish fortress of Fuentes). Starting in 1911 in the province of Varese, artillery posts were set up on Mounts Piambello, Scerré, Martica and Campo dei Fiori (Forte di Orino and Cima Tre Croci); at the same time the blockade of Stretta di Bara was started at Ornavasso (Monte Orfano fortification) and, in the Intelvese and Alto Lario of Como areas, the two posts were constructed at Sighignola and Pizzo di Gino. Finally, between 1913 and the end of

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Fig. 6. The ruins of Forte di Fuentes: the Montecchi of Colico have been strategic places for centuries because of their surveillance point overlooking the entrances of Valchiavenna and Valtellina valleys in the Lario area.

Fig. 7. Summary of the defence layout at the Northern Frontier in 1914 (from: Rovighi 1987, modified and enhanced, incorporated into map © De Agostini, 2007).

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1914, two “Rocchi-type”, latest generation armour-plated batteries were built, one located on Montecchio Nord at Colico as a blockade to the Chiavenna Valley and the other positioned in the area of Canali, above Tirano, as a blockade to the Poschiavo Valley, which it overlooked (backed up by the three pre-existing posts at Corradini, Ronco and Croce dei Motti); both structures still exist today and the one at Colico is still armed: the only example of its type in Europe that has remained intact (fig. 7). 3.2 - The defence of the Northern Frontier after 1914 The sudden outbreak of war on July 23rd 1914 and the events that followed, including the invasion of the neutral Belgium and the shifts in allegiances between the various European powers, accentuated the doubts surrounding the will of the Swiss government to enforce the respect for the neutrality of its own territory. With Italy’s entry into the conflict against Austria on May 24th 1915 and the expected declaration of war against Germany, fears of a possible Austro-German invasion by way of Switzerland were decisively strengthened. Cadorna thus ordered the start of systematic works at the Northern Frontier, thereby finally putting into practice a plan that had long been drawn up. At the same time, in fact, the border with France (from the Ligurian Sea to Mont Dolent) and the westernmost part of the Northern Frontier with Switzerland (from Mont Dolent to the Monte Rosa Massif) lost all strategic interest. It is documented that the works at the Northern Frontier had

already begun in the summer of 1915 but only on July 27th, after the Austro-Hungarian Strafe-Expedition (“punitive expedition”), did the Supreme Command give the order to Lieutenant General Ettore Mambretti to see to the completion of the line: it was thus created between 1916 and the spring of 1918 and described by Cadorna as «a system of the most recent type of fortifications in multiple rows», destined to «resist any eventuality» (fig. 8). 3.3 - An immense work site... In May 1918, Mambretti summed up to the Supreme Command that, from July 1916 «The total accumulated cost, bearing in mind the 15 – 20,000 trained workers involved on average, comes out at about 104 million». In his memoires, Cadorna suggests to us how «These fortifications require enormous quantities of manual labour and materials” noting that “in the era of Caporetto, the rearguard lines of the theatre of war did not have the efficiency the Supreme Command would have liked to give them» even using this to partly justify the defeat his army suffered in October 1917. There were an enormous number of construction sites distributed over quite a vast area, from Ossola to the Valtellina Valley. To co-ordinate all these works, an operational office was set up in Milan which was not part of the Supreme Command. There was also a branch of it in Varese (in Villa Albertina) and peripheral seats at Intra, Ghirla, Malnate, San Fedele d’Intelvi, Tremezzo and Dervio (fig. 9).

Fig. 8. Summary of the defence layout at the Northern Frontier in 1918 (from: Rovighi 1987, modified and enhanced, incorporated into map © De Agostini, 2007).

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drivers, unloaders and carriers: in all these tasks, women and children often found themselves involved even as young as 10 – 12 years of age, even though there was a supposed lower age limit of 17 (fig. 10). Right from the start, recruitment turned out to be a good source of revenue for intermediaries who managed the workforce by speculating about work contacts. To put an end to this situation, the Supreme Command entrusted the entire management of everything that concerned the workers to the Secretariat-General of Civilian Affairs, a body that entered service in January 1916, making use of the collaboration it had with the Prefectures, the Councils and the headquarters of the Royal Carabineers. Far from the front line, however, the hiring of locals and casual workers was left to individual army commands who oversaw indiscriminate en masse enrolment: the role of mediation theoretically attributed to the Secretariat was, in fact, reduced to a bureaucratic mess which generally trampled over workers’ rights. 4 - The solidity of the Northern Frontier in the Great War 4.1 - The Northern Frontier during the First World War The Northern Frontier is therefore the Italian defence line, carried out between the end of the nineteenth century and 1917, spreading out towards Switzerland with the purpose of protecting against a possible attack by Germany by means of the main access routes at the Gothard, Splügen and Bernina Passes or, even though less plausibly, an attack from Austria via an encircling manoeuvre through the Engadin and the canton of Graubünden. It unwinds disjointedly from Lake Maggiore through the higher areas of the province of Varese, the Intelve area near Como and higher areas of Lario to the Aprica Pass (fig. 11).

Fig. 9. Miner soldiers at work on the so-called “Line of Passes”, in the Adamello area (Archivio Storico MGB, gruppo Materzanini). The works were only carried out in part by military engineers whose responsibility was to manage the works (overseen by officers working for the operational offices in Varese and Como). The engineering units also managed a huge number of foot-soldiers from the troops at rest and from trained up civilians: instead, a great number of workers were contracted out from private companies who recruited civilian staff from throughout Italy. The precise number of participants is not known, considering the huge turnover and the systematic shifting of the workforce from one site to another, even up to the combat zone at the front, without counting the continuous withdrawal of military workers who were called up to fight at the front as mobilisation increased.

The “Occupazione Avanzata della Frontiera Nord” [Translator’s note: “The Advanced Occupation of the Northern Frontier”], or better, the deployment of troops from the permanent garrisons along the lines and in the strongholds of the defence system, during the First World War was organised in four areas: Simplon-Toce, VerbanoCeresio, Ceresio-Lario and Mera-Adda. 4.2 - The works of the Northern Frontier In his discharge letter, dated May 20th 1918, LieutenantGeneral Ettore Mambbretti concisely recounts the growth of the line and the solidity of the works carried out: «[The] defence system unwinds from the Ossola Valley to Cresta Orobica, through the high ground to the south of Lake Lugano and with elements in the Aosta Valley. [It] comprises 72 km of trenches, 88 foxholes [Translator’s note: a.k.a. ‘defensive fighting position” or “gun-pit”] for batteries, of which 11 are in caves, 25,00 sq. m of barracks, 296 km of heavy traffic roads and 398 of cart roads and mule tracks». Therefore, along the entire Northern Frontier, siege and

3.4 - ...and a huge Calvary The work carried out by the military and civilian workers involved various tens of thousands of men – building experts, miners, carpenters, joiners, woodcutters, quarrymen and diggers – they were all labourers and manual workers but also guards, custodians and kitchen helpers while the logistics side required signalmen, wagon

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Fig. 10. Porters, barefoot, in the Trompia valley, war zone: the situation at the Northern Frontier would not have been very different (Archivio Storico MGB, gruppo Val Trompia).

Fig. 11. The defence organisation of the Northern Frontier during the First World War (from: Rovighi 1987).

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Fig. 12. Stretch of exposed trench in the redoubt of San Giuseppe at Cassano Valcuvia, Varese. (Photograph by Domenico Semeraro, 2004) placed loosely or held together by lime mortar or concrete; massive layers of concrete for the armoured structures, maybe reinforced with metal grids, rods or beams; even digging into rock and using prefabricated components made of concrete or reinforced concrete. The Northern Frontier works adapt themselves well to the rugged terrain and today, nearly a century on, constitute an important element of the landscape and they bear the signs of the work carried out by a people and of the material culture of a country.

communications trenches, both open and covered, were constructed. They were armed with positions for fusillades, machine-guns and trench guns; artillery posts for cannons, howitzers and mortars, in the open air, armour-plated, armoured and in caves, with the requisite observation and signal transmission posts; finally several barracks and depots and numerous shelters. The lines with trenches were laid out to protect the artillery and blockade the valley lines while the posts for light arms /rifles, machineguns and trench guns) were located in tactically favourable positions; all of this obviously had to be on Italian soil but necessarily near to the border (fig. 12).

4.3 - The tactical disposition of the provinces of Varese and Como

The advanced positions were protected by rows of networks that, in 1918, turned out to be quite spread out. The entire defence system was connected by a dense network of paths, mule tracks and roads suitable for both light and heavy traffic. These hand-crafted structures were built with a huge variety of materials and techniques: from simple holes dug in the earth to structures made with earth reinforced with wood or wicker; local stone (limestone, porphyry, mica-slate or gneiss depending on availability)

The strategic principle of the defence system at the Northern Frontier was not to protect the state border in a strict sense but rather to blockade the arrival of any invaders along the main access routes towards the plain. The tactical disposition was therefore devised with the aim of utilising the artillery in combat: these arms would not need to be on Swizz territory and could be used according to the technical characteristics (range and trajectory).

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The secret landscape: the defence system and great cave works of the Lombard stretch of the Northern Frontier

Fig. 13. Villa Pfitzmajer in Varese, during the years of the First World War (Archivio Biblioteca Civica Comune di Mezzago, fondo Luigi Brasca).

Fig. 14. Vallalta, from the west entrance, the first 149A emplacement.

5 - The effectiveness of the Northern Frontier

resources at the secondary lines, thus organising the socalled Occupazione Avanzata Frontiera Nord (OAFN) [Translator’s note: “The Advanced Occupation of the Northern Frontier”]. In any case, there was a back-up plan to occupy Monte Generoso, within Swiss territory, in order to facilitate the control of the bridge at Melide, thus blocking enemy access to the salient at Mendrisio which is only 55 kilometres from Milan (fig. 13).

5.1 - The effectiveness during the Great War On July 28th 1916, the newly formed 5th Army, under the command of Lieutenant-General Ettore Mambretti, were given the responsibility of managing the works at the Northern Frontier, from Mont Blanc to Pizzo Scalino (to the south-east of the Bernina Pass); they were also given the responsibility of defending the area, if necessary, alongside the 1st Army located further east along the operational front in Trentino. For the garrison of the territory, the 5th Army had at their disposal 8 battalions of Territorial Military Force, as well as units from the Guardia di Finanza [Translator’s note: law enforcement agency working for the Ministry of Economy and Finance] and troops from the reserves. Had it been necessary, they could also have brought in two cavalry divisions, another eight infantry divisions and fifty medium-calibre batteries (about 200 pieces). In the event of military action, the task of the 5th Army was essentially defensive: to block the enemy at the frontier but to keep the majority of their

In January 1917, Ettore Mambretti made the OAFN independent and in March set up the command at Villa Pfitzmajer in Varese. Out of strategic necessity, the 5th Army was disbanded the following July. Mambretti took direct command of the OAFN until May 1918 in preparation for the creation of new (and what would be the last) defence lines. At the end of the war, the Northern Frontier was, in fact, a complete and effective system. By luck, its effectiveness never needed to be put to the test. 5.2 - The effectiveness after the Great War With the end of the conflict, the Northern Frontier

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defence system was all but abandoned. Already by 1919, some companies had been given the responsibility of dismantling the networks and questions were asked about compensation to private individuals for expropriation and the handing over of roads to local companies. In the years immediately following the war, some structures were reutilised for military exercises and many, in the thirties, were included in the Vallo Alpino project, a gigantic defence line that was to make the 1,851 kilometres of the state border “inviolable”. Although the project was started, it was never completed. The Northern Frontier was of minimal importance during the Second World War but, from September 19th 1943, some of its structures were used as shelters by the partisan forces. On April 4th 1949, the surviving Italian fortifications i.e. those that had not been dismantled according to the peace treaty of February 1947, became part of the Atlantic Pact which had been formed in order to confront the Communist Bloc. The fall of the Berlin Wall on November 9th 1989 symbolically signalled the end of the Cold War in Europe and indeed brings the story of fortification on Italian soil to an end.

at Sueglio (Lecco) 7. mined tunnel (road and rail blockade) at San Fedele di Verceia (Lecco). 7 - The cave-based batteries at the Northern Frontier 7.1 - The artillery emplacements In the First World War, the tactical unit of the artillery was the battery, generally organised around four or six pieces (arms), arranged in pairs (sections) (fig. 16). And so it was also the case for the disposition of arms in the Northern Frontier territory with two or three pairs of single emplacements together, each one having an artillery piece with the necessary gunners and ammunition. The emplacements can be in the open air or protected by a plated or armour-plated cover or be housed in a cave. Apart from the open air types, each enplacement usually had its own ammunitions locker. The emplacement system is always associated with housing for the troops and officers (the barracks) and one or more artillery observers positioned where there is a panorama over the area that is within firing range (generally three: a goniometrical station placed in accordance with the battery position, and two placed further ahead on either side so as to cross-reference their observations and give corrections to the range of fire). The observers were always able to communicate (by telegraph, radio or telephone or with visual systems such as heliograph or flag signalling) both to receive orders from zone command and to report their observations to the firing positions in order to correct the range.

6 - The great cave-based works of Lombardy 6.1 - Selection criteria The selection criterion adopted to identify the subjects of research was to consider arbitrarily how the “big works” required the most labour and technical skill for their creation in terms of the surface to be worked on and the quantity of rock extracted and also in terms of the complexity of the end product and the spin off tasks carried out (particularly the application of layers of concrete) (fig. 14). We could have enormously lengthened our talks had we only wanted to mention all the other cave-based works that we have found during the last ten years of research in Lombardy. While many of them are remarkable for a variety of reasons, they can be considered “minor” only in the sense that they do not correspond to the selection criteria.

7.2 - Cave-based battery One of the most interesting and intriguing elements that can be found along the Northern Frontier in Lombardy is that of the artillery emplacements located within caves (fig. 17). A tactical element which is more advanced than the armour-plated emplacements and the best-protected battery, this construction is generally characterised by a structure that is entirely dug out of rock. It comprises space for the positioning of the pieces together with a wide embrasure splayed towards the outside, communication channels for the movement of the pieces, the gunners and the ammunition - sometimes helped by a narrow-gauge railway track – storage lockers for the ammunition and the charges, as well as more space for other things such as observers and transmission rooms etc. In some cases, the structure can have sleeping quarters for troops or officers, making it a true and proper fortress dug into the rock (for example, La Tagliata del Ponale, in Trentino). What gives the cave-based emplacements absolute superiority over the other types of battery mentioned is its complete concealment of the entire battery (indeed, all that can be seen from an enemy position is the rectangular embrasure) and its almost total protection against destruction by enemy fire offered by the rock, which can be several metres thick (a projectile could only cause damage if it managed to

6.2 - Typology and identification Using the above-mentioned criterion, the great cave-based works we have identified can be ascribed to two types of fortification: batteries inside caves and mined tunnels (fig. 15). In Lombardy we have therefore localised the following works: 1. cave-based battery at Canonica di Bedero, at Bedero Valtravaglia (Varese); 2. cave-based battery at Vallalta al Monte San Martino, at Mesenzana (Varese); 3. cave-based battery at Monte Piambello Sud, at Cuasso al Monte (Varese); 4. cave-based battery at Monte Orsa and Croce dell’Orsa, at Viggiù (Varese); 5. mined tunnel (road blockades) at Puncétt di Brienno (Como) and at Gaeta di Nobiallo (Como); 6. cave-based battery at Loco Tocco del Monte Legnoncino,

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Fig. 15. The location of the great cave-based works in Lombardy (enhanced version of map © De Agostini, 2007). penetrate the embrasure). 7.3 - The cave-based battery in Lombardy Of the seven large cave-based battery identified in this study, six of them can be found in the Province of Varese, the westernmost part of Lombardy, while the seventh is a bit further to the east in the province of Lecco. All of them are strategically located but are positioned relatively far back from the state border. However, their firing ranges cover the main access routes to the Po Valley (fig. 18). It was normal for the cave-based emplacements to house 149 mm steel cannons (149A) with an effective firing range of 12 – 14 km; in some cases (two of the six emplacements at Vallalta, the four at Piambello and the six at Monte Orsa), inadequate technical or organisational orders meant that equally efficient cannons, but which required less space, had to be utilised, i.e. 105 mm, heavy, Schneider-Ansaldo field cannons (105p.c., with a range of up to 10.4 – 12.8 km). Had it been necessary, the 149 mm cannons could have been substituted by 149 mm cast iron cannons (149G, with a range of about 9.3 km). The structures were generally built in spurs of rock that were relatively out of sight. The front was impenetrable but access was easy from the back via specially-built

Fig. 16. A rare image of a 149G cannon in cave-based enplacement in the Stelvio-Forni area (Archivio Storico MGB, gruppo Anonimo Kodak). military roads designed to facilitate the transport of the artillery that was to be positioned inside. Considering the weight (just under 7,000 kg) and the width (1.48 m) of a 149A cannon when prepared for transport, these roads had to be particularly strong and accommodating. The roads generally are (or originally were) at least partially paved: the sloped surface allowed for the collection of water via a drainage channel that runs along the road and transports the water to underground drains. On both sides of the road, stones that indicate distance can still be found [Translator’s note: equivalent to milestones, but using kilometres]. Made of worked granite, the stones indicate the beginning of a road (“S.M.” i.e. “Strada Militare” or “Military Road”), every kilometre and sometimes a distance of half a kilometre. The cave-based emplacements are never on a mountain peak (except for the one at Monte Orsa) but are, however, except for the one at Bedero, in positions that are much higher than average for batteries. The most complex structures and the ones that turned out the best are those dug into compact, but soft, calcareous rock (Bedero, Vallalta and Orsa); where the rock is harder (fine porphyry at Piambello and shale gneiss at Legnoncino) the reduced amount of digging and overall effort due to the greater difficulty are evident (fig. 19). The tunnel entrances are generally adorned with portals

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Fig. 17. Concrete-coated cave-based emplacement for medium-calibre artillery, layout and section (da: Accademia Militare, Atlante di Fortificazione, Torino 1918).

Fig. 18. 149A cannon in an open air emplacement, with camouflage, in the Alto Garda bresciano area (Archivio Storico MGB, gruppo Cipelli). Fig. 19. The Savoy coat of arms on the keystone of the entrance portal at the Piambello Sud battery. made of modelled concrete with more or less refined neoRenaissance shapes. They originally had worked steel railings but only the structure at Monte Orsa still has the original ones. At Piambello, the portal’s keystone bears a Savoy frieze in bas-relief while the most precious portal was that of the Vallalta battery: made out of big blocks of finely worked granite, it was unfortunately destroyed by demolition following the clashes between partisans and fascists in the autumn of 1943. The works were generally made up of a main tunnel with one or two entrances and a length of between 50 and 180 metres depending on the needs of the site; from this, smaller tunnels (no more than 10 – 20 m long) lead to the separate gun emplacements and to underground storerooms. The latter were designed to store projectiles or charges and sometimes to shelter troops temporarily (fig. 20). The main and secondary tunnels have a width of about three metres and a height of between three and four metres and are partially coated with concrete – rarely reinforced – but only in the short sections where the rock did not offer adequate resistance. The gun emplacements, with their

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Fig. 20. Layout of the cave-based emplacements of Vallalta (from: Esercito Italiano, Archivio III Reparto Infrastrutture, Milano). varying sizes and shapes depending on which artillery piece they were designed to house, have, except for the one at Legnoncino, a front and sides caked with layers of concrete thick enough to withstand the massive sound waves that accompany a shot being fired (fig. 21). The emplacements that housed the 149mm cannons were 8 – 10 m long, 6 – 8 m wide and as high as 5 m. Because of the length of the rear of the gun carriage, quite a distance away from the embrasure, almost always set firmly in the concrete on the floor, there weresemi-circular goniometric arches divided up into millesimal degrees. These were needed for the accurate aiming of the arm. There is no arc at Legnoncino since the floor was never completed. The 105p.c. emplacements are somewhat smaller and, therefore, the layers of concrete are even thicker. In front of the goniometric arc, there is a semicircular groove for the insertion and support of the gun carriage’s trailspade. The cannon was thus able to absorb the recoil without the carriage moving. Some hanging recesses for ready to use projectiles are positioned everywhere at certain points along the emplacements’ access tunnels (fig. 22). In some cases, from the main tunnel there is direct access to the munitions depot (Piambello) or to the main

observation post (Bedero). The varying needs of each individual battery and the diverse problems that arose therein led to each one having its own variety of physical and structural peculiarities and quirks. This is why visiting each of the structures is enjoyable and intriguing and a chance to discover the similarities and differences between them. In particular, at Piambello, it is impossible to ignore the narrow-gauge (600 mm) railway track that directly connects the battery’s main entrance to the gun emplacement and munitions depot. 8 - The mined tunnels of the Northern Frontier 8.1 - Strategic concept The presiding strategic concept behind the so-called “mined tunnel” is quite simple: should an enemy proceed along a road or railway whose rout necessitates going through one or more tunnels, pre-emptive destruction of the tunnel would constitute a practically unsurmountable barrier, forcing the enemy either to stop for a long time to get through the stretch of tunnel that has been blocked or to retrace their steps in an attempt to find an alternative route. But irreversibly destroying a large tunnel is no easy

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Other smaller accessory chambers act as lookout posts, machine rooms or storage areas or house the powder-kegs for the explosives (with the primers separated from the explosives for the charges). 8.3 - Operation During peace time, the structures remain empty but are subject to routine surveillance and maintenance. During times of war, the explosives dumps are supplied with adequate amounts of a suitable type of explosive and the cisterns are kept completely full. In the event of potential danger, along with the explosives, many charges are prepared in square tin containers, with as many electric detonators as there are wells. In the event of imminent danger, the cisterns are emptied to fill up the wells and the cubical charges are dropped to the bottom of the wells, submerged under a column of water of more than six metres. Meanwhile, the cisterns are filled again. Should the enemy arrive at the tunnel entrance, the procedure for priming the charges is started (fig. 25). As the explosion happens, the pressure of the column of water placed above the charges – inert and incompressible – makes sure that the energy propagates itself through the rock and directs itself to the weakest point, where the rock is less thick i.e. towards the inside of the tunnel: from both sides, the walls implode towards the centre for a distance greater than that between the first and last mine wells. In practice, this could be between thirty and forty metres of collapsed tunnel, bringing down 500 – 600 cubic metres of rock. Depending on the type of rock, this corresponds to 1,200 – 1,700 metric tons. The damage caused constitutes an effective blockade for whoever needs to move quickly, such as in invading enemy. The positioning of the wells, however, means that the underlying road surface or railway track would not be seriously damaged in the event of an

Fig. 21. The embrasures of the first and second 149A emplacements at Vallalta. matter and requires a high-tech approach (fig. 23). 8.2 - Description The three constructions we have considered in this report (Brienno, Nobiallo and Verceia) are very similar to each other and consist of a main conduit, about fifty metres long, that runs about five metres over the top of the tunnel that is to be destroyed. At Brienno and Nobiallo, the conduit runs along above a road tunnel and three pairs of secondary conduits, each about ten metres in length, extend from it symmetrically to both the right and left. At the end of each secondary conduit, there is the opening of the charge wells. At Verceia (the most complex of the three), the main conduit is 105 m long and initially runs along above a road tunnel with four pairs of wells before bending ninety degrees to head towards the area above a railway tunnel, along which the last stretch runs, having made another right angle turn: here are another four pairs of wells (fig. 24). The wells, with a square, 800 x 800 mm cross-section, are positioned deep enough for the bottom part to be positioned about one and a half metres above the road or railway. A complex plumbing system connects the nearest source of water (at Verceia, the lake and streams for the other two) to large cisterns built inside spaces dug out of the mined tunnel itself. The cisterns in turn are connected to the wells.

Fig. 22. The access conduit of the second emplacement of the Piambello Sud battery, with large recesses for projectiles. (Photograph by Bernardo Trotti)

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explosion. Consequently, they could be re-used once more even though the time and cost necessary to clear the tunnel and make it safe afterwards with supporting structures and thick layers of reinforced concrete would be considerable. In the event of the tunnel being readied for an explosion but the imminent danger passes, the charges are removed from the wells and disarmed and the explosive is checked and replaced in the explosives dumps. The wells are drained and left to dry thoroughly so that they are in the best condition for any further emergency (fig. 26). 9 - Conclusions

Fig. 23. The external ramp of the mined tunnel at Verceia with, to the sides, the entrances to the road and rail tunnels

Quoting from what has been written by me and by John Deruti in the introduction to the volume on armour-plated batteries by the friend Walter Belotti: «[The study thus far conducted by the Documentation and Study Centre of the White War Museum in Adamello] has to be the start of a long project that needs to be carried out on these and other great works: knowledge is the indispensable premise for the preservation and enhancement of these unacknowledged traces of our past. Dragging these works out of oblivion and out of abandonment to give them back the dignity they deserve, guaranteeing them care and more exposure until they become part of our tourist and cultural heritage and are available to all. Halt their decline and promote their use without being dragged into hasty, costly, useless and damaging reconstruction projects. A lot of research has been carried out, but more needs to be done in order to fully understand the technical and construction aspects of

Fig. 24. Layout and sections of the mined tunnel at Verceia (from: Scaramellini A. 2007).

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Fig. 25. One of the mine wells at Verceia. (Photograph by Davide Vaccari) Fig. 26. The access well to the water cisterns of the San Fedele mined tunnel at Verceia. these works, to outline their complex historical and human experiences and, finally, to transmit to the public, above all to the young, the cultural value and the sense of the items around which hundreds of simple men, just like us, worked, lived, fought and suffered. This is the last step that gives sense to the work […] of the [White War] museum. Preservation and enhancement on the net: the museum, with the Region of Lombardy and many other bodies, is undertaking a difficult “systemising” operation regarding the Lombard military-historical heritage. The works must be perceived and studied as elements of complex defence systems laid out across the area. No modern fortification, however imposing it may be, makes sense if considered individually, out of its own historical, technical and environmental context: each one fits, strategically and tactically, into the ambit of an organic system and it is in this ambit itself where it is necessary to work for the study, the restoration, the preservation and the proposal to the public [of each of these structures]. The devoted care of a single object counts little if the contextual plot to which it belonged and still belongs is lost. Therefore care must aim towards the retrieval of objects but in the

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context of a defence system to which they belonged. Similarly, their enhancement should tend to re-insert them into the fabric of their territory. [We believe care means] giving these magnificent objects, as they deserve, the dignity of Cultural Heritage in the complete sense of the term and putting them in a high quality tourism circuit that integrates these historical treasures with the other cultural, environmental and landscape offerings on Lombardy, making them available to students of all levels as well as to both foreign and Italian tourists» (Belotti 2009). 10 - Bibliography - AA.VV. 1998, L’artiglieria italiana nella Grande Guerra, Gino Rossato Editore, Novale. - Anonimo, Accademia Militare 1917, Istruzioni pratiche del Genio, stralcio, Tipografia L. Rattero, Torino. - Anonimo 1917, Manualetto per i Minatori di Fanteria, Arti Grafiche Vicentine G.Rossi e C., Vicenza. - Belotti W. 2000, La Grande Guerra sulle montagne lombarde della Valle Camonica, escursioni storiche, Alpinia, Bormio. - Belotti W. 2009, I sistemi difensivi e le grandi opere fortificate in Lombardia tra l’Età Moderna e la Grande Guerra, Vol.1. Le batterie corazzate, Museo della Guerra Bianca, Temù. - Cella G.D., Guanella B.I., Vajna De Pava E. 1997, Opera militare sotterranea in località Verceia (So), Gruppo Grotte C.A.I. Novara, Novara. - Commissariato Generale per le Armi e Munizioni, Direzione Generale d’Artiglieria 1918, Appendice alla istruzione provvisoria per il cannone da 105 pesante campale, tavole, ristampa 1918, Laboratorio Fotolitografico del Commissariato Generale per le Armi e Munizioni, Roma. - Curami A. 1998, Massignani A., L’Artiglieria italiana nella Grande Guerra, Gino Rossato Editore, Valdagno. - Del Tredici G., Fattarelli E. 2007, Colico e il Monte Legnone, “Sentieri e Storia”, C.A.I. Colico, Colico. - Dolci R. 1968, Una costruzione militare a Verceia, in Clavenna, VII, pp. 9-27. - Faldella E. 1965, La Grande Guerra, Le battaglie dell’Isonzo, 1915-1917, Longanesi, Milano. - Faldella E. 1965, La Grande Guerra, Da Caporetto al Piave, 1917-1918, Longanesi, Milano. - Madaschi G. 1916, Sunto descrittivo del materiale d’artiglieria italiano, Editore Carlo Pasta, Torino. - Madaschi G., Atlante del materiale d’artilieria, Tipolitografia G. Paris, Torino. - Maggiorotti L. A. 1918, Manuale per l’ufficiale del Genio in Guerra, Fascicolo I, Capo 3 – Lavori di mina, Ispettorato Generale del Genio, Roma. - Ministero della Guerra 1913, Istruzione sulle munizioni, edizione 1913, Voghera Enrico, Roma. - Ministero della Guerra 1915, Nozione sulle munizioni per artiglieria da campagna, a cavallo, da montagna e pesante campale, Stabilimento fotolitografico d’artiglieria, Roma.

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stretching between Lake Maggiore and the upper end of the Valtellina Valley. From its dominant position overlooking the Pian di Spagna Natural Reserve and Lake Mezzola, the fort offers a unique and intriguing panorama over Lake Como and the mountains of the Valtellina and Valchiavenna Valleys. Since 2009 the fort has been looked after and managed by the White War Museum in Adamello. www. fortemontecchionord.it - [email protected]

museum has set up and manages the general “Infotelematic Archive” of historical and documental findings regarding the First World War in Lombardy as stipulated by Regional Law no. 28 in 2008. www.aigg.org - [email protected] 11.5 - Note This article constitutes an extract from the book by Antonio Trotti: I sistemi difensivi e le grandi opere fortificate in Lombardia tra l’età moderna e la grande guerra - volume 2 - Le grandi opere in caverna della Frontiera Nord, Museo della Guerra Bianca in Adamello, Varese 2011, ISBN 978-88-904522-1-5. All the images published here are taken from the volume mentioned. The photographs, unless otherwise stated, are by the author (fig. 32).

11.4 - Documentation and study centre Since 2009, the White War Museum has given life to the Great War in Lombardy Documentation and Study Centre, located on its premises at Colico and Temù. At the centre, thanks to an agreement with the Region of Lombardy, the

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XVIIIsui crinali del Parco Alto Garda Bresciano La linea d’arresto e gli approntamenti fortificati

LA LINEA D’ARRESTO E GLI APPRONTAMENTI FORTIFICATI SUI CRINALI DEL PARCO ALTO GARDA BRESCIANO Autore Luca Zavanella

Progetto FortidelGarda

Sommario Il territorio del Parco Alto Garda Bresciano è capillarmente ricoperto da una fitta presenza di manufatti bellici risalenti alla Prima Guerra Mondiale che rappresentano un patrimonio ingente per valore storico e naturalistico benché quasi sconosciuto. Centinaia di opere tra trincee, appostamenti in caverna, osservatori, piazzole di artiglieria, originariamente protette da decine di chilometri di reticolati, tuttora ben conservate e spesso praticabili, facilmente raggiungibili attraverso i vecchi sentieri di arroccamento. Tali manufatti costituivano la Linea d’Arresto Giudicarie, di edificazione tardiva (iniziata nei primi mesi del 1917) rispetto alle più note fortificazioni del Tonale e dell’Adamello, con cui si raccordava fino a congiungersi con la preesistente OAFN, lungo la frontiera Svizzera (linea Cadorna). Dopo la ritirata di Caporetto, infatti, fu ravvisato il rischio di una penetrazione nemica sulla direttrice Riva-Brescia e si procedette all’approntamento di una linea di arresto e di resistenza “ad oltranza” per 15.000 uomini a ridosso della Prima Linea (Val di Ledro), che fu in buona parte completata prima della fine della guerra. Fu realizzata una capillare rete stradale e sentieristica, ancora in buona parte operativa, e un’estesa fortificazione in terra e in roccia dei crinali, attrezzati per accogliere unità d’arresto e artiglierie da montagna. Il progetto FortidelGarda (www. fortidelgarda.it), iniziato nel 2010 e tutt’ora in corso, è finalizzato a censire e mappare in modo capillare questi manufatti ed il relativo inquadramento tattico difensivo, in un’ottica di valorizzazione storica, ambientale e paesaggistica, oltre che turistica, grazie ad un contesto panoramico e naturalistico di grande rilevanza. Abstract THE DEFENSIVE BARRIER AND FORTIFIED RIDGE WORKS IN THE PARCO ALTO GARDA BRESCIANO The territory of the Alto Garda Park is widely covered by a dense presence of war artifacts dating back to World War I, which represent a large and almost unknown value of historical and natural heritage. Hundreds of artifacts including trenches, tunnel emplacements, observation posts, artillery positions, originally protected by dozens of miles of barbed wire, are still very recognizable and easily accessible via the old paths of entrenchment. These artifacts formed the “Giudicarie stop line”, set up later (started in early 1917) than the better known fortifications of the Tonale and Adamello, which reached up to join with already existing OAFN, along the Swiss border (Cadorna Line). After the retreat of Caporetto, attention was drawn to the risk of enemy penetration along the

Riva-Brescia axis and it was devised to ready a fortified line for resistance “at all costs” capable of 15,000 men, to be deployed behind the Front Line (Valley Ledro), which was largely completed before the end of the war. An extensive network of roads and trails was built, largely operational to this day, and widespread fortifications of ground and rock ridges, equipped to house arrest troops and mountain artillery units. Project FortidelGarda (www. fortidelgarda.it), started in 2010 and still ongoing, is surveying and mapping these artifacts in detail, placing them in the proper tactical defensive framework, with a view on enhancing the historical, environmental and scenic potential as well as tourist exploitation of an exceptional natural environment. 1 - Prima della guerra... L’entroterra Gardesano è Austria. Il 24 maggio una compagnia di Bersaglieri sale a Magasa, austriaca, da cui i pochi gendarmi e Schutzen sono stati ritirati. Il piano austriaco prevede di abbandonare preventivamente queste propaggini di territorio esposte e poco difendibili, ritirandosi sulla linea, già fortemente predisposta e munita, imperniata su Riva di Trento: una linea di fronte molto più breve, lungo le valli di Ledro e Giudicarie, dove sono già state approntate salde fortificazioni che godono del totale dominio di quota rispetto alle posizioni lasciate agli italiani. Ci troviamo oggi in pieno territorio italiano (fig. 1), ma fino al 1915 qui passa il confine con l’Impero, testimoniato da numerose caserme della Guardia di Finanza adibite alla lotta al contrabbando, e da numerosi cippi confinari e targhe ancora rintracciabili (fig. 2). Gli Austriaci tengono Riva, coi suoi grandi forti, e si attestano sul versante settentrionale di Val di Ledro. Gli Italiani avanzeranno senza incontrare resistenza fino a fronteggiare le linee austriache, occupando i versanti meridionali e allestendo la Linea di Combattimento: inizia la fortificazione dell’Alto Garda. Si tratta di un fronte secondario, con relativamente poca attività: qualche successo offensivo per migliorare le posizioni italiane nei primi mesi, un colpo di mano per distruggere la centrale elettrica nella valle del Ponale, poi attività di pattuglia, controllo della terra di nessuno e consolidamento delle posizioni. Il bilancio di perdite nell’area è indicativo: circa 900 i morti italiani, dei quali oltre la metà per malattie e incidenti, sopratutto di montagna: cadute, caduta di pietre o frane. Non ci sono previsioni di un’offensiva nemica sul Saliente Trentino, inoltre l’attenzione degli strateghi è altrove, sul fronte orientale, dove Cadorna, per consolidare il suo potere contro i detrattori politici, avrà presto bisogno

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Fig. 1. L’area della ricerca e i confini odierni. (Schermata Google Earth) di procurarsi un “successo” propagandisticamente vistoso quanto strategicamente inutile, che otterrà con l’offensiva e la presa di Gorizia, al prezzo di 70.000 morti, poi vanificato dalla disfatta di Caporetto. Di conseguenza, la preparazione delle linee arretrate è minima, la rete stradale rimane basata sulle mulattiere esistenti, con pochi ampliamenti. 2 - Caporetto Il 24 ottobre 1917 l’offensiva progettata e condotta dai Tedeschi, venuti in aiuto agli Austriaci, nella dodicesima battaglia dell’Isonzo sfonda a Caporetto: in poche settimane la ritirata arriva al Piave, poco a est di Vicenza, e gli scontri sul fronte in montagna arrivano al Pasubio (fig. 3). Cadorna, uno dei principali responsabili del disastro, viene sostituito con Diaz e “promosso” capo della delegazione italiana alla Conferenza interalleata, ruolo formalmente preminente, ma di fatto equivalente a una destituzione dalla posizione di Comandante in Capo dell’Esercito. Altri artefici della disfatta, come Badoglio, riescono invece a mascherare i propri errori e conservare i rispettivi incarichi. Il fronte è arrivato a poche decine di chilometri dal Garda, il rischio di un’offensiva sul saliente trentino diventa concreto: superata la sottile “muraglia” (così lo Stato Maggiore chiama il velo di fortificazioni debolmente presidiate lungo e dietro la Val di Ledro), il nemico potrebbe dilagare oltre il versante occidentale del Garda su Brescia e sulla Pianura Padana. Lo scenario è stato solo da poco previsto dai Comandi e poco si è fatto per rafforzare le difese in caso di sfondamento della prima

Fig. 2. I confini fino alla Prima Guerra Mondiale. (Mappa Austriaca ca. 1910)

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Fig. 3. Sviluppo della disfatta di Caporetto (XII Battaglia dell’Isonzo). (Immagine tratta da Wikipedia) linea in Val di Ledro. La linea non ha praticamente alcuna profondità difensiva. Nella relazione del competente Comando 7a Armata del 10 Aprile 1917, la stessa Prima Linea viene ancora definita «non una vera prima linea, ma una zona nella quale sono stati ricavati rafforzamenti, denominata inizialmente “Muraglia”, poi “Zona Principale di Resistenza”» (fig. 4). 3 - La Prima Linea di Combattimento La prima linea è costituita da una successione, spesso

discontinua, di trincee protette da reticolati sul versante meridionale di Val Di Ledro; in seguito ad alcune azioni offensive si aggiunge una piccola zona di occupazione a ridosso del Lago di Ledro e alcuni capisaldi avanzati a nord del torrente Ponale, riforniti principalmente mediate impianti teleferici (gli “elicotteri” della Prima Guerra Mondiale). Qui le trincee sono contrapposte alle linee precedentemente approntate, in dominio di quota, dagli austriaci, che hanno saputo scegliere il terreno in anticipo (fig. 5). Subito a ridosso della linea di trincee, i capisaldi delle prime alture del Garda sono attrezzati per accogliere in ricoveri in roccia le batterie di appoggio dell’artiglieria. Pur soffrendo la sottomissione di quota, la prima linea ha un discreto spessore e dispone di adeguata copertura di batterie in grado di battere le linee nemiche, controbattere le artiglierie austriache e all’occorrenza colpire i forti di Riva. 4 - La Linea Difensiva Arretrata prima di Caporetto Dietro la prima linea, le relazioni iniziali di progetto della prima metà del 1917 ipotizzano due, poi tre “linee arretrate di resistenza”. Nelle mappe originali dellaprile ’17 lo sviluppo è ancora solo teorico e largamente incompleto (fig. 6). Manca totalmente una linea a ridosso di quella di combattimento (Passo Nota – Guil – Limone) ed è parzialmente prevista solo una linea ulteriormente arretrata (Tombea – Puria – Monte Castello); ma, anche di questa, quasi tutte le opere sono ancora solo in progetto (in verde nell’originale), mentre solo su pochi allestimenti sono in corso lavori: il complesso di artiglierie di Monte Cas(tello),

Fig. 4. Stralcio della relazione del 10 Aprile 1917. (Archivio ISCAG)

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il caposaldo di sbarramento in caverna della valle a Ca’ Di Natone, un campo di volo in val di Bondo. I comandi iniziano a ravvisare la necessità di un rafforzamento che in caso di sfondamento consenta l’arresto del nemico prima che possa superare il Garda e dilagare nella Pianura Padana. In un telegramma cifrato del 12 novembre 1917 si parla ancora di ulteriori 100 giorni per il completamento di parecchie porzioni della linea (fig. 7).

il potente complesso dislocato tra M. Caplone, M. Puria, Cima Tignalga, Cima Mughera, dosso Piemp, Dosso Forca, Monte Cas(tello), con i fondamentali capisaldi in roccia a blocco della camionabile di fondovalle presso Ca’ di Natone e Casa Campiglio; - la 3a linea arretrata di resistenza (in giallo, andamento fronte NO), a far fronte sulla Valle Giudicarie (Tremalzo, Caplone, Tombea, poi prolungata con difese via via più rarefatte a chiudere l’arco M. Stino, M. Manos, Zingla, Pizzoccolo, per terminare sul complesso difensivo di Navazzo a protezione di Gargnano).

5 - Il progetto definitivo (aprile 1918) In una relazione (29/4/1918), definita ancora “direttiva per lo studio” benché manchino solo sei mesi alla fine della Guerra, della linea arretrata di competenza della 7a Armata compare l’andamento che sarà definitivo (fig. 8). Lo scaglionamento della zona arretrata di resistenza è organizzato su tre linee dislocate in profondità sfruttando, o meglio adattandosi, all’orografia della regione, che presenta crinali con orientamento fronte NE e profonde vallate (con dislivelli di 6-800 metri). È quindi impossibile creare linee di combattimento rispondenti alle correnti direttive (in buona parte derivate dalle innovazioni introdotte dai Tedeschi), che prevedono una linea di capisaldi debolmente difesi, da abbandonare una volta costretto il nemico a rompere l’assetto di marcia, ripiegando su una seconda linea decisamente più rafforzata, destinata a reggere l’urto principale col supporto di truppe di riserva pronte al contrattacco tenute in una terza linea ulteriormente arretrata. Tale sviluppo richiederebbe circa un chilometro di profondità, mentre questi crinali a stento consentono di occupare qualche decina di metri, nei quali devono essere compresse le linee di fanteria e le batterie d’appoggio dell’artiglieria, spesso schierate fianco a fianco. Per creare anche solo pochi avamposti (i cosiddetti “posti scoglio”, recentemente introdotti con lo scopo di infrangere l’impeto nemico grazie allo sforzo di piccoli distaccamenti cui viene chiesto di «adoperarsi senza alcuna considerazione per il personale sacrificio») è necessario scendere di almeno 200 metri di quota e creare lunghi sentieri di collegamento oltre i reticolati, rendendo decisamente difficoltoso l’approvvigionamento, l’avvicendamento del personale e le comunicazioni.

6 - 1918-2011: Il progetto FortidelGarda.it Il progetto FortidelGarda interviene su questa area, dandosi come confine approssimativo l’ambito del Parco Alto Garda Bresciano e prefiggendosi diversi obiettivi. - Ambientale: avviare un processo di tutela e valorizzazione di un patrimonio paesaggistico ricchissimo di risultanze storiche, attualmente del tutto abbandonate e spesso deteriorate, in un contesto floro-faunistico e orografico che passa dall’ambiente mediterraneo della costa a quello alpino dell’entroterra. - Storico: censimento e mappatura esaustiva di centinaia di manufatti, ampiamente documentati da cartografia e relazioni originali recuperate presso gli Archivi Militari. - Turistico: la rete dei manufatti militari può significativamente contribuire e integrarsi con la già notevole attrattiva turistica dell’Alto Garda, ma può certamente aiutare ad attrarre parte del flusso turistico verso l’entroterra, attualmente poco noto e sfruttato rispetto alla linea costiera. È singolare vedere l’ingente flusso turistico attirato dall’area transitare a poche decine di metri da interessanti manufatti senza avere alcuna idea della loro presenza, per la mancanza di qualsiasi valorizzazione, di una minima segnaletica o di cartografia specifica. - Economico locale: mediante la valorizzazione di strutture ricettive e produttori tipici (malghe, caseifici, ecc.) collocati nell’entroterra. Fortidelgarda.it sta operando per completare: - Preparazione di pubblicazioni / guide con itinerari, mappe, notizie storiche e descrizione dei siti, con percorsi integrati nella rete sentieristica del Parco e accessibili con escursioni a piedi, in mountain bike o in auto. - Preparazione di dettagliata cartografia GPS dei sentieri e delle singole installazioni. - Sito web di supporto (www.fortidelgarda.it) con notizie aggiornate, possibilità di accedere a tracce GPS e alle guide, possibilità di conoscere e contattare le realtà ricettive locali. - Database GIS con mappa e archivio fotografico georeferenziato di tutte le rilevazioni.

Nella bellissima mappa del 1918, con le evidenziature colorate originali a delineare lo sviluppo delle linee, sono finalmente definite: - la linea arretrata di combattimento (delineata in rosso, a ridosso della linea di combattimento in Val di Ledro), imperniata su M. Tremalzo, Ps. Nota, M. Carone, M. Guil e lo sbocco a lago fortificato di Reamol; - la 1a linea arretrata di resistenza (in giallo), che comprende M. Carone, Traversole, Corno Nero, Bestone, fino alle alture di Voltino; - la 2a linea arretrata di resistenza (in giallo), con M. Marogna, Bocca Fobia, M. Zenone, M. Nai, Nevese, Pregasio. Questo schieramento, per garantire il blocco della Valle San Michele, facile via di penetrazione su Tignale e di lì a Salò e alla pianura Bresciana, comprendeva

Con l’auspicabile supporto delle Istituzioni locali, Fortidelgarda si prefigge di attivare: - Eventi culturali e turistici (presentazioni, convegni,

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Fig. 5. Prima Linea di Combattimento (Mappa Storica). (Archivio ISCAG) di fortificazione, dislocazione di paline segnaletiche e tabelle illustrative). 7 - Strumenti di supporto del progetto Il progetto di censimento ha raccolto decine di migliaia di immagini di ogni singolo manufatto, con relativa dislocazione e sviluppo precisamente rilevati mediante tracciatura GPS. Il materiale è quindi disponibile per la consultazione, con strumenti informatici di pubblico dominio, non vincolato a costosi database GISS proprietari. Le immagini georeferenziate sono visibili, sovrapposte alla mappa GPS e alla cartografia, mediante programmi freeware come www.geosetter.de (fig. 10). Le tracce e la mappatura GPS sono disponibili in formati di larga diffusione e quindi utilizzabili con tutti i programmi di gestione di GPS e riportabili in vedute di Google Earth. 8 - Il complesso difensivo della Valle San Michele

Fig. 6. Linea arretrata di combattimento (Mappa storica aprile 1917). (Archivio ISCAG) rievocazioni storiche). - Manifestazioni turistiche (“Biathlon dei Forti”). - Entità museale diffusa sul territorio (con accesso a tratti

Tra i numerosi settori fortificati mappati, viene riportato l’esempio del complesso realizzato per difendere la parte meridionale della Valle San Michele, critica via di comunicazione per uno sfondamento, anche perché relativamente agevole e percorsa da una delle principali arterie camionabili del tempo. La struttura della descrizione del complesso riprende, qui in modo riassuntivo e semplificato, le caratteristiche descrittive utilizzate sia sul sito www.fortidelgarda.it, sia nelle pubblicazioni cartacee realizzate sotto forma di guide alla visita degli itinerari più

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Fig. 7. Telegramma cifrato del 12 novembre 1917. (Archivio ISCAG) interessanti. Per ogni itinerario sono descritti e indicati località, descrizione d’insieme del complesso, descrizione e dislocazione dei singoli manufatti, inquadramento storico-tattico del crinale fortificato. È riportata, spesso utilizzando mappe storiche originali dell’epoca, provenienti dagli archivi militari, la cartografia rilevata dell’area con sovrapposta la dislocazione GPS delle postazioni. È completa la documentazione fotografica georeferenziata dell’area, con immagini e dettagli di ogni singola opera, dello sviluppo delle trincee e dell’interno di gallerie e rifugi. Interessantissima è la documentazione storica originale (cartografia, relazioni, progetti, ecc.), riprodotta dagli archivi militari, spesso notevole per dettaglio, precisione e caratteristiche estetiche. La fig. 11 riproduce uno stralcio di una bellissima mappa militare originale dell’ottobre 1918: sul foglio IGM sono riportate a mano nei minimi dettagli le posizioni di tutte le postazioni, dei capisaldi, dei reticolati e delle interruzioni stradali. Sono indicate anche con cerchi colorati le posizioni delle batterie di artiglieria con le relative direttrici principali

Fig. 8. Linea arretrata di resistenza (progetto). (Mappa storica aprile 1918). (Archivio ISCAG)

Fig. 9. Stralcio relazione settimanale Situazione Avanzamento Lavori (documento storico del 24 giugno 1918). (Archivio ISCAG)

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Fig. 10. Immagini georeferenziate e mappe GMS in una schermata di Geosetter (www.geosetter.de). di tiro. Le linee a tratto continuo con piccole crocette lungo il percorso raffigurano i numerosi impianti teleferici che sopportavano l’ossatura dei rifornimenti in quota. Le tracce sovrapposte in colore sono invece chiaramente aggiunte per aiutare la comprensione tattica del settore. La valle, delineata dalla traccia rossa che segue il tracciato dell’attuale SP38, mette in comunicazione il comprensorio di Tremosine (a NE), di cui sono visibili le frazioni di Villa e Vojandes, con l’area di Tignale (visibile la frazione di Gardola) a SO. Tremosine si trova poco dietro la linea di combattimento, mentre Tignale è l’ultimo comune montano prima di scendere sulla direttrice costiera: di qui, le strade sono relativamente ampie e percorribili e sopratutto non vi sono praticamente altri complessi difensivi (se non il modesto trinceramento di Gargnano) per impedire di raggiungere Salò e sfociare nella pianura, aperta verso Brescia e Milano, ma sopratutto alle spalle del fronte principale nei pressi di Vicenza. Si tratta quindi di una perfetta via di penetrazione e nella zona raffigurata siamo in corrispondenza dell’ultima strozzatura fortificata. Questo spiega la presenza di un complesso esteso e articolato, con difese ben sovrapposte: un tratto di mezza dozzina di km da percorrere sotto il tiro incrociato di numerose postazioni poste in notevole dominio di quota. Seguendo la strada da NE, supponendo superato lo sbarramento di fortificazioni di Tremosine e Polzone, si

incontra una successione di tornanti: la strada è infatti adagiata su un crinale in forte pendenza rivolto a ovest. La cima di Tignalga viene appositamente fortificata per dislocarvi postazioni di mitragliatrice, osservatori, almeno una fotoelettrica e diverse batterie di artiglieria di cui sono indicati con le frecce verdi i settori di tiro. Le postazioni compongono una linea continua sul crinale di Monte Casarole, protetta da un reticolato fino alla successiva serie di tornanti posta in corrispondenza della strozzatura naturale di Campiglio – Natone. Qui la strada è costretta a iniziare la risalita del versante nel punto più stretto della valle e viene presa dal fuoco incrociato di diverse postazioni. Da NO, una serie di ricoveri in roccia con numerosi appostamenti di mitragliatrici e lanciabombe (evidenziati da una linea verde). Da SO due linee sovrapposte di ricoveri, sempre in roccia e in posizione dominante (ancora con linea verde). Da est, le postazioni in caverna ricavate nei promontori rocciosi di Casa Campiglio e di Casa Natone: nella prima alcune postazioni di fucileria e mitragliatrici, nella seconda due pezzi di artiglieria in caverna. La fig. 12 riporta un disegno originale della galleria principale del complesso Ca’ di Natone, con gli appostamenti in caverna per i due pezzi, ciascuno con una camera per il ricovero dell’arma in caso di attacco diretto, e le riservette munizioni e il confezionamento poste a distanza di sicurezza. Presso l’ingresso della caverna sono indicate le latrine. Il blocco è completato dall’Interruzione Stradale N. 28: si

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tratta di un complesso di mina profondamente interrato sotto la strada, accessibile mediante una caverna oggi adibita a deposito, ma tuttora riportante una targa in cemento della 53a Compagnia Genio che la realizzò. La posizione era scelta in modo che lo scoppio della mina predisposta, attivabile a

distanza, causasse il massimo danno e comportasse tempi ingenti per il ripristino: venivano a questo scopo scelti tratti in cui la strada era particolarmente esposta su strapiombo e la mina era dislocata e dimensionata per scalzare lo zoccolo roccioso in profondità e al contempo causare la caduta di ingenti quantitativi di materiale di ostruzione dalla parete sovrastante. Un esempio interessante è quello dell’interruzione presso la Tagliata del Ponale, vicino Riva, attivata dagli Austriaci in ritirata, per la quale sono stati ritrovati i rilievi del Genio Italiano che dovette effettuare rilevanti lavori di ripristino. La strozzatura di Natone è inoltre posta sotto il fuoco delle tre batterie del complesso di Monte Cas (più noto come Monte Castello), circa due chilometri più a sud: un crinale roccioso, a picco sul lago, lungo il quale fu realizzata una carreggiabile di servizio a una decina di postazioni per pezzi puntati a battere la strozzatura e il tratto di strada relativamente rettilineo che sarebbe stato percorribile superandola. Il complesso di Monte Cas è estremamente articolato e interessante, per cui lo descriveremo più dettagliatamente in seguito. Superata la strozzatura, la valle si fa ampia e dolce, ma la percorribilità è interdetta dalla presenza sul versante ovest del fronte continuo di postazioni sui crinali di Dosso Asino, Dosso Piemp e Traval, che mediante mitragliatrici in caverna potevano effettuare un tiro incrociato e diretto sull’intero percorso (frecce verdi). Alle pendici di Monte Cas, un ultimo sbarramento di trincee e reticolati a chiudere direttamente la valle che qui incontra una nuova strettoia dominata a ovest dal ripido contrafforte di Dosso

Fig. 11. Complesso difensivo Valle San Michele (Mappa Storica originale ottobre 1918). (Archivio ISCAG)

Fig. 12. Caverna principale per due pezzi di artiglieria a Ca’ di Natone (disegno originale ca. 1917). (Archivio ISCAG)

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della Forca, nelle cui caverne artificiali furono posizionate diverse mitragliatrici e due batterie di artiglieria, consistenti in pezzi di piccolo e medio calibro. Come si vede dalla mappa, superata quest’ultima strozzatura si accede ad alcuni tornanti che scendono a livello del lago, non più muniti di alcun appostamento difensivo. Anzi, a questo punto in grado di minacciare alle spalle i collegamenti logistici e le numerose teleferiche che collegavano i punti di rifornimento sulla costa (approvvigionati via lago in quanto allora era del tutto inadeguata la strada litoranea) e con diverse tratte successive arrivavano alle posizioni di vetta e sopratutto alla linea di batterie del crinale Puria – Tignalga, dislocate a battere verso nord le posizioni austriache delle Giudicarie. 8 - Il complesso difensivo della Valle San Michele Tra i numerosi settori fortificati mappati, viene riportato l’esempio del complesso realizzato per difendere la parte meridionale della Valle San Michele, critica via di comunicazione per uno sfondamento, anche perché relativamente agevole e percorsa da una delle principali arterie camionabili del tempo. La struttura della descrizione del complesso riprende, qui in modo riassuntivo e semplificato, le caratteristiche descrittive utilizzate sia sul sito www.fortidelgarda.it, sia nelle pubblicazioni cartacee realizzate sotto forma di guide alla visita degli itinerari più interessanti. Per ogni itinerario sono descritti e indicati località, descrizione d’insieme del complesso, descrizione e dislocazione dei singoli manufatti, inquadramento storico-tattico del crinale fortificato. È riportata, spesso utilizzando mappe storiche originali dell’epoca, provenienti dagli archivi militari, la cartografia rilevata dell’area con sovrapposta la dislocazione GPS delle postazioni. È completa la documentazione fotografica georeferenziata dell’area, con immagini e dettagli di ogni singola opera, dello sviluppo delle trincee e dell’interno di gallerie e rifugi. Interessantissima è la documentazione storica originale (cartografia, relazioni, progetti, ecc.), riprodotta dagli archivi militari, spesso notevole per dettaglio, precisione e caratteristiche estetiche. La fig. 11 riproduce uno stralcio di una bellissima mappa militare originale dell’ottobre 1918: sul foglio IGM sono riportate a mano nei minimi dettagli le posizioni di tutte le postazioni, dei capisaldi, dei reticolati e delle interruzioni stradali. Sono indicate anche con cerchi colorati le posizioni delle batterie di artiglieria con le relative direttrici principali di tiro. Le linee a tratto continuo con piccole crocette lungo il percorso raffigurano i numerosi impianti teleferici che sopportavano l’ossatura dei rifornimenti in quota. Le tracce sovrapposte in colore sono invece chiaramente aggiunte per aiutare la comprensione tattica del settore. La valle, delineata dalla traccia rossa che segue il tracciato dell’attuale SP38, mette in comunicazione il comprensorio di Tremosine (a NE), di cui sono visibili le frazioni di Villa e Vojandes, con l’area di Tignale (visibile la frazione di

Gardola) a SO. Tremosine si trova poco dietro la linea di combattimento, mentre Tignale è l’ultimo comune montano prima di scendere sulla direttrice costiera: di qui, le strade sono relativamente ampie e percorribili e sopratutto non vi sono praticamente altri complessi difensivi (se non il modesto trinceramento di Gargnano) per impedire di raggiungere Salò e sfociare nella pianura, aperta verso Brescia e Milano, ma sopratutto alle spalle del fronte principale nei pressi di Vicenza. Si tratta quindi di una perfetta via di penetrazione e nella zona raffigurata siamo in corrispondenza dell’ultima strozzatura fortificata. Questo spiega la presenza di un complesso esteso e articolato, con difese ben sovrapposte: un tratto di mezza dozzina di km da percorrere sotto il tiro incrociato di numerose postazioni poste in notevole dominio di quota. Seguendo la strada da NE, supponendo superato lo sbarramento di fortificazioni di Tremosine e Polzone, si incontra una successione di tornanti: la strada è infatti adagiata su un crinale in forte pendenza rivolto a ovest. La cima di Tignalga viene appositamente fortificata per dislocarvi postazioni di mitragliatrice, osservatori, almeno una fotoelettrica e diverse batterie di artiglieria di cui sono indicati con le frecce verdi i settori di tiro. Le postazioni compongono una linea continua sul crinale di Monte Casarole, protetta da un reticolato fino alla successiva serie di tornanti posta in corrispondenza della strozzatura naturale di Campiglio – Natone. Qui la strada è costretta a iniziare la risalita del versante nel punto più stretto della valle e viene presa dal fuoco incrociato di diverse postazioni. Da NO, una serie di ricoveri in roccia con numerosi appostamenti di mitragliatrici e lanciabombe (evidenziati da una linea verde). Da SO due linee sovrapposte di ricoveri, sempre in roccia e in posizione dominante (ancora con linea verde). Da est, le postazioni in caverna ricavate nei promontori rocciosi di Casa Campiglio e di Casa Natone: nella prima alcune postazioni di fucileria e mitragliatrici, nella seconda due pezzi di artiglieria in caverna. La fig. 12 riporta un disegno originale della galleria principale del complesso Ca’ di Natone, con gli appostamenti in caverna per i due pezzi, ciascuno con una camera per il ricovero dell’arma in caso di attacco diretto, e le riservette munizioni e il confezionamento poste a distanza di sicurezza. Presso l’ingresso della caverna sono indicate le latrine. Il blocco è completato dall’Interruzione Stradale N. 28: si tratta di un complesso di mina profondamente interrato sotto la strada, accessibile mediante una caverna oggi adibita a deposito, ma tuttora riportante una targa in cemento della 53a Compagnia Genio che la realizzò. La posizione era scelta in modo che lo scoppio della mina predisposta, attivabile a distanza, causasse il massimo danno e comportasse tempi ingenti per il ripristino: venivano a questo scopo scelti tratti in cui la strada era particolarmente esposta su strapiombo e la mina era dislocata e dimensionata per scalzare lo zoccolo roccioso in profondità e al contempo causare la caduta di ingenti quantitativi di materiale di ostruzione dalla parete sovrastante. Un esempio interessante è quello

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Fig. 13. Complesso d’artiglieria di Monte Cas (Mappa Storica ottobre 1918). (Archivio ISCAG)

Fig. 14. Appostamento di artiglieria da campagna a Monte Castello (disegno originale). (Archivio ISCAG)

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La linea d’arresto e gli approntamenti fortificati sui crinali del Parco Alto Garda Bresciano

Fig. 15. Osservatorio in cupola blindata di Monte Cas (disegno originale 19 settembre 1918). (Archivio ISCAG) dell’interruzione presso la Tagliata del Ponale, vicino Riva, attivata dagli Austriaci in ritirata, per la quale sono stati ritrovati i rilievi del Genio Italiano che dovette effettuare rilevanti lavori di ripristino. La strozzatura di Natone è inoltre posta sotto il fuoco delle tre batterie del complesso di Monte Cas (più noto come Monte Castello), circa due chilometri più a sud: un crinale roccioso, a picco sul lago, lungo il quale fu realizzata una carreggiabile di servizio a una decina di postazioni per pezzi puntati a battere la strozzatura e il tratto di strada relativamente rettilineo che sarebbe stato percorribile superandola. Il complesso di Monte Cas è estremamente articolato e interessante, per cui lo descriveremo più dettagliatamente in seguito. Superata la strozzatura, la valle si fa ampia e dolce, ma la percorribilità è interdetta dalla presenza sul versante ovest del fronte continuo di postazioni sui crinali di Dosso Asino, Dosso Piemp e Traval, che mediante mitragliatrici in caverna potevano effettuare un tiro incrociato e diretto sull’intero percorso (frecce verdi). Alle pendici di Monte Cas, un ultimo sbarramento di trincee e reticolati a chiudere direttamente la valle che qui incontra una nuova strettoia dominata a ovest dal ripido contrafforte di Dosso

della Forca, nelle cui caverne artificiali furono posizionate diverse mitragliatrici e due batterie di artiglieria, consistenti in pezzi di piccolo e medio calibro. Come si vede dalla mappa, superata quest’ultima strozzatura si accede ad alcuni tornanti che scendono a livello del lago, non più muniti di alcun appostamento difensivo. Anzi, a questo punto in grado di minacciare alle spalle i collegamenti logistici e le numerose teleferiche che collegavano i punti di rifornimento sulla costa (approvvigionati via lago in quanto allora era del tutto inadeguata la strada litoranea) e con diverse tratte successive arrivavano alle posizioni di vetta e sopratutto alla linea di batterie del crinale Puria – Tignalga, dislocate a battere verso nord le posizioni austriache delle Giudicarie. 9 - Il complesso di artiglieria di Monte Cas Vale la pena di descrivere in dettaglio il complesso di Monte Cas in quanto è uno dei pochi casi in area in cui l’orografia abbia consentito di realizzare un sistema di difesa integrata dove le postazioni di artiglieria potevano essere precedute da una cintura avanzata di trincee e appostamenti per la difesa diretta. Questo non era quasi mai possibile nelle

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Fig. 16. Osservatorio Monte Cas in cupola blindata; vista attuale. (Foto dell’Autore)

Fig. 17. Mappatura GPS complesso Monte Cas.

Fig. 18. Appostamento in caverna con luce di tiro in calcestruzzo; foto attuale. (Foto dell’Autore)

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Fig. 19. Scalinata in cemento lungo la galleria di collegamento tra due appostamenti; foto attuale. (Foto dell’Autore)

Fig. 20. Tratto di trincea completato da muri a secco; foto attuale. (Foto dell’Autore)

posizioni di crinale, in cui piazzole di artiglieria e trincee erano dislocate fianco a fianco, compromettendo la difesa diretta da parte della fanteria e, per contro, causando lo scontento di alpini e fanti che si trovavano direttamente esposti al fuoco di controbatteria. La fig. 13 mostra una mappa storica originale del 1918: è visibile a sud la parete rocciosa a picco sul lago, sul cui crinale si svolge la carreggiabile militare che collega le postazioni delle tre batterie. Quasi tutti i pezzi sono dislocati in piazzole in barbetta, collegate alla strada principale da brevi bretelle e asserviti da riservette in caverna o interrate. Lo sviluppo complessivo è riportato nella planimetria originale (fig. 14). Due pezzi erano invece posizionati in caverne costituite da un corridoio scavato e da una casamatta in calcestruzzo di oltre due metri di spessore, realizzata in quanto non sussisteva adeguato spessore in roccia. Oggi la casamatta giace a pezzi, demolita probabilmente dai recuperanti per estrarne le armature in ferro.

visione era collocato in una cupola in calcestruzzo, allora probabilmente interrata, di cui rimane il disegno originale (fig. 15). Questa cupola si conserva ancor oggi, seppure successivamente inglobata in una incongrua piramide di cemento che fa da base all’inevitabile croce (fig. 16). La particolarità del complesso, come si accennava, è costituita dalla presenza di tutto il suo contesto per la difesa ravvicinata, una rarità in quest’area. La dislocazione complessiva, oltre che dalla mappa alla fig. 14, è ben evidente nella rilevazione GPS (fig. 17). Sul crinale nord del monte, in declivio più moderato rispetto alla parete sud, si distinguono chiaramente due ordini di fortificazioni, uno a mezza costa e l’altro poco sopra il fondovalle: sono evidenti i tracciati della viabilità di arroccamento (linee viola e rosse) e i tracciati in blu relativi ai tratti di trincea e agli appostamenti, marcati anche con waypoints, alcuni dei quali in caverna con feritoie di tiro in calcestruzzo (fig. 18).

Alcune delle caverne di fuoco o di osservazione erano rivolte verso lago, ma il fronte principale del complesso era, come descritto sopra, rivolto a battere le provenienze lungo la strada militare di fondovalle San Michele e la strettoia di Natone. A questo scopo era installato un riflettore in caverna e fu realizzato un osservatorio, accessibile in grotta attraverso tre livelli di risalita, il cui punto di

Alcuni degli appostamenti sono costituiti da due o tre punti di fuoco in casamatta, collegati da diverse decine di metri di gallerie, in qualche caso disposti su più livelli e collegati mediante scalinate in cemento (fig. 19). Le trincee del complesso si sono conservate in ottimo stato e sono tuttora profonde più di due metri in diversi tratti scavati in roccia e spesso completate da murature a secco,

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secondo il consueto andamento serpeggiante realizzato per evitare la propagazione di schegge o il dilagare di truppe assalitrici in caso di sfondamento locale (fig. 20). La facile accessibilità del complesso, insieme al grande valore

paesaggistico e naturalistico, peraltro condivisi con l’intero fronte dell’Alto Garda, ne fanno meta turistica interessante e avvincente, che certamente non merita l’abbandono e l’oblio in cui sono lasciate.

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HYPOGEAN ARCHAEOLOGY Research and Documentation of Underground Structures Edited under the aegis of the Federazione Nazionale Cavità Artificiali

N° 1. Italian Cadastre of Artificial Cavities, Part 1 (Including introductory comments and a classification), di Roberto Basilico, Luigi Bavagnoli, Stefano Del Lungo, Gianluca Padovan, Klaus Peter Wilke, translation by Ivana Micheli, (British Archaeological Reports, International Series 1599), 2007. N° 2. Atti I Congresso Nazionale di Archeologia del Sottosuolo: Bolsena 8-11 Dicembre 2005, Archeologia del Sottosuolo: Metodologie a Confronto, Volumi 1 e 2, a cura di Roberto Basilico, Luigi Bavagnoli, Stefano Del Lungo, Gianluca Padovan, Klaus Peter Wilke, (British Archaeological Reports, International Series 1611), 2007. N° 3. Bibliografia archeologica, speleologica e tecnica delle cavità artificiali italiane ed estere. Primo Contributo (2000 titoli con abstract), di Luigi Bavagnoli, Gianluca Padovan, (British Archaeological Reports, International Series 1827), 2008. N° 4. Il Trou de Touilles in Val di Susa, Piemonte, Italia. Indagini Archeologiche in un Acquedotto Alpino del XVI Sec., di Roberto Basilico, Sara Bianchi, (British Archaeological Reports, International Series 1933), 2009. N° 5. Atti II Congresso Nazionale di Archeologia del Sottosuolo: Orte 6-9 Aprile 2007, L’acqua, il fuoco e i luoghi del sacro in cavità, a cura di Roberto Basilico, Sara Bianchi, Maria Antonietta Breda, Claudia Ninni, Davide Padovan, Gianluca Padovan, Alessandro Verdiani, (British Archaeological Reports, International Series 2067), 2010. N° 6. Atti III Congresso Nazionale di Archeologia del Sottosuolo: Massa 5-7 Ottobre 2007, Archeologia del rifugio antiaereo: utilizzo di opere ipogee antiche e moderne per la protezione dei civili, a cura di Roberto Basilico, Maria Antonietta Breda, Gianluca Padovan, (British Archaeological Reports, International Series 2218), 2011.

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