Lettura dell'Evangelo secondo Giovanni 9788821557491

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Lettura dell'Evangelo secondo Giovanni
 9788821557491

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Xavier Léon-Dufour

LETTURA DELL'EVANGELO SECONDO GIOVANNI



SAN PAOLO

Titolo originale deU'opera Lecture de I'Évangile selon Jean (4 voU.) © Éditions du Seuil, Paris 1988-1996 Traduzione dal francese di Antonio Gir/and;, e Franceraz Moscate/li Second;, edizjone 2007

lmpn'matur Frascati, 12 aprile 1989 Mons. Carlo Meconi, Vie.

Gen.

©EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 1990 Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.ir Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Corso Regina Margherita, 2 - 10153 Torino ISBN 978-88-215-5749-1

PREFAZIONE

Sono lieto che quest'opera sia resa accessibile anche in lingua italiana. 1\:on si tratta di un commento di tipo classico, da cui attingere informazioni e chiarimenti per accostarsi al vangelo di Giovanni con una migliore preparazione: esistono già eccellenti opere del genere, ed è consigliabile consultarle. Invito piuttosto il lettore a scorrere queste pagine con uno sguar­ do fresco e a lasciarsi accompagnare dall'autore, senz'altra preoccu­ pazione che quella di entrare a poco a poco nel dedalo dello scritto giovanneo. Si può procedere in due modi nello "studiare" una fore­ sta: inoltrarsi subito in un sentiero oppure acquisirne previamente una visuale complessiva grazie a una carta geografica o a una perlu­ strazione dall'alto con l'elicottero. n secondo modo, che corrispon­ de al nostro metodo, è migliore: quando la totalità della foresta è presente allo spirito, si è in grado di cogliere non soltanto la singo­ larità del sentiero che si sta percorrendo, ma anche il rapporto di esso con l'insieme. L'avventura, comunque, non sarà facile! Se dopo trent'anni in compagnia del vangelo di Giovanni me ne sono occorsi altri quindici per redigere questa Lettura attenta del testo, sarà bene che anche il lettore proceda con calma nell'as­ similarlo e che lo affronti quando dispone di pause di tempo suf­ ficientemente lunghe, o nel corso di ritiri spirituali. E ciò soprat­ tutto per pagine come quelle che presentano il mirabile Discorso dell'addio (cc. 13 -17) nel quale Gesù manifesta piena coscienza degli avvenimenti che stanno per sopraggiungere: la sua morte, la sua glorificazione, l'avvenire dei discepoli. In questo testo ogni parola andrebbe accuratamente pesata. n lettore forse troverà un po' pesante seguire questo o quello svi­ luppo critico, come la giustificazione delle scelte fatte per stabilire le unità letterarie. Ma potrà saltare senza inconvenienti l'uno o l'altro passo che trovasse ostico e soffermarsi invece sulle prospettive sin­ tetizzanti, che non mancano nel corso dei vari capitoli.

6

PREFAZIONE

Nell'accostarsi al Prologo, per esempio, potrà cominciare dal­

l'Apertura, che sta alla fine del commento al medesimo (pag. 139),

la quale lo aiuterà a coglierne il senso, perché costituisce la reazione nei confronti del testo non tanto dell'esegeta come tale, quanto del cristiano che ha letto il testo e vive nel proprio tempo. Queste Aperture sono per definizione soggettive, ma sono state introdotte per invitare il lettore a sforzarsi di attualizzare a sua volta il testo ispi­ rato, cioè di percepire a modo suo il messaggio per noi, oggi. Qualora egli preferisca cominciare la lettura con un episodio del vangelo, gli suggerirei di partire da quello delle nozze di Cana: avrà di che stupirsi rispetto alla sua comprensione abituale della pericope - come gli accadrà per altre pagine di Giovanni in cui talvolta ho preso le distanze da opinioni comuni o anche tradizio­ nali - e ne trarrà degli scorci di profondo interesse sul rapporto fra i due Testamenti, che in realtà sono "uno". Vedrà inoltre con­ fermate le annotazioni fatte nelle Premesse all'opera, specie per quanto riguarda la posizione predominante di Dio Padre e la pre­ senza delle Scritture d'Israele che impregna il testo giovanneo. Ma comunque proceda il lettore, lasci che il suo sguardo si rinno­ vi dal di dentro, a mano a mano che assapora questa meraviglia che è il vangelo di Giovanni. Mi è stato detto ripetutamente che si avverte nel mio libro una preoccupazione di ordine pastorale. Ne sono lieto, perché è vero. Ma si constaterà che esso non si perde in considerazioni pie e che, anche quando non lo dà a vedere, si appoggia sui migliori studi esegetici contemporanei. Inoltre non mi limito a spiegare i versetti uno per uno, ma cerco di far emergere il senso del testo comples­ sivo mettendo in luce il rapporto che unisce i suoi diversi elemen­ ti: seguo dunque il metodo : Libro primo (cc. 1-12) comprendente il Prologo, la Parte prima e la Parte seconda; Libro secondo (cc. 13-21) comprendente la Parte terza, la Parte quarta e l'Epilogo. L'A. nella sua Lettura procede per unità letterarie che di solito non corrispondono ai capitoli del quarto vangelo. In questa edizione tali unità letterarie sono state numerate progressivamente da l a 25, mante­ nendo titoli e sottotitoli dell'A. Ciò che Léon-Dufour dice nelle brevi presentazioni ai quattro volu­ mi è raccolto e proposto con le sue stesse parole nella Prefazione alla presente edizione dell'opera che ci auguriamo di maggiore utilità e di più facile uso rispetto alla precedente. EDIZIONI SAN PAOLO

ABBREVIAZIONI E SIGLE

l. Libri della Bibbia

Ab Ab d Ag Am Ap At Bar Ct Col ICor 2Cor lCr 2Cr Dn Dt Eb Ef Esd Es Est Ez Fm Fil Gal Gn Ger Gc Gb Gl Gio Gs Gv lGv 2Gv 3Gv

Abacuc Ab dia Aggeo Amos Apocalisse Atti degli Apostoli Baruc Cantico dei cantici Colossesi Corinzi (l Lettera) Corinzi (Il Lettera) Cronache (l Libro) Cronache (II Libro) Daniele Deuteronomio Ebrei Efesini Esdra Esodo Ester Ezechiele Filemone Filippesi Galati Genesi Geremia Giacomo Giobbe Gioele Giona Giosuè Giovanni (Vangelo) Giovanni (l Lettera) Giovanni (Il Lettera) Giovanni (III Lettera)

Gd Gdc Gdt Is Lam Lv Le lMac 2Mac MI

Mc Mt Mie Na Ne Nm Os IPt 2Pt Pro Qo IRe 2Re Rm

Rt Sal ISam 2Sam Sap Sir Sof lTs 2Ts lTm 2Tm Tt Tb

Zc

Giuda Giudici Giuditta Isaia Lamentazioni Levitico Luca Maccabei (l Libro) Maccabei (Il Libro) Malachia Marco Matteo Michea Naum(o Nahum) Neemia Numeri Osea Pietro (l Lettera) Pietro (II Lettera) Proverbi Qohèlet (o Ecclesiaste) Re (l Libro) Re(II Libro) Romani Rut Salmi Samuele (l Libro) Samuele (Il Libro) Sapienza Siracide (o Ecclesiastico) Sofonia Tessalonicesi (l Lettera) Tessalonicesi(II Lettera) Timoteo (l Lettera) Timoteo (Il Lettera) Tito Tobia Zaccaria

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ABBREVIAZIONI E SIGLE

2. Altre abbreviazioni AT cc. LXX Mél. NT p Tg v. vv. c.

Antico Testamento capitolo, capitoli Versione greca dell'AT detta dei Settanta Mélanges ( Miscellanea) Nuovo Testamento e passi paralleli Targum versetto, versetti =

}. Libri non biblici: apocrifi e altre opere antiche Gli Écrits intertestamentaires sono citati secondo l'edizione di Gallimard 1987. I testi eli Filone si riferiscono alle Oeuvres de Philon d'A/exandrie, Cerf l%5 e ss.

AH

Contro le eresie ( Adv. Haer.) di lreneo ( SC 100, 152,

Agri c Ant. giud. Ap Bar Apol Ben CH Dam De Spec Leg

De Agricoltura di Filone Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio Apocalisse di Baruc Apologetico di Tenulliano Testamento di Beniamino Corpus hermeticum, Ed. Belles Lettres, 1 945 Documento di Damasco De specialibus Legibus di Filone ( O euvres. , n. 25,

2 1 0,263, 293)

..

1970)



Dial Did Didascalia Ap

Dialogo con Tri/one di Giustino Didachè Didascalia apostolorum, CSCO, Louvain 1979, t. 402,

Erma 4Esd Ev Ver Gad Gen R Gig Guerra giud. HE

Erma, Il Pastore Quarto libro di Esdra (Écrits . , pp. 1399-1470) Evangelium veritatis Testamento di Gad Genesi rabbà De Gigantibus di Filone Guerra giudaica di Giuseppe Flavio Storia Ecclesiastica di Eusebio di Cesarea (SC 3 1 , 4 1 ,

Hen lnLam

Libro d i Enoc di Origene, PG

407 , 409

..

55, 7 3 )

13

Iss ]ub Lev r Mid Ps Mid R Mosè Nu R Ps Sal lQH lQM lQS Sacr Sanh Sim Smyrn Somn Test Test Ben Test Job Test Mosè Test Zab

ABBREVIAZIONI E SIGLE

Testamento di Issacar Libro dei Giubilei Levitico rabbà Midrash sui Salmi Midrash rabbà De vita Mosis di Filone Numeri rabbà Salmi di Salomone Inni (Qurnriìn) Rotolo della guerra (Qurnriìn) , Regola della sétta (Qurnriìn) De sacri/iciis Abeti et Caini di Filone Sanhedrin Testamento di Simeone Lettera ai cristiani di Smirne di Ignazio di Antiochia (SC 10) De Somniis di Filone Testamenti dei dodici patriarchi Testament de Benjamin (Écrits. .. , pp. 935-944) Testamento di Giobbe Testamento di Mosè Testamento di Zabulon

4. Collezioni, dizionari, riviste

BASOR BD Bib BJ BLE BTB BZ CBQ DACL

7

Bulletin o/ the American Schools o/ O rientai Research (New Haven) Blass-Debrunner, Grammatik des nt.chen Griechisch, Gottingen 1954 (trad. it. Paideia, Brescia) Biblica (Roma) Bible de Jérusalem, Cerf, Paris 1 973 (ed. it. EDB-Borla, Bologna 1974) Bulletin de Littérature ecclésiastique (Toulouse) Biblica! Theology Bulletin (Roma) Biblische Zeitschrz/t (Paderborn) The Catholic Biblica! Quarterly (Washington) Dictionnaire d'archéologie chrétienne et de Liturgie (Paris 1903- 1953)

DBS DC

DNT

Dictionnaire de la Bible. Supplément (Paris) Documentation catholique (Paris) X. Léon-Dufour, Dizionario del Nuovo Testamento, Que­ riniana, Brescia 1978

ABBREVIAZIONI E SIGLE

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Dizionario di teologia biblica, a cura di X. Léon-Dufour, Marietti, Torino 1980 Evangelisch-Katholischer Kommentar zum Neuen TestaEKK meni(Neukirchen) Estudios Biblicos(Madrid) EstBib Ephemerides Theologicae Lovanienses(Louvain) ETL Evangelische Theologie(Miinchen) EvTh Exp.T (ET) Expository Times(Edinburgh) EWNT Exegetisches Worterbuch zum Neuen Testament(Stuttgart) Graecitas biblica di M. Zerwick(Roma) GB Griechische Schriftsteller(Berlin) GCS Grande Lessico del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia GLNT (ed. it. del Theologisches Worterbuch zum Neuen Te­ stament, Stuttgart) Greek New Testament, Stuttgart 1975', edd. K. Aland, GNT M. Black, B.M. Metzger, A. Wikgren The Harvard Theological Review(Cambridge, Mass.) HTR Journal o/Biblica! Literature (Boston) JBL Journal o/ Semitic Studies(Manchester) JSS The Journal o/ Theological Studies(London) JTS Lumière et Vie(Lyon) LV NRT Nouvelle Revue théologique(Tournai-Namur) Novum Testamentum (Leyda) NT New Testament Studies(Cambridge) NTS PG Patrologia Greca, ed.] .P. Migne(Paris) PL Patrologia Latina, ed. ].P. Migne(Paris) Revue biblique (Paris) RB Revue des sciences religieuses(Strasbourg) RevSr RevThom (RT) Revue Thomiste(Toulouse) Risurrezione di Gesù e Messaggio Pasquale, di X. Léon­ RGMP Dufour(v. in ) Revue d'Histoire et de Philosophie Religieuse (StrasRHPR bourg) RSPT Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques(Paris) Recherches de science religieuse (Paris) RSR Strack - Billerbeck, Kommentar zum NT aus Talmud und SB Midrasch(Miinchen) Sources chrétiennes(Paris) se Sciences Ecclésiastiques(Montreal) Se Ecclés. ThR Theologische Rundschau(Tiibingen) Theological Studies(Woodstock) ThSt Theologische Zeitschrift(Ziirich) T hZ DTB

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ABBREVIAZIONI E SIGLE

V TB WB ZkT ZNW

Theologische Literaturzeitung (Berlin) Traduction oecuménique de la Bible Trierer Theologische Zeitschrz/t (Trier) Texte und Untersuchungen zur Geschichte der altchristlichen Literature (Leipzig-Berlin) Theologisches Worterbuch zum NT (Vedi: GLND Theologische Zeitschrz/t (Base!) Verbum Domini (Roma) Vocabulaire de Théologie biblique (Paris) Walter Bauer, Worterbuch zum N. T. (Berlin) Zeitschrz/t /ur die Katholische Theologie (lnnsbruck) Zeitschrz/t /ur die neutestamentliche Wissenscha/t (Ber-

ZTK

Zeitschrift fur Theologie und Kirche (Tiibingen)

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lin)

OPERE FREQUENTEMENTE CITATE

Per una bibliografia completa delle pubblica zioni dal 1920 al l%' , cf r. E. Malatesta; dal 1966 all971, H. Thyen ThR 39 (1974) 8-44; e dal l978 al!980,J. Beck er, ThR (1982) 279284 . Cfr. anche E. Cothenet, in lntroduction à 14 Bible, Desclée 1977, III, vol. 4, pp. 2�-31 l. Nel co� o d eU' opera gli au tori elencati i n qu esta bibliogra fia saranno cita ti come indi­ ca to tra pa rentesi tonde.

E.A. ABBOTI, ]ohannine Grammar, London 1 906 S. AGOSTINO, Commento al vangelo di Giovanni, Opere di sant'Ago­ stino: XXIV, Città Nuova, Roma 1 968. Testo latino e trad. it. a fron­ te(= In]o) J. ASHTON, Understanding the Fourth Gospel, Oxford 1991 (= J. Ashton) C.K. BARRETI, The Gospel according lo St. fohn, London 19782 ( C.K. Barrett) ]. BECKER , Das Evangelium des (nach)]ohannes, 2 voli., Giitersloh 1979 c 1981 (= J. Becker) J.H. BERNARD, A Critica! and Exegetical Commentary an the Gospel accor­ ding to St. fohn, Edinburgh 1928 (= J.H. Bernard) ]. BLANK , Das Evangelium nach Johannes, 4 voli., Diisseldorf 1977- 1981 (= J. Blank) -Krisis, Freiburg i. B. 1964 ( Knsis) J. BLINZLER, Le Procès de Jésus, 1960, 1969', trad. fr. Mame 1962 (= J. Blinzler) M.E. BOISMARD, L:Évangile de fean, Cerf, 1977 -Le Prologue de Saint Jean, Cerf, 1953 ( Prologue) - Du bapteme à Cana (]ean 1,19 - 2, 11), C erf, 1956 (= M.E. Boismard) F.M. BRAUN, ]ean le théologien, 4 voli., Gabalda, 1959- 1972 (= F.M. Braun) R.E. BROWN, The Gospel according to fohn, 2 voli., New York 1966 e 1970 [trad. it. Cittadella, Assisi 1979] (= R.E. Brown) - The Death o/ the Messiah, London 1994 ( Death) R BULTMANN, Das Evangelium des ]ohannes, Gottingen 1941' ( R. Bultmann) J. CALLOUD & F. GENUYT, Le Discours d'adieu. Jean 13-17, L'Arbresle 1985 ( = J. Calloud) C!RlLLO D'ALESSANDRIA, Comment. In]o. Ev., PG 73-74 =

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OPERE FREQUENTEMENTE OTATE

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CRISOSTOMO, Homiliae LXXXVIII in Johannes, PG 59,23-482 A. DAUER, Die Passionsgeschichte in Joh. Ev., Miinchen 1 972 (= A. Dauer) C.H. Dooo, I:interpretazione del quarto vangelo, Paideia, Brescia 1974

(=Interpretazione)

-La tradizione storica nel quarto vangelo, Paideia, Brescia 1974 (=Trad.

star.) A. DURANO, Évangile selon S. Jean, Beauchesne, 1938" [trad. it. Stu­ dium, Roma 1957] (=A. Durand) EUSEBIO DI CESAREA, Histoire Ecclésiastique, Libri I-IV ( SC 3 1 , 1952); V-VII (SC 4 1 , 1955) J. FESTUGIÈRE, O bservations stylistiques sur l'évangile de S. Jean, Klinck­ sieck, 1974 A. FEUILLET, Le Prologue du quatrième évangile, DDB, 1968 E. HAENCHE:"l, Johannesevangelium (éd. U. Busse), Tiibingen 1980 (=E. Haenchen) E. HosKYNS, The Fourth Gospel (ed. F.N. Daver), London 1 9742 (=E. Hoskyns) lRENEO, Contre les hérésies, III (SC 2 10,2 1 1 ) , V ( SC 152,153) M.J. LAGRANGE, Évangile selon S. Jean, Gabalda, 19273 (= M.]. La­ grange) S. L ÉGASSE, Le Procès de Jésus, 2 voli., Cerf, 1994-95 (= S. Légasse I, II) X. LÉON-DUFOUR (ed.), I miracoli di Gesù secondo il Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 1980 (=I miracoli di Gesù) - I Vangeli e la storia di Gesù, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1986' -Studi sul Vangelo, Edizioni Paoline, Roma 1974' -Risurrezione di Gesù e messaggio pasquale, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1987 (= RGMP) -Di fronte alla morte. Gesù e Paolo, Ldc, Torino-Leumann 1 982 -Condividere il pane eucaristico, Ldc, Torino-Leumann 1982 RH. LIGHTFOOT, St. John's Gospel (ed. C.F. Evans), Oxford 1956 (= RH Lightfoot) B. LI NDARS, The Gospel oflohn, London 1972 (=B. Lindars) A. Lo iSY, Le Quatrième Évangile, Picard, 1903 (= A. Loisy) E. MALATESTA, St. John's Gospel, Roma 1967 (=E. Malatesta) D. MoLLAT, I:Évangile selon saint ]ean (fascicolo della " Bible de Jérusalem"), Cerf, 19733 (=D . Mollat) H. ODEBERG, The Fourth Gospel, Uppsala 1 929, Amsterdam 1 968 (=H. Odeberg) T. O N UKI, Gemeinde und Welt, Neukirchen 1 984 (=T. Onuki) B. OLSSON, Structure and Meanù1g in the Fourth Gospel, Lund 1974 (=B. Olsson) ORIGENE, Commento al vangelo di Giovanni, UTET, Torino 1976

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OPERE FREQUENTEMENTE CITATE

S.A. PANIMOI.LE, Lettura pastorale del Vangelo di Giovanni, 3 voll., EDB, Bologna 1978-1984 (= S.A. Panimolle) l. DE LA POTIERIE, La Vérité dans saint]ean, 2 voll., Roma 1977 (= I. de la Potterie) G. REIM, Studien zum alttestamentlichen Hintergrund des ]oh. Ev., Cam­ bridge 1974 (= G. Reim) A. SCHLATI"ER, Der Evangelist]ohannes, Stuttgart, 19482 (= A. Schlatter) R. SCHNACKENBURG, Il vangelo di Giovanni, 4 voll., Paideia, Brescia 197 4-1987 (= R. Schnackenburg) H. STRATHMANN, Das Evangelium nach]ohannes, Giittingen 1951 [trad. it. Paideia, Brescia 1973) (=H. Strathmann) S. T HOMAS, Super Evangelium S. ]oannis Lectura, ed. R. Cai, Torino 1952 (= S. Tommaso) C. T RAETS, Voir]ésus et le Père en lui selon l'évangile de]ean, Roma 1967 (= C. T raets) H. VAK DEK BusSCHE, ]ean. Commentaire de l'évangile spirituel, DDB, 1 967 (=H. van den Bussche) B.F. WESTCOTT, The Gospel according to St fohn, 2 tomes, London 1908 (= B.F. Westcott) TH. ZAHN, Das Evangelium des]ohannes, Leipzig-Erlangen 1908 ( Th. Zahn) =

PREMESSE

I commenti ai vangeli sono, di regola, introdotti da una serie di esposizioni in cui il commentatore cerca di sintetizzare i risultati delle sue ricerche, a cominciare dalle questioni cruciali sollevate dall'opera da leggere. Questo tipo di Introduzione, spesso.redatta alla fine del lavoro, non compie in effetti la sua funzione di «ape· ritivo» per un lettore che non è ancora in grado di valutarne la fondatezza né di gustarne il sapore; lo rende solo impaziente di arrivare al testo stesso. Per questo, e per altri motivi, ho preferito rimandare queste sintesi parziali alla fine dell'opera. In compen­ so, è opportuno precisare sobriamente la prospettiva dalla quale ci avvicineremo al testo.

a. Un testo da leggere Quest'opera si presenta come una lettura del vangelo di Gio­ vanni': non si tratta cioè di un «commentario» nel senso classico del termine, una specie di ricca miniera in cui si vanno ad attinge­ re informazioni di ogni genere su ogni dettaglio del testo. Simili imprese appaiono con una certa regolarità e sono indispensabili per far avanzare la ricerca. lo, per mio conto, ho beneficiato di questi lavori sterminati nella misura in cui sono stato in grado di padroneggiare la loro varietà. Le note disseminate a piè di pagina ne sono la traccia, pur senza sfoggio di erudizione; esse consisto­ no per lo più in riferimenti scritturistici e bibliografici che rispar­ miano al lettore il salto di continue parentesi per poter seguire il 1 Il vangelo di Giovanni sarà indicato con la sigla Gv, menue il nome Giovanni sarà riservato al Battista. La nostra lettura comprende tutto il vangelo, compreso il c. 21 che ceni critici non attribuiscono all'«evangelista». Noi preferiamo quest'ultimo termine a quello di «auroro> e lo utilizzeremo senza specificare di quale straco redazionale si tratti (cfr. nota 7).

PREMESSE

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filo del discorso. D'altra parte esse offrono la base per chi voles· se sfumare le mie affermazioni. Per andare avanti è necessario avere sotto i piedi un terreno solido, ma non è necessario guarda· re continuamente il terreno su cui si cammina. Il quarto vangelo è giunto a noi scritto su papiri che risalgono alla fine del II secolo al più tardi. Il frammento più antico, la cui scrittura è anteriore al 150, porta sul recto i w. 1 8,3 1 -33 e sul verso i w. 19,37-38. Se ne conclude che già prima del 125 il vangelo di Gv era conosciuto nel medio Egitto, luogo ben lontano dalla Palestina e dall'Asia Minore. Un altro papiro2 , proveniente an­ ch'esso dall'Egitto, è ancora più significativo, perché comprende in un unico codice, e di seguito, il vangelo di Luca e quello di Giovanni da 1 ,1 a 15,7; la sua scrittura risale all'anno 200 circa. Inoltre, Ignazio d'Antiochia, già prima del 1 10 (anno della sua morte) si fa eco di diverse idee giovannee1. Perciò, ai giorni nostri, non vi è più critico quasi che dati il nostro vangelo dopo l'anno 100, pur senza antidatarlo verso l'anno 50, come vorrebbero certe recenti proposte•. Questo vangelo è stato posto sotto il nome di san Giovanni Apostolo. Tale attribuzione sorprende a buon diritto le menti cri­ tiche, poco disposte a vedere nel pescatore del lago di Tiberiade l'autore di un'opera così compenetrata di simbolismo e di teolo­ gia. Tale scetticismo si affianca, del resto, a certe esitazioni pre· senti nella stessa tradizione. Lungi dal presentare l'autore come uno scrittore solitario, le più antiche testimonianze lo associano regolarmente a qualche altro personaggio. Papia parlava di un certo «Giovanni il Presbitero», Clemente d'Alessandria nota che il libro fu scritto dall'Apostolo «spintovi dai suoi discepoli». Una lista delle opere da leggere nella liturgia, risalente al 170 circa', precisa che «se Giovanni scrisse a nome proprio», lo fece «con 2 Il papiro fu pubblicato da V. Manin a Cologny-Gincvra nel1961 e classificato con la sigla P"; in precedenza, nel 1956 Martin aveva pubblicato il P" che comprendeva i cc. l, l 6,11; 6,35h-l4,l5 c alcuni frammenti dal l5 al 2 1. 'Ignazio d'Antiochia, Fi/7,9; Magn 8,2; Rom 7,2·3. • l critici rigettano quasi all'unanimità l'ipotesi avanzata da ].A. T. Robinson, Redating the New Testament, London 1976, e infelicemente volgarizzata (in Francia) da C. Tresmon­ tant, Le Christ hébreu, OEIL 1983. ' Questa lista è chiamata «Canone muratoriano» dal nome del bibliotecario milanese (L.A. Muratori) che l'ha scoperta nel1740 in un manoscritto che risale all'VIII secolo; cfr. SDB 5 (1957) 1399-1408.

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PREMESSE

l'approvazione di tutti». Sembra dunque opportuno rinunciare a raffigurarsi l'evangelista che compone la sua opera a tavolino, sia pure assistito dallo Spirito Santo. Non potendo entrare in det­ tagli, mi limito a richiamare in poche parole l'ipotesi più verosi­ mile, almeno fino ad oggi, sulla storia della redazione del quarto vangelo. Una «scuola giovannea» localizzata di solito a Efeso - città dell'Asia Minore, punto d'incontro di molteplici correnti religio­ se - sarebbe all'origine della presentazione che si qualifica come «giovannea». La cristologia del quarto vangelo è molto evoluta rispetto a quella degli altri tre (Matteo, Marco e Luca); la divini· tà di Gesù vi assume un tale rilievo che l'opera giovannea fu guar­ data a lungo con sospetto dalla corrente giudeo-cristiana6. Tutte queste particolarità sono attribuite alla scuola di Efeso, o comun­ que a una «comunità giovannea», la quale non lavorava certo par­ tendo da speculazioni astratte, ma dai ricordi e dall'insegnamen­ to trasmessi dall'apostolo Giovanni, figlio di Zebedeo. Tutto il materiale venne ripreso e riordinato dall'evangelista-scrittore. Un redattore-compilatore avrebbe infine dato il tocco finale alla ste­ sura del libretto. Sinteticamente si potrebbero rappresentare que­ ste tappe nel quadro seguente: Tappa Tappa Tappa Tappa

0: l'apostolo Giovanni, figlio di Zebedeo7• l: la scuola giovannea: teologi e predicatori. 2: l'evangelista scrittore. 3: il redattore-compilatore.

b. Un vangelo spirituale Nella sua lettura attenta di Gv l'esegeta non è solo, perché anche l'evangelista s'è coinvolto in prima persona nel racconto: non solo ha inserito qualche spiegazione nel corso del racconto, dialogando col suo lettore, ma ha manifestato anche il principio teologico che informa tutta la sua opera: il ruolo esplicito dello Spirito Santo nella comprensione del mistero di Gesù. 6 Cfr. RE. Brown, La comunità del discepolo prediletto (1979), trad. it., Assisi 1982. 7 Designando questa tappa con la cifra O (zero) intendiamo evitare di menere sullo stesso piano la fonte originaria con i fiumi che ne derivano. Essa può essere rintracciata dai passi che non sono tipicamente «giovannei>>; cfr. C.H. Dodd, Trad. stor. , pp. 22-3 1 .

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Nel II secolo, Oemente d'Alessandria rileva che «osservando co­ me i fatti materiali erano già stati narrati negli altri vangeli, Giovanni, l'ultimo di tutti, compose il vangelo spirituale»". Da questa valuta­ zione forse alquanto semplicistica, non si deve certo dedurre che i sinottici non siano permeati di teologia! Rimane tuttavia sempre una notevole differenza: i sinottici riferiscono, ciascuno alla sua maniera, gli eventi passati di cui ciascuna comunità conservava il ricordo; Gv invece si è sforzato di dare il senso di tali ricordi alla luce dello Spirito Santo e in una prospettiva decisamente postpasquale. Ma tor­ niamo sui termini usati da Clemente: «vangelo», «spirituale». Un «vangelo» non è una biografia di Gesù nel senso moderno del termine; secondo l'etimologia, è l'annuncio della «buona noti­ zia». I termini euange/istés e euangelizomai appaiono nella tradu­ zione greca del libro di Isaia, scritto verso la fine dell'esilio a Babilonia. Il profeta incoraggia i prigionieri a ritornare nella Ge­ rusalemme dei loro padri. Egli contempla già il popolo in cammi­ no, con un araldo che lo precede. Sulle mura di Sion le sentinelle lo scorgono arrivare:

Come sono belli sui monti i piedi del messaggero [dell'evangelista]! Egli proclama la pace, annuncia [evangelizza] la felicità, proclama la salvezza; egli dice a Sion: «Il tuo Dio regna! Ascolta!>>. In coro esse [le sentinelle] esultano, perché vedono con i loro stessi occhi come Jhwh torna a Sion (ls 52,7 -8).

Il regno di Dio inizia nell'istante stesso in cui il messaggero annuncia che Jhwh ritorna a Sion insieme al popolo ebreo. Nella mentalità semitica, tanto diversa dal pensiero greco, parole e real­ tà si fondono: quando Dio «dice», realizza ciò che dice: la parola di Dio crea ciò che proclama. La storia di Gesù di Nazaret è riferita nei «vangeli» in vista di suscitare o confermare la fede dei lettori in Colui che li salva. Nessun evangelista intende narrare i fatti passati senza interpre­ tarli secondo il significato che hanno per l'oggi del lettore; ciascun vangelo riporta la testimonianza della sua comunità ecclesiale sui fatti che ne fondano l'esistenza e la fede. Ciò che scrive l'evangelista non è dunque, come in Isaia, un an­ nuncio per il futuro; al contrario, è uno sguardo, possibile solo a fatti compiuti, su un evento radicato, certo, in un terreno storico, 1

Secondo Eusebio, HE. VI, 14, 7.

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ma la cui ponata si è dimostrata decisiva e sempre di attualità: que­ sto avvenimento ha trasformato la relazione tra Dio e gli uomini e degli uomini tra loro. Il lettore è posto di fronte a questa novità di vita ed è invitato a entrarvi. A questo scopo egli non viene messo in rapporto con un illustre defunto, ma con un Vivente da cui dipende la piena espansione della sua stessa esistenza. Questa prospettiva «evangelica» Gv l'ha in comune con i tre sinottici: ma in più, rispetto ad essi, egli ne rende ragione chiara­ mente. Gesù ha certo rivelato «la vita» offerta a tutti coloro che, mediante la fede, avrebbero partecipato della relazione che uni­ sce lui stesso al Padre suo; ma questa sua rivelazione non poté essere compresa p�ima che l'evento pasquale l'avesse portata al suo compimento. E per questo che, dopo la partenza di Gesù, essa è continuata, o meglio è stata nuovamente resa presente in altro modo, cioè con la mediazione dello Spirito. Gesù, tornato da questo mondo al Padre, ha comunicato ai discepoli «Un altro Paraclito» (14,16) che, secondo la promessa di Gesù stesso, «vi insegnerà e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (14,26). La rivelazione di Gesù, unica, si è realizzata in due tempi, dei quali solo il secondo consente la piena comprensione di quanto era già integralmente contenuto nel primo. Se durante la sua vita terrestre, Gesù non ha potuto rivelare in tutta chiarezza il mistero che riguarda lui e noi, non fu soltanto per la ragione che tale mistero, prima della sua morte e glorifica­ zione, non poteva essere conosciuto nella sua totalità, ma anche perché - secondo Gv - il dono dello Spirito è necessario all'uomo per «intendere» la parola di Dio e capire che tale dono è frutto della croce. Tuttavia Gesù ha potuto depositare nel cuore dei di­ scepoli parole ricche di proprietà «germinale»9: l'acqua dello Spirito le avrebbe fatte germogliare al tempo debito. Solo più tardi, quindi, nella Chiesa, i credenti avrebbero scoperto il pen­ siero profondo di Gesù. In forza della sua coscienza messianica, egli non mirava unicamente ai suoi contemporanei della Pale­ stina: costoro non erano i suoi unici uditori e inoltre non erano che uditori imperfetti. Attraverso di essi, i veri contemporanei di Gesù sono i lettori del vangelo, che senza aver veduto hanno cre­ duto. 'P Joiion, NRT67 (1940) 320, nota 7.

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Gv riferisce dunque gli eventi passati che ha scelto come i più significativi e dei quali si dice «testimone>> (2 1 ,24): essi costitui­ scono il nucleo fondatore, senza del quale nulla vi sarebbe; la sor­ gente, cui si deve incessantemente ritornare a dissetarsi_ Ma, al tempo stesso e deliberatamente, egli fa trasparire da essi la «veri­ tà tutta intera>> ( 16,13) , di cui ha ricevuto, mediante lo Spirito, la comprensione profonda. Così il passato di Gesù di Nazaret, posto di fronte ai suoi contemporanei in Israele, e il presente del Risorto nella comunità dei credenti, sono ambedue «leggibili>> nelle paro­ le e nei gesti di Gesù contenuti nel vangelo di Gv. In che modo ha proceduto l'evangelista concretamente? Per lungo tempo ho pensato, con O. Cullmann e L. Cerfaux10, che il principio dei due tempi di lettura consentisse di situare con esat­ tezza il rapporto che, nella scrittura giovannea, intercorre tra i due poli del prima e del dopo Pasqua. Tale principio rimane es­ senziale; deve essere tuttavia completato dal principio di «una let­ tura simbolica>>. c.

I due tempi di lettura

Gv distingue, talvolta esplicitamente, il tempo degli uditori contemporanei di Gesù e il tempo dei lettori che vivono dopo la Pasqua. In realtà, la vita di Gesù come tale è stata una storia uma­ na accessibile a chiunque, credente o meno; d'altra parte, solo il credente ne ha, a fatti compiuti, l'intelligenza spirituale; i medesi­ mi fatti possono essere visti secondo la prospettiva dei contempo­ ranei o alla luce della fede pasquale. Il lettore del quarto vangelo è colpito dal carattere ambiguo delle parole e dei gesti riferiti: non si è mai sicuri di aver afferra­ to bene l'intenzione di Colui che parla o agisce. , , «il Figlio dell'uomo deve essere innalzato>> ... Tale impressione è confermata dall'incapacità di com­ prendere degli uditori di Gesù. Ci si domanda allora se questo non sia il risultato di una sistematizzazione dell'evangelista. Nei dialoghi anzitutto, Gv sembra aver adottato sistematica­ mente, ampliandolo, un procedimento che originariamente ap"O. Cullmann. in Mél. M. Goguel, Neucharel 1950, pp. 52-61; L. Cerfaux, in Recueil, Gembloux 1954. II, pp. 17-26.

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part iene alla tradizione apocalittica 11• Secondo questa tradizione, i misteri del regno non possono venire comunicati direttamente agli uditori. Il Rivelatore propone una verità sotto forma più o meno enigmatica, che non è quindi immediatamente comprensi­ bile; ciò provoca nell'interlocutore una domanda di spiegazione, domanda necessaria perché venga data la risposta chiara. Si può notare un procedimento del genere, per esempio, nei colloqui di Gesù con Nicodemo e con la Samaritana. Ora, se la «spiegazio­ ne», data in seconda battuta, è in reale continuità con ciò che è stato enunciato prima, si constata in Gv che la spiegazione supe­ ra non solo in chiarezza, ma propriamente anche nel contenuto, il primo enunciato. Nella prima proposta della verità, ciò che Gesù dice ai suoi uditori è, in linea di principio, comprensibile per essi sulla base della loro precedente conoscenza della Scrittura, nel quadro della fede giudaica tradizionale. Essa li orienta a riconoscere in Gesù colui mediante il quale Dio dà compimento alle promesse fatte a Israele. In un secondo momento, dopo che il carattere sorpren­ dente dell'annuncio ha provocato un'interrogazione, ecco che la risposta di Gesù - la seconda rivelazione - risulta intelligibile, in realtà, solo per i lettori di Gv, situati dopo la Pasqua. Non si trat­ ta più di riconoscere in Gesù soltanto il Messia promesso da Dio, ma di cogliere il mistero stesso del Figlio, del suo proprio itinera­ rio, e di entrare così nel mistero dell'amore di Dio per gli uomini, quale il Figlio lo ha rivelato (3, 16; cfr. 1,18). La parola con cui, secondo l'evangelista, Gesù apre il dialogo (come in 3 , 3 ), apparterrebbe al primo tempo, quello degli udito­ ri storici di Gesù; essa costituisce un invito a cercare ciò che la rivelazione divina, già ricevuta da Israele, permetteva di cogliere o di intravedere, mentre la spiegazione (come in 3 , 1 1 - 13), che in realtà è un annuncio nuovo, apparterrebbe direttamente al secon­ do momento di comprensione, quello aperto all'evento pasquale e illuminato dallo Spirito. In certi episodi sono le medesime parole di Gesù, o di un altro personaggio, che racchiudono contemporaneamente un senso comprensibile ai giudei e un senso propriamente cristiano. Anche in tal caso, il principio dei due tempi di comprensione sta alla ba" Cfr. M. Hennaniuk, Lz Parabole évangélique, DDB, 1947. Cfr. Ez 17,2-24; Dn 2,17-30;

Ap l,20; Mt 13p.

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se del testo. Certe aporie potrebbero essere superate se si distin­ guesse - per una parola che crea difficoltà - il livello di lettura. Per esempio, la proclamazione del Battista: «Costui è il Figlio di Dio», non è anacronistica se in bocca sua viene compresa nel senso veterotestamentario familiare agli uditori, anche se Gv vi include, per il suo lettore, il senso che l'espressione equivalente di «Figlio unico» ha nel Prologo teologico. n discorso sul pane di vita, in particolare, potrebbe essere inteso sia in riferimento alla fede - nel primo tempo della rivelazione -, sia in riferimento al sacramento - nel secondo tempo. Anzi, è già in funzione del se­ condo tempo che Gv ha voluto presentare l'opzione dei contem­ poranei stessi di fronte alla fede nella persona di Gesù; questa decisione deve infatti caratterizzare il lettore nella sua pratica eucaristica. Gv offre contemporaneamente la predicazione di Gesù di Na­ zaret e l'insegnamento esplicitato dallo Spirito. Egli procede, così, su un doppio binario: quello del ricordo che può richiamarsi agli uditori-testimoni, e quello della contemplazione del mistero che è proprio dei credenti. L'essenziale è il rapporto fra i due tempi. Questo principio suppone che non si isoli il primo tempo né che si veda in esso la ricostruzione «storica» dell'evento accaduto. In funzione del suo progetto Gv ha trasformato la tradizione comu­ ne. Tuttavia non si può neppure privilegiare senz'altro il secondo tempo, come se il primo fosse ormai definitivamente superato, mentre esso continua a produrre ancora i suoi effetti nella com­ prensione della salvezza. In certo senso, i due tempi sono successivi, così come il Nuovo Testamento succede all'Antico. E tuttavia - come tra i due Testa­ menti il secondo tempo non elimina il primo, ma lo illumina e lo porta a compimento, e il primo sta alla radice del secondo. n primo tempo conserva un'importanza sempre attuale e ciò non solo come evento fondante, cosa certamente capitale, ma per il fatto che, essendo Gesù inseparabile da Israele, tutto il passa­ to d'Israele confluisce nel suo ministero in Palestina. Quando l'evangelista rimanda il suo lettore a Gesù di Nazaret, non lo indi­ rizza soltanto a un certo individuo attorniato da alcuni suoi con­ temporanei, ma al Gesù nel quale già si esprime il Logos e che assume l'antica fede di Israele per compiere le promesse. L'Allean­ za infatti è unica, pur venendo nuovamente sancita dal Figlio di Dio. Perciò il primo tempo, quello in cui gli uditori potevano -

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comprendere che Gesù, il Messia, avrebbe realizzato le promesse divine, questo tempo ha già un orizzonte che, in realtà, va oltre il mistero personale del Figlio: le promesse contenute nella Scrit­ tura, specie negli scritti apocalittici, implicano una prospettiva di compimento che va ben oltre l'opera del Messia. La loro evoca­ zione nei dialoghi giovannei traccia l'itinerario del Figlio stesso all'interno del disegno globale di Dio, che si estende fino all'ulti­ mo giorno. Intesa correttamente, la rivelazione di Gesù, già nel primo tempo di comprensione, sfocia nella piena realizzazione della salvezza. Ciò che essa non contiene è la rivelazione del «mezzo» col quale il disegno di Dio raggiunge il suo scopo. Se la Pasqua porta con sé la luce definitiva, la parusia però non è anco­ ra giunta: vivendo tra questi due eventi, il cristiano rimane teso verso la seconda venuta di Cristo e deve vivere - a modo suo, ma realmente - l'attesa dei contemporanei di Gesù. Riconoscere i due tempi di comprensione della Rivelazione non deve portare a misconoscere l'unità del disegno di Dio né l'unità del credente: si devono rispettare contemporaneamente il «due» e l'«uno», che traducono il mistero nella sua realtà totale. In definiti­ va, la critica che si può muovere all'espressione «due tempi>>, è di usare una terminologia che privilegia il «due» a scapito dell'«uno», mentre il testo è uno. Di qui il tentativo di ricorrere a un altro prin­ cipio di lettura, più adatto a manifestare i due nell'tmo.

d. Una lettura simbolica Non possiamo sviluppare qui una teoria del simbolo, tanto più che le proposte degli specialisti sono estremamente varie, in fun­ zione del campo da ciascuno preferito: la filosofia, la storia delle religioni, l'analisi psicologica. Basterà richiamare alcuni dati ele­ mentari12. «Simbolico» non si oppone a «reale», nonostante che volgar­ mente si intenda così il termine. Al contrario, è simbolico solo ciò che rende presente una realtà con cui entra in comunione chi coglie il simbolo. La parola «simbolo» significa «mettere insie"Mi ispiro all'ottima presentazione di G. Durand, I:imag inat oi n rymbolique, PUF, 1964; cfr. la mia opera Cond ividere il pane e ucar ri tico nel Nuo vo Tertamento, Elle Di Ci, Torino 1983.

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me»13: un simbolo congiunge due entità, quella che è immediata­ mente percettibile con i sensi e quella invisibile cui si riferisce; quest'ultima traspare di per sé dalla prima. Ne segue che la prima non rimanda alla seconda come a una realtà distante ed eteroge­ nea (ciò che invece è tipico del segno: il fumo segno del fuoco). Pur non essendo la realtà significata, permette che questa si mani­ festi e si comunichi alla coscienza. Ciò presuppone un'operazione mentale: è l'intelletto dell'uo­ mo che determina, in base alla sua cultura, alla sua situazione o al suo inconscio, tra le diverse valenze simboliche dello stesso ogget­ to - per esempio, dell'acqua che può significare la purificazione, la morte, lo Spirito ... - quella che in un determinato contesto gli si manifesta. È evidente che Gv ricorre volentieri al simbolo, erede qual è della grande tradizione biblica; perciò nel suo linguaggio, l'acqua viva, il pane ecc. esprimono direttamente realtà della salvezza. L'astrazione è estranea al pensiero semitico, e non a caso, poiché per esso ogni creatura è buona (Gn 1 ,3 1) e può diventare «paro­ la». Anche attraverso i miracoli molto concreti di Gesù, Gv fa emergere non tanto il suo potere di taumaturgo, ben riconosciu­ to dai contemporanei come dall'evangelista, quanto piuttosto l'uno o l'altro aspetto della salvezza offerta a tutto l'uomo e con ciò stesso l'uno o l'altro aspetto del mistero personale di Gesù: così, la vista donata al cieco-nato simboleggia che Gesù è la luce. Interi racconti, infine, sono «simbolici» in quanto tali: essi di­ cono un'altra cosa, diversa da quella che raccontano direttamen­ te; attraverso realtà sensibili manifestano il senso profondo del­ l'opera di Gesù. Ma la simbolica in Gv non si limita al modo di parlare e di agi­ re che Gesù adotta nel quarto vangelo; è tutto il testo che si pre­ sta ad essere letto validamente in quest'ottica. Il racconto del vangelo è uno, ma Gesù di Nazaret, che ne è il protagonista, è ad ogni istante «simbolico» del Risorto, di Colui che - secondo la convinzione dell'evangelista - è glorificato pres­ so il Padre ed è presente alla comunità dei credenti. Secondo una prospettiva che gli deriva dalla sua chiesa, l'evan­ gelista ha scelto, fra i dati che la tradizione su Gesù aveva con"Dal greco sym-btillein. Designa in generale

lo»inDNT

u n segno di riconoscimento; cfr.

«>, che il Prologo mette in risalto ( 1 , 14), esso scompare per alcune pagine e ritorna alla fine del­ l'episodio delle nozze di Cana (2 , 1 1 ) : questo rilievo invita a collegare tale episodio con ciò che precede piuttosto che con ciò che segue. Altri critici saranno forse più sensibili al dato che la localizzazione «a Cana>> ritorna, con l'annotazione di «se­ condo segno>>, in un episodio narrato più avanti (la guarigione del figlio dell'ufficiale regio). Personalmente sono del parere

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che si debba privilegiare il tema della «gloria». In questa pro­ spettiva, i tre episodi - la testimonianza di Giovanni Battista ( 1 , 19-34), l'incontro con i discepoli ( 1 ,35-5 1) e le nozze di Cana (2 , 1 - 1 1 ) - costituiscono un'unità letteraria che chiamo «pro­ logo narrativo». Poiché questi episodi presentano reciproche interferenze tra di loro e solo dopo l'ultimo di essi la tensione narrativa si distende in una specie di pausa, si è autorizzati a riunirli insieme. Una legge della composizione giovannea è che i racconti fini­ scono >. Ho inteso così «aprire>> il testo al nostro «oggi>> in una specie di condivisione col mio lettore. Queste «aperture>> hanno quindi un'origine diversa da quella del testo principale, alla comprensione del quale non sono in alcun modo necessarie. Per il loro carattere soggettivo, non pre­ tendono di coinvolgere il consenso del lettore; se le trova ingom­ branti, potrà !asciarle con tutta tranquillità e proseguire nella l et­ tura del commento.

h. La struttura:;;ione del vangelo Proporre un «piano>> del quarto vangelo richiede una buona dose di humour. Le divisioni in capitoli e versetti risalgono al XVI secolo; il testo originale è scritto tutto di seguito ed era destinato anzitutto a una lettura ad alta voce, secondo l'usanza degli anti­ chi. Se questo è il dato, il nostro progetto non verrebbe a sovrap­ porvisi indebitamente? Abbiamo già detto delle difficoltà di determinare le unità let­ terarie interne, come pure dei risultati diversi cui approdano gli esegeti. Le loro scelte non si escludono necessariamente, poiché esse dipendono in gran parte dai codici o chiavi che ciascun criti­ co ha privilegiato per delimitare il testo. La molteplicità dei tentativi per coglierne l'organizzazione non è solo un dato di fatto, ma mostra anche quanto il quarto vange­ lo sia profondamente unitario. Frequenti richiami, più o meno espliciti, riprese narrative e all usioni varie collegano fra loro brani successivi e consentono una loro connessione logica. Dopo che si è optato per il metodo sincronico, si potrebbe contestare la legit­ timità di un «piano>> che stabilisce articolazioni là dove non vi

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sono punti di riferimento indiscutibili. Se si confrontassero i vari piani proposti da autori la cui competenza è fuori dubbio, ci si accorgerebbe delle sovrapposizioni possibili, cioè del fatto che una suddivisione potrebbe parzialmente sovrapporsi a un'altra; la conoscenza del quarto vangelo ne sarebbe forse arricchita. Ad ogni modo, bisogna pur fare una scelta, dopo matura riflessione, della divisione che a nostro parere consente di mettere in eviden­ za la prospettiva emersa, rispettando nel modo migliore gli indizi testuali. Ecco perché, qui come nel seguito dell'opera, noi propo­ niamo il risultato della nostra ricerca. Su un punto preciso i criteri sono quasi tutti unanimi, cioè nella divisione in due grandi sezioni (o "Libri") dell'intero van­ gelo. Dopo un 'introduzione più o meno estesa, secondo gli autori, la prima sezione o Libro primo - che giunge fino al capi­ tolo 12 compreso - descrive l'incontro di Gesù con i suoi con­ temporanei. Siamo in pieno giorno: il combattimento fra la luce e le tenebre avviene in faccia al mondo; e poiché la luce non viene accolta dai «giudei» nel loro insieme, questo è il tempo del «giudizio», della separazione tra coloro che accolgono e coloro che rifiutano. I primi quattro capitoli costituiscono una specie di grande unità nell'insieme del testo di Gv. Dopo i due prologhi, che intro­ ducono nel senso dell'intero libro, e dopo quel preannuncio del mistero pasquale, che è il racconto «Gesù e il tempio», Gesù an­ nuncia, in occasione di incontri individuali, in qual modo l'uomo riceve la vita che egli dona effettivamente mediante la sua parola. In maniera analoga, i capitoli seguenti fino al capitolo 1 1 , attra­ verso gli incontri collettivi di Gesù con i giudei e l'annuncio ap­ profondito del suo mistero personale, culmineranno nell'episodio di Lazzaro riportato in vita da Gesù. TI principio dei due tempi di comprensione e soprattutto quello della lettura simbolica sono posti in atto fin dai primi capitoli e il lettore vi si potrà familiariz­ zare ben presto, apprezzandone l'importanza per la comprensio­ ne del vangelo di Giovanni. Con la seconda sezione, o Libro secondo (cc. 1 3 -2 1 ) , il lettore entra nella notte, ma solo per uscirne alla luce piena della risurre­ zione. La comunità dei discepoli è fondata dall'amore che Gesù le manifesta, ma essa non si costituirà veramente che dopo la dispersione causata dalla morte di Gesù.

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Questa seconda sezione si suddivide chiaramente in tre nuclei:

il discorso degli addii (cc. 1 3 - 1 7 ) , il racconto della passione (cc_

18- 1 9), le apparizioni del Risorto (cc. 20-2 1 ) . L e suddivisioni della prima sezione, invece, sono molto diffici­ li da stabilirsi. Come trovare un criterio oggettivo e non lasciarsi guidare dal «contenuto», o dai «temi», piuttosto che dai dati let­ terari evidenti? Le feste giudaiche, per esempio, scandiscono le diverse tappe della vita di Gesù; esse però non sono criterio suf­ ficiente per distinguere le diverse unità letterarie; possono essere significative solo se accompagnate da un'altra notazione di ordine spaziale, cioè le «salite» di Gesù a Gerusalemme, dato costante della tradizione evangelica. La Pasqua menzionata in occasione dei pani dati a profusione (6,4), per esempio, non ha alcuna inci­ denza per la suddivisione del testo evangelico, perché in questo caso Gesù non sale a Gerusalemme. Lo stesso avviene per la festa della Dedicazione del tempio ( 10,22). Lasciando da parte questi due riferimenti, rimangono due feste di Pasqua collegate a una salita di Gesù a Gerusalemme: esse inquadrano la prima parte del vangelo (2,13 e 1 1 ,55). Tra queste due feste è ricordata la festa della Capanne (7,2; cfr. 5 , 1 ) , collegata a un pellegrinaggio a Geru­ salemme (7,8. 10). Prima di proporre un nostro piano, dobbiamo almeno affron­ tare, se non risolvere, una difficoltà: la collocazione del capito­ lo 6. Come è possibile accettare che, subito dopo il discorso di 5 , 19-47, Gesù «passi all'altra riva del mare di Galilea, di Tiberia­ de» (6, 1), mentre si trova a Gerusalemme? Se non si vuole ridur­ re il vangelo di Giovanni a un puro accostamento di episodi suc­ cessivi (cosa contraddetta dai numerosi richiami che collegano tra loro gli episodi stessi) , bisogna riconoscere che il capitolo 6 è stato inserito in un insieme di testi già preesistenti, quello formato dai capitoli 5 - 1 1 , che costituiscono il processo intentato contro Gesù dalle autorità giudaiche. Lasciando da parte varie ipotesi (come quella di un'inversione di fogli...) proponiamo una soluzione. Basta spostare il blocco 5 , 1 -47 dopo 7 , 1 3 , considerando i vv. 7 , 1 b e 7 , 1 4 come delle glosse d i raccordo, dovute all'inserimento del capitolo 6. In questa sequenza, insegnamenti e avvenimenti ritro­ vano una loro unità. Si tratta sempre della medesima festa, quella delle Capanne (5 , 1 ; 7 ,8. 10), di cui la festa della Dedicazione è come uno sdoppiamento ( 10,22). Tutto avviene a Gerusalemme, nel tempio (cc. 5 e 7-8), fuori del tempio (9-10), fuori della Terra

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santa ( l 0- 1 1 ) . Si succedono tre miracoli che evocano la condizio­ ne del cristiano perfetto (cfr. Ef 5,14): egli cammina (5), vede (9) e vive ( 1 1 ) . L'insieme di questi capitoli, infine, registra, con una progressione avvertibile, l'ostilità delle autorità giudaiche nei con­ fronti di Gesù. Le suddivisioni minori del testo saranno giustificate di volta in volta. Qui di seguito proponiamo un piano, anche se nel corso della «lettura» ulteriore del testo fossimo indotti a modificarlo in qualche dettaglio. Così com'è, può già aiutare a leggere con atten­ zione il testo del vangelo. Chi non è specialista non ha motivo di scoraggiarsi di fronte a qualche esposizione più tecnica né di fronte alle parole greche citate nel testo, trascritte in caratteri latini ! Queste precisazioni mi sono sembrate indispensabili per giustificare la lettura propo­ sta. Avrei potuto, per tali passi, utilizzare un diverso carattere tipografico, come si fa nei manuali scolastici. Ho preferito dar fiducia ai miei lettori; essi potranno eventualmente saltare allegra­ mente questi passi un po' indigesti. Le reazioni di quanti avranno letto queste pagine saranno sem­ pre benvenute, così che possa sempre migliorare l'impresa, non priva di scogli, di aiutare a leggere il

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7,1 - 1 1 ,54: 2) LA LUCE DELLA VITA Gesù a Gerusalemme

7,1-13: Gesù sale a Gerusalemme, suscita incertezze; «sci­ sma» tra i giudei

7,14 - 8,59: (A) Nel tempio: controversie e proclamazioni Nota - Unità di luogo, di tempo, di azione. Due serie di qua­ dri separati da 8,12: 7,14-30 e 8,13-20 Il 7,3 1-36 e 8,2 1 -30 Il 7,37-52 e 8,3 1-59 7,14-30: (a) Controversie seguite da una proclamazione: la scienza di Gesù, l'osservanza del sabato, origine divina di Gesù {19-29); tentativo di arrestare Gesù 3 1 -36: (b) Esortazione: di fronte a un doppio uditorio (gente di buona volontà e farisei irriducibili), Gesù esorta e minaccia; ma gli uditori non com­ prendono 37-52: (c) La solenne proclamazione: «Se qualcuno ha se­ te...>>: proclamazione e interpretazione cristiana; «scisma>> tra i giudei 8,12:

(d) Io sono la luce del mondo

13-20: (a') Controversia seguita da una proclamazione: Gesù sa da dove viene e dove sta ritornando; altro tentativo di ar restare Gesù 21-30: (b') Esortazione minacciosa: «Voi morirete nei vostri peccati>> e proclamazione in due tempi (24 e 28s) di >. Tentativo di lapidazione; 32-39: 2' risposta: «Il Padre è in me e io nel

Pad re». Tentativo di arresto

10,40 - 1 1 ,54: Epilogo dei cc. 5 • 10. - Epifania deUa vita 10,40-42: Gesù si ritira. Molti vengono a lui. Richiamo alla

testimonianza di Giovanni 1 1 , 1-44: LA RIA..'l!MAZIONE DI LAZZARO Il senso del mi racolo (sop rattutto 7 - 1 6) ; Gesù e

Marta; Gesù, Ma ria e i giudei; racconto del miraco­ lo; Gesù si ritira. Fine deUa «vita pubblica>>

1 1 ,55 - 12,36: L'ultima settimana 1 1 ,55 - 12,1 1 : La Pasqua dei giudei è prossima. È stata decisa la morte di Gesù; 12,1 -8: unzione di Maria a Betania in vista della sepoltura di Gesù; 12,9- 1 1 : si vuole uccidere anche

Lazzaro 12,12-19: Entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme: entrata del Re ( 15s), del Vincitore della morte ( 17s), del Salvatore del mondo ( 19) 12,20-33: Il mistero della morte di Gesù: 20-22: occasione, la venuta dei greci; 23-3 3 : disco rso, l'abbassamento nella

terra e l'elevazione

12,34-36: Esortazione ai giudei: Essere figli della luce. È la fine! 12,37-50: Epilogo sulla «vita pubblica>>: riflessione dell'evangeli­

sta e p roclamazione di Gesù.

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PIANO DEL QUARTO VANGELO

LIBRO SECONDO (Giovanni 13-2 1 ) L'ORA DELLA GLORIFICAZIONE

PARTE TERZA ( 13,1 • 17,26) Gli addii di Gesù

1 3 , 1 : Introduzione solenne: è venuta l'ora di passare da questo mondo

al Padre

13 ,2-32: NELL'ULTIMA CENA GESÙ FONDA LA COMUNITÀ DEI

SUOI DISCEPOLI

2-20: La lavanda dei piedi: (2-3) introduzione solenne; (4-11) il gesto di Gesù, dialogo con Simon Pietro; 12-20: discor­

so complementare: vi ho dato l'esempio, affinché

...

21 -30: Giuda è escluso dalla comunità dei discepoli 3 1-32: Grido di trionfo di Gesù: ora la gloria!

1 3 ,3 3 - 17,26: GLI ADDII DI GESÙ 13 ,3 3 - 14,3 1 : l) Ultimi colloqui: la partenza di Gesù 13,33 - 14,3: Il comandamento nuovo in attesa del ritor­ no di Cristo: Gesù, che sta per andarsene, dà il

suo testamento; Gesù tornerà, dopo aver prepa­ rato un 14,4- 14: Credere in Gesù che agisce mediante i suoi: cre­ dere significa: a) andare al Padre mediante il Figlio; b) vedere il Padre nel Figlio; c) compiere le opere del Figlio 14,15-26: Le promesse di Gesù ai suoi discepoli: a) un altro Paraclito rimarrà con i suoi; b) Gesù ritor­ nerà a loro; c) il Padre e Gesù verranno e dimo­ reranno in loro; d) lo Spirito Santo realizzerà queste promesse 14,27-3 1 : Il commiato: dono della pace; lotta contro il principe di questo mondo 1 5 , 1 - 16,33: 2) Ultimo discorso: Cristo e la sua Chiesa 15,1 - 16,4a: IDENTITÀ DEI DISCEPOLI DI GESÙ 15,1 -8: la vite, il vignaiolo e i tralci; 9-17: Rima­ nete nell'amore ! Amatevi gli uni gli altri! 15, 1 8 16,4a: solidali con Cristo di fronte all'odio del

mondo

PIANO DEL QUARTO VANGELO

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16,4b-3 3 : L'ESISTENZA ESCATOLOGICA 16,4b-7: necessità della partenza di Gesù; 8-15: la

venuta dello Spirito farà il processo del mondo e porterà verso la verità intera; 16-23a: l'arrivederci di Gesù che promette la gioia dalla tristezza; 23b27: l'amore del Padre; 28-32: fede perfetta? 16,33: l'addio di colui che è vincitore del mondo 3 ) Ultimo colloquio di Gesù col Padre suo 1-5: Glorifica il Figlio tuo! 6-13: Custodiscili! ; 1419: Santifìcali!; 20-26: Siano anch'essi con me!

17,1-26:

PARTE QUARTA ( 18,1 - 20,3 1 ) L a mone e l a vita 18,1 - 20,3 1 : PASSIONE MORTE E RISURREZIONE DI GESÙ 18,1-27: I.:a"esto di Gesù e la comparizione dinanzi ad Anna e a Caifa. Rinnegamenti di Pietro 0 5 - 1 8 e 25-27) 18,28 - 19,16a: Gesù dinanzi a Pilato: la domanda dei giudei; dia­

logo Gesù-Pilato: Gesù è re; Gesù o Barabba? Nessuna accusa valida; flagellazione e oltraggi; Ecce homo ' Nessuna accusa valida; dialogo Gesù-Pilato; Gesù o Cesare. Ecco il vostro re ' 19, 16b-42: La crocifissione e la morte: iscrizione della croce e la divisione delle vesti; Gesù e sua madre; la morte di Gesù e il colpo di lancia, la sepoltura 20,1-3 1 : Gesù risuscitato: la tomba vuota; Gesù appare alla Maddalena; appare ai discepoli (invio in missione e dono dello Spirito). Conclusione: credere per vivere.

2 1 , 1 -25 EPILOGO

Apparizione al lago di Tiberiade. Conclusione: questa testi­ monianza è vera.

LIBRO PRIMO (Giovanni 1-12) GESÙ CRISTO LUCE DEL MONDO BRILLA NELLA TENEBRA

PROLOGO ( 1 , 1 - 18)

Accingendosi a commentare il Prologo di Giovanni, probabil­ mente nel dicembre del 414, sant'Agostino così si rivolgeva ai suoi uditori: «"L'uomo abbandonato alla sua sola natura non com­ prende le cose dello Spirito di Dio". lo provo un certo imbaraz­ zo: come riuscirò a dire ciò che il Signore mi ispira, o come potrò spiegare il passo del vangelo che è stato letto: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio . . "? E allora, fratello, resteremo in silenzio? A che serve leggere se si rimane in silenzio? Che giova a voi ascoltare se io non spiego? . . . Sono con­ vinto che tra voi ci sono alcuni che sono in grado di intendere anche prima che io spieghi; ma non voglio privare della mia paro­ la quelli che non riescono a capire ... Da parte sua, la misericordia di Dio ci assisterà, in modo che tutti abbiano a sufficienza e cia­ scuno riceva secondo la propria capacità; poiché anche chi parla dice quel che può. Chi è in grado di parlare in modo adeguato [delle cose di Dio] ? Oso dire, fratelli miei, che forse neppure Giovanni è riuscito: parlò anch'egli come poté, perché non era che un uomo... Giovanni stesso che ha detto queste cose, le ha ricevute a sua volta, lui che posava il capo sul petto del Signore, da dove beve­ va ciò che ci avrebbe poi offerto. Ma egli ci ha offerto solo delle parole; se vuoi averne l'intelligenza devi attingerla a quella stessa fonte cui egli beve. . . Forse potreste obiettare che io sono più pre­ sente a voi, di quanto lo sia Dio. Ebbene, no; Dio lo è molto di più; perché io sono qui presente davanti ai vostri occhi, ma lui, Dio, è sovranamente presente (praesidet) alla vostra coscienza. A me porgete il vostro orecchio, a Dio aprite il vostro cuore, per riempire l'uno e l'altro»1• .

1 Traduzione (libera) da sant'Agostino, Omelie sul vangelo di san Giovanni, l, l e 7 (cfr. Opere di sant'Agostino, XXIV, Città Nuova Editrice, Roma 1968).

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Come già Agostino, anche il lettore odierno del Prologo deve sapere che senza lo Spirito, maestro interiore, il testo rimane let­ tera morta. Anzi, la sua situazione è più svantaggiata, data l'epo­ ca in cui vive: egli infatti è molto più lontano di Agostino dalla cultura in cui è sorto il quarto vangelo. Noi disponiamo oggi, indubbiamente, di migliori strumenti tecnici di ricerca: conoscen­ za delle fonti giudaiche, della letteratura gnostica ed ermetica, della fùosofia ellenistica; rimane sempre tuttavia la difficoltà ine­ rente alla profondità del messaggio giovanneo e al carattere scon­ certante del testo. Testo 1

In principio era i l Logos e i l Logos era presso Dio ed era Dio i l Logos. 2 Questi era in pri ncipio presso Dio. ) Tutto fu per mezzo d i lui e senza d i l u i nulla fu. I n ciò che fu fatto 4 Egl i era la vita e questa vita era la luce deg l i uom i n i . 5 E la luce bri l la nel la tenebra e la tenebra non l'ha arrestata. Ci fu un uomo mandato da presso Dio: il suo nome era G iova n n i . 7 Questi venne per la testimon ianza: per rendere testimonianza a l la l uce affinché per mezzo d i lui tutti credano. 8 Costui non era luce ma per rendere testi monianza alla l uce. 9 Era la luce vera che, venendo nel mondo, i l l u mina ogni uomo. 10 Era nel mondo 6

e il mondo fu per mezzo di l u i e i l mondo n o n l o conobbe.

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l. PROLOGO (1,1- 18)

11

Ven ne nel l a sua proprietà e i suoi non l 'accolsero. 1 2 Ma a tutti coloro che l'accolsero diede loro d i poter divenire figli di Dio, a coloro che credono nel suo nome, 13 i quali non da sangue né da volere di carne né da volere d i uomo, ma da Dio furono generati . 1 4 E i l Logos divenne carne e d i morò tra noi e noi abbiamo veduto la sua gloria, gloria di Figlio unico [mandato] da presso il Padre, riempito del la grazia della verità. 1 5 Giova n n i gli rende test i monianza e grida: « Era costui del quale ho detto: "Colui che viene dopo di me, è al di sopra di me perché era prima di me" » . 16 Sì , da l l a sua p ienezza tutti n o i abbiamo ricevuto: graz i a per grazia, poiché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia del l a verità fu per mezzo di Gesù Cristo. 18 Dio, nessuno l'ha mai veduto, i l Figlio u n ico, Dio, che è verso il seno del Padre, 17

egl i lo ha raccontato.

ll vangelo di Giovanni si apre con un poema affascinante che viene chiamato Prologo, destinato a introdurre il lettore all 'intero racconto evangelico'. Niente di sorprendente in questo fatto: anche gli autori degli altri tre vangeli, ognuno a suo modo, non procedono diversamente. Luca, dopo una premessa (Le 1 , 1 -4) re­ datta in prosa classica, da storico, sul modello ellenistico di Stra2 Nonostante molti critici, i quali ritengono che il Prologo sia stato aggiunto più tardi alla narrazione evangelica.

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hone o di Polibio, avvia il suo racconto riferendo episodi che hanno preceduto la nascita di Gesù e poi altri che riguardano la sua infanzia: in essi la vita di Cristo è, al tempo stesso, introdotta e anche prefigurata. Matteo apre il suo «dossier» evangelico con il «libro della genesi di Gesù Cristo» (Mt 1 , 1 - 17), risalendo fino al suo antenato Abramo, e narra poi in tono drammatico e figurativo l'inizio dell'esistenza di Gesù. Marco si accontenta di porre in testa al suo racconto un titolo, ma che contiene la parola chiave «inizio del Vangelo ... » e l'indicazione di un'origine celeste: « ... di Gesù Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1 , 1 ) . Ciascuno dei sinottici si apre, quindi, con un esordio che dà rilievo alla preistoria di «Gesù Cri­ sto», chiamato così senza la minima spiegazione in Matteo e Mar­ co, pur essendo questo appellativo molto raro nei vangeli'. Perfettamente allineato con la tradizione evangelica, anche il Prologo risale alle origini, a quel punto oscuro che rende conto dell'uomo di cui si racconterà la vita; ma in Gv l'origine non è descritta come una nascita prodigiosa (Mt 1 , 18-25); essa non risa­ le soltanto al primo Adamo (Le 3 ,38) e non è soltanto affermata come quella del «Figlio di Dio» (Mc): essa si trova in Dio stesso. Il nostro testo è parte integrante dell'annuncio evangelico: ne abbozza i temi maggiori e ci dà la tonalità dell'intera opera. Al primo contatto, il Prologo sconcerta la nostra logica di occi­ dentali. Le sue affermazioni - secondo il loro ritmo, il loro movimen­ to, la loro successione - obbediscono a strutture mentali diverse dal­ le nostre. Che c'entrano i due passi su Giovanni Battista ( 1 ,6-8.15)? A quale punto preciso del testo si tratta propriamente di Gesù Cristo? Già in partenza ( 1 , 1 ) o quando si allude al rifiuto oppostogli dagli uomini ( 1, 10-1 1), o solo alla proclamazione del Logos incarna­ to ( 1 , 14) cui farà seguito l'indicazione esplicita del nome ( 1,17)? Le difficoltà in cui s'imbatte il lettore attento si possono moltiplicare. È quindi comprensibile che le interpretazioni del Prologo risultino estremamente diversificate'. Non mi propongo di fame la lista, ma prima di procedere alla lettura del testo, vorrei presentare le alterna­ tive di principio fra le quali l'esegeta deve fare le sue scelte. ' L'espressione «Gesù Cristo», nei vangeli, si trova soltanto in Mt 1 , 1.18; 16,21 (inizio della seconda parte); Mc 1 , 1 ; Gv 1,17; 17,3. • Vedi una prima bibliografia in E. Malatesta, nn. 1073· 1270; da completare con A. Feuillet, Prologue, 1968, pp. 290-294; con E. Hacnchen, 1980, pp. 1 12 - 1 15; e con R. Schnackcnburg, IV, pp. 233-235. Rassegne dettagliate di H. Thyen in ThR 1974, 1977, 1978, 1979, c di]. Becker, tbtd., 1982.

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l.

PROLOGO ( 1 , 1 - 18)

l. ALTERNATIVE DI LETIURA

A prezzo di qualche semplificazione, necessaria nella selva delle interpretazioni, raggruppo qui i presupposti di ogni lettura del Prologo attorno alle alternative che si offrono per accostarvi­ si: le questioni di metodo, la strutturazione del testo e infine la prospettiva in cui si effettua la lettura. l. Approcci diversi

al testo

Due tipi di lettura - «diacronica» e «sincronica» - vengono abitualmente messi in opera. I commentatori sono d'accordo nel dire che ambedue sono indispensabili per elaborare il senso del testo; tuttavia favoriscono, più o meno volontariamente, l'uno o l'altro metodo5• La maggioranza dei critici cerca di risolvere le difficoltà del testo ricorrendo a una fonte preesistente. Le interruzioni di stile, le eventuali incoerenze nello sviluppo del pensiero proverrebbe­ ro da un documento che lo scrittore avrebbe utilizzato. Una cono­ scenza minuziosa dello stile giovanneo permetterebbe di scevera­ re nel testo ciò che, provenendo da altra fonte, non è da attribuire all'evangelista e ciò che invece lo caratterizza come suo proprio. li Prologo giovanneo di fatto contiene certe parole che, curiosa­ mente, non ritornano mai più nel vangelo, come l6gos («parola» in senso assoluto), pliroma («pienezza»), khdris («grazia»); esse sarebbero l'indizio di passi pregiovannei e i versetti in cui ricorro­ no tali parole ( 1 , 14. 16) apparterrebbero a una fonte. Inoltre, cer­ te espressioni denoterebbero concezioni teologiche divergenti da quelle del quarto vangelo; così, al v. 9 la luce che illumina imme­ diatamente ogni uomo, senza richiedere da parte sua una opzione (cfr. 8,12) oppure l'opposizione paolina tra la Legge e la Grazia del v. 1 7 . Certe pesantezze di stile suggerirebbero per se stesse un intervento dello scrittore su un testo anteriore. In più, la tradizio­ ne manoscritta è talvolta fluttuante, come in 1 , 1 3 , un versetto così sovraccarico e contorto che si spiega una tale fluttuazione. lnver' Buona presentazione di M. Theobald, BZ 22 (1978) 161-186. Vedi anche R Schna­ ckenburg, IV, pp. 109-124.

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samente, si potrebbero individuare giri di frase tipicamente gio­ vannei, come il v. 2 che ricapitola i dati del v. l, o anche in 12c-13 che riassume l, 12ah. Secondo R. Schnackenburg, il testo che sta alla base del Pro­ logo comprendeva i seguenti vv.: 1 .3 .4.9ab. 1 0. 1 1 . 14abe. 166• Questa ricostruzione non ha raccolto tutti i consensi, come testi­ monia la tabella7 riportata in nota, in cui figurano quattordici proposte divergenti tra loro. Anche chi scrive queste pagine aveva tentato, fin dal 1950, di ricostruire tale inno sulle indica­ zioni di J.H. Bernard e di P. Gachter8• Il risultato era stato poi migliorato grazie ai lavori di E. Ruckstuhl e di R. Schnacken­ burg9: io preferivo pertanto attribuire il v. 17 al documento ori­ ginario. Uno studio, apparso nel 1 983 , mostrava come la fonte iniziava non col v. l , con la menzione del Logos, ma col v. 7 in cui il pronome iniziale «Questi» avrebbe sostituito un primitivo «Gesù Cristo». L'inno originario, in tal caso, glorificava non il Logos, ma Gesù Cristo 10• R. Schnackenburg, I, pp. 280-286. 7 Ecco una tabella con la lista dei versetti ( +) che i critici (impossibile citarli tutti) attri­ buiscono all'inno primitivo: 6

Versetti: Bemard (1928) Gaechtcr ( 1936) Bultmann (1941) Kaesemann (1957) Schnackenburg ( 1957) Haenchen (1965) RE. Brown ( 1966) Blank ( 1966) Demke ( 1967) Zimmcrmann (1974) Rissi (1974) Schneider (1976) Schmithals (1979) Theobald (1983)

2

+ + + + + + + + + + + +

+ + + + + + ? + + + + + + + + + + + + + + + + + +

5

+ + + + + + + + + + + + + +

+ + + +

9

+ + ab +

+ + + + + + + +

+

IO

11

+ + + + ac + + + + + QC +

+ + + + + + + + + +

+

12

13

+ ab +

ab + + ab abc ab + ab ab + abc

14

16

17

+ + +

+ +

+

abe + + + + bee +

+ + + + + + +

+ bee

+

18

+

+ + +

'J.H. Bemard, 1928, p. CXI..N; P. Gachter, ZTK 60 (19J6) IOJ-106. E. Ruckstuhl, Die literarische Einheit des ]oh. Ev., Freiburg 195 1 , pp. 180-205; R Schnackcnlmrg, BZ l (1957) 69-109. 10 M . Theobald, Im An/ang war dos Worl, Stungart 198J. Si è ispirato a H. Zimmer­ mann, in Mél. R. Schnackenburg, 1974, pp. 249-265; cfr. RSR 7J ( 1 985) 269-27 1. 9

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l. PROLOGO (1,1-18)

Variazioni e capovolgimenti di questo genere mi hanno portato a verificare da vicino i presupposti di questo studio, come pure dei tentativi precedenti e - di fronte alla loro fragilità - ad abbandona­ re ogni altro tentativo di ricostituire in dettaglio il testo di base. I cri­ teri messi in atto non sono sufficientemente precisi. Non nego certo l'esistenza di una qualche fonte ridaborata dall'evangelista, ma ritengo che non sarà partendo da questo documento dai contorni ipotetici che si potrà delineare il movimento del testo attuale. È più proficuo impostare il suo studio secondo il metodo sincronico11 _

2. Strutturazione del testo Se il lettore è disorientato dal groviglio delle ricostruzioni di una pretesa «fonte» del Prologo, resta altrettanto perplesso di fronte alla sorprendente varietà delle strutture di superficie pro­ poste per meglio disporre il medesimo testo. Prendere il testo così com'è non significa però leggerlo in base alle nostre conoscenze teologiche e proiettare su di esso gli sche­ mi della nostra tradizione occidentale. E tuttavia si è voluto, per esempio, riconoscere nella successione dei versetti i diversi aspet­ ti dell'essere e dell'azione del Verbo: increato ( 1 , 1 -5 ) , manifestato agli Ebrei ( 1 ,6-13), incarnato ( 1 , 14- 18)12• Invece di adottare que­ sta ripartizione che potrebbe far violenza al testo, altri autori si accontentano di trovare nel Prologo una descrizione poetica che, dopo aver abbozzato la realtà misteriosa del Logos, culminerebbe nella formula «il Verbo si è fatto carne» D _ Altri, infine, vedono nel Prologo: «curve concentriche che si sviluppano a spirale attorno a un punto centrale senza mai raggiungerlo»14• Per quanto sugge­ stive, queste proposte hanno mostrato la necessità di un metodo più raffinato per l'esame del testo. Un tentativo in tal senso è quello compiuto, sulla base di uno 11 D'altra parte, sono numerosi i sostenitori dell'unità del Prologo (non tenendo conto dei w. 6-8 e 15). Tra questi, E. Ruckstuhl (1951), C.H. Dodd (1953), C.K. Barrett (1955 e 1985), M.F. Lacan (1957), W. Eltester ( 1 964), van den Busschc 0967), P. Borgen ( 1969), S.A. Panimolle ( 1 973), I. de la Potterie (1975), H. Gese (1977), A.]. Festugière (1974), RA. Culpepper (1980), M. Girard (1983),]. Ashton (1986),]. Staley (1986). 12 A. Durand, 1927, p. 9; F.M. Braun, 1935, pp. 3 l l-319. " M.]. Lagrange, p. l. 14 W Grossouw, Pour mieux comprendre saint ]ean, DDB, Paris 1946.

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studio di N.A. Lund'5, da M.E. Boismard16: le due parti del Prolo­ go si corrisponderebbero simmetricamente, facendo perno nei vv. 12- 1 3 . Questa struttura parabolica tende a imbrigliare i versetti come nelle maglie regolari di una rete; ma arriva a questo risultato a prezzo di accostamenti artificiosi. Come giustificare, per esempio, il preteso parallelismo dei vv. 4-5 e del v. 16? La critica potrebbe essere meno severa di fronte a tentativi più recenti17, ma la sicurez­ za con cui vengono conclamati risultati sempre diversi lascia per­ plessi sulla validità dell'impresa. La posta in gioco tuttavia è seria, perché da queste articolazioni, che non è possibile giustificare pie­ namente, si possono poi dedurre interpretazioni contestabili. C'è indubbiamente molto di vero in queste differenti proposte, ma i criteri che stanno alla base delle analisi non sono soddisfa­ centi, soprattutto quando si mescolano, più o meno coscien­ temente, riflessioni sul contenuto ad annotazioni strettamente let­ terarie. Non è il caso di esporre e criticare questi tentativi. Una scelta comunque è necessaria; è con un certo humour quindi che propongo quanto segue. Invece di scegliere tra le costruzioni - certo molto elaborate che vengono proposte: struttura concentrica, parallela, a spirale, ho preferito adottare una ripartizione delle unità letterarie minori basata sulla prosodia greca. J. Irigoin, uno specialista della lirica greca, divide il Prologo in strofe in base al nwnero delle sillabe to­ niche, secondo le regole della poesia greca18• Emerge così una sor­ prendente simmetria del tutto indipendente dalle interpretazioni del contenuto e basata unicamente su criteri oggettivi. Non è pos­ sibile esporre qui queste regole; a noi basteranno i risultati. li Prologo greco si compone di due parti di lunghezza non troppo disuguale: vv. 1-8 e 9-18. La prima comporta due gruppi simmetrici: l -3a e 6-8, ciascuno dei quali contiene settantacinque sillabe, di cui venti toniche, separati dai vv. 3 b-5 con ventidue sil­ labe di cui quattordici toniche. La seconda parte comporta ugual" N.A. Lund, Chiarmur in the N. T., Chapell Hill l942. 16 M.E. Boismard, I.e Pro/ogue de raint ]ean, Cerf, Paris 1953. 17 Tra questi tentativi, citiamo M.F. Lacan ( 1957), P. Lamarche (1966), H. Ridderbos (1966), A. Feuillet (1968), S.A. Panimolle (1973), R.A. Culpepper (1981), M. Girard (1983), G. Rochais ( 1985), I. de la Potterie (1985), C.H. Giblin (1985), J. Ashton ( 1986), ]. Staley 0986). " ] . lrigoin, RB 77 (1971) 501-514.

l.

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PROLOGO (1,1-18)

mente due gruppi più o meno uguali - vv. 9-13 con centotrentot­ to sillabe di cui quaranta toniche; vv. 15-18 con centotrentanove sillabe di cui quarantuno toniche - che inquadrano il v. 14 di cin­ quanta sillabe, di cui quattordici toniche. Usando la terminologia della lirica greca, il testo appare diviso nel modo seguente19:

II

I strofa A mesodo B antistrofa N

=

l-Job (20n5)

=

3c-5 ( 14/22)

=

6-8 (2on5J

strofa C mesodo D anristrofa C'

=

9-13 (401138)

=

14 ( 14/50)

=

15-18 (411139)

Due parti di lunghezza press'a poco uguale sono formate da l::l ue strofe ciascuna di pari lunghezza che inquadrano un mesodo il quale, nell'una e nell'altra parte, ha il medesimo numero di sil­ labe toniche. Il risultato è notevole, per il fatto che questa simme­ tria mostra nel Prologo un testo facilmente memorizzabile. L'analisi proposta da H. Gese, specialista di Antico Testamen­ to20, ci fornisce una conferma: egli parte da una retroversione ebraica del Prologo e suddivide il testo, in base alle leggi della poesia ebraica", in sei strofe, ottenendo un risultato analogo a quello di J. Irigoin, salvo qualche divergenza: la seconda strofa comprenderebbe i vv. J c-9 (inglobando i vv. 6-8 che così appaio­ no come un'eccedenza) ; i vv. 10-13 darebbero origine a due stro­ fe antitetiche; il v. 14 si unirebbe ai vv. 15- 16 formando un'unica strofa, mentre i vv. 17-18 sarebbero l'ultima strofa. La ripartizione di Gese concorda con quella di lrigoin nel fatto " La strofa A si estende da l a 4 secondo il computo sillabico, ma da l a Jo secondo il computo delle sillabe 10niche. Quanto all'an ti strofa C', il computo eliminerebbe l'unità ecce­ dente se il testo del v. 18 non avesse la paro!� «the6s», asseme in numerosi manoscritti. "' H . Gese, «ll Prologo di Giovanni», in Id., Sulla teologia brblico, Paideia, Brescia 1989, pp. 183-242. " Si legga L. Alonso-Schokel, «Poésie hébraique», in DBS 8 (1967) 47-90. La legge dd parallelismo binario sta alla base della poesia ebraica: una realtà può essere espressa in due frasi sia sinonimiche, sia antitetiche, sia sinteriche; il senso si coglie unicamente dalle due frasi prese insieme. I versi della poesia ebraica componano per lo più due emistichi aven­ ti tre accenti ciascuno (tre sillabe accentate: 3 + 3), con la possibilità di sdoppiamento di un emistichio che porta alla formazione di tristici di due accenti (2 + 2 + 2). Ecco, ad esem­ pio, l'ammirazione di Adamo per Eva: Questa, ora l osso delle mie ossa l e carne della mia carne (2 + 2 + 2) Costei si chiamerà donna l perché dall'uomo essa fu tratta (J + J )

zot happa'am l 'etzem me'atzamai l wubasar mibb�san· 1-zot yqqore' yshshoh l ki me'ysh l"qohoh-zot (Gen 2,2J).

60

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che le sillabe accentate, distribuite secondo la presentazione del testo di lrigoin, risultano ugualmente disposte in simmetria: il lo­ ro numero è rispettivamente di diciotto/dodici/diciotto nella pri­ ma parte, e di trenta/dodici/trenta nella seconda; anche in questo caso il mesodo è identico nell'una e nell'altra parte, come si può controllare nelle tabelle riportate qui sotto. La convergenza tra questi due specialisti della ritmica autorizza una certa fiducia nei loro risultati, certo non coincidenti su ogni punto, ma molto vicini. Scelgo la disposizione strofica di Irigoin per il fatto che la retroversione in ebraico ha qualcosa di artificioso.

RIPARTIZIONE DEL PROLOGO secondo lrigoin secondo Gese vv.

toniche

totale

1ab 1c·2 3ab

3 +3 3+4 3+4

20

3c-4

5

4+4 3 +3

14

6 7 8

2+2+3 3 +2+3 3+2

20

9 10 11 12 12c-13

3 +3+2 2 + 3 +3 2+3 3 + (3 + 3 ) 3 + 1 +2

40

14ac 14de

3+2+3 3 +3

14

15a-c 15d-e 16 17 18

3+2+3 3+3 5+2 3+5 4+5+2

vv.

toniche

totale

1ab 1c-2 3ab

3+3 3+3 3 +3

18

3c-4 5 6 7 8

36

9

3 +3 3+3 2+2+2 2 +2 + 2 3+3 2+2+2

10 11

2 +2+2 3+3

12

12a-c 12d·13ab

2+2+2 2+2+2

12

14a-c 14de 15a-c 15d-e 16

2+2+2 3+3 2+2+2 2+2+2 3+3

30

3 +3 3+3

12

17 18

l. PROLOGO (1 ,1-18)

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RIPARTIZIONE DI GESE SECONDO LO SCHEMA DI IRIGOIN vv.

STROFA A MESODO B STROFA A'

vv.

sillabe



1-3b

18



3c-5

12



6-8

18

STROFA C MESODO D STROFA C'

sillabe 30



9-13



14

12



15-18

30

Ritengo così, modestamente, di avere un'ipotesi di lavoro suf­ ficientemente oggettiva che faccia da supporto alla lettura del Prologo. Toccherà all'analisi esegetica far constatare il vantaggio di questa disposizione che coincide, del resto, almeno in parte, con i risultati di altre ricerche. 3 . Prospettive

Una terza alternativa condiziona la lettura del Prologo. Vi si parla di Gesù Cristo fin dall'inizio o solo dal v. 14 in cui è procla­ mata l'incarnazione del Logos22? Certo è unanime l'accordo nel­ l'affermare che il Logos e Gesù Cristo sono un'unica realtà; ma qual è la prospettiva del Prologo: il Logos è divenuto Gesù Cristo, oppure Gesù Cristo è il Logos? Nel primo caso, il Prologo narre­ rebbe la storia del Logos sopratemporale il quale, dopo avere esercitato la sua attività nel mondo come dsarkos (non incarnato) , è divenuto énsarkos (ha assunto la carne). Nel secondo caso, s i tratterebbe subito d i Gesù Cristo il quale fm dalle origini agisce nel mondo (cfr. Fil 2,6- l l ; Col 1 , 15). Accogliendo la prima opzione, la maggior parte dei critici ha distinto spontaneamente nel Prologo l'attività del Logos preesi­ stente ( 1 , 1 -5 ) , del Logos che irradia la sua luce sugli uomini ( 1 , 6- 13), infine del Logos incarnato ( 1 , 14- 18)23• Questa presentazio­ ne incontra però qualche seria difficoltà. La testimonianza di Gio­ vanni Battista (vv. 6-8) sembra ben riferirsi a Gesù; i vv. 9- 1 1 si 21 A. Feuillet riferisce le opinioni degli autori. L'intero testo parla di Gesù Cristo. Schanz, Godet, Calmes, Lagrange, Loisy, Buzy, Strachan, Hoskyns. Di Gesù Cristo non si parla espressamente che in 1,14: Durand, Plummer, McGregor, Braun, Boismard. Duplice interpretazione; Dodd, Calmes, Lighfoot, Feuillet. " Cfr. A. Durand, p. 9.

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possono già intendere di Gesù («venendo nel mondo» e > di cui parla la prima lettera di Gv (1,1): il testo greco, infatti, non afferma che il testimone ha avuto un contatto diretto con il Logos vivente, ma che egli ha avuto una conoscenza diretta «riguardante la parola (mes­ saggio) di vita (perì tou /Ogou tes zoes)» che è Gesù Cristo. Altrove nel Nuovo Testamento, il termine «logos» usato da so­ lo significa ordinariamente «il messaggio evangelico»: è la Parola degna di fede, che corre e si diffonde, al cui servizio ci si pone o a cui si crede32• Mediante «la Parola» può essere enunciata l'azio­ ne di Dio che rivela la sua salvezza nella Chiesa e nel mondo. In questo senso ricorre nei vangeli, per esempio nella spiegazione della parabola del seminatore". Ma se il termine serve talvolta a indicare sinteticamente la predicazione del Cristo, non si identifi­ ca mai con Gesù. Lo stesso Gv non utilizza mai, fuori del Prologo, il termine come equivalente di Gesù in persona. Neppure l'Antico Testamento fornisce dei precedenti al titolo giovanneo di Logosl> che possono illuminare l'uomo sulla sua condizione o rispondere agli interrogativi fondamenta­ li che egli si pone. A partire da un certo tempo, la cui precisazione rimane contro­ versa, una corrente di pensiero chiamata «gnosi>> ha prodotto una serie di testi che narrano, tra l'altro, le origini dell'universo, il de­ stino dell'uomo, ecc. In essi, a volte, compare un personaggio indicato col nome di Logos. Di qui la questione, sollevata sopratH In alcuni targums, il Memrà (sostantivo aramaico derivato dal verbo «amar», «dire», che significa >; inoltre, questi salvatori non sono altro, in realtà, che rap­ presentazioni che permettono all'uomo di scoprire la sua natura celeste. Torniamo dunque al mondo biblico. Se non vi si trovano rac­ conti relativi alla Parola di Dio personificata, esiste però un vero racconto mitico che riguarda la Sapienza, abbozzato in varie riprese e chiaramente riconoscibile, almeno nella sua fase ultima quale ci presenta il libro del Siracide41• Nel capitolo 24 è descrit­ to l'itinerario della Sapienza. In un primo momento il poema riprende il dato tradizionale della Sapienza presente in cielo alla creazione dell'universo - e quindi preesistente ad essa - e ugual­ mente presente tra gli uomini. 1 La Sapienza fa l'elogio di se stessa e si vanta in mezzo al suo popolo. 2 Nell'assemblea dell'Altissimo apre la bocca e si glorifica dinanzi alla Potenza.

Dalla prima metà del secolo scorso la letteratura gnostica è meglio conosciuta. "' R. Schnackcnburg, I, p. 267. 1 4 La tradizione sapienziale è rappresentata nei libri canonici da cinque testi maggiori: Pro 8,22-3 1; Gb 28; Bar 3,9-4,4; Sir 24; Sap 6-9. C. Spicq, > si fa notare ancora che al v. 3 il soggetto cambia: «Tutto>> e non più «Logos>>. Se ne deduce che qui inizia un altro pensiero: il Logos, cioè, verrebbe presentato non più nel suo rap­ porto con Dio, ma nel suo rapporto col tutto. .

.

E tuttavia, nonostante questi dati, il v. 3 può e deve essere col­ legato con i due versetti precedenti. Ci decidiamo a favore del­ l'unità dei w 1 -3 basandoci sul senso delle parole en archei e pdnta che si riferiscono ambedue alla creazione: la parola pdnta riprende sotto altra forma le parole en arcbei dell'inizio; il Logos così è subito collegato con la creazione. Si può aggiungere una ragione di fondo, se non di forma: che cosa significherebbe per Gv l'annuncio di un Logos esclusivamente in rapporto con Dio e .

46 Nonostante l'opinione di coloro che ritengono di arrivare a un inno originario (come R. Schnackenburg), e di coloro che non riconoscono l'aspeno di creazione implicato nella parola «In principio» (come RE. Brown).

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LIBRO I

non immediatamente anche col nostro universo? L'unità dei w. 1-3 viene inoltre rafforzata dal fatto che questa sequenza corrisponde a quella di Pro 8,30-3 1 : la Sapienza è accanto a Dio e forma la sua delizia ogni giorno rallegrandosi alla sua presenza continuamen­ te; poi, subito dopo, si dice che essa si ricreava sul globo terrestre e trovava le sue delizie tra i figli dell'uomo. Rimane indubbiamen­ te valida la considerazione sulla Parola di Dio, ma isolarla dalla relazione che essa ha con gli uomini non è né biblicC? né giovan­ neo: il Prologo ci dice come Dio si è rivelato a noi. E preferibile pertanto trattare insieme i w. 1 -3 ; la loro analisi giustificherà la nostra opzione.

b. In principio •• In principio (en

arche!) era (en)

i l logos.

Risalendo alle origini di Colui nel quale la comunità cristiana ha riposto la propria fede, Gv va oltre gli antenati, anche al di là di Adamo, per fissarsi sull'inizio dell'universo. Siamo dunque traspor­ tati alle soglie della storia, fino nelle profondità di Dio, di Colui la cui conoscenza penetra ogni cosa (Sal 139). Nel primo versetto del Prologo, il principio non può essere infatti quello di cui parlano i sinottici e che indica l'inizio del ministero di Gesù'7; non è neppu­ re il principio metafisico che alcuni Padri greci hanno creduto di scorgervi48• L'espressione en archei, rara nella lingua profana49, rimanda con tutta chiarezza al primo versetto della Bibbia. Ma invece di leggere, come all'inizio della Genesi, un verbo all'aoristo, che indica un atto passato di Dio («Dio creÒ>> o «Dio disse>>), noi troviamo qui l'affermazione di un'«esistenza>> che pre­ cede (o presiede a) questo inizio. Fin da questo principio >. Questo è l'evento, che è anche un «avvento>>: il Logos dona di accedere alla filiazione divina. Cosa si deve intendere? Nell'Antico Testamento l'espressione «figli di Dio>> è usata normalmente al singolare: da principio viene applicata esclusivamente al re in quanto luogotenente di Jhwh, oppure a Israele, nel suo insieme, in quanto popolo eletto; esso dice che un legame particolare di protezione e di benevolenza unisce a Dio chi è designato come «figlio>> suo. In seguito, per una specie di democratizzazione del concetto11', l'adozione filiale era divenuta una speranza che animava individualmente i credenti giudei nella prospettiva della futura salvezza. Gv dunque ripren­ de qui una nozione familiare. Sorge però la questione di sapere se Gv dà o meno al termi­ ne il senso forte di partecipazione alla vita di Dio stesso, quale lo intendeva ormai la fede cristiana sulla base delle lettere di Paolo e lo celebrava un testo giovanneo: «Guardate quale amo114

Buon articolo di RA. Culpcpper, NTS 27 (1981) 17-3 1 .

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l. PROLOGO

( 1,1-18)

re ci ha donato il Padre che siamo chiamati figli di Dio, e lo siamo in realtà ! » ( I Gv 3 , 1 ) . Noi pensiamo che, al nostro stadio del Prologo, il senso di tékna theou è «reale»: esso afferma, per coloro che hanno accolto il Logos, una vera appartenenza pro­ fonda a Dio, una vera salvezza vissuta nel presente, senza tutta­ via implicare ancora la pienezza di grazia che annuncerà la sesta strofa, dopo la venuta del Logos nella carne. Questa interpreta­ zione si appoggia sull'unico altro testo di Gv che parla di «figli di Dio»: Gesù doveva morire non per la nazione soltanto, ma al fine di radunare nell'unità i figli di Dio che erano dispersi ( 1 1,52).

Effettivamente, in questo passo i figli di Dio, esplicitamente distinti dai membri della nazione giudaica, designano tutti gli uomini che credono in Dio, lsraeliti o no'"; si tratta della raccol­ ta nell'«unità» (parola che in Gv ha un valore unico) che è l'ope­ ra propria di Gesù, il Logos incarnato; ma la condizione di figli di Dio è già propria di coloro che egli, con la sua morte, introdurrà alla piena conoscenza e intimità del Padre. Se la frase: «diede loro potere di diventare figli di Dio» doves­ se indicare - secondo interpretazioni diverse dalla nostra - una possibilità futura e avere quindi il senso pieno della fede cristia­ na, si dovrebbe leggere nel v. 12 soltanto l'enunciazione di un «progetto» di Dio non ancora realizzato a questo stadio. Ma in tal caso bisognerebbe render ragione del verbo «egli diede» che ri­ manda, come l'insieme del versetto, a un tempo passato. Il v. 13 cerca di spiegare come coloro che accolsero il Logos hanno potuto giungere alla fede. A modo suo Gv tocca il famoso problema del rapporto fra la grazia e la libertà: se tutto viene da Dio l'uomo è ancora libero? La risposta è brusca: per credere è necessario essere stati generati da Dio stesso. I.: uomo non diviene figlio di Dio con la procreazione carnale («non mediante il san­ gue», espressione che probabilmente intende eliminare dalla filia­ zione divina ogni origine razziale): come diceva già il Battista, «Dio può suscitare da queste pietre dei figli ad Abrarno»116• E non "' Già in Ger 3 , 1 9, Dio ha cura di «distinguere Israde tra i figli», cioè fra tutte le . naztom. '" Mt 3,9; cfr. Gv 8,37-39. Seguendo Agostino (1!,14: Opere, XXIV, p. 38), alcuni vedono nel plurale del greco > quella dell'uomo (come in 6,44), co­ sa che porterebbe a un determinismo di cattiva lega: dove sareb­ be la libertà dell'uomo? Ma non si vede neppure come l'attività dell'uomo potrebbe precedere quella di Dio. Non vi è altra alter­ nativa se non affermare che queste due azioni formano una cosa sola, che la tradizione ortodossa chiama a ragione «sinergia>> di Dio e dell'uomo. Dio e l'uomo non si collocano sullo stesso piano: non vi sono opere che appartengono all'uno e all'altro separata­ mente, pur dovendo riconoscere la diversità dei rispettivi ruoli117• Oltre a questa rivelazione del mistero della «sinergia>> di Dio e dell'uomo nell'accoglienza del Logos, il passo dà anche assicurazio­ ne di ciò che era stato proclamato nei versetti precedenti, cioè che il Logos illumina ogni uomo. Ora infatti sappiamo che questa illumi­ nazione, nella misura in cui viene accolta, produce la filiazione divi­ na e la compie anche prima che il Logos assuma figura umana, cioè indipendentemente da ogni riferimento esplicito a Gesù Cristo. tesi. E. Hoskyns ritiene che Gv eviti il singolare perché riservato al sangue redentore di Cristo . Altri O. de la Potterie, P. Hofrichter) ci vedono l'effusione di sangue che avviene al momento del parto. È prcfcribile pensare, con A. Feuillet, all'origine razziale, connessa al processo naturale della procreazione. 111 Questa interpretazione, basata su sant'Agostino, è stata giustificata in RSR .33 (1946) 129-163.

111

l . PROLOGO (1,1-18)

d. Nota complementare La nostra lettura è basata sull'insieme dei manoscritti che con­ cludono unanimemente il versetto con «essi che furono generati da Dio». Certi Padri della Chiesa però, soprattutto latini, nelle loro citazioni di questo versetto, come pure alcune antiche tradu­ zioni del vangelo, leggono il verbo al singolare: «qui ex Deo natus est». Il versetto risulterebbe così: 12

Ma a tutti quel l i che l'hanno a cco lto, egli ha dato potere di divenire figli di Dio, a coloro che credono nel suo nome, 13 egli che non fu generato né dal sangue, né da un volere di carne, né da un volere d ' uomo, ma da Dio.

Il vantaggio di questa traduzione è che il Logos rimane il sog­ getto della frase fino alla fine: colui che dona la filiazione divina è colui che è stato generato da Dio. L'interpretazione è sedu­ cente e molti critici l'hanno abbracciata sia pure con diverse motivazioni. Allo scopo di render la frase greca più intelligibile, la «lezione» al singolare giungeva a proposito a giustificare la coerenza di questi versetti1 18• Certi autori ritengono che le testi­ monianze patristiche siano preferibili ai manoscritti a motivo della loro più alta antichità e anche per il fatto che il singolare potrebbe essere stato modificato in plurale dagli gnostici va­ lentiniani. In questa direzione altri critici, soprattutto cattolici, sono andati oltre, scoprendovi una testimonianza in favore della concezione verginale di Gesù119• Al contrario, la maggior parte dei critici, forti della tradizione unanime dei manoscritti, co­ me abbiamo detto, sostengono la lezione plurale120 e rispondo­ no che la lezione singolare proviene da una mentalità antiebio' " Così con Tertulliano, a partire da A. Rcsch (1898), F. Blass (1902), A. Loisy (1903), T. Zahn ( 1908). pp. 703-708, M.E. Boismard (1950), D. Mollar (1953),]. Galot (1969), P. Hofrichter ( 1977, 1985), l. de la Potterie ( 1985). "' Specialmente J. Galot, ttre né de Dieu (jean 1,13), Roma 1969; l. de la Pottcrie, Marianum 40 (1978) 41-90. '"' I critici in maggioranza. Così ). Schmid, BZ l( J957) 1 18-125; P. Lamarche, RSR 52 (1964) 498-510; A. Feuillet (1968).

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nita121 che voleva dare fondamento più solido alla concezione ver­ ginale di Cristo. Tutto considerato, la lezione al plurale sembra preferibile. 5• strofa - D Logos glorioso in Gesù Cristo ( 1 ,14) 14 E i l Logos divenne carne e dimorò tra noi e noi abbiamo veduto l a sua gloria, gl oria di Figlio u n ico [mandato] da presso i l Padre riempito del la grazia della verità.

Più breve di quelle che l'attorniano, la quinta strofa (o «meso­ do» secondo la metrica greca122) è tuttavia la principale, perché essa dà fondamento alle affermazioni delle altre strofe. Il lettore inizia l'ultima tappa della storia di Dio che si comunica, anche se non giunge alla sua conclusione. I testimoni della gloria del Logos incarnato attestano che il progetto divino, la comunicazione per­ fetta fra il Logos e gli uomini, è divenuta una realtà della nostra storia. Affermata dai beneficiari, questa comunicazione sarà ap­ poggiata dalla testimonianza di Giovanni e confermata dalla pro­ clamazione dei credenti. La strofa comporta due membri, connessi mediante la parola­ aggancio «gloria>>. n primo membro culmina nelle parole «abbia­ mo veduto la sua gloria>>, in cui consiste l'evento annunciato. n secondo precisa la natura della gloria del Logos fatto uomo. Le nostre riflessioni si raggruppano perciò attorno questi due punti: l'evento e la gloria.

a.

I.:evento

n nostro passo si ricollega al v. l mediante una «e>> (unico caso dell'intero Prologo in cui si trovi in posizione iniziale) e la ripre121 n tennine >. Ma è del tutto soddisfa· cente questa formulazione? La «venuta>> del Logos è già stata detta in l , l Os: egli «era nel mondo>> e «egli venne nella sua proprietà>>. Se è vero che il Logos è Dio che si comunica, la comunicazione non è cominciata con l'Incarnazione, ma già fin dalla creazione, ed è poi continuata lungo tutta la storia della rivelazione. L'incarnazione del Logos però segna un cambiamento radicale nel modo della comunica· zione. In che cosa consista questo cambiamento è ciò che l'anali­ si delle parole ci consentirà di precisare. Per il momento limitia· moci a dire che questo cambiamento si effettua in due punti: la presenza nella carne è ben diversa da quella diffusa dalla luce divina nella creazione e nella storia; l'esperienza della gloria è del tutto diversa dall'accoglienza della luce. Ora vi è il dono dell'in· contro. Non si tratta soltanto di affermare un nuovo stato del Logos come tale, ma anche di precisare che la sua presenza, in questa nuova modalità, è una «dimora tra noi>>, è un «faccia a fac· eia>>: l'evento proclamato qui è propriamente: «noi abbiamo vedu­ to la sua gloria>>. E il Logos divenne carne. n soggetto della frase è indicato esplicitamente, mentre dal v. 3 era sottinteso; si sottolinea così il peso dell'affermazione. Invece dell'imperfetto «era>>, che caratterizzava il Logos nella sua sovra· esistenza e nel suo rapporto con la creazione (vv. l , 2, 4), abbia· mo qui l'aoristo egéneto, già utilizzato per esprimere l'origine del mondo e il suo passaggio all'esistenza storica ( 1 ,3 . 10) . Ma qui il verbo è seguito da un predicato, la parola «carne>>. Non si tratta

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perciò del passaggio dal nulla all'essere, ma di una modificazione nel modo della presenza e della manifestazione. Questo aoristo si pone sulla linea del v. 1 1 : egli «venne», che si riferiva ai reiterati interventi del Logos che illumina gli uomini. Ora la venuta si rea­ lizza in un modo specificamente umano: la manifestazione divina si concentra in un uomo. U testo preferisce la parola «carne» (sdrx) a «uomo», che Gv fre­ quentemente usa del resto a proposito di Gesù, probabilmente per evitare che si ponga Gesù sul piano di Giovanni, appena menzio­ nato come un «uomo inviato da parte di Dio»; ma soprattutto per determinare ancora meglio la condizione nuova del Logos divenu­ to uomo. li termine «carne», meno usato in Gv1 23 che in Paolo, non assume mai un significato peggiorativo nel quarto vangelo, dove ha mantenuto il suo senso veterotestamentario: in contrasto con la condizione imperitura e incorruttibile del mondo di lassù, designa la condizione misera, debole, precaria del mondo di quaggiù 124 . Forse Gv suggerisce già qui anche la morte, inerente alla condizio­ ne umana, mediante la quale Gesù salverà il mondo (cfr. 6,5 1 ) . Dando questa qualifica al Logos, G v contrasta l a tendenza ad attribuirgli una semplice apparenza umana125, elimina ogni doce­ tismo126, così come il verbo «divenire» si oppone ad ogni riduzio­ ne che volesse ricondurre l'umanità del Logos a una falsa appa­ renza e la sua esistenza sulla terra a quella di un Dio che si mostra quaggiù nelle sembianze di un uomo. Il Logos diviene «un uo­ mo», ma rimane pienamente il Logos. Egli non ha > l'umanità in generale, poiché il Logos è divenuto uomo tra gli uomini. e noi abbiamo veduto la sua gloria.

Con questo (moi>>, che attesta di aver visto la gloria del Logos, si fanno sentire i testimoni della vita di Gesù di Nazaret, quelli "' esk!nosen è un aoristo complessivo (cfr. BD § 332 n. l). '" Cfr. Gv 7,37. Per la festa delle Tende, cfr. Lv 23,34-36; Nm 29,12-38; Dt 16,13-15; Esd 3,4; Zc 14,16. "' Cfr. Es 25,8s; 29,45; Lv 26, 1 1. '" Es 25,22; 33,7 - 1 1 ; Nm 1,1; 17,19. '" Per es., Sir 24.7-10. llll In relazione col verbo .fakan («abitare, dimorare�)), gli antichi rabbini designavano volencieri con la parola shekinàh Dio stesso; il termine si pouebbc tradurre con «presen­ za• (cfr. Es 25,8; Nm 9,18. l: allusione a Sir 24,8.10 è trasparente).

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che hann o riconosciuto la sua gloria divina nelle opere che ha compiuto. Sono i testimoni di cui parla la lettera di Giovanni: Ciò che era fin dal principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi ab· biamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato, ciò che le nostre mani hanno toccato a riguardo della parola deUa vita... (1Gv 1,1).

Veramente i primi discepoli hanno riconosciuto, attraverso le parole e gli atti di Gesù di Nazaret, la gloria del Logos, come mostrerà l'evangelista riportando i «segni» (2 , 1 1 ) . Qui il Prologo diventa veramente una confessione di fede. ll «vedere»139, in un senso proprio del verbo greco thedsasthai, indica «io sguardo che contempla il suo oggetto», come se attraverso la fede ne appro­ fondisse la realtà. Se il «noi» designa i primi testimoni di Gesù Cristo, sorge allo­ ra la questione: che cosa ricevono in più questi testimoni rispetto a coloro che accolsero il Logos illuminatore ( 1 , 12s)? La gloria che essi hanno veduto nel Logos incarnato consiste unicamente nel­ l'irradiazione del Logos di cui beneficiarono «tutti coloro che lo accolsero»? Una precisazione viene data subito nel secondo mem­ bro della strofa: la gloria del Figlio unico mandato da presso il Padre si esprime nella rivelazione che Gesù è il figlio di Dio.

b. La gloria del Logos Di questa gloria, contemplata dai testimoni privilegiati, Gv indica l'origine e l'irraggiamento. La gloria di Dio, secondo l'Antico Testamento, è Dio stesso in quanto si rende presente, santo, maestoso, potente, è Dio in epi­ fania140. Questa manifestazione si era imposta a Israele mediante le grandi gesta con cui Jhwh era venuto in soccorso del suo popo­ lo; era stata percepita anche attraverso lo splendore della creazio­ ne o nelle visioni dei profeti. Ora, per Gv, la gloria divina è con­ centrata nell'uomo Gesù, irraggia da lui, è la «sua» gloria. Per afferrare il senso che prende qui il termine d6xa è oppor­ tuno richiamarsi ai tre soli testi del quarto vangelo che parlano di m Cfr. C. Traets, p. 43. Nel quarto vangelo, il verbo (, come a proposito di Lazzaro rianimato: «avendo veduto ciò che aveva fatto, credettero in lui>> ( 1 1,45). ,,. Cfr. D. MoUat, «Gloria» in DTB.

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l. PROLOGO (1,1-18)

di Cristo. In 12,39-41 Gv contrappone l'atteg­ giamento fedele del profeta Isaia, che «ebbe la visione (spirituale) della sua gloria>>, e il comportamento dei giudei: costoro non la riconobbero attraverso i «segni>> operati da Gesù che li invitava­ no a credere in lui (20,3 1 ). In 1 1 ,40 Gesù dice che Marta «vedrà la gloria di Dio>> non soltanto attraverso il miracolo come tale, ma perché questo segno annuncia la glorificazione di Cristo'". Infine, già dall'inizio del suo ministero Gesù ha «manifestato (nel segno di Cana) la sua gloria>> ai discepoli, così che la vita pubblica di Gesù di Nazaret risulta propriamente inquadrata da questi segni: il vino di Cana e la rianimazione di Lazzaro. Per dirla in breve: i segni operati da Gesù simboleggiano la sua gloria, oppure la glo­ ria prende corpo mediante i segni. Il Prologo dichiara, generalizzando, che i credenti hanno . Il quarto vangelo non riporterà l'episodio spe­ cifico della Trasfigurazione, comune ai sinottici (Le 9,32), ma si potrebbe dire che esso estende questa visione a ciascun momen­ to della vita terrestre di Gesù. In che cosa consista la gloria del Logos viene precisato dallo stico seguente. gloria di Figlio u n ico [mandato) da presso il Padre.

Il testo greco presenta alcune difficoltà: d6xan hos monogenous parà patr6s. La particella hos non enuncia un paragone («come quella che un figlio unico ha da parte di suo padre>>), perché il sostantivo monogenous in tal caso dovrebbe essere determinato da un articolo'42; qui invece tale particella indica il fondamento dell'affermazione e significa «in qualità di>>143• Essa permette di sfumare il genitivo che sarebbe stato più immediato. Perciò ab­ biamo tradotto non «gloria del Figlio unico>>, ma «gloria di figlio unico>>. È precisamente in quanto Figlio unico di Dio che il Logos irraggia la sua gloria. L'altra difficoltà riguarda le parole parà patr6s. A rigore, la pro· venienza dal Padre (para co! genitivo) potrebbe riferirsi a d6xan: >. Ma questo pensiero, che '" Cfr. Gv Il ,4; «questa malattia è per la gloria di Dio, affinché il Figlio di Dio sia glo­ rificato mediante essa>> (cfr. 12,28; 13,3ls; 14,13). '" Così in Gv 15,6; Mt 17,2; 18,3... '" Come in Mc 1 ,22; Rm 1 ,21; IPt 2,2; Ap 5,6.

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si intona bene con il contesto di 5,4 1 -44 e 17,22, appare estraneo al Prologo, e la costruzione della frase, che deve scavalcare hos monogenous, sarebbe veramente difficile da ammettere; conviene quindi collegare monogenoiìs a parà patr6s. Il termine monogenous, secondo l'etimologia che si adotta, può significare due cose. Può significare «Figlio unico» per sottolinea­ re che il titolo di Figlio (hyi6s) appartiene esclusivamente al Logos incarnato, mentre i credenti sono chiamati tékna theoù, cioè figli ma con altro termine; in realtà egli è l'unico nel suo «genere» (génos) e solo (m6nos) nella sua specie. Secondo un'etimologia più verosimile, il termine deriva dal verbo ginomai che implica un ri­ ferimento all'origine: quest'Unico è veramente il generato dal Padre144, e pertanto egli è gloria del Padre. È importante notare la modifica del vocabolario, in rapporto al mutamento dovuto all'incarnazione del Logos. D'ora in poi, anche se ricomparirà il termine the6s ( 1 , 1 8), Dio (ho the6s in 1 , 1b) viene espresso col termine di «Padre» che manifesta una com­ prensione nuova del suo mistero. Correlativamente, il termine Logos cede il posto a quello di «Figlio», il titolo che dominerà lungo tutto il vangelo: il Logos è divenuto «il Figlio» manifestan­ do così la sua «personalità» propria. Il termine in questa prima menzione viene quindi precisato (e inglobato) da quello di mano­ genA Fuori del Prologo ( 1 , 14. 18), quest'ultimo si trova solo in 3 , 1 6 dove si dice che a motivo del suo amore per il mondo «Dio ha inviato il suo Figlio unico». Dire dunque che il Figlio viene «da presso il Padre», significa certamente dire che il Logos incarnato è veramente colui �he da sempre «era presso Dio» ( 1 , 1 ) e quindi che proviene da lui. E dub­ bio tuttavia che si possa leggere in questo testo, nonostante i Padri greci, la «generazione eterna» del Figlio'4'; qui si tratta della sua missione, quella che Gesù proclamerà dicendo: (o anche al Logos sottinteso) oppure a «gloria>>. Col­ legando l'aggettivo «riempito>> alla parola «gloria>> che precede, si esprimerebbe bene l'idea fondamentale: la gloria del Logos si mani­ festa nel dono della verità che egli fa agli uomini; ma per questo bisognerebbe scavalcare le cinque parole frapposte, un'arditezza stilistica poco accettabile. Con la maggior parte dei critici è quindi preferibile intendere che «riempito>> si riferisca propriamente al Figlio unico (oppure al Logos, sottinteso). Per indicare la qualità tipica di una persona, un dono che pos­ siede in modo particolare e in abbondanza, si dice abitualmente che il tale è pieno di fede, di grazia, di sapienza, di Spirito San­ to""- Se la gloria (in ebraico kabod: «peso e ricchezza>>) è irradian­ te per definizione, ciò dipende dal fatto che il Logos può manife­ stare tutta la «ricchezza>> di cui è «riempito>>. Questo è il dono che egli può fare agli uomini. Letteralmente, secondo il greco, il Logos è «pieno della grazia e della verità>>: plires khdritos kal aletheias. Questi due sostantivi dicono due diverse realtà o una sola'49? Nel Nuovo Testamento si incontra certamente qualche coppia in cui il secondo sostantivo è sinonimo del primo, per esempio «la grazia e il dono>> (Rrn 5 , 1 5 . 17), ma per lo più le due nozioni sono distinte e formano una in cui il secondo sostantivo precisa il primo: >152• Nel v. 14, a motivo dell'accostamento fatto con la legge in 1 , 17 (senso oggettivo) , il termine avrà più normalmente il senso oggettivo di «verità>>. Di che cosa, in conclusione, è riempito Gesù? Della verità, cioè della conoscenza di Dio. Questo è il «dono>> che egli può fare: comunicare la verità del Padre, dire «Lui>>. All'inizio di questa strofa vi è il fatto che il Logos ha preso figu­ ra e condizione d'uomo, sotto gli aspetti della carne che tutti co­ noscono; una carne che non è più soltanto opaca, ma che ormai può rivelare il Logos. La rivelazione si esprimeva già attraverso la presenza luminosa del Logos dsarkos, all'intera creazione, ma d'ora in poi essa parla mediante il linguaggio nell'esistenza di un uomo tra gli uomini: questo fenomeno di concentrazione in un ,,. Così M.E. Boismard, Prologue, pp. 74-79. "' Eccetto nei testi tardivi dei LXX: dr. C.H. Dodd, Interpretazione, p. 225; R Schnackenburg, l. p. 248, n. 3 . "' Cfr. Ml 2,6; D n 10,21; Sap 3 ,9.

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l. PROLOGO (1,1 ·18)

uomo consentirà alla rivelazione di Dio di esprimersi direttamen­ te in maniera intelligibile e di aprire a tutti la via a una comunio­ ne definitiva con lui. Questa nuova tappa non annulla la precedente. li Logos con­ tinua ad esprimersi attraverso la creazione, di cui è l'autore, e gra­ zie alla testimonianza resa alla luce; e sono numerosi coloro che possono accoglierla e divenire figli di Dio. Tuttavia ormai la rive­ lazione si concentra anche e soprattutto in colui che tra poco sarà indicato col suo nome: Gesù Cristo ( 1 ,17). Rispetto alla rivelazione del Logos, luce di vita, ciò che è nuovo è la rivelazione della sua gloria di Figlio di Dio. La gloria del Logos si manifesta nel fatto che gli uomini riconoscono in lui il Figlio unico del Padre e mediante lui entrano in unione col Padre stesso. D'ora in poi un uomo diventerà il volto stesso di Dio: «Chi vede me - dice Gesù - vede il Padre» ( 14,9).

6" strofa · Gesù Cristo ha rivelato il Dio invisibile ( 1 , 15-18)

L'ultima strofa del Prologo è strettamente legata alla preceden­ te. Numerose parole-aggancio richiamano il centrale v. 14: - «pienezza» (plifroma) riprende il «pieno» (plires) riferito al Logos; - il «noi» dei primi discepoli ha il suo corrispondente nel «noi tutti»; - «grazia» ritorna rafforzato in «grazia per grazia»; - l'espressione «grazia della verità» si ritrova in 1 , 1 7 ; - l'«Unigenito» (monogenis), in relazione con la gloria del Padre, riappare in 1 ,18. Elementi nuovi tuttavia caratterizzano la strofa: - la Legge è data mediante Mosè, la grazia della verità median­ te Gesù Cristo; - Gesù Cristo è il nome del Logos divenuto carne. Inoltre, in questa strofa, dall 'andatura di gran finale, confluisco­ no i dati di maggior rilievo rivelati nel Prologo. Avendo la storia del Logos toccato il suo vertice, il poema - avviandosi alla conclusio-

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ne - rimanda al primo versetto e contemporaneamente introduce all'intero vangelo che riferirà la storia di Gesù di Nazaret. Ciò che può sorprendere è una nuova menzione di Giovanni il testimone, collocata subito dopo la confessione di fede di 1 ,14. a. 15

La testimonianza di Giovanni G iovanni gli rende testimonianza e grida: «Era costui del quale ho detto: "Colui che viene dopo di me, è al di sopra di me, perché era prima di me" » .

Generalmente s i ritiene che anche qui, come in 1 ,6-8, l a men­ zione di Giovanni, il testimone, interrompa il movimento del poema e che pertanto si spiegherebbe come un'aggiunta poste­ riore153. Si insiste inoltre sulla tonalità antibattista del passo: ponendo Giovanni come inferiore al Cristo, il testo avrebbe di mira certi discepoli che nel I secolo consideravano il Battista superiore a Gesù. Secondo l'opinione di Gesù stesso, Giovanni non era il più grande tra i nati di donna (Mt 1 1 ,9- 1 1 ) ? Un aspet­ to polemico non è certo da escludere nella presentazione di Giovanni nel capitolo l o; ma nel Prologo questo aspetto sembra fuori delle intenzioni. Il testo ha sottolineato certamente in 1,8 che Giovanni non era luce ma contemporaneamente ha elevato il testimone della luce all'alta dignità di un «inviato di Dio» che domina i secoli; e se in 1 , 15 Giovanni afferma la misteriosa superiorità di Gesù Cristo, lo fa ancora da questa eminente posi­ zione. Questo versetto può avere una buona giustificazione, a nostro parere, per la sua collocazione a questo punto del Prologo. Gio­ vanni, la cui missione nei confronti della luce è stata enunciata nella prima parte, dà ora la sua testimonianza al Logos incarnato; diventa quasi il garante dell'affermazione inaudita dei discepoli che hanno contemplato in un uomo la gloria del Figlio unico di Dio ( 1 , 14c). Colui che si è presentato nella carne e la cui esistenm Così la maggioranza dei critici.

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l . PROLOGO (1,1·18)

za si è inscritta nel tempo di questo mondo è veramente al di sopra dello stesso Giovanni. La preminenza di Gesù Cristo, fon­ data sulla sua preesistenza, è precisamente il contenuto della testi­ monianza riferita. Gesù Cristo è al di sopra di Giovanni. La preposizione émpro­ sthen può assumere due significati: temporale o spaziale. Spesso i traduttori preferiscono il primo: «egli era prima di me», «egli mi ha preceduto»; ma così si fa dire a Giovanni una pura tautologia, perché egli dirà subito: «egli era prima di me». Noi preferiamo quindi l'aspetto spaziale che porta facilmente a un senso qualita­ tivo, di superiorità: egli è «al di sopra di me». Questo senso di preminenza trova conferma nel prologo nar­ rativo. Annunciando in questo versetto del Prologo: «colui del quale ho detto ... », Giovanni si riferisce a una parola pronunciata durante la seconda giornata della sua testimonianza, allorché, dopo aver riconosciuto in Gesù l'Agnello di Dio, proclama:

È colui del quale io dissi: «Dopo di me viene di me, perché prima di me egli era» ( l ,30).

un

uomo che è al di sopra

E questa parola, a sua volta, rimanda a ciò che Giovanni aveva detto il giorno prima, parlando di «Colui che viene dopo di me ... )) ( 1 ,27). Già prima di incontrarlo Giovanni conosceva la superiori­ tà di Colui che sarebbe venuto c si sentiva indegno di essere suo schiavo. Dopo aver riconosciuto il Messia, egli è in grado di pre­ cisare il motivo di tale preminenza: «perché prima di me egli era». Se in questo passo, come vedremo, l'anteriorità non significa ne­ cessariamente la «preesistenza» di Gesù Cristo, nel Prologo que­ sta precsistenza viene pienamente affermata. «Prima di me egli era»: così l'essere di carne viene collegato col mistero del Logos che era in principio (l , l ) . Se si tiene conto del tempo dei verbi, Giovanni qui non è soltanto un testimone che parla a un dato momento della storia, compiendo un atto relega­ to ormai per sempre al passato. La sua testimonianza viene intro­ dotta da un verbo al presente: «Giovanni gli rende testimonian­ za ...)) e un perfetto ne precisa il valore di annuncio profetico: «egli grida (kékragen)»"4• Inoltre, mentre la situazione del racconto nel primo capitolo è di contemporaneità: >. In realtà la prima grazia è quella della venuta univer­ sale del Logos non incarnato; la seconda è il dono plenario della verità mediante Gesù Cristo, il Logos incarnato. Così si rende manifesta la continuità della storia di Dio con gli uomini, che equivale a una successione di grazie: dapprima la grazia diffusa dal Logos, la sua rivelazione fin dal principio, nella creazione e nella storia; poi la grazia della verità manifestata in pienezza mediante il Figlio unico. Sono le due grazie tra cui il v. 17 stabili­ rà il rapporto. La specificazione del v. 17 a comporta una specie di riduzione in rapporto alla prima parte del Prologo che inglobava anche il popolo ebraico in una visione universale dell'umanità illuminata dal Logos. In realtà, poiché il Logos ha preso forma umana in un popolo determinato, la rivelazione di Dio a questo popolo, nel corso della storia antecedente, entra esplicitamente a far parte

'" R. Bultmann, p. 5J, n. l. Cfr. I. de la Potterie, pp. 142-150. Ancor meno accettabi­ lt è l'opinione di ].M. Bover, Bib 6 (1925) 454-460 ripresa da P. Joiion (RSR 22 [19J2) 206): «la grazia del cristiano corrispondente alla grazia di Cristo». '"Agostino intende parlare di due grazie cristiane: la grazia della fede quaggiù e la vita tttma nella gloria (III, 9: Opere, XXIV, p. 54).

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della prima grazia. Così si compie il passaggio della luce che illu­ mina tutti gli uomini alla legge di Mosè. Le due proposizioni del v. 17 sono costruite in un paralleli­ smom che esprime contemporaneamente corrispondenza e supe­ ramento. Disponendo il testo come segue, il parallelismo appare più evidente: La legge fu data mediante Mosè.

della verità la grazia fu mediante Gesù Cristo.

Mosè e Gesù Cristo sono evidentemente in parallelo. Alla legge corrisponde non la «grazia» ma la «verità», così che si può cogliere un'equivalenza tra il verbo ed6the («fu data») e «la grazia (il dono) fu». Al dono della legge corrisponde il dono (khdris) del­ la verità in Gesù Cristo. Tra i due membri della frase non vi è op­ posizione, ma progressione, e tale progressione non va dalla legge alla grazia, come pensavano i Padri greci, ma dalla legge alla veri­ tà. Questa verità supera la legge, che è soltanto una sua manifesta­ zione incompleta, e rivela pienamente ciò che il Dio dell'Alleanza aveva voluto comunicare a Israele fin dalla sua elezione158• Ogni tentativo di opporre formalmente qui il Nuovo Testamento all'Antico è dunque destinato al fallimento. Per Gv la Legge è già un dono di Dio (ciò che suggerisce il passivo ed6the), una grazia che si espande al mondo intero (Sir 24,23s). D'altra parte Gv mostra la profondità insondabile della verità rivelata da Gesù Cristo. Nel quarto vangelo Gesù manterrà, sia pure in altra maniera, la distin­ zione, riservando il termine «legge» alla legge di Mosè e preferendo il termine «comandamento» (ento!IJ per esprimere il suo rapporto di fedeltà al Padre e quello dei suoi discepoli verso lui stesso1". Notevole è l'uso del verbo egéneto per enunciare !'«avvento» della grazia della verità. La venuta della verità nella persona di Gesù Cristo viene enunciata con la medesima espressione della venuta del Logos nella carne ( 1 ,14). Concludendo la lettura di questi due versetti, ricordiamo quale progressione è stata realizzata da Gesù Cristo. Essa non può con"' È un parallelismo sintetico e progressivo (cfr. !Gv 2,13s). Cfr. DBS 5 (1957) 66s. '" La Verità e la Legge vengono già accostate tra loro in Sal 119,86.142. "' nomos: è la Legge di Mosè: Gv 8,17; 10,34; 15,25; 19,7; entol!: dice relazione al Padre: Gv 10,18; 12,49s; 14,.3 1; 15,10; relazione ai discepoli: Gv 13,.34; 14,1521; 15,10.12.

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l. PROLOGO ( 1 , 1-18)

sistere nel dono della fùiazione divina in quanto tale, perché 1econdo i vv. 12-13 questa grazia fu accordata a coloro che aveva­ no accolto la luce del Logos, in azione fin dal principio del mondo. La novità è che in e mediante Gesù Cristo Figlio unico, Dio si rivela come Padre nel senso giovanneo: è ciò che dice l'ul­ timo versetto del Prologo.

c. Gesù Cristo racconta Dio Padre '6

D i o nessuno l'ha mai veduto, i l Figlio unico, Dio, che è verso i l seno del Padre, egli lo ha raccontato. ,

Sul punto di concludere il suo poema, Gv risale, con uno slan­ cio in verticale, a colui presso il quale il Logos era: Dio in senso assoluto, se si può dire. Pur dichiarando che il Figlio unico di Dio, Dio lui stesso, è il mediatore della rivelazione, Gv nota la dif­ ferenza che esiste fra il Padre e il Figlio unico, pur richiamando la loro perfetta comunione. Questo versetto forma una unità letteraria. In effetti, la parola «Dio», posta all'inizio e all'accusativo, regge l'insieme, cioè non soltanto l'asserzione che nessuno ha mai visto Dio, ma anche quella che il Figlio «l'ha raccontato»160• Se è così, il versetto con­ tiene allora un'opposizione letteraria fra il «vedere» e il «raccon tare», che si potrebbe esplicitare in questo modo: ·

certamente, nessuno l'ha mai visto, il Figlio unico lo ha raccontato.

Dio,

ma

In una situazione senza via d'uscita è intervenuto il Figlio unico, dato che lui solo poteva farlo, poiché egli stesso è Dio161 ed «è» inti­ mamente unito al Padre. All'interno di questo breve testo notiamo che, come nel v. 1 ,14, il termine Dio viene sostituito da quello di 160 Posta all'inizio come carur pendens, la parola -«Dio» (all'accusativo) domina i due membri della proposizione, senza che il greco senra il bisogno di richiamarla con un pro­ nome; l'italiano invece lo esige dinanzi ai due verbi > e . '" l manoscritti presentano lezioni diverse: (a) I'Unigenito Dio, (b) l'Unigenito Fi8[io, (c) l'Unigenito. La lezione (c) manca di fondamento, perché si trova solo presso alcuni Padri della Chiesa, che intendevano probabilmente rendere l'affermazione meno difficile. La lezione (b) è ben testimoniata ed è conforme all ' uso giovanneo (cfr. J,l6.18; !Gv 4,9), ma ha tutla l'aria di essere un ammorbidimento della lezione (a) che è la meglio ancstata.

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«Padre)); notiamo soprattutto la dialettica «vedere/raccontare)). Per comprenderne il senso esaminiamo i tre dati fondamentali del passo: vedere Dio, la mediazione del Figlio unico, raccontare Dio.

Vedere Dio è l'aspirazione più profonda del credente, secondo la Bibbia. Ma, salvo eccezioni, quest'aspirazione deve attendere il cielo per potersi realizzare. Per questo, lungo i secoli, è stato tra­ sportato nel culto l'incontro sperimentale con Dio. Nel tempio, dove era presente la sua gloria, si poteva soddisfare simbolica­ mente il desiderio di accostarsi al Signore. L'espressione «vedere Dio)), infatti, non dice soltanto una contemplazione puramente intellettuale, ma un'esperienza, un faccia a faccia col Dio viven­ te1 62 . li nostro testo comunque non si riferisce all'incontro cultua­ le di tipo simbolico: esso si riferisce alla realtà immediata intesa con l'espressione «vedere Dio)). d. I.:impossibilità

di vedere Dio

Due tradizioni bibliche ci dicono perché l'uomo non può vedere Dio. Secondo la più diffusa, questa impossibilità deriva dalla condizione peccatrice dell'uomo: il non-santo non può acco­ starsi al Santo; sotto pena di morte. Vedendo il Signore, il profe­ ta Isaia esclama: Sventura a mc! Sono perduto! Perché io sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo a un popolo dalle labbra impure, e i miei occhi hanno veduto il re, Jhwh degli eserciti! (Is 6 ,5)163 .

Questa era stata anche l'esperienza di Mosè: Tu non puoi vedere il mio volto, perché l'uomo non può vedermi e vivere (Es 33,20).

Un'altra tradizione collega questa impossibilità direttamente alla trascendenza assoluta di Dio. A Mosè che prega Jhwh: «Fam­ mi vedere la tua gloria)), Dio risponde: «lo ti riparerò con la mia mano durante il mio passaggio ... Tu mi vedrai di spalle, ma il mio volto non lo si può vedere !>> (Es 33,22s). '" Gn 32.31; Nm 14.14; Sal 16,8; 63,3; Is 6; 52,8; Mt 5,8; 1Cor 13.12. '" Cfr. Es 19,21; Lv 16,2; Nm 4,20; Gdc 13,21s.

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Il giudeo Filone l'ha espresso mirabilmente parlando dell'ap­ parizione di Jhwh ad Abramo: «Dio andò incontro a lui e della sua natura gli mostrò ciò che era capace di vedere colui che guar­ dava. Per questo non si dice che il saggio (Abramo) vide Dio, ma che Dio si mostrò al saggio»164• Strettamente parlando, si dovreb­ be dire non che «si vede Dio», ma che Dio si fa vedere. Dio non è un «oggetto» da guardare, ma è un soggetto che si lascia incon­ trare. E poiché i due partners non sono su un piano di parità, con­ viene notare sempre, nel linguaggio, la priorità di Dio rispetto all'uomo. In questo senso, la tradizione sapienziale ha ripetuto senza stancarsi che l'uomo non può raggiungere Dio né raccontarlo: Chi l'ha veduto così da rendere conto (ekdiegisetat) ? (Sir 43,3 1). A nessuno ha concesso di annunciare le sue opere. Chi potrà penetrare le sue grandezze? (Sir 18,4). A stento indoviniamo le cose terrene e con fatica comprendiamo quelle che sono a portata di mano; ma chi potrà scoprire le cose celesti? (Sir 9,16)161• Notiamo che questa tradizione utilizza, a proposito della Sapienza, il verbo exegeisthai, il che conferma l'appartenenza del Prologo all'ambiente sapienziale. Il quarto vangelo fa eco a que­ sta corrente di pensiero: Nessuno è salito al cielo se non colui che è disceso dal cielo (Gv 3 , 1 3 ) . Anche qui, come in 1,5 , non si parla della situazione peccatri­ ce, ma della condizione di creatura di fronte a Dio, il quale sol­ tanto di sua iniziativa può rivelare se stesso. Questa convinzione potrebbe spiegare una notevole eccezione, molto antica, la quale riferisce che alcuni hanno veduto Dio senza monre: Mosè salì con Aronne, Nadab e Abiu e i settanta anziani d'Israele. Videro il Dio d'Israele: sotto i suoi piedi c'era come un pavimento in piastre di zaf­ firo della purezza del cielo stesso. Non stese la sua mano contro i privilegia­ ti dei figli d'Israele; contemplarono Dio, mangiarono e bevvero (Es 24,9- 1 1 ; cfr. Gdc 13,22) . La Bibbia racconta certamente varie «apparizioni» e «visioni» concesse agli eletti dell'Alleanza; ma, come diceva Dio a Mosè, egli si lasciava vedere «di spalle», il che significa che egli si lascia '" Filone, De Abrahamo, 8. "' Cfr. Sal !06,2; Pro 30,4; Bar 3,29.

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cogliere solo nei «simboli»166 in particolare quello del fuoco, come nell'episodio del roveto ardente (Es 3 ,6), o al Sinai: Jhwh vi parlò di mezzo al fuoco; voi udivate il suono delle sue parole, ma non vedevate alcuna forma: nient'altro che una voce! (Dt 4 , 12). Voi non avete veduto alcuna forma nel giorno in cui Jhwh vi ha parlato, all'Oreb, di mezzo al fuoco (Dt 4,15).

Elia invece avverte la prossimità di Dio non più attraverso il fuoco, ma «nel mormorio di un vento leggero» ( I Re 19,12s) . Solo attraverso una mediazione la maestà divina si lascia incontrare. Secondo un altro modo di esprimersi, un «velo» protegge la divinità, un velo che ha potuto prendere l'aspetto di una «nube», ma che nascondeva sempre ciò che doveva essere rivelato. Un velo veniva posto sulla faccia risplendente di Mosè quando usci­ va dalla tenda di riunione (Es 34,33 ). E in effetti le tenebre copro­ no la terra (Is 60,2) fino al giorno in cui il velo sarà definitivamen­ te tolto:

Egli distruggerà su questa montagna il velo che awolgeva tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni (ls 25,7).

n velo del tempio che chiudeva l'accesso al Santo dei Santi simboleggiava questa impossibilità di vedere Dio faccia a faccia. La varietà delle tradizioni sull'impossibilità di vedere Dio si giustifica col fatto che si tratta di render conto della relazione che unisce l'uomo a Dio. Se mi pongo dal punto di vista dell'uomo, dichiaro che l'uomo peccatore non può incontrare il Santo; se mi metto dal punto di vista di Dio, dico che Dio non si lascia pren­ dere come un oggetto, ma si dona quando vuole e nella misura in cui vuole. e. Il Figlio unico, mediatore Secondo Paolo il velo cade quando ci si rivolge verso il Signo­ re: solo in Cristo esso scompare (2Cor 3 , 14) e allora la gloria di Dio si lascia vedere. Anche in Gv è il Cristo che permette di supe­ rare l'impossibilità di vedere Dio. n mediatore di questo accesso alla gloria è il Monogenis (Uni166 U « simbolo» designa una realtà che è e non è la realtà intesa, la quale è di un altro ordine. È la mente dell'uomo che opera l'accostamento di queste realtà.

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l . PROLOGO (1,1-18)

genito), come Gv si compiace di chiamare Gesù Cristo. Unige­ nito, non soltanto per sottolineare che Gesù è lo stesso Figlio unico di Dio, ma anche che è lo stesso Logos incarnato ( 1,1); Gv infatti aggiunge che questo «Unigenito» è lui stesso «Dio»167: pre­ cisazione alquanto strana, dato che viene immediatamente dopo l'affermazione che nessuno ha mai veduto Dio. Tuttavia, poiché Gv dichiara che Gesù, come il Logos, è «Dio>> ( 1 , 1 ; 20,28), ci si può chiedere se egli non intenda propriamente rafforzare il para­ dosso. Dio solo può parlare di Dio. Aggiungiamo che subito dopo si tratta di colui che «è (rivolto) verso il seno del Padre>>. Come in 1 , 1bc, ma nell'ordine inverso, Gv dice che in Dio vi è un incessan­ te movimento, espresso con pr6s ( 1 , 1 ) , o con eis ( 1 , 1 8) , e sempre allo scopo di significare che una relazione vivente unisce insepa­ rabilmente il Logos a Dio, Gesù Cristo a Dio o piuttosto Gesù Cristo al Padre. n greco k6lpos («seno>>) designa la parte anteriore del torace umano'""; l'espressione «essere verso il seno del Padre>> non dice indubbiamente la «consustanzialità>> del Padre e del Figlio169 ma caratterizza l'intimità del Figlio col Padre suo. Utilizzando qui la preposizione eis e non en («sU>>), come in 13,23, dove il discepolo amato si trova a tavola a fianco a Gesù, per indicare questo rapporto di intimità, Gv precisa che non si tratta soltanto di prossimità (come in 1 3 ,25: «il discepolo chinan­ dosi sul [epì] petto di GesÙ>>), ma anche di una specie di finalità, come ha detto ottimamente l. de la Potterie: «ll Figlio unico è rivolto verso il cuore del Padre>>170• Questo è anche il suo essere stesso, come dice il presente del verbo ho on. Non è occasionale che Gesù sia rivolto verso il Pa­ dre, ma lo è per sua stessa costituzione; il suo presente è una pre­ senza che va ben oltre a ciò che si chiama «visione beatifica>>171• Con tutta la sua esistenza, con le sue parole, i suoi atti, Gesù manifesta la sua gloria di Figlio: «Prima che Abramo fosse, lo sono>>, proclamerà in seguito (8,58). Questo solenne «lo sono>>172 167 Secondo la lezione meglio testimoniata (cfr. sopra, n. 161). 168 La donna riposa in seno all'uomo (Dt 13,7; 28,54) o l'uomo in seno alla donna (Dt 28,56) . Questo atteggiamento affettuoso, proprio degli sposi, è anche quello di una madre o di una balia ( I Re 3,20; Rt 4,16; Is 49,22). 169 Come dice san Tommaso, n. 218, seguendo i Padri greci. 170 I. de la Potterie, p. 234. 171 Come hanno ben presto dedouo alcuni Padri. •' "' Cfr. A. Feuillet, RSR 54 (1966) 5-22; 213-240.

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non implica che Gesù voglia sostituirsi a Dio, ma deve essere inte­ so in rapporto ad altre proclamazioni, come per esempio: > o anche «spiegare in detta­ glio>>. Il verbo exegéomai viene usato per indicare il racconto di un avvenimento fatto da un testimone oculare; per esempio: «i testimoni ... raccontarono come ciò era accaduto>> (Mc 5,16) ; i discepoli presenti alla Trasfigurazione sono pregati di «non rac­ contare a nessuno ciò che avevano veduto>>177• In questo senso il verbo conviene perfettamente al Prologo: il Figlio unico, il solo testimone oculare del Padre, «racconta>>178 ciò che ha veduto. Della Sapienza, che nessun uomo può raggiungere con le sue sole forze, si dice che «Dio l'ha raccontata (exegisato) nell'intera natu­ ra>> (Gb 28,27). Tradurre in questa maniera il verbo exegéomai consente so­ prattutto di rimanere nell'area del Logos, della Parola ( 1 , 1 ) . A un «vedere>> impossibile - e che sarebbe dell'ordine dell'eviden­ za immediata - si sostituisce l 'atto del parlare di Colui che è egli stesso la Parola di Dio, atto che invita per ciò stesso a un «ascol­ tare>> come al termine della Trasfigurazione (Le 9,3 5 ) . Se il Logos, costantemente «presso Dio>>, è divenuto il Logos incar­ nato, cioè il Figlio costantemente «rivolto verso il Padre>>, lo è divenuto per parlare del Padre anche attraverso espressioni e gesti d'uomo. Il suo «raccontare>> è autentico, perché solo Dio è davvero in grado di parlare di Dio. Nessun altro potrebbe meglio esprimerlo, e a quale profondità! Ma lo è divenuto anche per poter arrivare, al termine della sua missione, a rivolgersi ai "' Platone, Lo Repubblica, IV, 42,7s. È uno dei meriti della tesi di I. de la Pottcrie, Verité...

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"' Mc 9,9; cfr. Le 1,1; 8,39; 9,10; 24,35; At 9,27; 10,8; 12,17; 15,3.12.14; 21,19.

118 Perciò questa traduzione ci è parsa preferibile ad alue come «l'ha fatto conoscere», .d'ha rivelato», «> del prologo: l'assenza di termini che presentino la salvezza come liberazione dal peccato, come redenzione. La salvezza concepita come uno strappare l'uomo dal peccato non è lo scopo ultimo del disegno di Dio, il quale fin dalle origini, dal­ l'atto creatore, ha avuto di mira la partecipazione degli uomini al suo stesso mistero, alla sua propria vita. Gv risale dunque oltre il peccato, inteso nel senso di trasgressione alla legge di Dio, per raggiungere l'atteggiamento fondamentale degli uomini di fronte al dono di Dio che è la luce del Logos diffusa nell'universo e che si manifesta nell'intimità delle coscienze. Il Prologo definisce que­ sto atteggiamento come rifiuto o come accoglienza. Né l'uno né l'altra dipendono da qualche determinismo estraneo, ma risalgo­ no all'uomo. Il termine «accogliere>>, utilizzato al positivo e al negativo equivale al «credere>> dei w. 7 e 12; esprime chiaramen­ te una risposta libera, data in un contesto di relazione che si po-

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trebbe dire interpersonale. Il risultato dell'accoglienza viene dap­ prima formulato con il «divenire figli di Dio» e poi col «ricevere dalla pienezza del Figlio unico». Questo è il progetto di Dio e questo dovrebbe essere anche il sogno dell'uomo. Quanto al rifiuto della luce, il testo implica che ciò significa rinunciare al dono della «vita» che deriva dal Logos, e quindi ri­ cadere nella tenebra. A partire dal v. 14, in cui vengono proclama­ te l'incarnazione del Logos e la manifestazione della gloria del Figlio unico, non si parla più di alcun rifiuto: il Prologo rievoca il dono della Legge a Israele e celebra il dono totale della verità, la rivelazione del Dio invisibile avvenuta mediante Gesù Cristo. D rifiuto opposto al Figlio rivelatore riapparirà nel corso del vange­ lo e questo sarà il «peccato» secondo Gv.

È sorprendente, ancora, l'assenza di due parole di primaria importanza: «amore» e «alleanza». Quest'ultima non apparirà per nulla nel vangelo. In realtà il contenuto essenziale dell'Alleanza viene messo in rilievo magnificamente dal Prologo: la presenza della «relazione» che abbiamo riconosciuto in questo testo non è forse l'essenza stessa deli' Alleanza? La relazione viene mostrata anzitutto nel rapporto del Logos verso Dio o del Figlio unico verso il Padre suo, che sottrae così Dio alla solitudine nella quale gli uomini hanno finito per isolarlo. La relazione è presente, poi, nel rapporto che il Logos intrattiene incessantemente con le crea­ ture: illuminandole dall'interno, assimilandosi poi ad esse dive­ nendo carne, manifestando infine la gloria che abita in lui e alla quale invita tutti gli uomini che diventano suoi discepoli. Nel van­ gelo la relazione sarà trasposta nel vocabolario di unità e di imma­ nenza reciproca. Quanto all'amore, esso è il segreto ultimo: il ter­ mine appare per la prima volta in 3 , 16, riferito esclusivamente a Dio rispetto al mondo. Se poi esso diventerà il comandamento nuovo di Gesù, quello dell'amore fraterno, lo sarà in quanto par­ tecipazione all'amore che unisce il Padre e il Figlio, dunque come partecipazione alla vita di Dio stesso. Nella preghiera finale di Gesù ( Gv 17) il termine affiora solamente negli ultimi versetti: la sua presenza nell'intimo dei credenti è il compimento della mis­ sione di Gesù. La nostra lettura è stata rigorosamente sincronica; s'è infatti sforzata di mantenere al loro posto nel Prologo i due passi su Giovanni ( 1 ,6-8.15). Un altro tipo di lettura, secondo la diacro-

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nia, avrebbe certamente consentito di isolare nel testo un inno preesistente il cui interesse, malgrado il coefficiente di incertezza, è indiscutibile. Altri critici l'hanno fatto e continuano a farlo. Se abbiamo resistito alla tentazione di ritrovare, partendo da una fonte, ciò che caratterizza il Prologo, l'abbiamo fatto perché vole­ vamo attenerci strettamente al testo attuale, quello trasmessoci dalla Chiesa. Il Prologo ci è apparso come un modello di «teologia narrati­ va»: esso è, in sintesi, la storia di Dio che si comunica agli uomi­ ni. Ora questo testo non è un aerolito; affonda le sue radici nel terreno biblico. Rievocare questa condizione del testo non signi­ fica procedere diacronicamente, ma significa collocare in modo migliore il Prologo nella tradizione scritturistica. Con le sue prime parole «In principio», il Prologo si ricollega contemporaneamente al poema della creazione di Gn l, e alla tra­ dizione sapienziale (Pro 8,22ss), fatto di cui conviene rilevare bre­ vemente la portata. In Gn l l'universo prende forma in sei giorni, al termine dei quali compare Adamo, fine prossimo dell'atto crea­ tore. Tutto viene all'esistenza mediante la Parola di Dio, «Dio disse ... »; con ciò l'origine è prospettata «come assolutamente di­ versa e al tempo stesso generosa, fino a riprodurre la sua immagi­ ne fuori di essa»179• E all'uomo («uomo e donna»: Gn 1 ,27) Dio rivolge la parola: «Egli disse loro ... ». La sovreminenza della Pa­ rola di Dio nel racconto della creazione già suggerisce che il Crea­ tore aveva in progetto una comunicazione di sé all'uomo. Dal canto suo, la tradizione sapienziale mostra la Sapienza ac­ canto al Creatore: tale presenza non significa forse che la creatu­ ra è stata invitata ad avere la comprensione delle vie di Dio, ad essere illuminata con una conoscenza che le permetta di vivere in amicizia con Dio? La Sapienza ha sperimentato molti rifiuti, ma in Israele ha trovato il luogo del suo riposo, perché Israele, grazie alla Legge, ha riconosciuto la presenza e l'amore del suo Dio. Il Prologo racchiude e completa questi due modi di presentare la creazione. Dopo aver annunciato il Logos - la Parola di Dio esso ricapitola le numerose parole di Gn l in una formula molto densa: «Tutto fu mediante lui (il Logos) e senza di lui nulla fu» ( 1 ,3 ); di qui in avanti vi è il dispiegarsi degli interventi del Logos 179 P Beauchamp, «.Au commencement Dieu parle ou les sept jours de la création>�>, Éfuiks, juillet·BOUt 1986, p. 106.

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l. PROLOGO (1,1-18)

nell'universo degli uomini. Il Prologo non avrebbe potuto conclu­ dersi con Adamo; esso doveva arrivare al Logos divenuto carne, mediante il quale si realizza la comunione più intima di Dio con l'umanità. A questo punto si compie anche il progetto della Sa­ pienza che voleva abitare tra gli uomini. Se Gn l elenca una serie di parole, se la tradizione sapienziale riferisce dei tentativi molteplici della Sapienza, il Prologo ripro­ pone la loro sequenza prospettando i successivi interventi del Logos nel mondo, fino all'accoglienza, da parte dei credenti, della «grazia della verità». Perché il Logos incarnato racconta il Padre medesimo. Così il Prologo manifesta mirabilmente, in perfetta continuità col primo Testamento, qual era il progetto di Dio crea­ tore e ne dice il compimento nella persona di Gesù Cristo. n Prologo celebra dunque il progetto di Dio, cioè fare degli uomini i suoi figli, e rivela in Gesù Cristo il modo perfetto della sua realizzazione. Vi è già un gruppo di testimoni che hanno veduto la gloria del Figlio: vi è già una comunità che sa di aver ricevuto «grazia per grazia». Tuttavia sarà nei secoli a venire che la conoscenza del Padre sarà accolta dagli uomini e porterà i suoi frutti. Il Prologo rimane aperto sull'avvenire: non racconta l'inte­ ra storia di Dio che si comunica agli uomini; esso introduce al rac­ conto del vangelo. È la storia di Gesù invece che sarà raccontata, quella del suo ministero che culminerà nella sua Pasqua; una sto­ ria che, a sua volta, si aprirà alla presenza dello Spirito Santo in coloro che crederanno in Gesù Cristo. Già nel corso della lettura traspariva la rivelazione evangelica. Ecco perché molti studiosi ritengono di riconoscere in questo testo la storia in compendio di Gesù Cristo stesso. Infatti il lin­ guaggio utilizzato è veramente quello del vangelo e si potrebbe senza difficoltà rileggere il Prologo inserendovi le conoscenze acquisite nella lettura dell'intero vangelo; questo esercizio tuttavia risulta fecondo se lo si fa dopo la lettura sincronica che noi abbia­ mo proposto. Ad ogni modo lascio questo compito al lettore. • APERTURA

È difficile, e anche presuntuoso, «aprire» un testo che si pro­ pone già da se stesso come un'«apertura» al vangelo propriamen­ te detto. n lettore, come abbiamo già detto nella presentazione,

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ha tutto il diritto di saltare queste pagine e di entrare immedia­ tamente nel racconto della Buona Novella. Niente tuttavia proi­ bisce all'esegeta di manifestare le proprie reazioni di fronte a un testo privilegiato. Ecco dunque alcune riflessioni, in nessun modo esaustive, che vorrebbero aiutare il lettore ad attualizzare il Prologo. L'uomo è alla ricerca delle sue origini: per lunghi secoli Ebrei e cristiani vi hanno collocato il Dio creatore. Oggi tuttavia sono numerosi coloro che denunciano questa origine come un punto cieco, comodo forse da enunciare, ma impossibile da circoscri­ vere. Ragionare così non è falso; significa però ignorare che il Prologo non dice, come Goethe: «In principio era l'Azione», ma «In principio era il Logos», cioè la Parola in senso biblico, una Parola che certo si fa immediatamente azione, ma che rimane >. «Sei tu i l Profeta ? >> . Ed egli rispose: « NO>>. 22 Gli dissero al lora: «Chi sei? così che possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno inviat i ! Che cosa dici di te stesso? >> . " Dichi arò: > . 24 E gli i nviati erano dei fa risei. 25 E lo interrogarono e gli di ssero: « Perché dunque battezzi, se tu non sei né il Cristo, né E l ia, né il Profeta?>> .26 G iovanni rispose loro d icendo:

o lo

battezzo nell 'acqua. In mezzo a voi sta qual­

cuno che voi non conoscete, 27 col u i che viene dopo di me, a cui io non sono degno di sciogliere il legaccio del sandalo>> . 28 Questo avvenne a Betania, oltre il Giordano, dove Giovanni battezzava. 29 1 1 giorno dopo egli vede Gesù ven i re verso di l u i e dice: • Ecco l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. 30 Egl i è co l u i del quale io ho detto: "Dopo di me viene u n uomo che è al di sopra di me, perché prima di me egli era". 31 E io non lo conoscevo, ma proprio perché egli fosse manifestato in Israele io sono venuto a battezzare con l'acqua>>. 32 E Giovanni testi­ moniò dicendo: « Ho veduto lo Spirito discendere, come una colomba che veniva dal cielo, e si è posato su d i l u i . 33 E io non lo conoscevo, ma Co l u i che m i ha i nviato a battezzare nell'ac­ qua mi ha detto: " Q uello sul quale vedrai lo Spi rito discende­ re e fermarsi su di lui, è col u i che battezza nello Spirito Santo". 34 E io ho veduto e testimon io che è l u i il Figl io di D i o » .

I l primo quadro è dominato e delimitato ( 1 , 19.32-34) dalla te­ stimonianza che Giovanni, «Un uomo inviato da Dio» ( 1 ,6), dà di

LIBRO I · PARTE I

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Gesù. Non c'è bisogno di descrivere il suo abbigliamento e nep­ pure la sua attività di battezzatore. L'evangelista ora mette in scena ciò che il Prologo ha detto del «testimone>> ( 1 ,6-8.15) e lo rappresenta mentre proclama in tutta chiarezza la sua testimo­ nianza. Ridotta a una semplice funzione, la figura di Giovanni assume paradossalmente un rilievo maestoso. Si parlerà ancora di lui al capitolo 3 , ma è qui che egli si impone al nostro sguardo. Nella sua persona si condensa l'attesa d'Israele, proteso verso la realizzazione della Promessa ripetutamente fatta da Dio mediante i profeti, e si esprime al tempo stesso il sì d'Israele. Questa stiliz­ zazione consente all'evangelista di presentare un duplice evento: Gesù che viene verso il popolo di Dio; Gesù che è riconosciuto dall'Israele spirituale. In tal modo è sottolineata la sovrana conti­ nuità dell'Alleanza. questa è la testimonianza di Giovanni

TI quarto vangelo conosce numerosi testimoni di Gesù3: oltre a Giovanni (5,35), vi sono le Scritture (5 ,39), Dio, il Padre (5,37; 8,18), l e opere d i Gesù (5,36; 10,25), lo Spirito Santo e i discepo­ li ( 15 ,26s; 19,35). Ma umanamente parlando, Giovanni è il testi­ mone per eccellenza che proclama a Israele il mistero di Gesù. La sua testimonianza, resa dapprima dinanzi a una commissione d'inchiesta, apre il processo che opporrà Gesù ai suoi contempo­ ranei per tutta la durata del suo ministero. La testimonianza resa da Giovanni a Gesù - prima al negativo, poi in positivo - viene distribuita in due giornate, distinte dall'annotazione «il giorno dopo)) ( 1 ,29). Esse corrispondono alle due menzioni di Giovanni che ricorrono nel prologo poetico: il testimone del Logos ( 1 ,6-8) afferma la presenza di Colui che non è ancora conosciuto; il testi­ mone di Gesù ( 1 , 15) identifica in lui il Preesistente'. L'inizio si ricollega mediante una «e>> alle due menzioni del prologo poetico e figura quasi come un titolo per tutto il brano di 1 , 19-345• La testimonianza in senso proprio, annunciata così ' Cfr. J. Beuder, Marlyna, /raditiomgeschichtliche Untersuchungen zum Zeugnislhema bei Johannes, Frankfun 1972, pp. 209-)66. ' Cfr. sopra, p. 125. ' In realtà questo «titolo» serve da introduzione al racconto: Gv lo unisce a ciò che segue mediante la congiunzione «allorché» («h6re»l. M.E. Boismard fa iniziare il raccon· lo storico in 1,6.

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2. PROLOGO NARRATIVO. PRIMA RIVELAZIONE (1,19 . 2,12)

solennemente - e con un verbo al presente («questa è»), quasi a suggerire il suo valore permanente - sarà tuttavia formulata nei vv. 32-34. L'evangelista vuole infatti descrivere l'itinerario della scoperta di Giovanni. Da principio egli si pone in ombra per dichiarare che > .

Il termine generico «i giudei>>6 qui designa le autorità religiose. Trattandosi di un passo ufficiale, la qualità degli inquirenti viene accuratamente precisata; il v. 24 aggiungerà che appartengono all a casta dei farisei. U Precursore è così posto dinanzi al potere religioso, di fronte al quale si troverà anche Gesù durante la sua vita pubblica. Questo episodio è proprio di Gv, il quale ha trasformato i dati tradizionali sul Battista in funzione del suo progetto letterario. Se è storicamente probabile che il battesimo di Giovanni non sia stato ben visto dalle autorità, per il fatto che avveniva in maniera indipendente dalle istituzioni religiose dell'epoca, le domande 6 La denominazione ( .

Interrogato dagli inquirenti, Giovanni ha continuato a negare, senza aggiungere nulla su se stesso. Ora, costretto a spiegarsi, cerca di annullarsi quasi, come protagonista, e si identifica alla «voce» che fa nuovamente risuonare la profezia della salvezza. Parlando così, Giovanni si ricollega direttamente col passato e con l'attesa d'Israele. La nostra traduzione ha cercato di riprodur­ re il greco che, contro l'uso corrente, qui non ha il verbo: «lo sono (la voce)». Quest'assenza non è soltanto una sfumatura letteraria destinata a sottolineare l'ammirevole nascondimento dell'Io di Giovanni; la formula «10 SONO» nel quarto vangelo è riservata a Gesù'"- Ciò detto, sembra che il testimone, posto nell'occasione di parlare di se stesso, si rifugi dietro la profezia, o piuttosto si identifichi con essa. Un breve raffronto con il ritratto del Battista nei sinottici mostra la differenza della presentazione giovannea. È scomparso il predicatore infuocato, il precursore minaccioso, il battezzatore che attira le folle, l'eroe che sfida i principi e muore martire; nien­ t'altro è rimasto che una voce venuta da molto lontano, che attua­ lizza una promessa e lancia un appello. Secondo il prologo teolo­ gico, Giovanni non era la luce, non era il Logos; qui egli non è che una > in Isaia, qui il «mondo>>: 1 ,29); la presenza del verbo vederc19 e, alla fine della sezione, la gloria («Egli manifestò la sua gloria>>: 2 , 1 1 ) . L'iniziativa sovrana di Dio domina nell'uno e nell'altro testo, poiché Dio appare anche in 1 ,19-34 come l'attore primordiale: non solo egli sta all'origine della profezia ed è il suo cammino verso l'uomo che deve essere raddrizzato, ma è ancora lui che ha inviato Giovanni a battezzare con l'acqua ( 1 ,3 3) e che rivela al Precursore come potrà riconoscere il Cristo; è ancora lui che intende manifestare Gesù a Israele, come suggerisce la forma passiva20 «affinché egli fosse manifestato>> ( 1 ,3 1 ) ; infme la qualifi" Origene, Il § 194: SC n. 120, p. 339, ripreso e amplificato da Agostino, Se-rmo 288, 3: PL 39, 1304s. '" Mt 3,3 = Mc 1,3 = Le 3,4-6. " Gv 1 ,29.32.33.34.36.39.42.46.47.50.5 1 . In Isaia: 35,2; 40,5; 62,2; 66,18s. " L'uso della forma passiva del verbo è un modo semitico di fare di Dio a soggetto della frase: tale uso viene chiamato il passivum divinum.

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LIBRO I - PARTE I

ca dell'Agnello è quella di essere «di Dio che toglie il peccato del mondo» ( 1 ,29). Se Gesù compare, significa che Dio sta per dispiegare la sua potenza di salvezza in lui, secondo la promessa (cfr. Is 43 , 1 8s). Presentandosi come la voce quella che un tempo parlava e al di fuori delle istituzioni del tempio? Un particolare giovanneo, nel racconto dei venditori cac­ ciati dal tempio (2,15), potrebbe confermare la nostra lettura••. Essa può indubbiamente venire arricchita da altri apporti della tradizione cristiana, anzi penso che l'evangelista stesso ne per­ cepisse la risonanza nella designazione di Cristo come «Agnello di Dio>>: sia l'Agnello che dona la sua vita per la fedeltà a Dio e agli uomini, sia l'Agnello vincitore dell'Apocalisse, come anche l'Agnello pasquale liberatore. È indispensabile però, a un primo livello di lettura, riconoscere col Precursore che già con la sua presenza Gesù inaugura una nuova tappa nella relazione che uni­ sce Dio agli uomini o, secondo la terminologia teologica, una nuova economia di salvezza. Infine, e soprattutto, importa dare a Dio ciò che gli è dovuto, cioè che è lui il quale, mediante l'Agnello che ci dona, salva il mondo. Dopo questa sublime proclamazione Giovanni aggiunge una frase che, a prima vista, sembra un ritorno all'indietro, ma che è molto importante: 30 Egli è colui del quale io ho detto: « Dopo di me viene un uomo che è al di sopra di me, perché prima di me egli era. " E io non lo conoscevo, ma proprio perché egli fosse manifestato in Israele io sono venuto a battezzare con l'acqua>> .

Giovanni comunica l a s u a scoperta meravigliosa. ll giorno pri­ ma aveva annunciato con forza che stava per venire «dopo di lui» ( 1 ,27) qualcuno di cui egli si riteneva indegno di essere schiavo. Ora che ha designato in Gesù l'Agnello di Dio, ribadisce la supe­ riorità di questo Messia che è «al di sopra di lui>> e per la prima " Cfr. più avanti, p. 232.

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volta ne dà la ragione: «prima di me egli era», dignità che colloca Gesù al di là di ogni posizione concepibile. Si può, da questa sorprendente affermazione, concludere che l'evangelista attribuisce a Giovanni la comprensione cristiana della preesistenza del Logos, quale viene enunciata dal Prologo47? Non necessariamente, se ci riportiamo al tempo storico del racconto. Dopo aver dichiarato di non essere il Messia, Giovanni ha ugual­ mente negato di essere Elia o il Profeta. Esprimendosi così, egli si mostra in linea con la concezione giudaica del suo tempo, orienta­ ta verso il ritorno escatologico di una grande figura del passato (Ml 3,23 ) . Perché il Battista non potrebbe aver visto nel Messia colui che attualizzava qualcuno di questi personaggi? Per lui questo «uomo» era veramente esistito precedentemente nella storia e si presentava ora nell'imminenza della venuta del Signore48• L'interpretazione cristiana dell'«anteriorità» di Gesù si trova invece nel prologo teologico, il quale risale più indietro, al di là del tempo storico, fino alla precsistenza assoluta. Ecco ciò che il testi­ mone suggerisce, in un secondo livello di lettura, ma che il lettore cristiano coglie immediatamente. L'anteriorità cronologica di Elia diviene allora un'immagine della preesistenza misteriosa di Gesù. Ma per questo, è necessario cambiare registro e riconoscere che il tempo è un'efflorescenza dell'eternità che esso simboleggia. Giunto a questo livello di comprensione del mistero che è Gesù, Giovanni comprende anche la sua missione; il battesimo con l'acqua ( 1 ,3 1 ) . Questa riflessione sul passato, alla luce di una conoscenza legata allo Spirito, è perfettamente nella linea di Gv. A modo suo il Precursore ritorna sulla sua esperienza per coglier­ ne la verità profonda: Dio intendeva così «manifestare» il Messia in Gesù di Nazaret.

b. La testimonianza di Giovanni Dopo che Giovanni ha lungamente espresso la sua reazione di fronte a Gesù Messia, ecco ora la testimonianza propriamente det" Cfr. sopra, p. 125. " Su Elia redivivus, cfr. O. Cullmann, Mél. Fridrichsen, Lund 1947, pp. 26-37; Hamerton-Kelly, Pre-existence. Wisdom and the Son o/Man, Cambridge 1973.

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2. PROLOGO NARRATIVO. PRIMA RIVELAZIONE ( 1 ,19 · 2,12)

ta, annunciata fin da 1 , 19. Essa è inquadrata e caratterizzata da un duplice: «lo ho veduto» che corrisponde alla profezia: «La gloria del Signore sarà veduta . . . Ogni carne vedrà la salvezza» (ls 40,5). 32 E Giovanni testimoniò dicendo: «Ho veduto lo Spirito discende­ re, come una colomba che veniva dal cielo, e si è posato su di l u i . " E i o non lo conoscevo, m a Chi mi ha inviato a battezzare nel l'ac­ qua, quegli mi ha detto: «Quello sul quale vedrai lo Spirito discen­ dere e fermarsi su di lui, è colui che battezza nello Spirito Santo». 14 E io ho veduto e testimonio che è l u i il Figlio di Di o.

Giovanni si presenta come un testimone oculare: «lo ho vedu­ to», dice. Ciò che egli ha veduto richiama immediatamente al let­ tore l'episodio del battesimo di Gesù. D'accordo con i sinottici, l'evangelista suppone indubbiamente che Gesù è stato battezzato da Giovanni, ma egli si colloca al termine di un'evoluzione della tradizione relativa a questo avvenimento. Se Marco riferisce sem­ plicemente che Gesù è stato battezzato dal Precursore (Mc 1 ,9), Luca sposta l'attenzione ricordando l'episodio soltanto retrospet­ tivamente: >: egli va diretta­ mente allo stato di rottura in cui l'intera umanità si trova di fron­ te a Dio. Questo testo non si colloca al livello dell'esistenza peccatrice individuale, ma a quello di un disordine che intacca la società umana di cui noi facciamo parte. diceva Gabriel Marcel; si può riconosce­ re questo sconvolgimento nelle catastrofi, nelle guerre, nelle situa­ zioni economiche e sociali intollerabili, nel male sotto tutte le forme, infine nella morte. Si tratta di in tutto ciò? La nozione ha perduto per noi i suoi contorni netti. Le scienze umane ci hanno insegnato a tener conto dei determinismi inconsci, delle carenze educative,

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2. PROLOGO NARRATIVO. PRIMA RIVELAZIONE (1,19 · 2,12)

delle pressioni sociali, dei fanatismi che accecano, ecc. Quanto al senso di «colpa��. cui ha contribuito una morale ridotta al permes­ so e al proibito, esso appare per ciò che è: un doloroso ostacolo alla piena realizzazione degli esseri umani; da molto tempo però gli autori spirituali hanno messo in chiaro che esso non va confu­ so con il pentimento che si riferisce a una colpa reale e che è il rin­ novamento della relazione con Dio nella libertà dell'amore. È chiaro comunque che senza l'ammissione radicale di un lega­ me tra lo stato presente del mondo e la non accoglienza di Dio, non è possibile afferrare la parola di Giovanni. TI peccato del mondo qui non viene attribuito a una colpa delle origini; sembra piuttosto riferirsi a una potenza sempre in azione anonima per certi versi, e che risulta dalla proliferazione e dall'interazione di innumerevoli rifiuti - potremmo dire coscienti o no - opposti alla vita che il Creatore offre alla creatura. Per il quarto vangelo il pec­ cato fondamentale è il rifiuto della luce divina del Logos. Ora, dice il Battista, Dio viene mediante colui che è il segno vivente del suo perdono per «togliere il peccato del mondo». L'opera dell'Agnello, compiuta in se stessa, non lo è nello spa­ zio e nel tempo; essa attraversa indubbiamente il nostro mondo ferito, ma la lotta della luce contro la tenebra caratterizza ancora il presente. Per essere, a nostra volta, come discepoli, testimoni e attori della salvezza che Dio ha definitivamente offerto nel suo Figlio unico, l'essenziale sta nel seguire Gesù: è quanto fa com­ prendere la seconda parte del capitolo.

Il. AL

SEGUITO DI

GESù ( 1 ,35-5 1 )

Testo 35 I l giorno dopo, di nuovo, Giovan n i si trovava l à con due dei suoi discepo l i . 36 Fissando l o sguardo su Gesù che stava camminando, dice: « Ecco l'Agnello di Dio». 37 1 due discepol i l'udirono parlare così e seguirono Gesù. 3 8 Al lora Gesù s i voltò e, vedendo che essi lo segu ivano, dice loro: «Che cercate?>> . Ed essi gli d issero: « Rabbì (cioè maestro), dove di mori ? » . 39 Egl i

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d i ce loro: «Venite e vedrete» _ Andarono dunque e v idero dove dimorava e quel giorno dimorarono presso di l u i ; era c i rca l'ora decima. 40 Andrea, il fratel lo di Simon Pietro, era uno dei due che avevano ascoltato Giovanni e seguito Gesù. 41 Egl i i ncontra per primo suo frate l l o Simone e gli dice: «Abbiamo trovato i l Mes­ s i a (che significa il Cristo) » . " E lo conduce a Gesù. Guardan­ dolo Gesù dice: «Tu sei Simone, figlio di Giova n n i ; tu sarai c h iamato Kephas (che significa Pietro) » . 43 Il giorno dopo [An­ drea] decise di partire per la Gali lea e i ncontra F i l i ppo. Gesù dice a costu i : « Segu i m i ! » . 44 F i l ippo era di Betsaida, la città di Andrea e di Pietro. 45 F i l i ppo incontra Natanaele e gli dice: «Colui di cui ha scritto Mosè nel la Legge, come pure i profeti, l'abbiamo trovato: è Gesù, i l figlio di Gi useppe di Nazaret » . 4 6 Natanaele g l i rispose: « Da Nazaret p u ò m a i ven ire qual cosa di buono?>>. «Vieni e ved i >>, dice F i l ippo. 47 Gesù vide Natanae­ le ven i rgli i ncontro e dice di l u i : « Ecco veramente u n israelita i n cui non c'è falsità ! >> . 48 Natanaele gli dice: « Donde mi cono­ sci?>> . Gesù gli rispose: « Prima che F i l ippo ti chiamasse, quan­ do eri sotto il fico, io ti ho veduto>> . 49 Natanaele rispose: « Rab­ bì, tu sei il Figl io di Dio! Tu sei il Re d' Israele! » . 50 Gesù riprese: > . 5 1 E gli d i ce: > egli dirà al Padre suo59• Il quar­ to vangelo approfondisce la tradizione sinottica sulla vocazione dei discepoli: essa ha la sua origine nel Padre, pur concretizzan­ dosi nel «venite>> indirizzato da Gesù ai discepoli di Giovanni e nel «seguimi>> che si sentirà dire Filippo. I discepoli «seguono>> - nel senso fisico della parola - Gesù che cammina verso il suo destino. Il loro comportamento espri­ me concretamente in che cosa consisteva presso i giudei la con­ dizione di discepolo: seguire il proprio rabbì non solo nei suoi spostamenti, ma anche fino al livello cui egli era giunto, nel sapere e nella saggezza60• La metafora viene ripresa frequente­ mente nei sinottici e in Gv da Gesù stesso, come quando egli dice: «Chi mi segue non cammina nelle tenebre>> (8,12), oppure dice che «le sue pecore lo seguono>> ( 10,4). Dove porta il «segui­ re GesÙ>>? Dal fatto stesso che qui Gesù è in cammino, è già indicato un movimento; il nostro testo ne mostra una prima tappa: Gesù, che prima era solo, ora comincia ad essere attor­ niato da alcuni israeliti, protesi verso il compimento delle pro­ messe.

b. > ritornerà in l ,5 1 dove l'oggetto del vedere viene precisato per mezzo di un'immagine biblica; il lettore inoltre sa che a Cana i discepoli saranno con­ dotti a vedere la gloria di Gesù (2, 1 1 ) . Per intanto, il primo «vedere (l'abitazione di Gesù)>> ha il suo esito in un dimorare «presso di>>, provvisorio, che prepara a un vedere che è ancora al di là della possibilità e che a sua volta annuncerà un «dimora­ re>> definitivo. Nulla è detto del contenuto del colloquio, così come non sarà riferito il colloquio di Gesù con i samaritani (4,40-42); viene raccontato però il risultato. Prima di farlo, tuttavia, il nar­ ratore annota che «era circa l'ora decima>>. Questa precisazione probabilmente non ha lo scopo di informare che, alle quattro del pomeriggio, rimaneva ancora una lunga serata disponibile per l'incontro; essa richiama piuttosto un'ora particolare, quel­ la del compimento63; la breve nota offre anche una pausa nel racconto. " Gv 14,2s.23: 15,4s. " Agostino nel numero 1 0 ha veduto il tempo del compimento. La Bibbia conferma questa interpretazione. Cfr. F. Hauck, GLNT II, 829-834.

LIBRO I - PARTE I c.

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Gesù e 5imone

40 Andrea, i l frate l l o di Simon Pietro, era uno dei due che aveva­ no ascoltato G iova n n i e seguito Gesù. 41 Egli i n contra per primo suo fratello Simone e gli d ice: «Abbiamo trovato il Messia (che sign ifi­ ca i l Cri s to) » . 42 E lo conduce a Gesù. G u a rdandolo Gesù d i ce: «Tu sei Si mone, figl io d i G i ovanni; tu sarai c h i amato Kephas (che signi­ fica Pietro) ».

Quando si è verificata questa scena? Al mattino del giorno dopo64 alla sera dello stesso giorno? Non ha importanza perché l'interes­ se del narratore è quello di dare risalto all'effetto prodotto dal «di· morare» con Gesù. li fuoco si è acceso e si propaga rapidamente. Ecco Andrea che «trova» (o «incontra»)65, suo fratello Simone e lo conduce a Gesù che egli proclama Messia66• Nella tradizione sinottica Andrea e -Simone vengono chiamati insieme da Gesù. Secondo Gv, Simone viene a Gesù attraverso la mediazione di suo fratello; in certo modo egli è «secondo». Questo non incide sulla sua posizione di essere il primo nel gruppo dei discepoli, perché tale posizione viene subito richiamata da ciò che Gesù gli dice; Simone inoltre è il primo in questo racconto a sentirsi rivolgere una parola personale. Ma ciò lascia supporre che esisteva un'altra tradizione sulla chiamata dei primi discepoli. Altra differenza rispetto alla tradizione sinottica: è Andrea e non Pietro che con­ fessa per primo la messianicità di Gesù. Non appare alcun motivo per cui Gesù dà a Simone il nome di Kephas: «fissandolo profondamente» (emblépsas), gli rivela il senso del passo che ha compiuto lasciandosi condurre da Andrea al Messia: la sua vocazione sarà quella di essere «Roccia». Parola imperativa e creatrice poiché, per i semiti, il nome esprime l'es-

o

.. n testo del v. 41 offre anche una variante poco testimoniata, che legge proi («di pri­ mo mattino») invece di pr6ton (). Basandosi su tale variante alcuni autori hanno dedotto che la scena si è verificata il giorno dopo l'incontro dei discepoli di Gio­ vanni con Gesù; così M. E. Boismard, pp. 82-84. Il fondamento testuale è a nostro parere insufficiente. " Il verbo greco eurisko può significare «trovare>> dopo una ricerca (Gn 3 1 ,35; Gv 6,25; 7,34s) oppure «incontrare>> casualmente (Gn 4,14; 18,28s; Mt 1 3 ,44-46). Cfr. H. Preisker. GLNT III, 1 1 89-1 194. ,_._, c della folla74• Natanaele svaluta subito l'origine galilaica, non soltanto per­ ché Nazaret è una borgata insignificante, ma in base a una tradi­ zione giudaica secondo la quale si ignorava da dove sarebbe venu­ to il Messia (cfr. Gv 7,27). La sua battuta sottolinea il paradosso già evidente per sé. Si aprirà Natanaele a una realtà inattesa, op­ pure si chiuderà su ciò che egli pensa di sapere a proposito del Messia? Filippo non cerca di dimostrargli nulla, fosse pure mediante la Scrittura cui ha appena accennato; si richiama alla sua esperienza dicendo semplicemente: «Vieni e vedi>>, facendo eco alla parola di Gesù: «Venite e vedrete>>. Natanaele dunque viene, ma - parados­ so tipicamente giovanneo - non è lui che per primo scorge Gesù, è invece Gesù che lo «vede» venire a sé, lo vede disposto a crede­ re nella sua persona e non soltanto alla Scrittura così come egli la comprendeva. Ancora una volta, non è Gesù che ha chiamato Natanaele ma, incontrandolo per la prima volta, manifesta che egli lo conosce a fondo. Natanaele, dice Gesù, è «senza sotterfugi>>. Secondo l'uso biblico questa espressione significa «non astuto>> (a differenza del suo antenato Giacobbe: cfr. Gn 27,35-36), senza truffa né menzo" Cfr. U. Holzmeister, Bib 21 (1940) 28-39; A.B. Hulen, JBL 67 ( 1948) 153-157; M.E. Boismard, p. 72. " Cfr. Le 16,29.3 1; 24,27; At 26,22; 28,23. " Le 3,23; 4,22; Gv 6,42. «Da Nazaret»: Mc 1,9; Mr 2,23; 4,13; 21,11; Le 1,26; 2,4.395 1; 4,16 e Mc 6,1-6p (non da Betleem: Gv 7,41s).

LIBRO I - PARrE I

1 84

gna (Sal 32,2; I s 5 3 ,9) , non prostituito agli dèi falsi e quindi fede­ le (dr. At 14,5): così è questo «lsraelita» autentico che non pren­ de a pretesto la sua scienza per dispensarsi dal venire a vedere il figlio di Giuseppe (cfr. 5 ,39). Gesù, che conosce le sue pecore ( 10,4 1), loda in lui il vero Israele aperto ad accogliere Colui che Filippo aveva designato come compimento delle Scritture. Natanacle si meraviglia di essere conosciuto così intimamente; in risposta, Gesù gli dà prova della conoscenza che egli ha di lui: > a un preciso mo­ mento, come dice l'aoristo del verbo. Questo dato della tradizio­ ne non figurava nei versetti in cui il testimone ha attestato la discesa dello Spirito su Gesù al momento del suo battesimo (cfr. 1 ,32s); tale dato affiora qui in altro contesto, col verbo al perfet­ to80, che implica non solo il fatto dell'apertura, ma la sua realizza­ zione permanente. Allo stesso modo il veggente dell'Apocalisse, che da principio aveva scorto «una porta aperta in cielo>> (Ap 4 , 1 ) , constata in seguito che i cieli sono interamente aperti e per sempre". Significa che la comunicazione tra cielo e terra è ormai stabilita in maniera irreversibile. In Gv questa apertura del cielo è affermata da Gesù e non dal narratore come nei racconti sinot­ tici della teofania battesimale. Se il cielo è aperto è perché gli angeli salgono e scendono sul Figlio dell'uomo. Gesù si richiama alla visione di Giacobbe a Bete!. Dopo aver carpito la benedizione paterna a danno di Esaù, Giacobbe è sotto la minaccia del fratello: riuscirà a conservare per sé l'eredità dell'elezione e dell'alleanza? In sogno egli vede la terra comunicare col cielo mediante gli angeli che, salendo e scenden­ do, stabiliscono il collegamento: Ecco vi era una scala poggiata a terra la cui cima toccava il ciclo e gli angcli di Dio salivano e scendevano su di essa (Gn 28,12).

Jhwh parla quindi a Giacobbe, confermandogli la Promessa e assicurandogli che sarà con lui nella sua missione. Giacobbe allo­ ra conclude: ·

In verità ]hwh è in questo luogo e io non lo sapevo! Come è tremendo È proprio una casa di Dio, è la porta del ciclo! (Gn 28, 1 6- 17).

questo luogo�

La parola di Gesù, in Gv 1 ,5 1 , annuncia che in lui l'Alleanza è presente sulla terra: la sua persona è il luogo in cui Dio si manife­ sta e si comunica agli uomini. Gesù è la nuova Betel, la nuova «Ca" Per l'immagine del cielo aperto, cfr. F.L. Lentzen-Deis, Bib 50 Mc

(1959) 3 n-327. Cfr. 1 , 10; Mt 3,16; Le 3,3 1. I n greco, il perfetto-presente designa un'azione che è avvenuta in passato e che con­

80

tinua ancora. " Come ha ben osservato E. Corsini, Apocalisse prima e tkJpo, Sei, Torino

1980, p. 182.

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2. PROLOGO NARRATIVO. PRIMA RIVELAZIONE ( 1,19 - 2,12)

sa di Dio». Poiché le ultime parole di Gn 28,12 possono tradursi indifferentemente sia «su di essa» (la scala), sia «su di lui» (Gia­ cobbe)82, è proprio su Gesù, senza l'intermediario della scala, che gli angeli salgono e scendono. In termini chiari, tra il Figlio del­ l'uomo e il Padre vi è comunione di esistenza e per mezzo di lui si realizzerà il progetto di Dio. Prima del sogno, Giacobbe ignorava che Dio stesso fosse pre­ sente «in quel luogo»; neppure i discepoli che attorniavano Gesù lo sapevano ancora. Gesù invece esulta di gioia poiché ha piena­ mente coscienza che mediante lui, che è in relazione ininterrotta col Padre, si realizzerà la comunione definitiva tra il cielo e la terra, tra Dio e i credenti (cfr. Mt 1 1 ,27). Se egli utilizza i termini che la tradizione attribuisce al suo antenato, lo fa per sottolineare la continuità del disegno divino e lasciare intravedere ai discepo­ li la sua funzione specifica. Per annunciare questo futuro, che coinvolge lui stesso e i cre­ denti, Gesù non usa il pronome personale «io>>; si nasconde inve­ ce dietro un titolo di origine apocalittica: il Figlio dell'uomo83• Tradizionalmente questo titolo ricorre in contesti escatologici che si riferiscono alla venuta del Giudice. A modo suo, la parola di Gesù fa eco a una sentenza conservata nella tradizione sinottica. Gesù, dinanzi al sinedrio, colloca il suo intervento alla fine dei tempi dicendo, con Dn 7,13: Vedrete il Figlio dell'uomo sedere alla destra dell'Onnipotente e venire con le nubi del cielo (Mc 14,62).

Anche la tradizione sinottica, tuttavia, presenta già un'evolu­ zione: mentre in Marco si tratta della parusia, Matteo e Luca ri­ feriscono questa parola al tempo che segue immediatamente la risurrezione di Gesù: è «d'ora in poi» che il Figlio dell'uomo eser­ cita il giudizio84• La parusia è cosi anticipata al tempo pasquale, " In ebraico il termine > che riferisce il quarto vange­ lo, come precisa Gv nella conclusione: i segni operati da Gesù sono stati scritti «affinché crediate>>102• Lo stesso risultato è indi­ cato nel nostro testo: «i discepoli credettero in lui>> (2, 1 1 ) . Con questa comprensione del miracolo, Gv si mette in linea con la più antica tradizione biblica: precisamente attraverso gesti meravi­ gliosi chiamati , Dio aveva manifestato la sua presenza sal­ vatrice (cfr. Es 3 ,20) o aveva autenticato i suoi inviati (cfr. Es 4)103• Ora in Gv, come d'altra parte anche nei profeti104 e nei sinotti­ cj10', il gesto compiuto non è mai solamente dimostrativo, ma è anche espressivo del mistero personale di Gesù e quindi della sal­ vezza che sarà comunicata agli uomini. L'opera compiuta, quasi un trampolino che deve condurre alla fede, è propriamente un «segno», secondo il linguaggio giovanneo: essa manifesta, sotto una forma sensibile, una realtà proveniente dall'alto che l'evange­ lista designa qui col nome di «gloria>>. 101 A dyntimeis e semeia, i due termini preferiti del NT per dire «miracoli», Gv ha aggiunto érga («opere)>) il quale, come dyndmeis che egli però ignora, sottolinea la poren· za di Dio percepita dall'uomo, mentre semeia orienta verso il senso che bisogna discerne­ re nell'opera compiuta da Dio. Cfr. P Ternant, «Segno» in DTB. l miracoli di Gesù (nota 100), pp. 19-22. Recentemente è stato pubblicato uno studio eccellente da W.J. Bittner, ]esu Zeichen im Johannesevange/ium, Tubingen 1987. "" Cfr. 20,} 1 . 10, Secondo i sinottici, Gesù talvolta accredita in quesw modo la sua missione. Tuttavia, se i primi cristiani si sono moslrali sensibili all'aspcno apologetico dei miracoli di Gesù (At 2,22; 10,38), non si può dire altrettanto di Gesù stesso, anche se ciò è riscontrabile nella sua risposta agli inviati del Battista (Mt 1 1 .2·5p), o in quella ai farisei a proposito dei suoi esorcismi (Mt 12,28p). 11)4 Le azioni «strane» dei profeti avevano spesso un valore simbolico e visualizzavano un annuncio di Jhwh: sposare una prostituta (Os 1 -3), camminare nudo (ls 20,2s), pona­ re un giogo sulle spalle (Ger 27,1-15), vivere da celibatario (Ger 16,ls) ... 1a,; Guarire un paralitico, aprire gli occhi dei ciechi, rianirnare dei morti: tanti gesti sim· bolici che i sinottici hanno accuratamente riferito e che Gv ha orchestrato con arte.

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Per intuire il senso di quest'ultimo termine, si può risalire al Prologo, dove la gloria del Logos divenuto uomo viene ricono­ sciuta dalla comunità credente come «gloria di Figlio unico» ( 1 , 1 4 ) ; si può restare anche nell'ambito del prologo narrativo'06: citando un versetto di Isaia, il Precursore faceva capire che ben presto la «gloria del Signore sarà veduta»107; a Natanaele Gesù annunciava che i discepoli vedranno «gli angeli del Signore sa­ lire e scendere sul Figlio dell'uomo» ( l ,5 1 ) . Ed ecco che alle nozze di Cana Gesù «manifestò la sua gloria», secondo un com­ mento che l'evangelista aggiunge a un racconto in cui il mira­ colo è, tuttavia, rimasto in certo modo nascosto. Solo la fede, in realtà, riconosce la gloria del Figlio, sia per i discepoli ades­ so, come in passato per il profeta Isaia, del quale Gv - dopo aver citato due suoi annunci relativi all'incredulità del popolo ­ dice: Isaia ha detto questo perché egli ha veduto la sua gloria (12,41). In Gv, come nei testi del profeta108, questa gloria si caratterizza per la sovrabbondanza e la qualità dei beni concessi. I due aspetti, dimostrativo ed espressivo, del segno giovanneo corrispondono, grosso modo, alla distinzione che si fa nel lin­ guaggio attuale109 tra «segno» e «simbolo». Per sé il segno riman­ da ad altra cosa e non interessa granché in se stesso, mentre il sim­ bolo è già in se stesso epifania di una realtà nascosta, è presenza di ciò che significa. A questo scopo esso ha bisogno di un atto del­ l'intelligenza che può essere chiamato «operazione simbolica»110• A Cana il direttore di mensa si meraviglia semplicemente di gusta­ re del vino migliore; i discepoli percepiscono invece la gloria di Gesù. Come dice sant'Agostino" ' , ogni atto del Logos è parola, è da comprendere come rivelazione del suo mistero e impegna a una decisione nei suoi confronti. '"' Cfr. sopra p. 155. '" Is 40,5; inoltre 66,18s; cfr. 35�; 62�. Questa gloria sarà un frutto meraviglioso (Is 4�-5); guarigione di tutti i malati (Is 35); pace universale (60,17s). "'' Cfr. X. Léon-Dufour, «Autour du sémeùm johannique», in Mél. H. Schiirmann, Leipzig 1978, pp. 363-378. 11° Cfr. Id., «TowarJs a Symbolic ReaJing of the Fourlh Gospel>>, NTS 27 (1981) 439-456. "' «Poiché il Cristo è in persona la Parola di Dio, un atto della Parola è anche una parola per noi» (In ]oh. XXVI, 2: Opere. .. XXIV, p. 560). 108

197 c.

2. PROLOGO NARRATIVO. PRIMA RIVELAZIONE (1,19 - 2,12)

Il prototipo dei segni

L'evangelista Gv non si limita a chiamare «segno» il miracolo Ji Cana, ma lo qualifica come «inizio dei segni». L'uso del termi­ ne arkhi implica due cose. Come negli altri vangeli, anche in Gv l'attività taumaturgica di Gesù segna l'inizio del suo ministero pubblico112• Dopo essere stato designato come Messia dal Battista e poi riconosciuto come tale da alcuni discepoli, Gesù diviene il protagonista dell'azione mediante un'opera che Gv dichiara essere la prima. Sarà infatti seguita dal «secondo segno» che Gesù compirà ancora a Cana (4,54). Ne saranno raccontati anche altri. Infine, al termine del vangelo viene ricordato che «Gesù ha compiuto alla presenza dei suoi discepoli molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro» (20,30). Si potrebbe quindi tradurre nel v. 1 1 : «Inaugu­ rando i segni a Cana . . . ». Per quanto giusta e ovvia'", questa interpretazione tuttavia non rende conto della portata che ha nel testo la parola arkhi: «inizio». Essa infatti non avvia soltanto un'enumerazione, ma contrassegna come ormai presente una novità. Anche i sinottici si servono di questo termine per indicare con solennità l'apparire della Buona Novella'": mediante i gesti e le parole di Gesù di Nazaret, Dio comincia a regnare. In Gv il regno di Dio si mostra all'opera mediante ciò che Gesù compie alle nozze di Cana e che manifesta la sua gloria. Il termine «gloria» contiene certamente, ma non precisa, ciò che un determinato segno esprime in proprio. La gloria di Gesù si concretizza in tutti i segni che egli opera, ma ciascun segno par­ ticolare mostra una sfaccettatura del mistero di Gesù salvatore. Così, il dono della vista a un cieco-nato manifesta la gloria in quanto Gesù mostra di essere la luce del mondo (8,12); la riani­ mazione di Lazzaro è un'epifania della gloria in quanto Gesù rive112 Nella tradizione sinmtica, il primo annuncio della predicazione di Gesù è accompa­ llll•to da un racconto (o un sommario) di miracoli; Mt 4,23s; Mc 1,21-28; Le 4,31-37. 111 Di qui l'ipotesi di una «Fonte dei segnh), un testo di cui Gv si sarebbe servito. Questa Semeiaquelle ha conosciuto un grande successo in Germania: A. Faure, ZNW 2 1 (1922) 107-112; R Bultmann, p . 78; R . Schnackenburg, l , pp. 59-64. Negli Usa, R Fortna, l'h,- Gorpel o/ Signs, Cambridge 1970. Oggi tale «fonte» è molto contestata, per es., da H.P. Heekerens, Die Zeichen-Quelle desjohanneischen Redaktion, Sturtgart 1984. ' " Mc 1,1; Mt 4,17; Le 3,23; cfr. Gv 1,1.

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la che è lui stesso la risurrezione e la vita (cfr. 1 1 ,25). Normalmen­ te il racconto giovanneo di un miracolo è accompagnato da una parola o da un discorso che ne esplicita il particolare significato. A Cana, invece, al compiersi del primo dei segni, non fa seguito alcuna parola che aiuti a precisarne l'interpretazione. Non sarà forse perché il segno dell'acqua divenuta vino «è l'archetipo nel quale è prefigurata e precontenuta tutta la serie?»"'. Più esatta­ mente, dato che «archetipo» evoca un riferimento più ideale che reale, preferiamo il termine «prototipo» che designa una realtà al tempo stesso originale ed esemplare. Esso ha valore di «princi­ pio», un valore che ingloba quello dei segni che verranno in segui­ to. Perciò traduciamo: " Facendo a Cana di G a l i lea questo prototipo dei segn i , Gesù ma­ n ifestò la sua gloria e i suoi discepo l i cominc iarono a credere in l u i .

d. Un racconto simbolico In che senso si può dire che il segno di Cana ingloba tutti i segni che seguiranno? Si nota anzitutto che il miracolo racconta­ to è un «miracolo-dono»116• A differenza di altri tipi di racconti di miracolo (guarigioni, salvataggi, legittimazioni, esorcismi), che mirano a esprimere un aspetto della salvezza, il miracolo-dono simboleggia la gratuità e la sovrabbondanza della vita che Dio comunica all'uomo, anche senza che sia richiesta una fede previa, e dice l'iniziativa di Dio nell'incontro col suo popolo. Un'analisi letteraria induce d'altro canto il lettore a scartare un'interpretazione che tendesse a vedere nel racconto di Cana semplicemente un determinato episodio. Se il nostro testo fosse soltanto una relazione che ricorda un fatto accaduto a un ban­ chetto di nozze, non si spiegherebbero tante lacune. Nei racconti di miracoli, i beneficiari vengono ordinariamente identificati e caratterizzati, mentre qui la sposa è letteralmente assente, lo spo­ so appare solo alla fine e in maniera indiretta. Come si possono "' D. Mollar, p. 86. Cfr. E.A. Abbot, n. 2386; C.K. Barrett, p. 161 (2• ed. p. 193); B. Olsson, p. 68; I. de la Potterie, in Mél. H. Schiirmann, Leipzig 1978, pp. 380-403. "' Cfr. X. Léon-Dufour, l miracoli di Gesù (v. nota 100), soprattutto p. 252. L'episodio della moltiplicazione dei pani è, in Gv, l'altro «> (v. 7), al v. 9 si ricorda che i servi «avevano attinto l'acqua>> e il responsabile aveva gustato «l'acqua divenuta vino>> -, però non dell'acqua, bensì delle giare si dice che sono destinate alla purificazione dei giudei. Infine, il narratore si mostra ora riservato, ora diffuso. Egli non sottolinea il miracolo come tale: non dice che le giare si trovaro­ no piene di vino né che i servi vi hanno attinto del vino. A livello di avvenimento, la trasformazione rimane segreta per i presenti e viene affidato al direttore di mensa l'incarico non di esaltare il taumaturgo, ma di sottolineare che ha gustato del vino migliore. Per contro, l'evangelista si compiace di riferire, oltre alle parole di Gesù, il doppio intervento di sua madre e le successive azioni dei servi. Anche questi ultimi quindi hanno una funzione; tuttavia, benché essi conoscano l'origine del vino, non faranno parte del piccolo gruppo che segue Gesù a Cafarnao (2,12). Se si tiene conto di tutte queste particolarità si deve conclu­ dere: il racconto di Cana non è di tipo biografico. Ma se non appartiene a questo genere non è tuttavia neppure un racconto «allegorico>>, nel quale ogni elemento debba essere decifrato iso­ latamente. Chiamiamolo allora, con B. Olsson"l, un «racconto simbolico>>: nella sua totalità, nel suo insieme manifesta, rende presente qualcosa d'altro rispetto a ciò che dice immediatamente e che gli serve come espressione. Conviene procedere con pru­ denza, perché si cade facilmente nell'esagerazione quando ci si avventura sul terreno della simbolica. Perciò il nostro esame pro­ cederà considerando il racconto nella sua strutturazione.

e. Un racconto che procede per coppie La strutturazione del testo permette di unificare i suoi diversi elementi, compresi quelli ora sottolineati (lacune e insistenze). Ci 1 17 B. Olsson, pp. 18-114. L'autore ha creduto di trovare nel racconto del Sinai uno schema di lettura (rcreen) che consentirebbe di valorizzare l'insieme dei dati del testo. Questo stretco accostamento non mi ha convinto, ma apprezzo l'orientamento della tesi che aiuta a non temere la simbolica giovannea presente nel racconto.

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2. PROLOGO NARRATIVO. PRIMA RIVELAZIONE (1,19 - 2,12)

si accorge che nella sequenza del racconto, a ogni tappa, i perso­ naggi intervengono per coppie. Fin dai primi versetti il narratore ha cura di distinguere due tipi di personaggi: da una parte i partecipanti allo sposalizio con la madre di Gesù, dall'altra Gesù, «anche lui» con i suoi discepo­ li. Tale distinzione è sottolineata dalla scelta dei verbi: la madre di Gesù «era là» allo sposalizio come si trovasse a casa sua (è nomi­ nata per prima e vi si trova prima dell'arrivo del figlio), mentre Gesù è stato «invitato» come pure i suoi discepoli. Gesù quindi si stacca già dal gruppo dei convitati. La dualità continua ancora nel dialogo tra Maria e Gesù. Oltre alla distinzione formale tra gli interlocutori, il dialogo denota una certa «opposizione». Quando Maria, designata come «la madre di Gesù», fa notare la mancanza di vino, Gesù risponde: «Che cosa (c'è) tra me e te?>>, una formula che crea una certa distanza tra il figlio e la madre, distanza rafforzata dall'uso anormale dell'appel­ lativo «donna» nella frase: «Non è forse ancora arrivata la mia ora?». Comunque si interpreti questa frase, è certo che la reazio­ ne di Gesù implica un qualche disaccordo. Ora tra Gesù e sua madre, così «separati», awiene un inizio di awicinamento. Dicendo ai servi: «Qualunque cosa vi dica, fate­ la ! », la madre di Gesù - come preciseremo più avanti - riconosce la distanza che suo figlio ha preso da lei e quindi la sua autorità: essa esprime una piena confidenza, pur ignorando quale potrà es­ sere in concreto il suo intervento. Attraverso i servi, che invita a eseguire tutto ciò che Gesù avrebbe loro detto, Maria continua il dialogo con suo figlio per interposte persone. Una sfumatura grammaticale può confermarlo: dopo il lungo versetto sulle giare, il pronome «loro», nella frase «Gesù dice loro» (v. 7), si riferisce ai servi di cui si era parlato due versetti prima («sua madre dice ai servi»; v. 5). Come Maria, anche i servi appartengono alla gente che si trovava allo sposalizio e ora stanno di fronte a Gesù. Riap­ pare la situazione di dualità. L'azione ora mette in primo piano Gesù e i servi, e anche qui si compie di nuovo una specie di congiunzione attraverso l'obbe­ .Jienza di questi ultimi ai due successivi comandi di Gesù, come nota accuratamente il narratore: «Essi riempirono (le giare) fino all'orlo», e poi ((Portarono (l'acqua attinta nelle giare) al diretto­ re di mensa». Qui termina il rapporto esplicito di Gesù con lo sposalizio; ma per effetto della sua parola egli rimane legato ad

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esso: il direttore di mensa sembra ignorare la sua presenza, ma proclama l'efficacia del suo intervento. Letterariamente esiste una congiunzione tra Gesù e lo sposalizio attraverso la mediazione del vino donato con abbondanza. Fino a questo punto era emersa la dualità Gesù-nozze; ecco ora apparirne un'altra. n direttore di mensa è opposto allo sposo nell'abbozzo di dialogo su cui il racconto propriamente si chiude: " I l di rettore di mensa . . . chiama lo sposo 10e gli dice: «Ognuno of­ fre da princi pi o i l v i no buono e, quando si è bri l l i, quello meno buo­ no. Tu, i nvece, h a i conservato il vino buono fino a questo momento».

Con questa battuta spiritosa viene constatato il prodigio, ma indirettamente, senza alcun riferimento al suo autore. Il narrato­ re non attira ancora l'attenzione sul taumaturgo; si limita, con un modo di procedere molto giovanneo, a dare risalto all'avvenimen­ to: non soltanto c'è vino, ma è vino di qualità superiore118• Secondo noi, tuttavia, la frase mira anche ad altro, poiché l'at­ tenzione del lettore si trova orientata verso lo sposo, personaggio nuovo, introdotto soltanto indirettamente. Di lui si dice che il direttore di mensa Io ha «chiamato>> come se fosse assente, e di fatto Io era, fino a questo punto, dal racconto. Attribuendo il vino buono a una iniziativa dello sposo, il responsabile si espri­ me in modo che lo mette da parte rispetto alla generalità degli uomini: «Ognuno offre ... Tu invece. . . ». Un comportamento così singolare autorizza a collocare questo personaggio semplicemente fra gli «uomini» e nel gruppo dei commensali? Se fa parte, ovvia­ mente, dello sposalizio, viene tuttavia collocato quasi a parte da­ gli altri che si muovono sulla scena, proprio in quanto, a differen­ za di costoro, non Io si vede agire. Che significa allora questo «sposo>>? A questa domanda dovrà rispondere la nostra lettura simbolica. Ora notiamo solamente che questo personaggio è un elemento che viene a sovrapporsi alla dualità fondamentale Gesù­ nozze. Col v. 1 1 il narratore fa dell'avvenimento appena accaduto il us I racconti giovannei di miracolo non si limitano a narrare il fatto prodigioso; essi rife­ riscono in più un fenomeno sorprendente che fa di essi, per così dire, dei racconti a doppio fondo. Così, il vino a C:ana è migliore (2,10), i pani sono in sovrappiù (6,12s.27), Lazzaro esce dalla tomba a mani e piedi legati (11,44). E il cieco è tale fin dalla nascita (9,1-32).

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2. PROLOGO NARRATIVO. PRIMA RIVELAZIONE (1,19 · 2,12)

punto di partenza di un nuovo ravvicinamento fra Gesù e i suoi discepoli. Costoro, non più nominati dopo il v. 2, sono stati testi­ moni dell'atto di Gesù. La gloria che essi vi hanno scorto li porta a credere in lui. Eccoci ora preparati per tentare una lettura del testo. 2. Lettura simbolica

Dicendo che proponiamo una lettura «simbolica» del testo, ci riferiamo a quanto detto più sopra sul genere del racconto, ma anche all'atto stesso del leggere. Questo non sarà di tipo allegori­ co, come non lo è il testo. Quando si interpreta un'allegoria, ogni elemento deve venire trasposto su un altro piano e decifrato separatamente secondo un criterio estrinseco (se pure non artificioso); ne risulta un accostamento parallelo dei diversi elementi e delle loro contro­ parti, il cui valore rimane equivalente, come mostra la spiegazio­ ne che ci dà Matteo della parabola della zizzania: il campo «è il mondo»; il buon grano «i figli del regno»; la mietitura «la fine del mondo»; ecc. (Mt 1 3 ,38). Invece, in un racconto simbolico la lettura scopre la presenza di una realtà unitaria la quale orga­ nizza e illumina da se stessa la funzione rispettiva, e quindi la diversa importanza, di tutti gli elementi che con la loro conver­ genza le danno figura. Per l'interpretazione, il nostro racconto deve essere situato nella sua totalità, a tre livelli diversi. Anzitutto a quello del testo stesso (qui i vv. 1 - 1 1 ) , il cui linguaggio porta immediatamente a tener presente la simbolica biblica delle nozze; poi al livello del quarto vangelo nel suo insieme; infine a quello del lettore il quale fa proprio il racconto secondo la sua personale situazione. Di­ stinguendo il livello in cui si legge il testo, si evita di mescolarne i significati che può offrire. l diversi livelli non sono certamente indipendenti fra loro; essi rimangono in un rapporto intrinseco perché il primo livello, quello dell'unità letteraria di base, sta al fondamento. Il nostro compito consiste quindi nello stabilire che cosa pro­ pone il testo al primo livello, aiutandoci con i dati biblici che sog­ p;iacciono al suo stesso linguaggio. Solo in seguito - nella nostra Apertura rileggeremo il testo, partendo da altri dati che appaio-

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no in evidenza nel vangelo giovanneo. Così, per il fatto che la «madre di Gesù» è chiamata di nuovo «donna» in 19,25-27, que­ st'ultimo passo può arricchire la comprensione dell'episodio di Cana, ma alla condizione che questa nuova lettura amplifichi il significato stabilito all'interno dell'unità letteraria. Da ultimo abbozzeremo un'attualizzazione del brano. Un'altra premessa riguarda i due tempi della lettura del testo. Ricordiamo che il primo tempo è quello di Gesù di Nazaret e anche, al tempo stesso, di tutto il passato d'Israele. Gesù infatti viene a dare compimento a una promessa che Israele ha ricevuto vivendo un'esperienza senza confronti della relazione col Dio unico, il Dio dell'Alleanza. Questa esperienza è presente alla memoria degli uditori di Gesù, sta alla base della loro mentalità religiosa e della loro prospettiva sull'avvenire. Di Gesù di Nazaret l'evangelista racconta i gesti e le parole che manifestano, a quanti lo seguiranno, il compimento di cui egli era il realizzatore, un compimento che era conforme alla speranza tradizionale di Israe­ le e al tempo stesso la oltrepassava mediante la sua novità propria­ mente divina. Lo scrittore ha accolto tale novità, che l'evento di Pasqua ha confermato e fissato per sempre. Mediante il suo rac­ conto egli intende ricostituire un «prima», perché fu durante il suo ministero terrestre che Gesù, il Figlio di Dio, ha manifestato la sua identità ed esercitato la sua funzione di rivelatore del Padre di fronte a uditori che gli annunci anteriormente ricevuti da Dio avevano orientato a «comprendere>>. Il secondo tempo è quello dei credenti - l'evangelista e i suoi lettori - che vivono dopo la Pasqua, cui lo Spirito dona la piena intelligenza delle parole e degli atti di Gesù. Certe interpretazio­ ni che non potevano apparire nel primo tempo - cioè ai testimo­ ni diretti - possono venire proiettate sul testo alla luce dell'intera opera, ormai conclusa, di Gesù. Per esempio, l'eventuale rappor­ to fra il segno di Cana e l'eucaristia. Resta fermo comunque che queste interpretazioni reggono in quanto poggiano sulla base di ciò che il testo comunica per se stesso immediatamente, perché la gloria che viene affermata ( 1 ,14; 2 , 1 1 ) è quella che i testimoni hanno veduto in Gesù di Nazaret. L'analisi della struttura del racconto ha portato a riconoscere una dualità fondamentale: lo sposalizio da una parte e Gesù dal-

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l'altra. A questa dualità si possono ricondurre tutti i personaggi eccetto uno, lo sposo. Questo risultato guiderà la lettura simboli­ ca che ora intraprendiamo e che inizia col dato di base, cioè una celebrazione di nozze.

a. La cornice della festa nuziale Poiché il racconto di Cana non è di tipo biografico, il tema delle nozze richiama subito alla mente un'immagine biblica, dive· n uta tradizionale a partire dall'esperienza coniugale di Osea fino al Cantico dei Cantici e a Gesù stesso, che ha presentato il regno dei cieli come un banchetto di nozze (Mt 22,2; 25,1). La festa umana per eccellenza, quella che dice l'amore dell'uomo e della donna, destinati a divenire uno in conformità con l'immagine di· vina, è servita da metafora per esprimere l'alleanza di Dio con il suo popolo, e più particolarmente la sua realizzazione escatologi· ca, allorché Dio la stringerà non solo con Israele ma col mondo intero119• La ripetizione della parola «nozze» all'inizio del raccon­ to (vv. 1 .2) è manifestamente intenzionale per sottolineare il qua· dro simbolico dell'episodio. Questo è situato nello spazio e nel tempo; avviene in Galilea, altro dato ripetuto,(2 , 1 . 1 1 ) , la terra prediletta da Gesù120• Accade al «terzo giorno». E difficile precisare a quale data possa riferirsi. Alcuni critici hanno creduto possibile stabilire una cronologia con l'aiuto dei vari «il giorno dopo>> che ricorrono in precedenza, in 1 ,19-5 1 , e ricostruire una «settimana inaugurale>> che avrebbe, anch'essa, un valore simbolico12'. A nostro parere, il narratore non si preoccupa tanto di datare cronologicamente l'episodio quanto di assimilarlo ai grandi eventi della storia sacra che si veri· ficano «al terzo giorno». Questa «datazione» richiama in effetti una svolta decisiva nella storia dell'Alleanza; per esempio la gran· de teofania del Sinai122• Il lettore, già a conoscenza, da 1 ,5 1 , che nella persona del Figlio dell'uomo il cielo e la terra avrebbero sta· bilito una relazione permanente, è in attesa che si manifesti un "' Cfr. Os 2,18-21; Ez 16,8; Is 623·5; Ct. Per il banchetto di nozze cfr. B. Olsson, p. 26. "" Cfr. Gv 4,43-54; 6, 1 ; 2 1 .2 . Questa predilezione è forse motivata dal fano che questa regione viene comunemente chiamata «Galilea delle nazioni»? '" Cfr. sopra, p. 147, nota l. "' Es 19,1 1 ; Le 1 J ,J2s; inoltre Gn 22,4; 42,18; Os 6,2.

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qualche intervento divino. Questo inizio solenne ha lo scopo di renderlo ancor più attento.

n vino accompagnava normalmente un banchetto di nozze, ed era offerto con abbondanza. Col grano e l'olio, il vino è uno dei tre raccolti essenziali per la vita dell'uomo123: è un dono di Dio, creato per la gioia degli uomini come segno di prosperità'2'. Ecco perché scorrerà abbondante alle nozze escatologiche, come an­ nuncia il profeta Amos: Ecco vengono i giorni, oracolo di Jhwh, in cui... le montagne faranno cola­ re il succo dell'uva, tutte le colline lo faranno scorrere a ruscelli. . . (Am 9,13 ); o

anche Isaia nella sua piccola apocalisse: ll Signore, l'Onnipotente, preparerà su questa montagna un banchetto per tutti i popoli, un banchetto di carni grasse e di vini invecchiati . . di vini vecchi raffmati (!s 25,6). .

Gesù di Nazaret si richiama alla simbolica del banchetto cele­ ste quando annuncia che non berrà più del «frutto della vite fino a quando lo berrà nuovo nel regno del Padre (suo)»"'. A Cana, in attesa che si realizzi il regno del Padre, Gesù dona un vino superiore che, nel quadro simbolico del racconto, dà compimento al primo vino già servito. Vi è continuità fra i due vini, poiché l'uno e l'altro sono vino di nozze. L'Alleanza raggiun­ ge in figura il suo compimento grazie all'azione di Gesù. Chi sono i contraenti delle nozze? Non Gesù e l'umanità, ma Israele e Dio. Israele è simbolizzato dalla madre di Gesù, alla qua­ le si possono aggiungere i servi. Maria non viene indicata con il suo nome, ma come «la madre di Gesù»; essa viene chiamata anche «donna» e ciò è intenzionale. Esattamente come «il disce­ polo che Gesù amava», essa ha un valore che supera la sua indi­ vidualità. n titolo «donna» probabilmente non fa riferimento alla 12J Dt 7,13; 1 1,14. m Sal i04,15; cfr. Gdc 9,13 ; Sir 3 1 ,27s; Zc 10,7. Mt 26,29p. Papia, vescovo di Gerapoli, all'inizio dd II sec. immaginava così la bea­ titudine celeste: >. Prima però di precisarne il contenuto, vediamo che Gesù mette sulla strada della sua comprensione chiamando sua madre con la parola «donna>>. «Donna•

Nonostante l'impressione negativa che prova il lettore moder­ no, Gesù non si mostra irrispettoso: questo vocativo viene usato sovente in un contesto fortemente elogiativom. Certo, esso sor­ prende in bocca a un figlio che parla a sua madre: la parola nor­ male sarebbe «'immà>> corrispondente a «'abbà» (papà). Cosa im­ plica allora questo termine? A un primo livello, negativo, Gesù mostra ancora che egli si pone su un piano diverso da quello di sua madre secondo la carne, dell'Israele del passato. Questo atteggiamento corrisponde a quello che egli assume nei sinottici quando prende le distanze da sua madre e dalla sua famiglia. Ai suoi (parenti) che sono venu­ ti a trovarlo dichiara: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?>> (Mc 3 ,33p) e rimanda i suoi uditori al Padre del cielo. Così pure alla donna che proclama beata la maternità carnale di Maria, egli dice di rimando: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e che la osservano! >> (Le 1 1 ,27s). Ogni volta Gesù cerca di modificare la prospettiva dei suoi uditori e di elevarla (cfr. Le 2,49). Gv accoglie e condensa qui questa tradizione sul compor­ tamento di Gesù verso la sua famiglia. Gesù però dice di più e in senso positivo. Nella madre sua egli vede ormai la «Donna>>, cioè non più soltanto l'Israele che gli ha dato la vita umana, ma Sion che attende e spera il tempo della sal­ vezza definitiva. E in effetti con questa denominazione Gesù invi­ ta a una nuova presa di coscienza. È quanto il testo mette in evi­ denza per il fatto che il vocativo «donna>> appartiene non alla "' Cfr. Mt

15,28; Le 13,12; Gv 4,21; 19,26; 20,13.15.

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frase precedente, ma a quella che viene dopo: ((Donna, non è for­ ancora arrivata la mia ora?». U n indirizzo al vocativo di regola non segue, ma precede la frase di cui fa parte. Vari passi analoghi nei vangeli lo mostrano con i vocativi «figlia mia», ((donna», ((Fi­ glio di Dio», ecc. . . us_ Perché allora le traduzioni del nostro verset­ to ignorano abitualmente questo dato stilistico? D'altra parte, non è forse normale che la rivelazione relativa all'ora sia precedu­ ta da un vocativo solenne?

se

Non è forse ancora a rrivata la mia ora? Questa frase, tradotta qui secondo l'ordine delle parole greche, presenta letterariamente un'oscurità. Il greco oupo ékei he hdra mou può essere inteso come un'asserzione negativa: ((La mia ora non è ancora arrivata», oppure come una frase interrogativa: ((La mia ora non è forse ancora arrivata m? Gli antichi manoscritti non riportano punteggiatura e quindi la scelta dipende dall'interpre­ tazione del contesto. I traduttori optano in maggioranza per l'asserzione negativa, basandosi sui versetti in cui Gv, dopo i tentativi falliti di arrestare Gesù, annota che () ((? Non si possono pertan­ to assimilare i due testi, anche se «hora�) («l'ora») e «kair6s» («tempo») hanno un signifi­ cato aff111e. In senso contrario, G. Lohf111k, Geist und Leben 57 (1984), 174.

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2 . PROLOGO NARRATIVO. PRIMA RIVELAZIONE (1,19 - 2.12)

avrebbe potuto la madre di Gesù, dopo un rifiuto categorico, ri­ volgersi ai servi affinché eseguissero ciò che egli avrebbe detto loro? In compenso, la forma interrogativa (su cui torneremo) per­ mette molto bene di connettere la reazione immediata di Maria con la risposta datale. Che tale interrogativo sia possibile in greco, come abbiamo detto, basterà un esempio a mostrarlo: in Mt 16, 8-9 Gesù domanda: «Gente di poca fede, perché vi preoccupate del fatto che non avete pane? Non comprendete dunque ancora (oupi5 noeite)? Non vi ricordate più dei cinque pani per i cinque­ mila [persone] ?». L'affinità di struttura è notevole. Ai discepoli preoccupati Gesù domanda dapprima: «Perché questi pensieri?��. poi offre loro una ragione di fiducia141• Gesù invita sua madre a riconoscere (o a scoprire) che è giunta l'ora per lui di intervenire secondo il disegno di Dio. • La mia ora•

Qual è dunque quest'ora? In senso teologico142, il termine pro­ viene dagli ambienti apocalittici"': esso indica il momento in cui si compirà definitivamente il disegno di Dio, ineluttabile, proprio come il «giorno del Signore». Quest'uso del termine si ritrova nei sinottici e in Gv144• Con la risurrezione di Gesù i credenti hanno compreso che la fine dei tempi li ha raggiunti ( 1Cor 1 0, 1 1 ) e ciò li ha condotti a vedere l'ora escatologica attualizzata negli eventi di Pasqua, anzi già a partire dall'arresto di Gesù'"- In Gv l'ora finale si cç>mpie al momento della glorificazione di Gesù sulla croce"6• E quella !'«ora di Gesù», quella del suo ritorno al Padre ( 1 3 , 1 ) , quella che "' Cfr. Mc 4,40. Dal fatto che l'esempio è tratto dalla ttadizione sinottica, si potrebbe obiettare che Gv invece usa abitualmente oUpO in proposizioni enunciative. Ma negli undi­ ci casi otipo è accompagnato da una particella di congiunzione: gàr 0,24; 7,39; 20, 17), dé ( 1 1 ,30), kai (6,17); oppure lo si trova all'interno della frase (7,6.8.30.39b; 8,20.57). In 2.4 .,.so è asindetico e viene dopo una interrogativa; A. Vanhoye (nota 139), p. 160. 1"2 Gv conosce anche il senso di >. Il narratore che aveva annotato l'enorme capacità delle giare, non precisa, anzi non lo suggerisce nemmeno'n, che furono trovate piene di vino, cosa che avrebbe fatto se la sua attenzione fosse stata concentrata su questo punto. Da dove viene quest'acqua? Il testo non)o dice, ma è evidente che è stata attinta alla fontana o dal pozzo. E dunque l'acqua della primitiva creazione; l'Alleanza di Dio, di cui il segno di Cana è una figura, viene ripresa a partire dal suo primo stadio, come ha posto bene in rilievo sant'lreneo: Benché il Si�nore avesse il potere di prowedere del vino ai convitati senza servirsi di alcuna cosa creata preesistentc (ex nullo) ... non ha procedu­ to in questa maniera ... Egli invece ha dissetato gli invitati a nozze cambian­ do l'acqua in vino. Con ciò dimostrava che Dio, il quale ha fatto la terra e le ha comandato di produrre frutti, che ha creato le acque e fatto zampillare le sorgenti, questo medesimo Dio concede al genere umano, negli ultimi tempi, per la mediazione del suo Figlio, anche la benedizione del nutrimento e la grazia della bcvanda154 Sulla scia di Ireneo, i Padri della Chiesa hanno spesso fatto at­ tenzione al simbolo dell'acqua che diventa vino: l'Alleanza di Dio con Israele passa nella nuova Alleanza, come l'acqua passa nel vino. San Tommaso, riassumendo l'interpretazione dei Padri, ha in­ sistito, a sua volta, sulla continuità del disegno di Dio: Gesù non ha voluto produrre il vino a partire dal nulla (ex nihilo), ma a partire dall'acqua per dimostrare che non intendeva dare una dottrina inte"' Vedi le sensate annotazioni di P. Dacquino, «Acqua vinum facta (lo, 2,9)», Verbum Domrni 39 (1%1) 92-96.

"' Adv. haer., III, l l ,5

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PARTE I

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ramente nuova, né rigettare l'antica, m a darle compimento. Ciò che l'antica Legge raffigurava e prometteva, il Cristo lo rese chiaro e lo rivelòm.

Mediante il suo gesto, Gesù manifesta in figura che è giunto il tempo in cui Israele entrerà nella comunione definitiva con Dio, come pure l'intera umanità. Ecco perché il vino assaggiato dal direttore di mensa è migliore del primo vino bevuto a Cana. Seguendo ora il testo passo passo, è possibile precisare ulte­ riormente. Gesù non ha semplicemente fatto sì che l'acqua diven­ tasse vino, ma è ricorso alla prestazione dei servi, ha utilizzato determinati recipienti, ha dato successivamente due ordini. Il primo dettaglio che sorprende sono le giare. Al posto delle anfore di terracotta in cui si conservava il vino e che a Cana ormai erano vuote, Gesù ha utilizzato recipienti di pietra, destinati a un uso diverso dalla conservazione delle bevande, cioè alla purificazio­ ne rituale. Ciò conferma il carattere simbolico del racconto, tanto più che il numero delle giare (sei, cioè: sette meno una) implica un'idea di imperfezione. Tenendo presente il rapporto che il Pre­ cursore ha stabilito fra il battesimo di acqua e il battesimo nello Spirito ( 1 ,33 ) , si può pensare che il vino donato da Gesù sta all'ac­ qua delle giare giudaiche come lo Spirito Santo sta all'acqua del rito amministrato da Giovanni. Questo accostamento risulta tanto più plausibile in quanto il battesimo di Giovanni prefigurava la purifi­ cazione che lo Spirito avrebbe operato alla fine dei tempi, ormai presente con Gesù. Di qui, alcuni sono portati a concludere che il vino simboleggia lo Spirito Santo: deduzione piuttosto affrettata nella misura in cui si trascurasse il rapporto intrinseco che unisce il vino alle nozze e il dono dello Spirito alla comunione con il Dio dell'Alleanza. Nella cornice delle nozze il vino ha anzitutto la fun­ zione di suggerire la pienezza escatologica dell'Alleanza. Questa pienezza è sottolineata dalla dimensione delle giare. Utilizzandole per i propri riti e riempiendole fino all'orlo, Israele - come abbiamo detto - ha dato fondo a tutto ciò che poteva offrire nel suo desiderio di corrispondere alle esigenze del suo Signore. Ma la simbolica agisce ancora nel testo. L'acqua diventa vino soltanto allorché, su ordine di Gesù, viene attinta e portata al "' S. Tommaso (v. nota 97), II, 7 n. 358.

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2. PROLOGO NARRATIVO. PRIMA RIVELAZIONE ( 1 ,19 - 2,12)

direttore di mensa. «Ora attingete e portatene ... »: la parola «ora», non richiesta dal contesto, sottolinea che il tempo delle nozze escatologiche è ormai giunto. La tradizione sinottica aveva intro­ dotto il ministero di Gesù con una solenne dichiarazione: «ll re­ gno di Dio è presente» (Mc 1 , 15p). Comincia un'epoca nuova che, pur nella sua novità, è in armonia con la Promessa. In Gv, l'azione simbolica di Gesù tiene il posto della proclamazione sinottica; essa mostra in figura che, con la presenza di Gesù, nel quale cielo e terra si uniscono ( 1 ,5 1 ) t l'Alleanza di Dio con gli uomini raggiunge il suo compimento. E il momento inaugurale di una realtà che si estende lungo tutta la vita della Chiesa, nella quale si potrà attingere e gustare di giorno in giorno il frutto del­ l' acqua e della parola. Questo «adesso» si apre su una presenza che non cesserà mai più. L'annotazione che le giare sono di pietra è la conferma di tutto ciò: esse vengono distinte dagli otri di pelle come dalle brocche di terracotta; esse devono durare. Mentre Gesù aveva, una volta, gri­ dato contro i farisei: «A vino nuovo otri nuovi !» (Mc 2,22p), qui riconosce invece il valore delle giare nelle quali, per uno scopo religioso, è stata raccolta l'acqua della creazione: esse rappresen­ tano l'istituzione d'Israele. Con ciò la simbolica della piena realiz­ zazione dell'Alleanza ne guadagna in chiarezza. Dapprima l'acqua della creazione è divenuta l'acqua della purificazione, quindi, in queste giare e mediante la parola di Gesù, quest'acqua può diven­ tare vino. L'Alleanza noachica, che significa la presenza di Dio in tutta la creazione, è stata raccolta da Israele e, attraverso Israele, Gesù la riprende per portarla alla sua perfezione nell'Alleanza definitiva.

L'evento di Cana non può ridursi quindi al risultato constatato dal direttore di mensa. Il narratore infatti ha cercato di non atti­ rare l'attenzione sul momento della trasformazione o sul fatto di un'enorme produzione di vino. Per indicare il risultato, qui come in 4,46, egli non utilizza nemmeno il verbo «cambiare»: l'acqua è semplicemente «divenuta vino», quando è stata assaggiata dal di­ rettore di mensa. D'altra parte, questa discrezione viene controbi­ lanciata da un'insolita insistenza sulle persone che, pur senza esse­ re in alcun modo causa del risultato, intervengono tuttavia come agenti che in qualche modo cooperano: Maria e i servi; la prima mediante la sua fiducia, i secondi con la loro obbedienza attiva; e

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il testo insiste ancora su questi ultimi dicendo che sapevano ciò che era accaduto, «essi che avevano attinto l'acqua». Sul piano della simbolica Maria-Sion, e con lei i servi, sono Israele attento alla parola e all'intervento del Messia. Anzi, per il fatto che il vino risulta dalla congiunzione tra la parola di Gesù e l'acqua della creazione versata nelle giare giudaiche, Israele esercita un'attività reale; esso non ha prodotto il risultato, ma attraverso le sue istitu­ zioni e la sua obbedienza ha cooperato all'azione del suo Messia. Eppure solo i discepoli che hanno accompagnato il Maestro vedono la gloria che Gesù ha «manifestato» (2, 1 1 ) : essi costitui­ scono la prima comunità della nuova Alleanzau6_



A PERTURA

La nostra lettura si è attenuta al principio delle «unità lettera­ rie» che, in questo caso, erano emerse a due livelli: quello del rac­ conto stesso (2, 1 - 1 1 ) e quello del complesso letterario che va da 1 , 1 9 a 2,12. Abbiamo metodicamente messo da parte le interpre­ tazioni che si basavano su dati estrinseci a queste unità. Ora pos­ siamo constatare che, collocati in prospettive più vaste, tali dati possono essere presi in considerazione. Richiamiamo brevemente il risultato della nostra prima e fon­ damentale lettura. Lo scopo dell'episodio è di affermare il com­ piersi dell'Alleanza tra Dio e Israele e quindi il realizzarsi, median­ te Gesù, dell'attesa e della promessa. Il Messia, che è stato annunciato e riconosciuto in 1 ,19-5 1 , raduna la sua comunità di discepoli attorno a un banchetto di nozze, figura e presenza dei tempi ultimi. Secondo la simbolica dell'evangelista, la madre di Gesù è Israele che esperimenta il vuoto della sua situazione senza il Cristo e che si apre nella confidenza all'iniziativa di Dio. AppaJM La nostra lettura simbolica non pretende di escludere ogni altra interpretazione dd­ l'episodio. Essa, anzi, combacia su un punto essenziale con l'interpretazione tradizionale riflessa neUa liturgia (in Oriente dal IV sec., in Occidente dal VII sec.) che riunisce insie­ me le tre scene mediante le quali Gesù ha «manifestato» la sua gloria: l'Epifania, il vino di Cana, il battesimo: «Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo: oggi la stella ha guida­ to i magi al presepio, oggi l'acqua è cambiata in vino alle nozze, oggi Cristo è battezzato da Giovanni nel Giordano per la nostra salvezza»; Antifona al Magnificat dell'Epifania; cfr. C. Mohrrnann, Études sur le latin des chrétiens, Roma 1958, pp. 260-262, e la panoramica che propone A. Smitmans (nota 94). pp. 165-186.

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2. PROLOGO NARRATIVO. PRIMA RIVELAZIONE (1,19 - 2,12)

gando un'attesa secolare, Gesù annuncia in figura che l'Israele fedele è stato esaudito, e oltre ogni misura, perché tale esaudimen­ to implica la salvezza dell'umanità intera. Il prologo narrativo si conclude col prototipo dei segni: l'antica Alleanza, mediante la presenza e la parola di Gesù di Nazaret, diviene la nuova Allean­ za. Stando così le cose, il racconto di Cana offre al lettore la miglio­ re opportunità per parlare del rapporto fra i due Testamentim. Il vino prodotto non si aggiunge all'acqua, ma è l'acqua stessa dive­ nuta vino. Allo stesso modo il Nuovo Testamento non mette da parte ciò che impropriamente si chiama Antico Testamento: que­ sto è, m�diante la parola di Gesù, il Testamento di Dio divenuto nuovo. E indubbiamente necessario riconoscere e valorizzare due tappe nella storia dd piano di Dio; però non c'è che una sola Alleanza che trova il suo pieno compimento con Gesù, ma che si alimenta continuamente nell'esperienza di Israele. In che modo, tuttavia, la figura delle nozze potrà divenire real­ tà? Il racconto finisce indubbiamente con l'osservazione del diret­ tore di mensa o tutt'al più con la riflessione del narratore che annota il risultato: la fede dei discepoli raccolti attorno a Gesù. In un altro senso, però, il racconto rimane aperto. Già dal punto di vista dell'«episodio» in sé, varie domande restano in sospeso: Co­ sa risponde lo sposo? Che ne è dei servi? Che cosa comprendono i convitati e il direttore di mensa? Ma sono tutte domande non pertinenti nella lettura di un testo «simbolico». E tuttavia, anche da quest'ultimo punto di vista il racconto resta «aperto». In realtà, se il miracolo di Cana è il prototipo dei segni, esso orienta, l'abbiamo già detto, l'interpretazione dei segni che segui­ ranno. L'Alleanza, simbolicamente realizzata al termine del prolo­ go narrativo, verrà in qualche modo fatta valere nei successivi rac­ conti; perciò, leggendo questi ultimi, sarà opportuno metterli in rapporto con questo segno inaugurale. Non è questa però la nostra prospettiva a questo punto; ora si tratta, all'inverso, di pro­ iettare la luce dei racconti seguenti sui dati del racconto di Cana, come pure di fare attenzione al linguaggio cristiano posteriore. Una prima luce viene dal racconto dei pani donati in abbon­ danza (Gv 6). Il discorso che segue mostra che il sacramento del­ l'eucaristia vi era prefigurato. Mentre il racconto non parlava che "' P. Beauchamp, L'Un et l'autre Testament, Seuil, Paris 1977.

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di pane, nel discorso viene comandato di «mangiare la carne» e di «bere il sangue», formule che evocano la pratica eucaristica. Poiché in ambedue i racconti emerge il motivo della sovrabbon­ danza, il lettore familiare del vangelo può ritenersi autorizzato, con sant'lreneo che parlava della «sintesi della coppa (eucaristi­ ca)>>, a vedere nel dono del vino a Cana il completamento del do­ no del pane, e quindi già una prefigurazione del sacramento. Una seconda illuminazione può derivare dall'interpretazione dominante che il quarto vangelo dà dell' «ora>>. Con questo termi­ ne Gv, in 7,30 e 8,20 come in 1 3 , 1 , qualifica il momento della pas­ sione e della risurrezione di Gesù. Si potrebbe pensare quindi che Gesù, dicendo «la mia ora>> (2,4), abbia aperto a sua madre la prospettiva pasquale, allorché tutto sarà «compiuto>>. Al Calvario, quando Gesù affida a Maria il discepolo prediletto, si ritrovano i termini utilizzati a Cana per parlare di lei: «madre di GesÙ>> e «donna>>. Anche qui dunque è possibile intuire, alla maniera di sant'Agostino, che la manifestazione della gloria di Gesù a Cana è una prima tappa sul cammino che porta alla croce e all'esal­ tazione. Alcuni lettori ritengono di poter sviluppare la portata mariale del testo: sapendo che al Calvario Maria è divenuta la madre del discepolo prediletto, essi scorgono nella sua prima parola a Cana (2,3) una certa pressione esercitata sul suo figlio a favore dei convi­ tati nel bisogno, una domanda di miracolo, e nella parola seguente (2,5) una mediazione tra Gesù e i servi. Maria sarebbe propriamen­ te «mediatrice>> tra Gesù (Dio) e i fedeli. Di fronte a questo modo di pensare, ispirato indubbiamente a grande devozione, un'esegesi attenta aiuta a cogliere ciò che il testo implica realmente circa la funzione di Maria nella vita cristiana. Nel racconto, Maria è Sion­ Israele che, dopo aver esposto a Gesù lo stato di indigenza in cui essa si trova, si apre immediatamente alla rivelazione che, in rispo­ sta, Gesù le fa sulla sua propria persona. Invitando i servi a obbe­ dire a Gesù, qualunque cosa dica, non solo manifesta che è in cam­ mino verso la pienezza della fede, ma invita anche gli altri ad avere lo stesso atteggiamento. E più tardi suo figlio la dichiarerà - 19 Gesù ri spose loro: « D i struggete questo santuario e in tre giorni io lo farò risorgere ! » . 20 l giudei replicarono: «Que­ sto santuario fu costruito in quarantasei anni e tu lo farai risor­ gere in tre giorn i ? » . 2' Egl i però parlava del santuario che è i l suo corpo. 22 Perciò quando risuscitò d a i morti, i suoi di scepo­ l i si ricordarono che egli aveva detto questo e credettero a l l a Scrittura e a l l a parola c h e Gesù aveva detto.

a. Gesù difronte al Tempio di Gerusalemme La cornice pasquale e l'ambientazione nel Tempio conferisco­ no al racconto che inizia al v. 13 un valore particolare, ma è soprattutto la stesura del testo che impedisce di ridurre l'episodio narrato al fatto che solitamente si intitola «Espulsione dei vendi­ tori dal Tempio>> o «La purificazionc del Tempio>>- Conservare questi titoli in Gv significherebbe non cogliere la differenza tra il quarto vangelo e la tradizione sinottica2 nell'interpretazione del­ l'evento, storico secondo ogni verosimiglianza'. Gv ne riporta cer­ tamente un racconto, ma vi aggiunge una parola profeti ca di Gesù che audacemente coincide, per l'essenziale, a ciò che i falsi testi­ moni attribuiscono a Gesù durante il processo dinanzi al Sine­ drio: Noi l'abbiamo inteso dire: «io distruggerò questo santuario fatto da mano d'uomo e in tre giorni ne costruirò un altro che non sarà fatto da mani d'uomo>> (Mc 1458)4.

Sulla base di due tradizioni di diversa origine, l'evangelista ha steso un racconto unitario, di eccezionale densità teologica. Vor­ remmo dar rilievo a questo dato prima di passare a una lettura continuata del testo. 1 Mt 21,12s = Mc 1 1 ,15-17

14,:i8; At 6,14.

= Le: 19,45s;

cfr. Mt 27,40 = Mc 15,29; Mt 26,61 = Mc

' Secondo l'opinione comunemente ammessa, l'episodio ha valore storico. L'unico punto storicamente difficile da concepire è l'assenza di reazione da parte della polizia del Tempio. Niente comunque si oppone alla verosimiglianza del fatto; cfr. G. Bomkamm, Qui est Jésus de NaZJJreth?, Seuil, Paris 1973, p. 1 8 1 , e più avanti la nota I l . • Parallelo a M t 26,61; Luca ha l'equivalente nel processo contro Stefano (At 6,14). Sotto la penna di Gv, la parola dei falsi testimoni, corretta, diviene nuovamente una vera testimonianza nella bocca di Gesù stesso.

227

3. GESÙ E IL TEMPIO DI DIO

(2,13-22)

La collocazione del racconto nel vangelo è significativa: ap­ parentemente si inserisce in maniera del tutto naturale in una sequenza cronologica; in realtà si tratta di un testo isolato. Se l'episodio accade ovviamente in occasione della salita di Gesù a Gerusalemme, non si tratta però della Pasqua alla quale lo ricol­ legano i sinottici, l'ultima di Gesù di Nazaret. In Gv l'episodio ha luogo non dopo l'ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, ma all'inizio della vita pubblica. E poiché non si può sostenere che vi siano state due espulsioni dei mercanti dal Tempio', si deve sce­ gliere tra le due datazioni. La maggior parte degli storici opta per la datazione sinottica6, perché un simile gesto acquista maggiore verosimiglianza se compiuto da un uomo già conosciuto a Geru­ salemme. In tal caso si può concludere che Gv ha intenzional­ mente spostato l'episodio all'inizio del ministero di Gesù. Perché quest'anticipazione? Una prima ragione potrebbe esse­ re trovata nel contesto antecedente: si tratta dell'Agnello di Dio che viene a purificare il Tempio. Il profeta Malachia aveva colle­ gato al Tempio la venuta escatologica e purificatrice del Signore: Improwisamentc verrà nel suo Tempio il Signore che voi cercate... Chi potrà sopportare il giorno della sua venuta? ... Egli purificherà i figli di Levi

(Ml 3 , ! -3).

Di questa profezia i sinottici avevano citato solamente l'esor­ dio: «Ecco che io mando il mio messaggero affmché prepari la via dinanzi a me», applicandolo alla predicazione del Battista'; il quarto vangelo mostrerebbe la realizzazione dello stesso oracolo per introdurre all'attività pubblica di Gesù, investito della funzio­ ne propria di Jhwh. Questa ragione tuttavia non appare determinante. Se si con­ fronta il lavoro di Gv con quello di Luca, emerge una ragione di carattere letterario. Luca ha anticipato all'inizio della vita pubbli­ ca di Gesù la visita alla sinagoga di Nazaret8: in questo luogo di preghiera e di ascolto della parola divina, Gesù si alza e dichiara ' Si trana quindi > (!Cor 15,4; Mt 16,2lp ... ), «dopo tre giorni» (Mc 8,3 1 ; 9,3 1...). Questa osser­ vazione favorisce la storicità dell'espressione.

239

3. GESÙ E IL TEMPIO DI DIO (2,13-22)

l'opera di cui Gesù si ritiene capace viene ridicolizzata con la banale contrapposizione: quarantasei anni-tre giorni31 • Ma la do­ manda: «chi è Gesù?» ormai si impone ai responsabili del Tem­ pio; il quarto vangelo svilupperà questo processo drammatico. Per il momento Gesù tace. È l'evangelista a prendere la parola.

e.

I.:interpretazione pasquale " Egli però parlava del santuario che è i l suo corp o.

Alla luce della sua fede pasquale, l'evangelista si rende inter­ prete e precisa per il lettore il senso profondo di ciò che Gesù ha detto. Ma la sua interpretazione solleva dci problemi. Indubbia­ mente essa intende illuminare il lettore spiegando che Gesù «par­ lava del santuario che è il suo corpo»; tuttavia, spontaneamente per il lettore, Gesù ha annunciato la distruzione e la ricostruzio­ ne del Tempio come tale. Come passare dalla parola di Gesù al­ l 'interpretazione giovannea? Solitamente si afferma che, nel v. 19, Gesù ha parlato unica­ mente del suo corpo. Ma in tal caso poteva essere compreso? In realtà i giudei hanno continuato a parlare del Tempio di pietra (2,20). Si è anche immaginato - ma quanto arbitrariamente! - che Gesù indicasse se stesso con un gesto. Abbandonata questa scap­ patoia, si accusano - ma a torto - i giudei di cattiva volontà: «In ogni lingua, si dice, l'immagine del corpo tempio dell'anima è per se stessa del tutto owia»32 ; però né l'Antico Testamento né Gv offrono qualche fondamento a questa ipotesi. Si è anche pensato che Gesù avrebbe usato il termine aramaico >, il senso sarebbe: «Egli non può veder­ mi», cioè non può sapere chi sono io. In questo caso la concatena­ zione tra la risposta di Gesù e ciò che aveva detto Nicodemo (v. 2) sarebbe diretta. Questa lettura però solleva delle difficoltà: l'identi­ ficazione del regno di Dio con la persona di Gesù è posteriore al II secolo nella tradizione cristiana; inoltre, e soprattutto, l'espres­ sione «entrare nel regno di Dio>> è difficilmente applicabile a Gesù stesso'7• È preferibile quindi attenersi all'interpretazione classica. ll legame, a conti fatti, potrebbe risultare più profondo. Nico­ demo ha parlato dei segni compiuti da Gesù: questi sono, per definizione, atti visibili28, e Nicodemo è venuto da Gesù precisa­ mente perché li ha constatati. Ora il vedere i segni dovrebbe con­ durre a discernere la realtà di gloria che essi simboleggiano e che li supera. Di qui forse l'uso insolito di «vedere» il regno di Dio. ' N icodemo gli dice: •Come può essere generato un uomo quan­ do è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel seno di sua madre ed essere generato ? » .

Gesù pensava «dall'alto>>. Nicodemo comprende «di nuovo», il che non è del tutto falso, ma vela la dimensione celeste della pa­ rola di Gesù. Dal suo punto di vista Nicodemo ha ragione di con­ cludere all'impossibilità per l'uomo di rinascere. Intende vera­ mente assimilare il mistero dell'origine nuova al ritorno nel seno matemd9? Ciò significherebbe prendere alla lettera la sua obie­ zione, mentre l'accenno all'uomo già suggerisce un'in­ tenzione ironica: egli preme sul senso materiale della parola di Gesù 2' L'espressione (>) invece di paradidomi ( «conse­ gnare>>), tradizionalmente usato (al passivo) a proposito della passionc65• Con questo verbo viene messo in rilievo propriamen­ te l'aspetto del «dono>>, un dono in cui si ricapitola (il verbo édoken è all'aoristo indicativo complessivo) tutta intera la missio­ ne del Figlio nel mondo. Di fatto nel versetto seguente, il verbo parallelo «inviare>> non allude direttamente alla passione, ma piuttosto a tutta l'opera del Figlio nel suo insieme. Secondo l'an­ golazione giovannea infine, e anche qui, Gesù è eminentemente il Rivelatore del Padre, è Colui la cui parola risveglia l'uomo alla comunicazione divina. Un'allusione più marcata al dono nella morte66 potrebbe esser­ vi qui in ragione del contesto immediato o della tradizione comu.. Rm 8,22. " Mt 17 ,22; 20,18; 26,2.24.45; Mc 9,3 1 ; 10,33; 14,21.41; Le 18,32; 22,22; 24,7. Gv lo usa alla forma attiva come termine tecnico in 18,30.35s; 19, 1 1 . 16; e a proposito di Giuda il traditore: 6,64.7 1 ; 12,4; 13,2 . 1 1 .2 1 ; 18,2.5; 2 1 ,20. 66 Nell'allusione che si legge in 10,15.17.18: «Gesù dona la sua vita per le pecore>>, Gv non usa il verbo dounai (cfr. Mc 10,45p), ma tithemi (cfr. 13 ,37s; 15,13).

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ne. In questa prospettiva si potrebbe anche scorgere un'allusione al sacrificio di Isacco, poiché il testo parla di Figlio unico"'. I vv. 16- 17 non si limitano a celebrare l'amore di Dio che ha donato il Figlio unico, essi mettono in grande rilievo la finalità di questo dono: nel v. 16 la vita eterna dei credenti, nel v. 17 la sal­ vezza del mondo intesa come salvezza definitiva. La frase del v. 17, descrivendo l'invio del Figlio con una proposizione negativa, mostra chiaramente che il pensiero dominante è il progetto di Dio a favore degli uomini che egli vuole far vivere della sua stessa vita. Ora, la finalità tutta positiva di Dio viene espressa sotto forma di opposizioni in cui accanto ad «avere la vita eterna» e «salvare», ricorrono - per essere negati - i termini contrari «perdersi» e «giudicare��. Queste negazioni servono a valorizzare, per contra­ sto, il carattere assoluto del versante positivo. Esse preparano inoltre l'alternativa che esprime, subito dopo, la conseguenza per gli uomini della presenza del Figlio in questo mondo: chi crede in lui «non è giudicato» (v. 8); chi rifiuta di credere «è già giudica­ to» (v. 18). n verbo «credere» riprende la condizione enunciata poco sopra ( qui non significa perciò «prati­ care>> onestamente la morale richiesta, ma rispondere all'attrattiva esercitata dalla parola di Dio indirizzata a Israele o (e) dalla crea­ zione. Lasciarsi condurre da questa prima attrattiva significa «veni­ re alla luce>> che è Gesù, quando questa si renda presente. Questa è la lettura che noi proponiamo per questi versetti. Ma i vv. 19-2 1 spiegano realmente il perché del rifiuto mortale che gli uomini oppongono alla luce, mentre il Prologo presentava solo una constatazione di fatto? Questi versetti trattano del rifiu­ to opposto alla luce che è Gesù Cristo e lo spiegano, di fatto, mediante un rifiuto anteriore, quello opposto già alla rivelazione donata al popolo eletto o alla rivelazione del Logos nella crea­ zione e nella storia. Diversamente da questo primo rifiuto, il se­ condo comporta il giudizio: esso appare dunque come definitivo, perché la rivelazione di Cristo è l'intervento supremo di Dio nei confronti degli uomini. Ma il nostro testo, come anche il Prologo, non risale a una causa fondante del rifiuto come tale. li testo affer"' Cfr. sopra, pp. 106s.

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ma che ogni uomo in questo mondo si imbatte nella rivelazione divina e che il secondo rifiuto è in continuità col primo, dando cosl un rilievo ancora maggiore alla decisione dell'uomo. Anche se interviene un influsso divino o tenebroso nel suo comporta­ mento, dipende da lui accettare, in realtà scegliere, questo in­ flusso: il testo parla infatti delle sue opere, della sua preferenza per la tenebra. Resta il fatto comunque che l'evangelista non risa­ le oltre, a una causa originaria di tale rifiuto; per lui, il peccato di non credere è un'evidenza che si prova da se stessa, è oggetto di esperienza. Lo sguardo dell'evangelista punta in avanti, verso la luce che si presenta agli uomini e che è in loro potere ricevere o rifiutare. Nel monologo di Gesù che abbiamo ora percorso, tutto è dun­ que orchestrato - attorno all'asse centrale che è il ruolo del Figlio ­ per dire ciò che muove Dio verso di noi (il suo amore assoluto) e d'altra parte l'importanza decisiva di ciò che muove l'uomo, oggi noi diremmo la sua responsabilità. Siamo molto lontani dal deter­ minismo che talvolta si sospetta nel quarto vangelo. La dignità dell'uomo è onorata come mostra anche il verbo >96• Quanto al­ l'allusione, che è indubbia, al battesimo cristiano, essa intende sottolineare il legame tra esso e la persona di Gesù di Nazaret. Aggiungiamo che il battesimo di Giovanni continuerà ancora per due secoli; ma gli storici sono molto incerti nel definire quale sia stata la sua funzione97• }. La confessione di fede

n testo continua col medesimo personaggio che parla. Alcuni vorrebbero spostare questi versetti, per il fatto che vi è espressa la fede della chiesa giovannea••; ma essi possono, anzi devono, rima­ nere sulle labbra di Giovanni, com'è nel testo attuale. Non si trat­ ta di supporre che il Battista si faccia eco di parole che avrebbe udito egli stesso da Gesù (cosa che va contro il testo), né di rin­ tracciare quali espressioni converrebbero storicamente sulla sua bocca, ma piuttosto di cogliere ciò che implica l'attribuzione a Giovanni nella presentazione di questo passo. Anzitutto si può mantenere qui senza difficoltà la figura di Giovanni, in ragione di tutto ciò che lo riguarda nel quarto van­ gelo: si pensi al «testimone della luce>>, a colui che secondo il Pro­ logo ha intuito la sovra-esistenza del Cristo ( 1 ,6.15); quando ren­ de la sua prima testimonianza al Messia, sulla riva del Giordano, il testo mette in bocca a lui quella che nei sinottici è la dichiara­ zione di Dio sulla filiazione divina di Gesù (l ,34 ) ; perché non potrebbe pronunciare anche le parole della comunità credente? Aggiungiamo, in relazione ai vv. 3 , 19-2 1 , che Giovanni è per ':16 Vari autori lo hanno percepito. Essere battezzati da Gesù significava «entrare nella sfera d'influenza di Gesù» (Lagrange, pp. 9ls), «di un battesimo invisibile e spirituale che dà al battesimo d'acqua la sua vera significazione>> (E. C. Hoskyns, p. 227), di un «battesi­ mo nel nome di Gesù» (H. Stradunann, p. 78). Abbiamo precisato questa interpretazione in Mél. Tùserant, (I) Roma 1964, pp. 295-309. " ]. Thomas, Le Mouvemenl baptùte en Palestine et en Syrie, Gembloux 1978. " Cfr. R Schnackenburg, I, pp. 517-521 e 543-545.

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eccellenza colui che ha «fano la verità». Ma la sua implicazione nei nostri versetti potrebbe essere anche più profonda, come apparirà dopo la loro lettura che può essere fatta da tre punti di vista differenti. 31 Colui che viene dal l'alto è al di sopra di tutti. Col u i che è da lla terra è terrestre e parla a l la maniera terrestre. Colu i che viene dal cielo 12 testimonia ciò che ha veduto e udito. Ma nessuno accogl ie la sua testimonianza. " Colui che accoglie l a sua testimonianza certifi­ ca che Dio è veritiero. 34 l nfatti col u i che Dio ha mandato dice le pa­ role di Dio poiché egl i non dona lo Spi rito con misura. 15 1 1 Padre ama il Figlio e ha tutto rimesso nel la sua mano. " Colui che crede nel Figlio ha la vita eterna, colui che rifiuta di credere a l Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio rimane su di l u i .

Una prima lettura trova la chiave di questo passo nell'ultimo versetto, quello che avevamo già scelto, del resto, per individua­ re la prospettiva che domina l'intero capitolo 3 : per vivere biso­ gna credere al Figlio. I vv. 3 1 -3 5 preparerebbero questo versetto finale, indicandone il fondamento: questo Figlio, in effetti, Dio lo ama e ha rimesso tutto nella sua mano; in realtà, egli è l'invia­ to di Dio: venendo dall'alto, dice le parole stesse di Dio, di cui è il testimone diretto . . . Le opposizioni letterarie, tipicamente semi­ tiche (il terrestre opposto al celeste, il credente al non-credente) servono a far risaltare le affermazioni su ciò che viene detto di Gesù. Ci si accorge ben presto, tuttavia, che se questo passo ha il suo sbocco nell'alternativa di credere o no, questa non ne costituisce il tema dominante, oppure lo è se collegato a un altro tema, sul quale il vocabolario richiama l'attenzione. Accanto alle espressio­ ni relative alla fede (accogliere o no, credere o no), domina un altro campo semantico, quello dei termini connessi con l'atto di parlare: il terrestre «parla» alla maniera terrestre (v. 3 1 ) ; colui che viene dal cielo «testimonia» (v. 32); due altre volte si tratta della sua «testimonianza» (vv. 32.33 ) ; il credente «certifica» che Dio è «veritiero>> (v. 3 3 ) ; infine l'Inviato «dice le parole di Dio>> (v. 34). Se si tiene presente il fatto che i nostri versetti fanno eco a 3 ,3 - 1 8"", si rimane colpiti ancor maggiormente da questa tematica: Gesù è ., Cfr. sopra, p. 254s.

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presentato soprattutto come rivelatore. Nessuna allusione viene qui faua all'elevazione del Figlio dell'uomo (3 , 1 7 ) ; quanto alla rinascita mediante lo Spirito (3,3 .5), vi può essere un'allusione soltanto se si legge il v. 34b con Gesù come soggetto («Gesù non dona lo Spirito con misuriD>). In 3,3 1 -36 le affermazioni riguardan­ ti Gesù si concentrano sul suo ruolo di rivelatore: la sua venuta dal cielo (che lo colloca al di sopra di tutti, v. 3 1 ), la sorgente della sua testimonianza (ciò che egli ha veduto e udito in cielo, v. 32), il fat­ to che Dio abbia tuuo rimesso nella sua mano (v. 35). L'insistenza sulla «testimonianza» (vv. 32-33 ) sottolinea che Gesù non parla di ciò che è s uo100 • In base a questa lettura, la frase «Egli dice le paro­ le di Dio», che ricorre al centro del testo, diventa il vertice del brano. È il momento ora di tornare sulla domanda sollevata in prece­ denza: Ma pe-rché questa confessione di fede è stata posta souo l'autorità del Precursore? Indicando apertamente il Messia, il Precursore si identificava, nel capitolo l , con la Scrittura d'Israele101• Ora, se egli era investi­ to di questa funzione e di questa autorità, non era conveniente che non solo attualizzasse l'incessante appello dei profeti ad ascol­ tare la parola di Dio, ma che anche la riconoscesse e la indicasse attualmente presente in Gesù, il Figlio di Dio? Una terza lettura è ancora possibile di questi versetti, quella che valorizza maggiormente il loro rapporto con i dati della prima parte del capitolo 3. Ma prima di esporla conviene seguire da vici­ no il testo. " Colui che viene dall'a lto è al di sopra di tutti. Col u i che è dalla terra è terrestre e parla alla man iera terrestre. Colui che viene dal c i el o 12 testimon i a ciò che ha veduto e udito.

Questa prima strofa, in cui le qualificazioni «dall'alto» e «dal cielo» inquadrano la qualificazione «terrestre», costituisce una unità. La forma dell'espressione ricalca una frase di Gesù in 3 ,6: «Ciò che è nato dalla carne è carne, ciò che è nato dallo Spirito è spirito»: l'opposizione è radicale senza attenuanti di sorta. Po­ nendo Gesù nella sfera celeste, il Battista riprende e oltrepassa "" A differenza del Mentitore (8,44). '" Cfr. sopra, p. 154.

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ciò che aveva affermato di Colui che doveva venire: «Egli è prima di me». Si sarebbe perciò inclini a pensare che il «terrestre» designi il Battista, colui che dà un battesimo semplicemente di acqua. Ma Giovanni, voce della profezia, ha detto la parola di Dio quando ha testimoniato di Gesù che è «Figlio di Dio». L'opposizione «ter­ restre-celeste» corrisponde meglio, piuttosto, all'opposizione «nato dalla carne - nato dallo Spirito» che si leggeva in 3 ,6. Per sé, nessun uomo è in grado di parlare validamente delle cose cele­ sti; ma il credente lo può perché egli è rinato dall'alto102• Gesù inoltre è un testimone, come ha detto egli stesso in 3 , 1 1 : «Noi testimoniamo ciò che abbiamo veduto», o più esattamente (dato che il verbo è al perfetto), ciò che noi . Una cosa è praticare la giustizia - e questo è già gradito a Dio un'altra è «venire alla luce>> e conoscere «la vita eterna che dimo­ ra in noi>>. Coloro che rifiutano Colui che rivela e comunica que­ sto dono, necessariamente non partecipano alla medesima espe­ rienza del credente. L'amore tra l'uomo e la donna potrebbe offrire un'analogia per comprendere meglio tutto ciò. Soltanto coloro che vivono l'amore in una vera reciprocità conoscono che cosa esso sia in tutta la sua profondità.

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4. LA NUOVA NASCITA (2,23 · 3,36)

Parlando delle «opere», il testo dice che l'atteggiamento posi­ tivo dell'uomo riguardo alla rivelazione divina - già presente attraverso l'intera creazione ed eminentemente attraverso la paro­ la di Dio a Israele - lo orienta ad accogliere il Cristo. In linea di principio, secondo l'aspirazione di Gesù, la comunità dei suoi di­ scepoli, vivendo nell'unità e nell'amore fraterno, dovrebbe oggi aggiungersi alle due realtà precedenti. Non dovrebbe la comuni­ tà cristiana manifestare, attraverso la sua esistenza stessa, qual è il dono dall'alto e con ciò condurre a Colui che ne è l'origine? L'importanza attribuita da Gv all'atteggiamento interiore di fronte a ciò che può orientare verso la luce che è Gesù non signi­ fica presupporre l'apertura a qualcosa di diverso da se stessi? Il peccato della creatura consisterebbe allora nell'insabbiarsi in ciò che essa ha lentamente acquisito, nel limitarsi a ciò che è alla sua portata, mentre Dio, l'eternamente nuovo, fa dilatare l'orizzonte della nostra speranza.

5 DALLA GIUDEA ALLA GALILEA (4,1 -42)

A una prima lettura il capitolo 4 presenta una sequenza di tipo biografico, che narra episodi diversi nel corso di un trasferimento. Gesù è costretto ad abbandonare la Giudea per la Galilea, da dove era venuto. Attraversa la Samaria dove accoglie la fede dei samarita­ ni; quindi, dopo due giorni, si reca a Cana da dove egli guarisce il figlio di un funzionario di Cafamao. Preso in se stesso, ciascuno di questi episodi forma un tutto a sé, ricco di significato. La loro con­ nessione è d'altra parte artificiale, per cui sono numerosi i critici che si interessano esclusivamente alle diverse tradizioni da cui proven­ gono i racconti1• Fedeli al nostro metodo, noi cerchiamo piuttosto di cogliere la trama che fa di essi una unità letteraria. Esaminiamo intanto le brevi note che inquadrano l'episodio dei samaritani: ' Quando i l S i gnore seppe che i farisei aveva no sentito d i re che Gesù faceva p i ù discepoli e battezzava p i ù di G i ovan n i - 2 p e r quanto n o n fosse Gesù stesso che battezzava, m a i suoi discepoli - 3 lasciò la G i udea e ritornò in Gali lea. 4 E doveva passare attraverso la Samaria . . . 4 3 Dopo questi d u e giorni [in Samaria], ripartì di l à per l a G a l i lea. - Gesù stesso infatti aveva d i chiarato che u n profeta non è onorato nella sua patria. 44 Quando dunque arrivò i n Ga l i lea, i gal i lei l o accolsero bene, avendo visto tutte le cose che aveva fatto a Gerusalemme durante la festa - poiché an­ ch'essi erano andati alla festa. 46 Egl i tornò dunque a Cana in G a l i lea, dove aveva fatto sì che l'acqua diventasse vino_

pp.

1 Per esempio, M.E. Boismard, RB 69 (1962) 185·2 1 1 . 1 15-147.

In senso

contrario, B. Olsson,

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5. DALLA GIUDEA ALLA GALTI..EA (4,1-42)

Il narratore insiste in questi versetti sul fatto del trasferimento dalla Giudea in Galilea; vi ritorna ancora a proposito dell'ufficia­ le regio, il quale aveva inteso dire che «Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea» (v. 47); lo ripete infine, ancora una volta, nella conclusione del brano: il secondo segno fu compiuto da Gesù «quando venne dalla Giudea in Galilea» (v. 54). Questo trasferimento viene inoltre motivato fin dal v. 1: i farisei si sono mostrati inquieti per il battesimo amministrato da Gesù, come si erano mostrati preoccupati per il battesimo di Giovanni ( 1 ,24). Questo motivo assume tuttavia tutto il suo peso nella paro­ la di Gesù: «Un profeta non è onorato nella sua patria (be idia patris)» (4,44). Nella tradizione sinottica, questo proverbio com­ menta lo scacco subìto da Gesù a Nazaret. La trasformazione gio­ vannea lascia alquanto sorpresi: in effetti la «patria propria» di Gesù qui sembra che sia la Giudea2• Il contesto orienta in questa direzione. Sotto la pressione dei farisei, Gesù ha lasciato la Giudea inospitale: nonostante l'adesione di coloro che hanno assistito ai suoi miracoli, i giudei, a cominciare da Nicodemo, non hanno ade­ rito a lui (2,23-25). D'altra parte, non ha Gesù definito il Tempio «la casa del Padre suo» (2, 16)? La patria reale di Gesù non è quin­ di, per Gv, la località della sua origine terrestre', ma il luogo dove si compie eminentemente la sua missione personale. Gesù dunque lascia, provvisoriamente, la Giudea dove si sente minacciato. Se va in Galilea, lo fa perché, essendo «galileo» egli stesso e avendo dei galilei come discepoli ( 1 ,44), si ripromette di ritrovare là - nella Galilea delle nazioni4 - quell'adesione che va cercando. In effetti Gv dirà che i galilei «io accolsero» (v. 45); l'uf­ ficiale regio poi, «credette lui e la sua famiglia al completo» (v. 53). Recandosi in Galilea Gesù «deve» passare per la Samaria (v. 4). Numerosi critici ritengono che questa precisazione sia soltanto di ordine topografico: secondo lo storico Giuseppe', quella era la via ' Con]. Willemse, NTS I l l 1 964-65) 349-364 (cfr. 2Mac 13,14). La sua ipotesi è stata criticata da R. Schnackenburg, R. E. Brown, ma rilanciata da B. Olsson. ' La patria terrestre di Gesù viene nominata in 1 ,46 (cfr. 6,42) da terze persone che iRnorano la vera identità di Gesù. • La zona settentrionale della Palestina, antico territorio delle tribù di Neftali e Zabulon, ebbe a subire per prima influssi stranieri. Le invasioni assire e caldee vi provocarono una mescolanza di popolazioni e la presenza di molti pagani. Così si è cominciato a parlare di oGalilea delle nazioni>> (ls 8,23; Mt 4,15s). Dal primo secolo a.C., però, l'demento giudai­ co vi era di nuovo predominante. ' Giuseppe F, Ani. giud., XX, 1 18; Guen-a giud., Il, 232; Vita 269.

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più corta per i pellegrini a quel tempo_ Questa spiegazione però non tiene conto del contesto: Gesù non parte da Gerusalemme, ma da Ennon presso il Giordano: geograficamente sarebbe stato più facile risalire la valle del Giordano, come si faceva sovente. Il verbo «doveva» (édez) suppone un movente teologico, come in altri passi di Gv". Se Gesù attraversa la Samaria significa che lo esige la sua missione, secondo il disegno di Dio. Perché? La regione di Samaria - così chiamata dal nome della sua capi­ tale, fondata dal re Omri (886-875)7 corrisponde all'antico regno israelita del Nord. Nel 722 gli Assiri l'avevano conquistata, ne avevano deportato una parte degli abitanti e vi avevano stabi­ lito coloni. Quando il sommo sacerdote Giovanni !reano (1341 04 ) , riuscì a riconquistare la regione, la popolazione locale era composta da due ceppi, quello giudaico e quello pagano. I discen­ denti degli Israeliti avevano conservato la loro fede ancestrale, ma riconoscevano soltanto la tradizione del Pentateuco e considera­ vano il loro monte Garizim, dove era stata pronunciata la benedi­ zione di Jhwh su Israele8, come il luogo autentico del culto; inol­ tre alle loro credenze si mescolavano elementi provenienti da religioni straniere. Per questi motivi i giudei li giudicavano come scismatici, se non eretici. Secondo Mt 1 0,.5 Gesù raccomanda ai suoi discepoli di non recarsi nella Samaria; secondo Le 9,5 1 -56 i discepoli che attraver­ sano questo territorio vi ricevono un'accoglienza più che fredda. Gesù tuttavia ha segnalato un samaritano, l'unico dei dieci !ebbro­ si guariti che si era mostrato riconoscente, e in una parabola ha portato come esempio il «buon samaritano» contrapponendolo ai !eviti del Tempio•. Storicamente il passaggio di Gesù di Nazaret attraverso la Samaria fa difficoltà: solo dopo la risurrezione i di­ scepoli oseranno evangelizzare i samaritani10. Per queste diverse ragioni si tende a vedere nell'episodio giovanneo un'anticipazio­ ne fittizia della missione compiuta dalla Chiesa dopo la Pasqua11• -

Cfr. 3, 14.30; 9.4; 10,16; 12,34; 20,9. Cfr. I Re 16,24. Dt 1 1 ,29; 27 ,12. ' Le 17,11-19; 1 0,30-37. " Cfr. At 8,1-25. "O. Cullmann è il promotore dell'ipotesi del legame tra Gv e gli Ellenisti, dal 1953 e poi specialmente in NTS 5 ( 1958-59) 157-173; cfr. anche Le mi/ieu johannique, Neuchiitd 1976, pp. 73-82 (trad. it. Marietti, Torino 1982). 6

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La cosa non è del tutto chiara. Ma è poi indispensabile questa chiarezza? L'interesse risiede altrove, nella prospettiva teologica del racconto. Collegato col progetto di recarsi in Galilea, il passaggio dalla Giudea in Samaria fa pensare alla profezia di Isaia, secondo la quale i due regni separati (Israele e Giuda) saranno un giorno ri­ conciliati. Quando Acaz re di Giudea (734-7 1 9) s'era impaurito per la coalizione siro-efraimita'>, Isaia annuncia che il re giusto, sul quale si poserà lo Spirito di Dio, «raccoglierà gli esiliati d'Israe­ le e radunerà i dispersi di Giuda". Accostando questo testo alla profezia di Caifa in Il 5 1 s, è lecito pensare che, dietro la Samaria, Gv abbia di mira l'antico Israele. In questo orizzonte ci si deve avvicinare al capitolo 4 di Giovanni. Prima di iniziame la lettura, segnaliamo un particolare letterario che spesso crea imbarazzo a lettori e commentatori. Secondo il v. l, let­ teralmente è «il Signore» che viene a conoscere in un dato momen­ to («quando») ciò che i farisei avevano inteso dire «Su Gesù»: come se il Signore e Gesù fossero due diverse persone! In realtà l'evange­ lista, che inizia il suo racconto parlando di Gesù e non della reazio­ ne dei farisei, intende far partecipare i suoi lettori alla conoscenza propria del Cristo risorto. Non si tratta di una conoscenza che Gesù di Nazaret avrebbe raggiunto mediante la riflessione, ma della scien­ za divina del «Signore» che noi confessiamo come vivente". In ogni caso l'intenzione dell'ultimo redattore qui è indubbiamente quella di collocare l'episodio che segue nella luce pasquale. Sembra dunque che, attraversando la Samaria per recarsi in Galilea, Gesù voglia riconciliare simbolicamente i due popoli, i fratelli divisi fin dall'origine della monarchia; e questa riconcilia­ zione awiene in seguito a una «persecuzione» di Gesù da parte dei farisei. Questa interpretazione trova conferma in una parola significa­ tiva che Gesù dà come risposta ai suoi discepoli che gli offrono qualcosa da mangiare: ,

Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato e di portare a com­ pimento la sua opera (4,34). "Is 7,8s. 'Is 1 1 ,12; cfr. Os 2,2; Gr 3,18; 3 1 ,5s; Ez 37,16-24. 1.� Il testo che abbiamo preferico (nonostante Nesde e GNTI è quello che rrasmenono i migliori manoscritti, se non i più numerosi; insieme con Lagrange, Schnackenburg, Hacnchen.

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La lettura che ora intraprendiamo non può quindi acconten­ tarsi di esporre l'episodio nella sua materialità; non si dovrà certo propendere verso una lettura allegorica'5 ma è necessario far risal­ tare la profondità di significato contenuta sotto un racconto al­ l'apparenza biografico. Come per il racconto di Cana, quello che ci sta dinanzi può essere qualificato come . " l disce­ pol i infatt i se n'erano andati in città a comperare da mangiare. 9 Gi i dice dunque la donna samaritana: «Come mai tu che sei giudeo chiedi da bere a me che sono una donna samaritana? » . l giudei infatti non si servono di oggetti i n comune con i sama­ r itani. 10 Gesù rispose e le disse: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu stessa l'avresti pre­ gato ed egli ti avrebbe dato acqua viva». 11 Gli dice la donna: «Signore, non hai neppure un secchia e il pozzo è profondo. Da dove hai dunque quest'acqua viva? '2 Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe che ci diede questo pozzo e ne bevve lui, i suoi figl i e i l suo bestiame?». 13 Gesù rispose e le disse: «Chiunque beve di quest'acqua avrà nuovamente sete, 14 ma chi berrà dell'acqua che io gli darò non avrà mai più sete; l'acqua che gli darò diverrà in lui sorgente d'acqua che zampilla in vita

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Una lettura allegorica scopre un senso proprio a ciascun elemento del testo. Cfr. B. Olsson e sopra, p. 200.

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eterna». 1 5 La donna gli dice: «Signore, dammi quest'acqua, affin­ ché non abbia più sete e non debba più venire qui ad attingere». 16 Le dice: «Va', chiama tuo marito e ritorna q u i » . 1 7 La don­ na gli rispose e gli disse: « Non ho marito » . Le d ice Gesù: > . "Gesù le dice: «Credi m i, donna: viene l 'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete i l Padre. "Voi adorate ciò che non conoscete; noi adoriamo ciò che co­ nosciamo, perché la salvezza proviene dai giudei. 23 Sì, viene l'ora, ed è adesso, in cui i veri adoratori adoreran no i l Padre i n spirito e verità, perché i l Padre cerca d i questi adoratori. 24 Dio è spirito e coloro che [lo] adorano devono adorarlo i n spirito e verità>> . 25 La donna gli dice: «So che deve venire il Messia, colui che si ch iama Cristo, quando egli verrà ci svelerà tutto» . '"Gesù l e dice: «Sono io, col u i che t i parla>> . 2 7 A questo punto arrivarono i suoi discepoli e ri masero me­ ravigliati che parlasse con una donna. Nessuno però gli disse: «Che cosa cerchi ? >>, oppure: « D i che cosa le parl i ? >> . 28 La don­ na intanto lasciò lì la sua brocca e andò in città e diceva alla gente: 29 «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto ciò che ho fatto. Non sarà forse i l Cristo?». 30 Uscirono dunque dal­ la città e andarono verso di lui. Nel frattempo i discepoli lo pregavano dicendo: « Rabbì, mangia! >> . 32 Ma egl i disse loro: >. 331 discepo l i si dicevano dunque fra loro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?>> . 34 Gesù dice loro: «Mio cibo è fare la volontà di Colui che m i ha mandato e di portare a compimento la sua opera. 35 Non dite voi: "An­ cora quattro mesi e viene la m i etitura?". Ecco che io vi dico: Alzate i vostri occh i e osservate i campi: sono bianchi per la mietitura. Già 36 il mietitore riceve la sua ricompensa e rac­ cogl ie frutto nella vita eterna, così che seminatore e mietitore si ral legrano i nsieme. 37 l n questo caso i nfatti è vero il prover-

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bio: "Altro è il sem inatore e altro è i l mietitore". 38 lo vi ho mandato a m ietere là dove voi non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica » . 39 Molti samaritani di quella città credettero i n l u i a motivo del l a parola del la donna che testi moniava: « M i ha detto tutto ciò che ho fattO>>. 40 Quando i samaritani arrivarono da l u i, lo pregavano di ri manere presso di loro; e vi rimase due giorn i . • • E furono molti d i più coloro c h e credettero a motivo del la parola di lui. 42 Alla donna poi d icevano: «Non è più per quel­ lo che hai detto tu che noi crediamo; noi stessi i nfatti abbiamo udito e sappiamo che è veramente lui il Salvatore del mondo» . Gesù s i accinge a compiere l' «opera» del Padre presso i sama­ ritani, gli eredi dell'antico regno d'Israele che in passato si era separato da quello di Giuda. I samaritani, pur divenuti «eretici», continuavano tuttavia a venerare il loro antenato Giacobbe e a offrire un culto al Dio unico sul monte Garizim. Secondo il piano di Dio, Gesù «deve» passare per la Samaria; vi incontrerà anzitut­ to la donna samaritana e poi la gente del luogo che riconoscerà in lui il Salvatore del mondo. Tra i due incontri Gesù rivelerà ai discepoli, prima assenti e poi presenti, la sorgente e la finalità del suo agire e poi quale missione affiderà loro. Gesù all'inizio è presentato solo, presso il pozzo di Giacobbe, ma il seguito del racconto lo mostra in rapporto permanente col Padre, da cui tutta la sua attività dipende sia per il suo inizio che per il suo compimento. Ancora una volta, in questo racconto gio­ vanneo, l'attore protagonista è Dio, che si volge verso gli uomini affinché abbiano la vita. Mediante Gesù l'opera del Padre (cfr. 3,16s) avrà successo, come indicano dapprima l'annuncio dell'ac­ qua «che zampilla in vita eterna»; poi l'annuncio dell'ora, imminen­ te, in cui il Padre sarà adorato in spirito e verità; infine l'annuncio della messe, ormai pronta, da riporre nel granaio con gioia, lungo tutto un avvenire che Gesù inaugura ora presso i samaritani.

a.

Al pozzo di Giacobbe

5 Egl i giunge dunque a una città della Samaria, chiamata Sicar, vicino al podere che Giacobbe aveva donato a suo figli o Giuseppe.

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Là si trovava la sorgente di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato co­ m'era dal viaggio, si era seduto accanto alla sorgente. Era circa l'ora sesta. 7 Una donna di Samaria viene ad attingere acqua. Il narratore non si interessa alla città di Sicar17, ma al pozzo di Giacobbe, situato presso il podere dove il patriarca fu sepolto18• La donna dirà che questo pozzo (v. 12) era stato donato da Gia­ cobbe ai samaritani; l'Antico Testamento ricorda espressamente solo il dono della città di Sichem fatto dal patriarca morente a suo figlio Giuseppe19• Se l'evangelista usa qui il termine «sorgente)) (pegf)2°, lo fa probabilmente per preparare l'annuncio della sor­ gente che disseta per sempre; il termine tuttavia potrebbe anche evocare un miracolo attribuito a Giacobbe: secondo una leggen­ da rabbinica, il patriarca avrebbe fatto salire, fino a traboccare oltre la vera del pozzo, un'acqua sovrabbondante. Sullo sfondo del racconto giovanneo vi sono probabilmente diverse tradizioni su Giacobbe, conosciute dai lettori contemporanei di Gv21• Ambientando il dialogo vicino a un pozzo, l'evangelista si d­ collega a un tema della letteratura biblica patriarcale. In una regio­ ne in cui l'acqua è scarsa, i punti in cui essa sgorga diventano luo­ ghi privilegiati di incontro, di conflitti e riconciliazioni22, e quindi di antichi ricordi. Presso un pozzo, per esempio, Mosè aveva incon­ trato le figlie di Raguele, e s'erano preparate le nozze di !sacco e di Giacobbe. Il racconto giovanneo del resto mostra un preciso con­ tatto con il racconto-prototipo degli incontri presso il pozzo (Gn 24): appena lo straniero ha finito di parlare, Rebecca rientra a casa di corsa e dice ai suoi: «Ecco come quest'uomo mi ha parlato)); la Samaritana si comporta allo stesso modo23• " Sicar è probabilmente l'attuale Askar, ai piedi deli'Ebal; aveva preso il posto di Sichem, distrutta nel 128 e nd 107 a.C., e ricostruita poi, dopo il 72 d.C., sotto il nome di Aavia Neapolis (oggi Nablus). "Secondo At 7,15s, che si riferisce forse a Gn 33,19 (Giacobbe acquista un appezza­ mento di terreno a Sichem), ma contro Gn 49,30; 50,13 (sepoltura di Giacobbe a Ebron) e contro Gs 24,32 (è Giuseppe che fu sepolto a Sichem). "Cfr. 4 , 12 che combina Gn 33, 19;48,2 1s; Gs 24,32; cfr. Giuseppe F.,Ant. gtud. , XI, 341. 10 Il termine phréar () in Gn 24,11 .20 si alterna facilmente con pegl («sorgen1.,.) in Gn 24,13.16.29.30.42.43.45, come qui in 4 , 1 1 s e 4,6.14. 21 Documentazione ben controllata in G. Bienaimé, MoiSe et le Don de l'eau ddm ftJ tra­ dttion;uive ancienne: targum et midrash, Roma 1984. Cfr. J.H. Neyrey, CBQ 4 1 (1979) 422 eJ.R Diaz, NT6 (1963) 76s. "Cfr. Gn 21,25; 26,15-22; Cfr. Origene, Hom. XIII in Genesim. "Es 2,15-20; Gn 24,10-28; 29,12. E poi Gn 24,28-JO; Gv 4,28s.

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Tuttavia ciò che è messo in rilievo nell'ambientazione del rac­ conto è il pozzo come tale e la sua acqua che assicura l'esistenza. Ciò invita a riandare a una leggenda giudaica2', analoga alla tradi­ zione rabbinica, che Paolo ha interpretato in funzione di Cristo: I nostri padri sono stati tutti sotto la nube, tutti hanno attraversato il mare, tutti sono stati battezzati in Mosè, nella nube e nel mare, tutti hanno mangiato lo stesso cibo spirituale, tutti hanno bevuto la stessa bevanda spi­ rituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava: quel­ la roccia era Cristo(!Cor 10,1-4).

La leggenda raccontava che un pozzo, simile a questa roccia spirituale, era stato «donato» agli Ebrei per tutto il tempo del loro cammino; l'acqua addirittura saliva per dissetarli. All'origine di questa tradizione vi è un poema biblico: 16Di là andarono a Beer, il pozzo: è quel pozzo di cui il Signore aveva detto a Mosè: «Raduna il popolo e darò loro dell'acqua(+ da bere: LXX).. . "Allora Israele aveva intonato questo canto: «Sali o pozzo! Acclamatelo! Pozzo che principi hanno scavato, che i nobili hanno perforato con lo scet· tro, con i loro bastoni... E dal deserto andarono a Mattana(Nm 21,16-18).

La frase conclusiva può essere letta diversamente, con i Settanta, che al posto di «desertm> hanno letto «pozzo» e invece di «Martana» hanno tradotto «dono» (cfr. Nm 1 8,6). Anche i Tar­ gum del resto hanno compreso il testo in questo modo: Ecco che Israele cantò questa canzone di lode, allorché ricomparve il pozzo che era stato loro donato per merito di Myriam, dopo che era scom­ parso: «Sgorga, o pozzo, sgorga, o pozzo.,, cantavano verso di esso. Ed esso sgorgava. li pozzo che hanno scavato i patriarchi, Abramo, !sacco, Giacobbe e Aronne, le guide di Israele l'hanno perforato, l'hanno misurato con le loro verghe. E dal tempo del deserto è stato dato loro in dono. E dopo che fu dato loro come dono, anch'esso si mise a salire con loro le alte montagne, a scen­ dere con loro le vallate. I'acendo il giro dell'intero accampamento d'Israele li abbeverava tutti, ciascuno all'ingresso della propria tenda (dalla verstone francese di Le Déaut in SC 261 [1979], pp. 199.201).

Secondo l'interpretazione targumica, il donatore del pozzo nel deserto era Dio stesso e l'acqua del pozzo era una sorgente che saliva. Questi due aspetti, dono e sorgente, illustrano bene la te­ matica del racconto giovanneo: Gesù dirà alla Samaritana: «Se tu conoscessi il dono di Dio» (4,10) e le parlerà di una «sorgente che zampilla » (4,14). "Sulla formazione d i questa leggenda vedi G . Bienairné, pp. 244, 2 7 8 come anche Jaubert, AppToches de I'Év. de ]ean, 1976, pp. 140-142 e B. Olsson, pp. 162-173.

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Rappresentando Gesù seduto all'orlo del pozzo il narratore suggerisce una continuità fra la sua presenza e la passata esperien­ za d'Israele: proprio presso il pozzo patriarcale la donna scoprirà la Sorgente che spegne del tutto la sete, e lì ancora Gesù afferma che la salvezza proviene dai giudei (4,22). Certi dettagli del v. 5 si ritrovano in un testo di Giuseppe Flavio che descrive la fuga di Mosè dopo l'uccisione dell'egiziano (Es 2, 15-22): Giunto presso l a città d i Madianis, [Mosè]. . . si era seduto vicino a un pozzo a causa della stanchezza e della calura del giorno: era l'ora di mezzo­ giorno, non lontano dalla città (Ant. Giud., II, 254ss).

I punti di contatto sono sorprendenti: vicinanza della città, pozzo, calura, stanchezza, mezzogiorno. Aggiungiamo ancora qualche altra notazione: Mosè non aveva nulla da mangiare; i discepoli di Gesù vanno a cercare del cibo. La medesima parola > (4,26). Il dialogo si struttura come segue:

- dal v. 7 al v. 15, due domande di Gesù (vv. 7 e 10) provoca­ no nella donna stupore (vv. 9 e 11-12); da qui una prima rivelazio­ ne sull'acqua viva (vv. 13-14 ) che porta alla domanda dell'acqua annunciata (v. 15); - dal v. 16 al v. 25, due domande di Gesù (vv. 16 e 17-18) con­ ducono, malgrado un tentativo di sottrarvisi (v. 17 a) al riconosci­ mento del profeta (w. 1 9-2 0 ) ; di qui una seconda rivelazione sull'adorazione del Padre (w. 2 1 -24) induce a una domanda implicita (v. 25). Avviene allora la maestosa proclamazione del Messia (v. 26). Qualunque dialogo esige un certo grado di opposizione se­ mantica o stilistica; ciò avviene qui, sia a livello degli interlocuto­ ri che a livello degli argomenti in questione: l'acqua e il culto.

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Rivelazione dell'acqua viva (4,7 - 1 5 )

'Una donna di Samaria viene ad attingere acqua. Gesù le dice: «Dammi da bere ! » . ( ... ) 9 Gi i dice dunque la donna samaritana: •Co­ me mai tu che sei giudeo chiedi da bere a me che sono una donna samaritana ? » . l giudei infatti non si servono di oggetti in comune con i samaritani.

Chiedendo da bere, Gesù manifesta che ha sete, come un qua­ lunque uomo la cui prima preoccupazione è quella di assicurarsi la vita2", soprattutto quando è sfinito lungo la strada. n lettore potreb­ be essere incuriosito per il modo in cui Gesù esprime la sua doman­ da. Egli non dice, secondo una formula classica: «Dammi un po' d'acqua»29, ma utilizza un'espressione più generale che nella Bibbia si trova soltanto in occasione della mormorazione degli Ebrei nel deserto: secondo la tradizione giudaica, citata sopra, questa richie­ sta aveva ottenuto il dono del pozzo-sorgentel0• Con questo contat­ to letterario, il narratore invita a vedere in Gesù non semplicemen­ te colui che assume l'umanità nelle sue esigenze vitali, ma Israele che nel deserto ha chiesto da bere. Gesù, nuovo Israele, sperimenta la sete del popolo, una sete che non è soltanto materiale, ma assume un valore metaforico, come quella di cui hanno parlato i profeti: Ecco venire dei giorni, oracolo del Signore Jhwh, in cui manderò la fame nel paese, non una fame di pane, non una sete di acqua, ma di ascoltare la parola di Jhwh (Arn 8, Il).

Anche la tradizione sapienziale ha espresso a sua volta il desiderio essenziale del popolo: Come Wla cerva anela verso rivi di acqua così l'anima mia anela verso di te, o Dio. L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente (Sai 42,2-3)H

n Libro della Consolazione d'Israele assicura tuttavia che negli ultimi giorni non avranno più sete... Metterò acqua nel deserto... per far bere il mio popolo... cambierò la terra arida in sorgenti d'acqua ... [in realtà, un tempo] "' Come dice Gesù: Mt 6,31-32p; 24,38p. " Così, secondo i LXX: Gn 24,17.43; Gdc 4,19. " La coppia doùnai e pinein si trova soltanto in Es 17,2 e Nm 21,16. Senza pinein, cfr. Nm 20,8; Ne 9,20; Sa p 1 1 ,4.7; ls 43,20. "Cfr. Sal 63,2; 143 ,6.

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essi non hanno patito la sete nel deserto per dove li ha condotti; per essi ha fatto scaturire acqua dalla roccia, ha spaccato la roccia e sgorgarono le acque (ls 49,10; 43 ,20; 4 1 , 18).

Di che cosa Gesù ha sete? ll lettore non è ancora in grado di rispondere a questa domanda. Lo sarà forse quando sentirà Gesù in croce gridare: «Ho sete! » ( 19,28), o ancora prima? Forse l'evan­ gelista vuole qui suscitare nel lettore il desiderio dell'intervento di Dio che saprà spegnere pienamente ogni sete? Per il momento: attendere e desiderare! A Gesù che le parla come se fosse su un piano di parità con lei, la donna risponde manifestando la sua sorpresa: Ma come! questo giudeo osa trasgredire l'interdetto sociale e rituale che lo separa dai samaritani, e a fortiori da una donna samaritana? La sua esclamazione rivela di colpo lo stato di rottura esistente fra le due etnie; il narratore vi insiste con una sua notazione che si può tradurre come abbiamo fatto noi, oppure in termini più generali: «l giudei non hanno rapporti con i samaritani»J2• In ogni caso, questa parentesi giovannea sottolinea la separazione delle due comunità. L'anomalia della conversazione in pubblico con una donna sarà rilevata più avanti, in funzione di una diver­ sa situazione narrativa (4,27): là infatti i discepoli, familiari di Gesù, non sembrano sconcertati per il fatto che si tratti di una samaritana. La donna, con la sua replica immediata, mostra che non rifiu­ ta il dialogo e che, al di là del favore domandato, pone l'incontro sul piano del rapporto da persona a persona: «Tu a me ... ?». Indirettamente essa solleva una domanda su colui che le sta di fronte. Gesù, pur riconoscendo implicitamente la sua condizione di giudeo, non dà spiegazioni sul proprio comportamento e riprende l'iniziativa; sia pure a modo suo, egli comincia a rispon­ dere alla domanda. In tutto il dialogo egli si aggancerà, più o meno chiaramente, a ciò che ha detto la donna, conducendola così a progredire nell'accoglienza della sua rivelazione. "Secondo D. Daube, NTand rabbinicfudaism, London 1956, pp. 373-382, seguito da C.K. Barrett e RE. Brown, ma non da R. Schnackenburg, l'espressione non significa «lo have dealings with», ma «lo use (vessels) together with». B. Olsson, pp. 15-155, si mostra favorevole alla soluzione di D. Daube: un giudeo non può servirsi dei medesimi utensili dei samari[ani per mangiare e per bere.

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1. DALLA GillDEA ALLA GALILEA (4,1-42)

'0Gesù rispose e le disse: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è co l u i che ti dice: "Dammi da bere!", tu stessa l'avresti pregato ed egli ti avrebbe dato acqua viva » .

È proprio un giudeo colui che ha chiesto da bere a una sama­ ritana; ma chi è veramente? Per comprendere la richiesta fatta dallo stanco pellegrino che si è rivolto a lei in modo così sorpren­ dente, la donna deve aprirsi a un superamento radicale dell'oppo­ sizione etnica. Gesù parla del dono di Dio che trascende ogni discriminazione di persone. Se la Samaritana lo conoscesse e se conoscesse colui che le parla, essa stessa domanderebbe al suo interlocutore l'acqua viva. Da qui al v. 16 il dialogo procede sulla simbolica dell'acqua viva, che risponde al tema iniziale della sete. Prima di indugiarvi, notiamo al v. 10 la ripresa della prima richiesta di Gesù: «Dammi da bere!». Tale ripresa non dipende unicamente da un procedimento narrativo, frequente nei vangeli, che preferisce la citazione diretta al richiamo in forma indiretta, e neppure intende sottolineare l'inversione dei ruoli. La domanda iniziale di Gesù non viene trascurata come se fosse stata un sem­ plice pretesto; Gesù ha certamente chiesto da bere alla Samarita­ na, e ora si intuisce che ciò di cui egli ha sete è proprio la sete di lei, il desiderio che lei ha dell'acqua viva che solo Gesù può dona­ re. Del Padre stesso si dirà che «cerca» adoratori autentici. È chiaro dal v. 10 che l'acqua di cui parla Gesù è un'acqua migliore di quella che la Samaritana è venuta ad attingere e di cui il viandante sembra aver sete. Nonostante la novità dell'aggettivo «viva», la differenza non si riferisce all'acqua stagnante, perché l'acqua del pozzo di Giacobbe è anch'essa un'acqua di sorgente: un pozzo non è una cisterna. Già i patriarchi non si preoccupava­ no forse di scavare nella valle alla ricerca di qualche vena d'acqua viva (Gn 26,19)? Per questo la donna è tratta in inganno. Tra le due acque tuttavia si stende uno spazio immenso, quel­ lo che separa la terra e il cielo, come nel dialogo con Nicodemo dove Gesù ha cercato di elevare il suo interlocutore alle «cose celesti» (3 , 12). La differenza che il dialogo mette in luce qui è duplice: tra i donatori dell'acqua - Giacobbe e Gesù - e tra i rispettivi effetti del loro dono. 11 Gli dice la donna: «Signore, non hai neppure un secchia e il pozzo è profondo. Da dove hai dunque quest'acqua? 12 Sei tu forse

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più grande del nostro padre Giacobbe che ci diede questo pozzo e ne bevve lui, i suoi figli e il suo bestiame?». La replica della Samaritana segue un ordine inverso rispetto a quello della battuta precedente: la donna reagisce dapprima alla finale «egli ti avrebbe dato acqua viva»; poi risale all'interrogazio­ ne sull'identità di Gesù. Soltanto l'inizio del v. 1 0 - «Se tu cono­ scessi il dono di Dio» - non trova eco in ciò che ella dice. Ri­ manendo come in sospeso, però, questa frase domina su tutto il dialogo che segue. La Samaritana continua a meravigliarsi; essa non afferra anco­ ra ciò che intende Gesù. Tuttavia, nonostante il livello materiale in cui si colloca, la sua domanda «Da dove hai dunque quest'ac­ qua viva?» rientra nella simbolica del testo, perché l'interrogazio­ ne «da dove?» nel quarto vangelo è sovente connessa al mistero di Gesù stesso", e il lettore sa che l'acqua scorrerà dal suo costa­ to trafitto ( 19,34). È questa l'arte dell'evangelista. La formulazio­ ne della frase poi dà rilievo all'espressione utilizzata da Gesù. La Samaritana continua perciò a riferirsi alla persona di que­ sto giudeo che le parla. Sarebbe forse più grande di Giacobbe, il donatore di un pozzo provvidenziale? La costruzione della frase comporta certamente una risposta negatival•; in ogni caso si sta­ bilisce un parallelo tra Gesù e il venerato patriarca. In maniera simile, i giudei domanderanno a Gesù: «Sei tu forse più grande di Abramo?» (8,53 ), e altrove Gesù viene messo in contrapposi­ zione con Mosè ( ( 1 , 1 7; 6,32 ). È un tema ricorrente quindi in Gv, che sottolinea la «superiorità» del Rivelatore in rapporto ai padri del popolo eletto, senza che ciò sminuisca in alcuna maniera l'importanza dell'una o dell'altra grande figura del passato (cfr. 8,56); l'evangelista fa risaltare la funzione senza confronto di Gesù, proprio situandolo in un rapporto inalienabile con la co­ munità d'Israele. Più sopra abbiamo ricordato la leggenda rabbinica del miraco­ lo delle acque che salivano e traboccavano dal pozzo, operato da Giacobbe. Osservando che Gesù non ha nulla per attingere, la " Cfr. 7,28; 8,14; 19,9. u La domanda della donna non viene introdotta con ou ma con mi cfr. Le 6,.39; Gv 4,29; 8,53; BD, § 427 ,2. Di qui la traduzione con l'ipotetica irreale: . A che cosa si riferisce questa espressione enigmatica? Dato il legame tradizionale tra pozzo e «dono», il dono di Dio, a un primo livello, sarebbe il pozzo vitale per Israele, quello che aveva accompagnato e dissetato il popolo nel deserto. Poiché Gesù incalza subito: «(Se tu sapessi) chi è colui che ti dice», avremmo qui un'identificazione di Gesù col vero pozzo d'Israele. Che Gesù stesso sia il dono di Dio si può affermarlo d'altra parte in base a 3 , 1 6, dove si dice che Dio ha «donato» al mondo il suo Figlio unico. Secondo un'altra lettura, il dono di Dio sarebbe lo Spirito Santo: in tal senso, esso corrisponderebbe alla seconda interpre­ tazione dell' «acqua viva», tanto più che la formula doreàn tou Theou (dono di Dio) si trova, così com'è, soltanto in At 8,20 dove designa lo Spirito". Questa ipotesi non tiene conto tuttavia del contesto del passo, che insiste costantemente e in varia maniera sul dono del pozzo, dell'acqua'6• " Nello stesso senso, con la menzione dello Spirito, cfr. At 2,38; 10,45; I 1,17; Eb 6,4. l:espressione designa talvolta anche la salvezza operata da Cristo (2Cor 9,15; Ef 3,7; 4,7) . .. Vi ricorre otto volte in 4,7-15.

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5. DALLA GIUDEA ALLA GALILEA (41 , -42)

Tenendo conto perciò della sua posizione iniziale e dell'assen­ za di una chiara determinazione, l'espressione «dono di Dio>> orienta soprattutto verso un'idea più fondamentale, e cioè che Dio è favorevolmente rivolto verso gli uomini, per appagarli pie­ namente. Per noi quindi, il primo significato è piuttosto: «Se tu conoscessi il Dio che dona>> , colui che, secondo Geremia, è la sor­ gente delle acque vive (Ger 2 , 1 3 ) . Premettendo queste parole alla sua rivelazione, Gesù invita la Samaritana a risalire a Dio stesso, a colui nel quale tutto ha origi­ ne: il pozzo che proviene da un passato provvidenziale, l'acqua viva che zampilla in vita eterna, e Gesù, il Figlio unico che rivela e porta a compimento l'opera della salvezza Questo movimento di pensiero sarà ancora più esplicito nel capitolo 6, col medesimo risultato: Gesù sta discutendo con i galilei i quali vedono in Mosè colui che ha dato la manna e dice loro: «No! non è stato Mosè a darvi il pane che viene dal cielo; è invece il Padre mio che vi dà il pane che viene dal cielo, queUo vero>> (6,32).

E come la Samaritana, anche i galilei domandano: Signore, donaci sempre questo pane (6,34).

Allora si delinea il vero senso del dialogo.

2. Rivelazione del vero culto (4,16-25) Con una svolta inattesa, il dialogo prende una nuova direzione che, sia pure in altra maniera, raggiunge le implicite attese della Samaritana. Per il fatto che Gesù le ha svelato il suo comporta­ mento riprovevole, la donna vede in lui un profeta, e gli sottopo­ ne subito un problema religioso di carattere generale, cui Gesù dà una risposta. Cercheremo di far vedere come sotto questa conca­ tenazione, che può sorprendere, ci sia una coerenza che la lettura di tipo simbolico fa emergere. Seguiamo le tre tappe di questa parte del dialogo. a.

La provocazione di Gesù

" Le dice: «Va', chiama tuo marito e ritorna qui » . " La donna gli ri­ spose e gli disse: « Non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: "Non

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ho marito", '" perché hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito. Quanto a questo hai detto il vero».

Invitando la Samaritana a ritornare con suo marito, Gesù in­ tende forse porre fine a una situazione che poteva sembrare sca­ brosa? L'usanza probabilmente non autorizzava simili conversa­ zioni; il testo però non lascia trasparire alcun imbarazzo di questo genere. Oppure Gesù cerca di condurre la donna a cambiar vita? Certo, la Samaritana dirà poi ai suoi compatrioti che quest'uomo le ha detto >; è iniziata l'era in cui è possibile adorare in spirito e verità. Di qui la traduzione: «Ma sì!».

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se epoche71 • Sembra tuttavia che ci si accordi sull'essenziale. Il ter­ mine «spirito» non si riferisce all'aspetto spirituale dell'uomo, nel senso dell'interiorità, dell'intimità del cuore'2• L'espressione «in spirito>> non indica una buona disposizione soggettiva (anche se ovviamente la include), ma la presenza dello Spirito che ha rige­ nerato il credentell_ Gesù, nel quale dimora lo Spirito, che battez­ za nello Spirito ( 1 ,33 ), annuncia adoratori nati dallo Spirito (cfr. 3 ,5-8). Gv esprime qui ciò che dice Paolo: «È lo Spirito che ci fa gridare: "Abbà! Padre ! ">>74_ Quanto alla «verità>> che d'ora in poi caratterizzerà l'autentica adorazione, anch'essa ha subìto interpretazioni diverse75• Essa non significa la «sincerità>>, senso alquanto banale riferito al culto e che per di più non è giovanned6; neppure si limita a indicare una real­ tà di adorazione di cui il culto veterotestamentario sarebbe stato il tipo77, tanto più che il termine greco in Gv non ha il senso platoni­ co di «realtà>>78• Essa non si contrappone alla falsa adorazione e non può quindi equivalere all'avverbio «veramente>>, «in modo veritie­ ro>>"- Essa si riferisce alla rivelazione portata da Gesù: I' adorazione del Padre presuppone l'accoglienza della sua parola; è la caratteri­ stica di quanti, animati dallo Spirito Santo, hanno creduto ciò che Gesù ha detto del Padre e che in lui vivono il suo stesso atteggia­ mento filiale. «ll Cristo Verità costituisce il "luogo" veritiero del culto messianico, il nuovo Tempio spirituale>>110• L'interpretazione delle due parole «spirito, verità>> viene con­ fermata dall'analisi della formula che rinserra i due membri «in spirito e verità>>- Gv, come ha ben dimostrato M. Barth"' , ama esprimere una realtà nella forma di endiadi, cosicché il secondo " Si veda I. de la Potterie, pp. 673-706 e B. Olsson, p. 189. n Così Eracleone, Agostino, Ca1vino, Lagrange ... " Con Origene, Cirillo d'Alessandria, Buhmann. Cfr. E. Schweizer, GLNT X, 1 064 1066. " Rm 8,15. Di qui l'espressione ardita di Paolo sul «culto razionale» (/ogiki latreia) offerto dal credente: Rm 12, l . " Cfr. R . Bultmann, R.E. Brown, R. Schnackenburg e I. d e l a Ponerie, pp. 676-678. " All'infuori di lGv 3,18; 2Gv l; cfr. M.]. Lagrange. n Interpretazione abituale presso i Padri greci, sulla stia di Origene; cfr. H. Crouzd, Origène et/a Connaissance mystique, DDB, Paris 1961, pp. 3 1 -35 (trad. it. Boria, Roma 1986). 78 E tuttavia, per numerosi critici contemporanei, l'aiithe1a ha il senso greco di «esser.,., di : così per R. Bultmann, E. Schweizer, R. Schnackenburg. 79 Con Atanasio; cfr. H. van den Bussche, R.E. Brown. "' Con R. Bultmann, H. Schlier, R.E. Brown, I. de la Potterie. " M. Barth, Die Tau/e, ein Sakramenl, Zurich 195 1 , p. 443.

329

�- DALLA GIUDEA ALLA GALILEA (4,1-42)

termine consente di comprendere meglio il primo; così in 3,5 ab­ biamo compreso che l'acqua di cui parla Gesù è propriamente lo Spirito; alla stessa maniera, «vedere e credere» indica un vedere che sfocia in un credere02• Qui, l'adorazione non è autentica se non è prodotta dallo Spirito che comunica la Verità del Cristo81• A conferma delle osservazioni precedenti aggiungiamo che i due temi maggiori della conversazione di Gesù con la Sa­ maritana, apparentemente dissociati - l'acqua viva e l'adorazio­ ne del Padre - si rivelano interdipendenti. L'acqua viva, come abbiamo detto, simboleggia la rivelazione di Gesù e altrettanto bene lo Spirito Santo. Se nei tempi nuovi, l'adorazione del Padre dev'essere quella dei credenti nella parola di Gesù che sono rinati dallo Spirito, il dono dell'acqua viva è la condizione di tutto ciò oppure, reciprocamente, la vera adorazione è il risul­ tato di questo dono". Ecco gli adoratori che il Padre «cerca». Come la parola «Pa­ dre» al v. 2 1 , che il contesto precedente non lasciava prevedere, così questo verbo squarcia la pagina: alla sua maniera, la frase equivale all'affermazione che «Dio ama il mondo>> (3, 16). In di­ versi testi dell'Antico Testamento Dio si mostra interessato alla risposta dell'uomo. Il Dio biblico non è «il motore immobile del­ l'universo>>. La rappresentazione antropomorfica di Jhwh, che gli attribuisce sentimenti anche molto forti, non deve far dimentica­ re la profondità teologica per cui la tradizione ebraica non può separare il Dio trascendente dalla sua relazione con gli uomini. Riportiamo soltanto, dal profeta Sofonia, l'esultazione, in occasio­ ne del futuro raduno dei popoli i quali «tutti porteranno offerte» (Sof 3, 10). Jhwh, tuo Dio, è in mezzo a te, eroe salvatore. Egli esulterà di gioia per te... giubilerà per te con grida di gioia , come nei giorni del raduno festivo (Sof 3,17). Come dopo il primo annuncio: «viene l'ora in cui.. . né ... né ... >>, anche qui la rivelazione si prolunga in una frase che ha il compi­ to di giustificare al presente ciò che è stato appena detto. «Dio è " In 6,30.36. " I. de la Potterie accoglie quanto dice M. Barth sul punto preciso deU'encliadi, di cui egli precisa la natura (l..a Verité, p. 704). " Cfr. J.H. Neyrey, CBQ 41 (1979) 433-435.

LlBRO I

-

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PARTE I

Spirito)> afferma Gesù. Non si tratta di un'enunciazione dell'es­ senza di Dio; essa è analoga ad altre sentenze quali «Dio è luce)) ( 1 Gv 1 ,5), oppure «amore)) ( l Gv 4,8. 16): si può cogliere Dio sol­ tanto attraverso le sue manifestazioni all'uomo85• Qui la sua rela­ zione con l'uomo passa attraverso lo Spirito che consente la reci­ procità. Ciò che Dio attende dagli uomini è la lode, una lode resa possibile dallo Spirito che dona egli stesso: così ritorna a Dio un ringraziamento filiale. Ritorniamo, concludendo, sull a doppia espressione di 4,21 .23 «Viene l'ora)). Nel v. 2 1 essa annuncia l'abolizione del luogo di ctÙto; con la sua formulazione negativa, il testo tiene vivo e sotto­ linea il tema, che fa da sfondo al racconto, della divisione tra giu­ dei e samaritani, rappresentata qui mediante i due luoghi di culto; ne annuncia il futuro superamento, preparando già il v. 23 in cui gli adoratori sono caratterizzati unicamente dalla qualità della lo­ ro adorazione. Se ambedue gli annunci sono propriamente esca­ tologici, l'idea giovannea dell'unità come prospettiva futura uni­ versale, verso cui tende Gesù (cfr. 1 1 ,5 1 ; 17 ,2 1), si concretizzerà con la venuta dei samaritani verso Gesù il Giudeo.

3.

Proclamazione messianica (4 ,25-26)

25 la donna gli dice: «So che deve venire il Messia, colui che si chiama Cristo; quando egli verrà ci svelerà tutto » . 26 Gesù le dice: «Sono io, colui che ti parla». Con arte raffinata, la Samaritana non viene condotta fino a riconoscere immediatamente in Gesù il Messia: la sua espressione è indiretta in modo da riservare a Gesù stesso la priorità dell'an­ nuncio. La venuta (érkhetai) dell'ora, nella sua bocca diviene la venuta (érkhetai) del Messia, il personaggio della fine dei tempi: la Samaritana «Sa)) come Marta ( 1 1 ,24). I samaritani attendevano la venuta di un Ta'eb («colui che deve ritornare))). Si trattava del Messia nel senso giudaico del termine, oppure di un altro perso­ naggio, e di quale? La questione non è risolta86• Un'aggiunta note­ vole fatta al testo del Decalogo (Es 20, 1 -2 1), nell'edizione samari" Cfr. H. Schlier, in Mél. ]. Schmtd, 1963, pp. 233-239. " Cfr. M. dc Jonge, NTS 19 (1972-73) 269; B. Olsson, pp.

191s.

33 1

5. DALLA GIUDEA ALLA GALD..EA (4,142)

tana del Pentateuco, potrebbe testimoniare l'attesa di un profeta. Immediatamente prima del codice dell'Alleanza vi si legge: > (Es 20,2ib)87.

Quest'aggiunta, che riprende Dt 18,15, proverebbe la creden­ za nel ritorno di un profeta che rivelerà gli ultimi segreti divini; lo conferma Giuseppe Flavio88, e con lui Marqah, teologo del IV se­ colo, come pure una collezione di testi liturgici89 • Quando la Sa­ maritana sente che Gesù le rivela la sua situazione coniugale (4,18), si rende conto che ha di fronte a sé un profeta e, ascoltan­ do l'annuncio dell'adorazione del Padre, pensa spontaneamente a colui che deve «svelare»90 ogni cosa. Ora Gesù proclama: «Sono io (il Messia), colui che ti parla». La donna non ha da attendere altro Messia rivelatore; egli è già presente e le parla. In questo Egli eimi i commentatori leggono volentieri un velato annuncio della divinità di Gesù, come negli altri Egli eimi del vangelo91. Ma procedere in questo modo signi­ ficherebbe anticipare troppo la rivelazione che deve invece an­ cora progredire, per poter giungere al titolo che i samaritani ri­ conosceranno a Gesù (4,42). Ora Gesù risponde a un'attesa manifestata dalla donna ed è conveniente tradurre non con «io sono», ma con «sono io», come quando Gesù dice di essere il pa­ ne, la vigna, il pastore92• Al termine del dialogo la donna non confessa certo la sua fede, tuttavia la sua premura nell'avvertire la gente del luogo mostra che essa ha intravisto la dignità di Gesù. E infatti dichia­ rerà loro: (4,29). " Nell'edizione C. Von Gall, p. !59; cfr. H.C. Kippenberg, Textbuch zur nt.chen Zeitgeschichte, Gouingen 1979, p. 100. " Giuseppe F., Ant. giud., XVIII, 85·87. Samaritan Documents, ed. J. Bowman, Piusburg 1977' pp. 263-283. " Nel IV sec., Biìbiì Rabbà riprese e orgonizzò la vita liturgica adauando 23 inni anti­ chi, sotto il titolo di Du"dn (ed. A.E. Cowley, 1909). 90 Il verbo greco anaggétlO significa ordinariamente «proclamare, rivelare» (così in ls 45,19b), qui più specificamente «svelare», in contesto apocalittico. " Gv 6,35.4 1.48.5 1; 8,12.24.28.58; 10,7.9.1 1 . 14; 11.25; 13,19; 15,1.5. " Nei capp. 6, 10, 15.

LIBRO I - PARTE I

332

La persona di Gesù attrae tutto il suo il!teresse. Ha perduto di vista con ciò la promessa dell'acqua viva? E scomparso questo te­ ma? Non si può affermarlo se si tiene conto dell'inizio del v. 28:

28la donna intanto lasciò lì la sua brocca

e

andò in città.

Questo particolare, senza paralleli nei racconti biblici ambienta­ ti attorno ai pozzi, ha creato qualche imbarazzo ai commentatori, tanto più che non si tratta di un inciso. Da Origene in poi si pensa del tutto naturalmente che viene così sottolineata la fretta della donna di andare ad annunciare agli altri colui che si è fatto cono­ scere da lei. Questa interpretazione potrebbe essere favorita da una traduzione impropria che riducesse il verbo aphéken («essa lasciò ll») a un inciso («lasciando ll») dipendente dal verbo «andò». Sono state proposte anche altre interpretazioni, più o meno pertinenti91• Anche se la lettura precedente è valida, essa non è tuttavia la sola possibile, tenendo presente l'arte di Gv nel campo della simbolica. In un dipinto, la brocca che rimane là avrebbe la funzione di visualizzare quasi la presenza della donna assente, mentre Gesù annuncia ai discepoli che la messe è matura. In un testo letterario è opportuno conservare alla brocca la funzione assegnatale nel contesto del racconto: essa serviva alla donna per attingere l'ac­ qua dal pozzo di Giacobbe. Ora, chiedendo a Gesù di donarle l'acqua viva di cui le aveva parlato, la donna precisava che grazie a quest'acqua non avrebbe più avuto sete e quindi neppure biso­ gno di venire là ad attingere (4,15). Dopo che Gesù ha dichiarato di essere il Messia, la Samaritana non risponde nulla, dato che la conversazione si conclude con questa solenne proclamazione. Ma la brocca, abbandonata là, dice senza parole che la Samaritana ormai conta unicamente sulla promessa di Gesù.

III . L'OPERA DEL PADRE (4,27-38) Il dialogo tra Gesù e la donna di Samaria si è concluso con la proclamazione messianica. Inizia ora il secondo quadro del rac91 Così Eradeone vede nella brocca «l'attitudine a ricevere la vira. . . e la potenza che viene dal Salvatore» (secondo Origene, XIII, § 187: SC 222, p. 135). G. Stemberger, La simboliCJJ del bene e delmole in San Giovanni, Ed. Paoline, Milano 1972, p. 205; cfr. B. Olsson, pp. 155s.

333

5. DALLA GIUDEA ALLA GALILEA (4,1-42)

conto, che risulta ben costruito�: mentre si svolge una scena este­ riore (i samaritani, messi sull'avviso dalla donna, si mettono in cammino verso Gesù), una scena interiore (Gesù rimasto nello stesso luogo che parla con i suoi discepoli) illumina il significato di ciò che sta awenendo e che è awenuto. Mediante l'azione di Gesù l'opera del Padre è condotta a buon fine. Quanto ai disce­ poli, essi vengono inviati da Gesù a raccogliere la messe di cui i samaritani sono le primizie.

l. La

scena

(4,27 -30)

27 A questo punto arrivarono i suoi discepoli e rimasero meravi­ gliati che parlasse con una donna. Nessuno però disse: •Che cosa cerchi ? », oppure « D i che cosa le parli ? » . '" La donna intanto lasciò lì la sua brocca e andò in città e diceva alla gente: 29 «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto ciò che ho fatto. Non sarà forse il Cristo?•. 30 Uscirono dunque dalla città e venivano verso di lui.

Al loro ritorno (cfr. 4,8) i discepoli si meravigliarono•', incurio­ siti di vedere Gesù conversare con una donna, contrariamente alle usanze96• Il narratore esplicita anche le domande che avrebbero potuto fargli. La prima riguarda ciò che Gesù può «cercare» in tal modo; la seconda si deve tradurre: «Di che cosa le parli?» e non: «Perché parli con lei?», che sarebbe una ridondanza, mentre la ripetizione del pronome interrogativo tì esige che si tratti di una diversa domanda97• Intanto la Samaritana ritorna in città, senza più curarsi dell'ac­ qua che era venuta ad attingere98• Ed esorta la gente a recarsi con lei là dov'è Gesù. Dichiarando che egli le ha detto «tutto ciò che lei ha fatto», la donna si riferisce evidentemente alla sua condotta coniugale, ma il senso potrebbe senza difficoltà essere anche più .. Cfr. B. Olsson, pp. 2 1 8-257 . .., Il verbo thaumd:z.O non significa uno scandalo, ma una non-comprensione: cfr. 3,7; 5,28; 7,15.21. I discepoli non osano interrogare Gesù: cfr. 1 3 ,24.37; 14,5.8.22; !6,5s. " J . Jeremias, Gerusalemme. . . (vedi sopra, p. 23 1 nota l i ), pp. 472s. �1 Stessa costruzione in 14,30: indirettamente i discepoli manifestano così il loro desi­ derio di entrare nel segrcro della rivelazione che Gesù fa. Ahri tradutcori, tunavia, man­ tengono, ma a torto, il senso: «Perché parli con lei?». " Cfr. sopra, p. 332.

LIBRO I - PARTE I

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largo e implicare i suoi compromessi con credenze pagane. Questo testo non impone99 di rinunciare alla lettura simbolica dei vv. 16-18, proprio perché la donna parla subito di Gesù come fosse, chi sa mai?, il «Cristo», colui che tutti attendono da parte di Dio. I samaritani vanno dunque verso Gesù; quando l'avranno tro­ vato lo inviteranno a rimanere presso di loro (4,40), così come Labano, dopo il ritorno di Rebecca, «corse verso l'uomo presso la sorgente» e «lo pregò di onorare la sua casa» (Gn 24,29.3 1 ) .

2 . Ges ù e i

suoi discepoli nell'opera del Padre (4,3 1 -3 8)

Ora Gesù è con i suoi discepoli: li introduce nel segreto della sua propria esistenza e nel senso degli avvenimenti che si vanno compiendo. Lo fa in due tappe ben connesse tra loro. I primi quattro versetti 0 1 -34) danno il tono: Gesù si pone in rapporto con l'opera del Padre che lo ha mandato; gli altri quattro versetti (35-38) precisano la natura escatologica della situazione (la messe è m atura) e la missione affidata ai discepoli da Gesù.

a. Il nutrimento di Gesù 31 Nel frattempo i discepoli lo pregavano dicendo: « Rabbì, man­ gia! >> . 32 Ma egli disse loro: > il quale, dopo aver seminato nel cuore della Samaritana (in assenza, esplicitamente notata, dei discepoli), raccoglie già la fede dei samaritani: egli è quindi anche il «mietitore>>. I discepoli saranno mietitori dopo di lui, raccogliendo i frutti di Gesù semi­ natore, mentre altri ancora, in precedenza, hanno faticato nel campo di Dio. Si potrebbero chiamare questi altri i «lavoratori>> per mantenere l'immagine del «lavoro». 15 Non dite voi: «Ancora quattro mesi e viene la mietitura » ? Ecco che io vi dico: «Alzate i vostri occhi e osservate i campi: sono bian­ chi per la mietitura. Già '" il mietitore riceve la sua ricompensa e ra­ duna il suo raccolto nella vita eterna, così che semi natore e mietito­ re si rallegrano insieme».

Nel v. 35 Gesù interpella i suoi discepoli: essi prevedono, se­ condo la tradizione, un lasso di tempo prima della mietitura, cioè prima della fine dei tempi. Il detto, di cui Gesù cita l'inizio, ricor­ da che il compimento è oltre il presente. Così diceva la sapienza giudaica, familiare ai discepoli; così dice anche la sapienza cristia­ na che attende la venuta dell' «Ultimo giorno>>. Ora Gesù contraddice questa evidenza con un solenne: «Ecco che io vi dico>>. Egli invita a guardare">: 4,29); i samaritani vanno a Gesù perché contano di incontrare il ta'eb126 che essi aspettavano; è quanto suggerisce il loro affrettarsi a raggiungere Gesù per invi­ tarlo a trattenersi presso di loro (4,30.40). Richiamando le parole della donna (cfr. 4,29), il narratore ne riporta solo la prima parte: «Mi ha detto tutto ciò che ho fatto». Questo richiamo implica certo tutto, ma con l'omissione della se­ conda parte è messo in evidenza il «segno>> sperimentato dalla donna, cioè la «chiaroveggenza>> di Gesù a suo riguardo. Questo segno diviene illuminante anche per i samaritani. Ecco ciò che stabilisce il loro progresso nella fede, in rapporto al tema che domina la sezione in cui è inserito questo racconto, cioè il passag12� Nonostante ciò che insinua R. Bultmann; contro la sua posizione vedi R Walker, ZNW 57 (1966) 49-54. '" Cfr. 2,11; 2,23; 3,16.18.36. Sarebbe diverso se il verbo fosse costruito col dativo, dr. nota 58. 126 «Colui che deve ritornare»; cfr. sopra, p. 3 30.

345

5. DALLA GIUDEA ALLA GALILEA (4,1-42)

gio da una fede motivata dai segni alla fede che procede dalla pa­ rola di Gesù. In effetti, ascoltando parlare Gesù, i samaritani comprendono che quest'uomo è molto di più di ciò che essi speravano. Essi ora «sanno» chi egli è: «il Salvatore del mondo». La proclamazione di questo titolo non è rivolta a Gesù stesso, ma alla donna che in tal modo rimane presente al racconto dal principio alla fine. Quelli che essa ha evangelizzato sono proprio coloro che adesso annun­ ciano a lei stessa chi sia veramente Gesù. Ammirabile scambio! Prima di soffermarci sul titolo di «Salvatore del mondo», segnaliamo la difficoltà che i vv. 4 1 -42 sembrano sollevare su un punto. Nel v. 41 il crescendo «molti di più» segna l'ampiezza del­ l'accoglienza fatta a Gesù. Ma ciò lascia forse supporre che alcu­ ni erano rimasti scettici prima di ascoltare Gesù in persona? Si può pensarlo; ma la frase del v. 42 «non è più (oukéti) per quello che hai detto tu che crediamo» presuppone che essi avessero tut­ tavia creduto ascoltando la testimonianza della donna. Ciò che importa letterariamente è che il v. 42 riprende l 'opposizione che contrassegna il racconto sui due successivi fondamenti della fede dei samaritani. ll titolo «Salvatore del mondo» giunge come punto culminan­ te di un grande asse del racconto. Gesù è stato riconosciuto come giudeo, poi paragonato a Giacobbe, quindi stimato capace di dare l'acqua che disseta per sempre, infine è detto profeta: il dia­ logo si conclude sulla proclamazione fatta da Gesù della sua mes­ sianicità. La donna si è fatta eco di quest'ultimo annuncio (4,29), ma sotto forma interrogativa, come per indurre i samaritani a impegnarsi. Se la domanda è rimasta in sospeso, non mostra che la confessione messianica non è l'ultima parola della fede? Il titolo di «Salvatore», che s'incontra talvolta nel Nuovo Te­ stamento127, appartiene al linguaggio ellenistico che ben diffi­ cilmente si può attribuire ai samaritani. Gv avrebbe inteso qui polemizzare contro la divinizzazione degli imperatori '1", oppure contro il culto del taumaturgo Esculapio119? Ciò significherebbe '" Le 1.47; 2,1 1 ; At 5,3 1 ; 13,23; Fil 3 ,20; le Pastorali ... '" Così E. Lohmeyer, W. Bousset, O. Cullmann, K.H. Renfl'torf. Il titolo di «Salva­ tore» veniva attribuito agli imperatori romani. 1� Questo medico divino (in greco «Asklf:pi6s»), figlio di Apollo, era stimato per la sua filanrropia e il suo potere di guarire; era venerato specialmente a Epidauro.

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346

attribuirgli un'intenzione che non si nota in nessun altro testo. È quindi preferibile rivolgersi al contesto del nostro racconto. Il termine «mondo» non può qui designare il mondo malvagio che Gv stigmatizza altrove; si tratta evidentemente del mondo amato da Dio, che il Figlio deve salvare (3,16-17), quello il cui pec­ cato sarà tolto ( 1 ,29). La parola consente di oltrepassare i confini del popolo samaritano e di aprirsi all'universalità. Anzi ci si accor­ ge che il superamento di ogni frontiera è un contrassegno di tutto il racconto. Gesù, trattenendosi in conversazione con la Samarita­ na, ha superato la barriera etnica che normalmente doveva mante­ nerlo a distanza (cfr. 4,9). Il suo annuncio sull'adorazione del Padre ha cancellato ogni discriminazione di luogo. Adesso egli «dimora» presso i samaritani, decisione inattesa con cui Gesù manifesta che egli è al di là delle divisioni che separano gli uomini. Ma il superamento di ogni frontiera non elimina il legame della salvezza con Israele. Al contrario, questa salvezza universale è già contenuta nell'affermazione precedente: (4,22) . Il mondo è sempre incluso nella prospettiva di Israele, come lo mostrava già, in Gv, l'annuncio del Precursore: . 49 G i i dice il funzionario regio: «Scendi prima che i l 1 Cfr. sopra, p . 300.

353

6. A CANA, EPIFANIA DELLA VITA (4,43-54)

mio fanciullo muoia ! » . 50 G l i dice Gesù: •Va'! Tuo figlio vive». Quel l'uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si rimise in viaggio. 51 Mentre egl i già scendeva i suoi servi gli andarono incontro dicendogl i che suo figlio viveva. 52 Al lora chiese i nformazioni sul l'ora in cui aveva comi nciato a stare meglio. G l i risposero: >. E credette lui e la sua famiglia al com­ pleto. 54 Fu questo il secondo segno che Gesù compì ancora quan­ do venne dal l a G i udea in Gali lea.

a. Ambientazione Il testo è ben collegato a ciò che precede. Nei versetti di tran­ sizione, la nota «dopo questi due giorni» (v. 43) si ricollega con la sosta in Samaria (cfr. 4,40); in seguito, il richiamo ai segni com­ piuti da Gesù a Gerusalemme nella festa (v. 45), rimanda all'ini­ zio della sezione (2,23 ). Il racconto di miracolo viene a corona­ mento del viaggio da Gerusalemme alla Galilea, un trasferimento ricordato ben tre volte: all'inizio (v. 43 ) , alla fine (v. 54) e, senza apparente necessità, al centro (v. 47). L'episodio è situato a Cana, «là dove Gesù aveva cambiato l'acqua in vino» (v. 46). Diversi elementi uniscono i due raccon­ ti': stesso luogo, situazione di bisogno presentata a Gesù da una terza persona (4,48 e 2,4), la parte dei servi (4,53 e 2,9s), Io sboc­ ciare della fede (4,5 4 e 2 , 1 1 ), l'assenza di un discorso che illumi­ ni sulla portata simbolica dell'avvenimento. L'annotazione finale del narratore: «Fu questo il secondo segno che Gesù . . . » (v. 54) si appaia infine con quella di 2,1 1 . Però tutti questi accostamenti non autorizzano, secondo noi, a vedere nei due racconti l'inizio e la fine di una medesima grande unità letteraria', perché ciascu­ no di questi due testi sta alla conclusione di una sezione dal movimento ben caratterizzato: qui si tratta della sezione il cui Cfr. C.H. Dodd, Trad. stor. , pp. 234-24 1; A. Feuillet, RSR 68 (1960) 62-75. ' Contro C.H. Dodd, si veda R. Schnackenburg, I, pp. 687s.

2

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354

tema ricorrente è il passaggio dalla fede basata sui segni alla fede nella parola di Gesù. Questo racconto è affine a quello della guarigione del figlio del centurione, tramandato da Matteo e da Luca'. Un rapido confron­ to aiuta - se non a determinare se sono in mutua dipendenza tra loro' - almeno a precisare l'orientamento di Gv. Il fatto riportato è simile: Gesù guarisce a distanza (che in Gv aumenta di circa venti km) un malato che abita a Cafamao, per il quale il padre, o il padrone, è venuto a supplicarlo. Il tema della fede domina nei tre racconti, ma mentre in Matteo e Luca il miracolo fa seguito alla fede ammirevole del centurione, per Gv la fede vera in Gesù viene dopo il miracolo. Si notano poi altre differenze. Per il centurione, Gesù non ha bisogno di spostarsi perché una sola sua parola sareb­ be sufficiente (Mt 8,8p); in Gv l'ufficiale domanda con insistenza a Gesù di discenderé a guarire il figlio. Gesù non lo loda, lo invi­ ta a prendere coscienza dd rapporto fra «vedere segni e prodigi» e «credere» e dopo gli annuncia «tuo figlio vive>>- Viene quindi raccontata la constatazione del miracolo, mediante l'intervento dei servi, e il racconto culmina non con la gioia del padre, come ci si aspetterebbe, ma con la notazione che egli credette, lui e tutta la gente di casa sua. L'interesse del lettore è attirato più che verso colui che domanda, verso Gesù stesso la cui parola fa vivere. Il funzionario regio7 è un pagano, come il centurione di Matteo e di Luca? Di solito lo si suppone, in ragione dell'affinità dei rac­ conti, ma non è detto nel testo. Si può solo notare che la parola di Gesù al v. 48, almeno secondo la nostra interpretazione, presup­ pone una familiarità con la Scrittura per essere compresa. Il racconto inizia dicendo che Gesù «tornò» a Cana e insiste ricordando ciò che Gesù vi aveva compiuto (4,46) _ Terminerà, Mt 8,5-IJ = Le 7 , 1 - 10. ' Su questa questione, molto discussa, si legga la dettagliata esposizione di A. Dauer, 1984, pp. 39-125. Secondo costui, alcune reminiscenze let­ terarie invitano ad ammettere una Hbcra rilettura della comune tradizione soggiacente a Mt-Lc. I principali studi precedenti sono stati pubblicati da E. Hacnchen, ZTK 56 (I 959) 23-J 1 ; R. Schnackenburg, BZ 8 (1964) 58-88; M.E. Boismard, RB 69 ( 1962) 185-2 1 1 ; E. •

Johamtei und Luledx, Wiirzburg

Schwcizcr,

EvTh

Il (1951-52) 64-7 1 .

G v 4 ,47.49: «Discendere», perché la città d i Cafamao s i trova sulla riva del lago di Tiberiade. 7 Il tennine greco haJt"!ik6J designa un funzionario addetto a una persona regale, qui il re Erode Antipa (4 a.C. - 39 d.C.), tetrarca di Galilea (cfr. Le J,l), residente a Tiberiadc. non lontano da Cafamao. •

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6. A CANA, EPIFANIA DELLA VITA (4,4n4)

. ome abbiamo detto, alludendo ancora al primo dei segni, poiché :l miracolo qui narrato vien detto «il secondo segno» (4,54). Dato che, secondo Gv, Gesù ha compiuto vari segni a Gerusalemme•, la qualifica di «secondo» qui vale per i miracoli che l'evangelista ha scelto di raccontare (cfr. 20,3 1 ) ; vuoi dire cioè che gli riconosce un significato eminente per illuminare il mistero di Gesù. In effet­ t i , il testo mostra la vittoria, mediante Gesù, della vita sulla morte. Il doppio richiamo alla festa (la Pasqua) in 4,45 inquadra forse in yuesto orizzonte la lettura? Non è impossibile. Si tratta anzitutto della vita in senso fisico. Secondo la Bibbia, la malattia (4,46) è già una lunga mano che la morte stende sul­ l'uomo•; nel racconto si accenna due volte alla malattia con riferi­ mento alla morte: «stava per morire» (v. 47), «prima che il mio fanciullo muoia» (v. 49). Corrispondentemente, l'annuncio di Ge­ sù nel v. 50 non è «tuo figlio è guarito» (cfr. v. 47) , ma «tuo figlio vive». Questa formula viene ripresa nel finale, come una citazio­ ne (v. 53), e anche al v. 5 1 , in stile indiretto: essa domina il testo. Il tema «vita» è comparso frequentemente nelle pagine prece­ denti, nel colloquio di Gesù con Nicodemo, in una parola del Battista, infine nella qualificazione dell'acqua >) è seguito da un dativo: non si tratta ancora quindi della fede in Gesù in senso proprio19; tuttavia il processo, che sfocerà nel credere autentico, è innescato.

c. Il miracola e la fede Come nel racconto del primo segno compiuto a Cana, viene riferito un abbozzo di dialogo che consente di testimoniare il miracolo. Questa parte del racconto, in cui tutto avviene lontano da Gesù, è necessaria per poter dire come si realizza ciò cui mira­ va il v. 48, cioè il passaggio dalla fiducia nel taumaturgo alla fede nel mistero di Gesù. Non Gesù, ma il padre del fanciullo scende a Cafarnao senza altra garanzia che la parola udita, come Abramo (Gn 12,1-4). Men­ tre è ancora per via, gli vengono incontro i servi, annunciandogli che il fanciullo «viveva>>. Ed ecco che, invece dell'ammirazione - che di solito rappresenta il culmine dei racconti di miracolo - il " 4 ,54. Cfr. il mio articolo in Mél. H. Schurmann, 1978, pp. 363-378. " Ur. Mc 7,29: •Va, il demonio è usci1o da tua figlia». " Altro esempio del verbo «credere• col dativo in 2,24: > ( l ,4) ? Allora l'ufficiale «Credette lui e l a sua famiglia al completo». Un'espressione simile o equivalente si trova soltanto negli Atti degli Apostoli20• Sarebbe eccessivo dedurre che qui si fa sentire la mano di Luca" ; si riconosce però il linguaggio della comunità cri­ stiana nascente. In questo versetto il verbo «credere» è usato senza comple­ mento, come nella battuta iniziale di Gesù (4,48): il padre del fan­ ciullo è arrivato là dove Gesù voleva che egli giungesse, cioè alla fede in Colui che mediante la sua parola fa passare dalla morte alla vita, Colui che solo può donare la vita in pienezza. n miraco­ lo è divenuto «segno» e l'ufficiale regio è entrato nell'ambito misterioso della fede perfetta. In maniera simile, l'apostolo Paolo proclama che il vero credente è come Abramo, il quale, di fronte alla promessa divina, non esitò con incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva pro­ messo era anche capace di portarlo a compimento. Ecco perché gli fu accre20 At 10.2; 1 1 ,14; 16,15.32.33.34.

" Come vorrebbe M.E. Boismard, RB 69 (1962) 185-2 1 1 .

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6. A CANA, EPIFANIA DELLA VITA (4.43-54)

ditato come giustizia. E non soltanto per lui è stato scritto che gli fu accredi­ tato come giustizia, ma anche per noi, ai quali sarà ugualmente accreditato; a noi che crediamo in Colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore (Rm 4,20-24).

Per i sinottici, come per la comunità primitiva, la fede precede di solito il miracolo, nel senso che essa può ottenerlo. Secondo questo racconto giovanneo, come abbiamo detto, il rapporto s'in­ verte e vi si ritrova un riflesso del pensiero veterotestamentario, per il quale i segni che Dio opera hanno soprattutto la funzione di condurre all'adesione al suo mistero e alla pratica di ciò che egli richiede. Comunque certa apologetica, basandosi su Gv (come anche sugli altri vangeli), s'è impegnata a fare del miracolo una d�ostrazione della fede, una specie di prova. E legittimo questo? Per rimanere fedeli a Gv, ci sembra preferi­ bile un'altra lettura; e ci spieghiamo subito nella nostra Apertura.

• APERTURA Questa «apertura» non è molto più che un'interpretazione del­ l'episodio dal punto di vista della comunità postpasquale, da cui ci poniamo anche noi insieme all'evangelista. Ogni racconto di un «segno» è riportato per fondare la fede dei discepoli che verran­ no, e quello che abbiamo appena letto non fa eccezione. Si distin­ gue tuttavia per un particolare: la frase enigmatica «Se non vede­ ste segni e prodigi voi non credereste certamente» (v. 48) non è rivolt!l soltanto all'ufficiale regio, ma anche e direttamente ai let­ tori. E sorprendente infatti leggere in questo dialogo un pronome al plurale, un «voi» al posto del «tu». Come nel colloquio di Gesù con Nicodemo, il «voi» dilatava l'uditorio ai notabili giudei, qui il , o noterà per primo il cieco nato sul ciglio della strada. Sono altri dati nel racconto che ci mettono sulla via di una let­ tura diversa da quella che abbiamo proposto più sopra. Ricordiamo che il racconto è inserito in una sezione il cui filo con­ duttore è il passaggio dalla fede basata sui segni alla fede nella parola di vita; e tale è veramente il cammino che compie l'ufficia­ le in questo testo tutto imperniato sulla parola vivificante di Gesù. Abbiamo rilevato che l'adesione piena di quest'uomo a Gesù si compie anch'essa a distanza: a questo punto Gesù non è più pre­ sente. Se non con la sola parola che l'ufficiale ha udito, alla quale ha creduto e che ormai abita in lui; egli ne riconoscerà il potere sulla morte. Quest'«assenza>> di Gesù in persona e questa «presenza>> della sua parola (presente comunque letterariamente lungo tutto il rac­ conto) è piena di significato per i lettori cui Gv si rivolge. La situazione dei credenti dopo la Pasqua è diversa da quella del padre esaudito, perché il periodo in cui Gesù si manifestava mediante «segni» è definitivamente concluso. Secondo Gv, il Risorto stesso lo dichiara, poiché egli dice a Tommaso: «Beati coloro che senza aver veduto hanno creduto !» (20,29). Se la comunità postpasquale non vede più dei segni, quali hanno potuto constatare i contemporanei di Gesù di Nazaret, essa però ha la sua parola sempre presente nel kerygma evangeli­ co, nella liturgia, mentre lo Spirito le dona la comprensione «tutta intera>> di questa parola. Che cosa le dice questo testo? Esso le

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annuncia che la vita le viene donata adesso, nel momento stesso in cui la parola è ascoltata e accolta. Gesù qui non fa una promes­ sa, non dice: «tuo figlio vivrà», ma «vive». Questa è in realtà l'esperienza del credente. Attraverso le prove che si rinnovano, egli sa che, liberato dalla morte definitiva, è vivente della vita stes­ sa di Colui che gli ha rivelato il Padre ( 1 , 1 8) . Non ha bisogno di cercare altre «prove» che questa vita abita in lui e che, secondo Gv, si esprimerà oggi in una pace e gioia che nessuno può rapire al discepolo. In questa prospettiva, la frase di Gesù in 4,48 implica una cri­ tica della ricerca di segni e prodigi. Il racconto diventa così un incoraggiamento per una comunità che aveva bisogno di essere sostenuta sotto la pressione di avversari che niente di spettacola­ re costringeva a piegarsi. Più in generale, l'uomo è attratto spon­ taneamente dal meraviglioso e vorrebbe certo fondare la propria fede su fenomeni tangibili. Secondo l'evangelista, invece, solo i segni di Gesù costituiscono questo solido fondamento (cfr. 20,30s). Proposto a una comunità credente, questo testo mostra che, se crede in Gesù, essa ha la vita. Questa realtà non le viene confermata dall 'esterno con miracoli spettacolari che la sottrar­ rebbero alla condizione umana, ma dall'interno, mediante l'ap­ propriazione della parola di Gesù che ha vinto la morte. Si potrebbe obiettare che il Libro degli Atti, e talvolta anche Paolo, ricordano miracoli operati dagli Apostoli o dai missionari nei primi tempi della Chiesa; ma questi miracoli per lo più si veri­ ficano in appoggio al primo annuncio della fede cristiana in ambiente pagano e non in favore dei credenti. Nei discorsi giovan­ nei d'addio, Gesù non si richiama a nulla di simile per rassicurare i suoi discepoli. Loro consolatore sarà lo Spirito Paraclito, che attua­ lizzerà per essi e in essi la parola, la stessa parola di Gesù. Che pensare dei miracoli che continuano a verificarsi ogni tanto, secondo ]'attestazione dei beneficiari o di testimoni? Pasca] ha riconosciuto il valore apologetico dei miracoli di Gesù; ai nostri tempi si verifica piuttosto l'inverso: Teilhard de Chardin asseriva giustamente che il miracolo, !ungi dall'essere un aiuto per la fede, nella nostra epoca scientifica è divenuto una difficoltà. È importante dire però che qui la difficoltà deriva dalla concezio­ ne che di solito ci si fa del miracolo, assimilato a torto al prodigio e compreso a torto come violazione delle leggi della natura: su

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questo argomento ci siamo spiegati altrovell; qui ricordiamo sol­ tanto che il miracolo richiede una cornice di fede autentica e inol­ tre non vale se non per il suo significato religioso, che alcuni per­ cepiscono. Può accadere che una persona lasci passare attraverso la sua azione o la sua preghiera un «di più» di vita che procede dall'Amore. E tuttavia il racconto giovanneo del secondo segno di Cana invita, per il modo con cui è presentato, a non far dipendere la fe­ de altro che dalla parola di Gesù mediante la quale è donata la pienezza della vita.

" In I miracoli di Gesù, Brescia 1980, pp. 12-19.

PARTE SECONDA

LA LUCE È APPARSA E LA TENEBRA NON L'HA ARRESTATA

(Gv 5 , 1 - 12,50)

INTRODUZIONE

Nei primi quattro capitoli del vangelo di Giovanni, Gesù è stato presentato da diverse angolazioni che orientavano verso il mistero della sua missione e della sua persona. Giovanni il Pre­ cursore, voce della profezia biblica, ha indicato agli lsraeliti l'Agnello di Dio e i suoi discepoli hanno riconosciuto il Messia di cui avevano parlato la Legge e i Profeti. Ai discepoli il Figlio del­ l'uomo ha annunciato che in lui si riconciliavano cielo e terra. A Cana ha manifestato loro la sua gloria: in tale racconto il lettore ha intravisto le nozze imminenti di Dio con Israele e con l'umani­ tà intera. A Gerusalemme Gesù ha posto fine ai sacrifici antichi e annunciato il nuovo Tempio; ha richiamato poi a Nicodemo la necessità di rinascere mediante lo Spirito. Soprattutto egli ha rive­ lato l'amore di Dio per il mondo, che si è manifestato nel dono del Figlio unico. Il Battista fa eco a questa rivelazione: il Padre ha posto tutto nelle mani del Figlio in favore degli uomini. I samaritani hanno riconosciuto il Salvatore del mondo. La sezione si concludeva con il dono della vita al figlio morente dell'ufficiale regio, il quale cre­ dette, lui e tutta la sua famiglia. Questa presentazione ha globalmente un carattere epifanico e si caratterizza per l'accoglienza positiva che i personaggi messi in scena fanno al Rivelatore: il Battista, Maria Oa Madre), Nicode­ mo, la donna al pozzo di Giacobbe, il padre del ragazzo, il grup­ po ristretto dei discepoli e dei samaritani. Per altri aspetti, l'itine­ rario proprio di Gesù è annunciato simbolicamente nell'episodio del Tempio ed è presentato come l'elevazione del Figlio dell'uo­ mo nel dialogo con Nicodemo. Con la sezione seguente (5 , 1 12,36), l'incontro tra Gesù e Israele si fa drammatico. Gesù non solo si mostra libero nei con­ fronti della rigorosa legge del riposo sabatico, ma rivela con tutta chiarezza e pubblicamente la sua origine dall'alto e la sua relazio-

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ne con il Padre, usando termini che sembrano attentare all'unici­ tà stessa di Dio. La reazione delle autorità religiose è immediata ed è subito di condanna. Secondo la tradizione sinottica, le controversie iniziano in Marco (2 , 1 - 3 ,6) fin dalla prima manifestazione di Gesù in Gali­ lea; Matteo, dal canto suo, ha cercato di presentare, in sequenza, dapprima gli inizi di Gesù e poi il suo scontro con i responsabili, separando i cc. 8-9 dai cc. 1 1-12. In Gv tale stacco è anche più netto. La contestazione è indubbiamente emersa all'annuncio di Gesù sul Tempio futuro e nell'atteggiamento sospettoso dei fari­ sei a proposito della sua attività battesimale; ma, a partire dal c. 5 , essa diventa intollerante. Il dramma, appena suggerito da Gv in occasione del segno del Tempio (2,13 ) , scoppia quando Gesù guarisce l'infermo in giorno di sabato e pone il suo operare - incessante - sul piano stesso di quello del Padre (5 ,17). La rivelazione non è semplicemente Io svelamento di una verità, ma è anche azione di Dio nel mondo, che provoca gli uomini a dare una risposta, così come la parola di Dio rivolta a Israele lo chiamava a una fedeltà esistenziale. Per Gv, la luce che risplende suscita l'assalto della tenebra. Pertanto il processo a Gesù, Messia e Figlio di Dio, che i sinottici concentra­ no nella comparizione di Gesù dinanzi al Sinedrio, si snoda lungo tutti questi capitoli, toccando il suo apogeo nella sentenza del Sommo Sacerdote ( 1 1 ,50); la minaccia di morte che pende su Gesù è il filo rosso che li unisce. Se la morte del Figlio è incessan­ temente presente nei cc. 5 - 12 attraverso l'ostilità dell'uditorio e nelle numerose allusioni che ne fanno Gesù o l'evangelista, anche la vittoria del Figlio si rende presente attraverso la sovrana liber­ tà con cui il Rivelatore fa conoscere la sua identità e la sua missio­ ne: i suoi ripetuti annunci sono i più elevati del quarto vangelo. Al di sopra dell'oscurità del rifiuto, la luce continua, indefettibile, la sua corsa. La rivelazione in parole e in opere, che coincide con il proces­ so, si compie ora alla presenza della folla e dei farisei: essa non cessa di chiamare alla fede nell'Inviato del Padre. L'iniziativa divi­ na, affinché gli uomini abbiano «la vita», rimane il tema dominan­ te. L'evangelista mostra in Gesù colui al quale il Padre ha dato poteri esclusivi, fino a quello di avere «la vita in se stesso» come il Padre (5,26). Questi poteri, enumerati nel discorso di 5 , 19-30, si manifestano nei capitoli seguenti con parole che rivelano quale

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INTRODUZIONE

sia la missione di Gesù (portare a «vivere» in lui attraverso il pane della sua Parola), e con azioni simboliche che mostrano quale sia la trasformazione effettiva del credente: un infermo cammina, un cieco nato comincia a vedere, un morto vive. Tutto dipende, secondo Gv, dalla fede che riconosce il Figlio, colui che Dio ha inviato e che deve radunare non solo le pecore di Israele, ma tutti i figli di Dio dispersi. Unificando secondo questa traccia i cc. 5 - 12, noi supponiamo che costituiscano un blocco unitario. Numerosi critici ritengono, invece, di dover trasferire il c. 5 dopo 7,13, cosicché il blocco 6,1 ì ,13 sarebbe da collegare al c. 4 (7 , l b è considerato una glossa di ripresa) . Questa ipotesi comporta qualche difficoltà. Certo, il van­ ).(elo giovanneo annota e sottolinea volentieri le indicazioni di luo­ ghi, ma non mostra interesse alla sequenza topografica: la dispo­ �izione tematica è preminente. Così il dramma tra Gesù e il suo popolo, iniziato al c. 5, prosegue senza forzature col c. 6 che sfo­ cia nell'opzione negativa dei galilei. Per questo, dopo molte esita­ J.ioni, preferiamo leggere i capitoli nella loro sequenza attuale, contrariamente a quanto avevamo scritto alla p. 40. Se lasciamo da parte il principio di una distribuzione cronolo­ gica degli awenimenti, non rinunciamo però al quadro costituito dalle feste liturgiche giudaiche. Il loro legame con il contenuto del testo ha la funzione di porre l'attività di Gesù nell'orizzonte costi­ tuito dalla rivelazione fatta da Dio a Israele, pur sottolineando la novità che porta la presenza del Figlio. La speranza d'Israele, che trova la sua espressione nelle cele­ brazioni al Tempio, è inseparabile dal suo attaccamento alla Pa­ rola fissata nelle Scritture. L'argomento scritturistico per fondare la fede in Gesù è comune ai sinottici (particolarmente a Matteo) e a tutto il Nuovo Testamento e si esprime in una scelta di testi in cui la Chiesa primitiva riconosceva l'annuncio del Cristo. Come abbiamo detto nelle Premesse, Gv è impregnato di allusioni al Pri­ mo Testamento e non può essere compreso senza di esso; se le ci­ tazioni esplicite sono relativamente rare, il riferimento è costante. In questa sezione del vangelo c'è anche di più: Gesù afferma che le Scritture nel loro insieme testimoniano in suo favore (5,39-47; cfr. 8,56; 10,34-36). Gv scrive dopo la Pasqua, quando lo Spirito già dato consente ai discepoli di ricordarsi delle parole di Gesù e di coglierne il

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senso, ma anche in un tempo in cui il conflitto tra cristiani e sina­ goga metteva in discussione la loro fede. Questa situazione si riflette nel racconto giovanneo, particolarmente nella violenza del c. 8. Il contemplativo Gv ha penetrato il mistero dei DUE in UNO e l'ha suggerito attraverso le parole e i gesti di Gesù, affinché il lettore a sua volta lo accolga con fede. La difficoltà di credere che egli rileva da parte dei >) contrasta con la presen­ za accanto a lui di Gesù che egli ignora. ,. Or. pp. 355-359, e I miracoli di Gesù, pp. 235-285. 21 Cfr. 1 ,47s; 2,24s; 6,64; 1 3 ,38. " W.O. Fitch, Studia Evangelzca iV, Berlin 1968, pp. 195-197. Secondo il suo studio, il termine proprio per designare un paralitico è kholos, d'altra parte, hygiifs non è il termine adano per indicame la guarigione.

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7. ll. . FIGLIO D I DIO RISANA L'UOMO (5,147)

L'ordine che Gesù gli impartisce rassomiglia a quello che rife­ risce Marco per la guarigione del paralitico di Cafarnao, e anche il risultato: Mc 2 , 1 1 · 12 Alzati, prendi il tuo giaciglio e vattene a casa tua! Egli si alzò e subito portando il suo giaciglio uscì alla presenza di tutti.

Gv 5,8·9 Alzati, prendi il tuo giaciglio e cammina! E subito l'uomo divenne sano e prese il suo giaciglio e camminava.

Le piccole variazioni proprie a Gv manifestano come egli curi la propria scrittura. La guarigione viene espressa con le parole «di­ ventare sano», che è un leit-motiv del racconto a partire dal v. 6. L'infermo che Gesù ha fatto «alzarsi» (cfr. Sal 4 1 ,9. 1 1 ) non è invi­ tato a tornarsene a casa sua, ma a «camminare» (cfr. 2,9) e Gv ag­ giunge che quello «camminava»: con questo verbo all'imperfetto il personaggio continua a muoversi sotto i nostri occhi. Mentre il racconto di Marco è orientato, nel suo insieme, alla dimostrazio­ ne dell'autorità che Gesù ha di rimettere i peccati («e subito uscì alla presenza di tutti») , la versione giovannea non conosce altro che l'uomo riportato alla sanità. L'interesse di Gv non si concen­ tra solo sul taumaturgo, ma anche e specialmente sul miracolato. D testo prosegue annotando: «Era sabato! » (v. 9b). 3.

Era sabato quel giorno

"" Ma quel giorno era sabato. '0 Dicevano dunque i giudei a colui che era stato guarito: « È sabato! Non ti è lecito portare il tuo giaci­ glio». " Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha reso sano, quello mi ha detto: "Prendi il tuo giaciglio e cammi na!"». " Gl i domandarono: «Chi è l'uomo che ti ha detto: "Prendi e cammina?'' » . " Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù era scomparso perché quel luogo era affollato. 14 Poco dopo, Gesù lo trova nel Tempio e gli dice: « Ecco, sei divenuto sano! Non peccare più, affinché non ti suc­ ceda qualcosa di peggio!"· 15 L'uomo se ne andò e disse ai giudei che era Gesù col u i che lo aveva reso sano.

La circostan,za del sabato giunge del tutto inattesa al termine del racconto. E per introdurre la controversia? Secondo l'arte

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narrativa di Gv, si tratti o no qui di una sutura2', questo sposta­ mento alla fine del racconto dà rilievo a un dato che, essendo di un altro ordine, non poteva essere inserito tra le informazioni contenute nei primi versetti. Esso viene ripreso nel versetto se­ guent>. Se il verbo è ovvio, la sua forma rara (apekri­ nato solo qui e al v. 19, invece dell'abituale apekrithe) merita attenzione. Con la stessa forma verbale, ma al negativo, la tradi­ zione sinottica sottolinea che, durante la Passione, Gesù (ouk apekrinato) né al sommo sacerdote (Mc 14,61 ) , né a Erode (Le 2 3 ,9), né a Pilato (Mt 27 , 1 2); qui, invece, Gesù risponde a coloro che lo giudicano. Secondo Gv, il suo processo di fronte ai giudei si è svolto durante il suo ministero a Gerusa­ lemme. " n verbo epoiei si riallaccia al versetto precedente in cui si legge ho poiisas hygié (5,15 e 5 , 1 1 ) . Contrariamente a E. Lohse, GLN'f XI 1084ss, l'accusa non riguarda soltanto l'or­ dine dato all'infermo, ma l'insieme dell'episodio. }.4 Così nella raccolta di controversie Mc 2,2 · J,6 che sfocia nella decisione di mettere o morte Gesù. Cfr. anche Le 1 3 , 10·17; 14,1 -6.

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Con questa parola di rivelazione Gesù dà il tono alla disputa. Abbandonando il terreno legale della controversia, egli non si col­ loca dalla pane di Israele chiamato all'osservanza, ma nelle altez­ ze di Dio. Per comprendere bene questa risposta conviene con­ frontarla con la maniera abituale con cui Gesù, nei sinottici, giustifica il suo comportamento a proposito del sabato. In queste controversie egli assume il punto di vista della Legge che è quel­ lo dei suoi interlocutori: in certe circostanze, il riposo sabatico può essere trasgredito per una fedeltà più profonda all'intenzione divina, per esempio quando l'aiuto al prossimo deve prevalere sulla prescrizione cultuale'�In 5 , 1 7 la prospettiva è del tutto diversa. Invece di porre il riposo sabatico a confronto con altri comandamenti, Gesù non relativizza in alcun modo l'osservanza di esso da parte di Israele; egli si colloca dal punto di vista di Dio che «opera fino al presen­ te», in un presente escatologico che letterariamente equivale a «sempre»J6• Gesù solleva molto in alto lo sguardo dei suoi ascol­ tatori: l'interruzione di ogni lavoro richiesto agli uomini nel setti­ mo giorno della settimana lascia interamente il posto, dal punto di vista simbolico, a ciò che Dio solo può realizzare. Di questo agire proprio di Dio, il risanamento dell'infermo, opera di vita, è stata una manifestazione. Gli uditori afferrano immediatamente che, dicendo «il Padre mio», Gesù si riferisce a Dio, per il fatto che il principio della sua incessante attività è loro familiare. La storia dell'interpretazione ebraica del versetto della Genesi relativo al riposo di Dio è ill umi­ nante in proposito. Nell'originale ebraico si legge: Dio ponò a termine nel se!!imo giorno l'opera che aveva fatto e pose fine nel scnimo giorno a tu !la l'opera che aveva fano. Dio benedisse il senimo giorno e lo consacrò, perché in esso egli pose fine all'opera che lui stesso ave­ va creato con la sua azione (Gn 2,2-3)}7• " Il comportamento di Gesù è giustificato con la celebre frase: (I(D sabato è stato fatto per l'uomo, non l'uomo per il sabato» (Mc 2,27p). L'argomentazione non è la stessa in Gv 7,2 1 -23 (cfr. più avanti, pp. 534s). '6 L'espressione éOs tirti, secondo il contesto, può significare «fmo a1 momento presen­ te» (2,10; 16,24) o, più largamente, «Sempre, continuamente» (!Gv 2,9; cfr. 1Cor 4,13 e 2Cor 4 , 1 1 ; lo stesso in Gv 9,4 «finché è giorno»). 11 Altra traduzione (TOB): > che il Padre mostra al figlio. Il potere di suscitare la vita, non soltanto al momento della prima creazione, ma anche dopo la morte, è la caratteristica propria del Dio vivente77; come 7' D verbo

thaumdz.O dice la reazione dell'uomo di fronte a

una parola o a un awcni­

mento sorprendente, senza insistere sull'ammirazione, ma piuttosto su una cena inquietu­ dine che può sfociare nell'accoglienza o nel rifiuto: cfr. 3,7; 5,20.28; c 4,27; 7,15.2 1 .

" Cfr. sopra, nota 20. n La vita proviene dal Dio creatore: Gn 2,7; Sal 104,29, perché egli è la sorgente della vita: Sal 36,10. Nelle apocalissi giudaiche Dio delega al Figlio dell'uomo il giudizio (cfr. Dn 7,14; 7,22 [in greco] e Hen 49,4; 69,27); mai però il potere di vivificare. Secondo Gv, que­ sto potere è dato al Figlio (5,29; 10,28; 17,2).

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7. IL FIGLIO DI DIO RISANA L'UOMO (5,147)

dice la Scrittura in molteplici passi, «solo Jhwh comanda alla morte e fa vivere»78• Dio non è il Dio dei morti, ma dei viventi (Mc 12,27), Si riferisce qui Gesù alla risurrezione di tutti gli uomini all'ul­ timo giorno, secondo la credenza che si era diffusa in Israele79? A nostro parere, il contesto vi si oppone, sebbene non si possa escludere che un tal senso sia presente nello sfondo, dato che que­ sto tema apparirà più avanti, ai vv. 28-29, e con differenze note­ voli: il protagonista è il Figlio dell'uomo giudice, i verbi sono al futuro, vi si parla di tombe e la risurrezione (amistasis) non è la «vita», poiché può risolversi anche nella condanna definitiva. Nel v. 2 1 , invece, i verbi sono al presente e «risuscitare» viene preci­ sato con «far vivere». Di quali «morti» si tratta qui? La presenza, in questo testo, del verbo egeirein, il medesimo di 5,8 («Alzati ! ») , potrebbe richiamare l'opera divina della guarigio· ne dell'infermo, poiché la malattia nella Bibbia è già un influsso della morte sull'uomo80• Questa lettura tuttavia è solo il supporto del senso: il miracolo che ha rimesso in piedi l'infermo di Bethesda simboleggiava l'atto divino che «rialza» l'uomo comuni· candogli fin dal presente la vita eterna, che è la sua vera destina· zione. Prima di ricevere questo dono, l'uomo «rimane nella morte»81• Nel linguaggio del Nuovo Testamento, coloro che sono separati da Dio per l'incredulità o per il peccato sono chiamati sovente «i morti»82, impotenti con le loro sole forze a vincere que­ sta pesantezza. Il fondamento di questo linguaggio è veterotesta· mentario. Per Gv, esso è metaforico solo in apparenza, perché corrisponde al suo modo di vedere la condizione umana separata dal Logos•l. Alla «morte» dell'uomo si oppone la dinamica dell'amore divi­ no. Già in Ezechiele, Dio per bocca del profeta dice: Per la mia vita, non mi compiaccio ceno della mone del malvagio, ma della conversione del malvagio dalla sua condotta, perché viva (Ez 33 , 1 1). " ISam 2,6; cfr. Dt 32,39; Is 25,8; Sap 16,13. ll re d'Israele rifiuta di ascoltare Naaman il Siriano che gli chiede di guarirlo dalla lebbra: «Sono forse un dio cosi che possa dare la morte e la vita?» (2Re 5,7). " Cfr. 404s. "' M t 10,8; Mc 1 ,3 1 ; Gc 5,15. " Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte (!Gv 3,14). " Mt 8,22p; Rm 4,17; 6,13; Col 2,13; Eb 6,1; 9,14. " Cfr. pp. JOls e 142s.

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LIBRO I - PARTE II

La volontà del Padre fin dalla creazione è esclusivamente quel­ la di salvare; secondo Gv è, ancor di più, quella di appagare pie­ namente l'uomo mediante la comunione con lui stesso. Gesù l'aveva rivelato a Nicodemo, fondando il suo annuncio sull'amo­ re assoluto con cui Dio ama il mondo. Questa comunione divina, mediante la quale è vinta la «morte», esige di credere al Figlio unico venuto ad annunciarla e a renderla possibile da pane di Dio (3 ,16). Qui si afferma che anche il Figlio comunica la vita, come il Padre. Torneremo nell'Apertura su questa affermazione. Aggiungendo «chi egli vuole», Gesù non intende arrogarsi decisioni arbitarie - quale poteva apparire la scelta, tra la moltitu­ dine, di colui che egli aveva guarito (5,3 -5) ma sottolinea il carattere illimitato del potere che il Figlio ha ricevutoS4. Esso tut­ tavia suggerisce anche un qualche discernimento: il dono della vita in senso pieno non può essere imposto come una cosa, poi­ ché esso avviene nella fede che è comunione di persone; all'infer­ mo Gesù domanda: «Vuoi diventare sano?». Insensibilmente il testo conduce al tema del giudizio. -

" Il Padre infatti non giudica nessuno: egli ha rimesso al Figlio ogni giudizio, 23 cosicché tutti onorino il Figl io a l lo stesso modo con cui onora­ no il Padre che l'ha inviato.

Secondo la fede d'Israele, il Dio Salvatore è anche il Giudice supremo. Questo tema viene sviluppato nel Primo Testamento in rapporto alla storia umana e al suo termine. Jhwh è giudice univer­ sale8\ il suo giudizio è giusto, esso rende giustizia all'oppresso e diviene misericordia per chi si rivolge a lui86; esso è un evento terri­ bile nella prospettiva del Giorno del Signore. Dopo l'esilio i profe­ ti, e soprattutto gli apocalittici, hanno evocato con insistenza il Giudizio in cui si decideranno per sempre le sorti degli uomini87• Che cosa intende l'evangelista con «giudizio» (krisis) ? Il tema è emerso al c. 3 in dipendenza, come qui, dal tema della «vita» " Cfr. 1 1 ,27; Mc 3,13. " Cfr. J. Corbon e P. Grelot, in DTB, 487-494; cfr. Sal 67,5; 94,2; 105,7; Is 2,4; 26,9; 33,22; Mie 4,3; Ez 30,3; Ap 14,7. " Sal 7,1 1-12; 19,10; 94,15; 140,13s; 143,2; Gb 23,7; Ger 1 1 ,20; 1b 3,2 (cfr. Gn 31,42; 2Cr 20,12); Rm 2,3.5; 2Ts 1,5. " Gl 4,12; Dn 7,9-12; Sap 4,20-5,23; Ap 20,12s; cfr. Rm 3, 10-20; Eb 10,27-3 1 .

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7. IL FIGLIO DI DIO RISANA I:UOMO (,,!-47)

(cfr. 3 , 17 - 18). Anche qui, il tema del giudizio giunge in seconda battuta e non nel senso tradizionale di una sentenza favorevole o no, ma nel senso giovanneo di privazione definitiva della «vita»88• La coppia vita/giudizio funziona lungo tutto il discorso; le due nozioni infatti ricorrono press'a poco con la stessa frequenza89• Ma nonostante che ambedue vengano attribuite al Figlio, queste due prerogative divine nei confronti degli uomini non sono sullo stesso piano, ma su piani diversi. L'opera propriamente di Dio, condivisa dal Figlio, è la comunicazione al credente della vita che l'uno e l'altro possiedono in se stessi (cfr. v. 26). Di questa realtà assoluta, il giudizio appare come il rovescio: esso coincide con il rifiuto da parte dell'uomo di riconoscere nel Figlio il Rivelatore. Non riconoscerlo come tale, significa rifiutare di entrare median­ te lui in comunione con Dio. Gv si mantiene entro la prospettiva biblica. Attraverso il dono della Legge, Jhwh aveva indicato al suo popolo le vie della vita ed è la coppia vita/morte che esprime nella Bibbia l'alternativa di fronte alla quale l'Alleanza ha posto Israele (Dt 30). È evidente che il Dio dell'Alleanza propone la salvezza, ma la salvezza di Dio è propriamente un appello rivolto alla libertà. Con la venuta del Figlio, l'alternativa si rinnova: questa venuta, estrema espressione dell'amore del Padre per il mondo, è anche rischio estremo per la libertà. La coppia giovannea vita/giudizio traduce precisamente la coppia vita/morte del Deuteronomio: come la morte, anche il giudizio è la conseguenza del rifiuto dell'uomo di fronte al dono offerto. L'evangelista che ha creduto all'amore non poteva dire che il Padre (o il Figlio) «fa morire» così come fa vivere (v. 2 1 ) . Quando il Primo Testamento dichiara, in altro contesto, che Jhwh «fa morire e vivere» (2Sam 2,6; Dt 32,39; 2Re 5 ,7), intende espri­ mere la trascendenza del Creatore. Usando il termine «giudica­ re», invece di «morire», l'evangelista preserva l'alterità del Dona­ tore della vita divina, ma mette altrettanto in evidenza che il risultato finale è determinato dalla libera scelta dell'uomo. Al v. 22 si dice che il giudizio è rimesso interamente al Figlio, mentre il «far vivere» del v. 2 1 era anzitutto il ruolo del Padre. " Cfr. ciò che si è dcno a proposito di J , 16-18, pp. 275s. " NOME: z6é' (5,24.24.26.26.29); VERBO: zao (5.25), zoopoiéo (5,2 1 .2 1 ) . NOME: kri· sis (5,22.24.27.29.30); VERBO: krino (5,22.30).

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400

Sarà forse perché - come Gesù aveva rivelato a Nicodemo (3,17) ­ il Padre mira alla salvezza e non al giudizio del mondo? È possi­ bile che l'evangelista, dicendo «il Padre non giudica alcuno», intenda richiamare l'amore che ha motivato in Dio l'invio del Figlio unico. Ma la trasmissione al Figlio di tutto il giudizio dipende da un altro punto della rivelazione a Nicodemo, e cioè dal fatto che, secondo il progetto di Dio, «avere la vita eterna» coincide con il «credere nel Figlio>> (3,16) . Coloro che accolgono il Figlio entrano in comunione di vita con il Padre, ma coloro che lo rifiutano sono «già giudicati>> ( 3 , 18) e dopo di ciò non può esservi altro intervento di Dio a loro riguardo. È chiaro che il giudizio mediante il Figlio è conforme alla vo­ lontà del Padre; nel v. 30 Gesù lo sottolinea dicendo: «in confor­ mità con quanto ascolto, io giudico».

n v. 23 si ricollega al precedente con un hina che ha valore con­ secutivo: «cosicché>>"". Ciò che vi si dice riguarda tanto la funzio­ ne di giudice quanto quella, primaria, di far vivere i «morti>>. È a motivo dell'una e dell'altra che il Figlio deve essere onorato alla pari col Padre. Non si può dunque escludere il suo ruolo e anda­ re direttamente al Padre; come si sa già dal Prologo, è proprio nel Figlio che Dio si è fatto conoscere ed è mediante lui che viene comunicata la pienezza della comunione. Questo Figlio assume una statura sempre più impressionante. Nel v. 23 alla fine, Gesù aggiunge che il Padre l'ha inviato: lo fa per dare fondamento adeguato alle sublimi rivelazioni che lo riguardano? È noto che per la tradizione giudaica, come per tutto l'Oriente antico, l'inviato di qualcuno è la sua stessa presenza" pur senza esserlo in concreto. Ciò è vero dei profeti d'Israele, tutti «inviati>> di Dio. Ma la missione del Figlio è differente dalla loro. Infatti l' «aggiunta>> del v. 23 prepara letterariamente l' annun­ cio del v. 24 in cui il tema dell'invio ritorna come l'atto del Padre: più ancora che l'autorità del Figlio, Gv sottolinea l'iniziativa del Padre che vuole, mediante lui, dare la «vita» al mondo. D'altro canto, questa finale del v. 23 mette in evidenza, per il Figlio, l'aspetto «missione>> che appartiene alla cristologia messianica, mantenendo la dipendenza del Figlio sottolineata nell'esordio del "']. Blank, Krisis, P- 123, che rimanda a BD 391,5.

" Or. 5B III, 2,2; dr. 12,44s; 13,20. Cfr. H.E. Haenchen, NT5 9 (1%2 - 1963) 208-210.

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discorso, mentre nei poteri escatologici affermati nei vv. 21 e 23 emerge la profonda cristologia propria del quarto vangelo. In Gv, le affermazioni sul Figlio in quanto Inviato e quelle sul Figlio in quanto uno - da sempre - col Padre sono in tensione tra di loro e inseparabili. 24 Amen, amen, io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a Co­ l ui che mi ha i nviato ha la vita eterna, non viene in g iu di z io ma è passato dalla morte alla vita. ,

La rivelazione di Gesù raggiunge il suo punto culminante92• Egli annuncia in qual maniera interviene, affinché la vita «eterna» - l'aggettivo emerge qui - si comunichi ai credenti. Anche il giu­ dizio viene nominato, ma in una negazione. Diversi elementi contrassegnano questo versetto dalla forma molto densa. Anzitutto la parola. Fino a questo punto si trattava, per il Padre e il Figlio, di un «fare>>; ora interviene la parola, ri­ volta agli uomini, come il luogo della loro chiamata alla vita. La parola, mediante la quale Gesù manifesta il Padre e se stesso, con­ sente all'uditore il riconoscimento e l'entrare in relazione. Di­ versamente dalla parola originaria della creazione che poneva la creatura in esistenza, quella della rivelazione - nel Primo come nel Nuovo Testamento - si offre a un ascolto e richiede un'acco­ glienza per realizzarsi. Nei vv. 2 1 -23 i verbi esprimevano un presente indefinito nella durata.,; qui si passa esplicitamente al presente di Gesù di Nazaret. ll Figlio che bisogna onorare, sotto pena di non onorare neppure il Padre, non è una figura mitica, è l'uomo Gesù che sta di fronte ai suoi uditori, proprio lui, come insistono le espressio­ ni «la mia parola>> e «mi ha inviato>>. Altro dato rilevante: sebbene l'enunciato di Gesù colleghi «credere>> e «avere la vita eterna>> come in 3 , 1 6"", qui il verbo «credere>> è riferito al Padre, di cui l'evangelista non cessa di ri­ chiamare la presenza. Tuttavia un unico pronome regge i partici­ pi akouon e pisteuon (chi ascolta ... chi crede... ), nonostante la va­ riazione dei complementi rispettivi (la mia parola, colui che mi ha " Come lo sottolinea il duplice Amen; cfr. sopra pp. 39ls. " Anche nel v. 23 si trova il perfetto dédoken. " «Affinché chiunque crede in lui ... abbia la vita eterna».

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inviato): ascoltare la parola di Gesù e affidarsi al Padre•� che lo ha inviato sono un unico processo interiore. L'immediatezza del le­ game tra Gesù e il Padre viene qui espressa attraverso l'esperien­ za del discepolo%. TI Battista testimoniava che l'Inviato di Dio «parla le parole di DiQ)>97; Gesù annuncia che ascoltare la sua parola significa avere la vita eterna, quella che il Padre ha in se stesso. Non certo posseder­ la come un bene proprio, ma essere ammessi alla comunione divi­ na o, come precisa il testo, essere «passati98 dalla morte alla vita». Il passaggio è interiore (il credente non esce dal mondo: 17,15) e tuttavia niente potrebbe misurare la distanza così superata, dal­ l'universo della morte a quello del Dio vivente - dall'odio all'amo­ re, dice la Prima lettera di Gv - cosa che l'evangelista esprime altrove con le opposizioni tenebre/luce o schiavitù/libertà99• Questo passaggio avviene dal momento in cui la parola è accol­ ta nella fede; il suo effetto continua, come indica il tempo perfetto del verbo nel senso biblico della parola147, e "' Cfr. pp. 278-284. "' Cfr. i Dizionari biblici, specie D. Mollat, in DTB, 5 1 0-517. '" Rm 8,20. Cfr. il mio libro Difronte allo morte. Gesù e Paolo, LDC, Torino 1982, pp.

190- 193.

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compensa l'insicurezza che n e deriva, cercando altrove l a solidità e la piena realizzazione del suo essere. Gesù dichiara ai suoi uditori: «L'amore di Dio non l'avete in voi stessi»148• È chiara l'allusione, non senza una punta di ironia, al comando supremo della legge di Mosè: Ascolta Israele... Tu amerai il tuo Dio con tutto il tuo cuore, con rutta la tua anima e con tutte le tue forze (Dt 6,4-5; cfr. Le 10,27).

La prova di questa assenza di amore verso Dio è la non acco­ glienza dell'Inviato del Padre, mentre sono accolti, con una fidu­ cia illusoria, coloro che vengono a nome proprio, cioè, biblica­ mente, nella menzogna149• Chi siano, il testo non lo precisa150; ciò che importa è la contrapposizione «in nome del Padre l in nome proprio», classica nella Scrittura. Gesù dice poi che, dandosi sicu­ rezza gli uni gli altri, i suoi uditori non si curano invece della sicu­ rezza che viene dal Dio unico151• Che cosa significa l'espressione «ricevere la gloria gli uni dagli altri» (piuttosto che da Dio), in un contesto che riguarda la com­ prensione della testimonianza scritturistica? L'evangelista potreb­ be riferirsi a una interpretazione comunemente accettata, che, irrigidendosi in se stessa, è divenuta riduttiva. I profeti rimprove­ ravano a Israele di appoggiarsi sulle sue istituzioni - in particola­ re il Tempio - come garanzia di salvezza, mentre la parola di Dio esigeva la conversione del cuore e una condotta retta. In maniera analoga, Gesù dice che i suoi uditori si sono ripiegati sulla legge di Mosè, in cui, di comune accordo, trovano quanto giustifica la loro identità religiosa adeguata e sufficiente,_ Nel c. 8 i «giudei» '" 5,42. D genitivo «di Dio>> può essere oggettivo (l'amore degli uomini per Dio) o sog­ gettivo (l'amore di Dio per l'uomo, il suo amore). L'evangelista potrebbe pensare simulta­ neamente ad ambedue; ma secondo il movimento del testo, che critica il componamcnto degli uditori verso Dio, prevale il senso oggettivo. '" Cfr. Ger 29,3 1 ; Dr 18,20; 1Gv 4,5. '" Prima della Guerra giudaica (66-70) ci furono numerosi pseudo profeti e pseudo messia. Qui non può rrattarsi di Bar Kochba (morto nel 135 d.C.). Nonostante alcuni Padri della Chiesa, è difficile scorgervi il diavolo o l'Anticristo; cfr. R. Schnackenburg, Il, p. 243, n. 28. 1" L'aggettivo «unico>> (m6nos) manca in molti manoscritti, ma è autentico (con GNT, Nestle). L'espressione «Dio unico>> è comune all'AT, al giudaismo, al NT ed è attestata nell'Antichità classica; qui, come in 17,3, potrebbe riflettere l'uso religioso tradizionale; ma essa è senza dubbio intenzionale, poiché si oppone letterariamente alla molteplicità che implica l'espressione por'ollelon («gli uni dagli altri»). "' Cfr. J. Blank, Kririr, p. 206.

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affermano di essere discendenza di Abramo e quindi liberi, men­ tre secondo Gesù sono schiavi fino a quando non si apriranno, come Abramo, alla verità di Dio che si manifesta nella sua novità. Non essendo più compresa come appello al superamento di sé in Dio, la Legge di Mosè è divenuta la zona di sicurezza in cui si rin­ chiudono gli uditori di Gesù, mentre la Scrittura d'Israele orien­ ta da sempre all'Alleanza nuova, al futuro che Dio propone all'uo­ mo, se egli si apre radicalmente al dono del suo Amore. Per Gv, non riconoscere che Gesù è il «SÌ» di Dio alle sue promesse, equi­ vale a imporre il silenzio alla Parola. Dopo aver denunciato l'atteggiamento interiore che fa da osta­ colo alla comprensione dei testi, Gesù compie un ultimo tentati­ vo di far breccia sui suoi uditori, mettendoli di fronte al rischio che stanno correndo: essi credono di ottenere la vita eterna scru­ tando gli scritti di Mosè (5 ,39), e sono proprio questi scritti che possono accusarli di fronte a Dio (5,45s). Il ragionamento, figurato, si ispira alla tradizione giudaica. Secondo una sentenza rabbinica del I secolo «l'uomo che tra­ sgredisce un comandamento si fa accusatore di se stesso»153. Qui non si tratta di un precetto particolare, ma è il complesso delle Scritture, personificate in Mosè, che manifesterà all'ultimo Giorno lo scarto tra la chiamata e la risposta, senza che Gesù abbia a intervenire. Mosè, l'intercessore per eccellenza presso Dio a favore degli Ebrei1'\ diventa l'accusatore perché «è di me che egli ha scritto». L'unità della rivelazione divina è una certezza che attraversa tutto il quarto vangelo. Qui essa viene espressa mediante il rap­ porto immediato delle Scritture d'Israele con Gesù. Manifestan­ do il disegno del Padre, esse conducono all'Inviato il quale, a no­ me del Padre, porta a termine questo disegno. E tuttavia questo compimento è nuovo. Gli scritti di Mosè, in quanto tali, non manifestano ancora il mistero della persona del Figlio; solo le sue parole possono rivelarlo e, rivelandolo, manifestare ciò che attra­ verso di lui diviene possibile ai credenti: la loro unità, in Gesù, col Padre (17,2 1 .23-26). Tale è il legame di continuità e, al tempo stesso, la distanza tra Io scritto e la Parola. Ma le parole per se "' Pirqè Abot 4 , 1 1 , citato da C.K. Barret, p. 270. 1"

Cfr. SB II, 561.

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stesse sono davvero sufficienti a esprimere il dono di Dio? Prima di donare la sua vita, poteva Gesù concludere la propria risposta ai suoi giudici diversamente che con un interrogativo? 3. Rilettura del racconto di

miracolo

ll racconto di Bethesda sollevava diversi interrogativi; alcuni hanno trovato risposta nel corso della lettura analitica, in attesa della luce che sarebbe venuta dal discorso. Abbiamo notato, per esempio, il senso particolare del verbo «camminare», che ricorre nel testo. Ecco ora un tentativo di rilettura simbolica. Dalla risposta di Gesù ai giudei (5 , 1 9-30) emergono due dati: il Figlio dispone della «vita» e del «giudizio». Anche nel raccon­ to è presente questo doppio potere, e in maniera dissimmetrica come nel discorso. Disteso sul suo giaciglio, tra una folla di altri distesi (5,3 .6), l'infermo offre un'immagine concreta dei «morti» che il Padre e il Figlio vivificano. Gesù gli dice: «Alzati! » con il verbo usato in 5 ,2 1 per esprimere l'opera divina che riguarda, in linea di princi­ pio, l'intera umanità. Ecco perché questo personaggio non viene nominato, ma chiamato semplicemente «uomo» e il suo male di così lunga durata non viene specificato: esso suggerisce la condi­ zione comune di coloro che sono ancora incapaci di camminare, nel senso biblico di camminare con Dio, e sono impotenti a rimet­ tersi in piedi da se stessi. Ponendo il protagonista tra ciechi e zoppi, l'evangelista lo inse­ risce tra i beneficiari della Promessa, tra coloro che il padrone di casa invita al suo banchetto, secondo la parabola di Gesù in Luca (dr. Le 14,2 1 ). Qui Gesù propone: «Vuoi divenire sano?». La risposta dell'infermo, pur nel suo tono passivo e disilluso, prende senso: questo è impossibile, a meno che un «uomo» non venga a lui e lo immerga nella piscina. Gesù restituisce la salute a questo morto-vivente. Ma non con l'acqua. Questa storia dell'acqua agitata e curativa, che attira la nostra curiosità, non interessa in verità l'evangelista se non a tito­ lo di contrasto. Lo si può constatare dal fatto che, su quattro men­ zioni dell'acqua, tre si leggono subito all'inizio del testo e la qua�­ ta ricorre tra le parole dell'infermo, prima della sua guarigione. E mediante la sua parola che il Figlio, l'Inviato del Padre, comuni-

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7. IL FIGLIO DI DIO RISANA L'UOMO (5,1-47)

ca la vita (cfr. 5,24 ) . Diversamente dal racconto del cieco-nato, qui non vi è alcun gesto. È la potenza della Parola, unicamente, che dona la sanità. L'evangelista vi insiste: il verbo «dire» riferito a Gesù si sostituisce, nella bocca del miracolato e dei giudei, a qualunque altro gesto guaritore: «Quello mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina!», «Chi è l'uomo che ti ha detto: Prendi e cammina?». Nei vv. 8 e 9a il narratore accosta l'enunciazione del comando e l'enunciazione del risultato, esaltando in tal modo questa Parola. ll procedimento richiama il noto versetto della Genesi: «Sia la luce! e la luce fu». Camminando liberamente, il protagonista è entrato in un nuo­ vo ordine di esistenza. Se deve pur portare il suo giaciglio - segno della sua morte - è per manifestare che «in quel giorno>> si è com­ piuta la salvezza di Dio. In questa prospettiva, l'accenno alla «festa dei giudei>> nel v. l potrebbe già orientare verso l'evento della salvezza, prima ancora che il racconto si concentri sul saba­ to escatologico. Il giudizio esprime al negativo l'assolutezza del dono di Dio. La funzione corrispondente a tale giudizio non si esercita in paratie· lo a quella di vivificare, che è la funzione primaria e la sola che Dio ha di mira. Perciò, nel racconto di guarigione, il tema del giu­ dizio non ha tanto spazio quanto quello della salute ricuperata. Esso incombe in maniera pesante nel secondo quadro, quando Gesù ritrova l'infermo guarito. Presso la piscina, dopo averlo av­ vicinato con una domanda che riguardava la sua esistenza, Gesù l'aveva rimesso in piedi di sua sovrana iniziativa e senza farsi co· noscere. Ma nel Tempio, dove Gesù viene infine riconosciuto, egli provoca l'uomo a un impegno personale. lnvitandolo a non più peccare, intendeva forse Gesù riferirsi alla disperazione che c'era in lui prima di scoprire che Dio vuole la vita? In realtà, per Gv il peccato è sempre l'incredulità, e il malato aveva detto: «Non ho nessuno>>, «Non ho alcun salvatore>>. Gesù precisa: «affinché non ti incolga qualcosa di peggio>>. Questo «peggio>> è il giudizio, la morte definitiva, che avverrebbe se l'uomo non si appropriasse del senso della sua nuova condizio­ ne. Come risposta, il miracolato annuncia ai giudei che «colui che lo ha guarito>> è Gesù; designandolo in questo modo, egli si mo­ stra credente e quindi accoglie la «vita>>.

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A questa simbolica fondamentale del dono della vita, operato da Gesù, dono che trae con sé il giudizio come sua ombra, si so­ vrappone una simbolica di tipo «storico» che consente di valoriz­ zare certi dettagli del racconto. Fin dalla più antica interpretazio­ ne patristica, i cinque portici della piscina sono stati compresi come un'indicazione dei cinque libri della Legge, mentre i 38 anni corrisponderebbero alla durata della peregrinazione degli Ebrei nel deserto. L'infermo allora rappresenterebbe il popolo d'Israele dalla dura cervice, incapace di uscire dalla sua condizione di pec­ cato, nonostante abbia alla sua portata la Legge di vita. Ora Gesù subentra a questa Legge divenuta inefficace; guarendo egli stesso l'infermo, inaugura un nuovo ordine di salvezza. Questa lettura applica al caso particolare di Israele la situazione che, secondo il discorso di Gesù, è quella dell'intera umanità. Un'altra interpretazione simbolica potrebbe essere suggerita dal fatto che, nel primo quadro del racconto, Gesù non solo è scono­ sciuto all'infermo e passa inosservato tra la folla, ma non può essere identificato: è una situazione senza paralleli nei racconti evangelici di miracolo. n secondo incontro permette invece l'identificazione e invita a una risposta la cui portata è definitiva. Non potrebbero queste due tappe corrispondere, in maniera velata, al doppio intervento di Dio presso gli uomini nel corso della storia? Il Padre che vuole donare la vita non ha mai abbandonato gli uomini alla loro condizione di «morte». In colui che interviene alla piscina si potrebbe riconoscere il Logos di Dio, presente da sempre nel mondo in cui esercita il suo potere di vita, pur senza essere cono­ sciuto di persona. Nel Tempio di Gerusalemme, nel luogo in cui si rivela la Presenza, il Logos ha preso figura in Gesù, Colui che si può nominare e confessare.



APERTURA

Gesù conclude il suo discorso con una domanda: «Se non cre­ dete agli scritti di Mosè, come crederete alle mie parole?». Questa domanda mi mette alle strette: esigendo da me la fede nella sua persona, queste parole non tendono a fare di Gesù un secondo Dio? Il monoteismo, cui io mi attengo fermamente, dove va a fini­ re? Una domanda analoga era stata sollevata in occasione del

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discorso che faceva seguito al dialogo con Nicodemo (cfr. pp. 297s), e avevo constatato che la mia fede non era rivolta semplicemente all'uomo Gesù di Nazaret, ma al Figlio di Dio, così che essa ri­ guardava propriamente Dio stesso. Similmente, nel c. 5, Gesù in­ vita a vedere in lui l' «Inviato del Padre». Credere al Figlio che parla in Gesù non significa fermarsi all'uomo di Nazaret, ma ren­ dere gloria a Dio Padre.

Al tempo stesso, però, il Figlio si presenta al termine della rive­ lazione fatta dal Padre: le Scritture non fanno che parlare di lui. Certamente il Figlio orienta verso il Padre, ma è il Padre che attraverso le Scritture fa conoscere il Figlio; è Dio che ha dato al Figlio di avere la vita in se stesso; si deve «onorare il Figlio allo stesso modo con cui si onora il Padre che lo ha inviato» (5 ,23 ). Così il Padre e il Figlio sono reciprocamente orientati l'uno verso l'altro. Impossibile isolarli l'uno dall'altro: è solo nella loro relazione mutua che Dio può esser awicinato con verità. Tuttavia è nel Figlio che si percepisce la relazione essenziale che è Dio. Se il Padre è all'origine e al termine, il Figlio sta al centro. Rivelando se stesso, egli rivela il Padre. È questo il senso della sorprendente affermazione: ... da se stesso il Figlio non può far nulla se non ciò che vede fare i l Padre; ciò che egli fa, ugualmente anche il Figlio lo fa (5, 1 9).

Il suo essere è dialogo continuo con il Padre, come il Logos che è rivolto incessantemente verso il Padre ( 1 ,18).

Ora questa misteriosa relazione che unisce il Padre e il Figlio si manifesta attraverso il racconto del c. 5 . Rendendo perfetta­ mente sano un uomo, Gesù gli conferisce la vita in pienezza; l'uo­ mo, certo, viene esortato a non peccare più, ma fa una cosa sola: «egli cammina». Diversamente dal cieco-nato, non proclama che Gesù è un profeta, non confessa la sua fede; egli è semplicemen­ te un segno vivente della vita comunicata dal Figlio e in questo senso esprime il Padre. Nessuna richiesta di «rinnegarsi» (come nella tradizione sinottica), ma il dovere di esistere, di «cammina­ re» semplicemente. Secondo il quarto vangelo, io non devo tanto «imitare» Gesù, ma piuttosto lasciare che si sviluppi pienamente in me la vita del Padre che il Figlio mi comunica. Il credente è un

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uomo che cammina, se dawero rimane in relazione col Figlio e, attraverso di lui, con il Padre.

n c. 5 mi apre inoltre al segreto della comunicazione: come, di fano, Gesù ha trasmesso la verità che era in lui? Egli sa che la Parola è creatrice di Vita, ma sa ugualmente che la Parola tradot­ ta in parole rischia di essere confusa con il bla-bla-bla del linguag­ gio umano. E così comincia col dare la salute a un uomo, infermo da molti anni; solo dopo, chiarisce la sua azione. Prima di mani­ festare con la parola il mistero del suo essere, Gesù dispone le menti ad accostarvisi attraverso un'azione simbolica; compiendo tale azione in giorno di sabato, egli provoca una domanda sulla sua stessa persona, dopo ne rivela il senso. Così ogni discepolo può imparare la maniera di comunicare la sua esperienza di fede. Di fronte a coloro che non la condividono, io sono tentato di polemizzare, usando parole che dovrebbero espri­ mere la verità. Ma così io dimenticherei che le parole sono tanto un mezzo di comunicazione quanto un ostacolo all'incontro con l'altro. Se invece io metto l'altro in presenza di un gesto che lo invita a riflet­ tere sull'essere sorprendente che io sono (dr. 3 ,8), il dialogo si sta­ bilisce non mediante delle parole che cozzano le une contro le altre, ma tra esseri viventi pronti a comunicare attraverso gesti che offro­ no un senso. Mentre io troppo sovente sono impegnato a imporre la mia verità con una frase tagliente, delle azioni invece consentirebbe­ ro di raggiungere l'altro nel mistero del suo essere e disporlo ad accogliere le parole che intendono interpretare l'atto simbolico. A ogni modo, Gesù si serve delle parole. Dopo aver manifesta­ to il mistero del suo essere e della sua missione, Gesù fa appello a delle testimonianze. Egli non cerca di «dimostrare» la verità della sua esperienza e delle sue parole; egli si appella alla Scrittura che parla di lui. Questa maniera di argomentare può sorprenderei, certo, perché difficilmente si può praticarla al giorno d'oggi, ma essa manifesta al credente la meravigliosa unità tra Gesù e il Primo Testamento che dà al messaggio evangelico tutto il suo spessore. A questa testimonianza, che è la firma del Padre il quale così annun­ cia la venuta del Cristo, Gesù aggiunge la testimonianza delle opere sorprendenti che il Padre ha realizzato con lui, Gesù, colui che il credente, a sua volta, deve presentare per invitare il suo interlocutore a scoprire il mistero di Dio.

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7. IL FIGLIO DI DIO RISANA L'UOMO (5,1-47)

Un'altra lezione ci viene dalla spiegazione che Gesù dà del rifiuto opposto dai suoi contemporanei alla fede da lui proposta. Se non credono, dice Gesù, dipende dal fatto che essi cercano di assicurare la propria esistenza grazie a dei sostegni terreni, a una «gloria che viene dagli uomini». La critica è dura. Che significa esattamente? Gli awersari di Gesù fanno della Scrittura una loro proprietà esclusiva; la sua interpretazione è loro appannaggio assoluto. Ma ecco che un uomo - Gesù, nel caso - apre una nuova prospettiva. A questo punto, o si accetta di aprirsi a questa novi­ tà oppure ci si chiude nelle proprie certezze immutabili. Non c'è via di mezzo ! Essi «possiedono» la verità, e quella definitiva, che nulla può scuotere. In altri termini: Dio sarebbe bloccato nella lettera delle Scritture, oppure rimane Colui che, avendo la vita in se stesso, è sempre da riscoprire nella sua stessa Parola? L'opzione è radicale, perché toglie ogni supporto, ogni stabilità che non sia Dio stesso.

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IL MISTERO DEL PANE DELLA VITA (6, 1 -7 1 )

Testo ' Dopo queste cose Gesù s e n e andò a l l 'altra riva del mare di Gal i lea, verso la regione di Ti beriade. 2 Una folla numerosa lo seguiva perché vedeva i segni che egl i faceva sugli i nfermi . 3 Gesù salì s u l monte e l à s i assise assieme a i suoi discepol i . • La Pasqua, la festa dei gi udei, era vicina. 5 Alzando a llora gli occhi e vedendo una folla numerosa ve­ n i re verso di l u i, Gesù dice a Filippo: « Dove compreremo dei pan i perché costoro mangino?>>. 6 Egl i diceva questo per met­ terlo alla prova, perché egli sapeva bene quel lo che stava per fare. 7 Filippo gli rispose: « Duecento denari di pane non baste­ rebbero perché ciascuno ne riceva un pezzetto» . 8 Uno dei suoi discepoli, Andrea, il fratel lo di Simon-Pietro, gli dice: «" C'è qui un ragazzo che ha c inque pani d'orzo e due piccoli pesci; ma cosa è questo per un così gran numero ? » . 1 0 Gesù disse: « Fate sedere la gente » . C'era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque gl i uom i n i, in numero di circa c i nquem ila. 11 Al lora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li d i stribuì a l la gente seduta; s i m i l mente anche i p i ccol i pesci, quanti ne vol lero. '2 Quando furono sazi, dice ai suoi disce­ pol i : « Raccog l i ete i pezzi che sono sopravanzati affi nché n iente vada perduto ! » . 1 3 Essi dunque l i raccolsero e riempi­ rono dodici canestri con i pezzi proven ienti dai c i nque pani d'orzo, che erano avanzati a coloro che avevano mangiato. 14 La gente a l lora, vedendo i l segno che egl i aveva fatto, d ice­ va: « Costui è veramente il Profeta che deve ven i re nel mondo ! " · 15 Al lora Gesù, sapendo che essi stavano per ve n i-

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re e impadro n i rsi di lui per farlo re, si ritirò più d i stante nella montagna, da solo. 1 6 Qu ando venne la sera, i suoi discepoli scesero al mare 17 e, sal iti su una barca, andavano verso l'altra riva del mare, a Cafarnao. S'era già fatto buio e Gesù non era ancora venuto da loro. 1 8 1 1 mare si i ngrossava al soffio di un forte vento. 1 9 Allora, dopo aver remato per venticinque o trenta stadi, vedono Gesù camminare sul mare e avvicinarsi alla barca . Ed ebbero paura. 20 Ma egli disse loro: «Sono io! Non abbiate più paura ! » . " Al­ lora essi volevano accogl ierlo nel l a barca, allorché subito la barca si trovò alla riva, là dove erano di retti. 22 Il giorno dopo, l a folla rimasta dall'altra parte del mare. . . vide che c'era l à una sola barca e c h e Gesù n o n era sal ito sul­ l'imbarcazione con i suoi discepoli, ma che solo i suoi disce­ poli erano partiti. 23 Ma giu nsero altre barche da Tìberiade, al luogo dove avevano mangiato i l pane dopo che il Signore ave­ va reso grazie. 24 Quando dunque la folla vide che Gesù non era là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e venne a Cafarnao, alla ricerca di Gesù. 25 E avendolo trovato a l l'altra riva del mare, gli dissero: « Rabbì, quando sei arrivato qui?». Gesù rispose loro e disse: «Amen, amen, io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato dei pani e ve ne siete saziati. Operate non per il cibo che perisce, ma per il cibo che rimane per [essere] vita eterna, quel la che vi darà il Figl io del l'uomo, perché è l u i che il Padre, che Dio ha segnato con un sigi l lo » . 2 8 Essi a l lora gli dissero: «Che cosa dobbiamo fare per ope­ rare le opere di Dio?». 29 Gesù rispose e disse loro: «L'opera di Dio è che voi crediate in col u i che egli ha i nv i ato>> . 30 G l i dis­ sero du nque: «Quale segno fai tu, così che vedendolo ti cre­ diamo? Qual è la tua opera? 31 l nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, secondo ciò che è scritto: " U n pane che viene dal cielo ha dato loro da mangiare" » .

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PARTE Il

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32 Allora Gesù disse loro: «Amen, amen, io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane che viene dal cielo, è il Padre mio che vi dà il pane che viene dal cielo, quello vero; 31 i nfatti il pane d i Dio è colu i che discende dal cielo e dà la vita al mondo» . 3 4 G l i dissero al lora: «Signore, donaci sempre questo pane>>. 35 Gesù disse loro: • Sono io il pane della vita. Col u i che viene a me non avrà mai più fame, colui che crede in me non avrà più sete, giammai. 36 0ra io ho detto "a voi" perché voi m i avete veduto e tuttavi a voi non credete. 37 Tutto ciò che mi dà il Padre arriverà fino a me e colui che viene a me non lo getterò fuori. 38 Perché sono disceso dal cielo per fare non la mia propria volontà, ma la volontà di Colu i che mi ha i nviato. 39 Ora, volontà di Col u i che mi ha i nviato è che di ciò che egl i mi ha dato non lasci perire n u l la ma lo risusciti nel l'u ltimo giorno. 40 Sì, è volontà del Padre mio che chi unque vede i l Figl io e crede i n lui abbia la vita eterna, e io lo risusciterò nell'ultimo giorno>>. 41 l giudei mormoravano dunque contro di lui perché aveva detto: «Sono io i l pane disceso dal cielO>>, 42 e dicevano: «Ma costui non è Gesù, i l figlio d i Giuseppe, di cui noi conoscia­ mo bene il padre e la madre? Come mai ora dice: "Sono disce­ so dal cielo?">> . 4 3 Gesù rispose e d isse loro: «Non mormorate tra di voi ! .. Nessuno può veni re a me se il Padre che mi ha i nviato non lo attira, e io lo risusciterò nel l'ultimo giorno. 45 È scritto nei profeti : "E saranno tutti istruiti da Dio". Chi unque ha ascoltato il Padre e ricevuto il suo i nsegnamento viene a me.

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8. IL MISTERO DEL PANE DELLA VITA (6,1-71)

'' Non che qualcuno abbia veduto il Padre, eccetto col u i che è presso Dio, questi ha veduto i l Padre. Amen, amen, io vi dico: col u i che crede ha la vita eterna. Sono io il pane della vita. l vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto ... e sono morti. Questo è i l pane che discende dal cielo: chi ne mangia non muore. · ' Sono io il pane, il [pane] vivente che è disceso dal cielo: se qualcuno mangia d i questo pane, vivrà per l'eternità . Di più! i l pane che io darò è la m i a carne per la vita del mondo». Allora i giudei d isputavano tra loro dicendo: «Come può costui darci la sua carne da mangiare ? » . ' Gesù disse loro: «Amen, amen, io vi dico: Se non mangiate la carne del Figlio del l'uomo e non bevete i l suo sangue, non avete la vita in voi. ' Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, e io lo risusciterò nel l'ultimo giorno. Sì, la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda. ·· Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue d i mora in me e io in l u i . · Come i l Padre, che è vivente, ha inviato m e e io vivo mediante i l Padre, così colu i che mangia me vivrà anch'egli med iante me. Questo è i l pane che è d isceso dal cielo: non come hanno mangiato i padri. .. e sono mort i ! Chi mangia questo pane vivrà per l'eternità » . '" Egl i disse queste cose, i nsegnando i n sinagoga a Cafarnao. 60 Dopo averlo udi to, un buon numero dei suoi d iscepoli disse: « È duro questo discorso! Chi può ascoltarlo? » . 61 Ma sapendo in se stesso che i suoi discepo l i mormoravano di questa cosa, Gesù disse loro: « Questo vi scandal izza? 62 E se vedeste il Figlio dell'uomo sal ire là dove egl i era prima . . . ? ' · ' È lo spi rito che fa vivere, la carne non serve a nulla. Le parole che io vi ho detto sono Spirito e sono vita. ···• E tuttavia ci sono alcuni tra voi che non credono » .

UBRO l - PARTE II

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Gesù sapeva i nfatti fin dal pri ncipio ch i erano coloro che non credevano e chi era col u i che lo avrebbe tradito. 65 E dice­ va: • Ecco perché vi ho detto che nessuno può venire a me se ciò non gl i è dato dal Padre » . 66 A questo punto molti dei suoi d iscepoli si ritirarono e non andavano più con l u i . 67 A llora Gesù disse ai Dodici: « Vorreste andarvene anche Voi ? » . 60 Si mon Pietro gli rispose: « S ignore, da ch i andremo? Tu hai le parole del la vita eterna . 69 Noi crediamo e sappiamo che tu sei Santo di Dio! » . 70 Gesù rispose loro: « Non sono io che ho scelto voi, i Dodici? E uno di voi è un diavolo ! >> . 7' Egl i par­ l ava di Giuda, figlio di Simone l'lscariota; era l u i i nfatti che do­ veva tradi rlo, lui, uno dei Dodici. Dopo la Giudea e la Samaria, è la Galilea che ora viene invita­ ta a dare la sua fede all'Inviato di Dio. A prima vista il c. 6 è for­ mato da quattro episodi: il miracolo dei pani donati in abbondan­ za (6,1-15), il cammino sul mare e il nuovo incontro tra Gesù e la folla (6,16-25), il discorso sul pane della vita (6,26-65) , l'opzione pro o contro Gesù (6,66-7 1 ) . Ma questo capitolo forma una unità? L'interrogativo emerge da certi dati letterari: l'episodio del cam­ mino sulle acque non riguarda in alcun modo il pane; il discorso non fa mai alcun riferimento al miracolo; i vv. 53-58 sembrano parlare dell'eucaristia mentre miracolo, discorso e dialogo finale riguardano la fede in Gesù'; infine il v. 59 mette il punto finale al discorso, così che i vv. 60-7 1 costituiscono un altro complesso, che si rivolge non più ai giudei ma ai discepoli e ai Dodici. E tut­ tavia, nonostante queste difficoltà, il c. 6 forma una unità lettera­ ria che deve essere interpretata come un tutto unitario. Indub­ biamente, anche qui sono state utilizzate da Gv fonti o tradizio'1_i diverse, ma una lettura sincronica è possibile, anzi necessaria2• E ciò che tenteremo di fare. Anzitutto rileviamo sommariamente l'unità del testo. Affronteremo la questione a suo tempo. Numerosi critici, seguendo J. Jeremias, han­ no accolto l'ipotesi di una omelia cristiana eucaristica che sarebbe stata aggiunta a un testo che parlava unicamente della fede in Gesù. Cfr. pp. 468s. Di france alla maggioranza dei critici che sostengono lo smembramento in vari docu­ menti, alcuni autori mantengono invece con fermezza l'unità del discorso, se non dell'in­ tero capitolo: così E. Ruckstuhl, Dù? literarische Einheit des ]ohevs, Freiburg 1987', pp. 220-27 1 ; P. Borgen, Bread /rom Heaven, l.eyden 1965; ].D.G. Dunn, > utilizzato da Gesù, essi chiedono quali sono le opere che piaccio­ no a Dio. Tuttavia essi non richiamano ciò che era nuovo nella parola del rabbì: l'annuncio che il donatore del nutrimento vivificante sarà92 il Figlio dc=:ll'uomo, colui che il Padre, che Dio93 ha contrassegna" Il tennine ekhorltisthite, diverso da quello del racconto in 6,12, è lo stesso usato da Mt J 4,20; preso in senso deteriore, porrebbe significare una critica al racconto sinottico. 8';1 Questa vira eterna non equivale all'immortalità che procurava l'ambrosia o il nettare degli dèi (così R Bultmann, pp. 164-166). "' Essa è la sottolineava l'im­ portanza di questo annuncio. Gesù non si designa immediata­ mente come il donatore; egli attribuisce questa funzione a una figura celeste che proviene dall'apocalittica giudaica. Ma il titolo «Figlio dell'uomo>> non viene utilizzato qui semplicemente per ritardare l'identificazione chiara del donatore: esso evoca, come sempre in Gv, l'itinerario del Logos incarnato, colui che è disceso dal cielo (3 , 1 3 ) e che vi risalirà (6,62). 29 Gesù rispose e disse loro: >, quella che si deve rea­ lizzare per piacergli (secondo il senso del v. 28), o piuttosto quel­ la che Dio compie nel credente (cfr. 6,37). Ambedue le letture sono possibili, perché la fede95 nell'Inviato - in cui consiste l'ope­ ra di Dio è opera sia di Dio stesso sia dell'uomo che accoglie (cfr. 3 , 1 6s.34). Passando dal plurale (>) al singolare («l'opera>>), Gesù non critica la Legge in quanto tale, ma ricorda che essa ha la sua origine in Dio e manifesta la maniera con cui l'uomo potrà compierla. Gli interlocutori, che non avevano colto la profondità dell'ap­ pellativo «Figlio dell'uomo>>, percepiscono ora che Gesù afferma di essere l'Inviato di Dio e si mostrano disposti a credere in que­ st'uomo che sta parlando a loro, ma a una condizione: che egli manifesti la sua missione con un segno adeguato. Ci si stupisce nel sentirli chiedere un segno, dato che ne hanno appena visto uno (6, 14); ritenendo che una simile richiesta esprima sempre -

" «Essere segnati dal sigillo di Dio» significa essere consacrati al Signore (cfr. Es 28,11; Ct 8,6). Gv usa l'espressione in 3,33 per dire che il credente attesta la veracità della mis· sione del Figlio; qui Dio pone la sua firma, il suo marchio alle parole e agli atti di Gesù (così il Crisostomo, PG 59,250). Con un accostamento al Sal 44,8, Agostino vi scorge il segno distintivo che impedisce di assimilare Gesù agli altri uomini (XXV, 1 1). Cirillo d'Alessandria si richiama a Eb 1,J per vedere nel sigillo una unzione, cioè il >. " E dicevano: «Ma costui non è Gesù, il figlio di Giuseppe, di cui noi conosciamo bene il padre e la madre? Come mai ora dice: "lo sono disceso dal cielo?" » . 4 3 Gesù rispose e disse loro: • Non mormorate tra di voi! 44 Nessuno può venire a me se il Padre che mi ha inviato non lo attira, e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. 45 È scritto nei profeti: "E saranno tutti istru iti da Dio". Chiunque ha ascoltato il Padre e ricevuto il suo insegnamento viene a me. ••Non che qualcuno abbia veduto i l Padre, eccetto col u i che è presso Dio, questi ha veduto il Padre. 47 Amen, amen, io vi dico: colui che crede ha la vita eterna».

Questa prima parte del discorso, come la seconda, comincia con la designazione di Gesù «pane di vita» (6,35.48) e finisce con la promessa della vita eterna, accordata a colui che crede (6,47) o che mangia questo pane (6,58).

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8. IL MISTERO DEL PANE DELLA VITA (6,1-71)

35 Sono io il pane della vita. Colui che viene a me non avrà mai più fame; �' colui che crede in me non avrà più sete, giammai.

Alla domanda dei galilei riferita nel v. 34 Gesù risponde fin dall'inizio: Sono io quel pane che voi desiderate ricevere. Non è una proclamazione in assoluto, cosa che la traduzione «lo sono il pane della vita»110 lascerebbe supporre. Dicendo «Sono io ... » Ge­ sù si serve di un procedimento classico di allegorizzazione111• Con ciò stesso, poiché il «pane di Dio>> (6,33) si presentava come la realizzazione della manna, Gesù dà compimento nella sua per­ sona alla figura della manna escatologica. Numerosi autori sono andati alla ricerca di qualche frase di questo tipo nel Primo Te­ stamento; delusi per non averne trovato112, alcuni si sono rivolti alla letteratura ellenistica, senza miglior fortuna113• È verosimile che la formula di 6,35a sia propria dell'evangelista114: il termine «pane» viene dal v. 3 1 ed è precisato come «pane di Dio>> al v. 33 dove si trova anche il termine «vita». Gesù si presenta come il «vero pane>> (6,32), il vero nutrimento (6,55; cfr. Le 14,15; Gv 6,27) , il pane annunciato nella Scrittura. Alla maniera midrashica, l'affermazione iniziale è seguita in greco da una proposizione participiale, come nella tradizione sapienziale115: alle presentazioni che la Sapienza fa di se stessa, segue di regola un invito a seguirla, ad amarla, a mangiarla, e una no R. Bultmann. pp. 167s, ha esposto bene i diversi casi deU'uso deUa fonnula di rico· noscimento: 6,35.48; 8,12; 10,7.9. 1 1 . 1 4 ; I l ,25; 14,6; 15,1.5. Essa si distingue daUe "proda· mazioni" come 8,24.28.58; 13,19, e si avvicina alle presentazioni di un soggetto, come 6,20; 18,5.6.8. L'Ego' non è il soggetto ma il predicato del verbo «essere». Cfr. p. 573, n. 153. 1 1 1 P. Borgen, p. 73, riporta un resto rabbinico, purtroppo non datato: «L'imperatore Traiano trovò i giudei intenti a leggere questo versetto: "Il Signore farà insorgere contro di te una nazione venuta da lontano... come un'aquila che plana". Allora egli disse loro: .. Sono io 1' aquila che ha progettato di venire in dieci giorni, ma il vento mi farà arrivare in cinque giorni"» (Lam R. 1 , 16 § 45 su Lam 1 ,16). "' Su questi tentativi si legga R. Schnackenburg, IV, pp. 147·162. (= Mél K.G. Kuhn, Tubingen 1972, pp. 328· 342). Egli ritiene che Gv non dipenda dal testo di Joseph e Asenet che pur offre qualche rassomiglianza ma anche differenze fondamentali. Si schiera con P. Borgen circa l'origine della formula giovannea, cioè si tratta di una creazione dell'evange­ lista. Si legga anche S. Légasse, . '" Con P. Borgen e R. Schnackenburg. "' Cfr. P. Borgen, pp. 61-69. A. Feuillet, Étudesjohanniques, DDB, Paris 1962, pp. 47·129, ha particolarmente sottolineato l'aspetto sapienziale della parola di Gesù in questo discorso.

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promessa escatologica. Aggiungendo la sete alla fame, il linguag­ gio simbolico supera l'immagine del pane. Anche la Sapienza in­ vita coloro che l'ascoltano a condividere il suo pane e a bere del suo vino squisito: Venite a me, voi che mi desiderate e saziatevi dei miei frutti ... Coloro che mi mangiano avranno ancora fame, e coloro che mi bevono avranno ancora sete! (Sir 24,19.21). Venite' Mangiate del mio pane, bevete del vino che ho preparato (Pro 9,5).

L' appello è analogo, la conseguenza però è diversa: mentre i discepoli della Sapienza avranno ancora fame e sete di un nu­ trimento sempre saporito, quelli di Gesù saranno pienamente soddisfatti. Per cogliere questo spostamento di pensiero, basta richiamare gli annunci di Isaia, fondati sugli avvenimenti del­ l'Esodo: Non hanno sofferto la sete nel deserto in cui li ha condotti; dalla roccia, per essi, ha fatto zampillare l'acqua, ha spaccato la roccia e le acque sono sgorgate (ls 48,2 1 ) . Non avranno fame e non avranno sete... (Is 49,10).

Con Gesù i tempi sono compiuti, il desiderio sarà appagato, come è avvenuto in maniera simbolica per i convitati saziati di pane. La dimensione escatologica si manifesta inoltre per il fatto che l'appello di Gesù è formulato in maniera impersonale: esso si rivolge non soltanto ai galilei, ma ad ogni uditore della Parola. Questa formulazione generalizzante continuerà nei versetti se­ guenti, con una eccezione al v. 36. 16

«Ora io ho detto "A VOI" perché voi mi avete veduto e tuttavia non credete. " Tutto ciò che mi dà i l Padre arriverà fino a me e colui che viene a me non lo getterò fuori. 18 Perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di Col u i che mi ha i nviato. 39 0ra, volontà di Colu i che mi ha i nviato è che di ciò che egli mi ha dato non lasci perire nulla, ma lo risusciti nell'u ltimo giorno. 40 Sì, è volontà del Padre mio che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna, e io lo risusciterò nell'ultimo gi orn o >>.

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8. IL MISTERO DEL PANE DELLA VITA (6,1·71)

A prima vista, la sequenza dei vv 36-40 sorprende, tanto appare slegata la successione dei pensieri, almeno dal punto di vista della logica occidentale. Ma non è il caso di immaginare un ordine migliore1 16; è sufficiente constatare che essi formano un chiasmo117 il cui centro è dato dalla frase «lo sono disceso dal cielo» (v. 3 8) . Questa rivelazione ha un rapporto evidente con l'annuncio del v. 35: «Sono io il pane della vita». Nel dia­ logo con i galilei, non aveva detto Gesù che il pane di Dio, quel­ lo che dà la vita, discende dal cielo (6,3 3 ) ? Dopo essersi identi­ ficato in 6,35, col pane della vita, Gesù in 6,36-40 conferma questa designazione, dicendo in prima persona che egli è disce­ so dal cielo e che la sua missione gli è stata conferita dal Padre, da Dio. Il verbo «discendere» (katabaino) al v. 6,33 esplicitava il sem­ plice e già chiaro «dal cielo» (ek tou ouranoU) dei vv 3 1 -32. Anche qui questo verbo ha un qualche rilievo. Perché? Nei rac­ conti della manna, eccetto Nm 1 1 ,9, la Scrittura utilizza il verbo , non «discendere>>. Neppure i libri sapienziali usano il verbo «discendere>> per parlare della manna, pane del cielo. In compenso, un passo di Isaia ci offre un accostamento tanto più preciso in quanto il suo contesto parla di invio in missione e di risultato efficace: .

.

Come la pioggia discende dall'alto dei cieli ... altrettanto avviene per la Parola della mia bocca: non ritorna verso di me senza effetto, senza aver eseguito ciò che io volevo c fatto riuscire ciò per cui l'avevo inviata (ls 55,IO·ll). 116 Così tuttavia M.J. Lagrange e la maggior parte dei critici a caccia di fonti. "' Cfr. il nostro studio in NTS 7 ( 1 961) 25 1 ·253; l'ipotesi approvata da RE. Brown, p. 356, è stata contestata daJ.N. Aletti, RSR 62 (1974) 172. J�> Avete veduto e non avete creduto

" Tutto ciò che il Padre mi diJ non lo getterò fuori

'" Per fare la volontà di colui che mi ha inviato

u

'"Chiunque vede il Figlio e crede in lui "Di ciò che egli mi ha dato che io non lasci perire nuUa

'9 Ora è la volontà di colui che mi ha inviato

'

"

lo sono disceso dal cielo

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È probabile che l'immagine della discesa, qui applicata alla Pa­ rola di Dio, provenga dall'Esodo che parla della discesa di Dio sul monte Sinai: li terzo giorno Jhwh discenderà sul monte Sinai... Egli discese ... (Es 19, 1 1 .20).

Come la Parola di Dio discende, provenendo dalla sua bocca (simile alla pioggia che scende dal cielo), così in Gv il pane di Dio; ma con una piccola differenza: invece della preposizione ek che indica semplice provenienza, è usata la preposizione ap6 che esprime meglio un costante legame con l'origine1 18• La rivelazione di 6,38, centrale in questo brano, traspone in prima persona l'af­ fermazione del Prologo «E il Logos divenne carne»: Gesù dice che appartiene al mondo divino. Nei versetti seguenti, colui che discende dal cielo promette la vita eterna sotto diverse formule: «Non essere gettati fuori» (6,37), «non perire» (v. 39)119, «risuscitare all'ultimo giorno» (vv. 39ss) e soprattutto «avere la vita eterna» (v. 40); questa viene affermata come un dono presente (cfr. 5,24) : Gesù attualizza la promessa della risurrezione nell'ultimo giorno . . . Chi non si rallegrerebbe di fronte a queste prospettive? Gli annunci di Gesù sono presentati in conformità con la sua condizione di Inviato (cfr. 6,28s): essi dipendono dalla volontà del Padre con la quale Gesù identifica la sua. E così, mentre Gesù dichiara di essere il Pane della vita, rimane presente il tema del dono di Dio che caratterizzava l'introduzione al discorso (6,32-33). Alle promesse di Gesù è posta una condizione: «Venire a lui» (v. 37), espressione che equivale a «credere»120• Si tratta di crede­ re nel Figlio, e non tanto per il fatto di disposizioni favorevolil2l, ma sulla base di un «vedere» (v. 40). I giudei hanno veduto un uomo come un altro, certo un grande taumaturgo, ma non hanno riconosciuto in questo Gesù, che sta parlando ad essi e che com­ pie opere meravigliose, colui che viene dal cielo. Così è preparata 118

.

Cfr BD, 209. 119 Stesso pensiero con una formulazione simile in 3 , 1 6- 17. Gesù accoglie il cieco-naro guarito e cacciato dalla sinagoga (9�2) come il Buon Pastore (I0,9s.28) e lo conduce ai

pascoli della vita abbondante (cfr. 17�). Con Gesù è garantita la sicurezza, anticipazione della pace escatologica. "" Cfr. p. 179. 120 Cfr. A. Vanhoye, NRT96 ( 1964) 337-354.

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8. D.. MISTERO DEL PANE DELLA VITA (6,1-71)

l'obiezione dei giudei, radicale, sul figlio di Giuseppe (v. 42). Ma non si trova anche il lettore nella stessa difficoltà? Per prudenza, se non per pusillanimità, abbiamo tralasciato di proporre un'interpretazione del v. 36. Esso viene tradotto abitual­ mente così: «Ma vi ho detto che (h6ti) voi (mi) avete veduto e tut­ tavia non credete»; ma questa traduzione urta contro una grave difficoltà: dove Gesù ha parlato così? In mancanza di un testo di riferimento, ci si accontenta di ricordare che nel v. 26 Gesù ha rimproverato ai galilei di non avere veduto il «segno» dci pani e di non cercare che il nutrimento terreno. Si deve riconoscere che l'accostamento è tenue, almeno per il tenore del testo. Perciò P. Borgen122 propone di leggere h6ti non come una congiunzione che introduce ciò che è stato detto da Gesù, ma come una con­ giunzione causale; di qui la traduzione seguente: «Ho detto a voi perché mi avete veduto e tuttavia non credete». Secondo questa lettura, Gesù richiama la maniera con cui ha parlato al v. 32 dove - in risposta ai galilei che citando la Scrittura (v. 3 1 ) dicevano: ((Egli ha dato a loro» - ha precisato che bisognava leggere: ((Egli ha dato a noi il pane del cielo», aggiungendo: ((Il Padre mio vi dà il pane del cielo, quello vero». Una domanda sorge ancora: per­ ché Gesù richiama ciò a questo punto? Propongo un'ipotesi: in mezzo alle sue proclamazioni in prima persona (10), Gesù vuole sottolineare che la sua parola si rivolge proprio ai galilei là presen­ ti. Certo, nessuna soluzione si impone; mi è sembrato onesto segnalare la difficoltà anche senza poterla risolvere. a.

I.:obiezione

dei giudei (6,41-42)

" l giudei mormoravano dunque contro di lui perché aveva detto: «Sono io i l pane disceso dal cielo», " e dicevano: «Ma costui non è Gesù, il figlio di Giuseppe, di cui conosciamo bene il padre e la madre? Come mai ora dice: "Sono disceso dal cielo?" » .

Come nel racconto d i E s 16,2s, il narratore comincia notando il fatto della mormorazione collettiva per riportarne poi i termini precisi. Qui lo scandalo sorge dalla disparità tra l'origine celeste 1"

P. Borgen,

pp. 64-67.

LIBRO l

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proclamata da Gesù e l'evidenza della sua condizione umana. Degli annunci precedenti di Gesù viene preso in considerazione soltanto quello che dà a tutti fondamento, la sua discesa dal cielo. Per far questo, il narratore combina due affermazioni successive di Gesù: «Sono io il pane della vita» (v. 35) e «Sono disceso dal cielo» (v. 38)123; poi i giudei citano testualmente l'affermazione: «Sono disceso dal cielo>> (v. 42). Non reagiscono a viso aperto, ma tra loro ( 6,43 ), rifiutandosi di pensare a un mistero che li supera radicalmente. L'ostacolo che impedisce la fede è sottolineato dal fatto che Gesù ha dei genitori ben noti; al tempo stesso emerge l'ironia giovannea: «Noi conosciamo i genitori di GesÙ>>, dicono i galilei; essi conoscono certamente il figlio di Giuseppe, ma non il Figlio di Dio. La domanda: «Non è egli ...>> si legge anche nei tre sinottici124, in un contesto di sorpresa. In Gv, i giudei si trovano di fronte a un essere che, senza mettere in discussione la sua condizione umana, dichiara di essere disceso dal cielo e pertanto di apparte­ nere alla sfera divina. Quando il lettore incontra in Matteo o in Luca lo stesso paradosso, che questi evangelisti del resto presen­ tano in maniera meno spinta, egli è già stato messo a parte del segreto grazie ai racconti dell'infanzia125• In Gv, nulla è stato detto in precedenza della concezione verginale di Gesù 126 né è stata rac­ contata la sua nascita. Tuttavia non è il caso di chiedersi se per Gv una paternità umana sarebbe incompatibile con la condizione divina; in realtà, l'espressione «figlio di Giuseppe» significa sem­ plicemente che, per i suoi contemporanei, Gesù è un uomo come un altro (cfr. 1 ,45). Col termine «mormorare>> (qui e in 6,43) l'evangelista, fedele al racconto biblico della manna che costituisce l'orizzonte di que­ sto capitolo, assimila gli uditori di Gesù alla generazione del de­ serto: essi «mormorano>> come i loro antenati dalla dura cervice i quali, attanagliati dalla fame, rimproverano a Mosè di averli fatti uscire dall'Egitto. Il legame tra i due testi è la mancanza di fede e può essere utilmente precisato. Nel deserto gli Ebrei mormorano «contro Mosè>>, mentre quest'ultimo risponde loro che essi non "' Come indica il diagramma della nota 1 17. '" Cfr. Le 4,22; Mc 6,3 = Mr 1J,55. '" Mt I - 2; Le l - 2. U6 A meno che non si parteggi per la rara lezione (5,26), qui Gesù modifica la pro­ clamazione iniziale del discorso: egli non è soltanto il «pane della vita>>, ma «il pane vivente>>. Questa affermazione, unita all'invito a mangiarne, awia uno sviluppo di pensiero che si estende fino al v. 58. Immediatamente il lettore è condotto a una nuova rivelazio­ ne: «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo>> (5 1c). Questa parola di Gesù deve essere esaminata da vicino. Essa è introdotta da un costrutto tipicamente greco kaì dé che può essere reso così: «Quanto al pane ...>> oppure: «Più ancora ! Il pane... >>"6• Il verbo «dare>>, al futuro, ha come soggetto un Eg6 m L'espressione «Sono io il pane della vita» potrebbe benissimo chiudere la prima sezione. Tuttavia sembra preferibile farne l'inizio dcJla seconda perché, in questa divisio­ ne, ambedue le sezioni si concludono con la menzione della «vita eterna)>, mtenuta sia mediante la fede sia mediante la manducazione Jcl pane. Ciò fa vedere anche che la secon­ da sezione suppone e completa l'insegnamento della prima. '" Cfr. BD 447,9.

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8. IL MISTERO DEL PANE DELLA VITA (6,1-7 1 )

enfatico, lo stesso che introduceva la designazione del pane in 6,35.48.5 1a. Ma mentre in questi versetti Gesù dice che è il pane disceso dal cielo, e dunque quello che Dio dona (6,33 ), in 5 1 c egli diventa il donatore, secondo quanto suggeriva già la seconda parte del v. 6,33: «Il pane che dona la vita al mondo». La metafora del pane ora è decodificata: in questo nuovo an­ nuncio Gesù la interpreta chiaramente. Che cosa significano pre­ cisamente i tre termini: «carne», «dare» e «per»? Col termine «carne» (sdrx) Gesù non intende la sostanza cor­ porea dell'organismo umano, ma se stesso nella sua condizione mortale137• Verosimilmente è a motivo del termine «pane» che qui viene preferito sdrx a psykhi («vita» o «anima»), termine abituale nel quarto vangelo quando Gesù parla del dono della sua perso­ na138; ma perché viene preferito anche a «corpo» (soma), tradizio­ nale nelle parole di Gesù all'ultima Cena139? Sarà forse perché Gv, eccetto 2,2 1 , riserva tale termine al cadavere140? Più probabilmen­ te è perché la parola «carne» specifica nel Prologo il modo di pre­ senza del Logos tra noi ( 1 , 14); esso quindi tiene viva qui l'idea del mistero dell'Incarnazione, che il discorso ha messo in rilievo col tema della discesa dal cielo. Quanto alla scelta del verbo «dare» (doimai), invece di tithemi abituale in Gv141 , essa dipende probabilmente dalla frequenza con cui ricorre nel capitolo: già nel racconto del segno dei pani, poi in bocca ai giudei e nell'annuncio del cibo celeste142• La preposizione «per» (hypér), col suo senso «a favore di ... », in Gv indica di regola la finalità del dono che Gesù fa della sua vita per (a favore di) le sue pecore, per il popolo, per le nazioni, per i suoi discepoli 143• Questo linguaggio esprime anzitutto, attraverso il termine sdrx, l'effetto vivificante dell'Incarnazione e, col futuro «io darò», an­ che la morte di Gesù come sorgente di vita per il mondo. Questo è il dono volontario del Figlio che nel c. 10 ricorrerà come un leit"' Secondo il senso del vocabolo sdrx in 1,14 (cfr. pp. 1 12-1 16). tithemi: 10, 1 1 . 15. Cfr. 10,17.18; 13,37s; 15,13.

'" Con il verbo '" Mt 26,26p.

'"" 19,31 .38.40; 20,12. Cfr. il nostro Condividere il pane eucaristico, LDC 1983, pp. 121- 122. w Cfr. qui sopra no[a 138. Con doUnai Gv riprende il termine tradizionale per desi­ Rnare il dono che il Cristo fa della sua vita (Mt 20,28p; Gal 1,4). '" 6,1 1.27.32.33.34.37.39.51.52. "' 10,11 .15; 1 1 ,50-52; 18,14. Cfr. il nostro Condivtdere... (vedi nota 140), pp. 122-125.

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motiv. Tuttavia, poiché qui la «carne» è il referente del pane, og­ getto diretto del verbo «dare», molti critici hanno pensato che questa parola si riferisca immediatamente all'eucaristia, vedendo­ vi una trasposizione delle parole della Cena 144. Ma per il primo tempo di lettura, il tempo fondante, bisogna mantenere in 5 1c il senso esistenziale145• In effetti, nei versetti introduttivi (50.5 lb), l'invito a «mangiare questo pane» dipende dalla metafora domi­ nante nel discorso, usata per esprimere il dono di Dio ed essa, pertanto, deve essere intesa anzitutto come invito ad aderire alla persona del Figlio salvatore del mondo. Inoltre, anche se i vv. 5356 si riferissero unicamente all'eucaristia, non sarebbe richiesto in precedenza l'annuncio della morte di Gesù? Infine, nella misura in cui il tennine stirx designa la condizione terrestre del Logos incarnato, non si può - secondo noi - applicare direttamente a 5 1 c il senso sacramentale, perché quest'ultimo implica la presen­ za del Risorto. Certamente, gli elementi tradizionali, quali il pane, la preposizione «per», il termine «carne» (equivalente a «cor­ po»)146 e la prospettiva del dono, possono evocare l'osmosi gio­ vannea tra il tempo passato di Gesù che va incontro alla sua morte e il tempo presente della comunità cristiana che vive il sacrificio eucaristico.

b. I:obiezione dei giudei (6,52) 52 Allora i giudei disputavano tra loro dicendo: •Come può costui darci la sua carne da mangiare?» 147•

Come nella prima obiezione (6,42), anche qui due parole di Gesù - ((mangiare di questo pane» (5 1b) e ((il pane . è la mia carne» (5 1 c) - sono state accostate e formano una sola frase da cui è scomparsa la parola ((pane». Così formulato, l'annuncio di Gesù sembra ridotto ad un senso puramente materiale, e anche as.

.

144 Così Bemard, Jeremias, Schiirmann, Brown, Schnackenburg ... "' Così A. Schlatter, H. Odeberg, H. Strathmann, P. Borgen ... l-46 Alcuni ritengono che il termine sdrx sia più originale, nel racconto della Cena, di soma nei sinouici; ma potrebbero sbagliarsi; cfr. il nostro Condivzdere... , pp. 121-122. 147 C.K. Barrett vorrebbe proporre una lezione rara: «Può dare una carne da mangia­ re?», che manifesterebbe una obiezione più letterale (cfr. Nm l l ,4 ) . Ma il testo classico conviene meglio alla prospettiva giovannea (cfr. 6,4ls).

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8.

IL MISTERO DEL PANE DELLA VITA (6,1·71)

'urdo. Si pensa a Nicodemo il quale si rifiutava di immaginare che losse necessario, per rinascere, rientrare nel seno di sua madre. Ma il nostro testo non suggerisce davvero l'umorismo rabbinico che si poteva intuire nel maestro in Israele. Qui domina l'indigna· rione: i galilei disputavano'48• Cosa hanno dunque compreso? n contesto si oppone a una comprensione letterale dell'obiezio­ ne. A partire dal v. 3 1 , in cui il pane mangiato dai padri si riferi· sce alla Legge, il termine «pane» è stato utilizzato esclusivamente come metafora del dono vivificante di Dio; correlativamente, «mangiare» significa assimilare questo dono, vivere di esso. Que­ sta simbolica si è mantenuta lungo tutto il discorso. Nella secon· Ja parte Gesù ha sottolineato ancora due volte (vv. 48.5 1a) che è lui stesso il Pane del cielo e ha insistito sulla necessità per il disce· polo di mangiarne per ottenere la «vita eterna». Non è per nulla probabile che il narratore cambi improvvisamente registro, pro· vocando una frattura nella tonalità del testo; cosa che accadrebbe se gli interlocutori - che egli ha mostrato fin dall'inizio coscienti del linguaggio metaforico (cfr. la loro domanda del «pane» (di Dio): v. 34 - reagissero di colpo a livello del senso materiale. Del resto, secondo la loro prima obiezione (vv. 4 1 ss) i giudei hanno capito bene che Gesù affermava la sua origine divina: se hanno rifiutato la sua parola è perché ne avevano compresa la portata. Qui essi hanno inteso il rabbì annunciare che la sua morte volon­ taria produrrà di Es 16,7s. Sono precisamente i due verbi che si ritrovano in Gv 6,41 e 6,52. Cfr. R. Schnackenburg, BZ 12 ( 1968) 248·252, e Comm. , Il, p. 127.

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ratore voglia rimproverare l'incomprensione degli ambienti giu­ daici verso l'eucaristia praticata dai cristiani. La formulazione, tuttavia, si giustifica anche con la tecnica dei dialoghi giovannei: all'insaputa di chi le solleva, le obiezioni annunciano ulteriori chiarificazioni, mettendo così in evidenza il punto nevralgico del­ la parola di Gesù. c.

Il mistero del Pane vivente (6,53-58)

Nella prima parte del discorso era approfondito il mistero della fede in Gesù disceso dal cielo; ci si richiamava all'attrazione del Padre, cosa che rende l'adesione più facile e al tempo stesso più difficile, nella misura in cui gli interlocutori non ascoltano il Padre. Qui viene approfondito il mistero della fede in Gesù che si dona. Rispondendo ai galilei, egli conferma l'annuncio che li ha urtati: aggiungendo il sangue alla carne, manifesta che «il pane che egli darà» (6,5 1c) è la sua stessa persona, come è confermato in 6,57 dall'espressione «Chi mangia me». Ora, le parole di Gesù su se stesso non si limitano alla rivelazione del suo mistero: nel­ l'annuncio della discesa dal cielo e in quello della sua morte, il destinatario è immediatamente coinvolto. Come nella risposta alla prima obiezione dei giudei, anche qui la prospettiva è centrata sul credente, la cui esistenza viene trasformata. In 6,44-47 doveva ascoltare il Padre e >. Non vi è motivo dunque, nel primo tempo di lettura, di non mantenere al verbo «mangiare>>'�' del nostro testo il senso meta­ forico di «credere>> che esso ha precedentemente nel discorso (6,49.50.5 1a) e ancora nel v. 58. Correlativamente, «bere>> dice la stessa adesione di fede al mistero rivelato. In conformità con l'an­ nuncio di 6,5 1 c, che ha provocato l'obiezione dei giudei, qui il mistero non è più il Pane in quanto disceso dal cielo, ma il «Pane>> che Gesù è divenuto per il credente attraverso la sua morte. Ecco ciò che manifesta una attenta lettura. La risposta di Gesù si articola in due coppie di versetti (53-54 e 56-57) che si raggruppano attorno al v. 55. A coloro che man­ giano e bevono, i due primi versetti (il v. 53 in negativo, il 54 in positivo) annunciano la «vita in voi>>, la , la cui pro­ messa aveva contrassegnato tutto il discorso. Dopo il v. 55, che funge da perno, due altri versetti, concatenati tra loro, esplicitano in che cosa consiste questa vita per il discepolo. Da una coppia all'altra di versetti il pensiero progredisce. " Gesù disse loro: «Amen, amen, io vi dico Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi. 54 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, e io lo risusciterò nell'ultimo giorno>>.

Dopo un solenne duplice Amen, Gesù riprende l'espressione «mangiare la carne>> di cui si sono serviti i suoi contraddittori; 1� L'aggettivo alithés è diverso da alithin6s che può indicare il carattere ce1este in opposizione a quello terrestre, come per la manna in 6,32 (non però in 4,37; 8,16; 19,35). ,,, Questa azione reale non è ridotta alla sua materialità dall'uso del verbo trtigO. Esso ha indubbiamente il senso di > in alto. "' Diver.;ameme dalla parola rivolta a Nicodemo (3,13s), la salita al cielo non è qui abbinata alla discesa. Cfr. pp. 269s. Sull'argomento cfr. G.C. Nicholson, Death ar Depar­ ture. The Johannine Dercent-Arcent Schema, Chico 1983.

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(hypdgOJ al Padrem. In questo caso la congiunzione edn potrebbe equivalere a «quando voi vedrete»: la parola di Gesù sarà comple­ tata dalla rivelazione dello Spirito Paraclito che introdurrà alla veri­ tà tutta intera. Quanto all'incredulo che ascolta un simile annuncio, certo egli non «vedrà» Gesù salire al cielo, ma lo vedrà scomparire, e questa eventualità costatata rafforzerà il suo scandalo: in che modo quest'uomo che annuncia la sua morte potrebbe, nonostan­ te la sua scomparsa, continuare a vivificare il mondo? Senza attendere risposta, Gesù dà tuttavia la chiave d'interpre­ tazione del suo discorso parlando dello Spirito. Fino a questo punto il lettore sa che il Figlio, in cui dimora lo Spirito ( 1 ,3 3 ) , ha ricevuto il potere di dare la vita (5,2 1 ) e che lo Spirito è la fonte della nuova nascita (3 ,3 -8). Adesso, colui che «dà lo Spirito senza misura» identifica le sue parole, che sono quelle di Dio, con il dono dello Spirito (cfr. 3 ,34). 61

È lo Spirito che fa vivere, la carne non serve a nulla. le parole che io vi ho detto sono Spirito e sono vita.

Si succedono qui due sentenze, ciascuna delle quali potrebbe avere un suo valore separatamente, anche fuori di questo conte­ sto; tuttavia esse formano un tutt'uno perché l'inizio e la fine del versetto si corrispondono, associando lo Spirito e la vita; le «paro­ le (di Gesù)» collegano tra loro le due formulazioni. La prima sentenza oppone lo Spirito vivificante alla carne vana. Questo contrasto suona come un proverbio, analogo a quello eh� pro­ nuncia Gesù in altro contesto: Ciò che è nato dalla carne è carne, ciò che è nato dallo Spirito è spirito (Gv 3,6).

A un primo livello di comprensione, conviene richiamare che, secondo la tradizione biblica, la carne designa la condizione ter­ restre dell'uomo nella sua precarietà: solo il soffio di Dio dà con­ sistenza al suo essere174• Posta in relazione con lo Spirito, la carne "' Il verbo hypdgo qui usato non equivale sempre ad «andarsene» (poretlomaJ), ma sovente a «ritornarsene». Cfr. 3,8; 7,33; 8,14.21; 13,33.36; 14,4.5.28; 16,5.10. '" Cfr. Gv 4,24: «Dio è spiritO>>. In realtà Dio è (6,35.48.5 1). 1811 Anche se così pensavano numerosi Padri della Chiesa: Agostino, 27 ,9; Cirillo Alessandrino 4,4; cfr. S. Tommaso d'Aquino § 189. 18') Cfr. DTB, voci «Conoscere», (>: 1 3 ,2 1 ) ; qui però qualifica quest'uomo come «diavolo>>. Perché tanta insistenza su Giuda nel nostro te­ sto? Gv forse ha dirottato sul traditore un motivo letterario del racconto sinottico: poco dopo la sua confessione, Pietro viene qualificato come «Satana>> (Mt 1 6,23 ) per il fatto che voleva disto­ gliere Gesù dal suo cammino verso la gloria attraverso la croce. Però questa ipotesi è inverificabile, per il fatto che in Gv esiste una differenza tra e «diavolo>>. Il diavolo è il «sedutto­ re>> che distoglie l'uomo dalla fede, e in questo senso egli è un mentitore e un assassino (8,44); è lui che suggerisce a Giuda di tradire Gesù ( 1 3 ,2), fino a quando non assume la sua vera figura di Satana, dell'Awersario di Gesù e del regno di Dio191• Un altro motivo, più plausibile, si basa sul discorso. Questo ha indubbia­ mente una portata eucaristica; ora tutta intera la tradizione ricor­ da il traditore nel racconto della Cena192• La finale di questo capitolo rimane comunque sconcertante. La confessione di Pietro esprime la risposta che il lettore attende­ va fin dall'inizio, ma essa viene subito, e per bocca di Gesù stes­ so, controbilanciata dall'annuncio del tradimento, già evocato poco prima (6,64) dal narratore. Il lettore viene così mantenuto nella prospettiva della morte di Gesù, di cui il discorso ha rivela191 192

Cfr. 13,18; 15,16.19. Mt 26,14s.21-25; Mc 14,18-21; cfr. Gv 13,2.21-JO.

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to il valore sovratemporale di vita per il mondo e per ogni creden­ te. La notazione della Pasqua vicina (6,4), all'inizio del capitolo, non orientava già in questa direzione? c.

Conclusione

La lettura di questo capitolo era condizionata da una duplice opzione, letteraria e metodologica. Lungi dall'essere un agglome­ rato più o meno eterogeneo di documenti anteriori, il c. 6 costi­ tuisce una unità letteraria. Conveniva quindi farne una lettura di tipo sincronico. Oso sperare che l'esegesi dettagliata abbia giusti­ ficato la nostra ipotesi di partenza. Altri commentari si curano tanto delle fonti utilizzate che è sembrato opportuno offrire qui una lettura che manifesti invece la coerenza dell'insieme e ne fac­ cia risuonare la portata spirituale. La redazione di Gv ha due aspetti: biografico e simbolico. Ri­ chiamiamoli succintamente. n c. 6 è presentato come un episodio della vita di Gesù di Nazaret. La Galilea non si è mostrata ostile come Gerusalemme, ma anch'essa si è rifiutata di credere nel Ri­ velatore. Certamente un piccolo gruppo rimane fedele, ma nel suo interno si trova un uomo, un vero diavolo, che finirà per tradire il Maestro. Attraverso gli uditori che si susseguono (folla, giudei, di­ scepoli, Dodici), il narratore presenta un'esperienza sempre attua­ le: la difficoltà per l'uomo di rimanere aperto alla novità di Dio. Normalmente, in Gv, fede e non-fede significano vita e morte. Qui Gesù chiarisce il divenire della fede in se stessa: essa avviene in un incontro, una sinergia, tra Dio che attira e l'uomo che accoglie. Dicevamo più sopra che la prospettiva della morte volontaria di Gesù sottende l'intero testo. Tuttavia, se lo si legge da capo a fondo senza interruzione - e in particolare il discorso , ciò che risalta con maggior rilievo è la promessa della vita. Questa pro­ messa viene enunciata, reiterata, esplicitata e confermata per il presente e per l'ultimo giorno, in correlazione col verbo «crede­ re» o un suo equivalente. In altri passi, agli annunci positivi face­ va seguito una contropartita negativa (per esempio il giudizio: 3 , 18; 5 ,29), secondo la risposta di fede o il rifiuto; qui, nonostan­ te il comportamento del suo uditorio, Gesù non esprime che la sovrabbondanza del dono della vita. Certamente, egli ricorda an­ che, a due riprese, la morte dei padri nel deserto (6,4958), ma ciò -

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8. IL MISTERO DEL PANE DELLA VITA (6,1·7 1 )

appartiene al passato e serve a sottolineare il contrasto tra la Leg­ ge rimasta inefficace e il Pane vivente. Letterariamente, l'annun­ cio del sacrificio di Gesù stesso è collocato tra queste due menzio­ ni della morte dei padri, come se il fallimento patente della Legge in Israele esigesse da parte del Figlio il dono estremo. Ora, Gesù, per parlare di questo sacrificio, non utilizza mai in Gv i termini «morte» o «morire»: essi non convengono assolutamente a Lui, il vivente che comunica la vita. La storia raccontata nel capitolo è presentata in modo tale che gli avvenimenti hanno una innegabile portata simbolica. Il dono dei pani in abbondanza, che Gesù distribuisce, simboleggia il dono della sua persona, un dono permanente nell'esperienza del credente. La reazione della folla e l'appartarsi di Gesù alludono alla sorte che egli dovrà subire. Il suo allontanarsi verso la monta­ gna suggerisce la meta di questo itinerario: il ritorno presso il Padre. Ora questo ritorno diviene presenza misteriosa per i disce­ poli rimasti in basso: in assenza del loro Maestro, la notte e l'ele­ mento liquido rappresentano la loro situazione di turbamento, pur se tendono verso la terraferma. Venendo sulle acque della morte, Gesù si mostra vittorioso sia della pesantezza sia della distanza che separa. Se la barca dei discepoli tocca subito la riva, ciò mostra che appena essi accolgono Gesù passano da un am­ biente che simboleggia la morte a quello che simboleggia la vita. In continuità col segno dei pani, la metafora sapienziale del pane o della manna orienta, nel discorso, al dono della Parola discesa dal cielo. Gesù designa se stesso come il Pane della vita donato dal Padre, dice di essere il Pane vivente. La sua origine è analoga a quella della manna; ma l'Inviato celeste, che è da Dio e che ha veduto Dio, dà la vita definitiva, quella che egli stesso rice­ ve dal Padre. Il linguaggio del discorso permette di unire in una specie di osmosi il tempo passato, quello della rivelazione di Gesù di Na­ zaret ai giudei che potevano intenderla secondo la loro tradizio­ ne, e il tempo della fede postpasquale. Nel Pane della vita, questa fede riconosce pienamente il Figlio di Dio quale si è rivelato in Gesù di Nazaret e anche quale il sacramento rende presente alla comunità. Il messaggio globale del capitolo appare con chiarezza. L'op­ zione richiesta ha come oggetto la persona di Colui che è disceso dal cielo, di cui il lettore - come gli ascoltatori nel racconto è -

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invitato a riconoscere la mediazione unica. È tuttavia innegabile che un cristiano può intendere, nella presentazione giovannea, un richiamo ad accostarsi all'eucaristia e a coglierne sempre meglio il rapporto col dono che Gesù ha fatto di se stesso e mediante il quale egli rende il discepolo partecipe della sua stessa vita. Il c. 6 si presenta come una storia che ha il suo epilogo nell'op­ zione di fede di Pietro e come una rivelazione simbolica che si svi­ luppa su due livelli intrinsecamente connessi tra loro: quello della persona di Gesù di N azaret disceso dal cielo per dare la vita agli uomini - messaggio essenziale - e quello dell'eucaristia, che trova un senso soltanto in riferimento al primo livello. Con la Parola di Gesù, l'Alleanza ha il suo compimento nella mutua dimora del Figlio e del credente. •

APERTURA

Facendo seguire il discorso al prodigio dei pani, l'evangelista Giovanni approfondisce il gesto umano che consiste nel dare al­ l'altro qualcosa di cui ha bisogno, del pane per esempio o del denaro. Per quanto generoso possa essere, tale gesto implica co­ munque una certa superiorità del donatore rispetto al beneficia­ rio, con tutto ciò che può significare di distanza tra le due perso­ ne. Gesù ha esplicitato la portata simbolica del proprio gesto dichiarando che egli dona se stesso agli uomini. Non è questo il senso di un amore vero e realmente profondo? Ma Gesù va ancora oltre quando annuncia: «Colui che mangia me dimora in me e io in lui». Questa formula non significa un'as­ similazione che diventerebbe fusione, ma una comunione tra per­ sone. Questa prospettiva «mistica» è propria della rivelazione cri­ stiana. Da sempre l'uomo ha mostrato di aspirare all'unione con la divinità. Alcuni si ritengono visitati da intermediari che chiamano angeli o spiriti; sembra così rispettata l'alterità di Colui che è To­ talmente Altro. Ma questo non sempre è bastato. Ricordiamo Al Hallaj, mistico musulmano morto crocefisso dai suoi correligiona­ ri il 27 marzo 922. Egli grida a Dio il suo desiderio: «Tra me e Te c'è un SONO IO che mi tormenta. Ah ! Col tuo SONO IO togli di tra NOI DUE il mio SONO IO!». Il suo anelito è di annullare la dualità per raggiungere l'unità perfetta.

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La rivelazione biblica invece ha preso un'altra direzione. Israele sogna l'Alleanza di Dio col suo popolo, un'alleanza che sia incisa nel cuore e non più solamente su tavole di pietra. Il Cantico dei Cantici tenta di individualizzare l'alleanza, rappresentandola nell'incontro di due esseri che si amano; ma quando la esprime con la formula: «Tu sei mio e io sono tua» (Ct 2,16; 7 , 1 1 ) , rimane nell'immagine della proprietà, sia pure reciproca. , Su questo sfondo, irrompe la rivelazione di Gesù. E certamen­ te ottima cosa rinunciare a possedere se stessi, ma, secondo que­ sta immagine della proprietà, i due rimangono l'uno di fronte all'altro. Per mantenere simultaneamente i DUE esistenti e l 'UNO deside­ rato era necessario che Dio stesso realizzasse nel suo Figlio que­ sta dualità nell'unità, era necessario che Gesù promettesse una relazione tra lui stesso e il credente analoga a quella che ha con il Padre suo. Allora si verifica un'autentica «comunione» senza di­ stanza e senza fusione. Non è questo l'amore spinto fino al suo ul­ timo desiderio? Eppure gli interlocutori di Gesù non hanno accettato il suo messaggio. Fermiamoci sulla prima delle loro obiezioni: come può questo figlio di Giuseppe essere disceso dal cielo? Che cosa è accaduto? Il rischio che il Figlio ha voluto correre è stato quel­ lo di aver assunto un volto d'uomo. Non è sufficiente vederlo per entrare nel suo mistero; bisogna cogliere nella sua parola la pre­ senza dell'essere divino. Il passaggio dal volto all'essere, che si effettua ordinariamente mediante la parola, è davvero ciò che ca­ ratterizza ogni incontro tra persone umane: scoprire il mistero di un altro nel suo volto visibile, il quale è e non è il suo essere pro­ fondo. Privilegiando nella nostra lettura del testo il tema della fede che aderisce alla parola di Gesù, abbiamo lasciato apparentemen­ te da parte il tema dell'eucaristia. Bisogna però riconoscere che la presentazione giovannea ha contribuito a dare nuovo valore alla teologia sacramentaria. Così è avvenuto al c. 3 nel dialogo con Nicodemo. Lasciando da parte la tradizione matteana, che mette in risalto il dovere di «battezzare tutte le genti», Giovanni sotto­ linea che per entrare nel regno di Dio bisogna rinascere dall'ac­ qua che è Spirito (3,5 ) ; inoltre egli è l'unico a riferire che Gesù stesso battezzava (3,22). Questi dati autorizzano a vedere nel c. 3

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una specie di catechesi battesimale: i l battesimo non è soltanto un rito che purifica attraverso l'acqua e la parola in vista dell'aggre­ gazione alla comunità cristiana; esso è anche, e soprattutto, un atto con cui un uomo si lega a Gesù di Nazaret: il credente è «bat­ tezzato a Gesù». Riallacciandosi alla tradizione che nel miracolo dei pani donati in abbondanza vedeva comunemente un annuncio dell'istituzione dell'eucaristia, l'evangelista Giovanni, che non riporta questa isti­ tuzione, le conferisce il suo senso pieno collegando l'insegnamen­ to sacramentale all'annuncio del sacrificio personale di Gesù per la vita del mondo. L'atto liturgico deve esprimere la fede: aderire al «Pane disceso dal cielo», unirsi strettamente a lui «mangiando questo pane», sapere che il Figlio dell'uomo è risalito al cielo. Questo è possibile al credente perché Io Spirito gli dona l'intelli­ genza delle parole di Gesù Cristo. Il quarto vangelo aiuta a comprendere meglio il rapporto che unisce l'atto ecclesiale a Gesù di Nazaret, ora vivente per tutti i secoli. A partire da questa teologia sacramentaria, molti cristiani non esitano a ripetere le parole di Gesù, senza rendersi conto che non condividono più la simbolica di Giovanni. Nel c. 6 Gesù non dice, come nei sinottici: «Ecco il mio corpo per voi... Ecco il mio sangue per voi ... », ma: «Chi mangia la mia carne e beve il mio san­ gue. . . ». Queste parole vengono spesso utilizzate per affermare il realismo della presenza eucaristica. Ma allora, come non com­ prendere chi, a queste parole prese alla lettera, reagisce con disgu­ sto? «Come può costui darci la sua carne da mangiare?» (6,52). È da notare che, fino a Giovanni, nessuno scrittore cristiano aveva osato esprimersi così. Paolo, dopo avere ricordato le parole dell'istituzione eucaristica, aggiunge: «Quando voi mangiate questo pane e bevete a questo calice... » ( lCor 1 1 ,26), senza precisare che si tratta del corpo e del sangue di Gesù Cristo. Per riproporre cor­ rettamente la formula di Gv 6,53, bisognerebbe che predicatore e uditorio fossero compenetrati della sua simbolica. Per l'evangelista non si tratta affatto della realtà fisica «carne e sangue», ma del Figlio dell'uomo celeste che bisogna «mangiare», cioè accogliere nella fede, come viene detto poco dopo: «Chi mangia me... » (6,57) . Invece di insistere s u carne e sangue, come s e ciò contribuisse a valorizzare la «presenza reale», bisognerebbe entrare più profonda­ mente nella simbolica giovannea del nutrimento.

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8. IL MISTERO DEL PANE DELLA VITA (6,1·70

Giovanni ci mette sulla pista buona quando annuncia il frutto della manducazione: il credente «dimora in me e io in lui» (6,56). Questa espressione oltrepassa radicalmente il processo del nutri­ mento che diviene sostanza di colui che lo ingerisce. Non sareb­ be preferibile ricorrere al fenomeno umano della trasmissione della vita? La madre comunica la sua vita all'embrione non dan­ dogli un qualche nutrimento, come il latte che essa darà in segui­ to al suo bambino, ma attraverso il contatto intimo della placenta con la mucosa uterina. Il piccolo essere si sviluppa così nell'unio­ ne, senza digerire l'altro. «Dimorare» reciprocamente significa essere presenti l'uno all'altro senza alcuna fusione né confusione, ma in una perfetta comunione. Questa comunione della madre e del bambino è simboleggiata dalla respirazione unica della madre: l'aspirare e l'espirare del bambino sono l'aspirare e l'espirare della madre. Si può immaginare una unità più perfetta? E tuttavia ri­ mangono due. Non si potrebbe allora comprendere la simbolica «carne e san­ gue» mediante la nozione di «presenza»? Si parte dal contatto corporale per giungere alla presenza psicologica e infine alla pre­ senza «spirituale», la più profonda che esista. Il presupposto di questa progressione è che il reale non è anzitutto il corporeo; la «presenza reale» è essenzialmente (7,53·8, 1 1 ) , inserita tardivamcnte nel vangelo di Gv, non appartiene al blocco dci cc. 7-8. Vedi pp. 606-615. 2 Mc 3,6 = Mr 12,14. ll progello è meno esplicito in Luca.

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9 . LA LUCE DELLA VITA (7,1-,2; 8,12-,9)

credere in lui, luce del mondo, e annuncia simbolicamente la fon­ dazione della sua comunità accogliendo come Buon Pastore il cieco guarito cacciato dalla sinagoga: egli condurrà i suoi ai pa­ scoli abbondanti. È il dono volontario della sua persona che, secondo il disegno del Padre, sarà per essi sorgente di vita eterna. La condizione nuova del credente, promessa nell'annuncio: «Chi mi segue non camminerà nella tenebra, ma avrà la luce della vita>> (8, 12), è simboleggiata in alcuni «segni>>: al c. 5 l'infermo cammina, qui il cieco-nato vede, Lazzaro vive3• I cc. 7 e 8 devono essere letti insieme, a motivo della loro unità di tempo (la festa delle Tende), di luogo (il Tempio) e di azione (Gesù insegna). Tuttavia i vari brani sembrano susseguir­ si senza un filo conduttore, come l'uno accanto all'altro; perciò alcuni critici hanno proposto degli spostamenti di versetti allo scopo di trovare un ordine che unifichi questa molteplicità'. È meglio rinunciare a questo tipo di operazioni e riconoscere che la domanda: «Chi sei tu?>> rivolta dai giudei a Gesù (8,25) è il motivo ispiratore dei cc. 7 e 8 e che l'insegnamento di Gesù lungo questi capitoli ha una sua progressione che culmina nell'Io SONO di 8,58; questa proclamazione finale risponde, su un altro piano, alla richiesta dei fratelli: «Manifesta dunque chi sei !)) (7 ,4). Parallelamente, i tentativi di arrestare Gresù (7, 1 1 -30. 32.44; 8,20) culminano nel gesto di lapidare Colui che, sottraen­ dosi ai suoi aggressori, abbandona il Tempio (8,59). Prima comun­ que di seguire passo passo il testo, conviene richiamare alcuni dati generali. l ) Situazione nella chiesa giovannea. Se in questi due capitoli si ritrovano degli elementi comuni alla tradizione evangelica su Ge­ sù di Nazaret - conflitto con la famiglia, insegnamento nel Tem­ pio, diffidenza dei notabili - la parte specificamente giovannea è determinata dalla conoscenza spirituale di cui l'evangelista è com­ penetrato. Le parole che Gesù pronuncia sono tra le più sublimi ' Gv 9 e Il. Sul rapporto tra questi tre segni con la tradizione sinottica, cfr. pp. 366s. � Si porranno trovare nei Commentari le ricostruzioni di tipo diacronico, ipotetiche e a volte arbitrarie, proposte dai critici. Per parte mia, avevo proposto (cfr. p. 45), una orga­ nizzazione del testo attorno alla parola sulla luce (8,12): due serie di quadri si corrispon· derebbero - controversia + annuncio (7 ,15-30 e 8,13 -20) ed esortazione (7 ,31-36 e 8,21· 30) - sfociando in ambedue le serie in una proclamazione solenne (7,37-39 e 8,31-58); ma questa strutturazione rimane alla superficie del testo.

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del quarto vangelo. Nella proclamazione Io SoNO s i manifesta la coscienza divina di Colui a cui il Prologo inneggiava. E anche questo bisognerà intenderlo bene. Il quadro narrativo restituisce una situazione del passato: il conflitto tra Gesù e le autorità giudaiche durante il suo ministero a Gerusalemme. Ma il testo riflette anche le controversie che, al­ l'epoca dell'evangelista, contrapponevano gli ambienti ufficiali del giudaismo ai discepoli di Gesù. Dopo la caduta di Gerusalemme di fronte ai Romani, nel 70, e la distruzione del Tempio che aveva posto fine al culto tradizionale, l'ortodossia farisaica rimaneva l'unica garante dell'identità giudaica e della coesione del popolo. Di qui il suo irrigidimento di fronte a ogni gruppo deviante, in particolare ai cristiani di origine giudaica. Se buon numero di parole rivolte ai giudei in questi capitoli suonano duramente ai nostri orecchi, bisogna ricordarsi che l'evangelista scrive sotto i colpi e nel dolore della rottura con la Sinagoga. Che l'Inviato di Dio non sia stato riconosciuto dai capi religiosi d'Israele rimane per lui e per la sua comunità una ferita, ma anche un enigma di cui egli cerca la chiave. Come si è potuto, come si poteva ancora non aderire a Colui verso cui mirava tutta la rivelazione del Primo Testamento, verso Gesù, la luce del mondo, il Figlio in cui il Pa­ dre si è pienamente espresso? Di fronte al rifiuto della Sinagoga l'evangelista lascia da parte i molteplici insegnamenti di Gesù che la tradizione sinottica ripor­ tava, perfino il suo comportamento verso i diseredati della terra, per concentrare il messaggio esclusivamente sulla persona del­ l'Inviato e sul suo mistero. Egli mostra in Gesù, ben al di là del Messia d'Israele, il Logos mediante il quale il Padre esprime se stesso e nel quale i credenti partecipano alla filiazione divina. Gv pensa forse, anzitutto, ai suoi fratelli cristiani minacciati dalla pressione che potevano esercitare gli argomenti dei farisei e le loro misure di esclusione dalla Sinagoga? E probabile. Ma al di là di questa situazione storica, il testo interroga il lettore d'oggi, che si trova a sua volta di fronte al mistero di Gesù di Nazaret e con ciò al suo proprio mistero: «Ascoltiamo il vangelo come se il Signore fosse presente» (S. Agostino, In ]o 30, 1 ) . 2 ) Situazione nella narrazione evangelica. Gesù è salito già due volte a Gerusalemme (2,13 e 5 , 1 ) , ma i brevi soggiorni che lo hanno fatto conoscere nella Città si sono conclusi con delle mi-

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nacce nei suoi confronti (4, 1 3 ; 5 ,1 6- 18). Si spiega di qui l'inizio del c. 7 : Gesù percorreva la Galilea; non poteva infatti percorrere la Giu­ dea, perché i giudei cercavano di ucciderlo (7, 1 ).

La Galilea gli serve da rifugio fino all'ora dell'incontro decisi­ vo. Il racconto dei sinottici si organizza differentemente attorno a un prolungato ministero in Galilea, seguito da un breve ministe­ ro in Giudea. Secondo Marco (9,30), Gesù si reca a Gerusalemme in segreto, cosciente della sorte che lo attende nella città che ucci­ de i profeti. Luca ha orchestrato il viaggio inserendovi molti inse­ gnamenti di Gesù e introducendolo con una premessa solenne: «Quando stavano per compiersi i giorni in cui egli doveva essere tolto da questo mondo ... » (Le 9,5 1 ) . Anche Gv dà un tono di so­ lennità a questa salita, manifestando che il momento di essa è fis­ sato unicamente dal Padre. Così, benché non sia l'unica nel suo vangelo, essa rimane la salita a Gerusalemme, quella che prelude al passaggio pasquale di Gesù. La minaccia di morte pesa lungo l'intero sviluppo dei cc. 7-8, determinando il clima dell'incontro. Questa minaccia è ricor­ data già all'inizio (7, 1 ) ; Gesù ne parla, in seguito, alla folla che dapprima protesta ma poi lo ammette5; effettivamente lo si vuole arrestare a varie riprese e il c. 8 si chiude con un tentati­ vo di lapidazione". E tuttavia la realizzazione di questo proget­ to di assassinio non è in potere degli uomini fino a quando l'ora determinata dal Padre non è giunta7. E anche allora, è la glori­ ficazione la meta cui il Padre conduce il Figlio suo, e Gesù sa che là dove egli ritorna i suoi avversari non lo potranno rag­ giungere8. In attesa che giunga l'ora, si svolge il processo di Gesù dinan­ zi ai giudei, molto prima dell'arresto effettivo. I cc. 7-8 ne presen­ tano il primo atto, mentre il c. 5 ne ha già definita la tonalità. Que­ sto processo proseguirà fino al c. 10 in cui, ai vv. 24-33 , si riconoscono le formulazioni dell'interrogatorio sinottico di fron' 7,19.20.25; dr. 8,37.40. 6 7,30.32.44; 8,59. 7 7 ,30; 8,20. ' 7,32s; 8,21; cfr. 7,39.

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te al sinedrio9• Qui il dibattito si concentra sull'affermazione che fa Gesù della sua relazione unica con Dio suo Padre.

3 ) Nel Tempio. Lo scontro tra Gesù e il suo popolo avviene nel luogo sacro per eccellenza, quello che Gesù aveva chiamato «la casa del Padre (suo)» allorché ne aveva cacciato via i venditori insieme con le pecore e i buoi10; là ancora aveva incontrato l'in­ fermo risanato (5 ,14). Ora vi si reca per insegnare (7,14.28.37; 8,12.20). Ma dopo il tentativo di lapidazione provocato dal suo ultimo annuncio, Gesù «esce» dal Tempio (8,59). Come non pensare a Jhwh che abbandona il santuario (Ez 10,18) e poi la Città stessa (Ez 1 1 ,23 )? Gesù non insegnerà più nel Luogo santo" ; anzi abbandonerà la Giudea e si ritirerà «al di là del Giordano» {10,40). 4) Alla festa delle Tende. L'unità di luogo è rafforzata dall'uni­ tà di tempo: tutto avviene nella festa delle Tende. Essa è annun­ ciata (7,2.10), poi ci troviamo nel mezzo della festa (7,14), infine siamo nell'ultimo giorno, il più solenne (7,37). Anche se il c. 8 non dà altre indicazioni di tempo, è certo che gli eventi riportati av­ vengono ancora nell'ambito di questa festa dell'acqua (cfr. 7,37) e, secondo certe tradizioni, della luce ( cfr. 8,12). La festa delle Tende, il cui nome esatto è «festa delle Capan­ ne», è una delle più importanti tra le quattro principali feste del ciclo annuale'2• È di origine agricola e corrisponde alla festa della raccolta che si celebrava in autunno (Es 23 ,16): si abitava allora in capanne costruite con rami e frasche, simili ai rifugi che si driz­ zavano nei campi al tempo dei raccolti. Esse evocavano a loro volta la vita degli Ebrei nel deserto dopo l'uscita dall'Egitto (Lv 23,42s). All'epoca del Nuovo Testamento, la festa delle Tende coronava quella del Nuovo Anno e si celebrava dal 15 al 21 di Tishri, alla fine di settembre o primi di ottobre (nel 1 990, 575 1 del calendario ebraico, si è celebrata dal 4 all ' l l ottobre). Secondo la descrizione che ne fa il Levitico (Lv 23,34-43 ) , que' Si con fronti 10,24.25.36 e Le 22,67.69.70. Cfr. pp. 668s. " 2, 1 3 - 17. Cfr. p. 232. " In 10,23 Gesù passeggia sotto il Ponico di Salomone. 12 Pasqua, Pentecoste, Tabernacoli, Giorno dell'Espiazione. Per la fesra dei Taberna­ coli, o delle Tende, vedi sopratt utto SB Il, 774-812 e G. Mac Rae, CBQ 22 ( 1 9601 2 5 1 -276; in breve DNT, voce «Tabernacoli (festa dei )».

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sta festa era un ringraziamento per la raccolta dei frutti appena compiuta; però la sua liturgia, conosciuta da altre fonti, era orien­ tata verso la domanda della pioggia per l'anno che stava per co­ minciare. Nell'wtimo giorno della festa, si andava in processione alla piscina di Siloe ad attingere dell'acqua che un sacerdote ver­ sava poi come libazione sull'altare dei sacrifici, nel Tempio. La preghiera comunitaria, ricordando a Dio i suoi impegni verso Israele, evocava anche la fine dei tempi con i testi delle profezie che annunciavano, con il simbolo della sorgente, il rinnovamento spirituale di Sion". Ezechiele (47 , 1 - 12) parla dell'acqua che esce dal lato destro del Tempio, e Isaia annuncia: «Attingerete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza»". Nel primo secolo, duran­ te la festa si celebrava anche un rito della luce. Questo sfondo liturgico dei cc. 7 e 8 consente di situare meglio l'invito di Gesù a bere della sua acqua e anche, senza dubbio, la proclamazione in cui egli si dice luce del mondo. 5) l personaggi. Solo, di fronte ai giudei, senza discepoli attor­ no a sé - situazione analoga a quella dell'interrogatorio dinanzi al sinedrio - Gesù appare perfettamente libero, illuminato dall'in­ terno dalla coscienza della sua unità con il Padre e della sua mis­ sione. Il costante richiamo a tale coscienza lo situa, per così dire, su una verticale che scende da Dio. Di fronte a lui, gli altri attori sono presentati in gruppi: i fratelli (ben presto scomparsi) , la folla", alcuni di Gerusalemme (7 ,25), le autorità (7 ,26), i farisei e i sommi sacerdoti16, le guardie del Tempio (7,32.45) e, in genera­ le, «i giudei»17• Fa eccezione Nicodemo, ma egli interviene come uno dei farisei e in mezzo a loro (7 ,50). Questi gruppi sono tutti in tensione, agitati da sentimenti diversi. In primo piano, la folla dei pellegrini e la gente di Gerusalemme si dividono in fazioni di opposte tendenze oppure si dibattono tra evidenze contrarie a proposito del possibile Messia; le guardie mandate ad arrestare Gesù non lo fanno, impressionate dal suo linguaggio; i giudei si " n Calendario israelita del 14 ottobre 1989 (= 5750) prescrive come lettura Zc 14,16-19. " Is 12,3. È questo il quadro liturgico dci capp. 7-8 che permette di comprendere meglio il testo. Cfr. Doura-Europos, citato in RB 46 (1950) 140 e R. de Vaux, Le il"tituzio­ ni dell'Antico Testamento, Marictti, Torino 1964, pp. 475-482. " 7,12-31.40.4 1 .4 3 . 1 6 7,32.45.47.48; 8,13. 17 7 , 1 . 1 1 .15.35; 8,22.48.52.57.

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irritano per il fatto che Gesù osi insegnare nel Tempio, poi si inquietano per la partenza che egli annuncia; tra le quinte i farisei e i sommi sacerdoti si indignano per il suo successo tra gli igno­ ranti e contro Nicodemo, che invoca la Legge a favore di lui; nel c. 8 essi entreranno in scena per interpellare Gesù nel Tempio. Sembra allora che si avvii il dialogo; ma non ve ne sarà alcuno, per­ ché gli interlocutori di Gesù rimangono chiusi a ogni annuncio che non quadri con il loro sistema di pensiero (cfr. 8,43 ) , sebbene l'ar­ gomentazione affondi le sue radici, da una parte e dall'altra, nella tradizione giudaica. E anche qui, il personaggio principale è Dio, che Gesù al c. 7 designa da principio come «Colui che mi ha inviato»18, e poi al c. 8 in un progressivo spostamento, come «il Padre»19•

l. Cm È GESÙ DI NAZARET? (7,1-52) Testo

' Dopo di ciò, Gesù percorreva la Gali lea; non poteva infatti percorrere la G iudea, perché i gi udei cercavano di ucciderlo. ' Era ormai prossima la festa dei gi udei, la festa del le Capanne. 3 Al lora i suoi frate l l i gli dissero: « Parti da qui e trasferisciti in G iudea, affinché anche i tuoi discepoli vedano le opere che fai; 4 nessuno i nfatti agisce in segreto e cerca al tempo stesso di essere in vista. Poiché tu fai queste [opere], manifestati al mon­ do». 5 l n realtà neppure i suoi fratelli credevano in l u i . 6 Allora Gesù disse loro: >. 16 E Gesù rispose loro: « I l mio insegnamento non è m io, ma di Col u i che mi ha i nviato. 1- Se uno vuoi fare la sua volontà conoscerà se questo insegnamento viene da Dio o se io parlo da me stesso. · Chi parla da se stesso cerca una gloria tutta personale, ma chi cerca la gloria di Col u i che lo ha i nviato questi è veritiero e in lui non vi è iniquità. ,., Mosè non vi ha fatto dono della Legge? Eppure nessuno di voi mette i n pratica la Legge! Perché cercate di ucciderm i ? » . ' La folla rispose: «Tu hai u n demonio! C h i cerca di ucciderti ? » . Gesù rispose e disse loro: «Ho fatto una sola opera e tutti rimanete stupiti per questo. · · Ecco perché [io vi dico:] Mosè vi ha dato la circoncisione - non che venga da Mosè, ma dai padri e di sabato voi ci rconcidete un uomo. ' E mentre un uomo riceve la c i rconcisione in giorno di sabato perché la legge di Mosè non venga violata, voi invece vi sdegnate contro di me perché ho risanato un uomo tutto i ntero di sabato! .. , Cessate di giudicare secondo l'apparenza, ma giudicate secondo giustizia ! » . 2 5 Dicevano al lora alcuni d i Gerusalemme: « Non è costui che cercano di uccidere? 26 Ed ecco, parla pubblicamente e non gli dicono nulla! Non avranno forse i capi riconosciuto veramente che è l u i i l Cristo? 27 Ma costui sappiamo da dove è, mentre i l

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Cristo, quando verrà, nessuno conosce da dove egli è » . 2 8 Al lora, mentre insegnava nel Tempio, Gesù gridò: «Mi conoscete bene! E sapete da dove sono! Eppure non sono venuto da me stesso. Ma è veri tiero Col u i che mi ha i nviato e che voi non conoscete bene. 29 lo lo conosco bene perché sono da l u i e d è l u i c h e mi ha i nviato». 3°Cercavano allora di prenderlo, ma nessuno gli m i se le ma­ ni addosso, perché non era ancora giunta la sua ora. 31 Ma un gran numero del la fol la cominciò a credere in lui, e dicevano: >. 35 Allora i giudei si dissero tra loro: « Dove sta per andarsene costui che noi non potremo trovarlo? Non starà per andarsene nella d iaspora dei Greci a istru i re i Grec i ? 3 6 Che cos'è questa parola che ha detto: "Mi cercherete e non mi troverete" e "là dove sono io voi non potete venire" ? » . 3 7 Nell'u ltimo giorno, quello solenne del la festa, Gesù stava in piedi e gridava dicendo: «Se qualcuno ha sete, venga a me e beva! 38 Colui che crede in me, come disse la Scrittu ra, "dal suo seno sgorgheranno fiumi d'acqua viva" » 39 Egl i disse questo riferendosi a l l o Spi rito che dovevano ri­ cevere coloro che credevano in lui; i n fatti non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato . ., Tra la

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folla, a l lora, alcuni che avevano udito queste parole dicevano: «Costui è veramente il Profeta>> . 4' Altri dicevano: •Costui è i l Cristo » . M a altri ancora dicevano: «Forse che i l Cristo viene da l la Gali lea? 42 Non ha detto la Scrittura che il Cristo è del la sti rpe di Davide e viene da Betlemme, i l vil laggio di dove era Davide?». 43 Vi fu al lora divisione nella folla a causa di lui. 44 E, se pure alcuni di essi volevano impadronirsi di lui, nessuno mise la mano su di l u i . 4 1 Vennero al lora le guardie dai sommi sacerdoti e d a i fari­ sei, i quali dissero loro: « Perché non l'avete condotto?». 46 Le guardie risposero: •Mai un uomo ha parlato così ! » . 47 Allora i farisei repl icarono: •Anche voi vi siete lasciati ingannare? 48C'è qualcuno tra i capi, oppure tra i farisei, che abbia credu­ to a l u i ? •• Ma no! Questa fol la che non conosce la Legge sono dei maledetti ! » . 10 N icodemo, uno di loro, col u i che era andato a trovare Gesù precedentemente, disse loro: 11 «La nostra Leg­ ge giud ica forse l'uomo senza prima ascoltarlo in modo che si venga a conoscere che cosa fa? » . 52 Essi gli risposero: • Sei forse anche tu della Galilea? Scruta e vedi che dal l a Galilea non sorge alcun profeta ! » .

l.

Gesù sale a Gerusalemme (7, 1 - 1 3 )

Prima dell'incontro d i Gesù con i giudei, G v colloca l a salita a Gerusalemme, cui già i sinottici avevano dato rilievo; attraverso un dialogo tra Gesù e i suoi fratelli, egli mostra che tale salita è determinata dal tempo di Dio. Nella trama narrativa del vangelo, questa salita inaugura il movimento che, al di là della Passione, sfocerà nel ritorno di Gesù al Padre. ' Dopo di ciò, Gesù percorreva la Gali lea; non poteva infatti per­ correre la Giudea, perché i giudei cercavano di ucciderlo.

Con la vaga transizione «Dopo di ciò», cui è abituato20, l'evan"' Metà tauta: 3 ,22; 5,1.14; 6,1; 7,1; 19,38; 21,1.

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gelista collega il suo racconto agli episodi precedenti. Gesù ha indubbiamente percorso la Galilea, come mostrano i sinottici, ma qui la motivazione è data dalla minaccia di morte che grava su di lui. Letteralmente, secondo il greco, Gesù «non aveva il potere (exousia)» di percorrere la Giudea21; questa espressione già sugge­ risce il legame con la volontà del Padre che Gesù espliciterà nei vv. 6.8. L'ostilità dei giudei, già affiorata in 4 , 1 -3 , è stata affermata dal narratore in 5 , 16. 1 8, da dove viene ripresa l'espressione «[essi] cercavano di ucciderlo». Vengono alla memoria le accuse nei con­ fronti di Gesù: egli trasgrediva il sabato, si faceva uguale a Dio. Della prima egli parlerà alla folla (7,2 1-24); la seconda sta alla base degli annunci in cui, prima di affermare Io SoNO (8,58), egli rive­ la la sua perfetta dipendenza da Colui che lo ha inviato (7,16-18 .. ) . Un'altra accusa, correlativa alle precedenti, verrà enunciata: Gesù fuorvia il popolo (7 ,12.47). Ascoltando le parole dei fratelli, il let­ tore deve tenere presente il rischio cui Gesù si esporrebbe se si recasse a Gerusalemme. .

2 Era ormai prossima la festa dei giudei, la festa delle Capanne. ' A llora i suoi fratelli gli dissero: « Parti da qui e trasferisciti in Giudea, affinché anche i tuoi discepoli vedano le opere che fai; • nessuno infatti agisce in segreto e cerca al tempo stesso di essere in vista. Poi­ ché tu fai queste [opere], manifestati al mondo». 5 In realtà neppure i suoi fratell i credevano in lui. Gv si affianca qui agli altri evangelisti, unanimi nell'affermare che Gesù di Nazaret non è stato compreso nel suo ambito fami­ liare. I suoi fratelli22, che l'hanno seguito da Cana a Cafarnao, non capiscono nulla della sua missione: per loro egli è un uomo come gli altri, che però possiede un potere taumaturgico da sfruttare; nelle sue opere non hanno visto altro che prodigi. Essi sembrano 21

Così, secondo i migliori manoscritti, e non «egli non voleva» come propone una lezio­ C.K. Barrett, a «non era libero di>>. " Mc 3,21 e 6,4p rilevano l'incredulità deUa famiglia di Gesù. Secondo At 1 , 14, i fra­ telli diventano credenti dopo la risurrezione. Chi sono questi «fratelli di Gesù»? La criti· ca tende a vedervi, secondo il senso del termine greco adelphOs, i fratelli di Gesù secondo la carne. Per ragioni di ordine teologico, i cattolici si richiamano abitualmente al termine ebraico soggiacenre (d�) che può avere un senso molro largo: le persone della stessa paren­ tela. Cfr. nei sensi opposti, ]. Blinzler, I fratelli e le sorelle di Gesù, Brescia 1975, e L. Oberlinner, Historische Ueberlie/erung und christo/ogische Aussage, Stuttgart 1975. ne mitigata. Questo «non potere» equivale, secondo

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9. LA LUCE DELLA VITA (7,1-52; 8,12-,9)

contrariati dal suo comportamento, a giudicare dalla contraddi­ zione che essi sottolineano (7,4). Se Gesù, abbandonando l'oscu­ ra Galilea (cfr. 1 ,46; 7 ,52), si stabilisse23 in Giudea, mostrerebbe ciò che sa fare a un pubblico influente, compresi i suoi discepo­ lF> ha d'ora in poi, per il narratore, quella connotazio­ ne negativa che appare nel v. 7, dove designa coloro che rifiutano di riconoscere il Figlio. Solo il discepolo che ha «ascoltato>> la Parola penetra il mistero d'unità di Gesù con il Padre (14,2 1 -23), il «mondo>> mai. La proposta fatta a Gesù può essere interpreta­ ta come una tentazione, analoga a quella della regalità terrena cui pensava la folla saziata dai pani (6,14s). E l'evangelista commen­ ta: «neppure i suoi fratelli . . .>> (7 ,5 ) . Dopo questo episodio essi scompaiono del tutto. A questa presentazione si potrebbe obiettare che Gesù, !ungi dall'essere uno sconosciuto in Giudea, ha già attirato su di sé l'at­ tenzione con i suoi miracoli27 e nella città santa si discute anima­ tamente su di lui (7,12). Questo racconto ha la funzione di far 2' Il verbo metabafnO significa «cambiare residenza», «installarsiH> provvisoriamente o defmitivamenre. 1� Presemati come «anch'essi», questi discepoli non possono essere quelli che in Gali. lea hanno veduto Gesù agire prodigiosamente (il segno dei pani) e poi l'hanno abbando· nato. Si tratta dei giudei di Gerusalemme che avevano creduto in Gesù (2,23; 4,1). Nessun discepolo viene menzionato nel c. 5. " Da quando il culto era stato centralizzato nel Tempio di Gerusalemme, la Legge pre­ scriveva ad ogni adulto, giudeo o proselita, di «Salire» a Gerusalemme per adorare nelle tre feste: Pasqua, Pentecoste e Tabernacoli. " 2, 1 1 . ll termine «manifèstati>> (phanéroson) è ambiguo: cfr. Origene, Contra Celsum, vn. 60 >: per Gesù, il momento della partenza per la Giudea è sospeso a un disegno che gli dà senso; per i fratelli, la decisione non dipende che dalla loro iniziativa. Secondo il pensie­ ro biblico, per il giudeo che vive interiormente alla presenza di Dio, il tempo è segretamente abitato da tale presenza e segnato dai suoi interventil0• Ordinariamente kair6s designa un momento che conta nel destino di un essere e nel quale si discerne la volontà di Dio. Come dice l'arante del Sal 3 1 , 16: «l miei tempi (kairotì sono nella tua mano>>. L'uomo che non si cura di Dio prende le sue decisioni senza altri riferimenti che le circostanze di questo mondo, e il tempo scorre senza profondità né rilievo. Parlare di un kair6s sem­ pre favorevole significa dire un non-senso. '

211 L'opposizione «in segreto/apenamente» (en keriptòilpa"isfiii) ritorna in Gv quan· do Gesù dice ad Anna che egli ha parlato apertamente nella sinagoga e nel Tempio, e non in segreto ( 1 8,20). Ugualmente parrisfa può essere opposto a paroimid {linguaggio aper­ to/linguaggio parabolico): 16,25.29; cfr. 10,6.24. "' Cfr. DNT, voce «Tempo». «Il mio tempo... quello della mia gloria>> (S. Agostino, In Jo 28,8) . .lo In questo senso Gesù ha potuto parlare del «tempo della visita» di Dio a Gerusalemme (Le 19,44; cfr. Mc 13,33; 1Pt 1,5; Ap 1 1 ,18). Secondo la Bibbia, il tempo lo si riceve continuamente da Dio (Qo 3,1-1 1).

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9. LA LUCE DELLA VITA (7,1·52; 8,12-59)

Esprimendosi così, Gesù lascia capire che egli dipende piena­ mente dal Padre suo. Dato il contesto, il kair6s cui si riferisce riguarda la sua salita a Gerusalemme, ma in definitiva è quello del suo passaggio pasquale, di cui questa salita è il necessario prelu­ dio; il verbo «compiersi» e l'accento negativo posto su «questa» festa (7,8) lo confermano: Gesù «salirà» verso il Padre (anabaino) (cfr. 20, 17) non nella festa delle Capanne, ma in quella della Pa­ squa seguente. Nel v. 7 l'opposizione tra le due maniere di vivere il tempo di­ venta opposizione tra Gesù e il «mondo>>. Questo vocabolo, utiliz­ zato dai fratelli, riceve un senso negativo che, dal Prologo ( 1 , 1 - 10) fino a questo punto, non aveva ancora avuto nel vangelo: il «mon­ do» designava tutta l'umanità che Dio ama e nella quale si era fat­ ta presente la luce del Figlio31• Qui, esso designa ancora gli uomi­ ni, ma in quanto rifiutano la rivelazione divina32• Ed ecco che Gesù fa il contrario di quanto proponevano i suoi fratelli: invece di voler sedurre il mondo, egli testimonia la sua iniquità. Il principio enunciato nel dialogo con Nicodemo: Chiunque compie il male odia la luce e non viene alla luce affinché le sue opere non siano svelate (3,20),

trova attuazione al v. 7. L'Io di Gesù si sostituisce a «la luce>>; se il mondo lo odia, è perché egli mette in luce le sue opere mali­ gnen, cioè la sua preferenza per le tenebre, la sua istintiva incre­ dulità. Gesù ha di fatto rimproverato ai giudei di Gerusalemme di essere chiusi alla Parola di Dio (5,37 -47); qui il verbo «io testi­ monio» è un presente continuo ed evoca il processo in tentato da Jhwh al popolo ribelle (cfr. Os 4 , 1 s; Is 3 , 1 3 ) . Coloro che rifiuta­ no la Parola manifestano con ciò stesso il loro allontanamento da Dio. Il pensiero espresso nel v. 7 letterariamente è indotto dal v. 6b in cui Gesù ha detto in sostanza che i suoi fratelli non erano sot­ tomessi a Dio; perciò, egli continua, il «mondo>> riconosce in loro i suoi simili, mentre odia Gesù. Il contrasto tra il successo auspi­ cato dai fratelli, attraverso i prodigi, e la profonda ostilità di cui " 3, 16s.19; 6,33; cfr. 4,42; 6,14. '2 Il tennine «mondo» subentra all'espressione «i giudei» di 7 ,l, e anlicipa l'uso che ne fa rà il Discorso di addio. Sarebbe errato quindi leggere in queste parole una qualche cri­ tica nei confronti della creazione come tale. H «Maligne» piuttosto che > domina a Gerusalemme: 7,1J; cfr. 9.22; 12,42; 19,38 e anche 19,12s; 20,19. Questo linguaggio conferma che il termine equivale per lo più a «le auwrità giudaiche)> di Gerusalemme. " Il Messia: 7.26s.41s. Il Profeta: 7,40. " Cfr. Mt 24,5 . ! 1.24p; !Tm 4,1; 2Tm 3,1J; 1Gv 3,7; 2Gv 7; Ap 12,9 ... Quest'ultima opinione sarà anche quella dei farisei (7 ,47). L'accusa poteva comportare la lapidazione. Cfr. Giustino, Dialogo 69,7s; 108,2; SB l, 1023s. "' A volte si fanno delle domande a proposito di Gesù (7 .25-27 .40s.46; cfr. 10.24); a volte si crede (7,31s; 8,30; 1 1 ,45). Più frequentemente si rimane perplessi (9,16; 10,19-21; 1 1 ,45s).

LIBRO I - PARTE ll

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Mentre la folla ondeggia, i capi persistono nella loro determina­ zione e cercano di mettere le mani su Gesù, ma senza successo perché non è ancora giunta l'ora '1; si irritano contro le guardie af­ fascinate dalla parola del Galileo e contro Nicodemo che vorreb­ be un po' di obiettività. Che cosa dice Gesù? Con linguaggio molto giovanneo, egli orienta le persone a riconoscere nella sua parola (7 , 14 - 1 8) e nella sua azione (7,2 1 -24) che egli è inviato dall'alto, e a discernere per­ tanto la sua vera origine (7,28s). Per suscitare nei suoi uditori l'ur­ genza di accogliere la sua parola, annuncia la sua partenza verso un al di là dove essi non potranno raggiungerlo (7,3 3 -36); invita poi gli uomini che lo desiderano a venire a lui, sorgente di acque vive (7,37-39), invito che provoca di nuovo la divisione tra l'udi­ torio (7,40-44) . L'ultima scena del c. 7 descrive l'intervento di Nicodemo presso i farisei esasperati (7,45-52). a.

Che valore ha il suo insegnamento? (7, 14-18)

14 Si era già nel bel mezzo della festa quando Gesù salì al Tempio e insegnava. 1 5 l giudei allora, stupiti, dicevano: «Come mai costui sa di lettere senza essere stato a scuola?>> . ,. E Gesù rispose loro: > dei giudei non è tanto la mera­ viglia di fronte alla competenza inspiegabile di Gesù, come in Le 2 ,46s; si tratta invece di scandalo per la sua pretesa, come in Mt 13 ,5744• In Gv il termine «insegnare>> assume una sfumatura particola­ re" per il fatto che esso è riservato a Gesù46• Non si dice mai che i farisei insegnano47 Se l'oggetto è la Legge, non lo è tanto sotto questo o quell'aspetto, ma secondo il senso profondo che essa racchiude e che trova il suo compimento nella rivelazione di Gesù48• E ciò che Gesù dice l'ha appreso da Colui che lo ha invia­ to••, il Padre. Pur lasciando da parte la domanda sul saper di lettere, Gesù riconosce implicitamente nella sua risposta la necessità di dipen­ dere da una tradizione, ma per lui la prospettiva è del tutto diver­ sa. Egli risale alla sorgente della Parola: la sua dottrina deriva immediatamente da Colui dal quale Israele ha ricevuto mediata­ mente i testi sacri che ha interpretato nel corso dei secoli. Ma per riconoscere questo bisogna essere orientati verso Dio facendo la sua volontà�0• Che significa? Se ci si richiama ai dati della Bibbia e del giudaismo, fare la volontà di Dio non ha il significato etico di osservare i precetti, ma il senso spirituale di essere aperti alle vie di Dio e alla sua attrazione''. Ma l'argomento invocato vale solo per il credente. Perciò Gesù ricorre al criterio tradizionale che permetteva di ricono_

° Cfr. G.F. Moore, Judaism in the Fir.rt Centuries o/the Chrirtian Era, Cambridge 1966, l. pp. J08ss, e K.H. Rengstorf, GLNT III, 1093-1 172.

ol.j Lo stesso scandalo colpirà i giudei agli inizi della Chiesa: come si può stare ad ascol­ tare della gente senza istruzione (agrammatoi), degli idiatai (At 4,13)? " Cfr. S. Pancaro, The Law in the Fourth Gospel, Leyden 1975, pp. 77-86. 46 U Padre istruisce Gesù: 8.28 e, secondo la citazione di Is in 6,45, gli uomini; una sola volta lo Spirito insegna, sulla scia di Gesù: 14,26. " Cfr. Mt 10,24s, Le 2.46; },12; 6,40. 48 Già l! Qumrin l'insegnamento consisteva nel rivelare le cose nascoste ddla Legge. " 7 ,16; cfr. 8.26-28. " Cfr. 5,}9s; 6,28s.44. " Cfr. S. Pancaro (vedi nota 45), pp. 368-412.

LIBRO I · PARTE II

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scere un inviato di Dio: il suo disinteressen. In un contesto di rim­ provero, Gesù ha parlato, in 5,41 -44, della gloria che può essere ricercata presso gli uomini oppure in Dio; qui riprende quest'al­ ternativa per offrire un punto di riferimento su se stesso. Tuttavia egli non poteva lasciarsi assimilare semplicemente a un profeta e quindi aggiunge una parola che lo isola in una posizione unica: 18

••• questi è veritiero e in lui non vi è iniquità (adikfa).

Il termine adikia, spesso contrapposto a «verità» nella tradizio­ ne sapienziale e qumranica5\ significa al tempo stesso iniquità e menzogna. Parlando così di se stesso, Gesù evoca la figura del Servo di Dio il quale «non ha commesso ingiustizia né vi era inganno in lui» (ls 5 3 ,9). La sua veracità è pari in lui all'assenza di ogni male (cfr. 8,46). b. Non ha forse trasgredito la legge del sabato? (7, 19-24) Dopo aver affermato che il suo insegnamento viene dall'alto e che egli vi è perfettamente fedele, Gesù senza alcuna transizione contesta il giudizio emesso contro di lui a motivo della guarigio­ ne dell'infermo di Bethesda, e denuncia l'intenzione omicida a suo riguardo54: 19

« Mosè non vi ha fatto dono della Legge? Eppure nessuno di voi mette in pratica la Legge! Perché cercate di uccidermi?•. 10 La folla rispose: >. Boismard propone di combinare il testo del Targum con ls 48,2ls: «e le acque sono sgorgate>> (RB 66 [1960] 224s, e 70 [ 1 963] 43-5 1 ) .

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tore? Certamente la «vita» quale Israele la desiderava. Secondo la Bibbia e il giudaismo, l'acqua è spesso una immagine della Legge vivificante di cui era preannunciato che, al tempo della nuova Al­ leanza, sarebbe stata incisa nel cuore. Gesù si presenta come colui che realizza la Promessa. Ma l'acqua nella Bibbia è anche un sim­ bolo dello Spirito che sarà effuso alla fine dei tempi; ed è questo che l'evangelista precisa subito, alla luce della sua conoscenza del mistero del Figlio. '" Egli disse questo riferendosi al l o Spirito che dovevano ricevere coloro che credevano in lui; infatti non c'era ancora lo Spirito, per­ ché Gesù non era stato ancora glo rifica to. Con la spiegazione dell'evangelista, il lettore si trova al secon­ do tempo di comprensione in cui diventa chiaro l'oggetto della promessa di Gesù. Nell'acqua promessa alla Samaritana egli pote­ va già intravvedere il dono dello Spirito (cfr. p. 3 17). Qui l'evan­ gelista si espone apertamente, sulla traccia delle profezie relative all'effusione dello Spirito negli ultimi tempi9'. Egli anticipa ciò che sarà annunciato e sviluppato da Gesù nel Discorso di addio, e poi contemplato quando l'acqua, dopo il sangue, scorrerà dal costato aperto di Gesù". Nel contesto del capitolo, i termini del v. 3 9 implicano che gli ultimi tempi saranno compiuti quando lo sarà la missione di Gesù di Nazaret. Se l'evangelista dice che «non c'era ancora lo Spirito», lo dice nel senso del dono definitivo ple­ nario che deriva agli uomini dalla glorificazione di Gesù. Già il Battista aveva veduto lo Spirito discendere e rimanere (l ,32) su Colui che lo avrebbe donato senza misura95• Gv si esprime qui esplicitamente sulla base della sua esperien­ za postpasquale dello Spirito, un'esperienza di cui testimonia tutto il suo vangelo. È lo Spirito che fa cogliere il senso di ciò che ha detto Gesù di Nazaret (14,26), lo Spirito di verità che dimora nel credente ( 14,17) e lo conduce verso la verità tutta intera ( 16,13). A colui che ascolta la Parola, Gesù farà dono di vivere una rela­ zione analoga a quella che unisce lui stesso al Padre ( 10,15); e non " Ez 36,26s; 1 1,19; 39,29; ls 44,3; Gl 3,1... " «Attraverso il sangue dell'uomo n o i abbiamo l'acqua dello Spirito» (lppolito, PG = in Nautin n. 53,3s). " Quando Gesù battezza (3,22), battezza nel suo nome, cioè nella sua persona, la sola che possiede lo Spirito in pienezza (dr. pp. 286s).

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9. LA LUCE DELLA VITA (7,1-52; 8,12-59)

come dono statico, ma come contemplazione continua, visione (5,19), ascolto (5,30), scambio incessantemente rinnovato. I cre­ denti riceveranno lo Spirito del Figlio, divenendo anch'essi figli rivolti verso il Padre. Intervenendo nel racconto, l'evangelista anticipa la rivelazione pasquale fino al suo compimento. Ciò che qui viene svelato non è solamente l'origine e l'identità di Gesù, ma lo scopo e l'efficacia del suo messaggio e della sua missione, così come li riassumeva il Prologo: «Dare a tutti coloro che lo accolgono il potere di divenire figli di Dio» ( 1 , 12). In questa prospettiva s i può precisare i l senso d d verbo «essere glorificato», riferito a Gesù. In che cosa si distingue la glorificazio­ ne dalla gloria che il Figlio possiede da sempre e per sempre a moti­ vo della sua comunione con il Padre (cfr. 17,5)? La «glorificazione» coincide certamente con il mistero pasquale di Gesù, che Gv chia­ ma la sua esaltazione, ma essa implica l'unione, realizzata attraver­ so la morte, tra Gesù e coloro che credono in lui. Ponendosi già al di là della sua Pasqua, Gesù dirà ai discepoli nd Discorso di addio: «lo sono nd Padre e voi in me e io in voi» ( 14,20).

f La divisione nel popolo (7,40-44) 40Tra la fol la, allora, alcuni che avevano udito queste parole dice­ vano: «Costui è veramente i l Profeta » . 4 1 Altri dicevano: « Costui è i l Cristo». Ma altri ancora dicevano: « Forse che i l Cristo viene dalla Gali lea? 42 Non ha detto la Scrittura che i l Cristo è della stirpe di Davide e viene da Betlemme, il v i llaggio di dove era Davide?». " Vi fu al lora divisione nella folla a causa di lui. " E, se pure alcuni di essi volevano impadronirsi di lui, nessuno mise la mano su di l u i .

Ancora una volta la folla si divide. Anzitutto a proposito del ruolo di quest'uomo, riconosciuto eminente da certuni. Come i galilei dopo l'episodio dei pani dati in abbondanza, gli uni ve­ dono in Gesù il Profeta, quello che doveva essere simile a Mosè (6, 14); questa opinione non ha alcuna importanza per il narrato­ re96 e non viene discussa nd seguito dd racconto. In compenso, l'affermazione che Gesù è il Cristo (non più a titolo di ipotesi, " Come già in 6,15, quando Gesù si era sottrauo all'onore che le folle volevano rribu­ rargli prodamandolo re.

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LIBRO I - PARTE II

come in 7,26.3 1 ) solleva un dibattito: evidentemente la questione della messianicità, dopo aver preoccupato i contemporanei di Ge­ sù, rimaneva ancora cruciale al tempo dell'evangelista. Ma il let­ tore non ha l'impressione di girare in circolo? L'origine galilaica di Gesù torna a creare difficoltà, e questa volta a motivo di un duplice argomento scritturistico. Dal tempo della profezia di Natan, varie volte ripresa nella Scrittura•?, la discendenza davidi­ ca del Messia era un punto fermo dell'attesa giudaica. La cosa è ovvia per i sinottici98 che fanno volentieri riferimento alla profezia di Michea99• Difficilmente Gv ha potuto ignorare la tradizione secondo cui Gesù era nato a Betlemme e, se per lui Gesù supera infinitamente qualunque designazione tradizionale, nondimeno egli è il Cristo e quindi davidico. C'è da vedere qui una strizzati­ na d'occhio al lettore a proposito della folla che discute su Gesù, mentre è all'oscuro su ciò che lo riguarda? L'argomento contro la messianicità non merita alcuna risposta. Gesù ha già dichiarato che non si può giudicare secondo le apparenze. Ciò che interessa al narratore, insieme al leit-motiv sulla vera origine di Gesù, è la scissione (in greco skhisma) della folla a motivo della sua parola: la rivelazione divide gli uomini. g.

Mai un uomo ha parlato cast' (7,45-52)

45 Vennero allora le guardie dai sommi sacerdoti e dai farisei, i qual i dissero loro: « Perché non l'avete condotto?». •• Le guardie ri­ sposero: «Mai un uomo ha parlato così ! >> . " Allora i farisei repl icaro­ no: «Anche voi vi siete lasciati ingannare? '"C'è qualcuno tra i capi, oppure tra i farisei, che abbia creduto a l u i ? •• Ma no! Questa fol la che non conosce la Legge sono dei maledett i ! » . 50 Nicodemo, uno di loro, colui che era andato a trovare Gesù precedentemente, disse loro: " « La nostra Legge giudica forse l'uomo senza prima ascoltarlo in modo che si venga a conoscere che cosa fa?>>. 52 Essi gli rispose­ ro: «Sei forse anche tu della Galilea? Scruta e vedi che dal la Gali lea non sorge alcun profeta ! >> .

" 2Sam 7 con l a sua risonanza in Mie 5,1; " Cfr. M1 1,1 -17; Le 1 ,32; 2,4. " Mie 5,1 è ci1a1o da M1 2,1 e Le 4,2.

Is 7,1Js; 9,6; 1 1 , 1 ; Sal 18,51.

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9. LA LUCE DELLA VITA (7,1-52; 8,12-59)

Alla risposta ammirata dei loro subaltemi e alla domanda per­ tinente di Nicodemo, un loro pari, i farisei reagiscono con la col­ lera e l'ingiuria. Essi manifestano il loro partito preso e probabil­ mente anche una latente insicurezza, come se il loro potere fosse minacciato. L'episodio tende chiaramente a squalificare i giudici di Gesù. Ma c'è anche di più. Fin dalle prime righe del testo, il tema della Parola assume un grande rilievo: «Mai un uomo ha parlato così! >>; esso riappare al v. 5 1 dove, secondo la Legge, bisogna «ascoltare>> Gesù. Nell'ul­ tima replica dei farisei è la dignità di «profeta» (colui che parla a nome di Dio) che è giudicata incompatibile con una origine gali­ laica (cfr. 7,27 .42). L'affermazione delle guardie è sorprendente: di norma, la polizia non ha il compito di giudicare il colpevole che è incari­ cata di arrestare; inoltre, essa appare nel racconto all'improvvi­ so, senza che tale comparsa sia stata preparata da una qualche narrazione della loro spedizione. Di qui la risonanza dell'affer­ mazione delle guardie100, le quali, soggiogare, dicono implicita­ mente che la forza è più debole della Parola: «Non si arresta la Parola>>101• E tuttavia i farisei usano la forza, ricorrendo all'argomento di autorità come il solo efficace per il popolino che si lascia fuorvia­ re lontano dall'ortodossia - giudizio, questo, che colpisce anche Gesù, il seduttore102• E l'invettiva si scaglia su questi «maledetti» che non conoscono la Legge. L'anatema sul popolino, troppo sprovveduto per osservare la Legge integralmente, non è una tro­ vata del narratore per dare una giustificazione all'indignazione dei farisei, ma un comportamento ben attestato nella letteratura rabbinica103• Qui, inoltre, esso riflette il giudizio che si dava effet­ tivamente sui cristiani di origine giudaica. D'altra parte, poiché le guardie hanno riconosciuto che la parola di Gesù di Nazaret non ha uguali, non devono essere col­ locate - contrariamente alla dichiarazione fatta dai farisei - tra '00 La loro reazione è analoga a quella del centurione dopo la morte del Crocifisso: «Veramente quest'uomo era il Figlio di Dio» (Mc 15,39p). '" Cfr. 2Tm 2,9. ] . Calloud-F. Genuyt, I.:Évongile de Jeon, t . II, CADIR 1987, p. 19. 101 Cfr. 7,12 e anche Mt 27,63. Anche i discepoli vengono considerati come dei sedut· tori (2Cor 6, 8; 1Ts 2,3; 2Tm 3 , 1 3 . Cfr. Giustino, Dialogo 69,7; 108). Cfr. Ga! J in cui è la croce che viene maledetta; qui è la disposizione acl ascoltare il Logos che parla in Gesù. "' SB II, 495s. Secondo i rabbini, la conoscenza è superiore alla pratica: Abot 2,8; cfr. K.H. Rengstorf, GLNT VI, 1088-1 089.

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coloro che hanno a cuore la volontà divina (cfr. 7,17)? Per i nota­ bili la Legge è oggetto di una scienza riservata alla loro casta, mentre essa è la «loro» Legge, quella che esige da loro di agire se­ condo giustizia e di discernere le vie di Dio. Nicodemo dirà con finezza . Gesù dice loro: «Se foste figl i d i Abramo fareste le opere in Abramo! "' Ora i nvece cercate di uccidere me, un uomo che vi ho proclamato la verità che ho appreso da Dio. Questo, Abramo non lo fece. " Voi fate le opere del padre vostro>> . G l i dissero: « Noi non siamo nati dalla prostituzione: non abbiamo che un padre: DiO>> . Gesù disse loro: «Se i l vostro padre fosse Dio, m i amereste, perché io sono uscito da Dio e sono qua presente. Non sono venuto infatti da me stesso, ma è Lui che mi ha inviato. " Per quale motivo non comprendete il mio l i nguaggio? Perché non potete ascol tare l a mia parola. · ' Il padre da cui voi provenite è il d iavolo, e sono i desideri del padre vostro che volete compiere. Quel lo era omicida fin dal principio e non si manteneva nel la verità: sì, la verità non è in l u i . ··e

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Quando proferisce la menzogna, dice proprio ciò che è suo, perché è menzognero e padre del la menzogna. 45 lo i nvece, perché vi d ico la verità non mi date credito, ' 6 Chi di voi può convincermi di peccato? Se dico la verità, perché non mi date credito? " Ch i è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascol tate perché non siete da Dio>> 48 1 giudei risposero e gli dissero: « Non abbiamo ragione, noi, di dire che tu sei un samaritano e che hai un demonio? » . 49 Rispose Gesù: > -

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9 . LA LUCE DELLA VITA (7,1-52; 8,12-59)

G l i dissero a l lora i gi udei: « Non hai ancora c i nquant'anni e hai veduto Abramo?>> . ·" Disse loro Gesù: «Amen, amen, i o v i dico: Prima che Abramo venisse a l l'esistenza, lo SONO>>. ··· Raccolsero al lora del le pietre per gettargl iele addosso. Ma Gesù si nascose e uscì dal Tempio. Il c. 8 presenta il seguito dell'«insegnamento» iniziato da Gesù durante la festa delle Capanne: «Gesù parlò loro di nuovo » (7,14; 8,12). Viene così richiamato il contesto narrativo: Gesù sta insegnando nell'area del Tempio, mentre si vorrebbe impadronir­ si di lui prima dell'ora (8,20). Tutto avviene dunque all'interno del santuario. Gli interlocutori di Gesù ora sono i farisei, rimasti in ombra fino a questo punto; l'uditorio, tuttavia, comprende anche la gente che frequentava il Tempio: Gesù si trova sulla spianata contigua alla sala del Tesoro11' e nel v. 30 si segnala la presenza di numerosa folla: «Mentre diceva queste cose, molti cominciarono a credere in lui». Anche se raccoglie tradizioni disparate il capitolo forma un'unità letteraria"'· Esso è inquadrato dall'espressione Egif eimi (8,12.58), che compare altre due volte nello sviluppo del discorso e prepara l'Io SONO assoluto nel finale. L'intero capitolo pertanto può esse­ re intitolato «lo Sono», ma l'espressione va intesa correttamente1 16• Gesù protesta di non essere se non mediante Dio con il quale è in relazione costitutiva. D'altra parte l'Io di Gesù diventa esemplare per ogni uomo: se la fede richiesta ha per oggetto non soltanto la parola che Gesù pronuncia da parte di Dio, ma la sua stessa per­ sona, è perché il discepolo deve riconoscere in lui il Figlio e, con ciò, quello che egli stesso è chiamato a diventare. li testo ha una sua coesione anche per la frequenza ecceziona­ le, in bocca a Gesù, di termini che designano l'atto di parlare117• ...

11 4 Il Tesoro del Tempio, propriamente, è la sala contenente il tesoro, inaccessibile al pubblico (Ne 10,39; Mr 27,6); per estensione, indica anche il portico adiacente a questa sala OCr 9,26), come qui. Gesù conosceva bene questo luogo secondo Mc 12,41 = Le

2 1 , 1 -4 . " ' R . Bultmann vede i n questo capitolo frammenti di origine diversa. M.E. Boismard

tenta di tracciame le tappe redazionali. '" Cfr. pp. 597-600 . 1 1 7 I termini che si riferiscono al «parlare)) ricorrono con frequenza anormale sulle lab­ bra di Gesù nel c. 8: 29 volte su 47 versetti: la/éi; (8,25.26.26.28.38.40.44.44), légo

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Ciò si riflette in diverse repliche dei giudei e nelle tre note di com­ mento dell'evangelista118• Il lettore si trova in presenza del Logos di Dio che si esprime in Gesù di Nazaret. Il c. 8 fa pendant con il Prologo. Quanto alla sua forma, questo capitolo non è un discorso come quello del c. 5: le proclamazioni di Gesù sull'origine divina delle sue parole e sul loro effetto si alternano con le repliche dei suoi uditori1 19• Non si tratta però di un dialogo120, se con questo termi­ ne, sulla scia dei Greci, noi intendiamo una ricerca serena della verità, sia pure sotto la guida di un saggio che sa. Il testo presen­ ta una serie di confronti serrati che mettono Gesù non soltanto di fronte a dei malintesi, come nel dialogo con Nicodemo, ma a una opposizione sistematica, a una incomprensione di fondo121, ben­ ché da una parte e dall'altra il linguaggio appartenga a una mede­ sima tradizione, quella d'Israele. Gesù sottolinea questo insucces­ so della comunicazione: «Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio?» (8,43 ) . Da questo scontro risulta una tensio­ ne drammatica che giunge a un tentativo di lapidazione e - cosa che ha valenza simbolica - al ritirarsi di Gesù che abbandona il Tempio. Perché la rivelazione così sublime del Figlio viene presentata nel quadro di un contrasto così duro con l'incredulità? Il con­ flitto tra Gesù e i suoi interlocutori riflette, qui come altrove, quello in atto tra la sinagoga e la comunità cristiana. L'intenzio­ ne dell'evangelista non è, in primo luogo, quella di illuminare l'ambiente giudaico ortodosso, ma i suoi fratelli, coloro la cui (8,34.4�.46.51.54.57), /a/Ui (43), eipon (24.2�). /ogos (31 .37.43.51.55), rhtmata (47), marty­ réolia (14.14.17.18.18), didasko'(29). Il loro computo negli altri capitoli di Gv risulta net­ tamente inferiore: c. l (5 1 versetti) 3 volte; 2 (2�) O; 3 (21) 6; 4 (42) 3; � (47) 12; 6 (7 1 ) 7; 9 (4 1 ) 2; IO (42) 6; 11 (57) 2; 12 (�O) 8. La frequenza aumenta in Gv 13-17: 13 (38) 7; 14 (31) 9; l� (27) 9; 16 (33) 15; 17 (26) 8. '" SuUc labbra degli interlocutori: 8,13.22.33.48.52; dr. 57. NeUe annotazioni del nar­ ratore: 8,20.27 .30. ' " «(Gesù) disse» o «rispose»; 8,12.14.19.21 .23.25.28. 3 1.34.39.42.49.54.58. «(Essi) gli dissero» o «risposero»: 8,13. 19.22.25.33.39.41 .48.52.57.

120 Desideroso di scoprire una base storica del capitolo, C. H Dodd ha creduto di poter qualificare questo testo come un «dialogo» (RHPR 37 [1957] 5-17; Trad. sto, , pp. 399-400). Questa ricerca ebbe il solo risultato di far emergere qualche contatto con la tradizione sinottica. Su quest'ultimo punto, cfr. C.K. Barrett, p. 364. 12 1 H. Lona ha Jifeso con vivacità l'idea che non c'è un «codice di comunicazione» tra Gesù e i suoi interlocutori (Abraham tn ]ohn 8, Bem-Frankfun a.M., pp. 369-466).

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fede poteva vacillare di fronte alla contestazione farisaica. Lo scontro avviene nel segno della luce che conduce il discepolo al­ la vita (8, 1 2 ) . Nel corso del testo, la luce della Parola s'irradia, si rifrange, diventa anche abbagliante; se non intacca l'opacità del rifiuto, respinta dal muro contro cui cozza, essa ritorna su Colui che parla: Gesù appare sempre più luminoso agli occhi del lettore. È l'arte di Gv. D'altra parte, la violenza del linguaggio di Gesù, in certi mo­ menti, può lasciare sconcertati. Lungo la storia, il testo giovanneo non è forse servito da pretesto in ambienti cristiani per un intol­ lerabile disprezzo verso gli Ebrei122? Questa violenza del linguag­ gio di Gesù può essere spiegata con la situazione di crisi in cui viveva la comunità giovannea12; oppure essere giustificata come espressione della sofferenza profonda dovuta al rifiuto di Cristo da parte d'Israele. Queste ragioni, a ogni modo, non rendono ra­ gione del dato. Gv si esprime come un erede dei profeti Ebrei che al loro tempo non temevano di denunciare il comportamento che conduce alla morte, sotto qualunque forma esso si presentasse. Ci si accorge infatti che i rimproveri di Gesù ai suoi interlocutori stanno alla pari con le classiche invettive dei profeti e con temi ricorrenti nella Bibbia: misconoscimento di Dio12\ resistenza alla Parola divinam, rischio di indurimento definitivo nel peccato126, delitti di sangue127, falsità128, menzogna, mentre il seguire «gli ido­ li»129 viene radicalizzato da Gv con l'asservimento al diavolo. Nel c. 9 si avrà l'accusa di cecità colpevole00• Ma per l'evangelista è proprio di fronte alla rivelazione del Figlio che questi comporta­ menti si manifestano in piena luce. Il testo è formato da due grandi parti, la prima delle quali si articola in due sezioni. Ambedue le parti si aprono con un invi­ to a seguire Gesù: egli è la luce del mondo (8, 12); il suo disce­ polo conoscerà la verità che libera (8,3 1s). Alla congiunzione tra Cfr. pp. 346-350. '" Cfr. K. Wengst, Bedriingte Gemeinde und verherrlichter Christus, Neukirchen, 1983. '" Is 1,3; Ger 8,7; 9,2 ... "' Ger 2,34; Bar 1,2 1 ; 2,10; Os 4,2... '" Dt 32,15; Nm 1 4 , 1 1 ; Is 1 , 15.21; Ger 7,25-28; Ez 18,24; Os 4 ,2 ; Am 4,4-11; cfr. Sal 95,7-1 1 ; 106; 2Rc 17,13-15.20 ... "' Dt 27,25; Sal 106,38; Is 59,3.7; Ger 2,34; 26,15 ... '" Lv 9,1 1 ; Sal 101 ,7; 1 1 9,29; Is 57,4; 59,3; Ger 13,25; Ez 13,22; Os10,13 ... '" Is 42,17; Ger 8,19; Ez 20,24; Ab 2,18... '" Is 6,9s; Ger 5,21... .,

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le due parti si legge una breve nota positiva del narratore: «Men­ tre diceva queste cose molti credettero in lui» (8,30), che rap­ presenta la premessa letteraria per la ripresa dell'insegnamento di Gesù nel v. 3 1 : «Diceva dunque Gesù ai giudei che gli aveva­ no creduto . . . ». Nella prima parte (8,12-30) Gesù giustifica l'affermazione ini­ ziale con cui si è proclamato luce del mondo. A tale scopo egli afferma la sua unione con il Padre, che la sua «elevazione» rivele­ rà in piena luce. La seconda parte (8,3 1 -59) si costruisce attorno alla figura di Abramo il credente, di cui gli uditori di Gesù si dichiarano i «figli». Nella prospettiva di questo testo ogni uomo dipende nella sua condotta da un Altro che sta alla sorgente di lui stesso. Questa origine non è una fatalità, ma una scelta. Per que­ sto, Gesù condanna negli uditori il rigetto della verità e l'intenzio­ ne omicida in cui si esprime il loro assoggettamento: essi ascolta­ no il diavolo, il Divisore per eccellenza. li loro comportamento è all'opposto di quello di Abramo che ha creduto alla promessa: egli ha creduto a Colui che ora definisce se stesso mediante la sua perfetta comunione con il Padre. Il testo contiene, in un linguaggio mitico, una riflessione pro­ fonda sul rischio che è per l'uomo l'incontro con la Parola di Dio: essa interpreta la condizione umana. Se Gv esprime da contem­ plativo ciò che ha penetrato del mistero del Figlio, è il rapporto di ciascun uomo col Dio unico che costituisce in realtà l'oggetto essenziale di queste pagine. La lotta qui evocata, tra la verità e la menzogna, si combatte nel cuore dell'uomo ed è aspra, appa­ rentemente disperata. E tuttavia, il testo è posto sotto il segno della luce (8,12) e della vittoria sulla morte (8,5 1s); nel c. 9, il cieco nato che ha acquistato la vista sarà il testimone dell'efficacia della Parola. l. La testimonianza di Gesù (8,12-30) La testimonianza che Gesù, come luce che dà la vita al mondo (8,12), rende a se stesso è contestata dai farisei e poi giustificata da Gesù: non è la testimonianza di uno solo, perché Gesù è sem­ pre unito al Padre, così che sono DUE a testimoniare (8, 1 3 - 19). Dopo l'annotazione del narratore che situa l'incontro nel Tempio, il luogo in cui gli Israeliti incontravano Jhwh, una seconda ripre-

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sa evoca la morte prossima di Gesù come la manifestazione per eccellenza della sua fedeltà al Padre (8,2 1-29). " Allora Gesù parlò loro di nuovo dicendo: « lo sono (eg6 eimt) la luce del mondo. Chi mi segue non camminerà nella tenebra, ma avrà la luce della vita » . 1 3 Gli dissero allora i farisei: «Tu rendi testimonianza a te stesso; la tua testimonianza non è veritiera>>. " Gesù rispose loro e disse: •Anche se io rendo testimonianza a me stesso, la mia testimonianza è veritiera, perché so di dove sono venuto e dove ritorno. Voi i nvece non sapete di dove sono venuto e dove ritorno. " Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. " Ma se io giudico, il mio giudizio è autentico perché non son solo, ma ci sono io e il Padre che mi ha inviato. " E anche nella vostra legge è scritto che la testimonianza di due persone è veritiera. •• Sono io che rendo testimonianza a me stesso e per mc testimonia anche il Padre che mi ha i nviato•. •• Al lora gli dissero: « Dov'è i l Padre tuo?» . Gesù rispose: > (8,45) . Così dal v. 3 1 al v. 45 si delimita un primo sviluppo di pensiero in base all'espressione '" n kai che unisce i vv. 28-29 è epesegetico: spiega l'affermazione che precede; dr. WB'· 797; ugualmente in l ,16.20. JM Viene così contraddetta un'errata interpretazione della frase «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 1 5 ,34): Gesù non è stato abbandonato da Dio, ma è stato abbandonato da parte di Dio alla morte (cfr. Di fronte al"' morte. Gesù e Paolo, pp. 1 16·120). JM L'aoristo, epiJteusan (eis) non autorizza a tradurre (pisteu0+dativo)166• n V. 46, che riprende ancora questa espressione, serve da transizione a un secondo sviluppo (8,46-59), maggiormente centrato sulla persona di Gesù. n testo inizia, ancora una volta, con un invito che riguarda il discepolo: Gesù, che ha chiamato a «seguirlo>> (8, 12), ora invita a «rimanere>> nella sua parola. Vi è un progresso, o almeno una espli­ citazione: se è necessario, con una pronta adesione, giungere a inte­ riorizzare la parola di Gesù, «custodirla>> (v. 5 1 ), è perché il Figlio stesso «custodisce>> la parola del Padre (v. 55). Questo invito si inse­ risce perfettamente nella prospettiva qui adottata dall'evangelista. Chi può pretendere di essere «figlio di Dio>>? È questa la domanda che soggiace all'intero testo. n Prologo diceva: A tutti coloro che l'accolsero [il Logos] diede di poter divenire figli di Dio, a coloro che credono nel suo nome... , essi che da Dio furono generati ( 1 ,12-13).

Nel Prologo si trattava di accogliere il Logos. Già prima della sua incarnazione, egli si era espresso in maniera singolare in Israele. A partire dalla promessa fatta ad Abramo, ha manifestato al popolo eletto, prima che a ogni altro, che il Dio unico è rivolto verso gli uomini e propone loro la sua alleanza. n legame che egli intende stabilire con Israele, viene sovente espresso in termini di padre/figlio, linguaggio che, pur presentando l'alterità divina, denota il carattere e l'intimità della relazione reciproca. Per i giu­ dei che ascoltano Gesù, la Parola che ad essi è stata trasmessa e che li impegna è la verità167 alla quale è sospeso il loro destino. Ma essi l'hanno compresa? Secondo i profeti, la piena «conoscenza>> di Jhwh sarà il dono dell'età futura168• Gesù annuncia al futuro: «Voi comprenderete>>, a condizione di rimanere nella sua parola (8,3 1 ); proprio questa 166 I critici propongono altre divisioni. La cesura tra le due pani viene posta sovente tra i vv. 47 e 48, senza un motivo cogente; si fa iniziare così la seconda parte con una obie­ zione, il che è contrario all'impostazione abituale di Giovanni, per il quale è sempre Gesù che ha l'iniziativa. Noi riteniamo che il v. 46 sia l'inizio della seconda parte che centra mag­ giormente l'attenzione sulla persona di Gesù, come conferma l'obiezione del v. 53: c>. 201> L'espressione «figlio di...» è tipica deiJa mentalità semitica che concepisce la storia come un'immensa genealogia, non limitata alla procreazione fisica, ma comprendente anche la filiazione spirituale. Così Gesù parla dei «figli dei farisei» per dire che il compor­ tamento dei suoi uditori equivale a quello dei farisei. Allo stesso modo si parla dei >.

Insistendo sul fatto che dice la verità, Gesù raggiunge un du­ plice obiettivo: egli oppone la sua parola alla menzogna che ha sedotto i suoi interlocutori e si distingue da loro affermando di essere senza peccato. All'inizio del suo insegnamento nel Tempio, a proposito dell'Inviato, egli aveva detto: Questi è veritiero e in lui non c'è iniquità (7 ,18)218.

La connessione tra i due temi si ritrova ancora qui; nel v. 8,50 si aggiunge il tema della sua gloria che Gesù non ricerca (cfr. ancora 7,18). L'assenza di ogni peccato deriva dalla perfetta sot­ tomissione di Gesù al Padre suo; più avanti egli afferma di «custo­ dire» la parola di Dio (v. 55). La prospettiva non è semplicemen­ te morale, ma riguarda la qualità dell'essere, propria del Figlio «pieno della grazia della verità» ( l , 14). Il linguaggio giuridico, «convincere di»219, mantiene il lettore nel grande contesto del processo di Gesù. Ma la situazione appa­ re invertita, perché Gesù con un'unica espressione arriva a moti­ vare e a esprimere la costatazione della non-filiazione divina dei suoi interlocutori: " Chi è da Dio220 ascolta le Parole di Dio. Per questo voi non ascoltate perché non siete da Dio. "' Cfr. p. 534. 219 Il greco elégkO ha spesso il senso giuridico di «convincere qualcuno di una colpa»; di qui «rimproverare, biasimaro>. Così, non è possibile convincere Dio di errore nei suoi giudizi (Sal 5 1 ,6; Am 3,4). Verrà giorno in cui il Paraclito . Questa negazione è più radicale del rimprovero di avere come padre il diavolo: rinuncian­ do al linguaggio figurato essa colpisce direttamente la convinzio­ ne che hanno gli interlocutori di essere in diretto rapporto con Dio (cfr. 8,4 1 ) . La formula è dualista, come se esistessero due spe­ cie di uomini: alcuni ascoltano Gesù e sono da Dio, altri invece no. Sappiamo già, tuttavia, che non si tratta di predestinazione, ma di uno stato acquisito221, reso manifesto dalla reazione di fron­ te all'Inviato. A Gesù che li ha trattati da «figli del diavolo>>, i giudei rendono la pariglia, dandogli del «sarnaritano>> e dell' «indemoniato>>. A me­ no che non si tratti di un'ingiuria volgare, dare a qualcuno del samaritano significa affibbiargli la pretesa di certi profeti di Sa­ maria che si attribuivano una dignità divina222• Questa interpreta­ zione sarebbe accettabile in un contesto in cui Gesù afferma di essere senza peccato: e chi altri può affermarlo? Ma l'accento cade piuttosto sull'epiteto di «indemoniato» (cfr. 8,49.52), di cui il termine «sarnaritano>> potrebbe essere un equivalente, dato che i samaritani erano spesso considerati come dei maghi223• All'asserzione oltraggiosa con cui i «giudei» vorrebbero sba­ razzarsi di lui22\ Gesù risponde con una semplice negazione, sen­ za preoccuparsi di dimostrare alcunché. Il suo pensiero è altrove, presso il Padre suo. Non mostra alcun interesse per la sua perso­ na, se non in quanto vi è implicato l'onore del Padre, ed esso lo è perché l'Inviato rappresenta colui che lo invia. Gesù si rimette dunque a Colui che sa ben difendere la sua gloria e che rende giu­ stizia all'oppresso225• Queste parole non contengono una nuova rivelazione, ma permettono al lettore di riprendere fiato prima di una solenne proclamazione. "' Cfr. sopra, la lettura di 8,43b, p. 588. 221 Sui profeti samaritani, cfr. Giustino, 26,3; Dia/ 120,6; Origene, Contra Celsum, VI, ll; Dositco si faceva passare per ((i] figlio di Dio>). "' Così Simone il Mago: At 8,10; cfr. Giustino, 26,1.4·6. 214 Secondo la tradizione sinonica, l'accusa di «posseduto» dal demonio viene lanciata contro Gesù in occasione dei suoi esorcismi (Mc 3 ,22p); in Gv è mossa unicamente in base alla sua parola. "' Dio si assume la difesa dell'accusato innocente: Sal 7 ,9; 26.1; 43,1; Sap 3 ,1-8.

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d. Gesù e la morte (8,51-55) «Amen, amen io vi dico: Se u no custodisce la mia parola non vedrà mai la morte•. 52 G l i dissero allora i giudei: «Adesso siamo sicuri che hai un demo­ n io. Abramo è morto e anche i profeti, e tu i nvece dici: "Se uno custodisce la mia parola non gusterà mai l a m orte . 53 Saresti tu più grande del nostro padre Abramo che è morto? Anche i profeti sono mort i . Chi pretendi di essere?». 5 4 Gesù rispose: «Se io glorificassi me stesso, la m i a gloria non sarebbe nulla. È i l Padre mio che mi glorifica, quel lo di cui voi dite: "È il nostro Dio". 55 Eppure non lo riconoscete, mentre io lo conosco bene. E se io dicessi che non lo conosco bene sarei come voi un mentitore. Ma io lo conosco bene e custodisco la sua parola » . 51

"

Questo passo , che comincia con u n doppio Amen, è inquadrato dall'espressione «custodire (la parola)»: all'inizio è proposta come esigenza (v. 5 1 ) , alla fine è detto ciò che ne costituisce la base, cioè il comportamento di Gesù il quale custodisce, lui stesso, la parola dd Padre (v_ 55). Al discepolo Gesù promette che non vedrà mai la morte. La vita eterna è stata annunciata a Nicodemo (3,16), alla Samaritana (4,14), ai giudei di Gerusalemme (5,24), ai galilei (6,40.47). La stessa promessa viene qui formulata non positivamen­ te con termini di «vita» o > ('Ehyeh 'asher 'ehyeh, Es 3,14, come «l'Essere con»), in Dzo e l'Essere, Studi agostiniani, Parigi 1978, pp. 75-84. Pur mantenendo valida. come già da quarant'anni, la dimensione storica dcJI'esprcssionc, noi preferiamo tradurre: «lo sarò colui che sono» che afferma l'avvenire in nome del presente. Il vero nome di Dio è Io SoNo, come dice il seguito del testo dell'Esodo.

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Nome divino: di qui il suo carattere paradossale che invita a inter­ pretarla in funzione di ciò che dice il contesto. L'intero capitolo in effetti è teso a questa finale. Il presupposto di base di questo capitolo, che per l'uditorio di Gesù non ha alcun bisogno di dimostrazione, è che non esi­ ste vita e salvezza per l'uomo se non in un rapporto con Dio. In questo senso, Gesù ha fondato il suo appello a credere in lui nel fatto che trasmette al mondo la verità che ha ricevuto dal Padre237; egli non parla né agisce da se stesso. E tuttavia mai cerca di scomparire, come se fosse un semplice strumento o un canale della rivelazione che il Padre gli ha incaricato di trasmet­ tere. Gesù si afferma come soggetto: il suo lo rimane sulla scena, in primo piano, dal principio alla fine e la parola che dice da parte di Dio, Gesù la qualifica con insistenza come la «mia» parola218• Non si deve allora concludere che la rivelazione che Gesù comunica consiste nella manifestazione della sua stessa persona? E perché, se non per il fatto che solo nel Figlio, Dio può essere riconosciuto e trovato come Padre? È mediante il Figlio che il mistero dell'Unico si rivela essere un mistero di comunione. La trasparenza di Gesù è così perfetta che, secondo 8,19, conoscere lui equivale a «conoscere anche il Padre». In Gv la mistica dell'UNO non conduce all'assorbimento o alla scompar­ sa del soggetto che si abbandona alla Presenza. Al contrario: dato che questa è invito alla relazione reciproca, la singolarità del soggetto vi si trova confermata. Esso è allora rinsaldato nel­ l'essere. Quando Gesù dichiara Io SONO non si dà il nome di Dio, ma proclama la relazione vivente e vivificante che per il Fi­ glio è assoluta. Nella prima sezione del capitolo, l'evangelista ha posto il prin­ cipio di questa relazione reciproca, allorché ha presentato la testi­ monianza di Gesù come la testimonianza di DUE. Nel seguito del testo, la frequenza sulle labbra di Gesù delle parole «veritiero» e «verità»239 viene in appoggio alla nostra interpretazione della for­ mula, se si tiene presente l'aspetto di «solidità» che esse hanno in "' 8,26.28.38.40 (e 45.46). "' 8,14.3 1 .37.43 .51. "' 8,14. 16.26.32.44.45.46.

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ebraicd40• Inversamente, la menzogna equivale per la Bibbia al­ l'inconsistenza, al nulla241• Nello scontro frontale con avversari che lo vogliono uccidere e, più profondamente, con la potenza del peccato e della morte, Gesù di Nazaret per l'evangelista è sempre Colui che è «dall'al­ to», conscio della sua condizione di Figlio e della fedeltà del Pa­ dre. Egli afferma la sua pienezza di essere come un ultimo appel­ lo a credere e, al tempo stesso, come un grido di gioia. Non è una eco del Prologo? Gesù di Nazaret esprime il Logos di cui si è af­ fermato che la sua esistenza è assoluta, cioè in perfetta relazione con Dio; da Gesù si ascolta una parola che significa la sua pienez­ za di esistenza, effetto della sua perfetta relazione con il Padre. Questa dichiarazione è insopportabile per i giudei; perciò rac­ colgono delle pietre'42 per lapidare il bestemmiatorew. Ma Gesù si nasconde'44, perché indubbiamente la sua ora non è ancora venuta, quella cioè della sua elevazione. Di più: con lui è Dio stes­ so che esce dal suo Tempid4l.



APERTIJRA

Alla domanda «ma chi sei Tu?», Gesù non ha mai riSposto chiaramente. Certo, alla vigilia della sua morte, egli ha affermato di essere il Messia (sebbene, secondo Matteo e a differenza di Marco, si sia limitato a rimandare la risposta a colui che lo inter­ rogava). Ma durante la sua vita pubblica non ha mai fatto dichia­ razioni di questo tipo. Invece ha domandato ai suoi discepoli: «Chi 240 Cfr. DTB, voce (>, come si usava per un interrogatorio giudiziario (cfr. At 4,7). Questa posizione la isola e nel contempo evoca attorno a lei il cerchio degli accusatori minac­ ciosi. Gesù, seduto per insegnare, fa parte materialmente di questo cerchio. Ma i farisei non interrogano la donna; la sua trasgressione infatti è manifesta ed essa non conta per loro più del denaro dovu­ to a Cesare18• Essi interrogano Gesù: rivolti verso di lui spiano la sua reazione. Lo sguardo del lettore viene così attratto da Gesù e dalla "Es 20,14; Lv 20,10; Dt 22,22. Era «adultera» la relazione sessuale tra un uomo, spo­ sato o no, e una donna sposata (o fidanzata), perché un tale rapporto offendeva il diritto di proprietà rico11osciuto al marito sulla propria moglie. Secondo Kl. Berger, ZTK 73 (1976) 175, c altri autori, la Legge era in vigore come principio, ma la sanzione non era necessariamente applicata; nessun caso risulca attestato nel primo secolo d.C. SuUa Legge matrimoniale e i suoi ri!lessi sul nostro testo, cfr. J. Blinzler, NTS 4 ( 1 957-58) 32-47. C.K. Barrett segnala, da un testo inedilO di D. Daube, che nel giudaismo tannaitico esisteva una tendenza a criticare l'oppressione che subiva la donna nella società contemporanea. 16 Secondo la maggior parte degli storici, i Romani riservavano a sé le sentenze capita­ li (dr. DBS6 [1960) 1 487). 17 sdsantes auten: facendola stare in piedi. "Cfr. Mc 1 2 , 1 3-17p. La controversia sul tributo non manca di affinità col nostro rac· conto, specialmente per la finale (dr. Mt 22,22; i farisei si ritirano).

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donna «in mezzo», collegati l'uno all'altra fin dall'inizio, come da due poli opposti, messi simultaneamente in evidenza. Scribi e farisei contrappongono l'autorità della Legge a quella di Gesù, che essi chiamano «Maestro»: «Mosè ha ordinato... e tu che cosa ne dici?». C'è in queste parole una punta d'ironia con­ tro il modo di parlare del rabbì di Nazaret: «io invece vi dico...» (Mt 5,43s)? Invece di rispondere, Gesù si china e scrive col dito per terra. Le interpretazioni di questo gesto spesso non tengono conto della seconda volta in cui viene ripetuto (8,8); Gesù vorreb­ be differire la risposta19, o mostrare che la questione non Io ri­ guarda, oppure scriverebbe la sentenza prima di leggerla ad alta voce, secondo l'uso romano20• Fin dall'antichità però21 si è pensa­ to che si tratti di un'azione simbolica, simile a quelle dei profeti, che richiama un versetto di Geremia: Coloro che si allontanano da me Uhwh) saranno scritti per terra (Ger 17,13 LXX; cfr. Gb 13,26).

Gesù ricorderebbe in tal modo il giudizio di Dio su tutti i pec­ catori in lsraele22• Questa interpretazione richiede di essere com­ pletata, ma è valida. Gesù, incalzato dai suoi interlocutori, pro­ nuncia una parola che non è formalmente un giudizio da lui emesso contro di loro, ma un giudizio che li rimanda al tribunale della loro coscienza perché in essa facciano la verità. Ciò significa in certo modo invitarli a passare dal legale al morale, facendo fun­ zionare la Legge non come un repertorio di interdetti ma come rivelatrice dei cuori. Gesù dice: 'Chi di voi è senza peccato scagli per prim o una pietra contro di lei!

Temendo di trovare in questa sentenza lapidaria la negazione di ogni giustizia penale'\ diversi critici limitano il senso dell'espres" C.K. Barrett, Osty-Trinquet ... "'In caso di proscioglimento, secondo TW. Manson, ZNW 44 (1952-53) 255s; RH. Lightfoot. Ma l'ambientazione del brano è giudaica! " Ambrogio, Agostino, Gerolamo. Tra i moderni: J. Blank, R. Schnackenburg, J. Jeremias. U. Becker è contrario, ma non convince. n Cfr. anche il contesto di Ger 17,13; nel v. 10 dice: «lo, Jhwh, scruto il cuore ed esamino i reni per rendere a ciascuno secondo la sua condmta>>. Cfr. l'espressione antonimica in Le 10,20: «inscritti nei cicli)>. " Già S. Ambrogio (Ep I, 25.26) si chiedeva in che modo un cristiano, investito deUe funzioni di giudice, potesse osservare questa parola di Gesù.

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sione «senza peccato» (anamdrtetos). Essa riguarderebbe soltanto le colpe di ordine sessuale24; ma la tradizione evangelica, sempre severa nei confronti dei farisei, non li critica mai su questo punto. L'espressione si riferirebbe a un'ingiustizia commessa nella proce­ dura contro la donna" o al piano per eliminare Gesù. Al limite, la difficoltà scomparirebbe se questa parola non fosse di Gesù, ma della Chiesa come monito ai suoi pastori. La parola ha indubbiamente la radicalità tipica del linguaggio di Gesù (per esempio nel Discorso della Montagna), ma la pro­ blematica accennata qui sopra è estranea al quadro del racconto, in cui il peccato è inteso nei confronti di Dio. Attraverso un'im­ magine che dipende dal contesto, essa mette crudamente in luce l'universalità del peccato, secondo un tema costante nella Scrit­ tura: nessuno è giusto dinanzi a Dio26• Solo secondariamente si ri­ collega all'insegnamento di Gesù, alla folla e ai discepoli in Mt 7,1-5 (la pagliuzza e la trave), contro il giudizio ipocrita. Gesù ripete poi il medesimo gesto, il cui significato viene ri­ badito. L'effetto è sorprendente: a uno a uno gli accusatori si ri­ tirano; un manoscritto aggiunge: «accusati dalla loro coscienza». n dettaglio «a cominciare dai più anziani», potrebbe riferirsi a una più lunga esperienza della fragilità umana27• La parola di Gesù ha trattenuto questi uomini dal commettere un atto di violenza ed essi vi rinunciano liberamente: la loro implicita confessione può essere compresa come un inizio della loro stessa liberazione dal male. Il narratore annota che Gesù fu «lasciato solo». n tranello non ha funzionato per lui e la controversia è svanita. La donna però, benché il cerchio di morte si sia dissolto attorno a lei, è ancora là, «in mezzo», non liberata. Essa non è fuggita, come se attendesse ancora che Gesù si pronunci a suo riguardo. Gesù invece, le rivol­ ge la parola, invitandola familiarmente («Dove sono?») a costata­ re che nessuno l'ha condannata. La risposta della donna non manifesta quali siano le sue disposizioni interiori; tuttavia implici­ tamente essa si rimette a Colui che l'ha liberata dai suoi accusato­ ri e che essa non chiama «Maestro» ma «Signore». A questo pun­ to Gesù non le dichiara, come ha fatto in Le 7 ,48, che il suo " K.H. Rcngstorf, Hoskyns-Davey, W. Bauer. "].D.M. Dcrrett, NTS !O (1963-64) 1-26. "· Cfr. Sall4,1-3; 53,2-4; Rm 3,9-12.23. "Il rimando all'episodio di Susanna e i due anziani (Dn 13), a volte indicato, non peninente.

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peccato è stato perdonato, ma rimanendo sul terreno giuridico su cui si erano posti i farisei le dice: «Neppure io ti condanno». Egli conferma così il comportamento dei farisei i quali, a motivo del loro proprio peccato, hanno riconosciuto che non potevano infie­ rire contro la donna. Certo, se Gesù non condanna, non può esse­ re per la stessa ragione: lui è senza peccato. Col suo atteggiamen­ to paradossale, Gesù significa due cose: si rifiuta di criticare la Legge in quanto essa condanna l'adulterio, ma al tempo stesso manifesta che la sua missione è quella di salvare, non di condan­ nare. Avendo lasciato a Dio la prerogativa del perdono'", impegna la donna ad essergli fedele. L'assoluzione diviene un appello alla conversione. Anch'essa è rimandata alla sua coscienza e a una responsabilità rigenerata: d'ora in poi dovrà vivere in conformità con la liberazione che ha ricevuto.

b. Rilettura simbolica La lettura precedente si è limitata a seguire il racconto nel suo svolgersi. Un altro tipo di approccio cerca ora di coglierlo nella sua totalità. Apparentemente la pericope presenta due vertici: il tranello sventato e l'assoluzione della donna. Gesù è di fronte a una doppia situazione: quella con i farisei e quella con la donna. n racconto tut­ tavia ha una sua unità: da un capo all'altro Gesù ha dinanzi a sé la realtà del peccato ed egli si rivela come Colui che Io smaschera e al tempo stesso ne libera. La presenza del peccato è lì, evidente, nel delitto in rapporto alla Legge di cui la donna è accusata, e nel com­ portamento dei farisei che si servono di lei come di un pretesto per tendere un tranello a Gesù; poi esso è dichiarato universale (v. 7). Di fronte al peccato, più pesante delle pietre che si volevano sca­ gliare, Gesù, venuto da altrove, è solo, ancor prima che il narrato­ re lo descriva così, quando la donna è là dinanzi a lui. I critici hanno sollevato molte questioni, senza risultato29• Per "Pur affermando che il Figlio dell'uomo ha il potere di rimettere i peccati (Mt 9,6p), nei sinonici Gesù non dice mai: «io ci perdono», ma cci tuoi peccati ti sono rimessi», costru­ zione passiva il cui soggetto implicito è Dio. � Per questo i c ritici sono incerti nel definire il suo genere letterario. R Schnackcn­ burg conclude (Il, p. 3 15 ) che le categorie abituali appaiono troppo rigide e segnala una analogia di forma con M t 18,12-14 e 18,15-17.

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procedere a una lapidazione non era necessario un processo in piena regola? Questo processo aveva già avuto luogo o non anco­ ra? Quale era, dal punto di vista legale, la situazione dell'accusa­ ta? Era fidanzata'" o maritata? Era stata avvertita una prima volta, secondo l'usanza''? Perché il suo amante non viene perseguit9 come leill? Il marito era connivente con l'iniziativa dei farisei? E verosimile che scribi e farisei sottomettessero a Gesù un caso penale? Nei sinottici, le controversie non riguardano che questio­ ni rituali o di ordine generale". La soluzione del caso, infine, simi­ le a quella dell'episodio del tributo in Mt 22,22, è credibile nella circostanza? Queste aporie, in particolare l'assenza dell'amante e quella del marito, invitano il lettore a cercare nel testo altra cosa che il reso­ conto di un episodio: un racconto simbolico. Tre dati avviano a questa interpretazione. Richiesto di pronunciare una condanna conforme alla Legge, Gesù sta zitto. Si concentra in un gesto. Le diverse spiegazioni di tale gesto, proposte dai commentatori, trascurano il tenore del testo, alquanto sorprendente. La frase «scriveva per terra» sareb­ be bastata a esprimere l'azione se quest'ultima doveva soltanto evocare il giudizio di Dio su ogni uomo peccatore o a creare un tempo di silenzio. Ma il testo descrive in dettaglio i movimenti: per due volte dice che Gesù «si china» poi «si rialza» (vv. 6s.8.10). Perché questa insistenza in un racconto così breve? Il cenno al Monte degli Ulivi, all'inizio, ha già situato l'episodio nell'immi­ nenza della Passione,.. Con questi due verbi contrari (chinarsi, drizzarsi), il gesto acquista un significato cristologico: esso mima, rappresenta l'abbassamento e l'elevazione attraverso cui Gesù sta per riconciliare con Dio l'umanità prigioniera della sua condizio­ ne peccatrice". E proprio questo che mostra il racconto attraverso il personag­ gio che sta di fronte a Gesù, quello della donna che passa dalla " Si ignora se al tempo di Gesù fosse già in vigore la distinzione che fa la M.Shna tra la pena da infliggere a una donna sposata o a una fidanzata; nel primo caso la Mùhna esige la strangolazione.J. Blinzler (vedi nota 15) precisa cinque ragioni in base alle quali l'accu­ sata è una donna sposata. "].D.M. Dcrrett (vedi nota 25). "Egli doveva essere ugualmente perseguito, secondo la legge: Lv 20,10; Dt 22,22. "Così H.E. von Campenhauscn (vedi nota 10). H Questa imminenza affiora anche nel progetto di giungere ad accusare Gesù (v. 6). "Questa interpretazione è anche quella di E. Rousseau (vedi nota 13), pp. 470s.

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morte alla vita. Secondo la Legge essa doveva essere lapidata, e il cerchio dei suoi accusatori entro il quale è rinchiusa visualizza l'impossibilità per lei di sfuggire alla morte; ma questo cerchio si dissolve per la parola del Cristo e rimane soltanto la linea invisi­ bile che unisce l'accusata a Gesù. Il silenzio del testo sui senti­ menti della donna non soltanto mette in evidenza la gratuità del­ l'assoluzione da parte del Signore, ma lascia tutto lo spazio, nel testo, alla funzione salvatrice di Gesù. E alla visione immaginaria della donna schiacciata sotto le pietre si sostituisce quella della medesima donna che se ne va, libera, verso un awenire che Gesù le ha aperto. Ma in maniera, sia pure incoativa, questo passaggio dalla morte alla vita appare reale anche per gli scribi e farisei: Gesù non condanna neppure loro, pur aiutandoli a prendere coscienza del loro peccato: sono stati orientati verso la speranza del perdono di Dio. L'unità del testo viene assicurata anche dalla donna, presente dal principio alla fine: tutto awiene in riferimento a lei. Perché è stata scelta una donna per il ruolo che essa svolge nel racconto? E perché un'adultera? Nella trasposizione profetica, l'adulterio è la metafora per eccellenza dell'infedeltà del popolo eletto al Dio unico, il Dio dell'Alleanza. La donna del racconto diviene una figura d'Israele, alla quale Gesù è venuto a rivelare il perdono escatologico di Dio. L'assenza dell'amante e del marito trovano una giustificazione: l'amante sono i Baal, gli dèi stranieri che non devono essere neppure nominati, e il marito, lo Sposo unico, è Dio l'invisibile. Una conferma di questa lettura potrebbe venire anche dalla ripetizione di «nel mezzo» (w. 3 .9). Curiosamente il termine com­ pare due volte di seguito in Dt 22,2 1 .24 nel contesto delle leggi riguardanti l'adulterio: «Tu eliminerai il male di mezzo a te», cioè di mezzo al popolo. Malgrado la diversa formulazione, è verosi­ mile una reminiscenza letteraria che rimanda all'intero Israele. Il testo rimane aperto, dato che non dice nulla su ciò che è ac­ caduto in seguito alla donna, così come nella parabola del Padre del prodigo nulla viene detto sulla decisione finale del figlio mag­ giore/Israele (Le 15,32). Il lettore si vede quindi invitato egli stes­ so ad abbandonare le sue paure, a non bloccarsi nel suo passato, che a volte è un altro cerchio di morte, e a camminare nella liber­ tà dei figli di Dio.

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IO.

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•APERTURA

Poniamo sulle labbra della donna adultera e d'Israele, sulle no­ stre labbra, alcune espressioni di riconoscenza del salrnista: Il Signore non ci ha trattati secondo i nostri peccati, non ci ha ripagati in base alle nostre colpe. Sì, com'è alto il cielo rispetto alla terra, così è grande la sua misericordia sopra quelli che lo temono; come l'oriente dista dall'occidente, tanto allontanò da noi le nostre colpe. Come un padre ha pietà per i suoi figli, così il Signore ha pietà per quanti lo temono. Sì, egli conosce di che pasta noi siamo fatti, egli si ricorda che noi siamo polvere (Sal lOJ,l0-14). Beato colui al quale è stato perdonato l'errore e coperto il peccato! . .. Rallegratevi a causa del Signore e gridate di gioia! (Sal 32 .1.1 1).

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Testo ' E passando vide un uomo cieco dalla nascita. 2 E i suoi di­ scepoli lo interrogarono dicendo: « Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché nascesse cieco?». 3 Gesù rispose: « Né l u i ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in l ui siano manifestate le opere di Dio. • Finché è giorno bisogna che noi operiamo le opere di Colui che mi ha i nviato; viene la notte in cui nessuno può operare. 5 Fintanto che sono nel mondo, sono la l uce del mondo» . 6 Detto questo, sputò per terra e con l a sua sal iva fece del fango, spalmò con questo fango gli occhi [del cieco] 7 e gli dis­ se: «Va' a lavarti alla piscina di S i l oe» (che significa: « Inviato»). A l lora egl i se ne andò, si lavò e tornò che ci vedeva. •ora, i vicini e quelli che l'avevano veduto prima, da mendi­ cante, dicevano: «Costui non è quello che stava seduto a men­ dicare?». 9 Alcuni dicevano: «È proprio l u i » . Altri dicevano: «Ma no! È un altro che gli assomiglia». Lui però diceva: «Sono proprio io» . 10Gii dicevano dunque: «Come dunque ti si sono aperti gli occhi?». 1 1 Egl i rispose: «L'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango e me (ne) ha spalmato gli occhi e mi ha detto: " Va' a Siloe e lavati". Andatovi dunque e lavatomi, ho cominciato a vederci » . 12 G i i dissero: >. Altri dicevano: «Come può un peccatore fare tal i

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Il.

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segn i ?». E c'era divisione tra di loro. 17 Dicono perciò di nuovo al cieco: «E tu che dici di l u i per i l fatto che ti ha aperto gli occhi?>>. Ed egl i rispose: « È un profeta». 18 l giudei però non credettero, a suo riguardo, che fosse sta­ to cieco e che avesse acquistato la vista, prima di aver manda­ to a chiamare i suoi genitori . 19 E li i nterrogarono dicendo: « È costui il vostro figlio, di cui voi dite che è nato cieco? Come mai ora ci vede?». 20 l suoi genitori a l lora risposero e dissero: «Sappiamo che costui è nostro figlio e che è nato cieco. 21 Ma come mai ora ci veda, non lo sappiamo e neppure sappiamo chi gli ha aperto gli occhi . I nterrogate lui, ha l a sua età: l u i stesso parlerà di sé». 22 Questo i suoi genitori lo dissero perché avevano paura dei giudei, i giudei i nfatti si erano già accorda­ ti che se qualcuno confessava che [Gesù] era i l Cristo, venisse escluso dalla Si nagoga. n È questa la ragione per cui i suoi genitori avevano detto: «Ha la sua età; i nterrogate l u i». 24 Chiamarono allora una seconda volta col u i che era stato cieco e g l i d issero: « Da' gloria a Dio! Noi sappiamo che que­ st'uomo è un peccatore». 25 E q uello allora rispose: «Se sia un peccatore, non lo so; io non so che una cosa: ero cieco e ora ci vedo». 26Gii dissero al lora: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». 17 Rispose loro: «Ve l'ho già detto, ma voi non m i avete dato ascolto; cosa volete sentire ancora? Volete forse anche voi diventare suoi discepol i?». 28AIIora lo insulta­ rono e gl i dissero: «Tu sei un discepolo di quello là, noi siamo discepol i di Mosè. 29 Noi sappiamo che a Mosè Dio ha parla­ to; ma quello, non sappiamo di dove sia». 30 L'uomo rispose e disse loro: « È proprio questo che sorprende: che voi non sap­ piate di dove sia; eppure m i ha aperto gli occhi. 31 Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori; ma se uno è pio e fa la sua volontà, questo lo ascolta. 32 Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi d'un cieco­ nato. n Se quell'uomo non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nul la». 34 G l i risposero e g l i dissero: « Tu sei nato i mmerso nei peccati e tu vuoi farci da maestro?». E lo cacciarono fuori. 15 Gesù venne a sapere che l'avevano cacciato fuori e, tro­ vatolo, gli disse: «Credi tu nel Figlio dell'uomo?». '"Quegli ri-

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spose e disse: «E chi è, Signore, perché io creda i n l u i ? >> . 37 Ge­ sù g l i disse: «Già lo hai veduto; colu i che parla con te è lui» . 38 Ed egl i disse: «Credo, Signore>> e si prostrò dinanzi a lui. 3 9 E Gesù disse: «Per una d iscriminazione io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono ci vedano e coloro che ci vedono diventino ciechi >> . 40 Alcuni farisei che erano con l u i udirono queste parole e gli dis­ sero: «Saremmo forse ciechi anche noi ? >> . 41 Gesù disse loro: « Se foste ciechi non avreste peccato. Ora invece, perché dite: "Ci vediamo", il vostro peccato rimane. 10•1 Amen, amen, io vi d ico: chi non entra per la porta nel l'ovile del le pecore, ma vi si arrampica da un'a l tra parte, quello è un ladro e un brigante. 2 Chi i nvece entra per la porta è il pastore delle pecore. 3 A costui il guardiano apre, e le pecore ascoltano la sua voce e chiama le pecore, le proprie, ciascuna per nome e le conduce fuori. • Quando le ha fatto uscire tutte, le sue, cammi na d i nanzi a loro e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. 5 Non seguiranno mai un estraneo, anzi fuggiranno da l u i, perché non conoscono la voce degli estrane i >>. 6 Gesù disse loro questa simil itudine; ma quell i non compresero di che cosa egli parlava loro. 7 Gesù disse ancora: «Amen, amen, io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8 Tutti coloro che sono venuti prima di me sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati.

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Il. LUCE NUOVA E PASCOU ABBONDANTI (9,1

"lo sono la porta. Se qualcuno entra attraverso di me, sarà salvo, ed entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10 I l ladro viene soltanto per rubare, sacrificare e distruggere. lo sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano sovrabbondante. "lo sono il Pastore buono. Il pastore buono espone la sua vita per le pecore. 12 I l mercenario i nvece, che non è i l pastore, le cui pecore non sono sue, vede veni re i l lupo, abbandona le pecore e se ne fugge, e i l lupo se ne impadronisce e le disperde. 11 Ma l u i è mercenario e non gli i mporta del le pecore. ' lo sono il Pastore buono. Conosco le mie e le mie conoscono me, "come il Padre conosce me e io conosco i l Padre. E io mi privo del la mia vita per le pecore. "· E ho ancora altre pecore che non sono di questo ovile; anche quelle io devo condurre, e ascolteranno la mia voce e vi sarà un solo gregge, un solo Pastore. Ecco perché i l Padre mi ama: perché io depongo l a mia vita per riprenderla di nuovo. 1" Nessuno me la toglie, ma io la depongo da me stesso. Ho i l potere di deporla e ho il potere di riprenderla: questo è il comando che ho ricevuto da l Padre m io.

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10,21)

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19 Ci fu di nuovo una divisione tra i giudei a motivo di que­ ste parole. 2('Molti di essi dicevano: «Ha un demonio! È pazzo! Perché state ad ascoltarlo?,. 21 Altri però dicevano: «Ma non sono parole da i ndemoniato: forse che un demonio può apri­ re gli occhi dei ciechi?,.

Gesù è uscito dal Tempio; passando, si ferma di fronte a un cieco al quale dona la vista e dal quale riceve un atto di fede; ai farisei disorientati di sentire denunciare la loro cecità, Gesù repli­ ca con decisione e poi pronuncia un discorso in cui si presenta come il Buon Pastore. Lasciando da parte la divisione artificiale in capitoli, si vede che il discorso prolunga la controversia. Il let­ tore passa senza difficoltà dall'una all 'altro: dietro le pecore che ascoltano la voce del pastore, riconosce il miracolato, fedele a Gesù; dietro gli intrusi penetrati nell'ovile, i capi della sinagoga che hanno cacciato l'ex-cieco. Il doppio Amen di 10, 1 , con cui inizia il discorso, conferma la continuità del testo, dato che que­ sta formula introduce normalmente un approfondimento di una precedente affermazione di Gesù, mentre l'uditorio rimane il medesimo. L'interrogazione finale dei giudei ( 10,2 1 ) rimanda, del resto, all'episodio del miracolo. Questo poi non appare slegato, senza connessione, come se potesse venire collocato in qualche altra parte del quarto vangelo. Il testo continua in maniera naturale i cc. 7-8, come lascia capire la congiunzione «e» con la quale comincia. Anzi esso illustra il detto di Gesù in 8, 12: «lo sono la luce del mondo», ripreso dal racconto in 9,5: «Finché sono nel mondo, sono la luce del mon­ do». Con la realizzazione del segno, il processo intentato a Gesù nei cc. da 5 a 8 si trasferisce sul miracolato; la gente si divide sul suo conto, mettendo in dubbio la sua identità; i farisei negano ciò che egli testimonia, dapprima riguardo al miracolo e poi riguardo al suo autore; il guarito, ingiuriato, viene alla fine espulso dalla sinagoga. Il segno compiuto da Gesù, personificato in quest'uo­ mo che ora vede, suscita la stessa ostilità che la parola di rive­ lazione. Accolto dal Figlio dell'Uomo, l'ex-cieco è la prima pecora del gregge che il Buon Pastore conduce ai pascoli abbondanti. In que­ sta pecora maltrattata - il primo giudeo cacciato dalla Sinagoga Gesù discerne tutte le altre pecore che egli deve condurre secondo

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Il. LUCE NUOVA E PASCOLI ABBONDANTI (9,1

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il disegno del Padre suo. Dopo aver simboleggiato in un segno la vittoria della luce sulle tenebre, annuncia che farà dono della sua vita affinché sia raccolta insieme la comunità dei credenti. Benché il termine «Chiesa)) non figuri nel quarto vangelo, è propriamente essa, nel suo mistero, che appare prefigurata nel­ l'episodio del cieco nato che riceve la vista, e poi presentata attra­ verso la rivelazione dell'unico Pastore. In questa unità letteraria si susseguono tre momenti in un ordi­ ne simile a quello in cui si articola il c. 51: il segno del cieco-nato divenuto vedente e testimone (9, 1 -38), una breve controversia (9,39-4 1 ), il discorso sul Buon Pastore e le sue pecore ( 10,1-2 1 ).

l. IL SEGNO DEL CIECO-NATO DIVENUTO VEDENTE (9,1-38) L'episodio del c. 9 richiama le guarigioni di ciechi trasmesse dalla tradizione sinottica2, la cui funzione è quella di mostrare che con Gesù sono arrivati i tempi messianici. Ai discepoli del Bat­ tista, venuti ad accertarsi che egli fosse veramente Colui che Israe­ le attendeva, Gesù ha risposto citando Isaia: «l ciechi vedono . . ))3• Oltre a questo significato di compimento, l'evento qui raccontato ha in se stesso portata simbolica: il miracolato rappresenta al vivo la figura del credente illuminato dalla fede'. In un racconto che gli è proprio, Marco (8,22-26) descrive la guarigione di un cieco che non è istantanea, ma si compie con un procedimento in cui Gesù interviene due volte; inoltre l'episodio è preceduto da una parola di Gesù che rimprovera ai discepoli la loro cecità a suo riguardo (8,17s) ed è seguito dalla loro confessione di fede (8,29)'. In Gv la simbolica dell'illuminazione assume tutto il suo rilie­ vo per il fatto che si tratta di un cieco dalla nascita, situazione sen.

' Sulla sequenza miracolo/controversia/discorso, dr. C.H. Dodd, Interpretazione, pp. 43 5-442. 2 Nella triplice traclizione: Mt 20,29-34 = Mc 10,46-52 =Le 1 8, 3 5-43 . Tradizioni sin­ gole; Mt 9. 27-3 1 ; 1 2,22; Mc 8,22-26. ' Mt 1 1 ,5p; cfr. Is 29,18; 35,5; 42,7. ' Nella Chiesa, i neofiti saranno chiamati «illuminati» (phOtisthéntes), facendo eco al NT; At 26.1 6-18; 1Ts 5,5 ; E f 5,8-14;Eb 6,4; 1 Pt 2,9. ) In senso ancora più largo, questo racconto fa coppia con quello della tradizione comune sul cieco di Gerico (Mc 1 0,46-52 p); queste due narrazioni permettono di inqua­ drare l'unica salita di Gesù a Gerusalemme che ogni discepolo deve compiere con lui.

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za paralleli nella tradizione sinottica. Più che un atto di potenza (dynamis) che realizza l'annuncio profetico, questo dono della vista è presentato come un «segno» (semeton: cfr. 9,16), di cui Gesù chiarisce il senso prima ancora di compierlo: egli afferma ai suoi discepoli di essere la luce del mondo (9,5). La simbolica della luce però funziona anche in senso opposto: i farisei chiaroveggen­ ti, posti in presenza del miracolato, negano il segno e divengono «ciechi». La prospettiva giovannea abbraccia così il mistero nella sua totalità: venendo nel mondo, la luce illumina oppure abbaglia, secondo le disposizioni soggettive degli uomini. Il racconto, infat­ ti, è inquadrato da due parole di Gesù che riguardano la sua mis­ sione (9,3-5 e 9,39): la prima la definisce come opera di rivelazio­ ne, la seconda la collega al «giudizio>>. Se si confronta il racconto del cieco-nato con quello dell'infer­ mo di Bcthesda (Gv 5 ) , si notano delle nette rassomiglianze. Anzitutto nella struttura, che è triparrita: l'episodio del miracolo è seguito da una controversia tra il protagonista e i giudei c poi tra questi ultimi e Gesù, prima che si sviluppi il discorso. Ambedue i segni - il camminare e il vedere - hanno lo scopo di mostrare la trasformazione della condizione umana operata da Gesù: il Figlio rende presente l'agire escatologico del Padre; cosa che appare come un'infrazione al sabato (5,9b e 9,14ss) e provoca pertanto l'ostilità delle autorità giudaiche. A livello narrativo è Gesù che, in ambedue i casi, prende l'iniziativa: egli «vede>> (stesso verbo bordo; 5,6 e 9, 1 ) la miseria dell'uomo e interviene senza che gli venga rivolta alcuna richiesta; più tardi, in seguito alla reazione dei giudei nei confronti del miracolato, Gesù lo incontra una seconda volta e gli parla, a questo punto, del suo impegno spiri­ tuale. Anche le differenze però sono notevoli. Nel c. 5 la simbolica della vita, suggerita dalla guarigione di un infermo, si farà mani­ festa solo attraverso il discorso; nel c. 9 la simbolica della luce è presente fin dal dialogo iniziale tra i discepoli c Gesù; più avanti, dopo essersi quasi incarnata nel cieco-nato che «ritorna vedente>> - fatto che viene ricordato lungo tutto il testo6 - essa ricompare ai vv. 39-41 nell'opposizione >, formulazione propria del linguaggio ecclesiale'"Il testo dovrà dunque essere ripreso anche al secondo tempo di ' Il termine aporyntigogos è proprio di Gv: 9,22; 1 1 ,42; 1 6,2. Sui due tempi di lettura, cfr. pp. 26-29. ' Cfr. SB IV, 293-333; J.L Martyn, llùtory and Theology 1n N'' Gospel, New York 1968, pp. 3 1 -40. Oggi, però, i critici si mostrano più riservati suUa portata di questo «COn­ cilio», in particoJare su chi sia preso di mira nella XII Benedizione contro gli è frase usata talvolta per ottenere da un uomo il riconoscimento della sua colpa o del suo errore; per es. Akhan (Gs 7,19, passo commentato da Sanh VI, 2).

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to compiere ciò che nessuno prima di lui ha fatto. Chiamandolo «profeta», egli non pensa a un titolo di portata messianica; il ter­ mine designa un uomo di Dio fedele alla sua missione'0• Più avan­ ti si tocca un tema essenziale in Gv, quello dell'origine di Gesù41; la cosa sorprendente per il miracolato non è più il miracolo, ma il fatto che le autorità non sappiano di dove viene Gesù che lo ha compiuto (9,30). Abbiamo già notato in precedenza che l'esclusione dalla Si­ nagoga, e la sua motivazione secondo 9,22, è un anacronismo nel racconto. È chiaro che, presentando l'ex-cieco come il testimone di Gesù, l'evangelista fa di lui un modello per i membri della sua comunità, sollecitati a scegliere tra l'insegnamento della Sinagoga e la fedeltà a Cristo.

c.

Epiwgo (9,35-38)

35 Gesù venne a sapere che l'avevano cacciato fuori e, trovatolo, gli d isse: «Credi tu nel Figlio dell'uomo?» . 3• Quegli rispose e disse: •E chi è, Signore, perché io creda in l u i ? » . " Gesù gli disse: «Già lo hai veduto; colu i che parla con te è l u i » . '" Ed egli disse: «Credo, Signo­ re» e si prostrò dinanzi a lui.

Il racconto esige una conclusione; non può finire con un insuc­ cesso - la cacciata del miracolato - né senza che ricompaia il pro­ tagonista da cui tutto è cominciato e che, pur assente, è sempre stato al centro dei dialoghi dei personaggi. Il narratore ridà quin­ di la parola e l'iniziativa a Gesù in un dittico che lo presenta suc­ cessivamente di fronte alle due parti, l'ex-cieco e i farisei. La­ sciamo da parte, per il momento, il secondo pannello del dittico, che consiste in una controversia e introduce l'allegoria del Buon Pastore. Il primo pannello presenta un nuovo incontro del tauma­ turgo con il miracolato. Gesù ha saputo che costui è stato cac­ ciato dalla Sinagoga e lo «trova»42, certo di proposito. Lo awici" Cosi Gesù è stato considerato come un profeta; cfr. Mc 6,15; 8,28p; Mt 2 1 , 1 1 .46; Le 7,16; 24,19; Gv 4,19. " «Da dove viene Gesù»: cfr. 7,27s; 8,14; 9,29s; 19,9. " «l giudei lo cacciano dal Tempio, il Signore del Tempio lo trova» (Crisostomo, Hom. 69,1 = PG 59,321).

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1 1 . LUCE NUOVA E PASCOLI ABBONDANTI (9,1 - 10,21)

na per interrogarlo in modo personale, come sottolinea il TU enfatico (9,3 5 ) . Nel primo incontro non c'era stato dialogo, ma un gesto e un ordine, al quale il cieco-nato aveva risposto ese­ guendolo. Ora Gesù pone una domanda, che in greco implica una risposta affermativa. La domanda lascia sorpresi perché è l'unica volta in cui appare l'espressione «credere nel Figlio del­ l'uomo»". È possibile che questo titolo sia stato indotto dal tema del giu­ dizio che emerge più avanti (9,39): secondo la tradizione giudai­ ca di Daniele, la figura del Figlio dell'uomo è quella del giudice escatologico (D n 7 , 1 3 ) . Ora, su dieci volte in cui ricorre questo titolo nel quarto vangelo, una soltanto (5,27) si riferisce alla fun­ zione di giudice, mentre le altre precisano uno o più aspetti essen­ ziali dell'itinerario salvifico del Figlio di Dio: la sua relazione inin­ terrotta con il cielo ( 1 ,5 1 ) , la sua discesa dall'alto (3 , 1 3 ) , la sua ascesa al cielo (6,62 ) , passando attraverso l'elevazione in croce (3 , 14; 12,34) che è glorificazione ( 1 3 ,3 1 ) e comprende il dono del pane di vita (6,27 .53 ) . La menzione nel nostro testo (9,35) è l'uni­ ca in cui il titolo non è accompagnato da un verbo che espliciti l'agire o il destino di questa figura. Il suo uso assoluto suggerisce che qui si evoca la totalità del mistero, nella sua realizzazione effettiva e nella sua portata salvifica. È dunque una «formula cri­ stologica inglobante»44• Sorretto dalla sua pietà giudaica, l'ex-cieco aveva riconosciu­ to, attraverso il segno, Gesù come un profeta e un essere che veniva da Dio; ora è chiamato a credere al Figlio dell'uomo. La sua domanda mostra che egli non ne conosce l'identità'\ ma anche il suo desiderio di scoprirla; intuisce che Gesù, dopo avergli aperto gli occhi, gli propone un'adesione a lui che è sor­ gente di vita. In armonia con la simbolica del capitolo, Gesù non risponde «Sono iO>�, ma: «Tu lo vedi»'6• L'uomo non ha mai veduto Gesù prima d'allora. Il verbo usato qui è hordo, diverso da quello usato finora per dire che l'ex-cieco ci vedeva; con ciò 41 L'espressione è eccezionale, come hanno avvertito alcuni manoscritti che hanno sostituito «Figlio dell'uomo)) con > (Mt 23,13 p ; Le 24,20; At 24,25; Rm 2,2s; 3,8; 5,16; ICor 1 1,29.34; Ap 17,1; 18,20; 20,4).

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per far uscire dalla prigione coloro che abitano nelle tenebre (Is 47 ,6.7)" _

L'accento però cade soprattutto sulla seconda parte dell'an­ nnncio, sull'accecamento di coloro che si credono vedenti. Qui è il comportamento dei farisei che viene generalizzato. Nell'insieme della sentenza, il linguaggio è immediatamente metaforico, rife­ rendosi al e al «non-vedere» spirituale, come nella tra­ dizione evangelica che si richiama ai profeti55_ Ai farisei che si sentono chiamati in causa, Gesù precisa il suo pensiero: 40 A l cu ni farisei che erano con l u i udirono queste parole e gli dissero: «Saremmo forse ciechi anche noi?•• ­ •• Gesù disse loro: «Se foste ciechi, non avreste peccato. Ora invece, perché dite: "Ci vediamo", il vostro peccato rimane».

Gesù dice in maniera equivalente: «Voi siete ciechi, sì, perché pretendete di essere vedenti». Ma lo esprime in maniera nn po' indiretta, per invitare a una presa di coscienza, a mutare atteggia­ mento. Se foste ciechi desiderereste la luce, allora non avreste alcun peccato. Ma, in fondo al vostro cuore, voi pensate di veder­ ci e quindi di non aver bisogno della luce. Voi siete in stato di pec­ cato perché, col vostro sapere del tutto irrigidito che vi impedisce di vedere, non lasciate il minimo spiraglio all'iniziativa di Dio e al suo dono. Fissati nella vostra interpretazione della Legge, voi era­ vate già peccatori, non cogliendo il senso della Promessa fatta a Israele, e ora il vostro peccato rimane. ll peccato che, all'inizio del

"

" Cfr. ls 49,6; Gv 12,46; Sal 146,8. " Il testo di Isaia sull'accecamento d'Israele è citato in runo il NT: Ascellare bene, ma senza comprendere, osservate bene, ma senza riconoscere. Intorpidisci il cuore di questo popolo, appesantisci le sue orecchie, vela i suoi occhi, così che non veda con i suoi occhi né ascolti con le sue orecchie né intenda con i1 suo cuore e possa convertirsi ed essere guarito (ls 6,9-10). Cfr. Mt 13,13s p; Gv 12,40; At 28,2,ss.

639

Il.

LUCE NUOVA E PASCOLI ABBONDANTI (9,1 - 10,2 1 )

racconto, era stato negato, a proposito del cieco dalla nascita, viene ora affermato a proposito di questi esperti della Legge i quali si servono di essa per rifiutare di riconoscerne il compimento. Dicendo queste cose, Gesù esercita il krima, la discriminazio­ ne tra gli uomini. Essendo la luce, egli svela il fondo dei cuori, come ha già denunciato le opere malvagie (3 ,19s) e la ricerca della propria gloria (5 ,40-44) . L'evangelista Giovanni non conosce altro peccato che il rifiuto della luce. Gesù non condanna i farisei, li awerte affinché prendano coscienza del rischio cui si trovano di fronte, ora che è apparsa la luce dall'alto, per la salvezza che Dio prepara. Gesù continua infatti la sua rivelazione col discorso del Buon Pastore, pronun­ ciato dinanzi al medesimo uditorio. • A PERTURA

Il racconto del cieco-nato divenuto vedente ha suscitato nel corso dei secoli molteplici interpretazioni, che si accordano più o meno con la lettura esegetica da noi proposta. Non potendo trac­ ciarne qui una storia dettagliata, vorremmo soltanto accennare a due presentazioni di maggiore spicco, da cui dipendono la mag­ gior parte delle altre. Sant'lreneo di Lione, il grande awersario degli gnostici, ha cura di mostrare come parole e gesti di Gesù siano intrinsecamen­ te collegati alla rivelazione del Primo Testamento. Così, il gesto di Gesù che modella quasi gli occhi del cieco-nato gli appare come un portare a compimento il gesto di Dio che modella il corpo di Adamo: Quando si trovò di fronte al cieco dalla nascita, gli rese la vista non con parole, ma con un'azione e ciò non per caso, ma per mostrare (che fu) la mano di Dio che all'inizio creò l'uomo. Perciò, ai discepoli i quali chiedeva­ no per quale motivo fosse cieco, se per colpa sua o per colpa dei suoi geni­ tori, rispose: > (Gn 2,7). Per questo il Signore (nel caso del cieco-nato) sputò per terra, fece un po' di fango e lo spalmò su­ gli occhi indicando come avvenne la prima creazione e rivelando, a coloro che sanno intendere, la mano di Dio con la quale fu plasmato l'uomo. Ciò che il Verbo aveva omesso di fare nel seno della madre, compì poi pubblica­ mente, perché in lui fosse manifesta l'opera di Dio, e noi non andassimo più

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a cercare altra mano che abbia plasmato l'uomo e altro Padre, poiché ora sappiamo che la stessa mano di Dio che ci plasmò al principio, e che ci pla­ sma ancora nel seno della madre, negli ultimi tempi venne a ricercare noi che era\'amo perduti e recupcrò la pecorella perduta, se la pose sulle spalle e la riportò tutto felice con le altre alla vita. Contro le eresie, V, 15, 2 (trad. V. Dellagiacoma)

Con molto tatto, lreneo proietta sul testo la luce del Primo Te­ stamento che ha il suo compimento nel Nuovo. Il gesto di Gesù acquista così una meravigliosa profondità; quanto al lavaggio nella piscina di Siloe, esso permette al cieco-nato «al tempo stes­ so, di riconoscere colui che lo aveva modellato e di poter conosce­ re chi era il Signore che gli aveva donato la vista» (ibid. 3). Che cosa ne pensa l'esegeta del nostro tempo? È pieno di am­ mirazione e arricchisce la propria lettura. Tuttavia egli deve supe­ rare una piccola difficoltà letterale. Secondo Gn 2,7, Dio si è ser­ vito della polvere (khous) e non di argilla o di fango (pel6s) . Ora, lreneo ha potuto basarsi legittimamente su una tradizione biblica secondo cui l'atto creatore è assimilato a quello di un vasaio che modella l'argilla secondo il suo progetto; così, per esempio, in Is 64,7; Ger 18,6. lreneo non si ferma a quell'aspetto dell'immagine che sottolinea la radicale dipendenza dell'argilla dal vasaio (come ha fatto invece san Paolo: «Non ha forse il vasaio piena disponi­ bilità sull'argilla, così da fare dalla stessa massa argillosa un vaso destinato a un uso onorifico e un vaso destinato a un uso bana­ le?» Rm 9,2 1 ) . lreneo rimane tuttavia fedele alla Bibbia quando parla al tempo stesso di polvere e di fango in un contesto di crea­ zione in divenire. Del resto, se si legge attentamente il versetto della Genesi, non vi è detto che l'uomo è stato modellato con la polvere, ma: «egli modellò l'uomo, polvere presa dalla terra>>. Una ulteriore difficoltà è stata sollevata da Lagrange: «Il fango spalmato sugli occhi non si può pensare che abbia riparato la lacuna, lasciata dal Creatore nel bambino ancora nel seno mater­ no, poiché è l'acqua che compirà il miracolo>> (p. 26). Ma ciò significa ignorare che lreneo non pretende in alcun modo che il miracolo si sia verificato indipendentemente dal lavaggio di puri­ ficazione a Siloe; per lui è tutto l'insieme che manifesta l'opera di Gesù: il fango spalmato richiede il lavaggio alla piscina. Grazie alla sua profonda intelligenza del gesto di Gesù, lreneo invita a rileggere l'episodio alla luce delle corrispondenze tra i due Testamenti e della continuità del progetto divino sull'uomo. Se la

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I l. LUCE NUOVA E PASCOLI ABBONDANTI (9,1 - 10,21)

dimensione del conflitto con i farisei viene eclissata dalla grandez­ za del gesto che porta all'esistenza l'uomo nuovo, il conflitto tra la luce del Logos e la tenebra originaria rimane nello sfondo. Diversamente da Ireneo, sant'Agostino, seguito da altri interpre­ si sofferma sull'azione di Gesù sul cieco, ma piuttosto sull'ac­ qua della piscina di Siloe e anzitutto sull'invio dell'uomo alla piscina: ti, non

Era stato spalmato (con quel fango), ma ancora non vedeva. Egli [Cristo] lo mandò alla piscina, denominata Siloe. I:evangelista stesso ha creduto opportuno spiegare il nome di questa piscina e dice: . [Il cieco] lavò dunque i suoi occhi in questa piscina, che significa "Inviato", egli fu battezzato in Cristo. [li Cristo] l'ha battezzato in qualche modo in se stesso ... Avete udito un grande mistero ... In ]o 44,2

Agostino si sofferma su quei dati importanti del testo giovanneo che sono l'azione di lavarsi e il nome di Cristo che porta la piscina. Da ciò egli deduce il significato sacramentale del racconto. Numerosi autori, come O. Cullmann o R.E. Brown, hanno ri­ tenuto che l'evangelista pensava certamente al battesimo. Ma sono più numerosi ancora i critici che contestano questa interpre­ tazione. Presentiamo la questione sulla traccia di R Schnacken­ burg. Il cieco va certamente a lavarsi nella piscina, ma il verbo uti­ lizzato da Giovanni (niptesthai) non ha il valore sacramentale di louesthai, termine abituale in un contesto battesimale. - Senza dubbio il miracolato è cieco dalla nascita, una situazione che ri­ specchia quella di ogni uomo avvolto fin dalla nascita nelle tenebre, per non dire nel peccato; ma l'illuminazione ricevuta (photism6s) viene menzionata anche nel Prologo, senza alcun riferimento sacramentale. - Quanto al termine > designano più specialmente i falsi profeti (Mt 7 ,15) o i maestri di errori (At 20,28s). 1011 Cfr. DTB, voce «Conoscere». "" Cfr. pp. 35s.

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UBRO I - PARTE II

b. I.:orizzonte del dono di sé (10, 1 6-18) Qual è l'avvenire di Cristo che si priva della sua propria vita? questo passo finale del discorso, questo avvenire viene illu­ minato in due modi. Nel v. 16 Gesù annuncia che radunerà sotto il suo bastone di pastore un gregge al quale apparterranno an­ che «altre» pecore, insieme a quelle di cui si è parlato finora. Nei vv. 17-18 annuncia che, se muore, muore per vivere nuovamente, a motivo dell'amore che il Padre ha per lui. In

c.

Un solo gregge, un solo Pastore (10, 1 6) 16

E ho ancora altre pecore che non sono di questo ovile, anche quelle io devo condurre, e ascolteranno la mia voce e vi sarà un so l o gregge, un so l o Pa store .

Questo versetto sembra interrompere lo sviluppo del pensiero sul dono di sé, iniziato al v. 1 1 e culminante nei vv. 17- 1 8. Invece esso si inserisce perfettamente nel contesto, perché il discorso sul buon Pastore non riguarda solamente il pastore, ma ha continua­ mente presenti anche le pecore; e questo versetto enuncia il frut­ to universale della morte di Gesù. Alla sua maniera, Gv si allinea qui col pensiero della Lettera agli Efesini (Ef 2)"0, quando dice che Gesù raduna nella sua comunità non soltanto le pecore provenienti da Israele, ma anche «altre peco­ re», che sono egualmente «sue>>. Questa riunificazione futura è stata prefigurata in Samaria quando Gesù, un giudeo, ha simboli­ camente riconciliato, attraverso la fede nella sua persona, due popoli separati"'· Ma l'accostamento che qui si impone, per illumi­ nare il v. 16, è il commento dell'evangelista alla sentenza di Caifa: Egli profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non solamente per la nazione, ma anche per radunare nell'unità i figli di Dio dispersi ( 1 ! ,5 1 s).

110 «Egli ha voluto creare in se stesso dei due popoli [giudei e pagani) un solo uomo nuovo, stabilendo la pace, e riconciliarli con Dio, tmti e due in un solo corpo, per mezzo della croce; là egli ha ucciso l'inimicizia>> (Ef 2,15-16). '" Cfr. pp. 302-304; 345s.

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1 1 . LUCE NUOVA E PASCOLI ABBONDANTI (9,1 - 10,21)

Come il lettore sa fin dal Prologo, i «figli di Dio» (tékna tou theou) sono tutti coloro che dovunque nel mondo accolgono la luce divina1 12• Nel nostro discorso, questi figli di Dio sono le «al­ tre pecore» che Gesù afferma di possedere: esse sono sue come quelle che, nel quadro simbolico, ascoltavano la sua voce. Dice infatti: «E ho altre pecore». Queste però non provengono dal medesimo recinto, cioè dall'ambiente giudaico. Per questo esse non devono uscire dall'ovile né devono essere spinte fuori (cfr. 10,3-4). La loro provenienza non è indicata perché è da ogni luogo dove, secondo 1 1,52, esse sono disperse. La prospettiva del Pastore è universale: Dio ha donato il Figlio unico al mondo inte­ ro e non soltanto a Israele113_ Queste altre pecore Gesù dunque deve (dei) condurle e, come hanno fatto le prime, ascolteranno anch'esse la sua voce. Il verbo è al futuro perché questa voce non potrà raggiungerle che in un tempo posteriore a quello in cui Gesù sta parlando qui. Delle prime pecore e delle altre, l'unico pastore farà un unico gregge. Il contesto mostra che questa riunificazione è il frutto della morte di Gesù: la menzione di questa inquadra il v. 16. Questo frutto apparirà in un futuro indeterminato: «vi sarà (op­ pure: esse diventeranno)114 un solo gregge», e questo suggerisce il valore escatologico dell'annuncio di Gesù. Più immediatamente, ciò implica un progresso nel tempo: il gregge non cesserà di aumentare fino al giorno in cui non vi sarà più notte (Ap 22,5); allora colui che «sta in mezzo al trono le farà pascolare e le con­ durrà alle sorgenti della vita» (Ap 7,17). C'è da notare che Gesù non dice che vi sarà «un solo ovile», indubbiamente per sfuggire a rappresentazioni spaziali e mante­ nersi nella prospettiva della libertà che caratterizza le relazioni personali115. La parola «ovile», d'altra parte, sarebbe stata impro­ pria qui, perché un ovile può contenere numerosi e diversi greg­ gi, mentre nel quadro simbolico il gregge è uno. L'immagine di «un solo ovile», che deriva dalla traduzione della Vulgata, ha ali­ mentato una polemica tra protestanti e cattolici, come se il luogo della riunificazione definitiva fosse l'istituzione romana. Quanto 112 1,12-13; dr. 1Gv 3,1.2.10; 5,2. "' 3,16; cfr. Ger 23,3; 31 ,8. ••� Il greco genirontai può essere tradotto diversamente. '" Come suggeriscono le descrizioni della salvezza in 10,9 (cfr. sopra, pp. 651s).

LffiRO I - PARTE II

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al Pastore unico, è incontestabilmente Gesù Cristo, Figlio di Dio116 che realizza la profezia di Ezechiele sul Messia: ll mio servo Davide sarà re su di essi;

vi sarà per tutti loro un solo pastore (Ez 37 ,24; cfr. 34,23). In poche parole Gv presenta la comunità di Gesù ideale. C'è da sognare!

d. Nel segreto del dono di sé (10, 1 7-18) " Ecco117 perché il Padre mi ama: perché io depongo la mia vita per riprenderla di nuovo. 18 Nessuno me la toglie, ma io la depongo da me stesso. Ho il potere di deporla e ho il potere di riprenderla: questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio.

L'orizzonte immediato della morte del Pastore si impone tutta­ via nel testo. Non più sotto l'aspetto della sua finalità, a beneficio delle pecore presenti e future118 né della sua necessità, come nella parola rivolta a Nicodemo: «Bisogna che il Figlio dell'uomo sia elevato>> (3,14). Il dei («bisogna>>), tradizionale dei sinottici per dire che il Figlio dell'uomo deve morire e risuscitare, è comparso in 10, 16, dove il Pastore «deve>> condurre anche le altre pecore. Tuttavia esso appare sotto altra forma nella dichiarazione finale: «Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio». Si avverte che la menzione del Padre, rivolto verso Gesù, racchiude il passo, perché il v. 17 comincia notando: «Il Padre mi ama... >>. Tra que­ ste due parole, l'espropriarsi, da parte di Gesù, della sua vita, viene illuminato dall'interno, come un atto di libertà fondato nel potere sovrano che il Figlio ha ricevuto. «Nessuno mi toglie la vita... >> dice Gesù. Inserita nel grande con116 1 17

E non san Pietro né i suoi successori. L'autore traduce dià toUto con (>, che è l'al di là della Terra santa, passando attraverso la prova e attirando a sé, dopo di ciò, le folle dei credenti: non è la traiettoria del Figlio che appare qui in filigrana? Se la Passione, in questo testo, è già proletticamente oltrepas­ sata, essa vi traspare, ma come un dramma interiore, attraverso l'intensità dell'invito a credere in lui che Gesù continua a rivolge­ re ai giudei affinché scoprano la sua unità con il Padre. Poiché ha di mira il contenuto della fede, il testo mette succes­ sivamente in evidenza i titoli di Gesù di Nazaret: Messia e Figlio di Dio. Il primo è oggetto di un'intimazione: «Se tu sei il Cristo, dillo a noi ! >>; il secondo è pronunciato da Gesù in replica all'ac­ cusa di bestemmia e viene giustificato con la Scrittura e con la testimonianza delle opere. Dal punto di vista dell'evangelista, il ti­ tolo di Messia è dato per acquisito perché, in risposta alla doman­ da, Gesù dice semplicemente: «Ve l'ho detta>>; dopo di che, tutto si polarizza sul titolo di Figlio di Dio. Questa progressione corrisponde a quella del racconto lucano della comparizione di Gesù dinanzi al Sinedrio. Si legge in Luca: «Se tu sei il Cristo, dillo a noi>> (22,67) ; Giovanni aggiunge «aper-

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12. !.:ULTIMO SCONTRO ( 10,22-42)

tamente» ( 10,24). In Le: «Egli rispose loro: Se ve lo dico, non cre­ derete» (22,67 ) ; in Gv: «Ve l'ho detto, ma non credete» ( 1 0,25) . Secondo Luca, Gesù annuncia che il Figlio dell'uomo siederà alla destra della Potenza di Dio (22 ,69); questo in Gv diviene: «lo e il Padre siamo uno» ( 1 0,30). In Luca, alla domanda: «Sei tu dunque il Figlio di Dio?», Gesù risponde: «Voi dite che io lo sono», e i giudici esclamano: «Noi stessi l'abbiamo udito dalla sua bocca!» (22,70s). In Gv, i giudei dicono: «Tu, che sei uomo, ti fai Dio», e Gesù risponde: «Voi dite che io bestemmio perché ho detto che sono Figlio di Dio» ( 1 0,36). Se il testo vuole presentare l'ultimo interrogatorio dinanzi al tribunale giudaico, la prospettiva globale però risulta modificata dall'insistenza sulla fede. Alla costatazione ripetuta dell'increduli­ tà vengono contrapposti i motivi per credere nella filiazione divi­ na di Gesù. A questo scopo sono ripresi alcuni temi anteriori. li primo è la testimonianza delle opere che Gesù ha compiuto nel nome del Padre (cfr. 5 ,36); esso è presente lungo tutto il testo; la costellazione di termini Messia, Figlio di Dio, opere, credere, si ritroverà alla conclusione del vangelo2• Il secondo tema, ripreso anch'esso dal c. 5, è quello della Scrittura d'Israele che orienta verso il mistero del Figlio (5,39ss). Quanto alla rivelazione, sem­ pre ricorrente fin qui, del legame di Gesù con Dio, essa culmina nella parola: «lo e il Padre siamo uno» ( 10,30) e nell'affermazio­ ne dell'immanenza reciproca, sulla quale si chiude l'appello di Gesù ( 1 0,38). Inoltre, all'inequivocabile fallimento della predica­ zione è contrapposta l'esistenza di discepoli, dati a Gesù dal Padre, e l'annuncio della loro sicurezza escatologica. Per contrappunto, gli interlocutori inaspriscono la contestazio­ ne formulata in 5, 18: Gesù «si fa Dio>>, e l'accusa di bestemmia ne rende esplicita la gravità. Il tentativo di lapidazione è ripetuto (10,3 1 ) e così pure il tentativo, altrettanto vano, di arrestare Ge­ sù'. L'episodio però non termina a questo punto, ma con il qua­ dro tracciato dai vv. 40-42. 22 Ci fu allora la festa della Dedicazione a Gerusalemme. Era in­ verno. " Gesù andava e veniva nel Tempio, sotto il portico di Salomone. 2 «Questi segni sono stati scritti affinché crediate che Gesù, il Cristo, è il Figlio di Dio» (i miracoli sono chiama[i segni e non opere perché è Gv che parla, non Gesù). ' 10,39; cfr. 7,30.32.44; 8,59.

LIBRO I - PARTE ll

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La scena avviene nel Tempio, in occasione della festa della De­ dicazione. Questa festa commemorava la nuova consacrazione, avvenuta nel dicembre del 164 a.C., dell'altare del santuario che era stato profanato tre anni prima da Antioco Epifane'. Di qui il suo nome ebraico hanukka («consacrazione»), in greco egkainia («rinnovazione») . La sua liturgia, che si estendeva per otto gior­ ni', rassomigliava a quella della festa delle Tende, perché durante quest'ultima solennità aveva avuto luogo la dedicazione del primo Tempio ad opera di Salomoné. Questa parentela liturgica potreb­ be giustificare la vicinanza narrativa, nel quarto vangelo, delle due feste che erano in realtà separate da tre mesi di tempo. Tuttavia, come usa Gv, la scelta della Dedicazione - nominata soltanto qui, nel Nuovo Testamento - forse è connessa con un ricordo storico, ma dipende indubbiamente dall'affinità simbolica con le intenzio­ ni del testd. ll portico di Salomone, sul lato est del Tempio", era una delle gallerie aperte, sostenute da colonnati, che circondavano la gran­ de spianata, e protette dal vento con una muraglia. Era un luogo frequentato dalla folla che vi si riuniva per ascoltare l'insegna­ mento della Legge•. Gv nota che era inverno, non soltanto, forse, per ricordare la stagione in cui cadeva la festa e il clima rigido (cfr. Esd 10,9); secondo sant'Agostino, è per suggerire che la fine della rivelazione si avvicina e per segnalare la freddezza riguardo all'Inviato di Dio10• Gesù non si trova al Tempio per insegnare; egli «andava e veniva»; passeggia (periepdtei), come faceva libera­ mente in Galilea (7 ,l): è nella casa di suo Padre. 24 1 giudei allora fecero cerchio attorno a lui e gli dicevano: >. " 2,19; 8,12 ... ; 1 0, 1 1. 14-16. " 10,25.32.37.38.

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12. L'ULTIMO SCONTRO ( 10,22-42)

della presentazione simbolica del quarto vangelo, in cui le opere fanno parte integrante della rivelazione fatta da Gesù. Essendo opere del Padre, esse manifestano la condizione filiale di Colui che le porta a termine (cfr. 5 ,36); secondo 10,38 esse sarebbero sufficienti per coglierla. Facendo eco al discorso sul Buon Pastore, Gesù costata che i suoi interlocutori increduli non sono «sue» pecore: queste ascolta­ no la sua voce e lo seguono (cfr. 10,3s). Questa definizione positiva giustifica la negazione precedente, mentre il legame tra le due frasi (10,26-27) è dato dalla ripresa di ' Gesù estrae un passo, preso dal Sal 82: i giudici sono chia­ mati dèi perché a loro è stata affidata la Parola di Dio a un titolo speciale dal sovrano Giudice26: essi sono rappresentanti di Dio sulla terra27• L'argomentazione procede a minori ad maius: ciò che è vero per una certa cosa lo è a fortiori per quest'altra che le è superiore. Se alcuni uomini sono stati chiamati dèi, a maggior ragione ciò può essere detto di Colui che Dio ha «inviato nel mondo». La Scrittura prepara il cammino che conduce a ricono­ scere in Gesù il Figlio di Dio28• Gesù non raccoglie l'accusa che si fa Dio, egli non dice pertanto che è Dio, ma Figlio di Dio. Si potrebbe esitare sulla maiuscola della parola Figlio, perché, con­ trariamente a quanto ci attenderemmo, Gesù non dice «il Figlio 22

Essi pronunceranno questo titolo soltanto dinanzi a Pilato (19,7). Cfr. Mt 5,17s; Le 16,17; Gv 7,23. La costruzione negativa orienta verso l'affermazio­ De positiva che la Scri11ura deve essere compiuta: 0 ,18; 15,25; 17,12; 19,24.36. " Cfr. Sll II, 542s; ].S. Ackermann, HTR 59 ( 1 966) 186- 1 9 1 , c A.T. Hanson, NTS 1 1 (1%5) 158-169; 13 ( 1 967) 363-367. Gesù l'ha praticata: cfr. M t 19,4; 22,4 3-45. � Qui la legge è intesa in un senso largo, che comprende anche gli scritti sapienziali, secondo l'uso giudaico. Dicendo «la vostra Legge» Gesù non parla ironicamente, come mostra il contesto. 26 Daco che il giudizio appartiene a Dio (Dt 1,17), i giudici abitualmence sono messi in stretto rappono con Jhwh (Dt 19,17), cosicché si dice che il colpevole è «condotto dinan­ zi a Dim> (Es 2 1 ,6; 22,8). " Tanto che Davide è chiamato «dio» (Sal 45,4) e Mosè «Un dio» (Es 4,16; 7 , 1 ). 28 Gv non utilizza la seconda parte del v. 6 del Sal 82: «Voi siete tutti figli dell'Altissi­ mo». Eppure essa sarebbe stata un buon appoggio per passare a . ' Gesù amava Marta, sua sorella e Lazzaro. 6 Quando seppe che era amma­ lato rimase ancora due giorni nel luogo in cui si trovava. 7 ln seguito, dopo di ciò, dice ai discepoli: «Andiamo di nuo­ vo in Giudea ! » . " l discepoli gli dicono: « Rabbì, poco fa i giudei cercavano di lapidarti e tu vuoi ritornare ancora là?». • Rispose Gesù: « Non vi sono dodici ore nel giorno? Se uno cammina di giorno non inciampa, perché vede la l uce di questo mondo; 1 0 ma se uno cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui». 1 ' Questo disse. Dopo di che dice loro: « Lazzaro, i l nostro amico, si è addormentato, ma vado a risvegl iarlo » . 1 2 G i i d isse­ ro a l lora i discepoli: «Signore, se è addormentato, guarirà » . B Gesù, però, parlava della sua morte; essi i nvece avevano pensato che parlasse del suo addormentarsi nel sonno. 14 A l lora Gesù disse loro apertamente: « Lazzaro è morto, 1 5 e godo per voi di non essere stato là, affinché crediate. Ma andiamo da lu i ! » . 16 Disse a l lora Tommaso, chiamato Didimo, ai cond iscepol i : «Andiamo anche noi e moriamo con l u i ! » . 17 A l suo arrivo, Gesù trovò [Lazzaro) nella tomba già da e

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13. GESÙ RIOONA L A VITA A LAZZARO ( 1 1 ,1-54)

quattro giorn i . 18 Beta n i a si trova vicina a Gerusalem me, a circa quindici stadi . 1 9 Molti giudei erano venuti da Marta e Maria, a consolarle per il loro fratello. '"Quando Maria seppe che Gesù arrivava, gl i andò i ncontro; Maria i nvece se ne stava seduta in casa. 21 Marta disse al lora a Gesù: « Signore, se tu fossi stato qui, mio fratel lo non sarebbe morto. 22 Ma anche ora so che qualunque cosa tu possa domandare a Dio, Dio te la conce­ derà >> . 13 Gesù le dice: «Tuo fratello risusciterà>> . 24 G i i dice Mar­ ta: «So che risusciterà nella risurrezione a l l ' u ltimo giorno>>. 25 Gesù le dice: « lo sono la risurrezione e la vita. Colui che crede in me, anche se fosse morto, vivrà; '" e chi u nque vive e crede in me è impossibile che muoia per sempre. Lo credi tu? » . " Essa gli dice: «Sì, S ignore, io ho la fede che sei tu i l Cristo, i l Figlio d i D io, Col u i che viene nel mondo» . '" E, detto questo, se n e andò e ch iamò sua sorella Maria, dicendole sottovoce: > (lrenco, A dv. hat.•r. IV, 20,7). !l Mc 10,21 rileva l'amore di Gesù per il giovane alla ricerca ddla vita eterna. A1cuni, basandosi unicamente sull'uso del verbo agapd(), vorrebbero identificare Lazzaro con la figura giovannea del ( 13,23; 19,26; 20,2; 2 1 ,7.20). N «Egli rimase» (émeinen) è in simmetria con émeinen di 10,40; il v. 6 appartiene per­ tanto alla messa in scena del racconto, mentre i vv. 7 e 16 inquadrano la sottosezione se­ guente.

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caso, il lettore è lasciato nell'attesa anche se il narratore lo ha già orientato verso il miracolo. Questa attesa si prolunga in un dialo­ go abbastanza lungo con i discepoli. b. Difronte alla morte ' In seguito, dopo di ciò, dice ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea ! • . 81 discepoli gli dicono: « Rabbì, poco fa i giudei cercava­ no di lapidarti e tu vuoi ritornare ancora l à ? » . ' Rispose Gesù: « Non vi sono dodici ore nel giorno? Se uno cammina di giorno non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10 ma se uno cam­ mina di notte, inciampa, perché la luce non è i n lui. 11 Questo disse. Dopo di che dice loro: « Lazzaro, i l nostro amico, si è addormentato, ma vado a risvegl iarlo». " Gli dissero allora i discepol i : «Signore, se è addormentato, guarirà , _ 11 Gesù, però, par­ lava della sua morte; essi invece avevano pensato che parlasse del suo addormentarsi nel sonno. 14 Allora Gesù disse loro apertamente: •Lazzaro è morto, 15 e godo per voi di non essere stato là, affinché crediate. Ma andiamo da l u i ! , _ 16 Disse allora Tommaso, chiamato Didimo, ai condiscepoli: «Andiamo anche noi e moriamo co n l u i ! , _

Nella messa i n scena, Gesù era nominato i n rapporto alla fami­ glia di Lazzaro; ecco ora riapparire i discepoli, assenti fin dall'epi­ sodio del cieco nato. Allora essi erano presenti affinché Gesù spiegasse il senso del miracolo che stava per fare; qui, la loro opposizione alla partenza per la Giudea dà l'occasione a Gesù di manifestare la sua decisione di fronte alla morte di Lazzaro e di fronte alla propria morte. Con questo dialogo, ben distinto dall'introduzione (cfr. «dopo di ciò», v. 7), la tonalità della narrazione cambia: Gesù parla in pri­ ma persona e l'azione si mette in moto: «Andiamo in Giudea!». I di­ scepoli protestano; il richiamo alla lapidazione rimanda al contesto anteriore'' e il tema della morte di Gesù si profila chiaramente. La reazione dei discepoli si allinea alla presentazione sinottica: quando Gesù sale a Gerusalemme essi sono sconvolti (Mc 10,32) e quando annuncia la sua passione e morte Sirnon Pietro vorrebbe dissuader­ lo (Mt 16,22). Questa prudenza tutta umana non scalfisce la deci"' Cfr. 8,59; 10,) 1 . (39).

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13. GESÙ RIOONA LA VITA A UAZZARO (1 1,1·54)

sione di colui che è pronto a espropriarsi della sua vita per i suoi ( 10,15). Qui Gesù non replica severamente come in Matteo (Mt 16,23), ma si dilunga sull'immagine del cammino di giorno o di notte, con o senza la luce di questo mondo. Nell'episodio del cieco (9,3s), l'opposizione giorno/notte si riferiva al tempo in cui è possi­ bile lavorare, e Gesù si riferiva alla sua missione. Per analogia, si propende a leggere qui il pensiero che bisogna partire finché è gior­ no, per non inciampare di notte sui sentieri sassosi della Palestina. Ma Gesù sta parlando della sua strada? ll testo rende difficile que­ sta lettura a motivo dell'espressione «la luce non è in lui>l6 (v. 10), che non può applicarsi a Cristo. D'altronde, «inciampare»27 nella Bibbia si riferisce ordinariamente alla caduta nel peccato; così Ge­ remia esortava i giudei a ritornare verso Dio: prima che scendano le tenebre e prima che i vostri piedi inciampino nelle montagne del crepuscolo (Ger 13 ,16).

È preferibile però accostare il nostro testo a un'altra parola di Gesù: Solo ancora un po' di tempo la luce è in mezzo a. voi. Camminate finché avete luce, affinché non vi sorprendano le tenebre. Chi cammina nella tenebra non sa dove va. Finché avete luce credete nella luce (Gv 12,35-36). ·

Gesù quindi inviterebbe i suoi discepoli a vincere la loro reti­ cenza e a seguirlo. In una seconda tappa del dialogo («dopo di ciò»: v. 1 1 ) Gesù annuncia lo scopo della sua partenza: va a risvegliare Lazzaro che si è addormentato28• La morte viene spesso assimilata al sonno, specie nel Nuovo Testamento, in vista del risveglio che è la risur­ rezione dei mortF9• I discepoli prendono le parole di Gesù alla 26 Qui non si tratta della luce del giorno o del sole (come interpreta il manoscriuo D; en autf1), ma della luce interiore che guida il credente. La metafora si basa sulla rappre­ sentazione semitica dell'occhio concepilO come una lampada nel corpo (Mt 6.22s; cfr. E. Sjoberg, St. Theologica 5 [195 1 ] 89-105). " ProJkòptein. Cfr. G. Stiihlin, GLNTXI, 365, che rimanda a Is 8,15; Ger 6,21; Os 5,5;

Pro 4 , 1 9. " In Mc 5,39p, la figlia di Giairo «non è mona, ma donne»: dr. At 7,60; 2Sam 7,12;

1Re 2.10.

1 9 Di qui viene il termine «cimitero», il (>), Gesù non dice «in Giudea>> (cioè alla morte), ma («Andiamo da lui>>), da colui che, ora morto, rivivrà. I discepoli sembrano aver capito soltanto che Gesù persiste a voler partire. Essi continuano a non vedere altro che il rischio, mortale per lui e per loro. Tommaso32 si fa loro interprete: «An­ diamo anche noi e moriamo con lui !>>. I fatti contraddiranno que­ sto slancio quando sarà venuto per Gesù il tempo della passionen. Per il momento, è il tema della morte di Gesù che emerge, in con­ trasto con il risveglio che egli ha annunciato per il suo amico. Al termine dei primi sedici versetti, il lettore ha compreso che il miracolo avverrà, non soltanto a motivo dell'amore di Gesù per i suoi amici, ma per manifestare la gloria di Dio e suscitare la fede in Colui che affronta la morte: egli ha il potere di deporre la sua vita e il potere di riprenderla per comunicarla agli uomini. c.

Gesù e Marta: «lo sonÒ la risurrezione e- la vita>>

17 Al suo arrivo, Gesù trovò [Lazzaro] nella tomba già da quattro giorni. " Betania si trova vicina a Gerusalemme, a circa quindici stadi. ;• Molti giudei erano venuti da Marta e Maria, a consolarle per il loro fratello. '0Quando Maria seppe che Gesù arrivava, gli andò incontro; Maria invece se ne stava seduta in casa. 21 Marta disse al lo}O Il verbo greco sikO può significare «guarire» e «salvare», come dice la parola rivolta da Gesù a chi è stato guarito: «La tua fede ti ha salvato» (Mt 9,22 p; Mc 10,52, Le 17,19). )] Perì th koiméseor toU hjpnou: >. L'apostolo viene ancora menzionato in Gv 14,5; 20,24-29: 2 1 ,2 (cfr. Mt 10,3 p; At 1,13). " Pietro rinnegherà il suo Maestro (13,38) e ru tti i discepoli abbandoneranno Gesù (16,32; cfr. Mt 26,31.56; Mc 14,27.50).

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13. GESÙ RlDONA LA VITA A LAZZARO (1 1,1·54)

ra a Gesù: «S igno re, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto. " Ma anche ora so che qualunque cosa tu possa domandare a Dio, Dio te la concederà » . 23 Gesù le dice: «Tuo fratello risuscite­ rà» . '4 Gii dice Marta: «So che risusciterà nella risurrezione al l'ultimo giorno» . " Gesù le dice: «lo sono la risurrezione e la vita. Colui che crede in me, anche se fosse morto, vivrà; '" e chiunque vive e crede in me è impossibile che muoia per sempre. Lo credi tu? » . " Essa gli dice: «Sì, Signore, io ho la fede che sei tu i l Cristo, il Figlio di Dio, Colui che viene nel mondo».

I vv. 17- 19 e i vv. 44-46 si corrispondono in qualche modo: Lazzaro è nella tomba e ne esce vivo dopo quattro giorni; i giudei vengono e se ne tornano. Entro questi limiti, mentre l'attesa si prolunga, avvengono tre episodi: il colloquio di Gesù con Marta ( 1 1 ,20-27), il suo incontro con Maria e i giudei ( 1 1 ,28-37), il suo intervento su Lazzaro nella tomba, alla presenza di tutti i perso­ naggi riuniti ( 1 1 ,38-43s)l4•

I consolatori, venuti da GerusalemmeJl per partecipare al lut­ to, nel corso del racconto vengono associati a Maria ( vv. 3 1 .3 3 . 45); si accenna però a d essi molto prima (v. 19), preparando in tal modo la presenza di testimoni, necessaria per dire il duplice effet­ to che avrà il miracolo. Il termine «giudei>> con cui sono designa­ ti, a prima vista, sorprende; potrebbe richiamare fin dall'arrivo a Betania il rischio che Gesù corre in Giudea. Le due sorelle, che insieme hanno fatto ricorso al «Signore>> e che esprimeranno il loro dolore con le stesse parole (vv. 2 1 .32), si comportano in maniera opposta di fronte al mistero della morte. Marta corre subito verso Gesù; Maria rimane in casa, «seduta>>, come si conviene a una donna in lutto'6• Marta espri­ me la sua fiducia e poi, magnificamente, la sua fede; Maria ai piedi di Gesù, rimane accasciata sotto il peso del dolore. L'una afferma la speranza nella vita che non finisce, l'altra non sente altro che la separazione ormai avvenuta. A questi atteggiamen­ ti contrastanti corrispondono reazioni differenti di Gesù, attra" I discepoli non vengono più nominati dal v. 16 in poi, ma secondo il v. 15 la loro pre­ senza è implicita. '' Il luno durava sette giorni: cfr. SB IV, 592·607. " Sarebbe una tenue traccia della tradizione di Le 10,.39?

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verso le quali traspare il suo personale coinvolgimento di fron­ te alla morte. Lasciando i consolatori, Marta va incontro a Gesù fuori dal vil­ laggio. Dando sfogo al suo dolore, collega la perdita del fratello all'assenza di Gesù, ma non come un rimprovero: essa si rivolge al «Signore>>, la cui presenza preserva dalla morte. E in realtà, senza fermarsi, aggiunge che anche ora Gesù può ottenere tutto da Dio, insinuando così, vagamente, che se egli volesse, un mira­ colo è ancora possibile, non come un atto magico, ma come opera di Dio. La convinzione di Marra («io so») che Dio non rifiuta nulla a Gesù, si allinea, prima di ogni ulteriore dimostrazione, a quella del cieco-nato divenuto vedente37; Gesù stesso lo dirà in altri termini nella sua preghiera dinanzi alla tomba (vv. 41s). Gesù risponde a Marta che suo fratello risusciterà (anistemi) in un futuro indeterminato. Marta, sempre senza esitazione («io so>>), lo in­ terpreta nel senso della risurrezione dei morti nell'ultimo giorno, secondo la fede del giudaismo ortodosso38• Non è una semplice acquiescenza da parte sua a ciò che ha detto il Maestro, ma l'afferma­ zione di una certezza. Tuttavia, non vuole forse indurre Gesù a pre­ cisare ulteriormente? Egli risponde con un Ego eimi di rivelazione: lo sono la R i su rrez i one e la Vita39 e completa questa affermazione con due sentenze che, esplicitan­ dola, richiedono la fede in lui, come quando aveva proclamato che egli era il Pane della vita40• Qui le due sentenze oppongono «Vivere>> a «morire>>: ·

Colui che crede in me, anche se fosse morto, vivrà; " 9,3 1 ; cfr. 2,5; 3,2; 1 1 ,3 . " «Tu, Signore, che doni l a vita a i morti»: 2 ' delle XVIII Benedizioni; D n 12,1-3 ; 2Mac 7,22-24; 12,44; Mt 22,23; Mc 12,18; Le 20,27; At 23,8; 24,15; Rm 4,17. l 9 Qualche manoscrino ignora «e la vita»; perciò alcuni critici ritengono che queste parole siano state aggiunte al testo originale. E vero che numerosi Padri della Chiesa le omettono, citando il versetto, ma è per sottolineare il primo termine. La presenza di ambe­ due i termini permette di precisare che la risurrezione consiste nella (cfr. 5.29). Cfr. 6,39.40.44.47.54; 8,5 1 . La promessa della vita fatta a Israele è un tema fondamentale dell'AT. Cfr. Dt 30,19; Sal 22,27; 69,33... ., Sono io il Pane della Vita: chi crede in me non avrà mai fame, chi crede in me non avrà mai sete (6,35).

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13. GESÙ RIDONA LA VITA A LAZZARO (11,1-54)

e chiunque vive e crede in me è impossibile che muoia per sempre41•

Nel primo stico, «morire» ha il senso ovvio del trapasso e «vi­ vere» ha il senso forte della vita eterna; nel secondo «morire (per sempre)» ha il senso forte della perdizione definitiva, della privazione per sempre della vita divina, mentre «vivere», che precede «credere», sembra riferirsi alla situazione di chi è anco­ ra in questo mondo. Le due sentenze sono parallele quanto al senso: il credente è destinato alla vita che non ha termine. Gesù rivela che la risurrezione di vita, che Marta attende da Dio per l'ultimo giorno, in base alla sua fede giudaica, è propriamente opera sua. In Gv questo annuncio non è nuovo che per la sua formulazione e il suo contesto42• Il versetto nel suo insieme abbraccia il presente e l'avvenire perché, pur trattandosi del destino ultimo, è chiaro che il credente, per mezzo di Gesù, diviene fin d'ora un «vivente»: il germe della vita eterna ormai è in lui. Quanto al contesto, viene qui mostrata al vivo la transi­ zione dalla fede tradizionale alla novità che con il Figlio si è fatta presente (cfr. 3 , 1 6s). Gesù termina il suo annuncio domandando a Marta se crede «ciò»43• Come risposta essa pronuncia una confessione di fede che non ha per oggetto il potere escatologico di Gesù, ma la sua iden­ tità. Cominciando con un «io credo» molto deciso, come indica il perfetto del verbo'\ Marta riconosce nel suo interlocutore il Cri­ sto e il Figlio di Dio. La finale «colui che viene nel mondo>>45, pur senza essere un titolo, strettamente parlando, confessa che Gesù è Colui che, inviato dall'alto, dà compimento all'attesa d'Israele. In tre battute, Marta è passata dalla convinzione di un rapporto privilegiato di Gesù con Dio al riconoscimento dell'inviato esca­ tologico, mediante il quale il Regno di Dio si è fatto vicino, è pas­ sata cioè dalla fede giudaica a una fede propriamente cristiana. La · Invece di «egli non morrà mai», come se la mone temporale venisse evitata, è oppor­ tuno tradurre «non morirà per sempre», dato che Gesù si riferisce alla morte definitiva. Per cis tòn aiòna, cfr. 4,14; 6,51; 8,5 1 .52; 10,28. '' 5,28s; 6,39s.44.54; 8,51; cfr. 5,21.24. · • Caso raro, in cui l'oggetto della fede non è la persona di Gesù, ma ciò che egli affer­ ma. Il lettore è personalmente impegnato a rispondere. " Il perfetto pepùteuka significa più che un semplice atto di fede: esprime lo stato di chi crede, di qui la traduzione «ho la fede». " Cfr. 1,9; 6,14; Mt 1 1,3p.

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sua confessione del Cristo corrisponde molto bene a qu ella dei primi cristiani"' e anzitutto alla presentazione del q uarto vangelo (cfr. 20,3 1 ) . Attraverso Marta è la comunità giovannea che si esprime. Marta ignora certo, nel racconto, quale sarà l'itinerario di Gesù e dinanzi alla tomba indietreggerà inorridita sentendo l'ordine di rimuovere la pietra ( 1 1 ,39). Resta il fatto però che essa è talmen­ te illuminata dalla parola di Gesù che non ritorna più sulla morte del fratello, come se una nuova richiesta fosse superflua. E se ne va dalla sorella.

d. La vittoria sulla morte '" E, detto questo, se ne andò e chiamò sua sorella Maria, dicen­ dole sottovoce: >) è ripetuto due volte nel v. 33: kloiousan . .. kloiontas. Questo verbo è spesso usato per le lamentazioni di lutto: Mt 2, 18; Mc 5.38 p; L e

7,32; At 9,39... 411 Per giustificare la debolezza che qul mostra Gesù, qualche Padre aJessandrino ha letto nelle parole «in spirito» o >62• Si verifica qui un nuovo superamento di frontiera: dalla terra al cielo63• Gesù è in comunicazione incessante col Padre suo (cfr. 1 ,5 1 ) e i presenti potranno riconoscerlo. La preghiera che Gesù qui formula non è una domanda, come in 12,2764 o come quella del profeta Elia che invoca Jhwh in una circostanza simile''', ma già un ringraziamento. Gesù sa che il Pa­ dre Io ha esaudito (akouein); l'evento non sarà che una conse­ guenza. Il verbo greco è il medesimo che indica l'ascolto da parte di Gesù delle parole del Padre66; la sua traduzione tuttavia esige una precisazione. n ringraziamento per essere stato esaudito (v. 4 1 ) presuppone una qualche domanda. È perciò che questa preghiera, !ungi dal­ l'essere una specie di recita per il grosso pubblico, come alcuni hanno pensato67, potrebbe riferirsi, al di là del miracolo di Laz­ zaro, alla traversata dell'Ora, in accordo con la precedente evoca­ zione del turbamento di Gesù. Si ritroverebbe allora nello sfondo il Sal 42/43 in cui il ritornello doloroso è completato da quello che esprime la certezza di essere salvato68. Quanto all'esaudimento costante del Figlio da parte del Padre, per Gv esso sta al fondamento della preghiera dei credenti. Prima della sua Passione Gesù dirà ai discepoli che la domanda rivolta al Padre «nel suo nome>> è ormai possibile per loro ( 16,24) e che sarà sempre ascoltata69 • D'altra parte, la preghiera di Gesù è pro" Cfr. 17,1; Mc 6,41; Le 18, 13; At 7,55 e Sal l23,1; Lam 3,41. Curiosamente il verbo «alzare (gli occhi)., > del fatto e dimostrare la grandiosità del prodigio. Se è difficile comunicare ai nostri contemporanei il racconto del segno di Lazzaro, come quelli dei miracoli dei vangeli, ciò dipende essenzialmente dal nostro sguardo o modo di vedere: noi ci preoc­ cupiamo anzitutto dei fatti bruti, oggettivi, e non siamo sensibili alla simbolica, tanto familiare agli evangelisti. Il racconto vale come racconto: basta dirlo nella sua significativa profondità.

14 PRIMA DELL'ULTIMA PASQUA ( 1 1 ,55 - 1 2 ,3 6)

L'ultima Pasqua, quella che mette fine alla vita pubblica di Ge­ sù, si awicina. In questo quadro il narratore dispone le scene secondo una certa cronologia: sei giorni prima ( 12 , 1 ) , il giorno dopo ( 12 , 1 2 ) , prima della Pasqua ( 1 3 , 1 ) . In questo giorno solen­ ne Dio sigillerà, mediante suo Figlio, l'alleanza che ha progettato con Israele e l'umanità. Gesù ritorna a Gerusalemme per l'ultimo soggiorno. I tre episodi che si susseguono, apparentemente senza alcun legame, da 1 1 ,55 a 12,36, sono collegati dal filo pasquale: la glo­ ria arriva attraverso la croce. La cena di Betania esprime la gioia dei convitati in presenza di Gesù e di Lazzaro, ritornato dalla morte; ma Gesù interpreta l'unzione di Maria come l'annuncio della sua sepoltura. - La folla esce da Gerusalemme per acclama­ re il re d'Israele che viene verso la città santa, ma Gesù rifiuta questo onore e cavalca un asinello. - I Greci che vogliono vedere Gesù annunciano l'ora della riunificazione di tutti gli uomini attorno a lui, ma Gesù proclama la necessità della morte per giun­ gere alla gloria. In questi racconti è costantemente manifesta la doppia dimensione della Pasqua. Altro principio di coesione delle scene è la presenza della fol­ la, menzionata in ciascuna di esse. Due volte essa è qualificata co­ me «folla numerosa» ( 12,9. 12), più spesso è senza un attributo ( 1 2 , 17s.29.34). Era scomparsa dalla narrazione tra i cc. 8 e 1 1 . Ora è messa in rapporto con Gesù, che spera di incontrare ( 1 1 ,56) e che poi acclama (12 ,9. 12s), e anche con Lazzaro a motivo del miracolo ( 12 ,9. 17s). Non c'è bisogno di distinguere gruppi diver­ si, poiché questo dato ha la funzione di preparare la riflessione dei farisei: «Il mondo se n'è andato dietro a lui ! » ( 1 2 , 1 9) . La folla è contraddistinta dagli awersari di Gesù che con essa formano un dittico, come per visualizzare il dramma dell'opzione pro o con­ tro la fede ( 1 1 ,57 con 1 1 ,56; 1 2 , 10s con 12,9; 12,1 9 con 12,17s).

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7 12

Questa distinzione scompare però nel finale, cosicché anche la folla si mostra incredula (12,29.34). Prima d i iniziare la lettura delle diverse scene, presentiamo un quadro d'insieme dei tre dittici folla/avversari. I primi due si cor­ rispondono: 36 Essi l molta gente] cerca­ vano Gesù . . . e dicevano tra loro: «Che ne d ite? Verrà alla festa ? • .

1 7 M a i sommi sacerdoti e i farisei avevano dato ordi n i : chi u nque sapesse dove egl i era, doveva denunciarlo affin­ ché lo si potesse arrestare.

• Una folla numerosa di giu­ dei seppe dunque che Gesù era là e vennero non soltanto a causa di Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risvegliato dai mort i . ' " l sommi sacerdoti decisero a l l ora di far morire anche Lazzaro, " perché molti giudei a causa di lui se ne andavano e credevano in Gesù.

Questi due sommari inquadrano l'unzione di Betania ( 12,1-8). Il primo concentra l'attenzione del lettore su Gesù; il secondo

aggiunge che la folla si muove anche a motivo di Lazzaro. Il primo ricorda il progetto omicida delle autorità, il secondo mostra che i grandi sacerdoti lo estendono anche a Lazzaro. Un terzo dittico riassume la situazione: 17 La folla che era stata con l u i quando aveva chiamato Laz­ zaro fuori dalla tomba e lo aveva risvegliato dai morti, gli ren­ deva testimonianza. 18 Per questo la folla gli era venuta in­ contro, perché aveva saputo che aveva fatto questo segno. " l farisei si dissero dunque tra loro: «Vedete che non com­ binate nul la: ecco che il mondo se n'è andato dietro a l u i » .

Festeggiando Gesù, l a folla testimoniava che il miracolo di Lazzaro era accaduto ed essa era trasportata dall'entusiasmo; di qui la reazione dei farisei che si vedono superati dai fatti. La loro esclamazione fa da transizione all'episodio dei Greci.

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14. PRIMA DELI:ULTIMA PASQUA ( 1 1,55 - 12,36)

l. L'UNZIONE A BETANIA ( 1 1 ,55 - 12 , 1 1 ) Testo

55 Era prossima la Pasqua dei gi udei e molti sal i rono a Geru­ salemme dal l a regione prima di Pasqua, per purificarsi. 56 Essi cercavano Gesù e nel Tempio dove si trovavano dicevano tra loro: «Che ne dite? Verrà a l l a festa? >> . 57 Ma i som m i sacerdoti e i farisei avevano dato ordini: ch iunque sapesse dove egl i era, doveva denunciarlo affi nché lo si potesse arrestare. 12•1 Gesù dunque, sei giorn i prima della Pasqua, venne a Be­ tania, dove c'era Lazzaro che egl i aveva risvegliato dai morti. 2 E là prepararono un pranzo in suo onore. Marta si occupava del servizio e Lazzaro era uno di coloro che erano a tavola con lui. 1 Maria a l lora, presa una l i bbra di profumo di puro nardo, molto prezioso, unse i piedi di Gesù e gliel i asci ugò con i suoi cape l l i; e la casa fu riempita dal l a fragranza di quel profumo. 4 G i uda lscariota, uno dei suoi discepoli che stava per tradirlo, dice: «5 Perché questo profumo non lo si è venduto per trecen­ to danari, che si potevano dare ai poveri? >> . 6 Disse questo non perché gli i mportava dei poveri, ma perché era ladro e, tenen­ do la borsa, sottraeva ciò che vi si metteva dentro. 7 A l lora Ge­ sù disse: « Lasciala! Essa si proponeva di conservare questo [profumo] per i l giorno del la mia sepoltura. 8 1 poveri, i nfatti, l i avete sempre con voi; me i nvece non avete sempre>> . • una fol la numerosa di giudei seppe dunque che Gesù era là e vennero non soltanto a causa di Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risvegl iato dai morti. 10 l sommi sacerdoti decisero al lora di far morire anche Lazzaro, 11 perché molti giu­ dei a causa di lui se ne andavano e credevano in Gesù. A motivo dci due dittici che la inquadrano ( 1 1 ,55-57 e 12,9- 1 1 ) , l a scena s i inserisce nella trama d i una storia. Avviene i n u n interno, nell'intimità d i una casa accogliente, mentre al d i fuori la folla e le autorità si danno da fare alla ricerca di Gesù (cfr. 1 1 ,45-48).

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I pellegrini venuti per «purificarsi»1 s'interrogano sulla presen­ za di Gesù alla grande festa (cfr. 7 , 1 1 ) ; il loro desiderio di incon­ trarlo traspare dalla duplice domanda che essi pongono2; e si pre­ cisa nel secondo dittico, quando la folla si reca a Betania per vedere Gesù e anche Lazzaro. Da parte loro, sommi sacerdoti e farisei insieme cercano di arrestare Gesù per metterlo a morte (cfr. 1 1 ,53 ) . Poiché il ricorso alla delazione è una tattica ignorata dagli scritti rabbinici, la menzione che se ne fa al v. 57 può giusti­ ficarsi come una opposizione letteraria all'attrazione della folla per Gesù. L'episodio propriamente detto è sembrato strano ai commen­ tatori, ma esso ha salde radici nella tradizione evangelica e corri­ sponde senza dubbio a un ricordo storico. Marco e Matteo lo rife­ riscono, come Gv, nel quadro dell'ultima settimana3• Un episodio analogo, narrato da Luca senza precisazione di tempo, è accadu­ to in Galilea, e ha come protagonista una peccatrice'. La questio­ ne della reciproca dipendenza di questi racconti è controversa. Se non è nostra intenzione stabilire la priorità di questa o quella redazione\ ci interessa tuttavia rilevare le differenze giovannee. La datazione non concorda: sei giorni (Gv) o due giorni (Mc) prima di Pasqua. Quella di Marco si deduce dall'annotazione che precede, relativa al complotto dei capi in Mc 14, 1 , e non vale molto perché, a parere di tutti i critici, l'episodio dell'unzione è stato interpolato a un primitivo racconto della Passione in un tempo posterioré, per mostrare che Gesù era cosciente in antici­ po di ciò che stava per soffrire. La datazione giovannea, che po­ trebbe avere un valore storico', colloca l'episodio prima e non do­ po l'entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme; essa corrisponde alla sera dell'ultimo sabato che precede quello della Passione. Questo rito pareva durare una settimana: cfr. SB n, 546s, e Nm 9,6- 1 3 ; 2Cr 30. Sulla costruzione ou mi élthe eis tin heort!n, cfr. BD 365, 4; 427, 2. ' Mr 26,6- 1-3; Mc 14,3-9. • Le 7,36-50. ' Le opinioni dci critici variano e sono registrate nella maggior parte dei Commentari. Lo studio più receme è quello diJ.F. Coakley, JBL 107 0988) 241 -256, il quale, contro la maggioranza degli autori, difende la priorità del racconto di Gv. A. Legaul t, CBQ 16 (1954) 143-145, e J .F. Coakley, pp. 255s, cercano di dimostrare che i racconti di Mt, Mc, Gv e quello di Le corrispondono a due fatti diversi. 6 Cfr. an. . La morte, così evocata, prepara nel racconto ciò che Gesù sta per dire in difesa di Maria; tanto più che Gesù sa che Giuda lo tradirà. Anche qui, come in 6,70-7 1 , viene indicata la sua qualità di discepolo insieme al suo tradimento. L'opposizione tra Giuda e Gesù riflette quella che intercorre tra la vita e la morte, ma essa si raddoppia con un'opposizione Giuda/Maria di fronte a Gesù e alla sua passione. Dopo aver interpretato il gesto di Maria in rapporto alla sua sepoltura, Gesù aggiunge, non solo per Giuda ma per tutti i pre­ senti, dato che dice «voi>>: l poveri infatti l i avete sempre con voi; me invece non avete sempre. " Cfr. 13,29. I sinottici non lo dicono. " Mr 26,14; cfr. Mc 14, 1 1 ; Le 22,4-6. " 6,70; 13,2.27. " Cfr. K. Luthi, Ev. Th. 16 ( 1956) 98-114.

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14. PRIMA DELL'ULTIMA PASQUA (1 1,5' · 12,36)

Questa risposta spesso lascia perplessi, perché Gesù sembra disinteressarsi dei poveri e considerare la povertà come una fata­ lità. Ma questo testo riflette un versetto del Deuteronomio: I poveri non mancheranno mai nel paese (Dt 15,1 1),

il cui contesto è il comando di Jhwh di portare aiuto ai bisognosi, di .

ll racconto dell'ingresso di Gesù in Gerusalemme, tra gli evviva del popolo, è familiare ai cristiani grazie alla liturgia della Domenica delle Palme, in cui si legge la versione sinottica. Dopo una lunga «salita» iniziata dalla Galilea, Gesù arriva a Gerusalemme per la prima volta, l'unica. Egli stesso ha preparato l'awenimento chieden­ do a due suoi discepoli di condurgli un asino, che avrebbero trova-

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14. PRIMA DELL'ULTIMA PASQUA ( 1 1 ,5 5 - 12,36)

to secondo le sue indicazioni; ed egli procede su questa cavalcatura come Messia di pace, mentre la folla stende sul suo passaggio vesti e fronde verdi e lo acclama con le parole di un salmo dell'HalleJ2'. Mentre i sinottici concordano sullo svolgersi del racconto e sui suoi elementi essenziali, Gv ha modificato radicalmente la tradi­ zione. L'episodio è successivo all'unzione di Betania («il giorno dopo») e la sua sequenza è invertita: avendo saputo che Gesù si avvicinava a Gerusalemme, la folla gli va incontro acclamandolo, e solo allora Gesù sale su un asinello che ha semplicemente «trova­ to». Nessun percorso trionfale è descritto: l'evangelista prende la parola per citare la Scrittura e aggiungervi un commento, tipico del suo stile. Nei vv. 17-18 egli giustiftca subito l'entusiasmo della folla col miracolo di Lazzaro, garantito da numerosi testimoni. Gesù viene dunque da Betania, ancora immerso nel profumo con cui Maria l'ha unto e nel pensiero della sua morte imminen­ te. Egli va a Gerusalemme, non però come un principe ma come colui che porta a termine il progetto annunciato in 1 1 ,7: