L'Egitto a Roma
 8854808377, 9788854808379

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Giuseppina Capriotti Vittozzi

L’EGITTO A ROMA

ARACNE

Copyright © MMV ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN

88–548–0837–7

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: novembre 2006

Sommario

1. Introduzione

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2. L’Egitto a Roma: precisazioni terminologiche 2.1 Egittomania e/o egittofilia? 2.2 Opere egizie ed egittizzanti 2.3 Aegyptiaca, Pharaonica, Nilotica 2.4 Culti di origine egizia

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3. Iside: dea egizia fuori dall’Egitto 3.1 Iconografia di Iside 3.2 Osiride, Api, Serapide, Osirantinoo 3.3 Arpocrate 3.4 Anubi 3.5 Hermes–Thot 3.6 Bes

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4. L’Egitto a Roma: quadro cronologico

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5. L’Egitto a Roma: una varietà di motivi, tipi di opere e ambiti 5.1 La scelta dell’immaginario egizio 5.2 Aspetti egizi dell’immagine imperiale

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6. Una progressiva “egizianizzazione”

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7. La scelta delle opere egizie 7.1 I tipi della statuaria egizia a Roma

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8. La produzione di opere egizie a Roma 8.1 La statua–fontana di Hapy ai Musei Vaticani 8.2 La copia della statua di Arsinoe II ai Musei Vaticani

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8.3 La statua di Nerone (?) al Museo Nazionale Romano 8.4 Le colonne dell’Iseo Campense 8.5 I due Bes di Piazza Vittorio 8.6 I rilievi in marmo 9. Sacerdoti egizi a Roma

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10. Il retaggio dell’arte egizia 10.1 L’Iseo e Serapeo del Campo Marzio (Iseo Campense) 10.2 Il Serapeo del Quirinale 10.3 L’Iseo della Regio III 10.4 La Via Ostiense 10.5 Luoghi di culto privato il larario di San Martino ai Monti

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11. Il Nilo fuori dall’Egitto

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12. Un bestiario nilotico a Roma

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13. Leoni egizi a Roma 13.1 Le sfingi

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14. Uno stravagante mediatore: ancora Bes

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15. Gli obelischi

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16. La riscoperta dell’Egitto a Roma

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17. Cronologia

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18. Nota bibliografica

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19. Referenze per le fotografie e i disegni

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Troppo spesso la nostra cultura scolastica ha creato in passato una visione della storia antica fatta di comparti separati tra loro, stanze chiuse e non comunicanti. Questa comprensione a scatole chiuse ha riguardato soprattutto le civiltà dell’antico Oriente mediterraneo: l’Egitto, la Mesopotamia, la Siria e Palestina. Poi, affrontando lo studio della civiltà greca e di quella romana, diventava chiaro che nel Mediterraneo antico le persone e le idee avevano circolato e si erano incontrate, capaci di creare un linguaggio culturale comune; ai margini restavano le grandi e antichissime civiltà orientali, splendide nel loro isolamento, una sorta di sfondo lontano ed esotico, i cui contorni sfumavano nel mito. Lo sviluppo della storiografia e della didattica della storia, nei decenni recenti, ha in parte cancellato questa impostazione di studi, e tuttavia questa visione resiste, più o meno esplicitamente, e riguarda soprattutto la civiltà egizia: il fascino da essa esercitato permane nel tempo e vede anzi nuove affermazioni dell’egittomania — una moda e una ricerca dell’Egitto popolari — mentre la convinzione che la cultura egizia sia nata improvvisamente e così si sia spenta, nella torre d’avorio della sua unicità, ha creato nuovi miti contemporanei — più o meno grossolani — per spiegare la sua esistenza, sul modello “stargate”. “L’Egitto non ha bisogno di misteri” scrive il prof. Sergio Donadoni: il suo fascino non ha bisogno di arcani costruiti a tavolino da furbi mercanti. L’Egitto, con la sua unicità ambientale, ha dato vita sì a una cultura straordinaria e spesso stupefacente, ma sicuramente non isolata e chiusa in se stessa: essa ha dialogato apertamente con le altre culture antiche e ha contribuito in modo importante alla formazione di un linguaggio culturale comune nel Mediterraneo. In epoca romana, la cultura egizia non era morta e sepolta, ma aveva ancora una sua vitalità, capace di esprimersi non solo nella Terra del

Nilo, ma anche nel resto del mondo conosciuto e a Roma, capitale dell’Impero: qui possiamo dunque incontrare l’Egitto, nel suo fascino esotico ma in una dimensione per così dire domestica. Questo volumetto si rivolge a quanti vogliano avvicinarsi a questa materia in maniera semplice e sintetica, ma seguendo studi scientifici aggiornati: si tratta dunque di un’introduzione all’argomento che potrà poi essere approfondito e ampliato attraverso la bibliografia di base che viene offerta. Giuseppina Capriotti Vittozzi San Benedetto del Tronto, agosto 2006

. Introduzione Fin dalle origini della civiltà egizia, è evidente la permeabilità culturale dei confini della Terra del Nilo, che pure sembra fisicamente isolata: i contatti con l’alta valle del Nilo, che conduce nel cuore dell’Africa, e con le civiltà mesopotamiche sono riconoscibili da tempi antichissimi. Nel III millennio avanti Cristo si trovano già oggetti egizi nel Vicino Oriente, ad esempio a Ebla (Siria). Nel corso del II millennio avanti Cristo, si afferma la presenza degli Egizi fuori dall’Egitto, nel sud (Nubia–Sudan) e nel nord–est (Palestina e Siria), così come è chiaro il soggiorno in Egitto di stranieri che lavorano: se fuori dall’Egitto si riconosce l’influenza della cultura egizia, nella valle del Nilo si evidenzia la presenza di motivi allogeni, mentre sono sempre più evidenti i contatti con i popoli dell’area egea (culture minoica e micenea). Durante il I millennio avanti Cristo, infine, nel Mediterraneo si aprono ampi e complessi scenari di scambio economico e culturale: mentre sullo scorcio del millennio precedente una forte crisi, sottolineata dallo sbarco in Egitto dei Popoli del Mare, crea le condizioni per spostamenti di gruppi umani da est a ovest, mescolando le carte sul tavolo del Mediterraneo, nel I millennio si consolidano quelle figure che diventano poi i soggetti culturali dell’Ellenismo. I Fenici e i Greci, con le loro ardite navigazioni, si affermano per i loro commerci nel Mediterraneo e tra i prodotti più apprezzati, per il loro carattere esotico e prezioso nonché il poco ingombro, a bordo delle loro navi viaggiano spesso piccoli manufatti egizi: soprattutto amuleti e va11

sellame, che l’archeologia ritrova costantemente fin nei territori del Mediterraneo nord occidentale, dall’Italia alla Spagna. I Fenici, abili mercanti, arrivano a produrre in proprio dei piccoli oggetti di tipo egizio (amuleti) o a utilizzare i motivi egizi per decorare manufatti di lusso. Si ha motivo di credere che fossero probabilmente greci i gestori di una fabbrica di scarabei a Naucrati (Egitto) i cui prodotti si ritrovano in giro per l’Europa. L’area dell’Egitto viene praticata da questi attivi mercanti anche per l’interesse commerciale verso le materie prime dall’Africa, in particolare avorio, uova di struzzo, ebano. Il corridoio per l’Africa, costituito dalla via delle oasi, parallela alla valle del Nilo, che corre nord–sud a ovest di questa, registra la presenza di Greci già nel secondo quarto del I millennio avanti Cristo, attivi nel commercio dell’avorio, del quale la Grecia arcaica è ricca. Le tombe italiche (etrusche, picene, magno–greche ecc.) si impreziosiscono intanto di amuleti egizi, numerosissimi gli scarabei. Oltre a oggetti egizi e a riproduzioni più o meno fedeli di essi, si riconoscono nel Mediterraneo oggetti che, se egizi non sono, tuttavia improntano la loro forma e la loro funzione alla tradizione della Terra del Nilo: si pensi ad esempio a piccoli contenitori da toletta in terracotta a forma di scimmietta imitanti, in materiale comune e forme approssimative, degli oggetti di pregio, generalmente in faïence, che in Egitto avevano una lunga tradizione; scimmiette si trovano nei livelli dell’Italia preromana e nella Roma arcaica. Lo storico greco Erodoto, che nel V secolo avanti Cristo viaggia in Egitto lasciandocene una vivacissima descrizione, attesta con chiarezza che all’epoca le divinità egizie sono già stabilmente comprese dai Greci come equivalenti di proprie divinità: ad esempio Osiride sarebbe Dioniso, Iside Cerere, Hathor Afrodite e via dicendo. I contatti tra la cultura greca e quella egizia, dunque, sono intensi e fruttuosi: nonostante il ben conosciuto orgoglio per l’altezza della propria cultura, i Greci subiscono l’attrazione per la cultura egizia; fonti antiche tramandano che importanti intellettuali greci avrebbero soggiornato in Egitto: Pitagora avrebbe addirittura parlato egiziano, Solone e Platone sarebbero stati in Egitto per studiare. La comparazione tra la speculazione egizia in ambiente templare e il pensiero platonico può effettivamente fornire interessanti spunti di riflessione: più tardi, proprio in Egitto fiorisce il Neoplatonismo che poi, dialogando con il Cristianesimo, stimola la riflessione di grandi scrittori cristiani come Clemente d’Alessandria e Origene. Quando nel 332 avanti Cristo Alessandro Magno conquista l’Egitto e fonda Alessandria, la terra dei faraoni entra nell’impero del Macedone e, 12

alla sua morte, governata da Tolemeo e dai suoi discendenti, partecipa vivacemente alla storia politica e culturale del Mediterraneo in quel periodo fecondo che chiamiamo Ellenismo, fino a quando, nel 30 avanti Cristo, avendo Ottaviano sconfitto Antonio e Cleopatra, ultima erede del primo Tolemeo, l’Egitto entra a far parte dell’impero romano. Nel periodo ellenistico, in Egitto si incontrano e si coniugano due grandi tradizioni artistiche, quella egizia e quella greca, dando vita a linguaggi figurativi nuovi e raffinati; al contempo, anche l’antica mitologia egizia e la tradizione religiosa assumono forme figurative di origine greca. Alessandria, metropoli internazionale affacciata al Mediterraneo che ha alle spalle l’Egitto, resta per secoli un importantissimo centro economico e culturale: dal suo porto numerose navi volgono la prua verso altri paesi mediterranei e in particolare verso l’Italia, trasportando non solo manufatti, ma anche uomini, maestranze, e dunque idee e credenze religiose. Nell’ambito dei territori romani, l’Impero favorisce la circolazione di persone, oggetti, mode, culti che hanno origine in Egitto: Roma in particolare, capitale internazionale — luogo di incontro di popoli e culture — ha un suo volto “egizio”. Avviene dunque che la gran parte dei numerosi reperti egizi conservati nei musei romani — dai Musei Capitolini al Museo Nazionale Romano, dalle collezioni Torlonia ai Musei Vaticani — provengono da scavi di Roma e del Lazio: si tratta di sculture di varie proporzioni, in diversi casi colossali. Accade infine che nella città di Roma siano attualmente eretti più obelischi che nello stesso Egitto. Rovesciando la prospettiva, possiamo notare come, paradossalmente, la cultura dell’Egitto, paese conquistato, abbia ancora un ruolo attivo al punto da apparire come un centro irradiatore e Roma come una “periferia”; se questa visione può essere una “forzatura”, è tuttavia efficace per comprendere certe dinamiche culturali: mentre a Roma si costruiscono piramidi di proporzioni contenute e dall’angolo di inclinazione piuttosto ampio — e dunque dalla linea aguzza come quella ostiense — ugualmente avviene in Sudan, nel regno meroitico, in territori da tempo immemorabile soggetti all’influenza egizia. Analogamente, se a Roma e in Sudan troviamo testimonianza di un particolare tipo di costruzione architettonica con figure di Bes come telamoni o cariatidi (si veda § 8.5), riusciamo a comprendere questo genere grazie alle fonti iconografiche dell’Egitto, che tuttavia, fino a oggi, non ce ne ha restituito neanche un esemplare. Infine, una magnifica testa bronzea di Augusto, oggi al Museo Britannico (GR 1911.9–1.1), è stata ritrovata a Meroe (Sudan), capitale di un regno mai conquistato da Roma: dopo essere stata sottratta probabilmen13

te da un sito in Alto Egitto, essa era stata collocata sotto un gradino del tempio della Vittoria, seguendo l’uso tipicamente faraonico di porre l’immagine dei nemici sotto i piedi del faraone: davvero l’Egitto fu un’interfaccia tra l’Africa e il Mediterraneo.

2. L’Egitto a Roma: precisazioni terminologiche 2.1 Egittomania e/o egittofilia? La presenza numerosa di motivi egizi nella cultura romana è stata oggetto, negli anni recenti, di numerosi studi e proprio in considerazione di questi sembra necessario mettere a punto una terminologia adeguata, seguendo anche M. Malaise nella sua recente opera Pour une terminologie et une analyse des cultes isiaques. La storiografia ha spesso misconosciuto, nel passato, l’influenza del Mediterraneo orientale, e in particolare dell’Egitto, sulla civiltà romana, e prima ancora su quella greca. Il giudizio degli storici è stato certamente condizionato dal giudizio negativo, sulle manifestazioni della cultura faraonica, espresso da alcuni scrittori romani, che vedevano nell’adesione a essa un allontanamento dal mos maiorum (ad esempio Seneca, Ep. 83,25; 86,4), e ritenevano il modello teocratico dell’Egitto faraonico come un pericolo per la tradizione della Repubblica e dunque per il potere senatorio (ad esempio Tacito, Ann. 13–16; Hist. 4; Agr. 44–45). Fu soprattutto tra la fine della Repubblica e il primo secolo dell’Impero che diversi autori romani espressero il loro sdegno in particolare nei confronti dei culti egizi (ad esempio Giovenale, Lucano, Properzio), soffermandosi sull’uso egizio di rivolgere la devozione ad animali e ortaggi, come si legge, ad esempio, nella XV Satira di Giovenale. Tuttavia, gli intellettuali romani si dibatterono spesso tra avversione e attrazione: così Seneca visitò l’Egitto e scrisse un trattato sui siti e gli usi religiosi degli Egizi, Cicerone desiderò recarsi nella Terra del Nilo. Tornando ai problemi della terminologia, dobbiamo tener presente che anche in conseguenza di una certa storiografia, la considerazione della presenza di motivi egizi nel mondo romano, da parte degli studiosi, è talvolta ancora legata a definizioni preconcette e inadeguate: spesso il fenomeno viene definito semplicemente “egittomania”, come se si trattasse solo di una moda esotica e superficiale. Il termine “egittomania” può creare dunque degli equivoci. J.–M. Humbert ha notato che vanno distinti i vari fenomeni culturali e artistici quali l’egittomania, l’egittofilia e l’esotismo; secondo lo studio14

so, l’egittomania è la ripresa di elementi decorativi tratti dalla grammatica ornamentale egizia, adottati per creare opere che rispondono tuttavia alla sensibilità del tempo nel quale vengono realizzate e alle sue necessità. Humbert utilizza il termine “egittomania” per indicare una moda che si nota nell’arte occidentale soprattutto tra il XVIII e il XIX sec., allorquando forme architettoniche e oggetti d’arte si ispirarono alle forme egizie, mentre nella pittura furono predilette ambientazioni ricche di sfingi, piramidi, obelischi. Il fenomeno si nota soprattutto in coincidenza di avvenimenti quali la campagna napoleonica, l’apertura del canale di Suez ecc.; l’“egittomania”, tuttavia, interessa un quadro cronologico più ampio e si riconosce ancora nel XX secolo, ad esempio in cappelle funerarie esistenti in cimiteri italiani, ad esempio a Napoli. Tornando all’epoca romana, il termine “egittomania” si è andato affermando nel linguaggio degli studiosi probabilmente a partire da un importante studio di M. De Vos, L’egittomania in pitture e mosaici romano–campani della prima età imperiale. Ch. Ziegler, in occasione della mostra parigina Égyptomania. L’Égypte dans l’art occidental, ha letto la presenza di motivi egizi nel mondo romano secondo un intento essenzialmente decorativo; altri studiosi, come ad esempio S.H. Aufrère, giudicano le citazioni egizie nell’Italia romana come ben rispondenti a una semplice curiosità esotica, non comprese nella loro realtà originaria. Si pone dunque una domanda: la presenza dell’Egitto nella cultura romana può essere giudicata semplicemente come “egittomania”? Per avere una risposta, bisogna scorrere l’ampia bibliografia sviluppatasi dal XX secolo a oggi, a opera di egittologi — ad esempio J. Leclant e la sua scuola, M. Malaise, J.–Cl. Grenier, Ph. Derchain, L. Bricault — ma anche di archeologi classici. In questa abbondante messe di studi, qui solo sommariamente citata, la visione dell’Egitto nel mondo romano non appare semplicemente come una moda superficiale, un gusto effimero per degli oggetti e una mitologia sconosciuti e incompresi. Se il termine “egittomania” può essere utilizzato solo per alcune limitate manifestazioni dell’interesse romano per l’Egitto, anche l’“egittofilia” può essere riconosciuta nell’ambiente romano: in essa identifichiamo un interesse per la cultura faraonica che condusse filosofi e intellettuali a viaggiare in Egitto, a studiarne gli usi, a collezionarne gli oggetti, a entrare in contatto con i rappresentanti di quella antichissima cultura, come ad esempio i sacerdoti. Potremmo dire che l’“egittofilia” rappresenta storicamente i prodromi dell’egittologia che, figlia della scienza moderna, si avvicina all’Egitto con interessi e con metodo scientifici. 15

2.2 Opere egizie ed egittizzanti Scorrendo i cataloghi contenenti opere di tipo egizio ritrovate a Roma, ci imbattiamo in definizioni come “di imitazione romana” o “egittizzante”, riguardanti opere non prodotte in Egitto. È dunque necessario anche in questo ambito accordarsi su un lessico comune e scientificamente fondato. Fuori dall’Egitto, ma soprattutto in Italia e segnatamente a Roma, furono trasportate numerose opere egizie, anche di grandi proporzioni; altre furono prodotte in Italia, con pietre tipicamente italiane, come il marmo lunense, o con pietre italiane simili alle egizie, come il granito dell’Elba, ma anche con pietre veramente egizie. Spesso, le opere realizzate in pietra italiana sono state definite “di imitazione romana” o “egittizzanti”, semplicemente per il fatto che erano state prodotte in Italia. Per definire i termini, dobbiamo considerare il fatto che a Roma erano presenti officine egizie, artisti egizi che lavoravano per una committenza romana, generalmente di altissimo livello e segnatamente di ambiente imperiale (a queste presenze dedicheremo un paragrafo più avanti). Possiamo dunque stabilire che, se un’opera è uscita dalle mani di un’artista di formazione egizia, anche se residente a Roma, l’opera può essere definita egizia pur essendo realizzata in marmo italiano. Nello stesso ambiente romano, tuttavia, conosciamo anche opere egittizzanti: sculture ispirate all’Egitto, caratterizzate da elementi iconografici di origine egizia, ma realizzate in forme non completamente tradizionali e da scultori di formazione probabilmente diversa: esempi chiari di questo genere possono essere alcune statue fatte realizzare da Adriano in bigio morato e ritrovate a Villa Adriana, ma il genere comprende anche oggetti sparsi di qualità inferiore e di committenza popolare. 2.3 Aegyptiaca, Pharaonica, Nilotica Leggendo pubblicazioni sul nostro argomento, ci imbattiamo in definizioni come Aegyptiaca, Pharaonica, Nilotica. Ho utilizzato in passato il primo di questi termini per definire un po’ genericamente degli oggetti ritrovati fuori dall’Egitto, che fossero di origine egizia o anche prodotti fuori dalla Terra del Nilo, ma strettamente legati alla sua cultura, come ad esempio amuleti da tombe italiche, ma anche le statue di Bes di Piazza Vittorio a Roma (si veda § 8.5). In un ambito terminologico comunque piuttosto confuso, è intervenuto recentemente — e come sempre efficacemente — M. Malaise 16

con la sua opera già citata: seguiamo qui, dunque, lo studioso belga, per definire i tre ambiti distinti. Come Aegyptiaca possiamo considerare quegli oggetti ritrovati fuori dall’Egitto e dal Sudan, prodotti nella Terra del Nilo o anche imitazioni strettamente legate agli originali (oggetti egittizzanti). In questa categoria, tuttavia, Malaise non integra le opere ritrovate nel contesto dei culti isiaci o a esso legate. Con il termine Pharaonica, Malaise classificherebbe le opere egizie trovate nell’ambito dei culti isiaci, in santuari sia pubblici che privati. Secondo lo studioso potremmo anche definire “Pharaonica di imitazione” quelle opere che abbiamo già definito “egittizzanti”. Il termine Nilotica identificherebbe l’abbondante numero di opere raffiguranti il paesaggio della Terra del Nilo, nel quale il grande fiume, con la sua flora e la sua fauna, è il protagonista. Dall’Italia, e in particolare dall’ambiente romano, abbiamo numerose immagini di questo genere, soprattutto nei mosaici ma non solo (figg. 1–2–3).

Figura . Mosaico nilotico di Palestrina. Palestrina, Museo Archeologico Nazionale.

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Figura . Mosaico nilotico dalla casa del fauno di Pompei. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

Figura . Lastra in terracotta con paesaggio nilotico, nel disegno pubblicato da G.G. Bottari. Il genere è rappresentato da molti esemplari simili tra loro, eccetto che per qualche variante.

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2.4 I culti di origine egizia In passato, ho utilizzato la definizione “culti egizi” per indicare culti di origine egizia trapiantati fuori dall’Egitto; “culti egizi” è dunque una definizione parziale e forse pure non del tutto adeguata, perché questi culti sono passati attraverso una trasformazione ellenistica: attualmente, dopo la messa a punto terminologica di Malaise — basata anche su lavori di L. Bricault — possiamo definirli “culti isiaci”, anche se “culti di origine egizia” non sembra inappropriato. I culti isiaci, pur prendendo il nome dalla dea Iside, riguardano un certo numero di divinità che generalmente la accompagnano, ad esempio Anubi, Arpocrate, Osiride, Serapide ecc. (si veda §§ 3–3.6), presenti fuori dall’Egitto tra la fine del IV secolo avanti Cristo e la fine del IV secolo dopo Cristo. Talvolta, scorrendo la letteratura scientifica, ci si imbatte anche nella definizione “culti alessandrini”, che viene utilizzata più o meno come sinonimo di “culti isiaci”; Malaise sottolinea la differenza piuttosto sfumata tra le due definizioni: alessandrini sarebbero quei culti riferiti a divinità di origine egizia nella loro interpretatio graeca, che hanno caratterizzato la grande città portuale di Alessandria. Infine, Malaise distingue anche dei “culti greco–egizi”: in questo caso si tratta di divinità greche (ad esempio Atena, i Dioscuri, Afrodite) che sono presenti in Egitto accanto alle altre divinità e hanno subito una interpretatio aegyptiaca.

3. Iside: dea egizia fuori dall’Egitto In epoca ellenistica e romana, un’importante veicolo per la diffusione della cultura egizia fuori dall’Egitto è il culto di Iside e delle divinità a essa collegate. Dea importante da tempi antichi, Iside egizia è sorella e sposa di Osiride e madre di Horo, la cui immagine vivente è il faraone. Il mito che la riguarda ci è pervenuto, sinteticamente ma compiutamente, anche attraverso l’opera di Plutarco. Sorella e sposa di Osiride, sovrano dell’Egitto, Iside svolge il ruolo di vedova e madre: il fratello Seth, infatti, che è l’antagonista di Osiride, uccide il sovrano e disperde i brandelli della salma. Iside compie la sua lunga e pietosa ricerca per ricomporre il corpo dello sposo e infine lo rianima battendo le ali sul cadavere, essendosi trasformata in uccello. Miracolosamente, allora, concepisce un figlio, Horo, destinato a salire sul trono del padre e a vendicarlo, mentre Osiride diventa il sovrano del regno dei defunti; da allo19

ra, il re dell’Egitto che muore è Osiride e il nuovo re è Horo. Nascosta tra i papireti del Delta, Iside dà alla luce il figlio e lo protegge dai pericoli in attesa che cresca. Le sue doti di madre amorevole e di maga guaritrice, messe in atto nei confronti del figlioletto, fanno sì che la dea sia cara alle madri che la invocano per la protezione dei propri figli. Iside è legata anche alla piena del Nilo identificandosi con la stella Sothis, la quale annuncia l’arrivo della piena annuale che coincide con il capodanno. Iside dunque è nutrice: spesso rappresentata, anche negli amuleti, mentre allatta il piccolo Horo, è anche connessa con il ritorno della fertilità e dunque con le messi: Erodoto afferma che era identificata dai Greci con Demetra. Questo aspetto della personalità della dea è sottolineato dal fatto che Iside è sposa di Osiride, dal cui cadavere sgorga l’acqua vivificante del grande fiume e sul cui tumulo si rinnova la vegetazione. Iside ellenistica e romana mantiene il suo volto amorevole di madre e nutrice, coronata talvolta di spighe di grano, offre la rigenerazione della vita; assume tuttavia nuove capacità di soccorritrice come protettrice dei naviganti, quale Iside Pharia o Pelagia, vicina nel ruolo ad Afrodite Euploia, dea della buona navigazione. Iside viene anche assimilata a Fortuna: Iside–Fortuna governa la sorte e non le soggiace — contrariamente alle divinità greche — e dunque a lei ci si può rivolgere per contrastare il fato. Durante il periodo ellenistico, il culto di Iside esce dalla valle del Nilo e si diffonde nel Mediterraneo: una delle prime tappe di questo viaggio è l’isola di Delo, importante emporio e luogo di incontro tra mercanti e viaggiatori di origine diversa, dove Iside viene conosciuta e apprezzata e il suo culto, ritenuto efficace, riportato in patria. In alcuni casi, nella dea si riconosce la manifestazione di una divinità patria, come nel caso dei mercanti prenestini che, frequentando Delo, forse già nel III secolo avanti Cristo identificano Iside con la Fortuna Primigenia del loro paese d’origine, l’attuale Palestrina; qui viene messo in opera, probabilmente da maestranze alessandrine, lo spettacolare mosaico del Nilo, raffigurante il paesaggio dell’Egitto, la cui datazione è ancora ampiamente discussa (fig. 1). Mentre Delo segna il viaggio di Iside verso nord, un altro sito importante, all’estremo sud dell’Egitto, si configura come un’interfaccia cultuale e culturale: il tempio di Iside sull’isola nilotica di File, alla prima cataratta, volge il suo ingresso verso sud, al cuore dell’Africa, divenendo anch’esso luogo di incontro di popoli e culture, tra nord e sud: già alla fine del II secolo avanti Cristo un’ambasceria romana visita File, come dimostrato da A. Roccati, lasciando testimonianza in un’epigrafe, mentre popoli e sovrani nubiani e meroitici giungono a File riconoscendo in Iside una divinità protettrice. 20

Delo e File si caratterizzano, dunque, in qualche modo, come “santuari di confine”, luoghi non solo di vita religiosa ma anche di elaborazione culturale, favorendo l’incontro di identità diverse e la formazione di un linguaggio culturale comune. 3.1 Iconografia di Iside Nella sua immagine egizia tradizionale, Iside indossa generalmente un abito aderente — o anche pieghettato e trasparente — secondo la moda degli abiti femminili in Egitto, ed è riconoscibile per il segno geroglifico del seggio o trono che porta sul capo e serve a comporre il suo nome (fig. 4). Soprattutto in epoca tarda, in Egitto la figura di

Figura . Immagine di Iside dalla tomba di Horemhab. Valle dei Re, tomba n. 57.

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Iside si sovrappone a quella di Hathor, Afrodite per i Greci: nel periodo ellenistico e romano, dunque, Iside indossa spesso il coronamento tipico dell’altra divinità, composto da corna di vacca e disco solare (fig. 5). Nel periodo ellenistico — e conseguentemente in quello romano — Iside assume un’iconografia ellenizzata, mantenendo degli attributi di

Figura . La dea Hathor.

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origine egizia: l’abito ornato da uno scialle del quale un lembo è annodato sul petto con un elemento sottostante della veste (fig. 6), il coronamento hathorico arricchito da due alte piume e talvolta da altri oggetti come le spighe, in una mano la situla, recipiente dalla forma arrotondata appeso a un manico, nell’altra il sistro, sorta di strumento musicale che veniva scosso durante le cerimonie; talvolta, i lembi dello

Figura . Statua di Iside da Villa Grandi (via di Porta Latina, Roma). Roma, Museo Nazionale Romano, inv. 125412.

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scialle sono ambedue annodati sul petto (fig. 7), e non è chiara la differenza tra i due tipi di abito. Nel mondo romano, Iside si presenta spesso nella sua assimilazione a Fortuna (fig. 8), assumendo un abito panneggiato — non sempre annodato — e una corona hathorica, nella mano sinistra la cornucopia

Figura . Statua di Iside, nel disegno pubblicato da G.G. Bottari. Roma, Musei Capitolini, inv. 744.

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carica di frutti simbolo di fecondità, e nella destra il timone di una nave che la qualifica come vittoriosa sulla sorte; in tal senso si erge talvolta su un globo. Nella sua qualità di dea dai mille nomi, che si identifica con altre divinità, viene rappresentata anche come Iside Panthea, con gli attributi ad esempio di Minerva e Diana, oltre che con i propri. In quanto Iside Pelagia, la dea viene raffigurata mentre regge la vela ergendosi su un’imbarcazione, protettrice della navigazione e baluardo contro le tempeste.

Figura . Bronzetto di Iside–Fortuna nell’incisione pubblicata da M.A. de La Chausse.

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Infine, connessa con Sothis, la stella della costellazione del cane, che nel suo sorgere eliaco annuncia la piena del Nilo, Iside può cavalcare l’animale, come avveniva nel frontone dell’Iseo Campense (fig. 38). 3.2 Osiride, Api, Serapide e Osirantinoo Osiride è una antica e importante figura del pantheon egizio: sposo di Iside, sovrano dell’oltretomba e giudice del defunto al momento del suo accesso nell’aldilà, era anche legato all’acqua vivificante del Nilo e quindi al ciclo vitale della vegetazione. Secondo Plutarco, il toro Api di Menfi sarebbe stato l’anima di Osiride: il toro sacro era legato originariamente al dio di Menfi Ptah, ed era indubbiamente una divinità della forza generatrice e della fecondità; essendo poi lo stesso Ptah assimilato a Sokar–Osiride, ad Api venne chiaramente riconosciuto un aspetto funerario e si accentuò il suo legame con Osiride. Numerose immagini del toro Api (fig. 9) — soprattutto bronzetti — sono stati trovati fuori dall’Egitto. All’inizio dell’epoca tolemaica, per volere dei governanti macedoni, venne creata una nuova immagine divina che poi ebbe una

Figura . Statuetta del toro Api nel disegno pubblicato da B. de Montfaucon.

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grande diffusione in tutto il Mediterraneo: Serapide, in origine Osiris–Apis, dall’iconografia ellenistica, raffigurato come una divinità barbata — simile a Zeus — coronato generalmente da un kalathos (a forma di alto cesto), abbigliato di tunica (chitone) e mantello (himation), i suoi folti riccioli possono essere rialzati sulla fronte (anastolè) (fig. 10), oppure scendere in ciocche inanellate, in una iconografia specifica della divinità (fig. 11). A Serapide furono dedicati due importantissimi luoghi di culto in Egitto: il Serapeo di Menfi, in prossimità delle monumentali catacombe

Figura . Testa di Serapide. Treia (Mc), Antiquarium Comunale.

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che ospitavano da secoli le tombe dell’Api, e il Serapeo di Alessandria. Serapide è spesso seduto con Cerbero a fianco, a dichiarare il suo aspetto plutonico come divinità degli inferi — ma talvolta è in piedi e può reggere una cornucopia, simbolo di fecondità della terra. Nel tempo, vennero accentuati il suo aspetto solare, nell’assimilazione a Helios–Sol, e la sua capacità di divinità guaritrice, che ascolta le preghiere (epekoos). In epoca ellenistica, Serapide accompagnò Iside nel suo viaggio nel Mediterraneo; più tardi, in epoca romana, si riaffermò anche la figura di Osiride, con la

Figura . Statua di Serapide. Roma, Musei Capitolini.

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sua iconografia mummiforme, tipicamente egizia (fig. 12). Non sempre è chiaro il rapporto che doveva esistere tra Serapide e Osiride agli occhi dei fedeli, nesso che comunque non sfuggiva agli spiriti più colti. Il culto di Osiride in Occidente fu caratterizzato soprattutto dal legame con l’acqua sacra e vivificante del Nilo, che si manifesta in particolare nella sua forma di Osiride–Canopo, un vaso per l’acqua sacra coronato dalla testa

Figura . Bronzetto di Osiride nel disegno pubblicato da B. de Montfaucon.

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del dio (fig. 13). L’attenzione nei confronti di Osiride si accentuò probabilmente sotto Adriano per la divinizzazione di Antinoo e la creazione della figura di Osirantinoo (fig. 14) (si veda § 4).

Figura . Osiride–Canopo, nel disegno pubblicato da G.G. Bottari.

Figura . Statua di Osirantinoo da Villa Adriana, nel disegno pubblicato da G.G. Bottari. Città del Vaticano, Museo Gregoriano Egizio, inv. 22795.

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3.3 Arpocrate Accanto a Iside e Serapide, si trova spesso il piccolo Horo nella sua forma ellenistica (fig. 15): Arpocrate, il cui nome è la forma grecizzata di Horo–il–bambino. Il dio fanciullo è caratterizzato solitamente dal dito indice alle labbra, che in Egitto era il segno dell’infanzia ma fu interpretato in Occidente come un richiamo al saggio silenzio, inoltre può avere il ricciolo tipico dell’infanzia in Egitto, e un coronamento regale e divino. Alla divinità furono dati anche altri attributi che indicano legami o assimilazioni con altre figure, come il piccolo Dioniso (il nebride), Eros–Cupido (le ali), Ercole bambino (la clava); inoltre, la cornucopia che spesso regge attesta la sua appartenenza alla sfera delle divinità connesse con la fertilità, mentre può essere accompagnato da alcuni animali: il falco–Horo (talvolta la civetta) o il cane, simbolo della stella Sothis. 3.4 Anubi La divinità egizia era tradizionalmente rappresentata in maniera completamente teriomorfa, come canide, o antropomorfa con la sola

Figura . Bronzetto di Apocrate nell’incisione pubblicata da M.A. de La Chausse.

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testa animale (fig. 16). Il dio si ritrova nell’ambiente romano dove fu rappresentato in figura umana con testa canina (fig. 17), soprattutto come partecipante ai misteri di Iside e Osiride: di esso restano a Roma diverse immagini, come una statua in marmo conservata nel Museo Gregoriano Egizio e un rilievo su un altare nei Musei Capitolini. Essendo in Egitto il dio preposto ai riti dell’imbalsamazione, in quanto aiutante di Iside nella ricomposizione del cadavere di Osiride, Anubi mantenne fuori dall’Egitto il suo ruolo di accompagnatore delle anime nell’aldilà (psicopompo); per quest’ultimo motivo fu anche assimilato a Hermes.

Figura . Il dio Anubi.

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Figura . Statua romana del dio Anubi, nel disegno pubblicato da G.G. Bottari. Un tempo nei Musei Capitolini, oggi nel Museo Gregoriano Egizio (inv. 22840), mancante dell’attributo nella mano destra.

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Nell’iconografia di Anubi romano, dunque, il dio porta una foglia di palma, in Egitto augurio di lunga vita, e il caduceo di Hermes–Mercurio: nella descrizione di una processione isiaca riportata da Apuleio nelle Metamorfosi (XI,11), sono proprio questi i suoi attributi, che compaiono anche sul rilievo ornante l’altare conservato nei Musei Capitolini. 3.5 Hermes–Thot In Egitto, Thot era il dio della scrittura (fig. 18), signore della conoscenza anche la più nascosta, dunque della magia e della medicina, con un ruolo di psicopompo; già Erodoto (II, 67) aveva riconosciuto in lui il greco Hermes, mentre Platone (Philebus VIII, Phaedrus LIX) gli attribuì l’invenzione della scrittura. Thot era ritenuto il compilatore di testi sacri e la sua figura giunse in Occidente come Hermes Trismegisto (Hermes tre volte grande) insie-

Figura . Il dio Thot. File, rilievo del pilone del tempio di Iside.

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me ai testi “ermetici” (Corpus Hermeticum) a lui attribuiti, di derivazione egizia, nei quali si trasmetteva una conoscenza capace di far progredire l’individuo verso la divinità. La figura di Hermes–Thot, pur risultando piuttosto appartata rispetto alla famiglia isiaca, fu tuttavia importante nel mondo romano e probabilmente dovette la sua diffusione anche all’evento famoso della pioggia miracolosa durante la guerra danubiana all’epoca di Marco Aurelio (si veda § 4), in seguito al quale gli fu dedicato un tempio in Roma, cui i ritrovamenti e gli studi recenti di E. La Rocca stanno restituendo forma e dimensioni. Hermes–Thot, nel mondo romano, veniva rappresentato secondo l’iconografia di Hermes–Mercurio con il caduceo o la borsa in mano e il particolare copricapo, sormontato, in questo caso, da una sorta di foglia — probabilmente un petalo di loto — sopra la fronte; a Roma, tuttavia, è stato trovato un rilievo, oggi conservato in Vaticano (si veda § 8.6), che lo raffigura nella sua forma egizia dal corpo umano e la testa di ibis (fig. 18). Bes Bes è una divinità egizia raffigurata come un nanerottolo mostruoso dai caratteri animaleschi, legato alla sfera liminale — il sonno, l’eros, la nascita — spesso porta una corona di piume e può essere armato, generalmente di un coltello (fig. 19). Bes apparteneva all’ambiente di Hathor e quindi alla sfera femminile: egli propiziava la fertilità, proteggeva la donna soprattutto nella gravidanza e nel parto e si prendeva cura del bambino. Come protettore delle nascite e dell’infanzia, Bes era quindi connesso con il piccolo dio Horo e possedeva poteri magici di protezione. Bes è spesso rappresentato mentre suona uno strumento e balla: in questo atteggiamento aveva anche la funzione di pacificare la Dea Lontana (Hathor) di ritorno in Egitto; per questo ruolo, e per il suo legame con l’erotismo, Bes si avvicina alla figura della scimmia. La divinità ebbe una notevole fortuna nel mondo fenicio–punico e fu conosciuto e assimilato anche in ambito greco: per i suoi caratteri animaleschi e per il ruolo di tutore di Horo, Bes trovò un omologo nel greco sileno, pedagogo che alleva Dioniso; l’iconografia dei due personaggi può essere molto simile. Numerose e importanti sono le immagini di Bes ritrovate a Roma (si veda § 14). 35

Figura . La figura del dio Bes su un elemento architettonico. Dendera, complesso monumentale del tempio di Hathor.

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4. L’Egitto a Roma: quadro cronologico La notevole presenza di manufatti e culti di origine egizia a Roma in epoca imperiale non è dunque un’apparizione improvvisa ma esistono dei prodromi chiari e di varia portata, tuttavia l’annessione dell’Egitto all’Impero come provincia agevolò e intensificò i contatti. Man mano che gli interessi di Roma verso l’intero bacino del Mediterraneo aumentavano, cresceva l’interesse per l’Egitto, sul quale presto la potenza militare romana stabilì una sorta di protettorato: nel II secolo avanti Cristo, il sovrano d’Egitto Tolemeo VI Filometore, al centro di una grave crisi dinastica tessuta di pericolose lotte familiari, fuggì a Roma per cercare aiuto. Nella prima metà del I secolo avanti Cristo, i simboli di Iside — come il suo coronamento hathorico — compaiono in alcune monete romane e, probabilmente al tempo di Silla, il culto della dea venne introdotto a Roma. Un tempio per la dea sarebbe esistito addirittura sul Campidoglio, nel cuore della città, mentre si andava manifestando la varietà degli adepti: se un gran numero di essi erano liberti, e dunque provenienti dall’ambiente servile, conosciamo l’esistenza dell’Iseum Metellinum, che doveva essere stato edificato da un appartenente all’importante famiglia dei Metelli. Il legame tra Cesare e Cleopatra creò l’occasione per un rapporto più stretto, ma anche più controverso, tra Roma e l’Egitto: di ritorno dalla Terra del Nilo, Cesare portò con sé l’ultima regina d’Egitto che, ospitata nella villa del dittatore a Trastevere, soggiornò a lungo nella città, attorniata probabilmente da un seguito di artisti e intellettuali, dando modo ai Romani di coltivare ed esercitare un duplice atteggiamento nei confronti del personaggio e della sua terra d’origine: dietro un velo di morale riprovazione per usi e costumi che venivano ritenuti avversi a quelli romani, serpeggiava comunque l’ammirazione per la raffinatezza di un ambiente culturale tanto esotico. Secondo F. Coarelli, in quest’epoca sarebbe stato allestito quello specchio d’acqua monumentalizzato, a forma di triangolo, che la Forma Urbis colloca nel Campo Marzio (fig. 20) e che sarebbe riferibile al delta del Nilo. Dopo la morte di Cesare, durante il secondo triumvirato, probabilmente appoggiato da Marco Antonio, il culto di Iside era pubblicamente esercitato a Roma; successivamente, l’Egitto si collocò al centro dell’attenzione romana per il legame stretto che unì Cleopatra a Marco Antonio e la lotta tra questo e Ottaviano: la propaganda di que37

st’ultimo utilizzò abbondantemente il luogo comune, nella mentalità romana, che vedeva nei costumi egizi una sfrenatezza contraria all’identità patria, coltivando nell’opinione pubblica un’avversione per la regina e la sua terra. Dopo la vittoria di Ottaviano e l’annessione all’Impero dell’Egitto, la visione di questo fu intessuta di atteggiamenti controversi e opposti: da un lato l’antica moralistica avversione, dall’altro una crescente attrazione. Un gusto per le decorazioni egittizzanti si diffuse a Roma, soprattutto pitture, ma anche rilievi con figure di origine egizia che si trovano anche nel cuore geografico del potere, il Palatino e la casa di Augusto

Figura . L’area del Delta con la parte meridionale dell’Iseo e Serapeo del Campo Marzio, nella Forma Urbis, pianta marmorea severiana.

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(fig. 21): si tratta di un genere decorativo che cita figure e temi egizi in un contesto stilistico che egizio non è, ma mostra il gusto per una favolosa tradizione esotica finalmente ridotta nel potere di Roma. Mentre si faceva notare una certa avversione nei confronti degli dei egizi, ritenuti protettori di Antonio e Cleopatra — quest’ultima si era presentata come “Nuova Iside” — le egizianerie ottennero un grande successo, anche nelle residenze di Agrippa, genero di Augusto e vincitore della battaglia di Azio, che si imponeva per relegare i culti isiaci ai margini della città, dopo che Augusto li aveva già estromessi dal pomerio. Dopo Augusto, nella storia di Roma il favore imperiale verso l’Egitto conobbe alterne vicende ma una progressiva affermazione e coincise spesso con la volontà di un principe di consolidare la propria figura secondo una regalità teocratica di tipo orientale — e dunque faraonica — contrariamente al modello augusteo che si era proposto come rispettoso dell’antica Repubblica romana; con il passare del tempo, aspetti della religione isiaca si sovrapposero al culto imperiale. Tiberio, nel suo tentativo di rafforzare i valori della tradizione, perseguitò il culto di Iside e il tempio della dea fu distrutto: nel Tevere sono stati trovati frammenti di statue egizie di grandi proporzioni e oggetti legati al culto — ad esempio i sistri — che vi vennero gettati forse in quell’occasione e sono conservati a Monaco di Baviera. A incenti-

Figura . Lastra in terracotta dal tempio di Apollo Palatino.

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vare l’avversione imperiale per quella che veniva considerata una perniciosa superstizione, intervenne un pubblico scandalo che ci viene narrato da Giuseppe Flavio: un cavaliere romano che si era proposto di sedurre una virtuosissima nobildonna, dopo inutili tentativi vi era riuscito lasciandole credere che si stesse intrattenendo con il dio Anubi. Scoperto l’inganno, il marito di lei era ricorso all’imperatore. È interessante notare che l’intrigo era stato ordito sulla trama di un’antica tradizione egizia, quella della teogamia, per la quale un dio visitava la regina dando la vita al futuro sovrano. Sulla stessa tradizione, è stato costruito un altro racconto, riguardante in questo caso Alessandro Magno, contenuto nel Romanzo di Alessandro, secondo il quale Nectanebo — ex faraone spodestato dai Persiani e mago — in esilio in Macedonia, avrebbe ottenuto le grazie di Olimpia, sposa di Filippo e futura madre di Alessandro, prendendo le forme del dio Ammon. Dopo Tiberio, Caligola manifestò un grande favore verso l’Egitto proponendosi come l’erede dei faraoni e probabilmente sotto il suo impero venne costruito o restaurato il tempio del Campo Marzio, che divenne il più importante di quelli dedicati a Iside nella città di Roma; inoltre le feste isiache vennero inserite nel calendario romano ufficiale. Dopo l’atteggiamento piuttosto indifferente di Claudio, grande interesse per l’Egitto si ebbe nuovamente con Nerone, il quale peraltro era stato educato anche da Cheremone di Alessandria, conoscitore dei geroglifici e della religione egizia. Con la dinastia flavia, l’Egitto e i suoi culti furono al centro dell’attenzione avendo avuto un ruolo importante nell’ascesa al potere di Vespasiano: questi, in qualità di generale, si trovava in Oriente quando le truppe di Alessandria lo proclamarono imperatore; recatosi nella città, egli ottenne un oracolo favorevole nel tempio di Serapide mentre il Nilo raggiungeva un livello di piena ottimale, buon presagio per un sovrano e per la stessa Roma, che attendeva annualmente le navi cariche di grano che salpavano da Alessandria. Il favore di Vespasiano e dei suoi figli nei confronti dei culti egizi continuò a manifestarsi: ad esempio, dopo la conquista di Gerusalemme, l’imperatore e il figlio Tito trascorsero nel tempio del Campo Marzio la notte precedente il trionfo. Fu soprattutto Domiziano, il figlio minore di Vespasiano, a volersi mostrare anche in Italia nelle vesti di faraone: egli restaurò il tempio del Campo Marzio e per lui fu iscritto in geroglifici ed eretto l’obelisco che attualmente si innalza sulla berniniana Fontana dei Fiumi di Piazza Navona. L’egittofilia forte e manifesta del tempo di Domiziano sembra spegnersi con i suoi successori, soprattutto a causa della damnatio memo40

riae cui fu condannato l’imperatore dal Senato; tuttavia, va ricordato — seguendo F. Brenk — che, al tempo di Traiano, Plutarco scrisse il suo trattato De Iside et Osiride, e si nota un sempre crescente interesse nel mondo romano per la figura — tutta egizia — di Osiride, rispetto a quella ellenizzata di Serapide. L’imperatore Adriano, uomo colto che viaggiò ampiamente nell’Impero valorizzando le antiche culture che in esso vivevano, riservò all’Egitto un’attenzione tutta particolare. Durante una lunga visita nella Terra del Nilo, Adriano visitò i monumenti e incontrò i detentori dell’antica sapienza egizia, i sacerdoti ma, soprattutto, in Egitto avvenne un fatto che segnò profondamente la sua vita: Antinoo, il giovane bitino favorito dell’imperatore annegò nel Nilo. La morte nelle acque sacre e vivificanti del grande fiume fece del giovane annegato una nuova divinità: Osiride–Antinoo (fig. 14), in suo onore venne fondata una città in Egitto — Antinoe — e a lui fu dedicato un culto nell’Impero. Scavi recenti della Soprintendenza archeologica per il Lazio, dal 2001, vanno mettendo in luce, a Villa Adriana presso Tivoli, un’area che è stata interpretata come un luogo di culto per il giovane bitino, ampiamente decorato da opere egizie ed egittizzanti. Come per Domiziano, un obelisco fu iscritto ed eretto per Antinoo in Italia, e attualmente si erge sul Pincio (si veda § 15). Se con Antonino Pio si mantenne una certa tiepida attenzione per l’Egitto, Marco Aurelio riconobbe a una divinità egizia un miracolo che aveva salvato le sue truppe durante una campagna sul confine danubiano. L’evento straordinario, ricordato spesso come “miracolo della pioggia”, è rappresentato anche sulla colonna istoriata attualmente innalzata a Piazza Colonna. Nel racconto di Dione Cassio (71, 8–10), la pioggia che avrebbe salvato l’esercito romano era stata dovuta alle preghiere di Arnufi, un sacerdote egizio al seguito dell’imperatore, che aveva invocato Hermes–Aerios, divinità che si identificherebbe con Hermes–Thot, alla quale Marco Aurelio dedicò poi un tempio in Roma. Il figlio di Marco Aurelio, Commodo, fu intensamente dedito ai culti isiaci e, secondo Dione Cassio, si fece rappresentare come Horo il falco, riproponendo nella stessa Roma la regalità faraonica, così come aveva fatto Domiziano. Sotto i Severi, sembra che il culto imperiale sia stato particolarmente legato a quello di Iside e Serapide: Settimio Severo avrebbe dedicato la propria devozione soprattutto a quest’ultimo e Caracalla lasciò la dedica di un tempio a Serapide sul Quirinale, tempio la cui fon41

dazione gli è stata spesso attribuita, ma che invece doveva esistere già da tempo e che l’imperatore forse restaurò. Il culto di Iside, diffusosi in tutto l’Impero, resitette fino all’affermarsi del Cristianesimo e il tempio di File, all’estremo confine meridionale dell’Egitto, fu l’ultimo tempio pagano a vivere oltre l’editto di Teodosio, del 346 dopo Cristo, fino al tempo di Giustiniano (VI secolo).

5. L’Egitto a Roma: una varietà di motivi, tipi di opere e ambiti La cultura egizia o motivi di origine egizia raggiunsero Roma in una varietà di forme e di ambiti. Se il trasferimento a Roma di culti di origine egizia e l’allestimento di templi furono i maggiori incentivi alla presenza della cultura egizia a Roma, pure dobbiamo riconoscere che il fenomeno non fu solo di matrice religiosa. 5.1 La scelta dell’immaginario egizio L’Egitto di epoca romana, soprattutto attraverso la mediazione di Alessandria, offriva grande ricchezza di tecniche artigianali che attingevano a piene mani nel repertorio figurativo della tradizione egizia. Già in epoca repubblicana, prima dell’annessione dell’Egitto all’Impero di Roma, in Italia circolavano e lavoravano maestranze alessandrine, come ad esempio i mosaicisti. Nel periodo imperiale, queste presenze si intensificarono e anzi è possibile notare, in Italia, una certa coincidenza tra l’affermarsi dei culti di origine egizia e la presenza di officine di ascendenza orientale, come ad esempio la produzione del vetro e la lavorazione delle gemme. La diffusione di pitture contenenti elementi figurativi egizi si nota a Roma nella prima età imperiale, ma anche altrove, come in Campania, nei centri vesuviani distrutti dall’eruzione del 79 dopo Cristo. In queste pitture, troviamo quadretti contenenti figure tratte dal repertorio faraonico, generalmente tuttavia poco fedeli all’iconografia tradizionale (fig. 22); in qualche caso abbiamo immagini tratte dal repertorio isiaco, con personaggi resi in uno stile non egizio ma recanti oggetti di culto; in altri troviamo paesaggi arricchiti da elementi egizi, come ad esempio una piramide. I motivi faraonici si presentano talvolta insieme alla raffigurazione di giardini lussureggianti, e ciò ha condotto M. De Vos, la quale ha studiato questo tipo di pitture, a credere che il genere della “pittura di 42

giardino”, tanto affermata a Roma — si pensi ai dipinti della Villa di Livia a Prima Porta — sia di derivazione alessandrina. Gli artisti di Alessandria avevano alle spalle uno straordinario repertorio figurativo per quanto riguarda la paesaggistica, le immagini di giardini, le scene di vita sul fiume, che erano state rappresentate nelle tombe dai periodi più antichi della storia del paese. Dopo l’annessione dell’Egitto all’Impero, a Roma si diffuse questo genere decorativo, che sembra non avere significati religiosi, ma rispondeva alla moda di una committenza di altissimo livello, la quale evidentemente lo apprezzava e lo riteneva rispondente al proprio stato sociale. Anche sul Palatino, nella Casa di Augusto e nel vicino tempio di

Figura . Pittura della villa di Agrippa Postumo a Boscotrecase (Na).

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Apollo, sono stati trovati motivi faraonici nelle pitture e su lastre fittili (lastre “Campana”) (fig. 21): se Augusto, nella sua immagine romana, non mostrava di stimare particolarmente la cultura egizia, tuttavia apprezzava evidentemente il genere decorativo o forse lo riteneva adeguato a sottolineare il suo ruolo di vincitore di Azio e conquistatore dell’Egitto. Lo stesso Augusto volle monumentalizzare il Campo Marzio in chiave alessandrina, come è stato riconosciuto da F. Castagnoli e da F. Coarelli: qui volle un orologio monumentale, una grande meridiana il cui gnomone fu l’obelisco di Psammetico II, trasportato appositamente dall’Egitto a Roma, oggi eretto davanti a Montecitorio (si veda § 15). Lo stesso mausoleo di Augusto sarebbe stato eretto sul modello di quello di Alessandro Magno in Alessandria. Anche la presenza a Roma di diverse piramidi, delle quali è superstite solo quella di Porta San Paolo (si veda § 10.4), datata all’ultimo quarto del I secolo avanti Cristo, non sarebbe riferibile propriamente all’ambito dei culti isiaci, ma a quell’interesse per l’Egitto tipico della prima età imperiale. Lo straordinario mosaico del Nilo di Palestrina (fig. 1) può essere considerato il capofila di un gran numero di immagini nilotiche, che ci sono pervenute dal mondo romano attraverso mosaici, pitture, lastre fittili (figg. 2–3). Se la funzione cultuale dell’aula nella quale si trovava originariamente il mosaico prenestino è ancora dibattuta — per alcuni studiosi sarebbe stato un luogo di culto isiaco, per altri non avrebbe avuto destinazione religiosa — sappiamo per certo che altri mosaici e pitture si trovavano in ambienti privati, per così dire “laici”. Il genere ebbe lunga vita e nell’ambiente romano furono particolarmente apprezzati i paesaggi vivacizzati da curiose figurine di pigmei. Infine possiamo ricordare gli obelischi (si veda anche § 15): se dei numerosi monoliti ancora innalzati a Roma o giacenti in frammenti i più furono collocati nell’area cultuale del grande Iseo Campense (nel Campo Marzio), alcuni tuttavia giunsero a Roma con finalità diverse, come ad esempio quello già citato di Psammetico II a Montecitorio e un altro, portato anch’esso da Augusto — dalla collocazione originaria in Eliopoli voluta da Sethi I e Ramesse II — per segnare il limite orientale della spina del Circo Massimo. L’obelisco si trova oggi al centro della Piazza del Popolo, nella sistemazione settecentesca di G. Valadier. Il celeberrimo obelisco del Vaticano, collocato al centro della piazza antistante la basica di San Pietro, sarebbe stato collocato da Caligola nel Circo Vaticano; infine, l’obelisco del Laterano fu portato a Roma nella tarda antichità, al tempo dell’imperatore Costanzo II (357 dopo Cristo), per ornare ancora il Circo Massimo. 44

5.2 Aspetti egizi dell’immagine imperiale L’Egitto fornì un modello di teocrazia ad alcuni imperatori (si veda § 4): per la realizzazione di una particolare immagine del principe di ispirazione egizia furono dunque creati ambienti e importate opere. Questo aspetto particolare della presenza dell’Egitto nel mondo romano si sovrappone spesso all’ambito dei culti isiaci: se Domiziano si fece rappresentare come faraone a Benevento, la sua immagine venne collocata nel tempio di Iside di quella città; la devozione alle divinità di origine egizia — ad esempio al tempo dei Severi — coincise talvolta, almeno in parte, con il culto dinastico. Particolare interesse riveste un frammento, oggi al Museo Archeologico Nazionale di Firenze, ritrovato nell’area dell’Iseo Campense (si veda § 10.1), raffigurante il sovrano allattato dalla vacca divina (fig. 23): questa immagine, tradizionale in Egitto, introdusse a Roma un aspet-

Figura . Frammento di scultura rappresentante la vacca divina che allatta il faraone Horemhab. Firenze, Museo Archeologico Nazionale, inv. 5419.

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to peculiare della regalità divina faraonica, riecheggiando rituali tipici dell’incoronazione, come appunto l’allattamento da parte della dea a segnare la nascita del sovrano alla nuova vita regale. Sembra di riconoscere, però, un uso delle antichità egizie o egittizzanti finalizzato semplicemente a creare — e venerare — l’immagine faraonica dell’imperatore: un caso importante, anche se ricostruito solo ipoteticamente, è quello degli Horti Sallustiani, nell’area della Villa Verospi. Nel Settecento, vi furono ritrovate cinque statue egizie di grandi proporzioni: quattro di queste sono i colossi che ornano l’Emiciclo del Museo Gregoriano Egizio in Vaticano, e rappresentano Tuia (fig. 24), madre di Ramesse II, Tolemeo II Filadelfo e la sorella sposa Arsinoe II, infine una quarta statua che sembrerebbe copia di quest’ultima; la quinta delle sculture di Villa Verospi potrebbe essere identificata nella statua di Amasi attualmente conservata nella Villa Albani–Torlonia, come proposto da M. De Vos. J.–Cl. Grenier ha supposto che negli Horti Sallustiani, divenuti possedimento imperiale, esistesse un padiglione dedicato al culto faraonico dell’Imperatore, voluto da Caligola, nel quale questi avrebbe eretto i colossi per la venerazione della propria famiglia, riadattandoli secondo la consuetudine egizia di considerare la regina madre e la regina sposa come ipostasi divine. Al riguardo, Grenier ricorda che l’egittofilia (o egittomania?) di Caligola era arrivata al punto che l’Imperatore, negando le ancestrali leggi romane, aveva sposato la Figura . Statua colossale di Tuia, madre di Ramesse II, dalla Villa Verospi, nel disegno pubblicato da G.G. Bottari. Un tempo nei Musei Capitolini, attualmente nel Museo Gregoriano Egizio, inv. 22678.

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propria sorella Drusilla. Altrettanto interessante è il rimando di Grenier a Tacito (Ann. II.60), il quale, narrando la visita in Egitto di Germanico e il suo seguito — nel quale forse il figlioletto Caligola — precisa che a Tebe un sacerdote egizio avrebbe tradotto per gli illustri ospiti un testo geroglifico di Karnak narrante le gesta eroiche di Ramesse II: in quell’occasione, i viaggiatori dovrebbero aver visitato il Ramesseo, grandioso tempio funerario di Ramesse II, famoso nell’antichità come il tempio di Osymandias (nome grecizzato dello stesso faraone), nel quale si ergeva, secondo Diodoro Siculo (I 47,3), una statua in granito nero di Assuan della madre del sovrano, che potrebbe essere la stessa oggi in Vaticano. Tornando agli Horti Sallustiani, bisogna infine notare che dalla stessa area proviene l’obelisco sallustiano, che oggi sovrasta la scalinata di Trinità dei Monti, e una statua di ippopotamo attualmente a Copenaghen. Dallo stesso sito, potrebbe provenire anche una statua del dio Bes conservata a Cambridge, un tempo nella collezione Verospi. K.J. Hartswick nota che nell’area sono stati trovati bolli laterizi del periodo di Commodo — altro imperatore egittofilo — e che ancora in epoca severiana ci sarebbe stata nei giardini un’area chiamata Menfi. Altre “citazioni” egizie in un ambito squisitamente imperiale si trovano nel mausoleo di Augusto, ma potrebbero essere state aggiunte da imperatori successivi, forse da Domiziano: due obelischi anepigrafi — oggi rispettivamente a Santa Maria Maggiore (Piazza dell’Esquilino) e a Piazza del Quirinale — ne fiancheggiavano l’ingresso (si veda § 15), mentre un architrave riporta in rilievo una corona faraonica.

6. Una progressiva “egizianizzazione” Le divinità egizie uscirono dall’Egitto, per così dire, in abito greco: le prime presenze della cultura egizia in Italia, e segnatamente a Roma, sono caratterizzate dalla mediazione alessandrina. Le divinità si mostrano nella loro immagine ellenistica, come Iside e Serapide; le scelte decorative passano attraverso pitture e mosaici che, pur rappresentando o citando l’Egitto, non sono precisamente opere egizie. Nel corso del tempo, progredendo nella storia dell’Impero, la presenza dell’Egitto a Roma si fa sempre più precisa e viva: esso vi esiste, più che essere citato. Tale fenomeno si nota in particolare per i seguenti motivi: — vengono prelevate dall’Egitto e trasportate in Italia — e soprattutto a Roma — numerose opere del periodo faraonico, talvolta chiaramente scelte ad hoc e non a caso; 47

— si producono opere egizie in Italia con finalità precise dettate dalla necessità o dal desiderio del momento; — sono presenti in Italia specialisti egizi — e non solo maestranze alessandrine — come sacerdoti e artisti; — anche nei culti, sembra che si torni a figure divine più tradizionali: è questo il caso di Osiride, che guadagna attenzione rispetto a Serapide.

7. La scelta delle opere egizie L’ampia messe di antichità egizie trovate in Italia, e soprattutto a Roma, pone una domanda: esse furono scelte a caso, in Egitto, per soddisfare la megalomania dei nuovi padroni, che semplicemente ordinarono spoliazioni solo in base al proprio desiderio di possesso e di ostentazione, oppure la scelta delle opere seguì una comprensione, il desiderio di far vivere anche altrove il miracolo di un’antichissima e gloriosa cultura? Di fronte ai reperti egizi, ritrovati nella nuova collocazione romana, talvolta recanti ancora i segni della posizione originaria in Egitto, non sempre è facile definire i diversi atteggiamenti; tuttavia, se la cieca spoliazione dovette esistere — come spesso avviene dopo una conquista — in alcuni casi possiamo riconoscere gli intenti precisi di una scelta dettata dalla comprensione. Di un certo interesse, è il racconto di Ammiano Marcellino (XVII 4, 12–15) che ci ragguaglia sul comportamento di Augusto; sappiamo che egli portò a Roma l’obelisco flaminio e quello di Montecitorio (si veda §§ 5.1 e 15), ma lo scrittore ci racconta che avrebbe voluto trasferire nell’Urbe anche il grande monolite oggi al Laterano, portato poi al tempo di Costanzo II: rinunciò perché esso era ancora intensamente oggetto di culto nel santuario di Karnak dove era stato collocato durante la XVIII dinastia, poco dopo la metà del II millennio avanti Cristo. Subito dopo l’annessione dell’Egitto all’Impero, dunque, Augusto ragionò come il conquistatore che desiderava rendere visibili, nel centro del potere, la grandezza della conquista, anche se le scelte erano temperate dalla sua intelligenza politica. Con gli imperatori egittofili, l’atteggiamento indubbiamente cambiò. Diverse sculture, trovate a Roma, indicano attraverso l’iscrizione geroglifica il sito templare dove originariamente erano collocate: a proposito dei monumentali babbuini conservati in Campidoglio, ritrovati nell’Iseo Campense ma anticamente collocati a Busiri, P. Gallo ha notato come sembri di riconoscere l’intento di rendere presenti, attra48

verso la scelta delle sculture, i più importanti luoghi sacri del Delta. Non solo. Una statua di grandi proporzioni dedicata originariamente dal faraone Amasi a Elefantina, isola della prima cataratta all’estremo confine meridionale dell’Egitto, ci attesta che, indubbiamente, non furono favoriti solo i siti del Delta perché più facilmente raggiungibili: se si prelevò da Elefantina una statua di una tipologia estremamente diffusa in tutto l’Egitto e nella stessa Alessandria — il re stante abbigliato di nemes e shendyt (fig. 25) — evidentemente esisteva l’intento di rendere presente a Roma l’intera geografia sacra della Terra del Nilo.

Figura . Statua di faraone stante, abbigliato di nemes e shendyt, nella raffigurazione pubblicata da A. Kircher.

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7.1 I tipi della statuaria egizia a Roma Tra le numerose opere egizie portate a Roma, pur nella varietà, si riconoscono alcuni tipi ricorrenti, tra i quali possiamo ricordare 1. le statue raffiguranti un faraone stante, abbigliato di nemes e shendyt (fig. 25); 2. le statue di teofori o naofori (fig. 26). Oltre a questi, si possono citare ad esempio le statue di alcuni animali, le sfingi e le sculture di Bes (si veda § 12–13–14). Le statue faraoniche del tipo n. 1 sono diffuse fuori dall’Egitto e rappresentano anche uno dei tipi più copiati nelle opere egittizzanti.

Figura . Il cosiddetto “naoforo Farnese” ritrovato a Roma, nella raffigurazione pubblicata da A. Kircher. Napoli, Museo Archeologico Nazionale, inv. 1068.

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Esemplari di questo genere si trovano in Egitto da tempi antichissimi e sono famose le sculture di Micerino (IV dinastia). In epoca tarda, statue di questo tipo si affollavano ancora nei templi egizi e le recenti ricerche francesi nel mare di Alessandria hanno dimostrato che coloro che sbarcavano nel grande porto dovevano restare impressionati dai colossi tolemaici rispondenti a queste genere iconografico. Anche imperatori romani si fecero rappresentare così: a Karnak è stata trovata una statua colossale nella quale è riconoscibile Augusto, attualmente al Museo del Cairo (fig. 27); Domiziano ha lasciato una sua statua a

Figura . Statua di Augusto come faraone da Karnak. Il Cairo, Museo Egizio, CG 701.

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Benevento (fig. 28); Caracalla si mostra anch’egli in questi panni in una statua al Museo del Cairo. Le statue del tipo n. 2 rappresentano talvolta sovrani, spesso sacerdoti e notabili che abbiano avuto la possibilità di farsi raffigurare in una statua mentre, nella posizione stante o inginocchiati, sorreggono o presentano delle figure divine o, più spesso, un naos. Questo genere si era affermato in Egitto nel Nuovo Regno ma la sua massima diffusione si ebbe nel Periodo Tardo: la statua veniva collocata all’interno del recinto templare affinché la persona rappresentata rimanesse per sempre presente nel luogo di culto partecipando delle offerte; inoltre, veniva affer-

Figura . Statua di Domiziano come faraone. Benevento, Museo del Sannio, inv. 260.

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mato un rapporto di reciprocità tra il fedele e la divinità. Come ha dimostrato M. Malaise, i seguaci dei culti isiaci a Roma reinterpretarono il significato di queste immagini come rappresentazioni dei portatori di figure divine che partecipavano alle importanti processioni del culto.

8. La produzione di opere egizie a Roma Esiste a Roma un certo numero di opere che possono essere ritenute egizie, poiché create da artisti egizi, anche se realizzate in pietra non egizia. Nella capitale dell’Impero lavoravano officine di artisti di varia origine, e tra questi alcuni provenienti dalla Terra del Nilo. Gli artisti di formazione egizia avevano una caratteristica competenza per le pietre molto dure e anche di difficile lavorazione come il granito, mentre la scultura greca e quella romana lavoravano tradizionalmente il marmo, un materiale più facilmente trattabile. Anche gli artisti egizi di Roma usarono il marmo, inusuale in Egitto, soprattutto per i rilievi posti a decorazione delle pareti templari, che in Egitto erano spesso di arenaria, una pietra abbastanza tenera. Le pietre scure e molto dure, comunque, furono considerate tipiche dell’Egitto: nella Terra del Nilo, il nero era simbolo della vita che si rigenera — nero era il limo del Nilo — così a Roma capitò che le dure pietre egizie venissero talvolta sostituite con il marmo scuro, come ad esempio nelle statue egittizzanti di Villa Adriana. Nell’uso romano del porfido rosso proveniente dal deserto orientale egiziano, esclusivo dell’ambiente imperiale, furono probabilmente gli scultori di formazione egizia a fornire una preziosa competenza. Le opere egizie di Roma talvolta ripetono più o meno pedissequamente la tradizione, in altri casi introducono delle novità funzionali al nuovo contesto, come si può notare nella breve scelta di sculture che qui viene presentata. Si può immaginare che i sistemi, le tecniche, l’organizzazione del lavoro di queste officine romane non fossero molto diversi da quelli utilizzati in Egitto da millenni (immagine sul retro di copertina). Purtroppo non possediamo abbastanza dati per osservare un’eventuale evoluzione dei modi di lavorare la pietra dovuta al contatto con officine di origine diversa. Non è possibile datare con precisione le opere egizie di Roma e non sappiamo con certezza neanche da quando le officine furono presenti a Roma: anche se forse lo erano già con Caligola, molto probabilmente si affermarono con i Flavi, in particolare con Domiziano. 53

8.1 La statua–fontana di Hapy ai Musei Vaticani Una statua conservata nel Museo Gregoriano Egizio, realizzata in marmo palombino, rappresenta Hapy, il dio della piena del Nilo, nella sua tradizionale forma androgina dai seni penduli, indicante la capacità generatrice e nutrice del grande fiume (fig. 29). La scultura risponde alla tradizione egizia, che si nota in particolare nel viso di ascendenza saitica, tuttavia, come ha giustamente notato J.–Cl. Grenier, la statua è tipicamente romana per la funzione di fontana sconosciuta in Egitto, ha infatti la bocca socchiusa per permettere lo zampillo. La stessa funzione idrica, al contempo, indica la piena comprensione del personaggio mitologico. Grenier ha supposto che la statua fosse stata creata sotto Caligola, anche se tradizionalmente la si riteneva di epoca adrianea.

Figura . Statua androgina della fecondità del Nilo. File, rilievo del pilone del tempio di Iside.

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8.2 La copia della statua di Arsinoe II ai Musei Vaticani Nel gruppo dei quattro colossi dalla Villa Verospi (si veda § 5.2) c’è anche una statua che sembra essere la copia di quella di Arsinoe II. Si suppone che sia stata scolpita in epoca romana, secondo Grenier per Caligola. 8.3 La statua di Nerone (?) al Museo Nazionale Romano Una insolita scultura al Museo Nazionale Romano (fig. 30) in pietra egizia — granito rosa — è stata attribuita a Nerone da S. Curto: il sovrano è rappresentato stante, indossa il copricapo faraonico nemes e un mantello sulla nudità eroica. Accanto a lui, una figura femminile di piccole proporzioni presenta l’abito isiaco. In questo caso, l’ostica pietra egizia è stata trattata con una certa competenza ma con modi stilistici che non sono faraonici, come la stessa nudità: il trattamento del nudo maschile, della muscolatura del torso e delle spalle ricalca la tradizione greca, anche se il tipo di pietra l’ha reso un po’ rigido e sommario. L’immagine sembra rispondere a quello stile greco–egizio tipico dell’Egitto tolemaico, nel quale attributi faraonici (come il nemes e l’ureo sulla fronte) si uniscono ad attributi greci (come il mantello) e a un modellato di tipo greco reso rigido dalla pietra e dalla tradizione egizie. Anche la figurina femminile presenta il tipo di Iside ellenistico con l’abito annodato e panneggiato, tuttavia la posizione del braccio destro levato nel tipico atteggiamento egizio di protezione rimanda alle figure femminili faraoniche che venivano poste di lato al sovrano — talvolta Figura . Statua di Nerone (?) con copricapo faraonico. Roma, Museo Nazionale Romano, inv. 129270.

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delineate semplicemente a rilievo — rese usuali soprattutto dalla consuetudine del Nuovo Regno; letta in questa tradizione, la figura potrebbe rappresentare la regina in abito isiaco, invece che Iside stessa. Gli artisti che hanno realizzato la scultura avrebbero avuto dunque una formazione greco–egizia e forse una provenienza alessandrina. 8.4 Le colonne dell’Iseo–Serapeo Campense Dall’area del grande Iseo–Serapeo Campense (si veda § 10.1), provengono quattro tronchi di colonne, tre dei quali conservati nei Musei Capitolini, mentre un altro, ritrovato precedentemente, si trova al Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Le quattro colonne, in granito grigio, hanno la caratteristica di essere scolpite a rilievo nella parte bassa con una serie di sacerdoti isiaci recanti degli oggetti di culto (fig. 31). L’uso di

Figura . Particolare di una delle colonne dell’Iseo e Serapeo del Campo Marzio. Roma, Musei Capitolini, inv. 13.

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scolpire rilievi sulle colonne templari si era affermato in Egitto durante il periodo di Amarna (XIV secolo avanti Cristo), non siamo dunque di fronte a una novità assoluta, tuttavia le colonne dell’Iseo Campense costituiscono un caso unico per diversi aspetti: se ci sono ben note le immagini di sacerdoti recanti oggetti di culto, in questo caso non si tratta di processioni, infatti i sacerdoti non sono in fila uno dietro l’altro ma si guardano a coppie e, soprattutto, sono in piedi su alti sgabelli, e dunque non sono incedenti, pur avendo una gamba gradiente come nella tradizione figurativa egizia; si tratta forse della rappresentazione di una cerimonia di esposizione. Lo stile dei rilievi e la perizia con la quale è stata scolpita una pietra piuttosto ostica indicano il lavoro di un’officina egizia, inoltre il granito — studiato da L. Bongrani Fanfoni — sarebbe quello dell’Isola d’Elba: le colonne, dunque, sarebbero state realizzate a Roma. 8.5 I due Bes di Piazza Vittorio Due statue della divinità mostruosa Bes (si veda § 14), attualmente collocate ad arredare un angolo di Piazza Vittorio insieme alla Porta Magica un tempo a Villa Palombara, lasciano trapelare qualcosa del lavoro delle officine di scultura: le due statue gemelle — ma non identiche — erano probabilmente finalizzate a fungere da telamoni o cariatidi sulla fronte di un sacello nell’area del Serapeo del Quirinale (si veda § 10.2), essendo state trovate nei pressi della chiesa di San Vitale; purtroppo non siamo in grado di datarle con precisione ma potrebbero essere dell’epoca di Caracalla. Le due sculture sono realizzate in marmo lunense, e dunque prodotte da officine sul suolo italiano. L’osservazione comparata delle due statue ci rivela che una è stata realizzata da uno scultore di formazione romana: egli ha scolpito il torso, la muscolatura e i particolari anatomici con accuratezza, secondo la tradizione ellenistico–romana (fig. 32); al contempo, i particolari iconografici della divinità di origine egizia non sono ben compresi e realizzati. L’altra statua mostra un caso contrario: lo scultore conosceva bene la tradizionale iconografia egizia ma la sua formazione non gli ha permesso di seguire agevolmente il suo collega nella realizzazione di alcuni particolari anatomici, come ad esempio l’arcata epigastrica (fig. 33). In conclusione, i due Bes di Piazza Vittorio ci mostrano il lavoro di un’officina impiantata in Italia, probabilmente a Roma, nella quale scultori di formazione diversa — egizia e romana — lavoravano fianco a fianco per uno stesso progetto, in questo caso probabilmente nel cantiere per il grande Serapeo del Quirinale. 57

Figura . Statua di Bes, dal Quirinale. Roma, Piazza Vittorio.

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Figura . Statua di Bes, dal Quirinale. Roma, Piazza Vittorio.

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8.6 I rilievi in marmo A Roma sono stati trovati numerosi elementi architettonici decorati alla maniera egizia: si tratta di frammenti di rilievi, architravi, capitelli, provenienti da varie aree della città. Alcuni di essi presentano una decorazione chiaramente egittizzante: artisti non egizi si sono cimentati in temi e figurazioni di origine egizia; in diversi casi, invece, notiamo la mano esperta di uno scultore di formazione egizia. La maggior parte di questi rilievi sono realizati in marmo: alcuni frammenti provengono da scavi recenti condotti da C. Alfano nell’area di San Macuto — nell’Iseo Campense — altri sono conservati in Vaticano, tra questi i frammenti di una bella immagine di Thot a testa di ibis che Grenier ha attribuito al tempio costruito da Marco Aurelio per Hermes–Thot. Una lastra conservata nel Palazzo Venezia (fig. 34), in marmo lunense (marmo di Carrara), mostra una divinità egizia che generalmente non compare nella famiglia isiaca fuori dall’Egitto: si tratta di Gheb, dio della terra, padre di Iside e Osiride, che talvolta nei rilievi templari dell’Egitto greco–romano riceve dal faraone la presentazione dei campi. Pur appartenendo all’Enneade eliopolitana come ascendente diretto di Iside e Osiride, questo dio non sembra aver avuto un posto nella diffusione ellenistica del culto isiaco e resta prettamente una figura di ambiente egizio: la sua presenza a Roma lascia immaginare dei rilievi di ambiente templare dettati da specialisti egizi con precise finalità e chiari intenti. Il rilievo stesso, di buona qualità, indica il lavoro di un artista egizio. Figura . Rilievo in marmo rappresentante il dio Gheb. Roma, Museo Nazione di Palazzo Venezia, inv. P.V. 3283.

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9. Sacerdoti egizi a Roma Abbiamo già accennato alla presenza di specialisti egizi a Roma: questa è talvolta indirettamente testimoniata dalla qualità veramente egizia delle opere, ma anche le fonti storiche ce ne hanno lasciato abbondantemente le tracce, insieme a qualche sporadica fonte archeologica. Particolarmente fortunati siamo nel caso di Arnufi, del quale ci parla Dione Cassio riguardo al miracolo della pioggia di Marco Aurelio (si veda § 4); lo stesso Arnufi è infatti probabilmente riconoscibile in un’iscrizione per la dedica di un altare a Iside, trovato ad Aquileia, lungo la direttrice che conduceva nell’area danubiana. Il più antico caso di Cheremone, maestro di Nerone, ci apre un particolare angolo visuale sull’ambiente imperiale. La letteratura antica sull’argomento, raccolta da F. De Salvia, descrive sacerdoti o “maghi” che circolavano per l’Impero, portatori di conoscenze arcane e poteri misteriosi; talvolta le loro pretese capacità magiche, nella mentalità romana, li equiparavano a veri propri ciarlatani da strapazzo. Il potere di compiere atti miracolosi, attribuito ai sacerdoti/maghi egizi già nella Bibbia, nella letteratura di epoca romana è generalmente legato alla lettura di segni misteriosi e al pronunciamento di frasi rituali incomprensibili (Apuleio, Metamorfosi 11, 22). Siamo di fronte alla sopravvivenza di antichissimi usi e credenze: in Egitto, un gruppo ristretto di specialisti, legati alla Casa della Vita, partecipava del potere creativo della parola divina; questa, espressa nei geroglifici, aveva la capacità di chiamare in esistenza e dunque possedeva una perfetta efficacia. Nonostante la magia fosse vituperata da tanti Romani, formule magiche di origine egizia giunsero a Roma anche scritte in greco, lingua nella quale da tempo erano state versate, e si ritrovano su numerosi oggetti, in particolare sulle gemme magiche. La presenza di sacerdoti egizi nel mondo romano si può comunque intuire là dove più importante e precisa si nota l’affermazione dei culti egizi o dove appare più precisa la comprensione dell’immaginario egizio, e forse ancor più quando questo viene plasmato, con intelligente creatività, per nuovi fini, come ad esempio per il culto di Antinoo, in particolare a Villa Adriana. Si deve a Ph. Derchain l’affascinante ricostruzione della vicenda di un sacerdote di Panopoli (Akhmim) che, avendo incontrato Adriano durante il suo viaggio in Egitto, lo avrebbe poi seguito a Roma: al di là di questa ipotesi suggestiva e storicamente verosimigliante, sembra sempre più evidente la presenza di un sacerdote egizio — postulata anche da E. Bresciani — nelle realizzazioni egizie/egittizzanti di Villa Adriana. Lo stesso obelisco del Pincio, dedicato ad Antinoo, insieme a quello di Domiziano a Piazza Navona (si 61

veda § 15), pone un interrogativo sul luogo della realizzazione dell’iscrizione: il testo geroglifico fu creato in Egitto o a Roma? Le fonti figurative ci attestano la presenza a Roma del sacerdote pterophoros, riconoscibile in un rilievo un tempo a Palazzo Mattei (fig. 35) e ora ai Musei Vaticani, ma anche in un dipinto dall’Iseo di Pompei. Il termine pterophoros, cioè “portatore di piume” — il sacerdote aveva infatti la testa cinta da una benda a sorreggere due piume — è la versione greca dell’egizio “scriba del libro divino”, che nel periodo tardo si sovrappose al sacerdote lettore “portatore di rotolo”. Anche la figura dello hierogrammateus, specialista della Casa della Vita, presente a Roma ad esempio con Arnufi, sembra a un certo punto confondersi con lo pterophoros, come ci testimonia anche Clemente d’Alessandria (Stromata 6,36).

10. I luoghi “egizi” di Roma Oggetti egizi o egittizzanti e immagini di divinità di origine egizia sono stati rinvenuti in numerosi siti di Roma e dei suoi dintorni, operiamo qui dunque una scelta in base alla loro importanza o al loro valore esemplificativo. 10.1 L’Iseo e Serapeo del Campo Marzio (Iseo Campense) Abbiamo già ripetutamente citato questo importantissimo tempio di culti isiaci: nonostante le fonti letterarie e iconografiche ce lo citino

Figura . Rilievo con processione di sacerdoti isiaci, nell’incisione pubblicata da L. Roccheggiani. Un tempo a Palazzo Mattei, oggi nei Musei Vaticani.

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e mostrino, non abbiamo molte certezze sulla sua precisa conformazione. Esso si collocava nel Campo Marzio, nell’area vicina al Pantheon (fig. 36), tra le chiese di Santo Stefano del Cacco e di Santa Maria sopra Minerva, via del Seminario e via di Sant’Ignazio. L’area del Campo Marzio aveva una connotazione alessandrina ed egizia (si veda § 5.1): Augusto vi eresse l’obelisco al centro di un orologio solare che doveva essere stato realizzato da artisti alessandrini; il mausoleo di Augusto si ispirava probabilmente alla tomba di Alessandro Magno in Alessandria. L’Iseo Campense, quasi sicuramente, esisteva già in epoca tardo–repubblicana, fu forse ristrutturato da Caligola e ricostruito dopo un incendio nel periodo flavio. Sappiamo con certezza che era costituito da una grande area all’aperto recintata, caratterizzata da obeli-

Figura . Mappa dell’area di Roma comprendente parte del Campo Marzio e del Quirinale.

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schi e da un corso d’acqua artificiale (fig. 37). A nord, si ergeva su un alto podio il tempio vero e proprio dedicato a Iside, che doveva essere di proporzioni piuttosto modeste (fig. 38), tetrastilo, coronato da un

Figura . Pianta dell’Iseo e Serapeo del Campo Marzio nella ricostruzione di A. Roullet.

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timpano arrotondato nel quale si librava l’immagine di Iside portata dal cane di Sothis tra le stelle; la scalinata sulla fronte era affiancata da due avancorpi che funzionavano da basamenti per statue di stile egizio; l’ingresso della cella era sormontato dal disco solare alato e da un fregio di urei (cobra); l’immagine di culto era di tipo ellenistico. Lo stile architettonico, come si può notare, era ellenistico con alcune aggiunte di tipo egizio. Forse accanto a questa costruzione c’era un sacello dedicato a Serapide. A sud, la Forma Urbis (pianta marmorea della città di età severiana) ci mostra un’esedra che probabilmente conteneva uno specchio d’acqua, funzionando da ninfeo (fig. 37). Marziale definì l’Iseo Campense come “menfitico”: questo ha fatto pensare che fosse stato eretto sul modello del Serapeo di Menfi, ma sembra possibile che la definizione valesse come “egizio” e fosse semplicemente un’indicazione generica. L. Sist ha visto nella pianta un riferimento all’importantissimo tempio di File, idea ripresa da F. Brenk. Inoltre, l’esedra è stata interpretata prima come un’immagine del Delta del Nilo, poi come un

Figura . Il tempio di Iside nel Campo Marzio in una moneta di Vespasiano.

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riferimento alle sue sorgenti. Indubbiamente la presenza dell’acqua, come in tutti i templi di culto isiaco, era molto importante, in quanto rendeva presente il potere rigenerante e vivificante del Nilo: se si vuole vedere nell’esedra/ninfeo uno specifico riferimento al fiume egizio, sembra più convincente — proprio in quanto ninfeo — vedervi le sorgenti, anche per la sua posizione a sud rispetto a tutta l’area. 10.2 Il Serapeo del Quirinale Sul Campo Marzio, si affacciava, dall’alto del colle del Quirinale, un tempio che si imponeva per la propria posizione e per le strutture monumentali, a esso si accedeva attraverso una grande scalinata i cui resti si trovano nell’area della Pontificia Università Gregoriana e della Villa Colonna (tra Piazza del Quirinale e Piazza della Pilotta — Via della Pilotta) (fig. 36). L’identificazione di questo tempio maestoso è stata ed è ancora dibattuta: alcuni studiosi si sono chiesti se questi sono i resti del Serapeo, noto anche per delle dediche epigrafiche di Caracalla provenienti dall’area, oppure se questo stesso era più arretrato rispetto alla punta del Quirinale, coincidente oggi con Piazza del Quirinale. Oggetti egizi o egittizzanti ritrovati nella zona provengono dalle falde del Quirinale che costeggiano Via Nazionale e precisamente dal retro della chiesa di San Vitale. Molti studiosi sono oggi propensi a ritenere che il grande tempio fosse veramente il Serapeo e anzi la sua impostazione scenografica avrebbe ripreso quella del celebre Serapeo di Alessandria, ricalcando il gusto ellenistico per i templi a gradinata: è possibile che il tempio fosse costituito, come altri di questo tipo, da una grande area recintata nella quale erano eretti diversi sacelli (si veda anche § 8.5). Il tempio sarebbe stato eretto non da Caracalla ma precedentemente e da quest’ultimo rimaneggiato: si è pensato che la costruzione fosse adrianea (R. Taylor) o addirittura flavia (S. Ensoli). Dal sito, provengono in origine anche le due grandi statue di fiumi che oggi ornano la base della doppia scala del Palazzo Senatorio in Campidoglio e forse un tempo decoravano il frontone del tempio: uno di essi è il Nilo (si veda § 11) (fig. 39). 10.3 L’Iseo della Regio III Un altro importantissimo tempio di culti di origine egizia si trovava nell’area della Via Labicana (fig. 40): nella zona permane il toponimo di Piazza Iside e nell’antichità la stessa regione cittadina prendeva il nome 66

Figura . Statua del Nilo dal Quirinale, attualmente alla base della scalinata del Palazzo Senatorio in Campidoglio.

Figura . Mappa dell’area di Roma comprendente il sito dell’Iseo della Regio III, secondo M. De Vos.

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di Iside e Serapide. M. De Vos ha identificato i resti del tempio in Via P. Villari, dove rimangono imponenti opere edilizie di sostruzione del fianco della collina. Il tempio doveva essere anch’esso modellato sul tipo dei templi ellenistici a gradinate e terrazze scenografiche. M. De Vos ha proposto di identificare questo luogo di culto come lo sviluppo successivo dell’antico Iseo Metellino, sacello privato — fondato dalla famiglia dei Metelli — di età tardo–repubblicana. 10.4 La Via Ostiense La Via Ostiense, pur non presentando i resti di un importante luogo di culto, mostra un caso di un certo interesse. In prossimità dell’odierno inizio dell’Ostiense, presso Porta San Paolo, si erge ancora, incorporata nelle Mura Aureliane, una delle piramidi che nell’antichità donavano un tocco di esotismo al paesaggio dell’Urbe. Caio Cestio la fece costruire come propria sepoltura intorno al 20 avanti Cristo, sull’onda di quell’interesse per l’Egitto che si diffuse a Roma dopo l’annessione del paese all’Impero. La strada che collegava Roma al suo porto è esemplificativa di un fenomeno riconoscibile anche altrove in Italia e nell’Impero: le arterie che portavano al mare videro lo scorrere di persone e culture di origine diversa; insieme alle merci viaggiavano anche conoscenze tecniche, capacità artigianali, intere officine di produzione. Il sito di Ostia ci ha restituito un Serapeo, oggetti egizi e immagini isiache. Lungo il percorso della Via Ostiense, in prossimità della Basilica di San Paolo, doveva esistere un luogo di culto, visto che nel lapidario presso la basilica è conservato un frammento di iscrizione egizia, pertinente a una scultura faraonica, e un altro in marmo bianco — dunque realizzato a Roma — conservante parte di un cartiglio faraonico. Nel Tevere, nei pressi della stessa basilica, è stata recuperata anche una scultura frammentaria, oggi al Museo Nazionale Romano (fig. 41), rappresentante una figura maschile nuda e stante, con le braccia incrociate sul petto, avvolta dalle spire di un serpente: si tratterebbe di una divinità del tipo Osiride–Aion–Arimane, figura sincretistica tra l’ambito isiaco e quello mitriaco (A. Mastrocinque). 10.5 Luoghi di culto privato: il larario di San Martino ai Monti Nella mappa “egizia” di Roma, abbiamo visto luoghi di culto pubblico e abbiamo anche notato come luoghi di culto privato (Iseo Me68

tellino) potessero forse evolversi nel tempo in grandi edifici pubblici. L’ambito privato ha restituito comunque oggetti e informazioni importanti: se a Ostia uno stabile “condominiale” viene definito “Caseggiato di Serapide” perché il suo ingresso è segnato da un’edicola dedicata a questo dio, in abitazioni patrizie si potevano trovare oggetti importanti, sia di produzione romana che di importazione.

Figura . Statuetta di divinità del tipo Osiride–Aion–Arimane ritrovata nei pressi della Basilica di San Paolo. Roma, Museo Nazionale Romano, inv. 4239.

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Un caso importante può essere considerato quello di Villa Fogaccia, nella zona Boccea, che insiste su un’antica villa romana: qui è stata ritrovata una pregevole statuetta del dio Ptah di Menfi. Sempre dalla zona Boccea, purtroppo non sappiamo con certezza se dalla stessa area, proviene una statuetta di babbuino in pietra verde, oggi ai Musei Vaticani, levato sulle zampe posteriori con le anteriori in atto di adorazione (si veda § 12) (fig. 42). Sembra probabile che gli oggetti fossero collocati in un luogo — o due — di culto privato. Un caso meglio conosciuto e molto importante è quello del larario di San Martino ai Monti (fig. 43), ritrovato nel 1885 in buone condizioni, dunque capace di fornirci notevoli informazioni, studiato da S. Ensoli: si tratta di un luogo di culto domestico annesso a un ricca domus del tempo di Costantino, che riuniva una serie di immagini di culto che lasciano trapelare anche l’avvicinarsi e il sovrapporsi di figure divine nella Roma tardo–antica. Oltre a una statua di Iside, collocata di fronte all’ingresso della cappella, su scaffali ai lati stavano immagini di Serapide, Ercole, Afrodite, Ecate, una divinità fanciulla accovacciata (Arpocrate?), una stele egizia

Figura . Babbuino in atto di adorazione. File, rilievo del pilone del tempio di Iside.

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Figura . Il larario di San Martino ai Monti in una litografia di L. Ronci.

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di Horo sui coccodrilli (fig. 44). Proprio su questo ultimo oggetto, da considerarsi già molto antico al tempo di Costantino — e indubbiamente venerabile anche per la sua provenienza egizia — F. De Salvia ha proposto una interessante riflessione sulla presenza possibile di un sacerdote–mago, forse itinerante, capace di far apprezzare un simile oggetto la cui comprensione non doveva essere certamente immediata.

11. Il Nilo fuori dall’Egitto La straordinarietà del grande fiume africano, rimarcabile sia per la portata che per il regime inconsueto, colpì particolarmente gli antichi: se gli Egizi regolarono su di esso la propria esistenza determinandone le stagioni e il capodanno, che coincideva con il soggiungere della piena, Erodoto sottolineò il ruolo vitale del fiume e Giuba re di Mauretania, durante il periodo augusteo, rivendicava le sorgenti del Nilo nella sua terra, nell’Africa nord–occidentale. Tale era l’importanza del fiume, ritenuto in qualche modo il “padre” degli altri corsi d’acqua, che altri fiumi veniva-

Figura . Stele di Horo dei coccodrilli, dal larario di San Martino ai Monti. Roma, Musei Capitolini, inv. 2160.

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no considerati come sue risorgenze e la presenza del Nilo fu riconosciuta anche fuori dall’Egitto (D. Bonneau). F. Coarelli e J.–Cl. Grenier hanno ripetutamente rilevato l’esigenza di rendere presente il Nilo fuori dall’Egitto, dal grande mosaico di Palestrina, sul quale si faceva scorrere un velo d’acqua, al Delta del Campo Marzio e al cosiddetto Canopo di Villa Adriana. R.A. Wild ha studiato la presenza di bacini e corsi d’acqua nei luoghi di culto isiaco, finalizzati a rendere presente l’acqua sacra del Nilo, che d’altra parte era oggetto di culto, come si può notare dai numerosi recipienti — immagini di Osiride–Canopo — ritrovati a Roma o tramandatici dalle fonti iconografiche, come ad esempio dalle colonne dell’Iseo Campense (si veda § 8.4 e § 10.1) (figg. 13 e 31). Nel mito egizio, il fiume scaturiva dal cadavere di Osiride; nei templi di culto isiaco veniva probabilmente praticata una forma di “battesimo” osiriaco e Antinoo, amato da Adriano, venne deificato come Osirantinoo proprio attraverso la sua morte nel fiume. A Roma sono state trovate numerose immagini riferibili al Nilo, dalla straordinaria statua–fontana di Hapy (si veda § 8.1) a sculture di stile ellenistico–romano raffiguranti una divinità barbata, semisdraiata, appoggiata su una sfinge mentre regge una cornucopia, talvolta accompagnata da sedici fanciulli raffiguranti i cubiti della piena ideale: la più famosa e pregevole di queste immagini è conservata nei Musei Vaticani e proviene dall’Iseo Campense. Va ricordata anche la scultura colossale oggi posta a decorazione della scala del Palazzo Senatorio in Campidoglio e un tempo forse a ornare il frontone del Serapeo del Quirinale (si veda § 10.2) (fig. 39). In ambedue le sculture, i capelli della divinità sono lunghi e raccolti sulla nuca, secondo l’iconografia di Dioniso, a ribadire ancora l’identificazione tra il fiume e Osiride ricalcando quella tra Osiride e Dioniso, operata già da Erodoto secoli prima. Infine, vanno ricordate le numerose immagini nilotiche che, attraverso mosaici, pitture, rilievi, rendevano popolare il paesaggio del grande fiume, il suo brulicare di vita umana, animale e vegetale (figg. 1–2–3). 12. Un bestiario nilotico a Roma La necessità di far rivivere il Nilo e la sua terra fuori dall’Egitto comportò il trasferimento o la creazione di numerose immagini di animali, che in Egitto, peraltro, erano ipostasi divine. Un dipinto da Ercolano, raffigurante un tempio di culto isiaco, ci mostra che, nel recinto del tempio, potevano vivere animali nilotici, 73

come gli ibis, cosa che si nota anche nel rilievo di Ariccia (fig. 45). Altri animali furono presenti nei templi attraverso sculture. Diverse statue di coccodrilli sono state trovate a Roma: una nell’Iseo Campense, oggi ai Musei Capitolini, era collocata all’interno di un corso d’acqua artificiale. Un altro sauro, proveniente probabilmente dal Serapeo del Quirinale, è conservato nella Villa Colonna. Curioso notare che, mentre le immagini propriamente egizie degli animali più feroci li raffigurano sempre in una placida postura, un coccodrillo conservato ai Musei Vaticani apre le fauci aggressivo. Un elemento di colonna — si tratta della base e della parte bassa del fusto — decorata con scene di culto isiaco, conservata in Vaticano, ci mostra dei sacerdoti che, davanti a un tempio, danno da mangiare a dei coccodrilli che si trovano in acqua. Il coccodrillo era oggetto di culto in Egitto quale ipostasi di varie divinità, come Sobek (Suchos in greco). Statue di falco erano anch’esse presenti nei templi a raffigurare Horo, sul modello dei templi egizi, come ad esempio il tempio di Horo a Edfu, ancora importante in epoca romana: statue del rapace sono conservate nei Musei Capitolini e nei Musei Vaticani. Una statuetta di falco in marmo è stata trovata negli scavi di un caseggiato alla base del Quirinale, nel vicus Caprarius, non lontano da Piazza della Pilotta: essa era forse stata dedicata nel Serapeo del Quirinale ma, per le piccole proporzioni, poteva anche essere stata collocata in un luogo di culto privato. Il rilievo di Ariccia — che rappresenta un luogo di culto isiaco — ci mostra degli ibis che becchettano intorno durante una cerimonia, e poi delle edicole dove sono collocati un toro e ben quattro babbuini (fig. 45). L’immagine del toro (si veda § 3.2), che ci è stata restituita da tanti bronzetti di epoca romana, doveva essere ben presente nei templi: una scultura, attual-

Figura . Rilievo di Ariccia con scena di un tempio di culto isiaco. Roma, Museo Nazionale Romano, inv. 77255.

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mente al Museo Nazionale di Palazzo Altemps, raffigurante un maestoso toro in pietra scura egiziana coronato di un disco solare (detto “torello Brancaccio”), proverrebbe dall’Iseo della Regio III (si veda § 10.3). Numerose sono le statue di babbuini, sia importate dall’Egitto — come le due sculture gemelle ai Musei Capitolini — oppure scolpite in Italia: la tipologia più diffusa è quella del cinocefalo accovacciato, con le “mani” appoggiate sulle ginocchia come nel rilievo di Ariccia (fig. 45), ma non manca il tipo stante con gli arti anteriori levati in atto di adorazione della divinità solare, come la scultura da Boccea (si veda § 10.5). Un’altra statua ai Musei Capitolini, pur mostrando una certa fedeltà d’esecuzione ai modelli egizi, è realizzata in marmo scuro e porta inciso in greco il nome dello scultore e/o dedicante: si tratterebbe dunque di un’opera realizzata fuori dalla Terra del Nilo. Il babbuino, in Egitto, era una figura complessa ma particolarmente legata a Thot, signore della scrittura (si veda § 3.5).

13. Leoni egizi a Roma Insieme agli altri animali cari alla cultura e all’arte egizia, a Roma giunsero i leoni, dei quali sono state trovate diverse sculture: due magnifici felini in diorite nera accolgono i visitatori ai piedi della gradinata che conduce sul Campidoglio (fig. 46), tre sono conservati a Dresda, infine due maestosi leoni sdraiati, iscritti con il nome del faraone Nectanebo, sono in Vaticano. Nell’ingresso del palazzo Del Drago in Via delle Quattro Fontane, un bellissimo leone in porfido rosso sembra essere copia di uno dei due di Nectanebo: non sappiamo al momento se si tratta di una scultura antica (di epoca romana) o moderna. Il leone, in Egitto, è immagine regale e solare: nella tradizione artistica egizia esso è rappresentato generalmente accovacciato, talvolta sdraiato su un lato come i leoni di Nectanebo, in atteggiamento placido e non aggressivo. Coppie di leoni potevano fiancheggiare l’ingresso dei templi in Egitto, come ad esempio a File, ed evidentemente anche a Roma. Nella tradizione faraonica, i leoni sono strettamente connessi alle porte: due figure di leoni accovacciati servono anche, nei geroglifici, a indicare la porta. Nel mito, due leoni accovacciati e affiancati — immagine di Aker — si identificavano con l’orizzonte inquadrando il sole: essi dunque segnavano il luogo dell’epifania divina. La posizione dei leoni ai lati della porta del tempio ricalcava dunque quella dei leoni dell’orizzonte: tra di essi si manifestava la divinità. Questi significati furono probabilmente compresi, almeno da alcuni, anche a Roma; per altri evidentemente fu solo una ulte75

Figura . Uno dei leoni in diorite ai piedi della scalinata del Campidoglio.

Figura . Leone egittizzante a destra dell’ingresso della chiesa di San Lorenzo in Lucina.

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riore nota esotica. È interessante notare che questo uso di collocare due leoni ai lati dell’ingresso dell’edificio di culto ritorna nelle chiese medievali e, proprio in questo ambito, a Roma, furono ripresi modelli egizi per creare nuove sculture leonine, alle quali vennero attribuiti comunque nuovi significati. Nel Medioevo, il leone poteva essere simbolo del Cristo in un duplice aspetto: mansueto e feroce, il felino diventò immagine del Cristo giudice, amorevole e protettivo con i buoni, implacabile con i malvagi. Nel XIII secolo, i Vassalletto, una famiglia di artisti che operava nell’ambito dei marmorari romani, utilizzò dei modelli egizi ritrovati a Roma per realizzare immagini di leoni nell’atteggiamento placido e maestoso: ricordiamo un leone a San Lorenzo in Lucina (fig. 46) e un altro presso i Musei Capitolini, un tempo collocato probabilmente a Santa Maria in Via; ambedue in coppia con un altro non egittizzante e in atteggiamento feroce, analogamente ai due leoni nella cattedra episcopale di Anagni. Un leone egittizzante si trova anche a San Lorenzo fuori le mura, un altro presso la basilica dei SS. XII Apostoli. I Vassalletto scolpirono anche immagini di sfingi, come si può vedere nel chiostro di San Giovanni in Laterano. I leoni egizi continuarono a fornire un modello anche nelle epoche successive: nella sistemazione Settecentesca di Piazza del Popolo, dovuta a G. Valadier, alla base dell’obelisco sono collocati quattro leoni che ricalcano modelli egizi (fig. 48).

Figura . Leone egittizante alla base dell’obelisco di Paizza del Popolo.

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Su due colonne che immettevano nell’Orto Botanico in Via della Lungara, nella sistemazione voluta da papa Gregorio XVI — lo stesso che istituì il Museo Gregoriano Egizio in Vaticano — due leoni egittizzanti vigilano ormai anneriti dai fumi del traffico (fig. 49–50). A Piazza Venezia, sulla fronte del Vittoriano progettato da G. Sacconi e realizzato tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, nella ricca

Figure  e . Leoni egittizanti in via della Lungara.

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ornamentazione scultorea spiccano due grandi leoni, in questo caso stanti e alati, il cui muso tuttavia ricalca ancora i modelli egizi (fig. 51). Possiamo infine ricordare un caso curioso: vicino a Piazza Venezia, su un lato di Palazzo Grazioli, in prossimità dell’area dell’Iseo Campense, su un cornicione del palazzo gentilizio sembra passeggiare e gettare uno sguardo sui passanti un felino di pietra che ha dato il nome alla strada (fig. 52): Via della Gatta. Diverse guide della città parlano della scultura come

Figura . Leone egittizante sul Vittoriano.

Figura . Leone sul cornicione di Palazzo Grazioli in Via della Gatta.

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di una figura di gatto proveniente dall’Iseo Campense, ricordando il culto tributato dagli Egizi al felino, ipostasi della dea Bastet. In realtà, a un’osservazione più precisa, la gatta non è tale: si tratta di un leone con tanto di criniera, poco visibile dalla strada, mentre tra le zampe si intravede una testa umana. Per il soggetto, e anche per lo stile, il leone, che è stato ritrovato nell’area, avrebbe potuto far parte dell’arredo di una chiesa medievale. 13.1 Le sfingi La sfinge egizia dal corpo leonino e la testa umana (figura in quarta di copertina), associata sia al sovrano che alla divinità solare, fu a Roma il simbolo stesso dell’Egitto, se le immagini del Nilo erano accompagnate — e sostenute — proprio da una sfinge (fig. 39) (si veda § 11). Sculture di questo genere provengono dall’area dell’Iseo Campense: una magnifica sfinge di Amasi (XXVI dinastia) è conservata ai Musei Capitolini, una frammentaria al Museo Nazionale Romano; una femminile, di un raro tipo, si trova nel Museo Barracco, essa risale al regno di Thutmosi III (XVIII dinastia). Sempre nei Musei Capitolini, si trova una sfinge in granito rosso di Assuan che, seppur realizzata nel corpo secondo i canoni tradizionali, presenta un viso insolito, per la tradizione egizia, dai tratti piuttosto personali: è stato proposto che la scultura sia stata realizzata per Domiziano (Lembke); anche questa sfinge proviene dall’area dell’Iseo Campense. Nei Musei Vaticani, si conservano due sfingi in marmo dal viso ispirato ai canoni greco–romani: proprio recentemente, nella Villa Adriana a Tivoli, è venuta alla luce una sfinge acefala in marmo. Nella sistemazione settecentesca di Piazza del Popolo, sono state collocate ben sedici sfingi di marmo che riprendono il modello delle sfingi vaticane (fig. 53). Le sfingi realizzate nel XIII secolo nell’ambiente dei Vassalletto — ad esempio nel chiostro di San Giovanni in Laterano — si ispirano piuttosto fantasiosamente ai modelli egizi, a differenza dei leoni che invece li seguono piuttosto fedelmente (si veda § 13): ci possiamo chiedere se, a quel tempo, non fossero disponibili modelli antichi da copiare.

14. Uno stravagante mediatore: ancora Bes Sembra necessario tornare su questo insolito personaggio (si veda anche § 3.6) per la sua avventura di straordinario mediatore sulle sponde del Mediterraneo, un vettore della cultura egizia soggetto a possibilità di interpretatio. Amuleti della divinità si trovano in tombe italiche 80

femminili, ad attestare che il suo ruolo di protettore della donna era stato assimilato; Bes ebbe grande fortuna nell’ambiente fenicio–punico e sue statue sono state trovate in Sardegna. In età augustea, il viso di Bes si inserisce in fregi egittizzanti illustrati da M. De Vos, mentre in una lastra fittile, conservata nell’Antiquarium Comunale, il nano diventa il centro della composizione tra due sfingi a testa umana, rispettivamente Iside e Serapide (fig. 54).

Figura . Sfinge in Piazza del Popolo.

Figura . Lastra in terracotta con sfingi e Bes. Roma, Antiquarium Comunale, inv. 3301.

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A Roma sono state trovate numerose immagini del nano mostruoso, mentre nel rilievo di Ariccia (fig. 45) vediamo due nani accovacciati, ambedue affiancati da babbuini: uno dei due, barbuto, è sicuramente Bes, mentre l’altro, totalmente glabro, potrebbe essere Ptah–Pateco. Le sculture di Bes trovate a Roma, alcune anche pregevoli, sono sia egizie che propriamente di stile romano; esse rientrano in due tipi fondamentali: uno rappresenta il nano stante, con le mani appoggiate sulle cosce (figg. 32–33), l’altro il nano accovacciato, le mani sulle ginocchia, in un atteggiamento simile a quello dei babbuini (fig. 55). Un caso particolarissimo è rappresentato da una statua nei Musei Vaticani che, pur scolpita in uno stile che non è egizio, mantiene alcuni

Figura . Tipo di Bes accovacciato, conosciuto in due esemplari, rispettivamente a Roma nel Museo Barracco (inv. 60) e nel Fitzwilliam Museum di Cambridge (inv. GR 1.1818).

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attributi della tradizione, mentre ne acquisisce un altro, tipicamente romano: sul petto porta una bulla, un pendaglio indossato a Roma dai fanciulli. La statua, durante un restauro recente, ha mostrato segni di consunzione sulle mani e sui piedi, come se fosse stata esposta alla devozione dei fedeli che l’avrebbero toccata fino a consumarla: si tratta dunque di una statua di culto che lascia intravedere una lunga storia di comprensione, interpretazione e assimilazione della mitologia egizia Roma. Come in Egitto, anche a Roma Bes sembra aver percorso due strade, quella del culto popolare e quella del culto dinastico: nel primo, si ricorreva a lui per la protezione delle donne e dei bambini; nell’altro, Bes tornava probabilmente ad accompagnare la nascita divina del sovrano, se le due statue di Piazza Vittorio (si veda § 8.5) sostenevano la fronte di un sacello nell’area del Serapeo del Quirinale, dove il culto dinastico doveva avere un peso notevole.

15. Gli obelischi In Egitto, gli obelischi avevano un prototipo nella pietra benben di Eliopoli: un antico feticcio che rientrerebbe nel culto ben conosciuto — anche fuori dall’Egitto — tributato alle pietre innalzate. Durante la V dinastia, nei templi solari a cielo aperto, comparve un obelisco di forme tozze e realizzato in gran parte in muratura. La VI dinastia ci ha lasciato il primo monolite conosciuto: il genere si affermò poi per vedere numerose realizzazioni durante il Nuovo Regno. Gli obelischi erano generalmente realizzati in granito rosa di Assuan, pietra dal valore simbolico connesso con il sole; i monoliti erano manifestazioni aniconiche della divinità e già nei Testi delle Piramidi vennero definiti “immagini di Ra”. La sistemazione degli obelischi, in Egitto, rispondeva a due possibilità: si poteva innalzare un obelisco “unico”, come oggetto di culto, oppure realizzarne una coppia, che generalmente era eretta a inquadrare l’ingresso del tempio, e dunque il luogo dell’apparizione divina. Va osservato che l’obelisco, oltre che essere segno della presenza della divinità, era anche strettamente legato alla regalità e la legittimava. È evidente che il trasferimento a Roma di questi monoliti non avvenne sempre nel riconoscimento di questa importante funzione sacrale: se Domiziano fece iscrivere ed erigere un obelisco nel rispetto della tradizione e a essa si ispirò Adriano nel far realizzare l’obelisco di Antinoo, Augusto portò a Roma l’obelisco flaminio per collocarlo nel circo — come fecero altri imperatori successivamente — e quello di Montecitorio per farne 83

uno gnomone. Dobbiamo osservare, tuttavia, che l’erezione di obelischi nella spina del circo non ne disconosceva la funzione solare, se il percorso di un carro era figura del circuito della divinità del sole: Apollo, che a Roma — come in Grecia Febo — percorreva il cielo trainato da cavalli. A Roma sono stati trovati numerosi obelischi e frammenti giacciono nei magazzini di musei: la maggior parte è iscritta, ma ne abbiamo anche alcuni anepigrafi, realizzati forse in epoca romana. Dopo essere stati, a Roma, segno del potere degli imperatori, dopo secoli gli obelischi tornarono a esaltare la Roma cristiana governata dai Papi e alcuni di essi entrarono nei nuovi piani urbanistici che prevedevano lunghi assi viari, a segnare lunghe prospettive per i pellegrini che convergevano a Roma. Forniamo qui una lista degli obelischi eretti. 1. Obelisco del Laterano. È il più alto — mancante della parte inferiore oltrepassa i 32 metri — e fu eretto a Karnak durante la XVIII dinastia, portando iscrizioni di Thutmosi III e Thutmosi IV. Il monolite non faceva parte di una coppia ma gli veniva tributato un importante culto nell’area orientale del santuario di Karnak. Ammiano Marcellino (XVII 4, 12–15) ci informa che già Augusto avrebbe voluto portarlo a Roma, ma non lo fece, oltre che per la difficoltà di trasportare una tale mole, perché era ancora un importante oggetto di culto e il suo trasferimento avrebbe potuto creare dei problemi (si veda anche § 7). Giunse a Roma nella tarda antichità, al tempo di Costanzo II, per essere eretto nel Circo Massimo. La nuova sistemazione fu realizzata nel XVI secolo, sotto il pontificato di Sisto V (1588). 2. Obelisco flaminio. Attualmente in Piazza del Popolo, fu eretto originariamente a Eliopoli durante la XIX dinastia: esso porta iscrizioni di Sethi I e Ramesse II. Fu probabilmente il primo obelisco a raggiungere Roma, voluto da Augusto per essere collocato nel Circo Massimo. Venne poi nuovamente eretto al tempo di Sisto V in Piazza del Popolo, tuttavia la sistemazione attuale è Settecentesca e si deve al Valadier. 3. Obelisco sallustiano. L’obelisco che sovrasta scenograficamente la scalinata di Piazza di Spagna — ivi collocato nel Settecento al tempo di Pio VI — presenta una copia delle iscrizioni dell’obelisco flaminio: non sappiamo con certezza quando e perché essa fu realizzata. J.–Cl. Grenier ha supposto che l’imperatore Aureliano abbia voluto una copia di quello di Augusto per collocarlo in una sorta di galoppatoio nella sua residenza negli Horti Sallustiani: proprio in 84

quest’area l’obelisco fu ritrovato. L’ipotesi è stata avanzata per l’iscrizione incisa sulla base, che parla di una dedica al dio Sole e ricorda la conquista dell’Egitto: Aureliano, infatti, nel 272 riconquistò il paese che si era temporaneamente staccato dall’Impero Romano; secondo Grenier, egli avrebbe voluto dunque emulare Augusto nell’innalzare un obelisco come trofeo. Pur sembrando verosimile, l’ipotesi non trova alcun sostegno certo. 4. Obelisco di Montecitorio. Esso fu innalzato durante la XXVI dinastia a Eliopoli, porta infatti un’iscrizione di Psammetico II. Portato a Roma da Augusto, fu posto come gnomone dell’orologio solare nel Campo Marzio; esso fu nuovamente eretto sotto il pontificato di Pio VI nel 1792. 5. Obelisco del Pantheon. Originariamente innalzato in Eliopoli, presenta un’iscrizione di Ramesse II. Portato a Roma per far parte dell’arredo dell’Iseo Campense, fu nuovamente eretto al tempo di Clemente XI nel 1711. 6. Obelisco celimontano. Il monolite costituisce una coppia con quello del Pantheon, porta un’iscrizione di Ramesse II ed era in origine collocato in Eliopoli. Portato a Roma nell’Iseo Campense, dopo varie vicissitudini fu donato alla famiglia Mattei che lo eresse nei giardini della Villa Celimontana. 7. Obelisco di Dogali. Anche questo obelisco fu prelevato da Eliopoli, dove lo aveva eretto Ramesse II, e collocato nell’Iseo Campense. Eretto nuovamente in epoca moderna a commemorare gli eroi di Dogali, si trova nei giardini davanti alle Terme di Diocleziano, tra Piazza dei Cinquecento e Piazza della Repubblica. 8. Obelisco della Minerva. Anche questo obelisco proviene dall’area dell’Iseo Campense dove fu nuovamente eretto sotto papa Alessandro VII, nel 1657, con un progetto del Bernini che lo collocò sul famoso elefantino davanti alla chiesa di Santa Maria sopra Minerva. In origine era stato collocato a Sais dal faraone Apries (XXVI dinastia). 9. Obelisco di Piazza Navona. Eretto nel 1648, al tempo di Innocenzo X, sulla Fontana dei Fiumi del Bernini, fu ritrovato nella spina del circo nella Villa di Massenzio sull’Appia Antica, dove era stato col85

locato in età tardo–antica. L’obelisco era stato originariamente eretto non in Egitto ma in Roma stessa, nell’area dell’Iseo Campense, per volere di Domiziano. 10. Obelisco del Pincio. Anche questo obelisco fu iscritto ed eretto per volere di un Imperatore romano: Adriano lo fece iscrivere dopo la morte di Antinoo; l’iscrizione dice che fu posto presso la tomba del giovane divinizzato come Osirantinoo, nel “possedimento campestre del signore del potere (l’Imperatore) di Roma” (traduzione di E. M. Ciampini), e istituisce il culto della nuova divinità. Il monolite fu ritrovato presso la via Labicana, probabilmente in collocazione secondaria. La sua posizione originaria è oggetto di discussione così come l’ubicazione della tomba di Antinoo: alcuni studiosi (ad esempio Ph. Derchain ed E. Bresciani) hanno proposto che la tomba — e dunque l’obelisco — si trovasse a Villa Adriana (il “possedimento campestre”). J.–Cl. Grenier, invece, avendo restituito diversamente il testo geroglifico, ha ritenuto che “Roma” non stesse nell’iscrizione a specificare il titolo imperiale ma come complemento di luogo “in Roma”: di conseguenza F. Coarelli ha proposto che la tomba di Antinoo, e dunque l’obelisco, si trovassero nella Vigna Barberini presso il Palatino. Gli scavi recenti della Soprintendenza per il Lazio a Villa Adriana, che hanno ritrovato un’area probabilmente dedicata al culto di Antinoo (le indagini sono ancora in corso, pubblicate da Z. Mari), hanno rilevato l’impronta di un basamento che avrebbe potuto sostenere l’obelisco: i nuovi dati archeologici, dunque, potrebbero confermare la supposizione di Ph. Derchain ed E. Bresciani. 11. Obelisco vaticano. Pur essendo abitualmente considerato un obelisco anepigrafe, questo monolite portava in realtà due epigrafi latine che sono state poi scalpellate e sono appena leggibili: esse ricordano la collocazione dell’obelisco nel forum Iulii di Alessandria per ordine dell’imperatore da parte di Cornelio Gallo, quando questi era ancora praefectus fabrum. Questo personaggio, amico di Augusto, fu poi il primo Prefetto d’Egitto dopo l’annessione del paese all’Impero; la sua vicenda, sulla quale è tornato recentemente F. Costabile, ha ancora degli aspetti oscuri: destituito dall’incarico forse per aver osato troppo nell’affermare la propria autorità in Egitto, morì suicida. Il monolite fu poi portato a Roma sotto Caligola ed eretto nel Circo Vaticano, infine la sua collocazione davanti alla basilica di San Pietro avvenne per volontà di Sisto V nel 1586. 86

12. Obelisco dell’Esquilino. Il monolite anepigrafe era in coppia con quello dell’Esquilino davanti al mausoleo di Augusto, Sisto V lo fece innalzare in prossimità di Santa Maria Maggiore nel 1587. 13. Obelisco del Quirinale. Ritrovato dopo il suo compagno dell’Esquilino presso il mausoleo di Augusto, fu innalzato in Piazza del Quirinale tra le due statue dei Dioscuri — queste già collocate al tempo di Sisto V — sotto il pontificato di Pio VI nel 1786.

16. La riscoperta dell’Egitto a Roma La riscoperta dell’Egitto a Roma è avvenuta parallelamente a quella delle antichità della città: man mano che cresceva l’interesse per i reperti che da sempre affiorano dal terreno dell’Urbe, gli eruditi e gli artisti furono colpiti dalla presenza di oggetti che non appartenevano alla tradizione greco–romana. Già nel XIII secolo, nell’ambiente dei marmorari, furono utilizzati dei modelli come i leoni egizi che erano stati trovati in città (si veda § 13). Il Rinascimento fu un ulteriore periodo di interesse e gli artisti iniziarono a rappresentare anche aspetti della mitologia egizia, oltre a quella classica, temi comunque versati nello stile del tempo, come avviene nell’appartamento Borgia in Vaticano, dove il Pinturicchio rappresentò la pretesa ascendenza egizia della famiglia Borgia. Al tempo di Sisto V, l’interesse per gli obelischi fu messo al servizio dei nuovi impianti urbanistici e della visione pontificia del papa marchigiano. L’interesse per la civiltà egizia si intensificò nel XVII secolo, quando l’erudito Gesuita Atanasius Kircher, che abitava nel Collegio Romano della Compagnia di Gesù, proprio adiacente all’area dell’Iseo Campense, scrisse numerosi volumi per presentare le antichità egizie delle quali era a conoscenza e per illustrare le sue teorie sull’interpretazione dei geroglifici: anche se queste ultime sono molto fantasiose, ugualmente l’egittologia deve molto al p. Kircher, poiché ci ha lasciato numerose indicazioni su antichità egizie provenienti dalla città, e ora talvolta irreperibili, e anche per il suo sforzo di comprensione della lingua copta. Sempre nel Seicento, artisti ed eruditi, come Pietro Santi Bartoli e Giovanni Bellori, si interessarono anche delle antichità egizie ritrovate a Roma, e non solo di quelle greche e romane: i loro disegni e scritti restano delle preziose testimonianze, poiché videro cose che non possiamo più vedere. Intanto, si andavano sviluppando grandi collezioni presso i palazzi gentilizi, che comprendevano in alcuni casi anche antichità egizie. Nel Set87

tecento l’interesse per l’antichità vide l’impegno di personaggi di spicco: J.J. Winckelmann, al quale si deve una rinnovata visione dell’archeologia, nella sua storia dell’arte antica inserì un capitolo sull’arte egizia, illustrando antichità provenienti da Roma stessa; egli tuttavia mostra nei suoi scritti una comprensione limitata dell’arte dell’Egitto, per il fatto che la paragona a quella greca e la trova sempre uguale a se stessa, incapace di evoluzione. A G.B. Piranesi dobbiamo invece una difesa dell’arte egizia che si basa su una visione architettonica della stessa. Il Settecento vide dei Papi molto interessati alle antichità di Roma e anche a quelle egizie: Clemente XI, che governò agli inizi del secolo, fece collocare i colossi degli Horti Sallustiani (si veda § 5.2) in Campidoglio, eresse l’obelisco del Pantheon (si veda §15) e donò a Urbino, sua città natale, due frammenti di monoliti romani, ricomposti poi in un unico obelisco eretto davanti al Palazzo Ducale di quella città; Pio VI, che giunse alle soglie del secolo successivo, fece collocare obelischi, accogliere opere egizie in Vaticano, restaurarle, e forse pure creare sculture egittizzanti. Si formarono anche importanti collezioni, delle quali resta ancora quella ragguardevole di Villa Albani–Torlonia sulla Via Salaria. Intanto venivano create opere egittizzanti, come a Villa Borghese dove, tra Settecento e Ottocento, vennero realizzate decorazioni e costruzioni di stile egizio. Interessanti sono le posizioni di Carlo Fea, Commissario delle Antichità, e di Antonio Canova, Ispettore delle Belle Arti in Vaticano: ambedue dimostrarono interesse per le antichità egizie, nonostante esse siano lontane da quella naturalezza tanto apprezzata nell’arte classica: lo stesso Canova, che pure si ispirò a quest’ultima per la sue sculture, incoraggiò l’acquisizione da parte dei Musei Vaticani di opere egizie e scoraggiò l’esportazione di opere, come nel caso del Bes con la bulla (si veda § 14). Nel 1838, per volontà di Gregorio XVI, nei Musei Vaticani fu creata una sezione egizia — chiamata appunto Museo Gregoriano Egizio — e a ordinarla fu chiamato il Barnabita p. Luigi Ungarelli, uno dei primi italiani capaci di leggere i geroglifici dopo la scoperta di J.–Fr. Champollion che per primo aveva trovato la chiave per decifrarli. Luigi Ungarelli si dedicò anche alle iscrizioni degli obelischi romani e compose dei testi geroglifici: uno in onore di papa Gregorio XVI, leggibile ancora sulle pareti della I Sala del museo, l’altro per l’obelisco Torlonia, eretto dal principe Torlonia nella sua villa sulla Via Nomentana. Agli inizi del Novecento, il barone G. Barracco donò la sua magnifica collezione di scultura antica al Comune di Roma, che ne realizzò un museo, tuttora esistente — il Museo Barracco in Corso Vittorio Emanuele — al quale appartiene una bella sezione egizia. 88

17. Cronologia A scopo orientativo, si offre qui una tavola cronologica che segue, per l’antico Egitto, le grandi suddivisioni convenzionali per gli egittologi. La periodizzazione della storia dell’antico Egitto qui riportata è semplicemente orientativa; ovviamente più precisa è quella riguardante il periodo romano, del quale vengono riportati solo gli Imperatori nominati nel testo. Si offre anche una cronologia dei Papi citati. Antico Egitto Periodo Protodinastico (0–I–II dinastia) 3000–2650 a.C. Antico Regno (III–VI dinastia) 2650–2150 Primo Periodo Intermedio (VII–XI dinastia) 2150–2060 Medio Regno (XI–XII dinastia) 2060–1780 Secondo Periodo Intermedio (XIII–XVII dinastia) 1780–1550 Nuovo Regno (XVIII–XX dinastia) 1550–1075 Terzo Periodo Intermedio (XXI–XXIV dinastia) 1075– 745 Periodo Tardo (XXV–XXX dinastia) 745–332 Epoca greco–romana: — conquista di Alessandro Magno 332 — dinastia tolemaica 305–31 — battaglia di Azio (vittoria di Ottaviano su Marco Antonio e Cleopatra) 31 L’Impero Romano Ottaviano Augusto (Gaio Giulio Cesare Ottaviano) 27 a.C.–14 d.C. Tiberio (Tiberio Claudio Nerone) 14–37 Caligola (Gaio Giulio Cesare Germanico) 37–41 Claudio (Tiberio Claudio Druso Nerone) 41–54 Nerone (Tiberio Claudio Nerone Domiziano) 54–68 Vespasiano (Tito Flavio Vespasiano) 69–79 Tito (Tito Flavio Vespasiano) 79–81 Domiziano (Tito Flavio Domiziano) 81–96 Traiano (Marco Ulpio Nerva Traiano) 98–117 Adriano (Publio Elio Traiano Adriano) 117–138 Antonino Pio (Tito Elio Adriano Antonino Pio) 138–161 Marco Aurelio (Marco Aurelio Antonino) 161–180 Commodo (Marco Aurelio Commodo Antonino) 180–192 Settimio Severo (Lucio Settimio Severo) 193–211 Caracalla (Marco Aurelio Severo Antonino) 211–217 89

Aureliano (Lucio Domizio Aureliano) Costantino (Marco Aurelio Severo Antonino) Costanzo II (Flavio Giulio Costanzo) I Papi Sisto V (Felice Peretti) Innocenzo X (Giovanni Battista Pamphili) Alessandro VII (Fabio Chigi) Clemente XI (Giovanni Francesco Albani) Pio VI (Giannangelo Braschi) Gregorio XVI (Bartolomeo Alberto Cappellari)

270–275 306–337 337–361 1585–1590 1644–1655 1655–1667 1700–1721 1775–1779 1831–1846

18. Nota bibliografica Gli studi egittologici sugli oggetti egizi o egittizzanti trovati fuori dall’Egitto hanno avuto impulso dal lavoro di J. Leclant dalla metà del XX secolo. Si cita qui solo una bibliografia succinta che tiene conto, soprattutto, delle opere in italiano. Opere generali fondamentali sono i volumi di M. Malaise (Inventaire préliminaire des documents égyptiens découverts en Italie, Leiden 1972, EPRO 21; Les conditions de pénétration et de diffusion des cultes égyptiens en Italie, Leiden 1972, EPRO 22). Dello stesso autore esistono numerosi e importantissimi studi sparsi fino all’opera recente Pour une terminologie et une analyse des cultes isiaques, Bruxelles 2005. Importante è il recente atlante di L. Bricault, Atlas de la diffusion des cultes isiaques (IVe s. av. J.–C. – IVe s. apr. J.–C.), Paris 2001 (Mémoires de l’Accadémie des inscriptions et belles–lettres 23). Si veda inoltre: Hommages à J. Leclant, vol. III, Il Cairo 1994 (BdÉ 106); L’Egitto in Italia dall’antichità al Medioevo, Atti del III Congresso Internazionale Italo–Egiziano, Roma–Pompei 13–19 novembre 1995, a cura di N. Bonacasa et al., Roma 1998; Iside. Il mito, il mistero, la magia. Catalogo della mostra, Milano, Palazzo Reale, 22 febbraio – 1° giugno 1997, a cura di E. Arslan et al., Milano 1997. Altri cataloghi di mostre utili sull’argomento sono: Aurea Roma. Dalla città pagana alla città cristiana. Catalogo della mostra, Roma Palazzo delle Esposizioni, 22 dicembre 2000 – 20 aprile 2001, a cura di E. La Rocca – S. Ensoli, Roma 2000; Cleopatra regina d’Egitto. Catalogo della mostra, Roma Palazzo Ruspoli, 12 ottobre 2000 – 25 febbraio 2001, Milano 2000; Ägypten Griechenland Rom. Abwehr und Berührung, Städelsches Kunstinstitut und 90

Städtische Galerie 26. November 2005 – 26. Februar 2006, a cura di P.C. Bol et al., Francoforte 2005. Sulla città di Roma, sono fondamentali i volumi: A. Roullet, The Egyptian and Egyptianizing Monuments of Imperial Rome, Leiden 1972 (EPRO 20); G. Lollio Barberi – G. Parola – M.P. Toti, Le antichità egiziane di Roma imperiale, Roma 1995. Sull’Iseo Campense, si veda il libro di K. Lembke, Das Iseum Campense in Rom. Studie über den Isiskult unter Domitian, Heidelberg 1994 (Archäologie und Geschichte 3), ma anche studi sparsi tra i quali quelli di C. Alfano, S. Ensoli, e L. Sist qui citati nell’ultima lista bibliografica. Per i cataloghi delle collezioni romane, si veda: G. Botti – P. Romanelli, Le sculture del Museo Gregoriano Egizio, Città del Vaticano 1951; S. Curto, Le sculture egizie ed egittizzanti nelle Ville Torlonia in Roma, Leiden 1985 (EPRO 105); S. Ensoli Vittozzi, Musei Capitolini. La Collezione Egizia, Roma 1990; M. De Vos in Forschungen zur Villa Albani. Katalog der antiken Bildwerke, vol. IV, a cura di P.C. Bol, Berlin 1994, pp. 462–466; L. Sist, Museo Barracco. Arte egizia, Roma 1996; F. Manera – C. Mazza, Le collezioni egizie del Museo Nazionale Romano, Milano 2001; L. Sist in La scultura antica in Palazzo Altemps, a cura di M. De Angelis d’Ossat, Milano 2002. Sulla cosiddetta egittomania antica: M. de Vos, L’egittomania in pitture e mosaici romano–campani della prima età imperiale, Leiden 1980 (EPRO 84); S.H. Aufrère, Egyptomanisme et Egyptomanie: une tradition ininterrompue du “mythe” égyptien, in Chronique d’Égypte 72 (1997), pp. 25–40. Sull’egittomania moderna: J.–M. Humbert, L’égyptomanie dans l’art occidental, Paris 1989; Id., L’égyptomanie: actualité d’un concept de la Renaissance au postmodernisme, in Égyptomania. L’Égypte dans l’art occidental, 1730–1930. Catalogue de l’exposition, Paris – Musée du Louvre, 20 janvier – 18 avril 1994, Paris 1994. Per i vari studi sparsi, si cita una bibliografia per ordine alfabetico degli autori, fruibile attraverso le citazioni nel testo o gli argomenti. C. Alfano, L’Iseo Campense in Roma: relazione preliminare sui nuovi ritrovamenti, in L’Egitto in Italia dall’antichità al Medioevo, Atti del III Congresso Internazionale Italo–Egiziano, Roma–Pompei 13–19 novembre 1995, a cura di N. Bonacasa et al., Roma 1998, pp. 177–206. L. Bongrani, Le colonne “celate” dell’ Iseo–Serapeo Campense: i risultati di alcuni studi, in VI Congresso Internazionale di Egittologia. Torino 1–8 settembre 1991. Atti, Torino 1992, pp. 67–73. 91

D. Bonneau, Le dieu–Nil hors d’Égypte, in Hommages à J. Leclant, vol. III, Il Cairo 1994 (BdÉ 106), pp. 51–62. F.E. Brenk, A Gleaming Ray: Blessed Afterlife in the Mysteries, in Studies in honour of M. Marcovich, Illinois Classical Studies 18 (1993), pp. 149–164. —, The Isis Campensis of Katja Lembke, in Imago antiquitatis. Religions et iconographie du monde romain. Mélanges offerts à Robert Turcan, a cura di N. Blanc – A. Buisson, Paris 1999, pp. 133–143; —, Religion under Trajan: Plutarch’s resurrection of Osiris, in Sage and Emperor. Plutarch, Greek Intellectuals, and Roman Power in the Time of Trajan (98–117 A.D.), a cura di Ph. A. Stadter – L. Van der Stockt, Leuven 2002, pp. 73–92. —, Osirian Reflections. Second Thoughts on the Iseum Campense at Rome, in Hommages à Carl Deroux, a cura di P. Defosse, Bruxelles 2003 (Collection Latomus 277), pp. 291–301. E. Bresciani, Tra Egitto e Roma. Aspetti della cultura egiziana in rapporto col mondo romano, in Gli interscambi culturali e socio–economici fra l’Africa settentrionale e l’Europa mediterranea. Atti del Congresso Internazionale di Amalfi, 5–8 dicembre 1983, a cura di L. Serra, Napoli 1986, pp. 83–98. F. Castagnoli, Influenze alessandrine nell’urbanistica della Roma augustea, in Alessandria e il mondo ellenistico–romano, Roma 1983–1984, vol. III, pp. 520–526. G. Capriotti Vittozzi, Bes dal Quirinale a Piazza Vittorio. Alia Aegyptiaca Romana, in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma 100 (1999), pp. 155–165. —, Note sulla comprensione dell’Egitto nel mondo romano, in Rivista storica dell’Antichità 30 (2000), pp. 121–139. —, Un nouveau relief égyptien de Rome, in L’Égypte à Rome. Actes du Colloque International, Caen 28–30 novembre 2002, a cura di Fr. Lecocq, Caen 2005 (Cahiers MHRS 41), pp. 137–145. —, L’imperatore Adriano e la religione egizia alla luce delle recenti scoperte, in Potere e religione nel mondo indo–mediterraneo tra Ellenismo e tarda antichità. Atti dell’Incontro di studio della Società Italiana di Storia delle Religioni, Roma – ISIAO 28–29 ottobre 2004, in stampa. —, Una statua di Bes al Museo Gregoriano Egizio, in Bollettino Monumenti Musei e Gallerie Pontificie, in stampa. —, Note sull’interpretatio dell’Egitto nel Medioevo. Leoni e sfingi nella Roma medievale, in Imagines et iura personarum nell’Egitto antico. Atti del IX Convegno Internazionale di Egittologia e Papirologia per i novanta anni di Sergio Donadoni, Palermo 10–13 novembre 2004, in stampa. 92

—, Aegyptiaca Romana. Kircheriana nova, in Nile into Tiber. Egypt in the Roman world, 200 BC – AD 400. Convegno internazionale a Leida, 11–14 maggio 2005, in stampa; —, Una sfinge a Villa Adriana, in www.archaeogate.org. —, Il dio Ptah e un cinocefalo verde da Boccea, in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma, in stampa. —, Elementi egizi nel Codice Ottoboniano Latino 3105, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, in stampa. G. Carettoni, Terracotte “Campana” dallo scavo di Apollo Palatino, in Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia 44 (1971–1972), pp. 123–139. E.M. Ciampini, Gli obelischi iscritti di Roma, Roma 2004. F. Coarelli, Delta. Cesare, Iside e il “nilo” del Campo Marzio, in Studi in memoria di L. Guerrini, a cura di M.G. Picozzi e F. Carinci, Roma 1996 (Studi Miscellanei 30), pp. 191–195. —, Il santuario della Fortuna Primigenia, struttura e funzioni cultuali, in Urbanistica e architettura dell’antica Praeneste. Atti del Convegno Studi archeologici, Palestrina 1988, Palestrina 1989, pp. 115–135. —, Iside e Fortuna a Pompei e Palestrina, in Alla ricerca di Iside. Atti della Giornata di studi, Napoli 4 giugno1993, Parola del Passato 49 (1994), pp. 119–129. F. Costabile, Le Res Gestae di C. Cornelius Gallus nella trilingue di Philae. Nuove letture e interpretazioni, in Minima epigraphica et papyrologica a. IV fasc. 6 (2001), pp. 297–330 S. Curto, Statua egittizzante nel Museo delle Terme, in Studien zur altägyptischen Kultur 6 (1978), pp. 55–61. —, Luigi Ungarelli: l’egittologia romana, in L’Egitto dal mito all’egittologia, a cura di S. Donadoni, S. Curto, A.M. Donadoni Roveri, Milano 1990, pp. 145–152. E. van’t Dack, Les relations entre l’Égypte ptolémaïque et l’ Italie. Un aperçu des personnages revenant ou venant d’ Alexandrie ou d’Égypte en Italie, in Egypt and the Hellenistic World. Proceedings of International Colloquium, Leuven 24–26 May 1982, a cura di E. van ‘t Dack et al., Leuven 1983, pp. 383–406 W.A. Daszewski, Il paesaggio nell’Egitto greco–romano, in Tra le palme del Piceno: Egitto, Terra del Nilo. Catalogo della mostra a San Benedetto del Tronto, 14 luglio – 30 ottobre 2002, a cura di Alessandro Roccati e Giuseppina Capriotti Vittozzi, Poggibonsi 2002, pp. 22–25. F. De Salvia, La figura del mago egizio nella tradizione letteraria greco–romana, in La magia in Egitto ai tempi dei Faraoni. Atti del Convegno 93

Internazionale di Studi, Milano 29–31 ottobre 1985, a cura di A. Roccati, Milano 1987, pp. 343–365. —, «Horo sui coccodrilli» nella Roma costantiniana, in Intellectual Heritage of Egypt. Studies presented to L. Kákosy, Budapest 1992 (StAeg XIV), pp. 509–517. Ph. Derchain, Le dernier obélisque, Bruxelles 1987. —, Un projet d’empereur, in Ägypten im afro–orientalischen Kontext. Gedenschrift Peter Beherens, a cura di D. Mendel, U. Claudi, Köln 1991, pp. 109–124. M. De Vos, Dionysus, Hylas e Isis sui monti di Roma. Tre monumenti con decorazione parietale in Roma antica (Palatino, Quirinale, Oppio), Roma 1997. S. Donadoni, L’Egitto dell’Età Barocca, in L’Egitto dal mito all’egittologia, a cura di S. Donadoni, S. Curto, A.M. Donadoni Roveri, Milano 1990, pp. 61–73. —, L’Egitto nel Settecento, in L’Egitto dal mito all’egittologia, a cura di S. Donadoni, S. Curto, A.M. Donadoni Roveri, Milano 1990, pp. 74–103. S. Ensoli, I santuari isiaci a Roma e i contesti non cultuali: religione pubblica, devozioni private e impiego ideologico del culto, in Iside. Il mito, il mistero, la magia. Catalogo della mostra, Milano – Palazzo Reale, 22 febbraio – 1 giugno 1997, a cura di E. Arslan et al., Milano 1997, pp. 306–321. P. Gallo, I babbuini di Thot il toro: da Busiri al Campidoglio, in Revue d’Égyptologie 42 (1991), pp. 256–260. J.–Cl. Grenier, F. Coarelli, La tombe d’Antinoüs à Rome, in Mélanges de l’École Française de Rome. Antiquité 98.1 (1986), pp. 217–253. —, Notes isiaques I, in Bollettino Monumenti Musei e Gallerie Pontificie IX (1989), pp. 5–40. —, La décoration statuaire du “Serapeum” du “Canope” de la Villa Adriana, Roma 1990 (=Mélanges de l’École Française de Rome. Antiquité 101, 1989, 925–1019). —, À propos d’un bas–relief égyptisant du Museo Gregoriano Egizio, in L’Afrique, la Gaule, la Religion à l’epoque romaine. Mélanges à la mémoire de M. Le Glay, a cura di Y. Le Bohec et al., Bruxelles 1994, pp. 669–674. K.J. Hartswick, The Gardens of Sallust. A Changing Landscape, Austin 2004. E. Iversen, Egypt in classical antiquity, in Hommages à J. Leclant, vol. III, Il Cairo 1994 (BdÉ 106), pp. 195–305. 94

E. La Rocca, The Colossal Herms at Villa Borghese and the Temple of Hermes/Thoth: a Chapter of Religious History at the Time of Marcus Aurelius, in stampa. M. Malaise, Statues égyptiennes naophores et cultes isiaques, in Bulletin de la Société d’Égyptologie de Genève XXVI (2004), pp. 63–80. Z. Mari, L’Antinoeion di Villa Adriana : risultati della prima campagna di scavo, in Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia 75 (2002–2003), pp. 145–185. —, L’Antinoeion di Villa Adriana : risultati della seconda campagna di scavo, in Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia 76 (2003–2004), pp. 263–314. A. Mastrocinque, Studi sul mitraismo, Roma 1998 (Historica 4), pp. 81–92. S. Pernigotti, I monumenti egiziani ritrovati in Italia: aspetti di una problematica, in Gli interscambi culturali e socio–economici fra l’Africa settentrionale e l’Europa mediterranea. Atti del Congresso Internazionale di Amalfi, 5–8 dicembre 1983, a cura di L. Serra, Napoli 1986, pp. 249–259. A. Roccati, Nuove epigrafi greche e latine da File, in Hommages à M.J. Vermaseren, III, a cura di M.B. de Boer – T.A. Eldridge, Leiden 1978 (EPRO 68), pp. 988–996. —, Egitto e Italia al tempo dell’impero romano: modi e problemi di un confronto culturale, in L’Egitto in Italia dall’antichità al Medioevo, Atti del III Congresso Internazionale Italo–Egiziano, Roma – Pompei 13–19 novembre 1995, a cura di N. Bonacasa et al., Roma 1998, pp. 491–496. L. Sist, L’Iseo–Serapeo Campense, in Iside. Il mito, il mistero, la magia. Catalogo della mostra, Milano – Palazzo Reale, 22 febbraio – 1 giugno 1997, a cura di E. Arslan et al., Milano 1997, pp. 297–305. R. Taylor, Hadrian’s Serapeum in Rome, in American Journal of Archaeology 108 (2004), pp. 223–166. R.A. Wild, Water in the cultic worship of Isis and Serapis, Leiden 1981 (EPRO 87).

19. Referenze per le fotografie e i disegni Fig. 1: Tra le palme del Piceno: Egitto, Terra del Nilo. Catalogo della mostra a San Benedetto del Tronto, 14 luglio – 30 ottobre 2002, a cura di Alessandro Roccati e Giuseppina Capriotti Vittozzi, Poggibonsi 2002, p. 23. Fig. 2: Ibid., p. 24. 95

Fig. 3: G.G. Bottari, Musei Capitolini tomus tertius, Roma 1755, tav. 90. Fig. 4: W. Westendorf, Das Alte Ägypten, München s.d., p. 163. Fig. 6: disegno elaborato da Giuseppina Capriotti Vittozzi. Fig. 7: Bottari, Musei Capitolini, op. cit., tav. 73. Fig. 8: M.A. de La Chausse, Romanum Museum sive Thesaurus eruditae antiquitatis, t. I, Roma 1690. Fig. 9: B. de Montfaucon, L’antiquité expliqueée et représentée en figures, vol. II. 2, Paris 1719, t. II, tav. 126. Fig. 10: foto Comune di Treia. Fig. 11: Iside. Il mito, il mistero, la magia. Catalogo della mostra, Milano – Palazzo Reale, 22 febbraio – 1 giugno 1997, a cura di E. Arslan et al., Milano 1997, p. 319. Fig. 12: Montfaucon, L’antiquité expliqueée, op. cit., t. II, tav. 118. Fig. 13: Bottari, Musei Capitolini, op. cit., tav. 82. Fig. 14: Ibid., tav. 86. Fig. 15: La Chausse, Romanum Museum, op. cit. Fig. 17: Bottari, Musei Capitolini, op. cit., tav. 85. Fig. 18: H. Junker, Der grosse Pylon des Tempels der Isis in Philä, Wien 1958, fig. 38. Fig. 19: foto Giuseppina Capriotti Vittozzi. Fig. 20: F. Coarelli, Delta. Cesare, Iside e il “nilo” del Campo Marzio, in Studi in memoria di L. Guerrini, a cura di M.G. Picozzi e F. Carinci, Roma 1996 (Studi Miscellanei 30), p. 192 fig. 1. Fig. 21: G. Carettoni, Terracotte “Campana” dallo scavo di Apollo Palatino, in Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia 44 (1971–1972), p. 133, fig. 7. Fig. 22: M. Malaise, Inventaire préliminaire des documents égyptiens découverts en Italie, Leiden 1972, EPRO 21, tav. 29. Fig. 23: K. Lembke, Das Iseum Campense in Rom. Studie über den Isiskult unter Domitian, Heidelberg 1994 (Archäologie und Geschichte 3), tav. 36.1. Fig. 24: Bottari, Musei Capitolini, op. cit., tav. 76. Fig. 25: A. Kircher, Oedipus Aegyptiacus, t. III, Roma 1654, p. 487. Fig. 26: Ibid., p. 497. Fig. 27: Cleopatra regina d’Egitto, Catalogo della mostra, Roma Palazzo Ruspoli 12 ottobre 2000 – 25 febbraio 2001, Milano 2000, p. 100. Fig. 28: H.W. Müller, Il culto di Iside nell’antica Benevento, Benevento 1971, tav. XIX. Fig. 29: Junker, Der grosse Pylon, op. cit., fig. 158. Fig. 30: F. Manera – C. Mazza, Le collezioni egizie del Museo Nazionale Romano, Milano 2001, p. 112. 96

Fig. 31: S. Ensoli Vittozzi, Musei Capitolini. La Collezione Egizia, Roma 1990, p. 61. Figg. 32–33–34: foto Giuseppina Capriotti Vittozzi. Fig. 35: L. Roccheggiani, Raccolta di cento tavole rappresentanti i costumi religiosi, civili e militari degli antichi Egiziani, Etruschi, Greci, e Romani tratti dagli antichi monumenti per uso de’ Professori delle Belle Arti, Roma 1804, t. 2, tav. 20. Fig. 37: A. Roullet, The Egyptian and Egyptianizing Monuments of Imperial Rome, Leiden 1972 (EPRO 20), p. 348. Fig. 38: Ensoli Vittozzi, Musei Capitolini, op. cit., p. 67. Fig. 39: Lembke, Das Iseum Campense, op. cit., tav. 20.2. Fig. 41: Manera–Mazza, Le collezioni egizie, op. cit., p. 56. Fig. 42: Junker, Der grosse Pylon, op. cit., fig. 149. Fig. 43: C.L. Visconti, Del Larario e del Mitreo scoperti nell’Esquilino presso la chiesa di San Martino ai Monti, in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma 13 (1885), tav. IV. Fig. 44: Iside. Il mito, il mistero, la magia, op. cit., p. 587. Fig. 45: Manera – Mazza, Le collezioni egizie, op. cit., p. 109. Figg. 46–47–48–49–50–51: foto Michele Domenico Vittozzi. Fig. 52: disegno Giuseppina Capriotti Vittozzi. Fig. 53: foto Michele Domenico Vittozzi. Fig. 54: Cleopatra regina d’Egitto, op. cit., p. 245. Fig. 55: disegno elaborato da Giuseppina Capriotti Vittozzi.

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