Le lettere pastorali. La lettera a Tito [III] 9788839405807

Il destinatario della lettera è Tito, "pastore" della chiesa di Creta. La lettera tratta nella prima parte (1,

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Italian, Greek Pages 272/261 [261] Year 1999

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Le lettere pastorali. La lettera a Tito [III]
 9788839405807

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COMMENTARIO TEOLOGICO DEL NUOVO TESTAMENTO Fondato da Alfred Wikenhauser t continuato da Anton Vogtle e Rudolf Schn'ackenburg A CURA DI

Joachim Gnilka e Lorenz Oberlinner

/

VOLUME XI 2.

Le lettere pastorali TOMO III

La lettera a Tito

COMMENTARIO TEOLOGICO DEL NUOVO TESTAMENTO

Le lettere pastorali TOMO TERZO

La lettera a Tito Testo greco e traduzione Commento di

LoRENZ 0BERLINNER

Traduzione italiana di PAOLA FLORIOLI

Edizione italiana a cura di MoNICA NEGRI

PAIDEIA EDITRICE BRESCIA

Titolo originale dell'opera:

Die Pastoralbriefe

Dritte Folge: Kommentar zum Titusbrief Auslegung von Lorenz Oberlinner

Traduzione italiana di Paola Florioli Revisione di Monica Negri

@ Verlag Herder, Freiburg im Breisgau 1996 @ Paideia Editrice, Brescia 1999

ISBN 88.394·0580.1

PREMESSA

Come già si è spiegato nella premessa al commento alla prima lettera a Timoteo, non è stato possibile, per vari motivi, pub­ blicare il commento alle lettere pastorali in un unico volume co­ me si era progettato: si può tuttavia notare, a favore della sud­ divisione in tre tomi, che in questo modo viene meglio rispec­ chiata la tecnica compositiva dell'autore. D 'altronde nella let­ tera a Tito si ritrovano le stesse problematiche e le stesse «rispo­ ste» dello Pseudo-Paolo che compaiono anche nella prima e se­ conda lettera a Timoteo, e la loro comune struttura tematica consente di considerare, nei tre excursus inseriti in quest 'ultimo tomo, le due lettere a Timoteo e la lettera a Tito come un 'unità concepita in quanto tale dall'autore (come già si è detto nell'in­ troduzione alla prima a Timoteo ). Riguardo a questi excursus, è da dire che essi saranno pro­ babilmente giudicati in modo diverso da/lettore, a seconda del­ le proprie aspettative: qualcuno li troverà troppo ampi, dato che non ci si limita alle lettere pastorali, ma si stabiliscono alcuni collegamenti incrociati con la letteratura neotestamentaria; per altri sarà proprio questo punto a dar luogo a critiche, perché ad esempio nell'excursus sulla cristologia - lo sguardo si soffer­ ma appena sull'insieme dell'annuncio neotestamentario e in particolare su Paolo, oppure perché - nell'excursus su comuni­ tà, ministero e chiesa - non sono stati presi in considerazione anche gli scritti all'incirca contemporanei dei «Padri apostoli­ ci», in particolare le lettere di Ignazio. Ma proprio in quest'am­ bito tematico (l'organizzazione comunitaria del primo cristia­ nesimo) l'inclusione di tali fonti avrebbe senso soltanto se se ne definisse in modo più preciso l'inquadramento storico, il che e­ sulerebbe dai limiti di quest'opera. /)evo ancora una volta ringraziare le mie collaboratrici e i

8

Premessa

miei collaboratori per il concreto aiuto che mi hanno prestato nella stesura di questo volume: il Dr. Gerd Hafner, la Dr. Ca­ rola Diebold-Scheuermann, la Sig.ra Barbara Herrmann, di­ plomata in teologia, e la Sig. ra Corinna Lienhart, diploman­ da in teologia. Ringrazio inoltre la Sig.ra Ingeborg Walter per l'accuratezza e precisione della redazione dattiloscritta. Il Sig. Diedrich Steen, consulente dell'Editrice Herder, con la sua sal­ da pazienza e abilità organizzativa mi è stato d'insostituibile aiuto nell'approntare il testo per la stampa. Mia moglie Ruth e nostra figlia Beate non mi hanno fatto mancare il loro sostegno paziente e il loro incoraggiamento nel superare ostacoli d'ogni sorta, e di questo le ringrazio. Il secondo tomo poté essere dedicato al mio stimato maestro Anton Vogtle per il suo 85° compleanno, il 17 dicembre 1995; dopo la sua morte, avvenuta il 17 marzo 1996, resta ora di lui un grato ricordo. Frei burg i.Br ., otto b re 1 996.

LORENZ 0BERLINNER

TESTI E BIBLIOGRAFIA

L a b i bl iografi a c h e segue comp l eta gli el ench i bi bl iografi ci ch e si trova­ no ne l primo e secon d o tomo d i questo commento all e lettere pastoral i (CTNT XI/ 2. I, pp. 9-2 I e XI/2.2, pp. I 1 - I4). A.

Fonti Didache. Zwolf-Apostel-Lehre, tr. e intr. a cura d i G. Sch o ll gen (FC 1 ) (Frei burg i.Br. I99 I)

B. Bibliografia generale Bei l ner, W.- Ernst, M., Unter dem Wort Gottes. Theologie aus dem Neu­ en Testament (Th aur-Wien-Miinc h en I993) 799-8 1 2. Hau beck , W. - Sie b ent h al , H. v., Neuer sprachlicher Schlussel zum grie­ chischen Neuen Testament. Romer bis Offenbarung (Giessen 1 994). Klauck, H.-J., Die religiose Umwelt des Urchristentums, II. Herrscher­ und Kaiserkult, Philosophie, Gnosis (Kohlh ammer-Studien b iic h er T h eol ogie 9,2} (Stuttgart 1 996). Metzger, B.M., A Textual Commentary on the Greek New Testament (Stuttgart 2 1 994). Stegemann, E.W. - Stegemann, W., Urchristliche Sozialgeschichte. Die Anfiinge im Judentum und die Christengemeinden in der mediterra­ nen Welt (Stuttgart I99 5 ). Strec kcr, G., Theologie des Neuen Testaments, ed . riv. e aumentata a c. di F.W. Horn (Berl in I996) 607-62 5 . Vouga, F., Geschichte des fruhen Christentums (liTB 1 733) (Tiib ingen­ Base l 1 994). (�.

Commenti Marc hese ll i-Casal e, C., Le Lettere pastorali. Le due lettere a Timoteo e la lettera a Tito (SOCr 1 5) (Bol ogna 1 99 5 ). Towncr, Ph .H., 1-2 Timothy & Titus, The IVPNew Testament Commentary Series (I llinois-L eicester 1994). D.

Altri studi 8rox, N., Der erste Petrusbrief(EKK XXI) (Ziiric h -Neu kirch en I979). Brucc, F.F., The Pauline Circle (Exeter 1 98 5).

IO

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Ulteriori saggi su singoli passi di 1 Tim. e 2 Tim. Fowl, S.E., The Story of Christ in the Ethics of Paul. An Analysis of the Function of the Hymnic Material in the Pauline Corpus (JSNT.S 36) (S heffìeld I 990) 1 5 5-194 (su r Tim. 3 , I 6 b]. Kleinig, J.W. Scripture and the Exclusion of Women from the Pastorate: LTJ 29 (199 5 ) 74-8 1 . I 23-I 29 [su r Tim. 2, 1 1 - 1 5]. Low, M., Can Woman Teach? A Consideration ofArguments from Tim. 2.1I-15: Trinity Th eo l ogical journal 3 ( 1 994) 99- 1 23 .

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II

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Testo, traduzione e commento

I. INTESTAZIONE (1,1-4) 1 IIauÀoc; òouÀoc; .Stou, à7toa'toÀoc; òè: 'IY)aou Xpta'tou xa'tà 7tta'tt v Èx­ Àtx'twv .Stou xaì. È7ttyvwatv àÀY).Sdcxc; 'ti)c; xa't'eùaé�ttav 1 È1t'ÈÀ1ttÒt l:w­ i)c; alwvlou, �v È7t'r)'fYEtÀt:x'tO b à�euò�c; .Seòc; 7tpÒ vovwv alwvlwv, 3 Èrpa­ vépwatv ÒÈ: xatpotc; lòtotc; 'tÒv Àoyov aÒ'tou èv XY)fUJ)'IJ-CX'tt, o È7tta'teu-8Y)v èyw xa't'è7tt'tay�v 'tou aw'ti)poc; i}!J-WV .Seou, 4 Tt'tcp yvl)at� 'tÉxvcp xa'tà XOt v�v 1tta'ttV' xaptc; xaì. elp�VY) tX7tÒ .Seou 7tCX'tpÒc; xaì. Xpta'tOU 'I Y)aOU 'tOU aw'tijpoc; i}!J-WV . 1

1 1 Pao l o, servo d i D i o e aposto l o d i Gesù Cristo secon d o l a fed e d eg l i el etti d i Dio e l a conoscenza d ell a verità conforme a ll a pietà, 2 nell a spe­ ranza d ell a vita eterna c h e Di o, il qual e non mente, h a promesso fi n d ai tempi eterni . 3 Ma ne i tempi c h e l ui h a stabili to per questo h a mani fe­ stato l a sua paro l a ne ll a proc l amazione, de ll a qua l e i o sono stato incari ­ cato secon d o l'ordine di Dio, nostro sa lvatore. 4 A Tito, il fi gl io l egitt i ­ mo per l a fede comune, grazia e pace d a D i o Pad re e d a Cristo Gesù, no­ stro salvatore.

I

Come nelle due lettere a Timoteo e in sostanziale accordo con i prescritti delle lettere di Paolo, all'inizio l'autore fa per­ venire al destinatario Tito i saluti e l'augurio dell'apostolo. Ri­ spetto a 1 e 2 Tim. l'introduzione della lettera è articolata più diffusamente, sia nella presentazione (fittizia) che Paolo fa di sé e per il modo in cui è definita la sua autorità, sia nella descri­ zione del compito che si affida al destinatario Tito. 1

Sorpren d e l a concord anza con i l prescritto d e ll a l ettera ai Romani (Rom. 1,1 -7) soprattutto per la pro li ss ità con cui vi ene d escritta l a funzione di "Pao l o». Vi è tuttavia una differenza fond amental e: mentre ne l prescrit1. Per le differenze tra il prescritto di Tit. e quelli di r e 2 Tim. da una parte e le con­ cordan;r.c con i prescritti delle lettere ai Romani e ai Galati dall'altra, cfr. G. Lohfink, 1'hcologie 71-79·

16

Tit.

I,I-4

to di Rom. l ' i ndi cazi one d el tema eùayyÉÀtov -8eoij viene u lteri ormente amp l iata i n Rom. I ,J s.l da lla ripresa di una «predi cazi one cri sto l ogi ca» attrib ui ta all 'appe ll ativo «F i gli o di D io», per cui s i pone l 'accento su ll a cri stol ogi a, 3 ne l prescri tto di Tit. s i mettono in rili evo il serviz i o, l 'el e­ zi one e il man d ato de ll 'aposto l o Pao l o, ponendo così i n pri mo p i ano l a relazi one personal e tra l 'apostol o e il suo successore.4 Sotto questo aspetto vi è una stretta ana l ogi a con l a l ettera ai Galati , nell a qual e Pao l o, i n dotto d all e controvers ie sull ' illi m itata validi tà d el suo vangelo d ell a giustifi cazione de ll 'uomo sol o per fed e, senza opere d ell a l egge (cfr. Gal. 2, I 6), rib adi sce all o stesso mod o, con una ri cch ezza di par­ ti co l ari sorpren d ente ri spetto all e altre l ettere, l a propri a pos i zi one di a­ postol o l egi tti mato d a Gesù Cri sto e d a D io (cfr. Gal. I,I.I 1 s.). Vi è po i un'u lter i ore co i ncid enza con il prescri tto di Gal. : come i n Gal. 1 ,4 l a con fess i one d el dono ch e Gesù h a fatto di sé per i nostri peccati anti ci pa uno dei tem i principal i d ell a l ettera, così nel prescri tto di Tit. s i i ntro du­ cono concett i soteri olog ic i c h e avranno pi ù amp i o sviluppo nel segui to (cfr. Tit. 2, 1 1 - 1 4; J,J-7).s

Ma la divergenza del prescritto di Tit. rispetto a I e 2 Tim. va valutata a partire dalla supposizione che le lettere pastorali siano state concepite, scritte e anche tramandate come un cor­ pus epistolare perfettamente omogeneo. I termini impiegati qui appartengono alla terminologia tipica delle pastorali: fede ( 7tta­ 'tt�) e pietà (EùaÉ�Eta) sono ripetutamente menzionate come se­ gno distintivo sia dei membri delle comunità ortodosse sia di coloro che in esse ricoprono ruoli di responsabilità.6 Per sulla volontà di Paolo; all'autore preme «ricondurre l'organizzazione comunitaria cui egli aspi­ ra al discepolo di Paolo e dunque, alla fin fine, a Paolo stes­ so»/ Ciò non esclude che l'autore intendesse dare particolare risalto all'episcopo, e che perciò il massimo interesse sia rivol­ to alle due figure che si trovano all'inizio e alla fine dello svi­ luppo ecclesiologico: l'apostolo Paolo e l'episcopo. A «Tito» e ai presbiteri spetta un ruolo di intermediari. 8 3· Cfr. al riguardo la presentazione comparata in Ph.H. Towner, Goa/ 115-237· 4· J. Roloff, I Tim. 1 so. «Per la sua posizione nel testo,. lo specchio dell'episcopo di Tit. 1 7 9 sarebbe «facilmente riconoscibile come citazione». 5 · Cfr. W. Thiessen, Ephesus 196, il quale con buone ragioni si esprime a sfavore della tesi della «frattura» tra i vv. 5 s. e i vv. 7-9. 6. J. Roloff, I Tim. 1 5 0. Cfr. anche Y. Redalié, Pau/ 34 1-343· 7· H. Merkel, Past. 90. 8. R.A. Campbell, Elders 191, fa comunque osservare: «We may also wonder why a writer wanting to lead a church from elders to overseers should begin by saying that the purpose of the letter is that the addressee should appoint elders». C'è da aggiun­ gere che: a) i presbiteri nelle comunità cristiane delle lettere pastorali svolgono (anco­ ra) un ruolo di rilievo (cfr. I Tim. 5 , 1 7), e b) si è potuto illustrare lo sviluppo dell'or­ ganizzazione comunitaria dai presbiteri fino all'(unico) episcopo proprio con l'espo­ sizione di Tit. 1 ,6-9. ,

-

Tit. I , J-9

35

La pericope Tit. 1 , 5-9 svolge, attraverso asserzioni fonda­ mentali sulla legittimazione di strutture ecclesiologiche, la fun­ zione di introdurre i problemi nodali della prassi comunitaria. Tramite Tito i presbiteri e l'episcopo vengono legittimati - nel rispetto delle condizioni di cui sopra - come capi e guide inse­ diati da Paolo stesso. Ma loro compito specifico è la lotta con­ tro gli eretici, menzionati per la prima volta al v. 9 e poi descrit­ ti diffusamente nei vv. 1 0- 1 6.9 II 5· L'indicazione della situazione in cui si trova il destinatario

(fittizio) e la definizione dei suoi compiti ricordano 1 Tim. 1 , 3, e sono parimenti scritte dal punto di vista di O(J.OtW(J.tX"tt -tou -Ba\fa-tou aù-tou, tÌ.ÀÀCÌ xat -t'il� à\faa-taae:w� Èao(J.e:-Ba) (Rom. 6,5 ; cfr. il me desi mo co ll egamento tra l 'aori­ sto «siamo stati sepo l ti» [au\fE'tcXq>l')(J.E\f] e il futuro «camm i neremo in no­ vi tà di vi ta» [È\f xat\fO'tl}"tt �wl)� 7tEpt7ta't�aW(J.E\f] anc h e al v. 4). Nonostan­ te l 'i mp i ego d el futuro nell a secon d a parte d ell a frase è evidente c h e que­ sta speranza espressa per il futuro trova fon damento ne ll a certezza c h e il cri st i ano «nel b attesi mo (è) morto al peccato e (cond uce) gi à ora una nuova vi ta» .9 Ma a differenza d egli ereti ci d e ll e l ettere pastorali, per P ao­ l o l a «tÌ.\faa-taat� dei cri st ian i » ri s i ed e ancora ne l futuro. Io L'u lt i mo passo verso un' « interpretazione sp i rituali st ica d ell a termi no­ l ogi a ap ocali tti ca de ll a ri surrezi one» è po i comp i uto dall 'autore di Col. I I In Col. 2, 1 1 - 1 3 (e di conseguenza anch e i n Eph. 2, 5 s.) il b attezzato v i e­ ne d.e fi n ito colu i c. h e non sol o è morto con Cristo, ma è anc h e ri . come . ' l l _O suscitato 1ns1eme con l u1 (au\f-taq>E\f"tE� ... xat au\fl'))'Epvl')"tE... ) . I l su Il a stessa li nea s i trova anch e l a pos i z ione citata i n 2 Tim. 2, 1 8, c h e ora però vi e­ ne contestata come fal sa d ottri na. IJ I l parall el o a vol te i st i tu i to tra il punto di vi sta degli ereti ci d e ll e l ette­ re pastorali e una corrispon dente entus iast i ca consapevol ezza di red en­ zi one i n alcun i mem bri d ell a comunità di Cori nto contro cui si rivo l ge­ rebb e Pao lo i n I Cor. 1 5 1 4 va messo in di scuss i one sull a b ase di I Cor. Certo, nei cristi an i di Cori nto s i può i pot i zzare una «consapevolezza sa l ­ vifi ca nel presente» (cfr. I Cor. 1 -4); tuttavi a questa non s i b asa su ll a convi nz i one d ell a risurrez ione gi à avvenuta. 1 s G. Sellin, Streit 254. Sellin (op. cit. , n. 98) non riesce a scorgere «alcuna riserva esca­ tologica di fronte a un entusiasmo misterico-teologico». 10. Cfr. G. Sellin, Auferstehung 230: «La nuova vita è presente dal momento del bat­ tesimo. Resta invece ancora nel futuro l'à:vt:la-rt:tatc; dei cristiani». 1 1 . Cfr. G. Sellin, Streit 37, n. 46; Idem, A uferstehung 2J0-2JJ· 1 2. Cfr. G. Haufe, Irrlehre 3 28. A proposito di questo «sviluppo• in CoL ed Eph. cfr. A.J.M. Wedderburn, Baptism 70-84; E. Schlarb, Lehre I I O - I 12. IJ. Cfr. al riguardo W. Liitgert, lrrlehrer 58: «Questa eresia e il suo irrompere nella co­ munità cristiana si spiegano se si considera che essa è sorta dalla predicazione paolina, secondo la quale la comunità è già risorta insieme con Cristo». 1 4. Cfr. G. Haufe, Irrlehre 3 28: la dottrina delle lettere pastorali per cui la risurrezio­ ne sarebbe già avvenuta corrisponderebbe «quasi esattamente alla concezione spiritua­ listica contro cui si rivolge già Paolo in 1 Cor. 1 5». Similmente anche W. Harnisch, 9·

Existenz 101. 1J·

Cfr. G . Sellin, Streit � 4 (23 -30). I cnegatori della risurrezione», attaccati d a Paolo

8o

Excursus

Dal momento c h e l e due li nee di sv il uppo, sostanz i al mente equ ival en­ ti , d ell a teol ogi a b attesi mal e paoli na di Rom. 6,4 i n Col. 2, 1 2 s. (cfr. J,I ed Eph. 2, 5 s.) e 2 Tim. 2, 1 8 sono state gi u di cate i n mod o tanto contra­ stante, l a sp i egazi one ch e vi vede l 'all ontanamento d all a fed e e d all a ve­ r ità può essere cons id erata so l o nell e conseguenze ch e ne di scend ono.

In accordo con A. Lindemann occorre stabilire due punti fermi: primo, l' «idea di una risurrezione già avvenuta» senz'al­ tro non è da ritenersi diretta contro Paolo, e poteva anche «es­ sere sostenuta senza alcun collegamento con idee gnostiche» (Lindemann rimanda qui ad A et. Pl. et Thecl. 1 4); secondo, ri­ guardo alla questione della presenza di una concezione gnosti­ ca, che con ciò non si può considerare esclusa, è il contesto a decidere. 1 6 La medesima idea di una risurrezione che si fa presente già qui e ora distingue anche il pensiero gnostico. 1 7 K . Rudolph de­ finisce la «risurrezione» «un concetto particolarmente caratte­ ristico della gnosi nell'ambito dell'escatologia individuale». Es­ sa però si differenzia dalla speranza cristiana di risurrezione co­ me sostenuta ad esempio da Paolo in due aspetti essenziali: '8 primo, non si può concepire la risurrezione come risurrezione fisico-terrena dai morti, perché la carne in quanto materia è destinata a perire; secondo, la risurrezione non è un evento fu­ turo trascendente, ma si realizza nel presente, e precisamente nella conoscenza di ciò che costituisce la vocazione dell'uomo. Così ad esempi o nel Vangelo di Filippo (NHC II/J) 90a è scri tto: «Quan­ ti sostengono c h e pri ma mori ranno e (so l o po i) r isusc i teranno s i s ba­ gli ano. Se non ri cevono pri ma l a risurrezi one, mentre ancora sono i n vi in 1 Cor. I 5, non sostenevano «l'idea che la risurrezione fosse già avvenuta; tutt'al più si tratta di spiritualisti che rifiutavano una risurrezione fisica» (D. Zeller, Mysterien­ kulte 5 3). Anche A.J.M. Wedderburn, Baptism 6-37, conclude la rassegna delle inter­ pretazioni proposte per spiegare la posizione di coloro che negano la risurrezione in r Cor. I 5 con questo giudizio: « ... the view that the Corinthians held the belief re­ jected in 2 Tim 2. I 8, that their resurrection had already taken piace (in baptism), is not the only possibility, and indeed is not even the best possibility, for solving the problems of this chapter». 16. A. Lindemann, Paulus 1 48, che così conclude: cii carattere globale delle lettere potrebbe fornire sostegno all'ipotesi che siano state scritte per difendersi da 'paolini' eterodossi». I7. Cfr. al riguardo anche il commento a 2 Tim. 2, I 8. 1 8. K. Rudolph, Gnosis 207-2 I 3 .

Gli eretici nelle comunità delle lettere pastorali

81

ta, quan do mori ranno non riceveranno nu ll a» . 19 Nel Trattato sulla risur­ rezione, red atto i n forma di l ettera i ndi ri zzata a un certo Regi no, l 'auto­ re esorta così il d est inatari o: «Lì b erati d all e divis i oni (i n questo mon d o) e d all e catene, e avrai l a ri surrez i one» (NHC I/4 49, 1 5 s.). 20 Questa pos i ­ z i one degli gnostici è citata e al tempo stesso cri ticata anc h e d ai Padri d ell a c hi esa. A d es. lreneo, Haer. 2,3 1 ,.1, scrive a propos i to dei seguac i di S i mone (cfr. Act. 8,9) e di un certo Carpocrate (cfr. lren., Haer. I ,2 s ): « Per l oro l a risurrezione d ai morti è.. . l a conoscenza di c iò c h e chi ama­ no verità».

Questa nuova definizione contenutistica della fede (giudeo-) cristiana nella risurrezione, insieme al conseguente dovere di attendere la parusia, riguarda una prospettiva fondamentale del­ la fede cristiana, come mostrano le riflessioni sull'escatologia che da Paolo (cfr. I Thess. 4 , I J - I 8; 5 , 1 - 1 1 ) arrivano fino alla 2 Petr. (cfr. J,J- I J ) . Ne consegue perciò che ulteriori caratteristi­ che dell'atteggiamento, presente nelle comunità cristiane, com­ battuto come eretico dalle lettere pastorali, andranno valutate in base a questo contesto. 3· Esigenze ascetiche

Quanto alla prassi concreta di fede e di vita dei membri di comunità accusati di apostasia dalle pastorali, l'autore fornisce questa descrizione: «essi vietano di sposarsi e (impongono) di astenersi da cibi» ( I Tim. 4 ,3 ) . In relazione con il tentativo - di cui s'è detto - di privare di significato escatologico la fede nel­ la risurrezione, tali pretese acquistano grande importanza. La vita di coloro che vivono in questa sfera di redenzione donata e perfetta non può essere uguale a una esistenza soggetta alle condizioni di questo mondo, soprattutto per ciò che riguarda l'impulso sessuale e la necessità di prendere cibo. Un altro sguar do a Pao lo mostra ch e s i m ili id ee su ll o stil e di vita cristi a­ no non erano estranee all e comun ità dell 'epoca p iù anti ca. E. Sc hl arb for19· Cit. da W. Schneemelcher, Apokryphen I 166 ( 1 48- I 73). Cfr. al riguardo J.M. Robinson, Gnosticism and the New Testament: Gnosis (Festschrift H. Jonas), ed. B. Aland (Gottingen 1 978) 1 2 5 - 143 = 1 3 1 . 10. Ci t. in K. Rudolph, Gnosis 2 10. Su questo scritto gnostico cfr. M.L. Peel, Gnosis u. Auferstehung. Der Briefan Rhegin us von Nag Hammadi (NeukirchenfVluyn 1 974).

Excursus mu la drasticamente questo concetto affermand o c h e « l a pretesa d el celi ­ b ato e d ell 'astensione d al ci b o in r Tim. 4,3» ricord ere bbe «nell e paro le c h iave ya!J-Etv e �PW!.J-a l a trattazione presentata in r Cor. 6-8. 10 su for­ nicazione, matrimonio e carne immol ata agl i i d o l i - esse appaiono quas i un compendio d i questo comp l esso d i tematich e». 2 1

N ella concezione del primo cristianesimo rinuncia al m atri­ monio e rinuncia ad assumere determinati cibi potevano esse­ re segno distintivo di una persona tutta ricolma del 7tVEU[J-a di Dio e del 7tvEU[J-a di Cristo. Di conseguenza risulta possibile os­ servare anche nel movimento protocristiano la linea di una pras­ si rigorista, che si è ripercossa sui giudizi dell'autore dell' Apo­ calisse; egli conosce sia il divieto di mangiare determinati cibi (in particolare carne immolata agli idoli) (cfr. Apoc. 2, 1 4 .20), sia la preferenza accordata al celibato (cfr. Apo c. 1 4,4 ). 2 1 Se si considera questo rapporto con la storia della tradizio­ ne si spiega benissimo il modo in cui a questo punto l'autore espone la propria controargomentazione. Egli prende spunto dalla teologia della creazione: Dio ha creato ogni cosa, e tutto ciò che Dio ha creato è buono ( 1 Tim. 4 ,3 s.). A un primo sguar­ do questa argomentazione cade nel vuoto, perché dal punto di vista giudaico (che resta determinante anche per la tradizione cristiana) la bontà della creazione non è in contrasto con il di­ vieto di mangiare determinati cibi né con la pretesa di un'asti­ nenza sessuale (almeno limitata nel tempo). Con queste premes­ se diventa improponibile una controargomentazione che clas­ sifichi chiaramente come eretica la posizione di cui sopra ri­ spetto al matrimonio e a determinati cibi. La posizione con­ traria assunta dall'autore - Dio ha creato gli alimenti perché l'uomo se ne cibi, e anzi tutto ciò che ha creato Dio è buono ­ non può essere considerata una soluzione di ripiego, ma pun­ ta al nocciolo stesso della valutazione di mondo e materia. Di fronte a un atteggiamento fondamentalmente ostile alla crea­ zione e alla materia, che caratterizza questa cerchia, le pastora21.

E. Schlarb, Lehre I 24; cfr. 1 24-1 29. 22. Cfr. U.B. Miiller, Theologiegeschichte 62-66. Non bisogna tuttavia interpretare ta­ le concordanza nel senso che i maestri della legge delle lettere pastorali vanno attribui­ ti al «movimento itinerante giudeocristiano».

Gli eretici nelle comunità delle lettere pastorali

li ribadiscono che la bontà di tutta la creazione è tale perché corrisponde alla volontà di Dio. Ecco il punto cruciale: è in discussione la definizione del rapporto tra il mondo terreno, creato, e Dio. Che l'autore sottolinei per due volte l'affinità tra Dio e mondo creato (v. 3 : ò -8eòç ex'ttcrev; v. 4: 1tav X'ttcr(J-a .fJe:ou xaÀ.ov) può essere spiegato col fatto che alcuni cristiani avevano messo in dubbio proprio quest'affinità.13 Il diritto della teologia rappresentata dalle lettere pastorali è fondato perché questa posizione è sostenuta da coloro che sono arriva­ ti alla «fede» e alla «conoscenza della verità>> ( I Tim. 4 , 3 b ) . Vi­ ceversa, i rappresentanti dell'ideale rigorista vengono giudicati apostati (cfr. v. 1 ) . È perlomeno sorprendente che nella sua replica l'autore si limiti ad affrontare il tema «cibo». Certo si può far presente che con I Tim. 2, 14 s. ritenesse concluso il tema del celibato/4 tuttavia la rinuncia a una qualsivoglia presa di posizione nel contesto di I Tim. 4 ha anche altri motivi. Il punto di partenza di queste forme di religiosità può essere variamente stabilito. In conformità con i presupposti fondamentali della storia del­ la tradizione, si deve per prima cosa pensare alla tradizione paolina. La questione di matrimonio e celibato svolge un ruo­ lo importante nelle lettere di Paolo. Anche se non gli si può attribuire una valutazione negativa del matrimonio, 15 Paolo, sulla base della propria esperienza di vita e a causa dell'immi­ nenza della parusia, accorda la preferenza al celibato (cfr. I Cor. 7).26 E sicuramente vi furono cristiani che si richiamavano a Paolo per il loro rifiuto del matrimonio. Un'approvazione e­ splicita del matrimonio o addirittura una sua posizione privi2J. Cfr. J. Roloff, r Tim. 230, che parla di un atteggiamento fondamentalmente ostile a creazione e materia da parte degli avversari delle lettere pastorali. 24. Cfr. E. Schlarb, Lehre 92. 2 J . Per W. Liitgert, lrrlehrer J s, la differenza rispetto alle affermazioni di Paolo sul matrimonio è che gli eretici «vietano il matrimonio come qualcosa di peccaminoso». 26. Cfr. E. Schlarb, Lehre 1 25 s. Questa «preferenza accordata da Paolo al celibato» è comunque legata al rifiuto di una posizione sostenuta nella comunità di Corinto (cfr. v. 1 h: «è bene per Puomo non toccare donna•}, secondo la quale l'astensione sessuale, e perciò anche il celibato, era «segno della beatitudine già ottenuta» (cfr. H. Merklei , • Es ist gut fur den Menschen, eine Frau nicht anzufassen». Paulus und die Sexualitii t nach r Kor 7, in Studien zu Paulus (Tiibingen 1987] 3 8 s -4o8 : 390. 404-406}.

Excursus

legiata rispetto al celibato avrebbe messo l'autore troppo pale­ .semente in conflitto con la tradizione paolina. Ma in altri passi egli fa capire chiaramente che considera normale il matrimonio anche di funzionari (cfr. I Tim. 3,4. 1 2; Tit. 1,6; I Tim. 5 , 1 4). Riguardo alla possibilità di una motivazione autenticamen­ te cristiana, si può istituire un confronto con la situazione re­ lativa al divieto di mangiare determinati cibi. Anche se Paolo non conosce questa forma di limitata ammissione di cibi per i cristiani, tuttavia l'ampia discussione da lui sviluppata sul ci­ barsi della carne immolata agli idoli (Rom. 1 4; I Cor. 8; 10, 1 41 1 , 1 ) poteva portare a sentire come un problema fondamenta­ le la questione se la specificità cristiana non dovesse manife­ starsi anche in quest'aspetto della vita quotidiana. I membri delle comunità cristiane che esigevano una simile ascesi alimentare e sessuale potevano ritenersi dei «buoni pao­ linisti»/7 e cercare di legittimare le loro posizioni teologiche come proseguimento coerente del pensiero paolino. 28 Quest' at­ teggiamento critico e in parte distaccato nei confronti delle con­ dizioni di vita del mondo terreno poteva anche accordarsi mol­ to bene con lo slogan di cui sopra, ritenuto caratteristico degli avversari delle pastorali, secondo il quale la risurrezione è già divenuta realtà (2 Tim. 2, 1 8).19 Ecco allora ripresentarsi il problema già incontrato in 2 Tim. �, 1 8: la posizione di questi cristiani, citata dall'autore, può an­ che essere estremista e presuntuosa,3 0 ma è forse giustificata 27. Cfr. L.R. Donelson, Pseudepigraphy 1 24. Cfr. anche W. Thiessen, Christen 3 29 s., ,il quale parla «(prudentemente)» di «paolinismo» da entrambe le parti, per gli avversa­ ri e per le lettere pastorali, ma poi lascia in sospeso «se per gli avversari del1e lettere pa­ storali» - perché poi solo per loro ?! - «tale cpaolinismo' fosse (genuino' o strategico». :z8. Cfr. G. Haufe, Irrleh re 3 30 s. È convinzione di D.R. MacDonald, Legend S 7-S9 (cfr. 54-77), che l'autore assuma consapevolmente una posizione contraria al1a tradi­ �ione paolina qui come in altri passi, che successivamente verranno raccolti negli Ac­ ta Pauli e in particolare nel racconto sugli «Atti di Paolo e Tecla» (cfr. al riguardo W. Schneemelcher, Apo kryphen n 193-243, spec. 2 1 6-224) (cfr. MacDonald, op. cit. 97). 29. Cfr. E. Schlarb, Lehre 1 33 : «Sessualità e certi piaceri della tavola non fanno più per chi nel battesimo è stato reso partecipe della risurrezione . . . ». 30. Cfr. U. Bianchi, Gesichtspunkte zur Erforschung der Ursprunge der Gnosis: Gno­ sis und Gnostizismus 707-748: 742 s.: la convinzione di fede che Cristo è risuscitato dai morti, i credenti partecipano di questa risurrezione e quindi il matrimonio dovreb-

Gli eretici nelle comunità delle lettere pastorali

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l'accusa, rivolta ai credenti che seguono queste regole di vita, di «essersi allontanati dalla fede», di seguire «spiriti inganna­ tori e insegnamenti di demoni» (come l'autore - adeguandosi alla situazione fittizia - fa predire a «Paolo» per il futuro in 1 Tim. 4, 1 ) ? Occorre perciò interrogarsi sul contesto, sulla dottrina teo­ logica all'interno della quale si trovano questi ideali ascetici. Com'è ovvio, per fare ciò si prenderà come base e ambito d'in­ dagine il patrimonio ideale gnostico. Gli elementi che sono poi diventati caratteristici dei sistemi gnostici di epoca succes­ siva - che valutando in modo indubbiamente negativo la mate­ ria, la corporeità e la sessualità esigevano dall'uomo pio, libe­ rato da queste condizioni e da questi vincoli, il distacco da es­ se3 • - non hanno certo avuto origine ad hoc, ma hanno una storia significativa. Il pericolo per le comunità cristiane di tali idee di stampo gnostico era che in alcune riflessioni si eviden­ ziavano aspetti comuni, perlo meno a livello strutturale, con po­ sizioni del cristianesimo primitivo. Il passaggio da Paolo all'in­ terpretazione gnostica, ad esempio di matrimonio e alimenta­ zione, poteva da alcuni cristiani essere inteso e giustificato co­ me un progresso nella conoscenza auspicato da Paolo.31 be essere abolito, sarebbe «una concezione cristiana estremista comunque respinta da Tim. .z, I 8•. 3 I . Al riguardo bisogna ricordare soprattutto le descrizioni degli apologeti del primo cristianesimo, i cui scritti, malgrado la loro parzialità polemica, riferiscono in modo corretto le affermazioni nodali del pensiero gnostico. Così Ireneo, Haer. I ,24,2, scri­ ve di un certo Saturnino: «A proposito di matrimonio e procreazione costui afferma che vengono da Satana. La maggior parte dei suoi seguaci non mangia carne». Simil­ mente anche Epifanio, Pan. 45,2, 1 ; Clem. Alex., Strom. 3 , 1 2,2 (cfr. al riguardo K. Ru­ dolph, Gnosis 266; 277). Ciò è confermato dagli scritti gnostici di Nag Hammadi (cfr. M. Wolter, Pastoralbriefe 25 8): Test. Ver. NHC Ix/J, 29,22-)o, I 8 (cfr. al riguardo K. Koschorke, Polemik 1 10- I 27: «Una rigida ascesi sessuale si manifesta ... come nucleo centrale del rifiuto del mondo voluto da Test. Ver. . . . • [I 1 6); « ... la pretesa di una rigi­ da castità [può] essere considerata caratteristica dominante del movimento gnostico»); Lib. Thom. NHC II/7, I 4J , IO- I 2 («Guai a voi, che riponete la speranza nella carne e nella prigione che perirà. .. • ); 1 44,8- 10 («Guai a voi che amate i rapporti con le donne e la loro compagnia impudica•) (traduzione secondo W. Schneemelcher, Apokryphen 1 203; cfr. I 92-204). Questo Libro di Tommaso è per H.A. Green, Origins 232, «the most asceti c tractate found at Nag Hammadi». Quanto all' «ascesi sessuale dello gno­ sticismo primitivo• cfr. anche K. Niederwimmer, Askese 208-2 19. 3 2 . Anche Ph.H. Towner, Gnosis I04- 109, vede un collegamento tra le tendenze asce2

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Excursus

Ch e l a storia degli e ffetti dell a teol ogi a paolina non fosse priva di tens i o­ ni è quanto mostra l 'autore di 2 Petr. quan do accenna ch e « i gnoranti e insta bili» «travi sano» ciò ch e P ao l o h a scritto nell e sue l ettere «su que­ ste cose» - nel contesto d ell a 2 Petr., tuttavi a, si parl a dell e affermazioni di P ao l o su ll a parusia o anc h e su grazia, gi usti fi caz i one e l i bertà - «secon­ d o l a sap i enza ch e gli è stata con ferita» (3, 1 5 s.). C h e la trattazione de l tema «parus i a» d a parte di Paol o (ad es. nell e affermazi oni sull 'attesa pross i ma di Rom. I J, I I s.; I 6,20j I Cor. 7,29; Phil. 4,s; I Thess. 4, 1 s) a b ­ bi a creato tanti pro bl em i anc h e e soprattutto al suo i nterprete «ortod os­ so>> 33 è certo una ragi one d eci siva perc hé anch e i n questo scri tto pseu­ d ep i grafo l 'autore si accontenti di un verdetto gl o bal e su ll ' «eseges i pao­ lina avversari a». 4·

Influsso giudaico e giudeocristiano

L'influsso di idee giudaiche e giudeocristiane sembra con­ fermato da molteplici riferimenti.34 Degli avversari è detto che provengono anche dal giudaismo (Éx 'tlJ> (olxovo(J.OUç (J.Ucr"tl)ptwv .Seou). È improbabile che le pastorali dipendano da questo passo della lettera ai Corinti. n Per le pastorali, il significato di olxovo(J.Oç come definizione di una funzione è in linea con l'ecclesiologia ispirata alla vita do­ mestica. Come il padrone di casa governa sulla comunità dome­ stica, così l'episcopo ha pieni poteri sulla comunità cristiana. Tale connessione viene esplicitamente istituita nell'elenco dei requisiti per i ministri: l'episcopo deve «dirigere bene» la pro­ pria casa; solo così egli sarà in grado di prendersi cura della chiesa di Dio (I Tim. 3,4 s.). 34 E anche dai diaconi si esige che «sappiano dirigere bene i propri figli e la propria casa» (3 , I 2 ) . Dal collegamento stabilito tra autorità nella casa e nella comunità emerge chiaramente che l'autore delle pastorali intendeva applicare in senso este­ so alle comunità le condizioni di vita della famiglia. E qui non bisogna dimenticare che il padrone di casa aveva la responsabilità di tutta la co­ munità domestica.J S

La necessità di una guida forte per la comunità nasce tra l'altro dalla comparsa di falsi maestri. In analogia col mandato di «Timoteo» (I Tim. I ,J), uno dei compiti più importanti del capo di comunità è quello di imporre la parola conforme alla dottrina di fronte a quei membri della comunità che si trovano «in contraddizione» ( àv"tt ÀÉyov"tec;) con la dottrina sana o che non si sottomettono (àvu1to"tax"tot) (Tit. 1,9 s. ) . 36 Ciò porta a considerare un altro punto di vista. 33· H. v. Lips, Glaube 148, ritiene tuttavia che sia stata ripresa una «terminologia già tradizionalmente cristiana». 34· Per F.M. Young, Theology 103 , la metafora dell'amministrazione domestica è di «importanza fondamentale per la comprensione dei doveri dell'episcopo»: dotato dell'autorità di Dio, egli deve amministrare la chiesa come «casa di Dio», vegliando sulla condotta dei suoi membri, provvedendo alla diffusione della sana dottrina e al-;;­ l'ordine nelle assemblee liturgiche, nonché a relazioni rispettose e ordinate tra i mem­ bri della casa di rango differente». 3 S · Il verbo itpota-taa.z9at (dirigere) definisce non solo l'autorità assoluta del padrone di casa, ma anche la sua «responsabilità nei confronti dell'intera comunità» (H. v. Lips, Glaube 1 3 1). 36. «In a situation where the faith was endangered by doctrinal errors, it was only nat-

c) Obbedienza e sottomissione come segni della retta fede Come per gli altri membri della famiglia, così anche per i membri della comunità il riconoscimento esplicito della strut­ tura dell'oikos comporta l'obbligo alla sottomissione e all' ob­ bedienza nei rispettivi confronti del padrone di casa e del capo della comunità. Così i due piani, famiglia e comunità, conflui­ scono spesso l'uno nell'altro. Il motivo per cui si richiede agli schiavi di obbedire ai loro padroni è in Tit. 2,9 s. e I Tim 6,1 la loro responsabilità che il nome di Dio e la dottrina non su­ biscano affronti. L'attitudine a svolgere un ministero nella co­ munità è dimostrata dalla sottomissione dei figli nella famiglia ( I Tim. 3 ,4; Tit. 1 ,6). Dalle donne si esige insistentemente la sottomissione ai loro mariti (Tit. 2, 5; I Tim 2, 1 I) ; inoltre vie­ ne loro espressamente proibito di assumersi la responsabilità della predicazione ( I Tim. 2, 1 2), mentre vengono richiamate al loro ruolo tradizionale di donne di casa e madri (Tit. 2,4: C(t­ Ào't'e:xvot; 2,5 : olxoupyot; I Tim 2,1 s = la loro salvezza è nel gene­ .rare figli; 5 , 14: le vedove più giovani devono risposarsi, mette­ re al mondo figli e governare la casa).37 Le «strutture gerarchi­ che patriarcali» delle grandi comunità domestiche dell'antichi­ tà 38 con l'ovvio riconoscimento della superiore autorità del «padrone di casa» (olxoÒEartO'tl}�) 39 vengono applicate alla vita comunitaria e sanzionate teologicamente dal collegamento con la lotta antieretica. L'equazione dà qui un risultato particolar­ mente funesto: mancanza di sottomissione apostasia. .

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ural that great stress would be placed on the ministry of teaching and preaching. • Q.P. Meier, Presbyteros 3 2 8). Cfr. anche R. Schnackenburg, Kirche 89 s. 37· Cfr. H. v. Lips, Glaube 1 2.1; E. Schlarb, Lehre 3 19 s. 3 8. E. Schiissler Fiorenza, Anfange 76. 39· Cfr. le affermazioni di F. Laub, Begegnung 3 1 : «la struttura sociale deWoikos o familia poggia principalmente sulla piena autorità dell'oikodespotes, del paterfami­ lias, per cui i concetti di sottomissione e superiorità sono parte sostanziale della casa' nel senso antico•. Che l'autore non utilizzi il termine olxo8Ea7to-tl}c; è dovuto all'attri­ buzione dell'autorità del capo di comunità, che è per lui centrale e che trova espres­ sione nella locuzione olxovo(J.oc; -B-Eou (cfr. Tit. 1,7}. ..



d) Interdizione della comunità ?

Anche le pastorali trattano delle comunità, della loro fede e delle questioni della vita che le agitano. A differenza delle let­ tere paoline, tuttavia, qui non sono più i membri della comu­ nità a essere interpellati direttamente. Il destinatario (fittizio) è il discepolo dell'apostolo, il quale riceve da Paolo le direttive che per la responsabilità affidatagli deve mettere in atto lui per­ sonalmente o deve trasmettere alla comunità. La comunità non è più interlocutore diretto, bensì «oggetto» riguardo al quale si tratta e si decide.40 Le tendenze verso un' «interdizione» del­ la comunità sono innegabili. 4 1 4·

I ministri nelle comunità delle lettere pastorali

Se si tenta di descrivere i ministri delle pastorali e le loro mansioni come le loro relazioni reciproche sulla base dei dati delle tre «lettere», ci si trova di fronte un problema: l'autore non parla di una situazione di fatto. Le sue «lettere» sono piut­ tosto il tentativo di imporre nelle comunità cristiane, in una fase del loro sviluppo ancora aperta a più direzioni, un pro­ gramma definito in modo chiaro, anche se non esclusivo, dai capi operanti su mandato di «Paolo».42 E questo stesso tenta­ tivo non è in primo luogo il risultato di una riflessione teolo­ gica ecclesiologica, bensì in larga misura la reazione a una pro­ blematica interna alla comunità, ossia la comparsa nelle comu­ nità (e in parte anche fuori di esse) di uomini e donne cristiani accusati di eresia e apostasia. Tale collegamento tra l'insedia­ mento di presbiteri ed episcopo e la lotta all'eresia viene espli­ citamente istituito in Tit. 1, 5 -9.43 In questo contesto vanno inquadrate le affermazioni delle lettere pastorali riguardo i vari gruppi di persone o le singole 40. Cfr.

P. Hoffmann, Priestertum s o. Per P. Hoffmann, Priestertum s o, l'cinterdizione della comunità» è legata alla «concentrazione sul ministero direttivo». 42. Cfr. E. Schiissler Fiorenza, Anfiinge 77· 43 · Cfr. al riguardo l'ampia esposizione di W. Thiessen, Christen 292-29 5 · 41.

112

Excursus

persone che vengono menzionati come responsabili della vita e della fede delle comunità cristiane. Si tratta dei presbiteri, del­ l'episcopo, degli uomini e donne operanti come diaconi e (in modo limitato) delle vedove. a) I presbiteri I . Bisogna partire dall'istituzione, attestata nelle comunità giudaiche, di presbiteri che vengono nominati in quanto membri delle magistrature locali (cfr. Iudith 6, I 6.2 I ; 7,23; 8, I o; I o,6} o del sinedrio a Gerusalem­ me, e dunque in quanto rappresentanti del popolo Israele (cfr. 1 Mach. 7,33; I I ,23; I 2,3 5; 2 Mach. I 4,37; spesso anche nel Nuovo Testamento, ad es. Mc. 8,3 I par.; Act. 4, 5.8.23; 6, 1 2 ) .44 L'alta considerazione per il lo­ ro ruolo ha fatto sì che questi presbiteri, che ricoprivano posizioni di re­ sponsabilità, contribuissero a determinare in misura considerevole le funzioni legate alla sinagoga (cfr. Le. 7,3; l'iscrizione di Teodoto CIJ II 1 404}.4s La cosiddetta «tradizione degli antichi» (7tapaòocnç "t'wv 7tpta�u­ "t'tpwv) (Mc. 7,3 . 5 par. Mt. I 5,2} ricorre invece alla definizione 7tpEa�u"tt­ pot per indicare i «detentori della tradizione dottrinale autorevole».46 In età neotestamentaria e protocristiana la definizione presbyteros as­ sume dunque nelle comunità giudaiche un significato che include sia la responsabilità per la vita della comunità (nel suo complesso, riferita al po­ polo, o più in piccolo, riferita alla comunità locale), sia la responsabilità per la trasmissione e l'interpretazione della tradizione di fede. 4 7 44· Cfr. al riguardo W. Michaelis, Altestenam t 9-2 I ; G. Bornkamm, ThWNT VI 66o s.; M. Karrer, Altestenamt 1 57-170; R.A. Campbell, Elders 20-66. 4 s. Cfr. W. Schrage, ThWNT VII 8 I I s. L 'iscrizione sinagogale di T eodoto, rinvenuta a Gerusalemme, risale secondo A. Deissmann, Licht vom Osten (Tiibingen 4 1 923) 3783 80, all'epoca precedente il 70 d.C. Egli la definisce «importantissima dimostrazione dell'impiego del titolo di presbitero in una comunità sinagogale giudaica di età apo­ stolica». Tale datazione, tuttavia, è discussa (cfr. al riguardo H.C. Kee, Defining the First-Century CE Synagogue: Problems and Progress: NTS 41 [ I 99 S] 48 I - soo). - R. A . Campbell, Elders 44-5 4, sottolinea che nelle sinagoghe i presbiteri non ricopriva­ no un ruolo istituzionalizzato, ufficiale. «Gli anziani dirigevano le sinagoghe, ma non lo facevano in quanto anziani della sinagoga. Dirigevano le sinagoghe perché guida­ vano la comunità, e questo non sulla base di una carica che ricoprivano, bensì per il posto d'onore che occupavano come uomini stimati provenienti dalle famiglie tradi­ zionalmente più potenti» (op. cit. 54). 46. G. Bornkamm, ThWNT VI 65 4. Come mostra il versetto introduttivo di Mc. 7, 1 par. Mt. 1 5 , 1 , gli evangelisti mettono quest'uso in relazione con l'interpretazione del­ la torà di Mosè da parte dei dottori della legge farisei (J. Rohde, EWNT III 3 5 7 s.). 47· Cfr. M. Karrer, Altestenamt I 66 s.: «Anziano nella responsabilità giuridica e reli­ giosa per Israele in quanto compartecipe dello spirito disceso su Mosè, saggio nella trasmissione e interpretazione della torà, infine autorità escatologica a più livelli ... ».

Comunità, ministero e chiesa

II3

2.. La menzione di presbiteri in comunità cristiane, sicura­ mente non casuale in scritti neotestamentari più tardivi (oltre alle lettere pastorali: Act. I I ,3o; I 4,23; I 5,2.4.6.22.23; I 6,4; 20, I 7; 2. I ,I 8; lac. 5 ,I4; I Petr. 5 , 1 . 5 ) va valutata tenendo conto di questa posizione di spicco dei 7tpe:cr �u"te:pot nelle comunità giu­ daiche.48 A ogni modo neanche dalla testimonianza degli Atti degli Apostoli si deduce che nella comunità gerosolimitana e in altre comunità giudeocristiane già nei primi tempi si fosse formata come organo direttivo un'analoga congregazione di presbiteri; le testimonianze di Act. I I ,3o; I 4,23 ; 2o, I 7 rispec­ chiano infatti la situazione di comunità etnicocristiane del tem­ po di Luca,49 e anche quando si narra che durante il cosiddet­ to «concilio apostolico» la direzione della comunità di Geru­ salemme era affidata a «presbiteri» a fianco degli apostoli (cfr. A et. I 5 ,4.6.22 s.), tale modo di presentare le cose va ascritto (come dimostra anche il confronto con Gal. 2, I - I o) all'inter­ vento redazionale dell'autore degli Atti degli Apostoli. 5° Inol­ tre, le differenti azioni dei presbiteri negli Atti degli Apostoli non consentono di riconoscere una chiara definizione delle competenze spettanti al collegio dei presbiteri. Dai loro com­ piti e dalla menzione di presbiteri in Iac. 5 , 1 4 e I Petr. 5 , 1 . 5 si deduce che le comunità cristiane - e non solo quelle di stampo giudeocristiano della Palestina - avevano un gruppo dirigente che, con la qualifica 7tpe:cr �u"te:pot, aveva ripreso una tradiziona­ le formulazione giudaica. Le competenze e i compiti di questo gruppo di persone, tuttavia, non erano ancora chiaramente sta­ biliti né definiti.51 48. Cfr. H. v. Campenhausen, Amt 85 s.; H. Giesen, Dienst 23; H. Merkel, Past. 90; J. Ysebaert, Amtsterminologie 1 1 3 s. 49· Cfr. H. Giesen, Dienst 2 3 . so. J. Roloff, 1 Tim. 1 7 1 ; ritiene invece probabile che le comunità giudeocristiane del­ la Palestina «iniziassero presto a essere governate da una congregazione di anziani»; a suo parere è altrettanto «atten�ibile» che «la comunità gerosolimitana ali, epoca del concilio apostolico avesse un ordine di anziani». p. È dubbio se i presbiteri di lac. 5 , 1 4 e 1 Petr. 5 , 1 -4 possano essere già definiti «una solida istituzione» (così H. Giesen, Dienst 23 s.). È comunque eccessivo quanto sostie­ ne J.T. Burtchaell, Synagogue 293, per il quale le testimonianze neotestamentarie (ac­ canto a quelle già ricordate di Act. , lac. e 1 Petr. , l'autodefinizione del mittente della lettera in 2 lo. 1 e J lo. 1, come in Ph il. e 1 Thess. ) e le indicazioni dei Padri apostolici

1 14

Excursus

3 . Quanto detto finora vale anche per le lettere pastorali. L'autore nomina i presbiteri una volta in I Tim. 5 , 1 7 (cfr. an­ che v. 19), in relazione a un accenno al loro servizio di predi­ cazione e insegnamento (xo7ttWV'tEc; Èv Àoy(fl xat ÒtÒacrxaÀtCf); come «collegio», per I Tim. 4, 1 4 hanno contribuito con l'im­ posizione delle mani a ordinare Timoteo. 5 2 «Tito» riceve poi il mandato di insediare presbiteri in ogni città dell'isola di Cre­ ta (Tit. 1, 5 ) , anche se poi sulle loro mansioni non si dice nulla di preciso - a meno che non si considerino le istruzioni im­ partite all'episcopo nei vv. 7-9 (preoccuparsi della retta dottri­ na; respingere gli eretici). Che anche per i presbiteri si ricorra al termine «dirigere» ( 7tpotcr'tacr.Sat) da una parte evidenzia una certa continuità con le descrizioni delle attività comunitarie di Paolo (cfr. I Thess. 5 , 1 2; Rom. 1 2,8), dall'altra - a differenza di Paolo - pone chiaramente i presbiteri al di sopra degli altri membri della comunità,S3 ma anche sullo stesso piano dell'e­ piscopo e dei diaconi (cfr. I Tim. 3,4 s 1 2 ) .

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4· Se si confronta la descrizione delle mansioni dei presbite­ ri nelle lettere pastorali con le indicazioni degli altri scritti neo­ testamentari, essa si presenta ancora più scarna ed imprecisa; il che è tanto più sorprendente in quanto proprio le pastorali di­ mostrano un interesse particolare per la subordinazione della comunità al capo o ai dirigenti. Già qui si deve valutare la pos­ sibilità che l'autore desideri porre il gruppo dei presbiteri 54 in subordine rispetto all'episcopo, !imitandone l'importanza.55 Resta comunque compito loro la direzione della comunità. 56 (1 Clem. , Herm. , lettere di Ignazio di Antiochia) attesterebbero «that during the or­ ganization of a new community the elders were appointed by the apostle or founder». 5 2. Cfr. N. Brox, Past. 1 49· S J· Cfr. A. Sand, Anfi:inge 2 2 5 . S 4· A fronte della scarsità di dati delle pastorali e a causa delle disparate funzioni con­ nesse ai presbiteri, appare problematico parlare di un «istituto degli anziani» (cfr. J. Roloff, 1 Tim. 1 70- 1 7 S )· s S· Riferendosi a Tit. 1 ,s, M. Karrer, Altestenamt 1 76, vede rimarcata eia linea Paolo­ Tito-presbiteri»; al contempo, tuttavia, confessa (op. cit. 177) che «all'autore delle let­ tere pastorali i discepoli dell'apostolo servono da model1o per il ministero episcopale, sebbene egli non li definisca mai esplicitamente É1ttaxo1toc;». s6. La distinzione, più volte riproposta, secondo cui l'autore in 1 Tim. s , l 7 vorrebbe mettere in risalto in primo luogo i presbiteri «che svolgono bene il loro ministero di-

b) L 'episcopo I . La definizione «episcopo» ricorre nella grecità classica sin da Ome­ ro, ed è estremamente variabile a seconda sia delle persone cui è applica­ ta, sia delle attività da queste svolte. 57 Così gli dèi vengono definiti È7tt­ axo7tot nella loro funzione di protettori degli uomini e delle loro città, o di custodi del loro agire e delle loro relazioni reciproche (come nei con­ tratti); e con lo stesso significato di fondo il termine È7ttaxo7toc; viene at­ tribuito anche a esseri umani (come a Ettore in quanto protettore della città di Troia). Inoltre vi è un impiego diffuso del termine È7ttaxo7toc; per definire cariche che vanno dai funzionari statali (con poteri in parte giu­ diziari) ai funzionari comunali o circondariali (ad es. con l'incarico di so­ vrintendere all'approvvigionamento o alle operazioni finanziarie) fino all'attività di sorveglianza su determinati lavori. 5 8 Quest'ambito di definizione di persone cui sono state affidate deter­ minate mansioni e perciò rivestono «ufficialmente» una posizione supe­ riore è ampiamente valido, negli studi teologici, come punto di partenza per l'uso cristiano del titolo di È1ttaxo1toc;.59 2. Anche nella tradizione giudaica Dio può essere definito È1ttaxo1toc; quando si parla della sua conoscenza del cuore dell'uomo (cfr. Sap. 1 , 6; Filone, Migr. I I 5 ) o della sua onniscienza (Filone, Somn. I ,9 I ; Migr. I 3 5). 60 Riferito a esseri umani, la qualifica È1ttaxo1toc; viene impiegata i n diversi contesti nel senso d i «sorvegliante»: a d esempio per i l governato­ re di Israele ( r Mach. I ,5 I ), per il sorvegliante dei lavori per il restauro del tempio (2 Chron. 34, I 2. I 7) e per i guardiani intorno al tempio (2 Reg.

I I , I 8).

Visto nel suo complesso, nel tempo e nel mondo del Nuovo Testamento l'impiego del termine È1ttcrxo1to� mostra un'ampia variabilità, tanto che si può ben parlare di una sorta di «con­ cetto generale» che veniva concretizzato in modi differenti. 6 1 rettivo», e poi «quelli che oltre a ciò si occupano anche di predicazione della parola e di insegnamento» (J. Rohde, Amter 86; cfr. distinzioni analoghe in J.P. Meier, Pres­ byteros 3 26 s.; 3 32; L. Floor, Church Order 86-88 [con l'equazione «teaching presby­ teroi» episkopoi]; W. Pratscher, Stabilisierung I 36 s.) e il giudizio di valore in essa implicito non rispettano affatto l,intento delle pastorali, che puntano tutto sulla qua­ lità di una ·direzione suprema della comunità, il npota-taa...9at. S 7· Cfr. W. Beyer, ThWNT II 6o4-6 1o; j. Ysebaert, Amtsterminologie 1 16. s 8. j. Ysebaert, Amtsterminologie I I 6, paragona i compiti delle persone definite Èn:l­ O'X07t0t alle mansioni che «oggigiorno sono quelle di un direttore». S9· Cfr. W. Beyer, ThWNT 11 6 r o s. 6o. Cfr. al riguardo W. Beyer, ThWNT n 6ro s. 6 1 . Cfr. A. Sand, Anfiinge 2.2.8. Per K. Stalder, BDIEKODO� 2.2.3-2.2. 5 , riconoscere =

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3. A prescindere da 1 Petr. 2,2 5, dove (in termini paragona­ bili all'affermazione di Sap. 1 ,6 riferita a Dio) si parla del ri­ torno dei cristiani «al pastore e custode della vostra vita» (È7tt �Òv 7tOt(J-Éva xat È1ttaxo1tov 'tWv �ux.wv U(J-wv)/1 nel Nuovo Te­ stamento È1ttaxo1toc; viene usato solamente per indicare delle persone, o meglio per definire un particolare rapporto con la comunità. In sorprendente concordanza con l'accezione cristo­ logica di 1 Petr. 2,2 5 e con l'esortazione ai presbiteri di 5 ,2,61 anch'essa collegata al motivo dell' «azione sollecita del pasto­ re», nel quadro del cosiddetto discorso d'addio di Paolo ai pre­ sbiteri di Efeso convocati a Mileto (cfr. Aet. 20, 1 7-3 5 ) costoro vengono chiamati È7ttaxo7tot, e il loro compito consiste nel «pa­ scere la chiesa di Dio» (7tOt(J-at ve: t v 't�v È xx ÀY)atav 'tou .Se:ou) (20,28). Se si aggiunge che nelle due opere di Luca il verbo È7tt­ axÉ7t'te:a-8at (cfr. Le. 1,68.78; 7, 1 6; Aet. 6,3; 7,23; 1 5 , 1 4.36) e il sostantivo È1ttaxo1t� (Le. 19,44; Aet. 1 ,20) ricorrono in conte­ sti assai differenti, senza far riferimento a un ruolo direttivo nel­ la comunità, 64 allora è giustificato affermare che in A et. 20,28 Luca impiega È7ttaxo7tot non come titolo ben preciso e circo­ scritto, come definizione di una carica, bensì come descrizione della funzione di chi si impegna responsabilmente in favore del­ la «chiesa di Dio» (ÈxxÀY)ata 'tou -8e:ou).65 che è7ttaxo7to� e i vocaboli etimologicamente connessi contraddistinguono persone al­ le quali «si affida la responsabilità di qualcosa» - il che vale per le occorrenze extrabi­ bliche come per le testimonianze deWAntico e del Nuovo Testamento -, e che ovvia­ mente ne «deriva un numero sterminato di possibilità», è motivo sufficiente per con­ siderare inappropriato l'uso della definizione «designazione di mi istero» per È1tt­ axo7to�, soprattutto per le occorrenze del Nuovo Testamento. 62. Traduzione secondo N. Brox, 1 Petr. 1 28. 63 . Cfr. R. Schnackenburg, Episkopos 249 s. Il participio èmaxo7touv-tE� attestato in al­ cuni manoscritti è per N. Brox, 1 Petr. 230, aggiunta «probabilmente non originaria» anche se «non inaccettabile»; dello stesso parere anche R. Schnackenburg, op. cit. 2 so. 64. Ciò è particolarmente evidente se si mettono a confronto questi due passi (Le. e Act. ) in cui compare è7ttaxo7t� con l'uso del medesimo sostantivo in r Tim. J , I . 6 s . Cfr. E . Lohse, Episkopos 228 s . Interpretano i n modo analogo l a definizione è7tt­ axo7tot in Act. 20,2 8 anche R. Schnackenburg, Episkopos 247-2 p , e A. Vogtle, Refle­ xionen 2 56-266 (cfr. Idem, Sorge und Vorsorge fur die nachapostolische Kirche. Die A bschiedsrede von Apg 2o,r8a-JJ, in A. Vogtle - L. Oberlinner, Anpassung oder Wi­ derspruch [Freiburg i.Br. 1 .9.9 2] 66-9 1 : 83).

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4· In questo contesto assume particolare importanza l'inte­ stazione della lettera ai Filippesi, perché qui Paolo saluta tutti i santi in Cristo Gesù che sono a Filippi «con gli episcopi e i diaconi» (Phil. 1 , 1 ).66 È rilevante a questo proposito la convin­ zione ampiamente condivisa che gli episcopi (e i diaconi) di Phil. 1 , 1 non vadano identificati con l'episcopo e i diaconi delle let­ tere pastorali.67 Nel caso della comunità di Filippi gli episcopi e i diaconi sono membri della comunità ai quali Paolo non at­ tribuisce alcun rango particolare68 e di cui non descrive nean­ che vagamente posizione e funzione. 69 Resta pura su pposizio­ ne la tesi, motivata in parte dal ringraziamento di Paolo per il sostegno materiale ricevuto dalla comunità di Filippi, che gli episcopi avrebbero avuto a che fare con l'amministrazione della «cassa comunitaria»70 oppure sarebbero stati responsabi­ li della colletta che la comunità fece pervenire a Paolo.71 La let­ tera non fornisce alcuno spunto per descrivere in modo più pre­ ciso le attività dei vescovi e diaconi di cui si fa menzione. Che essi vengano nominati esplicitamente in una lettera indirizzata alla comunità giustifica la tesi che Paolo fissi per loro nei vari ambiti della vita della comunità dei compiti paragonabili ai ca­ rismi 71 di cui parla in altri passi.73 A queste condizioni diventa difficile escludere l'ambito della predicazione.74 66. Al riguardo cfr. la minuta esposizione di 1. Gnilka, Der Philipperbrief(HThK x/3) (Freiburg i.Br. 4 1 987) 3 2-39d· Hainz, Anfange 1 02-106; R. Zollitsch, Amt 28-39. 67. 1. Rohde, EWNT II 91. Cfr. distinzioni analoghe in 1. Gnilka, Phil. (v. n. 66) J S ; J. Hainz, Anfiinge 102 s. 68. Cfr. il richiamo di 1. Hainz, Anfange 102, per cui essi «sono associati alla comunità, senza però avere una posizione né di preminenza né di superiorità». 69. L• osservazione di L. Floor, Church Order 84, per cui }•apostolo qui designerebbe «espressamente i capi di comunità (the leaders of community) come episkopoi» non trova alcun riscontro nel testo stesso. 70. Così tra gli altri H. Merkel, Past. 9 1 , il quale fa notare che ciò è attestato successi­ vamente come compito dell'episcopo in Did. 1 5 , 1 e Ign., Pol. 6,1 . 7 1 . Così E . Lohse, Entstehung 6 3 s.; 1. Ysebaert Amtste rm inologie 1 1 6. 72. Quanto a questo si può anche osservare che Paolo esprime la propria approvazio­ ne per )•esistenza di tali gruppi (cfr. Y. Redalié, Paul 3 4 S ) e di conseguenza non iden­ ti fica gli episcopi e i diaconi con gli attivi collaboratori e collaboratrici ricordati in al­ tre lettere (ad es. coloro «che vi sono preposti [7tpota't'cl(J.Evo&] nel Signore», 1 Thess. s , 1 2; cfr. Rom. 1 2,8), m a l i intende i n un'analoga posizione d i responsabilità nella co,

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Nel complesso non è molto ciò che si può affermare a proposito delle at­ tività e competenze degli bdaxo'7tot di Phil. 1 , 1 . Perciò pare alquanto az­ zardato definirli titolari di posizioni ufficiali ben precise e circoscritte. Poiché la sola testimonianza di Phil. 1,1 è una base troppo ridotta per ipotizzare un «ministero episcopale» o persino un «istituto episcopale» esistente prima delle pastorali, a mio avviso risulta estremamente pro­ blematico connettere Phil. 1 , 1 e la menzione dell'episcopo nelle pastora­ li o in una relazione di dipendenza o in uno sviluppo che da Ph il. giunga fino alle lettere pastorali.lS s. Analogamente, anche riguardo al responsabile della comunità (paqid mebaqqer) menzionato negli scritti di Qumran si evidenziano chiari parallelismi nelle attività di insegnamento e direzione (CD I J ,6- Io; 1 4, 8- 1 3; 1 QS 6, 1 2- 1 5 . 20). In genere però si esclude la possibilità di una de­ rivazione dell'episcopo cristiano dal mebaqqer qumranico. 76 o

6. N elle pastorali si tratta chiaramente di un «ministero» del­ l'episcopo, ossia dell'insediamento di una persona specifica in una funzione di direzione e di ordine, con i requisiti necessari e determinati poteri rispetto ai subalterni/7 Per le pastorali è fondamentale innanzitutto che nel futuro la comunità sia sot­ toposta a una singola persona, vale a dire all'episcopo. L'inter­ pretazione spesso proposta dell'uso al singolare del titolo É7ttmunità (cfr. anche R.A. Campbell, Elders 1 14: . i t seems clear that these persons are functionally equivalent to the leaders we have considered at Thessalonica and Cor­ inth» ). Ciò non significa però dedurne automaticamente, come A. Vogtle, Reflexio­ nen 229, che Paolo considerasse «uno sviluppo 'necessario'» il ministero episcopale, che compare per la prima volta in Phil 1 , 1 . 73 · Cfr. Rom. 1 2,7 s.: servizio, insegnamento, esortazione (òtaxovla, ò,òaaxaÀla, 7tapa­ xÀl)at�), 1 Cor. 1 2,2 8: (apostoli, profeti, maestri; poi) miracoli, carismi di far guarigio­ ni, assistenza, capacità di governare, tipi di linguaggio (ÒU\Icl(J.tt�, l,tXpta(.LtX'ttX ÌtX(.Lcl'tWV, civ-rtÀ�IJ.4E,�, xu(3Epv�aEt�, yÉvY) yÀwaawv), 1 Thess. 5 , 1 2- 1 4: coloro che si affaticano, che vi sono preposti nel Signore, che vi ammoniscono (xo7ttwv-rt�, 7tpota-raruvot, vou­ BE-rouv-rE�). 74· Cfr. J. Hainz, Anfange 105 : l'ambito delle mansioni di episcopi e diaconi «non si sarà affatto limitato all'amministrazione e all'assistenza». Per J. Roloff, 1 Tim. 172, si può tuttavia affermare con una certa sicurezza che «l'ambito di competenza dell'È7tt­ axo7to� originariamente non era quello dell'insegnamento». 75 · Anche J. Hainz, Anfange 107, riconosce che «il ponte tra Phil. 1,1 e il successivo ministero episcopale e diaconale» è «vacillante e malsicuro». 76. Cfr. H. Merklein, Amt. 3 76 s.; J. Roloff, 1 Tim. 1 73 Ne trattano diffusamente J. Gnilka, Phil. (v. n. 66) 3 6-3 8 ; J. Hainz, Anfange 98- 1 02; J. Ysebaert, Amtsterminologie 1 1 8 s. 77· Al riguardo cfr. J. Roloff, TRE II 509 s. ..

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axo7toc; come «singolare generico»78 viene in parte ricollegata alla supposizione che, nell'elencare i comportamenti esemplari richiesti all'episcopo, 1 Tim. J , I -7 e Tit. I ,7-9, l'autore delle pastorali abbia preso spunto da uno specchio dell' episcopo.79 Se si accetta questa tesi, si spiega in particolare anche l'intro­ duzione repentina dell'episcopo in Tit. I ,7 e i comportamenti richiesti subito dopo, visto che nei precedenti vv. 5 s. il discor­ so verteva sui presbiteri che «Tito» doveva insediare e sul tipo di condotta che da essi si esigeva. Sconsigliano di isolare nella storia della tradizione il catalo­ go di virtù dedicato all'episcopo tre considerazioni: I . le carat­ teristiche richieste all'episcopo per essere idoneo al suo com­ pito, prese di per sé, non lasciano «scorgere per lo più nessun riferimento immediato a un ministero»; so la maggior parte del­ le virtù elencate delineano l'immagine ideale di un galantuomo, dotato di sensibilità sociale e di senso di responsabilità; l'auto­ re avrebbe potuto altrettanto bene riprendere i concetti impie­ gati dalle liste di virtù di uso corrente nel suo mondo. 2. Lad­ dove però vengono avanzate richieste specifiche (buona prova di sé nella propria famiglia come presupposto per un buon servizio nella «comunità di Dio»; responsabilità nei confronti del mondo non cristiano; lotta agli eretici che non si sottomet­ tono e impegno in favore della «sana dottrina»), si tratta di concetti e idee caratteristici proprio delle pastorali. 81 3. Neli 'i­ potesi citata si presuppone che il titolo È7ttaxo7toc; esistesse, nel­ le comunità cristiane del territorio preso in considerazio ne dalle pastorali, come designazione chiaramente definita e uni­ versalmente accettata per i membri della comunità con funzio­ ni direttive; il che non è assolutamente certo. Come si è visto, la testimonianza di Phil. I , I non è utilizzabile, e l'autore degli 78. Cfr. fra altri M. Dibelius - H. Conzelmann, Past. 46; N. Brox, Past. 1 48 s.; K. Ker­ telge, Gemeinde 147; P. Trummer, Paulustradition 1 16; H. Merklein, Amt 3 8 5 ; G. Schollgen, Hausgemeinde 84; M.Y. MacDonald, Churches 2 1 8 ; W. Thiessen, Chri­ sten 300. 79· Cfr. E. Schweizer, Gemeinde 76; N. Brox, Past. I 48; H. Merklein, Amt 3 84; H. Schiirmann, Lehrer 1 54 n. I 68; P. Hoffmann, Priestertum n; R. Schwarz, ChristenSo. E. Lohse, Episkopos 126. tu m 95 s. 8 1 . Per la critica all' «ipotesi di interpolazione» cfr. H. v. Lips, Glaube 1 14 n. 108.

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Atti degli Apostoli, più o meno contemporaneo alle lettere pa­ storali, impiega È7ttaxo7toc; per designare la funzione dei pre­ sbiteri (Act. 20,28). Ciò comporta conseguenze di rilievo per il tentativo di ri­ costruire lo sviluppo della struttura comunitaria ravvisabile nel­ le lettere pastorali. È accettata su ampia scala la spiegazione per cui l'autore perseguirebbe lo scopo di creare un equilibrio tra due forme istituzionali coesistenti l 'una accanto all'altra: l'istituto degli anziani determinato dalla tradizione giudaica, e l'istituto degli episcopi/diaconi, mutuata dal mondo ellenisti­ co. E comunque si deve ammettere che l'autore vuole favorire l'ordinamento basato su episcopi/diaconi. 81 Se si prende in seria considerazione quest'intenzione dell' au­ tore, che sta alla base sia della sua concezione ecclesiologica in generale sia dell'elaborazione strutturale dell'organizzazione comunitaria che egli propone, allora se ne può trarre questa spiegazione della struttura dei ministeri: l'autore intende af­ frontare i problemi esplosi nelle comunità, dovuti in partico­ lare alla comparsa di eretici, ricorrendo non tanto ad argomen­ tazioni teologiche quanto a provvedimenti ecclesiologici.83 Al­ le esigenze individualistiche ed esoteriche fondate sulla «cono­ scenza» egli contrappone la tradizione di fede (7ta.pa..fJ�x 11) che determina la fede della comunità a partire dall'apostolo (2 Tim. I , I 2) attraverso i successori da lui insediati ed autorizzati (I Tim. 6,2o; 2 Tim. I , 14 ) fino al tempo presente (cfr. I Tim. 4,6; 6, I 2; 2 Tim. 2,2). Della conservazione di questa fede, della tradizione apostolica, della sana dottrina e di conseguenza del­ la lotta contro gli eretici è responsabile il capo di comunità. Questo capo di comunità competente e responsabile è rappre­ sentato dalla persona dell'episcopo. L'autore non desidera un collegamento né una fusione dell'ordine dei presbiteri con un ordinamento della comunità impostato sull'episcopo; egli pro­ pugna una struttura comunitaria in cui l'episcopo sia conside82. Cfr. tra gli altri N. Brox, Past. I fO s.; H. Merk.lein, Amt 3 84-3 87; J. Roloff, 1 Tim. 1 70- 1 76. 83. Alla base della •riforma della costituzione comunitaria», dunque, in accordo con H. Merkel, Past. 93, vanno poste «considerazioni assai pragmatiche».

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rato e riconosciuto capo responsabile della comunità e al tem­ po stesso autorità preposta ad altri funzionari come presbiteri, diaconi e diaconesse. A favore di questa interpretazione gioca innanzitutto un elemento: con l'immagine della casa a indicare la comunità in cui l'episcopo deve dare buona prova di sé nel ruolo di «amministratore di Dio» (Tit. 1 , 7 ; I Tim. 3,4 s.), all'e­ piscopo viene affidata la responsabilità della condotta che bi­ sogna tenere «nella casa di Dio» ( I Tim. 3 , 1 5 ) . 84 Allora ha sen­ so parlare dell'episcopo esclusivamente al singolare: una volta ricollegato alla descrizione della chiesa come «casa di Dio», il singolare va inteso «in senso proprio», ossia come indicazione dell'unico capo della comunità.8s S e i n questo caso si possa già parlare di monoepiscopo è questione che dipende essenzialmente dalla definizione di tale concetto. A volte si a­ vanza la riserva che nel caso delle pastorali non si può ancora parlare di «ministero episcopale monarchico in senso stretto», ma che nel risalto dato all'unico È7tta-xo7toc; si può vedere «una chiara tendenza alla condu­ zione monarchica della comunità» . 86 Questa riserva indica chiaramente che la concezione ecclesiologica delle pastorali viene considerata condi­ zionata dall'episcopo unico, che sta al di sopra degli altri funzionari, dun­ que superiore anche ai presbiteri. 8 7 Ciò non esclude che P ambito di com­ petenza all'interno della comunità fosse sostanzialmente identico per pre­ sbiteri ed episcopo.88 84. Cfr. W. Pratscher, Stabilisierung 1 3 8 : poiché all'autore «preme soprattutto l'im­ magine della comunità locale come una casa in cui il vescovo è amministratore di Dio ( I Tim. 3 ,4 s.; Tit. 1 ,7}, sembra che abbia in mente un ordinamento comunitario con al vertice un solo vescovo». Anche per J. Roloff, I Tim. 1 76, ('«idea-guida» che l'au­ tore ha davanti agli occhi è «la chiesa del luogo, strutturata come casa di Dio, a capo della quale vi è sempre un È1ttaxo1:o� con ruolo di responsabile, attorniato da una schiera di diaconi». Riguardo al rapporto tra «ordinamento dell'oikos e comunità a struttura episcopale» cfr. anche F. Laub, Hintergrund 262-265 . 8 5 . Cfr. H. Giesen, Dienst 3 1 ; E. Lohse, Episkopos 230; K. Condon, Church Offices 83 s. («a single local bishop»). Anche J. Roloff, r Tim. 1 76, sostiene la relazione tra ecclesiologia dell'olxo� e uso del singolare parlando dell'È7ttaxo7to�. 86. H. v. Lips, Glaube 1 1 6. Si esprimono in modo analogo anche J. Rohde, A mter 83; E. Dassmann, Amter 87 s.; W. Thiessen, Christen 300. 87. H. Merkel, Past. 92 . Cfr. anche P. Hoffmann, Priestertum 5 3 · - Completamente di­ verso è invece il giudizio di G. Schollgen, Hausgemeinden 84-86, per il quale le lette­ re pastorali sarebbero «ancora ben lontane dall'episcopato monarchico con la sua illi­ mitata funzione direttiva nei confronti di clero e popolo, soggetti alla sua autorità» . R H . Questo induce E. Griffe, Église 9 1 -98, a definire l'episcopo «un superpresbytre».

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Excursus

È destinata a rimanere senza risposta la questione del rap­ porto tra la realtà nelle comunità e l'idea e finalità dell'autore. Il fatto che le pastorali trattino così diffusamente le questioni organizzative della comunità e che lascino trapelare una predi­ lezione per l'episcopo rispetto agli altri funzionari può essere benissimo interpretato in questo senso: l'autore, contro la real­ tà ancora dominante di un'organizzazione comunitaria diffe­ renziata, vuole imporre la propria visione ideale, l' ordinamen­ to che lui stesso ritiene più efficace nella controversia per la retta fede. 89 H. Merkel spiega la «pluralità di indicazioni puntuali sul ministero del­ l' episcopo» con la ragione che «nelle comunità interpellate non se ne ave­ va conoscenza» .90 Si può trovare una conferma a tale supposizione nel ri­ ferimento esplicito al «buon lavoro» cui ambisce colui che aspira al mi­ nistero episcopale (r Tim. 3,1 ).9 1 Ciò confermerebbe la supposizione di cui sopra, che l'istituto episcopale postulato da parecchi storici ed ese­ geti nelle comunità al di fuori della Palestina non sarebbe mai esistito in questa forma.

Si ritiene che all'epoca della redazione delle pastorali le fun­ zioni direttive nella comunità per la predicazione e l'ammini­ strazione comunitaria fossero (ancora) delegate a presbiteri, diaconi e vedove, cosa che viene confermata dalle relative af­ fermazioni nelle «lettere» stesse.

Anche per H. v. Campenhausen, Amt 1 1 7 s., la forma al singolare per l'episcopo si può spiegare «in modo del tutto naturale» postulando già un «ministero episcopale monarchico»; il suo ambito di competenza, però, viene stabilito dalla singola comu­ nità, e il confine «dell'autorità generale e della funzione degli anziani» «non è ancora nettamente tracciato». 89. Cfr. P. Hoffmann, Priestertum 5 4 · Anche E. Schiissler Fiorenza, Anfiinge 77 (768 3), ribadisce che « non si può ignorare che l'autore pseudonimo delle lettere pastorali non vuole descrivere la situazione reale delle comunità in Asia Minore, bensì impo­ starle per iscritto in una direzione ben precisa», 90. H. Merkel, Past. 92. 9 1 . R.A. Campbell, Elders I94-205, ipotizza uno sviluppo in tre fasi dell'organizzazio­ ne comunitaria: a) gli È1ttaxo1to' come rappresentanti delle comunità domestiche, b) i 7tpEa�U'tEpot come collegio che dirige le varie comunità domestiche, c) l'Èlttaxoltoc; co­ me rappresentante di un gruppo di comunità in un'unica città.

c) I diaconi e le diaconesse

1 . Nella descrizione dei compiti svolti da quegli uomini e donne che operavano nelle comunità delle pastorali come dia­ coni e diaconesse (cfr. I Tim. 3 ,8- r 2) 92 ha particolare peso la ci­ tata separazione tra realtà comunitaria e intenzione dell'auto­ re. Da una parte il dettagliato elenco di comportamenti richie­ sti ai diaconi, che mostra chiare concordanze con le liste desti­ nate agli episcopi di I Tim. 3,2-7 e Tit. 1 ,7-9, indica che essi ri­ coprivano un ruolo di spicco nella vita della comunità.93 Allo stesso tempo, però, l'importanza che l'autore attribuisce loro non è pari a quella dell'episcopo - lo si può dedurre con cer­ tezza dali' ordine in cui si susseguono i due cataloghi in I Tim. 3 ,2-7 e 3 ,8- 1 2 e dalla mancanza di ulteriori allusioni ai diaconi in Tit. -, per cui la ricorrente dichiarazione della subordina­ zione dei diaconi all'episcopo corrisponde non tanto alla real­ tà storica 94 quanto all'intento dell' autore.95 In genere la competenza del diacono e della diaconessa in­ veste doveri d'ambito caritativo e sociale; ne siano prova alme­ no i requisiti richiesti a questo gruppo, tra cui compare l' ob­ bligo per i diaconi di essere l'j(J.i)'tat. 6 'tOÙç \IEW'tÉpou� waau'tw� 7tClpaxaÀe:t awq>pO\IEL\1" 7 7t€pt 7tcX\I'ta ae:au'tÒ\1 7tapt'X,O(J.€\IOç 'tU7tO\I xaÀW\1 É.pyw", È\1 't'fl ÒtÒaaxaÀt� cicp­ -8opta\l, ae:(J.\IO'tl'j'ta, 8 Àoyo\1 uytij àxa'tcX"(\IWa't0\1, t\la o Èç È\la\l'tta� È\l­ 'tpa7tn (J.YjÒÈ:" €1w" ÀÉye:t" 7te:pt -fj(J.w" !pauÀo\1. 9 òouÀo� lòtot� òe:a7to'tatç (\ t 1' ' ' t IO ' u7to'taaae:avat E\1 7taat\l, e:uape:a'tou� e:t\lat, (J.l'j a\l'tt '\/\E"(O\I'tac;, (J.l'j \IOacpt� � ' ' � , ' ,, ' '\ '\ ' o ' ., ,o(J.e:"o�, al\1\a 1taaa" 7tta'tt\l E\lfJEtX\IU(J.E\10� ayavl'j\1, t\la 'tl'j\1 fJtfJaaxaÀta\1 't�" 'tou aw'ti)poç �(J.W" -8e:ou xoa(J.Wat" È" 1taat " t

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I

Tu però parl a di que l ch e è conforme all a sana d ottrina. 2 G l i uomi ni anzi ani siano sob ri, dignitosi, assennati, sani nell a fe de, ne ll 'amore, ne ll a pazienza. 3 Così anc h e l e d onne anziane: rispettab i l i nell a l oro con d ot­ ta, non mald icenti, non sc h iave d egl i eccessi d i vi no, esperte ne ll 'inse­ gnare, 4 per e ducare l e d onne giovani ad amare i l oro mariti e i l oro fi­ gl i, s a essere assennate, caste, operose in casa e b rave, sottomesse ai l o­ ro marit i , perch é l a paro l a d i Dio non sia b estemmiata. 6 Esorta all o stes­ so mod o anc he gl i uomi ni più giovani a essere assennati 7 i n tutto, pre­ sentan do te stesso come mo d ell o di opere buone; ne ll 'insegnamento d i­ mostra integri tà, dignità, 8 parol a sana e inoppugnab i l e perch é l 'avver­ sario s i a svergognato, non avend o nu ll a di ma l e d a di re su l nostro conto. 9 G l i sch iavi si sottomettano ai l oro padroni i n tutto e l i compiacciano, non contesti no, Io non ru bi no nu lla, ma d imostrino i n tutto fe d eltà as­ sol uta, perc h é facciano onore i n tutto all a predi cazione di Dio, nostro sa lvatore.

I

Contrariamente a quanto aveva fatto per gli eretici, l'autore descrive ora diffusamente vita e condotta dei credenti che vi­ vono secondo la «sana dottrina» . Com'è tratto caratteristico delle pastorali, «Paolo» non interpella direttamente i singoli gruppi della comunità ma si rivolge a «Tito)), suo discepolo e successore, che in questo caso torna palesemente a rappresen­ tare il capo di comunità dell'epoca. 1 L'apostrofe aù òi con cui si apre la pericope, che nel complesso va considerata una «pa­ renesi della comunità», 1 mostra che si tratta di una contrappoCfr. D.C. Verner, Household 1 73· Al riguardo A. Weiser, Titus, spec. 407: le esortazioni dei vv. 2- 1 0 «sono rivolte a persone che sono divenute cristiane con l'accettazione credente del vangelo e con il battesimo (3,5}, e che vivono insieme in una comunità cristiana». Cfr. anche Y. Reda­ lié, Pau/ 43 s-438. 1.

2.

1 34

Tit.

2,1-10

sizione tra eretici e capo di comunità. Le direttive impartite al­ la comunità dipendono dalla parenesi del suo capo, come con­ ferma la ripresa dell'imperativo ÀaÀe:t del v. I al v. 6 (7tapaxa­ Àtt). Per mezzo dell'imperativo del v. 6 le esortazioni si arti­ colano secondo i vari gruppi a cui sono rivolte: prima di tutto quelle per gli uomini più anziani, per le donne anziane e per le giovani (vv 2- 5), poi quelle per i giovani e per gli schiavi (vv 6- I o). In un contesto più ampio le esortazioni si concludono nel v. I 5 con tre imperativi che ancora una volta mettono in risalto la responsabilità del capo di comunità per la vita delle comunità. Gli imperativi sono espressi alla seconda persona singolare, sottolineando così che il responsabile della realizzazione delle direttive è il capo di comunità, a cui ci si rivolge nella figura del destinatario Tito. «Tito», dunque, non viene esortato come le altre persone perché dia prova di integrità morale. Quando, ai vv 7 s., si parla di lui come di un «modello di opere buone» e si sottoli­ nea esplicitamente l' «influenza sugli altri» della sua condotta, c'è anche qui l'intento di raffigurare nella sua persona il capo di comunità come modello di vita pia, o di esortarlo a essere tale. La pericope evidenzia quella duplice struttura parenetica che è propria delle pastorali: da una parte il capo di comunità viene presentato come il responsabile della trasmissione delle istruzioni dell'apostolo; 3 dall'altra egli appare un «modello» di condotta (qui per i più giovani, vv 7 s.).4 È il capo di co­ munità il destinatario ultimo delle istruzioni, anche se in fun­ zione dei differenti «stati» interni alla comunità. s Le concordanze con altri passi parenetici del Nuovo Testa.

.

.

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3· Mediante i ministri «gli insegnamenti devono essere trasmessi ai vari gruppi della base» (A. Weiser, Verantwortung Io; cfr. Idem, Titus 407). 4· P. Lippert, Leben p s. Cfr. anche D.C. Verner, Household 1 7 2 s.; Ph.H. Towner, Goa/ 194 s. S· Cfr. A. Weiser, Evangelisierung 143: gli insegnamenti si rivolgono «inizialmente solo al destinatario della lettera, che in quanto capo di comunità autorevole è tenuto a trasmetterli agli stati interni alla comunità. Nella serie di istruzioni, a un certo pun­ to ci si rivolge direttamente a lui e viene invitato a condurre una vita esemplare e a in­ segnare secondo verità».

Tit. 2, 1 - 1 o

135

mento, riscontrabili sia nella struttura sia, in parte, anche nella menzione dei gruppi di persone, inducono a chiedersi se qui non vi siano alla base tradizioni comuni. L'assegnazione al ge­ nere letterario del «codice domestico», in genere motivata con il rimando allo studio di K. Weidinger / è solo in parte appro­ priata. Le pericopi delle lettere neotestamentarie che vengono concordemente assegnate al genere letterario del «codice do­ mestico» (Col. J,1 8-4, I ; Eph. 5,22-6,9; discussa invece 1 Petr. 2, I 3-3 ,7) trattano espressamente delle relazioni reciproche tra i vari gruppi nella «casa>>; 7 Tit. 2, I - I o invece si rivolge ai vari gruppi nella comunità,8 e perciò è più appropriato parlare di un «codice comunitario» o «codice corporativo» .9 In contrasto con l a ricorrente supposiz i one c he il «codi ce corp orativo» d ell e pastorali sia una riel a b orazione o una tras formazione d ell o sc h ema d el «co d ice d omestico» qua l e compare in Col. /0 H. v. Lips, b asan d osi su un confronto tra i test i , el ab ora l a tesi ch e i n Col. J,1 8-4, 1 (e, in di ­ pen d enza l etteraria d a questo passo, anc he in Eph. 5,22-6,9) d a una par­ te, c in 1 Petr. 2, 1 3 - 1 7 e Tit. 2, 1 - 1 0 d all 'altra, si trovino d ue sch emi pare­ netici svil uppatisi ind ipen dentemente l 'uno d all 'al tro c h e peraltro ri sali­ re bb ero a un prece dente stadio comune. 1 1 6. Cfr. F.J. Schierse, Past. I 5 9 s.; R. Schwarz, Christentum 1 04 con n . I 7 {in cui si fa os­ servare che l'espressione «codice domestico» «non è del tutto appropriata, in quanto vi si trovano anche direttive relative al comportamento da tenere nei confronti dello stato»); J.D. Quinn, Tit. 1 29. - K. Weidinger, Haustafeln S J, ridimensiona la sua asse­ gnazione di Tit. 2, 1 - 10 ai «codici domestici» osservando che le esortazioni sono ri­ volte «non proprio ai membri della famiglia, bensì ai vari stati della comunità». 7· Per G. Strecker, Literaturgeschichte 109, sono «codici domestici» «in senso pro­ prio solo Col. J,1 8-4, 1 ed Eph. 5,22-6,9», poiché queste pericopi «si occupano dei do­ veri dei membri della famiglia cristiana presentandosi come elenchi uniformi e pare­ netici»; analogamente K. Miiller, Haustafel 3 1 7 s. Cfr. al riguardo anche l'ampia ar­ gomentazione di K. Berger, Gattungen, in ANRW II 25 .2, 1 984, I078- 1o86, e P. Fied­ ler, Haustafel I069- 1 072; M. Gielen, Tradition 3-6. 8. A. Padgett, Rationale 44, annovera Tit. 2 insieme a r Petr. 2, I 3-3,7 e Did. 4,9-1 I tra i «church-codes», «since their real concern is with the church, not with the home». 9 · Cfr. tra gli altri H.-J. Klauck, Haustafel, in NB L II 5 8 . u . Wagener, Ordnung I 5-66, offre un' «esposizione critica della più recente storia degli studi» su codice domestico e codice corporativo. 10. Cfr. K. Thraede, Hintergrund 365; Ph.H. Towner, Goal 1 92; H. Merkel, Past. 96. 1 I. H. v. Lips, Haustafel, spec. 27 1 -273. Analogamente W. Schrage, Ethik 2-4; A. Wei­ ser, Verantwortung 1 2 s. Sostenere che le analogie tra Col. ), 1 8-4, 1 ; Eph. 5,2 1 -6,9; 1 Petr. 2,t 8-3,7 e Tit. 2, 1 - 10 siano comunque «superficiali» (così G.D. Fee, Past. 1 84; similmente Th.D. Lea - H.P. Grif6n, Past. 296} va però troppo oltre.

Tit .1, I - I O .

Ma ciò significa anche che non è possibile distinguere net­ tamente «codice corporativo» e «codice domestico». Mettendoli a confronto si possono individuare elementi in comune e differenze, laddove le seconde si spiegano anche con la concreta situazione delle comunità delle pastorali, ovvero con l'intento contingente dell'autore. I . C'è accordo nel sotto­ lineare l'ordine delle relazioni tra gruppi di persone e singole persone nelle comunità, ad esempio nella richiesta di sotto­ missione o ancora nell'articolazione degli insegnamenti a se­ conda dei gruppi. 2. La differenza, a un primo sguardo signi­ ficativa, che in Col. ci si rivolge alla «casa», e in Tit. invece alla comunità, non risulta più tale se si considera che le pastorali mirano proprio a impostare la struttura della comunità secon­ do l'antico schema dell'oikos. 3· Infine, nel testo in esame non viene stilato un «codice comunitario» in senso proprio, ma vie­ ne formulata una «parenesi del capo di comunità» con lo sco­ po principale di affermare che a questo capo di comunità «Ti­ to» è stato assegnato il compito di imporre le direttive ai grup­ pi di persone menzionati. 12

Che l'accento cada sulle prescrizioni dirette al capo della comunità lo dimostra già la struttura sintattica di questi dieci versetti. 1 3 Il verbo all'imperativo è rivolto solo al destinatario della lettera nella sua funzione di capo di comunità (vv. 1 e 6). In un contesto più ampio ciò è confermato dai tre imperati­ vi del v. I 5 a, che hanno chiaramente la funzione di rafforzare quanto detto in precedenza ricordando di nuovo a «Tito» la sua responsabilità di capo di comunità. 14 I l v. 1, con l a sua formu l az i one a mo' di ti to l o, h a significato programma­ tico. Le d ispos i zion i c h e seguono ai vv. 2.3 - 5 svi l uppano ciò c he si in­ ten d e per «sana d ottri na» e sono costrui te come frasi a ll 'accusativo p i ù i nfi nito. Dall ' i mperativo del v. 6 (7tapaxaÀtt) dipen dono i successivi in1 2. Cfr. L.R. Donelson, Pseudepigraphy 177; A. Weiser, Verantwortung 1 2; Y. Redalié, Paul -437· 13. Cfr. al riguardo A. Weiser, Titus 400-404. 14. Cfr. G. Lohfink, Normativitat 99: l'invito rivolto a Tito nel v. 1 «ha il carattere di un titolo di capitolo; viene ripreso ancora una volta alla fine (2, 1 5), dando così origi­ ne a una classica inclusio».

Tit. .1, 1 -IO

IJ7

fi ni ti awcppove:iv (v. 6) e Ù7to"t'ci:aae:a-&.(Xt (v. 9). In conformi tà con questa co­ struzi one d ell a frase ( i mperativo + accusativo e i nfi ni to) e i n cons id era­ zi one d ei tre i mperati vi concl usi vi (v. 1 5) - per quanto s i a i n linea di mas­ s i ma poss ibil e l a sp i egazione d ell ' i nfin i to de l v. 2 come « i nfi n i to i mpera­ tivo» 1 s -, bisogna i ntegrare un i mperativo anc h e per il verb o all 'i nfi n i to d el v. 2 ( Vl)q>(XÀtouç e:lv(Xt ) e per l e prescri zi on i d ei vv. 3-5 i ntro d otte d a wa(Xu-rwç, e preci samente un «verbo di esortaz i one did atti ca». 1 6 Alcu­ n i commentatori i poti zzano una di pen denza di retta d ell a costruzi one i n­ fi ni t iva d el v. 2 da ll ' i mperati vo ÀaÀe:t (v. 1 )/ 7 ma l a correl azi one con wa­ (Xu-rwç 7t(XpcxxaÀe:t d el v. 6 fa pensare pi uttosto c h e second o l 'intendi men­ to d ell 'autore s i de bb a sotti ntend ere un i mperativo 7t(Xpcxxci:Àe:t anch e al 18 V. 2(- 5)· l I motivo d ell 'elliss i potre bb e anch e essere il fatto c he con l ' i mperati ­ vo ÀaÀe:t è gi à forn i to un punto di riferi mento general e c h e, con l a ri pre­ sa al v. 1 5 a, s i di mostra i l term i ne chi ave di tutta l a peri cope. 1 9 •••

•••

Solo il discepolo dell'apostolo e suo successore nel ministe­ ro di capo di comunità viene interpellato direttamente dall'a­ postolo; la sua responsabilità è il tema centrale.10 II

1 . L'espressione introduttiva a ù ò€, dopo un passo che si oc­ cupa di un fenomeno interno alla chiesa, l'attività di falsi mae­ stri, ha un rilievo particolare per le lettere pastorali in ragione della loro ecclesiologia. Ci si rivolge direttamente e in modo assolutamente esclusivo al presidente che l'apostolo ha inse­ diato nella comunità in un ruolo di guida; egli si contrappone agli eretici e al tempo stesso, se rispetta le condizioni dettate da «Paolo», costituisce il miglior baluardo contro l'influsso di falsi maestri. I S . Così, ad es., citando Blass-Debrunner § 389, M. Wolter, Pastoralbriefe I 4 S s. n . .17; J.D. Quinn, Tit. I 1 7; G.W. Knight, Past. 305. I 6. A. Weiser, Titus 40 I s. 1 7. Cfr. C. Spicq, Past. 616 s.; F.J. Schierse, Past. I S 9· I 8. Così già G. Wohlenberg, Past. 240. Similmente J.N.D. Kelly, Past. 239; M. Dibe­ lius - H. Conzelmann, Past. 1 04; G. Holtz, Past. 2 1 8. 1 9. Cfr. H. v. Lips, Glaube 46: «Poiché il conclusivo v. I s riprende il v. I con -rcxu-rcx ÀaÀet, tutto ciò che è compreso nel mezzo va considerato 'sana dottrina'». 20. Cfr. Y. Redalié, Pau/ 437: «Comme dans les traités sur l"économie', c'est au 'mai­ tre de maison' ('économe de Dieu', Tt 1 ,7) que le discours s'adresse; c'est lui qui doit transmettre les valeurs aux différents groupes dont il a la responsabilité».

Tit. 2, 1-10

In tal e funzi one, c h e con que l aù ÒÉ s i di st i ngue nettamente d all a prece­ d ente d escri zi one di un i nsegnamento e una con d otta errat i , i l d i scepol o d ell 'apostol o e con lu i i l capo d i comun i tà dell 'epoca d ell e pastoral i vi e­ ne presentato anc h e i n 1 Tim. 6, 1 1; 2 Tim. 3, 1 0. 1 4; 4, 5.

In relazione ai pericoli illustrati nella pericope precedente la comparsa di persone che sono in contrasto con la sana dot­ trina ( 1 ,9 ), che con il loro «vuoto chiacchiericcio» mettono a rischio l'unità delle comunità ( r , r o) e che «insegnano» ciò «che non si deve» ( 1 , 1 1 ; cfr. anche I Tim. s , I J) - «Tito» deve di­ mostrare di essere adatto al suo compito anche nella parola. L'impiego di ÀaÀeiv a un primo sguardo appare poco vigoro­ so, soprattutto se lo si confronta con altre descrizioni del com­ pito che attende il discepolo di Paolo in cui la sua autorità vie­ ne messa in risalto maggiore (cfr. I Tim. 1 ,3 : tva 7tapayyEtÀnç; 6,2: ÒtÒaaxE xat 7tapaxaÀEt; Tit. 1 ,9. 1 3 : 1tapaxaÀEt v, ÈÀÉ:y1,.Et v). Il verbo «parlare» (ÀaÀEtv), nella sua neutralità, è stato forse scelto proprio perché nei versetti che seguono, con l'enumera­ zione dei modi di comportamento consigliati, al centro del­ l'attenzione vi sono i membri della comunità e anche ciò che è segno del loro accordo con la «sana dottrina».11 Al v. 6, tutta­ via, con 7tapaxaÀEt viene nuovamente ribadito l'elemento au­ toritario. L'accenno alla «sana dottrina» sottolinea il contrasto con le affermazioni degli eretici. Ma alle pastorali non interessa mettere a confronto le «dot­ trine». Ciò che preme è soltanto la dimostrazione, la constata­ zione che la dottrina retta, sana e autentica è quella professata dai membri della comunità che si sottomettono docilmente al­ la chiesa rappresentata dalle pastorali e al loro capo di comu­ nità. Perciò il termine «sana dottrina» non comprende alcun «programma alternativo», e non evoca affatto il «'sano' buon senso» . 12 La formulazione a 7tpÉ:1tEt sottolinea il carattere vin­ colante di questa dottrina ecclesiale. 2 1 . Anche G. Holtz, Past. 2. 1 7 s., vede una connessione tra il verbo À> ('toÙç àv't'tÀÉyov't'aç ÈÀÉy­ lEt v). Poiché l'aggettivo tùapta'toç sta altresì a definire il rap'

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6 1 . Così, ad es., J.N.D . Kelly, Past. 243; ].D. Quinn, Tit. 1 46. 62.. Cfr. G. Holtz, Past. 2.2.2. s.; V. Hasler, Past. 93; A.T. Hanson, Pa st 1 82.; G.W. Knight, Past. 3 1 4; Y. Redalié, Pau/ 444 s. 63. Cfr. al riguardo D.C. Verner, Household 140- 1 4 5 : «The author of the Pastorals views the slaves among the membership of the church from the perspective of the slave owner. He is concerned that Christian slaves in generai not damage the church,s public image by insubordination». Che così sussista il pericolo «che il cristianesimo ... in fondo contribuisca al consolid amento di rapporti sociali antichi» (così H. Merkel, Past. 97) è un,altra questione. .

Tit.

�,I - I O

porto con i «padroni», la «compiacenza» richiesta va interpre­ tata nella stessa direzione di una subordinazione che accetta incondizionatamente la sorte di vivere in schiavitù. 64 La pretesa di un'obbedienza incondizionata da parte degli schiavi va dunque vista anche in questa dimensione assoluta, e non dev'essere valutata positivamente come occasione di «te­ stimonianza dell'idea cristiana di morale anche in ambito se­ colare» solo perché è inserita in una parenesi cristiana.65 10. Segue il monito a guardarsi da un'azione facile da concepi­ re, e forse messa in pratica non di rado, per chi si trova nella condizione di schiavo: il furto ovvero l'appropriazione inde­ bita dei beni del padrone. Tratti caratteristici di uno schiavo buon cristiano - e comunque di ogni altro schiavo, non im­ porta di quale «fede», almeno dal punto di vista dei «padroni» interessati - sono la fedeltà e l'affidabilità in senso globale, in particolare naturalmente nell'adempimento dei compiti affida­ tigli, ossia la regolare amministrazione del patrimonio del suo padrone. Si tratta di in generale di una virtù propria di qual­ siasi bravo e fidato schiavo, senza diretta relazione con la sua fede cristiana. La proposizione finale che segue, con l'accenno alla volontà 64. K. Loning, Epiphanie 1 2 1 n. 22, giustamente mette in guardia dal caricare di «con­ notazioni moderne» il termine chiave «sottomissione». Ma quando prosegue affer­ mando che qui in Tit. 1 ,9 esso avrebbe «un significato positivo, come in Tit. J,I e co­ me di consueto nel N.T.», designando «in genere il comportamento sociale costruttivo all'interno dell'ordine gerarchico della società» (con rimandi tra l'altro a Rom. I J , I .J; Eph. 5 ,24; Col. 3 , 1 8; 1 Petr. 2, I J . I 8), questa visione si rivela un po' unilaterale per le lettere pastorali. Viene infatti trascurato un importante punto di vista: nelle pastorali il tema «obbedienza» e «sottomissione» è rilevante in relazione all'ordinamento co­ munitario, e quindi anche alla lotta agli eretici. Si spiega così la mancanza dell'obbli­ go della reciprocità, usuale nei codici domestici (cfr. Eph. 6, 5 -9; Col. J,22-4, 1 ). Nelle lettere pastorali la «sottomissione» compare nel catalogo dei criteri di valutazione della retta fede. 6 5 . Per V. Hasler, Past. 93, l'accentuazione della sottomissione esigerebbe dallo schia­ vo «non servilismo, ma la testimonianza della mentalità e della morale cristiane anche in ambito secolare». Tale affermazione appare discutibile, tanto più che dal punto di vista delle pastorali le due cose possono coesistere. Nel contesto delle regolamenta­ zioni presentate nel codice degli stati si deve addirittura sostenere che nella concezio­ ne del Paolo delle pastorali per uno schiavo il riconoscimento quale cristiano devoto è possibile solo nella totale rassegnazione alla propria condizione.

Tit. 2, 1 - 1 o

157

salvi fica di Dio, presenta qualche incongruenza rispetto all' «oc­ casione», cioè la parenesi agli schiavi. La sua funzione è quella di concludere l'intera pericope delle esortazioni (vv . 2- I o) , pre­ parando nel contempo il terreno per il seguito, la motivazione storico-salvifica dell'esortazione ai capi di comunità. La ÒtÒa­ crxaÀta di Dio è la predicazione che parla di Dio e del suo va­ sto operato come salvatore. Come i vari gruppi all'interno delle comunità devono ren­ dere testimonianza della loro fede con una vita regolata, così anche la disponibilità degli schiavi ad accettare la loro posi­ zione sociale come conforme alla volontà di Dio viene inter­ pretata come «propaganda» in favore di tale fede. Obiettivo di uno schiavo cristiano non può dunque essere l'aspettativa di qualche cambiamento nella propria vita a moti­ vo della propria fede; la sua vita di schiavo non solo non subi­ rà alcun mutamento, ma riceve oltretutto un supporto teolo­ gico e - grazie al collegamento con le esortazioni ai cristiani ­ un consolidamento fondante per la comunità e di testimonian­ za per la retta fede. III I. Il collegamento presente in questo testo tra un elenco che ricorda i codici domestici neotestamentari - dei vari obbli­ ghi spettanti a gruppi di persone all'interno delle comunità, e la direttiva al capo della comunità di preoccuparsi perché tali disposizioni sul comportamento venissero rispettate e messe in pratica, rivela un modo di pensare assai chiaro. I gruppi del­ la comunità sono tenuti a comportarsi secondo modalità che di per sé non mostrano ancora alcun orientamento ali' annun­ cio cristiano. Essi però vengono interpellati come membri del­ la comunità, ossia come credenti, e dunque in fondo il caratte­ re vincolante delle disposizioni ha origine dall'accenno all'ap­ partenenza alla comunità cristiana. 2. Imporre tali modalità di comportamento e vegliare sulla loro applicazione è compito del capo di comunità. Ciò che egli predica è conforme alla «sana dottrina» (v. I ), dunque alla ret­ ta fede. In questo modo le virtù menzionate, che con le esorta-

Tit. 2,1 - 10

zioni all'obbedienza rivolte alle mogli nei confronti dei loro mariti e agli schiavi nei confronti dei loro padroni compren­ dono anche l'ambito delle convenzioni sociali, acquisiscono da un lato il carattere di testimonianza e attestazione della retta fede. Ciò rafforza la posizione del presidente della comunità, che essendo incaricato di applicare le disposizioni risulta indi­ spensabile per la comunità, la sua vita e la sua fede. Attribuen­ do a chi svolge tale ministero un peso via via crescente nella concezione di comunità si provoca anche una separazione sem­ pre più marcata tra costui, con le sue funzioni e i suoi incari­ chi, e la comunità: il capo di comunità viene a trovarsi al di so­ pra della comunità. Si giunge così a un'opposizione frontale sempre più netta tra lui e la comunità.66 Come parall e li a questo testo, F.J. Schi erse ri man d a a passi ana l oghi nei «pad ri apostoli c i » i n cui (anc h e i n l ettere indi rizzate all e comun i tà) gli « i nsegnamenti agli stati» vengono « i mparti ti d a autori tà eccl es i ast i c h e (pres bi teri o pers one a b i l itate all 'insegnamento)» ( r Clem. 1 ,3; 2 1 ,6; Poi. Ph il. 4,2; 5 ,J). S i palesano ten denze a ll ' « i nterdi zione» d ell a comuni tà. «Si perde l ' i nizi ati va personal e d ei cristiani, uomi n i e d onne ad ul ti s i l a­ sci ano trattare e gu id are passo passo come 'gregge del parroco'».67

La forza dirompente della pericope Tit. 2, 1 - 1 0 non risie­ de principalmente nell'ambito dell'etica e delle questioni a es­ sa connesse. Se si tenta di definire l'intento dell'autore nel sen­ so che qui egli voleva offrire «non un dibattito teoretico né un'argomentazione teologica», «non una dottrina ma un inse­ gnamento concreto su ciò che bisogna fare», 68 si coglie solo una parte dell'intenzione. L'attenzione principale è rivolta al­ l' ecclesiologia.69 Quale sia la tematica determinante dei vv. 2- 1 0 è questione importante soprattutto in relazione all' �etv, aw­ 't�p ed È7ttcpavetcx) sono considerati tipici della concezione cri­ stologica delle pastorali, risulta difficile individuare un testo della tradizione cui l'autore abbia potuto rifarsi.14 La miglior cosa da fare, dunque, è supporre che la formu­ lazione dei vv 9. 1 0 sia da attribuire all'autore stesso, tenendo conto che gli era possibile rifarsi sia a tradizioni kerygmatiche già esistenti, sia alla concezione, ben nota nella tradizione del primo cristianesimo, del decreto salvifico di Dio che si è rive­ lato nella storia («ora» ).1s Inoltre si evidenziano sorprendenti concordanze con i tre testi appena esaminati nel modo di pre­ sentare le affermazioni cristologiche e riguardo alla loro deter­ minazione. Si è già fatto osservare che la confessione è intro­ dotta e conclusa dal termine cardinale eùcxyyÉÀ tov. L' esperien­ za dell'evento di Cristo come evento salvifico è legata alla pre­ dicazione. Questa predicazione è, perciò, un elemento essen­ ziale e indispensabile dell'evento della rivelazione inteso come agire salvifico di Dio. Ciò comporta delle conseguenze per la comprensione del­ l' «epifania del nostro salvatore Cristo GesÙ». Questa epifania è contrassegnata come evento salvifico dall'attribuzione al pia­ no salvifico di Dio e dalla descrizione dei suoi effetti (annien­ tamento della morte, disvelamento della vita e dell'immortali­ tà); 16 il suo punto di riferimento principale non è un evento del passato, ma la comunità cristiana interessata dalla predica4·

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24. Cfr. al riguardo K. Lager, Christologie 66-69, che giunge alla conclusione che «non vi sono chiari indizi per affermare che in .2 Tim. 1 ,9 s. l'autore delle pastorali stia fa­ cendo una citazione�. 25. Cfr. Ph.H. Towner, Goa/ 94 s.; K. Lager, Christologie 67-69. 26. Cfr. D. Liihrmann, Epiphaneia 198: «Anche qui l'èr.upcive:&Gt non è semplicemente la 'comparsa' di Gesù, bensì l'intervento soccorrevole�.

La cristologia delle lettere pastorali

zione del vangelo.17 Il contenuto di questo vangelo è l'annun­ cio della salvezza che Dio ha rivelato per mezzo di Gesù Cri­ sto. In questo modo, tuttavia, l'epifania di Cristo Gesù si spo­ sta al centro anche come data «storica» - «storica» non nel sen­ so di mera effettività, ma come luogo concreto di realizzazio­ ne della volontà salvifica di Dio e dell'esistenza salvi fica di Ge­ sù Cristo. La carica soteriologica del concetto di epifania non consente di comprendere l'incarnazione esclusivamente come un farsi uomo; inteso come evento di salvezza, esso implica croce e risurrezione come «date salvifiche centrali». 1 8 5 . Gesù Cristo, risorto e stirpe di Davide (2 Tim. 2,8). A pro­ posito di questo passo, in base agli elementi in comune con Rom. 1,3, si devono porre due interrogativi tra loro stretta­ mente connessi: nella sua duplice caratterizzazione di Gesù Cristo, l'autore riprende Rom. 1 e modifica il suo modello, oppure dipende da una tradizione più antica, tramandata pri­ ma e a fianco di Paolo ? E ancora: è possibile chiarire se l'auto­ re delle pastorali avesse delle ragioni per invertire l'ordine del­ le due affermazioni su Gesù Cristo ? Secondo H. Windisch l'autore ha rinvenuto nella tradizione questa «for­ mula dottrinale su Gesù Cristo», dotata di una «evidente duplicità esi­ stenziale», indipendentemente da Paolo; per Windisch (che parla di «mae­ stro apostolico») l'autore è palesemente responsabile dell'ordine inver­ so, poiché a lui premeva «innanzitutto presentare il Cristo come il risu­ scitato da Dio, per ricordare solo in un secondo momento l'esistenza ter­ rena che ha preceduto la risurrezione e che la scarna annotazione 'della stirpe di Davide' definisce essere quella del messia promesso nelle sacre Scritture».19 Ma poiché pure in altri passi delle pastorali bisogna ritene27. H. Windisch, Christologie 2 2 J , ne fornisce questa descrizione: «�etv viene posto in risalto il significato soterio­ logico del battesimo. Inoltre, dato che l' epiphaneia di Dio in quanto salvatore è presentata come cornice onnicomprensiva, il tempo presente dei cristiani, caratterizzato dal battesimo, tor­ na nuovamente a rappresentare (cfr. 2,1 4) il luogo cruciale di questa epiphaneia di Dio, della rivelazione della sua bontà e del suo amore per gli uomini. Questo atto sacramentale viene indicato in due modi, che al tempo stesso forniscono una interpretazione del battesimo.36 Prima di tutto l'autore parla di «bagno della rinascita». Il termine 7tClÀt )')'€V€atcx è attestato nel N uovo Test amento solo in Mt. I 9, .

18, in relazione al Figlio dell'uomo che verrà per giudicare e dunque ri­ ferita alla promessa di un rinnovamento escatologico. Evidentemente 7tClÀt)')'€Vtatcx non è stato un termine corrente nella pre­ dicazione cristiana fino al secondo secolo. 37 N o n è facile chiarire dove 36. Cfr. al riguardo N. Brox, Past. 307. 37· Anche nella letteratura patristica si trovano pochi esempi, che oltretutto non sono

Tit. J, I -7

2I 8

si collochi per le pastorali il punto di partenza storico-religioso.3 8 Dalla filosofia greca, nella quale 1ta.Àtyyevtata indicava la rinascita, ovvero il rin­ novamento del cosmo, tale termine venne ripreso nel linguaggio quoti­ diano, riuscendo così a entrare nella tradizione giudeo-ellenistica.39 Con significato specificamente religioso il termine 7ta.Àtyyevtata viene poi uti­ lizzato nei culti misterici per definire sia la vita oltre la morte sia una , qui presentato come mediatore dello Spirito santo, e dall'altra la prospettiva sulla vita eterna.s6 La vita dei cristiani si svolge tutta nella tensione tra passato e futuro; questa stretta connes­ sione qualifica inoltre il tempo presente come tempo di sal­ vezza. s7 E si può aggiungere che nessuno dei due poli può es­ sere abolito. s s 3 . Anche se si può supporre una dipendenza da tradizioni preesistenti, bisogna tuttavia interrogarsi sulla particolare rela­ zione tra questo testo e la situazione delle lettere pastorali. Do.

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s6. Con Ph.H. Towner, Goal I 19. 57· Il tempo tra le due epifanie, incarnazione e parusia, è il tempo della chiesa. Si trat­ ta di un tempo intermedio cristologicamente determinato; perciò, anche secondo l'in­ terpretazione di Ph.H. Towner, Age 439, lo schema dell'epifania attira ),attenzione sulla salvezza legata al mondo presente. 5 8 . Cfr. G. Schille, Paulus-Bild 77: «La chiesa delle lettere pastorali si prepara per una vita sobria nel tempo, anche se professa la propria fede nell'intervento di Dio in Cri­ sto e attende la venuta di Cristo come giudice, e dunque vive tra un,epifania e l, altra».

Tit. 3 , 1 -7

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ve risiede la sua attualità? s9 Al centro della predicazione delle pastorali vi è l'annuncio del presente come tempo della salvez­ za e anche come tempo decisivo in cui sperimentare la benevo­ lenza di Dio.6° Con questa marcata accentuazione del segno che la «misericordia» rivelata da Dio agli uomini imprime sulla vita presente dei cristiani e di tutte le condizioni che ciò comporta, le istruzioni impartite ai cristiani nei vv. 1 s. riguar­ do alla loro vita e alla loro condotta nel mondo ricevono un fondamento soteriologico. La ragione dell'apertura dei cristia­ ni verso tutti gli uomini è che Dio ha donato incondizionata­ mente e senza riserve la sua «misericordia». Ma sarebbe trop­ po poco limitarsi qui a parlare di una particolare accentuazio­ ne dell'etica. Le pastorali fondamentalmente trattano della con­ cezione della soteriologia in una forma, come si è già detto più volte, universale che comprende tutti gli uomini, e di una vita delle comunità cristiane che sia conforme a questa concezione soteriologica di fondo. Se dunque da una parte le pastorali perseguono l'intento di segnare i confini tra la comunità ortodossa, con la retta fede e la sana dottrina, e i ribelli e dissidenti, altrettanto si preoccu­ p ano poi di ribadire l 'universalità della volontà di salvezza e dell'agire salvifico di Dio. BIBLIOGRAFIA: J. Dey, IIAAirrEN E�IA. Ein Beitrag zur Kliirung der religionsgeschichtlichen Bedeutung von Tit. J,J (NTA xvn, 5) (Miinster 1 93 7} ; E. Din kl er, Die Taufaussagen des Neuen Testaments, in Zu Karl Barths Lehre von der Taufe, ed . F. Vicring (Giiters l o h 2 I 972) 60- I 3 H L. Hartmann, Auf den Namen des Herrn fesus. Die Taufe in den neutesta­ mentlichen Schriften (SBS I 48) (Stuttgart I 992) I o6- I I I ; E. Kasemann, Titus],4-7, in Exegetische Versuche und Besinnungen I (Gottingen 6 I970) 298-302; D. Rusam, Die Gemeinschaft der Kinder Gottes. Das Motiv der Gotteskindschaft u. die Gemeinden der johanneisch en Briefe (BWANT 1 3 3) (Stuttgart I 993) 98- 104; C. Spicq, La Philanthropie hellénistique, ver­ tu divine et royale: StTh I 2 ( I 9 5 8) I69- I 9 I . 5 9· A questa domanda s i può rispondere solo vagamente, ma per una migliore com­ prensione dell'intenzione kerygmatica non dovrebbe essere trascurata del tutto. 6o. Con Ph.H. Towner, Goal 1 1 9: «This theme of the reality of salvation in the pres­ ent age, then, I would argue, is the centerpoint of the theological substructure of the Pastorals».

7· ULTIMO RAFFORZAMENTO DELL 'AUTORITÀ

DEL PRESIDENTE PER LA RETTA FEDE DELLA COMUNITÀ ( 3,8- 1 1) Ilta'tÒ