Lettere a Timoteo-Lettera a Tito. Nuova versione, introduzione e commento

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Lettere a Timoteo-Lettera a Tito. Nuova versione, introduzione e commento

Table of contents :
P. Iovino, Lettere a Timoteo. Lettera a Tito
Indice generale
Parte prima SEZIONE INTRODUTTIVA
Prima Lettera a Timoteo
Indirizzo e saluto 1Tm 1,1-2
Lotta contro gli eretici e custodia della retta fede 1Tm 1,3-20
Ordinamento della comunità 1Tm 2-3
Lotta contro gli eretici e custodia della retta fede 1Tm 4-6
Lettera a Tito
Indirizzo e saluto Tt 1,1-4
Direttive comunitarie. Heterodidaskalia. Conformità alla confessio fidei Tt 1,5 - 2,15
Conformità alla confessio fidei. Heterodidaskalia. Direttive comunitarie Tt 3,1-15
Seconda Lettera a Timoteo
Indirizzo, saluto e azione di grazie 2Tm 1,1-5
Timoteo e la confessio fidei. Paolo in carcere per il vangelo 2Tm 1,6-18
Timoteo e la verità. Paolo offerto in libagione 2Tm 2,1 - 4,8
Ultime comunicazioni, saluti e augurio 2Tm 4,9-22
Parte terza IL MESSAGGIO TEOLOGICO
Lessico biblico-teologico di 1-2Timoteo e Lettera a Tito
Bibliografìa ragionata
Bibliografìa generale
Indice degli autori
Indice filologico
Indice delle citazioni bibliche

Citation preview

I LIBRI BIBLICI N u o v o T e s ta m e n to

15

Id e a z io n e e c o o r d in a m e n to r e d a z io n a le

O limpia C avallo P r im o T e s ta m e n to

G ianantonio B orgonovo N u o v o T e s ta m e n to

R in a ld o Fabris

Ha contribuito alla lettura critica della traduzione: Prof. Anna Passoni Dell ’Acqua (aspetto filologico)

LETTERE A TIMOTEO LETTERA A TITO nuova versione, introduzione e commento di Paolo Iovino

P er quanto rig u ard a il P rim o T estam ento, la C o llan a segue l ’ordine del canone ebraico. I d euterocan o n ici sono p o sti alla fine. L’espressio n e « P rim o T estam e n to » so tto lin ea la continuità, p u r n ella div er­ sità, tra i due T estam enti (cfr. E b 8,7.13): essa accoglie l ’esito del dialogo ebraico-cristian o , che h a p o rtato a leggere con sensibilità diversa il rapporto tra antica e n u o v a allean za e quello tra i due T estam enti.

PAOLINE Editoriale Libri © FIGLIE DI SAN PAOLO, 2005 Via Francesco Albani, 21 - 20149 Milano http://www.paoline.it e-mail: [email protected] D istribu zio n e: Diffusione San Paolo s.r.l. Corso Regina Margherita, 2 - 10153 Torino

Alle sorelle e ai fratelli nella fede, che abitano nella casa del Signore per cantare le sue lodi e gustare la sua bontà.

PREFAZIONE

Sono num erosi e ben docum entati i com m entari alle lettere pastorali che aprono le loro introduzioni fissando l ’attenzione sui tem i tradizionali: denom ina­ zione degli scritti, destinatari e ruoli rispettivi di Tim oteo e Tito, organizzazione della Chiesa, circostanze e date di com posizione, autenticità, collegam enti lette­ rari e tem atici, teo lo g ia1. Più recentem ente, si aggiungono: genere letterario, struttura, m essaggio12. D unque, una trattazione d a ll’esterno e, in qualche m odo, sganciata dal raccordo diretto e costante con il testo e con il suo im pianto lettera­ rio, anche se non m ancano frequenti richiam i, appunto, « dim ostrativi ». Il risul­ tato è una presentazione deduttiva fatta attraverso prospettive parziali autonom a­ m ente selezionate, necessariam ente opinabili e certam ente non esaustive. Ribadiam o: niente da eccepire alla rigorosità di dette introduzioni. Ci do­ m andiam o, tuttavia, se questo sia il solo m odo di « introdurre » al com m ento ese­ getico di un testo e, in particolare, se sia il più adeguato alla presentazione delle lettere pastorali. R iteniam o che dette lettere, per la specificità della loro configurazione storico-letterario-tem atica, im pongano un diverso tipo di approccio, com e una intro­ duzione « d a ll’interno », una sorta di im m ersione globale nel testo e nel suo am ­ biente vitale. Ci proponiam o, pertanto, non di selezionare previam ente le tem atiche « in­ troduttive », m a di farle em ergere direttam ente dal testo e dal vissuto delle C hie­ se, rendendolo erm eneuticam ente aperto e disponibile. Il vantaggio è tutto nel ri­ conoscim ento della « v e rità » di dette tem atiche e della loro problem aticità, non facilm ente riducibile in schem i convenzionali, proprio perché com plessa e varie­ gata. M a anche nella possibilità di scoprire i nessi convergenti della loro unita­ rietà e le linee direzionali del loro sviluppo. Lo scopo è quello di rendere vera­

1Cfr. il grande commentario di C. Spicq, S a in t P a u l L e s é p itr e s p a s to r a le s , voll. I-II (EB), Gabalda, Paris 19694 (il vol. I dedica a tali argomenti ben trecento pagine). Tutte le opere, la prima volta, sono citate complete di riferimenti, successivamente solo nei da­ ti essenziali. 2 Cfr. C. Marcheselli-Casale, L e le tte r e p a s to r a li. L e d u e le tte r e a T im o teo e la le tte r a a Tito (SOC 15), EDB, Bologna 1995; Id., L e le tte r e p a s to r a li a T im o teo e a Tito. A n a lis i le tte r a r ia e s tr a ­ te g ia re to ric a . P e r un c o n trib u to a llo sta tu s q u a e s tio n is d e ll ’e s e g e s i s u lle le tte r e p a s to r a li , in G. De Virgilio (ed.), I l D e p o s ito d e lla f e d e . T im o teo e Tito (Suppl.RivBiblt 34), EDB, Bologna 1998, pp. 19-38.

8

Prefazione

m ente « introduttive » tali tem atiche, cioè in grado di consentire un adeguato ac­ cesso al testo e al suo « m essaggio ». È im plicito che un sim ile approccio globale non consente alcuna divisione interna o dislocazione delle suddette tem atiche, che saranno pertanto tutte analizzate n e ll’am bito della presente trattazione, sia quelle storiche sia quelle letterarie e teologiche. U n breve excursus orientativo su ll’orizzonte erm eneutico. I protagonisti delle lettere innanzi tutto. L’autore non può essere esclusivam ente identificabile con il Paolo del suo settenario epistolare né con 1’« A posto­ lo » lucano, m a è da scoprire e accogliere n e ll’identità nuova offerta dalle lette­ re pastorali, cioè un « m ittente-m odello » definito « araldo, apostolo e m aestro ». Parim enti, i personaggi storici di Tim oteo e Tito non possono essere descritti in base alla conoscenza storica c h e se ne ha aliunde , m a quali « a tta n ti» delle let­ tere, e quindi nella duplice « correlazione » del loro ruolo: in rapporto a Paolo m ittente-m odello e in rapporto alle loro C hiese. Le stesse C hiese protagoniste n on p o sso n o sv elare la loro id en tità con u n a g en e rica rico stru zio n e storicosocioreligiosa, m a con u n ’attenta scrutatio del loro duplice ruolo di « d estinatario » e « am biente vitale » delle lettere. C onseguentem ente, il m essaggio non ap­ parirà com e u n a riflessio n e teo lo g ica d isin carn ata e autonom a, m a com e la parenesi viva di un « padre-m aestro », che si fa carico delle istanze reali delle sue C hiese, e quindi com e risultante di una intensa « correlazione » fra i vari « protagonisti-attanti ». Dal punto di vista letterario, specie in rapporto a ll’epistolario paolino, em er­ geranno - soprattutto nel corso d e ll’esegesi, m a con preannunzi significativi in fase introduttiva - convergenze e divergenze, peculiarità e sintonie con altri am ­ bienti culturali, apporti storici e rilevanze letterarie, echi della tradizione e tenta­ tivi di innovazione. D a qui, il passaggio a ulteriori approfondim enti esegetici sul­ le peculiarità del « linguaggio » delle lettere pastorali è inevitabile. A ppariranno così: selezione e creazione di parole tem atiche, focalizzazioni e disattenzioni di term ini afferenti, am pliam enti e restringim enti di aree sem antiche, silenzi e soste o accelerazioni, aggregazioni e rotture. Per queste vie sarà possibile dare u n ’ade­ guata risposta alla problem atica di fondo: paternità paolina o pseudoepigrafia3. È nostra profonda convinzione che solo una « introduzione » induttiva di questo genere, attenta al testo e quindi in linea di continuità con l ’esegesi, sia in grado di proporre le caratteristiche di globalità e sinteticità esigite da un prim o approccio alle lettere pastorali, propedeutico al successivo, di tipo « analitico-interpretativo », proprio del « com m ento ». N e ll’am bito del presente volum e, nella Parte prima. Sezione introduttiva, ciò è possibile unicam ente seguendo l ’articolazione argom entativa del testo e in­ dividuando, nel suo stesso sviluppo, priorità tem atiche e m odalità di trattazione.

3 Per una bibliografia completa sulle lettere pastorali, cfr. C. Spicq, S a in t P a u l L e s é p îtr e s p a ­ s to r a le s , vol. I, pp. 11-27, aggiornata da C. Marcheselli-Casale, L e le tte r e p a s to r a li , pp. 829-864. Sul problema dell'autenticità e della datazione, cfr. l ’apporto di P. Dornier, L e s é p îtr e s p a s to r a le s (SB), Gabalda, Paris 1969, e quello originale di S. de Lestapis, L ’é n ig m e d e s p a s to r a le s d e S a in t P a u l , Gabalda, Paris 1976, a difesa dell’autenticità paolina.

Prefazione

9

È l ' ite r che ci accingiam o a seguire. Il prim o im patto con i tre scritti non lascia dubbi sul loro vero centro di inte­ resse, che si configura com e asse centrale. La 1Tim oteo inizia con una pressante esortazione di Paolo: « P arten d o p er la M acedonia, ti ho esortato a rim anere a Efeso per ordinare a taluni di non insegnare dottrine diverse e di non aderire a fa­ vole e a genealogie interm inabili, le quali favoriscono più vane discussioni che non il disegno di Dio, (che si attua) nella fede » (1,3-4). M olto sim ile l ’inizio del­ la L ettera a Tito: « Vi sono, infatti, soprattutto fra quelli che provengono dalla cir­ concisione, m olti insubordinati, chiacchieroni e ingannatori, ai quali bisogna chiudere la bocca, perché sconvolgono intere fam iglie, insegnando, a scopo di guadagno disonesto, quello che non si deve insegnare » (Tt 1,10-11). Invito, dun­ que, a com battere la falsa dottrina, contraria al disegno di Dio che si attua nella fede. Il m edesim o invito ricom pare nella 2Tim oteo, m a con riferim ento diretto allo stesso Paolo e alla testim onianza nelle catene da lui resa al Signore, a causa della lotta in difesa della sana dottrina: « Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te p er l ’im posizione delle m ie m ani. Dio, infatti, non ci ha dato uno spi­ rito di tim idezza, m a di fortezza, di carità e di saggezza. N on vergognarti dunque della testim onianza del Signore nostro, né di m e che sono prigioniero per lui; m a soffri con m e per il vangelo, con la forza di D io » (2Tm 1,6-8). L'i te r seguito d a ll’autore e, conseguentem ente, nel nostro approccio al testo, è dunque segnato. B isogna com inciare ad affrontare il problem a della falsa dottrina, per poter poi focalizzare quello della « sa n a d o ttrina», non perdendo m ai di vista il ruolo del m odello costante di riferim ento: la testim onianza e il m essaggio di Paolo. Un ideale percorso dalle tenebre alla luce, guidati da colui che è considerato « aral­ do, apostolo e m aestro ».

ABBREVIAZIONI E SIGLE1

1. Associazioni, collezioni, testo, traduzioni A BI A CFEB A nB ib AnchB AT B ETL BJ BNTC CBQ CNT CTN T DBS EB EK K G LNT HNT H ThK N T ICC KN T LD LXX N IC N T NT NTD

A ssociazione B iblica Italiana A ssociation C atholique Française p o ur l ’étude de la Bible A nalecta B iblica (R om a) A nchor Bible (G arden C ity - N ew York) A ntico Testam ento (o anche Prim o Testam ento) B ib lio th e c a E p h e m e rid u m T h e o lo g ic a ru m L o v a n ie n siu m (Leuven) B ibbia di G erusalem m e (B ologna) B lack ’s N ew Testam ent C om m entaries (London) C atholic B iblical Q uarterly (W ashington) C om m entaire du N ouveau Testam ent (N euchâtel) C om m entario Teologico del N uovo Testamento (Brescia) D ictionnaire de la Bible, Supplém ent (Paris) Études B ibliques (Paris) E vangelisch-K atholischer K om m entar (Zürich-K öln-N eukirchen-V luyn) G rande Lessico del N uovo Testam ento (Brescia) H andbuch zum N euen Testam ent (Tübingen) H erd ers T h eo lo g isch e r K o m m en tar zum N euen T estam ent (Freiburg im B reisgau) International Critical C om m entary (Edinburgh) K om m entar zum N euen Testam ent (Leipzig) Lectio divina (Paris) Versione greca d e ll’A ntico Testam ento, detta dei Settanta N ew International C om m entary on The N ew Testament (Grand Rapids) N uovo Testam ento D as N eue Testam ent D eutsch (G öttingen) 1

1 Per i libri biblici sono utilizzate le sigle di B ib lic a 70 (1989) 581-582. Le altre sigle e abbre­ viazioni sono globalmente quelle contenute in Biblica 70 (1989) 577-594, da cui provengono anche le norme per le traslitterazioni ebraiche e greche.

Abbreviazioni e sigle NV RNT SNTS. MS SB SCTN T SOC Suppl.R ivB iblt TH N T TM TN TC TOB W UNT ZB K

11

N uovissim a versione (C inisello B alsam o [MI]) R egensburger N eues Testam ent (R egensburg) Studiorum N ovi Testamenti Societas. M onograph Series (C am ­ bridge) Studi B iblici (B rescia) Supplem enti al C om m entario teologico del N uovo Testam ento (B rescia) Scritti delle origini cristiane (B ologna) Supplem enti alla R ivista B iblica Italiana (Bologna) T heologischer H andkom m entar zum N euen Testament (Berlin) Testo m asoretico Tyndale N ew Testam ent C om m entaries (London) Traduction O ecum énique de la B ible (Paris) W issen sc h aftlich e U n tersu ch u n g en zum N eu en T estam ent (Tübingen) Z ürcher B ibelkom m entare (Zürich)

2. Riviste BZ

B ib lis c h e Z e its c h r ift (Paderborn)

CBQ

C a th o lic B ib lic a l Q u a r te r ly (W ashington)

E s tB ib JB L

E s tu d io s B ib lic o s (M adrid) J o u r n a l o f B ib lic a l L ite r a tu r e (Philadelphia)

NRT

N o u v e lle R e v u e T h é o lo g iq u e (Louvain)

NTS

N e w T e s ta m e n t S tu d ie s (C am bridge)

RB R evSR

R e v u e B ib liq u e (Jérusalem -Paris) R e v u e d e S c ie n c e s R e lig ie u s e s (Strasbourg)

RHPR R iv B ib lt

R iv is ta B ib lic a I ta lia n a (B ologna)

RQ

R e v u e d ’H is to ir e e t d e P h ilo s o p h ie R e lig ie u s e (Strasbourg) R e v u e d e Q u m rà n (Paris)

RSB

R ic e r c h e s to r ic o - b ib lic h e (B ologna)

RSR VT

R e c h e r c h e s d e S c ie n c e R e lig ie u s e (Paris)

ZNW

Z e its c h r ift f ü r d ie N e u te s ta m e n tlic h e W is s e n s c h a ft (G iessen-

ZTK

Z e its c h r ift f ü r T h e o lo g ie u n d K ir c h e (Tübingen)

V etus T e sta m e n tu m (Leiden)

B erlin)

3. Giudaistica Or. Sib . S a l. S a lo m . Test. X I I P atr. lE n

O r a c o li s ib illin i S a lm i d i S a lo m o n e T e sta m e n to d e i d o d ic i p a tr ia r c h i lE n o c h

12 4E sd 1Q H 1Q M lQ p H a b 4Q pPs 1Q S 4 Q flo r

Abbreviazioni e sigle 4 E sd ra

1 grotta 1 grotta 2 grotta 4 grotta 1 grotta 4 grotta

di di di di di di

Q um ran (In n i d i r in g r a z ia m e n to ) Q um ran (R o to lo d e lla g u e r r a ) Q um ran, p e s e r s u A b a c u c Q um ran, p e s e r s u i S a lm i Q um ran (R e g o la d e lla c o m u n ità ) Q um ran, F lo r ile g iu m

Parte prima

SEZIONE INTRODUTTIVA

CONCENTRAZIONE TEMATICA SU 1-2TIMOTEO E LETTERA A TITO

1. La heterodidaskalia e il problema dell'ambiente Tutte e tre le lettere pastorali presentano la lotta contro l ’eresia com e il pri­ m o dovere dei collaboratori di Paolo. In opposizione agli insegnam enti degli ere­ tici, essi devono insistere s u ll’ortodossia della fede. Così, la contrapposizione è innanzi tutto tra la « sa n a d o ttrin a» e la « d iv ersa d o ttrina», m a tocca anche le persone stesse di Tim oteo e Tito da una parte e gli avversari d a ll’altra. U n con­ trasto reso inevitabile dalla necessità di conservare il rapporto con Paolo e, con­ seguentem ente, l ’identità paolina delle com unità interessate. L’im postazione antitetica determ ina la particolare venatura polem ica del lin­ guaggio teologico-parenetico, proprio delle tre lettere, e il loro im pianto letterario-tem atico. M a anche le problem atiche a esse connesse ne sono condizionate. Così, per un verso, em ergono linee teologiche di indubbia originalità, in partico­ lare nel cam po della cristologia, della soteriologia e della ecclesiologia. Per l ’al­ tro verso, non appaiono m eno innovative le riflessioni sulla tradizione in genere e sulle peculiarità della stessa tradizione paolina in particolare, creando i presup­ posti per una diversa im postazione del problem a della paternità delle lettere. Si im pone, in tal senso, una presentazione non estrapolata dei testi, m a rispettosa della loro contestualità letteraria e del loro stesso « am biente vitale ». a) I f a l s i d o tto r i . - L’identificazione dei falsi dottori è uno di quegli am biti cui si dibatte il problem a d e ll’autore delle lettere pastorali. I difensori della loro autenticità sottolineano le convergenze con gli avversari presenti nel resto d e ll’e­ pistolario paolino. Così, si pone l ’accento, alternativam ente, o sulla loro identità « giudaizzante » oppure, riferendosi direttam ente alla corrispondenza con C orin­ to, sulla loro caratteristica di « en tu siasti» . I fautori della pseudepigrafia (F.C. Baur, H.J. H olzm ann, R. B ultm ann, M. D ibelius, C.K. B arret, H. Conzelm ann, E. Lohse) preferiscono accostarli, più o m eno direttam ente, al m ovim ento gnostico, con conseguente proposta di una datazione piuttosto recente. Alcuni autori (H.E von Com penhausen, N. Brox) si chiedono se i testi faccia­ no riferim ento a una eresia ben precisa o non intendano invece proporre una sorta di prontuario antieretico, un m anuale pratico a uso dei responsabili della Chiesa, per consentire loro di affrontare le eresie, senza entrare nel dettaglio delle dispute1.1 1 H.F. von Campenhausen, P o ly c a r p vo n S m y rn a u n d d ie P a s to r a lb r ie fe , Winter Universitätsverlag, Heidelberg 1963, p. 205.

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Parte prima. Sezione introduttiva

L’ipotesi sarebbe conferm ata d all’aspetto stereotipo dei testi in oggetto e dal loro carattere generico e variegato. Altri, in base alla m edesim a valutazione di stereotipia dei testi e alla etero­ geneità dei dati, ritengono che gli avversari siano, alm eno in parte, una « costru­ zione letteraria». C ostoro osservano che la presentazione letteraria degli avver­ sari determ ina le strutture stesse della 1Tim oteo e della Lettera a Tito. In realtà, il tem a d e ll’opposizione, p u r con am piezza variabile a seconda dei contesti, attraversa le tre lettere, scandendone il ritm o e organizzandone il m ate­ riale2. L’identità della com unità delle lettere pastorali e dei suoi responsabili si delinea « contro » insegnam enti e com portam enti ritenuti inadeguati e pericolosi. Si tratta di una delle relazioni costitutive del discorso indiretto delle esortazioni delle lettere pastorali. Il responsabile della com unità, com e in un fenom eno di dissolvenza, assum e i lineam enti innanzi tutto del discepolo di Paolo, poi quelli più generici d e ll’uom o virtuoso, infine quelli di un controm odello, il falso m ae­ stro di cui è l ’im m agine capovolta. Precisiam o, infine, che nelle lettere pastorali com e in tutti gli scritti neote­ stam entari, l ’intenzione d e ll’autore non è di dare inform azioni precise sugli av­ versari, m a di m ettere in guardia, di prevenire, di esortare chi potrebbe esserne vittim a e di screditare agli occhi del lettore coloro ai quali egli si oppone3. I p ro ­ nunciam enti polem ici appartengono di fatto a un genere stereotipato, e spesso hanno un rapporto con l ’identità reale degli avversari piuttosto tenue. È possibi­ le che le lettere pastorali utilizzino un m ateriale già esistente. Com e allora distin­ guere l ' inform azione sulla realtà storica dal luogo com une? E com e interpretare l ’uso di m otivi stereotipi n e ll’esortazione delle lettere pastorali? Sono i problem i che dobbiam o ora affrontare in una prim a rassegna globale dei testi situati nel contesto am pio delle singole lettere. Si tratta di una prim a « visione d ’insiem e», il cui scopo è appunto di « introdurre » il successivo com m ento esegetico. b) G li e le m e n ti d e lla p o le m ic a n e l c o n te s to d e lle le tte re . - 1 Timoteo. La po­ lem ica contro gli avversari struttura la parenesi della 1Timoteo: appare a ll’inizio della lettera sul tem a della « le g g e » (1,3-7), si ripresenta in 4,1-7 su quello della falsa ascesi, conclude sul tem a d e ll’« orgoglio » e del « denaro ». 1Tm 1,3-7. La prim a polem ica è rivolta contro quei tali che insegnano una falsa dottrina, in evidente opposizione alla « sana dottrina » o alla « bella dottri­ n a » , che è un insegnam ento conform e alla pietà. Le dottrine condannate riguar­ dano « fav o le (m y th o i) e genealogie interm inabili». I loro fautori si definiscono « dottori della legge »4. 1Tm 4,1-7. La seconda polem ica denunzia la com parsa di dottrine ispirate dai dem oni com e un segno degli ultim i tem pi. Fra tali errori, frutto di una falsa ascesi, sono da annoverare la proibizione del m atrim onio e il divieto di determ i­ nati cibi. « R oba da vecchiette », è il pesante giudizio di condanna. 2 Cfr. D.R. McDonald, The L e g e n d a n d th e A p o s tle : th e B a ttle fo r P a u l in S to r y a n d C a n o n , Westminster Press, Philadelphia 1983. 3 Cfr. A. Le Boulluec, L a n o tio n d ’h é r é s ie d a n s la litté r a tu r e g re c q u e . II e e t IIIe s iè c le s , Etudes Augustiniennes, Paris 1985. 4 N o m o -d id a s k a lo ì è un termine usato in Lc 5,17 e At 5,34 per indicare i farisei.

Concentrazione tematica su l-2Timoteo e Lettera a Tito

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1Tm 6,3-10 è la presa di distanza da controversie sterili e dispute di parole5. Sul piano m orale, i falsi dottori sono accusati di « orgoglio » e di sete di « guada­ gno », atteggiam enti che hanno riflessi negativi sulla vita della com unità: invidia, discordia, m aldicenze, sospetti cattivi. 1Tm 6,20. A l « d ep o sito della fe d e» che Tim oteo deve conservare gelosa­ m ente, si oppongono le « chiacchiere inutili »6 e le « obiezioni provenienti dalla falsa scienza »7. La polem ica contro i falsi m aestri, nella 1Tim oteo, è l ’aspetto negativo di un insegnam ento il cui risvolto positivo è rappresentato d a ll’am ore e dalla virtù. Ta­ le risvolto fa risaltare Tim oteo com e m odello per i suoi fedeli e il suo stesso com ­ pito di conservare intatto « il com andam ento » e « il deposito » affidatigli dal Si­ gnore. Pertanto, la polem ica di 1Tim oteo si configura com e conflitto in difesa della com unità: la presentazione degli avversari raggiunge lo scopo di far risalta­ re l ’im portanza d e ll’investitura di Tim oteo quale vera guida della com unità. Q uesta interpretazione - nota Y. R edalié8 - è conferm ata dalla presenza, in ognuno dei tre contesti polem ici, dei tre m otivi che articolano il contrasto: l ’inse­ gnam ento, la lotta, l ’ordinazione9. L’insegnam ento: « d o ttrin e d iv erse» contro « sa n a dottrina» (1Tm 1,3.10); «insegnam en ti d em o n iaci» contro « b u o n in seg n am en to» (4,1.6); «insegnare diversam ente» contro « san e p aro le » (6,3); « d e p o sito » contro « fa lsa scienza» (6,20). La lotta: « com battere la buona b attag lia» (1,18); « p e r questo noi ci affa­ tichiam o e co m b a ttia m o » (4,10); « c o m b a tti la b u o n a battag lia della fe d e » (6,12). L’ordinazione: « in accordo con le profezie già fatte su di te » (1,18); « l ’im posizione delle m ani » (4,14); « la bella professione di fede davanti a m olti testim oni» (6,12). Infine, gli avversari, nella 1Tim oteo, sono presenti in ogni tem po: nel passa­ to di Paolo e della com unità, nel presente dei destinatari e nel futuro degli ultim i tem pi. A nche questa presentazione nel perm anere del tem po è funzionale alla sal­ vaguardia della com unità e a ll’attualità d e ll’esortazione d e ll’A postolo. Lettera a Tito. L a L ettera a Tito presenta due brani sugli avversari: 1,10-16; 3,9-11, collocati in apertura e a chiusura delle riflessioni soteriologiche centrali della lettera. Il prim o presenta la confutazione degli « oppositori » della sana dot­ trina com e uno dei com piti del vescovo (1,9), e introduce i contenuti della « sana dottrina» che Tito deve insegnare (Tt 2,1 ss.). Il tem a della dottrina dà l ’avvio a un prim o sviluppo teologico su ll’opera salvifica: « È apparsa la grazia di D io che porta salvezza a tutti gli u o m in i... » (Tt 2,11-14). U na nuova riflessione sulla m a­ nifestazione della bontà di Dio, con riferim ento al lavacro battesim ale e ai suoi

5 L o g o m a c h ia , termine h a p a x delle lettere pastorali. 6 Anche k e n o p h ō n ia è termine h a p a x delle lettere pastorali. 7 Il termine a n tith e sis, h a p a x delle lettere pastorali, appartiene senza dubbio al vocabolario specifico dei falsi dottori. 8 Y. Redalié, P a u l a p r è s P a u l. L e tem p s, le sa lu t, la m o r a le se lo n le s é p îtr e s à T im o th ée e t à Tite , Labor et Fides, Genève 1994, p. 398. 9 Traduciamo d id a s k a lia con « insegnamento » o « dottrina » in base al contesto, alla lotta, all'ordinazione di Timoteo.

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Parte prima. Sezione introduttiva

effetti (Tt 3,3-7), si conclude con un secondo avvertim ento: Tito stia in guardia contro le posizioni di quanti sono qui definiti, per la prim a volta, « eretici » ( h a ir e tik o n a n th r ōp o n , Tt 3,10). Tt 1,10-16. Il testo inform a s u ll’am biente di origine delle false dottrine: so­ no introdotte da uom ini che «provengono dalla circoncisione» (Tt 1,10), i quali «dichiarano di conoscere Dio, m a lo rinnegano con i fa tti» (Tt 1,16), e riguarda­ no questioni di purità e im purità, favole, (m y th o i) , giudaiche, « precetti di uom i­ ni che rifiutano la v erità » (Tt 1,14)101. Tt 3,9-11. Si polem izza contro le «questioni sciocche», le « g en ealo g ie» , « le polem iche intorno alla legge », definiti problem i inutili e vani. M a soprattut­ to si decidono le sanzioni da prendere: « D o p o un prim o e un secondo am m oni­ m ento, sta’ lontano da chi è fazioso ». Il term ine richiam a la situazione descritta in 1Tm 1,20 e rinvia a una prassi consolidata, sulla base d e ll’indicazione evange­ lica (cfr. M t 18,15 ss.). Evidente la connotazione m inisteriale del tem a, unitam ente alla più esplici­ ta caratterizzazione giudaica degli avversari11. 2 Timoteo. In questa lettera, dato il suo tono prevalentem ente autobiografico, lo scontro con gli avversari assum e contorni personali, e la stessa deviazione si connota com e 1’« abbandono» di Paolo prigioniero12. Il tem a d e ll’abbandono è collegato a quello della sofferenza, che percorre tutta la lettera. A bbandonare l ’A postolo equivale ad abbandonare la verità del vangelo13. Q uesta equiparazio­ ne tra m essaggio e m essaggero è evidente in 2Tm 4,14-15: «A lessandro, il fab­ bro, m i ha procurato m olti guai [...]. A nche tu guardati da lui, perché si è accani­ to contro la n o stra p re d ic a z io n e » . N e lle in d icaz io n i p aren etich e riv o lte personalm ente a Tim oteo si ritrovano i tre m otivi strutturali rilevati sopra: l ’ordi­ nazione (2Tm 1,6), il « b el/b u o n » deposito e le parole « s a n e » (2Tm 1,12-14), la lotta che introduce e conclude la parenesi (2Tm 2,3-7; 4,6-8). I testi forniscono preziose indicazioni sulla natura del contrasto. 2Tm 2,16-18. U na prim a inform azione precisa sulla natura delle « ch ia c ­ chiere vuote »: esse consistono n e ll’afferm are che « la risurrezione è già avvenu­ ta» . D ue eretici, Im enèo e Filèto, a tal proposito, sono stati condannati. 2Tm 3,1-9. C om e in 1Tm 4,1, la proliferazione degli avversari appare com e un segno della fine dei tem pi. Tutta una serie di aggettivi dispregiativi qualifica la generazione di quei « m om enti d ifficili» che avrà solo l ’apparenza della religio­ ne: «E goisti, am anti del denaro, vanitosi, orgogliosi, b estem m iatori». Soprattut­

10Il termine m y th o s - già incontrato in 1Tm 1,4 - è molto pesante, considerato che esso era ri­ ferito normalmente ai racconti mitologici pagani. 11Sulla forte presenza di ebrei a Creta, cfr. Giuseppe Flavio, A n tic h ità g iu d a ic h e 17,327; G u e r­ ra g iu d a ic a 2,103; Vita 1 6 , dove si apprende che la sua seconda moglie era una cretese ebrea; Taci­ to, S to r ie 5,2, dove riporta la leggenda sulla origine cretese degli ebrei, legata al monte Ida. 12 Y. Redalié, P a u l a p r è s P a u l , p. 198, nota 107, rileva che 2Tm 1,15-18 riassume la prima esortazione in un contrasto tra « ricordarsi », « non vergognarsi », da una parte (2Tm 1,3-5.6.8.12.16) e, dall’altra, «tutti quelli dell’Asia mi hanno abbandonato» (2Tm 1,15), cui corrisponde, in inclu­ sione, «tutti mi hanno abbandonato» di 2Tm 4,16. 13Cfr. 2Tm 1,12.15; 2,8; 4,10.

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to le donne saranno vittim e di questa gente « dalla m ente corrotta e che non ha da­ to buona prova della fede », che « entrano nelle case e circuiscono certe donnette cariche di peccati ». 2Tm 4,3-4. È u n ’am ara considerazione sulla causa di tanto disastro: se non ci fosse la com plicità di un uditorio incapace di sostenere la « sana dottrina » e sensibile alle lusinghe di « m aestri secondo le proprie voglie» , gli eretici non avrebbero tutto quel successo. N ell ’insiem e, la 2Tim oteo conferm a i rilievi della prim a lettera. L’argom en­ tazione continua a procedere in m aniera antitetica: la denunzia degli avversari si alterna con l ’esortazione a Tim oteo. A ncora una volta, il dibattito prende avvio da un conflitto tra insegnam enti14 e il m odo di insegnare: dolcezza contro dispu­ ta, verità contro falsa apparenza. Si ripresenta, infine, il tem a della perm anenza nel tem po degli avversari: al passato appartengono precisi personaggi storici che hanno abbandonato Paolo o hanno deviato dalla v erità15; il futuro è descritto in term ini generici, quasi con liste di v izi16; le notazioni più concrete sono riferite al presente17. U n ’ultim a notazione: la 2Tim oteo, differentem ente dalla prim a e dalla L et­ tera a Tito, non segnala indizi giudaici negli avversari. Q uesta diversità, secondo J. M urphy O ’C onnor18, è uno degli argom enti a favore della distinzione tra la 2Tim oteo, da una parte, e la 1Tim oteo e la Lettera a Tito, d a ll’altra, sia dal punto di vista d e ll’autore, sia dal punto di vista delle circostanze della stesura. c) I c o n te n u ti d e lla p o le m ic a . - L’esam e contestuale dei testi e la loro stessa te­ stimonianza diretta o indiretta rivelano appartenenze m olteplici e linee di pensiero di varia natura. Sono com parsi, di volta in volta, am bienti cristiani, giudaici, talvol­ ta anche paganeggianti, unitam ente a conflitti sulla conoscenza, sulla risurrezione, su ll’ascesi. Implicitam ente, è em erso con forza l ’antitetico rinvio a una dottrina stabile, norm a di riferim ento e, per ciò stesso, guida sicura nella scoperta del m oti­ vo vero della polem ica. In base a questo dato della redazione, riteniam o possibile aggregare i contenuti della polem ica in indirizzi comuni, consapevoli di avviare una sorta di introspezione storica esigita d all’erm eneutica dei testi. L a c o n o s c e n z a . Il contrasto più forte sem bra svilupparsi tra vera e falsa co­ noscenza. Il term ine g n ō s i s , « conoscenza di D io », contraddistingue la pretesa dei falsi m aestri: « D ichiarano di conoscere Dio, m a lo rinnegano con i fatti » (Tt 1,16). Più chiaram ente 1Tm 6,20 denunzia la pseudognosi che si oppone, eviden­ tem ente, alla «co n o scen za della v erità » (1Tm 2,4), di cui le lettere pastorali si fanno fautori: « E v ita le obiezioni della falsa conoscenza. Taluni, per averla se­ guita, hanno deviato dalla fede ». P er situare storicam ente gli errori denunziati, bisognerebbe conoscere m e­ glio le origini dello gnosticism o. È noto, tuttavia, che nessuna opera espressiva

14 Cfr. 2Tm 2,24-25; 3,10; 4,3. 15 Cfr. 2Tm 1,15; 2,17; 4,10.14. 16 Cfr. 2Tm 3,2 ss.; 4,3 ss. 17 Cfr. 2Tm 2,14.18; 3,5-7. 18 J. Murphy O ’Connor, 2 T im o th y C o n tr a s te d w ith 1 T im o th y a n d T itu s , in R B 98 (1991) 415.

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dei grandi sistem i gnostici denunziati dai padri della C hiesa è anteriore al II se­ colo. È probabile che prodrom i si siano m anifestati a partire dalla fine del I seco­ lo, m a non c ’è alcuna testim onianza testuale esplicita19. A m otivo della presenza del term ine a n tith e s e is in 1Tm 6,20, alcuni autori20 individuano una polem ica contro M arcione, autore appunto delle A n tite s i , dove egli rileva le opposizioni tra il D io degli ebrei e il D io Padre di G esù Cristo, con il noto intento di stim olare a ll’abbandono d e ll’A ntico Testam ento, opera non del Padre rivelato da G esù Cristo, m a di un dem iurgo, potenza inferiore e crudele. U na proposta difficile da accettare sia p er l ’im plicita datazione tardiva delle let­ tere pastorali (attorno a ll’anno 140), sia soprattutto perché uno dei m otivi princi­ pali della polem ica si sviluppa attorno alla legge: gli avversari si ritengono « dot­ tori della legge », m entre l ’autore delle lettere pastorali assegna proprio alla legge il com pito di sm ascherare i loro vizi. La pretesa degli avversari di conoscere D io determ ina l ’accusa di essere « ac­ cecati d all’orgoglio » e - più pesantem ente - di « non com prendere nulla » ( m ē d e n e p is ta m e n o s , 1Tm 6,4). P arallelam ente, in 1Tm 1,7, l ’autoproclam azione dei m aestri della legge è seguita d a ll’accusa di ignoranza: « M entre pretendono di es­ sere dottori della legge, non capiscono (m e n o o u n te s ) né quello che dicono né ciò di cui si ritengono sicuri ». Identico conflitto si ripropone a proposito delle donne che seguono tali maestri: « sem p re pronte ad apprendere (m a n th a n o n ta ), m a che non riescono m ai a giungere alla conoscenza della v erità» (2Tm 3,7). A quale tipo di giudaism o possono collegarsi tali avversari? N on può trattarsi del giudaism o farisaico contro cui ha com battuto Paolo contrapponendo la giustificazione p er m ezzo della fede alla giustizia p er m ezzo delle opere della legge (in G alati e in R om ani). N on si tratta nem m eno di proble­ m i di calendario, tanto dibattuti nelle com unità della G alazia (Gal 4,10) e a C o­ lossi (Col 2,21-23). L a m enzione delle «genealogie interm inabili» (1Tm 1,4) ri­ chiam a la speculazione sulle classi degli angeli denunziata a Colossi, m a è nota l ’im portanza delle genealogie negli scritti biblici e, più ancora, negli apocrifi. L’espressione « favole, (m y th o i ), giudaiche » corrisponderebbe bene alle elabora­ zioni fantasiose fatte, ad esem pio sui racconti della G enesi, dal L ib r o d e i g iu b ile i o dal L ib r o d i E n o c h , o dall ' A p o c r ifo d e lla G e n e si. L a r is u r r e z io n e . « L a risurrezione è già av v en u ta» (2Tm 2,18). È l ’unico enunciato teologico posto in bocca agli avversari. L a sua im portanza ai fini della identificazione del contrasto e degli oppositori è indubbia. Tuttavia, l ’interpreta­ zione segue due piste differenti. A lcuni la intendono com e una errata interpretazione del pensiero di Paolo. In R m 6, l ’Apostolo distingue, a proposito del battesim o, tra l ’im m ersione pre­ sente nella m orte di Cristo e la speranza n e ll’unione futura alla sua risurrezione. In Efesini, invece, l ’insistenza è talm ente incentrata sul g ià della salvezza che tutto sem bra essere stato già acquisito: « D io [...] da m orti che eravam o per le

19 Cfr. E. Cothenet (ed.), L e s é p îtr e s p a s to r a le s , in C a h ie r s É v a n g ile 71 (1990 / NS 72) 16. 20 Cfr. L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li , Paideia, Brescia 1999, vol. I, p. 480, nota 9.

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colpe, ci ha fatti rivivere con Cristo [...] e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo G e­ sù » (E f 2,5-6). In un inno battesim ale della stessa lettera, 1’iniziato è invitato a ri­ sorgere dai m orti: « Svegliati, tu che dorm i, risorgi dai m orti e C risto ti illum i­ n erà» (E f 5,14). Sulla scia della riflessione della L ettera agli Efesini, l ’evento della risurre­ zione potè essere stato interpretato dagli avversari delle lettere pastorali, fra que­ sti Im enèo e Filèto (2T m 2,17), in senso puram ente spirituale, cioè com e risurre­ zione interiore operata dal battesim o, o com e una specie di ascensione m istica verso Dio. Di fronte a questo spiritualism o estrem o, le lettere pastorali avrebbe­ ro ripreso l ’insegnam ento sicuro di 1Cor 15,13-50: m ettere in dubbio la risurre­ zione futura dei corpi significa distruggere tutta la fede cristiana. È pure vero che la m edesim a form ulazione ha dato avvio alle dottrine gno­ stiche. D onde la seconda p ista interpretativa d e ll’enunciato teologico di 2Tm 2,18. Si osserva che, nella gnosi, la conoscenza, in quanto scoperta d e ll’io divi­ no dim enticato, perduto o nascosto, è una risurrezione, intesa in senso spirituale. Gli avversari sarebbero dunque dei protognostici. In tale prospettiva, le stesse « favole » e « genealogie » delle lettere pastorali potrebbero riecheggiare la ricer­ ca gnostica su ll’origine d e ll’uom o21. L 'a sc e si. « G en te che vieta il m atrim onio» (1Tm 4,3). U n sim ile errore non può provenire dal giudaism o. Ci si dom anda: Si tratta di una condanna assoluta, m otivata d a ll’idea che la m ateria è cattiva, o di una condanna relativa, di natura ascetica? A nche qui, nel prim o caso, l ’errore si accosterebbe a ll’encratism o22, m entre nel secondo caso gli avversari sarebbero asceti ortodossi intransigenti, che avrebbero portato alle estrem e conseguenze il pensiero di Paolo espresso in 1Cor 7 con l ’elogio della verginità. L’autore degli A t t i d i P a o lo 23 concentra il discorso di Paolo a L istra su que­ sto tem a: « B eati i puri di cuore perché vedranno Dio. B eati coloro che conserva­ no la castità della loro carne, perché saranno il tem pio di Dio. Beati i continenti, perché D io si intratterrà con loro. B eati coloro che hanno rinunziato a questo m ondo, perché sono graditi a D io »24. C om e è noto, questo discorso infiam m ò il cuore di Tecla che - secondo il c lic h é abituale degli A tti apocrifi di diversi apo­ stoli - subito rinunziò al suo fidanzato. D em a ed Erm ògene, i due ex com pagni di Paolo, ai quali si rivolge Tamaris, il fidanzato respinto da Tecla, per cercare di sottrarre l ’am ata al fascino di Paolo, così gli riassum ono l ’insegnam ento d e ll’A ­ postolo: «A llo n tan a i giovani dalle fanciulle e le vergini dagli uom ini, dicendo: Voi potrete risorgere solo se vi conservate casti, e se, anziché insudiciare la vo­ stra carne, la conserverete p u ra » 25. Gli stessi, orm ai pronti a tradire Paolo per se­ te di guadagno, gli insegnano poi: « C o s ’è la risurrezione della quale Paolo dice 21 C. Spicq (S a in t P a u l L e s é p îtr e s p a s to r a le s , vol. II, p. 758) rinvia a Giustino, A p o lo g ia e 1,26,4; Ireneo di Lione, A d v e r s u s h a e r e s e s 1,23,5. 22 Cfr. Ireneo di Lione, A d v e r s u s h a e r e s e s 1,28,1. 23 Cfr. L. Vouaux, L e s A c te s d e P a u l e t s e s le ttr e s a p o c r y p h e s , Letouzay & Ané, Paris 1913. 24 Vedi A tti d i P a o lo 5-6. 25 Così gli A tti d i P a o lo 12.

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che deve accadere; essa è già accaduta, grazie ai figli che generiam o, e noi risu­ scitiam o riconoscendo il vero D io26. Com e si constata, il tem a della risurrezione e quello della continenza sono fra loro connessi. Sono anche m olteplici i punti di incontro con le lettere pastora­ li. J. R ohde, citato da Y. R edaliè2728, osserva acutam ente che ciò che l ’autore degli A t t i d i P a o lo presenta com e insegnam ento autentico d e ll’A postolo, è esattam en­ te ciò che le lettere pastorali com battono com e insegnam ento erroneo. L’opposi­ zione è frontale. Ispirandosi a ll’insegnam ento della G enesi, le lettere pastorali di­ fendono l ’istitu zio n e m atrim o n iale, v alo riz zan o la m atern ità (1T m 2,15) e consigliano alle giovani vedove di risposarsi (1Tm 5,14). Ciò corrisponde piena­ m ente a ll’insegnam ento di Paolo in 1Cor 7,40. Si è pertanto tentati di afferm are che gli avversari delle lettere pastorali si collocano n e ll’area ideologica delle tra­ dizioni riprese e attribuite a Paolo negli A tti d i P a o lo 28. L a situazione rim ane com unque com plessa. Le tendenze ascetiche possono far parte della tradizione paolina, anche se distorta, com e dim ostrano i num erosi punti di contatto. Paolo proponeva un certo tipo di rinunzia, basandosi sulla no­ vità della creatura in C risto e sulla condizione escatologica del credente. A nche riguardo a ll’osservanza di certe norm e alim entari, l ’A postolo interviene nel di­ battito tra « forti » e « deboli » (cfr. R m 14,2.21), spostandolo sul terreno delle re­ lazioni intracom unitarie e proponendo l ’agire « n e lla carità», rispettoso della li­ bertà di ognuno. L’autore delle lettere pastorali si orienta un p o ’ diversam ente. In 1Tm 4,3-4, ad esem pio, a quanti tendono a giudicare negativam ente la creazione, obietta che chi prende le distanze dalla creazione, non può conoscere il vero Dio, che ne è l ’artefice. C o n c lu s io n e . - G iunti alla fine di questa indagine sulla h e te r o d id a s k a lia , dobbiam o riconoscere che i problem i affrontati sono rim asti, in buona parte, irri­ solti. La problem atica è indubbiam ente com plessa, m a l ’autore si è ben guardato dal sem plificarla; più che fare uscire dalla oscurità le singole deviazioni e contro­ batterle in cam po aperto, ha preferito che fosse la verità stessa ad aprirsi la stra­ da svelando ogni traccia di errore e ipocrisia là dove subdolam ente si annidava­ no. H a quindi puntato decisam ente sulla solidità della fede e la lum inosità della tradizione, quella del suo m aestro Paolo innanzi tutto. Così, il suo intento è sem ­ pre em erso con forza: esortare Tim oteo e Tito, e in loro tutte le guide della com u­ nità, a esercitare il loro com pito m inisteriale in fedeltà agli insegnam enti di P ao­ lo, stabilito p er tutti « araldo, apostolo e m aestro ». N e è venuto fuori un quadro con tinte contrastanti: piuttosto buio e sfum ato nella zona riservata alla h e te r o d id a s k a lia , dove non si trova m ai - diversam ente 26 Cfr. A tti d i P a o lo 1 4 .1 temi della procreazione e della conoscenza della verità si ritrovano nelle lettere pastorali. In 1Tm 2,15 si dice che la donna « si salverà mediante la generazione di figli, rimanendo con saggezza nella fede, nella carità e nella santificazione ». 27 Cfr. J. Rohde, P a s to r a lb r ie fe u n d A c ta P a u li , in S tu d ia E v a n g e lic a 5 (F.L. Cross, ed.), Akademie Verlag, Berlin 1968, p. 309; Y. Redalié, P a u l a p r è s P a u l L e tem p s, le sa lu t, la m o r a le se lo n le s é p îtr e s à T im o th ée e t Tite, Labor et Fides, Genève 1994, p. 385, nota 67. 28 Sul rapporto tra gli Atti apocrifi degli apostoli e l' encratismo, cfr. Y. Tissot, E n c r a tism e e t A c te s a p o c r y p h e s , in F. Bovon e altri, L e s A c te s a p o c r y p h e s d e s A p ô tr e s. C h r istia n ism e e t m o n d e p a ïe n , Labor et Fides, Genève 1981, pp. 109-111.

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dalle grandi lettere di Paolo - una problem atica ben focalizzata, com e la giustifi­ cazione per m ezzo della fede in G alati e R om ani, o gli idolotiti in 1Cor 8-10, o il ruolo di C risto in rapporto alla creazione nelle lettere della prigionia: C olossesi ed Efesini, m a pieno di luce in quella della sana e bella d id a s k a lia . Al centro è possibile cogliere il punto focale di detta lum inosità: la figura stessa di Paolo, il testim one fedele per eccellenza. È su q u est’a l t o zona del quadro che vorrem m o ora portare la nostra atten­ zione, prendendo prim a in esam e il suo punto focale.

2. L’immagine di Paolo e il problema dell’autenticità Dopo la m essa in guardia contro i falsi dottori, la presentazione dei titoli di Paolo. In quanto apostolo, inviato da D io e dal Signore Gesù, egli si configura co­ m e esem pio della m isericordia di Dio che lo ha totalm ente trasform ato. In quan­ to araldo, apostolo e m aestro, sem bra ergersi quasi a unica fonte della tradizione per coloro che devono proseguire il suo insegnam ento. Infine, in quanto m artire, egli dim ostra che non è possibile separare il ruolo dottrinale dalla testim onianza della sua vita. In queste tre piste seguite dalle lettere pastorali, sentiam o riecheggiare certo non pochi brani autobiografici delle lettere paoline29, m a cogliam o anche la pre­ senza di tracce di riflessione della tradizione: appare evidente l ’intento di con­ centrare una m olteplicità di ruoli nella persona di Paolo. Riteniam o utile presentare innanzi tutto, globalm ente, i testi in questione. Cercherem o poi di contestualizzarli in rapporto alle tradizioni utilizzate e alla tra­ dizione paolina espressa. Esam inerem o, infine, i m olteplici aspetti della redazionalità, sem pre in rapporto alla tradizione paolina. È evidente che, nello sfondo, continua a riproporsi, sotto altra veste, il problem a d e ll’autenticità. a) I te s ti d e s c r ittiv i d e ll'im m a g in e d i P a o lo (1 T m 1 ,1 2 -1 7 ). - È un brano di chiaro stile autobiografico. Paolo presenta la sua vocazione com e u n ’esperienza di conversione. Proprio perché è stato beneficato dalla grazia di Dio, egli può proclam are con verità la sua infinita m isericordia. L’im postazione antitetica è dom inata dal contrasto tra il passato di persecu­ tore e la chiam ata di Dio: « Io che prim a ero un bestem m iatore, un persecutore e un violento, m a ho ottenuto m isericordia, perché agivo n e ll’incredulità, senza sa­ perlo; così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato assiem e alla fede e al­ l ’am ore che è in Cristo G e sù » (1Tm 1,13-14). Riecheggiano i paralleli brani paolini sulla conversione, m a con la fisiono­ m ia propria a ognuno. 1Cor 15 colloca Paolo nella linea degli apostoli prim a di lui; Gal 1 evidenzia il suo rapporto im m ediato con Cristo, che gli è stato rivelato direttam ente dal Padre; Fil 3 pone l ’accento sulla sua decisione, dopo essere stato afferrato da Cristo e folgorato dalla sua conoscenza, di considerare com e perdita

29 Cfr. 1Cor 15,1-11; Gal 1,11-17; Fil 3,7-17.

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tutto ciò che prim a appariva ai suoi occhi un guadagno, proteso co m ’è a confor­ m arsi in tutto a C risto, alle sue sofferenze com e alla sua risurrezione. Il nostro testo inizia con u n ’azione di grazie: « Rendo grazie a colui che m i ha reso forte, Cristo G esù Signore nostro » (1Tm 1,12). Si com pleta con una dossolo­ gia: « Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile, unico Dio, onore e gloria nei se­ coli dei secoli. A m en » (v. 17). A l centro si colloca una solenne dichiarazione di fede: « Q uesta afferm azione è sicura e degna di essere accolta da tutti: Cristo G e­ sù è venuto nel m ondo per salvare i peccatori; dei quali io sono il prim o » (v. 15). Si ripresentano così i due aspetti tipici di ogni racconto di vocazione: l ’ini­ ziativa divina che concede la grazia della conversione e stabilisce il « chiam ato » nel suo com pito m inisteriale, e la libertà d e ll’uom o che se ne dim ostra degno: « M i ha giudicato degno di fiducia ponendom i al (suo) servizio » (v. 12). C onfer­ m a di tale « d ig n ità » è la duplice disponibilità d e ll’A postolo: pronto a credere a ll’annunzio: « Q u e sta afferm azione è sicura e d eg n a » , altrettanto pronto a te ­ stim oniarlo con la vita: « A ppunto p er questo ho ottenuto m isericordia, perché in me, per prim o, Cristo G esù dim ostrasse tutta la sua longanim ità (com e) esem pio per quelli che avrebbero creduto in lui in vista della vita etern a» (v. 16). 1Tm 2,7: « Sono stato fatto araldo e apostolo - dico la verità, non m entisco - , m aestro delle genti nella fede e nella verità»; 2Tm 1,11: «S ono stato costituito araldo, apostolo e m aestro ». Due testi m olto vicini, che presentano i titoli di Paolo. U na trilogia presente in altre lettere di Paolo, m a qui assum e connotazioni particolari. Il sostantivo « araldo » è usato solo qui, ed è situato in testa alla lista, prim a dello stesso titolo di « apostolo », privilegiato da Paolo, quasi a voler sottolineare il suo com pito pubblico e universale. A ncora di più colpiscono la concen­ trazione di titoli riferiti a Paolo e la stessa sua collocazione in un contesto kerigm atico-liturgico. Paolo sem bra assurgere quasi a fonte unica della tradizione. Appare evidente lo scopo del discepolo: difendere la dottrina del m aestro contro le deviazioni dei falsi dottori. U n ’ultim a serie di testi precisa il tipo di « esem plarità » evocata in 1Tm 1,16. Essenzialm ente, Paolo realizza la sua identità di « m odello » quando accetta di soffrire con Cristo: « Soffri con m e p er il vangelo » (2Tm 1,8). Le prove della pri­ gionia concorrono al servizio del vangelo: « Io soffro (per il vangelo) fino a por­ tare le catene com e un m alfatto re» (2Tm 2,9). L’assim ilazione a C risto diventa piena quando Paolo equipara il dono della sua vita a un sacrificio: « Q uanto a me, sto per essere offerto in libagione ed è giunto il m om ento della m ia partenza » (2Tm 4,6-7). In term ini quasi identici si era espresso in Fil 2,17 (« Il m io sangue sta per essere versato ed è giunto il m om ento che io lasci questa vita. Ho com bat­ tuto la buona battaglia, ho term inato la corsa, ho conservato la fede »). N on conosciam o le circostanze che hanno accom pagnato l ’ultim o processo di Paolo e segnato gli ultim i istanti della sua vita, m a sappiam o che la sua p a s s io si è conclusa, com e quella del suo M aestro, sotto il segno della più am ara solitu­ dine: « N e lla m ia prim a difesa in tribunale nessuno m i ha assistito; tutti m i hanno abbandonato» (2Tm 4,16). M a, com e il suo M aestro, l ’A postolo, attingendo for­ za dalla fede in Dio, ha aperto il cuore al perdono, ha invocato la sua m isericor­ dia e ha confidato nella sua prom essa: « N o n se ne chieda loro conto. Il Signore

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però m i è vicino e m i ha dato forza, perché io potessi portare a com pim ento l ’an­ nunzio del vangelo e tutti i gentili lo ascoltassero [...]. Il Signore m i libererà da ogni m ale e m i salverà nel suo regno celeste» (2Tm 4,16b-18). Così, Paolo ha testim oniato di essere apostolo delle genti m ediante il suo m artirio, collocandosi nel flusso vitale di quella tradizione che egli ha ricevuto e che ha fedelm ente trasm esso: «T u, figlio m io, attingi forza dalla grazia che è in Cristo Gesù: le cose che hai udito da m e davanti a m olti testim oni, trasm ettile a persone fidate, le quali a loro volta siano in grado di insegnare anche agli altri » (2Tm 2 ,l-2 )30. b) L ’im m a g in e d i P a o lo tra tr a d iz io n i e tr a d iz io n e p a o lin a . - L a critica ese­ getica degli ultim i decenni si è concentrata su un presupposto ritenuto inoppu­ gnabile: i grandi tem i teologici paolini (la giustificazione, la tensione escatologi­ ca, la cristologia e la soteriologia, l ’ecclesiologia e la pneum atologia), in seguito alle m utazioni socioreligiose e alle pressioni ereticali, hanno subito un processo di logoram ento progressivo. Le lettere pastorali ne costituirebbero un chiaro in­ dizio: la riflessione teologica avrebbe ceduto il posto a ll’insegnam ento m orale, alla tradizione, a ll’istituzione e a ll’im borghesim ento. Oggi si tende a riconoscere alle lettere pastorali l ’intento di presentare una linea di continuità con l ’autorità riconosciuta d e ll’apostolo Paolo, m a anche il tentativo di uno sviluppo autonom o. L a pseudepigrafia si serve di questa autorità per proporre i suoi contenuti dottrinali e parenetici e p er contrastare l ’eresia na­ scente. Si tratta pertanto di una attualizzazione del paolinism o, il cui intento è l ’afferm azione di una continuità norm ativa, trasm essa da m inistri, di cui Tim oteo e Tito sarebbero i tipi. In certo m odo - osserva Y. R edalié3132- la contrapposizione tra autenticità e pseudepigrafia è superata. Paradossalm ente, parlare di pseudepigrafia non com ­ porta necessariam ente « p e rd ita » di Paolo m a, al contrario, riconoscim ento della sua continuità. M entre lo studio storico-critico aveva cercato di individuare il m ateriale utilizzato dalle lettere pastorali - le tr a d iz io n i riprodotte da un com pi­ latore - , oggi si cerca di capire com e, m ediante la pseudepigrafia, si sia espressa una tr a d iz io n e p a o lin a ? 2. C on ciò le lettere pastorali, opera della seconda generazione postapostolica, svelano il loro scopo di garantire la genuinità di quella tradizione. Tradizione che si esprim e innanzi tutto sul piano letterario, con il ricorso alla form a com unicati­ va tipica delle lettere paoline, e con i frequenti richiam i biografici di Paolo. R ile­ viam o, a titolo esem plificativo: le note lotte di Paolo contro i « giudaizzanti » di

30 In merito alla ricezione della teologia paolina nelle lettere pastorali, cfr. G. Lohfink, P a u lin isc h e T h e o lo g ie in d e r R e z e p tio n d e r P a s to r a lb r ie fe , in K. Kertelge (ed.), P a u lu s in d en n e u te sta m e n tlic h e n S p ä tsc h rifte n . Z u r P a u lu s r e z e p tio n im N eu en T e sta m en t , Herder, Freiburg-Basel-Wien 1981, pp. 70-121; R. Fabris, I l p a o lin is m o d e lle le tte r e p a s to r a li , in R iv B ib I t 34 (1986) 451-470. 31 Y. Redalié, P a u l a p r è s P a u l , pp. 26-27. 32 L’orientamento della ricerca è di andare oltre l ’elencazione dei contatti o delle dipendenze letterarie. Appare più importante lo studio delle tradizioni orali, del m id ra š . .. Cfr. G. Lohfink, D ie V e rm ittlu n g d e s P a u lin ism u s z u d en P a s to r a lb r ie fe n , in B Z 32 (1988) 169-188.

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Galazia, o gli « entusiasti » di Corinto; la stessa autodesignazione di Paolo com e apostolo, e la proposta della sua esem plarità; il rapporto tra vangelo e tradizione; il tem a della sofferenza; il suo m odo autorevole di dare disposizioni alle sue co­ m unità33. La m edesim a tradizione si esprim e, in secondo luogo, sul piano pasto­ rale e teologico, m ediante la ripresa di alcuni m odelli di com portam ento e di pre­ cise linee di pensiero. I p e r s o n a lia e i richiam i autobiografici si pongono, com e è ovvio, al centro del dibattito su ll’autore34.1 fautori d e ll’autenticità insistono sulla loro credibilità storica. I difensori della pseudepigrafia rilevano due tipi di contraddizioni: alcu­ ne, interne alla situazione supposta dalle lettere pastorali, altre esterne, nel senso che i dati delle lettere pastorali non si accordano facilm ente con quelli delle altre lettere. Oggi si am m ette la possibilità che alcune di queste tradizioni narrative contengano elem enti storici, m a si tende a considerarli com e funzionali alla pre­ sentazione d e ll’im m agine di Paolo. In m erito al pensiero teologico, si rileva l ’assenza, nelle lettere pastorali, dei grandi tem i della teologia paolina. C risto non è m ai indicato com e Figlio; la cro­ ce non vi appare m ai, neanche quando si parla di passione; la C hiesa non è m ai presentata com e corpo di Cristo; sono parim enti assenti i tem i d e ll’alleanza, del­ la giustizia di Dio, della libertà. N ell’insieme, si constatano linee che, mettendo in evidenza la continuità tra le lettere autentiche di Paolo e le lettere pastorali, qualificano le divergenze non come elementi di discontinuità, m a come sviluppo naturale imposto dalle circostanze. II problem a si sposta dunque sul piano interpretativo. Si tratta di interpreta­ re il fatto stesso della tradizione, seguendo le indicazioni delle lettere pastorali su ciò che bisogna « conservare » e « trasm ettere ». Il rapporto di Paolo non è più con il passato, m a con il futuro, con i suoi successori (2Tm 2,2). Ciò determ ina la pre­ cipua tensione interpretativa delle lettere pastorali: il loro desiderio di « trasm et­ tere integralm ente» i contenuti, la volontà esplicita di com unicare l ’eredità pao­ lina, senza alterazione, entrano in contrasto con la distanza rilevata tra la teologia delle lettere pastorali e quella delle lettere ritenute autentiche. c) I l p a o lin is m o c o m e is ta n z a r e d a z io n a le . - La tendenza generale della ri­ cerca, che considera le lettere pastorali p er se stesse, ha rivalutato la peculiarità del loro progetto teologico-parenetico. Sulla base del dato letterario, che fonde brani del passato e apporti del pre­ sente, sem bra possano identificarsi tre fonti principali del linguaggio teologico delle lettere pastorali: form ulazioni tradizionali non paoline, e vicine alla tradi­ zione sinottica; enunciati paolini che richiam ano le lettere autentiche; una nuova term inologia di origine ellenistica incentrata sui tem i del « salv ato re » e della

33 Cfr. 1Tm 1,11.12-16; 2,7; 2Tm 1,11. 34 C. Spicq ha usato per primo questo termine, nel suo articolo P a s to r a le s del DBS, comparso nel 1956, per indicare quei piccoli dettagli personali - frequenti soprattutto in 2Timoteo - che indi­ cherebbero la mano stessa di Paolo. È stato ripreso da S. de Lestapis, U è n ig m e d e s p a s to r a le s , nel­ la seconda parte del suo lavoro (pp. 83-176), quale chiave del suddetto «enigm a», per convalidare la paternità paolina delle lettere pastorali.

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e p ip h a n e ia . La sintesi di queste tre fonti risponde bene al progetto di trasm ettere

l ’eredità ricevuta e, al tem po stesso, di renderla com prensibile a una cultura di­ versa da quella delle origini, troppo condizionata dalla controversia con il m on­ do giudaico. C ’è dunque una « teo lo g ia delle lettere pasto rali» , m a non può essere rico­ struita isolando e accostando le varie form ulazioni teologiche, considerato che essa è intim am ente connessa con la parenesi, alla quale è direttam ente funziona­ le. L’autore se ne serve p er insegnare, contrastare, raddrizzare, educare alla giu­ stizia, com e afferm a della Parola ispirata (cfr. 2Tm 3,16). L’integrazione tra teo­ lo g ia e paren esi, oltre a essere m o m en to di coagulo di trad izio n i e apporti m olteplici, conferisce organicità allo scritto, creando coerenza tra form a lettera­ ria e contenuto teologico. Le ricerche sociostoriche di questi ultim i anni hanno contribuito ad am plia­ re l ’orizzonte d e ll’indagine, esam inando, oltre alla problem atica letterario-teologica, soprattutto il rapporto dialettico tra il testo e il suo contesto sociale. Così, si parla di « co n so lid am en to » , « co n ferm a» , « in cu ltu razione» delle com unità di fronte ai conflitti sia sociali che religiosi. Dal quadro d ’insiem e em erge che il contrasto tra eresia e ortodossia non sarebbe propriam ente di natura dottrinale o « di fede », m a di tipo sociale, riguarderebbe cioè la contrapposizione di stili di­ versi di vita, dove il sociale e il religioso di fatto si fonderebbero. Y. R edalié35, cercando di porre ordine nelle m olteplici ricostruzioni proposte da questi studiosi, presenta quattro param etri p er descrivere la situazione in cui le lettere pastorali hanno visto la luce: - Le lettere pastorali dim ostrano consapevolezza del te m p o c h e p a s s a ; ciò accentua il bisogno di conservare l ’identità della com unità; abbondano così gli inviti a « custodire », « conservare », « rim anere saldi ». - Conseguentem ente, reagiscono contro tutto ciò che m in a c c ia tale identità. Gli attentati provengono da deviazioni religiose, le cui im plicanze pratiche si riper­ cuotono sul com portam ento sociale dei diversi gruppi che formano la comunità. - Le lettere pastorali lasciano intravedere una com posizione sociale della co­ m unità abbastanza d iv e r s ific a ta ; ciò accresce la com plessità delle relazioni quoti­ diane; la vita cristiana si articola orm ai a ll’interno di questa diversità sociale. - In conseguenza di quanto rilevato, le com unità avvertono il bisogno di in ­ s e r ir s i n e lla s o c ie tà che le circonda e con la quale devono convivere. Le lettere pastorali rispondono dunque a istanze diverse, sia di tipo diacroni­ co sia sincronico. Dal punto di vista redazionale, si configurano com e c o r p u s unitario e coe­ rente, m algrado si cerchi di dare l ’im pressione di un certo sviluppo, se non stori­ co, alm eno narrativo, e sono probabilm ente opera di un unico autore appartenen­ te alla cerchia paolina. Il rapporto con le lettere paoline non è di dipendenza né di im itazione, com e quello che collega, ad esem pio, 2Tessalonicesi a lTessalonicesi o Efesini a Colossesi. È utilizzato il genere parenetico per contrastare le devia­ zioni dottrinali e proporre norm e disciplinari, servendosi non solo di codici o di 35 Y. Redalié, P a u l a p r è s P a u l , p. 35.

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cataloghi di vizi, di virtù e di doveri, m a anche di note autobiografiche, di racco­ m andazioni personali, di esem pi esistenziali, di citazioni liturgiche tradizionali. Vi si instaura così una sorta di catena esortativa che percorre tutto l ’arco delle let­ tere pastorali, per cui ognuno riceve dal precursore un m andato da consegnare al successore: da Paolo, apostolo « p e r ordine di D io » (1Tm 1,1), che esorta Tim o­ teo e Tito a fare altrettanto, fino ai m inistri che devono im itarli, e ai diversi grup­ pi della com unità, che devono dare buona testim onianza di sé al m ondo. La form a di le tte r a diventa così il contenitore inglobante tutto il m ateriale accolto ed elaborato. M a è soprattutto la scelta più funzionale a ll’intento parenetico: la lettera stim ola al dialogo, crea rapporto tra m ittente e destinatario, tra m aestro e discepolo, tra predicatore e folla36. Tuttavia, la differenza tra la 1Tim o­ teo e la Lettera a Tito con la 2Tim oteo è am piam ente riconosciuta: solo 1Tim o­ teo e Tito riportano esortazioni riguardanti, al di là dei destinatari, i m inistri e i gruppi della com unità, m entre 2Tim oteo si accosta più al genere « testam ento » o « discorso di addio » di Paolo vicino alla m orte37.

3. La sana didaskalia e il problema della intentio La sana dottrina è il centro del c o r p u s delle lettere pastorali, nel senso che costituisce V in te n tio d e ll’autore e la v e r ita s s a lv ific a del suo m essaggio, oltre al m otivo della sua im postazione redazionale e a ll’approdo del suo insegnam ento parenetico38.

a) D id a sk a lia . - Il termine d id a sk a lia (dottrina o insegnamento) appare ben 15 volte nelle lettere pastorali, su un totale di 21 ricorrenze in tutto il Nuovo Testamen­ to. Al contrario il termine d id a sk a lo s (maestro), frequente nei vangeli, ricorre 2 sole volte nelle lettere pastorali, e riferito a Paolo39. La LXX sembra voler prendere le di­ stanze sia da d id a s k a lo s sia da d id a s k a lia 40. Preferisce il termine n o m o s (legge),

36 Sull’origine della forma epistolare nel NT come seguito dell’apostolato itinerante, cfr. K. Berger, F o r m g e sc h ic h te d e s N eu en T e sta m e n ts , Quelle & Meyer, Heidelberg 1984; Id., A p o s te lb r ie f u n d A p o s to lis c h e R e d e . Z um F o r m u la r fr iih c h r is tlic h e r B r ie fe , in Z N W 65 ( 1974) 190-231. Sulla dif­ ferenza tra le varie lettere parenetiche, cfr. M. Wolter, P a s to r a lb r ie fe a is P a u lu s tr a d itio n , Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1988. 37 J. Murphy O ’Connor, 2 T im o th y C o n tr a s te d w ith 1 T im o th y a n d T itu s, in R B 98 (1991) 403418, esaminando i punti di convergenza tra 1Timoteo e Tito contro 2Timoteo, perviene alla conclu­ sione che le tre lettere non possono essere opera dello stesso autore. 38 Sull’argomento, cfr. J. Schmitt, D id a s c a lie e c c lé s ia le e t tra d itio n a p o s to liq u e se lo n le s é p îtr e s p a s to r a le s , in A n n é e C a n o n iq u e 23 (1979) 45-57; J. Schlosser, L a d id a s c a lie e t s e s a g e n ts d a n s le s é p îtr e s p a s to r a le s , in R e v u e d e s S c ie n c e s R e lig ie u s e s 59 (1985) 81-94; C. Burini, l e h y g ia in o u s ë d id a sk a lia . U na n o rm a d i v ita c r is tia n a in T ito 2 ,1 , in V etera c h ris tia n o ru m 18 (1981) 275-285. L. Paimeri, L a d id a s k a lia n e lla p a r e n e s i d e lla C h ie sa n a sce n te . Tesi d i lic e n za (relatore prof. P. Iovino), Facoltà Teologica di Sicilia, Palermo 1990-1991. 39 Per d id a s k a lia nei vangeli, cfr. Mt 15,9; Mc 7,7; in Paolo, cfr. Rm 12,7; 15,7; E f 4,14; Col 2,22; nelle lettere pastorali, cfr. 1Tm 1,10; 4,1.6.13.16; 5,17; 6,13; 2Tm 3,10.16; 4,3; Tt 1,9; 2,1.7.10. D id a s k a lo s è presente 48 volte nei vangeli. 40 Per d id a s k a lia nella versione greca dei LXX, cfr. Pro 2,17; Sir 24,32; 39,8; Is 29,13.

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esente da ogni sospetto e indicativo d ell’atteggiamento obbedienziale dinanzi a Dio, alternativo a una ricerca solo intellettiva della sua volontà41. D ati significativi. L a reticenza della LX X è m otivata dalla confusione che questi term ini potevano ingenerare in am biente greco-ellenistico, dove abbonda­ vano i m aestri e le dottrine. Il rischio era quello di vanificare l ’unico, vero inse­ gnam ento proveniente da Dio, cioè la to rà . P er lo stesso m otivo, G esù entra in aperta polem ica con i dottori della legge, divenuti falsi m ediatori del volere divi­ no. C osì, la sua d id a s k a lia , pur conservando la valenza rabbinica42 di un insegna­ m ento sulla via di D io conform e alla to r à , si configurava com e insegnam ento « n u o v o » . Infatti esso attingeva autorevolezza non dalla to r à m a da D io stesso: « Erano stupiti del suo insegnam ento, perché insegnava com e uno che ha autorità e non com e gli scribi [...]. Che è m ai questo? U na dottrina nuova insegnata con autorità» (M c 1,22.27)43. C onseguentem ente, il titolo di d id a s k a lo s si andava ri­ velando sem pre più inadeguato a esprim ere la pienezza della sua identità. D a qui il suo progressivo abbandono, fino alla quasi scom parsa nelle lettere pastorali, a vantaggio del più pertinente titolo di K y r io s (Signore). U n percorso affine, anche se di segno opposto, deve aver seguito il term ine d id a s k a lia nel N uovo Testamento. M entre lo si incontra 2 sole volte nei vangeli e 4 nel resto delle lettere paoline, diventa dom inante nelle lettere pastorali. Com e Gesù rivela l ’unicità del suo essere m aestro in/da Dio, così anche la C hiesa delle lettere pastorali arriva progressivam ente ad autocom prendersi com e depositaria di una d id a s k a lia che non è assim ilabile a nessun’altra d id a s k a lia del tem po, perché appartenente a Dio, anzi essa è « la d id a s k a lia di Dio, nostro salvatore » (Tt 2,10). Le 2 sole ricorrenze del term ine d id a s k a lo s nelle lettere pastorali, significa­ tivam ente riferite non più a G esù m a a Paolo44, presentano una forte valenza k e r ig m a tic a che finisce tuttavia p er raccordare intim am ente i due personaggi. Pao­ lo è definito «araldo, apostolo e m aestro » (k e ry x , a p o s to lo s k a i d id a s k a lo s ) , m a in connessione con la « testim o n ian za» (m a r ty r io n ) d e ll’«uom o C risto Gesù, che ha dato se stesso in riscatto p er tutti » (1Tm 2,6), o con il « vangelo » affidatogli, descritto com e « la grazia che ci è stata data in C risto G esù [...] che ha vinto la m orte e ha fatto risplendere la vita e l ’im m ortalità per m ezzo del vangelo » (2Tm 1,9-10). Paolo è dunque assim ilato a Cristo specificatam ente attraverso una d id a ­ s k a lia che, passando dal M aestro e Signore a ll’araldo e apostolo, conserva intat­ ta la sua connotazione divina, e p er questo m otivo esige da lui la m edesim a di­ sponibilità obbedienziale di Cristo al com pim ento del volere del Padre, sino alla testim onianza (m a r ty r io n ), estrem a della vita. In tal senso egli è d id a s k a lo s . b) P a r a th é k è . - Il term ine p a r a th é k è (deposito) è presente solo 3 volte in tut­ to il N uovo Testam ento, appunto nelle lettere pastorali45, dove è sem pre accosta­

41 Cfr. K.H. Rengstorf, D id a sk a lia , in GLNT (1966) 2,1158-1165; Id., D id a sk a lo s , in GLNT (1966) 2,1126-1154. 42 Cfr. K.H. Rengstorf, D id a s k a lo s , in GLNT (1966) 2,1160. 43 Cfr. Mt 7,29; Lc 4,32; Gv 7,46. 44 1Tm 2,7; 2Tm 1,11. 451Tm 6,20; 2Tm 1,12.14. Sul tema del « deposito », cfr. S. Cipriani, L a d o ttr in a d e l « d e p o s itum » n e lle L e tte r e p a s to r a li (Analecta biblica 18), PIB, Roma 1963.

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to al verbo p h y la s s e in (custodire). Di origine giuridica m a di valenza religiosoparenetica, esso sottolinea il dovere del depositario di conservare e poi di restitui­ re o trasm ettere intatto il deposito che gli è stato affidato da Dio. A nche questo nuovo term ine è, com e d id a s k a lia , un prodotto del genio let­ terario della p a r a d o s is (tradizione) cristiana, la cui autorità, proveniente dal pro­ posito e dalla grazia di D io, rivelatasi con l ’apparizione del salvatore nostro G e­ sù C risto (cfr. 2T m 1,9-10), è o ra g aran tita d alla « C h ie sa del D io vivente, colonna e baluardo della v erità » (1Tm 3,15)46. Si tratta pertanto di quella tr a d itio che il concilio Vaticano II presenta com e vitalità della Scrittura a ll’interno della Chiesa. C om e la d id a s k a lia connota il patrim onio k e r ig m a tic o -a p o s to lic o della com unità quale prolungam ento del vangelo, così la p a r a t h è k è (deposito), non distaccandosi da quella m edesim a fonte, indica l ’alveo dove vengono a con­ fluire le linee m olteplici della tradizione, l ’approdo del dinam ism o della ricerca, la stabilità della C hiesa, « colonna e baluardo ». L a parenesi delle lettere pastorali si configura così com e m odalità di coagu­ lo e di trasm issione di tutto il patrim onio necessario p er l ’edificazione della C hie­ sa. Suo intento è infatti di far crescere la com unità in costante fedeltà alla sua stessa identità. A tale scopo essa oppone antiteticam ente alla figura del credente, interiorm ente stabile, ferm o nella verità e dalla coscienza pura, quella d e ll’ereti­ co traviato dal suo stesso errore e im m erso nella ipocrisia. Così, l ’accostam ento p is tis - a lè th e ia (fede-verità) diventa centrale e unificante della varietà delle linee tem atiche. C ollocata nella com plessa realtà della C hiesa di Efeso guidata da Ti­ m oteo, tale diade si configura com e invito pressante a ll’unità, in contrapposizio­ ne alle tendenze centrifughe della cultura-am biente. L’abilitazione apostolica di Tim oteo a una siffatta parenesi radicata nella « sana d id a s k a lia » e nel « b u o n deposito », fondata su ll’autorità garante di Paolo, poteva avvenire unicam ente m ediante il dono dello Spirito di Dio, autorevolm en­ te conferitogli d a ll’im posizione delle m ani da parte del collegio dei presbiteri, su indicazione dei profeti (cfr. 1Tm 4,14). Tim oteo può, così, entrare nella dinam ica salvifica di una d id a s k a lia che è servizio alla verità (cfr. 2Tm 2,25-26) e di una p a r a th è k è che ne è gelosa custo­ de. In accordo con le profezie fatte a suo riguardo, egli può com battere la buona battaglia della fede (cfr. 1Tm 1,18). C on l ’aiuto dello Spirito santo che abita in lui, può non vergognarsi della m a r ty r ia (testim onianza) da rendere al Signore e unirsi alla stessa sofferenza di Paolo in catene per il vangelo. Può soprattutto cu­ stodire il buon deposito che gli è stato affidato fino al giorno del Signore, se pren­ derà com e m odello le sane parole udite d a ll’A postolo, con la fede e la carità che sono in Cristo G esù (cfr. 2Tm 1,6-14). Su questi testi, ora appena accennati p er una sorta di necessaria e previa e x p l i c a tio te r m in o r u m , dovrem o inevitabilm ente tornare più avanti, nel corso del­ l ’analisi esegetica. 46 Rilevante l ’apporto di J. Schmitt, D id a s c a lie e c c lé s ia le e t tr a d itio n a p o s to liq u e se lo n le s é p îtr e s p a s to r a le s , in A n n é e C a n o n iq u e 23 (1979), e di J. Schlosser, L a d id a s c a lie e t s e s a g e n ts d a n s le s é p îtr e s p a s to r a le s , in R e v u e d e s S c ie n c e s R e lig ie u s e s 59 (1985) 81-94.

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c) L e q u a lific h e d e lla d id a s k a lia . - Intanto, com pletiam o la nostra presenta­ zione, precisando che la d id a s k a lia , nelle lettere pastorali, è qualificata per ben 4 volte com e s a n a (con il verbo h y g ia in o ) e sem pre in contesti di opposizione antiereticali. In polem ica contro eretici giudaizzanti che - com e considerato - ridu­ cevano la legge a legalism o esteriore, occupandosi di favole piuttosto che d e ll’agire salv ifico di D io n ella sto ria, la san ità d ella d i d a s k a l i a non in d ica ragionevolezza di tipo intellettuale-filosofico, m a coerenza con la n o m o s . La dottrina è dunque « sana » in quanto applica le g a lm e n te le norm e neces­ sarie per la vita della com unità cristiana. Essa non insegna nulla che possa con­ traddire la legge di Cristo, coincidente, secondo il linguaggio paolino, con la leg­ ge dello Spirito di libertà che dà la vita in Cristo (cfr. R m 8,2). N on è possibile ribadisce l ’A postolo - che nel tem po del com pim ento della legge si ricada nella schiavitù d e ll’antica legge. Ciò renderebbe inutile la m orte di Cristo sulla croce (cfr. Gal 6,11-17), oltre che totalm ente vano lo stesso com pito apostolico di Pao­ lo araldo del vangelo. Oltre a h y g ia in o u s a , altre qualifiche si aggiungono: k a ta to e u a g g e lio n , kalè, k a t ’e u s e b e ia n , tutte indicative della ricerca di un ancoraggio al Cristo e al k è r y g m a , capace di fondare saldam ente la parenesi nel vissuto m orale del cristiano. Così, sal­ vaguardia del patrim onio kerigm atico e riflessione parenetica nascente trovano il loro punto di raccordo nella m em oria del Gesù della storia e nella contem plazione del K y r io s risorto, con l ’intento di cooperare al prolungam ento della sua opera sal­ vifica nel k a ir o s di ogni tem po e di ogni luogo. N otiam o infine che la d id a s k a lia , proprio p er queste sue connotazioni, sem ­ bra svolgere nelle lettere pastorali un tipo particolare di parenesi, che potrebbe m eglio definirsi te o lo g ic a . In questo senso, assum e una valenza sem antica più am pia della catechesi, in quanto elabora il dato fondante della fede e ne rappre­ senta lo sviluppo, enucleandone il m istero in term ini di com portam ento m orale e sociale. D a qui 1’im pegno costante di in s e g n a r e in m aniera « sana », dopo aver ri­ flettuto con m ente aperta e cuore disponibile alle « san e parole del S ignore», «conform em ente al v an g elo » e « in sintonia con la fede». D a qui anche l ’atten­ zione a vedove, presbiteri, schiavi. E ciò perché la com unità, in ogni sua com po­ nente e in ogni tappa del suo cam m ino, sappia cogliere la possibilità di continua­ re a crescere a m isura della lunghezza, altezza, profondità di Cristo, suo unico modello. Si potrebbe, in base a tali dati, pervenire alla equiparazione d id a s k a lia -te o lo g ia , m inistero d e W in te llig e n tia f ì d e i l N oi lo pensiam o, m a lasciam o libero il lettore di m isurarsi con una sua autonom a risposta47.

47 Cfr. P. Io v in o , Il Deposito della fede e la sana dottrina, in G . D e V ir g ilio della fede. Timoteo e Tito (S u p p l.R iv B ib lt 3 4 ), E D B , B o lo g n a 1 9 9 8 , pp. 1 6 3 -1 7 5 .

(e d .),

Il Deposito

ESPANSIONE TEMATICA SU 1-2TIMOTEO E LETTERA A TITO

1. La situazione letteraria e i problemi di linguaggio, unità e struttura a) 1 T im o te o . - L’unità della lettera non va ricercata sul piano sintattico, quan­ to su quello tem atico-contestuale, seguendo l ’intento esplicitam ente parenetico d ell’autore: p a r e k a le s a s e (« T i ho esortato», 1Tm 1,3). U na parenesi che - come accennato - utilizza am piam ente il ricco patrim onio k e r ig m a tic o della tradizione1, m a che è anche in grado di creare un linguaggio nuovo idoneo alle sue finalità. Sul primo versante vanno collocate non poche formule tradizionali di valore ke­ rigmatico: a n tily tro n (riscatto), h y p e r p a r ttd n (« per tutti »), e n s a r k i (« nella carne »), en p n e u m a ti (« nello Spirito »). Sul secondo, si situano parole e concetti nuovi che ri­ chiamano lo stile ellenistico: to tès e u se b e ia s m y sth é rio n (« il mistero della pietà»), m a k a rio s T h eo s («beato D io»), a p h th a rto s (immortale), a o ra to s (invisibile), m o n o s T h eo s («unico D io»), Appare, inoltre, determinante l ’uso tecnico dei termini: p a ra g g e lia (ordine), p a r a g g e lle in (ordinare), p a r a k a le in (invitare, esortare), associati all’esercizio della d id a sk a lia , come anche l ’accostam ento p istis -a lè th e ia («fede-verità »), dove il richiamo della d id a sk a lia diventa appello alla fedeltà nei confronti del­ la verità accolta, invito a viverla con coscienza pura e, ovviamente, contrapposizione alle deviazioni d ell’eretico, ipocrita e dalla coscienza perversa. Tutta la lettera si configura, così, com e un in s e g n a m e n to p a r e n e tic o , le cui radici affondano nella p a r a d o s is (tradizione) e nel k è r y g m a della C hiesa nascen­ te, a loro volta radicati nella Scrittura, e le cui propaggini si estendono fino alla assunzione del linguaggio della cultura-am biente. Il tutto, sostenuto d a ll’autorità garante di Paolo e finalizzato a ll’edificazione della c a s a santa del Signore. In tanta variegata configurazione letteraria, le unità tem atico-contestuali, ol­ tre a essere m om ento di fusione dei diversi apporti, danno continuità a ll’insegna­ m ento parenetico e ne dispiegano l ’am piezza. La loro individuazione in 1Tim oteo ne consente la seguente elencazione:

1,1-2 1,3-11

Indirizzo e saluto. Esortazione: « Ti ho esortato » ( p a r e k a le s a s e ). Tim oteo deve ser­ vire il disegno di D io m anifestatosi nella fede, contrastando la h e te r o d id a s k a lia .

1 Cfr. J. S ch m itt, Didascalie ecclésiale (1 9 7 9 ) 4 5 -5 7 .

Année Canonique 2 3

et tradition apostolique selon les épîtres pastorales, in

E s p a n s i o n e t e m a t i c a s u 1 - 2 T im o te o e L e t t e r a a T ito

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1,12-17

4^ 4^ 00 1 1

Azione di grazie e dossologia: « Rendo grazie a colui che mi ha reso forte [...], perché mi ha giudicato degno di fiducia ponendomi al (suo) servizio: io che prima ero un bestemmiatore, un persecutore ». L’inno di lode: « A l Re dei secoli, incorruttibile, invisibile, unico D io». 1,18-20 Ordine: « Q u esto è l ’o rd in e» (ta u te n te n p a r a g g e lia n ) . Tim oteo deve com battere la buona battaglia della fede. E sortazione fondam entale: « T i raccom ando prim a di tu tto » (p a 2 r a k a lo p r ó to n p a n td n ) . O ggetto d e ll’esortazione è la preghiera: gli uom ini e le donne preghino sem pre e dovunque. A utorevolezza d e ll’insegnam ento: « D egno di fede è il detto » (p i3,1-13 s to s h o lo g o s). Seguono indicazioni sulle qualità dei m inistri del culto: vescovi e diaconi. 3,14-16 Insegnam ento sulle com ponenti fondam entali del culto: la C hiesa « colonna e baluardo della verità » e la fede in Cristo, che è « il m i­ stero della p ietà» . C onfutazione della h e te r o d id a s k a lia . Ordine: « Q u este cose devi proclam are e insegnare» (p a r a g g e lle ta u ta k a i d id a s k e ). Tim oteo deve affaticarsi e com battere, insiem e con Paolo, e deve vigilare su se stesso e sul suo insegnam ento p er­ ché sia di esem pio, ty p o s , p er tutti, com e il suo m aestro. 5,1 - 6,2 D irettive a Timoteo: « In seg n a e raccom anda queste co se» (ta n ta d id a s k e k a ip a r a k a le i) . L’attenzione si sposta sulla guida della co­ m unità e su tutte le sue com ponenti: 5.12 anziani e giovani; 5 .3 16vedove; 5,17-25 presbiteri; 6.12 schiavi. 6 .3 10N uova confutazione della h e te r o d id a s k a lia : « Se qualcuno inse­ gna diversam ente » (e i tis h e te r o d id a s k a le i). 6,11-16 N uove direttive e dossologia conclusiva. Tim oteo deve « com bat­ tere la buona battaglia della fede », e m em ore della sua « bella pro­ fessione della fe d e» (tè n k a lé n h o m o lo g ia n ) im iti la « la bella te­ stim onianza davanti a Ponzio Pilato » di Gesù Cristo. 6,17-19 N uovo ordine. Tim oteo si rivolga ai ricchi, perché sappiano « a r­ ricchirsi di opere belle/buone» (p lo u te in e n e r g o is k a lo is ). 6,2 0 -2 lb Esortazione conclusiva e saluto finale: Paolo supplica Timoteo: « C ustodisci il d eposito» ( tè n p a r a t h é k é n p h y l a x o n ) . Non è difficile cogliere, nella molteplicità delle unità letterarie, le linee portanti della parenesi: h e te ro d id a sk a lia contrapposta a d id a s k a lia ; passaggio di consegne da Paolo a Timoteo; k è ry g m a inserito nella p a r a d o s is e proiettato nel presente. A r tic o la z io n e . M a non è nem m eno arduo scoprire l ’articolazione dello scrit­ to2. Intanto, em erge con forza la centralità delle unità che com pongono i capp. 2-3 2 C . C a sa le -M a r c h e se lli {Le lettere pastorali, pp. 4 9 -5 3 ) p ro p o n e una struttura te m a tic o -le tte raria, partendo d a lle « grandi se z io n i » e p a ssa n d o ai « m o m en ti e s se n z ia li ». In fin e, p resen ta un in-

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Parte prima. Sezione introduttiva

della 1Tim oteo: la preghiera liturgica, le qualità dei m inistri del culto, l ’identità ecclesiale della com unità orante e il m istero della fede, oggetto della sua stessa celebrazione. U n insiem e esortativo, che non a caso è introdotto, in 2,1, con ca­ ratteristiche di assoluta prem inenza: p r ó to n paritàri. In effetti, si tocca il cuore della fede, cioè il c r e d o , qui form ulato quale « m istero d e ll 'e u s e b e i a », oggetto della celebrazione, e collocato nel suo am biente vitale: l ’assem blea liturgica, la C hiesa « casa di D io », soggetto della celebrazione m edesim a. L’invito ad assum ere un costante atteggiam ento orante (1Tm 2,8: «A lzando al cielo m ani pie, senza risentim ento né rancore »; 2,3: « Q uesto è bello e gradito al cospetto di D io ») è rivolto a tutti i credenti, uom ini e donne, e deve andare a beneficio di tutti gli uom ini. A l suo interno, si trova una c o n fe s s io j ì d e i fra le più incisive del N uovo Testam ento: « C ’è un solo D io e anche un solo m ediatore tra D io e gli uom ini, l ’uom o Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti » (2,5), alla quale si raccorda im m ediatam ente la più com pleta presentazione del­ l ’im m agine di Paolo nelle lettere pastorali: « E d io ne (della testim onianza data da Cristo G esù nei tem pi stabiliti) sono stato fatto araldo e apostolo, m aestro del­ le genti nella fede e nella v erità » (2,7). Le qualità dei m inistri del culto, vescovi e diaconi, delineano un ritratto idea­ le di entram bi com e persone equilibrate e m ature, in grado di guidare la com unità e di presiedere con sapienza durante l ’assem blea liturgica. La loro dignità deve esse­ re pari alla santità della preghiera che l ’assemblea, loro tramite, innalza a Dio. N o­ tiam o brevem ente, per richiam are quanto accennato sopra, che dette qualità rical­ cano quelle stesse che erano richieste ai funzionari della società civile del tempo. L’ultim a unità, infine, offre la più intensa e ricca riflessione ecclesiologica delle lettere pastorali, sulla C hiesa « casa di D io », « colonna e baluardo della ve­ rità» , quale garante e custode della fede tradizionale. L’inno liturgico che segue esprim e com piutam ente il contenuto cristologico del m istero d e ll’am ore di Dio: C risto incarnato, risorto dai m orti ed elevato nella gloria che, m ediante il dono dello Spirito, è proclam ato al m ondo intero ed è riconosciuto giusto. La convergenza sui capp. 2-3 è introdotta dal cap. 1 e seguita dai capp. 4-6. Il cap. 1 presenta, appena accennati, i tem i che saranno ripresi e am pliati nei capp. 4-6. Cosicché la prim a e la terza parte si richiam ano in m odo quasi speculare, an­ che se quest’ultim a tenderà ad alternare più volte, m a m ai a confondere, i tre temi dominanti: m essa in guardia contro gli eretici, passaggio di consegne da Paolo a Ti­ m oteo e direttive a Tim oteo per l ’esercizio della sua guida. L’unità 1Tm 1,3-11, riguardante alcuni sedicenti « d otto ri della legge», che insegnano « d o ttrin e d iverse», delle quali non si precisano i contenuti: « fav o le e genealogie interm inabili [...] discorsi senza sen so » , e si contrappongono alla « sana dottrina», è ripresa in 4 ,l-7 a e in 6,3-10, dove si delineano i contenuti del­ la polem ica. N ella prim a sezione, si parla di « gente che vieta il m atrim onio e im ­ pone di astenersi da alcuni cibi », m entre nella seconda, di « uom ini corrotti nel­ la m ente e privi della verità, che considerano la pietà com e fonte di guadagno». teressante « raffronto strutturale » tra la sua proposta e, in sintesi, quelle « autorevolmente proposte » dai molteplici commentari riferiti in bibliografia.

Espansione tematica su 1-2 Timoteo e Lettera a Tito

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N ella seconda, si focalizza l ’attenzione su chi « è accecato d a ll’orgoglio, non com prende nulla ed è preso dalla febbre di questioni oziose e discussioni inutili » (6,4), e su coloro che «vo g lio n o diventare ricchi e cadono nella tentazione [...]. L’avidità di denaro infatti è la radice di tutti i m a li» (6, 9-10). A ntiteticam ente, em ergono i connotati della « sa n a d ìd a s k a lia » . Si ribadisce l ’insegnam ento della Scrittura: i credenti che conoscono la verità sanno che « ogni cosa che è stata creata da D io è buona e nulla va rifiutato » (4,4). In m erito alla ricerca del guada­ gno, si richiam a il m essaggio sapienziale: « L a pietà è un grande guadagno, con­ giunta a sobrietà. Infatti non abbiam o portato nulla in questo m ondo e nulla pos­ siam o portare via. Q uando dunque abbiam o di che m angiare e di che coprirci, accontentiam oci » (6,6-8). Le unità di 1Tm 1,12-17 su ll’azione di grazie di Paolo e di 1,18-20 su Tim o­ teo, invitato a com battere « la buona battaglia », per non far naufragare la fede, co­ m e Im enèo e A lessandro, sono riprese n e ll’unità 4,7b-16, am pliata in 5,1 - 6,2, e in 6,11-16. L a sezione 4,7b-16 ripropone l ’accostam ento m aestro-discepolo, uniti nella com une testimonianza: « Per questo ci affatichiam o e combattiamo, perché abbiam o riposto la nostra speranza nel Dio vivente » (4,10), m a anche nella com u­ ne ricerca di essere di «esem pio ai fedeli nella parola, nel com portamento, n ell’a­ more, nella fede, nella purezza » (4,12 ; c fr 1,16, dove Paolo afferm a che ha ottenu­ to m isericordia perché fosse « di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui in vista della vita eterna »). La sezione 6,11-16 tom a a insistere sulla necessità di com ­ battere « la buona battaglia della fede » (6,12) - con un chiaro richiam o della esor­ tazione di 1,18-20 - e di « conservare senza m acchia e in m odo irreprensibile il com andam ento, fino alla m anifestazione del Signore nostro Gesù C risto» (6,14). Infine, l ’unità di 1Tm 1,18-20, che segna il passaggio di consegne dal m ae­ stro al discepolo: « Q u esto è l ’ordine che ti trasm etto, Tim oteo, figlio m io, in ac­ cordo con le profezie già fatte su di te » , si ritrova, am pliata, sia in 5,1 - 6,2, nel­ la consegna delle direttive date a Tim oteo per la guida delle varie com ponenti della com unità, sia in 6,11-16, n e ll’invito a riproporre nella sua vita « la bella te­ stim onianza» resa da G esù Cristo dinanzi a Ponzio Pilato, e n e ll’im plicito affi­ dam ento del diletto discepolo a Dio che, nel fram m ento di inno liturgico conclu­ sivo, è definito: « B eato e unico sovrano, il Re dei re e Signore dei signori, il solo che possiede l ’im m ortalità e abita una luce inaccessibile» (6,15-16). A lcuni precisi indizi letterario-tem atici conferm ano la struttura dello scritto da noi individuata. La difesa della fede consegnata da Paolo a Timoteo, per fedeltà alla « sana e bella d ìd a s k a lia » e in contrapposizione alla h e te r o d id a s k a lia , si configura come procedim ento d ’inclusione di tutto lo scritto, oltre che parola tematica. Appare al­ l ’inizio: « Partendo per la M acedonia, ti ho esortato a rim anere a Efeso per ordina­ re a taluni di non insegnare dottrine diverse e di non aderire a favole e a genealogie interminabili, le quali favoriscono più vane discussioni che non il disegno di Dio, (che si attua) nella fede» (1Tm 1,3-4). Ritorna, con esplicito invito alla lotta, alla fine della prim a parte: « Q uesto è l ’ordine che ti trasm etto [...] che tu com batta la buona battaglia, tén k a lè n s tr a te ia n , conservando la fede e una buona coscienza. Alcuni, infatti, avendola ripudiata, hanno fatto naufragio nella fede» (1,18-19), e

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Parte prima. Sezione introduttiva

alla fine della terza: « Tu, uom o di Dio, evita queste cose; inseguì piuttosto la giu­ stizia, la pietà, la fede, l ’amore, la costanza, la m itezza. Com batti la buona battaglia della fede, to n k a lo n a g ó n a » (6,11-12). D om ina ovviam ente nella seconda parte. A ll’inizio, quale term ine della preghiera: « U n o solo è Dio e uno solo il m ediatore tra Dio e gli uom ini, l ’uom o Cristo G esù » (2,5), e quale atteggiam ento costante d ell’uom o rivolto a Dio: «A lzando al cielo m ani p ie » (2,8); al centro, quale prero­ gativa fondam entale del m inistro del culto: « Conservino il m istero della fede in una coscienza p u ra » (3,9); alla fine, quale « confessione» del suo stesso contenu­ to: « Cristo si è manifestato nella carne » (3,16b). Ricom pare, infine, a chiusura del­ lo scritto: « Caro Timoteo, custodisci il deposito, evitando le chiacchiere inutili e contrarie alla fede e le obiezioni provenienti dalla falsa scienza, avendo aderito al­ la quale, alcuni hanno deviato dalla fede » (6,20-21). Il m edesim o tem a della fede, m a riletto in prospettiva escatologica, to m a a configurarsi com e procedim ento di inclusione della terza parte. Si apre, infatti, in 1Tm 4 ,l-7 a : « L o Spirito dice apertam ente che negli ultim i tem pi alcuni si allon­ taneranno dalla fed e» , e si chiude in 6,12-14: « C erc a di conquistare la vita eter­ na alla quale sei stato chiam ato e p er la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a m olti testim oni [...]. Ti scongiuro [...] di conservare senza m ac­ chia e in m odo irreprensibile il com andam ento, fino alla m anifestazione del Si­ gnore [...] che al tem po stabilito sarà a noi rivelata da Dio ». La struttura em ersa in 1Tim oteo, in base a questi indizi, appare concentrica:

A) Lotta contro gli eretici e custodia della retta fede 1Tm 1 Indirizzo e saluto H e te ro d id a sk a lia e d id a sk a lia

Da Paolo a Timoteo Timoteo

B) Ordinamento della comunità Preghiera liturgica di tutti: uomini e donne I ministri del culto: vescovo e diaconi La Chiesa celebra il mistero dell 'e u se b e ia

1Tm 1Tm 1Tm 1Tm

1,1-2 1,3-11 1,12-17 1,18-20.

1Tm 2-3 1Tm 2,1-15 1Tm 3,1-13 1Tm 3,14-16

A’) Lotta contro gli eretici e custodia della retta fede 1Tm 4-6 H e te ro d id a sk a lia e d id a sc a lia

Da Paolo a Timoteo Timoteo

1Tm 4,l-7a; 6,3-10 1Tm 4,7b-16 1Tm 5,1-6,2; 6,11-21.

b) L e tte r a a T ito. - L a vicinanza con la 1Tim oteo è evidente. Sim ile la situa­ zione ecclesiale e quindi com uni le linee m aestre d e ll’insegnam ento parenetico: m essa in guardia contro i falsi dottori e invito alla fedeltà alla sana dottrina, m e­ diante la coerenza della vita; richiam o dei contenuti fondam entali del c r e d o e ac­ centuazione della dim ensione escatologica del credente; conseguente esortazione ad ascoltare l ’insegnam ento d e ll’apostolo Paolo e a im itare l ’atteggiam ento del « salvatore G esù Cristo »; direttive rivolte a Tito p er la scelta delle guide delle C hiese, vescovi e presbiteri, e p er la conduzione della com unità ecclesiale. E m er­ gono, tuttavia, alcuni elem enti di originalità in rapporto alla 1Timoteo: la rilevan­ za delle m otivazioni teologiche fondanti la parenesi e l ’attenzione alla testim o­ nianza della com unità, sia al suo interno sia nelle sue relazioni esterne.

Espansione tematica su l-2Timoteo e Lettera a Tito

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Il linguaggio è an ch ’esso affine a quello della 1Timoteo: assiem e a m olti elem enti tradizionali, appaiono dei tentativi di raccordo con la cultura-am biente, di chiara im pronta ellenistica. N e ll’insiem e, em erge il volto di una com unità che non vuole ripiegarsi su se stessa, m a avverte con forza l ’istanza di una sua e p ip h a n e ia nella società nella quale è inserita, rim anendo fedele alla e p ip h a n e ia di quel D io salvatore che l ’ha salvata unicam ente per la sua m isericordia. Donde l ’invito pressante a « essere pronti p er ogni opera b u o n a» (Tt 3,1), tutti « si im pe­ gnino e si distinguano nelle opere buone », perché « queste cose sono buone e u ti­ li per gli u o m in i» (T t 3,8). U na sim ile spinta propulsiva non poteva accom pa­ gnarsi a insegnam enti deviati, a orizzonti angusti: « Q u estio n i sciocche [...], inutili e v a n e » (3,9), m a nem m eno a com portam enti com unitari im prontati a m aldicenza e litigiosità, m entre dovrebbero risplendere per m ansuetudine, « di­ m ostrando m itezza verso tutti gli u o m in i» (Tt 3,2). A r tic o la z io n e . D al punto di vista d e ll’articolazione letteraria, anche nella L ettera a Tito, com e nella 1Tim oteo, c ’è il riferim ento al com une patrim onio di fede evocato esplicitam ente in Tt 2,11-14: « È apparsa la grazia di Dio (e p e p h a n è g a r h è c h a r is to u T h e o u ) che porta salvezza a tutti gli u o m in i... », e in Tt 3,4-7: « Q uando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro e il suo am ore per gli uom i­ ni » (h o te d e h e c h r è s to tè s h a i h e p h ila n th r o p ia e p e p h a n è to u s ó tè r o s h é m d n T h e o u ). Tale patrim onio diventa anim a della parenesi e centralità letteraria dello scritto. In effetti, i capp. 2-3 hanno identica configurazione. Il cap. 2 apre con una direttiva a Tito: « Tu, però, insegna (la le i) quello che è conform e alla sana dottri­ na », cui fa riscontro, in chiusura, con evidente inclusione letteraria, la ripresa della direttiva in Tt 2,15: « Q u esto devi insegnare» (ta n ta la le i). Al centro si si­ tua la m otivazione teologica dei vv. 11-14. Parallelam ente, il capitolo 3 apre con una esortazione: «R ico rd a loro di essere sottom essi alle autorità che governano, di obbedire, di essere pronti p e r ogni opera b u o n a » ( p r o s p a n e r g o n a g a th o n h e to im o u s e in a i), richiam ata alla fine, con nuova inclusione letteraria, in 3,8: « Q uesto discorso è degno di fiducia e perciò voglio che tu insista su queste cose, perché coloro che credono in D io si im pegnino e si distinguano nelle opere buo­ n e » (k a ló n e r g ó n p r o i s ta s th a i) . L a fondazione teologica della parenesi, in 3,3-7, si colloca anche qui al centro della sezione. L’im postazione parallela dei capp. 2-3, consente a ll’autore di sviluppare un insegnam ento parenetico com plem entare. In T t 2,1-10 traccia un program m a di vita cristiana « conform e alla sana d o ttrina», e si rivolge alle diverse com ponen­ ti ecclesiali: uom ini anziani, donne anziane, giovani, schiavi. Il richiam o teologi­ co ricorda a tutti che la loro vita si svolge tra la prim a m anifestazione storica e quella finale, e che il loro im pegno consiste nel tradurre la loro fede in opere buo­ ne. In 3,1-2 la parenesi assum e risvolti sociali e com unitari: « R icorda loro di es­ sere sottom essi alle autorità che governano, di obbedire, di essere pronti per ogni opera buona; di non parlare m ale di alcuno, di evitare liti... ». In tale contesto, di­ venta pertinente l ’invito a ricordare il tem po della disobbedienza, della m alva­ gità, della odiosità reciproca e, congiuntam ente, quello della giustificazione per grazia a opera di C risto obbediente al Padre, reso oggi attuale m ediante il batte­ sim o rigeneratore nello Spirito santo: « E g li ci ha salvati, non in base alle opere

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Parte prima. Sezione introduttiva

giuste com piute da noi con giustizia, m a secondo la sua m isericordia, attraverso un bagno di rigenerazione e rinnovam ento nello Spirito san to » (3,5). Entrambi i capitoli sono come incorniciati dalla parenesi sulla m essa in guardia contro la h e te ro d id a sk a lia . In Tt 1,10-16 riappaiono le linee già incontrate in 1Ti­ moteo, m a con m aggiore insistenza sulla squalifica dello stile di vita degli avversa­ ri: «Insubordinati, chiacchieroni e ingannatori» insegnano « a scopo di guadagno disonesto »: le loro sono « favole giudaiche e precetti di uomini che rifiutano la ve­ rità » sono uomini corrotti nelle loro m enti e nelle loro coscienze, « dichiarano di co­ noscere Dio, m a lo rinnegano con i fatti». In 3,9-11 si riprendono i pesanti giudizi sulle loro idee: « Questioni sciocche, genealogie, risse e polem iche intorno alla leg­ ge, inutili e vane », e si danno direttive a Tito sul modo di trattarli. U n ruolo affine di cornice della parte centrale è svolto, inoltre, da due brani che, con diverso spessore tem atico, toccano il tem a della organizzazione della com unità. Il prim o, in Tt 1,5-9, apre la lettera, e reca direttive su m inistri di tipo istituzionale-cultuale, vescovo e presbiteri, perché Tito vigili sulle qualità d e ll’u ­ no e sulla designazione degli altri. Il secondo, in 3,12-14, a chiusura della lettera, fornisce indicazioni su alcuni m inistri che sem brano configurarsi com e evange­ lizzatori: « Q uando ti avrò m andato À rtem a e Tìchico [...]. Provvedi con cura al viaggio di Zena, il giurista, e di A pollo». In base ai rilievi letterario-tem atici evidenziati, si delinea così una possibile struttura chiastica della Lettera a Tito:

Indirizzo e saluto I. Direttive comunitarie. Heterodidaskalia. Conformità alla confessio fidei

Tt 1,1-4

a) Direttive di Paolo a Tito su presbiteri e vescovo b) M essa in guardia contro i falsi dottori c) Insegnam ento conform e alla sana dottrina e m otivazione storico-salvifica

Tt 1,5-9 Tt 1,10-16 Tt 2,1 -10 Tt 2,11-15

Tt 1,5 - 2,15

II. Conformità alla confessio fidei. Heterodidaskalia. Direttive comunitarie

Tt3,1-14

c ’) Insegnam ento sulla coerenza di vita dei credenti e m otivazione storico-salvifica b ’) M essa in guardia contro gli eretici a ’) Direttive di Paolo a Tito su alcuni ministri evangelizzatori

Tt Tt Tt Tt

3,1-2 3,3-7 3,8-11 3,12-14

Saluti

Tt 3,15.

c) ITimoteo. - L’originale genere letterario di questo scritto, «discorso di ad­ dio », ne determ ina il linguaggio e la stessa im postazione letteraria. A differenza della 1Timoteo e della Lettera a Tito, 2Tim oteo corrisponde esattamente alla strut­ tura delle lettere autentiche di Paolo. L’indirizzo richiam a quelli di 1Cor 1,1 e di 2C or 1,1; l ’azione di grazie riecheggia tutta una serie di reminiscenze della Lettera ai Romani; com unicazioni finali e saluti concludono com e nella m aggior parte del­ le lettere di Paolo. Quanto ai contenuti, em erge con forza l ’intento d ell’autore di esaltare la figura di Paolo. A tale scopo, im itando lo stile paolino, attira subito l ’at­ tenzione proprio su di lui, le sue relazioni con Timoteo e la sua condotta esempla-

Espansione tematica su l-2Timoteo e Lettera a Tito

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re3. Prosegue poi rivisitando diversi temi paolini per esaltare la consapevolezza del­ la scelta apostolica, l ’im pegno nella lotta per il vangelo, con l ’im mancabile corre­ do di sofferenza, fino a ll’attuale testim onianza « in carcere», ormai aperta al tra­ guardo ultim o della sua fatica apostolica. Dal punto di vista strettamente teologico, infine, l ’autore non m anca di ribadire i grandi tem i della professione di fede: l ’e­ vento salvifico della m orte e risurrezione di G esù Cristo, la presenza dello Spirito santo nel credente, la vita cristiana sorretta e guidata dalla prospettiva escatologica. La vicinanza con Paolo, indotta dal genere letterario evocato e dai m oltepli­ ci accostam enti allo stile e al pensiero d e ll’A postolo, oltre a porre l ’autore sulla linea della testim onianza del suo m aestro prossim o al m artirio, gli consente di fondare la sua autorevolezza p er contrastare T errore degli eretici del suo tem po. I tem i, pertanto, tornano a essere quelli di 1Tim oteo e Tito: m essa in guardia contro la h e te r o d id a s k a lia e proposta dei « sani insegnam enti » di C risto Gesù, fatti propri da Paolo; richiam o dei contenuti fondam entali del c r e d o , qui racchiu­ si in un fram m ento di inno, in 2Tm 2,8-13, in cui si avverte l ’eco della proclam a­ zione liturgica; direttive a Tim oteo sulla guida della com unità. M a il tutto, inse­ rito nella reciprocità unica del rapporto m aestro-discepolo, vissuta dal prim o com e proiezione verso il futuro escatologico orm ai im m inente e dal secondo co­ m e m em oria del passato che lo ha generato alla fede e lo ha costituito m inistro per l ’im posizione delle m ani dello stesso Paolo. Così, se com pito di Tim oteo è quello di « ravvivare il dono di D io » (1,6) che è in lui, di cercare « la giustizia, la fede, l ’am ore, la pace, insiem e con quelli che invocano il Signore con cuore sin­ cero » (2,22), quello di Paolo consiste nel riconoscere giunto il m om ento di la­ sciare questa vita e nel dichiararsi pronto a versare il proprio sangue, grato a Dio di aver potuto com battere la buona battaglia, di aver term inato la corsa e di aver conservato la fede, e proteso a ricevere « la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto », gli « consegnerà in quel giorno » (4,6-8). A r tic o la z io n e . Le unità letterarie sono facilm ente individuabili, anche per via dei frequenti stacchi tem atici, m a si rincorrono n e ll’arco della lettera con an­ cora m aggiore libertà della Lettera a Tito, rendendo ardua la loro collocazione strutturale. Le presentiam o nel loro contesto letterario, m a non assolutizzando Torganicità d e ll’insiem e: - Indirizzo e saluto Rendimento di grazie Timoteo esortato a soffrire per il vangelo, secondo l ’esempio di Paolo, e a trasmetterlo immutato

2Tm 1,1-2 2Tm 1,3-5 2Tm 1,6-14.

R iteniam o di individuare u n ’inclusione in to c h a r is m a to u T h e o u , h o e s tin e n s o i (« Il dono di D io che è in te » , 2Tm 1,6) e in d ia p n e u m a to s h a g io u to u e n o ik o u n to s e n h é m in (« C o n l ’aiuto dello Spirito santo che abita in n o i» , 1,14).

Il « dono di D io » che ha preso dim ora in Tim oteo, m ediante l ’im posizione delle m ani, è lo stesso Spirito santo che abita in ogni credente. 3 w . 7-9.

Cfr. 1Ts 2,1-12; 1Cor 1,10 - 4,21; 2Cor 1,8 - 2,17; Gal 1,8-10; Fil 1,12-30; Rm 1,13-15; Fm

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Parte prima. Sezione introduttiva

— I collaboratori di Paolo: quelli che lo « h an n o abbandonato» e O nesìforo che « n o n si è verg o g n ato » delle sue catene (2Tm 1,15-18). —Tim oteo esortato alla sequela nella sofferenza (2Tm 2,1-7) e m otivazione teologica (2,8-13). È una ripresa e uno sviluppo di 2T m 1,8, m a l ’uditorio si amplia. N on si trat­ ta soltanto di Tim oteo, m a di tutti i m inistri che si porranno sulla sequela di C ri­ sto, com e Paolo: «T rasm ettile a persone fidate, le quali a loro volta siano in gra­ do di insegnare anche ad a ltri» (2,2). L’apertura a lla p a r a d o s is (tradizione) ne richiam a il fondam ento, in 2,8-13, con la professione di fede: «R icordati di G e­ sù Cristo, risorto dai m orti [...] » e re v o c a z io n e d e ll’inno: « Se con lui m oriam o, con lui anche vivrem o [...] » . —C ontrapposizione tra oppositori e dispensatori della verità, e suo risvolto escatologico (2T m 2,1 - 3,9). N on riteniam o di dover staccare le tre pericopi che com pongono quest’unità (2Tm 2,14-21; 2,22-26; 3,1-9), com e fanno tanti studiosi. Intanto, tutte e tre co­ stituiscono u n ’unica esortazione rivolta a Tim oteo, com e si rileva dai rispettivi avvìi: «R ich iam a alla m em oria queste co se » (2,14); « S ta ’ lontano dalle passio­ ni della gio v en tù » (2,22); « Sappi che negli ultim i tem pi [ ...] » (3,1). Inoltre, tut­ te e tre recano al loro interno l ’antitesi centrale: oppositori della verità e dispen­ satori della verità: « [Essi] sconvolgono la fede di alcuni. Tuttavia il solido fondam ento posto da D io è stab ile» (2,18b-19); « E v ita le discussioni sciocche e da ignoranti, sapendo che provocano litigi. U n servo del Signore non dev’essere litigioso » (2,23-24a); « Gente che ha solo una parvenza di pietà, m a ne disprezza la forza interiore. G uardati bene da costoro! » (3,5). Infine, il vero stacco si ha in 3,10, dove scom pare ogni riferim ento agli eretici, tranne un fugace accenno alla loro condanna finale, in 3,13, m entre si com incia a elogiare la fedeltà di Timoteo: « Tu invece (significativo il d e avversativo) m i hai seguito da vicino [...]» . Il linguaggio di questa nuova esortazione varia. M entre in quella precedente si poteva riconoscere il m ondo culturale d e ll’autore, qui si percepisce la presen­ za della tradizione. L’autore cita form ule tipiche ispirate a ll’A ntico Testam ento e forse tratte dalla tradizione battesim ale. L’eresia è descritta con le caratteristiche note: «V ane discussioni, chiacchiere vuote, discussioni sciocche e da ignoranti, deviazione dalla verità », m a si aggiun­ gono come elem enti di novità due nom i di eretici, Im enèo e Filèto, e la natura del­ la loro eresia: essi sostengono, infatti, che « la risurrezione è già avvenuta». A pren­ do uno squarcio sull 'e s c h a to n , si m enziona anche la recrudescenza del male che gli eretici provocheranno, e la si descrive m ediante una serie di vizi, presi dagli elen­ chi di m atrice ellenistica e giudaica. M a si ricorderà anche che essi, com e tutti gli oppositori della verità, vanno incontro a una inesorabile condanna. Si citano, a tale scopo, due esempi presi dalla Scrittura: Iannes e Iambres che si opposero a Mose. La d id a s k a lia , p er contrasto, è presentata com e « parola di verità » e con im ­ m agini m etaforiche prese d a ll’edilizia (« Il solido fondam ento posto da D io » ) e recanti com e sigillo (« Il Signore conosce quelli che sono suoi » e « Si allontani d a ll’iniquità chiunque invoca il nom e del S ignore») o d a ll’attività artigianale (« Chi si m anterrà puro [...] sarà com e un vaso nobile »). Parim enti, Timoteo è in­

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vitato a dim ostrarsi fedele difensore della d id a s k a lia , sia riprendendo tali falsi m aestri, nella speranza che si convertano, sia proponendosi a tutti com e esem pio di giustizia, fede, carità, pazienza, m itezza, m a soprattutto im ponendosi con l ’au­ torevolezza del suo insegnam ento. - Elogio di Tim oteo e com m iato di Paolo (2Tm 3,10 - 4,8). Tim oteo è defi­ nito una guida ideale perché discepolo fedele di Paolo, ancorato saldam ente alla fede e alla Scrittura. È esortato perché vigili attentam ente, sopporti le sofferenze, com pia la sua opera di annunciatore del vangelo e adem pia il suo m inistero. Pao­ lo avviato verso il com pim ento della sua corsa (4,6-8). A nche qui, propendiam o per l ’unità strutturale delle due pericopi. A fronte della precedente antitesi tra dispensatori e oppositori della verità, ora si evidenzia la sintonia e la com plem entarità dei due personaggi, Tim oteo e Paolo, considera­ ti nella prospettiva della com une m inisterialità. Il prim o elogiato ed esortato ad adem piere il suo m inistero, in fedeltà al suo passato di credente e di discepolo, il secondo, orm ai giunto al com pim ento del suo, aperto al futuro di D io cui intende accedere m ediante l ’effusione del suo sangue, in unione a Cristo, unica, vera vit­ tim a sacrificale. - Collaboratori di Paolo (2Tm 4,9-18). Q uelli che lo hanno lasciato solo o gli « hanno procurato m olti guai » e quelli che gli sono vicini. - Saluti e augurio finale (2Tm 4,19-22). Com e accennato, più che una vera struttura letteraria, proponiam o la conte­ stualizzazione tem atica delle grandi linee del d is c o r s o d i a d d io che Paolo rivolge al suo figlio diletto Timoteo. U n d is c o r s o che, situato nel particolare m om ento di passaggio del protago­ nista da questo m ondo a D io Padre, abbraccia in unità: presente (la condizione di «carcerato per il v angelo»), passato (ha «com battuto la buona b attaglia») e fu­ turo (gli « re sta soltanto la corona di giustizia»). Paolo coinvolge in detta pro­ spettiva anche il suo discepolo Tim oteo, perché gli diventi erede in tutto: nel pre­ sente, che lo deve vedere im pegnato n e ll’adem pim ento del suo m inistero, nella lotta e nella sofferenza per il vangelo (« Sopporta le sofferenze, com pi la tua ope­ ra di annunciatore del vangelo, adem pì il tuo m inistero »); nel passato, al quale deve rim anere fedele (« la fede schietta» consegnatagli dalla nonna Loide e dal­ la m adre Eunice; « il dono di D io » conferitogli m ediante l ’im posizione delle m a­ ni; « il m odello degli insegnam enti » dello stesso Paolo); nel futuro, che deve p re­ parare con la vigilanza (« Verrà, infatti, un tem po in cui non si sopporterà più la sana dottrina [...], gli uom ini si circonderanno di m aestri secondo le proprie vo­ glie [...], m a tu vigila attentam ente »). U n d is c o r s o d i a d d io a ll 'e r e d e d e s ig n a to che si sviluppa attorno a u n ’antitesi di fondo, com une alle lettere pastorali, tra h e te r o d id a s k a lia e d id a s k a lia , m a aggregante anche quella tra collaboratori fedeli a ll’A postolo e collaboratori che invece lo hanno abbandonato. Sulla base di queste osservazioni conclusive, potrebbe ipotizzarsi in 2Timoteo una articolazione dei tem i secondo lo schem a del parallelism o, più o m eno esplicitam ente antitetico: a) 1,6-14

Sezione ripresa e ampliata con richiami alla fede in 2Tm 2,1 -13. Tim oteo è esortato a non vergognarsi di dare testimonianza al

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Parte prima. Sezione introduttiva S ignore e a so ffrire con P aolo p e r il vangelo, com e un « b u o n so ld ato » che presta servizio, com e « l ’atleta» che lotta, com e « il contadino » che lavora duram ente, b) 1,15-18 Sezione ripresa in 2Tm 4,9-18. P a o lo , essendo in carcere per il vangelo, diventa segno di divisione tra i suoi collaboratori: chi « si è vergognato delle sue catene » e chi « lo ha conforta­ to » ; chi « h a preferito le cose di questo m ondo» o gli « h a procurato m olti guai » e chi è rim asto con lui. Il Signore gli è stato vicino, perché potesse «portare a compimento l ’annun­ zio del vangelo », e lo « salverà nel suo regno celeste ». a ’) 2,1-3,9 T im o te o è esortato a richiam are alla m em oria i contenuti della fede, per contrastare gli oppositori della verità e for­ m arsi vero servo del Signore, anche in vista dei m om enti difficili degli ultim i tem pi. b ’) 3,10 - 4,8 P a o lo , n e ll’im m inenza della fine, orm ai pronto a coronare il suo m inistero quale vittim a offerta per la com unità, atte­ sta la fedeltà di Tim oteo e lo esorta ad adem piere il suo per­ sonale m inistero.

L’impostazione parallela delle quattro sezioni presentate ruota attorno al con­ fronto continuo tra l ’esemplarità del maestro (Paolo) e la fedeltà del discepolo (Ti­ moteo), entrambe contrapposte alle divisioni dei «propagatori di em pietà». L’orga­ nicità d e ll’insegnam ento della 2Tim oteo è scandita da due sviluppi successivi incentrati su due espressioni guida: la c o n fe ssio f i d e i , contenuto della retta d id a s k a ­ lia nella prim a parte (2Tm 1,6-18) e la « parola di verità » che Timoteo deve « dispen­ sare », in contrasto con coloro che hanno « deviato dalla verità », nella seconda parte (2 T m 2 ,l -4,8). Lo schem a letterario-tem atico della 2Tim oteo appare, pertanto, il seguente:

2Tm 1,1-5 Indirizzo, saluto e azione di grazie Timoteo e la confessio f id e i Paolo in carcere per il vangelo 2Tm 1,6-18 Timoteo soffra con Paolo per il vangelo e custodisca il deposito della fede Paolo in tribunale: abbandono e conforto

Timoteo e la verità. Paolo offerto in libagione Timoteo servo fedele del Signore Paolo alla fine della corsa

Ultime raccomandazioni, saluti e augurio

2Tm 1,6-14 2Tm 1,15-18

2Tm 2,1 - 4,8 2 T m 2 ,l -3 ,9 2Tm 3 ,1 0 -4 ,8

2Tm 4,9-22

2. La situazione storico-ambientale e il problema della datazione e del Siti im Leben Ci colleghiam o alla riflessione della P a r te p r im a . S e z io n e in tr o d u ttiv a sulla C o n c e n tr a z io n e te m a tic a e al triplice itinerario percorso, per tram e alcune con­ clusioni inerenti alla nuova indagine. L’epoca di cui si fanno portavoce le lettere pastorali, quella successiva alla m orte di Paolo, doveva certam ente distinguersi p er un vuoto di autorità che ren­

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deva particolarm ente urgente il ricorso alle grandi figure del passato. Per l ’altro verso, la Chiesa che traspare dalle lettere pastorali ripropone certo i lineam enti delle com unità locali degli inizi, m a non è più em brionale e nascosta, orm ai è u n ’istituzione conosciuta, che deve tenere conto d e ll’am biente in cui è inserita e che necessita di un ordinam ento secondo il m odello d e ll’antica o ik ia 4. La stessa tensione escatologica è piuttosto attenuata. La com parsa degli ere­ tici è certo presentata com e segno della fine dei tem pi, m a più com e m onito per i lettori, esortati alla vigilanza, che com e reale istanza del m om ento presente. N es­ sun accenno, infatti, alla parusia im provvisa di G esù Cristo. In continuità con la parenesi escatologica tradizionale, si insiste sulla necessità di conservarsi irre­ prensibili fino alla m anifestazione del Signore nostro G esù Cristo, m a precisan­ do che « a l tem po stabilito sarà a noi rivelata da D io » (1Tm 6,15; cfr. 2Tm 4,7; Tt 2,12). L a « fine dei tem pi » non è dunque equivalente, nelle lettere pastorali, a fine im m inente. Proprio perché l ’attesa della fine non ha più la tensione spasm o­ dica degli inizi, la com unità ecclesiale si concentra su se stessa, pensando a crea­ re condizioni di stabilità, m ediante ordinam enti e m inisteri adeguati. Q uesta situazione trova conferm a - com e da noi rilevato - nella stessa eresia combattuta. Infatti, l ’ascesi ostile al corpo (cfr. 1Tm 4,3), l ’esegesi speculativa d e ll’AT (cfr. Tt 1,14), l ’accentuazione d e ll’escatologia già presente (cfr. 2Tm 2,18), sono posizioni rifiutate perché recanti tracce di una « co noscenza» d iv e r s a , forme prim itive, m a p ur sem pre tardive, di quel m ovim ento gnostico che sarebbe sorto di fatto nel II secolo. Elem enti tutti che inducono a ipotizzare il periodo tra la fine del secolo I e l ’inizio del II com e data della stesura delle lettere pastorali. Deduzione che trova conferm a nel particolare am biente culturale di quel pe­ riodo, che fornisce significativi m odelli filosofici, linguistici e letterari. D a tem po gli studiosi5 hanno rilevato la vicinanza di lessico e di tem i con la filosofia popo­ lare ellenistico-rom ana che si era diffusa nel giudaism o della diaspora. Le racco­ m andazioni sulle virtù e le am m onizioni sui vizi si ritrovano, in forme simili, in Seneca e in Epitteto, com e in Filone di A lessandria. La caratterizzazione degli av­ versari ricalca stereotipi che si trovano già in Platone nella polem ica antisofista. Per quanto riguarda i m odelli letterari, con particolare riferim ento alla 1Ti­ m oteo e alla L ettera a Tito, si configurano com e scritti analoghi di contenuto parenetico le cosiddette L e tte r e d i S o c r a te , anch’esse pseudepigrafiche, con diretti­ ve slegate fra loro e m otivate con esem pi personali. L im itatam ente alla form a letteraria, vi sono paralleli anche in m issive ufficiali con le quali personaggi au­ torevoli com unicano istruzioni ai loro subordinati. In realtà, il genere letterario usato nella 2Tim oteo è com pletam ente diverso, e orienta piuttosto verso l ’am ­ biente culturale giudaico, inducendo a trovare paralleli neotestam entari, com e i discorsi di addio del C risto giovanneo (G v 14-17), e soprattutto il discorso di ad­ dio del Paolo lucano agli anziani di Efeso (A t 20,17-35)6. 4 Cfr. 1Tm 3,7.10.15; 5,8.14; 6,1; 2Tm 2,20-21; Tt 1,7; 2,5.8. 5 Cfr, ultimamente, H. Merkel, L e le tte r e p a s to r a li (NT / Seconda serie 9.1), Paideia, Brescia 1997 (or. ted. Gòttingen 1991), pp. 18-26. 6 Cfr. P. Iovino, I l d is c o r s o d i P a o lo a M ile to (A t 2 0 ,1 7 -3 8 ). R e d a zio n e , stru ttu ra , in te r p r e ta ­ z io n e , in R. Fabris (ed.), L a P a r o la d i D io c r e s c e v a (A t 1 2 ,1 4 ). S c r itti in o n o r e d i C a r lo M a r ia M a r ­ tin i n e l su o 7 0 ° c o m p le a n n o (Suppl.RivBiblt 33), EDB, Bologna 1998, pp. 271-293.

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Parte prima. Sezione introduttiva

N on m eraviglia la duttilità d e ll’autore delle lettere pastorali, che associa m o­ delli ellenistici e giudaici. A bbiam o accennato che il suo stesso linguaggio risen­ te di tale duplice versante. N e sono un esem pio i suoi brani cristologici. Egli in­ dica spesso G esù Cristo com e « sa lv a to re » (s ó té r ), titolo usato sovente per le divinità ellenistiche e che Paolo usa una sola volta, in un probabile testo prepaolino (Fil 3,20). Ricordiam o, in tal senso, che, al posto d e ll’idea apocalittica della parusia, egli preferisce il concetto di « m anifestazione », e p ip h a n e ia , noto in am ­ biente pagano per indicare l ’intervento salvifico di divinità ed eroi. Tuttavia, questa nuova term inologia non entra m ai in contrasto con quella tradizionale, m olto antica, e che potrebbe affondare le proprie radici nel giudeocristianesim o. Così, la consapevolezza paolina di aver ottenuto m isericordia, per­ ché Cristo G esù ha voluto dim ostrare a lui la sua m a k r o th y m ia , « m agnanim ità, paziente b o n tà» (1Tm 1,16), trova riscontro nel lo g io n di Lc 19,10: « Il Figlio d e ll’uom o è venuto a cercare e a salvare chi era p erduto». Parim enti, la profes­ sione di fede presente in 1Tm 2,6: « L’uom o C risto G esù [...] ha dato se stesso in riscatto, a n tily tr o n , per tu tti» , ripropone l ’altro lo g io n soteriologico di Gesù, in M c 10,45: « Il Figlio d e ll’uom o [...] è venuto p er dare la propria vita in riscatto per m olti ». Sulla stessa linea, la confessione giudeocristiana di 2Tm 2,8 su Gesù Cristo « della stirpe di D avid » (e h s p e r m a to s D a v id ) richiam a quella citata da Paolo in R m 1,3: « G enerato dal sem e di D avid com e u om o». Infine, l ’inno di 1Tm 3,16 è an ch ’esso espressione som m a della teologia giudeocristiana. Se ne deduce che una cristologia giudeocristiana era fam iliare alle com unità alle quali erano indirizzate le lettere pastorali. H. M erkel7 è un deciso sostenitore della identità giudeocristiana dei destina­ tari e apporta, in tal senso, tutta una serie di argom entazioni, che riprendiam o. Le form ule di 1Tm 1,17 e 6,15-16, ricordano form ule liturgiche del giudaism o elle­ nistico. La scarsa stim a religiosa della donna, in 1Tm 2,11, è com une a tutto il m ondo antico, m a la m otivazione è tratta da una interpretazione tendenziosa del­ la storia della creazione e del peccato originale, di im pronta giudaica. Anche l ’organizzazione dei m inisteri va nella m edesim a direzione. D a una parte, è presupposto il ministero dei presbiteri (anziani), presenti nelle com unità giudeocristiane, d all’altra, si m enziona anche il ministero d ell 'e p is k o p o s e del dia­ cono, un ordinam ento attestato soltanto n e ll’ambito m issionario paolino (Fil 1,1). Ciò si spiega con l ’intento d ell’autore di fondere entram be le forme di istituzione, pur notando che l ’esistenza dei presbiteri (anziani) nella 1Timoteo è data per scon­ tata, m entre le spiegazioni sul « vescovo » iniziano con una raccom andazione (1Tm 3,1). Quanto alle qualità elencate, una qualità specifica del vescovo è l ’attitudine a ll’insegnam ento (1Tm 3,1; Tt 1,9), m entre tra i presbiteri solo pochi si dedicano a questo com pito (1Tm 5,17). U n elem ento che orienta il vescovo sul modello di Ti­ m oteo, cui appartiene il m inistero della parola (1Tm 4,13). Fatti che, secondo M erkel, si chiariscono supponendo che nelle com unità vi sia stato un m inistero di presbiteri, m entre l ’autore della lettera vuole introdurre il m odello vescovo/diaconi. «N ella situazione di crisi», egli precisa, « ch e era stata determ inata dalla m as­ 7 Cfr. H. Merkel, L e le tte r e p a s to r a li , pp. 20-22.

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siccia com parsa degli eretici, non era più sufficiente che le com unità fossero guida­ te da un organism o di persone rispettabili (i presbiteri) [...]. La crisi esigeva u n ’or­ ganizzazione più rigida e in particolare una guida della com unità con facoltà di de­ cidere dal punto di vista teologico [...]. Il vescovo corrispondente al modello di Timoteo conserva u n ’autorità disciplinare sui presbiteri (1Tm 5,19-22) e sul diritto di ordinazione (1Tm 5,22.24) [...]. Le lettere pastorali », conclude il nostro autore, « sono dunque dirette a com unità con una teologia e u n ’organizzazione d ’im pron­ ta giudeocristiana [...] e sono state scritte da un teologo (o da un circolo di teologi) in epoca postpaolina per superare una crisi in nom e di Paolo »8. È nostra convinzione che l ’am biente vitale delle lettere pastorali e quindi i loro destinatari siano da individuare nelle com unità cristiane della diaspora « giu­ deo-ellenistica » d e ll’A sia M inore.

3. La fondazione teologica Scorrendo gli studi sulla teologia delle lettere pastorali, ci si rende subito conto che è impossibile pervenire a una sintesi unitaria e organica. Ciò è dovuto al fatto che il testo stesso non sistematizza il discorso teologico, m a lo attiva in funzione della parenesi. Tuttavia, se l ’autore delle lettere pastorali non è un sistematico, ciò non vuol dire che sia un semplice mediatore di tradizioni, di sentenze, di inni, di formule di confessione e di enunciazioni k e rig m a tic h e 9. Egli si presenta come un vero autore che segue un progetto teologico-parenetico ben preciso, in risposta a due problemi impellenti: quello del te m p o che scorre e quello dello sp a z io sociale da abitare. A b­ biamo visto la soluzione proposta nelle linee maestre delle lettere pastorali: l ’esalta­ zione d ell’immagine di Paolo e l ’insegnamento sulla d id a sk a lia contrapposto alla h e te ro d id a sk a lia , unitam ente al quadro parenetico che costantemente le avvolge. L’impostazione letteraria dei tre scritti ha indicato una seconda linea di soluzio­ ne nel raccordo costante tra tali linee guida e la loro fondazione teologica. Su detto raccordo vorrem mo ora portare la nostra attenzione. N on c ’è dubbio che, al di là del­ le singole indicazioni, il vero pilastro teologico che regge il progetto e lo raccorda con la parenesi è la soteriologia come istanza del k a ir o s , «presente salvifico», con la « casa di Dio » come suo to p o s, « luogo teologico » privilegiato. N ella P a r te te r­ za . S e z io n e te o lo g ic a del presente lavoro, dedicata alle A p e r tu r e te o lo g ic h e , esten­ deremo doverosam ente l ’indagine ad altre com ponenti della riflessione teologica. a ) S o te r io lo g ia e p a r e n e s i. - A riconoscim ento unanim e degli studiosi, la term inologia soteriologica, ruotante attorno a « salvatore, salvare », e a « m anife­ stazione, m an ife sta re» 10, costituisce l ’elem ento di m aggiore originalità delle let­ tere pastorali. 8 H. Merkel, L e le tte r e p a s to r a li, pp. 21-22. 9 II primo studioso che sostenne tale posizione fu H. Windisch, Z u r C h r is to lo g ie d e r P a s to r a lb rie fe , in Z N W 3 4 (1935) 230. 10S ô të r riferito a Dio, in 1Tm 1,1; 2,3; 4,10; Tt 1,3; 2,10; 3,4; riferito a Cristo, in 2Tm 1,10; Tt 1,4; 2,13; 3,6. S ô tê r ia , in 2Tm 2,10; 3,15. S ö z e in , in 1Tm 1,15; 2,4.15; 4,16; 2Tm 1,9; 4,18; Tt 3,5. S ô të r io s , in Tt 2,11. E p ip h a n e ia , in 1Tm 6,14; 2Tm 1,10; 4,1.8; Tt 2,13.

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Parte prima. Sezione introduttiva

L’uso della LX X nel giudeocristianesim o ellenistico può m otivare l ’applica­ zione del titolo di « salvatore » a Dio, per indicare il suo agire salvifico e definitivo nella storia d ’Israele e n e ll’esistenza d ell’uom o pio, m a non spiega l ’applicazione a Cristo. Anche il ricorso a ll’influsso ellenistico to u t c o u r t , seguito da tanti studio­ si, pur ricco di suggestioni e di paralleli, non risolve il problema. N em m eno i culti misterici, tanto spesso evocati per la loro concezione di un « salvatore » che vince la m orte, dona l ’im m ortalità e rinnova la vita, sono in grado di spiegare il titolo di « salvatore » riferito a Cristo in quanto liberatore dal peccato. Osserviamo, fra l ’al­ tro, che, in detti culti, tale titolo ebbe rilievo a partire dal secolo II11. B isogna pertanto far ricorso alla form azione delle stesse tradizioni cristiane che, radicate fin d a ll’inizio nelle sante Scritture, si sono successivam ente svilup­ pate sotto l ’influsso del giudaism o ellenistico. Così, « salv ato re » e « salv ez za» divennero, nel tem po, categorie fondam entali p er la com prensione d e ll’evento C risto nella sua com ponente centrale di croce, risurrezione e attesa escatologica. N e è chiaro indizio la frequenza d e ll’uso di detti term ini nei testi tardivi del N uo­ vo Testam ento1112. « L e cau se» , sostiene Y. R edalié13, « p o ssono essere sia l ’im ita­ zione, che l ’apologià o la polem ica. L’inculturazione è un processo dialettico in cui si cerca al tem po stesso di differenziarsi e di integrarsi, m om enti ugualm ente presenti nelle lettere pastorali [...]. C risto vi è indicato com e “salvatore” princi­ palm ente negli enunciati sulla e p ip h a n e ia e quando è direttam ente associato a Dio quale fonte unica della salvezza, m entre la seconda L ettera di Pietro userà “ salvatore” in riferim ento a C risto, senza avvertire la necessità di collegarlo espressam ente a D io » 14. L’uso di e p ip h a n e ia nelle lettere p asto rali colpisce perché praticam ente sconosciuto in P aolo e raro nel N uovo T estam ento15. M olti studiosi l ’hanno fat­ to oggetto della loro indagine, esam inandone l ’uso in am biente ellenistico, o approfondendo il concetto di « m a n ife sta z io n e » . L a discussione sem bra con­ trapporre i difensori di u n ’interpretazione am pia d e ll’idea di e p ip h a n e ia e i so­ stenitori di u n ’interpretazione più precisa e storicam ente databile. Per i prim i, essa consisterebbe nel generico intervento del divino nel m ondo, con una p arti­ colare accentuazione del m om ento presente, in risposta al problem a della dura­ ta del tem po. P er altri, essa farebbe riferim ento esplicito a ll’intervento divino n e ll’evento Cristo. In m erito all 'i te r del term ine, è certo che, solo in periodo ellenistico, e p ip h a ­ n e ia assunse una connotazione religiosa, passando a indicare non solo il m om en­ to d e ll’apparizione della divinità m a anche l ’intervento divino nel suo insieme. N el giudaism o ellenistico, conservò il m edesim o significato, m a si arricchì della

11 N. Brox (A m t, K ir c h e u n d T h e o lo g ie in d e r n a c h a p o sto lis c h e n E p o c h e . D ie P a s to r a lb r ie fe , in J. Schreiner [ed.], G e s ta lt u n d A n sp ru c h d e s N eu en T e sta m e n ts , Echter, Würburg 1969) minimiz­ za F influsso dei culti ellenistici sull’uso di « salvatore » nei testi cristiani. 12 Su 24 usi dei termini nel Nuovo Testamento, 10 si trovano nelle lettere pastorali. 13 Y. Redalié, P a u l a p r è s P a u l , p. 166. 14Cfr.2Pt 1,1.11; 2,20; 3,2.18. 15 È presente 3 volte in Luca e Atti degli apostoli, per indicare l ’apparizione del «giorno» o degli astri, o per indicare il contrasto luce-tenebre: Lc 1,79 At 2,20; 27,20.

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valenza esperienziale biblica del Dio capace di intervenire nella storia a favore del suo popolo. Secondo D. Luehrm ann16, nelle lettere pastorali, come nella cultura ellenistica, e p ip h a n e ia non equivale ad «apparizione». N on sarebbe quindi sinonimo di «parusia» o di « incarnazione », m a indicherebbe il generico intervento di Dio portatore di tutti i suoi benefici. L. Oberlinner17 sottolinea, a sua volta, che la chiave interpretati­ va del concetto di e p ip h a n e ia è il suo legame con il titolo di « salvatore ». Per cui, ad esempio, in 2Tm 1,10, indicherebbe l ’insieme del piano divino di salvezza, coinvol­ gente la sua piena realizzazione n ell’evento Cristo. La densità del termine, inoltre, si dilaterebbe fino al punto di comprendere non solo la venuta, la morte e la risurrezio­ ne del Cristo, m a anche il presente della predicazione. In questo senso, l ’autore par­ la di « sfera di salvezza» nella quale introdurrebbe, appunto, V e p ip h a n e ia . In risposta, Y. R edalié, rifiutando l ’espressione: « sfe ra della salvezza», as­ sente dalle lettere pastorali, preferisce usare il term ine: « v ita » , più vicino al te­ sto, an ch ’esso espressivo della salvezza com e d u r a ta . « L a v ita» , egli precisa, « h a un carattere lineare che giustifica m eglio l ’interpretazione « b io g rafic a» paolina data dalle lettere pastorali alla salvezza. Infine, questa vita, beneficiaria della volontà eterna di salvezza di Dio, si differenzia in vita «presente » e « futu­ ra » , che il testo distingue m a non oppone. Al contrario, sottolinea la continuità per m otivare l ’esortazione » 18. U na lettura attenta dei testi rileva la presenza di aoristi, ad esem pio in Tt 2,11 e 3,4, i quali conferm ano, senza om bra di dubbio, che il term ine indica un evento storico già accaduto. Il fatto, inoltre, che lo stesso term ine venga utilizza­ to in riferim ento alla seconda « m anifestazione » del Cristo, la parusia, è una ul­ teriore prova della sua valenza cristologica. Pertanto, è tutto l ’essere salvatore di Dio, tutto l ’evento Cristo, che si esprim e nella e p ip h a n e ia . Proprio perché la salvezza è un evento storico, gli apostoli, nella prim a tradi­ zione cristiana, sono considerati, oltre che testim oni, anche gli interpreti di tale evento, i portatori del « fatto della salvezza », della « m anifestazione » divina nelle sue conseguenze concrete, storiche ed esistenziali. Diventano così i garanti della verità del loro m essaggio con la loro vita. Per questo m otivo, Paolo è, nelle lettere pastorali, il pilastro della attualizzazione della soteriologia, il luogo concreto ed esemplare in cui si articolano parenesi e soteriologia. Autoproclam andosi prim o beneficiario d e ll’intervento salvifico di Cristo, egli addita la sua stessa esistenza come segno evidente della volontà divina universale di salvezza. Conseguentem en­ te, il com portam ento etico della com unità non è, com e nelle lettere ritenute auten­ tiche, direttam ente connesso al k é r y g m a , m a com e m ediato dalla figura di Paolo, garante di continuità e di autenticità. Egli si trasform a in una sorta di c e r n ie r a che incarna soteriologia e parenesi nella sua personale esperienza della salvezza.

16 Cosi, D. Luehrmann, E p ip h a n e ia . Z u r B e d e u tu n g s g e sc h ic h te e in e s g rie c h is c h e n W o rtes , in J. Jeremias (ed.), T ra d itio n u n d G la u b e , Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1971, pp. 185-199. 17 L. Oberlinner, D ie E p ip h a n e ia d e s H e ils w ille n s G o tte s in C h r istu s J e s u s ; Z u r G ru n d stru k ­ tu r d e r C h r is to lo g ie d e r P a s to r a lb r ie fe , in Z N W 71 (1980) 192-213. 18 Y. Redalié, P a u l a p r è s P a u l , p. 454.

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Parte prima. Sezione introduttiva

Tuttavia le lettere pastorali non si lim itano a indicare in Paolo il lu o g o del­ l ’articolazione tra teologia ed etica. Esse si sforzano di continuare a conservare tale dialettica anche nel dopo Paolo. U na preoccupazione che appare evidente nel testo di 1Tm 3,14-16, centrale in ITim oteo, m a, secondo tanti studiosi, anche nel­ l ’intero c o r p u s delle lettere pastorali, dove orm ai tutta la C hiesa è considerata to p o s , « luog o teologico», in cui si com pie l ’evento C risto, m ediante la lode, la confessione e l ’obbedienza della fede, e dove « il m istero della e u s e b e i a », rive­ lato da Cristo, diventa visibile, m anifesto. Proprio il term ine e u s e b e ia è indicati­ vo, in tutte le lettere pastorali, della globalità d e ll’esistenza credente. b) « C a sa d i D io » e p a r e n e s i. - Il m edesim o testo di 1Tm 3,14-16 consente il passaggio alla seconda com ponente del pilastro che sorregge il progetto teologico delle lettere pastorali. Com e l ’insegnam ento soteriologico di Paolo, e della C hie­ sa dopo di lui, dà risposta al problem a del « te m p o » , così la m etafora ecclesiolo­ gica della « c a sa » , an ch ’essa presente n e ll’inno citato sopra, affronta il problem a dello « spazio » . I due m otivi sono intim am ente collegati. Lo scopo d ell’insegna­ m ento è infatti la « casa » ben ordinata, che, a sua volta, diventa « luogo » della for­ mazione. C om portarsi nella « ca sa di D io » secondo le direttive d ell’A postolo è il m odo e il luogo che consente al credente di vivere l ’esperienza di conversione di Paolo dal « p rim a » al « d o p o » , quella del suo passaggio dal tem po della « c o rsa » al tem po della « corona di giustizia », e infine la tensione tra 1’e p ip h a n e ia della ve­ nuta di Cristo nel m ondo e la sua e p ip h a n e ia in « quel giorno ». Y. Redalié precisa, nella splendida conclusione del suo lavoro: « L ’im m agi­ ne della casa organizza il com portam ento del credente secondo la distribuzione degli spazi: la casa “privata”, la com unità e “quelli di fuori” . E ciò, sia per le gui­ de che per le diverse categorie dei m em bri della com unità. L’ordinario, il quoti­ diano, il dom estico, beni com uni condivisi con tutti gli uom ini, si propongono com e m om enti di verifica del com portam ento di ognuno [...]. L’invito delle let­ tere pastorali è chiaro: non com piere alcuna azione che possa determ inare scan­ dalo. Di più, eccellere n e ll’etica della c a s a » 19. L’autore ritiene che questo m odo di autocom prendersi com e com ponenti di una casa consenta alle lettere pastorali di affrontare la com plessità delle m olteplici relazioni. Intanto, essendo « ca sa di Dio », essa appartiene esclusivam ente a Dio, è fondata su di lui e quindi resiste a tutte le intem perie. C oloro che ne fanno parte possono essere utensili di varia qualità, m a ognuno è invitato a diventare utensile « u tile al padrone (di casa), pronto per qualsiasi utilizzo buono » (2Tm 2,20-21). In rapporto agli avversari, la casa diventa il luogo della conflittualità nei loro confronti, perché essi, entrando­ vi, la sconvolgono. Infatti, essi si sono allontanati dalla fede e possono fuorviare altri. Per cui, con questi tali bisogna rom pere ogni rapporto. Solo quando ci si rende conto che essi potrebbero convertirsi, è necessario essere con costoro m a­ gnanim i e pazienti, m em ori d e ll’esperienza e d e ll’insegnam ento d e ll’Apostolo. Il rapporto con il m ondo esterno è più com plesso e articolato. C ’è un rapporto po­ sitivo possibile che non è di sem plice adesione, m a di reciproco rispetto. Colui

19 Y. R ed a lié,

Paul après Paul, pp.

4 5 8 -4 6 3 .

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che vuole diventare vescovo deve godere di una buona fam a fra quelli di fuori e non rom pere i ponti con alcuno a causa della propria ira (1Tm 3,7). La possibilità della conversione deve essere sem pre offerta a chiunque, perché « noi » eravam o com e loro, e quindi essi possono diventare com e « noi », beneficiari della bontà e della filantropia di D io (Tt 3,3-4). Il rapporto spazio-tem po non è vissuto, nelle lettere pastorali, in m odo dra­ stico, secondo alternative radicali (crisi n e ll’attesa, fine incom bente). A nche se l ’orizzonte escatologico non scom pare, non esaurisce la com prensione del tem ­ po. Y. Redalié to m a a precisare, utilizzando una bella im m agine: «A nziché bus­ sare alla porta per ricordare l ’ultim a urgenza, il tem po “entra” nella casa, dove la durata si oggettivizza. Il tem po è allora più quello della vita associativa che quel­ lo della fine dei tem pi. La com unità si organizza per età secondo il m odello fam i­ liare: le vedove di più di 60 anni e quelle più giovani, i giovani e gli anziani. U na collaudata esperienza è richiesta com e requisito per la scelta dei responsabili del­ la com unità: il vescovo non sia un neofita (1Tm 3,6), il diacono sia provato (1Tm 3,10), il presbitero non sia consacrato in fretta (1Tm 5,22) [...]. Vivere nella ca­ sa di Dio secondo le direttive e l ’insegnam ento lasciato da “Paolo” », com pleta l ’autore, « significa abitare il m ondo con le sue am basce quotidiane e le sue con­ traddizioni, sforzandosi di essere com unitariam ente fedeli a ll’annunzio della sal­ vezza portato a tutti gli uom ini. A nche le tensioni che il testo svela a proposito di schiavi, donne, deviati, guide della com unità, ricchezze, fanno parte di questo m essaggio e im pediscono che la casa si rinchiuda in se stessa» 20. Vista d a ll’esterno, la casa di D io si m ostra perfettam ente integrata nella so­ cietà. La vita dei suoi m em bri è, infatti, conform e alle più elevate esigenze m ora­ li del tem po, con un com portam ento in tutto degno di stima. Tuttavia, alcune no­ te distintive la rendono radicalm ente diversa d a ll’am biente circostante, e pronta a ll’attacco polem ico contro avversari interni o esterni che osino attentare alla sua identità: la forte consapevolezza della sua appartenenza a Dio; la piena disponi­ bilità a soffrire con Paolo per il vangelo; la convinzione profonda di vivere il tem ­ po salvifico tra le due e p ifa n ie del Signore, nel corso del quale si sentono im pe­ gnati a conservarsi irreprensibili e senza m acchia, cooperando con lo Spirito per la edificazione della « casa di D io », con « preghiere e ringraziam enti per tutti gli uom ini [...] alzando al cielo m ani p u re » (1Tm 2,1.8). Solo così essa può diventare spazio privilegiato, in cui trova com pim ento l ’invocazione di Cristo salvatore: « N o n prego che tu li tolga dal m ondo, m a che li custodisca dal m aligno. Essi non sono del m ondo, com e io non sono del m on­ do. C onsacrali nella verità. La tua parola è v erità » (G v 17,15-17).

4. Profilo estetico delle tre lettere a ) I l « b e l l o » d e lla c o m p o s iz io n e le tte r a r ia . - Le Chiese paoline erano co­ m unità cultuali, oltre che di im pegno m issionario kerigm atico-apologetico e di 20 Y. R ed a lié,

Paul après Paul, pp.

4 5 9 -4 6 0 .

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Parte prima. Sezione introduttiva

form azione catechetico-parenetica. È quindi naturale che le lettere in vario m odo collegate a Paolo rechino al loro interno elem enti tipici di tale m olteplice attività, tram andati dalle origini e già resi stereotipi d a ll’uso consolidato: inni, dossolo­ gie, e u lo g ie , form ule e confessioni di fede, assiem e a testi di tipo dottrinale che coprivano tutto l ’arco della form azione del credente, a partire dal k è r y g m a . E ciò, anche in considerazione del fatto che gli am bienti geografico-culturali nei quali si erano im piantate, sia giudaico sia greco-rom ano, ricorrevano norm alm ente a tali form ule specialm ente nella prassi cultuale. D a tem po, nelle lettere pastorali si è individuato, in alcuni passi, del m ateriale tradizionale, m entre in altri è apparso più evidente l ’intervento del redattore che lo ha rielaborato. Si è così pervenuti a definire alcuni criteri per identificare brani ap­ partenenti alla tradizione, e quindi inseriti nel testo com e vere e proprie citazioni: 1) una form ula che altrove introduce o conclude del m ateriale citato (cfr. 1Tm 4,1); 2) il carattere indipendente del passo; 3) un num ero relativam ente am pio di h a p a x le g o m e n a , u n ’espressione idio­ m atica e uno stile che differiscono dal resto della lettera e da altri scritti dello stesso autore; 4) un passo m olto sim ile in un altro scritto, con il quale è im probabile che esista una qualche dipendenza letteraria. Criteri che, ovviam ente, richiedono di essere utilizzati congiuntam ente. Sulla base di tali criteri è stato possibile pervenire a una sorta di classificazio­ ne delle tradizioni presenti nelle lettere pastorali e che, a nostro avviso, delineano un prim o, interessante profilo estetico delle lettere in esame, proprio perché aprono uno spiraglio sulla fecondità creativa del vissuto della Chiese protagoniste. Le par­ ti già cristallizzate presentano una straordinaria varietà di tem i e forme letterarie. Fra di esse, com paiono delle dossologie (cff. 1Tm 1,17; 6,15-16), un elenco di vizi (cfr. 1Tm 1,9-10), le norm e della com unità per la condotta delle m ogli (cfr. 1Tm 2,9 - 3 ,la), i requisiti per i ministeri (cfr 3,lb-13), confessioni, talvolta inniche (cfr. 1Tm 2,5-6; 3,16; 2Tm 1,9-10; Tt 3,4-7), inni (cfr. 1Tm 6,11-12.15-16; 2Tm 2,1113; Tt 2,11-14). Alcune di queste tradizioni sono introdotte o concluse da formule come: « Questa parola è degna di fede » (p isto s h o lo g o s), oppure: « Sappiamo be­ ne c h e ...» (to n to g in ó s k e in o ti...), o semplicemente: «Q ueste cose» (ta u ta ). La prim a formula introduce (cfr 1Tm 1,15; 4,9-10; 2Tm 2,11-13) o conclude (cfr Tt 3,3-8a) afferm azioni confessionali, il cui vocabolario è generalm ente paolino, e quindi si tratta di brani com posti dallo stesso Paolo. La seconda formula è usata per introdurre un elenco di vizi (cfr 1Tm 1,9-10) o la com unicazione di una profezia (cfr 2Tm 3,1-5). La terza, infine, conclude passi sicuramente fissati dalla tradizio­ ne (cfr 1Tm 4,6.11; 2T m 2 ,1 4 ; Tt 1,15-16). Gli inni costituiscono, tuttavia, il m ateriale tradizionale cultuale più am pio e più interessante. Vi si trovano inni a sfondo sacram entale, i cui stichi scandisco­ no le grandi tappe d e ll’evento soteriologico, e che sono definiti anche battesim a­ li (cfr. Tt 3,4-7), perché hanno, nel battesim o, il loro S itz im L e b e n naturale. So­ no presenti anche inni di confessione dei prim i m artiri della fede (cfr. 2Tm 2,11-13), evocativi di una pesante situazione conflittuale che, in seguito, sarebbe

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sfociata in aperta persecuzione, e quindi anche della forza testim oniale che carat­ terizzava la vita cristiana della C hiesa nascente. In posizione centrale si collocano indubbiam ente gli inni cristologici, in par­ ticolare: 1Tm 3,16 e Tt 3,4-7. Il Signore dei cristiani vi è presentato, com e negli inni tipici delle lettere paoline (cfr. Fil 2,6-11; Col 1,15-20), innanzi tutto nella sua preesistenza. D a ll’ordine eterno in cui vive egli « sc e n d e» , in quanto incar­ nato, in una e p ifa n ia . Al term ine della sua vita terrena, egli tom a ad assum ere il suo posto alla presenza di Dio, ricevendo l ’om aggio delle potenze angeliche. La sua opera salvifica consiste, pertanto, nel riunire le due sfere d e ll’esistenza, quel­ la celeste e quella terrena, m a l ’asse portante soteriologico attorno a cui ruota det­ ta duplice polarizzazione cosm ica della cristologia, è ovviam ente l ’evento redentivo della m orte-risurrezione. L’inno di Tt 3,4-7 rivela tutto il suo fascino estetico nella contem plazione delle tappe soteriologiche della e p ifa n ia di Dio. Essa inizia nel m om ento d e ll’in­ carnazione del suo Figlio che, nella sua vita e nelle sue opere, rende presenti e vi­ sibili « la bontà e l ’am ore p er gli uom ini di D io salvatore n o stro » (3,4), che « c i ha salvati non in base alle opere giuste com piute da noi con giustizia, m a secon­ do la sua m isericordia» (35). A sua volta, la lum inosità di tale e p ifa n ia si è ulte­ riorm ente potenziata quando D io « h a effuso su di noi in abbondanza, per m ezzo di G esù Cristo, salvatore nostro, lo Spirito santo, attraverso un bagno di rigene­ razione e rinnovam ento» (3,5b-6). U ltim a tappa e approdo della e p ifa n ia di Dio è il passaggio d i g lo r ia in g l o r ia , l ’im m ersione nella sua eterna gloria d e ll’uom o redento, reso figlio ed erede nel suo Figlio unigenito, e in lui glorificato: « affin ­ ché, giustificati per la grazia di G esù C risto, diventassim o, nella speranza, eredi della vita eterna » (Tt 3,7). Poiché il Cristo ha realizzato ciò che solo Dio può rea­ lizzare - la riconciliazione cosm ica, la com unicazione della vita divina a ll’uom o redento - e ha ricevuto dalle m ani del Padre il potere di giudice del m ondo, del­ la storia e della vita um ana, i prim i cristiani lo hanno posto accanto a D io nel lo­ ro culto liturgico (cfr. 1Tm 2,5-6: « C ’è un solo Dio e un solo m ediatore tra Dio e gli uom ini, l ’uom o C risto G esù»). Per quanto riguarda l ’inno di 1Tm 3,16, preferiam o presentarne il profilo estetico, più che nella contem plazione d e ll’evento soteriologico, attraverso la prospettiva della com posizione letteraria, in se stessa m anifestazione di bellezza. Il parallelism o dei versetti e tre antitesi: s a r x - p n e u m a , k o s m o s - d o x a , a g g e lo ie th n é ne fondano la struttura in tre strofe. L a prim a: « Egli si è m anifestato nella carne / è stato riconosciuto giusto nello Spirito ». La seconda: « È apparso agli an­ geli / è stato annunziato alle genti ». La terza: « E stato creduto nel m ondo / è sta­ to assunto nella g loria». L’antinom ia divino-um ana crea unità nelle antitesi, m en­ tre ben sei verbi alla terza persona singolare d e ll’aoristo passivo: e p h a n e r d th é , e d ik a ió th è , d p h th è , e c h è r y c h th è , e p is te u th è , a n a lè m p h th é , ne scandiscono il rit­ m o ascensionale. Il risultato è una m irabile, arm oniosa struttura chiastica: a)

C olui che si è m anifestato nella c a r n e , a ’) è stato annunziato alle g e n ti , a”) è stato creduto nel m o n d o ,

52

Parte prima. Sezione introduttiva b)

è lo stesso che è stato riconosciuto giusto nello S p ir ito b ’) è apparso agli a n g e li , b ”) è stato assunto nella g lo r ia .

Il m istero m anifestatosi dal cielo (e p h a n e r ó th è ) dim ora nel cielo (en d o x è ) eternam ente. Proprio il linguaggio soteriologico delle lettere pastorali consente il passaggio dal « bello » della loro com posizione letteraria, finora considerato in riferimento al­ la tradizione accolta e valorizzata, a un breve accenno al « bello » della m edesim a com posizione in considerazione della peculiarità del loro aspetto redazionale. Termini com e s ó tè r riferito a Dio, e p ip h a n e ia riferito a ll’incarnazione, e u s e b e ia riferito al contenuto centrale della fede, la stessa cristologica cosm ica accen­ nata sopra, connessa alla particolare visione ecclesiologica della Chiesa « casa di Dio » e « colonna e baluardo della v erità», oltre al particolare taglio della parenesi sviluppata sulle « belle opere » che il cristiano deve com piere dinanzi al m ondo, inducono a riflettere su ll’am biente culturale-religioso che deve aver influenzato la stesura redazionale delle lettere pastorali. Con ciò, il cospicuo patrim onio tradizio­ nale è stato com e im m erso in nuove categorie di linguaggio. Indubbiam ente l ’uso della versione greca dei LXX, costante nel giudeocristianesim o ellenistico e, più genericam ente, l ’influsso della cultura greca, unitam ente a una chiara istanza di inculturazione, sono a ll’origine della suddetta originalità redazionale. Gli insegnam enti delle lettere in gran parte sono inclusi nelle tradizioni tra­ smesse e rielaborate e nella loro applicazione alla particolare situazione di vita del­ le com unità interessate. E te r o d id a s k a lia e d id a s k a lia , con la puntuale m essa a nu­ do degli errori dei falsi m aestri e della risposta appropriata da dare a costoro (cff. 1Tm 1,3-20; 4,1-10; 6,3-10; Tt 1,10 - 2,1; 3,9-11; 2Tm 2,14 - 4,5), costituiscono i poli antitetici e aggreganti tutto il m ateriale parenetico. Così, i severi requisiti ri­ chiesti per i m inisteri sono elencati alla luce delle attività dei suddetti falsi m aestri (cff. 1Tm 3 ,lb-13; Tt 1,5-9). N ella m edesim a linea si pongono le norm e sull’orga­ nizzazione della Chiesa (cff. 1Tm 2,1 - 3 ,la; 5,3-25; Tt 2,1-14) e sulla condotta dei credenti (cfr. 1Tm 6,1-2; Tt 3,1-8). Com e nelle altre lettere paoline, agli insegnam enti viene dato un chiaro fondamento cristologico-soteriologico, particolarm ente evidenziato dalla centralità strutturale dei due inni m enzionati sopra: 1Tm 3,16 e Tt 3,4-7. Emerge così con forza l ’identità di colui che è il s ó tè r che ha reso possibile e visibile la e p ip h a n e ia della bontà m isericordiosa del Padre, l ’oggetto della c o n f e s s i o f i d e i , il prezioso e intoccabile tesoro del « deposito », il contenuto vivo della « sana dottrina», l ’ispiratore della e u s e b e ia . La descrizione com pleta di tale iden­ tità va nel senso della fedeltà alla com piutezza della sua «b ella testim onianza»: egli è il preesistente (cff. 1Tm 1,15: e r c h o m a i ), appartiene alla stirpe davidica (cff. 2Tm 2,8), ha svolto con fedeltà il suo m inistero (cff. 1Tm 6,13), ha com piuto l ’o­ pera salvifica (cfr. 1Tm 2,5-6a; 2Tm 1,9-10), è risorto (cfr. 2Tm 2,8), tornerà nella gloria (cfr. 1Tm 6,14; 2Tm 2,11-12; 4,8.18). b ) I l « b e llo » d e l m e s s a g g io . - L’aggettivo k a lo s (bello) - usato nelle lettere pastorali più che altrove d e ll’epistolario paolino —è ripetuto costantem ente, per sottolineare i vari contesti —personaggi o am biti —ai quali è riferito e anche le

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m olteplici sfum ature di significato. Innanzi tutto è « b e llo » il m inistro della C hiesa perché testim one autentico della « bella » dottrina, in quanto sano di spi­ rito, pio, m isu rato e p o n d erato in tu tte le sue azio n i, m o d ellato su C risto « b el/b u o n » pastore, che ha reso la sua « b e lla » testim onianza dinanzi a Ponzio Pilato (cfr. 1Tm 6,3). Egli si esercita nel cam m ino di fede, com e un atleta n e ll’attività sportiva. Entram bi cercano la perfezione nello sviluppo arm onioso delle lo­ ro facoltà. M a in particolare sono dette « belle » o « buone » le opere del m inistro e dei credenti, intese com e un bene m orale rivestito di decoro e di bellezza, con­ creta attuazione storica della fede, in un tem po e uno spazio determ inati, edifica­ zione del segno della C hiesa, « c a sa di D io » . Così, i due contesti del « b e llo » confluiscono n e ll’unico scopo d e ll’insegnam ento proposto: una vita cristiana vissuta nella « b e lle z z a » della fede, « o rn a ta » di «belle/buone opere». Sono le piste che intendiam o percorrere in questa seconda delineazione del profilo estetico delle lettere pastorali. Innanzi tutto la bellezza del m inistro, uom o di Dio a servizio della Chiesa e re­ sponsabile d ell’onore di Dio davanti al mondo. Il m inistro è rappresentante di Dio e capo della Chiesa. Per questo duplice titolo deve essere irreprensibile (cfr. 1Tm 3,2; 6,14; Tt 1,7). Il Cristo che ha am ato la C hiesa e si è donato per lei per renderla santa, voleva che apparisse davanti a lui « senza m acchia né ruga o altra cosa simi­ le, m a santa e im m acolata» (E f 5,27). E d è proprio la bellezza della Chiesa che fa risaltare la bellezza del com pito ministeriale, definito appunto una «bella opera» (cfr. 1Tm 3,1), e la stessa bellezza-irreprensibilità del ministro. Egli deve esem pla­ re la sua bellezza sulla « bella » testim onianza di Cristo (cfr. 1Tm 6,3), m a anche su quella di Paolo che ha com battuto vittoriosam ente la sua « bella » battaglia della fe­ de (cfr. 2Tm 4,7), conservandola intatta contro tutte le m inacce. Così, egli prenderà su di sé la sua parte di sofferenze come un « bel/coraggioso » soldato (cfr. 2Tm 2,3), servendo Cristo con la « b ellezza/fierezza» della fedeltà (cfr. 1Tm 1,18). Così agendo, egli conserverà intatto il « b el/p rezio so » deposito della fede (cfr. 2Tm 1,14), predicando la « b ella/san a» dottrina (cfr. 1Tm 4,6), com e un « b e l» , uno « z e la n te » servo fedele di G esù Cristo (cfr. 1Tm 4,6). Il m inistro potrà adem piere fedelm ente il suo com pito solo se possiede due qualità indispensabili: la conoscenza della « b ella/san a » dottrina e la conform a­ zione a essa della sua vita. Infatti, la « santa S crittura», anim a della dottrina da lui proposta, è la fonte del suo stesso m inistero apostolico, perché lo rende idoneo a insegnare con frutto, a ribattere gli errori dei cattivi m aestri e a guidare con chia­ rezza il cam m ino dei credenti sulla via della salvezza. Con ciò, egli sarà dunque «pronto (a rtio s) e ben preparato p er ogni opera b u o n a» (2Tm 3,17), cioè senza alcuna deficienza nei suoi m olteplici im pegni, capace di far fronte a tutte le istan­ ze del suo m inistero. A r tio s esprim e, appunto, l ’idea di ciò « che si incastra bene, è ben connesso, ben proporzionato». D ’altronde, tale connotazione m inisteriale svolta a servizio della « casa di Dio », induce il m inistro a evitare i m odi di pen­ sare e di agire con essa incom patibili. Pesa su di lui u n ’esigenza rigorosa di san­ tificazione. C onsacrato a Dio, egli deve m antenersi puro, « sep a rato » da ogni contam inazione. « Chi si m anterrà puro [...] sarà com e un utensile nobile, santi­ ficato, utile al padrone [di casa], pronto p er qualsiasi utilizzo b u o n o » (2Tm

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Parte prima. Sezione introduttiva

2,21). In altri term ini, il m inistro è certo di com piere l ’opera di Dio, di esercitare un apostolato veram ente soprannaturale e fecondo, soltanto se pensa e agisce ve­ ram ente com e m inistro del suo Signore. Poiché il m inistro si alim enta costantem ente della Parola di Dio e della sana dottrina che gli è stata consegnata dal deposito della fede; poiché la sua fede è co­ noscenza sicura e penetrante della verità; poiché la sua vita m orale è fatta di or­ dine, serietà ed equilibrio, si com prende perché egli appaia agli occhi di tutti co­ m e una splendida realizzazione di bellezza. La sua vita non si deve prestare ad alcuna m aldicenza, anche da parte dei non credenti, alla cui testim onianza l ’autore delle lettere pastorali annette una grande im portanza. Il m inistro, già prim a d e ll’affidam ento d e ll’incarico, deve ri­ cevere, da parte loro, una testim onianza f a v o r e v o l e (cfr. 1Tm 3,7). In genere, ogni cristiano, deve ritenersi responsabile personalm ente davanti al m ondo, e quindi anche davanti ai non credenti, dell 'o n o r e d i D io . Infatti, dipende anche da lui che « quelli di fuori » si convertano alla fede. Se vive in conform ità al dono di Dio, ne rivela la bellezza e il fascino; se invece vive m ale, la disonora; e il di­ sprezzo che attira sulla sua persona, finisce col ricadere su tutta la C hiesa e anche su Dio. R iecheggia il m onito severo di Paolo: « Per colpa vostra il nom e di D io è bestem m iato fra i gentili » (R m 2,24). Il m inistro, in particolare, deve essere una guida esem plare, la regola e il m odello della vita cristiana. Donde, il consiglio ri­ volto a Tim oteo: « Sii di esem pio [...] nella parola, nel com portam ento, nella fe­ de, nella p u rezza» (1Tm 4,12). U n secondo, decisivo aspetto della « bellezza », correlato al prim o e sottoli­ neato con forza dalle lettere pastorali, è dato dal com pim ento delle «belle/buone opere ». La parola del M aestro ne costituisce il fondam ento: « L a vostra luce de­ ve risplendere davanti agli uom ini, affinché essi vedano le vostre o p e r e b u o n e e diano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (M t 5,14-16). C risto è venuto nel m ondo per com piere le opere di D io e offrire a ll’uom o redento la possibilità di com pierle a sua volta: « Egli ha dato se stesso p er noi, p er riscattarci da ogni ille­ galità e form are per sé un popolo puro di sua proprietà, pieno di zelo per le ope­ re b u o n e» (Tt 2,14). N e va dunque d e ll’accoglienza o m eno della redenzione. Q uanti sono stati liberati dalla tirannia del peccato, e resi servi della giustizia so­ no diventati proprietà di Cristo, devono essere pieni di fervore (z è ld tè s ) per le opere buone, com e divorati da un intenso desiderio di consacrarsi a esse. Il m ini­ stro, in particolare, deve preoccuparsi di essere il prim o fra tutti in questa pratica, com e prescrive l ’A postolo al capo della C hiesa di Creta: «O ffri te stesso com e esem pio di opere buone: integrità n e ll’insegnam ento, dignità, parola sana e irre­ prensibile, perché il nostro avversario resti svergognato, non avendo nulla di m a­ le da dire contro di noi » (Tt 2,7-8). Le opere buone da lui com piute diventano co­ sì un deterrente contro tutte le critiche m alevoli del cam po avverso. Unite al suo insegnam ento perfettam ente ortodosso e m isurato, alla sua castità intatta e incor­ ruttibile, alla gravità e alla dignità della sua vita, finiscono col disarm are ogni ti­ po di calunnia. Le « buone opere » indicano, pertanto, l ’insiem e della vita virtuosa. M a esse riguardano più direttam ente il culto reso a Dio (cfr. 1Tm 2,10), l 'o p u s D e i; poi i

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rapporti con il prossim o, rivelatori della giustizia, quella rettitudine d ’anim o che si prende a cuore i diritti degli altri e che ha tanta affinità con la p i e ta s (cfr. 1Tm 6,11; Tt 2,12). È ritenuta opera buona anche l ’obbedienza alle autorità costituite, l ’osservanza dei doveri civici, il servizio dello Stato, che dispone del potere sol­ tanto « p e r il bene » (R m 13,3; cfr. Tt 3,1). Infatti, i credenti sono invitati a non di­ sinteressarsi della cosa pubblica, devono anzi m ostrarsi più diligenti degli altri nel collaborare al bene com une. Infine - conform em ente alla interpretazione tra­ dizionale - , « b u o n e o p ere» sono soprattutto le m anifestazioni d e ll’am ore frater­ no: m ansuetudine, benignità, tutte le form e di abnegazione che fecondano le ope­ re di m isericordia (cfr. 1Tm 5,10; 6,18), specialm ente l ’ospitalità (cfr. Tt 1,8). In ciò, riappare la linea parenetica costante nella tradizione biblica della im itazione di Dio e della sua com passione per tutti gli uom ini, portata a com pim ento da C ri­ sto nel dono della nuova legge: « Siate perfetti com e è perfetto il Padre vostro ce­ leste » (M t 5,48). Le opere buone del m inistro e dei credenti identificano, così, in pienezza la vita cristiana e delineano il vero volto della Chiesa, u n ’im m agine di bellezza gra­ dita a Dio (cfr. 1Tm 2,3). Il m inistro Tim oteo, che al m om ento del suo battesim o ha fatto la sua bella confessione di fede davanti a un gran num ero di testim oni (cfr. 1Tm 6,12) ed è stato approvato da tutti, anche dai non credenti, quando gli è stato conferito il m inistero per l ’im posizione delle m ani, sia sem pre consapevole del suo com pito: contribuire, sul piano spirituale, a questa form azione estetica dei fedeli (cfr. Tt 3,8). Parim enti, il credente nella C hiesa, di ogni età, sesso, con­ dizione sociale, sappia che raggiungerà la bellezza in proporzione alla propria fe­ deltà alla grazia di G esù Cristo. A llora, tutta la Chiesa, « casa di Dio », sarà rive­ stita di splendore, poiché renderà m anifesta la grazia bella e salutare di G esù Cristo. Ciascuna delle sue virtù, soprattutto la sua « p ie tà » e la sua « c a rità » , ir­ radierà luce, una luce che attirerà e si im porrà. La gloria e la santità di ciascuno dei suoi m em bri la renderanno un capolavoro di bellezza. Vivere la bellezza, non è soltanto sinonim o di vita perfetta, m a è anche « or­ n am ento» della stessa dottrina, com e precisa l ’A postolo n e ll’esortazione agli schiavi di Creta: « N o n rubino m a dim ostrino fedeltà assoluta, per r e n d e r e o n o r e in tu tto alla dottrina di Dio, nostro salvatore» (Tt 2,10). L’ornam ento delle belle/buone opere è, dunque, un segno di m erito e u n ’aggiunta alla dignità della dot­ trina, oltre che una m anifestazione di stim a e di rispetto. In più, la si rende più at­ traente, al punto che gli stessi schiavi, trasform ati in m odelli di obbedienza, sobrietà, onestà, rispetto, possono trasform are anche i padroni più ostili in am m i­ ratori di una dottrina capace di operare sim ili trasform azioni etiche n e ll’uom o. R iecheggia il paradosso evangelico: g l i u ltim i s a r a n n o i p r i m i (cfr. M t 20,16). Coloro che il m ondo pagano disprezzava m aggiorm ente, appunto gli schiavi, so­ no ora designati per ornare la verità del vangelo. C on tali « ornam enti », essi so­ no riusciti a convertire i loro padroni: il padrone irascibile, con la m itezza; quel­ lo crudele, con la dolcezza e il rispetto; quello fraudolento, con l ’onestà; quello sensuale, con la purezza e la sobrietà; quello raffinato, con la dignità e l ’arm onia d e ll’equilibrio. Lo scopo è stato raggiunto: il nom e di Dio e la dottrina non sono stati bestem m iati, m a am m irati e lodati (cfr. 1Tm 6,1; Tt 2,5). Vivendo sem plice­

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Parte prima. Sezione introduttiva

m ente nella grazia di D io donatagli da C risto, il credente - schiavo o libero, giu­ deo o greco, uom o o donna - è stato testim one della benignità e della filantropia di Dio, della potenza rigeneratrice dello Spirito santo, della presenza e d e ll’azio­ ne redentrice del Cristo. Egli è vissuto cioè in perfezione e in bellezza, appunto, «rendendo onore in tutto alla dottrina di Dio, nostro salvatore» (Tt 2,10). G iunti alla fine di questo profilo estetico delle lettere pastorali, non possia­ m o sfuggire a u n ’ultim a dom anda: D onde esse hanno attinto la ricchezza di una sim ile riflessione? C om e abbiam o potuto notare sopra, certam ente, la tradizionalità del m ateriale assunto, sia nella sua form a anticotestam entaria giudaica sia, ancor più, in quella cristiana prim itiva, hanno avuto la loro incidenza, con il gran­ de patrim onio letterario e tem atico di cui erano espressione. Tuttavia, abbiam o anche osservato che quel patrim onio è passato attraverso il filtro della culturaam biente in cui sono sorte le lettere in esame. Ora, è chiaro che la riflessione filosofico-letteraria s u ll’estetica elaborata in am biente greco ha lasciato la sua im ­ pronta. Pertanto, l ’ideale di bellezza che esse propongono, sia in riferim ento a ll’uom o di Dio e al credente, sia alle opere belle/buone e alla Chiesa, con l ’insi­ stenza specifica s u ll’aggettivo k a lo s , richiam ano inevitabilm ente le grandi acqui­ sizioni dei m aggiori pensatori greci. È noto che per i greci, il bello consiste nell ’essere nobile, decoroso, onorevole, o anche perfetto, com piuto, com pleto. In quanto sinonim o di sano, arm onioso, appropriato a un determ inato scopo, esso si oppone a brutto, cattivo, riprovevole. Il bello si configura, pertanto, com e una ca­ ratteristica fondam entale della virtù, che è som m o equilibrio ed è visibile a tutti, perché è delle cose belle l ’essere m anifeste (cfr. 1Tm 5,25). Sappiam o anche che gli stoici, in particolare, facevano una distinzione fra le form e diverse del bello: la giustizia, il coraggio, la tem peranza, il sapere, che caratterizzavano le loro « belle azioni ». In più, essi davano significati diversi alla bellezza: ciò che rende degno di lode colui che la possiede; il fatto di essere perfettam ente idoneo al pro­ prio ufficio; ciò che è un ornam ento. In base a tali prem esse, pervenivano alla conclusione che i concetti di « b e n e » e di « b e llo » sono interscam biabili: è bene ciò che è bello; è bello ciò che è bene, perché il bello è - com e accennato - la virtù e tutto ciò che di essa partecipa. P er finire, un doveroso, fugace e m odesto richiam o del notissim o pensiero di A ristotele, p er il quale il bello è ordine, giusto m ezzo, m isura, ciò che è gradito o preferibile in se stesso, la nobiltà della vita, un bene suprem o, e di Platone, che ritiene bello ciò che ha il fascino più am abile. E evidente il richiam o di questo h u m u s culturale n ellap aren esi sul « b e llo » evocata sopra.

PRIMA LETTERA A TIMOTEO

Parte seconda

TRADUZIONE E COMMENTO

INDIRIZZO E SALUTO 1Tm 1,1-2

1 Taolo, apostolo di Cristo Gesù per ordine di Dio nostro salvatore e di Cristo Gesù nostra speranza, 2a Timoteo, mio vero figlio nella fede: grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù Signore nostro. L’inizio della 1Tim oteo è com e una dichiarazione esplicita della sua appar­ tenenza alla tradizione paolina. Dal punto di vista form ale, ricalca fedelm ente lo stile epistolare d e ll’A postolo: il m ittente e il destinatario accom pagnati da una qualifica, il saluto contrassegnato da una benedizione augurale. Dal punto di vi­ sta contenutistico, rivela elem enti innovativi inusuali nel linguaggio di Paolo, e desunti dalla cultura-am biente rielaborata attraverso il filtro della tradizione bi­ blica anticotestam entaria.

[1,1] Paolo è definito « ap o sto lo di Cristo G esù», com e in R om ani, Galati, l-2C orinzi, m a a fondamento del suo apostolato è posta non la chiam ata del Risor­ to, bensì 1’« ordine » di Dio definito « salvatore » e di Cristo presentato come « no­ stra speranza». L’innovazione è , oltre che nella duplicità dei protagonisti, nella lo­ ro denom inazione. Il titolo di « salvatore » riferito a Dio, totalm ente assente in Paolo, è presente solo nelle lettere pastorali1. L’origine è da ritrovare innanzi tutto n ell’AT, dove jh w h è acclam ato com e salvatore del suo popolo12, o direttamente: « M io salvatore » dal povero oppresso3. M a anche il m ondo pagano conosceva il te­ m a della salvezza. L’ellenism o venerava com e salvatrici alcune divinità guaritrici, come Asclepio; gli adepti delle religioni m isteriche invocavano l ’intercessione di Iside o Serapide per ottenere la salvezza. Infine, in am biente romano, gli stessi im ­ peratori erano salutati con l ’appellativo di salvatori. La m olteplicità di queste riso­ nanze è da cogliere n e ll’uso d ell’espressione « Dio salvatore », indotta dalla neces­ sità di una p r o fe s s io f i d e i la cui radice affonda nel c r e d o anticotestamentario, e d all’istanza m issionaria di ricondurre a essa gli incerti passi del m ondo gentile di allora. Anche il titolo attribuito a Cristo, « nostra speranza», è sconosciuto a Paolo, 1 Cfr. 1Tm 2,3; 4,10; Tt 1,3; 2,10; 3,4. 2 Cfr. Dt 32,15; 1Sam 10,10; 1Cr 16,35; Sap 16,7. 3 Cfr. Sal 25,5; 27,9; 42,6.12; 62,7.

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Parte seconda. Traduzione e commento

m a è come una sintesi della sua riflessione soteriologica in R m 8,18-30, dove l ’o­ pera redentiva del Cristo, già com piuta, è riform ulata in term ini di speranza, grazie al dinam ism o delle prim izie dello Spirito donate ai credenti: «N o i che possediam o le prim izie dello Spirito, gem iam o interiorm ente aspettando l ’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. In speranza, infatti, siamo stati salvati [...]. Se speria­ m o quello che non vediam o, lo attendiam o con perseveranza» (Rm 8,23-25). A p­ pare evidente la connessione tra i due titoli: « Dio nostro salvatore » e « Cristo no­ stra speranza»; e che qu est’ultim o intende inserire il ruolo soteriologico dello Spirito, dando così vita a una im postazione trinitaria del p r e s c r itto in esame. [v. 2] Il destinatario Tim oteo è chiam ato « m io vero figlio nella fede ». U na designazione che segna un nuovo stacco con quelle abituali usate d a ll’Apostolo: collaboratore, fratello, servo di G esù Cristo. M a com e non riconoscerla perfetta­ m ente p a o lin a nella sua originalità? Paolo si presenta spesso con caratteristiche paterne e m aterne nei confronti dei suoi collaboratori e delle com unità da lui ge­ nerate alla fede. N ella sua prim a lettera, così si rivolge alla com unità diletta di Tessalonica: « Siam o stati am orevoli in m ezzo a voi, com e una m adre che ha cura del­ le proprie creature. Così affezionati a voi, avrem m o desiderato trasm ettervi non solo il vangelo di Dio, m a la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari [...]. Sapete pure che, com e fa un padre verso i propri figli, abbiam o esortato ciascuno di v o i» (1Ts 2,7-8.11). Ai corinzi ricorda che essi potrebbero avere diecim ila pe­ dagoghi in Cristo, m a non certo m olti padri: « Sono io che vi ho generato in Cristo Gesù m ediante il vangelo » (1C or 4,15); il suo affetto per i galati non è m eno in­ tenso: « F ig li m iei, che io partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi! » (Gal 4,19). Lo stesso Tim oteo era stato da lui chiam ato: «F iglio carissim o e fedele nel Signore » quando fu costretto a inviarlo presso i corinzi per richiam are alla loro m em oria il suo m odo di vivere in Cristo e il suo insegnam ento costante in tutte le C hiese (1C or 4,17). U n sentim ento che Tim oteo ricam bia con piena de­ dizione: « N o n ho alcuno che condivida com e lui i m iei sentim enti [...]. H a servi­ to il vangelo insiem e con m e, com e un figlio con il padre » (Fil 2,20-22). L a relazionalità prospettata d a ll’A postolo non è soltanto di tipo affettivosentim entale. L’orizzonte di fede, in cui si colloca e dal quale trae ispirazione, ne svela l ’intim a natura a g a p ic a che va oltre la sem plice dim ensione am icale della p h ilia greca. Vanno in tale direzione le notazioni che qualificano il rapporto: il « vero figlio n e lla f e d e » del nostro testo richiam a da vicino il « figlio carissim o e fedele n e l S ig n o r e » di 1C orinzi; la generazione in C r is to G e s ù m e d ia n te il v a n ­ g e lo della m edesim a lettera è affine al partorire nel dolore f i n c h é C r is to n o n s ia f o r m a t o in lo r o di Galati. A ncora una volta, un possibile riferim ento culturaleam bientale è da ricercare non nella direzione della term inologia ellenistica, che nelle scuole filosofiche o nelle sette religiose utilizzava l ’espressione «padre-figlio » per qualificare il rapporto m aestro-discepolo, bensì in quella della riflessio­ ne biblica profetica e sapienziale dove l ’espressione definiva il m edesim o rap­ porto, m a alla luce della recip ro ca convergenza verso la P a r o la e la s o p h ia origine della loro fede e oggetto della com une s c r u ta tio 4. 4 II maestro di sapienza è come un padre che apre il cuore del discepolo, suo figlio (cfr. Pro 1,8; 2,1 ; 3,1). Eliseo chiama Elia suo padre in quanto suo discepolo e continuatore della sua opera (2Re 2,12).

Indirizzo e saluto 1Tm 1,1-2

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La benedizione augurale presenta la triade « grazia, m isericordia e pace » pre­ sente solo qui e in 2Timoteo. Paolo, in tutte le sue lettere, usa solo « grazia e pace ». La prim a è sinteticam ente evocativa d ell’opera redentiva del Cristo, m entre la se­ conda è la pienezza del dono del Risorto, di cui godono n e ll’oggi salvifico i creden­ ti nel suo nome. La m isericordia che qui si aggiunge indica la sorgente dalla quale emergono quella grazia e quella pace, cioè la hesed jhwh indicatrice del suo vero volto, pienam ente rivelatosi in « Cristo Gesù Signore nostro ». L’inizio della lettera rivela, così, la sua precisa connotazione teologico-parenetica. L’indirizzo sottolinea innanzi tutto la centralità della fede in Dio e nella sua volontà salvifica, subito collegata con la homologia cristologico-escatologica. Teologia e cristologia convergono nel com une orientam ento soteriologico ed ecclesiologico: D io è detto « nostro salvatore » e « Padre »; C risto Gesù è « nostra speranza» e «nostro S ignore». A sua volta, la benedizione augurale ripresenta i due protagonisti del saluto: D io e C risto, non più com e origine e term ine d e ll’o­ pera salvifica, m a com e ispiratori della relazionalità tra Paolo e Tim oteo e fecon­ datori della loro m issione apostolica, consistente n e ll’annunzio della m isericor­ dia di Dio, portatrice di grazia e di pace, apparsa in C risto G esù5.

5 Cfr. il tema della e p ip h a n e ia nelle lettere pastorali, in Tt 2,11; 3,4, eccetera.

LOTTA CONTRO GLI ERETICI E CUSTODIA DELLA RETTA FEDE 1Tm 1,3-20

Heterodidaskalia e didaskalia

1 Partendo per la Macedonia, ti ho esortato a rimanere a Efeso per ordinare a taluni di non insegnare dottrine diverse 4e di non aderire a favole e a geneaologie interminabili, le quali favoriscono più vane discussioni che non il disegno di Dio, (che si attua) nella fede. 5Lo scopo di (tale) prescrizione è però l ’amore, che nasce da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera. 6Alcuni, essendosi allontanati, si sono perduti in discorsi sen­ za senso, 7mentre pretendono di essere maestri della legge, non capisco­ no né quello che dicono né ciò di cui si ritengono sicuri. 8Noi però sappiamo che la legge è buona, purché se ne faccia un uso legittimo, 9nella convinzione che la legge non è fatta per il giusto, ma per i senza legge e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per i sacri­ leghi e i profanatori, per i parricidi e i matricidi, per gli assassini, 10i fornicatori, i pervertiti, i mercanti di uomini, i bugiardi, gli spergiuri e per qualunque altra cosa contraria alla sana dottrina, “ secondo il vangelo della gloria del beato Dio, che mi è sta­ to affidato. Da Paolo a Timoteo

“ Rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Si­ gnore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia ponendo­ mi al (suo) servizio: 13io che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento, ma ho ottenuto misericordia, perché agivo n ell’incre­ dulità, senza saperlo;

Lotta contro gli eretici e custodia della retta fede 1Tm 1,3-20

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14così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato assieme alla fede e all’amore che è in Cristo Gesù. 15Questa affermazione è sicura e degna di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori; dei quali io sono il primo. 16Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché in me, per primo, Cristo Gesù dimostrasse la sua longanimità, (co­ me) esempio per quelli che avrebbero creduto in lui in vista del­ la vita eterna. 17A1 Re dei secoli, incorruttibile, invisibile, unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Timoteo 18Questo è l ’ordine che ti trasmetto, Timoteo, figlio mio, in accordo con le profezie già fatte su di te, perché, (fondato) su di esse, tu combatta la buona battaglia 1Conservando la fede e una buona coscienza. Alcuni, infatti, avendola ripudiata, hanno fatto naufragio nella fede; 20fra questi Imenèo e Alessandro, che ho consegnato a satana perché imparino a non bestemmiare. Il passaggio dal prescritto al corpus della lettera è a ll’insegna della discon­ tinuità form ale con l ’epistolario paolino, m anca, infatti, il raccordo abituale del­ la preghiera, azione di grazie o benedizione. In realtà, l ’autore svela subito il suo intento e, con ciò, l ’originalità del suo scritto: egli vuole inviare una «eso rtazio ­ ne » a Tim oteo perché intervenga con autorità contro i fautori della heterodidaskalia. Si allontana così l ’im postazione tipica della lettera paolina: non più una pars dottrinale che fonda e introduce lo sviluppo parenetico, m a la parenesi qua­ le im pianto globale della lettera. Da Paolo a Timoteo (1Tm 1,12-17). U n chiaro elem ento di aggancio colle­ ga il brano di 1Tm 1,12-17 al precedente: in 1,11 Paolo aveva afferm ato - com e spesso nelle altre lettere1 - che il « v an g elo della g lo ria» gli era stato affidato da Dio (ho episteuthén egó); adesso ribadisce: « C risto G esù [...] m i ha giudicato degno di fiducia (piston me hégésato) ponendom i al (suo) servizio». N on si può definire la presente pericope un tipico ringraziam ento paolino, né per form a né p er contenuti. N on è collocata a ll’inizio della lettera, com e altrove, e non ha com e oggetto la fede-speranza-carità dei destinatari. Lo stesso verbo va­ ria: non è il classico eucharistó, m a charin echó che sem bra tanto la trascrizione 1 Cfr. 1Cor 9,16-17; Gal 2,2; Tt 1,3.

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Parte seconda. Traduzione e commento

greca del latino g r a tia s a g o . Il m otivo è da ricercare nel nuovo oggetto: la m ise­ ricordia divina m anifestatasi nei confronti dello stesso apostolo. L’insiem e con­ serva tuttavia la form a di preghiera: si apre con il rendim ento di grazie e si chiu­ de con la dossologia di 1,17. Al centro, si colloca la c o n f e s s i o f i d e i di 1Tm 1,15: « Cristo G esù è venuto nel m ondo p er salvare i peccatori », solennem ente intro­ dotta dalla form ula: « Q uesta afferm azione è sicura e degna di essere accolta da tu tti» , che, nelle lettere pastorali2, serve ad autenticare la validità d e ll’insegna­ m ento tradizionale. In realtà, la form a « azione di grazie » rivela un racconto autobiografico di vocazione, affine a quelli presenti in altre lettere3. Lo schem a narrativo è poggia­ to su ll’an tite si p o te /n y n (« u n tem po/ora»): presentazione del passato di lonta­ nanza di Paolo, intervento della grazia divina, cam biam ento radicale inteso non com e sem plice conversione individuale, m a com e chiam ata al servizio del van­ gelo. Tuttavia, il confronto con i brani autenticam ente paolini fa risaltare le diffe­ renze. Qui il passato è descritto com e peccam inoso, m entre Paolo non lo defini­ sce m ai com e tem po di peccato e di ignoranza. A l contrario, dal punto di vista religioso ed etico, la sua situazione prim a della conversione era irreprensibile. La sua persecuzione della C hiesa era m otivata dal suo zelo religioso giudaico. La sua conversione fu non il passaggio dal vizio alla virtù m a, per un verso, la rive­ lazione della giustizia definitiva di D io in C risto G esù4, e, per l ’altro verso, la prova concreta d e ll’estensione della grazia in Cristo a tutti. Com e abbiam o avu­ to m odo di afferm are, questo testo rivela la tendenza delle lettere pastorali a uti­ lizzare il linguaggio paolino per una rielaborazione del racconto della conversio­ ne in fun zio n e d ella p re d ic azio n e m issio n aria, p artico larm en te in am biente gentile, cioè la presentazione di Paolo com e tipo d e ll’uom o peccatore salvato da Cristo e divenuto credente nel suo nom e. T im o te o (1Tm 1,18-20). La rievocazione d e ll’esperienza paolina fonda la nuova esortazione a Tim oteo in 1Tm 1,18-20.11 carattere conclusivo di questa u l­ tim a sezione della prim a parte della lettera appare chiaram ente dalla ripresa del tem a della falsa dottrina e dal richiam o alle responsabilità di Tim oteo com e ga­ rante d e ll’ortodossia. R icom paiono così i term ini chiave d e ll’insegnam ento dato a Timoteo: p a r a g g e lia (ordine), p i s t i s (fede), s y n e id è s is (coscienza), in antitesi con le deviazioni dei falsi dottori. Tim oteo è posto al centro di questa contrappo­ sizione in forza di un m andato e in funzione di una battaglia.

[1,3] La situazione storica evocata da 1Tm 1,3 - Paolo parte per la M acedo­ nia e lascia a Efeso Tim oteo - non corrisponde al dato di A t 20,1-6. La partenza di Paolo per la M acedonia, decisa alla fine del lungo e fruttuoso soggiorno in E fe­ so (cfr. A t 19,21), tappa decisiva del suo secondo viaggio, di fatto ha luogo dopo la som m ossa degli orefici (cfr. A t 19,23-40). Tim oteo non rim ase a Efeso, m a fu 2 Cfr. 1Tm 4,14; 6,12; 2Tm 1,6. 3 Cfr. 1Cor 15,8-11; Gal 1,13-16; Fil 3,4-7; Col 1,23-29; E f 3,1-12. Cfr. anche At 9,1-22; 22,116; 26,9-18. 4 Cfr. Gal 2,14; Fil 3,7-11.

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m andato avanti in M acedonia, insiem e con Erasto, m entre Paolo si tratteneva an­ cora un p o ’ di tem po nella provincia d e ll’A sia (cfr. A t 19,22). Successivam ente, quando Paolo, dopo essere già stato in M acedonia, decise di ritornarvi per sfug­ gire al com plotto dei giudei, era accom pagnato anche da Tim oteo (cfr. A t 20,4). A l di là di queste discordanze, rim ane la difficoltà di fondo: Tim oteo è qui pre­ sentato com e guida fissa della com unità (cfr. 1Tm 3,14), m entre nelle altre lette­ re e in Atti degli apostoli egli è sem pre e solo un inviato d a ll’A postolo a singole com unità per casi particolari5. D ifficile sfuggire a ll’im pressione che tali stabilità, com e in fondo lo stesso ruolo di difensore della sana dottrina, rispecchino l ’età subapostolica. [v. 4] Sui connotati della heterodidaskalia, qui definiti « favole » e « genea­ logie interm inabili » adatte a « vane discussioni », rinviam o alla trattazione qui nella Sezione introduttiva. L im itiam oci a rilevare che il risvolto antitetico della sana didaskalia si staglia n e ll’orizzonte del « disegno di Dio che si attua nella fe­ d e » (oikonomian Theou tén enpiste). L a frase, nella sua sinteticità, esprim e l ’i­ niziativa salvifica di Dio e l ’accoglienza d e ll’uom o. R iecheggiano brani innici, com e quello dossologico di R m 16,25-27: « D io ha il potere di conferm arvi nel m io vangelo [...] secondo la rivelazione del m istero avvolto nel silenzio per se­ coli eterni m a ora rivelato e annunziato m ediante le Scritture dei profeti, per or­ dine d e ll’eterno Dio, a tutte le nazioni perché giungano a ll’obbedienza della fe­ d e » . A nch e la eulogia d ella L ettera agli E fe sin i p a rla di un « m iste ro del beneplacito» di Dio, che egli « c i ha fatto conoscere [...] secondo quanto aveva in lui prestabilito » (E f 1,9). Lo stesso m istero, nel corpus della lettera, è poi de­ finito « d i C risto » (E f 3,4) o, con valenza kerigm atica, « d e l van g elo » (E f 6,19) per il quale Paolo è stato fatto m inistro (E f 3,7; cfr. Col 1,25-27). Si tratta pertan­ to d e ll’evento salvifico di D io, non oggetto di speculazioni astratte m a dono di grazia realizzatosi (eis oikonomian, E f 1,10) nella pienezza dei tem pi, cui si può avere accesso unicam ente m ediante la fede in C risto e la disponibilità a « intesta­ re » (anakephalaiod) in lui tutte le cose (E f 1,10). [v. 5] Il com ando che Tim oteo deve dare in m erito alla heterodidaskalia de­ ve essere a servizio d e ll’« am ore ». Paraggelia è term ine caratteristico di 1Tim o­ teo, il cui significato va oltre la sem plice esortazione, p er indicare un ordine form ale espresso con autorità6. L'agape verso cui deve essere orientata la parag­ gelia è il necessario sbocco operativo del « p ia n o » evocato prim a, che trae origi­ ne dal beneplacito, eudokia, di Dio, e ha com e scopo di renderci santi e im m aco­ lati al suo cospetto nell 'agape, e che si realizza nel dono del suo Figlio diletto (cfr. E f 1,4-6). L a centralità della carità, proclam ata da G esù e fatta propria da Paolo, è qui afferm ata in opposizione alle vane elucubrazioni dei m aestri della heterodidaskalia. N ella m edesim a linea si colloca la triade che ne indica l ’origi­ ne e ne consente il retto discernim ento: « cu o re puro, buona coscienza, fede sin­ cera». C uore puro e fede sincera sono espressioni affini, entram bi appartenenti al linguaggio biblico. Il « c u o re » dice l ’interiorità d e ll’uom o, fonte del suo agire 5 Cfr. 1Ts 3,1-6; 1Cor 4,17; 16,10; Fil 2,19-23. 6 Cfr. 1Tm 1,18; 4,11; 5,7; 6,13.17.

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m orale. L’aggettivo « p u ro » qualifica il cuore com e integro, non diviso, total­ m ente orientato a Dio. L a « fe d e sin cera» aggiunge la conform ità della vita al­ l ’opzione p er C risto, cui si aderisce con la profondità del proprio essere. La « b u o n a co scien za» ( syneidésis) , form ula m utuata dal linguaggio della filosofia popolare ellenistica, riesprim e in term ini norm ativi la portata delle due preceden­ ti espressioni: è cioè la norm a interiore che orienta l ’atteggiam ento e il com por­ tam ento m orale e illum ina la form ulazione del suo giudizio7. Proprio questo ele­ m ento giudiziale insito n e ll’idea di coscienza determ ina la specificità del term ine nelle lettere pastorali in rapporto alle altre lettere. In base a ll’azione m orale com ­ piuta, la coscienza dell ’uom o peccatore vi è definita « corrotta » (Tt 1,15) o « bol­ lata a fu oco » (1T m 4,2), m entre quella del giusto è dichiarata « b u o n a » (1Tm 1,19) o « p u ra » (1Tm 3,9; 2Tm 1,3). In base a detta triplice generazione, l ’am ore, confluenza d e ll’econom ia sal­ vifica divina, si configura a giusto titolo com e com pim ento della legge (cfr. Rm 13,8-10) e dono definitivo dello Spirito concesso nella giustificazione m ediante la fede (cfr. R m 5,5; Gal 5,22). A ppare chiara l ’esortazione im plicita: ciò che ve­ ram ente conta p er ricevere la salvezza non è voler speculare sulla torà, m a acco­ gliere com e una grazia la salvezza donata da D io in Cristo G esù e di cui i cristia­ ni sono beneficiari in forza della loro fede (cfr. G al 3,1-5). [vv. 6-7] L’introduzione del tem a della « legge » si è resa necessaria proprio per la precedente puntualizzazione sulla norm a etica e sulla centralità della fede in ordine alla salvezza. L’autore contesta ai sedicenti « d o tto ri della leg g e» di deviare da questa li­ nea m aestra e di perdersi in « discorsi senza senso », dim ostrando così di non co­ noscere il vero senso della legge. Il term ine mataiologia (« discorso insensato ») è un hapax biblico, m a l ’aggettivo mataios è usato in 1Cor 3,20 per indicare le speculazioni filosofiche, altrove è sinonim o di idolatria, e designa infatti le « va­ nità » dalle quali i pagani devono convertirsi p er aderire al D io unico, vivo e ve­ ro (cfr. A t 14,15)8. L’accusa m ossa non poteva essere più pesante: proprio coloro che si considerano « dottori della legge » di fatto sono idolatri. A bbiam o già rile­ vato che la posizione di costoro non è assim ilabile a quella dei giudaizzanti della G alazia, che ritenevano l ’osservanza della torà condizione unica per accedere al­ la salvezza. Essi vanificano l ’im portanza stessa della legge, ridicolizzandola m e­ diante una interpretazione ascetica radicalizzata in m ateria di genealogie, cibi e purificazione. [vv. 8-11] Ciò induce l ’autore a prendere posizione in difesa della legge: « La legge è buona, purché se ne faccia un uso legittim o ». È il noto asserto paolino (cfr. R m 7,12.16), m a Paolo ha dim ostrato che l ’uso della legge in sé buona è pervertito dalla forza del peccato (cfr. R m 7), diventando così - com e ribadisce il nostro autore - un uso non « conform e alla stessa legge », non nomimós. La successiva precisazione: « N e lla convinzione che la legge non è fatta per il giu­ sto, m a per gli iniqui [...] », ha una duplice spiegazione: intanto, la legge è qui 7 Cfr. Rm 2,15; 9,1; 1Cor 8,10; 10,28; 2Cor 1,12; 4,2; 5,11. 8 Cfr. 1Pt 1,18; Os 5,11; Is 2,20; Ger 2,5.

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considerata - in conform ità al contesto - quale norm a d e ll’agire credente; in se­ condo luogo, il giudizio sulla legge em erge da una prospettiva cristiana. L’auto­ re, pertanto, parte dal presupposto che, nella nuova econom ia salvifica instaurata da Cristo, com pim ento della legge, coloro che si lasciano guidare dallo Spirito, nuovo principio interiore di azione, non hanno più bisogno della legge che, per quanto buona, rim aneva esteriore e quindi incapace di determ inare la trasform a­ zione del « c u o re » (cfr. Gal 5,18.23). « G iu sto » assum e così il preciso significa­ to di « dichiarato giusto », cioè salvato m ediante la fede in Cristo. In quanto tale, egli è m orto alla legge (cfr. Gal 2,19), non è più sottom esso alla legge (cfr. Gal 5,18), perché la sua vita, anim ata dallo Spirito, produce quel frutto dell ’« am ore » contro cui non c ’è legge (cfr. Gal 5,23). Lo sviluppo antitetico della riflessione, con l ’accostam ento legge-peccato, ripropone l ’altro noto asserto paolino sullo scopo della legge: «P erché la legge? Essa fu aggiunta in considerazione delle trasgressioni » (Gal 3,19), ben precisato da R m 7: « C h e cosa direm o dunque? Che la legge è peccato? No, certam ente! Però io non ho conosciuto il peccato se non m ediante la legge. Infatti non avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: N on avere desideri cattivi [...]. L a legge, che doveva servire per la vita, è divenuta per m e m otivo di m orte. Il peccato infatti, presa l ’occasione, m ediante il precetto m i ha sedotto e per m ezzo di esso m i ha dato la m orte » (vv. 7-11). 1Tm 1,9-10 presenta un elenco di vizi (e peccati) com une agli elenchi delle al­ tre lettere paoline9. L’ordine di successione, secondo alcuni autori10, potrebbe ri­ chiamare quello del decalogo: peccati contro gli autori della vita, Dio e i genitori (v. 9), e peccati contro il prossim o (v. 10). In realtà, questi elenchi erano in uso anche n ell’ambiente della filosofia popolare ellenistica, come m anuale schematico di de­ terrente etico. In effetti, il giudizio etico è inequivocabile: sono « contrari alla sana dottrina». Abbiam o notato nella Parte prima. Sezione introduttiva l ’im portanza del passaggio dal criterio di conform ità del v. 8: nomimds (« conform e alla legge »), a questo del v. 10: tę hygiainousę didaskalia (« conform e alla sana dottrina »), con­ cludendo sul ruolo normativo della « sana dottrina» in ambito cristiano. Un ruolo che è, peraltro, esplicitam ente afferm ato nel v. 11, dove la sana dottrina è identifi­ cata con « il vangelo della gloria del beato Dio » annunziato da Paolo. L’originalità d e ll’espressione, tipica delle lettere pastorali, e soprattutto la qualifica di « sanità » attribuita alla dottrina hanno spinto gli studiosi a indagare sulla sua possibile origine ellenistica. N e ll’uso linguistico del greco profano, « sano » equivale ad « adeguato, ragionevole », m a nelle lettere pastorali qualifi­ ca il m essaggio stesso del vangelo che annunzia la m isericordia divina che si chi­ na su ll’uom o peccatore, privo « d e lla gloria del beato D io » , e lo guarisce, lo sa­ na appunto, accordandogli gratuitam ente la giustificazione. Stando al contesto, la « san a dottrina» è dunque ciò che rende l ’uom o « g iu sto » e quindi non bisogno­ so della legge. È invece tipicam ente ellenistico l ’attributo « b e a to » riferito a 9 Cfr. Rm 1,19-31; 1Cor 6,9-10; 2Cor 12,20; Gal 5,19-21; E f4,31; 5,3-5; Col 3,5.8; 2Tm 3,25; Tt 3,3. 10 Cfr. R Domier, L e s é p ìtr e s p a s to r a le s , p. 41.

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D io 11, m entre Paolo preferisce quello di « benedetto », più conform e alla tradizio­ ne biblica1112. L’idea è che D io possiede la felicità e la com unica a ll’uom o; in tal senso, le « b ea titu d in i» sono l ’annunzio di questa partecipazione prom essa ai m em bri del regno m essianico. A ncora appartenente al linguaggio paolino è la de­ finizione « vangelo della gloria », m a con riferim ento a Cristo. Infatti, in 2C or 4,4 si parla dello « splendore della gloria del vangelo di Cristo » che rim ane velato al­ la m ente incredula, m entre nel nostro testo, il « vangelo della gloria » è attribuito a Dio. A nostro avviso, ciò è dovuto alla coerenza interna della riflessione: lo stesso Dio che dichiara l ’uom o « g iu sto » , in base a ll’adesione alla « san a dottri­ n a » com unicata nel « v a n g e lo » , gli concede di partecipare alla sua « g lo ria » , cioè al suo stesso essere. Esplicitando il pensiero d e ll’A postolo, cui si riferisce il nostro autore, si può aggiungere: solo così l ’uom o giustificato può conoscere la « g lo rio sa» libertà dei figli di Dio (cfr. R m 8,21). Se l ’antica econom ia, quella della legge, non era sprovvista di una certa gloria (cfr. 2C or 3,7-11), a m aggior ragione la nuova eco­ nom ia, quella dello Spirito, è risplendente della gloria di Dio (cfr. ancora 2C or 3,7-11). Si com prende così il seguito del testo citato di 2C or 4,6: « E Dio, che dis­ se: R ifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la co­ noscenza della gloria di Dio sul volto di C risto ». [v. 12] Sono tre i m otivi del ringraziam ento p er la vocazione ricevuta da co­ lui che viene professato, con com piutezza di fede, G esù Cristo Signore: è stato reso forte, td endynamosanti me, è stato giudicato degno di fiducia, piston , è sta­ to posto al suo servizio, eis diakonian. Tutti e tre gli elem enti sono assunti dal lin­ guaggio di Paolo. In Fil 4,13, in un contesto affine di ringraziam ento rivolto alla com unità che gli si era resa concretam ente vicina, l ’A postolo aveva afferm ato: « P osso far fronte a tutto in colui che m i dà forza». In ITessalonicesi, ricordando le prove sofferte a causa del vangelo, aveva scritto: « D opo avere sofferto e subi­ to oltraggi a Filippi [...], abbiam o avuto dal nostro D io il coraggio di annunziar­ vi il vangelo di Dio in m ezzo a m olte lotte [...]. C om e D io ci ha trovati degni di affidarci il vangelo, così noi lo annunziam o » (1Ts 2,2-4). E in 2Corinzi, con ter­ m ini identici: « P erciò , avendo questo m inistero (tèn diakonian), secondo la m i­ sericordia (hathós èleèthémen), che ci è stata accordata, non ci perdiam o d ’ani­ m o » (2C or 4,1; cfr. 5,18; 6,3). Im possibile non rilevare, ancora una volta, il ritocco operato d a ll’autore delle lettere pastorali. La forza, la dignità provata e la diakonia d e ll’eletto recavano, in Paolo, l ’im pronta rispettivam ente della potenza dello Spirito, della sofferenza redentiva di C risto e della sua identità di Servo, realtà che erano com unicate a ll’A postolo eletto perché ne diventasse vitalm ente e operativam ente partecipe. N el nostro testo, i prim i due elem enti vengono ripre­ si in funzione del terzo, cioè del m inistero, quasi a voler sottolineare la dignitàautorevolezza di q u est’ultim o. [v. 13] Sul ritocco del tem po precristiano di Paolo, confrontato con la testi­ m onianza da lui resa, abbiam o già accennato: m entre l ’A postolo rileva in m odo 11 M a k a r ìo s riferito a Dio, nel Nuovo Testamento, solo qui e in 1Tm 6,15. l2Cff. Rm 1,25; 9,5; 2Cor 1,3; 11,31; E f 1,3.

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negativo soltanto la sua attività di persecutore, qui egli è indicato com e bestem ­ m iatore, uno che agiva n e ll’ignoranza e lontano dalla fede. N essun accenno alla sua solida form azione farisaica e al suo autentico zelo per la legge: un dato della storia, pesantem ente ignorato, per presentare la tipicità del personaggio. L’acco­ stam ento al peccatore pagano è evidente: il pagano, definito tale proprio perché estraneo alla vita di D io a causa d e ll’ignoranza e della durezza del suo cuore, di­ venta un bestem m iatore di D io con la sua stessa v ita 13. D ’altronde, subito dopo, Paolo stesso lo riconosce: « D e i quali (i peccatori) io sono il p rim o » (v. 15). Il cam biam ento avviene unicam ente p er l ’intervento soprannaturale di Dio: « M i è stata usata m isericordia (alla éleéthén) ». È certo l ’esperienza personalis­ sim a di Paolo, m a è anche l ’esperienza di ogni uom o peccatore che approda alla grazia. D iventa pertanto u n ’eco della poderosa riflessione paolina della Lettera ai Romani: « Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, giustificati gratui­ tam ente per la sua g razia» (R m 3,23); idea ripresa in R m 9,16, con riferim ento al rapporto tra Dio e Israele: « N o n dipende da volontà né dagli sforzi d e ll’uom o, m a da Dio che ha m isericordia», e infine in R m 11,32: « D io ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, p er essere m isericordioso verso tutti» . Individuata così la causa del cam biam ento nella m isericordia di Dio, che è in realtà la m anifestazio­ ne della sua stessa identità, l ’irruzione della sua presenza, la rivelazione del suo N om e, si deve ora com pletare la presentazione del m odello Paolo, nel suo aspet­ to positivo di credente. È il ruolo dei versetti successivi. [v. 14] La m isericordia di D io ha un nom e e un volto ben preciso: è « la gra­ zia del Signore nostro », una grazia che, considerata la condizione em blem atica di Paolo in quanto peccatore, si è rivelata in m aniera « sovrabbondante ». N el m e­ desim o significato, il verbo è usato in R m 5,20-21: « D o v e abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia. Di m odo che, com e regnò il peccato nella m orte, così re­ gni anche la grazia m ediante la giustizia p er la vita eterna, per m ezzo di G esù C ri­ sto nostro Signore ». Fede e carità sono realtà concom itanti della grazia, una sor­ ta di sua em anazione diretta. In quanto definizione piena della vita cristiana, dicono congiuntam ente l ’adesione a Cristo e la proiezione del suo evento salvifi­ co, definito sinteticam ente dalla parola agape, nel vissuto credente. Così, la m i­ sericordia di Dio non si lim ita a giustificare il peccatore, m a lo inserisce vital­ m ente in Cristo, com e afferm a lo stesso A postolo in Gal 2,20: « N o n sono più io che vivo, m a è Cristo che vive in me. Q uesta vita che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che m i ha am ato e ha consegnato se stesso per me ». [v. 15] La form ula stereotipa tipica delle lettere pastorali: pistos ho logos14, « Q uesta afferm azione è sicura e degna di essere accolta da tutti », introduce la confessio fidei cristologica e, con ciò, il cuore stesso del brano: «C risto Gesù è venuto nel m ondo per salvare i peccatori; dei quali io sono il prim o ». Tutti i com ­ m entatori notano il tenore liturgico o catechetico della form ula, com e anche la vi­ cinanza con lo stile lucano e giovanneo. È nota l ’attenzione lucana a Cristo sal­ vatore, fin dal prim o annunzio celeste: « O g g i è nato per voi il salvatore, che è 13 Cfr. E f 4,18; At 17,23.30; 1Pt 1,14. 14 Cfr. 1Tm 3,1; 4,9; 2Tm 2,11; Tt 3,8.

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C risto Signore » (2,11), e nel logion stesso di Gesù: « Il Figlio d e ll’uom o è venu­ to a cercare e a salvare ciò che era perduto » (Lc 19,10). A ltrettanto nota è la for­ m ula cristologica giovannea sul « v en ire nel m o n d o » 15, e la definizione dello stesso G esù com e ho erchomenos (cfr. G v 6,14; 11,27), entram be indicative del­ la sua preesistenza. V iceversa, è perfettam ente paolina l ’espressione: « C risto G esù». Tutti elem enti che, nella pluralità delle loro risonanze, rinviano al più grande alveo della tradizione che ha fatto sintesi di apporti diversi per form ulare con precisione e com piutezza la fede com une. Qui, si tratta del m istero fondam entale d e ll’incarnazione e della redenzione di Cristo. L’inserim ento di Paolo nella confessio: « Dei quali io sono il prim o » - dal punto di vista form ale, u n ’ag­ giunta ricorrente nel suo stile - è im posto a ll’autore dalla necessità di continuare a presentare l ’A postolo com e m odello esem plare del cristiano. In 1Cor 15,8-9, dopo la puntualizzazione sul kérygma tradizionale, Paolo stesso aggiunge: « U l­ tim o fra tutti apparve anche a m e com e a un aborto. Io infatti sono il più piccolo fra gli apostoli [...], perché ho perseguitato la C hiesa di D io». La Lettera agli Efesini sviluppa in senso m issionario questa afferm azione: « A m e, che sono l ’ul­ tim o fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia: annunziare ai pagani le im pe­ netrabili ricchezze di C risto e m ettere in luce qual è il disegno contenuto nel m i­ stero nascosto da secoli in Dio » (E f 3,8-9). L’insegnam ento parenetico del nostro testo è chiaro: G esù è venuto com e salvatore p er tutti coloro che non hanno da vantare m eriti dinanzi a Dio. Q uesto risulta d a ll’esem pio dello stesso Paolo che, pur essendo l ’A postolo per antonom asia - così nelle lettere pastorali - anch’egli deve la sua salvezza unicam ente alla m isericordia divina. [v. 16] L’inizio di 1Tm 1,16, con la ripresa del verbo eleethen (« h o ottenuto m isericordia») di 1Tm 1,13, è una ulteriore conferm a della rottura letteraria del brano in Tm 1,14-15, dovuta a ll’inserim ento di form ule tradizionali. La ripresa si accom pagna con un elem ento di novità: la makrothymia («paziente bontà, m a­ gnanim ità»). Si tratta di un attributo divino riferito alla pazienza di Dio, che ri­ tarda il suo giudizio di condanna p er offrire ai peccatori la possibilità di pentirsi, dando così via libera alla sua m isericordia16. È evidente che tale attributo, appli­ cato a Gesù salvatore, equivale a riconoscerlo com e Dio e giudice universale. La seconda parte del v. 16 svela l ’intento del brano e, globalm ente, delle let­ tere pastorali, com e da noi più volte ribadito: Paolo è stato il prim o beneficiario di tale paziente bontà perché fosse « (com e) esem pio per quelli che avrebbero cre­ duto in Cristo in vista della vita eterna ». Hypotypdsis, term ine hapax nella B ib­ bia, con la sola eccezione di 2T m 1,13, preannunzia il tem a del typos m olto pre­ sente nelle lettere pastorali17, m a richiam a al tem po stesso l ’idea paolina della mimesis (im itazione) riguardante proprio lui, in quanto m odello fedele esem pla­ to su Cristo. Il risultato ultim o di tale testim onianza è il naturale sbocco della pre­ cedente evocazione soteriologica e il com pim ento della cristiana speranza: il pre­ m io della « vita eterna » p er quanti hanno creduto in Cristo. Così, fede e speranza, 15 Cfr. Gv 1,9; 3,17; 9,39; 12,46; 16,28; 18,37. 16 Cfr. Nm 14,18; Sal 86,15; Sir 2,11; Sap 15,1; Mt 18,26; soprattutto 1Pt 3,20 e 2Pt 3,9. 17 Cfr. 1Tm 4,12; Tt 2,7; cfr. 1Pt 5,3.

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passato e futuro, tem po ed eterno, tutto finisce col fondersi in unità, perché unica è la vita che è stata donata in Cristo salvatore, con lo scopo di ricapitolarla in lui, quella che viene da D io e a lui ritorna, affinché egli sia tutto in tutti. [v. 17] L a dossologia conclusiva del brano si innalza a Dio quale artefice del piano salvifico. A ttinta al patrim onio liturgico della com unità, rivela non poche tracce di carattere giudeo-ellenistico. Il predicato di Dio: « re etern o » era usato nel giudaism o di lingua g reca18. Serviva a indicare D io com e dom inatore del m ondo e degli uom ini, colui che sceglie sovranam ente i m ezzi - anche i più inat­ tesi, com e rin v e s titu ra apostolica di Paolo - per portare a com pim ento il suo pia­ no di salvezza. A nche le altre prerogative divine: unicità, incorruttibilità e invisi­ bilità, affondano le loro radici nel pensiero giudeo-ellenistico, che se ne serviva nella polem ica m issionaria contro le raffigurazioni pagane della divinità19. Gli at­ tributi divini evocati non possono non indurre alla lode, che si esprim e con tim é e d o x a (onore e gloria)20. È u n ’ultim a pennellata a ll’icona liturgica che l ’autore ha voluto proporre alla contem plazione dei suoi lettori, a chiusura a n am nesi d e ll’evento di D am asco e com e avvio al passaggio di consegne tra Paolo, aposto­ lo e m odello esem plare, e Tim oteo, suo figlio diletto, invitato a seguirne le orme. [v. 18] Il passaggio di consegne da Paolo a Tim oteo è espresso dal verbo p a r a tith e m a i (« affidare alla cura di qualcuno ») qualcosa che non appartiene né a chi affida né al destinatario. È il verbo d e lla p a r a t h é k é 21, il « d ep o sito » che deve essere conservato intatto e poi restituito, term ine privilegiato delle lettere pasto­ rali per indicare il grande tem a della tradizione. In tale contesto, la m enzione del­ le profezie pronunziate su di lui, è voluto richiam o di quella tr a d itio ecclesiale che, nel contesto solenne della sua ordinazione, gli ha solennem ente affidato il com pito di guida della com unità. N ella ripresa conclusiva di questa esortazione, n e ll’ultim a parte della lettera, si dirà esplicitam ente: « N o n trascurare il dono che è in te e che ti è stato conferito, m ediante la profezia accom pagnata d a ll’im posi­ zione delle m ani da parte del collegio dei presbiteri » (1Tm 4,14). D unque, u n ’or­ dinazione accom pagnata da « p ro fezie» . Si im pone l ’accostam ento con la paral­ lela assem b lea cu ltu ale, nel cui am b ito P ao lo rice v e il m an d ato m ed ian te «im posizione delle m an i» da parte di « p ro feti e d o tto ri» (At 13,1-3). Le « p ro ­ fezie » cui si fa qui riferim ento si configurano com e parenesi di ordinazione, e sem brano trovare riscontro nel discorso cultuale di 1Tm 6,11-12: « M a tu, uom o di Dio, evita queste cose (cfr. 1Tm 6,3-10); insegui piuttosto la giustizia, la pietà, la fede, l ’am ore, la costanza, la m itezza. C om batti la buona battaglia della fede, cerca di conquistare la vita eterna alla quale sei stato chiam ato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a m olti testim oni ». U na parenesi ben arm onizzata, tra am m onizione, norm e dottrinali e incoraggiam ento, che aveva lo scopo di « fondare » su di essa l ’ordinato in vista della lotta che lo attende.

18 Cfr. Tb 1 3,7d l; Sir 36,19. 19 P er l’invisibilità, cfr. Col 1,15; 1Tm 6,16; Eb 11,27; Gv 1,18; 1G v4,12.20. Perrunicità, cfr. E f 4,6; 1Tm 2,5. Per T incorruttibilità, cfr. Sap 12,1; Rm 1,23. 20 Cfr. 1Tm 6,16; Ap 4,9; 7,12. Lo stesso ordine si trova in Ap 5,13; Eb 2,7.9. 21 Cfr. 1Tm 6,20; 2Tm 1,13-14. C. Spicq {S a in t P a u l L e s é p îtr e s p a s to r a le s , vol. I, p. 349) no­ ta che, nella forma media, il verbo indica la fedeltà richiesta dal depositario.

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La battaglia è definita k a lé (« bella, buona »), perché bella-buona è la d id a ­ s k a lia che Tim oteo deve difendere, e bello/buono e il pastore su cui m odellarsi. L’im m agine m ilitare della lotta, ricorrente nelle lettere pastorali (cfr. 2Tm 2,3-4; 4,7), è fam iliare a Paolo, che la usa quasi com e una definizione del m inistero apo­ stolico22 posto al servizio del vangelo. Con ciò, Paolo prende le distanze d a ll’uso parallelo in am biente filosofico-popolare ellenistico, dove la lotta contro i sensi e le passioni aveva lo scopo di aprire la strada per il raggiungim ento della a ta r a x ia . N ella visione paolina, non si tratta tanto di acquisire una perfezione um ana, quan­ to di custodire il dono dello Spirito e di cooperare al trionfo escatologico del van­ gelo e della sua verità. O rizzonte concreto della lotta m inisteriale di Tim oteo è la falsa dottrina del suo tem po. [v. 19] La diade « fede e buona coscienza», incontrata in 1Tm 1,5 e lì preci­ sata com e la norm a del credere che guida con discernim ento la condotta del cre­ dente, si ripresenta ora com e requisito fondam entale p er un adeguato servizio al vangelo. La ripresa è m otivata dal contrasto con coloro che, avendo ripudiato ta­ le norm a, hanno perso la fede. La m etafora del naufragio, unica nella Scrittura, m a collegata alla sim bologia negativa del m are e alla pericolosità della sua attra­ versata, evoca la rovina com pleta della vita. [v. 20] I personaggi di Im enèo e A lessandro fanno uscire d a ll’anonim ato gli avversari della lettera. Sono antichi collaboratori di Paolo e Tim oteo, il cui in­ flusso negativo è ancora operante in seno alla com unità. Im enèo potrebbe essere il personaggio di 2Tm 2,17: « L a loro parola si propagherà com e una cancrena. Fra questi vi sono Im enèo e F ilèto», e A lessandro, quello di 2Tm 4,14: « A le s­ sandro, il fabbro, m i ha procurato m olti guai ». In realtà, nella prospettiva dell ’autore, persone storiche potrebbero essersi trasform ate in personaggi sim bolici, rappresentativi di tutti coloro che, soccom bendo nel m om ento della prova, fini­ scono col diventare preda di satana. Il grave provvedim ento preso da Paolo, la consegna a satana, si configura, così, com e una sorta di ratifica autorevole della loro stessa condizione. La form u­ lazione letteraria sem bra riecheggiare quella di 1Cor 5,5, il noto provvedim ento adottato da Paolo contro l ’incestuoso di Corinto: stessa espressione di condanna: p a r a d id d m i td s a ta n a , e stessa connotazione di esclusione in vista della conver­ sione: «P erch é im parino a non bestem m iare» (1Tm 1,20); «A ffinché il suo spi­ rito possa ottenere la salvezza» (1C or 5,5)23. C ondannando l ’incestuoso di C o­ rinto, Paolo intendeva preservare la com unità dal contagio del com portam ento contrario alla norm a della fede; condannando Im enèo e A lessandro, egli vuole salvaguardare la purezza della stessa norm a dal contagio della falsa dottrina. Scopo d e ll’intervento è far tacere i bestem m iatori. Il verbo b la s p h è m e ó assu­ me qui un significato tecnico: «M entire con insolenza in m ateria religiosa, profes­ sare errori nella fede contrari al vangelo »24. La bestem m ia profana il nome di Dio

22 Cfr. 1Cor 9,7.24-27; 2Cor 10,3-5; Fil 1,27-30; 2,25; 3,12-14. 23 Non riteniamo, pertanto, che ci sia contrasto tra i due episodi, come sostiene Y. Redalié, P a u l a p r è s P a u l , p. 95. 24 Cfr. Mt 26,65; 1Tm 6,1; Tt 2,5.

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ed è causata dalla controtestim onianza del credente, m ediante la deviata condotta della sua vita. A lla profanazione blasfem a del N om e da parte degli uomini, si con­ trappone la sua santificazione da parte di Dio: « Santificherò il m io nom e grande, disonorato fra le genti, profanato da voi in m ezzo a loro » (Ez 36,23). Seguendo la triplice articolazione del brano (1Tm 1,3-20), appare con evi­ denza la centralità del m essaggio teologico-esortativo: Tim oteo deve servire il di­ segno di D io m anifestatosi nella fede, contrastando la heterodidaskalia', Paolo rende grazie a C olui che, m algrado la sua precedente condizione di «bestem m ia­ to re» e « p ersecu to re » , lo ha posto al suo servizio; esem plandosi su ll’apostolo Paolo, il fedele discepolo Tim oteo è invitato a com battere la buona battaglia del­ la fede. L’unità letteraria di 1Tm 1,3-11 su Heterodidaskalia e didaskalia, apre uno spiraglio sulla vita della com unità ecclesiale del tem po delle lettere pastorali. In­ dubbiam ente orm ai si è raggiunto uno stadio in cui è diventato possibile e neces­ sario richiam arsi alla norm a della « sana dottrina », per escludere com e « falsi » tutti quegli insegnam enti difform i da tale norm a. Ciò significa che la « fede », ora definita com e « sana do ttrin a» , assum e una configurazione definita e stabile. N e consegue che l ’intervento norm ativo gerarchico acquisisce una im portanza sem ­ pre più rilevante, assurgendo a livello di m inisterialità di governo. I problem i di legittim azione di tale nuovo com pito ecclesiale conferiscono valore fondam enta­ le al criterio della « ap o sto licità» direttam ente associata a ll’autorità apostolica di Paolo, in stretta correlazione con la definizione della stessa « sana dottrina », rite­ nuta conform e, appunto, al vangelo d e ll’A postolo. In tal senso, diventa decisiva la form ula kata to euaggelion mou (« secondo il m io vangelo »), che assum e, nel­ le lettere pastorali, un significato tipico. Si tratta prim ariam ente non del « vange­ lo di C risto » (c fr R m 15,19; 1Cor 9,12; 2C or 2,12; Gal 1,7, eccetera) o del « F i­ g lio » di D io (cfr. R m 1,9), m a del «v an g elo che mi è stato affidato» (1Tm 1,11) o « p e r il quale io sono stato costituito» (2Tm 1,11). P er le lettere pastorali, per­ tanto, il « vangelo » assum e un significato perm anente e autoritativo in quanto, essendo il vangelo d e ll’apostolo Paolo, garantisce il carattere norm ativo della sa­ na dottrina. La successiva unità letteraria, 1Tm 1,12-17: « D a Paolo a T im oteo», incen­ trata sulla conversione di Paolo, si configura com e sviluppo del versetto conclu­ sivo della precedente, dove l ’A postolo aveva evocato « il vangelo della gloria del beato Dio », che gli era stato « affidato » (1Tm 1,11). Il passaggio di consegne da Paolo a Tim oteo deve passare anche attraverso re v o c a z io n e d e ll’esperienza del­ l ’incontro con Cristo. P er Paolo, com e p er lo stesso Tim oteo, è fondam entale che il « vangelo della gloria » sia percepito com e puro dono di Dio e che il destinatario se ne riconosca indegno e inadeguato. Solo a tali condizioni, si può diventare um ili m inistri della santa C hiesa e ricevere, per delega apostolica, l ’incarico di preposto della com unità. La descrizione fornita non è m ossa da intenti biografi­ ci, m a unicam ente dal desiderio di collocare l ’Apostolo nel contesto della histo­ ria salutis. In tale prospettiva, il passato, pur rilevante, è considerato in funzione del presente e del fiituro. U nica protagonista d e ll’evento del « passaggio » di P ao­

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lo da « bestem m iatore, persecutore, violento » a segno della sovrabbondanza del­ la « fe d e » e d e ll’« a m o re » , è la m isericordia di Dio, m anifestatasi in Cristo G e­ sù. N essuna contrapposizione tra m iscredenza e fede, piuttosto tra ignoranza e fe­ de: « A g iv o n e ll’incredulità, senza sap e rlo » (1T m 1,13). Così, il significato soteriologico della obbedienza alla legge è sostituito dalla fede nella illim itata potenza salvifica della m orte di Gesù: « G esù Cristo è venuto nel m ondo per sal­ vare i p eccato ri» (1Tm 1,15). Il richiam o cristologico-soteriologico, conform e­ m ente allo stile delle lettere pastorali, confluisce im m ediatam ente nella parenesi. Così, tutta la vita di Paolo, conversione com presa, è valorizzata nella sua esem ­ plarità per i credenti: «A pp u n to p er questo ho ottenuto m isericordia, perché in me, per prim o, Cristo G esù dim ostrasse la sua longanim ità, (com e) esem pio per tutti quelli che avrebbero creduto in lui in vista della vita etern a» (1Tm 1,16). N e ll’ultim a unità letteraria, 1Tm 1,18-20, la consegna della responsabilità che era di Paolo e che ora viene delegata a Tim oteo, è presentata m ediante la nar­ razione di un gesto esem plare d e ll’A postolo: « H o consegnato a satana (Im enèo e A lessandro) perché im parino a non bestem m iare» (1Tm 1,20). Tim oteo ne tragga insegnam ento p er com battere « la buona battag lia» e conservare « la fede e una buona coscienza » ( 1Tm 1,18-19). L a guida della com unità deve saper eser­ citare l ’autorità sui m em bri che hanno abbandonato, o vogliono abbandonare, la retta fede. Egli è responsabile della salvezza di tutti coloro che gli sono stati af­ fidati. Inoltre, agendo con autorevolezza e per am ore, sappia che sta seguendo 1’« esem pio» di Paolo. Tuttavia, non dim entichi che la sua autorevolezza, e con­ seguentem ente l ’efficacia del suo intervento, si fonda sulla sua personale adesio­ ne alla « fede » e sulla sua « b u o n a coscienza».

ORDINAMENTO DELLA COMUNITÀ 1Tm 2-3

Preghiera liturgica di tutti: uomini e donne 2 'Ti raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano sup­ pliche, preghiere, intercessioni e ringraziamenti per tutti gli uo­ mini, 2per i re e per tutti quelli che hanno autorità, perché possia­ mo condurre una vita serena e tranquilla, in tutta pietà e dignità. 3Questo è bello e gradito al cospetto di Dio, nostro salvatore, 4il quale vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano al­ la conoscenza della verità. Tnfatti, c ’è un solo Dio e anche un solo mediatore tra Dio e gli uomini, l ’uomo Cristo Gesù, 6che ha dato se stesso in riscatto per tutti, questa testimonianza egli l ’ha data nei tempi stabiliti, 7e io ne sono stato fatto araldo e apostolo - dico la verità, non mentisco - , maestro delle genti nella fede e nella verità. 8Voglio dunque che gli uomini preghino in ogni luogo, al­ zando al cielo mani pie, senza risentimento né rancore. 9Allo stesso modo [anche] le donne, in abbigliamento deco­ roso, si adomino con pudore e saggezza, non con pettinature (vi­ stose) e ornamenti d’oro, perle o vesti sontuose, 10ma piuttosto di opere buone, come conviene a donne reli­ giose. "La donna ascolti l ’istruzione in silenzio, in piena sottomis­ sione. 12Non permetto alla donna di insegnare né di dominare sul­ l ’uomo, ma che sia piuttosto in atteggiamento tranquillo. "Perché prima è stato formato Adamo e poi Èva;

Parte seconda. Traduzione e commento

14inoltre, non fu Adamo a essere sedotto, ma fu la donna che, sedotta, cadde nella trasgressione; 15ora lei si salverà mediante la generazione di figli, rimanen­ do con saggezza nella fede, nella carità e nella santificazione. I ministri del culto: vescovi e diaconi

3 ’Degno di fede è il detto: se uno aspira a ll’episcopato, de­ sidera un nobile lavoro. 2Dunque è necessario che il vescovo sia irreprensibile, mari­ to di una sola donna, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, dotato per l ’insegnamento, 3non dedito al vino, non violento ma equilibrato, non litigio­ so, non attaccato al denaro. 4Sappia guidare bene la propria famiglia ed educhi (i) figli con sottomissione, in modo assolutamente dignitoso, infatti, se uno non sa guidare la propria famiglia, come po­ trà aver cura della casa di Dio? 6(Inoltre) non (sia) un neoconvertito, perché, insuperbitosi, non cada nella stessa condanna del diavolo. 7È necessario che goda buona stima presso coloro che sono fuori (dalla comunità), per non cadere in discredito e nelle insidie del diavolo. 8Allo stesso modo i diaconi siano dignitosi e sinceri nel par­ lare, non dediti al molto vino né avidi di guadagni disonesti 9e conservino il mistero della fede in una coscienza pura. 10Anch’essi siano prima sperimentati e poi, se trovati irrepren­ sibili, siano ammessi al loro servizio. ’’A llo stesso modo le donne siano dignitose, non maldicenti, sobrie, fedeli in tutto. 12I diaconi abbiano una sola moglie e sappiano guidare bene i figli e le proprie famiglie. 13Coloro infatti che avranno svolto bene il loro servizio, si acquisteranno una condizione onorevole e grande sicurezza nel­ la fede in Cristo Gesù. La Chiesa del Dio vivente e il mistero della pietà 14Ti scrivo tutto questo, sperando di venire da te al più presto; 15ma se dovessi tardare, voglio che tu sappia come compor­ tarti nella casa di Dio,

Ordinamento della comunità 1Tm 2-3

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che è la Chiesa di Dio vivente, colonna e baluardo della verità. 16Dobbiamo confessare che grande è il mistero della pietà: egli si è manifestato nella carne. È stato riconosciuto giusto nello Spirito, è apparso agli angeli è stato annunziato alle genti, è stato creduto nel mondo è stato assunto nella gloria. N ei capp. 2-3 è collocata la parte centrale della lettera, riguardante l ’identità liturgica della com unità ecclesiale e le sue caratteristiche fondam entali: l ’ogget­ to stesso della liturgia, il « m istero della p ietà» ; la qualità dei m inistri, vescovi e diaconi; la dim ensione universale della preghiera liturgica. Proprio la parenesi sulla preghiera « p e r tutti gli u o m in i» , in 2,1-15, apre la sezione, preannunzian­ done subito l ’im portanza: prótonpantón (« p rim a di tu tto»). Preghiera liturgica di tutti: uomini e donne (1Tm 2,1-15). Il tem a della pre­ ghiera, accom pagnato dai verbi esortativi, conferisce unità alla pericope 2,1-15. Presentato in 2,1: « T i raccom ando dunque (parakaló oun) [...], si facciano pre­ ghiere (proseuchas) », viene ripreso in 2,8: «V oglio dunque (boulomai oun) che gli uom ini preghino (proseuchesthai) » e, im plicitam ente, subito dopo con invito rivolto alle donne: « A llo stesso m odo (hósautós) , [anche] le donne». La ripeti­ zione dei term ini: « tu tti gli u o m in i» (vv. 1.4.6); « in ogni lu o g o » (v. 8), sottoli­ nea 1’idea dell ’universalità. I vv. 3-7 presentano una confessio fidei che si inserisce arm onicam ente nel­ lo sviluppo del brano com e m otivazione d e ll’esortazione, conform em ente allo stile delle lettere p asto rali1. La com posizione letteraria di questa sezione è incen­ trata su 1Tm 2,5-6, che costituisce, appunto, la confessio fidei , una sorta di accla­ m azione liturgica di tono battesim ale, analoga a quella dello sem a\ L’elem ento tradizionale giudaico d e ll’unicità di Dio è com pletato, nella com piutezza della fede cristiana, da quello cristologico, con l ’afferm azione d e ll’unicità del m edia­ tore tra Dio e gli uom ini, l ’uom o C risto Gesù, e con il riferim ento alla sua opera redentiva: « H a dato se stesso in riscatto per tutti ». 1Tm 2,3-4 funge da raccordo con il tem a della preghiera, con il preciso intento di ribadirne la continuità in rap­ porto alla confessio fidei , nella duplice valenza che l ’ha finora contraddistinta: il Sitz im Leben liturgico e lo spessore universalistico. 1Tm 2,7 si configura com e sviluppo catechetico-m issionario della confessio, m ediante il rilievo dato alla fi­ gura di Paolo. Iministri del culto: vescovi e diaconi (1Tm 3,1-13). Con la sezione 1Tm 3,113 si ha com e una sospensione del tem a d e ll’assem blea cultuale, che sarà ripreso in 1Tm 3,14-16, con il richiam o della « C h iesa del D io v ivente» e del «m istero

1 Cfr. L a sequ en za: eso rta z io n e (1 T m 2 ,1 -2 ), m o tiv a z io n e so te r io lo g ic a (1 T m 2 ,3 -7 ), esorta­ z io n e (1 T m 2 ,8 -1 5 ), ritorna altrove, ad e s e m p io in Tt 2 ,1 -1 0 .1 l-1 4 a -b .c -1 5 .

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Parte seconda. Traduzione e commento

della p ietà » com e centro d e ll’attività cultuale, in quanto soggetto-oggetto della celebrazione liturgica. M a non del tutto, perché le nuove istruzioni riguardano coloro che di fatto svolgono il ruolo privilegiato di m inistri del culto, appunto i vescovi e i diaconi. È noto che si tratta di liste o cataloghi di qualità ricalcate su uno schem a ste­ reotipo m olto diffuso in am biente greco-ellenistico, e che servivano a delineare la figura ideale del pubblico funzionario: persona equilibrata e m atura, buon am ­ m inistratore com petente e stimato. In am bito ecclesiale, con riferim ento ai titola­ ri di m inisteri nella com unità: guide capaci e sicure, in grado di favorirne la cre­ scita. Com e si constata, cataloghi più di attitudini che di com piti specifici. In 1Tm 3,1-7 si tratta del vescovo, m entre in 3,8-13 dei diaconi. L’attenzio­ ne loro riservata è dovuta, con m olta probabilità, alla novità di tali m inisteri, bi­ sognosi pertanto di una codificazione di riferim ento. Esigenza non avvertita per il collegio dei presbiteri, istituzione già consolidata in am biente giudaico, e che verrà m enzionata poco più avanti, in 4,14, p er la quale non si avvertiva, pertanto, il bisogno di dare particolari spiegazioni. Si può aggiungere u n ’altra considera­ zione. La solennità con cui il nostro autore introduce il catalogo delle qualità del vescovo: pistos ho logos (« d eg n o di fede è il d etto » ) lascia intendere che nel­ l ’am biente dei destinatari i m inisteri di governo non godevano di m olta stima, di­ versam ente da quelli di insegnam ento: apostoli, profeti, didascali, e da quelli ca­ rism atici, com e docum enta la 1Corinzi. C ’era quindi la necessità di m ettere in risalto la loro im portanza e di allontanare il pericolo di non circondarli del dovu­ to rispetto. La Chiesa del Dio vivente e il mistero della pietà (1Tm 3,14-16). I tre ver­ setti conclusivi del cap. 3 costituiscono il vertice dottrinale della 1Tim oteo e la chiave stessa delle lettere pastorali. A chiusura d e ll’am pia riflessione su ll’assem ­ blea liturgica, l ’autore orienta la sua riflessione direttam ente su ll’identità della Chiesa, casa di Dio, e sulla centralità del suo annunzio rivolto al m ondo intero: C risto incarnato e glorificato. Così, il servizio cultuale d e ll’assem blea e quello dei suoi m inistri sono com e attratti da un unico punto focale: il volto divino del­ la Chiesa, reso splendente, senza m acchie e senza rughe, dalla luce salvifica del Cristo. L’articolazione letteraria del brano è scandita da tre parti ben definite: una introduzione (1Tm 3,14-15a), aperta da tanta soigraphó (« T i scrivo tutte queste cose »). Paolo spera di raggiungere Tim oteo quanto prim a, ma, in caso di ritardo, il discepolo sappia quale deve essere il com portam ento da tenere a ll’interno del­ la « casa di D io ». U na prim a parte, di tenore ecclesiologico, aperta dal relativo ètis estin (« che è », 1Tm 3,15b), presenta due nuove definizioni della Chiesa: L u ­ na, « C h iesa di D io viv en te» , che la collega con la sua origine; l ’altra, «colonna e baluardo della v erità» , di chiara valenza m issionaria. La seconda parte, in 1Tm 3,16, ha una netta connotazione cristologica. A ll’inizio, c ’è il preannunzio di una homologia: « D obbiam o confessare », il cui contenuto è presentato com e « m iste­ ro della pietà» . Subito dopo, con evidente stacco letterario, il relativo m aschile hos (egli) - e non il neutro ho, com e sarebbe stato più corretto se riferito a mystèrion, e com e attesta la variante del codice D (di Beza, secolo VI), prima

Ordinamento della comunità 1Tm 2-3

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manus, e altri testim oni —introduce il contenuto di detto « m istero » sotto form a di inno cristologico.

[2,1] L’espressione introduttiva: parakaló oun (« T i raccom ando dunque») rinvia a ll’apertura della lettera: parakalesa (« Ti raccom andai »), e conferisce au­ torità a ll’esortazione. La precisazione: prdton tantdn (« p rim a di tu tto»), hapax nel N uovo Testam ento, dim ostra l ’im portanza che l ’autore annette alla preghie­ ra e alla sua efficacia. Pregare è dunque l ’attività fondam entale della vita della Chiesa: « Tutti questi (gli apostoli) erano assidui e concordi nella preghiera » (At 1,14). Le m odalità della preghiera sono espresse da quattro term ini, quasi sinoni­ mi: deéseis, la preghiera in situazione di bisogno (deó, « h o b iso g n o » ) , proseuchas, la preghiera del desiderio ( euchomai, « desidero »), enteuxeis, la preghiera di supplica ( entygchand, « supplico »), eucharistias, la preghiera di ringrazia­ m ento (n ), collegandosi al concetto di verità, potrebbe essere interpretata con la seguente parafrasi: «V oi che rifiutate la verità, non avete il diritto di ritenervi liberi e giustificare, così, il vo­ stro com portam ento im morale, sostenendo che tutto è puro per chi è puro ». Con ciò, l ’autore si appropria della m assim a e la utilizza in funzione antigiudaica, nel senso che rifiuta di entrare nelle disquisizioni su ciò che è puro e ciò che è impuro, sulla base del principio che la verità accolta dalla fede rende liberi. C ontem pora­ neamente - com e accennato - nega la possibilità che essi possano appropriarsene, a loro volta, perché il loro com portam ento non può definirsi puro. Infine, egli pren­ de spunto dalla m assim a per ribadire il prim ato della m ente e della coscienza sulle azioni esteriori: « Per quelli che sono corrotti e senza fede nulla è puro, sono corrot­ te le loro m enti e la loro coscienza (h o n o u s h a i s y n e id é s is ) ». Sullo sfondo, riecheg­ gia la parola di Gesù: « N o n quello che entra nella bocca rende impuro l ’uom o, m a quello che esce dalla bo cca» (M t 15,10); « D a l cuore provengono i propositi m al­ vagi » (M t 15, 19). La condizione di « corrotti » e « senza fede » degli eretici va ol­ tre la situazione storica, per evocare, più am piam ente, la condizione d ell’um anità corrotta dal peccato e lontana da Cristo. Pertanto, l ’orizzonte nel quale si situa l ’e­ sortazione è quello soteriologico: la salvezza non si trova in alcun m ediatore um a­ no e in alcun percorso gnoseologico um ano, m a solo in Cristo Gesù, l ’uom o-Dio, unico possibile m ediatore tra Dio e l ’uomo. [v. 16] L’esclusione del percorso gnoseosoteriologico degli eretici è esplici­ tam ente sconfessato alla fine del nostro brano: « D ichiarano di conoscere Dio, m a lo rinnegano con i fatti ». A lla priorità della m ente e della coscienza com e princi­ pio ispiratore d e ll’azione um ana fa ora riscontro la testim onianza della stessa azione com e criterio valutativo della sua intrinseca veridicità: «D ichiarano [...] m a rinnegano con i fatti». In questa afferm azione, com e nella precedente, em er­ ge con forza l ’insegnam ento del Cristo: « O g n i albero buono produce frutti buo­ ni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi [...]. D ai loro frutti dunque li potre­ te riconoscere» (M t 7,17-20). L’ipocrisia di questi dottori della legge si annida proprio nella pretesa purità-santità del loro percorso conoscitivo, che avrebbe do­ vuto condurli alla contem plazione del volto di Dio. Così, è m essa a nudo l ’intrin­ seca m alvagità del loro cam m ino: la conoscenza, com e pure la santità di Dio che si vuole raggiungere, sono dono da accogliere « con tim ore e trem ore » e non con­ quista m eritocratica. Paolo lo ricorda, con passione, ai galati: « O ra che avete co­ nosciuto Dio, anzi da lui siete stati conosciuti » (G al 4,9). La stessa tensione antitetica si coglie anche nei due verbi utilizzati: h o m o lo g o u s in e id e n a i (« professano di conoscere ») e a r n o u n ta i (« rinnegano »). Il prim o indica un sapere posseduto con sicurezza (o id a ) e pubblicam ente proclam ato (h o m o lo g e ó ). Il secondo - assente in Paolo, m a frequente nelle lettere pastorali esprim e l ’idea del rigetto, del rifiuto, anche della conversione1112. La non produtti11 Cfr. la documentazione di C. Spicq, S a in t P a u l. L e s é p îtr e s p a s to r a le s , vol. II, p. 612. 12 Cfr. Tt 2,12; 2Tm 2,12; 3,5.

Direttive comunitarie.

H etero d id a sk a lia .

Conformità alla c o n f e s s io

fid e i

Tt 1,5 - 2,15

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vita del percorso rivela anche la m alvagità d e ll’albero: « S o n o abom inevoli, ri­ belli e incapaci di qualsiasi opera b u o n a» . L’aggettivo « ab o m in ev o li» ( b d e ly k to s) è un term ine h a p a x del N uovo Testam ento, m a il suo sostantivo, b d e ly g m a - nota P. D o m ier13 - si trova spesso nei testi apocalittici, dove evoca la profana­ zione del tem pio annunziata da D aniele (cfr. M t 24,15). Il secondo aggettivo, « ri­ belli », richiam a la disobbedienza che determ ina il loro allontanam ento dalla fe­ de. Infine, a d o k i m o i (in ca p aci) esp rim e la lo ro im p o ssib ilità a com piere « qualsiasi opera buona », una sorta di squalifica radicale per u n ’attività che, nel­ le lettere pastorali, è riservata al vero apostolo (cfr. 2T m 3,17).

[2,1] « Tu però insegna quello che è conform e alla sana dottrina». L a nuova esortazione si collega al genere « co d ici fa m iliari» 14 utilizzati in am bito com uni­ tario ( G e m e in d e ta fe ln ), che abbiam o già incontrato in 1Tm 2,1-15. Il successivo richiam o teologico fonderà tale parenesi, nel senso che ricorderà a tutti la condi­ zione escatologica nella quale il cristiano e la C hiesa tutta sono stati posti. Il cam ­ m ino del credente si svolge tra la prim a m anifestazione storica del Cristo e quel­ la finale. C onseguentem ente, il suo im pegno deve consistere nel tradurre la fede e la speranza, insite in tale attesa, n e ll’operosità della carità. Le « o p ere b u o n e» saranno, appunto, il contrassegno della sua fedeltà. [v. 2] A gli uom ini anziani sono richieste le virtù di sobrietà, dignità, saggez­ za, elencate anche nei cataloghi di vescovi e diaconi (cfr. 1Tm 3,2.8.11), oltre al­ l ’integrità nella fede. Q u est’ultim a apre la triade costitutiva d e ll’identità del cre­ dente: fede, carità e costanza, dove la costanza sostituisce la speranza, qui com e in 1Tm 6,11 e in 2Tm 3,10. Il participio che introduce la triade, h y g ia in o n te s (« sa­ ni, integri »), richiam a la « sana dottrina » e il connesso contesto antiereticale nel quale l ’aggettivo « sano » è sem pre collocato. L’autore vuole dunque presentare la condotta degli anziani, per un verso, com e contrassegno di fedeltà-obbidienza alla retta fede - ciò equivale a dare un fondam ento etico alla stessa ortodossia e, per l ’altro verso, com e elem ento discrim inante nei confronti della eterodossia. [vv. 3-5] Le donne anziane sono esortate ad avere un « com portam ento san­ to » (en k a ta s tè m a ti h ie r o tr e p e is ), cioè degno ed espressivo della sacralità del lo­ ro essere, e quindi del loro atteggiam ento interiore. In tal senso, il k a ta s té m a non può non coinvolgere la totalità della loro vita, in m odo che possano essere di esem pio alle più giovani a ll’interno della com unità. Così vivendo, le donne an­ ziane si accreditano a ll’esterno com e persone « s a n te » , cioè esistenzialm ente coerenti con la santità sacram entale che le configura com e m em bra vive del « po­ polo santo di D io » . Le due esortazioni seguenti delucidano m eglio la portata di questo com portam ento generico richiesto. N on siano m aldicenti, com e esigito dalle donne che nella com unità esercitano il m inistero di diaconesse (1Tm 3,11), né schiave del vino, com e richiesto a vescovi (cfr. 1Tm 3,3) e a diaconi (cfr. 1Tm 3,8). Inoltre, per l ’autorità che a loro proviene d a ll’età, dalla saggezza e dalla 13 P. Domier, L e s é p itr e s p a s to r a le s , p. 135. 14 II più antico di tali codici si trova in Col 3,18 - 4,1, in cui sono esortati sei gruppi della o ik ia : mariti, mogli, figli, padri, schiavi, padroni. Affine è quello di E f 5,22 - 6,9. Ma cfr. anche 1Pt 2,18 - 3,7.

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Parte seconda. Traduzione e commento

santità, esse sono nelle condizioni m igliori p er insegnare alle più giovani ciò che è vero bene (k a lo d id a s k a lo u s ) . L a k a lo d id a s k a lia ha contenuti e valenza diversi dalla h y g ia in o u s a d id a s k a lia , considerato il divieto loro im posto da 1Tm 2,12. La k a lo d id a s k a lia ha dim ensione fam iliare, anche se con indubbi risvolti com unita­ ri, e riguarda il com portam ento delle più giovani perché sappiano contribuire, se­ guendo F esem pio di dette anziane, alla degna edificazione della loro fam iglia e, così facendo, anche della com une casa-C hiesa. Tt 2,5 presenta un elenco di virtù (H a u s ta fe l) che devono accom pagnare la sposa e m adre piena di am ore p er il m arito e i figli. Innanzi tutto, la s o p h r o s y n è («prudenza, riservatezza, m odestia»), che, assiem e alla h a g n e ia (purezza), equi­ valente a irreprensibilità nella v ita m atrim oniale, con una sfum atura rituale riser­ vata a coloro che si accostano al santuario, costituiscono, oltre che presupposto di stabilità del nucleo fam iliare, anche sicura garanzia della santità della com unità. L’aggettivo o ik o u r g o s (« d e d ita alla fam iglia»), h a p a x del N uovo Testam ento, è positivam ente alternativo a ll’oziosità delle giovani vedove e senza figli che, de­ siderose di una qualche occupazione, si riducevano a gironzolare di casa in casa, dedicandosi piuttosto a ll’inutile e peccam inoso pettegolezzo (cfr. 1Tm 5,13-14). La caratteristica della « b o n tà » , in base al contesto, deve essere intesa com e virtù funzionale al buon governo della o ik ia . Infine, la sottom issione al m arito è la ri­ proposta, in am bito fam iliare, della richiesta fatta in contesto com unitario (cfr. 1Tm 2,11). Il continuo intrecciarsi dei due piani trova adeguata spiegazione nel­ la m otivazione offerta a conclusione del brano: « Perché la parola di Dio non sia screditata». L’eventuale rifiuto di sottom ettersi al m arito, com e pure l ’assenza delle virtù elencate, sono considerate non tanto com e offesa allo statuto m atrim o­ niale, m a soprattutto com e violazione della « sana dottrina », cioè della retta fede e della santità com unitaria, proposte d a ll’autorità d e ll’A postolo. A ll’opposto, la fedeltà al com portam ento suggerito da Paolo, ha com e risultato di evitare ogni possibile condanna della Parola da parte degli estranei15. Com e il popolo santo di Dio era responsabile d e ll’onore del N om e divino, così i cretesi battezzati devono rendere testim onianza a C risto con una vita conform e ai suoi precetti. [w . 6-8] L’esortazione rivolta ai giovani è la più breve di tutte: «E sortali», con una sfum atura di com ando, « a essere prudenti/tem peranti, data la loro età, in tutto » (P a ra k a le i s ó p h r o n e in p e r i p a n ta ) . S o p h r d n e in (« essere prudenti) è dunque una direttiva vincolante per tutti, anche per gli anziani e le giovani donne (Tt 2, 2.5). La concisione è m otivata dalTorientam ento personale impresso a ll’esortazio­ ne a ll’inizio del v. 7: «O ffrendo te stesso com e esempio di opere buone». L’auto­ re, proprio perché si rivolge ai giovani, notoriam ente più sensibili alla testim onian­ za d ell’esem pio e delle opere, più che alla suggestione delle parole, chiam a in causa lo stesso Tito. L’esem plarità della vita è uno dei tratti fondamentali delle let­ tere pastorali: per il vescovo (cfr. 1Tm 3,2-7); per i diaconi (cfr. 1Tm 3,8-12); per i presbiteri e ancora per il vescovo (cfr. Tt 1,5-9). N on è solo un tratto parenetico, m a espressione vitale della p a r a d o s is : Tito - com e già Timoteo, anch’egli esortato a essere ty p o s per i credenti (cfr. 1Tm 4,12) - deve riproporre il « m o d ello » d ell’A­ 15 Cfr. Rm 2,24; 14,16; 1Tm 6,1; 2Tm 2,9; 1Pt 2,12; 2Pt 2,2.

Direttive comunitarie. Heterodidaskalia Conformità alla confessio fidei Tt 1,5 -2,15

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postolo, che, a sua volta, ha potuto presentarsi a ll’imitazione dei suoi perché ripro­ duceva nella sua vita il « m odello » Cristo. N essun dubbio che le « opere buone » di Tito rechino l ’im pronta della « sana d id a s k a lia », visto l ’accostam ento immediato: « integrità nella d id a s k a lia ». Le qualità richieste a Tito seguono la scia della assi­ m ilazione tra insegnam ento e vita, per cui possono riferirsi indifferentem ente alla dottrina e a colui che la propone: «Integrità n e ll’insegnamento, dignità, parola sa­ na e irreprensibile ». La proposizione finale, introdotta da b in a , invita a un atteggiam ento difensi­ vo di fronte a un avversario che rifiuta una sim ile proposta di fede, contrattaccan­ do sul piano personale p er m irare a quello dottrinale: «P erché il nostro avversa­ rio resti svergognato, non avendo nulla di m ale da dire contro di n o i» . Inutile rilevare che l ’invito im plicito rivolto a tutti, dom inante nelle lettere pastorali, è quello di non fidarsi di coloro che si autodefiniscono dottori e conoscitori di Dio e della sua legge, perché in realtà sono m enzogneri e ipocriti. C onseguentem en­ te, è m olto più proficuo guardare aH’esem plarità dei predicatori autorizzati per­ ché fedeli testim oni della P arola e m odelli autentici di vita cristiana. [vv. 9-10] L’ultim a esortazione, conform em ente allo stile dei cataloghi fam i­ liari, riguarda gli schiavi (cfr. 1Tm 6,1-2). N on riteniam o affatto che essa sia fuo­ ri p o sto 16, perché si tratta del com pletam ento di una H a u s ta fe l con inevitabili ri­ svolti com unitari, com e am piam ente rilevato nel corso d e ll’analisi esegetica. L’esortazione segue il percorso classico presente in Col 3,22, E f 6,5-9 e, prim a ancora in 1C or 7,21. Gli schiavi devono essere « sottom essi ai loro padroni in tut­ to » ; evitino inoltre di contraddirli, accontentandoli. Lo scopo che si vuole rag­ giungere - da noi già ribadito - è che il padrone, am m irato dal com portam ento del suo schiavo credente, possa giungere ad apprezzare la fede cristiana che lo ispira. D ’altra parte, l ’obbedienza dello schiavo al suo padrone, com e quella del­ la sposa al suo sposo, com e la reciproca sottom issione fra credenti, si fondano non su m otivi di convenienza um ana, m a sulla k e n o s is di C risto e sulla sua obbe­ dienza al Padre, p er am ore, in vista del com pim ento del suo piano salvifico. Tt 2,10 prende in considerazione l ’eventualità di uno schiavo ladro: « N o n rubino, m a dim ostrino fedeltà assoluta». N e ll’antichità, osserva P. D o m ier17, lo schiavo poteva accedere alla funzione di am m inistratore. Gli si offriva, quindi, la possibilità rischiosa di accum ulare ricchezze con m ezzi disonesti. Lo schiavo cri­ stiano non soccom ba a questa tentazione, sia sem pre onesto, dim ostrandosi fede­ le al suo padrone. La m otivazione addotta lo associa a pieno titolo, com e ogni

16 Così pensa L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li , voi. Ili, p. 154. L’autore sostiene: «G li schia­ vi, in quanto membri della comunità, dovrebbero essere già compresi nei gruppi appena menzionati a seconda dell’età e del sesso. Cambia anche la struttura di riferimento in cui sono inseriti gli schiavi, che in quanto tali non possono essere interpellati in base alla loro relazione con la comunità, bensì so­ lamente in base alla loro sottomissione a un padrone, dunque dal punto di vista dell’ordinamento do­ mestico ». Citando poi A. Weiser, Oberlinner afferma: « Gli schiavi sono schiavi della casa, non del­ la comunità» (Ib id ., nota 60). Quindi, completa: «Tutti gli altri gruppi suddivisi per età e sesso sono interpellati sulla base della loro relazione con la comunità». È esattamente quello che non condividia­ mo. Dal nostro punto di vista, il catalogo in esame non è una G em e in d e ta fe l, ma una H a u sta fel. 17 P. Domier, L e s é p itr e s p a s to r a le s , p. 141.

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Parte seconda. Traduzione e commento

credente, alla m issione apostolica della Chiesa: « Per rendere onore in tutto alla dottrina di Dio, nostro salvatore ». R itorna, con qualche leggera variante, la m o­ tivazione di 1Tm 6,1: si sappia responsabile d e ll’onore del nom e di Dio salvato­ re e della dignità della dottrina. G razie alla qualità della sua obbedienza, egli farà risaltare la dignità d e ll’« obbedienza della fed e» (R m 1,5). [v. 11] La fede cristiana deve irrorare la vita quotidiana, fornendo indicazioni etiche utili a tutti i m em bri della fam iglia um ana, nel cui ambiente si attenda la o ik ia to u T h e o u , proprio perché è fondata non su u n ’idea m a sull’intervento stori­ co di Dio m ediante l ’evento G esù Cristo. La grazia (h e se d ), evocatrice della m ise­ ricordia gratuita di Dio, appare qui dunque personalizzata, coincidendo con la per­ sona stessa del F iglio di D io. Tale dono salvifico del Padre si è realm ente m anifestato (e p e p h a n é ) n e ll’incarnazione: gli è stata resa testim onianza dalle « p a ­ role » e dalle « opere » (v e rb is e t g e stis); è giunto al com pim ento m ediante la morte-risurrezione-ritom o a Dio Padre. Qui, come nelle lettere di Paolo ritenute auten­ tiche, si ribadisce l ’idea dell ’universalism o d ell’opera redentiva di Cristo. Tuttavia, con una differenza di rilievo: m entre Paolo ha im pegnato tutta la sua vita per pro­ clamarlo, condensandolo poi nella mirabile sintesi della Lettera ai Romani, le lette­ re pastorali, dandolo per acquisito, lo riprendono in funzione antiereticale. [v. 12] La grazia salvatrice, in quanto personalizzata, è in condizione di svol­ gere un com pito di insegnam ento direttam ente connesso con la realtà sacram enta­ le battesim ale che ratifica la conversione-accoglienza del k è r y g m a . Tale insegna­ m ento è qui duplicem ente connotato: in n egativo (« R in n eg are l ’em pietà e i desideri m ondani ») e in positivo (« Vivere in questo m ondo con prudenza, con giustizia e con pietà»). Il participio aoristo a r n é s a m e n o i (letteralmente, «avendo rinnegato ») indica una rottura definitiva con il passato, che viene decisam ente ri­ fiutato, in coerenza con la radicalità dello statuto battesim ale. Parim enti, la a s e b e ia , « em pietà », evoca la c o n d itio precedente alla conversione-battesim o, cioè l ’idolatria pagana e l ’im m oralità del com portam ento, m entre la e p ith y m ia (« desi­ derio m ondano») considera l ’im pulso interiore che orienta al m ale, caratteristico d ell’uom o prim a del battesim o, privo della grazia divina. N ella h o m o lo g ia batte­ simale, il neofita, crocifisso, m orto e sepolto con Cristo (cfr. Rm 6,3), ha rinunzia­ to definitivam ente a satana e alle sue seduzioni. Il passaggio alla connotazione in positivo d e ll’insegnam ento sopra accennato segna u n ’autentica svolta nella c o n ­ d itio della creatura rinnovata in Cristo e deve riguardare la totalità d ell’essere cre­ dente, l ’atteggiam ento interiore e il com portam ento esteriore. In tale prospettiva è da interpretare la lista di qualità della vita nuova: « prudenza, giustizia e pietà ». La triade esprim e bene la triplice relazionalità che orm ai deve contrassegnare l ’esi­ stenza del credente inserito « in questo m ondo»: la « p ru d en za» considera il cre­ dente in rapporto con se stesso, con la coerenza del suo com portam ento, la « giu­ stizia» in rapporto al suo prossim o, la « p ie tà » in rapporto a Dio. [v. 13] Il participio presente p r o s d e c h o m e n o i (« in attesa »), in voluto contra­ sto con Y e n tó n y n a ió n i (« in questo m o n d o » ) del versetto precedente, esprim e lo stato perm anente di apertura a un evento futuro, verso cui ci si sente incam m i­ nati, nella consapevolezza che « questo m ondo » non è certo la patria definitiva. Era inevitabile che la prospettiva escatologica intervenisse a com pletare la de­

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H etero d id a sk a lia .

Conformità alla c o n fe s s io

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scrizione della vita nuova del credente battezzato. L a speranza si configura qui com e contenuto della fede, oggetto d e ll’attesa: « N e ll’attesa della beata speran­ za » . N ota acutam ente C. Spicq18 che la non ripetizione d e ll’articolo davanti a e p ip h a n e ia (m anifestazione) dim ostra che l ’oggetto sperato è proprio l ’appari­ zione di Cristo in persona, com e di una realtà nascosta, verso cui sono orientati la fede e l ’attesa di ogni autentico cristiano. Per questo m otivo, la speranza è qui de­ finita « beata », caratteristica delle realtà divine. L’espressione: «M anifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvato­ re Gesù Cristo » (e p ip h a n e ia n tè s d o x è s to u m e g a lo u T h e o u h a i s ó té r o s h é m d n Iè s o u C h risto u ) è da sem pre oggetto di appassionato dibattito fra gli studiosi, che si dividono tra chi la interpreta nel senso di una duplice m anifestazione della glo­ ria di Dio e di G esù Cristo e chi, invece, ritiene che si tratti d ell’unica m anifesta­ zione di G esù Cristo, qui definito « nostro grande Dio e salvatore ». Ai prim i fa difficoltà proprio la qualifica di « grande Dio » attribuita a Gesù, a loro dire trop­ po innovativa, nonché difficilm ente assim ilabile con lo stile arcaico giudeocristia­ no del brano. A gli altri fa difficoltà la « m anifestazione » riferita a Dio, anche que­ sta unica in tutta la produzione biblica e non riconducibile alla portata significativa del term ine e p ip h a n e ia nelle lettere pastorali, term ine m ai riferito a Dio, m a sem ­ pre e solo a Gesù Cristo. La traduzione da noi presentata lascia chiaram ente inten­ dere la nostra opzione p er u n ’unica m anifestazione di Gesù Cristo, qui definito «nostro grande Dio e salvatore». R iteniam o decisivo l ’argom ento letterario - il prim o di una lista di ben undici argom enti - addotto da C. Spicq19: un solo e m e­ desim o articolo determ inato, to u , posto davanti a due sostantivi, T h e o u e Iè s o u C h r is to u , collegati con h a i , si riferisce a una sola e m edesim a persona. Inoltre, la proposizione relativa che segue al v. 14, h o s e d ò k e n , ha un unico soggetto, appun­ to Gesù Cristo, m a gram m aticalm ente ciò non sarebbe possibile se to u m e g a lo u T h e o u si riferisse a Dio Padre e s ó tè r o s a G esù Cristo, perché quest’ultim o richie­ derebbe un secondo articolo. Ci perm ettiam o di aggiungere, dal punto di vista del­ la coerenza tem atico-soteriologica delle lettere pastorali, che la e p ip h a n e ia della gloria di Dio quale evento salvifico redentore, com e em erge chiaram ente n e ll’e­ sordio del brano al v. 11, trova realizzazione storica e com pim ento soteriologico nella rivelazione di G esù C risto. Egli « e ra D io [...] e si è fatto u o m o » (Gv 1,1.14), pur essendo en m o r p h e T h e o u , ha assunto la m o r p h é d o u lo u (Fil 2, 6.7), è « sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli » (Rm 9,5). L’espressione « grande Dio e salvatore » può dunque applicarsi bene a G esù Cristo, com e am piam ente rileva­ to in testi m olto arcaici e di tenore liturgico, anche in considerazione della im pli­ cita polem ica contro tutte le epifanie um ane di presunti dèi e salvatori di quel tem ­ po e di quella cultura, che erano solo poveri mortali. [v. 14] Dopo l ’annunzio solenne della e p ip h a n e ia della grazia di Dio in G e­ sù Cristo, ora si passa alla presentazione dei contenuti d e ll’evento Cristo. L’auto­ re, a questo punto, sospende il suo ragionam ento, preferendo fare ricorso, su un te­ m a di tanta rilevanza p er la fede com une, al patrim onio della Chiesa, con la 18 C. Spicq, S a in t P a u l. L e s é p îtr e s p a s to r a le s , vol. II, p. 639. 19 Cfr. C. Spicq, S a in t P a u l. L e s é p îtr e s p a s to r a le s , vol. II, pp. 640-641.

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Parte seconda. Traduzione e commento

citazione della c o n fe s s io f i d e i a tutti nota. Del valore cristologico-soteriologico ed ecclesiologico della presente form ula abbiam o detto sopra. Precisiam o in ag­ giunta che, in essa, è centrale l ’idea della a p o ly tr d s is (riscatto), espressiva del si­ gnificato salvifico della m orte di Gesù. Sviluppatasi a partire dalla tradizione dell ’ultim a cena, m a anche sulla base del lo g io n di G esù in M c 10,45, sul Figlio d e ll’uom o che è venuto p er dare la vita « in riscatto p er m o lti» (ly tr o n a n ti p o l l à n ), si trova teologicam ente form ulata in R m 3,24 e in 1Cor 1,30. A questa idea si accom pagna il tem a del dono che C risto fa di sé « per noi » o « per i nostri peccati », che fa confluire la validità universale della m orte salvifica ( h y p e r p a r i­ tàri) direttam ente sulla com unità20. La redenzione-riscatto si realizza con un duplice risultato: la liberazione dal­ la schiavitù della illegalità e l ’elezione di un popolo a lui unito. La liberazione dal peccato, già nel linguaggio anticotestam entario, poi ripreso anche da Paolo (cff. Sal 130,7-8; M t 1,21; R m 5,19; Gal 1,4), si esprim eva in term ini di purificazio­ ne. Ezechiele la annunziava, p er i tem pi escatologici, com e condizione necessa­ ria per il popolo in vista della nuova e definitiva alleanza (cfr. Ez 36,25-28). La purificazione m ediante il sangue di C risto è - com e noto - il grande tem a della Lettera agli Ebrei, in particolare: Eb 9,14-22; 10,19-22, m a anche, soprattutto per i particolari risvolti ecclesiologici, della Lettera agli Efesini, dove si afferm a che C risto ha purificato la sua C hiesa m ediante « il lavacro d e ll’acqua accom pagna­ to dalla parola », p er farsela com parire davanti « tutta gloriosa, senza m acchia né ruga [...], m a santa e im m acolata» (E f 5,26-27). N on è da escludere - nota P. D om ier21 - che nel nostro testo, com e in E f 5, il verbo k a th a r iz à («riscattare, pu­ rificare») abbia un significato battesim ale. Scopo ultim o del « risca tto » pagato da Cristo con la sua m orte, m ediante la liberazione-purificazione delle coscienze, è, nel contesto della nuova alleanza, la costituzione di un nuovo popolo di Dio, popolo santo nettam ente distinto dalle nazioni pagane e totalm ente appartenente a lui, sua « p ro p rie tà » , appunto la o s p e r i o u s i o s . Si tratta della ripresa del grande, arcaico tem a e c c le s io lo g ic o della s eg u lla h (proprietà), espressiva d e ll’idea com ­ prensiva oltre che del possesso, anche d e ll’elezione22. La chiusura di Tt 2,14 orienta l ’attenzione sul dovere che tali privilegi com ­ portano per la com unità cristiana. I com ponenti del nuovo popolo santo di Dio de­ vono essere « pieni di zelo per le opere buone ». È com e una ripresa del m essaggio parenetico dom inante, un ritorno, dopo l ’apertura alla prospettiva escatologica fondata sulla c o n fe s s io f i d e i , alla necessità di vivere degnam ente « in questo m on­ do » (en tà n y n a ià n i). La proposta è quella più volte incontrata: il com pim ento di « opere buone », quale contrassegno di retta fede e di sana dottrina. [v. 15] C om e a suo tem po accennato, Tt 2,15 chiude il procedim ento di in­ clusione apertosi in Tt 2,1. L’autore dà una triplice consegna: la le i (« in seg n a» ), p a r a k a le i (« e so rta » ), e le g c h e («rim p ro v era» ). Gli im perativi presenti attivi in­

20 Cfr. ICor 15,3; Gal 1,4; Rm 5,8; 8,32. 21 R Domier, L e s é p îtr e s p a s to r a le s , p. 146. Cfr. anche C. Spicq, S a in t P a u l. L e s é p îtr e s p a s t o ­ r a le s , vol. II, p. 642. 22 Cfr. Es 19,5; 23,22; Dt 7,6. E, nel Nuovo Testamento, cfr. lPt 2,9; Ef 1,14.

Direttive comunitarie.

H etero d id a sk a lia .

Conformità alla c o n f e s s io

fid e i

Tt 1,5 -2,15

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sistono su un intervento perm anente e articolato che abbraccia i tre diversi am bi­ ti: dottrinale, parenetico e disciplinare. Tito, im itando l ’esem pio del suo m aestro Paolo, deve esercitare il suo com pito con la necessaria autorevolezza. N on può ignorare alcuna di queste istanze insite nel suo com pito di guida della porzione di popolo santo a lui affidata, e nem m eno può rischiare di essere disprezzato. N on è il disprezzo personale che può giungergli a m otivo della giovane età - questo è il caso di Tim oteo (cfr. 1Tm 4,12) - , m a quello generico proveniente dalla inade­ guata conduzione del gregge in qualcuno degli am biti prospettati. Tale tipo di di­ sprezzo riguarderebbe non soltanto Tito m a l ’intera com unità. A ncora una volta, ne andrebbe d e ll’onore del N om e santo. N essun dubbio sul fondam entale ruolo teologico d e ll’unità letteraria esege­ ticam ente esam inata (Tt 1,5 - 2,15), il cui m essaggio parenetico è retto dalla evo­ cazione del patrim onio com une della fede, espresso in Tt 2,11-14: « È apparsa la grazia di Dio (e p e p h a n è g a r h é c h a r is to u T eo u ), che porta salvezza a tutti gli u o ­ m in i... ». L a centralità di detto brano è ulteriorm ente sottolineata dalla « co rn i­ ce » esortativa che lo riquadra, dove Tt 1,5-9 apre con l ’invito rivolto a Tito per­ ché vigili sulle qualità di vescovi e presbiteri, m entre Tt 1,10-16 presenta lo stile di vita degli avversari, definiti « insubordinati, chiacchieroni e ingannatori », uo­ m ini corrotti nelle loro m ente e nelle loro coscienze, che « dichiarano di conosce­ re Dio, m a lo rinnegano con i fatti ». In base a tale sviluppo antitetico, em erge, in Tt 2,1 -10, la lum inosità della proposta di un program m a di vita cristiana « confor­ me alla sana dottrina»: tutti i credenti: uom ini anziani, donne anziane, giovani, schiavi, devono essere consapevoli che la vita cristiana si svolge tra la prim a m a­ nifestazione storica di Cristo e quella finale; in tale prospettiva, tutti devono sen­ tirsi im pegnati a tradurre la loro fede in opere buone. N ella pericope di Tt 1,5-9 si evidenziano due precisi intenti: insistere sul ruolo direttivo del capo della com unità e m ettere in rilievo la stretta correlazione tra ordinam ento com unitario e lotta agli eretici. C on l ’accenno a ll’insediam ento di presbiteri da parte del discepolo di Paolo su incarico dello stesso A postolo, si ribadisce l ’idea di successione, che, pur non ancora com piutam ente form ulata, è già determ inante alm eno in linea di principio. Il collegam ento tra ordinam ento com unitario e lotta contro l ’eresia è u n ’im plicita form ulazione del criterio che soggiace alla scelta della guida. Il m otivo determ inante per l ’insediam ento di ca­ pi qualificati è la controversia interna alla com unità su questioni teologiche. La « sana dottrina», cioè la predicazione conform e a ll’insegnam ento trasm esso (d id a c h è ) , è m inacciata da persone che la contestano, contro le quali bisogna reagi­ re. In questa situazione conflittuale, l ’autore esige una guida integra ed esperta, che sappia salvaguardare la retta fede com une trasm essa e accolta. Tt 1,10-16 si pone in linea di continuità perfetta con la precedente unità di Tt 1,5-9, dove l ’autore aveva presentato le caratteristiche del capo di com unità, che deve m ostrarsi degno erede d e ll’A postolo n e ll’insegnam ento della sana dottrina e nella lotta contro gli eretici. A desso, l ’attenzione si sposta decisam ente su tali eretici, sia nella descrizione dei contenuti della loro eresia, sia nelle controm isu­ re che il capo della com unità deve adottare. Intento prim ario d e ll’autore non è la

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Parte seconda. Traduzione e commento

confutazione dottrinale d e ll’errore, m a la dim ostrazione della ipocrisia dei falsi dottori. C onform em ente allo stile delle lettere pastorali, l ’attenzione prim aria è alle persone più che ai pronunciam enti, e ciò sia in negativo, in m erito alle devia­ zioni dalla retta fede, sia in positivo, in riferim ento alla difesa d e ll’ortodossia. Così, a fronte di individui concreti stigm atizzati com e « insubordinati, chiacchie­ roni e ingannatori » (1 ,1 0 ), « uom ini che rifiutano la verità » (1 ,1 4 ), « corrotti nel­ la m ente e nella coscienza» (1,15), che «dichiarano di conoscere Dio, m a lo rin­ negano con i fatti, essendo abom inevoli, ribelli e incapaci di qualsiasi opera b u o n a» (1,16), si erge la figura-tipo del difensore della fede, che deve assum ere una strategia di lotta altrettanto concreta: intanto, a costoro « bisogna chiudere la b o cca» (1,11), m a deve anche correggerli « c o n ferm ezza, perché siano sani nel­ la fed e» (1,13). La novità della pericope di Tt 2,1-10 non risiede principalm ente n e ll’am bi­ to d e ll’etica e dei problem i a essa connessi, m a nella sua rilevanza ecclesiologi­ ca. E ciò, soprattutto in relazione a ll’orientam ento d e ll’insegnam ento parenetico espresso nella proposizione finale del v. 10 conclusivo: « Per rendere onore in tut­ to alla dottrina di Dio, nostro salvatore ». Il riferim ento alla d id a s k a lia , qui pre­ sente, riprende e specifica sotto l ’aspetto contenutistico-teologico il tem a di 2,1 sulla « sana dottrina». A l contem po, introduce la pericope successiva di 2,11-15, dove l ’idea di D io salvatore è sviluppata nel contesto della h is to r ia s a lu tis giun­ ta a com pim ento n e ll’evento Cristo Gesù. La d id a s k a lia affidata al capo della co­ m unità ha certam ente com e contenuto le disposizioni etiche destinate ai m em bri della com unità m edesim a, m a non è lim itata a esse. Intanto, il fondam ento d e ll’agire etico del credente è l ’agire stesso di D io salvatore, quindi il com pim ento del­ la sua volontà salvifica. Inoltre, il capo della com unità, proprio perché l ’incarico affidatogli, p er il tram ite d e ll’A postolo, viene da D io e riguarda la sua volontà in tutti i suoi aspetti, detiene u n ’autorevolezza tutta particolare, in grado di garanti­ re la custodia della retta fede e richiede sottom issione obbedienziale. Il testo di Tt 2,11-15 ripropone, nel linguaggio tipico del m ondo culturale del­ le lettere pastorali, i tem i tradizionali della com une c o n fe s s io f ì d e i . Così, term ini ripresi dal m ondo ellenistico, com e s d tè r ed e p ip h a n e ia (« salv ato re» e « m an ife­ stazione»), assunti dal linguaggio cultuale-im periale, diventano ora espressivi d ell’evento centrale storico-salvifico di Cristo. A nche il term ine c h a r is , « g razia» , m olto usato n e ll’epistolario paolino, assum e qui un significato più am pio e indica il favore divino testim oniato da una vita cristiana buona e pia. Così operando, l ’autore si colloca sulla scia di un processo di inculturazione avviato dalla Chiesa nascente e condotto decisam ente avanti d a ll’apostolo Paolo. Dal punto di vista contenutistico, le afferm azioni centrali della fede vengono sem plicem ente ribadi­ te con fedeltà alla p a r a th è k é (deposito), affidata al discepolo e successore di Pao­ lo perché la trasm etta im m utata (cfr. 1Tm 6,20; 2Tm 1,14). La citazione di detti contenuti della c o n fe s s io non è in contrapposizione a particolari deviate posizioni teologiche, m a corrisponde al bisogno di un reale coinvolgim ento nel patrim onio com une della fede sia d e ll’insegnam ento parenetico del capo sia della sua acco­ glienza da parte della com unità nelle sue varie com ponenti.

CONFORMITÀ ALLA C O N F E S S IO F ID E L H E T E R O D I D A S K A L I A . DIRETTIVE COMUNITARIE Tt 3,1-15

Coerenza di vita e motivazione storico-salvifica 3 ’Ricorda loro di essere sottomessi alle autorità che gover­ nano, di obbedire, di essere pronti per ogni opera buona; 2di non parlare male di nessuno, di evitare le liti, di essere be­ nevoli, dimostrando mitezza verso tutti gli uomini. 3Anche noi un tempo eravamo insensati, disobbedienti, cor­ rotti, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella malvagità e n ell’invidia, odiosi agli altri e odiandoci a vicenda. 4Ma quando apparvero la bontà e l ’amore per gli uomini di Dio, salvatore nostro, 5egli ci ha salvati non in base alle opere giuste compiute da noi con giustizia, ma secondo la sua misericordia, attraverso un bagno di rigenerazione e rinnovamento nello Spirito santo, 6che egli (Dio) ha effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, Affinché, giustificati per la sua grazia, diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna.

Messa in guardia contro gli eretici 8Questo discorso è degno di fiducia e perciò voglio che tu in­ sista su queste cose, perché coloro che credono in Dio si impe­ gnino e si distinguano nelle opere buone. Queste sono cose buo­ ne e utili per gli uomini. 9Cerca invece di evitare le questioni sciocche, le genealogie, le risse e le polemiche intorno alla legge, perché sono inutili e vane.

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Parte seconda. Traduzione e commento

10Dopo un primo e un secondo ammonimento, sta’ lontano da chi è fazioso, "ben sapendo che un tipo di tale fatta è fuorviato e continua a peccare, condannandosi da sé. Direttive su alcuni ministri e saluto 12Quando ti avrò mandato Àrtema o Tìchico, affrettati a ve­ nire da me a Nicòpoli, perché ho deciso di passare l ’inverno là. 13Provvedi con cura al viaggio di Zena, il giurista, e di Apol­ lo, perché non manchi loro nulla. 14Anche i nostri imparino a distinguersi nelle opere buone per far fronte alle necessità più urgenti, in modo da non essere gente inutile. 15Ti salutano tutti coloro che sono con me. Saluta quelli che ci amano nella fede. La grazia sia con tutti voi! Nel corso della P a r te p rim a . S e zio n e in tro d u ttiv a (cfr. qui pp. 36-38) al presente commento abbiamo rilevato la struttura in qualche modo speculare dei capp. 2-3 in al­ cune parti decisive della presente Lettera a Tito. L’asse portante è dato dall’evocazio­ ne esplicita del comune patrimonio di fede rispettivamente in Tt 2,11-14, per ricorda­ re a tutti che la loro vita si svolge tra la prima manifestazione storica e quella finale, e che il loro impegno consiste nel tradurre la loro fede in opere buone, e in 3,4-7, per ri­ cordare invece, il tempo della disobbedienza, della malvagità, della odiosità recipro­ ca, e congiuntamente quello della giustificazione per grazia a opera di Cristo obbe­ diente al Padre, reso oggi attuale m ediante il battesimo rigeneratore nello Spirito santo. Notavamo, inoltre, che l ’impostazione parallela dei due capitoli, ha consentito all’autore di sviluppare un insegnamento parenetico complementare, in 2,1-10 e in 3,1-3. Nel primo brano, tracciando un programma di vita cristiana per le diverse com­ ponenti della famiglia: uomini anziani, donne anziane, giovani, schiavi, ma con in­ dubbie risonanze ecclesiali. Nel secondo brano, continuando a rivolgersi ai membri della comunità, m a considerati nelle loro attività pubbliche, e quindi dando vita a una parenesi dai particolari risvolti sociali. Nel contesto globale della lettera, si apre adesso, dal punto di vista strutturale, la seconda parte del movimento chiastico, che riprende a ritroso il percorso già svolto. In particolare, l ’insegnamento sulla coerenza di vita dei credenti, seguito dalla motivazio­ ne storico-salvifica, in Tt 3,1-7 (c’); la messa in guardia contro gli eretici, in 3,8-11 (b’); infine, le direttive di Paolo a Tito su alcuni ministri evangelizzatori, in 3, 12-15 (a’). Per com piutezza di presentazione, ricordiam o la struttura della prim a parte riportata nel capitolo precedente1: 1 Vedi qui D ir e ttiv e c o m u n ita rie . Heterodidaskalia. C o n fo rm ità a lla confessio fxdei, p. 145.

Conformità alla c o n f e s s io a) 1,5-9 b) 1,10-16

c) 2,1-10 2,11-15

fid e i. H e te r o d id a sk a lia .

Direttive comunitarie Tt 3,1-15

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D irettive di Paolo a Tito su presbiteri e vescovo. M essa in guardia contro i falsi dottori. Insegnam ento conform e alla sana dottrina e m otivazione storico-salvifica.

M e s s a in g u a r d ia c o n tr o g li e r e tic i (T t 3 ,8 -1 1 ). L’unità della sezione di Tt 3,8-11 - m ovim ento (b ’) nella struttura della lettera (cfr. qui p. 145) - è data dal­ l ’autorità che è stata conferita da Paolo a Tito (b o u lo m a i) e che costui deve far va­ lere con le sue direttive nei confronti sia dei credenti (h o i p e p is te u k o te s ) sia degli eretici (h o i h a ire tik o i). Contro questi ultim i ritornano i severi m oniti già apparsi in Tt 1,10-16, non più per condannare il loro stile di vita difforme dalle esigenze del vangelo, quanto per ribadire i pesanti giudizi sulle loro idee: « Questioni sciocche, genealogie, risse e polem iche intorno alla legge, inutili e vane ». Il contrasto è dun­ que tra le « opere buone » dei credenti e le « questioni inutili e vane » degli eretici. D ir e ttiv e s u a lc u n i m in is tr i e s a lu to (T t 3 ,1 2 -1 5 ). Gli ultim i versi della lettera richiamano in qualche m odo il brano di apertura, dove l ’autore forniva direttive su m inistri ufficiali della com unità, quali vescovi e diaconi. Ora, con diverso spessore tematico, si ritorna a dare indicazioni su altri m inistri che sem brano configurarsi come evangelizzatori2. Pur nella loro brevità e apparente secondarietà, esse tra­ smettono l ’im magine di una situazione concreta, storicamente ben definita, confi­ gurando una chiusura in fondo abbastanza simile a quella di tante lettere paoline3.

[3,1] Com e accennato sopra, la sezione di Tt 3,1-7 segna la ripresa del m o­ vim ento chiastico della struttura della L ettera a Tito (c ’), con una parenesi teolo­ gicam ente fondata (coerenza di vita e m otivazione storico-salvifica). Il cap. 3 si apre con un insegnam ento sulla necessaria coerenza di vita che deve contrasse­ gnare i credenti in Cristo (Tt 3,1-2). La C hiesa delle lettere pastorali, grata a Dio per il dono della sua e p ip h a n e ia , rifiuta di ripiegarsi su se stessa, preferendo piut­ tosto annunziare al m ondo intero la m ultiform e ricchezza della grazia ricevuta. La società nella quale ha posto la sua dim ora terrena diventa ai suoi occhi lu o g o privilegiato della sua testim onianza, spazio vitale di verifica d e ll’autenticità del­ la sua fede m ediante il segno delle « opere buone ». Il cristiano è consapevole del­ le sue responsabilità di cittadino di fronte allo Stato e alle sue leggi. D istinguen­ do bene l ’am bito spirituale da quello sociale, egli sa che la libertà di figlio di Dio alla quale ha avuto accesso m ediante il battesim o non lo esim e dalla doverosa sottom issione alle autorità costituite, anzi la m otiva in profondità, conform em en­ te a ll’insegnam ento costante d e ll’A postolo (cfr. Rm 13,1-7). Per tale m otivo, il verbo centrale della presente esortazione è h y p o ta s s e s th a i (« essere sottom essi »), che, nelle lettere paoline ritenute autentiche, definisce il rapporto del credente con la giustizia di D io (cfr. R m 10,3), m entre nelle lettere pastorali si estende al rapporto tra figli-genitori (cfr. 1Tm 3,4), m oglie-m arito (cfr. Tt 2,5), schiavi-pa­ 2 H. Merkel, L e le tte r e p a s to r a li , p. 141. 3 H. Merkel (L e le tte r e p a s to r a li , p. 141) propende per una dipendenza formale dal formulario paolino, e prende in esame tutti i singoli elementi del brano, confrontandoli con le conclusioni di Ro­ mani e 1Corinzi.

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Parte seconda. Traduzione e commento

droni (cfr. Tt 2,9) e, appunto, a quello tra cristiani-autorità. Le autorità sono desi­ gnate con due term ini associati: a r c h a i ed e x o u s ia i (« autorità e governanti »), co­ m e in M t 8,9; Lc 12,11; 20,20. Il verbo p e ith a r c h e ó (obbedire) precisa ulterior­ m ente la p o rta ta d ella so tto m issio n e, ag g iu n g en d o un giu d izio p o sitiv o di gradim ento che si traduce in adesione convinta alle leggi. D a qui, la finale: « E s ­ sere pronti p er ogni opera buona », espressione certa della retta fede, m a che ri­ donda a beneficio d e ll’intera società civile. [v. 2] L’invito al rispetto delle leggi della società si estende ora a ll’edifica­ zione dei buoni rapporti sociali. Si com incia con l ’esclusione di ogni form a di «m aldicenza-bestem m ia-diffam azione-calunnia». Il verbo usato, b la s p h é m e in , in base al contesto, sem bra riferirsi innanzi tutto alle autorità civili m enzionate sopra, m a può estendersi a ogni uom o e applicarsi anche alle divinità pagane, che i cristiani non osavano oltraggiare, com e riconosce ufficialm ente il cancelliere di Efeso in occasione della som m ossa contro Paolo e i suoi (cfr. A t 19,37). Precisia­ mo, inoltre, che detto am pio divieto di « bestem m iare » appare in diretta corri­ spondenza con l ’invito più volte form ulato a evitare che il nom e di D io venisse «bestem m iato » dai pagani. Perché ciò non avvenga, è necessario che i cristiani non intacchino il nom e di alcuno, parlandone m ale. C on ciò, diventa coerente il prosieguo d e ll’esortazione: « E v itare le liti, essere benevoli, dim ostrando m itez­ za verso tutti gli uom ini ». Il rispetto della società è pieno e senza riserve. Le stes­ se doti che qualificano l ’atteggiam ento del vescovo a ll’interno della com unità (cfr. 1Tm 3,3; 2Tm 2,25) devono contraddistinguere la carità di ogni credente di fronte a tutti gli uom ini. Il m otivo ispiratore è sem pre V e p ip h a n e ia di quel Dio che vuole la salvezza di tutti gli uom ini (cfr. 1Tm 2,4; Tt 2,11), e che si è attuata pienam ente in Cristo, suo Figlio, che ha dato se stesso in riscatto per tutti (cfr. 1Tm 2,6). [v. 3] Tt 3,3 segna il passaggio dalla precedente esortazione alla sua m otiva­ zione storico-salvifica, che si svilupperà in 3,3-7, e che raggiungerà il suo verti­ ce nella nuova c o n fe s s io f i d e i di 3,4-7, parallela a quella di 2,11-14. L’argom en­ tazione d e ll’autore prosegue in perfetto stile paolino. D inanzi alle deviazioni dei tessalonicesi, o dei galati4, Paolo li invitava a ricordare l ’origine del loro accesso alla fede, con un duplice intento: indurli a rendere grazie a Dio m isericordioso che li aveva beneficati della sua scelta gratuita; stim olarli a non tornare più indie­ tro, ripensando al loro stato di lontananza e di abiezione dal quale erano stati sot­ tratti. A nche in quei casi, l ’A postolo, perché l ’esortazione non arrecasse offesa alla loro sensibilità, citava la sua personale esperienza, per ricordare loro che an­ c h ’egli era stato trasform ato da peccatore in araldo del vangelo, per puro dono della grazia divina (cfr. 1Tm 1,13-16). N el nostro brano, Paolo tom a a collocarsi sullo stesso piano dei lettori: « N o i un tem po eravam o». Il forte contrasto tra la condizione descritta nel v. 3, e quella opposta del v. 4, è il m edesim o che segna le due grandi tappe del cam m ino di fede: il tem po della lontananza e quello della conversione. Se ne fanno carico le due particelle che rispettivam ente li aprono: p o t è (« u n tem p o » , Tt 3,3), e h o te d e (« m a q uando», Tt 3,4), che, nella grande 4 Cfr. Gal 3,1-5; 1Ts 1,5-10; cfr. anche Rm 6,17; 1Cor 6,9-11.

Conformità alla c o n f e s s io

fìd e i. H e te r o d id a sk a lia .

Direttive comunitarie Tt 3,1-15

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visione soteriologica paolina, segnano anche la condizione dell ’um anità prim a e dopo la venuta di Cristo (cfr. Gal 1,13.23). I cristiani del tem po della lontananza sono qualificati come a n o é to i (insensa­ ti), ottusi, incapaci non solo di conoscere Dio, m a anche di discem ere i veri valori della vita (cfr. Gal 3,1-3). Essi erano anche a p e ith e is (ribelli) alla volontà divina, e quindi disobbedienti, non aperti a ll’obbedienza della fede (cfr. R m 1,30); p la n ó m e n o i (corrotti, nel senso di fuorviati), erranti com e la pecora perduta (cfr. M t 18,28). Con l ’espressione « schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri » l ’autore riprende la term inologia dei cataloghi dei vizi, m entre con « m alvagità, invidia, odio » egli riflette uno degli intenti decisivi delle lettere pastorali, così evidenziato da L. Oberlinner5: « Segno distintivo di chi si volge alla fede cristiana è l ’allontanam ento da tutti gli atteggiam enti che rendono difficile la convivenza um ana, sostituendoli con l ’atteggiam ento opposto, che consiste nel m ostrare m itezza verso tutti ». [v. 4] È m olto probabile che Tt 3,4-7 (o alm eno i vv. 5-6) sia la ripresa di un antico inno battesim ale, che esaltava gli effetti salvifici del battesim o, com e la nuova nascita e il dono dello Spirito, m a non le condizioni richieste, com e la fe­ de (cfr. anche 1Cor 6,9-11). II parallelism o di Tt 3,4 con 2,11 consente di individuare nella m anifestazio­ ne della c h a r is di D io per l ’um anità l ’unico fondam ento della novità dei rappor­ ti che devono instaurarsi sia a ll’interno della com unità sia tra i cristiani e gli altri uom ini. L’agire divino ispira, pertanto, i sentim enti e i com portam enti dei creden­ ti. Qui, è proprio V a g a p e divina che, grazie a ll’opera di C risto e con l ’intervento dello Spirito santo, rende idonei i cristiani al com pim ento delle belle opere dell ’am ore vicendevole. C. Spicq6 nota che il verbo e p e p h a n è , qui com e in genere nelle lettere pastorali, è usato p er indicare V incarnazione redentrice, m entre il so­ stantivo e p ip h a n e ia è norm alm ente riservato alla parusia (1Tm 6,14; Tt 2,13; 2Tm 4,1.8). L’am ore di Dio apparso visibilm ente sulla terra, si è m anifestato sotto due forme: la c h r è s to tè s e la p h ila n th r o p ia . D ue term ini costantem ente accostati nel­ la letteratura e nell ’epigrafia ellenistica. L a c h r è s to tè s di Dio (« generosità, bontà dolce e generosa »), in quanto attributo divino, è m anifestazione del volto stesso di Dio, e quindi oggetto di culto e di gratitudine del popolo eletto. Storicam ente, il volto am orevole di D io ha preso le sem bianze di G esù Cristo, di cui Paolo esal­ ta la « ricc h ezz a» e la « p az ie n za» . A sua volta, il volto um ano di Dio fonda la p h ila n th r o p ia dei credenti, com e contrapposizione a ll’odio e a ll’egoism o. La p h ila n th r o p ia diventa, così, il risvolto um ano della c h r è s to tè s . La lingua latina esprim e egregiam ente l ’idea centrale del term ine, traducendolo con h u m a n ita s («affabilità, sollecitudine, sensibilità sociale, ben ev o lenza»)7. La « b o n tà e l ’a­

5 L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li , vol. Ili, p. 212. 6 C. Spicq, S a in t P a u l L e s é p îtr e s p a s to r a le s , vol. II, p. 652. 7 II termine c h r è s to tè s , esclusivo di Paolo, è riferito a Dio (Rm 2,4; 11,22; E f 2,7), allo Spirito (Gal 5,22) e ai credenti (2Cor 6,6; Col 3,12). P h ila n th r o p ia compare qui e in At 28,2. Indica il ri­ spetto, la benevolenza e la beneficenza dei sovrani verso i loro sudditi. Pertanto, il termine è fre­ quente nei testi ellenistici che elogiano tali sovrani.

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Parte seconda. Traduzione e commento

m ore per gli uom ini di Dio, salvatore n o stro » risaltano con forza n e ll’opera sal­ vifica - donde l ’attributo « salvatore nostro » - proprio perché si rivolgono a una um anità peccatrice: « D io dim ostra il suo am ore verso di noi, perché, m entre era­ vam o ancora peccatori, Cristo è m orto per noi » (R m 5,8). [v. 5] Il tem a della salvezza richiam a subito quello della giustificazione, am ­ piam ente sviluppato nella L ettera ai G alati e nella L ettera ai Rom ani. L’uom o vi si afferm a - non poteva, da solo, ottenere la liberazione dal peccato, m ediante le opere di giustizia da lui com piute, m a solo m ediante l ’iniziativa gratuita e m i­ sericordiosa di Dio. Tt 3,5 ripropone tale fondam entale asserto soteriologico, p o ­ nendo in posizione enfatica a u to u e contrapponendolo a é m e is *: « E g li ci ha sal­ vati non in base alle opere giuste com piute da noi con giustizia, m a secondo la sua m isericordia ». La salvezza - precisa l ’autore - avviene d ia lo u tr o u p a lig g e n e s ia s , « a ttra ­ verso un bagno di rigenerazione». L’allusione al battesim o cristiano è evidente89, anche se i term ini sem brano appartenere al linguaggio filosofico del tem po. P a lig g e n e s ia », precisa C. S picq10, « trad isce una duplice appartenenza: al m ondo pitagorico, dove designa il percorso d e ll’anim a che ricom incia una nuova vita in un nuovo corpo, e a quello stoico, dove indica, invece, la rinascita del cosm o a prim avera. Il fedele delle religioni m isteriche era considerato com e un uom o nuovo quando, m ediante il rito di iniziazione, m oriva alla schiavitù della vita ter­ rena e accedeva alla sfera delle realtà divine. N el giudaism o, il term ine « rig en e­ razio n e» assum eva piuttosto un significato escatologico: il com pim ento della storia e del m ondo, l ’evento che anche i cristiani attendono, com e dim ostra il lo g io n di G esù nel discorso appunto escatologico di M t 19,28 (« In verità, voi che m i avete seguito, n e lla p a lig g e n e s ia , quando il Figlio d e ll’uom o sarà seduto sul trono della sua gloria, sederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele »). N el nostro testo si tratta, invece, della rinascita spirituale che il battesim o realizza nel credente, della vita dello Spirito (cfr. R m 8,9-16; Gal 4,57), vita che, appunto, deve continuam ente rinnovarsi. D a qui, la precisazione conclusiva del versetto (« e rinnovam ento dello Spirito santo», cfr. R m 12,2; 2C or 4,16). [v. 6] L’evocazione dello Spirito santo quale artefice del rinnovam ento con­ tinuo della vita donataci nel battesim o è ulteriorm ente precisata d a ll’idea di « ef­ fusione»: « C h e egli (Dio) ha effuso su di noi in abbondanza». L’im m agine è suggestiva: in prim o piano è la pienezza di Dio, dalla quale sgorga il flusso vita­ le dello Spirito, che si riversa con abbondanza suH’anim a credente. A com pleta­ re il pensiero d e ll’autore interviene la nuova idea di m ediazione del Cristo: « P e r m ezzo di G esù Cristo, salvatore nostro ». Tramite lui, infatti, giungono al creden­ te tutti i doni nella nuova econom ia di grazia, cioè l ’istituzione dei sacram enti, prolungam ento della sua um anità. Così, si dà vita a una delle più belle form ule

8 Suggestivo l ’accostamento con un testo di Qumràn: « Tu ci hai salvati [...] a motivo della tua misericordia e non per le nostre opere » ( 1 Q M 11,3-4). 9 Cfr. 1Cor 6,11; 1Pt 3,20-22; E f5,26. 10 C. Spicq, S a in t P a u l. L e s é p î t r e s p a s to r a le s , vol. II, p. 653.

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trinitarie del N uovo Testam ento, com e esplicitazione del « Dio che ci ha salvati ». A ll’origine, si pone la m isericordia del Padre; seguono rin c a m a z io n e e la pas­ sione-m orte del Cristo quale m ediazione storico-salvifica della m anifestazione della bontà e della filantropia divine; infine, interviene il bagno dello Spirito san­ to, quale canale attraverso cui tale grazia raggiunge l ’uom o. [v. 7] La proposizione finale del versetto di Tt 3,7 è il punto di confluenza di tutto l ’inno: «A ffinché (h in a ), giustificati per la sua grazia, diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna». Effetto di questo triplice intervento sono dunque la giustificazione e l ’eredità della vita eterna. Il concetto di giustificazione, confor­ m em ente al pensiero paolino, evoca il giudizio di Dio che « dichiara giusto » l ’uo­ mo. Parim enti paolina è l ’espressione: «G iustificati per la sua grazia» (cfr. Rm 3,24; 4,16; 5,1), con la differenza che, m entre nelle lettere ritenute autentiche la giustificazione è posta in relazione con la fede, qui è collegata con il battesimo. Ciò non significa, tuttavia, che ci sia opposizione tra fede e battesimo, perché le due realtà sono costantem ente connesse fra loro, in tutto l ’arco d ell’epistolario (cfr. Gal 3,26-28). L’autore, infine, ispirandosi alla nota connessione paolina tra giustifica­ zione e speranza, tom a qui a riproporre il m edesim o collegamento, riformulato m e­ diante la diade: speranza-eredità della vita eterna: «A ffinché [...] diventassimo, nella speranza, eredi della vita eterna». Così, egli riprende la formulazione iniziale di Tt 1,2: « Paolo [...] apostolo di G esù Cristo [...] per la conoscenza della verità (che è) conform e alla pietà (ed è fondata) sulla speranza della vita eterna». L’acco­ stamento tra « salvezza » e « vita eterna » è anch’essa paolina (cfr. Gal 6,8; Rm 2,7; 5,21 ; 6,22), ed esprim e l ’idea della incoatività - com e sottolinea il congiuntivo aoristo ingressivo g e n è th ó m e n - di una salvezza certam ente realizzata, m a al tem po stesso protesa verso un com pim ento che sarà svelato solo n ell ’e sc h a to n . L’erede, pertanto, in attesa dello sviluppo pieno della sua giustificazione, attende nella spe­ ranza la m anifestazione della sua condizione « norm ale » di figlio di Dio. Inevitabi­ le il richiam o del famoso testo di Romani: «N oi, che possediam o le prim izie dello Spirito, gem iam o interiormente aspettando l ’adozione a figli, la redenzione del no­ stro corpo. Poiché nella speranza siamo stati salvati » (8,23-24). Ci siam o accostati, in questo versetto, allo spinoso tem a della vicinanza-di­ stanza delle lettere pastorali con/da Paolo. N ota H. M erkel11: « Il fondam ento teo­ logico delle lettere pastorali concorda con Paolo: la salvezza è donata [...] m e­ diante la grazia apparsa in G esù Cristo; questa prom essa della salvezza sta alla base della richiesta etica. M ancano tuttavia nelle lettere pastorali determ inate ac­ centuazioni tipicam ente paoline di questa tesi fondam entale ». L’autore prosegue, citando, in tal senso, l ’idea apocalittica d e ll’asservim ento d e ll’uom o al potere del peccato. M a dim entica di rilevare che Paolo ha preso le distanze d a ll’apoca­ littica giudaica proprio perché ha voluto stim olare i suoi a riappropriarsi della speranza cristiana (cfr. ITessalonicesi). [v. 8] L a form ula introduttiva, p/s/os h o lo g o s, ricorrente nelle lettere pastora­ li1112, attira l ’attenzione su quanto detto finora e introduce il nuovo insegnamento. Ti­ 11 H. Merkel, L e le tte r e p a s to r a li , p. 139. 12 Cfr. 1Tm 1,15; 3,1; 4,9; 2 T m 2 ,ll.

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to è invitato a fondare la sua predicazione sulla e p ip h a n e ia della m isericordia di Dio. Parim enti i cristiani, coloro che hanno creduto, devono impegnarsi a tradurla in segni concreti di amore, considerati com e una sorta di e p ip h a n e ia della loro giu­ stificazione. Il verbo p h r o n tiz d (« impegnarsi, avere a cura, preoccuparsi »), h a p a x nel Nuovo Testamento, indica il coinvolgim ento di pensiero e di azione. Il verbo che gli si accosta, p r o is ta n a i, ha invece il senso di «distinguersi, qualificarsi, iden­ tificarsi », come se i cristiani, proprio com piendo le buone opere, svolgessero la lo­ ro vera professione, quella che li qualifica com e tali. La chiusura del v. 8 (« Queste cose sono buone e utili per gli uom ini ») apre un nuovo spiraglio sulla particolare visione ecclesiologica della presente lettera, sensibile alla risonanza esterna del vi­ vere credente. Gli uom ini non credenti trarranno utilità dalla bontà delle opere dei credenti, perché queste recheranno l ’im pronta inconfondibile - com e già notato della retta fede e della sana dottrina, e ciò non potrà non andare a lode del Dio che si è loro m anifestato com e Dio di grazia e di amore. [v. 9] In contrapposizione a ll’utilità delle buone opere dei credenti che ridonda a beneficio di tutti gli uomini, in quanto espressione della fede nei contenuti fondamentali del vangelo, si colloca l ’inutilità-vacuità del pensiero e della prassi degli eretici. Se ne fanno carico ben quattro sostantivi riassuntivi della falsa dottrina: que­ stioni sciocche o genealogie, risse e polem iche intorno alla legge. N on sono nuovi13 e - come a suo tem po rilevato - conferm ano la m atrice giudaica d ell’eresia. [w. 10-11] C om pare qui, per la prim a volta, la denom inazione di h a ir e tik o s a n th r d p o s (eretico, da a ir e ò = « scegliere », spesso in senso positivo), ed è un h a ­ p a x nel Nuovo Testamento. Il sostantivo h a ir e s is , invece, è più ricorrente e assume un significato negativo in 1Cor 11,19 e Gal 5,20, dove indica gruppi rivali che crea­ no divisione a ll’interno della comunità, com e è il caso di quella di Corinto. Può an­ che indicare sem plicem ente un gruppo religioso determinato: i farisei (cfr. A t 15,5; 26,5), i sadducei (cfr. A t 5,17) o gli stessi cristiani (cfr. A t 28,22). «U om o eretico» è, nel nostro testo, colui che non accetta integralm ente la dottrina della salvezza esposta da Paolo, « scegliendo », al suo interno, in base a un suo giudizio persona­ le, quelle verità che egli ritiene di poter accogliere e rifiutando le altre. In realtà, egli non rinnega la fede, m a la sua « scelta » è, di fatto, indicativa di un percorso indivi­ duale e non ecclesiale, com e, invece, è richiesto dalla adesione alla globalità del deposito della sana dottrina. La guida della com unità deve, pertanto, renderlo con­ sapevole di tale suo sganciamento. Tito è invitato non tanto ad avviare una discus­ sione, quanto ad attivare il procedim ento disciplinare suggerito dal M aestro (cfr. M t 18,15-17): dopo due am m onizioni al m assim o, che gli consentano di riconoscere la recidività d e ll’eretico e l ’im possibilità del suo ripensamento, costui deve essere al­ lontanato dalla com unità, appunto, dichiarato « n o n am m esso». L’eretico è definito, nel v. 11, un « fuorviato », perché ha abbandonato la ret­ ta « via », cioè la fede autentica professata dalla santa C hiesa14. Il suo peccato è in realtà u n ’autocondanna15, anticipo della condanna eterna. 13 Cfr. 1Tm 1,4.14; 6,4; 2Tm 2,23. 14 Sul tema della « via», tipico degli Atti degli apostoli, cfr. 9,2; 19,9.23; 22,4; 24,14.22. 15 Sull’idea dell’autocondanna, cfr. Rm 2,1; 1Cor 11,29, ma anche Lc 19,22; Gv 3,13.18-20.

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[v. 12] Paolo ha intenzione di passare l ’inverno a N icòpoli, di m andare a C re­ ta À rtem a o Tìchico e di far venire presso di sé Tito. Il nom e di À rtem a com pare solo qui, m entre Tìchico è m enzionato in 2Tm 4,12 com e inviato di Paolo a Efe­ so, e in Col 4,7 ed E f 6,21 com e collaboratore di Paolo. Questi dettagli, con V ag­ giunta del particolare m otivo della fretta: « A ffrettati a venire da m e », non sem ­ brano m ateriale da storicizzare, m a segni distintivi del carattere pseudepigrafico della lettera in esame. L. O berlinner16 ne presenta un esam e dettagliato. Intanto, la m enzione del luogo, N icòpoli. Il fatto che non si possa collegarla con alcun dato biografico paolino non consente di individuare di quale Nicòpoli si tratti, conside­ rato che diverse località avevano questo nom e. Tutti gli studiosi propendono per la N icòpoli situata in Epiro, una città portuale sulla costa occidentale della Grecia, e quindi facilm ente raggiungibile da C reta dove si trovava Tito. A tale proposito, appare indubbiam ente strana la richiesta rivolta da Paolo a Tito di raggiungerlo a N icòpoli, in vista di una sostituzione con À rtem a o Tìchico a Creta, dove a ll’ini­ zio della lettera egli sem bra essere stato lasciato per svolgervi un ruolo di tale im ­ portanza per il quale non potevano certo bastare pochi mesi. In realtà, l ’individuazione di N icòpoli e la sua vicinanza con Creta, com e la sua particolare idoneità a un soggiorno invernale e il trasferim ento di Tito, con la sostituzione di À rtem a o Tìchico, sono di secondaria im portanza, a fronte del ve­ ro intento ecclesiologico d e ll’autore. L a m enzione di N icòpoli sarebbe funziona­ le a ll’am pliam ento e alla paradigm aticità d e ll’attività m issionaria di Paolo e del­ lo stesso Tito. L’idea centrale è quella della successione, non solo a Paolo, m a allo stesso Tito. « L a richiesta che “Tito” raggiunga al più presto possibile “Pao­ lo” », precisa L. Oberlinner, « n o n va spiegata solo afferm ando che nelle circo­ stanze fittizie della lettera il m andato del discepolo di Paolo sia da considerarsi “lim itato nel tem po” . Qui viene piuttosto alla luce che le com unità interpellate non conoscono e non potevano conoscere né Paolo né il suo discepolo diretto. L’attenzione del lettore viene attirata sul passaggio delle relative com petenze al­ la direzione com unitaria dal discepolo d e ll’A postolo ai suoi successori [...]. Q uesto m odo di concludere la lettera, con la m enzione rispettivam ente del suc­ cessore o dei successori di “Tito” e con lo sguardo puntato a ll’epoca dopo “Tito”, conferm a che i veri destinatari delle istruzioni, nonché responsabili della loro esecuzione, sono i successori del discepolo di Paolo, ossia - nella situazione sto­ rica della stesura delle lettere pastorali - i capi di com unità di quel tem po. Intro­ ducendo i due nom inativi [...] e m enzionando N icòpoli, l ’autore illustra la suc­ cessione di “T ito” , ed è significativo che si parli solo del suo ritorno presso “Paolo”, m a non d e ll’attribuzione di un nuovo m andato. Com e l ’A postolo, anche i suoi discepoli diretti e le persone del suo seguito “ora” , ossia alla fine del prim o secolo, appartengono al p a ssa to » 17. [v. 13] A nche p er le persone che vengono ora presentate com e appartenenti alla cerchia di Tito: Z ena e A pollo, si ripresenta la stessa situazione del versetto precedente. Zena, il giurista, com pare solo qui, m entre A pollo è am piam ente ri­ 16 L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li , voi. Ili, pp. 243-246. 17 Ibid.

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cordato negli A tti degli apostoli e soprattutto nelle lettere di P aolo18. Certo, la presenza di un esperto giurista com porta la necessità, per le com unità delle lette­ re pastorali, di far fronte a eventuali accuse da parte dei non cristiani, proprio nel cam po della tradizione legislativa giudaica. A tale proposito, è da ricordare che una delle accuse m osse d a ll’autore contro gli eretici riguardava proprio le pole­ m iche inerenti alla legge. D ’altra parte, poiché Tito deve occuparsi della organiz­ zazione del loro viaggio, è possibile che si tratti di evangelizzatori itineranti, che avevano il com pito di neutralizzare l ’insegnam ento di quegli altri predicatori giudaizzanti ben noti a P aolo19. N el contesto pseudepigrafico presentato sopra, Z ena e A pollo, com e i precedenti À rtem a e Tìchico, intervengono a com pletare la presentazione del ruolo di « Tito ». La guida della com unità deve svolgere il suo com pito tenendo conto di tutti gli aspetti della vita com unitaria: deve occu­ parsi della salvaguardia della fede (cfr. Tt 2,1-10; 3,1-7), della confutazione del­ l ’eresia (cfr. 1,10-16), e anche d e ll’affidam ento dei com piti m inisteriali20. Per quest’ultim o aspetto, abbia accanto a sé validi collaboratori nella guida della co­ m unità, com e À rtem a e Tìchico, e preparati evangelizzatori, com e Zem a e A pol­ lo. L. Oberlinner, estendendo la riflessione avviata alla m enzione di due nom ina­ tivi di cui solo uno, A pollo, è attestato nella tradizione paolina, m entre l ’altro, Zena, vi è assente, così osserva: « In questo m odo, da una parte si sottolinea la continuità rispetto a Paolo, d a ll’altra, con la m enzione di un personaggio non at­ testato nelle lettere paoline, si fa osservare che tale continuità ha validità [...] an­ che per le persone, m agari sconosciute, che rispettano il m andato di Paolo e che svolgono “ora”, nella nuova situazione della “terza” generazione cristiana, il lo­ ro servizio nella co m u n ità» 21. [v. 14] L’ultim a esortazione è riservata alla com unità nel suo insieme. Tutti i m em bri - definiti h o i h é m e te r o i (« i nostri »), con evidente contrapposizione agli eretici - , non solo quindi la guida e i m inistri, devono sentirsi responsabili d ell’edi­ ficazione della « casa di Dio ». L’am bito in cui detta responsabilità deve esercitarsi è stabilito d a ll’espressione chiave delle lettere pastorali più volte incontrata: il com pim ento delle « buone opere», con particolare sottolineatura delle «necessità più urgenti », in m odo da non essere « gente inutile ». L a genericità di tale ambito e la elevatezza etica della m otivazione sono a m isura d e ll’am piezza della visione ec­ clesiologica prospettata: il cristiano non deve rinchiudersi in una sorta di recinto chiuso, m a aprirsi decisam ente e coraggiosam ente al m ondo, con la testim onianza di una fede che lo renda fedele discepolo del Cristo e m em bro vivo della sua Chie­ sa, m a anche degno e stimato cittadino della società in cui vive e opera. [v. 15] S a lu to c o n c lu s iv o . L’originalità del saluto consiste nel suo carattere com unitario. Sia il m ittente che il destinatario sono com e assorbiti nella com u­ nione con i credenti che collaborano. Ciò non equivale a scom parsa dei due rap­ presentanti della com unità, m a sottolineatura del loro ruolo m ediazionale. Infat­

18 Cfr. At 18,24-28; 19,1; 1Cor 1,12; 3,4-9.22; 4,6; 16,12. 19 Cfr. 1Cor 9,14; 2Cor 11,7-9. 20 Cfr. L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li, voi. Ili, pp. 248-249. 21 L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li, voi. Ili, pp. 248-249.

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ti, tram ite « Paolo », « tutti coloro che sono con m e », cioè la com unità ristretta dei suoi diretti collaboratori, salutano « Tito ». A sua volta, « Tito » deve trasm ettere questi saluti a « quelli che ci am ano nella fede », cioè a tutti coloro che form ano la sua com unità. Q u est’ultim a definizione dei credenti, nella sua originalità e concisione, vuole essere un ultim o invito a considerare il vincolo com unionale della p h ilia inscindibilm ente connesso con la p is tis . E ciò, per ribadire la doloro­ sa m a necessaria presa di distanza da coloro che tale com unione hanno rotto al­ lontanandosi dalla fede22. R ibadiam o, in sintesi, le acquisizioni teologiche d e ll’unità esam inata (Tt 3,1-15). C om e in quella precedente, la centralità teologica è data dal riferim ento al com une patrim onio di fede evocato esplicitam ente in Tt 3,4-7: «Q uando ap­ parvero la bontà di Dio, salvatore nostro e il suo am ore per gli uom ini » (h o te d e h e c h r é s to té s h a i h e p h ila n th r ó p ia e p e p h a n é to u s ò tè r o s h é m d n T h e o u ). Tale fon­ dazione teologica diventa anim a della parenesi. L’avvio è dato da indicazioni sul­ la vita sociale dei credenti: « R ico rd a loro di essere sottom essi alle autorità che governano, di obbedire, di essere pronti p er ogni opera buona; di non parlare m a­ le di alcuno, di evitare liti... ». Lo sviluppo tocca subito il risvolto soteriologico: proprio 1’« obbedienza » di C risto al Padre ha reso possibile la sua opera di « giu­ stificazione » dell ’uom o, che viene così sottratto al « tem po della disobbedienza ». Si ritorna, infine, sul vissuto della com unità, ora considerata nella sua dim ensio­ ne sacram entale: l ’evento soteriologico di Cristo - si precisa - si attua, oggi, m e­ diante il battesim o e l ’opera santificatrice dello Spirito (« E g li ci ha salvati [...] attraverso un bagno di rigenerazione e rinnovam ento nello Spirito santo», 3,5). L’unità di Tt 3,1-7, dom inata dai richiam i sui contenuti tradizionali di fede che im prontano di sé la com unità, pone al centro della parenesi l ’annunzio del tem po presente com e decisivo della salvezza in cui esperim entare la benevolen­ za di Dio. A ciò introducono le due particelle p o t è (« u n tem p o » , 3,3), e h o te d e (« m a quando», 3,4), che indicano, rispettivam ente, il tem po della lontananza da Dio e quello della conversione e del battesim o, grazie alla « apparizione » d e ll’e­ ven to C risto. Q u esto m o tiv a l ’in v ito riv o lto al capo della com unità: h y p o m im n è s k e (« ricorda loro, richiam a alla m em oria »), indicativo sia della sua autorità sia della responsabilità dei credenti nei rapporti con la società (cfr. 3,13), m a anche la c o n fe s s io f ì d e i di 3,4-7. C on questa accentuazione del tem po pre­ sente, m om ento privilegiato della operatività della m isericordia di Dio, anche le istruzioni date ai cristiani in 3,1-3, riguardanti la loro vita e la loro condotta nel

22 Non condividiamo, pertanto, l ’osservazione di L. Oberlinner, L a le tte r e p a s to r a li , vol. Ili, p. 251: «La comunità di “Tito” riceve un’insolita definizione: “Quelli che ci amano nella fede” ». È probabile che qui l ’autore riprenda una «espressione convenzionale» cui aggiunge la precisazione en p i s t e , riferita alla comunità cristiana. P is tis non ha comunque particolare rilievo. Di diversa opi­ nione, P. Domier, L e s é p î t r e s p a s to r a le s , p. 162: «Certains commentateurs comprennent la formule “dans la foi” comme l ’équivalent de “en fidélité”, c ’est-à-dire sincèrement, loyalement. Plus vrai­ semblablement, il faut donner au mot foi le sens fort et théologique habituel. Les amis sont ceux qui, loin de se laisser entraîner par les faux docteurs et les hérétiques, restent fidèles à l ’évangile de Paul. L’affection qu’ils portent à l ’Apôtre et à ses collaborateurs est le fruit d’une foi authentique ».

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Parte seconda. Traduzione e commento

m ondo, acquistano un valore soteriologico. La ragione d e ll’apertura dei cristiani al m ondo è che D io ha m anifestato la sua bontà e il suo am ore « per tutti gli uo­ m ini » (Tt 3,4), e che egli salva « non in base alle opere giuste com piute con giu­ stizia, m a secondo la sua m isericordia» (3,5). A chiusura della pericope di Tt 3,8-11, nota puntualm ente H. M erkel23: « Queste afferm azioni [...] sono pronunziate a ll’interno di una situazione concre­ ta e vogliono stabilire una precisa delim itazione contro u n ’eresia a ll’insegna del­ la quale il discorso su Dio, m ondo, uom o, Cristo e salvezza, è com pletam ente m utato. N on si dovrebbe contestare alla C hiesa del tem po il diritto a tale delim i­ tazione ». In effetti, le gravi controversie teologiche sorte nella com unità rischia­ no di com prom etterne l ’unità interna e la credibilità aH’estem o. Le persone inve­ stite di re sp o n sa b ilità e la stessa c o m u n ità d eb b o n o reag ire con ferm ezza. L’insegnam ento proposto indica due linee com portam entali utili a tale scopo: conferire autorità piena al capo della com unità sia nel determ inare il contenuto dottrinale sia nel porre in essere adeguate m isure disciplinari (3,9-10); dichiarare autoesclusi dalla com unità coloro che rifiutano di sottom ettersi a ll’autorità del responsabile nei due am biti citati. La pericope conclusiva della Lettera a Tito, 3,12-15, sem bra voler aprire uno scorcio sul futuro: « Quando ti avrò m andato [...] affrettati a venire [...]. Provve­ di con cura al viaggio [...]. I nostri im parino a distinguersi» (3,12-14). C hiara­ m ente l ’A postolo continua a farsi garante della continuità anche del « d o p o Ti­ to ». Proprio la com piutezza di detta continuità - com e più volte ribadito - è tem a dom inante delle lettere pastorali. Qui, in chiusura della lettera, si sottolinea la com ponente m inisteriale, lasciando intendere che si sta provvedendo a una sosti­ tuzione di Tito, in una ininterrotta linea di successione risalente alla figura stori­ ca di Paolo: « Q uando ti avrò m andato À rtem a o Tìchico, affrettati a venire da m e a N icòpoli » (3,12). M a è evidente, in tutto l ’arco della riflessione delle lettere p a­ storali, che detta com ponente è intim am ente connessa, anzi radicata, nella fondam entale continuità della tr a d itio portatrice della sana d id a s k a lia , di cui sono re­ sponsabili tutti i com ponenti della com unità, capo e fedeli: « I nostri im parino a distinguersi nelle opere buone ».

23 Vedi H. Merkel, L e le tte r e p a s to r a li , p. 141.

SECONDA LETTERA A TIMOTEO

P a r te s e c o n d a

TRADUZIONE E COMMENTO

INDIRIZZO, SALUTO E AZIONE DI GRAZIE 2Tm 1,1-5

Indirizzo e saluto 1 ^ aolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio e secon­ do la promessa della vita che è in Cristo Gesù, 2a Timoteo, figlio carissimo: che Dio Padre e il nostro Signo­ re Gesù Cristo ti diano grazia, misericordia e pace.

Azione di grazie 3Rendo grazie a Dio che io servo, come i miei antenati, con coscienza pura, ricordandomi di te incessantemente nelle mie preghiere, notte e giorno. 4Mi tornano alla mente le tue lacrime e sento la nostalgia di rivederti per essere pieno di gioia. 5Ricordo, infatti, la tua fede sincera, che abitò prima in tua nonna Loide e in tua madre Eunice, e che ora, ne sono certo, è an­ che in te. N el dare avvio al com m ento esegetico della 2Tim oteo, ribadiam o i risultati d ell’indagine globale presentati nella P a r te p r im a . S e z io n e in tr o d u ttiv a (cfr. qui pp. 38-42). D opo aver individuato le m olteplici unità letterarie alT intem o dello scritto e, al tem po stesso, l ’assenza di uno schem a unitario, abbiam o rinunziato a presentarne una qualsiasi struttura letteraria, necessariam ente ipotetica e piuttosto forzata. Abbiam o, invece, preferito enucleare la contestualizzazione tem atica di dette unità letterarie, con l ’intento di far em ergere le linee portanti del d is c o r s o d i a d d io che Paolo rivolge al suo figlio diletto Timoteo. U n d is c o r s o - notavam o che, situato nel particolare m om ento della fine della « corsa » del protagonista, ab­ braccia in unità: la sua condizione presente di carcerato p er il vangelo, re v o c a z io ­ ne del suo passato di com battente della « b u o n a battaglia» (2Tm 4,7) e la sua ten­ sione verso il futuro, desideroso di ricevere « la corona di giustizia » (2Tm 4,8). Di detta triplice prospettiva Paolo intende far partecipe il suo discepolo Tim oteo, per­

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Parte seconda. Traduzione e commento

che gli diventi erede in tutto. Così, l ’esortazione coinvolge innanzi tutto l ’im pe­ gno nel presente: « Sopporta le sofferenze, com pi la tua opera di annunciatore del vangelo, adem pì pienam ente il tuo m inistero » (2Tm 4,5). Riguarda poi la fedeltà al passato, segnato dalla « fede sincera» (2Tm 1,5) consegnatagli dalla nonna Loide e dalla m adre Eunice, m a anche « il dono di D io » (2Tm 1,6) conferitogli m e­ diante l ’im posizione delle m ani e « il m odello degli insegnam enti» dello stesso Paolo. Si protende infine verso il futuro da preparare con vigilanza, perché: « Verrà, infatti, un tem po in cui non si sopporterà più la sana dottrina [...], gli uo­ m ini si circonderanno di m aestri secondo le proprie voglie [...]. Tu però vigila at­ tentam ente » (2Tm 4,3-4). U n d is c o r s o d i a d d io a ll 'e r e d e d e s ig n a to — com pleta­ vam o - che si sviluppa attorno a u n ’antitesi di fondo, com une alle lettere pastorali, tra h e te r o d id a s k a lia e d id a s k a lia , m a aggregante anche quella tra collaboratori fe­ deli a ll’A postolo e collaboratori che invece lo hanno abbandonato. L’articolazione di questi tem i si sviluppa secondo un intrinseco schem a p a­ rallelo antitetico, necessariam ente im posto, per un verso, dalla convergenza dei due coprotagonisti, Paolo e Tim oteo, ai quali si collegano anche i collaboratori ri­ m asti fedeli a Paolo, e, p er l ’altro verso, dalla loro com une contrapposizione ai falsi dottori della h e te r o d id a s k a lia , ai quali si aggregano i discepoli che abbando­ nano l ’A postolo e la sana d id a s k a lia . [1,1] I n d ir iz z o e s a lu to (1 ,1 -2 ). Il p r e s c r itto della lettera è affine, sia per for­ m a che per contenuto, a quello della 1Tim oteo: stessa qualifica di « apostolo » del m ittente in conform ità allo stile delle lettere p ao lin e1; stesso appellativo del desti­ natario: « F ig lio » ; identico saluto augurale: « D io Padre e il nostro Signore Gesù C risto ti diano m isericordia e pace ». La diversa m otivazione del m andato aposto­ lico, « p e r ordine (e p ita g è ) di D io » in 1Tim oteo e « p e r volontà (th e lé m a ) di Dio » in 2Tim oteo, si spiega p er la diversa configurazione delle due lettere. Con « o rd in e » si introduce il conferim ento di un m inistero e si pone l ’accento su Ti­ m oteo, m entre con « v o lo n tà » si orienta l ’attenzione sulla persona d e ll’A posto­ lo, conform em ente al prevalente interesse della 2Tim oteo. Il richiam o della vo­ lo n tà div in a è arricch ito da u n a p re cisazio n e so terio lo g ica: « S econdo la prom essa di vita che è in C risto G esù ». Il term ine z d è (vita) esprim e 1’idea di sal­ vezza, m entre e p a g g e lia (prom essa) conferisce alla « v ita » la dim ensione di com pim ento nel futuro. Insiem e, i due term ini diventano ulteriorm ente indicativi del com pito apostolico conferito a Paolo a servizio della com unità credente. [v. 2] L’identità di Tim oteo è tutta nella sua relazionalità con l ’apostolo P ao­ lo dal quale è definito « fig lio carissim o», in linea perfetta con l ’elogio fattone davanti alla com unità di C orinto in 1Cor 4,17. Ciò equivale, evidentem ente, a le­ gittim azione da parte di Paolo della rappresentatività e quindi d e ll’autorità di Ti­ m oteo. La sostituzione d e ll’aggettivo di 1Tim oteo, g n é s io s («legittim o, v ero » ) con a g a p è to s (« carissim o, diletto »), nella presente lettera, è determ inata dalla diversa configurazione accennata sopra: « legittim o, vero » accredita il m andato, m entre «carissim o, d iletto » valorizza il rapporto. L’augurio ripropone la form u­ 1 Cfr. Rm 1,1; 1Cor 1,1; 2Cor 1,1; Gal 1,1. Ma anche E f 1,1; Col 1,1.

Indirizzo, saluto e azione di grazie 2Tm 1,1-5

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la tradizionale usata da Paolo2, con l ’aggiunta di « m isericordia » a « grazia e p a­ ce » , com e in 1Tm 1,1. [v.3 ] A z io n e d i g r a z ie (2 T m 1 ,3 -5 ). L’inserim ento in 2Timoteo d ell’« azione di grazie », tipica delle lettere di Paolo e in perfetto stile paolino - evidente l ’influsso del testo di R m 1,8-11 - , sottolinea la sua originalità in rapporto al c o r p u s delle let­ tere pastorali, m a anche la tipicità d ell’im pronta redazionale im pressa d all’autore alle sue fonti. Infatti, la formula, pur riproponendo i m otivi tradizionali del ringra­ ziam ento a Dio (la fede del destinatario, il ricordo costante nella preghiera e il de­ siderio di rincontrarsi), se ne distacca con alcuni interventi autonomi. Intanto, la com posizione stessa si distacca da Romani: al verbo paolino e u c h a r is te d subentra la formula c h a r in e c h d ; la m enzione della fede di Tim oteo è collocata alla fine, e non è l ’oggetto del ringraziam ento, bensì del ricordo. In m erito alla stessa figura del mittente, l ’autore ringrazia Dio che egli serve «com e i suoi antenati, con co­ scienza pura»; inoltre, egli offre a Timoteo, oltre alla preghiera, anche l ’affetto e il ricordo. Si tratta di elem enti che denotano l ’attenzione particolare della lettera alla figura di Paolo, determ inando un fenomeno di concentrazione ed esaltazione del personaggio. Egli parla di sé, della continuità con il suo passato im preziosito dalla presenza di antenati credenti e dal suo servizio reso a Dio « co n coscienza pura». Sembra chiaro l ’intento di delineare il « m odello » di Paolo da proporre a Timoteo, anche per quanto riguarda l ’eredità del passato. Infatti, in 2Tm 1,5, la fede di Timo­ teo sarà parim enti presentata nella continuità con i suoi progenitori. L’inciso « c o n coscienza p u ra » definisce la qualità del « serv iz io » reso da Paolo a Dio, ed è posto an ch ’esso in parallelism o con la fede « sincera » di Tim o­ teo. Insiem e, quali em ergenze della fede, servono a tracciare il percorso etico dei cristiani, in contrapposizione a quello deviato dei falsi dottori, «bo llati a fuoco nella loro coscienza» (cfr. 1Tm 4,2), e dalla coscienza m acchiata e im pura (cff. Tt 1,15). L a presentazione ideale di Paolo in com unione con Tim oteo si com ple­ ta con il riferim ento al continuo ricordo nella preghiera. Pur presente nella tradi­ zione paolina, risente d e ll’intervento redazionale d e ll’autore, sia perché colloca­ to alla fine, com e espressione di una com unione che ha il suo unico fondam ento nella fede com une e nel com une servizio a D io e alla sua Chiesa, sia perché pa­ rola gancio con i successivi ricordi dei w . 4-5. Il contrasto di questo passato esem plare con il dato della storia em erge nel confronto con il brano autobiografico di 1Tm 1,12-16, dove Paolo appare « b e ­ stem m iatore, persecutore e m alvagio », prim a della sua conversione. [v. 4] Il nuovo ricordo di Paolo riguarda « le lacrim e di Tim oteo », che intro­ duce l ’elem ento tradizionale del « d e sid e rio » di rivederlo. D ifficile, se non im ­ possibile, identificare il nesso storico concreto di entram bi le notazioni, dato il lo­ ro carattere p seu d ep ig rafico . Le co n g ettu re degli studiosi che difendono la paternità paolina delle lettere pastorali, sono m olte3, m a rim ane chiara la coeren­

2 Cfr. Rm 1,7; 1Cor 1,3; 2Cor 1,2; Fil 1,2; 1Ts 1,1. Ma anche E f 1,2; Col 1,2; 2Ts 1,2. 3 Secondo C. Spicq, S a in t P a u l. L e s é p ìtr e s p a s to r a le s , voi. II, p. 704, Timoteo scoppia in pian­ to alla vista della polizia imperiale che arresta Paolo. Della stessa opinione, J.N.D. Kelly, A C o m m e n ­ ta r y on th e P a s to r a l E p is tle s (NIGTC), Adam & Charles Black, Grand Rapids 1992, p. 156: Timo-

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za della linea redazionale rilevata da L. O berlinner4: « L ’autore vuole presentare lo stretto rapporto tra Paolo e Tim oteo, ovvero tra il m ittente e il destinatario, che sta portando avanti la sua opera; con riferim ento al rapporto tra padre e figlio de­ scritto al v. 2, qui, con l ’im m agine del m aestro che ricorda le lacrim e del disce­ polo, si rinforza il vincolo che lega il discepolo d e ll’apostolo al suo m aestro». E in m erito al desiderio di rivedere Tim oteo in futuro: « G uardando al “futuro” l ’A ­ postolo annulla, alm eno parzialm ente, il lasso di tem po che lo separa dalle com u­ nità cui è rivolta questa “lettera” ; infatti Paolo, dalla situazione presupposta, cioè in prigione e con la m orte a un passo, alza lo sguardo verso il tem po che sarebbe venuto dopo quel m om ento [...]. Per le com unità del tem po postpaolino, che si riconoscono nei rapporti, nelle situazioni, nei problem i descritti, il desiderio dell ’apostolo di rivedere il suo successore che opera in queste com unità, abolisce la distanza tem porale ». [v. 5] L’ultim o ricordo d e ll’A postolo è associato al tem a centrale della fede, dote indispensabile di Tim oteo e richiesta fondam entale d e ll’A postolo perché possa affidargli il suo m andato. La fede di Tim oteo, attestata da Paolo, è « senza ipocrisia, sincera »5, cioè retta, fedele alla tradizione precedente, in linea di con­ tinuità con la « b u o n a coscienza» d e ll’A postolo, e quindi segno di autenticità an­ titetico a quello dei falsi dottori. A ulteriore riprova del radicam ento di detta fede nell ’alveo d e ll’autentica p a r a d o s i s , sono m enzionati ora i p r o g o n o i , « gli antena­ ti» di Tim oteo, com e sono stati m enzionati sopra quelli di Paolo: «(E ssa) abitò prim a nella tua nonna Loide e nella tua m adre Eunice ». Siam o così posti dinan­ zi a un nuovo riferim ento personale. N on condividiam o lo scetticism o di tanti studiosi che tendono a escludere sistem aticam ente l ’attendibilità storica di tali notizie6. C oncordiam o, invece, con la posizione di E.F. Scott7: « Q uesta inform azione sulla fam iglia di Tim oteo è probabilm ente genuina, giacché anche se l ’epistola non è di Paolo, è stata co­ m unque scritta in un periodo in cui il ricordo di Tim oteo era ancora vivo nella C hiesa». Precisa, a sua volta, L. O berlinner8: « C o n il riferim ento alla fede sen­ za infingim enti della nonna e della m adre, Tim oteo viene raffigurato in una suc­ cessione generazionale caratterizzata dalla “vera” fede. In queste presentazioni non si esce m ai fuori dalla tradizione della fede cristiana [...]; la questione del teo pianse separandosi da Paolo a Efeso, quando l ’Apostolo venne tradotto in carcere a Roma, nel­ la seconda prigionia. Più sfumato N. Brox {D ie P a s to r a lb r ie fe [RNT], Pustet, Regensburg 19694, p. 154), che pensa alla scena dell’ultimo addio. Se proprio si vuol individuare un aggancio, non tanto con la storia quanto con la tradizione letteraria, è più semplice collegare la notizia con la parallela scena di addio di Paolo con gli anziani di Efeso accompagnata dal pianto di questi ultimi, riportata in At 20, 37, e qui trasferita al rapporto tra Paolo e Timoteo. 4 L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li , voi. II, p. 42. 5 L’aggettivo anypokritos è presente in Rm 12,9 e 2Cor 6,6, dove è attributo delV agape. Ap­ pare anche in Gc 3,17, accostato alla sophia , e in 1Pt 1,22, riferito alla Philadelphia. 6 Per una presentazione della questione, cfr. C. Spicq, S a in t P a u l. L e s é p itr e s p a s to r a le s , voi. II, p. 706, ma anche Y. Redalié, P a u l a p r è s P a u l , p. 108; V. Hasler, D ie B r ie fe an T im o th eu s u n d Ti­ tus, P a s to r a lb r ie fe (ZBK NT 12), Theologischer, Zürich 1978, p. 56; A.T. Hanson, T he P a s to r a l E p is tle s (NCBC), E. Erdmans, Grand Rapids - London 1982, p. 120. 7 E.F. Scott, The P a s to r a l E p is tle s (MNTC), Hodder & Stoushton, London 19577. 8 L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li , voi. II, pp. 48-49.

Indirizzo, saluto e azione di grazie 2Tm 1,1-5

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rapporto tra vangelo e tradizione religiosa giudaica non è più attuale [...]. In questo m om ento il problem a im pellente è quello della conservazione della p u ­ rezza del vangelo. U n criterio im portante per fare ciò è , nella visione d e ll’auto­ re delle Pastorali, la continuità. [...] “A desso” , cioè in un tem po in cui la com u­ n ità cristian a ha g ià (alm en o due) g en e raz io n i c ristian e alle spalle, q u esta continuità va riconosciuta e provata nei rapporti personali e fam iliari con testi­ m oni della fede già riconosciuti e che hanno dato buona prova di sé. [...] Che si tratti della com unità dei cristiani della terza generazione e dei problem i che li as­ sillavano, lo fa capire l ’autore della lettera [...] ponendo il destinatario, “Tim o­ teo”, direttam ente “nella terza generazione cristiana” ». C om pleta C. Spicq9: « È l ’ideale di una C hiesa che conosce già un passato cristiano e sente profonda­ m ente il valore del radicam ento e della realizzazione di questa fede nei rapporti interpersonali e fam iliari ». L’avvio della 2Tim oteo, già nei versetti introduttivi 1,1-2, colloca il legam e tra A postolo e discepolo in un orizzonte teologico ben delineato. Con l ’insisten­ za sulla «v o lo n tà di D io » e con l ’aggiunta esplicativa della « prom essa di vita che è in C risto G esù » , l ’autore intende andare oltre l ’interpretazione unilaterale del rapporto tra Paolo e il suo discepolo successore. La volontà divina che ha eletto l ’Apostolo è l ’universale volontà salvifica di Dio; la prom essa della vita ri­ guarda la proclam azione d e ll’annunzio di salvezza. In tale prospettiva, l ’A posto­ lo e il suo discepolo successore diventano m odello di ogni guida della com unità; parim enti, la com unità affidata a Tim oteo assurge a tipo di ogni com unità in ogni luogo e in ogni tem po. Com e il p r e s c r i t t o , anche la « azione di grazie » si m uove sul duplice piano storico e teologico-pastorale. I m olteplici riferim enti personali contenuti in que­ sta pericope forniscono una base storicam ente attendibile, alm eno per quanto ri­ guarda le notizie sulla fam iglia di Tim oteo. M a proprio questi particolari, inclusi i nom i propri di persona, sono funzionali allo scopo teologico e parenetico dell ’autore. In effetti, quando, dai riferim enti personali, si giunge alla questione es­ senziale della fede, il rendim ento di grazie si allarga fino a includere la com unità del tem po subapostolico. Sia Paolo che Tim oteo sono presentati com e m odelli anche per quanto riguarda l ’eredità del passato. Di Paolo è detto che egli serve Dio « c o n coscienza p u ra » com e i suoi « a n ten a ti» ; anche la « fed e sincera» di Tim oteo è considerata com e l ’em ergenza attuale di una tr a d itio che affonda le ra­ dici prim a nella nonna Loide e poi nella m adre Eunice. Così, « Tim oteo », desti­ natario della lettera, viene conferm ato nel suo ruolo di guida con una solida auto­ revolezza em ergente dalla sua duplice correlazione con la com unità. Infatti, per un verso, egli si pone nella com unità com e custode della tradizione della fede, in­ caricato di tale com pito direttam ente d a ll’apostolo Paolo, anch’egli inserito in una fedele trasm issione della fede. Per l ’altro verso, « T im o te o » si configura co­ m e esem pio della com unità del tem po delle lettere pastorali, per la lim pidezza della sua « fede sincera ». 9 C. Spicq, L o is, ta g r a n d ’ m a m a n (II Tim 1 ,5 ), in R B 84 (1977) 362-364.

TIMOTEO E LA C O N F E S S I O F I D E L PAOLO IN CARCERE PER IL VANGELO 2Tm 1,6-18

Timoteo soffra con Paolo per il vangelo e custodisca il deposito dellafede 1 6Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l ’imposizione delle mie mani. 7Dio, infatti, non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di fortezza, di amore e di saggezza. 8Non vergognarti dunque della testimonianza del Signore nostro, né di me che sono prigioniero per lui; ma soffri con me per il vangelo, con la forza di Dio, 9che ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia, la quale ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, 10ma è stata rivelata ora con l ’apparizione del salvatore nostro Cristo Gesù, il quale ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l ’incorruttibilità per mezzo del vangelo, nper il quale io sono stato costituito araldo, apostolo e mae­ stro. 12È questa la causa dei mali che soffro, ma non me ne vergo­ gno: conosco, infatti, colui nel quale ho riposto la mia fiducia e sono convinto che egli è capace di custodire fino a quel giorno il mio deposito. 13Abbi come esempio le sane parole che hai udito da me con fede e carità, quella che è in Cristo Gesù.

Timoteo e la c o n f e s s i o

f ìd e i.

Paolo in carcere per il vangelo 2Tm 1,6-18

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14Custodisci il buon deposito, con l ’aiuto dello Spirito santo che abita in noi. Paolo in tribunale: abbandono e conforto 15Tu sai che tutti quelli d ell’Asia, fra i quali Fìgelo ed Ermògene, mi hanno abbandonato. 16I1 Signore conceda misericordia alla famiglia di Onesìforo, perché egli mi ha più volte confortato e non si è vergognato delle mie catene; 17anzi, venuto a Roma, mi ha cercato con premura, finché non mi ha trovato. 18Gli conceda il Signore di trovare misericordia presso Dio in quel giorno. E quanti servizi egli ha reso a Efeso, tu lo sai meglio di me. T im o te o s o ffr a c o n P a o lo p e r il v a n g e lo e c u s to d is c a il d e p o s ito d e lla f e d e ( 2 T m 1 ,6 -1 4 ). Con la sezione di 2Tm 1,6-14 si apre la prim a parte d ell’insegna-

m ento paolino, corrispondente al m ovim ento (a”) della struttura parallela da noi individuata (cfr. qui pp. 41-42). L’unità della pericope è attestata da un procedi­ m ento di inclusione, da noi già segnalato: to c h a r is m a to u T h eo u , h o e stin e n s o i (« Il dono di Dio che è in te » , 2Tm 1,6) e d i a p n e u m a to s h a g io u to u e n o ik o u n to s e n h è m in («M ediante lo Spirito santo che abita in n o i» , 2Tm 1,14). Il «dono di D io » che ha preso dim ora in Timoteo, m ediante l ’im posizione delle mani, è lo stesso Spirito santo che abita in ogni credente. Il duplice riferim ento allo Spirito in­ quadra i due tem i che dom inano la pericope, dando vita a due sezioni parallele: Ti­ m oteo sia disposto a soffrire per il vangelo secondo l ’esempio di Paolo (w . 6-8), e trasm etta im m utato il vangelo che egli gli ha trasm esso (vv. 12-14). Tra queste due sezioni, l ’autore ha inserito una c o n fe s s io fid e i di tenore tradizionale (w . 9-11). Le due sezioni estreme propongono entram be la relazione fondamentale Paolo-Timoteo, e sono fra loro collegate dalla sezione centrale. Sintomatico è, in tal senso, il tem a della « so fferenza», presentato nel v. 8 e ripreso nel v. 12, m a cristologicam ente fondato nel v. 10. Concordiam o con L. O berlinner1 sul fatto che l ’im posta­ zione di detta triplice ripartizione della pericope è sorretta da tre parole chiave, che propongono costantem ente il rapporto Paolo-Tim oteo e il passaggio di consegne alla Chiesa del tempo: to c h a r is m a to u T h e o u , « il dono di Dio » (v. 6), presente in Timoteo, m a per l ’im posizione delle m ani di Paolo; to e u a g g e lio n , « il vangelo» (vv. 8.10): Paolo ne è araldo, apostolo e m aestro, m a esso è annunzio di salvezza « p e r noi»; h e k a l é p a r a th é k è , « il buon/bel deposito» (vv. 12.14): è di Paolo, m a L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li , voi. II, p. 52.

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Parte seconda. Traduzione e commento

viene consegnato a Tim oteo. A ppare evidente - precisa L. O berlinner - che qui com incia a delinearsi « l ’idea della successione apostolica». Tutto lo sviluppo reca l ’im pronta di Paolo, in particolare sul tem a d e ll’invi­ to da lui spesso rivolto ai suoi perché traggano esem pio dalla sua condotta, anche in m erito al rapporto instaurato con le com unità da lui fondate2.

[1,6] Il nesso causale che apre il v. 6, « p e r questo m otivo», richiam a i tr « ric o rd i» di 2T m 1,3-5 e consente il passaggio da quei ricordi del m ittente al nuovo ricordo cui è esortato adesso il destinatario: « R avvivare il dono di Dio che è in te per l ’im posizione delle m ie m an i» . C om pare, così, la prim a parola chia­ ve: c h a r is m a . G ià in 1Tm 4,14 Tim oteo era stato esortato a non trascurare il ca­ rism a che gli era stato trasm esso p er im posizione delle m ani. Indubbio il passag­ gio dalle lettere paoline alle lettere pastorali, verso una visione più decisam ente m inisteriale del term ine c h a r is m a . Paolo aveva afferm ato in 1Cor 12-14 che i servizi a ll’interno della com unità sono dono dello Spirito per l ’edificazione del­ la Chiesa. O ra però c h a r is m a è riservato a persone che rivestono un ruolo di par­ ticolare responsabilità nella com unità. Inoltre, il servizio di guida della com unità è legato a determ inati requisiti, elencati in 1Tm 3,1-13 e in Tt 1,6-9, per cui il lo­ ro riconoscim ento e il conferim ento ufficiale del m andato con l ’im posizione del­ le m ani fanno un tu tt’uno inseparabile. Tim oteo è invitato a « ravvivare » il cari­ sm a conferitogli. Il verbo a n a z d p u r e i n , h a p a x nel N uovo Testam ento, ha il significato di «riattizzare una fiam m a» , ed è in sintonia con l ’im m agine del fuo­ co che qualifica l ’opera dello Spirito, autore dei carismi. Il carism a sarebbe qui paragonato a un focolare di luce e calore, che crea e rinnova continuam ente l ’at­ titudine del m inistro a presiedere degnam ente, con l ’insegnam ento, l ’esortazione e la difesa della sana dottrina. Tim oteo deve, pertanto, « riattizzare » la grazia tra­ sm essagli a suo tem po, da Paolo, con un solenne gesto sacram entale. [v. 7] Il v. 7 si presenta com e spiegazione del v. 6, com e dim ostra il g a r di collegam ento. Ciò com porta che i destinatari del dono dello Spirito, qui definiti con il plurale h é m in , non siano tutti i cristiani, m a soltanto Paolo e Tim oteo e i lo­ ro successori nel com pito di guida. Q uanto al term ine p n e u m a , riteniam o che l ’autore faccia riferim ento allo Spirito santo, tenuto conto della solennità liturgico-sacram entale del contesto, nonché della rilevanza del com pito che ora T i­ m oteo si accinge a svolgere, con un carism a ravvivato. La sottolineatura fatta d a ll’autore del risvolto psicologico del dono dello Spirito non com porta m isco­ noscim ento della sua presenza quale protagonista unico del dono. D ’altronde, lo stesso Paolo, in R m 8,15, dopo aver presentato il dono dello Spirito ricevuto dai credenti, prosegue: «V oi non avete ricevuto uno spirito da schiavi, per ricadere nella paura, m a avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per m ezzo del quale gridiam o: “A bbà, Padre!” ». D ella stessa opinione sono m olti studiosi, che con­ cordano anche con il riferim ento im plicito al testo di R m 83. 2 Cfr. Rm 1,13-15; 1Cor 1,10 - 4,21; 2Cor 1,8 - 2,17; Gal 1,8-10; Fil 1,13-15; Fm vv. 7-9. 3 Cfr. H. Merkel, L e le tte r e p a s to r a li , p. 79, in cui scrive: «Il dono dello Spirito è interpretato psicologicamente [...]. Sullo sfondo si trova senz’altro l ’affermazione di Paolo che i cristiani non

Timoteo e la

c o n f e s s i o f id e i.

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L’antitesi form ulata nel nostro versetto è tra d e ilia (timidezza) da una parte e d y n a m is , a g a p e , s o p h r o n is m o s (« fortezza, amore, saggezza») d all’altra. Se d e ilia , h a p a x nel Nuovo Testamento, esprim e il sentim ento di im potenza di fronte a un ostacolo, che sem bra opprim ere Timoteo dinanzi alla grandezza del compito apo­ stolico, d y n a m is dice, a ll’opposto, l ’identità stessa dello Spirito che, in quanto espressione d ell’agire divino, è potenza e forza com unicata a Timoteo per renderlo idoneo alla sua missione. In effetti, la d y n a m is dello Spirito è segno dei tem pi nuo­ vi, che accom pagna la proclam azione del vangelo: « Avrete forza dallo Spirito san­ to e m i sarete testim oni » (At 1,8). A sua volta, detta proclam azione si m anifesta co­ me dispiegam ento di potenza divina: « Il nostro vangelo non si è diffuso fra voi soltanto per m ezzo della parola, m a anche con potenza e con Spirito santo» (1Ts 1,5). Spirito di forza, il carism a di Timoteo è anche Spirito « di am ore ». Anche qui, il richiamo del testo di Rom ani si im pone con evidenza: « L’am ore di Dio è stato ri­ versato nei nostri cuori per m ezzo dello Spirito santo che ci è stato dato » (Rm 5,5). L’ultim o contrassegno dello Spirito: s d p h r o n is m o s (saggezza), nel senso di dom i­ nio di sé, di m oderazione, è un h a p a x biblico. L’abbiam o già incontrato nelle lette­ re pastorali (1Tm 3,2; Tt 1,8; 2,12), che l ’hanno assunto dalla term inologia elleni­ stica, m a cam biandone radicalm ente il significato. Esso, infatti, non indica più una conquista d e ll’uomo, ma, appunto, un dono dello Spirito. [v. 8] Tutto è già pronto per la com parsa del nuovo term ine chiave, e u a g g e lio n , che crea raccordo tra il c h a r is m a già presentato e la p a r a th è k é che apparirà in chiusura. L’apostolo - si precisa ora - non può e non deve «vergognarsi del vangelo» (cfr. Rm 1,16), perché ha visto nella croce di Cristo, che egli annunzia, non lo scandalo o la follia m a la sapienza e la potenza di Dio (cfr. 1Cor 1,23). Inol­ tre, egli è consapevole di essere stato collocato da Dio aH’ultim o posto, perché di­ venuto spettacolo al m ondo, reputato stolto a causa di Cristo, e quindi diventato come la spazzatura del m ondo, il rifiuto di tutti (cfr. 1Cor 4,9-13). M a sa anche che la croce è l ’unica via che conduce alla gloria (cfr. R m 8,18; Fil 3,10-11), perché Dio ha trionfato con la sua forza nella debolezza di Cristo crocifisso (cfr. 2Cor 12,9-10), e continua a trionfare nella debolezza di ogni uom o che si fa a lui obbe­ diente in-con-per Cristo. In questo contesto, la «testim onianza del Signore no­ stro», im m ediatam ente accostata a quella di Paolo in carcere (« N é di me che so­ no in carcere per lui »), non può che indicare la passione e m orte in croce di Gesù Cristo, che dà senso alla passione e alla m orte im m inente dello stesso Paolo. C o­ sì, la non vergogna del vangelo si trasform a, positivam ente, in fedeltà sia a ll’ope­ ra redentiva di Cristo sia alla testim onianza dello stesso Apostolo, divenuti en-

hanno più lo spirito servile (Rm 8,15)». Della stessa opinione R Domier, L e s é p îtr e s p a s to r a le s , p. 186: « L’apôtre chrétien doit raviver le charisme qu’il a reçu, ranimer la flamme de l ’Esprit [...]. Lorsqu’en Rm 8,15, Paul parlait du don de l ’Esprit reçu par les croyants, il disait: “Vous n’avez pas reçu un esprit de servitude” ». L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li , II, p. 59: «Rm 8,15 presenta molte ana­ logie con il testo di 2Timoteo e, certamente, non si tratta di un caso. Si deve supporre che siamo in presenza di un consapevole prestito dalla Lettera ai Romani di questa idea della dotazione dello Spi­ rito. Naturalmente, nelle Pastorali non si deve presupporre la contrapposizione storico-salvifica di legge ed evangelo che si ha invece in Paolo. Di conseguenza l ’antitesi d i p n e u m a non è più espressa con d o u le ia , bensì con d e ilia , un concetto che si adatta alla predicazione dell’evangelo ».

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tram bi oggetto della p a r a d o s is . Il verbo s y n - k a k o p a th e ó , sottolinea la com unione con Paolo, divenuto m odello ed esempio. A partire da questa com unione, l ’invito a soffrire per il vangelo acquista tutta la sua ricchezza di significato. A nche la sof­ ferenza di Tim oteo e di quanti gli succederanno nel com pito di guida potrà recare l ’im pronta salvifica di quello Spirito che è a ll’origine del c h a r is m a e che accom ­ pagna la testim onianza del V e u a g g e lio n , m a a condizione che sia vissuta k a ta d y n a m in T h e o u , « con la forza di Dio », che è appunto il suo santo Spirito. [1,9-11] C o n fe s s io f i d e i (2 T m 1 ,9 -1 0 ). A bbiam o accennato sopra alla centra­ lità della presente sezione, sia p er il suo contenuto, una sorta di sintesi dell ’e u a g g e lio n , sia per la funzione di raccordo tra le due altre sezioni che la riquadrano. A bbiam o, inoltre, rilevato il suo carattere tradizionale. È uno dei testi dottrinali più densi del N uovo Testam ento. M olti studiosi vi vedono la citazione di un inno liturgico o di una professione di fede, anche se sintatticam ente ben collegata con il contesto4. Dal punto di vista tem atico, viene evocato il disegno di D io incentra­ to su C risto e portatore del dono della vita, reso noto m ediante una chiam ata e prom ulgato da araldi, apostoli e m aestri. [v. 9] La prim a e basilare afferm azione della c o n fe s s io f i d e i è form ulata con un duplice participio aoristo: to u s ó s a n to s , un attributo divino, e to u k a le s a n to s , u n ’esplicitazione del primo. Il titolo di s ó tè r , attribuito a Dio, com e la sua e p ip h a n e ia , sono - com e già rilevato - segni distintivi della teologia e della cristologia delle lettere pastorali. Il verbo k a le ó si connota com e concretizzazione storica di tale volontà salvifica. L’accostam ento di k a le ó con il battesim o - com e in 1Tm 6,12 - precisa ulteriorm ente l ’evento storico nel quale si attua sacram entalm ente l ’opera salvifica. L a form ulazione del v. 9b: « N on in base alle nostre opere, m a se­ condo il suo progetto e la sua g razia», p ur richiam ando la nota contrapposizione paolina tra giustizia p er m ezzo delle opere e giustizia per m ezzo della fede, in realtà si lim ita a ribadire l ’assoluto protagonism o del « progetto » e della « grazia » di Dio. N on solo è assente il tem a della fede contrapposto alle opere, m a la stessa « g ra zia» , pur ancorata a Cristo, è considerata p rò c h r o n ó n a ió n iò n , « fin d a ll’e­ ternità », e quindi considerata direttam ente in Dio, quale sorgente rivelativa della sua opera di salvezza. Certo, com e la « salvezza » si concretizza nella « chiam a­ ta », così anche la c h a r is trova il suo m om ento di concretizzazione storica nel « do­ n o » (d o th e is a n ), precisato subito dopo con « l ’apparizione (p h a n e r ó th e is a n d ia tè s e p ip h a n e ia s ) del Signore nostro G esù Cristo ». L’insistenza sul « n o i» com e destinatari del progetto divino e della sua m ani­ festazione, unitam ente a ll’uso costante de ll’aoristo, indica la precisa consapevolez­ za di una Chiesa che vive, con gioia e con rendim ento di grazie, un evento che si è già compiuto nel passato, e del quale si fa ora m em oria, nel mom ento presente, sia esso di tipo sacram entale-battesim ale oppure più genericam ente liturgico. [v. 10] L’avverbio tem porale n y n (ora) segna il passaggio d ella p r o th e s is di­ vina dalla « eternità » alla fattualità storica del m om ento presente, contraddistin4 Cfr. M .-É . B o ism a r d , Quatre hymnes baptismales dans la première épître de Pierre (L e c tio D iv in a 3 0 ), C erf, Paris 1961; Y. R ed a lié ( Paul après Paul, p. 11) parla di un « so m m a r io d el kërygma a p o sto lic o ».

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to dalla e p ip h a n e ia , che, superando ogni lim ite epocale e assum endo globalm en­ te l ’evento salvifico « C risto G e sù » coinvolgente incarnazione, m orte, risurre­ zione e ritorno a Dio, orienta tutta l ’attenzione su di lui, segno efficace della c h a r is eterna di Dio. In effetti, proprio a C risto si attribuisce ora il ruolo di s ó té r , finora attribuito a Dio: « L ’apparizione del salvatore nostro G esù C risto». Di lui soprattutto sono proclam ati gli effetti decisivi d e ll’evento rivelatore: « H a vinto la m orte e ha fatto risplendere la vita e l ’incorruttibilità per m ezzo del vangelo ». Espressioni, queste, che assum ono tutta la ricchezza del loro significato, se sono collocate nel contesto liturgico battesim ale. Infatti, l ’epifania del salvatore Cristo G esù diventa realtà concreta, presente e santificante, n e ll’atto sacram entale della Chiesa, dove solo è possibile dichiarare già com piuta e appartenente al passato la vittoria sulla m orte (k a ta r g é s a n to s to n th a n a to n ) e il nuovo rifulgere della vita e d e ll’im m ortalità ( p h ó tis a n to s d e z ó è n ), m ediante la sua risurrezione5. Ogni cre­ dente può, ora, associarsi a q u e ll’evento com piuto, incorporandosi alla m orte e alla risurrezione di Cristo, m ediante il battesim o, rendendolo così presente e at­ tualm ente salvifico. È noto l ’appellativo del b attezzato com e « illu m in a to » . Q uanto a ll’aggettivo « incorruttibile », delle 7 ricorrenze neotestam entarie, ben 4 sono paoline. N ella m aggior parte dei casi, ha valenza escatologica, con riferi­ m ento alla glorificazione finale, sia di Paolo che attende di ricevere la corona « in co rru ttib ile» (1C or 9,25), sia dei credenti che saranno liberati dalla loro cor­ ruttibilità per ereditare l ’incorruttibilità (cfr. 1Cor 15,42-54). D etta com ponente escatologica com pleta l ’identità del cristiano em ergente dalle acque battesim ali, proteso verso la rivelazione piena della sua condizione di figlio e incam m inato verso il ritorno glorioso del suo Signore. La concatenazione tra p r o th e s is divina, e p ip h a n e ia del Cristo m orto e risor­ to, e proclam azione del vangelo, è sottolineata dalla confluenza della c o n fe s s io f i d e i fin qui evocata s u ll’espressione conclusiva del v. 10: d ia to u e u a g g e lio u (« p e r m ezzo del vangelo »). Il vangelo - il cui contenuto è stato espresso sopra diventa, così, il m ezzo di attualizzazione e personalizzazione d e ll’evento salvifi­ co. M ediante la proclam azione, la Parola diventa viva ed efficace, cioè interven­ to con potenza dello Spirito di Dio. [v. 11] La linea di continuità, che finora ha legato in unità il piano di Dio, com piutam ente form ulato in 2Tm 1,9-10, si estende ora ai suoi m essaggeri. Em er­ ge con forza l ’intento delle lettere pastorali. Paolo, l ’apostolo per antonom asia, è 5 C. Spicq (L e é p itr e s p a s t o r a l e s , voi. II, pp. 718-719) precisa che il primo verbo, k a ta r g e d , usato spesso da Paolo, equivale a « distruggere, rendere inoperante, vanificare » la morte, intesa co­ me avversario personale del Salvatore. Infatti, l ’articolo posto davanti a «m orte», indicherebbe l ’opera del diavolo, che assimila in sé peccato, male, corruzione. Il secondo verbo ,p h ò t i z ò (illumi­ nare), indicando la fonte luminosa di un determinato oggetto, farebbe riferimento alla illuminazio­ ne battesimale. La salvezza consisterebbe dunque n ell’essere « illuminati da Cristo », luce del mon­ do. Quanto alla a p h th a r s ia (incorruttibilità) afferma, inoltre, che il significato del termine va oltre rimmortalità. È innanzi tutto l ’indistruttibilità dei corpi glorificati, opposta alla corruzione della carne e del sangue, ma anche l ’inalterabilità della a g a p e proprio perché essa non è di questo mon­ do. Quindi la a p h th a r s ia comporterebbe una connotazione di nobiltà e gloria, sarebbe cioè una pro­ prietà celeste, un attributo divino. La fede si riassume dunque nell’annunzio: «Cristo è veramente risorto! ».

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garante della retta fede, e perciò inserito n e ll’am bito di quel piano. L’accento è posto sul verbo tith é m i , « porre, costituire », nel senso specifico di Dio che « po­ ne » il suo Figlio erede di tutto e « pone » i nem ici sotto i suoi piedi, m a pure del­ lo Spirito che « p o n e » pastori nel suo gregge. A nche Paolo « è stato p o sto » per proclam are il vangelo di Cristo. Tale com pito m otiva il triplice titolo che lo qua­ lifica. Egli è k è r y x (araldo), p er diffondere il b u o n a n n u n z io fino ai confini del m ondo. Egli è a p o s to lo s , « apostolo », p er rappresentare C risto com e suo m anda­ tario. Egli è infine d id a s k a lo s , « m aestro », allo scopo di istruire i credenti com e un m aestro che m ette in luce la verità e la rende assim ilabile. L. O berlinner6 pre­ cisa che 1’« io » enfatico posto a ll’inizio del v. 11 fa risaltare ancora di più la p o ­ sizione esclusiva del vangelo paolino p er la fede della Chiesa. In m erito alla tri­ logia di titoli di Paolo, lo stesso autore nota che il titolo di « apostolo » subisce una certa relativizzazione, che consente l ’em ergere in prim o piano delle attività di predicazione e di insegnam ento. Dal nostro punto di vista, abbiam o invece no­ tato nella S e z io n e in tr o d u ttiv a che detta triplice connotazione di Paolo esprim e in som m o grado l ’intento delle lettere in esam e di presentarlo com e il m odello uni­ co, una sorta di prototipo A q\ Y a p o s to lo s che assom m a in sé tutte le qualifiche del suo ruolo. Ciò, appunto, in funzione dei suoi successori, ai quali egli affida il com pito m inisteriale di propositori-difensori-custodi della sana d id a s k a lia . [v. 12] T im o te o tr a s m e tta im m u ta to il v a n g e lo c h e P a o lo g l i h a c o n s e g n a to (2 T m 1 ,1 2 -1 4 ). D opo l ’inserim ento della c o n fe s s io f i d e i di 2Tm 1,9-10 e la suc­ cessiva presentazione del m odello Paolo in ordine alla proclam azione del vange­ lo, in 1,11, si apre la seconda sezione - da noi definita d i r iq u a d r o - della pericope 1,6-14. L’attenzione si focalizza orm ai decisam ente sul personaggio Paolo e sulla necessità di trasm ettere im m utato il suo vangelo (vv. 12-14). Egli tom a, per­ tanto, a instaurare il suo dialogo diretto con Tim oteo, riform ulando l ’invito già presente in 1,8: m e e p a is k y n th è is , « n o n v ergognarti», volutam ente evocativo d e ll’atteggiam ento dello stesso Paolo: o u k e p a is c h y n o m a i , « n o n m i vergogno» (1,12). In entram bi i casi, si tratta della sofferenza che accom pagna ora la testi­ m onianza d e ll’A postolo, e che in passato ha contrassegnato quella di Cristo. Chiaro indizio letterario d e ll’interruzione del precedente insegnam ento, per con­ sentire l ’inserim ento della c o n fe s s io , e della nuova ripresa per portarlo a com pi­ m ento. U lteriore indizio di conferm a è la riproposta, a ll’inizio di 1,12, della m e­ desim a form ula introduttiva d e ll’esortazione iniziale: d i ’é n a itia n (« p e r questo m otivo », v. 6). Qui appare, infine, la terza e ultim a parola chiave della pericope: p a r a th é k è (deposito). La testim onianza di Paolo inizia con l ’espressione generica ta u ta («queste cose»), che ingloba tutto ciò che l ’A postolo subisce in forza della sua attività evangelizzatrice, e in particolare la condizione di prigioniero per Cristo, prossi­ m o alla m orte, ricordata nel v. 8. Il suo libero e lieto soffrire senza vergogna, co­ me G iovanni il B attista, com e Stefano, com e G iacom o il m aggiore, tutti accom u­ nati dal vanto in C risto crocifisso, ha una duplice m otivazione: la sua sicurezza di fede e la convinzione che Dio è fedele. Così, l ’esem plarità di Paolo precedente­ 6 L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li , voi. II, p. 76.

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m ente delineata in base a ll’adesione al vangelo da lui predicato, si estende ora al­ la qualità del suo atteggiam ento di fede. L’A postolo è m odello della fiducia in quel Dio che gli si m ostrerà fedele conservando intatto, anche nei suoi successo­ ri, il deposito della fede affidato al suo servitore, « fino a quel giorno ». La cono­ scenza-fede di Paolo è arricchita d a ll’esperienza degli interventi di Dio nella sua vita. Infatti, il perfetto p e p is te u k a evoca una fede em essa nel passato e attualm en­ te viva e operante, tanto che è com pletato da un altro perfetto, p e p e is m a i (dal ver­ bo p e i t h ó ), indicante « fid u cia e certezza». La « p o te n z a » (d y n a to s ), com e attri­ buto divino, indica l ’infallibilità del com pim ento delle sue prom esse. Sul significato di p a r a th é k é (deposito) abbiam o riferito a suo tem po. R iba­ diam o la nostra posizione. Siam o persuasi che il term ine abbia qui lo stesso signi­ ficato in 1Tm 6,20 e che ha in 2Tm 1,14, e che quindi indichi la trasm issione in­ tegra di generazione in generazione d e ll’insegnam ento apostolico e delle sane parole della d id a s k a lia consegnate dalla tradizione. Sarebbe davvero strano che u n ’espressione così tecnica nel N uovo Testam ento cam biasse significato nello spazio di pochi versetti. Inoltre, il contesto reale del nostro versetto è quello del vangelo (cfr. 2Tm 1,8), della sua trasm issione (cfr. 2T m 1,13-14), della forza di Dio e del suo santo Spirito (2Tm 1,8.14), proprio per conservare intatto il depo­ sito. Se il term ine « deposito » dovesse indicare « la vita e l ’anim a d e ll’Apostolo affidate-consegnate a Dio » - com e sostiene J. D upont7*il - non sarebbe stato ne­ cessario evocare la « p o te n z a » di Dio. [v. 13] M entre in 2Tm 1,12 si parlava del protagonism o di Dio in ordine alla p a r a th é k é affidata a Paolo, ora si passa a trattare degli obblighi di Tim oteo, al quale P aolo ha affid ato l ’in carico di trasm ettere e custo d ire la m edesim a p a r a th é k é . Criterio di fedeltà nella continuità sono le « sane parole » ascoltate da Paolo « con fede e carità, quella che è in Cristo G esù », e assunte come « esem pio » (h y p o ty p ó s in e c h e ). La nuova guida nella Chiesa deve dunque im pegnarsi a segui­ re il m odello d e ll’A postolo, le cui « sane parole » - abbiam o rilevato l ’intim a con­ nessione d e ll’aggettivo h y g ia in o u s a con la d id a s k a lia - diventano m etro e m isura della retta dottrina. « F ed e e carità», che qualificano l ’ascolto di Timoteo e gli conferiscono l ’autorevolezza della credibilità, com pletano l ’identità del m inistro posto nella linea della successione esigita dalla continuità della p a r a d o s is . Si trat­ ta della fede e d e ll’am ore radicati « in Cristo », u n ’ulteriore esplicitazione di quel­ la incorporazione battesim ale dalla quale ha preso avvio la presente pericope. [v. 14] Il com pito affidato a Tim oteo viene ora com piutam ente formulato: egli deve custodire « il buon deposito » m ediante lo Spirito santo che abita in noi. Il « d ep o sito » è definito, per la prim a volta « b ello /b u o n o » (cfr. 1Tm 3,7; 4,6;

7 Cfr. J. Dupont (L a c o n stru ctio n d u d isc o u r s d e M ile t [A c t 2 0 ,1 8 -3 5 ], in Id., N o u v e lle s é tu d es su r le s A c te s d e s A p ô tr e s [Lectio divina 118], Paris 1984, pp. 434-445) pensa che Paolo affidi a Dio « la sua vita presente e la sua anima dopo la morte ». E ciò, per un criterio di conformità al testo, che parla di « fiducia», e al contesto, che insiste sul tema della vita e dell’incorruttibilità. L’autore accosta il nostro testo all’atteggiamento di Cristo sulla croce: «Padre, nelle tue mani affido la mia vita». S. Cipriani, L a d o ttrin a d e l « d e p o s itu m » n e lle L e tte re p a s to r a li , e C. Spicq, L e s é p ître s p a s to r a le s , vol. II, p. 722, anche se quest’ultimo con qualche esitazione, annettono al termine lo stesso significato da noi ribadito. Su p a r a th é k é , cfr. l ’ampia trattazione in L. Oberlinner, L e le tte re p a s to r a li , vol. II, pp. 77-84.

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2,3), e richiam a da vicino quanto riferito dalle lettere pastorali alla « b ella/san a» d id a s k a lia . Sullo sfondo, tornano a stagliarsi le figure dei falsi m aestri e della lo­

ro perversa dottrina. A ncora più forte deve dunque essere la com unione tra A po­ stolo e discepolo e di entram bi con P unico Spirito. Di rilievo il ruolo sottolinea­ to dallo Spirito in questo contesto. A differenza d e ll’idea paolina che vede nello Spirito il segno distintivo del credente8, qui è visto fondam entalm ente in funzio­ ne del com pito m inisteriale, com e garante e principio della retta trasm issione del­ la tradizione. C on il richiam o dello Spirito, ricom pare il plurale: « C h e abita in n o i », già apparso in 2Tm 1,7: « D io non c i ha dato uno spirito di tim idezza». In entram bi i testi, il riferim ento è, in prim o luogo, a Paolo e a Tim oteo o, per m e­ glio dire, a coloro che, sulla loro scia, svolgono ora il loro stesso com pito m ini­ steriale. È lui che indica gli uom ini degni di tale m inistero, li rende idonei con i suoi carism i (cfr. 1Cor 12,4) e preserva la tradizione da ogni alterazione (cfr. Gv 16,4). Tuttavia, proprio perché tale com pito consiste nella custodia della p a r a th è k è , segno d e ll’ortodossia della fede p er tutta la com unità, il possesso dello Spirito diventa il p r o p r iu m di ogni cristiano, m a - com e nota bene L. O berlinner9 - « u n ic a m e n te p er il tram ite di questa tradizione m inisteriale ». [v. 15] P a o lo in tr ib u n a le : a b b a n d o n o e c o n fo r to (2 T m 1 ,1 5 -1 8 ). In 1,15-18 si apre una nuova sottounità letteraria - nella nostra visione strutturale, equivalente a un nuovo m ovim ento (b) dello sviluppo parenetico (cfr. qui pp. 41-42) - , che orien­ ta l ’attenzione del lettore, non più su Timoteo m a direttam ente su Paolo prigionie­ ro. Conform em ente allo stile delle lettere pastorali, il nuovo protagonista non è pre­ sentato nella rilevanza della sua configurazione storica, m a nella valenza sim bolica della sua condizione di testim one del vangelo in catene. In questa prospettiva, egli diventa segno di divisione e quindi - come il suo Signore e M aestro - « pietra di in­ ciampo » per i suoi collaboratori. Dinanzi alla riproposta paolina del s e g n o della croce, c ’è stato chi « si è vergognato delle (sue) catene» (2Tm 1,16) e chi « lo ha confortato» (1,16). La presente sezione letteraria sarà successivam ente ripresa in 4,9-18. Anche lì, dinanzi a Paolo-segno, riappare la m edesim a contrapposizione: c ’è stato chi « h a preferito le cose di questo m ondo» (4,10) o gli « h a procurato molti guai» (4,14) e chi è rim asto con lui (cfr. 4,11). La conclusione sarà a ll’inse­ gna della cristiana speranza: l ’A postolo è certo che il Signore gli è stato vicino, per­ ché egli potesse «portare a com pim ento l ’annunzio del vangelo» (4,17). Nessun dubbio, pertanto, che egli lo « salverà nel suo regno celeste» (4,18). La richiesta di fedeltà al « bel deposito » viene ora supportata da com porta­ m enti positivi e negativi. Il carattere fortem ente antitetico del brano si m anifesta nel contrasto tra due verbi: a p e s tr o p h é s a n m e (« m i hanno abbandonato», 2Tm 1,15) e a n e p s y x e n m e k a i tè n a ly s in m o u o u k e p a is c h y n th è (« m i ha confortato e non si è vergognato delle m ie caten e» , 1,16). Protagonisti di tale contrasto sono: in negativo Fìgelo ed Erm ògene, e in positivo O nesìforo. N essuno dei tre perso­ naggi è m enzionato nelle lettere di Paolo né negli Atti degli apostoli. Solo negli A t t i d i P a o lo e T ecla si fa m enzione di E rm ògene com e falso am ico di Paolo e di8 9 8 Cfr. Rm 8,15; 1Cor 12,13; 2Cor 13,13; Gal 4,6. 9 L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li , voi. II, p. 86.

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O nesìforo com e suo fedele seguace a Iconio. A nche p er costoro vale quanto ab­ biam o detto precedentem ente di altri personaggi sconosciuti: è un accorgim ento pseudepigrafico p er am pliare la risonanza d e ll’esortazione. Può trattarsi di perso­ naggi storici, dei quali si è conservato un qualche ricordo, m a più spesso sono personaggi sim bolici, tipici di un determ inato com portam ento da condannare o da elogiare, proposti a ll’attenzione di ogni credente. N el nostro testo sono pre­ sentati com e m odelli antitetici di fedeltà-tradim ento d e ll’A postolo, e quindi del­ la sana dottrina confluita nel « b e l deposito». Il procedim ento di inclusione che apre e chiude la breve pericope: o id a s to u to («T u sai» , 2Tm 1,15) e s y g in ó s k e is («T u sai» , 1,18) indica una conoscenza che instaura un intenso rapporto com unionale tra m ittente e destinatario, a sua volta paradigm atico del rapporto che ogni guida deve instaurare con i suoi suc­ cessori. Il verbo a p o s tr e p h e s th a i , che descrive la defezione di alcuni cristiani, è da interpretare alla luce di questo contesto. N on si tratta di un esplicito allontana­ m ento dalla fede, cioè di una « apostasia », m a della rottura della com unione con l ’A postolo, che di fatto può preludere al distacco dalla fede, com e prospettato d a ll’antitesi del v. 16. L’espressione: «T utti quelli d ’A sia» sem bra essere u n ’i­ perbole che sottolinea il senso di isolam ento di Paolo prigioniero. Storicam ente, si configurerebbe la possibilità che alcuni cristiani abitanti della provincia rom a­ na di A sia non abbiano difeso Paolo al m om ento d e ll’arresto, oppure che alcuni cristiani originari di quella provincia, attualm ente residenti a Rom a, non l ’abbia­ no difeso durante il processo. Ciò indurrebbe a interpretare h o i e n te A s ia com e un sem itism o, equivalente a h o i e k tè s A s ia s ( « Q uelli di A sia»). [vv. 16-18] La figura-m odello di O nesìforo è antiteticam ente espressa da due verbi che lo identificano com e esem pio di fedeltà alla sana dottrina: « N o n si è vergognato delle m ie caten e» (cfr. 2T m 1,8) e com e esem pio di attaccam ento all ’Apostolo: « M i ha più volte confortato ». Proprio questa connessione tra i due verbi - alla quale facevam o riferim ento sopra - lascia intendere che le due rottu­ re, con l ’A postolo e con la fede, fanno un tu tt’uno. Il com portam ento di O nesìfo­ ro m otiva la benedizione iniziale rivolta alla sua o ik ia (fam iglia). Incentrata sul dono della m isericordia, intende richiam are l ’am piezza e l ’intensità della m iseri­ cordia di Dio, che non si lascia vincere in generosità, e ribadire, al tem po stesso, com e Dio sia la fonte unica d e ll’am ore cristiano. L’estensione a tutta la fam iglia lungi d a ll’escludere O nesìforo - com e sostengono diversi studiosi che interpre­ tano tale assenza com e m o rte10 - , lo inserisce, nel m om ento presente, a pieno ti­ tolo nella più am pia esem plarità cristiana della sua fam iglia-Chiesa. In 1 ,1 8 ,l’au­ tore tornerà a im plorare il dono della m isericordia direttam ente su O nesìforo, m a in vista del com pim ento escatologico, nella prospettiva di « quel giorno », che è anche giorno della ricom pensa divina. In antitesi ai tanti che lo « hanno abbandonato » si erge ora la ricerca di Onesìfo­ ro, protesa verso la comunione piena con la sofferenza d ell’Apostolo: e zé té se n m e 10 E.F. S cott, The Pastoral Epistles, p. 99; J .N .D . K elly , A Commentary on the Pastoral Epi­ stles, p. 169; N . B r o x , Die Pastoralbriefe, p. 2 3 9 ; H. M erk el, Le lettere pastorali, p. 61; V. H asler, Die Briefe an Timotheus und Titus, Pastoralbriefe, p. 60; R D o m ier, Les épîtres pastorales, p. 2 0 0 .

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Parte seconda. Traduzione e commento

k a i eyren (« Mi ha cercato con premura finché non mi ha trovato »,1,17). L’emblematicità dell’opera di Onesìforo sembra essere data unicamente dalla tensione costante della sua ricerca comunionale, come se il risultato non dipendesse da tale impegno umano, bensì dall’intervento divino che premia e porta a compimento. U n’altra ten­ sione, di tipo topografico, viene introdotta d all’autore tra Efeso, dove Onesìforo « h a reso molti servizi », e Roma, punto di confluenza di tali servizi, nella sua duplice va­ lenza simbolica di luogo della prigionia e della imminente, suprema testimonianzamartirio dell’Apostolo maestro. La menzione di Efeso collega la presente lettera con l ’inizio della 1Timoteo, dove si dà notizia dell’incarico affidato a Timoteo di guida­ re la Chiesa di Efeso. Ora, nella mutata situazione storica, Timoteo è presentato nella veste di testimone (sy g in d sk e is) d ell’impegno esemplare di Onesìforo.

L’unità letteraria 2Tm 1,6-18 rivela la sua in te n tio teologica nella presenta­ zione parallela di Tim oteo e Paolo considerati nel com une e congiunto riferim en­ to a Cristo crocifisso, unico m odello di vita di entram bi. Così, in 1,6-14, Tim oteo è esortato a non vergognarsi di dare testim onianza al Signore e a soffrire con Pao­ lo per il vangelo, com e un « b u o n so ld ato » che presta servizio, com e « l ’atleta» che lotta, com e « il contadino » che lavora duram ente. Parallelam ente, in 1,15-18, P a o lo , essendo in carcere per il vangelo, viene presentato com e segno di divisio­ ne tra i suoi collaboratori: chi « s i è vergognato delle sue catene» e chi « lo ha confortato »; chi « ha preferito le cose di questo m ondo » o gli « ha procurato m ol­ ti guai » e chi è rim asto con lui. M a il Signore non lo ha abbandonato, gli è stato vicino, perché egli potesse « p o rtare a com pim ento l ’annunzio del vangelo», e non m ancherà di salvarlo « n e l suo regno celeste». La centralità teologica del brano di 2Tm 1,6-14 è indubbiam ente nella c o n f e s s i o f i d e i di 1,9-10, con l ’inserim ento del v. 11: D io « c i ha salvati e ci ha chia­ m ati [...]. La sua grazia ci è stata data in Cristo G esù [...], il quale ha vinto la m orte e ha fatto risplendere la vita [...] per m ezzo del vangelo». Q uesti versetti costituiscono il cuore del k è r y g m a della C hiesa nascente. La prim a espressione presenta Dio com e l ’unico protagonista d e ll’opera salvifica: egli « ci ha salvati ». Le altre espressioni riguardanti la « grazia », « Gesù C risto » e il « vangelo », so­ no esplicitazioni di questa prim a, fondam entale c o n fe s s io . U na form ulazione di tanto peso non poteva non aprire la q u a e s tio ad essa intim am ente collegata su co­ m e l ’uom o possa giungere a salvezza. La risposta giunge im m ediata e inequivo­ cabile: la salvezza è totalm ente fondata sul volere divino, definito, appunto, co­ m e « g ra zia » . È l ’im m ediata precisazione d e ll’idea di salvezza operata da Dio: « N o n in base alle nostre opere, m a secondo il suo progetto e la sua g razia» (2Tm 1,9). N essuna m eraviglia che l ’autore non faccia alcun riferim ento alla fede in contrapposizione alle opere. N ella visione teologica delle lettere pastorali - in ciò leggerm ente differenti dal Paolo del settenario epistolare - fede e opere sono il ri­ sultato congiunto della rivelazione salvifica di Dio, sono dono di Dio. Pertanto, i cristiani, proprio perché destinatari della « g ra z ia » divina, devono glorificarla m ediante la fede e le opere, cioè con la testim onianza piena della loro vita. La funzione di testim one attribuita a Tim oteo n e ll’unità letteraria 2Tm 1,1518, diversa da quella precedente dove egli era oggetto diretto della p a r a k lé s is

Timoteo e la

c o n f e s s i o f id e i.

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d e ll’A postolo, fa em ergere il suo intrinseco intento parenetico. Il testo non pare orientato a dare inform azioni storiche, pur attendibili, su fatti e persone, note o ignote alle com unità destinatarie, bensì a esortare i cristiani del tem po delle lette­ re pastorali perché diano buona testim onianza di sé, m ediante la coerenza della loro fede e la fedeltà alla tradizione paolina.

TIMOTEO E LA VERITÀ. PAOLO OFFERTO IN LIBAGIONE 2Tm 2,1 -4,8

Timoteo servo fedele del Signore 2 'E tu, figlio mio, attingi forza dalla grazia che è in Cristo Gesù: 2le cose che hai udito da me davanti a molti testimoni, tra­ smettile a persone fidate, le quali a loro volta siano in grado di in­ segnare anche ad altri. 3Sofffi insieme con me, come un buon soldato di Gesù Cristo. 4Nessuno, quando presta servizio militare, si lascia prendere dalle faccende della vita comune, per piacere a colui che l ’ha ar­ ruolato. 5Anche l ’atleta non riceve il premio se non ha gareggiato se­ condo le regole. 6L’agricoltore, che lavora duramente, dev’essere il primo a raccogliere i frutti della terra. 7Cerca di capire quello che dico, e il Signore ti darà intelligenza per ogni cosa. "Ricordati di Gesù Cristo risorto dai morti, della stirpe di Da­ vid, secondo il mio vangelo, 9per il quale io soffro fino a portare le catene come un mal­ fattore. Ma la parola di Dio non è incatenata! 10Perciò io sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, assieme alla gloria eterna. "È vero il detto: se moriamo con lui, con lui anche vivremo; 12se perseveriamo con lui, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, egli pure ci rinnegherà; 13se noi siamo infedeli, egli però rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso. 14Richiama alla memoria queste cose, scongiurandoli davan­

Timoteo e la verità. Paolo offerto in libagione 2Tm 2,1 - 4,8

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ti a Dio di evitare le vane discussioni che non giovano a nulla se non alla rovina di chi le ascolta. 15Sforzati di presentarti davanti a Dio come una persona de­ gna di approvazione, un lavoratore che non ha di che vergognar­ si, che dispensa rettamente la parola di verità. 16Evita le chiacchiere vuote ed estranee alla fede; esse, infatti, procedono sempre più verso l ’empietà 17e la loro parola si propagherà come una cancrena. Fra que­ sti vi sono Imenèo e Filèto, 18i quali hanno deviato dalla verità, sostenendo che [la] risur­ rezione è già avvenuta e così sconvolgono la fede di alcuni. 19Tuttavia il solido fondamento posto da Dio è stabile e por­ ta questo sigillo: « Il Signore conosce quelli che sono suoi », e ancora: « Si allontani dall’ingiustizia chi invoca il nome del Si­ gnore ». 20In una casa grande però non vi sono soltanto utensili d’oro e d’argento ma anche di legno e di argilla; gli uni per uso nobile, gli altri per usi umili. 21Chi si manterrà puro da questi, sarà come un utensile nobi­ le, santificato, utile al padrone [di casa], pronto per qualsiasi uti­ lizzo buono. 22Sta’ lontano dalle passioni della gioventù; cerca la giusti­ zia, la fede, l ’amore, la pace, assieme a quelli che invocano il Si­ gnore con cuore sincero. 23Evita le discussioni sciocche e da ignoranti, sapendo che provocano litigi. 24Un servo del Signore non dev’essere litigioso, ma mite con tutti, capace di insegnare, tollerante, 25dolce nel riprendere quelli che gli si oppongono, nella spe­ ranza che Dio conceda loro la conversione alla conoscenza della verità 26e si svincolino dal laccio del diavolo, dopo che sono stati accalappiati per fare la sua volontà. 3 'Sappi che negli ultimi tempi si presenteranno momenti difficili. 2Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanitosi, orgo­ gliosi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, senza religione, 3senza amore, sleali, calunniatori, intemperanti, intrattabili, disumani,

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traditori, sfrontati, accecati dall’orgoglio, amanti del piace­ re più che di Dio, 5gente che ha solo una parvenza di pietà, ma ne rifiuta la for­ za interiore. Guardati bene da costoro! 6Proprio fra questi vi sono alcuni che entrano nelle case e cir­ cuiscono certe donnette cariche di peccati, in balìa di passioni di ogni genere, 7sempre pronte ad apprendere ma non riescono mai a giunge­ re alla conoscenza della verità. 8Allo stesso modo in cui Iannes e Iambres si opposero a Mosè, parimenti anche costoro si oppongono alla verità: gente dalla mente corrotta e che non ha dato buona prova nella fede. 9Ma non andranno molto lontano, perché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti, come lo fu la stoltezza di quei due.

Paolo alla fine della corsa 10Tu invece mi hai seguito da vicino n ell’insegnamento, nel modo di vivere, nelle aspirazioni, nella fede, nella magnanimità, nella carità, nella costanza, l'nelle persecuzioni, nelle sofferenze, come quelle che mi ac­ caddero ad Antiochia, a Iconio e a Listra. Quali persecuzioni ho sof­ ferto! Ma da tutte mi ha liberato il Signore! 12Del resto, tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cri­ sto Gesù saranno perseguitati. 13Ma i malvagi e gli impostori andranno sempre di male in peggio, ingannatori e ingannati (essi stessi). 14Tu però rimani saldo in quello che hai imparato e in cui cre­ di (fermamente), sapendo bene da chi (lo) hai imparato, 15e perché fin dall’infanzia conosci [le] sacre Scritture: que­ ste possono istruirti per la salvezza, (che si ottiene) mediante la fede in Cristo Gesù. 16Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare la persuasione, l ’educazione nella giustizia, l7perché l ’uomo di Dio sia pronto e ben preparato per ogni opera buona. 4 'Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno:

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2annunzia la parola, insisti a tempo e fuori tempo, ammoni­ sci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. 3Verrà, infatti, un tempo in cui non si sopporterà più la sana dottrina ma, smaniosi di ascolto, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, 4distorceranno l ’ascolto dalla verità e lo rivolgeranno alle fa­ vole. 5Tu però vigila attentamente, sopporta le sofferenze, compi la tua opera di annunciatore del vangelo, adempì pienamente il tuo ministero. 6Quanto a me, sto per essere offerto in libagione ed è giunto il momento della mia partenza. 7Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. 8Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione. Nel corso della nostra P a r te p r im a . S e z io n e in tr o d u ttiv a abbiam o avuto modo di precisare e m otivare l ’unità di questa sezione bipartita (cfr qui pp. 38-42), la cui prim a parte, 2Tm 2,1 - 3,9, è incentrata sul personaggio di Timoteo, esortato da Paolo a formarsi servo fedele del Signore, pronto a soffrire in-per lui, m entre la se­ conda, 2Tm 3,10 - 4,8, orienta l ’attenzione direttam ente sulla esemplarità d ell’apo­ stolo Paolo, pronto a coronare il suo m inistero offrendosi quale vittim a sacrificale per la comunità. L’avvio della prim a parte è dato dalla ripresa del tem a - preannunziato in 2Tm 1,8 - della sequela nella sofferenza (2Tm 2,1-7). L’invito rivolto a Timoteo e, in lui, a tutti i m inistri che, su ll’esem pio di Paolo, vorranno porsi sulla sequela di Cristo, è m otivato teologicam ente con il richiam o d e ll’evento redentivo: « R i­ cordati di Gesù Cristo, risorto dai m orti [...] » e l ’evocazione d ell’inno: « Se con lui m oriam o, con lui anche vivrem o [...] » (2Tm 2,8-13). Le tre pericopi successi­ ve: 2Tm 2,14-21; 2,22-26; 3,1-9, costituiscono u n ’unica esortazione rivolta a Ti­ m oteo, com e constatato dalla triplice ripresa dei rispettivi avvìi, recanti al loro in­ terno l ’antitesi centrale: oppositori della verità e dispensatori della verità. La seconda parte connota un duplice sviluppo. Il prim o, 2Tm 3,10-17, è con­ traddistinto da un elogio di Tim oteo definito guida ideale perché discepolo fedele di Paolo, ancorato saldam ente alla fede e alla Scrittura. Ora, viene esortato perché vigili attentam ente, sopporti le sofferenze, com pia la sua opera di annunciatore del vangelo e adem pia il suo m inistero. Il secondo, 2Tm 4,1-8, riporta le ultim e vo­ lontà di Paolo, orm ai avviato verso il com pim ento della sua corsa e sfocia in un in­ no di speranza n e ll’im m inenza del ricongiungim ento definitivo con Cristo. N ella sopraccennata P a r te p r im a . S e z io n e in tr o d u ttiv a non abbiam o m ancato di rilevare l ’apporto che questa seconda parte dava a ll’unità strutturale della sezione. Tomia-

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m o a ribadirlo nel contesto d e ll’attuale «com m ento esegetico». A fronte della precedente antitesi tra dispensatori e oppositori della verità (2Tm 2,1 - 3,9), ora si evidenzia la sintonia e la com plem entarità dei due personaggi, Timoteo e Paolo (2Tm 3,10 - 4,8). Il prim o elogiato ed esortato ad adem piere il suo m inistero, in fe­ deltà al suo passato di credente e di discepolo; il secondo, esaltato quale Apostolo m odello che, giunto al com pim ento del suo m inistero, si dichiara pronto a entrare nel santuario celeste, m ediante l ’effusione del suo sangue, in unione a Cristo, p r o d r o m o s (precursore), unica, vera vittim a sacrificale. T im o te o s e r v o f e d e l e d e l S ig n o r e (2 T m 2 ,1 - 3 ,9 ). La nuova sezione letteraria, 2,1 - 3,9, aprendo la seconda parte della lettera - nella nostra visione strutturale: a ’ - , tom a a collocare al centro d ell’attenzione il personaggio di Timoteo, esortato da Paolo a formarsi servo fedele del Signore, pronto a soffrire in-per lui. U na prim a parte al suo interno, 2,1-13, affronta, pertanto, il tem a della sofferenza. L’esortazio­ ne riguarda, in prim a istanza, Timoteo (w . 1-7), ma, in realtà, essa va oltre il perso­ naggio storico di Timoteo, per toccare il vasto ambiente ecclesiale e, in particolare, tutti i ministri che si pongono alla sequela di Cristo, sulla scia della testim onianza di Paolo. L’ordine di Paolo è chiaro in tal senso: « Le cose che hai udito da me [...], trasm ettile a persone fidate, le quali a loro volta siano in grado di insegnare anche agli altri» (2,2). L’apertura a lla p a r a d o s is (tradizione) ne richiam a il fondamento, in 2,8-13, con la professione di fede: «R icordati di Gesù Cristo, risorto dai morti [ ...] » e l ’evocazione d e ll’inno: « S e con lui m oriam o, con lui anche vivrem o [...] ». U na seconda parte, 2,14 - 3,9, m ota attorno al tem a della verità, presentato in forma antitetica: di fronte a essa, alcuni si pongono come oppositori, altri, inve­ ce, come dispensatori. Com e nella precedente sezione, l ’esortazione è sorretta da un nuovo supporto teologico, con precisa valenza escatologica. [2,1-3] S e r v o n e lla s o ffe r e n z a ; fo n d a z i o n e c r is to lo g ic a (2 T m 2 ,1 -1 3 ). Il pas­ saggio da Paolo a Tim oteo è segnato da s y o u n che sottolinea l ’im m ediatezza del rapporto d e ll’A postolo con tutti i suoi successori, m a anche dai tre im perativi che, nei prim i tre versetti, si rivolgono a Tim oteo, p u r richiam ando il com porta­ m ento dello stesso Paolo: e n d y n a m o u («attingi fo rz a » ) , p a r a th o u («trasm etti»), s u g k a k o p a th é s o n (« soffri insiem e »). A essi corrispondono, in 2,4-6, tre esempi che delucidano il tem a centrale della sofferenza: il soldato, l ’atleta, il contadino. L’esortazione: « Attingi forza dalla grazia che è in Cristo Gesù » richiam a l ’at­ testazione paolina di 1Tm 1,12: «R endo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro », e la raccom andazione rivolta a Timoteo di ravvivare la gra­ zia di Dio che è in lui (cfr. 2Tm 1,6). Si tratta dunque della grazia inerente al suo compito m inisteriale. La qualificazione di tale grazia, quella che è « in Cristo G e­ sù», ripropone il grande tem a paolino d e ll’incorporazione in Cristo che rende par­ tecipi appunto della sua forza. N ella prospettiva del com pito di Timoteo, quello di annunziare il vangelo «potenza di Dio », l ’invito riguarda l ’adeguata preparazione alla lotta che lo attende, m a anche la rinnovata certezza di fede che egli non rim arrà solo in tale lotta, perché, assiem e a lui, agirà la forza di C risto1. Il secondo ordine: 1 Cfr. 2Cor 3,5-6; 12,9; Fil 4,13; 1Tm 1,12; 2Tm 4,17.

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«Trasmetti a persone fidate le cose udite da m e», simile a quello di 1Tm 1,18, pre­ senta il tem a centrale delle lettere in esame: il rapporto di fedeltà al vangelo quale presupposto di continuità della consegna della p a r a d o s is da Paolo ai suoi successo­ ri. Data la rilevanza d ell’esortazione, il contesto viene particolarmente solennizzato: l ’insegnamento dell’Apostolo è avvenuto «davanti a molti testim oni»; la trasmis­ sione - il verbo p a r a tith e n a i (affidare) è della stessa radice del termine p a r a th è k è (deposito) - deve essere fatta « a persone fidate, le quali siano in grado di insegnare anche ad altri ». Appare evidente la preoccupazione dell ’autore di creare le condizio­ ni migliori perché la successione si compia a ll’insegna della più pura ortodossia. La terza, decisiva consegna: « Soffri insiem e con m e» , riprende l ’invito di 2Tm 1,8 e com pleta il rapporto annunciatore-vangelo. La grazia che è in Cristo Gesù è la fonte cui attingere forza; la inalterabilità d e ll’annunzio è condizione in­ dispensabile per la fedeltà della sua trasm issione; la condivisione della sofferen­ za di Paolo, sulla stessa scia di quella di Cristo, è il segno della partecipazione piena a ll’opera redentiva. L’im m agine del soldato, affine a quella del « b u o n com battim ento » e alle m etafore paoline prese dalla vita m ilitare2, è evocata per sottolineare l ’im pegno esem plare che deve caratterizzare ogni credente, e qui particolarm ente il capo della com unità. [w . 4-6] I tre esempi, che insistono sul tem a d e ll’im pegno, sono tratti dalla vita del soldato, del lottatore e del contadino. Il m odello di riferim ento è il testo paolino di 1Cor 9,7.10.24: « Chi m ai presta servizio m ilitare a proprie spese? Chi pianta una vigna senza m angiarne il frutto? [...] Colui che ara deve arare nella speranza di avere la sua parte, com e il trebbiatore trebbiare nella stessa speranza [...]. N on sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, m a uno solo conquista il prem io? Correte anche voi in m odo da conquistarlo! Però ogni atleta è tem peran­ te in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incor­ ruttibile». La differenza tra 1Corinzi e le lettere pastorali è evidente: pur usando le stesse im m agini, 1Corinzi pone l ’accento sulla ricom pensa del lavoro, m entre le tre lettere in esame lo pongono su ll’im pegno. N e ll’im m agine del soldato, la centralità d e ll’im pegno com porta il non lasciarsi «prendere dalle faccende della vita com une» e l ’intento di «piacere a colui che l ’ha arruolato». È la necessità della rinunzia a tante cose che sottraggono tem po e attenzione al servizio da esple­ tare e alla tensione che lo deve anim are, costantem ente rivolta a Dio, sua unica fonte e culm ine. L’im pegno d e ll’atleta consiste nel lottare «secondo le regole», per poter ricevere il prem io. L’avverbio n o m im ó s - nota L. O berlinner3 - « sottolinea che la decisione presa una volta richiede l ’accettazione di tutte le condizioni connesse». Com e si constata, ricom pare l ’elem ento « p re m io » di 1Corinzi, m a con la differenza che l ’atleta ivi proposto è un corridore, im m agine più conform e allo stile parenetico del testo di 1Corinzi, m entre qui - conform em ente allo stile delle lettere pastorali - è un lottatore. Paolo non ignora quest’ultim a figura di atle­ ta, m a la usa, com e il presente testo di 2Tim oteo, in contesto kerigm atico, appun­ to di annunzio del vangelo. N elT im m agine del contadino, infine, l ’accento è p o ­ 2 Cfr. 1Tm 1,18; 6,12; 2Tm 4,7; Rm 6,13; 13,12; 2Cor 6,7; 10,3; E f 6,11-17. 3 L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li , voi. II, p. 112.

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sto sul « d u ro lav o ro » (to n k o p io n ta g e ó r g o n ) che, solo, gli consente di « ra cco ­ gliere i frutti della terra» . A nche qui, la speranza del contadino accosta il nostro testo a 1C orinzi, m a la particolare attenzione posta sulla fatica e sul prim ato nel­ la raccolta dei frutti - « d e v ’essere il prim o a racco g liere» - lascia intuire la ri­ flessione di una com unità che tende a riconoscere i « b u o n i servizi » a essa resi. [v. 7] Sorprende la conclusione della sezione con l ’apertura a u n ’intelligen­ za spirituale d e ll’insegnam ento di Paolo, affidata personalm ente a Timoteo. D ue term ini la qualificano: l ’im perativo n o e i (« cerca di capire »), che sottolinea la di­ sponibilità d e ll’intelletto um ano, benedetta dal Signore, che accoglie tale apertu­ ra, arricchendola con il dono della s y n e s is , « co m p ren sio n e» d a ll’alto, che con­ sente il retto discernim ento della volontà divina. U n insegnam ento che, riferito al m inistero di guida della com unità, esprim e la consapevolezza che il lavorio per­ sonale di com prensione della fede, m osso dallo Spirito che guida alla verità tutta intera (cfr. Gv 16,13), condurrà ciascuno verso una retta decisione. Im plicito il ri­ ferim ento a ll’idea paolina d e ll’« u o m o spirituale che giudica ogni co sa » (1C or 2,15), perché si lascia condurre dallo Spirito che « scru ta ogni cosa, fino alle profondità di D io » (1C or 2,10). [v. 8] Al centro della sezione di 2Tm 2,1 - 3,9, si colloca la c o n fe s s io f i d e i di 2,8-13, dalla precisa connotazione cristologica, com posta di elem enti stereotipi at­ tinti alla tradizione e riform ulati nel linguaggio paolino, sulla base di Rm 1,3-4. L’im perativo m n é m o n e u e (« rico rd ati» ) si collega al precedente invito a capi­ re la fede per ottenere il dono della com prensione del volere divino. Oggetto del ri­ cordo è, com e in Rom ani m a in ordine inverso, la risurrezione dai morti di Gesù Cristo e la sua discendenza davidica, che poi è il contenuto stesso del vangelo pre­ dicato da Paolo. La risurrezione di Cristo è dunque al cuore della professione di fe­ de delle com unità situate nella tradizione paolina, con il probabile intento di con­ trobilanciare la posizione eretica dei falsi dottori proprio sulla risurrezione (cfr. 2Tm 2,18). Il riferim ento alla discendenza davidica pone l ’accento sull’incarnazio­ ne, accostando, così, il Risorto con la identità storica di Gesù. Infine, l ’espressione «secondo il m io vangelo» sottolinea l ’intento delle tre lettere: la c o n fe s s io f i d e i della tradizione deve essere veicolata dalla tradizione paolina; il « vangelo di Cri­ sto » am plia l ’orizzonte della sua norm atività, inglobando, m eglio, trasform andosi in « vangelo di Paolo », perché affidatogli da Dio, che lo ha posto proprio per la sua proclam azione quale araldo, apostolo e maestro. [v. 9] Il m odello di Paolo delineato d a ll’appropriazione del term ine chiave «vangelo » si com pleta con la ripresa del tem a della sofferenza (cfr. 2Tm 1,6-14). L’A postolo è stato posto nella condizione del Servo sofferente, trattato com e m alfattore, costretto a sopportare ogni sorta di tribolazione, ora anche la prigio­ nia. M a proprio tale sofferenza accolta p er am ore del vangelo (en h d ) diventa se­ gno di idoneità a ll’annunzio e di autenticità del m essaggio. L’A postolo è così in­ serito nella dinam ica salvifica del com pim ento del volere divino. La seconda parte del v. 9 è u n ’im plicita risposta alla dom anda che le com unità paoline si po­ nevano - probabilm ente in base a ll’esperienza di tribolazione da esse vissuta in quel m om ento - sul destino di opposizione, di persecuzione, riservato a Paolo e ai suoi successori, che pure avevano ricevuto l ’affidam ento del vangelo. La ri­

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sposta reca l ’im pronta della fede operosa e della speranza perseverante: « La pa­ rola di Dio non è incatenata». Im plicitam ente, ciò esprim e la consapevolezza che il vangelo è « parola di Dio » e, contem poraneam ente, la certezza profetica che essa non può essere né ferm ata né resa inefficace, perché com pirà com unque la sua corsa, in sovrana libertà, non ritornando a colui donde era uscita senza aver tutto rinnovato (cfr. Is 55,11). [v.10] L’identificazione di Paolo con Cristo, m otivata dalla necessità di con­ tinuare la sua opera di salvezza m ediante l ’annunzio-testim onianza del vangelo, raggiunge ora il m assim o di espressività. C om e Cristo è dovuto passare attraver­ so la sofferenza e la m orte per salvare l ’um anità, così anche l ’A postolo è chiam a­ to ad accettare che, in lui, Cristo viva il suo m istero salvifico di m orte e risurre­ zione (cfr. 2C or 1,5-6; 4,10-12). A ncora una volta, si è dinanzi alla ripresa del più genuino pensiero di Paolo, per il quale vivere è Cristo, che prolunga in lui la sua stessa sofferenza salvifica (cfr. Gal 2,20). C onseguentem ente, se il prigioniero di Cristo non può predicare, sarà la Parola ad agire autonom am ente, attraverso le sue sofferenze. C on questo spirito, già m anifestato in Fil 2,17, l ’A postolo sop­ porta con la pazienza e la costanza di Cristo ogni p r o v a (p a n ia h y p o m e n e i) 4. 1 de­ stinatari di questa predicazione autonom a e autenticam ente e r is tic a della Parola, sono gli e k le k to i , « eletti », cioè - secondo il linguaggio paolino - tutti i cristiani, am ati da Dio fin dall ’eternità e da lui chiam ati a essere salvi in Cristo. Il tem a del­ la gloria, evocato d a ll’im m agine del « salv ato re » , apre l ’orizzonte escatologico della salvezza. C on ciò, la speranza si rivela quale risvolto necessario della fede di chiunque è costretto a vivere il m om ento della prova, com e Paolo prigioniero e, prim a ancora, com e Cristo nel m om ento del suo p e ir a s m o s . M a è anche la ve­ ra forza interiore che sorregge la lotta del soldato e d e ll’atleta, e la fatica e l ’atte­ sa del contadino (cfr. 2Tm 2,1-4). [vv. 11-13] Il carattere tradizionale di questi versetti è comunemente ammesso dagli studiosi, che vi riconoscono le tracce di un antico inno cristologico, in forma di confessione, sulla identità battesimale del cristiano5. La divisione in stichi presentata è quella proposta da Nestle-Aland (N o vu m T esta m en tu m g r a e c e e t la tin e). L’elemen­ to di aggancio per l ’inserimento del brano è dato dai temi congiunti: e u a g g e lio n (vangelo), h y p o m o n é (costanza) e só tè ria (salvezza), mentre la rilevanza delle for­ mulazioni è rimarcata dalla solenne introduzione, tipica delle lettere pastorali: p is to s h o lo g o s (« È vero il detto »). Nota C. Spicq6 che il testo citato è strutturato secondo uno schema parallelo, scandito dal ritmo binario delle proposizioni, dalla assonanza dei verbi e dalla esatta corrispondenza tra la protasi, che inizia sempre con la particella condizionale ex seguita dall’indicativo, e l ’apodosi, contrassegnata dal futuro. La prim a proposizione affronta il tem a soteriologico centrale della con-m orte, con-vita: « Se con lui m oriam o, con lui anche vivrem o ». La vita cristiana è, appunto, partecipazione alla m orte e risurrezione di Cristo Signore. Il verbo s y -

4 Cfr. il grande tema paolino della h y p o m o n é in Rm 12,12; 1Cor 13,7, eccetera. 5 Sulla forma originale del testo e sui diversi giudizi sul suo aspetto critico-formale, cfr. G. Lohfìnk, D ie V erm ittlu n g d e s P a u lin ism u s zu d en P a s to r a lb r ie fe n , in B Z 32 (1988) 177-180. 6 C. Spicq, L e s é p î t r e s p a s to r a le s , vol. II, p. 748.

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n a p o th n é s k d , « con-m orire », richiam a la nota form ula battesim ale di Rm 6,8: e i d e a p e th a n o m e n s y n C h r is tó [...] k a i s y z é s o m e n a u to (« Se siam o m orti con C ri­

sto, crediam o che anche vivrem o con lui »). Il m edesim o verbo com pare nella di­ chiarazione di Pietro e dei Dodici: « Se anche dovessi m orire con te (s y n a p o th a n e in ), non ti rinnegherò. Lo stesso dicevano anche tutti gli altri» (M c 14,31). U n dittico che può essere stato alla base sia d e ll’inno sia dello sviluppo paolino di R m 6,8 (cfr. 1Cor 15,31; 2C or 4,10; 5,14). La seconda proposizione insiste sul tem a della h y p o m o n é : « Se con lui per­ severiam o, con lui anche regnerem o ». Con la presente form ulazione, la vita cri­ stiana è definita com e partecipazione alle sofferenze di Cristo, com e ferm ezza nella perseveranza, specialm ente durante le prove. Il Signore stesso aveva fatto della h y p o m o n é la condizione p er ottenere frutti e la stessa salvezza: « Il sem e ca­ duto sulla terra buona sono coloro che, dopo aver ascoltato la parola con cuore buono e perfetto, la custodiscono e producono frutto con la loro perseveranza ( en h y p o m o n é ) » (Lc 8,15); « C o n la vostra perseveranza (en té h y p o m o n é h y m ó n ) salverete le vostre an im e» (Lc 21,19). Paolo - com e rilevato sopra - sviluppa m olto questo tem a, accostando h y p o m o n é a ta p a th é m a ta to u C h r is to u (« le sof­ ferenze di Cristo ») e, conseguentem ente, interpretando alla luce della passione di Cristo le contraddizioni, le tentazioni, le debolezze del cristiano7. Il legam e tra la tribolazione cristiana e la glorificazione con Cristo è instaurato direttam ente dall ’onnipotenza di Dio, com e precisato da Paolo in Rm 8,17: s y m p a s c h o m e n b in a k a i s y n d o x a s th ó m e n (« Se veram ente partecipiam o alle sue sofferenze per parte­ cipare anche alla sua gloria»). Il preciso accostam ento del nostro testo con il re­ gno: « C o n lui anche regnerem o» sem bra essere determ inata dalle im plicanze battesim ali insise n e ll’inno tradizionale. Infatti, il battesim o è anticipazione del­ la vita escatologica, quando il cristiano sederà con Cristo sui troni della gloria, per giudicare le dodici tribù di Israele. E Paolo: « Q u elli che ricevono l ’abbon­ danza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per m ezzo del solo G esù C risto » (R m 5,17. Cfr. E f 2,6; Ap 20,4). La terza proposizione è quasi una citazione di M t 10,33 (cfr. Lc 12,9), una sorta di ripresa della tradizione dei lo g ia : « Se lo rinneghiam o, egli pure ci rinne­ gherà». In entram bi i casi, si tratta d e ll’apostasia del discepolo, che rom pe il rap­ porto con il suo Signore (cfr. Tt 1,16). La situazione storico-redazionale può estendersi oltre quella tradizionale del rinnegam ento di Gesù, per raggiungere an­ che il rifiuto del suo vangelo annunziato da Paolo e dai suoi successori. La quarta e ultim a proposizione, con i due verbi della protasi e d e ll’apodosi al presente, rom pe il ritm o d e ll’inno e anche il parallelism o stretto tra « n o i» e « lui », configurandosi com e sua conclusione, che oppone la fedeltà im m utabile di Cristo a ll’infedeltà del credente battezzato: « S e noi siam o infedeli, egli però rim ane fedele, perché non può rinnegare se stesso». La protasi: e i a p is to u m e n , non considera il caso di apostasia, né di perdita della fede, m a la sconfessione pratica della h o m o lo g ia che aveva segnato l ’inizio del cam m ino di fede nel m o­ m ento del battesim o. L’apodosi ribadisce l ’insegnam ento tradizionale sulla fe7 Cfr. 1Cor 4,8-13; 2Cor 13,4.

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deità im m utabile di Dio, che non può essere condizionata d a ll’infedeltà degli uo­ m ini, né può non portare a com pim ento le prom esse della sua m isericordia. La m otivazione è an ch ’essa conform e alla fede com une: « Dio non può sm entire se stesso ». La fedeltà è, infatti, attributo di Dio (cfr. M ie 7,18; Sal 89,6-7.9.15.29.3436.50); egli è la roccia stabile di Israele (cfr. D t 32,4); la parola che esce dalla sua bocca non ritorna a lui senza aver com piuto la sua m issione (cfr. Is 55,11). R ie­ cheggiano soprattutto i testi sulla fedeltà di D io a ll’alleanza (cfr., per tutti, D t 7.9) , m a anche quelli della riflessione paolina al riguardo (cfr., per tutti, R m 3.13) . [v. 14] R e tto d is p e n s a to r e d e lla v e r ità ; f o n d a z i o n e e s c a to lo g ic a (2 T m 2 ,1 4 3 .9 ) . N ella S e z io n e in tr o d u ttiv a al presente com m ento abbiam o presentato il le­ gam e che conferisce organicità a questa nuova sottounità letteraria, com posta da tre pericopi: 2Tm 2,14-21; 2,22-26; 3,1-9 (cfr. qui p. 40). U nica è, infatti, l ’esor­ tazione rivolta a Tim oteo in difesa della verità, articolata su u n ’antitesi centrale, che vede contrapposti due fronti, l ’uno di chi vi si oppone e l ’altro di chi se ne fa dispensatore. Il passaggio d a ll’uno a ll’altro fronte è im provviso e incisivo: « [Gli oppositori] sconvolgono la fede di alcuni. Tuttavia il solido fondam ento posto da Dio è stab ile» (2,18b-19); « E v ita le discussioni sciocche e da ignoranti, sapendo che provocano litigi. U n servo del Signore non d ev ’essere litigioso» (2,23-24a); « [Gli oppositori sono] gente che ha solo una parvenza di pietà, m a ne rifiuta la forza interiore. G uardati bene da costoro! » (3,5). Le tappe di sviluppo d e ll’esor­ tazione sono segnate da tre successivi avvìi contraddistinti da tre im perativi: « R i­ chiam a alla m em oria queste cose (ta n ta h y p o m im n e s k e ) » (2,14); « S ta ’ lontano (p h e u g e ) dalle passioni della g io v en tù » (2,22); « Sappi (to n to d e g in o s k e ) che ne­ gli ultim i tem pi [ ...] » (3,1). In 3,10, si ha un vero e proprio stacco tem atico: scom pare ogni riferim ento agli eretici, tranne un fugace accenno alla loro con­ danna finale, in 2Tm 3,13, e si com incia a elogiare la fedeltà di Timoteo: « Tu in­ vece (significativo il d e avversativo) m i hai seguito da vicino ». Quanto alla natura del contrasto, notavam o che l ’opposizione alla verità è descritta con caratteristiche note: «D iscussioni che non giovano a n u lla» (2Tm 2.14) , «chiacchiere v u o te» (2,16), «discussioni sciocche e da ignoranti» (2,23), «deviazione dalla v erità » (2,18), m a con l ’aggiunta di due nuovi elem enti: i no­ m i di due protagonisti, Im enèo e Filèto, e la precisazione di un particolare aspet­ to del loro insegnam ento: essi sostengono che « la risurrezione è già avvenuta». Parim enti innovativa appare la prospettiva escatologica nella quale è collocato tale rifiuto della verità. Interpretato, biblicam ente, nella prospettiva della recru­ descenza del m ale negli ultim i tem pi, viene descritto con una lista di vizi che sem bra ricalcare gli elenchi affini di m atrice ellenistica e giudaica, noti n e ll’am ­ biente delle lettere pastorali. N on si m anca, infine, di ricordare che la fine verso cui tali oppositori della verità sono incam m inati è la condanna eterna. Si citano, a tale scopo, due esem pi, ancora una volta attinti dalla Scrittura: Iannes e Iambres, gli oppositori di M ose. O sservavam o, inoltre, che la d id a s k a lia è presentata com e « Parola di ve­ rità» (2Tm 2,15) e con im m agini m etaforiche prese d a ll’edilizia: « Il solido fon­ dam ento posto da Dio » e recanti com e sigillo: « Il Signore conosce quelli che so­

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no suoi », e: « Si allontani d a ll’ingiustizia chi invoca il nom e del Signore » (2,1920), o d a ll’attività artigianale: « C h i si m anterrà puro [...] sarà com e un utensile nob ile» (2,21). In tale contesto, Tim oteo è invitato a dim ostrarsi fedele difenso­ re della sana dottrina, opponendosi ai falsi dottori, nella speranza che essi giun­ gano a conversione, proponendosi a tutti com e esem pio di giustizia, fede, carità, costanza, m itezza, m a soprattutto im ponendosi con l ’autorevolezza del suo inse­ gnam ento. N otavam o, infine, che il linguaggio di questa nuova esortazione reca l ’im ­ pronta della tradizione biblica e cristiana alla quale l ’autore attinge am piam ente, e di cui sono espressione le num erose form ule ispirate sia a ll’Antico Testamento, sia al patrim onio battesim ale della C hiesa nascente. Il ta u ta iniziale collega la nuova trattazione con la precedente, della quale appare un prolungam ento, con l ’intento di applicare l ’insegnam ento al vissuto concreto della com unità, che de­ ve affrontare il grave problem a della h e te r o d id a s k a lia . L’esortazione apre con l ’invito a « ricordare », qui presente per la sesta volta8, prerogativa peculiare del­ la guida che deve inserire la com unità nel solco degli insegnam enti della tradizio­ ne. La form ulazione della richiesta fatta a Tim oteo som iglia a un giuram ento so­ lenne: d ia m a r ty r o m e n o s e n ó p io n to u T h e o u («S congiurandoli davanti a D io»). L’oggetto è dato dalle controversie dottrinali suscitate dai falsi dottori e nelle quali non devono lasciarsi trascinare né Tim oteo né altri responsabili. Il term ine lo g o m a c h ia qualifica tali controversie com e « discussioni che non giovano a nul­ la », m a non per questo sono m eno pericolose. Infatti, esse rischiano di fuorviare gli ascoltatori, conducendoli alla rovina. A ppare evidente, in base a sim ile pesan­ te rischio insito nelle lo g o m a c h ia i, che le discussioni dovevano riguardare aspet­ ti centrali della fede, o alm eno com portam enti deviati tratti da principi di fede m al posti, il cui risultato era l ’incrinam ento della stabilità della « ca sa di D io». Infatti, queste polem iche, non solo sono prive di qualche validità per la com unità - precisa L. O berlinner9 - , m a hanno il solo risultato di ingenerare insicurezza, ciò che non va certo nel senso del consolidam ento e d e ll’edificazione della fede (cfr. 1Tm 1,3-5; 6,3-5; 2Tm 2,23; Tt 3,9). [v. 15] La presentazione positiva di colui che è preposto alla guida della co­ m unità contrasta con la precedente descrizione d e ll’eresia e con il quadro, anc h ’esso negativo, che sarà delineato nei versetti successivi. Si delinea la figura ideale del responsabile e del suo com pito. Il prim o tratto è, significativam ente, non l ’insegnam ento m a il com portam ento, e questo stesso non lim itato al solo com pito istituzionale m a coinvolgente la globalità della vita, integra ed esem pla­ re. L’uso d e ll’aggettivo d o k im o s (provato) richiam a l ’uso paolino (cfr. 2C or 10,18; R m 16,10), in cui la « p ro v a di sé » , fornita d a ll’A postolo nel corso della sua attività, viene ora ripresa e applicata alla fedeltà della sua trasm issione. Di detta prova si dice, inoltre, che, p er essere autentica, deve recare sem pre l ’im ­ pronta d e ll’opera di Dio, che « p ro v a » m ediante la sofferenza com e si prova al fuoco la genuinità del m etallo prezioso. Solo così Tim oteo potrà presentarsi dolci 8 Cfr. 1,3.4.5.6; 2,8. 9 L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li , voi. II, p. 143.

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m o s (« davanti a Dio »). Il secondo tratto è definito dalla ricom parsa del tem a del­ la « n o n vergogna» ( a n e p a is c h y n to s ) , recante con sé gli elem enti che l ’avevano

precedentem ente contrassegnato: la sopportazione della sofferenza e la fiducia in Dio. L’espressione e r g a té s a n e p a is c h y n to s («lavoratore che non ha da vergo­ gnarsi ») riguarda, pertanto, la testim onianza da rendere, com e quella di Cristo e di Paolo in catene, m a ora particolarm ente riferita al « lavoratore » della vigna del Signore, che proclam a il vangelo con la vita e che serve la com unità custodendo il « deposito » della fede. L’ultim o tratto (« retto dispensatore della parola di ve­ rità» ) com porta una sfum atura di rilievo, insita nel verbo o r th o to m e d («tirare dritto »). Per un verso, reca l ’invito a non lasciarsi ferm are dalla lo g o m a c h ia , per l ’altro verso, esorta alla coerenza di una testim onianza alla verità senza riserve e senza tentennam enti. [v. 16] L’aggancio con la lo g o m a c h ia di 2T m 2,14 avviene con la com parsa della k e n o p h d n ia del v. 16, già presente in 1Tm 6,20, e con il m edesim o contra­ sto in rapporto al com pito affidato a Tim oteo. A nche qui, le k e n o p h o n ia i (« chiac­ chiere vuote ») non sono neutre parole senza senso, m a dottrine perverse il cui fi­ ne è l ’allontanam ento dalla verità di Dio, e quindi la perdita della religiosità (a s e b e ia ), esattam ente com e fine della lo g o m a c h ia era la rovina eterna. [w . 17-18] L’insistenza sul term ine lo g o s quale individuazione della radice vera d e ll’eresia, la definisce da sola com e distorsione del lo g o s té s a lé th e ia s , la « parola di verità » predicata da Tim oteo e, in ultim a analisi, della funzione rivelativo-salvifica dello stesso L o g o s di D io incarnato. L a parola di costoro, non ri­ velando Dio e la sua salvezza, può essere solo portatrice di m orte. Infatti, la sua propagazione è som igliante alla diffusione della « cancrena » in un corpo, a cui sottrae progressivam ente la vita. L’im m agine è in forte contrasto con la d id a s b a ­ lia che, nelle tre lettere, è costantem ente accom pagnata d a ll’aggettivo h y g ia in o u s a (sana). C ellule cancerogene di grande pericolosità sono Im enèo e Filèto. Il p ri­ m o è già m enzionato insiem e con un certo A lessandro in 1Tm 1,20, dove si dice che hanno fatto naufragio nella fede e sono stati consegnati a satana da Paolo; il secondo è ignoto. Sulla possibile rilevanza storica di questi e altri personaggi più o m eno noti delle lettere pastorali, com e sulla loro connotazione pseudepigrafica, ci siam o pronunziati in quel contesto. Più significativa è la chiarificazione della loro posizione dottrinale, em ergente dal v. 18. La « p a ro la » di queste persone, che ritengono la risurrezione già avvenuta, sovverte la verità della retta fede. C ol­ locata nel contesto dell ’im m agine della « cancrena » che si diffonde per m inare la « sanità» deH’organism o ecclesiale, questa eresia appare com e la vera origine del m ale. Sul possibile rapporto di questa eresia con l ’idea di salvezza per m ezzo della gnosi, com e su una possibile distorsione del pensiero paolino in m erito, ci siam o pronunziati nel corso d e ll’analisi introduttiva, alla quale rinviam o10. [vv. 19-21] L’espressione che apre il v. 19: h o m e n to i s te r e o s h e m e lio s to u T h e o u h e s té k e n (« Tuttavia, il solido fondam ento posto da Dio è stabile »), svela la vera natura della eresia serpeggiante a ll’interno della sua com unità e la porta10 Cfr. le a rg o m en ta z io n i in m erito di H. M erk el,

Le lettere pastorali, v o i.

II, pp. 1 5 0 -1 5 5 .

Le lettere pastorali, pp.

9 1 -9 2 ; L. O berlinner,

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Parte seconda. Traduzione e commento

ta della connessa vigilanza di chi deve garantirne il retto cam m ino. L’autore la in­ dividua in una errata visione ecclesiologia che attenterebbe al fondam ento stesso della « casa di D io ». A fronte di tale attentato, si ribadisce la incrollabile fiducia nella stabilità del fondam ento posto direttam ente da Dio. È un atto di fede nella Chiesa, « colonna e sostegno della v erità» (1Tm 3,15), m a è soprattutto atto di fe­ de in Dio, cui la C hiesa appartiene, e sulla cui forza e stabilità essa poggia. È il senso delle citazioni bibliche che contrassegnano il sigillo im presso in detto fon­ dam ento11. Le due citazioni recitano: « Il Signore conosce i su o i» e « Si allontani d a ll’iniquità chiunque invoca il nom e del Signore». La prim a è ripresa da N m 16,5. N el contrasto tra M ose e A ronne con Core e il suo gruppo, M ose dice: « D o­ m ani m attina il Signore farà conoscere chi è suo e chi è santo e se lo farà avvici­ nare: farà avvicinare a sé colui che egli avrà scelto ». L’attenzione posta sulla co­ n oscenza che D io ha dei suoi, e non viceversa, è chiaram ente p olem ica nei confronti di una um ana conoscenza di Dio. Inoltre, l ’appartenenza a Dio di colo­ ro che sono detti i « suoi » specifica, al tem po stesso, il vincolo com unionale che lega D io al suo popolo, e l ’identità stessa del popolo com e «proprietà di Dio [...], nazione san ta» (Es 19,5; cfr. 1Pt 2,9; A p 5,10). Evidente l ’arcaicità-tradizionalità della visione ecclesiologica soggiacente. L a seconda citazione sem bra essere una confluenza di diversi testi: Is 26,13; 52,11 ; L v 24,16. La a d ik ia (ingiu­ stizia), nel contesto antiereticale, indica genericam ente la vita e l ’insegnam ento dei falsi dottori. Per contrasto, l ’invocazione del nom e del K y r io s equivale ad ap­ partenenza alla d id a s k a lia insegnata dalla C hiesa e dai suoi ministri. La definizione di m e g a lé o ik ia («grande casa» ) riguarda la Chiesa nella sua dim ensione escatologica1112, e orienta verso tale prospettiva l ’insegnam ento, apren­ dosi al giudizio che « il padrone di casa» dovrà em ettere su ll’utilità degli utensili presenti al suo interno (cfr. 2,20) e, ancora di più, alla difficoltà che si preannun­ zia negli ultim i tem pi (cfr. 3,1). La m etafora della « casa » e del suo « padrone » de­ ve aver richiam ato l ’idea dei vasi e del vasaio (cfr. Sap 15,7; Is 29,16; 45,9). Pao­ lo stesso se ne è servito per illustrare l ’idea della libertà d ell’elezione divina (cfr. Rm 9,19-24). Il nostro autore la riprende per descrivere, attraverso la diversa na­ tura degli utensili, la m olteplice m inisterialità della Chiesa, e soprattutto per dare il suo am m onim ento: « C hi si m anterrà puro da queste cose, sarà com e un uten ­ sile nobile, santificato, utile al padrone di casa, pronto p er ogni opera buona » (v. 21). Il contrasto tra vasi e is tim é n (« p e r usi n o b ili» ) e vasi e is a tim ia n (« p e r usi um ili »), nel v. 20, aveva lasciato intuire il com pito del padrone-vasaio giudi­ ce. Nel v. 21 si precisa in base a quale criterio egli esprim erà il suo giudizio: e a n tis e k k a th a r e h e a u to n a p o to u tó n (« Se uno si m anterrà puro da questi »), cioè se ri­ fiuterà la dottrina degli eretici. Il riconoscim ento di « utensile nobile » è descritto

11 L. Oberlinner (L e le tte r e p a s to r a li , voi. II, pp. 156) si chiede che cosa possa significare il so­ stantivo s p h r a g is e, in base all’uso del verbo sp h r a g iz e in in 2Cor 1,22 e in E f 1,13 e 4,30, perviene alla conclusione che nel nostro passo vi è un riferimento al battesimo. 12 Così, L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li , voi. II, 158, che cita G. Holtz (D ie P a s to r a lb r ie fe [ThHK 13], Evangelische Verlaganstalt, Berlin 19803, p. 174), ma non portando avanti la nostra mo­ tivazione.

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con tre participi: h é g ia s m e n o n (santificato), e u c h r é s to n (« u tile [per il Signo­ re]» ), h é to im a s m e n o n (« p ro n to [per qualsiasi utilizzo b uono]»). Insiem e, dico­ no la totale appartenenza alla com unione ecclesiale e la convergenza a d u n u m della diversità degli utensili, m ediante il ritorno-conversione degli utensili e is a tim ia n nel com une orientam ento e is tim é n . C onform em ente al linguaggio delle tre lettere, 1’« utilizzo buono/1’opera b u o n a» diventerà il contrassegno operativo della « sanità» della dottrina e della « fed eltà» d e ll’insegnam ento. [2,22-26] Dopo l ’am m onizione contro gli eretici, ritorna il discorso diretto a Timoteo e la connessa delineazione della figura ideale del responsabile della com u­ nità. Gli im perativi presenti: p h e u g e (« s ta ’ lontano»), d id k e (« c e rc a » ), p a r a ito u («evita»), non lasciano dubbi su ll’autorevolezza del nuovo insegnamento. [v. 22] Il prim o ordine, « sta’ lontano », riguarda la presa di distanza dalle «passioni giovanili». Le e p ith y m ia i , alla luce del contesto antiereticale, sem bra­ no indicare gli atteggiam enti im prontati a veem enza e passionalità nel dibattito con gli eretici e, in genere, nella lotta contro le loro posizioni. Tali interventi in­ controllati del preposto alla com unità avrebbero recato danno alla sua im m agine e alla stessa causa che egli voleva servire. Q uesta interpretazione non esclude che il term ine n e d te r ik o s possa fare riferim ento alla reale giovane età di Tim oteo (cfr. 1Tm 4,12). Il secondo ordine pone sotto un unico im perativo un breve elenco di virtù: d id k e d e d ik a io s y n è n , p is tin , a g a p é n , e ir é n è n (« C erca la giustizia, la fede, l ’am ore e la pace »). L’elenco è sim ile a quello di 1Tm 6,11, m a la novità è costi­ tuita dalla m enzione della « pace », un term ine che solitam ente si incontra nei sa­ luti augurali. Il m otivo è da ritrovare nella particolare situazione di contrasto vis­ suto dalla com unità, che com prom ette la stabilità e l ’arm onia dei rapporti di carità. Significativam ente, la pace è l ’uitim o anello di una catena che parte dalla « g iu stiz ia » , c o n d itio nuova nella quale la grazia di D io ha posto il credente per passare al dono della « fede », che gli consente di rispondere a ll’iniziativa divina, e giungere a ll’« am ore », che è il risvolto operativo della stessa fede. L’espressio­ ne: «Insiem e con quelli che invocano il Signore con cuore sincero», per indica­ re i cristiani, riprende una form ula tradizionale (cfr. 1Cor 1,2; Rm 10,12-14; A t 9,14.21) e la attualizza, aggiungendovi quel requisito di « sincerità-purità» prim a indicato com e segno di appartenenza, nel particolare m om ento storico, alla co­ m unione ecclesiale. [w . 23-26] Il nuovo im perativo p a r a ito u (« e v ita » ) prende in considerazio­ ne com portam enti errati nei quali Tim oteo può incorrere preso dalla lotta contro gli avversari. È un elenco che potrebbe chiarire la portata delle «passioni giova­ nili » evocate sopra. A lla base c ’è la convinzione che non serve entrare nel dibat­ tito polem ico, sia perché il giudizio espresso su coloro che si sono allontanati dal­ la fede è chiaro e unanim e, sia soprattutto perché si ha fiducia nel cam m ino autonom o e lum inoso della verità. Tim oteo non deve contraddire l ’ideale del­ l ’uom o pio, com prom ettendo la stessa dottrina. Eviti, pertanto, di entrare nel tra­ nello delle z é té s e i (discussioni) degli eretici, che provocano litigi. Gli aggettivi m o r o s e a p a id e u to s (« assurdo e astruso ») qualificano tali discussioni com e pri­ ve di qualsiasi senso e valore, conseguentem ente l ’unico risultato cui pervengo­ no è la lite, la contesa, la divisione fra cristiani.

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Il v. 24 apre con un d e avversativo, che indica il ritorno al com portam ento positivo di Tim oteo. L’attributo di Tim oteo, d o u lo s K y r io u , oltre a sottolineare il particolare rapporto obbedienziale con D io che sceglie, indica in concreto la stra­ da da percorrere tracciata dal D eutero-Isaia e m ediata d a ll’uso cristologico, quel­ la m aestra del Servo m ite e silenzioso, appunto com e agnello pronto a essere im ­ m olato. Il prim o invito è che sia é p io s (m ite) con tutti, com e G esù-Servo lo è stato nel com pim ento della sua opera salvifica universale. Si associano la « capa­ cità di insegnare» (d id a k tik o s ) e la « to lle ran z a» (a n e x ik a k o s ), caratteristiche che denotano conoscenza approfondita della dottrina e capacità di sopportazione an­ che d e ll’ingiustizia, con la forza della pazienza. Il v. 25 stabilisce che com pito prim ario di colui che è posto al servizio del Si­ gnore è la conversione di coloro che si sono separati dalla com unità. Il preposto della com unità non deve m ai dim enticare di proporre costantem ente l ’im m agine del buon pastore che va in cerca della pecorella sm arrita. Trattandosi di persone che si sono allontanate dalla verità, egli deve fare di tutto perché essi riprendano il cam m ino che potrà ricondurli e is e p ig n ó s in a lé th e ia s («verso la conoscenza della verità»). E p ig n ó s is indica prim ieram ente non una conoscenza intellettuale, m a un atteggiam ento adeguato a ll’accoglienza del dono divino della verità, vei­ colato dalla tradizione della Chiesa. U n com pito che la guida deve svolgere e n p r a i l t è t i p a i d e u o n t a , « con una ripresa dolce », in grado di aprire il cuore a ll’azio­ ne di Dio, che solo può portare a buon esito tale com pito, operando la m e ta n o ia (conversione). L’uso del verbo p a i d e u ó sottolinea il necessario passaggio da una fede proclam ata a una fede vissuta e concretam ente convalidata d a ll’operosità d e ll’amore. Q uesta azione « p ed a g o g ic a» di ricupero è rivolta a persone definite a n tid ia tith e m e n o i (alla lettera, « che offrono resistenza »), che si oppongono alla verità non sottom ettendosi, com e « servi del Signore », alla verità consegnata da Dio a ll’autorità della sua Chiesa. Il v. 26 m ostra quanto sia difficile tale cam m ino di ritorno alla verità. Gli eretici sono stati resi schiavi dal diavolo, che li ha im prigionati nelle sue reti (cfr. 1Tm 3,7), e is to e k e in o u th e lé m a (« p er fare la sua volontà »). Con ciò, la contrap­ posizione dei due m ondi è com piuta. N on si tratta solo di avere posizioni diver­ se, né di seguire percorsi diversi verso l ’unica salvezza, bensì di appartenere a due opposte « v o lo n tà» : quella del D io vivo e vero, che rivela l ’unica verità sal­ vifica in Cristo, trasm essa dalla predicazione di Paolo e da tutti coloro che ne im i­ tano l ’esem pio; e quella del d ia b o lo s , « d iv isio n e » , che scom pagina l ’unità della com unità, dirottando dal retto cam m ino e attirando n e ll’am bito della sua m enzo­ gna prim ordiale quanti si lasciano sedurre da inutili e vane z é té s e is . [3,1-9] Il brano che adesso si apre e com pleta la sezione di 2Tm 2,14 - 3,9, ri­ propone, con m olta incisività, il to p o s com une ai « discorsi di addio ». L’Apostolo, nella im m inenza della sua morte, preannunzia per la fine dei tempi una ricrudescenza del m ale e, al tem po stesso, il trionfo di Dio. Lo scopo che l ’autore intende raggiungere è quello stesso insito nel linguaggio escatologico di Gesù: l ’invito alla vigilanza. L’esortazione si articola su due piani: il presente della situazione eccle­ siale e il futuro escatologico. Lo stacco è determ inato dalla prevalenza del tempo

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futuro nella prim a parte: e n s tè s o n ta i (« si presenteranno», v. 1); e s o n ta i («saran­ no », v. 2), seguito dal tem po presente nella seconda: e c h o n te s m o r p h d s in (« hanno una parvenza», v. 5); tén d y n a m in a u té s h è r n é m e n o i (« ne rifiutano la forza interio­ re », v. 5); h o i e n d y n o n te s (« si insinuano », v. 6); a ic h m a ld tiz o n te s (« circuiscono », v. 6); k a te p h th a r m e n o i to n n o u n («dalla mente corrotta», v. 8); a d o k im o ip e r i tèn p is tin (« non ha dato buona prova nella fede », v. 8). Il passaggio dal piano futuro al presente, avviene al v. 5, dove com pare un nuovo im perativo riguardante il presen­ te: a p o tr e p o u (« Guardati bene! »), parallelo a quello del versetto iniziale: to u to g in d s k e (« sappi »), proiettato, invece, verso il futuro. La descrizione del futuro avviene per m ezzo di un catalogo di vizi m olto denso (2Tm 3,2-4), che riprende l ’annunzio della grande apostasia degli ultim i tem pi tratteggiata in 1Tm 4,1-5. Con la differenza che, m entre in 1Tim oteo si fa­ ceva riferim ento a posizioni dottrinali criticate perché ereticali, nel nostro testo si prendono in considerazione com portam enti pratici del presente, ritenuti fuorvianti. Evidentem ente, i due piani sono considerati p iù nella loro correlazione te­ m atica che nella descrittività storica. Si tende, cioè, a denunziare la pericolosità per la fede della situazione attuale, facendo ricorso ai form ulari tradizionali sul­ l ’apostasia degli ultim i tem pi. Il collegam ento non è certo im m otivato, perché è vero che l ’ipocrisia delle deviazioni di oggi sarà sm ascherata dalla luce di verità di « q u el gio rn o » , com e è vero che tutti sarem o posti dinanzi al giudizio del F i­ glio d e ll’uom o. Tuttavia, dato che i due piani della crisi attuale della fede e del­ l ’apostasia escatologica sono strettam ente intrecciati fra loro, è im possibile defi­ nire con esattezza i contorni d e ll’eresia presente e di quella futura. N onostante tutto, la crisi presente e l ’apostasia escatologica rim angono fra loro distinte. N el contesto d e ll’analisi esegetica del brano parallelo di 1Timoteo, abbiam o rilevato la vicinanza con il discorso di addio di Paolo agli anziani di Efeso sulla spiaggia di M ileto (cfr. A t 20,17-35). U n confronto che si im pone anche per il no­ stro testo. [vv. 1-4] C onform em ente alla tradizione d e ll’apocalittica giudaica, gli ulti­ m i tem pi saranno tem pi difficili. L’aggettivo k a le p o s è presente solo qui e in M t 8,28, riferito ai due indem oniati geraseni. La « d iffic o ltà » di quei tem pi non vie­ ne precisata. Il seguito del brano non riprenderà l ’elem ento classico delle perse­ cuzioni che si abbatteranno su quanti avranno conservato la fed e13, preferendo in­ sistere sulla proliferazione del p eccato 14. Il brano 2Tm 3,2-4 riporta il catalogo di vizi accennato sopra. È il più lungo del N uovo Testam ento. M olto vicino a quello di Rm 1,29-31, dove si ritrovano quattro dei vizi qui presentati: a la z o n te s (vanitosi), h y p e r è p h a n o i (orgogliosi), g o n e u s in a p e ith e is (« ribelli ai genitori »), a s to r g o i (« senza am ore »). Sulla strut­ tura d e ll’elencazione, L. O berlinner15 nota che « la successione dei lem m i sem bra dettata soprattutto da m otivi di carattere linguistico, con coppie di term ini asso­

13 Mt 10,17-22; 24,9; Gv 15,20; 16,2. 14 Cfr. Mt 24,12; Lc 18,8; 2Ts 2,9-12; 2Pt 2,1-3; 1Gv 2,18-19; 4,1-3; Gd v. 18; Ap 12,9; 13,4; 19,20; 20,7-8. 15 L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li , voi. II, p. 185.

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nanti nel prefìsso o nella desinenza». E precisa in nota: « I due term ini iniziali, p h i la u to i e p h ila r g y r o i , fanno il paio con gli ultim i d u e , p h ilé d o n o i e p h ilo th e o v , in m ezzo c ’è una serie di sette vizi inizianti con a - interrotta unicam ente da d ia b o lo i ; seguono poi due lem m i con il prefisso p r ò - ».

Anche noi, come L. Oberlinner, siamo convinti che, data la dipendenza dai m o­ delli esistenti, il catalogo non debba essere esaminato nei particolari, bensì conside­ rato nella sua globalità, come unità autonoma, che ha il solo scopo di ammonire il let­ tore, con la prospettiva giudiziale degli ultimi tempi, mediante la descrizione dei mali che, nella prossimità di «quel giorno», irromperanno suH’umanità. Condividiamo, infine, il rilievo sulla contrapposizione esistente a ll’inizio e alla fine d ell’elenco, tra gli uomini p h ila u to i («am anti di sé / egoisti», v. 2) e quelli p h ilo th e o i («am anti di D io», v. 4). A nostro avviso, l ’autore biblico tom a a considerare, potenziato dalla prospettiva escatologica, il contrasto insuperabile tra « la volontà di D io», l ’unica portatrice di salvezza, e quella del « diavolo » e dei suoi adepti, che cercano di aprire loro strade autonome di salvezza puntando unicamente sulle risorse umane. [v. 5] Il passaggio dal futuro al tem po presente, consente a ll’autore di form u­ lare la sua accusa. Lo fa m irando al cuore d e ll’eresia. Gli eretici si ritengono pie­ nam ente credenti e fanno pubblica ostentazione di e u s e b e ia , segno distintivo del­ la vera fed e16. L’autore sm aschera la loro ipocrisia: la loro è solo una m o r p h ó s in e u s e b e ia s (« p arv en za di p ietà» ), perché in realtà essi ne «rifiutano la forza inte­ riore». Per com prendere il senso d e ll’espressione d y n a m is tè s e u s e b e ia s bisogna riandare al testo di 2Tm 1,7, dove Paolo ricordava a Tim oteo di aver ricevuto un p n e u m a d y n a m e o s (« S p irito di fortezza»). Il com portam ento esteriore del cre­ dente non ha valore se non è espressione del dinam ism o dello Spirito, e quindi « frutto dello Spirito » (cfr. Gal 5,22). C hiara è, inoltre, la consapevolezza di Pao­ lo su ll’identità dello Spirito com e am ore del Padre: « L ’am ore di D io è stato ri­ versato nei nostri cuori p er m ezzo dello Spirito santo che ci è stato donato » (Rm 5,5). Con la denunzia d e ll’ipocrisia, si tocca il centro del m essaggio di Gesù, du­ ro contro l ’ipocrisia di scribi e farisei (cfr. M t 23) e, in particolare, contro i falsi profeti che vengono in veste di pecore, m entre dentro sono lupi rapaci (cfr. M t 7,15; A t 20,29). A gire com e fanno i falsi dottori, che rom pono la com unione del­ la Chiesa, sem inando lite anziché pace e concordia, è rinnegare l ’essenza stessa del vangelo, com e d ’altronde tutta la tradizione profetica che insisteva sulla ve­ rità del culto a Dio, e porre ostacolo a ll’opera dello Spirito di Dio. L’ordine è dunque inequivocabile: to u to u s a p o tr e p o u («G uardati bene da costoro! »). Con chi pecca contro lo Spirito non si discute, ci si allontana, invece, con ferm ezza, appunto per evitare il contagio della « ca n cre n a» . [vv. 6-7] D opo aver sm ascherato l ’identità degli avversari dalla pietà solo apparente, perché non recante l ’im pronta dello Spirito, l ’autore può ora descrive­ re i frutti della loro ipocrisia. I vv. 6-7 —com e segnalato - forniscono notizie in­ teressanti sul com portam ento dei falsi dottori al tem po delle lettere pastorali. Pro­ prio perché contrassegnati d a ll’ipocrisia, evitano di pronunziarsi pubblicam ente nelle riunioni assem blear!, preferendo introdursi subdolam ente nelle case p er cir­ 16 Cfr. 1Tm 2,2; 3,16; 4,7; 6,3.11; Tt 1,1.

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cuire le persone più esposte al peccato perché fragili nella fede. Si fa particolare riferim ento a g y n a ik a r ia s e s d r e u m e n a h a m a r tia is (« donnette cariche di pecca­ ti» ), che, anziché lasciarsi «co n d u rre dallo S p irito » (cfr. Rm 8,14), si lasciano «trascinare da passioni di ogni g en ere» (a g o m e n a e p ith y m ia is p o ik ila is ) . Tali donne, m archiate dal peccato, prestano facile orecchio alla propaganda eterodossa, perché avide di novità, e quindi curiose, leggere, incostanti, incapaci di riflettere e soprattutto prive di quel presupposto di solidità-stabilità necessario alla ferm ezza della fede. Con sim ili caratteristiche non possono certo « giungere alla conoscenza della v erità» . L’espressione, polem icam ente antitetica al lim ita­ to ed equivoco percorso conoscitivo da loro seguito, indica, com e in 1Tm 2,4, Tt 1,1 e 2Tm 2,25, la stessa fede portatrice di salvezza. P er l ’ecclesiologia delle tre lettere - nota L. O berlinner17 - c ’è una sola via per giungere alla «conoscenza della verità» , l ’accettazione obbediente e senza riserve del vangelo proclam ato dal responsabile della com unità. L’attività di apprendim ento - m a n th a n d (im pa­ rare) - di queste donne coinvolgeva sia il loro m odo di pensare sia lo stesso loro com portam ento. Purtroppo, essendo esse gravate dai m olti peccati e dalle m olte bram osie, non erano disponibili a detta necessaria sottom issione, che le avrebbe trasform ate in discepole della verità, pronte a essere da essa « conosciute », cioè invase dal suo splendore e introdotte nel m ondo stesso di D io-verità. [w. 8-9] Completato il catalogo di vizi, la pericope riprende, in fase conclusi­ va, il tono m inatorio d ell’inizio. La prospettiva escatologica, per gli eretici, si apre ora al giudizio finale di condanna, inevitabile sbocco di u n ’esistenza segnata dal­ l ’empietà. Come in altre occasioni, l ’autore fa ricorso alla Scrittura per trovare le costanti dell’agire di Dio di fronte al com portamento degli uomini. Qui, il testo di riferimento è Es 7,8-13, dove si narra d ell’opposizione dei m aghi egiziani a Mosè. L’insegnamento appare con evidenza: come l ’iniziale successo di quella loro oppo­ sizione a M osè non potè garantire la definitiva vittoria contro l ’eletto di Dio, così l ’attuale opposizione degli eretici non potrà essere coronata da successo, anzi li con­ durrà alla rovina eterna. Quei maghi, rimasti innominati n e ll’Antico Testamento, ri­ cevettero nella successiva tradizione giudaica i nomi di Iannes e Iambres, come nel T argum d e llo P se u d o -G io n a ta e nel D o c u m e n to d i D a m a s c o 5,18-1918. Secondo la tradizione, i due sarebbero diventati i tipi dei falsi profeti. Costretti a riconoscere la superiorità di M osè, avrebbero finto di convertirsi al giudaismo, unendosi al popolo durante l ’uscita d all’Egitto. In diverse occasioni, in particolare n ell’episodio del vi­ tello d ’oro, avrebbero poi sobillato il popolo perché abbandonasse la fede nel Dio di Mosè. Come Iannes e Iambres, gli attuali oppositori della verità sono « gente dalla m ente corrotta» (cfr. 1Tm 6,5) e a d o k im o i («che non hanno dato prova nella fe­ d e » )19. Come abbiamo visto in 2Tm 2,15, solo il vero apostolo è d o k im o s , perché verificato direttamente da Dio, m ediante la prova del crogiolo.

17 L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li , vol. II, p. 193. 18 Attingiamo la notizia in P. Domier, L e s é p îtr e s p a s to r a le s , p. 227; cfr. anche C. Spicq, L e s é p îtr e s p a s to r a le s , vol. II, pp. 779-780. Certamente, 2Tm 3,8 è la testimonianza più antica dei due nomi in greco. 19 Per le ricorrenze del termine a d o k im o s, cfr. Rm 1,28; 1Cor 9,27; 2Cor 13,5; Tt 1,16.

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Il versetto 3, 9 è un invito alla speranza, rivolto a quanti sono turbati dagli at­ tacchi d e ll’eresia e dal suo apparente successo, e che rischiano di vacillare nella fede: « N o n andranno m olto lontano, perché la loro stoltezza sarà m anifesta a tut­ ti ». Il loro progresso sarà di breve durata. L’eresia non prevarrà mai sulla retta fe­ de. N el m om ento dello svelam ento finale, gli oppositori della verità si m anifeste­ ranno in tutta la loro a n o ia (stoltezza) - com e è accaduto per Iannes e Iam bres - , e andranno incontro alla condanna eterna, m entre la vera e u s e b e ia apparirà nella luce della verità proveniente da D io e apportatrice di salvezza. P a o lo a lla f i n e d e lla c o r s a ( 2 T m 3 ,1 0 - 4 ,8 ). In contrapposizione alla figura negativa d e ll’eretico, tom a a ergersi, in un ultim o m ovim ento stm tturale, 2Tm 3,10-17 (b ’) speculare al m ovim ento di 2Tm 1,15-18 (b), il m odello d e ll’A posto­ lo fedele (cfr. qui p. 42). Paolo dom ina ora la scena. A nch’egli si apre alla prospet­ tiva escatologica e sente im m inente la sua fine. Con una disposizione d ’anim o pie­ nam ente fiduciosa nel Signore, egli si dichiara pronto a coronare il suo ministero, offrendosi quale vittim a sacrificale per la com unità. Le battute conclusive del suo « discorso di addio » non possono, tuttavia, ignorare il passaggio di consegne a Ti­ m oteo, del quale attesta autorevolm ente la fedeltà nel servizio alla Parola e ai suoi insegnam enti, ora esortato a portare a com pim ento l ’opera intrapresa. La seconda sottounità letteraria risulta, pertanto, com posta da due parti. La prim a, 2Tm 3,10-17, è un elogio di Tim oteo. Si tratta - com e si accennava poco prim a - di una solenne testim onianza della sua fedeltà connessa a ll’invito a vigi­ lare attentam ente e ad accogliere la sofferenza in unione a Cristo salvatore, per aiutare la corsa del vangelo. La seconda, 4,1-8, riporta le ultim e volontà di Paolo e il suo inno di speranza n e ll’im m inenza del suo ricongiungim ento definitivo con Cristo. Le due parti si intersecano fra loro, evidenziando la profonda sintonia e com plem entarità che lega i due personaggi, Tim oteo e Paolo, considerati nella prospettiva della com une m inisterialità. Essendo quasi im possibile staccarle net­ tam ente, abbiam o preferito trattarle L una dopo l ’altra, non per separarle, m a uni­ cam ente per far risuonare le diverse tonalità della com une armonia. [3,10-11] M a e s tr o d i T im o te o e te s tim o n e d e l s u o le g a m e c o n le s a c r e S c r it­ tu r e (3 ,1 0 -1 7 ). L’inizio della presente parte letteraria con s y d e («Tu, invece»), non seguito da un im perativo m a da una descrizione elogiativa m olto dettagliata, è u n ’ulteriore conferm a del tipo di ortodossia proposto dalle lettere pastorali, co­ m e da noi già rilevato. N on c ’è purezza di fede senza legam e con la tradizione della C hiesa che, nella situazione particolare, assum e tutti gli aspetti della esem ­ plarità di Paolo apostolo. N e deriva che una guida che si pone sulla sua scia, non può non ricalcarne fedelm ente le orm e. Il verbo che qualifica detto rapporto è quello tipico della sequela: p a r a k o lo u th e d (« seguire da vicino »). Paolo, nelle sue lettere, non usa m ai a k o lo u th e o quando invita i credenti delle sue com unità a diventare suoi m im é ta i (« im ita to ri» ; cfr. 1Ts 1,6; 1Cor 4,16; 11,1; Fil 3,17). N ella tradizione evangelica, a k o lo u th e o è il verbo riservato alla particolare co­ m unione che si instaura tra il discepolo e C risto20. La proposta di « im itazione » 20 Cfr. Mc 1,18; 2,14; 6,1; 8,34; 15,41; Mt 8,19-22; Lc 9,57-62.

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fatta da Paolo è sem pre inclusiva, per sé e p er i suoi, del rapporto fondam entale con Cristo. L’elenco delle peculiarità della sequela, com e tutti gli elenchi incontrati, va esam inato unitariam ente, per cogliere l ’ideale di un discepolo successore, degno testim one e difensore della fede. C oncordiam o con Y. R edalié21 sulla suddivisio­ ne del testo in tre gruppi tripartiti, m a non sulla sua interpretazione. Egli distin­ gue, a ll’interno d e ll’elenco, una parte riguardante il rapporto Paolo-Tim oteo e u n ’altra riferita a tutti i cristiani. U na distinzione che non spiegherebbe la presen­ za d e ll’elenco m edesim o, che ha proprio lo scopo di tratteggiare il m odello del rapporto apostolo-discepolo, cioè Paolo-Tim oteo. La differenziazione fra i tre raggruppam enti è data unicam ente dalla variazione di prospettiva. Il prim o grup­ po (« insegnam ento, m odo di vivere, aspirazioni ») sottolinea la dim ensione apo­ stolica. Il secondo (« fede, m agnanim ità, carità ») evidenzia la dim ensione inte­ riore che anim a l ’apostolato. Il terzo (« co stan za, persecuzioni, sofferenze») fa em ergere la com ponente soteriologica della th lip s is , p er la quale ogni credente - e l ’A postolo per prim o - sa di «essere stato p o sto » (1Ts 3,3). In 3,1 lb , l ’elem ento t a p a th é m a ta (sofferenze) segna il passaggio a ll’evoca­ zione delle « tribolazioni » toccate personalm ente a lui (« com e quelle che m i ac­ caddero ad A ntiochia, a Iconio e a L istra»). I luoghi citati sono tappe em blem a­ tiche del prim o viaggio m issionario (cfr. A t 13,14 - 14,19), segnate dal prim o im patto di Paolo con la sofferenza per il vangelo: rifiuto da parte dei giudei, ad A ntiochia (cfr. A t 13,45-46); tentativo di lapidazione da parte dei gentili e dei giudei con i loro capi, a Iconio (cfr. A t 14,5); vera lapidazione a Listra, da parte di alcuni giudei giunti da A ntiochia e da Iconio, i quali avevano tratto dalla loro parte la folla (cfr. A t 14,19). La confessione conclusiva del v. 11: «Q u ali perse­ cuzioni ho sofferto! M a da tutte m i ha liberato il Signore! », sem bra evocare l ’in­ tensa riflessione biblica sulla passione del G iusto, notoriam ente a ll’origine della storia della passione di C risto Signore. A nche in questo caso, vale quanto detto sopra sul discepolato e sulla im itazione. N on deve m eravigliare l ’assenza del ri­ ferim ento esplicito alla passione di Cristo, sostituita dalla sofferenza d e ll’A po­ stolo nella persecuzione. Q uel m edesim o sfondo com une che servì a interpretare l ’evento salvifico d e ll’unico Servo sofferente di jh w h , serve ora a interpretare la sofferenza del suo fedele apostolo. N essuna sostituzione, né alcuna sovrapposi­ zione, m a solo prosecuzione sulla linea tracciata dal Signore, perché nessun di­ scepolo è superiore al suo m aestro, e com e hanno perseguitato lui, perseguiteran­ no anche i suoi discepoli (cfr. M t 10,16-25; G v 15,20). Il contesto soteriologico appartiene esclusivam ente al Servo, quello parenetico a ogni suo apostolo. [v. 12] L’esperienza personale di Paolo si trasform a in legge generale appli­ cabile a ogni cristiano: « Tutti quelli che vogliono vivere piam ente (e u s e b ó s ) in Cristo G esù saranno perseguitati ». È - com e notato sopra - un tem a classico del­ la predicazione evangelica fatto proprio da Paolo fin dalla sua prim a lettera (cfr. 1Ts 3,4) e ben sintetizzato in 1Pt 2,20-21: « Se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati 21 Y. Redalié, P a u l a p r è s P a u l , p. 330.

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chiam ati, poiché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne se­ guiate le orm e». L’espressione z è n e u s e b d s e n C h r is tò lè s o u è un esempio perfet­ to di incontro tra il linguaggio di Paolo e quello delle lettere pastorali. La form ula e n C h r is tò lè s o u assum e il senso forte im pressole da Paolo della incorporazione battesim ale alla sua m orte e alla sua risurrezione (cfr. R m 6,11.23), m entre l ’av­ verbio e u s e b d s richiam a il tem a della p i e t a s , tipico delle tre lettere e identificabi­ le con la fede. [v. 13] L’idea della persecuzione sofferta dai cristiani, pur soteriologicam ente m otivata, non esim e l ’autore dal riprendere il tono m inaccioso, già usato nella precedente sezione di 2T m 3,9, contro coloro che ne sono responsabili. D ue ag­ gettivi posti in apertura definiscono gli eretici: p o n è r o i (m alvagi) e g o è te s (im po­ stori). Il prim o indica una persona corrotta e fom entatrice di corruzione, appunto una cellula cancerogena che tende a diffondersi, il secondo sottolinea la capacità di ingannare seducendo, ed è in linea di continuità con i m aghi egiziani m enzio­ nati sopra. I due participi conclusivi, p la n ó n te s h a i p l a n ó m e n o i (« ingannatori e ingannati»), insistono non tanto s u ll’identità, quanto s u ll’attività da loro svolta, qui definita vana. Q uanto al possibile am biente che ha generato quest’ultim a for­ m ula, più che pensare a quello greco-ellenistico o a un « detto proverbiale »22, a noi sem bra di poterlo individuare n e ll’am pia riflessione sapienziale che conside­ ra l ’em pio vittim a della sua stessa em pietà: « Q uando mi assalgono i m alvagi per straziarm i la carne, sono essi, avversari e nem ici, a inciam pare e cadere » (Sal 27, 2). L’accostam ento si im pone anche in forza della com une im postazione antiteti­ ca, qui espressa dal v. 13, sia con ciò che precede: «Tu, invece [...]. Tutti quelli che vogliono vivere piam ente in C risto » (2Tm 3,10.12), e ancora di più con ciò che segue, nel v. 14: « Tu però rim ani saldo ». [vv. 14-15] In contrapposizione ai « m alvagi e im postori», contrassegnati d all’inganno, tom a a ergersi la figura di Timoteo, contraddistinta da tre verbi: m e n e in (« rim anere saldo »), m a n th a n e in (im parare), p is to u s th a i (« credere ferm a­ m ente »), che delineano il quadro ideale del personaggio quale ty p o s della guida ecclesiale. Il m e n e in dice ancoraggio al vangelo e al duplice filone della p a r a d o s is che lo ha condotto fino a lui, quello precedente a Paolo e quello che fa capo a lui. Il m a n th a n e in esprim e l ’inserim ento personale di Timoteo in quel m edesim o flusso vitale. Infine, il p is to u s th a i orienta sul rapporto Tim oteo-Cristo, vero ogget­ to del credere e unico m ediatore del dono salvifico. La constatazione conclusiva: « Sapendo bene da chi (lo) hai im parato », estende la « conoscenza » della fede all ’am bito vitale che ne ha consentito rim p ia n to e la crescita. In fondo, si insiste, ancora una volta, sul raccordo fede-tradizione, decisivo nella prospettiva soteriologica delle lettere pastorali. Tim oteo, diversam ente dagli eretici, è erede di una tradizione nella quale si radica la ferm ezza-certezza della sua fede. N e fanno par­ te m olte persone credenti, certo in prim o piano il suo apostolo e padre Paolo, m a

22 Cfr. Filone di Alessandria, citato da L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li , II, p. 212, nota 22, e, per il «detto proverbiale», M. Dibelius - H. Conzelmann, D ie P a s to r a lb r ie fe (HNT 13), J.C.B. Mohr, Tübingen 19664, p. 89; C. Spicq, L e s é p ìtr e s p a s to r a le s , voi. II, p. 784; R.J. Karris, The B a c k ­ g r o u n d a n d S ig n ific a n c e o f th e P o le m ic o f th e P a s to r a l E p is tle s , in J B L 92 ( 1973) 549-564.

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anche la nonna e la m adre e gli stessi fratelli cristiani di Listra (cfr. A t 16,1). Tut­ ti form ano quella assem blea di testim oni dinanzi ai quali Tim oteo ha fatto la sua bella professione di fede (cfr. 2Tm 2,2). 2Tm 3,15 aggiunge un nuovo tratto alla delineazione del personaggio tipo: la conoscenza della sacra Scrittura. L’espressione h ie r a g r a m m a ta («sacre Scrittu­ re ») è un h a p a x del N uovo Testamento, m a usata abitualm ente nel giudaism o elle­ nistico, per indicare gli scritti d e ll’Antico Testamento23. Con ciò, l ’orizzonte della tradizione cristiana evocata prim a si am plia considerevolm ente per abbracciare in unità tutta la rivelazione anticotestam entaria. Q uest’ultim a è, pertanto, considerata vincolante per la fede di tutti i cristiani, a m aggior ragione deve esserlo per la gui­ da della comunità. D ’altronde, non era l ’orizzonte norm ativo di Paolo e, prim a an­ cora, del Gesù della storia? L’aggiunta di a p o b r e p h o u s (« fin dalla giovinezza») presuppone l ’esistenza di una tradizione di fede già saldam ente ancorata nelle fa­ miglie, della quale era parte integrante, appunto, la « istruzione » delle sacre Scrit­ ture « m ediante la fede in Cristo ». Tutto ciò sem bra davvero troppo se si collocano le le tre lettere nell ’arco dell ’esistenza di Paolo. È quindi preferibile vedere nell ’ag­ giunta un indizio certo della loro natura pseudepigrafica. Il tem po del dopo Paolo può aver m aturato simili istanze e creato presupposti nuovi per il radicam ento e l ’ampliam ento della tradizione, facendone un requisito necessario per ricevere un incarico ufficiale di tanta importanza. Il testo parallelo di 1Tm 3,6, con l ’ordine di non scegliere neofiti per l ’ufficio di vescovo, si pone su questa m edesim a linea. O r­ mai la com unità si è consolidata, sia nei contenuti della fede, sia nelle condizione per la sua stabilità; i neofiti sono una realtà sotto gli occhi di tutti; l ’incertezza del loro cammino, appena iniziato, dissuade d all’affidam ento di quel compito, che ri­ chiede una fede m atura e una s ta b ilita s che solo la sofferenza « in Cristo » e la lot­ ta contro gli oppositori della verità sono in grado di garantire. 2Tm 3,15b apre uno sviluppo sul rapporto sacra Scrittura-fede. Intanto, si form ula un principio generale, che sarà poi ripreso e approfondito nei vv. 16-17: « Q ueste (le sacre Scritture) possono istruirti per la salvezza, che si ottiene m e­ diante la fede in Cristo G esù». Si com prende m eglio la precedente richiesta del­ la conoscenza delle sacre Scritture. La rivelazione divina fatta a Israele, finora l ’unica presentata dalla sacra Scrittura, viene riconsiderata alla luce del suo pie­ no com pim ento che è Cristo Gesù. Con ciò, i m a g n a lia D e i narrati in quella Scrit­ tura com e segni della protezione di Dio sul suo popolo e gli stessi doni salvifici da lui fatti, com e la P a r o la , la T o rà e la S o p h ia , raggiungono la pienezza di sen­ so salvifico solo nella loro convergente confluenza in Cristo, incarnazione della P a r o la e di ogni suo risvolto soteriologico, instauratore della nuova e definitiva alleanza con Dio, m ediante la sua offerta sacrificale sulla croce h y p e r h y m ó n (« p e r noi» ). In questo senso, la seconda parte della frase (« ch e si ottiene m e­ diante la fede in Cristo G esù ») illum ina davvero la prim a parte (« [le sacre Scrit­ ture] possono istruirti p er la salvezza »), in quanto si configura com e com pleta­ m ento, in senso cristiano, della fede giudaica nella rivelazione divina attestata d a ll’A ntico Testamento. 23 Cfr. C. Spicq, L e s é p îtr e s p a s to r a le s , vol. Il, p. 375, per i riferimenti.

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[3,16-17] M entre 2T m 3,15 aveva considerato la Scrittura in funzione esca­ tologica: « p e r la salvezza», 3,16 la considera in funzione d e ll’edificazione della com unità, com pito prim ario di colui che ne è responsabile. Il risultato è una rifor­ m ulazione del com pito apostolico alla luce della Scrittura. La globalità della m is­ sione è descritta con quattro sostantivi retti d a ll’aggettivo ó p h e lim o s seguito da p r o s . Al prim o posto è m enzionata la d id a s k a lia , com e nella descrizione del rap­ porto Paolo-Tim oteo, in 2Tm 3,10. Com pito prim ario della guida è dunque l ’in­ segnam ento della dottrina cristiana nutrita dalla conoscenza della Scrittura. N el­ lo sfondo, c ’è la prim a catechesi svolta dal R isorto a favore dei discepoli che si recavano da G erusalem m e a Em m aus, m a c ’è anche la peculiarità della stessa tra­ dizione evangelica, che esplicita il k a ta ta s g r a p h a s , « secondo le Scritture », del k é r y g m a (cfr. 1Cor 15,3-4). Tuttavia, il principio teologico soggiacente è quello che ha anim ato tutta l ’attività paolina, divenuto poi punto di avvio della tr a d itio che si rifa a lui: il vangelo, del quale egli è stato reso m inistro, è il com pim ento della Scrittura (cfr. R m 4,3-25; Gal 3,6-9; 4,22-31). I sostantivi seguenti proseguono, specificandola, l ’attività prim aria della d i­ d a s k a lia . Con i due term ini, e le g m o s (« p ersu asio n e» ) ed e p a n o r th o s is (« co rre­ zione »), la Scrittura viene considerata la fonte di una m e n s che deve perm eare globalm ente re siste n z a cristiana, illum inando il cam m ino di ogni credente, sia in situazione ordinaria, quando è esposto al rischio d e ll’abitudine, sia in situazione straordinaria, quando, sotto il peso di una prova o della persecuzione, può vacilla­ re la s ta b ilita s della sua stessa fede. Tuttavia, nel contesto storico delle lettere pa­ storali, i due sostantivi possono anche riferirsi ad argom entazioni atte a persuade­ re gli eretici della difform ità-lontananza « scritturistica » delle loro posizioni, rendendoli consapevoli, con opportune am m onizioni, della loro pericolosità in or­ dine alla salvezza. Un esempio concreto di detto uso della Scrittura è fornito dal te­ sto di 1Tm 4,3-5, dove si contesta il divieto del m atrim onio e l ’astensione di alcu­ ni cibi, imposti dagli eretici, sulla base del principio scritturistico: « Ogni cosa che è stata creata da Dio è buona e nulla va rifiutato» (cfr. Gn 1,31). Con l ’ultim a atti­ v i t à , / ? ^ p a id e ia n tén e n d ik a io s y n é (« p e r l ’educazione nella giustizia»), si sottolinea la necessità, insita nella natura stessa della Scrittura, di tradursi in vita vissu­ ta, conform e allo s ta tu s del credente, giustificato da Dio per Cristo Gesù. C om e si constata, non abbiam o voluto riprendere la v e x a ta q u a e s tio teologi­ ca suscitata d a ll’interpretazione dalla prim a parte del versetto 3,16: p a s a g r a p h é th e o p n e u s to s (« Tutta la Scrittura è ispirata da D io »), p er la quale rinviam o a trat­ tazioni esaurienti24.1 problem i più im portanti sono noti: il cam bio da h ie r a g r a m m a ta a g r a p h é ; la traduzione di p a s a g r a p h é ; la funzione gram m aticale d e ll’ag­ gettivo th e o p n e u s to s : attributo di g r a p h é o predicato assiem e a o p h e lim o s l La traduzione da noi proposta esprim e con chiarezza la nostra posizione. A bbiam o preferito m uoverci n e ll’am bito del contesto globale delle lettere in esam e, dal du­ plice punto di vista letterario e storico. In considerazione dei conflitti interni alla 24 Cfr. C. S p icq , Les épîtres pastorales , v o l. II, pp. 7 9 0 -7 9 6 ; H . M erk el, Le lettere pastorali , pp. 1 0 3 -1 0 5 ; P. D o m ier, Les épîtres pastorales , pp. 2 3 3 -2 3 5 ; L. O berlinner, Le lettere pastorali , v o l. II, pp. 2 1 8 -2 2 4 , c o n rela tiv a b ib lio g r a fia an n essa.

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com unità, diventava decisivo il riferim ento alla norm atività della Scrittura e di « tu tta la S crittu ra» , l ’unica che, in quel m om ento, recava questo titolo, cioè l ’A ntico Testam ento. D etta norm atività poggiava sulla consapevolezza che tutta la Scrittura era « ispirata da D io » e si traduceva nella insostituibile sua « utilità » per l ’edificazione della com unità, in tutte le tappe del suo radicarsi e del suo cre­ scere, dal prim o annunzio, alla catechesi, alla parenesi, fino alla contrapposizio­ ne polem ica contro coloro che si allontanavano dalla verità e cercavano di trasci­ nare altri nel loro traviam ento. [v. 17] Il v. 17 conclusivo di 2Tm 3: « L’uom o di D io sia pronto e ben prepa­ rato per ogni opera b u o n a» , proponendo l ’ideale del credente formato dalla Scrit­ tura, intende riferirsi in prim a istanza alla guida della com unità25, m a in realtà ri­ guarda ogni credente. Infatti, 1’« opera b u o n a» , p er la quale esso è dichiarato artios (« p ro n to » ) ed e x è r tis m e n o s (« b e n preparato»), è - com e più volte da noi rilevato - il contrassegno inequivocabile di ogni credente fedele alla d id a sk a lia . L’accento non è posto sulla diversità di ruoli, m a su ll’originalità ineguagliabile d ell’uom o m odellato dalla Scrittura. Proprio perché « ispirata da Dio », la Scrittu­ ra ha raggiunto in profondità la m e n s di colui che le si è dichiarato disponibile, consentendo allo Spirito di D io di plasm arla a suo piacim ento, appunto com e la creta in m ano a un vasaio (cfr. Is 45,9). Il risultato, com parabile a ll’identità della stessa Scrittura, « parola di D io in linguaggio um ano », è quello dell ’uom o « pron­ to » secondo il piano divino, e perciò definito: h o to u T h e o u a n th r ò p o s (« uom o di D io»), « b en preparato» per sintonizzarsi con l ’opera dello Spirito di Dio e com ­ piere, sotto la sua ispirazione, « o g n i opera buona». Trasparente il rinvio a ll’uni­ co, vero m odello di riferim ento: l ’uom o perfetto, Cristo Gesù, «uom o nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità v era» (E f 4, 23). L’ideale del­ l ’uom o credente proposto da 2Tim oteo è singolarm ente vicino a quello delineato da Gc 1,4, anch’esso risultante da una fede provata nel crogiolo della sofferenza e testim oniata dalle opere: « L a prova della vostra fede (to d o k im io n tè s p is te d s ) produce la pazienza. E la pazienza com pleti l ’opera sua in voi, perché siate perfet­ ti e integri (te le io i k a i o lo k lè r o i ), senza m ancare di nulla».

[4,1] I l c o m m ia to d i P a o lo g ià o ffe r to in lib a g io n e (2 T m 4 ,1 -8 ). La lettera di addio raggiunge, in questa parte, il suo culm ine. L’apostolo Paolo, nella im m inen­ za della sua m orte, dà le sue ultim e istruzioni al carissim o figlio Timoteo. La com ­ posizione, non proponendo elem enti di novità, appare com e una sintesi di tutto lo scritto. In tal senso, diventano suggestive le concordanze con il parallelo discorso di addio rivolto da Paolo agli anziani di Efeso, sulla spiaggia di M ileto (cfr. At 20,17-35). I versetti di introduzione (2Tm 4,1) e di conclusione (2Tm 4,8), con il richiam o della venuta di Cristo giudice, inquadrano la pericope. Il tem a del giudi­ zio conferisce autorevolezza alle parole d e ll’A postolo, sia riferite alla sua morte imminente, sia riferite ai com piti affidati al suo successore. La funzione di Cristo giudice, evocata in 2Tm 4,1 con il verbo k r in d , non è affatto frequente nelle lette­ re pastorali. È un indizio che l ’aspetto escatologico della fede cristiana, pur con­ 25 È Topinione di L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li , voi. II, p. 222.

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servando la sua indubbia im portanza, ha perso la forte connotazione iniziale, se­ gnata da una tensione che talvolta diventava spasm odica, per assum ere una più ordinaria configurazione teologico-parenetica. O rm ai, l ’interesse prim ario ri­ guarda il presente, segnato dalla « ep ifan ia» di G esù C risto salvatore e dal regno da lui inaugurato. Così, l ’A postolo « scongiura» Tim oteo « p e r la sua e p ip h a n e ia e per la sua b a s ile ia » (2Tm 4,1). Certo, e p ip h a n e ia e b a s ile ia conservano una di­ m ensione futura, m a l ’accento è sul presente di entram be le realtà apparse con la venuta di Cristo. Il problem a centrale rim ane com e com portarsi nella casa di Dio, ognuno con il com pito a lui affidato. [v. 2] Interviene subito la specificazione del com pito di Timoteo. R icom ­ paiono gli im perativi più volte incontrati, dando vita a un elenco riassuntivo che vede al prim o posto, com e sem pre, 1’« annunzio della parola». Il verbo usato: k e r y s s ó , com pare solo qui nelle tre lettere in esam e, ed è il verbo d e ll’attività m is­ sionaria d e ll’apostolo Paolo, indicativo del prim o annunzio della fede, appunto il k é r y g m a . Il verbo successivo, e p h is ta n a i (intervenire), è un invito a restare sem ­ pre sulla breccia, non solo p er predicare m a anche p er com piere tutti gli obblighi connessi con il com pito di guida della com unità. C ollocato nella prospettiva escatologica iniziale, in base alla quale il tem po si è fatto breve, l ’intervento di Timoteo deve essere tem pestivo e continuo, superando le valutazioni di opportu­ nità / non opportunità. L’ultim a triade di imperativi: e le g x o n , e p itim è s o n ,p a r a k a le s o n (« am m onisci, rim provera, esorta »), com pleta la portata dei prim i due, esten­ dendo l ’intervento agli avversari e ai cristiani che, con o senza il loro influsso, hanno bisogno di essere da lui sostenuti nella loro fede vacillante. Perché il risul­ tato di tale delicato intervento sia positivo, Tim oteo deve avere grande pazienza e m agnanim ità ( m a k r o th y m ia ) , m a anche solidità di dottrina (d id a c h é ). [vv. 3-4] L’uso dei verbi di am m onizione e di rim provero ha richiam ato alla m ente d e ll’autore la com parsa del m ale negli ultim i tem pi. A nche qui, il tem a d e ll’escatologia viene ripreso in funzione parenetica e considerato n e ll’anticipa­ zione al m om ento presente. In effetti, la descrizione, com e quella della pericope di 2Tm 3,1-9, attinta alle tradizioni giudaico-apocalittiche filtrate d a ll’escatolo­ gia cristiana, corrisponde alla situazione attuale della com unità. La sintesi evoca­ tiva del brano citato appare con chiarezza nella presente form ulazione, dove la h y g ia in o u s a d id a s k a lia (« sa n a d ottrina»), insegnata da Tim oteo e attentam ente ascoltata dai credenti, è contrapposta ai m y to i, « favole » propagandate da m aestri « secondo le proprie voglie », dei quali tanti si circonderanno, perdendosi dietro a un ascolto vano e lontano dalla verità. [v. 5] L’ultim a raccom andazione a Timoteo e ai credenti è segnata da una nuo­ va lista di imperativi, introdotti da s y d e («Tu, però»), dove l ’avversativa d e è già invito a prendere le distanze dai precedenti falsi maestri: n è p h e («vigila attenta­ mente »), k a k o p a th è s o n (« sopporta »), e rg o n p o ié s o n e u a g g e lis to u (« compi la tua opera di annunciatore del vangelo »), d ia k o n ia n s o u p lè r o p h o r é s o n (« adempì pie­ nam ente il tuo m inistero»). L’aspetto della «attenta vigilanza» emerge in antitesi con le divagazioni dottrinali degli eretici, diventando, così, proposta di essenzialità dei contenuti della fede. La «pazienza nella sofferenza» ripropone un aspetto cen­ trale d ell’insegnam ento delle lettere pastorali, con tutta la ricchezza del suo oriz­

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zonte cristologico e apostolico. Il com pito di « annunciatore del vangelo » non vuo­ le indicare un particolare m inistero dai contorni ben precisi, m a richiamare ra ttivita evangelizzatrice di Timoteo m odellata su quella di Paolo, ed espressa prim a con il verbo keryssd (v. 2) e ora con un sostantivo derivante dal suo sinonimo: euaggelizomai. L’ultim o im perativo («adem pì pienam ente il tuo m inistero») è un rias­ sunto dei precedenti im perativi e la vera conclusione della com ponente parenetica insita nel « discorso di addio ». Orm ai, c ’è posto solo per la presentazione che Pao­ lo farà di sé in vista del suo incontro definitivo con Cristo. [vv. 6-8] Il passaggio dal discorso parenetico a ll’annunzio della m orte im m i­ nente è svolto dalla particella gar , che non ha qui funzione esplicativa di raccor­ do con 2Tm 4,5, m a di collegam ento con l 'intendo annessa dal testatario a tutto il suo discorso, cioè la designazione-affidam ento del proprio com pito a Tim oteo, e anche a Tito, se ci riferiam o alla globalità del m essaggio delle lettere pastorali. La traduzione di gar da noi proposta, « quanto a m e », al posto di « infatti », vor­ rebbe sottolineare lo stacco tra una diakonia-SQrvizio al vangelo, ora affidata ad altri e la diakonia-dono di Paolo a Cristo, offerta definitiva del proprio personale servizio. [v. 6] Il verbo spendomai ha, com e è noto26, una indubbia valenza sacrifica­ le. La scelta di questa im m agine è significativa. Paolo lascia intendere che la sua m orte im m inente è u n ’offerta sacrificale associata a quella di Cristo. N on com ­ prendiam o la perplessità di tanti studiosi al riguardo27. È chiaro che l ’autore bi­ blico sta qui usando il verbo in senso m etaforico e che, pertanto, non fa alcun ri­ ferim ento a eventi storici p recisi, m a ciò non to g lie che la m etafo ra sia da assum ere nella ricchezza del suo significato, conform em ente a ll’uso che lo stes­ so Paolo ne ha fatto nel suo epistolario. In Rm 12,1 egli com prende la sua vita apostolica e quella di ogni credente com e la celebrazione di un « culto spiritua­ le ». Ora egli ritiene che sia giunto il m om ento di versare in libagione il suo san­ gue, in unione a Cristo che n e ll’ultim a cena si dichiara pronto a versare il suo stesso sangue, il sangue della nuova alleanza, per la salvezza del m ondo. La stes­ sa m etafora, e con m aggiore abbondanza di term ini sacrificali, è presente in Fil 2,17: «A nch e se il m io sangue deve essere versato in libagione (ei kai spendo­ mai) sul sacrificio e s u ll’offerta della vostra fede (epi té thysia kai leitourgia tés pisteós hymdn) , sono contento e ne godo p er tutti voi ». L’autore doveva conosce­ re bene il pensiero del suo m aestro, così rilevante dal punto di vista soteriologico, sulla necessità di testim oniare la propria unione a Cristo fino al dono com ple­ to di sé in una m orte m odellata sulla sua. N on ha quindi esitato a riproporla nel m om ento del suo com m iato, allo scopo di esortare la com unità e soprattutto i suoi pastori a essere forti e fiduciosi nella protezione divina nel m om ento della prova. Qui, com e nella Lettera ai Filippesi, l ’autore usa u n ’altra im m agine evocativa della sua m orte im m inente: « È giunto il m om ento della m ia partenza (tés analyseds mou)». In Fil 1,23, si dichiarava disponibile a « essere sciolto dal corpo 26 Cfr. O. Michel, S p e n d o m a i , in GLNT (1979) 12,855-876 (ed. ted. 7,528-537). 27 Cfr. L’argomentazione e le sottili distinzioni di L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li, voi. Il, p. 236-238.

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(a n a ly s a i) per essere con Cristo ». L’attenzione si sposta sulla m etafora di una na­ ve pronta a togliere gli orm eggi per iniziare la sua navigazione. Entram bi i testi esprim ono l ’idea della totale obbedienza al volere divino, com e quella di Cristo redentore, nella fiduciosa speranza che essa sarà gradita a Dio com e l ’offerta del­ la vittim a s u ll’altare della fede. Precisiam o, infine, che non riteniam o pertinente l ’utilizzo di tali m etafore a favore o contro la paternità paolina delle lettere pasto­ rali28. Il loro valore rim ane essenzialm ente sim bolico. [vv. 7-8] N uove im m agini intervengono a descrivere sinteticam ente la vita apostolica di Paolo. Significativo è l ’uso dei tem pi verbali, com une al genere «discorsi di ad d io » 29: si parte dal presente (2Tm 4,6) per passare poi al passato (4,7), e approdare infine al futuro (4,8). Lo sguardo retrospettivo sul passato è de­ scritto da Paolo con tre im m agini riassuntive che esprim ono, congiuntam ente, il pieno com pim ento del m inistero affidatogli e il suo coronam ento da parte di Dio fedele alla prom essa. Le prim e due, quelle del soldato (cfr. 2Tm 2,4) e d e ll’atle­ ta im pegnato nella corsa (cfr. 2Tm 2,5), riguardano il passato, m entre quella del­ la « co ro n a di g iu stizia» riguarda direttam ente il futuro. La m otivazione teologi­ ca sul totale com pim ento d e ll’opera nel passato è form ulata in 4,7b: tè n p is tin te tè r e k a (« h o conservato la fede»). È certam ente u n ’autoattestazione di fedeltà alla sua m issione, m a non esclude l ’im plicito richiam o della custodia del « depo­ sito » della fede. La m otivazione teologica della speranza orientata al futuro, che induce l ’A ­ postolo ad attendere « la corona di giu stizia» form ulata in 2Tm 4,8, punta deci­ sam ente sulla fedeltà del Signore « giusto giudice ». C on ciò, la specificazione tè s d ik a io s y n é s (« d i giustizia»), aggiunta a « c o ro n a » e che introduce il d ik a io s k r ité s (« giusto giudice »), crea uno stacco radicale con il linguaggio sportivo. Sa­ rebbe un errore interpretare questa corona com e quella conquistata d a ll’atleta. Essa è puro dono divino, anzi è il dono della sua giustificazione, in base al quale è concesso a Paolo, com e a ogni credente, di accedere alla vita divina e alla sua gloria, entram bi sinonim i di giustizia. L a « co ro n a di g iu stizia» equivale dunque a « co ro n a della v ita » e a « co ro n a della g lo ria» (1Pt 5,4). L’autore propone qui la nota tensione soteriologica paolina tra una salvezza già em brionalm ente dona­ ta e una salvezza ancora da attendere. L’una realtà non elim ina l ’altra. N el caso specifico, lo stesso Paolo, che afferm a in R m 5,1 la giustificazione già avvenuta del cristiano, dichiara in Gal 5,5: « N o i, p er virtù dello Spirito, attendiam o dalla fede la giustificazione che speriam o». Il tem a della ricom pensa non scom pare nella proiezione sul futuro. Se ne fa ca­ rico il verbo a p o d id o n a i («dare in cam bio»), costantem ente raccordato con la m i­ sericordia gratuita di Dio. Paolo sa, d ’altronde, e lo ha più volte ribadito, che egli è per grazia quello che è (cfr. 1Cor 15,10), e che senza la m isericordia divina egli sa­

28 Cfr. ancora L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li , voi. II, p. 237, e la critica di M. Prior, P a u l th e L e tte r-W r ite r a n d S e c o n d L e tte r to T h im o th y (JSNTS 23), Academic Press, Scheffield 1989. 29 Ci permettiamo di rinviare, per tale aspetto, al nostro studio, P. Iovino, LI d is c o r s o d i P a o lo a M ile to (A t 2 0 ,1 7 -3 8 ). R e d a zio n e , stru ttu ra , in te r p r e ta z io n e , in R. Fabris (ed.), L a P a r o la d i D io c r e s c e v a (A t 1 2 ,1 4 ). S c r itti in o n o r e d i C a r lo M a r ia M a r tin i n e l s u o 7 0 ° co m p le a n n o .

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rebbe rimasto quello che era prim a d ell’intervento divino, cioè, « il prim o dei pec­ catori » (1Tm 1,15). La giustizia del giudice coincide dunque con la sua m isericor­ dia. Am pliando l ’irradiam ento della m isericordia divina, Paolo afferm a poi che la corona di giustizia non è un dono personale, perché viene concesso a « tutti coloro che hanno atteso con am ore la sua m anifestazione ». N essun dubbio che, in questo caso, e p ip h a n e ia indichi la parusia del Cristo, com e in Tt 2,13. L’unità letteraria di 2Tm 2,1 - 4,8 è speculare alla precedente. Identica, per­ tanto, la centralità teologica del m essaggio parenetico incentrato sul confronto di Tim oteo e Paolo con il m odello-C risto. In 2,1 - 3,9 Tim oteo è esortato a richia­ m are alla m em oria i contenuti della fede, per contrastare gli oppositori della ve­ rità e form arsi vero servo del Signore, anche in vista dei m om enti difficili degli ultim i tempi. In 3,10 - 4,8 Paolo, n e ll’im m inenza della fine, orm ai pronto a coro­ nare il suo m inistero quale vittim a offerta per la com unità, attesta la fedeltà di Ti­ m oteo e lo esorta ad adem piere il suo personale m inistero. La prospettiva teologica della sezione che abbiam o esam inato su « Timoteo, servo fedele del Signore (2Tm 2,1 - 3 ,9 )» è incentrata sulla fondazione cristolo­ gica della parenesi nella c o n fe s s io f i d e i di 2,8-13 e sul suo risvolto escatologico in 3,1-9. La c o n fe s s io si sviluppa a partire d a ll’im m agine d e ll’A postolo sofferen­ te e dal dovere che ne consegue per il suo successore nel com pito di proclam atore del vangelo, di « con-soffrire » insiem e con lui, perché quella sofferenza è par­ te integrante d e ll’annunzio. Q uanto ai contenuti della c o n fe s s io , l ’autore ha ripreso dalla tradizione innanzi tutto la confessione di fede nel Risorto. A bbiam o notato sopra che, con tale scelta, egli ha voluto, probabilm ente, controbilanciare la posizione eretica dei falsi dottori proprio sulla risurrezione (cfr. 2Tm 2,18). L’altro elem ento della c o n fe s s io , la « m o rte di C risto » , particolarm ente aderente al tem a della sofferenza di Paolo e Tim oteo, non è assente - com e ritengono di­ versi com m entatori - m a è ripreso alla fine e solennem ente introdotto dalla for­ m ula autoritativa tipica delle lettere pastorali: « È vero il detto: se m oriam o con lui, con lui anche v iv rem o » (2Tm 2,11). La pericope 3,1-9, che tom a a fondare teologicam ente la parenesi, con una descrizione di tipo escatologico-apocalittico, orienta lo sguardo credente verso il futuro, m a un futuro caratterizzato dalla fidu­ cia nella vittoria sugli oppositori di Dio e della verità da lui rivelata: « Guardati bene da costoro! [...], si oppongono alla verità [...]. N on andranno m olto lonta­ no, perché la loro stoltezza sarà m anifesta a tutti » (2Tm 3,5.8.9). L’esortazione di 2,1-7, rivolta a Timoteo perché trasm etta la fede senza timori soffrendo insieme con Paolo, e che introduce la c o n fe ssio di 2,8-13, è collocata anch ’essa in una prospettiva teologica marcata. Si apre con l ’espressione: «A ttingi forza dalla grazia che è in Cristo G esù» (2Tm 2,1) e si chiude con il versetto: « Cer­ ca di capire quello che dico, e il Signore ti darà intelligenza per ogni cosa» (2Tm 2,7). La grazia inerente al m inistero e il connesso discernimento, perché Timoteo trasmetta fedelmente la retta fede con la m edesim a autorevolezza dell’Apostolo, agiscono esclusivam ente in base alla sua personale incorporazione a Cristo Signo­ re. Di ampio respiro teologico-parenetico è, infine, l ’esortazione di 2,14-26 a diven­ tare «retto dispensatore della verità» che, nella sua duplice articolazione: 2,14-21 e

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2,22-26, introduce la seconda fondazione teologico-escatologica di 3,1-9. Tim o­ teo è invitato a scongiurare i credenti « davanti a D io di evitare le discussioni che non giovano a nulla se non alla rovina di chi le asco lta» (2Tm 2,14) e a presen­ tarsi « davanti a Dio com e una persona degna di approvazione » (2Tm 2,15). F o­ calizzando sul tem a ecclesiologico della « ca sa di D io » , l ’autore ribadisce la sua convinzione profonda che « il solido fondam ento posto da Dio è stabile e porta questo sigillo: « Il Signore conosce quelli che sono su oi», e ancora: « Si allonta­ ni d a ll’ingiustizia chi invoca il nom e del Signore » (2Tm 2,19). R ichiam ando poi le qualità di sincerità e m itezza che contraddistinguono la fede di Timoteo, ri­ prende: « C erca la giustizia, la fede, l ’am ore, la pace, insiem e con quelli che in­ vocano il Signore con cuore sincero [...]. U n servo del Signore non deve essere litigioso, m a m ite con tutti [...], dolce nel riprendere quelli che gli si oppongono, nella speranza che Dio conceda loro la conversione alla conoscenza della verità » (2Tm 2,22-25). Le due pericopi che com pongono la sezione letteraria 3,10 - 4,8 si integrano in unità grazie al legam e profondo che unisce i due consofferenti insiem e con Cristo e contestim oni del vangelo: Paolo e Tim oteo. La prim a, 3,10-17, inizia con « Tu invece m i hai seguito da vicino » e prosegue con un elenco di situazioni che sem bra avere pretesa di esaustività, con l ’intento di non lasciare alcun vuoto alla unione tra discepolo e A postolo: « N e ll’insegnam ento, nel m odo di vivere, nelle aspirazioni, nella fede, nella m agnanim ità, nella carità, nella costanza, nelle per­ secuzioni, nelle sofferenze» (2Tm 3,10-11). Insiste ancora in 3,14: «T u però ri­ m ani saldo in quello che hai im parato e in cui credi». M a l ’unione discepoloA postolo è veram ente tale se è riflesso della com une fede in Dio e in C risto Gesù. Così, l ’A postolo può dire di sé: « D a tutte (le persecuzioni) mi ha liberato il Si­ gnore! Del resto, tutti quelli che vogliono vivere piam ente in Cristo G esù saran­ no perseguitati » (2Tm 3,11-12). E del suo discepolo forgiato dalla parola di Dio: « Le Scritture possono istruirti p er la salvezza, (che si ottiene) m ediante la fede in Cristo Gesù. Tutta la Scrittura è ispirata da D io e utile per l ’insegnam ento [...], perché l ’uom o di D io sia pronto e ben preparato per ogni opera b u o n a» (2Tm 3,15-17). La seconda pericope, 4,1-8, conserva il m edesim o afflato com unionale. In riferim ento al discepolo: « Ti scongiuro davanti a D io e a Gesù C risto [...]: annunzia la parola, insisti a tem po e fuori tem p o » (2Tm 4,1-2); «T u però vigila attentam ente, sopporta le sofferenze, com pi la tua opera di annunciatore del van­ gelo » (2Tm 4,5). E in riferim ento a se stesso, orm ai tutto proteso verso « q u el giorno »: « Q uanto a m e, sto p er essere offerto in libagione [...], ho term inato la corsa, ho conservato la fe d e» (2T m 4,6-7); « O ra m i resta soltanto la corona di giustizia del S ignore» (2Tm 4,8).

ULTIME COMUNICAZIONI, SALUTI E AUGURIO 2Tm 4,9-22

4 9Affrettati a venire da me, 10perché Dema mi ha abbandonato, avendo preferito le cose di questo mondo, ed è partito per Tessalonica; Crescente è anda­ to in Galazia, Tito in Dalmazia. 11Solo Luca è con me. Prendi Marco e portalo con te, perché mi sarà utile per il ministero. 12Ho inviato Tìchico a Efeso. 13Venendo, portami il mantello che ho lasciato a Tròade in casa di Carpo, e i rotoli di papiro, soprattutto le pergamene. 14Alessandro, il fabbro, mi ha procurato molti guai: « Il Si­ gnore gli renderà secondo le sue opere ». 15Anche tu guardati da lui, perché si è accanito contro la no­ stra predicazione. 16Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Non se ne chieda loro conto. 17I1 Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l ’annunzio del vangelo e tutti i gentili lo ascoltassero: e così « fui liberato dalla bocca del leone ». 18I1 Signore mi libererà da ogni male e mi salverà nel suo re­ gno celeste; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen. I9Saluta Prisca e Aquila e la famiglia di Onesìforo. 20Erasto è rimasto a Corinto; ho lasciato invece Tròfimo am­ malato a Mileto. 21Affrettati a venire prima d ell’inverno. Ti salutano Eubùlo, Pudente, Lino, Claudia e tutti i fratelli. 22I1 Signore Gesù sia con il tuo spirito. La grazia sia con voi! L’unità letterario-tem atica di quest’ultim o brano della lettera è attestata da un procedim ento di inclusione individuabile nell ’ordine dato da Paolo a Timoteo di tornare al più presto da lui (cfr. 2Tm 4,9 e 21 ). Il testo è, inoltre, scandito da sei im ­

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perativi che contengono le disposizioni d ell’Apostolo. Infine, dal punto di vista te­ matico, sembrano dom inare i m otivi contrastanti della solitudine, determinata dall ’abbandono e d all’opposizione dei suoi, e della vicinanza del Signore. Pur nella frammentarietà delle disposizioni, è possibile individuare la suddivisione della pericope in base alla presenza d ell’uno o d ell’altro di detti motivi. Così, mentre in 2Tm 4,10-16 dom ina il tem a della solitudine d ell’Apostolo, in 4,17-18 Paolo esprime la sua fiducia n e ll’assistenza del Signore, che sfocia in una dossologia conclusiva. E noto che proprio questo brano è stato sem pre considerato dai difensori dell ’autenticità paolina dello scritto com e una prova decisiva. L’evocazione di un rapporto diretto tra m ittente e destinatario, corredato da una serie di particolari apparentem ente secondari, m a concreti e personali, è considerata da sem pre, ap­ punto, prova inoppugnabile in tal senso. Tuttavia, è altrettanto vero che elem ento tipico della pseudepigrafia è il ricorso a ll’artificio letterario d e ll’invenzione di questo genere di particolari per far apparire com e autentica la lettera. Riteniam o, pertanto, che l ’unico criterio di giudizio su ta li p e r s o n a lia sia da ritrovare nella loro conciliabilità con la storia. D a questo punto di vista, i problem i che essi pon­ gono sono m olteplici e di peso. N e segnaliam o alcuni. La richiesta fatta da P ao­ lo a Tim oteo di raggiungerlo presto sem bra in contrasto con le istruzioni e le esortazioni che finora gli ha rivolto in tutto l ’arco della lettera. L’attività che egli doveva svolgere a Efeso era di tale im portanza e di tale urgenza che non era con­ cepibile un suo allontanam ento a breve scadenza. L’A postolo dice in 2Tm 4,11 di essere solo, m a in 4,21 invia i saluti di un consistente num ero di fratelli. In 4,16, parla di una « p rim a difesa in tribunale », m a la collocazione storica rim ane oscu­ ra. Potrebbe trattarsi della prigionia rom ana riportata dal capitolo conclusivo di A t 28. In tal caso, la lettera sarebbe stata scritta in una ipotetica seconda prigio­ nia rom ana, dopo un nuovo viaggio in O riente, che pure sem brava escluso dalla nuova prospettiva aperta nella L ettera ai Rom ani. Oppure, inserendo la lettera nella cornice del racconto di A t 28, « la prim a d ifesa» indicherebbe l ’interroga­ torio prelim inare subito da Paolo durante la prigionia di C esarea (At 23,24), do­ ve Paolo rim ase p er due anni. M a, in questa nuova eventualità, è concepibile che solo ora, dopo ben due anni, Paolo riprenda contatto con Tim oteo, con la richie­ sta di un suo viaggio e della consegna del m antello e dei suoi rotoli di papiro? In­ fine, questa stessa richiesta del m antello e dei rotoli di papiro reca davvero una notizia storica o non è da ritenere in qualche m odo sim bolica? In conclusione: si ha l ’im pressione che il presunto realism o storico di questi p e r s o n a lia crei più problem i di quanti ne risolva. A ppare necessario affrontarli singolarm ente nel corso d e ll’analisi esegetica.

[4,9-12] 11 m otivo della presenza di Tim oteo, espresso dal desiderio d e ll’A ­ postolo, è collegato direttam ente con il tem a della solitudine. Sim bolicam ente, la sua venuta per colm are la solitudine del m aestro e padre vicino alla m orte è la rappresentazione evidente della continuità ininterrotta di un rapporto intenso, che si protrae fino all ’ora estrem a del distacco definitivo. Il g a r enfatico di 2Tm 4,10 conferisce ulteriore risalto a tale profonda com unione, contrapponendo Tim oteo a Dema: « Perché D em a mi ha abbandonato, avendo preferito le cose di questo

Ultime comunicazioni, saluti e augurio 2Tm 4,9-22

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m ondo». A nche la m otivazione d e ll’abbandono di D em a fa risaltare l ’adesione di Tim oteo, che ha fatto propria la tensione escatologica dell ’A postolo, rifiutan­ do com e lui « le cose di questo m ondo », preferite invece da Dema. La lista di per­ sonaggi prosegue con l ’espressione «C rescente è andato in Galazia, Tito in D al­ m azia » . N on sem bra che i nuovi nom i debbano essere accom unati a D em a n e ll’abbandono di Paolo. Il m otivo è diverso, ed è dato dal necessario « d istac­ co » dovuto alle esigenze d e ll’attività m issionaria che deve proseguire, anche do­ po la « p arte n z a » d e ll’A postolo. N e costituiscono prova sia il nom e di Tito, fede­ le co llab o rato re di P aolo, sia la m en zio n e d ella G alazia e d ella D alm azia, annoverate tra i territori di m issione di Paolo. Ciò m algrado, Paolo continua a es­ sere contrassegnato dalla « solitudine », m a è la solitudine serena del servo fede­ le che accetta la separazione da ogni legam e m ondano per poter entrare, svuota­ to della sua volontà, in com unione piena con la volontà salvifica del suo Signore. Il versetto di 2Tm 4,11 crea uno stacco con il precedente, facendo m enzione d e ll’unico discepolo rim asto con l ’A postolo, Luca. N essuna precisazione storica sul nuovo personaggio, qualificato unicam ente dal suo com portam ento. Difficile non riconoscerne la valenza sim bolica: egli è un esem pio di fedeltà. L’invito a prendere con sé M arco, con la m otivazione che gli sarà « utile per il m inistero », sem bra voler inserire il personaggio M arco n e ll’am bito del « m inistero » paolino. Probabilm ente ha ragione L. O berlinner1 quando, dopo aver esam inato le ricor­ renze del term ine e u c h é s to s ( « utile ») nel N uovo Testam ento, conclude che l ’ag­ gettivo indica la funzione di una persona che è il contrario della funzione avuta in precedenza. Passando poi a ll’esam e del term ine d ia k o n ia nelle lettere pastorali, rileva che « il m inistero » è definito sulla falsariga di Paolo. Q uindi, anche il m i­ nistero previsto per M arco è da intendere nel senso del m andato paolino della predicazione del vangelo. L’autore così conclude: « L a cornice storica della de­ term inazione dei com piti di M arco stabilita da Paolo non è la pianificazione [...] di nuove attività m issionarie affidate (oltre che a Tim oteo) anche a M arco, bensì è costituita dalle com unità delle Pastorali, ovvero soprattutto dai loro responsabi­ li che devono considerarsi, nel loro “servizio” , com e incaricati e delegati aposto­ lici per m andato dello stesso Paolo ». La notizia d e ll’invio di Tìchico, in Tm 4,12, com pleta il duplice m ovim ento di abbandono-distacco e di presenza-chiam ata, con un nuovo m ovim ento, appun­ to di « invio ». La m issione di Tìchico a Efeso, al di là della ripetuta incongruen­ za storica, data la presenza sul posto dello stesso Tim oteo, insiste tem aticam ente sulla perdurante com unione d e ll’A postolo con le sue com unità. Il rapporto pri­ m ario non è dunque Tìchico-Tim oteo, bensì Paolo-Tìchico, proprio perché r i n ­ viato è costitutivam ente segno della presenza d e ll’inviante. A ppaiono prive di senso, pertanto, le discussioni s to r ic iz z a n ti su una possibile designazione, da par­ te di Paolo, di Tìchico com e successore di Tim oteo. R ileviam o, in conclusione, che alcuni dei nom i finora m enzionati com paiono in Col 4,7-14: M arco, Luca e D em a com e accom pagnatori di Paolo, m entre Tìchico è il latore della Lettera ai C olossesi e sem bra anche di quella agli Efesini (cfr. E f 6,21). L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li , voi. II, pp. 250-252.

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Parte seconda. Traduzione e commento

[y. 13] La richiesta del m antello e dei rotoli di papiro fatta da Paolo in que­ sto versetto, superando il duplice scoglio della prova inconfutabile d e ll’autenti­ cità paolina della 2Tim oteo e della banalità della sua invenzione letteraria, va in­ terp retata alla luce del co n testo g lo b ale d ella p e ric o p e 4,9-21 che stiam o esam inando. Paolo, m algrado si senta vicino alla m orte, anzi a una m orte di tipo sacrificale, continua a essere presentato com e il m issionario di sem pre, fedele al m andato affidatogli da C risto e fiero della sua a u ta r c h e ia (« autosufficienza »). In tal senso, il m antello e i rotoli di papiro, unico suo corredo di apostolo itinerante, assurgono a sim bolo di tale sua sovrana libertà, m otivata d a ll’am ore (cfr. 1Cor 19,1-23) e radicata nella fiducia piena in D io Padre e nella potenza della sua di­ vina parola. Il m antello è segno della povertà richiesta da C risto ai suoi inviati: «G ratuitam ente avete ricevuto, gratuitam ente date [...]. N on procuratevi [...] due tunich e» (M t 10,8-10). La sobrietà d e ll’A postolo è, d ’altronde, fortem ente sottolineata proprio nelle lettere pastorali: « Se abbiam o cibo e vestito, ciò ci ba­ sta» (1Tm 6,8). U na sobrietà che è posta in antitesi con l ’avidità di denaro rim ­ proverata agli eretici (cfr. 1Tm 6,5; Tt 1,11; 2Tm 3,2). U na sobrietà, infine, che anche Luca fa risaltare con forza nel discorso dello stesso Paolo agli anziani di Efeso (cfr. A t 20,17-35). I rotoli di papiro, a loro volta, sottolineando il rapporto tra predicazione e Scrittura già rilevato in 3,15, com pletano il quadro d e ll’A po­ stolo evangelizzatore, configurandolo com e fedele am m inistratore della parola di Dio. Con ciò, Paolo ha delineato con com piutezza l ’im m agine di colui che gli de­ ve succedere nel m edesim o com pito m issionario. A nche in m erito a queste richieste, l ’insistenza sulla loro dim ensione stori­ ca appare davvero riduttiva e, in parte, fuorviante. Supposto che Paolo avesse do­ vuto lasciare m antello e rotoli a Tròade, costretto a fuggire in fretta dalla casa di Carpo, non avrebbero potuto i num erosi cristiani di R om a supplire alla loro m an­ canza n e ll’arco di un tem po così prolungato? O ltre tutto, prim a che la richiesta giungesse a Tim oteo e Tim oteo potesse raggiungere Rom a, sarebbero trascorsi diversi mesi. [w. 14-15] Con la m enzione di A lessandro, il fabbro, si com pleta la lista de­ gli oppositori di Paolo e del suo vangelo. L’autore, con la precisazione: « Si è ac­ canito contro la nostra predicazione », collega Tim oteo e i suoi successori a Pao­ lo. Il pericolo non appartiene dunque solo al passato, m a anche al presente e al futuro. Appare evidente l ’intenzione d e ll’autore di presentare quest’ultim o perso­ naggio nella sua valenza sim bolica, pur non escludendone la dim ensione storica. Torniamo a sottolineare quanto più volte afferm ato in m erito a simili personaggi: la loro rilevanza storica cede il posto alla centralità del loro ruolo teologico-parenetico. N on è chiaro in che cosa consista l ’opposizione di Alessandro. Potrebbe ri­ guardare la dottrina cristiana, in tal caso sarebbe un non cristiano, m a potrebbe ri­ guardare la sana d id a s k a lia , allora sarebbe un eretico. Difficile anche rispondere alla dom anda se si tratti d e ll’A lessandro ricordato in A t 19,33, in occasione della sollevazione degli argentieri di Efeso contro Paolo, o d e ll’A lessandro di 1Tm 1,20, scom unicato da Paolo. N ella prospettiva redazionale d e ll’autore, appare centrale la sua consegna al giudizio divino, form ulato con term inologia biblica: « Il Signore gli renderà secondo le sue opere» (cfr. Sal 62,13 e Pro 24,12, m a an­

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che M t 16,27; Rm 2,6; 2C or 11,15). Tim oteo e i responsabili delle com unità, esor­ tati a vigilare costantem ente sul deposito della fede, possono continuare con fidu­ cia, insiem e con Paolo, il loro cam m ino, certi che il giudizio di Dio cadrà inesora­ bile su quanti si oppongono alla loro predicazione e al loro insegnam ento. [v. 16] In forte contrasto con il richiam o del giudizio divino di condanna per l ’opposizione alla verità, si pone ora il perdono di Paolo per coloro che hanno de­ term inato la sua condizione e la sua solitudine: « N o n se ne chieda loro conto». Il tem a della solitudine, dom inante in questa prim a parte della pericope, raggiun­ ge qui il culm ine: « N essuno m i ha assistito; tutti m i hanno abbandonato». La scena del processo e della « p rim a d ifesa» , con la problem aticità della sua rico­ struzione storica, rim ane nello sfondo com e uno scenario che accoglie i veri pro­ tagonisti del racconto, cioè quei tali che prim a si dicevano discepoli e collabora­ tori, e poi si sono rivelati lontani e traditori. La figura di Paolo, perseverante nella sofferenza, si erge in tutta la sua dignità, assum endo con ancora m aggiore niti­ dezza i contorni della vittim a isolata dal gregge e pronta a essere im m olata. In si­ m ile prospettiva, la sua richiesta di perdono costituisce un ultim o ritocco al qua­ dro della esem plarità d e ll’A postolo prossim o alla m orte. Sulla scia dei m olteplici richiam i evangelici della sim bologia evocata, sarebbe davvero gratuito ritenere che l ’autore, in questo brano, abbia voluto tratteggiare, com e Luca negli Atti de­ gli apostoli, le grandi linee di u n a p a s s io P a u li m odellata s u lla p a s s io C h r is tiì [4,17-18] I vv. 17-18 segnano il passaggio dal com portam ento contradditto­ rio e incostante degli uom ini a ll’agire fedele di Dio. Lo scenario continua a esse­ re quello giudiziario, il cui unico protagonista è ora l ’A postolo, non più solo, bensì sorretto dalla presenza divina. Il principio teologico form ulato in 2Tm 2,11-13 e fondato su una « P aro la certa» , sem bra trovare adesso una sua precisa attuazione concreta. Lì, egli aveva detto: « Se siam o infedeli, egli però rim ane fe­ d ele». O ra l ’A postolo deve riconoscere che, essendo rim asto solo dinanzi al tri­ bunale degli uom ini, il Signore stesso ne ha preso concretam ente le difese e gli ha dato il sostegno necessario perché egli potesse « p o rtare a com pim ento l ’annun­ zio del vangelo e tutti i gentili lo ascoltassero». G ià in Fil 1,12-14, in una situa­ zione affine, aveva ricordato che le sue vicende si erano svolte a vantaggio del vangelo, perché ovunque si era venuti a conoscenza che egli era in catene per C ri­ sto, e così m olti « incoraggiati nel Signore [. . . ] (e n K y r io u p e p o ith o ta s ) , ardisco­ no annunziare la parola di D io con m aggiore zelo e senza tim ore alcuno ». Paral­ lelam ente, il principio teologico di 2Tm 2,11-12 preannunziava: « S e m oriam o con lui, con lui anche vivrem o; se perseveriam o con lui, con lui anche regnere­ m o ». O ra Paolo, a ulteriore convalida storica di quel principio, descrive la m ani­ festazione concreta della potenza liberatrice di Dio, con l ’aiuto di u n ’im m agine tradizionale: « F u i liberato dalla bocca del leo n e» (cfr. Sal 22,22; IM ac 2,60). Il linguaggio m etaforico usato dissuade da una precisa individuazione storica sia del « leone », sia della stessa « liberazione ». Il testo è un atto di fede n e ll’azione liberatrice di D io che si m anifesta a favore d e ll’uom o pio m inacciato dalle forze del male. [v. 18] Si sviluppa com piutam ente, in questo versetto, la c o n fe s s io f i d e i evo­ cata sopra. C om e in un fenom eno di dissolvenza, a ll’im m agine del tribunale ter­

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reno si sovrappone quella del tribunale eterno di Dio. Riappare con forza la pro­ spettiva escatologica: « Il Signore mi libererà da ogni m ale e mi salverà nel suo re­ gno celeste» (2Tm 4,18). Il riferim ento alla b a s ile ia , presente solo qui e in 2Tm 4,1, richiam a appunto il com pim ento escatologico di una salvezza eterna nella quale Paolo spera e che, stando alla sua attesa, si realizzerà m ediante la com unio­ ne piena con Cristo. Paolo, per il quale « vivere è Cristo e m orire un guadagno », ha sempre avvertito con forza « il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con C risto» (Fil 1, 21-23). Il pensiero della salvezza eterna spinge l ’autore a form ulare, a chiusura del suo scritto, una dossologia liturgica rivolta al K y r i o s : « A lui la gloria nei secoli dei secoli. A m en » , identica a Gal 1,52 e sim ile ad altre dossologie delle tre lette­ re pastorali (cfr. 1Tm 1,17; 6,16). [vv. 19-22] C onform em ente allo stile epistolare di Paolo, anche questa lette­ ra si conclude con i saluti e un augurio finale. La lista dei saluti inviati d all’A po­ stolo è aperta dalla coppia A quila e Prisca e dalla fam iglia di Onesìforo. Sono i com ponenti della cerchia più ristretta dei collaboratori di Paolo. A quila e Priscilla sono stati i prim i suoi collaboratori a Corinto ed Efeso (cff. A t 18), fratelli privile­ giati n e ll’attività apostolica, m a anche com pagni nella dura fatica del lavoro quo­ tidiano. Onesìforo, non vergognandosi delle catene di Paolo, gli si è reso vicino, raggiungendolo a Rom a, per recargli aiuto e conforto. Così facendo, è diventato sim bolo del vero discepolo di Cristo, unito alle sue sofferenze salvifiche, a im ita­ zione di quelle del suo A postolo e padre. Erasto e Tròfimo sono designati com e collaboratori di Paolo negli Atti degli apostoli3. La m enzione delle città di C orin­ to e M ileto costituisce un richiam o esplicito della tradizione paolina. Infatti, sem ­ bra che, assiem e a ll’evocazione delle persone vicine a Paolo, l ’autore voglia pre­ sentare, in chiusura, anche una sorta di quadro geografico della sua operatività. U n ’ultim a consegna ai successori, perché non tralascino alcun ricordo di quella at­ tività norm ativa, oltre che nei contenuti e nel m etodo, anche n e ll’im patto con le concrete situazioni ambientali. In tal senso, appare particolarm ente significativo il riferim ento a M ileto, la spiaggia del com m iato definitivo di Paolo dagli anziani di Efeso, a chiusura della sua attività apostolica. A lla m edesim a com unità efesina l ’Apostolo consegna ora le sue ultim e volontà, alla fine della sua vita, avendola af­ fidata alla guida del suo più fedele collaboratore e « figlio carissim o ». Timoteo viene nuovam ente esortato a raggiungerlo prim a dell’inverno, quan­ do si sarebbero chiusi i m ari e non gli sarebbe stato più possibile intraprendere il viaggio. I nomi associati ai saluti di Paolo: Eùbulo, Pudete, Lino e Claudio, sono sconosciuti al Nuovo Testamento. L. Oberlinner4 - com e quasi tutti i com m entatori - riporta la notizia di Ireneo di Lione, seguito da Eusebio di Cesarea, in base alla quale il Lino qui m enzionato avrebbe ricevuto, da Pietro e Paolo, l ’ufficio di vesco­ vo di Roma. N on intendiam o entrare nel merito della q u a e s tio storica, limitandoci a rilevare che la m enzione di Lino e di tutti gli altri fratelli e sorelle ha lo scopo di 2 Cfr. anche Rm 9,5; 11,36; Fil 4,20; E f 3,21. 3 Cfr. At 19,22; 20,4; 21,29. 4 L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li, voi. II, pp. 272-273.

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m ostrare l ’A postolo circondato dai credenti rim astigli vicini. U n segno della co­ m unione ecclesiale che si prolunga nel tem po, trasform andosi in vera presenza ic o n ic a della esem plarità della com unità paolina dom inata dalla figura d e ll’apo­ stolo e padre, garante della p a r a d o s is e difensore della p a r a th é k è . La benedizione finale è an ch ’essa ricalcata su m oduli paolini5: « Il Signore Gesù sia con il tuo spirito. La grazia sia con voi! ». Si focalizza innanzi tutto sul personaggio Tim oteo (« Sia con il tu o spirito »), m a per far em ergere progressiva­ m ente in prim o piano, dietro di lui, una più vasta m oltitudine (« Sia con v o i »). È dunque un augurio di grazia che, in Tim oteo, vuole estendersi a tutte le guide di com unità e a tutti i fratelli che si riconoscono nella tradizione paolina. L’ultim a unità della 2Tim oteo, in diretta connessione con il brano preceden­ te, è caratterizzata da tutta una serie di inform azioni biografiche, che sottolinea­ no ulteriorm ente la solitudine d e ll’A postolo provato dalla sofferenza per essere reso idoneo alla m orte sacrificale da lui stesso preannunziata. Viene così offerta al lettore l ’im m agine di un m issionario il cui unico intento è quello di portare a com pim ento il m andato affidatogli dal volere divino. Poiché in tutto l ’arco della 2Tim oteo l ’orizzonte parenetico è costituito dal passaggio di consegne al disce­ polo Tim oteo, anche queste inform azioni biografiche vanno interpretate in quel­ la m edesim a prospettiva. Perfino n e ll’am ara esperienza del fallim ento um ano d e ll’im pegno apostolico, determ inato dal rifiuto del vangelo, anche da parte dei più stretti collaboratori, Paolo rim ane m odello esem plare e punto di riferim ento per ogni guida della com unità di ogni luogo e in ogni tem po. Sullo sfondo conti­ nua a stagliarsi la figura del M aestro e la vicenda storica norm ativa del suo « um ano fallim ento »: abbandonato dai suoi, rinnegato da Pietro e tradito da G iu­ da. Furono i giorni decisivi della salvezza, quando « egli offrì preghiere e suppli­ che con forti grida e lacrim e a colui che poteva liberarlo da m orte e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio, im parò tuttavia l ’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli ob­ bediscono» (Eb 5,7-9).

5 Cfr. Gal 6,18; Fil 4,23; Fm v. 25.

Parte terza

IL MESSAGGIO TEOLOGICO

APERTURE TEOLOGICHE DI 1-2TIMOTEO E LETTERA A TITO

A priam o q u est’ultim a parte del nostro lavoro con l ’intento di valorizzare l ’im plicita, pressante richiesta delle lettere pastorali. Proponendo una teologia del tem po e dello spazio, esse hanno voluto indicare al credente un m odo di vive­ re il suo « oggi » salvifico nella « casa di Dio », dove l ’ha posto la scelta sovrana del volere divino. Intanto lo induce a fare costante m em oria del « deposito » tra­ sm esso dai padri, che egli deve « custodire » con fedeltà im m utabile, contrastan­ do con energia ogni possibile alterazione. Inoltre, proponendogli l ’esem pio della « bella testim onianza » offerta da Cristo nel m om ento della sua passione e m orte, lo esorta a vivere in unione a lui il suo m om ento di prova, personale e com uni­ tario, rendendogli a sua volta testim onianza. C risto G esù Signore e salvatore si configura, così, com e l ’unico principio vitale del « m istero di p ietà» , che consen­ te al credente di vivere intensam ente il tem po che intercorre tra le sue due « epi­ fanie». Infatti, il m edesim o Signore gli offre la possibilità di assim ilare la sua prim a « m anifestazione » nella carne, m ediante la partecipazione-conform azione a ll’evento salvifico della sua m orte-risurrezione e, al contem po, di attendere nel­ l ’operosa speranza la sua ultim a e definitiva « m an ifestazio n e» nella gloria, m e­ diante l ’azione dello Spirito, il solo che può rendere «san ti e irreprensibili» al suo cospetto. La proposta ecclesiale della « casa di D io », spazio d e ll’operatività congiun­ ta di Dio salvatore e della sua com unità santa, equivale a veicolo privilegiato del­ la paràclesi delle tre lettere. L’autore si autocom prende com e m ediatore tra la norm atività di un m essaggio tradizionale, confluito n e ll’insegnam ento autore­ vole di Paolo « araldo, apostolo e m aestro », e le m utate esigenze di una C hiesa della terza generazione cristiana, attraversata dalla prova della deviazione etico­ dottrinale e inserita in un m ondo culturale variegato, che pone già il problem a di una difficile inculturazione. Le linee indicate sono necessariam ente m olteplici come le tem atiche affrontate, m a convergenti sul duplice versante di una inossida­ bile fedeltà ai principi congiunta alla ricerca em brionale di una seria e articolata strutturazione interna. Così, si privilegia, al contem po, la figura del responsabile della comunità, al quale si deve l ’ossequio d e ll’ubbidienza, per l ’autorevolezza della d id a s k a lia insegnata e testim oniata, e quella delle varie com ponenti m iniste­ riali della com unità m edesim a, segno del pluriform e dono dello Spirito che edifi­ ca V o ik ia di Dio. Il com pito prim ario di questa casa-C hiesa è quello im posto dal­ le coordinate spazio-tem porali evocate sopra: deve attaccare gli eretici che, in

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Parte terza. Il messaggio teologico

quel tem po, cercavano di incrinare l ’edificio di Dio, m a deve anche difendere lo spazio nel quale il suo D io salvatore l ’ha posta, perché sia segno fra m olti popo­ li e testim one della gloria del suo nom e. D ifendersi, per la Chiesa, significherà pertanto definire sem pre m eglio la portata etico-dottrinale del suo c r e d o , com m i­ surandolo alle esigenze della cultura-am biente. Istanze di questo tipo, che finiscono col dilatare senza misura i luoghi teologici di « tem po » e «spazio», non possono non imporsi a ll’attenzione del lettore-studio­ so delle lettere in esame, orientandone il cammino ermeneutico. Si tratta, in qualche modo, di uscire dalla pur necessaria strettoia d ell’analisi del testo-lettera scritta, per consentirgli il più ampio respiro della sintesi-sviluppo del testo-vita proteso verso l ’attualità di un messaggio, quello evangelico appunto, che non può essere mai « in ­ catenato » da chi vuole ridimensionarne la portata vitale, e nemmeno da chi decide di far tacere la voce di chi lo promulga - come Paolo - al mondo intero. Si tratta di as­ sumere l ’attualizzazione come ermeneutica del messaggio del « tem po» salvifico e l ’«inculturazione» come ermeneutica del messaggio dello «spazio» creato da Dio. Recependo tale proposta inerente a ll’identità stessa delle presenti lettere, abbiamo ri­ tenuto di avviare queste A p e r tu r e te o lo g ic h e d i l-2 T im o te o e L e tte ra a T ito , non cer­ to esaustive, su alcune tematiche imposte sia dall’attualità della ricerca sempre più in­ teressata alla conoscenza del radicamento storico del loro messaggio, sia dalla istanza ermeneutica della consonanza con le esigenze di normatività del nostro attuale spa­ zio-tempo salvifico. Gli ambiti di dette A p e r tu r e te o lo g ic h e d i l-2 T im o te o e L e tte ra a Tito riguardano, pertanto, la globalità del messaggio e la sua inculturazione nell’am­ biente socioculturale-religioso del tempo. Con quest’ultima tappa dello studio, ci col­ leghiamo a quanto esaminato sia nella nostra P a rte p rim a . S e zio n e in tro d u ttiv a , con la duplice indagine su: C o n c e n tra zio n e te m a tic a ed E s p a n sio n e te m a tic a , sia nel com­ mento. Ce ne distacchiamo, tuttavia, per il taglio d ’insieme, non più soltanto introdut­ tivo, né analitico-esegetico m a sintetico-espositivo e, ci auguriamo, propositivo.

1. Dalla «fondazione teologica» L’orizzonte prospettico di questa « ap e rtu ra» è quello della norm atività del testo attraverso l ’angolatura della attualizzazione del m essaggio incentrato sul­ l ’urgenza soteriologica del tem po presente. Presupposto d ell’indagine è V in te n tio a u c to r is costantem ente orientata alla edificazione di una com unità cristiana sube postapostolica e, in quanto tale, « tipica » di ogni com unità situata nel suo tem ­ po, qualsiasi tem po, salvifico. R iprendiam o l ’espressione «fondazione teologi­ c a » utilizzata nella nostra P a r te p r im a . S e z io n e in tr o d u ttiv a , per l ’intenzionale collegam ento con q u e ll’indagine sopra accennato. L’autore che ci sem bra abbia m aggiorm ente valorizzato detta p ro sp ettiv a è L. O berlinner, nei suoi preziosi e x c u r s u s del volum e terzo della sua op era1. D a questo punto di osservazione, le esigenze tipiche delle lettere in esam e sem brano renderle m olto distanti dal tem po storico di Paolo e delle sue lettere auL. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li , voi. Ili, pp. 75-200.

Aperture teologiche di l-2Timoteo e Lettera a Tito

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tentiche, pur riconoscendone la collocazione nella m edesim a linea di sviluppo di una reale apertura a ll’ambiente storico-culturale del loro tempo. Ne è chiaro indizio lo spessore tematico, oltre che letterario, della loro parenesi incentrata - come da noi rilevato nella P a r te p r im a . S e z io n e in tro d u ttiv a - sulla d id a s k a lia e quindi costantemente orientata alla lotta contro le eresie emergenti nel tempo postpaolino riguar­ danti direttamente la persona di Gesù e la stessa centralità del c re d o cristiano. Ele­ menti sconosciuti nelle grandi lettere m a che, di fatto, determinano la peculiarità della riflessione teologica delle presenti lettere, oltre che sul versante cristologico, anche su quello ecclesiologico. Infatti, la duplice attenzione alla difesa della d id a ­ s k a lia e alla lotta contro la h e te r o d id a s k a lia ha un suo speculare riflesso nel conso­ lidamento della e k k lé s ia , a ll’interno, e nella sua proiezione «m issionaria», a ll’e­ sterno. Sono le linee teologiche che intendiamo adesso riprendere dalla P a r te p r im a . S e z io n e in tr o d u ttiv a , con la diversa connotazione di indagine accennata sopra. a) C r is to lo g ia . - La vera « a p e rtu ra » della cristologia - com e a suo tem po accennato - consiste nel suo radicam ento nella dim ensione soteriologica e nella sua form ulazione epifanica: G esù C risto è il « salvatore »2, com e lo è Dio stesso34; in lui è « ap p a rsa » la grazia di Dio. Indubbiam ente, è assente uno sviluppo della soteriologia parallelo a quello delle grandi lettere. A G esù non è m ai attribuito il titolo di « Figlio » p er indicare il suo particolare rapporto con Dio. N essuna espli­ cita m enzione è fatta d e ll’evento m orte-risurrezione del Cristo, cardine della ri­ flessione soteriologica di Paolo. Infatti, sono assenti term ini quali: « c ro c e » , « Cristo crocifisso », « m orte di croce », anche se è presente il m otivo soteriologico « per noi » (« H a dato se stesso in riscatto p er tutti », 1Tm 2,6); ed è scarsam en­ te rappresentato il tem a della risurrezione, a parte l ’espressione: « Gesù C risto ri­ sorto dai m o rti» (2T m 2,8). E p arim enti assente la riflessione soteriologica connessa al tem a della giustizia e della giustificazione, nonostante la presenza - in realtà rara - dei term ini d ik a io s , d ik a io s y n é , d ik a io d Ą. Tuttavia, appare evi­ dente la continuità con il Paolo delle grandi lettere in Tt 3,5.7 (« Egli ci ha salva­ ti non in base alle opere giuste com piute da noi con giustizia, m a secondo la sua m isericordia, attraverso un bagno di purificazione e rinnovam ento nello Spirito santo [...], affinché, giustificati per la sua grazia, diventassim o, nella speranza, eredi della vita eterna»). M a l ’apporto di m aggiore originalità-apertura al tem a della giustificazione è offerto dal suo collegam ento non tanto con il credente quanto direttam ente con Cristo e l ’operatività dello Spirito (« È stato riconosciu­ to giusto nello S pirito», 1Tm 3,16). L’originalità della form ulazione epifanica della cristologia in queste lettere non consiste soltanto nella peculiarità del suo vocabolario, m a soprattutto nella presentazione teologica della duplice valenza dell ’e p ip h a n e ia , quale espressione d e ll’incarnazione e, al contem po, della parusia. Con C risto « è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uom ini » (Tt 2,11 ; cfr. 2Tm 1,10), assiem e al­

2 Cfr. Tt 1,3.4; 2,13; 2Tm 1,2.8.16. 3 Cfr. 1Tm 1,1; 2,3; 4,10; Tt 1,3. 4 Cfr. 1Tm 1,9; 2T m 4,8;T t 1,8; lT m 6 ,ll;2 T m 2,22; 3,16; 1Tm 3,16; Tt3,7.

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la sua « bontà » e al suo « am ore per gli uom ini » (Tt 3,4), m a i cristiani sono esor­ tati ad attendere, con la testim onianza della loro vita, la definitiva « m anifestazio­ ne del Signore nostro G esù C risto » (1Tm 6,14; cfr. Tt 2,13; 2Tm 4,1.8). C oncor­ diam o con A. P itta nel ritenere che questo linguaggio epifanico, totalm ente assente nelle grandi lettere, viene a sostituire quello apocalittico che connota l ’e­ scatologia paolina. È significativo che gli elem enti cristologici di m aggiore originalità si trovi­ no in brani di riconosciuta tradizionalità, quali le tracce di « inni » (cfr. 1Tm 6,1112.15-16; 2Tm 2,11-13; Tt 2,11-14), veicolo prezioso della com une c o n fe s s io f i d e i (cfr. 1Tm 2,5-6; 3,16; 2Tm 1,9-10; Tt 3,4-7). Ciò significa che il dinam ism o della d id a s k a lia e la sua confluenza nella fissazione della p a r a t h è k è , sono diven­ tate per le com unità l ’unica, concreta e stabile norm a di riferim ento per la difesa d e ll’ortodossia di fronte alle deviazioni dottrinali in corso, m a anche criterio at­ tuale di orientam ento p er un proficuo inserim ento nella cultura-am biente dinanzi alle m utate esigenze del loro cam m ino. L. Oberlinner, nel suo e x c u r s u s su « L a cristologia delle lettere pastorali », così evidenzia l ’im plicita apertura insita nella globalità della loro riflessione cri­ stologica: « L a tensione tra la pretesa d e ll’autore delle lettere pastorali di voler preservare la tradizione (p a r a th è k è ) paolina da falsificazioni, e la cristologia che, caratterizzata dai term ini ellenistici s ó tè r ed e p ip h a n e ia , ha toni diversi rispetto a Paolo, induce a interrogarsi sul ruolo di tale cristologia nella teologia e nella pre­ dicazione »5. In risposta a questa dom anda, egli form ula il suo pensiero in alcuni punti. C om incia col rilevare che la loro cristologia non ha caratteristiche di siste­ m aticità, in quanto l ’autore si lim ita a riprendere singole afferm azioni già esi­ stenti, inserendole in una nuova concezione cristologica senza m odificarne la so­ stanza. D e lin ea poi tale n u o v a co n c ezio n e g lo b alm en te n e ll’« a sp e tto soteriologico » così definito: in G esù Cristo si m anifesta Dio, e Dio si m ostra co­ me colui che vuole la salvezza di tutti gli uom ini. Con l ’introduzione dei due ter­ mini, s ó tè r ed e p ip h a n e ia - precisa - , ha luogo una « trasposizione » della cristo­ logia nel m ondo ellen istico . C o m p leta quindi il suo p ensiero sottolineando l ’intento di porre tale cristologia sotto il nom e e l ’autorità di Paolo, rivendicando così un rapporto di continuità, inteso non com e m era ripetizione della tradizione m a com e nuova interpretazione che tenga conto delle condizioni del proprio tem ­ po. E così conclude su ll’esem plarità di tale operazione: « P e r preservare le con­ fessioni cristologiche cruciali d e ll’epoca protocristiana, bisognerebbe essere sem pre alla ricerca di nuove vie per esprim ere queste “antiche verità” , di m odo che esse “parlino” anche agli uom ini d e ll’epoca m o d ern a» 6. Sulla m edesim a lunghezza d ’onda, R. Fabris, partendo dalla connessione soteriologica C risto-D io7: « Un aspetto che caratterizza la cristologia del c o r p u s p a­ storale è la sua dim ensione teocentrica. In altre parole, la figura e il ruolo di G e­

5 Cfr. L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li , voi. Ili, pp. 182-202. 6 L. Oberlinner, L e le tte r e p a s to r a li , voi. Ili, p. 201. 7 R. Fabris, L a c r is to lo g ia s o te r io lo g ic a n e lle L e tte re P a s to r a li , in G. De Virgilio (ed.), Il D e ­ p o s ito d e lla fe d e . T im o teo e Tito (Suppl.RivBiblt 34), EDB, Bologna 1998, pp. 131-141.

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sù, trascritti con i titoli o le qualifiche tradizionali, sono inseriti nel contesto di una visione teologica il cui centro è occupato da D io [...]. Perciò il titolo biblico di “salvatore” , che spetta a Dio, viene riferito senza forzature a C risto Gesù [...]. La trascrizione della fede cristologica m ediante il lessico e le categorie epifaniche consente a ll’autore delle P astorali di saldare il m essaggio cristiano, che affonda le sue radici nella tradizione biblica, con il m ondo culturale dei suoi de­ stinatari. Q uesta scelta di inculturazione della fede non solo facilita la sua com u­ nicazione, m a conferm a il carattere fondante o m otivante della cristologia delle Lettere Pastorali. In altri term ini, la ripresa delle form ule tradizionali della fede cristologica nella sua dim ensione soteriologica ha un risvolto pratico e pastorale. La fede in C risto salvatore sta alla base di quello stile di vita che deve contrasse­ gnare i singoli credenti e la com unità cristiana». D irettam ente connessa alla cristologia è, nelle grandi lettere, la pneum atologia. Lo Spirito vi è evocato com e protagonista d e ll’ingresso e della perm anenza del popolo n e ll’alleanza con Dio. M ediante lo Spirito si diventa e si perm ane co­ m e figli di D io (cfr. Gal 4,6-7; Rm 8,14-17). Parim enti rilevante è, nella riflessio­ ne paolina, il ruolo dello Spirito nella vita nuova del credente, divenuta perciò la vita secondo lo Spirito. Q uale principio vitale di azione, in sostituzione-opposizio­ ne della « carne », egli determ ina opere nuove che sono il suo « frutto », in antitesi alle «opere della carn e» segno d e ll’uom o vecchio (cfr. Gal 5,16-26; Rm 8,1.27). N elle presenti lettere non c ’è tutto questo am pio sviluppo della pneum atologia. Il p n e u m a è m enzionato poche volte8, tuttavia i testi, m uovendosi nella linea paolina del raccordo con Cristo e con la Chiesa, rivestono una rilevanza di grande ori­ ginalità. I passi più im portanti si trovano negli inni cristologici di 1Tm 3,16, dove si evidenzia l ’unione tra lo Spirito e Cristo: « È stato riconosciuto giusto nello Spi­ rito», e di Tt 3,5-6, dove si sottolinea la sua funzione soteriologica: « E gli ci ha salvati non in base alle opere giuste com piute da noi con giustizia, m a secondo la sua m isericordia, attraverso un bagno di rigenerazione e rinnovam ento nello Spi­ rito santo, che egli (Dio) ha effuso su di noi in abbondanza per m ezzo di G esù C ri­ sto, salvatore nostro, affinché, giustificati per la sua grazia, diventassim o, nella speranza, eredi della vita eterna». Il raccordo tra pneum atologia ed ecclesiologia, con particolare riferim ento alla C hiesa provata dal pericolo d ell’eresia, è evidente n e ll’esortazione rivolta a Timoteo: «C ustodisci il buon deposito, con l ’aiuto del­ lo Spirito santo che abita in n o i» (2Tm 1,14), m a anche n e ll’erm eneutica escato­ logica degli eventi fatta dallo Spirito: « L o Spirito dice apertam ente che negli ulti­ m i tem pi alcuni si allontaneranno dalla fede, aderendo a spiriti ingannatori e insegnam enti dem oniaci» (1Tm 4,1). Tuttavia, com e è noto, l ’elem ento più inno­ vativo della pneum atologia delle nostre lettere riguarda direttam ente la Scrittura definita com e th e o p n e u s to s («divinam ente ispirata», 2Tm 3,16). b) E c c le s io lo g ia . - La concezione della salvezza, che abbiam o visto centrale nella cristologia delle lettere pastorali, è anche fondam ento della loro ecclesiolo-

8 Cfr. Tt 3,5-6; 1Tm 3,16; 2Tm 1,7; 1Tm 4,1, con riferimento al ruolo profetico escatologico dello Spirito; 2Tm 1,14, con l ’esortazione rivolta a Timoteo di custodire il buon deposito con l ’aiu­ to dello Spirito.

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già. L’avvento salvifico di G esù nel m ondo ha segnato la m anifestazione pubbli­ ca della volontà di Dio, che si estende a tutti gli uom ini ed è perm anentem ente presente m ediante la proclam azione del vangelo. Proprio questa costante presen­ za del vangelo crea il segno dello spazio salvifico della « casa di Dio, che è la C hiesa del D io vivente, colonna e baluardo della v erità » (1Tm 3,15). R iprendiam o l ’indagine sulla m etafora ecclesiologica della « c a sa di D io » - da noi esam inata com e « esp an sio n e» prim a - p er evidenziarne l ’insita poten­ zialità di « apertura». Vediamo ergersi l ’im m agine di una C hiesa consapevole del suo com pito, pienam ente inserita nel suo am biente socioculturale, e tuttavia im pe­ gnata in un dialogo critico con esso, senza alcun atteggiam ento di chiusura o di ripiegam ento su se stessa. L’accennata m etafora della « casa di Dio » è da intendere nel senso della cultura antica di centro vitale della fam iglia patriarcale, organism o fondam entale della società, articolato e funzionante secondo ben precise regole. « N ella società antica », puntualizza C. M arucci9, « la città e lo Stato vengono con­ cepiti sul suo modello. Per diverse vie, sia l ’esperienza delle p o le is greche che quella d ell ’u r b s Rom a, porta l ’uom o antico alla convinzione [...] che la città sia quel tipo di associazione um ana che consente al m assim o la realizzazione dei fini per i quali l ’uom o esiste. Im plicito nel concetto di casa-fam iglia è che i vari m em ­ bri si relazionino fra loro in base a un rapporto di superiori e di dipendenti [...] e che essi abbiano differenti com piti e am biti di responsabilità, di cui ognuno può essere chiam ato a rendere conto al superiore. Al p a t e r f a m i l i a s , ad esempio, in­ com be il nutrim ento e m antenim ento dei m em bri; egli ha il potere dom inativo e rappresenta la casa aH’estem o. La donna, invece, opera a ll’interno delle m ura do­ m estiche; a lei spetta la conduzione della casa, m entre in pubblico essa di solito ta­ ce. I figli sono al tem po stesso oggetto delle cure e della più severa educazione da parte di u n p a id a g d g o s scelto dal padre: essi non godono di una vera indipenden­ za. I “clienti” e gli schiavi infine sono ovviam ente tenuti in diverso grado a ll’ob­ bedienza, m a hanno diritto a sostentam ento e protezione» (p. 150). Su questo sfondo socioculturale è possibile com prendere rim p ia n to della ecclesiologia espressa dalla m etafora « casa di D io » e la sua stessa articolazione m inisteriale. L 'e k k lè s ia deve proporre al suo interno la m edesim a struttura tipo della s o c ie ta s nella quale è stata posta dal suo Dio, p er poter rispondere alla m is­ sione da lui affidatale di essere segno in m ezzo alla totalità dei popoli che egli vuo­ le attrarre a sé. La concretezza e la visibilità storica diventano, pertanto, preroga­ tive fondam entali e p ecu liari della ec clesio lo g ia delle nostre lettere. Infatti, proprio la concreta e ordinata vita dei credenti, che testim oniano la com une fede in parole e opere, rende visibile e, in qualche m odo, « p u b b lica» la volontà salvi­ fica di Dio rivolta a tutti gli uom ini; per suo tram ite, Dio vuole che « tutti gli uo­ m ini siano salvi e giungano alla conoscenza della v erità» (1Tm 2,4). Così, nella e k k lè s ia to u T h e o u , Dio, il d e s p o tè s , « p adrone di ca sa» della com unità (cfr. 2Tm 2,21 ), le ha preposto un o ik o n o m o s (« am m inistratore », Tt 1,7), che, nella qualità di e p is k o p o s , è deputato a esercitare di fatto il ruolo di p a t e r fa m ilia s . Egli deve 9 C. Marucci, L ’e c c le s io lo g ia d e lle L e tte r e P a s to r a li , in G. De Virgilio (ed.), Il D e p o s ito d e lla f e d e . T im o teo e Tito (Suppl.RivBiblt 34), EDB, Bologna 1998, pp. 143-162.

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saper « g u id a re » , « co rreg g e re» e se necessario anche « allo n tan are» (cfr. 1Tm 3,4; Tt 3,10), m a al tem po stesso deve curare il benessere spirituale dei credenti della sua casa (cfr. Tt 1,6). A loro volta, costoro hanno il dovere di farsi guidare à a lV e p is k o p o s e di obbedirgli (cfr. 1Tm 4,16). Il testo di 1Tm 3,15, che con la presentazione della m etafora della « ca sa di Dio » ci ha guidati alla com prensione d e ll’analogia tra la com unità ecclesiale e la o ik ia ellenistica, offre, nella sua seconda parte, u n ’apposizione di indubbio valo­ re ecclesiologico: « L a C hiesa del Dio vivente, colonna e baluardo della v erità» (1Tm 3,15b). Sulle nuove « a p e rtu re » insite nel testo citato, vogliam o ora porta­ re la nostra attenzione. A ndando oltre la valenza esegetica dei term ini, da noi già esam inati, constatiam o che l ’apposizione converge sulla « v e rità » sostenuta, por­ tata avanti nel m ondo dalla Chiesa, una « verità » equivalente a volontà salvifica di Dio che si rivela nella storia, m ediante Cristo Gesù. Ciò è conferm ato dal fat­ to che la definizione ecclesiologica di 1Tm 3,15b è subito seguita d a ll’inno cri­ stologico di probabile derivazione liturgica del v. 16b, introdotto da una form ula esortativa: « D obbiam o confessare che grande è il m istero della pietà ». Viene co­ sì inequivocabilm ente precisato che la « verità » annunziata dalla Chiesa è il m i­ stero stesso della salvezza, che è stato rivelato in e da Cristo e che è il contenuto fondam entale della fede. In base al rapporto com unionale della C hiesa con C ri­ sto, tale m istero è detto tè s e u s e b e ia s (« della pietà »), perché si trasform a in prin­ cipio vitale che anim a la prassi di fede e di vita. In questa prospettiva si inserisce la dim ensione ministeriale della ecclesiologia delle tre lettere. Le norm e dettagliate di com portam ento riguardano vari gruppi di fedeli divisi per funzioni. L’intento di queste norm e, oltre alle esigenze di ordine ac­ cennate sopra, si inscrive nella dim ensione m issionaria della Chiesa, che si autocom prende com e proiettata alla conquista dei non credenti m a puntando prevalen­ tem ente sulla testim onianza della sua e u s e b e ia , appunto d ell’esemplarità della sua condotta di vita. La volontà di Dio m anifestatasi a tutti gli uomini passa dunque at­ traverso il segno di una C hiesa capace non solo di presentare una struttura m utuata d all’ideale sociale del suo tem po, m a anche di incarnare gli ideali e le attese più ele­ vate della cultura-am biente, conducendoli a perfezione. U e p is k o p o s deve godere «buona stima presso coloro che sono fuori» (1Tm 3,7); gli schiavi devono consi­ derare « i loro padroni degni di ogni rispetto, perché non siano bestem m iati il nome di Dio e la dottrina» (1Tm 6,1). U n ’apertura al m ondo gentile che non ha paragoni nel Nuovo Testamento, specie se si pensa alle posizioni in merito da parte della tra­ dizione giovannea, sia in riferim ento al rapporto tra C hiesa e m ondo giudaico nel Vangelo di Giovanni e più particolarm ente tra C hiesa e m ondo gentile n ell’A poca­ lisse. N on si tratta di ingenuo ottimismo, incapace di far fronte alle tensioni e anche alle crisi del suo tem po, anzi la com unità è invitata a far proprie le sofferenze pati­ te da Cristo e dallo stesso Paolo (cfr. 2Tm 2,3.11), m a di incrollabile adesione ai percorsi indicati dal volere salvifico di Dio. C. M arucci esam ina, con perspicacia, un ulteriore risvolto della m etafora à o lV o ik ia , insita nel testo ecclesiologico di 2T m 2,19-21: « Il solido fondam ento posto da Dio è stabile e porta questo sigillo: “Il Signore conosce quelli che sono suoi”, e ancora: “ Si allontani d a ll’ingiustizia chi invoca il nom e del Signore” . In

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una casa grande però non vi sono soltanto utensili d ’oro e d ’argento m a anche di legno e di argilla; gli uni per uso nobile, gli altri per uso umile. Chi si m anterrà puro da questi, sarà com e un utensile nobile, santificato, utile al padrone (di ca­ sa), pronto per qualsiasi utilizzo buono ». A nche qui, al di là della valenza esege­ tica delle im m agini del « fondam ento » e del « sigillo », sottolineiam o 1’« apertu­ ra » insita n ella parab o la conclusiva rilevata d a ll’autore biblico, per il quale sem bra chiaro il riferim ento alla coesistenza a ll’interno della C hiesa di m em bri degni e di m em bri di scarso valore, se non decisam ente indegni. Tuttavia, non ci sentiam o di condividere l ’applicazione tratta da C. M arucci: « Ciò equivale a dire che la C hiesa, nella term inologia posteriore, è un c o r p u s p e r m i x t u m ; i reprobi (n e ll’im m agine: i vasi p er usi indegni) convivono con i “santi” e fanno parte della stessa C h ie sa » 101. È noto che Paolo indirizza le sue let­ tere a tutti i cristiani delle Chiese chiam andoli con l ’appellativo di « sa n ti» , ben consapevole che al loro interno coesistono giusti e peccatori. Ed è altrettanto no­ to che egli esorta tutti i santi alla santificazione, facendo riferim ento, per un ver­ so, al loro stato di santità sacram entale-battesim ale e, per l ’altro verso, alla ne­ cessità di tendere costantem ente alla conform ità esistenziale al loro s ta tu s . Le nostre lettere si m uovono in linea di continuità con tale visione. Intanto, il « sigil­ lo » sul fondam ento posto da D io dichiara im possibile la convivenza di santi e in­ giusti, definendo i prim i com e p a r t n e r del rapporto di conoscenza-am ore del Si­ gnore con i suoi, e i secondi com e inconciliabili con l ’identità credente di chi invoca il nom e del Signore. Il severo m onito di 2T m 2,19b: « Si allontani d a ll’in­ giustizia », trova riscontro nella spiegazione della parabola fornita dal testo m e­ desim o in 2Tm 2,21 : « Chi si m anterrà puro da questi, sarà com e un utensile no­ bile, santificato, utile al padrone (di casa), pronto p er qualsiasi utilizzo buono ». I versetti di 2Tm 2,22-26 successivi non lasciano alcun dubbio sui destinatari del­ l ’invito, che sono quei falsi dottori attaccati d a ll’autore: « C erca la giustizia, la fede, l ’am ore, la pace assiem e a quelli che invocano il Signore con cuore since­ ro. Evita le discussioni sciocche [...]. Dio conceda loro (ai falsi dottori) la con­ versione alla conoscenza della verità e si svincolino dal laccio del diavolo ». N on si tratta dunque di una conditio di convivenza, m a di un invito rivolto a tutti i m em bri della oikia ad «allontanarsi d a ll’ingiustizia» e a «m antenersi p u ri» da ogni com prom issione con il m ale. N ota qualificante del credente diventa, pertan­ to, non la condanna del peccatore ma, conform em ente a ll’agire divino, il deside­ rio del cuore e la preghiera delle labbra perché egli si converta « alla conoscenza della verità» , m irando decisam ente alla santità donata e sem pre da raggiungere, perché la C hiesa risplenda nella « nobiltà » di ogni suo utensile, reso « santifica­ to, utile al padrone (di casa), pronto per qualsiasi utilizzo buono ». Com pletiam o l ’analisi delle « aperture » proposte dalla ecclesiologia delle tre lettere, con u n ’analisi del rapporto tra carism a e istituzione. Se ne occupa E. D el­ la Corte, in un suo recente apporto11. Punti di partenza fondamentali sono il grup­ 10 C. Marucci, U e c c le s io lo g ia d e lle L e tte r e P a s to r a li, in G. De Virgilio (ed.), Il D e p o s ito d e l­ la fe d e . T im o teo e Tito (Suppl.RivBiblt 34), EDB, Bologna 1998, p. 158. 11 E. Della Corte, C a r ism a e m in iste r i n e lle L e tte r e P a s to r a li, in G. De Virgilio (ed.), I l D e p o ­ s ito d e lla f e d e . T im o teo e Tito (Suppl.RivBiblt 34), EDB, Bologna 1998, pp. 177-193.

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po sem antico del « servizio » (d ia k o n o s, d ia k o n ia , d ia k o n e in ) e il suo orientam en­ to alla proclam azione del « v an g elo » . Paolo per prim o si definisce, in tal senso, d ia k o n o s (cfr. 1Tm 1,12); sulla sua scia, anche Tim oteo e Tito, chiam ati a organiz­ zare e guidare la com unità secondo le istruzioni d e ll’Apostolo (cfr. 2Tm 4,5; 1Tm 4,6); costoro devono scegliere, a loro volta, uom ini fidati per integrità di vita e dot­ trina per trasm ettere il deposito ricevuto (cfr. 2Tm 2,2; Tt 1,9), diventando così «organo di trasm issione» tra l ’A postolo e la com unità. Infatti, i com piti da loro esplicati diventano punto di riferim ento per i presbiteri vescovi che prenderanno il loro posto nelle singole com unità locali. La diversificazione dei vari « servizi », in tale prospettiva, lungi dal voler rispondere a un intento di codificazione istituzio­ nale, con una definizione tecnica e univoca del « servizio », si qualifica com e ri­ sposta innovativa a esigenze sem pre nuove poste d a ll’attività d ell’annunzio. C o­ sì, ad esem pio, la d ifferenziazione tra il « s e rv iz io » di episcopo e quello di presbitero è un processo ancora in atto e quindi tu tt’altro che definito. A ppaiono più due titoli che due m ansioni già distinte. C ertam ente - com e abbiam o rilevato nel corso d e ll’analisi esegetica - gli episcopi sono presbiteri, anche se non tutti i presbiteri sono episcopi, i quali, a loro volta, restano m em bri del presbiterio. Parim enti, il dettagliato elenco di com portam enti richiesti a diaconi e diaconesse m o­ stra chiare concordanze con le liste destinate agli episcopi (cfr. 1Tm 3,8-12; 1Tm 3,2-7 e Tt 1,7-9). Ciò indica che essi svolgevano un « servizio » rilevante nella vi­ ta della com unità, m a non era certo assim ilabile a quello dell 'e p is k o p o s , conside­ rato che quello del d ia k o n o s investe ruoli d ’am bito caritativo e sociale. Si può, inoltre, am m ettere, con E. D ella C orte12 che « l ’istituzione ha un ruo­ lo nella m isura in cui espleta il coordinam ento dei carism i». L’analisi condotta dall ’autore sugli unici due testi in cui il c h a r is m a o dono spirituale è ricevuto m e­ diante l ’im posizione delle m ani d e ll’A postolo: 1Tm 4,14 e 2Tm 6,8, approda ad « aperture » di rilievo. Il testo di 1Tm 4,14 - egli conclude - non solo esprim e una relazione tra carism a e m inistero, m a fa anche dipendere il m inistero d a ll’ispira­ zione. Le figure A q W e p is c o p o , del p r e s b ite r o e del d ia c o n o « n o n sono certo una realtà già gerarchizzata così com e la possiam o intendere noi oggi. R appresenta­ no il frutto di un cam m ino di C hiesa e di prassi ecclesiale. Siam o davanti a ll’u ­ nità del servizio n e ll’articolazione della diversità. Più che parlare di vere e pro­ prie funzioni, possiam o definirle un servizio al popolo di D io », e - aggiungiam o noi - al vangelo, « [ ...] (segno di) un cam m ino ecclesiale lungo il quale queste realtà c a r is m a tic o - d i s e r v iz io si stanno delineando [...]. Con le Pastorali siamo davanti non più alla fondazione delle varie Chiese, né al loro consolidam ento, m a alla crescita ecclesiale: è la stagione della Chiesa, quella che spesso viene defini­ ta la terza generazione cristiana. E la crescita avviene attraverso l ’articolazione e la ricchezza dei carism i in un continuo rapporto con le istituzioni, non in una ten­ sio n e » 13.

12 E. Della Corte, C a r ism a e m in iste r i n e lle L e tte r e P a s to r a li , in G. De Virgilio (ed.), I l D e p o ­ s ito d e lla f e d e . T im o teo e Tito (Suppl.RivBiblt 34), EDB, Bologna 1998, p. 184. 13 Cfr. E. Della Corte, C a r ism a e m in iste r i n e lle L e tte r e P a s to r a li , in G. De Virgilio (ed.), Il D e p o s ito d e lla f e d e . T im o teo e T ito (Suppl.RivBiblt 34), EDB, Bologna 1998, pp. 191-192.

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2. Dal S itz

im

Leben del messaggio. La Chiesa protagonista dell’annunzio

A nche in questa seconda pista di indagine riprendiam o l ’espressione S itz im L e b e n utilizzata nella nostra P a r te p r im a . S e z io n e in tr o d u ttiv a , per il m edesim o, intenzionale collegam ento. L a nuova « a p e rtu ra » che, em blem aticam ente, vo­ gliam o prendere in esam e, si basa su un dato incontrovertibile delle lettere pasto­ rali: il loro intento di proporre l ’insegnam ento parenetico utilizzando le catego­ rie di lin g u ag g io del loro tem po. R iv o lg en d o si a l l ’uom o storico di cultu ra ellenica della fine del secolo I, com inciano con l ’interpretarne l ’aspirazione profonda al divino. Q uando poi vogliono avviare la parenesi coerente con il k é r y g m a accolto, non esitano ad assum ere da quella m edesim a cultura categorie di linguaggio e anche term inologia. È il lavoro tipico della inculturazione cristia­ na, proteso alla trasform azione dello spazio sociale del vivere del credente in « spazio » vitale scelto e creato da Dio, « luogo » privilegiato di operatività del suo santo Spirito, appunto in Chiesa. In questa « apertura », ancora più che nelle altre, l ’apostolo Paolo e l ’esem pio di inculturazione offerto dalla sua attività m is­ sionaria diventano inevitabilm ente la « norm a » per eccellenza da seguire e attua­ re. Gli autori che, fin d a ll’inizio del rinnovato interesse scientifico alle nostre let­ tere, si sono dim ostrati attenti a questo aspetto, in sintonia con le caratteristiche della ricerca esegetica di quegli anni, sono C. Spicq e P. D o m ier14. L’autore si serve della lingua colta del suo tem po pur senza far ricorso a finez­ ze letterarie. Il vocabolario e m olte tem atiche sono vicine alla filosofia popolare ellenistico-rom ana diffusasi nel giudaism o della diaspora. Abbiam o notato nel corso d ell’analisi esegetica che l ’esortazione alla pratica delle virtù e il m onito a fuggire i vizi si ritrovano analogam ente in Seneca e in Epitteto, com e anche in Filone di Alessandria. La stessa caratterizzazione degli avversari si serve di stereotipi che si possono trovare già in Platone, nella polem ica filosofica antisofista. L’am biente sul quale indaghiam o fornisce m odelli letterari sicuramente per la 1Timoteo e per la Lettera a Tito. Le cosiddette lettere socratiche, che circolavano pseudepigraficam ente sotto il nom e di Socrate, sono scritti analoghi di contenuto parenetico, dove si trovano prescrizioni e direttive m otivate con esempi personali positivi o negati­ vi. La 2Tim oteo si rifa a modelli letterari diversi. U nica fra le tre lettere, inizia con u n ’« azione di grazie » che la collega alle lettere paoline. Soprattutto il suo genere letterario « testam ento » la collega a una produzione letteraria diffusa nel giudaismo ellenistico (cfr. T e sta m e n to d e i d o d ic i p a tr ia r c h i ), le cui tracce sono riscontrabili in altri testi del Nuovo Testamento (cfr. « i discorsi di addio » del Cristo giovanneo; soprattutto « il discorso di addio » di Paolo agli anziani di Efeso). Q uesto accostam ento di m odelli ellenistici e giudaici è una caratteristica del­ le lettere in esam e. N ella presentazione della cristologia abbiam o osservato che lo specifico titolo di « salvatore » dato a C risto era usato per le divinità ellenisti­ che. Parim enti il concetto di « epifania », p er un aspetto sostitutivo del concetto apocalittico di « p a ru sia » , n e ll’am biente pagano indicava l ’intervento salvifico

14 C. Spicq, S a in t P a u l. L e s é p ìtr e s p a s to r a le s ’, R Domier, L e s è p îtr e s p a s to r a le s . Entrambi of­ frono, in tal senso, oltre a preziose suggestioni esegetiche, anche pregevoli e x cu rsu s.

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di divinità e di eroi. L’autore non esita a porre in relazione questa term inologia in­ novativa con form ulazioni cristologiche m olto antiche e provenienti d a ll’am ­ biente giudeocristiano. L’invito rivolto a Tim oteo a ricordarsi « di Gesù Cristo ri­ sorto dai m orti, della stirpe di D a v id » di 2T m 2,8 è una confessione di fede giudeocristiana che Paolo cita in R m 1,3. Parim enti giudeocristiana è la form ula di Tt 2,14, riferita a G esù Cristo che « h a dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni illegalità e form are per sé un popolo puro di sua proprietà », con chiara ci­ tazione d e ll’A ntico Testam ento. Infine, il fam oso inno cristologico di 1Tm 3,16 può essere interpretato soltanto sullo sfondo della teologia giudaica. La presenza della com ponente giudaica è individuabile oltre che nella cristologia, anche in non poche tracce d e ll’am pio sviluppo parenetico. A d esem pio, la m otivazione della inferiorità della donna desunta da u n ’interpretazione sottile della storia del­ la creazione e del peccato delle origini, in 1Tm 2,13, è sicuram ente di m atrice giudaica. Tuttavia, gli esem pi più evidenti nelle tre lettere sono dati dalla conce­ zione della C hiesa e dalla sua struttura istituzionale, centrale nelle com unità del­ le lettere. L’idea della com unità com e « casa di D io » richiam a quella di Qumràn: 1 Q S 5,5; 8,5-9. La frase « colonna e baluardo/sostegno della verità» di 1Tm 3,15 ha un parallelo in 1 Q S 5, dove la com unità di Q um ràn si designa com e « fonda­ m ento della verità (m ò s a d ’é m e t) per Israele » e « casa della verità (b è t h a *é m e t) in Isra e le » 15. Vi si incontra il gruppo degli anziani o presbiteri, le cui tracce più antiche sono reperibili nella com unità gerosolim itana16 e in altre com unità giu­ deocristiane17. La stessa figura d e ll’episcopo è accostabile a quella del p à q ì d o « p resid en te » dei qum raniani, che è posto « a capo dei m olti», esam ina i candi­ dati, li introduce n e ll’« alle a n z a » e li istruisce sulle « c o stitu zio n i» della com u­ n ità18, o anche al m eb a q q é r , il solo che possa prendere la parola senza l ’autoriz­ zazione d e ll’assem blea19, m a soprattutto, secondo il D o c u m e n to d i D a m a s c o , è colui che istruisce « i m olti », esattam ente com e l ’episcopo di 1Tm 3,2 e di Tt 1,9, e riconduce le pecore perdute com e un pastore il suo gregge20. Inoltre, abbiam o anche rilevato che la m aggior parte delle qualità, elencate com e requisiti neces­ sari per un episcopo (e anche per un diacono), corrisponde a quelle richieste per l ’insegnam ento, in am biente giudaico, com e visto sopra, o ai condottieri m ilitari ellenistici del tem po. H. M erkel trae le sue conclusioni, partendo dalla supposizione che l ’autore delle lettere pastorali voglia intenzionalm ente introdurre nelle com unità il m odel­ lo vescovi/diaconi, a integrazione del m inistero dei presbiteri. « N ella situazione di crisi che era stata determ inata dalla m assiccia com parsa degli eretici », egli so­ stiene, « n o n era più sufficiente che le com unità fossero guidate da un organism o di persone rispettabili [...]. La crisi esigeva u n ’organizzazione più rigida e in par­ ticolare una guida della com unità con facoltà di decidere dal punto di vista teolo­ 15 Cfr. 16 Cfr. 17 Cfr. 18 Cfr. 19 Cfr. 20 Cfr.

anche 1 Q S 9 & 7 g //6 ,2 8 ; 4 Q p P s 37,2,16. At 15,2.4.22; 21,18. At 11,30; 14,23; Gc 5,14. al riguardo 1 Q S 6,14-15. 1 Q S 6,11. D o c u m e n to d i D a m a s c o 13,7.

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Parte terza. Il messaggio teologico

gico. I presbiteri [...] devono essere lasciati sullo sfondo, m entre il vescovo corri­ spondente al m odello di Tim oteo conserva u n ’autorità disciplinare sui presbiteri (1Tm 5,19) e sul diritto di ordinazione (1Tm 5,22.24) ». Questa, infine, la sua con­ vinzione su ll’identità culturale-religiosa delle com unità in questione: « L e lettere pastorali sono dunque dirette a com unità con una teologia e u n ’organizzazione d ’im pronta giudeocristiana. N on vi è dubbio che al tem po della redazione queste com unità fossero costituite in netta prevalenza da cristiani provenienti dal pagane­ simo; non si deve escludere un vivace dibattito con il giudaism o»21. L’indagine « sull ’am biente » finora condotta avanti ha preso in considerazio­ ne la proiezione della com unità ecclesiale a ll’esterno, appunto im pegnata in un processo innovativo di inculturazione del m essaggio evangelico sia nel m ondo ellenistico-rom ano sia in quello giudaico circostanti. R iteniam o sia giunto il m om ento di fissare lo sguardo a ll’interno della C hie­ sa della terza generazione, per considerarne l ’intim o lavorio di ricerca e di svi­ luppo che ha consentito la form ulazione di quelle linee teologico-parentiche che l ’hanno resa protagonista del m enzionato processo di inculturazione. In breve, si tratta di spostare l ’an g o latu ra d e ll’indagine, p assan d o dalla considerazione d e ll’« am b ie n te » com e oggetto, quale spazio operativo d e ll’annunzio, a ll’« am ­ bien te» considerato direttam ente com e soggetto della tipicità d e ll’annunzio m e­ desimo. R icordiam o innanzi tutto che il processo che ha definito il volto della C hie­ sa del periodo sub- e postapostolico, abbastanza diversificato, è stato condiziona­ to da alcuni fattori rilevanti. In prim o luogo, la scom parsa dei protagonisti della prim a evangelizzazione e il sorgere di nuovi evangelizzatori; il progressivo de­ centram ento e l ’universalizzazione del cristianesim o nascente; la consapevolez­ za del ritardo della parusia e la conseguente valorizzazione del tem po connessa a una innovativa riflessione teologico-parenetica. Inevitabili i rivolti: la fissazionedifesa del patrim onio dottrinale tram andato; l ’avvio di una seria organizzazione ecclesiale; l ’im postazione di una prassi conform e alle esigenze del vangelo, sia a d in tr a sia a d e x tr a . Paolo, p er un verso, e Tim oteo e Tito, per l ’altro verso, di­ ventano i p r o t a g o n i s t i - ^ g a r a n t i della fedeltà-norm atività di tale processo. Il prim o quale rappresentante del patrim onio del passato, i secondi quali necessario legam e di continuità con le attuali nuove guide. Tutti i protagonisti, del passato, del presente e del futuro, trovano nella testim onianza il punto-forza che guida e orienta il cam biam ento nel solco della p a r a d o s i s , senza alcun lim ite né di tem po (considerato che non si conoscono i tem pi e i m om enti del suo ritorno), né di spa­ zio (considerato che tutto è stato colm ato dalla sua pienezza). La grande intuizione paolina del sy n C h ristó , con la particolare valorizzazione letterario-tem atica della particella sy n (con) accostata alle molteplici espressioni d ell’evento redentivo, è ripresa per illuminare di luce vividissim a il processo pro­ mosso dalle com unità delle lettere pastorali, in tutte le fasi del suo progressivo e inarrestabile cammino. Paolo, che l ’aveva posta quale asse portante del suo pensie­ ro teologico e della sua « m istica» , l ’aveva utilizzata per definire la nuova identità 21 H. Merkel, L e le tte r e p a s to r a li , p. 21.

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fondativa d e ll’essere cristiano: « c o n -m o rto » , « c o n -sep o lto », « co n -riso rto », « con-erede » insiem e con Cristo (cfr. R m 6). Ora, essendo diventato lo stesso A po­ stolo punto di riferim ento im mediato, proprio perché im magine fedele del M aestro e testimone credibile del suo vangelo, la com unione intim a con lui, soprattutto m e­ diante il sy g -k a p o p a th e in (« con-soffrire con lui ») e il s y n -m a r ty r e in (« con-testimoniare ») nel com une com pito di evangelizzazione, diventava il nuovo contrasse­ gno di identità del cristiano della terza generazione, e quindi di autenticità della sua fede-speranza-am ore. Paolo, in base alla sua personale incorporazione a Cristo, aveva potuto afferm are che per lui vivere era Cristo e, parallelam ente, che egli or­ mai non viveva più perché in lui viveva Cristo. Ora, in linea di continuità e svilup­ po con detta prospettiva, le nostre lettere valorizzano l ’unione con Cristo, k y rio s e compimento della parola, mediante la celebrazione liturgica e l ’annunzio m issiona­ rio, m a vi collegano anche il legame con Paolo k e r y x , a p o s to lo s e d id a sk a lo s. Q ue­ sto m otiva la pienezza del tem a della « condivisione », coinvolgente oltre alla sof­ ferenza e r is tic a d e ll’Apostolo, anche la sua preghiera-offerta o b b e d ie n z ia le per tutti gli uom ini e il servizio della carità. G. De Virgilio, nel suo studio (A sp e tti e p r o fili d e lla s o lid a r ie tà n e lle L e tte r e P a s to r a li) prende in esame proprio questi tre am biti22. N oi assum iam o la griglia da lui proposta, m a variando l ’im postazione contenutistica, per la quale seguiremo non il tem a della « solidarietà», m a quello, appunto, della « condivisione », term i­ ne esclusivo delle nostre lettere e, a nostro avviso, più indicativo della intensità-glo­ balità della parenesi in esame. Lo si trova, sotto form a di aggettivo verbale, in 1Tm 6,18, nel contesto d ell’esortazione rivolta ai ricchi: «R accom anda loro [...] di es­ sere pronti a dare a condividere (e u m e ta d o to u s ein a i, k o in ó n ik o u s ) ». Il prim o ter­ mine, e u m e ta d o to u s , indica l ’atteggiam ento di colui che dona aprendo il suo animo alla generosità, mentre quello che a noi interessa, k o in ó n ik o u s , fa più esplicito rife­ rim ento alla dim ensione com unitaria capace di creare, appunto, « condivisione, co­ m unione e unità ». Per queste sue caratteristiche diventa espressivo di tutta la rifles­ sione teologica, coinvolgente la triplice prospettiva annunziata. a) L a c o n d iv isio n e n ella p r e g h ie r a . - In 1Tm 2,1-15, per ben 2 volte l ’autore in­ siste sul tema della condivisione con tutti gli uomini mediante la preghiera. In 1Tm 2,1, scrive: «Ti raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano suppliche, pre­ ghiere, intercessioni e ringraziamenti per tutti gi uomini, per i re e per tutti quelli che hanno autorità, perché possiamo condurre una vita tranquilla, in tutta pietà e dignità ». E in 1Tm 2,8: « Voglio dunque che gli uomini preghino in ogni luogo, alzando al cie­ lo mani pie, senza risentimento né rancore. Allo stesso modo anche le donne ». Al centro, tra le due ricorrenze, colloca la m otivazione teologica della pre­ ghiera: « Q uesto è bello e gradito al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uom ini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità » (1Tm 2,4), direttam ente collegata a quella cristologica: « Infatti c ’è un solo Dio e anche un solo m ediatore tra Dio e gli uom ini, l ’uom o Cristo Gesù, che ha dato se

Aspetti e profili della solidarietà nelle Lettere Pastorali, in G. D e V irg ilio Il Deposito della fede. Timoteo e Tito (S u p p l.R iv B ib lt 3 4 ), E D B , B o lo g n a 1998, pp. 2 0 8 -2 2 1 .

22 G. D e V ir g ilio , (e d .),

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stesso in riscatto p er tutti, questa testim onianza egli ha dato nei tem pi stabiliti » (1Tm 2,5-6). L’im pianto letterario esprim e con evidenza l ’intenzionalità soggiacente: la preghiera, p er poter essere degna risposta d e ll’uom o a Dio salvatore, cioè « bella e gradita al suo cospetto » e così raggiungere il suo scopo, deve avere le stesse ca­ ratteristiche che hanno contraddistinto il dono salvifico di Dio. Deve, cioè, esse­ re universale, esprim ere solidarietà con tutti gli uom ini, com presi « i re e tutti quelli che hanno au torità», e deve innalzarsi a lui con « m an i pie, senza risenti­ m ento né rancore ». Il risultato di tale preghiera sarà raggiunto e si m anifesterà in « una vita tranquilla » vissuta « in tutta pietà e dignità ». La com ponente cristologica, sottolineata d all’autore con il richiamo della nota c o n fe ssio f i d e i di 1Tm 2,5-6a, accosta a ll’unicità di Dio, to p o s tradizionale della fe­ de giudaico-cristiana, la mediazione d ell’«uom o Cristo G esù», novità della fede cristiana e patrim onio particolare della tra d itio paolina. Il collegamento di questo prezioso frammento del passato con il tem a contestuale della preghiera è dato, a no­ stro avviso, innanzi tutto dalla sottolineatura del modo con cui « l ’uom o Cristo G e­ sù » ha compiuto la sua m ediazione soteriologica: « H a dato se stesso in riscatto per tutti », dove c ’è il richiamo della sua morte o b b e d e n z ia le offerta a Dio per la salvez­ za di « tutti », quella totalità per la quale i credenti sono ora invitati a pregare. U n se­ condo collegamento con il tem a della preghiera è n e ll’interpretazione della morte redentiva di Cristo come «testim onianza» («Q uesta testimonianza egli ha dato nei tempi stabiliti », 1Tm 2,6b). Il termine « testimonianza » è un legame che unisce Cri­ sto, Paolo, Timoteo-Tito e le guide future della comunità con il compimento del vo­ lere divino. Pertanto, ha valenza cristologica e apostolico-ministeriale. Nel contesto cristologico del nostro brano, il contenuto della testimonianza allarga considerevol­ mente il suo orizzonte, includendo, oltre al processo di Gesù con la «bella testim o­ nianza » da lui data « dinanzi a Pilato », la sua stessa morte redentiva riletta in term i­ ni di preghiera innalzata a Dio « nei tempi stabiliti » dal suo beneplacito. Sulla natura del brano di 1Tm 2,1-8, G. De V irgilio presenta una interessan­ te « apertura ». « Si tratta forse », egli afferm a, « di un testo relativo a un contesto liturgico della celebrazione battesim ale (O. C ullm ann) o forse della cena pasqua­ le (G. Holtz); tuttavia l ’intera unità rivela un carattere spiccatam ente catechetico con una duplice valenza: la valenza liturgica della com unità a cui è richiesto di pregare pubblicam ente p er tutti, senza distinzioni, e la valenza universalistica ca­ ratterizzata dalla disponibilità al “dialogo” . Di conseguenza appare m eglio com ­ prensibile l ’atteggiam ento di “apertura” verso l ’autorità statale (di cui non si chiede la conversione!), non per ideologia politica, m a sem plicem ente per l ’uso diffuso al tem po di pregare pubblicam ente per i governanti. Entram be le valenze indicano l ’orientam ento solidaristico assunto dalla e k k lè s ia , su raccom andazione d e ll’A postolo nei riguardi della com unità c iv ile» 23. b) L a c o n d iv is io n e n e lla s o ffe r e n z a . - Il nuovo tem a è presente soprattutto in 2Tm 1,8-12: « N o n vergognarti della testim onianza del Signore nostro, né di me

Aspetti e profili della solidarietà nelle Lettere Pastorali, in G . D e V irg ilio Il Deposito della fede. Timoteo e Tito (S u p p l.R iv B ib lt 3 4 ), E D B , B o lo g n a 1 9 9 8 , pp. 2 0 8 -2 0 9 .

23 G. D e V irg ilio , (ed .),

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che sono prigioniero per lui; m a soffri con m e per il vangelo, con la forza di Dio, che ci ha salvati [...] secondo il suo progetto e la sua grazia, la quale ci è stata da­ ta in Cristo G esù fin d a ll’eternità, m a che è stata rivelata ora con l ’apparizione del salvatore nostro Cristo Gesù, il quale ha vinto la m orte e ha fatto risplendere la vita e l ’incorruttibilità per m ezzo del vangelo [...]. È questa la causa dei m ali che soffro, m a non m e ne vergogno: conosco, infatti, colui nel quale ho riposto la m ia fiducia e sono convinto che egli è capace di custodire fino a quel giorno il m io deposito ». Appare con evidenza la som iglianza con i due testi esam inati sopra in riferi­ m ento alla condivisione nella preghiera. L’im postazione letteraria è, anche qui, di tipo concentrico: al centro è la c o n fe s s io f i d e i di 2Tm 1,9-10, che m otiva e fonda l ’invito introduttivo a « n o n vergognarsi della testim onianza del Signore nostro, né di me che sono prigioniero p er lui », unito a ll’esortazione alla condivisione del­ la sofferenza, in 2Tm 1,8, e la ripresa conclusiva del m edesim o tem a della « sofferenza-non vergogna», in 2Tm 1,12. La c o n fe s s io f i d e i , com e pure l ’introduzione e la conclusione del brano, propongono congiuntam ente la prospettiva teologica e quella cristologica, convergenti sul tem a della «testim onianza». Infatti, l ’esorta­ zione alla condivisione nella sofferenza p er il vangelo em erge d all’invito a « n o n vergognarsi della testim onianza del Signore nostro », con im plicito riferim ento all ’evento redentivo, cui è associata la testim onianza offerta da Paolo «prigioniero per lui ». Invito ed esortazione sono poi m otivati dal riferim ento teologico alla « forza di Dio, che ci ha salvati e ci ha chiam ati con una vocazione santa», segui­ to dall ’evento redenti vo cristologico: « La sua (di Dio) grazia ci è stata data in Cri­ sto Gesù [...], il quale ha vinto la m orte e ha fatto risplendere la v ita». Infine, la ripresa conclusiva si configura com e spiegazione della sofferenza patita d a ll’A po­ stolo: « È questa la causa dei m ali che soffro, m a non m e ne vergogno ». Il « v an ­ gelo » diventa il legam e che raccorda in unità i vari m ovim enti del brano. L’invito iniziale è: « Soffri con m e per il vangelo »; la c o n fe s s io f i d e i si com pleta con: « Ha fatto risplendere la vita e l ’incorruttibilità per m ezzo del vangelo »; la ripresa con­ clusiva presenta il tem a del « deposito », cioè il vangelo proclam ato e vissuto: « Egli è capace di custodire fino a quel giorno il m io deposito ». Il verbo s y g k a k o p a th e d (« con-soffrire »), esclusivo della 2Timoteo, dove ri­ torna 4 volte24, è usato solo in riferim ento a Timoteo. N el nostro brano è introdotto dall ’invito a « non vergognarsi » né della testim onianza del Signore né di Paolo pri­ gioniero per lui. Sembra evidente il richiamo, da noi rilevato in fase esegetica, del lo g io n di Gesù: « C h i dunque m i riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo rico­ noscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli » (M t 10,32-33). L’eventuale ripresa del testo m atteano risente tuttavia di un ritocco tipico, a causa d ell’accostam ento del verbo « n o n vergognarsi» con il tem a della «testim onian­ za» , anch’esso presentato nella precedente analisi. Così, la com parsa d ell’espres­ sione chiave: sy g k a k o p a th é s o n tó e u a g g e lió diventa portatrice di un invito unitario, teologicam ente e pareneticam ente così parafrasabile: Soffri con me, come io soffro 24 Cfr. 2Tm 1,8; 2,3.9; 4,5.

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con Cristo, che ha reso la sua sofferenza m ezzo di redenzione per tutti noi, la qua­ le si attualizza n e ll’annunzio del vangelo, per il quale ogni apostolo e guida della Chiesa deve essere pronto a soffrire in-con-per Cristo. c) L a c o n d iv is io n e n e l s e r v iz io d e lla c a r ità . - A m bito operativo di questa nuova dim ensione della condivisione è la com unità cristiana, sia nei rapporti a d in tr a sia nelle relazionalità con il m ondo circostante. G. De Virgilio, prem etten­ do che le lettere presentano notevoli sviluppi solidaristici non rilevabili nelle pre­ cedenti lettere, pro p o n e u na classificazio n e in cinque categorie che so ttendo­ no, in m odi diversi, a ll’esercizio della « so lid arietà» : i doveri di solidarietà del vescovo; le condizioni p er le vedove; il discernim ento sui presbiteri; la relazione tra padroni e schiavi; il ruolo sociale dei ricchi25. D ella lunga lista di qualità richieste d \V e p is k o p o s , due ne definiscono in p ar­ ticolare l ’atteggiam ento di condivisione nel duplice am bito sopra m enzionato: la p h ilo x e n ia (ospitalità) e la capacità di saper condurre lodevolm ente la propria ca­ sa-fam iglia. La p h ilo x e n ia , riguardando lo specifico legam e con i m issionari iti­ neranti, lo collega al filone aureo della m otivazione di fede della condivisione da noi sottolineata nelle due precedenti indagini. A ccoglierli significa, appunto, far­ si carico della sofferenza e r is tic a di cui sono segno, trasform andosi - com e C ri­ sto - in puro dono al Padre e ai fratelli. E non soltanto nel m om ento del ritorno d a ll’annunzio della parola, m a anche e soprattutto in quello d e ll’invio in m issio­ ne, del quale egli diventa personalm ente responsabile e partecipe, m ai dim entico di essere un anello della linea soteriologica della m is s io che parte dal Padre, pas­ sa attraverso il Figlio e giunge, tram ite gli apostoli-m issionari, al m ondo intero. La capacità di guidare la propria fam iglia è la c o n d itio s in e q u a n o n perché egli eserciti il suo ruolo di e p is k o p o s in m odo conform e alla paternità di Dio. La ca­ ratteristica di detta capacità è espressa dalla ricchezza sem antica del verbo p a r a k a le d , «esortare, sostenere nello spirito, incoraggiare»: un com pito educativo e form ativo quale solo un padre pastore è in grado di svolgere. Lo s ta tu s delle vedove si inquadra nel contesto di una condivisione che di­ venta prassi concreta intraecclesiale, sia n e ll’aiuto da offrire in situazioni di rea­ le bisogno sia n e ll’attivazione dei criteri di discernim ento che il pastore deve adottare. Il verbo che qualifica detta condivisione è tim a ó (onorare). A bbiam o ri­ levato, nel corso d e ll’analisi esegetica, che tale verbo assum e, nel contesto di 1Tm 5,3-16, il duplice significato di « risp e tta re » e di « assistere» , proprio per­ ché riferito alle vedove « v eram en te» tali. Il versetto di 1Tm 5,16 precisa, infat­ ti, che di queste deve occuparsi la Chiesa, venendo incontro alle loro necessità. La c h é r a , n e ll’am bito della cultura greco-ellenistica, era una donna senza alcun sostegno né alcuna com pagnia. La C hiesa inserita in q u ell’am biente non poteva non considerarla alla luce d e ll’agire storico-salvifico di Dio. A ssiem e a ll’orfano, la vedova fa parte della categoria degli ‘a n a w im (« i poveri »), segni viventi e p ri­ vilegiati della m isericordia di Dio, e quindi eredità eletta consegnata alla cura

(e d .),

25 G. D e V irg ilio , Aspetti e profili della solidarietà nelle Lettere Pastorali, in G. D e V irg ilio Il Deposito della fede. Timoteo e Tito (S u p p l.R iv B ib lt 3 4 ), E D B , B o lo g n a 1998, pp. 2 1 0 -2 1 8 .

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della sua com unità santa. Cosi, la condivisione del loro bisogno diventa, oltre che espressione di carità, contrassegno di fede. L a duplice espressività di fede-am ore che deve guidare la C hiesa n e ll’accoglienza della vedova, si trasform a in criterio di discernim ento nei suoi confronti: « Sia conosciuta p er le sue opere buone: ab­ bia cioè allevato figli, praticato l ’ospitalità, lavato i piedi ai santi, abbia soccorso gli afflitti, abbia esercitato ogni opera b u o n a» (1Tm 5,9-10). In base alle quattro esplicitazioni, alcune delle quali ripropongono il com pito dell 'e p is k o p o s (cfr. la conduzione della casa-fam iglia e l ’ospitalità), tali « o p ere b u o n e» non riguarda­ no soltanto la carità, m a anche la fede che, anim ando l ’operare, svela l ’intim a unione con il Dio, padre dei poveri, e il suo costante orientam ento a Cristo-Figlio d e ll’uom o, che è venuto per servire e p er prim o ha lavato i piedi dei suoi aposto­ li, invitandoli a im itarne l ’esem pio. La sezione riguardante la condivisione riferita ai presbiteri che presiedono, 1Tm 5,17-24, reca l ’invito a « o n o rarli» , segnando la ricom parsa d ell’area sem an­ tica del verbo tim a ó -tim é (« onorare-onore/riconoscim ento ») con la duplice valen­ za, rilevata a proposito della vedove, di «risp ettare» e «assistere». La m otivazio­ ne inserisce tale « riconoscim ento » ancora una volta nel contesto della sofferenza e r is tic a che contraddistingue il loro im pegno nella predicazione e n ell’insegna­ mento: « I presbiteri che conducono bene la presidenza siano considerati m erite­ voli di un duplice riconoscim ento (d ip lè s tim è s) , soprattutto quelli che si affatica­ no con la p re d ic azio n e e con l ’in se g n a m e n to » (1T m 5,17). I pro ced im en ti disciplinari esposti in 5,19-22 ripropongono la m edesim a istanza riscontrata nel­ l ’ordinam ento delle vedove, del passaggio a una prassi com unitaria concreta, ca­ pace di ispirarsi alla norm atività evangelica espressa da Cristo e riportata in M t 18,16. L’insistenza è, pertanto, sulla necessità di una condivisione reale, profonda­ mente sentita e fraternamente vissuta. Ogni problem a riguardante il ruolo e il com ­ portam ento dei presbiteri —nota G. De Virgilio - deve essere dibattuto e risolto nel dialogo, nella verità e nella riconciliazione. L’effetto di tale atteggiamento è quello di far crescere nella com unità il senso del vangelo e la responsabilità della coeren­ za spirituale ed etica della vita cristiana26. La condivisione proposta d all’autore ha un suo esatto contrario nella « com plicità dei peccati altrui », in cui può incorrere Timoteo qualora dovesse « avere fretta di im porre le mani a qualcuno » (1Tm 5,22). La linea soteriologica della m is s io sarebbe colpevolm ente com prom essa in caso di presbiteri-anelli infedeli nella «presidenza», o nel rifiuto della « fa tic a» connessa al servizio della carità, o nella «predicazione» o, infine, nella d id a s k a lia . Il tem a della condivisione ritorna n e ll’ultim a relazionalità a ll’interno della o ik ia - e k k lè s ia , quella che lega gli schiavi ai loro padroni, m ediante l ’esortazione rivolta ai prim i a « onorare » i secondi. Così, il verbo dom inante la riflessione sul­ la « condivisione nel servizio della carità »: tim a ó (onorare), fa la sua ultim a com ­ parsa: « Quelli che si trovano sotto il giogo della schiavitù considerino i loro pa­ droni degni di ogni rispetto (p a s è s tim è s ) ». Il sostantivo tim é indica, nel caso specifico, « rispetto », « sottom issione » e « servizio diligente ». Com e nelle pre­ Aspetti e profili della solidarietà nelle Lettere Pastorali, in G. D e V irg ilio Il Deposito della fede . Timoteo e Tito (S u p p l.R iv B ib lt 3 4 ), E D B , B o lo g n a 1 9 98, p. 2 1 5 .

26 G. D e V ir g ilio , (e d .),

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cedenti esortazioni, anche in questo contesto, appare decisiva la m otivazione teo­ logica: « Perché non siano bestem m iati il nom e di D io e la dottrina. Quelli che hanno padroni credenti, non m anchino loro di rispetto, perché sono fratelli, m a li servano ancora m eglio, proprio perché quelli che ricevono i loro servizi sono cre­ denti e am ati da D io » (1Tm 6,1-2). D io diventa così l ’unico punto di riferim en­ to d e ll’esortazione e quindi il principio di fede che m otiva il com portam ento del­ lo schiav o cred en te: in caso di p ad ro n i non cred en ti, p e r evitare che un com portam ento senza tim è si trasform i in bestem m ia del N om e e della dottrina; in caso di padroni credenti, per creare, con il servizio della carità m ediante il ti­ m è , il segno della k o in d n ia fraterna ed ecclesiale. L’esortazione rivolta ai ricchi, collocata alla fine della 1Timoteo, in 6,17-19, offre un ultim o prezioso indizio di condivisione e un connesso insegnam ento sull ’uso delle ricchezze: « R accom anda ai ricchi di questo m ondo di non essere or­ gogliosi e di non porre la speranza n e ll’instabilità delle ricchezze, m a in Dio, che tutto dà con abbondanza perché possiam o goderne. R accom anda loro di com pie­ re il bene, di arricchirsi di opere buone, di essere pronti a dare e a condividere: così m etteranno da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita eter­ n a» . C ontinua la centralizzazione teologica d e ll’esortazione: i ricchi sono invita­ ti a porre la loro speranza in Dio, che diventa, anche qui, il m otivo ispiratore del­ la p arenesi. Il tem a d ella co n d iv isio n e em erg en te da d etta cen tralizzazio n e tem atica, è presentato al culm ine di un processo di progressivo accostam ento. C om incia a delinearsi n e ll’invito iniziale rivolto ai ricchi a « n o n essere orgoglio­ si », puntando sul necessario atteggiam ento interiore di apertura alla carità. Segue la squalificazione delle ricchezze, definite instabili e incapaci di sostenere la spe­ ranza. Si tocca l ’apice teologico d e ll’esortazione: la speranza può essere riposta solo in Dio, si passa a precisare che egli è a ll’origine di ogni dono portatore di v e­ ra gioia. Si prosegue con l ’invito a uniform arsi a ll’agire divino, com piendo il be­ ne, arricchendosi di opere buone ed essendo sem pre « p ronti a dare e a condivi­ dere». L’esortazione si com pleta con la proposta della prospettiva escatologica: i ricchi sappiano m ettere da parte un buon capitale p er il futuro, si acquisteranno così la vita eterna. In sintesi, i ricchi siano « p ro n ti a dare e a condividere (e u m e ta d o to u s e in a i, k o in ó n ik o u s ) »: questo il loro atteggiam ento di credenti, esem pla­ to su ll’agire divino e capace di dare senso cristiano alle loro ricchezze, trasfigu­ randole in segno d e ll’am ore fraterno e della k o in o n ia ecclesiale.

LE LETTERE PASTORALI NEL CANONE BIBLICO

L’unanim e riconoscim ento d e ll’inserim ento delle lettere pastorali nel cano­ ne dei libri ispirati, da parte di tutte le C hiese cristiane, si radica in una lunga tra­ dizione, che vede in C lem ente di Rom a, Ignazio di A ntiochia, Policarpo di Sm ir­ ne, i prim i, autorevoli assertori. Il canone di M uratori, a sua volta, pur escludendo la Lettera agli Ebrei dalla lista ufficiale dei libri riconosciuti com e ispirati dalla C hiesa di Rom a, m enziona esplicitam ente le lettere pastorali e le attribuisce a Paolo. Sulla m edesim a posizione è Ireneo di Lione, nella prefazione al suo A d v e r s u s h a e r e s e s . C lem ente di A lessandria, Tertulliano e lo stesso esigente E use­ bio di C esarea sono parim enti testim oni della canonicità delle tre lettere. I m ano­ scritti sono gli stessi delle altre lettere paoline, a eccezione del più antico codice paolino, il P46 (C hester Beatty, del 200 circa), e del codice B (Vaticano, secolo IV), m ancanti dei fogli contenenti le tre lettere, andati perduti. Il codice P32 (del 200 circa) reca i fram m enti di Tt 1,11-15; 2,3-8, in accordo con il codice Sinaiti­ co (S o r ). Testim oniano, infine, i grandi codici: S (Sinaitico, secolo IV), C (Efrem rescritto, secolo V), A (A lessandrino o di Beza, secolo V )1. Il prim o criterio di «connaturalità» che ha consentito l ’ingresso delle lettere pastorali nel canone è, indubbiamente, la loro appartenenza alla grande tradizione dei testi ispirati d ell’Antico Testamento. Le citazioni esplicite d ell’Antico Testa­ m ento sono rare e riguardano sempre il testo della versione dei LXX. La Lettera a Tito non ne ha nessuna. La 1Timoteo cita, in 5,18, il testo di Dt 25,4, introducendolo con la formula tradizionale le g e i g a r h e g r a p h è : « N o n metterai la museruola al bue che trebbia», e « Il lavoratore ha diritto al suo salario». La 2Timoteo cita, in 2,19, quasi alla lettera, il testo di N m 16,5: « Il Signore conosce quelli che sono suoi ». Il medesim o passo di 2Timoteo introduce, con un h a i di collegamento, un se­ condo testo che evoca una formula di Is 26,13 su ll’«invocazione del nome del Si­ gnore»: « S i allontani d all’ingiustizia chi invoca il nome del Signore». 2Tm 4,14: « Il Signore gli renderà secondo le sue opere », richiam a diversi testi d ell’uno e del­ l ’altro Testamento: Sal 62,13 e Pro 24,12, m a anche M t 16,27; Rm 2,6; 2Cor 11,15. Infine, l ’espressione simbolica di 2Tm 4,17: « F u i liberato dalla bocca del leone», indicativa della liberazione di Dio, evoca i testi del Sal 22,22 e di IM ac 2,60. 1 S u lla critica testu a le d e lle lettere p astorali, cfr. C. S p icq , Les épîtres pastorales , v o l. I, pp. 2 9 9 -3 1 1 . V i si trovan o, oltre ai riferim enti b ib lio g r a fici in nota, a n ch e u n ’a m pia lista d e lle varianti testu ali di e sse .

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M olto più num erose sono le citazioni im plicite. N on è nostro intento di pre­ sentare una lista esaustiva, ci lim itiam o, pertanto, a dare soltanto alcune indica­ zioni di contenuto e di m etodo. Il testo di 1Tm 2,12-14, in m erito alla superiorità d e ll’uom o sulla donna, con particolare riferim ento al contesto assem bleare litur­ gico, sem bra configurarsi com e un m id r a s sviluppato su una citazione im plicita di Gn 2,7.15 e 3,13.16. Parim enti, il titolo divino di 1Tm 6,15: « R e dei re e Si­ gnore dei signori»», potrebbe richiam are im plicitam ente Dt 10,17 o D n 2,47. La densa espressione cristologica di Tt 2,14: « H a dato se stesso per noi, per riscat­ tarci da ogni illegalità e form are per sé un popolo puro di sua p roprietà», proprio per i suoi riflessi soteriologico-ecclesiologici appare un vero c o lla g e di testi: Sal 130,8; Ez 37,23; Es 15,13; 19,5; 2Sam 7,23; 1Cr 17,21; D t 7,6, eccetera. M olto rilevante è, in particolare, il contatto con il libro del Siracide. Intanto, l ’area se­ m antica di e u s e b e ia , e u s e b ó s , esclusiva delle nostre lettere, dove com pare ben 13 volte, è presente 14 volte nel Siracide. Parim enti, il term ine p a i d e i a , ricorrente 4 volte nelle lettere in questione2, appare ben 35 volte nel Siracide. Dal punto di vista tem atico, il rilievo d id a s c a lic o dato alle sacre Scritture « ispirate da D io », in particolare in 2Tm 3,15-17, trova riscontro in Sir 24,23-24, dove si fa l ’elogio del « lib ro d e ll’alleanza del D io altissim o», che « trabocca di sapienza [... ] espande la dottrina » e che « fa traboccare 1’intelligenza ». Lo stes­ so Timoteo, che se ne è nutrito fin d a ll’infanzia, è invitato ad aderire a esse, m e­ diante lo studio, la proclam azione e la spiegazione, a utilità di tutti i credenti in ogni circostanza (cfr. 2Tm 4,2). A sua volta, il Siracide, in 39,1-11, così descrive la figura dello scriba, colui che « c o n se rv a » le Scritture: « E g li m edita la legge d e ll’A ltissim o, indaga la sapienza di tutti gli antichi, si dedica allo studio delle p ro fezie» (39,1), dove « leg g e, sapienza, p ro fezie» sem brano indicarne le tre parti. A nche lo scriba, com e Tim oteo, è esortato a spiegare le Scritture al popolo: « Com e pioggia effonderà parole di sapienza [...]. Egli dirigerà il suo consiglio e la sua scienza, m editerà sui m isteri di Dio. Farà brillare la dottrina del suo inse­ gnam ento» (39,6-8). U n altro tem a com une è l ’insegnam ento su ll’uso delle ric­ chezze connesso alla condanna d e ll’avidità. È pura follia riporre la propria fidu­ cia nei beni di questo m ondo (1Tm 6,17; Sir 28,8-12); la cupidigia del denaro è fonte di m ali e di peccati, specialm ente di orgoglio (1Tm 6,9-10.17; Sir 8,2; 10,8.22.30; 27,1-3); soltanto il tim ore di D io o la e u s e b e ia possono recare a ll’uo­ m o i beni necessari alla vita e alla serenità (1Tm 4,8; 6,6-7; Sir 40,26); il cristia­ no, com e l ’uom o saggio, deve im pegnarsi nel com pim ento delle buone opere e vivere con a u ta r c h e ia , cioè n e ll’uso dei beni strettam ente necessari al suo vivere quotidiano (1Tm 6,8.19; Sir 29,11.21). Infine, sul tem a centrale della d id a s k a lia contrapposta alla h e te r o d id a s k a lia , è convergente l ’invito alla sobrietà dottrinale proposta a Tim oteo e a Tito in contrasto con le elucubrazioni dei falsi dottori, e la parallela esortazione alla m odestia intellettuale di Sir 3,17-29, parim enti contrap­ posta alla presunzione del fuorviato: « F ig lio , nella tua attività sii m odesto [...]. Q uanto più sei grande, tanto più um iliati [...], perché grande è la potenza del Si­ gnore e dagli um ili egli è glorificato [...]. N on sforzarti in ciò che trascende le tue 2 Cfr. 1Tm 1,20; Tt 2,12; 2Tm 2,25; 3,16.

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capacità, poiché ti è stato m ostrato più di quanto com prende u n ’intelligenza um a­ na. M olti ha fatto sm arrire la loro presunzione, una m isera illusione ha fuorviato i loro pensieri ». Il secondo criterio di « co n n a tu ralità » che ha determ inato l ’appartenenza al canone dei tre libri in esam e, è certam ente la loro sintonia con la tradizione cri­ stiana. A bbiam o avuto m odo di rilevare, in m olteplici contesti, la centralità di detta appartenenza n e ll’im postazione di fondo delle presenti lettere, sorte proprio con l ’intento di valorizzarla al m assim o. A bbiam o parim enti sottolineato le linee m aestre scelte d a ll’autore in tal senso: ripresa del deposito della fede com une espressa dalla p a r a d o s is nelle antiche form ule di fede di tenore liturgico; colle­ gam ento costante con l ’insegnam ento d e ll’apostolo Paolo eretto a testim onesim bolo della continuità e m odello di operatività apostolica; proposta di inseri­ m ento di tale deposito genetico nel m utato contesto socioculturale-religioso dell ’am biente m ediante una d id a s k a lia capace di far fronte alla duplice esigenza im ­ posta dal tem po: la contrapposizione alle deviazioni dottrinali ed etiche penetrate a ll’interno della C hiesa e l ’im pegno m issionario di una fedele e proficua inculturazione n e ll’am biente di appartenenza. Più in dettaglio. N elle nostre lettere si nota un vero e proprio culto della tra­ dizione: la C hiesa è considerata com e « co lo n n a e baluardo della v erità» (1Tm 3,15), e quindi to p o s privilegiato di salvezza; i m inistri della C hiesa, ai quali so­ no stati trasm essi i poteri dottrinali e pastorali m ediante il solenne rito liturgico d e ll’im posizione delle m ani, hanno il com pito fondam entale di custodire il depo­ sito della fede ricevuto e di trasm etterlo im m utato; i fedeli devono accogliere la verità loro insegnata dai m inistri con la sana d id a s k a lia loro proposta e dim orare in essa; l ’im portanza della tradizione trasm essa e accolta è espressa da una for­ m ula tipica e ricorrente: p i s t o s h o lo g o s , dove lo g o s indica quasi un articolo del c r e d o da tutti professato. Tuttavia, non c ’è dubbio che i testi della tradizione che m eglio esprim ono i contenuti della p a r a t h é k é , proposti dalla d id a s k a lia , sono le tracce di c o n fe s s io n e s fìd e i e di inni liturgici: 1Tm 2,5-6; 3,16; 6,15-16; Tt 3,4-7; 2Tm 1,9-10; 2,11-13. D etti contenuti si rivelano, al contem po, com e i più sugge­ stivi punti di contatto con la tradizione evangelica. C itiam o, a titolo esem plifica­ tivo, i testi di 1Tm 2,5-6 e 3,16. Il testo di 1Tm 2,6, che definisce il carattere espiatorio della m orte di Cristo: h o d o u s h e a u to n a n tily tr o n h y p e r p a n t ó n , rie­ cheggia m olto da vicino il lo g io n di G esù riportato da M t 20,28 e da M c 10,45: d o u n a i té n p s y c h è n a u to u ly tr o n ariti p o lló n . A ncora più evidente la convergen­ za, nei term ini e n e ll’ordine delle proposizioni, notata da C. Spicq3 sulla descri­ zione del m istero di Cristo tra 1Tm 3,16 e la finale di M c 16,12-19: e p h a n e r ó th é e n s a r k i (cfr. M c 16,12); Q k é ry c h th é en e th n e s in (cfr. M c 16,15); e p is te u th è e n k o s m ó (cfr. M c 16,15.16); a n e lè m p h th è e n d o x é (cfr. M c 16,19). La riflessione ecclesiologico-parenetica, incentrata sulla C hiesa quale o ik o s to u T h e o u (1Tm 3,15) e s u ll’apostolato quale o ik o n o m ia T h e o u (1Tm 1,4), trova un suo punto di convergenza con l ’insegnam ento di G esù proposto dalla paralle­ la riflessione lucana sulla figura d e W o ik o n o m o s , « am m in istratore», buono o in­ 3 C. Spicq, L e s é p îtr e s p a s to r a le s , vol. I, p. 231.

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fedele. Innanzi tutto, appare significativa la variante lucana presente nella para­ bola d e ll’am m inistratore fedele riportata sia da Luca sia da M atteo: m entre in M t 24,45 si ha il term ine d o u lo s , Lc 12,42 riporta o ik o n o m o s . In 1Tm 3,3-5 e in Tt 1,7, si afferm a che Y e p is k o p o s è posto nella casa di Dio, h ó s T h e o u o ik o n o m o s . Le prescrizioni relative a questo incarico hanno lo scopo di definire le qualità che devono contraddistinguere un buon o ik o n o m o s . Così, contrariam ente a \V o ik o ­ n o m o s infedele del vangelo che percuote i servitori e si ubriaca (cfr. Lc 12,45), Y e p is k o p o s sarà «irreprensibile, non violento, non litigioso, equilibrato» (1Tm 3,3; Tt 1,7). C om e il cattivo am m inistratore della parabola sperpera i beni del suo signore, esponendosi alle accuse (cfr. Lc 16,1), così il vescovo orgoglioso rischia di cadere nella stessa condanna del diavolo (cfr. 1Tm 3,6). Il vescovo irreprensi­ bile che conserva la sua autorità sui suoi e gode buona stim a presso quelli di fuo­ ri (cfr. 1Tm 3,7) si contrappone alla guida incapace della parabola che, essendo cieca, non è in grado di guidare alcuno, perché solo colui che è « ben preparato sarà com e il suo m aestro » (Lc 6,40). Sulla m edesim a linea, gli h e te r o d id a s k a lo i sono descritti con gli stessi vizi che Luca attribuisce ai farisei: il term ine n o m o d id a s k a lo i è usato, nel N uovo Testam ento, solo nelle lettere pastorali e in Luca, con riferim ento ai farisei (cfr. Lc 5,17; A t 5,34); i farisei sono contraddistinti dal­ la a n o ia (stoltezza), com e gli eretici delle tre lettere (cfr. Lc 6,11; 2Tm 3,9); co­ m e loro sono anche d e fin iti p h y la r g y r o i (« av ari, am anti del den aro » , cfr. Lc 16,14; 2Tm 3,2). L’insegnam ento rivolto ai ricchi è un ulteriore punto di contat­ to con Luca. Il loro orgoglio descritto in 1Tm 6,17 corrisponde a « c iò che è esal­ tato dagli uom ini », che diventa « cosa detestabile davanti a Dio », di Lc 16,15; la loro p h y la r g y r ia è ritenuta la causa di tutti i vizi (cfr. 1Tm 6,10; Lc 16,14). Tutta­ via anche i ricchi possono ottenere la salvezza, a condizione che essi non ripon­ gano la loro speranza nelle ricchezze m a solo in Dio (1Tm 6,17; Lc 1,53), com e suggerito dalla parabola del ricco stolto (cfr. Lc 12,16-21). Conseguentem ente, siano pronti a dividere i loro beni con i poveri, facendo tesoro d e ll’insegnam en­ to del Signore rivolto al giovane ricco (cfr. Lc 18,22), solo così accum uleranno tesori nel cielo (cfr. 1Tm 6,19; Lc 18,22). Sem bra lecito concludere che l ’autore delle lettere pastorali sia particolar­ m ente vicino alla tradizione evangelica riportata da Luca. È noto che n e ll’epoca patristica l ’inserim ento delle lettere nel canone neote­ stamentario era connesso alla loro paternità paolina. Le lettere pastorali sono state respinte da M arcione4. Costui, pur non essendo in senso stretto uno gnostico, tutta­ via nel dualism o della dottrina delle due divinità e nel disprezzo della materia, nel ripudio integrale d ell’Antico Testamento e nel rigorism o etico era pienam ente in sintonia con lo gnosticismo. Gli scrittori cristiani che si opposero a lui e ai suoi di­ scepoli, a partire da Giustino, Teofilo di Antiochia, Tertulliano e altri fino a Efrem il Siro, videro in lui l ’aw ersario principale della C hiesa del suo tempo. Per M arcione, Paolo è l ’unico apostolo che abbia com preso pienam ente il Si­ gnore. Partendo dal contrasto paolino tra legge e vangelo, tra giustizia divina e gra­ zia, pervenne alla persuasione che l ’Antico e il Nuovo Testamento sono in piena 4 Cfr. Tertulliano, A d v e r s u s M a r c io n e m 5.21.

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contraddizione fra loro, che dim ostrano 1’esistenza di due esseri divini diversi, il Dio giusto degli ebrei, che sarebbe identico al creatore (demiurgo), e il Dio d ell’a­ more e di ogni consolazione del vangelo. Il som m o Dio buono, fino allora estraneo e sconosciuto agli uom ini, si sarebbe m anifestato per la prim a volta in Cristo, che sarebbe sceso dal cielo in terra e, assunto un corpo apparente, avrebbe predicato il Dio d ell’am ore e della m isericordia e operato miracoli, m a alla fine sarebbe stato crocifisso come nem ico della legge da parte dei seguaci del demiurgo. A questa strana dottrina si accom pagnava u n ’etica severissim a. M arcione esigeva dai suoi seguaci l ’astinenza da tutte le opere del Dio creatore, specialm ente dal m atrim onio, dalla carne e dal vino. N ella sua opera perduta, A n tite s i , tendeva a dim ostrare l ’esistenza di contrasti insorm ontabili tra le esigenze del­ l ’Antico e l ’insegnam ento del N uovo Testamento. C om pose inoltre uno « specia­ le N uovo Testam ento », costituito dal Vangelo di Luca (senza il racconto d e ll’in­ fanzia di Gesù), e à d X Y A p o sto lic o n , cioè dalle prim e dieci lettere di Paolo (senza la Lettera agli Ebrei e, appunto, le lettere pastorali). Soppresse dalla B ibbia tutte le citazioni d e ll’A ntico Testam ento e altri particolari considerati com e « falsifica­ zioni giudaizzanti». È chiaro, pertanto, il m otivo per cui M arcione, e con lui B asilide, un vero e proprio gnostico, e l ’apologista Taziano, principale esponente degli encratiti, hanno respinto decisam ente le lettere pastorali. Esse erano, infatti, nettam ente contrarie alle loro eresie, anzi le com battevano alla loro stessa origine, quali ger­ m i velenosi di h e te r o d id a s k a lia , in nom e di una « sana d ottrina» che ripropone­ va, appunto, la solidità e l ’ortodossia del sacro « d e p o sito » della fede com une. Proprio per i criteri di « connaturalità » accennati sopra, non è stato difficile alla Chiesa dei prim i secoli riconoscere con chiarezza e respingere con decisione il volto catastrofico d e ll’eresia di M arcione, difendendo sia il carattere ispirato del­ l ’Antico Testam ento, sia il legam e profondo esistente tra tutto l ’epistolario paolino, com prese le lettere pastorali, con la p a r a d o s is della Parola rivelata in tutto l ’arco e secondo tutte le tappe della h is to r ia s a lu tis .

LE LETTERE PASTORALI E IL PROBLEMA DELL’INTERPRETAZIONE

1. Eredità del passato Fra gli antichi com m enti greci e orientali, C. S picq1 fissa l ’attenzione preva­ lentem ente su san G iovanni C risostom o, autore di diciotto om elie sulla 1Tim o­ teo, dieci om elie sulla 2Tim oteo e sei sulla Lettera a Tito, e su Teodoro di M opsuestia, autore di un com m ento alle tre lettere. L a sua conclusione è, pertanto, che l ’interpretazione greca è rappresentata esclusivam ente dalla scuola antioche­ na. Esam inando poi la produzione di lingua latina, Spicq si sofferm a su ll’A m brosiaster, autore di un pregevole com m ento sulle lettere pastorali, sul com m ento al­ la Lettera a Tito di san G irolam o (PL 26,555-600) e sulle 171 citazioni della m edesim a lettera fatte da sant’A gostino, infine sulle brevi m a interessanti note esegetiche e dottrinali di Pelagio. La lista dei com m enti m edioevali si apre con il T ra c ta tu s s u p e r s a n c ii P a u li a d T itu m e p is to la m di A lcuino, e prosegue, fra gli al­ tri, con In o m n e s S. P a u li A p o s to li e p is to la s c o m m e n ta r ia di san Tommaso d ’Aquino, con riferim ento particolare al com m ento alle lettere in esame com posto negli ultim i anni della sua vita e, a suo avviso, una delle m igliori opere scritturistiche deH’A quinate e un capolavoro d e ll’esegesi m edievale. Il problem a critico e, in particolare, il dibattito sulla autenticità sono aperti da H. Schm idt, nel 1804, subito seguito da F.D.E. Schleierm acher12, nel 1807, che com incia a esprim ere riserve s u ll’autenticità di 1Tim oteo, e da J.G. Eichhorn, nel 1812, che estende il problem a critico a tutte e tre le lettere. Tuttavia, la prim a ela­ borazione critica su base storico-teologica appare nel 1835 ed è opera di F.C. Baur, che parla di una riflessione p a o l i n a , m a non certo di Paolo. Su questa linea, appare decisivo il com m ento di H.J. H oltzm ann del 1880, dove lo studioso si im ­ pegna nella dim ostrazione della non autenticità delle lettere pastorali. Successiva­ m ente, si schierano a favore della non autenticità diversi studiosi oggi noti, sia di area protestante che cattolica: A. Loisy, R. Bultm ann, M. Dibelius, R. Barrett, H. Conzelm ann, W.G. Küm m el, N. Brox, E. Lohse, L. Goppelt. M entre si schierano

1Per una presentazione sintetica della storia dell ’interpretazione delle lettere pastorali, tutti gli studiosi fanno riferimento, più o meno esplicito, alla documentata bibliografia presentata da C. Spicq (L e s é p itr e s p a s to r a le s , voi. I, pp. 11-27), alla quale anche noi rinviamo. 2 Per tutti i riferimenti agli autori citati, cfr. la dettagliata presentazione di C. Marcheselli-Casale, L e le tte r e p a s to r a li , pp. 836-864, con rinvìi all’In tro d u zio n e .

Le lettere pastorali e il problema dell ’interpretazione

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in difesa dell’autenticità: T. Zahn, J. Jerem ias, D. Guthrie, C. Spicq, P. Domier. O g­ gi, la m aggior parte degli studiosi considera le lettere pastorali come l ’opera di un discepolo di Paolo che, verso la fine del secolo I, com incia a difendere l ’eredità del­ l ’Apostolo contro le deviazioni dei falsi dottori. N on intendiam o riprendere la trat­ tazione specifica del dibattito in questione, per la quale rinviam o ai m olteplici spunti offerti nella nostra P a r te p r im a . S e z io n e in tr o d u ttiv a , nel duplice contesto ermeneutico da noi scelto: C o n c e n tr a z io n e te m a tic a ed E s p a n s io n e te m a tic a .

2. Istanze del presente A m ano a m ano che abbiam o progredito nel nostro studio, si è andata conso­ lidando la convinzione che le lettere pastorali non hanno potuto essere scritte di­ rettam ente da Paolo. E non si tratta tanto della differenza del vocabolario, anche se siam o stati attenti a ll’uso dei m olti term ini inusuali in Paolo. Sono innanzi tut­ to la figura tratteggiata dello stesso Paolo e, tem aticam ente, le differenze dottri­ nali, gli elem enti che hanno sorretto e m otivato la nostra convinzione. Giunti a conclusione del nostro lavoro, e in linea di continuità con la prospettiva seguita in quest’ultim a indagine sulle A p e r tu r e te o lo g ic h e d i l- 2 T im o te o e L e tte r a a Ti­ to. ( preferiam o percorrere un itinerario alternativo alla rassegna ripetitiva delle ar­ gom entazioni p r ò e c o n tr a l ’autenticità delle tre lettere. Intendiam o, invece, ri­ considerare secondo u n ’angolatura, p er un verso « sto ric a » e per l ’altro verso « sintetico-prospettica», alcune piste da noi sporadicam ente accennate sia nel­ l ’introduzione sia n e ll’analisi esegetica o n e ll’« a p e rtu ra» del m essaggio, e che riteniam o più feconde p er una più com pleta interpretazione. a) I l p r e s u p p o s to e r m e n e u tic o d e lla p s e u d o n im ia . - Innanzi tutto ribadiam o la rilevanza del presupposto erm eneutico della « pseudonim ia » e della sua credi­ bilità storica. È noto che tale procedim ento era usuale sia nel m ondo greco sia in quello giudaico. D opo la presa di G erusalem m e da parte dei rom ani, un autore giudeo utilizza il nom e di Baruch, fedele discepolo di G erem ia, per esortare i suoi connazionali alla conversione e infondere loro speranza. La m aggior parte delle opere è posta sotto il nom e di saggi del passato (Enoch, B aruch, Esdra) senza che alcuno abbia niente da obiettare. N el caso di Pietro e soprattutto di Paolo, il pro­ blem a si pone in term ini diversi, perché negli anni 80-90 d.C. non m ancavano di­ scepoli che avevano conosciuto gli apostoli e udito il loro insegnam ento. N on si poteva attribuire loro u n ’opera dissonante dal loro m essaggio autentico, altri­ m enti sarebbe stata rifiutata, com e accadde a tante produzioni gnostiche poste sotto il nom e di alcuni apostoli (cfr. Il V a n g e lo d i T o m m a so , il V a n g e lo d i F ilip ­ p o ) . Invece, nella confusione di idee che caratterizza l ’epoca postapostolica, era necessario difendere l ’eredità del passato e svilupparla per far fronte alle nuove esigenze e alla situazione di una C hiesa che deve com m isurarsi alla durata nel tem po. Im porta poco conoscere il nom e d e ll’autore. Lo studio della dottrina di­ m ostra che egli si colloca nella tradizione di Paolo, m a con grande libertà. « C on­ servare il deposito » (1Tm 6,20) non equivale ad angusto conservatorism o, m a ri­ chiede una fedeltà creativa sorretta d a ll’aiuto dello Spirito santo (2Tm 1,14).

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b ) N u o v i a p p o r ti m e to d o lo g ic i. - P er un testo com e quello delle nostre lette­ re, appartenente al genere letterario parenetico, una delle « aperture » m etodolo­ giche che gli consente di rivelarsi com e organism o vivente, superando la costri­ zione della lettera scritta, è il ricupero della sua « oralità » originaria. È quanto cerca di fare, più o m eno esplicitam ente, un approccio piuttosto nuovo nella sto­ ria della esegesi delle lettere pastorali: quello retorico. Seguiam o le indicazioni offerte da C. M archeselli-C asale e A. Pitta3. Prescindendo dal confronto tra le strutture retoriche com unem ente in uso nello stile epistolare e quelle tipiche delle lettere in questione, rim ane com une l ’i­ stanza di voler creare una relazione tra m ittente e destinatario-lettore di tipo an­ tropologico nonché contenutistico e program m atico. C. M archeselli-C asale esa­ m ina, in tal senso, le sezioni di apertura e di chiusura, p r e s c r itto e p o s c r itto . Sul p r e s c r i t t o , rileva l ’aspetto innovativo della relazione m ittente-destinatario, costi­ tuito dagli am pliam enti che li caratterizzano. Il m ittente « Paolo » delinea la p ro ­ pria autorevolezza nella s u p e r s c r ip tio o titu la tio : « A postolo di Cristo Gesù, per ordine di D io nostro salvatore e di Cristo G esù nostra speranza» (1Tm 1,1); « Servo di Dio, apostolo di G esù Cristo p er la fede degli eletti di Dio e la cono­ scenza della v erità » (Tt 1,1); « A postolo di Cristo G esù per volontà di Dio e se­ condo la prom essa di vita che è in Cristo G esù » (2T m 1,1). I destinatari, Tim o­ teo e Tito, definiti entram bi « fig li» : « M io vero figlio nella fed e» (1Tm 1,2); « M io vero figlio p er la fede co m une» (Tt 1,4); « F ig lio carissim o» (2Tm 1,2). Dato singolare, che ripropone lo strum ento retorico della filofronesi. A nche il sa­ luto e l ’augurio iniziali sottolineano la reciproca, intensa relazionalità in Cristo, definito sem pre « Signore nostro »: « G razia, m isericordia e pace da Dio Padre e da C risto G esù Signore nostro » (1T m 1,2); « G razia e pace da D io Padre e da C ri­ sto G esù nostro salvatore» (Tt 1,4); « C h e D io Padre e il nostro Signore G esù C risto ti diano grazia, m isericordia e pace » (2Tm 1,2). Sul p o s c r i t t o , l ’autore ne nota la brevità, quasi antitetica a ll’am piezza del p r e s c r itto . Tuttavia, non m anca di rilevare alcune caratteristiche im portanti: è una sorta di sintesi del p r e s c r i t t o ; fa em ergere il coinvolgim ento ecclesiale della relazionalità, m ediante l ’insisten­ za sul pronom e personale al plurale « voi »: « La grazia », quella evocata nel p r e ­ s c r itte >, « sia con v o i» (1Tm 6,20); « L a grazia sia con tutti v o i» (Tt 3,15); « L a grazia sia con voi » (2Tm 4,22). Il « co rp o della lettera», p u r rispettando le m acrostrutture della epistologra­ fia tradizionale, se ne distacca con num erose aggiunte innovative. Sono facil­ m ente individuabili gli elem enti retorici classici: la n a r r a tio ; la p r o b a tio \ la c o n f i r m a t i o ; la r e f u t a t i o \ la p e r o r a t i o . C o n ten u tistica m en te, si rin co rro n o , al contem po, elem enti narrativi, codici di tipo fam iliare, ecclesiale, sociale, ordina­ m enti program m atici, insegnam enti parenetici, riflessioni teologiche, brani tradi­ zionali di c o n fe s s io f ì d e i . L’attenta analisi di questi elem enti consente la com ­

3 Cfr. C. Marcheselli-Casale, L e L e tte r e P a s to r a li a T im o teo e Tito. A n a lis i le tte r a r ia e s tr a te ­ g ia r e to r ic a , pp. 19-38 (vedi qui nelle note 1 e 2, p. 252, indicazioni sugli studi consultati dall’auto­ re); A. Pitta, P a o lo d o p o e a l d i là d i P a o lo : ilp a o lin is m o n e lle P a s to r a li , in G. De Virgilio (ed.), I l D e p o s ito d e lla f e d e . T im o teo e T ito (Suppl.RivBiblt 34), EDB, Bologna 1998, pp. 39-52 (anche qui, in nota le indicazioni degli autori consultati).

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prensione della in te n tio a u c to r is e la sua autonom ia dagli schemi epistolari del suo tempo. A titolo esem plificativo, C. M archeselli-C asale presenta la d is p o s itio retori­ ca della 1T im oteo, secondo i m om enti portanti: Y e x o r d iu m - p r a e s c r ip tu m in 1Tm 1,1-2, dove si instaura la relazione base tra m ittente e destinatario; la p r o p o s itio in 1,3-7, con il tem a centrale d e ll’invito a prendere le distanze dalla h e te r o d id a s k a lia , contraria alla retta fede; la tr a n s i ti o , in 1,8-20, con la ripresa della p r o p o s itio e il passaggio al corpo della lettera, dom inato dalla n a r r a tio ; la n a r r a ­ n o , in 2,1 - 6,2, dove sono esposte tutte le argom entazioni che com pongono la p r o b a t i o , che vuole raggiungere lo scopo del coinvolgim ento pieno e della per­ suasione del destinatario; la r e fu ta tio in 6,3-10, dove si confuta la posizione con­ traria a quella del m ittente e si delineano i tratti del vero e falso m aestro nella fe­ de; il p o s ts c r ip tu m - p e r o r a tio in 6,11-21, con la ripresa sintetica del Y e x o r d iu m e l ’am pliam ento della relazionalità m ittente-destinatario4. Passando d a ll’aspetto form ale a quello contenutistico, m a continuando a se­ guire il m edesim o percorso m etodologico della com unicazione retorica epistola­ re, A. Pitta affronta, in particolare, il delicato problem a della cosiddetta p a o lin ità delle lettere pastorali in base alle continuità e discontinuità con le grandi lettere. L’autore prende in esam e le relazioni argom entative tra l ’autore o e th o s , il testo o lo g o s e il lettore o p a t h o s . I risultati di dette analisi non divergono m olto da quel­ li raggiungibili m ediante i m etodi esegetici tradizionali, com e da noi presentati sia nella P a r te p r im a . S e z io n e in tr o d u ttiv a sia nel com m ento del presente lavoro. In m erito a ll’autore o e th o s , A. P itta perviene alla conclusione che da una parte si ha un « autore esplicito », che sem bra essere lo stesso Paolo delle grandi lettere, d a ll’altra un « autore im plicito », che si presenta com e autorevole testim o­ ne del vangelo e com e unica garanzia del « deposito della fede ». In tale prospet­ tiva retorica, i riferim enti degli stessi brani autobiografici hanno valenza diversa da quella delle grandi lettere. N elle tre lettere - egli precisa - è riconoscibile una certa distanza relazionale tra Paolo e i suoi destinatari, in vista di quello che è de­ finito «esclusivism o p ao lin o » , nel senso che Paolo vi rappresenta l ’unica auto­ rità di riferim ento p er coloro che sono chiam ati a guidare le com unità cristiane. M entre nelle grandi lettere, egli era un genitore nella fede, un padre e una m adre, ora egli è soprattutto « araldo », « testim one » e d id a s k a lo s . Indubbio lo slittam en­ to dalla sua autorevolezza apostolica alla sua autorità di « m aestro »5. Quanto al testo o lo g o s , l ’autore tom a a parlare di « testo esplicito », vicino a quello delle grandi lettere e « testo im plicito », sostanzialm ente diverso. Il prim o è individuato, oltre che nella disposizione epistolografica, anche nelle sezioni pro­ priam ente epistolari, com e l ’«ap u sia-p aru sia» epistolare, consistente nei riferi­ m enti alla « presenza-assenza» tra m ittente e destinatari. Vi si aggiunge il ricco m ateriale com une ai due blocchi epistolari com e, ad esem pio: l ’inno cristologi­ co di 2Tm 2,8-9, che ricalca quello di R m 1,2-4, o le liste di vizi e di virtù di 1Tm 4 C. Casale-Marcheselli, L e L e tte r e P a s to r a li a T im o teo e Tito. A n a lis i le tte r a r ia e s tr a te g ia r e ­ to r ic a , pp. 28-29. 5 A. Pitta, P a o lo d o p o e a l d i là d i P a o lo : ilp a o lin is m o n e lle P a s to r a li , in G. De Virgilio (ed.), I l D e p o s ito d e lla f e d e . T im o teo e Tito (Suppl.RivBiblt 34), EDB, Bologna 1998, pp. 42-43.

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1,8-11 e di 2Tm 3,2-5, accostabili alla lista dei vizi di R m 1,28-31. Il secondo è riconoscibile in diversi indizi. Innanzi tutto, nella esiguità di citazioni d ell’A ntico Testamento, fonte principale delle grandi lettere paoline: su 108 citazioni esplici­ te n e ll’intero epistolario paolino, soltanto 3 citazioni dirette nelle nostre lettere6. C orrelata a questo prim o, rilevante indizio di « d iv ersità» è l ’assenza, in esse, di vere e proprie argom entazioni m id r a ś ic h e , così im portanti nelle grandi lettere7, e anche di citazioni di personaggi anticotestam entari8. L’autore, in m erito d \V e th o s, perviene dunque alla conclusione che, in qualche m odo, anche l ’autorità della Scrittura viene sostituita da quella di Paolo. Ultim o, decisivo indizio di « diver­ sità» esam inato da A. Pitta, è il « v an g e lo » di Paolo. Di enorm e ricchezza nelle grandi lettere, dove assum e valenze svariate: universalism o della salvezza in R o­ m ani, m essaggio della figliolanza in Galati, croce di Cristo in 1Corinzi, sem bra es­ sere scomparso. Intanto, il vocabolario paolino d e ll’evangelizzazione vi è quasi totalm ente assente: non si incontra mai il verbo e u a g g e liz e in e raram ente il sostan­ tivo e u a g g e lio n 9. Parim enti rari sono i term ini affini: k e r y s s e in e k è r y g m a 101. A n­ che a proposito del testo o lo g o s , appare pertinente la conclusione di A. Pitta: « Ora il vangelo tende a diventare più una norm a o una d id a s k a lia da seguire per la gestione interna della com unità e per far fronte alle dottrine eterodosse che ri­ m anere il k è r y g m a da personalizzare nella vita cristian a» 11. L’esam e d e ll’ultim o orizzonte relazionale, il lettore-destinatario o p a t h o s , è analizzato nella m edesim a prospettiva delle due precedenti indagini, cioè ancora una volta attraverso un duplice livello: quello del lettore « esp licito » e quello del lettore « im plicito ». O vviam ente, i destinatari espliciti delle lettere pastorali sono Timoteo e Tito accom pagnati da alcuni riferim enti relazionali di intenzionale va­ lenza storica: Tim oteo è invitato a raggiungere Paolo p er portargli « il m antello » che ha lasciato « a Tròade in casa di Carpo, e i rotoli di papiro soprattutto le perga­ m en e» (2Tm 4,13); Tito è pregato di affrettarsi ad andare da lui « a Nicòpoli », perché ha deciso « d i passare l ’inverno là » (Tt 3,12). Tuttavia, il vero destinatario è il responsabile ideale della com unità che si assum e il com pito di organizzarla e di guidarla, nutrendola giorno dopo giorno con la « sana d id a s k a lia » confluita nel « deposito della fede », a sua volta costantem ente rinnovato dalla linfa vitale del «m istero della p ietà». A tale scopo, vengono offerti al responsabile codici di tipo dom estico, familiare, sociale, quali m odelli organizzativi cui ispirarsi per poter discem ere secondo lo Spirito coloro che devono essere posti a servizio della com u­ nità: vescovi, presbiteri, diaconi. Nel contem po, egli è pressantem ente esortato a dedicarsi prevalentem ente alla crescita nella « p ie tà » e a ll’insegnam ento della

6 Cfr. Nm 16,5 in 2Tm 2,19a; Dt 25,4 in 1Tm 5,18; Is 26,13 in 2Tm 2,19b. 7 Cfr. Gal 3,6-14; 4 ,2 1 -5 ,1 ; 1Cor 1,18-31; 2Cor 3,1-18; Rm 9,1 - 11,36. 8 Gli unici riferimenti sono ad Adamo ed Èva in 1Tm 2,13, a David in 2Tm 2,8, a Mosè, Iamnes e Iambres in 2Tm 3,8. Totalmente assente è la figura di Abramo, così valorizzata nelle grandi let­ tere paoline. 9 Cfr. 1Tm 1,11; 2Tm 1,8.10; 2,8. 10 Cfr. Tt 1,3; 2Tm 4,17; 1Tm 3,16; 2Tm 4,2. 11 A. Pitta, P a o lo d o p o e a l d i là d i P a o lo : ilp a o lin is m o n e lle P a s to r a li, in G. De Virgilio (ed.), I l D e p o s ito d e lla f e d e . T im o teo e Tito (Suppl.RivBiblt 34), EDB, Bologna 1998, p. 45.

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« sana dottrina » ricevuta da Paolo, per contrastare con ferm ezza le dottrine etero­ dosse e i com portam enti deviati che m inano l ’unità e la santità della com unità. In­ tento ultim o di detta esortazione, conform e alla dom inante prospettiva universali­ stica, è anche il non offrire il pretesto di bestem m iare il N om e santo da parte dei non credenti, unitam ente alla segreta speranza di rendergli fedele testim onianza e di orientare il cam m ino dei popoli verso l ’unico Dio, salvatore degli uom ini. A c­ canto a questi destinatari, si trovano riferim enti a oppositori interni ed esterni del­ la com unità: Im enèo e A lessandro (cfr. 1Tm 1,20), m a anche oppositori innom ina­ ti e ben definiti nella loro connotazione ereticale: « Si allontaneranno dalla fede » (cfr. 1Tm 4,1-5); «Insegnano cose diverse» (cfr. 1Tm 6,3-10); «G ente che ha so­ lo una parvenza di p ietà» (cfr. 2Tm 3,1-9). In base alle interrelazioni evidenziate tra autore, testo e lettore espliciti e im ­ pliciti - nota in conclusione della sua indagine A. P itta - si può sostenere che le lettere pastorali, pur tenendo conto del pensiero delle grandi lettere, se ne distan­ ziano e m eritano di essere considerate in m odo autonom o. È loro m erito - prose­ gue - di aver sviluppato buona parte del pensiero e della teologia paolina, anche se spesso più con discontinuità che con continuità, e di avere arginato buona p ar­ te del processo di dem olizione o di insabbiam ento d e ll’epistolario paolino. Infat­ ti, se a ll’inizio della loro redazione, la loro attribuzione a Paolo ne ha perm esso la collocazione e la perm anenza n e ll’epistolario paolino, in seguito esse hanno im pedito l ’appropriazione esclusiva delle grandi lettere a gruppi eterodossi e gnostici, nella C hiesa dei secoli I e II d.C .12. c)

P e r u n 'e s e g e s i d i tip o s to r ic o - te o lo g ic o . - Sulla base delle due precedenti

linee di indagine, si innesta una pista interpretativa che riteniam o fondam entale per l ’apporto innovativo che può dare a ll’esegesi delle nostre lettere. Intendiam o riferirci a quella che, nel titolo, abbiam o voluto definire « esegesi di tipo storico­ teologico», cioè storicam ente collocata nel contesto d e ll’A sia M inore e secondo le m odulazioni teologico-parenetiche assunte in epoca postapostolica. Sicura­ m ente detto am biente è stato - com e più volte rilevato - il S itz im L e b e n natura­ le che ha influenzato considerevolm ente la form ulazione dottrinale e l ’espressio­ ne liturgica, oltre che catechetico-m issionaria, della C hiesa prim itiva in quel determ inato periodo storico. C onsiderando più da vicino le tradizioni neotesta­ m entarie, non si può ignorare che in quel m edesim o am biente è sorta e si è svi­ luppata la tr a d itio paolina espressa, oltre che dalla Lettera agli Efesini e dalla L ettera ai C olossesi, anche dalle lettere in esam e e, per la sua parte e con m oda­ lità proprie, anche la tr a d itio giovannea espressa, a sua volta, anche d a ll’A poca­ lisse. Per q u est’ultim a tr a d itio , il problem a del confronto si pone non necessaria­ m ente in term ini di influsso e dipendenza, m a proprio in base al dato storico del com une radicam ento nello stesso m ondo culturale. È, tuttavia, significativo che in quei luoghi e in quel tem po si sia avviato un lento m a illum inante processo di convergenza delle varie tradizioni neotestam en-

12 A . Pitta, Paolo dopo e al di là di Paolo: ilpaolinismo nelle Pastorali, in G . D e V ir g ilio Il Deposito della fede. Timoteo e Tito (S u p p l.R iv B ib lt 3 4 ), E D B , B o lo g n a 1 9 9 8 , p. 52.

(e d .),

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tarie, creando i presupposti di una unità della riflessione teologica non certo di ti­ po sistem atico-deduttivo, m a piuttosto di tipo esperienziale-induttivo, a partire dalla duplice esperienza fontale della C hiesa nascente: la liturgia e la vita in C ri­ sto anim ata dallo Spirito. N oi esam inerem o, in particolare, la convergenza tra le tre lettere e la tradizione giovannea, m a si potrebbe parim enti prendere in esam e, ad esem pio, la convergenza tra la m edesim a tradizione e la L ettera agli E fesini13, o ancora tra Efesini ed Ebrei.

d) C o n flu e n z a d i tra d iz io n i. - C. S picq14, che cerca di tratteggiare le line fondam entali di detto am biente in rapporto alle risultanze letterarie di entram bi le tradizioni, con particolare riferim ento alle nostre lettere, nota che la capitale del­ la provincia proconsolare di A sia, Efeso, fu uno dei grandi centri del culto im pe­ riale, un altare a ll’im peratore essendo stato eretto nel tem pio di A rtem ide. Il pre­ stigio di questa religione di Stato costituì un grave pericolo di seduzione per i discepoli di G esù Cristo. Così, le lettere hanno dovuto contrapporre a ll’ideologia del b a s ile u s - k y r io s , epifane, salvatore, dio, la teofania soteriologica d e ll’incarna­ zione: epifania del « n o stro grande Dio e salvatore G esù C risto» (Tt 2,13). È an­ che, com e è noto, il tem a d e ll’A pocalisse che evoca, m ediante l ’im m agine della grande bestia proveniente dal m are, appunto, il culto d e ll’im peratore, e che indu­ ce a rivolgere al K y r io s dei cristiani le acclam azioni im periali presenti nella 1Ti­ m oteo: «D io , il beato e unico sovrano, il Re dei re e Signore dei sig nori» (1Tm 6,15; cfr. A p 17,14; 19,16). L’accostam ento con l ’A pocalisse è esteso dal nostro autore al più am pio orizzonte della tradizione giovannea, com prendente il quarto vangelo e le lettere giovannee. Così, a titolo esem plificativo, l ’invisibilità e la trascendenza divina sono decisam ente afferm ate sia in 1Tm 1,17 e in 6,16, sia in Gv 1,18; 6,46; 1Gv 4,12; la teologia della discesa e della risalita del C risto si ri­ trova in 1Tm 3,16 e in G v 3,13; l ’incam azione e la vita terrena del salvatore so­ no ritenute una m anifestazione d e ll ' a g a p è - c h r e s to té s del Padre in Tt 2,11; 3,4 e Gv 3,16; 1Gv 4,9; questa « v en u ta nel m o n d o » (1Tm 1,15; G v 1,9; 6,14; 11,27; 16,28) è, pertanto, una rivelazione o u n ’illum inazione (2Tm 1,10; G v 1,9; 1Tm 3,16; 2Tm 1,10; Tt 1,3; 1Gv 1,2; 3,5.8), che sarà seguita d a ll’avvento glorioso descritto da 2T m 4,8. Tra le due epifanie (2Tm 1,10; Tt 2,13) si colloca tutta la vita cristiana, il « tem p o della fin e » d e ll’A pocalisse. Il lessico del battesim o-ri­ nascita è praticam ente identico nel Vangelo di G iovanni (Tt 3,5; G v 3,5), assie­ m e alla definizione d e ll’oggetto della fede com e verità (1Tm 2,4.7; 3,15; 6,5; Tt 1,14; 2Tm 2,18), che, in G iovanni, si identifica con C risto (G v 1,17; 8,32; 14,6; 15,13; 17,17). Il credente non è soltanto erede della salvezza, m a possiede « la vi­ ta etern a» (1Tm 1,16; 6,12.19; Tt 1,1-2; G v 3,15-16; 6,40.47; 20,31). Entrando più decisam ente n e ll’am bito della riflessione teologica, intendia­ m o ora prendere in esam e, fra le tante possibili e a titolo soltanto esem plificativo, due « m o d u lazio n i» specifiche: quella teologico-liturgica e quella teologico-eti-

13Cfr. il nostro studio, P. Iovino, Il C risto p r e c u r s o r e e la C h iesa p e lle g r in a n ella le tte ra a g li E brei. A n a lisi d i una c o n verg en za tra E b e la tra d izio n e g io v a n n e a , in H o T h e ologos 2 (1984) 283-324. 14 C. Spicq, L e s é p îtr e s p a s to r a le s , vol. I, p. 240.

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ca, che hanno la p retesa di contem plare il volto d ella com unità, com piutam en­ te delineato n ella sua dim ensione cultuale e nel suo im pegno di edificazione in-con-per C risto, conform em ente alle esigenze della e u s e b e ia . e) M o d u la z io n i te o lo g ic o -litu r g ic h e . - Tutti questi accostam enti, che lum eg­ giano T am biente d e ll’A sia M inore, in particolare efesino, consentono di deter­ m inarne m eglio le linee catechetico-liturgiche, qui significativam ente presenti, com e d ’altronde lo sono n e ll’A pocalisse. G ià la L ettera agli Efesini, espressione tipica della tr a d itio paolina, aveva citato espressam ente un fram m ento di inno battesim ale: « Svegliati, o tu che dorm i, destati dai m orti e C risto ti illum inerà» (E f 5,14). Le nostre lettere recano al loro interno non poche tracce d e ll’attività li­ turgica delle com unità della m edesim a area che, nel m om ento difficile della pro­ va, puntano decisam ente sulla loro identità assem bleare-liturgica per ritrovare il senso vero di quel m om ento e l ’ispirazione p er la com une fedeltà-testim onianza. Su questo particolare risvolto teologico vogliam o ora portare la nostra attenzio­ ne, valorizzando le conclusioni delle nostre indagini esegetiche ed evidenziando­ ne, appunto, la dim ensione storica e quella sintetico-prospettica. I dati liturgici presenti nelle tre lettere appartengono a generi diversi: dossologie am pliate (1Tm 1,17; 6,15-16); confessioni di fede (1Tm 2,5-6; 6,12-13); inni cristologici (1Tm 3,16; 2Tm 2,8.11-13). L a dossologia è, com e noto, una form ula di acclam azione di origine giudaica, che rivolge a Dio onore e lode, con un sentim ento di adora­ zione e di sottom issione. La form a più sem plice di dossologia si trova in 2Tm 4,18b: « A lui la gloria nei secoli dei secoli. A m en » . L a form a più am pliata è ri­ scontrabile nelle due più im portanti dossologie, m olto vicine fra di loro: « A l Re dei secoli, incorruttibile, invisibile, unico Dio, onore e gloria nei secoli dei seco­ li. A m en » (1Tm 1,17); « D io il beato e unico sovrano, il Re dei re e Signore dei signori, il solo che possiede l ’im m ortalità e abita una luce inaccessibile: che nes­ suno fra gli uom ini ha m ai visto né può vedere. A lui onore e potenza per sempre. A m en » (1Tm 6,15-16). Com e abbiam o rilevato sopra, vi si trovano congiuntam ente una concezione di Dio sviluppatasi in am biente giudaico tardivo, assiem e a una term inologia di im pronta greca. La confessione di fede di 1Tm 2,5-6 riprende a ll’inizio la proclam azione del­ l ’unicità di Dio dello È em a ‘ J i s r à ‘é l (Dt 6,4) e vi aggiunge il titolo di m é s itè s (m e­ diatore), applicato a G esù Cristo: « C ’è un solo D io e anche un solo m ediatore tra Dio e gli uom ini, l ’uom o Cristo G esù». U n titolo di valenza giuridica equivalen­ te ad « arbitro, testim one, garante, m ediatore in affare », raro nel Nuovo Testamen­ to. In am biente giudaico ellenistico assum e un significato religioso: Filone di A lessandria lo applica a M osè che, con il suo ruolo di intercessore-més/tés, ottie­ ne la salvezza di Israele15. La stessa funzione poteva essere riconosciuta agli ange­ li, donde l ’insistenza del nostro testo suH’um anità di Cristo Gesù. L’ultim a nota­ zione della confessione di fede: « H a dato se stesso in riscatto per tutti », richiam a il testo di M c 10,45 (e paralleli) che, a sua volta, si ricollega alle espressioni tradi­ zionali che celebravano la liberazione d a ll’Egitto o da B abilonia e che hanno nel

15 Filone di Alessandria, Vita d i M o s è 1,166.

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D eutero-Isaia il probabile iniziatore di questo linguaggio16. Il term ine usato dal nostro testo: a n tily tr o n , un h a p a x nel N uovo Testam ento, al posto del più sem pli­ ce ly tr o n (riscatto) di M arco, sottolinea m eglio l ’idea che C risto paga il riscatto al posto nostro. Con ciò, il tem a della solidarietà viene a integrare quello prece­ dente della m ediazione d e ll’uom o Cristo Gesù. La confessione di fede di 1Tm 6,13: « Ti scongiuro davanti a Dio, che dà vita a tutto, e a Gesù Cristo, che ha da­ to la sua bella testim onianza davanti a Ponzio Pilato », presenta la m edesim a im ­ postazione (in due parti parallele) della prim a: L una riguardante D io che dà vita a tutto, cioè D io Padre com e creatore, l ’altra riferita a Cristo in occasione del pro­ cesso dinanzi a Pilato. R ileviam o, innanzi tutto, la presenza di un term ine usato in senso tecnico: h o m o lo g ia (« confessione di fede »), am piam ente ricorrente nel­ le lettere di G iovanni17. L’originalità della confessione consiste, per un verso, nel­ l ’intento di inserire nella storia concreta degli uom ini il dram m a della salvezza, donde il richiam o esplicito di Ponzio Pilato: con ciò, si è posti agli antipodi del­ l ’universo m itico dei falsi dottori. Per l ’altro verso, n e ll’uso del verbo m a r ty r e d (testim oniare), an ch ’esso appartenente a q u ell’am biente affine giovanneo evoca­ to sopra, e con citazione im plicita di Gv 18,37 («T u lo dici; io sono re. Per que­ sto io sono nato e per questo sono venuto nel m ondo: per rendere testim onianza alla verità. C hiunque è dalla verità, ascolta la m ia voce »). D egli inni cristologici, quello di 1Tm 3,16, probabilm ente un inno pasquale, è disposto in sei stichi, che fanno risaltare il parallelism o tra l ’apparizione agli angeli e l ’esaltazione del Cristo nella gloria (i due stichi che si richiam ano reci­ procam ente com e un ritornello alla fine di ognuna delle due strofe). Per com pren­ dere la form ula « è apparso agli angeli », bisogna rifarsi alle rappresentazioni giu­ deo-cristiane che hanno ispirato l ’apocalisse cristiana della A s c e n s io n e d I s a i a . Secondo questo apocrifo, il C risto è disceso in incognito attraverso le sette sfere celesti, m a dopo la sua passione egli risale verso il Padre facendosi riconoscere dagli angeli, che si chiedono m eravigliati com e m ai il loro Signore sia potuto scendere su di loro senza che essi abbiano riconosciuto la sua gloria. Q uesto in­ no, che considera com e già realizzata la conversione del m ondo, in realtà stabili­ sce il com pito che la C hiesa deve svolgere. Com e una colonna che sostiene un edificio, la C hiesa deve proclam are al m ondo il m istero della pietà, cioè il Cristo (1Tm 3,15). M a com e ciò sarebbe possibile senza la partecipazione alla vita e al­ la m orte del C risto? È esattam ente ciò che vogliono esprim ere i fram m enti innici della 2Tim oteo. Il testo di 2Tm 2,8: « R icordati di G esù C risto risorto dai m or­ ti, della stirpe di D avide secondo il m io vangelo », con la formula: « della stirpe di D avid » , reca l ’im pronta di u n ’antica confessione di fede giudeo-cristiana alla quale si è ispirato anche Paolo in R m 1,3-4. R accordi ancora più espliciti con Paolo e, in particolare, con la sua om elia battesim ale di R m 6, sono presenti nell ’inno, appunto, battesim ale di 2Tm 2,11-13: « Se m oriam o con lui, con lui anche vivrem o; se perseveriam o con lui, con lui anche regnerem o; se lo rinneghiam o, egli pure ci rinnegherà; se noi siam o infedeli, egli però rim ane fedele, perché non 16 Cfr. Is 41,14; 43,1.14; 47,4; 52,3, eccetera. 17 Cfr. 1Gv 1,9; 2,23; 4,2.3.15; 2Gv 7.

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può rinnegare se stesso ». A bbiam o notato, nel corso d e ll’analisi esegetica, com e l ’inno si ispiri al lo g io n evangelico sulla confessione del C risto in M t 10,32-33 e in Lc 12,8-9. M entre in entram bi i testi, di Paolo e di 2Tim oteo, dove i verbi so­ no com posti con la preposizione s y n -, la m orte con C risto è espressa con un aoristo, tem po puntuale del passato, consono a ll’atto battesim ale genetico della vita di fede, nel nostro testo invece la partecipazione alla vita di C risto è espressa al futuro. Ciò è dovuto al fatto che la vita presente, la vita di grazia, non viene pre­ sa in considerazione, m entre viene considerata la partecipazione al regno di C ri­ sto quando si m anifesterà nella sua venuta (cfr. 1Tm 6,14). Ciò è conform e alla visione tradizionale della parusia e del giudizio. P er poter partecipare al regno m essianico, è necessaria una fedeltà capace di resistere a tutte le pressioni contra­ rie provenienti dagli am bienti eterodossi. J ) M o d u la z io n i te o lo g ic o -e tic h e . - L’ultim a pista interpretativa che intendia­ m o brevem ente percorrere è quella d e ll’« etica» . D alla lettura delle lettere pasto­ rali em erge la sensazione di una sorta di conservatorism o sociale. Ciò ha spinto qualche studioso18, attento alla loro collocazione n e ll’am biente ellenistico, ad at­ tribuire loro una etica borghese sorta in seno a una C hiesa ben inserita nella so­ cietà del tem po, dove è scom parsa la tensione dinam ica del vangelo escatologico di Paolo. Escludendo l ’aspetto negativo insito nel term ine « b o rg h ese» , è indub­ bio che si è distanti d a ll’etica radicale dei vangeli, dove em erge con forza, ad esem pio, l ’invito al distacco dai beni di questo m ondo e dallo stesso nucleo fam i­ liare. Invece, l ’autore delle tre lettere sem bra voler innestare la sua parenesi pro­ prio sulla situazione com une delle fam iglie del tem po. C om e i saggi d e ll’A ntico Testamento, egli dà indicazioni etiche idonee al contesto sociale, probabilm ente in risposta alle critiche rivolte ai cristiani di costituire un gruppo m arginale, chiu­ so, sospetto e forse anche pericoloso. P er cui, egli insiste m olto innanzi tutto sul­ la linea della « risp ettab ilità» : è necessario che il cristiano viva in m aniera « irre ­ prensibile»; che venga tenuta in debito conto l ’opinione di quelli di fuori nella designazione di vescovi e presbiteri; che i diaconi e le vedove siano di provata virtù. Di più, abbiam o rilevato com e l ’autore biblico abbia assunto d a ll’am bien­ te m olti term ini che veicolano valori tipici del m ondo greco. Il term ine k a lo s e la ricerca del bello, innanzi tutto, p er qualificare le opere da com piere19. M a anche gli avverbi s ó p h r o n ó s , d ik a ió s ed e u s e b ó s , p er indicare il senso della m isura e della dignità (cfr. Tt 2,12). E i verbi h y p o ta s s e s th a i e p e ith a r c h e in , per esortare tutti al rispetto delle autorità civili (cfr. Tt 3,1), e gli schiavi a sottom ettersi ai lo­ ro padroni (cfr. Tt 2,9-10: h y p o ta s s e s th a i e n p a s in , e u a r e s to u s e in a i , m e a n tile g o n ta s ) . Valori tutti che vogliono raggiungere lo scopo di dim ostrare che le co­ m unità cristiane non m ettono in perico lo l ’ordine pu b blico della p o l i s . U na preoccupazione che era fondata dottrinalm ente in R m 13,1-7. U n ’etica che non era esente da rischi, specialm ente a proposito degli schia­ vi e delle donne. Si può facilm ente im m aginare la reazione di non pochi lettori di­

18 Cfr. M. Dibelius. - H. Conzelmann, D ie P a s to r a lb r ie fe . 19 Cfr. 1Tm 3,1; 5,10.25; 6,12.18; Tt 2,7.14; 3,8.14.

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nanzi a insegnam enti che potevano apparire com e im plicita ratifica d e ll’illega­ lità. È proprio in casi com e questi - osserva giustam ente E. C othenet20 - che si im pone più che m ai una esegesi storica. U n testo non può m ai essere interpretato al di fuori del suo tem po. Di fronte a situazioni nuove, si im pongono delle traspo­ sizioni, anche dei correttivi che tengano conto sia di altri brani della Scrittura sia di u n ’attenta analisi dei segni dei tem pi. C osì, nel verbo della sottom issione (h y p o ta s s e in ), presente ben tre volte nella Lettera a Tito (2,5.9; 3,1) e anim a delle esortazioni rivolte alle persone anziane, ai giovani, agli schiavi, oltre che partico­ larm ente riferito al rapporto con le autorità, è dom inante l ’idea d ell’ordine socia­ le. La subordinazione non ha dunque niente di infam ante, considerato che Paolo stesso la radica teologicam ente nella sottom issione di Cristo al Padre (cfr. 1Cor 15,28). Parim enti, alla base d e ll’esortazione rivolta agli schiavi in 1Pt 2,18-25 ad accettare la sofferenza inflitta c ’è ancora la proposta d e ll’im itazione d e ll’esem ­ pio di Cristo. Tale m otivazione non è presente in Tt 2,9-10, m a alla fine si preci­ sa: « D im ostrino fedeltà assoluta, p er rendere onore in tutto alla dottrina di Dio nostro salvatore» (cfr. 1Tm 6,1; Tt 2,5). C hiaram ente l ’autore vuole rispondere alle accuse m osse d a ll’esterno contro la com unità cristiana, secondo le quali l ’in­ segnam ento sulla fratellanza universale provocherebbe la destabilizzazione della società. N ella m edesim a prospettiva bisogna com prendere l ’esortazione rivolta agli schiavi di padroni cristiani (cfr. 1Tm 6,2): l ’uguale dignità riconosciuta di fatto e di diritto a ogni cristiano non deve m ettere in discussione l ’ordine sociale. A nche l ’esortazione rivolta ai ricchi non presenta alcun equivoco. La condanna della ricchezza è chiara: « L ’attaccam ento al denaro è la radice di tutti i m ali» (1Tm 6,10), tuttavia, conform em ente alla linea sapienziale, non si chiede ai ric­ chi di vendere tutti i loro beni, m a di dim ostrarsi generosi n e ll’uso delle loro ric­ chezze. D ’altronde, l ’ideale etico del tem po considerava la liberalità com e la virtù dei ricchi. N elle esortazioni alla vita personale e fam iliare, e di riflesso ecclesiale, do­ m ina la m edesim a attenzione a ll’ordine stabilito rappresentato dalla figura del capofam iglia (e p is k o p o s ). Così, Y e p is k o p o s e gli altri m inistri preposti alla guida della com unità devono saper governare la propria casa e tenere sottom essi i figli in tutta dignità (cfr. 1Tm 3,4). A nche il ruolo della nonna Loide assum e, in tal senso, u n ’im portanza di rilievo (c fr Tt 2,3-5). In una società in cui le ragazze an­ davano spose in età precoce, la nonna aveva il com pito di iniziare la giovane spo­ sa alla cura della casa e a ll’educazione dei figli. In sim ile contesto, si com prende com e la stabilità della vita fam iliare costituisca uno degli obiettivi più im portan­ ti. Al di là delle m otivazioni di profilo piuttosto ordinario, si deve notare soprat­ tutto la m otivazione profondam ente cristologica offerta da Tt 2,11-12: « È appar­ sa infatti la grazia di D io, che p orta salvezza a tutti gli uom ini e ci insegna (p a id e u o u s a ) a rinnegare l ’em pietà e i desideri m ondani e a vivere in questo m ondo con prudenza, con giustizia e con p ietà» . Si tratta dunque di un vero pro­ cesso educativo, com e nota il verbo p a id e u d , che richiede un tem po necessario per lo sviluppo della vita cristiana. 20 E. Cothenet, L e s é p î t r e s p a s to r a le s , in C a h ie r s É v a n g ile l ì (1990 / NS 72) 58.

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Lo scopo ultim o perseguito d a ll’insegnam ento etico rim ane, tuttavia, la vita v issuta con « p ie tà » , co n n o tata dai term ini della radice e u s e b - . Il sostantivo e u s e b e ia ritorna 10 volte, su un totale di 15 usi nel N uovo Testamento e mai nel settenario di lettere paoline; il verbo e u s e b e ó 1 volta su 2 nel Nuovo Testamento; l ’avverbio e u s e b ó s 2 volte e m ai altrove nel N uovo Testamento. M entre, nel m on­ do greco, la pietà si m anifestava innanzi tutto m ediante l ’osservanza dei riti, le let­ tere pastorali la situano n e ll’am bito d e ll’esistenza quotidiana, nella cerchia fam i­ liare e nella vita cittadina. Infatti, scopo della preghiera per le autorità è che le com unità possano « condurre una vita serena e tranquilla, in tutta pietà e dignità » (1Tm 2,2). Il term ine s e m n o té s (dignità), ugualm ente caratteristico, fa risaltare an­ cora m eglio l ’influsso d e ll’ellenismo: m entre nel greco profano s e m n o s è un epi­ teto delle divinità, qui è invece applicato agli uom ini, ed evoca qualcosa di gran­ de, di solenne, che suscita rispetto e riverenza. La e u s e b e ia è accom pagnata da un corteo di virtù dalle sfum ature sottili, talvolta diffìcili da precisare: «Inseguì la giustizia, la pietà, la fede, l ’am ore, la costanza, la m itezza» (1Tm 6,11). La vita vissuta con pietà richiede un im pegno costante di purificazione. Se qualcuno, ipo­ critamente, volesse considerare « la pietà com e fonte di guadagno », sappia che « la pietà è un grande guadagno » m a solo se è « congiunta a sobrietà » (1Tm 6,5). In realtà, la vera pietà si radica indissolubilm ente nella vita della fede, una fede au­ tentica, capace di opporsi con forza e sana dottrina ai falsi dottori. Si può, così, parlare a giusto titolo del « m istero della pietà » ( 1T 3,16), che la C hiesa ha il com ­ pito di m anifestare al m ondo, o anche direttam ente del « m istero della fede » (1Tm 3,9), che bisogna conservare in una coscienza pura.

LESSICO BIBLICO-TEOLOGICO DI 1-2TIMOTEO E LETTERA A TITO

Autorità

(archai, e xo u sia i)

In Tt 3,1-2, si esorta a sottomettersi a esse. In 1Tm 2,1-4, a pregare per i sovra­ ni e tutti coloro che detengono V autorità. Per le lettere pastorali, la lealtà del rap­ porto con l ’im pero è un dovere (Tt 3,1), anche se non viene data alcuna m otivazio­ ne teologica, com e invece fa Paolo in R m 13,1-7. Dalle autorità l ’autore biblico si attende che si im pegnino fattivam ente per assicurare pace e concordia alla città.

Bagno di rigenerazione

(p a lig g e n e sia )

È l ’espressione usata da Tito p er indicare il battesim o. R ichiam a il colloquio di G esù con N icodem o (G v 3,3.5). A nziché m ettere in evidenza la fede com e principio della giustificazione, il testo di Tt 3,4-7 è incentrato su ll’efficacia del battesim o com e, appunto, bagno della nuova nascita. In quest’opera di rigenera­ zione agisce lo Spirito santo com e il dono p er eccellenza ottenutoci da C risto con la sua passione e m orte. Tt 3,6 precisa la dim ensione trinitaria del battesim o: « U n bagno di rigenerazione e di rinnovam ento nello Spirito santo, che egli (Dio) ha effuso su di noi in abbondanza p er m ezzo di G esù Cristo, salvatore nostro ». La potenza dello Spirito santo spinge il battezzato a im pegnarsi e distinguersi « nelle opere buone » (Tt 3,8). U n inno battesim ale è presente in 2Tm 2,11-13.

Bontà e amore per gli uomini

(c h rè sto té s h ai p h ila n th ro p ia )

Sono le due form e che hanno m anifestato storicam ente l ’am ore di Dio. La c h r è s to té s di Dio, « generosità, bontà dolce e generosa », in quanto attributo divi­

no, è m anifestazione del volto stesso di D io, e quindi oggetto di culto e di grati­ tudine del popolo eletto. Storicam ente, il volto am orevole di Dio ha preso le sem ­ bianze di G esù C risto, com e precisa l ’inizio d e ll’inno di Tt 3,4-7 («Q uando apparvero la bontà e l ’am ore p er gli uom ini di Dio, salvatore nostro»). La p h i ­ la n th r o p ia è, pertanto, il risvolto um ano della c h r è s to té s . A sua volta, il volto um ano di D io fonda la p h ila n th r o p ia dei credenti, com e contrapposizione a ll’o­ dio e a ll’egoism o.

Lessico biblico-teologico di l-2Timoteo e Lettera a Tito

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C asa di Dio (oikos to u Theou) La formula chiave della ecclesiologia delle lettere pastorali, da intendere nel du­ plice senso della casa-famiglia e della casa-tempio. Il testo fondamentale è quello di 1Tm 3,15, dove la Chiesa è definita «casa di Dio, colonna e baluardo della verità». L’impostazione ministeriale è riflesso della articolazione dei ruoli e servizi all’interno della casa-famiglia, dove emerge la figura del capofamiglia (ep isko p o s), che guida e orienta il servizio dei componenti e dove c ’è la specificazione di detti servizi. La Chiesa -ca sa deve mettere in evidenza la verità del messaggio ricevuto e conservare fedel­ mente la dottrina trasmessa da Paolo, contrapponendosi con fermezza a quanti metto­ no in pericolo l ’ortodossia. L’autore ha dinanzi delle comunità locali, rappresentate da Efeso e Creta, non di recente fondazione, considerato che serpeggiano esempi di rilas­ samento, che alcuni presbiteri meritano pubbliche rimostranze (1Tm 5,20), come al­ cune giovani vedove che conducono una vita piuttosto leggera. L’invito pressante è a discemere con attenzione le attitudini dei nuovi ministri (presbiteri, diaconi, vedove), a consolidare l ’istituzione esistente e soprattutto a perseverare con fedeltà nella grazia ricevuta da Dio salvatore, n e ll’attesa della e p ip h a n e ia finale del Cristo glorioso.

C ataloghi di vizi (L a sterka ta lo g ) e di v irtù (T u g en d ka ta lo g ) Presenti in 1Tm 1,9-10, dove sono giunti d all’ambiente speculativo-letterario ellenistico (orfici, stoici, sapienti popolari), m a anche dalla letteratura giudaico-ellenistica (libro della Sapienza, Filone di Alessandria, A p o c a lis s e s ir ia c a d i B a ru c h ). Servivano a ll’insegnamento parenetico da impartire ai nuovi cristiani provenienti specialmente dalla gentilità. Lo schema di fondo seguito è quello delle due vie: la via della vita e la via della morte; la via della luce e la via delle tenebre. Uno sche­ m a che trova riscontro n e ll’insegnamento del Gesù della storia e di Paolo di Tarso.

Confessione di fede (h o m o lo g ia ) Il term ine è presente in 1Tm 6,12-13, nel contesto di una solenne esortazio­ ne rivolta a Tim oteo, che ha fatto la sua bella h o m o lo g ia davanti a m olti testim o­ ni, e che introduce l ’evocazione della h o m o lo g ia resa da G esù C risto stesso da­ vanti a Ponzio Pilato. N el N uovo Testam ento è term ine raro, m entre il verbo corrispondente (h o m o lo g e in ) è usato spesso nelle lettere di G iovanni. U n ’altra confessione di fede è presente in 1Tm 2,5-6.

C onoscenza (ep ig n o sis) «C onoscenza (