La traduzione latina del ‹Nicocles› isocrateo di Guarino Veronese : Introduzione, edizione critica e commento a cura di Alessia Grillone 3110791161, 9783110791167

Questo lavoro ha per oggetto la versione latina del Nicocles isocrateo eseguita da Guarino Veronese e dedicata a Leonell

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La traduzione latina del ‹Nicocles› isocrateo di Guarino Veronese : Introduzione, edizione critica e commento a cura di Alessia Grillone
 3110791161, 9783110791167

Table of contents :
Sommario
Praefatio
Introduzione
Ringraziamenti
Abbreviazioni
Prolegomena
I Il contesto culturale
II I protagonisti
III L’originale greco: il Νικοκλῆς di Isocrate
IV Recensio e Stemma Codicum
Testo critico, traduzione e note di commento
Nota al Testo
Sigla
Nicocles
Nicocle
Note di Commento
Appendici
Appendice 1: Nic. 36, ὕβρις e libido: un’allusione alla vicenda di Lucrezia?
Appendice 2: Il modello greco – Verso un tentativo di definizione della sua facies
Appendice 3: Osservazioni sul metodo versorio di Guarino
Appendice 4: Descrizione dei manoscritti
Appendice 5: Isocrate, Nicocles
Bibliografia e Indici
Bibliografia
Index Codicum
Index Locorum
Index Nominum Antiquorum
Index Nominum Recentiorum
Sitografia

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Alessia Grillone La traduzione latina del Nicocles isocrateo di Guarino Veronese

Beiträge zur Altertumskunde

Herausgegeben von Susanne Daub, Michael Erler, Dorothee Gall, Ludwig Koenen und Clemens Zintzen

Band 408

Alessia Grillone La traduzione latina del Nicocles isocrateo di Guarino Veronese

Introduzione, edizione critica e commento

Con la prefazione di Giancarlo Abbamonte

Die Publikation wurde durch die Basler Stiftung Patrum Lumen Sustine gefördert (Basel: https://www.patrumlumensustine.com/en/home-english/)

ISBN 978-3-11-079116-7 e-ISBN (PDF) 978-3-11-079286-7 e-ISBN (EPUB) 978-3-11-079291-1 ISSN 1616-0452   Library of Congress Control Number: 2022944279   Bibliografische Information der Deutschen Nationalbibliothek Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über http://dnb.dnb.de abrufbar.   © 2023 Walter de Gruyter GmbH, Berlin/Boston Satz: Dörlemann Satz, Lemförde Druck und Bindung: CPI books GmbH, Leck   www.degruyter.com

A tutte le persone che mi vogliono bene

Sommario Praefatio 

 XI

Introduzione  Ringraziamenti  Abbreviazioni 

 XIII  XVII  XVIII

Prolegomena I I.1 I.2

Il contesto culturale   3 Le traduzioni umanistiche: caratteri generali del fenomeno   3 La fortuna delle orazioni parenetiche isocratee in età ­umanisticorinascimentale   8

II II.1 II.1.1 II.1.2 II.2 II.2.1 II.2.2 II.2.3 II.2.4

 16 I protagonisti  Il traduttore: Guarino Veronese   16 La vita   16 L’attività versoria   23 Il dedicatario: Leonello d’Este   26 Il magistero di Guarino   26 La dedica: osservazioni preliminari   29 Prohemium ad illustrem Leonellum Estensem  Considerazioni sulla cronologia della versione 

 32  37

 39 III L’originale greco: il Νικοκλῆς di Isocrate  III.1 I parenetici all’interno del corpus isocrateo   39 III.2 Il Nicocles e il corpusculum dei parenetici   44 III.3 La diffusione e la circolazione delle parenetiche   49  55 IV Recensio e Stemma Codicum  IV.1 La tradizione manoscritta   55 IV.2 L’archetipo   60 IV.3 Le principali famiglie di manoscritti  IV.3.1 La famiglia β   62 IV.3.2 La famiglia γ   63 IV.4 Rapporti all’interno della famiglia β 

 62

 64

VIII 

 Sommario

IV.4.1 La sottofamiglia c   64 IV.4.2 Rapporti all’interno della sottofamiglia c   65 IV.4.3 Rapporti all’interno della sottofamiglia j   67 IV.4.4 Rapporti all’interno della sottofamiglia y   70 IV.4.5 Rapporti tra i codici Vat.5 Est.2 M Ber   71 IV.4.6 Lo stemma della famiglia β   74 IV.5 Rapporti all’interno della famiglia γ   76 IV.5.1 La sottofamiglia x   76 IV.5.2 Rapporti all’interno della sottofamiglia x   78 IV.5.3 Lo stemma della famiglia γ   80 IV.6 Analisi degli errori di Co e V1   81 IV.6.1 Errori congiuntivi Co e V1   81 IV.6.2 Errori separativi di Co   81 IV.6.3 Errori separativi di V1   83 IV.6.4 Lo stemma del gruppo Co V1   84 IV.7 Gli errori dei codici Vat.1 Vat.3 V Z T S Est.1 P G   85 IV.7.1 Errori separativi di Vat.1   85 IV.7.2 Errori separativi di Vat.3   86 IV.7.3 Errori separativi di V   86 IV.7.4 Errori separativi di Z   87 IV.7.5 Errori separativi di T   88 IV.7.6 Errori separativi di S   88 IV.7.7 Errori separativi di Est.1   88 IV.7.8 Errori separativi di P   89 IV.7.9 Errori separativi G   90 IV.8 Lo stemma codicum del Nicocles   90 IV.9 Il Nicocles nelle miscellanee umanistiche   92

Testo critico, traduzione e note di commento Nota al Testo  Sigla  Nicocles  Nicocle 

 99

 101  104  105

Note di Commento 

 144

Appendici Appendice 1: Nic. 36, ὕβρις e libido: un’allusione alla vicenda di Lucrezia?   169 Appendice 2: Il modello greco – Verso un tentativo di definizione della sua facies   172 Appendice 3: Osservazioni sul metodo versorio di Guarino  Il lessico di Guarino   197 Appendice 4: Descrizione dei manoscritti  Appendice 5: Isocrate, Nicocles  ΝΙΚΟΚΛΗΣ   254

 254

Bibliografia e Indici Bibliografia 

 265

Index Codicum 

 277

Index Locorum 

 279

Index Nominum Antiquorum  Index Nominum Recentiorum  Sitografia 

 296

 286  292

 200

 178

Praefatio Negli anni ’70 del secolo scorso Lucia Gualdo Rosa attirava l’attenzione degli studiosi di Umanesimo e di quella che all’epoca si definiva la «fortuna dei classici» sull’importanza che le traduzioni umanistiche latine di opere greche avevano avuto per la circolazione dei contenuti e delle idee presenti in quelle opere e in generale nella cultura greca, dopo i secoli del Medioevo in cui della letteratura greca si conoscevano poche opere scientifiche e filosofiche, spesso filtrate attraverso la cultura araba. In particolare, la studiosa si concentrava sulle traduzioni delle opere di Isocrate sia perché esse avevano ricevuto le cure di numerosi e prestigiosi traduttori nel corso del Quattrocento, sia perché Isocrate era stato forse l’intellettuale greco che più di tutti aveva rivendicato il ruolo fondamentale della retorica nella paideia ellenica, preferendola alla filosofia per la capacità di creare consenso attorno a concetti su cui non era possibile raggiungere la verità assoluta, ma che ricoprivano un ruolo fondamentale per la tenuta della società (ad es., l’autorevolezza e il rispetto che una città si doveva guadagnare grazie alle proprie leggi, all’applicazione corretta di esse, ai valori che la città persegue e all’importanza che essa assegna alla cultura, alle arti e ai suoi intellettuali). Le ricerche di Lucia Gualdo Rosa confluirono nell’importante monografia La fede nella «Paideia». Aspetti della fortuna europea di Isocrate nei secoli XV e XVI (Roma 1984), che era un punto di arrivo, ma che sarebbe dovuta diventare anche lo stimolo per lo studio di questo importante capitolo della penetrazione della paideia isocratea nella cultura occidentale della prima Età moderna. Da quel volume gli studi sulle traduzioni umanistiche hanno visto un notevole progresso, soprattutto nel nuovo secolo in cui è iniziata l’impresa, voluta da Gianvito Resta, dell’Edizione nazionale delle traduzioni dal greco in latino. Tale benemerita iniziativa, promossa dall’accademia italiana, ha avuto il merito di riaccendere l’attenzione degli studiosi verso le traduzioni umanistiche e di convogliare le forze di studiosi ed editori di testi verso queste opere, che fino a quel momento erano state poco o punto studiate. Il maggiore disinteresse verso di esse si doveva soprattutto ai filologi classici, che spesso consideravano queste traduzioni umanistiche solo un testimone di antigrafi greci perduti, utile per le edizioni dei testi greci, o peggio un’altra manifestazione di quegli Itali, testi prodotti dall’Umanesimo italiano, bollati da Lachmann in poi con il marchio d’infamia della cupido coniecturandi. Negli ultimi venti anni è stata pubblicata nella collana della SISMEL «Il ritorno dei classici nell’Umanesimo» una decina di edizioni critiche, che hanno gettato luce sulla circolazione in ambienti umanistici di alcune di queste traduzioni e dei loro autori greci (Luciano, Platone, Plutarco, Esopo, Atanasio). Altre edizioni, stimolate da questa iniziativa, sono apparse in sedi editoriali per lo più italiane. Tuttavia, questo fiorire di edizioni, articoli e studi non ha interessato, https://doi.org/10.1515/9783110792867-201

XII 

 Praefatio

se non in modo marginale, Isocrate, per cui bisogna ancora tornare al lavoro di Gualdo Rosa, che però non era e non voleva essere definitivo, ma anzi indicava spesso le linee di future ricerche lasciate inesplorate e solo accennate in quello studio pioneristico. In questo quadro della ricerca sulle traduzioni umanistiche si colloca il presente lavoro di Alessia Grillone, la quale si concentra sulla traduzione di un testo di Isocrate, il Nicocles, realizzata da uno dei più prolifici e alla sua epoca più apprezzati traduttori della prima metà del Quattrocento, Guarino Guarini (1374– 1460). Si riannodano in questo modo i fili dei più recenti studi sulle traduzioni umanistiche con i lavori di Lucia Gualdo Rosa e si riprende lo studio della circolazione di Isocrate nel Quattrocento con un lavoro che getta molte luci su aspetti poco noti di questa vicenda. Grillone porta avanti una ricerca molto rigorosa a partire dai testimoni della versione guariniana, nella quale la giovane ricercatrice applica un rigoroso metodo maasiano, che permette sia di ricostruire con una buona dose di probabilità i rapporti stemmatici tra famiglie e l’archetipo sia, in questo modo, di stabilire un testo affidabile che rispetta la volontà del suo autore. Allo stesso tempo, Grillone affianca a questo sforzo ecdotico un accurato studio paleografico e codicologico dei ventiquattro testimoni di quest’opera di Guarino e della loro storia, che ci illumina sui diversi ambienti in cui la versione del Nicocles circolò e le opere che la affiancarono nei testimoni, per lo più miscellanaee di autori greci tradotti in latino. In particolare, risulta esemplare la ricostruzione della vicenda che interessò un gruppo di quattro testimoni che si sviluppò in Inghilterra, dove una copia della versione giunse verisimilmente prima della metà del secolo e la sua storia sembra legata al nome Humfrey, duca di Glouchester: va osservato, in proposito, che tra gli allievi della scuola ferrarese di Guarino di quegli anni si ricorda anche un personaggio appartenente ad una famiglia di maggiorenti inglesi, William Grey, futuro vescovo di Ely dal 1454 alla sua morte (1478), il quale è noto anche per la sua collezione di manoscritti, tra cui alcuni guariniani, che furono donati al Balliol College di Oxford e studiati da Sir Roger A. B. Mynors durante la stesura catalogo dei manoscritti di quel college, pubblicato nel 1963. In conclusione, il lavoro di Grillone mette a disposizione degli studiosi una affidabile edizione della traduzione guariniana del Nicocles isocrateo, alla quale fa da corredo uno studio dei testimoni della versione e della loro tradizione che forniscono già le coordinate per avviare future edizioni delle versioni umanistiche delle altre due orazioni cipriote, l’Ad Nicoclem di Isocrate e l’Ad Demonicum attribuita ad Isocrate ma oggi considerata spuria, senza considerare la miniera di informazioni che gli studiosi troveranno su altre opere umanistiche presenti nelle ricche schede descrittive dei manoscritti realizzate dalla studiosa torinese. Luglio 2022

Giancarlo Abbamonte

Introduzione Oggetto di questo studio è la traduzione latina di Guarino Veronese del Nicocles isocrateo, il secondo scritto parenetico, dopo l’Ad Nicoclem, dedicato a Nicocle, re di Salamina di Cipro (IV sec. a. C). Figura centrale dell’Umanesimo italiano, Guarino (1374–1460) fu, tra l’altro, uno dei più celebri maestri del suo tempo, destinato ad influenzare i programmi di studio europei dei secoli successivi. La sua carriera didattica si svolse sia nel pubblico, presso gli Studia di Firenze, Venezia, Verona e Ferrara, sia nel privato, nell’ambito della scuola-convitto tenuta in casa propria e come precettore di Leonello d’Este. Proprio a questo suo nobile discepolo è dedicata la versione del Nicocles, la quale insieme con l’altro trattatello parenetico, l’Ad Nicoclem, tradotto da Bernardo Giustiniani e indirizzato a Ludovico Gonzaga, doveva fungere da manuale del buon governante e dei reciproci diritti e doveri del principe e dei suoi sudditi. La traduzione del Nico­ cles può essere considerata un caso esemplare delle numerose istanze proprie dell’Umanesimo, di cui si fece rappresentante Guarino: la riscoperta dell’antichità classica, greca e latina; la diffusione della conoscenza della lingua e della letteratura ellenica anche per tramite delle versioni; l’ideale pedagogico umanistico sotteso alla promozione degli studia humanitatis e il progetto politico ad esso legato, volto alla formazione di una classe dirigente illuminata. Nonostante questi molteplici motivi d’interesse e a dispetto della sua notevole fortuna, testimoniata da una consistente diffusione manoscritta, essa non vide nessuna edizione a stampa, così come è mancata finora un’edizione critica1. Dunque, lo scopo principale del presente lavoro, nato come tesi di laurea magistrale, ma rivergato grazie al fondamentale contributo di Giancarlo Abbamonte, è stato quello di fornire la recensio dell’opera e indagare i rapporti tra i manoscritti, al fine di ricostruire un testo che fosse il più possibile corrispondente all’ultima volontà dell’autore. Nel corso delle ricerche ho individuato almeno ventiquattro manoscritti, i più collocabili nel XV secolo, tra cui alcuni riportano, oltre alla traduzione, anche l’epistola di dedica indirizzata a Leonello d’Este e l’Argumentum oppure uno solo di questi due testi introduttivi. Si tratta di codici contenenti opere di carattere miscellaneo, ma emerge comunque una certa coerenza tematica: le opere tràdite sono accomunate dal contenuto precettistico-morale, nello specifico dal genere

1 Sabbadini, nella sua edizione dell’epistolario di Guarino, aveva pubblicato solo la lettera di dedica a Leonello d’Este e l’Argumentum (Sabbadini (ed. 1916) 258–260, nr. 675), basandosi tuttavia solo su nove manoscritti rispetto ai ventuno da me individuati contenenti oltre alla versione anche almeno uno dei due paratesti (cf. infra IV.1). L’epistola dedicatoria, inoltre, era già stata pubblicata da Baulze (ed. 1762) 160–161. https://doi.org/10.1515/9783110792867-202

XIV 

 Introduzione

della letteratura de principe, oppure le raccolte sono costituite da testi classici antichi e traduzioni latine umanistiche, oltre che opere di celebri umanisti. Spesso la traduzione del Nicocles di Guarino è accompagnata da altre versioni delle orazioni parenetiche isocratee, in particolare da quelle dell’Ad Nicoclem, complementare per argomento. Il lavoro di collazione ha rivelato la sostanziale unitarietà del testo tràdito e la mancanza di versioni parallele; l’individuazione di una tradizione chiusa ha permesso di condurre un’operazione di filologia lachmaniana/maasiana, con ricostruzione di un capostipite comune e non un’edizione di un manoscritto-guida o altre operazioni tipiche piuttosto della filologia medievale. Lo stemma presenta un archetipo (Ω) da cui discendono direttamente tredici esemplari, di cui tre (β, γ, δ), perduti, hanno dato origine a diverse copie, mentre gli altri dieci testimoni costituiscono rami isolati; un altro codex deperditus è la copia di Leonello d’Este (α), la cui perdita impedisce di stabilire se esso discendesse dall’archetipo oppure se fosse stato esemplato direttamente sull’originale guariniano. Delle tre famiglie (β, γ, δ), la più numerosa è β, che però tramanda un testo meno pulito rispetto a quello degli altri testimoni; di molto meno successo dovette godere δ, da cui infatti discendono due soli esemplari. Quanto al subarchetipo γ, esso è emigrato al di fuori dell’Italia e ha avuto una discendenza che si colloca in area inglese. Infatti, γ sembra potersi identificare con un codice appartenuto ad Humfrey di Glouchester (1391–1447) e da lui donato all’università di Oxford nel 1444; su di esso sono stati esemplati, più o meno direttamente, quattro codici, affini anche per il contenuto (ad esempio, trasmettono tutti le versioni di Lapo da Castiglionchio dell’Ad Nicoclem e del Nicocles e la ricostruzione filologica dei loro rapporti stemmatici, condotta da Gualdo Rosa2, trova corrispondenza con la mia). Dal confronto del testo latino con quello greco ho potuto ricavare alcune considerazioni sia sul metodo versorio di Guarino sia sul modello impiegato dall’umanista per la sua traduzione. L’analisi delle modalità traduttive applicate sul Nicocles mi ha permesso di confermare e integrare i risultati degli studi condotti su altre versioni guariniane (o parti di esse): l’umanista dimostra di aver accolto l’insegnamento dei suoi maestri nel non dare più importanza al testo di arrivo rispetto a quello di partenza. Guarino, infatti, nel tradurre si tiene aderente al greco, tutt’al più integrando al fine di esplicitare e chiarire il senso; tuttavia, la volontà di mantenersi fedele non lo rende meno attento alle esigenze della lingua latina che all’eleganza del dettato. Quanto al modello greco, dai dati raccolti mi sembra di poter affermare con relativa sicurezza che Guarino per la sua traduzione si è servito di un codice greco appartenente alla seconda famiglia della paradosi isocratea e nello specifico al ramo Λ; tuttavia, tale esemplare doveva

2 Gualdo Rosa (ed. 2018).

Introduzione 

 XV

essere stato soggetto a contaminazioni sia esterne, ovvero dalla famiglia di Γ, sia interne, cioè dalla sottofamiglia dei codici umanistici (in particolare dal ramo Π). L’edizione critica del Nicocles guariniano è preceduta da una sezione introduttiva divisa in quattro parti. Le prime tre sono di necessità compilative e forse superflue per i conoscitori di Guarino; esse sono state pensate soprattutto per un lettore curioso ovvero non esperto, bisognoso pertanto di informazioni sul contesto del testo in oggetto. I primi tre capitoli, dunque, sono funzionali a collocare la versione guariniana sia all’interno del fenomeno delle traduzioni umanistiche sia nel quadro della fortuna delle parenetiche isocratee in epoca rinascimentale (capitolo I), poi a presentare il traduttore e il dedicatario (capitolo II) e, infine, a illustrare gli aspetti dell’originale greco utili al discorso sul Nicocles latino (capitolo III); a questo proposito occorre precisare che la biografia di Guarino non ha ambizioni enciclopediche, ma si limita a ricordare gli elementi necessari alla nostra trattazione. La sezione introduttiva si chiude con un capitolo dedicato all’esposizione dei risultati della recensio e della collazione dei manoscritti (capitolo IV). La seconda parte del volume è costituita dall’edizione critica vera e propria della versione la quale è preceduta dall’epistola di dedica a Leonello d’Este e dall’Argumentum, ed è corredata, come anche gli altri due testi, di traduzione italiana, sempre a beneficio del lettore non specialistico. Ho voluto riportare anche i due scritti introduttivi per ragioni di completezza, ma non ne ho allestito una nuova edizione; infatti ho scelto di ripubblicare i paratesti così come li aveva stampati Sabbadini3, prediligendo concentrare i miei sforzi sul meno studiato e inedito Nicocles4. Il testo critico è seguito da Note di Commento di taglio filologico in cui discuto alcuni aspetti relativi alla tradizione latina e effettuo confronti con la paradosi greca al fine di arrivare a definire le caratteristiche fondamentali del modello adoperato da Guarino per la sa traduzione. Chiudono il volume cinque appendici: la prima (Appendice 1) integra le Note di Commento, poiché si concentra su un passo della traduzione (Nic. 36) che rivela una particolare interpretazione del testo isocrateo, la quale forse allude alla vicenda di Tarquinio e Lucrezia. La seconda appendice (Appendice 2) ha la funzione di raccogliere in modo schematico i dati relatvi alla facies del modello greco presenti nelle Note di Commento. Un’altra appendice (Appendice 3) illustra le modalità traduttive specifiche del Nicocles, le quali sono comparate con quelle rilevate per altre ver3 Cf. supra XIII n. 1. 4 Ho comunque visionato i testi dell’epistola e dell’Argumentum nei codici a mia disposizione, ovvero i manoscritti da me censiti. Ho potuto pertanto collazionare buona parte dei testimoni dei paratesti, tra cui anche codici sconosciuti a Sabbadini; invece, al contrario di questo, non ho potuto collazionare Lucca, Biblioteca Governativa ms. 2128, testimone dell’episotla e dell’Argu­ mentum, ma non della versione.

XVI 

 Introduzione

sioni guariniane; inoltre, in questa parte sono presenti anche brevi osservazioni sul lessico di Guarino. L’Appendice 4 correda la presentazione del censimento del Nicocles fornendo le descrizioni codicologico-paleografiche di ciascun manoscritto. Infine, l’Appendice 5 riporta il testo d’Isocrate secondo l’edizione di Engelbert Drerup [Drerup (ed. 1906)]5, che ho provveduto a confrontare con il testo edito da Georges Mathieu ed Emile Brémond [Mathieu/Brémond (ed. 1928)] presente nel ThlG. Per la traduzione dei passi greci riportati nelle Note di Commento, invece, mi sono servita dell’edizione curata da Mario Marzi, con traduzione e testo greco a fronte [Marzi (ed. 1991)].

5 Per quanto riguarda i testi della Vita anonima di Isocrate e gli Argumenta delle orazioni parenetiche, cui faccio riferimento nel cap. III.2, mi sono servita dell’edizione di Karl Wilhelm Dindorf [Dindorf (ed. 1852)] riportata nel ThlG.

Ringraziamenti Desidero esprimere la mia più viva gratitudine a tutte le persone e istituzioni che, a vario titolo, hanno concorso alla stesura di questo libro, in particolare: alla Fondazione «Patrum Lumine Sustine» di Basilea, senza il cui sostegno e concorso questo volume non avrebbe visto la luce; ai professori Elisabetta Berardi, Tommaso Braccini, Lucia Gualdo Rosa, Michael Reeve, Luigi Silvano e alla Dottoressa Margherita Filippozzi, per i loro essenziali contributi ed il prezioso materiale bibliografico; al Professor Stephen Oakley, per essersi prodigato nel procurarmi e inviarmi le fotoriproduzioni del codice D; al Professor Ermanno Malaspina, per avermi guidato e supportato in tutto il processo di elaborazione, stesura e pubblicazione; al Professor Giancarlo Abbamonte, per il suo impagabile apporto, dalla magnifica praefatio con cui ha inteso nobilitare ed arricchire questo volume, al suo beneaugurale, e per me rassicurante εὖ πράττειν; al personale delle biblioteche da me visitate o contattate, per avermi saputo garantire la consultazione dei manoscritti o, laddove non è stato possibile, l’invio di una loro fotoriproduzione, a dispetto delle difficoltà indotte dal periodo emergenziale. L’ultima ma non meno importante menzione la riservo all’Università degli Studi di Torino, nel cui alveo e sotto la cui egida si sono sviluppati la mia formazione e le ricerche per questo studio.

https://doi.org/10.1515/9783110792867-203

Abbreviazioni BA Biblioteca Ambrosiana BAV Biblioteca Apostolica Vaticana BD Bodleian Library BE Biblioteca Estense Universitaria BL British Library BML Biblioteca Medicea Laurenziana BNM Biblioteca Nazionale Marciana Bibliothèque Nationale de France BnF Corpus dei papiri filosofici greci e latini CPF Dizionario Biografico degli Italiani DBI ThlL Thesaurus linguae Latinae ThlG Thesaurus linguae Graecae PL Migne, Patrologia Latina

https://doi.org/10.1515/9783110792867-204

Prolegomena

I Il contesto culturale I.1 Le traduzioni umanistiche: caratteri generali del fenomeno La versione guariniana costituisce un caso di studio anche per indagare il vasto e multiforme panorama delle traduzioni dal greco del XV secolo, un fenomeno complesso ma fondamentale per la storia dell’Umanesimo1. Esso, infatti, è importante per la rinascita della cultura classica, al centro della quale vi è lo studio della grammatica e la comparazione delle due lingue antiche, da riconquistare nella loro struttura più autentica: attraverso le traduzioni gli umanisti raggiungevano due scopi complementari, ossia l’apprendimento della lingua e la conoscenza degli autori greci. Inoltre, le versioni umanistiche rappresentano uno degli aspetti più netti dell’opposizione alla cultura scolastica attraverso sia la scelta degli autori tradotti sia la nuova concezione della traduzione che venne ad affermarsi nel corso del Quattrocento. Le versioni assolvevano anche una funzione intellettuale e avevano l’obiettivo di mettere in circolazione testi fino ad allora sconosciuti e con essi nuove idee e nuovi modelli, espressione della cultura che andava affermandosi. Le traduzioni, poi, avevano anche un’altra importante valenza sociale, che si evince dall’elevato numero di versioni dedicate a influenti mecenati. Infatti, le traduzioni divennero uno degli strumenti più utilizzati negli Stati italiani per promuovere i futuri cortigiani e selezionare segretari e funzionari, dal momento che attraverso di esse i traduttori non solo mostravano la loro conoscenza della lingua greca, ma davano anche prova della loro ottima padronanza della lingua latina2. Infine, se da una parte il fenomeno delle traduzioni consentì agli intellettuali europei di avere accesso ai contenuti delle opere greche, dall’altra dimostrò anche la scarsa conoscenza del greco in Italia e nel resto d’Europa3, un fatto che permette di evidenziare un altro motivo d’interesse per questi

1 Cf. Sabbadini (1896) 124; Gualdo Rosa (1985) 179–181; Berti (2007) 5–6; Cortesi (2007) XV. 2 Ne consegue che il traduttore dava più peso a creare un testo latino che godesse di vita propria e fosse piacevole alla lettura (fatto che spiega anche perché molti traduttori riprendano, anche con l’intento di emularle, le versioni precedenti realizzate da altri umanisti, e.  g. Lapo traducendo il Nicocles si richiama alla versione di Guarino, cf. Gualdo Rosa (1984) 34–45). Tali considerazioni dovrebbero indurre, nel momento in cui si analizzano i rapporti tra testo greco e traduzione latina, ad adottare un approccio diverso da quello finora impiegato: le versioni non possono essere esaminate solo (o prevalentemente) sulla base del parametro di fedeltà alla lettera del testo di partenza, ma piuttosto con quello dell’elegantia e della raffinatezza stilistica. Cf. Abbamonte (2014) 536–538, 540 e n. 3, 557–558. 3 Tale tendenza a un Umanesimo europeo principalmente in latino si conserverà fino al ­XVIII secolo. https://doi.org/10.1515/9783110792867-001

4 

 Prolegomena

testi: infatti, le versioni si configurano come mediatrici culturali. Questa loro importanza è dimostrata anche da altri due aspetti4: la maggior parte delle traduzioni in lingue vernacolari di testi greci è successiva alle versioni latine e fu spesso eseguita a partire da quest’ultime, badando poco o per nulla all’originale greco; anche le editiones principes dei testi greci di solito appaiono molti decenni dopo la prima versione latina. La rilevanza di questo fenomeno si evince anche dall’osservazione del dato quantitativo5: dopo l’arrivo di Manuele Crisolora a Firenze, gli umanisti in grado di padroneggiare la lingua greca realizzarono un numero assai elevato di traduzioni latine di opere greche al fine di permettere ai lettori dell’Europa occidentale l’accesso ai contenuti della cultura ellenica. Si calcola approssimativamente che nel periodo che va dal 1397, anno in cui Crisolora giunse Firenze, fino al 15256 furono tradotte in latino le opere di circa centocinquantaquattro autori greci da parte di un numero di traduttori che si aggira intorno ai centosessantacinque; in totale; poco più di seicento opere greche vennero tradotte in latino, di cui si conservano i testi su manoscritti. Inoltre, poiché il fenomeno delle traduzioni si sviluppò a cavallo con l’epoca della stampa, molte versioni ebbero anche, o solamente, una circolazione a stampa: senza distinguere tra queste ultime e quelle che godettero anche di una fortuna manoscritta, si contano circa centoventicinque autori e cinquecentosessantanove opere greche tradotte da settecentocinquatotto traduttori. Tali dati numerici permettono senz’altro di considerare quello delle traduzioni un fenomeno sociale di storia della cultura letteraria, di cui diventa importante comprendere le dinamiche e lo sviluppo. Sebbene questo delle traduzioni sia un fenomeno culturale esteso dal punto di vista quantitativo, diacronico e geografico, tuttavia risulta un insieme organico e rappresenta un ambito omogeneo di ricerca7: infatti, da un lato i traduttori appartengono al milieu dell’umanesimo italiano o si sono formati al suo interno, dall’altro i dedicatari sono spesso influenti mecenati, soprattutto italiani oppure stranieri che però hanno avuto lunghe esperienze di lavoro in Italia8. A dispetto dell’importanza di questo fenomeno, manca una «storia» delle versioni del XV secolo9: poche sono le edizioni critiche e le analisi dei singoli testi,

4 Cf. Abbamonte (2014) 526–528. 5 Cf. Abbamonte (2014) 523–526. 6 Prima del sacco di Roma del 1527, data simbolo della fine dell’Umanesimo italiano. 7 Cf. Abbamonte (2014) 528, 535–536. 8 Infatti, al di fuori della penisola questo tipo di lavori non fu preso in considerazione fino ai primi decenni del Cinquecento. 9 A esso, infatti, gli studiosi hanno prestato poca attenzione fino a qualche decennio fa; cf. Berti (2007) 3–5; Cortesi (2007) X.

Il contesto culturale 

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operazioni indispensabili per conoscere le traduzioni e la loro diffusione e per poter impostare in modo più consapevole il rapporto tra teoria della traduzione e prassi, tra i testi scelti e ciò che il traduttore è riuscito a comprendere e a trasmettere ai suoi contemporanei. Tale lacuna è frutto dei pregiudizi che per lungo tempo hanno gravato sulle traduzioni umanistiche10, considerate utili solo per reperire materiali tradizionali spendibili per le edizioni critiche degli autori greci, e ritenute inferiori alle traduzioni medievali verbum de verbo, più rigorose e fedeli rispetto a quelle quattrocentesche. Tali pregiudizi si stanno lentamente dissolvendo, ma ancora molto resta da fare per giungere ad un’adeguata conoscenza storica del fenomeno, di cui ora si fornirà un quadro generale utile a contestualizzare la versione guariniana del Nicocles. La prima generazione di traduttori apprese dal Crisolora non solo la lingua greca, con il metodo ermeneutico della rinnovata scuola di età paleologa, ma anche una tecnica della traduzione che si accordava con i giudizi degli antichi, dando così inizio al fenomeno delle versioni. Per fare una sommaria rassegna degli autori e delle opere su cui si concentrò l’attenzione degli umanisti11, nei primi tre decenni del Quattrocento l’oratoria (Eschine e Demostene) e i trattati e le biografie di Plutarco costituirono la maggior parte delle opere prescelte in virtù delle loro caratteristiche linguistiche (l’oratoria) e per il contenuto etico e ricco di informazioni sulla cultura antica (Plutarco). Molto tradotti – come si vedrà in seguito più nel dettaglio12 – sono stati pure i tre trattatelli parenetici di Isocrate (l’Ad Nicoclem, il Nicocles e lo spurio Ad Demonicum), scelti anch’essi per il loro contenuto edificante. A godere di una certa attenzione fu poi Luciano, a cominciare da Caronte, Timone e Calumnia, scritti dunque di argomento filosofico-morale13. Rimanendo nell’ambito della filosofia, Leonardo Bruni si adoperò per promuovere una diffusione ampia e una conoscenza di Aristotele migliore rispetto a quella offerta dalla Scolastica, traducendo l’Etica Nicomachea (prima del 1416), gli spurii Oeconomica (1420–1421) e, più tardi, la Politica (1438); nel 1434 Francesco Filelfo volse in latino la Retorica aristotelica e altri scritti furono tradotti nel corso del Quattrocento (ad esempio, la versione della Metafisica fu realizzata da Bessarione nel 1450). Bruni tradusse anche diversi dialoghi platonici (tra cui il Fedone, il Gorgia e il Critone) e le Epistole; la versione della Repubblica fu eseguita per primo da Crisolora, fu poi completata da Uberto Decembrio e rivista 10 Cf. Berti (1988) 245; Cortesi (2007) X. 11 Per una rassegna delle traduzioni realizzate nei primi tre decenni del Quattrocento cf. Wilson (2000) 16–29, panoramica da me integrata ricorrendo a Secchi (2017). 12 Cf. infra I.2. 13 Del 1455 sono le versioni di Lucio o l’asino e della Storia Vera, entrambe ad opera di Poggio Bracciolini.

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dal figlio di questi, Pier Candido; le Leggi furono tradotte da Giorgio Trapezunzio nel 1453. Un altro autore che attirò l’attenzione degli umanisti fu Elio Aristide14, soprattutto per gli scritti in cui ribatteva alle accuse di Platone contro i retori, per il suo encomio dell’impero romano e per alcune opere che offrivano un quadro dell’Atene classica; inoltre, Cencio de’ Rustici tradusse, durante il suo soggiorno a Costanza in occasione del Concilio, i Discorsi sacri, che presentò in forma di brevissima composizione epidittica. Quanto alle opere teologiche, molte versioni si devono ad Ambrogio Traversari (Basilio di Cesarea, Gregorio di Nazianzo e Giovanni Crisostomo); significativo è il fatto che tra i primi testi ad essere tradotti sia stata ­l’Oratio ad adulescentes di Basilio, ad opera di Bruni (1403), scritto che forniva una giustificazione per lo studio dei classici. Gli storici (Erodoto, Tucidide e Polibio) e Senofonte (Memorabili e Ciropedia) iniziarono a essere tradotti a partire dagli anni Quaranta. Infine, fino alla versione guariniana della Geo­ ­ trabone, tra i geografi era stata tradotta solo l’opera di Tolomeo da grafia di S Iacopo d’Angelo15. Spostando l’attenzione dalle opere e dagli autori tradotti ai metodi versori, si è accennato al ruolo decisivo svolto da Manuele Crisolora, affermazione che ha suscitato qualche perplessità16 se si pensa che la versione della Repubblica è l’unica sua traduzione latina e che essa ebbe una scarsa diffusione (se ne conoscono otto manoscritti in tutto) a causa della sua letteralità. Per chiarire questo punto, bisogna fare alcune precisazioni; innanzitutto, occorre distinguere tre generi di versioni17: il primo è quello della traduzione letterale, spesso interlineare, o verbum de verbo, affermatosi nel Tardo Medioevo come metodo tradizionale e conservatosi nella scuola per per favorire l’apprendimento della lingua. Di questo genere è la versione di Crisolora, il cui scopo era permettere l’accesso al testo greco attraverso la mediazione della traduzione18; l’elaborazione linguistico-letteraria non è in primo piano nella didattica del bizantino, ma è spostata in un momento successivo e infatti, nel caso specifico della Repubblica, essa fu affidata, come si è detto, a Uberto Decembrio19. Quanto agli altri due generi di versioni, questi invece propriamente umanistici, appartengono alla tipologia della

14 Sulla fortuna di Elio Aristide in età umanistica cf. Caso (2019). 15 La versione venne dedicata a due pontefici differenti, Gregorio XII (1406) e poi Alessandro V (1411). 16 Cf. Berti (1988) 249–251; Cortesi (1995) 147–148. 17 Cf. Berti (1988) 250–251. 18 Per l’analisi di due testimonianze (Vat. Pal. Gr. 116 e Urb. gr. 121) relative alla scuola, alle tecniche di lavoro del maestro e dei discepoli cf. Rollo (2019). 19 La nuova versione, migliorata ulteriormente nello stile dal figlio di Uberto, Pier Candido, godette di una maggiore diffusione rispetto al testo precedente, cf. Berti (1988) 249.

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traduzione retorica o ad sensum / ad sententiam, all’interno della quale si possono distinguere due filoni: da una parte le «traduzioni oratorie fedeli», dall’altra le «traduzioni oratorie libere», per usare la terminologia di Remigio Sabbadini20. Tuttavia, la definizione dello studioso appare troppo rigida21: entrambi i metodi potevano essere praticati dalla stessa persona, anche contemporaneamente, ma ciò non deve stupire né portare a tacciare i traduttori di incoerenza, poiché nella prassi non si sono mantenuti fedeli alle linee programmatiche espresse nelle lettere prefatorie. Infatti, i metodi e gli obiettivi mutano in rapporto al contesto politico e culturale in cui le versioni furono prodotte, al genere letterario cui esse appartengono, alla qualità dei testi scelti, alle intenzioni del traduttore (queste a loro volta legate agli obiettivi di ordine culturale e pratico e alla committenza) e alla sua padronanza linguistica e stilistica del greco e del latino. È dunque indispensabile, quando si studiano questi testi, valutare caso per caso, cercando di coglierne le peculiarità. Oltre al metodo versorio, anche le linee teoriche sottese alle traduzioni umanistiche si fanno risalire a Crisolora, i cui precetti vennero diffusi da Cencio de’ Rustici in una lettera a Bartolomeo Aragazzi22. Le indicazioni del maestro bizantino consistono in una perfetta comprensione grammaticale del testo, a cui segue una traduzione ad verbum, che però minime valet. Essa, infatti, deve servire solo come base di partenza per sviluppare una versione ad sententiam, una traduzione cioè fedele, in quanto rispettosa del contenuto ideologico dell’originale e dei suoi elementi testuali, i quali non devono essere né ampliati né mutati con abbellimenti retorici. Questo metodo, in sintonia con le teorie di autori precedenti, quali Rufino e Girolamo (quest’ultimo richiama inoltre l’esempio di Orazio e Cicerone)23, è in contrasto con un altro genere di versioni già germinato nel movimento umanistico prima dell’arrivo di Crisolora in Italia e riconducibile a personaggi come Francesco Petrarca, Giovanni Boccaccio e Coluccio Salutati24, le cui traduzioni nascevano come reazione a quelle tardo medievali, letterali, e, pertanto, inadeguate alle esigenze della nuova cultura. Allo scopo di fornire testi fruibili per se stessi e dotati di valore letterario, tali figure si rifacevano quindi alla

20 Cf. Sabbadini (1900) 210, e Sabbadini (1922) 20; precedentemente lo studioso aveva indicato quattro metodi versori (cf. Sabbadini (1896) 135): 1) la traduzione strettamente letterale (praticata da Filelfo); 2) la traduzione largamente letterale (caratteristica di Guarino, Giustiniani e Bruni); 3) la traduzione letterale stilistica (praticata da Lapo da Castiglionchio); 4) la traduzione amplificata e retorica (metodo proprio del Barbaro). 21 Cf. Berti (1988) 251–253, e Berti (2007) 7–8; Cortesi (1995) 148. 22 Cf. Sabbadini (1900) 209; Gualdo Rosa (1985) 184; Berti (1988) 254–255; Cortesi (1995) 145. 23 Cf. Berti (1988) 253–254; Cortesi (1995) 145. 24 Cf. Sabbadini (1900) 210; Berti (1988) 255–258.

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concezione antica del vertere come imitari ed aemulari. Fu l’incontro con i testi originali e il richiamo di Crisolora a rispettarli nella loro proprietas che produsse un cambiamento e permise la maturazione di una nuova teoria della traduzione, il cui punto più alto è rappresentato dal trattato De interpretatione recta di Leonardo Bruni25, composto tra il 1424 e il 1426 in difesa delle sue affermazioni nella premessa alla sua versione dell’Etica Nicomachea. Per l’Aretino tradurre recte significava ricreare i valori retorici e stilistici dell’originale e inserire l’opera in un contesto culturale diverso senza alterarne il messaggio. Se in linea di principio le teorie umanistiche privilegiano la traduzione ad sententiam, quando si passa alle realizzazioni pratiche il panorama appare invece alquanto diversificato tra l’aderenza al testo originale e l’adattamento o anche riscrittura dell’originale26. Tale molteplicità di atteggiamenti talora non è legata tanto a scelte volontarie, quanto piuttosto al cattivo stato del testo a disposizione, o a difficoltà linguistico-interpretative, o ancora alla scadente padronanza della lingua. La non perfetta corrispondenza tra teoria e prassi si può riscontrare anche nelle versioni di Guarino, il quale – come si vedrà meglio in seguito27 – dimostra sì di aver recepito l’insegnamento di Crisolora sulla traduzione ad sententiam, ma nella pratica se ne distacca parzialmente per ottenere sul piano dei contenuti un testo più chiaro ed esplicito e dal punto di vista stilistico-formale più elegante.

I.2 La fortuna delle orazioni parenetiche isocratee in età umanistico-rinascimentale La versione guariniana del Nicocles presenta un ulteriore motivo di interesse, in quanto testimonia l’influsso esercitato da Isocrate sugli umanisti non solo dal punto di vista stilistico-retorico, ma anche nella definizione dell’ideale pedagogico quattrocentesco. Nell’Umanesimo Isocrate godette di una grande fortuna che si manifestò principalmente in due ambiti: il primo è quello della retorica, settore in cui si assiste da un lato alla ripresa scolastica delle orazioni isocratee, dall’altro all’imitazione della prosa dell’autore, considerata, fin dall’età antica, un modello di perfezione stilistica e linguistica; il secondo ambito concerne, invece, i contenuti della produzione di Isocrate, che vennero riproposti specialmente a livello peda-

25 Cf. Gualdo Rosa (1985) 185–186; Berti (1988) 259–260, e Berti (2007) 6–7; Cortesi (1995) 156–157; Baldassarri (2003). 26 Cf. Cortesi (2007) XV. 27 Cf. infra Appendice 3.

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gogico e didattico. Gli aspetti della fortuna europea di questo autore nei secoli XV e XVI sono stati indagati ed esposti da Lucia Gualdo Rosa in un apposito studio, pubblicato nel 1984, che rappresenta il punto di riferimento per le considerazioni qui esposte. Il successo di Isocrate, come ha ben evidenziato la studiosa28, si spiega considerando le affinità esistenti tra il pensiero isocrateo e quello umanistico: un primo elemento di contatto è costituito dal cosiddetto scetticismo epistemologico, o teoretico, un atteggiamento cioè di polemica contro la speculazione pura a favore di un insegnamento retorico con risvolti in campo etico e politico; poi l’idealizzazione della παιδεία, intesa come insegnamento retorico che è al tempo stesso guida politica ed etica, una formazione quindi completa, culturale e morale, basata sulla parola (λόγος) quale strumento di civilizzazione e di concordia tra gli uomini29. Il messaggio di cui si fanno portatori Isocrate prima e gli umanisti poi, è aristocratico e moderato, fondato sull’imitazione di modelli letterari (per Isocrate le sue stesse orazioni, per gli umanisti gli autori antichi in generale) e morali, questi ultimi rappresentati dagli eroi del passato (da qui l’interesse degli umanisti anche per le Vite di Plutarco, un interesse che si riflette pure in questo caso nell’attività versoria)30. Destinatari di tale messaggio sono da una parte i figli dei principi, futuri governanti, dall’altra coloro che ricoprono i ruoli di educatori o di funzionari di cancelleria, personaggi dunque incaricati di assistere e consigliare il principe. Non sarà dunque un caso se ad Isocrate viene fatta risalire l’elaborazione del genere degli specula principum con le orazioni cipriote (Evago­ ras, Ad Nicoclem e Nicocles), a cui va aggiunto lo spurio Ad Demonicum. Infatti, in questi componimenti vengono delineate le qualità di cui il principe ideale deve essere dotato: umanità, mitezza, concordia, religiosità e rispetto delle leggi; inoltre, questi scritti contengono consigli di buon governo, offrono modelli comportamentali per i principi e soprattutto definiscono i doveri reciproci del sovrano e dei sudditi e il corretto rapporto che deve instaurarsi tra loro. Per quanto riguarda le modalità attraverso cui si esplicò l’enorme fortuna di Isocrate, si parlerà successivamente della diffusione e circolazione del suo testo e, in particolare, delle tre parenetiche31; qui, invece, mi soffermerò sulle traduzioni, realizzate da intellettuali italiani ed europei, in latino e poi anche in volgare, un’attività versoria intensa e feconda che si sviluppò a partire da Quattrocento e

28 Gualdo Rosa (1984) 1–6. 29 L’esaltazione del λόγος, tra l’altro, è presente nello stesso Nicocles §§ 5–7 (cf. anche Panegyri­ cus §§ 47–50). 30 Cf. supra 5. 31 Cf. infra III.3.

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proseguì fino al Seicento. Queste traduzioni sono dedicate, nella maggior parte dei casi, a principi, signori locali o a membri del clero e costituivano da una parte un atto di omaggio e/o di captatio benevolentiae, dall’altra uno strumento di affermazione degli intellettuali stessi, che si proponevano come maestri e consiglieri dei governanti. Gli scritti di Isocrate costituirono inoltre un punto di partenza per la composizione di opere originali, incentrate sulla tematica de principe e che vennero ad aggiungersi in modo complementare all’attività versoria; l’esempio più noto di tale produzione è il Principe di Machiavelli, che nell’epistola di dedica a Lorenzo de’ Medici presenta proprio una parafrasi dell’inizio dell’Ad Nicolem32. Nel risalire alle origini dell’enorme diffusione di Isocrate in Occidente, bisogna precisare che non si può parlare di una conoscenza diretta del retore ateniese prima del XIII secolo, anche se frammenti del suo pensiero o espressioni isocratee sono rintracciabili nelle raccolte di sentenze, nei manuali di retorica e negli specula principum, ampiamente diffusi tanto nel mondo bizantino quanto in quello occidentale. Il primo testo di Isocrate ad essere tradotto in latino è – ironia della sorte – lo spurio Ad Demonicum, versione eseguita da un anonimo tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII33. Si conoscono quattro codici che trasmettono integralmente questa traduzione, tra cui i più interessanti risultano essere Città del Vaticano, BAV, Vat. Lat. 1769, databile al 1280, e Vicenza, Biblioteca Antoniniana, I 9, della metà del XIV secolo. I due manoscritti sono affini per testo e contenuto (entrambi trasmettono una nutrita serie di opere di Seneca, o circolanti sotto il suo nome) e riconducibili all’ambiente padovano, vicino – com’è noto – al cosiddetto Preumanesimo veneto, il quale è di fondamentale importanza per lo sviluppo dell’Umanesimo stesso. Quest’ultimo, infatti, si giovò senza dubbio dell’apporto culturale bizantino, ma fu il Preumanesimo veneto, oltre che il magistero intellettuale e morale di Petrarca, a definirne l’essenza spirituale e civile. Isocrate, tuttavia, fece ufficialmente la sua comparsa in Occidente solo successivamente, nel Quattrocento, e precisamente nel 1407, quando Guarino Veronese tradusse a Costantinopoli e inviò a Venezia a Floro Valier, l’Ad Demonicum34. Gli accenti trionfalistici con cui si apre la lettera di dedica35 suggeriscono che una traduzione del trattatello fosse attesa in ambiente veneto dai lettori più raffinati, insoddisfatti della versione medievale. Poco dopo Guarino tradusse da Isocrate anche l’Elena, indirizzata a Pietro Miani36. Tuttavia, nessuna di queste due versioni è citata nella 32 Cf. Gualdo Rosa (1984) 57. 33 Cf. Gualdo Rosa (1984) 16–18. 34 Cf. Gualdo Rosa (1984) 19. 35 Cf. Sabbadini (ed. 1915) 4–5, nr. 2. 36 Il terminus ante quem datare la traduzione è il 1409, anno in cui il Miani divenne vescovo di Vicenza; cf. Gualdo Rosa (1984) 20; Filippozzi (2021) 173–174 e 174 n. 5.

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lettera a Bartolomeo Aragazzi da Montepulciano, datata 1416, in cui il Veronese fa un bilancio della sua attività di traduttore; questo silenzio potrebbe essere indice del fatto che Guarino considerasse queste prime traduzioni delle esercitazioni37. Infatti, il latino dell’umanista, per quanto corretto, appare legato alla struttura sintattica del greco e impacciato dal punto di vista stilistico38. Fino al 1431 Guarino utilizzò Isocrate solo a scopo didattico nell’ambito dell’inegnamento della lingua greca; a partire da questa data rivolse la sua attenzione alle orazioni cipriote, introducendole tra i pochi testi greci più letti e più tradotti in ambiente umanistico39. Ad aprire la folta serie delle traduzioni delle parenetiche isocratee vi è la versione dell’Ad Nicoclem ad opera, come ha dimostrato Thomas Kaeppeli40, di Carlo Marsuppini, eseguita nel 1430 ed indirizzata a Galeotto Roberto Malatesta, presso cui si trovava ospite. Siccome Marsuppini era stato allievo di Guarino, la scelta del testo da tradurre potrebbe essere stata ispirata dalle lezioni del maestro. In seguito, Guarino, forse spinto proprio dalla versione di Marsuppini, commissionò al suo alunno Bernardo Giustiniani la traduzione dell’Ad Nicoclem (1431), dedicata a Ludovico Gonzaga41; poco dopo, l’umanista realizzò personalmente la versione del Nicocles per il suo discepolo, Leonello d’Este, facendola accompagnare da una lettera di dedica e dall’Argumentum all’orazione42, e in quegli stessi anni tradusse, forse, anche l’Evagoras43. Lo scopo sotteso a quest’attività versoria è, secondo Gualdo Rosa, enucleare un «galateo», un codice di comportamento, i cui destinatari erano da un lato i principi (Evagoras, Ad Nicoclem), dall’altro i sudditi (Ad Demonicum, Nicocles), in special modo gli uomini a cui i governanti si

37 Cf. Gualdo Rosa (1984) 22; Filippozzi (2021) 174–175 e 174 n.  6. Secondo Filippozzi, che la versione rappresentasse un semplice esercizio di Guarino per impratichirsi nella lingua greca sarebbe comprovato dal fatto che la Laus Helenae è tramandata da un unico codice (Oxford, BD, Bywater 38, ff. 135r.146r), per il quale cf. anche Rollo (2005) 12–15, e Pade (ed. 2013) 9–13. 38 Cf. per le osservazioni sull’Elena Gualdo Rosa (1984) 22–23 (con un rimando a un contributo del Sabbadini per l’Ad Demonicum), e soprattutto Filippozzi (2021). Per le considerazioni sulle modalità traduttive di Guarino e sulle caratteristiche linguistico-stilistiche delle sue versioni cf. anche infra Appendice 3. 39 Cf. Gualdo Rosa (1984) 24–25. 40 Cf. Kaeppeli (1951). 41 Cf. Gualdo Rosa (1973), 296; la traduzione fu molto apprezzata da Guarino, cf. la lettera che inviò, il 7 marzo 1436, a Leonardo Giustiniani, padre di Bernardo, in Sabbadini (ed. 1916) 134 nr. 597 e Sabbadini (ed. 1919) 289–290. 42 Cf. infra II.2.3, II.2.4 e Testo critico, traduzione e Note di Commento. 43 Di questa traduzione è andata perduta la lettera di dedica; il testo di Guarino fu incluso nell’editio princeps delle Vite parallele di Plutarco, curata da Giovanni Antonio Campano e stampata a Roma nel 1470 ca., e da allora fu pubblicata con le Vite fino al 1516. La sola traduzione fu edita a Parigi nel 1530.

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appoggiavano (funzionari, docenti, gentiluomini e cortigiani), come ben si evince dalla lettera di dedica del Nicocles a Leonello d’Este44. Un altro illustre traduttore di Isocrate è stato Lapo da Castiglionchio, il quale tradusse tutte e tre le parenetiche, indirizzando l’Ad Demonicum al cardinale Prospero Colonna (1436) e gli altri due scritti al cardinale Francesco Condulmer, nipote di papa Eugenio IV, nel 143745; tali traduzioni vennero poi inviate anche al duca di Glouchester46. Gualdo Rosa effettua un confronto, limitato alle prime righe del testo, tra la versione guariniana del Nicocles e quella di Lapo47: la traduzione di Guarino appare meno disinvolta a causa del gusto, tipico dell’umanista veronese, per l’amplificatio al fine di rendere tutte le sfumature del greco48, mentre la versione di Lapo brilla per eleganza e concisione, nonché per la capacità del traduttore di cogliere il senso autentico dei termini e del loro contesto storico. Secondo Gualdo Rosa, Lapo, che conosceva la versione di Guarino di pochi anni precedente, avrebbe voluto misurarsi con il veronese, dando prova di superiorità attraverso una resa del testo manifestamente differente. Dopo Lapo si annoverano altre due traduzioni dell’Ad Demonicum, la prima del 1437 ca., eseguita da Niccolò Loschi, l’altra ad opera di Pietro Perleone e databile tra il 1446 e il 145249. Inoltre, al 1445 circa risale il primo volgarizzamento dell’Ad Nicoclem di Bartolomeo Facio, un altro allievo di Guarino: l’opera è dedicata a Ferdinando d’Aragona ed è tratta dalla traduzione latina di Giustiniani, senza confronto con il testo greco50. Interessante risulta essere l’epistola dedicatoria che non sembra essere indirizzata tanto al principe nonché committente del volgarizzamento, ma all’élite dei dotti. Nella lettera, infatti, Facio espresse dure critiche riguardo all’uso del volgare nel tradurre i classici, distruggendone così autorità e dignità; nel fare ciò l’umanista affermava implicitamente di essere stato costretto a svilire un autore classico, poiché il suo destinatario, per quanto fosse un principe, era indoctus. Dunque, la sua versione dell’Ad Nicoclem fu sì un volgarizzamento, ma «involontario»; le traduzioni in

44 Cf. Gualdo Rosa (1984) 26–27; per l’analisi dell’epistola di dedica cf. infra II.2.3. 45 In realtà, l’epistola di dedica subì vari rimaneggiamenti tra il 1434 e il 1437, da cui risulta che la traduzione venne indirizzata a tre personaggi differenti in tempi diversi, cf. Gualdo Rosa (1984) 32 n. 56 e Regini (2017) 8 e 90–95. L’edizione delle tre versioni di Lapo è stata edita da Gualdo Rosa, cf. Gualdo Rosa (ed. 2018). 46 Cf. Sammut (1980) 127–128, 165. 47 Cf. Gualdo Rosa (1984) 34–35; la grande padronanza delle lingue classiche di Lapo era, del resto, già stata messa in luce da Sabbadini (1896) 135. 48 Sul metodo versorio di Guarino cf. infra Appendice 3. 49 Cf. Gualdo Rosa (1984) 41. 50 Cf. Gualdo Rosa (1984) 35–38.

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volgare iniziarono a fare la loro comparsa nella seconda metà del Quattrocento, per poi diffondersi sempre più numerose nel corso del XVI secolo51. Per riassumere52, nella prima metà del Quattrocento si contano ben sei traduzioni latine dell’Ad Demonicum (di cui due anonime)53, tre dell’Ad Nicoclem (più quella in volgare del Facio) e due del Nicocles. Considerando la scarsa conoscenza del greco agli inizi del XV secolo, il numero totale risulta abbastanza consistente, un dato che fa di Isocrate uno degli autori greci più tradotti e, quindi, più apprezzati dagli umanisti. Quanto alla fortuna e alla diffusione di tali traduzioni, quasi tutte godettero di un certo successo: la versione di Marsuppini ci è pervenuta in undici manoscritti54, quella di Giustiniani è trasmessa da ben ventisette codici, a cui vanno aggiunte due edizioni a stampa (Venezia 1492; Parigi 1511)55; la traduzione del Nicocles di Guarino è contenuta in almeno ventiquattro manoscritti56; infine, di Lapo si contano sedici testimoni che tramandano la sua versione dell’Ad Nicoclem e quattordici quella del Nicocles57. Possiamo quindi affermare che delle tre parenetiche il Nicocles fu lo scritto meno tradotto dagli umanisti, ma in compenso la versione di Guarino, essendo tramandata da un numero relativamente alto di testimoni, godette di un notevole successo, anche se limitato al XV secolo, epoca i cui si colloca la maggior parte dei manoscritti. Per le traduzioni delle parenetiche nella seconda metà del Quattrocento fino agli inizi del secolo successivo58 bisogna tenere conto della diffusione dei volgarizzamenti e della comparsa della stampa. Questo medium, infatti, oltre a introdurre elementi tecnici ed economici nuovi, allargò il pubblico di lettori e influì sulle scelte degli scrittori. La diffusione di Isocrate appare ancora consistente: si contano ventidue traduzioni in latino, a cui vanno aggiunti il commento universitario di Marco Musuro59 (1503–1506, rimasto inedito), la raccolta di sentenze di Bartolomeo Maggi (pubblicata per la prima volta a Venezia nel 1569) e le traduzioni in volgare60. Delle ventidue versioni latine, sedici sono rimaste inedite,

51 Cf. Gualdo Rosa (1984) 78–82. 52 Cf. Gualdo Rosa (1984) 41–42. 53 Cf. Gualdo Rosa (1984) 28–31. 54 Cf. Kaeppeli (1951). 55 Cf. Gualdo Rosa (1973). 56 Cf. infra IV.1 e Tabella 1, Conspectus codicum. 57 Cf. Regini (2017) 34–37; Gualdo Rosa (ed. 2018) 59–31. 58 Cf. Gualdo Rosa (1973) 275–281 e Gualdo Rosa (1984) 59–72. 59 Cf. Gualdo Rosa (1984) 69, 73–75. 60 Gualdo Rosa, considerando un arco cronologico che si estende a tutto il XVI sec., ha contato venti volgarizzamenti (cf. Gualdo Rosa (1984) 61, 78–80); inoltre, alle versioni latine si aggiungono al nostro conteggio altre nove traduzioni, eseguite nella seconda metà del Cinquecento (cf. Gualdo Rosa (1984) 67–71).

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mentre le altre sette hanno avuto anche una diffusione a stampa; a queste ultime vanno aggiunte anche alcune traduzioni degli inizi del XV secolo, che godettero di una certa fortuna editoriale: l’Ad Nicoclem di Bernardo Giustiniani (Venezia 1492, Parigi 1511), l’Evagoras di Guarino (Roma 1470 ca., Venezia 1516, Parigi 1530) e le versioni dell’Ad Demonicum di Loschi e di Perleone (rispettivamente pubblicate a Venezia 1480 ca., e a Parigi 1511). Il maggior numero delle edizioni si colloca tra il 1480 e il 1520 e la loro fortuna è variabile: mentre le traduzioni di Perleone e dell’allievo di Guarino, Martino Filetico (Ad Nicoclem, Vienna e Strasburgo 1514)61, vennero stampate solo all’estero, altre hanno avuto un interesse solo locale62; quelle che ebbero maggiore successo vennero pubblicate una prima volta in Italia e furono poi ristampate all’estero. Delle tre parenetiche le più tradotte si confermano essere l’Ad Demonicum e l’Ad Nicoclem, mentre per il Nico­ cles si contano solo cinque versioni, di cui solo due edite; inoltre, se gli altri due scritti hanno una circolazione anche isolata, il Nicocles appare sempre associato alle altre due orazioni parenetiche (nelle edizioni) o al solo Ad Nicoclem (nei testimoni manoscritti). Oltre ai tre trattatelli, che comunque rimangono i privilegiati, l’attività versoria si allargò, soprattutto a partire dal XVI sec., a comprendere anche altre opere di Isocrate63, quali il De pace, tradotto da Francesco Diedo nel 1471 e da Onofrio Bartolini agli inizi del Cinquecento, il Panegyricus, tradotto da Giovanni Maria Cattaneo nel 1509, e il Busiris, tradotto da Lucio Paolo Roselli forse tra il 1528 e il 1529. Verso la metà del XVI secolo iniziò a diffondersi in Italia il desiderio di pervenire alla traduzione degli Opera omnia64: vediamo quindi personaggi impegnati a tradurre numerose orazioni, come Giovanni Strozzi, a cui si devono le versioni delle prime sei orazioni dell’edizione aldina di Isocrate, o Bartolomeo Mariani, che tradusse le prime dieci intorno al 1540. Se da un lato Isocrate continua ad essere ancora tradotto in misura consistente, dall’altro si assiste a un cambio di pubblico e di finalità delle versioni65, cosa che emerge anche da un esame quantitativo delle dediche che le accompagnano: le traduzioni inviate per omaggio o captatio benevolentiae tendono a

61 Cf. anche Regini (2017) 9. 62 Questa è la sorte delle traduzioni di Francesco Buzzacarini (Ad Nicoclem, Venezia 1482), ­Stefano Sterponi (Ad Dem., Ad Nic. Nic. Bologna 1532) e di Domenico Bonomio (Ad Nicoclem, Brescia 1503). 63 Cf. Gualdo Rosa (1984) 66–67. 64 Per la traduzione latina del corpus isocrateo l’Italia sarà tuttavia superata dalla Germania, dove nel 1529 vennero tradotte da Johann Loncier tutte le orazioni e a partire dal 1548 gli Opera omnia furono tradotti e commentati da Hieronymus Wolf. 65 Cf. Gualdo Rosa (1984) 71–72.

Il contesto culturale 

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diminuire fino a scomparire man mano che si avanza nel Cinquecento. Infatti, in questo secolo iniziarono a comparire nuovi committenti, cioè gli editori, i quali si rivolgevano al pubblico di studenti, prima solo italiani, poi anche stranieri, delle scuole secondarie (ma anche di livello universitario, come si evince dal commento del Musuro), fondate e diffuse dagli umanisti. A partire dal 1530, le sole edizioni di versioni latine e di sentenze sono infatti edizioni scolastiche, ma anche le traduzioni rimaste inedite risultano essere state eseguite per scopo didattico o per studio o ancora per riflessione personale. Tutto ciò comportò una banalizzazione estrema del messaggio di Isocrate rispetto all’uso di Guarino66. Le edizioni di Aldo Manuzio di Isocrate del 1499 e del 1513 e il commento, rimasto incompiuto e manoscritto, non hanno trovato l’eco avuta da altri testi classici; nella trattatistica politica, che vide la sua fioritura nella prima metà del XVI secolo, egli è ridotto a puro elemento esornativo, come nel caso, già ricordato, del Principe di Machiavelli, o ad appendice, come nel Ritratto di Lucio Paolo Roselli67. Pure nell’ambito della retorica, ritornata nel frattempo dialettica e aristotelica, Isocrate decadde da soggetto a oggetto da sezionare e la sua concezione di retorica come guida morale e civile venne abbandonata. Nel campo dell’attività versoria, tra i traduttori figurano sì illustri personalità, ma le versioni da Isocrate occuparono una posizione marginale nella loro vita di intellettuali.

66 Cf. Gualdo Rosa (1984) 82–83. 67 Cf. Gualdo Rosa (1984) 51–58.

II I protagonisti II.1 Il traduttore: Guarino Veronese «Nella storia dell’umanesimo Guarino è una delle più grandi e simpatiche figure»: così il Sabbadini presenta l’umanista veronese nell’introduzione alla sua biografia1. Figura di spicco nella prima metà del XV secolo, Guarino svolse un ruolo fondamentale nella riscoperta, materiale e non solo, dei classici, nell’insegnamento della lingua greca in Italia, nella definizione dei caratteri dell’Umanesimo e nella diffusione del movimento umanistico stesso. In campo pedagogico e didattico, poi, Guarino è considerato uno dei maggiori maestri del suo tempo, il primo a ideare e a praticare un programma completo e organico di studi letterari.

II.1.1 La vita Guarino2 nacque a Verona nel 1374, da mastro Bartolomeo dei Guarini e da Libera, figlia del notaio Zannini. La sua formazione si svolse tra Verona, Venezia e Padova e fu principalmente di tipo retorico-grammaticale nell’alveo della tradizione medievale; solo in seguito Guarino approfondì gli studi classici e fu lui a portare a Verona, nel 1419, la cultura umanistica, come Gasparino Barzizza fece a Padova nel 1408. Un momento fondamentale della sua biografia è rappresentato dall’incontro con Manuele Crisolora, che, giunto in Italia nel 1396, dopo aver occupato per tre anni la prima cattedra di greco a Firenze e aver insegnato allo Studium di Pavia, ritornava in Oriente. Allora Guarino prese la decisione di recarsi a Costantinopoli per apprendere la lingua greca e lì rimase, ospitato in casa del suo stesso maestro, Crisolora, per un quinquennio (1403–1408). Frutto di questi studi greci sono alcune epistole, in versi e in prosa, e alcune traduzioni dal greco, più precisamente la Vita di Alessandro di Plutarco, la Calumnia di Luciano e l’Ad Demo­ nicum pseudoisocrateo; queste ultime due furono inviate a Venezia rispettivamente a Giovanni Querini (1405–1406) e a Floro Valier (1407)3. Oltre agli studi, in questo periodo Guarino si dedicò anche alla ricerca di codici greci, che «raccolse

1 Sabbadini (1891). 2 Per una trattazione più ampia della biografia dell’autore rimando ai lavori del Sabbadini (1891) e (1896) più alla voce curata da Pistilli (2003) nel DBI; un breve profilo dell’autore è presente anche in Verger (1997) 411–412. 3 Cf. supra 10. https://doi.org/10.1515/9783110792867-002

I protagonisti 

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in gran numero e portò con sé in Italia»4, ma, allo stato delle nostre conoscenze, possiamo affermare con sicurezza che Guarino fece ritorno in Italia con due soli codici, uno contenente tre commedie di Aristofane e gli Erotemata del Crisolora (Città del Vaticano, BAV, Pal. Gr. 116) e l’altro, oggi perduto, contenente la Suda e acquistato a Rodi5. Nel 1408 Guarino fece ritorno da Costantinopoli, ma giunto a Venezia non riuscì a trovare un impiego6, pertanto si spostò prima a Verona (1409) e poi a Bologna (1410). Nella città emiliana a quel tempo risiedeva la curia pontificia, che raccoglieva intorno a sé molti intellettuali, come Pietro Miani (a cui, si è detto, Guarino indirizzò la sua versione dell’Elena nel 1409), Cencio de’ Rustici, Antonio Loschi, Iacopo di Angelo, e soprattutto Poggio Bracciolini e Leonardo Bruni. Questa circostanza permise al Veronese di stringere relazioni che crebbero con il passare degli anni, alimentati dalla reciproca stima e da scambi di lavoro letterario. Inoltre, grazie a questo soggiorno bolognese, Guarino, per intercessione di Bruni presso Niccolò Niccoli, fu chiamato ad insegnare allo Studio fiorentino, dando così inizio alla sua lunga e celebre carriera didattica. A Firenze (1410–1414) Guarino ebbe occasione anche di stringere numerose e potenti amicizie: ospitato da Antonio Corbinelli, era in buoni rapporti, tra gli altri, con Palla Strozzi, il cancelliere della repubblica fiorentina Paolo Fortini e con il monaco camaldolese Ambrogio Traversari. In questi anni Guarino si dedicò all’attività letteraria (tradusse lo pseudoplutarcheo De liberorum educatione e la Vita di Cesare di Plutarco), insegnò greco anche privatamente (tra i suoi migliori allievi fiorentini vanno ricordati i due Corbinelli, Antonio e Angelo, e Giovanni Toscanella) e mantenne i contatti anche con gli altri centri letterari italiani, in particolare con quelli veneti di Verona, Padova e Venezia. Nel 1414 a causa di un

4 Sabbadini (1905) 44. Nel fare questa affermazione Sabbadini si riferiva all’elenco di codici greci di Guarino pubblicata da Omont (1892); cf. Sabbadini (1896) 12–13 e infra 17 n. 5. 5 Un elenco dei codici greci posseduti da Guarino è stato pubblicato in Omont (1892). Si tratta di una collezione, oggi perduta, di cinquantaquattro volumi, alcuni dei quali contenenti opere di più autori; alcuni manoscritti citati da Omont sono stati successivamente identificati come appartenuti al Veronese, vd. Sabbadini (1905) 44–45, Diller (1961), Thompson (1976), Bandini (1995) e Rollo (2005), ma si tratta di una piccola parte. Sul problema della ricostruzione della biblioteca – nello specifico quella greca – di Guarino cf. infra 52–53; Sabbadini (1896) 105–107. Per un’analisi di Città del Vaticano, BAV, Pal. Gr. 116 come testimone delle modalità di insegnamento della lingua greca cf. Rollo (2019). 6 Il suo ritorno in Italia è presentato come imminente in una lettera inviata a Francesco Barbaro, in cui il Veronese esprime anche l’auspicio di trovare un’occupazione grazie all’aiuto del Barbaro e degli altri amici; cf. Sabbadini (1891) 13, Sabbadini (1896) 165 e Sabbadini (ed. 1915) 4–11, nr. 4. Sull’ipotesi che Guarino avesse avviato a Venezia l’insegnamento del greco in questo breve soggiorno cf. Pertusi (1980) 195–197.

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 Prolegomena

dissidio con Niccoli, che allora aveva molto potere all’interno dello Studio fiorentino, Guarino scelse di lasciare Firenze e recarsi a Venezia. Giunto a Venezia, dove vi rimarrà per un quinquennio (1414–1419), Guarino riprese la sua attività di insegnante privato secondo il modello della scuola-convitto (contubernium) usato anche da Crisolora a Costantinopoli e da Gasparino Barzizza a Padova. Tra gli allievi di Guarino, oltre ai rampolli di illustri famiglie veneziane come Francesco Barbaro, Leonardo Giustiniani e Andrea Giuliani, ascoltarono le sue lezioni anche Giorgio Trapezunzio e Vittorino da Feltre. Oltre a insegnare, in questo periodo Guarino si dedicò all’attività letteraria e filologica7. Questi sono anche gli anni del Concilio di Costanza (1414–1418), epoca in cui avvennero le grandi scoperte di codici antichi, delle quali Poggio Bracciolini fu il maggiore protagonista8, ma anche lo stesso Guarino fu uno scopritore e ricercatore di codici9 e prorpio in questo periodo, nel 1419, ritrovò a Venezia l’epistolario di Plinio, in otto libri. Sempre al periodo veneziano (1418) risale il matrimonio con Taddea figlia di Niccolò Cendrata e di Fiordimilia Spada. Da questo matrimonio nacquero, tra il 1421 e 1441, ben quindici figli. Nel 1419, dopo aver tentato invano di trovare un impiego presso la curia pontificia, facendosi assegnare un posto presso il neoeletto papa Martino V, Guarino fece ritorno a Verona, dove rimarrà per un decennio (1419–1429), svolgendo l’attività di docente. Appena stabilitosi, aprì la sua scuola privata, inaugurando le lezioni con una prolusione sulle Epistulae ad familiares di Cicerone, che resterà uno dei testi basilari del suo insegnamento. La fama della scuola cresceva, tant’è che, all’inizio del 1420, il Veronese ricevette da parte delle città di Firenze e di Vicenza delle richieste per andarvi a insegnare, ma declinò l’invito, e, nel maggio dello stesso

7 A quest’epoca risalgono alcune versioni da Plutarco, la traduzione del De parasitica vita di Luciano, indirizzata all’arcivescovo di Creta, Pietro Donato, e l’orazione In funere fratris, composta nel 1409 dall’imperatore Manuele II Paleologo per la morte del fratello Teodoro I e inviata a Guarino nell’estate del 1417 per la traduzione latina e la diffusione fra gli umanisti. Inoltre, realizzò la traduzione-compendio degli Erotemata di Crisolora, ad uso di chi si accingeva a studiare greco, adoperata da Guarino stesso per il proprio insegnamento. Inoltre, Guarino era impegnato a emendare le citazioni greche su un codice di Valerio Massimo, su richiesta dell’amico ferrarese Ugo Mazzolati. 8 Le scoperte di Poggio ebbero importanti conseguenze per il Veronese: Guarino venne subito informato del ritrovamento nel monastero di Cluny delle orazioni ciceroniane Pro Sexto Roscio Amerino e Pro Murena, copie delle quali riuscì ad ottenere nell’estate del 1415 grazie al Barbaro; successivamente il Veronese ricevette da Poggio un Asconio Pediano, un Lucrezio e un Quintiliano. A Strasburgo poi, nel 1417, l’umanista di Terranuova ritrovò il codice Firenze, BML, S. Marco 275 (F), contenente otto trattati ciceroniani (Corpus Leidense), dalla cui scoperta si originò l’interesse di Guarino, cf Revello (2020) e Malaspina (2021). 9 Cf. Sabbadini (1896) 98–104 e Sabbadini (1905) 96–98.

I protagonisti 

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anno, venne nominato dal Consiglio veronese docente di retorica per un quinquennio, con lo stipendio annuo di centocinquanta ducati. Il contratto dettava come uniche condizioni che leggesse le Epistole e le Orazioni di Cicerone, per il resto gli veniva lasciata libera scelta e la facoltà di tenere anche lezioni private a pagamento10. L’incarico gli fu poi rinnovato per un altro quinquennio alle stesse condizioni11. Tra gli allievi di questo secondo periodo d’insegnamento vanno annoverati Paolo e Bonaventura, figli di Giacomo Zilioli, mecenate e consigliere del marchese Niccolò d’Este, giunti nel giugno del 1426 alla scuola di Guarino. Da qui i rapporti tra il Veronese e Zilioli si fecero più intimi, cosa che porterà Zilioli a suggerire a Niccolò III di invitare a Ferrara l’umanista. Durante la sua permanenza a Verona, oltre all’attività di insegnante, Guarino ricoprì numerose cariche pubbliche per il comune e svolse il ruolo di oratore ufficiale nelle pubbliche occasioni. Inoltre continuò a dedicarsi all’attività filologico-letteraria: attese a diverse traduzioni, come il Filopemene di Plutarco (1426), dedicato a Maggi, e i canti X dell’Iliade e XXIII dell’Odissea (1427), non pervenutici. Tra i discorsi d’occasione, possiamo citare l’orazione funebre per Giannicola Salerno, amico ed ex-allievo, deceduto nel giugno del 1426; del 1427 è il carme di ringraziamento al Pisanello, il quale aveva donato al Veronese un suo San Girolamo, attualmente conservato alla National Gallery di Londra; a questo periodo risale anche l’elogio del conte di Carmagnola Francesco Bussone, vincitore della battaglia di Maclodio contro il Ducato di Milano, discorso composto nel febbraio del 1428 e che suscitò le antipatie e le critiche degli umanisti milanesi12. Nel 1427 Guarino studiò ed emendò 10 Fra gli allievi di Guarino di questo periodo vanno menzionati Bartolomeo Facio, frate Alberto da Sarteano (al secolo Alberto Berdini) ed Ermolao Barbaro. Di quest’ultimo ci è pervenuta una testimonianza dei primi frutti del magistero guariniano: Ermolao, nel 1422, appena adolescente tradusse trentatré favole di Esopo sub expositione dissertissimi ac eruditissimi viri Guarini Vero­ nensis patris ac praeceptoris mei, dedicandole ad Ambrogio Traversari (Londra, BL, Add., 33782). 11 Tuttavia, ciò non avvenne senza difficoltà. Infatti, si erano sollevate delle critiche contro Guarino, accusato di favorire i suoi allievi privati a scapito degli altri e di percepire un compenso troppo elevato. A difesa del maestro si schierò un anonimo alunno che scrisse l’Oratio in laudi­ bus Guarini, un documento – oggi conservato nel manoscritto Milano, BA, O. 66 sup., alle carte 21–27 – molto importante per la ricostruzione della vita del Guarino: nel discorso, infatti, l’anonimo traccia la biografia del maestro fino a quel momento, mettendone in evidenza i meriti verso la città di Verona per scagionarlo dalle accuse. Infine, il Comune decise di confermare l’incarico, grazie all’intercessione di alcuni personaggi (come Maggio Maggi) e alle offerte per Guarino di una cattedra da parte di Bologna e Venezia. 12 In particolare, severi giudizi giunsero da parte di Giorgio da Trebisonda (cf. Sabbadini (ed. 1915) 314–315, nr. 197; Sabbadini (ed. 1916) 555–556, nr. 840; Pertusi (1980) 204, 225–236; Marcelli (2009) 204 e n. 73, 205 e n. 82) e da Pier Candido Decembrio (cf. Sabbadini (ed. 1915) 500, nr. 341; Marcelli (2009) 201–203). Nel primo caso a prendere le difese di Guarino fu un suo allievo, Andrea Agasone, mentre la seconda volta si fece avanti Antonio Beccadelli, il Panormita.

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le prime otto commedie di Plauto e allestì una copia della sua edizione per Zilioli, impresa che lo rese un’autorità nel campo degli studi plautini; su questo testo tenne anche delle lezioni, tant’è che abbiamo le recollectae plautine, compilate da un suo scolaro e contenute nel Città del Vaticano, BAV, Vat. Lat. 1631. L’umanista fu inoltre impegnato nella ricerca di nuovi codici: allo Zilioli chiese di fargli copiare, dalla cattedrale di Reggio, un esemplare dell’opera di Papia, e Antonio Beccadelli gli inviò un Erodoto completo; ancora nel febbraio del 1432 ottenne dal giureconsulto parmense Ugolino Cantelli una copia dell’In carmina Terentii di Prisciano e un Gellio contenente tutte le espressioni greche, cosa che gli permise di allestire una buona edizione delle Noctes Atticae. Tra la fine del 1428 e i primi mesi del 1429, Guarino e la sua famiglia lasciarono Verona a causa dell’insorgere di una nuova epidemia di peste e si recarono a Ferrara, convinti dagli inviti dello Zilioli e del marchese Niccolò III13. La presenza di Guarino nel centro emiliano ebbe conseguenze importantissime per la cultura cittadina14: con il Veronese, infatti, iniziò, in un certo senso, la grande fioritura delle lettere e della filosofia a Ferrara e per trent’anni la cultura cittadina, e non solo, ruotò intorno a lui. Gli umanisti che da tutt’Italia giungevano alla corte e allo Studio ferrarese si incontravano con Guarino sul piano culturale (poi con il figlio Battista o i suoi studenti) e fu sempre Guarino con la sua scuola a caratterizzare la cultura ferrarese, definendone i contorni e fissando alcuni punti di riferimento che costituiranno la base per una tradizione di studi. Il suo ruolo fondativo di una tradizione fu tale che è possibile ricongiungere alla sua attività anche campi di ricerca lontani dalle lettere15. A Ferrara Guarino ricreò la propria scuola privata e successivamente, nel 1431, gli fu affidato l’incarico dell’educazione di Leonello d’Este, figlio di Niccolò e destinato a essere il suo successore. Accanto all’insegna-

Tuttavia, entrambi i dissidi furono poi ricomposti. In seguito Guarino compose anche un encomio del Visconti, forse dietro suggerimento del Panormita e anche per assecondare gli intendimenti della politica conciliativa di Niccolò III nei confronti degli altri potentati italiani. 13 Sul periodo di Guarino a Ferrara cf. anche Sabbadini (1896) 22–26, Bertoni (1921), Garin (1967) e Lipani (2009). 14 Cf. Garin (1967) 81–82, 93–95 e 97–98; Lipani (2009) 228. 15 Con questo non significa però che prima di Guarino la cultura ferrarese non esistesse e non sia degna di studio, ma è con lui che a Ferrara secuta est mirabilis quaedam ingeniorum commutatio, come esclamava Ludovico Carbone nella sua orazione funebre per il maestro, segno che già i contemporanei erano consapevoli del rinnovamento culturale operato dal Veronese e, con esso, dell’introduzione di un nuovo modello pedagogico. Se infatti da un lato storici come il Tiraboschi affermavano che prima della venuta di Guarino Ferrara non esisteva dal punto di vista culturale, dall’altro Bertoni (1921) sottolineò l’importanza della cultura ferrarese ed elencò tutti i dotti vissuti a Ferrara prima del 1429; in merito alla posizione dello studioso cf. Garin (1967) 94–95 e n. 32; sulla questione cf. anche Lipani (2009) 228 n. 10.

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mento, Guarino si dedicò anche all’attività filologica: per il suo nobile discepolo emendò e redasse un’edizione del corpus Caesarianum, che leggeva nel manoscritto Modena, BE, Est. Lat. 421, aiutato da Giovanni Lamola16; nello stesso anno arrivò l’attesissimo codice orsiniano (l’attuale Città del Vaticano, BAV, Vat. Lat. 3870) con dodici nuove commedie di Plauto, scoperto da Niccolò da Cusa nel 1425 e di cui Guarino si fece trascrivere una copia17. Ancora nel 1433 il Veronese concluse la redazione18 della Naturalis Historia di Plinio, affiancato nel lavoro da Leonello e da Guglielmo Cappello19. Quanto alla produzione letteraria di Guarino in questo periodo, si annoverano diversi discorsi di occasione20, alcune traduzioni, tra cui il Nicocles d’Isocrate, e la Vita Platonis21. In quest’epoca si colloca anche il Concilio di Basilea, Ferrara e Firenze, indetto da papa Martino V (1431–1445), durante il quale gli umanisti diedero vita a dibattiti che vertevano su vari argomenti, quali la preminenza tra i condottieri antichi e la natura della lingua latina, e che coinvolsero anche Guarino22. La prima questione diede origine alla controversia che vide contrapporsi il Veronese, sostenitore della superiorità di Cesare, e Poggio Bracciolini, convinto dell’eccellenza di Scipione23. Riguardo invece al quesito sulla natura

16 Il lavoro venne completato nel luglio del 1432; sugli interventi apportati dal Veronese al testo cf. Sabbadini (1896) 119–123. Su quest’edizione cf. anche infra 28. 17 Questo apografo venne poi prestato da Guarino al Panormita, il quale se lo portò con sé quando si trasferì a Napoli per entrare a servizio di Alfonso d’Aragona; solo dopo numerose pressanti richieste, il Beccadelli renderà il codice a Guarino. 18 Oggi conservata in Milano, BA, D. 531 inf. 19 Guarino appresterà una seconda redazione dell’opera poco prima della sua morte, aiutato da Tommaso da Vicenza e dal Cappello, oggi contenuta in Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Clm, 11301. 20 Come, ad esempio, l’orazione pronunciata in occasione dell’arrivo a Ferrara dell’imperatore Sigismondo (1433), o l’epitalamio per il matrimonio di Leonello d’Este con Margherita Gonzaga (1435), occasione in cui Guarino offrì come dono di nozze la traduzione delle Vite plutarchee di Lisandro e di Silla. 21 Per la dedica al Pelliccioni cf. Sabbadini (ed. 1916) 88–90, nr. 574; sull’importanza di Platone nell’Umanesimo cf. Garin (1967) 85–87. 22 Le altre due questioni vennero affrontate nel secondo periodo in cui la corte papale stette a Firenze per il Concilio (1439–1443). 23 L’occasione del suo scoppio è costituita da una lettera di Poggio inviata, nell’aprile del 1435, al ferrarese Scipione Mainenti, nella quale si sosteneva l’eccellenza di Scipione rispetto a Cesare. A questo scritto poggiano seguì una concitata replica di Guarino (De praestantia Scipionis et Caesaris, cf. Sabbadini (ed. 1916) nrr. 669 e 670 e anche Canfora (2001) 119–140), nella quale contesta la visione poggiana, secondo cui Cesare sarebbe indirettamente responsabile del declino della letteratura latina a seguito della fine – per colpa del dittatore – della repubblica. Infatti, il Veronese elenca gli uomini illustri di età imperiale, afferma che Cesare non soppresse la libertas repubblicana, ma, al contrario, la restaurò, e inoltre accrebbe l’impero. Per una disamina dettagliata della controversia cf. Canfora (2001). Va detto che la questione non era inedita, ma era già

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della lingua latina24, Guarino si schierò a favore della tesi di Flavio Biondo che sosteneva l’unitarietà del latino, pur nella differenza di registri dovuta ai diversi livelli sociolinguistici dei parlanti. A seguito del matrimonio di Leonello d’Este (1435) si chiuse il mandato di Guarino come precettore, ma la città gli offrì un’altra onorificenza: il Consiglio di Ferrara gli affidò, con un decreto datato 29 marzo 1436, per cinque anni la carica di insegnante pubblico nello Studio (incarico che sarà poi riconfermato nel 1441 per altri cinque anni). Tuttavia, Guarino continuò a ricoprire una posizione di rilievo a fianco di Leonello che alla morte di Niccolò d’Este25 gli succedette nel governo. Con la salita al potere di Leonello si inaugurò il periodo più florido della rinascita umanistica ferrarese: lo stesso Studio, che era stato un po’ trascurato nel periodo precedente, nel 1442 fu rinnovato, soprattutto per quanto riguarda l’insegnamento del latino26; la vivacità culturale di Ferrara è anche testimoniata dal circolo di intellettuali che sorse intorno a Leonello per opera di Guarino27, il cui miglior ritratto è fornito dalla Politia litteraria di Angelo Decembrio, opera fondamentale per chi voglia studiare la cultura ferrarese del Quattrocento, in quanto testimonianza delle idee, delle inclinazioni e dei protagonisti di quell’epoca28. Nel frattempo la fama di Guarino si era estesa anche al di là delle Alpi: infatti, a Ferrara, per ascoltare le sue lezioni, giungevano stu-

stata dibattuta almeno in età preumanistica, benché in forma implicita; inoltre, il problema rimase aperto anche dopo la Defensio poggiana e continuò ad essere discusso nell’immediato (con gli interventi di Ciriaco d’Ancona, a difesa di Cesare, e di Pietro del Monte, a favore di Scipione), ma anche in seguito (ad esempio da Machiavelli nel suo capitolo in terza rima Dell’ingratitudine). 24 Cf. Sabbadini (1896) 147–152, Tavoni (1984), Rizzo (1986) 401–408, Rizzo (2002) 75–86, Celenza (2009) 213–241, Delle Donne (2012) e Marcellino/Ammannati (2015). 25 Per il quale Guarino scrisse tre epitaffi e inviò a Leonello una consolatoria in forma di lettera, datata 6 gennaio 1442, in cui l’umanista traccia un quadro delle virtù paterne, cf. Sabbadini (ed. 1916) 412–420, nr. 777. È interessante notare come le qualità elencate da Guarino ricalchino quelle che nei parenetici isocratei vengono indicate come le virtù di cui deve essere dotato un buon principe. 26 La solenne inaugurazione del nuovo istituto fu accompagnata dall’orazione inaugurale di Guarino, tenuta il 18 ottobre del 1442, in cui l’oratore volle dimostrare che Ferrara per opera di Leonello era diventata la vera sede degli studi e, passando in rassegna le discipline rappresentate nell’università ferrarese (grammatica, dialettica, retorica, fisica, filosofia, medicina, diritto civile e canonico), ne mise in rilievo i pregi e la reciproca connessione. Un paio d’anni dopo, nel 1444, venne anche istituita una nuova cattedra di greco che venne affidata a Teodoro Gaza. 27 Cf. anche Sabbadini (1896) 153–155. 28 Il circolo si riuniva negli appartamenti di Leonello e discuteva sui temi più vari, tra cui la letteratura latina, l’autenticità e l’emendazione dei testi (cf. Sabbadini (1896) 107–123), e non erano esclusi neppure gli autori contemporanei (per esempio Valla) e quelli del secolo precedente (Dante, Petrarca, Boccaccio e Salutati). Cf. Garin (1967) 82; Lipani (2009) 241 n. 35.

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denti provenienti da diversi paesi europei29. Dal nostro punto di vista, particolarmente interessante risulta essere la presenza alla scuola di Guarino di alcuni esponenti dell’Umanesimo inglese30, in quanto alcuni dei codici che trasmettono la versione guariniana del Nicocles si ricollegano a questi personaggi31. Dopo la morte di Leonello d’Este (1450), Guarino fu riconfermato professore a Ferrara e il nuovo marchese, Borso d’Este, fratello di Leonello, gli affidò l’educazione del proprio figlio. In questo periodo Guarino pensò di pagare un tributo di riconoscenza al suo maestro, Manuele Crisolora. Tra il 1452 e il 1455, l’umanista si diede così a raccogliere, aiutato dagli amici e dai figli, gli scritti del bizantino e le lettere indirizzate a lui o su di lui; inoltre, i figli Niccolò, Gregorio, Battista, Girolamo e Manuele, dietro esortazione del padre, composero commemorazioni e panegirici del Crisolora. A tutta questa collezione Guarino diede il titolo di Chrysolorina (1454–1455), un’opera pervenutaci però in stato frammentario32. Gli ultimi grandi lavori di Guarino furono la traduzione della Geografia di Strabone e la restituzione dei passi greci al commento virgiliano di Servio. Infine, ammalatosi di pleurite, Guarino morì il 4 dicembre 1460, a Ferrara33.

II.1.2 L’attività versoria All’interno della vasta produzione letteraria34 di Guarino si colloca anche un numero significativo di traduzioni, alcune delle quali sono già state citate nel profilo biografico. Bisogna ricordare innanzitutto che nella scuola guariniana 29 Come mette in luce Ludovico Carbone nell’orazione scritta per la morte di Guarino; per il testo vd. Müllner (ed. 1899) 89–106, cf. anche Bertoni (1921) 160–175, dove il testo è edito secondo la lezione del manoscritto Modena, BE, Est. Lat. 676. Tra gli allievi europei possiamo ricordare: Giorgio Agostino da Zagabria; gli inglesi John Free, William Grey, Robert Flemmyng, John Gunthorpe e John Tiptoft; i tedeschi Peter Luder, Georgius Boemius, Gaspar Schmidhauser e i figli di Samuel Karoch; il francese Henri Jeauffroy; il fiammingo Henri de Bruges; il portoghese Valesio e diversi spagnoli. 30 Cf. Weiss (1957) 84–127; cf. anche supra 23 n. 29. 31 Cf. infra Appendice 4 nrr. 2 e 8. 32 Cf. anche Sabbadini (1896) 15–16. 33 L’elogio funebre fu pronunciato da uno dei suoi allievi più valenti, Ludovico Carbone (cf. Müllner (ed. 1899) 89–107; Marcelli (2009) 190–191). Il 6 dicembre il Consiglio cittadino sostituì a Guarino nella cattedra il figlio Battista e nel novembre dell’anno seguente (1461), votò il monumento all’umanista da erigersi, a spese pubbliche, nella chiesa dei Carmelitani di San Paolo, che crollò nel 1570 a causa di un terremoto. 34 Per una sintetica panoramica della sua produzione cf. Verger (1997) 414–415, e l’elenco delle opere presente sul sito Mirabile (https://www.mirabileweb.it/calma/guarinus-veronensis-n1374-m-4-12-1460/3513).

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erano raccomandate le traduzioni interlineari per l’apprendimento della lingua35; Guarino stesso ne realizzò una, perduta, per un suo alunno di Firenze, dolendosi poi per il fatto che tale semplice esercizio scolastico fosse stato diffuso sotto il suo nome. Dello stesso genere probabilmente era la versione d’Esopo36, dal momento che era un autore che si usava tradurre per apprendere i rudimenti della lingua. Perdute sono anche le due traduzioni da Omero37, l’una dell’episodio della Dolonea (Iliade, X), dedicata a Maggi, l’altra del XXIII dell’Odissea, indirizzata a Gualdo. Ci sono invece pervenute tutte le altre versioni38, la maggior parte delle quali sono traduzioni da Luciano, Isocrate e Plutarco. Da Luciano39 tradusse, mentre si trovava a Costantinopoli, la Calumnia e la Musca40, dedicando la prima a Giovanni Quirini, l’altra a Scipione Mainenti; a Venezia tradusse il Para­ situs, indirizzando la versione all’arcivescovo cretese Pietro Donato. Da Isocrate41 tradusse le orazioni cipriote Evagoras e Nicocles, più lo spurio Ad Demonicum e l’Helenae laudatio. Di Plutarco42 eseguì la versione latina di quattordici Vite, a partire da quella di Alessandro, risalente al suo soggiorno costantinopolitano43, più gli opuscoli De liberis educandis, dedicato ad Angelo Corbinelli, i Quaedam antiquitatis monumenta, dove sono compendiate le Quaestiones Romanae e il De assentatoris et amici differentia (=Quomodo adulator ab amico internoscatur)44, dedicato a Leonello; inoltre, il Veronese nel 1424 tradusse gli pseudo-plutarchei Parallela minora, dedicandoli a Giacomo Lavagnola45. A Guarino è anche attri-

35 Cf. Sabbadini (1896) 124 e Sabbadini (1922) 17–19, con un’esemplificazione. 36 Su questa versione cf. Cocco (ed. 2015). 37 Cf. Sabbadini (1896) 124. 38 Per un elenco delle traduzioni eseguite da Guarino, con l’indicazione dei codici che ce le tramandano e la relativa bibliografia cf. quello presente nella banca dati dell’Archivio Digitale della cultura medievale Mirabile (https://www.mirabileweb.it/calma/guarinus-veronensis-n1374-m-4-12-1460/3513). 39 Cf. Sabbadini (1896) 125. 40 Per cui è disponibile l’edizione commentata curata da Margarethe Billerbeck e Christian Zubler [Billerbeck/Zubler (ed. 2000)]. 41 Cf. Sabbadini (1896) 125–126. 42 Cf. Sabbadini (1896) 130–135, con un’analisi comparativa delle versioni contenute nell’edizione romana (1470) delle Vite plutarchee di Andrea Bussi. Per gli altri scritti di Plutarco non tradotti ma compendiati da Guarino cf. Sabbadini (1896) 135–136. 43 Le altre Vite tradotte dal Veronese sono quelle di Flaminino, Dione, Bruto, Marcello, Cesare, Coriolano, Temistocle, Focione, Eumene, Pelopida, Filopemene, Silla e di Lisandro. Tra queste, l’unica a essere provvista di edizione critica è la Vita Dionis, pubblicata da Marianne Pade [Pade (ed. 2013)]. 44 La versione è stata edita insieme al testo plutarcheo curata da Alessandra Lukinovich, Madeleine Rousset e Vittore Nason [Lukinovich/Rousset/Nason (ed. 1991)]. 45 Tale traduzione è stata edita da Francesca Bonanno [Bonanno (ed. 2008)].

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buita, nelle edizioni delle Vite di Plutarco, la Homeri vita, di cui però tradusse solo il primo libro più i primi sei capitoli del secondo. Oltre a questi tre autori, Guarino tradusse alcuni versi dalle Opere e i giorni di Esiodo (vv. 287–292) e parte del primo libro delle Storie di Erodoto (capp. 1–71)46; inoltre, volse in latino l’orazione funebre scritta da Manuele II Paleologo per il fratello defunto. Negli ultimi anni della sua vita poi, Guarino si dedicò alla poderosa traduzione della Geografia di Strabone, pur avendo a disposizione un testo guasto e frammentario47. Quanto agli autori cristiani, da San Basilio tradusse le Homiliae duae de ieiunio e il De mutua parentum ac filiorum caritate, entrambe nel 1438. Nel 1447 offrì a Francesco de Lignamine, in occasione della sua nomina a vescovo di Ferrara, la sua versione dell’opera di Cirillo Alessandrino e nel 1450 tradusse la Vita di Timoteo apostolo, dedicata a Timoteo Maffei48. Poi, a metà fra opera originale e traduzione stanno i Commentarioli49, una raccolta di testi di lunghezza variabile, sui più vari argomenti, la maggior parte desunti dagli opuscoli di Plutarco, ma in cui è ravvisabile anche l’influenza delle Noctes Atticae di Gellio, pervenutaci in due versioni 50. Un’altra rielaborazione dei Moralia plutarchei è rappresentata dalla Consolatio ad Apollonium che si trova nell’epistola inviata a Giovanni Crisolora dopo la morte dello zio Manuele51. Le preferenze di Guarino in merito agli autori e alle opere da tradurre trovano dunque consonanza con quello che è il panorama delle versioni del XV secolo52. Le scelte trovano una loro giustificazione non solo se si tiene conto del quadro generale del fenomeno, ma anche se si guarda al suo ideale pedagogico, secondo cui lo studio dei classici è funzionale alla formazione dell’uomo, in quanto le loro opere costituiscono un bacino da cui trarre modelli cui ispirarsi e che indirizzano verso uno stile di vita in accordo con l’usus rerum.

46 Il testo è stato pubblicato da Riccardo Truffi [Truffi (ed. 1902)]. 47 Cf. Sabbadini (1896) 127–130, con anche un confronto tra la versione di Guarino e quella di Gregorio Tifernate. 48 Per tutte queste traduzioni da autori cristiani cf. Sabbadini (1896) 140. 49 Cf. Sabbadini (1896) 136–138, Stok (2013). Secondo Stok i Commentarioli rappresentano un tentativo, presto abbandonato, di «una sorta di attualizzazione dei testi antichi parallela o alternativa a quella della semplice traduzione», un approccio paragonabile a quello utilizzato, all’epoca di Guarino, nella produzione biografica; cf. Stok (2013) 109–111. 50 In realtà sembra che la versione più estesa comprenda due testi diversi, cf. Stok (2013) 96–98. Sabbadini segnalava anche l’influenza dei Miscellanea di Poliziano e delle Lectiones succisivae di Francesco Florido (cf. Sabbadini (1896) 136–137), ma secondo Stok il raffronto è meno significativo (cf. Stok (2013) 109). 51 Cf. Sabbadini (1896) 136 e Sabbadini (ed. 1915) 62–71, nr. 25. 52 Cf. supra 5–6.

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II.2 Il dedicatario: Leonello d’Este II.2.1 Il magistero di Guarino La cura principale di Guarino negli anni 1430–1435 fu l’istruzione di Leonello d’Este, allora già ventitreenne, destinato a succedere al padre Niccolò  III 53, ­educazione che può essere considerata un trionfo pedagogico di Guarino. Leonello, infatti, si può dire incarni pienamente l’ideale del principe umanista54: colto, conoscitore del latino e del greco, amante delle lettere, ma non estraneo agli impegni di governo, così come ai piaceri propriamente cortesi. La formazione guariniana, infatti, è al tempo stesso educazione agli studi e progetto politico: l’intento del Veronese è realizzare «il modello imperiale e classicheggiante di un regime saldo e retto da un signore illuminato, colto e raffinato, lui stesso fine letterato»55, per giungere alla costruzione di una società urbana estranea a compe­ tizioni politiche e lotte civili, in cui l’uomo – posto al centro dalla nuova cultura – possa essere pienamente valorizzato. Dunque, l’educazione di Guarino esprime di fatto l’ideale pedagogico quattrocentesco, che rifiuta l’astrattezza e il nozionismo della scolastica per pervenire alla comprensione del mondo e dell’uomo nella loro concretezza, un sapere «non verbale ma reale», come lo definisce Eugenio Garin56, ed è in questa prospettiva che ci si accosta alla letteratura classica57. L’opposizione degli studia humanitatis alle discipline scientifico-naturalistiche vuole proprio sottolineare che ciò che conta è la formazione dell’uomo, raggiunta attraverso una chiara coscienza di sé e della propria libertà e attraverso una com53 Anche dopo il matrimonio di Leonello (1435) il Veronese continuò a dispensare consigli al suo ex-allievo. Cf. Sabbadini (1891) 100–104. 54 Cf. Lipani (2009) 230. 55 Pistilli (2003) 362. 56 Garin (1967) 94. 57 Cf. Garin (1966) 78. Nel De ordine docenti ac studendi, il figlio di Guarino, Battista sottolinea come la lettura degli autori classici abbia come scopo primario quello di trarne un insegnamento di vita, e solo successivamente ricavarne considerazioni stilistico-formali; testimonianza analoga la si ricava anche dall’orazione funebre di Ludovico Carbone per il Veronese: nec enim solum recta litteratura, sed boni etiam mores a Guarino discebantur, ut veterum oratorum consuetudinem revocaret, qui non minus erant vivendi praeceptores quam dicendi auctores. Anche nella Politia litteraria di Angelo Decembrio, nel primo capitolo sulla costruzione di una biblioteca ideale, si insiste su un approccio ai testi che mira a riportare il dato testuale all’usus rerum o al naturalis usus. Cf. Lipani (2009) 231 e n. 15. Tuttavia, contro tale visione idealizzata del modello educativo umanistico si sono pronunciati diversi studiosi, tra cui Antony Grafton, Lisa Jardine [Grafton/Jardine (1982)] e Robert Black [Black (2001)]. Nei rispettivi contributi, Grafton, Jardine e Black hanno messo in luce come, in realtà, l’educazione umanistica fosse prevalentemente di taglio grammaticale e retorico, al pari di quella medievale, e non tanto finalizzata alla formazione dell’uomo.

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prensione del proprio posto e del proprio ruolo nella città, la dimensione in cui si concretizza il vivere dell’uomo58. Il perfetto maestro era, dunque, colui che ­conduceva i giovani attraverso la lettura dei classici al conseguimento dei più alti valori morali e della virtus. Non stupisce, dunque, che Guarino badasse all’educazione di Leonello attingendo alla letteratura classica e mirando soprattutto agli ammaestramenti che si riferivano ai suoi doveri di principe, testimonianze dei quali possono essere considerate le lettere che i due si scambiavano quando erano distanti. Il carteggio è alquanto consistente (nell’epistolario curato da Sabbadini se ne trovano quarantacinque, sia del maestro sia dell’allievo, ma il corpus non è completo)59 e fornisce un ampio campionario delle differenti tipologie dell’epistola umanistica: infatti, vi si trovano lettere contenenti comunicazioni e raccomandazioni per amici, disquisizioni religiose ed erudite, ringraziamenti, congratulazioni, consigli e precetti per l’educazione del futuro marchese (di cui ci occuperemo in seguito), epistole-trattato (e.  g. il De linguae latinae differentiis, nr. 813)60 o comitatorie; vi sono poi le lettere di dedica che accompagnano le traduzioni dal greco (da Plutarco le Vite di Lisandro e Silla [nr. 667] e di Pelopida e Marcello [nr. 706], più l’opuscolo Quomodo adulator ab amico internoscatur [nr. 676]; da Isocrate il Nicocles61 [nr. 675]) e l’epistola scritta per la morte di Niccolò III (nr. 777). Questa corrispondenza è interessante perché, come accennavo prima, emergono delle tracce, all’interno di un discorso encomiastico e cortigiano, dell’azione pedagogica di Guarino: l’umanista veronese suggerisce azioni virtuose al suo discepolo e dispensa consigli e ammaestramenti. Dal nostro punto di vista particolarmente significativi risultano i consigli legati al governo, quali possiamo leggere ad esempio in un’epistola del 143962, nella quale Guarino rimprovera a Leonello la mancata venuta nel Polesine e ammonisce l’allievo a non trascurare per la caccia le occasioni di incontro con i sudditi, fondamentali per accattivarsi il loro favore e assicurarsi la loro obbedienza, rafforzando così il proprio potere, secondo una concezione isocratea del comando che ben emerge dalle orazioni parenetiche63.

58 Cf. Garin (1966) 77–79. 59 Cf. Sabbadini (ed.  1916), da dove si cita anche per la numerazione delle lettere; Marcelli (2009) 191 n. 35, 192. 60 In questa lettera Guarino espone la propria posizione in merito alla questione sulla natura della lingua latina, cf. supra 22. 61 Cf. infra cap. II.2.2; a seguito della falsa attribuzione a Guarino della versione dell’Ad Nico­ clem (cf. supra 11 e infra 56 n. 7), era stata ascritta erroneamente al Veronese anche l’epistola di dedica (nr. 778). 62 Cf. Sabbadini (ed. 1916) 360–361, nr. 748 e Sabbadini (ed. 1919) 363. 63 Cf. Gualdo Rosa (1984) 27; Corfiati (2009) 35–36; cf. anche infra 36.

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Tale visione del potere è congiunta con una di matrice platonica e a questo proposito può essere interessante citare la lettera-trattato De pingendis Musis64, datata 5 novembre 1447. L’epistola contiene una riflessione sul valore delle arti in relazione alle lettere65 e sembra richiamarsi all’ideale del governante-letterato66, riproposto anche in altre epistole. Infatti, in alcune di esse67 Guarino ammonisce Leonello a non trascurare l’otium nell’esercizio del potere concedendosi dei momenti di riposo da dedicare agli studi e alle lettere e, per sostenere la propria tesi, porta al suo discepolo diversi exempla tratti dalla storia greca e romana (quali Achille, Alessandro Magno, Catone, Scipione e Lelio), in conformità con la visione ­etico-pedagogica della storia propria di Guarino, secondo cui la funzione di questa era appunto fornire un repertorio di modelli di comportamento vistuoso da imitare68. Tra i personaggi citati vi è pure quello di Cesare, che Guarino giudicava positivamente ed intendeva proporre come ottimo esempio di generale e, al tempo stesso, di uomo di lettere al proprio discepolo69. Esemplificativa dell’importanza attribuita da Guarino al condottiero può essere considerata la controversia – cui prima si era accennato – sulla superiorità di Cesare e Scipione che vide il Veronese, sostenitore del primo, contrapposto a Poggio Bracciolini, fautore del secondo70. Non solo dal carteggio tra Guarino e Leonello traspare l’azione pedagogica dell’umanista, ma il suo insegnamento è anche testimoniato dall’attività versoria: l’umanista tradusse e dedicò a Leonello tutta una serie di opere che riteneva utili per l’educazione sia morale sia politica del marchese. Infatti, tra queste ver-

64 Cf. Sabbadini (ed. 1916) 498–500, nr. 808. 65 Su questo tema cf. Baxandall (1965). 66 Leonello aveva deciso di adornare le pareti de suo studio nella villa di Belfiore con i ritratti delle Muse, chiedendo consiglio a Guarino su come ritrarle (cf. Eörsi (1975), in particolare 21–27, per i rapporti tra le pitture e la lettera di Guarino). Secondo Anna Eörsi (cf. Eörsi (1975) 27–30) l’ideologia sottostante il programma figurativo guariniano si richiama all’idea platonica del governatore-filosofo: Leonello, protettore delle arti e delle lettere, promotore di una politica pacifista tra i potentati italiani, avrebbe decorato il suo studiolo, teatro delle sue attività intellettuali, con la rappresentazione delle patrone di ogni conoscenza e di ogni atto razionale. 67 Cf. Sabbadini (ed. 1916) 273–279, nrr. 682–683. 68 Questa visione emerge, ad esempio, da una lettera indirizzata a Tobia Borghi (cf. Sabbadini (1896) 136; Sabbadini (ed. 1916) 458–465, nr. 796): il Veronese, attingendo allo scritto lucianeo De historia conscribenda (§§ 7–10; 14; 37; 41; 43; 44; 48; 53), sostiene anche che la storia deve essere sì piacevole alla lettura, ma anche utile, in quanto offre dei modelli comportamentali positivi (da imitare) e negativi (da rifuggire). Cf. anche infra 31 n. 84. 69 Guarino aveva predisposto per Leonello anche una redazione dei Commentarii di Cesare, cf. supra 21. 70 Cf. supra 21.

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sioni troviamo le Vite plutarchee di Lisandro, Silla, Pelopida e Marcello, al cui interno il marchese poteva trovare modelli positivi di comportamento, e l’opuscolo Quomodo adulator ab amico internoscatur, utile strumento per distinguere tra i cortigiani gli adulatori dalle persone degne di fiducia. Se Plutarco dunque è usato prevalentemente per impartire insegnamenti di carattere etico, le versioni da Isocrate Ad Nicoclem (questa, invero, tradotta da Bernardo Giustiniani) e Nico­ cles furono utilizzate per uno scopo più propriamente «politico». Rivelatrice in tal senso risulta essere l’epistola di dedica della traduzione del Nicocles isocrateo, che ora analizzeremo nel dettaglio.

II.2.2 La dedica: osservazioni preliminari Le epistole di dedica che accompagnano le traduzioni e che furono e realizzate dagli umanisti italiani tra il XV e gli inizi del XVI secolo rappresentano una categoria di paratesti ancora poco studiata a dispetto della sua rilevanza71. Infatti, il corpus delle epistole dedicatorie presenta diversi aspetti innovativi72: la posizione che in esse occupano i testi greci tradotti, i giudizi letterari espressi al loro interno, l’attualizzazione delle versioni, la cui genesi è connessa al contesto politico e culturale in cui sono state realizzate, e ancora, la particolare relazione che si instaura tra il traduttore, un umanista e un funzionario di corte, e il dedicatario, e che si inserisce (e si spiega) nel quadro delle dinamiche socio-culturali delle corti italiane rinascimentali. Poiché la dedica è l’unico punto dell’opera in cui dedicatario e traduttore vengono a contatto, essa costituisce la sede privilegiata in cui illustrare le ragioni che hanno indotto l’umanista a tradurre un determinato testo greco: le versioni si presentano come offerte spontanee al proprio principe73 oppure, più raramente, come opere da questo sollecitate. La rilevanza delle epistole di dedica emerge anche dal dato quantitativo: allo stato attuale delle nostre conoscenze possiamo affermare con relativa sicurezza che quasi tutte le traduzioni erano fornite di dedica74. Nonostante la vastità del corpus, esso risulta essere un insieme organico in quanto tali paratesti sono costituiti da elementi strutturali, contenutistici e formali identici, assolvono a funzioni analoghe e perseguono i medesimi scopi. 71 Cf. Abbamonte (2014), in partic. 523 n. 1; i soli precedenti al lavoro di Abbamonte sono rappresentati dagli studi di Gualdo Rosa (19732) e Janson (1964). Questi tre contributi costituiscono un fondamentale punto di riferimento per le considerazioni esposte in questo capitolo. 72 Cf. Abbamonte (2014) 559. 73 Cf. Abbamonte (2014) 538–540. 74 Cf. Abbamonte (2014) 529; Gualdo Rosa (19732) 68, 75.

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La dedica si presenta soprattutto nella forma di lettera (spesso chiamata prae­ fatio dagli umanisti) in cui sono mantenuti alcuni aspetti epistolari (ad esempio nell’intitolazione)75. Questi testi sono costruiti secondo uno stesso schema compositivo e presentano le medesime metafore e persino identiche espressioni verbali. In questa sede può essere interessante rilevare che proprio da Isocrate derivano (seppur non direttamente) una serie di convenzioni retoriche e stilistiche della prosa d’arte umanistica76 e in particolare alcuni tratti peculiari dell’esordio e della dedica, che poi diventeranno topici, provengono proprio dall’Ad Nicoclem e dall’Ad Demonicum77, come, ad esempio, la presentazione dell’opera come un dono (Ad Dem. 2; Ad Nic. 2) il suo paragone all’oro, alle gemme o ad altri oggetti preziosi (Ad. Nic. 1) e la celebrazione dell’importanza (Ad Dem. 4–5; Ad Nic. 2) e della novità (Ad Nic. 4) dell’argomento trattato da parte dell’autore, sebbene si mostri insicuro dei propri mezzi stilistici (Ad Nic. 7–8). Altri τόποι, questi non di derivazione isocratea, concernono, invece, il rapporto tra traduttore e destinatario78: il primo solitamente adotta il consueto atteggiamento dello scrittore di corte che si propone di indirizzare la propria opera ad un potente79 e si rappresenta sempre in una posizione di inferiorità rispetto al dedicatario. Sia la traduzione sia l’impegno per realizzarla sono presentati secondo le forme tipiche del locus modestiae, assai frequente in questi contesti, e vengono definiti attraverso diminutivi che ne ridimensionano l’importanza80. Tra le convenzioni proprie delle dediche, poi, vi era il principio secondo cui la scelta del personaggio cui indirizzare la propria opera doveva essere proporzionata al prestigio di cui godeva l’autore; di conseguenza uno scrittore poco importante non poteva rivolgersi a un politico di primo piano né quest’ultimo poteva accettarne

75 Nel caso dell’epistola premessa al Nicocles guariniano, l’intitulatio è in realtà integrata dal Sabbadini (cf. Sabbadini (ed. 1916) 258, nr. 675). 76 Sull’influsso esercitato da Isocrate nella formazione delle convenzioni della prosa d’arte in età umanistica cf. Norden (1898) 795–802. 77 Cf. Janson (1964) 17–18. 78 Cf. Abbamonte (2014) 541–545. 79 Sebbene le dediche premesse alle traduzioni non riflettano il solito rapporto asimmetrico di coppia tra l’autore e il dedicatario, ma piuttosto mostrano una relazione «più vicina al triangolo borghese che al ménage matrimoniale, in quanto agisce come terzo attore, accanto al traduttore e al dedicatario, lo scrittore greco tradotto, che altera il quadro delle relazioni di questo spazio paratestuale» (Abbamonte (2014) 541). 80 Cf. e.  g. la dedica di Guarino a Giacomo Lavagnolo della traduzione (definita lucubratiuncula) dei Parallela minora dello Pseudo-Plutarco: Gratissima certe nobis haec erit lucubratiuncula, si in ea, tuo nomini et nostrae familiaritatis memoriae dedicata […] (cf. Sabbadini (ed. 1915) nr. 261, 408, ll. 17–18; Abbamonte (2014) 542, nr. 2).

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l’opera81. Accanto all’encomio del destinatario, un notevole rilievo, dal punto di vista sia quantitativo sia qualitativo, era dato anche all’autore tradotto, che viene lodato sia per le sue qualità stilistiche sia per i contenuti della propria opera82. Questa caratteristica è legata ad altri due τόποι presenti nelle dediche delle traduzioni: il primo concerne i giudizi espressi sulle opere greche, il secondo riguarda l’importanza morale del testo tradotto83. Le dediche, infatti, di solito contengono dei giudizi sul valore letterario delle opere volte in latino, elemento che costituisce uno dei loro aspetti innovativi, in quanto «nelle espressioni riferite alle opere tradotte si ritrovano alcune delle prime forme di giudizio letterario sugli autori greci e sui loro scritti che l’Umanesimo ci abbia consegnato»84. Inoltre, nelle dediche si suole presentare l’opera tradotta come degna del dedicatario, poiché è ravvisabile un legame tra il destinatario e la materia trattata e si fa solitamente riferimento al fatto che l’opera trasmette una serie di valori morali che ne giustificano l’invio a un determinato personaggio85. Un altro elemento caratteristico delle dediche premesse alle versioni è, poi, l’attualizzazione dell’opera tradotta, un’operazione

81 Tuttavia si riscontrano dei casi di deroga a questa regola, soprattutto se si tratta di opere giovanili di umanisti. Essendo le traduzioni un importante strumento di promozione sociale, era naturale che i giovani autori si rivolgessero a personaggi di status superiore alla loro nascente fama intellettuale. Lo stesso fece Guarino quando inviò a Floro Valier e a Giovanni Quirini le sue traduzioni dell’Ad Demonicum e della Calumnia; in entrambi i casi i lavori sono presentati come primitiae (termine frequente in questi contesti, cf. Abbamonte (2014) 543–545) per sottolinearne la natura di opere giovanili e, pertanto, ancora perfettibili dal punto di vista stilistico (a questo proposito, nella dedica a Valier Guarino chiede di celare il suo nome e menziona Manuele e Giovanni Crisolora, i suoi maestri). Per l’epistola a Floro Valier cf. Sabbadini (ed. 1915) nr. 2, 4, l. 17 (mea­ rum igitur lucubrationum primitias habe); per la lettera al Quirini cf. Sabbadini (ed. 1915) nr. 3, 7, ll. 29–31 (eam igitur, quicquid est, ut aliqua ex parte degustes has effero tuae culturae ­primitias [ … ]). 82 Cf. Abbamonte (2014) 545–546. 83 Cf. Abbamonte (2014) 546–553. 84 Cf. Abbamonte (2014) 548. Un esempio di questo topos tratto da Guarino lo si può trovare nella già citata dedica a Giacomo Lavagnolo dei Parallela minora pseudo-plutarchei: […] accipe breves clarorum hominum inter se contentiones ab Plutarcho nostro collectas et a me nuper in latinuin conversas: in quibus facti novitate movebere, quod tanta rerum gestarum et sane dissimil­ limarum similitudo plerunque deprehensa est, ut unica duntaxat nominum iudicetur facta mutatio (cf. Sabbadini (ed. 1915) nr. 262, 408, ll. 12–17; Abbamonte (2014) 547, nr. 3). Secondo Guarino, quindi, il valore dell’opera pseudo-plutarchea risiede nel fatto che le gesta dei personaggi greci si rispecchiano nelle vicende di quelli romani, in conformità con la sua concezione della storia (cf. supra 28 e n. 68; Abbamonte (2014) 549). 85 Cf. e.  g. la dedica di Guarino all’ammiraglio veneto Carlo Zeno della sua traduzione della Vita di Temistocle di Plutarco: In ea (scil. la Vita di Temistocle) vero lectitanda mirifice te oblectaturum esse confido, cum aliis de causis tum quia summae prudentiae virum, maxime auctoritatis civem, eximiae integritatis praetorem, incredibilis prudentiae consiliarium, rei denique militaris instrucctissimum imperatorem aspicies (cf. Sabbadini (ed. 1915) nr. 66, 137, ll. 55–60; Abbamonte (2014) 551, nr. 1).

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che si può trovare declinata in senso politico oppure culturale e che ha lo scopo di motivare la scelta di tradurre un determinato testo antico86. Infine, come si era accennato, anche dal punto di vista linguistico e stilistico questa tipologia di paratesti mostra dei tratti peculiari87, in particolare essi risultano scritti in un latino classicheggiante e di sapore ciceroniano e presentano diversi riferimenti agli scrittori antichi. Tutte queste caratteristiche sono riscontrabili anche nell’epistola di dedica premessa da Guarino alla sua traduzione del Nicocles e indirizzata a Leonello d’Este.

II.2.3 Prohemium ad illustrem Leonellum Estensem L’epistola guariniana a Leonello si colloca all’interno di una particolare casistica88: i maestri che indirizzano il proprio lavoro a ai loro allievi sono, infatti, alquanto rari e ciò avviene generalmente quando i discepoli sono influenti e, dunque, queste dediche sono collegabili a quelle, numerosissime, indirizzate a politici mecenati. Dunque, verosimilmente tale omaggio non era dettato solo dalla volontà di istruire il discepolo, ma celava anche altri scopi, quali esibire gratitudine per i benefici ottenuti e il desiderio di continuare a godere di una posizione di favore. Tali fini non sono dichiarati apertamente, ma anche questa è una caratteristica delle dediche89; le ragioni, invece, esposte da Guarino sono di natura ben diversa, come si vedrà ora. La lettera si apre con una solenne considerazione sulla natura dell’arte del governare (regendi ratio)90: Guarino afferma di ritenerla un compito venerabile, a cui è da tributare una straordinaria ammirazione, e che è stato concesso da Dio stesso91. Tale natura divina del principato è ribadita attraverso una citazione dal Somnium Scipionis (Cic. rep. 6, 13), in cui si afferma che gli Stati sono ciò che c’è di più caro sulla terra al sommo dio e i governanti provengono dal cielo e «qui sono destinati a ritornare»92. Dopo questa premessa Guarino compie una sapiente mossa di auto-promozione e afferma che coloro che si rendono benemeriti nei confronti dei governanti devono ricevere ricompense in proporzione 86 Cf. Abbamonte (2014) 553–557. 87 Cf. Gualdo Rosa (19732) 79–80. 88 Cf. Abbamonte (2014) 530–540. 89 Cf. Abbamonte (2014) 542. 90 Cf. Sabbadini (ed. 1916) nr. 675, 258, ll. 4–12. 91 Munus sane venerabile, singulari admiratione prosequendum concessumque divinitus (cf. Sabbadini (ed. 1916) nr. 675, 258, ll. 5–6); cf. anche Gualdo Rosa (1984) 26–28. 92 Cf. Sabbadini (ed. 1916) nr. 675, 258, ll. 15–18; il passo ciceroniano lo si ritrova identico nel commento agli Oeconomica pseudo-aristotelici di Leonardo Bruni, cf. Gualdo Rosa (1984) 27 e n. 37.

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all’estensione del loro officium93. Pertanto, al fine di sostenere (fulciam) gli sforzi di Leonello nell’esercizio del potere (munus che – a detta dell’autore – svolge in maniera lodevole per merito delle sue qualità, oltre che grazie ai suoi antenati) Guarino ha deciso di fornirgli un consigliere – per ora lasciato nell’anonimato – fidelem ac prudentissimus, come Nestore era stato per Agamennone, confidando che il marchese in virtù della sua modestia non disdegnerà tale dono94. A questa dichiarazione d’intenti segue un elogio del destinatario contrassegnato dalla metafora della luce (lumen, gloria, illustrare)95: Leonello grazie ai frutti degli studi liberali (humanitatis et studiorum fructibus) sarà in grado di accrescere la gloria ricevuta dai suoi predecessori e dare lustro al suo rango regale; il futuro marchese di Ferrara è dunque chiaramente rappresentato nelle vesti di sovrano illuminato. L’elogio del destinatario è seguito da quello dell’autore tradotto, cioè Isocrate, di cui viene finalmente rivelato il nome attraverso un gioco retorico96: Guarino fa paragonare se stesso a Nestore da Leonello, a cui viene attribuita la domanda: «An te ipsum Nestorem vel sentis vel appellas?», ma con una mossa di understate­ ment l’umanista si smarca dal paragone e afferma di voler semplicemente offrire Isocrate al principe, poiché l’autore antico è un eccellente filosofo per nulla inferiore al celebre eroe omerico. Chiude la dedica la rivelazione dello scopo sotteso alla traduzione97: il fine è pratico e didattico, in quanto Guarino vuole fornire un manuale completo del regentis officium a Leonello (sic omni ex parte abso­ lutum habebis regentis officium). Così al libello in cui Isocrate istruisce il re sui suoi doveri nei confronti dei sudditi (un tacito riferimento all’Ad Nicoclem), ora il marchese potrà associarvi quasi socium il trattatello in cui si illustrano i doveri dei sudditi nei confronti del sovrano. L’Argumentum si apre con la presentazione del contesto in cui è stata prodotta l’orazione, iniziando con la specificazione dell’orizzonte geografico e dell’arco cronologico98: siamo a Salamina di Cipro al tempo in cui regnava Nicocle, figlio di Evagora; a lui l’ateniese Isocrate, definito et dicendi et bene vivendi magister optimus, indirizza due libelli, ovvero l’Ad Nicoclem e il Nicocles, di cui vengono illustrati i rispettivi contenuti e le relative modalità con cui essi vengono esposti (nel primo è Isocrate che si rivolge direttamente a Nicocle, invece nel secondo si

93 Siquis igitur opem vel ornamentum illis afferret, eo maiores illi habendae forent gratiae, quo in dei animal et in civitates ipsius latissime pateret officium (cf. Sabbadini (ed. 1916) nr. 675, 258, ll. 18–20). 94 Cf. Sabbadini (ed. 1916) nr. 675, 259, ll. 24–26. 95 Cf. Sabbadini (ed. 1916) nr. 675, 259, ll. 29–30. 96 Cf. Sabbadini (ed. 1916) nr. 675, 259, ll. 31–34. 97 Cf. Sabbadini (ed. 1916) nr. 675, 259, ll. 34–38. 98 Cf. Sabbadini (ed. 1916) nr. 675, 259, ll. 40–44.

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immagina che sia Nicocle stesso a pronunciare il discorso)99; veniamo anche a sapere che Leonello già conosceva l’Ad Nicoclem per averne letto la versione di Bernardo Giustiniani dedicata a Ludovico Gonzaga. Poi, per il Nicocles viene spiegata la motivazione della scelta retorica di mettere in bocca il discorso al sovrano cipriota100: siccome gli ammaestramenti dovevano essere mescolati alle minacce, perché il discorso fosse efficacie era indispensabile che fosse Nicocle in persona a rivolgersi ai propri sudditi, in quanto uno straniero, quale era appunto Isocrate, non possedeva l’autorità necessaria. Segue la spiegazione del titolo Nicocles sive Symmachicus101: esso contiene indicazione sia del personaggio che pronuncia il discorso sia dell’argomento in esso trattato, una caratteristica che consente a Guarino di effettuare un confronto con il titolo di due opere ciceroniane, Cato maior sive de senectute e Laelius seu de amicitia. Chiude l’Argumentum una citazione dalla biografia di Isocrate contenuta nelle Vitae decem oratorum dello Pseudo-Plutarco102: l’episodio del dono di venti talenti inviati all’oratore ateniese da parte di Nicocle è portato come testimonianza della riconoscenza del sovrano per l’offerta dei due libelli nei confronti di Isocrate. L’analisi del contenuto di questi paratesti permette di formulare importanti considerazioni sulla scelta dell’opera tradotta e le finalità, esplicite e implicite, sottese all’offerta della versione a Leonello. Innanzitutto, occorre partire da alcune osservazioni in merito al rapporto tra traduttore e destinatario: il τόπος del locus modestiae non sembra riscontrabile nel nostro caso103, poiché Guarino, pur mostrando deferenza (e anche una certa piaggeria), non esita a ritagliarsi un ruolo importante104. Infatti, l’umanista insiste sul contributo che gli intellettuali sono in grado di offrire ai regnanti, portando a questi opem vel ornamentum con la loro opera; in questo modo, dunque, compie una mossa di promozione in primis di se stesso, ma anche della categoria cui appartiene. Il fatto che Guarino non si presenti in una posizione di inferiorità rispetto a Leonello potrebbe essere spiegato anche alla luce del suo ruolo di precettore del marchese, funzione che doveva garantirgli una certa autorità nei confronti del discepolo, pur essendo a questo subordinato. Può essere inoltre interessante notare come la relazione maestro-allievo che lega Guarino a Leonello sia la stessa che esisteva tra Isocrate e Nicocle,

99 Cf. Sabbadini (ed. 1916) nr. 675, 259, ll. 44–50. 100 Cf. Sabbadini (ed. 1916) nr. 675, 259, ll. 50–53. 101 Cf. Sabbadini (ed. 1916) nr. 675, 259–260, ll. 53–60. 102 Ps. Plut., Orat. vit. IV 17; cf. Sabbadini (ed. 1916) nr. 675, 260, ll. 62–64. 103 Un esempio analogo sembra essere quello di Leonardo Bruni, nelle cui dediche è solito venire meno a questa regola (cf. Abbamonte (2014) 541 n.4). 104 Tuttavia, rifugge il paragone con Nestore: An te ipsum Nestorem vel sentis vel appellas? in­ quies. Minime medius fidius [ … ] (cf. Sabbadini (ed. 1916) nr. 675, 259, ll. 31–32.

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una coincidenza che potrebbe essere stata sfruttata da Guarino: essa costituiva un utile precedente per il traduttore che, forte dell’esempio dell’autore antico, poteva rivolgersi con una certa autorevolezza al destinatario e dispensare consigli sull’arte di governo. Inoltre, il parallelo relazionale conferirebbe una forza maggiore alla mossa di captatio benevolentiae che troviamo nella chiusa dell’Ar­ gumentum nella forma di allusione a Plutarco: Leonello è chiamato a comportarsi nei confronti del suo precettore al pari di Nicocle che, amante e protettore delle arti105, apprezza l’offerta dei due opuscoli e ricompensa il suo maestro attraverso un dono munifico. Al contrario, è rispettata un’altra regola legata al rapporto tra traduttore e destinatario, ossia quella della necessaria parità di prestigio: infatti, lo status elevato e il ruolo di precettore autorizzavano Guarino a rivolgersi a un insigne dedicatario. Oltre alle ripetute lodi del destinatario, in entrambi i nostri paratesti è possibile rilevare anche diversi elogi di Isocrate: esso è definito fidelis ac prudentissimus consiliarius (Ep. l. 26), eximius philosophus (Ep. ll. 32–33) e un magister optimus sia di retorica sia di bene vivere (Arg. l. 43); inoltre, gli si attribuisce una certa peritia (Ep. l.  27). Da questi elementi emerge come ad essere messo in rilievo sia soprattutto il carattere edificante della sua opera, mentre gli aspetti stilistico-retorici – che pure rivestirono un ruolo fondamentale nella prosa umanistica – siano lasciati in secondo piano106. Tale presentazione di Isocrate credo sia funzionale ad avvalorare la scelta di tradurre proprio il Nicocles: il testo è selezionato fondamentalmente per il suo contenuto, che si prestava all’impiego della versione in ambito didattico e per uno scopo pratico, cioè fornire a Leonello un manuale che illustrasse sotto ogni punto di vista come governare con rettitudine. Inoltre, lo scopo didattico della versione chiarisce la presenza del successivo paratesto, cioè l’Argumentum, in cui si dà una sintetica esposizione del contenuto del testo isocrateo, di cui inoltre si sottolinea la complementarità con l’Ad Nicoclem. Questa considerazione permette di far riferimento ad altri due τόποι delle dediche delle traduzioni a cui prima si è accennato, cioè i giudizi espressi sulle opere greche e l’importanza morale attribuita al testo tradotto. Nei paratesti guariniani, si afferma, infatti, che il valore del Nicocles risiede giustappunto nel suo contenuto, in quanto illustra cosa un sovrano deve fare per procacciarsi l’affetto, il consenso e l’obbedienza dei sudditi107. La materia, quindi, costituiva un naturale trait d’union con il dedicatario, destinato a ricoprire un ruolo di governo; 105 [ … ] quantoque honore apud eum artes alerentur… (cf. Sabbadini (ed. 1916) nr. 675, 260, l. 61 e app. ad loc. (cf. anche infra 99). 106 In modo simile, ad esempio, un non altrimenti noto Fra’ Girolamo nella sua dedica al duca di Montefeltro della traduzione dell’Ad Nicoclem elogia Isocrate, in quanto fornisce un modello del buon governo monarchico (cf. Gualdo Rosa (1984) 195; Abbamonte (2014) 546, nr. 7). 107 Cf. Sabbadini (ed. 1916) nr. 675, 260, ll. 58–60.

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inoltre, il carattere edificante e precettistico dell’opera ne autorizzava l’invio al marchese. Il testo greco, dunque, si configura come uno speculum principis ed è questa la ragione fondamentale che ha spinto Guarino prima a tradurlo e poi a farne dono a Leonello. È bene rilevare come l’atto del vertere svolga qui un ruolo essenziale di medium culturale: per poter permettere al marchese di trarne gli utili ammaestramenti, l’umanista ha dovuto rendere Isocrate Latinum108. Poi, il fatto che il testo isocrateo venga offerto al princeps affinché metta in atto gli insegnamenti in esso contenuti mostra il consueto tentativo di attualizzazione dell’opera tradotta, processo a cui nel nostro caso è dato un taglio politico, dal momento che Guarino presenta la versione come un manuale di governo cui Leonello deve ricorrere nell’esercizio del suo potere, il quale gli deriverebbe direttamente da Dio. Infatti, attraverso la citazione iniziale dal Somnium Scipionis si afferma la natura divina dell’arte di governare, concezione che ritorna anche nella lettera del 1443 (Hypothesia) che Guarino inviò al figlio Girolamo, dopo che questi era entrato al servizio di Alfonso d’Aragona109: l’epistola è una sorta di guida sul comportamento da tenere presso le corti e già Sabbadini aveva riconosciuto essere piena di spunti tratti dall’Ad Demonicum e dal Nicocles110. Tale modalità di concepire il potere deriva a Guarino, attraverso il filtro dell’interpretazione ciceroniana, da Platone, idea che sta anche alla base della concezione teomimetica della regalità diffusa nel mondo bizantino111. Accanto a questa visione platonica del potere, vi è anche una posizione, cui si è già accennato, più isocratea, secondo cui il governo del sovrano deve fondarsi sul merito del monarca e sul consenso dei sudditi; tale concezione è espressa nella già citata lettera del 1439 in cui Guarino rimprovera a Leonello la mancata venuta nel Polesine112. L’accostamento Platone-Isocrate non è esclusivo di Guarino, ma si ritrova più volte nelle lettere di dedica di altri traduttori di Isocrate113, talvolta accompagnato da Aristotele; tale abbinamento, attraverso la mediazione di Cicerone, predilige chiaramente la retorica rispetto alla speculazione, una retorica «civile». La preferenza accordata dagli umanisti del primo Quattrocento ad autori quali Cicerone, Quintiliano e Isocrate corrisponde al loro impegno morale, politico e pedagogico. L’ottimismo morale e civile, o, per dirla in altri termini, pedagogico e politico, è la sostanza stessa del messaggio umanistico e insieme il suo legame organico con la paideia di Isocrate.

108 Cf. Sabbadini (ed. 1916) nr. 675, 259, l. 34. 109 In essa, in particolare, si dice che il sovrano è da venerare e ammirare in quanto specchio di Dio, cf. Sabbadini (ed. 1916) 437–438, nr. 514, ll. 43–48. 110 Cf. Sabbadini (1896) 136. 111 Cf. supra 28. 112 Cf. supra 27. 113 Personaggi come Lorenzo Lippi, Carlo Marsuppini e Alamanno Rinuccini.

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Anche dal punto di vista linguistico e stilistico i due paratesti mostrano i consueti tratti peculiari: il loro latino è classicheggiante e ciceroniano, a cominciare dall’espressione con cui si apre la dedica, ossia saepius ante oculos…proponenti mihi, che mi sembra ricalchi il cogitanti mihi saepenumero del De oratore (I, 1), ripreso soventemente in questi contesti. Inoltre sono presenti riferimenti a diversi scrittori antichi: a parte l’autore tradotto, troviamo nell’epistola i due già menzionati richiami a Cicerone, la citazione dal De republica e il rieccheggiamento del De oratore; poi, nell’Argumentum vi è l’allusione all’episodio dei venti talenti donati da Nicocle a Isocrate narrato dallo Pseudo-Plutarco. Inoltre, nella dedica i riferimenti a Nestore e ad Agamennone rimandano a Omero e all’Iliade; a questo proposito può essere interessante notare che la funzione di saggio ed assennato consigliere attribuita a Nestore potrebbe derivare dal libro IX dell’Iliade, che Leonello poteva conoscere114, dal momento che il canto era stato tradotto da Bruni nel 1424. Infatti, è in quel punto del poema che troviamo Nestore intento a consigliare l’Atride su come far fronte alla crisi dell’esercito acheo e suggerirgli di inviare un’ambasceria ad Achille. Sulla base dell’analisi qui condotta è possibile affermare l’importanza delle due sezioni paratestuali che accompagnano la versione, in quanto forniscono il senso e le finalità di tale traduzione e possono considerarsi una sorta di manifesto degli studia humanitatis. Infatti, in essi si sottolinea il valore formativo dei classici e l’impiego di questi per l’educazione di una classe dirigente illuminata, chiamata a realizzare il bene della comunità. La loro rilevanza trova conferma anche nel dato tradizionale: nella maggior parte dei manoscritti del Nicocles da me censiti la versione è tràdita insieme con l’epistola prefatoria e l’Argumentum115.

II.2.4 Considerazioni sulla cronologia della versione L’epistola di dedica consente anche di individuare l’orizzonte cronologico in cui Guarino eseguì la traduzione del Nicocles: la lettera, infatti, è datata 1433, dunque la versione è stata verosimilmente realizzata intorno agli anni Trenta del Quattrocento116. Questa ipotesi è suffragata anche da altri elementi: si è accennato al fatto che la nutrita serie di traduzioni delle parenetiche isocratee si fosse aperta con 114 L’ipotesi che Leonello conoscesse il testo omerico è suggerita forse anche dal fatto che Guarino in alcune lettere cita episodi tratti dal canto IX (in particolare, viene menzionato Achille che suona la cetra; cf. Sabbadini (ed. 1916) nrr. 682 [con riferimento a Il. IX, 180] e 684 [con rimando a Il. IX, 180–189]). 115 Cf. infra IV.1 e IV.9. 116 Cf. Sabbadini (1896) 126.

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la versione dell’Ad Nicoclem di Marsuppini, databile al 1430, e che ciò indusse, forse, Guarino a commissionare a Bernardo Giustiniani un’altra traduzione del medesimo testo, eseguita nel 1431117. Quindi sembra che nei primi anni Trenta Guarino si sia nuovamente interessato alle orazioni parenetiche dopo il suo soggiorno costantinopolitano, epoca a cui risale, come si è detto, la versione dell’Ad Demonicum. Questa rinnovata attenzione si giustifica alla luce del suo ruolo di precettore di un futuro governante, dal momento che è diretta verso quelle opere d’Isocrate che ai regnanti sono indirizzate, quali sono appunto i discorsi rivolti a Nicocle e l’encomio di Evagora. Inoltre, può essere interessante notare che la versione del Nicocles riscosse un immediato successo, anche se circoscritto nel tempo: infatti, i testimoni del testo si collocano per lo più intorno alla metà o alla fine del XV secolo118, quindi in un arco cronologico vicino a quello della realizzazione della traduzione. Questo dato, unito alla fama di Guarino come insegnante, supporta e al tempo stesso spiega almeno in parte la possibilità di individuare un archetipo comune all’orine della tradizione manoscritta, nonostante si tratti di un testo di età umanistica119.

117 Cf. supra 11. 118 Cf. infra IV.1. 119 Cf. infra IV.2.

III L’originale greco: il Νικοκλῆς di Isocrate III.1 I parenetici all’interno del corpus isocrateo Le opere di Isocrate sono trasmesse da un nutrito numero di testimoni antichi, medievali e umanistici1, una cospicua tradizione che è stata indagata nelle sue linee fondamentali dalla filologia tedesca tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo2. I manoscritti3 di età medievale e umanistica sono distribuiti in due famiglie: da un lato il codice più antico Città del Vaticano, BAV, Urb. Gr. 111 (Γ), databile al IX–X secolo, probabilmente copia diretta di un modello in onciale, e i suoi apografi, Città del Vaticano, BAV, Vat. Gr. 936 (Δ) e il suo descriptus Milano, BA, O 144 sup. (Ε), rispettivamente del XIV e del XV sec; dall’altro lato si collocano tutti gli altri testimoni. Questo secondo gruppo è ulteriormente bipartito: un ramo è rappresentato da Firenze, BML, Laur. plut. 87. 14 (Θ), l’altro da Città del Vaticano, BAV, Vat. Gr. 65 (Λ), del 1063, e dalla sottofamiglia dei codici umanistici, i cui rappresentanti principali sono Paris, BnF, Par. Gr. 2932 (Π), Firenze, BML, plut. 58.5 (Ν), Salamanca, Biblioteca General Histórica, Salm. M 279 (S) e Città del Vaticano, BAV, Vat. Gr. 1383 (Vat)4. Su un esemplare appartenente a questa seconda famiglia, a partire dall’editio princeps milanese del 1493, furono allestite le edizioni di Isocrate: perciò si suole definire questi codici come «manoscritti della vulgata». I due rami della tradizione rappresenterebbero la continuazione di due diverse edizioni antiche, la cui circolazione è attestata dalla presenza di lezioni di entrambe le famiglie nei papiri. La famiglia Γ rifletterebbe una recensione più curata, mentre il capostipite della vulgata sarebbe portatore di un testo simile a quelli in uso nelle scuole, quindi più spesso adulterato. Tuttavia, le varianti dei due rami devono essere trattate come tramandate entrambe dall’antichità e, quindi, si rende necessario valutare caso per caso quale sia la lezione migliore in assenza di un testo uniformato in età antica, ma, al contrario, mobile e diversificato5.

1 L’elenco più completo dei manoscritti isocratei è presente in Drerup (ed. 1906) VIII–XLII, a cui si devono aggiungere frustuli, codici recentissimi e parafrasi; per i papiri si veda Lenaerts/ Mertens (1989), Pinto (2003) 185–188 e CPF I.2, I e II, 21 (Isocrates). 2 Cf. Pinto (2003) 15–29. 3 Un elenco dei manoscritti greci di Isocrate citati è riportato a fine del capitolo (cf. infra 54). 4 Cf. Pasquali (1952) 294–302; Martinelli Tempesta (2003); Fassino (2003); Menchelli (2005), 11 e nn. 32–33. 5 Sul dibattito relativo alla paradosi isocratea cf. Pinto (2003) 19–21; Pasquali (1952) 294–302, che è stato punto di partenza per nuovi studi [cf. Martinelli Tempesta (2007), Martinelli Tempesta (2015) e Fassino (2003)]. https://doi.org/10.1515/9783110792867-003

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È possibile notare come in entrambe le famiglie le opere isocratee siano accorpate in modo da creare gruppi di componimenti della stessa specie, anche se poi l’ordine di successione di questi gruppi varia tra i rami della tradizione6. La ragione di tale particolarità sta nel fatto che le opere di Isocrate probabilmente circolavano nell’antichità in corpuscula contenenti testi della stessa tipologia, in seguito aggregati tra loro a formare raccolte più ampie7. In particolare, Stefano Martinelli Tempesta individua quattro possibili unità minori originarie8: la prima sarebbe costituita da una collezione di encomi (Helena, Busiris, Contra sophistas ed Evagoras), la seconda dai parenetici (Ad Demonicum, Ad Nicoclem e Nicocles), il terzo dai discorsi politici (a sua volta suddiviso in sottounità: due corpuscula contenente l’uno Archidamus e Areopagiticus, l’altro De pace e Philippus, e tre discorsi che circolavano singolarmente, cioè il Plataicus, il Panatenaicus e il Pane­ gyricus) e, infine, vi erano le orazioni giudiziarie e le lettere. Raggruppamenti simili si riscontrano anche nel capitolo 159 della Biblioteca foziana, dove l’autore descrive una raccolta di opere di Isocrate equivalente al corpus a noi pervenuto, ma più ricca delle sillogi trasmesse dai due rami della paradosi isocratea, nonostante Γ sia pressocché coevo a Fozio9. Nella prima parte del capitolo 159 (101b, 33–102a, 41) troviamo un catalogo di una collezione isocratea che si apre con l’indicazione del numero complessivo dei discorsi (Ἀνεγνώσθη Ἰσοκράτους τοῦ ῥήτορος λόγοι καʹκαὶ ἐπιστολαὶ θʹ), a cui segue la loro presentazione. L’esposizione sembra osservare un criterio retorico: infatti, i tre discorsi sono suddi-

6 Γ si apre con gli encomi, di seguito contiene i tre parenetici, dodici altri discorsi isocratei (cf. Drerup (ed. 1906) IX) e infine le epistole. La famiglia della vulgata, invece, è caratterizzata dall’assenza delle lettere e dal presentare la serie delle tre parenetiche in apertura; al suo interno Λ contiene la raccolta completa delle ventuno opere di Isocrate, mentre una scelta più limitata di testi è contenuta nel gruppo dei codici umanistici. Θ è un caso a sé: contiene nove orazioni di Isocrate, si apre con gli encomi, non presenta le parenetiche e anche per quanto riguarda l’ordine interno dei testi tràditi differisce dal resto del secondo gruppo (cf. Drerup (ed. 1906) XXIII–XXIV). Un altro dato da rilevare è che sia Γ che la vulgata trasmettono l’Ad Demonicum, elemento che conferma l’ipotesi che tale scritto sia stato incluso alquanto precocemente nel corpus isocrateo. 7 Cf. Pasquali (1952) 299–300; per un’indicazione bibliografica più aggiornata vd. anche Menchelli (2003) 291 n. 149. 8 Martinelli Tempesta (2015) 24. 9 Fozio sembra, dunque, aver voluto segnalare un manoscritto, probabilmente contenuto in una delle biblioteche costantinopolitane, che si distingueva per completezza e integrità e, perciò, degno di una schedatura. La testimonianza di Fozio fu usata da Drerup come argomento per la ricostruzione di un archetipo comune alla tradizione isocratea (cf. Drerup (ed. 1906) XXIII–XXIV, XLVII–XLVIII). Tuttavia, tale manoscritto non si lascia ricondurre a nessuno dei due rami della paradosi, come si evince dal peculiare ordine degli scritti isocratei e dalle titolature particolari. Cf. anche Pasquali (1952) 300; Pinto (2003) 49–51; Pinto (20031) 75. Sulla testimonianza foziana per il corpus isocrateo cf. Pinto (20031), in partic. 76–83 sul codice 159.

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visi in categorie, ossia συμβουλευτικός, κατηγορία e ἐγκώμιον καὶ δικανικός10. Al primo gruppo appartengono i tre parenetici e una serie di discorsi politici (De pace, Panegyricus, Areopagiticus, Plataicus e Archidamus), includendo così nella stessa categoria l’attività parenetica rivolta all’edificazione del singolo e l’attività suasoria finalizzata all’azione politica. Sembra, dunque, che il manoscritto di Fozio riflettesse una circolazione dei discorsi isocratei in raggruppamenti minori oppure che, se tale organizzazione risalisse a Fozio medesimo, tale classificazione derivasse dalle modalità di trasmissione in corpuscula delle opere di Isocrate. Vi è inoltre la possibilità che degli accorpamenti di opuscoli isocratei fossero già su papiro: infatti, alcuni testimoni che ci sono pervenuti contengono più scritti dell’autore (come nel caso del PKellis o di POxy VIII 1096, recante il Panegyricus e il De pace)11 oppure sembra che abbiano potuto trasmettere più di un’opera (come, ad esempio, PLips inv. 158, testimone del Nicocles, ma che doveva contenere almeno un’altra delle parenetiche; BKT IX 149, codice ermopolitano che conteneva almeno Ad Demonicum e Ad Nicocles con traduzione latina; ancora, i titoli tràditi dai papiri PHaun III 48 e POxy Inv. 5B4/G (2–4)b sembrano suggerire la presenza di più scritti)12. Un’ulteriore osservazione riguarda la collocazione in sede di apertura di corpus che le tre parenetiche occupano nei codici della seconda famiglia, posizione che è presupposta anche dall’anonimo autore della Vita di Isocrate, il quale suggerisce la lettura dei parenetici come primi poiché di contenuto etico13. L’apertura di corpus è una sede significativa: i testi collocati in questo punto sono quelli destinati ad avere maggior fortuna, oltre che un maggior numero di copie. Dunque, il fatto che tale collocazione sia stata scelta per i parenetici è indice dell’apprezzamento di questi testi ed è al tempo stesso l’elemento che ha contribuito a perpetuare questa loro fortuna, il che spiega anche il così elevato numero, rispetto alle altre opere isocratee, di testimoni manoscritti che tramandano i tre discorsi14. Questa sistemazione delle parenetiche è possibile abbia ricevuto una

10 Sulla classificazione degli opuscoli isocratei cf. Pinto (20032) 76 n. 12. 11 Cf. CPF I.2, I, 21, 1 e infra 49 e n. 54; CPF I.2, II, 21, 43 e 95. 12 Cf. CPF I.2, II, 21, 74 (per cui cf. anche Colomo (2008) 27–33); CPF I.2, II, 116T e 119T; CPF I.2.2, 100T; CPF I.2.2, 101T. 13 Cf. Dindorf (ed.  1852) 103: ἄξιον δὲ ζητῆσαι διὰ ποίαν αἰτίαν οὕτως αὐτὰς ἀναγινώσκομεν κατὰ τάξιν, πρῶτον τὴν πρὸς Δημόνικον, ἔπειτα τὰς πρὸς Νικοκλέα, καὶ μὴ ἀδιαφόρως, ὥσπερ ἐν τοῖς ἄλλοις αὐτοῦ λόγοις. λέγομεν ὅτι Ἰσοκράτης βουλόμενος κοινωφελὴς γενέσθαι, φορτικὸν δὲ ἡγούμενος τὸ πρὸς πάντας γράφειν τὰς συμβουλὰς ἤθελεν ὡς πρὸς τούτους γράφειν. Questo dato è assai utile per lo studio della ricezione di Isocrate in quanto fornisce indicazioni sulle modalità di lettura dell’autore.Cf. Menchelli (2003) 293–295. 14 Cf. infra III.3.

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sua definizione nell’Alessandria del VI secolo e si pensa sia da attribuire a Zosimo di Ascalona, o di Gaza, figura riconducibile all’ambiente neoplatonico alessandrino15. Infatti, è la scuola neoplatonica l’ambiente in cui è stato prodotto, tra V– VI secolo, un commentario a Isocrate, che presentava la sua biografia in apertura e poi passava ad esaminare tutte le sue opere. È probabile che il retroterra scolastico proprio, come si è detto, del capostipite della famiglia della vulgata fosse noto all’autore della Vita e, dunque, sia stato utilizzato e assorbito nella scuola neoplatonica. Infatti, la Vita di Isocrate e gli Argumenta ai suoi discorsi appaiono chiaramente legata al ramo della vulgata (escluso Θ): tale materiale esegetico è estraneo alla famiglia Γ, inoltre la connessione tra «l’Isocrate commentato» e la seconda famiglia si evince dall’ordinamento delle opere e dalle loro titolature16. A questo punto è utile prendere in esame anche l’ordine interno dei parenetici. Già nella Vita anonima si rifletteva sulla loro successione, cosa che ha dei riflessi nella circolazione libraria e mostra come anche per l’anonimo autore esistessero delle raccolte organizzate sulla base del contenuto, di cui si è discusso prima. Nel passo in questione17 inizialmente si fa riferimento solo all’ordine dei primi due discorsi (l’Ad Demonicum e l’Ad Nicoclem), sebbene subito dopo si precisi che le παραινέσεις siano tre e che l’ordine di lettura sia primo l’Ad Demonicum, discorso rivolto ai privati, secondo l’Ad Nicolem, che contiene istruzioni su come gover-

15 Cf. Menchelli (2003) 315–317. 16 In particolare, i più ricchi rappresentanti del materiale esegetico a Isocrate sono Π ed N che trasmettono gli argumenta nella misura più ampia (ciascun argumentum precede la rispettiva opera, tranne il Panegirico) e insieme con S sono i soli testimoni primari della Vita anonima (in tutti e tre posta in apertura). La Vita era forse contenuta in Λ (mutilo dell’inizio) che trascrive, oltre a numerosi scolii risalenti alla medesima esegesi, parte dell’argumentum dell’Evagoras. Sebbene Λ non sia testimone degli argumenta, nei suoi apografi ricompaiono; tuttavia, essi sembrano essere stati reintrodotti del tutto sporadicamente e in maniera multiforme (nel corpo pagina e prima dello scritto di riferimento oppure in forma di annotazioni marginali). Dunque, pare che non vi sia stata alcuna sistematicità né nella ricerca dei testi né nella loro trascrizione e che per alcuni argumenta si sia verificato anche il fenomeno della circolazione isolata. La stampa di Isocrate sembrò ripetere la situazione varia e talvolta quasi fortuita della tradizione dei testi accessori; la loro pubblicazione avvenne in più tempi e i manoscritti utilizzati nelle prime uscite a stampa condizionano tuttora in misura significativa il testo edito. Sulla tradizione del commentario neoplatonico cf. Menchelli (2005), in partic. 16–19. 17 Cf. Dindorf (ed. 1852) 103: αὐτὰς ἀναγινώσκομεν κατὰ τάξιν, πρῶτον τὴν πρὸς Δημόνικον, ἔπειτα τὰς πρὸς Νικοκλέα, καὶ μὴ ἀδιαφόρως, ὥσπερ ἐν τοῖς ἄλλοις αὐτοῦ λόγοις. [ … ] τὸ δὲ ἀληθὲς πᾶσι παραινεῖ διὰ τῶν τριῶν παραινέσεων [ … ] τάττει οὖν πρῶτον τὸν πρὸς Δημόνικον ὡς πρὸς ἰδιώτας πρῶτον διαλεγόμενος, εἶτα βασιλεύειν διδάσκων ἐν τῷ πρὸς Νικοκλέα· πρῶτον γάρ τις ἰδιώτης γενόμενος ὕστερον ἔρχεται ἐπὶ τὴν βασιλείαν. εἶτα λέγει ἐν τῷ πρὸς Νικοκλέα ἢ συμμαχικῷ, πῶς δεῖ καὶ τὸν ἰδιώτην βασιλεύεσθαι. σκώπτουσι δὲ αὐτὸν, ὡς εἶπον καὶ τὸν ἰδιώτην βασιλεύεσθαι. Cf. Menchelli (2003) 289–291.

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nare, e infine il Nicocles, che insegna ai privati cittadini a essere sottomessi al re. Tale successione si ritrova in tutta la tradizione manoscritta di età medievale (e che doveva essere quella riportata anche dall’esemplare di Fozio, che presenta, come si è visto, i tre scritti secondo questa sequenza), ma già nella tarda antichità i parenetici apparivano in questo stesso ordine18. Osservazioni sull’ordinamento interno dei parenetici sono presenti anche negli Argumenta agli stessi19: quello dell’Ad Demonicum è strettamente collegato alla Vita e, inoltre, ribadisce la necessità di leggere i parenetici prima degli altri discorsi; quello dell’Ad Nicoclem inizia richiamandosi al passo della Vita in cui si dà ragione del motivo per cui l’opera è da leggersi per seconda. Infine, l’Argumentum del Nicocles presuppone una collocazione del discorso come successivo all’Ad Nicoclem20: all’inizio si spiega infatti che questo discorso «non tratta le stesse cose né è rivolto alle stesse persone», non è, dunque, come l’Ad Nicoclem, destinato ai governanti, né contiene consigli su come regnare. L’indicazione sulla lettura dei parenetici come primi, unita a quella sull’ordine delle tre singole esortazioni, rivela come nella scuola neoplatonica, il milieu in cui, come si è detto, sono state prodotte la Vita e gli Argumenta, sia avvenuta una rifunzionalizzazione didattica dell’opera di Isocrate, che ha comportato un’appropriazione di alcuni elementi della παιδεία dell’autore, i quali – come si vedrà in seguito – erano già stati assorbiti da Dionigi di Alicarnasso: viene infatti delineata una distinzione curricolare (prima l’etica e poi la retorica), una tra pubblico e privato, e tra ordine della vita e del discepolo21. È utile considerare anche le titolature dei tre parenetici, dalle quali pure emerge la bipartizione della tradizione manoscritta d’Isocrate. A questo proposito è assai significativo il titolo del Nicocles: la seconda famiglia trasmette lo scritto con la denominazione Νικοκλῆς ἢ συμμαχικός (che nella Vita compare nella forma Πρὸς Νικοκλέα ἢ συμμαχικός), titolatura che si ritrova anche nella princeps e verrà rinnovata con l’Aldina del 1534 in Nicocle o sumbouletikos. Γ presenta, invece, un titolo completamente differente: Νικοκλῆς ἢ Κύπριοι, che compare anche nell’Anthologion dello Stobeo22 e, nella tradizione medievale, nei soli apografi dell’Urbinate. Anche il titolo dell’Ad Demonicum differisce tra i due rami: nella famiglia dell’Urbinate (e nello Stobeo)23 esso è indicato semplice-

18 Cf. infra 46–47. 19 Cf. Menchelli (2003) 294. 20 Del resto all’interno dello stesso Nicocles è presente un esplicito rimando all’Ad Nicoclem (Is., 3, 11). 21 Cf. Menchelli (2017) 58. 22 Stob. III 1, 69; 1, 72; 24, 10; 24, 16; 38, 40; IV, 1, 65; 6, 9; 31d, 109. Sulla testimonianza dello Stobeo per il corpus isocrateo cf. Keil (1885) 150–155; Vallozza (2003). 23 Cf. e.  g. Stob. III 41, 10; IV 5, 21.

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mente come Πρὸς Δημόνικον, mentre la vulgata esplicita il carattere parenetico dello scritto, intitolandolo Πρὸς Δημόνικον παραίνεσις (in alcuni codici recenziori, e poi nell’incunabolo, παραίνεσις è sostituito con λόγος παραινετικός); è inoltre attestata la denominazione ἐπιστολὴ πρὸς Δημόνικον24. I titoli permettono anche di evidenziare ulteriori relazioni presenti tra i tre parenetici25: si è detto che per l’Ad Demonicum è attestata la titolatura παραίνεσις e in un trattato retorico attribuito ad Ermogene si fa ad esso riferimento come al primo discorso dei parenetici, intendendo forse solo i primi due, l’Ad Demonicum e l’Ad Nicoclem, entrambi caratterizzati da una lunga serie di massime esortative, cosa che per il Nicocles vale solo per la parte finale. Il carattere parenetico dei discorsi è ribadito nell’Argumentum dell’Ad Nicoclem, dove viene detto che Isocrate scrive al sovrano di Cipro delle esortazioni, e ancora si è visto come nel IX secolo Fozio presenti l’Ad Demonicum e l’Ad Nicoclem come delle παραινέσεις. Un legame tra i due parenetici autentici è sottolineato, oltre che dalla loro definizione come esortazioni, dal titolo stesso: la tradizione medievale trasmette per l’Ad Nicoclem il titolo Πρὸς Νικοκλέα ἢ περὶ βασιλείας, che viene ricalcato nella Vita per il Nicocles, denominato – come si è detto – Πρός Νικοκλέα ἢ συμμαχικός; Fozio poi fa riferimento al Nicocles come al secondo discorso A Nicocle, un hapax nella tradizione26.

III.2 Il Nicocles e il corpusculum dei parenetici Il Nicocles di Isocrate insieme con l’Ad Demonicum e l’Ad Nicoclem forma il trio delle orazioni parenetiche, ma sebbene esse presentino una tradizione integrata nel corpus isocrateo, all’interno del quale occupano, come si è detto, una posizione di rilievo27, l’Ad Demonicum è considerata spuria sulla base di elementi lessicali e dottrinali28. I due scritti dedicati a Nicocle, invece, rientrano a pieno

24 Cf. Menchelli (2005) 12 e n. 37; Menchelli (2017) 60–62, 62 n. 74. Cf. anche CPF I.2, II, 101T, in part. 908–910, e 102T. 25 Cf. Menchelli (2003) 292. 26 Cf. Pinto (20032) 77 e n. 14. Al titolo foziano sembra potersi accostare una testimonianza di Menandro retore che sembra far riferimento al discorso con un plurale (Men. Rh. De gen. demon­ str. 359, 28–30: εἰ τοίνυν ἐπαινοίης πόλιν, εἰ μὲν τυραννουμένην, ὡς βασιλευομένην ἐπαινεῖν δεῖ, ὡς ἐν τοῖς Νικοκλείοις ὁ Ἰσοκράτης πεποίηκεν). 27 Cf. supra 41. 28 Cf. Menchelli (2017) 42–43, 42 n. 2. Lo scritto era stato attribuito da Engelbert Drerup a Teodoro di Bisanzio, sofista menzionato anche nel Fedro platonico (261c, 266e) sulla base di un passo di Ateneo (Deipnosophistae III 122b: Θεοδώρῳ δὲ τὸ κελεύειν μὲν πλέον ἔχειν, ἐπαινεῖν δὲ τὸ ἴσον [cf. Ad Dem. 38, παρασκεύαζε σεαυτὸν πλεονεκτεῖν μὲν δύνασθαι, ἀνέχου δὲ τὸ ἴσον ἔχων]) che era già stato segnalato da Bruno Keil (cf. Drerup (ed. 1906) CXXXVI–CXL; Keil (1885) 24). Più generi-

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titolo nella produzione isocratea29: composti tra il 375 e il 365 a. C., sono legati in particolare alla produzione per i re di Cipro30, insieme con l’Evagoras, un encomio in prosa del defunto padre di Nicocle, Evagora, assunto a modello di monarca ideale da Isocrate in virtù del suo tentativo – fallito – di opporsi alla Persia31. L’autenticità dell’Ad Nicoclem e del Nicocles è altresì comprovata, oltre che dall’analisi stilistica, dalla testimonianza interna ed esterna: nel Nicocles si fa esplicitamente riferimento all’Ad Nicoclem (cf. Is., 3, 11, τὸν μὲν οὖν ἕτερον, ὡς χρὴ τυραννεῖν, Ἰσοκράτους ἠκούσατε), chiarendo così la complementarietà dei due discorsi, e nell’Antidosis compaiono autocitazioni da entrambi gli scritti. L’Ad Nicoclem è ripreso nella prima parte dell’autodifesa insieme con altri brani esemplificativi della produzione isocratea quanto a tematiche, ideologia e carattere paradigmatico (2, 14–39 = 15, 73); il Nicocles, invece, viene tacitamente, ma letteralmente, citato nella parte finale dell’apologia, insieme con il Contro i sofisti, e ad essere ripreso a titolo rappresentativo della poetica di Isocrate è il brano in cui si fa un elogio della parola (3, 5–9 = 15, 253–257)32. Se da un lato l’Ad Demonicum non appartiene alla produzione isocratea, dall’altro, però, risulta strettamente legato alle altre due parenetiche per contenuti e sequenze di massime. Sia il Nicocles sia l’Ad Demonicum sono discorsi rivolti a privati cittadini (benché le massime del Nicocles siano destinate a soggetti politici, cioè ai Ciprioti in qualità di cittadini e sudditi, e vadano, quindi, intese come appartenenti alla sfera pubblica); i due scritti, inoltre, presentano alcune affinità nei temi e nei contenuti33. Ancora più stretto appare il rapporto tra l’Ad Demonicum e l’Ad Nicoclem: quest’ultimo sembra essere stato il modello per la composizione del primo, come, ad esempio, emerge dal passo dell’Ad Demonicum che conclude le argomentazioni (§ 44), il quale rivela una puntuale ripresa strutturale di Ad Nicoclem § 40. In particolare,

camente la paternità dell’opuscolo era stata assegnata a un anonimo sofista da Georges Mathieu ed Emile Brémond nell’Introduzione della loro edizione ai discorsi d’Isocrate (cf. Mathieu/Brémond (ed. 1928) 114–115). Sulla questione cf. anche Piccione (2009) 27–30. 29 Sono stati tuttavia avanzati in passato dei dubbi sulla loro autenticità, cf. infra 48; Menchelli (2017) 43 n. 9. 30 Da qui la denominazione di «orazioni cipriote». 31 Questi scritti risultano pertanto connessi con il pensiero politico di Isocrate che sosteneva la formazione di una coalizione panellenica in funzione anti-persiana, progetto per cui il consolidamento delle relazioni con uno stato alla periferia dell’impero persiano – Cipro, appunto – era strategico. Tale legame con il pensiero d’Isocrate è un ulteriore elemento a favore della loro autenticità. 32 Cf. Menchelli (2017) 43–45, 50–51. 33 Cf. e.  g. la considerazione della giustizia come virtù da cui i malvagi sono completamente esclusi (Nic. 43 = Ad Dem. 38; vd. anche Ad Nic. 30) o l’esortazione alla vita ordinata (Nic. 38 e 46 = Ad Dem. 15; vd. anche Ad Nic. 31). Cf. Menchelli (2017) 45 e n. 16.

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proprio l’Ad Nicoclem sembra essere il testo fondamentale per la comprensione dei tre parenetici e dei loro rapporti reciproci34. Nei primi capitoli, infatti, Isocrate presenta la sua opera come una novità: vi sono molti consigli per i privati nella tradizione (nel proseguo del discorso vengono esplicitamente citati Esiodo, Teognide e Focilide, i quali sono messi a confronto con Omero e i tragici)35, ma mancano quelli per i re. Isocrate quindi, prendendo come punto di riferimento la poesia gnomica, si accinge a fondare un genere nuovo, quello parenetico in prosa, il cui scopo è l’edificazione dei governanti nell’Ad Nicoclem e dei governati nel Nicocles. Il passo che costituisce «l’atto di fondazione» può essere considerato il § 41, in cui sono contenute indicazioni sui procedimenti da osservare non solo nella composizione letteraria, ma anche nella realizzazione di opere di esortazione morale. L’anonimo autore dell’Ad Demonicum può aver seguito queste istruzioni, come suggeriscono una serie di riprese strutturali, le quali confermano che l’autore dell’opuscolo conosceva i due parenetici isocratei e sembra utilizzarli o quanto meno essere in rapporto con essi36. Il legame dell’Ad Demonicum con l’Ad Nicoclem e il Nicocles potrebbe aver dato origine al corpusculum dei tre parenetici37: infatti, siamo in possesso di una testimonianza relativamente precoce che viene a sancire l’appartenenza dell’Ad Demonicum al corpusculum. Si tratta di un codice costituito da nove tavolette di legno, rinvenuto in Egitto, nel villaggio dell’antica Kellis (odierna Ismant el-Kharab), nell’oasi di Dakhleh (P Kellis III Gr. 95)38. Il codice, databile al IV secolo d. C.39

34 Sulle relazioni tra i tre parenetici cf. anche supra 44. 35 Cf. Ad. Nic. 43 e 48–49. 36 Cf. Menchelli (2017) 46–48. In un suo contributo Rosa Maria Piccione (Piccione (2009), in partic. 42–44), sulla base di un confronto con altri testi di natura parenetico-sentenziosa, rileva forti affinità tra essi e l’Ad Demonicum e, pertanto, ipotizza che il trattatello possa essere il risultato di un procedimento di raccolta e confezionamento di materiale sentenzioso preesistente proveniente da tradizioni diverse. L’ambito in cui è stato prodotto sarebbe da rintracciare in un contesto scolastico: il trattatello sarebbe, dunque, un esercizio compositivo nato all’interno della scuola isocratea, ovvero un prodotto elaborato alla luce della produzione del maestro (in particolare i due parenetici, Ad Nicoclem e Nicocles), Oppure, più genericamente, è nato nell’ambito di una scuola a carattere sofistico-retorico, ma si deve comunque presupporre che l’autore avesse a disposizione un modello parenetico, verosimilmente proprio l’Ad Niccolem. Se l’ipotesi fosse corretta, l’Ad Demonicum si potrebbe forse considerare «isocrateo ma non di Isocrate, uno pseudoepigrafo che in ambito di scuola viene accettato come autentico ed è presto edito, venendo a far parte del corpus degli scritti del maestro» (Piccione (2009) 44). 37 Sulla formazione dei corpuscula cf. supra 40–41. 38 L’editio princeps è quella curata da Wrop/Rijksbaron (ed. 1997); cf. anche CPF I.2, 21, 1, 252–257. 39 La datazione dell’esemplare si basa su considerazioni paleografiche e altre legate al contesto archeologico in cui il manufatto è stato rinvenuto e sull’apporto del materiale documentario di medesima provenienza, cf. Wrop/Rijksbaron (ed. 1997) 24–25.

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e probabilmente di proprietà di un maestro del luogo40, contiene i testi completi dell’Ad Demonicum (corredato da cinquanta glosse marginali)41 e dell’Ad Nico­ clem, mentre quello del Nicocles è privo della parte finale (tavv. 6v–9r, §§ 1–53); inoltre, i primi due discorsi sono preceduti da due brevi hypotheseis42, il Nico­ cles, invece, non presenta alcun testo introduttivo43. Il PKellis costituisce, dunque, la prima testimonianza certa di una circolazione congiunta dell’Ad Demonicum seguito dagli altri due parenetici autentici, nonché il più antico testimone integro (o quasi nel caso del Nicocles) dei tre discorsi44. Tuttavia, gli editori del papiro suggeriscono che tale corpusculum potesse essersi già formato in età augustea sulla base di un possibile riferimento ai tre discorsi, letti come uniti insieme, in Dionigi di Alicarnasso (Su Isocrate 10, 1)45: le indicazioni relative a città, governanti e privati cittadini e la distinzione tra tre tipologie di discorsi di esortazione (quelli che spronano le moltitudini alla benevolenza e alla temperanza; quelli che spingono i regnanti alla moderazione e al governo nel rispetto delle leggi; infine, i discorsi che rendono ordinate le vite dei privati cittadini suggerendo a ciascuno come comportarsi) potrebbero anticipare l’unione dei tre parenetici. Inoltre, nella distinzione tra pubblico e privato46 e nell’attenzione per il tema del κοσμίως ζῆν47

40 Cf. Wrop/Rijksbaron (ed. 1997) 28–29. 41 Cf. McNamee (2007), 117–118, 288–296 (trascrizione). 42 Gli editori suggeriscono che gli Argumenta «could have been produced easily by an ancient schoolmaster […] abbreviating an already existing longer version» e che potrebbero essere collegati a quelli tràditi dai manoscritti medievali e umanistici (Wrop/Rijksbaron (ed. 1997) 30). Cf. anche Menchelli (2003) 259–283; Menchelli (2005) 16–19). 43 Cf. Wrop/Rijksbaron (ed. 1997) 59, 91. 44 Può essere interessante notare che un altro manufatto, il papiro di Marsiglia PMass (CPF I.2, I, 21, 17, 365–440, in partic. cf. 367–368), ascrivibile al III–IV sec. d. C., sembri suggerire una genesi del corpusculum inizialmente limitato all’Ad Demonicum e all’Ad Nicocles, forse in virtù del legame più stretto intrattenuto dai due testi. Tale possibilità è affermata da Mariella Menchelli, la quale propone una particolare interpretazione delle cifre ββ come titolo dell’Ad Nicoclem; secondo questa lettura, esse vorrebbero indicare il secondo dei due scritti parenetici (cf. Menchelli (2003) 291–293; CPF I.2, II, 21, 101T–102T, 907–912). 45 Dion. Halicarn. De Isocrate 10, 1: ἔχων δὲ πολλοὺς αὐτοῦ καὶ ἄλλους διεξιέναι λόγους πρὸς πόλεις τε καὶ δυνάστας καὶ ἰδιώτας γραφέντας, ὧν οἳ μὲν εἰς ὁμόνοιαν καὶ σωφροσύνην τὰ πλήθη παρακαλοῦσιν, οἳ δὲ εἰς μετριότητα καὶ νόμιμον ἀρχὴν τοὺς δυνάστας προάγουσιν, οἳ δὲ κοσμίους τῶν ἰδιωτῶν ἀπεργάζονται τοὺς βίους, ἃ δεῖ πράττειν ἕκαστον ὑποτιθέμενοι, δεδοικὼς μὴ πέρα τοῦ δέοντος ὁ λόγος ἐκμηκυνθῇ μοι, ταῦτα μὲν ἐάσω, τοῦ δ’ εὐπαρακολούθητα γενέσθαι μοι μᾶλλον τὰ πρόσθεν εἰρημένα, καὶ τῆς διαφορᾶς ἕνεκα, ᾗ διαλλάττει Λυσίου, τὰς ἀρετὰς αὐτῶν εἰς βραχύτερον συναγαγὼν λόγον ἐπὶ τὰ παραδείγματα μεταβήσομαι. Cf. Wrop/Rijksbaron (ed. 1997) 145; Menchelli (2017) 53–55. 46 Cf. Ad Nic. 3, 41, 43–44. 47 Cf. Ad Dem. 15; Ad Nic. 31; Nic. 38.

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Dionigi si appropria di elementi ricorrenti nella παιδεία isocratea e presenti nei parenetici; tale assunzione potrebbe, quindi, riflettere una precoce aggregazione dell’Ad Demonicum alle opere d’Isocrate, come attestano in seguito i papiri e la tradizione indiretta. Tuttavia, Dionigi più volte richiama a un impegno etico e politico, sia individuale sia collettivo, in riferimento ad una stessa opera d’Isocrate oppure enumera più scritti che trattano di argomenti etici e politici, la cui lettura produce l’ordine interiore. Tale formularità ha come conseguenza l’impossibilità di rilevare con certezza il riferimento ad un corpusculum contenente le tre parenetiche in età augustea e, quindi, il PKellis resta il nostro terminus post quem far risalire l’aggregazione dei tre discorsi. Successivamente, tra V e VI secolo, alcuni passi della Vita anonima d’Isocrate48 mostrano i tre parenetici aggregati insieme e ne chiariscono le modalità di lettura nella tarda antichità e, in particolare, all’interno della scuola neoplatonica. In questi passi della Vita, i tre scritti, raccolti in un’unità editoriale, sono associati nella funzione e nello scopo e, come si è visto, all’interno del corpus isocrateo sono collocati in apertura49, benché rispetto ad esso risultino eccentrici. Infatti, si attribuisce loro una debolezza di stile (τὸ ἀσθενὲς τῆς φράσεως e poi ancora ἠναγκάσθη ταπεινοτέρᾳ χρήσασθαι τῇ φράσει), tale da far dubitare ad alcuni della loro genuinità (εἰ καί τινες ἠβουλήθησαν αὐτὰς εἰπεῖν μὴ εἶναι αὐτοῦ); l’anonimo giustifica questo difetto affermando che le παραινέσεις sono rivolte a dei ragazzi (ὡς καὶ πρὸς παῖδας ταῦτα γράφων), cosa che, in realtà, vale solo per l’Ad Demonicum50, per il quale, come si è visto, il titolo con l’indicazione παραινέσεις al plurale è pure attestato. Tuttavia, il fatto che più avanti nella Vita si dica che le παραινέσεις sono tre (τὸ δὲ ἀληθὲς πᾶσι παραινεῖ διὰ τῶν τριῶν παραινέσεων) e le osservazioni relative alla precedenza dell’etica sulla retorica (ἃς πρῶτον εἰκότως ἀναγινώσκομεν, οὐχ ὡς βελτίονας οὔσας τῶν ἄλλων λόγων [ … ] ἀλλ’ ὅτι περὶ ἠθῶν διαλαμβάνουσιν) permettono di scartare l’ipotesi che l’autore anonimo si stia riferendo al solo Ad Demonicum e di pensare che il passo alluda a tutti e tre i discorsi. Dunque, la debolezza di stile di cui si parla pare imputabile alla frammentarietà propria di un’opera costituita da una sequenza di consigli in prosa, come sono l’Ad Demonicum e l’Ad Nicoclem e, nella sua parte finale, il Nico­ cles. In conclusione, il commentario di V–VI secolo testimonia come ormai l’Ad

48 Cf. Dindorf (ed. 1852), Vita, 102–103: ἔγραψε δὲ πολλοὺς λόγους, ὧν εἰσιν αἱ παραινέσεις, εἰ καί τινες ἠβουλήθησαν αὐτὰς εἰπεῖν μὴ εἶναι αὐτοῦ διὰ τὸ ἀσθενὲς τῆς φράσεως· [ … ] δι’ ὃ, ὡς καὶ πρὸς παῖδας ταῦτα γράφων, ἠναγκάσθη ταπεινοτέρᾳ χρήσασθαι τῇ φράσει, ὥστ’ αὐτοῦ ἂν εἴησαν καὶ αἱ παραινέσεις. Cf. Menchelli (2017) 55–57. 49 Cf. supra 41. 50 Il fatto che l’Ad Nicoclem e il Nicocles avessero una ben più alta destinazione sembra essere noto all’autore del commentario, come appare chiaro dalle hypotheseis dei due parenetici dedicati al re di Cipro.

L’originale greco: il Νικοκλῆς di Isocrate 

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Demonicum sia entrato stabilmente nel corpus isocrateo, nonché l’impiego dei tre scritti nella pratica educativa e, nel caso specifico, al contesto del primo gradino degli studi neoplatonici. Questa circolazione congiunta delle parenetiche ha dei riflessi non solo sulla tradizione greca successiva51, ma anche su quella delle versioni latine52: infatti, i tre scritti compaiono in raccolte miscellanee uniti insieme oppure associati in coppia; inoltre, se per l’Ad Demonicum e l’Ad Nicoclem è attestata anche una diffusione isolata, il Nicocles, invece, appare sempre associato ad almeno una delle altre due parenetiche, in particolare all’Ad Nicoclem.

III.3 La diffusione e la circolazione delle parenetiche Si è detto che le tre parenetiche costituiscono una tradizione integrata nel corpus isocrateo in entrambe le famiglie; al tempo stesso, i tre discorsi sono trasmessi in coppia o singolarmente oppure all’interno di raccolte, di dimensioni variabili, delle opere di Isocrate53. Per l’Ad Demonicum, poi, si registra una circolazione isolata in più di cinquanta manoscritti miscellanei. Le ragioni di questa maggiore diffusione rispetto al resto della produzione isocratea risiedono nel fatto che essi hanno goduto in ambito didattico di una straordinaria fortuna che si estende dall’Antichità al Rinascimento. Infatti, le tre parenetiche (in particolare l’Ad Demonicum e l’Ad Nicoclem) forniscono uno strumentario testuale utile alle differenti metodiche di esercizio dal punto di vista sia contenutistico sia stilistico-linguistico54. Tuttavia, mentre per l’Ad Demonicum è attestata una circo-

51 Cf. infra III.3. 52 Cf. supra I.2. 53 Menchelli (2003) 289–295. 54 I manufatti che ci tramandano tale materiale sono molti, di tradizione diretta e indiretta, con l’Ad Demonicum al primo posto per numero di citazioni. Per l’Ad Demonicum possiamo, infatti, riscontrare una circolazione del testo sia unitario sia organizzato secondo una scansione in sentenze; a questi due rami si aggiunge la ricchezza della tradizione indiretta nella forma di citazioni isolate o di catene di sentenze nelle sillogi gnomologiche bizantine (come gli Excerpta Parisina o lo Gnomologium Byzantinum) o ancora nella forma di allusioni e riprese testuali nei Fürstenspiegel e nelle epistole dedicatorie degli umanisti. Cf. Piccione (2009) 23–24; Menchelli (2017) 51–52. Anche il Nicocles conosce livelli di lettura multiformi e molteplici: i dati materiali, infatti, documentano una circolazione sia scolastica (cf. e.  g. Lundon/Messeri (2000): il P.Vindobon. G 39977, recante su un lato la parte iniziale di Nic. 19, costituirebbe la prima attestazione certa del Nicocles trascritto da uno studente; per gli altri testimoni papiracei cf. Lundon/Messeri (2000) 126 n. 9 e CPF, I.2, II, nrr. 68–77, 662–688) sia libraria alta (cf. e.  g. Colomo (2008) 27–33: tre frammenti papiracei ossirinchiti contenenti l’Ad Nicoclem [POxy. 4720], il De pace [POxy 4734]

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 Prolegomena

lazione isolata già in età paleologa55, per le altre due parenetiche, variamente associate alle compagne oppure isolate, ha inizio solo in età umanistica, epoca che, come si è visto, ha avuto un ruolo fondamentale nella trasmissione del testo di Isocrate. I tre discorsi, infatti, sono tramandati tutti e tre insieme nei codici corpora e in raccolte ampie di Isocrate, ma sono presenti anche antologie isocratee più o meno ampie che includono i due parenetici autentici (uno solo dei due o entrambi) e trascurano l’Ad Demonicum56. Dunque, soprattutto nel caso delle tre parenetiche numerosi altri codici si aggiungono ai testimoni della tradizione in forma di corpus nelle due famiglie, soprattutto alla seconda famiglia e, in particolare, al ramo Λ. Nella ricostruzione dei rapporti stemmatici di questi testimoni supplementari, tra i molteplici apografi di Λ è possibile individuare vari gruppi, oltre che rami di tradizione isolati, anche sulla base della presenza di correzioni volte a ripristinare la lezione genuina, effettuate grazie all’apporto della sottofamiglia degli umanistici o di discendenti di Γ57. Studi volti all’individuazione di tali raggruppamenti sono stati fatti per alcuni testi di Isocrate58, ma non per il Nicocles, un’assenza che rende difficile fare ipotesi su quale esemplare greco Guarino utilizzò per la sua traduzione. Riporto qui sinteticamente quanto emerso dalle indagini compiute da Stefano Martinelli Tempesta per il Panegirico e da Mariella Menchelli per il testo dell’Ad Demonicum, risultati che – a mio giudizio – potrebbero rivelarsi fecondi in vista di un possibile approfondimento sul Nicocles59. Tra i vari gruppi di apografi di Λ individuati da Menchelli ve n’è uno definito «gruppo guariniano», poiché il suo capostipite, Modena, BE, Mutin. gr. α P 6 12 (= Est. gr. 130) (Mut), è stato trascritto in parte da Andrea Leantino e in parte da una mano riconducibile al tipo guariniano60. Il manoscritto, copia diretta di Λ, contiene quattordici orazioni, tra cui le tre parene-

e il Nicocles [P.Lips inv. 158] e vergati dallo stesso scriba costituirebbero i resti di «un’edizione de luxe dell’oratore ateniese», destinata a un pubblico erudito di lettori, non necessariamente professionisti in senso stretto, e a una circolazione nella sfera privata, in una cerchia più o meno ampia di amici e conoscenti o all’interno di veri e propri circoli intellettuali). 55 Cf. Menchelli (2019) 238–240, 261–267. 56 Cf. Menchelli (2019) 238–239, Tabella 1, e 240 Tabella 2. 57 Cf. Menchelli (2019) 237–238. 58 Cf. Menchelli (2019) 237 e n. 10. 59 Martinelli Tempesta (2007); Menchelli (2019). 60 Andrea Leantino si è occupato di trascrivere il primo fascicolo, l’altra mano ha completato il lavoro del primo scriba, come si evince dal fatto che a questo secondo copista sono da attribuire delle correzioni diortotiche sui fogli copiati dal Leantino, mentre mancano interventi di quest’ultimo nella parte trascritta dalla mano guariniana. Antonio Rollo (cf. Rollo (2006) 104 n. 70) segnala l’affinità di questa mano con quella di Francesco Barbaro (per uno specimen della quale vd. Rollo (2006) tav. XVa-b).

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tiche (l’Ad Demonicum è però mutila a causa della perdita del fascicolo iniziale), appartenne, prima di giungere alla Biblioteca Estense nel 1564, a Giorgio Valla (1447–1500) e poi al conte Alberto Pio di Carpi (1475–1500). A questo stesso gruppo appartengono per il Panegirico, Oxford, BD, Canon. Gr. 87 (Canon), trascritto e sottoscritto da Girardo da Patrasso (o Metone); il suo apografo, copiato da Cristoforo Trapezunzio, München, Bayerische Staatsbibliothek, cgm 224 (Mon), e Città del Vaticano, BAV, Reg. Gr. 93 (Reg)61. A questi per l’Elena si aggiungono Paris, BnF, Par. Gr. 3024 (Paris); Città del Vaticano, BAV, Vat. Gr. 1392; Firenze, BML, Laur. Conv. Soppr. 83 e Paris, BnF, Par. Gr. 2991. Infine per l’Ad Demonicum, se da un lato il Par. Gr. 2991 segue un filone tradizionale differente, dall’altro al «gruppo guariniano» appartiene anche London, BL, Harl. 5660 (Harl), copia di Sozomeno da Pistoia62. Dal momento che tutti i codici citati, escluso Paris63, contengono anche il Nicocles, sarebbe interessante collazionare tali manoscritti per questo testo per verificare in primis se i rapporti di parentela tra i codici siano confermati anche per quest’opera e, in caso venissero dimostrati, si potrebbe provare a rintracciare all’interno di questo gruppo il manufatto su cui Guarino ha esemplato la sua traduzione. Verso una tale ricerca spingono anche alcune considerazioni di carattere cronologico: il copista che ha vergato Mon si è detto essere Cristoforo Trapezunzio, scriba attivo in Italia negli anni Trenta del XV secolo, dunque, se è corretto ricondurre Mut all’ambiente guariniano, si potrebbe verosimilmente collocare la copiatura di Canon e di Mon verso la fine degli anni Trenta. Siccome la traduzione del Nicocles risale agli inizi di tale decennio64, è forse possibile avanzare l’ipotesi che il modello usato da Guarino per la sua traduzione fosse lo stesso Mut o un altro codice ad esso in qualche modo legato. Inoltre, tra i codici appartenenti al «gruppo guariniano» si è citato, per l’Elena, anche il Laur. Conv. Soppr. 83, manoscritto appartenuto ad Antonio Corbinelli, sodale di Guarino, nonché suo ospite durante il soggiorno del Veronese a Firenze65 (1410–1414). Sulla base di considerazioni di ordine paleografico66, Antonio Rollo ipotizza che

61 Cf. Martinelli Tempesta (2007) 191–195 per la descrizione dei manoscritti e bibliografia relativa. 62 Cf. Menchelli (2019) 250–252. 63 In realtà, Drerup (ed. 1906) XXXI, segnala che il codice trasmette il Nicocles, ma, controllando sul sito https://gallica.bnf.fr/, dove è presente una versione digitalizzata del manoscritto, ho riscontrato l’assenza dell’orazione. 64 Cf. supra II.2.4. 65 Cf. supra 17. 66 Cf. Rollo (2004) 49 e Tav. I; per altri manoscritti della Badia fiorentina che Rollo attribuisce alla mano del Corbinelli cf. Rollo (2004) 49–52 e 68–69, a cui va aggiunto il codice New Haven, Yale University, Beinecke Library, ms. 240 (cf. Rollo (2004) 52); per osservazioni sulla grafia latina del Corbinelli, cf. Rollo (2004) 76–77.

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 Prolegomena

il Laurenziano sia stato copiato dallo stesso Corbinelli, prima del 1417–141867; ora, siccome la mano di Guarino è attestata in diversi codici corbinelliani68, potrebbe essere indizio di un uso, da parte dell’umanista veronese, dei manoscritti della biblioteca del suo ospite. Nell’ambito di una ricerca sull’esemplare greco adoperato da Guarino per la traduzione del Nicocles si potrebbe, dunque, controllare se tracce della sua mano siano presenti anche nel Laur. Conv. Soppr. 8369. Queste mie ipotesi si basano su ragionamenti indiziari che andrebbero sottoposti a verifica, pertanto il mio prossimo lavoro sarà collazionare i manoscritti «guariniani» greci nel tentativo di individuare l’antigrafo su cui il Veronese ha esemplato la sua traduzione, operazione che nella presente edizione del testo latino è stata momentaneamente tralasciata, poiché non essenziale. Tuttavia che il codice di Isocrate a disposizione dell’umanista appartenesse alla seconda famiglia sembra trovare conferma da un confronto tra la traduzione latina e il testo greco: in numerosi loci70, a cominciare dalla titolatura, la versione guariniana sembra corrispondere al testo tràdito dalla vulgata, in particolare a quello del ramo Λ71. Questo confronto, inoltre, suggerisce che il modello usato dall’umanista fosse contaminato sia con la famiglia di Γ sia con il gruppo dei codici umanistici della vulgata, il che confermerebbe la caratteristica del ramo tradizionale Λ a essere quello più soggetto a contaminazioni. Vero è che per una ricerca sui codici greci servirebbero ben altri strumenti rispetto a quelli offerti da un apparato critico, a cominciare da uno studio approfondito sui manoscritti greci di Guarino, che ad oggi tuttavia manca, così come per

67 Cf. Rollo (2004) 69–70. Per l’evoluzione della scrittura del Corbinelli cf. Rollo (2004) 81–85, in partic. 84–85, per le considerazioni sulla datazione del Laur. Conv. Soppr. 83. 68 Cf. Rollo (2004) 56–58; note autografe di Guarino sono rintracciabili anche in diversi manoscritti appartenuti a Francesco Barbaro (cf. Rollo (2005) 12–15; Filippozzi (2021) 175–176). Anche il codice Città del Vaticano, BAV, Vat. Pal. Gr. 116 sono presenti postille di mano di Guarino, sulle quali cf. Rollo (2019). Su questo argomento cf. anche infra 62 e n. 15 e 99 e n. 4. 69 È possibile forse mettere in relazione con Guarino anche il codice Cremona, Biblioteca Statale, Cremon. 160 (Crem), copia indiretta di Λ, vergato da Isidoro di Kiev e contente, tra le altre opere, anche le tre parenetiche. Frutto del lavoro di questo scriba sono anche due manufatti appartenuti a Guarino, Wolfenbüttel, Herzog August Bibliothek, Guelf. 86.7 e Firenze, BML, Laur. Conv. Soppr. 112 (cf. Bandini (1989) 275 n. 25, e 1995, 395; Rollo (2004) 55 e Tav. XVIII), contenenti rispettivamente Luciano e Senofonte e per i quali si è conservata anche la lettera, datata 1410, con cui Guarino chiedeva a Isidoro l’invio di tali copie (cf. Sabbadini (ed. 1916) 678–679, nr. 930 A). Rollo suggerisce, in analogia con questi manoscritti, che anche Crem sia stato commissionato al copista ucraino da Guarino, cf. Rollo (2005) 18. 70 Cf. infra Note di Commento, ad loc. e Appendice 2. 71 Ad un’analoga conclusione sembra si possa giungere anche per quanto riguarda la fonte greca di cui Guarino si servì per la traduzione della Laus Helenae, cf. Filippozzi (2021) 177–179.

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la maggior parte degli umanisti. Contributi di diversi studiosi72 hanno permesso di individuare ben pochi degli esemplari che dovevano costituire il vasto patrimonio codicologico dell’umanista e, tra i manoscritti identificati, solo il codice Wolfenbüttel, Herzog August Bibliothek, 90273 contiene Isocrate, ma solo le lettere, non le orazioni, quando invece dall’elenco di Omont emerge che Guarino possedeva ben quattro codici isocratei, una cifra eguagliata solo da Platone e Plutarco, a riprova della simpatia dell’umanista per quest’autore. Questo è chiaramente un grosso limite per una futura indagine sul modello usato da Guarino per la traduzione del Nicocles, tuttavia, per converso, un tale studio potrebbe contri­ buire ad arricchire l’esigua lista di codici identificati come manufatti appartenuti al Veronese. In conclusione, aggiungo alcune osservazioni sulla circolazione del testo isocrateo nel Quattrocento74: la seconda famiglia, specialmente il ramo Λ, mostra di essere la più diffusa nell’Umanesimo. Tutta la discendenza di Γ si colloca infatti tra la fine del XII sec. e l’inizio del XIV, probabilmente a Costantinopoli. Nel corso del XV sec., Γ e Θ giunsero in Italia, ma rimasero isolati; una maggior diffusione ebbero, invece, gli altri due rami della seconda famiglia: da una parte il gruppo dei codici umanistici, che circolò in contesti quali l’ambiente legato alla scuola di Vittorino da Feltre (Ν), e quello del bolognese Lianoro Lianori (S), dall’altra quello costituito dagli apografi di Λ. Quest’ultimo codice rimase a Costantinopoli, dove era stato trascritto nel 1063 dal notaio Teodoro, fino al suo arrivo in Italia, probabilmente nella biblioteca di Niccolò V; qui fu copiato, secondo la ricostruzione di Martinelli Tempesta, almeno sette volte75. I dati materiali e tradizionali, legati anche all’attività versoria, e lo studio delle traduzioni permettono di cogliere la diffusione della seconda famiglia nell’Umanesimo, specialmente della sottofamiglia di Λ, a scapito del gruppo dei codici umanistici. Il successo delle parenetiche tra i traduttori del Quattrocento ha generato un rinnovato interesse per raccolte contenenti i tre trattatelli, contribuendo alla diffusione e alla circolazione del testo greco. È interessante notare anche che una divulgazione delle tre esortazioni, o di due di esse aggregate o isolate, ha inizio solo in età umanistica, specularmente (e in dialogo con) quella delle loro versioni latine76.

72 Omont (1892), Diller (1961), Thompson (1976), Bandini (1995) e Rollo (20042); riferimenti sparsi ai codici guariniani si trovano anche in Rollo (2004), Rollo (2005), Rollo (2006) e Rollo (2019). Cf. anche Sabbadini (1896) 98–106, e Sabbadini (1905) 96–98. 73 Cf. Drerup (ed. 1906) XXXV; Diller (1961) 318. 74 Cf. Martinelli Tempesta (2007) 219–224. 75 Cf. Martinelli Tempesta (2007) 220. 76 Cf. supra 9; Menchelli (2019) 265–267.

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 Prolegomena

Testimoni principali della paradosi di Isocrate: La famiglia dell’Urbinate: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. Gr. 111 (Γ) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Gr. 936 (Δ) Milano, Biblioteca Ambrosiana, O 144 sup. (Ε) La seconda famiglia: Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Laur. plut. 87. 14 (Θ) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Gr. 65 (Λ) Paris, Bibliothèque Nationale de France, Par. Gr. 2932 (Π) Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Laur. plut. 58.5 (Ν) Salamanca, Biblioteca General Histórica, Salm. M 279 (S) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Gr. 1383 (Vat) Manoscritti appartenenti al cd. «gruppo guariniano»: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. Gr. 93 (Reg) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Gr. 1392 Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Laur. Conv. Soppr. 83 London, British Library, Harl. 5660 (Harl) Modena, Biblioteca Estense Universitaria, Mutin. gr. α P 6 12 (= Est. gr. 130) (Mut) München, Bayerische Staatsbibliothek, cgm 224 (Mon) Oxford, Bodleian Library, Canon. Gr. 87 (Canon) Paris, Bibliothèque Nationale de France, Par. Gr. 2991 Paris, Bibliothèque Nationale de France, Par. Gr. 3024 (Paris)

IV Recensio e Stemma Codicum IV.1 La tradizione manoscritta Passiamo ora ad analizzare la tradizione manoscritta della versione guariniana, per cui mancava fino a questo momento una recensio dei testimoni. Dunque, qui è presentato il censimento attualmente più completo e aggiornato del Nicocles, basato sull’Iter Italicum di P. Oskar Kristeller, sui cataloghi delle singole biblioteche e sui contributi esistenti. Relativamente a questi ultimi, un primo elenco, parziale, di cinque testimoni dell’opera si trova nel secondo volume dell’edizione monumentale dell’Epistolario guariniano curata da Remigio Sabbadini1: il testo della lettera di dedica che accompagna la traduzione, indirizzata a Leonello d’Este e seguito dall’Argumentum, è preceduto da un elenco dei codici che contengono tali scritti. Tra i manoscritti indicati da Sabbadini, quelli che riportano anche la traduzione sono: G Vat.1 Est.2 A M P R V Ber2. Riferimenti sparsi a manoscritti che riportano la traduzione guariniana del Nicocles si trovano in alcuni contributi di Lucia Gualdo Rosa3, che ha effettuato lo spoglio dei cataloghi dei manoscritti per il Catalogus Translationum et Commentariorum (CTC), rintracciando una ventina di manoscritti4. Ad oggi, tuttavia, non è ancora stato pubblicato il volume del CTC contenente Isocrate: i contributi della Gualdo Rosa, nessuno dei quali incentrato sul Nicocles di Guarino, aggiungono all’elenco del Sabbadini un solo nuovo testimone, Vat.5. Un altro manoscritto era stato segnalato da David Rundle nella sua tesi di dottorato5: si tratta del codice D, in cui la traduzione era stata erroneamente attribuita a Lapo da Castiglionchio, refuso corretto, appunto, da Rundle. Censimenti dei manoscritti recanti la versione di Guarino si trovano nella banca dati allestita dall’Edizione Nazionale delle Traduzioni dei testi greci in età umanistica e rinascimentale (ENTG)6, elenco che però, tra gli altri, riporta erroneamente il codice Città del Vaticano, BAV, Cappon. 3, il quale trasmette la

1 Sabbadini (ed. 1916) 258–260, nr. 675. In tale elenco, alcuni codici figurano con l’antica segnatura: Est.2= Est. XII I 7, A= C 3. 15 e Ber= G 7. 26. 2 Secondo la mia scelta delle sigle (cf. infra Tabella 1, Conspectus codicum). 3 Mi riferisco in particolare a Gualdo Rosa (1984) 34, in cui si trova anche la trascrizione dell’in­ cipit dell’opera secondo il Vat. Lat. 5117 (Vat.5); Gualdo Rosa (1973) 275–303, in cui si trova un elenco di testimoni della traduzione dell’A Nicocle di Lapo da Castiglionchio con riferimenti all’eventuale presenza di altre traduzioni isocratee (cf. in partic. Gualdo Rosa (1973) 296–297). 4 Cf. Gualdo Rosa (1984) 25 n. 27. 5 Rundle (1997); la tesi è inedita, ma se ne trova un estratto in rete. 6 L’elenco dei codici è reperibile al seguente link: http://www-3.unipv.it/entg/ric_trad_opera. php?cod=11652. https://doi.org/10.1515/9783110792867-004

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 Prolegomena

traduzione del Nicocles di Carlo Marsuppini e non di Guarino7, e nell’Archivio Digitale della Cultura Medievale Mirabile8. All’elenco di Sabbadini e a Vat.5 si aggiungono così i seguenti testimoni: C. 11 C Vat.3 B L N O e Z. A questa lista vanno poi aggiunti i seguenti manoscritti da me reperiti: Co T Est.1 S V1. La traduzione non fu mai pubblicata, pertanto è assente una tradizione a stampa. Dunque, la traduzione del Nicocles è conservata nei seguenti manoscritti9: Belluno, Biblioteca del Seminario Gregoriano, ms. 29 – G – C.11 Cambridge, Saint John’s College Library, C. 11 (61) Cambridge, University Library, LI.I.7 – C – Vat.3 Città del Vaticano, BAV, Vat. Lat. 303 – Vat.1 Città del Vaticano, BAV, Vat. Lat. 1778 – Vat.5 Città del Vaticano, BAV, Vat. Lat. 5117 – Co Como, Biblioteca Comunale, ms. 4.4.6 Dublin, Trinity College, ms. 438 – D London, BL, Royal 10.B.IX – B London, Lambeth Palace Library, ms. 341 – L Milano, BA, E 83 sup. – M – T Milano, Biblioteca Trivulziana, Triv. 642 – Est.1 Modena, BE, Lat. 20 (alfa F.2.52) – Est.2 Modena, BE, Lat.219 (alfa P.6.24) – N Nürnberg, Stadtbibliothek, Solg. 54 2˚ Oxford, BD, Auct. F.5.26 – O – P Paris, BnF, Bibliothèque de l’Arsenal, 1134 – A Roma, Biblioteca Angelica, ms. 234 – R Roma, Biblioteca Nazionale dei Lincei e Corsiniana, Corsin. 1832 43.E.4 – S Szombathlely, Egyházmegyei Könyvtár, ms. 8 – V Venezia, BNM, Lat. XIV 30 – Z Venezia, BNM, Lat. Z 501 – V1 Venezia, BNM, Lat. XI 26 – Ber Vicenza, Biblioteca civica Bertoliana, ms. 31

7 Il fraintendimento probabilmente è dovuto a un errore di attribuzione del testo che era stato ricondotto da Müllner a Guarino quando nel 1901 pubblicò il testo basandosi unicamente sul codice Capponiano, cf. Gualdo Rosa (1973) 275 e n. 9; in seguito Kaeppeli assegnò correttamente la paternità dell’opera a Marsuppini, cf. Kaeppeli (1951) 57–65. 8 L’elenco dei manoscritti è consultabile al seguente link: https://www.mirabileweb.it/title/ nicocles-title/182998. 9 Cf. anche infra Tabella 1, Conspectus codicum.

Recensio e Stemma Codicum 

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Nei manoscritti la versione di Guarino si trova in costellazioni variabili: certi codici riportano, oltre alla traduzione, anche l’epistola di dedica indirizzata a Leonello d’Este e l’Argumentum; altri manoscritti invece trasmettono solo la versione latina oppure la traduzione con la sola lettera dedicataria o con il solo Argumentum10. I seguenti testimoni tramandano, oltre alla traduzione, anche la lettera di dedica e l’Argumentum: – G – C.11 – Vat.1 – Vat.5 – B – L – M – T – Est.1 – Est.2 – N – P – A – R – S – V – Ber L’unico codice a tramandare insieme con la traduzione solo la lettera di dedica è: – C Tramandano solo l’Argumentum e la traduzione i seguenti testimoni: – Vat.3 – D Latori esclusivamente del testo della traduzione sono: – Co – Z – V1

10 Inoltre, tra i codici indicati dal Sabbadini, il codice Lucca, Biblioteca Governativa, ms. 2128 trasmette esclusivamente i due testi introduttivi, cf. Sabbadini (ed. 1916) 258; Del Prete (1877) ff. 137r-v.

58 

 Prolegomena

La tradizione consta quindi di almeno ventiquattro manoscritti, di cui diciassette trasmettono anche la lettera di dedica e l’Argumentum, uno la sola epistola a Leonello d’Este, due il solo proemio e i restanti tre unicamente la versione. Tali manoscritti sono conservati in biblioteche italiane ed estere e tra essi è possibile individuare un nucleo di cinque codici (C D B L e O) riconducibili per origine e provenienza all’area inglese. Alcuni di questi risultano legati anche da rapporti stemmatici, in particolare sembrano derivare da un codice appartenuto alla biblioteca del duca Humfrey di Gloucester (1391–1447), allievo di Guarino a Ferrara11. Dal punto di vista cronologico, tutti i testimoni si collocano nella seconda metà del XV secolo; i manoscritti più tardi sono T (1491–1510), Est.2 (1489–1550) e Z (XVI secolo). In tutti i manoscritti qui censiti ho collazionato integralmente il testo di Guarino, di alcuni su una riproduzione fotografica o digitale, mentre ho visionato autopticamente i codici Co Est.2 M e T. Tabella 1: Conspectus codicum  Sigla

 Città

 Biblioteca

 Segnatura

Prima Contiene*: citazione** Ep Ar Tr

α 

– 

– 

– 

– 

LIBELLUS DEPERDITUS LEONELLO DONO DATUS













G 

Belluno

Biblioteca Seminario Gregoriano

ms. 29

RS

• 

• 

• 

C.11

Cambridge

Saint John’s College Library

C.11 (61)

MIR

• 

• 

• 

C 

Cambridge

University Library

LI. I. 7

MIR

• 



• 

Vat.3

Città del Vaticano

BAV

Vat. Lat. 303

ENTG



• 

• 

Vat.1

Città del Vaticano

BAV

Vat. Lat. 1778

RS

• 

• 

• 

Vat.5

Città del Vaticano

BAV

Vat. Lat. 5117

LGR

• 

• 

• 

Co

Como

Biblioteca Comunale

4.4.6

AG





• 

D 

Dublin

Trinity College Library

438

DR



• 

• 

B 

London

BL

Royal 10.B.IX

MIR/ENTG

• 

• 

• 

11 Cf. infra Appendice 4 nrr. 3, 8, 9, 10 e 16.

 59

Recensio e Stemma Codicum 

 Sigla

 Città

 Biblioteca

 Segnatura

Prima Contiene*: citazione** Ep Ar Tr

L 

London

Lambeth Palace Library

341

MIR/ENTG

• 

• 

• 

M 

Milano

BA

E 83 sup.

RS

• 

• 

• 

T 

Milano

Biblioteca ­Trivulziana

Triv. 642

AG

• 

• 

• 

Est.1

Modena

BE

Lat. 20 (= alfa F.2.52)

AG

• 

• 

• 

Est.2

Modena

BE

Lat. 219 (= alfa P.6.24)

RS

• 

• 

• 

N 

Nümberg

Stadtbibliothek

Solg. 54 2°

MIR

• 

• 

• 

O 

Oxford

BD

Auct. F.5.26 (S.C. 3618)

MIR/ENTG

• 

• 

• 

P 

Paris

BnF. Bibliothèque de l’Arsenal

1134

RS

• 

• 

• 

A 

Roma

Biblioteca Angelica

234

RS

• 

• 

• 

R 

Roma

Biblioteca ­Nazionale Corsin. 1832 dei Lincei e ­Corsiniana 43.E.4

RS

• 

• 

• 

S 

Szombathlely

Egyházmegyei ­Könyvtár

8 

AG

• 

• 

• 

V 

Venezia

BNM

Lat. XIV 30 (4594)

RS

• 

• 

• 

Z 

Venezia

BNM

Lat. Z. 501 (1712)

MIR





• 

V1

Venezia

BNM

Lat. XI 26 (4428)

AG





• 

Ber

Vicenza

Biblioteca Civica ­Bertoliana

31

RS

• 

• 

• 

(*)       (**)    

LEGENDA: Ep Epistula praefatoria Ar Argumentum Tr «Nicocles» Latine translatus LEGENDA: MIR Archivio Digitale della Cultura Medievale Mirabile Edizione Nazionale delle Traduzioni dei testi greci in età umanistica e ENTG rinascimentale RS Remigio Sabbadini LGR Lucia Gualdo Rosa AG Alessia Grillone DR David Rundle

       

60 

 Prolegomena

IV.2 L’archetipo La sostanziale unitarietà del testo tràdito dai manoscritti e la mancanza di versioni parallele puntano a una tradizione chiusa, con ricostruzione di un capostipite comune, cosa rara per i testi di età medievale e umanistica12. Poi, nel testo sono riscontrabili tre lezioni corrotte in modo che non può essere attribuito a Guarino, il che rende necessaria la presenza di un archetipo rispetto all’originale. Nello specifico mi riferisco ai seguenti casi: Nic. 5, et: La maggior parte dei codici omette la congiunzione et mentre una minoranza la riporta; l’integrazione di est, non presente in nessun testimone, è la soluzione che permette di avere un testo accettabile dal punto di vista grammaticale e consente di giustificare la genesi dell’errore. L’omissione di est costituisce dunque un errore di archetipo (cf. Note di commento, ad loc.). Nic. 27, dictum…erit: La forma attestata da tutti i codici (meno D) è problematica dal punto di vista grammaticale e logico-semantico e non trova sostegno nel confronto con il testo greco; si tratta, pertanto, di un errore di archetipo (cf. Note di commento, ad loc.). Nic. 55, verum etiam et: La congiunzione et, tràdita da tutti i codici, è ridondante e non trova corrispondenza con il testo greco; considerazioni di ordine grammaticale e semantico e osservazioni sull’usus di Guarino inducono a considerare et un errore di dittografia dovuto al copista dell’archetipo (cf. Note di commento, ad loc.). L’esiguità di questi errori può essere spiegata immaginando che l’archetipo fosse molto vicino all’originale, e dunque fosse un prodotto riconducibile allo stesso ambiente (ossia la scuola guariniana) del testo di mano dell’autore, trascritto in un lasso di tempo di poco successivo ad esso (intorno al 1433)13 e verosimilmente licenziato a seguito della revisione di Guarino.

12 Tuttavia, per Guarino ciò si verifica anche almeno in un altro caso: si tratta della sua traduzione della Vita di Dione di Plutarco, i cui testimoni principali sembrano discendere da un unico capostipite (diverso, però, dalla copia inviata al Barbaro nel 1414). Su questo argomento cf. Pade (ed. 2013) 76–83. 13 Cf. supra II.2.4.

Recensio e Stemma Codicum 

 61

Sono poi presenti in tutta la tradizione manoscritta alcune incongruenze o durezze grammaticali che non possono essere considerate errori di copiatura e che quindi devono risalire a Guarino stesso. Esse sono state copiate nell’archetipo e naturalmente vanno conservate così come sono, essendo autoriali, a differenza dei tre casi precedenti. Di seguito riporto i solecismi in questione: Nic. 11, non quod illum excellere posse sperem: L’accusativo illum retto dall’infinito excellere è un’anomalia che si riscontra in tutta la tradizione manoscritta e che potrebbe risalire a Guarino (cf. Note di commento, ad loc.). Nic. 28, eos…obtinere: Tale infinitiva che è presente in tutta la tradizione manoscritta, ma non è ammissibile da un punto di vista grammaticale, può essere spiegata solo come un errore di traduzione (cf. Note di commento, ad loc.). Nic. 63, vestra suppeditetis officia: Il congiuntivo suppeditetis è scorretto dal punto di vista grammaticale e la sua presenza in tutti i manoscritti si spiega solo considerandolo un errore di traduzione (cf. Note di commento, ad loc.). Nic. 63, superiori tempore: La forma medievale superiori, deviante rispetto alla norma classica, sembra in realtà essere lezione d’autore, dunque già presente nell’archetipo (cf. Note di commento, ad loc.). A questi casi se ne può aggiungere almeno un altro che suggerisce l’idea di doppie lezioni nell’archetipo: Nic. 44, temperantiae atque iustitiae operam impendere institui: L’espressione impendere institui è tràdita dalla maggior parte dei codici, una minoranza invece reca dare statui e i manoscritti Co, V1, Est.1, P e G la lezione impendere statui, in cui convergono le due varianti principali che, pertanto, potevano già trovarsi nell’archetipo (cf. Note di commento, ad loc.). È bene sottolineare che il capostipite deve essere considerato distinto dall’esemplare perduto offerto a Leonello d’Este (α nella mia ricostruzione)14. Perciò non 14 È da escludere, infatti, che sia da identificare con uno dei manoscritti da me censiti, dal momento che questi sono tutti miscellanei, mentre è verosimile ipotizzare che il manufatto donato

62 

 Prolegomena

possiamo determinare né se α fosse una copia diretta dell’originale o dell’archetipo né se fosse stata vergata da Guarino stesso o da uno scriba professionista, dal momento che, oltre a non possedere α, ignoriamo anche l’habitus di Guarino in situazioni analoghe (offerta di proprie opere a personaggi potenti). Infatti, non abbiamo informazioni sulle abitudini di scrittura del Veronese, cioè se fosse solito dettare le proprie opere, farle copiare (da uno scriba o da un suo studente) o usasse scriverle personalmente (come avveniva per le epistole)15. In ogni caso, bisogna immaginare che α risalga a un’epoca pressocché coeva all’originale e all’archetipo, quindi intorno al 1433.

IV.3 Le principali famiglie di manoscritti IV.3.1 La famiglia β Dalla mia collazione sono emersi una serie di errori che permettono di individuare con sicurezza un raggruppamento di manoscritti, β, formato dai codici C.11 N B A R Vat.5 Est.2 M Ber. Di seguito fornisco l’elenco delle lezioni erronee congiuntive, da cui ricavo queste considerazioni. La prima lezione segnata è quella genuina, trasmessa da tutti i codici non citati: Nic. 3 convenit] conveniant β | § 8 eadem om. β | § 10 instruunt Vat.1 Vat.3 D O L C A1 V Z T S Co Est.1 P : instituunt C.11 N B A1c R Vat.5 Est.2 M Ber | § 11 iure] vere β | § 20 tenent] servant tenent β | § 35 in pecuniam] pecunia β | § 40 nullo ipsi om. β | § 47 arbitremini om. β | § 48 hac res] has res β | § 50 videamini] iudicamini β | § 52 sum] sim β | § 55 domos trahi] trahi domos β: trahi Z | § 57 didicerit] didicit β | § 58 ac] et β | § 61 de me] ad me β

a Leonello fosse di grande pregio (dal momento che in tutto il corso del Quattrocento offrire una traduzione rappresenta una pratica cortese che implicava «l’invio al dedicatario un manoscritto elegante e miniato, contenente il proprio lavoro», cf. Abbamonte (2014) 539), e contenesse solo la lettera di dedica, l’Argumentum e la traduzione (al più si può pensare che vi fosse inclusa anche la traduzione dell’Ad Nicoclem di Bernardo Giustiniani, cf. Ep. l. 35 e Arg. ll. 45–47). 15 Che il Veronese le scrivesse di suo pugno è provato dalle lettere autografe pervenuteci, cf. Sabbadini (ed. 1915), (ed. 1916) e Sabbadini (ed. 1919). Inoltre glosse marginali in manoscritti contenenti testi classici, greci e latini, e interventi di revisione su traduzioni proprie ed altrui sono stati identificati come di mano del Veronese; cf. supra 50, 52 e n. 68 e infra 99 n.4; Sabbadini (1896) 131; Rollo (2004) 55–58, Rollo (20042), Rollo (2005) 12–15, Rollo (2006), 97–104 e Rollo (2019); Pade (ed. 2013) 58, 76–77, 81–83, tavv. I–IV; Filippozzi (2021) 175–176.

Recensio e Stemma Codicum 

 63

Si aggiungano poi i seguenti errori, condivisi da questi codici con altri manoscritti: Nic. 1 habent] habeant β S V1 Est.1 P G | § 4 danda est] est danda β S Co V1 Est.1 P G | § 7 et] ac β V S P | § 10 eas om. β T S Co V1 Est.1 P G | § 12 iisque] usque Vat.3 β S Co V1 P G | § 35 pluries] plures β V | § 41 suo] suas β Z | § 47 edixero] dixero β S Co V1 Est.1 P G | § 49 adversum] adversus β Co V1 | § 58 hos] nos β S Co V1

Tali concordanze con altri manoscritti possono reputarsi casuali, frutto di errori poligenetici. Più probanti, invece, risultano essere per i codici C.11 N B A R Vat.5 Est.2 M Ber in quanto si sommano agli errori loro esclusivi. Inoltre, a questi riportati da tutti i manoscritti facenti parte di questo gruppo, si possono aggiungere i seguenti errori, trasmessi dalla maggior parte di essi: Nic. 3 cernentur] cernuntur C.11 N Vat.5 Est.2 M V S : cernitur A R : cernunt Ber | § 5 existit] existint Vat.5 V1 : existunt Vat.3 C.11 N B A R Est.2 M Ber | § 11 succenserem] succenseam C.11 N B R Vat.5 Est.2 M Ber : succensem A | § 17 conferentes] conficientes B A R Vat.5 Est.2 M Ber : consentientes C.11 N | § 33 in nos] in vos C.11 N A R Vat.5 Est.2 M Ber : in alios B | § 41 eos qui recte imperantis] consequi recte imperantis C.11 N A R Est.2 M Ber : sequi recte imperantis B : consequi recte impetrantis Vat.5 : eos qui imperantis recte Z | § 55 enitimini] enitemini C.11 A R Vat.5 Est.2 M Ber : evitemini N B | § 60 princeps] principes C.11 N B A R Vat.5 Est.2 M : principem Ber | liceat vobis] vobis liceat C.11 N A R Vat.5 Est.2 M Ber : nobis liceat B

Quindi il subarchetipo presentava una lezione erronea, attestata dalla maggior parte dei discendenti; uno, al massimo due codici, hanno ulteriormente innovato, sbagliando a loro volta. β si caratterizza come testimone di un testo molto più corrotto rispetto a quello trasmesso dagli altri manoscritti, in particolare da Vat.1 Vat.3 T Est.1 G. Degli altri testimoni (Vat.1 Vat.3 D O L C V Z T S Co Est.1 P G) è possibile individuare un solo altro raggruppamento consistente, cioè quello formato dai codici inglesi D O L C, come illustrerò nel paragrafo seguente.

IV.3.2 La famiglia γ I codici inglesi D O L C, come si è detto16, mostrano di essere affini, oltre che per la comune provenienza dall’area inglese, per origine e per contenuto17. La mia analisi ha portato a confermare questa tesi avanzata da Sammut e da Rundle,

16 Cf. supra IV.1. 17 Cf. infra Appendice 4 nrr. 7, 15, 9, 2.

64 

 Prolegomena

oltre che i risultati delle collazioni di Regini e Gualdo Rosa per i testi dell’Ad Nico­ clem e del Nicocles, tradotti da Lapo di Castiglionchio18: infatti, i codici D O L C dimostrano di discendere da un medesimo antigrafo, da me indicato come γ. Le varianti segnate con l’asterisco sono quelle relative alla porzione di testo non trasmessa da C a causa della perdita di un folio19: Nic. 3 modo] malo γ | § 7 de honestis om. γ | § 8 probabilitate] probitate γ | § 22 vi cogere] cogere vi γ | § 22 ceterisque] ceteris γ | § 22 plus om. γ | § 22 fecerint] fecerit γ | § 23 omnes om. γ | § 30 at quae] atque que γ | § 32 in regno] regno γ | § 36 ceperim] inceperim γ | § 37 perspexerit] perspexit γ | § 40 aequosque] equos D1 O L C : et equos Dc | § 47* modestiam] molestiam D O L | § 54 stabilissimamque om. γ | § 55 ut] et D O L | § 55 exercere om. γ | § 56 sese om. γ | § 59 sibi om. γ | § 60 profertis] prefertis γ | § 63 vosque] vos γ | § 64 haec licebit] licebit haec γ | § 64 licebit iter. γ

A questo elenco aggiungo, per completezza, le seguenti lezioni erronee condivise da γ con altri manoscritti: Nic. 7 alterum quae om. γ Co V1 | § 14 vivunt] vivant γ V T | § 21 dicendi om. Vat.1 γ | § 26 assereremus] asseremus γ A R Ber S Co | § 38 degendam] degendum γ V | § 39 magnum] et magnum γ Z T S Est.1 P G | § 50* ac] et D O L Ber Co

La natura poligenetica di tali errori induce a considerare tali concordanze come occasionali; tuttavia, queste lezioni, unite a quelle precedenti, corroborano l’ipotesi che essi costituiscano un unico gruppo.

IV.4 Rapporti all’interno della famiglia β IV.4.1 La sottofamiglia c La famiglia β non è unitaria, ma al suo interno è possibile individuare chiaramente un ulteriore sottogruppo, formato dai codici C.11 N B A R, i quali presentano numerosi errori congiuntivi, qui di seguito elencati:

18 Cf. Sammut (1980) 128; Rundle (1997) 352–353; Regini (2017) 52, 56 e 60–61; Gualdo Rosa (ed. 2018) 51 e 62 (stemma). 19 Cf. infra Appendice 4 nr 2.

Recensio e Stemma Codicum 

 65

IV.4.1.a Errori congiuntivi di C.11 N B A R Nic. 1 plura] plurima C.11 N B A R | § 3 ac] et C.11 N B A R | § 4 ipsos om. C.11 N B A R | § 9 mentis om. C.11 N B A R | § 11 orationem] rationem C.11 N B A R | § 13 iuste] vitae C.11 N B A R | § 13 tutatam] tutam C.11 N B A R | § 13 edicto] dicto C.11 N B A R | § 15 illos] eos C.11 N B A R | § 26 nisi~censeremus om. C.11 N B A R | § 28 annavigasset] antea (ante N1) navigasset C.11 N1c B A R | § 32 ac beatitudinem om. C.11 N B A R | § 33 quaquaversum] quaquaversus C.11 N B A R | § 34 abscindant] abscidant C.11 N B A R | § 35 manifesta om. C.11 N B A R | § 42 quidem genitorem] genitore quidem C.11 N B A R | § 43 provocabat] provocat C.11 N B A R | § 46 atque laetitiae esse] esse atque laetitiae C.11 N B A R | § 48 edictum om. C.11 N B A R | § 49 curam] cura C.11 N B A R | § 49 refrenate] infrenate C.11 N B A R | § 50 studium maius] studium magis C.11 N B A R | § 51 meas] eas C.11 N B A R | § 51 is] iis C.11 N B A R | § 52 pervenerint] pervenerit C.11 N B A R | § 58 reliquum] reliquos C.11 N B A R

A questi si aggiungano i seguenti casi di errori condivisi con altri codici: Nic. 9 oratione] rationem C.11 N B A R Ber | § 15 nequeat] nequeant D C.11 N B A R1c S Co V1 Est.1 P G : queant R1 | § 16 optarit] optaret Vat.1 Vat.3 C.11 N B A R | § 17 ad gerenda] et ad gerenda C.11 N B A R V | § 18 semper rebus] rebus semper C.11 N B A R V Co | § 49 adhibete] adhibere fort. Vat.11 L C.11 N B A R fort. Co1 | § 51 cognoritis] cognoveritis D C.11 N B A R | § 59 sint] sunt C.11 N B A R Ber Z | § 60 priorem om. C.11 N B A R Co V1

Da tutti questi dati emerge chiaramente l’esistenza di una sottofamiglia formata dai codici C.11 N B A R, i quali così dimostrano di discendere da un medesimo antigrafo, che verrà d’ora in poi chiamato c. IV.4.1.b Errori congiuntivi di Vat.5 Est.2 M Ber Per quanto riguarda invece i codici Vat.5 Est.2 M Ber, sono riscontrabili solo tre casi di concordanza in errore tra loro, ossia: Nic. 28 assumens] assumeris Vat.5 Est.2 M Ber | § 36 has adeo] adeo has Vat.5 Est.2 M Ber | § 48 edictum] dictum Vat.5 Est.2 M Ber

L’esiguità dei dati non permette di individuare, all’interno del ramo β, un ulteriore raggruppamento, distinto da c e formato da Vat.5 Est.2 M Ber. I loro errori verranno esaminati in seguito.

IV.4.2 Rapporti all’interno della sottofamiglia c Il sottogruppo c mostra di essere ulteriormente diviso al suo interno: da una parte si collocano i codici C.11 N B, apografi dello stesso manoscritto, da me chiamato

66 

 Prolegomena

j, e dall’altra A R, i quali discendono dal medesimo antigrafo, y secondo la mia ricostruzione. Prendendo in considerazione i manoscritti C.11 N B, gli errori congiuntivi che dimostrano un’origine comune sono i seguenti: IV.4.2.a Errori congiuntivi di C.11 N B20 Nic. 3 in his] in om. C.11 N B | § 10 omnes ego] omnes igitur ego C.11 N B | § 10 ac etiam atque etiam] ac etiam C.11 N B |§ 10 civilibus] cuiuslibet C.11 N B | § 10 populos] populo C.11 N B | § 10 perductas] perducta C.11 N B | § 11 alterum est om. C.11 N B | § 11 a vobis] audis C.11 N B | § 13 regiam] regina C.11 N B | § 13 fore] fere C.11 N B | § 15 deinceps] et post deinceps add. C.11 N B | § 16 annuos] animos C.11 N B | § 18 invideant] invide autem C.11 N B | § 37 nanciscantur] nanscistantur C.11 N B | § 39 continentiam ~ in muliebres om. C.11 N B | § 42 Evagoram] evago­ rem C.11 N B | § 42 Aeacidas] cacidas C.11 N B | § 45 uni quidem] unquam C.11 N B | § 50 quod] quos C.11 N B | § 51 praebuerit] praebuerat C.11 N B | § 52 quas] quae C.11 N B | § 52 celare] scelerare C.11 N B | § 53 et patrandorum om. C.11 N B | § 60 vos] suos C.11 N B | § 60 at] ac C.11 N B | § 62, obtemperarint] obtemperaverint C.11 N B

Gli errori invece sulla base dei quali è possibile affermare l’esistenza di un antigrafo comune per i codici romani A R sono i seguenti: IV.4.2.b Errori congiuntivi di A R21 Nic. 2 instruunt] instituunt A R | § 3 cernentur] cernitur A R | § 6 ferme om. A R | § 7 habitare nequaquam] nequaquam habitare A R | § 7 prius et om. A R | § 8 probabilitate] probabilitati A R | § 8 qui de] quidem A R | § 8 disserant] dexiderant A R | § 14 ut] si A R | § 17 magistratus] magistratibus A R1 (corr. Rc) | § 18 iisdem] iis de A R | § 24 gubernantur] gubernabantur A R | § 27 ipsis] is A R | § 30 causas] materias A R | § 30 in hisce virtutibus] huiusce virtutibus A R |

20 Per completezza segnalo anche i seguenti casi di concordanza in errore con altri codici; tali coincidenze devono però ritenersi fortuite, data la natura poligenetica degli errori: Nic. § 12 regiis] regis C.11 N B R | § 13 accedit quod] acceditque C.11 N B Ber | § 29 et om. C.11 N B R Est.2 M Ber Co | § 30 eandem] eadem C.11 N B A | § 33 nos] vos C.11 N B Ber | § 35 me om. D C.11 N B R | § 39 differrem] differre O L C C.11 N B A | § 50 afferet] afferret C.11 N B M P1 | § 53 hos] nos C.11 N B Co. 21 A beneficio di inventario, segnalo anche le seguenti lezioni condivise accidentalmente con altri manoscritti: Nic. 6, nostro] numero Vat.1 Vat.3 D O L C.11 N A R Vat.5 S | § 17 discutere] discurere A R V1 | § 18 antecellant] antecellat A R V1 | § 23 civitatum] civitatem B A R Ber V1 | § 24 quidem] quod N A R | § 24 auspiciis] hospiciis N1 A (-tiis) R | § 25 tractandis] tractandi B A R | § 26 assereremus] D O L C A R Ber S Co | § 29 quae] igitur quae O L C B A R M Ber V Z T Co V1 Est.1 P G | § 33 maxima] maximam L C A R | § 33 vobis] nobis D B A R S Co | § 36 attigerim] attingerim B A R | § 37 solere laudibus] laudibus solere D A R | § 43 quibus om. B A R | § 44 eodem in] eodem A R M | § 52 vos bonos] bonos vos A R Est.2 M.

Recensio e Stemma Codicum 

 67

§ 33 Graeciae] gratiae A R | § 36 exponere] exprimere A R | § 37 nanciscantur] naciscantur A R | § 37 exemplum om. A R | § 37 plebs] ples A R1 (corr. Rc) | § 37 deducere] ducere A R | § 38 degendam] agendam A R | § 42 legitimo] legitimos A R | § 43 esse ratus sum] ratus sum esse A R | § 45 in om. A R | § 47 plura verba feci] verba feci plura A R | § 52 celare] celerare A R | § 53 celaverint] celaverit A R | § 54 etiam] et A R | § 56 edictis] edificiis A R | § 58 sunt] sint A R | § 59 tali] talia A R | § 59 habeat] habeant A R | § 61 ne] non A R

IV.4.3 Rapporti all’interno della sottofamiglia j Tra i discendenti di j è possibile identificare due ulteriori raggruppamenti, nello specifico da un lato C.11 N e dall’altro B: si riscontrano, infatti, errori comuni ai soli C.11 N ed errori separativi di B. IV.4.3.a Errori congiuntivi di C.11 N22 Nic. 3 quoniam] quam C.11 N | § 5 molesti] modesti C.11 N | § 5 intelligant] intelligant nam C.11 N | § 11 his de] his om. C.11 N | § 12 quidem] qui C.11 N | § 16 dispicienda] discipienda C.11 N | § 17 conferentes] consentientes C.11 N | § 18 per quottidianas] qui quottidianas C.11 N | § 19 quidni] quid C.11 N | § 20 at] ac C.11 N | § 20 parem] patrem C.11 N | § 22 orbem] obrem C.11 N | § 26 ponendam] ponendum C.11 N | § 28 mutatio] miratio C.11 N | § 34 ut cum] ut B y : ut si C.11 N | § 35 neminem] neminem in C.11 N1c | § 35 atqui] atque C.11 N | § 35 quidem] quae C.11 N | § 36 qua ex re] quaere C.11 N | § 41 atqui] atque C.11 N | § 42 at] ac C.11 N | § 48 praefecti] perfecti C.11 N | § 49 decus om. C.11 N | § 49 censueritis] censueveritis | § 56 edictis] aeditis C.11 N | § 59 appellate] appellati C.11 N | § 59 et] etiam C.11 N | § 64 praestare] potestate C.11 N

Il codice B non condivide gli errori sopra elencati e in più presenta numerose lezioni erronee separative e alcune singolari, riportati qui di seguito: IV.4.3.b Errori separativi di B23 Nic. 1 gratia] gratiam B | § 1 ut] in B | § 2 et] etsi B | § 2 eamque] eaque ras. C.11 : est que N : et quae B | § 3 hac in] in om. B | § 4 in obvios om. B | § 5 nunc] non B | § 5 omne] esse B | § 5

22 A questi aggiungo per completezza anche i seguenti errori condivisi fortuitamente anche con altri manoscritti: Nic. 6, nostro] numero Vat.1 Vat.3 D O L C.11 N A R Vat.5 S | § 37 modo] non C.11 N Ber | § 50 afferet] afferret C.11 N B M Ber P1 (corr. P2). 23 Per completezza, segnalo anche i seguenti casi in cui B concorda con altri codici in maniera del tutto occasionale: Nic. 23 civitatum] civitatem B A R Ber | § 24 ducuntur] dicuntur N1 B | § 24 auspiciis] hospisciis N1 B A (-tiis) R | § 25 tractandis] tractandi B A R | § 29 quae] igitur quae O L C B A R M Ber V Z T Co V1 Est.1 P G | § 33 vobis] nobis D B A R S Co | § 34 ut cum] ut B A R | § 34 dedi­

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 Prolegomena

esse] ergo B | § 5 aliis] ab his B | § 6 etiam cum] etiam iter. B | § 6 incolendas] incolenda B | § 6 ferme] forme B | § 7 haec est om. B | § 7 vera] verba B | § 8 ignoratis] ignatis B | § 10 maximeque] maxime B | § 10 gerant] gerent B | § 10 esse] est B | § 11 non om. B | § 12 complectendus] com­ plectendis B | § 14 inter] in B | § 15 est] ex B | § 15 voluntas om. B | § 17 magistratus] magistratos B | § 17 est necesse] necesse est B | § 18 tametsi] tamque si B | § 18 qui om. B | § 18 mutuas] mutuos B | § 19 coacto] coacta B | § 19 in om. B | § 19 per opportune] poportune (sic) B | § 20 rem] re B | § 24 item] item late B | § 24 Lacaedemonii] demoneii B1 (-e- exp. B1c) | § 24 quidem] apud B | § 24 civitatem] civitate B | § 24 reportantem] reportante B | § 25 regis] reges B | § 26 referuntur] referunt B | § 26 conditionem] auditionem B | § 26 assereremus] asserimus B | § 27 dictum] dictis B | § 27 autem] ad B | § 27 firmior] firmor B | § 28 pater] pate B | § 29 maiorum meorum] meorum maiorum B | § 30 extitisse] extitissio (sic) B | § 33 intercluderetur] cluderetur B | § 33 in nos] in vos β : in alios B | § 33 vera] verba B | § 34 agrum] gratia aut grande B | § 34 sum] longe latiorem sum B | § 35 superioris] superiores B | § 35 invictos] invitos B | § 36 his om. B | § 36 effugi] effugiunt B | § 38 ad om. B | § 39 vendicant] vendicat B | § 40 vitae] vitae nostra B | § 41 eos qui recte imperantis] consequi recte imperantis β : sequi recte imperantis B : consequi recte impetrantis Vat.5 | § 41 subiectas] subiecto B | § 42 alterum ex om. B | § 42 relinquendos] relinquendes B | § 42 hac] has B | § 43 illud] illum B | § 43 esse om. B | § 44 nava­ rentur] fort. vinierarentur B | § 45 meo] meo .p. C.11 : meo tempo re publice N : me .p. B | § 45 pecuniariae] per pecuniariae B | deprehendere] deprehende B | § 47 ut] et B | § 47 superius] seperius B | § 47 vestra] nostra B | § 47 animis om. B | § 48 utra] utraque B | § 48 ve] ne B | § 49 vos esse] suos esse C.11 N : suos B | § 50 quid] qui B | § 51 quod] ex si B | § 52 occultandis] occultande B | § 52 complures om. B | § 52 obscure] obscura B | § 52 aperte] operte B | § 52 existimetis] exisitmete B | § 53 eos palam] palam eos B | § 53 efficite] facite B | § 53 celaverint] scelaverint B | § 54 conditione] condutione B | § 54 principatum om. B | § 56 edictis] ediditis B | § 56 vestros] vestris B | § 56 vocabuntur] fort. notabuntur B | § 59 non] nos B | § 60 iis om. B | § 60 liceat vobis] vobis liceat β : nobis liceat B | § 62 in colenda] incoleada (sic) B | § 63 prius vobis] nobis B | § 63 alterum vobis] nobis B | § 63 vosque] vos et B | § 63 cernetis] cerretis (sic) B | § 64 absolvere] obsolvere B

Il codice B, dunque, costituisce all’interno di j un ramo separato da quello rappresentato da C.11 N, tra cui si è visto esserci un rapporto più stretto. Dato poi l’elevato numero di errori, è forse possibile affermare anche che B sia portatore di un’edizione meno curata del testo di j. IV.4.3.1 Rapporti tra C.11 N I due codici sembrano essere legati tra loro da un rapporto di filiazione: N, infatti, mostra di essere l’apografo di C.11 in quanto ne condivide tutti gli errori e ne presenta alcuni suoi propri. Di seguito riporto i dati che mi permettono di giungere a tali conclusioni: gnatus] dignatus B Vat.5 | § 36 attigerim] attingerim B A R | § 37 ab] ad B A | § 42 omnibus esse] esse omnibus B A | § 43 quibus om. B A R| § 48 sese partes] partes sese B Co | § 55 enitimini] enitemini β : evitemini N B | § 55 dari] dare O L C B Z | § 60 profertis] proferitis B A M.

Recensio e Stemma Codicum 

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IV.4.3.1.a Errori separativi di N24 Nic. 2 eamque] eaque ras. C.11 : est que N : et quae B | § 5 inferiores] inferioresque N | § 6 etiam cum] et N | § 6 coetum] cetum N | § 11 vos] nos N | § 11 velim] velis N | § 11 fuerit] fuint (sic) N | § 12 hac] ac N | § 12 in eo colendo] meo colendo N | § 16 sint ingenia] ingenia sunt N25 | § 18 esse iter. N | § 22 vendicat om. N | § 23 ab imminentibus] ob imminentibus N | § 32 quidem] que C.11 : quae N | § 33 quidem] que C.11 : quae N | § 36 his etiam] etiam iis N | § 41 faciant] faciat N | § 42 utroque] uterque N | § 42 auctorem] auctore N | § 42 hac] hae N | § 45 omni tempore meo] omni meo tempo re publice N26 | § 46 quod] quae N | § 54 regio] regno N

Sul testo di N sono ricavabili due interventi ad opera di una seconda mano27: Nic. 24 ducuntur] dicuntur N1 (in marg. corr. N2), errore condiviso anche da B, e Nic. 24 auspiciis] hospiciis N1 (in marg. emend. in auspitiio N2), errore condiviso anche da B A R. Tali correzioni indicano come N non avesse a disposizione una copia incorrotta del testo guariniano da usare come modello: infatti, dicuntur era un errore facile da emendare (e da commettere, il che spiega la sua presenza anche in B) e la congettura auspitiio non restituisce la vera lectio. IV.4.3.1.b Errori separativi di C.11 Nic. 2 eamque] eaque ras. C.11 | § 18 tametsi] etsi C.11 | § 24 dimicantem] dimicantes ras. C.11 | § 32 quidem] que C.11 | § 33 quidem] que C.11

La presenza di lezioni separative di C.11 potrebbe sembrare in contraddizione con la mia tesi, tuttavia a non essere condiviso da N con C.11 è solo un errore, ripetuto due volte: mi riferisco ai due casi (§§ 32 e 33) in cui al posto di quidem C.11 legge que ed N quae. Altre lezioni di C.11, poi, sono frutto di correzioni (§§ 2 e 24), il che potrebbe suggerire che N sia stato copiato dopo l’effettuazione di tali interventi. Tuttavia, nulla impedisce di pensare che N sia intervenuto per correggere gli errori del suo antigrafo, con esito felice per il caso di dimicantes, sfortunato invece in quello di eaque. Infine, N differisce dal suo antigrafo anche al § 18, dove al posto di etsi N legge tametsi, come il resto della tradizione manoscritta; tale discrepanza è possibile attribuirla a un «errore» di copiatura di N, che scrive una parola di

24 Per completezza riporto anche i casi accidentali di concordanza con altri codici: Nic. 15 quod] qui N B | § 24 ducuntur] dicuntur N1 (in marg. corr. N2) B | § 24 auspiciis] hospiciis N1 (corr. N2) B A (-tiis) R | § 55 enitimini] evitemini N B. 25 N concorda con gli altri codici della famiglia β nel riportare la lezione sunt, ma con un’inversione dell’ordo verborum maggiormente attestato (cf. app., ad loc.). 26 La lezione re publice è riconducibile alla facies di C.11 (cf. infra IV.4.3.1.b). 27 Cf. infra Appendice 4 nr. 15.

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 Prolegomena

significato analogo magari a lui più familiare. Inoltre, a sostegno dell’esistenza di un rapporto di filiazione, concorre la variante § 45 meo] meo .p. C.11 B : meo tempo re publice N, dove la lezione del codice di Norimberga è chiaramente derivata da un tentativo di scioglimento dell’abbreviazione presente nel suo modello (il quale, a sua volta, doveva trovarla già nel suo antigrafo, j, come indica la presenza anche in B).

IV.4.4 Rapporti all’interno della sottofamiglia y I due codici romani, A ed R, dimostrano di essere codici gemelli, dal momento che, oltre agli errori congiuntivi (cf. supra IV.4.2.b), presentano anche errori separativi, qui di seguito riportati: IV.4.4.1 Errori separativi di A28 Nic. 2 plurima] plurimas A | § 2 ad usus] audus A | § 4 ipsas] ipsa A | § 6 velimus] volumus A | § 6 varias] varȋs A | § 6 reperta] reparata A | § 8 persuademus~consultando om. A | § 10 paululum] paulum A | § 10 mihique] nihilque A | § 11 succenseam] succensem A | § 13 accedit quod] accidit quod A | § 17 antecellant] antecellat A | § 21 agnoverint] agnovent A | § 26 ea] eas ea A | § 28 nostrae] nostere A | § 28 nequaquam] nequamquam A | § 29 ego sane om. A | § 30 etiam] et A | § 31 regni] igitur A | § 31 naturam] nam A | § 33 differrent] fort. disferrent A | § 34 absum] obsum A | § 36 etiam] esse A | § 39 quidem] quid A | § 40 observantia] observantiam A | § 42 prius quosdam] quodam A | § 46 haberetur] heberetur A | § 55 eorum] orum A | § 64 suscipienda] suscipenda A

IV.4.4.2 Errori separativi di R29 Nic. 3 ullis] illis R | § 6 velimus] volimus R | § 6 unum in] in donum R | § 6 reperta] reparato R | § 9 reperiemus] reperimus R | § 10 cerno] cernes R | § 18 ac] atque R | § 19 multam] mutuam R | § 21 utuntur om. R | § 22 earumque] earum R | § 25 alterum et] que R | § 28 pater] patet R | § 34

28 Per completezza, segnalo anche i casi accidentali di concordanza con altri codici: Nic. 30 eandem] eadem C.11 N B A | § 33 aditus] additus A Z | § 39 differrem] differre O L C C.11 N B A | § 42 omnibus esse] esse omnibus B A | § 60 profertis] proferitis B A M | § 60 obtemperarint] obtem­ perarit A Z. 29 A beneficio di inventario, riporto anche i casi fortuiti di concordanza con altri codici: Nic. 12 regiis] regis C.11 N B R | § 18 saltem] saltim R Co | § 29 et om. C.11 N B R Est.2 M Ber Co V1 | § 33 vobis] nobis D R | § 33 differrent] different R V1 | § 35 me om. D C.11 N B R | § 48 totum] in totum R M | § 49 nacti] nati Vat.1 R Z | § 49 vos esse] suos esse C.11 N R | § 58 habebant] habeant R M | § 62 adhibete] adhibite fort. Vat.11 D R M.

Recensio e Stemma Codicum 

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tametsi] timet si R | § 36 mea] in ea R | § 38 continentiorem] continentiores R | § 42 filios] felios R | § 45 aetate] aetatem R | § 46 quod] quidem R | § 46 hac om. R | § 49 conscii] consotii R | § 53 extiterint] extiterit R | § 60 qualia~profertis R | § 63 propagari] propagare R

La presenza in R di errori separativi e di omissioni assenti in A e viceversa permette di escludere che tra i codici ci sia un rapporto di filiazione. A questo proposito può essere interessante notare come in due casi sbaglino sia A sia R, seppur in modo diverso, il che potrebbe essere indice di un guasto nel loro antigrafo, y, o di una difficoltà di lettura: mi riferisco a § 6 velimus, che in A diventa volumus e in R volimus, e a § 6 reperta, letto da A come reparata e da R come reparato. Inoltre, i due manoscritti mostrano di discendere dal medesimo esemplare anche per il fatto che riportano le stesse inscriptio e subscriptio.

IV.4.5 Rapporti tra i codici Vat.5 Est.2 M Ber In precedenza ho dimostrato come questi quattro codici non costituissero insieme, all’interno del ramo β, un gruppo distinto da c; avevo perciò ipotizzato che tutti fossero discendenti diretti di β. Dall’analisi degli errori emerge che Vat.5 non mostra di essere legato in modo più stretto ad uno o più dei manoscritti estranei alla sottofamiglia c; infatti, si riscontrano solo i seguenti casi di concordanza esclusiva con due di essi e gli abbinamenti non sono costanti: Nic. 29 verum et per] per om. Vat.5 Est.2 M | § 51 sese] se Vat.5 M Ber. In più, Vat.5 presenta una serie di errori propri, riportati qui di seguito, che dimostrano la sua indipendenza rispetto a Est.2 M e Ber. Dunque, si può affermare che effettivamente Vat.5 è un apografo diretto di β. IV.4.5.1 Errori separativi di Vat.530 Nic. 2 plurima] plura Vat.5 | §  8 illos] eos Vat.5 | §  12 presentem civitatis statum] civitatis statum presentem Vat.5 | § 13 edicto] edito Vat.5 | § 21 praeditos] predictos Vat.5 | § 24 Laca­ edemonii] Lacedemonia Vat.5 | § 29 brevibus] brevius Vat.5 | § 36 ex] in Vat.5 | § 38 quanto

30 A beneficio d’inventario riporto anche i seguenti casi di concordanza occasionale con altri ­codici: Nic. 1 accusationibus] actionibus Vat.1 Vat.5 | §  5 existit] existint Vat.5 V1 | §  6 nostro] ­numero Vat.1 Vat.3 D O L C.11 N A R Vat.5 S | § 12 maxime] maxima Vat.5 V | § 21 ad aliena] aliena Vat.1 Vat.5 T | § 23 oras] horas L Vat.5 | § 31 invitos] invictos Vat.1 Vat.5 V | § 34 dedignatus] dignatus B Vat.5 | § 39 et om. Vat.5 T | § 56 exercete] exercere D Vat.5 Est.2 Ber | vestras] vestra Vat.1 Vat.3 Vat.5 V S.

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 Prolegomena

et] quantoque Vat.5 | § 41 eos qui recti imperantis] consequi recte imperantis β : sequi recte imperantis B : consequi recte impetrantis Vat.5 | § 41 ac] atque Vat.5 | § 56 edictis] editis Vat.5

IV.4.5.2 Errori congiuntivi di Est.2 M Ber31 Per quanto riguarda i codici Est.2 M e Ber sono riscontrabili solo due casi di concordanza esclusiva tra di loro, troppo pochi per poter postulare l’esistenza di un antigrafo comune: Nic. 9 cogitationum] cognitionum Est.2 M Ber | §  16 optarit] optari Est.2 M Ber. Il codice vicentino, inoltre, presenta una serie di errori suoi propri, riportati qui di seguito, in base ai quali ho potuto ricostruire una discendenza da β autonoma rispetto agli altri due manoscritti. IV.4.5.3 Errori separativi di Ber32 Nic. 1 ducuntur] indicuntur Ber | § 2 singulari] singuli Ber | rerum genera] genera rerum Ber | quispiam sibi] sibi quispiam Ber | minime iustos] iustos minime Ber | § 3 sententia] scientia Ber1 (corr. fort. alia manus) | divitias] divinitas Ber | cernentur] cernunt Ber | § 4 qui] quis Ber | inflixerint] inflixerit Ber | omnino res] omnio res Ber | inferiores] inferiore Ber | § 6 inter nos om. Ber | comparata] comperatae Ber | § 7 nobis] vobis Ber | vera legitima] vera et leg. Ber | § 9 obtrectare] detrectare Ber | § 10 paululum] pabulum Ber | gradum] gaudium Ber | § 11 illum] illud Ber | § 13 qui] quae Ber | ingentis] ingenti Ber | § 14 praemio] sermone Ber | iudicentur] indicentur Ber | inter om. Ber | § 15 portiones] protiones Ber | § 16 non om. Ber | occultari] excultari Ber | ingenium habeat] habeat ing. Ber | § 17 ut] uut Ber | tamen est] est tamen Ber | monarchiae] monorchiae Ber | § 18 verum om. Ber | insistunt] instituunt Ber | § 19 coacto] eo acto Ber | senatu] senatum Ber | noctesque] noctes Ber | § 20 graves inter se] graves inte (sic) si Ber | § 21 ac] et Ber | quos] quo Ber | § 22 in iis om. Ber | contingit] contingerit Ber | usquequaque] usu quae quaque (sic) Ber | vi cogere] cogere Ber | § 23 regale] regales Ber | singulari] singuli Ber | § 25 potest regiam] regiam potest Ber | odere] oderem Ber | § 26

31 Per completezza, segnalo anche i seguenti casi di concordanza fortuita con altri codici: Nic. 17 discutere] discurrere Est.2 M Ber Co | § 29 et om. C.11 N B R Est.2 M Ber Co V1 | § 56 sitis] scitis Est.2 M Ber V1 | § 60 vos bonos] bonos vos A R Est.2 M Ber. 32 A beneficio di inventario riporto anche i casi di coincidenza occasionale in errore con altri codici: Nic. 9 oratione] ratione C.11 N B A R Ber | § 13 accredit quod] acceditque C.11N B Ber | § 14 ac] et Vat.3 Ber | § 17 discutere] discurrere Est.2 M Ber Co | § 18 incuriam] iniuriam Ber V | § 23 civitatum] civitatem B A R Ber V1 | § 26 assereremus] asseremus γ A R Ber S Co (corr. Co2) | § 27 civitatibus] civitatibus O L C P Ber | § 28 imperitent] imperirent Ber Co1 (-ri- exp. Co2) V1 | § 29 quae] igitur quae O L C B A R M Ber V Z T Co V1 Est.1 P G | § 29 et om. C.11 N B R Est.2 M Ber Co V1 | § 30 nobis] vobis L Ber | § 33 nos] vos C.11 N B Ber | § 36 prius tum] cum fort. Ber S Co V1 | § 37 modo] non C.11 N Ber | § 44 eodem in] eodem A R M Ber | § 45 temperatiorem] temperantiorem P Ber | § 50 afferet] afferret C.11 N B M Ber P1 (corr. P2) | § 51 sese] se Vat.5 M Ber | § 55 clementia] dementia Ber S | § 56 exercete] exercere D Vat.5 Est.2 Ber | § 59 sint] sunt C.11 N B A R Ber Z | § 60 vos bonos] bonos vos A R Est.2 M Ber.

Recensio e Stemma Codicum 

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regem esse] regem Ber | sin] si Ber | ponendam esse] esse pon. Ber | § 27 dictum de ipsis] de ipsis dictum Ber | § 28 annavigasset] annavigassent Ber | e regno] in regno Ber | tollerans] lolerans (sic) Ber | § 29 verum et per] iterum et Ber | § 30 ipsis] ipsius Ber | scrutari] servare Ber | fuerint] fuerunt Ber | at quae cum] atque rerum Ber | § 31 argento regiam] arg. regia Ber | omnia] omniaque Ber | naturam] natura Ber | § 32 denique] denique post generis Ber | in regno] ingenio Ber | § 33 crimina om. Ber | incolunt om. Ber | benevolus] beniolus (sic) Ber | simultatem] similitudinem Ber | § 34 huic] hui Ber | reliqui] reliques Ber | sponte mihi] sporte mihi Ber | longe] loge Ber | § 35 superioris] superiori Ber | posse om. Ber | § 36 corpus] cor Ber | § 37 imperitam] imperita Ber | § 39 muliebres] in rebus Ber | § 40 secum om. Ber | facientes] facientem Ber | § 42 femina] familia Ber | Evagoram] evagoras Ber | § 43 incitabar] incidebat Ber | mediocriter] mediocrite Ber | § 45 alterum meo om. Ber | § 47 modestiam] momodestiam Ber | esse om. Ber | est om. Ber | § 48 totum] intotum Ber | § 52 verum] utrum Ber | et] aut Ber | § 53 si] sin Ber | prius esse om. Ber | sed] si Ber | alterum esse om. Ber | § 54 a turpitudine vos] vos a turp. Ber | § 55 principum] principis Ber | § 56 tutelam] tullam (sic) Ber | § 57 esse om. Ber | § 58 existimate] existimare Ber | fedifragi] fidi frangi Ber | § 59 virtute] ex virtute Ber | § 60 princeps] principem Ber | voluerit] valuerit Ber | in illos] in illo Ber | certate] aetate Ber | et me] me Ber | § 63 mature] naturae Ber | § 64 est aerumna] aerumna est Ber

IV.4.5.4 Errori congiuntivi di Est.2 M Per quanto riguarda i codici Est.2 ed M vi è un unico caso di concordanza esclusiva in errore: Nic. 21 ut om. Est.2 M; tuttavia, si può notare come in corrispondenza di tutti gli errori segnalati precedentemente33 i due codici concordino costantemente nella lezione, il che suggerisce un legame più stretto. Inoltre, come si vedrà nel paragrafo successivo, M, oltre a condividere tutti gli errori dell’Estense34, ne presenta suoi propri. Sono portata quindi a ricostruire, seppur con qualche esitazione, un rapporto di filiazione tra i due codici. Non sono riscontrabili errori singolari di Est.2, eccezion fatta per § 50 quod] fort. quid Est.2, segno dell’affidabilità di questo testimone in virtù una maggiore aderenza al testo di β. IV.4.5.5 Errori separativi di M35 Il codice M, invece, come si è detto, presenta, in aggiunta a tutti quelli dell’Estense, i seguenti errori singolari:

33 Cf. supra IV.3.1, IV.4.5 e IV.4.5.2. 34 I due codici inoltre condividono anche la stessa inscriptio (cf. app., ad loc.). 35 Aggiungo per completezza i seguenti errori poligenetici condivisi da M con altri codici: Nic. 21 in C Vat.5 Est.2 Ber V Z T S Co V1 Est.11c (add. s.  l.) P G : om. rell. | § 29 quae] igitur quae O L C V Z T A R M Ber Co V1 Est.1 P G | § 44 eodem in] eodem A R M Ber | § 48 totum] in totum R M | § 50 afferet] afferret C.11 N B M Ber P1 | § 51 sese] se Vat.5 M Ber | § 58 habebant] habeant R M

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 Prolegomena

Nic. 3 ad usus] ad usos M | § 6 cum vero] enimvero M | § 6 unum~convenerimus om. M | § 6 numero] nostra M, errore derivato dalla lezione nostro tràdita da Est.2 | § 6 facultate] facul­ tata M | § 7 simul om. M | § 8 dicendo] discendo M | § 9 ac studiosis om. M | § 11 percurrere om. M | § 11 his de] de his M | § 13 successione possessam] possessam (ex possessione corr. M1c) successione M | § 13 plana] plane M | § 14 incipiam] instituam M | § 14 iustissimum] fort. tutissi­ mum M | § 16 publice om. M | § 17 contemplari] contemplar M | § 18 fieri om. M | § 22 vendicat] vendicant M | § 25 imperatorem] imperatore M | § 33 exercerent] exerceant M | § 33 illis] iis M | § 33 alienorum] aliorum M | § 33 sponte om. M | § 35 me] de me M | § 39 tenere] habere M | § 42 originem] progeniem M1 (in marg. originem scrip. fort. alia manus) | § 43 incitabar] exer­ citabar M | § 44 potestate] tempestate M | § 44 tollerantiam] temperantiam vel tollerantiam M | § 45 fecisse] fuisse M | § 45 plurimos] pluribus M | § 48 ut] et M | § 50 pericula] periculum M | § 50 lucrum] lucrum quidem M | § 52 occultandis] occultandas M | § 55 vestra in] in vestra M | § 55 virtute] civitate M1 (in marg. virtute fort. scrip. alia manus ) | § 56 libertati] civitati M | § 56 oportet] oportere M | § 57 permorandum] commorandum M | § 59 conferri] conferre M | § 61 verbo] verbis M | § 62 et] at M | § 62 ignari] ignori M | § 64 subeunda] obeunda M

IV.4.6 Lo stemma della famiglia β Partendo dai risultati della collazione, è possibile tracciare uno stemma tripartito per la famiglia β. Da questo subarchetipo discendono gli apografi c, Vat.5 Est.2 e Ber. All’interno della sottofamiglia c, è possibile identificare due ulteriori raggruppamenti, l’uno costituito da C.11 N B, e l’altro da A R, aventi rispettivamente come capostipiti j e y, entrambi apografi di c. Sul codice j sono stati esemplati C.11 e B, N invece discende da j indirettamente, essendo stato copiato dal Cantabrigense. I codici romani A R, invece, sono gemelli, entrambi derivati per via diretta da y. Infine, da Est.2, forse, deriva M. Dunque, lo stemma della famiglia β risulta essere quello di Figura 1.

| § 60 profertis] proferitis N1 A M | § 62 adhibete] adhibite fort. Vat.11 D R M | § 62 obtemperarint] obtemperarunt M Co.

Recensio e Stemma Codicum 

Figura 1: Stemma β

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76 

 Prolegomena

IV.5 Rapporti all’interno della famiglia γ IV.5.1 La sottofamiglia x La famiglia γ al suo interno non è unitaria, ma è possibile individuare due ulteriori raggruppamenti: da una parte il codice D, discendente diretto di γ, e dall’altra i codici O L C, i quali deriverebbero da γ mediante un codex interpositus, da me denominato x36. Dei due sottogruppi (D e x) quello che presenta un testo meno inquinato è x, mentre D è guastato da numerosi errori ed è soggetto anche ad alcune interpolazioni, come ad esempio Nic. 40, dove in luogo di uxores autem eo maiore observantia prosequendae erant legge uxores autem eo maiore observanda cura prosequendae erant. Inoltre, D è caratterizzato dal presentare molti interventi correttivi37, non sempre felici, ad opera di forse due mani diverse, D2 che corregge con un inchiostro rosso e D3. In particolare, alcune espunzioni sono state fatte con un inchiostro rosso, ma non è chiaro se si tratti effettivamente di una mano diversa rispetto a quella principale; tuttavia, per distinguerla l’ho indicata come D2. Sempre in inchiostro rosso sono state fatte anche diverse sottolineature lungo i margini e al f. 25r sono stati vergati i commenti laus eloquentiae e quid bonus oratio. Non c’è più traccia di D2 dopo il f. 34v. L’altra mano (D3) è autrice di diversi interventi ope ingenii, che però inquinano il testo guariniano, e probabilmente dei segni di attenzione apposti nei margini. D3 non è così facilmente distinguibile rispetto a D1 (perciò alcune correzioni risultano di mano incerta Dc), poiché entrambe adoperano un inchiostro nero e la loro grafia è simile; tuttavia, D3 si differenzia per uno spessore minore del tratto e per la grafia diversa di alcune lettere (b, d). È possibile individuare alcuni casi in cui sia D sia x sbagliano, ma in modo diverso, il che potrebbe far pensare che il testo di γ in quei punti non era perspicuo. Mi riferisco nello specifico a Nic. 16 nella frase non eius rei publicae partem sibi obvenire magis optarit è aggiunto da x il verbo est davanti al pronome eius, mentre D lascia uno spazio in bianco dopo la forma pronominale; § 27, la lezione genuina civitatis è presente in D al plurale civitatum ed è frutto di una correzione, forse da un precedente civitatibus, tràdito da x; § 34 al posto di absum x riporta abusum, che probabilmente era anche la lezione di D prima che essa venisse corretta (infelicemente) in fugio; infine, § 44 la vera lectio navarentur diventa ava­ rentur in D (ma dopo l’intervento correttivo di un’altra mano) e vanarentur in x 36 La mia classificazione trova un riscontro, come si detto (cf. supra IV.3.2), anche con i risultati delle analisi di Regini e Gualdo Rosa, le quali sono pervenute ad un’analoga ricostruzione dei rapporti stemmatici per le traduzioni di Lapo da Castiglionchio dell’Ad Nicoclem e del Nicocles, confermando così le ipotesi di Sammut e Rundle. 37 Cf. infra Appendice 4 nr. 8.

Recensio e Stemma Codicum 

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(qui rappresentato solo da O L, in quanto C è privo di parte del testo a causa della perdita di un folio, cf. infra Appendice 4 nr. 3). Di seguito riporto gli errori separativi tra D e O L C: IV.5.1.a Errori separativi di D38 Nic. 1 tenentur] fort. teneri D | § 1 graves] contranes D | § 1 modi om. D | § 1 quidem om. D | § 3 hac in] in hac D | § 3 alia om. D1 (in marg. add. Dc) | § 4 inflixerint] inflixerunt D | § 7 alterum et om. D1 (s.  l. ac add. Dc) | § 7 simul] sit D | § 13 accedit quod] accedit autem quod D | § 15 plura] post nequeant D | § 15 at] attamen D | § 15 quod] quo D | § 16 si] ac si D | § 16 eius] spatium post eius rel. D1 et del. D2 | § 17 necesse] esse necesse D1 (esse exp. D2 ) | § 18 fas om. D1 (add. Dc) | § 19 designatum habeant] habeant designatum D | § 19 versentur] serventur D1 (exp. D2) | § 23 Siciliae] Sicilia D | § 23 civitatum] fort. civitatis D | § 24 domi] fort. pro domi D | § 27 civitatis] civi­ tat#um D | § 27 et brevior et firmior] et brevis et firmiorum D | § 28 Salaminiis] Salamin#em D | § 30 magnas] in magnas D | § 31 vacuam] cistam D | § 31 argento regiam] regiam argento D | § 33 quaqua~pateretis] non liquet D1 : ob es alienum ubique eramus ras. D3 | § 34 absum] non liquet D1 : fugio ras. D3 | § 35 temporis] regis temporis D1 (regis exp. D2) | § 35 qui om. D | § 35 se om. D (s.  l. add. Dc) | § 36 possum] fort. possim D | § 36 iracundia] iracundiam D | § 36 facere] fort. facero D | § 40 maerore] merrore post correctionem D1c | § 40 observantia] observanda D (cura post observanda in marg. add. D1c) | § 43 reliquis] rebus reliquis D | § 44 navarentur] avarentur Dc | § 44 eodem in] in eodem D | § 45 angustia] firmum post angustia s.  l. add. D | § 47 supe­ rius] fort. superuis D | § 50 quaerendae] querendi D | § 50 pecunia om. D | § 53 si] sed D | § 55 imperium] duce post imperium s.  l. add. D | § 55 spem om. D1 (in marg. add. Dc) | § 57 actiones] actionem D | § 57 regio om. D | § 57 malignitati] malignati D | § 59 qui nullius] nullos qui D | § 60 tenere locum] locum tenere D | § 60 vos om. D | § 60 stimulet] stimuletis D | § 62 licebit] licebat D | § 63 superiori] superiore D | § 63 suppeditetis] suppeditis D | § 64 si post licebit s.  l. add. D

IV.5.1.b Errori congiuntivi di O L C39 Nic. 2 sibi egregie om. O L C | § 4 inflixerint] inflexerint O L C | § 15 altero] altera O L C | § 16 eius] est eius O L C | § 18 inferunt] inferuntur O L C | § 20 sint] sunt O L C | § 23 circuncinctam] circunductam O L C | § 24 victoriam] victoria O L C | § 25 haec om. O L C | § 32 omitterem] omit­ tere O L C | § 32 huiusce] huiuscemodi O (fort.) L C | § 38 subditis] subditos O L C | § 42 filios] 38 Per offrire un quadro completo, segnalo anche le seguenti lezioni erronee poligenetiche condivise da D con altri codici: Nic. 7 collaudamus] collandamus D O | § 10 omnes] omnes ergo D C V S | § 15 nequeat] nequeant D C.11 N B A R1c S Co V1 Est.1 P G | § 16 dispicienda] discipienda D C.11 N | § 33 conciliabam] consiliabam D | § 33 vobis] nobis D R | § 33 vobis] nobis D B A R S Co | § 35 me om. D C.11 N B R | § 44 iuvenili] vivendi fort. D1 (corr. Dc) T | § 51 cognoritis] cognoveritis D C.11 N B A R | § 55 sic om. D O | § 56 exercete] exercere D Vat.5 Est.2 Ber | § 62 adhibete] adhibite fort. Vat.11 D R M. 39 Riporto anche i seguenti casi di errori condivisi occasionalmente da O L C con altri codici: Nic. 27 civitatis] civitatibus O L C P Ber | § 29 quae] igitur quae O L C B A R M Ber V Z T Co V1 Est.1 P G | § 39 differrem] differre O L C C.11 N B A | § 41 ac] et Vat.1 O L C | § 53 dare] dari O L C B Z.

78 

 Prolegomena

filias O L C | § 43 bonis honestisque] honestis bonisque O L C | § 53 memores] merores O L C | § 59 qui nullius] nullius qui O L C

A questi errori vanno aggiunti i seguenti altri casi in cui x è rappresentato solo da O ed L (cf. infra Appendice 4 nr. 2): Nic. 44 navarentur] vanarentur O L | § 45 victor] victore O L | § 47 ut] ut in O L | § 51 iniquo] iniqum O L | § 52 versamini] versemini O L

Inoltre, può essere interessante notare anche il fatto che O e C riportano entrambi la glossa marginale id est inferre esplicativa del significato del verbo importare (§ 4), una nota che molto probabilmente si trovava nel loro antigrafo. A confermare un’origine comune per i tre codici concorrono anche l’inscriptio (che è la medesima in tutti e tre) e la subscriptio (L presenta l’explicit completo, mentre O e C delle forme abbreviate).

IV.5.2 Rapporti all’interno della sottofamiglia x L’analisi degli errori di O L C mi ha portato ad escludere che tra i tre manoscritti si possano individuare ulteriori raggruppamenti e a postulare un rapporto di fratellanza. Si possono riscontrare infatti alcune coincidenze in errore di O L C in coppia, ma sono troppo poche e gli abbinamenti non sono costanti, il che non consente di ricostruire un antigrafo comune a due soli manoscritti. I casi a cui mi riferisco sono i seguenti: IV.5.2.1.a Errori congiuntivi di O L40 Nic. 7 fuissent] fuisset O L | § 10 omnes ego] omnes igitur O L | § 28 assumens om. O L | § 56 credite] credere O L

IV.5.2.1.b Errori congiuntivi di O C41 Nic. 15 quod] quos O C | § 16 tamque] tamquam O C | § 37 nanciscantur] narciscantur O C 40 Aggiungo, per completezza, anche i seguenti casi fortuiti di concordanze con altri manoscritti: Nic. 6, nostro] numero Vat.1 Vat.3 D O L C.11 N A R Vat.5 S | § 21 in C Vat.5 Est.2 Ber V Z T S Co V1 Est.11c P G : om. rell. | § 50 ac] et D O L Ber Co | § 55 ut] et D O L. 41 Segnalo anche un altro caso in cui O e C concordano occasionalmente anche con Co e V1: Nic. 14 initio] in initio O C Co V1.

Recensio e Stemma Codicum 

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IV.5.2.1.c Errori congiuntivi di L C42 Nic. 15 huiusce] huiuscemodi L C | § 18 habeant] habeat L C

A conferma della mia tesi si aggiunge anche la presenza di errori separativi per ciascuno dei tre testimoni, elencati qui di seguito: IV.5.2.2.a Errori separativi di O43 Nic. 13 hanc] hunc O | § 31 modi om. O | § 40 a quibus~confici om. O1 (in marg. add. O2)

Alla seconda mano correttrice, identificabile per la diversa grafia in particolare della lettera a, è attribuibile quest’unico intervento volto a sanare una lacuna presente nel testo di O; la tipologia della correzione fa pensare che O2 avesse a disposizione un modello del testo guariniano. IV.5.2.2.b Errori separativi di L44 Nic. 6 etiam cum] etiam tum L | § 8 quibus] hii quibus L | § 15 haec] hoc L | § 31 accepissem] accepisse L | § 45 possumus] possimus L | § 47 summum] summam fort. L | § 50 parandas] parendas L | § 50 studium maius] studium L | § 54 quibus] quibuslibet L | § 58 in illos] nullos L

IV.5.2.2.c Errori separativi di C45 Nic. 1 qui] et C | § 2 in om. C | § 5 sumus] simus C | § 24 civitatem] cum C1 (civitas fort. corr. C1c) | § 39 et] ut fort. C | § 55 flagitia] flacia (sic) C | § 60 certate] certati fort. C | § 63 longiorem] longior C | § 64 gratia] gratiam C

Osservando il numero degli errori di ciascun manoscritto, il testo di O sembra essere il più curato, mentre quelli di L e C meno puliti. 42 A beneficio di inventario, si aggiungano anche le seguenti due lezioni poligenetiche condivise con altri codici: Nic. 33 maxima] maximam L C A R | § 34 meumque] meum L C Co. 43 Per completezza, aggiungo anche i seguenti errori condivisi occasionalmente da O con D: Nic. 7 collaudamus] collandamus D O | § 55 sic om. D O. 44 Per offrire un quadro esaustivo, riporto anche i seguenti casi di lezioni poligenetiche condivise con altri manoscritti: Nic. 23 oras] horas L Vat.5 | § 30 nobis] vobis L Ber | § 49 adhibete] adhibere fort. Vat.11 (corr. Vat.12 ) L fort. Co1 C.11 N B A R. 45 Si aggiungano anche i seguenti casi per i quali la concordanza in errore con altri codici è da ritenersi casuale, trattandosi di errori poligenetici: Nic. 10, omnes ego] omnes ergo D C V S | § 28 hoc etiam] etiam hoc Vat.3 C.

80 

 Prolegomena

IV.5.3 Lo stemma della famiglia γ Per la famiglia γ ho potuto ricostruire uno stemma bifido, in quanto ho individuato due apografi del subarchetipo γ, D e x; quest’ultimo, poi, risulta essere l’antigrafo dei manoscritti O L C. L’analisi degli errori ha permesso inoltre di mettere in luce come all’interno della famiglia γ, è x, in particolare O, a presentare un testo più pulito. Lo stemma per la famiglia γ risulta pertanto essere quello di Figura 2.

Figura 2: Stemma γ

Recensio e Stemma Codicum 

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IV.6 Analisi degli errori di Co e V1 Accanto alle due famiglie β e γ, è forse possibile individuare un altro microgruppo, formato dai codici Co e V1. I due mostrano di essere legati da un rapporto di fratellanza, in quanto condividono tutta una serie di errori e in più ne presentano di propri. Di seguito riporto i dati in base ai quali muovo tali affermazioni. IV.6.1 Errori congiuntivi Co e V146 Nic. 5 implicantur] implicatur Co (corr. Co2) V1 | § 8 inest] est Co V1 | § 8 rebus] re Co V1 | § 9 est] sit Co V1 | § 10 mihique] in que Co V1 | § 10 perductas] productas Co V1 | § 11 quae] qua Co V1 | § 11 sit] est Co V1 | § 11 sin] si Co V1 | § 12 non] nam Co V1 | § 12 quia] qua Co V1 | § 15 populares] popularis Co V1 | § 17 annuos] novos Co V1 | § 20 omnes] omnibus Co V1 | § 25 tractandis studio] studio tractandis Co V1 | § 30 magnas~pariunt om. Co V1 | § 30 naturam] naturas Co V1 | § 30 usumque] ususque Co V1 | § 30 vitae mortalium om. Co V1 | § 30 fructuosas] fructuosam Co V1 | § 30 qui] per Co V1 | § 30 compararunt] comparaverunt Co V1 | § 31 erigere] exigere Co V1 | § 32 huiusce] huius Co V1 | § 33 incolunt] colunt Co V1 | § 35 pluries] pluriesque Co V1 | § 37 magnis] magis Co V1 | § 39 cernebam] cernendam Co V1 | § 39 et] etiam Co V1 | § 41 haec~opera om. Co V1 | § 43 bonis honestisque] bonis honestatisque Co V1 | § 43 posset] posse Co1 (possem scrip. Co2) V1 | § 49 et om. Co V1 | § 52 crirminibus] criminationibus Co V1 | § 54 factitandis] factitan­ dibus Co V1 | necessario] necessaria Co V1 | § 56 oportet] oporteret Co V1 | § 59 sibi] fidei Co V1 | arbitremini] arbitramini Co1 (corr. Co2 ) V1 | § 61 ne] ante opere Co V1

Poi, Co e V1 presentano degli errori propri, riportati qui di seguito. IV.6.2 Errori separativi di Co47 Nic. 2 egregie] egregia Co | § 2 eamque] iamque Co | § 3 si] sic Co | § 3 ea] eam Co | § 4 nec] hec Co | § 10 ac etiam atque etiam] atque Co | § 10 populos] populis Co | § 11 de om. Co | § 12

46 A questi errori esclusivi si possono aggiungere i seguenti casi di concordanza occasionale con altri codici: Nic. 4 danda est] est danda β S Co V1 Est.1 P G | § 7 alterum quae om. γ Co V1 | § 10 eas om. β T S Co V1 Est.1 P G | § 12 iisque] usque Vat.3 β S Co V1 P G | § 14 initio] in initio O C Co V1 (ras.) | § 15 nequeat] nequeant D C.11 N B A R S Co V1 Est.1 P G | § 16 hominum sunt ingenia] sunt hominum ingenia V Co V1 | § 28 imperitent] imperirent Ber Co V1 | § 29 quae] igitur quae O L C B A R M Ber V Z T Co V1 Est.1 P G | § 29 et om. C.11 N B R Est.2 M Ber Co V1 | § 36 prius tum] cum Ber S Co V1 | § 47 edixero] dixero β S Co V1 Est.1 P G | § 49 adverum] adverus C.11 N B A R Vat.5 M Ber Co V1 | § 53 hos] nos C.11 N B Co V1 | § 58 hos] nos β S Co V1 | § 60 priorem om. C.11 N B A R Co V1. 47 Per completezza, segnalo anche i seguenti casi (che si aggiungono a quelli riportati in IV.3 e 81 n. 46) di coincidenza fortuita nella lezione con altri manoscritti: Nic. 17 discutere] discurrere Est.2 M Ber Co | § 18 semper rebus] rebus semper C.11 N B A R V Co | § 18 saltem] saltim R Co |

82 

 Prolegomena

gubernandae] gubernanda Co | § 15 quod om. Co | § 16 habeat] habeant Co | § 16 iure debet] debet iure Co | § 18 contentiones] contemptiones Co1 (corr. Co2) | § 19 factitant] faciant Co | § 21 longo] longe Co | § 22 emere] eruere Co | § 22 civiles] civilis Co | § 23 pro] per Co | § 24 ac] et Co | § 25 praefectos] precunctos Co | § 28 tolerans] toleratis Co | § 34 ut cum] et Co | § 34 sponte mihi] mihi sponte Co | § 36 sane] post filias Co | § 36 earum] eorum Co | § 36 exardescant] exardescat Co | § 37 me om. Co | § 39 victosque om. Co | § 40 delicta] crimina Co | § 42 at] aut Co | § 45 vigerem] urgerem Co | § 45 aetate om. Co | § 47 induci] adduci Co | § 47 ingenitam] ingentem Co | § 48 sese totum] totum sese Co | § 49 vos esse] nos esse Co | § 49 alterum vos] nos Co | § 50 haud] aut Co | § 50 arbitramini] arbitrabamini Co | § 50 quid] quidem Co | § 51 adducet] inducet Co | § 53 occulendorum] ocultendorum Co | § 55 et del. Co | § 57 iuventutem] inventutem Co | § 57 viros bonos] bonos viros Co | § 57 imperio] edicto Co | § 58 assiduos] con­ tinuos Co | § 59 earum] eorum Co | § 63 propagari] propagatum Co | § 63 mature] post gradum Co | § 63 conscendisse] pervenire Co | § 64 est aerumna] est post nulla Co

A questi errori se ne aggiungono diversi altri corretti da una seconda mano, il più delle volte felicemente, altre no. IV.6.2.a Interventi di Co2 Nic. 2 iustitiam] iustitua Co1 (corr. Co2) | § 6 condidimus] condimus Co1 (corr. Co2) | § 13 nulla] nullam Co1 (corr. Co2) | §  18 contentiones] contemptiones Co1 (corr. Co2) | §  28 imperitent] imperirent Co1 (-ri- exp. Co2) | § 29 reliquum] fort. reliquis Co1 (corr. Co2) | § 32 civitatis] fort. civitates Co1 (corr. Co2) | § 33 Graeciae] greti# Co1 (recte Co2) | § 33 pateretis] fort. peteretis Co1 (corr. Co2) | § 34 quantuluscunque] quantulucumque Co1 (quantulumcumque scrip. Co2) | § 40 confici om. Co1 (add. Co2) | § 41 contentionesque] contemptionesque Co1 (corr. Co2) | § 42 eandem] eadem Co1 (corr. Co2) | § 42 privari] privati Co1 (privatim scrip. Co2) | § 46 haberetur] habere Co1 (habetur scrip. Co2) | § 49 tutius iter. Co1 (alterum exp. Co2) | § 59 maiori] maiore Co1 (corr. Co2) | § 60 vos] nos Co1 (corr. Co2)

Ai casi citati sopra, si aggiungano i seguenti errori poligenetici condivisi da Co1 con altri codici e in corrispondenza dei quali è intervenuto Co2: Nic. 26 assereremus] asseremus γ y Ber S Co1 (corr. Co2) | § 27 possibile] possible est Z Co2 (recte Co1) | § 49 adhibite] adhibere fort. Vat.11 (corr. Vat.12 ) L c fort. Co1 (corr. Co2)

A questi errori si aggiungono una serie di casi in cui non rimane traccia della lezione originaria di Co1 e al suo posto si trova una congettura di Co2, la quale però non sempre restituisce la bona lectio:

§ 33 vobis] nobis D B A R S Co | § 34 meumque] meum L C Co | § 48 sese partes] partes sese B Co | § 50 ac] et D O L Ber Co | § 50 afferet] affert V Co | § 62 obtemperarint] obtemperarunt M Co.

Recensio e Stemma Codicum 

 83

Nic. 2 instruunt] non liquet Co1 (recte Co2) | § 18 iisdem] non liquet Co1 (recte Co2) | § 40 plu­ rimae] non liquet Co1 (plurimum scrip. Co2) | § 40 conficiunt] non liquet Co1 (conficiant scrip. Co2) P2 | § 40 committunt] non liquet Co1 (committant scrip. Co2) | § 48 hac res] non liquet Co1 (se rem scrip. Co2) | § 51 cognoritis] non liquet Co1 (cognoscitis scrip. Co2) | § 51 modestiora] non liquet Co1 (modesta scrip. Co2) | § 57 exuscitate] non liquet Co1 (recte Co2)

Inoltre, si riscontrano nel testo una serie di interventi di Co2, i quali però vanno a corrompere la vera lectio tràdita da Co1: Nic. 23 prudentia] prudentiam Co2 (recte Co1) | § 35 maioraque] maiora scrip. Co2 (recte Co1) | § 43 quod] fort. quia scrip. Co2 (recte Co1) | § 43 siquis] si his scrip. Co2 (recte Co1) | § 46 quod] fort. quia scrip. Co2 (recte Co1) | § 48 ac] nec scrip. Co2 (recte Co1) | § 49 ne] nec scrip. Co2 (recte Co1) | § 51 quod] fort. quia scrip. Co2 (recte Co1) | § 52 concupiscitis] concupiveritis scrip. Co2 (recte Co1) | § 62 quod] fort. quia scrip. Co2 (recte Co1)

Può essere poi interessante osservare che in una serie di casi V1 riporta una lezione erronea, mentre non rimane traccia della lezione originaria di Co1 la quale è stata sostituita da una congettura di Co2 probabilmente proprio perché era una lezione erronea al pari di quella di V148. Nello specifico mi riferisco ai seguenti casi: Nic. 21 afficiunt] non liquet Co1 (recte Co2) : afficit V1 | § 30 at quae cum] atque que cum γ V1: praeterea cum non liquet Co1 (recte Co2) | § 32 obtuli] non liquet Co1 (recte Co2) : obtulit V1 | § 42 Aeacidas] non liquet Co1 (eacidem scrip. Co2) : eacides V1 P | § 43 flagitiosis] non liquet Co1 (recte Co2) : flagitiosum V1

Dall’osservazione degli interventi di Co2 si può dedurre che questa seconda mano non doveva avere sottomano una copia del Nicocles di cui servirsi per le sue correzioni, ma si sia affidato al suo ingenium, a volte con esito felice, altre meno. IV.6.3 Errori separativi di V149 Nic. 4 id] ad V1 | § 21 reddidit] reddit V1 | § 26 at] ut V1 | § 29 censerer] censeret V1 | § 34 tametsi] et si V1 | § 36 mostales] mortalis V1 | § 46 haberetur] adhiberetur V1 | § 52 aures] auris V1 | § 53

48 Cf. infra Appendice 4 nr. 7. 49 A beneficio di inventario, riporto anche i seguenti casi di concordanza fortuita con altri manoscritti: Nic. 5 existit] existint Vat.5 V1 | § 17 discutere] discurere A R V1 | § 18 antecellant] antecellat A R V1 | § 19 unumquodque] unumquodve V1 P | § 23 civitatum] civitatem B A R Ber V1 | § 33 differrent] different R V1 | § 35 in pecuniam] in pecunia V1 Est.1 P G | § 45 temperatiorem] temperantiorem Ber V1 P | § 56 sitis] scitis Est.2 M Ber V1.

84 

 Prolegomena

eadem] eandem V1 | § 53 supplicia] poenam V1 | § 53 occulendorum] occultandorum V1 | § 54 partes] partis V1 | § 57 quales] quale V1

La presenza di un minore numero di errori singolari rende V1 un testimone più affidabile rispetto a Co.

IV.6.4 Lo stemma del gruppo Co V1 L’analisi degli errori dei due codici ha permesso di individuare lezioni congiuntive e separative, il che permette di affermare che essi discendono dal medesimo antigrafo (δ). A questo proposito, può essere interessante osservare come in due casi sia V1 sia Co sbaglino, ma in modo diverso, cosa che potrebbe suggerire che il testo di δ non fosse ben leggibile o fosse corrotto: al § 46 al posto di haberetur Co legge habere e V1 adhiberetur e al § 53 occulendorum diventa occultendorum in Co e occultandorum in V1. Dunque, lo stemma per questa famiglia potrebbe essere quello di Figura 3.

Figura 3: Stemma δ

Recensio e Stemma Codicum 

 85

IV.7 Gli errori dei codici Vat.1 Vat.3 V Z T S Est.1 P G I codici che, come si è visto, non appartengono a nessuno dei gruppi presentati nei capitoli precedenti mostrano di discendere in maniera isolata direttamente dall’archetipo: infatti, non sono riscontrabili forti evidenze congiuntive tra loro, non coincidendo mai nella lezione in maniera esclusiva e/o sistematica con uno o più codici, e presentano errori singolari, elencati qui di seguito. IV.7.1 Errori separativi di Vat.150 Nic. 3 admirationem] admiratione Vat.11 (corr. Vat.12) | § 4 omnino res] omniores Vat.11 (corr. Vat.12) | § 7 cuius] cui Vat.11 (corr. Vat.12) | § 18 semper rebus] semper rebus semper Vat.1 | § 18 tametsi] tamen si Vat.1 | § 18 saltem om. Vat.1 | § 20 magistratus om. Vat.1 | § 21 ac om. Vat.11 (corr. Vat.12) | § 23 prudentia] providentia Vat.1 | § 24 item om. Vat.1 | § 24 reportantem] reportatem Vat.11 (corr. Vat.12) | § 25 plurimi om. Vat.1 | § 26 coniecturam] coniectura Vat.11 (corr. Vat.12) | § 34 absum] absu Vat.11 (corr. Vat.12) | § 34 finitimis] finitimi Vat.11 (corr. Vat.12) | § 34 abscindant] abscindan Vat.11 (corr. Vat.12) | § 35 liqueat] liquet Vat.1 | § 36 regalia] regali Vat.11 (corr. Vat.12) | § 37 celebrari] celebrar Vat.11 (corr. Vat.12) | § 37 plebs] pleb Vat.11 (corr. Vat.12) | § 37 perspexerit] perspexerint Vat.1 | § 40 maneant] maneat Vat.11 (corr. Vat.12) | § 41 subiectas] obiectas Vat.1 | § 45 in om. Vat.1 | § 45 ne] non Vat.1 | § 45 omnibus] hominibus Vat.1 | § 48 geratis] gratis Vat.11 (corr. Vat.12) | § 48 sic] si Vat.1 | § 52 ne om. Vat.1 | § 53 qui scelera] quis celera Vat.11 (corr. Vat.12) | § 59 licuerit] licueri Vat.11 (corr. Vat.12) | § 63 conscen­ disse] concedisse Vat.1

Si può notare come una buona parte degli errori di Vat.1 sia stata corretta da una seconda mano, individuabile grazie all’uso di un inchiostro più scuro51. Inoltre, Vat.12 è responsabile anche dei seguenti interventi: Nic. 1 extollunt] extolluntur Vat.12 (recte Vat.11) | § 8 dubiis] non liquet Vat.11 (recte Vat.12) | § 34 tametsi] non liquet Vat.11 (tantum etsi scrip. Vat.12) | § 52 artificiose] non artificiose Vat.12 | § 64 omnis] omnes Vat.12 D L C N y Vat.5 Est.2 M Ber V P

50 Segnalo anche i seguenti casi in cui Vat.1 si trova a concordare in errore con altri codici: Nic. 1 accusationibus] actionibus Vat.1 Vat.5 | § 6, nostro] numero Vat.1 Vat.3 D O L C.11 N A R Vat.5 S | § 16 optarit] optaret Vat.1 Vat.3 C.11 N B A R | § 21 ad aliena] aliena Vat.1 Vat.5 T | § 21 dicendi om. Vat.1 γ | § 21 in C Vat.5 Est.2 V Z T S Co V1 Est.11c (add. s.  l.) P G : om. rell. | § 31 invitos] invictos Vat.1 Vat.5 V | § 32 aliam] alia Vat.1 Vat.3 | § 49 adhibere] fort. Vat.11 (corr. Vat.12 ) L C.11 N B A R fort. Co1 | § 49 nacti] nati Vat.1 Z R | § 50 maximam] maxima Vat.1 Z | § 56 vestras] vestra Vat.1 Vat.3 Vat.5 V S | § 62 adhibete] adhibite fort. Vat.11 (corr. Vat.12) D R M. 51 Cf. infra Appendice 4 nr. 5.

86 

 Prolegomena

Dalla tipologia degli interventi (correzioni volte a sanare errori banali, emendamenti che tuttavia non restituiscono la vera lectio e l’errato intervento al § 1) non sembra che Vat.12 avesse a disposizione un’altra copia del Nicocles, ma abbia agito ope ingenii. IV.7.2 Errori separativi di Vat.352 Nic. 3 opere] operem Vat.3 | § 8 dubiis] duabus Vat.3 | § 14 sunt om. Vat.3 | § 16 partem om. Vat.31 (in marg. add. Vat.3c) | § 19 hi] his Vat.3 | § 21 quodque] quod Vat.3 | § 21 noverint] noverant Vat.3 | § 21 delegerint] delegerunt Vat.3 | § 22 earumque om. Vat.31 (in marg. add. Vat.32) | § 26 at] ac Vat.3 | § 26 parte] partem Vat.3 | § 27 et brevior et firmior] et breviter et firmiter Vat.3 | § 29 attingam] obtingam Vat.3 | § 31 vacuam] vacuum Vat.3 | mansuetudine] nanque mansuetudine Vat.3 | § 35 atqui] at quidem Vat.3 | § 36 maxima] maxime Vat.3 | § 36 iracundia om. Vat.3 | § 36 insignia] insigna Vat.3 | § 39 tenere] teneri Vat.3 | § 40 maiore] maior Vat.3 | § 48 in] si in Vat.3 | § 48 enim ex his parte] eius parte Vat.3 | § 49 adhibete] adhi­ bite Vat.3 | § 60 stimulet] stimuletur fort. Vat.3 | § 63 a om. Vat.31 (add. Vat.32)

Da questo elenco si notano due omissioni (§ 22 earumque e § 63 a) corrette da una seconda mano, riconoscibile per la grafia diversa di alcune lettere53; quanto all’integrazione di partem al § 16 non è certo che sia opera di Vat.32, poiché la parola non è del tutto visibile nell’immagine disponibile in rete. Comunque, anche se tutte le integrazioni potrebbero essere frutto di congetture, non si può tuttavia escludere la presenza di un modello incorrotto del testo guariniano di cui Vat.32 si è servito. IV.7.3 Errori separativi di V54 Nic. 1 ipsosque] et ipsos V | § 1 confectas] confectos V | § 1 cupiditates om. V | § 2 plurima] plu­ rimorum V | § 3 invadant] invadunt V | § 4 necem] aliis necem V | § 5 ceterisque] coeperis fort. V | § 7 habitare om. V | § 7 licuisset] vivere licuisset V | § 9 sunt om. V | § 10 privatos] privatos

52 Segnalo anche i seguenti casi di coincidenza poligenetica con altri codici: Nic. 6, nostro] nu­ mero Vat.1 Vat.3 D O L C.11 N A R Vat.5 S | § 12 iisque] usque Vat.3 β S Co V1 P G | § 14 ac] et Vat.3 Ber | § 16 optarit] optaret Vat.1 Vat.3 C.11 N B A R | § 21 in C Vat.5 Est.2 Ber V Z T S Co V1 Est.11c (add. s.  l.) P G : om. rell. | § 28 hoc etiam] etiam hoc Vat.3 C | § 58 sunt om. Vat.3 D1 (add. D1c). 53 Cf. infra Appendice 4 nr. 4. 54 Riporto anche i seguenti casi (in aggiunta a quelli menzionati nel cap. IV.3), in cui V concorda con altri manoscritti in corrispondenza di errori di natura poligenetica: Nic. 2 ea] earum V Z | § 10 omnes ego] omnes ergo D C V S | § 12 maxime] maxima Vat.5 V | § 15 vivunt] vivant D O L C V T | § 16 hominum sunt ingenia] sunt hominum ingenia V Co V1 | § 17 ad gerenda] et ad gerenda C.11 N B A R V | § 18 incuriam] iniuriam V Ber | § 29 quae] igitur quae O L C B A R M Ber V Z T Co V1 Est.1

Recensio e Stemma Codicum 

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instruunt V | § 12 vobis consiliis] consiliis vobis V | § 13 regiam] reginam V | § 13 patris] patris meis V | § 15 quod] quam V | § 17 antecellant] antecellunt V | § 20 graves inter se] inter se graves V | § 21 propria] ad propria V | § 21 longo rerum] rerum longo V | § 21 agnoverint] agnoverit V | § 22 orbem] urbem V | § 22 sed] verum V | § 24 gubernantur] gubernant V | § 26 quod] quam V | § 27 autem om. V | § 28 facta est] erat facta V | § 28 rerum mutatio] mutatio rerum V | § 28 imperitent] imperitet V | § 30 conficiantur] fort. conficiuntur V | § 30 quod] quam V | § 33 rex] res V | § 33 promptam om. V | § 38 consequantur] consequatur V | § 38 subditis] post continen­ tiorem V | § 39 magnum om. V | § 42 filios] filios statui V | § 42 Aeacidas] et acidas V | § 43 bonis honestisque] post possessiones V | § 43 viri om. V | § 43 celebrandae forent] forent celebrande V | § 44 dedecus ex decus corr. V1c | § 47 plura] verbis plura V | § 50 arbitramini] arbitremini V | § 51 imperata] imperatis V | § 51 in domum] ante adducet V | § 55 nullam] ullam V | § 56 recte] certe V | § 57 commonstrando] commonstrate V | § 57 condocefacite] commonefacite V | § 58 assiduos om. V | § 58 in amicis quam inimicis] inimicis quam in amicis V | § 61 vos om. V | § 62 si om. V

IV.7.4 Errori separativi di Z55 Nic. 2 alterum ut om. Z | § 5 ac om. Z | § 5 molesti] molestie Z | § 7 nobis] in nobis Z | § 8 poten­ tia] copia Z | § 10 sese om. Z | § 12 excitare] exercitare Z | § 12 tantummodo vobis] fort. nobis tantummodo Z | § 14 rei p.] de rei p. Z | § 16 sapientia praeditus] praeditus sapientia Z | § 16 mansuetior] mansueto Z | § 17 posset] possit Z | § 18 omnia om. Z | § 18 honoris] honorum Z | § 21 animos] animo Z | § 22 simul et] et om. Z | § 26 regem esse] esse regem Z | § 27 possibile] possibile est Z Co2 | § 32 ad civitatis] a civitatis Z | § 32 constet] constat Z | § 38 urgeas] fort. urgens Z | § 39 muliebres] mulieres Z | § 40 se om. Z | § 45 meo de ingenio] in eodem ingenio Z | § 46 igitur om. Z | § 46 finxit] effinxit Z | § 47 modestiam] modestie Z | § 47 ut~occasio om. Z | § 48 prefecti] infecti Z | § 48 enim ex his] his om. Z | § 50 habeat] habebat Z | § 51 plurimum om. Z | § 51 cogitatione] cogitationem Z | § 52 falsis vos] vos falsis Z | § 53 commeruisse] meruisse Z | § 53 et om. Z | § 55 domos om. Z | § 60 prius vos] post nulla Z

P G | § 31 invitos] invictos Vat.1 Vat.5 V | § 38 degendam] degendum D O L V | § 50 studium maius] maius studium Vat.1 Vat.3 V Z | § 50 afferet] affert V Co | § 56 vestras] vestra Vat.1 Vat.3 Vat.5 V S. 55 Per completezza, segnalo anche i seguenti casi (in aggiunta a quelli citati nel cap. IV.3) in cui Z concorda occasionalmente con altri manoscritti: Nic. 2 ea] earum V Z | § 28 ceteris] exteris Z S | § 29 quae] igitur quae O L C B A R M Ber V Z T Co V1 Est.1 P G | § 33 aditus] additus A Z | § 37 plebs] plebes D1 (corr. D1c) Z S Est.1 G | § 39 magnum] et magnum D O L C Z T S Est.1 P G | § 49 nacti] nati Vat.1 R Z | § 49 vos esse] esse vos Vat.1 Vat.3 D O L Z T | § 50 studium maius] maius studium Vat.1 Vat.3 V Z | § 50 maximam] maxima Vat.1 Z | § 55 dari] dare O L C B Z | § 59 sint] sunt C.11 N B A R Ber Z | § 62 obtemperarint] obtemperarit A Z.

88 

 Prolegomena

IV.7.5 Errori separativi di T56 Nic. 4 importare] reportare T | § 12 sit] sim T | § 12 complectendus] complexus T | § 24 potestate rei bellicae] potestate rei publicae T | § 48 igitur] enim T

L’esiguità degli errori di T ne fanno un testimone tra i più fededegni. IV.7.6 Errori separativi di S57 Nic. 1 ineunt] incutiunt S | § 6 vis] vim S | § 7 alterum de om. S | § 7 homines om. S | § 10 mihique] mihi S | § 18 navanda] novanda S | § 27 cuncta] cura S | § 32 caedes] caedos S | § 33 pateretis om. S | § 35 Graecisque] grecis S | § 35 quidem] si quidem S | § 39 differrem] differentem S | § 49 liceat] valeat S | § 52 ita iter. S | § 55 coacti] conati S | § 59 possideant] possident S | § 59 ipse] iste S | § 61 bonos] bonis S | § 64 est om. S

IV.7.7 Errori separativi di Est.158 Nic. 4 omnino res] ommino res Est.1 | § 17 contemplari] cotemplari Est.1

L’esiguità dei casi permette affermare che Est.1 sia uno dei testimoni più fededegni. Tuttavia, Est.1 presenta anche una serie di errori che sono stati poi corretti da una seconda mano:

56 Cito, inoltre, i seguenti casi di concordanza fortuita con altri codici (in aggiunta a quelli menzionati nel cap. IV.3): Nic. 15 vivunt] vivant D O L C V T | § 21 ad aliena] aliena Vat.1 Vat.5 T | § 29 quae] igitur quae O L C B A R M Ber V Z T Co V1 Est.1 P G | § 39 magnum] et magnum D O L C Z T S Est.1 P G | § 39 et om. Vat.5 T | § 44 iuvenili] vivendi D1 (corr. Dc) T | § 49 vos esse] esse vos Vat.1 Vat.3 D O L Z T. 57 Riporto anche i seguenti casi (in aggiunta a quelli citati nel cap. IV.3) di concordanza con altri codici benché non siano significativi: Nic. 6, nostro] numero Vat.1 Vat.3 D O L C.11 N A R Vat.5 S | § 10 omnes ego] omnes ergo D C V S | § 11 maxime om. S G | § 15 nequeat] nequeant D C.11 N B A R1c S Co V1 Est.1 P G | § 20 ceteris] exteris S Z | § 26 assereremus] asseremus D O L C A R Ber S Co | § 33 vobis] nobis D B A R S Co | § 36 prius tum] cum fort. Ber S Co V1 | § 37 plebs] plebes D1 (corr. D1c) Z S Est.1 G | § 39 magnum] et magnum D O L C Z T S Est.1 P G | § 55 clementia] dementia S Ber | § 56 vestras] vestra Vat.1 Vat.3 Vat.5 V S. 58 Per completezza, segnalo anche i seguenti casi (che si aggiungono a quelli riportati nel cap. IV.3) di coincidenza occasionale con altri manoscritti: Nic. 15 nequeat] nequeant D j A R1c S Co V1 Est.1 P G | § 29 quae] igitur quae O L C A R M Ber V Z T Co V1 Est.1 P G | § 35 in pecuniam] in pecunia V1 Est.1 P G | § 37 plebs] plebes D1 (corr. D1c) Z S Est.1 G | § 39 magnum] et magnum γ Z T S Est.1 P G.

Recensio e Stemma Codicum 

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Nic. 1 eloquentiam] eloquentia Est.11 (corr. Est.12) | § 26 hanc om. Est.11 (corr. Est.12) | § 35 posse om. Est.11 (corr. Est.12) | § 36 in sublimi] solum Est.11 (corr. Est.12) | § 43 quarum] qu#rum Est.11 (-a- s.  l. add. Est.12) | § 50 divitias] opes divitias Est.11 (opes variam lectionem scripsit et del. Est.12) | § 55 et om. Est.11 (corr. Est.12)

Occorre precisare che queste correzioni di Est.12 devono essere state apportate in un’epoca in cui era ancora disponibile l’archetipo: infatti, gli interventi volti a colmare le lacune (Nic. 26 hanc, 35 posse e § 55 et) e la correzione di solum in in sublimi (e forse l’eliminazione di opes e la sua indicazione come variante divitias al § 50) presuppongono la presenza di una copia incorrotta; che tale esemplare coincida con l’archetipo sembra essere suggerito dalla bontà del testo di Est.1. Inoltre, tale ricostruzione troverebbe anche un riscontro nell’ipotesi di Fava (che però andrebbe verificata) secondo cui Est.1 sarebbe stato uno dei codici della biblioteca di Leonello d’Este59. Se riteniamo, dunque, che il modello utilizzato per correggere il testo di Est.11 sia l’archetipo, dovremmo ipotizzare anche che la fase di emendazione sia avvenuta ad una distanza di tempo limitata dalla copiatura di Est.1. IV.7.8 Errori separativi di P60 Nic. 1 agitant] agitent P | § 9 usus habent om. P | § 9 audent] vident P | § 14 fiat] fiet P | § 15 flagitiosi] flagitiosum P | § 15 quod] fort. quid P | § 15 est] eius P | § 18 hi] ni P | § 20 spatium] cursum P | § 22 vendicat] dicat P1 (corr. P2) | § 22 principatus om. P | § 23 Persarum] persaru P1 (corr. P2) | § 25 faciundam] facundam P1 (corr. P2) | § 29 atque] at P | § 35 quidem de iustitia] de iustitia quidem P | § 36 tum ex privatis om. P | § 39 quidem om. P1 (corr. P2) | § 39 optimates] optima res P | § 41 eis] eius P | § 42 Aeacidas] eacides P | § 43 reliquis om. P | § 46 haberetur] haberet P | § 50 impendite] impedite P1 (corr. P2) | § 50 impensam] impensita (sic) P | § 52 me om. P | § 55 ac om. P (etiam post privatas add. P2) | § 58 hos] non P | § 59 potestates] potestatis P1 (corr. P2) | § 62 legis] legum P | § 64 omittendum] omittendum mihi P

Da questo elenco si notano alcune correzioni ad opera di una seconda mano, riconoscibile per la diversa grafia61; a P2 sono attribuibili anche i seguenti interventi,

59 Cf. infra Appendice 4 nr. 12. 60 Riporto anche i casi di concordanza occasionale con altri manoscritti (in aggiunta a quelli citati nel cap. IV.3): Nic. 7 et] ac β V S P | § 12 iisque] usque Vat.3 β S Co V1 P G | § 15 nequeat] ne­ queant D j A R1c S Co V1 Est.1 P G | § 19 unumquodque] unumquodve V1 P | § 27 civitatis] civitatibus O L C P Ber | § 29 quae] igitur quae O L C A R M Ber V Z T Co V1 Est.1 P G | § 35 in pecuniam] in pecunia V1 Est.1 P G | § 39 magnum] et magnum γ Z T S Est.1 P G | § 45 temperatiorem] temperan­ tiorem Ber P V1 | § 50 afferet] afferret C.11 N B M Ber P1 (corr. P2). 61 Cf. infra Appendice 4 nr. 17.

90 

 Prolegomena

i quali però hanno come risultato quello di corrompere il testo guariniano: Nic. 22 solum] solum autem P2 (recte P1) e Nic. 40 conficiunt] conficiant P2 (recte P1). La maggior parte di queste correzioni è volta a sanare errori banali, per i quali non ci sarebbe bisogno di postulare la presenza di un modello da cui ricavare la bona lectio, come invece la correzione al § 22 e l’integrazione di quidem al § 39 sembrano suggerire. Tuttavia, la presenza di interventi di P2 in punti del testo integri mi induce a credere che P2 non avesse a disposizione un modello. IV.7.9 Errori separativi G62 Nic. 2 iustitiam] uistitiam fort. G | 5. nunc] nuc (sic) G

L’esiguità delle lezioni erronee rende anche G uno dei testimoni più puliti del testo guariniano.

IV.8 Lo stemma codicum del Nicocles Sulla base dell’analisi condotta ho potuto ricostruire uno stemma pluri-ramificato (Figura 4), con un archetipo (Ω) all’origine della paradosi. All’interno della tradizione sono identificabili due raggruppamenti principali, ossia le famiglie β e γ, all’interno delle quali è possibile individuare ulteriori sottogruppi, D e x per γ, e c, Vat.5, Est.2 e Ber per β. Accanto a queste due famiglie è presente un altro piccolo gruppo formato dai codici Co e V1, discendenti dal medesimo antigrafo δ. Sono poi individuabili altri nove testimoni isolati, rappresentati dai codici Vat.1 Vat.3 V Z T S Est.1 P G. Oltre a questi, bisogna annoverare la copia perduta offerta a Leonello d’Este (α).

62 Per completezza, in aggiunta ai casi segnalati nel cap. IV.3, riporto anche i casi di concordanza occasionale di G con altri manoscritti: Nic. 11 maxime om. S G | § 12 iisque Vat.1 γ V Z T Est.1 : usque Vat.3 β S Co V1 P G | § 15 nequeat] nequeant D j A R1c S Co V1 Est.1 P G | § 29 quae] igitur quae O L C A R M Ber V Z T Co V1 Est.1 P G | § 35 in pecuniam] in pecunia V1 Est.1 P G | § 37 plebs] plebes D1 (corr. D1c) Z S Est.1 G | § 39 magnum] et magnum γ Z T S Est.1 P G

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Figura 4: Stemma Nicocles

Recensio e Stemma Codicum 

92 

 Prolegomena

IV.9 Il Nicocles nelle miscellanee umanistiche Osservando più nel dettaglio le opere con cui la traduzione di Guarino tende a circolare insieme, si può notare una consonanza tra i risultati della collazione e i vari testi trascritti nei testimoni. Innanzitutto, il fatto che diciassette codici su ventiquattro trasmettino la lettera di dedica a Leonello d’Este e l’Argumentum insieme con la traduzione è prova del saldo legame della versione con i suoi paratesti63. Tale caratteristica è significativa in quanto sembra che la fortuna della traduzione sia legata all’epistola che l’accompagna64. Verosimilmente tale successo è da ricondursi in primis a ragioni di carattere stilistico-linguistico (essa costituiva un modello formale e di lingua per epistole di analoga tipologia), ma parte di questa fortuna può essere legata anche al suo contenuto: infatti, abbiamo visto come essa possa essere considerata una sorta di manifesto degli studia humanitatis65. La tradizione manoscritta è costituita, si è detto, soprattutto da codici miscellanei, ma emerge comunque una certa coerenza, in quanto le opere riunite risultano essere affini per argomento e scopo66. In particolare, il Nicocles tende ad essere tramandato insieme con le altre due parenetiche (l’Ad Nicoclem specialmente nella versione di Bernardo Giustiniani) e per lo più nell’ordine in cui compaiono nei codici d’Isocrate (Ad Demonicum, Ad Nicoclem, Nicocles)67. Ad eccezione dei codici Vat.1 e Vat.3, i quali, come si vedrà, sono testimoni eccentrici per il tipo di opere tràdite, tutti i manoscritti contengono l’Ad Nicoclem, di cui tredici su diciannove trasmettono la versione del Giustiniani, cinque quella di Lapo da Castiglionchio e il solo T quella di Carlo Marsuppini. Tali convergenze sono confermate dalla collazione: i codici C.11 N B A R Vat.5 Est.2 M, ovvero la

63 Cf. infra Tabella 1, Conspectus codicum. 64 Quanto all’Argumentum, è chiaramente associato alla traduzione per il suo carattere introduttivo all’opera. 65 Cf. supra II.2.3. 66 Questa è una caratteristica più generale delle antologie umanistiche, le quali costituivano dei repertori linguistici e stilistico-formali, oltre che contenutistici, e pertanto contribuirono a diffondere il «virus» dell’Umanesimo che così poté affermarsi come paradigma culturale del Rinascimento. Ragionando sulla diffusione dell’Umanesimo in termini epidemiologici adotto la prospettiva suggerita da Sperber [cf. Sperber (1996)] lo si può pensare infatti come un fenomeno culturale che si propaga per contatto e scambio; se gli umanisti sono i veicoli del contagio, il virus è rappresentato dai testi. Sulle miscellanee umanistiche cf. Revest (2013). 67 Cf. supra III.1. L’eccezione più vistosa è costituita da V che riporta le tre parenetiche in ordine inverso: Nicocles, Ad Nicoclem e Ad Demonicum (cf. infra Appendice 4 nr. 21).

Recensio e Stemma Codicum 

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famiglia β68, contengono la traduzione dell’Ad Nicoclem di Giustiniani, mentre il gruppo dei codici inglesi (C D L O)69 la versione di Lapo, trasmessa anche da B; a riportare il testo del Giustiniani sono anche V S Co V1 Est.1 P G70. Oltre all’Ad Nicoclem, nove codici trasmettono anche la versione latina dell’Ad Demonicum, dei quali quattro nella traduzione di Guarino (C.11 N T V), mentre i restanti in quella di Lapo da Castiglionchio (C D L B O); infine, tre manoscritti (C L O) contengono anche un’altra versione del Nicocles, ad opera di Lapo. Anche per questi due testi è possibile fare osservazioni analoghe a quelle fatte per l’Ad Nicoclem: il gruppo dei codici inglesi si distingue per trasmettere le traduzioni dell’Ad Demo­ nicum e del Nicocles di Lapo da Castiglionchio, quest’ultima presente solo in C L ed O, i quali, secondo la mia ricostruzione, discendono da x71. La versione guariniana dell’Ad Demonicum è riportata sia da C.11 sia da N, testimoni che per il Nicocles mostrano di essere legati da un rapporto di filiazione72. Sammut e Rundle avevano già suggerito un’origine comune per i cinque codici inglesi (C D B L ed O)73; Regini e Gualdo Rosa74 hanno confermato tale ipotesi per i codici C D L ed O relativamente alle traduzioni di Lapo da Castiglionchio dell’Ad Demonicum, dell’Ad Nicoclem e del Nicocles; inoltre, per queste ultime due versioni Gualdo Rosa ha riconosciuto B come descriptus di D. Da ultimo, la mia analisi filologica ha dimostrato che tale ricostruzione dei rapporti stemmatici sia valida anche per il Nicocles75. Per quanto riguarda B, invece, dalla collazione è emerso che il manoscritto è legato ai codici C.11 ed N, al pari dei quali trasmette la traduzione dell’Ad Nicoclem di Giustiniani. Altre opere che ritornano con una certa frequenza sono le versioni dal greco del Quomodo adulator ab amico internoscatur di Plutarco, tradotto da Guarino (sette manoscritti), dell’Epistola ad adulescentes di San Basilio (sette codici) e dello Hieron di Senofonte (otto manoscritti), questi ultimi due nella versione ad opera di Leonardo Bruni (ad eccezione di Co, che trasmette il trattato senofonteo

68 Cf. supra IV.2.1. Appartiene a questa stessa famiglia anche il codice vicentino Ber, il quale però si differenzia nettamente dagli altri manoscritti del suo gruppo per quanto riguarda il contenuto (cf. infra Appendice 4 nr. 24). 69 Cf. supra IV.3.2. 70 I manoscritti Est.1 e G, inoltre, riportano entrambi la versione guariniana dell’opuscolo lucianeo Calumnia. L’operina è tràdita pure da C.11 (nella versione però di Griffolino d’Arezzo) e da V (nella versione di Lapo da Castiglionchio). Cf. infra Appendice 4 nrr. 1, 3, 13 e 21. 71 Cf. supra IV.5.1. 72 Nello specifico C.11 sarebbe l’antigrafo di N, cf. supra IV.4.3.1. 73 Cf. Sammut (1980) 128; Rundle (1997) 352–353. 74 Cf. Regini (2017) 52, 56 e 60–61; Gualdo Rosa (ed. 2018) 48, 51 e 62 (stemma). 75 Cf. supra IV.5.

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 Prolegomena

nella traduzione di Leon Battista Alberti). Anche relativamente a queste opere si possono notare delle consonanze con i dati della collazione: tutte e tre le traduzioni sono trasmesse dai codici inglesi C D B L ed O, tra i quali C D L ed O, appartengono alla medesima famiglia76. Estraneo a questo gruppo, per il Nicocles, è il manoscritto B, esemplato sullo stesso antigrafo di C.1177, a cui è affine anche per quanto riguarda alcune delle opere trasmesse: infatti, entrambi contengono le versioni del Quomodo adulator ab amico internoscatur di Plutarco, tràdito anche dal descriptus di C.11, N, e dello Hieron senofonteo, più l’orazione Contra Hypocri­ tas di Leonardo Bruni. Secondo Rundle78 l’antigrafo di B, oltre che per le due orazioni cipriote isocratee tradotte da Lapo, per la traduzione da Senofonte sarebbe D. Ancora in merito ai codici inglesi si può osservare come lo stretto rapporto che intercorre tra i codici C L ed O sia confermato anche dal fatto che, oltre alle opere già citate, essi trasmettano la Comparatio studiorum et rei militaris di Lapo da Castiglionchio, il trattato di Pietro del Monte De virtutum et vitiorum inter se diffe­ rentia e l’orazione bruniana Contra Hypocritas. I tre codici non solo contengono le stesse opere, ma anche nello stesso ordine79, chiaro segnale di un’origine comune che varrebbe la pena di verificare. Affini per il contenuto risultano essere anche i manoscritti Vat.5 Est.2 ed M, i quali appartengono alla famiglia β80: il Vaticano condivide con l’Estense il dialogo Contra avaritiam di Poggio Bracciolini e la traduzione bruniana delle Epistolae di Platone, quest’ultima opera trasmessa anche da M, apografo di Est.2. I manoscritti, poi, risultano essere simili anche dal punto di vista dell’ordine delle opere: in tutti e tre l’Ad Nicoclem è anteposto al Nicocles, e il dialogo poggiano precede le Epistolae platoniche sia in Vat.5 sia in Est.2, anche se il Vaticano presenta questi due testi prima delle parenetiche isocratee, mentre l’Estense li pospone. Una simile trasposizione si può rilevare anche per M, in cui le Epistolae di Platone figurano prima delle traduzioni da Isocrate, cosa che potrebbe suggerire che per le lettere l’antigrafo sia un altro codice rispetto ad Est.2. Il legame tra C.11 ed N sembra essere confermato dal fatto che, oltre ai testi già citati, entrambi contengono anche le versioni latine degli opuscoli plutarchei De virtute Romanorum, De Alexandri fortuna aut virtute e il De invidia et odio, tutte ad opera di Niccolò Perotti, più la traduzione delle due Homeliae de ieiunio e del De invidia di San Basilio, quest’ultima sempre del Perotti. Somiglianze sono

76 Cf. supra IV.3.2. 77 Cf. supra IV.4.3. 78 Cf. Rundle (1997) 352–353. 79 L’ordine in realtà differisce leggermente in C, cf. infra Appendice 4 nr. 3. 80 Cf. supra IV.3.1 e IV.4.5 e infra Appendice 4 nrr. 6, 11 e 14.

Recensio e Stemma Codicum 

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riscontrabili anche nell’ordine in cui le opere compaiono nei due testimoni: oltre a presentare le tre parenetiche nell’ordine «canonico», la sequenza degli altri testi comuni è la stessa, ad eccezione del De invidia di Basilio, che in C.11 precede le Homeliae de ieiunio, mentre in N le segue, e del De invidia et odio di Plutarco, che nel codice di Norimberga si trova tra gli altri due opuscoli plutarchei, mentre nel Cantabrigense è collocato subito dopo il De invidia di Basilio. Tali discrepanze, tuttavia, potrebbero essere spiegate alla luce dei criteri organizzativi delle due raccolte, tematico per C.11 e autoriale per N. Un altro punto di contatto tra i due è poi costituito dall’errore di attribuzione della versione delle Homeliae de ieiunio di Basilio: la traduzione è ascritta a Niccolò Perotti, ma, dato che non risulta che l’umanista di Sassoferrato l’abbia eseguita, è probabile che essa sia da attribuire a Guarino, dati gli incipit. L’affinità tra i due codici trova conferma negli studi di Bernard Jospeh Cassidy, il quale ha dimostrato che N sarebbe l’antigrafo di C.11 per il De Alexandri fortuna aut virtute81. Siccome per il Nicocles – come ho dimostrato – N è un descriptus del Cantabrigense, si potrebbe forse ipotizzare che N sia stato il modello di C.11 per le versioni del Perotti, mentre per le traduzioni guariniane l’antigrafo sia identificabile con C.11. Tuttavia, solo indagini filologiche sugli altri testi contenuti nei due esemplari potranno chiarire i rapporti. Corrispondenza tra testi tràditi e risultati dell’analisi filologica si riscontra anche per i codici Co e V1: quest’ultimo costituisce una piccola antologia di traduzioni umanistiche, le quali sono trasmesse pure da Co82. Siccome per quanto riguarda il testo del Nicocles, i due discendono dal medesimo antigrafo83, sarebbe interessante verificare se questo rapporto di fratellanza sussista anche per le versioni latine dell’Ad Nicoclem e dell’Axiochus, presenti per l’appunto in entrambi i codici. Si è prima accennato al fatto che Vat.1 e Vat.3 rappresentano dei casi a sé per quanto riguarda le opere da essi tràdite: infatti, i due non riportano nessuno degli scritti citati, ma Vat.3 contiene prevalentemente testi di autori cristiani84 e Vat.1 l’epistolario pliniano e le opere filosofiche di Apuleio85. Dunque, la presenza della versione di Guarino appare singolare, tutt’al più giustificabile sulla base del contenuto etico e relativo a un personaggio storico (nel caso di Vat.3, il che spiegherebbe anche l’assenza in questo codice dell’epistola di dedica) e per la sua natura di testo di un autore classico (per quanto riguarda Vat.1). Il dato è interes-

81 Cf. Cassidy (1967) 88–92. 82 Cf. infra Appendice 4 nr. 7 e 23. 83 Cf. supra IV.6. 84 Cf. infra Appendice 4 nr. 4. 85 Cf. infra Appendice 4 nr. 5.

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 Prolegomena

sante in quanto fornisce ulteriori suggerimenti sulla circolazione del Nicocles: tale traduzione godeva di una buona diffusione al punto da figurare anche in raccolte di natura completamente differente, come, appunto, Vat.1 e Vat.3. Del resto, che la versione guariniana fosse apprezzata non solo per il contenuto, ma anche dal punto di vista stilistico-formale trova conferma nel fatto che i vari manoscritti spesso tramandano anche tutta una serie di testi (in particolare epistole, carmi e orazioni di umanisti e non solo) che chiaramente sono stati assemblati per fornire dei modelli di scrittura. In questo senso, particolarmente probante risulta essere l’analisi del contenuto di Ber86, codice che trasmette unicamente epistole e orazioni soprattutto di Guarino.

86 Cf. infra Appendice 4 nr. 24.

Testo critico, traduzione e note di commento

Nota al Testo Il testo latino intende rispecchiare l’ultima volontà dell’autore, per quanto è stato possibile ricostruirla. A tal scopo, nei casi di varianti adiafore sono ricorsa anche a criteri esterni, quali l’usus scribendi dell’autore. Non essendoci degli studi sistematici sullo stile di Guarino, ho fatto riferimento ad alcuni contributi relativi a specifiche traduzioni ad opera dell’umanista1 e ho condotto un’analisi – seppur non completa – dell’epistolario guariniano. Precedono la traduzione l’epistola di dedica a Leonello d’Este e l’Argumen­ tum secondo il testo edito da Sabbadini2, da cui mi discosto solo in un punto: nell’Argumentum ho scelto di portare a testo la lezione alerentur, riscontrata in tutti i codici da me visionati, al posto di colerentur stampato da Sabbadini3. Dato che il presente lavoro non prevedeva l’edizione critica di questi due paratesti, essi risultano privi di apparato critico. Il testo della versione è corredato da un apparato critico, in cui sono registrati le varianti e gli errori di tradizione, le voces nihili, le correzioni apportate dai copisti e le lectiones singulares; quanto alle varianti grafiche, esse non sono state registrate, a meno che queste non generassero ambiguità con altre forme lessicali autonome. Ho scelto di costruire un apparato non maasiano, riportando cioè pure le lectiones singulares dei descripti, al fine di fornire un quadro il più possibile completo ed esaustivo della tradizione manoscritta, dato che sinora non era mai stata oggetto di una specifica analisi filologica e tutto il capitolo precedente ha già la funzione di evidenziare le lezioni significative rispetto alle altre. Di fronte alla grande varietà ortografica riscontrabile nei testimoni, incoerenti anche al loro interno nelle soluzioni adottate, ho cercato di rendere il testo uniforme e al tempo stesso di rispettare il più possibile gli usi grafici dell’autore. Ho scelto dunque di seguire l’ortografia classica per quanto riguarda l’uso dei dittonghi -aeed -oe-, delle doppie e delle aspirate, di mantenere il nesso -ti- davanti a vocale, la forma univerbata delle parole enclitiche (-ne, -que) e i nomi propri (ad esempio, Dionysius, Carthaginienses). In linea con le abitudini grafiche di Guarino4, ho scel1 Sulla lingua di Guarino cf. infra Appendice 3. 2 Cf. supra Introduzione. 3 Cf. Sabbadini (ed. 1916) 260, l. 61 e app. ad loc. 4 Nella ricostruzione degli usi grafici dell’autore ho fatto affidamento agli studi di Marianne Pade, che ha curato l’edizione critica della traduzione guariniana di Plutarco, Vita Dionisi, cf. Pade (ed. 2013); inoltre ho visionato, in versione digitalizzata, il manoscritto Città del Vaticano, BAV, Vat. Lat. 3908, che al f. 171 presenta una lettera autografa del Veronese. Ho poi tenuto anche in considerazione le scelte grafiche del Sabbadini, che ha curato la monumentale edizione dell’epistolario dell’umanista. Sulle attestazioni della scrittura di Guarino cf. supra 50, 52 e n. 68 e 62 n. 15. https://doi.org/10.1515/9783110792867-005

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 Testo critico, traduzione e note di commento

to di usare la nasale -n- in luogo di -m- davanti alle consonanti c, d, t, q ed f, tranne se -m- è desinenza; di mantenere uniti i termini siquis, siquidem verumenimvero, quamobrem, tametsi, etenim, unusquisque e perindeac; di scrivere separate le forme dell’aggettivo non nullus e l’enclitica -ve; di conservare la grafia -tt- nell’aggettivo quottidianus; di lasciare la forma arcaica -und- per il gerundio; di scrivere l’aggettivo foedifragus senza dittongo -oe- (fedifragus); infine, di mantenere la morfologia greca (ad esempio monarchian). Nel testo critico ho introdotto le lettere maiuscole e la punteggiatura secondo l’uso moderno, e ho suddiviso il testo in paragrafi che corrispondono a quelli adottati nelle moderne edizioni critiche di Isocrate.

Sigla G C.11 C Vat.3 Vat.1 Vat.5 Co D B L M T Est.1 Est.2 N O P A R S V V1 Z Ber γ x β c j h y k δ

Belluno, Biblioteca del Seminario Gregoriano, ms. 29 Cambridge, Saint John’s College Library, C. 11 (61) Cambridge, University Library, LI.I.7 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 303 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 1778 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 5117 Como, Biblioteca Comunale, ms. 4.4.6 Dublin, Trinity College, ms. 438 London, British Library, Royal 10.B.IX London, Lambeth Palace Library, ms. 341 Milano, Biblioteca Ambrosiana, E 83 sup. Milano, Biblioteca Trivulziana, Triv. 642 Modena, Biblioteca Estense Universitaria, Lat. 20 (alfa F.2.52) Modena, Biblioteca Estense Universitaria, Lat.219 (alfa P.6.24) Nürnberg, Stadtbibliothek, Solg. 54 2˚ Oxford, Bodleian Library, Auct. F.5.26 Paris, Bibliothèque Nationale de France, Bibliothèque de l’Arsenal, 1134 Roma, Biblioteca Angelica, ms. 234 Roma, Biblioteca Nazionale dei Lincei e Corsiniana, Corsin. 1832 43.E.4 Szombathlely, Egyházmegyei Könyvtár, ms. 8 Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Lat. XIV 30 Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Lat. XI 26 Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Lat. Z 501 Vicenza, Biblioteca civica Bertoliana, ms. 31 consensus codicum D O L C consensus codicum O L C consensus codicum C.11 N B A R Vat.5 Est.2 M Ber consensus codicum C.11 N B A R consensus codicum C.11 N B consensus codicum C.11 N consensus codicum A R consensus codicum Est.2 M consensus codicum Co V1

add. additit, additum fol. amiss. folium amissum fort. fortasse, ubi quae fuerit scriptura ambigitur del. delevit corr. correxit er. erasit evan. verbum evanidum vel littera evanida exp. expunxit in marg. in margine iter. iteravit om. omisit https://doi.org/10.1515/9783110792867-006

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 Testo critico, traduzione e note di commento

rell. reliqui codices ras. in rasura sive ex rasura rel. reliquit s.  l. supra lineam v. l. varia lectio A1 A nondum correctus A1c A a librario ipso correctus A2, A3, Aetc. A a secunda, tertia, etc. manu correctus Ac A ab incerta manu emendatus

Nicocles Clarissimi oratoris Guarini Veronensis in Isocratem de subditis ad principes ­prohemium ad ill. Leonellum Estensem.

Saepius ante oculos res humanas proponenti mihi, Leonelle princeps, munus sane venerabile, singulari admiratione prosequendum concessumque divinitus regendi ratio censeri solet. Nam cum homo, divinum certe animal mortalis ve deus, ita creatus sit ut dominari in cetera possit ac caelum maria terras, et quae in eis sunt, subiecta suis haberet usibus, cui dubium esse queat hunc ipsum, de quo loquor, hominem immortali deo inprimis iocundum haberi gratum uniceque dilectum, cui familiaris sit et divinitatis participatione cognatus? Quod ideo tibi facile persuasu vel cognitu potius fieri confido, quia scitum illud sapientissimi oratoris crebro usurpare consuesti et in ore atque delitiis habere saepissime:«Nihil est principi illi deo, qui omnem mundum regit, quod quidem flat in terris acceptius, quam concilia coetusque hominum iure sociati, quae civitates appellantur. Harum rectores et conservatores hinc profecti huc revertuntur»1. Siquis igitur opem vel ornamentum illis afferret, eo maiores illi habendae forent gratiae, quo in dei animal et in civitates ipsius latissime pateret officium. Quocirca dies mecum noctesque verso qua ratione curas laboresque tuos fulciam, quibus boni regis munia cum omnium admiratione ac laudibus obire pergis. Et quanquam cum per te tum vero paterna virtute ac sapientia polleas, non dedignaberis tamen pro tua modestia si, ut Agamemnoni Nestorem, sic et tibi fidelem ac prudentissimum consiliarium addidero, cuius ductu atque peritia tibi tuorumque saluti et dignitati graviter et commode consulas. His humanitatis et studiorum fructibus acceptum a maioribus lumen amplificabis, regium gloria illustrabis ordinem. An te ipsum Nestorem vel sentis vel appellas? inquies. Minime medius fidius, at Isocratem iungere tibi paro, eximium quidem philosophum et Nestore, pace dixerim sua, nequaquam hac ex parte inferiorem. Eum proxime latinum tuo nomine vel ea causa feci, quod cum libellum avide legas Isocratis quo in subditos regem instituit, hunc illi quasi socium coaptes, quo invicem subditos in regem instituit: sic omni ex parte absolutum habebis regentis officium.

1 Cic. rep. 6, 13. https://doi.org/10.1515/9783110792867-007

Nicocles / Nicocle 

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Nicocle Proemio del celeberrimo oratore Guarino Veronese al discorso d’Isocrate sul ­comportamento dei sudditi nei confronti dei principi, per l’illustre Leonello d’Este.

Io che alquanto spesso penso alle vicende umane, principe Leonello, sono solito considerare l’arte di governare come un compito venerabile, a cui è da tributare una straordinaria ammirazione e che è stato concesso per volere divino. Infatti, dal momento che l’uomo, un animale divino o almeno un dio mortale, è stato creato cosicché possa dominare su tutto il resto del mondo e disporre in base alle sue necessità del cielo, dei mari e delle terre e di quanto c’è in essi, chi può avere dubbi proprio su questo fatto di cui parlo, cioè che l’uomo è in special modo ben accetto, gradito ed eccezionalmente caro a Dio immortale, con cui è in stretto rapporto e a cui è congiunto in virtù della partecipazione della natura divina? Per questo motivo confido che tu ti persuada facilmente di ciò o meglio ne convenga, poiché sei solito citare di frequente quella famosa massima del sapientissimo oratore e dire sempre e molto spesso con gioia: «Di ciò che accade in terra, nulla è più gradito a quel dio supremo, che tutto governa, degli aggregati politici giuridicamente costituiti, che sono chiamati stati. E i reggitori e salvatori di questi, partiti da qui, qui sono destinati a ritornare». Se qualcuno dunque li assisterà o li colmerà di onore, quello dovrà ricevere ricompense tanto maggiori quanto più ampiamente si dispiega il suo servizio nei confronti della creatura di dio e delle sue città. Perciò medito giorno e notte su come sostenere il tuo impegno e i tuoi sforzi, con cui continui ad eseguire i compiti di un buon governante tra l’ammirazione e le lodi di tutti. E anche se governi sia per merito tuo sia grazie alla rettitudine e alla saggezza di tuo padre, tuttavia in virtù della tua modestia non sdegnerai se, come Nestore accanto ad Agamennone, porrò anche al tuo fianco un consigliere fedele e molto saggio, con la cui guida ed esperienza tu provveda con gravità e convenientemente a te e al benessere e alla dignità dei tuoi. Grazie a questi frutti derivati dall’educazione e dagli studi accrescerai lo splendore ricevuto dagli antenati, con la gloria darai lustro al rango regale. «Forse ti senti e ti definisci Nestore?» mi chiedi. Assolutamente no, ma mi accingo ad unire a te Isocrate, eccellente filosofo e, sia detto con sua buona pace, per nulla inferiore a Nestore sotto questo aspetto. L’ho reso da poco latino in tuo nome e specialmente per questa ragione, poiché tu, quando leggi avidamente il pamphlet di Isocrate con cui istruisce il re su come comportarsi nei confronti dei sudditi, vi associ questo come una sorta di suo alleato, con cui, viceversa, istruisce i sudditi su come comportarsi nei confronti del re: così il compito del governante ti sarà chiaro sotto ogni punto di vista.

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 Testo critico, traduzione e note di commento

Argumentum in libellum Isocratis Salamin praeclara olim Cypri urbs fuit et metropolis, cum alia et civitas et insula e regione agri attici sita fuerit. In hac Nicocles Evagorae filius regnum obtinebat, ad quem Isocrates Theodori filius atheniensis et dicendi et bene vivendi magister optimus duos libellos conscripsit. In primo Isocrates Nicoclem directo sermone instruit regis officio, quem inter manus saepe versas ad iliustrem Ludovicum Gonzagam ab Iustiniano eruditissimo adulescente interpretatum. In altero autem subditos regi commonefacit quonam pacto imperium pati eique obtemperare sciant: in hoc vero omnis ab Isocrate Nicocli regi tributus est sermo. Quod cum aliis rationibus factum est, tum vero quia inter commonefaciendum consulendumque minae ac terrores in subiectos erant immiscendi; quod et congruentius efficaciusque ex regis quam externi et privati persona futurum erat. Inscribitur autem «Nicocles sive Symmachicus», ubi et eius annotatur persona qui priores disserendi partes assumit et res qua de agitur. Quem morem apud antiquos servatum vides, uti «Cato maior sive de senectute», item «Laelius seu de amicitia». Symmachicus autem socialem significat; id enim potissimum hic ipse commentariolus agit, ut in regiam dignitatem parendo observandoque unanimes so­ci­os­ que conciliet. Quam gratus uterque regi libellus extiterit quantoque honore apud eum artes alerentur cum alia permulta documento sunt, tum regale munus; certi nanque testes adsunt Nicoclem utroque accepto commentario Isocrati viginti talenta dono misisse2. < Ferrara 1433 c.>

2 Cf. Ps. Plut. Orat. vit. IV 17: εὐπόρησε δ᾽ ἱκανῶς οὐ μόνον ἀργύριον εἰσπράττων τοὺς γνωρίμους, ἀλλὰ καὶ παρὰ Νικοκλέους τοῦ Κυπρίων βασιλέως, ὃς: ἦν υἱὸς Εὐαγόρου, εἴκοσι τάλαντα λαβὼν ὑπὲρ τοῦ πρὸς αὐτὸν γραφέντος λόγου ἐφ᾽ οἷς φθονηθεὶς τρὶς προεβλήθη τριηραρχεῖν, καὶ δὶς μὲν ἀσθένειαν σκηψάμενος διὰ τοῦ παιδὸς παρῃτήσατο, τὸ δὲ τρίτον ὑποστὰς ἀνήλωσεν οὐκ ὀλίγα. πρὸς δὲ τὸν εἰπόντα πατέρα ὡς οὐδὲν ἀλλ᾽ ἢ ἀνδράποδον συνέπεμψε τῷ παιδίῳ ‹τοιγαροῦν› ἔφη ‘ ἄπιθι.

Nicocles / Nicocle 

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Argomento del libello di Isocrate Un tempo Salamina era un’illustre città di Cipro e un centro di grande rilievo, sebbene fosse un’altra rispetto sia alla città sia all’isola situate davanti alla regione dell’Attica. In essa deteneva il potere Nicocle, figlio di Evagora, per il quale scrisse due libelli l’ateniese Isocrate, figlio di Teodoro e ottimo maestro sia di eloquenza sia del vivere rettamente. Nel primo libello Isocrate istruisce Nicocle sui doveri del re con un discorso in forma diretta, testo che, tradotto per l’illustre Ludovico Gonzaga dall’eruditissimo giovane Giustiniani, spesso tu hai per le mani. Nell’altro libello, invece, ricorda ai sudditi del re in che modo sappiano sottostare al suo comando e obbedirgli: in verità in questo pamphlet l’intero discorso è attribuito da Isocrate al re Nicocle. Ciò è stato fatto tra gli altri motivi soprattutto poiché minacce e spaventi nei confronti dei sudditi dovevano essere mescolati agli avvertimenti e alle disposizioni; cosa che era inevitabile fosse più appropriata ed efficace da parte del re rispetto che da uno straniero e privato cittadino. Poi, il discorso si intitola «Nicocle o symmachicos», dove si indica sia colui che ha un ruolo principale nell’esposizione sia l’argomento di cui si tratta. Questa modalità la vedi osservata presso gli antichi, come ad esempio in «Catone maggiore o sulla vecchiaia» e anche in «Lelio o sull’amicizia». Ora symmachicos significa «alleato»; infatti, questo libello giustappunto tratta principalmente di ciò, cioè come procurarsi alleati concordi con l’obbedienza alla dignità regale e con la deferenza nei confronti di essa. Quanto entrambi i libelli siano stati graditi al re e con quanto onore fossero coltivate presso di lui le arti, tra moltissime altre attestazioni è particolarmente esemplificativo il dono del re; infatti, ci sono testimoni fidati del fatto che Nicocle, ricevuti entrambi gli opuscoletti, abbia mandato in dono venti talenti ad Isocrate. .

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 Testo critico, traduzione e note di commento

Nicocles sive Symmachicus [1] Plerique sunt qui graves in eloquentiam animos habent et eos qui bonarum artium studiis tenentur longis accusationibus agitant, ipsosque non virtutis gratia, sed ut plura consequantur in huius modi conficiendis exercitationibus versari dicunt. Eos igitur qui hunc in modum animati sunt libens utique percontarer quamobrem illos quidem qui bene dicendi cupiditate ducuntur vituperiis insectantur, eos autem qui recte faciendi consilia ineunt laudibus extollunt. Nam si plura consequendi cupiditas illos sollicitat et tristitia afficit, plures profecto maioresque re ipsa atque opere quam verbis confectas esse cupiditates reperiemus. [2] Praeterea et absurdum illud est si clam illis sit quod deos singulari pietate colimus et iustitiam reliquasque virtutes exercemus non ut minus ceteris habeamus, sed ut plurima bonorum copia vitam degere liceat. Quocirca ea rerum genera minime sunt increpanda quas cum virtute quispiam sibi egregie vendicaverit, sed homines qui in rerum actione peccant aut oratione fraudes instruunt eamque ad usus minime iustos rapiunt. Incipit Nicocles seu (su- Z1, corr. Z1c) Symmachicus Vat.1 Z T : incipit liber Ysocratis de officio subditorum locutor Nicocles seu Symachicus translatus de Greco per Guarinum Veronensem. Nicocles prephatur Vat.3 : Oratio Nichedis ad subditos suos D : Nicodes ad subditos x : Hysocratis libellus quales se habere debeant subditi regis ad regem suum traductus e greco per Guarinum Veronensem virum doctissimum V : Incipit oratio de subditis penes regem B : Isocrates vel Simniachicus incipit y : Clarissimi oratoris Guarini veronensis ad illustrem principem d. Leonellum marchionem Estensem pro ut subditi se habere debent erga dominos feliciter incipit Vat.5 : Incipit Nicocles seu Symniachicus Isocratis. Lege feliciter Est.2 M : Clarissimi oratoris Guarini Veronensis ad illustrem dominum Leonellum estensem Nicocles seu Symachicus incipit S G : Isocrates de subditorum instructione quoniam regibus obtemperare sciant Co : Clarissimi oratoris Guarini veronensis ad illustrem dominum Leonellum Estensem Nicocles seu Symmachicus feliciter incipit. Valeas qui legeris Est.1 : Isocratis philosophi ad Nicoclem de imperio iusti regis liber secundus qui inscribitur Nicocles sive Simmachicus de officio subditorum in regem P : Isocrates de subditorum instructione quo modo regibus obtemperare sciant V1 : nulla inscriptio in h Ber 1 eloquentiam] -tia Est.11 (corr. Est.12) | graves] contranes D | habent Vat.1 Vat.3 γ V Z T Co : -eant β S V1 Est.1 P G | tenentur] fort. -neri D | accusationibus] actionibus Vat.1 Vat.5 | agitant] -tent P | ipsosque] et ipsos V | gratia] -iam N1 (corr. N1c) B A1 (corr. A1c) | ut] in B | plura] plurima c | modi om. D | in om. C.11 (s.  l. add. C.111c) | illos] -lis P1 (corr. P1c) | quidem om. D | bene] et bene D1 (et exp. D2) | ducuntur] indu- Ber | qui] et C | ineunt] incutiunt S | extollunt] -ntur Vat.12 (recte Vat.11) | tristitia] tristia Ber1 (corr. Ber1c) | opere] -rem Vat.3 | confectas] -tos V | cupiditates om. V  ||   2. et] etsi B | deos] eos D1 (corr. D1c) | singulari] singuli Ber | iustitiam] -tia Co1 (corr. Co2) : uistitiam fort. G | primum ut om. Est.21 (corr. Est.21c) | alterum ut om. Z | plurima] plura Vat.5 : plurimas A : plurimorum V | ea] earum V Z | rerum genera] genera rerum Ber | quispiam sibi] sibi quispiam Ber | sibi egregie] sibi egregia Co : om. x | qui] quos Ber1 (corr. Ber1c) | in om. C | instruunt] instituunt y : non liquet Co1 (recte Co2) | eamque] eaque ras. C.11 : est que N : et quae B : iamque Co | ad usus] audus A : ad usos M | minime iustos] iustos minime Ber  ||  

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Nicocle o Symmachicos [1] Sono moltissimi quelli che nutrono sentimenti di ostilità nei confronti dell’eloquenza e rivolgono lunghe accuse a chi si dedica allo studio delle discipline umanistiche, e dicono che questi si applicano a compiere esercizi di questo tipo non in vista della virtù, ma per guadagnare di più. Domanderei quindi volentieri a coloro che la pensano in questo modo per quale motivo perseguitano verbalmente coloro che desiderano parlar bene, mentre lodano coloro che decidono di agire rettamente. Infatti, se è il desiderio di guadagnare di più che li stimola e li rende tristi, troveremo che dai fatti e dalle azioni sono prodotti desideri più numerosi e più grandi che dalle parole. [2] Inoltre, è assurdo anche quest’altro fatto, se sfugge loro che noi veneriamo gli dei con particolare devozione ed esercitiamo la giustizia e le altre virtù non per avere meno degli altri, ma affinché ci sia concesso vivere con una grandissima quantità di beni. Perciò non sono da biasimare quegli stili di vita che si potrebbero rivendicare al meglio per sé insieme con la virtù, ma lo sono gli uomini che commettono colpe nell’agire o tramano inganni per mezzo della parola e la piegano in modo non giusto. [3] Mi meraviglio molto che

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 Testo critico, traduzione e note di commento

[3] Ii profecto qui hac in sententia sunt me magnam in admirationem trahunt quonam modo neque divitias neque robustum corpus neque fortitudinem ullis invadant maledictis. Si enim propter fraudulentos ac mendaces homines tam gravem adversus eloquentiam et studia gerunt animum, et alia redarguere bona convenit, quoniam non nulli qui ea sunt adepti in his delicta commisisse deque multis male meruisse cernentur. [4] Verumenimvero id iustum nequaquam est: nec, si qui manus in obvios inferant, accusandae sunt vires nec, si qui necem inflixerint, convicio danda est fortitudo nec mortalium malignitas ad ipsas omnino res transferenda. Eos autem ipsos vituperationibus notare fas est qui et bona pravos in usus rapiunt et, per quae utilitates afferre possunt, per ea civibus damna importare conantur. [5] Nunc autem, cum singula hoc pacto diffinire negligant, in omne dicendi ac studiorum genus molesti esse pergunt; qua in re tantis implicantur erroribus ut in eam sese rem odium habere non intelligant quae super omnia quae humana in natura sint et plurimorum causa bonorum existit. Aliis enim quae nobis insunt nihil ab reliquis differimus animantibus; quin et velocitate et viribus ceterisque commoditatibus longe inferiores sumus. [6] Cum vero invicem persuadendi vis nobis innata sit ut quaecunque velimus inter nos explicare valeamus, non modo beluarum vitam exuimus, verum etiam, cum unum in coetum convenerimus, urbes incolendas fecimus, leges et instituta condidimus, varias artes excogitavimus et cuncta ferme nostro reperta ingenio dicendi facultate comparata sunt.

3 hac in] in hac D : in om. B | sententia] scientia Ber1 (corr. fort. alia manus) | admirationem] -tione Vat.11 (corr. Vat.12) | modo] malo γ : modum Ber1 (corrr. Ber1c) | divitias] divinitas Ber | ullis] illis R | invadant] -dunt V | si] sic Co | ac] et c | alia om. D1 (in marg. add. Dc) | convenit] -niant β | quoniam] quam h | ea] eam Co | in his] in om. j | male om. C1 (in marg. add. C1c) | cernentur Vat.1 Vat.3 γ Z T δ Est.1 P G : -nuntur j Vat.5 k V S : -nitur y : -nunt fort. Ber  ||   4 id] ad V1 | nequaquam] nequam Z1 (corr. Z1c) | qui] quis Z1 (corr. Z1c) Ber | in obvios om. B | necem] aliis necem V | inflixerint] infle- x A1 (corr. A1c) : inflixerunt D : inflixerit Ber | con##vi##cio Vat.11c | danda est Vat.1 Vat.3 γ V Z T : est danda β S δ Est.1 P G: damnanda v.l. Vat.5 | nec] hec Co | ipsas] ad post ipsas iter. Vat.31 (alterum ad exp. Vat.31c) : ipsa A | omnino res] omniores Vat.1 (corr. Vat.12) : ommino res Est.1 : omnio res Ber | ipsos om. c | importare] s.  l. id est inferre add. O : in marg. id est inferre add. C : importare videntur Co1 (videntur exp. Co1c) : reportare T  ||   5 nunc] non B : nuc (sic) G | omne] esse B | ac om. Z | molesti] mode- h : molestie Z | esse] ergo B | pergunt] -gant M1 (corr. M1c) | implicantur] -atur Co1 (corr. Co2) V1 | rem om. R1 (s.  l. add. R1c) | intelligant] intelligant nam h | et con. Mala­ spina : et Vat.1 Vat.3 D h Vat.5 S : om. x B y k Ber V Z T δ Est.1 P G (sed locus suspectus est) | existit Vat.12 γ V Z T S Co Est.1 P G : existint Vat.5 V1 : existunt Vat.3 c k Ber : non liquet Vat.11 | aliis] ab his B | ceterisque] coeperis fort. V | inferiores] inferioresque N : inferiore Ber | sumus] simus C  ||   6 cum vero] enimvero M | vis] vim S | velimus] volu- A : voli- R | inter nos om. Ber | etiam cum] etiam tum L : et N : etiam iter. B | unum~convenerimus om. M | unum in] in donum R | coetum] centum N | incolendas] -enda N1 (corr. N1c) B | condidimus] condimus Co1 (corr. Co2) | varias] varȋs A | ferme] forme B : om. y | nostro C B Est.2 Ber V Z T δ Est.1 P G: nostra M : numero Vat.1 Vat.3 D O L h y Vat.5 S | reperta] reparata A : reparato R | facultate] -tata M | comparata] -ratae Ber  || 

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proprio coloro che hanno quest’opinione non attacchino con parole ingiuriose né la ricchezza né la forza fisica né il coraggio. Se, infatti, si mostrano tanto severi nei confronti dell’eloquenza e degli studi a causa di uomini fraudolenti e bugiardi, conviene che disapprovino anche altri beni, poiché si vedrà che tra coloro che li hanno ottenuti alcuni hanno commesso delitti e si sono comportati male nei confronti di molte persone nell’esercizio di questi beni. [4] Ma a ben guardare ciò non è per nulla giusto: se uno alza le mani contro coloro in cui s’imbatte, non bisogna accusare la forza fisica né, se uno ha commesso una strage, bisogna rimproverare il coraggio né, in generale, si deve attribuire la malvagità degli uomini agli oggetti stessi. Si devono invece biasimare coloro che volgono i beni verso cattivi usi e con i mezzi con cui potrebbero portare dei vantaggi tentano di danneggiare i loro concittadini. [5] Ora, invece, dal momento che non si curano di distinguere in questo modo i singoli casi, continuano a essere molesti nei confronti di ogni tipo di discorso e di ogni genere di studi; in quest’ambito cadono in errori tanto grandi da non comprendere che odiano quella facoltà che è al di sopra di tutte le altre qualità che sono proprie della natura umana e che è fonte di moltissimi beni. Infatti, per le altre doti che possediamo non siamo per niente diversi dagli altri esseri viventi, anzi, siamo di gran lunga inferiori per velocità, forza e le altre prerogative. [6] Ma poiché noi possediamo l’innata capacità di persuaderci a vicenda così da essere in grado di esporre l’uno all’altro qualsiasi cosa vogliamo, non solo ci siamo affrancati dalla vita ferina, ma, dopo esserci riuniti, abbiamo

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 Testo critico, traduzione e note di commento

[7] Eloquentia enim est quae de iustis ac iniustis, quae de honestis et turpibus legem tulit; quae nisi instituta fuissent, nobis in unum habitare nequaquam licuisset. Haec est cuius opera et pravos redarguimus homines et bonos collaudamus; hac eadem et rudes erudimus et eruditos comprobamus. Nam posse, prout res postulat, apte dicere singularis sapientiae signum non mediocre facimus et profecto vera legitima et iusta simul oratio bene ac fideliter institutae mentis simulacrum est. [8] Huius ope dubiis de rebus disceptamus et de ignoratis perscrutamur. Nam qua fide et probabilitate aliis dicendo persuademus eadem et de reliquis consultando utimur et bonos quidem oratores appellamus eos quibus in multitudine dicendi potentia inest; bonos autem consiliarios censemus illos qui de rebus optime disserant. [9] Quod si hac ipsa de facultate summatim dicendum est, nihil ex iis, quae prudenter aguntur, sine oratione factum esse reperiemus; quin et actionum et cogitationum omnium regina extat oratio, cuius ii maximos usus habent qui plurimo praestant mentis acumine. Quae cum ita sint, si qui preceptoribus ac studiosis obtrectare audent, non aliter odio digni censendi sunt quam qui sacras deorum immortalium aedes violant. [10] Omnes ego orationes gratas accipio quae vel paululum nobis adiumenti afferre queant. Verum tamen praestantissimas ac etiam atque etiam regias mihique praecipue convenientissimas eas esse arbitror quae de rebus agendis maximeque civilibus monent quaeque reges in primis instruunt quonam modo sese in populos gerant, nec minus privatos qua ratione in eorum principes affecti

7 eloquentia] -tiam A1 (corr. A1c) | alterum quae om. γ δ | alterum de om. S | de honestis] om. γ | et Vat.1 Vat.3 γ Z T δ Est.1 G : ac β V S P | fuissent] -set O L | nobis] in nobis Z : vobis Ber | habitare nequaquam] nequaquam habitare y : habitare om. V | licuisset] vivere licuisset V | haec est om. B | cuius] cui Vat.11 (corr. Vat.12) | prius et om. y T1 (corr. T1c) | homines om. S | collaudamus] colland- D O | hac] hec P1 (corr. P1c) | alterum et om. D1 (s.  l. ac add. Dc) | singularis] singulraris (sic) D1 (corr. D1c) | vera] verba B | vera legitima] vera et leg. Ber | simul] sit D : om. M | institute] instute N1 (corr. N1c)  ||   8 dubiis] non liquet Vat.11 (recte Vat.12) : duabus Vat.3 | ignoratis] ignatis B | probabilitate] -tati y : probitate γ : probalitate V1 (corr. V1c) | dicendo] disce- M | persuademus~ consultando om. A | eadem om. β | quibus iter. O1 (alterum exp. O1c) : hii quibus L | potentia] copia Z | inest] est Est.21 (corr. Est.21c) δ : om. R1 (in marg. add. R1c) | illos] eos Vat.5 | qui de] quidem y | rebus] re δ | disserant] dexide- y  ||   9 est] sit δ | oratione] rat- c Ber | reperiemus] -rimus R | cogitationum] cognit- k Ber | usus habent om. P | mentis om. c | ac studiosis om. M | obtrectare] detre- Ber | audent] vident P | sunt om. V  ||   10 omnes ego] omnes igitur ego j : omnes igitur O L : omnes ergo D C V S : omnes Est.11 (ego add. Est.11c) | orationes gratas] gratas orationes y | paululum] paulum A : pabulum Ber | ac etiam atque (aque A1, corr. A1c) etiam] ac etiam j : atque Co | mihique] mihi S : nihilque A : in que δ | eas Vat.1 Vat.3 γ V Z : om. β T S δ Est.1 P G | maximeque] -me B | civilibus] cuiuslibet j | reges om. C1 (s.  l. add. C1c) | instruunt] instituunt β | sese] secse A1 (corr. A1c) : om. Z | populos] -lo j : -lis Co | gerant] gerent B | privatos] instruunt privatos instruunt V |

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anche costruito città da abitare, abbiamo emanato leggi e fondato istituzioni, abbiamo inventato diverse arti e quasi tutte le cose che sono state scoperte grazie al nostro ingegno sono state procurate dalla facoltà di parola. [7] L’eloquenza è, infatti, colei che ha posto la legge riguardo a ciò che è giusto e ingiusto e a ciò che è onesto e disonesto; e se questi princìpi non fossero stati introdotti, per noi non sarebbe stato assolutamente possibile vivere in società. Questa è quella capacità per mezzo della quale confutiamo gli uomini malvagi e lodiamo quelli buoni; grazie alla medesima educhiamo gli ignoranti e approviamo gli eruditi. Infatti, l’essere in grado di parlare in modo adeguato, a seconda di come richieda la situazione, lo riteniamo una non piccola prova di singolare sapienza, e un discorso veritiero, conforme alla legge e al tempo stesso giusto, è senza dubbio immagine di un animo educato all’onestà e alla lealtà. [8] Con il suo aiuto discutiamo sulle cose incerte e indaghiamo su quelle ignote. Infatti, la lealtà e la credibilità con cui convinciamo il prossimo parlandogli sono le stesse che impieghiamo quando deliberiamo su tutto il resto e definiamo buoni oratori proprio coloro che possiedono la capacità di parlare davanti alla folla; consideriamo poi buoni consiglieri coloro che discutono nel modo migliore riguardo alle questioni. [9] Se poi bisogna dire poche parole proprio riguardo a questa facoltà, troveremo che nulla di ciò che è stato fatto saggiamente è stato compiuto senza la parola; anzi, la regina di ogni azione e di ogni pensiero è la parola, di cui si servono soprattutto coloro che eccellono di gran lunga per intelligenza. Stando così le cose, se qualcuno osa denigrare i maestri e gli studiosi, è da ritenere degno di essere odiato non diversamente da chi viola i sacri templi degli dèi. [10] Personalmente, accolgo con piacere tutti i discorsi che ci possono portare anche solo un po’ di giovamento. Tuttavia, ritengo che siano i migliori, di gran lunga i più degni di un re e i più adatti specialmente a me quei discorsi che danno consigli sulle azioni da intraprendere e soprattutto in ambito pubblico, e quelli

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 Testo critico, traduzione e note di commento

esse debeant. Quibus ex rebus civitates ad summum felicitatis gradum amplissimumque fastigium perductas esse cerno. [11] Altera quidem de re, quae videlicet regnandi ratio suscipiatur, Isocratis orationem accepistis; quod vero consequens est, id est quodnam subditorum sit officium, percurrere conabor ego, non quod illum excellere posse sperem, sed quia his de rebus ad vos verba facere mearum maxime partium sit. Si enim, non praemonstrante me quae a vobis fieri velim, adversus animi mei sententiam peccaveritis, iure vobis minime succenserem; sin, praedicente me, nihil tale confeceritis, iusta iam in contumaces mea fuerit querimonia. [12] Ut autem mea memoriter dicta servetis et regiis obsequamini documentis, hac maxime ratione vos et provocare et excitare posse arbitror: non si in dandis tantummodo vobis consiliis verser iisque dinumeratis finem faciam, verum si insuper ostendam primum quidem presentem civitatis statum quanta benivolentia sit et caritate complectendus, non solum necessitate aut quia tempus universum in eo colendo consumpsimus, sed etiam quia supra reliqua gubernandae civitatis genera praestantissimus est. [13] Accedit quod regiam hanc potestatem habeo nulla iniquitate quaesitam nec alienam, sed sancte, iuste ac maiorum meorum et patris successione possessam et mea denique opera tutatam. Haec cum ante plana fecero, neminem fore arbitror qui non ingentis se iacturae damnet nisi regis consilio et edicto paruerit. [14] De civitatis statu et rei publicae gubernandae ratione prius dicere incipiam: sic enim et initio proposui. Cunctis igitur gravissimum  – ut arbitror  – videri debet ut boni viri ac improbi homines eodem digni praemio iudicentur, esse] est B | debeant] -bent M1 (corr. M1c) | gradum] gaudium Ber | perductas] -cta j : productas δ | cerno] -nes R  ||   11 de om. Co | quae] qua δ | orationem] rat- c | alterum est om. j | post officium in marg. add. quod D3 (recte D1) | percurrere om. M | illum] illud Ber | his de] de his M : his om. h | vos] nos N | maxime om. S G | sit] est δ | non om. B | a vobis] audis j : a -obis prima littera non liquet Ber | velim] -is N | iure] vere β | succenserem] -seam j R Vat.5 k Ber : -sem A | sin] sim A1 (corr. A1c) : si δ | tale evan. Ber | fuerit] fuint (sic) N  ||   12 regiis] regis j R | hac] ac N | maxime] -ma Vat.5 V | excitare] exerc- Z | non] nam δ | in om. T1 (s.  l. add. T1c) | tantummodo vobis] fort. nobis tantummodo Z | vobis consiliis] consiliis vobis V | iisque Vat.1 γ V Z T Est.1 : usque Vat.3 β S δ P G | quidem] qui h | presentem civitatis statum] civitatis statum presentem Vat.5 : regium in marg. add. alia manus P | benivolentia] -tiam A1 (fort. corr. A1c) | sit] sim T | complectendus] -ndis B : complexus T | quia] qua δ | in eo colendo] meo col. N | quia] qui N1 (corr. N1c ) | gubernandae] -nda Co | est] sit Ber1 (corr. Ber1c)  ||   13 accedit quod] accedit autem quod D : acceditque j Ber : accidit quod A | regiam] regina j : reginam V | hanc] hunc O | nulla] -lam Co1 (corr. Co2) | iuste] vitae c | patris] patris meis V | successione possessam] possessione (-one exp. et in -am corr. M1c) successione M | plana] plane M | tutatam] tutam c : utam O1 (corr. O1c et in marg. tutatam add. alia manus) | fore] fere j | qui] quae Ber | ingentis] -ti Ber | edicto] edito Vat.5 : dicto c | explicit prohemium Nicodetis add. Vat.3  ||   14 rei p.] de rei p. Z | incipiam] instituam M | initio] in initio O C Co V1 (ras.) | ac] et Vat.3 Ber | improbi] probi Vat.51 (corr. Vat.51c ) | praemio] sermone Ber | iudicentur] indic- Ber |

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che insegnano innanzitutto ai re come comportarsi nei confronti dei loro sudditi, e non di meno ai privati cittadini come doversi disporre nei riguardi dei loro principi. Vedo che grazie a questi discorsi gli stati sono condotti al culmine della prosperità e alla condizione più elevata. [11] Riguardo al primo argomento, cioè come si deve governare, avete sentito il discorso di Isocrate; quello successivo, invece, cioè quali siano i doveri dei sudditi, tenterò di esporlo io, non perché speri di poterlo superare, ma perché è principalmente compito mio parlarvi di questo. Se, infatti, senza che io vi abbia mostrato prima ciò che voglio sia fatto da voi, compirete qualcosa contro il mio volere, non avrei alcun motivo per adirarmi con voi; se invece, dicendovelo io prima, non farete nulla di ciò, allora sarà giusto che io mi lamenti con chi è disubbidiente. [12] Affinché poi voi ricordiate per bene le mie parole e obbediate ai precetti del re, credo di potervi incitare e spronare soprattutto in questa maniera: non se mi occupassi soltanto di darvi consigli e mi fermassi, dopo averli elencati, ma se in aggiunta mostrassi relativamente all’attuale forma di governo in primo luogo con quanta benevolenza e con quanto affetto essa sia da accogliere, non solo per necessità o poiché abbiamo trascorso tutto il tempo vivendo sotto questo regime, ma anche perché eccelle su tutti gli altri tipi di costituzione. [13] Si aggiunge il fatto che detengo questo potere regio non per averlo ottenuto tramite azioni illegali né come appartenuto ad altri, ma in quanto posseduto in conformità alle leggi divine e umane e per diritto di successione dei miei antenati e di mio padre e, da ultimo, poiché l’ho protetto con la mia opera. Una volta che avrò chiarito per prima cosa questi punti, credo che non ci sarà nessuno che non si dichiarerà colpevole di un danno ingente se non obbedirà al consiglio e al decreto del suo re. [14] Inizierò a trattare come primo argomento la costituzione e il modo di governare lo stato: così infatti mi ero proposto anche all’inizio. Dunque, a tutti – credo  – deve sembrare assolutamente inaccettabile che gli uomini buoni e gli

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 Testo critico, traduzione e note di commento

i­ ustissimum vero ut inter hos fiat distinctio, ne qui dissimiles sunt similia consequantur, verum et honores et negotia unicuique pro dignitate distribui. [15] Populares itaque status et paucorum principatus aequales iis portiones postulant qui in eorum communicatione vivunt idque vehementer inter illos comprobatur si alter altero vendicare plura nequeat, quod flagitiosis commodissimum est. At regius principatus plurimum praebet optimo, secundo quod est proximum, tertio et quarto et deinceps eadem ratione. Quod si haec ubilibet cons­ tituta non sunt, at ipsius dignitatis voluntas huiusce generis est. [16] Si dispicienda hominum sunt ingenia atque opera, regium id potius esse munus unus­ quisque confiteatur. Quis, vel mediocri sapientia praeditus, non eius rei publicae partem sibi obvenire magis optarit in qua sua occultari bonitas non possit quam intra turbam ferri, cum interim quale ingenium habeat ignoretur? Regia quoque maiestas eo mansuetior iudicari iure debet quo facilius est unius viri sententiae mentem accommodare quam tam multis tanque diversis voluntatibus ut placeas quaerere. [17] Ut ea iucundior, suavior iustiorque sit, pluribus sane verbis declarari posset, his tamen est intueri facile. Quantum ad deliberationes agendas, ad gerenda necessaria monarchiae reliquis antecellant hunc in modum contemplari fas est, si amplissimas res gestas mutuo conferentes eas discutere conemur. Igitur qui annuos ingrediuntur magistratus, priusquam urbana intelligant negotia et ullam eorum peritiam captent, rudes et imperiti sint est necesse.

iustissimum] fort. tutis- M | ut] si y | inter] in B : om. Ber | fiat] fiet P | sunt om. Vat.3  ||   15 populares] -ris δ | portiones] prot- Ber | vivunt] -ant γ V T | illos] eos c | altero] -era x | nequeat Vat.1 Vat.3 × Vat.5 k Ber V Z T : -ant D j A R1c S δ Est.1 P G: queant R1 | plura] post nequeant D | quod] quos O C | flagitiosis] -sum P | at] attamen D | quod] quo D : qui N B : quid fort. P | est] ex B : eius P | deinceps] deinceps et N B | eadem] ed- A1 (corr. A1c) | quod] quam V : om. Co | haec] hoc L | voluntas om. B | huiusce] huiuscemodi L C  ||   16 si] ac si D | dispicienda] discipi- D1 (corr. D1c) h | sunt ingenia D1 C.11 B y k Ber Z T S Est.1 P G : ingenia sunt N : sunt hominum ingenia V δ : sint ingenia Vat.1 Vat.31c D1c x Vat.5 : sin ingenia Vat.31 | omnia comprobare post opera in marg. add. quod D3 (recte D1) | regium] regum Est.21 (corr. Est.21c) | sapientia] eloquentia Z1 (corr. Z1c) | sapientia praeditus] praeditus sapientia Z | non om. Ber | eius] est eius x : spatium post eius rel. D1 et del. D2 | publice om. M | partem om. Vat.31 (in marg. add. Vat.3c) | optarit γ Vat.5 V Z T S δ Est.11c (-verit Est.11) P G : optari k Ber : optaret Vat.1 Vat.3 c | occultari] excu- Ber | quam] quae M1 (corr. M1c) | ferri] fieri V1 (corr. V1c) Ber1 (-e- fort. exp. Ber1c) | quale] qualem Vat.31 (corr. Vat.31c) | ingenium habeat] habeat ing. Ber | habeat] -eant Co | mansuetior] mansueto Z | iure debet] debet iure Co | tam om. V1 (corr. V1c) | tanque] tamquam O C  ||   17 ut] uut Ber | posset] –sit Z | tamen est] est tamen Ber | ad gerenda] et ad gerenda c V | monarchiae] monor- Ber | antecellant] -lat A : -lunt V | in om. D1 (s.  l. add. D1c) | contemplari] cote- Est.1 : contemplar M | conferentes Vat.1 Vat.3 γ V Z T S δ Est.1 P G : conficientes B y Vat.5 k Ber : consentientes h | discutere] discurere y V1 : discurrere k Ber Co | annuos] animos j : novos δ | magistratus] -tos B : -tratibus A R1 (corr. Rc) | est necesse] necesse est B : esse necesse D1 (esse exp. D2)  ||  

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individui malvagi siano giudicati degni degli stessi premi, mentre deve sembrare assolutamente giusto che tra questi sia fatta una distinzione, affinché persone diverse non conseguano gli stessi risultati, ma onori e incarichi siano distribuiti a ciascuno secondo i propri meriti. [15] Ora, dunque, le democrazie e le oligarchie ricercano l’uguaglianza per chi fa parte di esse e al loro interno è approvato con forza il fatto che l’uno non possa rivendicare di più di un altro, cosa che è la più vantaggiosa per i disonesti. Al contrario, uno stato monarchico offre il massimo al migliore, al secondo ciò che segue, al terzo, al quarto e così via secondo lo stesso criterio. Se poi questo principio non è rispettato dovunque, almeno la volontà di questa costituzione è di tal genere. [16] Se le nature e le opere degli uomini devono essere distinte, chiunque ammetterebbe che ciò è piuttosto un compito del re. Chi, anche solo dotato di una saggezza modesta, non preferirebbe che gli toccasse di far parte di uno stato in cui le sue buone qualità non possono essere celate, rispetto che essere mescolato tra la folla, mentre invece si ignora quale sia la sua natura? Anche il potere regio deve essere giustamente giudicato tanto più mite quanto più è facile conformare il proprio pensiero al parere di un solo uomo rispetto al cercare come piacere a tante e tanto diverse volontà. [17] Si potrebbe certo mostrare con moltissime parole come la monarchia sia più piacevole, più dolce e più giusta, ciononostante è facile comprenderlo grazie alle osservazioni seguenti. Quanto le monarchie superino le altre forme di governo nel prendere le decisioni, nel compiere ciò che è necessario, è concesso valutarlo in questo modo, se cioè tentiamo di esaminare i fatti più importanti confrontandoli tra loro. Dunque, coloro che assumono cariche annuali, prima che si intendano degli affari pubblici e ne acquistino una certa esperienza, sono necessariamente

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 Testo critico, traduzione e note di commento

[18] Qui vero iisdem semper rebus insistunt, tametsi obtusius habeant ingenium, per quottidianas saltem rerum experientias aliis antecellant oportet. Illi praeterea, cum alter alterum aspiciat, multorum socordiam ac incuriam habent; hi vero, cum per se omnia navanda esse intelligant, nihil omnino parvi faciunt aut incuriae dedunt. Ad haec, qui intra paucorum principatum statumque popularem vitam agunt propter mutuas inter se honoris contentiones magnam publicis commoditatibus perniciem inferunt; reges autem, cum invideant nemini, cuncta – ut fieri fas est – praestantissima ratione perficiunt. [19] Post haec illi ad res gerendas posteriores accedunt. Quidni? Multam enim diem privatis in occupationibus terunt familiaribusque negotiis consumunt, postea vero quam coacto senatu in unum convenerint, saepius eos invicem litigantes quam communi utilitati consulentes inveneris. Hi, cum nullum conveniundi tempus designatum habeant noc­ tesque diesque in rerum administratione versentur, nulli desunt tempori, verum unumquodque peropportune factitant. [20] Rursus illi graves inter se simultates exercent vellentque et priores magistratus et qui sibi succedunt pessime adminis­ trare rem publicam ut ingentem sibi gloriam perciperent; at hi, cum per omne vitae spatium rerum sint domini, parem in omnes benivolentiam perpetuo tenent. [21] Quodque maximum est: hi quidem ad publica perindeac propria, illi autem ut aliena animos adhibent, et consiliariis utuntur illi quidem quos inter cives audacissimos noverint, hi vero quos ex universis summa praeditos sapientia delegerint, et honore illi eos afficiunt quos in ignobili multitudine dicendi arte pollentes viderint, at hi quos longo rerum usu peritos agnoverint.

18 verum om. Ber | iisdem] iis de y : non liquet Co1 (recte Co2) | semper rebus] semper rebus semper Vat.1 : rebus semper c V Co | insistunt] instituunt Ber | tametsi] tamen si Vat.1 : etsi C.11 : tamque si B | habeant] -eat L C | per quottidianas] qui quotti. h | saltem] -tim R Co : om. Vat.1 | antecellant] -lat y V1 (fort.) | ac] atque R | incuriam] iniuriam Ber V | hi] ni P | omnia om. Z | navanda] nov- S | esse iter. N | qui om. B | mutuas] mutuos B | honoris] -orum Z | contentiones] contemptiones Co1 (corr. Co2) | inferunt] -untur x | invideant] invide autem j | fieri om. M | fas om. D1 (s.  l. add. Dc )  ||  19 quidni] quid h | multam] mut- R | coacto] -cta B : eo acto Ber | senatu] -tum Ber | hi] his Vat.3 | quam—consulentes om. A1 (in marg. add. A1c) | designatum habeant] habeant designatum D | noctesque] noctes Ber | in om. B | versentur] serv- D1 (exp. D2) | unumquodque] -quodve V1 P | per opportune] poportune (sic) B | factitant] faciant Co  ||   20 graves inter se] inter se graves V : graves inte (sic) si Ber | magistratus om. Vat.1 | pes#sime Vat.31c | rem] re B | at] ac h | spatium] cursum P | sint] sunt x | parem] patrem h | omnes] omnibus δ | tenent] servant tenent β  ||   21 quodque] quod Vat.3 | ad om. Vat.31 (in marg. add. Vat.31c ) | ac om. Vat.11 (add. Vat.12) | propria] ad propria V | ut om. k | ad aliena] aliena Vat.1 Vat.5 T | animos] -mo Z | utuntur om. R | noverint] -erant Vat.3 | praeditos] predictos Vat.5 | delegerint] -erunt Vat.3 | afficiunt] afficit V1 : non liquet Co1 (recte Co2) | in C Vat.5 Est.2 Ber V Z T S δ Est.11c (add. s.  l.) P G : om. rell. | dicendi om. Vat.1 γ | ac] et Ber | quos] quo Ber | longo] -ge Co | longo rerum] rerum longo V | agnoverint] -vent A : -verit V  ||  

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ignari e inesperti. [18] Coloro che, invece, si dedicano sempre alle stesse occupazioni, anche se hanno un’intelligenza più limitata, necessariamente superano gli altri, almeno grazie all’esperienza quotidiana. Inoltre, i primi, dal momento che si tengono d’occhio a vicenda, sono indolenti e trascurati su molte cose; i secondi, invece, comprendendo che devono occuparsi di tutto da soli, non considerano nulla di poca importanza o la abbandonano all’incuria. In più, coloro che vivono in stati oligarchici e democratici danneggiano gravemente gli interessi pubblici a causa delle reciproche rivalità per le cariche; i re, invece, poiché non invidiano nessuno, compiono – per quanto è possibile – ogni cosa nel modo migliore. [19] Poi, i primi si accingono tardi ad intervenire. Perché no? Infatti trascorrono gran parte delle loro giornate in occupazioni private e la spendono negli affari di famiglia e poi, dopo che, convocato il senato, si sono riuniti insieme, li potresti trovare più spesso a litigare tra di loro che a prendere decisioni per il bene comune. I secondi, non avendo un momento prefissato in cui riunirsi e dedicandosi notte e giorno al governo, non si lasciano sfuggire nessuna occasione, ma sono soliti fare ogni singola cosa nel modo più efficace. [20] E ancora, i primi praticano tra loro aspre rivalità e desidererebbero che i magistrati che li precedono e quelli che li seguono amministrassero malissimo lo stato per ottenere per sé una grande gloria; invece, i secondi, detenendo il potere per tutta la vita, conservano sempre la stessa benevolenza nei confronti di tutti. [21] E quel che più conta: questi si dedicano agli affari pubblici come ai propri, quelli, invece, come se fossero d’altri, e come consiglieri questi ultimi si servono di quegli individui che hanno riconosciuto come i più temerari tra i cittadini, mentre i primi si servono di quelli che fra tutti hanno scelto come i più saggi, e ancora gli uni accordano onori a coloro che hanno visto eccellere nell’arte del parlare davanti alla massa più ignobile, gli altri, invece, a coloro che abbiano riconosciuto come esperti grazie a una lunga

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 Testo critico, traduzione e note di commento

[22] Non solum in iis quae in orbem – ut dicitur – et in dies fieri contingit status regius antecellit, sed etiam in re bellica priores sibi partes usquequaque vendicat. Nam ad copias apparandas earumque captandos usus, sive latere sive palam esse, seu verbis inducere seu vi cogere, emere ceterisque remediis adducere opus sit, plus quam alii civiles status regius valet principatus. Hisce rebus non minus opera quam verba fidem fecerint. [23] Etenim Persarum potentiam tam longe lateque propagatam scimus omnes non pro hominum prudentia, sed quia magis quam reliquae nationes regale fastigium singulari veneratione colunt. Dionysius, cum reliquas oras Siciliae vastatas desolatasque simul et eius patriam obsidione circuncinctam accepisset, non modo ab imminentibus periculis solvit, verum etiam Graecarum maximam civitatum reddidit. [24] Carthaginienses, item ac Lacedaemonii, qui inter Graecos praestantissimo gubernantur imperio, domi quidem paucorum principatu reguntur, ingruente bello regis ducuntur auspiciis. Atheniensium quoque civitatem commonstrare licet, cui maxime sunt invisae tyrannides, quotiens multos imperatores emittit infeliciter dimicantem, cum autem in unius potestate rei bellicae discrimina locat victoriam reportantem. [25] Quanam autem ratione manifestius probari quam per haec exempla potest regiam maiestatem plurimi faciundam esse? Apparet enim et qui perpetuo regis gubernantur imperio ingentem habere potentiam, et qui paucorum principatum habent in rebus summo tractandis studio aut unicum imperatorem aut regem suis imperantem exercitibus constituere, quique odere tyrannos, plures cum emittunt praefectos, necessaria nulla conficere. 22 solum] solum autem P2 (recte P1) | in iis om. Ber | orbem] obrem h : urbem V | contingit] -gerit Ber | sed] verum V | usquequaque] usu quae quaque (sic) Ber | vendicat] -cant M : dicat P1 (corr. P2) : om. N | earumque] earum R : om. Vat.31 (in marg. add. Vat.32) | vi cogere] cogere vi γ : cogere Ber | emere] eruere Co | ceterisque] ceteris γ | plus om. γ | civiles] -lis Co | principatus om. P | fecerint] -erit γ  ||   23 Persarum] -aru P1 (corr. P2) | omnes om. γ | pro] per Co | prudentia] providentia Vat.1 : prudentiam Co2 (recte Co1) | regale] -les Ber | singulari] singuli Ber | oras] horas L Vat.5 | Siciliae] Sicilia D | vastatas] -tasque T1 (corr. T1c) | desolatasque] om. T1 (in marg. add. T1c) | simul et] et om. Z | circuncinctam] -ductam x | ab imminentibus] ob imm. N | civitatum] fort. -atis D : -atem B y Ber V1 | reddidit] reddit V1  ||   24 item] item late B : om. Vat.1 | ac] et Co | Lacae­ cedemonii] demoneii B1 (-e- exp. B1c) : -monia Vat.5 | gubernantur] -bantur y : -ant V | domi] fort. pro domi D | quidem] quod N y : apud B | ducuntur] dic- N1 (in marg. corr. N2) B : dig- A | auspiciis] hospiciis N1 (in marg. emend. in auspitiio N2) B A (-tiis) R | civitatem] cum C1 (civitas fort. corr. C1c) : civitate B | infeliciter] fel- C1 (corr. C1c) | dimicantem] -ntes ras. C.11 | potestate rei bellicae] rei bell. pot. C1 (corr. C1c) : pot. rei .p. T | victoriam] -ria x | reportantem] -tatem Vat.11 (corr. Vat.12) : -tante B  ||   25 haec om. x | potest regiam] regiam potest Ber : potest om. C1 (s.  l. add. C1c) | plurimi om. Vat.1 | faciundam] facundam P1 (corr. P2) | regis] reges B | potentiam] potestatem potentiam Vat.11 (potestatem exp. Vat.11c) | alterum et] que R | paucorum om. A1 (in marg. add. A1c) | tractandis] -ndi B y | tractandis studio] studio tract. δ | imperatorem] -tore M | odere] -rem Ber | praefectos] precunctos Co  ||  

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pratica degli affari pubblici. [22] Il regime monarchico eccelle non solo in ciò che tocca compiere nell’ordinaria amministrazione – come si suol dire – e giorno per giorno, ma anche nell’arte della guerra rivendica per sé in ogni occasione il primo posto. Infatti, nel preparare le truppe e nel farne uso, che occorra stare nascosti o stare allo scoperto, che occorra convincere a parole o costringere con la forza, corrompere e persuadere con gli altri allettamenti, la monarchia è più efficace rispetto alle altre forme di governo. I fatti potrebbero confermare queste affermazioni non meno delle parole. [23] Infatti, tutti sappiamo che il dominio dei Persiani si è esteso così tanto, in lungo e in largo, non per la saggezza degli uomini, ma poiché essi più degli altri popoli venerano con straordinaria devozione la dignità regale. Dionisio, dopo aver ricevuto le restanti coste della Sicilia devastate e deserte e allo stesso tempo la sua patria cinta d’assedio, non solo la liberò dai pericoli che incombevano su di lei, ma la rese anche la più grande tra le città greche. [24] I Cartaginesi, come anche i Lacedemoni, che tra i Greci sono retti dal governo migliore, in patria sono governati da un’oligarchia, ma quando scoppia la guerra sono guidati dai comandi di un re. Si può dimostrare che anche la città degli Ateniesi, che più di tutte le altre odia le tirannidi, ogni volta che invia molti generali combatte senza successo, quando, invece, affida le sorti della guerra al comando di uno solo riporta una vittoria. [25] In quale modo più chiaramente che per mezzo di questi esempi si può provare che il potere regio deve essere stimato più di tutti? Infatti, è evidente sia che i popoli che sono sempre governati da un re sono molto potenti, sia che quelli che hanno un governo oligarchico nelle faccende da trattare con la maggiore cura nominano un unico comandante o un re che guidi i loro eserciti, sia che i popoli che odiano i tiranni, quando inviano

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 Testo critico, traduzione e note di commento

[26] Quod si qua priscorum memoranda sunt exempla, Iovem deorum regem esse tradunt. Qua de re si vera referuntur, et hanc imperandi conditionem praeponi debere certum est; sin certa nemo novit at de iis hanc coniecturam facimus, signum est profecto monarchian priore in parte ponendam esse. Non enim ea deos uti assereremus nisi illam ceteris longe praestare censeremus. [27] De civitatis administrationibus quantum inter se differant cuncta neque invenire neque explicare possibile, verum tamen satis inpraesentiarum dictum de ipsis est. Quantum autem hunc a me geri principatum attineat, et brevior et firmior suscipietur oratio. [28] Quis enim est qui nesciat Teucrum, nostrae stirpis auctorem, cum aliorum civium patres ac maiores assumens horsum annavigasset, urbem illis condidisse agrumque distribuisse? Pater vero Evagoras, eiectis e regno ceteris, magna tolerans pericula, denuo reparavit tantaque facta est rerum mutatio ut Phoenices nequaquam amplius Salaminiis imperitent, sed quorum a primordio fuerat imperium eos hoc etiam tempore obtinere. [29] Ex iis quae in superioribus proposui reliquum est ut et de me brevibus attingam, ne ignoretis eum vobis regem esse qui non modo maiorum meorum gratia, verum et per me ipsum ampliore dignus honore iure censerer. Universas inter virtutes ego sane temperantiam atque iustitiam uno omnium consensu egregia quadam dignitate praestare arbitror: [30] non solum enim quantum in ipsis est magnas nobis utilitates pariunt, verum etiam, si rerum naturam potestates usumque scrutari velimus, inveniemus eas quae huius generis participes non

26 quod] quam V | regem esse] regem Ber : esse regem Z | referuntur] -unt B : sunt V1 (corr. V1c) | et] ac Vat.3 | hanc om. D1 (add. s.  l. D1c) Est.11 (add. s.  l. Est.12) | conditionem] auditi- B | sin] si Ber | at] ut V1 | coniecturam] -tura Vat.1 (corr. Vat.12) | parte] -tem Vat.3 | ponendam esse] ponendum esse h : esse pon. Ber | ea] eas ea A | assereremus] asseremus γ y Ber S Co (corr. Co2) : asserimus B | nisi—censeremus om. c  ||   27 civitatis] -atu#m D : -tatibus x Ber P | cuncta] cura S | possibile] possibile est Z Co2 (recte Co1) | dictum de ipsis] dictis de ipsis B : dictum de is y : de ipsis dictum Ber | est D : erit rell. | autem] ad B : om. V | et brevior et firmior] et breviter et firmiter Vat.3 : et brevis et firmiorum D | firmior] firmor B  ||   28 nostrae] nostere A | assumens] -eris Vat.5 k Ber : om. O L | horsum om. T1 (in marg. add. T1c) | annavigasset Vat.1 Vat.3 γ M V Z T S δ Est.1 P G : antea (ante N1) navigasset C.11 N1c B y : annavigisset Vat.5 Est.2 : annavigassent Ber | pater] pate B : patet R | e regno] in regno Ber | ceteris] exteris S Z | tolerans] -ratis Co : lolerans (sic) Ber | facta est] erat facta V | rerum mutatio] rerum miratio h : mutatio rerum V | phoenices] phoecines A1 (corr. A1c) | nequaquam] nequam A | Salaminiis] -n#em D | imperitent] -rirent Ber Co1 (-ri- exp. Co2) V1 : -ritet V | hoc etiam] etiam hoc Vat.3 C  ||   29 quae] igitur quae x B y M Ber V Z T δ Est.1 P G | reliquum] fort. reliquis Co1 (corr. Co2) | et om. j R k Ber δ | brevibus] -vius Vat.5 | attingam] obti- Vat.3 | maiorum meorum] meorum maiorum B | verum et per] iterum et Ber : per om. Vat.5 k | ampliore] -orum A1 (corr. A1c) | censerer] -eret V1 | ego sane om. A | atque] at P  ||   30 ipsis] ipsius Ber | magnas—pariunt om. δ | magnas] in magnas D | nobis] vo- L Ber | etiam] et A | naturam] -ras δ | usumque] ususque δ | scrutari] servare Ber |

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molti generali, non compiono nulla di ciò che è necessario. [26] E se poi bisogna ricordare alcuni esempi tra quelli antichi, si racconta che Giove sia il re degli dèi. Se dicono il vero riguardo a ciò, è certo che si debba preferire anche questa forma di governo; se, invece, nessuno lo sa con sicurezza, ma su questi argomenti facciamo questa congettura, è senza dubbio indice del fatto che la monarchia sia da prediligere. Infatti, non diremmo che la adottano gli dèi se non pensassimo che quella supera di gran lunga le altre forme di governo. [27] Riguardo all’amministrazione dello stato non mi è possibile né trovare né spiegare ogni elemento per cui differiscono tra loro, ma per il momento è stato detto a sufficienza su questo argomento. Quanto poi concerne il fatto che questo principato sia retto da me, si terrà un discorso più breve e più saldo. [28] Chi c’è, infatti, che non sappia che Teucro, il fondatore della nostra stirpe, dopo aver navigato fin qui, prendendo con sé i padri e gli antenati di altri cittadini, fondò per loro una città e distribuì il territorio? Mio padre Evagora, poi, dopo aver cacciato via dal regno tutti gli altri, sopportando grandi pericoli, lo recuperò di nuovo e si verificò un mutamento politico così grande che i Fenici non dominano più sui Salamini, ma possiedono tuttora il potere quelli che lo avevano detenuto da principio. [29] Tra gli argomenti che ho esposto prima è rimasto che parli in breve anche di me, affinché non ignoriate che io, il vostro re, sono tale che giustamente avrei potuto essere ritenuto degno di un onore più grande non solo grazie ai miei antenati, ma anche per i miei meriti. Tra tutte le virtù io credo che tutti siano d’accordo sul fatto che la temperanza e la giustizia primeggino per il loro eccezionale valore: [30] infatti, non solo per quanto c’è in loro ci arrecano grandi vantaggi, ma anche, se volessimo indagare la natura, l’efficacia e l’utilità delle azioni, troveremo che quelle che non sono state partecipi di questo genere di virtù sono diventate causa di grandi mali, mentre quelle azioni che sono compiute con giustizia e tempe-

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 Testo critico, traduzione e note di commento

fuerint ingentium malorum causas extitisse, at quae cum iustitia temperantiaque conficiantur maiorem in modum vitae mortalium fructuosas esse. Quod si qui maiorum nostrorum in hisce virtutibus gloriam compararunt, eandem et mihi obtingere debere puto. [31] Ipsam igitur iustitiam illinc maxime licebit intueri: nam cum initio regni vacuam argento regiam, consumpta omnia turbulentaque accepissem eaque plurimum diligentiae, custodiae ac impensarum postularent, veniebat in mentem ceteros per huius modi tempestates res suas quavis ratione erigere compluraque supra eorum naturam invitos factitare. [32] Tamen ne unum quidem horum corrupit animum, verum ea sanctitate eoque officio rebus gerendis curam impartivi ut nihil omitterem quod ad civitatis incrementum ac beatitudinem attinere posse videretur. Tanta nanque adversus cives mansuetudine ac suavitate me obtuli ut non exilia, non caedes, non pecuniarum iacturas, non aliam denique huiusce generis calamitatem meo in regno factam esse constet. [33] Cum autem belli superioris iniuria omnis Graeciae vobis intercluderetur aditus et quaquaversum pateretis in praedam, maxima ex parte ea ipsa dissolvi: quibusdam cuncta restitui, non nullis partem; aliquos ut differrent exoravi, alios per obiecta vobis crimina quo poteram modo conciliabam. Rursus cum ii qui insulam incolunt graves in nos animos exercerent et rex ipse Persarum verbo quidem benevolus, re autem vera acerbam in nos simultatem haberet, [34] utrum­ que placatum reddidi, huic promptam impendens operam, illis me iustum exhi-

fuerint] -runt Ber | causas] materias y | extitisse] -tissio (sic) B | at quae cum] atque que cum γ V1 : atque rerum Ber : praeterea cum non liquet Co1 (recte Co2) | conficiantur] fort. -untur V | vitae mortalium om. δ | fructuosas] -sam Co1 (corr. Co2) V1 | quod] quam V | qui] per δ | in hisce virtutibus] in hisce rebus virt. D1 (exp. rebus ante virt. D1c) : huiusce virtutibus y | compararunt] -verunt δ | eandem] ead- j A  ||   31 regni] igitur A | vacuam] vacum Vat.3 : cistam D : vacuam iter. O1 (alterum exp. O1c) | argento regiam] regiam arg. D : arg. regia Ber | omnia] omniaque Ber | accepissem] -isse L | postularent] -lant A1 (corr. A1c) : -aret Ber | modi om. O | erigere] exigere δ | naturam] nam A : natura Ber | invitos] invictos Vat.1 Vat.5 V  ||   32 quidem] que C.11 : quae N | omitterem] -tere x | ad civitatis] a civ. Z : ad civitates fort. Co1 (corr. Co2) | ac beatitudinem om. c | mansuetudine] nanque mansuetudine Vat.3 | obtuli] non liquet Co1 (recte Co2) : obtulit V1 | caedes] -dos S | aliam] alia Vat.11 (corr. Vat.12 ) Vat.3 | denique] post generis Ber | huiusce] huiuscemodi fort. x : huius δ | in regno] regno γ : ingenio Ber | constet] -tat Z  ||   33 Graeciae] gratiae y : greti# Co1 (recte Co2) | vobis] no- D R | intercluderetur] clude- B | aditus] add- A Z | quaqua—pateretis] non liquet D1 : ob es alienum ubique eramus ras. D3 | quaquaversum] -sus c | pateretis] fort. pet- Co1 (corr. Co2) : om. S | maxima] -mam L C y | ea om. R1 (corr. R1c) | differrent] fort. disfe- A : different R V1 | vobis] no- D B y S Co | crimina om. Ber | conciliabam] consili- D | incolunt] col- δ: om. Ber | in nos Vat.1 Vat.3 γ V Z T S δ Est.1 P G : in vos h y Vat.5 k Ber : in alios B | exercerent] -eant M | rex] res V | quidem] que C.11 : quae N | benevolus] beniolus (sic) Ber | vera] verba N1 (corr. N1c) B | nos] vos j Ber | simultatem] similitudinem Ber | illis] iis M | promptam om. V  ||   34 huic] hui Ber |

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ranza sono vantaggiose per la vita degli uomini in misura maggiore. Se qualcuno dei miei antenati ha ottenuto la gloria in queste virtù, ritengo che la stessa fama debba toccare anche a me. [31] Si potrà dunque riconoscere il mio senso di giustizia soprattutto da qui: infatti, dopo che, all’inizio del mio regno, avevo ricevuto la reggia priva di denaro, il patrimonio era stato dissipato, tutti gli affari erano in disordine e ogni cosa richiedeva moltissime cure, attenzioni e spese, mi veniva in mente che gli altri, in situazioni difficili di questo tipo, riassestano le proprie finanze con qualsiasi mezzo e contro la propria volontà compiono ripetutamente molte azioni che trascendono la loro indole. [32] Tuttavia, nemmeno uno di questi pensieri ha corrotto il mio animo, ma mi sono occupato di svolgere i miei compiti con un’integrità e uno scrupolo tali da non trascurare nulla che sembrasse poter avere attinenza con l’arricchimento e il benessere dello stato. Infatti, mi sono mostrato nei confronti dei cittadini di una mitezza e di un’amabilità tanto grandi al punto che non risulta che durante il mio regno siano stati compiuti né esili, né stragi, né confische di beni né, infine, nessun’altra calamità di questo tipo. [33] Poi, quando l’accesso a tutta la Grecia vi era impedito a causa dell’offesa della guerra precedente e da ogni parte eravate esposti alle rapine, ho risolto in gran parte queste difficoltà: ad alcuni ho restituito tutto, ad altri una parte; altri li ho pregati di concedere una proroga, altri ancora me li rendevo favorevoli – come potevo – per le controversie che avevano con voi. E ancora, quando gli abitanti dell’isola manifestavano la loro antipatia nei nostri confronti e persino il re dei Persiani era benevolo a parole, ma in realtà provava una pungente ostilità per noi, [34] placai entrambi, offrendo a questo un servizio sollecito, mostrandomi a quelli giusto. Sono poi

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 Testo critico, traduzione e note di commento

bens. Tantum autem absum ut alienorum aviditate ducar ut cum reliqui, tametsi paulo finitimis potentiores sint, agri partem abscindant aut amplius quicquam habere quaerant, ego qui sponte mihi tradebatur agrum captare dedignatus sum meumque, quantuluscunque sit, cum iustitia possidere quam longe latiorem cum improbitate vendicare malui. [35] Sed quid longioribus immoror cum alioquin succincte de me ipso manifesta commemorare valeam? Nam, cum liqueat a me unquam violatum esse neminem, pluries de civibus Graecisque me bene meritum esse, maioraque in utrosque me contulisse munera certum est quam universos superioris temporis reges. Atqui eos qui de iustitia magnopere gloriari solent et invictos in pecuniam animos se gestare fingunt eam de se praestantiam narrare posse oportet. Haec quidem de iustitia. [36] De temperantia vero his etiam maiora possum exponere. Non ignoro cunctos sane mortales filias atque uxores suas tanti facere ut in earum violatores maxima exardescant iracundia et earum libido ingentium malorum causa extiterit et origo. Qua ex re tum ex privatis tum ex iis qui in sublimi fastigio constituti fuerunt permulti in perniciem tracti sunt. Quocirca has adeo culpas effugi ut ex quo regalia ceperim insignia, mea excepta duntaxat uxore, nullum certe corpus attigerim. [37] Nescius profecto non sum eos apud imperitam multitudinem

absum] absu Vat.11 (corr. Vat.12) : non liquet D1 (fugio ras. fort. D3) : abusum x : obsum A | ut cum] ut si h : ut B y : et Co | reliqui] -ques Ber | alienorum] aliorum M | tametsi] non liquet Vat.11 (tantum etsi scrip. Vat.12) : timet si R : et si V1 | finitimis] -timi Vat.11 (corr. Vat.12) | abscindant] abscindan Vat.11 (corr. Vat.12) : abscidant c : absin V1 (corr. V1c) | sponte mihi] sporte (sic) mihi Ber : mihi sponte Co : sponte om. M | agrum] -ram N1 (corr. N1c) : gratia aut grande B | dedignatus] digna- B Vat.5 | sum] longe latiorem ante sum iter. B | meumque] meum L C Co | quantuluscumque] quantal- M1 (corr. M1c) : quantuscumque V1 (corr. V1c) : quantuluc- Co1 (quantulumcumque scrip. Co2) | longe] loge Ber  ||   35 longioribus] longius longioribus D1 (longius exp. D1c) | succincte de me ipso] de me ipso succ. C1 (corr. C1c) | manifesta om. c | liqueat] liquet Vat.1 | neminem] neminem in C.11 N1c | pluries Vat.1 Vat.3 γ Z T S Est.1 P G : -res β V : -riesque δ | graecisque] grecis S | me] de me M | maioraque] maiora scrip. Co2 (recte Co1) | me om. D j R | superioris] -res B : -ri Ber | temporis] regis temporis D1 (regis exp. D2) | atqui] at quidem Vat.3 : atque h | qui om. D | invictos] invitos B | in pecuniam Vat.1 Vat.3 γ V Z T S Co : pecunia β : in pecunia V1 Est.1 P G | se om. D1 (s.  l. add. Dc) | posse om. Est.11 (corr. Est.12) Ber | oportet om. C1 (s.  l. add. C1c) | haec~iustitia] haec verba in Isocrate non reperiuntur | quidem de iustitia] de iustitia quidem P | quidem] si quidem S : quae h  ||   36 his etiam] etiam iis N | his om. B | etiam] esse A | possum] -sim fort. D | exponere] exprimere y | maxima] -me Vat.3 | sane] post filias Co | mortales] -lis V1 | tanti om. C1 (s.  l. add. C1c) | earum] eor- δ | exardescant] -cat Co | iracundia] -diam D : -cudia A : om. Vat.3 | qua ex re] quaere h | tum ex privatis om. P | prius tum] cum Ber S (fort.) δ | ex] in Vat.5 | in sublimi] solum Est.11 (corr. Est.12) | has adeo] adeo has Vat.5 k Ber : fort. his adeo R | effugi] -giunt B | regalia] regali Vat.11 (corr. Vat.12) | ceperim] inc- γ | insignia] -gna Vat.3 | mea] in ea R | corpus] cor Ber | attigerim] atting- N1 (corr. N1c) B y  ||   37 imperitam] -ita Ber |

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tanto lontano dall’essere spinto dal desiderio dei beni altrui che mentre gli altri, anche se sono di poco più potenti dei loro vicini, tolgono a questi una parte dei loro territori o cercano di averne di più grandi, io ho rifiutato di prendere il territorio che mi si offriva spontaneamente e ho preferito possedere il mio, per quanto piccolo fosse, secondo giustizia, piuttosto che attribuirmene uno molto più esteso con malvagità. [35] Ma perché mi trattengo tanto a lungo, quando del resto sarei in grado di ricordare in modo succinto i miei evidenti meriti? Infatti, dal momento che è chiaro che nessuno ha mai subito un torto da parte mia, è certo che mi sono comportato bene più volte con i miei concittadini e con i Greci e che ho concesso a entrambi doni molto più grandi rispetto a tutti i re precedenti. Peraltro, conviene che possano parlare di sé in relazione a tale superiorità coloro che sono soliti gloriarsi molto della propria giustizia e che fingono di avere un animo che non si lascia vincere dal denaro. Questo sulla giustizia. [36] Riguardo alla temperanza poi posso senza dubbio presentare esempi anche più grandi di questi. Non ignoro che tutti gli uomini tengono le loro figlie e le loro mogli in una tale considerazione che essi si infuriano terribilmente contro i loro violatori e che la brama di possederle è stata causa e origine di grandi mali. Per questo motivo moltissimi, sia tra i privati cittadini sia tra coloro che rivestirono le più alte cariche, sono stati condotti alla rovina. Perciò ho evitato queste colpe fino al punto che, da quando ho preso gli ornamenti regali, non ho toccato

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 Testo critico, traduzione e note di commento

magnis celebrari solere laudibus qui modo in rebus civium aequitatem gerant, alia quacunque ratione sibi ipsis voluptates nanciscantur; verumenimvero me ipsum ab hoc suspicionum genere longinquum facere simul et mores meos civibus exemplum statuere volui. Consuevit enim plebs per eas artes vitam deducere per quas et suos principes versari perspexerit. [38] Praeterea et convenire duxi reges ipsos tanto privatis hominibus bonitate excellere quanto et ampliorem illis dignitatem honoremque consequantur. Factu quoque gravissimum est ut, cum ceteros ad degendam honeste vitam urgeas, te ipsum nequaquam subditis continentiorem exhibeas. [39] Ad haec plurimos ceteris quidem in rebus continentiam servare cernebam, in muliebres autem libidines optimates manus dare victosque succumbere. Ostendere igitur volui me ipsum et in iis abstinentiam tenere posse in quibus non modo ab reliquis, verum et ab iis qui magnum in virtute nomen sibi vendicant longe differrem. [40] Rursus et plurimae illos malitiae damnabam qui, captis uxoribus, communem secum vitam omnem facientes, promissis firmi non maneant; quin suis uxores voluptatibus magno maerore conficiunt a quibus nullo ipsi maerore confici par esse putant, cunque in reliqua vitae communicatione bonos aequosque viros se praebeant, in re coniugali magna delicta committunt. Uxores autem eo maiore observantia prosequendae erant quo et strictiori familiaritate devinctae et celsiorem aliis gradum sunt adeptae. [41] Postmodum clam eis est sese intra regias

magnis] magis δ | celebrari] -brar Vat.11 (corr. Vat.12) | solere laudibus] laudibus solere D y | modo] non h Ber | voluptates] voluptat D1 (-es add. s.  l. D1c) | nanciscantur] narcisc- O C : nanscist- j : nacisc- y | me om. Co | ab hoc] ad hoc N1 (corr. N1c) B A M1 (corr. M1c) | facere] -ero fort. D | exemplum om. y | plebs] pleb Vat.11 (corr. Vat.12) : plebes D1 (corr. D1c) Z S Est.1 G: ples A R1 (corr. Rc) | deducere] ducere C1 (corr. C1c) y | perspexerit] -exit γ : -exerint Vat.1 Vat.51 (corr. Vat.51c)  ||   38 quanto et] quantoque Vat.5 | consequantur] -tur V | ad om. B | degendam] -dum γ V : age- y | urgeas] fort. urgens Z | subditis] -tos x : post continentiorem V | continentiorem] -tiores R  ||   39 quidem] quid A : om. P1 (add. P2) | continentiam~in muliebres om. j | muliebres] in rebus Ber : mulieres Z | cernebam] cernendam δ | optimates] optima res P | victosque om. Co | tenere] -eri Vat.3 : habere M | ab reliquis] in ab reliquis D1 (in exp. D1c) | et] ut fort. C : etiam δ : om. Vat.5 T | magnum] et magnum γ Z T S Est.1 P G : om. V | vendicant] -cat B | differrem] -entem S : -erre x j A  ||   40 plurimae] non liquet Co1 (plurimum scrip. Co2) | secum om. Ber | omnem] -es Est.21 (corr. Est.21c) | facientes iter. A1 (alterum exp. A1c) : facientem Ber | maneant] -eat Vat.11 (corr. Vat.12) | maerore] merrore post correctionem D1c | conficiunt] non liquet Co1 (conficiant scrip. Co2): conficiant P2 (recte P1) | a quibus ~ confici om. O1 (in marg. add. O2) | nullo ipsi Vat.1 Vat.3 D O2 (in marg. add.) L C V Z T S δ Est.1 P G : om. O1 β | confici om. Co1 (add. Co2) | vitae] vitae nostra B | aequosque] equos D1 (et equos D1c) x | se om. Z | delicta] crimina Co | committunt] non liquet Co1 (committant scrip. Co2) | maiore] maior Vat.3 | observantia] -vanda D (cura post observanda in marg. add. D1c): -vantiam A  ||   41 eis] eius P | est om. T1 (in marg. add. T1c) |

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nessuna persona, eccetto solamente mia moglie. [37] Non sono certamente ignaro del fatto che presso la folla ignorante sono soliti essere celebrati con grandi lodi coloro che, pur mostrando equità negli affari dei cittadini, ottengono per sé stessi i piaceri in qualunque altro modo; ma in verità ho voluto tenermi lontano da questo genere di sospetti e al contempo proporre il mio comportamento come esempio per i miei concittadini. Infatti, il popolo è solito condurre la propria vita secondo quei costumi con cui vedono che anche i loro prìncipi vivono. [38] Inoltre, ho ritenuto che convenisse ai re superare in virtù i privati cittadini tanto quanto maggiori sono il prestigio e l’onore che ne ottengono rispetto ad essi. È anche assolutamente inaccettabile il comportamento per cui, mentre spingi gli altri a vivere virtuosamente, tu stesso non ti mostri più morigerato dei tuoi sudditi. [39] Inoltre, osservavo che, mentre molti sono moderati negli altri ambiti, per quanto riguarda le donne i migliori si arrendono agli impulsi e, vinti, soccombono. Dunque, ho voluto mostrare che io stesso ero in grado di conservare la moderazione anche in un campo in cui mi distinguevo molto non solo dagli altri, ma anche da coloro che rivendicano per sé la fama di persone virtuose. [40] Poi, condannavo anche la grandissima malvagità di coloro che, una volta sposati, nel trascorrere tutta la vita insieme con le loro consorti, non mantengono con fermezza le promesse; anzi, a causa dei loro piaceri affliggono con grande dolore le mogli, dalle quali ritengono che sia giusto non essere angustiati, loro, da nessun dispiacere e, mentre negli altri rapporti si mostrano individui buoni e giusti, nella vita matrimoniale si macchiano di grandi colpe. Bisognerebbe, invece, che le mogli fossero trattate con un rispetto tanto maggiore quanto più stretto è il legame familiare con cui sono state unite e quanto più alta rispetto agli altri è la condizione che esse hanno ottenuto.

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 Testo critico, traduzione e note di commento

seditiones discordias contentionesque dimittere. Atqui opus est eos qui recte imperantis officium faciant non modo suo subiectas imperio civitates, verum privatas etiam domos et quae incolant loca unanimi tenere concordia. Haec iustitiae ac temperantiae sunt opera. [42] Non eandem quam et plurimi reges de liberorum procreatione sententiam habui: nec alios ex humiliore, alios ex honestiore femina gigni debere filios, nec quosdam iure legitimo, quosdam secus esse relinquendos, verum eandem ex utroque parente omnibus esse originem. At eundem sanguinis auctorem allegent: ex mortalibus quidem genitorem meum Evagoram, ex semideis vero Aeacidas, ex deis autem Iovem ipsum; nec aequum videbatur ullum ex me procreatum hac generosa privari sobole. [43] Multa cum adessent quibus ut his insisterem exercitiis, incitabar non mediocriter et illud me provocabat quod fortitudinis, gravitatis et ceterorum quae probari solent partem flagitiosis hominibus inesse videbam, at temperantiam iustitiamque peculiares bonis honestisque viris possessiones esse. Pulcherrimum igitur esse ratus sum siquis, omissis reliquis, quarum pars nulla malignis adest tantis animum virtutibus posset intendere quae legitimae, firmissimae et immensis celebrandae forent laudibus. [44] Has ob res maiorem temperantiae atque iustitiae operam impendere institui et eas delegi voluptates non quae nullum in agendo decus afferrent, sed quae cum boni viri gloria navarentur. Universas vero virtutes haud eodem in genere experiri oportet, sed in egestate iustitiam,

contentionesque] contempti- Co1 (corr. Co2) | atqui] atque h | eos qui recte imperantis Vat.1 Vat.3 γ V T S δ Est.1 P G : consequi recte imperantis h y k Ber : sequi recte imperantis B : consequi recte impetrantis Vat.5 : eos qui imperantis recte Z | faciant] -at N | suo] suas β Z | subiectas] obiVat.1 : subiecto B | haec ~ opera om. δ | ac] et Vat.1 x : atque Vat.5  ||   42 eandem] ead- Co1 (corr. Co2) | alterum ex om. B | femina] familia Ber | filios] -as x : felios R : filios statui V | legitimo] -timos y | prius quosdam] quodam A | relinquendos] -ndes B | verum] verum tamen Vat.51 (exp. Vat.51c) | utroque] uterque N | omnibus esse] esse omnibus B A | originem] progeniem M1 (in marg. originem scrip. fort. alia manus) | at] ac h : aut Co | auctorem] -tore C.111 (corr. C.111c) N | quidem genitorem] genitorem quidem c | Evagoram] -rem j : -ras Ber | Aeacidas] caci- j : et acidas V : non liquet Co1 (eacidem scrip. Co2) : eacides V1 P | hac] hae N : has B | privari] -vati Co1 (-vatim scrip. Co2)  ||   43 quibus om. B y | incitabar] exerci- M : incidebat Ber | mediocriter] -ite Ber | illud] -um B | provocabat] -cat c | quod] fort. quia scrip. Co2 (recte Co1) | flagitiosis] non liquet Co1 (recte Co2) : flagitiosum V1 | bonis honestisque] honestis bonisque x : post possessiones V : bonis ho­nes­ tatisque δ | viri om. V | | esse om. B | esse ratus sum] ratus sum esse y | siquis omissis usque ad ne obscurate (§ 53) fol. amiss. C | siquis post esse iter. A1 (alterum siquis exp. A1c) : si his scrip. Co2 (recte Co1) | reliquis] rebus reliquis D : om. P | quarum] qu#rum Est.11 (a s.  l. add. Est.12) | adest] est V1 (corr. V1c) | posset] -sse Co1 (-ssem scrip. Co2) V1 | intendere om. T1 (in marg. add. T1c) | celebrandae forent] forent celebrande V  ||   44 impendere institui Vat.1 Vat.3 D O L V Z T S : dare statui β : impendere statui δ Est.1 P G | decus] dedecus ex decus corr. V1c | navarentur] avare- Dc : vanare- O L : fort. vinierarentur B | eodem in] in eodem D : eodem y M Ber |

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[41] Poi, sfugge loro che lasciano entrare nella reggia ribellioni, discordie e rivalità. Eppure, è necessario che coloro che adempiono al loro dovere di governare rettamente mantengano in concorde armonia non solo le città sottomesse al loro comando, ma anche le loro case private e i luoghi che abitano. Queste sono le opere di giustizia e temperanza. [42] Neppure riguardo alla procreazione dei figli fui dello stesso parere di molti re: che né alcuni dovevano essere generati da una donna più umile, altri da una più nobile, che né dovevo lasciarne alcuni legittimi, altri no, ma che per tutti l’origine è la stessa per parte di entrambi i genitori. Pertanto, esibiscano il medesimo capostipite: tra i mortali, mio padre Evagora, poi, tra i semidei gli Eacidi, infine, tra gli dèi Giove in persona; né sembrava giusto privare nessuno dei miei figli di questa nobile discendenza. [43] Pur essendoci molte ragioni per cui mi soffermavo su queste pratiche, mi sentivo spinto non poco e mi spronava il fatto che vedevo che negli uomini malvagi vi era parte del coraggio, della fermezza e delle altre qualità che di solito si lodano, mentre la temperanza e la giustizia erano un possesso specifico degli uomini buoni e onesti. Dunque, pensai che fosse bellissimo se uno, tralasciate le altre, potesse rivolgere l’animo alle virtù che non sono proprie delle persone malvagie in nessuna parte e che sono tanto grandi da dover essere celebrate come appropriate, saldissime e degne della massima lode. [44] Per questi motivi ho deciso di dedicare una cura maggiore alla temperanza e alla giustizia e non ho scelto quei piaceri che non recano alcun onore nell’agire, ma quelli che sono compiuti con la fama di uomo onesto. A dire il vero, non occorre cimentarsi in tutte le virtù nella stessa condizione, ma esercitare nel bisogno la giustizia, quando si

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 Testo critico, traduzione e note di commento

in magna rerum potestate temperantiam, in iuvenili aetate tolerantiam. [45] Ego igitur omni tempore meo de ingenio periculum fecisse videbor. Siquidem in magna rei pecuniariae destitutus angustia, iustum adeo me ipsum exhibui ut ne uni quidem civium tristitiam intulerim; accepta vero quicquid meo collibuisset animo faciendi licentia, privatis omnibus temperatiorem me sane reddidi. Hisce duabus in rebus servata continentia, victor evasi cum ea vigerem aetate qua plurimos in actionibus vitae maximis involvi delictis deprehendere possumus. [46] Apud alios talia commemorare fortassis ipse pigrescerem, non quod ea quae gessi laudi mihi atque laetitiae esse non existimem, sed quia fides minime verbis haberetur. Eos igitur quos natura ad honestatem finxit laudibus et admiratione prosequi dignum est, illos adhuc magis qui ratione atque consilio in ea sese re instituerunt. [47] Nam qui non studio, sed casu modestiam tenent forte et contrariam in partem induci possent; ceterum qui ad naturae vim ingenitam eam adiunxere sententiam ut summum bonorum virtutem esse intelligant eos in hac institutione perpetuo et in omni vita permansuros esse certum est. Hanc autem ob causam de me ipso ac reliquis superius enarratis plura verba feci, ut nulla relinquatur occasio quo minus sponte vestra ac promptis animis quicquid edixero consulueroque perficiundum esse arbitremini. [48] Ut unusquisque vestrum negotia quibus praefecti fueritis summa diligentia et aequitate geratis praedico; in utra enim ex his parte defeceritis, hac res

potestate] tempestate M | iuvenili] vivendi D1 (fort., corr. Dc) T | tolerantiam] temperantiam vel tollerantiam M  ||   45 omni tempore meo] omni meo tempo re publice N | prius meo] meo .p. C.11 : me .p. B | meo de ingenio] in eodem ing. Z | fecisse] fuisse M | videbor] videor Coc (recte Co1) | in om. Vat.1 | pecuniariae] per pec. B | angustia] firmum post angustia s.  l. add. D | ne] non Vat.1 | uni quidem] unquam j | intulerim] attu- M1 (corr. M1c) | alterum meo om. Ber | omnibus] homVat.1 | temperatiorem] -ntiorem Ber P V1 | in om. y | victor] -tore O L | vigerem] urge- Co | aetate] -tem R : om. Co | plurimos] plumos A1 (corr. A1c) : pluribus M | deprehendere] -ende B | possumus] -simus L  ||   46 quod] quae N : quidem R : fort. quia scrip. Co2 (recte Co1) | atque laetitiae esse] esse atque laetitiae c | haberetur] hebe- A : habere Co1 (habetur scrip. Co2) : adhiberetur V1 : haberet P | igitur om. Z | finxit] effinxit Z | adhuc] qui adhuc Vat.11 (qui exp. Vat.11c) | ratione] ora- Z1 (corr. Z1c)  ||  47 modestiam] mole- D O L : momodestiam (sic) Ber : modestie Z | induci] add- Co | possent] -sunt Z1 (corr. Z1c) | ingenitam] -ntem Co | ut] ut in O L : et B | summum] -mam fort. L | esse om. Vat.51 (s.  l. add. Vat.51c) Ber | est om. Ber | hac om. R | superius] fort. superuis D : seperius B | enarratis] enumeratis O L c | plura verba feci] verba feci plura y : verbis plura verba feci V | ut ~ occasio om. Z | vestra] nostra B | animis om. B | edixero Vat.1 Vat.3 D O L V Z T : dixero β S δ Est.1 P G | arbitremini] arbitra- S : om. Β  ||   48 ut] et M | praefecti] perfe- h : infe- Z | geratis] gratis Vat.11 (corr. Vat.12) | in] intr B1 (corr. B1c) : si in Vat.3 | utra] utraque B | enim ex his] eius Vat.3 : enim ex Z | hac res Vat.1 Vat.3 D O L Z1c T V1 Est.1 P G : has res β Z1 : hec res V : hac re S : non liquet Co1 (se rem scrip. Co2) |

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è molto potenti la temperanza, nell’età giovanile la sopportazione. [45] Si vedrà, dunque, che io ho dato prova della mia natura in ogni momento della mia vita. Se pure fui lasciato in grandi ristrettezze economiche, mi mostrai giusto al punto da non arrecare problemi a neppure un solo cittadino; poi, una volta acquisita la libertà di fare qualsiasi cosa volessi, mi resi più moderato di tutti i privati cittadini. Conservata la moderazione in queste due circostanze, divenni vincitore quando ero nel vigore di quell’età nella quale possiamo riscontrare che nelle azioni della vita molti sono implicati in grandissimi delitti. [46] Forse esiterei a ricordare tali cose davanti ad altri, non perché non ritenga che le mie azioni siano per me motivo di lode e di gioia, ma poiché le mie parole non sarebbero credute. Dunque, se è conveniente lodare e ammirare coloro che la natura ha indirizzato al decoro, lo è a maggior ragione verso quelli che si sono posti in quella condizione razionalmente e deliberatamente. [47] Infatti, coloro che sono moderati non per scelta, ma per caso potrebbero forse essere indotti anche all’atteggiamento opposto; al contrario, è certo che rimarranno sempre e in ogni aspetto della vita in questa disposizione coloro che alla qualità innata della propria indole hanno aggiunto la convinzione secondo cui comprendono che la virtù è il sommo bene. Per questo motivo ho parlato molto di me stesso e degli altri argomenti che sono stati esposti prima, di modo che non venisse concessa alcuna occasione affinché voi crediate di non dover fare volontariamente e con animo risoluto qualsiasi cosa ordinerò e deciderò. [48] Raccomando che ciascuno di voi svolga con la massima diligenza ed equità i compiti che vi sono stati affidati; le cose, infatti, andranno necessaria-

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 Testo critico, traduzione e note di commento

male habere necesse fuerit. Nihil igitur edictum a me negligitote ac contemnitote; reputate quonam modo sese partes habeant, sic bene male ve sese totum habebit. [49] Omne studium et curam non minus meis quam vestris adhibete rebus; ne parvum esse bonum id decus existimate quod vestri nacti sunt praesides. Alienis ab rebus manus vestras refrenate quo vestras domos et tutius possidere liceat. Tales in alios vos esse oportet qualem adversum vos et me esse censueritis. [50] Ad parandas opes ne studium maius inpendite quam ut viri boni videamini, haud ignari quod inter Graecos ac barbaros qui maximam in virtute famam adepti sunt ii et innumerabilium bonorum domini extiterunt. Iniustum quaerendae pecuniae studium non divitias, sed pericula vobis allaturum arbitramini. Quotiens quid capessitis ne lucrum esse creditote, neque dum impensam facitis iacturam, horum siquidem neutrum est quod eandem omni tempore potestatem habeat, utrum autem in tempore cum virtute factum fuerit non mediocrem auctori utilitatem afferet. [51] Ex iis quae a me imperata cognoritis ne unum quidem iniquo feratis animo: quisquis enim meas ad res plurimum sese commodum praebuerit, is suam in domum plurimum commoditatis adducet. Qui vestrum cuiuspiam sibi facinoris conscius extiterit, is me latere non posse putet quod, si corpore me praesentem nequaquam esse viderit, rebus tamen gerendis cogitatione interesse existimet. Qua in sententia si fueritis, modestiora suscipietis consilia.

habere] post hab. defeceritis iter. Ber1 sed exp. Ber1c | igitur] enim T | edictum] dictum Vat.5 k Ber : om. c | ac] nec scrip. Co2 (recte Co1) | sese partes] partes sese B Co | sic] si Vat.1 | ve] ne B | sese totum] totum sese Co | totum] in totum R M : intotum Ber  ||   49 curam] cura c | adhibete] -bite Vat.3 : -bere Vat.11 (fort., corr. Vat.12 ) L c Co1 (fort., corr. Co2) | ne] nec scrip. Co2 (recte Co1) | esse] id esse T1 (id exp. T1c) | decus om. h | nacti] nati Vat.1 R Z | refrenate] infre- c | et om. δ | tutius iter. Co1 (alterum exp. Co2) | liceat] valeat S | vos esse A Vat.5 k Ber V S V1 Est.1 P G : esse vos Vat.1 Vat.3 D O L Z T : suos esse h R : suos B : nos esse Co | qualem adversus (sic) vos oportet iter. D1 (altera verba exp. D1c) | adversum Vat.1 Vat.3 D O L Est.2 V Z T S Est.1 P G : adversus c Vat.5 M Ber δ | alterum vos] nos Co | censueritis] -veritis h : -reritis D1 (corr. D1c)  ||  50. parandas] pare- L | studium maius D O1c Vat.5 k Ber T S δ Est.1 P G : maius studium Vat.1 Vat.3 V Z : studium magis c : studium L | impendite] imped- P1 (corr. P2) | videamini] iudicamini β | haud] aut Co | quod] quos j | ac] et D O L Ber Co | maximam] -ma Vat.1 Z | iniustum ~ arbitramini om. Est.11 (add. in marg. Est.11c) | quaerendae] -rendi D | pecuniae om. D | divitias] opes divitias Est.11 (opes variam lectionem scripsit et del. Est.12) | pericula] -culum M | arbitramini] -emini V : -abimini Co | quid] qui B : quidem Co | lucrum] lucrum quidem M | impensam] impensita (sic) P | quod] fort. quid Est.2 | habeat] -ebat Z | afferet] -erret h B M Ber P1 (corr. P2): aufferet D1 (corr. D1c) : affert V Co  ||   51 imperata] -ratis V | cognoritis] -veritis D c : non liquet Co1 (cognoscitis scrip. Co2) | iniquo] iniquum O L | meas] eas c | plurimum om. Z | sese] se Vat.5 M Ber | praebuerit] -buerat j | is] iis c | in domum] ante adducet V | adducet] indu- Co | cuiuspiam] cuspiam Z1 (corr. Z1c) | conscius iter. D1 (alterum exp. D1c) | me iter. R1 (alterum exp. R1c) | non om. Est.11 (s.  l. add. Est.11c) | sibi facinoris post extiterit iter. A1 (alterua verba exp. A1c) | quod] ex si B : fort. quia scrip. Co2 (recte Co1) | cogitatione] -tionem Z | modestiora] non liquet Co1 (modesta scrip. Co2)  || 

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mente male in qualunque di questi due aspetti veniste meno. Dunque, non trascurate né disprezzate nessun mio ordine; pensate che il tutto andrà bene o male a seconda della condizione in cui si trovano le singole parti. [49] Prendetevi cura e interessatevi dei miei affari non meno che dei vostri; non pensate che sia una ricompensa piccola quell’onore che hanno ottenuto i vostri capi. Tenete le vostre mani lontano dai beni altrui, affinché vi sia possibile possedere i vostri in modo ancora più sicuro. Occorre che voi vi comportiate con gli altri così come stimerete che anche io mi comporti nei vostri confronti. [50] Non ponete più attenzione nel procurarvi le ricchezze di quanta non ne poniate per apparire uomini onesti, non ignari del fatto che coloro che ottennero grandissima fama nella virtù tra i Greci e i barbari furono anche padroni di innumerevoli beni. Pensate che il cercare di ottenere un guadagno illecito non vi porterà ricchezze, ma pericoli. Ritenete che ogni volta che ottenete qualcosa non sia un guadagno, né che lo spendere sia una perdita, se è vero come è vero che nessuna di queste due azioni è tale da avere lo stesso effetto in ogni circostanza, ma che quella che sarà stata fatta al momento opportuno con virtù porterà un vantaggio non piccolo al suo autore. [51] Non irritatevi per nemmeno uno dei miei ordini: infatti, chiunque si mostrerà assai utile per i miei interessi, porterà alla propria famiglia moltissimi vantaggi. Chi di voi sarà consapevole di qualche cattiva azione, ritenga di non potermela nascondere, poiché, se anche vedesse che io ero assente fisicamente, tuttavia dovrebbe pensare che io sono presente con la mente agli eventi. Se sarete di questa opinione, prenderete decisioni più

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 Testo critico, traduzione e note di commento

[52] Quae possidetis, quae facitis, quaeque facturi estis nullo occultare modo quaerite; scitote enim occultandis in rebus complures necessario timores innasci. In civilibus officiis artificiose aut obscure ne versamini, verum adeo aperte et simplici quodam modo ut, siquis falsis vos insectari criminibus voluerit, haud facile valeat. Actiones ita probate ut eas esse malignas existimetis quas celare me concupiscitis, bonas autem quae, cum meas ad aures pervenerint, meliores vos arbitraturus sum. [53] Si quos adversus regiam maiestatem flagitiosos esse spectabitis, silentio ne obscurate, quin eos palam efficite. Eadem commeruisse supplicia iudicatote qui facinorum et occulendorum et patrandorum socii extiterint. Non qui scelera sua celaverint, sed qui delictorum nihil commiserint felices iudicate: illos nanque qualia perpetraverint talia et perpessuros esse coniectare licet, hos vero pares pro dignitate gratias recepturos. [54] Meo iniussu neque sodalicia neque conventus facitote; huiuscemodi nanque conditiones in reliquis urbanarum rerum generibus priores sibi partes vendicant, in regio vero principatu discrimen pariunt. Non solum a turpitudine vos abstinete, sed ab iis etiam factitandis quibus necessario subest ulla suspicio. Amicitiam meam tutissimam stabilissimamque cogitate [55] et in hoc regiae dignitatis statu diutissime conservando vehementer enitimini, sic ut nulla mutandarum rerum cupiditate ducamini, memores hisce perturbationibus civitates in ruinam dari oportere praecipites ac privatas in desolationem domos trahi. Non solum principum saevitiam atque benignitatem ab eorum ingeniis, verum etiam

52 occultandis] -tande B : -tandas M | complures om. B | artificiose] non artificiose Vat.12 | ne om. Vat.11 | obscure] -ura B | versamini] -emini O L | verum] utrum Ber | aperte] ope- B | et] aut Ber | falsis vos] vos falsis Z | criminibus] criminationibus δ | ita iter. S | exisitimetis] -mete B | quas] quae j | celare] scelerare j : celerare y | me om. P | concupiscitis] -veritis scrip. Co2 (recte Co1) | aures] auris V1 | pervenerint] -nerit c | sum] sim β  ||   53 si] sed D : sin Ber | prius esse om. Ber | spectabitis] -tabis Est.11 (corr. Est.11c) | silentio] hic redit C | eos palam] palam eos B | efficite] facite B : afficite M1 (corr. M1c) | eadem] eandem V1 | commeruisse] meru- Z | supplicia] poenam V1 | occulendorum] oculten- Co : occultan- V1 | et patrandorum om. j | extiterint] -terit R | qui scelera] quis celera Vat.11 (corr. Vat.12) | celaverint] scel- B : celaverit y | sed] si Ber | iudicate] -care Est.21 (corr. Est.21c) | perpetraverint] -trarunt y | et om. C1 (s.  l. add. C1c) Z | alterum esse om. Ber | coniectare] coniet ante coniectare exp. D1c | hos] nos j δ  ||   54 conditione] condut- B | priores] priores pro dignitate B1 (pro dignitate exp. B1c) | partes] partis V1 | regio] regno N | principatu om. B | a turpitudine vos] vos a turp. Ber | iis] aliis c | etiam] et y | factitandis] -ndibus δ | quibus] quilibet L | necessario] -saria δ | stabilissimamque om. γ | cogitate] iudicate M1 (corr. M1c)  ||  55 enitimini Vat.1 Vat.3 γ V Z T S δ Est.1 P G : enitem- C.11 y Vat.5 k Ber : evitem- N B | sic om. D O | ut] et D O L | nullam] ullam V | memores] merores x | dari] dare x B Z | ac om. P1 (etiam post privatas add. P2) | domos om. Z | domos trahi] trahi domos β : trahi Z | principum] -pis Ber | eorum] orum (sic) A |

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ragionevoli. [52] Non cercate di occultare in nessun modo ciò che possedete, ciò che fate e ciò che farete; sappiate infatti che nel nascondere le cose necessariamente si generano moltissimi timori. Non dedicatevi ai vostri doveri di cittadini in modo artificioso o oscuro, ma in un modo chiaro e schietto, al punto che, se qualcuno volesse lanciarvi false accuse, non possa farlo facilmente. Esaminate le azioni così da ritenere che siano cattive quelle che desiderate nascondermi, buone, invece, quelle in base alle quali, dopo averle udite, vi considererò necessariamente migliori. [53] Se vedrete che alcuni si comportano in modo disonesto nei confronti del potere regio, non copriteli con il silenzio, al contrario denunciateli. Giudicate meritevoli dello stesso castigo coloro che sono stati complici dei crimini sia coprendoli sia compiendoli. Giudicate felici non coloro che hanno nascosto i propri delitti, ma chi non ha commesso alcun misfatto: infatti, si può presumere che i primi sopporteranno punizioni tali e quali alle colpe che hanno commesso, mentre i secondi riceveranno riconoscimenti pari ai loro meriti. [54] Non formate senza il mio ordine né associazioni né circoli; infatti, sodalizi di questo genere nelle altre forme di governo ottengono per sé dei vantaggi, mentre in una monarchia generano pericoli. Tenetevi lontano non solo dalla disonestà, ma anche dalle azioni che necessariamente destano sospetti. Considerate la mia amicizia come la più sicura e la più salda [55] e sforzatevi in ogni modo di conservare questo regime monarchico il più a lungo possibile, così da non essere traviati dal desiderio di cambiare le cose, ricordando che è inevitabile che questo tipo di rivolte conduca le città alla rovina e le case private ne siano

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 Testo critico, traduzione e note di commento

[et] ab civium moribus causas traxisse putate. Multi enim propter subditorum flagitia acerbius quam instituissent imperium exercere coacti sunt. Non in mea magis clementia quam vestra in virtute spem gerite. [56] Tutelam meam vestrae coniunctam esse libertati credite. Rebus enim meis recte constitutis et vestras pari sese modo habituras putandum est. Meum erga principatum humiles ut sitis oportet, in bonis permanentes moribus et in legum conservatione regiarum, ceterum in civilibus ministeriis et regalibus edictis splendorem exercete. [57] Ad virtutis actiones iuventutem exuscitate non solum documentis, verum etiam opere commostrando quales viros bonos esse convenit. Liberos vestros regio parere imperio condocefacite et ad diutius in huius virtutis disciplina permorandum consuefacite: nam qui regi parere didicerit multo magis imperare poterit. Si fide ac iustitia praediti fuerint, ad nostrorum participationem bonorum vocabuntur; quod si malignitati operam dederint, et suis discrimen importabunt. [58] Ingens ac firmissimum filiis patrimonium tradituros vos existimate, si regiam illis caritatem benivolentiamque legare poteritis. Miserrimos et infortunatissimos eos credite homines qui in illos qui sibi fidem habebant reperti sunt fedifragi. Hos enim inter maerores assiduos metumque perpetuum reliquum aetatis agere necesse est, cum interim nihilo plus fidei in amicis quam inimicis certe gerant. [59] Non qui grandes possideant opes, sed qui nullius sibi turpitudinis conscii sint beatos appellate; tali nanque animo maiori cum amoenitate vitam perducere licuerit. Nolim arbitremini plus ex malitia quam virtute conferri, cum molestius nomen habeat; quales enim appelationes res ipsae sortitae sunt, tales et earum [et] seclusi : del. Co : om. Est.11 (corr. Est.12) | flagitia] flacia (sic) C | exercere om. γ | imperium] duce post imperium s.  l. add. D | coacti] conati S | clementia] dem- Ber S | vestra in] in vestra M : in om. C1 (s.  l. add. C1c) | virtute] civitate M1 (in marg. virtute fort. scrip. alia manus) | spem om. D1 (in marg. add. Dc)  ||   56 tutelam] tullam (sic) Ber | libertati] civitati M | credite] -dere O L | recte] certe V | vestras] -tra Vat.1 Vat.3 Vat.5 V S | sese om. γ | sitis] sci- k Ber V1 (corr. V1c) V1 | oportet] -tere M : -teret δ | edictis] editis Vat.5 : aeditis h : ediditis B : edificiis y | exercete] -cere D Vat.5 Est.2 Ber  ||   57 virtutis] -tes x | actiones] -nem D | iuventutem] invent- Co | exuscitate] non liquet Co1 (recte Co2) | commonstrando] -strate V | quales] quale V1 | viros bonos] bonos viros Co | esse om. Ber | vestros] -tris B | regio om. D | imperio] edicto Co | condocefacite] commone- V | permorandum] comm- M | et—consuefacite om. C1 (in marg. add. C1c) | didicerit] -cit β | vocabuntur] fort. notab- B | malignitati] malignati D  ||  58 ac] et β | existimate] -mare Ber | in illos] nullos L | habebant] -eant R M | sunt] sint y : om. Vat.3 D1 (add. D1c) | fedifragi] fidi frangi (sic) Ber | hos Vat.1 Vat.3 γ V Z T Est.1 G : nos β S δ : non P | enim] igitur Ber | assiduos] continuos Co : om. V | reliquum] -quos c | fidei] fidei quos Vat.31 (quos exp. Vat.31c) | in amicis quam inimicis] inimicis quam in amicis V  ||   59 non] nos B | possideant] -dent C1 (corr. C1c) S | qui nullius] nullos qui D : nullius qui x | sibi] fidei δ : om. γ | conscii] consotii R | sint] sunt c Ber Z Est.11 (corr. Est.11c) | appellate] -lati h | tali] talia y | maiori] -ore Co1 (corr. Co2) | licuerit] -eri Vat.11 (corr. Vat.12) | arbitremini] -tramini Co1 (corr. Co2 ) V1 | virtute] ex virtute Ber | conferri] -erre M | habeat] -eant y | ipse] iste S | et] etiam h | earum] eorum Co |

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devastate. Pensate che la crudeltà e la bontà dei principi dipendono non solo dalla loro indole, ma anche dai comportamenti dei cittadini. Infatti, molti sono stati costretti a esercitare il loro potere più severamente di quanto avessero stabilito a causa della vergognosa condotta dei loro sudditi. Non sperate di più nella mia clemenza che nella vostra virtù. [56] Pensate che la mia sicurezza è unita alla vostra libertà. Infatti, sistemati felicemente i miei affari, si deve ritenere che anche i vostri lo saranno in egual misura. Dunque, occorre che voi siate sottomessi alla mia autorità, rimanendo fedeli ai buoni costumi e continuando ad osservare le leggi del re, ma nelle funzioni pubbliche e nelle disposizioni regie mostrate la vostra munificenza. [57] Spingete i giovani verso le azioni virtuose non solo con gli insegnamenti, ma anche mostrando concretamente di che fatta conviene siano gli uomini onesti. Educate i vostri figli a sottostare all’autorità del re e abituateli ad occuparsi il più a lungo possibile dell’esercizio di questa virtù: infatti, chi avrà imparato ad obbedire al re potrà comandare molto di più. Se saranno leali e giusti, saranno chiamati a partecipare ai nostri beni; se invece si volgeranno alla malvagità, metteranno in pericolo anche i loro averi. [58] Pensate che consegnerete ai vostri figli il patrimonio più grande e più sicuro, se potrete lasciare loro in eredità l’affetto e la benevolenza del re. Considerate come i più miseri e i più infelici quegli uomini che si sono rivelati sleali nei confronti di quelli che avevano fiducia in loro. Questi, infatti, sono destinati a vivere il resto della loro esistenza tra incessanti tormenti e nella costante paura, mentre di sicuro non trovano più fiducia negli amici che nei nemici. [59] Considerate felici non coloro che possiedono grandi ricchezze, ma coloro che in cuor loro sanno di non aver commesso

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 Testo critico, traduzione e note di commento

potestates esse iudicandum est. [60] Quos princeps priorem tenere locum voluerit, nulla in illos vos invidia stimulet, at obnixe et omni certate conatu ut, cum viros vos bonos et virtute praeditos praebueritis, iis qui primas habent partes aequales fieri possitis. Quos regi caros esse perspicitis, eos et honore colite et amore complectimini ut ab eo paria liceat vobis adipisci. Qualia me praesente profertis, talia et me absente sentite. [61] Vestram in me pietatem re potius quam verbis ostendite. Quicquid vobis illatum vos ad iracundiam concitat, id aliis minime facitote. Quae verbo soletis increpare, ea opere ne commiseritis. Qualia de me cogitatione versatis, tales futuros actus expectate. Non modo bonos laudibus celebrate, verum etiam illos imitatione comprobate. [62] Principis orationem legis vim habere credite et in ea observanda conatum omnem adhibete, haud ignari quod qui regiae obtemperarint voluntati eis vitam ducere suo licebit arbitratu. Brevi dicta praecidam: quales vobis subiectos esse oportere censetis, in colenda virtute tales estote. [63] Haec si a vobis confecta fuerint, quid de rerum eventu longiorem ordiar orationem? Si qualem superiori tempore talem et inpraesentiarum me vobis exhibuero vosque item vestra suppeditetis officia, vitam vestram magnum incremen-

potestates] -tis P1 (corr. P2)  ||   60 princeps] -pes β : -pem Ber | priorem om. c δ | tenere locum] locum tenere D | voluerit] val- Ber | in illos] in illo Ber | prius vos] suos j : nos Co1 (corr. Co2) : post nulla Z : om. D | stimulet] -letur fort. Vat.3 : -letis D | at] ac j | certate] -tati fort. C : aetate Ber | vos bonos] bonos vos y k Ber | iis om. B | liceat vobis Vat.1 Vat.3 γ V Z T S δ Est.1 P G : vobis liceat h y Vat.5 k Ber : nobis liceat B | qualia~profertis om. R | profertis] pref- γ : proferitis N1 (corr. N1c) B A M : om. R | et me] me Ber | absente] absecente V11 (corr. V11c )  ||  61 vos om. V | verbo] -bis M | ne] non y : ante opere δ | de me] ad me β | tales] talia P1 (corr. P1c) | futuros] e fut. Ber1 (e exp. Ber1c) | bonos] bonis S  ||  62 legis] legum P : om. V1 (s.  l. add. V1c) | et] at M | conatum] cana- N1 (corr. N1c) | adhibete] -bite Vat.11 (fort., corr. Vat.12) D R M | ignari] ignorari B1 (corr. B1c) : ignori M | quod] fort. quia scrip. Co2 (recte Co1) | obtemperarint] -raverint j : -rarit A Z : -rarunt M Co | licebit] -bat D | vobis] vos D1 (corr. D1c) | brevi] brevi virtute tales estote haec si a vobis confecta fuerint quid de rerum B1 (virtute ~rerum exp. B1c) | in colenda] incoleada (sic) B  ||  63 a om. Vat.31 (corr. Vat.32) | prius vobis] nobis B | longiorem] -gior C | si om. V | superiori] -ore D R1 (corr. R1c) | alterum vobis] nobis B | vosque] vos γ : et vos B | item vestra] vestra item Z | suppeditetis] -ditis D |

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nessuna colpa; è con una tale disposizione d’animo, infatti, che si potrebbe vivere in modo più piacevole. Non vorrei che voi credeste che giovi più la malvagità che la virtù, sebbene quella abbia un nome più odioso; infatti, si deve ritenere che le proprietà delle cose siano tali quali i nomi che esse hanno ricevuto. [60] Non invidiate coloro che il principe ha voluto avessero una posizione di prestigio, ma con ostinazione e con ogni sforzo cercate di riuscire a eguagliare coloro che occupano le posizioni più importanti, essendovi mostrati uomini onesti e dotati di virtù. Le persone che vedete che sono care al re onoratele e amatele, affinché sia possibile per voi ottenere da lui uguali privilegi. Abbiate anche in mia assenza le stesse opinioni che esprimete in mia presenza. [61] Mostrate la vostra devozione nei miei confronti con i fatti più che a parole. Non fate agli altri nessuna cosa che vi irriti, se compiuta contro di voi. Non compite atti che siete soliti criticare a parole. Aspettatevi che le azioni saranno tali quali sono i vostri pensieri riguardo a me. Non riempite solamente di lodi gli uomini onesti, ma mostrate la vostra approvazione anche imitandoli. [62] Pensate che le parole del re hanno l’autorità della legge e sforzatevi di osservarle, sapendo che colui che obbedirà alla volontà del re potrà vivere secondo il proprio volere. Concluderò il mio discorso con poche parole: nel coltivare la virtù siate tali quali credete occorra che i sottoposti siano nei vostri confronti. [63] Se farete così, perché dovrei passare a un discorso ancor più lungo sulle conseguenze delle vostre azioni? Se io mi mostrerò a voi anche nel presente tale quale mi sono mostrato in passato e allo stesso modo voi mi fornirete i vostri servigi, presto vedrete che la vostra vita è molto migliorata, il mio potere si è

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 Testo critico, traduzione e note di commento

tum suscepisse, imperium meum late propagari, civitatem ad felicitatis gradum conscendisse mature cernetis. [64] Quorum gratia bonorum nihil omittendum est, omnis labores omnia subeunda pericula. Vobis vero nulla suscipienda est aerumna, fidem modo iustitiamque praestate: universa haec licebit absolvere.

Explicit : Explicit Isocrates de officio subiectorum Vat.3: finis 18ma die Februarii Anno 1473 S : explicit O : Explicit epistula Guarini in oratione Ysocratis qua in subditos regem instituit ad principem Leonellum Estensem L : explicit epistula Guarini Veronensis ad principem Leonellum C : Explicit oratio de subditis penes regem B : Isocrates de subditis ad principes suos foeliciter explicit A : Isocrates de subditis ad principes suos feliciter explicit, scriptum per me Franciscum de Martinellis de Cesena existentem potestatem terre Rochecontrate 1469 R : finis Vat.5 Est.2 δ Est.1 G : Τελως P : Τελως. Valeas qui legeris. Rectius enim valebis si lecta observaveris M : Valeas qui legeris. Rectius enim valebis si lecta observaveris. Dixi. Finis Ber : nulla subscriptio in Vat.1 D h propagari] -are R : -atum Co | conscendisse] conce- Vat.1: pervenire Co | mature] naturae Ber : post gradum Co | cernetis] cerretis (sic) B  ||  64 gratia] -iam C | omittendum] omittendum mihi P | omnis Vat.11 (fort.) Vat.3 O C.11 B Z T S δ Est.1 G : -es Vat.12 D L C N y Vat.5 k Ber V P | subeunda] obe- M | suscipienda] -penda A | est aerumna] aerumna est Ber : est post nulla Co : est om. S | praestate] pote- h | haec licebit] licebit haec γ | si post licebit s. l. add. D | licebit iter. γ | absolvere] obs- B

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esteso in lungo e in largo e lo stato è divenuto prospero. [64] In vista di questi beni nulla deve essere tralasciato, si devono sostenere tutte le fatiche e tutti i pericoli. In realtà voi non dovete fare alcuno sforzo, date solo prova di lealtà e giustizia: vi sarà concesso di ottenere tutti questi risultati.

Note di Commento Incipit: la maggior parte dei testimoni indicano il testo con il titolo Nicocles seu Symmachicus (cf. supra 43–44 e infra Appendice 2). I codici O L C, A R e Est.2 M trasmettono la stessa inscriptio, a conferma dei rapporti di fratellanza (per O L C ed A R) e di filiazione (per Est.2 M) precedentemente individuati (cf. supra IV.3.4, IV.4.5.4 e IV.5.2). § 1 Habent: la tradizione manoscritta è divisa: la famiglia γ più i codici Vat.1, Vat.3, V, Z, T presentano la lezione habent, mentre il gruppo β insieme con S, Est.1, P e G leggono habeant, al congiuntivo; la famiglia δ tramanda entrambe le lezioni (habent Co, habeant V1). Nel testo greco tutti i verbi sono all’indicativo, così come gli altri predicati presenti nel periodo (agitant, dicunt); appare quindi poco probabile che solo un verbo sia stato reso con un congiuntivo. L’errore potrebbe essersi generato per il fatto che la costruzione sunt qui con il verbo della relativa al congiuntivo è abbastanza frequente; si tratta dunque di una lectio facilior. § 2 Quas…vendicaverit: la traduzione differisce un po’ dal testo greco, dove a non essere biasimati sono i mezzi con cui si ottiene di più e non ciò che si ottiene, come, invece, si dice nel testo guariniano (Is., 3, 2, τῶν πραγμάτων τούτων ἐστί, δι᾽ ὧν ἄν τις μετ᾽ ἀρετῆς πλεονεκτήσειεν, «[perciò non c’è da condannare] quei mezzi con i quali si può avere più degli altri senza allontanarsi dalla virtù»). La discrepanza potrebbe essere dovuta al testo che Guarino aveva a disposizione: la tradizione isocratea, infatti, in questo punto diverge. Da un lato, Γ riporta il complemento di mezzo, dall’altro il codice Λ e i suoi apografi trasmettono il genitivo semplice, retto dal verbo πλεονεκτέω (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). È dunque possibile che il testo letto da Guarino presentasse il solo pronome relativo al genitivo, complemento diretto del verbo della relativa. § 3 Propter fraudolentos ac mendaces homines: l’uso dell’aggettivo fraudolen­ tus da parte di Guarino sembra dipendere dalla facies del testo di Λ, Π e della vulgata che presentano il participio ἐξαπατῶντας (da ἐξαπατάω «inganno») laddove Γ legge ἐξαμαρτάνοντας (da ἐξαμαρτάνω «erro», «sbaglio», «commetto colpe»; cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). § 4 Si qui manus in obvios inferant: la traduzione di Guarino con un periodo ipotetico della possibilità pare corrispondere più al testo tràdito da Λ, Π e dalla vulgata, che presenta il modo ottativo nella protasi (εἴ … τύπτοιεν), mentre in Γ si trova l’indicativo (εἴ … τύπτουσι; cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Si qui necem inflixerint: nel testo di Guarino è assente la specificazione οὐς οὐ δεῖ (Is., 3, 4, «chi uccide le persone che non deve»), un’omissione che potrebbe essere ricondotta al testo greco che era a disposizione dell’umanista. Queste parole infatti risultano omesse dai codici più importanti del secondo gruppo della tradizione isocratea, Λ e Π, e dalla vulgata (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). https://doi.org/10.1515/9783110792867-008

Note di Commento 

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§ 5 et plurimorum causa bonorum existit: la maggior parte dei codici non presenta la congiunzione et, il che suggerisce che alcuni testimoni l’abbiano aggiunta erroneamente, considerato anche che è assente una congiunzione nel testo greco; inoltre, la presenza di et sarebbe difficile da giustificare. Tuttavia, la soluzione di accogliere a testo la lezione maggioritaria non permetterebbe di giustificare la presenza della congiunzione in alcuni dei testimoni (per di più appartenenti a rami diversi della tradizione) e restituirebbe un testo comunque duro dal punto di vista logico-sintattico (bisogna infatti ipotizzare che causa sia complemento predicativo del soggetto) per quanto più aderente all’originale. L’unica via per risolvere tali problematiche sembra essere quella di congetturare la presenza di un est prima di et: infatti, così si spiegherebbe la genesi dell’errore (nella maggior parte dei codici si sarebbe verificata un’omissione sia del verbo sia della congiunzione, in pochi altri, invece, un’aplografia imperfetta); poi, la congettura restituirebbe un testo accettabile dal punto di vista grammaticale. Questa ipotesi, però, implica che Guarino si sia leggermente scostato dall’originale: in greco si dice che la parola è quella che «fra tutte le facoltà proprie della natura umana è causa dei più numerosi benefici», mentre il latino verrebbe a dire che la parola è la qualità superiore tra quelle proprie della natura umana ed è anche fonte di moltissimi beni. Tuttavia, questa soluzione sembra essere autorizzata dal fatto che Guarino si discosta dal testo isocrateo già per quanto riguarda la scelta di tradurre il complemento partitivo del greco con l’espressione super omnia; inoltre, verso tale interpretazione sembra indirizzare anche il prosieguo del discorso: nei paragrafi successivi, infatti, si dimostra come la parola sia la facoltà che distingue l’uomo dagli animali (da qui la sua superiorità) e che grazie ad essa si sono potute costituire le società umane. In più, la congettura è supportata anche dal fatto che nel testo è riscontrabile un altro locus in cui è presente il nesso sint est: § 17, rudes et imperiti sint est necesse. Tale ipotesi ha un’importante conseguenza a livello di recensio: infatti, rappresenterebbe la prova che tutti i testimoni della tradizione discenderebbero non dall’esemplare d’autore, ma da una copia di esso. Resta comunque un passo controverso dal momento che non è sicuro che il testo qui sia corrotto. Longe inferiores sumus: la traduzione guariniana coincide con il testo tràdito da Λ, Π e dalla vulgata πολλῷ … καταδεέστεροι τυγχάνομεν ὄντες; Γ, invece, presenta la forma πολλῶν (scil. ζῴων), da intendere come secondo termine di paragone («siamo inferiori a molti [scil. animali]»; cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). § 8 Et de reliquis consultando: tale traduzione sembra corrispondere al testo greco tràdito dai codici Λ e Π: καί περὶ τῶν ἄλλων βουλευόμενοι, mentre Γ trasmette solo il participio βουλευόμενοι (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Illos qui de rebus optime disserant: nel testo greco è presente l’espressione di reciprocità πρὸς αὑτοὺς (in realtà il riflessivo è correzione degli editori per il

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 Testo critico, traduzione e note di commento

tràdito αὐτοὺς; cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.), omessa, invece, da Guarino nella sua traduzione. Visto che la tradizione isocratea, stando all’apparato critico, riporta all’unanimità tale espressione, la sua assenza nella versione latina potrebbe essere riconducibile a un errore o a una deliberata scelta dell’umanista di non tradurla. Nel primo caso, tale omissione andrebbe collocata a monte della tradizione manoscritta e, pertanto, costituirebbe un’ulteriore prova a favore dell’esistenza di un capostipite unico. § 9 Qui sacras deorum immortalium aedes violant: le edizioni moderne di Isocrate stampano εἰς τὰ τῶν θεῶν, ma in apparato si segnala che i codici Λ e Π e la vulgata hanno τῶν θεῶν ἔδη, da cui potrebbe essere derivato deorum … aedes (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). § 10 Eas esse arbitror: sette dei dodici capostipiti della tradizione (T S δ Est.1 G P e β) non presentano il pronome eas, un’omissione che, tuttavia, sembra essere un errore meccanico, un salto da uguale a uguale (convenientissim-as e-as). Un altro motivo per cui si è scelto di portare a testo la lezione eas è di ordine stilistico: è molto frequente nella traduzione guariniana che il pronome relativo sia preceduto da una forma di is ea id. § 11 Altera quidem de re … Isocratis orationem accepistis: la paradosi isocratea diverge nel tramandare questa porzione di testo: gli editori moderni accolgono la lezione di Γ che legge τὸν μὲν οὖν ἕτερον … Ἰσοκράτους ἠκούσατε, mentre i codici Λ e Π e la vulgata aggiungono il sostantivo λόγον dopo ἕτερον (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Dalla traduzione non è evidente quale testo leggesse Guarino, in quanto il termine oratio era facilmente deducibile dal contesto e un complemento oggetto era richiesto dalla lingua latina (se ἀκούω regge il genitivo, accipio ha invece bisogno di un accusativo). Tuttavia, la scelta di usare il termine oratio, che è normalmente usato dal Veronese per tradurre λόγος (come emerge dai paragrafi precedenti), mi induce a ritenere che l’umanista avesse davanti il testo tràdito dalla seconda famiglia e che lo interpretasse come «riguardo all’altro λόγον avete ascoltato quello di Isocrate». Non quod illum excellere posse sperem: fa difficoltà quell’illum che si riferisce a Isocrate (nominato poco prima) e a prima vista è interpretabile come soggetto dell’infinitiva retta da sperem, non potendo essere l’oggetto di excello che è intransitivo. Tuttavia, se si guarda il testo greco, vi si legge l’affermazione di Nicocle secondo cui egli non spera di superare Isocrate con il suo discorso e, dunque, illum sarebbe da intendere come oggetto di excello e non come suo soggetto. Potrebbe essere un errore di traduzione di Guarino: infatti, il testo greco ha ὑπερβάλλομαι che al medio regge l’accusativo (ἐκεῖνον, riferito appunto a Isocrate); l’errore rispetto al latino classico potrebbe anche essere frutto dell’influenza di un uso transitivo di excello proprio del latino tardo e biblico (cf. ThlL vol. 5, 2, p. 1214, l.  78, p.  1215, l.  15, s.  v. excello). Siccome però altrove nel testo Guarino mostra

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di utilizzare excello con l’ablativo (cf. § 38, reges ipsos tanto privatis hominibus bonitate excellere; cf. anche § 17, monarchiae reliquis antecellant, con antecello costruito con l’ablativo), illum potrebbe anche essere un errore di archetipo (nato da uno sbaglio di lettura, illum al posto di illo), dato che è tràdito all’unanimità da tutti i codici. Tuttavia, vista la stratificazione del latino di Guarino (cf. infra Appendice 3), in cui si mescolano usi classici ad altri propri del latino medievale e umanistico, ho scelto di mantenere a testo illum, considerandolo un errore d’autore e non di trasmissione (per un caso simile di calco sintattico cf. infra § 28). Nihil tale confeceritis: l’impiego dell’aggettivo talis, -e da parte di Guarino potrebbe dipendere dalla facies del modello greco utilizzato per la traduzione: infatti, i codici Λ e Π e la vulgata in luogo di τούτων, tràdito da Γ, presentano τοιοῦτον (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). § 12 Iisque dinumeratis: quasi metà dei capostipiti della tradizione presenta la variante usque, ma è difficilmente giustificabile sul piano semantico (a meno di non intenderlo con il significato di «senza interruzione», «continuamente») e non sembra trovare corrispondenza nel testo greco, dove abbiamo l’espressione ταῦτ’ ἀπαριθμήσας (Is., 3, 12, «dopo averli enumerati»), con cui, invece, coincide perfettamente iisque dinumeratis. Questi elementi suggeriscono che la lezione genuina sia iisque e usque sia da considerare come un banale errore paleografico di lettura (ii→u). Occorre inoltre segnalare che Λ omette la sezione di testo καὶ ταῦτ᾽ ἀπαριθμήσας ἀπαλλαγείην (a cui nella versione latina corrisponde iisque dinumeratis finem faciam). Insuper ostendam: tale traduzione sembra corrispondere non tanto a προεπιδείξαιμι (da προεπιδείκνυμι «spiego, mostro prima»), tràdito da Γ, ma alla variante προσεπιδείξαιμι (da προσεπιδείκνυμι «mostro, espongo inoltre»), attestata da Λ, Π e dalla vulgata (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Etiam quia supra reliqua gubernandae civitatis genera: di nuovo la traduzione di Guarino sembra riconducibile al testo dei codici isocratei Λ e Π e della vulgata. Infatti, Γ legge ἀλλ᾽ ὅτι βελτίστη τῶν πολιτειῶν ἐστιν (Is., 3, 12, «ma poiché è la migliore di tutte», scil. la monarchia), mentre i codici Λ e Π aggiungono καί prima di βελτίστη, a cui potrebbe corrispondere etiam nella traduzione di Guarino, e ἄλλων davanti a πολιτειῶν (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.), da cui nella versione del Veronese reliqua … genera. Neminem fore arbitror qui…damnet: la versione latina sembra ancora una volta corrispondere maggiormente al testo tràdito da Λ, Π e dalla vulgata: οὐκ ἔστιν ὅστις … καταγνώσεται, contro τίς οὐκ αὐτὸς … καταγνώσεται, trasmesso da Γ (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). § 14 De civitatis statu … videri debet: tale proposizione costituisce un ampliamento rispetto al testo isocrateo, avente forse lo scopo di scandire meglio l’articolazione del discorso in vista di un utilizzo della versione a scopo didattico

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(cf. supra 28–29, 33, 35–36 e infra § 35): in greco abbiamo un unico periodo che presenta all’inizio un complemento di argomento (περὶ μὲν οὖν τῶν πολιτειῶν) e l’inciso ἐντεῦθεν γὰρ ὑποτιθέμενος ἠρξάμην (Is., 3, 14, «poiché mi sono proposto di cominciare da qui»), seguiti dalla principale οἶμαι da cui dipende una subordinata infinitiva (πᾶσι δοκεῖν δεινότατον). Guarino scandisce il discorso in due periodi: nel primo, duplica il complemento d’argomento (de civitatis statu et rei publicae gubernandae ratione), trasforma quello che in greco era un inciso in una proposizione coordinata alla principale (sic enim et initio proposui) e aggiunge l’espressione prius dicere incipiam. Nel secondo periodo, traduce il verbo reggente del greco οἶμαι con un inciso (ut arbitror) e l’infinitiva δοκεῖν la trasforma in una proposizione principale (videri debet, con inoltre l’aggiunta dell’espressione di dovere). Ut inter hos fiat distinctio: in questo caso la traduzione di Guarino pare dipendere non dal testo di Λ e della vulgata, ma da quello di Γ o di Π. Infatti, l’Urbinate e il Parigino presentano il verbo διορίζω (διωρίσθαι Γ, διορίζεσθαι Π; «divido, distinguo»), mentre in Λ e nella vulgata si trova l’infinito aoristo di διορθόω (διορθώσασθαι, «mettere in ordine, regolare, correggere»; cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). § 15 At regius principatus plurimum praebet optimo, secundo quod est proxi­ mum, tertio et quarto et deinceps eadem ratione: la paradosi isocratea diverge nel tramandare la corrispondente porzione di testo (cf. Drerup (ed.  1906) ad loc.): Γ legge αἱ δὲ μοναρχίαι πλεῖστον μὲν νέμουσι τῷ βελτίστῳ, δευτέρῳ δὲ τῷ μετ᾽ ἐκεῖνον, τρίτῳ δὲ καὶ τετάρτῳ τοῖς ἄλλοις κατὰ τὸν αὐτὸν λόγον, dove τῷ βελτίστῳ e τῷ μετ᾽ ἐκεῖνον si riferiscono alla stessa categoria (ovvero persone) e svolgono la funzione di complementi di termine, mentre πλεῖστον, δευτέρῳ e gli altri numerali sono di analoga e altra categoria (sottintendono un sostantivo come μέρος) e sono interpretabili come dativi avverbiali o di misura. Molto più lineare e «meno greca», ma più facilmente traducibile è la sintassi del testo tràdito da Λ e dalla vulgata, che presenta i numerali al caso accusativo con funzione di complemento oggetto di νέμουσι. La resa di Guarino risulta un po’ strana, come se, non capendo a fondo il greco, lo calcasse il più possibile, il che potrebbe indurre a pensare che il Veronese leggesse il testo di Γ o addirittura nel proprio esemplare trovasse scritto τὸ μετ ἐκεῖνον (lezione di Γ4 e di alcuni codici dello Stobeo) al posto di τῷ μετ᾽ ἐκεῖνον (per questo suggerimento ringrazio Elisabetta Berardi). §  16 Si dispicienda hominum sunt ingenia  … confiteatur: la versione guariniana trova la sua giustificazione nel testo tràdito da Λ, Π e dalla vulgata: infatti, i moderni editori di Isocrate stampano secondo il testo di Γ: καὶ μὲν δὴ διορᾶν καὶ τὰς φύσεις τῶν ἀνθρώπων καὶ τὰς πράξεις ἅπαντες ἂν τὰς τυραννίδας μᾶλλον ὁμολογήσαιεν, dove abbiamo l’ottativo (con valore potenziale per la presenza di ἄν) ὁμολογήσαιεν che regge una proposizione infinitiva (διορᾶν). Una diversa

Note di Commento 

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costruzione sintattica si trova invece nella seconda famiglia (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.) e risulta analoga a quella presente nel testo guariniano: καὶ μὲν εἰ δεῖ δὴ διορᾶν (a cui corrisponde si dispicienda … sunt) … ὁμολογήσαιεν (reso con con­ fiteatur). Questo dato permette anche di individuare la vera lectio tra le varianti sunt e sint presenti nei codici che ci trasmettono la versione latina: infatti, il congiuntivo sint, nonostante sia lezione minoritaria, potrebbe apparire genuino per la ­presenza nel testo greco del costrutto ἄν più ottativo, ma il confronto con la seconda famiglia della paradosi isocratea conferma la bontà della variante maggioritaria sunt. Optarit: la traduzione di Guarino sembra corrispondere al testo di Γ ἂν δέξαιτο (da δέχομαι «ricevo, accetto, scelgo»), mentre Λ, Π e la vulgata leggono εὔξαιτο (da εὔχομαι «prego, mi vanto, dichiaro»; cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Iudicari iure debet: il testo latino sembra corrispondere in parte a quello di Λ, Π e della vulgata che presentano il verbo κρίνω costruito con il doppio accusativo (reso da Guarino con la costruzione del doppio nominativo), mentre in Γ da κρίνω dipende un’infinitiva (εἶναι κρίνοιμεν). Tuttavia, l’uso dell’avverbio iure da parte del Veronese rimanda non al testo della seconda famiglia, ma a quello dell’Urbinate: se in Γ compare infatti l’avverbio δικαίως, Λ e la vulgata leggono καὶ δικαιοτέραν (concordando l’aggettivo con αὐτὴν, scil. la monarchia; Drerup (ed. 1906) ad loc.). §  17 Iocundior suavior iustiorque: il comparativo iustior costituisce un elemento di divergenza rispetto al testo tràdito da Λ: infatti il Vaticano omette καὶ δικαιοτέρα (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Ad deliberationes agendas ad gerenda: è il testo tràdito dalla maggioranza dei codici, tuttavia a prima vista non corrisponde al testo greco: πρὸς τὸ βουλεύεσθαι καὶ πρᾶξαί τι τῶν δεόντων (Is., 3, 17, «[quanto le monarchie siano superiori] nel decidere e nell’agire convenientemente»). L’assenza in latino della congiunzione comporta, infatti, un lieve slittamento di significato rispetto al testo isocrateo: la superiorità delle monarchie non consisterebbe nel decidere e nel compiere ciò che è necessario, ma nel prendere decisioni per compiere ciò che è necessario. Più aderente al greco risulta essere, invece, la variante minoritaria – e, pertanto, non può sicuramente essere la lezione genuina, ma si tratta di un’innovazione da parte di alcuni testimoni – et ad gerenda, tràdita da un solo capostipite (V) e da un descriptus di β, c. Tuttavia, si potrebbero interpretare i due gerundivi latini come coordinati per asindeto; l’ipotesi restituisce un testo coerente con l’originale e permette di salvare il testo tràdito, dal momento che non è sicuro che sia corrotto. Infatti, la discrepanza tra il greco e la traduzione di Guarino potrebbe essere attribuita a un errore d’archetipo (l’omissione di et) o ad una svista dell’autore oppure potrebbe essere dovuta al fatto che l’umanista aveva a disposizione un codice in cui la congiunzione καὶ era assente (queste ultime due ipotesi potrebbero trovare

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 Testo critico, traduzione e note di commento

un riscontro nella facies del testo dei codici Λ e Π e della vulgata che avrebbe potuto causare un salto da uguale a uguale: καί πρὸς τὸ βουλεύεσθαι καὶ πρὸς τὸ πρᾶξαί τι τῶν δεόντων [cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.]). Dunque, non avendo forti elementi per sostenere una corruzione del testo latino, l’ipotesi più economica e meno invasiva è, come si diceva, interpretare i due gerundivi latini come coordinati per asindeto. § 18 Reges autem, cum invideant nemini, cuncta – ut fieri fas est – praestan­ tissima ratione perficiunt: la paradosi isocratea diverge nel tramandare la sezione di testo corrispondente (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.): Λ, Π e la vulgata leggono περὶ ἁπάντων, ὡς οἷόν τ᾽ ἐστί, τὰ βέλτιστα πράττουσιν, con il superlativo che fa da complemento oggetto e περὶ πάντων come complemento di argomento («compiono il meglio in tutto»); Γ, invece, presenta πάντων, ὡς οἷόν τ᾽ ἐστί, βέλτιστα πράττουσιν, in cui βέλτιστα assume un valore avverbiale e πάντων è genitivo partitivo («agiscono nel modo migliore tra tutti»). La resa di Guarino non sembra permettere di osservare le variazioni del greco, che comunque oscilla in una gamma semantica ristretta. §  20 Graves inter se simultates exercent: la traduzione di Guarino sembra essere riconducibile alla facies del testo isocrateo tràdito da Λ, Π e dalla vulgata, in cui si trova l’espressione di reciprocità πρὸς ἀλλήλους (a cui corrisponde inter se) che precede δυσμενῶς ἔχουσι (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Parem … benivolentiam tenent: l’espressione parem benivolentiam rimanda al testo greco tràdito da Λ, Π e dalla vulgata della paradosi isocratea: τὰς εὐνοίας ὁμοίως ἔχουσιν (cf. Drerup (ed.  1906) ad loc.), con l’avverbio ὁμοίως reso da Guarino attraverso l’aggettivo par. § 21 Quodque maximum est: la traduzione sembra corrispondere al testo greco tràdito dalla famiglia di Γ e da Π, mentre l’altro rappresentante principale della seconda famiglia, Λ, così come la maggior parte dei codici della vulgata, aggiungono davanti al superlativo μέγιστον il complemento partitivo πάντων (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Tuttavia, siccome spesso Guarino omette il secondo termine di paragone, la presenza di un superlativo assoluto anziché relativo potrebbe dipendere non dalla facies del testo greco, ma da una scelta del traduttore. Inter cives audacissimos noverint: il complemento partitivo inter cives sembra corrispondere a τῶν ἀστῶν, lezione che si trova in E (apografo di Γ) e nello Stobeo (IV, 6, 16), in luogo di αὐτῶν tràdito dagli altri testimoni (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Quos ex universis  … delegrint: la paradosi isocratea presenta le seguenti varianti: il dativo τοῖς φρονιμωτάτοις è tràdito da Γ, mentre Λ Π vulgata presentano l’aggettivo sostantivato all’accusativo (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.); siccome il testo della seconda famiglia è corrotto (l’accusativo è stato indotto dal participio ἐκλεξάμενοι, ma il dativo è richiesto dal verbo reggente χρῶνται) e la versione

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latina mostra di avere alla base un originale corretto (l’antecedente di quos, al caso accusativo perché richiesto dal verbo delegerint, è omesso, ma è chiaro che funge da complemento predicativo di consiliariis, al dativo in quanto retto da ututntur), le ipotesi che si profilano sono due: Guarino leggeva il testo errato e lo ha emendato oppure il suo esemplare greco recava la lezione corretta di Γ. La presenza di altri casi in cui la versione mostra di coincidere con il testo dell’Urbinate (cf. infra Appendice 2) mi induce a preferire questa seconda ipotesi, seppur rimanga un margine di dubbio. § 22 Palam esse: la traduzione di Guarino corrisponde al testo tràdito ὀφθῆναι, a cui gli editori di Isocrate preferiscono l’emendamento di Adamantios Korais φθῆναι «prevenire» (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). § 23 Sed quia magis quam reliquae natione … colunt: la traduzione di Guarino sembra corrispondere al testo tràdito da Γ, che presenta una subordinata causale introdotta da ὅτι, mentre Λ e la vulgata leggono ὅς (cf. Drerup (ed.  1906) ad loc.). Tuttavia, è anche possibile che l’umanista abbia corretto il testo (o che avesse a disposizione un esemplare già emendato) trasmesso dalla seconda famiglia, cambiando l’inaccettabile ὅς in ὡς causale, e che abbia poi tradotto di conseguenza. § 24 Atheniensium … civitatem: il genitivo τῶν Ἀθηναίων è tràdito solo da Λ e dalla vulgata isocratea, mentre Γ lo omette. Si tratta chiaramente di una glossa marginale, poi penetrata in parte della tradizione, la stessa da cui discende anche l’esemplare di cui si servì Guarino (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). § 26 Priore in parte ponendam esse: la versione guariniana pare corrispondere al testo tràdito da Γ e dalla vulgata, προτιμῶμεν (da προτιμάω «preferisco, antepongo, stimo, onoro di più»), mentre Λ legge τιμῶμεν (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). §  27 Satis inpraesentiarum dictum  … erit: la lezione erit, attestata da tutta la tradizione meno che da D, crea il problema di giustificare la presenza di un indicativo futuro dal punto di vista grammaticale e logico: Nicocle sta dicendo che non intende proseguire nell’elencare le differenze che intercorrono tra uno stato monarchico e le altre forme di governo, poiché quello che ha già detto nella sezione precedente del suo discorso è sufficiente e infatti in greco troviamo un perfetto, εἴρηται (Is., 3, 27). Pertanto, la forma dictum erit è da considerarsi un errore d’archetipo (forse indotto dal futuro suscipietur che si trova nella frase successiva), poi corretto, consapevolmente o meno, dal solo D in est. Riporto anche un’ipotesi suggeritami da Luigi Silvano, che perciò ringrazio: il futuro dictum erit potrebbe dipendere dalla facies del testo greco utilizzato da Guarino che in luogo del perfetto presentava un futuro medio-passivo (ἐρεῖται), facilmente confondibili nella pronuncia itacistica. Se così fosse, però, bisognerebbe postulare anche che Guarino non si fosse accorto dell’incongruità logico-semantica del testo, il che

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 Testo critico, traduzione e note di commento

pare strano; comunque l’ipotesi è suggestiva e andrà tenuta in considerazione nella ricerca del modello greco. Segnalo anche che l’avverbio satis potrebbe corrispondere sia al testo di Γ ἀποχρώντως sia al testo di Λ, Π e della vulgata ἐξαρκούντως (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.); è impossibile determinare quale lezione fosse presente nell’esemplare di Guarino. Quanto a inpraesentiarum rimando alle considerazioni relative a questo passo esposte nell’ Appendice 3. §  28 Distribuisse: la tradizione manoscritta greca in questo punto diverge: Γ legge κατένειμεν, mentre Λ, Π e la vulgata riportano διένειμεν (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.); tuttavia, è impossibile stabilire a quale variante si sia ispirato Guarino, dal momento che i due verbi hanno lo stesso significato di «distribuire». Obtinere: è difficile da comprendere la presenza di questo infinito, dal momento che è coordinato a una subordinata consecutiva (ut  … imperitent): potrebbe essere un errore di traduzione da parte di Guarino, dato che in greco abbiamo una consecutiva costruita con l’infinito (Is., 3, 28, ὥστε … τυραννεῖν … τούτους καὶ νῦν ἔχειν τὴν βασιλείαν): la presenza di eos come soggetto di obtineo (infatti la frase non avrebbe senso se si considerasse imperium come soggetto) sembra confermarlo (per un caso simile di calco sintattico cf. supra § 11). § 29 eum vobis regem esse: la traduzione potrebbe corrispondere ad entrambe le varianti attestate nella tradizione del testo isocrateo (cf. Drerup (ed.  1906) ad loc.), rendendo così impossibile stabilire quale di esse leggesse Guarino nel proprio esemplare greco. Ampliore dignus honore iure censerer: questo congiuntivo potrebbe essere potenziale oppure irreale; il confronto con il testo greco non aiuta in quanto la paradosi isocratea è divisa. Da una parte Γ presenta l’indicativo aoristo passivo (ἠξιώθην), con valore quindi di irrealtà, dall’altra i codici Λ e Π e la vulgata presentano l’ottativo aoristo che esprime la potenzialità (ἀξιωθείην; cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Nell’impossibilità di stabilire quale testo leggesse Guarino, ho tradotto censerer come un congiuntivo irreale, in quanto gli editori moderni di Isocrate accolgono la lezione di Γ. Occorre inoltre segnalare un ulteriore elemento: Λ prima di ἀξιωθείην aggiunge ἀρχῆς, sostantivo che non ha un corrispettivo nella versione latina; impossibile stabilire se ciò dipenda da una scelta del traduttore (che omette un elemento non necessario e ridondante) o dalla facies dell’esemplare greco a sua disposizione. § 30 Huius generis participes non fuerint: la traduzione di Guarino pare corrispondere al testo tràdito da Λ, Π e dalla vulgata, che presentano la specificazione τούτων τῶν ἰδεῶν (huius generis), mentre Γ omette τῶν ἰδεῶν. Aderenza al testo di Λ e Π sembra potersi rilevare anche per quanto riguarda la scelta del perfetto fuerint: infatti, Γ e la vulgata presentano il participio presente μετεχούσας, mentre in Λ e Π si trova il participio aoristo μετασχούσας (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.).

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§  32 Tanta  … mansuetudine ac suavitate: l’impiego dell’aggettivo tantus potrebbe dipendere dalla facies del testo greco tràdito da Λ, Π e dalla vulgata della paradosi isocratea che presenta τοσαύτης in luogo di τοιαύτης, trasmesso da Γ e accolto dai moderni editori (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). § 34 Tantum … absum: la traduzione di Guarino sembra corrispondere più al testo tràdito da Λ, τοσούτῳ, con valore avverbiale analogo a quello di tantum, rispetto al testo di Γ e della vulgata τοσούτου, con funzione prolettica rispetto all’infinito ἐπιθυμεῖν (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Qui sponte mihi tradebatur: il pronome personale mihi, se non è un’aggiunta di Guarino stesso, potrebbe essere un ulteriore indizio della dipendenza della traduzione dal testo trasmesso dalla seconda famiglia della paradosi isocratea, la quale presenta accanto al participio attributivo διδομένην il pronome μοι (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Quantuluscunque sit: è possibile che tale specificazione derivi dalla lezione μόνην (contro μόνον con valore avverbiale trasmesso da Γ) della vulgata e dei codici Λ e Π della paradosi di Isocrate (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). § 35 Magnopere gloriari: dalla traduzione è impossibile stabilire se Guarino avesse a diposizione un esemplare greco recante la lezione maggioritaria τοὺς μέγα φρονοῦντας (tràdita dal ramo Γ, da Π e dalla vulgata) o quella di Λ μεγαλοφρονοῦντας, dal momento che il loro significato è analogo. Haec quidem de iustitia: l’espressione tràdita all’unanimità dai codici non ha un corrispettivo nel testo greco: potrebbe trattarsi di un’aggiunta di Guarino, fatta probabilmente con l’intento di scandire meglio il testo in vista di un suo utilizzo a scopo didattico (cf. supra 28–29, 33, 35–36 e § 14); la destinazione della versione rende anche meno probabile l’ipotesi dell’intromissione di una glossa. § 37 Sibi ipsis voluptates nanciscantur: la presenza nella versione guariniana del riflessivo sibi ipsis dipende probabilmente dalla facies del testo greco tràdito da Λ, Π e dalla vulgata ἑαυτοῖς, mentre Γ legge αὐτοῖς (corretto dai moderni editori in αὑτοῖς; cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Un discorso analogo sembra possa essere fatto anche per l’impiego di suus nell’infinitiva et suos principes versari (Nic. 37): la tradizione greca si divide tra da una parte Γ che legge αὐτῶν (emendato dai moderni editori in αὑτῶν) e dall’altra Λ, Π e la vulgata che riportano il riflessivo ἑαυτῶν (da cui suos nella versione guariniana; cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). §  39 Plurimos  … continentiam servare: l’uso dell’aggettivo plurimi sembra rimandare al testo tràdito da Λ che aggiunge un καὶ davanti a τοὺς πολλοὺς (Is., 3, 39, ἐγκρατεῖς τοὺς πολλοὺς γιγνομένους; cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). In muliebres: non vengono citati i fanciulli quali altri possibili suscitatori di impulsi sessuali, come invece avviene nel testo isocrateo: si tratta di un atto di pruderie da parte di Guarino, che volontariamente non traduce τοὺς παῖδας, ma solo τὰς γυναῖκας; difficile che la soppressione dell’espressione ‹compromettente›

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 Testo critico, traduzione e note di commento

risalga al copista dell’archetipo: in quanto appartenente alla cerchia del Veronese (cf. supra 60) non si sarebbe mai permesso di correggere il suo maestro. Può essere interessante notare come l’eliminazione dell’allusione agli amori omosessuali sia presente anche nella versione del Nicocles eseguita da Lapo da Castiglionchio (cf. Gualdo Rosa (ed. 2018) 14). § 40 Plurimae: i codici hanno plurime che potrebbe essere inteso come avverbio oppure come aggettivo concordato con malitiae; dato che il greco ha πολλὴν κακίαν propendo per la seconda ipotesi. § 41 Sese intra regias … dimittere: pure in questo caso (cf. supra § 37) la scelta della forma riflessiva sese pare riconducibile alla facies del testo tràdito dalla seconda famiglia e dalla vulgata, in cui si legge ἑαυτοῖς in luogo di αὐτοῖς, trasmesso da Γ (e corretto dai moderni editori in αὑτοῖς; cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). § 42 At eundem sanguinis auctorem allegent: tale espressione non ha un corrispettivo in greco, poiché Guarino rende con due proposizioni quello che nel testo isocrateo è espresso da una sola frase, cioè una coordinata all’infinitiva retta da ᾠήθην: ἀλλὰ πάντας ἔχειν τὴν αὐτὴν φύσιν καὶ πρὸς πατρὸς καὶ πρὸς μητρὸς ἀνενεγκεῖν (Is., 3. 42, «ma volli che tutti [scil. i figli] potessero far risalire la loro nascita per parte sia di padre sia di madre»). Innanzitutto Guarino non traduce ᾠήθην, ma fa dipendere gli infiniti seguenti (gigni debere, esse relin­ quendos ed esse) direttamente da sententiam habui; alla coordinata ἀλλὰ ἔχειν τὴν αὐτὴν φύσιν καὶ πρὸς πατρὸς καὶ πρὸς μητρὸς corrisponde l’infinitiva verum eandem ex utroque parente omnibus esse originem; infine, per rendere l’infinito (retto da ἔχειν) ἀνενεγκεῖν, Guarino aggiunge la proposizione at eundem sanguinis auctorem allegent. Tale traduzione è alquanto macchinosa: allegent ritengo sia da intendere come un congiuntivo presente del verbo allēgo (adl-), -āvī, -ātum, -āre (assai improbabile, infatti, che si tratti dell’indicativo futuro di allego (adl-), -lēgī, -lēctum, -ere), coniugato al modo congiuntivo in quanto Nicocle sta qui esprimendo la sua personale opinione de liberorum procreatione; il tempo presente, invece, è giustificabile con il fatto che vi è un rapporto di contemporaneità rispetto alle infinitive precedenti (costruite con l’infinito presente). Per quanto riguarda la congiunzione at, è da escludere un valore avversativo, poiché la proposizione non è in opposizione con quella precedente, il che potrebbe indurre a preferire la variante ac, che però non può essere la vera lectio in quanto tràdita solo da dei descripti (C.11 e dal suo apografo N). Pertanto, credo che l’unico modo per giustificare la presenza di at sia dargli un valore conclusivo (cf. ThlL vol. 2, 0, p. 999, ll. 28–62, s.  v. at) rispetto all’affermazione del sovrano cipriota secondo cui per tutti i suoi figli le origini erano le medesime. Tale soluzione implica postulare una modifica della costruzione sintattica presente nel testo greco, in cui le frasi πάντας ἔχειν τὴν αὐτὴν φύσιν καὶ πρὸς πατρὸς καὶ πρὸς μητρὸς ἀνενεγκεῖν e μηδένα τῶν ἐξ ἐμοῦ γενομένων ἀποστερηθῆναι ταύτης τῆς εὐγενείας sono coor-

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dinate alle infinitive precedenti (δεῖν … ποιήσασθαι … οὐδὲ … καταλιπεῖν), mentre Guarino trasforma la prima in una proposizione indipendente (at … allegent) e la seconda in una coordinata alla principale (nec videbatur … privari sobole); inoltre, l’espressione aequum videbatur costituisce un’aggiunta rispetto all’originale. Genitorem meum: l’aggettivo possessivo meum, se non è un’aggiunta del traduttore, potrebbe derivare dalla facies del testo greco a disposizione di Guarino, poiché i codici Λ e Π e la vulgata aggiungono a πατέρα la specificazione τόν ἐμόν, assente in Γ (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). § 43 Omissis reliquis … intendere animum: la traduzione di Guarino non trova corrispondenza nel testo di Γ: εἴ τις δύναιτο ταύταις ταῖς ἀρεταῖς προέχειν τῶν ἄλλων, ὧν οὐδὲν μέρος τοῖς πονηροῖς μέτεστιν (Is., 3, 43, «ritenni perciò cosa assai bella poter superare gli altri in quelle virtù da cui i malvagi sono completamente esclusi»). La traduzione guariniana sembra derivare, invece, dal testo della vulgata e degli apografi del codice Λ (e in parte di quelli di Π, cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.): al posto di προέχειν infatti questi leggono προσέχειν τόν νοῦν, a cui corrisponde perfettamente intendere animum, e aggiungono (tranne Π) ἀφειλόμενος dopo τῶν ἄλλων, che trova riscontro nell’espressione omissis reliquis. § 44 Maiorem temperantiae atque iustitiae operam impendere institui: la tradizione è divisa nel tramandare questa porzione di testo: la famiglia γ e i codici Vat.1 Vat.3 V Z T S trasmettono operam impendere institui, mentre β operam dare statui. Il loro significato è analogo ed entrambe potrebbero corrispondere al verbo greco ἤσκησα. Probabilmente si tratta di varianti d’autore e verosimilmente erano già presenti entrambe nell’esemplare da cui deriva tutta la tradizione manoscritta, come si evince dal fatto che la famiglia δ e i codici Est.1 P e G mescolano le due lezioni principali e leggono operam impendere statui. Si può forse ipotizzare che operam impendere sia la redazione finale della traduzione, quella corrispondente all’ultima volontà dell’autore, in quanto meno usuale rispetto all’espressione operam dare. Inoltre, occorre segnalare che la versione latina differisce leggermente dal testo greco così come si trova nelle moderne edizioni di Isocrate, che privilegiano la lezione di Γ: τούτων ἕνεκα καὶ ταῦτα διανοηθεὶς περιττοτέρως τῶν ἄλλων ἤσκησα τὴν σωφροσύνην (Is., 3, 44 «per questi motivi e per queste considerazioni ho praticato la temperanza in misura superiore agli altri»). Si notano, infatti, l’omissione dell’espressione καὶ ταῦτα διανοηθεὶς (dove la congiunzione καὶ è omessa da Λ, Π e dalla vulgata, cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.) e l’aggiunta del sostantivo iustitia; il primo caso sembra dipendere da una deliberata scelta del traduttore per evitare quella che a suo giudizio era una ridondanza. L’aggiunta del termine iustitia dipende, invece, dal modello greco usato da Guarino: infatti, il testo tràdito dalla seconda famiglia presenta τήν δικαιοσυνην dopo τὴν σωφροσύνην (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Un’ultima differenza riguarda l’avver-

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 Testo critico, traduzione e note di commento

bio περιττοτέρως: Λ, Π e la vulgata leggono περιττότερον; tuttavia, in base alla traduzione latina (maiorem … operam) è impossibile stabilire quale variante fosse presente nell’esemplare greco adoperato da Guarino. Quae nullum in agendo decus afferrent: la traduzione di Guarino sembra corrispondere al testo tràdito da Λ, Π e dalla vulgata: τῶν ἡδονῶν οὐ τὰς ἐπὶ τοῖς ἔργοις τοῖς μηδεμίαν τιμὴν ἐχούσας («non quei piaceri che non hanno alcun onore nelle azioni»); le moderne edizioni di Isocrate, invece, seguono il testo di Γ, in cui il participio è concordato con ἔργοις (τὰς ἐπὶ τοῖς ἔργοις τοῖς μηδεμίαν τιμὴν ἔχουσιν, «non quei piaceri fondati sulle azioni che non hanno alcun onore»; cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Universas vero virtutes haud eodem in genere experiri oportet: la traduzione di Guarino corrisponde solo in parte al testo tràdito da Λ, che contrariamente agli altri manoscritti, legge ἁπάσαις (scil. ἰδέαις, i.  e. genere) in luogo di ἁπάσας (scil. ἀρετὰς, i.  e. virtutes; cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Tolerantiam: la traduzione di Guarino non corrisponde al testo di Isocrate, in cui si dice che la virtù da mettere alla prova nell’età giovanile è la continenza, il dominio di sé (Is., 3, 44, τὴν δ᾽ ἐγκράτειαν ἐν ταῖς τῶν νεωτέρων ἡλικίαις), ma nel testo tràdito dalla vulgata e dai codici Λ e Π si trova καρτερίαν («tolleranza, fermezza»), il che spiega la scelta del termine tolerantia (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). §  45 omni tempore: la versione latina sembra corrispondere al testo greco tràdito da Γ e da Π ἐν πᾶσι τοῖς καιροῖς, contro Λ e la vulgata che aggiungono τοῦτοις dopo καιροῖς (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.), con riferimento esplicito alle tre situazioni indicate nel paragrafo precedente (ἀπορία/egestas, δυναστεία/ magna rerum potestas e τῶν νεωτέρων ἡλικία/iuvenilis aetas). Maximis involvi delictis: il superlativo maximus corrisponde non tanto a πλεῖστα, tràdito da Γ e accolto dagli editori moderni di Isocrate, ma a μάλιστα che è lezione di Λ, Π e della vulgata (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). §  46 Sed  … haberetur: nel testo latino manca la traduzione della frase seguente: ὑμεῖς δ᾽ αὐτοί μοι μάρτυρές ἐστε πάντων τῶν εἰρημένων (Is., 3, 46, «voi però siete testimoni della verità di tutto quanto ho affermato»). Impossibile determinare con certezza la causa della lacuna: potrebbe essere un errore di archetipo o di Guarino stesso (forse un salto da uguale a uguale, dato che la frase precedente termina con un participio medio-passivo al genitivo plurale, τῶν λεγομένων… τῶν εἰρημένων), oppure potrebbe essere dovuto alla facies del testo a disposizione dell’umanista che era mancante di queste parole. §  47 Sponte vestra: in questo punto del testo la tradizione isocratea non è concorde nella lezione: gli editori moderni accolgono la variante ἑκόντας tràdita da Λ, Π e dalla vulgata, mentre Γ legge ἑκόντως (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). La traduzione latina potrebbe corrispondere a entrambe le varianti, è dunque impossibile determinare a quale delle due si sia ispirato Guarino.

Note di Commento 

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Edixero consulueroque: poco meno della metà dei capostipiti (β S δ Est.1 P G) trasmette, in luogo di edixero, la forma non composta dixero. Dal punto di vista del significato potrebbero andare bene entrambe le lezioni, tuttavia dal confronto con il testo greco (Is., 3, 47, συμβουλεύσω καὶ προστάξω, «vi consiglierò e ordinerò») sembra preferibile la lezione edixero, che inoltre è difficilior. Può essere interessante notare anche come l’ordo verborum edixero consulueroque corrisponda a quello del testo greco trasmesso da Λ e Π (προστάξω καὶ συμβουλεύσω; cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). § 48 Summa diligentia et aequitate geratis: il testo greco, così come è stampato dai moderni editori, in realtà è più incisivo: χρῆναι πράττειν ἕκαστον ὑμῶν, ἐφ᾽ οἷς ἐφέστηκεν, ἐπιμελῶς καὶ δικαίως (Is., 3, 48, «ciascuno di voi deve assolvere i compiti che gli sono stati affidati con diligenza e lealtà»); la traduzione di Guarino, invece, sembra corrispondere, ancora una volta, al testo di Λ e della vulgata che omettono χρῆναι (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). In utra enim ex his parte defeceritis, hac res male habere: la tradizione isocratea diverge nel tramandare la sezione di testo corrispondente: Is., 3, 48, κακῶς σχεῖν ταύτῃ τὰς πράξεις è ciò che trasmette Γ e si trova nelle moderne edizioni di Isocrate, contro ταύτῃ κακῶς ἔχειν τὰς πράξεις, tràdito dalla vulgata e dai codici Λ e Π (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Dalla versione latina è impossibile stabilire a quale variante si sia ispirato Guarino dal momento che potrebbe corrispondere ad entrambe. Segnalo inoltre che Drerup sceglie di portare a testo la lezione di Λ2 e della vulgata ἐλλίπητέ τι, mentre gli editori successivi [Mathieu/Bremond (ed. 1928), Mandilaras (ed. 2003)] stampano la lezione di Λ ἐλλίπητέ (Γ differisce solo per avere il tempo presente); le varianti del testo greco non hanno tuttavia significative implicazioni sulla traduzione latina. § 49 Omne studium et curam … adhibete: la versione latina sembra corrispondere maggiormente al testo tràdito da Γ κήδεσθε, contro la variante καί κήδεσθε di Λ, Π e della vulgata. Non si può tuttavia escludere che l’assenza di una congiunzione nel testo latino dipenda da una scelta del traduttore. Vos esse: è la lezione tràdita da cinque capostipiti (V S Est.1 P G, più β, ad eccezione di c che legge erroneamente suos esse) e da V1, altri cinque (Vat.1 Vat.3 γ Z e T) invertono l’ordo verborum (esse vos) e, infine, Co presenta nos esse. Si tratta di varianti adiafore, equamente rappresentate dalla tradizione, visto che Co, pur confondendo nos e vos, riporta l’ordine pronome-infinito. La scelta di portare a testo vos esse è basata su quello che mi è perso essere l’usus dell’umanista: infatti, nell’epistolario di Guarino ho riscontrato tre occorrenze di vos esse (Sabbadini (ed. 1915) nr. 84, 158, l. 8; nr. 449, 630, l. 27; Sabbadini (ed. 1916) nr. 718, 325, l. 29), mentre l’ordo verborum esse vos non è attestato, e più in generale i pronomi personali sono collocati dall’umanista davanti all’infinito.

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 Testo critico, traduzione e note di commento

Adversum vos: la forma adversum è quella maggioritaria, da qui la mia scelta di portarla a testo, seppur con qualche incertezza. Infatti, la forma adversus, tràdita solo da due capostipiti, β e δ, sembra corrispondere all’usus dell’autore, verificato attraverso le occorrenze nell’epistolario, oltre che su quelle nel testo stesso del Nicocles. § 50 Non mediocrem auctori utilitate afferet: la traduzione di Guarino trova la sua giustificazione nel testo greco tràdito da Λ, Π e dalla vulgata: infatti, al posto dell’indicativo presente ὠφελεῖ, trasmesso da Γ e accolto dagli editori, leggono ὠφελήσει (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.), da cui l’uso del futuro afferet nella versione latina. § 51 A me imperata: la versione latina in questo caso si discosta dal testo isocrateo tràdito da Λ, che legge πραττομένων, e dimostra di seguire la lezione di Γ e della vulgata προσταττομένων (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Corpore me presentem nequaquam esse: il testo greco dice semplicemente «anche se il corpo non è presente» (Is., 3, 51, ἐὰν καὶ τὸ σῶμα μὴ παρῇ); l’inserimento da parte di Guarino del pronome personale di prima persona, se non è stato dedotto dal contesto (dopo infatti si parla di τὴν διάνοιαν τὴν ἐμὴν), potrebbe dipendere dalla facies del testo di Λ, che dopo σῶμα aggiunge la specificazione τοὐμόν (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Qua in sententia si fueritis, modestiora suscipietis consilia: la paradosi isocratea diverge: Γ legge σωφρονέστερον βουλεύσεσθε περὶ ἁπάντων, mentre Λ, Π e la vulgata trasmettono σωφρονέστερον ἂν βουλεύσεσθε (-σησθε Λ4, -σοισθε Π) περὶ αὐτῶν (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). La versione latina sembra corrispondere al testo della seconda famiglia: infatti, la scelta di rendere il participio congiunto del testo greco (ταύτην γὰρ τὴν γνώμην ἔχοντες) con una subordinata ipotetica (si fueritis) potrebbe essere stata indotta dalla presenza della particella ἂν. Se così fosse, l’omissione del complemento di argomento potrebbe essere ricondotta a una scelta traduttiva: trovandosi davanti un testo che recava περὶ αὐτῶν, con riferimento a quanto detto nella parte precedente del paragrafo, Guarino ha forse ritenuto opportuno eliminare un elemento superfluo (a differenza di περὶ ἁπάντων riferito più genericamente a tutte le situazioni della vita quotidiana). § 52 Ut eas esse malignas existimetis quas celare me concupiscitis, bonas autem quae, cum meas ad aures pervenerint, mliores vos arbitraturus sum: il secondo ramo della paradosi isocratea (Λ, Π, vulgata) presenta in entrambe le subordinate relative la particella ἂν (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.); la versione latina sembra corrispondere maggiormente al testo di Γ, dal momento che le due relative ­presentano il verbo all’indicativo (concupiscitis, arbitraturus sum). Inoltre, è necessario segnalare che Λ omette μέλλω, che però doveva essere presente nell’esemplare utilizzato da Guarino, il quale rende la perifrasi μέλλω νομιεῖν con arbi­ traturus sum.

Note di Commento 

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§  53 Qui facinorum et occulentorum et patrandorum socii extiterint: dall’espressione facinorum patrandorum socii extiterint è impossibile determinare se Guarino leggesse τοῖς ἁμαρτάνουσιν (tràdito da Γ) o τοῖς ἐξαμαρτάνουσιν (lezione di Λ e Π e della vulgata; cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Felices iudicate: la paradosi isocratea presenta in questo punto due varianti: da una parte quella di Γ εὐτυχεῖν, dall’altra εὐτυχεῖς di Λ, Π e della vulgata (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.); tuttavia, è impossibile in base alla traduzione stabilire quale variante leggesse Guarino nel suo esemplare greco. § 54 Neque sodalicia neque conventus facitote: i codici isocratei Λ e Π e la vulgata leggono ποιεῖτε in luogo di ποιεῖσθε trasmesso dall’apografo dell’Urbinate E (cf. Mathieu/Brémond (ed. 1928) ad loc.; invece dall’apparato di Drerup risulta che anche Γ è latore di questa lezione). Dalla versione latina non è possibile determinare a quale testo si sia ispirato Guarino per la sua traduzione. Stessa considerazione vale per le varianti ἐγγίγνεσθαι, trasmessa da Γ, e γίγνεσθαι, presente nella seconda famiglia della paradosi isocratea (cf. Drerup (ed.  1906) ad loc.): infatti, ad entrambe potrebbe corrispondere la traduzione con il verbo subsum (necessario subest ulla suspicio). § 55 Cogitate et in hoc … enitimini: la presenza della congiunzione coordinante et tra le due proposizioni potrebbe non essere da attribuire al traduttore, ma alla facies dell’esemplare greco: le due frasi, infatti, nelle moderne edizioni di Isocrate, che stampano il testo di Γ, costituiscono due principali indipendenti, ma dall’apparato di Drerup si apprende che Λ, Π e la vulgata aggiungono καὶ davanti a διαφυλάττετε (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.), legando così le due proposizioni tra loro, esattamente come figura nella versione latina. Hisce perturbationibus: la traduzione di Guarino pare riconducibile al testo tràdito da Λ, Π e dalla vulgata τοιαύτας ταραχὰς, mentre Γ riporta il solo sostantivo ταραχὰς (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Benignitatem: la versione guariniana mostra ancora di dipendere dal testo trasmesso dalla seconda famiglia: infatti, Λ, Π e la vulgata leggono πράους (aggettivo reso da Guarino con il sostantivo benignitas), mentre Γ presenta lo stesso aggettivo, ma al grado comparativo (πραοτέρους; cf. Drerup (ed.  1906) ad loc.). Non solum … verum etiam et ab civium moribus: la congiunzione et, tràdita da tutti i codici, è ridondante e non trova corrispondenza con il testo greco (Is., 3, 55, μὴ μόνον … ἀλλὰ καὶ τὸν τρόπον τὸν τῶν πολιτῶν); secondo me si tratta di un errore d’archetipo, etiam et sarebbe dunque una ripetizione. Infatti, se pensassimo che fosse una deliberata scelta traduttiva, dovremmo ipotizzare che Guarino si sia scostato scientemente dall’originale isocrateo e abbia fatto dire al testo che la crudeltà o la bontà dei principi dipendono non esclusivamente dalla loro indole, ma in parte da essa e in parte dal comportamento dei sudditi (inten-

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 Testo critico, traduzione e note di commento

dendo dunque et come riferito solo ad ab civium moribus). Interpretando così et, tuttavia, si otterrebbe un testo duro dal punto di vista semantico e grammaticale (a questo proposito è interessante notare che Co dopo aver scritto et lo cancella). Sembra potersi anche escludere che verum etiam et sia un errore d’autore (che prima traduce verum etiam e poi lo cambia in verum et o viceversa): infatti, dall’u­ sus dell’autore (verificato sulla base dell’epistolario e del Nicocles) sembra che Guarino tenda ad utilizzare le seguenti correlazioni: non solum…sed etiam/verum etiam, non modo … verum etiam/verum et, non tantum … verum etiam; la sequenza non solum…verum et non sembra rientrare negli usi stilistici di Guarino, perciò ritengo che et sia un errore di dittografia dovuto al copista dell’archetipo. In alternativa, come gentilmente mi ha suggerito Luigi Silvano, et potrebbe essere considerata una variante di etiam riportata nel testo di Ω (per un altro caso di doppie lezioni presenti nell’archetipo cf. supra § 44). § 55–56 Quam instituissent … vestrae … libertati … et vestras: la paradosi isocratea presenta delle varianti relative ai pronomi personali (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.): gli editori stampano secondo il testo di Γ κατὰ τὴν αὑτῶν γνώμην, per cui Λ Π e la vulgata in luogo di αὑτῶν presentano ἑαυτῶν; poi, ὑμῖν αὐτοῖς è la lezione tràdita da Γ contro ἑαυτοῖς della seconda famiglia e, in modo simile, nella frase successiva troviamo περὶ ὑμᾶς trasmesso dall’Urbinate, mentre Λ Π e la vulgata leggono περὶ (ὑπέρ Π) ὑμᾶς αὐτούς. Dalla versione latina non è possibile stabilire quale testo si trovasse davanti Guarino, ma comunque non si tratta di varianti significative. §  57 Quales: la tradizione isocratea non è concorde (cf. Drerup (ed.  1906) ad loc.): Γ legge οἵους, mentre Λ e la vulgata presentano ὁποίους; entrambe le varianti potrebbero corrispondere al latino quales, pertanto è impossibile determinare a quale delle due si sia ispirato Guarino. Parere  … condocefacite: la traduzione di Guarino sembra corrispondere al testo tràdito da di Γ che legge διδάσκετε τοὺς παῖδας τοὺς ὑμετέρους αὐτῶν πειθαρχεῖν (Is., 3, 57, «insegnate ai vostri figli a sottostare all’autorità»), mentre i codici Λ e Π e la vulgata presentano, in luogo di πειθαρχεῖν, βασιλεύεσθαι («essere governati da un re»; cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). In huius virtutis disciplina … consuefacite: la traduzione di Guarino trova corrispondenza nel testo tràdito dalla vulgata e da Π: infatti, Γ legge περὶ τὴν παίδευσιν τὴν εἰρημένην διδάσκετ’ αὐτοὺς ὡς μάλιστα διατρίβειν (Is., 3, 57, «[insegnate ai vostri figli…] e abituateli a dedicarsi il più possibile alla forma di educazione di cui ho parlato»). Invece il testo tràdito dalla vulgata e da Π presenta al posto di περὶ τὴν παίδευσιν τὴν εἰρημένην l’espressione περὶ τὴν παίδευσιν τοιαύτης ἀρετῆς (cui corrisponde in huius virtutis disciplina) e in luogo di διδάσκετε leggono (insieme con Λ) ἐθίζετε (da cui consuefacite; cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.).

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Qui regi parere didicerit multo magis imperare: la traduzione di Guarino differisce dal testo di Γ: ἢν γὰρ καλῶς ἄρχεσθαι μάθωσιν, πολλῶν ἄρχειν δυνήσονται (Is., 3, 57, «Se impareranno a obbedire disciplinatamente saranno in grado di comandare su molti»). La versione di Guarino mostra nuovamente di derivare dal testo tràdito da Λ, Π e dalla vulgata, che, infatti, presenta il seguente testo: ἢν γὰρ ἄρχεσθαι (reso con regi parere, omettendo dunque l’avverbio καλῶς) μάθωσι, πολλῷ μᾶλλον (a cui ben corrisponde multo magis) ἄρχειν δυνήσοντα (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). § 58 Ingens ac firmissimum: la presenza del superlativo firmissimum è interessante, poiché mostra ancora una volta come la traduzione guariniana si conformi al testo trasmesso dai codici Λ e Π e dalla vulgata della tradizione isocratea: Γ, infatti, presenta la lezione δικαιότατον, mentre Λ, Π e la vulgata leggono βεβαιότατον, a cui corrisponde firmissimum (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Homines qui in illlos qui sibi fidem habebant reperti sunt fedifragi: il rapporto di contemporaneità tra le due proposizioni subordinate mi induce a ritenere (seppur con qualche incertezza) che Guarino leggesse il testo tràdito da Γ: ὅσοι περὶ τοὺς πιστεύοντας ἄπιστοι γεγόνασιν, con il participio presente, mentre Λ, Π e la vulgata presentano il participio aoristo, πιστεύσαντας, che esprime un rapporto di anteriorità (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Hos enim inter maerores assiduos metuumque perpetuum reliquum aetatis agere necesse est: nelle edizioni si trova il testo di Γ: Is., 3, 58, ἀνάγκη γὰρ τοὺς τοιούτους ἀθύμως ἔχοντας καὶ φοβουμένους ἅπαντα  … τὸν ἐπίλοιπον χρόνον διάγειν; Λ e la vulgata presentano un testo leggermente diverso e leggono φοβουμένους ἅπαντας (cf. Drerup (ed.  1906) ad loc.), cosicché ci sarebbe una voluta ripresa e precisazione del soggetto. Dalla resa di Guarino non sembra essere possibile determinare se nel suo esemplare greco ci fosse ἅπαντα oppure ἅπαντας, perché pare che l’umanista traducendo si scosti lievemente dal testo isocrateo e scelga di enfatizzare il secondo elemento anziché il primo (ovvero ἀθύμως ἔχοντας, «vivono nello scoramento»). Al più si può rilevare una maggiore affinità con il testo di Γ per l’assenza della focalizzazione del soggetto del testo della vulgata (particolare per il quale ringrazio Elisabetta Berardi per avermelo fatto notare). § 59 Qui grandes possideant opes: la paradosi isocratea diverge (cf. Drerup (ed.  1906) ad loc.): Γ legge τοὺς τὰ πλεῖστα κεκτημένους (lezione accolta da Drerup), mentre Λ, Π e la vulgata presentano il superlativo privo di articolo con valore avverbiale (πλεῖστα, variante preferita dagli editori successivi, cf. Mathieu/ Brémond (ed. 1928) ad loc. e Mandilaras (ed. 2003) ad loc.). La traduzione grandes opes non permette di determinare con sicurezza a quale delle due varianti si sia ispirato Guarino: se l’uso della coppia sostantivo-aggettivo potrebbe suggerire una maggiore affinità con il testo di Γ (che presenta il neutro sostantivato in funzione

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 Testo critico, traduzione e note di commento

di complemento oggetto del participio κεκτημένους), è anche vero, però, che l’attributo grandis («grande», cioè di notevoli dimensioni, quindi «esteso, cospicuo») non corrisponde a πόλυς («molto», nel senso di numeroso) né è al grado superlativo; inoltre, il verbo possideo necessitava di un complemento oggetto e dall’espressione πλεῖστα κεκτημένους («coloro che possiedono moltissimo») non era complesso ricavare un sostantivo che significasse «beni, averi, ricchezze». Maiori cum amoenitate vitam perducere licuerit: gli editori moderni di Isocrate scelgono di stampare il testo tràdito da Γ che presenta un superlativo e non un comparativo, come, invece, troviamo nella versione guariniana: μετὰ γὰρ τοιαύτης ψυχῆς ἥδιστ᾽ ἄν τις δύναιτο τὸν βίον διαγαγεῖν (Is., 3, 59, «con tale disposizione d’animo si può trascorrere la più dolce delle vite»). La scelta dell’umanista di tradurre maiori cum amoenitate è, con ogni probabilità, da ricondurre alla facies del testo greco da lui posseduto e corrispondente a quello della seconda famiglia della paradosi dei discorsi di Isocrate, che presenta, appunto, il comparativo ἤδιον (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Un’ultima differenza tra le due famiglie della paradosi isocratea riguarda l’infinito διαγαγεῖν: il verbo all’aoristo è la lezione di Γ contro Λ, Π e la vulgata che leggono διάγειν; tuttavia, dalla versione latina (perducere) non è possibile determinare a quale delle due varianti si sia ispirato Guarino. Nolim arbitremini plus ex malitia quam virtute conferri: la traduzione di Guarino non permette di stabilire quale delle due varianti (da un lato οἴεσθε δύνασθαι μὲν πλείω … ὠφελεῖν di Γ e dall’altro δύνασθαι πλέον … νομίζετε ὠφελεῖν di Λ e della vulgata; cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.) fosse presente nell’esemplare greco. Quales enim appelationes res ipsae sortitae sunt: l’uso del plurale da parte del traduttore, se non è una sua scelta deliberata, potrebbe dipendere dalla facies del testo greco: infatti, Λ, Π e la vulgata presentano il plurale ἕκαστα (τῶν πραγμάτων) in luogo del singolare ἕκαστον tràdito da Γ (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). §  60 Quos princeps priorem tenere locum voluerit: la tradizione isocratea diverge: Γ legge τοῖς παρ᾽ ἐμοὶ πρωτεύουσιν, mentre Λ, Π e la vulgata presentano il genitivo in luogo del dativo del pronome personale (παρ’ ἐμοῦ; cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Dalla traduzione di Guarino è tuttavia impossibile risalire alla variante presente nell’esemplare greco. Cum viros vos bonos et virtute praeditos praebueritis, iis … aequales fieri pos­ sitis: tale traduzione conferma l’appartenenza del modello greco utilizzato da Guarino alla seconda famiglia della tradizione isocratea: la lezione ἐξισοῦσθαι, accolta dai moderni editori di Isocrate, è quella tràdita da Λ, con suoi apografi, e dalla vulgata, contro Γ che legge ἀξιοῦσθαι (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Tuttavia, occorre segnalare una discrepanza tra la versione e il testo della seconda famiglia: infatti, la traduzione di Guarino viros vos … praebueritis corrisponde alla lezione di Γ χρηστοὺς ὑμᾶς αὐτοὺς παρέχοντες, con il participio di παρέχω, concordato con il soggetto («voi», cf. πειρᾶσθε), che regge il complemento predicativo dell’oggetto;

Note di Commento 

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invece, Λ, Π e della vulgata presentano il participio al caso accusativo, παρέχοντας, probabilmente un errore di contesto. Impossibile sapere se Guarino abbia tradotto correttamente perché il suo modello greco recava la lezione παρέχοντες oppure poiché ha riconosciuto l’errore di pressione contestuale o ancora perché ha inteso che πειρᾶσθε reggesse la costruzione accusativo (ὑμᾶς αὐτοὺς) più infinito (ἐξισοῦσθαι) e quindi παρέχοντας sarebbe risultato «corretto». Qualia me presente profertis, talia et me absente sentite: la traduzione di Guarino corrisponde al testo di Λ, Π e della vulgata: in Γ infatti troviamo due complementi di argomento (Is., 3, 60, περὶ [περ Γ2] παρόντος μου e περὶ ἀπόντος), mentre nella seconda famiglia abbiamo dei genitivi assoluti (περ παρόντος μου e ἀπόντος; cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.), a cui ben corrispondono nella versione latina gli ablativi assoluti me presente e me absente. § 61 Vestram in me pietatem re potius quam verbis ostendite: nella paradosi isocratea sono attestate le seguenti due varianti (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.): ἐν τοῖς ἔργοις … ἢ ἐν τοῖς λόγοις, tràdito da Γ, e ἐν τοῖς ἔργοις … ἢ τοῖς λόγοις, riportato da Λ, Π e dalla vulgata. La versione latina tuttavia non permette di determinare a quale delle due lezioni si sia ispirato Guarino. Lo stesso vale per la frase successiva id aliis minime facitote, in corrispondenza della quale abbiamo le varianti ταῦτα τοὺς ἄλλους μὴ ποιεῖτε, con il pronome indefinito all’accusativo tràdito da Γ, mentre nel testo di Λ, Π e della vulgata troviamo il dativo τοῖς ἄλλοις (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Quae verbo soletis increpare … qualia de me cogitatione versatis: la presenza di due indicativi in entrambe le subordinate rimanda al testo tràdito dalla maggioranza dei codici isocratei, non accolto però dagli editori: in luogo di κατηγορεῖτε stampano κατηγορῆτε, che è correzione della seconda mano di Γ, e alla lezione διανοεῖσθε sostituiscono l’emendamento di Wolf διανοῆσθε (entrambi gli interventi sono motivati dalla presenza di ἂν, cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). § 62 Credite et … adhibete: il testo greco delle edizioni moderne, corrispondente a quello tràdito da Γ, si presenta con una costruzione sintattica differente: invece di due proposizioni coordinate tra loro, si hanno un verbo principale e un participio congiunto (Is., 3, 62, νομίζοντες πειρᾶσθε). La traduzione di Guarino potrebbe non essere frutto di una rielaborazione della sintassi del testo isocrateo da parte dell’umanista, ma potrebbe dipendere da Λ, Π e dalla vulgata che presentano, appunto, due frasi coordinate (νομίζετε καὶ πειρᾶσθε; cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Eis  … licebit arbitratu: Guarino non traduce l’avverbio τάχιστα, presente, invece, nel testo greco tràdito da Γ e stampato dagli edizioni moderni di Isocrate (Is., 3, 62, εἰδότες ὅτι τοῖς μάλιστα ποιοῦσιν ὑμῶν ἁγὼ βούλομαι, τάχιστα τούτοις ἐξέσται ζῆν ὡς αὐτοὶ βούλονται, «sapendo che chi di voi eseguirà meglio la mia volontà, potrà al più presto vivere secondo la sua»), un’omissione forse ricondu-

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 Testo critico, traduzione e note di commento

cibile alla facies del testo a disposizione. Infatti, l’avverbio τάχιστα è assente nel testo trasmesso dai codici Λ e Π e dalla vulgata (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Quales … censetis, in colenda virtute tales estote: il testo greco, così come è stampato dagli editori moderni e che corrisponde a Γ, si presenta in modo differente rispetto alla resa di Guarino: οἵους περ τοὺς ὑφ᾽ ὑμῶν ἀρχομένους οἴεσθε δεῖν περὶ ὑμᾶς εἶναι, τοιούτους χρὴ καὶ περὶ τὴν ἀρχὴν τὴν ἐμὴν ὑμᾶς γίγνεσθαι (Is., 3, 62, «come ritenete che i sottoposti debbano comportarsi verso di voi, così bisogna che anche voi vi comportiate verso la mia autorità»; cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). La traduzione di Guarino in questo caso sembra corrispondere a Π, in cui il καί («anche») è omesso (come nel resto dei codici della seconda famiglia) e si trova il sostantivo ἀρετήν al posto dell’espressione τὴν ἀρχὴν τὴν ἐμὴν. Un’ultima corrispondenza tra la versione latina e il testo di Π è rappresentata dal fatto che tale codice (come anche gli altri manoscritti della seconda famiglia) nell’interrogativa indiretta presenta la particella ἂν, che nella traduzione guariniana potrebbe trovare corrispondenza nell’indicativo futuro cernetis. §  63 Quid  … ordiar orationem?: la traduzione di Guarino trova corrispondenza con il testo tràdito da Γ e non, come accade in genere, con quello dei codici della seconda famiglia. Infatti, l’Urbinate presenta l’interrogativa τί δεῖ περὶ τῶν συμβησομένων μακρολογεῖν; (Is., 3, 63, «che bisogno ho di dilungarmi sulle conseguenze che ne deriveranno?»), mentre nel testo tràdito dai codici Λ e Π è assente il pronome interrogativo τί (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Tuttavia, una seconda mano aggiunge τί nel codice Λ, quindi è possibile che il testo greco a disposizione di Guarino riportasse tale correzione. Superiori tempore: sulla forma medievale superiori come lezione d’autore cf. supra IV.2. Item … suppeditetis: la traduzione di Guarino sembra corrispondere non tanto al testo di Isocrate tràdito da Γ, e stampato dagli editori moderni, quanto piuttosto a quello della vulgata e dei codici Λ e Π: τὰ παρ᾽ ὑμῶν ὁμοίως ὑπηρετῆται (Is., 3, 63, «[ … ] voi continuerete a rendermi i vostri servigi allo stesso modo»), dove ὁμοίως, assente in Γ, trova corrispondenza nell’avverbio item usato da Guarino (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). Inoltre, in questo passo è riscontrabile un errore comune a tutta la tradizione manoscritta: infatti, al posto del congiuntivo suppe­ ditetis ci si aspetterebbe un futuro (come il precedente exhibuero), un’anomalia dovuta probabilmente al fatto che nel testo greco abbiamo dei congiuntivi (παρέχω e ὑπηρετῆται) per la presenza di ἂν. Sembrerebbe, dunque, trattarsi di un errore di traduzione imputabile all’umanista stesso e non al copista dell’archetipo. §  64 Quorum gratia bonorum nihil omittendum est: la versione guariniana sembra corrispondere al testo tràdito da Λ, Π e dalla vulgata ἄξιον μὲν οὖν τηλικούτων ἀγαθῶν ἕνεκα μηδὲν ἐλλείπειν, mentre Γ legge ἕνεκα καὶ (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.).

Note di Commento 

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Universa haec licebit absolvere: una caratteristica distintiva dei codici della famiglia γ è quella di trasmettere questa porzione di testo nella forma: universa licebit haec licebit absolvere. Explicit: L’analisi delle formule conclusive corrobora la ricostruzione dei rapporti stemmatici dei manoscritti O L C (cf. supra IV.5.2) e A R (i due manoscritti trasmettono, limitatamente alla parte iniziale, la stessa subscritio: Isocrates de subditis ad principes suos feliciter [foeliciter A] explicit; (cf. supra IV.4.4).

Appendici

Appendice 1: Nic. 36, ὕβρις e libido: un’allusione alla vicenda di Lucrezia? Non ignoro cunctos sane mortales filias atque uxores suas tanti facere ut in earum violatores maxima exardescant iracundia et earum libido ingentium malorum causa extiterit et origo. Questo passo1 mostra due discrepanze rispetto al testo greco: la prima è rappresentata dal sostantivo filias, un femminile laddove il passo isocrateo parla di τοὺς παῖδας; l’altra riguarda il termine libido, impiegato da Guarino per tradurre ὕβρις. Dal momento che nell’apparato di Drerup non sono indicati guasti testuali (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.), è verosimile pensare che filias, tràdito all’unanimità da tutti i codici, sia una scelta di traduzione dell’umanista, legata a una particolare interpretazione del passo: la resa di ὕβρις con libido evidenzia l’interpretazione della violenza in senso sessuale, pertanto ne restano esclusi, moralisticamente, i bambini, i ragazzi e i maschi adulti. Una simile rilettura del passo isocrateo sembra celare un’allusione all’episodio di Tarquinio e Lucrezia, più volte dibattuto in età umanistica in connessione con la lettura del De civitate Dei di Sant’Agostino (cf. Urlings (2021) 108–113). Il vescovo d’Ippona richiama la vicenda di Lucrezia (cf. Liv., AUC 1, 57–59; Dion., Antiquitates Romanae 4, 64, 4–67, 4; Ov., Fast. 2, 721–852; Val. Max., Mem. 6, 1, 1) nel tentativo di dissuadere dall’uccidersi le donne cristiane vittime delle violenze sessuali perpetuate contro di loro dai Visigoti di Alarico durante il saccheggio di Roma del 410 d. C. (De civ. 1, 16–19). L’exemplum di Lucrezia è citato come contro-altare negativo delle donne cristiane: queste ultime non devono temere per la loro reputazione e la loro integrità morale, poiché la loro castità è stata violata senza il loro consenso; pertanto, la loro san­ ctitas animi (De civ. 1, 18) è intatta e di conseguenza non devono ricorrere al suicidio. Lucrezia uccidendosi non solo si rende colpevole di omicidio, ma rivela anche di non poter essere esonerata dall’accusa di adulterio. Infatti, la sua morte violenta indica che ha provato in qualche modo rimorso per aver provato piacere durante lo stupro (De civ. 1, 19, libido inlecta). Agostino, dunque, rilegge l’episodio di Lucrezia adottando una prospettiva cristiana che condanna il suicidio (cf. De civ. 1, 20–27) e presenta questa donna come un modello negativo (contrariamente a come veniva interpretata la sua figura non solo nel mondo romano ma anche dai primi cristiani, come Tertulliano [Ad Martyras 4] e Gerolamo [Iov. 46 e 49], i quali la additavano come modello esemplare di martirio). Un giudizio simile a quello di

1 Ringrazio Lucia Gualdo Rosa e Giancarlo Abbamonte per i loro preziosi suggerimenti. https://doi.org/10.1515/9783110792867-009

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 Appendici

Agostino sulla vicenda di Lucrezia lo si può trovare nel dialogo valliano De vero falsoque bono (cf. Marsico (2021) 333–336), espresso per bocca di Maffeo Vegio. Egli, discutendo dell’insensatezza del sacrificio della propria vita per la patria e della vanità della gloria terrena, porta come exempla alcuni suicidi illustri, come quelli di Lucrezia e di Catone (De vero falsoque bono, 2, 3–4). Sia per Valla sia per Agostino il gesto di Lucrezia appare ingiustificato (poiché la violenza commessa contro di lei non avrebbe potuto compromettere la sua reputazione) o dettato dalla vergogna per essere stata sedotta dalla lussuria durante lo stupro, il che la rende un’adultera. Questa particolare lettura negativa della figura di Lucrezia da parte di Agostino tuttavia non arrivò mai a soppiantare quella tradizionale e positiva (cf. Urlings (2021) 112–113): Dante, ad esempio, la include tra gli «spiriti magni» (Inf. 4, 128), mentre i primi umanisti leggono la sua vicenda in chiave politica (Lucrezia quale simbolo della libertà dalla tirannide) o «filologica» (il valore della castità e della purezza quali metafore dell’importanza dell’integrità delle fonti antiche). Un notevole esponente di questo «chaste thinking» (Urlings (2021) 113) è Coluccio Salutati, il quale rievoca la storia di Lucrezia in una sua opera giovanile che ebbe un enorme successo, ossia la Declamatio Lucretiae (1367 ca.; la figura della matrona tuttavia è presente anche in diverse opere posteriori del Salutati; cf. Urlings (2021) 113–118). L’umanista dà voce letteraria a Lucrezia, facendole esporre le argomentazioni con cui motiva la scelta di suicidarsi in risposta ai tentativi di dissuasione del marito e del padre (Decl. 6; cf. Urlings (2021) 115), e ne riabilita la figura, presentandola come modello positivo di condotta femminile (o almeno facendole rifiutare di assumere il ruolo di esempio negativo, come Lucrezia stessa sottolinea nel racconto liviano [Liv, AUC 1, 58, nec ulla deinde impudica Lucretiae exemplo vivet; Decl. 11, nulli romane mulieri detur in exemplum Lucretia, ut sibi persuadeant impudicis licitam fore vitam]). Nonostante il De civi­ tate Dei sia richiamato frequentemente sia dal punto di vista tematico (cf. e.  g. il motivo della libido: De civ. 1, 19, libido inlecta; Decl. 10, illa, illa tristis et ingrata licet, qualiscumque tamen voluptas, sebbene poi si affermi che la sua anima sia incorrupta, immacolatae testis innocentiae meae [Decl. 11]) sia attraverso numerose riprese verbali (cf. Urlings (2021) 114–115), Salutati assume una posizione diametricamente opposta a quella del Padre della Chiesa: non solo Lucrezia è paradigma di virtù femminile (poiché tiene di più alla sua pudicitia che alla sua stessa vita, cf. Decl. 6, nisi me occidero, numquam fides erit, me potius infamiam vitare voluisse quam mortem…Restabit me miseram turpissima labes infamie Lucre­ tiam potius adulteram voluisse vivere quam pudica mori), ma il suo gesto ha anche una valenza politica, di cui lei è consapevole (cf. Decl. 11, tuque, terestre corpus… effunde cruorem hoc omine, ut hinc incipiat supperbi regis et infauste regie prolis excidium). Così la matrona viene assurta come exemplum di ricerca della libertas e in quanto tale viene sfruttata all’interno della propaganda della repubblica fio-

Appendice 1: Nic. 36, ὕβρις e libido: un’allusione alla vicenda di Lucrezia? 

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rentina (cf. Urlings (2021) 117–118). Tornando alla versione guariniana, può essere interessante segnalare alcune spie lessicali che suggeriscono una connessione con la vicenda di Lucrezia (in particolare con la versione di Tito Livio) e il De civi­ tate Dei: il riferimento a particolari categorie di donne, cioè figlie e mogli (filias atque uxores), alle quali appartiene Lucrezia (moglie di Collatino e figlia di Spurio Lucrezio Tricipitino); il riferimento alla rabbia provata da padri e mariti nei confronti degli aggressori (maxima … iracundia) ricorda l’ira di Collatino, Sp. Lucrezio e Bruto, i quali totique ab luctu versi in iram (Liv., AUC 1, 59, 2). Il termine libido accanto a violatores chiarisce l’interpretazione della violenza in senso sessuale (cf. Liv. AUC 1, 58, 7, corpus est tantum violatum, animus insons; cf. anche De civ. 1, 18, corporis sanctitas violata); la lussuria è qui attribuita unicamente agli stupratori (earum è genitivo oggettivo) come nel racconto liviano (cf. Liv., AUC 1, 57, 10 Sex. Tarquinium mala libido Lucretiae per vim stuprandae capit; 1, 58, 5, cum vicisset obstinatam pudicitiam uelut victrix libido; 1, 59, 8, de vi ac libidine Sex. Tarquini; cf. anche De civ. 1, 18, violentia libidinis alienae; 1, 19, huius corpore cum violenter oppresso Tarquinii regis filius libidinose potitus esset) e non anche alle vittime (come invece suggerisce Agostino, cf. De civ. 1, 19, libidine inlecta). Infine, il riferimento ai mali ingenti originati dalla libido (ingentium malorum causa…et origo) potrebbe alludere alla rivolta seguita allo stupro e al suicidio di Lucrezia e conclusasi con la cacciata dei Tarquinii, il che per i sovrani rende ancor più importante osservare la moderazione e, dunque, l’inserimento dell’allusione alla vicenda della matrona in questo punto del testo avrebbe una valenza didattica e ammonitrice; non si può tuttavia escludere che tra questi mali causati dalla libido sia compreso anche il suicidio (in linea con la lettura agostiniana). Questi elementi, uniti al fatto che Guarino, oltre al racconto di Livio (e quelli di Ovidio e Valerio Massimo), conosceva certamente il De civitate Dei (su cui tenne anche un corso a Verona nel 1428) e il De vero falsoque bono (Valla stesso gliene aveva inviato una copia, affinché gliene desse un giudizio; oltre all’autorevolezza della sua opinione, Valla decise di rivolgersi a Guarino anche poiché, nel passaggio alla seconda redazione, accanto alla revisione sul piano filosofico aveva cambiato i personaggi del dialogo, inserendovi il Veronese stesso [cf. Marcelli (2009) 186]), rendono assai probabile che dietro a questo passo Guarino nasconda un’allusione alla storia di Lucrezia narrata da Livio e che forse avesse anche in mente l’interpretazione che ne dà Sant’Agostino.

Appendice 2: Il modello greco – Verso un tentativo di definizione della sua facies Riassumo qui i dati relativi alle deviazioni della versione guariniana rispetto al testo isocrateo e i rapporti intrattenuti dalla traduzione con il codice Λ, al fine di delineare più chiaramente la facies dell’esemplare greco utilizzato dal Veronese1. Nei capitoli iniziali2 si erano individuati alcuni manoscritti isocratei appartenenti al ramo Λ e facenti parte del cosiddetto «gruppo guariniano», che potrebbero costituire un valido punto di partenza, come suggeriscono considerazioni paleografiche, cronologiche e le identità dei copisti e dei possessori dei manoscritti. Si è anche detto3 come già la titolatura (Nicocles seu Symmachicus) suggerisca un legame tra la versione guariniana e la seconda famiglia di codici della paradosi isocratea, ipotesi che è avvalorata dai seguenti elementi testuali desunti dalle Note di commento, ad loc.: – Nic. 3, fraudolentos: coincide con Λ, Π e la vulgata ἐξαπατῶντας (contro ἐξαμαρτάνοντας Γ); – Nic. 4, si…inferant: il periodo ipotetico della possibilità rimanda alla presenza del modo ottativo in Λ, Π e nella vulgata (εἴ … τύπτοιεν, contro εἴ … τύπτουσι Γ); – Nic. 4, l’omissione di οὓς οὐ δεῖ nella versione coincide con la lacuna presente in Λ, Π e nella vulgata; – Nic. 5, longe inferiores: il comparativo rafforzato tramite l’avverbio longe corrisponde a Λ, Π e alla vulgata πολλῷ … καταδεέστεροι (contro πολλῶν … καταδεέστεροι Γ); – Nic. 9, deorum … aedes: il sostantivo aedes coincide con Λ, Π e la vulgata (τῶν θεῶν ἔδη, contro εἰς τὰ τῶν θεῶν edd.); – Nic. 11, altera … de re … orationem: il sostantivo oratio rimanda alla seconda famiglia ἕτερον λόγον (contro ἕτερον Γ); – Nic. 11, nihil tale confeceritis: l’aggettivo talis corrisponde a τοιοῦτον riportato da Λ, Π e dalla vulgata (contro τούτων Γ); – Nic. 12, insuper ostendam: l’avverbio insuper suggerisce una dipendenza della versione dalla lezione προσεπιδείξαιμι di Λ e Π e della vulgata (contro προεπιδείξαιμι Γ);

1 In questo capitolo ho ovviamente tralasciato tutti quei casi in cui davanti alla bipartizione della paradosi isocratea era impossibile determinare quale testo leggesse Guarino. 2 Cf. supra cap. III.3. 3 Cf. supra 52. https://doi.org/10.1515/9783110792867-010

Appendice 2: Il modello greco – Verso un tentativo di definizione della sua facies 

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– Nic. 12, etiam  … reliqua gubernandae civitatis genera: la traduzione corrisponde al testo tràdito da Λ, Π e dalla vulgata καί βελτίστη ἄλλων τῶν πολιτειῶν (contro βελτίστη τῶν πολιτειῶν Γ); – Nic. 13, neminem fore  … qui  … damnet: la costruzione sintattica rimanda a Λ, Π e alla vulgata οὐκ ἔστιν ὅστις … καταγνώσεται (contro τίς οὐκ αὐτὸς … καταγνώσεται Γ); – Nic. 16, si … dispicienda … sunt: il periodo ipotetico e la perifrastica passiva trovano corrispondenza in Λ, Π e nella vulgata μὲν εἰ δεῖ δὴ διορᾶν (contro μὲν δὴ δὴ διορᾶν Γ); – Nic. 16, mansuetior … iudicari: la traduzione corrisponde a Λ, Π e alla vulgata πραοτέραν … αὐτὴν κρίνοιμεν (contro πραοτέραν … αὐτὴν εἶναι κρίνοιμεν Γ); – Nic. 20, inter se: la traduzione è riconducibile a πρὸς ἀλλήλους di Λ, Π e della vulgata; – Nic. 20, parem  … benivolentiam: l’aggettivo par corrisponde all’avverbio ὁμοίως di Λ, Π e della vulgata; – Nic. 30, huius generis: tale specificazione dipende da Λ, Π e dalla vulgata τούτων τῶν ἰδεῶν (τῶν ἰδεῶν om. Γ); – Nic. 32 tanta … mansuetudine: l’aggettivo tantus rimanda alla lezione τοσαύτης di Λ, Π e della vulgata (contro τοιαύτης Γ); – Nic. 34, mihi … tradebatur: il pronome personale deriva da Λ, Π e dalla vulgata (διδομένην μοι, contro διδομένην Γ); – Nic. 34, quantuluscunque sit: l’inciso è riconducibile a τὴν ἐμαυτοῦ μόνην di Λ, Π e della vulgata (contro τὴν ἐμαυτοῦ μόνον Γ); – Nic. 37 sibi ipsis: il pronome riflessivo dipende da ἑαυτοῖς di Λ, Π e della vulgata (contro αὐτοῖς Γ); – Nic. 37, suos principes: l’aggettivo suus è riconducibile a ἑαυτῶν di Λ, Π e della vulgata (contro αὐτῶν Γ); – Nic. 41, sese: la forma riflessiva è dovuta alla presenza di ἑαυτοῖς in Λ, Π e nella vulgata (contro αὐτοῖς Γ); – Nic. 42 genitorem meum: l’aggettivo possessivo deriva da τόν ἐμόν πατέρα di Λ, Π e della vulgata (contro πατέρα Γ); – Nic. 44 iustitiae: il sostantivo dipende da τήν δικαιοσύνην di Λ, Π e della vulgata (assente in Γ); – Nic. 44, quae … afferrent … quae … navarentur: la traduzione corrisponde a τῶν ἡδονῶν οὐ τὰς … ἐχούσας ἀλλὰ τὰς … γιγνομένας di Λ, Π e della vulgata (contro τῶν ἡδονῶν οὐ τὰς … ἔχουσιν … τὰς … γιγνομέναις edd.); – Nic. 44, tolerantiam: l’impiego di tale sostantivo trova giustificazione in καρτερίαν di Λ, Π e della vulgata (contro ἐγκράτειαν Γ); – Nic. 45, maximis … delictis: il superlativo maximus rimanda a μάλιστα di Λ, Π e della vulgata (contro πλεῖστα Γ);

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 Appendici

– Nic. 48, geratis: l’assenza di un’espressione di dovere è riconducibile all’omissione di χρῆναι in Λ, Π e nella vulgata; – Nic. 50, afferet: il futuro sembra dipendere dalla variante ὠφελήσει di Λ e Π e della vulgata (contro ὠφελεῖ Γ); – Nic. 51, si fueritis … suscipietis: il periodo ipotetico dipende dalla presenza della particella ἂν in Λ, Π e nella vulgata; – Nic. 55, hisce perturbationis: il pronome dimostrativo è il corrispettivo di τοιαύτας di Λ, Π e della vulgata (τοιαύτας ταραχὰς, contro ταραχὰς Γ); – Nic. 55, benignitatem: corrisponde a πράους di Λ, Π e della vulgata (contro πραοτέρους Γ); – Nic. 57, consuefacite: il verbo consuefacio rimanda a ἐθίζετε di Λ, Π e della vulgata (contro διδάσκετε Γ); – Nic. 57, regi parere: l’omissione dell’avverbio καλῶς è riconducibile a Λ, Π e alla vulgata, che ne sono privi; – Nic. 57, multo magis: corrisponde all’espressione πολλῷ μᾶλλον presente in Λ, Π e nella vulgata (contro πολλῶν Γ); – Nic. 58, firmissimum: il superlativo dipende da βεβαιότατον di Λ, Π e della vulgata (contro δικαιότατον Γ); – Nic. 59, maiori … amoenitate: il comparativo rimanda a ἤδιον di Λ, Π e della vulgata (contro ἥδιστα Γ); – Nic. 59, res ipsae: il plurale rimanda a lezione ἕκαστα τῶν πραγμάτων di Λ, Π e della vulgata (contro ἕκαστον τῶν πραγμάτων Γ); – Nic. 60, qualia me presente … et me absente: gli ablativi assoluti sono sovrapponibili ai genitivi assoluti παρόντος μου e ἀπόντος di Λ, Π e della vulgata (contro περὶ παρόντος μου e περὶ ἀπόντος Γ); – Nic. 62, credite et  … adhibete: la costruzione sintattica è riconducibile a νομίζετε καὶ πειρᾶσθε di Λ, Π e della vulgata (contro νομίζοντες πειρᾶσθε Γ); – Nic. 62, l’omissione di τάχιστα dipende dall’assenza di tale avverbio in Λ, Π e nella vulgata; – Nic. 62, quales … censetis: il futuro deriva dalla presenza della particella ἂν in Λ, Π e nella vulgata; – Nic. 63, item: l’avverbio corrisponde a ὁμοίως trasmesso solo da Λ, Π e dalla vulgata; – Nic. 64, quorum gratia bonorum nihil: corrisponde a τηλικούτων ἀγαθῶν ἕνεκα καὶ μηδὲν di Λ, Π e della vulgata (contro τηλικούτων ἀγαθῶν ἕνεκα καὶ μηδὲν Γ); A questi vanno aggiunti i dati testuali che sembrano indicare una dipendenza della traduzione dal testo tràdito dal solo Λ oppure da questo insieme con il solo Π o con la sola vulgata:

Appendice 2: Il modello greco – Verso un tentativo di definizione della sua facies 

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– Nic. 2, quas … vendicaverit: lo scostamento da quanto si dice nel testo greco è imputabile a ὧν … πλεονεκτήσειεν di Λ (contro μεθ’ ὧν Γ e δι᾽ ὧν vulgata); – Nic. 8, et de reliquis consultando: la congiunzione e il complemento di argomento trovano corrispondenza in καί περὶ τῶν ἄλλων βουλευόμενοι di Λ e Π (contro βουλευόμενοι Γ); – Nic. 24, Atheniensium … civitatem: l’aggettivo Athenienses corrisponde al genitivo τῶν Ἀθηναίων dei soli Λ e vulgata; – Nic. 30, participes non fuerint: il perfetto corrisponde a μετασχούσας in Λ e Π (contro μετεχούσας Γ e vulgata); – Nic. 34, tantum … absum: l’uso avverbiale di tantum è riconducibile a τοσούτῳ di Λ (contro τοσούτου Γ e vulgata); – Nic. 39, plurimos … continentiam servare: la traduzione rimanda a ἐγκρατεῖς καὶ τοὺς πολλοὺς γιγνομένους di Λ (contro ἐγκρατεῖς τοὺς πολλοὺς γιγνομένους Γ Π vulgata); – Nic. 43, omissis reliquis  … animum  … intendere: la traduzione corrisponde a προσέχειν τόν νοῦν τῶν ἄλλων ἀφειλόμενος di Λ della vulgata (contro προέχειν τῶν ἄλλων Γ); – Nic. 51, corpore me praesentem: la presenza del pronome personale rimanda a σῶμα τοὐμόν di Λ (contro σῶμα codd.); – Nic. 55, cogitate et … enitimini: la coordinazione dipende dalla presenza di καὶ in Λ (νομίζετε καὶ διαφυλάττετε); – Nic. 60, aequales fieri: corrisponde a ἐξισοῦσθαι di Λ e della vulgata (contro ἀξιοῦσθαι Γ); Accanto a questi elementi però bisogna tenerne in considerazione anche altri che suggeriscono la presenza di un esemplare contaminato a disposizione dell’umanista. Tale ipotesi non è astrusa: si è detto4, infatti, che all’interno della paradosi isocratea la seconda famiglia, e in particolare la discendenza di Λ, è la più soggetta a contaminazioni, sia interne al secondo gruppo (dalla sottofamiglia dei codici umanistici) sia esterne (dalla prima famiglia). Nella traduzione guariniana si riscontrano in effetti alcuni elementi che indicano una dipendenza da un testo diverso da quello tràdito da Λ e affine a quello di Γ e/o di Π. Di seguito si riportano i dati che suggeriscono la presenza di un esemplare greco contaminato5: – Nic. 12, iisque … finem faciam: la pericope corrisponde a una sezione (καὶ ταῦτ᾽ ἀπαριθμήσας ἀπαλλαγείην) omessa da Λ;

4 Cf. supra 50. 5 Non ho tenuto in considerazione i casi più incerti (cf. Note di commento, ad loc.).

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 Appendici

– Nic. 14, fiat distinctio: la traduzione dipende da Γ o da Π (διωρίσθαι Γ, διορίζεσθαι Π, contro διορθώσασθαι Λ e vulgata); – Nic. 16, optarit: il verbo opto rimanda a δέξαιτο di Γ (contro εὔξαιτο Λ Π e vulgata); – Nic. 16, iure: l’uso dell’avverbio è riconducibile a δικαίως di Γ (contro καὶ δικαιοτέραν Λ, καὶ δικαιοτέρας vulgata); – Nic. 17, iustiorque: è il corrispettivo δικαιοτέρα che però è omesso da Λ; – Nic. 21, consiliariis utuntur  … hi vero quos  … delegerint: la sintassi latina trova corrispondenza in συμβούλοις χρῶνται … οἱ δ’ ἐξ ἁπάντων ἐκλεξάμενοι τοῖς φρονιμωτάτοις di Γ (contro συμβούλοις χρῶνται  … οἱ δ’ ἐξ ἁπάντων ἐκλεξάμενοι τούς φρονιμωτάτους Λ Π e vulgata); – Nic. 21, inter cives: corrisponde a τῶν ἀστῶν di Γ (E) e della tradizione indiretta (Stobeo); – Nic. 23, sed quia: la subordinata causale dipende da ὅτι di Γ (contro ὅς Λ e vulgata); – Nic. 26, priore in parte ponendam esse: l’espressione rimanda a προτιμῶμεν di Γ e della vulgata (contro τιμῶμεν Λ); – Nic. 44, universas … virtutes: l’aggettivo universus concordato con virtutes non può dipendere da Λ che legge ἁπάσαις (contro ἁπάσας codd.); – Nic. 45, omni tempore: il sintagma rimanda a ἐν πᾶσι τοῖς καιροῖς di Γ e Π (contro ἐν πᾶσι τοῖς καιροῖς τοῦτοις Λ e vulgata); – Nic. 49, omne studium … adhibete: la traduzione è affine a κήδεσθε di Γ (contro καί κήδεσθε Λ Π e vulgata); – Nic. 51, a me imperata: corrisponde a προσταττομένων di Γ o della vulgata (contro πραττομένων Λ); – Nic. 52, concupiscitis … arbitraturus sum: gli indicativi sono riconducibili a βούλησθε … περὶ ὧν … μέλλω … νομιεῖν di Γ (contro βούλησθε, περὶ ὧν  … μέλλω νομιεῖν Λ Π e vulgata; inoltre, Λ omette μέλλω); – Nic. 57, parere … condocefacite: il verbo paro rimanda a πειθαρχεῖν di Γ (contro βασιλεύεσθαι Λ Π e vulgata); – Nic. 57, in huius virtutis disciplina: corrisponde a περὶ τὴν παίδευσιν τοιαύτης ἀρετῆς della vulgata e di Π (contro περὶ τὴν παίδευσιν τὴν εἰρημένην Γ Λ); – Nic. 58, qui  … fidem habebant reperti sunt: il rapporto di contemporaneità suggerisce una maggiore affinità con πιστεύοντας di Γ (contro πιστεύσαντας Λ Π e vulgata); – Nic. 62, virtute: la presenza di questo sostantivo rimanda a ἀρετήν di Π (contro τὴν ἀρχὴν τὴν ἐμὴν Γ Λ e vulgata); Infine, è opportuno segnalare la presenza di alcune deviazioni rispetto al testo greco che non hanno riscontro negli apparati isocratei né sono chiaramente ricon-

Appendice 2: Il modello greco – Verso un tentativo di definizione della sua facies 

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ducibili alle caratteristiche della prassi versoria dell’umanista6; tali deviazioni, se non sono delle sviste di Guarino, potrebbero dipendere dalle peculiarità specifiche dell’antigrafo: – Nic. 8, l’omissione di πρὸς αὑτοὺς (Is., 3, 8); – Nic. 35, haec quidem de iustitia: costituisce un’aggiunta rispetto al testo greco (Is., 3, 35); – Nic. 46, l’omissione della pericope ὑμεῖς δ᾽ αὐτοί μοι μάρτυρές ἐστε πάντων τῶν εἰρημένων (Is., 3, 46). In conclusione, sembra potersi affermare con discreta sicurezza che Guarino per la sua traduzione si è servito di un codice greco appartenente alla seconda famiglia della paradosi isocratea e nello specifico al ramo Λ; tuttavia, tale esemplare doveva essere stato soggetto a contaminazioni sia dal ramo Γ sia dalla sottofamiglia dei codici umanistici (in particolare dal ramo Π). Tale ricostruzione potrà essere confermata solo a seguito di indagini sul testo greco del Nicocles e sulla biblioteca del Veronese.

6 Cf. infra Appendice 3.

Appendice 3: Osservazioni sul metodo versorio di Guarino È ora possibile fare alcune considerazioni per cercare di capire come si colloca Guarino nell’orizzonte estremamente variegato delle traduzioni umanistiche, di cui si è accennato in precedenza1. Ho già parlato del fatto che Guarino raccomandasse ai suoi allievi la pratica della traduzione interlineare per favorire l’apprendimento della lingua greca2; quanto invece all’attività versoria al di fuori della dimensione scolastica, Sabbadini ne traccia un profilo poco chiaro3: se in un primo momento definisce il suo metodo «largamente letterale»4, cioè con qualche licenza stilistica, poi però lo colloca tra i seguaci della teoria crisolorina (i «traduttori oratori fedeli»)5, la quale non ammette alterazioni degli elementi testuali dell’originale. Subito dopo lo studioso si contraddice ancora sottolineando le libertà che il Veronese si concede nel tradurre6, caratteristica che dovrebbe, invece, collocarlo tra i «traduttori oratori liberi», secondo quanto lo stesso Sabbadini afferma. A quest’immagine confusa di Guarino traduttore si aggiunga il fatto che manca uno studio sistematico che ne indaghi la tecnica versoria; esistono, invece, singoli contributi che analizzano il metodo applicato dal Veronese a singoli testi7 o a parti di essi8. Cercherò ora di far interagire i dati sparsi in questi interventi con quanto ho potuto osservare dalla traduzione latina del Nicocles e giungere così a un tentativo di definizione del metodo versorio guariniano. Guarino nei suoi scritti non si esprime spesso a proposito del suo metodo di tradurre: nell’epistola di dedica della traduzione dell’Ad Demonicum, indirizzata a Floro Valier, egli giustifica con l’auctoritas di Quintiliano (Inst. 1, 5, 8; 12, 1, 1) la sua abitudine di traslitterare alcuni termini greci allo scopo di arricchire la lingua

1 Cf. supra I.1. 2 Cf. supra II.1.2; Rollo (2019). 3 Cf. Fabii (2001) 11. 4 Cf. Sabbadini (1896) 135. 5 Cf. Sabbadini (1900) 210; Sabbadini (1922) 20. 6 Cf. Sabbadini (1922) 21–22. 7 Marsh (1994) (De parasistica vita); Fabii (2001) (Calumnia, Musca); Pace (2006) (Parallela mi­ nora); Pade (ed. 2013) (Vita di Dione); Filippozzi (2021) (Laus Helenae). Utile è anche il contributo di Fabio Stok dedicato alla traduzione-parafrasi dei Moralia plutarchei (Stok (2013)). 8 Sabbadini (1896) 127–130 (Strabone) e 130–135 (Plutarco); Gualdo Rosa (1984) 34–35 (Nicocles, 1); Fabbri 1985 (passi omerici in Strabone); Filippozzi (2021) 182–183 (Ad Demonicum, 3–4). https://doi.org/10.1515/9783110792867-011

Appendice 3: Osservazioni sul metodo versorio di Guarino 

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latina9; poi, in una lettera del 1427 a Girolamo Gualdo10, per il quale, si è detto, aveva tradotto il XXIII dell’Odissea, giustifica la sua scelta di rendere con poche parole la minuta descrizione del letto di Odisseo (vv.  190–204) richiamandosi all’esempio di Virgilio, il quale aveva trasportato Omero nel mondo romano, relativamente non solo ai contenuti, ma anche allo stile e alla poetica11. Quest’ultima lettera è interessante, perché ci mostra un Guarino pronto a discostarsi dall’originale greco, contrariamente a quanto prescritto dal Crisolora, una libertà che si riscontra anche in altre versioni, Nicocles compreso, ma che non comporta mai l’alterazione del senso del testo di partenza: se ciò accade è da imputare a un errore o a un fraintendimento da parte dell’umanista. Le licenze stilistiche che si concede Guarino non sono casuali, ma sembrano andare in una doppia direzione: chiarezza ed esplicitazione da un lato, eleganza formale dall’altro. Tenterò ora di fornire un’esemplificazione di tali deviazioni rispetto all’originale nella prassi versoria guariniana. In diversi casi Guarino compie delle aggiunte rispetto al testo greco12: si tratta di integrazioni a volte richieste dalle norme della sintassi latina (come, ad esempio, il soggetto nelle subordinate infinitive), a volte mirate ad ottenere un testo più esplicito (come determinazioni locali, temporali e causali, oppure l’introduzione di un pronome possessivo o dimostrativo). Entrambe le tipologie di aggiunte sono riscontrabili nel Nicocles, si vedano i seguenti esempi: – Nic. 58, ingens ac firmissimum filiis patrimonium tradituros vos existimate (Is., 3, 58, μέγιστον ἡγεῖσθε καὶ βεβαιότατον τοῖς παισὶ πλοῦτον παραδώσειν), dove il soggetto dell’infinitiva vos è un’aggiunta al testo isocrateo; – Nic. 9, quae cum ita sint (Is., 3, 9, ὥστε τοὺς τολμῶντας βλασφημεῖν περὶ τῶν παιδευόντων καὶ φιλοσοφούντων), specificazione introdotta al fine di esplicitare il valore di ὥστε nel testo greco. Altre aggiunte sono finalizzate a chiarire il significato del testo originale, come ad esempio in:

9 Cf. Sabbadini (ed. 1915) 700–702, nr. 2 con un riferimento anche a Hor., Ars 56–57 (ll. 32–38: Praeterea cur, si “pro parte virili”“patrium ditare sermonem” et aliunde aliqua simul ferre si possim “invidear?”, praesertim cum id ex ipso Quintiliano in oratoriae artis institutione licere compererim, qui “et verbis, ubi nostra desint.”); cf. anche Gualdo Rosa (1985) 187–188; Pade (ed. 2013) 34; Ramminger (2014) 32. 10 Cf. Sabbadini (ed. 1915) 581–583, nr. 408; Sabbadini (1922) 21. 11 Cf. Pade (ed. 2013) 19. 12 Cf. Marsh (1994) 423; Pace (2006) 180–183; Filippozzi (2021) 181 n. 35.

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 Appendici

– Nic. 18, propter mutuas inter se honoris contentiones magnam publicis commo­ ditatibus perniciem inferunt (Is., 3, 18, διὰ τὰς πρὸς σφᾶς αὐτοὺς φιλοτιμίας λυμαίνονται τοῖς κοινοῖς), in cui si esplicita che la rivalità riguarda le cariche pubbliche (honoris contentiones [φιλοτιμίας]) e si rende meno generico l’aggettivo τοῖς κοινοῖς con l’aggiunta del sostantivo commoditas; – Nic. 24, rei bellicae discrimina locat (Is., 3, 24, ποιήσηται τοὺς κινδύνους), in cui Guarino indica, peccando forse di pedanteria, dato il contesto in cui si inserisce il passo, che i pericoli in questione sono quelli legati alla guerra; – Nic. 33, rex ipse Persarum (Is., 3, 33, βασιλέως), dove la specificazione Persa­ rum è un’integrazione del traduttore; – Nic 60, quos regi caros esse perspicitis (Is., 3, 60, οὕσπερ ἂν καὶ ὁ βασιλεύς [sott. φιλεῖν καὶ τιμᾶν]), in cui l’espressione caros esse esplicita ciò che in greco rimane sottinteso. Poi, alcune espressioni greche sono sostituite con altre latine non proprio equivalenti, ma che costituiscono piuttosto una precisazione delle prime; un caso esemplificativo di questa modalità nel Nicocles è indicato da Gualdo Rosa, la quale fa notare come Guarino renda τοὺς φιλοσοφοῦντας con la circonlocuzione eos qui bonarum artium studiis tenentur (Nic. 1)13. Il latino di Guarino, inoltre, tende all’amplificazione retorica, a una ricerca di maggiore espressività e alla variatio14, oltre che prediligere un ordo verborum molto intricato15. Nel Nicocles, infatti, il gusto dell’umanista per la variazione è apprezzabile fin da subito, si veda a titolo d’esempio: non virtutis gratia, sed ut plura consequantur (Nic. 1; Is., 3, 1, οὐκ ἀρετῆς ἀλλὰ πλεονεξίας ἕνεκα), dove, al posto dei due complementi di fine presenti nel greco, abbiamo un complemento di causa e una subordinata finale. Poi, si riscontrano numerosi casi di anastrofi con le preposizioni (cf. e.  g. Nic. 3, qui hac in sententia sunt me magnam in admirationem trahunt), oppure di anticipazione delle subordinate prima della loro reggente (cf. e.  g. Nic. 10, quibus ex rebus civitates ad summum felicitatis gradum amplissimumque fastigium perductas esse cerno; Is., 3, 10, διὰ γὰρ τούτων ὁρῶ τὰς πόλεις εὐδαιμονεστάτας καὶ μεγίστας γιγνομένας). Frequenti sono anche le aggiunte di nomi, aggettivi, verbi e avverbi16,

13 Gualdo Rosa (1984) 35; cf. anche Fabii (2001) 13–16; Pace (2006), pp. 192–193; Pade (ed. 2013) 24. In altre traduzioni è possibile rilevare pure dei casi in cui il Veronese non sostituisce il termine greco, ma, dopo una sua resa molto vicina all’originale aggiunge la spiegazione latina come una sorta di glossa; per questo tipo di integrazioni cf. Pade (ed. 2013) 25. 14 Cf. anche Fabbri (1985) 75–78; Pace (2006) 193–194. 15 Cf. anche Pade (ed. 2013) 26. 16 Cf. (l’elemento aggiunto è sottolineato): Nic. 2, deos singulari pietate colimus (Is., 3, 2, τὰ περὶ τοὺς θεοὺς εὐσεβοῦμεν); Nic. 3, magnam in admirationem trahunt (Is., 3, 3, θαυμάζω); Nic. 5,

Appendice 3: Osservazioni sul metodo versorio di Guarino 

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così come l’uso di perifrasi, endiadi o coppie sinonimiche17, come, ad esempio, in: – Nic. 1, nam si plura consequendi cupiditas illos sollicitat et tristitia afficit, plures profecto maioresque re ipsa atque opere quam verbis confectas esse cupiditates reperiemus (Is., 3, 1, εἰ γὰρ αἱ πλεονεξίαι λυποῦσιν αὐτούς, πλείους καὶ μείζους ἐκ τῶν ἔργων ἢ τῶν λόγων εὑρήσομεν γιγνομένας); già solo in questo breve passo si possono notare l’endiadi sollicitat et tristitia afficit, l’aggiunta dell’avverbio profecto e la resa di ἔργων con due sostantivi (re ipsa atque opere)18.

molesti esse pergunt (Is., 3, 5, δυσκόλως διάκεινται); Nic. 6, varias artes excogitavimus (Is., 3, 6, τέχνας εὕρομεν); Nic. 10, maximeque civilibus monent (Is., 3, 10, τῶν πολιτειῶν παραινοῦντας [scil. τοὺς λόγους]); Nic. 15, vehementer inter illos comprobatur (Is., 3, 15, εὐδοκιμεῖ παρ᾽ αὐταῖς); Nic. 16, mediocri sapientia praeditus (Is., 3, 16, τῶν εὖ φρονούντων); Nic. 18, aliis antecellant oportet (Is., 3, 18, τῶν ἄλλων προέχουσιν); Nic. 18, per quottidianas…experientias (Is., 3, 18, ταῖς γ᾽ ἐμπειρίαις); Nic. 18 magnam publicis commoditatibus perniciem inferunt (Is., 3, 18, λυμαίνονται τοῖς κοινοῖς); Nic. 19, quidni?; Nic. 20, in omnes benivolentiam…tenent (Is., 3, 20, τὰς εὐνοίας ἔχουσιν); Nic. 23, regale fastigium singulari veneratione colunt (Is., 3, 23, τὴν βασιλείαν τιμῶσι); Nic. 29, et de me brevibus attingam (Is., 3, 29, περὶ ἐμαυτοῦ διελθεῖν); Nic. 32, factam esse constet (Is., 3, 32, γεγενῆσθαι); Nic. 39, longe differrem (Is., 3, 39, διοίσειν); Nic. 40, magno maerore con­ ficiunt (Is., 3, 40, λυποῦσι); Nic. 40, magna delicta committunt (Is., 3, 40, ἐξαμαρτάνουσιν); Nic. 41, seditiones discordias contentionesque dove abbiamo un tricolon al posto del nesso bimembre presente nel testo greco (Is., 3, 41, στάσεις καὶ διαφορὰς); Nic. 45, privatis omnibus (Is., 3, 45, τῶν ἰδιωτῶν); Nic. 47, perficiundum esse arbitremini (Is., 3, 47, ποιεῖν); Nic. 48, summa diligentia et aequitate (Is., 3, 48, ἐπιμελῶς καὶ δικαίως); Nic. 50, non mediocrem auctori utilitatem afferet (Is., 3, 50, ὠφελεῖ τοὺς ποιοῦντας); Nic. 51, quae a me imperata cognoritis (Is., 3, 51, τῶν ὑπ᾽ ἐμοῦ προσταττομένων); Nic. 52, nullo occultare modo quaerite (Is., 3, 52, μηδὲν ἀποκρύπτεσθε); Nic. 53, qui facinorum et occulendorum et patrandorum socii extiterint (Is., 3, 53, τοὺς συγκρύπτοντας τοῖς ἁμαρτάνουσιν); Nic. 55, in hoc regiae dignitatis statu diutissime conservando vehementer enitimini (Is., 3, 55, διαφυλάττετε τὴν παροῦσαν κατάστασιν); Nic. 60, obnixe et omni certate conatu (Is., 3, 60, πειρᾶσθε); Nic. 60, ut ab eo paria liceat vobis adipisci (Is., 3, 60, ἵνα καὶ παρ᾽ ἐμοῦ τυγχάνητε τῶν αὐτῶν τούτων); Nic. 64, omnis labores omnia subeunda pericula (Is., 3, 64, μηδὲν ἐλλείπειν, ἀλλὰ καὶ πόνους καὶ κινδύνους οὑστινασοῦν ὑπενεγκεῖν) dove si nota la ripetizione dell’aggettivo omnis per rendere il pronome οὑστινασοῦν del testo greco. 17 Cf. Nic. 3, eloquentiam et studia (Is., 3, 3, πρὸς τοὺς λόγους;cf. anche Nic. 5, in omne dicendi ac studiorum genus [Is., 3, 5, πρὸς ἅπαντας τοὺς λόγους]); Nic. 8, fide et probabilitate (Is., 3, 8, πίστεσιν); Nic. 18, socordiam ac incuriam habent (Is., 3, 18, καταμελοῦσιν); Nic. 23, vastatas deso­ latasque (Is., 3, 23, ἀνάστατον); Nic. 32, mansuetudine ac suavitate (Is., 3, 32, πραότητος); Nic. 38, dignitatem honoremque (Is., 3, 38, τὰς τιμὰς); Nic. 40, bonos aequosque (Is., 3, 40, ἐπιεικεῖς); Nic. 46, ratione atque consilio (Is., 3, 46, μετὰ λογισμοῦ); Nic. 49, omne studium et curam…adhibete (Is., 3, 49, κήδεσθε); Nic. 58, caritatem benivolentiamque (Is., 3, 58, εὔνοιαν). 18 Cf. anche Fabii (2001) 13 e 29–31; Pace (2006), 184–185; Pade (ed. 2013) 25–26; Filippozzi (2021) 180–181.

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 Appendici

Sovente singoli nomi o verbi del testo greco vengono raddoppiati in traduzione, come ad esempio in: – Nic. 6, leges et instituta condidimus (Is., 3, 6, νόμους ἐθέμεθα) dove abbiamo due sostantivi che corrispondono a uno solo in greco; – Nic. 18, nihil omnino parvifaciunt aut incuriae dedunt (Is., 3, 18, οἱ δ᾽ οὐδενὸς ὀλιγωροῦσιν) in cui abbiamo due verbi per rendere il solo ὀλιγωροῦσιν19; – Nic. 19, multam enim diem privatis in occupationibus terunt familiaribusque negotiis consumunt (Is., 3, 19, τὸν μὲν γὰρ πλεῖστον χρόνον ἐπὶ τοῖς ἰδίοις διατρίβουσιν) in cui Guarino si avvale di due verbi (terunt e consumunt) per tradurre διατρίβουσιν e di due coppie sostantivo-aggettivo (privatis occupatio­ nibus e familiaribus negotiis) per rendere l’espressione ἐπὶ τοῖς ἰδίοις; – Nic. 19, postea vero quam coacto senatu in unum convenerint (Is., 3, 19, ἐπειδὰν δ᾽ εἰς τὰ συνέδρια συνέλθωσιν) dove al predicato συνέλθωσιν corrispondono l’ablativo assoluto e il verbo convenire20. Nella versione poi numerose sono le circonlocuzioni, come il già citato Nic. 1, qui bonarum artium studiis tenentur, che traduce il participio sostantivato τοὺς φιλοσοφοῦντας (Is., 3, 1), ma si vedano anche, a titolo d’esempio: – Nic. 12, quanta benivolentia sit et caritate complectendus (Is., 3, 12, ὡς ἄξιόν ἐστιν ἀγαπᾶν) interrogativa che corrisponde all’infinito ἀγαπᾶν; – Nic. 36, qui in sublimi fastigio constituti fuerunt (Is., 3, 36, τῶν δυναστευσάντων), perifrasi per rendere il participio del testo greco; – Nic. 41, qui recte imperantis officium faciant, circonlocuzione che traduce τοὺς ὀρθῶς βασιλεύοντας (Is., 3, 41); – Nic. 58, qui sibi fidem habebant, corrispondente a τοὺς πιστεύοντας (Is., 3, 58). La ragione sottostante a queste modifiche è principalmente di carattere esornativo, ma talora è dovuto anche alla mancanza di un esatto corrispondente latino o alla volontà di cogliere il senso autentico del termine greco o di esplicitarne le possibili sfumature semantiche o ancora di esprimere in forma più articolata, e

19 Cf. anche e.  g.: Nic. 39, optimates manus dare victosque succumbere (Is., 3, 39, καὶ τοὺς βελτίστους ἡττωμένους) dove il participio ἡττωμένους è reso attraverso due predicati (dare e suc­ cumbere); Nic. 43, incitabar non mediocriter et illud me provocabat (Is., 3, 43, οὐχ ἥκιστα κἀκεῖνο παρεκάλεσεν) dove sono impiegati due verbi per rendere il solo παρεκάλεσεν. 20 Per un caso simile cf. anche e.  g. Nic. 45, servata continentia, victor evasi (Is., 3, 45, ἐκράτησα).

Appendice 3: Osservazioni sul metodo versorio di Guarino 

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di conseguenza più chiara e precisa, il concetto indicato dal greco con una sola parola. Aderenza al significato originale e precisione lessicale sono le ragioni sottese anche alla scelta di traslitterare alcuni termini greci in mancanza di un equivalente latino, abitudine che, si è detto, viene giustificata da Guarino rifacendosi a Quintiliano. Nel Nicocles i grecismi vengono adoperati principalmente per rendere termini legati alla sfera politica e molto comuni nel latino medievale, quali monarchia, tyrannis e tyrannos21. Se per questi ultimi due l’impiego del vocabolo greco traslitterato può essere dovuto alla difficoltà di trovare un esatto equivalente in latino, per monarchia ritengo più probabile che il suo utilizzo sia imputabile a un’esigenza di variatio; infatti, l’umanista alterna il grecismo monarchia con l’espressione regius principatus o parla più genericamente di regia maiestas, dignitas o potestas22. Molto più rari sono invece i casi di omissioni23, per lo più aventi lo scopo di eliminare pleonasmi24, ripetizioni25 del testo di partenza ed elementi non neces-

21 Cf. anche Sabbadini (ed. 1916) nr. 675, 259, l. 33 philosophum; Sabbadini (ed. 1916) nr. 675, 259 l. 40 metropolis, attestato in Cesare (Bellum civ. 3,80,7), Livio (cf. e.  g. AUC 32,13,11 e 36,14,6) e in Servio (In Vergilii Aeneidos libros 10,184); Sabbadini (ed. 1916) nr. 675, 259–260, ll. 54 e 57 symma­ chicus (mai attestato nel latino classico). Per questi grecismi cf. anche infra 199. 22 Per quanto riguarda le parole democratia e oligarchia, Guarino non adopera mai i termini traslitterati, ma dei corrispondenti latini (come, ad esempio, paucorum principatus per oligarchia e popularis status per democratia), alcuni dei quali erano entrati in uso con la tradizione dei commenti scolastici medievali fioriti intorno alle traduzioni delle opere aristoteliche Etica e Politica. Cf. Horster/Pade (2020) 53–54. 23 Cf. anche Fabii (2001) 16–18; Pace (2006) 189. 24 Cf. e.  g. Nic. 21, consiliariis utuntur (Is., 3, 21, συμβούλοις χρῶνται περὶ αὐτῶν) dove è omesso il complemento di argomento περὶ αὐτῶν (scil. «gli affari pubblici»), facilmente ricavabile dal contesto e pertanto superfluo; Nic. 23, Dionysius (Is., 3, 23, Διονύσιον τὸν τύραννον), il nome non è seguito dall’apposizione τὸν τύραννον in quanto personaggio noto; Nic. 44, has ob res … operam im­ pendere institui (Is., 3, 44, τούτων ἕνεκα καὶ ταῦτα διανοηθεὶς … ἤσκησα) dove il complemento di causa traduce sia τούτων ἕνεκα sia ταῦτα διανοηθεὶς, dato che quest’ultimo risultava ridondante; invece, per quanto riguarda Nic. 51, modestiora suscipietis consilia (Is., 3, 51, σωφρονέστερον βουλεύσεσθε περὶ ἁπάντων) l’omissione del complemento di argomento potrebbe essere dovuta alla facies dell’esemplare greco a disposizione dell’umanista (cf. Note di Commento, ad loc.). 25 Cf. e.  g. Nic. 37, consuevit enim plebs (Is., 3, 37, γιγνώσκων ὅτι φιλεῖ τὸ πλῆθος) dove Guarino trasforma in proposizione principale la dichiarativa del greco omettendo il participio γιγνώσκων, evitando così la ripetizione (il passo si apre infatti con οὐκ ἀγνοῶν); Nic. 48, reputate quonam modo … totum habebit (Is., 3, 48, ὑπολαμβάνοντες ὡς οὐ παρὰ τοῦτ᾽ ἐστίν, ἀλλ᾽ ὡς παρ᾽ ἕκαστον τῶν μερῶν ἢ καλῶς ἢ κακῶς τὸ σύμπαν ἕξον) all’interno del passo è omessa la frase ὡς οὐ παρὰ τοῦτ᾽ ἐστίν … οὕτω σπουδάζετε περὶ αὐτῶν, probabilmente per evitare la ripetizione con quanto detto poco prima (Nic. 48, vestrum negotia … summa diligentia et aequitate geratis); Nic. 52, quas (scil. actio­ nes) celare me concupiscitis (Is., 3, 52, ἃς [scil. πράξεις] πράττοντες λανθάνειν ἐμὲ βούλεσθε) dove è omesso il participio predicativo πράττοντες allo scopo di rendere il testo meno ripetitivo.

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 Appendici

sari26; tuttavia, le omissioni talora sono dettate dalla volontà di uniformarsi all’u­ sus latino o ancora sono da ricondursi a banali sviste o potrebbero dipendere dallo stato del testo usato dall’umanista per la traduzione27. Tra i casi di omissione che ricorrono più frequente nel Nicocles si possono citare la soppressione dell’indefinito τις e l’uso della forma impersonale, come ad esempio in Nic 17, ut ea iucundior suavior iustorque sit, pluribus sane verbis declarari posset (Is., 3, 17, ὅτι μὲν οὖν ἡδίων ἐστὶ καὶ πραοτέρα καὶ δικαιοτέρα, διὰ πλειόνων μὲν ἄν τις ἀποδείξειεν), laddove il greco presenta il pronome indefinito; spesso a essere omessi sono il genitivo di paragone e partitivo28, soprattutto se è generico (come un pronome dimostrativo) o facilmente ricavabile dal contesto, come ad esempio: – Nic. 27, et brevior et firmior suscipietur oratio (Is., 3, 27, πολὺ τούτου συντομώτερος καὶ μᾶλλον ὁμολογούμενος ὁ λόγος ἐστίν); – Nic. 29, ampliore … honore (Is., 3, 29, μείζονος τιμῆς ἢ τηλικαύτης); – Nic. 44, maiorem … operam (Is., 3, 44, περιττοτέρως29 τῶν ἄλλων)30. In certi casi le omissioni causano dei leggeri scostamenti di significato rispetto all’originale: – Nic. 39, ostendere igitur volui me ipsum et in iis abstinentiam tenere posse in quibus  … longe differrem (Is., 3, 39, ἐν οἷς ἔμελλον οὐ μόνον τῶν ἄλλων διοίσειν), nella subordinata relativa si riscontra la soppressione del verbo μέλλω, in questo modo, però, Nicocle non dice di mostrare di serbare la moderazione laddove si prefiggeva di superare gli altri, come nel testo greco, ma di dar prova della sua continenza negli ambiti in cui è superiore ad essi.

26 Cf. e.  g. Nic. 34, longe latiorem (scil. agrum; Is., 3, 34, πολλαπλασίαν [scil. χώραν] τῆς ὑπαρχούσης), iunctura che traduce il sostantivo πολλαπλασίαν, mentre il genitivo τῆς ὑπαρχούσης, omesso in quanto superfluo; Nic. 42, non eandem quam et plurimi reges de liberorum procrea­ tione sententiam habui (Is., 3, 42, οὐ τὴν αὐτὴν δὲ γνώμην ἔσχον οὐδὲ περὶ τῆς παιδοποιίας τοῖς πλείστοις τῶν βασιλέων, οὐδ᾽ ᾠήθην) dove l’espressione sententiam habere viene sfruttata per reggere anche gli infiniti successivi, che nel testo greco dipendono dal verbo coordinato οἴομαι, omesso nella versione in quanto divenuto non necessario (su questo passo cf. anche Note di commento, ad loc.); Nic. 50, in tempore cum virtute (Is., 3, 50, ἐν καιρῷ καὶ μετ᾽ ἀρετῆς) dove si nota la soppressione della congiunzione καὶ tra i due complementi in quanto non necessaria. 27 Per questo tipo di omissioni cf. Note di commento, ad loc. 28 Cf. anche Filippozzi (2021) 181 n. 36. 29 Sulla lezione περιττοτέρως cf. Note di commento, ad loc. 30 Più complesso è stabilire se in Nic. 21, quodque maximum est, l’assenza del secondo termine di paragone sia dovuta a una scelta del traduttore o se dipenda dalla facies del testo greco; per la questione cf. Note di commento, ad loc.

Appendice 3: Osservazioni sul metodo versorio di Guarino 

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In altri casi lo slittamento semantico è causato dall’omissione dell’avverbio καλῶς31: – Nic. 25, qui paucorum principatum habent (Is., 3, 25, οἵ τε καλῶς ὀλιγαρχούμενοι), dove la soppressione dell’avverbio causa la perdita della connotazione positiva assegnata al governo oligarchico, il che può indurre a pensare che l’omissione sia dettata dalla volontà di eliminare tale caratterizzazione per esaltare ancora di più la superiorità della monarchia; – Nic. 49, vestri nacti sunt praesides (Is., 3, 49, οἱ καλῶς τῶν ἡμετέρων ἐπιστατοῦντες), costituisce un caso più complesso da giustificare. Infatti, in questo passo si esortano i sudditi a curarsi degli interessi dei loro sovrani, esattamente come i regnanti si occupano dei loro, compito che non è da considerarsi un parvum decus; risulta dunque difficile da comprendere il motivo della soppressione di un avverbio che connota positivamente l’attività dei re come sovrintendenti degli interessi dei sudditi: si potrebbe pertanto forse imputare l’omissione a una svista di Guarino; – Nic. 17, hunc in modum contemplari fas est (Is., 3, 17, ἂν κάλλιστα θεωρήσαιμεν), dove la soppressione di κάλλιστα (con valore avverbiale) è probabilmente dettata dalla volontà di eliminare un elemento non necessario, anche se ciò rende il testo meno enfatico, come avviene anche in Nic. 18, aliis antecellant oportet (Is., 3, 18, πολὺ τῶν ἄλλων προέχουσιν «superano di gran lunga gli altri»), dove viene omesso l’avverbio πολὺ. Per quanto riguarda i mutamenti di natura morfologica32, essi in genere non influiscono sul senso dell’originale e concernono per lo più il grado degli aggettivi33 e il tempo, la persona o la diatesi dei verbi34. Riguardo a questa tipologia di modifiche si vedano i seguenti esempi: – Nic. 19, multam enim diem privatis in occupationibus terunt familiaribusque negotiis consumunt (Is., 3, 19, τὸν μὲν γὰρ πλεῖστον χρόνον ἐπὶ τοῖς ἰδίοις διατρίβουσιν), dove si può notare come Guarino abbia scelto di sostituire il superlativo πλεῖστον con il grado positivo dell’aggettivo (multus)35; 31 Differente è il caso di Nic. 57, regi parere (Is., 3, 57, καλῶς ἄρχεσθαι): l’omissione dell’avverbio καλῶς è infatti imputabile alla facies dell’esemplare greco (cf. Note di commento, ad loc.). 32 Cf. Pace (2006) 191–192. 33 Cf. anche Fabii (2001) 30. 34 Cf. anche Pade (ed. 2013) 27–28. 35 Per la trasformazione degli aggettivi dal grado superlativo a quello positivo cf. anche Nic. 13, ingentis iacturae (Is., 3, 13, τὴν μεγίστην ζημίαν) e Nic. 43, legitimae (scil. virtutes; Is., 3, 43, γνησιώταται); invece, per il caso contrario cf. Nic. 38 gravissimum (Is., 3, 38, δεινὰ).

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 Appendici

– Nic. 28, tantaque facta est rerum mutatio (Is., 3, 28, καὶ τοσοῦτον μετέστησεν), con passaggio alla forma passiva da quella attiva presente nel testo greco36; – Nic. 16, regia quoque maietas eo mansuetior iudicari iure debet (Is., 3, 16, πραοτέραν τοσούτῳ δικαίως ἂν αὐτὴν εἶναι κρίνοιμεν), con passaggio dalla prima persona plurale (Nicocle e i suoi sudditi) alla terza singolare (e l’aggiunta dell’espressione di dovere) per conferire valore generale, assoluto, all’affermazione37; – Nic. 50, haud ignari quod inter Graecos ac barbaros qui maximam in virtute famam adepti sunt ii et innumerabilium bonorum domini extiterunt (Is., 3, 50, γιγνώσκοντες ὅτι καὶ τῶν Ἑλλήνων καὶ τῶν βαρβάρων οἱ μεγίστας ἐπ᾽ ἀρετῇ δόξας ἔχοντες πλείστων ἀγαθῶν δεσπόται καθίστανται), con il passaggio dal presente storico al perfetto. Tra i mutamenti di natura morfologica si possono annoverare anche le trasformazioni che interessano le parti del discorso (sostantivi tradotti come verbi o aggettivi resi con dei nomi), come ad esempio: – Nic. 32, ea sanctitate eoque ufficio (Is., 3, 32, ὁσίως καὶ καλῶς), in cui i due sostantivi corrispondono a due avverbi del greco; – Nic. 50, lucrum esse, l’infinitiva rende il sostantivo κέρδος (Is., 3, 50); – Nic. 52, in civilibus officiis, l’espressione nominale traduce l’infinito πολιτεύεσθαι (Is., 3, 52);

36 Cf. anche Nic. 11, quae a vobis fieri velim (Is., 3, 11, ἃ βούλομαι ποιεῖν ὑμᾶς) e Nic. 47, contrariam in partem induci (Is., 3, 47, μεταπεισθεῖεν); per la trasformazione della diatesi da passiva ad attiva cf. e.  g. Nic. 26, Iovem deorum regem esse (Is., 3, 26, τοὺς θεοὺς ὑπὸ Διὸς βασιλεύεσθαι). 37 Un simile intento si riscontra anche al § 26, dove si porta a sostegno della tesi della superiorità della monarchia l’esempio divino; nel tradurre Guarino trasforma le frasi passando dalla terza plurale alla terza singolare impersonale e aggiunge l’espressione di dovere: Nic. 26 hanc imperandi conditionem praeponi debere certum est (Is., 3, 26, κἀκεῖνοι [scil. gli dei] ταύτην τὴν κατάστασιν προκρίνουσιν). Qui forse la trasformazione è dettata anche da una preoccupazione religiosa: non sarebbe stato ortodosso mantenere il riferimento agli dei pagani, ma forse sarebbe stato eccessivo sostituire οἱ θεοί con il dio cristiano. Poi, l’idea di necessità, espressa dal verbo debeo, è ribadita nella frase seguente, in cui si nota di nuovo il tentativo di assolutizzare il concetto tramite il cambio di soggetto (dal «noi»- che non compare nemmeno come complemento d’agente- alla monarchia): Nic. 26, signum est profecto monarchian priore in parte ponendam esse (Is., 3, 26, σημεῖον ὅτι πάντες τὴν μοναρχίαν προτιμῶμεν). Dare un valore più generale al discorso (allo scopo di renderlo esemplare e adeguarlo al destinatario, ossia Leonello) è probabilmente anche l’intento soggiacente alle diverse trasformazioni dalla prima persona singolare (riferita a Nicocle) alla terza singolare (con riferimento generico al rex), cf. e.  g. Nic. 13, nisi regi consilio et edicto paruerit (Is., 3, 13, ἂν μὴ πειθαρχῇ τοῖς ὑπ᾽ ἐμοῦ συμβουλευθεῖσι καὶ προσταχθεῖσιν;).

Appendice 3: Osservazioni sul metodo versorio di Guarino 

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– Nic. 55, saevitiam atque benignitatem, la coppia di sostantivi corrisponde ai due aggettivi χαλεποὺς ἢ πράους (Is., 3, 55). Come preziosismi stilistici sono probabilmente da interpretare anche alcuni tratti morfologici, cioè gli arcaismi e la scelta di mantenere la morfologia greca38; per quanto riguarda il Nicocles si vedano ad esempio: – Nic. 64, omnis labores, con la desinenza arcaica -is dell’accusativo plurale; – Nic. 26, monarchian priore in parte ponendam esse, dove monarchian conserva la terminazione greca39. Frequente è anche la ripresa di sintagmi da autori classici40, sempre allo scopo di impreziosire il dettato; per il Nicocles si possono citare i seguenti esempi: inire consilium (Nic. 1, qui recte faciendi consilia ineunt; cf. e.  g. Caes., Gall. 4, 5, 3, de summis saepe rebus consilia ineunt); merere male de aliquo (Nic. 3, deque multis male meruisse; cf. e.  g. Cic., Ver. 2, 3, 59, cum de Siculis male mereretur); non deesse tempori (Nic. 19, nulli desunt tempori; cf. e.  g. Liv., AUC 21, 27, 7, ne tempori deesset); simultates exercere (Nic. 20, simultates exercent; cf. e.  g. Cic., Flac. 88, an simul­ tates nescio quas cum libertis vestris Flaccus exercet?); aliquem honore adficere (Nic. 21, honore illi eos afficiunt; cf. e.  g. Cic., ND 1, 38, res sordidas atque defor­ mis deorum honore adficere); iniquo animo aliquid ferre (Nic. 51, ne unum quidem iniquo feratis animo; cf. e.  g. Cic., Ep. ad fam., 12, 20, 1, quam quidem contumeliam villa pusilla iniquo animo feret)41. Quanto alla sintassi42, variazioni si riscontrano nella rielaborazione della costruzione e nella disposizione degli elementi e dei significati del testo di partenza, indice di una buona comprensione grammaticale di questo (in linea con i precetti del Crisolora); pochi, infatti, sono i casi in cui tali deviazioni possono essere attribuite con sicurezza a un fraintendimento di Guarino43. Spesso nel tradurre l’umanista cambia i rapporti sintattici tra le proposizioni, prediligendo

38 Cf. anche Pade (ed. 2013) 26–27. 39 Altrove, invece, Guarino impiega il grecismo, ma utilizza le desinenze latine. 40 Cf. anche Fabbri (1985) 78; Pace (2006) 185; Pade (ed. 2013) 31–33. 41 Segnalo anche le seguenti espressioni desunte da Cicerone: Nic. 5, tantis implicantur erroribus (multis implicari erroribus Cic., Tusc. 4, 58); Nic. 12, memoriter dicta (memoriter dicere, Cic., de orat. 1, 64). 42 Cf. Fabii (2001) 12 e 21–25; Pace (2006) 192–193; Pade (ed. 2013) 28; Filippozzi (2021) 180. 43 Cf. Pace (2006) 188.

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 Appendici

un periodare ampio e ipotattico all’andamento prevalentemente paratattico del greco44; si vedano i seguenti passi a titolo d’esempio: – Nic. 3, quoniam non nulli qui ea sunt adepti in his delicta commisisse deque multis male meruisse cernentur (Is., 3, 3, φανήσονται γάρ τινες καὶ τῶν ταῦτα κεκτημένων ἐξαμαρτάνοντες καὶ πολλοὺς διὰ τούτων κακῶς ποιοῦντες), dove la proposizione principale del testo greco è resa con una subordinata causale (quoniam … cernentur); – Nic. 4, verum enim vero id iustum nequaquam est: nec, si qui manus in obvios inferant, accusandae sunt vires nec, si qui necem inflixerint, convicio est danda fortitudo nec mortalium malignitas ad ipsas omnino res transferenda. Eos autem ipsos vituperationibus notare fas est qui et bona pravos in usus rapiunt et, per quae utilitates afferre possunt, per ea civibus damna importare conan­ tur; in questo passo la costruzione sintattica viene rielaborata da Guarino, trasformando le infinitive presenti nel testo greco45 con proposizioni indipendenti all’indicativo46; inoltre, per rendere l’espressione impersonale δίκαιον (sott. ἐστί), da cui dipendono gli infiniti successivi, sceglie di adottare la costruzione della perifrastica passiva47;

44 Tuttavia, ci sono anche dei casi in cui la sintassi del greco viene alleggerita, traducendo ad esempio delle proposizioni con sintagmi nominali, cf. e.  g. Nic. 29, uno omnium consensu (Is., 3, 29, πάντας ἂν ὁμολογῆσαι), espressione che corrisponde nel testo greco a una proposizione infinitiva, e Nic. 31, initio regni (Is., 3, 31, ὅτ᾽ εἰς τὴν ἀρχὴν καθιστάμην), un complemento di tempo che traduce la subordinata temporale presente nell’originale. In altri casi Guarino sceglie di dimezzare le forme verbali, come ad esempio in Nic. 2, iustitiam reliquasque virtutes exercemus (Is., 3, 2, δικαιοσύνην ἀσκοῦμεν καὶ τὰς ἄλλας ἀρετὰς ἐπιτηδεύομεν), dove abbiamo un solo predicato contro i due del greco; Nic. 46, eos…laudibus et admiratione prosequi dignum est (Is., 3, 46, ἄξιον … ἐπαινεῖν καὶ θαυμάζειν), in cui abbiamo un solo infinito che regge due ablativi, laddove in greco si trovano due verbi; Nic. 56, in bonis permanentes moribus et in legum conservatione regiarum (Is., 3, 56, ἐμμένοντας … καὶ διαφυλάττοντας), dove al participio permanentes, che regge due complementi di stato in luogo figurati, corrispondono due participi in greco. 45 Is., 3, 4, ἀλλὰ γὰρ οὐ δίκαιον, οὔτ᾽ εἴ τινες τοὺς ἀπαντῶντας τύπτουσι, τῆς ῥώμης κατηγορεῖν, οὔτε διὰ τοὺς ἀποκτείνοντας οὓς οὐ δεῖ τὴν ἀνδρίαν λοιδορεῖν, οὔθ᾽ ὅλως τὴν τῶν ἀνθρώπων πονηρίαν ἐπὶ τὰ πράγματα μεταφέρειν, ἀλλ᾽ αὐτοὺς ἐκείνους ψέγειν, ὅσοι τοῖς ἀγαθοῖς κακῶς χρῶνται καὶ τοῖς ὠφελεῖν δυναμένοις, τούτοις βλάπτειν τοὺς συμπολιτευομένους ἐπιχειροῦσι. 46 Per altri esempi di trasformazione di una subordinata (un participio congiunto) in una principale cf. anche: Nic. 31, veniebat in mentem (Is., 3, 31, εἰδὼς); Nic. 37, nescius … non sum (Is., 3, 37, οὐκ ἀγνοῶν); Nic. 37, volui (Is., 3, 37, βουλόμενος); Nic. 48, reputate (Is., 3, 48, ὑπολαμβάνοντες); Nic. 52 scitote (Is., 3, 52, εἰδότες). 47 La perifrastica passiva è utilizzata anche per rendere il costrutto ἄξιον e infinito in Nic. 12, quanta benivolentia sit et caritate complectendus (Is., 3, 12, ἄξιόν ἐστιν ἀγαπᾶν) e in Nic. 64, omit­ tendum est … subeunda (Is., 3, 64, ἄξιον … ἐλλείπειν, ἀλλὰ καὶ … ὑπενεγκεῖν).

Appendice 3: Osservazioni sul metodo versorio di Guarino 

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– Nic. 14, iustissimum vero ut inter hos fiat distinctio, ne qui dissimiles sunt simila consequantur (Is., 3, 14, δικαιότατον δὲ τὸ διωρίσθαι περὶ τούτων καὶ μὴ τοὺς ἀνομοίους τῶν ὁμοίων τυγχάνειν), dove la subordinata finale corrisponde a una proposizione coordinata in greco48; – Nic. 24, ingruente bello (Is., 3, 24, παρὰ δὲ τὸν πόλεμον), ablativo assoluto che traduce il semplice complemento di tempo che si trova nel testo greco; – Nic. 34, ut cum reliqui, tametsi paulo finitimis potentiores sint, agri partem abscindant aut amplius quicquam habere quaerant, ego  … dedignatus sum meumque … possidere quam … vendicare malui (Is., 3, 34, ὥσθ᾽ ἕτεροι μέν … ἀποτέμνονται  … καὶ πλεονεκτεῖν ζητοῦσιν, ἐγὼ δ᾽  … ἠξίωσα λαβεῖν, ἀλλ᾽ αἱροῦμαι), dove le subordinate consecutive coordinate tra loro presenti nell’originale vengono trasformate dal traduttore in una proposizione consecutiva, da cui dipende una subordinata con cum e il congiuntivo49; – Nic. 36, non ignoro cunctos sane mortales filias atque uxores suas tanti facere ut in earum violatores maxima exardescant iracundia et earum libido ingen­ tium malorum causa extiterit et origo (Is., 3, 36, εἰδὼς γὰρ ἅπαντας ἀνθρώπους περὶ πλείστου ποιουμένους τοὺς παῖδας τοὺς αὑτῶν καὶ τὰς γυναῖκας, καὶ μάλιστ᾽ ὀργιζομένους τοῖς εἰς ταῦτ᾽ ἐξαμαρτάνουσι, καὶ τὴν ὕβριν τὴν περὶ ταῦτα μεγίστων κακῶν αἰτίαν γιγνομένην), passo in cui si può notare che il

48 Per la trasformazione da coordinata a subordinata cf. anche Nic. 51, quod  … rebus tamen gerendis cogitatione interesse existimet (Is., 3, 51, ἀλλ᾽ … οἰέσθω; da coordinata a subordinata causale); Nic. 52, actiones ita probate ut eas esse malignas existimetis (Is., 3, 52, δοκιμάζετε τὰς πράξεις, καὶ νομίζετε πονηρὰς; da coordinata a subordinata consecutiva); Nic. 55, enitimini sic ut nulla mutandarum rerum cupiditate ducamini (Is., 3, 55, διαφυλάττετε … καὶ μηδεμιᾶς ἐπιθυμεῖτε μεταβολῆς; da coordinata a subordinata consecutiva). 49 Cf. anche Nic. 6, cum vero invicem persuadendi vis nobis innata sit ut quaecunque velimus inter nos explicare valeamus (Is., 3, 6, ἐγγενομένου δ᾽ ἡμῖν τοῦ πείθειν ἀλλήλους καὶ δηλοῦν πρὸς ἡμᾶς αὐτοὺς περὶ ὧν ἂν βουληθῶμεν), dove il genitivo assoluto del greco è reso con una proposizione con il cum e il congiuntivo da cui dipende una consecutiva; Nic. 7, haec est cuius opera et pravos redarguimus homines et bonos collaudamus (Is., 7, τούτῳ καὶ τοὺς κακοὺς ἐξελέγχομεν καὶ τοὺς ἀγαθοὺς ἐγκωμιάζομεν), in latino abbiamo due proposizioni, di cui una principale e una subordinata relativa, in greco abbiamo invece un’unica frase principale; Nic. 38, ut, cum ceteros ad degendam honeste vitam urgeas, te ipsum nequaquam subditis continentiorem exhibeas (Is., 3, 38, ὅσοι τοὺς μὲν … ἀναγκάζουσιν, αὐτοὶ δ᾽ … παρέχουσιν), in cui si rileva il passaggio da due relative coordinate fra loro a una struttura ipotattica con la dichiarativa ut … exhibeas che regge la subordinata con il cum e il congiuntivo; Nic. 50, horum siquidem neutrum est quod eandem omni tempore potestatem habeat (Is., 3, 50, οὐδέτερον γὰρ τούτων ἀεὶ τὴν αὐτὴν ἔχει δύναμιν), dove si passa da un’unica proposizione principale a un’ipotetica da cui dipende una relativa impropria; Nic. 51, si corpore me praesentem nequaquam esse viderit (Is., 3, 51, ἐὰν καὶ τὸ σῶμα μὴ παρῇ), nella versione latina abbiamo una subordinata ipotetica da cui dipende un’infinitiva, mentre in greco abbiamo una sola proposizione concessiva.

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 Appendici

participio congiunto εἰδὼς sia stato trasformato in verbo principale e che la sequenza di subordinate oggettive, costruite con participi predicativi, sia stata resa con una proposizione infinitiva da cui dipendono due consecutive50. Talora a cambiare non è il rapporto tra le proposizioni, ma la tipologia delle subordinate, come ad esempio in: – Nic. 59, cum molestius nomen habeat (Is., 3, 59, τὸ δ᾽ ὄνομα δυσχερέστερον ἔχειν), dove la subordinata con il cum e congiuntivo corrisponde a un’infinitiva nel testo greco; – Nic. 60, certate … ut, cum viros vos bonos et virtute praeditos praebueritis, iis qui primas habent partes aequales fieri possitis (Is., 3, 60, πειρᾶσθε χρηστοὺς ὑμᾶς αὐτοὺς παρέχοντες ἐξισοῦσθαι τοῖς προέχουσιν), in cui la consecutiva rende l’infinitiva presente nel testo greco, il cum narrativo il participio congiunto παρέχοντες e la relativa il participio sostantivato τοῖς προέχουσιν. A volte la scelta di cambiare tipologia di subordinata è determinata dalla ricerca della variatio: – Nic. 9 nihil … factum esse reperiemus; quin et actionum et cogitationum omnium regina extat oratio, cuius ii maximos usus habent qui plurimo praestant mentis acumine (Is., 3, 9, οὐδὲν τῶν φρονίμως πραττομένων εὑρήσομεν ἀλόγως γιγνόμενον, ἀλλὰ καὶ τῶν ἔργων καὶ τῶν διανοημάτων ἁπάντων ἡγεμόνα λόγον ὄντα, καὶ μάλιστα χρωμένους αὐτῷ τοὺς πλεῖστον νοῦν ἔχοντας), dove si può notare una resa differente (un’infinitiva factum esse, una principale quin … extat e una proposizione relativa51 cuius … habent) per ciascuno dei tre participi predicativi presenti nel testo isocrateo (rispettivamente γιγνόμενον, ὄντα e χρωμένους); – Nic. 41, suo subiectas imperio civitates … et quae incolant loca (Is., 3, 41, τὰς πόλεις … ὧν ἂν ἄρχωσιν … καὶ τοὺς τόπους ἐν οἷς ἂν κατοικῶσιν), in cui si ravvisa la scelta di Guarino di rendere in modo differente (un participio congiunto subiectas e una relativa quae incolant) le due subordinate relative dell’originale;

50 Ricollegandomi a quanto detto sopra a proposito delle integrazioni e del gusto per l’amplificazione retorica, segnalo anche l’endiadi causa [ … ] et origo. Su questo passo cf. Appendice 1. 51 Da essa dipende un’altra subordinata relativa, qui … mentis acumine, che corrisponde al participio sostantivato τοὺς πλεῖστον νοῦν ἔχοντας presente nel testo greco.

Appendice 3: Osservazioni sul metodo versorio di Guarino 

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– Nic. 50, ad parandas opes ne studium maius inpendite quam ut viri boni vide­ amini (Is., 3, 50, πλουτεῖν … δοκεῖν), dove i differenti costrutti ad parandas e ut … videamini corrispondono a due infiniti nel testo greco. Oltre alla rielaborazione della costruzione della sintassi, Guarino modifica anche la disposizione degli elementi e dei significati del testo di partenza, come emerge dai seguenti passi citati a titolo di esempio: – Nic. 2, clam illis (Is., 3, 2, λέληθεν) e Nic. 41, clam eis (Is., 3, 41, λανθάνουσιν), in cui Guarino traduce il verbo λανθάνω con la preposizione clam e ­l’ablativo52; – Nic. 2 quas cum virtute quispiam sibi egregie vendicaverit53(Is., 3, 2, δι᾽ ὧν ἄν τις μετ᾽ ἀρετῆς πλεονεκτήσειεν), dove con la iunctura54 egregie vendicaverit Guarino rende il verbo πλεονεκτέω, presente nel testo greco, avente il significato di «ottenere di più», dato dalla radice del comparativo πλείον. Dunque, egregie non andrebbe inteso «in modo eccellente», ma nel senso di «al sommo grado», «in grande misura» o «quantità»55;

52 Per la resa di un verbo tramite un avverbio cf. anche Nic. 47, forte, corrispondente a τυχὸν (Is., 3, 47). 53 Su questo passo cf. anche Note di Commento, ad loc. 54 Numerosissime sono le iuncturae di questo tipo atte a rendere il significato di singoli verbi greci, cf. e.  g.: Nic. 1, vituperiis insectantur (Is., 3, 1 ψέγουσι); Nic. 2, fraudes in­ struunt (Is., 3, 2, ἐξαπατώντων); Nic. 2, ad usus  … rapiunt (Is., 3, 2, χρωμένων); Nic. 6, urbes incolendas fecimus (Is., 3, 6, πόλεις ᾠκίσαμεν); Nic. 10, paululum  … adiumenti af­ ferre (Is., 3, 10, ὠφελεῖν); Nic. 11, mea fuerit querimonia (Is., 3, 11, μεμφοίμην); Nic. 24, gubernabantur imperio (Is., 3, 24, πολιτευομένους); Nic. 24, paucorum principatu reguntur (Is., 3, 24, ὀλιγαρχουμένους); Nic. 24, regis ducuntur auspiciis (Is., 3, 24, βασιλευομένους); Nic. 25, regis gubernantur imperio (Is., 3, 25, τυραννευόμενοι); Nic. 33, pateretis in praedam (Is., 3, 33, συλωμένων); Nic. 44, operam impendere (Is., 3, 44, ἤσκησα); Nic. 45, periculum fecisse (Is., 3, 45, πεῖραν); Nic. 53, silentio ne obscurate, quin eos palam efficite (Is., 3, 53, μὴ κατασιωπᾶτε … ἀλλ᾽ ἐξελέγχετε); Nic. 56, splendorem exercete (Is., 3, 56, λαμπροὺς [sott. εἶναι]); Nic. 59, beatos appellate (Is., 3, 59, ζηλοῦτε); Nic. 60, invidia … stimulet (Is., 3, 60, ἁμιλλᾶσθε); Nic. 61, imitatione comprobate (Is., 3, 61, μιμεῖσθε). 55 È interessante notare anche come Guarino scelga di tradurre un sostantivo collegato al verbo πλεονεκτέω, πλεονεξία: come evidenzia Gualdo Rosa (cf. Gualdo Rosa (1984) 35 e n. 67), il Veronese rende questo termine tutte e due le volte che compare nello stesso paragrafo come «desiderio di maggior guadagno», ma la scelta appare poco precisa, in quanto questo è il significato impostosi in epoca tarda, come si evince dai lessici di Menandro e dello Stobeo. In origine il termine aveva un significato più generale, corrispondente al latino commoditas o praerogativa (cf. Liddell/Scott e ThlG, s.  v. πλεονεξία); il valore semantico originario di πλεονεξία si trova nella traduzione del Nicocles di Lapo da Castiglionchio (su questa versione cf. supra 12; sul metodo versorio di Lapo per le tre parenetiche isocratee cf. Gualdo Rosa (ed. 2018) 10–15).

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 Appendici

– Nic. 13, regiam hanc potestatem habeo nulla iniquitate quaesitam nec alienam, sed sancte iuste ac maiorum meorum et patris successione possessam et mea denique opera tutatam (Is., 3, 13, ἐγὼ ταύτην ἔχω τὴν ἀρχὴν οὐ παρανόμως οὐδ᾽ ἀλλοτρίαν, ἀλλ᾽ ὁσίως καὶ δικαίως καὶ διὰ τοὺς ἐξ ἀρχῆς προγόνους καὶ διὰ τὸν πατέρα καὶ δι᾽ ἐμαυτόν), all’interno del passo si nota la resa dell’avverbio greco παρανόμως tramite il sintagma nulla iniquitate quaesitam e i complementi di causa διὰ τοὺς ἐξ ἀρχῆς προγόνους, διὰ τὸν πατέρα e δι᾽ ἐμαυτόν attraverso le espressioni participiali successionem possessam e mea … opera tutatam, ampliando dunque il testo di partenza con l’inserimento di nuovi elementi e distribuendovi il significato originale, allo scopo di rendere più chiaro il passo; – Nic. 16, sua occultari bonitas non possit (Is., 3, 16, μὴ διαλήσει χρηστὸς ὤν), dove il sostantivo bonitas condensa il significato dell’espressione χρηστὸς ὤν; – Nic. 40, uxores autem eo maiore observantia prosequendae erant quo et stric­ tiori familiaritate devinctae et celsiorem aliis gradum sunt adeptae (Is., 3, 40, ἃς [scil. τὰς γυναῖκας] ἔδει τοσούτῳ μᾶλλον διαφυλάττειν, ὅσῳ περ οἰκειότεραι καὶ μείζους οὖσαι τῶν ἄλλων τυγχάνουσιν), passo in cui si nota la scelta di rendere il significato dei comparativi οἰκειότεραι e μείζους tramite le perifrasi strictiori familiaritate devinctae e celsiorem aliis gradum sunt adeptae56; – Nic. 43, quarum pars nulla malignis adest tantis animum virtutibus posset intendere quae legitimae, firmissimae et immensis celebrandae forent laudi­ bus (Is., 3, 43, ὧν [scil. ἀρετῶν] οὐδὲν μέρος τοῖς πονηροῖς μέτεστιν, ἀλλὰ γνησιώταται καὶ βεβαιόταται καὶ μεγίστων ἐπαίνων ἄξιαι τυγχάνουσιν οὖσαι), dove si rileva un mutamento nella disposizione degli elementi del testo di partenza: infatti, in greco le due relative sono coordinate tra loro, nella versione latina sono slegate (quarum … adest e quae … forent laudibus); – Nic. 46, non quod ea quae gessi laudi mihi atque laetitiae esse non existimem (Is., 3, 46, ὡς οὐ φιλοτιμούμενος ἐπὶ τοῖς πεπραγμένοις), in cui la causale presenta il modo congiuntivo per rendere la sfumatura soggettiva (data anche attraverso l’uso del verbo existimo) propria della costruzione ὡς e participio; la traduzione di φιλοτιμούμενος è ricercata attraverso la perifrasi laudi mihi atque laetitiae esse, che però implica anche un lieve scostamento di significato rispetto all’originale57;

56 Riguardo a questo stesso paragrafo è interessante notare anche come nella frase precedente Guarino cerchi di mantenere la figura etimologica presente nel testo greco: Nic. 40, magno mae­ rore conficiunt … nullo … maerore confici (Is., 3, 40, λυποῦσι … μηδὲν … λυπεῖσθαι). 57 La relativa ea quae gessi traduce invece il participio sostantivato ἐπὶ τοῖς πεπραγμένοις.

Appendice 3: Osservazioni sul metodo versorio di Guarino 

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– Nic. 60, eos et honore colite et amore complectimini (Is., 3, 60, φιλεῖν οἴεσθε δεῖν καὶ τιμᾶν), dove l’idea di dovere che in greco è espressa attraverso il verbo δεῖν è veicolata dal modo imperativo58 (inoltre, si noti anche l’omissione di οἴεσθε). Poi, sono riscontrabili casi di deviazioni dal testo isocrateo che potrebbero essere interpretate come fraintendimenti del traduttore o come sue volontarie alterazioni, ma sempre con un margine di dubbio. Pertanto è possibile che ciascuna delle discrepanze da me individuate non sia frutto né di un fraintendimento né di una rielaborazione cosciente del traduttore, ma semplicemente di un testo greco diverso a disposizione dell’umanista. Fatta questa doverosa premessa, riporto qui di seguito quei passi che rivelano uno scostamento della versione rispetto al testo greco, frutto probabilmente di un fraintendimento di questo da parte di Guarino, pur a fronte di una generale buona comprensione grammaticale del testo ­isocrateo: – Nic. 17, quantum  … monarchiae reliquis antecellant (Is., 3, 17, περὶ δὲ τῶν λοιπῶν, ὅσον αἱ μοναρχίαι … διαφέρουσιν), dove reliquis («le altre», scil. forme di governo) sembra essere frutto di un fraintendimento dell’espressione περὶ δὲ τῶν λοιπῶν («per il resto»); – Nic. 17, qui annuos ingrediuntur magistratus, priusquam urbana intelligant negotia et ullam eorum peritiam captent, rudes et imperiti sint est necesse (Is., 3, 17, οἱ μὲν τοίνυν κατ᾽ ἐνιαυτὸν εἰς τὰς ἀρχὰς εἰσιόντες πρότερον ἰδιῶται γίγνονται, πρὶν αἰσθέσθαι τι τῶν τῆς πόλεως καὶ λαβεῖν ἐμπειρίαν αὐτῶν): lo scostamento rispetto al testo greco riguarda l’affermazione circa l’imperizia (rudes et imperiti) di coloro che ricoprono magistrature annuali; infatti, nell’originale si dice che tali individui nel corso del loro mandato hanno giusto il tempo di acquisire esperienza prima di ridiventare dei privati cittadini. Sembra, dunque, che Guarino abbia frainteso il senso dell’espressione ἰδιῶται γίγνονται, benché altrove dimostri di saper intendere e tradurre cor-

58 Per un caso analogo cf. anche Nic. 62, tales estote (Is., 3, 62, τοιούτους χρὴ … ὑμᾶς γίγνεσθαι). I verbi di dovere δεῖ e χρὴ sono invece resi tramite il congiuntivo esortativo in Nic. 10, quonam modo sese in populos gerant (Is., 3, 10, ὡς δεῖ τῷ πλήθει χρῆσθαι) e in Nic. 11, quae videlicet regnandi ratio suscipiatur (Is., 3, 11, ὡς χρὴ τυραννεῖν); altre volte con il gerundivo (cf. e.  g. Nic. 42, esse relinquendos [Is., 3, 42, δεῖν…καταλιπεῖν] e Nic. 47, perficiundum esse [Is., 3, 47, δεῖ ποιεῖν]). Altrove δεῖ e χρὴ sono resi con una perifrasi costituita dal verbo debeo e l’infinito (cf. e.  g. Nic. 10, affecti esse debeant [Is., 3, 10, χρὴ … διακεῖσθαι] e Nic. 42, gigni debere [Is., 3, 42, δεῖν … ποιήσασθαι]), dalle espressioni impersonali opus est (cf. e.  g. Nic. 41, opus est … tenere concordia [Is., 3, 41, χρὴ … ἐν ὁμονοία πειρᾶσθαι διάγειν]) e fas est (cf. e.  g. Nic. 4, vituperationibus notare fas est [Is., 3, 4, δεῖ … ψέγειν]).

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 Appendici

rettamente l’aggettivo ἴδιος o il sostantivo ἰδιώτης; quindi è anche possibile che abbia voluto modificare apposta il testo isocrateo, allo scopo di connotare in chiave ancor più negativa le forme di governo diverse dalla monarchia (e di conseguenza esaltare di più quest’ultima); – Nic. 27, satis inpraesentiarum dictum de ipsis erit (Is., 3, 27, πρός γε τὸ παρὸν ἀποχρώντως καὶ νῦν εἴρηται περὶ αὐτῶν): è riscontrabile un’omissione che forse ha alla base un fraintendimento da parte di Guarino: nel testo greco sono presenti due espressioni che potrebbero corrispondere all’avverbio inpraesen­ tiarum, πρὸς τὸ παρὸν e καὶ νῦν, ma dal contesto si evince che a πρὸς τὸ παρὸν sia da attribuire un valore finale («per lo scopo presente») altrimenti non si spiegherebbe la ripetizione della specificazione temporale; la differenza semantica sembra non essere stata colta da Guarino, che infatti non traduce una delle due espressioni per evitare quella che per lui era una ridondanza59; – Nic. 28, pater vero Evagoras, eiectis e regno ceteris … denuo reparavit (Is., 3, 28, ὁ δὲ πατὴρ Εὐαγόρας ἀπολεσάντων ἑτέρων τὴν ἀρχὴν πάλιν ἀνέλαβεν), dove il fraintendimento da parte di Guarino risulta evidente: traducendo, infatti, eiectis e regno ceteris, dimostra di non aver inteso che τὴν ἀρχὴν sia concordato ἀπὸ κοινοῦ sia con il participio ἀπολεσάντων sia con l’aoristo ἀνέλαβεν e pertanto manca l’oggetto (scil. regnum) di reparavit; – Nic. 54, in regio vero principatu discrimen pariunt (scil. sodalicia et conventus; Is., 3, 54, ἐν δὲ ταῖς μοναρχίαις κινδυνεύουσιν [scil. συστάσεις]): in realtà nel testo greco sono i gruppi politici a correre rischi e non a produrli; potrebbe trattarsi di un fraintendimento del significato del verbo da parte di Guarino oppure di una personale rielaborazione (avente lo scopo di connotare ancor più negativamente i partiti politici), visto che in un altro passo60 mostra di saper intendere il significato di κινδυνεύω. Altre deviazioni rispetto all’originale sono invece frutto di una rielaborazione cosciente da parte di Guarino che modifica il testo secondo quella che è una sua (re)interpretazione del passo; si vedano i seguenti esempi61: – Nic. 8, bonos quidem oratores appellamus  … bonos autem consiliarios cen­ semus (Is., 3, 8, ῥητορικοὺς μὲν καλοῦμεν … εὐβούλους δὲ νομίζομεν), dove

59 Per questo passo cf. anche Note di Commento, ad loc. 60 Nic. 57, quod si malignitati operam dederint, et suis discrimen importabunt (Is., 3, 57, κακοὶ δὲ γενόμενοι κινδυνεύσουσι περὶ τῶν ὑπαρχόντων). 61 A questo proposito cf. Appendice 1.

Appendice 3: Osservazioni sul metodo versorio di Guarino 

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rispetto al greco si nota l’aggiunta dell’aggettivo bonus, che conferisce un preciso giudizio di valore all’affermazione; – Nic. 21, honore illi eos afficiunt quos in ignobili multitudine dicendi arte pollen­ tes viderint, at hi quos longo rerum usu peritos agnoverint (Is., 3, 21, τιμῶσιν οἱ μὲν τοὺς ἐν τοῖς ὄχλοις εἰπεῖν δυναμένους, οἱ δὲ τοὺς χρῆσθαι τοῖς πράγμασιν ἐπισταμένους): la personale interpretazione di Guarino è ravvisabile tramite l’aggiunta dei verbi viderint e agnoverint, che hanno per soggetto i governanti nei regimi oligarchici e democratici (viderint) e i re (agnoverint); in realtà, nel testo greco non si dice che le qualità oratorie e l’esperienza siano riconosciute dai governanti, ma semplicemente che a essere onorati sono persone che possiedono tali caratteristiche62; – Nic. 40, promissis firmi non maneant, dovrebbe essere la traduzione di μὴ στέργουσιν οἷς ἔπραξαν (Is., 3, 40, «non sono contenti di ciò che hanno fatto»), ma è evidente lo scostamento di significato; la deviazione non sembra dipendere dal testo greco a disposizione dall’umanista63, ma sembra frutto di una sua interpretazione che sposta l’accento dal pentimento per aver preso moglie al mancato mantenimento delle promesse che gli sposi si scambiano sull’altare, una modifica eseguita probabilmente in ossequio al sacramento del matrimonio e in vista di un utilizzo didattico ed edificante della versione. Nella resa dei costrutti greci, poi, Guarino non adotta mai uno schema fisso, bensì una grande varietà di soluzioni, una flessibilità che si manifesta soprattutto nella traduzione dei participi64. Molteplici, infatti, sono le rese, come dimostrano i seguenti esempi: in Nic. 1, il participio predicativo è reso con un’infinitiva (con­ fectas esse cupiditates reperiemus [Is., 3, 1, εὑρήσομεν γιγνομένας])65, mentre in Nic. 36, con l’ausilio di un avverbio (ut … certe … attigerim [Is., 3, 36, φανήσομαι … πεπλησιακὼς]). In Nic. 28, il participio congiunto è tradotto in maniera quasi

62 Si notino in questo passo anche l’aggiunta dell’aggettivo ignobilis per connotare negativamente la massa del popolino (cf. anche Nic. 37, apud imperitam moltitudinem [Is., 3, 37, παρὰ τοῖς πολλοῖς], con l’aggiunta dell’aggettivo imperitus), la circonlocuzione dicendi arte per l’infinito εἰπεῖν e l’introduzione dell’aggettivo longus per porre enfasi sull’esperienza di coloro che sono onorati dai sovrani. 63 Nell’apparato di Drerup in corrispondenza di questo passo è segnalata solo la variante στέργωσιν tràdita da Π e dalla vulgata (cf. Drerup (ed. 1906) ad loc.). 64 Per i participi sostantivati, invece, Guarino predilige renderli con delle subordinate relative (cf. e.  g. Nic. 9, qui plurimo praestant mentis acumine [Is., 3, 9, τοὺς πλεῖστον νοῦν ἔχοντας]; Nic. 60, qui primas habent partes [Is., 3, 60, τοῖς προέχουσιν]) o con dei sostantivi equivalenti (cf. e.  g. Nic. 11, contumaces [Is., 3, 11, τοῖς μὴ πειθομένοις]; Nic. 49, praesides [Is., 3, 49, οἱ … ἐπιστατοῦντες]; Nic. 56, regalibus edictis [Is., 3, 56, τοῖς ἄλλοις τοῖς ὑπ᾽ ἐμοῦ προσταττομένοις]). 65 Cf. anche e.  g. Nic. 45, involvi delictis (Is., 3, 45, ἐξαμαρτάνοντας).

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 Appendici

naturale con un participio di analogo valore (assumens [Is., 3, 28, παραλαβὼν]), ma nella versione si riscontrano numerose altre rese: in Nic. 5 è tradotto con il cum e congiuntivo (cum singula hoc pacto diffinire negligant [Is., 3, 5, ἀμελήσαντες])66, ma in Nic. 45, è reso in un caso con una proposizione ipotetica (siquidem in magna rei pecuniariae destitutus angustia [Is., 3, 45, ἐνδεὴς67 μέν γε χρημάτων καταλειφθεὶς]), in un altro con un ablativo assoluto (accepta … licentia [λαβὼν δ᾽ ἐξουσίαν])68; in Nic. 57, è tradotto con il gerundio (non solum documentis, verum etiam opere commostrando [Is., 3, 57, μὴ μόνον παραινοῦντες, ἀλλὰ καὶ περὶ τὰς πράξεις ὑποδεικνύοντες]); in Nic. 27, è reso con un aggettivo (firmior [Is., 3, 27, μᾶλλον ὁμολογούμενος])69 e in Nic. 58 con delle espressioni nominali (inter mae­ rores assiduos metumque perpetuum [Is., 3, 58, ἀθύμως ἔχοντας καὶ φοβουμένους ἅπαντα]). Il genitivo assoluto è tradotto ora con una subordinata ipotetica in Nic. 7 (nisi instituta fuissent [Is., 3, 7, ὧν μὴ διαταχθέντων])70, ora con il gerundio in Nic. 8 (nam qua fide et probabilitate aliis dicendo [Is., 3, 8, λέγοντες] persuademus eadem et de reliquis consultando [βουλευόμενοι] utimur), ora con degli ablativi assoluti in Nic. 11 (non praemonstrante me … praedicente me [Is., 3, 11, ἐμοῦ μὴ δηλώσαντος … προειπόντος ἐμοῦ]) e poi, in modo ancora diverso, con il cum e congiuntivo in Nic. 13 (haec cum ante plana fecero [Is., 3, 13, τούτων γὰρ προαποδειχθέντων]). Una certa varietà la si riscontra anche nella resa degli infiniti sostantivati e dei valori di ἂν; quanto ai primi, si osservano casi di traduzione con un sostantivo equivalente (cf. e.  g. Nic. 6, beluarum vita [Is., 3, 6, τοῦ θηριωδῶς ζῆν] e Nic. 47, ad naturae vim ingenitam [Is., 3, 47, πρὸς τῳ πεφυκέναι]), con un gerundivo (cf. e.  g. Nic. 12, in dandis … consiliis [Is., 3, 12, περὶ τὸ συμβουλεύειν]) o con varie tipologie di subordinate (ad esempio con una relativa e poi con una temporale in Nic. 50, quotiens … capessitis [Is., 3, 50, τὸ μὲν λαβεῖν] … dum … facitis [τὸ δ᾽ ἀναλῶσαι]; con un’infinitiva in Nic. 55, principuum saevitiam … causas traxisse [Is., 3, 55, τοῦ … εἶναι]). Per quanto riguarda invece la resa dei valori di ἂν con congiuntivo e ottativo, Guarino

66 Cf. anche e.  g. Nic. 6, cum … convenerimus (Is., 3, 6, συνελθόντες); Nic. 28, cum … annavigasset (Is., 3, 28, πλεύσας); Nic. 52, cum … pervenerint (Is., 52, πυθόμενος); Nic. 60, cum … praebueritis (Is., 3, 60, παρέχοντες). 67 Si noti anche l’amplificazione retorica nella resa dell’aggettivo ἐνδεὴς tramite l’espressione in … magna angustia. 68 Cf. anche Nic. 40, captis uxoribus (Is., 3, 40, γυναῖκας λαβόντες). 69 Cf. anche e.  g. Nic. 50, haud ignari (Is., 3, 50, γιγνώσκοντες; si noti anche la creazione della litote) e Nic. 55, memores (Is., 3, 55, εἰδότες). 70 Altrove la resa del participio congiunto con una subordinata ipotetica è funzionale a chiarire il valore del participio e così rendere il testo più perspicuo, cf. Nic. 57, Si fide ac iustitia praediti fuerint, ad nostrorum participationem bonorum vocabuntur; quod si malignitati operam dederint, et suis discrimen importabunt (Is., 3, 57, πιστοὶ μὲν ὄντες καὶ δίκαιοι μεθέξουσι τῶν ἡμετέρων ἀγαθῶν, κακοὶ δὲ γενόμενοι κινδυνεύσουσι περὶ τῶν ὑπαρχόντων).

Appendice 3: Osservazioni sul metodo versorio di Guarino 

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si avvale, oltre dei tempi e dei modi che il latino ha per esprimere possibilità e potenzialità, di perifrasi con i verbi possum (cf. e.  g. Nic. 17, posset declarari [Is., 3, 17, ἄν τις ἀποδείξειεν] e Nic. 47, induci possent [Is., 3, 47, ἂν μεταπεισθεῖεν]) e licet (cf. e.  g. Nic. 2, vitam degere liceat [Is., 3, 2, ἂν … διάγωμεν]) o con espressioni quali fas est (Nic. 17, contemplari fas est [Is., 3, 17, ἂν κάλλιστα θεωρήσαιμεν]). In conclusione, si può affermare che Guarino dimostra di aver recepito l’insegnamento del Crisolora sulla traduzione ad sententiam, ma se ne distacca al fine di integrare e chiarire il testo di partenza per quanto riguarda il contenuto; sul piano stilistico si manifesta la ricerca di una forma rispondente alle esigenze della lingua latina e di una veste più elegante del dettato, in linea con la concezione antica del vertere come imitari ed aemulari71. Il Veronese è, dunque, sì un traduttore fedele, ma non eccessivamente72.

Il lessico di Guarino In chiusura, aggiungo alcune osservazioni sul latino del Veronese, relative in particolare al lessico, l’elemento che più caratterizza il latino umanistico del primo Quattrocento73. Le analisi degli studiosi precedenti, in particolare quelle di Fabii e di Pade sulle versioni da Luciano e Plutarco, hanno messo in luce la notevole stratificazione del patrimonio lessicale di Guarino, caratteristica che ho riscontrato anche per il Nicocles e, in parte, anche per i due paratesti (l’epistola di dedica e l’Argumentum) che lo accompagnano74. Il lessico, infatti, appare alquanto diversificato: il Veronese è solito impiegare, conformemente al gusto dell’epoca75, termini del latino classico e tardo che erano estremamente rari nell’antichità76, alcuni

71 Cf. supra 8. 72 Il metodo versorio del Veronese tuttavia non sembra mantenersi inalterato nel corso della sua «carriera» di traduttore: dopo un esordio, risalente agli anni del soggiorno costantinopolitano, caratterizzato da una maggiore aderenza al dettato greco (fase rappresentata ad esempio dalla versione dell’Ad Demonicum), si passa a una maggiore libertà espressiva, connotata da un atteggiamento più disinvolto nei confronti del testo di partenza, da una più curata ricerca espressiva e da una maggiore attenzione all’eleganza formale (fase cui appartiene la traduzione del Nicocles); da ultimo, nelle versioni della maturità si assiste a un ritorno a una maggiore fedeltà all’originale, il cui esempio più evidente è la traduzione di Strabone. Cf. Filippozzi (2021) 185. 73 Sulle caratteristiche del latino umanistico cf. Rizzo (1986) 381–388; Ramminger (2014), con bibliografia. 74 Questi due testi introduttivi, infatti, sono caratterizzati da una lingua più omogenea, classicheggiante e di stampo ciceroniano (cf. supra 37). 75 Cf. Rizzo (1986) 384–386. 76 Cf. Fabii (2001) 38; Pade (ed. 2013) 34–39.

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dei quali erano divenuti d’uso comune nel latino medievale, come ad esempio l’aggettivo foedifragus, presente in Nic. 58, reperti sunt fedifragi77. L’attributo nel latino antico è attestato78 unicamente in Cicerone (Off. 1, 30 e Rep. Frg. Inc. 7, l’ultimo sicuramente non noto al Veronese), in Gellio (19, 7, 5) e in pochi autori tardi (Mart. Cap. 9, 912; Sidonio Apollinare Epist. 6, 6, 1); il termine diventa più comune nel latino medievale79. Inoltre, Guarino alterna parole ed espressioni prosastiche a quelle poetiche di diversa provenienza80; in particolare, nel Nicocles accanto a sintagmi frequenti nella prosa classica81 si ritrovano termini ed espressioni desunti dai comici (Plauto e Terenzio)82: horsum (Nic. 28, horsum annavigasset)83, praecipitem dare84 (Nic. 55, dari … praecipites) e la iunctura primas partes (Nic. 60, primas habent partes)85. Ciò rientra nell’interesse umanistico per gli elementi della lingua parlata86, attinti soprattutto da autori come i comici e Catullo; inoltre, Guarino aveva una predilezione per Terenzio ed era considerato un’auctoritas nel campo degli studi plautini. Altri vocaboli impiegati da Guarino sono, invece, propri del latino medievale87, come ad esempio: Arg. l. 58, commentariolus, sostantivo che al maschile88 è proprio del latino tardo; Nic. 3, robustum corpus, dove l’aggettivo è attestato solo nel latino cristiano; Nic. 18, discutere conemur, dove il verbo discutio è usato con il

77 Cf. Pade (ed. 2013) 36. 78 Cf. ThlL, vol. 6, 1, p. 996, ll. 42–45, s.  v. foedifragus. 79 Cf. Ramminger, Neulateinische Wortliste (http://nlw.renaessancestudier.org/). 80 Nonostante sul piano teorico la distinzione tra i due stili fosse ben chiara: Angelo Decembrio nella Politia litteraria pone sulla bocca di Guarino l’affermazione che in prosa non sono ammessi tutti i vocaboli e le metafore proprie del linguaggio poetico; cf. Rizzo (1986) 388 e Fabii (2001) 38–39. 81 Per un’esemplificazione dei quali cf. supra 187. A questi si aggiungano anche a titolo d’esempio le seguenti espressioni classicheggianti: ante oculos proponere (Guarino, Ep. l. 4, ante oculos res humanas proponenti mihi; cf. e.  g. Cic., Sull. 72, eam ante oculos vestros proponite; Ep. Ad. fam. 4, 5, 4, hoc … ante oculos tibi proponas; Liv., AUC 2, 54, 7, mortem sibi proponat ante oculos); habere aliquid in ore (Guarino, Ep. l. 14, in ore … habere; cf. e.  g. Cic., Phil., 3, 26, habebat semper in ore provinciam; Off. 3, 82, in ore semper Graecos versus de Phoenissis habebat); Guarino, Ep. l. 33, pace dixerim sua, cf. e.  g. Cic., De orat. 1, 76, pace horum dixerim; Leg. 3, 29, pace tua dixerim (cf. anche Ep. ad fam. 7, 17, 1). 82 Cf. Fabii (2001) 34 e 36. 83 Cf. Fabii (2001) 34 e n. 82. 84 Cf. Fabii (2001) 36 e n. 94. 85 Cf. Fabii (2001) 36 e n. 95. 86 Cf. Rizzo (1986) 386. 87 Cf. Rizzo (1986) 383; Fabii (2001) 37–38; Pade (ed. 2013) 39–40. 88 Al neutro commentariolum è attestato in Cicerone (Phil. 1, 16; De orat. 1, 5; De fin. 4, 10) e Quintiliano (Inst. 1, 5, 7).

Appendice 3: Osservazioni sul metodo versorio di Guarino 

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significato tardo di «discutere»; Nic. 33, quaquaversum89; infine, altri termini sono attestati solo nel neo-latino90. Un’altra componente del lessico è poi costituita, come si è già detto, da grecismi (philosophus, metropolis, symmachicus, monarchia, tyrannis, tyrannos) e da calchi dal greco (cf. e.  g. Nic. 2, vitam degere [Is., 3, 2, τὸν βίον διάγωμεν]; Nic. 15, qui in eorum [scil. populares status et paucorum principatus] communicatione vivunt [Is., 3, 15, τοῖς μετέχουσι τῶν πολιτειῶν])91, in linea con la consuetudine medievale di arricchire il lessico attraverso calchi, prestiti e recuperi di vocaboli rari e preziosi92. Per il Veronese il ricorso ai grecismi, si è visto, è dettato anche dalla volontà di rendere con la massima precisione il significato dei termini greci. Per quanto riguarda la morfologia e la sintassi93, Guarino nel Nicocles mostra di attenersi scrupolosamente alla norma classica, tuttavia si possono riscontrare alcuni elementi per così dire devianti, come l’uso transitivo del verbo excello (Nic. 11, illum excellere)94, la forma arcaica dell’imperativo negativo (Nic. 49, ne existimate; 50, ne … impendite, 52, ne versamini, 53, ne obscurate) e l’uscita in -i dell’ablativo del comparativo degli aggettivi (Nic. 63 superiori tempore, cf. supra IV.2); si ha poi un caso in cui l’interrogativa indiretta è costruita con l’indicativo anziché col congiuntivo, secondo un uso proprio del latino tardo (Nic. 3, quonam modo … invadant maledictis).

89 Cf. Fabii (2001) 37 e n. 105, 38 e n. 115. 90 Cf. Pade (ed. 2013) 40–42. È interessante notare il fatto che la studiosa nel suo elenco annoveri anche il sostantivo robustas, usato per tradurre il termine greco ῥώμη, il quale è reso da Guarino nel Nicocles con l’espressione robustum corpus (Nic. 3), impiegando dunque l’aggettivo con un significato analogo a quello assunto da robustas nel neo-latino. 91 Cf. Fabii (2001) 38; Pade (ed. 2013) 34; Ramminger (2014), 32–33. 92 Cf. Rizzo (1986) 384. 93 Cf. Fabii (2001) 39–40. 94 Cf. Note di commento, ad loc.

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 1. G Belluno, Biblioteca del Seminario Gregoriano, ms. 29 Manoscritto membranaceo, miscellaneo, della metà del XV sec; ff. I + 1–104 + I (i numeri 26 e 67 sono ripetuti due volte); mm. 130 × 87; fascicolazione: 1–1010, 116 (il fascicolo inizia con il lato carne). La rigatura è mista a secco e a colore; rr. 20/ll. 19 (f. 16r); sono presenti richiami. Al f. 1r la pagina è ornata con cornice a bianchi girari; nel margine inferiore è presente uno stemma non identificato. Le iniziali sono decorate: quelle maggiori sono in oro a bianchi girari, quelle minori sono semplici. I titoli e i titoli correnti sono rubricati. La legatura è moderna in cartone rivestito in carta marmorizzata; il dorso e i cantonali sono, invece, in pergamena. Ho visionato il codice in fotoriproduzione a colori. Il codice contiene: • Girolamo, Vita Pauli (ff. 1r–18r); • Girolamo, Vita Malchi (ff. 18v–31v); • Luciano, Calumnia, versione latina di Guarino Veronese preceduta dall’epistola dedicataria a Giovanni Querini (ff. 32r–53v; la dedica ai ff. 32r–33v, la traduzione ai ff. 34r–53v); • Isocrate, Ad Nicoclem, versione latina di Bernardo Giustiniani preceduta dall’epistola di dedica a Ludovico Gonzaga (ff. 54r–77r; la dedica ai ff. 54r–55v; la traduzione ai ff. 55v–77r); • Isocrate, Nicocles1, versione latina di Guarino Veronese, preceduta dall’epistola dedicataria a Leonello d’Este e dall’Argumentum (ff. 77v–104r; l’epistola ai ff. 77v–81r, la traduzione ai ff. 81r–104r); Il codice costituisce una raccolta di testi considerati dei classici: accanto a due opere agiografiche di Girolamo figurano tre traduzioni latine umanistiche da Luciano e Isocrate; il trait d’union tra questi testi è l’argomento morale con le vite dei santi e le orazioni parenetiche isocratee che forniscono norme per un corretto comportamento, mentre l’opera di Luciano ha a che fare con l’argomento etico in quanto illustra come non bisogna credere stoltamente o troppo facilmente alle calunnie altrui. Il manoscritto sembra essere una copia libraria, come si evince dalla scrittura e dalle decorazioni delle lettere iniziali.

1 Marchioli/Granata (2010) 52 riportano la versione con il titolo Ad Nicoclem. https://doi.org/10.1515/9783110792867-012

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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Per quanto riguarda il Nicocles guariniano, il codice sembra discendere direttamente dall’archetipo e costituire un ramo isolato dello stemma (cf. supra IV.7.9). Mancano informazioni sulla storia del codice. Bibliografia: • Mazzatinti (1892) II, 123 • Kristeller (1977) 4952 • Lambert (1972) IV B, 43 • De Faveri (2002) 5, 191 • Marchioli/Granata (2010) 52 2. C.11 Cambridge, Saint John’s College Library, C. 11 (61) Manoscritto membranaceo, miscellaneo, della fine del XV secolo; ff. 202 + IV (ff. 32, 74, 104v, 126v, 172v bianchi); mm. 213 × 140; fascicolazione: 18–98 102, 118–262. La scrittura è gotica, la mano forse è fiamminga; al f. 112r cambia la mano; l’inchiostro è nero. Sono presenti delle iniziali e dei bordi decorati e anche scudi blasonati nelle iniziali e nei margini (f. 1 iniziale decorata con inserito al suo interno lo stemma del proprietario John Gunthorpe, decano di Wells: un gallone rosso tra tre pistole su sfondo argentato; f. 14v gallone d’oro tra tre leoni argentati su sfondo rosso; f. 25v gallone argentato su sfondo rosso con tre croci; f. 35r stemma con bordo azzurro e argento, banda in diagonale divisa in segmenti di colore argento e azzurro, alternati, con tre teste di leopardo, sfondo rosso, ai lati della banda due teste di leone argentate; f. 46v stemma d’orato con una figura verde). Al f. 1 e al fondo compare una nota di possesso relativa a un successivo acquirente del codice, John Harte (XVI sec.). Ho visionato il codice in riproduzione a colori. Il manoscritto contiene: • Isocrate, Ad Nicoclem, traduzione latina di Bernardo Giustiniani (non citato), preceduta dalla dedica a Ludovico Gonzaga (ff. 1r–10v); • Isocrate, Nicocles, traduzione latina di Guarino (il nome dell’autore è omesso; ff. 12v –22r), preceduta dall’epistola di dedica indirizzata a Leonello d’Este (ff. 11r– 11v) e dall’Argumentum (f. 12 r.); • Ps. Isocrate, Ad Demonicum, traduzione latina di Guarino (non citato) preceduta dalla lettera di dedica a Floro Valier (ff.  22v–23v l’epistola; ff. 23v–31 v la traduzione);

2 Il manoscritto è (erroneamente) indicato come perduto nel 1962 e non vengono citate le opere di Girolamo.

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 Appendici

• Plutarco, De fortuna Romanorum, traduzione anonima preceduta dalla prefazione (ff. 33r–46r); • Plutarco, De Alexandri fortuna aut virtute, traduzione latina di Niccolò Perotti, preceduta dall’epistola di dedica a papa Niccolò V (ff. 46v–49v la lettera; ff. 50r–73v la traduzione); • Basilio di Cesarea, De invidia, traduzione latina di Niccolò Perotti, preceduta dalla dedica a papa Niccolò V (ff. 75r–75v l’epistola; ff. 76r–82v la traduzione); • Plutarco, De invidia et odio, traduzione latina di Niccolò Perotti, preceduta dall’epistola di dedica a papa Niccolò V (f. 83r la dedica; ff. 83r–86r la traduzione); • Basilio di Cesarea, Omeliae II de ieiunio (prive di titolo), traduzione latina probabilmente di Guarino Veronese3, con la prefazione (pref. ff. 86v–87r; or. I: inc.: In hac mensis novitate et insigni ac festo nobis die; f. 87v expl.: gloria et potestas est in sec. sec. Amen ; f.  96v, or. II: inc.: Exhortamini inquit sacerdotes et invite populum ; f. 97r expl.: gloria et potestas est in sec. sec. Amen, f. 104r); • Luciano, Calumnia, traduzione latina di Francesco Griffolini d’Arezzo, preceduta dall’epistola di dedica a John Tiptoft, Duca di Worcester, c. 1460 (ff. 105r–111v); • Senofonte, De tyrannide (= Hieron), traduzione latina di Leonardo Bruni, preceduta dalla prefazione (f.  112 la prefazione; ff.  113r–126r la traduzione); • In Epicteti philosophi Enchiridion expositio, traduzione latina di Niccolò Perotti, preceduta dall’epistola di dedica a papa Niccolò V (ff. 127r–128v la lettera; ff. 129r–132r la prefazione; ff. 132v–147v la traduzione); • Anonimo, De erroribus in lege Machometi (ff. 148r–149v proemio; 150r– 172r opuscolo); • Leonardo Bruni, Contra hypocritas (ff. 173r –180v); • Plutarco, De assentatoris et amici differentia (= Quomodo adulator ab amico internoscatur), traduzione latina di Guarino, preceduta dalla lettera di dedica a Leonello d’Este (ff. 181r–202). Nel manoscritto oltre alla traduzione guariniana del Nicocles se ne trovano altre umanistiche, tra cui figurano per prime le altre orazioni cipriote d’Isocrate, ed opere di umanisti. I testi rivelano la formazione umanistica del pos-

3 Nel catalogo la versione è in realtà attribuita a Niccolò Perotti, che però non risulta che tradusse quest’opera di Basilio; per lo stesso tipo di fraintendimento cf. infra nr. 15.

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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sessore, John Gunthorpe, che fu allievo di Guarino4, e risultano accomunati dal contenuto etico. È interessante notare come tutte le opere siano precedute dalle epistole di dedica, segno che la miscellanea non aveva solo uno scopo edificante, ma doveva fungere anche da repertorio retorico. Tra queste dediche, utile ai fini della datazione del manoscritto è quella della traduzione latina del De calumnia lucianeo, eseguita da Francesco Griffolino e indirizzata a John Tiptoft, che consente di fissare come terminus post quem il 1460. Il proprietario del manoscritto era John Gunthorpe, decano di Wells, come si evince dalla presenza del suo stemma al f. 1 e del suo nome in calce all’ultimo testo (la traduzione guariniana di Plutarco, Quomodo adulator ab amico internoscatur); la sua collezione di libri5 – acquisiti soprattutto durante i suoi viaggi – nel corso del XVI secolo in parte finì al Jesus College di Cambridge e in parte ad Oxford. Il manoscritto, un manufatto pregiato come si evince dalle decorazioni, è stato donato alla Saint John’s Library da Hilkiah Croke (l’iscrizione si trova però in un altro codice, C. 10, ed è priva di data). Per quanto riguarda la traduzione guariniana del Nicocles, C.11 sembra essere l’antigrafo di N (cf. infra nr. 15 e supra IV.4.3.1). A suggerire uno stretto rapporto tra i due manoscritti vi è il fatto che N trasmette anche altri testi tràditi da C.11: le tre orazioni parenetiche di Isocrate, gli opuscoli plutarchei De fortuna Romanorum, il De Alexandri fortuna aut virtute e il De invidia et odio e le orazioni De ieiunio di Basilio Magno6. Legato a C.11 ed N risulta essere anche il codice B (cf. infra nr. 9): in particolare, B sarebbe stato esemplato sullo stesso modello di C.11, j nella mia ricostruzione (cf. supra cap. IV.4.3). Bibliografia: • Woodforde (1943) • Weiss (1957) 106–127 (in partic. 122–126; p. 126 n. 2) • Cassidy (1967) 88–92 • Kristeller, (1981) 7–25 • Hankins (1997) 23 • Stok/Abbamonte (2011) 236–254

4 Gunthorpe dopo i suoi studi a Cambridge University, si recò in Italia e nell’agosto del 1460 fu a Ferrara, dove ascoltò le lezioni di Guarino. Alla morte del suo maestro ritornò in Inghilterra dove proseguì la sua carriera diplomatica ed ecclesiastica, cf. Weiss (1957) 122–126. 5 La biblioteca di Gunthorpe è stata ricostruita da Leland (1709) 462–463. 6 Cf. supra IV.9, in partic. 94–95.

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 Appendici

3. C Cambridge, University Library, LI.I 7 Codice membranaceo, miscellaneo, del XV sec.; ff. 119 (manca un foglio tra i ff. 1–2 e 39–40 e più di uno tra i ff.116–117); 32 righe per pagina. Al f. 117v compare il nome di John Hall Junior, forse il possessore del codice. Ho visionato il codice in riproduzione a colori. Il manoscritto contiene: • Pietro del Monte, De virtutum et vitiorum inter se differentia et compa­ ratione (acefalo perché manca la c.  2), con lettera dedicatoria al duca Humfrey di Gloucester (ff. 1r–46r); • Lapo da Castiglionchio il Giovane, Comparacio studiorum et rei militaris, con lettera dedicatoria al duca Humfrey di Gloucester (ff. 47r–63r)7; • Leonardo Bruni, Contra hypocritas (ff. 64r–69r); • Senofonte, Tyrannus (= Hieron), traduzione latina di Leonardo Bruni, con prologo (ff. 70r–79r); • Basilio di Cesarea, Epistula ad adulescentes traduzione latina di Leonardo Bruni, con lettera dedicatoria a Coluccio Salutati (ff. 79v–87r); • Ps. Isocrate, Ad Demonicum, traduzione latina di Lapo da Castiglionchio (ff. 87v–93r); • Isocrate, Nicocles (titolo presente: Nicoclis oracio ad subditos), traduzione latina di Isocrate di Lapo da Castiglionchio (ff. 93v–99r); • Isocrate, Ad Nicoclem (titolo presente: Oratio ad Nicoclem de regno), traduzione latina di Lapo da Castiglionchio (ff. 100r–105r)8; • Isocrate, Nicocles, traduzione latina di Guarino Veronese, preceduta dalla lettera dedicatoria a Leonello d’Este (ff. 105v–112r); • Plutarco, De assentatoris et amici differentia (= Quomodo adulator ab amico internoscatur), traduzione latina di Guarino Veronese, con lettera dedicatoria a Leonello d’Este (ff. 112v–116r); • Parte di un glossario (cc. 117r–119r; inc.: Auriolor; expl.: Navalia)9.

7 Il colofone attribuisce quest’opera a Pietro del Monte, l’autore del testo precedente (Eiusdem comparacio …). 8 Il catalogo di Hardwick-Luard attribuisce le tre traduzioni di Lapo da Castiglionchio a Guarino Veronese: «These translations are most probably by Guarrinus [sic], the author of the next sections», cf. Hardwick-Luard (1856) 2–4. Nei Corrigenda al catalogo, nr. 603, la paternità è però correttamente restituita a Lapo: «The colophon is incorrect. This is by Lapus Castelliunculus, to whom it is given in the preliminary rubrick». 9 Le parole, sebbene siano raggruppate sotto ogni lettera dell’alfabeto, non figurano in ordine alfabetico sotto ciascuna lettera.

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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Il contenuto è costituito soprattutto da traduzioni umanistiche dal greco al latino, in particolare dalle orazioni cipriote di Isocrate, delle quali vengono riportate più versioni; figurano anche opere originali di umanisti, come la Comparatio di Lapo da Castiglionchio e l’orazione Contra hypocritas di Leonardo Bruni. I testi sono omogenei dal punto di vista tematico: sono quasi tutti caratterizzati da un contenuto precettistico ed etico e contengono consigli e ammonimenti utili ai regnanti o ai giovani che aspirano a ricoprire incarichi di rilievo politico e sociale. Per quanto riguarda la traduzione guariniana del Nicocles, il codice è un testimone parziale in quanto, a causa della perdita di un folium, non riporta la sezione di testo che va dal § 43 (da siquis omissis) fino al § 53 (fino a ne obscu­ rate compreso). È interessante notare lo stretto rapporto che intercorre tra C e i codici L ed O (cf. infra nrr. 10 e 16): i tre manoscritti tramandano le stesse opere e quasi nello stesso ordine10; secondo Sammut11, i tre codici sarebbero fratelli, discendenti da un esemplare donato da Humfrey di Gloucester all’università di Oxford nel 1444. La mia analisi ha confermato come C, O ed L siano, almeno per quanto riguarda la traduzione guariniana del Nicocles, discendenti da un medesimo antigrafo (x) e costituiscano insieme con D un’unica famiglia (cf. infra nr. 8 e supra IV.3.2 e IV.5.1). A conclusioni analoghe è pervenuta anche Gualdo Rosa per le traduzioni delle tre parenetiche isocratee eseguite da Lapo da Castiglionchio12. Bibliografia: • Hardwick/Luard (1856) 2–4, Addenda et corrigenda, nr. 603 • Sammut (1980) 128 • Celenza (1999) 21 n. 90 • Regini (2017) 46–48 • Gualdo Rosa (ed. 2018) 46–47, 51 4. Vat.3 Città del Vaticano, BAV, Vat. Lat. 303 Codice pergamenaceo, miscellaneo, del XV secolo (1425–1475), di origine italiana; ff. I + 152 + III (ff. II–IIv, 94–100v e 145v–151v bianchi); la prima e l’ultima guardia sono cartacee e sono state aggiunte con la legatura, le altre due 10 L’unica eccezione è costituita dalla trasposizione della Comparatio di Lapo da Castiglionchio prima delle opere di Bruni nel Cantabrigense. Un’altra differenza è rappresentata dal diverso incipit della lettera dedicatoria di Guarino a Leonello d’Este. 11 Cf. Sammut (1980) 128. 12 Cf. Gualdo Rosa (ed. 2018) 48.

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 Appendici

sono memebranacee; mm. 295 × 200 (ff. 1r–93v), mm. 210 × 120 (ff.101v–145r); fascicolazione: 1–510. I folia I e 152 sono dei frammenti consecutivi di un altro manoscritto, alla cui rilegatura erano incollati (come mostrano delle tracce di pelle marrone), che sono poi stati utilizzati come fogli di guardia; il testo è parzialmente cancellato, come se si trattasse di un tentativo poi abbandonato di copiare un testo (le iniziali sono lasciate in bianco). La rigatura è a piombo, 39 (ff. 1r–100v) /40 (ff. 101v–151v) righe per pagina. La scrittura è una semigotica, ma sono presenti molti elementi umanistici; parole di richiamo orizzontali, fra tratti di penna decorativi nel margine inferiore destro dell’ultimo f.v. Pochissime sono le postille: al f. 55v. una del copista principale; ai ff. 101r–145r correzioni, con richiami precisi al testo, di mano gotico-umanistica. La prima mano è responsabile anche dei titoli in rosso ai ff. 58v e 140r, gli altri sono opera di una mano umanistica tonda successiva. La legatura antica, testimoniata dai cataloghi quattrocenteschi, era di colore nero e fu poi sostituita nel XVIII sec. da un’altra di cuoio rosso-bruno; i piatti sono decorati con una piccola greca in oro impresso. Il dorso è stato successivamente rifatto, tra il 1853 e il 1854, in pelle più chiara con gli stemmi di Pio IX e del card. Angelo Mai. Del codice ho visionato la versione digitalizzata disponibile sul sito della Biblioteca Apostolica Vaticana: https://digi.vatlib.it/view/MSS_Vat.lat.303. Il codice contiene: • Servio, Commentarius in Vergilii Eclogas seu Bucolica, frammentario e senza titolo (ff. I–Iv, 152–152v; inc.: < B >ucolica ut ferunt inde dicta sunt a custodia; expl. mutilo:  … universa substantia. Unde //); • Basilio di Cesarea, Homeliae Morales VIII, traduzione latina di Rufino d’Aquileia, preceduta dalla prefazione (ff. 1–35 r.: ff. 5v–10v: Basilius Magnus, Homilia in illud: Attende tibi ipsi; ff. 10v–14v: Basilius Magnus, Homilia in illud: Destruam horrea mea; ff. 15r–16v: Basilius Magnus, Homilia de fide; ff. 16v–19r: Basilius Magnus, Epistula 46, Ad virginem lapsam; ff. 19r–21r: Basilius Magnus, Homilia in psalmum 59; ff.  21r–25r: Basilius Magnus, Homilia de invidia; ff.  25r–35r: Basilius Magnus, Homilia in principium Proverbiorum); • Ps. Ignazio di Antiochia, Epistulae 16 (tradotte in latino; ff. 35r–57); • Hero Antiochenus, Laus S. Ignatii Antiocheni (f. 57); • Polycarpo di Smyrne, Epistula ad Phippenses (tradotta in latino; ff. 57–59); • Ps. Basilio di Cesarea, Admonitio ad filium spiritualem (ff. 59–66); • Ps. Eutropio vescovo/Ps. Paciano, De similitudine carnis peccati (ff. 66–77v); • Rufino d’Aquileia, Expositio symboli (ff. 77v–92v);

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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Frammento di un commento a Matteo 5,3 (f. 93r–93v); Paolo Diacono, Historia romana (il testo è privo della divisione in libri e capitoli, eccetto al f. 107 dove si legge lib. III; il titolo è assente, al f. 101 in alto più recentemente è stata aggiunta l’indicazione Paulus diaconus; ff. 101r–139v), con tre aggiunte finali: due brevi notizie sulle dinastie dei Maccabei (Nota de successoribus Simonis Maccabaei, f. 139v) e di Erode (Notae de Herodibus duae parvi momenti ff. 139r–140r) e poche righe di una cronaca sull’arrivo di Carlo Magno in Italia (Chronica de Caroli Magni rebus gestis, f. 140r); Isocrate, Nicocles, traduzione latina di Guarino Veronese, preceduta dall’ Argumentum (ff. 140v–145).

Il codice è composto da due sezioni: la prima contiene testi di autori cristiani, la seconda, invece, opere storiografiche (l’Historia romana di Paolo Diacono con le tre giunte finali) e la traduzione latina del Nicocles isocrateo eseguita da Guarino, priva dell’epistola di dedica. L’ultima sezione inizia dal f. 101r, quando il copista modifica la disposizione del testo sulla pagina, dopo aver lasciato alcuni fogli binachi. Il mutamento formale e contenutistico fanno pensare che lo scriba avesse davanti un antigrafo diverso rispetto a quello usato per la prima parte. Per quanto riguarda i testi patristici, il codice sembra essere un apografo abbastanza vicino del manoscritto giunto a Tommaso Parentucelli nel 1428 dalla biblioteca della Grande Chartreuse vicino a Grenòble, come ha dimostrato Antonio Manfredi13. Nonostante la seconda sezione di Vat.3 non abbia nulla a che fare con la silloge patristica certosina, essa è utile perché fornisce delle indicazioni cronologiche che permettono di fissare una datazione approssimativa per il manoscritto. Infatti, la presenza della versione guariniana, consente di collocare Vat.3 negli anni Trenta del XV secolo, periodo in cui Guarino, giunto da poco a Ferrara, tradusse il Nicocles isocrateo. I dati paleografici confermano tale ipotesi di datazione per il codice, il cui allestimento, secondo Manfredi14, sarebbe da porre non molto lontano dalla scuola guariniana e forse proprio a Ferrara, dove Parentucelli risiedette per tutto il 1429, l’anno successivo al recupero del codice certosino, e dove ripassò ancora nel 1431. L’ipotesi dello studioso sull’origine di Vat.3 sembra possa trovare conferma nei risultati della mia collazione, secondo cui il manoscritto sembra costituire un ramo isolato della tradizione, discendente diretto dell’archetipo (cf. supra

13 Cf. Manfredi (19892) 164–167. 14 Cf. Manfredi (19892) 168.

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 Appendici

IV.7.2). Sul testo del Nicocles, inoltre, ho potuto rinvenire alcuni degli interventi correttivi ad opera della seconda mano (Vat.32), riconoscibile per il minore spessore del tratto e per la forma diversa di alcune lettere (a ed r). Per quanto riguarda la silloge patristica, Vat.3 risulta essere legato ad altri codici provenienti dalla medesima fonte certosina giunta a Bologna nel 1428: si tratta dei codici Città del Vaticano, BAV, Vat. lat. 186 e Vat. lat. 4248 e Oxford, Magdalen College, Lat. 76. tutti i codici trasmettono: le otto Home­ liae di Basilio di Cesarea tradotte da Rufino, il De similitudine carnis peccati (opera di Eutropio, ma nei manoscritti è attribuita a Chrisostomo), il De fide di Rufino, otto lettere di Ignazio e una di Policarpo15. Il codice è stato acquistato dalla Biblioteca Vaticana all’inizio del pontificato di Sisto IV, come suggerisce la sua presenza negli inventari del 1475 (ed. p. 185, l. 29: [Basilius] Omeliae eiusdem. Ex membranis in nigro) e del 1481 (Vat. Lat.f. 21v, l. 6: Omeliae octo Basilii. Ex membranis in nigro). Bibliografia: • Vatasso/Cavalieri (1902) 218 • Crivellucci (1921) • De la Mare (1978) 193–194 • Fohlen (1985) 4 n.17, 14, 43 • Manfredi (19891) • Manfredi (19892), 155–187 • Pellegrin (1991) 24–25 • Salvini (1994) • Carboni/Manfredi (edd. 1999) • Mortensen (1999–2000) • Bertoldi (2004) 81–208 • Lo Cicero (ed. 2008) • Desachy (2012) • D’Aiuto (2013). 5. Vat.1 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 1778 Codice pergamenaceo, dell’inizio del XV sec., di origine italiana (centro-settentrionale); ff. I + 97 (ff. I, 50v0 e 97v0 bianchi); 236 × 165 mm. Il codice è composto da due unità: unità I: ff. 1–50; al f. 1 l’iniziale è dipinta di rosa con fini volute bianche con all’interno foglie trilobate e steli blu su fondo oro; il motivo si estende nel margine attraverso un filetto d’oro e rosa, decorato con

15 Cf. De la Mare (1978) 192–193; Manfredi (19892) 168–183.

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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volute nere e losanghe d’oro; nel margine inferiore sono presenti fini volute nere con fogliame, fiori e losanghe d’oro che incorniciano la posizione del blasone. unità II: ff. 51–97; al f. 51 l’iniziale è d’oro a bianchi girari; al f. 59v0 il margine è ornato con due steli d’oro con foglie d’acanto e volute di piccole foglie e fiori con pastiglie d’oro, l’iniziale è d’oro con filigrana viola; al f. 73 il bordo è decorato su 3 lati da un fine gambo nero con volute, fogliame e fiori; al f. 87 il bordo è adornato su 2 lati da un gambo d’oro e nero con foglie d’acanto, foglioline e fiorellini d’oro e colorati, l’iniziale d’oro è decorata all’interno con scacchi rosa, blu e oro. Al f. Iv0 si trova un indice dei contenuti vergato con una scrittura corsiva del XV sec. (forse) che però cita solo le Epistole di Plinio il Giovane e le opere di Apuleio, mentre la traduzione guariniana del Nicocles (Libellus Ysocratis contra adulatores per Guerinum [sic] Veronen < sem >) è stata aggiunta all’indice da un’altra mano (forse anch’essa del XV sec.). La prima unità codicologica, forse di origine italiana settentrionale, è opera di più mani: 1) i ff. 1–41v e 42–48v sono vergati in una scrittura gotica arrotondata, abbastanza spessa; l’inchiostro è nero per i ff. 1–41v, mentre è ingiallito per i ff. 42–48v; 2) i ff. 48v–50 presentano una scrittura umanistica primitiva; l’inchiostro usato è bruno. La seconda unità codicologica invece è stata vergata da una sola mano, caratterizzata da una rotonda scrittura umanistica primitiva e dall’uso di un inchiostro grigiastro. Del codice ho visionato la versione digitalizzata disponibile sul sito della Biblioteca Apostolica Vaticana: https://digi.vatlib.it/view/MSS_Vat.lat.1778. Il codice contiene: unità I: • Plinio il Giovane, Epistulae, lib. I–V, 6 (ff. 1–41v; titolo a margine: Incipit primus liber, successivamente è solo il II libro a essere numerato; manca l’ep. IV, 26); • Isocrate, Nicocles traduzione latina di Guarino Veronese, preceduta dall’epistola di dedica a Leonello d’Este e dall’Argumentum (ff. 42r–42v la lettera; f. 42v il proemio; ff. 42v–48v la traduzione); • Epigramma ad Peloponnesiacum Isthmon quod oraculum Delphis ab Apolline Pythio responsum fertur graece et latine (= Oraculum Apollinis de isthmo), traduzione latina precedente al 1455 (ff. 49r–50r); unità II: • Apuleio, De deo Socratis, preceduto dal proemio (ff. 51–59); • Ps. Apuleio, Asclepius (ff. 59v–72v); • Apuleio, De Platone et eius dogmate (titolo [add.]: Incipit Apolegius [sic] Mandarensis [sic] de nativitate et habitudine corporis Platonis et ipsius

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 Appendici

opinionibus tam in philosophia naturali quam morali; alla fine lo stesso titolo di mano del copista, più lungo: Explicit liber Apulegii  … tam in phy < losophi > a morali quam naturali in quo multa pulcra continentur; ff. 72v–86v); • Apuleio, De mundo (titolo [add.]: Incipit liber Apulegii de habitudine mundi et ipsius gubernatore et de multiplicitate fati; alla fine ritorna lo stesso titolo di mano del copista; ff. 87–97); • Excerptum dall’Anthologia latina 792 (priva di titolo; inc.: Cioco/Cioto [scil. Clotho] colum baiulat … ). Il codice contiene opere di carattere miscellaneo e le due unità codicologiche sono distinte anche in base al contenuto: la prima sezione è contraddistinta dalla presenza delle Epistole di Plinio il Giovane16, mentre la seconda dalle opere filosofiche di Apuleio. Nella prima unità poi si trovano anche due traduzioni umanistiche dal greco al latino (Isocrate, Nicocles, tradotto da Guarino; Oraculum de isthmo). La scelta delle opere evidenzia un preciso intento antologico: si vogliono riunire tutta una serie di testi classici, dal contenuto prevalentemente etico e filosofico. Per i libri dell’epistolario pliniano, il codice discende dal manoscritto Firenze, BML, S. Marco 284 (F), manoscritto che contiene anche gli «scritti minori» di Apuleio17. Per quanto riguarda invece la traduzione guariniana del Nicocles, Vat.1 sembra discendere direttamente dall’archetipo e costituire un ramo isolato della tradizione (cf. supra IV.7.1). Sul testo del Nicocles tràdito da Vat.1 è possibile identificare, grazie all’uso di un inchiostro più scuro e dallo spessore minore del tratto, una seconda mano correttrice (Vat.12) che interviene sovente a sanare ope ingenii gli errori di Vat.11. In fondo al f. 1 lo stemma del proprietario è stato cancellato, ma si possono ancora distinguere, in basso, delle nappe rosse, ciò che rimane di un cappello cardinalizio; il codice forse appartenne a Giordano Orsini, fu poi acquisito dalla Biblioteca durante il pontificato di Niccolò V ed è attestato negli inventari del 145518 (ed. p. 104, l. 4–5), 1475 (ed. p. 220, l. 12), 1481 (f. 44v, l. 1–5), 1518 (f. 20, l. 24–27), 1533 (Vat. Lat. 3951, f. 16v, l. 21) e 1550.

16 Il codice fa parte della tradizione cd. Delle Cento lettere, cf. Johnson (1912) 69. 17 Cf. la prefazione di Keil alla sua edizione delle Lettere di Plinio, Leipzig 1870, IV–V. 18 Nr. 685 item unus liber parvus ex pergameno cum duabus serraturis et cum ligni postibus, co­ pertus coreo croceo, nuncupatus Epistole Plini Secundi et multa alia opera. Cf. Manfredi (1994) 428 e 512 (nr. 40).

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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Bibliografia: • Müllner (1901) • Sabbadini (1905) • Nogara (1912) • Johnson (1912) 69 • Mercati (1926) 36 n. 1 • Fohlen (1985) 8, 47 • Pellegrin (1991) 394–395 • Lucentini (1992) 402 n. 39 • Klibansky (1993) • Manfredi (1994) • Lucentini (1995) 291 • Manfredi (1997) • Carboni/Manfredi (edd. 1999) • Stok (1999) 13; Bertoldi (2004) • Manfredi/Grafinger/Sheehan (2010) 6. Vat.5 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 5117 Codice membranaceo, miscellaneo; ff. I + 90 + II (ff. 1v–5v, 7r–7v,90v bianchi); mm. 140 × 200; 26 righe per foglio. Al f. 6r è presente un cartiglio con indice dei contenuti: Continentur in hoc volumine: Dialogus contra avariciam pogii florentini, / Epistole platonis de grego in latinit- translacte per L. aretinum, / Epistola Januensium ad regem francie de rebellione sua, / De regimine prin­ cipum Bernardi Justiniano,  / De subditis erga dominos guarini veronensis,  / Topica aristotilis in fine. Al f. 7r si legge una nota di possesso: Ad usum domini jacobi Gisi suorum amicorum. I capilettera sono decorati, i titoli e le iniziali rubricati; ci sono rade note marginali. La scrittura è umanistica, di due mani: 1) ff. 1r–80v; 2) 81r–90r. Del codice ho visionato la versione digitalizzata, reperibile sul sito della Biblioteca Apostolica Vaticana: https://digi.vatlib.it/view/MSS_Vat.lat.5117/ 0001. Il manoscritto contiene: • Poggio Bracciolini, Contra avaritiam (ff. 1r proemio; 1v–28v testo); • Platone, Epistolae, traduzione latina di Leonardo Bruni (ff.  29r–30r proemio, 30r–30v argumentum, 31r–57v); • Un’epistola dell’arcivescovo di Genova Pileo De Marini indirizzata al re di Francia (ff. 57v–64r; titolo: «Ad serenissimum regem Francie per Pilleum archiepiscopum Januensem pro civibus Janue et sibi nomine eorum in Johannem Bauciquaut olim gubernatorem suum»; inc.: Nostra serenissime regum et clementissime domine nostra merito ut verum … ; expl.: … gratie

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 Appendici

tue conmendatos habere debes justissime prudentissime et clementissime domine noster. Finis)19; • Isocrate, Ad Nicoclem, traduzione latina di Bernardo Giustiniani (ff. 65r– 72v; titolo presente: «De regimine principum»), con lettera di dedica a Lodovico Gonzaga (ff. 64v–65r); • Isocrate, Nicocles, traduzione di Guarino Veronese (ff.  73v–80v; titolo presente: Quomodo subditi se habere debeant erga dominus), preceduta dalla lettera dedicataria a Leonello d’Este (ff. 72v–73r) e dall’Argumentum (ff. 73r–73v)20; • Boezio, Thopica [sic] (= De topicis differentiis, l. IV), opera anonima e priva di titolo (ff. 81r–90r; inc.: Si quis operis titulum diligens examinator inspiciat)21. Il codice comprende per lo più traduzioni latine umanistiche di testi greci classici, accomunati dall’argomento etico e dalla tematica de principe, ad eccezione del De topicis differentiis che è un’opera di logica. Si allinea invece per quanto riguarda il contenuto etico-morale il dialogo Contra avaritiam di Poggio Bracciolini. Per quanto riguarda la traduzione del Nicocles di Guarino, Vat.5 sembra essere l’apografo di β, copia diretta dell’archetipo e capostipite di una nutrita famiglia di codici (cf. supra IV.3.1, IV.4.5. e IV.4.5.1). Bibliografia: • Kristeller (1977) 331 • Harth (1967) 41 • Newhauser (1986) 234 • Flüeler (1994) 117 • Hankins (1997) 205. 7. Co Como, Biblioteca comunale, ms. 4.4.6 Manoscritto cartaceo, miscellaneo del XV secolo, restaurato e usufruibile anche in versione fotocopiata; ff. II + 421 + I (ff. 93v, 172v, 240v, 290v–292v, 417v–421v bianchi), la guardia posteriore è del XX sec.; mm.  273  × 195. La numerazione è recente, al f. 5 inizia quella originale, erronea al f. 289 (ripe-

19 La lettera non è citata da Kristeller, cf. Kristeller (1977) 331; su Pileo De Marini cf. DBI, v. 38. 20 Kristeller la segnala come traduzione da Plutarco, cf. Kristeller (1977) 331. 21 Non riportata da Kristeller, cf. Kristeller (1977) 331.

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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tuto due volte) e al f. 417 (non numerato). Il codice è mutilo dei ff. 13, 14, 23 e 24 della numerazione originale. La scrittura è umanistica chiara ed elegante, di andamento corsivo; i fascicoli tra il f. 41r e il f. 172 presentano delle irregolarità nel ductus. Il testo è disposto su due colonne. Sono presenti iniziali decorate ai ff. 5r (in oro con fregi policromi), 41r (in oro); iniziali decorate in inchiostro policromo ai ff.  13v, 20v, 28r, 94r, 165r, 173r, 177r, 177v, 187v, 188r, 194r, 195r, 202v, 213v, 214r, 218v, 219v, 293r (in oro e fregi policromi); ai ff. 394v, 400r, 404v. sono anche presenti iniziali in bleu e rosso alternati; i titoli sono rubricati. Al f. 5r, in calce, compare lo stemma visconteo (biscione azzurro e fanciullo su campo ocra) con fregi (una corolla di rosa tratteggiata di rosso), quasi totalmente rifatto dal restauratore. Sul piatto anteriore e al f. 1r si trovano il timbro e la nota manoscritta di «Rag. Carlo Andreani Corenno Plinio, Lago di Como», il precedente propietario del codice; in calce al f. 1r compare anche la scritta del XVII sec.: «Hieronimi Scanagate». Ai ff. I–III si trova un’antica tavola dei contenuti, compilata dal copista in inchiostro rosso. Legatura rigida ricoperta in pergamena. Il codice è stato da me visionato personalmente. Il manoscritto contiene: • Plinio il Giovane, Epistole (I 1–V 6; ff. 1r–40v); • Gasparino Barzizza, Epistolae ad exercitationem accomodatae (ff. 41–87v); • G(asparinus Barzizza) Pergam(ensis) ad regem Apulie (ff. 87v–88v; inc.: Non sumus nescii); • Oratio Januensium ad… Filippum Mariam (ff. 88v–90v); • Un’epistola di Poggio (ff. 90v–93); • Lettere di Antonio Beccadelli, il Panormita, (ff. 94–121; Resta (ed. 1954) nrr. 339 (mutila), 443, 442, 354, 164, 541, 414, 405, 408, 353, 606, 603, 614, 401, 143, 404, 628, 372, 604, 630, 617, 625, 267, 592, 598, 605, 524, 175, 595, 616, 187, 629, 193, 609, 623, 602, 266, 409, 412, 150, 627, 607, 406, 577) e di Guarino Veronese (ff. 121–122; Sabbadini (ed. 1915) nr. 256); • Antonio Beccadelli, Descriptio effigei solis per Panormitam (= dissertazione De sole ff. 122–127); • Lettere di Antonio Beccadelli, il Panormita, (ff. 127–141; 143–145v; Resta (ed. 1954) nrr. 36, 311, 578, 581*, 579, 610, 620, 113, 85, 151, 5, 112, 262, 327, 392, 378, 611, 310, 140, 192, 154, 182, 155, 114, 188, 109, 115, 67, 361, 312, 360, 68, 587, 105, 303, 69) con un’epistola da parte di Filippo Maria Visconti (ff. 130r–130v); • Lettere di Guarino (ff.  141–142v, Sabbadini (ed.  1916) nrr. 614, 655–657; 145v–146, Sabbadini (ed. 1916) nrr. 660, 665), di Lorenzo Valla (ff. 142v, 145v; Besomi/Regoliosi (ed. 1984) nrr. 3–4), di Poggio (ff. 144r–144v; Sabbadini (ed. 1915) nr. 61), del Panormita (ff. 146–151v; Resta (ed. 1954) nrr.

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 Appendici

93,582, 523, 359, 168, 126, 181, 147, 452, 198, 178, 131, 158, 176, 148, 269, 447, 474, 469, 426, 618, 128, 177); • Leonardo Bruni, Oratio pro funere Joh. Stroze (ff. 151v–160v); • Una lettera di Leonardo Bruni (ff. 161–162; Luiso (1980) VI 1, 112); • Antonio Beccadelli, Hermaphroditus (ff. 162r–162v); • Lettere del Panormita (f.  162v), di Guarino (ff.  162v–163v; Sabbadini (ed. 1916) nrr. 661, 658), di Francesco Filelfo (a Maffeo Vegio; ff. 163v– 164), di Luchino Belbello (ff.  164r–164v; Sabbadini (ed.  1916) nr.  659), di Maffeo Vegio (f. 164v; Sabbadini (ed. 1919) 315), di Luchino Belbello (ff.  164v–165; inedite, indirizzate a Francesco Filelfo e a Francesco Picinino); • Basilio di Cesarea, De studiis (= Epistola ad adulescentes), traduzione latina di Leonardo Bruni, accompagnata alla prefazione (ff. 165–172); • Plutarco, De liberis educandis, traduzione latina di Guarino, accompagnata dalla prefazione (ff. 177–187); • Basilio di Cesarea, De studiis (= Epistola ad adulescentes), seconda copia della traduzione latina di Leonardo Bruni, accompagnata alla prefazione (ff. 187v–194); • Senofonte, Tyrannus (=Hieron), traduzione latina di Leon Battista Alberti corredata dalla prefazione (ff. 194–202v); • Phylodosios fabula (ff. 202v–213v); • Lettere di Cosma Raimondo (ff. 213v–214; De laudibus eloquentie, ff. 214– 218v); • Poggio Bracciolini, Contra avaritiam (ff. 218v–239v); • Leonardo Bruni, prefazioni al suo De primo bello Punico (ff. 241r–241v) e alla sua versione dell’Etica Nicomachea aristotelica (ff. 241v–244, Luiso (1980), 104); • Leonardo Bruni, De studiis et litteris (ff. 244–250v); • Una lettera di Leonardo Bruni (ff. 250v–252v); • Una lettera indirizzata al Bruni (ff. 253r–253v); • Brevi discorsi di Eschine, Demade e Demostene (ff. 253v–254); • Demostene, Oratio ad Alexandrum (ff. 254–255); • Domina Baptista Malatesta, oratio (ff. 255r–255v); • Concilio Constantiniensi oratio P. Turci pro parte civitatis Arimini (ff. 255v– 258v); • Lettere indirizzate a Carlo e Malatesta (ff.  258v–259v) e a Guidantonio conte di Montefeltro (ff. 259–269); • Lettere di Guarino (ff.  269v–270r, Colombo (1965), 230–232; Sabbadini (ed. 1915) nrr. 29, 171, 345, 346, 358, 478, 485, 493, 494, 344; Sabbadinid (ed. 1916) nr. 651; 274v–275r Colombo (1965), 228–230) e di Poggio Brac-

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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ciolini (ff. 275v–284; Harth (ed. 1984) II 7, II 12, II 10, IV 10, IV 11, IV 13, V 7, VI 2, VI 13, VI 15, VII 2, VII 5); • Poggio Bracciolini, Invectiva in Philelphum (ff. 284v–287v); • Gasparino Barzizza, Oratio (ff. 288–289); • Un’orazione anonima (ff. 289r–289v); • Due lettere di Gasparino Barzizza a Pietro Tomasi (ff. 289v–290); • Lettere di Lapo da Castiglionchio (ff. 292–362); • Johannis Os Auri (Chrysostomi) ad Theodorum lapsum epistola (ff. 362v– 368v); • Una lettera di Ambrogio Traversari a Giovanni Aretino (ff. 368v–369); • Una lettera di Rinuccio Aretino a Giovanni Aretino (ff. 369r–369v); • Lettere di Leonardo Giustiniani (a Guarino, ff. 369v–371) e di Pier Paolo Vergerio (a Ludovico de Aledoxiis, ff. 371–375); • Una lettera anonima indirizzata a Gianfrancesco Gonzaga da Bologna (ff. 375–380v); • Carlo Marsuppini, prefazione alla sua versione della Batrachomyomachia omerica (ff. 380v–381v); • Senofonte, Praefectus equitum (= De re equestri), traduzione latina di Lapo da Castiglionchio, accompagnata dall’epistola di dedica a Gaspare Tudertino di Villanova (ff.  381v–382v la dedica; ff.  382v–392v la traduzione); • Una lettera anonima (f. 393); • Oratio Jacobi Pisauri pro… Sigismundo Pandulfo de Malatestis ad Franc. Sfortiam (ff. 393v–399); • Ps. Platone, Axiochus, traduzione latina di Cencio de’ Rustici (ff.  399– 403); • Isocrate, Isocrates, de regno (= Ad Nicoclem), traduzione latina di Bernardo Giustiniani, con la lettera di dedica a Lodovico Gonzaga (ff. 403r– 403v l’epistola, 403v–409v la traduzione); • Isocrate, Isocrates de subditorum instructione (= Nicocles), traduzione latina di Guarino (ff. 409v–416; la versione è anonima). Il manoscritto contiene opere di carattere miscellaneo: si tratta per lo più di epistole di umanisti (112 lettere del Panormita, un’importante raccolta epistolare di Lapo da Castiglionchio, 25 lettere di Guarino e altre sciolte del Bracciolini, del Raimondi, del Bruni, del Vegio, del Traversari, di Leonardo Giustiniani, del Vergerio e del Barzizza), ma compaiono anche opere classiche, alcune delle quali in traduzione, e orazioni di umanisti; il codice sembra dunque essere stato assemblato con l’intento di fornire soprattutto dei modelli di scrittura. Dal contenuto e dall’osservazione delle caratteristi-

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 Appendici

che fisiche del manufatto sembra quindi che il manoscritto fosse una copia eseguita ad uso personale (lettura e studio). Secondo James Hankins, che ha visto il manoscritto il 12 giugno 1991, il copista sarebbe Pier Candido Decembrio22. Il dato è interessante, dal momento che Decembrio fu in contatto con Humfrey duca di Gloucester, donatore di un codice da una copia del quale discenderebbero i manoscritti C, D, L ed O (cf. supra nr. 3 e infra nr. 8, 10 e 16). Cesare Colombo23 propone di identificare il destinatario del manoscritto con un membro della casata dei Visconti, lo stesso del codice Napoli, Biblioteca Nazionale, IV G 33, sull base della lettera I (l’unica leggibile) che compare al f. 1r accanto allo stemma visconteo. Per quanto riguarda le epistole degli umanisti, Co è strettamente legato con il codice Legnano, Istituto Barbara Melzi, 3, la cui prima sezione, mutila all’inizio, corrisponde esattamente a quella del manoscritto comasco ai ff. 102v–164v. Oltre alla emdesima successione delle opere, i due esemplari concordano in molte lezioni estranee al resto della tradizione; tuttavia, tra loro risultano essere indipendenti24. Quanto al Nicocles tradotto da Guarino, Co mostra forti evidenze congiuntive con il manoscritto V1 (cf. infra nr. 23): i due sarebbero codici fratelli, discendenti dall’archetipo tramite un codex interpositus (cf. supra IV.6). Sul testo sono identificabili numerosi interventi ad opera di una seconda mano (Co2), riconoscibile per l’uso di un inchiostro più scuro e da uno spessore inferiore del tratto rispetto a quello usato dal copista principale (Co1), oltre che alla grafia diversa di alcune lettere (a, d, e ed r). Co2 non sembra avesse un’altra copia del Nicocles sottomano: infatti, diverse correzioni sono chiaramente ope ingenii e, anche se corrette da un punto di vista grammaticale, non restituiscono il testo originale. Bibliografia: • Codici Latini fino al sec. XVI (XIV–XVI), 2 • Inventario dei Manoscritti, Biblioteca Comunale di Como, Manoscritti, Catalogo di posizione, compilato nell’agosto 1888 • Kristeller (1963) 47 • Colombo (1965), 212–233 • Capra/Colombo (1967) 251–254 • Besomi/Regoliosi (ed. 1984) 16, 30–31, 41, 100 • Hankins (1990) 678 22 Quest’informazione l’ho reperita consultando la scheda di censimento del codice, compilata in data 18 dicembre 1987. 23 Cf. Colombo (1965) 215. 24 Cf. Capra/Colombo (1962) 251–254; Besomi/Regoliosi (ed. 1984) 40–42.

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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Hankins (1997) 29 Gualdo Rosa (ed. 2018) 9–10.

8. D Dublin, Trinity College Library, ms. 438 (D 4. 24) Codice membranaceo, miscellaneo, allestito ad Oxford tra il 1449 e il 1451; ff. III + 136 (guardia in pergamena, di epoca medievale); mm. 165 × 113; ca. 23 righe per foglio. La scrittura è gotica, di diverse mani; sono presenti richiami e annotazioni marginali di più mani, alcune delle quali in lingua inglese. I margini sono ornati con strisce dorate e colorate, fiori, fogliame e steli di vite anch’essi dorati e colorati. Le iniziali sono decorate: ve ne sono a colori su fondo oro e a colori, con fogliame. La decorazione include un certo numero di stemmi: quello della casa reale d’Inghilterra (ff. 3v e 45); forse quelle dei duchi d’Olanda di Exeter (f. 3v); quello di John Tiptoft, conte di Worcester (ff. 4, 5v e 92 nel margine); quello forse di John Manyngham, (f. 4 nel margine). Ai ff. 1v e 136v si trova la nota del copista: Hos libros (hunc libellum) compilavit magister Johannes Manyngham artium magister secretarius et scriba alme universitatis Oxonie; al f. 1v compare un antico indice dei contenuti. Sia nella tavola dei contenuti sia nella nota del copista al f. 136v vengono alternati ad ogni riga l’inchiostro rosso e viola. Ho visionato il manoscritto in riproduzione a colori. Il codice contiene: • Senofonte, Tyrannus (= Hieron), traduzione latina di Leonardo Bruni (ff. 4r–23v); • Isocrate, Nicocles, traduzione latina di Guarino Veronese, con il solo Argumentum (ff. 24v–40v; titolo: Oratio Nichodis [sic] regis ad subditos suos); • Luciano, Contencio Alexandri Hanibalis, Scipionis et regis Henrici quinti de presidentia coram Minoe (= Dialogi mortuorum, XII), traduzione latina di Giovanni Aurispa (ff. 41r–48r); • Omero, Orazioni (= orazioni da Hom., Il. IX), traduzione latina di Leonardo Bruni (ff. 48v–59r); • Albertano da Brescia, Quibus casibus fit iustum bellum (ff. 59v–62r); • Albertano da Brescia, De preparatione ad bellum (ff. 62r–63r); • Albertano da Brescia, De amore et dilectione Dei et proximi et aliarum rerum et de forma vitae liber III, caput I: De acquirendis et conservandis opibus (ff. 63v–65v); • Ps. Isocrate, Ad Demonicum, traduzione latina di Lapo da Castiglionchio (ff. 66r–79r); • Isocrate, Ad Nicoclem, traduzione latina di Lapo da Castiglionchio (ff. 79v–91v);

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 Appendici

• Plutarco, De assentatoris et amici differencia (= Quomodo adulator ab amico internoscatur), traduzione latina di Guarino Veronese, con lettera dedicatoria a Leonello d’Este (ff. 92r–93v la dedica; ff. 92r–120v la traduzione); • Ps. Platone, Socrates de morte contemnenda (= Axiochus), traduzione latina di Cencio de’ Rustici con lettera dedicatoria al cardinale Giordano Orsini (cc. 120v122r, l’epistola; ff. 120v–132v la traduzione); • Plutarco, Sermo de virtute et vitio, traduzione latina di Cencio de’ Rustici (ff. 133r–136v). I testi contenuti nella miscellanea vertono sulla tematica de principe. Il codice trasmette, infatti, le traduzioni di Isocrate (l’Ad Demonicum e l’Ad Nicoclem tradotti da Lapo da Castiglionchio; il Nicocles tradotto da Guarino) e la versione bruniana dello Hieron; a questi testi si aggiungono i trattati sulla guerra di Albertano da Brescia e un estratto dal suo De amore et dilexione Dei et proximi in cui si affronta la questione dell’acquisizione e della conservazione delle ricchezze. Anche le ultime tre traduzioni contenute nel codice, pur trattando di argomenti più genericamente morali, non risultano del tutto estranee a questo tema, così come sono pure legati alla tematica della guerra e del governo il dialogo lucianeo e i discorsi dal IX dell’Iliade. Dunque, i testi contenuti nella miscellanea risultano essere stati selezionati e raccolti per uno scopo ben definito, oltre che per un preciso destinatario. Il manoscritto è insolitamente ricco di informazioni sulla sua composizione e sulla sua storia: al f. 1v il compilatore, John Manyngham, si definisce secre­ tarius et scriba alme universitatis Oxonie, indicazione che ci permette di individuare l’arco cronologico entro cui collocare l’allestimento del codice: Manyngham fu, infatti, archivista dell’università di Oxford dalla fine del 1451 alla fine del 1477; tuttavia si può restringere l’intervallo: il manoscritto è apparentemente destinato a John Tiptoft (chiamato strenuissimus comes), conte di Worcester e dunque si può approssimare la data di confezionamento della miscellanea a partire dal 1 luglio 1449, data in cui Tiptoft fu, appunto, nominato conte di Worcester25. Elementi paleografici e codicologici fanno pensare a una genesi complicata del codice, che non è certamente il prodotto di un breve periodo di copiatura effettuato da un solo studente. Infatti, si possono individuare diverse fasi di compilazione della miscellanea: i primi due testi, pur essendo copiati da mani

25 Per una proposta di datazione ancora più precisa cf. O’ Sullivan (1962); l’ipotesi di O’ Sullivan è stata però rigettata da Rundle nella sua inedita tesi di dottorato, cf. Rundle (1997) 348–354.

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

 219

diverse, furono subito giustapposti e solo a questo punto decorati. Il resto del codice forma un fascicolo autonomo e la numerazione dei folia inizia nuovamente in corrispondenza con il suo primo testo (cioè il dialogo lucianeo). La maggior parte delle opere è scritta dalla stessa mano, forse la stessa che aveva copiato il primo testo contenuto nel manoscritto; la stesura del dialogo di Luciano, invece, con l’aggiunta dei discorsi a Enrico V è evidente, secondo Rundle, che sia frutto del lavoro di più copisti26. Rundle fa inoltre notare come sia chiaro l’intento di Manyngham di donare il codice a John Tiptoft: a parte la presenza del suo stemma (ff. 4, 5v, 92), il compilatore altera la prefazione dell’Axiochus pseudo-platonico, di modo che la traduzione risulti indirizzata al conte e i riferimenti al traduttore, Cencio de’ Rustici, figurino alla terza persona. L’omissione anche di altre prefazioni, come quella del Nicocles tradotto da Guarino, potrebbe spiegarsi sempre alla luce della destinazione del codice: si eliminano tutti i riferimenti non pertinenti a John Tiptoft. Sono stati identificati alcuni degli antigrafi di alcune opere contenute nella miscellanea: per le orationes Homeri e i testi ai ff. 41r–48r, 48v–59r e 133r– 136v l’antigrafo è stato identificato con il manoscritto Padova, Biblioteca del Seminario, 119, scritto a Firenze intorno al 1440 e giunto in Inghilterra nel 1442; altri testi, invece, furono esemplati su codici appartenuti ad Humfrey di Gloucester. Tuttavia, Rundle ritiene che almeno la traduzione bruniana dello Hieron senofonteo non derivi direttamente dal manoscritto di Humfrey (London, British Library, Harl. 3426), ma da O (cf. infra nr.  16)27. Dunque, tutte le opere umanistiche contenute in D e assenti nel manoscritto padovano potrebbero derivare da O (i testi in questione sarebbero: la traduzione bruniana dello Hieron senofonteo, la versione latina del Nicocles di Guarino, le traduzioni da Isocrate di Lapo da Castiglionchio, Ad Nicoclem e Ad Demo­ nicum, e Plutarco, Quomodo adulator ab amico internoscatur tradotto da Guarino). Secondo Rundle, però, è necessario postulare l’esistenza di un anello intermedio, cioè D non deriverebbe direttamente da O28; di diverso

26 Ai tre personaggi lucianei protagonisti del XII dei Dialoghi dei morti viene aggiunta la figura di Enrico V (re d’Inghilterra dal 1413); l’inizio del testo è scritto dalla mano principale, mentre laddove si inserisce l’aggancio con l’attualità la mano è diversa, così come il discorso finale è opera di una terza mano. Sull’ipotesi di datare il discorso di Enrico V prima del 1440 cf. O’ Sullivan (1962) 36–37 e Rundle (1997) 348–354. 27 L’ipotesi dello studioso si basa sul fatto che gli incipit della traduzione del Bruni sono diversi nei due manoscritti: Xenophontis philosophi quendam libellum quem ego ingenii excercendi gratia Harl. 3426 : Zenophontis philosophi qui quendam libellum quem ego ingenii excercendi causa D. 28 Cf. Rundle (1997) 352–353.

220 

 Appendici

parere è Sammut29 che pensa che D sia in qualche modo legato all’esemplare da cui discenderebbero O, C (cf. supra nr. 3) ed L (cf. infra nr. 10) e che appartenne ad Humfrey di Glouchester e fu da lui donato all’università di Oxford nel 1444. L’analisi filologica del testo del Nicocles mi ha portato a confermare l’ipotesi di Sammut: D è imparentato con O, C ed L e tutti deriverebbero da un unico esemplare, ma O, C ed L tramite un codex interpositus (cf. supra IV.5.1). Tale ricostruzione dei rapporti stemmatici sembra valere anche per le traduzioni del Nicocles e dell’Ad Nicoclem di Lapo da Castiglionchio30. Per questi due testi, inoltre, sembra che D sia l’antigrafo di B (cf. infra nr. 9)31. Sul testo del Nicocles tràdito da D è forse possibile identificare due mani (D2 e D3), oltre a quella principale (D1), che intervengono per emendare gli errori di D1, anche se non sempre con esito felice. Per continuare a percorrere la storia di D, qualche anno dopo che il codice entrò in possesso di John Tiptof, il conte si recò in pellegrinaggio in Terra Santa e sembra che avesse lasciato il manoscritto in custodia ai monaci della Christ Church di Canterbury. Qui è noto che la traduzione dello Hieron di Senofonte eseguita da Bruni fu copiata da Henry Cranebroke nel manoscritto B; nello stesso contesto Cranebroke dovette avere accesso anche ad altri manoscritti umanistici: la copia della traduzione del Nicocles di Guarino, infatti, include anche la lettera di dedica a Leonello d’Este che non è trasmessa da D e, dunque, deve essere stata esemplata su un altro codice, come la mia collazione ha confermato32. Non si sa se Tiptoft abbia mai recuperato la miscellanea di Manyngham; può essere che essa sia rimasta nella Christ Church fino a quando entrò in possesso, con altri manoscritti conservati nel monastero, di Richard St. George all’inizio del XVIII secolo. Bibliografia: • Bernard (1697) 48 n. 820 • Abbott (1900) 68 n. 438 • Esposito (1922) 137 n. 1 • O’ Sullivan (1962) • Sammut (1980) 14 n. 75, 128 29 Cf. Sammut (1980) 128. 30 Cf. Regini (2017) 52, la studiosa, però, non avendo collazionato C (cf. supra nr. 3), non aveva potuto verificare se tale ricostruzione fosse valida anche per le traduzioni di Lapo dell’Ad Nico­ clem e del Nicocles, anch’esse contenute in questo codice. Lo studio della Gualdo Rosa non solo ha confermato le conclusioni della Regini, ma le ha anche estese a C, cf. Gualdo Rosa (ed. 2018) 48 e 51. 31 Cf. Gualdo Rosa (ed. 2018) 51. 32 Rundle, invece, riteneva che il suo antigrafo fosse una copia di O, cf. Rundle (1997) 353.

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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Kristeller (1983) 195b Colker (1991) 867–870 Hankins (1997) 31 Rundle (1997) 348–35433 Bandini (2007), 40 Cocco (ed. 2010) XXVI n. 56 Regini (2017) 48–53 Gualdo Rosa (ed. 2018) 48–49, 51

9. B London, British Library, Royal 10 B IX Manoscritto cartaceo, miscellaneo e composito, del XV secolo; ff. II + 258 + IV; le guardie iniziali sono cartacee, così come tre di quelle finali; la quarta guardia membranacea è un frammento di una dichiarazione giurata di Londra della metà del XV secolo, contenente un elenco di consiglieri comunali, commissari e «scavageours»; i nomi di William Astwyke e di Henry Torkington sono citati due volte, forse scritti da Cranebroke. La scrittura è di diverse mani; la rilegatura è posteriore al 1600. Il codice si compone di VI unità: Unità  I: ff.  1–45v, 57–64, 121–139v, 168–201v, 254–258v; di origine inglese, databile tra il 1411 e il 1453; 295 × 210 mm. La scrittura è una gotica corsiva, sono presenti iniziali fiorite (al f.  11v modelli di iniziali fiorite e disegni di fiori ed un albero). Questa sezione contiene un formulario di testi epistolari modello in francese, latino e inglese. Unità  II: ff.  46v–56v, 64v–89; di origine inglese (Canterbury), databile al 1459–1462; 295 × 215 mm. La scrittura è una gotica corsiva, forse la mano è di Henry Cranebroke; non ci sono decorazioni. Questa parte contiene una raccolta di trattati retorici e traduzioni latine umanistiche di testi classici greci. Unità III: ff. 91–120v; XV sec.; 295 × 205 mm.; non ho trovato informazioni sulla sua origine e sulla sua datazione. Il testo, disposto su due colonne, è vergato in una scrittura gotica corsiva; le iniziali sono rubricate; sono presenti inoltre segni di paragrafi, sottolineature ed evidenziazioni in rosso. La sezione contiene un dizionario di termini legali ed un trattato di Matteo di Cracovia. Unità IV: ff. 140–146v, 147v–167v; XV sec.; 295 × 205 mm.; non ho trovato informazioni sulla sua origine e sulla sua datazione. La scrittura è un’umanistica corsiva, non sono presenti delle decorazioni. L’unità contiene testi umanistici (opere umanistiche in latino e traduzioni in latino di testi greci classici). Unità V: ff. 202r–222v; di origine inglese, del XV sec. La scrittura è una gotica corsiva, le iniziali sono state lasciate bianche. La sezione contiene alcuni modelli epistolari e un trattato giuridico in latino di Giovanni Calderino. 33 La tesi dottorale non è pubblicata, ma se ne trova un estratto in rete.

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 Appendici

Unità VI: ff. 223–253v (f. 233v bianco), di origine inglese, databile al secondo o terzo quarto del XV sec.; 290  × 210  mm. (220  × 150). La scrittura è una gotica corsiva, le decorazioni sono assenti. L’unità contiene trattati giuridici in latino. Ho visionato il manoscritto in riproduzione in bianco e nero. Il codice contiene: UNITÀ I: • Lettere di stato in francese, molte delle quali hanno a che fare con il segretario del re o con l’arcivescovo di Canterbury, datate intorno al 1395 (ff. 1r–12v); • Regole per scrivere un testamento (ff. 13r–16v); • Modelli epistolari e libelli riguardanti cause ecclesiastiche (ff. 16v–24v); • Computacio numeralis, tavola dei numeri numerali romani (f. 25r); • Compendium dictaminis, trattato sulla composizione epistolare (ff. 25v– 21r; inc.: Arridet in prosperis amicus amico; expl.: Domini et amici caris­ simi, quia meum salutare ad manus); • Modelli epistolari (ff. 31v–35r); • Prohemium memoriale super visitatione domini Laurencii Ratholds militis et baronis Ungariae factum de purgatorio Sancti Patricii in Insula Hibernia (ff. 36v–37r); • Purgatorium S. Patricii (ff. 37r–44v); • Lettere riguardanti l’università di Parigi, frammentarie (ff. 44v–45v); • Modelli epistolari (ff. 57r–64r); • Modelli epistolari (f. 121v); • Corrispondenza tra John Tiptoft ed Henry Cranebroke, in latino e in inglese, relativa al periodo 1451–1452 (ff. 121v–122r); • Stefano Trevisano, lettera al priore di St. Thomas a Canterbury, datata 1453 (f. 122v); • Due sermoni (ff. 124v–128r); • Lettere fittizie, con riferimenti a figure etimologiche (ff. 129r–132v); • Anonimo, orazione riguardante il Concilio di Costanza, nella quale si menzionano l’imperatore Sigismund e Robert Hallam, vescovo di Salisbury (ff. 132v–136r); • Modelli epistolari (f. 168r); • Tractatus de dictamine (ff. 178r–183v; inc.: Regina sedens rethorica); • Modelli epistolari (ff. 184r–201r); • Modelli epistolari e brevi testi di carattere miscellaneo (ff. 253v–259v): • Una causa fittizia contro un uomo onesto, in francese (f. 256r); • Una nota sulla matematica (f. 258r);

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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Interpretationes mortis (ff. 258r–258v); Un frammento di un’epitome di un racconto sulla guerra di Troia, probabilmente tratta da Darete Frigio (f. 258v).

UNITÀ II: • Tractatus rethoricus (ff. 46v–48r: inc.: Rethorica est bene sciendi Scientia in civilibus); • Tractatus rethoricus (ff. 48r–50v; inc.: Plato in Thimeo ait sermonem); • Ars versificandi et componendi omnia metra (ff.  51r–52r; inc.: Quoniam versus metrica est oratio); • Regule omnium metrorum et versuum (ff. 52r–52v; inc.: (V)ersus est metrica oratio); • Orazioni (ff. 53r–55r; inc.: Si hoc ita datum erat); • Filippo d’Argentina, lettera al convento di St. Thomas a Canterbury, datata 1462 (f. 55v); • Senofonte, Tirannus (= Hieron), traduzione latina di Leonardo Bruni preceduta dal prologo (ff. 64v–67r), datata 1459; • Quedam excerpta ab opuscolo contra raptores Edwardo regi Anglie 3° tran­ smisso…per H. Cranbroke (f. 67v); • Basilio di Cesarea, De studiis secularibus (= Epistula ad adulescentes), traduzione latina di Leonardo Bruni (ff. 68r–70v), con lettera dedicatoria a Coluccio Salutati, con data 1459 alla fine della dedica; • Ps. Platone, Socrates de morte contempnenda (= Axiochus), traduzione latina di Cencio de’ Rustici, datata 1459 (ff. 70v–71v); • Ps. Isocrate, Ad Demonicum, traduzione latina di Lapo da Castiglionchio, datata 1459 (ff. 72r–73v); • Isocrate, Oracio aniclolem de regno (= Ad Nicoclem), traduzione latina di Lapo da Castiglionchio, datata 1459 (ff. 73v–75v); • Plutarco, De assentatoris et amici differentia (= De differentia adulatoris et amici), traduzione latina di Guarino Veronese, con lettera dedicatoria a Leonello d’Este, datata 1459 (ff. 75v–79v); • Leonardo Bruni, Invectiva contra ypocritas (ff. 79v–81r); • Isocrate, Ad Nichodem de rege (= Ad Nicoclem), traduzione Latina di Bernardo Giustiniani (ff. 81r–83r); • Isocrate, Oratio de subditis penes regem (= Nicocles), traduzione latina di Guarino Veronese, accompagnata dall’Argumentum e dalla lettera dedicatoria, datata 1459, a Leonello d’Este (ff. 83r–85v); • Ps. Plutarco, De ingenuorum educacione (= De liberis educandis), traduzione latina di Guarino Veronese, con lettera dedicatoria ad Angelo Corbinelli (ff. 85v–89r).

224 

 Appendici

UNITÀ III: • Exposicio dictionumiuris maxime civilis, vocabolario di termini legali (ff. 91r–118v); • Matteo di Cracovia, Ad sciendum quando peccatum aliquid sit mortale vel veniale (ff. 119r–120v). UNITÀ IV: • Parafrasi da San Girolamo, ep. 72 (f. 140r); • Ps. Luciano, Asinus, traduzione latina di Poggio Bracciolini, con lettera dedicatoria (ff. 140v–144v); • Anonimo, dialogo (ff.  144v–145v; inc.: Dorias civis Atichus iter faciens erore vie); • Declamatio Emi (inc.: Accidit res michi iudices inusitata), con lettera dedicatoria (inc.: Cum grece lego declamationis genus) (ff. 145v–146v); • Lombardo da Serico, De institutione vitae suae (ff. 147v–148r; inc.: Fervet animus); • Leon Battista Alberti, Virtus dea (ff. 148r–148v; inc.: Virtus deos perorave­ rat epistolas); • Isocrate, Ad Nicoclem, traduzione latina di Bernardo Giustiniani, frammentaria (ff. 148v–150v); • Modelli epistolari (ff. 151r–153v); • Excerpta da Strabone (f. 154r). UNITÀ V: • Modelli epistolari (cc. 202r–222v); • Giovanni Calderino, De ecclesiastico interdicto (cc. 202r–222v). UNITÀ VI: • Francesco Degli Atti, Tractatus Francisci episcopi Clusini de quarta relicta ffratribus (ff. 223r–226r); • Bartolo da Sassoferrato, Tractatus de testimoniis (ff. 226v–231r); • Bartolo da Sassoferrato, De alimentis (ff. 231v–233r); • Anonimo, Tractatus de cessionibus (ff. 234r–236v; inc.: Quoniam materia de cessionibus iurium utilis est); • Giovanni da Lignano, De statutis (ff. 237r–245r); • De argumentis (ff.  245v–247v; inc.: Quia in omni iuris remedio prius ad ordinarium); • Bartolo da Sassoferrato, De expensis (ff. 248r–253r). Il manoscritto, di contenuto miscellaneo, si compone di un nucleo originario e di aggiunte in fasi diverse. La prima unità consta di una sezione originale,

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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un formulario epistolare in francese, latino ed inglese, databile tra il 1411 e il 1453, e di testi aggiunti successivamente, in momenti diversi e in varie parti del codice, inserti questi tutti ad opera di una sola mano. La foggia del manufatto suggerisce che il manoscritto sia stato allestito per un uso personale (lettura e studio). Il manoscritto, non ancora provvisto di tutte le sei unità, appartenne a Henry Cranebroke, umanista e monaco della Christ Church di Canterbury, morto nel 1466, che acquistò il codice nel 1452 da J. Hynder, cappellano e forse monaco del monastero34; queste notizie le si ricava dalle annotazioni presenti al f. 1r: Liber de perquisito dompni Henrici Cranebroke monachi eccl[es]ie Christi Can­ tuar[iensis] anno verbi incarnati Mmo CCCCmo LIIo, e al f. 201r: Liber de perquisi­ t[us] dompni Henric[i] Cranebroke mo[na]ch[i] eccl[es]ie Christi Cantuar[ensis] que[m] emit de d[omi]no I. Hynder capell[ano] 1452. Henry Cranebroke fece varie aggiunte, scritte in tutto o in parte di sua mano, e, in particolare, nel 1459 copiò su questo manoscritto, ai ff. 64v–89r della seconda unità, le traduzioni umanistiche, come si evince dall’indicazione cronologica riportata alla fine di ogni opera. Si può notare come questi testi siano accomunati dalla tematica de principe e più genericamente dal carattere precettistico e morale. Le tre orazioni cipriote di Isocrate compaiono tutte, anche in più versioni: l’Ad Demonicum e l’Ad Nicoclem tradotti da Lapo di Castiglionchio (ff. 72r– 73v), l’Ad Nicoclem nella versione di Bernardo Giustiniani (ff.  81r–83r) e il Nicocles (ff. 83r–85v) tradotto da Guarino. Come si è detto precedentemente, secondo Rundle l’antigrafo, almeno per la traduzione bruniana dello Hieron e le versioni di Lapo delle due orazioni cipriote isocratee, fu il codice D (cf. supra nr. 8), mentre per gli altri testi Cranebroke dovette servirsi di uno o più manoscritti diversi, forse di una copia di O (cf. infra nr. 16). Che D non possa essere l’antigrafo per la traduzione guariniana del Nicocles è confermato dal fatto che B riporta anche la lettera dedicatoria a Leonello d’Este, non trasmessa da D. La mia collazione ha in effetti dimostrato come B, per il testo del Nicocles, non sembri essere legato agli altri codici inglesi, ma costituisca una sottofamiglia con C.11 e il suo descriptus N (cf. supra nr. 2 e infra nr. 15 e IV.4.2 e IV.4.3). Pertanto, l’antigrafo di B per il Nicocles non è sicuramente D, ma pare essere lo stesso di C.11, da me indicato come j. Dopo Henry Cranebroke, il codice entrò in possesso dell’arcivescovo di Canterbury Thomas Cranmer (1489–1556), come si evince dalla nota di possesso al

34 Il suo nome compare nel necrologio della Christ Church contenuto nel manoscritto London, British Library, Arundel 68, f. 18r.

226 

 Appendici

f. 1 Thomas Cantuarien[sis]; sullo stesso folio compare anche un’altra annotazione relativa al nome del successivo proprietario del codice, il barone bibliofilo John Lumley (1533–1609)35. Dopo la morte di Lumley, la sua biblioteca venne acquistata dal principe del Galles Henry Frederik (1594–1612); infine il manoscritto entrò, prima del 166636, a far parte della collezione della Old Royal Library, ceduta nel 1757 al British Museum da George II. Bibliografia: • Burbridge (1892) 8 • Ward/Herbert (1893) 489–92 • Warner/Gilson (1921) 314–21 • Richardson (1939) 436, n. 2 e 437, n. 4 • Richardson (1941) 263, nr. 23, 264, nr. 27, 265, nr. 36, 266, nr. 40, nr. 41, 267, nr. 49, 268, nr. 57, 272, nr. 72, 277, n. 12, 279, n. 38, 280 • Weiss (19411), 113 n. 5, 130 nn. 6–7, 131 nn. 1–2 • Weiss (19412) 447 n. 3 • Pantin (1950) 11–12, 68–72 n. 83, 94 n. 107, 103–105 nn. 122–25 • Talbot (1952) 410 • Jayne/Johnson (1956) 150 • Jacob (1961) 358, n. 22 • Crowder (1964) 492, n. 71, 504, n. 10 • Ker (1964) 37, 240–241 • Schofield (1964) 276 n. 74 • De La Mare/Hunt (1970) 11–12, no. 22 • Watson (1979) no. 884 • Sammut (1980) 128, 131 • Bursill Hall (1981) 119, no.161 • Kristeller (1989) 200 • Polak (1994) 345–46 • Camargo (1995) 103, 148–50, 165–66, 169–71, 176–218, 220. • Selwyn (1996) 188–90, 205, 259 • Hankins (1997) 94 • Coates (1999) 105 • Dean/Bolton (1999) no. 324 • Caprioli (2006) 23, n. 58, 29 • Copeland (2016) 508

35 Il codice è inoltre inventariato nel catalogo della sua collezione Jayne-Johnson (1956) 150. 36 Il manoscritto compare infatti nel catalogo del 1666, Royal Appendix 71.

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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Regini (2017) 42–46 Gualdo Rosa (ed. 2018) 49–50, 51

10. L London, Lambeth Palace Library, ms. 341 Manoscritto membranaceo, di origine inglese, databile alla fine del XV secolo; ff. V + 213 + II (ff. 79–80, 128, 142v, 173v bianchi, come pure i 5 fogli finali); mm. 254 × 165. La scrittura è un’umanistica angolosa (non inglese); il testo è disposto su due strette colonne di 30 righe ciascuna; la mano cambia al f. 193r, divenendo meno curata; la mano precedente riprende al f. 204. Le iniziali sono ornate. Sul primo foglio di guardia, è presente un elenco dei contenuti, risalente al tardo XV sec. (inc.: In hoc libro continetur); al f. VIb compare l’indicazione Petrus de Monte cum quibusdam vocabulis, anch’essa del tardo XV sec.; sopra questa c’è forse una rasura. All’inizio del f. 1 è presente una nota di possesso: Roberti Hare 1576. La rilegatura è costituita da assi rivestite in pelle decorata a impressione; tra le decorazioni, vi sono la parola bien e alcuni quadrati e triangoli minutamente incisi; è presente un fermaglio di chiusura. Ho visionato il manoscritto in riproduzione in bianco e nero. Il codice contiene: • Pietro del Monte, De virtutum et vitiorum inter se differentia et compara­ tione (ff. 1r–79r), con lettera dedicatoria ad Humfrey di Gloucester; • Leonardo Bruni, Contra hypocritas (ff. 81r–87v); • Senofonte, Hieron, traduzione latina di Leonardo Bruni (ff.  88r–101v), con la prefazione; • Lapo da Castiglionchio, Comparatio studiorum et rei militaris (ff. 102r– 128v), con lettera dedicatoria al duca Humfrey di Gloucester; • Basilio di Cesarea, Epistula ad adulescentes, traduzione latina di Leonardo Bruni (ff. 129r–142r), con lettera dedicatoria a Coluccio Salutati; • Ps. Isocrate, Ad Demonicum, traduzione latina di Lapo da Castiglionchio (ff. 143r–152v); • Isocrate, Nicodis oracio ad subditos (= Nicocles), traduzione latina di Lapo da Castiglionchio (ff. 153r–163v); • Isocrate, Ad Nicodem de regno (= Ad Nicoclem), traduzione latina di Lapo da Castiglionchio (ff. 164r–173r); • Isocrate, Nicodes ad subditos (= Nicocles), traduzione latina di Guarino Veronese, con lettera dedicatoria a Leonello d’Este e Argumentum (ff. 174r–186v); • Plutarco, De assentatoris et amici differencia (= Quomodo adulator ab amico internoscatur), traduzione latina di Guarino Veronese (ff.  187r– 201v), con lettera dedicatoria a Leonello d’Este;

228  •

 Appendici

Glossario delle parole rare che compaiono nel codice (ff. 202r–212r; inc.: Auriolar. Ariolare .i. divinare; expl.: Expositio quorundam vocabulorum difficilium), seguito da alcuni versi moraleggianti (Optimus ille quidem qui per sese omnia noscens etc.; Da michi fallere da iustum sanctumque videri. Noctem peccatis et fraudibus obice nubem).

Il manoscritto trasmette opere a carattere miscellaneo, ma non è privo di omogeneità: contiene alcuni testi umanistici, dedicati al duca Humfrey di Gloucester, e traduzioni umanistiche, la maggior parte delle quali dedicate a Leonello d’Este. I testi, inoltre, sono tutti di argomento morale e legati in varia misura alla tematica de principe. È interessante notare come le stesse opere compaiano, quasi nello stesso ordine, anche in C ed O (cf. supra nr. 3 e infra nr. 16). Lo stretto rapporto che sussiste tra questi codici emerge anche a livello testuale: almeno per quanto riguarda la traduzione guariniana del Nicocles, i tre codici sembrano essere fratelli, discendenti da un codice esemplato su una copia donata dal duca Humfrey di Gloucester alla biblioteca oxoniense nel 1444 (cf. supra IV.5.2); C, O ed L, dunque, furono copiati ad Oxford dopo il 1444. Dalla copia di Humfrey di Gloucester discenderebbe, per via diretta, anche D (cf. supra nr. 8 e IV.5.1). Tale ricostruzione stemmatica dei rapporti tra i codici D, O, L e C sembra sia valida anche per le traduzioni dell’Ad Nicoclem e del Nicocles di Lapo da Castiglionchio37. Bibliografia: • James (1932) 447–449 • Todd (1965) 44 • Ker (1972) • De la Mare/Gillam (1988) 11 n. 20, 93, 147 • Kristeller (1989) 209b • Hankins (1997) 94 • Watson (20001) • Watson (2004) • Regini (2017) pp. 54–56 • Gualdo Rosa (ed. 2018) 47–48, 51. 11. M Milano, Biblioteca ambrosiana, E 83 sup. Codice membranaceo, miscellaneo, del XV secolo (probabilmente nella seconda metà); ff. III + 95 + II (manca il f. 59 e prima dei due fogli di guardia

37 Cf. Regini (2017) 56; Gualdo Rosa (ed. 2018) 48 e 51.

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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anteriori vi è un frammento di un terzo che li precedeva); mm. 218 × 142. Sono presenti stemmi araldici (f. 1 stemma in tondo rosso con mitra episcopale a tre strisce orizzontali argento, due rosse fra le iniziali L e, in rasura, forse D). La scrittura è umanistica, caratterizzata da una grafia molto curata; la disposizione del testo a piena pagina. Vi sono rade postille. Sono presenti delle iniziali decorate: al f. 1 un’iniziale con banda blu, a foglie rosse, fiori verdi e bruni lumeggiati oro; iniziali in oro su colore (alcune guaste) si trovano ai ff. 3r, 4v, 6r, 10v, 15v, 17r, 18r, 19v, 50r, 56v, 57r, 57v, 58v, 60r, 76v, 78r, 79r. Si leggono delle note di possesso al f. Ir Credo hunc codicem fuisse domini Octaviani Ferrarii viri docti, novissime autem extitit Francisci Cicerei | Felici­ bus auspiciis illustrissimi cardinalis Federici Borrhomei | Olgiati vidit anno 1603 (mano di Olgiati), e al f. 95v Octaviani Ferrarii et amicorum [cassato], S. Fossani et coeterorum e Octaviani Ferrarii | Fossanus tibi amicus | amicissi­ mumque. La legatura, coeva al manoscritto, è in pelle impressa con dorature al centro; il dorso è stato rifatto, ma è molto rovinato. Ho visionato personalmente il codice. Il codice contiene: • Platone, Epistulae, traduzione latina di Leonardo Bruni (ff. 4v–58v), preceduta dal proemio (ff. 1r–3r, inc.: «Proemium in Platonis Epistulas a se latine versas») e dall’argumentum (ff. 3r–4v; inc.: «Argumentum in Plato­ nis epistularum»); • Isocrate, Ad Nicoclem, traduzione latina di Bernardo Giustiniani (ff. 60r– 75v); • Isocrate, Nicocles, traduzione latina di Guarino Veronese (ff.  79r– 95r), preceduta dalla lettera dedicatoria a Leonello d’Este (ff. 76v– 77v) e dall’Argumentum (f. 78). Il codice contiene traduzioni latine umanistiche di testi classici greci, accomunati dalla tematica de principe. Come si evince dalle note di possesso contenute nel manoscritto, il codice appartenne all’umanista Ottaviano Ferrari38 (1518–1586; f.  95v Octaviani Ferrarii et amicorum); il nome di Ferrari è stato poi cassato e sostituito con un’altra nota che cita un certo Fossani (S. Fossani et coeterorum, Octaviani Ferrarii Fossanus tibi amicus amicissimusque). Probabilmente alla morte di Ferrari, avvenuta nel 1586, il manoscritto era passato in mani diverse di quelle

38 Studioso di eloquenza, filosofia e medicina; insegnò a Milano e Padova. Alla morte i suoi manoscritti passarono a Bartolomeo Capra, quindi a Cesare e Alessandro Rovida, per giungere infine all’Ambrosiana. Cf. Pasini (2004) 354–356.

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 Appendici

di Cesare Rovida, l’allievo di Ferrari che ne che ereditò la biblioteca. Successivamente il codice entrò in possesso di Francesco Ciceri (1521–1596)39; infine entrò a far parte del patrimonio librario della Biblioteca Ambrosiana nel 1603. Per quanto riguarda la traduzione guariniana del Nicocles, M sembra essere l’apografo di Est.2 (cf. infra nr. 14 e supra IV.4.5 e IV.4.5.4), di cui presenta tutti gli errori, più alcuni suoi propri; inoltre, M, al pari di Est.2, trasmette insieme con la traduzione i due testi introduttivi (lettera di dedica e Argumentum). Se i risultati della mia collazione sono corretti, la datazione del codice Ambrosiano potrebbe essere collocata verso la fine del secolo XV (dopo il 1489, ter­ minus post quem è fissato l’allestimento di Est.2). Bibliografia: • Kristeller (1963) 330 • Cipriani (1968) 42 • Gualdo Rosa (1973) 296 • Ceruti (1977) 379–380 • Jordan (1989) 139–141 • Hankins (1997) 106 • Pasini (2004) • Gallo (2019) 168–169 12. T Milano, Archivio storico civico e Biblioteca Trivulziana, 642 Manoscritto cartaceo, databile tra il 1491 e il 1510; ff. I + 172 + I (ff.  55–57, 116–117, 127v, 129v–133, 172v–173 bianchi); guardie cartacee, quella anteriore è inclusa nella cartulazione che dunque arriva fino a 173; mm. 202 × 147; fascicolazione: 1–68 7–148 154 16–22 8; segnatura dei fascicoli a registro. Lo specchio di scrittura è rigato a secco (ff. 2–115: 20 [140] 42 × 23 [101] 23; ff. 118–172: 20 [158] 24 × 23 [107] 17); ff. 2–115: rr. 2/ll. 27; ff. 118–172: rr. 2/ll. 25. Sono presenti delle filigrane a fiore e a serpente di diversi tipi, tra cui Briquet nr. 13699 (Milano, 1507); in quarto. La scrittura è una corsiva umanistica, di due mani coeve: 1) ff. 2r–115v, 2) ff. 118r–172r; al f. 134r sono vergati delle postille e un titolo in rosso da una terza mano, posteriore alle altre. Al f. Ir-Iv si trova un indice del volume di una mano sette-ottocentesca. All’interno del piatto anteriore è presente un ex libris con lo stemma della famiglia Barbiano di Belgioioso e sopra un cartellino moderno recante la scritta. «Biblioteca Belgioioso 58»; a fianco 39 Cultore degli studi classici e matematici, insegnò a Lugano e a Milano sia privatamente sia presso lo studium milanese. La maggior parte della sua biblioteca, composta da oltre ottanta codici, senza contare i libri a stampa, è adesso conservata nella Biblioteca Ambrosiana di Milano. Cf. Ricciardi (1981) 383–386.

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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si trova un altro ex libris della Biblioteca Trivulziana di Gian Giacomo Trivulzio di Musocco: «Codice No 1091. Scaffale No 84. Palchetto No 5». La legatura non è coeva, ma risale all’Ottocento (la data è segnata sul contropiatto posteriore: 28–03–1884) ed è costituita da assi in cartone e una coperta in pelle scamosciata. Sono presenti dei titoli sul taglio esterno (Plutarchi opuscola quedam) e superiore (Campanus). La digitalizzazione parziale del codice è disponibile nell’ambito del progetto Graficheincomune del Comune di Milano (http://graficheincomune.comune.milano.it/GraficheInComune/ risultatoricerca.aspx?appIndex=456&mode=0&openDetailMode=0#&&hsp= RRVM_DET-1-10-30007948). Ho visionato personalmente il codice. Il codice contiene: • Senofonte, Tyrannus (= Hieron), traduzione latina di Leonardo Bruni (ff. 3r–13r), preceduta dalla lettera di dedica (ff. 2r–3r); • Ps. Isocrate, Ad Demonicum, traduzione latina di Guarino Veronese (ff. 14r–20v), accompagnata dalla lettera di dedica a Floro Valier (ff. 13r– 14r); • Isocrate, Ad Nicoclem, traduzione latina di Carlo Marsuppini (ff. 20v–27r); • Isocrate, Nicocles, traduzione latina di Guarino Veronese (ff. 28v– 36v), preceduta dall’epistola di dedica a Leonello d’Este (ff. 27r–28r) e dall’Argumentum (f. 28r); • Plutarco, De assentatoris et amici differentia (= Quomodo adulator ab amico internoscatur), traduzione latina di Guarino Veronese (ff.  37v– 49v), con lettera dedicataria a Leonello d’Este (ff. 36v–37v); • Plutarco, Ad ducem indoctum sive de regimine principis (= Ad principem ineruditum), traduzione latina di Rinuccio d’Arezzo (ff. 50r–53r); • Ps. Girolamo, De honorandis parentibus (ff. 54r–55r; inc.: Parentum meritis subiugans)40; • Giovanni Antonio Campano, Oratio habita in conventu Germanico (= Oratio ad exhortandos principes contra Turcos) (ff. 58r–72v); • Giovanni Antonio Campano, Epistola ad Laurentium de Medicis (ff. 72v– 77v; inc.: Quod distulerim mi Laurenti paucos hos dies te scribere); • Giovanni Antonio Campano, Oratio funebris pro Baptista Sfortia (ff. 77v– 87r); • Sisto  IV, Epistola ad Federicum Urbinatem de obitu Baptistae Sfortiae (ff. 87r–87v; inc.: Nuper nobis nunciatum est de obitu Baptistae Sfortiae consortis tuae);

40 Cf. PL 765, tra le opere dell’ambiente di Pelagio.

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 Appendici



Giovanni Antonio Campano, Epistola de funere Baptistae Sfortiae (a Francesco Salviati, ff. 87v–89v; inc.: Sabinum tuum quem scribis a me venisse neque vidi ipse neque); • Giovanni Antonio Campano, Oratio de vita et laudibus Thomae Aquinatis (ff. 90r–99r; inc.: Primum omnium oro ego vos atque obtestor dignissimi); • Giovanni Antonio Campano, Oratio cinericia (ff. 99r–115v; pronunciata a Roma il 3 marzo 1463); • Plutarco, Coniugalia praecepta, traduzione latina di Giovanni Volta (ff.  118v–126v), preceduta dalla lettera di dedica a Bartolomeo Calco (ff. 118r–118v); • Versi in latino di Giovanni Volta indirizzati a Bartolomeo Calco (ff. 126v– 127r; inc.: Ita meae ad Chalcum Chalcum salvere iubete); • Angelo Poliziano, Epistola ad Tristanum Calcum, datata 22 marzo 1489 (ff. 128r–129r; inc.: Scribis Marianum Genazanensem theologie consultum qui sacras istic ad populum); • Dante, De monarchia (ff. 134r–172r). Il manoscritto fu approntato forse a Milano, agli inizi del Cinquecento, per ragioni di studio personale, e contiene una miscellanea di scritti umanistici, al termine della quale figura la Monarchia. L’origine del codice è ravvisabile grazie a indizi interni e materiali. La struttura fascicolare è uniforme, tranne che per l’inserzione di un binione che interrompe la successione dei quaternioni. A questa «anomalia» corrisponde un cambio di mano e di rigatura, segno di una realizzazione di due sezioni del volume in due tempi o in parallelo. Il trattato dantesco fu con ogni probabilità copiato per ultimo e lasciato inizialmente privo di titolo, in modo da sfuggire alla condanna ecclesiastica che aveva accompagnato l’opera fin dai primordi. Le opere contenute nel codice forniscono elementi utili a stabilire il suo allestimento: la morte di Battista Sforza (1472), che è il tema di due epistole e di un’orazione di Giovanni Antonio Campano, l’oratio cinericia dello stesso Campano, che sappiamo essere stata pronunciata nel 1463, e l’indicazione della datazione della lettera del Poliziano (1489) forniscono dei termini post quem per la datazione del codice. Utili per ricostruire la genesi del manoscritto sono anche le filigrane a fiore di serpente, una delle quali identificabile con il tipo Briquet nr. 13699, in uso a Milano nel 1507. Il codice, poi, mostra un legame con l’ambiente cittadino milanese anche per i suoi contenuti. Le opere della miscellanea si possono raggruppare in due categorie: una prima parte del manoscritto (ff. 2r –55r) è caratterizzata soprattutto da traduzioni latine umanistiche di testi classici greci (nello spe-

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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cifico, opere di Senofonte, Isocrate e Plutarco), legati alla tematica de principe e più genericamente di contenuto precettistico ed etico. Si trovano, infatti, in questa sezione lo Hieron di Senofonte, il trittico isocrateo delle orazioni cipriote, l’opuscolo di Plutarco Ad principem indoctum; di argomento più latamente morale è invece il plutarcheo De differentia adulatoris et amici. Anche l’ultimo testo di questa prima sezione del codice, il De honorandis parenti­ bus dello Pseudo Girolamo, pur non essendo un’opera classica, è affine agli altri testi per il contenuto etico-precettistico. La seconda sezione del codice contiene, invece, prevalentemente lettere e orazioni del vescovo umanista Giovanni Antonio Campano (1429–1477)41; accanto ad esse si trovano due opere di Giovanni Volta, dedicate al politico e mecenate milanese Bartolomeo Calco (1434–1508)42, e un’epistola del Poliziano, indirizzata allo storico e cancelliere milanese Tristano Calco (1450 ca.–1514)43. Il codice si chiude con il De monarchia dantesco, opera che si ricollega alla tematica de principe che dominava la prima parte della miscellanea. Dunque, all’ambiente milanese rimandano, nella sezione di mano del primo copista (fino al f. 118r) gli scritti connessi con la celebrazione di un membro della famiglia Sforza (Battista Sforza); nella seconda sezione, invece, le opere legate a Bartolomeo e Tristano Calco, importanti funzionari della segreteria sforzesca e umanisti, vissuti tra la seconda metà del XV secolo e i primi del Cinquecento. Secondo Chiesa/ Guglielmetti44, il manoscritto potrebbe provenire dal patrimonio familiare dei Calco. L’assenza di decorazione denota una destinazione di studio e lettura personale, in linea con l’appartenenza del codice a una biblioteca privata. Il codice entrò a far parte delle collezioni della famiglia Trivulzio nel 1864, a seguito del matrimonio tra Gian Giacomo Trivulzio iunior (1839–1902) e Giulia Amalia Barbiano di Belgioioso, insieme alla restante dote della donna. Nulla si sa a proposito della storia precedente del codice. Per quanto riguarda il Nicocles tradotto da Guarino, T non mostra forti evidenze congiuntive con nessuno degli altri codici della tradizione, ma sembra costituire un ramo isolato dello stemma (cf. supra IV.7.5).

41 Cf. Rutger Hausmann (1974) 424–429. 42 Cf. Petrucci (1973) 526–531. 43 Cf. Petrucci (1973) 537–541. 44 Cf. Chiesa/Guglielmetti (2014–2015) 122.

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Bibliografia: • Porro (1884) 268–269 • Ricci (1954) • Kristeller (1963) 362 • Santoro (1965) 135–136 • Di Bernardo (1975) 7, 10–12 • Cranz/Brown/Kristeller (1986) 152 • Shaw (1991) • Kristeller (1992) 62 • Cheneval (1995) 42–46 • Hankins (1997) 110 • Pontone (2014–2015) 17–18 • Colombo (2014–2015) 43 • Chiesa/Guglielmetti (2014–2015) 121–122, tav. 8 13. Est. 1 Modena, Biblioteca Estense Universitaria, Estense, Lat. 20 (= alfa. F. 2. 52) Manoscritto membranaceo, databile alla seconda metà del XV sec.; ff. I + 55 + II (ff. 17–18 bianchi); mm. 170 × 111 (f. 1), mm. 171 × 112 (f. 7). Le guardie sono miste: quella anteriore e una delle due posteriori sono cartacee, di epoca tiraboschiana, l’altra posteriore è invece membranacea e coeva al manoscritto; sono presenti delle annotazioni (un elenco di nomi di personaggi della mitologia e letteratura greca) in umanistica corsiva sul recto della carta di guardia posteriore. Fascicolazione: 110 (ff. 1–10), 2 8 (ff. 11–18), 310 (ff. 19–28), 46 (ff. 29–34), 5–610+1 (ff. 35–55). Lo specchio di scrittura è rigato a secco, 23 righe per pagina (la scrittura inizia sotto la prima riga); il testo è disposto a piena pagina; sono presenti dei richiami, posti al centro, ai ff. 28v e 44v. La scrittura è un’umanistica di un’unica mano; vi sono delle note marginali del copista e di un’altra mano coeva a quella principale. Sono presenti iniziali decorate: quelle minori sono rosse, tranne ai ff.  19r–37v dove si alternano ad altre ad inchiostro blu; ai ff. 1r, 2v, 19r, 20r, 35r, 36v, 37v si trovano iniziali gialle su fondo dominante blu puntinato di bianco, ornate da un intreccio di tralci bianchi; sono stati usati degli inchiostri policromi (rosa, rosso, porpora, viola, verde) per le campiture e l’ornamentazione; sono inoltre presenti delle iniziali fitiforme a foglia d’acanto. La scuola di decorazione è quella ferrarese45. La legatura, eseguita a Modena sotto la direzione di Girolamo Tiraboschi (1770–1794), è costituita da assi in cartone e da una coperta in pelle

45 Cf. Fava/Salmi 1950, v. 1, 140–141, n. 44.

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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(bazzana rossiccia), decorata a secco in oro e recante sul dorso il titolo e lo stemma in oro; è presente anche una doppia profilatura a secco sui piatti. Sulla controguardia posteriore è applicato un cartellino settecentesco che riporta la più antica segnatura [Ms.V.A.20] successivamente integrata dalle altre. Il titolo si trova sul taglio inferiore. Del codice ho potuto disporre della versione digitalizzata, fruibile sulla Piattaforma Digitale della Biblioteca Estense Universitaria: https://edl. beniculturali.it/beu/850010802. Il manoscritto contiene: • Luciano, Calumnia, traduzione latina di Guarino Veronese (ff. 2v–16v), preceduta dalla dedica a Giovanni Quirini (ff. 1r–2r); • Isocrate, Ad Nicoclem, traduzione latina di Bernardo Giustiniani (ff. 20r– 34v), accompagnata dall’epistola di dedica a Lodovico Gonzaga (ff. 19r– 20r); • Isocrate, Nicocles, traduzione latina di Guarino Veronese (ff.  37v– 54v), preceduta dall’epistola dedicataria a Leonello d’Este (ff. 35r– 36r) e dall’Argumentum (ff. 36v–37v); • Plutarco, Institutio Traiani (ff. 55r–56v). Il codice contiene opere a carattere miscellaneo: si tratta per lo più di traduzioni latine umanistiche di testi classici greci inerenti alla tematica de principe, con l’eccezione dell’opuscolo lucianeo. Accanto alle due orazioni cipriote figura anche la lettera dedicatoria indirizzata a Traiano da Plutarco e che accompagnava la cosiddetta Institutio Traiani, un falso tardoantico dal contenuto a carattere precettistico ed etico-politico. A giudicare dalla scrittura e dalle decorazioni, il manoscritto sembra essere una copia libraria. Secondo Fava il codice è probabile che sia appartenuto alla libreria di Leonello d’Este46. L’ipotesi è molto suggestiva soprattutto alla luce del fatto che per il Nicocles sembra che Est.1 discenda direttamente dall’archetipo e costituisce uno dei testimoni più affidabili del testo guariniano (cf. supra IV.7.7); il codice, dunque, potrebbe appartenere al medesimo ambiente del capostipite comune a tutta la tradizione manoscritta. Infine, sul testo di Est.1 segnalo la presenza di una seconda mano correttrice (Est.12), riconoscibile grazie all’uso di un inchiostro più chiaro rispetto a quello utilizzato dalla mano principale (Est.11), dalla conformazione delle lettere (in particolare p, a ed e) e dalla abitudine a barrare la parola sbagliata

46 Cf. Fava (1925) 32–33.

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 Appendici

(mentre Est.11 è solito espungere la forma erronea e accanto riscrivere quella corretta). Bibliografia: • Zaccaria/Garbardi/Lombardi, ff. 20v–23r • Fava (1925) 32–33 • Fava/Salmi (1950) 140–141, n. 44 • Kristeller (1963) 377. 14. Est.2 Modena, Biblioteca Estense Universitaria, Estense, Lat. 219 (= alfa. P. 6. 24) Manoscritto membranaceo, composito, databile tra la fine del XV e la prima metà del XVI secolo (1489–1500/1550); ff. I + 89 + II (ff. 27–30 bianchi). Le guardie sono miste: quella anteriore è cartacea, delle due posteriori una è membranacea e l’altra cartacea; le due guardie cartacee sono solidali alle controguardie. Sono presenti dei timbri della Bibliothèque Nationale de France. Il manoscritto consta di due unità: unità I: ff. 1–50; mm. 240 × 160 (f. 1); fascicolazione: 510; lo specchio di scrittura è rigato a secco; 30 righe per pagina, la scrittura inizia sopra la prima riga. Il testo è disposto a piena pagina, sono presenti poche annotazioni marginali. La scrittura è un’umanistica di una sola mano. Sono presenti iniziali ornate (al f. 1r iniziale S colorata di verde su fondo rosa e blu e con cornice dorata, ornata da un intreccio di bianchi girari), e i titoli e gli explicit sono rubricati; sono presenti decorazioni in azzurro, oro e oro in foglia. unità II: ff. 51–89 (ff. 38); mm. 242 × 155 (f. 51); fascicolazione: 510, nell’ultimo fascicolo manca una carta; lo specchio di scrittura è rigato a secco; 36 righe per pagina, la scrittura inizia sotto la prima riga. Il testo è disposto a piena pagina, compaiono poche annotazioni marginali di due mani diverse; sono presenti, nel margine inferiore, dei richiami nel verso dell’ultima carta di ogni fascicolo. La scrittura è una semigotica corsiva di una sola mano; si trovano iniziali semplici e rubricate; i titoli sono in rosso. La legatura, eseguita a Modena sotto la direzione di Girolamo Tiraboschi, è costituita da assi in cartone e da una coperta in pelle (bazzana), decorata a secco in oro, con doppia profilatura a secco sui piatti; sul dorso sono presenti il titolo e lo stemma, anch’essi in oro. Sulla controguardia posteriore è applicato un cartellino settecentesco che riporta la più antica segnatura [Ms. VI.C.25] successivamente integrata dalle altre. Il titolo dell’opera è leggibile sul taglio inferiore. Sulla controguardia posteriore è applicato un cartiglio che riporta la seguente scritta: «Questo codice fu portato dalla Biblioteca Estense il giorno 11 ottobre 1796 dai commissari francesi e fu ripreso a Parigi dai com-

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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missari di S. A. R. Francesco IV signori Antonio Lombardi bibliotecario ed Antonio Boccolari sotto il 21 ottobre 1815». Ho visionato personalmente il manoscritto. Il codice contiene: unità I: • Marco Tullio Cicerone, Pro Archia (ff. 1r–8r); • Vittorino Estense, Elegia ad Andream Contarenum (f. 9v; inc.: Qui colis ingenuas venetum stirpis nobilis artes; expl.: Sed illis non est conveniens desidiosa lyra); • Marco Tullio Cicerone, Oratio Pompeiana (= Pro Lege Manilia) (ff.  11r– 26r); • Isocrate, Ad Nicoclem, traduzione latina di Bernardo Giustiniani (ff. 31v– 40r), preceduta dalla lettera di dedica a Lodovico Gonzaga (ff. 31r–31v); • Isocrate, Nicocles, traduzione latina di Guarino Veronese (ff.  42r– 50v), accompagnata dalla lettera di dedica a Leonello d’Este (ff. 40v– 41r) e dall’Argumentum (f. 41v); unità II: • Poggio Bracciolini, Dialogus contra avaritiam (ff. 51r–68v); • Platone, Epistolae, traduzione latina di Leonardo Bruni (ff. 70r–89r), preceduta dal proemio (ff. 69r–69v) e dall’argumentum (ff. 69v–70r); • Un epigramma di Filippo da Rimini (f. 89v; inc.: Ecce capis caelsi prae­lus­ tria signa leonis; expl.: profustum in premia nomen). Il codice contiene opere di carattere miscellaneo, ma l’insieme risulta omogeneo: si tratta di testi classici latini e greci, in lingua originale o in traduzione per quelli greci; l’unica eccezione è costituita dal dialogo di Poggio Bracciolini. Le opere contenute nel manoscritto sono affini anche dal punto di vista del contenuto: se si escludono le due orazioni ciceroniane, gli altri testi sono accomunati dal carattere precettistico ed etico e sono legati alla tematica de principe (tranne il Dialogus contra avaritiam, di contenuto più generalmente morale). La miscellanea comprende poi componimenti poetici di personaggi minori, Vittorino Estense e Filippo da Rimini, inseriti quasi come riempitivo di pagine bianche. Le caratteristiche fisiche del manoscritto indicano la sua natura di copia libraria. Per quanto riguarda la traduzione guariniana del Nicocles, Est.2 sembra discendere dal subarchetipo β (cf. supra IV.3.1). Su Est.2 sarebbe poi stato esemplato il codice ambrosiano, M (cf. supra nr. 11, e IV.4.5 e IV.4.5.4), che

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 Appendici

contiene pure i due testi introduttivi alla versione guariniana del Nicocles e le traduzioni dell’Ad Nicoclem e delle Epistolae platoniche, eseguite rispettivamente dal Giustiniani e dal Bruni. Il manoscritto, a seguito dell’invasione francese in Italia nel 1796, è tra quelli che vengono asportati dalla Biblioteca Estense e inviati alla Biblioteca Nazionale di Parigi. Dopo la caduta dell’impero napoleonico, nel 1815, l’allora bibliotecario Antonio Lombardi viene incaricato di recuperare i codici asportati a Parigi. Bibliografia: • Zaccaria-Gabardi-Lombardi, ff. 210r–211v • Fava (1925) 33 • Milano (1987) 38 • Hankins (1997) 111. 15. N Nürnberg, Stadtbibliothek, Solg. 54 2˚ Codice pergamenaceo, miscellaneo, di origine italiana, databile al XV secolo; ff. I + 198 + I (f. 139v bianco); mm. 350 × 240; 34 righe per pagina. La foliazione è della fine del XV secolo e risulta saltata e interrotta per la perdita di alcuni fogli; è presente però anche una recente numerazione continua; il f. 80 è parzialmente tagliato. Fascicolazione: I2 18 510 18–4 110 110–2 110 16–4 310 110–2 110–1 110 110–1 110 112–1 110–1 110 I8; i fascicoli sono legati; occasionalmente sono presenti dei richiami a fine fascicolo. La scrittura è umanistica di tre mani: 1) ff. 1r–62r, 158v; 2) ff. 63r–80r, 93r–130v, 140r–143v, 180r–198v; 3) ff. 81r–92v, 131r–139r, 158r–179v. Sono presenti lettere rubricate e decorazioni (33 pagine decorate, ciascuna in corrispondenza dell’inizio di un testo o di un prologo). I capilettera si estendono su 3–9 righe, ornati con alberi in foglia d’oro su basi rettangolari policrome, evidenziate in bianco e incorniciate; gli interni sono riempiti con ornamenti di foglie d’acanto. In corrispondenza di ciascun margine sinistro del foglio è presente una lettera decorata (dorata/foglia d’oro); dall’iniziale si sviluppa un ornamento costituito da foglie di vario colore, disposte intorno a steli piegati; margini decorati. La legatura è del XVII secolo ed è costituita da assi di cartone. Il titolo in oro è collocato sul taglio inferiore del dorso originale. Al f. 1r si trova un ex libris della Stadtbibliothek. Del codice ho visionato una riproduzione in bianco e nero. Il codice contiene: • Senofonte, De factis et dictis Socratis (= Memorabilia), traduzione latina del cardinale Bessarione (ff. 1r–62r); • Isocrate, Ad Nicoclem, traduzione latina di Bernardo Giustiniani (ff. 63v– 68v), preceduta dall’epistola dedicataria a Lodovico Gonzaga (ff. 63r–63v);

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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Isocrate, Nicocles, traduzione latina di Guarino Veronese (ff. 69v– 75r), accompagnata dalla dedica a Leonello d’Este (ff.  68v–69r) e dall’Argumentum (69r–69v); • Ps. Isocrate, Ad Demonicum, traduzione latina di Guarino Veronese (ff. 75v–80r), preceduta dalla lettera di dedica a Floro Valier (ff. 75r–75v); • Lisia, Oratio funeralis (= Epitaphius), traduzione latina di Francesco Filelfo (ff. 82r–88v; inc.: Si fieri posse existimarem, o viri…), con lettera di dedica a Palla Strozzi (ff. 81r–82r); • Lisia, Oratio ad Athenienses (= De laudibus Atheniensium), traduzione latina di Francesco Filelfo (ff.  89r–92v; inc.: Plurimi certe facerem…; incompleta), preceduta dall’epistola dedicataria a Palla Strozzi (ff. 88v– 89r); • Ps. Plutarco, De liberis educandis, traduzione latina di Guarino Veronese (ff. 93v–103r), con dedica a Angelo Corbinelli (ff. 93r–93v); • Ps. Plutarco, Apophtegmata ad Traianum Caesarem, traduzione latina di Francesco Filelfo (ff. 104r–130v), preceduta dall’epistola dedicataria a Filippo Maria Visconti (ff. 103r–104r); • Plutarco, De fortuna Romanorum, traduzione latina di Niccolò Perotti (ff. 131r–139r); • Plutarco, De invidia et odio, traduzione latina di Niccolò Perotti (ff. 140r– 141v), con dedica a papa Niccolò V; • Plutarco, De Alexandri fortuna aut virtute, traduzione latina di Niccolò Perotti (ff. 143v–158r), con epistola di dedica a papa Niccolò V (ff. 141v– 143v); • Dionisio Crisostomo, Oratio ad Ilienses de captivitate Ilii, traduzione latina di Francesco Filelfo indirizzata a Leonardo Bruni; • Basilio di Cesarea, Omeliae  II de ieiunio, traduzione latina di Guarino Veronese47 (f. 180r prologo, inc.: A Rhodo per ad me sacrarum scriptura­ rum liber allatus; ff. 180v–185v Omelia I de ieiunio; ff. 185v–194v Omelia II de ieiunio); • Basilio di Cesarea, Oratio de invidia, traduzione latina di Niccolò Perotti (ff. 195r–198v), con prefazione indirizzata a papa Niccolò V (ff. 194v–195r).



Il contenuto del codice consta per lo più di traduzioni umanistiche latine di testi classici greci, accomunati dalla tematica morale. La grafia e le decorazioni suggeriscono che il codice fosse una copia libraria. La scrittura e la

47 Il catalogo attribuisce la traduzione a Niccolò Perotti, il quale però non risulta eseguì una versione di quest’opera di Basilio, oppure a Guarino.

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 Appendici

decorazione fanno pensare a un’origine italiana del codice, nell’ultimo quarto del XV secolo, ma purtroppo sinora non ho potuto reperire informazioni storiche su questo manoscritto. Per quanto riguarda la traduzione latina del Nicocles, N sembra essere l’apografo di C.11 (cf. supra nr. 2): contiene infatti tutti gli errori di C.11, più alcuni suoi propri (cf. supra IV.4.3.1) e, al pari di C.11, oltre alla traduzione, riporta anche l’epistola di dedica a Leonello d’Este e l’Argumentum. Se i risultati della mia collazione sono corretti, si potrebbe precisare la datazione del codice, collocando il suo allestimento verso la fine del XV secolo, età a cui si fa risalire la fabbricazione di C.11. Inoltre, è interessante notare come N contenga diversi testi trasmessi anche da C.11: entrambi i codici tramandano le tre orazioni cipriote di Isocrate, gli opuscoli plutarchei De fortuna Romanorum, il De Alexandri fortuna aut virtute e il De invidia et odio e le orazioni De ieiunio di Basilio Magno48. Sul testo del Nicocles tràdito da N è possibile identificare due interventi marginali ad opera di una mano diversa (N2) da quella principale (N1), riconoscibile per la grafia diversa di alcune lettere (a, d, p ed s) e per essere caratterizzata da un tratto molto più spesso rispetto a N1. Bibliografia: • Solger (1760–1762) 221 • Murr (1786) 386 • Mannert (1795) 103, 105 • Cassidy (1967) 88–92 • Neske (1997) 194–197 • Kristeller (1983) 673 • Stok/Abbamonte (2011) 236–254 16. O Oxford, Bodleian Library, Auct. F. 5. 26 Manoscritto membranaceo, miscellaneo, databile al XV sec. e di origine inglese; ff. V + 119 + II (ff.  93–96 bianchi), il primo foglio di guardia anteriore e l’ultimo posteriore sono cartacei, mentre gli altri sono in pergamena; mm. 236 × 163. La numerazione è moderna e comprende anche le guardie; ci sono tracce della foliazione originale (XVII sec.). Lo specchio di scrittura è rigato, 30 righe per pagina; sono presenti dei richiami. La scrittura

48 Cf. supra 94–95.

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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è una gotica libraria, la mano è inglese49; l’inchiostro usato per il testo è nero, mentre i titoli sono in rosso; sono presenti delle note marginali della mano principale. Iniziali decorate si trovano ai ff.  1, 84, 115, 178, 187, 201. Sono inoltre presenti marginalia e segni d’attenzione di lettori successivi; tra questi, una mano ha aggiunto un indice dei contenuti al f. 10 e ha apposto alcune correzioni al testo (ff. 9, 15, 19, 92, 106, 130, 176, 195 e forse al f. 107); sono presenti anche correzioni di un’altra mano (e.  g. ff. 119, 120, 121, 131 etc.) che al f. 220, alla fine dell’opera, scrive totum corectum. Un’altra mano, del XVI sec., ha apposto correzioni al De vitiorum inter se differencia di Pietro del Monte (la prima opera contenuta nel codice) e titoletti che riassumono il contenuto (ff. 9, 12, 14, 18, 19, 30, 32, 33, 34, 36, 42, 51); ai ff. 5–7 un’altra mano, sempre del XV sec., ha aggiunto delle note riguardanti soprattutto il trattato di Pietro del Monte. Sono presenti i timbri della Bodleian Library. Ho collazionato il codice su una riproduzione a colori. Il codice contiene: • Pietro del Monte, De virtutum et viciorum inter se differencia (ff. 1r–84r), con lettera dedicatoria al duca Humfrey di Gloucester (ff. 1r–3r,); • Leonardo Bruni, Contra hypocritas (ff. 85r–93r); • Senofonte, Tyrannus (= Hieron), traduzione latina di Leonardo Bruni (ff. 98r–115r), con prefazione (ff. 98r–99r); • Lapo da Castiglionchio, Comparatio studiorum et rei militaris (ff.  116r– 143r), con lettera dedicatoria ad Humfrey di Gloucester; • Basilio Di Cesarea, Ad juvenes religiosos quibus studiis opera danda sit (= Epistula ad adulescentes), traduzione latina di Leonardo Bruni (ff. 114r– 157r), con lettera dedicatoria posposta a Coluccio Salutati; • Ps. Isocrate, Ad Demonicum, traduzione latina di Lapo da Castiglionchio (ff. 158r–165r); • Isocrate, Nicodis [sic] oratio ad subditos (= Nicocles), traduzione latina di Lapo da Castiglionchio (ff. 166r–176r); • Isocrate, Oratio ad Nicoclem de regno (= Ad Nicoclem), traduzione latina di Lapo da Castiglionchio (ff. 177r–185r); • Isocrate, Nicocles ad subditos (= Nicocles), traduzione latina di Guarino Veronese (ff. 186r–199r), con lettera dedicatoria a Leonello d’Este (f. 186r) ed Argumentum (ff. 186r–187r);

49 La mano non è chiaramente identificabile, ma ha lavorato, in collaborazione con altri copisti noti, su altri manoscritti conservati in varie biblioteche di Oxford. Cf. Rundle (1997) 434.

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 Appendici

• Plutarco, De assentatoris et amici differentia (= Quomodo adulator ab amico internoscatur), traduzione latina di Guarino Veronese (ff.  200r– 219r), seguita dalla lettera dedicatoria a Leonello d’Este; • Glossario di parole difficili (ff. 220r–234r). Sammut descrive il manoscritto e lo ritiene una copia di un codice donato da Humfrey, duca di Glourcester, all’Università di Oxford nel 144450, da cui discenderebbero anche C ed L (cf. supra nrr. 2, 9)51. Per quanto riguarda il Nicocles, i codici C, O ed L sembrano effettivamente derivare da un unico antigrafo (cf. supra IV.5.1); inoltre i manoscritti risultano affini anche per il contenuto (O ed L riportano le stesse opere nello stesso ordine; C, invece, antepone alle opere del Bruni la Comparacio studiorum et rei militaris di Lapo da Castiglionchio). Per il Nicocles D risulta legato a tali codici attraverso alcuni errori, ma non sembra essere loro fratello: infatti, C, O ed L pare derivino, tramite un codex interpositus, dalla copia donata da Humfrey di Gloucester alla biblioteca oxoniense, esemplare da cui discenderebbe direttamente D (cf. supra IV.5.1). Dunque, C, O ed L furono copiati a Oxford dopo il 1444. Tale ricostruzione dei rapporti stemmatici esistenti tra D, O, L e C sembra valga anche per le traduzioni dell’Ad Nicoclem e del Nicocles di Lapo da Castiglionchio52. Sul testo del Nicocles tràdito da O è ravvisabile, al f. 94 r, un unico intervento ad opera di una mano forse diversa da quella principale (O1): al § 41 O1 omette la porzione di testo a quibus [ … ] confici, che è stata aggiunta a margine forse da una seconda mano (O2), a giudicare dall’uso di un inchiostro più chiaro e dalla diversa resa grafica della lettera a (corrispondente per O1 alla forma propria della textura gotica, invece per O2 a quella della minuscola carolina). Come si evince da una nota di possesso del XVI secolo (J. Foxus), il codice appartenne al martirologo John Foxe (1516–1587); nel 1658 entrò a far parte della collezione della Bodleian Library. Bibliografia: • Madan (1922) 704 nr. 3618 • Carlini (1970–1971) 302 • Pächt/Alexander (1973) 85 nr. 985 50 Il codice è inventariato nel catalogo con il titolo De viciorum inter se differencia; cf. Sammut (1980) 84 e 128 (La biblioteca …, I, nr. 273 e IV, nr. 42). 51 Un’altra copia è London, Lambeth Palace Library, ms. 354, che però riporta solo il trattato di Pietro del Monte, cf. Sammut (1980) 128. 52 Cf. Regini (2017) 60–61; Gualdo Rosa (ed. 2018) 48 e 51.

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

• • • • • • • • • • • • •

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Sammut (1980) 14 n. 70, 16 n. 13, 127–128, 137 King (1986) De La Mare/Gillam (1988) 11 n. 20, 93, 147 Kristeller (1989) 246b Davies (1991), 2 Cranz/Brown/Kristeller (1992) 152b Hankins (1997) 128 Rundle (1997) 434–441 Trapp (1999); Scott (2000) Watson (20002) 51–68 Burnett/Mann (2005) Regini (2017) 59–61 Gualdo Rosa (ed. 2018) 45–46, 51

17. P BnF. Bibliothèque de l’Arsenal, ms. 1134 Manoscritto membranaceo, del XV sec.; ff. 59; mm. 162 × 112. La scrittura è italiana del XV sec.; sono presenti iniziali in oro e a colore ai ff. 2r, 4r, 29r, 31v e 33r. Al f. 1r si leggono delle note su Guarino Veronese e al f. 1v su Bernardo53 Giustiniani, entrambe probabilmente di mano di Bernard de La Monnoye. Al f. 1v è presente un indice dei contenuti, forse sempre di mano di de La Monnoye. Figurano delle note di possesso al f. 1v, dove la stessa mano che ha apposto le note su Guarino e Bernardo Giustiniani scrive Ex dono D. D. de Clugni, senatoris Divionensis, e al f. 59 la firma Cotterouge. Sono presenti i timbri della Bibliothèque de l’Arsenal. La legatura è in pelle con bordi dorati. Ho collazionato il codice su riproduzione a colori. Il codice contiene: • Isocrate, Ad Nicoclem, traduzione latina di Bernardo Giustiniani (ff. 2–28), con lettera di dedica a Lodovico Gonzaga; • Isocrate, Nicocles, traduzione latina di Guarino Veronese (ff. 29–59). Il codice si rivela essere una piccola raccolta di testi isocratei, in quanto contiene unicamente le traduzioni latine umanistiche delle orazioni Ad Nicoclem e Nicoles; la tipologia dei testi indica lo scopo edificante dell’antologia, forse pensata per istruire chi si sarebbe occupato di politica. La scrittura curata e le decorazioni forniscono indizi utili a determinare la destinazione d’uso del codice: non sembra essere un manufatto ad uso personale, ma una copia libraria.

53 Nel catalogo Martin, Bernardo è confuso con suo padre, Leonardo.

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 Appendici

Per quanto riguarda il Nicocles, P sembra discendere, direttamente dall’archetipo e rappresenta un ramo isolato della tradizione manoscritta (cf. supra IV.7.8). Sul testo tràdito da P sembra poter identificare una mano correttrice (P2) differente rispetto a quella principale (P1), riconoscibile per la diversa grafia di alcune lettere (d, g, p e q) e per l’uso di un inchiostro rosso. P2 interviene ope ingenii per sanare il testo in più casi, non sempre però con esito felice. A questo secondo copista sono riconducibili anche le note presenti nel margine (titoli riassuntivi del contenuto delle varie sezioni del testo). Il manoscritto faceva parte della biblioteca di Antoine-René d’Angerson, marchese di Paulmy (1722–1787), diplomatico e bibliofilo francese che raccolse una mirabile biblioteca la quale è alla base di quella dell’Arsenale, dove ora è conservato P. Bibliografia: • Martin (1885–1899) 298–299 18. A Roma, Biblioteca Angelica, ms. 234 Manoscritto cartaceo del XV secolo; ff. 227; mm. 225 × 152. È presente un indice dei contenuti di mano più recente. Ho visionato il manoscritto in riproduzione a colori. Il codice contiene: • Isocrate, Nicocles, traduzione latina di Guarino Veronese, con lettera di dedica e Argumentum (ff. 1r–13r); • Isocrate, Ad Nicoclem, traduzione latina di Bernardo Giustiniani (ff. 14r– 27v); • Ps. Aristotele, Oeconomica, traduzione latina di Leonardo Bruni (ff. 28r– 37v), con la prefazione a Cosimo Medici; • Ps. Sallustio, Invectiva in Marcum Tullium Ciceronem (ff. 38r–39r); • Ps. Cicerone, Invectiva in Sallustium (ff. 39v–44r); • Ps. Aristotele, Oeconomica, libro I, traduzione latina di Leonardo Bruni (ff. 44v–65r), con commento ai primi due libri; • Giovanni Crisostomo, De imperio et potestate humana et de maiestate divina, traduzione latina di Pietro Balbo (ff. 66r–72v), con lettera di dedica a papa Niccolò V; • Carlo Marsuppini, Consolatorie (= Consolatio ad Cosmum et Laurentium de Medicis viros clarissimos de piae matris obitu; ff. 74r–104v; titolo aggiunto al f. 74r); • Francesco Barbaro, De re uxoria (ff. 108r–160v), con lettera di dedica a Lorenzo de’ Medici;

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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• Plutarco, In libello de coniugalibus documentis (= Coniugaia praecepta, fort.; ff. 160v–161r; inc.: Quemadmodum speculorum que auro); • Pietro Paolo Vergerio, Epistola ad Nicolaum physicum (ff. 161r–161v; inc.: Paulus verzerius sal. pl. d. doctissimo v. Nicolao phisico. Hodie apud d. fr. card. flor.; data: ex Constantia III no. April.); • Lettera di Poggio Bracciolini (ff. 161v–162v; Harth (ed. 1984) IV 5); • Buonaccorso da Montemagno, De nobilitate (l’opera figura come anonima e il titolo è stato aggiunto al f.  165r; ff.  165r–179r; inc.: Apud maiores nostros); • Girolamo, Vita S. Pauli primi eremitae (ff. 180r–185v); • Martino vescovo di Braga, De quatuor virtutibus (ff. 190r–195r); • Invectiva Catiline responsiva orationi Ciceronis (ff. 195v–197r); • Marco Tullio Cicerone, Oratio in Senatu contra Katilinam [sic]. Cui respon­ det invectiva ipsius Katiline (ff. 197r–199r); • Ps. Sallustio, Invectiva in Ciceronem (ff. 201r–203r); • Ps. Cicerone, Invectiva in Sallustium (ff. 203v–209r); • Marco Tullio Cicerone, Epistola ad Quintum fratrem (I,1; ff. 212r–224v); • MarcoTullio Cicerone, Epistolae ad Brutum (I, 9; ff. 225r–225v). Il codice contiene opere a carattere miscellaneo: si tratta per lo più di testi classici, latini (nello specifico Cicerone) e greci, questi ultimi tradotti in latino da umanisti. Si trovano poi opere originali di umanisti (le epistole di Marsuppini, Poggio e Pietro Paolo Vergerio e i trattati di Francesco Barbaro e Buonaccorso da Montemagno) e di autori cristiani tardoantichi (Girolamo e San Martino). Le opere sono eterogenee dal punto di vista del contenuto, ma è possibile individuare alcuni nuclei tematici: opere legate a Cicerone, invettive ed epistole; scritti di contenuto etico (il De nobilitate, il De quattuor virtuti­ bus e l’agiografia di San Paolo), alcuni più specificamente legati alla tematica de principe (le traduzioni delle orazioni cipriote isocratee, la traduzione di Giovanni Crisostomo), altri, invece, alla famiglia (l’opuscolo plutarcheo, il trattato De re uxoria di Francesco Barbaro e la traduzione dell’Economico pseudoaristotelico); epistole, probabilmente lettere-modello. La grafia e l’assenza di decorazioni suggeriscono che il codice fosse destinato alla lettura e allo studio, dunque ad un uso personale. Per quanto riguarda la traduzione guariniana del Nicocles, A sembra essere fratello di R (cf. infra nr. 19, e supra IV.4.4), codice copiato da un non altrimenti noto Francesco Martinelli da Cesena nel 1469. Sul codice non sono reperibili informazioni storiche.

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 Appendici

Bibliografia: • Narducci (1893) 134–136 • Soudek (1958) • Giustiniani (1965) 289 • Soudek (1968) • Bertalot (1985) 52 • Kristeller (1993)54 32 n. 58 • Hankins (1997) 160 19. R Biblioteca Nazionale dei Lincei e Corsiniana, Corsin. 1832, 43 E 4 Manoscritto cartaceo, miscellaneo, della fine XV sec. (1469); ff. III + 35 + I; mm. 225 × 150. Al f. 35v compare la nota: Scriptus per me Franciscum de Marti­ nellis de Cesena existentem potestatem terre Rochecontracte 1469. Ho collazionato il manoscritto su una riproduzione a colori. Il manoscritto comprende: • Luciano, Charon sive contemplantes, traduzione latina di Rinuccio Aretino (ff. 1v–5v), con prefazione (ff. 1r–1v); • Isocrates, De regno (= Ad Nicoclem), traduzione latina di Bernardo Giustiniani (ff. 7–20), con l’epistola di dedica a Lodovico Gonzaga (ff. 6–7); • Isocrate, De subditis ad principes (= Nicocles), traduzione latina di Guarino Veronese (ff. 22v–35v), con dedica a Leonello d’Este (ff. 20v– 21v) e Argumentum (ff. 21v–22v). Il codice contiene traduzioni umanistiche latine di opere di Luciano e Isocrate. Per quanto riguarda la traduzione guariniana del Nicocles, R sembra essere fratello di A (cf. supra nr. 18, e IV.4.4), che pure contiene la versione dell’Ad Nicoclem di Bernardo Giustiniani, ma non riporta, per nessuno dei due testi, l’epistola di dedica, trasmesse invece da R. Dalla notazione presente al f. 35v apprendiamo che il codice venne allestito da un non altrimenti noto Francesco Martinelli da Roccacontrada, nel 1469, per uso personale. La notizia meriterebbe di essere approfondita in quanto consentirebbe di conoscere gli ambienti e le modalità di diffusione della versione guariniana. Bibliografia: • Petrucci (1957–1970) • Kristeller (1977) 112

54 Già in Kristeller (1970).

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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20. S Szombathlely, Egyházmegyei Könyvtár, ms. 8 Manoscritto cartaceo, miscellaneo, della fine del XV sec.; ff.  11055 (ff.  2–3 bianchi); la numerazione è quella originale. Sono presenti titoli e lettere ­rubricate. Un indice dei contenuti si trova ai ff. 1r–1v. La legatura è in assi di legno ricoperte, con due fibbie. Il titolo recita: Rhetorica ac diversa ­manuscripta. Ho collazionato il codice in riproduzione a colori. Il codice contiene: • Agostino Dati, Isagogicus libellus pro conficiendis et epistolis et orationi­ bus (= Elegantiolae; ff. 5r–22v); • Brevi discorsi di Eschine, Demade e Demostene ff. 23r–25v; • Enea Silvio Piccolomini, Problema (Aeneas silvius poeta viennensis); • Basilio di Cesarea, De studiis (= Epistola ad adulescentes), traduzione latina di Leonardo Bruni, con prefazione (ff. 25v–32v, datata 1472); • Buonaccorso da Montemagno il Giovane, De nobilitate (ff. 33r–37r; datato 1472); • Ps. Falaride, Epistolae, traduzione latina di Francesco Griffolini, con prefazione (ff. 44v–76r; datata 1473); • Bartolomeo de Maraschis da Mantova, lettera a Federico III (inviata da Roma e datata 1469; ff. 76r–83r); • Anonimo, Oratio in parasceve coram Paulo II (f. 83r; datata 1473); • Battista Guarino, De ordine docendi ac studendi, dedicato a Maffeo Gambara (ff. 83r–93v), con una lettera di Guarino Veronese a suo figlio Battista (Sabbadini (ed. 1916) nr. 911; ff. 93v–94r; datata 1473); • Isocrate, Ad Nicoclem, traduzione latina di Bernardo Giustiniani, con prefazione (ff. 94v–101v; datata 1473); • Isocrate, Nicocles, traduzione latina di Guarino Veronese, con epistola di dedica a Leonello d’Este (ff. 102–110, datata 1473).56 Il codice contiene opere a carattere retorico, probabilmente si tratta di una raccolta antologica di testi, nello specifico epistole e orazioni, che dovevano fungere come modelli di scrittura. Le sue caratteristiche fisiche (scrittura a piena pagina e non molto curata, assenza di decorazioni) suggeriscono una destinazione ad uso personale (lettura e studio) del codice.

55 Nel catalogo Palinkas 1891–1892, 18, i folia risultano essere 197. 56 In Palinkas (1891–1892) 20, sono segnate altre opere dopo la traduzione guariniana: Cicerone, De senectute (ff. 110v–125v); Cicerone, Catilinariae, I–IV (ff. 125v–147); due folia bianchi; versi moraleggianti (ff. 150r–192r; inc.: de peccato hominis; expl.: post factum cur); cinque folia bianchi.

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 Appendici

Dalle date segnate in calce ai testi si può dedurre che il codice sia stato allestito intorno al 1473. Per quanto riguarda la traduzione latina di Guarino del Nicocles, S non mostra evidenze congiuntive con nessun altro dei testimoni che compongono la tradizione manoscritta, ma sembra costituirne un ramo isolato e discendere dall’archetipo (cf. supra IV.7.6). Bibliografia: • Palinkas (1891–1892) 18–20 • Kristeller (1990) 304 • Bertalot (1990–2004) nr. 891, 2235, 2771, 15547, 22627 • Hankins (1997) 176 • Warner (ed. 2012) 76–234. 21. V Venezia, BNM, Marc. Lat. XIV 30 (4594) Manoscritto cartaceo, miscellaneo, del XV sec.; ff.  114. Al f.  1v si trova un antico indice dei contenuti. Ho collazionato il codice in riproduzione in bianco e nero. Il codice contiene: • Isocrate, Nicocles, traduzione latina di Guarino Veronese (ff. 4–11v), seguita dalla lettera di dedica a Leonello d’Este (ff. 11v–12r) e dall’Argumentum (ff. 12r–12v); • Isocrate, Ad Nicoclem, traduzione latina di Bernardo Giustiniani (erroneamente attribuita nell’indice dei contenuti a Guarino; ff. 12v–19r); • Ps. Isocrate, Ad Demonicum, traduzione latina di Guarino (ff. 20r–26v), con l’epistola di dedica a Floro Valier (ff. 19–20); • Demostene, Oratio funebris (= Demosthenes Atheniensis Epitaphium), traduzione latina di Lapo da Castiglionchio (ff. 27v–33), con lettera di dedica a Jacopo da Recanati (26v–27v); • Luciano, De longaevis (= Macrobii), traduzione latina di Lapo da Castiglionchio (ff. 34v–39v), con dedica a Gregorio Correr (ff. 33v–34v); • Luciano, Patriae laudatio, traduzione latina di Lapo da Castiglionchio (ff. 39v–41v); • Luciano, Calumnia, traduzione latina di Lapo da Castiglionchio (ff. 42v– 49v), con epistola di dedica a Giovanni Reatino (ff. 41v–42v); • Teofrasto, De impressionibus (= Characteres), traduzione latina di Lapo da Castiglionchio (ff. 51–60), con dedica a Francesco Patavino (ff. 49v– 51); • Luciano, De sacrificiis, traduzione latina di Lapo da Castiglionchio (ff. 60 bis verso–65), con lettera di dedica a Leon Battista Alberti;

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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• Luciano, De tiranno (= Tyrannicida), traduzione latina di Lapo da Castiglionchio (ff. 65–72v); • Luciano, Demonactis vita (= Demonax), traduzione latina di Lapo da Castiglionchio (ff.  74–82), con epistola dedicataria ad Aloisio, vescovo Trauriensis (con tale dedicatario nel codice ff. 73–74); • Lapo da Castiglionchio, Comparatio inter rem militarem et studia littera­ rum, indirizzata a Gregorio Correr (ff. 82–103v); • Due lettere di Poggio Bracciolini (ff. 103v–107; Harth (ed. 1984) VII 1–2). Il codice contiene opere a carattere miscellaneo, per lo più si tratta di traduzioni latine umanistiche, molte delle quali ad opera di Lapo da Castiglionchio, di testi greci classici, soprattutto lucianei. Per quanto riguarda il Nicocles tradotto da Guarino, il codice non mostra evidenze congiuntive forti con il resto della tradizione, ma sembra costituire un ramo isolato dello stemma (cf. supra IV.7.3). Il manoscritto faceva parte della biblioteca di Tommaso Giuseppe Farsetti, patrizio veneziano (1720–1791), che lasciò in eredità la sua cospicua collezione alla Biblioteca Marciana. Bibliografia: • Appendice (1740–1741) ff. 21r–124v, vol. IV • Morelli (1780) 29–36, n. 95 • Valentinelli (1868–1873) vol. VI, p. 119 • Gualdo Rosa (1973), 296–297 • Kristeller (1977) 263 • De Faveri (2002). 22. Z Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Z.501 (1712) Codice cartaceo, miscellaneo, del XVI sec.; ff. 211. Ho visionato il codice in riproduzione in bianco e nero. Il codice contiene: • Poggio Bracciolini, De infelicitate principum; • Pietro Paolo Vergerio, De ingenuis moribus; • Senofonte, Tyrannus (= Hieron), traduzione latina di Leonardo Bruni; • Basilio di Cesarea, De studiis (= Epistola ad adulescentes), traduzione latina di Leonardo Bruni; • Isocrate, Nicocles, traduzione latina di Guarino Veronese57;

57 Segnata come anonima, anche dal Kristeller (1977) 214.

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 Appendici

Poggio Bracciolini, De nobilitate; Carlo Marsuppini, Carmen de nobilitate, indirizzato a Poggio Bracciolini; Poggio Bracciolini, epistola a Gregorio Correr (De nobilitate); Ps. Aristotele, Oeconomica, traduzione di Leonardo Bruni, con prefazione; Leonardo Bruni, Dialogi ad Petrum Histrum.58

Il codice comprende opere a carattere miscellaneo: si trovano traduzioni latine umanistiche di testi classici greci e opere originali di umanisti. I vari testi sono accomunati dalla tematica morale, la miscellanea dunque doveva avere uno scopo edificante. La foggia del manoscritto sembra indicare una destinazione per un uso personale del codice. Per quanto riguarda la traduzione di Guarino del Nicocles isocrateo, Z non mostra evidenze congiuntive forti con nessuno degli altri codici della tradizione, ma sembra costituire un ramo isolato dello stemma (cf. supra IV.7.4). Purtroppo sinora non sono riuscita a reperire informazioni storiche utili relative al codice. Bibliografia: • Zanetti (1741) 204–205 • Valentinelli (1868–1873), vol. IV, p. 197–198 (Classe X, n. 264) • Kristeller (1977) 214 • Hankins (1997) 209. 23. V1 Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Lat. XI 26 (4428) Manoscritto miscellaneo membranaceo del XV sec.; ff. II + 73 + II; mm. 138× 94. I folia sono numerati a matita a salti nell’epoca della descrizione Zorzanello, ma ora la cartulazione è completa; le guardie sono membranacee, alle due originali (una anteriore e una posteriore) si aggiungono una falsa guardia anteriore e una posteriore, entrambe cartacee. Ho visionato il codice in fotoriproduzione a colori. Il codice contiene: • Isocrate, Ad Nicoclem, traduzione latina di Bernardo Giustiniani preceduta dalla lettera di dedica a Ludovico Gonzaga (ff. 2r–29v);

58 Nel catalogo Zanetti, figura anche: Aemilii Probi [sic in codice] Vitae excellentium imperato­ rum; segue un elenco di generali antichi greci, macedoni e cartaginesi. È aggiunto inoltre anche una Vitae Catonis et Vergilii (cf. Zanetti (1741) 205).

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 

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Isocrate, Nicocles, traduzione latina di Guarino Veronese (ff. 30r– 54v); • Ps.Platone, Axiochus, traduzione latina di Cencio de’ Rustici (ff. 56r–72v).



Il codice contiene traduzioni latine umanistiche di testi di argomento morale. Come Z, il manoscritto faceva parte della biblioteca del patrizio veneziano Tommaso Giuseppe Farsetti, la quale alla morte del proprietario fu donata alla Biblioteca Marciana. Per quanto riguarda il Nicocles, la versione guariniana è sprovvista di lettera di dedica e pertanto essa è attribuita nel catalogo Valentinelli a Giustiniani, mentre figura come anonima nella descrizione dello Zorzanello, il quale ipotizza possa essere opera di Lapo da Castiglionchio; dall’incipit tuttavia è possibile assegnare la paternità della traduzione a Guarino. Da un punto di vista filologico, V1 sembra essere fratello di Co a cui è anche affine per il contenuto (cf. supra nr. 6, 95 e IV.6); differente, invece, sembra essere la destinazione d’uso: V1 è una copia libraria, come si evince dalla sua grafia e dalle sue decorazioni, mentre Co era destinato ad un uso personale. Bibliografia: • Appendice (1740–1741) f. 81r, vol. III • Morelli (1780) 36–38, n. 96 • Valentinelli (1868–1873) vol. VI, 225 • Kristeller (1977) 239 • Zorzanello (1980) 456–457. 24. Ber Vicenza, Biblioteca civica Bertoliana, ms. 31 Manoscritto miscellaneo, in parte cartaceo e in parte membranaceo (membranacei i bifolia esterni e centrali di ogni fascicolo; palinsesti i ff.  65–66) della seconda metà XV sec.; ff. I + 105 + II; 120 × 80 mm.; fascicolazione: 112 211 3–812 910. La numerazione dei folia presenta alcuni errori: vi è un salto tra i ff. 15 e 18, con il foglio intermedio numerato 16–17; sono numerati due volte i ff. 38, 68, 76. La rigatura è mista a colore; sono presenti dei richiami; 23 righe per pagina. Vi sono rare iniziali filigranate e i titoli sono vergati in rosso; le maiuscole sono pure toccate in rosso; spazi riservati. Sul codice sono intervenute più mani, non identificate; nei margini vi sono annotazioni coeve e moderne. La legatura è moderna in pergamena rigida; il restauro è stato eseguito negli anni Novanta del secolo scorso presso il Gabinetto di restauro del libro dell’Abbazia di Praglia. Sul piatto anteriore è riportata la segnatura della prima metà del XX sec.: G. 7. 5. 50/Letteratura B.275; sul contropiatto anteriore, invece, si trova la segnatura di Andrea Caparozzo, l’indicazione del contenuto

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 Appendici

e la provenienza (1858–1884): G.1.7.26/Guarino-Lettere a vari/N. B. Manca una carta. Provenienza Stecchini. Ho visionato il codice in fotoriproduzione a colori. Il codice contiene: • Lettera di Battista Bevilacqua a Guarino Veronese (ff.  1–8; Sabbadini (ed. 1915) nr. 436); • Pseudo-Plutarco, Parallela minora, traduzione latina di Guarino Veronese preceduta dalla lettera di dedica a Giacomo Lavagnola (ff. 8–9, la dedica; ff. 9–30, la versione); • Lettera di Guarino Veronese (ff. 30–33, Sabbadini (ed. 1915) nr. 134); • Lettera di Giorgio Bevilacqua a suo fratello Andrea (ff. 33–35); • Epitalamio di Guarino Veronese per le nozze di Leonello d’Este e Maria d’Aragona (ff. 36–38); • Lettera di Guarino Veronese (f. 38, Sabbadini (ed. 1915) nr. 294); • Isocrate, Nicocles, versione latina di Guarino Veronese preceduta dall’epistola di dedica a Leonello d’Este e dall’Argumentum (ff.  38 bis–55; ff. 38–39 epistola; ff. 39–40; Argumentum; ff. 40v–55v traduzione); • Guarino Veronese, Oratio ad Thomam Michael functum praetura militum Veronensi (ff. 55–58); • Lettera di Francesco Barbaro a Gian Nicola Salerno (ff. 58–59); • Lettere di Guarino Veronese (f. 59; Sabbadini (ed. 1915) nr. 495; ff. 60–62, Sabbadini (ed. 1915) nr. 7; ff. 62–66, Sabbadini (ed. 1915) nr. 125); • Lettera di Antonio Beccadelli a Cristoforo di Parma (f. 66); • Lettere di Guarino Veronese (ff. 66–72, Sabbadini (ed. 1915) nrr. 79, 50, 128, 199, più un’ inedita ai ff. ff. 67–68 bis, indirizzata a Gian Nicola Salerno); • Lettera di Guarino Veronese a Daniele Vitturi (ff. 72–73, inedita); • Lettera di Guarino Veronese (ff. 73–75, Sabbadini (ed. 1915) nr. 400); • Lettera di Guarino Veronese (o forse Gasparino Barzizza) a Ludovico di Sambonifacio (ff. 75–77 bis); • Lettera di Carlo Gonzaga a Leonello d’Este (ff. 77 bis–80); • Lettere di Guarino Veronese (ff.  80–82, Sabbadini (ed.  1916) nr.  672; ff.  82–83, Sabbadini (ed.  1916) nr.  603; ff.  83–84, Sabbadini (ed.  1916) nr. 681; f. 84, Sabbadini (ed. 1916) nr. 671; ff. 85–86, Sabbadini (ed. 1916) nr. 767); • … Feci quod potui … (ff. 86–89): s.  d. • Oratio incipit; Summa cura maiores … (ff. 89–95); • … Optarem animum meum … (ff. 95–97): s.  d. • … Mundum mihi significasti, mi pater (ff. 98–99): s.  d. • … Pacificum animum meum … (ff. 99–100): s.  d.

Appendice 4: Descrizione dei manoscritti 





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Lettere attribuite a Filelfo (ff. 100–101 Philelphus Poggio, inc.: Ex rumori­ bus et nuntiis …; f. 101 inc.: Franciscus Philelphus Antonio Bellatio, inc.: Humanitatem tuam  … ma nell’ interlinea si legge il nome di Gaspare Tudertino scritto dalla stessa mano; f. 101; inc.: Philelphus Antonio Bella­ tio; Dedi mulioni isti …); Incipit ordo ad benedicendam mensam per totum annum; Oculi omnium in te sperant … (ff. 102–103).

Il codice si presenta come una raccolta di epistole e di orazioni principalmente di Guarino, che in alcuni casi è il destinatario delle missive, ma anche di altri umanisti come Francesco Barbaro, Antonio Panormita e Francesco Filelfo; la miscellanea doveva dunque servire come repertorio di modelli di scrittura. Per quanto riguarda la versione del Nicocles, il codice mostra di essere un apografo diretto del subarchetipo β (cf. supra IV.3.1, IV.4.5 e IV.4.5.3). Il testo risulta sbiadito e in alcune parti di difficile lettura alle carte 41 e 42. Il manoscritto appartenne alla famiglia Stecchini prima di giungere nel 1885 nella Biblioteca Bertoliana grazie alla donazione di Iacopo Stecchini, come indicato dalla nota sul contropiatto anteriore. Bibliografia: • Mazzatinti (1892) 13–14, nr. 79 • Marchioli/Granata/Pantarotto (2007) 29

Appendice 5: Isocrate, Nicocles ΝΙΚΟΚΛΗΣ [1] Εἰσίν τινες, οἳ δυσκόλως ἔχουσιν πρὸς τοὺς λόγους καὶ διαμέμφονται τοὺς φιλοσοφοῦντας καί φασιν αὐτοὺς οὐκ ἀρετῆς ἀλλὰ πλεονεξίας ἕνεκα ποιεῖσθαι τὰς τοιαύτας διατριβάς. Ἡδέως ἂν οὖν πυθοίμην τῶν οὕτω διακειμένων, διὰ τί τοὺς μὲν εὖ λέγειν ἐπιθυμοῦντας ψέγουσιν, τοὺς δ’ ὀρθῶς πράττειν βουλομένους ἐπαινοῦσιν· εἰ γὰρ αἱ πλεονεξίαι λυποῦσιν αὐτοὺς, πλείους καὶ μείζους ἐκ τῶν ἔργων ἢ τῶν λόγων εὑρήσομεν γιγνομένας. [2] Ἔπειτα κἀκεῖν’ ἄτοπον εἰ λέληθεν αὐτοὺς, ὅτι τὰ περὶ τοὺς θεοὺς εὐσεβοῦμεν καὶ τὴν δικαιοσύνην ἀσκοῦμεν καὶ τὰς ἄλλας ἀρετὰς ἐπιτηδεύομεν, οὐχ ἵνα τῶν ἄλλων ἔλαττον ἔχωμεν, ἀλλ’ ὅπως ἂν ὡς μετὰ πλείστων ἀγαθῶν τὸν βίον διάγωμεν. Ὥστ’ οὐ κατηγορητέον τῶν πραγμάτων τούτων ἐστὶν, μεθ’ ὧν ἄν τις μετ’ ἀρετῆς πλεονεκτήσειεν, ἀλλὰ τῶν ἀνθρώπων τῶν περὶ τὰς πράξεις ἐξαμαρτανόντων ἢ τοῖς λόγοις ἐξαπατώντων καὶ μὴ δικαίως χρωμένων αὐτοῖς. [3] Θαυμάζω δὲ τῶν ταύτην τὴν γνώμην ἐχόντων, ὅπως οὐ καὶ τὸν πλοῦτον καὶ τὴν ῥώμην καὶ τὴν ἀνδρείαν κακῶς λέγουσιν. Εἴπερ γὰρ διὰ τοὺς ἐξαμαρτάνοντας καὶ τοὺς ψευδομένους πρὸς τοὺς λόγους χαλεπῶς ἔχουσιν, προσήκει καὶ τοῖς ἄλλοις ἀγαθοῖς αὐτοὺς ἐπιτιμᾶν· φανήσονται γάρ τινες καὶ τῶν ταῦτα κεκτημένων ἐξαμαρτάνοντες καὶ πολλοὺς διὰ τούτων κακῶς ποιοῦντες. [4] Ἀλλὰ γὰρ οὐ δίκαιον, οὔτ’ εἴ τινες τοὺς ἀπαντῶντας τύπτουσιν, τῆς ῥώμης κατηγορεῖν, οὔτε διὰ τοὺς ἀποκτείνοντας, οὓς οὐ δεῖ τὴν ἀνδρείαν λοιδορεῖν, οὔθ’ ὅλως τὴν τῶν ἀνθρώπων πονηρίαν ἐπὶ τὰ πράγματα μεταφέρειν, ἀλλ’ αὐτοὺς ἐκείνους ψέγειν, ὅσοι τοῖς ἀγαθοῖς κακῶς χρῶνται καὶ τοῖς ὠφελεῖν δυναμένοις τούτοις βλάπτειν τοὺς συμπολιτευομένους ἐπιχειροῦσιν. [5] Νῦν δ’ ἀμελήσαντες τοῦτον τὸν τρόπον περὶ ἑκάστου διορίζεσθαι πρὸς ἅπαντας τοὺς λόγους δυσκόλως διάκεινται, καὶ τοσοῦτον διημαρτήκασιν, ὥστ’ οὐκ αἰσθάνονται τοιούτῳ πράγματι δυσμενῶς ἔχοντες, ὃ πάντων τῶν ἐνόντων ἐν τῇ τῶν ἀνθρώπων φύσει πλείστων ἀγαθῶν αἴτιόν ἐστιν. Τοῖς μὲν γὰρ ἄλλοις, οἷς ἔχομεν, οὐδὲν τῶν ἄλλων ζῴων διαφέρομεν, ἀλλὰ πολλῶν καὶ τῷ τάχει καὶ τῇ ῥώμῃ καὶ ταῖς ἄλλαις εὐπορίαις καταδεέστεροι τυγχάνομεν ὄντες. [6] Ἐγγενομένου δ’ ἡμῖν τοῦ πείθειν ἀλλήλους καὶ δηλοῦν πρὸς ἡμᾶς αὐτοὺς, περὶ ὧν ἂν βουληθῶμεν, οὐ μόνον τοῦ θηριωδῶς ζῆν ἀπηλλάγημεν, ἀλλὰ καὶ συνελθόντες πόλεις ᾠκίσαμεν καὶ νόμους ἐθέμεθα καὶ τέχνας εὕρομεν, καὶ σχεδὸν ἅπαντα τὰ δι’ ἡμῶν μεμηχανημένα λόγος ἡμῖν ἐστιν ὁ συγκατασκευάσας. [7] Οὗτος γὰρ περὶ τῶν δικαίων καὶ τῶν ἀδίκων καὶ τῶν αἰσχρῶν καὶ τῶν καλῶν ἐνομοθέτησεν· ὧν μὴ διαταχθέντων οὐκ ἂν οἷοί τ’ ἦμεν οἰκεῖν μετ’ ἀλλήλων. Τούτῳ καὶ τοὺς κακοὺς ἐξελέγχομεν καὶ τοὺς ἀγαθοὺς ἐγκωμιάζομεν. Διὰ τούτου τούς τ’ ἀνοήτους παιδεύομεν καὶ τοὺς φρονίμους δοκιμάζομεν· τὸ γὰρ λέγειν ὡς δεῖ τοῦ φρονεῖν εὖ μέγιστον σημεῖον ποιούμεθα, καὶ λόγος ἀληθὴς https://doi.org/10.1515/9783110792867-013

Appendice 5: Isocrate, Nicocles 

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καὶ νόμιμος καὶ δίκαιος ψυχῆς ἀγαθῆς καὶ πιστῆς εἴδωλόν ἐστιν. [8] Μετὰ τούτου καὶ περὶ τῶν ἀμφισβητησίμων ἀγωνιζόμεθα καὶ περὶ τῶν ἀγνοουμένων σκοπούμεθα· ταῖς γὰρ πίστεσιν, αἷς τοὺς ἄλλους λέγοντες πείθομεν, ταῖς αὐταῖς ταύταις βουλευόμενοι χρώμεθα, καὶ ῥητορικοὺς μὲν καλοῦμεν τοὺς ἐν τῷ πλήθει λέγειν δυναμένους, εὐβούλους δὲ νομίζομεν, οἵτινες ἂν αὐτοὶ πρὸς αὑτοὺς ἄριστα περὶ τῶν πραγμάτων διαλεχθῶσιν. [9] Εἰ δὲ δεῖ συλλήβδην περὶ τῆς δυνάμεως ταύτης εἰπεῖν, οὐδὲν τῶν φρονίμως πραττομένων εὑρήσομεν ἀλόγως γιγνόμενον, ἀλλὰ καὶ τῶν ἔργων καὶ τῶν διανοημάτων ἁπάντων ἡγεμόνα λόγον ὄντα, καὶ μάλιστα χρωμένους αὐτῷ τοὺς πλεῖστον νοῦν ἔχοντας· ὥστε τοὺς τολμῶντας βλασφημεῖν περὶ τῶν παιδευόντων καὶ φιλοσοφούντων ὁμοίως ἄξιον μισεῖν, ὥσπερ τοὺς εἰς τὰ τῶν θεῶν ἐξαμαρτάνοντας. [10] Ἐγὼ δ’ ἀποδέχομαι μὲν ἅπαντας τοὺς λόγους τοὺς καὶ κατὰ μικρὸν ἡμᾶς ὠφελεῖν δυναμένους, οὐ μὴν ἀλλὰ καλλίστους ἡγοῦμαι καὶ βασιλικωτάτους καὶ μάλιστα πρέποντας ἐμοὶ τοὺς περὶ τῶν ἐπιτηδευμάτων καὶ τῶν πολιτειῶν παραινοῦντας, καὶ τούτων αὐτῶν ὅσοι διδάσκουσι τούς τε δυναστεύοντας, ὡς δεῖ τῷ πλήθει χρῆσθαι, καὶ τοὺς ἰδιώτας, ὡς χρὴ πρὸς τοὺς ἄρχοντας διακεῖσθαι· διὰ γὰρ τούτων ὁρῶ τὰς πόλεις εὐδαιμονεστάτας καὶ μεγίστας γιγνομένας. [11] Τὸν μὲν οὖν ἕτερον, ὡς χρὴ τυραννεῖν, Ἰσοκράτους ἠκούσατε, τὸν δ’ ἐχόμενον, ἃ δεῖ ποιεῖν τοὺς ἀρχομένους, ἐγὼ πειράσομαι διελθεῖν, οὐχ ὡς ἐκεῖνον ὑπερβαλούμενος, ἀλλ’ ὡς προσῆκόν μοι περὶ τούτων μάλιστα διαλεχθῆναι πρὸς ὑμᾶς. Εἰ μὲν γὰρ ἐμοῦ μὴ δηλώσαντος, ἃ βούλομαι ποιεῖν ὑμᾶς διαμάρτοιτε τῆς ἐμῆς γνώμης, οὐκ ἂν εἰκότως ὑμῖν ὀργιζοίμην· εἰ δὲ προειπόντος ἐμοῦ μηδὲν γίγνοιτο τούτων, δικαίως ἂν ἤδη τοῖς μὴ πειθομένοις μεμφοίμην. [12] Ἡγοῦμαι δ’ οὕτως ἂν μάλιστα παρακαλέσαι καὶ προτρέψαι πρὸς τὸ μνημονεύειν ὑμᾶς τὰ ῥηθέντα καὶ πειθαρχεῖν αὐτοῖς, οὐκ εἰ περὶ τὸ συμβουλεύειν μόνον γενοίμην καὶ ταῦτ’ ἀπαριθμήσας ἀπαλλαγείην, ἀλλ’ εἰ προεπιδείξαιμι πρῶτον μὲν τὴν πολιτείαν τὴν παροῦσαν ὡς ἄξιόν ἐστιν ἀγαπᾶν οὐ μόνον διὰ τὴν ἀνάγκην, οὐδ’ ὅτι πάντα τὸν χρόνον μετὰ ταύτης οἰκοῦμεν, ἀλλ’ ὅτι βελτίστη τῶν πολιτειῶν ἐστιν, [13] ἔπειθ’ ὡς ἐγὼ ταύτην ἔχω τὴν ἀρχὴν οὐ παρανόμως οὐδ’ ἀλλοτρίαν, ἀλλ’ ὁσίως καὶ δικαίως καὶ διὰ τοὺς ἐξ ἀρχῆς προγόνους καὶ διὰ τὸν πατέρα καὶ δι’ ἐμαυτόν. Τούτων γὰρ προ­απο­δει­χθέν­ των τίς οὐκ αὐτὸς αὑτοῦ καταγνώσεται τὴν μεγίστην ζημίαν, ἂν μὴ πειθαρχῇ τοῖς ὑπ’ ἐμοῦ συμβουλευθεῖσιν καὶ προσταχθεῖσιν; [14] Περὶ μὲν οὖν τῶν πολιτειῶν, ἐντεῦθεν γὰρ ὑποτιθέμενος ἠρξάμην, οἶμαι πᾶσι δοκεῖν δεινότατον μὲν εἶναι τὸ τῶν αὐτῶν ἀξιοῦσθαι τοὺς χρηστοὺς καὶ τοὺς πονηροὺς, δικαιότατον δὲ τὸ διωρίσθαι περὶ τούτων καὶ μὴ τοὺς ἀνομοίους τῶν ὁμοίων τυγχάνειν, ἀλλὰ καὶ πράττειν καὶ τιμᾶσθαι κατὰ τὴν ἀξίαν ἑκάστους. [15] Αἱ μὲν τοίνυν ὀλιγαρχίαι καὶ δημοκρατίαι τὰς ἰσότητας τοῖς μετέχουσιν τῶν πολιτειῶν ζητοῦσιν, καὶ τοῦτ’ εὐδοκιμεῖ παρ’ αὐταῖς, ἢν μηδὲν ἕτερος ἑτέρου δύνηται πλέον ἔχειν· ὃ τοῖς πονηροῖς συμφέρον ἐστίν· αἱ δὲ μοναρχίαι πλεῖστον μὲν νέμουσι τῷ βελτίστῳ, δευτέρῳ δὲ τῷ μετ’ ἐκεῖνον, τρίτῳ δὲ καὶ τετάρτῳ καὶ τοῖς ἄλλοις κατὰ τὸν αὐτὸν λόγον. Καὶ ταῦτ’

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 Appendici

εἰ μὴ πανταχοῦ καθέστηκεν, ἀλλὰ τό γε βούλημα τῆς πολιτείας τοιοῦτόν ἐστιν. [16] Καὶ μὲν δὴ διορᾶν καὶ τὰς φύσεις τῶν ἀνθρώπων καὶ τὰς πράξεις ἅπαντες ἂν τὰς τυραννίδας μᾶλλον ὁμολογήσαιεν. Καίτοι τίς οὐκ ἂν δέξαιτο τῶν εὖ φρονούντων τοιαύτης πολιτείας μετέχειν, ἐν ἦ μὴ διαλήσει χρηστὸς ὢν, μᾶλλον ἢ φέρεσθαι μετὰ τοῦ πλήθους μὴ γιγνωσκόμενος, ὁποῖός τίς ἐστιν; Ἀλλὰ μὴν καὶ πραοτέραν τοσούτῳ δικαίως ἂν αὐτὴν εἶναι κρίνοιμεν, ὅσῳπερ ῥᾷόν ἐστιν ἑνὸς ἀνδρὸς γνώμῃ προσέχειν τὸν νοῦν μᾶλλον ἢ πολλαῖς καὶ παντοδαπαῖς διανοίαις ζητεῖν ἀρέσκειν. [17] Ὅτι μὲν οὖν ἡδίων ἐστὶν καὶ πραοτέρα καὶ δικαιοτέρα, διὰ πλειόνων μὲν ἄν τις ἀποδείξειεν, οὐ μὴν ἀλλὰ καὶ διὰ τούτων συνιδεῖν ῥᾳδιόν ἐστιν· περὶ δὲ τῶν λοιπῶν, ὅσον αἱ μοναρχίαι πρὸς τὸ βουλεύεσθαι καὶ πρᾶξαί τι τῶν δεόντων διαφέρουσιν, οὕτως ἂν κάλλιστα θεωρήσαιμεν, εἰ τὰς μεγίστας τῶν πράξεων παρ’ ἀλλήλας τιθέντες ἐξετάζειν ἐπιχειρήσαιμεν αὐτάς. Οἱ μὲν τοίνυν κατ’ ἐνιαυτὸν εἰς τὰς ἀρχὰς εἰσιόντες πρότερον ἰδιῶται γίγνονται, πρὶν αἰσθέσθαι τι τῶν τῆς πόλεως καὶ λαβεῖν ἐμπειρίαν αὐτῶν· [18] οἱ δ’ ἀεὶ τοῖς αὐτοῖς ἐπιστατοῦντες, ἢν καὶ τὴν φύσιν καταδεεστέραν ἔχωσιν, ἀλλ’ οὖν ταῖς γ’ ἐμπειρίαις πολὺ τῶν ἄλλων προέχουσιν. Ἔπειθ’ οἱ μὲν πολλῶν καταμελοῦσιν, εἰς ἀλλήλους ἀποβλέποντες, οἱ δ’ οὐδενὸς ὀλιγωροῦσιν, εἰδότες ὅτι πάντα δεῖ δι’ αὑτῶν γίγνεσθαι. Πρὸς δὲ τούτοις οἱ μὲν ἐν ταῖς ὀλιγαρχίαις καὶ ταῖς δημοκρατίαις διὰ τὰς πρὸς σφᾶς αὐτοὺς φιλοτιμίας λυμαίνονται τοῖς κοινοῖς· οἱ δ’ ἐν ταῖς μοναρχίαις ὄντες, οὐκ ἔχοντες ὅτῳ φθονήσουσιν, πάντων ὡς οἷόν τ’ ἐστὶ τὰ βέλτιστα πράττουσιν. [19] Ἔπειθ’ οἱ μὲν ὑστερίζουσιν τῶν πραγμάτων· τὸν μὲν γὰρ πλεῖστον χρόνον ἐπὶ τοῖς ἰδίοις διατρίβουσιν, ἐπειδὰν δ’ εἰς τὰ συνέδρια συνέλθωσιν, πλεονάκις ἄν τις αὐτοὺς εὕροι διαφερομένους ἢ κοινῇ βουλευομένους· οἱ δ’ οὔτε συνεδρίων οὔτε χρόνων αὐτοῖς ἀποδεδειγμένων, ἀλλὰ καὶ τὰς ἡμέρας καὶ τὰς νύκτας ἐπὶ ταῖς πράξεσιν ὄντες οὐκ ἀπολείπονται τῶν καιρῶν, ἀλλ’ ἕκαστον ἐν τῷ δέοντι πράττουσιν. [20] Ἔτι δ’ οἱ μὲν δυσμενῶς ἔχουσιν, καὶ βούλοιντ’ ἂν καὶ τοὺς πρὸ αὑτῶν ἄρχοντας καὶ τοὺς ἐφ’ αὑτοῖς ὡς κάκιστα διοικῆσαι τὴν πόλιν, ἵν’ ὡς μεγίστην δόξαν αὐτοὶ λάβωσιν· οἱ δὲ διὰ παντὸς τοῦ βίου κύριοι τῶν πραγμάτων ὄντες εἰς ἅπαντα τὸν χρόνον καὶ τὰς εὐνοίας ἔχουσιν. [21] Τὸ δὲ μέγιστον· τοῖς γὰρ κοινοῖς οἱ μὲν ὡς ἰδίοις, οἱ δ’ ὡς ἀλλοτρίοις προσέχουσιν τὸν νοῦν, καὶ συμβούλοις χρῶνται περὶ αὐτῶν οἱ μὲν τῶν ἀστῶν τοῖς τολμηροτάτοις, οἱ δ’ ἐξ ἁπάντων ἐκλεξάμενοι τοῖς φρονιμωτάτοις, καὶ τιμῶσιν οἱ μὲν τοὺς ἐν τοῖς ὄχλοις εἰπεῖν δυναμένους, οἱ δὲ τοὺς χρῆσθαι τοῖς πράγμασιν ἐπισταμένους. [22] Οὐ μόνον δ’ ἐν τοῖς ἐγκυκλίοις καὶ τοῖς κατὰ τὴν ἡμέραν ἑκάστην γιγνομένοις αἱ μοναρχίαι διαφέρουσιν, ἀλλὰ καὶ τὰς ἐν τῷ πολέμῳ πλεονεξίας ἁπάσας περιειλήφασιν. Καὶ γὰρ παρασκευάσασθαι δυνάμεις καὶ χρήσασθαι ταύταις ὥστε καὶ λαθεῖν καὶ φθῆναι, καὶ τοὺς μὲν πεῖσαι, τοὺς δὲ βιάσασθαι, παρὰ δὲ τῶν ἐκπρίασθαι, τοὺς δὲ ταῖς ἄλλαις θεραπείαις προσαγαγέσθαι μᾶλλον αἱ τυραννίδες τῶν ἄλλων πολιτειῶν οἷαί τ’ εἰσίν. Καὶ ταῦτ’ ἐκ τῶν ἔργων ἄν τις οὐχ ἧττον ἢ τῶν λόγων πιστεύσειεν. [23] Τοῦτο μὲν γὰρ τὴν τῶν Περσῶν δύναμιν ἅπαντες ἴσμεν τηλικαύτην τὸ μέγεθος γεγενημένην οὐ διὰ τὴν

Appendice 5: Isocrate, Nicocles 

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τῶν ἀνδρῶν φρόνησιν, ἀλλ’ ὅτι μᾶλλον τῶν ἄλλων τὴν βασιλείαν τιμῶσιν· τοῦτο δὲ Διονύσιον τὸν τύραννον, ὅτι παραλαβὼν τὴν μὲν ἄλλην Σικελίαν ἀνάστατον γεγενημένην, τὴν δ’ αὑτοῦ πατρίδα πολιορκουμένην, οὐ μόνον αὐτὴν τῶν πα­ρόν­ των κινδύνων ἀπήλλαξεν, ἀλλὰ καὶ μεγίστην τῶν Ἑλληνίδων πόλεων ἐποίησεν· [24] ἔτι δὲ Καρχηδονίους καὶ Λακεδαιμονίους, τοὺς ἄριστα τῶν Ἑλλήνων πολιτευομένους, οἴκοι μὲν ὀλιγαρχουμένους, περὶ δὲ τὸν πόλεμον βασιλευομένους. Ἔχοι δ’ ἄν τις ἐπιδεῖξαι καὶ τὴν πόλιν τὴν μάλιστα τὰς τυραννίδας μισοῦσαν, ὅταν μὲν πολλοὺς ἐκπέμψῃ στρατηγοὺς, ἀτυχοῦσαν, ὅταν δὲ δι’ ἑνὸς ποιήσηται τοὺς κινδύνους, κατορθοῦσαν. [25] Καίτοι πῶς ἄν τίς σαφέστερον ἐπιδείξειεν ἢ διὰ τοιούτων παραδειγμάτων πλείστου τὰς μοναρχίας ἀξίας οὔσας; Φαίνονται γὰρ οἵ τε διὰ τέλους τυραννευόμενοι μεγίστας δυνάμεις ἔχοντες, οἵ τε καλῶς ὀλιγαρχούμενοι, περὶ ἃ μάλιστα σπουδάζουσιν, οἱ μὲν ἕνα μόνον στρατηγὸν, οἱ δὲ βασιλέα τῶν στρατοπέδων κύριον καθιστάντες, οἵ τε μισοῦντες τὰς τυραννίδας, ὁπόταν πολλοὺς ἄρχοντας ἐκπέμψωσιν, οὐδὲν τῶν δεόντων πράττοντες. [26] Εἰ δὲ δεῖ τι καὶ τῶν ἀρχαίων εἰπεῖν, λέγεται καὶ τοὺς θεοὺς ὑπὸ Διὸς βασιλεύεσθαι. Περὶ ὧν εἰ μὲν ἀληθὴς ὁ λόγος ἐστὶν, δῆλον ὅτι κἀκεῖνοι ταύτην τὴν κατάστασιν προκρίνουσιν, εἰ δὲ τὸ μὲν σαφὲς μηδεὶς οἶδεν, αὐτοὶ δ’ εἰκάζοντες οὕτω περὶ αὐτῶν ὑπειλήφαμεν, σημεῖον ὅτι πάντες τὴν μοναρχίαν προτιμῶμεν· οὐ γὰρ ἄν ποτ’ αὐτῇ χρῆσθαι τοὺς θεοὺς ἔφαμεν, εἰ μὴ πολὺ τῶν ἄλλων αὐτὴν προέχειν ἐνομίζομεν. [27] Περὶ μὲν οὖν τῶν πολιτειῶν, ὅσον ἀλλήλων διαφέρουσιν, ἅπαντα μὲν οὔθ’ εὑρεῖν οὔτ’ εἰπεῖν δυνατόν ἐστιν· οὐ μὴν ἀλλὰ πρός γε τὸ παρὸν ἀποχρώντως καὶ νῦν εἴρηται περὶ αὐτῶν. Ὡς δὲ προσηκόντως τὴν ἀρχὴν ἡμεῖς ἔχομεν, πολὺ τούτου συντομώτερος καὶ μᾶλλον ὁμολογούμενος ὁ λόγος ἐστίν. [28] Τίς γὰρ οὐκ οἶδεν, ὅτι Τεῦκρος μὲν ὁ τοῦ γένους ἡμῶν ἀρχηγὸς, παραλαβὼν τοὺς τῶν ἄλλων πολιτῶν προγόνους, πλεύσας δεῦρο καὶ τὴν πόλιν αὐτοῖς ἔκτισεν καὶ τὴν χώραν κατένειμεν, ὁ δὲ πατὴρ Εὐαγόρας ἀπολεσάντων ἑτέρων τὴν ἀρχὴν πάλιν ἀνέλαβεν, ὑποστὰς τοὺς μεγίστους κινδύνους, καὶ τοσοῦτον μετέστησεν, ὥστε μηκέτι Φοίνικας Σαλαμινίων τυραννεῖν, ἀλλ’ ὧνπερ ἦν τὴν ἀρχὴν, τούτους καὶ νῦν ἔχειν τὴν βασιλείαν; [29] Λοιπὸν οὖν ἐστιν, ὧν προεθέμην, περὶ ἐμαυτοῦ διελθεῖν, ἵν’ ἐπίστησθ’ ὅτι τοιοῦτός ἐστιν ὑμῶν ὁ βασιλεύων, ὃς οὐ μόνον διὰ τοὺς προγόνους, ἀλλὰ καὶ δι’ ἐμαυτὸν δικαίως ἂν καὶ μείζονος τιμῆς ἢ τηλικαύτης ἠξιώθην. Οἶμαι γὰρ ἐγὼ πάντας ἂν ὁμολογῆσαι, πλείστου τῶν ἀρετῶν ἀξίας εἶναι τήν τε σωφροσύνην καὶ τὴν δικαιοσύνην. [30] Οὐ γὰρ μόνον ἡμᾶς τὸ καθ’ αὑτὰς ὠφελοῦσιν, ἀλλ’ εἰ ’θέλοιμεν σκοπεῖν καὶ τὰς φύσεις καὶ τὰς δυνάμεις καὶ τὰς χρήσεις τῶν πραγμάτων, εὑρήσομεν τὰς μὲν μὴ μετεχούσας τούτων τῶν ἰδεῶν μεγάλων κακῶν αἰτίας οὔσας, τὰς δὲ μετὰ δικαιοσύνης καὶ σωφροσύνης γιγνομένας πολλὰ τὸν βίον τὸν τῶν ἀνθρώπων ὠφελούσας. Εἰ δή τινες τῶν προγεγενημένων ἐπὶ ταύταις ταῖς ἀρεταῖς εὐδοκίμησαν, ἡγοῦμαι κἀμοὶ προσήκειν τῆς αὐτῆς δόξης ἐκείνοις τυγχάνειν.

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 Appendici

[31] Τὴν μὲν οὖν δικαιοσύνην ἐκεῖθεν ἂν μάλιστα κατίδοιτε. Παραλαβὼν γὰρ, ὅτ’ εἰς τὴν ἀρχὴν καθιστάμην, τὰ μὲν βασίλεια χρημάτων κενὰ καὶ πάντα κατηναλωμένα, τὰ δὲ πράγματα ταραχῆς μεστὰ καὶ πολλῆς ἐπιμελείας δεόμενα καὶ φυλακῆς καὶ δαπάνης, εἰδὼς ἑτέρους ἐν τοῖς τοιούτοις καιροῖς ἐκ παντὸς τρόπου τὰ σφέτερ’ αὐτῶν διορθουμένους καὶ πολλὰ παρὰ τὴν φύσιν τὴν αὑτῶν πράττειν ἀναγκαζομένους, [32] ὅμως οὐδ’ ὑφ’ ἑνὸς τούτων διεφθάρην, ἀλλ’ οὕτως ὁσίως καὶ καλῶς ἐπεμελήθην τῶν πραγμάτων, ὥστε μηδὲν ἐλλείπειν ἐξ ὧν οἷόν τ’ ἦν αὐξηθῆναι καὶ πρὸς εὐδαιμονίαν ἐπιδοῦναι τὴν πόλιν. Πρός τε γὰρ τοὺς πολίτας μετὰ τοιαύτης πραότητος προσηνέχθην, ὥστε μήτε φυγὰς μήτε θανάτους μήτε χρημάτων ἀποβολὰς μήτ’ ἄλλην μηδεμίαν τοιαύτην συμφορὰν ἐπὶ τῆς ἐμῆς γεγενῆσθαι βασιλείας. [33] Ἀβάτου δὲ τῆς Ἑλλάδος ἡμῖν οὔσης διὰ τὸν πόλεμον τὸν γεγενημένον, καὶ πανταχῇ συλωμένων ἡμῶν, τὰ πλεῖστα τούτων διέλυσα, τοῖς μὲν ἅπαντ’ ἀποτίνων, τοῖς δὲ μέρη, τῶν δ’ ἀναβαλέσθαι δεόμενος, πρὸς δὲ τοὺς ὅπως ἐδυνάμην περὶ τῶν ἐγκλημάτων διαλλαττόμενος. Ἔτι δὲ καὶ τῶν τὴν νῆσον οἰ­κούν­των δυσκόλως πρὸς ἡμᾶς διακειμένων, καὶ βασιλέως τῷ μὲν λόγῳ διηλλαγμένου, τῇ δ’ ἀληθείᾳ τραχέως ἔχοντος, [34] ἀμφότερα ταῦτα κατεπράϋνα, τῷ μὲν προθύμως ὑπηρετῶν, πρὸς δὲ τοὺς δίκαιον ἐμαυτὸν παρέχων. Τοσούτου γὰρ δέω τῶν ἀλλοτρίων ἐπιθυμεῖν, ὥσθ’ ἕτεροι μὲν, ἢν καὶ μικρῷ μείζω τῶν ὁμόρων δύναμιν ἔχωσιν, ἀποτέμνονται τῆς γῆς καὶ πλεονεκτεῖν ζητοῦσιν, ἐγὼ δ’ οὐδὲ τὴν διδομένην χώραν ἠξίωσα λαβεῖν, ἀλλ’ αἱροῦμαι μετὰ δικαιοσύνης τὴν ἐμαυτοῦ μόνον ἔχειν μᾶλλον ἢ μετὰ κακίας πολλαπλασίαν τῆς ὑπαρχούσης κτήσασθαι. [35] Καὶ τί δεῖ καθ’ ἓν ἕκαστον λέγοντα διατρίβειν, ἄλλως τε καὶ συντόμως ἔχοντα δηλῶσαι περὶ ἐμαυτοῦ; Φανήσομαι γὰρ οὐδένα μὲν πώποτ’ ἀδικήσας, πλείους δὲ καὶ τῶν πολιτῶν καὶ τῶν ἄλλων Ἑλλήνων εὖ πεποιηκὼς καὶ μείζους δωρεὰς ἑκατέροις δεδωκὼς ἢ σύμπαντες οἱ πρὸ ἐμοῦ βασιλεύσαντες. Καίτοι χρὴ τοὺς μέγα φρο­ νοῦν­τας ἐπὶ δικαιοσύνῃ καὶ προσποιουμένους χρημάτων εἶναι κρείττους τοιαύτας ὑπερβολὰς ἔχειν εἰπεῖν περὶ αὑτῶν. [36] Καὶ μὲν δὴ καὶ περὶ σωφροσύνης ἔτι μείζω τούτων ἔχω διελθεῖν· Εἰδὼς γὰρ ἅπαντας ἀνθρώπους περὶ πλείστου ποιουμένους τοὺς παῖδας τοὺς αὑτῶν καὶ τὰς γυναῖκας, καὶ μάλιστ’ ὀργιζομένους τοῖς εἰς ταῦτ’ ἐξαμαρτάνουσιν, καὶ τὴν ὕβριν τὴν περὶ ταῦτα μεγίστων κακῶν αἰτίαν γιγνομένην, καὶ πολλοὺς ἤδη καὶ τῶν ἰδιωτῶν καὶ τῶν δυναστευσάντων διὰ ταύτην ἀπολομένους, οὕτως ἔφυγον τὰς αἰτίας ταύτας, ὥστ’ ἐξ οὗ τὴν βασιλείαν ἔλαβον, οὐδενὶ φανήσομαι σώματι πεπλησιακὼς πλὴν τῆς ἐμαυτοῦ γυναικὸς, [37] οὐκ ἀγνοῶν ὅτι κἀκεῖνοι παρὰ τοῖς πολλοῖς εὐδοκιμοῦσιν, ὅσοι περὶ μὲν τὰ τῶν πολιτῶν δίκαιοι τυγχάνουσιν ὄντες, ἄλλοθεν δέ ποθεν αὑτοῖς ἐπορίσαντο τὰς ἡδονὰς, ἀλλὰ βουλόμενος ἅμα μὲν ἐμαυτὸν ὡς πορρωτάτω ποιῆσαι τῶν τοιούτων ὑποψιῶν, ἅμα δὲ παράδειγμα καταστῆσαι τὸν τρόπον τὸν ἐμαυτοῦ τοῖς ἄλλοις πολίταις, γιγνώσκων ὅτι φιλεῖ τὸ πλῆθος ἐν τούτοις τοῖς ἐπιτηδεύμασιν τὸν βίον διάγειν, ἐν οἷς ἂν τοὺς ἄρχοντας τοὺς αὑτῶν ὁρῶσιν διατρίβοντας. [38] Ἔπειτα καὶ προσήκειν ἡγησάμην τοσούτῳ

Appendice 5: Isocrate, Nicocles 

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τοὺς βασιλέῖς βελτίους εἶναι τῶν ἰδιωτῶν, ὅσῳ περ καὶ τὰς τιμὰς μείζους αὐτῶν ἔχουσιν, καὶ δεινὰ ποιεῖν, ὅσοι τοὺς μὲν ἄλλους κοσμίως ζῆν ἀναγκάζουσιν, αὐτοὶ δ’ αὑτοὺς μὴ σωφρονεστέρους τῶν ἀρχομένων παρέχουσιν. [39] Πρὸς δὲ τούτοις τῶν μὲν ἄλλων πράξεων ἑώρων ἐγκρατεῖς τοὺς πολλοὺς γιγνομένους, τῶν δ’ ἐπιθυμιῶν τῶν περὶ τοὺς παῖδας καὶ τὰς γυναῖκας καὶ τοὺς βελτίστους ἡττωμένους· ἐβουλήθην οὖν ἐν τούτοις ἐμαυτὸν ἐπιδεῖξαι καρτερεῖν δυνάμενον, ἐν οἷς ἔμελλον οὐ μόνον τῶν ἄλλων διοίσειν, ἀλλὰ καὶ τῶν ἐπ’ ἀρετῇ μέγα φρονούντων. [40] Ἔτι δὲ καὶ τῶν τοιούτων πολλὴν κακίαν κατεγίγνωσκον, ὅσοι γυναῖκας λαβόντες καὶ κοινωνίαν ποιησάμενοι παντὸς τοῦ βίου μὴ στέργουσιν, οἷς ἔπραξαν, ἀλλὰ ταῖς αὑτῶν ἡδοναῖς λυποῦσιν ταύτας, ὑφ’ ὧν αὐτοὶ μηδὲν ἀξιοῦσι λυπεῖσθαι, καὶ περὶ μὲν ἄλλας τινὰς κοινωνίας ἐπιεικεῖς σφᾶς αὐτοὺς παρέχουσιν, ἐν δὲ ταῖς πρὸς τὰς γυναῖκας ἐξαμαρτάνουσιν· ἃς ἔδει τοσούτῳ μᾶλλον διαφυλάττειν, ὅσῳ περ οἰκειότεραι καὶ μείζους οὖσαι τῶν ἄλλων τυγχάνουσιν. [41] Εἶτα λανθάνουσιν ἔνδον ἐν τοῖς βασιλείοις στάσεις καὶ διαφορὰς αὑτοῖς ἐγκαταλείποντες. Καίτοι χρὴ τοὺς ὀρθῶς βασιλεύοντας μὴ μόνον τὰς πόλεις ἐν ὁμονοίᾳ πειρᾶσθαι διάγειν, ὧν ἂν ἄρχωσιν, ἀλλὰ καὶ τοὺς οἴκους τοὺς ἰδίους καὶ τοὺς τόπους, ἐν οἷς ἂν κατοικῶσιν· ἅπαντα γὰρ ταῦτα σωφροσύνης ἔργα καὶ δικαιοσύνης ἐστίν. [42] Οὐ τὴν αὐτὴν δὲ γνώμην ἔσχον οὐδὲ περὶ τῆς παιδοποιίας τοῖς πλείστοις τῶν βασιλέων, οὐδ’ ᾠήθην δεῖν τοὺς μὲν ἐκ ταπεινοτέρας ποιήσασθαι τῶν παίδων, τοὺς δ’ ἐκ σεμνοτέρας, οὐδὲ τοὺς μὲν νόθους αὐτῶν, τοὺς δὲ γνησίους καταλιπεῖν, ἀλλὰ πάντας ἔχειν τὴν αὐτὴν φύσιν καὶ πρὸς πατρὸς καὶ πρὸς μητρὸς ἀνενεγκεῖν τῶν μὲν θνητῶν εἰς Εὐαγόραν τὸν πατέρα, τῶν δ’ ἡμιθέων εἰς Αἰακίδας, τῶν δὲ θεῶν εἰς Δία, καὶ μηδένα τῶν ἐξ ἐμοῦ γενομένων ἀποστερηθῆναι ταύτης τῆς εὐγενείας. [43] Πολλῶν δέ με προτρεπόντων ἐμμένειν τοῖς ἐπιτηδεύμασιν τούτοις, οὐχ ἥκιστα κἀκεῖνο παρεκάλεσεν, ὅτι τῆς μὲν ἀνδρείας καὶ τῆς δεινότητος καὶ τῶν ἄλλων τῶν εὐδοκιμούντων ἑώρων καὶ τῶν κακῶν ἀνδρῶν πολλοὺς μετέχοντας, τὴν δὲ δικαιοσύνην καὶ σωφροσύνην ἴδια κτήματα τῶν καλῶν κἀγαθῶν ὄντα. Κάλλιστον οὖν ὑπέλαβον, εἴ τις δύναιτο ταύταις ταῖς ἀρεταῖς προέχειν τῶν ἄλλων, ὧν οὐδὲν μέρος τοῖς πονηροῖς μέτεστιν, ἀλλὰ γνησιώταται καὶ βεβαιόταται καὶ μεγίστων ἐπαίνων ἄξιαι τυγχάνουσιν οὖσαι. [44] Τούτων ἕνεκα καὶ ταῦτα διανοηθεὶς περιττοτέρως τῶν ἄλλων ἤσκησα τὴν σωφροσύνην, καὶ προειλόμην τῶν ἡδονῶν οὐ τὰς ἐπὶ τοῖς ἔργοις τοῖς μηδεμίαν τιμὴν ἔχουσιν, ἀλλὰ τὰς ἐπὶ ταῖς δόξαις ταῖς δι’ ἀνδραγαθίαν γιγνομέναις. Χρὴ δὲ δοκιμάζειν τὰς ἀρετὰς οὐκ ἐν ταῖς αὐταῖς ἰδέαις ἁπάσας, ἀλλὰ τὴν μὲν δικαιοσύνην ἐν ταῖς ἀπορίαις, τὴν δὲ σωφροσύνην ἐν ταῖς δυναστείαις, τὴν δ’ ἐγκράτειαν ἐν ταῖς τῶν νεωτέρων ἡλικίαις. [45] Ἐγὼ τοίνυν ἐν πᾶσι τοῖς καιροῖς φανήσομαι πεῖραν τῆς ἐμαυτοῦ φύσεως δεδωκώς. Ἐνδεὴς μέν γε χρημάτων καταλειφθεὶς οὕτω δίκαιον ἐμαυτὸν παρέσχον, ὥστε μηδένα λυπῆσαι τῶν πολιτῶν· λαβὼν δ’ ἐξουσίαν, ὥστε ποιεῖν ὅ τι ἂν βούλωμαι, σωφρονέστερος τῶν ἰδιωτῶν ἐγενόμην· τούτων δ’ ἀμφοτέρων ἐκράτησα ταύτην ἔχων τὴν ἡλικίαν, ἐν ᾗ τοὺς πλείστους ἂν εὕροιμεν πλεῖστα περὶ τὰς πράξεις ἐξαμαρτάνοντας. [46]

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 Appendici

Καὶ ταῦτ’ ἐν ἑτέροις μὲν ἴσως ἂν ὤκνουν εἰπεῖν, οὐχ ὡς οὐ φιλοτιμούμενος ἐπὶ τοῖς πεπραγμένοις, ἀλλ’ ὡς οὐκ ἂν πιστευθεὶς ἐκ τῶν λεγομένων· ὑμεῖς δ’ αὐτοί μοι μάρτυρές ἐστε πάντων τῶν εἰρημένων. Ἄξιον μὲν οὖν καὶ τοὺς φύσει κοσμίους ὄντας ἐπαινεῖν καὶ θαυμάζειν, ἔτι δὲ μᾶλλον καὶ τοὺς μετὰ λογισμοῦ τοιούτους ὄντας· [47] οἱ μὲν γὰρ τύχῃ καὶ μὴ γνώμῃ σωφρονοῦντες τυχὸν ἂν καὶ μεταπεισθεῖεν· οἱ δὲ πρὸς τῷ πεφυκέναι καὶ διεγνωκότες, ὅτι μέγιστόν ἐστι τῶν ἀγαθῶν ἀρετὴ, δῆλον ὅτι πάντα τὸν βίον ἐν ταύτῃ τῇ τάξει διαμενοῦσιν. Διὰ τοῦτο δὲ πλείους ἐποιησάμην τοὺς λόγους καὶ περὶ ἐμαυτοῦ καὶ περὶ τῶν ἄλλων τῶν προειρημένων, ἵνα μηδεμίαν ὑπολίπω πρόφασιν, ὡς οὐ δεῖ ποιεῖν ὑμᾶς ἑκόντας καὶ προθύμως ἅττ’ ἂν ἐγὼ συμβουλεύσω καὶ προστάξω. [48] Φημὶ δὲ χρῆναι πράττειν ἕκαστον ὑμῶν, ἐφ’ οἷς ἐφέστηκεν, ἐπιμελῶς καὶ δικαίως· καθ’ ὁπότερον γὰρ ἂν ἐλλίπητέ τι τούτων, ἀνάγκη κακῶς σχεῖν ταύτῃ τὰς πράξεις. Μηδενὸς ὀλιγωρεῖτε μηδὲ καταφρονεῖτε τῶν προστεταγμένων, ὑπολαμβάνοντες ὡς οὐ παρὰ τοῦτ’ ἐστιν, ἀλλ’ ὡς παρ’ ἕκαστον τῶν μερῶν ἢ καλῶς ἢ κακῶς τὸ σύμπαν ἕξον, οὕτω σπουδάζετε περὶ αὐτῶν. [49] Κήδεσθε μηδὲν ἧττον τῶν ἐμῶν ἢ τῶν ὑμετέρων αὐτῶν, καὶ μὴ νομίζετε μικρὸν ἀγαθὸν εἶναι τὰς τιμὰς, ἃς ἔχουσιν οἱ καλῶς τῶν ἡμετέρων ἐπιστατοῦντες. Ἀπέχεσθε τῶν ἀλλοτρίων, ἵν’ ἀσφαλέστερον τοὺς οἴκους τοὺς ὑμετέρους αὐτῶν κεκτῆσθε. Τοιούτους εἶναι χρὴ περὶ τοὺς ἄλλους, οἷόν περ ἐμὲ περὶ ὑμᾶς ἀξιοῦτε γίγνεσθαι. [50] Μὴ σπεύδετε πλουτεῖν μᾶλλον ἢ χρηστοὶ δοκεῖν εἶναι, γιγνώσκοντες ὅτι καὶ τῶν Ἑλλήνων καὶ τῶν βαρβάρων οἱ μεγίστας ἐπ’ ἀρετῇ δόξας ἔχοντες πλείστων ἀγαθῶν δεσπόται καθίστανται. Τοὺς χρηματισμοὺς τοὺς παρὰ τὸ δίκαιον γιγνομένους ἡγεῖσθε μὴ πλοῦτον, ἀλλὰ κίνδυνον ποιήσειν. Μὴ τὸ μὲν λαβεῖν κέρδος εἶναι νομίζετε, τὸ δ’ ἀναλῶσαι ζημίαν· οὐδέτερον γὰρ τούτων ἀεὶ τὴν αὐτὴν ἔχει δύναμιν, ἀλλ’ ὁπότερον ἂν ἐν καιρῷ καὶ μετ’ ἀρετῆς γίγνηται, τοῦτ’ ὠφελεῖ τοὺς ποιοῦντας. [51] Μηδὲ πρὸς ἓν χαλεπῶς ἔχετε τῶν ὑπ’ ἐμοῦ προσταττομένων· ὅσοι γὰρ ἂν ὑμῶν περὶ πλεῖστα τῶν ἐμῶν χρησίμους αὑτοὺς παράσχωσιν, οὗτοι πλεῖστα τοὺς οἴκους τοὺς αὑτῶν ὠφελήσουσιν. Ὅ τι ἂν ὑμῶν ἕκαστος αὐτὸς αὑτῷ τύχῃ συνειδὼς, ἡγείσθω μηδ’ ἐμὲ λήσειν, ἀλλ’ ἐὰν καὶ τὸ σῶμα μὴ παρῇ, τὴν διάνοιαν τὴν ἐμὴν οἰέσθω τοῖς γιγνομένοις παρεστάναι· ταύτην γὰρ τὴν γνώμην ἔχοντες σωφρονέστερον βουλεύσεσθε περὶ ἁπάντων. [52] Μηδὲν ἀποκρύπτεσθε μήθ’ ὧν κέκτησθε μήθ’ ὧν ποιεῖτε μήθ’ ὧν μέλλετε πράττειν, εἰδότες ὅτι περὶ τὰ κεκρυμμένα τῶν πραγμάτων ἀναγκαῖόν ἐστιν πολλοὺς φόβους γίγνεσθαι. Μὴ τεχνικῶς ζητεῖτε πολιτεύεσθαι μηδ’ ἀφανῶς, ἀλλ’ οὕτως ἁπλῶς καὶ φανερῶς ὥστε μηδ’ ἄν τις βούληται ῥᾴδιον ὑμᾶς εἶναι διαβαλεῖν. Δοκιμάζετε τὰς πράξεις, καὶ νομίζετε πονηρὰς μὲν, ἃς πράττοντες λανθάνειν ἐμὲ βούλεσθε, χρηστὰς δὲ, περὶ ὧν ἐγὼ μέλλω πυθόμενος βελτίους ὑμᾶς νομιεῖν. [53] Μὴ κατασιωπᾶτ’ ἄν τινας ὁρᾶτε περὶ τὴν ἀρχὴν τὴν ἐμὴν πονηροὺς ὄντας, ἀλλ’ ἐξελέγχετε, καὶ νομίζετε τῆς αὐτῆς ζημίας ἀξίους εἶναι τοὺς συγκρύπτοντας τοῖς ἁμαρτάνουσιν. Εὐτυχεῖν νομίζετε μὴ τοὺς λανθάνοντας, ἐάν τι κακὸν

Appendice 5: Isocrate, Nicocles 

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ποιήσωσιν, ἀλλὰ τοὺς μηδὲν ἐξαμαρτάνοντας· τοὺς μὲν γὰρ εἰκὸς τοιαῦτα παθεῖν, οἷά περ αὐτοὶ ποιοῦσιν, τοὺς δὲ χάριν ἀπολαβεῖν, ἧς ἄξιοι τυγχάνουσιν ὄντες. [54] Ἑταιρείας μὴ ποιεῖσθε μηδὲ συνόδους ἄνευ τῆς ἐμῆς γνώμης· αἱ γὰρ τοιαῦται συστάσεις ἐν μὲν ταῖς ἄλλαις πολιτείαις πλεονεκτοῦσιν, ἐν δὲ ταῖς μοναρχίαις κινδυνεύουσιν. Μὴ μόνον ἀπέχεσθε τῶν ἁμαρτημάτων, ἀλλὰ καὶ τῶν ἐπιτηδευμάτων τῶν τοιούτων, ἐν οἷς ἀναγκαῖόν ἐστιν ὑποψίαν ἐγγίγνεσθαι. Τὴν ἐμὴν φιλίαν ἀσφαλεστάτην καὶ βεβαιοτάτην εἶναι νομίζετε. [55] Διαφυλάττετε τὴν παροῦσαν κατάστασιν, καὶ μηδεμιᾶς ἐπιθυμεῖτε μεταβολῆς, εἰδότες ὅτι διὰ τὰς ταραχὰς ἀναγκαῖόν ἐστιν καὶ τὰς πόλεις ἀπόλλυσθαι καὶ τοὺς οἴκους τοὺς ἰδίους ἀναστάτους γίγνεσθαι. Μὴ μόνον τὰς φύσεις αἰτίας νομίζετε τοῦ χαλεποὺς ἢ πραοτέρους εἶναι τοὺς τυράννους, ἀλλὰ καὶ τὸν τρόπον τὸν τῶν πολιτῶν· πολλοὶ γὰρ ἤδη διὰ τὴν τῶν ἀρχομένων κακίαν τραχύτερον ἢ κατὰ τὴν αὑτῶν γνώμην ἄρχειν ἠναγκάσθησαν. Θαρρεῖτε μὴ μᾶλλον διὰ τὴν πραότητα τὴν ἐμὴν ἢ διὰ τὴν ὑμετέραν αὐτῶν ἀρετήν. [56] Τὴν ἐμὴν ἀσφάλειαν ἄδειαν ὑμῖν αὐτοῖς εἶναι νομίζετε· καλῶς γὰρ τῶν περὶ ἐμὲ καθεστώτων, τὸν αὐτὸν τρόπον καὶ τὰ περὶ ὑμᾶς ἕξει. Ταπεινοὺς μὲν εἶναι χρὴ πρὸς τὴν ἀρχὴν τὴν ἐμὴν, ἐμμένοντας τοῖς ἔθεσιν καὶ διαφυλάττοντας τοὺς νόμους τοὺς βασιλικοὺς, λαμπροὺς δ’ ἐν ταῖς ὑπὲρ τῆς πόλεως λῃτουργίαις καὶ τοῖς ἄλλοις τοῖς ὑπ’ ἐμοῦ προσταττομένοις. [57] Προτρέπετε τοὺς νεωτέρους ἐπ’ ἀρετὴν, μὴ μόνον παραινοῦντες ἀλλὰ καὶ περὶ τὰς πράξεις ὑποδεικνύοντες αὐτοῖς, οἵους εἶναι χρὴ τοὺς ἄνδρας τοὺς ἀγαθούς. Διδάσκετε τοὺς παῖδας τοὺς ὑμετέρους αὐτῶν πειθαρχεῖν, καὶ περὶ τὴν παίδευσιν τὴν εἰρημένην διδάσκετ’ αὐτοὺς ὡς μάλιστα διατρίβειν· ἢν γὰρ καλῶς ἄρχεσθαι μάθωσιν, πολλῶν ἄρχειν δυνήσονται, καὶ πιστοὶ μὲν ὄντες καὶ δίκαιοι μεθέξουσι τῶν ἡμετέρων ἀγαθῶν, κακοὶ δὲ γενόμενοι κινδυνεύσουσιν περὶ τῶν ὑπαρχόντων. [58] Μέγιστον ἡγεῖσθε καὶ δικαιότατον τοῖς παισὶ πλοῦτον παραδώσειν, ἢν αὐτοῖς δύνησθε τὴν ἡμετέραν εὔνοιαν καταλιπεῖν. Ἀθλιωτάτους ἡγεῖσθε καὶ δυστυχεστάτους, ὅσοι περὶ τοὺς πιστεύοντας ἄπιστοι γεγόνασιν· ἀνάγκη γὰρ τοὺς τοιούτους ἀθύμως ἔχοντας καὶ φοβουμένους ἅπαντα, καὶ μηδὲν μᾶλλον πιστεύοντας τοῖς φίλοις ἢ τοῖς ἐχθροῖς τὸν ἐπίλοιπον χρόνον διάγειν. [59] Ζηλοῦτε μὴ τοὺς τὰ πλεῖστα κεκτημένους, ἀλλὰ τοὺς μηδὲν κακὸν σφίσιν αὐτοῖς συνειδότας· μετὰ γὰρ τοιαύτης ψυχῆς ἥδιστ’ ἄν τις δύναιτο τὸν βίον διαγαγεῖν. Μὴ τὴν κακίαν οἴεσθε δύνασθαι μὲν πλείω τῆς ἀρετῆς ὠφελεῖν, τὸ δ’ ὄνομα δυσχερέστερον ἔχειν, ἀλλ’ οἵων περ ὀνομάτων ἕκαστον τῶν πραγμάτων τετύχηκεν, τοιαύτας ἡγεῖσθε καὶ τὰς δυνάμεις αὐτῶν εἶναι. [60] Μὴ φθονεῖτε τοῖς παρ’ ἐμοὶ πρωτεύουσιν ἀλλ’ ἁμιλλᾶσθε, καὶ πειρᾶσθε χρηστοὺς ὑμᾶς αὐτοὺς παρέχοντες ἐξισοῦσθαι τοῖς προέχουσιν. Φιλεῖν οἴεσθε δεῖν καὶ τιμᾶν οὕσπερ ἂν καὶ ὁ βασιλεὺς, ἵνα καὶ παρ’ ἐμοῦ τυγχάνητε τῶν αὐτῶν τούτων. Οἷά περὶ παρόντος μου λέγετε, τοιαῦτα καὶ περὶ ἀπόντος φρονεῖτε. [61] Τὴν εὔνοιαν τὴν πρὸς ἡμᾶς ἐν τοῖς ἔργοις ἐνδείκνυσθε μᾶλλον ἢ ἐν τοῖς λόγοις. Ἃ πάσχοντες ὑφ’ ἑτέρων ὀργίζεσθε, ταῦτα τοὺς ἄλλους μὴ ποιεῖτε. Περὶ ὧν ἂν ἐν

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 Appendici

τοῖς λόγοις κατηγορῆτε, μηδὲν τούτων ἐν τοῖς ἔργοις ἐπιτηδεύετε. Τοιαῦτα προσδοκᾶτε πράξειν, οἷ’ ἂν περὶ ἡμῶν διανοῆσθε. Μὴ μόνον ἐπαινεῖτε τοὺς ἀγαθοὺς, ἀλλὰ καὶ μιμεῖσθε. [62] Τοὺς λόγους τοὺς ἐμοὺς νόμους εἶναι νομίζοντες πειρᾶσθε τούτοις ἐμμένειν, εἰδότες ὅτι τοῖς μάλιστα ποιοῦσιν ὑμῶν ἁγὼ βούλομαι, τάχιστα τούτοις ἐξέσται ζῆν ὡς αὐτοὶ βούλονται. Κεφάλαιον τῶν εἰρημένων· οἵουσπερ τοὺς ὑφ’ ὑμῶν ἀρχομένους οἴεσθε δεῖν περὶ ὑμᾶς εἶναι, τοιούτους χρὴ καὶ περὶ τὴν ἀρχὴν τὴν ἐμὴν ὑμᾶς γίγνεσθαι. [63] Καὶ ταῦτ’ ἂν ποιῆτε, τί δεῖ περὶ τῶν συμβησομένων μακρολογεῖν; Ἢν γὰρ ἐγώ τε παρέχω τοιοῦτον ἐμαυτὸν, οἷόν περ ἐν τῷ παρελθόντι χρόνῳ, καὶ τὰ παρ’ ὑμῶν ὑπηρετῆται, ταχέως ὄψεσθε καὶ τὸν βίον τὸν ὑμέτερον αὐτῶν ἐπιδεδωκότα καὶ τὴν ἀρχὴν τὴν ἐμὴν ηὐξημένην καὶ τὴν πόλιν εὐδαίμονα γεγενημένην. [64] Ἄξιον μὲν οὖν τηλικούτων ἀγαθῶν ἕνεκα καὶ μηδὲν ἐλλείπειν, ἀλλὰ καὶ πόνους καὶ κινδύνους οὑστινασοῦν ὑπενεγκεῖν· ὑμῖν δ’ ἔξεστι μηδὲν ταλαιπωρηθεῖσιν ἀλλὰ πιστοῖς μόνον καὶ δικαίοις οὖσιν ἅπαντα ταῦτα διαπράξασθαι.

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Index Codicum Codices Graeci: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. Gr. 116 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. Gr. 93 (Reg) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. Gr. 111 (Γ) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Gr. 65 (Λ) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Gr. 936 (Δ) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Gr. 1383 (Vat) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Gr. 1392 Cremona, Biblioteca Statale, Cremon. 160 (Crem) Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Laur. plut. 87. 14 (Θ) Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Laur. plut. 58.5 (Ν) Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Laur. Conv. Soppr. 83 Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Laur. Conv. Soppr. 112 London, British Library, Harl. 5660 (Harl) Milano, Biblioteca Ambrosiana, O 144 sup. (E) Modena, Biblioteca Estense Universitaria, Mutin. gr. α P 6 12 (= Est. gr. 130) (Mut) München, Bayerische Staatsbibliothek, cgm 224 (Mon) New Haven, Yale University, Beinecke Library, ms. 240 Oxford, Bodleian Library, Canon. Gr. 87 (Canon) Paris, Bibliothèque Nationale de France, Par. Gr. 2932 (Π) Paris, Bibliothèque Nationale de France, Par. Gr. 2991 Paris, Bibliothèque Nationale de France, Par. Gr. 3024 (Paris) Salamanca, Biblioteca General Histórica, Salm. M 279 (S) Wolfenbüttel, Herzog August Bibliothek, Guelf. 86.7

Codices Nicoclis a Guarino Latine translati: Belluno, Biblioteca del Seminario Gregoriano, ms. 29 (G) Cambridge, Saint John’s College Library, C. 11 (61) (C.11) Cambridge, University Library, LI.I.7 (C) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 303 (Vat.3) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 1778 (Vat.1) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 5117 (Vat.5) Como, Biblioteca Comunale, ms. 4.4.6 (Co) Dublin, Trinity College, ms. 438 (D) London, British Library, Royal 10.B.IX (B) London, Lambeth Palace Library, ms. 341 (L) Milano, Biblioteca Ambrosiana, E 83 sup. (M) Milano, Biblioteca Trivulziana, Triv. 642 (T) Modena, Biblioteca Estense Universitaria, Lat. 20 (alfa F.2.52) (Est.1) Modena, Biblioteca Estense Universitaria, Lat.219 (alfa P.6.24) (Est.2)

278 

 Bibliografia e Indici

Nürnberg, Stadtbibliothek, Solg. 54 2˚ (N) Oxford, Bodleian Library, Auct. F.5.26 (O) Paris, Bibliothèque Nationale de France, Bibliothèque de l’Arsenal, 1134 (P) Roma, Biblioteca Angelica, ms. 234 (A) Roma, Biblioteca Nazionale dei Lincei e Corsiniana, Corsin. 1832 43.E.4, (R) Szombathlely, Egyházmegyei Könyvtár, ms. 8 (S) Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Lat. XIV 30 (V) Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Lat. Z 501 (Z) Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Lat. XI 26 (V1) Vicenza, Biblioteca civica Bertoliana, ms. 31 (Ber)

Reliqui codices Latini: Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Cappon. 3 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 186 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 1769 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 3870 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 3908 Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 4248 Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, S. Marco 275 (F) Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, S. Marco 284 (F) Legnano, Istituto Barbara Melzi, 3 London, British Library, Add., 33782 London, British Library, Arundel 68 London, British Library, Harl. 3426 London, Lambeth Palace Library, ms. 354 Lucca, Biblioteca Governativa, ms. 2128 Milano, Biblioteca Ambrosiana, D. 531 inf Modena, Biblioteca Estense Universitaria, Est. Lat. 421 Modena, Biblioteca Estense Universitaria, Est. Lat. 676 Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, clm, 11301 Napoli, Biblioteca Nazionale, IV G 33 Oxford, Bodleian Library, Bywater 38 Oxford, Magdalen College, Lat. 76 Padova, Biblioteca del Seminario, 119 Vicenza, Biblioteca Antoniniana, I 9 Wroclaw, Biblioteka Uniwersytecka, Rehdigerianus 67 (Wro)

Index Locorum I personaggi ivi citati collocabili temporalmente entro il X secolo sono riportati con il nome latino. Alighieri Dante Inferno 4,128 : 170 Anonymus Isocratis vita ed. Dindorf (1852) 103 : 41n.13, 42n.17 ed. Dindorf (1852) 102–103 : 48n.48 Athenaeus Deipnosophistae III, 122b : 44n.28 Augustinus, Aurelius Hipponensis De civitate Dei 1,16–19 : 169 1,18 : 169; 171 1,19 : 169, 170, 171 1,20–27 : 169 Caesar, Gaius Iulius De bello Gallico 4, 5, 3 : 187 De bello civile 3, 80, 7 : 183n.21 Cicero, Marcus Tullius De finibus 4,10 : 198n.88

Epistulae ad familiares 4,5,4 : 198n.81 7, 17, 1 : 198n.81 12, 20, 1 : 187 De legibus 3,29 : 198n.81 De officiis 1,30 : 198 3,82 : 198n.81 Philippicae 1,16 : 198n.88 3,26 : 198n.81 Pro Flacco 88 : 187 Pro Sulla 72 : 198n.81 De republica 6,13 : 32, 104n. De republica, librorum incertorum fragmenta 7 : 198 Tusculanae Disputationes 4,58 : 187n.41

De natura deorum 1,28 : 187

In Verrem 2,3,59 : 187

De oratore I,1 : 37 I,5 : 198n.88 I,64 : 187n.41 I,76 : 198n.81

Dionysius Halicarnasseus Antiquitates Romanae 4, 64, 4–67 : 169 De Isocrate 10, 1 : 47, 47n.45

280 

 Bibliografia e Indici

Hieronymus Adversus Iovinianum Libri duo I, 46 : 169 I, 49 : 169 Horatius, Quintus Flaccus Ars Poetica 56–57 : 179n.9 Gellius, Aulus Noctes Atticae 19, 7, 5 : 198

l. 43 : 35 ll. 44–50 : 34n.99 ll. 45-47 : 61n.14 ll. 50–53 : 34n.100 ll. 53–60 : 34n.101 l. 54 : 183n.21 l. 57 : 183n.21 l. 58 : 198 ll. 58–60 : 35n.107 l. 61 : 35n.105 ll. 62–64 : 34n.102

Epistula ad Christophorum (Sabbadini (ed. 1915) nr. 84) l. 8 : 157

Nicoclis Epistula praefatoria (Sabbadini (ed. 1916) nr. 675) l. 4 : 198n.81 ll. 5–6 : 32n.91 ll. 4–12 : 32n.90 l. 14 : 198n.81 ll. 15–18 : 32n.92 ll. 18–20 : 33n.93 ll. 24–26 : 33n.94 l. 26 : 35 ll. 32–33 : 35 ll. 29–30 : 33n.95 ll. 31–32 : 34n.104 l. 33 : 183n.21 ll. 31–34 : 33n.96 l. 33 : 35, 198n.81 l. 35 : 61n.14 ll. 34–38 : 33n.97

Epistula ad Iacobum Lavagnolum (Sabbadini (ed. 1915) nr. 261) ll. 17–18 : 30n.80

Epistula ad dominum Nicolaum (Sabbadini (ed. 1916) nr. 718) l. 29 : 157

Epistula ad Baptistam Zendratam (Sabbadini (ed. 1915) nr. 262) ll. 12–17 : 31n.84

Nicocles 1 : 63, 65, 67, 71n.30, 72, 77, 79, 85 e n.50, 86, 89, 144, 180, 181, 182, 187, 191n.54, 195 2 : 66, 67, 69, 70, 71, 77, 79, 81, 83, 86 e n.54, 87 e n.55, 90, 144, 175, 180n.16, 188n.44, 191, 191n.54, 197, 199 3 : 62, 63, 64, 65, 66, 67, 70, 72, 78, 81, 85, 86, 144, 172, 180, 180n.16, 181n.17, 187, 188, 199 e n.90 4 : 63, 65, 67, 70, 72, 77, 78, 81 e n.46, 83, 85, 86, 88, 144, 172, 188, 193n.58

Guarino Guarini Epistula ad Florum Valerum (Sabbadini (ed. 1915) nr. 2) l. 17 : 31n.81 ll. 33–38 : 179n.9 Epistula ad Iohannem Quirinum (Sabbadini (ed. 1915) nr. 3) ll. 29–31 : 31n.81 Epistula ad Carolum Zenum (Sabbadini (ed. 1915) nr. 66) ll. 55–60 : 31n.85

Epistula ad Hieronymum (Sabbadini (ed. 1916) nr. 514) ll. 43–48 : 36 n.109 Nicoclis Argumentum (Sabbadini (ed. 1916) nr. 675) l. 40 : 183n.21 ll. 40–44 : 33n.98

Index Locorum 

5 : 60, 63, 67, 68, 69, 72n.30, 79, 83n.49, 86, 87, 90, 145, 172, 180n.16, 181n.17, 187n.41, 196 6 : 66 e n. 21, 67n.22, 68, 69, 70, 71n.30, 74, 78n.40, 79, 81, 82, 85n.50, 86n.52, 88 e n. 57, 180n.16, 182, 189n.49, 191n.54, 196n.66, 196 7 : 63, 64, 66, 68, 72, 74, 77 e n.38, 78, 79n.43, 81n.46, 85, 86, 87, 88, 89n.60, 189n.49, 196 8 : 62, 64, 66, 68, 70, 71, 79, 81, 85, 86, 87, 145, 175, 177, 181n.17, 194, 196, 9 : 65, 70, 72 e n.32, 74, 81, 86, 89, 146, 172, 179, 190, 195n.64 10 : 62, 63, 66, 68, 70, 72, 77n.38, 78, 79n.45, 81 e n.46, 86 e n.54, 87, 88 e n.57, 146, 180, 180n.16, 191n.54, 193n.58 11 : 61, 62, 63, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 72, 74, 81, 88n.57, 90n.62, 146, 172, 186n.36, 191n.54, 193n.58, 195n.64, 196, 199 12 : 63, 66n.20, 67, 68, 69, 71n.29, 71 e n.30, 81 e n.46, 86nn.52 e 54, 87, 88, 89n.60, 90n.62, 147, 172, 173, 175, 182, 187n.41, 188n.47, 196 13 : 65, 66 e n.20, 70, 71, 72 e n.32, 74, 77, 79, 82, 87, 173, 185n.35, 186n.37, 192, 196 14 : 64, 66, 68, 72 e n.32, 74, 78n.41, 81n.46, 86 e n.52, 87, 89, 147, 176, 189 15 : 65, 66, 68, 69n.24, 73, 77 e n.38, 79, 81 e n.46, 87, 88n.56, 88nn.57–58, 89 e n.60, 90n.62, 148, 180n.16, 199 16 : 65, 67, 72, 74, 76, 77 e n.38, 78, 81n.46, 82, 85n.50, 86n.54, 87, 148, 173, 176, 180n.16, 186, 192 17 : 63, 65, 66 e n.21, 67, 68, 70, 72 e nn.31–32, 74, 77, 81 e n.47, 83n.49, 86n.54, 87, 88, 149, 176, 184, 185, 193, 197 18 : 65, 66 e n.21, 68, 69, 70 e n.29, 72 e n.32, 74, 77, 79, 81n.47, 82, 83 e n.49, 85, 86n.54, 87, 88, 89, 150, 180 e n.16, 181n.17, 182, 185, 198 19 : 67, 68, 70, 72, 77, 82, 83n.49, 86, 89n.60, 180n.16, 182, 185, 187 20 : 62, 67, 68, 72, 77, 81, 85, 87, 88n.57, 89, 150, 173, 180n.16, 187

 281

21 : 64, 70, 71 e n.30, 72 e n.35, 78n.40, 82, 83, 85 e n.50, 86n.52, 87, 88n.56, 150, 176, 183n.24, 184n.30, 187, 195 22 : 64, 67, 69, 70, 72, 74, 82, 87, 89, 90, 151 23 : 64, 66n.21, 67n.23, 69, 71n.30, 72 e n.32, 73, 77, 79n.44, 82, 83 e n.49, 85, 89, 151, 176, 180n.16, 181n.17, 183n.24 24 : 66 e n.21, 67n.23, 68, 69 e n.24, 71, 77, 79, 82, 85, 87, 88, 151, 175, 180, 189, 191n.54 25 : 66n.21, 67n.23, 68, 70, 72, 74, 77, 81, 82, 85, 89, 185, 191n.54 26 : 64, 65, 66 e n.21, 67, 68, 70, 72 e n.32, 82, 83, 85, 87, 88n.57, 89, 151, 176, 185n.36, 186n.37, 187 27 : 60, 66, 68, 72n.32, 73, 76, 77 e n.39, 82, 87, 88, 89n.60, 151, 184, 194, 196 28 : 61, 65, 67, 68, 70, 72n.32, 73, 77, 78, 79n.45, 81n.46, 82, 86n.52, 87 e n.55, 152, 186, 193, 195, 195n.66, 198 29 : 66 nn.20–21, 67n.23, 68, 70 e n.29, 71, 72nn.31–32, 73, 74n.35, 77n.39, 81n.46, 82, 83, 86 e n.54, 87n.55, 88nn.56 e 58, 89 e n.60, 90n.62, 152, 180n.16, 184, 188n.44 30 : 64, 66n.20, 66, 68, 70 e n.28, 73, 77, 79n.44, 81, 83, 87, 152, 173, 175 31 : 70, 72n.30, 73, 77, 79, 81, 85n.50, 86 e n.54, 188n.44, 188n.46 32 : 64, 65, 69, 73, 77, 81, 82, 83, 85n.50, 87, 88, 153, 173, 180n.16, 181n.17, 186 33 : 63, 65, 66nn.20–21, 67 e n.23, 68, 69, 70 e n.28, 71n.29, 72n.32, 73, 74, 77 e n.38, 78n.42, 81 e n.47, 82, 83n.49, 86, 87 e n.55, 88 e n.57, 180, 191n.54, 199 34 : 65, 67 e n.23, 68, 70, 71, 72n.30, 73, 76, 77, 78n.42, 81n.47, 82, 83, 85, 153, 173, 175, 184n.26, 189 35 : 62, 65, 66n.20, 67, 68, 71n.29, 73, 74, 77 e n.38, 81, 83 e n.49, 85, 86, 88n.58, 89 e n.60, 90n.62, 153, 177 36 : 64, 65, 66n.21, 67 e n.23, 68, 69, 70, 71, 72n.32, 73, 77, 81n.46, 82, 83, 85, 86, 88n.57, 89, APPENDICE 1, 182, 189, 195

282 

 Bibliografia e Indici

37 : 64, 66 e n.21, 67 e nn.22–23, 72n.32, 73, 78, 81, 82, 85, 87n.55, 88nn.57–58, 90n.62, 153, 173, 183n.25, 188n.46, 195n.62 38 : 64, 67, 68, 71, 77, 86n.54, 87, 181n.17, 185n.35, 188n.49 39 : 64, 66 e n.20, 68, 70 e n.28, 71n.30, 73, 74, 77n.39, 79, 81, 82, 86, 87 e n.55, 88 e nn.56–58, 89 e n.60, 90 e n.62, 153, 175, 180n.16, 182n.19, 184 40 : 62, 64, 68, 70, 73, 76, 77, 79, 82, 85, 86, 87, 90, 154, 180n.16, 181n.17, 192 e n.56, 196n.68 41 : 63, 67, 68, 69, 72, 77n.39, 81, 83, 85, 89, 154, 173, 180n.16, 182, 190, 193n.58, 195 42 : 65, 66, 67 e n.23, 68, 69, 70 e n.28, 71, 73, 74, 77, 82, 83, 87, 89, 154, 173, 184n.26, 193n.58 43 : 65, 66n.21, 67 e n.23, 68, 73, 74, 78, 81, 83, 87, 89, 155, 175, 182n.19, 185n.35, 192 44 : 61, 66n.21, 68, 72n.32, 73n.35, 74, 76, 77 e n.38, 78, 87, 88n.56, 155, 156, 173, 176, 183n.24, 184, 191n.54 45 : 66, 67, 68, 69, 70, 71, 72n.32, 73, 74, 77, 78, 79, 82, 83n.49, 85, 87, 89n.60, 156, 173, 176, 180n.16, 182n.19, 191n.54, 195n.65, 196 46 : 65, 69, 70, 71, 82, 83, 84, 87, 89, 156, 177, 181n.17, 188n.44, 192 47 : 62, 63, 64, 67, 68, 73, 78, 79, 81n.46, 82, 87, 156, 157, 180n.16, 186n.36, 190n.52, 193n.58, 197 48 : 62, 65, 67 e n.23, 68, 70n.29, 73e n. 35, 74, 81n.47, 83, 85, 86, 88, 157, 174, 180n.16, 183n.25, 188n.46 49 : 63, 65, 67, 68, 70 e n.29, 71, 79n.44, 81 e n.46, 82, 83, 85n.50, 86, 87n.55, 88 e n.56, 157, 176, 181n.17, 185, 195n.64, 199 50 : 62, 64, 65, 66 e n.20, 67n.22, 68, 72n.32, 73 e n.35, 74, 77, 78n.40, 79, 81n.47, 82, 85n.50, 86n.54, 87 e n.55, 89 e n.60, 158, 174, 180n.16, 184n.26, 186, 189n.49, 191, 196, 196n.69, 199 51 : 65, 66, 68, 72n.32, 73n.35, 77n.38, 78, 83, 87, 158, 174, 175, 176, 180 n. 16, 183n.24, 187, 189nn.48–49

52 : 62, 65, 66 e n.21, 67, 68, 73, 74, 78, 81, 83, 85, 87, 88, 89, 158, 176, 180n.16, 183n.25, 186, 188n.46, 189n.48, 196n.66, 199 53 : 66 e n.20, 67, 68, 71, 73, 77n.39, 78, 81n.46, 82, 84, 85, 87, 159, 180n.16, 191n.54, 199 54 : 64, 67, 68, 69, 73, 79, 81, 84, 159, 194 55 : 60, 62, 63, 64, 67n.23, 69n.24, 70, 72n.32, 73, 74, 77 e n.38, 78n.40, 79 e n.43, 82, 87 e n.55, 88n.57, 89, 159, 160, 174, 175, 180n.16, 187, 189n.48, 196 e n.69, 198 56 : 64, 67, 68, 72 e nn.30–32, 73, 74, 77n.38, 78, 81, 83n.49, 85n.50, 86n.54, 87, 88n.57, 160, 188n.44, 191n.54, 195n.64 57 : 62, 73, 74, 77, 83, 84, 87, 160, 161, 174, 176, 185n.31, 194n.60, 196 58 : 62, 63, 65, 67, 70n.29, 73n.35, 79, 81n.46, 86n.52, 87, 89, 161, 174, 176, 179, 181n.17, 182, 196 e n.70, 198 59 : 64, 65, 67, 68, 72n.32, 74, 78, 81, 82, 85, 87n.55, 88, 89, 161, 174, 190 60 : 63, 64, 65, 66, 67n.23, 68, 70n.28, 71, 72nn.31–32, 73n.35, 77, 79, 81n.46, 82, 86, 87, 162, 174, 175, 180, 180n.16, 190, 191n.54, 193, 195n.64, 196n.66, 198 61 : 62, 67, 74, 81, 87, 88, 163, 191n.64 62 : 66, 68, 71n.29, 73n.35, 74, 77 e n.38, 81n.46, 83, 85n.50, 87 e n.55, 89, 163, 164, 174, 176, 193n.58 63 : 61, 64, 68, 71, 77, 79, 82, 85, 86, 164, 174, 199 64 : 64, 67, 68, 70, 74, 77, 79, 82, 85, 88, 89, 164, 174, 180n.16, 187, 188n.64 Herodotus Historiae I, 1–71 : 25 Hesiodus Opera et dies 287–292 : 25 Homerus Ilias IX : 37, 217, 218

Index Locorum 

IX, 180 : 34n.114 IX, 180–189 : 37n.114 X : 19; 24 Odyssea XXIII : 19; 24 XXIII, 190–204 : 179 Isocrates Ad Demonicum 2 : 30 3 : 178n.8 4 : 30, 178n.8 5 : 30 15 : 45n.33, 47n.47 38 : 44n.28, 45n.33 44 : 45 Ad Nicoclem 3 : 47n.46 4 : 30 14–39 : 45 30 : 45n.33 31 : 45n.33, 47n.47 40 : 45 41 : 4, 55 43 : 53n.10, 55 44 : 55 48–49 : 53n.10 Antidosis 73 : 45 253–257 : 45 Nicocles 1 : 180, 181, 182, 191n.54, 195 1–53 : 47 2 : 144, 180n.16, 188n.44, 191, 191n.54, 197, 199 3 : 180n.16, 181n.17, 188 4 : 144, 188n.45, 193n.58 5 : 180n.16, 181n.17, 196 5–7 : 9n.29 5–9 : 45 6 : 180n.16, 182, 189n.49, 191n.54, 196n.66, 196 7 : 189n.49, 196

 283

8 : 177, 181n.17, 194, 196 9 : 179, 190, 195n.64 10 : 180, 180n.16, 191n.54, 193n.58 11 : 43n.20, 186n.36 191n.54, 193n.58, 195n.64, 196 12 : 147, 182, 188n.47, 197 13 : 185n.35, 186n.37, 192, 196 14 : 148, 189 15 : 180n.16, 199 16 : 180n.16, 186, 192 17 : 149, 184, 185, 193, 197 18 : 180 e n.16, 181n.17, 182, 185 19 : 49n.54, 182, 185 20 : 180n.16 21 : 183n.24, 195 23 : 180n.16, 181n.17, 183n.24 24 : 180, 189, 191n.54 25 : 185, 191n.54 26 : 186n.36, 186n.37 27 : 151, 184, 194, 196 28 : 152, 186, 193, 196 e n.66 29 : 180n.16, 184, 188n.44 31 : 188nn.44 e 46 32 : 180n.16, 181n.17, 186 33 : 180, 191n.54 34 : 184n.26, 189 35 : 177 36 : 182, 189, 195 37 : 183n.25, 188n.46, 195n.62 38 : 45n.33, 47n.47, 181n.17, 185n.35, 188n.49 39 : 153, 180n.16, 182n.19, 184 40 : 180n.16, 181n.17, 192, 196n.68 41 : 180n.16, 182, 190n.56, 191, 193n.58, 195 42 : 154, 184n.26, 193n.58 43 : 45n.33, 155, 182n.19, 185n.35, 192 44 : 155, 156, 183n.24, 184, 191n.54 45 : 180n.16, 182n.19, 191n.54, 195n.65, 196 46 : 45n.33, 177, 181n.17, 188n.44, 192 47 : 157, 180n.16, 186n.36, 191n.52, 193n.58, 197 48 : 157, 180n.16, 183n.25, 188n.46 49 : 181n.17, 185, 195n.64 50 : 180n.16, 184n.26, 186, 189n.49, 191, 196 e n.69

284 

 Bibliografia e Indici

51 : 158, 180n. 16, 183n.24, 189nn.48–49 52 : 180n.16, 183n.25, 186, 188n.46, 189n.48, 196n.66 53 : 180n.16, 191n.54 54 : 194 55 : 159, 180n.16, 187, 189n.48, 196 e n.69 56 : 188n.44, 191n.54, 195n.64 57 : 160, 161, 185n.31, 194n.60, 196 58 : 161, 179, 181n.17, 182, 196, 196n.70 59 : 162, 190 60 : 163, 180, 180n.16, 190, 191n.54, 193, 195n.64, 196n.66 61 : 191n.64 62 : 163, 164, 193n.58 63 : 164 64 : 180n.16, 188n.64 Panegyricus 47–50 : 9n.29 Livius, Titus Ab Urbe Condita 1, 57,10 : 171 1, 57–59 : 169 1, 58 : 170 1, 58, 5 : 171 1, 58, 7 : 171 1, 59, 2 : 171 1, 59, 8 : 171 2, 54, 7 : 198n.81 21, 27, 7 : 187 32,13,11 : 183n.21 36,14,6 : 183n.21 Lucianus Samosatensis De historia conscribenda 7–10 : 28 n.68 14 : 28 n.68 37 : 28 n.68 41 : 28 n.68 43 : 28 n.68 44 : 28 n.68 48 : 28 n.68 53 : 28 n.68 Dialogi mortuorum XII : 217, 219n.26

Martianus Capella De nuptiis Philologiae et Mercurii 9, 912 : 198 Menander Rhetor De generis demonstrationum 359, 28–30 : 44n.26 Ovidius, Publius Naso Fasti 2, 721–852 : 169 Photius Constantinopolitanus Bibliotheca 159, 101b, 33–102a, 41 : 40 Plato Phaedrus 261c, 266e : 44n.28 Ps. Plutarchus Vitae decem oratorum IV 17 : 34n.102, 106n. Quintilianus, Marcus Fabius Institutio oratoria 1, 5, 8 : 178 1, 5, 7 : 198n.88 12, 1, 1: 178 Salutati Coluccio Declamatio Lucretiae 6 : 170 10 : 170 11 : 170 Servius, Maurus Honoratus In Vergilii Aeneidos libros 10, 184 : 183n.21 Sidonius, Gaius Apollinaris Epistulae 6, 6, 1 : 198 Stobaeus Johannes Anthologion

Index Locorum 

III, 1, 69; 1, 72; 24, 10; 24, 16; 38, 40; IV, 1, 65; 6, 9; 31d, 109 : 43n.22 III, 41, 10; IV 5, 21 : 43n.23 IV, 6, 16 : 150 Tertullianus, Quintus Septimius Florens Ad martyras 4: 169

Valerius Maximus Facta et Dicta Memorabilia 6, 1, 1 : 169 Valla Lorenzo De vero falsoque bono 2, 3–4 : 170

 285

Index Nominum Antiquorum I personaggi ivi citati collocabili temporalmente entro il X secolo sono riportati con il nome latino. Achilles 28, 37, 37n114 Aeacidae 66, 83, 87, 89, 130 Aeschines 5, 214, 247 Aesopus XI, 19n10 Agamemnon 33, 37, 105 Agasone Andrea 19n12 Alaricus 169 Albertano da Brescia 217, 218 Alberti, Leon Battista 94, 214, 224, 248 Alexander Magnus 28 Alighieri Dante 22n28, 170, 232 Aloisio vescovo di Trogir 249 Apuleius Madaurensis 95, 209, 210, Aragazzi, Bartolomeo da Montepulciano 7, 11 Aretino (o d’Arezzo), Rinuccio 215, 231, 246 Aretino, Giovanni 215 Aretino, Leonardo Bruni 5, 6, 7n20, 8, 17, 32n92, 34n103, 37, 93, 94, 202, 204, 205, 205n10, 211, 214, 215, 217, 219n27, 220, 223, 227, 229, 231, 237, 238, 239, 241, 242, 244, 247, 249, 250 Aristides, Aelius Publius 6, 6n14 Aristophanes 17 Aristoteles 5, 36 Astwyke William 221 Athenaeus 44n28 Augustinus, Aurelius Hipponensis 169, 170, 171 Aurispa Giovanni 217 Balbo Pietro 244, Barbaro Ermolao 7n20, 19n10 Barbaro Francesco 17n6, 18, 18n8, 50n60, 52n68, 60n12, 244, 245, 252, 253 Bartolini Onofrio 14 Bartolo da Sassoferrato 224 Barzizza Gasparino 16, 18, 213, 215, 252 Basilius Magnus 6, 25, 93, 94, 95, 202, 202n3, 203, 204, 206, 208, 214, 223, 227, 239, 239n47, 240, 241, 247, 249

Beccadelli, Antonio Panormita 19n12, 20, 21n17, 213, 214, 215, 252, 253 Belbello Luchino 214 Berdini, Alberto da Saertano 19n10 Bessarione, cardinale 5, 238 Bevilacqua Andrea 252 Bevilacqua Battista 252 Bevilacqua Giorgio 252 Biondo Flavio 22 Boccaccio Giovanni 7, 22n28 Boethius, Anicius Manlius Torquatus Severinus 212 Bonomio Domenico 14n62 Borghi Tobia 28n68 Bracciolini Poggio 5n13, 17, 18, 18n8, 21, 21n23, 28, 94, 211, 212, 213, 214, 215, 224, 237, 245, 249, 250 Brutus, L. Iunius 171 Brutus, M. Iunius 24n43 Buonaccorso da Montemagno 245, 247 Bussi, Giovanni Andrea 24n42 Bussone Francesco 19 Buzzacarini Francesco 14n62 Caesar, Gaius Iulius 21, 21n23, 24n43, 28, 28n69, 183n21 Calco Bartolomeo 232, 233 Calco Tristano 233 Calderino Giovanni 221, 224 Campano, Giovanni Antonio 11n43, 231, 232, 233 Cantelli Ugolino 20 Cappello Guglielmo 21, 21n19 Capra Bartolomeo 229n28 Carbone Ludovico 20n15, 23n29, 23n33, 26n57 Carlo II Malatesta 214 Carolus Magnus 207 Cato, Marcus Porcius Uticensis 28, 170 Cattaneo, Giovanni Maria 14

Index Nominum Antiquorum 

Catullus, Gaius Valerius 198 Cendrata Niccolò 18 Cendrata Taddea 18 Chrysostomus, Iohannes 6, 215, 244, 245 Ciceri Francesco 230 Cicero, Marcus Tullius 7, 18, 19, 36, 37, 187n41, 198, 198n88, 237, 245, 247n56 Cirillus Alexandrinus 25 Collatinus, L. Tarquinius 171 Colonna Prospero 12 Condulmer Francesco 12 Corbinelli Angelo 17, 24, 223, 239 Corbinelli Antonio 17, 51, 51n66, 52, 52n67 Coriolanus G. M. 24n43 Correr Gregorio 248, 249, 250 Cosma Raimondo 214 Cranebroke Henry 220, 221, 222, 225 Cranmer Thomas 225 Crisolora Giovanni 25, 31n81 Crisolora Manuele 4, 5, 6, 7, 8, 16, 17, 18, 18n7, 23, 31n81, 179, 187, 197 Cristoforo di Parma 252 Croke Hilkiah 203 d’Ancona Ciriaco 21n23 d’Angelo Jacopo 17 d’Aragona Alfonso 21n17, 36 d’Aragona Ferdinando 12 d’Aragona Maria 252 Dares Phrygius 223 Dati Agostino 247 de Aledoxiis Ludovico 215 de Lignamine Francesco 25 de Maraschis, Bartolomeo da Mantova 247 de Marini Pileo 211, 212n19 de’ Rustici Cencio 6, 7, 17, 215, 218, 219, 223, 251 Decembrio Angelo 22, 26n57, 198n80 Decembrio Uberto 5, 6 Decembrio, Pier Candido 19n12, 216 Degli Atti Francesco 224 dei Guarini Bartolomeo (padre di Guarino) 16 dei Guarini Libera (madre di Guarino) 16 del Monte Pietro 21n23, 94, 204, 204n7, 227, 241, 242n51 Demades 214, 247 Demosthenes 5, 214, 247, 248

 287

d’Este Borso 23 d’Este Leonello XIII e n.1, XIV, XV, 11, 12, 20, 21 e n.20, 22 e nn.25-26 e 28, 23, 24, 26 e n.53, 27, 28 e n.66 e 69, 32, 33, 34, 35, 36, 37 e n.114, 55, 57, 58, 61, 62n.14, 89, 90, 92, 99, 104, 105, 186n.37, 200, 201, 202, 204, 205n.10, 209, 212, 218, 220, 223, 225, 227, 228, 229, 231, 235, 237, 239, 240, 241, 242, 246, 247, 248, 252 d’Este Niccolò III 19 e n12, 20, 22, 26, 27 Diedo Francesco 14 Dio Chrysostomus 208, 239 Dion 24n43 Dionysius Halicarnasseus 43, 47, 47n45, 48 Donato Pietro 18n7, 24 Enrico V, re d’Inghilterra 219, 219n26 Eugenio IV (Gabriele Condulmer) 12 Eumenes 24n43 Eutropius 208 Evagoras 33, 38, 45, 107, 122, 123, 130, 131, 194 Facio Bartolomeo 12, 13, 19n10 Federico, duca di Montefeltro 35n106 Federico III d’Asburgo 247 Ferrari Ottaviano 229, 230 Filelfo Francesco 5, 7n20, 214, 239, 253 Filetico Martino 14 Filippo da Rimini 237 Filippo d’Argentina 223 Flemmyng Robert 23n29 Florido Francesco 25n50 Floro Valier (o Valerio Floro) 10, 16, 31n81, 178, 201, 231, 239, 248 Fortini Paolo 17 Fossani S. 229 Foxe J. 242 Fra’ Girolamo (ignoto) 35n106 Frederik Henry 226 Free John 23n29 Gambara Maffeo 247 Gellius, Aulus 20, 25, 198 Georg Boemo 23n29 Gerolamo 7, 169, 200, 201n2, 245 Giorgio Agostino da Zagabria 23n29

288 

 Bibliografia e Indici

Giovanni da Lignano 224 Girardo da Patrasso (o Metone) 51 Giuliani Andrea 18 Giustiniani Bernardo XIII, 7n20, 11, 11n41, 12, 13, 14, 29, 34, 38, 62n14, 92, 93, 106, 107, 200, 201, 212, 215, 223, 224, 225, 229, 235, 237, 238, 243, 244, 246, 247, 248, 250, 251 Giustiniani Leonardo 11n41, 18, 215 Gonzaga Carlo 252 Gonzaga Gianfrancesco 215 Gonzaga Ludovico XIII, 11, 34, 106, 107, 200, 201, 212, 215, 235, 237, 238, 243, 246, 250 Gonzaga Margherita 21n20 Grey William XII, 23n29 Griffolini, Francesco d’Arezzo 202, 247 Gualdo Girolamo 24, 179 Guarini Battista 20, 23, 23n33, 26n57, 247 Guarini Girolamo 23, 36 Guarini Gregorio 23 Guarini Guarino XII, XIII, XIIIn1, XIV, XV, XVI, 3n2, 7n20, 8, 10, 11, 11n37, 11n38, 11n41, 11n43, 12, 12n48, 13, 14, 15, 16, 17, 17n4, 17n5, 17n6, 18, 18n7, 18n8, 19, 19n10, 19n11, 19n12, 20, 20n13, 20n15, 21, 21n16, 21n17, 21n19, 21n20, 21n23, 22, 22n25, 22n26, 23, 23n29, 23n33, 24, 24n38, 24n42, 24n43, 25, 25n47, 25n49, 26, 26n53, 26n57, 27, 27n60, 27n61, 28, 28n66, 28n68, 28n69, 30n80, 31n81, 31n84, 31n85, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 37n14, 38, 50, 51, 52, 52n68, 52n69, 52n71, 53, 55, 56, 56n7, 57, 58, 60, 60n12, 61, 62, 62n15, 92, 93, 95, 96, 99, 99n1, 99n4, 104, 105, 108, 142, 144, 145, 146, 147, 148, 149, 150, 151, 152, 153, 154, 155, 156, 157, 158, 159, 160, 161, 162, 163, 164, 169, 171, 172, 172n1, 177, 178, 179, 180, 180n13, 182, 183n22, 183n25, 185, 186n37, 187, 187n39, 188n44, 188, 190, 191, 191n55, 192n56, 193, 194, 195, 195n64, 196, 197, 197n72, 198, 198n80, 198n81, 199n90, 199, 200, 201, 202, 203, 203n4, 204, 204n8, 205n10, 207, 209, 210, 212, 213, 214, 215, 216, 217, 218, 219, 220, 223,

225, 227, 229, 231, 233, 235, 237, 239, 239n47, 241, 242, 243, 244, 246, 247, 248, 249, 250, 251, 252, 253 Guarini Manuele 23 Guarini Niccolò 23 Guidantonio di Montefeltro 214 Gunthorpe John 23n29, 201, 203, 203n4, 203n5 Hallam Robert 222 Harte John 201 Henri de Bruges 23n29 Hermogenes 44 Hero Antiochenus 206 Herodotus 6, 20, 25 Hesiodus 25, 46 Hieronymus, Sofronius Eusebius 19, 224 Homerus 24, 25, 37, 46, 179, 217, 219 Horatius, Quintus Flaccus 7 Humfrey duca di Glouchester XII, XIV, 58, 204, 205, 216, 219, 220, 227, 228, 241, 242 Hynder J. 225 Ignatius Antiochensis 206, 208 Isidoro di Kiev 52n69 Isocrates XI, XII, XVI, XVIn5, 5, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 21, 24, 27, 29, 30, 30n76, 33, 34, 35, 35n106, 36, 37, 38, 39, 39n1, 39n3, 40, 40n6, 41, 41n13, 42, 42n16, 43, 44, 44n28, 45, 45n31, 46, 46n36, 47, 47n45, 48, 49, 50, 52, 53, 54, 55, 92, 94, 100, 104, 105, 106, 107, 108, 115, 126, 142, 146, 148, 151, 152, 153, 155, 156, 157, 159, 162, 163, 164, 165, 200, 201, 202, 203, 204, 205, 207, 209, 210, 212, 215, 217, 218, 219, 223, 224, 225, 227, 229, 231, 233, 235, 237, 238, 239, 240, 241, 243, 244, 246, 247, 248, 249, 250, 251, 252, 254 Iuppiter 122, 123, 130, 131, 185n36 Jacopo da Recanati 248 Jeauffroy Henri 23n29 Karoch Samuel 23n29

Index Nominum Antiquorum 

Laelius, Gaius 28, 34, 106, 107 Lamola Giovanni 21 Lapo da Castiglionchio XIV, 3n2, 7n20, 12, 12n45, 12n47, 13, 55, 55n3, 64, 76n36, 92, 93, 93n70, 94, 154, 191n55, 204, 204n8, 205, 205n10, 215, 217, 218, 219, 220, 220n30, 223, 225, 227, 228, 241, 242, 248, 249, 251 Lavagnola Giacomo 24, 252 Leantino Andrea 50, 50n60 Lianori Lianoro 53 Lippi Lorenzo 36n113 Livius, Titus 171, 183n21 Lombardo da Serico 224 Loncier Johann 14n64 Loschi Antonio 17 Loschi Niccolò 12, 14 Lucianus Samosatensis XI, 5, 16, 18n7, 24, 52n69, 197, 200, 202, 217, 219, 235, 246, 248, 249 Lucretia XV, 169, 170, 171 Lucretius, Titus C. 18n8 Luder Peter 23n29 Ludovico di Sambonifacio 252 Lumley John 226 Lysander 21n20, 24n43, 27, 29 Lysias 239 Machiavelli Niccolò 10, 15, 21n23 Macrobius, Ambrosius Theodosius 248 Maffei Timoteo 25 Maggi Bartolomeo 13 Maggi Maggio 19, 19n.11, 24 Mainenti Scipione 21n23, 24 Malatesta Battista 214 Malatesta Malatesta 214 Malatesta, Galeotto Roberto 11 Manuele II Paleologo 18n7, 25 Manyngham John 217, 218, 219, 220 Marcellus, Marcus Claudius 24n43, 27, 29 Mariani Bartolomeo 14 Marsuppini Carlo 11, 13, 36n113, 38, 56, 56n7, 92, 215, 231, 244, 245 Martianus Capella 198 Martinelli, Francesco da Cesena di Roccacontrada 142, 245, 246 Martino V (Oddone Colonna) 18, 21

 289

Martinus Bracarensis 245 Matteo di Cracovia 221, 224 Mazzolati Ugo 18n7 Medici Cosimo 244 Medici Lorenzo 10, 231, 244 Menander Rhetor 44n26, 191n55 Miani Pietro 10, 10n36, 17 Musuro Marco 13, 15 Nazianzenus Gregorius 6 Nestor 33, 34n104, 37, 104, 105 Niccoli Niccolò 17, 18 Niccolò da Cusa 21 Niccolò V (Tommaso Parentucelli) 53, 202, 207, 210, 239, 244 Nicocles XIII, 33, 34, 35, 37, 38, 43, 44, 45, 48n.50, 106, 107, 146, 151, 154, 184, 186, 186n37 Orsini Giordano 210, 218 Ovidius, Publius Naso 171 Papia Hierapolitanus 20 Patavino Francesco 248 Paulus Apostolus 210, 245 Paulus Diaconus 207 Pedianus, Quintus Asconius 18n8 Pelagius 231n40 Pelopidas 24n43, 27, 29 Perleone Pietro 12, 14 Perotti Niccolò 94, 95, 202, 202n3, 239, 239n47 Petrarca Francesco 7, 10, 22n28 Philopoemen 19, 24n43 Phocion 24n43 Phocylides 46 Photius Constantinopolitanus 40, 40n9, 41, 43, 44 Picinino Francesco 214 Pio II (Enea Silvio Piccolomini) 247 Pio, Alberto di Carpi 51 Pisanello (Antonio Pisano) 19 Plato XI, 6, 21n21, 36, 53, 94, 209, 211, 223, 229, 237 Plautus, Titus Maccius 20, 21, 198 Plinius, C. Caecilius Secundus 18, 209, 210, 210n17, 210n18, 213

290 

 Bibliografia e Indici

Plinius, Gaius Secundus 21 Plutarchus XI, 5, 9, 11n43, 16, 17, 18n7, 19, 24, 24n42, 25, 27, 29, 31n84, 31n85, 35, 53, 60n12, 93, 94, 95, 99n4, 178n8, 197, 202, 203, 204, 212n20, 214, 218, 219, 223, 227, 231, 232, 233, 235, 239, 242, 245 Policarpus Smyrnaeus 206, 208 Poliziano Angelo 25n50, 232, 233 Polybius 6 Priscianus Caesariensis 20 Probus, Aemilius 250n58 Ps. Apuleius 209 Ps. Aristoteles 244, 250 Ps. Basilius Magnus 206 Ps. Cicero 244, 245 Ps. Eutropius 206 Ps. Hieronymus 231, 233 Ps. Ignatius Antiochensis 206 Ps. Isocrates 201, 204, 217, 223, 227, 231, 239, 241, 248 Ps. Lucianus 224 Ps. Pacianus 206 Ps. Phalaris 247 Ps. Plato 215, 218, 223, 251 Ps. Plutarchus 30n8, 34, 34n102, 37, 106n2, 223, 239, 252 Ps. Sallustius 244, 245 Ptolemaeus Claudius 6 Querini (o Quirini) Giovanni 16, 24, 31n81, 200, 235 Quintilianus, Marcus Fabius 18n8, 36, 178, 179n9, 183, 198n88 Reatino Giovanni 248 Rinuccini Alamanno 36n113 Roselli, Lucio Paolo 14, 15 Rovida Alessandro 229n38 Rovida Cesare 229n38, 230 Salerno Giannicola 19, 252 Salutati Coluccio 7, 22n28, 170, 204, 223, 227, 241 Salviati Francesco 232 Schmidhauser Gaspar 23n29 Scipio 21, 21n23, 28

Seneca, Lucius Annaeus, 10 Servius, Maurus Honoratus 23, 183n21, 206 Sforza Battista 232, 233 Sidonius, Gaius Apollinaris 198 Sigismondo imperatore (figlio di Carlo IV) 21n20 Sisto IV (Francesco della Rovere) 208, 231 Sozomeno da Pistoia 51 Sp. Lucretius Tricipitinus 171 Spada Fiordimilia 18 Sterponi Stefano 14n62 Stobaeus Johannes 43, 43n22, 43n23, 148, 150, 176, 191n55 Strabo 6, 23, 25, 178n8, 197n72, 224 Strozzi Giovanni 14 Strozzi Palla 17, 239 Sulla, Lucius Cornelius 21n20, 24n43, 27, 29 Tarquinius, Sextus L. XV, 169 Teodoro (copista del Vat. Gr. ) 53 Teodoro Gaza 22n26 Teodoro I Paleologo 18n7 Terentius, Publius Afer 198 Tertullianus, Quintus Septimius Florens 169 Teucrus 122, 123 Themistocles 24n43, 31n85 Theodorus Atheniensis (padre di Isocrate) 106, 107 Theodorus Byzanthius 44n28 Theognis 46 Theophrastus 248 Thucydides 6 Tifernate, Gregorio da Città di Castello 25n47 Tiptoft John 23n29, 202, 203, 217, 218, 219, 220, 222 Tomasi Pietro 215 Tommaso da Vicenza 21n19 Torkington Henry 221 Toscanella Giovanni 17 Traianus, Marcus Ulpius Nerva 235 Trapezunzio Cristoforo 51 Trapezunzio, Giorgio da Trebisonda 6, 18 Traversari Ambrogio 6, 17, 19n10, 215 Trevisano Stefano 222 Tudertino, Gaspare di Villanova 215, 253 Tyrannius Rufinus 7, 206, 208

Index Nominum Antiquorum 

 291

Ulixes 179

Wolf Hieronymus 14n64, 163

Valerius Maximus 18n7, 171 Valesio 23n29 Valla Giorgio 51 Valla Lorenzo 22n28, 170, 171, 213 Vegio Maffeo 170, 214, 215 Vergerio, Pier Paolo 215, 245, 249 Vergilius, Publius Maro 179 Visconti, Filippo Maria 19n12, 213, 239 Vittorino da Feltre 18, 53 Vittorino Estense 237 Volta Giovanni 232, 233

Xenophon 6, 52n69, 93, 94, 202, 204, 214, 215, 217, 220, 223, 227, 231, 233, 238, 241, 249 Zannini, notaio (nonno materno di Guarino) 16 Zeno Carlo 31n85 Zilioli Bonaventura 19 Zilioli Giacomo 19, 20 Zilioli Paolo 19 Zosimus 42

Index Nominum Recentiorum Abbamonte G. XIII, 3n2, 4n4, 4n5, 4n7, 29n71, 29n72, 29n73, 29n74, 30n78, 30n79, 30n80, 31n81, 31n82, 31n83, 31n84, 31n85, 32n86, 32n88, 32n89, 34n103, 35n106, 62n14, 169n1 Abbott T. K. 220 Andreani Corenno Plinio C. 213 Baldassarri S. U. 8n25 Bandini M. 17n5, 52n69, 53n72, 221 Barbiano di Belgioioso G. A. 233 Baulze É. XIIIn1 Baxandall M. 28n65 Bernard E. 220 Bertalot L. 246, 248 Berti E. 3n1, 4n9, 5n10, 6n16, 6n17, 6n19, 7n21, 7n22, 7n23, 7n24, 8n25 Bertoldi M. E. 208, 211 Bertoni G. 20n13, 20n15, 23n29 Besomi O., Regoliosi M. 213, 216, 216n24 Billerbeck M., Zubler Ch. 24n40 Black R. 26n57 Boccolari A. 237 Bonanno F. 24n45 Burbridge E. 226 Burnett C. S. F., Mann N. 243 Bursill Hall G. L. 226 Camargo M. 226 Canfora D. 21n23 Caparozzo A. 251 Capra L., Colombo C. 216, 216n24 Caprioli S. 226 Carboni F., Manfredi A. 208, 211 Carlini A. 242 Caso D 6n14 Cassidy B. J. 95, 95n81, 203, 240 Celenza C. S. 22n24, 205 Ceruti A. 230 Cheneval F. 234 Chiesa P., Guglielmetti R. 233, 233n44, 234 Cipriani R. 230 Coates A. 226 Cocco C. 24n36, 221 Colker M. L. 221

Colombo A. 234 Colombo C. 214, 216, 216n23 Colomo D. 41n12, 49n54 Copeland R. 226 Corfiati C. 27n63 Cortesi M. 3n1, 4n9, 5n10, 6n16, 7n21, 7n22, 7n23, 8n25, 8n26 Cranz F. E., Brown V., Kristeller P. O. 234, 243 Crivellucci A. 208 Crowder C. M. D. 226 D’Aiuto F. 208 D’Angerson A. R., marchese di Paulmy 244 Davies M. 243 De Faveri 201, 249 De la Mare A. C. 208, 208n15 De la Mare A. C., Gillam S. 228, 243 De la Mare A. C., Hunt R. 226 De La Monnoye Bernard 243 Dean R., Bolton M. 226 Del Prete L. 57n10 Delle Donne F. 22n24 Desachy M. 208 Di Bernardo F. 234 Diller A. 17n5, 53n72, 53n73 Dindorf W. XVIn5, 41n13, 42n17, 48n48 Drerup E. XVI, 39n1, 40n6, 40n9, 44n28, 51n63, 53n73, 144, 145, 146, 147, 148, 149, 150, 151, 152, 153, 154, 155, 156, 157, 158, 159, 160, 161, 162, 163, 164, 169, 195n63 Eörsi A. K. 28n66 Esposito M. 220 Fabbri R. 178n8, 180n14, 187n40 Fabii I. 178n3, 178n7, 180n13, 181n18, 183n23, 185n33, 187n42, 197, 197n76, 198n80, 198n82, 198n83, 198n84, 198n85, 198n87, 199n89, 199n91, 199n93 Farsetti T.G: 249, 251 Fassino M. 39n4, 39n5 Fava D. 89, 235, 235n46, 236, 238 Fava D., Salmi 234n45, 236

Index Nominum Recentiorum 

Filippozzi M. 10n36, 11n37, 11n38, 52n68, 52n71, 62n15, 178n7, 178n8, 179n12, 181n18, 184n28, 187n42, 197n72 Flüeler C. 212 Fohlen J. 208, 211 Francesco IV (F. Giuseppe d’Austria-Este) 237 Gallo F. 230 Garin E. 20n13, 20n14, 20n15, 21n21, 22n28, 26, 26n56, 26n57, 27n58 George II (Georg August) 226 Giustiniani V. R. 246 Grafton A., Jardine L. 26n57 Grillone A. XII, 59 Gualdo Rosa L. XI, XII, XIV, XIVn2, 3n1, 3n2, 7n22, 8n25, 9, 9n28, 10n32, 10n33, 10n34, 10n36, 11, 11n37, 11n38, 11n39, 11n41, 12, 12n44, 12n45, 12n47, 12n49, 12n50, 13n51, 13n52, 13n53, 13n55, 13n57, 13n58, 13n59, 13n60, 14n63, 14n65, 15n66, 15n67, 27n63, 29n71, 29n74, 32n87, 32n91, 32n92, 35n106, 55, 55n3, 55n4, 56n7, 59, 64, 64n18, 76n36, 93, 93n74, 154, 169n1, 178n8, 179n9, 180, 180n13, 191n55, 205, 205n12, 217, 220n30, 220n31, 221, 227, 228, 228n37, 230, 242n52, 243, 249 Hankins J. 203, 212, 216, 217, 221, 226, 228, 230, 234, 238, 243, 246, 248, 250 Hardwick C., Luard H. R. 204n8, 205 Harth H. 212, 215, 245, 249 Hieronimi Scanagate 213 Horster C., Pade M. 183n22 Jacob E. F. 226 James M. R. 228 Janson T. 29n71, 30n77 Jayne S., Johnson F. R. 226, 226n35 Johnson D. 210n16, 211 Jordan L. 230 Kaeppeli Th. 11, 11n40, 13n54, 56n7 Keil B. 43n22, 44n28, 210n17 Ker N. R. 226, 228 King M. L. 243 Klibansky R. 211

 293

Korais A. 151 Kristeller P. O. 55, 201, 203, 212, 212n19, 212n20, 212n21, 216, 221, 226, 228, 230, 234, 236, 240, 243, 246, 246n54, 248, 249, 249n57, 250, 251 Lambert B. 201 Leland J. 203n5 Lenaerts J., Mertens P. 39n1 Lipani D. G. 20n13, 20n14, 20n15, 22n28, 26n54, 26n57 Lo Cicero C. 208 Lombardi A. 237, 238 Lucentini P. 211 Luiso F. 214 Lukinovich A., Rousset M., Nason V. 24n44 Madan F. 242 Mai A. 206 Malaspina E. 18n8, 110app Mandilaras B. G. 157, 161 Manfredi A. 207n13, 207n14, 208, 208n15, 210n18, 211 Manfredi A., Grafinger Ch. M., Sheehan W. J. 211 Mannert K. 240 Marcelli N. 19n12, 23n33, 27n59, 171 Marcellino G., Ammannati G. 22n24 Marchioli Giovè N., Granata L. 200n1, 201 Marchioli Giovè N., Granata L., Pantarotto M. 253 Marsh D. 178n7, 179n12 Marsico C. 170 Martin H. 243n53, 244 Martinelli Tempesta S. 39n4, 39n5, 40, 40n8, 50, 50n59, 51n61, 53, 53n74, 53n75 Marzi M. XVI Mathieu G., Brémond E. XVI, 44n28, 157, 159, 161 Mazzatinti G. 201, 253 McNamee K. 47n41 Menchelli M. 39n4, 40n7, 41n13, 42n15, 42n16, 42n17, 43n19, 43n21, 44n24, 44n25, 44n28, 45n29, 45n32, 45n33, 46n36, 47n42, 47n44, 47n45, 48n48, 49n53, 49n54, 50, 50n55, 50n56, 50n57, 50n58, 50n59, 51n62, 53n76

294 

 Bibliografia e Indici

Mercati G. 211 Milano E. 238 Morelli J. 249, 251 Mortensen L. B. 208 Müllner K. 23n29, 23n33, 56n7, 211 Murr Chr. G. 240 Narducci E. 246 Neske I. 240 Newhauser R. 212 Nogara B. 211 Norden E. 30n76 O’ Sullivan W. 218n25, 219n26, 220 Omont H 17n4, 17n5, 53, 53n72 Pace G. 178n7, 179n12, 180n13, 180n14, 181n18, 183n23, 185n32, 187n40, 187n42, 187n43 Pächt O, Alexander J. J. G. 242 Pade M. 11n37, 24n43, 60n12, 62n15, 99n4, 178n7, 179n9, 179n11, 180n13, 180n15, 181n18, 185n34, 187n38, 187n40, 187n42, 197, 197n76, 198n77, 198n87, 199n90, 199n91 Palinkas G. 247n55, 247n56, 248 Pantin W. A. 226 Pasini C. 229n38, 230 Pasquali G. 39n4, 39n5, 40n7, 40n9 Pellegrin É 208, 211 Pertusi A. 17n6, 19n12 Petrucci A. 233n42, 233n43, 246 Piccione R.M. 44n28, 46n36, 49n54 Pio IX 206 Pinto P.M. 39n1, 39n2, 39n5, 40n9, 41n10, 44n26 Pistilli G. 16n2, 26n55 Polak E. J. 226 Pontone M. 234 Porro G. 234 Ramminger J. 179n9, 197n73, 198n79, 199n91 Regini I. 12n45, 13n57, 14n61, 64, 64n18, 76n36, 93, 93n74, 205, 220n30, 221, 227, 228, 228n37, 242n52, 243 Resta G. XI, 213

Revello V. 18n8 Revest C. 92n66 Ricci P. G. 234 Richardson H. G. 226 Rizzo S. 22n24, 197n73, 197n75, 198n80, 198n86, 198n87, 199n92 Rollo A. 6n18, 11n37, 17n5, 50n60, 51, 51n66, 52n67, 52n68, 52n69, 53n72, 62n15, 178n2 Rundle D. 55, 55n5, 59, 63, 64n18, 76n36, 93, 93n73, 94n78, 218n25, 219, 219n26, 219n28, 220n32, 221, 225, 241n49, 243 Sabbadini R. XIIIn1, XV e n4, 3n1, 7 e n20, 7n22, 7n24, 10n35, 11n38, 11n41, 12n47, 16, 16n1, 16n2, 17n4, 17n5, 17n6, 18n9, 19n12, 20n13, 21n16, 21n21, 21n23, 22n24, 22n25, 22n27, 22n28, 23n32, 24n35, 24n37, 24n39, 24n41, 24n42, 25n47, 25n48, 25n49, 25n50, 25n51, 26n53, 27, 27n59, 27n62, 28n64, 28n67, 28n68, 30n75, 30n80, 31n81, 31n84, 31n85, 32nn90–92, 33nn93–98, 34nn99–105 e n107,36, 36nn108–110, 37n114, 37n116, 52n69, 53n72, 55, 55n1, 56, 57n10, 59, 62n15, 99n3, 99n4, 157, 178, 178n4, 178n5, 178n6, 178n8, 179n9, 179n10, 183n21, 211, 213, 214, 247, 252 Salvini A. 208 Sammut A. 12n46, 63, 64n18, 76n36, 93, 93n73, 205, 205n11, 220n29, 220, 226, 242, 242n50, 242n51, 243 Santoro C. 234 Schofield A. N. E. D. 226 Scott K. L. 191n55, 243 Secchi P. 5n11 Selwyn D. G. 226 Shaw P. 234 Solger A. R. 240 Soudek J. 246 Sperber D. 92n66 Stecchini J. 252, 253 Stok F. 25n49, 25n50, 178n7, 211 Stok F., Abbamonte G. 203, 240 Talbot C. H. 226 Tavoni M. 22n24

Index Nominum Recentiorum 

Thompson I. 17n5, 53n72 Tiraboschi G. 20n15, 234, 236 Todd H. J. 228 Trapp J. B. 243 Trivulzio di Musocco G. G. 231, 233 Truffi R. 25n46 Urlings S. 169, 170, 171 Valentinelli G. 249, 250, 251 Vallozza M. 43n22 Vatasso M., Franchi De’ Cavalieri P. 208 Verger J. 16n2, 23n34

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Ward H. L. D., Herbert J. A. 226 Warner G.F., Gilson J.P. 226 Warner J. Chr. 248 Watson A.G. 226, 228, 243 Weiss R. 23n30, 203, 203n4, 226 Wilson N.G. 5n11 Woodforde R.G. 203 Wrop K.A., Rijksbaron A. 46n38, 46n39, 47n40, 47n42, 47n43, 47n45 Zaccaria F. A., Garbardi G., Lombardi A. 236, 238 Zanetti A. M. 250, 250n58 Zorzanello P. 250, 251

Sitografia Manoscritti: Vat.3: https://digi.vatlib.it/view/MSS_Vat.lat.303 Vat.1: https://digi.vatlib.it/view/MSS_Vat.lat.1778 Vat.5: https://digi.vatlib.it/view/MSS_Vat.lat.5117 T: http://graficheincomune.comune.milano.it/GraficheInComune/immagine/Cod.+Triv.+642 Est.1: https://edl.beniculturali.it/beu/850010802 Banche dati: http://www.mirabileweb.it/ http://www-3.unipv.it/entg/index.html https://manus.iccu.sbn.it//index.php https://latin.packhum.org/index Lessici e dizionari: https://tll-degruyter-com http://pld.chadwyck.co.uk http://nlw.renaessancestudier.org/ http://stephanus.tlg.uci.edu/