La letteratura italiana. Storia e testi. Scritti d’arte del Cinquecento [Vol. 32.1]

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LA LETTERATURA ITALIANA STORIA E TESTI DIRETTORI RAFFAELE MATTIOLI • PIETRO PANCRAZI ALFREDO SCHIAFFINI

VOLUME 32 • TOMO

I

SCRITTI D'ARTE DEL CINQUECENTO TOMO I

SCRITTI D'ARTE DEL CINQYECENTO TOMO I

A CURA

DI PAOLA BAROCCHI

RICCARDO RICCIARDI EDITORE MILANO · NAPOLI

TUTTI I DIRITTI RISERVATI • ALL RIGHTS RESERVBD PRINTBD IN ITALY

a mia madre

SCRITTI D'ARTE DEL CINQUECENTO TOMO I

INTRODUZIONE

XIII

TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI

XVIII

I

GENERALIA PAOLO GIOVIO

7

GIORGIO VASARI

24

GIOVAN PAOLO LOMAZZO

34

ANTONIO POSSEVINO

42 II

ARTI E SCIENZE LUCA PACIOLI

61

IACOPO DE' BARBARI

66

LEONARDO

71

ENRICO CORNELIO AGRIPPA

78

BENEDETTO VARCHI

99

LODOVICO CASTELVETRO

106

RAFFAELE BORGHINI

108

III LE ARTI BALDESAR CASTIGLIONE

II7

SPERONE SPERONI

122

GIULIO CAMILLO DELMINIO

124

BENEDETTO VARCHI

133

GABRIELE PALEOTTI

152

SCRITTI D'ARTE DEL CINQUECENTO

X

FRANCESCO DE' VIBRI DETTO IL VERINO SECONDO

168

GREGORIO COMANINI

185

GIOVANNI BATTISTA PAGGI

190

IV PITTURA· SCULTURA· POESIA• MUSICA LEONARDO POMPONIO GAURICO

235 251

PIETRO ARETINO

255

MARIO EQUICOLA SPERONE SPERONI

259 261

BENEDETTO VARCHI

263

BERNARDINO CIRILLO

270

FRANCESCO D'OLANDA GIOVAMBATTISTA GELLI

277 2,86

LODOVICO DOLCE

290

GIOVANNI ANDREA GILIO

303

GABRIELE PALEOTTI

326

RAFFAELE BORGHINI

340

GIOVAN PAOLO LOMAZZO

348

ROMANO ALBERTI

365

GIOVAN BATTISTA ARMENINI

373

VINCENZIO GALILEI

379

GREGORIO COMANINI

388

ANTONIO POSSEVINO

4S5

ORAZIO VECCHI

460

V PITTURA E SCULTURA LEONARDO BALDESAR CASTIGLIONE

SCRITTI D'ARTE DEL CINQUECENTO

XI

GIORGIO VASARI

493

AGNOLO BRONZINO

499

IL PONTORMO

504

BATTISTA TASSO

507

FRANCESCO SANGALLO

509

IL TRIBOLO

518

BENVENUTO CELLINI

519

MICHELANGELO

52:z

BENEDETTO VARCHI

524

FRANCESCO D'OLANDA PAOLO PINO

54S 548

ANTON FRANCESCO DONI

554

PIETRO ARETINO

592

BENVENUTO CELLINI

594

VINCENZIO BORGHINI

611

RAFFAELE BORGHINI GIOVAN PAOLO LOMAZZO

674 691

FEDERICO ZUCCARI

698

GALILEO GALILEI

707

VI PITTURA LEONARDO

731

FRANCESCO LANCILOTTI

742

ENRICO CORNELIO AGRIPPA

751

PAOLO PINO

7S4

MICHELANGELO BIONDO LODOVICO DOLCE

767 781

GIOVANNI ANDREA GILIO

834

BARTOLOMEO MARANTA

863

GABRIELE PALEOTTI

901

ULISSE ALDROVANDI

923

XII

SCRITTI D'ARTE DEL CINQUECENTO

BERNARDINO CAMPI

931

RAFFAELE BORGHINI

936

ROMANO ALBERTI

945

GIOVAN PAOLO LOMAZZO

957

GIOVAN BATTISTA ARMENINI

992

SPERONE SPERONI

997

FRANCESCO BOCCHI

1005

ROMANO ALBERTI

IOII

FEDERICO ZUCCARI

1024

NOTA AI TESTI

1051

INDICE

1135

INTRODUZIONE

L'interesse sempre più vivo per la «retorica», stimolato dalle riflessioni strutturali, ha avuto anche in campo figurativo un'eco sensibile. Le poetiche, non più considerate come il gelido riflesso di .esperienze creative, ma come importanti testimonianze razionali, cariche di tradizione e comprensive di un'area extra-individuale, nella quale appunto l'artista ha operato, esercitano oggi, grazie anche alla tormentosa sperimentazione visiva, un'attrazione nuova. In tale prospettiva s'inserisce la nostra raccolta di scritti d'arte del Cinquecento, la quale si offre al lettore in un'articolazione inconsueta. Ad una scelta di autori motivata in senso cronologico o ambientale, e comunque in chiave monografica, abbiamo preferito una chiara e vasta esegesi di problemi. Ad essa ci ha indotto il presente corso degli studi, nel quale i più qualificati scrittori d'arte del Cinquecento sono in certo modo sotto revisione - se ne pubblicano facsimili (ad esempio, dello Zuccari, del Lomazzo, di Raffaele Borghini ecc.) e riedizioni ampiamente commentate (Varchi, Pino, Dolce, Danti, Sorte, Gilio, Paleotti, Aldrovandi, Borromeo, Amrnannati, Bocchi, Romano Alberti, Comanini, Gaurico, Doni) -, e lo stesso Vasari diventa finalmente leggibile nelle affrontate stesure del 1550 e del 1568 e viene corredato da indici analitici che documentano il farsi del suo linguaggio critico e propongono fecondi confronti coi contemporanei. Una messa a fuoco dei temi in discussione e della loro parabola nel corso del secolo ci è parso che meglio consentisse di porre in evidenza nessi, divergenze, svolgimenti, e di accogliere anche scritti brevi o frammentari, ma puntuali e significativi, finora del tutto trascurati. Il piano del nostro lavoro si distribuisce in tre tomi: i primi due riservati ai problemi della pittura, della scultura e affini, il terzo a quelli dell'architettura intesa nel modo più lato. Il primo tomo si apre con una scelta delle più importanti rassegne del secolo in senso sia storico-critico che bibliografico, ed affronta poi il rapporto arte-scienza, la gerarchia delle arti, l'ut pictura poesis esteso anche alla scultura e alla musica, il paragone tra pittura e scultura, la definizione della pittura e delle sue parti. Il secondo offre il punto di vista degli scettici e dei riformatori nei confronti della

XIV

INTRODUZIONE

scultura, le varie versioni dell'artista ideale e della imitazione, l' opposizione tra misure e giudizio e tra belle:zza e grazia, l'evoluzione del disegno, del colore, dell'invenzione, delle grottesche, del ritratto, dell'ut pictura poiisis nelle imprese; infine testimonianze sul colle:zionismo e sulla moda. Il terzo tomo, dopo due rassegne preliminari, l'una vitruviana e l'altra albertiana, tratta l'evoluzione della fortezza, della città ideale, della mila, del palazzo, della chiesa. Questa intelaiatura ha reso possibile allargare notevolmente la rosa degli autori (ben quaranta solo nel primo tomo) e di rivalutare voci inedite o neglette. Le famose Vite di Paolo Giovio, ad esempio, e i suoi lucidi scorci critici sull'arte italiana, non più pubblicati dopo il Tiraboschi, tornano alla luce e si possono leggere a riscontro del celebre Proemio della terza parte delle Vite vasariane. Il gesuita Antonio Possevino fornisce, dal suo canto, una rassegna devozionale degli scritti figurativi del secolo, dove non compare, si noti, proprio il Vasari. L'ingenua lettera di Iacopo de' Barbari del 1501 (pubblicata solo dal Kirn nel 1925) fa qui coro con le più consapevoli riflessioni di Luca Pacioli sulle arti e sulle scienze, mentre lo scettico Cornelio Agrippa tutto avvilisce credendo solo nella mirabile integrità dell'asino (1530). Sperone Speroni dà sulla gerarchia delle arti un rapido e acuto parere (1542), mentre Giulio Camilla Delminio illustra la loro collocazione nel suo macchinoso Teatro. La singolare esperienza di Giovanni Battista Paggi (edita dal solo Giovanni Bottari) mette a confronto l'arretrata società genovese con quella fiorentina. Per l'ut pictura poesis segnaliamo, con l'importante lettera di Bernardino Cirillo del 1549, la quale presenta un suggestivo parallelo tra le licenze del Giudizio Finale di Michelangelo e quelle delle Messe in musica contemporanee, le testimonianze del Gelli e dei musicisti Vincenzio Galilei e Orazio Vecchi. Per il paragone tra pittura e scultura siamo lieti di ripubblicare, dopo la inchiesta del Varchi, la ripresa della polemica in occasione del funerale di Michelangelo (1564), tra Benvenuto Cellini e Vincenzio Borghini. Del primo abbiamo ricomposta, dopo il ritrovamento documentario di Piero Calamandrei, la Disputa infra la Scultura e la Pittura, del secondo offriamo, sia pure in seconda visione (perché già apparsa in Un augurio a Raffaele Mattioli, Firenze 1970), la brillante Selva di noti:zie, reperita nel Kunsthistorisches Institut di Firenze. Per la pittura, il raro Lancilotti ( I 509) svela i plagi del mediocre

INTRODUZIONE

xv

Biondo ( I 549), la lettera del Dolce al Ballini smentisce, a confronto coi dialoghi del Pino e dello stesso Dolce, l'erronea datazione I 544, e il venosino Bartolomeo Maranta, difendendo prima del 1571 l' Annunciazione di Tiziano in San Domenico di Napoli, attesta la penetrazione veneziana nel mezzogiorno ed un onesto ma anche ironico aggiornamento sulla recente trattatistica controriformistica. Il suo amico Ulisse Aldrovandi, infine, in uno scritto inedito del I 582 insiste sulla necessaria documentazione scientifica del pittore e la raccomanda al cardinale Paleotti. Del secondo tomo segnaliamo, per la scultura, i dimenticati Lupano (1540) e Zonca (1553) e le poesie in lode del Ratto delle Sabine del Giambologna ( 1583); per l'artista, la ricomparsa del Memoriale di Baccio Bandinelli e un pittoresco inedito di Pirro Ligorio sull'ambiente romano; per l'imitazione, un altro inedito di Vincenzio Borghini; per le misure e il giudizio, la ristampa dei famosi Dispareri di Martino Bassi ( 1572); per la bellezza e la grazia, oltre il trattatello del Varchi, scritti dell'Equicola, del Nifo e di Leone Ebreo; per il disegno, l'inedito trattato di Alessandro Allori ( 1590); per il colore, le dimenticate disquisizioni simboliche del Morato (1545), dell'Occolti (1557), del Calli (1591); per la invenzione, le proposte del Biondo, del Doni, del Girardi, dell' Armenini; per le imprese, le meditazioni del Giovio (1556), del Contile (1574), del Ruscelli (1584) ecc. Del terzo tomo ci limitiamo a segnalare una rassegna dei più importanti commenti di Vitruvio, la famosa lettera di Claudio Tolomei sul programma dell'Accademia vitruviana (1542), una breve antologia delle introduzioni alle edizioni cinquecentesche di Leon Battista Al berti. Per la fortificazione riproponiamo i dimenticati De' Zanchi (1554), Lanteri (1557), Maggi (1564), Girolamo Cataneo ( 157 I), Lupicini ( 1582) ecc.; per la città ideale, oltre Leonardo, Pietro Cataneo, il Gilio e l'inedito Discorso dell' Architettura di Pellegrino Tibaldi; per la villa, oltre il Doni, il Lollio (1544), il Della Porta (1592) ecc. Ma il raro e l'inedito non mirano in questa esegesi a preziosità marginali; essi collaborano ad un contrappunto più largo e il più possibile articolato. Ad ogni sezione, seguendo l'esempio dei Poeti del Duecento di Gianfranco Contini, abbiamo premessa una nota introduttiva che orienta immediatamente il lettore sui limiti della scelta e sulla qualità delle testimonianze, le quali poi sono debi-

XVI

INTRODUZIONE

tamente illustrate da un commento puntuale che ne suggerisce le fonti e le peculiarità rispetto ai testi contemporanei. Chiude ogni tomo una Nota ai testi, che fornisce i dati biobibliografici essenziali. Infine un indice analitico generale, sintetizzando i dati dell'intera ricerca, potrà, insieme con gl'indici della vasariana Vita di Michelangelo nelle redazioni del ISSO e del IS68, Milano-Napoli, Ricciardi, 1962, dei Trattati d'arte del Cinquecento, Bari, Laterza, 1960-62, e soprattutto delle Vite del Vasari in corso di pubblicazione (Firenze, Sansoni, 1966 sgg. ), procurare la chiave di gran parte della letteratura artistica del Cinquecento attraverso confronti linguistici e critici che, in fase tuttora preparatoria, non è possibile perpetrare.

* Per il trattamento filologico dei testi ci siamo regolati nel modo seguente. 1. I testi già da noi editi nella citata raccolta dei Trattati d'arte del Cinquecento sono stati riprodotti immutati, salva la correzione di qualche menda allora sfuggita. Chi voglia conoscere i criteri ecdotici che allora seguimmo può trovarli nella Nota filologica apposta al volume I di quella raccolta, pp. 330-5. 2. Per gli altri testi, data la loro varietà cronologica, geografica e stilistica, e data la loro frequente riproduzione parziale, ci siamo astenuti da ogni normalizzazione che potesse configurarsi come livellamento sul fiorentino bembesco o sull'italiano odierno, e che comunque presupponesse una considerazione totale dell'usus scribendi dei singoli autori o correttori. Abbiamo perciò rispettato il costume grafico delle edizioni originali, anche al di là del riguardo alla realtà fonetica; limitandoci, per .una opportuna facilitazione della lettura, a eliminare l'h superflua, a convertire in z il tj seguito da vocale, a distinguere l'u dal v, a operare certe separazioni indispensabili all'evidenza, a normalizzare l'uso delle maiuscole e l'interpunzione. Salvo per il caso di svarioni banali, il nostro intervento per integrazione di lacune, espunzioni, rettificazioni è stato sempre denunciato, quando possibile già nel testo mediante segni diacritici (parentesi quadre per l'integrazione, parentesi uncinate per l'espunzione), oppure nella Nota ai testi. In conclusione, siamo stati assai più conservatori di quanto non fummo nei Trattati laterziani, dove curavamo pochi testi valutati nella loro interezza.

INTRODUZIONE

XVII

3. Il modo con cui abbiamo pubblicato i manoscritti inediti è esposto minutamente nella Nota ai testi del presente tomo, a proposito della Selva di notizie di Vincenzio Borghini (pp. 611-73): quegli stessi principi, con gli opportuni adattamenti, abbiamo applicati al manoscritto del Maranta. PAOLA BAROCCHI

TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI AcKERMAN

= G. M. AcKERMAN, The Structure of Lomazzo's Treatise

on Painting, Michigan 1964. ADRIANI = Lettera di messer GIOVAMBATISTA DI MESSER MARCELLO ADRIANI a messer Giorgio Vasari, in G. VASARI, Le Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, Firenze, Giunti, 1568, II, pp. I sgg. AGRIPPA = HENRICI CoRNELII AGRIPPAE AB NETTESHEYM, De incertitudine et vanitate omnium scientiarum et artium liber [ 1 s30], Lugduni Batavorum 1543 . .Al.BERTI = L. B. ALBERTI, Della Pittura, a cura di L. Mallè, Firenze 1950. ALBERTI, Della Statua = L. B. ALBERTI, Della pittura e della statua, traduzione di C. Bartoli, Milano 1804. R. ALBERTI = Trattato della nobiltà della pittura. Composto ad instantia della venerabil Compagnia di S. Luca et nobil Academia delli pittori di Roma da ROMANO ALBERTI della città del Borgo S. Sepolcro, Roma, F. Zanetti, 1585, in Trattati d'arte del Cinquecento, III, pp. 195-235. ALBERTI-ZUCCARO = Origine et progresso dell' Academia del Dissegno de' pittori, scultori et architetti di Roma. Dove si contengono molti utilissimi discorsi e filosofici raggionamenti appartenenti alle suddette professioni et in particulare ad alcune nove definizioni del dissegno, della pittura, scultura et architettura, Pavia, P. Bartoli, 1604. ALBERTINI = Memoriale di molte statue et picture sono nella inclyta ciptà di Florentia per mano di sculptori et pictori excellenti moderni et antiqui tracto dalla propria copia di Messer FRANCESCO ALBERTINI prete Fiorentino anno Domini ISIO [1510], Firenze 1863. ALDROVANDI = U. ALDROVANDI, Avvertimenti al Card. Paleotti sopra alcuni capitoli della pittura, in Trattati d'arte del Cinquecento, II, pp. 511-7. ALDROVANDI = U. ALDROVANDI, Modo di esprimere per la pittura tutte le cose dell'universo mondo, in questo tomo, pp. 923-30. AN. MAGLIAB. = Il Codice Magliabechiano cl. XVII. z7 contenente notizie sopra l'arte degli antichi e quella de' Fiorentini da Cimabue a Michelangelo Buonarroti, scritte da Anonimo Fiorentino, a cura di K. Frey, Berlin 1892. Archiepiscopale Bononiense = Archiepiscopale Bononiense, sive de Bononiensis Ecclesiae administratione, auctore GABRIELE PALAEOTO S.R.E. Cardinali, Romae 1594.

TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI

XIX

ARETINO = Lettere sull'arte di PIETRO ARETINO, commentate da F. Fertile, a cura di E. Camesasca, Milano 1957-60. ARMENINI = De' veri precetti della pittura di M. Gxo. BATTISTA ARMENINI da Faenza, libri III: ne' quali con bell'ordine d'utili e buoni avertimenti, per chi desidera in essa farsi con prestezza eccellente, si

dimostrano i modi principali del disegnare e del dipignere e di fare le pitture che si. convengono alle conditioni de' luoghi e delle persone, Ravenna, F. Tebaldini, 1586. ABoN = Lucidario in musica di alcune oppenioni antiche e moderne

con le loro opposizioni e resoluzi.oni, con molti altri secreti appresso e questioni da altrui ancora non dichiarati, composto dall'eccellente e consumato musico PIETRO ARoN de l'ordine de' Crosachieri e della città di Firenze, Venezia, G. Scotto, 1545. AYALA-CITTADELLA = Istruzioni al pittore cristiano, ristretto dell'opera latina di Fra GIOVANNI lNTERIAN DE AYALA, fatto da LUIGI NAPOLEONE CITTADELLA, Ferrara 1854. BALDINUCCI

= No tizi.e de' professori -del disegno da Cimabue in qua,

per le quali si dimostra come e per chi le bell' arti della Pittura, Scultura et Architettura, lasciata la rozzezza delle maniere greca e gotica, si. sia110 in questi secoli ridotte all'antica loro perfezione. Opera di FILIPPO BALDINUCCI Fiorentino, distinta in secoli e decennali [1681-1728], a cura di F. Ranalli, Firenze 1845-47. BALDINUCCI, Vocabolario = F. BALDINUCCI, Vocabolario Toscano dell'arte del disegno [1681], Verona 1806. BAROCCHI, Trattati d'arte = P. BAROCCHI, in Trattati d'arte del Cinquecento, fra manierismo e controriforma, 1-111, Bari, Laterza, 1960-62. BAROCCHI, Vita di Michelangelo = G. VASARI, La Vita di Michelangelo nelle redazioni del ISSO e del IS68, curata e commentata da P. Barocchi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1962. BAROCCHI-BETTARINI = G. VASARI, Le Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, nelle redazioni del ISSO e IS68, testo a cura di Rosanna Bettarini, commento secolare e indici a cura di Paola Barocchi, Firenze, Sansoni, 1966 sgg. BATI'ELLI = L. DoLcB, L'Aretino. Dialogo della Pittura, con l'aggiunta di varie rime e lettere. Introduzione e note di G. Battelli, Firenze 1910. BATTISTI, Imitazione = E. BATTISTI, Il concetto d'imitazione nel Cinquecento ... , in «Commentari», VII (1956), pp. 86-104, 249-62. BATTISTI, Rinascimento e Barocco = E. BATTISTI, Rinascimento e Barocco, Torino 1960.

xx

TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI

=

A. BESSONE AURELI, Dialoghi michelangioleschi di Francisco d'Olanda, Roma 1953. BHR = « Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance », GenèveParis. BILLI = Il libro di ANTONIO BILLI esistente in due copie nella Biblioteca Nazionale di Firenze, a cura di K. Frey, Berlin 1892. BIONDO = M. BIONDO, Della nobilissi.ma pittura e della sua arte, del modo et della dottrina di conseguirla agevolmente e presto, Venezia, [B. rimperadore], 1549. BLUNT = A. BLUNT, Artistic Theory in Italy, x540-I600 [1940], Oxford 1956. BoccHI = F. BoccHI, Eccellenza della statua del San Giorgio di

B~ONE AURELI

Donatello, sadtore fiorentino, posta nella facci.ata di fuori d'Or San Michele . •. , Firenze, Marescotti, 1584, in Trattati d'arte del Cinquecento, 111, pp. 125-94. BoccHI = Opera di M. FRANCESCO BoccHI sopra l'imagine miracolosa della Santissi.ma Nunziata di Fiorenza, Firenze, Sermartelli, 1592, in questo tomo, pp. 1005-10. Boccm-CINELLI = Le bellezze della ci.ttà di Firenze, dove a pieno di pittura, di scultura, di sacri templi, di palazzi i più notabili artifizi. e più preziosi. si contengono. Scritte già da M. Fa. BocCHI ed ora da M. GIOVANNI CINELLI ampliate ed accresciute, Firenze, G. Gugliantini, 1677. (R.) BoaGHINI = Il Riposo di RAFFAELLO BoRGHINI, in cui della pittura e della scultura si.favella, de' più illustri pittori e scultori e delle più famose opere loro si.fa menzione; e le cose principali appartenenti a dette arti si. insegnano, Firenze, Marescotti, 1584. V. BORGHINI = V. BoRGHINI, Selva di notizie, in questo tomo, pp. 611-73. F. BORROMEO = F. BORROMEO, De Pictura sacra (1624], a cura di C. Castiglioni, Sora 1932. BoTTARI = Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura scritte da' più celebri personaggi dei secoli XV, XVI e XVII, pubblicata da M. Gio. BoTTARI e continuata fino ai nostri giorni da S. T1cozz1, Milano 1822-25. BoTTARI, Lettere = vedi BoTTARI. BRIZIO = A. M. BRIZIO, La prima e la seconda edizione delle Vite, in e Studi V asariani. Atti del Convegno Internazionale per il IV centenario della prima edizione delle Vite del Vasari», Firenze 1952, pp. 83-90. Ba1z10, Vasari = Vite scelte di GIORGIO VASARI, a cura di A. M. Brizio, Torino 1948.

TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI

XXI

BRONZINO = A. BRONZINO, Lettera a B. Varchi, in Trattati d'arte del Cinquecento, 1, pp. 63-7. BRUNO = De imaginibus liber D. CONRADI BRUNI iureconsulti, Cancellarli Landeshutensis in Bavaria, catholica Germaniae Provincia, adversw lconoclastas, in D. CoNRADI BRUNI iureconsulti opera tria nunc primum aedita: De Legationibus libri quinque; De Caeremoniis libri sex,· De lmaginibus liber unus, Moguntiae, apud S. Victorem, 1548. CALMO = Le lettere di Messer ANDREA CALMO [1552], a cura di V. Rossi, Torino 1888. CAMESASCA = P. PINO, Dialogo di Pittura, a cura di E. Camesasca, Milano 1954. CAMILLO = L'opere di M. GIULIO CAMILLO, Venezia, D. Farri, 1579. CAMPI = B. CAMPI, Parere sopra la pittura, in A. LAMo, Discorso intorno alla scoltura e pittura, dove ragiona della vita et opere .•. fatte dall'Eccell. e Nobilis. M. Bernardino Campo, Cremona, C. Draconi, 1584. CARTARI = V. CARTARI, Le imagini, con la spositione de i dei de gli antichi [1556], Venezia 1647. CASTELLANI = IuLn CASTELLANII Faventini de imaginibus et miraculis, Bononiae, A. Benacci, 1569. CASTELVETRO = Poetica d' ARISTOTELE wlgari:z:zata et sposta per LODOVICO CASTELVETRO, Basilea 1576. CASTELVETRO = Opere varie critiche di LODOVICO CASTELVETRO, gentiluomo modenese, non più stampate, colla Vita dell'autore scritta dal Si"g. Proposto Lodovico Antonio Muratori., Bibliotecario del Ser.mo Sig. Duca di Modena, Bema-Lione-Milano 1727, in questo tomo, pp. 106 sg. CASTIGLIONE = Il libro del Cortegiano, del conte BALDESAR CASTIGLIONE, a cura di V. Cian, Firenze 1947. CATARINO = De certa gloria, invocatione et veneratione sanctorum disputationes atque assertiones catliolicae adverszu impìos F. AMBROSII CATHARINI POLITI Senensis, Lugduni 1542. CELLINI = B. CELLINI, Lettera a B. Varchi del 28 gennaio 1546 (stile fiorentino), in Trattati d'arte del Cinquecento, I, pp. 80 sg. CELLINI, Disputa = B. CELLINI, Disputa infra la Scultura e la Pittura avendo il nostro /r,ogotenente, datoci da sua eccellenza ill11strissima, preso la parte dei pittori e nel mirabile essequio del gran Michelangelo di propria potenzia posta la Pittllra a mano destra e la Scr,ltr,ra a sinistra, in Oratione o vero Discorso di M. GIOVAN MARIA TARSIA fatto nell'essequie del divino Michelagnolo Buonarroti, Firenze, Ser-

XXII

TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI

martelli, 1564, e in P. CALAMANDRBI, Sulle relazioni tra Giorgio Vasari e Benvenuto Cellini, in « Studi vasariani. Atti del Convegno Internazionale per il rv Centenario della prima edizione delle Vite del Vasari», Firenze 1952. CELLINI, Sonetti = B. CELLINI, Opere, a cura di B. Maier, Milano 1968, pp. 881 sgg. CELLINI, Trattati = B. CELLINI, Due trattati, uno intorno alle otto principali parti dell'oreficeria; l'altro in materia dell'arte della scultura, dove si, veggono infiniti segreti nel lavorar le figure di marmo e nel gettarle di bronzo [1568], secondo l'edizione a cura di C. Milanesi, Firenze 1857. CELLINI, Vita = Vita di BENVENUTO CELLINI, testo critico con introduzione e note storiche per cura di O. Bacci, Firenze 1901. CENNINI = Il libro dell'arte o trattato della pittura di CENNINO CENNINI, a cura di G. e C. Milanesi, Firenze 1859. CHASTEL-KLEIN = PoMPONIUS GAURICUS, De Sculptura, a cura di A. Chastel e R. K.lein, Genève-Paris 1969. CHASTEL-KLEIN, Léonard = A. CHASTEL-R. KLEIN, Léonard de Vinci, Traité de la peinture, Paris 1960. CIAN = Il libro del Cortegiano, del conte BALDESAR CASTIGLIONE, a cura di V. Cian, Firenze 1947. CIARDI, Lomazzo = R. P. CIARDI, Struttura e sign,ificato delle opere teoriche del Lomazzo, in « Critica d'arte», XII (1965), nr. 70, pp. 20 sgg., XIII (1966), nr. 78, pp. 37 sgg. CICOGNA, Dolce = E. CICOGNA, Memoria intorno la vita e gli scritti di messer Lodovico Dolce letterato veneziano del sec. XVI, in «Memorie dell'I. R. Istituto Veneto», XI (1862), pp. 93 sgg. CICOGNARA = Catalogo ragionato dei libri d'arte e d'antichità pofseduti dal Conte Cicognara, Pisa 1821. CINELLI = vedi BoccHI-CINELLI. CIRILLO = B. CIRILLO, Lettera sulla riforma della musica di chiesa a U. Guastenazzo, I 549, in questo tomo, pp. 270-6. CoMANINI = G. CoMANINI, Il Figi.no, overo delfine della pitttlra, ove, quistionandosi se 'l fine della pittura sia l'utile overo il diletto, si tratta dell'uso di quella nel Cristianesimo e si, mostra qual sia imitator più perfetto e che più diletti, il pittore overo il poeta, Mantova, Osanna, 1591, in Trattati d'arte del Cinquecento, III, pp. 237 .. 379. CoNc. TRID. = Sacros. Concilium Tridentinum, additis declarationibw Cardinalium, ex ultima recognitione loannis Gallemart, Lugduni 1659. CONDIVI = Vita di Michelagnolo Buonarroti, raccolta per AscANIO

TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI

XXIII

CONDIVI da la Ripa Transane [1553], in K. FREY, Le Vite di Michelangelo, Berlin 1887. DANIELLO = B. DANIELLO, La Poetica, Venezia, G. A. da Sabio, 1536. DANTI = Il primo libro del trattato delle per/ette proporzioni di tutte

le cose che imitare e ritrarre si possono con l'arte del disegno. 1A VINCENZIO DANTI, Firenze 1567, in Trattati d'arte del Cinquecento, I, pp. 207-69. DATI = Vite dei pittori antichi, scritte ed illustrate da CARLO RuBERTO DATI [1667], Padova 1821. DOLCE = Dialogo della pittura di M. LoDOVICO DOLCE, intitolato

L'Aretino, nel quale si ragiona della dignità di essa pittura e di tutte le parti necessarie che a perfetto pittore si acconvengono, Venezia, G. Giolito de Ferrari, 15 57, in Trattati d'arte del Cinquecento, I, pp. 141-206. DOLCE, Lettera = L. DOLCE, Lettera a Gasparo Ballini, s. d., in questo tomo, pp. 781-91. DONI, Disegno = Disegno del DoNI, partito in più ragionamenti, ne' quali si tratta della scoltura et pittura,· de' colori, de' getti, de' mo-

degli, con molte cose appartenenti a quest'arti, e si termina la nobiltà dell'una et dell'altra professione. Con historie, essempi et sentenze et nel fine alcune lettere che trattano della medesima materia, Venezia, G. Giolito di Ferrarli, 1549. DONI, Lettere = Tre libri di lettere del DONI. E i termini della lingua toscana, Venezia, Marcolino, 1552. DURANDO = Rationale Divinorum Officiorum a R. D. GULIELMO DURANDO [t 1296] ••• concinnatum, Venetiis 1572,.

=

lnstitutioni di MARIO EQUICOLA al comporre in ogni sorte di rima della lingua volgare, con un eruditissimo Discorso della pittura e con molte segrete allegorie circa le Muse e la poesia, Milano, [F. Calvo], 1541, s. p.

EQUICOLA

FERRI = PLINIO IL VECCHIO, Storia delle arti antiche, testo, traduzione e note a cura di S. Ferri, Roma 1946. Fmm.1 = VITRUVIO, Architettura, recensione del testo, traduzione e note di S. Ferri, Roma 1960. FISCHEL == O. FISCHBL, Raphael, London 1948. FORNARI = 1A spositione di M. SIMON FoRNARI da Reggio sopra l'Orlando Furioso di M. Ludouico Ariosto, Firenze, Torrentino, 1550. FRANCESCO D'OLANDA = Dialoghi michelangioleschi di FRANCISCO D'OLANDA, a cura di A. Bessone Aureli, Roma 1953.

XXIV

TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI

FREv = vedi F'REv, Lit. Nachlass. Flmv, Lit. Nachlass = Der literarische Nachlass Giorgio Vasaris, herausgegeben und mit kritischem Apparate versehen von K. Frey, Miinchen, I, 1923; II, 1930. GALILEI = Discorso di VINCENZIO GALILEI nobile fiorentino, intorno all' opere di messer Gioseffo Zarlino da Chioggia, et altri importanti particolari attinenti alla musica, Firenze, Marescotti, r589. GALILEO = G. GALILEI, Lettera a Lodovico Cigoli del 26 giugno 1612, in questo tomo, pp. 707-11. GAURICO = POMPONIUS GAURICUS, De Sculptura [1504], GenèveParis 1969. GELLI = G. B. GELLI, Decima lezione tenuta all'Accademia Fiorentina, in Tutte le lettioni Jatte nell'Accademia Fiorentina, Firenze, Torrentino, 1551, in questo tomo, pp. 286-9. GELLI = G. B. GELLI, Vite d'artisti, a cura di G. Mancini, in uomo non può ritrovare ragione alcuna, di quelle che si fanno sotto 'l sole; e quanto più s'affaticherà a cercarne, tanto meno ne ritroverà, et anco se 'l savio dirà di saperla, non la potrà però ritrovare». L'uom,o non può avere cosa più pestifera che la scienza: questa è quella vera peste, la quale manda in ruina tutto 'l genere umano, la quale caccia ogni innocenzia e noi ha fatto schiavi a tante sorti di peccati et alla morte ancora; quella che estinse il lume della fede, mandando l'anime nostre nelle oscure tenebre; quella che, condannando la verità, collocò gli errori nell'altissimo trono. Laonde a me pare che non sia da essere biasimato Valentiniano imperatore (il quale dicesi che fu crudelissimo inimico delle lettere), né Licinio imperatore, il quale soleva dire che le lettere sono veneno e peste publica; ma che più, dice Valerio che Cicerone istesso, abondantissimo. fonte delle lettere, disprezzò finalmente le lettere. 1. Cfr. PLATONE, Apol., Epit. de Caes., 41, 8.

21

sgg., Alc.,

129

sgg.

2.

Eccle., 8,

17.

3. Cfr.

86

II • ARTI E SCIENZE

Tanta autem est veritatis ampia libertas liberaque amplitudo, ut nullius scientiae speculationibus, non ullo sensuum urgenti iudicio, non ullis logici artificii argumentis, nulla probatione evidente, nullo syllogismo demonstrante, nec ullo humano rationis discursu possit deprehendi, nisi sola fide: quam qui habet, is ab Aristotele in Priorum Resolutionum libro dicitur melius dispositus, quam si esset sciens; quod exponens Philoponus ait, id esse melius cognoscentem, quam per demonstrationem quae per causam fit. Et Theophrastus in suis Transnaturalibus sic ait: . Con lagiunta di se, com'è usanza, è riuscito scio. Et ars non è preso &.1tò "ti}c; &.p&"ti}c;, come male dicono i gramatici, ma &.1tò «pC&>, 2 che significa « conciare » et « adattare», onde · ancora è detto artus et articulus per la convenevolezza delle membra.-

1. Sul disordine cfr. DANTI, pp. 220 sg. Sul metodo cfr. La disputa delle arti 11el Quattroce11to, a cura di E. GARIN, Firenze 1947, pp. XIV sg. :i. Cioè à.pcxp(axCa>.

RAFFAELE BORGHINI In due parti divisero gli antichi filosofi l'anima umana, nella ragione particolare e nella universale. La ragione particolare è quella che non conosce e no·n intende se non le cose particolari generabili e corruttibili, e questa è chiamata cogitativa, la quale, come che sia mortale, non perciò si ritrova negli animali bruti, i quali hanno in quello scambio la stimativa, della cogitativa negli · uomini men perfetta. La ragione universale è quella che non conosce e non considera se non le cose universali, prive d'ogni materia e spogliate d'ogni passione e di tutti gli accidenti, e per conseguente ingenerabili et incorruttibili; e questa ancora in due parti si divide, nella ragione superiore, cioè nell'intelletto contemplativo, e nella ragione inferiore, cioè nell'intelletto pratico o vero attivo. Nella ragione superiore sono i tre abiti contemplativi: il primo si chiama, col nome del genere, intelletto, e questa è la cognizione de' primi princìpi; il secondo è detto sapienza, che, come comprenda il primo abito et il terzo, è perciò dall'uno e dall'altro distinto; il terzo è nominato scienza, la quale non è altro che il conoscimento delle cose universali e necessarie, e per conseguente eterne; laonde da tal dimostrazione si può chiaramente ritrarre, tutte le scienze di tutte le maniere (perché di tutte il fine è contemplare le cagioni delle cose) essere in questa ragione superiore, o vero nell'intelletto contemplativo. Nella ragione inferiore, il cui fine non è d'intendere, ma fare et operare, sono gli altri due abiti pratichi: l'agibile, nel quale si contiene la prudenza, capo di tutte le virtù morali, et il fattibile, il qual contiene sotto di sé tutte l'arti; e come de' tre abiti contemplativi il primo più nobile è l'intelletto, cosi de' due pratichi l'ultimo, che è il fattibile, è men degno.' Da tutto questo ch'io ho detto si può manifestamente conoscere la scienza e l'arte essere abiti dell'intelletto, e le scienze, per essere nella ragione superiore e per aver più nobil fine, cioè di contemplare, avere in sé maggior nobiltà che l'arti, le quali sono nella ragione inferiore e men nobil fine si propongono, che è l'operare. 2 In questo brano del libro

I

del Riposo, Firenze 1584, pp. 46-52, il Borghi-

ni copia quasi alla lettera il Proemio e l'inizio della lezione del

VARCHI,

pp. 7 sg., II sg., qui riportati a pp. 100 sgg., 103 sg. 1. Cfr. VARCHI, p. 101 di questa sezione, dove si legge «specolativo o vero contemplativo» invece di contemplativo. 2. Cfr. ancora VARCHI, p. 8, qui riprodotto a p. 101.

RAFFAELE BORGHINI

109

Diremo adunque l'arte non esser altro che un abito intellettivo, che fa con certa e vera ragione di quelle cose che non sono necessarie; il principio delle quali non è nelle cose che si fanno, ma in colui che le fa. 1 Ora, avendo veduto che sia arte, dove abbia il suo seggio et in che sia differente dalle scienze, è da considerare da che cosa la nobiltà di ciascun'arte conoscer si possa veramente. Dico adunque che la nobiltà delle scienze si conosce da due cose, dal suggetto loro principalmente e poi dalla certezza delle dimostrazioni; di maniera che quella scienza che ha la materia _più degna et è più certa, viene ad esser più nobile. Dalle quali ragioni mossi, alcuni hanno creduto in tal guisa doversi conoscere la nobiltà dell'arti, la qual cosa è falsissima, percioché il tema dell'arti è molto differente da quello delle scienze, conciosiacosa che solo si debba nell'arti principalmente considerare il fine, e secondo che quello sarà più o men degno, verrà l'arte ad essere più o men nobile. Percioché, sì come ciascuna scienza piglia l'esser suo proprio solo dal suo subietto, che la fa una sola distinta da tutte l'altre, per essere il subietto di lei solo e distinto da tutti gli altri, così ciascuna arte prende l'esser suo solo non dal suo suggetto, ma dal suo fine, che la fa una sola e distinta da tutte l'altre, per lo avere un fine solo e da tutti gli altri distinto. Laonde chiunque vuol conoscere quando alcun'arte sia o più o men nobile d'alcun'altra, dee primieramente considerare il suo fine, e secondariamente il suggetto, come nelle scienze la certezza; et ogni volta che il fine sarà più degno, senza alcun dubbio quell'arte sarà più nobile. E dobbiamo avertire che, come nelle scienze, occorre ancora nell'arti, cioè che alcune possono esser più nobili e quanto al fine e quanto al suggetto, e queste sono nobilissime; alcune quanto al fine solo et alcune quanto al suggetto solo. l\1a quelle che hanno il fine più nobile, sempre sono più nobili, perché sempre si dee prima riguardare il fine in quanto alla nobiltà, e poscia il suggetto: et il fine di ciascun'arte è un solo, e non più, perché ciascun'arte è una sola; e se bene la medicina non solamente ricupera la sanità perduta, ma eziandio il corpo sano mantiene, non perciò si dice aver due fini, ma due intenzioni per un fin solo, che è la sanità. 2 1. Cfr. VARCHI, p. 9, qui riprodotto a p. 102. Il Borghini preferisce attenersi alla definizione aristotelica piuttosto che alle varianti del Varchi. 2. Cfr. VARCHI, pp. II sg., qui riprodotto a p. 104.

III

LE ARTI

La classificazione delle arti, non meno del dissidio tra arte e scienza, offre nel corso di tutto il Cinquecento soluzioni eterogenee, motivate da esperienze le più diverse. Emergono tra le altre quelle che, superando un piano meramente conoscitivo, rispondono a idealità nuove o a circostanze particolari. Per la universalità del suo cortigiano il Castiglione, ad esempio, sottolinea l' «ornamento» e l' ((utilità» della musica e della pittura e riscatta quest'ultima dalla corrente svalutazione ad arte meccanica. Il riconoscimento, pur basandosi sulla citazione di testimonianze antiche (Quintiliano, Plutarco, Valerio Massimo, Cicerone, Platone, Aristotele e soprattutto Plinio), concorda con lo sforzo di Leonardo per riqualificare anche in senso sociale il ruolo del pittore (cfr. la nostra sezione vn), ed assume una particolare autorità confermando su un piano disinteressato, in questo caso letterario, le conclusioni di trattazioni specifiche (cfr. anche Leon Battista Al berti): per gli artisti, insomma, una riprova e contrario. Del tutto diversa, ma non meno importante, la rara testimonianza di Giovanni Battista Paggi (edita finora dal solo Bottari), che, nobile genovese e pittore, combatte contro il protezionismo sindacale dei suoi conterranei, disposti a sottoscrivere i vecchi capitoli della corporazione dei doratori di fronte ai pericoli della concorrenza esterna e delle importazioni. Forte di una lunga esperienza toscana, egli cerca di illustrare al fratello, che deve difendere lui e la pittura di fronte ad una magistratura cittadina, la situazione dell'arte nell'ultimo decennio del Cinquecento. La recente costituzione dell'Accademia fiorentina del Disegno appare ai suoi occhi la più tangibile riprova della dignità della pittura (prima confusa, anche a Firenze, con l'arte degli Speziali), la cui nobiltà «estrinseca» ed ((intrinseca» viene frettolosamente illustrata, nelle strette della contingenza, facendo ricorso alle argomentazioni di Gabriele Paleotti e di Romano Alberti. L'ut pictura poiisis, la fama degli artisti, il favore dei principi, la universalità della pittura, argomenti ormai consacrati dalla trattatistica di tutto il secolo, si alleano a quelli dei controriformisti (pittura come libro degli ignoranti, come decoro castigato di templi e palazzi), puntando tuttavia in modo nuovo sul problema specifico della distinzione tra l'esperienza manuale e circoscritta della bottega e quella più libera ed aperta dell'artista indipendente. Così resperienza intellettuale assume un nuovo valore per l'arte: quasi si stacca dalla

s

114

III • LE ARTI

pratica e si compiace di operare senza vincoli di tempo o di luogo. L'inclinazione naturale resta l'unico elemento imprescindibile: valgono a riprova gli studi di Michelangelo sul Torso di Belvedere e quelli di Polidoro da Caravaggio sulla Colonna Traiana; la dignità dell'artista non dipende dalla regolarità del tirocinio (lo stesso Polidoro era un manovale e il Civitali un barbiere), ma solo dalla qualità dell'ingegno: lo provano persino gl'intrighi dei mestieranti sangalleschi in San Pietro, contro i quali Michelangelo avrebbe ribadito l'assoluta indipendenza del creatore. Fortunatamente l'arcaico provincialismo degli artisti genovesi non trova riscontro in altri. centri culturali italiani. Sperone Speroni, ad esempio, propende a considerare la pittura un'arte dilettevole, cioè non intellettuale (come sono invece la poesia e la retorica), ma un tale declassamento non gl'impedisce di ricorrere più volte ad esempi di ut pictura poesis e di stendere addirittura un Discorso in lode della pittura (cfr. la nostra sezione VI). Giulio Camillo Delminio, invece, propone una singolare costruzione cabalistica e allegorica, basata sul numero sette (« Questo settenario è numero perfetto, percioché contiene l'uno e l'altro sesso, per esser fatto di pari e di dispari; onde volendo dir Virgilio "perfettamente beati", disse terque quaterque. ; . » [p. 62] ). Essa si configura come un teatro i cui sette gradini sono occupati ognuno da sette immagini, successivamente: dalle immagini di sette Pianeti (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno), di sette Convivi, di sette Antri, di sette Gorgoni, di sette Pasife, di sette Talari e infine di sette Prometei, simbolo, secondo il mito platonico, delle arti: Per dar, per così dir, ordine all'ordine con tal facilità che facciamo gli studiosi come spettatori, mettiamo loro davanti le dette sette misure sostenute dalle misure de' sette pianeti in spettaculo, o dir vogliamo in teatro distinto per sette salite. E perché gli antichi teatri erano talmente ordinati, che sopra i gradi allo spettaculo più vicini sedevano i più onorati, poi di mano in mano sedevano ne' gradi ascendenti quelli che erano di minor dignità, talmente che ne' supremi gradi sedevano gli artefici, in modo che i più vicini gradi a' più nobili erano assegnati, si per la vicinità dello spettaculo, come ancora perché dal fiato de gli artefici non fossero offesi; noi, seguendo l'ordine della creazion del mondo, faremo seder ne' primi gradi le cose più semplici o più degne, o che possiamo imaginar essere state per la disposizion divina avanti alle altre cose create. Poi collocheremo di grado in grado quelle che appresso sono seguite, talmente che nel settimo, cioè

III • LE ARTI

115

nell'ultimo grado superiore, sederanno tutte le arti e facultà che cadono sotto precetti, non per ragione di viltà, ma per ragion di tempo, essendo quelle come ultime da gli uomini state ritrovate [pp. 66 sg.].

Le allegorie principali presentano numerose sottoallegorie, che hanno riferimenti in senso sia verticale che orizzontale. La costruzione simbolica s'imposta quindi sulla molteplicità delle allusioni in un quadro il più possibile popoloso e privo, all'interno di ogni grado, di distinzioni gerarchiche. Queste prevalgono invece nella Lezione del Varchi, che, sempre armato di concetti aristotelici, dà delle arti tutte le possibili classificazioni, distinguendo sempre i punti di vista. Arti liberali e illiberali, arti contemplative e fattive, arti certe e congetturali, arti necessarie, utili e dilettevoli, arti volgari e ludicre ecc. si alternano in un caleidoscopio mentale, nel quale vengono via via chiariti le cause per cui le arti imitano la natura (la materiale, la formale, l'efficiente e la finale) e i loro rapporti fondamentali con la scienza, la virtù, l'esercizio, la fortuna, l'ingegno, la fatica, l'esperienza ecc. In atmosfera postridentina l'excursus erudito si colora di accenti morali. Nel Paleotti la citazione delle antiche autorità (Aristotele, Valerio Massimo, Plinio ecc.) si aggiorna sulle voci cristiane (Sane Agostino, San Tommaso, San Giovanni Crisostomo, San Girolamo ecc.) per attestare la nobiltà estrinseca, intrinseca e cristiana delle arti. Le figurative si riducono essenzialmente a strumento dimostrativo e ad esercizio di carità, le cui prerogative tecniche e stilistiche si livellano in generiche categorie a servizio del fine pragmatico. A Firenze invece, dove la Controriforma non trova così convinte adesioni, le preoccupazioni intellettuali e laiche hanno un corso più lungo, rivivendo anche alla fine del secolo l'insegnamento aristotelico del Varchi. Lo attesta il Verino Secondo, che nel suo «interessante» (Garin) Discorso del soggetto, del numero, dell'uso e della dignità et ordini degli abiti dell'animo, ci.oè dell' arti, dotfrine morali, scienze specolative e facoltà stromentali, pubblicato dai Giunti nel I 568, si sforza di definire la natura di tutte le arti, non limitandosi alle categorie generali, ma descrivendo di ognuna l'ambito di azione e i rapporti con altre attività. Più tardi (1586) discorrendo Delle mara'Vigliose opere di Pratolino il Verino torna sull'argomento: riassume la trattazione precedente con colori piuttosto ibridi, tra varchiani e controriformistici, e agganciandosi

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III • LE ARTI

alla recente realizzazione della villa, che si configura come l'attuazione di un sogno neoplatonico e cortigiano, vede in essa l'ideale concorso di arti diverse. A Mantova, infine, il canonico Gregorio Comanini non ha problemi di sudditanza. All'inizio del suo Figino il poeta Stefano Guazzo esordisce con la classificazione platonica delle arti (usanti, operanti e imitanti), già rivalutata da Iacopo Mazzoni nella sua Difesa di Dante, e insiste sul fatto che le arti imitanti sono quelle che semplicemente imitano. La precisazione, che vuole rispondere ad una obiezione della Poetica di Francesco Patrizi, tendente ad allargare la sfera della imitazione, concorda pienamente col Mazzoni e col Tasso, cercando di assicurare agli artisti quella sfera di azione fantastica, il cui carattere precipuo sarà appunto l'inclinazione al «meraviglioso» (cfr. MAZZONI, p. 10: «L'arti imitatrici hanno per suo soggetto, si può dire, tutte le cose del mondo, essendo che possono imitare e le cose naturali e le umane e le divine»).

BALDESAR CASTIGLIONE Rise quivi ognuno; e ricominciando il CONTE: - Signori, - disse - avete a sapere ch'io non mi contento del Cortegiano, s'egli non è ancor musico e se, oltre allo intendere ed esser sicuro a libro, non sa di varii instrumenti: 1 perché, se ben pensiamo, niuno riposo di fatiche e medicina d'animi infermi ritrovar si po più onesta e laudevole nell'ocio che questa; e massimamente nelle corti, dove, oltre al refrigerio de' fastidii che ad ognuno la musica presta, molte cose si fanno per satisfar alle donne, gli animi delle quali, teneri e molli, facilmente sono dall'armonia penetrati e di dolcezza ripieni. Però non è maraviglia se nei tempi antichi e ne' presenti sempre esse state sono a' musici inclinate, ed hanno avuto questo per gratissimo cibo d'animo. -Allor il signor GASPAR: - La musica penso - disse - che insieme con molte altre vanità sia alle donne conveniente sì, e forse ancor ad alcuni che hanno similitudine d'omini, ma non a quelli che veramente sono; i quali non deono con delicie effeminare gli animi ed indurgli in tal modo a temer la morte.2 -Non dite- rispose il CONTE; - perch'io v'entrarò in un gran pelago di laude della musica; e ricordarò quanto sempre appresso gli antichi sia stata celebrata e tenuta per cosa sacra, e sia stato opinione di sapientissimi filosofi, il mondo esser composto di musica, e i cieli nel moversi far armonia, e l'anima nostra pur con la medesima ragione esser formata, e però destarsi e quasi vivificar le sue virtù per la musica. 3 Per il che se scrive, Alessandro alcuna volta esser stato da quella Dal Cortegiano, cap. XLVII del libro I. I. Sugli strumenti preferiti dai contemporanei cfr. SABBA DA CASTIGLIONE, Ricordi overo ammaestramenti [1515-1520], Venezia 1562, ricordo nr. 109, c. 114: « ••• organi, claocimbali, monocordi, salteri, arpe, dolcimele, baldose et altri simili e ... liuti, viole, violoni, lire, flauti, cornetti, tibie, cornamuse, dianoni, tromboni et altri tali. I quali ornamenti io certo commendo assai, perché questi tali instrumenti dilettano molto all'orecchie e ricreano molto gli animi, i quali, come diceva Platone, si ricordano dell'armonia, la quali nasce dalli moti delli circoli celesti ..• •; e VARCHI, L'Ercolano, in Opere, II, p. 153. 2. L'interlocutore è Gaspar Pallavicino. Sulla musica e le donne vedi soprattutto A. N1Fo, Libellus de liis quae ab optimis principibus agenda sunt, Florentiae 1521, e cfr. C1AN, in CASTIGLIONE, p. 117. 3. Cfr. QUINTILIANO, 111st. or., 1, x, 9: • Nam quis ignorat musicen ... tantum iam illis antiquis temporibus non studii modo verum etiam venerationis habuisse, ut iidem musici et vates et sapientes iudicarentur (mittam alios) Orpheus et Linus? ». Cfr. CJAN, in CASTIGLIONE, p. I 17.

118

III • LE ARTI

cosi ardentemente incitato, che quasi contra sua voglia gli bisognava levarsi dai convivii e correre all'arme; poi mutando il musico _la sorte del suono, mitigarsi, e tornar dall'arme ai convivii. 1 E diròvvi, il severo Socrate, già vecchissimo, aver imparato a sonare la citara.2 E ricordomi aver già inteso che Platone ed Aristotele vogliono che l' om bene instituito sia ancor musico; e con infinite ragioni mostrano, la forza della musica in noi essere grandissima, e per molte cause, che or saria lungo a dir, doversi necessariamente imparar da puerizia; non tanto per quella superficial melodia che si sente, ma per esser sufficiente ad indur in noi un novo abito bono ed un costume tendente alla virtù, il qual fa l'animo più capace di felicità, secondo che lo esercizio corporale fa il corpo più gagliardo ; e non solamente non nocere alle cose civili e della guerra, ma loro giovar sommamente. 3 Licurgo ancora, nelle severe sue leggi, la musica approvò. 4 Eleggesi, i Lacedemonii bellicosissimi ed i Cretensi aver usato nelle battaglie cìtare ed altri instrumenti molli ;5 e molti eccellentissimi capitani antichi, come Epaminonda, aver dato opera alla musica; e quelli che non ne sapeano, come Temistocle, esser stati molto meno apprezzati. 6 Non avete voi letto, che delle prime discipline che insegnò il bon vecchio Chirone nella tenera età ad Achille, il qual egli nutrl dallo latte e dalla culla, fu la musica; e volse il savio maestro che le mani che aveano a sparger tanto sangue troiano, fussero spesso occupate nel suono della citara ?7 Qual soldato adunque sarà che si vergogni d'imitar Achille, lassando molti altri famosi capitani ch'io potrei addurre? Però non vogliate voi privar il nostro Cortegiano della musica, la qual non solamente gli animi umani indolcisce, ma spesso le fiere fa diventar mansuete; e chi non la gusta, si po tener per certo ch'abbia gli spiriti discordanti l'un dall'altro. Eccovi quanto essa po, che già trasse un pesce a lassarsi cavalcar da un omo per mezzo il procelloso mare. 8 Questa veggiamo PLUTARCO, Opuscoli: Della fortuna e della virtù di Alessandro, 11, traduzione di M. Adriani, Napoli 1841, p. 454: «Udendo un giorno Antigenide sonare una canzone annazia, talmente sentì commuoversi et infiammarsi il cuore, che incontanente mise mano all'armi e corse verso quelli che più gli erano vicini. • . •• 2. VALERIO MASSIMO, VIII, 7, QUINTILIANO, lnst. or., I, x, 13. 3. PLATONE, Rep., III, 398c sgg., ARISTOTELE, Polit., VIII, 1337b sgg. (cfr. CIAN, in CASTIGLIONE, p. 117). 4. PLUTARCO, Lyc., xvn. 5. PLUTARCO, Opuscoli: Della musica, cfr. C1AN, in CASTIGLIONE, p. 119. 6. CICERONE, Tu.se., I, 2, 4. 7. PLUTARCO, Opuscoli: Della musica, cfr. C1AN, in CASTIGLIONE, p. 119. 8. Della leggenda di Airone CIAN, in CASTIGLIONE, p. 120, segnala accenni in Erodoto, Ovidio, Eliano, Plutarco ecc. 1.

BALDESAR CASTIGLIONE

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operarsi ne' sacri tempii nello rendere laude e grazie a Dio; e credibil cosa è che ella grata a lui sia, ed egli a noi data l'abbia per dolcissimo alleviamento delle fatiche e fastidii nostri. Onde spesso i duri lavoratori de' campi sotto l'ardente sole ingannano la lor noia col rozzo ed agreste cantare. Con questo la inculta contadinella, che inanzi al giorno a filare o a tessere si lieva, dal sonno si diffende e la sua fatica fa piacevole; questo è giocundissimo trastullo dopo le piogge, i venti e le tempeste ai miseri marinari; con questo consolansi i stanchi peregrini dei noiosi e lunghi viaggi, e spesso gli afflitti prigionieri delle catene e ceppi. Cosi, per maggior argumento che d'ogni fatica e molestia umana la modulazione, benché inculta, sia grandissimo refrigerio, pare che la natura alle nutrici insegnata l'abbia per rimedio precipuo del pianto continuo de' teneri fanciulli; i quali al suon di tal voce s'inducano a riposato e placido sonno scordandosi le lacrime così proprie ed a noi per presagio del rimanente della nostra vita in quella età da natura date. 1 Or quivi tacendo un poco il CONTE, disse il MAGNIFICO IULIAN0:3 - Io non son già di parer conforme al signor Gaspar; anzi estimo, per le ragioni che voi dite e per molte altre, esser la musica non solamente ornamento, ma necessaria al Cortegiano. Vorrei ben che dichiaraste, in qual modo questa e l'altre qualità che voi gli assignate siano da esser operate, ed a che tempo e con che maniera: perché molte cose che da sé meritano laude, spesso con l'operarle for di tempo diventano inettissime; e per contrario, alcune che paion di poco momento, usandole bene, sono pregiate assai. Allora il CONTE: - Prima che a questo proposito entriamo, voglio - disse - ragionar d'un'altra cosa, la quale io, perciò che di molta importanza la estimo, penso che dal nostro Cortegiano per alcun modo non debba esser lasciata addietro; e questo è il saper disegnare, ed aver cognizion dell'arte propria del dipingere. Né vi maravigliate s'io desidero questa parte, la qual oggidl forse par me-

1. QutNTILIANO, lmt. or., I, x, 16: «Atque eam [musicen] natura ipsa videtur ad tolerandos facilius labores velut muneri nobis dedisse, si quidem et remigem cantus hortatur; nec solum in iis operibus, in quibus plurium conatus praecunte aliqua iucunda voce conspirat, sed etiam singulorum fatigatio quamlibet se rudi modulatione solatur» (cfr. CJAN, in CASTIGLIONB, pp. 120 sg.). 2. Giuliano de' Medici, il minore dei figli del Magnifico Lorenzo.

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III • LE ARTI

canica e poco conveniente a gentilomo :1 ché ricordomi aver letto che gli antichi, massimamente per tutta Grecia, voleano che i fanciulli nobili nelle scole alla pittura dessero opera, come a cosa onesta e necessaria, e fu questa ricevuta nel primo grado dell'arti liberali; poi per pubblico editto vetato che ai servi non s'insegnasse. 2 Presso ai Romani ancor s'ebbe in onor grandissimo; e da questa trasse il cognome la casa nobilissima de' Fabii, ché il primo Fabio fu cognominato Pittore, per esser in effetto eccellentissimo pittore, e tanto dedito alla pittura, che avendo dipinto le mura del tempio della Salute, gl'inscrisse il nome suo; parendogli che, benché fosse nato in una famiglia così chiara, ed onorata di tanti titoli di consolati, di trionfi e d'altre dignità, e fosse litterato e perito nelle leggi e numerato tra gli oratori, potesse ancor accrescere splendore ed ornamento alla fama sua tassando memoria d'essere stato pittore. 3 Non mancarono ancor molti altri di chiare famiglie celebrati in quest' arte; della qual, oltra che in sé nobilissima e degna sia, si traggon molte utilità, e massimamente nella guerra, per disegnar paesi, siti, fiumi, ponti, ròcche, fortezze, e tai cose; le quali se ben nella memoria si servassero, il che però è assai difficile, altrui mostrar non si possono.4 E veramente, chi non estima questa arte, parmi che molto sia dalla ragione alieno; ché la machina del mondo, che noi veggiamo coll'ampio cielo di chiare stelle tanto splendido, e nel mezzo la terra dai mari cinta, di monti, valli e fiumi variata, e di si diversi alberi e vaghi fiori e d'erbe ornata, dir si po che una nobile e gran pittura sia, per man della natura e di Dio composta; 5 la qual chi po imitare, parmi esser di gran laude degno : né a questo pervenir si po senza la cognizion di molte cose, come ben sa chi lo I. Dalla musica al disegno e alla pittura. Sulla promozione della pittura ad arte liberale cfr. IACOPO DE' BARBARI, pp. 66, 69 della precedente sezione. 2. La solita citazione pliniana (PLINIO, xxxv, 77), per la quale cfr. ALBERTI, p. 80, e ancora IACOPO DE' BARBARI, loc. cit. 3. PLINIO, xxxv, 19: «Apud Romanos quoque honos mature huic arti contigit, si quidem cognomina ex ea Pictorum traxerunt Fabii clarissimae gentis, princepsque eius cognominis ipse aedem Salutis pinxit anno urbis conditae CCCCL ... » (FERRI, p. 127: «Anche presso i Romani la pittura ebbe onore assai presto, dal momento che una celebre gens dei Fabi derivò da quest'arte il cognome di Pittori; e il primo che portò questo cognome dipinse di propria mano il tempio della Salute nell'anno di Roma 450 ... »). Altra citazione di rito; cfr. ALBERTI, p. 79, IACOPO DE> BARBARI, loc. cit. 4. Argomento utilitario a favore della pittura, per il quale cfr. VARCHI> pp. 39, 51. ·5. Per simili elogi della universalità della pittura e per il paragone pitturanatura, cfr. ALBERTI, pp. 76 sgg., 80.

BALDESAR CASTIGLIONE

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prova. 1 Però gli antichi e l'arte e gli artlfici aveano in grandissimo pregio, onde pervenne in colmo di summa eccellenzia: e di ciò assai certo argumento pigliar si po dalle statue antiche di marmo e-di bronzo che ancor si veggono.2 E benché diversa sia la pittura dalla statuaria, pur l'una e l'altra da un medesimo fonte, che è il bon disegno, nasce. Però, come le statue sono divine, cosl ancor creder si po che le pitture fossero; e tanto più, quanto che di maggior artificio capaci sono.3

1. Le cognizioni già sottolineate nella distinzione tra arti e scienze; cfr. pp. 67 sgg. 2. Grazie anche alle recenti scoperte archeologiche del Laocoonte e dell'Apollo di Belvedere; cfr. CIAN, in CASTIGLIONE, p. 123. 3. Sul disegno padre della pittura e della scultura cfr. VARCHI, pp. 44 sg. Per l'artificio della pittura cfr. ALBERTJ, pp. 79 sg., e i vari esponenti del primato, nella nostra sezione v.

SPERONE SPERONI

Ma acciò che non creggiate che la buona arte retorica, di tutte l'arti reina, sia una certa buffoneria da far ridere (benché egli vi habbia di quelli che alla cucina l'assimigliarono ), voi dovete sapere che del numero delle arti, altre sono piacevoli et altre utili. 1 Quelle sono le utili, le quali comunemente nominiamo meccaniche; delle piacevoli parte ha virtù di dilettare l'animo, parte il corpo delle persone, o, parlando più chiaramente, parte il senso, parte la mente suol dilettare/· La dipintura e la musica gli occhi e gli orecchi,3 gli unguentarii il naso, il cuoco il gusto, e la stufa con la temperanza del caldo suo tutto '1 corpo con magisterio piacevole sono usati di confortare; ma le arti che l'intelletto dilettano quanto al proposito si conviene, sono due, cioè retorica e poesia :4 le quali, avvegnadio che altramente che per gli orecchi passando non pervegnano al1'intelletto, nondimeno per ciò sono da esser dette intellettuali, che elle sono arti delle parole, istrumenti dell'intelletto, con li quali significhiamo l'un l'altro ciò che intende la nostra mente. Certo delle voci e de' suoni è la musica, con la quale annoverando i gravi e gli acuti, quegli in maniera tempriamo, che diversi (sl come sono) si congiungono insieme a generar l'armonia, che non pur noi, ma molti bruti animali muove e diletta mirabilmente. 5 Ma la retorica e la poesia sono artifizii delle voci degli uomini, non come gravi et acute, ma propriamente come parole, cioè in quanto elle son segni dell'intelletto, quelle accordando si fattamente, che ne riesca una consonanzia: la quale, metaforicamente parlando, da' primi retori, al numero musico assimigliandola, numero anch'essa fu nominata; senza il qual numero non è orazione la orazione, e col Dal Dialogo della Rhetorica, in Dialogi del Sig. SPERONE SPERONI, Venezia 1596, pp. 137, 156 sg. 1. Cfr. VARCHI, p. 14, e qui p.134. 2. Cfr. VARCHI, pp. 15 sgg., e qui pp. 135 sgg. 3. Cfr. LEONARDO, f. 16. 4. Cfr., diversamente, LEONARDO, ff. 13 sgg., VARCHI, pp. 15 sgg., e più ampiamente la sezione IV di questo volume. 5. Anche lo Speroni cerca di nobilitare la retorica ricorrendo al fattore scientifico; cfr. PACIOLI, IACOPO DE' BARBARI ecc., citati nella precedente sezione. Sul numero cfr. inoltre le pp. I 50 sgg. di questo Dialogo e Sommarii e fragmenti di lezioni in difesa della Canace, recitate nella Accademia degli Elevati in Padova, in Opere di SPERONE SPERONI, Venezia 1740, 1v, p. 210.

SPERONE SPERONI

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qual numero ogni volgare et inerudito ragionamento può aver nome d'orazione. 1 Ma perciò che 'l poeta altro non vuole che dilettarne, e l'oratore dilettando ci persuade, però è mestieri che le parole dell'oratore totalmente si confacciano a' concetti significati, e che i numeri della prosa, cioè il principio, il mezo et il fin suo, vada apparo col mezo e col principio delle sentenzie: il che de' versi non adiviene, i cui numeri non da' concetti dell'intelletto, ma da' balli, suoni e canti son dependenti. E quindi viene che i perfetti oratori son rari in numero più che i poeti non sono: li quali, avvegnadio che grandemente siano obligati a' lor numeri, e però il verso paia opra laboriosa e di grandissimo magisterio, nondimeno, certi essendo in qual sua parte cotali numeri si riparino, senza molto pensarvi suso, subitamente li ritroviamo e, dagl'orecchi guidati, al mezo et al fine facilmente con esso loro ci conduciamo. Ma altra cosa è la prosa, la quale, dilettando e persuadendo, con gli orecchi e con l'intelletto siamo obligati di misurare, guardando sempre che le parole non sian più corte o più lunghe della sentenzia significata: ché, ciò essendo, troppo oscura o troppo fredda riuscirebbe la orazione. Sono adunque i suoi numeri meno sensibili, ma assai più nobili; un po' più liberi, ma non men certi di quei del verso: ma non appare la lor certezza, albergando nelle sentenzie, le quai son cose intellettuali. Et oso dire che, cosi come più perfetta è la musica delle tre voci che delle due, come ancora è più perfetta la dipintura di più colori che non è quella di pochi ;2 così la prosa, nella quale agli orecchi et all'intelletto si concorda la lingua, ~ orazione più numerosa del verso, ove la lingua e gli orecchi, due sole membra del nostro corpo, sono usate di convenirsi. Questo è il conto de' studii da me fatti sinora nel Petrarca e nelle novelle con fatica grandissima e con quel frutto che voi vedete; né me ne pento del tutto, sperando che i miei errori siano altrui occasione di dover bene operare, a me non già, il quale, avezzo a fallire, appena veggo il mio fallo, non che io possa ammendarmi.

J. Sui particolari requisiti dell'oratoria cfr. anche Delrarte oratoria, in Opere di SPERONE SPERONI cit., v, pp. 539 sgg. 2. Cfr. Discorso in lode della pittura, in Opere di SPERONE SPERONI cit., 111, p. 441, riprodotto nella nostra sezione VI.

GIULIO CAMILLO DELMINIO PROMETEO

Il settimo grado 1 è assegnato a tutte le arti cosi nobili come vili, le quali hanno sopra ciascuna porta Prometeo con la facella accesa. Et accioché si intenda la cagion, per la qual vogliamo che egli ci sia il simbolo delle arti, fa bisogno intender quello che dice Socrate nel Protagora di Platone. 2 Dice egli adunque, che essendo venuto il tempo fatai della creazione degli animali, i Dei, che allora erano soli, formarono essi animali nelle viscere della terra di fuoco e di terra e di quelle cose che col fuoco e con la terra sono mescolate. E mentre erano in volontà di mettergli in luce, commisero a Prometeo et ad Epimeteo che distribuissero a ciascuno le convenevoli forze. Et Epimeteo pregò Prometeo che a lui lasciasse far cosifatta distribuzione e che egli solamente si stesse a porvi mente. Consenti Prometeo, et Epimeteo fece la distribuzione. Ad alcuni adunque diede robustezza senza celerità et ad alcuni più deboli diede velocità. Alcuni armò, et [a] quelli che mancavano di arme trovò alcuna cosa accommodata alla loro salute. E di quelli che erano chiusi in picciol corpo, parte ne fece levar per l'aere dalle piume e parte serpire per la terra. E quelli che erano di ampia grandezza, volle che essa grandezza desse loro forza per la loro salute. E poi che Socrate ha molto vagato intorno alla varietà degli animali bruti, dice che Epimeteo poco savio consumò tutte le doti nelle bestie e non avertì di lasciar parte di tanta larghezza da donare all'umana spezie. Restava adunque la spezie umana vota e priva d'ogni dote. l\i1a Prometeo, vedendo la mala distribuzion fatta da Epimeteo, e già vicinarsi al giorno fatale, nel qual faceva bisogno far uscir in luce gli animali, non trovando altra via da poter alla umana salute provedere, nascosamente col fuoco furò l'artificiosa sapienza3 di Vulcano e di Minerva; percioché non si poteva far che alcuno senza fuoco, cioè senza acutezza di ingegno, la potesse né conseguir né usare. Questa adunque mise Prometeo neDa L'Idea del Theatro, in L'Opere di M. GIULIO CAMILLO [DBLMINIO], Venezia 1579, pp. 138-46. 1. Prometeo è l'insegna delle sette porte del settimo grado del teatro ideale di Giulio Camillo, nei cui gradi precedenti sono le insegne dei Pianeti, dei Convivi, degli Antri, delle Gorgoni, delle Pasife e dei Talari. 2. Prot., 320 sgg. 3. Cioè l'abilità artistica.

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gli uomini, la qual appartiene solamente al vivere, ma la civile mancava, 1 la quale era bene appresso Giove. Ma non fu lecito a Prometeo ascender tanto alto, percioché orribili custodie, che stavano intorno alla rocca di Giove, ne lo spaventavano. Per quel furto adunque l'uomo, solo fra gli animali fatto partecipe della divina sorte, ebbe cognizion de' Dei da principio; per la qual cognizione divenne religioso et a loro dedicò altari e statue. Distinse con arte articolarmente la voce in parole, edificò case, fece vestimenti, letti, e raccolse nutrimenti della terra. Ma pur gli uomini sparsamente vagavano dal principio, percioché non ancora erano edificate le città, donde aveniva che gli uomini, essendo più deboli delle fere, erano da quelle per tutto dissipati. Bene era trovata la facultà appartenente all'apparecchio del vivere, ma da combattere contra le fere non avevano il modo, percioché la civil facultà, della qual la milizia n'è una parte, non era fra loro. Pur, per potersi gli uomini dalle fere difendere, si congregarono et edificarono le città. Ma ohimè, che così congregati non si potevano l'un l'altro comportare, e tra loro si facevano di mille oltraggi, percioché della civil facultà non erano partecipi; laonde, sforzati ad uscir delle città, tornarono a divenir pastura delle fere. Alla fin Giove, mosso a pietà della umana infelicità, mandò Mercurio, che portasse agli uomini il pudore e la giustizia, a fin che queste due cose ornassero e legassero talmente le città, che gli uomini si conciliassero con benivolenza. Mercurio, avendo da portar questi due ornamenti, interrogò il padre, se avea da distribuir questi due doni nella maniera che erano state distribuite le arti, delle quali l'uno ne aveva l'una e l'altro l'altra, o se pur le avesse da dare a tutti egualmente. A tutti, rispose Giove, percioché tutti gli uomini ne debbono esser partecipi, ché altramente le città conservar non si potrebbono: che se bene un medico o un calzolaio in una città potesse sodisfare a molti non medici et a molti non calzolai, uno nondimeno di pudore e di giustizia ornato, fra molti che né pudor né giustizia non avessero, non si potrebbe conservare.2 Appresso Giove commise che da sua parte facesse una legge, che qual si trovasse nudo di pudore e di giustizia, fosse come peste della città con estremo supplicio tolto dal numero de' vivi. Cioè: l'uomo aveva la sapienza necessaria alla vita, ma gli mancava quella politica. 2. L'esempio del medico e del calzolaio non si legge nel testo platonico. 1.

III • LE ARTI

Ma noi vogliamo che il nostro Prometeo non solamente contenga tutte le arti nobili et ignobili che da lui furono distribuite, ma ancor la civile e la militar facultà, per non levar il teatro a più alto grado. Sotto il Prometeo della Luna 1 saranno cinque imagini : Diana, a cui Mercurio porge la vesta, contenerà i mesi e le lor parti. 2 Nettuno ci darà le arti sopra le acque, come acquedutti, fontane artificiate, ponti, porti, arzanà, arte navale e del pescare. 3 Dafne contenerà i giardini e l'arte intorno al legname. 4 Imeneo significherà nozze e parentadi. Diana con l'arco dinoterà la cacciagione. Sotto il Prometeo di Mercurio saranno sei imagini: Un Elefante. Si come questa imagine sotto il Convivio significa favolosa deità, così qui dinoterà favolosa religione, riti e cerimonie co' suoi appartenenti. 5 1. Cioè in riferimento alla Luna, corrispondente pianeta nel primo grado del teatro. 2. Sin dal primo grado la Luna è legata alla favola di Diana. A proposito di Mercurio che porge la veste a Diana e che compare anche nel1'Antro lunare cfr. CAMILLO, p. 87: « Si legge fra le favole greche che, veggendo Giove Diana andare ignuda, essendo ella casta, non gli piacque e commise a Mercurio che le facesse una vesta. E per molte che egli gliene facesse, non ne fu mai alcuna che le si potesse accommodare. La qual finzione ci dà simbolo significante la mutazione e lé suo specie, cioè la generazione, la corruzione, l'augumento ... ». 3. Già nel secondo grado, quello dei Convivi, Nettuno è legato alla Luna come « reina della umidità» (CAMILLO, p. 80). Cfr. anche p. 86: «Nettuno adunque sotto il Convivio [lunare] significa Pelemento dell'acqua simplicissimo, ma sotto l'Antro [lunare] lo significherà già misto ... Quando troveremo Nettuno sotto i Talari, percioché quelli significano la operazione che può far l'uomo intorno a ciascuna cosa creata avanti a lui naturalmente e fuori d'arte, vogliamo che egli abbia nel suo canone operazioni umane e naturali intorno alle acque •.. E sotto Prometeo ci dimostrerà [Nettuno] le arti sopra le acque». 4. Cfr. CAMILLO, p. 87: « Sotto i Talari Dafne significherà le operazioni naturali intorno al legname, come piegare, portare ••. Dafne veramente, cioè il boschivo, è ben dato alla Luna, cioè a Diana, dea de' boschi, percioché è regina ... delle umidità, senza le quali niuna pianta crescerebbe. Laonde Virgilio nel IV della Georgica: "Oceanumque patrem rerum, nymphasque sorores / centum, guae sylvas, centum, guae flumina servane, .•• E sotto i Talari significherà [questa immagine] muovere o mutar cosa, ricever, di porre, operazion fatta tosto o subito». 5. Cfr. CAMILLO, p. So: « Sotto il Convivio di Mercurio sarà una imagine di Elefante, il quale percioché è detto da' scrittori essere il più religioso animai di tutti i bruti, vogliamo che nel volume del suo canone s'abbia a trattar della origine de gli Dei favolosi, della loro deità e de' loro nomi. E percioché dal cicalare delle favole venne quella openion, questo soggetto a Mercurio s'appartiene, come

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Ercole che tira una saetta con tre punte è nobilissima imagine di tutte le scienze pertinenti alle cose celesti, a questo mondo et ali' Abisso, percioché i teologhi simbolici vogliono che Ercole significhi l'umano spirito, il quale come saetta di tre punte possa penetrar con l'una i secreti celesti, con l'altra quelli di questo mondo e con la terza quelli dell' Abisso. 1 Adunque contenerà un volume molto ben distinto, nel qual si vedranno ordinate senza eccezzione tutte le scienze, con tutti gli anelli appartenenti alle loro particolari catene. E finalmente la eloquenza come ricetto et ornamento di tutte, la eloquenza dico appartenente alla orazione sciolta in tutte le sue speci, percioché il poema è solare et andrà alla imagine di Apollo fra le Muse. E sotto questo Ercole ancora sarà compresa la libreria. L'arco celeste con Mercurio. Per esser Iris messaggiera di Giunone e Mercurio de' Dei, questa imagine averà il volume delle ambascierie del nuncio privato e del mandato sotto mano. Et il privato contenerà i pertinenti alle lettere, che si mandano e che si ricevono. 2 Tre Palladi, una edificante città, l'altra che tessa tela figurata, la terza che faccia una statua. Dell'edificar abbiamo Virgilio: « Pallas quas condidit arces ipsa colat ». 3 Della tela figurata ne testifica il congresso con Aracne. E che ella fosse statuaria, di plastica, il ci possiamo persuader dalle cose dette di sopra e dalla favola di Socrate di sopra da noi recitata, quando dice che i Dei formarono tutti gli anin1ali, senza nominare alcuno in particulare.4 Questa imagine adunque conserverà volume appartenente al disegno, all'architettura, alla pittura, alla prospettiva, alla plastica et alla statuaria, et a tutti i loro appartenenti. E la distinzion sarà tale ne' tagli, che farà apparire maraviglioso l'ordine. Mercurio con un Gallo significherà la mercatura e suoi appartenenti. Né so onde Landino se l'abbia tratto, ma a me basta il testimonio suo nelle sue allegorie, nelle quali e' dice l'antichità avere usato così fatto simbolo per la mercatura, aggiungendo non patron della lingua e del favoleggiare; questa medesima figura sotto Prometeo significherà religione verso gli Dei favolosi». 1. Tale interpretazione di Ercole non compare nel CARTARI e nemmeno nel RIPA, 2. Per Iride come messaggera di Giunone cfr. CARTARI, p. 98. 3. Ecl., 11, 6x sg. 4. Anche Aracne come partecipe della pittura non compare nel CARTARI, nel RIPA e nel VALERIANO. Cfr. PLATONE, Prot., 320, VERINO, Discorso, pp. 19 sg.

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III • LE ARTI

so che ragione della garrulità di Mercurio, rappresentante quella de' mercatanti. 1 Prometeo con la facella, come è ancor in su la porta, rappresenterà arti et artefici in generale. Né ciò paia nuovo, ché ancora Aristotele nella sua Priora dice esser lecito per difetto di vocaboli dar talora alla specie il nome del genere. 2 Sotto Venere saranno sette imagini: Cerbero contiene la cucina et appartenenti conviti, et al dormire solenne. 3 I vermi che fan la seta contenerà il ginecio, con la vestiaria, con gli antecedenti e conseguenti. Antecedenti, come filare, tessere, sartoria, tentoria. Conseguenti, vestirsi, spogliarsi, resarcire, e la guardaroba. 4 Ercole purgante le stalle d'Augia contenerà bagni e barberie. 5 La Fanciulla col vaso d'odori significherà la perfumeria.6 Su Mercurio col gallo, simbolo della mercatura, cfr. CARTARI, pp. 174 sg. .ARISTOTELE, Anal. Prior., 1, 35, 48a. 3. Cfr. CAMILLO, p. 91: a Cerbero è stato dipinto [sotto l'Antro di Venere] con tre teste a significare le tre necessità naturali, che sono il mangiare, il bere et il dormire, le quali percioché impediscono molto l'uomo dalla speculazione, finge Virgilio che Enea per consiglio della Sibilla, volendo passar alla contemplazione delle cose alte, gli gitta un boccone e di subito passa. Il che significa che, quantunque noi abbiamo a sodisfare a queste tre necessità, con poco abbiamo loro a sodisfare, se vogliamo aver tempo di contemplare. Questa imagine adunque sotto l'Antro conserverà cose appartenenti alla fame, alla sete et al sonno: vittovaglie, beveraggi e cose che sonno inducono. Et a Venere si dà questa figura per la dilettazione. Sotto Pasife significherà fame e sete e sonno e conseguenti; sotto i Talari mangiar bene e dormire e conseguenti operazioni naturali. Poi sotto Prometeo significherà la cucina, i conviti deliziosi e le delizie accommodate al dormire, come i suoni et i canti». 4. Anche i venni come simbolo del filare, del tessere ecc. non compaiono in CARTARI, RIPA, VALERIANO. 5. Cfr. CAMILLO, p. 88: « Le stalle di Augia così chiamate sono dai Greci, percioché Augia fu un re ricchissimo di possessioni e di campi, ma la grande abondanzia di bestie che teneva, ingombrò sì il suo paese di letame, che corruppe la fertilità de' campi. Adunque sotto questa imagine daremo un volume, che comprenderà le sporchezze delle cose del mondo, le muffe, i fracidumi, le viltà, le imperfezioni e cose simili non piacevoli. Questa medesima imagine sotto Pasife contenerà le sporchezze del corpo umano e suoi escrementi, come quelli delle orecchie, del naso, delle unghie, degli occhi, il sudore, lo sputo, il vomito ... Ma sotto i Talari significherà le sporche operazioni, bruttar, macchiar etc». 6. Cfr. CAMILLO, pp. 91 sg.: « La fanciulla portante in capo il vaso di odori, qual fu trovata in Roma, nell'Antro significherà tutti gli odori. E per esser il vaso di Venere, a lei si dà. Sotto i Talari significa le nostre operazioni intorno agli odori fuor di arte, come odorare e portare odori. Ma sotto Prometeo contiene le arti pertinenti ad odori et a profumieri 1.

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Il Minotauro qui è arte viziosa, ruffianesimo, bordello et arte meretricia. 1 Bacco con r asta coperta di edera, musica et arti di giochi. 2 . Narciso contenerà l'arte de1 belletti. 3 Sotto il Prometeo del Sole saranno sette imagini: Gerion ucciso da Ercole contenerà minuti, ore, anno, orologio.~ Il Gallo col Leone contenerà il principato e suoi appartenenti. s 1. Cfr. CAMILLO, pp. 129 sg.: «Questo [il Minotauro] è il parto di Pasife, secondo i p[oeti] congiunta col toro. E qui è da notare che la teologia simbolica non senza misterio ha introdutto non pure il Minotauro, ma i Centauri et i Satiri e Fauni e simili, che portano la figura umana insino al bilico e dal bilico in giù la portano di bestia, percioché gli uomini che sono viziosi e non sono partecipi del raggio divino, del qual s'è detto, hanno solamente la figura umana, ma nel rimanente sono da esser comparati alle bestie ••• Con gran ragione adunque gli antichi hanno finto l'uomo trasformato in bestia da quella parte in giù. Adunque a questa imagine daremo natura inclinata al vizio, quantunque non lo esercitasse •.. E questo dico percioché il vizio esercitato si tratterà ne' Talari»; p. 133: «E nel vero se il Minotauro vivo significa vizio, morto dee significare virtù». 2. Cfr. CAMILLO, p. 129: « Bacco con l'asta in mano vestita d'edera, significherà lui non volere combattere, ma darsi buon tempo. E per tanto averà volume pertinente nell'ozio et alla tranquillità dell'animo, dinotando natura allegra, sollazzevole e che attenda a darsi buon tempo». 3. Cfr. CAMILLO, p. 92: «Narciso si guardò nell'acqua transitoria di questo mondo, e significa la mortai bellezza, la cui verità, a chi trovar la vuole, fa bisogno di ascender al sopraceleste Tiferot, dove lppia platonico la doverebbe cercare. E tutti noi ancora, percioché quivi è ferma et immortale. Or sotto questa imagine averemo la bellezza, che ci apparisce in questo mondo nelle cose materiali e desiderabili. Questa figura sotto Pasife significherà la bellezza umana e suoi conseguenti, morbidezza, vaghezza, delettazione, disegno, amore, speranza, innamorarsi et esser amato. Sotto i Talari significherà far bello, far innamorare, far desiderare, far sperare etc. E sotto Prometeo contenerà l'arte de' lisci e de' belletti». 4. Cfr. CAMILLO, p. 94: « Gerione a cui Ercole tronca le tre teste significa il principio, la consistenza e l'occaso del tempo appartenente al Sole. E questa imagine significherà a noi non solamente le età del mondo, ma ancor le quatro stagioni, le quali si fanno per l'accesso e recesso del Sole, e parimente il giorno e la notte con le sue parti. E sotto Pasife significherà l'età dell'uomo; sotto i Talari, operazioni naturali intorno a' minuti, all'ore, all'anno, alla età e all'orologio; e sotto Prometeo gli anni artificiali, minuti, ore, orologii et instrumenti di tempo•· 5. Cfr. CAMILLO, pp. 94 sg.: « Il Gallo col Leone. Non solamente Plinio apre questa significazione, ma Iamblico platonico ancora e Lucrezio dicono che, quantunque amendue questi animali siano solari, nondimeno il Gallo porta negli occhi alcun grado eccellente del Sole, nel quale riguardando il Leone si umilia a lui ... Questa imagine adunque contenerà la eccellenza delle cose naturali per comparazione. Sotto Pasife significherà la eccellenza dell'uomo, superiorità, la dignità, l'autorità e dominio in cosa degna d'onore. Sotto i Talari significherà far superiore, dar dignità e grado. Ma sotto Prometeo contenerà i principati e regni, i quali tutti da' scrittori sono con precetti stati regolati; cosi fossero ben servati».

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III • LB ARTI

La Sibilla col tripode significherà la divinazione e le sue speci e la profezia. Apollo fra le Muse dinoterà la poesia. Apollo che uccide il Serpente, cioè i veleni delle infirmità, avrà tutta la medicina. · Apollo pastore ci darà l'arte pastorale. 1 Un uomo a cavallo con un logoro in mano contenerà la caccia dello sparviere e del falcone, esercizii nobili. E benché appresso gli antichi non fossero in costume, nondimeno, potendosi per perplexionem accommodare molti modi di parlare, et accioché, volendosi dissolvere le novelle del Boccaccio, buchi non manchino, abbiam dato questo luogo. . . E qui dirò quattro parole della utilità della mia fatica: che proponendomi lo stato di questa età e della nostra religione, ho cercato di accomodare molte cose al nostro costume, come, per esempio, quantunque Cicerone non abbia mai parlato di Cristo né dello Spirito Santo, considerando io il bisogno nostro del parlare e dello scriver delle persone divine sotto la imagine della latitudine degli enti, ho apparecchiato gran selva tratta dagli scritti di Cicerone, con la qual ciceronianamente si potrà vestire il nome del Figliuolo e dello Spirito Santo. E quello del Figliuolo ha due selve separate, l'una per vestire il suo santissimo nome, come Verbo e Sapienza, l'altra come Verbo incarnato, cioè Cristo e Cristo crucifìsso per noi. Questa dico, percioché molti de' cabalisti ebrei hanno conosciuto la Sapienza et il Verbo, ma non hanno creduto quella essersi incarnata et aver per noi patito. Il che vedendo Paolo dice un sottil passaggio: «Non per sapientiam Verbi, ne crux Christi evacuetur ».2 Diché, se esso gelosissimo Paolo avesse avuto a scriver l'Evangelio di Giovanni, averebbe per aventura detto: e< In principio erat Christus, et Christus erat apud Deum, et Deus erat Christus »; benché Giovanni diede il rimedio, quando disse: «Et Verbum caro factum est». Sotto Marte saranno sette imagini: Vulcano ci darà l'arti fabrili di fuoco. 3 1. Per Apollo tra le Muse cfr. CARTARI, p. 30; per Apollo pastore, CARTARI, pp. 39 sg. Per la Medicina cfr. 1 diversamente, CARTARI, pp. 45 sg. 2. I ad Corinth., 11 17: «Non enim misit me Christus baptizare, sed evangelizare: non in sapientia verbi, ut non evacuetur crux Christi ». 3. Cfr. CAMILLO, p. 81: 1 Sotto il Convivio di Marte saranno due imagini, un Vulcano et una bocca tartarea aperta e divorante anime, qual nelle pitture fiaminghe si suol

GIULIO CAMILLO DELMINIO

IJI

Un Centauro; benché nella natura delle cose non siano mai stati i Centauri, pur leggendosi che, quando si cominciarono a domare i cavalli, a coloro che di lontano miravano pareva che il cavallo e cavalcatore fosse una cosa istessa, sotto questa imagine copriremo le arti al cavallo et al suo beneficio appartenenti. E si dà a Marte, per esser il cavallo animai marziale. 1 Due Serpenti combattenti conteneranno l'arte militare e la guerra terrestre e navale.2 Due giuocatori di cesti conteneranno tutti i giuochi marziali. Radamanto giudicante le anime averà il foro criminale distinto. Le Furie infernali, per essere esecutrici delle pene, conteneranno il barigellato, cattura, carcere, tortura, supplicii. Marsia scorticato da Apollo ci darà il macello. 3 Sotto il Prometeo di Giove saranno cinque imagini: Giunon sospesa contenerà arti fatte per beneficio di acre, come molini da vento.4 Europa sopra il toro significa la conversione, il consentimento, la santità, la annichilazione e la religione. 5 vedere. Vulcano significherà sotto questa porta il fuoco semplice; sotto l' Antro l'etere, il fuoco elementale, l'incendio universale, il fuoco nostro, l'incendio particulare, favilla, fiamma, carbone e cenere. Sotto i Talari significherà batter fuoco, pigliarlo neU-esca, accenderlo, metter incendio et estinguere. Sotto Prometeo contenerà tutte le arti fabrili, che fanno con fuoco ». 1. Ragionamento piuttosto confuso, che non trova corrispondenze nel CARTARI e nel RIPA. 2. Cfr. CAMILLO, pp. 97 sg.: et I due serpenti combattenti ci rappresentano quella favola che si legge di Mercurio, che si incontrò in due serpi che combattevano, sotto la quale imagine collocheremo la discordanza, la differenza e la diversità delle cose. E sotto Pasife significherà tale imagine natura contenziosa. E sotto i Talari contendere. E sotto Prometeo l'arte militare e la guerra terrestre e maritima e le loro pertinenze•· 3. Su Radamanto, le Furie e Marsia cfr. CARTARI, pp. 147, 152 sg., 222. 4. Cfr. CAMILLO, p. 82: ~ Giunon sospesa pigliamo da Omero, il quale finge Giove tener quella suspesa per una catena e Giunone aver a ciascun piede un contrapeso. Giove è il rettor di tutto l1aere; Giunone è l'acre, il contrapeso del più sollevato piede è l'acqua e quello del più basso è la terra. Quest'imagine adunquc in questo luogo significherà l'acre semplice. Ma sotto l'altro contenerà i quattro elementi in generale et appresso l'aere in particolare con le sue parti e suoi appartenenti ... E sotto i Talari significherà respirare, sospirare, usare l'aperto cielo. E sotto Prometeo significherà qualunque arte che per beneficio dell'aere si faccia, come i molini da vento». 5. Cfr. CAMILLO, pp. 82 sg.: et Europa rapita dal toro e per lo mare portata riguardando non la parte alla quale ella è portata, ma quella onde ella si è partita, è l'anima portata dal corpo per lo pelago di questo mondo, la qual si rivolge pure a Dio 1 terra sopraceleste; e questa coprirà un volume appartenente al Paradiso vero e cristiano et a tutte l 1anime beate già separate. E questo è dato a Giove per esser pianeta di vera religione.

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III • LE ARTI

Il giudicio di Paris averà il foro civile. La sfera dinoterà l'astrologia. 1 Sotto il Prometeo di Saturno saranno cinque imagini: Cibele contenerà la geometria, geografia, cosmografia et agricultura. 2 Un fanciullo sopra la tavola delPalfabetto ci darà la grammatica. La pelle di Marsia conserverà !'arti d'intorno a' cuoi e pelli. Una ferula contenerà l'uccellagioni co' notturni uccelli. Un Asino, per esser animai saturnino e nato alle fatiche, significherà vetture, facchini, pistrine e servi a quello condannati. 3

E questa sotto Prometeo significherà conversion~, consentimento, annichilazione, santità e religione». 1. Cfr. RIPA, p. 66. 2. Cfr. CAMILLO, pp. 101 sg.: 11 Cibele abbiamo avuta nel Convivio e significa la terra e per la corona turrita significa le città da lei sostenute. Questa è tirata da due leoni nel carro, percioché come il leone è forte davanti e debile di dietro, così il Sole, onde i leoni hanno cotal natura e più possente nella parte davanti che in quella di dietro. Di questa s'è detto anche nel Convivio, e qui e ne' Talari et in Prometeo non vomiterà foco, percioché significherà puramente la terra ... Ma sotto Prometeo contenerà la geometria, cosmografia et agricultura e le parti di lei, impercioché questa distingueremo in agricultura d'intorno alla terra et intorno a' frutti della terra, d'intorno agli arbori et intorno a' frutti degli arbori, d'intorno agli animali et intorno a' frutti degli animali, et in queste sei parti evacuaremo tutti gli scrittori della agricoltura•· 3. A proposito dell'asino cfr., diversamente, RIPA, pp. 14, 177, 574.

BENEDETTO VARCHI DELLA MAGGIORANZA DELLE ARTI

Detto dei fini dell'arti, non sarà se non buono dire alcuna cosa del modo come si facciano et ordinino tutte l'arti, il quale è questo. Primieramente si considera e piglia il fine di quella cotale arte ch'altri vuole ordinare, poi si cerca di quegli mezzi che siano atti e bastevoli a conseguire detto fine; e così ne insegna il Medico nel primo del Metodo, 1 cioè della via e del modo di medicare, al cap. vn, e nel libro che egli fece della Constituzione dell'arte, cioè come si debba disporre e trattare la medicina, nel secondo e terzo capitolo. E come in ciascuna scienza non si cerca mai né si pruova il subbietto suo, cioè la materia di che tratta, ma si presuppone come nota, così medesimamente in ciascuna arte si presuppone il suo fine senza provarlo; e posto il fine, si cerca de' mezzi che conduchino a cotal fine, essempigrazia nella medicina si presuppone il conservare i corpi sani o guarire gli ammalati; poi si cerca per quali mezzi si possa conseguire detto fine. È ben vero che ciascuna arte (come n'insegna il medesimo nel principio del suo libro che si chiama volgarmente Tegni, 2 cioè arte) ha tre processi, cioè si può ordinare et insegnare in tre modi: risolutivo, compositivo e diffinitivo; de' quali avendo favellato altra volta, non fa mestiero di dichiarargli più, ma diremo in quella vece che questo nome «arte» si può pigliare in due modi: propiamente e comunemente. Propiamente, quando si distingue da la scienza e da tutti gli altri abiti intellettivi, come s'è dichiarato di sopra. Comunemente, si piglia in più modi, perciocché alcuna volta si chiamano arti ancora tutte le scienze, senza aggiugnervi o buone o liberali o nobili o altro epiteto alcuno, come si può vedere nel primo libro dell'Anima ;3 et in questo modo tanto significa arte quanto scienza, come averno dichiarato di sopra. Alcuna volta si piglia non per ogni scienza, ma solamente per le scienze pratiche, et in questo modo si potrebbe chiamare arte ancora la prudenza, onde irragionevolmente fu riDalla Disputa prima della Lezzione ... della maggioranza delle arti, letta nell'Accademia Fiorentina nel 1547. 1. Galeno, autore della Methodr.u medendi, celebre breviario della scienza medica. 2,. Il trattato Ilept UXVl'l~, sull'arte del medico. 3. Non nel primo libro De anima, ma piuttosto in Met., 111, 2,, 996a. Cfr. ancora la lezione sulla creazione e infusione dell'anima razionale, VARCHI, Opere, n, pp. 313 sg.

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III • LE ARTI

preso da alcuni il Petrarca, quando disse nella fine del sonetto « O tempo, o ciel volubil, che fuggendo» :1 Non a caso

~

virttde, anzi è be/l'arte,·

come dichiarammo lungamente altrove. Alcuna volta si piglia per uno abito acquistato non con certa e vera ragione, ma da uno cotale uso e pratica, come si vede in molte arti. Pigliasi ancora qualche volta per una pratica e consuetudine fatta, non nell'anima razionale, ma nella cogitativa; e cosi non è altro che una sperienza. Pigliasi ancora per uno aggregato di più cose, le quali siano utili alla vita umana, acquistisi cotale aggregato o per ragione o per isperienza, et in questo modo si possono chiamare arti la gramatica e l' altre delle quali favellammo di sopra. E perché ciascuno possa meglio comprendere questa materia, porremo alcune divisioni dell'arti, e prima diremo che, dell'arti, alcune furono trovate per necessità, alcune per utilità, alcune per dilettazione; e furono trovate parte dagli uomini ingegnosi, parte dagli uomini poveri, per sostentare la vita: perciocché, come diceva Nerone, niuna arte è si vile che non dia le spese a chi l'esercita; e furono trovate mediante l'uso e la sperienza, onde Manilio scrisse nel suo libro d'astrologia: 2 Per varios usus artem experientia f ecit.

E Vergilio nella sua Coltivazione: Tum variae venere artes. Labor omnia vincit improbiu et duris urgens in rebus egestas.

E medesimamente poco di poi: Ut varias usus meditando ext11nde1et artes.3

Ben è vero che nessuna arte fu trovata e compiuta o in un medesimo tempo o da un solo, ma di mano in mano e da diversi, perché sempre si va o aggiugnendo o ripulendo o quello che manca o quello che è rozzo et imperfetto. E perciò disse Dante non meno veramente che con giudizio nell'x1 canto del Purgatorio: 1. Rime, CCCLV. z. Marco Manilio, autore del poema latino Astronomica (1, 61). 3. Georg., 1, 145 sg. e 133 («E poi vennero le varie arti. L'ostinato lavoro e la pressione del bisogno nelle avversità vincono ogni ostacolo»; «affinché il bisogno suscitasse le varie arti attraverso un meditante impegno»).

BENEDETTO VARCHI

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Credette Cimabue nella pittura tener lo campo, et ora ha Giotto il grido, sì che la fama di colui oscura. Così ha tolto l'uno a l'altro Guido la gloria della lingua, e forse è nato chi l'uno e l'altro caccerà del nido. 1

Anzi credo io che si possa dire con verità che niuna arte sia ancora giunta al colmo, di maniera che non vi si possa o aggiugnere o levare, et il medesimo dico, anzi mol_to più, delle scienze. Dell'arti alcune si chiamano liberali, cioè degne d'uomini liberi e non servi, e queste si dicono comunemente essere sette, delle quali tre sono intorno al favellare: la gramatica, la retorica e la dialettica, e quattro intorno alla quantità: la geometria, l'arismetica, la musica e l'astronomia; et è tanto volgare questa divisione, che infino al Burchiello ne fece un sonetto, dicendo: Sette son l' arti liberali, e prima etc. ;2

et alcune illiberali, cioè quelle le quali non erano da uomini liberi e che potevano esercitare ancora i servi. Dell'arti alcune consistono solamente nel contemplare, come la fisica, l'astrologia e tutte l'altre che sono scienze veramente; alcune nel fare, e queste sono di due maniere, perciocché in alcune dopo l1operazione rimane alcuna opera, come nell'architettura, dove dopo l'edificazione rimane e si può vedere la cosa operata, cioè l'edifizio, come ancora nella scultura, pittura et infinite altre; alcune operano in guisa che dopo !'operazioni non rimane opera alcuna, come nell'arte del cavalcare, saltare, cantare, sonare et altre tali. E come quelle prime, che lasciano dopo sé alcuno lavoro, si chiamano fattive; cosi queste seconde, dopo l' operazioni delle quali non rimane cosa niuna, si chiamano da molti attive: il che a me non piace se non se impropiamente, perché niuna arte si può chiamare attiva veramente, se non 1. Vv. 94-9. 2. Rime del BURCHIELLO FIORENTINO, commentate dal Doni ... , Vicenza, Perin, 1597, p. 194: « Sette son l'arti liberali, e prima/ grammatica dell'altre è via e porta. / Loica la seconda, per cui scorta/ il ver dal falso si conosce e lima. / Rettorica la terza, che per rima / parlando in prosa Puditor conforta. / Arismetica quarta, la via torta / per numeri dirizza a vera stima. / E la quinta si è geometria,/ che ogni cosa con ragion misura; / musica è la sesta melodia, / che suona e canta con gran dirittura; / la settima si è l'astrologia, / che 'l ciel qua giù ci mostra per figura. / Sopra ogni creatura / sarebbe chi sapesse ciascuna arte; / ma contentar si può chi ne sa parte•.

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III • LE ARTI

la prudenza. Dell'arti alcune sono che conseguitano sempre il lor fine, e queste si possono chiamar certe; alcuna volta noi conseguitano, come la medicina, la retorica et altre simili, le quali si possono chiamare conietturali. Dell'arti alcune sono necessarie o al corpo o a l'anima; alcune utili; alcune dilettevoli et alcune oneste. Detrarti alcune sono volgari e sordide o vero laide, come quelle che sono occupate manualmente intorno le necessità umane; alcune sono ludicre o vero giocose e burlevoli, come sono quelle che danno piacere o agli occhi o agli orecchi del volgo; alcune sono puerili o vero fanciullesche, come sarebbero i fraccurradi, 1 le bagattelle2 et altre simili. Dell'arti alcune pigliano il subbietto dalla natura, come la scultura; alcune da l'arte, come tessitori, calzolai e somiglianti; alcune da l'uno e da l'altro, come l'architettura e la pittura. Dell'arti alcune dispongono la materia; alcune introducono la forma, et alcune usano la cosa fatta, come si vede in quegli che tagliano i legni per fare le navi, in quegli che le fanno et in quegli che l'adoperano belle e fatte. Dell'arti alcune si fabbricano da sé stesse i propi strumenti, come il fabbro l'incudine e 'I martello, et alcune gli pigliano dalla natura o dall'altre arti. Dell'arti alcune servono ad acquistare il vitto naturalmente, e queste sono cinque: la pastorale e l'agricoltura, e queste sono giustissime; l'arte del pescare, dell'uccellare e del cacciare, la quale non vuole Sallustio che si ponga fra l'arti liberali,3 e pure fu sempre usata, et oggi è più che mai, dai re e dai prìncipi. Alcune l'acquistano non naturalmente, come tutte l'altre, eccetto queste. Dell'arti alcune fanno cose che si possono fare solamente da l'arte sola, e queste si dicono vincere la natura, come l'architettura; alcune [fanno cose che] si possono fare dall'arte e dalla natura parimente, come la sanità e l'archimia. Dell'arti alcune vincono la natura, come s'è detto di sopra dell'architettura, ché fanno quello che ella non può fare; alcune sono vinte da lei, come tutte l'arti che non arrivano a quella perfezzione della natura, le quali sono moltissime. Alcune sono ministre della natura, come la medicina e l'archimia; alcune fanno il principio solamente, e la natura fa il restante, come l'agricoltura; alcune hanno il principio dalla natura e fanno esse il fine: e qui è da notare che niuna arte si ri1. fraccurradi: fantocci o burattini di cencio o di legno, con un fusto o manico invece di piedi. Detti forse cosl perché dapprima coperti di veste e cappuccio a modo di frate (Vocabolario della Crusca,• s.v.). z. bagattelle: giuochi di prestigio. 3. Cat., 4.

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truova, la quale non abbia i principii della natura, o immediate o mediantemente. Dell'arti alcune sono subalternanti o vero principali, le quali si chiamano da' filosofi latini con nome greco architettoniche, e queste sono quelle che danno i principii a l'altre, come l'arismetica alla musica, o comandano loro, come l'arte della cavalleria al sellaio, morsaio, maniscalco e tutte l'altre che servono a lei. Alcune si chiamano subalternate o vero inferiori, e queste sono quelle o che pigliono i principii o subbietti loro da alcuna altra, o la obbediscono. Dell'arti alcune sono, secondo la distinzione di Galeno, 1 vili et indegne, come quelle che s'esercitano colle forze e fatiche del corpo, che i Greci dall'operare delle mani chiamano chirurgicas, cioè manuali; altre oneste e liberali, fra le quali pone primieramente la medicina, la rettorica, la musica, la geometria, l'astronomia, l'arismetica, la dialettica, la gramatica e la scienza delle leggi; né vieta che fra queste si ponga la scultura e la pittura, perciocché, se bene adoperano le mani, non però hanno bisogno principalmente delle forze del corpo. Dell'arti alcune hanno !'operazioni loro artifiziosissime, e queste sono quelle nelle quali può meno la fortuna; alcune l'hanno vilissime, e queste sono quelle dove più s'imbratta il corpo. Alcune sono servili del tutto, e queste sono quelle dove il corpo può assai; alcune ignobilissime, e queste sono quelle dove non si ricerca virtù alcuna, o pochissima; la quale divisione fa il Filosofo nel primo libro della Politica al cap. vn, dove chiama vile quello esercizio che rende inutile o l'animo o 'l corpo a l'operazioni virtuose. 2 Da queste tante e cosi varie divisioni di diversi autori può conoscere ciascuno la difficoltà di questa materia, trattata da diversi tanto non pure diversamente, ma con tale confusione, che a me pare non solo malagevole ad intendersi, ma impossibile, senza le distinzioni e dichiarazioni fatte di sopra da noi. La quale affine che ancora s'intenda meglio e più agevolmente, devemo sapere che, favellando, come noi facciamo, secondo il vero e propio significato, tutte l'arti sono meccaniche, pigliando «meccaniche» non in quella significazione che suona la parola greca, tratta dalla macchina (come si vede nel divino libro delle Meccaniche d'Aristotile), 3 la quale parte appartiene massimamente all'architettore, né ancora in quella significazione che si dice volgarmente «meccaniche», cioè mercen1. Prot,., 14. 2. ARISTOTELE, Polit., 1, 1, 1253a; 1, J, 1258a. 847a. I Ml)X(XVI.XCX sono un'opera oggi ritenuta apocrifa.

3. Mech.,

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III · LE ARTI

narie e del tutto vili et abbiette; ma pigliando «meccaniche», cioè manuali e nelle quali faccia di mestiero di servirsi in qualche modo del corpo, dico che allora et in cotale significazione implica contrarietà, cioè non è possibile dire arte la quale non sia meccanica, essendo tutte uno abito medesimo, come s'è veduto di sopra. Le quali tutte potremmo, per avventura, dividere generalmente in questo modo, che alcune sono nelle quali si ricerca e vale più lo ingegno che la fatica, et in alcune, all'incontro, vale e si ricerca più la fatica che l'ingegno; in alcune ancora sono pari l'ingegno e la fatica, et in alcune non fa di bisogno se non la fatica sola. Bene è vero che in ciascuna di queste divisioni è larghezza, cioè si truovano più gradi, perché molte, se bene vogliono più ingegno che fatica, sono però differenti fra loro, perché o in questa o in quella si ricerca più o manco ingegno, et in quella o in questa manco o più fatica; et il medesimo diciamo di tutte l'altre tre divisioni, perché nell'ultima, se bene non si ricerca se non fatica sola, in una però si ricerca più o meno fatica che in un'altra; e nella terza, se bene averno detto esservi la fatica e l'ingegno del pari, non intendiamo però che siano in modo bilanciate e contrappesate, che non vi sia in alcuna più o di fatica o d'ingegno, e così per lo contrario, che in un'altra. Ma venendo finalmente alla disputa principale, diciamo che per le cose sopraddette non è difficile il conoscere che, dopo l'arte della guerra - della quale non volemo favellare oggi, non ci parendo che i suoi grandissimi giovamenti vengano senza grandissimi danni, e giudicando che usarla per arte propia sia non solo biasimevole, ma empio-, la medicina è la più degna e la più nobile di tutte l'altre, e la cagione è perché ha il suo fine più nobile e più degno, il quale è, come si disse di sopra, o conservare la sanità dove ella i;, o indurla dove manca; alla cui nobiltà se ne aggiugne µn'altra, cioè quella del subbietto, il quale avanza di gran lunga ~ trapassa tutti gli altri, essendo l'uomo infinitamente più perfetto di tutte le cose mortali. E così la medicina, e quanto al fine e quanto al subbietto, è nobilissima; e perché alcuni, credendo nobilitarla, dicono che ella non è arte meccanica, cioè fattiva, averno a sapere che in questa parte ella è inferiore a molte altre, conciossia che ella si debba più tosto chiamare rabberciativa che fattiva, perciocché ella non fa mai di nuovo, ma racconcia sempre e corregge, onde la chiameremo correttiva; perciocché, o conservi ella la sanità o la induca,

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non fa altro che correggere, benché ora più et ora meno, come intendono i medici. È ancora inferiore a molte altre arti, perché il medico non solo non vince la natura, ma non l'imita ancora, ma è suo ministro, non essendo egli quello che induca e conservi la sanità principalmente, ma la natura mediante l'arte e l'opera di lui, come si disse lungamente nel primo trattato della Quistione d'archimia;1 benché nel vero il medico non è sempre ministrativo, come è sempre correttivo, perché pare che operi alcuna volta senza la natura, come quando o racconcia l'ossa o taglia la carne fracida. E qui è d'avvertire che favelliamo del medico quanto all'arte della medicina, e brevemente come medico, il quale, in cotal modo considerato, è senza alcun dubbio il più nobile di tutti gli artisti. Ma perché al medico vero e scientifico si ricerca ancora necessariamente la filosofia naturale, come ne mostra il nome stesso, onde il Petrarca: E se non fosse la discreta aita del fisico gentil(e),2

perché il medico comincia dove il filosofo fornisce, et è in un certo modo la medicina subalternata alla filosofia, pigliando da lei molti principii, come è chiarissimo, verbigrazia, gli elementi esser quattro: viene il medico a essere ancora [il] più nobile fra gli scienziati, eccettuato solamente il metafisico o vero il filosofo divino. Onde potemo dire che un medico, ricercandosi in lui cosi la scienza della filosofia come l'arte della medicina, si debba, se è vero medico, e lodare et onorare più che niuno altro, arrecando maggiore utilità alla vita umana, e nel più nobile subbietto, che alcuno altro. E se quegli che disputano qual sia più nobile, o un medico o uno dottore di leggi, distinguessero, come è necessario, da uno medico pratico, il quale non abbia se non la sperienza del medicare, et un medico che, oltra la pratica del medicare, abbia ancora la teorica della medicina, come dicono essi, e di più la cognizione della filosofia, conoscerebbero il dubbio loro essere chiarissimo; perché le leggi sono sotto l'abito non fattivo, come il medico, ma attivo, cioè sotto la prudenza, essendo senza alcuno dubbio una parte della politica. E cosi uno legista è più nobile ch'uno medico, perché, se bene tutti e due sono in un medesimo intelletto, cioè nel pratico, il legista perb è sotto la prima parte, che si chiama agibile, la quale è più B. VARCHI, Q11estioni dell' Alcl,imia, codice inedito pubblicato da D. Moreni, Firenze 1827. z. Trionfo d,An,ore, 11, 12.1-2. 1.

III • LE ARTI

nobile della seconda, che si chiama fattibile, sotto la quale sono i medici e tutti gli altri artefici. Ma considerato il medico, come è ancora, filosofo, soprastà tanto ai dottori di leggi, quanto l'intelletto contemplativo, o veramente la ragione superiore, nella quale sono tutte le scienze, soprastà all'intelletto pratico, o vero alla ragione inferiore, nella quale sono tutte l'arti. Et in questo modo medesimo, per le medesime cagioni si può dicidere e tagliare la disputa che si fa ordinariamente da' legisti, quali siano più nobili, o l'armi o le lettere, e molte altre somiglianti, le quali appresso i filosofi non hanno dubbio nessuno. E come da loro si possono sciogliere tutte agevolissimamente, così dagli altri più tosto si confondono e fanno più dubbie che altro; per lo che mai non si possono rendere né tante grazie alla filosofia, né tanto grandi, che non siano e poche e picciole: senza la quale, abbracciando ella tutte le cose, non si può disputare, non che risolvere dubbio nessuno. Dopo la medicina séguita, per quanto a me ne paia, l'architettura, la quale e per la nobiltà del suo fine, e per la degnità del suo subbietto, e per le molte cose che in lei si ricercono di sapere, precede l'altre tutte quante; e se non [ne] avesse favellato lungamente prima Vitruvio, nel suo dottissimo e bellissimo proemio posto innanzi a' suoi libri dell' Architettura1 - nel quale però, secondo il poco giudizio nostro, le attribuisce troppo -, e poi pure, nel suo bellissimo e dottissimo proemio innanzi a' suoi libri dell'Architettura, M. Leonbatista Alberti, nobile fiorentino et in molte cosi arti come scienze esercitatissimo, ne potremmo trattare diffusamente. Ma rimettendoci all'autorità loro, diremo solamente che l'architettura è nobilissima di tutte l'altre arti dopo la medicina, non solo per la regola del fine data di sopra da noi, la quale è infallibile, e cosi del subbietto, ma ancora per la grande utilità e moltissime cognizioni che d'essa si cavano et in essa si ricercano. Et Aristotile quasi sempre dà gli essempi dell'architettura, ancora che Platone dica che nella Grecia si trovassero pochissimi che la sapessero o esercitassero, dove in Roma in un tempo medesimo se ne trovarono settecento, cosa incredibile a chi non ha veduto Roma, o non ha lette le grandezze di quella città. E Galeno agguagliava l'arte della medicina a quella dell'architettura;2 e come il medico ricorre alla filosofia, cosi l'architetto deve ricorrere alla geometria. Ma che più? Non dimostra il nome stesso lei essere principalissima di tutte le altre, poscia che 1.

De Arch.,

1, 1, I

sgg.

2.

Comm. i11 Hippocr.,

512.

BENEDETTO VARCHI

architettoniche, nome derivativo dall'architettura, si chiamano tutte quelle arti, le quali danno principio all'altre o le comandano? E chi mi dimandasse: Se l'architetto vince la natura et il medico è suo ministro, perché dunque si prepone la medicina a l'architettura?, gli risponderei: Perché il fine è più nobile; perciocché, se bene l'architettura conserva anch'ella la sanità et ha di più la magnificenza e l'ornamento, non però ne la conserva in quel modo, né la introduce dove non è; oltra che al medico è necessario la cognizione di molto più cose, conciossia che tutte le parti del corpo hanno diverse virtù et operazioni, le quali è necessario che sappia il medico, dove le parti d'uno edifizio non hanno operazione alcuna, non essendo animate. E chi mi dimandasse perché io la prepongo alla scultura et alla pittura, gli risponderei - non ci essendo altra regola, non che più vera-: Perché il fine è più nobile; oltra che è infinitamente, non solo più necessaria, ma più utile l'architettura, et ha bisogno di maggiore cognizione di molto più cose che non hanno l'altre. E si potrebbe dire che l'architettura fusse [sub]alternante, e la scultura, sotto la quale comprendo ancora la pittura, subalternata, conciossia che le sculture e pitture si fanno per adornare gli edifizi e non ali' incontro, se non se per cagione della religione, il che è per accidente. E chiunche ha veduto o la cupola di Firenze o la Ritonda in Roma, oltra tanti edifizi, et abbia punto di giudizio, conoscerà senza fatica alcuna qual di loro si debba preporre e mettere innanzi; per non dir nulla che quasi tutte le altre arti dipendono da questa, senza la quale niuna dell'altre o pochissime si potrebbero esercitare; e l'arte de' mugnai, che pare a' volgari tanto ingegnosa quanto necessaria, ha tutto l'ingegno, insieme con moltissime altre, dall'architetto; e della necessità in questo caso non si debbe fare altra stima che di colui che alza i mantaci nel sonar gli organi. E cosi averno spedita la prima disputa e conchiuso che, dopo la medicina, l'architettura è la più nobile di tutte l'arti. Della magia non averno fatto menzione, perché non è altro che la medicina congiunta e mescolata colla religione. Della negromanzia, piromanzia e molte altre somiglianti non favellano i filosofi, perché nolle credono. Ora, innanzi che vegnamo alla seconda, pensiamo essere ben fatto, per compire questa materia dell'arti, recitarvi alcune cose appartenenti ad essa; e prima, che ciascuna va imitando, quanto più può, la natura, et ha sempre tutte e quattro le cagioni: la materiale, la

III · LE ARTI

formale, l'efficiente e la finale. La materiale è quella di che si fa tutto quello che si fa, verbigrazia il bronzo in una statua; la formale è quella che dà la forma e l'essere alla cosa, perché la forma sua, e non altro, fa che quel bronzo sia più tosto uomo che cavallo, e più tosto Cesare che Pompeo; l'efficiente è quello che la fa, cioè l'artefice; la finale è quella cagione che invita e sforza l'artefice a farla, il quale può essere cosi il disiderio della gloria, come il bisogno o la voglia di guadagnare. E come la cagione formale non può essere senza la materiale, così la formale non può essere senza l'agente, né l'agente senza la finale, la quale è più nobile di tutte l'altre, perciocché tutte l'altre servono a lei, conciossia che tutte le cose che operano, così naturalmente come volontariamente, operano per lo fine. Platone aggiugneva a queste quattro cagioni la esemplare, chiamata da lui idea; aggiugneva ancora la strumentale, le quali in verità si comprendono sotto le dette quattro, perciocché tutte le cagioni sono o « quello del quale», cioè la materia, o « quello dal quale», cioè l'artefice, o « quello nel quale» o più tosto « col quale >>, cioè la forma, o « quello per lo quale», cioè il fine : e da queste ne viene e risulta «quello il quale», cioè essa statua. Altramente, se s'avessero a mettere per cagioni tutte le cose che si ricercono di necessità, bisognarebbe mettervi ancora il tempo et il luogo, perché niuna cosa si può fare senza questi; oltra che, come diceva il Filosofo, tutte l'arti adoperano il moto, e niuna di quelle che alterano e trasformano una materia in un'altra si può fare senza fuoco. Notaremo ancora che, se bene in tutti gli uomini sono da natura alcuni semi e quasi principii di tutte cosi arti come scienze, onde pare che tutti le passino apprendere tutte, non è però che non si vegga manifestamente alcuni essere nati molto più atti a una che a un'altra. E perciò diceva Properzio, poeta piacevolissimo: Naturae sequitur semi1la quisque suae. 1

E come molti sono atti a più, cosi pare che alcuni non siano atti a nessuna: giova bene infinitamente l'industria e l'esercitazione, ma chi non accozza e congiugne l'arte insieme con la natura, rarissime volte, anzi non mai diverrà eccellentissimo. Ma trattare di questo s'appartiene alla disputa a chi più si debba avere obbligo da' buoni artefici, o alla natura o a l'arte; e se bene molte arti consistono in r.

PROPERZJO, 111, IX, 20 ( e Ognuno

segue il seme della propria natura•).

BENEDETTO VARCHI

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un certo modo nell'esercitazione sola, non è però che la vivezza dell'ingegno non possa assaissimo, anzi senza questa non pruovano mai molto, non altramente quasi che uno quantunche buono artefice, s'egli è o stanco o perturbato o infermo, non opera bene. È ancora da notare che tutte l'arti si possono chiamare potenze, ma attive, perché tutte sono principii d'operare in materia diversa, in quanto diversa, e cosi che tutte l'arti, quantunche meccaniche e mercennarie, si servono della filosofia, se bene non sanno le cagioni per che ciò facciano; onde il muratore adopera l'archipenzolo et il legnaiuolo la squadra, senza sapere la natura o dell'uno o dell'altro, e, se la sanno, non la sanno come tali artefici; onde tutte l'arti sono subalternate all'undecimo libro d'Euclide, 1 e tutte hanno. come diceva Cicerone, alcuni nomi propi e vocaboli particolari", i quali le più volte non sono noti se non agli artefici medesimi. Ora raccontaremo alcune somiglianze che hanno l'arti o colle scienze o colle virtù, e cosi alcune dissomiglianze o vero differenze, riserbandoci a trattar quelle che sono fra l'arte e la natura nella lezzione della Natura,2 se ci sarà conceduto il farla. E prima diremo che, se bene l'arti pigliate propiamente si distinguono contro le scienze, non è però che in ciascuna arte non si specoli e consideri alcuna cosa; e mediante cotale contemplazione si truova et inferisce quello che si debba fare. È ben vero che le specolazioni nelle scienze sono per cagione di loro stesse e non per altro fine che per sapere la verità delle cose, dove nell'arti non è così, perché tutte si riferiscono al fine dell'arte. Onde non è dubbio che ancora nell'arti si fanno delle dimostrazioni, come nelle scienze; ma vi è questa differenza, che nelle scienze le dimostrazioni sono di cose necessarie per sé e semplicemente, dove nell'arti sono di cose necessarie non semplicemente e per sé, ma per lo presupposto; e cotali presupposizioni cotalmente necessarie possono essere contingenti. Et in questo modo scioglieva Galeno onde era che l'oppennione non è tra gli abiti dello intelletto, come l'arte; perché l'arte, diceva egli, se bene non è delle cose necessarie semplicemente, è però delle cose necessarie in un certo modo, cioè per lo essere state presupposte cosi, ma l'oppennione non è delle cose necessarie né nell'un modo né nell'altro; onde, potendo noi appi-gliarsi cosi ad una parte come all'altra e conseguentemente errare, 1. L,undecimo libro degli Elementi euclidei, che concerne la geometria dei solidi, cioè dello spazio. z. Cfr. p. 103 nota 1.

III • LE ARTI

non si può né deve porre fra gli abiti dello intelletto, che sono infallibili. Hanno ancora l' arti questa differenza dalle scienze, che esse sono divise e separate l'una dall'altra, di modo che si può essere buon maestro in alcuna di loro senza la cognizione di nessuna dell'altre, dove le scienze hanno una certa convenienza e colleganza insieme, che malagevolissimamente può alcuno saperne nessuna bene, senza qualche cognizione, se non di tutte, almeno della maggior parte. Sono ancora different~ l'arti dalle virtù, perché quelle cose che si fanno dall'arti hanno il bene loro e l'utilità in sé medesime, e però basta che si facciano in qualunche modo l'artefice le faccia, o ben volentieri o forzato; ma le cose che si fanno da' virtuosi, se non si fanno virtuosamente e nel modo che si debbano fare, non si possono chiamare virtù. Onde se alcuno facesse alcuna opera, o di fortezza o di temperanza, o malvolentieri o forzato o a cattivo fine, non si può chiamare né forte né temperato. È ben vero che non ognuno che fa alcuna opera si può chiamare artefice, perché, se la facesse a caso o insegnato da un altro, non è artefice: come dimostrò quello scarpellino, il quale, avendo per ordine e coll'aiuto di Michelagnolo rifatto non so che membra a una statua antica, chiese un marmo a papa Clemente per lavorarlo, dicendo che infino allora non s'era avveduto mai d'essere scultore; et avutolo, non prima s'accorse dell'error suo che l'ebbe ridotto e consumato in iscaglie, non avendo l'arte, la quale è uno abito, come si disse, e secondo quello bisogna ch'e' s'operi. Sono bene l'arti e le virtù simili in questo, che amendue s'apparano coll'esercizio e col fare assai. E per la cagione detta di sopra diceva Aristotile nell'Etica1 che nelle arti era molto meglio che nelle virtù l'errare e far male in prova, perciocché cotale errore non fa che uno non sia artefice, ma fa bene che uno non sia virtuoso. Quanto a' dubbii e problemi che possono cadere in questa materia dell'arte, si dimanda prima onde è che i giovani ordinariamente non sono artefici perfetti; al che si risponde che alla perfezzione dell'arte si ricerca non solamente la dottrina, cioè la cognizione universale delle cose appartenenti a essa arte, ma ancora l'uso e l'esercitazione, perché come la dottrina acuisce o vero assottiglia la mente, cosi l'esercitazione fa perfetta la mano, dove si ricerca non meno tempo che studio. Se l'arte è uno aggregato o vero ragunamento di più regole et 1.

Eth.,

11, 1,

4 sgg.• 1103a-b;

11.

4.

2,

sgg., 1105a-b.

BENEDETTO

VARCHI

1 45

ammaestramenti generali che s'indirizzono a qualche uso et utilità della vita umana, onde è che alcune sono dannosissime, e pure si chiamano arti? come fu quella di ritrovare l'artiglierie, della quale niuna si poteva né pensare ancora più dannosa e biasimevole. E bene meritava chiunche ne fu ritrovatore che in lui si rìnovasse l' essempio di Perillo, che «fe' nell'arte sua primi vestigi »,1 onde quanto in tutte l'altre si debbe biasimare Fallari, tanto in questa crudeltà meritò d'essere lodato. Al che si risponde: prima, che tutte l'arti sono buone et ordinate a buon fine, ma tutte possono, adoperandosi male dagli uomini rei, farsi cattive e diventare di giovevoli dannose; onde chi trovò l'artiglieria potrebbe rispondere d'avere ciò fatto a benefizio degli uomini, per difendere le città che ingiustamente fussero assaltate, o assaltare quelle che giustamente devessero essere oppresse, poi che nessuna arte, se è dannosa, può chiamarsi arte veramente, secondo quella diffinizione. Né si creda alcuno che Perillo si possa chiamare veramente scul~ tore, non avendo avuto quel fine che debbono avere gli scultori, se già non credessimo che tanti buoni e valenti maestri, che furono innanzi a lui, avessero tanto faticato nell'arte della scultura, non per fare le statue degli dèi e contraffare l'immagini degli uomini grandi, ma per fabbricare un toro, dentro al quale si devessero abbronzare crudelissimamente gli uomini vivi. Se quello che si disse nella lezzione passata è vero, cioè che tutte le forme siano in potenza nella materia subbietta,2 come disse Aristotile [che] l'arte induce la forma nella materia, ancora che in essa non sia cosa alcuna dell'intenzione della forma? Rispondesi, come dichiarano le parole stesse, che le forme sono ne' subbietti in potenza e non in atto. Se I' arti hanno bisogno non solo della dottrina universale, ma ancora delP esercitazione,3 come dicono alcuni che elle si possono apparare in sogno ? Si risponde che Averrois disse, nel libro che egli intitolò Distruggi1nento de' distruggimenti, 4 che dell'arti alcune I. PETRARCA, Rime disperse, canzone Quel c'ha nostra natHra in sé più degno, v. 70. 2. Cfr. la lezione sul sonetto di Michelangelo Non ha l'ottimo artista alcun concetto e la lezione ottava sul primo canto del Paradiso (VARCHI, Opere, 11, pp. 615 e 393 sg.). Sulla fortuna cinquecentesca del concetto aristotelico di materia in potenza cfr. RouCHETI'E, pp. 81 sg. nota s e i suoi rinvii. J. Cfr. ancora la lezione sul sonetto Non ha l'ottimo artista alcun concetto, VARCHI, Opere, u, p. 614. 4. La Destructio destructionum, scritta in difesa della filosofia aristotelica contro la Destructio philosophorum del teologo Al Gazali (1058-11 II circa). 10

lii · LE ARTI

non si imparano, ma sono date dai demoni o dagli angioli, et altrove disse molti hanno pensato che l'arti operative si possono acquistare in sogno dormendo, ma che questo non può già avvenire delle scienze specolative, e da questa autorità hanno cavato tale oppenione; le quali parole credo io per me che si debbano intendere non secondo la verità e propia sentenza d' Averrois, ma secondo la famosità e parere altrui, come favella molte volte Aristotile et egli medesimo. E che questo sia vero, chi non sa che appresso i Peripatetici non si danno i demoni? e che, non si potendo apparare le scienze in sogno, molto meno pare che si possano apparare l'arti? E però forse disse: . Disse M. Silvio: « Da questo aviene, Signori, che i moderni pittori, o dipingono istorie o favole o cose miste, commettono infiniti errori, e poche pitture si trovano ch'abbino la debita proporzione. Circa l'istorie, pochi sono fedeli e puri demostratori de la verità del soggetto,3 et il contrario essere doverebbe, essendo lo scrittore et il pittore in una istessa bilancia - de l'istorico parlo. Però diceva il 1. Le prevalenti, anzi esclusive preoccupazioni contenutistiche e moralistiche del Gilio, tolgono alla poesia il tradizionale primato (cfr. ARISTOTELE, Poit., 1460b, DANIELLO, pp. 41 sgg., DANTI, pp. 235 1 241, 266 e le note relative) per conferirlo alla storia. Proprio in tal senso i limiti e le difficoltà assicurano al pittore storico un netto vantaggio. 2. Su Eupompo cfr. PLINIO, xxxv, 75-76 1 dove il detto sulla geometria è attribuito, anziché ad Eupompo, al suo scolaro Panfilo di Anfipoli, maestro di Apelle. Il medesimo esempio nella versione giliana sarà ripetuto dal PosSEVINO, p. 280. 3. Il Gilio condivide le censure classicistiche mosse dal PINO e dal DoLCB (pp. 106, 1561 174 sgg.) alla licenza del michelangiolesco «giudizio dell'occhio,, (cfr. VASARI, p. 61, MICHELANGELO, p. 82), ma più che sulla necessità delle misure egli insiste sulla equivalenza dei dati matematici e dei dati storici, quasi a confermare coi primi, fulcro della trattatistica più tradizionale, l'importanza dei secondi.

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IV • PITTURA - SCULTURA - POESIA - MUSICA

gran dotto Gregorio papa, la pittura non esser altro che l'istoria de l'ignorante: et in quel modo che uno, leggendo l'istoria, impara quello che in sé ·contiene, cosi l'ignorante, vedendo la pittura. 1 Essendo dunque l'uno e l'altro di questi pareggiati in sé stessi, il medesimo giudizio faremo de l'un che de l'altro, e che non sia meno ubligato a mostrare la pura e semplice verità il pittore col pennello, che si faccia l'istorico con la penna». Disse M. Troilo: «Non fa reputare per questo l'istoria bugiarda il variare di molti accidenti che sono atti a intervenirvi». «È vero, » rispose M. Silvio «ma sono a le volte alcuni accidenti tanto proprii et attaccati a la sostanza de l'istoria, che, variandosi quelli, o più del dovere isprimendosi, o vero occultandosi, rendono il soggetto viziato. Come sarebbe, per cagione di esempio, se uno volesse dimostrare la rotta di Canne essersi fatta in una nave, in una città, in cima d'un monte: chi si terrebbe di non ridere di quel salato artefice? O vero chi leggesse l'istessa istoria d'uno che in quel modo et in quei luoghi la scrivesse, o vero se uno dipingesse il nostro Signore crocifisso in una croce d'oro o d'argento, o tanto piccola e sottile che non fusse atta a sostenere un fanciulletto, non che un uomo, o tanto lunga e grossa che fusse sproporzionata, o vi fesse per il tronco rose, gigli, viole, o 'l nostro Signore vestito di veste reale ornata di gemme e d'oro: che giudizio si farebbe di quel pittore, o di quello scrittore che cosi la scrivesse ?». «Pessimo, » disse M. Polidoro (( né si potrebbe dire se non male. Ma sono alcuni accidenti, che non mutano il senso de l'istoria; come sarebbe il fare il numero de' Farisei maggiore o minore di quello che lo presero; i lumi che portavano, le sorti de l'arme, le case de Pilato, di Caifa, d'Anna, d'Erode più bell' e più ornate che per aventura non erano, il monte Calvario più alto o più basso, Gierusalemme maggiore o minore, e simili». Ripigliando il parlare, M. Silvio disse: avevano dato gli uccelli, mentre che gli faceva instanza che volesse levare il velo e mostrargli la sua figura, conosciuto alla fine l'error suo, fu costretto a cedergli la vittoria, avendo Zeusi ingannato gli uccelli e Parrasio il maestro. E Plinio dice che nei giuochi di Claudio vi fu una maraviglia di pittura: che i corvi, ingannati dalla apparenza, volarono alla sembianza delle tegole, e, secondo che dice il medesimo auttore, nel triunvirato famoso si vide per prova che gli uccelli si rimasero di canI. Su tali prerogative della prospettiva cfr. A.I.BERTI, pp. 86 sgg., PIERO DELLA FRANCESCA, pp. 64 sgg., e in questo volwne LANCILOITI, p. 746. 2. Uno degli argomenti del primato; cfr. in questo volume LEONARDO e CA-

STIGLIONE, pp. 479 sg., 482, 489. 3. Dalla universalità della pittura (cfr. Al.BERTI, pp. 77 sgg., e in questo volume LEONARDO, CASTIGLIONE, LANCILOITI, pp. 480, 484, 491, 745) ai suoi inganni (cfr. in questo volume LEONARDO, pp. 482 sg.). 4. Gli inganni della resa fenomenica della natura e degli affetti umani vengono ancora sopraffatti dalla casistica pliniana. Per Zeusi e Parrasio cfr. PLINIO, xxxv, 66, LANCILOITI, p. 744 di questo volume. 5. Cfr. PLINIO, xxxv, 23: «Habuit et scaena ludis Claudii Pulcri magnam

ENRICO CORNELIO AGRIPPA

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insuper hoc pictura, ut in omnibus suis operibus plus semper intelligatur diiudiceturque, quam conspiciatur :1 sicut diligentissime haec scrutatus est Plutarchus in suis Iconibus, quumque ars summa sit, ingenium tamen ultra artem est. tare per un serpente dipinto. Oltra di ciò la pittura ha questo, che in tutte le opere sue sempre vi s'intende e vi si giudica più di quel che si vede, come diligentissimamente queste cose ha investigato Plutarco ne' suoi Ritratti, e benché l'artificio sia grande, l'ingegno però avanza l'artificio.

admirationem picturae, cwn ad tegularum similitudinem corvi decepti imagine advolarent» (FERRI, p. 129: «Fu anche salutata da grande ammirazione la scena dipinta per i giuochi di Claudio Pulcro, quando i corvi, ingannati dall'imagine, volarono sulle imitazioni pittoriche delle tegole»). I. Le possibilità espressive della pittura vengono sopravvalutate dagli interpreti e il loro ingegno supera in tal modo, ironicamente, l'artificio dell'opera.

PAOLO PINO ... LA. Mi soviene che l'altro giorno diceste che tutte l'arti mecanice sono dette fabrili, e non cosi è detta la nostra. FA. Perché la pittura no è mecanica, ma arte liberale, unita con le quattro matematice, 1 e siate certo che nella terza delle tre prime cause, cioè lddio, natura et arte, la pittura, come parte, è connumerata et unita e celebrata qual membro nobile dell'arte propia. Quest'è la più alta invenzione che s'opri tra gli uomini, 2 e tutte l'arti mecanice sono dette arti per participazione, come membri dependenti dalla pittura, la qual è natura dell' arti mecanice per lo disegno, ch'i fabri artefici non puono formar pur un minestro3 senza il disegno; e dato che tutte l'arti imitano la natura, questa sopra tutte l'altre co maggior integrità imita tutte le cose naturali e causa quelle prodotte dall'arti mecanice. Questa è quella divina invenzione, il cui soggetto s'inalcia alla distinzione dei doi mondi ;4 che conserva la memoria degli uomini, dimostrando l'effigie loro ;5 ch'aggrandisce la fama a' vertuosi, componendo con altro che con parole gli atti suoi freggiati d'eterna glorja, eccitando li posteri a ragualiarseli di prodezza. Ecco l'arte che nobilita l'oro e le gemDal Dialogo di Pittura di Messer PAOLO PINO, nuovamente dato in luce, Vinegia, Pavolo Gherardo, 1548. Interlocutori: Lauro e Fabio, nelle parti di un Veneziano e di un Fiorentino (PINO, pp. 106-7, 113-8). 1. Cioè la geometria, l'aritmetica, la musica e l'astronomia; cfr. VARCHI, p. 137 di questo volume. 2. Si noti che l'interlocutore fiorentino affronta l'argomento della universalità della pittura (cfr. VARCHI, p. 528 di questo volwne) riprendendo la dimostrazione albertiana (ALBERTI, p. 77: « E chi dubita qui apresso la pictura essere maestra o certo [non] picciolo ornamento a tutte le cose? Prese l'architetto, se io non erro, pure dal pittore li architravi, le base, i capitelli, le colonne, frontispicii e simili tutte altre cose, e con regola et arte del pictore tutti i fabri, i scultori, ogni bottega et ogni arte si regge. Né forse troverrai arte alcuna non vilissima, la quale non raguardi la pictura, tale che qualunque truovi bellezza nelle cose, quella puoi dire nata dalla pittura»; cfr. anche PALLUCCHINI, Pino, p. 86 nota 2. 3. Cucchiaio (PALLUCCHINI, Pino, p. 86 nota 1). 4. Cfr. PALLUCCHINI, Pino, p. 86 nota 3: «Non molto chiaro letteralmente, ma quel soggetto si può interpretare come l'uomo o la facoltà inventiva, e i doi mondi il sensibile e il razionale•· Oppure i doi mondi potrebbero significare l'essere e il parere, sempre contrapposti nelle argomentazioni pittoriche (cfr. in questo volume VARCHI, pp. 529, VASARI, pp. 498 sg.). 5. Cfr. ALBERTI, p. 76: «Tiene in sé la pittura forza divina non solo quanto si dice dell'amicizia, quale fa li uomini assenti essere presenti, ma più i morti dopo molti secoli essere quasi vivi, tale che con molta admiratione de l'artefice e con molta voluptà si riconoscono». Questa stessa prerogativa delta pittura è volta dagli scultori a favore della loro arte (GAURICO, V ARCHI, pp. 254, 543 di questo volume).

PAOLO PINO

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me, imprimendo in essi la varietà dell'imagini. 1 Questa è quella poesia2 che vi fa non solo credere, ma vedere3 il cielo ornato del sole, della luna e delle stelle, la pioggia e neve, le nebie causate da' venti, l'acqua e la terra; vi fa dilettare nella varietà de primavera, nella vaghezza dell'estate, e ristringervi alla rappresentazione della fredda et umida stagion del verno. 4 Con tal arte si sono ingannati gli animali. E chi può negare che sovente gli uomini non si siano ingannati, tenendo al primo sguardo l'imagini dipinte per vive ?5 La pittura distingue gli effetti amorosi, scuopre la falsa adulazione, il fuoco dello sdegno, il vivo della fortezza, lo grave della fatica, il terribile della paura, la propietà di natura, l'intrinseco dell'animo, l'ingeniosità dell'arte e, ch'è più, la vita e la morte.6 LA. Un poco più n'andavo in estasi. In che modo s'intende che l'arte nostra sia liberale e non meccanica? FA. Furono alcune più nobil arti, chiamate dagli antichi liberali,' come propie all'intelletto et agli uomini liberi, e fu la pittura tra quelle celebrata et approbata da tutti e' filosofi, 8 come referisce Laerzio Diogene e Demetrio. 9 E che cusl sia, la ragione è ch'uno pittore non può nell'arte nostra produrre effetto alcuno della sua imaginativa, se prima quella, così imaginata, non vien dagli altri Cfr. ALBERTI, p. 76: cr. A me darai cosa niuna tanto preziosa, quale non sia per la pittura molto più cara e molto più graziosa fatta. L'avorio, 1~ gemme e simili care cose per mano del pittore diventano più preziose, et anche l'oro lavorato con arte di pictura si contrapesa con molto più oro• (citato da PALLUCCHINI, Pino, p. 86 nota 4). Cfr. anche l'interpretazione manieristica dello stesso argomento in VASARI, p. 499 di questo volume. 2. Spunto svolto alle pp. 760 sgg. 3. Distinzione propria delle argomentazioni sulla diversa natura della poesia e della pittura, e particolarmente cara a LEONARDO, f. 7, qui p. 237. 4. Significativo è il confronto di questa descrizione fenomenica della potenza espressiva della pittura con quelle di LEONARDO, CASTIGLIONE, VARCHI, pp. 480,484,491,528 di questo volume, pe"r non parlare di quelle manieristiche di VASARI e PONTORMO, pp. 496 sg., 505 sg. di questo volume. Il Pino sembra riassumere gli argomenti della curiosità scientifica di Leonardo, ma in modo piuttosto impacciato e sommario, tanto è vero che passa subito allo sfruttatissimo inganno degli animali (cfr. V ARCHI, pp. 529, 538 di questo volume). 5. Inganno celebre e sfruttato quanto quello degli animali (cfr. VARCHI, p. 529 di questo volume). 6. Anche in questa rassegna degli affetti il Pino mira alla proprietà in senso albertiano (cfr. ALBERTI, p. 93), piuttosto che agli effetti manieristici (cfr. VASARI, pp. 495 sg. di questo volume e le note relative). 7. Cfr. V ARCHI, pp. 135 sgg. di questo volume. 8. Cfr. le precisazioni del VARCHI, pp. 141 sgg. di questo volume. 9. Cfr. PALLUCCHINI, Pino, p. 87 nota 3: •Evidentemente il Pino, confondendo, si riferisce all'ALBERTI [p. 78] che scrive: "Racconta Laerzio Diogene che Demetrio filosofo ancora scrisse alcuni commenti della pittura"•· t.

VI • PITTURA

sensi intrinseci ridotta al conspetto dell'idea con quella integrità ch'ella s'ha da produrre, tal che l'intelletto l'intende perfettamente in sé stesso, senza meare fuori del suo proprio, ch'è l'intendere. Similmente sono intese l'altre arti liberali, come dialetica, grammatica, retorica, e l'altre onde noi pittori siamo intelligenti nell'arte nostra teoricamente senza l'operare. 1 LA. Che val tal virtù, non la facendo manifesta con l'effetto ? FA. Cotesto operare è pratica, il qual atto non merta esser detto mecanico, imperò che l'intelletto non pub con altro meggio che per gli sensi intrinseci isprimere e dar cognizione della cosa eh' egli intende. Il che non è fuori del proprio ufficio intelettivo, perché gli sensi si muoveno retti dall'intelletto. Et avenga ch'alcuni dicano l'operar esser atto mecanico per la diversità de' colori e per la circonscrizzione del pennello, così nel musico alciando la voce, dimenando le mani per diversi istromenti, nondimeno tutti noi siamo liberali in una istessa perfezzione.2 Ma liberale si pub dir la pittura, la qual, come regina dell'arti, 3 largisse e dona buona cognizione de tutte le cose create; liberale anco, come quella a chi è concessa libertà di formar ciò che le piace ...4 ... FA. Da che siamo oppressi nell'ampiezza d'un tanto ragiona-

mento, a voi et a me dolcissimo, per far più abondevole questo vostro desiderio, io voglio farvi intender che cosa è pittura, succintamente però et in modo forse non mai più dechiarato, per quel che si legge. 5 I. La posizione intellettualistica del Pino, che risente delle dispute sulla nobiltà delle arti (cfr. in questo volume VARCHI, pp. 135 sgg.), concorda non solo col GAURICO ( «quum nihil piane quicquam effici possit, quod notione prius atque idaea cognitum non fuerit ••. », p. 65 [«poiché niente può essere rappresentato, che non sia stato prima compreso col concetto e con l'idea»]; cfr. PALLUCCHINI, Pino, p. 88 nota 2) 1 ma anche col VASARI, pp. 494 sgg. di questo volume. 2. Cfr. LEONARDO, f. 19, e le più dettagliate e filosofiche delucidazioni del VARCHI, pp. 133 sgg. di questo volume. 3. Ritorna un argomento albertiano; cfr. p. 754 e la nota 2, nonché LEONARDO, f. 8. 4. Ritorna il motivo dell'universalità; cfr. p. 754, e BATTISTI, Imitazione, p. 251 nota 7: cc Questa tesi ha un suo fondamento aristotelico. Si confronti il trattato Della nobilissima Pittura . .. di M. BIONDO, 15491 cap. 3 f. 3b» (cfr. pp. 771 sgg. di questo volume). 5. Cfr. PINO, p. 96: •Cosa intollerabile mi parve veder una tanta virtù, degna di rasserenare il cielo con la gloria sua, per ignoranza de noi pittori giacer sopita e negletta dal mondo, e tanto maggior displicenza assaggiava la mente mia, quanto più che da qual si sia scrittore di ciascuna facultà l'udi' in diverse essemplarità celebrare, né mai alcuno, antico o moderno, isplicò a pieno che cosa sia pittura. Vero è che Plinio scrisse di lei molte cose degne, alcune delle quali sono inserte nel presente dialogo, e Leon Battista Alberto fiorentino, pittore

PAOLO PINO

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LA. Per Dio, io ve ne volevo richieder, ma stavo ambiguo d'imporvi tanta fatica, temendo che voi recusaste di sparger cosi dolce semente nel mio arido giardino. FA. Come fatica? Anzi, sollazzo I ch,avendo la mia dilettazione posta solamente nelrarte nostra, più dolce intratenimento ch'io passi gustare è il ragionar di lei et in essa operare. 1 LA. Il medesmo piacere è in me, e creggio che in niuna cosa più piacevole agli uomini si passi gustare maggior soavità e contentezza di quella che si assagia nelttarte nostra. FA. Cotesto è chiaro, perché la natura imita sé stessa, e naturalmente tutti gli artefici amano le sue fatture, e molte fiate la natura lo dimostra, dipingendo da sé stessa nei marmi e tronchi diverse forme figurate, sl anco nel fumo e nube diversamente concernesi, e questo fa la natura con quella dilettazione che prende uno vedendo reffigie sua nello specchio.2 LA. Oh bella discrizzionel Oh bene, che cosa è pittura? FA. L'arte della pittura è imitatrice della natura nelle cose superficiali,3 la qual, per farvela meglio intendere, dividerò in tre parti a modo mio: la prima parte sarà disegno, la seconda invenzione, la terza et ultima il colorire. 4 Quanto alla prima parte, detta non menomo, fece un trattato di pittura in lingua latina, il qual è più di matematica che di pittura, ancor che prometti il contrario. Et anco Alberto Duro, molto nel disegno eccellente, scrisse in tal materia. Panni che Pomponio Gaurico ne scrivi alquanto, ma costui s'istende più nella scultura, nella fusoria e nella plastica, materie molto dall'arte nostra differenti. Il perché non mi parendo, con tal prosonzione, farmi degno d'alcun castigo ragionando di pittura come pittore, deliberai tra me stesso di scriverne quanto l'intelletto mio mi comportasse; nientedimeno ho più finte pervertito di commettermi nell'importanza d'un tanto carico, accorgendomi esser povero d'intelligenza e mancar di quella candidezza di stile che richiederebbe. Laonde il debol mio giudizio non può non sentirne fastidio, che non le scienzie, non gli studii, ma sol la natura m'ha dato quanto in me si concepisse e de ciò che da me si produce. Al fine, sperando più compassione che biasimo, spronato da un non so che d'amore di essa pittura, diedi aggio a quest'umore, del qual conseguirò il da me desiato fine, se quelli candidi ingegni nodriti dalla virtù, leggendo l'opera mia, l'ammetteranno come non molto disconvenevole a lei•· 1. Cfr. ALBERTI, p. 81, e in questo volume VARCHI e SANGALLO, pp. 531,544,510. 2. Cfr. ALBERTI, p. So:• La natura medesima pare si diletti di dipigniere, quale veggiamo quanto nelle fessure de' marmi spesso dipinga ipocentauri e più facce di re barbate e crinite JI (cfr. PALLUCCHINI, Pino, p. 100 nota 1), e LEONARDO, ff. 35v. sg. (citato in GENGARO, p. 123). 3. Cfr. in questo volume VARCHI, pp. 528 sgg., 538 sgg. 4. La nuova suddivisione del Pino in disegno, invenzione e colorire, che resterà fondamentale per la trattatistica del Cinquecento, fu dapprima creduta una derivazione albertiana (cfr. ORTOLANI, pp. 13 sg.),

VI • PITTURA

disegno, io voglio anco dividerla in quattro parti: la prima diremo giudicio, la seconda circumscrizzione, la terza pratica, l'ultima retta composizione. 1 Circa alla prima, detta da me giudicio, 2 in questa· parte ci conviene aver la natura et i fatti propizii, e nascere con tal disposizione, come i poeti; altro non conosco, come tal giudizio se possi imparare. È ben vero ch'isercitandolo nell'arte egli divien più perfetto, ma, avendo il giudicio, voi imparerete la circonscrizzione, il ch'intendo che sia il profillare, contornare le figure e darle chiari e scuri a tutte le cose, il qual modo voi l'addimandate schizzo. 3 La terzia è la pratica4 del saper accomodare il vivo a buon sia pure con sensibili modificazioni miranti a rompere • il rigore logico e scientifico dell'umanesimo» (GENGARO, p. 123). Ulteriori ricerche hanno invece sottolineato i punti di dissenso tra i due trattatisti, rivelando il GILBERT, pp. 93 sgg., l'affinità del veneziano con le antiche classificazioni retoriche, e il PALLUCCHINI, Pino, p. 100 nota 2, la vocazione plastica del toscano. Più dell'Alberti, Francesco Lancilotti, che pubblicò a Firenze nel 1509 il suo Trattato di pittura in versi (qui riprodotto alle pp. 742 sgg.), mostra punti di contatto col Pino (cfr. GILBERT, pp. 104 sg., PALLUCCHINI, loc. cit., CAMESASCA, p. 12); ma date l'oscurità del testo lancilottiano e la maggiore vicinanza del Pino alle classificazioni della retorica, anche la possibile influenza di quella fonte risulta molto ridotta (GILBERT, loc. cit.). 1. L'iniziativa del Pino si concreta in una divisione piuttosto confusa (cfr. GENGARO, p. 216, e soprattutto GILBERT, pp. 94 sg.: aAmong the four parts of disegno, giudicio is explained as originai native talent, which hardly comes under the usual meaning of disegno. Composizione, on the other · band, is defi.ned only as the sum and combination of the other three, which would seem to make its relation with disegno, as a wholc obscure, if not to make them identical »). Il disegno piniano corrisponde alla retorica dispositio, ma le sottospecie del primo (giudicio, circumscrizione, pratica, composizione) rispondono solo numericamente a quelle della seconda (exordium, narratio, confirmatio, peroratio). 2. L'accezione che il Pino dà del giudizio non è certo insolita(cfr. in questo volume VARCHI, p. 141, SANGALLO, p. 5 I s); ma si noti come, divenendo una sottospecie del disegno, esso propenda ad una inflessione classicistica (al retto giudizio, su cui cfr. RouCHETTE, p. 96 nota 1), piuttosto che aderire ad una licenza individuale (cioè al giudizio dell'occhio; cfr. MICHELANGELO, p. 523 di questo volume). 3. Cfr. PALLUCCHINI, Pino, p. 101 nota I: «La "circonscrizzione" è quindi la prima tappa nella realizzazione di un disegno, cioè uno schizzo; in questo senso differisce da quella albertinna [.AI.BERTI, p. 82: "circonscriptione non è altro che disegniamento de l'orlo"]», nonché L. GRASSI, I concetti di schizzo, abbozzo, macchia, "non finito" e la costn,zione dell'opera d'arte, in Studi in onore di Pietro Silva, Firenze 1957, p. 100: «Prima ancora del Vasari, a Venezia Paolo Pino ravvisò nello schizzo un disegno già pittorico, in quanto comprende non solamente il contorno o limite esterno dell'immagine ... ». 4. Per pratica il Pino evidentemente qui intende st1'dio di intelletto ed esercizio di mano, e, come già per il giudicio, riduce le qualità soggettive a categorie con un continuo equivoco tra le regole dell'arte e la personalità dell'artista (cfr. GILBERT, pp. 95 sg., riprodotto nella nota 2 di p. 759). Tale incertezza conferma Pinterrcgno piniano tra

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lume; conoscere il bello, perché molte cose propie sono belle in sé, che fatte in pittura paiono isgraziate e goffe; aver buona maniera nel disegnare; saper l'invenzioni, come in carte tinte col lapis nero e biaca toccar d'acquaticie, 1 trattegiar di penna, ma lo chiaro e scuro è il più presto e più util modo e il migliore, perché si può ben unire il tutto e dar più mezze tinte e più chiare. L'ultima poi è detta composizione: in questa s'include tutte l'altre, cioè il giudicio, la circoscrizzione e la pratica,2 imperò che questa retta composizione consiste nel formar integramente le superfizie, 3 le quali sono parti de' membri, et i membri come parte del corpo, il corpo, poi, come integrità dell'opera. Questa dà la giusta porzione al tutto, imita ben il propio, come un vecchio, un giovene, un fanciullo, una femina, un cavallo e l'altre diverse specie, sl ch'uno non assomiglia all'altro,4 contrafà ben gli scurci, parte più nobile nell'arte nostra, 5 figne ben li drappi senza confusione di pieghe, sempre accenando il nudo sotto dà gran rilevo al tutto: 6 e quest'è lo spirto della pittura. LA. Cancaro! qui c'è da far. Pur oltre, all'invenzione. FA. Volete altro ? ché voglio farmi un ricettario, come se la pittura fusse medicina di Galeno; ma, di grazia, non lo divolgate, acciò che li pittori nostri non mi canoneggiassero per cierletano. la trattatistica dell'umanesimo e quella del manierismo. 1. Cfr. PALLUCCHINI, Pino, p. 101 nota 2: «Acquaticie, acquarello, cioè disegnare leggermente e poi fare le ombre con inchiostro sciolto nell'acqua, di cui si facevano due soluzioni, una più chiara, l'altra più scura (cfr• .ARMENINI, pp. 52 sg.) •· 2. GILBERT, p. 96: « In composizio11e Pino makes use of Alberti1s conception involving the careful building up of forms [.Al.BERTI, pp. 87 sgg.], but adds to it, as other sections of disegno, elements of personality,luck, tricks of the trade and good taste - upersuasion 11 as to speak, in its technical meaning in the rethorician 1 s jargon 11. 3. Cfr. ALBERTI, p. 87: a: Composizione è quella ragione di dipigniere con la quale le parti delle cose vedute si pongono insieme in pittura ..• Parte della istoria sono i corpi, parte de' corpi i membri, parte de' membri la superficie. Le prime adunque parti del dipigniere sono le superficie. Nascie della composizione della superficie quella grazia ne' corpi, quale dicono bellezza. Vedesi uno viso il quale abbia sue superficie chi grandi e chi piccole, quivi ben rilevate e qui ben dreto riposto, simile al viso delle vecchierelle, questo essere in aspetto bructissimo ». 4. Cfr. ALBERTI, pp. 91 sg.: « Dirò io quella istoria essere copiosissima in quale, a suo luoghi, sieno permisti vecchi, giovani, fanciulli, donne fanciulle, fanciullini, polli, catellini, ucciellini, cavalli, pecore, edifici, province e tutte simili cose ... Ma vorrei io questa copia essere ornata di certa varietà ancora moderata e grave di dignità e verecundia 11. 5. L'esperienza savoldiana induce il Pino a gradire più dell'ALBBRTI, p. 96 1 gli scorci ed a raccomandarli vivamente al pittore (cfr. PALLUCCHINI, Pino, p. 102 nota 1). 6. Cfr. ALBBRTI, p. 98, LEONARDO, f. 167.

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LA. Creggio ch'essendo gli uomini cupidi di novità, a ciascuno sia il raggionamento vostro gratissimo. FA. Anzi dubito che non, essendo io pittor di poca auttorità; pur mi sodisfacio in due parte: prima, che quanto vi dico è verissimo, poi, ch'il mio trattato non rassimiglia ad altro ch'a sé stesso. 1 LA. E per tanto la lode et il biasimo siasi il vostro. FA. Or alla seconda parte, già detta invenzione. Questa s'istende nel trovar poesie et istorie da sé (virtù usata da pochi delli moderni), et è cosa appresso di me molto ingeniosa e lodabile. 2 LA. A questo vi dò per testimonio le facciate di Santo Zago, le figure delle quali sono senza significato né suo né d'altrui, e pur maneggia tutte l'antichità di Roma, imo del mondo. 3 FA. Tanto è maggior gloria la sua. Felice colui che non fura l'altrui fatiche! È anco invenzione il ben distinguere, ordinare e compartire le cose dette dagli altri, accommodando bene li soggetti agli atti delle figure, e che tutte attendano alla dechiarazione del fine; 4 che l'attitudini delle figure siano varie e graziose; 5 ch'il maggior numero di esse si vedano integre e spiccate ;6 ornar l' opere con figure, animali, paesi, prospettive; far nelle tavole intervenire vecchi, giovani, fanciulli, donne, nudi, vestiti, in piedi, distesi, sedenti, chi si sforci, altri si dolga, alcuni s'allegri, di quelli che s'affatichi, altri riposi, vivi e morti, sempre variando invenzioni, come si convien alla dechiarazion dell'atto dell'istoria che si vuol dipignere, 7 il che fa la natura in tutte l'opre sue, non mai lasciando il naturale come essemplare, et ancor che si facci più fiate una istoria, cosa J. Cfr. PINO, pp. 96, II3 sg., qui p. 757. 2. Cfr. ALBERTI, p. 104: «E farassi per loro [per i pittori] dilettarsi de' poeti e delli oratori; questi ànno molti ornamenti comuni col pittore e copiosi di notizia di molte cose; molto gioveranno al bello componere l'istoria, di cui ogni laude consiste in la invenzione». Il Pino accentua l'autonomia del pittore e in questo egli forse risente dei trattatisti letterari, che, come DANIELLO, pp. 26 sg., raccomandavano al poeta una personale informazione universale. 3. Anche il DOLCE, p. 197, loda questo frescante operoso a Venezia (cfr. PALLUCCHINI, Pino, p. 103 nota 3) come « molto pratico delle istorie e de' poeti, sl come quello che si diletta di leggere infinitamente». Lo ScHLOSSER, p. 241, vede in questo passo del Pino una critica ad uno «sfarzo antiquario» di invenzione «povera e vuota», mentre PALLUCCHINI, loc. cit., esclude, come già D. VON HADELN (in C. RmoLFI, Le Meraviglie dell'Arte, Berlino 1914, I, p. 227 nota 3), la possibilità di una interpretazione negativa. 4. Il Pino condivide ora concetti albertiani (ALBERTI, pp. 88 sgg.) e leonardeschi (LEONARDO, ff. 59v. sgg.). 5. Cfr. ALBERTI, pp. 91 sg., LEONARDO, ff. 59v. sgg. 6. Cfr. LEONARDO, f. 48. 7. Cfr. ALBERTI, pp. 91 sg., 93 sg., LEONARDO, f. 61.

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vituperosa è il riporvi quelle istesse figure et atti ;1 far nell'opere figure grandi, per ch'in esse si può perfettamente ordinare la proporzione del vivo ;2 et in tutte l'opere vostre fateli intervenire almeno una figura tutta sforciata, misteriosa e difficile, acciò che per quella voi siate notato valente da chi intende la perfezzion dell'arte. 3 E perché la pittura è propria poesia, cioè invenzione,4 la qual fa apparere quello che non è, però util sarebbe osservare alcuni ordini eletti dagli altri poeti che scrivono, i quale nelle loro comedie et altre composizioni vi introducono la brevità :5 il che debbe osservare il pittore nelle sue invenzioni, e non voler restrignere tutte le fatture del mondo in un quadro,6 n'anco disegnare le tavole con tanta istrema diligenza, componendo il tutto di chiaro e. scuro, 1. Cfr. LEONARDO, f. 60: «È sommo peccato nel pittore fare li visi che somiglino l'un l'altro, e così la replicazione degli atti è vizio grande». 2. Cfr. ALBERTI, p. 87: « Grandissimo opera del pictore non uno collosso, ma istoria; maggiore loda d'ingegnio rende l'istoria che qual sia colosso». 3. Cfr. ScHLOSSER, p. 240: a Il difficile viene anche qui messo in rilievo con enfasi »; PALLUCCHINI, Pino, p. 40: « È ancora interessante notare come nella caratterizzazione del concetto di invenzione il Pino, nonostante il suo conformismo, riveli una sensibilità sulla quale ha fatto presa la moda manieristica»; e così BLUNT, pp. 84 sg., CAMESASCA, p. 12. Significativo risulta il confronto, oltre che con la ben diversa canonica albertiana (ALBERTI, pp. 96 sg.), con le affini osservazioni di LEONARDO, f. 59v.: «Ricordati, fintore, quando fai una sola figura, di fugire gli scorti di quella, sl delle parti come del tutto, perché tu aresti da combattere con la ingnoranzia delli indotti di tale arte; ma nelle storie fanne in tutti li modi che ti accade e massime nelle bataglie, dove per nescessità accade infiniti scorciamenti e piegamenti delli componitori di tale discordia, o vo' dire pazzia bestialissima ». 4. Cfr. GILBERT, p. 97: « The definition by which "la pittura è propria poesia., immediately makes Pino's work an early, unrecognized member of the ut pictura poiris group of the rhetorical writings ,,. Ben più precise sono le distinzioni del DANIBLLO, p. 26 1 che poterono influire (cfr. Gn.BERT, pp. 105 sg.) sulla enunciazione del Pino ( et Adunque dalla prima de queste tre parti [della poesia: cioè invenzione, disposizione ed elocuzione] incominciando, dico niuna materia esser, com'.alcun crede, ad esso poeta determinata; anzi essergli conceduto ampia licenza - si come ancora è al dipintore, di finger molte e diverse cose diversamente - di potere di tutte quelle cose che in grado li fiano, ragionare et iscrivere»). Per la contemporanea problematica toscana cfr. in questo volume VARCHI, pp. 263 sgg. 5. Cfr. DANIELLO, p. 39: 1La comedia oltra il termine di cinque atti non travalichi, né di qua da quello s'aresti »; p. 54: et Bisognia che noi vediamo ancora d'esser nelle narrazion nostre brevi, aperti e probabili. Brevi saremo se quelle cose che noi stimiamo esser più necessarie toccheremo e taceremo quelle che così necessarie non saranno, ma soverchie». PALLUCCHINI, Pi110, p. 106 nota 1, propone, a questo proposito, un possibile « riflesso della teoria del ccmomento pregnante" del Gaurico ». Comunque la brevità del Pino appare una elementare enunciazione del potere sintetico dell'arte, che, pur riecheggiando le poetiche contemporanee, ripiega su concetti albertiani. 6. Cfr. AI.BERTI, p. 92: «Biasimo io quelli pittori quali, dove vogliono parere copiosi nulla lassando vacuo, ivi non

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come usava Giovan Bellino, perch'è fatica gettata, avendosi a coprire il tutto con li colori ;1 e men è utile op rare il velo over quadratura, ritrovata da Leon Battista, cosa inscepida e di poca costruzzione.2 Usano anco di far pronunziare a un solo tutto quello che s'ha da dimostrare: cosi die fare il pittore, comporre (con l'aiuto del vivo) lui solo e da sé, senza altro latrocinio, la sua istoria. 3 E perch'anco vogliano minor numero d1 personaggi che puono4 (onde Varrone non comportava che ne' convivii publici vi si adunasse più di nove persone, perch'in vero tante figure anzi si può dir confusione che composizione ;5 ·non però intendo che questo numero di nove si debbi osservar da noi, ma più e meno, come porta l'istoria, fuggendo il tumultuare), ben mi piace che la dechiarazione del soggetto s'includi in poche figure, ornando con varie spoglie, panni, legami, nodi, freggi, veli, armature et altri ornamenti di capo bizzarri e gai, 6 dando all'opera tal venustà e gravità,7 che rendino li composizione, ma dissoluta confusione disseminano; pertanto non pare la storia facci qualche cosa degnia, ma sia in tumulto aviluppata ». 1, L'ORTOLANI, pp. 13 sg., considerava questa osservazione una delle note originali del trattato, e lo SCHLOSSER, pp. 240 sg., sottolineava il disprezzo del cinquecentista per la vecchia generazione. Anche per il P ALLUCCHINI, Pino, p. 40, il Pino «ha chiara coscienza del gusto cinquecentesco», ma la sua è « una visione più legata al mondo quieto e contemplativo postgiorgionesco del Savoldo, che non alla drammaticità impetuosa del Tintoretto». Tra le precedenti censure della diligenza eccessiva sarà opportuno confrontare, in sede teorica, quelle dello stesso ALBERTI, p. IIJ, e di LEONARDO, f. 48v., e, in sede storica, quelle che il GAURICO, pp. 205 sgg., rivolge all,anatomia meticolosa del cavallo del Colleoni. 2. Sul velo albertiano e la critica leonardesca cfr. pp. 482 sg. Anche il velo diviene dunque per il Pino un motivo antialbertiano (cfr. ScHLOSSER, p. 241, GrLBERT, pp. 93 sg.). 3. Cfr. DANIELLO, p. 74: « È da vedere .•. che lo scrittore ponga grandissima cura e diligenza in fare che i suoi trovati o soggetti si passino veramente suoi e privati chiamare che d,altrui, quella forma dando loro, che per lui più perfetta si possa». Cfr. ancora LEONARDO, f. 24. 4. DANIELLO, p. 39: « Non parlino in essa [nella commedia] quattro persone ad un medesimo tempo; ma due o tre al più, e l'altra da parte tacita ad ascoltare si stia». 5. Cfr. L. B. .ALBERTI, De Pictura .. . , Basilea 1540, p. 75: «Meo quidem iudicio nulla erit usque adeo tanta rerum varietate referta historia quam novem aut decem homines non possint condigne agerc, ut illud Varronis huc pertinere arbitrar, qui in convivio tumultum evitans non plusquam novem accubantes admittebat » («A mio giudizio nessuna storia sarà tanto gremita di varietà di cose, che nove o dieci uomini non bastino a degnamente rappresentarla; e a questo proposito mi pare calzi il fatto che Vnrrone non ammetteva, per evitare confusione, più di nove commensali ad un banchetto»; citato in PALLUCCHINI, Pino, p. 107 nota 1). 6. Si tratta di un repertorio di ornamenti piuttosto aulico e classicistico, per niente incline alle vere bizza"ie dei manieristi (cfr., ad esempio di queste, VASARI, p. 495 di questo volume). 7. Due qualità care ali, ALBERTI, pp. 90, 92, 97, 107.

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riguardanti ammirativi, imperb che mal è per l'artefice se l'opera muove a riso li circostanti, perché si stupisce del bene e si burla del sporzionato e goffo. 1 LA. Quanto più ne parlate, m'aveggio che tanto meno l'intendo. FA. In queste parti vi sarebbe da dir molto più, ma non è di necessità, parlando con chi intende, più di quel ch'io dico. LA. Io v'intendo benissimo, ma non perb m'è concesso isprimerlo con l'opera. Seguite pur. FA. La terzia et ultima parte della pittura è il colorire.z Questa è una composizione de colori nelle parti scoperte al vedere, perch' a noi non appertengono quelle cose che non si scopreno al veder stando in un termine, essendo la pittura proprio soggetto visivo. 3 Il colorire consiste in tre parti,4 e prima nel discernere la propietà delli colori et intender ben le composizioni loro, cioè redurli alla r. Il classicistico contrasto tra lo stupore suscitato dalla rappresentazione della dignità wnana (cfr. ALBERTI, p. 93, DANIELLO, p. 70) e il riso promosso da ciò che è sproporzionato e goffo (ALBERTI, p. 97) sarà ripreso, come vedremo, dai controriformisti, che lo applicheranno rigorosamente ai loro generi teologici. 2. GILBERT, p. 95: «A satisfactory parallel between elocutio and colorire [cfr. la nota 4 di p. 757 e la nota I di p. 758] might be drawn by considering each as an embellishment fora product structurally complete without it. But a verbal analogy can be made much more directly. The familiar ''colors of rhetoric'' which in medieval theory engulfed and monopolized the whole discipline, are strictly regarded as a section of elocutio, and as its most important part; hence, in the medieval transformation traditional to Pino, as its equivalentJ>. Cfr. DANIELLO, p. 74: « Ora alla terza et ultima [parte della poesia, cioè all'elocuzione] venendo, dico che, ritrovato e disposto che noi averemo quella materia che di trattar intendiamo, fa di mestieri che si trovino ancora parole e colori da vestirla atte e convenienti alla maiestà, gravità e bellezza di lei. Onde essa poi a guisa di bellissimo vergine, di preziosi vestimenti e di cari ornata, possa nella presenza comparir di ciascuno•· 3. PALLUCCHINI, Pino, p. 108 nota I, propone la possibilità di «una punta contro l'intellettualismo quattrocentesco,,; ma la conclusione: «essendo la pittura proprio soggetto visivo• ci ricorda non solo le argomentazioni sull'affinità e diversità della pittura e della poesia (cfr. ad esempio VARCHI, pp. 53 sgg., qui pp. 263 sgg.), ma anche quelle sul primato delJa pittura e della scultura (e più precisamente la veduta unica, sostenuta dagli scultori contro i pittori; cfr. in questo volume BRONZINO, SANGALLO, CELLINI, pp. 501, 512, 519 sgg.). 4. Cfr. GILBERT, pp. 95 sgg.: « The parts of colorire, while each valid, a11 belong to different systems of evaluation, proprietà being an iconographical standard, prontezza an aspect of the painter's persona( character, and lume a formai constituent. Their interrelationship and their combination to make up colorire is clearly more verbal than systematic ... lf colorire passes from pigmentation to include part of what color means in rhetoric, the inclusion in it of the iconographic proprietà seems more natural. Such a method of reasoning is well suited to Pino's work, which, as in the classic definition

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similitudine delle cose propie, 1 come il variar delle carni corrispondenti all'età, alla complessione et al grado di quel che si figne, 3 distinguere un panno di lino da quel di lana o di seta, 3 far discernere l'oro dal rame, il ferro lucido dall'argento,4 imitar ben il fuoco (il che tengo per difficile), 5 distinguer l'acque dall'aere; 6 et avvertire sopra il tutto d'unire et accompagnare la diversità delle tinte in un corpo solo, che così appari nel vivo, di modo che le non abbino del rimesso, e che non dividano e tagliano una da l'altra. 7 È anco da fuggire il profilare cosa graziosa, 8 et ornar la varietà degli abiti 9 con freggi differenti, riccami, stratagli, 10 franze, profili e gemme, con altre leggiadre invenzioni, dico nelle fimbrie tanto. A ridure l'opere a fine il maestro deve usarvi una diligenzia non estrema. 1 ' Parmi of rhetoric, depends more on persuasion than_ on proof. In this sense the very demonstration that painting is rhetoric is rhetorical ». 1. La proprietà del Pino partecipa largamente della convenienza albertiana (lo dimostra la stessa scelta degli esempi: le carni, i panni, i metalli) e, pur indugiando in riferimenti leonardeschi e savoldiani (cfr. la nota 5), rimane del tutto estranea alla virtuosità liminare della pittura manieristica (cfr. ad esempio in questo volume VASARI, pp. 495 sgg.). 2. Cfr. ALBERTI, p. 90: « Così conviene tutte le membra condicano ad una spezie et ancora voglio le membra corrispondano ad uno colore, però che a chi avesse il viso rosato, candido e venusto, ad costui poco s'affarebbe il petto e l'altre membra brutte e sudice». 3. Cfr. LEONARDO, f. 169: 11 I panni si debbon ritrare di naturale, cioè se vorai fare panno lano, usa le pieghe secondo quelli, e se sarà seta, o panno fino, o da vilani, o di lino, o di velo, va' diversificando a ciascuno le sue pieghe». 4. Cfr. ALBERTI, p. 76. 5. G. N1cco FASOLA, in «L'Arten, XLIII (1940), pp. 52 sgg., e PALLUCCHINI, Pino, p. 108 nota 3, riferiscono questi esempi alla materia pittorica del Savoldo, piuttosto che a quella tizianesca o tintorettiana. Ma cfr. anche VARCHI, VASARI, PONTORMO, pp. 528, 49S sgg., 505 sg. di questo volume. 6. Cfr. in questo volume PINO, pp. 754 sg., VARCHI, PONTORMO, pp. 528, 505 sg., ma soprattutto LEONARDO, f. 71. 7. Cfr. ORTOLANI, pp. 13 sg.: « Si dimostra come presente al Pino è ancora, nel 1548, l'ideale finito e forbito del giorgionismo puro, quando già Tiziano e Tintoretto rompevano violentemente di colpi di spatola e di ditate e di grumi succolenti e di "sfregazzi" la superficie delle loro tele»; PALLUCCHINI, Pino, p. 109 nota 1: «È una confusa definizione del tono; o almeno una interpretazione che riguarda le premesse del giorgionismo (dal quale anche il Savoldo era dipeso), più che non le conseguenze del colorismo tonale tizianesco». L'unione, che appare già nell'ALBERTI, p. 101, col nome di comparazione o amicizia de' colori, è requisito canonico della composizione cromatica cinquecentesca (cfr. LEONARDO, f. 62, VASARI, 1550, pp. 73, 79 sgg., DOLCE, p. 184, ARMENINI, pp. 106 sg.), pienamente storicizzato fin dalle sue prime manifestazioni nelle Vite vasariane. 8. Riprende il motivo antialbertiano della circumscrizione intesa non più come contorno, ma come schizzo; cfr. pp. 757 sg. e le note relative. 9. Cfr. ALBERTI, p. 102, LEONARDO, ff. 6ov., 17osg. IO. stratagli: cfr. PALLUCCHINI, Pino, p. 109 nota 2: « Forse per frastagli (nel senso di minuti e vari ornamenti)». I I. Cfr. p. 762 e la nota I.

PAOLO PINO

anco che molto riesci l'esser netto e delicato nel maneggiare e con-servare i colori. 1 Sono infinite le cose appertinenti al colorire et impossibil è isplicarle con parole, perché ciascun colore o da sé o composito può far più effetti, e niun colore vale per sua propietà a fare un minimo dell'effetti del naturale, però se gli conviene l'in .. telligenzia e pratica de buon maestro; et io, ch'intendo ragionare con chi è nell'arte perito, non m'istenderò altrimenti nella specie e proprietà de' colori, essendo cosa tanto chiara appresso ognuno, ch'insino quelli che li vendono sanno il modo di porli in opera e conoscono le qualità de tutti, sì minerali come artificiali, et anco n'è si copiosa ciascuna parte dii mondo (oltre che Plinio et altri ne parlorono)2 che l'ispendervi parole non sarebbe molto profittevole. La prontezza e sicurtà di mano è grazia concessa dalla natura; 3 in ciò fu perfetto Apelle, e si legge a questo proposito ch'eccitato Apelle dalla fama di Protogene, pittore celeberrimo, andò a Rodi per visitarlo, desideroso di sapere se la lui gloria fusse equale al-1'opere, et entrato in casa sua, dimandò di Protogene a una certa vecchia, dalla qual li fu risposto che non v'era; et Apelle, preso un pennello, distinse una linea giustissima, dicendo a colei : «Dirai a Protogene: "Quello che fece tal segno ti ricerca" ». Tornato Pro-togene, veduta la linea et inteso il tutto, con un altro colore formò un'altra linea per lo meggio di quella fatta da Apelle, e partìsi, ordinando alla vecchia che dicesse ad Apelle: ,e Colui che fece que-st' altro segno è quello che tu ricerchi». Ritornato Apelle e veduta la linea, con intrepida mano, raccolto il pennello, formò la terzia linea nel corpo di quella fatta da Protogene, e fu di tal sottilità eh'e-ra quasi invisibile. 4 Tornando al ragionamento, dico che la pron-1. La perizia tecnica e la qualità stilistica tornano a confondersi, come già a proposito della pratica (cfr. pp. 754 sg. e le note relative). 2. Cfr. ALBERTI, pp. 98 sgg., LEONARDO, ff. 62 sgg. Dopo una confusa sintesi di nozioni diverse (chimiche, tecniche, prospettiche e stilistiche) il Pino si mostra ancora insofferente, come già prima a proposito della prospettiva (cfr. PINO, pp. 100 sg.), verso le leggi e le dimostrazioni scientifiche. 3. Il Pino riduce la prontezza, di solito intesa come conquista dell'ingegno e dell'esercizio (cfr. ALBERTI, p. 110: «E l'ingegnio mosso e riscaldato per exercitazione molto si rende pronto et expedito al lavoro, e quella mano seguita velocissimo quale sia da certa ragione d'ingegnio ben guidata 11; LEONARDO, f. 37), a pura dote naturale, ed equivoca ancora, come già per il giudizio e per la pratica (cfr. pp. 754 sg. e le note relative), tra qualità soggettive e categorie artistiche. 4. Cfr. PLINIO, xxxv, 81 sgg., ALBERTI, p. 82: « Io cosi dico in questa circonscriptione molto doversi observare ch'ella sia di linee sottilissime fatta, quasi tali che fuggano es-

VI • PITTURA

tezza di mano è cosa de grande importanza nelle figure, e mal può oprare un pittore senza una sicura e stabil mano, e quello assicurarsi sopra la bacchetta non fu mai usato dagli antichi, anzi è cosa vituperosa, dica chi vuole. 1 Vero è che gli uomini s'assicurano la mano operando. Del lume,2 ultima parte et anima del colorire, dicovi ch'all'imitazione del propio vi conviene aver buon lume, che nasci da una finestra alta, e non vi sia refletto de sole o d'altra luce. 3 Questo perché le cose che .ritraggete si scuoprano meglio e con più graziato modo, et anco le pitture hanno più di forza e rilevo, et in ciò loderei ch'il pittore eleggesse il lume nell'oriente, per esser l'aria più temperata e gli venti di quello men cattivi. Quest'è quanto vi voglio dire circa l'invenzione, disegno e colorire, le quali cose unite in un corpo sono dette pittura ...

sere vedute. In quali solea sé Appelles pictore exercitare e contendere con Protogene » ( citato in PALLUCCHINI, Pino, p. II I nota I). I. Cfr. ScHLOSSER, p. 240: « Il Pino riferisce qualche particolare tecnico abbastanza interessante, e fra l'altro •.. disapprova la bacchetta del pittore, di cui anche i vecchi non si sarebbero mai serviti»; PALLUCCHINI, Pino, p. UI nota 2: «Il Pino prova avversione per tutti i mezzi meccanici; prima disapprovava il velo, ora la bacchetta». 2. Come già a proposito della proprietà dei colori, il Pino rifugge dalle argomentazioni universali e scientifiche dei suoi predecessori (cfr. ALBERTI, p. 98, e soprattutto LEONARDO, ff. 55 sgg.) e si accontenta di una raccomandazione pratica che risente tutt'al più dell'esperienza savoldiana (cfr. SCHLOSSER, p. 240: « Il Pino riferisce qualche particolare tecnico abbastanza interessante, e fra l'altro sulla migliore illuminazione dello studio con finestra posta in alto e verso est»; GENGAR0, p. 130: «Del lume ..• dà [il Pino] peraltro una definizione naturalistica, in quanto lo identifica col lume che proviene da una finestra o da altra fonte»; e PALLUCCHINI, Pino, p. I II nota 3: «È notevole .•• che il Pino, a differenza degli scrittori precedenti, parli così a lungo dell'effetto del lume, da ritenersi cioè un lume qualitativo, che tonalmente dà più forza al colore stesso che non quello quantitativo, chiaroscurale, come appunto il Tintoretto andava imponendo in quei giorni. Anche in questo il Pino si rivela savoldiano ». 3. Cfr. LEONARDO, ff. 40, 43v.: «Il lume da ritrare dal naturale voi essere a tramontana, acciò non faci mutazione; e se lo fai a mezzodi, tieni finestra impanata, a ciò il sole, alluminando tutto il giorno quella, non fac_ia mutazione. L'altezza dii lume de' essere in modo situato che ogni corpo faci tanta longa per terra la sua ombra, quanto è la sua altezza»; 11 Il lume grande e alto e non troppo potente fia quello che renderà le particule de' corpi molto grate ».

MICHELANGELO BIONDO DELLA DIFFINIZIONE DE L'ARTE PITTORIA

Aristotele nel 6 dell'Etica, ragionando de la diffinizione dell'arte, scrisse essere l'arte un abito di far le cose con vera raggione. 1 Essendo percioché l'abito del pengere quello che fenge l'imagini con vera· raggione, pertanto io dico tal abito essere l'arte, imperoché cotesto abito se suppone a certe regole e gli artissimi precetti, a ben che il pittore posseda libero arbitrio del pengere, nondimeno egli, ancora libero, gli è la arte, percioché si suppone agli precetti.a Imperò quasi tutte le cose che il grande Iddio, opifice delle cose che si trovano ne l'universo, ha produtto da principio, che ciascheduna cosa penta si possa offerire e venire dinanzi, imperò quasi tutte le cose dico che l'arte del pengere può abbracciare. Dunque l'arte del pengere gli è la raggione della figura pinta, overo gli è la figura penta con la convenevol raggione, essendo giuntavi la materia; perciò, se alcun pittor~ fa mostra di opera penta, ma non pollita overo penta da colori o membra dissimili, o fenta da inconvenevole materia e lontana da essa la raggione, non vi serà ciò l'arte, ma serà confusione de l'arte della pittura.3 DELLA FORMA DELLA PITTURA CHE APPARVE IN VISIONE A L'AUTORE

Acciò dunque non se dica che io non satisfaccia alla pittura con lodi degne, andarò esaltandola sin alle stelle. Sappiate che un giorno, nanzi che 'l sole spuntasse fuori dal suo orizonte, imperò non avendo io cacciato via il sonno totalmente, dal quale gli membra mei erano occupati, mi apparve la Pittura. Né crediate che alora non solamente io non avesse padito il mio nutrimento, che non tanto la minima particella di vapori non ascendesse per ferire il Da Della nobilissima pittura e della sua arte, del modo e della dottrina per conseguirla . •. , Venezia 1549, capitoli 3-6. 1. Cfr. in questo volume VARCHI, pp. 101 sgg. 2. Cfr. in questo volume VARCHI, pp. 136 sg. 3. Il Biondo combina confusamente Dio pittore (cfr. in questo volume VARCHI, PONTORMO e DoNI, Disegno, pp. 530,542, 506, 555) con l'universalità della pittura (cfr. ALBERTI, pp. 77 sgg., e in questo volume LEONARDO, LANCILOTTI, CASTIGLIONE, pp. 480, 484, 491, 745) e indugia giocando sui termini della definizione aristotelica.

VI · PITTURA

capo, acciò che avesse di alterarlo di fantasmati, anzi più tosto pareva di avere bisogno del nutrimento. Imperò tra veglia e 'l sonno ripassando gli mei membra, mi apparve una potente matrona che venia a volo a sembianza de l'ucello di Giove, 1 e passandovisi nelle intime mie stanze, 1ni parve essere donna bellissima, di sorte, per la stupendissima sua beltà, gli sensi miei si stupefecero talmente, come si stupefacerebbono quei che incontrasseno la non sperata fortuna. Era perciò questa matrona di tanta grandezza, che con l'occhio mio non la poteva comprendere, imperoché con il suo capo toccava le parti donde leva il sole e con li piedi andava per quel regno dove nasconde il sole gli sua raggi, e con una delle sue mani la parte australe e con l'altra trattava la region boreale ;2 quando ella, come a quei che la dimandasseno chi fusse ella, a raggionare diè principio: cc Per certo io non so che sorte overo che fortuna m'abbia spento che io sia venuta dinanzi al Biondo, per narrargli li casi miei; pure sia come Iddio vuole. Che la tua sorte overo la mia fortuna qui m'abbia condutto, sappi che io son la Pittura e son venuta a te lamentarmi e di fatti tua nel proprio albergo, perciò che in che maniera sin al presente son stata vaga nelle stanze regali di questo e di quel principe giudico essere cosa notissima al Biondo, perciò che a pittori et a scrittori la pittura non è ignota, imperò che tutti gli bon scrittori amando onorano la pittura, anzi son di ornamento di le abitazioni a quei che meno possedono. Ma tu solo, al quale el coro delle Muse perfettamente serve, dii quale ornai nelli estremi dell'Arabia si legono gli precetti, perciò che molti pochi frutti del Biondo adolciscono le labra e pascano li cuori degli uomini, ma di me sola non mai ha fatto egli menzione, come s'io non potesse essere numerata fra gli altre arti liberali, il che senza alcun dubio gli è intravenuto per caggion della ignoranza degli uomini. Perciò, se a quei fosse noto chi son io e ciò che io posso fare a colui che me ama overo me segue, in vero tal cosa non serebbe accaduta, perciò che contra la volontà de 1. Una visione simile a quella del LANCILOITI, pp. 742 sgg. di questo volume. Cfr. SCHLOSSER, p. 243: « La personificazione della pittura con la pro• testa contro la sua classificazione come ars mechanica è tolta dalle terzine del Lancilotti del 1 509, che noi già conosciamo; il tema deriva anche dall'antichità, dal sogno di Luciano, e ancora più vi influisce la visione del diffusissimo libretto consolatorio di Boezio». 2. Anche le dimensioni dell'allegoria sono simili a quelle accennate dal LANCILOITI, pp. 742 sg. di questo volume.

MICHELANGELO BIONDO

l'uomo riporto il nome de l'uomo alle stelle. Per tanto falsamente son io connumerata fra le arti mecanice, imperò che, se tu leggerai le scritture degli antichi, troverai qualmente a molti son stata caggion di fama, di gloria e di onore ancora, insieme con la vittoria ;1 non altrimente che sol essere la fortezza allo ardente guerriero, perciò che io son quella che Alessandro Magno molto aprezzava,2 et Apelle amava summamente, 3 et a Zeusi son stata d'incomparabil onore, perciò che per nissun prezzo si poteva comprare la sua pittura, imperò egli la donava. 4 Ecco adunque di quanto io sono, perché et Alessandro, aprezzandome molto, come si raggiona comproe la figura di Appelle per cento talenti, e più dicono alcuni che per prezzo di alcun denaro non l'abbia comprato, ma a peso d'oro. Ma se pure l'abbia comprato per tanti talenti, sappi che 'l talento gli è d'oro lire ottanta di peso; dimi perciò quanto debbe essere stimata la pittura, se si vende per tanto oro. 5 Ma oltra i detti fu in la cità d'Atene Mitrodoro egregio pittore, 6 e Protegena tanto perfettamente pengeva che il re Demetrio perdonoe a' Rodiani, quai avea deliberato di volere espugnare, e ciò per non offendere la nobilissima pittura. 7 Candaulo re ancora comproe una tavola penta da Pularco ad egual peso d'oro di tavola. 8 Parausi ingannoe gli ucelli con uva penta; ma Zeusi deluse [!']istesso artefice con un mantile pento ;9 cotesto ancora gli è stato di gloria e di grande onore al bon pittore, quando Agrippa volse comprare le dua figure pente dal pittore per tredici millia libre di peso d' oro. 10 Attalo comproe la pittura di Aristide Tebano per cento talenti, imperoché se connumerava fra le cose preciose del mondo. 11 Finalmente era in gran prezzo mentre che fioriva l'imperio romano, fra' Greci ancora i' ò avuto il nome onorato, percioché fra le arti liberale io era la 1. Cfr. ancora LAi'lCILOITI. pp. 743 sg. di questo volume. 2. Su Alessandro Magno cfr. in questo volume LANCILOTTI. p. 743, CASTIGLIONE, p. 491. 3. La casistica più tradizionale diventa qui del tutto generica (cfr. in questo volume LANCILOITI, p. 743). 4. Su Zeusi cfr. ALBERTI, p. 79, e in questo volume LANCILOITI• p. 743, CASTIGLIONE, p. 491. 5. Cfr. in questo volume LANCILOITI, p. 743. 6. Lo cita come pittore ma non come filosofo; cfr. ALBERTI, p. 79, e in questo volume LANCILOTTI, p. 744, CASTIGLIONE, p. 492. 7. Su Demetrio cfr. ALBERTI. p. 79, e in questo volume LANCILOTTI, p. 744, CASTIGLIONE. p. 492. VARCHI, p. 526. 8. Su Candaulo cfr. in questo volume LANCILOTTI, p. 744. 9. Per Zeusi e Parrasio cfr. in questo volume LANCILOTTI, AGRIPPA. VARCHI. pp. 744, 752, 529, 538. Io. Su Agrippa cfr. in questo volume LANCILOTTI, p. 744. I I. Per Attalo cfr. ALBERTI, p. 79, e in questo volume LANCILOITI, p. 744.

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VI • PITTURA

principale. 1 Sapi donque che chi vorrà lodare la pittura, raggionando più corettamente, dica certa natura overo essere cosa celeste, percioché io son più cara ad esso Giove di alcune altre arti, perché la cosa penta overo la mia figura sempre vi è inanti a la sua faccia.2 Dimi ? non vedi tu che tal fiata gli è sforzato il pittore mostrare l'imperfetta opera, come cosa degna di love et afferirla a love, imperò che la pittura e ripresenta love et in ella ancora vien essere adorato?3 Quanto adunque son stata io onorata da gli antichi dalle cose dette vi può essere cosa notissima, ma al presente tutti, eccetuati pochi, come sciocchi, pigri e di sonno oppressi, me hanno gietato dopo le spale e quasi me hanno mandato in oblivione. Ecco donque qual sonno e quanto son amata; pensa perciò per te istesso s'io debbo esser sprezzata overo amata, poi che non solamente gli nostri re, ma gli anciani ancora e maggiori estolendo io pengo. Imperò ornai che cosa debbo dire de la pittura, doppo che et esso Iddio à pento il cielo con li dua luminari grandi e con le molte stelle che luceno dì e notte a' mortali? Pense l'aere ancora con fulmini, con toni, con le grandini, con piogge e con le dense nube; oltra di ciò il mare si vede pento, percioché tal fiata si vede rosciggiare, tal fiata biondeggiare, et alcuna volta gli è di color di l'aria et èvi trasparente, e tal varietà di colori vi fa la pittura. Doppo le cose dette Iddio pense la terra di monti, di colli, di campi, degli uomini de le cittade, di castella, di selve, di animai selvaggi e di le esalazioni di fuoco e di più varie cose le quali io vi lasso come cose note a voi. 4 Perciò ciascuno me debbe abbracciare per suo potere e non scacciarmi né dannarmi altrimente; ma la detta visione ricontarai alli amici che vi occorreranno, di quai forse alcuno si moverà al mio amore. E sappi che a me serà cosa grata se pure uno fra mille si potrà ritrovare, né te meravegliarai vedendomi apparechiata alla fuga et alla partenza, perché mi pare che a pochi sodisfaccio per non esser grata. Nondimeno un certo, più dotto degli altri nella pittura, incontrandomi me ritenne e confortandomi riebbi el spirito, e questo tale fu nutrito in Fiorenzi; uomo astuto, egli me ha revocato in vi1. Cfr. in questo volume LANCIL01TI, VARCHI, pp. 744, 526. 2. Cfr. LANCILOTII, p. 744 di questo volume. 3. Giro cavilloso su concetti già esposti più chiaramente da LANCILOTII, p. 744 di questo volume. 4. La descrizione della universalità della pittura segue LANCILOTTI, pp. 74S sg.

di questo volume, introducendo solo qualche caratterizzazione suppletiva, ad esempio sul mare.

MICHELANGELO BIONDO

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ta. 1 Ma tu sei fatto immemore di me totalmente, debbiando esserti carissima; perciò dimi che altro gli è il tuo scrivere che l'arte del pengere, perciò che scrivendo sempre tu depengi, nondimeno tu non fai menzione de la pittura. 2 Orsù donque, de mo' inanti scrivi ancora qualche cosa della pittura a' mortali». DELLA DIGNITÀ DELLA PITTURA

Sappendo io che questo nostro discorso gli è per essere molto più utile a' gioveni indotti che alti dotti pittori, per tanto, o voi amici de la pittura, per eccitarvi a questa nobilissima arte, nanti ch'io dica altro, discorrerovi quanto è degna cosa la pittura, nella quale ogni opera e continuo studio si debbe fare, imperò che la pittura possede in sé quasi la virtù divina, non altrimente che si dice de la amicizia, perché la pittura ne rapresenta gli assenti come fosseno presenti, anzi gli istessi morti ne mostra offerendo come vivi ;3 e ciò discorrendo serò simile a l'uomo che con summa admirazione contempla un bel misterio, o veramente serò a guisa di quel'artefice, che con grande piacere remira quei che contemplano cosa, come mai più conosciuta, né più veduta. Per tanto mi aricordo di aver letto apresso a Plutarco, qualmente un capitano di Alessandro Magno, per nome dimandato Cassandro, il quale, mentre che contemplava el simulacro del detto Alessandro morto, di aversi impaurito grandamente da quel'aspetto regio che la imagine rapresentava ;4 per tanto Egesilao, conoscendo la propria imagine essere molto diforme, non volse per modo alcuno che da' posteri fosse conosciuta, perciò vetoe che da pittori fosse ritratta, né da alcuno scultore in legno overo in pietra fosse intagliata, né gietata in oro, né formata in alcun denaio, perché gli pareva che appresso i posteri trovandosi in uno delli detti modi la sua immagine, rimanesse brutto in faccia non altrimente che egli era. 5 Per 1. Allusione a Giotto; cfr. in questo volume LANCILOTTI, p. 747. 2. Variante rispetto al Lancilotti, adeguata allo scrivente che a: appartiene a quel genere di medicastri scribacchini, che fin da quei giorni fanno torto alla letteratura. Scrisse su ogni cosa possibile: medicina, fisionomica, astrologia, e compilò anche un catalogo delle più famose cortigiane romane» (SCHLOSSER, p. 243). 3. Cfr. A.I.BERTI, p. 76, e in questo volume LANCILOTTI, p. 746. 4. Cfr. ALBERTI, p. 76: « Dice Plutarco, Cassandro, uno dei capitani di Alessandro, perché vide la immagine d'Alessandro re tremò con tutto il corpo». 5. Cfr. PLUTARCO, Ages., 2, ALBERTI, p. 76: «Agesilao Lacedemonio mai permise alcuno il dipigniesse o isculpisse: non i piacea la propria sua forma, ché fuggiva essere conosciuto da chi dopo lui venisse».

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VI • PITTURA

tanto la pittura mi pare essere la effigie de li dèi, percioché la gente onora gli istessi dèi per via de la pittura; perciò io dico che la pittura gli è un gran dono de l'altissimo Iddio fatto a' mortali, imperoché col mezzo de la pittura noi semo congiunti alli superni dèi et agli angioli ancora. 1 Per tanto io non dubito che la pittura non abbia giovato molto a Fidia pittore ne la città di Elide in Acaia, overo nel Peloponneso, perché egli dipinse Olimpio love, la bellezza del quale fu di tanto che augumentoe la religione per la maiestà di love pinto, perché la pittura era simile a Dio, come scrive C. Plinio dicendo Fidia essere clarissimo sopra tutte le genti che conoscono quello che vi è love Olimpico.2 Per tanto voi pittori ornai potete considerar quanta beltà et onestà veramente gli è de l'animo, overo quanto grande onore si vede al mondo per la pittura. Giudico che voi, lettori miei, già il sappete chiaramente si da le pitture e pittori già detti, come ancora da quello che ciascun vede. Per tanto io posso ornai dirvi apertamente che la istessa natura non ha fatto tanta eccellenza ne le cose create quanta gli fa avere la bella pittura, percioché ella accompagna le cose bellissime e fagli parere molto più preciose che vi sono (imperoché debbo dire, de le sozze voi potete considerare da voi stessi), perché la pittura, accompagnata alle belle parti, alle graziose parti, alle candide membra, per certo gli fa parere molto più belle e più graziose. Per tanto chiaramente si vede che, quando l'avolio o alabastro, anzi le gemme preciose, come rubini, giacinti, smiraldi, toppazii e safiri con le perle orientali e tutte le altre cose care e preciose passano per le mani del perfetto pittore, le fa parere molto più maravigliose che non sono invero produtte da la natura. Et oltra vi dico che esso l'oro, per cagion dii quale si stenta mortalmente, che l'arte della pittura il fa diventare molto più bello e più lucente che non è effettualmente. Imperò che diremo noi del piombo, villissimo metallo, quando un altro Fidia, overo un altro Prassitele, pingendo qualche simulacro, gli averà operato ? forse che 'l parerà più precioso di quel rude argento et oro, imperò da ciascheduno serà disiato summamente .•. 3 I. Cfr. LANCILOTTI, p. 744 di questo volume. 2. Il Biondo confonde vari dati pliniani (cfr. PLINIO, XXXIV, 49, 54, xxxv, 54) seguendo ALBERTI, p. 76: • Dicono che Fidia fece in Aulide uno idio Giove, la bellezza del quale non poco confermò la ora presa religione». 3. Una co,ztraffazio11e piuttosto piatta rispetto ad ALBERTI, p. 76: « E quanto alle delizie dell'animo onestissimo et alla bellezza delle cose s'agiunga dalla pittura, puossi d'al-

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Cosa dirò ornai essere maggiore de la pittura, la quale io confesso essere maestra de tutte le arti ? E se cosi non volete voi dire, almeno voi direte la pittura essere il più bel ornamento che si trova al mondo, percioché, se voi contemplate l'arte della architettura, voi trovarete che gli capitelli, gli epistilli, le palle, le collone, gli fastigi, con tutto quello che vi è necessario alla sua arte, essere venuto anzi produtto da la pittura; il che si vede chiaramente perché, vedendo l'uomo fabricare una casuccia overo una capanella, col pennello la va sguicciando overo col carbone, e fatto che vi è il sguiccio, egli propone di fabricare di sorte che fa il suo edifizio secondo il modelo de la pittura. Per tanto io concludo che, non solamente l'architettura, ma tutte gli altre arti insieme fabrile per ciò hanno il suo principio dalla pittura, perché la pittura gli è fondamento di tutte le arti manuali, per essere pittura certa regola, la quale insegna qualmente si debbe fare tale opera et artificio, e non fare ancora. Finalmente io concludo: ti dico che non si trova alcuna arte, quantunque fusse abietta e ville, che non partecipi della pittura, percioché qualsivoglia ornamento overo beltà che si trova nelle opere del mondo, chiaramente si vede che nasce e viene dalla pittura. 1 Imperò non mi meraveglio punto che la pittura da' nostri maggiori sia stata onorata grandamente. Imperò sappiate che tutti gli altri artefici da' prudenti sono apprezzati assai meno del bon pittore e ciò per la eccellenza della pittura. Il che se gli è vero chiaramente ciascuno vede. Per tanto il suo inventore merita gran lode e dicesi essere stato Narciso, il quale dicono i poeti essere converso nel fiore, percioché la pittura gli è a sembianza di un fiore et in questo modo la pittura gli è il fiore di tutte le arti ...2 tronde et inprima di qui vedere, che a me darai cosa niuna tanto preziosa quale non sia per la pittura molto più cara e molto più graziosa fatta. L'avorio, le gemme e simili care cose per mano del pittore diventano più preziose et anche l'oro lavorato con arte di pictura si contrapesa con molto più oro. Anzi ancora il piombo medesimo, metallo in fra li altri vilissimo, fattone figure per mano di Fidia o Pra.."'C.iteles, si stimerà più prezioso che l'argento 1>, Il Biondo quindi prosegue in una divagante esemplificazione di pittori antichi, che omettiamo. 1. Cfr. ALDERTI, p. 77: 11 E chi dubita qui apresso la pictura essere maestra o certo [non] picciolo ornamento a tutte le cose? Prese l'architetto, se io non erro, pure dal pittore li architravi, le base, i capitelli, le colonne, frontispicii e simili tutte altre cose, e con regola et arte del pictore tutti i fabri, i scultori, ogni bottega et ogni arte si regge. Né forse troverrai arte alcuna non vilissima, la quale non raguardi la pictura, tale che, qualunque truovi bellezza nelle cose, quella puoi dire nata dalla pittura». 2. Cfr. Al.BERTI, p. 77: «Però usai di dire tra i miei amici, secondo la sentenzia de' poeti, quel Narcisso convertito in fiore

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VI • PITTURA

Sappiate, lettori 1nei cari, che la scultura e la pittura son l'arti giunte insieme come per l'affinità, anzi come per vera parentella, perciò che escono dal medesimo intelletto et in quello si nutriscono ugualmente. 1 Nondimeno, contemplando io l'arte della pittura, son sforzato di preporla alla scultura per la sua eccellenza, imperò che ella si esercita nelle cose di grandissima difficultà, 2 pure si trova per scrittura già essere stata la gran copia di pittori e di scultori ancora, imperoché gli prìncipi e la gente vulgare, anzi li dotti non altrimente che li indotti, se delettavano della pittura summamente, percioché fra le più aprezzate prede e le publiche insegne le tavole delle provincie dipente si sponevano nelli teatri ... 3 Pertanto, pittori miei onorandi, sappiate che non vi è passata etate, overo alcuna staggiane, che gli periti e gli imperiti ancora non s'abbiano delettato della pittura; perciò voi direte che non vi è arte al mondo che con maggior delettazione né con maggior piacere se possa imparare che la pittura,4 della quale delettandomi essere della pittura stato inventore: che già, ove sia la pictura fiore d'ogni arte, ivi tutta la storia di Narcisso viene a proposito». Alla banale riduzione dell'Alberti segue un erudito e non meno banale excursus sulle origini della pittura e della scultura. I. Dalla nobiltà estrinseca della pittura si passa al paragone, riecheggiando le argomentazioni più convenzionali, riportate anche nella Dedica, s. p.: « A gli eccellentissimi pittori di tutta l'Europa ..• Voi donque sete doppo lddio e la natura veri artefici de tutte le cose che si vedeno nel cielo e nella terra; per tanto rivolgendo nella mia mente el principio della pittura, io trovo che la invenzione accusa la pittura avere l'antiquissima invenzione et ella essere parente alla natura, si che sappiate che gli uomini l'hanno ritrovata, alcuni dimandandola pittura, alcuni scultura ... ». 2. Cfr. ancora la citata Dedica: a La pittura ancora gli è la illuminatrice delle cose occulte, il che non può fare la scultura imperò che i colori rapresentano a l'occhio le diversità delle cose con la diversità di colori, come di animali, di edifizii, di vestimenti, delle anni e delle altre cose occulte, delle abitazioni ... ». La difesa della pittura da parte del Biondo è stata interpretata come una risposta al Disegno del Doni (cfr. R. PALLUCCHINI, La giovinezza del Tintoretto, Milano 1950, p. 33). In realtà il Biondo si limita molto spesso a seguire e a variare superficialmente il testo albertiano (cfr. ALBERTI, pp. 79 sg.: « Sono certo queste arti cogniate e da un medesimo ingegnio nutrite, la pittura insieme con la scolptura. Ma io sempre preposi l'ingegnio del pictore perché s'aopera in cosa più difficile»). 3. Segue una ennesima divagazione pliniana e albertiana sulla fortuna· della pittura e della scultura. Cfr. ALDERTI, p. So: e Fu certo grande numero di sculptori in quc' tempi e di pictori, quando i principi e plebei et i dotti e l'indotti si dilettavano di pictura, e quando fra le prime prede delle provincie si extendevano ne' theatri tavole dipinte et immagini». 4. Sul diletto dei.periti ed imperiti ecc. cfr. .Al.BERTI, p. 80: a: Questa ... arte sta grata a i dotti quanto a l'indocti, qual cosa poco accade in quale altra sia arte, che quello quale diletti ai periti muova chi sia imperito. Né ispesso troverrai chi non molto desideri sé essere in pittura ben

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grandamente, confesso ingenuamente che spessissime fiate io vado a vedere a pengere, anzi consumo gran tempo in contemplare le diverse figure di questo e di quell'altro pittore, percioché rapresentano a noi forme angeliche, le qualiami pare che superano la natura per la prestanzia de l'artefice; onde io non veggio l'ora pria ch'io vada a pascere l'animo della pittura, di sorte che rarissime fiate mi parto dalla bella pittura tanto satisfatto ch'io possa dire essere sazio di tal contemplazione. 1 Per tanto la pittura veramente gli è non solamente di onore e di lode al suo pittore, ma gli è ancora di frutto e di perpetua fama; imperò, mentre che 'I pittore ama la sua pittura, egli acquista maggiore frutto di qual si voglia mercante ricchissimo dalla detta sua pittura, perché ella è grata sl a' prudenti come agli imprudenti. Per tanto, gioveni studiosi delle arti, attendiate alla pittura nel tempo che vi avanza, perché noi spenderete male, anzi studiando in la pittura vi perpetuarete. Ammonisco ancora voi pittori, che sempre attendiate alla pittura con maggior diligenza che avete fatto sino al presente, perciò che la pittura gli è la prestantissima delle arti; imperò il vostro nome e la vostra fama supera ciascun guadagno di qual si voglia bellissima arte. Non siate avari in cose che aspetta alla vostra arte, perciò che l'avarizia gli è stata sempre contraria alla virtù, imperò che l'animo dato al guadagno rare volte, o mai, acquista il frutto della posterità. Per tanto, lettori miei cari, non vi meravigliate che siano mendichi e poveri quei che, a pena veduto il fiore dilla pittura, subitamente vogliono straricchire; imperò questi tali fanno pochissimo frutto nella pittura, anzi la vanno infamando, perciò che la squarciano. Per tanto, se loro avessero dato opera perfettamente al studio della pittura, averebbeno la fama con la sua perfezzione cresciuto con la eterna lode, e cosi possiderebbeno il frutto e le ricchezze inestimabili co l'acquisto di fama eterna dil summo onore.:i dotto ..• Agiugni a questo che niuna si truova arte, in quale ogni età di periti e di inperiti cosi volentieri s'affatichi ad impararla et a exercitarla •· 1. Il Biondo si vale ancora del testo albertiano con qualche variante; cfr. ALBERTI, p. 81 : « Sia licito confessare di me stesso: io, se mai per mio piacere mi do a dipigniere, qual cosa fo non raro quando dall'altre mie maggiori faccende io truovo ozio, ivi con tanta voluptà sto fermo al lavoro, che spesso mi maraviglio cosi aver passate tre o quattro ore •· 2. Cfr. ALBERTI, p. 8 I : e Così adunque dà voluptà questa arte a chi bene la exerciti, e lode, ricchezze e perpetua fama ad chi ne sia maestro. Quali cose cosi sendo quanto dicemmo, se la pittura sia optimo et antiquissimo ornamento delle cose, degnia ad i liberi uomini, grata a i dotti et a l'indocti, molto conforto

VI • PITTURA

DELLA PRINCIPAL DIVISIONE DELLA PITTURA

Al presente io vorrei trattare in che maniera la pittura si esercita, nondimeno, pria che ciò vi abbia dichiarato, la dividerò congruamente. Per tanto io dico che la pittura se divide in tre parti principali, la qual divisione io confesso essere ordenata dalla natura, imperò che la pittura gli è il studio di le cose che si vedono e rappresentanosi, dinotando le cose che se supponeno al vedere, di sorte che questo gli è un certo principio, quando noi miramo alcuna cosa e quella noi vedemo essere in qualche loco. 1 Imperò il pittore la prima cosa che fa, circonscrive il loco et il suo spazio; pertanto quella circonscrizzione, over quel modo di tirare le ultime linee, col termine giusto e convenevole voi dimandarete circonscrizzione. 2 Possa, mirando la superficie, voi devete conoscere che tutte insieme in quella pittura fra le medesime convengano; e la detta cognizione della superficie l'artefice, con li sua occhi desegnata e rittarnente ordinata, l'adimandarà composizione. 3 Finalmente, remirando più distintamente, anzi contemplando la cosa più chiaramente, el debbe scendere il pittore ai colori, discernendogli dalla superficie, qualmente rappresentano l'opera del suo artificio; imperò tutte le differenze che vi sono nella pittura, recevute dai lumi, commodamente recevute dal pittore, se dimandarano la recezzione dei lumi. 4 Per tanto la circunscrizzione, la composizione e la recezzione di lumi sono le tre parti che fanno perfetta la pittura. Per i giovani studiosi, diano quanto sia licito opera alla pittura. E poi admonisco chi sia studioso di dipigniere, inparino queste arte; sia ad chi in prima cerca gloriarsi di pittura questa una cura grande ad acquistare fama e nome, quale vedete li antiqui avere agiunta. E gioveravi ricordarvi che l'avarizia fu sempre inimica della virtù; raro potrà adquistare nome animo alcuno che sia dato al guadagnio. Vidi io molti quasi nel primo fiore d'inparare subito caduti al guadagnio, indi acquistare né ricchezze né lode, quali certo se avessero acresciuto suo ingcgnio con studio, facile sarcbbono saliti in molta lode et ivi arebbono acquistato richezze e piacere assai"· 1. Cfr. Al.BERTI, p. 8x: «Dividesi la pictura in tre parti, qual divisione abbiamo .presta dalla natura. E dove la pittura studia reprcsentare cose vedute, notiamo in che modo le cose si veggano ». 2. Cfr. ALBERTI, p. 8 I : «Qui il pictore, descrivendo questo spazio, dirà questo suo guidare uno orlo con linea essere circonscrictione >>, 3. Cfr. ALBERTI, p. 82: «Apresso, rimirandolo, conosciamo più superficie del veduto corpo insieme convengano, e qui rartefice, segniandole in suoi luoghi, dirà fare composizione». 4. Cfr. ALBERTI, p. 82: «Ultimo, più distinto determiniamo colori e qualità delle superficie, quali ripresentandoli, ché ogni differenza nasce da lumi, proprio possiamo chiamarlo receptione di lumi».

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tanto io l'ornai vi raggionarò di queste tre parti, cominciando dalla . . . c1rconscr1zz1one. La circonscrizzione gli è quella parte della pittura che descrive l'ambito delle estremità, overo delle fimbrie con le linee convenienti alla pittura, nella qual parte Parasio pittore gli è stato molto eccellente, come scrive Senofonte, perciò che egli esaminava le linee della circonscrizzione con summa diligenza. Imperò questa parte si debbe osservare perfettamente dal pittore, lineando fatta la figura con linee sottilissime, le quali a pena si possono vedere con l'occhio. Nondimeno si dice Apelle pittore in tal parte essere stato di contraria opinione, e leggcsi aver disputato con Protogene distintamente di tal cosa, perciò che non vi è altro la circonscrizzione che la notazione delle fimbrie, le quali vuole che con apparente linea siano fatte con le margini della superficie della pittura, overo siano alcune rimule, overo fissure, che appareno. Il che essendo così, non si desiderarà alcuna altra cosa di vedere con la circonscrizzione, salvo che il proseguire de l'ambito e dil circuito delle fimbrie della pittura, nelle quali gli è molto necessario che 'l pittore se eserciti, imperò che nessuna composizione, né alcuna recezzione di lumi mai serà lodata senza l'ordene della circonscrizzione, la quale si debbe osservare con summa diligenza.~ Pertanto io giudico che nessuna cosa più convenevole alla pittura poteva trovarsi di questa intercisione, della quale il prudente pittore suol dimandare gli sua uguali come la usano, perché, non essendo ben instrutto in ciò, il pittore tal fiata suol errare. Per tanto ciò di ch'è raggione debbe essere di tal sorte: voi trovarete ordimento di lana filato sottilmente e trattessuto ancora chiaramente, di colore secondo che voi volete, 1. Cfr. ALBERTI, p. 82: «Adunque la pictura si compie di conscrittione, composizione e ricevere di lumi. Seguita adunque dirne brevissimo. Prima diremo della circunscriptione. Sarà circumscriptione quella che descriva l'attorniare dell'orlo nella pictura. In questa dicono Parrasio [PLINIO, xxxv, 67-68, QUINTILIANO, lnst. or., xn, 10, 4], quel pittore al quale appresso Xenofonte favella con Socrate, essere stato molto perito e molto avere queste linee examinate. Io così dico in questa circonscriptione molto doversi observare eh' ella sia di lince sottilissime fatta, quasi tali che fuggano essere vedute. In quali solea sé Appelles pictore e."antico e del curioso della città di Napoli [Napoli 1692], Napoli 1792, Giornata III, p. 18: « Questo quadro [di Leonardo da Pistoia] stava nell'altare maggiore collocato, e perché le figure che in esso si vedono erano state prese dal naturale, nel rappresentare il mistero della Purificazione, essendo che il volto di S. Simeone era ritratto di Antonio Barattucci, allora avvocato fiscale di Vicaria, quello della Vergine di Lucrezia Scaglione, quello dell'altra donna era copiato dal volto di Diana di Rago, donna in quel tempo stimata di gran bellezza. Nell'altre figure si riconoscevano i sembianti di Lelio Mirto Vescovo di Caiazzo e Cappellan maggiore, di Gabriele Altilio Vescovo di Policastro e di un monaco olivetano, in quel tempo sagristano. Essendo stato chiamato a dipingere il refettorio Giorgio Vasari, diede ad intendere a i Padri, ch'era molto sconvenevole che nel quadro del maggiore altare di una chiesa così nobile e frequentata vi si riconoscessero nella Vergine un volto di una dama cosi nota ed in quello di S. Simeone un avvocato fiscale di Vicaria; che però ne fu rimosso e vi si collocò un'altra tavola simile, cioè coll ,istesso mistero, depinta da esso Giorgio». 4. I punti di lacuna sono nel manoscritto e concernono evidentemente il nome di famiglia della cappella. Cfr. C. CELANO, op. cit., p. 23: « In questa [nella cappella di Antonio Phiodo] vi era una bellissima tavola, nella quale stavano espressi i santi Magi ..• opera del famoso Girolamo Cotignola, che fiori circa gli anni 1515 : questa si bella tavola già quasi era marcita per l'umido del muro che le veniva da dietro; la pietà di un abate ne prese quel che poté, ch'è la Vergine, un de' Magi ed una parte di S. Giuseppe, e l'ha ridotta e conservata nella forma che oggi si vede. Al presente però sta riposta nell'appartamento del p. abate•. 5. Cfr. p. 883 e la nota 1.

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VI · PITTURA

egli una aria et una grazia, con tante circostanze che non par che sia possibile a potersi ritrovare in corpo vivente. Percioché e' mostra uno aspetto mezzano fra lieto et attonito; lieto per la buona nuova che recava, aspettatissima per le migliaia di anni addietro da tutto il genere umano e particolarmente da Maria istessa; attonito e stupefatto per l'importanza del meraviglioso misterio, quasi all'improviso a lui rivelato e commesso da rivelarsi a Maria. Mostrasi in quel volto non solo ubidienza grandissima di eseguire il mandato di Dio, ma eziandio non piccola riverenza mentre fa l'imbasciata. Anzi, a clù ben mira, vi vedrà una attenzione grande per far che non si dimenticlù e varii in qualche modo quello che aveva da dire, et insieme con la attenzione una sicurezza et un esser certo di non potere in parlando inciampare, e questo vuol significare quella fronte alquanto corrugata e l'occhio renitente a bene aprirsi contra el moto del ciglio che, calando giù, il faceva mezzo serrare; motivo commune di tutti coloro che di cosa di gran momento ragionano. E mentre sta in atto di dire Spiritus Sanctus superveni"et in te e quel che segue (percioché in dire queste parole lo ha dipinto, come diremo}, par che pensi se altro gli restarà da sopragiugnere. Ha oltre queste cose un certo che di divinità nell'aspetto, la quale non si può bene con le parole esprimere, ma l'occhio solo di chi attentamente il considera lo conosce et in un certo modo oscuro lo comunica al pensiero; percioché insieme con la umiltà e riverenza vi si vede una certa maestà et una imagine d'imperio che trae i riguardanti a farsi riverire e temere. E par che nasca da dentro un certo spirito che mostri la divinità in lui naturale et innata e la umiltà volontaria e (per cosi dire) artificiale, che cosi bene si possono insieme mostrare, percioché l'artificio non può covrire affatto la naturalità.1 Un simile atto si vedea nell'aspetto della felicissima memoria di D. Pietro di Toledo,2 al quale, per festevole et allegro che e' L'interesse per i contenuti induce il letterato ad una minuta ricognizione psicologica e sentimentale. 2. Cfr. SoLIMENE, p. 30 nota 1: « ••• il poeta Luigi Tansillo ritiene don Pietro di Toledo anche incarnazione delle virtù politiche spagnole e di lui scrisse: "S'io desio di saper come si regga / un regno ed un esercito e impararne / ciò che nei libri antichi se ne legga,/ come s'orni una terra, come s'arme, / come possa un signor, s'egli è discreto, / farsi immortale, ancor che ccssin !'arme, / mirerò l'apre del maggior Toleto, / ne le cui man può Cesare deporre / mille regni non che uno, e star quieto,,. E altrove, nelt>indirizzarsi a lui notava: "Perché tutte le cose di voi nate / elle son con misterio e la prudenza / guida ciò che voi dite a ciò che fate"•· 1.

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fusse, non si gli toglieva però in tutto un certo che di spaventevole, per lo quale sforzava ad abbassar gli occhi a chi 'l mirava. Di qua si viene a sciogliere la oppenione di coloro che voleano il viso del1' angelo tutto allegro e ridente e che riprendevano Tiziano di non averlo cosi dipinto, percioché con l'atto dell'allegrezza sola non si dava saggio veruno dell'altezza del misterio. Anzi di più dico che, quando ben non vi si fusse richiesto considerazione alcuna di stupore e di meraviglia, ma che tutto il misterio fusse da dinotarsi con la sola allegrezza, che né anco sarebbe convenuto far l'angelo tutto allegro e con ridente faccia, percioché non deve il servidore ridere di cosa alcuna insieme col suo signore, ché cosi mostrerebbe soperbia e mala creanza, parendo di volere con lui trattare alla domestica e dar mostra di fratellanza, il qual atto è abominevolissimo a tutti signori et altri amici superiori. E si bene Maria era per l'adietro stata agli angioli inferiore, in quel modo che i mortali sono da meno che gli immortali, non di meno in quel punto che l'angelo cominciò salutandola a parlare, divenne chiostro e ricetto di colui che signoreggia gli angioli e tutto il mondo, e meritava per questo non solo spogliarsi della inferiorità che aveva, ma farsi di gran lunga superiore. Fu dunque con arte fatto l'angelo non cosi allegro. Ora resta a veder l'artificio che nella disposizione dell'angelo ha Tiziano usato, che è la quinta et ultima condizione della pittura, avendo di sopra a bastanza mostrato quel che sia essa disposizione. 1 Egli l'ha fatto col piè manco avanti, in forma .cli uom che camini con la mano dritta cacciata in fuori per accompagnar con questo atto il suo parlare, con la vita alquanto piegata e con la testa che mostra di rilevarsi un poco indietro. Sta in atto di caminare più avanti, percioché è verisimile che, essendo egli giunto da quella parte dove tenea la Madonna rivolte le spalle, era per andare a incontrarla dalla parte dove avea il viso rivolto. Ma ella, sentito il rumore, lasciò l'orazione e rivoltossi verso quella parte donde l'angelo veniva. Il quale, vedendosi già da faccia a faccia con lei in quel modo che in quel punto si ritrovò fermandosi, la salutò, et aspettata et intesa già la risposta, che fu Quomodo fiet i.stud e quel che segue, sta in atto cli dire Spiritus Sanctus superoeniet in te con quel che viene appresso; e mentre questo diceva l'angelo, la Madonna, postasi in quell'atto di umiltà che conveniva per avere a I.

Cfr. p. 875 e la nota

2,

p. 876 e la nota

2.

888

VI • PITTURA

dire Ecce ancilla Domini con el rimanente, aspettava con le braccia in forma di croce, e con quel maggior inchino che in quella positura, cosi all'improvviso e quasi in fretta presa, le fu lecito a poter fare, che l'angelo finisse. In maniera che Maria in quella pittura non parla e per questa cagione è fatta con la bocca serrata. L'angelo sta con la bocca aperta, e dal segno della mano sua e dalla disposizione in che sta Maria et anco dall'aria del volto d'amendue detta di sopra, si può agevolmente comprendere che egli stia dicendo Spi,itus Sanctus superueniet in te etc. Percioché, s'egli stesse dicendo AtJe g,atia piena, non conveniva che il braccio stesse in quel modo che si suol fare quando si dice cosa di grande importanza. Percioché il saluto non ha seco né poca [né] molta importanza e nella pronunzia o non richiede atto veruno di mano o almeno un altro che dia segno di maggior piacevolezza. Conoscesi, come ho detto, eziandio dal sito o disposizione di Maria, percioché, avendo due volte parlato l'angelo e due volte Maria, ciascuna delle volte in amendue richiedeva diverso atto, et essendo la prima risposta di Maria tutta piena di meraviglia e di stupore in dicendo Quomodo fiet istud etc., altro gesto di mani e di braccia e di tutto il corpo richiedeva, che non quello in che ella sta, come ciascuno può da sé conoscere. Percioché, quando alcuno si meraviglia, ritira ambedue le braccia in sé stesso e mostra le palme verso il luoco dove egli guarda, sta ritto con la vita, abbassa le ciglia e comprime la bocca e corruga la fronte. Non ci essendo dunque veruno segno di meraviglia in essa, segue che stia apparecchiata per dire la seconda risposta; e se ciò è (come veramente è), necessariamente si conchiude che l'angelo stia anco esso dicendo la seconda sua proposta. 1 Da questo si possono accorti rendere dell'error suo coloro a' quali non piace che la Vergine stia in atto di non parlare alcuna delle due risposte, percioché richieggono dalla pittura l'impossibile; ché non potendo ella mostrare se non uno atto solo (come più a lungo di sopra abbiam detto),a vorebbono che ne mostrasse due. Et ancor che sia vero che in quel misterio l'angelo parlasse e Maria parlasse, non di meno non conveniva far ambedue parlanti, ché cosi arebbe fatta mostra che tutti due parlassero in un tratto. Ma essendo cosa ragionevole che, mentre l'un parla, l'altro taccia et intenda, biso1. Minuziosa didascalia scenica di Luc., nota 4.

1,

28-38.

2.

Cfr. p. 875 e la

BARTOLOMEO MARANTA

gnava, introducendo l'angelo a parlare, che la Vergine mostrasse d'intendere. Ma la grandezza dell'ingegno di Tiziano, in questa particolarità senza dubio veruno meravigliosa, fe' che ancor che la Vergine stesse cheta, non di meno si comprendesse dall'atto in che ella stava non solo che già le restava a rispondere, ma eziandio che cosa, subito che l'angelo tacesse, a rispondere avesse. Ora, tornando all'angelo, dico che sta con quel piede inanzi per la cagion detta, et insieme ancora vi si vede una riverenzia senza molta arte, fatta col piè destro, perché in quel sito si truovò al rivolgersi della Vergine e per far vedere che non è meno bell' arte il mostrar di voler fuggir l'arte, che l'artificio istesso. Ora diciamo della mano, la quale è si importante all'atto, che non senza gran fatica et ingegno è il disporla nel sito che si richiede, per accompagnare con essa quella forma di parlare e di voce che al proposito si richiede. E ciò nasce per la varietà de' gesti che con essa si possono fare; e dove è gran numero, è difficile lo scegliere quell'uno che per allora convenevole sia. Percioché, ancor che con i movimenti dell'altre parti del corpo si soglia accompagnare il parlare, non è però membro che a tutte le varietà del dire (che sono infinite) possa i suoi atti accomodare, se non le mani, che in un certo modo si possono dire che veramente parlino. Il che si vede nei mutoli, i quali tutti i loro concetti con esse chiaramente esprimeno. E mi ricordo di aver letto che un non so chi diceva di doversi in un certo modo più alla mano che al sermone attribuire, percioché i sermoni appresso varie lingue sono sì varii che l'un l'altro non s'intendono. 1 Ma la mano fa un certo parlare commune a tutte le lingue, col quale ogni barbara nazione può farsi intendere dalle greche e latine, e queste da tutte quelle. È dunque cosi difficile il far la scelta del gesto che alla mano conviene, che gli oratori famosi e gli istrioni, che in questo studio attendono più che ad ogni altro, sogliono bene spesso fallirlo. Or, quanto sarà più difficile a potersi puntalmente e cosi a minuto ritrovare da un pittore? E tanto più che non basta bene collocare la mano et il braccio, se non vi è la corrispondenza della disposizione Per l'elogio della mano cfr. ad esempio il Dialogo di M. NICOLÒ FRANCO, dove si ragiona delle bellezze, Venezia 1542, s. p.: a La degnità delle mani è tale e tanta, che poscia che a dirne tanto son qui trascorso, ardire mi porge a dirvi ch'ella di tutti i membri la più eccellente si può nomare, perché per la struttura de le mani l'uomo è sapientissimo giudicato, laonde si pare le mani altro non essere a l'uomo che ministre de la sapienza e de la ragione et ornamento et accrescimento insieme de l'universo». I.

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di tutto il corpo. Ma se noi ne ridurremo a memoria quali parole ha in bocca l'angelo, e tutto quello che della grazia e dell'aria fu detto di sopra, conosceremo che non in altro sito potea porsi il braccio e la mano, che in quello. Percioché, avendo l'angelo annunziato alla Vergine che già avea da ingravidarsi del Signor del mondo, fu assai poca meraviglia rispetto a quello che ne traea con seco il saperne il modo come ella doveva essere ingravidata. Il perché quando questo le discuopre, era necessario scegliere quella disposizione nella mano, la quale può accompagnare un parlare pieno della maggior meraviglia fra tutte le meraviglie passate, presenti e future. E questo mostra il braccio dritto cacciato in fuori, e non il sinistro, come a quello che è più debole e nel quale non si può mostrare quella forza e quella veemenza di pronunzia che nell'altro si vede. 1 Il dito grosso similmente, ragiunto con l'indice nella mano alzata un poco verso l' esterior parte del braccio, accompagna quel medesimo atto et in questa collocazione apunto ha l'angelo il braccio dritto, lasciando il sinistro in ufficio di poca importanza, che è il tenere il giglio; e per questa cagione non si curò di farlo parer tutto. Sta dunque il braccio dritto mostrando ignudo poco più sopra del gomito insino al rovescio della mano, e l'osso lungo che viene dall'articolo del gomito alla prima parte della mano, chiamato per proprio nome dagli anatomisti osso del gomito, resta riguardando verso terra et apparisce assai bene in quel braccio, percioché questo osso non è coverto da muscolo alcuno, ma solo dalla pelle, e volendolo cosi esprimere Tiziano, vi si vede una certa sodezza in quella parte, come nell'altra una morbidezza, dove i muscoli si richieggono, e l'altro osso che soprasta a questo quasi della medesima lunghezza, che per nome de anatomici vien detto radio, resta nella parte che riguarda il cielo. Il qual osso non avendo più che un muscolo per coverta, se ben rende il braccio in quella parte di vista non cosi sodo come il gomito, resta nondimeno in una mezzana morbidezza, avendo rispetto al resto del braccio. E perché la distensione delle quattro dita (non intendendo il pollice) vien fatta dal maggior muscolo de' tre che hanno origine da quella esterior parte dell'osso detto umero o braccio, la quale si congiunge con la parte suprema dell'osso del gomito, e questo muscolo è superficiale et ingombra quasi tutto il mezzo per lungo dell'ulna, 1. Il medico non tralascia l'occasione per una minuziosa divagazione anatomica, con la quale cerca di avvalorare l'artificio del pittore.

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e dapoi, diviso in quattro tendini, ciascuno alza in sù il suo dito, fu necessario che questo muscolo apparisse, poiché la mano del1' angelo sta con le quattro dita distese e per cosi dire risupinate. E per questo si vede nel mezzo di quel braccio spiccare un muscolo dolcemente dal principio del gomito, ma più spiccante poi quanto più verso la mano si va e massimamente verso la parte del radio. Percioché, avendo alquanto calato l'indice, la qual mozione si fa da uno de' muscoli interiori dell'ulna, e questo per accoppiare insieme l'indice col pollice, come sogliono quelli che di cosa di molta importanza hanno a ragionare, venia necessariamente a mostrare maggior concavità verso quella parte dove questo dito s'abbassava. E perché quel muscolo che muove il pollice obliquamente e l'accoppia all'indice, avendo la origine dalla suprema parte di tutto l'osso del gomito, obliquamente passa per disotto all'altro già detto muscolo, genera maggior concavità e divisione verso il corpo, e per questa cagione si vede in quel braccio quella obliquità di muscolo più apparente. E di qua nascono due meraviglie di Tiziano: l'una è che da questa disposizione di muscoli mette inanzi agli occhi quello che la pittura nasconde, cioè che il pollice sia accoppiato con l'indice, ancor che del pollice non vi sia pur un segno. L'altra egli è che, quando si accoppiano queste due dita, si n1ostrarebbe forse in loro alcuna bruttura, la quale gli parve bene a non far vedere, ma solo far intendere l'atto della mano. Dal che si vede ancora chiaramente quanto sia maggior artificio il nascondere alle volte i membri che il non mostrarli. 1 Questa fu invenzione di Apelle, di nascondere le brutture et i vizii della persona o de' gesti, percioché ritrasse dal naturale Antigono re, il quale era privo di uno occhio. Ma egli il dipinse in profilo a uso di medaglia e mostrò solo la parte dell'occhio sano, nascondendo il cieco, acciò paresse che quello che mancava per difetto del vivo paresse che fusse nascosto per ragion della pittura. 2 Mostra dunque quel braccio quei muscoli soli che bastavano a fare quell'atto di stendere le cinque dita nel modo che abbiam detto, e non era necessario fargli apparere tutti, percioché questo si fa quando la mano fa maggior forza e fatica. Et ancor che vi siano gli altri che alzano l'articolo di tutta la mano o vogliam dire metacarpo, non di meno, perché quelli sono non cosi superfi:.. 1. Sulle abbreviazioni dell'artista cfr. p. 871 e la nota z. :z. Uno degli esempi pliniani più celebri; cfr. VARCHI, p. 56, qui pp. 265 sg., GILIO, p. 78. ·

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ciali et il moto non è forzato e l'angelo è grasso, non si mostrano spiccanti, ma solo per una certa aria et a vista da' periti della notomia si possono considerare. Né lascierà. di dire un'altra bella avertenza intorno a quel poco che si mostra ignudo del braccio dal gomito in sù: che, avendo da far parere il distendimento del braccio nella piegatura di esso, il qual moto si fa da due muscoli dei quattro che sono destinati a piegare e stendere questo articolo, i quali due nascono dall'umero et obliquamente passando si piantano all'osso del gomito, volse mostrarne solo una parte, cioè quei capi che s'inseriscono a questo articolo, accioché dal processo di quel poco si andasse col pensiero nell'altra parte di essi, e sono cosi attamente et al suo loco posti che ogni perito anatomista se ne può contentare. E perché abbiam detto che, se il motivo e la disposizione del braccio non è accompagnata da quella di tutto il corpo, non ha punto dell'artificioso; dico questo solo, che non bisognava che l'angelo, per mostrare maggior umiltà, s'inchinasse più di quello che sta, percioché questi grandi inchini, che smisuratamente piegano il mezzo del corpo inanzi, necessariamente fanno che fuor di misura anco si sporgano in fuori le parti di dietro. Ma molto più brutto è l'atto che si fa poi nel rizzarsi sù, percioché è necessario con gran forza, volendo ritornare alla drittura dello stare in piè, fare un atto non meno sconcio del primo. Laonde, signor Marchese mio, io vorei che queste creanze che s'usano oggidl in Napoli fra signori e cavalieri fussino in loro (in questa parte specialmente e fra donne) più moderate e meno impetuose, sapendo cli fermo che non può farsi errore ogni volta che s'imitano gli angioli. l Della disposizione del collo e della testa vorei dir molte cose, ma mi accorgo che la grandezza dell'opera mi ha tirato a dir molte cose che io non credevo di dire, e perciò me ne passerò leggiermente; e lasciando da parte la ragion de' muscoli, è degno di considerazione e di meraviglia insieme il veder la testa talmente dal collo rilevata, che par che la voce ne possa uscir chiara e ritonda e senza veruno impedimento. Ché quando ella fusse più china, si sarebbe suffogata in gran parte, come fanno alcuni che fan sentir la voce più nel gorgozzule che nella bocca, cosa molto fastidiosa a sentire; 1. L'ironica osservazione di costume ha qualche affinità con le riserve puristiche e controriformistiche sugli scorci michelangioleschi; cfr. in questo volume DOLCE, pp. 808 sgg., GILIO, pp. 859 sg.

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o come altri, che risuonano a guisa di coloro che minacciano. E se fusse il capo collocato più alto overo col collo distorto, sarebbe la voce come di quelli che la fanno uscire cosi acuta e sottile, che par una punta di ago che penetri altrui nel cervello; overo sarebbe interrotta, disuguale et oscura et effeminata. Quella dunque pare che in quel sito possa con facilità uscire e con fermezza articulata poi dalla bocca, che non gli dà grande iato et apertura, si che paia che primo sia come suavità che intesa, né cosi chiusa che le parole riflettano di nuovo alla origine loro, overo (come si vede in molti) che non se ne sentano le ultime sillabe, ma si dimostra che il suo parlare sia uguale, uniforme e corrente, le labbra che non molto si muovano, ma (come il decoro richiede) la bocca par che pigli l'ufficio del parlare più che non esse, le quali stanno uguali e non distorte, né mostrano i denti. Et in somma par che sia un vivente che parli di lontano e che per la lontananza non si senta la voce; e la respirazione par che sia facile e senza fatica. E nella gola, a chi ben vi mirerà, parrà dalla parte di fuori vedere quel lieve tremolar di pelle che superficialmente si fa per lo rimbombo della voce; cosa senza dubio, non dirò a fare, ma a imaginarsi quasi impossibile. 1 Debbovi dir anco della disposizione del naso? dell'occhio? della orecchia? de' capelli? della fronte? de' piedi? delle ali? della vesta? dell'altra mano e d'infi.nite cose altre? In verità, signor Marchese, che questa è una materia di cui, come facile mi fu trovare il principio, cosi non veggo dove mi debbia ritrovare il fine. Percioché, apena ho finito di dire una cosa, che mi trovo assalito da infinite altre, onde a me pare di essere fra due mali, de' quali necessariamente non potrò mai fuggir l'uno: ché s'io ne dico tutto ciò che posso, sarò cosi lungo che non senza estremo fastidio potrà V. S. passarsene, s'io ne taccio, da che ho pigliata questa impresa, in lasciandola imperfetta pamù che torto si faccia a Tiziano. Ma forzerommi, con prendere la via del mezzo, schivare in parte e l'uno e l'altro. E tra tante cose che mi si rappresentano nella mente una cosa pigliandone, di quella vedrò cercarne meno che distesamente, e sarà la fisonomia, delle cui regole par che s'abbia Tiziano curiosamente servito in questa dipintura per mostrare ai segni· del viso e della complessione, et anco di tutta la vita dell'angelo e della Max. La solita iperbole della resa pittorica; cfr. 814 sg. di questo volume.

VASARI, DOLCE,

pp. 496 sg.,

VI · PITTURA

donna, i costumi e l'animo loro punto non discordante da quanto di sopra abbiamo detto. 1 E per voler dire della complessione, o vogliam dire temperamento, il quale diinostra di avere l'angelo, in prima degno di considerazione è che non è da ottimo artefice far i segni nel viso o nella persona, per li quali si possa conoscere l'intrinseco dell'animo, se non vi si accompagnano anco i segni della temperatura che abbiano corrispondenza con quelli .. Percioché quei primi nascono da questa, e secondo la variazione di questa, che può essere infinita, cosl variano quelli. Onde i medici, che della fisionomia non molto si curano, col conoscimento della complessione sola, se non cosl minutamente, almeno in gran parte possono dell'animo di ciascuno congetturare.2 I poeti illustri nel discrivere qualche persona segnalata s'hanno alle volte servito dell'una e l'altra sorte de' segni, acciò più credibili fussero stati i movimenti e le azzioni a loro assegnate. Alle volte dalla .fisonomia sola i segni prendendo, come quelli che ogni minuzia ne possono dell'animo palesare, dell'altra non si sono curati; come fece Omero, il quale descrisse Tersite guercio di un occhio e zoppo di un piede, di capelli rari col capo nella sommità acuto e lungo, stretto nelle spalle e quasi nel petto rinchiuse. Laonde non era meraviglia se nel suo poema, dovunque di lui accade parlarne, il finge poi un uomo che assai parla e poco sappia, sporco, contenzioso e senza considerazione; percioché a quei segni queste azzioni corrispondono, sl come ciascuno che della fisonomia s'intenda può tra sé stesso discorrere. 3 Ma Tiziano, al qual non meno che a' poeti fu bisogno questo osservare, non contento dei segni della fisonomia nell'angelo, vi ha eziandio dimostrato quelli che dalla complessione pigliar si possono e ciò ha fatto di si bel modo, che questi dichiarano quelli, e quelli corrispondono a questi felicemente, di maniera che non vi si vede discordanza veruna. Percioché, se noi miriamo alla complessione che ne dimostra, si vedrà esser quella che dal predominio del sangue sanguigna vien detta, la quale è calda et umida. Percioché, come ne insegnano i L'esperienza medica dello scrivente lo induce a soffermarsi sulla fisionomia, che non interessa né il Dolce, né i controriformisti, ma che era stata ritenuta importante per il pittore ancora dal PINO, p. 136: «Parte onorata et utile del nostro pittore sarebbe la fisionomia, come anco vuole Pomponio Gaurico •.. •· Sul rapporto fisionomia-arte cfr. CHASTEL-KLEIN, pp. 121 sgg. 2. Una fisionomia quindi non meramente teorica. 3. Cfr. ad esempio GAURICO, pp. 137 sgg., 159 sgg., 151. 1.

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medici, questo temperamento fa gli uomini nell'abito mediocri o alquanto ali' essere carnoso inclinati; e quella pienezza non viene da soverchio grasso, ma da soverchia carne. Il colore di tutta la vita è tra bianco e rosso, ma un poco più rosso che bianco; i capelli folti, biondi e mezzanamente crespi. Da questa complessione ne nasce un animo pronto et audace, irascibile ma non furibondo. Ora, chi ben mira quell'angelo, non vi vedrà egli tutti questi segni ? E se noi vorremo parlare della inclinazione de' pianeti, che hanno sugli umani corpi, ritrovaremo esser quell'angelo sotto il pianeta di Giove, dal quale gioviale verrà la sua natura detta. 1 Percioché questi dicono i fisonomi essere di carnatura fra la durezza e la morbidezza mediocre; di bello e grato aspetto, di color bianco, di folti capelli, di occhi vaghi et allegri, anzi loro tutti allegri e festevoli, politi e netti; i quali segni, senza che io ne favelli, ciascun può vedere ritrovarsi tutti in quell'angelo, la qual natura e complessione avea Tiziano nella idea della mente sua quando il dipingeva. E discorrendo poi della natura ove questi segni si ritrovano, dicono cotali uomini essere di grande e pellegrino animo, liberalissimi sopra le lor forze, desiderosi di regnare, dispregiatori della mediocrità, gentilissimi, onesti, avidi di gloria e di fama, fedeli, amici veri e senza frode, pacifici ·e per lo più amatori della sapienza, di gran consiglio et eloquenti, et insomma di tutte le cose buone imitatori diligentissimi. Ora, vedete se questa natura e non altra doveva Tiziano eleggere, per intenderla in uno angelo. E ritornando a quel dubio già con altri snodamenti disciolto prima,2 chi sarà colui che voglia l'angelo più allegro di quello che egli mostra, e quale altro sarà che il desideri manco rosso o manco pieno? Non conoscev~ egli che non vi si potranno intendere gran parte di queste virtù ? Perciocché l'esser solamente bianco senza niuno rossore, e soverSulle caratteristiche della natura giooiale cfr. LOMAZZO, Trattato, pp. 121 sg.: • La disposizione ch'egli [Giove] dà e gli affetti, overo moti, che causa sono la faccia allegra et onesta, i gesti d•onore, congionger di mani, come suol chi fa festa et allegrezza, overo chi loda alcuno, inginocchiarsi con la testa elevata, a guisa di chi adora. Quanto alla disposizione del corpo fa l'uomo di color bianco, mescolato col rosso, di bellissimo corpo, di buona statura, calvo, cioè di fronte alta, gl'occhi alquanto grandi, non del tutto neri, la pupilla larga, le nari brevi et inequali, i denti interiori un poco grandi, la barba crespa; fallo d'animo grato e di buoni costumi. Queste corrispondenze tra le qualità dell'animo e la constituzion del corpo et i moti esteriori, se saranno considerate e ben intese da' pittori, gli saranno di gran diletto e faranno grandissimo onore alla sua professione•· z. Cfr. pp. 886 sg. 1.

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chiamente allegro e ridente, conviene a coloro che, stando sotto il dominio di Venere, sono percib venerei chiamati, in maniera che, cosi facendolo, ne sarebbono nati due errori: l'uno, che arebbe fatta una mescolanza di due nature sotto due pianeti inchinate, donde ne nascerebbe confusione et oscurità; l'altro, che per quei segni dovendosi intendere la natura de' venerei (i quali sono a giuochi e balli et alle vanità e disonestà deditissimi), arebbe di queste qualità l'animo dell'angelo dimostrato. x Ora, quanto più grave errore sarebbe stato se, con averlo dipinto smagrito, avesse in lui dinotato la malignità e tardanza delle azzioni che ne viene dall'influsso di Saturno,2 o la garrulità e le bugie che ne apporta Mercurio, 3 se bene eloquente e d'ingegno versatile ve lo avesse per questo dimostrato, o la crudeltà di Marte,4 o la istabilità e pigrizia della Lunal 5 E chi non arebbe poi (penetrando sempre col suo pensiero più adentro) imaginatosi che, mentre l'angelo parlava, come essendo egli gioviale la voce necessariamente dovea uscire sonora, chiara, lieve et uniforme, degna veramente di uno angelo, cosi da Venere sarebbe stata effeminata, molle, enervata e senza vigore, e cosi parimente da Mercurio e dal Sole? sarebbe da Saturno tarda stata, e simile a quella delle oche roca et ostrepente? e da Marte stridente e noiosa? Ora devrb io rientrare nella fisonomia di ciascun membro particolarmente? e se in questo altro cosi ampio campo rientro, quando poi ritroverb il guado da uscirne? Sarà meglio dunque tacerne, essendo io più che certo che questo pub, non che a uomini intendenti, ma ad ogni cervello di grosso e materiale ingegno bastare. Ora vegnano coloro che, senza più considerare, dicono: «Questa pittura non mi piace. Quel colore è troppo smorto; quel viso non si mostra tutto; la proporzione di quell'angelo non è giusta»t et altre cose dette più a caso che con conveniente discorso. E perché, Sulla natura dei venerei cfr. LOMAZZO, Trattato, p. 123: e I suo atti e moti [di Venere] sono piacevoli e festanti, come di giuochi, scherzi, danze, abbracciamenti. Fa i volti amabili, piacenti, clilicati et allegri, e fa l'uomo mediocremente bianco per rispetto della sua natura che è fredda et umida come è Jtacqua, la quale quando s'agghiaccia, divien bianca, ma tinto e confuso col rosso lo fa bello di corpo, di bella e rotonda faccia, di occhi vaghi e neri, cli bei capegli, d'animo lo fa amorevole, gentile, benefico, umano, affabile e grazioso». 2. Sulla natura dei saturniani cfr. LOMAZZO, Trattato, pp. I2I sg. 3. Sulla natura dei mercuriani cfr. LOMAZZO, Trattato, pp. 123 sg. 4. Sulla natura dei marziani cfr. LoMAzzo, Trattato, p. 122. 5. Sulla natura dei lunari cfr. LOMAZZO, Trattato, p. 124. 1.

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se ben si ricorda V. S., circa la proporzione dell'angelo e della Vergine lasciammo certi dubbi insoluti,1 bastarebbe, per coloro che pienamente le ragioni apprendere non ponno, dire: «Poiché Tiziano ha in quella pittura avute tante e tali avertenze, non è da credere che quella proporzione buona non sia, e doverebbe invece di ragione sodisfar loro l'autorità di Tiziano». Ma per non parere che questo fusse un trafugire lo sviluppamento dei dubbi, dico che, per esser cinto l'angelo alquanto più sopra del mezzo, inganna la vista e fa parere molto più lungo quello che è dalla cintura in giù di quel che per aventura non par che si convenga, e perciò non pare uguale l'intervallo che è dal piede al ginocchio a quello che è dal ginocchio alla piegatura della coscia. Ma chi vorrà di ciò chiarirsi, truoverà con la misura in mano che, con altri tre tanti quanto è dal ginocchio al piede, giugnerà alla estremità della testa, con tanto più di avanzo quanto l'inchino ne potea ragionevolmente nascondere. Del gomito della Vergine, che par troppo lungo, dirassi che quel dubio nasce dal non considerar bene la disposizione nella quale ella sta. Percioché, essendo inchinata quasi tutta su l'umero dritto et il manco quasi tutto ritirato in sù, e cacciando in fuori quasi tutta la dritta parte, viene il braccio a essere aiutato nella lunghezza d'essa. Onde il gomito dritto si mostra tutto quanto è, e il sinistro non tutto; e se bene pare che quel gomito triplicato avanzi la lunghezza del corpo dalle ginocchia in sù, ciò nasce dal1'essere ella molto inchinata, ma imaginandocila noi alzata, ogni buon giudicio dirà che possa a misura giusta cadere.2 Devrò anco rispondere a quel che ne dicono, che delle gambe non mostra quella lunghezza che bisognarebbe. E qual cieco non vede che con quel sito naturalmente mostrar non si possono integre, perciò che, stando ella rivolta con la parte dinanzi, viene necessariamente dietro la tavola a essere gran parte del restante del corpo? la qual parte, dal proprio corpo suo occupata e coverta, si toglie dalla vista di chi la mira. Oltre che ciò vien fatto ancora dal non imaginarne noi in essa altezza artificiale de pianelli o di zoccoli, che ne sogliono mostrar le donne dispòse, ancor che siano assai basse, ché questo potrebbe rappresentarci figura di vanità. E certamente che questi sono dubbi fanciulleschi più tosto che da uomo di qualche discorso, come è quello anco che dicono che una certa 1. Cfr. pp. 873 sgg. 2. La giustificazione si vale di fanciullesche ipotesi naturalistiche, prescindendo da più pertinenti notazioni stilistiche.

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piega grande, che è nella inferior parte della vesta dell'angelo, non sta attamente fatta, né accompagna il sito de' piedi, et è quella che comincia dal piè dritto nel basso e va attraversandosi insù verso il sinistro. Come se l'angelo non avesse avuto altro pensiero che di mirar che piegatura facea la vesta mentre che con la Vergine ragionava! E non s'avede tutto esser fatto con arte grande, per mostrare l'attenzione che l'angelo dovea tener in quello che importava. Il che con la stravaganza delle pieghe si può bene in un certo modo accennare. 1 Ma lasciando le ragioni da parte, che mi hanno oggimai stracco se bene non ancora sazio, vediamo quel che veramente se ne giudichi da persone intendenti. E non saprei per uomo di questa professione scegliere in Napoli miglior giudicio cli quel di messer Giovan Bernardo Lami ;2 il quale, oltre che dipigne tutto ciò che vuole meravigliosamente e nel ritrarre dal naturale non ritrova pari, come ne fanno fede la maggior parte de' signori e signore di questa città, che di sua mano e non d'altri han voluto ritrarsi, è anco sottilissimo intagliatore in rame, le cui stampe fra poco spacio di tempo appariranno, et in nuovo modo scolpisce in creta et in stucco lavori da far istupir le genti, né trova chi nell'opra di miniatura l'aggiunga, senzaché nella notomia e nella perspettiva e nelle altre parti rare alla pittura appartenenti è felicemente versato. Et il signor Cosimo Pinelli, il quale non mira in altro, se non in far tutte le sue cose perfettissime3 e che migliorar non si possano, ha voluto che il cielo di questa cappella e le altre parti dove pittura conveniva, fusse tutto di sua mano lavorato; e quanto bene gli sia riuscita quest'opera, ciascuno che di sano giudicio è potrà in vedendola saperlo. Costui dunque non solo loda estremamente quella pittura, ma non si sazia giamai di ammirarla e di stupirla, confessando et alla libera sgridando con alte voci che in essa non vi si può né aggiugnere, né diminuire. E dove lascio io il giudizio del signor Giovan Vincenzo Pinelli, figliuolo del signor Cosimo ? le cui rare parti, già bene agli uomini conosciute, non si possono da ogni gentile spirito giamai bastevolmente lodare. Egli, che di far fare quel I. La straTJaganza diviene in tal caso una efficace dimostrazione e non altera la consuetudine (cfr. G1uo, p. 1101 qui p. 861). 2. Sulla cronologia e Pattività di Giovan Bernardo Lama cfr. A. VENTURI, Storia dell'arte, IX, S, 1932, pp. 729 sgg. 1 e F. BOLOGNA, Rooiale spagnflolo e la pittura napoletana del Cinquecento, Napoli 1959, pp. 69 sgg. 3. Cfr. p. 863.

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quadro ha avuto il pensiero, per ritrovarsi negli studi di Padova, ove per lo molto suo valore è divenuto a tutti riguardevole e mera.. viglioso, et è non meno della pittura che della filosofia e delle leggi e d'altre scienze ammaestrato et erudito, dice e conferma piacerli sovra modo l'invenzione e l'artificio e tutto ciò che considerar si può in quella pittura. 1 Né posso tacere il signor Alfonso Cambi, il quale in ogni sorte di lettere in sin da fanciullo è profittevolmente versato. Ma nel dar giudicio della pittura ha fatta particolar pro.. fessione, per essere egli gentiluomo di quella città nella quale più che in qualsivoglia altra è sempre fiorita quest'arte. Costui non manco degli altri detti di sopra inalza insino al cielo quell'opera e di essa dà particolar ragione, segnando minutamente ogni averti.. mento che in essa è stato dall'artefice considerato. Conchiudiamo dunque che gran torto aranno coloro che di essa meno che onoratamente parlaranno. Ché io per me dirò sempre che, mentre Tiziano in questa pittura (a guisa de' poeti che scrivono) era tutto trasformato, come quelli dal furore assaliti2 si scordano di loro medesimi mentre scrivono, così questi ispirato da Dio, e non tanto dalle sue forze aiutato, ha ridotto questo misterio in quella estrema perfezzione che par cosa impossibile a potersi da umana industria imitare. Or che sarebbe stato s'io avesse nelle regole della perspettiva voluto entrare, le quali ha sì bene osservato Ti.. ziano, che bene ha dimostrato essere in quella scienza dottissimo maestro ?3 Ma di quelle io non vo' parlarne, sì per fuggir il lungo dire e si perché, per essemo cose che richieggono grande astrazione di mente, sarebbono fastidiose a udirle nella fine di cosi lungo discorso. Anzi di molte altre cose mi restarebbe a dire molto più di 1. Giovan Vincenzo Pinelli (1535-1601), nato a Napoli da famiglia genovese, si stabili a Padova nel 1558, dove attese a studi di scienza e di letteratura. Famoso erudito e bibliofilo formò quel museo scientifico e quella biblioteca che fu poi acquistata dal cardinale Federico Borromeo per l'Ambrosiana (1609). 2. Cfr. per gli artisti VASARI, 1550, p. 74: «E per che questi [disegni] dal furor dello artefice sono in poco tempo espressi, universalmente son detti schizzi, perché vengono schizzando o con la penna o con altro disegnatoio o carbone, in maniera che questi non servono se non per tentare l'animo di quel che gli sovviene». Per le più importanti testimonianze sul furore platonico in campo letterario cfr. WEINBERG, I, pp. 271 sgg., 281 sgg., 286, II, pp. 716, 737, 768 sgg., e le pp. 346 e 3S4 di questo volume. 3. Sulla prospettiva tizianesca come paese cfr. PINO, p. 134: « lo ho veduto di mano di Tiziano paesi miracolosi e molto più graziosi che li fiandresi non sono D, e anche VASARI, 1568, II, pp. 807, 809 sg. [vu, PP• 429, 437], ecc.

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quanto ho detto, e massimamente s'io volessi entrare nelle particolarità della Madonna. Della quale più per trascorso di parlare che per volerlo pensatamente ne ho quelle poche cose accennato; di maniera che mi pare assai più convenevole tacerne, che fastidirla più di quello che ho fatto con cosi lunga diceria. Basterammi solo, da quel tanto che ho di quell'angelo ragionato, aver risposto, in quanto per me si è potuto, all'opinioni di coloro i quali niuno altro prezzo mercano, niuno altro appagamento, che biasmare le cose buone, e Dio voglia che, del loro ardimento ravedutisi et in loro stessi ritornando, comincino a confermare il vero, sbandite già le vanità, delle quali hanno si grande et infinita dovizia che per ogni piazza le dispensano e distribuiscano a larga e capevole misura. V. S., che con ischerzar con meco per provar le forze del mio ingegno ha voluto prendersi noia di cosi lungo volume, temperi il fastidio della lezzione con la buona volontà che io ho dimostrato di favoreggiare la verità, della quale ella è in tutte le cose oltremodo vaga et amica, rendendomi securo che, si come nell'opera della poesia ha quel gusto che ciascuno sa, cosi avendolo purgato et eccellente nella pittura, non potrà se non comendare il mio buon animo, et allo 'ncontro biasmare la semplicità e [po]co sapere di coloro che, di tutto il lor senno di quella pittura questionando, non han per aventura saputo che cosa sia pennello. Cosi durerà la fama di Tiziano appresso lei con quella riputazione che egli e la virtù sua si ha acquistato molti anni fa et io, vedendomi con sì dolci e leggiadri modi favorito, potrò a me stesso et al mondo chiarire che io sia uno de' suoi più cari. Il che ho, molti anni sono, più di tutte le cose desiderato.

GABRIELE PALEOTTI PROEMIO

... Entratosi ad investigare le cagioni di tanti abusi e cosi notabili difetti che tutto '1 giorno si scorgono in questa professione di formare le imagini, pareva che tra molte cause due principalmente vi s1 scoprissero. L'una perché, si come degli oratori è stato scritto che, per riuscire grandi et eccellenti, debbon~ essere versati in ogni fa.. coltà e scienza, poi che di tutte le cose può occorrere loro di do .. ver ragionare e persuadere il popolo; cosi pareva si potesse dire della pittura, la qual essendo, come un libro popolare, capace d'o .. gni materia, sia di cielo o di terra, di animali o di piante, o d'azzioni umane di qualunque sorte, richiedesse insieme che il pittore, al quale appartiene il rappresentare queste cose, fosse di ciascuna, se non compitamente erudito, almeno mediocremente instrutto o non affatto imperito; 1 come degli architetti ancora anticamente fu lasciato scritto. 2 Si vede nondimeno oggi per lo più avvenir il contrario ne' professori di quest'arte; poiché, riservata la laude dovuta in ciò ad alcuni, gli altri, o per la necessità del vivere, che li fa tra..· scurare i principii et ornamenti necessarii a l'arte, o per lo sconcerto grande e quasi universale di tutte le cose del mondo, che non si fanno co' metodi suoi, ma come a caso, restano i pittori nella cognizione dell'altre discipline affatto rozzi et inesperti. 3 L'altra è che, ricercandosi nelle imagini, quanto alle sacre, che Dal Discorso intorno alle imagini sacre e profane ••. , Bologna 1582, Proemio; libro I, capp. xu, XIX, x.x; libro II, capp. LI, LII. 1. Le difficoltà tecniche e stilistiche (cfr. ad esempio, in questo volume, VARCHI, pp. 529 sg., 54osg., VASARI, pp. 496 sg., PONTORMO, pp. 505 sg., SANGALLO, pp. 509 sgg., PINO, pp. 552 sgg., DOLCE, pp. 808 sgg., e le note relative) cedono definitivamente a quelle morali, ed è ora la tradizionale affinità tra poetica e rettorica, e quindi tra rettorica e pittura (cfr. GILIO, p. 87, qui p. 319, e pp. 226 sgg.), a convalidare l'universalità di quest'ultima (cfr. invece, in questo volume VARCHI, p. 528, VASARI, pp. 496 sg., PONTORMO, pp. 505 sg., PINO, pp. 552, 754, DoLCB, pp. 814 sg., e le note relative) con accenti particolarmente sociali (cfr. GILIO, pp. 313 sg. di questo volume). 2. Si noti come il richiamo agli antichi architetti venga a negare alla pittura quella preminenza che sull'architettura le avevano conferito un Al.BERTI, p. 77, un P1No, p. 106, qui pp. 754 sg., e un DOLCE, p. 164, qui pp. 792 sg. 3. Anche l'ignoranza acquista per il Pnleotti una particolare accezione morale che, adeguandosi allo sconcerto grande delle vicende contemporanee, si estrania dalle più letterarie preoccupazioni del VARCHI, del DOLCE e dello stesso GILIO, pp. 524, 292 sg. e 303 di questo volume.

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muovano i cuori de' riguardanti alla divozione e vero culto di Dio, i pittori, per non essere communemente meglio disciplinati degli altri nella cognizione di Dio, né essercitati nello spirito e pietade, non possono rappresentare, nelle figure che fanno, quella maniera di divozione ch'essi non hanno né sentono dentro di sé; onde si vede per isperienza che poche imagini oggi si dipingono, che produchino questo effetto ...1 DELLE CAUSE PERCHÉ S'INTRODUCESSERO LE IMAGINI PROFANE

Oltre le cose altre volte da noi discorse della invenzione delle imagini in universale, chi vuole più diligentemente investigare i primi principii della introduzzione di quelle che si chiamano profane, ritroverà che da quattro principali cause elle sono derivate. L'una è stata necessità, l'altra utilità, la terza dilettazione e la quarta virtù; le quali possono ancor parimente convenire alle sacre per altri rispetti, ma di quelle parleremo poi al luogo suo. 2 La necessità si mostra perché, essendo l'uomo di natura, come dicono, conversevole, e che per la debolezza sua ha bisogno conI. Le preoccupazioni devozionali investono anche il notissimo precetto oraziano «Si vis me fiere, dolendum est primum tibi », già apprezzato in senso laico e letterario dal DOLCB, p. 300 di questo volume (se non anche da GILIO, p. 842 e la nota 1). Cfr. Archiepiscopale Bononiense, p. 81: «Clarissimum quendam pictorem et sculptorem [in 111argine, Michael. Ang. Bonarot.], cum sacras quasdam imagines a quodam religioso viro [l'Angelico] miro religionis affectu pictas vidisset, dixisse accepimus: "lste bonus vir pingebat corde, ita ut interiorem devotionem ac pietatem foris etiam penicillo repraesentaret, quod ego nequaquam efficere possem, quippe qui non adeo bene affectum cor me habere sentiam"• («Un famosissimo pittore e scultore [indicato nel margine come Michelangelo Buonarroti] avendo visto delle sacre immagini dipinte da un religioso [l'Angelico] con un mirabile sentimento di devozione, si dice che osservasse: "Quest'uomo pieno di bontà dipingeva col cuore in modo tale da esternare col pennello la propria intima devozione; ciò che io non potrei mai fare, perch~ sento di non avere un cuore cosi buono"•). 2. Le proprietà della pittura divengono, ancora una volta, categorie mentali prese in senso controriformistico (cfr. PALE0'ITI, pp. 123, 140, 170). Sulla necessità delle immagini cfr. i pareri discordi di VARCHI, pp. 9 sg., qui p. 102, PINO, p. n9, DoLCE, pp. 157, e 164, qui p. 792, e le note relative; sull'indiscussa utilità (includente anche la virtù) e dilettazione cfr. VARCH~, pp. 39 sg., qui pp. 530 sg., VASARI, pp. 61 sg., qui pp. 495 sgg., SANGALLO, pp. 71 sg., qui pp. 509 sgg., PINO, pp. 130 sg., qui pp. ss I sg., DOLCE, pp. 157, 161 sgg. Il PACHEC0, 1, p. 202, traduce quasi alla lettera anche questo passo, alle cui categorie rinviano OrroNELLI-BERRETTINI, pp. 90 sgg.

GABRIELE PALEOTTI

tinuamente di vari aiuti, si trova essere forzato a significare i bisogni suoi ad altri. Onde, non potendo ciò fare con le parole sole, perché non possono essere intese se non da chi l'ode e da quegli che hanno cognizione della medesima favella, perciò fu necessario che si provedesse di qualche istrumento che supplisse all'uno et ali' altro diffetto: che fu il formare le imagini profane delle cose create, ora d'animali, ora di piante, ora d'artificii, e talora cli varie parti del corpo umano, con che gli antichi padri nostri rappresentavano meglio che poteano i concetti suoi, non essendo fino allora da essi conosciuti i caratteri delle lettere, né trovata la maniera dello scrivere. 1 Di questo rendono testimonio molti gravissimi autori, che, parlando cli diversi popoli, ci fanno fede eh' eglino di tali figure si serveano in luogo di lettere. Cosi narra Diodoro degli Etiopi, quali vuole egli che fossero i primi uomini nati al mondo, e dice: « Sunt Aethiopum literae variis animantibus extremitatibusque hominum atque instrumentis, sed praecipue artificum persimiles; non enim syllabarum compositione aut literis verba eorum exprimuntur, sed imaginum forma, earum significatione usu memoriae hominum tradita».• Il medesimo dice Filone delli Egizzii, scrivendo: