La guerra gallica. Testo latino a fronte 8806182781, 9788806182786

Documento fondamentale, in quanto unica fonte diretta sulle campagne di Cesare, il Bellum Gallicum è opera famosa per la

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La guerra gallica. Testo latino a fronte
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ET Classici 338

Gaio Giulio Cesare La guerra gallica

Traduzione e cura di Adriano Pennacini con testo latino a fronte Note storico-critiche di Albino Garzetti

Einaudi

©

1996 Giulio

Einaudi editore s.p.a., www .einaudi

.it

ISBN 978-88-o6-182 78-6

Torino

INTRODUZIONE

I.

La situazione politica a Roma.

Dopo la distruzione di Cartagine (146 a. C.) e di Nu­ manzia (133 a. C .) i Romani sono ormai pienamente con­ sapevoli di avere conquistato il dominio del mondo; la potenza e la ricchezza concentrate a Roma, a disposizio­ ne di poche decine di famiglie aristocratiche, alcune di antichissima nobiltà patrizia (patricii), altre n6bilitate (nobiles de plebe) dall'esercizio delle responsabilità di go­ verno, portano alla luce i talenti e suscitano le ambizioni : il tradizionale conflitto tra patrizi e plebei per la parità dei diritti e dei poteri si conclude trasformandosi in lotta per il successo politico personale. Nella prima metà del secolo si affollano sulla scena politica romana uomini va­ lenti e ambiziosi, che accedono alla politica e si schierano in una parte - quella dei popolari (i democratici) o quella dei conservatori e del senato -per la via maestra, tipica­ mente romana, del servizio militare : il plebeo Mario, ru­ de uomo di provincia e militare abile e valoroso, il patri­ zio Cornelio Silla, nullatenente, abile politico e duro combattente, il nobile Pompeo, grande proprietario agrario e ottimo comandante militare, il nobile Licinio Crasso, affarista, banchiere e finanziere, il patrizio Sergio Catilina, bramoso di potere e attento al mutare del qua­ dro economico e politico, un homo novus, Cicerone, in­ telligente e colto, vanitoso e !egalitario, il patrizio Giulio Cesare, anch'egli, come Silla , di pochi beni, ma ambizio­ so, capace e spregiudicato; e altri ancora ai quali le vicen­ de politiche e personali non diedero occasione di mostra­ re per intero il proprio valore. In quegli anni la tradizionale struttura collegiale del governo oligarchico non offriva né spazio né strumenti

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Introduzione

per controllare l'enorme potenza degli eserciti, la minac .. ciosa presenza delle plebi urbane, il formidabile dinami­ smo di capi politici e militari privi di scrupoli legalistici. Il consolato di Cicerone nel 63 a. C . fu da una parte l'ultimo tentativo di governare dentro al quadro della costituzio­ ne repubblicana, dall'altra il primo episodio riuscito e vittorioso di presa del potere per mano di un membro di una famiglia non nobile né plebea illustre, non ancora ac­ colta nella nobilitas. Per piu di quattro secoli, dal 5 10 a. C ., poche decine di famiglie (o gentes) avevano governato Roma; contro que­ sta concentrazione di potere e di ricchezza (i latifondi) nelle mani di pochi lottarono dapprima i plebei per la pa­ rificazione dei diritti, poi, con i fratelli Gracchi, i poveri per la ridistribuzione della terra; infine gli ltalici per la pienezza dei diritti politici e civili. In una società fortemente gerarchica, come quella ro­ mano-italica, la pressione dei ceti e dei gruppi inferiori per la parificazione dei diritti e per una diversa distrib u­ zione del potere e della ricchezza si trasmetteva natural­ mente attraverso i vari strati sociali fino a produrre la spinta di singoli personaggi alla partecipazione diretta al potere e al governo, come rappresentanti o, in qualche modo, delegati, sia pure non ufficialmente, dai gruppi esclusi. I Romani diedero ai protagonisti di questo pro­ cesso, di cui riconobbero almeno la parte finale, il nome di homines novi. Del resto la trasformazione di una pres­ sione sociale in una carriera personale verso la vetta del potere a opera di homines novi (Gaio Mario) o di nobiles (Marco Licinio Crasso) o di patricii (Lucio Sergio Catili­ na, Gaio Giulio Cesare), trovava sanzione o giustificazio­ ne ideologica nella cultur. a universalistica e individuali­ stica di origine ellenistica introdotta e diffusa a Roma e in Italia per iniziativa di un gruppo di aristocratici intellet­ tuali fin dal secolo precedente : b asti ricordare Gaio Le­ lio, Scipione Emiliano, Gaio Lucilio. Estesa la cittadinanza romana a tutti i residenti nella penisola d'Italia (maschi, maggiorenni, cioè dai 1 7 anni in poi, liberi; e l'Italia non comprendeva né la Sicilia né la

Introduzione

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Sardegna e naturalmente nemmeno l'Italia settentriona­ le, che allora era costituita dalla provincia della Gallia Ci­ salpina- Piemonte, Lombardia, Emilia e Romagna - dal­ l'Illirico - parte orientale del Veneto, Venezia Giulia, lstria e Dalmazia- e dalla Liguria), conclusa la guerra so­ ciale con gli alleati Italici e la guerra civile tra Mario e Sii­ la, restaurato il potere oligarchico da Silla, benedetto dal­ la dea Fortuna (Sulla Felix), la parte popolare, rinnovata lentamente e con difficoltà dopo la morte di Silla nel 78 a. C., si trova a rappresentare le aspirazioni alla libertà re­ pubblicana anche dei democratici moderati. Infatti an­ che Pompeo e Cicerone negli anni 70 manifestarono in­ clinazioni e simpatia verso la parte popolare. In quegli anni la cultura politica romana, sia.popolare sia oligarchica, aveva ormai acquisito organicamente la figura del leader carismatico (cioè di colui che ha il co­ mando per grazia degli dèi); anzi, la cultura e il sistema politico romano muovevano verso la figura del capo fidu­ ciario e benedetto dagli dèi e dalla fortuna fino dai tempi degli Scipioni (l'Africano, che vinse Annibale nel 202 a. C . e l'Emiliano, che distrusse Cartagine nel 146 a. C .). 2. La carriera politica e militare di Cesare. Dopo il tentativo di Gaio Mario, fallito con il disastro sia del personaggio sia della parte popolare, e di Cornelio Silla , riuscito, ma dissolto nelle vendette e negli odi, il primo a realizzare compiutamente nella propria persona la figura del capo carismatico, militare e politico, fino alla conquista del sommo potere e alla identificazione di sé con lo Stato, fu appunto Gaio Giulio Cesare, leader della parte popolare. Nato a Roma nel 1 00 a. C . da un' antichis­ sima patrieia gens che riferiva la propria origine addirittu­ ra a lulo, figlio di Enea, fu ucciso nella Curia il 15 marzo 44 a. C . da un gruppo di congiurati repubblicani guidati da Marco Giunio Bruto e da Gaio Cassio. I legami familiari -la zia Giulia, sorella del padre, Ga­ io Giulio C esare, pretore nel 9 2, aveva sposato Gaio Ma-

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rio- e il suo matrimonio con Cornelia, figlia di Cornelio Cinna, anch'egli notabile della parte popolare, lo con­ dussero a opporsi a Silla, quando nell'82 questi voleva farlo divorziare. Dopo due anni di soggiorno in Asia e nelle isole dell'Egeo per servizio militare e per star lonta­ no da Silla, tornato a Roma dopo la morte del dittatore (78) partecipa in qualità di avvocato alla lotta politica; percorre quindi lentamente il cursus honorum: legato mi­ litare di Marco Antonio Cretico, il cui figlio sarà suo lega­ to; tribuna militare; questore nel 69; edile curule nel65; pontefice massimo nel 63; pretore nel 62; nel 61 pro­ pretore (governatore) della Hispania Ulterior, dove com­ batte i Calleci e i Lusitani; fino all'accordo nel 6o con Crasso e Pompeo per la propria elezione al consolato per il 59· Durante il consolato segue la linea politica concor­ data con i suoi potenti amici, ottiene per il proconsolato il governo per cinque anni di tre province (Illirico, Gallia Cisalpina e Gallia Narbonese), conferma l'amicizia e l'al­ leanza con Gneo Pompeo Magno, vincitore di Sertorio, di Spartaco e dei pirati, conquistatore del Ponto e della Giudea, dandogli in sposa la figlia Giulia, e con Marco Licinio Crasso prendendo con sé in qualità di legato il fi­ glio Publio. Nel marzo del 5 8 è sulla riva occidentale del lago Le­ mano o di Ginevra, che i Galli Elvezi, abbandonate le proprie sedi, situate nella parte settentrionale dell'attuale Svizzera Romanda, intendono traversare per cercare nuove terre nella Gallia Cornata; Cesare li lascia entrare nei territori dei Sequani e degli Edui e infine li vince a Bi­ bratte, poco a ovest di Autun (Augustodunum), costrin­ gendoli poi a rientrare nelle proprie terre. Pregato quindi dai capi degli Edui si assume di difenderli dalla pressione dei Germani Svevi, i quaU, passato il Reno, pretendevano tributi e spadroneggiavano in paese gallico; al comando di Ariovisto, loro re, gli Svevi vengono vinti in Alsazia e ricacciati sulla riva destra del Reno (libro I) . Nel 57 af­ fronta le popolazioni della Gallia Belgica unite e le scon­ figge vincendo i Nervi, considerati i piu valorosi tra i Bel­ gi (libro Il). Nel 56 si incontra a Lucca (che fa parte della Gallia Cisalpina) con i suoi amici politici Crasso e Pom-

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peo: l'alleanza viene riconfermata con l'intesa che nel 55 Crasso e Pompeo avrebbero ricoperto il consolato e co­ me proconsoli avrebbero poi governato per cinque anni il primo la Siria, il secondo la Spagna; a Cesare verrà rin­ novato per altri cinque anni il governo delle Gallie e dell'Illirico. Nell'estate-le campagne militari nell'età an­ tica si svolgevano nella buona stagione - assoggetta i V e­ nelli, popolazione rivierasca stanziata nell'odierna Nor­ mandia; colpisce con estrema durezza i Veneti, che occu­ pavano la riva meridionale dell'Armorica o Bretagna, colpevoli di aver violato il diritto delle genti arrestando e mettendo in catene dei cavalieri romani, di aver ripreso la guerra dopo essersi arresi, di aver violato gli impegni do­ po aver consegnato ostaggi: il senato dei Ve�eti fu ster­ minato, tutti gli altri furono venduti schiavi. Intanto il le­ gato Publio Licinio Crasso, figlio del triumviro, batte e sottomette gli Aquitani nella Gallia sud-occidentale (li­ bro III). Nel 55 Cesare si trova ad affrontare nuovamente un'incursione germanica- Usipeti e Tencteri- al di qua del Reno; la reazione è violenta: i due popoli sono in breve battuti e massacrati. Ma Cesare intende mostrare con la massima chiarezza ed energia che la Gallia è sotto la protezione dei Romani e sua; quindi costruisce rapi­ damente un ponte, passa il Reno, penetra in Germania, vi devasta le terre dei Sugambri, cui addebitava di aver appoggiato gli Usipeti e i Tencteri. In autunno continua nella dimostrazione di potenza traghettando due legioni in Britannia, si spinge fino al Tamigi, batte gli indigeni, riceve ostaggi e torna sul continente (libro IV). Nell'e­ state dell'anno seguente, 54, Cesare guida una seconda spedizione in Britannia con cinque legioni e con una im­ mensa flotta di ottocento navi; batte i Britanni, condotti da Cassivellauno, re delle regioni a nord del Tamigi, scelto dagli altri popoli come comandante militare; al suo ritorno in Gallia si trova ad affrontare nella Belgica la rivolta degli Eburoni, che distruggono una legione, stanziata nel loro territorio, al comando di Titurio Sabi­ no, ucciso insieme con un altro legato, Aurunculeio Cotta; riesce a soccorrere Quinto Cicerone, accampato

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anch'egli nella Belgica e attaccato dai Nervi; infine repri­ me la rivolta dei Treviri e dei Senoni (libro V, che contie­ ne anche una breve descrizione geografica, etnologica e antropologica della Britannia). Nel 53 Nervi, Senoni, Carnuti, Menapi, Treviri tentano la rivolta; Cesare li as­ sale e li batte con ferma e durissima determinazione; poi passa nuovamente il Reno per punire gli Svevi dell'ap­ poggio dato ai popoli che gli si oppongono; al suo ritorno in Gallia batte e stermina gli Eburoni; libera poi il legato Quinto Cicerone dall'assedio dei Germani (libro VI, che contiene anche una breve descrizione geografica, etnolo­ gica e antropologica della Gallia e della Germania). Il 52 è l'anno della grande ribellione, capeggiata da Vercinge­ torige, Arverno, che riesce a unire i Galli nella lotta per la libertà o per l'indipendenza, cogliendo qualche successo (Gergovia), ma soccombendo infine alla maggiore effi­ cienza militare dei Romani e alla immaturità politica dei Galli (Alesia) (libro VII). Cesare è divenuto ormai il potente signore delle Gallie e dell'lllirico, dal Canale della Manica fino all'Adriatico, il governatore di un ricco paese europeo, il comandante di un esercito forte, sperimentato, fedele al suo capo, ma anche consapevole del proprio potere collettivo; sono soldati in gran parte provenienti dagli arruolamenti con­ dotti nella Cisalpina e nella Narbonese, in parte anche· nella Transalpina. I confusi tentativi del Senato di spo­ gliare il condottiero (imperator unicus, come ironicamen­ te lo chiama il poeta Catullo) del suo potere ufficiale si scontrano con la situazione di fatto: Cesare rappresenta la forza della nuova romanità formatasi nella Cisalpina e nella Narbonese e nascente nella Transalpina, rappre­ senta l'aspirazione dei pr9vinciali al governo. E quindi il 12 gennaio del49 varca il confine della provincia (il Rubi­ cone) e marcia verso Roma. La presa del potere tuttavia richiede ancora quattro campagne, sempre piu cruente, perché i legionari vogliono finire, vogliono conquistare il potere e la pace. La campagna di Spagna, l'ultima, è ap­ punto la piu sanguinosa: i cesariani non fanno piu prigio­ nieri, non riconoscono piu negli avversari dei concittadi-

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ni; Cesare stesso non riconosce nei Pompeiani dei citta­ dini romani; egli , dictator perpetuus, riassu m e in sé la res publica: in q uanto gli fa nno guerra, i pompeiani sono ho­ stes; se acconsente di salvar loro la vit a , intende che essi si sono arresi , come nemici. Nel marzo del 45 a Munda, a nord-ovest di Malaga, l'ultima battaglia, l'cltimo, defini.. tivo massa cro. Razionalità e pragmatismo sembrano elementi sia cul­ turali sia psichici dell'uomo Cesare; del resto la storia della sua vita, della sua carriera politica, della stessa con­ quist a della Gallia Transalpina provano che Cesare sep­ pe da grande pragmatico avvalersi con la m as sima pron­ tezza (è un aspetto della celebrat a «celerità» di Cesare e delle sue legio ni) di ogni o cca s ione offerta gli dalla realtà dei fatti e delle situ az ion i, dagli errori degli a-vVersari o dei nemici, dal caso, dalla « Fortnna ». Razionalità e pragmatismo, ma talora spregiudicatezza e cinismo. Nella carriera anteriore al p roconsolato delle Gallie paiono proprio preva lere cinica ambizione di po­ tere e calcolo politico privo di scrupoli. Anche l'inizio della lunga guerra gallica mostra come Cesare vide appunto con spre giudicatezz a e cinismo l'oc­ casione di inserire Ron1a e se stesso nei problemi dei Gal­ li e in particolare degli Elvezi, e con quanta a b ilit à fu ca­ pace di dilatare in modo organico e fun zio nale l'interven­ to finalizzando alla propria strategia le contese degli Edui con i S equ ani e la presenza degli Svevi e di A riovis to in Galli a . È verosimile che a un romano di larghe vedute mi­ litari e imperiali la Gallia Tran salpina apparisse come un ele mento necessario al completamento di un sistem a strategico ed economico mondiale gu idato da Roma . Le scelte politiche e militari di Cesare provano quanto egli riuscisse in ogni momento a integrare le risposte tattiche con il perseguin1ento di fmi strategici generali, appu nto sia politic i sia militari. Non è possibile sostenere con cer­ tezza che nel 59 a. C. Cesare, console, chiedesse l'asse­ gnazione per il proconsolato della Gallia Cisalpin a , Nar­ bon ese e dell'illirico (!stri a e Dalmazia) con lo scopo di muovere alla conquista della Gallia Transalpina; tuttavia

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In troduzione

sembra verosimile che cosi fosse, tanto è vero che si è ten­ tati di pensare che egli, ancora console, già progettasse di usare la conquista della Gallia Transalpina come punto di partenza per la conquista di un potere piu grande, tro­ vandosi poi proiettato dai suoi stessi successi verso il po­ tere assoluto e verso il governo di tutto il mondo antico. Nell'uso pubblico e nell'uso personale del potere (tal­ volta nel mondo antico troviamo difficoltà a sceverare l'uno dall'altro) Cesare procedette secondo un criterio che si può definire, per quei tempi, universalistico: scelse i suoi collaboratori (i membri della sua cohors, cioè del suo staff) da strati sociali ed etnici diversi e talora con si­ derati inferiori o comunque esterni all'antica società ro­ mana e italica; arruolò le sue legioni- talvolta in numero superiore a quanto la consuetudine delle province da lui governate consentiva- nella Gallia Traspadana (a nord del Po) e in parte anche nell'Illirico. La Gallia Traspadana, a differenza della Cispadana (Emilia e Romagna) e della Narbonese (Provenza), non godeva al tempo in cui Cesare la governava come procon­ sole (dal 59 a. C.), della piena cittadinanza romana, ma solo del diritto latino (cittadinanza senza diritto di voto): Cesare trattò i Traspadani come cittadini di pieno diritto e quando nel 4 8 a. C ., impadronitosi di Roma, fu eletto dictator perpetuus, concesse loro la piena cittadinanza ro­ mana. Inoltre si preoccupò di compensare con la cittadi­ nanza romana e con altro il leale servizio a lui prestato da uomini di origine provinciale, in genere provenienti dalle regioni occidentali dell'impero, Gallia, Spagna, Sicilia; a quest'ultima, che al suo tempo era provincia, volle conce­ dere il diritto latino. Coloro che meritavano piu alti com­ pensi furono ammessi a sedere in Senato, i cui membri giunsero a 900. Cesare non mostrò mai preoccupazioni religiose; ogni questione gli appariva nei suoi aspetti e nelle sue implicazioni politiche: la politica era quella im­ periale e mondiale, corrispondente, secondo la coscienza che egli stesso diede prova di averne, alla posizione di po­ tenza universale, arbitra tra le nazioni, che Roma ormai occupava da piu generazioni.

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Naturalmente durante la sua vita pubblica e privata Cesare non dimenticò mai di essere clemente, generoso e liberale nella misura del possibile, riservando la durezza per i casi estremi: e allora fu durissimo e terribile; tuttavia tali casi si presentarono solo in rapporto con nemici esterni. Con i concittadini suoi avversari dimostrò sem­ pre e abbondantemente una larga clemenza, fino a evita­ re nei giorni della vittoria le proscrizioni, che prima di lui Mario e Silla, dopo di lui Antonio, Lepido e Ottaviano esercitarono con sanguinaria crudeltà. Cesare da un canto, per la sua origine di leader della parte popolare, apri definitivamente la via dell'ascesa al potere e al governo di uomini provenienti da ceti e grup­ pi inferiori o comunque fino ad allora esclusi - del resto poco pili di dieci anni erano bastati a mostrare la fragilità, l'inadeguatezza e soprattutto l'incongruità della restau­ razione sillana in rapporto alla situazione politico-sociale di Roma e dell'Italia, alla sua dinamica e al suo evolver­ si -; dall'altro portò a termine il processo di trasforma­ zione dello Stato, anche se poi il mutamento effettivo fu opera di Augusto e costò ancora gravi e lunghe guerre ci­ vili. Al tempo di Cesare parve che lo Stato romano fosse avviato a divenire una monarchia assoluta; Ottaviano concluse e sistemò tale evoluzione con un rispetto per la tradizione repubblicana maggiore di quanto Cesare nella sua opera abbia mostrato; comunque nell'età di Cesare e di Ottaviano Augusto si compi la trasformazione della città-stato in stato territoriale e imperiale, accentrando tutto il potere in una sola persona, che poi lo delegava temporaneamente e parzialmente ad altri. La struttura monarchica di tipo ellenistico-orientale (si pensi ai Seleucidi di Siria e ai Tolemei o Lagidi d'Egitto) si affermava sul sistema delle città federate; ciò compor­ tava il rischio sempre presente dell'assolutismo. Per altro la trasformazione politica iniziata da Cesare e compiuta da Augusto consistette in sostanza nella riforma del regi­ me esistente: fu posto in atto quel che oggi si direbbe un gigantesco processo di razionalizzazione. Giulio Cesare fu certamente sul piano delr azione poli-

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tica e di governo il maggiore e piu efficace promotore di rinnovamento del sistema. Di questa sua tendenza so­ no testimonianza chiara e significativa anche i suoi scritti, sia l'opera non pervenuta De analogia in due libri, com­ posta nel 54 a. C. «durante la traversata delle Alpi, allor­ ché lasciata la Gallia Cisalpina ritornava presso l'eserci­ to» (Svetonio, Vita di Cesare 56) , nella quale esponeva e difendeva la dottrina dell'analogia e dell'atticismo, sia i Commentarii de bello Gallico in sette libri e de bello civili in tre, che formano, con l'ottavo libro della guerra gallica di Aulo Irzio e i tre della guerra d'Africa, d'Alessandria e di Spagna, il corpus delle opere (autentiche e apocrife) di Cesare. un

3· I Commentarli de bello Gallico, ovvero un memoria­

le sulla conquista della Gallia. I Commentarii (Diari, Libri di memorie, Appunti), che raccontano anno per anno le campagne di guerra per la conquista della Gallia Transalpina dal 59 al 52 a. C., furo­ no considerati dei modelli di stile; di quale stile, Cicerone nel 46 a. C. ne fa dire da Giunio Bruto:

Nudi enim sunt, recti et venustt� omni ornatu oratio­ nis tamquam veste detracta. Sed dum voluit alios habere parata, unde sumerent qui vellent scribere historiam, ineptis gratum /orlasse fecit, qui illa volent calamistris inurere: sanos quidem homines a scribendo dete"uit,· nihil est enim in historia pura et inlustri brevitate dul­ cius (Brutus 75, 262) 1• Nella conclusione di questo giudizio critico Cicerone riassume i pregi dello stile dei Commentarti: essi consi­ stono nelle tre virtu della purezza, della limpidezza, della 1 [Sono spo gli , diritti e belli, toltone, come una veste, ogni ornato del di­ scorso. Ma mentre volle che altri, intenzionati a scrivere di storia, avessero i materiali pronti da cui attingere, forse fece un piacere agli sciocchi, che vor­ ranno fare ad essi i riccioli con i ferri; distolse invece gli uomini assennati dal­ lo scrivere storia: infatti nella storiografia nulla è piu dolce di una pura e lumi­ nosa brevità].

Introduzione

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brevità e confluiscono a definire un genere di storiografia che si colloca, terzo, accanto ad altri due altrove definiti da Cicerone: «quello dr ammatico e quello fluente con facilità e ampiezza». Lo stile drammatico è proprio della storiografia prosopografica, nella quale un personaggio (pròsopon in greco) è il protagonista o eroe di una peripe­ zia o vicenda: i fatti e gli avvenimenti vengono disposti in modo da costituire una vicenda centrata sul personaggio, diretta, secondo i canoni aristotelici, alla purificazione dei lettori dalle passioni. Lo stile fluente, facile e copioso si identifica con lo stile medio; esso ricevette sistemazio­ ne in Grecia da Isocrate nel IV secolo a. C. ed è ricono­ sciuto da Quintiliano nella prosa di Tito Livio: Livi lactea ubertas, ma a fianco di Livio trova luogo il grande Erodo­ to: Nec indignetur sibi Herodotus aequari Titum Livium,

in na"ando mirae iucunditatis clarissimique candoris ... ad/ectus quidem praecipueque eos qui sunt dulciores nemo historicorum commendavi! magis 2: stile appunto scor­ .. .

revole, piacevole, moderato nel ricorso ai colori retorici, privo di pathos, mirante all'insegnamento o ammaestra­

mento morale. Ma questo terzo stile storiografico non è

invenzione di Cesare: esso deriva dallo stile della cancel­ leria e dei rapporti militari. Basta a provarlo l'uso molto esteso dell'ablativo assoluto e del discorso indiretto, ca­ ratteristici proprio di un tipo di communicazione tesa ap­ punto alla brevità e alla densità informativa. Il giudizio critico di Cicerone rileva la concretezza dello stile di Ce­ sare: la comunicazione si stabilisce con il lettore in ma­ niera diretta e immediata (nudt� rectz), non filtrata né (ap­ parentemente) alterata o deformata dalle decorazioni della retorica; lingua e stile vi appaiono limpidamente aderenti alla realtà che esprimono e a cui danno forma. Tuttavia non mancò chi, poco dopo la pubblicazione dei Commentarii e la morte del loro autore, ne notò e bollò lo scarso rispetto per la verità dei fatti:

2 [Né Erodoto si sdegni che gli sia eguagliato Tito Livio, che è scrittore meravigliosamente piacevole e di luminosissima eleganza... quanto agli affet­ ti e particolarmente a quelli piu miti, nessuno degli storici seppe renderli in maniera piu appropriata].

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Introduzione

Pollio Asinius parum diligenter parumque integra ve­ ritate compositos putat, cum Caesar pleraque et qua e per alios erant gesta temere crediderit et quae per se, vel con­ sulto vel etiam memoria lapsus perperam ediderit; exi­ stimatque rescripturum et correcturum /uisse (Svetonio, Div. lul. 56, 4) 3• l'obiezione di Pollione è dura e tende a correggere il giudizio di Cicerone, nel quale è implicita l'assunzione che i Commentarii, proprio perché non ornati di colori retorici, siano completi e diretti documenti della verità storica. Vi è, cioè, una evidente accusa di parzialità a Ce­ sare, che nel resto della testimonianza è efficacemente sviluppata. Concorre a produrre l'impressione di questa adesione al vero, contestata da Pollione, l'uso di colloca­ re il protagonista in terza persona: ciò sembra distanziare rautore dai fatti raccontati e dai personaggi che vi agisco· no, istituendo un piano di oggettività e di razionale con si­ derazione, che ha sempre persuaso e spesso entusiasmato il lettore. Queste obiezioni si possono concludere con l'osservazione che la stesura dei Commentari fu un atto politico diretto a fornire un'interpretazione ufficiale da parte di Cesare delle sue due piu grandi imprese: la con .. quista della Gallia e la guerra contro Pompeo e il Senato. Tale osservazione tuttavia non esclude che Cesare abbia prodotto con questi libri un'opera storiografica, ma di quelle che scrivevano i narratores rerum, non gli exorna­ tores rerum (Cicerone, De oratore 2. 54) .

È stato notato da critici moderni e contemporanei che

nei Commentarii l'esposizione dei fatti è talora ordinata secondo quello che i retori antichi chiamavano ordo arti­ ficialis, cioè «ordine artistico»; in altre parole i fatti sono 3 [Asinio Pollione riteneva che i Commentari fossero composti con poca diligenza e con scarso rispetto della verità, dal momento che Cesare nella maggior parte dei casi sia accettò incautamente per vero il racconto di impre­ se condotte d a altri sia presentò in modo inesatto le imprese da lui stesso con­ dotte o di proposito o anche per errore di memoria; reputava che fosse sua intenzione di riscriverli e correggerli].

Introduzione

XVII

disposti non nella serie temporale storica (ordo natura­ lis), ma secondo una successione stabilita dallo scrittore nell'ambito della finzione artistica. Lo scostamento dal­

l' ordine reale permette allo scrittore di suggerire connes­

sioni tra i fatti diverse da quelle che emergono dalla con­ siderazione seriale dei fatti stessi. N el caso di Cesare e dei suoi Commentarii l'espressione «finzione artistica» va interpretata secondo il suo significato etimologico: fin­ zione,/i'ctio, deriva da fing ere, «dar forma» (ne dipende il nome del vasaio, /igulus, l'artefice che appunto dà for­ ma di vaso alla creta), e« artistica» è un modo un po' im­ proprio di rendere in italiano il concetto di intervento tecnico, perché il concetto di ars presso i Latini corri­ sponde a quel che in italiano chiamiamo in generale«tec­ nica», senza riferimento alcuno all'idea romantica di «artista», dove prevale l'elemento della cosiddetta «ispi­ razione», ben noto anche agli antichi Greci e Romani, ma espresso diversamente (per esempio, con natura o con circonlocuzioni del tipo: poetae, divino quodam spiri­ tu in/lati). Cesare dunque esercita l'arte- ed è propria­ mente una delle tre principali operazioni dell'arte retori­ ca, con le quali un oratore costruisce il discorso diretto a persuadere (inventio, dispositio, elocutio): la tecnica della disposizione del discorso, la strategia della comunicazio­ ne, della narrazione e della persuasione- di dare alla sto­ ria una forma narrativa diretta ad avvalorare la sua inter­ pretazione dei fatti. Del resto suggerisce Quintiliano (IV

2 .54): Ne illud quidem /uerit inutile, semina quaedam pro­ .

bationum spargere, verum sic ut narrationem esse memi­ nerimus, non probationem 4; sicché anche ai narratores re­ rum è consentito di elaborare il racconto in maniera ido­

nea a promuovere la persuasione dei lettori. In piu si do­ vrà pur tenere a mente che Cicerone (De legibus, praef 1.2) sostiene, per bocca di T. Pomponio Attico, che la storiografia è opus oratorium maxime, e nel De oratore, (2 .62), rileva quantum munus sit oratoris historia; dove

4 [Non sarà inutile nemmeno quell'operazione, di spargereJ per cosi direJ dei semi di prove, ma a condizione di ricordar bene che si tratta di una narra­ zione, non di una esposizione di prove].

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non è parola di un genere «retorico» di storiografia, ma s'intende che la storiografia, a prescindere dal genere, non è mera relazione in ordine cronologico di fatti acca­ duti, bensi narrazione che ordina e interpreta. Scrive Erich Auerbach, in Mimesis '.

n latino scritto nell'epoca del suo splendore, soprat­ tutto la prosa, è una lingua quasi eccessivamente ordi­ natrice, in cui il lato materiale e sensibile dei fatti è p ili veduto e ordinato dall'alto che reso evidente nella sua sensibilità materiale. Inoltre, accanto alla tradizione retorica, giuoca anche lo spirito giuridico-amministra­ tivo della romanità; predomina nella prosa romana deli'età classica la tendenza [ ] a dare sulle circostan­ ze di fatto informazioni molto semplici, anzi, se possi­ bile , ad accennarle con parole del tutto generiche, so­ lamente mirando a conservare la distanza da quelle, e a mettere invece tutta la forza e la sottigliezza della lin­ gua nei legamenti sintattici, sicché lo stile acquista per cosi dire un carattere strategico con articolazioni oltre­ modo chiare, mentre la materia che vi è inclusa domi­ na, si, ma non veramente rivelata ai sensi. Per tal modo gli strumenti del legame sintattico raggiungono som­ ma acutezza, esattezza e varietà. Si tratta qui non di congiunzioni e d'altri strumenti di subordinazione, ma anche l'uso dei tempi, la collocazione delle parole, r antitesi e molte altre forme retoriche debbono servire al medesimo fine, all'ordine esatto, perspicuo e nello stesso tempo elastico e ricco di sfumature. Questa ricchezza d'articolazione e di strumenti or­ dinativi rende possibile una grandissima varietà nell'e­ sposizione soggettiva, una sorprendente duttilità di ra­ gionamento sopra i dati di fatto e una libertà, per lun­ go tempo non piu raggiunta, di sopprimere qualche parte dei dati di fatto e altre accennarle in modo ambi­ guo, senza assumersi la responsabilità di dirlo esplici­ tamente. ...

' Trad. it. di Alberto Romagnoli e Hans Hinterhauser, Einaudi, Torino 19,56, l, p. 99·

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Se accanto alla cultura giuridico-amministrativa, che certamente non mancava, poniamo l'esperienza della vita e dell'organizzazione militare e diamo atto a Cesare della capacità, di cui diede prove varie e numerose, di avvalersi di ogni strumento e mezzo con abilità, disinvoltura, spre­ giudicatezza e anche cinismo, per il resto l'ampio e argo­ mentato pensiero di Auerbach, il quale forse aveva in mente Cicerone, si adatta benissimo a Cesare e alle sue opere. La storia politica dei Galli Transalpini, come quella di tutti i popoli sottomessi - anche dei Greci, i quali giusta­ mente furono e sono ricordati non per la loro storia poli­ tica, ma per guella culturale- conta soltanto nella misura in cui si conclude nell'assoggettamento, in capo al quale i Galli si ritroveranno identificati con i Romani: i Gallo­ Romani, appunto. I Galli Cisalpini e quelli della Nar­ bonese li avevano preceduti nel destino dell'accultura­ zione e della finale identificazione con i vincitori. Opera difficile, anche se affascinante, ricostruire come i Galli vissero l'assoggettamento, gli otto anni di guerre, rivolte, ribellioni che dal .59 al 52 a. C. li condussero al­ l'annessione all'impero dei Romani. Quale fosse la situazione della Gallia Bracata (Togata era la Gallia Narbonensis) non è chiaro: quasi estinta l'istituzione indo-europea della regalità che integrava il diritto di sangue con l'elezione da parte dei nobili e as­ sicurava la fertilità della terra nonché, naturalmente, la difesa dai nemici e il comando dell'esercito in guerra, nei vari cantoni o nelle varie comunità indipendenti dalle quali era composta la Gallia, i nobili tentavano di creare dei governi collegiali o comunque di ripartirsi le responsabilità secondo l'autorevolezza e la potenza del­ le famiglie (dei clan) e dei singoli. Di fronte a questi go­ verni oligarchici già si affacciava tuttavia l'ambizione di ricostituire una nuova e piu moderna regalità, secondo un processo simile a quello che produsse i tiranni nella Grecia del VII e VI secolo a. C. e, a Roma, dopo il fallito tentativo di T arquinio il Superbo, la confusa avventura di Mario e la dittatura militare di Silla. Celtillo, Arverno,

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padre di Vercingetorige, aveva tentato di farsi signore as­ soluto del suo popolo, trasformando la regalità tradizio­ nale dei Celti in un potere personale fondato sul rappor­ to fiduciario con la parte del popolo esclusa dal sistema sociale , sul quale si fondava l'organizzazione politica, in breve, con gli scontenti e gli emarginati. Nei primi tempi del suo intervento in Gallia Cesare promosse la ricostitu­ zione della regalità tradizionale; piu tardi, specie allor­ ché si trovò a fronteggiare la rivolta di Vercingetorige, poté valutare il peso e l'importanza dei ceti fino ad allora esclusi dalla gestione del potere, ma necessari alla sua conservazione, che segnalavano la propria presenza (Bel­ lum Gallicum VII 4.1). Infatti la rivolta di Vercingetorige contro l'invasione romana portò dentro alla storia della Gallia i ceti inferiori, gli uomini che non erano membri dei clan, le masse dei poveri; Vercingetorige ripercorse con maggiore fortuna la via sulla quale era caduto suo padre Celtillo; ma la fine della sua lotta per l'indipen­ denza, per l'unità dei Galli e per la monarchia non fu so­ lo opera di Cesare e dell'esercito romano, bensi anche dell'opposizione o della non collaborazione di parte del­ la nobiltà, oltreché, ben s'intende, dello scarso o appena nascente sentimento di solidarietà nazionale; del resto perfino i Greci, che avevano saputo elaborare una cultu­ ra comune a tutte le città-stato, nel momento delle prove contro i Macedoni e i Romani mostrarono di possedere poco patriottismo. Per converso Vercingetorige seppe mettere a frutto con notevole abilità ed energia le capaci­ tà e le tradizioni militari -organizzative dei Galli: una buona prova fu la formazione dell'esercito di soccorso con lo scopo di spezzare l'assedio di Alesia; essa si svolse in tempi relativamente br�vi e condusse un numero con­ sistente di truppe a circondare e attaccare i Romani che a loro volta circondavano l'armata di Vercingetorige chiu­ sa in Alesia. La disfatta dei Galli è da attribuirsi si alla maggiore efficienza dell'esercito romano, al possesso di piu efficaci tecniche e macchine d'assedio e di difesa, ma sicuramente anche alla complessiva debolezza organiz­ zativa dell'armata, derivante dalla carenza di esperienze

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belliche comuni, dalla mancanza di una disciplina cen� tralizzata, dall'assenza di una tradizione unitaria. Nel 51 vi fu ancora qualche tentativo isolato di ribellio­ ne, ma, catturato Vercingetorige e tenuto in vita (a Ro­ ma? o chissà dove) per ornare il trionfo gallico di Cesare, disperso il gruppo dei suoi collaboratori e amici, non riu­ sci piu ai Galli di dar vita a un'insurrezione «nazionale». I Bellovaci tentarono una ribellione nel 46, nel 44, alla notizia della morte di Cesare, ci provarono gli Allobrogi, nel 33 e nel3o gli Aquitani e i Morini; nel21 d. C. scoppiò una rivolta nella quale apparirono in posizione premi­ nente dei cittadini romani di origine gallica: Giulio Flo­ ro, Treviro, e Giulio Sacroviro, Eduo, entrambi alti uffi­ ciali, comandanti di coorte nell'esercito romano. Diffici­ le distinguere in questi movimenti la presenza di motiva­ zioni riferibili ad ambizioni di indipendenza gallica dalla partecipazione alle lotte per il controllo del potere impe­ riale e per la successione alrimpero: nel68 Giulio Vindi· ce, cittadino romano, aquitano di famiglia reale, procura­ tor (governatore) della Gallia Lugdunensis con sede ap­ punto a Lugdunum (Lione), prende posizione dalla par­ te di Gaiba, governatore della Spagna, che contende il trono a Nerone, ma viene battuto dalle legioni di Germa­ nia, fedeli a Nerone, e. si uccide. Nel7o, giunta la notizia che a Roma il Campidoglio è bruciato durante gli scontri tra i seguaci di Vitellio e quelli di Vespasiano, guidati da Sabino e da Domiziano, capeggiano una nuova ribellione quattro ufficiali, anch'essi comandanti di coorte, Civile, Tutore e Classico, treviri, e Sabino, di Lugdunum: a quel punto i Remi convocano un'assemblea di tutte le città della Gallia; vi si discute se conviene prendere le armi e rivendicare l'indipendenza dall'impero romano; la con­ clusione è negativa: i Galli sono soddisfatti della propria condizione di provincia dell'impero; l'assemblea ordina ai Treviri, il cui rappresentante, Tullio Valentino, soste­ nèva l'opportunità di chiamare tutti i Galli alla guerra contro i Romani, di deporre le armi; a difendere l'utilità per i Galli di restare sotto Roma fu il remo Giulio Auspi­ ce. Colpisce che ormai tutti i Galli menzionati come par-

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tecipi di questo avvenimento storico portassero nomi e cognomi romani. In realtà nel giro di d ue generazioni i ceti elevati, le famiglie illustri e colte, gli abitanti delle cit­ tà erano già romanizzati, portavano nomi latini, parlava­ no latino; e le città si sviluppavano, divenivano grandi e ricche, potenti nei commerci e nelle arti, ospitavano scuole di grammatica e di retorica. L'urbanizzazione fu forse la via principale della penetrazione della civiltà lati­ na (greco-romana) in Gallia e altrove. Processo del tutto simile e di durata analoga aveva portato la Gallia Cisalpi­ na e la Narbonese dentro al mondo latino: i poetae novi della Traspadana e della Provincia Narbonensis (Valerio Catone, Elvio Cinna, Cecilio, Furio Bibaculo, Catullo, traspadani; Publio Terenzio Varrone e Cornelio Gallo, narbonesi) appartennero alla seconda generazione dopo la riduzione a provincia romana del loro paese e mostra­ rono di possedere una compiuta e completa formazione culturale greco-latina, quale davano ai loro figli le nobili e agiate famiglie romane, tant'è che conquistarono posi­ zioni di rilievo nella letteratura, nella storia della cultura e nella politica romana (Gallo). È stato osservato che i Galli dovettero mettere tutta la loro buona volontà per romanizzarsi da sé; in effetti nella storia antica e moder­ na, salvo eccezioni rare e parziali, i popoli vinti, come scrisse Alphonse Dupront 6, si impegnarono sia colletti­ vamente sia a livello individuale per assimilarsi ai vincito­ ri: «il vincitore diventa il modello· del vinto, cupido del segreto del trionfo>>, non importa che lo scontro, dal quale sono usciti vinti, fosse militare o semplicemente abbia avuto luogo tra una cultura piu potente e una piu debole, tra una civiltà con valori piu generali e con prete­ se universali e una civiltà piu legata a condizioni partico­ lari e locali. Nondimeno qualche traccia di un carattere gallico o di un'aspirazione a non dilnenticare le proprie radici restò nella cultura dei Gallo-Romani: Pompeo Trogo, vissuto nell'età di Augusto, nato nella Gallia Nar­ bonese da famiglia di leali collaboratori del governo ro6 L 'acculturazione. Storia e scienze umane, trad. it. di Corrado Vivanti, Ei­ naudi, Torino r966.

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mano, originaria della popolazione gallica dei Vocontii (il nonno aveva prestato servizio militare al comando di Pompeo nella guerra contro Sertorio e da lui aveva otte� nuto la cittadinanza, donde il nome di famiglia Pompeo; lo zio aveva comandato squadroni di cavalleria nella guerra contro Mitridate, condotta sempre da Pompeo, il padre aveva militato al comando di Cesare), nel compor� re una storia universale centrata sulle popolazioni che si erano succedute nel dominio del mondo mostrava di considerare Roma come una delle nazioni imperiali, non come il centro della storia mondiale nel quale si assoro� mavano e si concludevano le storie degli altri popoli ca� duti via via sotto il suo dominio. E che non considerasse Roma il « telos » della storia universale è provato dal tito� lo che diede all'opera, Storie Filippiche, a signifiéare forse che l'imperialismo macedone rappresentò, a confronto con gli altri, anteriori e posteriori, l'episodio piu coerente e significativo. Certamente tale interpretazione derivò a Trogo dalla storiografia greca, ma rispondeva forse an� che a una domanda della cultura provinciale, che inten� deva almeno difendere resistenza e la funzione politica di altri centri diversi da Roma; i Romani di origine gallica nutrivano un'aspirazione all'autonomia, che sarebbe ma­ turata nel 111 secolo nella formazione di un impero gallo� romano, che per qualche tempo occupò il vuoto lasciato dal potere centrale.

4· I contemporanei e la grandezza di Cesare.

Già Catullo, suo contemporaneo, traspadano di Vero­ na (di una potente famiglia provinciale di cittadini roma­ ni, appartenente alla gens Valeria, forse legata da amicizia proprio a Cesare), si era trovato davanti al personaggio, alla sua grandezza, al crescere della sua figura, che nel be­ ne e nel male acquistava dimensioni mondiali e imperiali: nel carme II, databile nell'estate-autunno del 55 a. C., quando Cesare aveva appena concluso la sua prima spe­ dizione in Britannia, Catullo forse con ironia, ma certa-

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mente consapevole della grandezza dell'uomo, gli dedica un'intera strofe saffica dove è innegabile il riconoscimen­ to per una grandezza comunque appariscente e visibile: Sive trans altas gradietur Alpes, Caesaris visens monimenta mag ni, Gallicum Rhenum, horribilesque ulti­ mosque Britannos 7•

Nel carme 29, databile anch'esso al 51 a. C., dedicato a Mamurra, prae/ectus /abru1n, cioè comandante del genio, nell'armata di Cesare in Gallia, Catullo si rivolge a Cesare chiamandolo imperator unice: è forse un'eco o una cita­ zione di un'espressione di plauso e di entusiastico ap­ prezzamento dei suoi seguaci e fautori; dato il contesto, fortemente ironico e perfino osceno del carme, nel quale Catullo attacca insieme a C esare anche Pompeo, in quel momento alleati, non si può riconoscere alla citazione al­ cuna intenzione celebrativa; ma essa appunto registra un'opinione corrente e popolare, che stava creando il p ersonaggio di statura mondiale: eone nomine, imperator unice, fuisti in ultima occidentis insula, ut ista vostra di/fututa mentula ducenties comesset aut trecenties? 8•

La stessa citazione compare nel carme 14, non databi­ le, in un contesto di nuovo fortemente ironico e osceno, che si conclude con due frasi dirette a Cesare stesso: di­ splicere vellem tibie irascere iterum meis iambis inmeren­ tibus, uni ce imperator («vorrei dispiacerti» e «adirati di nuovo con i miei versi d'invettiva, che non se lo meritano, tu che sei l'unico, il generalissimo»); anche qui il poeta registra ancora, con acre ironia, l'esaltazione di cui è og­ getto Cesare. 7 [Sia che si scalino le alte Alpi, per vedere i luoghi che ricordano le im­ prese del grande Cesare, il Reno gallico, gli orribili (selvaggi) Britanni ai mar­ gini del mondo]. 8 [A questo titolo, tu che sei l'unico, il generalissimo, fosti nell'ultima iso­ la d'occidente, perché questa vostra minchia - Mamurra era protetto di Ce­ sare e di Pompeo - che troppo ha fottuto, si mangiasse venti o trenta milioni di se sterzi?]

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L'antipatia montante di Catullo, e verosimilmente del suo ambiente sociale di intellettuali e di nobiltà colta, esplode nel carme 57, dove Mamurra e Cesare vengono presentati come due finocchi, infarinati di letteratura, che creano giacendo fianco a fianco sul sofà: Pulchre convenii improbis cinaedis, Mamurrae pathicoque Caesarique. Morbosi pariter, gemelli utrique, uno in lecticulo erudituli ambo9• Infine alla magnanimità di Cesare che lo cercava per far pace (Quintiliano, Institutio oratoria XI 1.38) Catullo rispondeva con la semplicità geniale dei suoi migliori mo­ menti espressivi (carme 93, posteriore agli epigrammi 29 e .5 4): Nil nimium studeo, Caesar, tibi velle piacere, nec scire utrum sis albus an ater homo 10• Considerato che le nostre informazioni su Cesare e sul­ la sua immagine derivano da poche decine di testimo­ nianze e di testi, ci domandiamo qual era l'opinione delle masse: ebbene, sui temi toccati da Catullo, Svetonio, bio­ grafo forse incline a pettegole ricerche nelle vicende inti­ me dei grandi, ci ha lasciato testimonianza di quanto can­ tavano i soldati romani entrando nelle città galliche con­ quistate: Urbanz� servate uxores: moechum calvum addu­ cimus (cittadini, mettete in salvo le mogli: portiamo un adultero calvo) e delle canzoni che accompagnarono il trionfo per la conquista della Gallia celebrato a Roma nelr estate del 46 a. C.: Gallias Caesar subegit, Nicomedes Caesarem; ecce Gaesar nunc triumphat qui subegit Gallias, Nicomedes non triumphat qui subegit Caesarem, dove si fa riferimento a un rapporto omosessuale intercorso tra Ce­ sare il giovane e Nicomede re di Bitinia 11• 9 [L'armonia è completa tra gli svergognati finocchi, il p assivo Mamurra e Cesare. Del pari passivi, due gemelli, entrambi infarinati di letteratura, diste· si sopra un solo sofà]. 10 [Non desidero troppo di volerti piacere, né di sapere se sei bianco o ne· ro]. 11 [ Cesare ha sottomesso le Gallie, Nicomede Cesare; ecco che ora trionfa Cesare, che sottomise le Gallie, non trionfa Nicomede, che sottomise Cesa­ re].

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La statura gigantesca, la misura universale di Cesare (in altri tempi e in altre culture sarebbe stato considerato un eroe, un semidio) era apparsa evidente già ai contempo­ ranei : Virgilio nelle Georgiche (l 463-488) descrive i segni che cielo, terra, realtà naturali e soprannaturali diedero della prossima u ccisione : Solem quis dicere falsum audeat ille etiam caecos instare tumultus saepe monet fraudentqtte et operta tumescere bella. Ille etiam extincto miseratur Caesare Romam) eu m caput ohscura nitidum ferrugine texit� impiaque aeternam timuerunt saecula n octem. Tempore quamquam ilio tellus quoque et aequora ponti obscenaeque canes importunaeque volucres signa dabant. Quotiens Cyclopum e/fervere in agros vidimus untlantem ruptis /ornacihus Aetnam, f/ammarumque globos liquefactaqtte volvere saxa.' Armorum sonitum toto Germania caelo audiit, insolitis tremuerunt motibus Alpes. Vox qt�oque per lucos volgo exaudita silenttj· ingens, et simulacra modis pallentia miris visa sub obscurunt noctis., pecudesque, locutae, infandum, sistunt amnes terraeque dehiscunt et maestum inlacrimat templis ebur aeraque sudant. Proluit insano con torquens vertice silvas fluviorum rex Eridanus) camposque per omnis cum stabulis armenta tulit. Nec tempore eode"t tristibus aut extls fibra e apparere minaces aut puteis trJanare cruor cessavi!, et altae per noctem resonare lupis ululatibus urbes. Non alias caelo ceciderunt plura sereno fulgura, nec diri totiens arsere cotnetae 12• 12 {Chi osa dire che il Sole mente? Egli spesso avvisa anche dell'imminen­ za di clandestine agitaz ioni e di tradimenti e del matu rare di guerre ()Cculte. Egli anche mostrò la sua co•npassione per Roma quando Cesare fu spen to, al� Jorché copri il capo splendente di scura caligine, e le empie generazioni te­ mettero un'eterna notte. Ma in quel tempo anche la terra e le acque del mare e le cagne impudiche e gli uccelli insolenti mandavano segni. Quante volte vedemmo rotte le fornaci l'Etna eruttante ribollire nei campi dei Ciclopi, e

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In dodici anni - tanto durarono la conquista della Gal­ lia e le guerre civili, dal ;8 al 46 - Cesare acquisf la statura del generale invincibile e del grande capo politico; quan­ do questa impresa era cominciata, nel ;8, Cesare, traver­ sando le Alpi per raggiungere il lago Lemano e affrontare gli Elvezi, aveva dichiarato che avrebbe preferito essere il primo in un villaggio alpino piuttosto che il secondo a Roma. ADRIANO PENNACINI

rotolare globi di fiamme e sas�i liquefatti ! Rumore di armi in tutto il cielo la Germania udi, tremarono per inconsueti movimenti le Alpi. E ancora: forte fu udita da molti per i boschi silenziosi una voce, e statue furono viste miraco· losamente impallidire nel buio della notte, e, orrore, il best ia me fu udito par· lare, i fiumi si arrestano e le terre si aprono, e gli avori nei templi piangono tri­ sti lacrime e i bronzi sudano. Eridano, il re dei fiumi, inonda e sradica con un folle vortice le selve, e porta dappertutto per i campi gli a nnenti con le loro st alle Nel medesimo tempo non cessarono (nei sacrifici) di apparire minac­ ciose le viscere con interiora di cattivo augurio né cessò di colare sangue dai pozzi, e di notte le alte città risuonarono senza cessa di ululati di lupi Non di­ ve rsa mente a ciel sereno parecchie folgori caddero e, crudele augurio, altret­ tante comete brillarono] . .

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La collocazione cronologica di alcuni episodi della biografia di Cesare relativi ai primi anni della sua attività politica e milita­ re, e antecedenti al definitivo ingresso nel cursus honorum con la questura del 69, viene soltanto vagamente indicata nelle fonti e rimane perciò tuttora dibattuta e poco sicura. Le date indicate nella tavola che segue sono quelle del calendario ufficiale. Negli anni precedenti all'introduzione del calendario giuliano, che entrò in vigore nel 4.5, causa l'irregolarità delle intercalazioni, si verificò un notevole sfasamento tra calendario civile e calenda­ rio astronomico. Dove la discrepanza è sostanziale, accanto alle date pre-giuliane, viene indicato anche il loro corrispondente astronomico secondo i due sistemi di conguaglio, tra loro in­ conciliabili e variamente accolti dagli autori moderni, elaborati dagli astronomi U. Le Verrier (« sistema Le Verrier ») e L. Hol­ zapfel (poi ripreso nella Geschichte Roms di W. Drumann e P. Groebe [Berlin 19032] , III, pp. 75.5-827, e perciò universalmente noto come « sistema Groebe ») . Ove l'indicazione consti di tre date, la prima si riferisce quindi a quella del calendario ufficiale pre-giuliano, mentre la seconda e la terza sono quelle astrono­ miche conguagliate, nell'ordine, secondo i sistemi Le Verrier e Groebe. IOO

Gaio Giulio Cesare nasce a Roma il 13 luglio dal patrizio Gaio Giulio Cesare (pretore nel c. 92) , e da Aurelia, della famiglia de­ gli Aure/ii Cottae e forse sorella dei consoli del 7.5, 74 e 6.5 . La so­ rella del padre, Giulia, aveva sposato Gaio Mario (l'anno della nascita, il Ioo, è quello che si ricava dalla maggioranza delle fonti ; alcuni studiosi moderni, sulla base del suo cursus honorum , anti­ cipano peraltro l'evento di due anni) . 84 Cesare sposa Cornelia, figlia di Cinna. N ello stesso periodo, per volere del suocero, riceve la nominatio per il sacerdozio di

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/lamen Di'alis, ma, non possedendo i requisiti necessari per l'ar­ caica dignità, non giunge alla consacrazione (inauguratio) .

82 Resiste alle pressioni di Silla, che, nutrendo verisimilmente progetti sul suo conto, gli impone di divorziare da Cornelia, ed è costretto a riparare nella Sabina. 81-So Cesare compie le sue prime esperienze militari in Asia Minore agli ordini di Marco Minucio Termo, si distingue nella presa di Mitilene e viene decorato con la corona civica. 77- 7 6 Ritornato a Roma, in due successivi processi accusa i sillani Gneo Cornelio Dolabella e Gaio Antonio Hibrida di malversa­ zioni in Grecia e, pur non ottenendo la loro condanna, si impone all'attenzione per la grande abilità oratoria. 75-74 Cesare si reca a Rodi per seguire le lezioni del maestro di elo­ quenza Apollonio Molone. Durante il viaggio (fine del 7.5) cade in mano dei pirati: rilasciato dietro il pagamento di un riscatto, dà loro la caccia e, alla testa di una flotta, li cattura e, di sua inizia­ tiva, li fa crocifiggere. 73 Allo scoppio della guerra mitridatica, nella primavera, Cesare passa in Asia da Rodi e, con un esercito privato, respinge dalla provincia un contingente di truppe ponti che. Alla notizia di esse­ re stato cooptato nel collegio dei ponti/ices fa ritorn·o a Roma. Nello stesso anno, rimane incerto se prima o dopo il rientro nella capitale, lo troviamo in Grecia, come legato, al seguito di Marco Antonio Cretico, padre del futuro triumviro, nella campagna da questi condotta contro i pirati (SIG3 748) . 72

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Cesare è tribuna militare. In questo periodo partecipa con fer­ vore al movimento per la restituzione dei poteri e dell'autorità del tribunato della plebe. 70 Appoggia l'approvazione della lex Plautia (o Plotia) che resti-

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tuiva la cittadinanza ai seguaci di Emilio Lepido e di Quinto Ser­ to rio. 69 Cesare ricopre la questura. Pronuncia nel foro r orazione fu­ nebre per la zia Giulia, moglie di Mario, e fa portare nel funerale le imagin es dei Marii. Muore Cornelia. Dall a primavera, o dall'e­ state, egli si trova nella Spagna Ulteriore al servizio del propreto­ re Gaio Antistio Vetere. 67 Cesare, unico tra i senatori, si schiera a favore della lex Gabi­ nia che attribuiva a Pompeo, con ampi poteri, il comando della guerra contro i pirati. 66 Cesare è uno dei principali sostenitori della lex Manilia che conferiva a Pompeo il comando della guerra contro Mitridate. Alla fine dell'anno « prima congiura di Catilina »: Cesare sarà in seguito sospettato di averne fatto parte. 6' Cesare è edile curule. L'organizzazione grandiosa di giochi gladiatori gli assicura il favore della plebe urbana. Egli fa inoltre restaurare i trofei di Gaio Mario, abbattuti da Silla. 63 Consolato di Marco Tullio Cicerone. Il tribuna della plebe Publio Servilio Rullo presenta una legge agraria che prevedeva assegnazioni di terre e deduzioni coloniarie. La proposta è re­ spinta. Cesare, prevalendo su candidati piu anziani e autorevoli, viene eletto pontefice massimo (in precedenza, confermando la sua linea popularis, di concerto con Tito Labieno, aveva fatto processare Gaio Rabirio per l'uccisione, trentasette anni prima, di Saturnino) . Verso la fine dell'anno viene scoperta la congiura di Catilina: il dibattito in senato si conclude con la condanna a morte dei responsabili. Cesare, pretore designato, si schiera con­ tro la pena capitale e propone il carcere perpetuo e la confisca dei beni. In Oriente, campagne di Pompeo in Siria e Palestina. Ritor­ nato in Asia Minore, egli provvede all'assetto definitivo dei terri­ tori occupati e dei regni vassalli lasciati indipendenti, tra i quali la Giudea. Mitridate VI Eupatore, re del Ponto, si uccide in seguito ad una rivolta in Crimea guidata dal figlio Famace. Questi ottie-

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ne da Pompeo il Bosforo Cimmerio e il titolo di « re amico e allea­ del popolo romano ».

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Cesare è pretore, probabilmente urbano. I rivoltosi guidati da Catilina sono sopraffatti presso Pistoia dall'esercito consolare. Catilina cade in battaglia con buona parte dei suoi. Cesare è ac­ cusato di complicità con i congiurati da alcuni informatori ma, facendo valere i suoi poteri di magistrato, ne ottiene l'imprigio­ namento. Tribunato della plebe di Marco Porcio Catone, già di­ stintosi per la sua intransigenza di fronte ai Catilinari. Pompeo ri­ torna dall'Oriente e, sbarcato a Brindisi in dicembre, scioglie l'e­ sercito in attesa del trionfo. 61 Cesare è governatore della Spagna Ulteriore: campagne con­ tro Lusitani e Calleci nelle regioni occidentali della penisola ibe­ rica. Nell'autunno Pompeo celebra grandiosamente il trionfo per le vittorie in Oriente, ma non riesce a ottenere la ratifica del­ l' assetto dato ai territori conquistati né una distribuzione di terre a favore dei suoi veterani. Gli appaltatori delle imposte della pro­ vincia d'Asia, ap oggiati da Crasso, richiedono senza successo una revisione de contratto d'appalto, giudicato poco luc roso Una ribellione in Gallia è repressa dal governatore Gaio Pomp­ tino.

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6o Cesare viene eletto al consolato per il .5 9 grazie all'appoggio di Pompeo e Crasso («primo triumvirato »: accordo privato di reci­ proco sostegno politico fra i tre) . 59

Cesare onora l'impegno contratto con i suoi alleati facendo approvare, in un clima di violenza, i provvedimenti da essi solle­ citati: ratifica dell'organizzazione data all'Oriente (Pompeo) e agevolazioni ai publicani (Crasso) . Due leggi agrarie risolvono inoltre il problema dei veterani di Pompeo, allargando tuttavia le assegnazioni anche ai bisognosi con famiglie numerose. Pompeo sposa Giulia, figlia di Cesare. Una legge Vatinia affida a Cesare per cinque anni il proconsolato dell'ill irico e della Gallia Cisalpi­ na, cui per decisione del senato viene aggiunta la Gallia Nar­ bonese. Tolomeo XII Aulete viene riconosciuto re legittimo del­ l'Egitto e alleato di Roma.

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Tribunato di Publio Clodio (l'anno precedente passato alla plebe mediante l'espediente di una fittizia adozione da parte di un Fonteio) . Uno dei plebisciti da lui proposti è diretto contro Cicerone che, per la condanna senza processo dei Catilinari, è costretto a lasciare Roma (20 marzo) e all'esilio. Cesare, giunto in Gallia verso i primi di aprile, ricaccia gli Elvezi nei loro territori e sconfigge in Alsazia i Germani di Ariovisto costringendoli a ri­ piegare al di là del Reno (inizi di settembre) . Cipro viene annessa alla provincia di Cilicia e Catone allontanato da Roma con l'inca­ rico di inventariare i beni del deposto re Tolomeo, fratello dell'Aulete. Quest'ultimo è costretto a lasciare il trono da una sommossa scoppiata ad Alessandria . .5 7 Pompeo, preoccupato per l'ascesa di C lodi o, gli cont rappone le bande armate di Tito Annio Milone e Publio Sestio e riesce a far votare il ritorno di Cicerone (a Roma i1 4 settembre) . In Gallia Cesare si rivolge contro le tribu dei Belgi e ottiene un'importante vittoria sui Nervi (il senato decreta feste di ringraziamento per quindici giorni) . Verso la fine dell'anno, in seguito a una crisi agraria, Pompeo viene incaricato dell'amministrazione dell'an­ nona con imperio proconsolare quinquennale e facoltà di nomi nare 1.5 legati. 56

I rapporti tra i triumviri, anche per la sempre piu decisa azione degli ottimati, si fanno critici. Particolare apprensione suscita l'annunciata candidatura al consolato di Lucio Domizio Enobar­ bo. L'alleanza esce riconfermata dal convegno di Lucca (metà di aprile) : Pompeo e Crasso decidono di presentarsi al consolato per il .5 .5 con l'impegno di prorogare il comando provinciale di Cesare per un secondo quinquennio. Crasso avrebbe poi avuto con ampi poteri per cinque anni il governo della Siria, mentre a Pompeo sarebbe andato, con uguale durata, quello delle Spagne, con la facoltà di rimanere tuttavia a Roma. Al suo ritorno in Gal­ lia, Cesare sottomette i Venelli (in Normandia) e annienta i Ve­ neti (in Bretagna), mentre il legato Publio Licinio Crasso, figlio del triumviro, sconfigge gli Aquitani. 55

Secondo consolato di Pompeo e Crasso, eletti in gennaio in un clima di violenza. Una serie di leggi mette in atto gli accordi presi dai triumviri a Lucca. Cesare assale e stermina le tribu germani-

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che di Tencteri e Usipeti, che erano passate in territorio galli co, e, costruito un ponte sul Reno, trascorre diciotto giorni al di là del fiume compiendo scorrerie ai danni dei Sugambri. In autun­ no sbarca in Britannia giungendo fino al Tàmesis (Tamigi) (nuo­ ve feste di ringraziamento decretate dal senato) . Aulo Gabinio dalla Siria invade l'Egitto e, dietro congrua ricompensa, riporta sul trono Tolomeo XII Aulete (primavera) . 54

Crasso parte per la Siria per iniziare le operazioni contro i Par­ ti, ma Pompeo rimane nelle vicinanze di Roma per occuparsi del­ l'approvvigionamento granario. Morte di Giulia (agosto) . L'an­ no si conclude senza che i nuovi consoli siano stati eletti. Di fron­ te alla situazione di crescente anarchia si fa strada l'idea, av­ versata da Catone, di affidare a Pompeo la dittatura. Seconda spedizione, con piu ampie forze, di Cesare in Britannia (agosto e settembre) . Nell'autunno nuovi tentativi di rivolta nella Gallia nordorientale vengono repressi, talora anche con gravi perdite romane. 53

Tumulti a Roma. I consoli vengono eletti soltanto a luglio e, per la violenza scatenata dalle bande di Clodio e Milone, non rie­ scono a tenere i comizi elettorali per il ,2. Crasso è severamente sconfitto dai Parti a Carre: durante la ritirata egli stesso cade in un agguato ed è ucciso (9 giugno) . Cesare è impegnato, sin dal­ l'inverno, in dure spedizioni punitive contro Netvi, Treveri e Eburoni. Nuova azione dimostrativa al di là del Reno. 52

Clodio viene ucciso in uno scontro tra le sue bande e quelle di Milone sulla via Appia (18 gennaio) . I ciadiani incendiano la Cu­ ria e la vicina Basilica Porcia. TI senato affida la tut da dell'ordine a Pompeo che viene eletto console sine collega (2 5 del mese inter­ calare) . Una serie di processi de··vi determinano la condanna di miloniani e ciadiani. Milo ne, pur difeso da Cicerone (e appog­ giato da Catone) , deve andare in esilio a Marsiglia. Contradditto­ rie leggi sulla candidatura al consolato con esiti incerti sulla pos­ sibilità o meno, da parte di Cesare, di presentare la sua candida­ tura rimanendo in Gallia. In agosto Metello Scipione è eletto console a fianco di Pompeo. L'intera Gallia insorge sotto la gui­ da di Vercingetorige. Pronta reazione di Cesare, che, dopo qual­ che successo, viene però sconfitto a Ge�govia, capitale degli Ar­ verni. Ristabilite a suo favore le sorti della guerra grazie a un de­ cisivo successo sulla cavalleria nemica, Cesare assedia Vercinge-

Cronologia

xxxv

torige ad Alesia e, resistendo agli attacchi dei Galli accorsi in aiu­ to degli assediati, la prende per fame ( settembre) . 51 La provincia della Gallia Transalpina è finalmente « pacifica­ ta » e riceve· la sua definitiva organizzazione. Pubblicazione dei commentari de bello Gallico. A Roma gli attacchi degli ottimati si fanno sempre piu decisi : il console Marco Claudio Marcello po­ ne in senato la questione della successione di Cesare in Gallia proponendo, senza successo, il suo richiamo nella capitale. 50 Discussioni sulla durata del comando provinciale di Cesare e sul suo diritto a presentare la candidatura al consolato per il 48 « in assenza ». I Marcelli insistono per il richiamo. Irrigidimento di Pompeo. Gaio Scribonio Curione propone in senato che Ce­ sare e Pompeo lascino entrambi i loro comandi : la mozione, pur approvata a larghissima maggioranza, non ha seguito. Gli eventi precipitano verso la guerra civile. 49 Nonostante i tentativi di avvicinamento da parte di Cesare (r0 gennaio = 6 dicembre 50 = 14 novembre 50), il senato decide per l'ultimatum e gli intima di congedare l'esercito ( 7 gennaio) . Cesa­ re passa il Rubicone (Io- I I gennaio) e viene raggiunto a Rimini dai tribuni Marco Antonio e Quinto Cassio Longino: scoppia la guerra civile. I cesariani conquistano agevolmente l'Italia centra­ le ( compreso il Piceno, tradizionale feudo dei Pompei) . Pompeo, ritiratosi a Brindisi con le sue truppe, lascia l'Italia per l'Epiro (17 marzo = 17 febbraio = 26 gennaio) . Cesare, dopo una breve sosta a Roma (I0-7 aprile), passa in Spagna dove, presso Ilerda (Leri­ da), ha ragione dei luogotenenti pompeiani, che, i1 2 agosto, si ar­ rendono. Curione, inviato da Cesare in Africa, è annientato dalle forze del re numida Giuba (c. 20 agosto 20 luglio 28 giugno) . Capitolazione di Marsiglia (25 ottobre = 24 settembre = 30 ago­ sto) . Prima dittatura di Cesare, nuovamente a Roma tra il 2 e il 13 dicembre. Immediata partenza per Brindisi all'inseguimento di Pompeo. La cittadinanza romana è estesa a tutta la Gallia Cisal­ pina. =

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48 Secondo consolato di Cesare. In Italia agitazioni per il proble­ ma dei debiti. Disordini guidati da Milone e Marco Celio Rufo sono repressi con la forza. Cesare assedia Pompeo a Dyrrha-

Cronolog ia

XXXVI

chium (Durazzo), ma, impedito nei rifornimenti, marcia alla vol­ ta della Tessaglia. La guerra si decide a Farsàlo, dove Cesare sfrutta la superiore efficienza del suo esercito (9 agosto 29 giu­ gno 7 giugno) . Pompeo fugge in Egitto confidando nella rico­ noscenza dei Tolomei, ma è ucciso a tradimento (28 settembre = 16 agosto 25 luglio) . Cesare, nominato dittatore per la seconda volta, giunge ad Alessandria tre giorni dopo (2 ottobre) e si trova coinvolto nei conflitti dinastici tra Tolomeo XIII e Cleopatra, fi­ gli delrAulete: schieratosi con Cleopatra, è assediato nella città dalle truppe del primo. =

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47 A Roma il tribuna Publio Cornelio Dola bella riprende la poli­ tica demagogica di Celio Rufo sui debiti, promuovendo nuove agitazioni. In Egitto Cesare, ricevuti i rinforzi, annienta Tolomeo XIII (2 7 marzo 6 febbraio 1.5 gennaio) e, lasciato il regno a Cleopatra, verso la fine di giugno parte per l'Asia Minore, dove Farnace tentava di rinverdire i progetti espansionistici paterni : fulminea campagna e vittoria a Zela (2 agosto = 12 giugno = 21 maggio) . Al ritorno a Roma (primi di ottobre) , affronta con nuo­ vi provvedimenti la questione dei debiti. Alla fine di dicembre è comunque pronto a passare in Africa, roccaforte delle forze che ancora gli si oppongono. =

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46 Terzo consolato di Cesare. Le forze congiunte dei pompeiani e del re Giuba sono sbaragliate a Tapso (6 aprile = 6 febbraio 7 febbraio) . Suicidio di Catone a Utica (12 aprile ?) . Morte di Me­ tello Scipione. La Numidia è ridotta a provincia con il nome di Africa nova. Cesare è nominato dittatore per dieci anni consecu­ tivi. Ritornato a Roma (2.5 luglio = 2.5 maggio = 26 maggio) cele­ bra con grandiosa magnificenza quattro trionfi . Intensa attività legislativa. Riforma del calendario. Verso la fine dell'anno Cesare lascia la capitale alla volta della Spagna Ulteriore, dove i figli di Pompeo, Gneo e Sesto, avevano pericolosamente ripreso la te­ sta delle ancora numerose clientele paterne. Verso la fine dell 'an­ no Cicerone pubblica il suo Cato, in cui esalta la figura dell'Uti­ cense. =

45 Cesare è console si'ne collega fino al I0 ottobre, quando gli su­ bentrano Quinto Fabio Massimo e Gaio Trebonio. I pompeiani sono definitivamente vinti a Mun da (17 marzo) . Riorganizzazio ­ ne delle province iberiche. Cesare compone l'Anticato . Rientrato a Roma, dopo una sosta nella villa di Labici nel Lazio (durante la

Cronologia

XXXVII

quale redige il testamento disponendo l'adozione del pronipote Gaio Ottavio), verso i primi di agosto, Cesare celebra un quinto trionfo, il primo per una vittoria conseguita su cittadini romani. Riorganizzazione delle strutture dello stato romano (ampliamen­ to del senato e del numero delle magistrature regolari, ecc.) e provvedimenti amministrativi. Preparativi per la progettata spe­ dizione partica. 44 Quinto consolato di Cesare, che verso i primi di febbraio assu­ me anche la dittatura perpetua. Nuovo cumulo di onori da parte del senato. Alla festa dei Lupercali (15 febbraio) Marco Antonio gli offre il diadema, simbolo della regalità, ma Cesare, applaudito dal popolo, rifiuta. Ulteriori tentativi monarchici. Una congiura riunisce una sessantina di repubblicani: il 1.5 marzo, alla vigilia della partenza per la campagna in Oriente, il dittatore è ucciso nella Curia Pompeia. [A cura di Michele Faraguna]

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19. [I] Il luogo del campo era elevato e vi si giungeva per un dolce pendio di circa mille passi 1• I Galli vi si di­ ressero di gran corsa, per lasciare il minor tempo possibi­ le ai Romani di radunarsi e armarsi, e vi giunsero senza fiato . [2] Sabino, dopo l'esortazione, dà ai suoi il segna­ le tanto atteso. Comanda che si faccia in fretta una sortita da due porte, mentre i nemici sono impacciati dai pesi che portavano. [3] Per la posizione favorevole, per l'i­ nesperienza e la stanchezza dei nemici, per il valore dei

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Bellum Gallicum

virtute militum et superiorum pugnarum exercitatione, ut ne unum quidem nostrorum impetum ferrent ac sta­ tim terga verterent . [4] Quos impeditos integris viribus milites nostri consecuti magnum numerum eorum occi­ derunt reliquos equites consectati paucos qui ex fuga evaserant reliquerunt. [5] Sic uno tempore et de navali pugna Sabinus et de. Sabini victoria Caesar est certior fac­ tus, civitatesque omnes se statim Titurio dediderunt. [6] Nam ut ad bella suscipienda Gallorum alacer ac promptus est animus, sic mollis ac minime resistens ad calamitates ferendas mens eorum est.

20. [I] Eodem fere tempore Publius Crassus, cum in Aquitaniam pervenisset, [quae pars ut ante dictum est et regionum latitudine et moltitudine hominum ex tertia parte Galliae est aestimanda, ] cum intellegeret in iis locis sibi bellum gerendum ubi paucis ante annis Lucius Vale­ rius Praeconinus legatus exercitu pulso interfectus esset atque unde Lucius Manlius proconsul impedimentis amissis profugisset, non mediocrem sibi diligentiam ad­ hibendam intellegebat. [2] ltaque re frumentaria provi­ sa, auxiliis equitatuque comparato, multis praeterea viris fortibus Tolosa et Narbone - quae sunt civitates Galliae provinciae finitimae his regionibus - nominatim evocatis in Sotiatium fines exercitum introduxit . [3 ] Cuius ad­ ventu cognito Sotiates magnis copiis coactis equitatuque, quo plurimum valebant praemisso, in itinere agmen nos­ trum adorti primum equestre proelium commiserunt, [4] deinde equitatu suo pulso atque insequentibus nos­ tris subito pedestres copias quas in convalle in insidiis conlocaverant ostenderunt. Hi nostros disiectos adorti prodium renovarunt. 21. [I] Pugnatum est diu atque acriter, cum Sotiates superioribus victoriis freti in sua virtute totius Aquita­ niae salutem positam putarent, nostri autem quid sine imperatore et sine reliquis legionibus adulescentulo duce efficere possent perspici cuperent. Tandem confecti vul­ neribus hostes terga verterunt. [2] Quorum magno nu-

Libro terzo (r9.4)

123

soldati e l'esperienza acquisita nelle battaglie precedenti, avvenne che non resistettero nemmeno ad un solo attac­ co dei nostri e subito volsero la schiena . [4] Impacciati com'erano, furono inseguiti dai nostri soldati, freschi di forze, che ne uccisero g�an numero, i cavalieri inseguiro­ no gli altri e ne lasciarono vivi pochi, che si erano separati dal grosso dei fuggiaschi. [5] Cosi contemporaneamen­ te Sabino ebbe notizia della battaglia navale e Cesare del­ la vittoria di Sabino, e tutte le nazioni si arresero subito a Titurio. [6] Infatti come alacre e pronto a metter mano alle guerre è l'animo dei Galli, cosi fragile e poco resisten­ te nel sopportare le disgrazie è il loro carattere 2 • 2 0 . [I] Quasi contemporaneamente 1 Publio Crasso, giunto in Aquitania, regione, come già detto, che sia per l'estensione sia per la popolazione è da considerarsi una terza parte della Gallia 2, comprendendo di dover con­ durre la guerra in quei luoghi dove pochi anni prima il luogotenente Lucio Valeria Preconino 3 era stato sbara­ gliato e ucciso e donde il proconsole Lucio Manlio era fuggito abbandonando i bagagli 4, comprendeva di dover applicare non poca diligenza. [2] Pertanto, approvvi­ gionatosi di frumento, procurate truppe ausiliarie e ca­ valleria, inoltre richiamati individualmente ' molti valo­ rosi soldati di Tolo sa e di N arbona 6, città della provincia Gallia confinanti con quelle regioni, entrò con l'esercito nel paese dei Soziati-7. [3] Questi, informati del suo ar­ rivo, radunarono truppe numerose e, mandata avanti la cavalleria, nella quale erano fortissimi, assalirono per via il nostro esercito in ordine di marcia attaccando dappri­ ma un combattimento equestre; [4] poi, respinta la loro cavalleria ed inseguita dai nostri, fecero apparire le fante­ rie, che avevano collocate agli agguati in una valle. Que­ ste assalirono i nostri sparpagliati e rinnovarono il com­ battimento. 21. [I] Si combatté a lungo e duramente: i Saziati, fondandosi sulle loro precedenti vittorie, reputavano che la salvezza dell'intera Aquitania dipendesse dal loro valo­ re; i nostri per parte loro desideravano che si vedesse che cosa fossero capaci di fare senza il generale e senza le altre legioni 1, con un giovane capo ; alla fine i nemici, sfiniti dalle ferite, volsero la schiena. [2] Uccisone un gran nu-

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Bellum Gallicum

mero interfecto Crassus ex itinere oppidum Sotiatium oppugnare coepit. Quibus fortiter resistentibus vineas turresque egit. [3] Illi alias eruptione temptata, alias cu­ niculis ad aggerem vineasque actis - cuius rei sunt longe peritissimi Aquitani, propterea quod multis locis apud eos aerariae secturaeque sunt -, ubi diligentia nostrorum nihil bis rebus profici posse intellexerunt, legatos ad Crassum mittunt, seque in deditionem ut recipiat petunt. Qua re impetrata arma trade�e iussi faciunt.

22. [I] Atque in ea re omnium nostrorum intentis ani­ mis alia ex parte oppidi Adiatuanus, qui summam impe­ rii tenebat , curo ne devotis, quos illi soldurios appel­ lant, [2] quorum baec est condicio uti omnibus in vita commodis una cum iis fruantur quorum se amicitiae de­ diderint, siquid bis per vim accidat, aut eundem casum una ferant aut sibi mortem consciscant; [3] neque ad­ huc hominum memoria repertus est quisquam qui eo in­ terfecto, cuius se amicitiae devovisset, mortem recusa­ ret . [4] Cum his Adiatuanus eruptionem facere conatus clamore ab ea parte munitionis sublato cum ad arma mi­ lites concurrissent vehementerque ibi pugnatum esset, repulsus in oppidum tamen uti eadem deditionis condi­ ciane uteretur a Crasso impetravit. 23 . [I] Armis obsidibusque acceptis Crassus in fines Vocatium et Tatusatium profectus est . [2] Tum vero barbari commoti, quod oppidum et natura loci et manu munitum paucis diebus quibus eo ventum erat expugna­ tum cognoverant, legatos quoque versus dimittere, co­ niurare, obsides inter se dare, copias parare coeperunt. [3 ] Mittuntur etiam ad eas civita tes legati quae sunt cite­ rioris Hispaniae finitimae Aquitaniae; inde auxilia duces­ que arcessuntur. [4] Quorum adventu magna cum ala­ critate et magna hominum multitudine bellum gerere conantur. [5] Duces vero ii deliguntur, qui una cum

Libro terzo (2 I.3)

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mero Crasso prosegui la marcia interrompendola solo per assalire la città dei Soziati 2• Trovandovi una forte re­ sistenza fece avvicinare vigne e torri 3 • [3] I nemici ora tentavano una sortita, ora scavavano dei cunicoli fino al terrapieno e alle vigne (gli Aquitani hanno in questo esperienza grandissima, perché in molti luoghi nel loro paese vi sono miniere di rame e cave di pietra) 4, ma quan­ do compresero che per la diligenza dei nostri con queste operazioni non si otteneva alcun vantaggio, m.andano ambasciatori a Crasso e chiedono che accetti la loro resa. La resa viene accettata ed è loro impartito l'ordine di consegnare le armi, che essi eseguono. 22. [I] E mentre l'attenzione di tutti i nostri era volta alla consegna delle armi, da un' altra parte della città il ca­ po dei Soziati Adiatuano 1 prese con sé seicento fedeli : i Galli li chiamano solduri 2; [2] la loro posizione è rego­ lata dal patto di godere di tutti gli agi della vita insieme con coloro alla cui amicizia essi si sono dedicati; se poi a questi accade qualcosa di violento, o affrontino insieme la medesima fortuna o si diano la morte; [3 ] e finora a memoria d'uomo non si è trovato alcuno che rifiutasse di morire quando fosse stato ucciso l'uomo alla cui amicizia si era votato. [4] Con tali uomini Adiatuano tentò di fa­ re una sortita; ma levate da quella parte della fortificazio­ ne alte grida i soldati corsero alle armi e si combatté colà con violenza ; Adiatuano ricacciato nella città tuttavia ot­ tenne da Crasso di avvalersi delle medesime condizioni di resa che gli altri. 2 3. [I] Crasso, ricevute armi e ostaggi, parti per il paese dei Vocati e dei TarusatP . [2] Allora i barba­ ri, turbati dalla notizia della conquista, avvenuta in po­ chi giorni dopo l'arrivo, di una città forte sia per posizio­ ne naturale sia per l'intervento dell'uomo, cominciarono a mandare in ogni parte ambasciatori, a prendere impe­ gni reciproci, a scambiarsi ostaggi, a preparare truppe. [3] Vengono mandati ambasciatori anche alle nazioni che appartengono alla Spagna Citeriore, confinanti con l'Aquitania : di li fanno venire truppe ausiliarie e coman­ danti. [4] E all'arrivo di questi con grande sicurezza e gran numero di uomini 2 cominciano la guerra. [5] Co­ me comandanti vengono scelti quegli ufficiali che erano

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Bellum Gallicum

Quinto Sertorio omnes annos fuerant summamque scientiam rei militaris habere existimabantur. [6] Hi consuetudine populi Romani loca capere, castra munire, commeatibus nostros intercludere instituunt . [7] Quod ubi Crassus animadvertit suas copias propter exiguita .. tem non facile diduci, hostem et vagari et vias obsidere et castris satis praesidii relinquere, ob eam causam minus commode frumentum commeatumque sibi supportari, in dies hostium numerum augeri, non cunctandum exis­ timavit quin pugna decertaret. [8] Hac re ad consilium delata ubi omnes idem sentire intellexit, posterum diem pugnae constituit . 24. [1] Prima luce productis omnibus copiis, duplici acie instituta, auxiliis in mediam aciem coniectis, quid hostes consilii caperent exspectabat. [2] Illi etsi propter multitudinem et veterem belli gloriam paucitatemque nostrorum se tuto dimicaturos existimabant, tamen tu­ tius esse arbitrabantur obsessis viis co :nmeatu intercluso sine vulnere victoria potiri, [3 ] et si propter inopiam rei frumentariae Romani se recipere coepissent, impeditos in agmine et sub sarcinis inferiores animo adoriri cogita­ bant. [4] Hoc consilio probato ab ducibus productis Romanorum copiis sese castris tenebant . [5 ] Hac re perspecta Crassus, cum sua cunctatione atque opinione timoris hostes nostros milites alacriores ad pugnandum effecissent atque omnium voces audirentur exspectari diutius non oportere quin ad castra iretur, cohortatus suos omnibus cupientibus ad hostium castra contendit. 25. [I] Ibi cum alii fossas complerent, alii multis telis coniectis defensores vallo munitionibusque depellerent, auxiliaresque quibus ad pugnam non multum Crassus confidebat, lapidibus telisque subministrandis et ad ag­ gerem caespitibus comportandis speciem atque opinio ..

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stati ininterrottamente con Quinto Sertorio e si stimava che avessero somma scienza di arte militare 3• [6] Questi stabiliscono di prendere posizione, fortificare il campo, intercettare ai nostri i rifornimenti, secondo i sistemi di guerra del popolo romano. [7] Ora, quando Crasso si avvide che, mentre le sue truppe per la loro esiguità non potevano facilmente essere divise, il nemico invece si spostava qua e là, bloccava le strade e lasciava guarnigio­ ne sufficiente al campo, e che per questa ragione meno agevole gli riusciva il rifornimento di frumento e vettova­ glie, e inoltre il numero dei nemici cresceva ogni giorno, stimò di non tardare ad attaccare battaglia. [8] Sottopo­ sta la questione al consiglio, quando comprese che tutti erano dello stesso parere, stabili la battaglia per il giorno dopo. 24. [I] All'alba condusse fuori dal campo tutte le truppe, le schierò su due file e posti gli ausiliari in mezzo allo schieramento attendeva la decisione dei nemici 1• [2] Quelli, anche se in considerazione del grande nume­ ro e dell'antica gloria militare nonché dell'esiguità dei nostri stimavano che avrebbero combattuto senza rischi, tuttavia pensavano che fosse piu sicuro cogliere la vitto­ ria senza alcuna perdita interrompendo i rifornimenti con il blocco delle comunicazioni; [3] e se i Romani per la penuria di frumento avessero iniziato la ritirata, pensa­ vano di assalirli impacciati in ordine di marcia e sotto il peso dei bagagli e scoraggiati. [4] Approvato dai capi questo disegno, sebbene le truppe romane fossero schie­ rate, restavano nel campo. [.5] Ciò visto e considerato che i nemici con i loro temporeggiamenti e dando l'im­ pressione di aver paura avevano eccitato di piu i nostri soldati al combattimento, e che si udiva da tutti i nostri proclamare che non bisognava aspettare ancora a mar­ ciare contro il campo nemico, Crasso, esortati i suoi, nel­ l'entusiasmo generale si diresse verso il campo nemico. 2.5 . [I] Colà, mentre taluni riempivano i fossati, altri col getto di molti dardi scacciavano dalla palizzata e dalle fortificazioni i difensori, e gli ausiliari, nei quali Crasso non aveva molta fiducia per il combattimento, faceva­ no mostra di combattere, provvedendo al rifornimento di pietre e di dardi e portando zolle al terrapieno, e da

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nem pugnantium praeberent, cum item ab hostibus con­ stanter ac non timide pugnaretur telaque ex loco supe­ riore missa non frustra acciderent, [2] equites circumi­ tis hostium castris Crasso renuntiaverunt non eadem esse diligentia ab decumana porta castra munita facilemque aditum habere. 26. [1] Crassus equitum praefectos cohortatus ut ma­ gnis praemiis pollicitationibusque suos excitarent, quid fieri vellet ostendit. [2] Illi ut erat imperatum eductis iis cohortibus quae praesidio castris relictae integrae ab la­ bore erant, et longiore itinere circumductis, ne ex ho­ stium castris conspici possent, omnium oculis mentibus­ que ad pugnam intentis celeriter ad cas quas diximus mu­ nitiones pervenerunt [3] atque his prorutis prius in hos­ tium castris constiterunt, quam piane ab his videri aut quid rei gereretur cognosci posset. [4] Tum vero cla­ more ab ea parte audito nostri redintegratis viribus, quod plerumque in spe victoriae accidere consuevit, acrius im­ pugnare coeperunt. [5] Hostes undique circumventi desperatis omnibus rebus se per munitiones deicere et fuga salutem petere intenderunt. [6] Quos equitatus apertissimis campis consectatus ex numero milium L quae ex Aquitania Cantabrisque convenisse constabat, vix quarta parte relicta multa nocte se in castra recepit. 27 . [r] Hac audita pugna maxima pars Aquitaniae se­ se Crasso dedidit obsidesque ultro misit. Quo in numero fuerunt Tarbelli Bigerriones Ptianii Vocates Tarusates Elusates Gates Ausci Garunni Sibuzates Cocosates ; [2] paucae ultimae nationes anni tempore confisae, quod hiemps suberat, id facere neglexerunt. 28 . [1] Eodem fere tempore Caesar, etsi prope exacta iam aestas erat, tamen quod omni Gallia pacata Morini Menapiique supererant qui in armis essent, neque ad eum umquam legatos de pace misissent, arbitratus id bel­ lum celeriter confici posse, eo exercitum duxit. Qui lon-

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parte loro i nemici combattevano con fermezza e corag­ gio scagliando dall'alto dardi che non cadevano a vuoto, [2 ] infine dei cavalieri, dopo aver fatto il giro del campo nemico, informarono Crasso che dal lato della porta de­ cumana 1 il campo non era fortificato con la medesima di­ ligenza ed era facile entrarvi. 26 . [t] Crasso, esortati i comandanti della cavalleria 1 perché sollecitassero con grandi premi e promesse i loro uomini, spiegò il suo piano. [2] Quelli, secondo gli or­ dini, fatte uscire dal campo le coorti che, lasciate di guar­ dia, erano fresche e riposate, le condussero per una via piu lunga, affinché non si potessero scorgere dal campo nemico, giungendo rapidamente, mentre occhi e menti di tutti erano intenti al combattimento, a quelle fortifica­ zioni di cui si è detto 2; [3] abbattutele, pres�o posizio­ ne nel campo nemico addirittura prima di essere viste o si comprendesse che cosa stava accadendo. [4] Allora, udito da quella parte un clamore, i nostri, rinnovate le forze, come generalmente suole accadere quando vi è speranza di vittoria, si misero a combattere con maggiore energia. [;] I nemici, circondati da ogni parte, persa ogni speranza, si affrettarono a gettarsi giu per le fortifi­ cazioni e a cercare salvezza nella fuga. [6] La cavalleria li insegui per l' aperta ca�pagna e di cinquantamila 3, che si sapeva essere giunti dall'Aquitania e dai Cantabri 4, ne lasciò vivi appena un ·quarto; solo a notte avanzata si riti­ rò nel campo .

27. [I] Avuta notizia di questo combattimento la mas­ sima parte dell'Aquitania si arrese a Crasso e di propria iniziativa mandò ostaggi; si annoverano i Tarbelli, i Bi­ gerrioni, i Ptiani, i Vocati, i Tarusati, gli Elusati, i Gati, gli Ausci, i Garonni, i Sibuzati, i Cocosati 1: [2] poche na� zioni, le piu lontane, confidando nella stagione, poiché si approssimava l'inverno 2 , trascurarono di farlo. 28. [1] Quasi contemporaneamente Cesare, anche se l'estate ormai era pressoché finita 1, tuttavia, poiché paci­ ficata tutta la Gallia soli restavano in armi i Morini e i Menapi 2, i quali non gli avevano mai mandato amba� sciatori a chiedere pace, pensando di poter rapidamente concludere questa guerra, condusse colà l'esercito; ma

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ge alia ratione ac reliqui Galli bellum gerere institue­ runt. [2] Nam quod intellegebant maximas nationes, quae proelio contendissent, pulsas superatasque esse continentesque silvas ac paludes habebant, eo se suaque omnia contulerunt. [3] Ad quarum initium silvarum cum Caesar pervenisset castraque munire instituisset ne­ que hostis interim visus esset, dispersis in opere nostris subito ex omnibus partihus silvae evolaverunt et in nos­ tros impetum fecerunt. [4] Nostri celeriter arma cepe­ runt eosque in silvas reppulerunt et compluribus inter­ fectis longius impeditioribus locis secuti paucos ex suis deperdiderunt. 2 9 . [1] Reliquis deinceps diebus Caesar silvas caedere instituit, et nequis inermibus imprudentibusque militi­ bus ab latere impetus fieri posset, omnem eam materiam quae erat caesa conversam ad hostem conlocabat et pro vallo ad utrumque latus exstruebat. [2] Incredibili cele­ ritate magno spatio paucis diebus confecto, cum iam pe­ cus atque extrema impedimenta a nostris tenerentur, ipsi densiores silvas peterent, eiusmod i tempestates sunt con­ secutae uti opus necessario intermitteretur et continua­ tione imbrium diutius sub pellibus milites contineri non possent . [3 ] ltaque vastatis omnibus eorum agris, vicis aedificiisque incensis Caesar exercitum reduxit et in Au­ lercis Lexoviis reliquisque item civitatibus quae proxime bellum fecerant, in hibernis conlocavit.

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quelli cominciarono a guerreggiare secondo una tattica ben diversa da quella degli altri Galli. [2] Infatti poiché vedevano che delle grandissime nazioni, venute a batta­ glia, erano state respinte e vinte, e disponevano nel loro paese di boschi e paludi in estensione ininterrotta, vi si radunarono COIJ tutte le loro cose. [3] Giunto Cesare al margine dei boschi, i nemici, che non erano apparsi quando era iniziata l'opera di fortificazione del campo, allorché i nostri furono dispersi nei lavori saltarono fuori all'improvviso da tutte le p arti del bosco e li assalirono. [4] I nostri rapidamente presero le armi, li ricacciarono nei boschi e ne uccisero parecchi, ma, inseguendoli nel piu folto, persero qualche uomo. 29. [r] Nei giorni seguenti Cesare decise di tagliare il bosco e, perché i soldati inermi non fossero assaliti di sor­ presa sul fianco, faceva collocare tutto il legname tagliato verso il nemico e lo faceva ammucchiare a mo' di bastio­ ne su entrambi i lati. [2] Con incredibile velocità in po­ chi giorni ne fu tagliato un gran tratto : ormai i nostri ave­ vano raggiunto il bestiame e l'estremità delle salmerie, i nemici muovevano verso la parte piu fitta dei boschi, quando intervenne un maltempo tale, che per forza si do­ vette sospendere il lavoro e per le piogge ininterrotte non si poterono tenere piu a lungo i soldati sotto le tende 1• [3 ] Pertanto devastati tutti i campi dei nemici, incendiati i borghi e i casali 2, Cesare ricondusse l'esercito e lo pose nei quartieri d'inverno nei paesi degli Aulerci e dei Les­ sovi e delle altre nazioni che da ultimo ci avevano fatto la guerra 3•

LIBER QUARTUS

I. [r] Ea quae secuta est hieme, qui fuit annus Gnaeo Pompeio Marco Crasso consulibus, Usipetes Germani et item Tenctheri magna [cum] multitudine hominum flu­ men Rhenum transierunt non longe a mari quo Rhenus influit. [2] Causa transeundi fuit quod ab Suebis com­ plures annos exagitati bello premebantur et agri cultura prohibebantur. [3] Sueborum gens est longe maxima et bellicosissima Gern1anorum omnium. [4] Hi centum pagos habere dicuntur, ex quibus quotannis singula milia armatorum bellandi causa suis ex finibus educunt . Reli­ qui qui domi manserunt, se atque illos alunt . [5] Hi rur­ sus invicem anno post in armis sunt, illi domi remanent. [6] Sic neque agri cultura nec ratio atque usus belli inter­ mittitur. [7] Sed privati ac separati agri apud eos nihil est, neque longius anno remanere uno in loco colendi causa licet. [8] Neque multum frumento, sed maximam partem lacte atque pecore vivunt multumque sunt in ve­ nationibus. [9] Quae res et cibi genere et cotidiana exercitatione et libertate vita e, quod a pueris nullo officio aut disciplina adsuefacti nihil omnino contra voluntatem faciunt, et vires alit et immani corporum magnitudine homines efficit . [ro] Atque in eam se consuetudinem adduxerunt, ut locis frigidis simis neque vestitus praeter pelles habeant quicquam, quarum propter exiguitatem magna est corporis pars aperta, et laventur in fluminibus.

2 . [r] Mere atoribus est aditus magis eo, ut quae bello ceperint, quibus vendant habeant, quam quo ullam rem

LIBRO QUARTO

r. [I] Nell'inverno seguente - fu l'anno del consolato di Gneo Pompeo e di Marco Crasso 1 gli Usipeti Ger­ mani ed egualmente i Tencteri 2 passarono con gran nu­ mero di uomini 3 il fiume Reno non lontano dalla foce 4• [2 ] La �ausa di questo passaggio fu che quei popoli da parecchi anni erano tormentati dagli Svevi con una guer­ ra persecutoria e non potevano coltivare i loro campi. [3 ] Gli Svevi sono il popolo di gran lunga piu grande e bellicoso tra tutti i Germani. [4] Si dice che essi abbia­ no cento cantoni ', da ciascuno dei quali ogni anno trag­ gono mille soldati per fare guerra fuori dai confini. Gli al­ tri, che sono rimasti in patria, mantengono se stessi e i mi­ litari; l5J questi a loro volta l'anno dopo prendono le ar­ mi, quelli restano in patria. [6] Cosi non vi sono interru­ zioni né nell'agricoltura né nell' arte e nella pratica della guerra. [7] Ma non vi è assolutamente tra gli Svevi pro­ prietà privata o divisà della terra; né è lecito ad alcuno di rimanere piu di un anno in un luogo ad esercitare l'agri­ coltura 6• [8] Si cibano non molto di frumento, ma per la massima parte di latte e di carne ; esercitano assai la cac­ cia : [ 9 ] questa occupazione sia per il genere di alimen­ tazione sia per l'addestramento quotidiano sia per la li­ bertà di vita, poiché fin da ragazzi, non essendo stati abi­ tuati a rispettare dovere alcuno o disciplina, non fanno assolutamente nulla contro la propria volontà, sia ali­ menta le forze sia fa crescere le loro corporature ad una grandezza smisurata. [Io] Inoltre pur abitando regioni freddissime hanno preso l'abitudine di non portare alcun vestito salvo delle pelli tanto piccole da lasciare scoperta gran parte del corpo, e di bagnarsi nei fiumi. -

2. [I] Concedono ai mercanti di entrare nei loro pae­ si, per avere a chi vendere il bottino di guerra piu che per-

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ad se importari desiderent. [2] Quin etiam iumentis, quibus maxime Galli delectantur quaeque impenso pa­ rant pretio, Germani importatis non utuntur, sed quae sunt apud eos nata parva atque deformia, haec cotidiana exercitati