La dissociazione. I cinque sintomi fondamentali 8860300282, 9788860300287

Può capitare di non riconoscersi allo specchio o di sentirsi come se si stessero guardando le sequenze del film della pr

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La dissociazione. I cinque sintomi fondamentali
 8860300282, 9788860300287

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Marlene Steinberg, Maxine Schnall

LA DISSOCIAZIONE I cinque sintomi fondamentali A cura di Monica Luci

� RajfaelloCortina Editore

www.raffaellocortina.it

Titolo originale

© 2001,

The Stranger in the Mirror. Dissociation -The Hidden Epidemie

Published by arrangement with Harper Collins Traduzione di Monica Luci Copertina Studio CReE ISBN 88-6030-028-2 Cortina Editore Milano, via Rossini 4

© 2006 Raffaello

Prima edizione: 2006

Indice /

Ringraziamenti

VII

Introduzione

IX

Parte prima

La dissociazione. Cos'è e cosa non è l. Usando le loro parole

3

2 . Una difesa sana fallita

7

3 . Miti da sfatare

19

Parte seconda

Riconoscere i segni e valutare i sintomi dissociativi

4 . I cinque sintomi fondamentali

35

5 . Il buco nero dei ricordi perduti

41

6. Guardarsi da lontano

55

7 . Una visita nella terra di Oz

69

8. Quando non sai chi sei

83

9. Una persona, molti sé

101

1 0. Gli uomini, l'abuso e i disturbi dissociativi

119

Parte terza

Tre storie interiori 11.

Nancy L.: la " combinaguai"

129

12.

Linda A. : una passione ferita

167

13 .

Jean W. : visioni da incubo

203

v

INDICE

Parte quarta

Diventare amici dell'estraneo 14. L'approccio delle quattro "C"

25 3

15. Gli alieni degli spazi interiori: rapimenti ufo, vite passate ed esperienze di pre-morte

277

1 6. Sprechi inutili

297

Per saperne di più on-line

301

Indice analitico

303

VI

Ringraziamenti

Sono profondamente grata alle tante persone che mi hanno raccontato le loro vite e i loro eroici viaggi di sopravvivenza. A centinaia, generosamen­ te, mi hanno autorizzata a pubblicare le loro storie, con la speranza che al­ tri non debbano patire le loro stesse sofferenze. In particolare, ringrazio tre pazienti - " Nancy", " Linda" e "Jean " - le cui storie vengono narrate dettagliatamente in questo libro. Vorrei anche ringraziare le mie amiche e colleghe di sempre, Pamela e Olivia Hall, che mi hanno incoraggiata a rendere pubblico il mio lavoro. Molti altri amici, la mia famiglia e i colleghi mi hanno sostenuta nelle fasi iniziali, spronandomi a fidarmi delle mie intuizioni e ad avventurarmi per strade inesplorate. Sono Elizabeth Bowman, Domenic Cicchetti, Phil Coons, Jildy Gross, Richard Kluft, Marie Matheson, Diane e Alan Sho­ lomskas, J an Simpson, Annie Steinberg, Robert Miller, Bruce Rounsaville, e Moshe Torem. Speciali ringraziamenti vanno a Steve Dickinson per il suo continuo sostegno e i suoi saggi consigli. Vorrei anche ringraziare Diane Reverand dell'Harper Collins Publi­ shers, la cui guida è stata fondamentale per questo progetto, e J anet Dery per l'eccellente assistenza editoriale. Grazie anche al mio coautore Maxine Schnall, il cui straordinario talento per la scrittura mi ha aiutata a sintetiz­ zare diciotto anni di ricerca e lavoro clinico in questo libro, e al nostro agente Mary Tahan. Infine, vorrei ringraziare il National lnstitute of Men­ ta! Health, il cui supporto ha reso possibile questa ricerca e che spero con­ tinuerà a incrementare le prospettive di guarigione dal trauma.

VII

Introduzione

Durante gli studi di medicina si apprendono nozioni che richiedono il re­ sto della vita per essere disimparate. La mia avventura nell'acquisizione di questa consapevolezza è iniziata nel 1 982, mentre ero al primo anno della specializzazione in psichiatria al J acobi Hospital, una succursale dell'Al­ bert Einstein School of Medicine di New York. A quel tempo la dissocia­ zione - termine con cui intendo uno stato di coscienza frammentato che implica amnesia, senso di irrealtà e sensazione di essere distaccati da se stessi o dal proprio ambiente - era un concetto relativamente nuovo. In quanto campo di studi emergente, era un territorio in gran parte inesplora­ to, lontano, affascinante, esotico e o// limits, se non per gli esploratori più intrepidi. Dovevamo ancora stabilire che la dissociazione, in quanto parte della nostra risposta tipica al trauma, è una reazione pressoché universale di fronte a un evento che mette a repentaglio la vita e che le esperienze dis­ sociative, lievi o moderate in persone altrimenti normali, sono tanto comu­ ni quanto l'ansia e la depressione. C'è di più. Si riteneva che i disturbi dissociativi fossero rari ed eccezio­ nali, come molti ancora oggi sostengono sbagliando. Gli unici casi che atti­ ravano l'attenzione generale erano le forme più gravi del disturbo dissocia­ tivo, allora chiamate disturbi da personalità multipla e ora conosciuti come disturbi dissociativi dell'identità o DDI. Si dava per scontato che ogni per­ sona affetta da disturbo da personalità multipla si comportasse come le sbalorditive eroine di SybiP o La donna dai tre voltt} che passavano florida­ mente da una all'altra delle loro dodici diverse personalità. Non immagi­ navamo che questo sorprendente passaggio fosse atipico e che i pazienti con personalità multipla si comportassero in modo molto più sottile e con­ trollato, usando sistemi di compensazione che li rendono, generalmente, indistinguibili dal famoso "vicino della porta accanto" . Sfortunatamente, il mito del paziente con personalità multipla come una sorta di rarità esotica persiste a tutt'oggi. Di sicuro era molto diffuso nei primi anni Ottanta, quando ero al primo anno della specializzazione e l. F. R. Schreiber, Sybil, t r. i t. Mondadori, Milano 1 97 4. 2. C.H. Thigpen, H. Cleckley, La donna dai tre volti, tr. it. Longanesi, Milano 1959.

IX

INTR< lDUZ!ONE

la nostra lezione introduttiva a un caso di DDI portava con sé tutto il brivi­ do voyeuristico e altamente drammatico di un evento teatrale. Il Jacobi Hospital era il centro d'invio per un bacino d'utenza molto ampio di pa­ zienti psichiatrici provenienti dall'area urbana del Bronx e serviva una po­ polazione di lavoratori troppo povera per permettersi un'assicurazione. Il pronto soccorso psichiatrico era un grigio labirinto di stanzette di consul­ tazione e sale d'aspetto affollate e rumorose. I poliziotti vi portavano conti­ nuamente drogati o alcolizzati disorientati e aggressivi che avevano biso­ gno di contenimento, e spesso venivano ammanettati alle sedie. Come parte della nostra formazione, io e i miei colleghi del primo anno facevamo il giro delle visite con uno psicologo, membro senior della fa­ coltà dell'Einstein, che ci volle far osservare una paziente ricoverata con un sospetto disturbo da personalità multipla. Il primo giorno avremmo dovuto semplicemente conoscere Gloria e il giorno successivo osservare l'eventuale emergere di altre personalità. Ci dissero che quella sarebbe sta­ ta un'esperienza unica in quanto la condizione di Gloria era così rara che probabilmente non avremmo incontrato più di uno o due casi simili in tut­ ta la nostra vita professionale. Al nostro primo incontro, Gloria, un'ispanica di circa trent'anni con la pelle bruna e una massa di ricci neri che le incorniciavano un visino smagri­ to, sembrava depressa e ansiosa, ma non si notavano altri segni particolari. Conversava in maniera intelligente, come una donna matura, e raccontava di essere una madre sola, con tre bambini a carico, e un lavoro part time co­ me impiegata. Il suo comportamento strano, l'eloquio infantile e il fatto che si era tagliata i polsi dopo un litigio con il fidanzato, avevano accelerato i tempi della ospedalizzazione. Il giorno successivo, quando andammo di nuovo a visitare Gloria, le venne infusa intravena una flebo di sodio amobarbital. Il farmaco era un barbiturico con effetto sedativo e disinibente. L'idea era quella di far rilas­ sare Gloria quanto bastava a farle abbassare il livello di guardia e permet­ tere alle sue diverse personalità - se mai fossero esistite - di emergere, con­ fermando il sospetto diagnostico. Osservammo, con gli occhi strabuzzati, come il farmaco funzionasse con efficacia sbalorditiva. Nel giro di qualche minuto Gloria cambiò per­ sonalità diventando un'adolescente impaurita di nome Carmelita, che si la­ mentava tristemente con una voce stridula, da ragazzina, di quanto fosse disperata e oppressa la sua vita. L'adolescente piagnucolosa che si buttava i capelli all'indietro scoprendo il volto e torcendosi le mani era una persona completamente diversa dalla donna che avevamo incontrato il giorno pri­ ma. All'improvviso Gloria cambiò di nuovo. Questa volta regredì a uno stadio ancora più infantile, Cee Cee, e iniziò a farfugliare con un linguag­ gio da bambina di " cattivi bumbum che facevano mammina e papino", di sua madre che le tirava la coda di cavallo e l'orecchio fino a strapparglieli x

INTRODUZIONE

dalla testa e del suo scappare saltando da un tetto all'altro dei palazzi per sfuggire al padre ubriaco che la inseguiva brandendo un coltello da pesca­ tore. Per tutto il tempo si lamentò e batté i pugni sul letto spaventata e pie­ na di rabbia. Poi, all'improvviso, sentimmo: "Posso parlarti? Sono io, Lau­ ra" un'altra personalità iniziò a parlare con un tono educato e ragionevole. "È un peccato che abbiamo avuto bisogno di Cee Cee per sopportare il pe­ so di quella roba folle che tutti dicevano essere una bugia; ma qualcuno, dentro, deve portare tutto questo, altrimenti impazziremmo. " Lasciando l a stanza d i Gloria, ero sconvolta per quello che avevo visto. Volevo sapere come si sarebbe svolta la sua terapia. Quando più tardi chie­ si di lei, mi risposero che era scappata dall'ospedale il giorno successivo a quello in cui l'Amytal aveva indotto l'emersione delle sue diverse persona­ lità davanti a un gruppo di goffi specializzandi. Non era difficile capirne il motivo. Doveva essersi sentita così impaurita, imbarazzata e umiliata ! Il ri­ morso per la nostra insensibilità nell'averla usata per il " training" facendo ­ la soffrire, trasformò questo infelice episodio in un momento di fonda­ mentale importanza per me. Era ovvio che presentarci Gloria come un orso ballerino in grado di produrre personalità diverse a richiesta, non era di nessun valore terapeu­ tico. Di sicuro la paziente avrebbe preferito avere il controllo delle sue per­ sonalità. Che bisogno c'era di indurre l'emergere di diverse personalità mediante i farmaci, se queste non venivano trattate una volta emerse? Giu­ rai che non mi sarei comportata così se mi fossi imbattuta di nuovo in un caso di personalità multipla. Nel caso si fosse presentata l'opportunità, avrei lavorato con questa persona in maniera gentile, aiutandola a conosce­ re le diverse parti di sé e a sentirsi a proprio agio con esse, così da permet­ terle di parlare di loro apertamente e, eventualmente, accettarle e unificar­ le. Allora, questa sembrava una possibilità molto remota. Lasciai il J a cobi al termine del primo anno di internato e mi recai alla Yale University nel1982 per finire i rimanenti tre anni. Durante il primo anno, il mio supervisore clinico, la professoressa Francine Howland, una dei rari professionisti che dava credito al lavoro sui sintomi e sui disturbi dissociativi, mi introdusse al loro trattamento. Poiché ero stata preceden­ temente avvertita della rarità dei casi di personalità multipla, mi stupivo di aver trovato tre persone quell'anno che presentavano tutti i sintomi del di­ sturbo da personalità multipla, ora chiamato disturbo dissociativo dell'i­ dentità o DDI. Mi chiedevo perché una giovane specializzanda come me in­ contrasse così tanti casi del genere a differenza dei clinici più esperti. Gli altri mettevano in dubbio le mie diagnosi, accendendo appassionate di­ scussioni, ma i sintomi erano innegabilmente presenti. Feci una scoperta ancora più importante. I sintomi erano presenti non solo nei casi più estremi, come quello di Gloria, ma in molte altre esperien­ ze dissociative più sottili e, tuttavia, significative. Sentivo descrivere semXI

IN'l'ROl'JU210N�

p re più spesso questi sintomi da persone di ogni genere, professionisti, uo­ mini d'affari, studenti, operai, casalinghe, artisti e scrittori. Essi parlava­ no di episodi in cui erano "incantati" o " con la mente vuota" ; usavano espressioni quali "agire come se si fosse un'altra persona" , "sentirsi distac­ cati da se stessi e guardarsi da lontano", "non permettere a se stessi di pro­ vare nulla" , " agire in maniera automatica " , sentirsi " annebbiati" o "non sentirsi una persona reale" , " sentirsi parlare come se fosse un altro a farlo" , pensare che "niente intorno a sé sia reale" , sentirsi " confusi s u chi si è " . Era impressionante quanto fossero diffuse queste esperienze. Era possibi­ le che la dissociazione fosse molto più comune di quanto gli psichiatri pen­ sassero? In questo caso, cosa stavo facendo di diverso dagli altri per indivi­ duarla? Quando sentii che un'organizzazione chiamata International Society for the Study of Dissociative States/Multiple Personalities (ora chiamata International Society for the Study of Dissociation) stava per tenere la sua prima conferenza a Chicago, fui entusiasta. Mi aspettavo di trovare un am­ biente supportivo, sebbene non troppo frequentato. Era curioso che clini­ ci che non avevano mai visto casi di disturbi dissociativi giudicassero le de­ scrizioni troppo bizzarre per essere credute. Andava contro ogni logica: solitamente le persone si formano delle opinioni su ciò che conoscono, non sviluppano forti convinzioni su un argomento prima di avere una qualche cognizione di esso. Arrivai a Chicago a notte fonda, all'albergo del centro dove si sarebbe tenuta la conferenza il giorno successivo. L'atrio era vuoto come l' ascenso­ re che mi portò al piano della mia camera. Era tardi, ma sembravano esser­ ci così pochi segni di vita che mi chiesi se la conferenza non fosse stata an­ nullata per mancanza di adesioni. Il mattino successivo entrai nella sala conferenze con la mia tazza di caffè in mano e con mia grande sorpresa vidi almeno quattrocento perso­ ne, tutte eccitate o già sedute, che aspettavano l'inizio. I partecipanti, pro­ venienti da ogni parte degli Stati Uniti, erano tutti professionisti della salu­ te mentale - psichiatri, psicologi, assistenti sociali -, che lavoravano con pazienti che avevano disturbi dissociativi. Questa era la conferma di cui avevo bisogno. La presenza così numerosa di clinici che avevano un'effet­ tiva esperienza di questa condizione confermò la mia opinione circa l'inci­ denza dei disturbi dissociativi. Pionieri del settore, come Richard P. Kluft, Helen Watkins, John Wat­ kins e Cornelia Wilbur, presentarono risultati basati su anni di esperienza clinica che mi misero in condizione di avere preziose intuizioni. Essi dimo­ strarono la stretta connessione tra i disturbi dissociativi e l'abuso infantile - emotivo, fisico e/o sessuale - come aveva suggerito il caso di Gloria, e of­ frirono importanti indicazioni per il trattamento. Dopo aver ascoltato per tre giorni le relazioni, aver frequentato i workshops e aver stabilito contatti XII

INTRODUZIONE

con altri professionisti lì presenti, sentivo che mancava ancora qualcosa: uno strumento scientifico per la diagnosi. Mi sembrava che il motivo per cui, da principiante, mi ero già imbattuta in alcuni casi di disturbo da personalità multipla, a differenza di colleghi più esperti, aveva a che fare con la serie di domande che ponevo a tutti i miei pazienti. Le domande erano specificament� pensate per individuare questo disturbo. I terapeuti generalmente non facevano affatto domande ai loro pazienti sui sintomi dissociativi. Indagavano i sintomi della depres­ sione, del disturbo da attacco di panico, della sindrome maniaco-depressi­ va, del disturbo da deficit d' attenzione/iperattività, del disturbo ossessivo­ compulsivo e di ogni altro disturbo tranne che quelli dei disturbi dissocia­ tivi. Non c'era da stupirsi, dunque, che questi disturbi fossero ritenuti così rari: difficilmente li si monitorava. Tornata alla Yale, continuai a sottoporre i miei pazienti alle domande sui sintomi dissociativi e scoprii che, non soltanto erano diffusi, ma costi­ tuivano un continuum che andava da lieve (normale) a grave. Molte perso­ ne li sperimentavano transitoriamente, di tanto in tanto, senza riportare al­ cun problema psichiatrico; altre persone normali ne facevano esperienza come risposta temporanea a un incidente che aveva messo a repentaglio la vita o a un episodio di pre-morte; in altri casi ancora gli episodi dissociativi si verificavano in momenti di stress e crisi momentanea; infine, vi erano persone per le quali tali episodi erano di una frequenza e gravità tale da in­ dicare chiaramente un disturbo dissociativo. Le esperienze più comuni comprendevano il non riconoscersi allo spec­ chio, il guardare fisso nel vuoto e perdere la cognizione del tempo, l'essere incerti se un ricordo proviene dal sogno o dalla realtà, il sentirsi fuori da se stessi nel ruolo di osservatori e partecipanti al tempo stesso, il sentirsi co­ me di fronte alle sequenze del film della propria vita, lo sperimentare un senso di torpore emotivo (numbing), il perdere dei pezzi di conversazione, l'essere incapaci di ricordare quello che si è appena compiuto. Dopo aver sentito parlare di questi sintomi ripetutamente, mi resi conto che, anche nei casi in cui non erano allarmanti, rappresentavano tuttavia episodi im­ portanti al fine di una valutazione globale. Molto spesso questi sintomi in­ dicavano problemi più profondi che non erano stati trattati in maniera più appropriata, in quanto né il paziente né il terapeuta avevano riconosciuto la loro importanza. A maggior ragione nei casi in cui i sintomi ricorrevano o si presentavano con una certa frequenza, causando angoscia o diventan­ do disturbanti per la vita di una persona. Vi erano altri sintomi, in qualche misura meno comuni, che venivano asso­ ciati ai disturbi dissociativi in base alla loro persistenza e problematicità. Questi comprendevano la sensazione che le altre persone e il mondo intorno non fossero reali, il trovarsi in un posto senza avere idea di come si fosse giun­ ti lì e il sentire come se si guardasse il mondo attraverso una cortina di nebbia. XIII

INTRODUZIONE

E poi vi erano fenomeni più bizzarri attorno ai quali è fiorita un'intera mitologia: oltre alle personalità multiple, le vite passate e le esperienze di rapimento alieno. Sebbene questi drammatici episodi fossero tagliati a mi­ sura della fantasia del pubblico, da un punto di vista analitico erano tutti episodi di dissociazione. Sentendo i pazienti parlare di questi sintomi, mi resi conto di quanto la dissociazione fosse una vera e propria epidemia non riconosciuta. Notavo come la comunità psichiatrica e il pubblico fossero vittime dell'equivoco secondo cui la dissociazione sarebbe stata una questione tutto o nulla: o sei come "Sybil" o sei del tutto estraneo a episodi dissociativi. Ciò che manca­ va a questa impostazione era il continuum della dissociazione, lo stesso spettro lieve-moderato-grave che vale per la depressione e per l'ansia. Una persona lievemente depressa, per esempio, potrebbe avere la "luna storta" per un paio di giorni e uscirne naturalmente, senza bisogno del­ l' aiuto di un professionista. Più avanti nel continuum, una persona mode­ ratamente depressa in uno stato di melanconia più profondo o più prolun­ gato potrebbe aver bisogno di una terapia o di farmaci per sollevare il tono dell'umore, e chi è profondamente depresso potrebbe aver bisogno di es­ sere ospedalizzato. Parimenti, una persona che ha un leggero nervosismo prima di un evento ansiogeno può non aver bisogno di una psicoterapia, laddove le persone con un moderato o grave livello di ansia potrebbero trovare difficile funzionare senza trattamento. Lo stesso continuum vale per la dissociazione. Tutti si dissociano a volte, proprio allo stesso modo in cui tutti si sentono depressi o ansiosi a volte. Esistono sintomi dissociativi quotidiani normali, ma c'è un'intera gamma di altre esperienze sintomati­ che a cui bisogna guardare con occhio esperto. Anche chi non è gravemen­ te dissociato può aver bisogno d'aiuto per questi sintomi e può trarre enor­ me beneficio dalla terapia. Scoprii che stabilire se una persona soffrisse o meno di un disturbo disso­ ciativo dipendeva dal fatto che fossero state fatte o meno le domande sui sin­ tomi dissociativi e valutate le risposte. Quanti sintomi aveva? Quanto spesso si verificavano? Causavano angoscia? Erano disturbanti per la vita della per­ sona? Le risposte fornivano un'istantanea di come funzionasse internamente la persona in risposta al trauma o all'abuso ripetuto, proprio come una ra­ diografia al torace per i polmoni. In altre parole, proprio come i raggi x indi­ viduano le fratture, la mia intervista individuava i sintomi della frammenta­ zione del senso di sé. Chiaramente le domande che ponevo stavano portan­ do informazioni cruciali, necessarie per una diagnosi accurata - dati che po­ tevano trasformare quella che era una pratica artigianale in una scienza. Un giorno mentre viaggiavo sul treno che andava da New Haven a New York annotai sommariamente le domande del colloquio che avevo in men­ te. Quando tornai a Yale, iniziai a pensare a un progetto di ricerca che comprendesse queste domande e le validasse nella forma di un test psiXIV

INTRODUZIONE

chiatrico standardizzato. Volevo trovare dei finanziamenti per trasformare quella serie di domande in uno strumento diagnostico che tutti i clinici avrebbero potuto utilizzare in piena indipendenza per differenziare le per­ sone che talvolta si possono dissociare ma che non hanno disturbi da colo­ ro che soffrono di un disturbo dissociativo. Al mio quarto anno di specializzazione andai a trovare un importante responsabile amministrativo all'Istituto di Psichiatria e chiesi informazioni sulle possibilità di ricerca per portare avanti il mio progetto. Mi guardò con un'espressione indecifrabile. Quando ebbi finito di parlare, drizzò il sopracciglio in maniera beffarda, fece una lunga pausa e disse nel modo più cortese e benevolo: "Marlene, le consiglio, se è interessata a una carrie­ ra di ricercatrice, di trovare un altro argomento" . La sua risposta mi colse di sorpresa, m a sapevo che stava soltanto ba­ dando ai miei interessi. Dato lo scetticismo generale, avevo di fronte una strada tutta in salita. A nessuno era mai stato accordato grande credito per fare ricerca nel campo della dissociazione, quindi non avevo molte proba­ bilità di successo. Tuttavia, questa era la direzione in cui volevo andare. Il mio collega mi inviò alle due persone che potevano aiutarmi ad arrivarci: il professar Bruce Rounsaville, noto esperto di abuso di sostanze e diagnosi testologica in questo stesso campo, e Domenic Cicchetti, un ricercatore e­ sperto, molto conosciuto per la verifica dell'attendibilità degli strumenti diagnostici in ambito psichiatrico. Con la collaborazione di Bruce e Domenic fui in grado di condurre la spe­ rimentazione sul campo di uno strumento diagnostico che poteva essere re­ plicato in tutto il mondo. Il test divenne noto come la SCID-D (Steinberg Clini­ ca! Interview /or DSM-IV Dissociative Disorders). Nell989 fui molto felice di ricevere il primo di due premi da parte del National Institute of Menta! Health. Queste sovvenzioni sono state le prime assegnate a un ricercatore impegnato nel campo della dissociazione e mi permisero di condurre ifield trials della SCID-D per un periodo di sette anni. Cinque clinici esperti intervi­ starono trecentocinquanta persone, producendo più di mille ore di intervi­ ste videoregistrate. Ancora una volta i sintomi coprivano un ampio spettro di esperienze e comportamenti, che andavano dai più sani ai più gravi. In que­ sto libro troverete l'avvincente storia di tre persone che si collocano all' estre­ mo più grave dello spettro e scoprirete l'eroica inventiva e creatività della mente umana che lotta per sopravvivere alla crudeltà e allo sfruttamento. I questionari al termine di ciascun capitolo sono adattati dalla SCID-D e valutano i cinque sintomi fondamentali, permettendo di stabilire in quale punto si collochi la propria o altrui esperienza su una scala che va dalla normalità a un problema più profondo per il quale è consigliabile un trat­ tamento appropriato. Potrebbe sorprendere che esperienze liquidate co­ me incongruenti siano in realtà dei sintomi dissociativi. Sebbene non gravi, tuttavia potrebbero indicare la necessità di una vera e propria valutazione

[NTRODUZlONE

da parte di un professionista e del nuovo tipo di terapia descritta in questo libro. Questa terapia può aiutare a conoscere a fondo parti nascoste del proprio sé, rimaste incomprese o che non si è in grado di controllare. Con il trattamento appropriato persino il DDI, la forma più grave dei disturbi dissociativi, ha una prognosi favorevole. Le informazioni contenute in questo libro possono essere preziose per la propria salute psicologica o per quella di una persona cara. Proprio co­ me sono stati sviluppati strumenti per valutare condizioni quali la depres­ sione, il disturbo da deficit d'attenzione/iperattività ( DDA/r) e il disturbo ossessivo-compulsivo ( DOC ) , ora, con la SCID-D, disponiamo di un avanza­ to strumento diagnostico per la dissociazione che è stato rigorosamente ve­ rificato dal punto di vista scientifico. La comunità dei professionisti della salute mentale lo ha valutato come il più completo e diffuso gold standard con cui tutti gli altri test di questo tipo devono essere confrontati; ma il di­ scorso sulla dissociazione è appena iniziato. Questo libro fornisce un quadro per riconoscere i sintomi di una condi­ zione che, attraverso una cospirazione di silenzio, malintesi e ignoranza, è diventata l'epidemia segreta del nostro tempo. Il materiale di queste pagi­ ne farà luce finalmente su quella che potrebbe essere benissimo la causa sottostante dell'ansia, della depressione, del disturbo bipolare, degli attac­ chi di panico, del disturbo da deficit dell' attenzione/iperattività, del distur­ bo ossessivo-compulsivo e persino della schizofrenia erroneamente dia­ gnosticati. Secondo quanto afferma uno studio recente più di 30 milioni di persone, ovvero il 1 4 % della popolazione, sperimenta " rilevanti" sintomi dissociativi. I sintomi di molte di queste persone non sono stati individuati e trattati perché non è stato possibile identificarli e raccontarli a un tera­ peuta oppure perché nessuno li ha indagati. Per questo motivo possono sentirsi bloccati nella vita o perdersi in grovigli terapeutici senza trovare via d'uscita e senza ottenere nessun duraturo miglioramento. Uno degli aspetti più spinosi della dissociazione è che quanto più i sin­ tomi si cronicizzano tanto minore è lo stress da essi causato, in quanto ci si può adattare al punto da percepirli come un fatto normale, come lo è re­ spirare. Le informazioni e i test di questo libro, tratti dalla SCID-D / posso­ no aiutare a identificare tali sintomi. Indipendentemente dalla loro gravità, è importante scoprire il motivo per cui ci si dissocia e se tali esperienze so­ no l'indicatore di un problema più profondo. 3. M. Steinberg, Structured Clinica! Interview /or DSM-IV Dissociative Disorders-Revised (SCID-D-R), American Psychiatric Press, Washington DC 1 994. A oggi, ci sono più di 65 pubbli­

cazioni scientifiche che documentano l'affidabilità e l'utilità clinica della SCID-O-R. La sua affi­ dabilità nell'individuare e distinguere i pazienti che soffrono di dissociazione da quelli con an­ sia, depressione e altri disturbi è stata replicata e pubblicata da ricercatori clinici di tutto il mon­ do. Per una rassegna delle ricerche sulla SCIO-D-R, vedi M. Steinberg, "Advances in the clinica! assessment of dissociation: the SCID-D·R", in The Bulletin o/the Menninger Clinic, 64, 2, 2000, pp. 146-163 .

XVI

INTRODUZIONE

Poiché la dissociazione è un meccanismo di coping universale in rispo­ sta allo stress elevato e a trauma, essa riguarda la popolazione generale e, dal punto di vista sociale, non si può permettere che venga tenuta segreta o ammantata di ignoranza, miti e pregiudizi. Questo libro intende fugare le diffuse convinzioni errate sulla dissociazione e, in proposito, tenterà di di­ re la verità o, almeno, una verità più creativa e più profondamente umana degli stereotipi a cui si è dato credito finora. Intende, inoltre, dare infor­ mazioni utili su questa affascinante forma di difesa: perché viene usata, co­ sa fa perdere il controllo su di essa, come distinguere le esperienze disso­ ciative normali da quelle problematiche e le ultime scoperte nel campo della diagnosi e del trattamento. Non è esagerato affermare che proprio come l'isteria era la malattia psi­ chiatrica del tempo di Freud, e la depressione ha dominato il ventesimo se­ colo, la dissociazione è la malattia dei nostri giorni. In effetti, la maggior parte delle persone che hanno un disturbo dissociativo vanno in terapia la­ mentando una depressione. Una donna su tre e un uomo su cinque negli Stati Uniti che sono stati abusati sessualmente o sfruttati da bambini - più di 70 milioni di persone - sono altamente vulnerabili ai sintomi o ai disturbi dissociativi. Negli ultimi dieci anni sono stati riportati più casi di disturbo dissociativo dell'identità, il più grave dei disturbi dissociativi , che nei prece­ denti due secoli e si è stimato che ne soffra l'l % della popolazione generale, owero 2.500.000 persone. Se non fosse per il fatto che a così tante persone con un disturbo dissociativo viene fatta una diagnosi errata ed esse vengono trattate in maniera inappropriata per qualche altro disturbo, i numeri sali­ rebbero di colpo riflettendo le loro vere proporzioni epidemiche.4 Indipendentemente dalla gravità dei sintomi dissociativi, questo libro può rivelarsi utile per comprendere meglio se stessi e avere una vita più ric­ ca. La dissociazione è un linguaggio universale di sentimenti e ricordi se­ polti. Soltanto entrando in contatto con quelle parti non visibili di se stessi che possono impedire la piena realizzazione dei propri talenti o la soddi­ sfazione nelle relazioni personali, si può prevenire una sofferenza inutile o porvi fine. Questo libro può aprire una porta da troppo tempo chiusa su un percorso trasformativo in direzione della consapevolezza, della guari­ gione e della serenità.

4 . Y. Aderibigbe, R. Bloch, W. Walzer, "Prevalence of depersonalization and derealization experiences in rural population ", in Social Psychiatry and Psychiatric Epidemiology (in stampa). I ricercatori hanno intervistato 1 .008 soggetti adulti sulle esperienze di depersonalizzazione e derealizzazione sperimentate nell'ultimo anno. Le percentuali riferite erano del 1 9 , 1 % per la depersonalizzazione, 14,4 % per la derealizzazione e 23 ,4% per entrambe le esperienze disso­ ciative. La maggioranza di coloro che riportavano la depersonalizzazione (54 % ) e il lO% del campione totale soddisfacevano i criteri di Steinberg ( 1 995) per la depersonalizzazione grave o ricorrente (che dava luogo a disfunzione o sofferenza).

XVII

PARTE PRIMA

La dissociazione Cos'è

e

cosa non è

l Usando le loro parole

difesa adattiva in risposta a un elevato livello di stress o a un trauma, caratterizzata da perdita di memoria e sensazione di distacco da se stessi o dal proprio ambiente.

Dissociazione:

Cosa significa per te? Ecco come la dissociazione viene descritta da alcune persone che l'hanno sperimentata. " Quando sono assorta nella lettura di un bel libro, perdo la cognizione del tem­ po. " (Alice M., 33 anni, tour operator.) " Sento come se il mio corpo non facesse quello che vuole la mia testa. " (Ernest P., 51 anni, ingegnere.) "La mia mente vaga e io entro ed esco. Mi estranio da me stessa. In realtà sono sempre lì, solo che non sono presente. " (Sandra N. , 19 anni, studentessa.) "Dopo che ho finito, ho problemi a ricordare quello che ho detto durante una pre­ sentazione. " (John T., 41 anni, direttore del settore vendite in un'azienda di com­ mercio elettronico.) " Ero a casa con mia madre e il tutto era irreale. Sapevo che quella era mia madre, ma avevo la sensazione che non fosse realmente lei." (Cindy M . , 32 anni, produt­ trice televisiva.) " Sono come una spugna - la mia identità in un dato giorno dipende da quello che avviene dentro di me e fuori di me. Non mi sento sempre in contatto con me stes­ sa." (Jean W. , 41 anni, counsellor per donne maltrattate.) "Esplodo con mio marito, dopo di che non riesco a ricordare cosa ho detto . " (Gayle

T., 32 anni, istruttrice d'aerobica.)

" Mi sembra irreale oppure mi sembra di fare le cose in maniera automatica." (Jim

Z., 3 7 anni, counsellor per alcolisti.)

"Mi sento una ragazza per la maggior parte del tempo; altre volte mi sento più co­ me fossi un ragazzo . " (Carly B., 19 anni, studentessa.)

"È come guardare un film che si svolge nella testa. Sai, come quando sei assorto nella visione e dimentichi chi sei, dove sei, che ore sono, quello che sta succeden­ do nella tua vita. " (Donna E., 41 anni, infermiera.) 3

LA DISSOCIAZIONE. COS' È E COSA NON È

"Mi accade di essere così interessato a ciò che le persone pensano di me o si aspet­ tano da me che quando parlo con loro mi perdo - perdo me stesso. " (George N . , 53 anni, financial planner. ) "Non riuscivo a ricordare se fosse successo veramente o l'avessi soltanto immagi­ nato." (Suzanne 0., 35 anni, casalinga. )

"È come essere sotto shock - sai che stai facendo una cosa, ma ti sembra che sia qualcun altro a farla. Ti guardi da lontano. Non lo provano tutti a volte? " (Robert A., 51 anni, amministratore scolastico. ) "Non m i sento m e stesso; m i sento come un'altra persona a l mio interno." (Vicki

B., 44 anni, tecnico di attrezzature mediche.)

"Quando ho divorziato non ho permesso a me stesso di provare nulla fino a quan­ do non è finito tutto. La parte emotiva di me si disattiva sotto stress." (Fred D., 42 anni, analista finanziario) . "Sono i n u n guscio e m i sento vuota dentro. " (Linda A., 3 3 anni, insegnante. )

"Una potentissima onda emotiva m i travolge e non h o più il controllo d i m e stessa. Sento che questa persona sta per fare quello che vuole e io sono al di sopra, in un angolo, inerme, ad aspettare di vedere quello che succede. " (Penelope ]., 54 anni, scrittrice free-lance. ) "Mi comporto i n maniera diversa con persone diverse. " (Marsha G . , 3 6 anni, con­ sulente di moda.)

Non dovrebbe sorprendere la scoperta di aver sperimeptato alcuni di que­ sti sintomi dissociativi. In effetti la dissociazione è una difesa adattiva sana usata quasi universalmente dalle persone in risposta a stress soverchianti o a pericoli che minacciano la vita. E, quello che è più importante, molte persone normali sperimentano talvolta moderati sintomi dissociativi in si­ tuazioni in cui la loro vita non è esposta a un pericolo imminente. La dissociazione non si presenta sempre nella sua veste peggiore, come si può erroneamente pensare, ma si dispone lungo un continuum. La mag­ gior parte delle persone sperimenta nella vita di tutti i giorni sintomi disso­ ciativi lievi, come Alice, la tour operator che perde la cognizione del tempo quando si immerge nella lettura di un bel libro: una forma lieve di amnesia. Molti altri sperimentano sintomi dissociativi di livello moderato, ma non hanno necessariamente un disturbo dissociativo, a meno che i loro sintomi non siano associati a sofferenza o disfunzione. Naturalmente, coloro che presentano un livello moderato di dissociazione e che si sono adattati ai lo­ ro sintomi compensandoli - a volte in maniera insana - possono non consi­ derarli dolorosi o non rendersi conto dei loro effetti negativi. Fred, l'anali­ sta finanziario, ne è un esempio. Un uomo che non permette a se stesso di provare nulla (tipica manifestazione di un sintomo dissociativo) si può a­ dattare seppellendosi di lavoro, non sperimentando sofferenza in una rela­ zione intima finché non è finita. 4

USANDO LE LORO PAROLE

I sintomi gravi si ritrovano principalmente in coloro che hanno un distur­

bo dissociativo, ma persino quando esso è molto grave non è quel terribile tormento che spesso si immagina. Essenzialmente, il disturbo dissociativo dell'identità o DDI, precedentemente chiamato disturbo da personalità multi­ pla, si ha quando il "bambino interiore" o qualche altra parte nascosta di sé opera in maniera indipendente, prende il controllo e fa agire la persona in maniera inappropriata o compromette la capacità di agire. Vicki, il tecnico di attrezzature mediche che dice: "Non mi sento me stesso; mi sento come . un'altra persona al mio interno" , sta descrivendo un grave sintomo dissocia­ tivo perché nel suo caso quell"' altra persona" interna è uno stato di persona­ lità separato. Si può avere, come Vicki, un DDI e tuttavia terminare gli studi, ottenere un lavoro di responsabilità, sposarsi, essere un buon genitore e avere una cerchia di amici intimi. E nel migliore dei casi, si può guarire. I sintomi e i disturbi dissociativi sono molto più diffusi nella popolazio­ ne generale di quanto in precedenza non si riconoscesse per una ragione ovvia: molte persone non parlano dei loro sintomi ai loro terapeuti perché non riescono a identificarli ! La ricerca ha dimostrato che questi sintomi sono altrettanto diffusi di quelli depressivi e di quelli d'ansia, ma la perso­ na che non ha familiarità con essi può non considerarli significativi. Se una persona non sa che la sensazione di "non essere una persona reale" o di "essere distanti da sé" rappresenta un sintomo dissociativo potenzialmen­ te indicativo di un problema, perché dovrebbe raccontarlo? La scarsa conoscenza da parte del pubblico dei sintomi dissociativi e l'incapacità di identificarli hanno fatto sì che la dissociazione sia diventata l'epidemia taciuta dei nostri giorni. Accanto alle persone che hanno una malattia dissociativa non identificata, ce ne sono molte altre a cui è stata fatta una diagnosi sbagliata. Le persone vanno nello studio del terapeuta descrivendo sintomi che sono in grado di riconoscere: "Ho repentini mu­ tamenti d'umore" , "Mi sento triste" , "Ho attacchi di panico" , "Mi distrag­ go facilmente", " Sono costretto a lavarmi le mani continuamente " . Se il te­ rapeuta non fa nessuna domanda sui sintomi dissociativi, il problema che viene presentato - sindrome maniaco-depressiva, depressione, attacchi di panico, disturbo da deficit d'attenzione/iperattività, disturbo ossessivo­ compulsivo - sarà quello diagnosticato.1 Se i sintomi dissociativi non ven­ gono valutati, la persona il cui problema ha una base dissociativa non iden­ tificata può restare in terapia per lungo tempo senza fare nessun reale pro­ gresso. Fino a quando la causa che sta alla radice del problema non è stata individuata e trattata in maniera appropriata, una piena e duratura guari­ gione semplicemente non sarà possibile. Perché correre questo rischio? l . E.R. Nijenhuis et al. , "Dissociative pathology discriminates between bipolar mood disor­ der an d dissociative disorder" {lettera), in British ]ournal o/Psychiatry, 170, 1997, p. 581 .

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2 Una difesa sana fallita

Un uomo di trentadue anni sta guidando a tarda notte su una strada ghiacciata quando la sua macchina improwisamente sbanda andando fuori controllo; fa dei ripetuti testacoda come un giro sulla giostra del luna park e alla fìne si schianta contro un albero, inchiodandolo al volante. "Ho visto accadere tutto questo" dice l'uomo, " come fossi uno spettatore sul ciglio della strada. Mi sono visto nella macchina che volteggiava andando in dire­ zione dell'albero ed ero sicuro che stavo andando incontro alla morte. Ma per qualche strano motivo non ho provato emozioni. Non ero terrorizzato perché mi sembrava irreale. Era come se stessi guardando al rallentatore un incidente auto­ mobilistico in un fìlm. Un minuto sembrava durare un'ora e riuscivo a vedere chiaramente i dettagli, persino i granelli di polvere sul parabrezza. Tuttavia l'albe­ ro ormai imminente davanti a me sembrava piccolo e lontano. Quando l'impatto mi ha schiacciato contro il volante e il clacson ha iniziato a suonare, mi sono libe­ rato e ho cercato il mio telefono cellulare per chiedere aiuto." Una donna di cinquantasette anni viene portata d'urgenza in ospedale per un in­ tervento al cuore di by-pass triplo. Sul lettino della sala operatoria ha un arresto cardiaco. Più tardi guarirà, ma in quel momento pensa di essere in punto di morte. Come spesso succede alle persone in stato di pre-morte, ha un'esperienza di fuo­ riuscita dal proprio corpo, una manifestazione comune di un sintomo dissociativo (la natura dissociativa delle esperienze di pre-morte sarà trattata diffusamente nel capitolo 15). La donna descrive l'episodio in questo modo: " Fluttuavo fuori dal corpo ed ero sospesa nell'aria, mentre guardavo giù i dottori e le infermiere che stavano lavoran­ do sopra di me. Mi sentivo distaccata da quello che stava succedendo. Era come guardare un documentario di medicina in televisione. Uno dei dottori stava col­ pendo ripetutamente il mio petto con grandi piastre, e io pensavo: 'Non ce la farò' . Avrei dovuto essere terrorizzata e invece scese s u d i m e una meravigliosa sensazio­ ne di pace. Il tempo si era fermato. Passarono davanti ai miei occhi in rapida suc­ cessione scene felici della mia infanzia che avevo dimenticato e sentivo proprio di riviverle. Mi scorsero davanti agli occhi anche ricordi piacevoli di mio marito, dei miei fìgli e dei miei nipoti. Mi sentivo triste a !asciarli ma provavo una sensazione di pace nella mia mente. Mi vedevo già iniziare una nuova vita piena di gioia". Una segretaria di ventotto anni sta lavorando alla sua scrivania nell'Alfred P. Mur­ rah Federai Building a Oklahoma City il19 aprile 1995, quando una bomba esplo­ de uccidendo 168 persone e ferendone centinaia. Gravemente ustionata e sangui­ nante a causa dei vetri saltati in aria, riesce a trovare la strada per uscire dall'edifi­ cio e a mettersi in salvo.

LA DISSOCIAZIONE. COS'È E COSA NON È

" Sentivo che quello che stava succedendo intorno a me era come la scena di un film di guerra" racconta. " La stavo osservando, ma non vi partecipavo. Sembrava tutto così strano e surreale. Vidi le mie ustioni e il sangue fuoriuscire da un profon­ do squarcio sul mio braccio, ma non provai alcun dolore. Ero insensibile e tutto in­ torno a me era indistinto - il rumore, le grida, il fumo. I miei pensieri iniziarono a viaggiare a cento all'ora, pensieri su dove era l'uscita più vicina, come potevo rag· giungerla, quanto tempo avevo prima che l'intero edificio crollasse. Sentivo che mi muovevo automaticamente, quasi come un robot che cammina in mezzo a una cor­ tina di fumo e la cosa successiva di cui mi resi conto fu che ero fuori."

Tutti questi racconti descrivono episodi di dissociazione sperimentati da persone normali in risposta a eventi traumatici che minacciavano la loro vi­ ta. Il fatto di ritenere di essere in grave pericolo o in punto di morte ha fat­ to dissociare queste persone: esse, cioè, hanno attivato stati di coscienza al­ terati che li hanno aiutati ad attingere alle loro risorse interiori per far fron­ te a una situazione che altrimenti sarebbe stata fatale. Durante questi stati alterati hanno sperimentato un certo numero di fenomeni: senso di distacco da se stessi e dal proprio corpo; senso di irrealtà; numbing emozionale;1 acutizzazione dei propri sensi; cambiamenti nella percezione dell'ambiente; rallentamento nella percezione soggettiva dello scorrere del tempo; accelerazione dei pensieri; movimenti automatici o robotici; risveglio di ricordi sepolti come se li si stesse rivivendo nel presente. Coloro che sopravvivono a un trauma che minaccia la vita esprimono questi fenomeni attraverso immagini che sono note a tutti coloro che han­ no rischiato la vita. Espressioni come "fluttuavo fuori dal mio corpo" o "era come guardarmi in un film" sono modi comuni di descrivere la sensa­ zione di distacco e di irrealtà che riduce la minaccia di morte consentendo alla persona di affrontarla vedendo la scena come un osservatore distacca­ to.2 "Mi sentivo insensibile" e "non mi sembrava reale" esprimono la ca­ ratteristica mancanza di emozione. Dire che " tutto intorno a me era una l. Termine che si riferisce a un'attenuazione della reattività emotiva che caratterizza gli stati post-traumatici e può assumere diverse manifestazioni: sotto forma di distacco dall'ambiente e dalle persone care, perdita di interesse in attività significative e sensazione di futuro abbreviato. Come descritto dagli studi su popolazioni traumatizzate come i veterani di guerra (per esempio Kardiner, 1 94 1 ) , i sopravvissuti ai campi di concentramento (Krystal, 1968) o altri gruppi (Ti­ chener, 1 986) se da un lato il numbing è una sorta di torpore o di ottundimento della vita emoti· va, che protegge dalla stimolazione esterna e interna riducendo lo stress, dall'altro determina un progressivo isolamento e distacco dalle attività quotidiane. Krystal ha chiamato questa rea­ zione "morte al mondo" ( 1 968). [NdT] 2. R. Noyes Jr, R. Kletti, " Depersonalization in response to life-threatening danger", in Comprehensive Psychiatry, 18, 1977, pp. 375-384. 8

UNA DIFESA SANA FALLITA

macchia indistinta" o che gli oggetti minacciosi sembravano " piccoli e lon­ tani" descrive lo sbiadirsi di certe percezioni dell'ambiente che molti so­ pravvissuti sperimentano insieme a un'intensificata percezione di altri aspetti o alla capacità di "vedere distintamente i dettagli" . Frasi come "il tempo si era fermato" e " ogni minuto sembrava durare un'ora" parlano di un tipico rallentamento del tempo, mentre i pensieri " corrono a cento al­ l'ora". Questi pensieri sono di solito orientati a cercare "l'uscita più vici­ na" , verso cui il sopravvissuto si dirige automaticamente, come " un robot che cammina in una cortina di fumo" , raggiungendo uri posto sicuro senza avere la minima idea di come sia riuscito a raggiungerlo. E, infine, c'è un rapido recupero dei ricordi " dimenticati" , talmente vivido che la persona ha la sensazione " di riviverli" . Questo comune fenomeno di p re-morte in cui tutto il passato scorre davanti ai propri occhi, tecnicamente noto come "memoria panoramica" , distrae l'attenzione del sopravvissuto dalla gra­ vità della situazione e lo aiuta a mantenere la serenità. La memoria panora­ mica può anche essere un modo di cercare dati della passata esperienza che possano essere d'aiuto nella situazione attuale.3 Le persone che si sono trovate in pericolo di vita hanno raccontato que­ sti fenomeni così ripetutamente che ora li intendiamo come parte della normale risposta al trauma - un sano dispositivo psicologico di coping di cui noi tutti disponiamo. La dissociazione, come naturale reazione al trau­ ma, ha una notevole capacità di aumentare lo stato di allerta escludendo dalla consapevolezza le emozioni che sconvolgerebbero e paralizzerebbero la persona. Il senso di irrealtà e la percezione distorta dell'ambiente, offu­ scando alcuni particolari e accentuandone altri, allontanano la persona col­ pita dagli aspetti più terrificanti della situazione. Sentire che l'orologio si è fermato nel mondo esterno dà alla persona la libertà di focalizzarsi sull' ac­ celerazione dei pensieri di autoconservazione. Il numbing delle emozioni placa l'ansia e scongiura il panico, consentendo alla persona di comportar­ si in maniera automatica, come se una qualche forza superiore avesse preso il controllo. Nel loro insieme queste alterazioni percettive si combinano per mettere la persona che è in grave pericolo in grado di resistere alla mor­ te o, non potendovi porre rimedio, di accettarla con serenità. Grazie alla dissociazione, l'uomo dell'incidente automobilistico non è morto di paura e ha avuto la presenza di spirito di raggiungere il suo telefo­ no cellulare e chiamare i soccorsi non appena è tornato a uno stato norma­ le. La donna con l'arresto cardiaco ha raggiunto uno stato di straordinaria calma e pace interiore dissociandosi dalla situazione difficile in cui si trova­ va ed è riuscita ad accettare con serenità quella che riteneva fosse una mor­ te imminente. La giovane donna dell'attentato di Oklahoma City ha usato 3 . R. NoyesJr, R. Kletti, "Panoramic memory: a response to the threat of death ", in Omega: The Journal o/Death and Dying, 8(3 ), 1 977, pp. 1 8 1 - 194.

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LA DrSSOC!AZIONE. COS'È E COSA NON È

la dissociazione per difendersi dall'orrore che la circondava, riuscendo in questo modo a concentrarsi sulla fuga dall'edificio prima che crollasse. Da questi esempi possiamo vedere quanto sia importante l'ingegnoso meccanismo adattivo della dissociazione per affrontare un trauma che mi­ naccia la vita. Per consentirci di sopravvivere, certe percezioni, sentimenti, sensazioni, pensieri e ricordi legati al trauma vengono scissi dalla piena con­ sapevolezza e codificati a qualche livello periferico di coscienza. In maniera provvidenziale, la dissociazione altera la realtà ma permette alla persona di stare in contatto con essa in modo che possa trovare una soluzione. Questa dualità è evidente nelle metafore che le persone utilizzano per descrivere i loro sentimenti di distacco dalla realtà durante gli episodi dissociativi. Essi usano ripetutamente le espressioni " come se" e " era come" , " vedevo acca­ dere tutto questo come fossi uno spettatore" o " era come vedere un docu­ mentario di medicina alla televisione" . Il loro linguaggio dimostra chiara­ mente che nonostante abbiano una sensazione di irrealtà rispetto a quello che sta loro accadendo, a un altro livello di consapevolezza sanno che è rea­ le. Quando tornano alla normalità, il materiale dissociato è meno accessibi­ le, ma potrebbe essere da qualche parte in attesa di riemergere.

DISSOCIAZIONE NORMALE VERSUS DISSOCIAZIONE ANORMALE

Il mio campione per lo studio pilota della SCID-D , il test sviluppato per dia­ gnosticare i disturbi dissociativi, includeva soggetti normali come pure per­ sone a cui erano stati diagnosticati vari disturbi psicologici. I risultati rivela­ rono un dato sorprendente: gli episodi dissociativi sono molto comuni tra le persone normali persino quando queste non corrono nessun pericolo. Di solito questi episodi rappresentano una reazione allo stress. " Accad­ de un giorno in cui mi arrivò tutta la pressione del mio lavoro" , racconta Annette, trentasei anni, avvocato e madre di due bambini. " Avevo diffi­ coltà quella mattina a trascinarmi fuori dal letto, al pensiero di tutto quello che avrei dovuto fare. Quando mi fui vestita, mi guardai allo specchio e pensai: 'Chi è quella? La conosci?'. La persona che mi guardava dallo spec­ chio mi era completamente estranea. Sapevo che ero io, e tuttavia non ero io. Mi sentii terrorizzata, così mi scrollai di dosso quella sensazione e finii di vestirmi in fretta. Non è più successo. " Josh, u n agente di borsa di ventinove anni, descrive un episodio disso­ ciativo simile che sperimentò in risposta a uno stress logorante. " Stavo se­ duto al mio computer in ufficio, guardando l'andamento giornaliero delle transazioni commerciali in un giorno in cui il mercato stava fluttuando sel­ vaggiamente. Il telefono non smetteva di suonare. I miei clienti stavano im­ pazzendo. Mi arrivavano ordini da destra e sinistra: compera, vendi, metti, chiama. Mi guardai intorno e vidi tutti gli altri che facevano le stesse cose. lO

UNA DIFESA SANA FALLITA

Poi accadde una cosa buffa. Conoscevo queste persone, le vedevo tutti i giorni, ma non mi sembravano reali. L'intera scena non sembrava reale. Era tutto molto strano, come se provenisse da un sogno. Durò forse trenta secondi più o meno, e poi ero di nuovo normale, a prendere un altro ordi­ ne al telefono. " Sebbene queste persone non fossero in pericolo di morte lo stress ecces­ sivo le ha fatte sentire come in bilico sul ciglio di un precipizio emotivo e ha attivato una risposta momentanea al trauma. Sentivano di dover fuggire e lo hanno fatto staccandosi da se stessi, dal loro corpo o dal mondo circo­ stante, un po' come una persona che trovandosi coinvolta in un incidente automobilistico o in qualche altra situazione tragica esce dal proprio corpo o percepisce l'ambiente come irreale. La SCID-D dà una rappresentazione chiara della differenza tra le persone normali che sperimentano episodi dissociativi in risposta a un trauma che minaccia la vita o a uno stress meno catastrofico, e coloro ai quali viene diagnosticato un disturbo dissociativo. I "normali" , come Annette e Josh, sperimentano episodi che sono brevi, rari e che hanno un effetto minimo sulla loro capacità di funzionare socialmente o sul lavoro. Le persone con un disturbo dissociativo, al contrario, hanno episodi che sono persistenti, ricorrenti e distruttivi per le relazioni sociali e il rendimento lavorativo. Gli episodi dissociativi delle persone normali si collocano sul versante "lieve" dello spettro in termini di durata, frequenza e quantità di sofferen­ za e disfunzione causate. Al contrario, gli episodi di coloro che hanno un disturbo dissociativo si collocano a un livello "moderato" o "grave". Le persone con DDI, la forma più estrema di disturbo dissociativo, hanno gli indici più alti per tutti i sintomi, inclusi quelli che definiscono la loro ma­ lattia - l'alterazione dell'identità o l'assunzione di personalità diverse. Un'altra differenza considerevole tra la dis5ociazione normale e quella anormale è legata alla memoria. Lo sguardo retrospettivo sulla vita passa­ ta, o fenomeno della memoria panoramica, sperimentato dalle persone normali che si dissociano quando sono a contatto ravvicinato con la morte, non si verifica nelle persone con un disturbo dissociativo. Al contrario, es­ se hanno un'amnesia rispetto ai traumi e, inspiegabilmente, fenomeni per­ sistenti e ricorrenti di "tempo perduto " , ovvero ampie lacune nella memo­ ria per periodi della loro vita che possono estendersi ad anni. Se il riesame della propria vita passata per le persone normali consiste per lo più in ri­ cordi piacevoli da tempo dimenticati che improvvisamente spuntano di­ sordinatamente come carte da un mazzo rimescolato, per le persone con un disturbo dissociativo i frammenti intrusivi della memoria sono allar­ manti, pieni di terrore, "flashback" ripetuti, ovvero ripetizioni del trauma stesso molto tempo dopo che esso è avvenuto. La sensazione di "annebbiamento mentale" è un'altra caratteristica co­ gnitiva che distingue la dissociazione normale da quella anormale. Le per11

LA DISSOCIAZIONE. COS' È E COSA NON

t

sone normali sperimentano un'accelerazione dei processi mentali nei mo­ menti di pericolo estremo, mentre le persone con un disturbo dissociativo spesso soffrono di confusione mentale. La loro amnesia può procurare dei vuoti a volte e interferire con la capacità di richiamare importanti informa­ zioni personali. Le conoscenze e le abilità che hanno acquisito possono an­ che essere dimenticate come se improvvisamente fossero svanite in una botola senza lasciare traccia. Una persona che è stata un abile pianista per molti anni, per esempio, può scoprire con sorpresa sedendosi al piano di non sapere improvvisamente come suonarlo. Anche a livello emotivo vi è una netta differenza. Per le persone norma­ li, che affrontano un trauma che minaccia la vita, l'intorpidimento o l'ot­ tundimento dei sentimenti è qualcosa di rasserenante perché mantiene la loro paura e la loro ansia sotto controllo e li mette in condizioni di rimane­ re calmi. Per le persone con un disturbo dissociativo questo torpore emoti­ vo ha l'effetto opposto di acuire la loro ansia, a volte fino a trasformarla in panico. La loro sensazione di morte interiore, di mancanza di vitalità e di vuoto può essere terrificante, se non un continuo motivo di depressione. Per queste persone il senso di morte interiore è associato al non essere in contatto con gli spaventosi traumi che hanno sperimentato nell'infanzia. Essenzialmente la differenza tra la dissociazione normale e anormale è una questione di eccesso di qualcosa che è funzionale. Una risposta adatti­ va, persino salvifica, all'evento traumatico che pone in grave pericolo la persona persiste in qualche modo e si ripresenta molto tempo dopo che il pericolo è scampato, diventando disadattiva. Vediamo come questo avvie­ ne e perché.

QUANDO LA DISSOCIAZIONE FA PERDERE LA TESTA

In termini di processamento delle informazioni in entrata, la ricerca sui ratti ha dimostrato che il cervello è come un ufficio postale con due diversi percorsi per la posta locale e per quella fuori città. Tutte le informazioni che provengono dal mondo esterno vengono dapprima ricevute dal tala­ mo, il centro degli input sensori del cervello. Da qui i messaggi possono es­ sere spediti lungo due distinte vie nervose: una che corre verso la corteccia frontale del cervello, dove ha luogo il pensiero cosciente e l'analisi, e l'altra che va a una porzione di tessuto della grandezza di un dito alla base del cervello chiamata amigdala. La paura determina la direzione in cui va la se­ rie di informazioni sensoriali. Quando si percepisce un pericolo, l'informazione che induce paura vie­ ne scissa dagli altri input nel talamo e in dodici millisecondi viene inviata al­ l' amigdala per il processamento d'emergenza. In un attimo, prima di diven­ tare consapevoli di aver prodotto un pensiero, l'amigdala provoca la rispo12

UNA DIFESA SANA FALLITA

sta al trauma. Questo minuscolo centro nervoso manda messaggi lungo le vie neurali che da esso corrono a incrementare il battito cardiaco, la pressio­ ne sanguigna e la respirazione, oppure ad abbassare la temperatura del cor­ po inducendolo, in altro modo, a una risposta su ampia scala. Lo fa in ma­ niera cieca, senza la capacità di giudicare la gravità della minaccia per deci­ dere il corso più appropriato dell'azione a partire da una serie di possibilità di scelta. N on solo, l'amigdala imprime le immagini veicolate dalla paura sul pacchetto di informazioni traumatiche e le immagazzina in un diverso con­ tenitore della memoria rispetto a quello in cui viene conservata l'informa­ zione fattuale, processata dalla parte del cervello deputata al pensiero.4 In questo sistema della memoria a due vie - una per il materiale emoti­ vamente connotato e l'altra per l'informazione fattuale - possiamo vedere la base fisiologica della dissociazione. Il modo in cui il cervello separa i ri­ cordi emotivi da quelli dei fatti è il precursore della scissione tipica della dissociazione, in cui la frammentazione è più complessa ed estesa, in quan­ to, non solo sono scisse le memorie emotivamente connotate, ma anche parti del proprio senso di sé. Come abbiamo già visto, normalmente questo distacco durante un epi­ sodio transitorio di dissociazione in risposta a un evento che mette a repen­ taglio \la vita, come un incidente automobilistico o un arresto cardiaco, è immensamente utile. Per alcune persone esposte a un forte trauma o a un grave e continuato abuso nell'infanzia, la risposta dissociativa diventa fissa e automatica. Il grande stress legato ai ricordi traumatici rende eccessiva­ mente difficile per il cervello disattivarli e integrarli quando non c'è più al­ cun pericolo. Così gli stimoli tengono i segnali di allarme continuamente accesi come la sirena di un antifurto innescato da qualcuno che non sa co­ me spegnerlo. Un esempio di questa fastidiosa ripetitività può essere trovato nel modo in cui funziona il " bottone del replay" nelle persone normali rispetto a quelle con disturbo post-traumatico da stress (DPTS), un disturbo essen­ zialmente di natura dissociativa. Come conseguenza di un evento trauma­ tico, è tipico che le persone rivivano continuamente i ricordi legati a esso. La ripetizione li aiuta a svuotare il trauma del suo potere fino a che esso non perde la sua presa sulla persona in modo da poterlo mettere da parte. Questo mçccanismo è sano se limitato nel tempo. La persona con DPTS si trova intrappolata nel meccanismo e la ripetizione continua in maniera in­ definita senza che il terrore originario diminuisca. Le immagini intrusive e i ricordi del trauma ricorrono in maniera ossessiva negli incubi e nei flash­ back e sono così terribilmente reali che la persona li sperimenta non come ricordi, ma come eventi del presente. 4. ]. LeDoux, Il cervello emotivo, tr. it. Baldini & Castaldi Editore, Milano 1998. Citato in "The anatomy of fear" , in New York Times Magazine, 28 febbraio 1 999, 42, pp. 44-47, 69-70, 72, 88-89, 9 1 .

S.S. Hall,

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LA DISSOCIAZIONE. COS' È E COSA NON

E

Per le persone la cui risposta al trauma è fuori controllo, il passato di­ venta indistinguibile dal presente. Tutto ciò che rimanda al trauma può pro­ vocare un riflesso pavloviano, come fa nel veterano che, traumatizzato dal­ le battaglie, sentendo lo scoppio dello scarico di un'automobile in strada corre a nascondersi nel ripostiglio. Con il passare del tempo ogni stressor, persino quello che non ricorda il trauma o l'abuso se non vagamente, può provocare una risposta simile. Vivere in uno stato di allerta o ipervigilanza continua logora la stabilità emotiva. Le paure senza nome e l'ansia abbondano nelle persone con di­ sturbi dissociativi, che restano imprigionate in una disperata lotta per con­ trollare il rapido ciclo delle loro emozioni che continuamente passano dal­ l' alto al basso. Poiché hanno perso la capacità di regolare le loro emozioni, esse spesso reagiscono in maniera eccessiva allo stress, con scoppi d'ira o attacchi di panico, e si dissociano nel tentativo di smorzare le emozioni e placare l'ansia. Possono anche cercare di attenuare le emozioni usando far­ maci o alcool e convogliare l'ansia in ossessioni per il cibo o rituali di auto­ mutilazione. Questo abituale ottundimento delle sensazioni può alla fine determinare dei cambiamenti fisiologici nel cervello, compromettendo la sua capacità di processare le emozioni e portare al senso di tristezza e di­ sperazione caratteristiche della depressione.5 Quando le persone con DDI fanno una richiesta di terapia, il problema che si profila corrisponde di solito a quello che viene trattato: gli attacchi di panico, l'instabilità dell'umore, il comportamento ossessivo-compulsi­ vo, la depressione.6 La mancanza di controllo sulla risposta al trauma, vera responsabile del loro stato, viene spesso ignorata in quanto molti clinici non sono addestrati a indagare i sintomi dissociativi che segnalano il catti­ vo funzionamento di tale risposta. Inoltre, le persone con DDI possono tro­ vare difficile descrivere i loro sintomi dissociativi o avere ricordi così fram­ mentati a causa del trauma o dell'abuso da non sapere più che cosa effetti­ vamente sia loro successo.

L' UNICA VIA D'USCITA

L'abuso sessuale è così devastante per la psiche di un bambino che la disso­ ciazione, intesa come difesa, tiene il bambino in ostaggio e più tardi lo ren­ derà prigioniero dei suoi sintomi. Un bambino che viene aggredito sessual­ mente da un genitore di cui si fida e da cui dipende completamente e in­ condizionatamente per la sua protezione, si confronta con un terrore inim5. ].P. Wilson, Z. Hard, B. Kahana (a cura di) , Human Adaptation to Extreme Stress: From the Holocaust to Vietnam, Plenum Press, New York 1 9RR. 6. D. Fink, "The comorbidity of multiple personality disorder and DSM-lll-R Axis II disor­ ders" , in Psychiatric Clinics o/North America, 14, 1991, pp. 547-566.

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UNA DIFESA SANA FALLITA

m aginabile. Il misto di paura, amore, rabbia, dolore e vergogna di fronte all'eccitamento sessuale proibito può mandare in pezzi l'anima. Sopraffatto dall'aggressione, l'io passivamente permette la propria fram­ mentazione, un po' come se dicesse a se stesso: "In effetti, questo è troppo doloroso per chiunque, quindi scinderò una parte di me per riuscire a tol­ lerarlo" . Questo processo è diverso dalla rimozione, in cui l'io espelle dalla consapevolezza ciò che nel mondo interno lo minaccia e preserva intatto il senso di sé della persona. Nella dissociazione l'Io va in pezzi e fa sì che la persona sperimenti il sé come molteplice. Il materiale rimosso tenuto fuori dalla consapevolezza è improbabile che riemerga come una personalità se­ parata, invece la parte dissociata della mente può essere sperimentata co­ me un centro separato di consapevolezza capace di un pensiero organizza­ to, in altre parole, una personalità. La bambina che viene abusata emotivamente e sessualmente o che subi­ sce percosse fisiche teme di morire o di impazzire. Non può fuggire e non può nascondersi. Non può neanche confidare l'abuso a qualcuno per pau­ ra della ritorsione. Poiché la fuga fisica è impossibile, la bambina fugge mentalmente. Fluttua fuori dal suo corpo immaginando che sia qualcun al­ tro in quel momento a essere violentato o picchiato e disattiva le sue emo­ zioni dic\endosi: " Non sta succedendo a me" _7 Mentre l'abuso prosegue la dissociazione diventa qualcosa di abituale. La bambina continua a distaccarsi e a fluttuare fuori dal corpo e a crearsi una persona immaginaria dentro di sé che porti i ricordi dell'abuso. Seb­ bene un bambino normale possa avere un " amico immaginario" all'età di quattro o cinque anni, per il bambino abusato l'amico immaginario per­ mane, continua a esserci nel corso della vita. Quando la dissociazione è frequente possono sopraggiungere altre parti separate della persona, cia­ scuna con il proprio nome, i propri ricordi, pensieri, sentimenti, capacità, età cronologica, scrittura, modo di vestire e così via, le quali possono pren­ dere il controllo di tanto in tanto, spesso senza che la persona se ne renda conto. Quello che un tempo era una sana difesa adattiva, usata in rare oc­ casioni, è ora una risposta automatica allo stress quotidiano o a tutti gli sti­ moli che evocano ricordi dell'abuso, e non va più via.8 Per la maggior parte delle persone, gli episodi dissociativi brevi e lievi fanno parte della vita quotidiana. Prendiamo la memoria, per esempio. L'esperienza di guidare la macchina in maniera automatica, senza ricorda­ re il percorso perché presiede alla guida soltanto una parte scissa della mente, probabilmente è comune a tutte le persone normali ogni volta che vanno da casa al lavoro. Un'altra esperienza piuttosto comune è il fenome7. ].A. Chu, D.L. Diii, " Dissociative symptoms in relation to childhood physical and sexual abuse", in American ]ournal o/Psychiatry, 147, 1990, pp. 887-892. 8. J. Goodwin, "Post-traumatic symptoms in abused children " , in Journal o/ Traumatic Stress, l, 1988, pp. 475-488. 15

LA DISSOCIAZIONE. COS'È E COSA NON È

no frustrante della parola " sulla punta della lingua" . Quando siamo sotto pressione non riusciamo a ricordare un nome familiare, mentre esso si ri­ presenta alla coscienza quando non ci stiamo pensando. Moltiplicando queste stravaganze per mille si può avere una qualche idea di come la memoria di una persona con un disturbo dissociativo sia stata compromessa. Le persone con DDI dall'esterno possono sembrare integre, ma dentro il loro senso di sé e la capacità di entrare in contatto con il mondo esterno sono andati in mille pezzi. Ogni giorno è una lotta eroica e silenzio­ sa, non solo per tenere i ricordi impensabili nascosti alla coscienza, ma an­ che per dissimulare i sintomi inquietanti agli altri. Indipendentemente dal loro livello di istruzione o socioeconomico, queste persone hanno un mon­ do interiore incredibilmente ricco e creativo. Non sorprende che molte per­ sone con personalità multipla e un alto funzionamento siano dotati scrittori e artisti che, quando guariscono, riescono a trovare uno sbocco estetico alla rabbia isolata e al dolore che non hanno consentito a se stessi di provare.9

LE PERSONE A RISCHIO

Non tutti i bambini abusati sviluppano un disturbo da personalità multipla, ma una storia di abuso infantile è stata riscontrata in più del 90% di coloro che hanno avuto una diagnosi di disturbo da personalità multipla. Sebbene il DDI sembra essere più diffuso tra le donne che tra gli uomini, si ritiene che a molti maschi adulti esso non venga diagnosticato. Gli uomini spesso tenta­ no di gestire in autonomia i propri problemi piuttosto che cercare per essi il trattamento adeguato, e tentano spesso di alleviare lo stress e i sintomi be­ vendo, usando farmaci o praticando sesso compulsivamente. Poiché l'al­ cool, i farmaci e l'iperattività sessuale sono socialmente accettabili, inizial­ mente gli uomini possono impiegare più tempo per entrare in trattamento e far valutare le loro problematiche psicologiche. Spesso è una perdita im­ provvisa - la morte di un figlio, la rottura di un matrimonio, un'ustione - a indurre un uomo a ricercare una terapia. Se gli uomini fossero orientati al trattamento come le donne, probabilmente verrebbero loro diagnosticati i disturbi dissociativi altrettanto frequentemente che alle donne. Non è difficile comprendere perché i sintomi dissociativi siano così dif­ fusi, considerato che una donna su tre e un uomo su cinque negli Stati Uni­ ti sono stati sessualmente abusati o sfruttati prima dei diciotto anni. Que­ sto significa che più di 70 milioni di persone sono altamente vulnerabili. 10 9. A. Miller, Thou Shalt Not Be Aware: Society's Betrayal o/ the Child, Meridian, New York 1 984. l O. D. Finkelhor, G. Hotaling, LA. Lewis, C . Smith, " Scxual abuse in a national survey of adult men an d women: prevalence, characteristics an d risk factors" , in Child Abuse & Neglect, 14( 1 ) , 1 990, pp. 1 9-28.

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UNA DIFESA SANA FALLITA

Sono particolarmente a rischio in America 28 milioni di figli di alcolisti che crescono in case in cui la violenza, l'abuso o la trascuratezza sono spes­ so la norma. 1 1 A questo si aggiungano gli incidenti traumatici insoliti che caratterizzano la vita moderna - attentati terroristici nei palazzi o negli ae­ rei, sparatorie sulla folla in metropolitana o nelle scuole - e si inizierà ad avere un quadro della situazione. La pressione psicologica sugli studenti universitari oggi fa di loro un al­ tro gruppo che tende ad avere alti punteggi ai test dissociativi. In uno stu­ dio del 1 984 il 34% riportava episodi di depersonalizzazione o la sensazio­ ne di essere irreale o separato dal proprio corpo, senza considerare le si­ tuazioni in cui, sotto l'influenza di sostanze stupefacenti o alcool, era più probabile che avessero tali esperienze dissociative. 12 Una ricerca condotta su cinquecento studenti universitari di psicologia ha prodotto la notizia bomba secondo cui il 1 2 % , circa uno studente su otto, almeno una volta si era procurato tagli o bruciature o si era fatto del male in altro modo in uno stato dissociativo. L'automutilazione è così diffusa tra le ragazze, infatti, da essere stata denominata dai cutters dei campus universitari "la nuova ano­ ressia" . 13 È necessario dare il giusto peso ai sintomi dissociativi e ai disturbi di cui potrebbeJ)o essere indicatori, ma questi non possono essere trattati realisti­ camente fino a quando non verranno sfatati alcuni miti. Poiché il campo della dissociazione è stato notevolmente demonizzato e mal rappresentato al pubblico, è molto probabile che ciò che si sa di questo disturbo non sia vero.

1 1 . J.L. Herman, Father-Daughter Incest, Harvard University Press, Cambridge, MA, 1 98 1 . D. Russell, "The incidence a nd prevalence o f intrafamilial a nd extrafamilial sexual abuse o f fe­ male children" , in Chzld Abuse & Neglect, 7 (2 ) , 1983 , pp. 133- 146. U.S. Department of Health and Human Services, 'J'he Third Nationallncidence Study of Chi/d Abuse and Neglect, U.S. Go­ vernment Printing Office, Washington, DC, 1 996. U .S. Department of Health and Human Ser­ vices, Chi/d Maltreatment 1 995: Reports /rom the States to the National Chi/d A buse an d Neglect Data System, U.S. Government Printing Office, Washington, DC , 1997. 12. W.J. Ray, M. Faith, " Dissociative experiences in a college age population: follow-up with 1 . 190 subjects" , in Personality and Individua! Dz//erences, 18, 1995, pp. 223 -230. 13 . M. Strong, Un urlo rosso sangue, tr. it. Frassinelli, Milano 1999.

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3 Miti da sfatare

Durante i miei diciotto anni di ricerca scientifica dedicata alla dissociazio­ ne, sono rimasta sbalordita dalla quantità di disinformazione che è stata di­ spensata al pubblico e alla comunità dei professionisti. Nessun altro cam­ po della medicina moderna è rimasto sepolto sotto un simile strato di fan­ go costituito da convinzioni errate, scetticismo e pura e semplice ignoranza. Parte del problema risiede nella natura della dissociazione stessa. I di­ sturbi dissociativi sono molto affascinanti perché parlano il linguaggio uni­ versale della sofferenza in maniera intensamente immaginativa e metafori­ ca; tuttavia, allo stesso tempo, essi sembrano così bizzarri e teatrali da sol­ levare incredulità. Prima della SCID-D, diagnosticare i disturbi dissociativi era più un'arte che una scienza. Senza uno strumento valido e attendibile per una valutazione accurata, i clinici incerti tendevano a evitare di trattare i disturbi dissociativi o a negare la loro esistenza. Un'altra ragione dello scetticismo di molti clinici verso i disturbi disso­ ciativi, soprattutto il DD!, può essere trovata nei puntelli filosofici della loro formazione tradizionale. La presenza di una molteplicità di stati di perso­ nalità che prendono il controllo dei pensieri e dei comportamenti di una persona in tempi diversi contraddice un assunto che è stato dato per buo­ no per molto tempo. Per anni si è creduto nell'unitarietà della personalità e gli scettici sono riluttanti a mettere in discussione tale concetto di base. Un altro motivo dello scetticismo dei clinici verso la dissociazione po­ trebbe essere la difficoltà di accettare una possibile storia traumatica nella loro vita. Un numero crescente di terapeuti, infatti, ha riconosciuto di es­ sere stato attratto da una professione d'aiuto perché da bambino dovette imparare come sopravvivere all'abuso e prendersi cura degli altri membri in una famiglia compromessa. Il nesso tra il trauma infantile e i disturbi dissociativi li pone di fronte alla sfida di guardare a se stessi e alla propria storia da una prospettiva potenzialmente dolorosa. Anziché esplorare que­ sti temi ansiogeni, i clinici possono ammantarli di un velo di scettica " og­ gettività " . 1 l . K.S. Pope, S . Feldman-Summers, " National survey of psychologists' sexual and physical abuse history and their evaluation of training and competence in these areas" , in Pro/essional Psychology: Research and Practice, 23, 5, 1992, pp. 353-361 .

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LA DISSOCIAZIONE. COS' È E COSA NON È

Sappiamo bene come la natura aborrisca il vuoto. Sfortunatamente in mancanza di risultati scientifici sulla dissociazione da diffondere a un pub­ blico ampiamente non diagnosticato e non trattato, la mitologia ha subito colmato i vuoti. Quelli che seguono sono i sette miti più diffusi sulla disso­ ciazione.

MITO N. l I SINTOMI DISSOCIATIVI INDICANO UN DISTURBO GRAVE

Al contrario, noi tutti probabilmente abbiamo sperimentato un episodio dissociativo normale diverse volte nel corso della vita. Questi episodi com­ prendono l'esperienza di perdersi in un romanzo e dimenticarsi completa­ mente dove ci si trova; sognare a occhi aperti mentre si guida la macchina e arrivare in un posto senza avere idea di come ci si è arrivati; avere un vuoto di memoria e dimenticare un nome familiare o perdere parte della conversa­ zione; fissare un punto nello spazio e perdere la cognizione del tempo; non sapere se un ricordo è reale o proviene da un sogno; non essere in grado di ricordare ciò che si è appena fatto; sentirsi come se si fosse al tempo stesso partecipanti e osservatori di quello che sta succedendo; guardarsi allo spec­ chio e non trovarsi familiari; muoversi in maniera automatica, come un ro­ bot; sentirsi come se ci si stesse guardando in un film; avere la sensazione di essere in un sogno o percepire un senso di estraneità verso le altre persone, gli oggetti o il mondo intorno a sé; sentire che il tempo si è fermato. Più spesso questi sintomi si verificano come reazione naturale al trau­ ma, allo stress o a un rapido affollarsi di cose che attraversano la mente e non sono indicativi della presenza di un disturbo psichiatrico. Per esem­ pio, uno studio sulla reazione di novanta uomini e donne al terremoto del 1 989 nell'area di San Francisco ha trovato che due terzi avevano un qual­ che sintomo dissociativo, come un senso distorto del tempo o una perce­ zione del mondo come in un sogno. Una persona su dieci riportava un'e­ sperienza fuori dal corpo e quasi la metà si sorprendeva a fissare un ogget­ to nello spazio, un albero, per esempio, senza sapere perché.2 In tutto, si è trovato che quasi il 25 % della popolazione generale speri­ menta episodi dissociativi da lievi a gravi. Se questi episodi hanno vita bre­ ve e non ricorrono tanto spesso da diventare causa di sofferenza o disfun­ zione, non indicano la presenza di un disturbo. I sintomi dissociativi sono indicativi di un disturbo grave soltanto quando diventano disadattivi o ri2. C. Classen, D. Spiegel, C. Koopman, "Trauma and Dissociation " , in Bulletin o/ tbe Men­ ninger Clinic, 57, 2, 1 993, pp. 178- 1 94. E. Cardena, D. Spiegel, "Dissociative reactions to the Bay Area earthquake" , in American ]ournal o/Psychiatry, 1 50, 3, 1 993 , pp. 474-478. Numerose inda­ gini durante lo scorso decennio, sia negli Stati Uniti sia altrove, hanno confermato che i disturbi dissociativi sono diffusi nella popolazione generale così come nelle popolazioni di pazienti.

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MITI DA SFATARE

corrono in maniera persistente dopo che non sono più necessari come m eccanismi di difesa e influenzano negativamente il benessere della perso­ na o la capacità di funzionare nella vita di tutti i giorni.

MITO N . 2 I DISTURBI DISSOCIATIVI SONO RARI

Ricerche recenti hanno dimostrato che, tutt'altro che rari, i disturbi disso­ ciativi sono molto più diffusi di quanto si ritenesse in precedenza. 3 Le per­ sone con il disturbo da personalità multipla, il disturbo dissociativo più grave, rappresentano l' l % della popolazione generale, cioè più di 2.5 mi­ lioni di persone. Questa è una stima prudente visto quanto sono ampia­ mente sottostimate le diagnosi dei disturbi dissociativi. Probabilmente è più vicina alla realtà una stima del l O% - una cifra pari alla prevalenza in un anno della depressione maggiore o del disturbo d'ansia generalizzata, per i quali i disturbi dissociativi vengono spesso scambiati.4 3 . Seguono gli studi sulla prevalenza dei disturbi dissociativi nella popolazione generale e in popolazioni di wzienti ambulatoriali. S. Graves, "Dissociative disorders and dissociative symp­ toms at a commÙnity menta! health center", in Dissociation, 2, 1989, pp. 1 19-127. W.]. Ray, M. Faith, "Dissociative experiences in a college-age population: Follow-up with 1. 190 subjects ", in Personality and Individua! Di//erences, 18, 1 995, pp. 223-230. J.R. Vanderlinden et al., " Disso­ ciation and traumatic experiences in the generai population of the Netherlands" , in Hospita! & Cummunity Psychiatry 44, 1993 , pp. 786-788. Questi autori hanno trovato che le esperienze dis­ sociative erano relativamente comuni nel loro campione di 378 soggetti dei Paesi Bassi. J.R. Vanderlinden et al., "Dissociated experiences in the generai population in the Netherlands and Belgium: A study with the Dissociative Questionnaire (ms-Q) " , in Dissociation, 4, 199 1 , pp. 1 80- 1 84. Vanderlinden e collaboratori hanno svolto una ricerca su 235 olandesi e 139 fiammin­ ghi usando uno strumento di valutazione e hanno trovato che il 3 % riportava gravi sintomi dis­ sociativi e l' l % mostrava punteggi altrettanto alti di quelli riportati da individui con personalità multipla. 4. D. Davis, M. Davis, "The prevalence of dissociative disorders within the menta! health serviccs of a British urban district", in International Society for the Study of Dissociation (a cu­ ra di), Proceedings o/ the Fourth International Con/erence o/ the International Society for the Study o/Dissociation, Chester, UK, 1 997. In un campione britannico è stata stimata una preva­ lenza di disturbi dissociativi nel corso della vita del l 5 ,2 % e del disturbo dissociativo dell'iden­ tità del 5,7%. M. Poustovoyt et al., "Epidemiology of the dissociative disorders in the conven­ tionally healthy persons population", in Acta Psychiatrica, Psychoterapeutica et Ethologica Tavi­ ca, 5 , 2000, pp. 2-13. Gli autori hanno eseguito la ricerca su 1.05 6 persone in Ucraina usando uno strumento di valutazione. Hanno trovato che il l2% aveva punteggi che indicavano consi­ derevoli esperienze dissociative. C.A. Ross, "Epidemiology of multiple personality disorder an d dissociation" , in Psychiatric Clinics o/North America, 14, 199 1 , pp. 503 -5 17. Ross ha effet­ tuato la sua ricerca su 454 adulti nella popolazione generale canadese e ha trovato che il lO% aveva un disturbo dissociativo di qualche tipo e l'l% aveva il ODI. V. Sar et al. , "Frequency of dissociative disorders in the generai population: an epidemiologica! study in Turkey", in Inter­ national Society for the Study of Dissociation (a cura di) , Proceedings o/ the International So­ ciety /or the Study o/Dissociation , 1998, p. 2 1 . Basandosi su una ricerca condotta su 624 donne nella città di Sivas, in Turchia, gli autori hanno stimato che l ' l , l % delle donne nella popolazio­ ne generale di Sivas aveva il DD! e il l8,3 % aveva un disturbo dissociativo. V. Sar et al., "Fre­ quency of dissociative disorders among psychiatric outpatients in Turkey", in Comprehensive Psychùztry, 4 1 , 2000, pp. 2 16-222. In questo studio effettuato in Turchia su 150 pazienti ambu­ latoriali i disturbi dissociativi erano diffusi. Si è trovato che ventitré (il 15,3 %) avevano signifi­ cativi sintomi dissociativi e a diciotto (il 1 2 % ) venne diagnosticato un disturbo dissociativo.

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LA DISSOCIAZIONE. COS' È E COSA NON È

Poche persone si lamentano primariamente dei sintomi dissociativi: essi sono elusivi e difficili da descrivere, in quanto implicano una strana assen­ za di sentimenti e un curioso senso della realtà. I sintomi possono anche ri­ manere nascosti o taciuti perché le persone differiscono enormemente nel modo di sperimentarli - alcuni si abituano ad essi a tal punto da non tro­ varli più disturbanti e suppongono che ne soffrano tutti. A volte i sintomi hanno un effetto talmente deprimente sull'autostima delle persone che que­ ste sviluppano un atteggiamento di rassegnazione: alzano le mani e dicono " questa è la vita" . In effetti questo sentimento di impotenza è la ragione per cui a così tante persone con un disturbo dissociativo è stata fatta una diagnosi sbagliata di disturbo depressivo. Un altro fattore che rende difficile diagnosticare un DDI senza sommini­ strare un test come la SCID-D è che le persone che soffrono di un disturbo dissociativo spesso fanno un'operazione massiccia di negazione. Lo spetta­ colare stereotipo delle personalità multiple impresso nella mente da film come Sybil e La donna dai tre volti ha avuto l'effetto di diffondere il terro­ re. La principale paura nel parlare di questi sintomi a un terapeuta è quella di essere immediatamente etichettati come pazzi o come fenomeni da ba­ raccone. Molto spesso le persone che hanno delle parti scisse del proprio sé le tengono nascoste, perché non pensano a queste come a personalità ben de­ finite, ma ad "aspetti" della personalità o a differenti "voci" interne o "la­ ti" indecifrabili di se stessi con cui non sono sempre in contatto. Se perce­ piti come vaghi, amorfi o indistinti, non importa quanto disturbanti, questi frammenti possono essere liquidati semplicemente come il prodotto di un'immaginazione sovraeccitata. La ragione per cui molte persone con per­ sonalità multipla vengono diagnosticate erroneamente come maniaco-de­ pressive è che i repentini e incontrollabili cambiamenti d'umore e gli "scoppi d'ira" di cui si lamentano sono in realtà le esplosioni di un fram­ mento di personalità che porta tutta la rabbia associata all'abuso infantile. Sebbene le persone raramente lamentino direttamente sintomi disso­ ciativi con i loro terapeuti, la realtà è che questi episodi si verificano in molti pazienti a cui vengono diagnosticati altri problemi psichiatrici. Que­ sti possono essere indicativi di un disturbo dissociativo di base che neces­ sita di essere trattato per produrre una guarigione duratura.

R. C. Kessler et al. , "Lifetime and 12-month prevalence of DSM-III-R psychiatric disorders in the United States: results from the National Comorbidity Survey", in Archives o/Genera! Psychia­ try, 5 1 , 1994, pp. 8-19. Kessler e collaboratori riportano la prevalenza di una varietà di disturbi psichiatrici, basandosi sulle interviste di un campione nazionale composto di 8.098 soggetti. Trovarono che la prevalenza nei dodici mesi precedenti era del 10,3 % per gli episodi depressivi maggiori e del 3 , 1 % per il disturbo d'ansia generalizzata.

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MITI DA SFATARE

MITO N. 3 È FACILE INDIVIDUARE LE PERSONE AFFETTE DA PERSONALITÀ MULTIPLA

La persona che soffre di un disturbo dissociativo è molto distante dall'im­ magine distorta del paziente bizzarro che passa manifestamente da una personalità all'altra in sensazionalistici spettacoli televisivi. La verità è che le persone affette da personalità multipla coprono tutta la gamma che va dai ricercatori universitari fino alle prostitute e sono generalmente molto intelligenti, creativi, coraggiosi, disinvolti e piacevoli. Molti sono degli im­ peccabili professionisti, sposati, genitori che svolgono lavori di responsa­ bilità. Per lo più pubblicamente non rivelano alcun comportamento scon­ certante o incontrollato. Se cambiano completamente personalità, questo di solito avviene nel privato della propria casa o durante le sedute con un terapeuta di cui hanno imparato a fidarsi. Altrimenti i cambiamenti nella voce, nel modo di parlare, nel comportamento e nel vestire che segnalano che un'altra personalità ha preso il controllo sono sottili. Le persone con un disturbo da personalità multipla sono in grado di funzionare ad alti livelli e di "passare" per sani grazie a un sofisticato mon­ do interiore e a estenuanti strategie compensatorie che utilizzano per evi­ tare di essere scoperti dagli altri. Torturati da un passato di cui non si può parlare, sostengono delle strazianti battaglie quotidiane con il presente, vis­ suto con segreta vergogna. La persona più insospettabile - un vicino, una persona amata, un amico, un collega o un capo - potrebbe benissimo stare lottando segretamente contro i demoni di un disturbo dissociativo.

MITO N. 4 LA MAGGIOR PARTE DEI RICORDI DI ABUSO INFANTILE SONO FALSI

La verità è che la maggior parte dei ricordi di abuso sono sostanzialmente veri, sebbene possano essere inaccurati rispetto a particolari dettagli. I so­ pravvissuti che recuperano i ricordi dell'abuso possono non ricordare ne­ cessariamente i dettagli di quello che è accaduto, come le date, per esem­ pio. Possono anche ricamarci sopra (sebbene forse non consapevolmente) abbellendoli con alcuni dei dettagli che ricordano; questo è in effetti quel­ lo che accade nei casi di abuso grave e continuato. Poiché quello che i so­ pravvissuti sperimentavano nell'infanzia era per loro troppo penoso da sopportare, ed è ancora troppo penoso da ricordare, alcuni dei ricordi re­ cuperati possono essere versioni ricostruite di una storia sostanzialmente vera. In altre parole, sebbene i ricordi degli eventi originari possano subire delle distorsioni, il fatto che i sopravvissuti ricordino l'essenza della que­ stione è in definitiva quello che conta.5 5. Per una rassegna degli studi i n questo campo vedi D. Brown, A. W. Scheflin, D . C . Ham­ mond, Memory, Trauma, Treatment an d the Law: an Essential Re/erence on Memory /or Clini­ cians, Researchers, Attorneys, an d]udges, W. W. Norton, New York 1998. 23

LA DISSOCIAZIONE COS' È E COSA NON È

In tempi recenti, il dibattito molto pubblicizzato sul recupero dei ricor­ di di abuso sessuale ha creato un vasto movimento d'opinione sui pregiu­ dizi e i malintesi a proposito del trauma e della dissociazione. Ispirato e or­ ganizzato da genitori accusati di abusare delle proprie figlie, il movimento della sindrome della "falsa memoria" è un infelice allontanamento da ri­ chieste legittime di trattamento. L'accusa rivolta ai tcrapeuti di indurre fal­ si ricordi ha conquistato le prime pagine dei giornali ingigantendo i limiti della prima fase degli studi sulla dissociazione.6 I clinici ora beneficiano dei progressi rappresentati dagli strumenti diagnostici e di screening, 7 del­ l'affinata ricerca sugli effetti fisiologici del trauma8 e delle linee guida del trattamento raccomandate dall'International Society for the Study of Dis­ sociation.9 Adottando domande aperte e non direttive che hanno l'effetto di produrre risposte spontanee da parte dei pazienti sul loro abuso, sia nel­ la diagnosi con la SCID-D sia nel corso del trattamento, i terapeuti possono ridurre al minimo il rischio di falsi ricordi. Persino coloro che ritrattano - le persone che recuperano i ricordi del­ l'abuso per affermare, solo più tardi, che alcuni di quei ricordi sono falsi ­ possono avere una storia traumatica o di abuso. L'accuratezza dei ricordi dell'abuso è stata confermata in qualche caso dai rapporti della polizia, dai referti medici e dai testimoni dell'abuso stesso. 10 In ogni caso, le linee gui­ da, attualmente più sofisticate e rigorose, per valutare e trattare i disturbi dissociativi, dovrebbero permettere una più precoce scoperta dei sintomi dissociativi e un numero crescente di successi terapeutici per i sopravvis­ suti. Attualmente, il trattamento appropriato consiste nell'aiutare il pa­ ziente a ridurre la gravità dei sintomi dissociativi, alleviare lo stress associa­ to con il ricordo dell'abuso e ripristinare il funzionamento piuttosto che focalizzarsi sull'individuazione di specifici ricordi. 6. D. Schacter, "Memory distortion: history and current status" , in D.L. Schacter et al. (a cura di), Memory distortion: How Minds, Brains, and Societies Reconstruct the Past, Harvard University Press, Cambridge, MA, pp. 1 -43 . Schacter fa notare: "Un'ulteriore questione riguar­ da la possibilità di inventare un'intera storia traumatica d'abuso, laddove esso non si è verifica­ to. Non c'è nessuna prova scientifica seria che dimostri questo fenomeno in maniera inequivo­ cabile" (ibidem, p. 28). 7 . E. Bernstein, F. W. Putnam, " Development, rdiability and validity of a dissociation scale" , i n ]ournal o/Nervous a nd Menta! Disease, 174, 1986, p p . 727-735 . Questa ricerca descrive l'at­ tendibilità e la validità di uno strumento di valutazione ampiamente usato, la Dissociative Ex­ periences Scale. K. Riley, " Measurement of dissociation" , in ]ournal of Nervous and Menta! Di­ sease, 176, 1988, pp. 449-450. Questa indagine descrive l'attendibilità di un altro strumento di valutazione utile, il Questionnaire of Experiences of Dissociation. 8. J. LeDoux, Il cervello emotivo, tr. it. Baldini e Castaldi Editore, Milano 1998. M.B. Stein et al. , " Hippocampal volume in women victimized by child abuse" , in Psychological Medicine, 27 , 1997, pp. 95 1 -959. B.A. Van der Kolk,J. Burbridge, J. Suzaki, "The psychobiology of trau­ matic memory: clinica! implications of neuroimaging studies" , in Annals o/ the New York Aca­ demy o/Science, 82 1 , 1997, pp. 99- 1 13 . 9 . International Society for the Study of Dissociation (ISSD), Guidelines /or Treating Disso­ ciative Identity Disorder (Multiple Personality Disorder) in Adults, ISSD, Skokie, IL 1994. 10. P. Coons, "Confirmation of child abuse in child and adolescent cases of multiple perso­ nality and dissociative disorder not otherwise specified" , in ]ournal of Nervous and Menta! Di­ sease, 182, 1994, pp. 461 -464. 24

MITI DA SFATARE

Le dichiarazioni di falso ricordo e le ritrattazioni dell'abuso devono es­ sere considerate nel contesto in cui avvengono. Infatti, persino quando ci sono confessioni da parte degli abusanti e prove fisiche sostanziali dell'a­ buso, i bambini possono ritrattare le loro rivelazioni come un modo per gestire la confusione e il dolore psicologico. Le vittime adulte che si con­ frontano con le loro famiglie sull'abuso si scontrano spesso con la negazio­ ne e l'imposizione di ritrattare le loro affermazioni. I genitori, i fratelli o i nonni che hanno abusato di un bambino della propria famiglia possono vergognarsi a tal punto di quello che hanno fatto da non riuscire ad am­ metterlo con se stessi. t esperienza clinica dimostra che è molto più proba­ bile che siano gli abusanti a rimuovere la verità dell'abuso piuttosto che le vittime a inventarlo. 1 1

MITO N. 5 UNA PERSONA DAVVERO ABUSATA NON LO DIMENTICHEREBBE

La pressione a mantenere il silenzio sugli eventi traumatici ha un ruolo significativo nel provocare l'amnesia. Quando un padre obbliga ripetuta­ mente la figlia a fare sesso e l'avverte: " Se parli di questo ti uccido" , oppure la bambina racconta l'abuso e le viene detto che sta mentendo, allora ella è indotta a scindere il ricordo del trauma dalla coscienza. Lo dimentica, per­ ché teme di essere portata alla pazzia da un tradimento troppo doloroso da sopportare. Costretta a vivere con un terribile segreto e ammutolita dalla p aura della ritorsione, è incapace di trovare conforto o di rivolgersi a qual­ cuno che l' aiuti. 12 Il fatto di non raccontare l'abuso non significa che le persone lo abbia­ no dimenticato. La verità è che la maggior parte delle vittime non lo rac­ conta mai durante il corso della vita. In uno studio condotto all'Università del Colorado a Boulder nel 1 995 , i ricercatori hanno trovato che soltanto 1 1 . P. Barach, "Thcrapcutic tcchniqucs uscd by therapists treating their fìrst patient with dissociative identity disorder: diagnostic indicators, memory recovery techniques, therapeutic boundaries" , in The lnternationl Society for the Study of Dissociation (a cura di) Proceedings o/ the lnternational Society /or the Study of Dissociation, San Francisco 1996. ]. Herman, M. Har­ vey, "Adu!t meinories of childhood trauma: a naturalistic clinica! study", in ]ournal o/Traumatic Stress, 10, 1997, pp. 557-57 1 . Kenneth V. Lanning, lnvestigator's Guide to Allegations o/ "Ri­ tual" Child Abuse, National Center for the Analysis of Violent Crime, Federai Bureau of Inve­ stigation, Quantico, VA, 1992. Ken Lanning, ]'agente dell'FBI incaricato delle indagini sull'abuso rituale, ha scritto: "Io credo che la maggior parte delle vittime che dichiara !"abuso rituale' sia stata davvero vittima di qualche forma di abuso o trauma" (ibidem, p. 39). 12. D. Elliott, J. Briere, "Post-traumatic stress associated with delayed recall of sexual abu­ se: a generai population study" , in Journal o/ Traumatic Stress, 8, 1995 , pp. 629-647. Elliott e Briere hanno trovato che di 505 persone che erano state sessualmente abusate il 42% sperimen­ tava una qualche forma di amnesia per il proprio abuso. I fattori che influenzavano il ritardo nel richiamare il ricordo dell'abuso includevano minacce da parte degli abusanti e un alto livello di sofferenza che accompagnava l'abuso. 25

LA DISSOCIAZIONE. COS' È E COSA NON È

1'8% degli uomini e il 22 % delle donne che descrivevano esperienze di abuso sessuale nell'infanzia si identificavano come " abusati " . Tra coloro che descrivevano esperienze di abuso fisico, che comprendevano l'essere picchiati, pestati, presi a calci e minacciati con un'arma da un genitore, sol­ taNto il 5 % degli uomini e il 9% delle donne si identificavano come " abu­ sati " Y Una ricerca del 1 994 su 129 donne con storie di abusi sessuali (do­ cumentati da visite al pronto soccorso) ha trovato che quando venivano in­ tervistate diciassette anni dopo, il 3 8 % di queste donne non ricordava l'a­ buso. 1 4 Ribadiamo che queste erano donne il cui abuso era stato così grave da indurle a rivolgersi al pronto soccorso. Possiamo soltanto immaginare quante altre abbiano sofferto in silenzio a casa. Le persone che hanno una storia di abuso infantile non sono impazienti di parlarne. O meglio, non possono farlo. Per ciascuna persona che ha un presunto falso ricordo di abuso, ce ne sono milioni che sono state talmente indebolite dall'abuso infantile, che, mentalmente compromesse, o nelle i­ stituzioni per malati psichiatrici cronici, o senzatetto per le strade, non di­ ranno mai una parola dell'accaduto con nessuno. Paradossalmente, i risultati della ricerca secondo cui le persone dimen­ ticano i dettagli dell'evento traumatico ma non il fatto che esso sia accadu­ to dà una risposta alla domanda posta spesso dagli scettici su come una persona possa dimenticare completamente una cosa così oltraggiosa come un abuso sessuale e poi, improvvisamente, ricordarsela dopo anni. Il pun­ to è che la persona non la dimentica completamente. 15 Molti adulti con storie di abuso infantile conoscono momenti durante la vita in cui dimenti­ cano, o quasi, l'abuso, ma pochissimi di loro lo hanno sostanzialmente di­ menticato nel corso della vita. Quello che generalmente succede è che essi sperimentano un'irruzione di impressioni intrusive e frammentate dell'a­ buso con periodi intermittenti di oblio.16 La maggior parte delle rivelazio­ ni di abuso sessuale non sono basate su ricordi " recuperati" , magicamente 1 3 . L. Silvern et al., "Retrospective reports of parental partner abuses: relationships to de­ pression, trauma systems and self-esteem among college students", in ]ournal ofFamzly Violen­ ce, 10(2), 1995 , pp. 177-202. 14. L.M. Williams, "Recall of childhood trauma: a prospective study of women's memories of child sexual abuse", in Journal o/ Consulting and Clinica! Psychology, 62(6), 1994, pp. 1 167- 1 176. Il follow-up della dottoressa Williams su 129 donne diciassette anni dopo che erano state trattate in pronto soccorso per un'aggressione sessuale rivelò che il 3 8 % delle donne aveva amnesia per l'abuso. Trovò che i fattori correlati con l'amnesia comprendevano un'età più bassa al momento dell'abuso, un abuso più violento e di più lunga durata. 15 . ]. Herman, E. Schatzow, "Recovery and verification of memories of childhood sexual trauma", in Psychoanalytic Quarterly, 4 ( 1 ) , 1987, pp. 1 - 14. Herman e Schatzow hanno trovato che di cinqùantatré sopravvissute all'incesto in terapia di gruppo, il 74% era stato in grado di suffragare l'esperienza d'abuso attraverso varie fonti, incluse le ammissioni da parte degli abu­ santi e la scoperta che anche un altro fratello era stato abusato sessualmente. 16. L.C. Terr, Too Scared to Cry: Psychic Trauma in Childhood, Harper & Row, New York 1990. Terr ha trovato che i bambini che avevano meno di tre anni al momento dell'esposizione a un trauma documentato, quasi sempre sperimentavano un ricordo comportamentale, compre­ se paure, sogni e riattualizzazioni del trauma. 26

MITI DA SFATARE

estratti dal magazzino dei ricordi come conigli dal cappello, ma su un pro­ cesso fatto di ricordare, dimenticare e ricordare che è tipico del richiamo dei ricordi traumatici. Ricordi come quelli dell'abuso sessuale hanno vita propria. In quanto se­ gnati dalla paura, non vengono registrati in maniera coerente nella pellicola della mente, come avviene per i ricordi degli eventi codificati dalla parte pensante del cervello. Incapace di pensiero, la piccolissima parte di materia grigia chiamata amigdala modella e immagazzina i ricordi traumatici nel si­ stema limbico che processa emozioni e sensazioni, ma non il linguaggio o i discorsi. Come risultato, coloro che sopravvivono all'abuso infantile posso­ no portare ricordi fisiologici impliciti del terrore, del dolore e della tristezza generati dall'abuso, ma possono avere pochi o nessun ricordo esplicito dei fatti che spieghino i flashback, i sentimenti e le sensazioni che suscitano. Es­ si vivono con le ripercussioni dell'evento senza avere una narrazione - que­ sto è quanto è successo un certo giorno in un certo luogo - che possa forni­ re i retroscena. I ricordi delle esperienze traumatiche non vengono recupe­ rati, essi intrudono. Saltano fuori come frammenti discontinui e impressio­ nistici, sovraccaricati di sensazioni ed emozioni che possono distorcere i dettagli. Il ricordo dell'abuso di solito resta intatto nel tempo ed è reale. Un'altra domanda spesso posta dalle persone che dubitano della veridi­ cità delle rivelazioni degli abusi è: "Perché alcuni sopravvissuti al trauma ricordano la loro esperienza senza nessun vuoto mentre altri hanno amne­ sie? " . In altre parole perché non tutti dissociano i ricordi del trauma? N a­ turalmente coloro che sono più indotti a evitare i pensieri e i sentimenti stressanti legati al trauma è più probabile che abbiano vuoti di memoria per l'evento o per i suoi aspetti minacciosi. Ci sono tre fattori principali che influenzano questa propensione verso l'amnesia dissociativa: la natura degli eventi traumatici, la loro frequenza17 e l'età della persona che ne ha fatto esperienza.18 Un bambino sessualmente abusato da un genitore che lo avverte che un'eventuale rivelazione significherà la morte ha buone ragioni per svilup­ p are amnesia per il trauma. Di contro, una donna violentata da un estra­ neo entrato di soppiatto nel suo appartamento e che le punta contro un coltello, può soffrire di un grave stress post-traumatico, ma se la famiglia e gli amici si stringono intorno a lei e le offrono empatia e supporto quando 17. L. C. Terr, "Childhood traumas: an oudine and overview" , in American Journal o/ Psy­ chiatry, 148, 1 99 1 , pp. 10-20. Terr riassume così la relazione tra frequenza del trauma e memo­ ria: "I ricordi verbali di singoli shock in un'infanzia altrimenti priva di traumi vengono comuni­ cati in modo sorprendentemente chiaro e dettagliato. I bambini a volte sembrano dei robot nel­ lo sforzo di raccontare ogni dettaglio nella maniera più efficiente possibile" (ibidem, p. 14 ) , !ad­ dove i ricordi dell'abuso prolungato danno luogo all'amnesia. 18. ]. Briere, J. Conte, "Self-reported amnesia for abuse in adults molested as children" , in ]ournal o/Traumatic Stress, 6( 1 ) , 1 993, pp. 2 1 -3 1 . Briere e Conte hanno trovato che di 450 adul­ ti con storie di abuso sessuale il 59% aveva sperimentato amnesia come effetto dell'abuso subi­ to prima dei diciotto anni. 27

LA DISSOCIAZIONE. COS' È E COSA NON È

racconta la spaventosa esperienza, lei non avrà bisogno di allontanarla dal­ la memoria. I disastri casuali, come i terremoti o gli incidenti aerei, sono di natura impersonale ed è meno probabile che vengano dissociati rispetto a un traj,lma inflitto volontariamente da un altro essere umano, come l'abuso sessuale o la tortura. Un singolo evento traumatico, come una violenza ses­ suale, l'essere testimoni di una morte violenta o lo scampare per miracolo alla morte in un incidente, è meno probabile che venga dissociato rispetto a traumi ripetuti, come un continuo abuso fisico o sessuale o una battaglia militare lungamente combattuta, i quali danno luogo spesso ad amnesia. Gli adulti che fanno esperienza di eventi traumatici è meno probabile che dissocino il loro ricordo rispetto ai bambini che sperimentano il trauma. Poiché il sistema nervoso centrale del bambino è troppo immaturo per processare la paura, il dolore e l'eccitazione soverchianti che il trauma ses­ suale ripetuto attiva, più il bambino è giovane quando si verifica il trauma più è probabile che quell'evento verrà dissociato.

MITO N. 6 IL DDI NON È UNA VERA MALATTIA

Tutte le indagini scientifiche confermano il fatto che il DDI è una malattia reale con un pattern di sintomi coerente, un andamento caratteristico e un deterioramento cronico se non viene trattata. I field trials della SCID-D han­ no dimostrato che il DDI è una vera malattia con sintomi clinicamente misu­ rabili. I soggetti davano descrizioni minuziose per sostanziare tutti i sintomi dissociativi che sostenevano di avere. Ricercatori indipendenti in tutto il mondo che usano la SCID-D e una varietà di altri strumenti di misura hanno documentato profìli di sintomi virtualmente identici nelle persone con DDI. D'altro canto, il mito secondo cui il DDI non sarebbe una vera malattia è ba­ sato su informazioni di tipo aneddotico, sulla disinformazione e sulle con­ clusioni ingiustificate di ricercatori che lavorano in laboratorio con studenti volontari piuttosto che con pazienti psichiatrici. Sebbene questi esperimen­ ti dimostrino che alcuni sintomi, come l'uso di un altro nome rispetto a quello reale, possano subire l'influenza di domande direttive, non offrono prove che tutta la sindrome clinica del DDI possa essere simulata.19 L'idea che le persone possano simulare o esagerare il disturbo da perso­ nalità multipla riuscendovi fu sonoramente disconfermata da George Fra­ ser e collaboratori in una ricerca del 1 999. Usando la SCID-D e altri test psi19. M. Steinberg, P. Hall, D. Cicchetti, " Recognizing the validity of dissociative symptoms and disorders using the SCID-D-R: Guidelines for clinica! and forensic evaluations" , in The Uni­ versity o/ Southern Calzfornia Interdisciplinary Law ]ournal (in stampa). Gli autori presentano delle linee guida sistematiche per indagare la validità dei sintomi e dei disturbi dissociativi. 28

MITI DA SFATARE

cologici, il progetto di ricerca cercava di individuare i soggetti con persona­ lità multipla in un gruppo formato da simulatori, pazienti con DDI, schizo­ frenici e persone normali. Con la SCID-D venne diagnosticato il DDI al lOO% dei veri pazienti mentre a nessuno dei simulatori o delle persone normali.20 Le persone che ora sostengono che Sybil non era veramente affetta da disturbo da personalità multipla, ma che era una persona altamente sugge­ stionabile che stava simulando i suoi sintomi per compiacere la terapeuta, sono colpevoli di far passare il sentito dire e la pseudoscienza per ricerca autentica.21 La sua psichiatra, la dottoressa Cornelia B. Wilbur, allora pro­ fessoressa di psichiatria alla Medicai School dell'Università del Kentucky, è morta e non può difendere la sua diagnosi e il trattamento della sua famosa paziente. La terapia di Sybil si svolse prima di avere a disposizione i moder­ ni test che avrebbero provato se si trattava o meno di una paziente con per­ sonalità multipla. In ogni caso, i sintomi descritti nel libro basato sul suo ca­ so sono tipici dei pazienti a cui è stata fatta una accurata diagnosi di DDI.

MITO N. 7

IL DDI NON PUÒ ESSERE CURATO

I pazienti con DDI una volta diagnosticati accuratamente e trattati in ma­ niera appropriata hanno una prognosi favorevole. Il problema è stato il fai20. G. Fraser et al., " Contrasts between DID, paranoid schizofrenia, non-psychiatric con­ and a non-patient group simulating DID as a factitious disorder on normed tests and inter­ views" , in International Society for the Study of Dissociation (a cura di) , Proceedings/or the 1 6'h lnternational Con/erence o/ the Society /or the Study o/ Dissociation: Integrating Dissociation 'I heory into Clinica! Practice and Psychological Research , ISSD, Miami, FL, 1 999, pp. 12- 1 3 . Un'altra indagine condotta d a Kluft h a trovato che nessun simulatore è i n grado d i essere coerente con le caratteristiche di una finta personalità; l'assunzione di diverse personalità era polarizzata lungo l'asse personalità buona/cattiva o innocente/colpevole. Vedi R.P. Kluft, "The simulation and dissimulation of multiple personality disorder" , in American ]ournal o/ Clinical llypnosis, 30, 1987, pp. 104- 1 1 8. Spanos, Weekes e Bertrand hanno condotto uno studio che aveva l'obiettivo di dimostrare che le persone possono prontamente inscenare una personalità multipla quando vengono loro forniti gli "incentivi appropriati" . La ricerca è stata effettuata su 48 studenti del college che as­ sumevano il ruolo di presunti assassini - un caso di DD! atipico, tanto per iniziare. Lo studio prevedeva sedute d'ipnosi simulate durante le quali ai soggetti "ipnotizzati" veniva detto che l'intervistatore voleva comunicare con un'altra parte di loro stessi. Ai soggetti venivano rivolte poi quattro domande: l ) Chi sei? 2) Puoi raccontarmi qualcosa di te? 3 ) Hai un nome con cui ti posso chiamare? 4) Raccontami di te [ripetendo il nome della personalità]. Cosa fai? Vedi N.P. Spanos, }.R. Weekes, L. D. Bertrand, " Multiple personality, a social psychological perspective" , rn ]ournal o/Abnormal Psychology, 94, 1985 , p p . 362-376. Sebbene Spanos e collaboratori riportassero che alcuni soggetti usavano un nome differen­ te dal proprio e sostenevano di non riuscire a ricordare niente di quello che era accaduto dopo l'inizio della procedura ipnotica, non c'erano prove che i ricercatori fossero in grado di elicitare la piena gamma di sintomi necessari per una diagnosi di DD!. Infatti, l'uso di un altro nome e la presenza dichiarata dell'amnesia (basata su risposte sì/no) sono elementi insufficienti a soddi­ sfare i criteri del DSM-IV per tale diagnosi. 2 1 . G. Gleaves, "The sociocognitive mode! of dissociative identity disorder: a re-examina­ tion of the evidence" , in Psychological Bulletin, 120( 1 ) , 1 996, pp. 42-59. trols,

29

LA lliSSOCIAZIONE. COS'È E COSA

NON Ì:

limento di molti clinici in fase diagnostica. Ora, la SCID-D può aiutare a ri­ solvere questo problema. 22 I questionari contenuti in questo libro rende­ ranno possibile identificare sintomi privi di nome o in precedenza ignorati e che per questo motivo non erano trattabili. Il trattamento più efficace per il DDI è una combinazione di psicoterapia altam ente specifica e terapia farmacologica. Gli antidepressivi e gli ansioli­ tici vengono usati di frequente per alleviare il numbing emotivo, la depres­ sione o l'agitazione associati con il disturbo. La psicoterapia,23 contraria­ mente a quanto comunemente si pensa, non si focalizza sul recupero dei ri­ cordi dell'abuso. Non è necessario che una persona draghi più ricordi di quanti non sia preparata a gestire, né che ricordi tutti i dettagli. Quello che è necessario è sapere come calmarla quando i ricordi o le emozioni associa­ te con le parti scisse di sé emergono.24 Il lavoro di terapia è principalmente un processo educativo. Prima, la persona impara a identificare le sue parti nascoste o disconnesse, a ricono­ scerle e a sentirsi a proprio agio quando esse emergono; poi impara come aiutare queste parti a comunicare tra loro e a lavorare insieme in squadra; e infine, integrando quello che ha appreso da ciascuna di queste parti nel proprio senso di sé, rende la loro separazione non più necessaria.25 Le per­ sone con DDI tendono ad avere una ricca immaginazione e a essere creati­ ve, capaci di esprimere nella scrittura e nell'arte quello che è stato loro proibito di dire. Perciò scrivere lettere alle parti nascoste o disegnare im­ magini che le rappresentino è una tecnica efficace per stimolare la comuni­ cazione tra loro. La guarigione è un processo impegnativo che richiede tempo, in media da tre a cinque anni di sedute settimanali. I risultati possono essere enor­ memente gratificanti e trasformativi, soprattutto quando si considera che molte persone con DDI passano lunghi anni della loro vita in terapia per at­ tacchi di panico, DOC, depressione, disturbi d'ansia, disturbi bipolari, di­ sturbo da deficit di attenzioneliperattività, e persino schizofrenia senza al­ cun tipo di miglioramento. Le storie dettagliate di tre delle mie pazienti che compaiono più avanti 22. S. Boon, N. Draijer, " Diagnosing dissociative disorders in the Netherlands: a pilot study with the structured clinica! interview for DSM-Ill-R Dissociative Disorders" , in American ]ournal o/Psychiatry, 148(4), 1 99 1 , pp. 458-462. T. Kundaker et al., "The reliability and validity of the Turkish version of the SCID-D " , in The International Society for the Study of Dissociation (a cu­ ra di), Dissociative Dimrders: Proceedings o/ the Internaional Society /or the Study o/ Dissocia­ tion, Chicago 1998. F. W. Putnam, Dzagnosis and Treatment o/ Multiple Personality Disorder, The Guildford Press, New York 1989. 23 . R.P. Kluft, "An overview of the psychotherapy of dissociative identity disorder" , in American ]ournal o/Psychotherapy, 5 3 , 1999, pp. 289-3 18. 24. F. W. Putnam et al., "The clinica! phenomenology of multiple personality disorder: 100 recent case " , in ]ournal o/Clinica! Psychiatry, 47 , 1 986, pp. 285-293 . 25. ] . Allen, Coping with Trauma: A Guide to SelfUnderstanding, American Psychiatric Press, Washington DC 1995 . 30

MITI DA SFATARE

n el libro rappresentano esempi illuminanti di come le persone con un di­ st u rbo dissociativo possano guarire. Esse sono la prova dello straordinario potere della mente umana sia di difendere se stessa dall'inumanità sia di guarire dalle ferite riportate nella lotta per la sopravvivenza.

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PARTE SECONDA

Riconoscere i segni e valutare i sintomi dissociativi

4 I cinque sintomi fondamentali

Dopo anni di lavoro con persone sopravvissute all'abuso e di ascolto dei loro sintomi, ho scoperto qual è la chiave che apre il mistero indecifrabile della dissociazione: l'esistenza di cinque sintomi fondamentali. 1 Questi sintomi, in misura diversa, vengono universalmente sperimentati in segui­ to all'esposizione a un trauma. I sintomi dissociativi fondamentali sono:

l) 2) 3) 4) 5)

amnesia; depersonalizzazione; derealizzazione; confusione dell'identità; alterazione dell'identità.

L'amnesia è l'incapacità di ricordare uno specifico e significativo perio­ do di tempo trascorso. Si può pensare a essa in termini di "buchi" nella memoria o "tempo perduto" . L a depersonalizzazione è una sensazione d i distacco d a se stessi o un g uardare a se stessi come farebbe una persona esterna. Ci si può anche sen­ tire separati da parti del proprio corpo o distaccati dalle proprie emozioni, come un robot o un automa. La derealizzazione è una sensazione di distacco dall'ambiente o una senl. Le due pubblicazioni indicate di seguito forniscono una rassegna di questi cinque sintomi fondamentali: M. Steinberg, Handbook /or the Assessment o/ Dissociation: A Clinica! Guide, American Psychiatric Press, Washington DC 1995. M. Steinberg, " Advances in the clinica! as­ sessment of dissociation: the SCIO-D-R " , in The Bulletin o/ the Menninger Clinic, 64(2), 2000 (Spring), pp. 146- 1 63 . Le due cassette audio seguenti contengono una rassegna d i questi sintomi e una guida alla loro valutazione: M. Steinberg, A Clinician's Guide to Diagnosis Dissociative Symptoms and Disorders: I h e SCID-D. Multi-Health Systems, Toronto 1996 (audiocassetta e manuale). M. Steinberg, Tips and Techniques /or Assessing and Planning Treatment with Dissociative Disorder Patients: A Practical Guide to the SCID-D, Multi-Health Systems, Toronto 1996 (audiocassetta e manuale). La SCIO-D-R è stata tradotta in francese, spagnolo, giapponese, portoghese, ebraico, russo, olandese, norvegese, tedesco e turco. Numerose ricerche negli Stati Uniti e in altri Paesi hanno trovato che la SCIO-D-R è uno strumento attendibile per l'identificazione dei cinque sintomi fondamentali e dei disturbi dis­ sociativi e che questi sintomi sono manifestazioni universali delle strategie degli individui per so­ pravvivere al trauma. In M. Steinberg, Interview's Guide to the Structured Clinica! Interview /or D.\M-IV Dissociative Di.mrders-Revised (SCID-D-R), American Psychiatric Press, Washington DC 1994 si trovano le linee guida per la somministrazione e lo scoring della SCIO-D-R rivolte ai clinici. 35

RICONOSCERE I SH;NJ E VALUTARE I SINTOMI DISSOCIATIVI

saziorfe per cui l'ambiente sembra irreale o estraneo e spesso riguarda per­ sone che in precedenza erano familiari. La confusione dell'identità è una sensazione d'incertezza, perplessità o conflitto su chi si è. Ci si può sentire come se al proprio interno si svolgesse in modo singolare una continua lotta per definire se stessi, compresa la propria identità sessuale. �alterazione dell'identità è un cambiamento nel ruolo o nell'identità della persona, accompagnato da cambiamenti comportamentali osservabi­ li dagli altri, come parlare con una voce diversa o usare nomi diversi. Si può anche sperimentare il cambiamento come passaggio a una personalità diversa o come perdita di controllo su di sé in favore di un altro che sta al proprio interno. Dopo aver identificato questi sintomi principali, ho sviluppato un me­ todo per valutare la loro gravità, costruendo una definizione concisa per ciascuno di essi che sintetizzasse le sue caratteristiche principali. In parti­ colare, ho usato i termini " confusione dell'identità" e " alterazione dell'i­ dentità" per descrivere come il trauma influenza il proprio senso di sé. La SCID-D ha permesso ai clinici di valutare per la prima volta tutti e cinque i sintomi in maniera esauriente, stabilendo la presenza o meno dei disturbi dissociativi. Le diverse costellazioni di queste cinque sindromi fondamen­ tali definiscono il particolare disturbo dissociativo della persona: l . amnesia dissociativa (perdita di memoria per la propria identità o il pro­

2. 3. 4. 5.

prio passato caratterizzata dall'incapacità di richiamare importanti informazioni personali) ; fuga dissociativa (improvviso e inaspettato allontanamento dalla pro­ pria casa associato con confusione dell'identità che produce sofferenza e cattivo funzionamento) ; disturbo da depersonalizzazione (gravi episodi persistenti e ricorrenti in cui ci si sente distaccati da se stessi, da parti del proprio corpo o dalle proprie emozioni e che producono sofferenza e cattivo funzionamento) ; disturbo dissociativo dell'identità o DDI (compresenza d i distinte e coe­ renti identità al proprio interno in grado di assumere il controllo del proprio comportamento e del proprio pensiero) ; disturbo dissociativo non altrimenti specificato (DDNAS, stadio precoce o forma meno grave degli altri disturbi che spesso precede una diagnosi di DDI).

�intervista della SCID-D ritrae in modo chiaro le condizioni di salute del si­ stema di risposta al trauma di una persona. A un'estremità dello spettro si collocano coloro che hanno difese dissociative normali: i loro sintomi so­ no lievi o rari, di breve durata e non dolorosi o distruttivi per le loro vite. Nel mezzo vi sono coloro che hanno sintomi moderati che si verificano più di frequente e durano più a lungo rispetto ai precedenti, compresi alcuni 36

l

CINQUE SINTOMI FONDAMENTALI

sintomi che causano disfunzione e sofferenza e che indicano l'opportunità di una valutazione da parte di un professionista. Molte persone che rien­ trano in questa fascia sono state in terapia per altri disturbi - depressione o attacchi di panico, per esempio - e non raggiungeranno una piena guari­ gione a meno che la dissociazione non venga riconosciuta e trattata. All'e­ stremità opposta vi sono coloro che presentano sintomi gravi che sono più frequenti e determinano una maggiore disfunzione rispetto ai sintomi mo­ derati, e sono presenti in coloro che hanno disturbi dissociativi. La distinzione più importante da fare è tra le esperienze dissociative lie­ vi, cioè normali, e le esperienze che rientrano nell'intervallo di punteggi da moderate a gravi. Nel caso in cui i sintomi ricadano in una posizione qua­ lunque di questo intervallo, sarebbe opportuno sottoporsi alla SCID-D nella forma integrale somministrata da un professionista qualificato che possa fare una diagnosi accurata. Con un trattamento appropriato, le possibilità di guarigione da un disturbo dissociativo sono molto buone. Stabilire se una risposta dissociativa è sana o meno dipende dalla pro­ pria capacità di riconoscere certe esperienze - i vuoti di memoria, i senti­ menti di irrealtà, il numbing emotivo, le esperienze fuori dal corpo, i movi­ menti automatici ecc. - come segni di uno dei cinque sintomi dissociativi fondamentali. Una volta compreso pienamente come e perché questi sin­ tomi si manifestano, si può chiarire e stabilire se la propria esperienza è normale o si colloca a un livello più alto, moderato o grave. Una diagnosi accurata di un disturbo può essere intrapresa soltanto da un clinico adeguatamente formato. Lo scopo dei prossimi capitoli sui cinque sintomi fondamentali è quello di riportare su di essi quanto basta a mettere il lettore in grado di capire e riconoscere da solo le proprie esperienze. Do­ p o aver letto il materiale su ciascun sintomo, si può rispondere al questiona­ rio adattato dalla SCID-D su tale sintomo che si trova alla fine del capitolo. Dopo aver completato ciascun questionario, il lettore dovrebbe essere in grado di valutare se i propri sintomi sono sufficientemente gravi da motiva­ re l'invio a un terapeuta. Se è già in corso una terapia, è opportuno sotto­ p orre tali sintomi all'attenzione del terapeuta, soprattutto se essi sono mol­ to disturbanti, e chiedere di essere sottoposti alla SCID-D completa. Il test ri­ chiede normalmente meno di tre ore. Questo breve lasso di tempo può sal­ vare una pé;rsona da anni di diagnosi sbagliate e trattamenti inappropriati. Come indicato, alcuni degli item dei questionari sono segni di sintomi diss ociativi normali. Per esempio, dimenticare dove sono stati messi ogget­ ti personali come le chiavi o gli occhiali è un tipo normale di amnesia; tro­ vare difficile gestire tutti i diversi ruoli della propria vita è una forma nor­ male di confusione dell'identità. Esperienze come queste non dovrebbero essere motivo d'interesse. Se qualche altro item è stato sperimentato diver­ se volte, in particolare se il sintomo è associato a disfunzione o angoscia, è consigliata una valutazione più completa da parte di un professionista. 37

RICONOSCERE I SEGNI E VALUTARE I SINTOMI DISSOCIATIVI

Le illustrazioni che seguono (vedi le figure 4 . 1 -4.5 ) , tratte dalla mia In­ terviewer's Guide to the SCID-D, forniscono un'immagine di come la presen­ za dei sintomi dissociativi determini un disturbo. I primi quattro grafici mostrano come i cinque sintomi fondamentali si combinano per formare un particolare disturbo dissociativo. L'ultimo mostra l'ampia divergenza nella gravità dei sintomi tra le persone normali e quelle con disturbi disso­ ciativi. I sintomi negli individui normali sono lievi o assenti, laddove i sin­ tomi nelle persone con un disturbo dissociativo sono per lo più moderati o gravi. Nel mezzo, tra i due gruppi, stanno i "moderati" , persone con tutta una serie di condizioni psichiatriche e sintomi dissociativi di più alto grado rispetto alle persone normali. Questi sintomi spesso non vengono riferiti o non vengono rilevati in terapia a detrimento del paziente. Le risposte ai questionari forniscono un inquadramento preliminare in base alla SCID-D del proprio sistema di risposta al trauma. Se si ottiene in tutti i questionari un punteggio che rientra nel livello "lieve" di gravità dei sintomi, si può considerare sano il proprio sistema di risposta al trauma e normali i propri sintomi dissociativi. Se ci si colloca a un livello "modera­ to" o "grave" per uno qualunque dei sintomi, è un buon consiglio quello di vedere un terapeuta per una valutazione più completa. Individuare que­ sti sintomi e stabilire la loro gravità sono i primi passi cruciali per chiunque abbia bisogno di una terapia e ne desideri una efficace.

\

Grave

\ Ì\ \

f---� ----+ + --------- ---------- ------- --------

Moderato

1---------

--

Lieve

Nessuno

Figura 4 . 1

38

Amnesia

Depersonalizzazione

Derealizzazione

Confusione dell'identità

Alterazione dell'identità

Profilo sintomatologico dell'amnesia dissociativa secondo la SCID-D.

l CINQUE SINTOMI FONDAMENTALI

\\

M oderato

i\

\

Lieve

Nessuno

Amnesia

Depersona­ lizzazione

Derealizza­ zwne

/ / Confusione

dell'identità

Alterazione

dell'identità

Figura 4.2 Profilo sintomatologico della fuga dissociativa secondo la SCID-D.

Grave

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Moderato

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Amnesia

Depersona­ lizzazione

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Confusione dell'identità

Alterazione dell'identità

Figura 4.3 Profilo sintomatologico del disturbo di depersonalizzazione secondo la SCID-D.

39

RICONOSCERE l SEGNI E VALUTARE l SINTOMI DISSOCIATIVI

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Alterazione dell'identità

DDNOS

Figura 4.4 Profilo sintomatologico del disturbo dissociativo dell'identità (DDI) e del di­ sturbo dissociativo non altrimenti specificato (DDNAS) secondo la SCIO-D.

Ristampa autorizzata da M. Steinberg, Interview's Guide to the Structured Clinica! Interview /or DSM-lV Disso­ cùJtive Disorders-Revised (SC/D-D-R), American Psychiatric Press, Washington DC 1994.

Grave

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Confusione dell'identità

Alterazione dell'identità

Normali

Figura 4.5 Profilo sintomatologico nei pazienti psichiatrici e nei controlli normali secon­ do la SCID-D.

I dati sono stati tratti da

M.

American ]ournal o/ PsychùJtry, 147, 1 990, pp. 76-82. Ristampa autorizzata da M. Steinberg, Interview's Guide lo the Structured Clinica! lnterview far DSM-W Disso­ cÙJtive Disorders-Revised (SC/LJ-D-K), American Psychiatric Press, Washington m: 1994. Steinberg, D. Rounsaville, D . Cicchetti, "The structured clinica! interview of

DSM-III-R dissociative disorders: preliminary report on a new diagnostic instrument" , in

40



5 Il buco nero dei ricordi perduti

Harry Connick Jr, noto cantante e pianista, adesso può riderei sopra, ma quando accadde fu un momento di pesante umiliazione. Si stava esibendo davanti a una vasta folla in un locale con il "tutto esaurito" . Mentre canta­ va una canzone che aveva eseguito un numero incalcolabile di volte prima di allora, a un certo punto, individuò tra il pubblico uno dei suoi idoli più amati e di colpo dimenticò le parole. La sua mente era completamente vuota. Obbligato a improvvisare, se ne uscì in maniera elegante con una battuta, e in qualche modo riuscì a chiudere il pezzo. Questo tipo di vuoto associato all"' ansia da prestazione" è una forma di amnesia dissociativa lieve o di perdita della memoria che accade quasi a tutti noi quando siamo sotto stress. L'amnesia dissociativa è qualcosa di di­ verso dalla perdita permanente dell'informazione immagazzinata, simile alla cancellazione accidentale nella memoria di un computer, come nel ca­ so di un trauma cerebrale. L'amnesia nella dissociazione non cancella il ri­ cordo; lo sposta dalla consapevolezza all'inconsapevolezza. Nell'amnesia lieve, il materiale temporaneamente spostato per errore può essere di soli­ to recuperato quando lo stress si riduce. In molte condizioni l'amnesia è naturale o persino necessaria. Se alla mente venisse costantemente richiesto di processare nella memoria, a livel­ lo conscio, tutti i dati accessibili, il risultato sarebbe un sovraccarico impen­ sabile di stimoli. Come afferma Nietzsche: " Senza dimenticare sarebbe quasi impossibile vivere" .

L A MEMORIA E L'IMMAGINE DI SÉ La memoria può essere considerata la parte più essenziale della coscienza umana perché abbiamo bisogno di mantenere una memoria continua degli eventi prima di poter attribuire loro dei significati. Possiamo pensare alla memoria come al "linguaggio dell'identità" poiché il senso di sé è tipica­ mente costruito attorno alla propria storia personale. L'immagine di se stessi si fonda in larga misura sul ricordo della storia degli eventi, delle re­ lazioni e delle convinzioni personali e sull'attesa di un certo tipo di risposta 41

RICONOSCERE l SEGNI E VALUTARE I SINTOMI DISSOCIATIVI

alle situazioni sulla base della propria esperienza passata. La perdita di me­ moria o le lacune nel ricordo della propria storia personale sono spesso percepite come un attacco al senso d'identità e possono essere preoccu­ panti o terrificanti. Poiché gli episodi di normale amnesia sono comuni, è importante poterli distinguere da un'amnesia di gravità moderata, poten­ zialmente indicativa di un problema, e dall'amnesia grave che si verifica quando il senso di sé è già frammentato.

L'AMNESIA LIEVE

Le dimenticanze brevi e occasionali sono una forma lieve di amnesia disso­ ciativa, o difetto di memoria, che capita a tutti noi quanto siamo sotto stress. Vi è un'infinità di esempi di questo tipo. A chi non è capitato una volta nella vita di salire le scale per andare a prendere qualcosa dimenti­ cando cosa fosse? Quante volte abbiamo incontrato una persona che co­ nosciamo e di cui sappiamo il nome ma che, in quel momento, nonostante ci stia provocatoriamente " sulla punta della lingua", non riusciamo a ricor­ dare? Ancora, qualcuno ci chiede di cantare l'inno nazionale e nel bel mez­ zo dimentichiamo le parole; o siamo talmente preoccupati del nostro stato di salute che dimentichiamo l'appuntamento con un dottore pur avendolo confermato; oppure, la mente divaga durante una lettura o una conversa­ zione noiosa e perdi�mo parte di quello che viene detto. Uno degli esempi più noti di normale perdita dissociativa della memo­ ria è " l'ipnosi da autostrada " . Essa può manifestarsi in due modi diversi. La strada che si percorre può essere così familiare che solo parte della no­ stra mente è presente e si arriva a destinazione senza ricordare il tragitto. Oppure si è così assorti in altre questioni durante il percorso da dimentica­ re di imboccare l'uscita giusta e ci si " risveglia" diverse uscite dopo chie­ dendosi: " Ma dove ho la testa? ! " . Oltre a questi episodi di amnesia lieve piuttosto comuni, vi è il vuoto to­ tale che l'intensa pressione di un esame o di un colloquio di lavoro può in­ durre. Julia, una specialista informatica, ricorda ! ' "incartamento" di quan­ do fece un colloquio di lavoro con un direttore del personale che trovava incutesse molto timore. " Era come trovarsi di fronte a un detective in un interrogatorio in una stanza della polizia" racconta. " L'uomo era come un pezzo di ghiaccio. Mi sparava domande seduto lì, con la faccia di marmo, mentre io rispondevo. Poi mi chiese di risolvere un problema di program­ mazione per valutare le mie capacità. Lasciò la stanza, ma io ero già così in­ nervosita che non riuscivo a ricordare i passaggi più basilari. In altre circo­ stanze sarebbe stata una cosa da niente. " Alex, uno studente universitario di ventinove anni che serve ai tavoli part time per mantenersi agli studi, talvolta ha lo stesso tipo di leggeri vuoti di me42

IL BUCO NERO DEl RICORDI PERDUTI

m oria. "li ristorante in cui lavoro è molto di tendenza" dice Alex, "e ci sono sempre una dozzina di piatti speciali che ti devi ricordare con diverse combi­ nazioni di ingredienti e salse fantasiose. Di solito riesco a sciorinarle d'un fiato s enza problemi. Ma ogni volta per un momento 12erdo il filo quando qualcuno mi fissa dal tavolo e la mia mente diventa vuota. E sconcertante. Devo fermar­ mi a guardare questo foglietto di appunti che porto e funziona sempre." Molte persone sono a disagio sotto i riflettori e sono predisposte alla paura da p alcoscenico, una causa di amnesia lieve piuttosto comune. Per queste persone, fare un discorso in pubblico è altrettanto traumatico di un evento che mette a repentaglio la vita. Stare al microfono ed essere fissati da un mare di facce li getta nel terrore di essere umiliati in pubblico. Inve­ ce di concentrarsi sul contenuto del discorso, si dissociano e finiscono con l 'avere la mente vuota. Fortunatamente, l'esperienza e l'allenamento a par­ lare in pubblico possono aiutare a ridurre l'ansia e riducono la probabilità Ji avere dei vuoti di memoria. Le lacune temporali sono molto comuni nei sogni. Si può sognare per ore e tuttavia ricordare soltanto brevi sequenze. Candace, un trentenne che scrive annunci pubblicitari, descrive una tipica esperienza di amnesia rispetto ai sogni: " A volte ho questi sogni vividi con ogni sorta di vicende tortuose" racconta, " e quando mi sveglio non mi ricordo molto del sogno. So qual era l'argomento in generale - tanto per dire, essere inseguito da un vagone all'altro su un treno, in un sogno d'ansia per una scadenza impro­ rogabile - ma non riesco a ricordare cosa aveva portato all'inseguimento o, persino, chi mi stava inseguendo. Mi resta più impressa la sensazione del sogno piuttosto che quello che è avvenuto " . Le normali lacune temporali si verificano quando l a perdita della capacità di richiamare cosa si è fatto in un certo momento della giornata o della setti­ mana è temporanea e tali eventi o attività possono essere ricordati con uno sforzo intenzionale. L'ipotesi è che, mentre per alcune cose il ricordo è im­ mediato, per altre esso è bloccato e può essere necessario un promemoria - la matrice di un biglietto di viaggio o un'altra persona che nomina qualcosa accaduto in quel periodo - per "dare uno scossone" e farlo emergere. Ben, un ragioniere di quarantasei anni di Boston che ama viaggiare, si rende conto di aver completamente cancellato dalla memoria un luogo vi­ sitato durante un viaggio - un episodio che accade a molti di noi talvolta. " Io e mia moglie stavamo cenando con degli amici tornati di recente da un viaggio a Santa Fe" racconta, "e loro parlavano con grande entusiasmo di un giardino scolpito che avevano visto tornando da Taos. Mia moglie disse che anche noi lo avevamo visto, ma io non lo ricordavo affatto. Tutto d'un tratto mi tornò in mente quando iniziarono a parlare di colossali animali di bronzo. È il Shidoni Sculture Gardens a Tesuque ed era una delle mete del nostro tour. Allora mi aveva impressionato molto, solo che in quel momen­ to mi sfuggiva. " 43

RICONOSCERE

l SEGNI E VALUTARE l

SINTOMI DISSOCIATIVI

Questi buchi temporali minori o vuoti di memoria brevi sono comuni, generalmente benigni e non destano preoccupazione. Possono essere fasti­ diosi ma la maggior parte di noi accetta con pazienza la frustrazione che deriva da questo tipo di banali dimenticanze. Di regola, il non ricordare la propria infanzia prima dei tre anni è nor­ male. I ricercatori che si occupano delle forme normali di amnesia hanno scoperto che la memoria verbale dei primi tre anni di vita è frammentata. Le esperienze infantili, infatti, sono codificate nella primitiva forma pre­ linguistica e, di solito, non possono essere recuperate dall'adulto la cui mo­ dalità di codifica è per lo più di tipo linguistico, la più elevata dal punto di vista evolutivo. Con l'aiuto dell'ipnosi, tuttavia, si può far tornare un adul­ to a livelli di coscienza più primitivi e facilitare il racconto di esperienze in­ fantili. In ogni caso, i neonati non hanno la capacità di ricordare allo stesso modo degli adulti: l'amnesia, come tutti i sintomi dissociativi, nasce come difesa sana contro il sovraccarico psicologico.

L'AMNESIA MODERATA

Quando l'amnesia è moderata anziché lieve, per molte persone risulta di­ sturbante. L'amnesia moderata comprende episodi di vuoti di memoria brevi e ricorrenti non precipitati dallo stress, episodi che si protraggono per trenta minuti o più ma che si verificano raramente, e i casi in cui si veri­ ficano uno o due brevi momenti di assenza nel corso di poche ore. Se i vuo­ ti di memoria si verificano così spesso da far sembrare il tempo disconti­ nuo, possono causare sofferenza. L'amnesia moderata può essere partico­ larmente disturbante quando influenza il funzionamento lavorativo delle persone. Un insegnante con la tendenza ad avere brevi episodi di assenza mentre fa lezione deve preoccuparsi di cosa fanno i suoi studenti durante quel periodo di tempo perduto. Robert, oggi un ingegnere che esercita la professione, quasi abbandonò l'università a causa di un'amnesia dissociativa di livello moderato e della difficoltà a concentrarsi durante gli esami, Quando vidi Robert la prima volta mi disse: "Ho un'ottima memoria, ma a volte la mia mente diventa vuota mentre sto facendo un esame e non riesco a ricordare un'informa­ zione che conosco benissimo. Mi sento teso, ansioso, con la testa leggera e le risposte mi sfuggono " . I risultati della SCID-D d i Robert dimostravano che, a parte l a sua amnesia dissociativa moderata, gli altri quattro sintomi erano tutti lievi e non indica­ vano la presenza di un disturbo dissociativo. Nonostante i vuoti di memoria moderati gli provocassero sofferenza e un certo disfunzionamento, erano in relazione con la sua ansia piuttosto che con una storia traumatica o di abu­ so. I farmaci, abbinati a una terapia cognitiva e a esercizi di rilassamento, si 44

IL BUCO NERO DEI RICORDI PERDUTI

dim ostrarono la soluzione più adeguata. Una volta che Robert ebbe gli stru­ menti per gestire la sua ansia, l'amnesia durante gli esami scomparve com­ pl etamente. Il caso di Robert illustra come la SCID-D permette di escludere 0 in altri casi di confermare - la presenza di un disturbo dissociativo.

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L'AM NESIA GRAVE

Nell'amnesia grave prodotta dal trauma o dall'abuso, il ruolo che hanno le dimenticanze è più allarmante. È il caso di Vince, un lottatore professioni­ sta entrato in affari con il cugino della moglie dopo il suo ritiro dallo sport. Quando il cugino ebbe problemi con la legge per i suoi affari loschi e tentò di scaricare la faccenda su di lui, questa doppiezza sollevò in Vince dei sen­ timenti di rabbia omicida che trovava insopportabili. All'età di quaranta­ due anni crollò, regredendo a uno stadio infantile e al risveglio non ricor­ dava più nulla del suo passato, fatta eccezione per i tre figli e il cane. Vince sperimentava quotidianamente episodi di assenza, che chiamava " trance" , durante i quali delle " figure nere", loschi individui di ogni gene­ re e dimensione, lo avvicinavano, lo afferravano, gli infilavano degli aghi o cercavano di strangolar!o e minacciavano di rubargli l'anima. I loro attac­ chi lo costringevano a compiere sbalorditivi gesti atletici che risultavano dolorosi, come fare cinquecento addominali o inarcare la schiena appog­ giandosi sulla testa fino a reggersi in verticale con il collo. Lo psichiatra di Vince me lo inviò per una valutazione e io gli diagnosti­ cai un DDI. Durante il trattamento con il suo terapeuta, Vince cominciò a ricordare il trauma originario che aveva prodotto la sua amnesia. Durante l'adolescenza fu abusato sessualmente dai preti della scuola cattolica, le "figure nere" delle sue trance. La rabbia omicida provata verso il cugino della moglie gli provocò il ritorno della rabbia dissociata durante l'abuso e questo spiegava la sua amnesia per tutte le persone del passato, compresa la moglie. Dopo cinque anni di terapia, Vince sta ancora lavorando per re­ cuperare la sua storia. Come il trauma influenza la memoria1

L'amnesia per i ricordi traumatici è un caso di memoria interrotta. I ricordi t raumatici vengono "dimenticati" con maggiore frequenza a causa di una co­ difica o un richiamo !abili. Il processo mentale fondamentale che contribuil. D. Laub, N. Auerhahn, " Knowing and not knowing massive psychic trauma: forms of traumatic memory", in lnternational ]ournal o/ Psychoanalyszs, 74, 1993 , pp. 287-302. R. Jo­ seph , "The neurology of traumatic 'dissociative' amnesia: commentary and literature review", rn Child A buse & Neglect, 8, 1999, pp. 7 1 5-727.

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RICONOSCERE I SEGNI E VALUTARE I SINTOMI DISSOCIATIVI

sce all'amnesia nei disturbi dissociativi è conosciuto come apprendimento stato-dipendente. Secondo questa teoria, l'informazione codificata in un certo stato mentale viene recuperata più facilmente in un momento sucèessi­ vo se ci si trova nello stesso stato. Se una persona che sperimenta un trauma si dissocia in diversi stati separati della mente, ricordi diversi diventeranno disponibili per quella persona in momenti diversi. I dati codificati in uno sta­ to non saranno disponibili quando la persona si trova in un diverso stato psi­ cologico, ma potranno essere richiamati soltanto quando essa torna allo stes­ so stato in cui era al momento in cui essi sono stati codificati.2 Per esempio, Harris, un farmacista di trentasette anni che era stato ripetutamente abusato sessualmente nel corso della sua infanzia da un cugino più grande, sviluppò una personalità alte-? di sei anni di nome Barney. Harris non riuscì a ricorda­ re l'abuso fino a quando un'aggressione da parte di un rapinatore armato al­ la farmacia dove lavorava non provocò il ritorno di Barney. La teoria dell'apprendimento stato-dipendente spiega la grave amnesia che si verifica nel DDI. Le esperienze codificate in uno stato psicologico di abuso possono concatenarsi per dar luogo a una complessa e coerente per­ sonalità se l'abuso è sufficientemente traumatico e persistente. Queste par­ ticolari personalità possono non ricordare i fatti ricordati da altre. Mentre i ricordi del dolore e della paura soverchianti sono fuori dalla consapevolez­ za cognitiva cosciente della persona, essi continuano a vivere in un alter e sono ancora psicologicamente attivi e influenti. Il fenomeno del "tempo perduto" che non si riesce a spiegare o le lacu­ ne nella memoria di chi presenta un DDI servono a tutelare la salute della persona ma inghiottono un grosso pezzo della sua identità personale e del suo passato. La storia di Vince, per esempio, è come un film montato male, con troppa parte della storia che va persa nei tagli. Anche il futuro di chi ha un'amnesia grave è compromesso. L'incapacità di integrare i ricordi traumatici fa sì che la persona rimanga fissata al momento del trauma e , compromette l'integrazione di nuove esperienze. Quando Barney riemergeva, Harris non era in grado di concentrarsi sul suo lavoro di farmacista e di consegnare i medicinali prescritti, una cosa che andava oltre le possibi­ lità di un bambino di sei anni. Per molte persone le tracce del ricordo dolo­ roso tendono a permanere e a intrudere come flashback, ossessioni o riat­ tualizzazioni del trauma con gesti di autolesionismo o altri comportamenti autodistruttivi, come nel caso di Vince che inarcava la schiena fino al pun­ to di danneggiarsi fisicamente. 4

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2. B.D. Perry, L. Conroy, A. Ravitz, "Persisting psychophysiological effects of traumatic stress: the memory of 'states"' , in Violence Update, 1 (8), 1 99 1 , pp. 1 - 1 1 . 3 . Termine utilizzato negli studi sul disturbo dissociativo dell'identità che indica uno stato di personalità con proprie modalità di percezione, relazione e pensiero relativamente stabili o perdurami o parti dissociate della mente che il paziente esperisce come distinte l'una dall'altra. [NJT] 4. L. Nadel, W.JakeJacobs, "Traumatic memory is special" , in Current Directions in Psycho­ logical Science, 7(5), 1998, pp. 154- 157.

46

'

IL BUCO NERO DEI RJCORDI PERDUTI

Autolesionismo e amnesia

L'a utolesionismo in tutte le sue forme, inclusa la tendenza ad avere inci­ denti o a essere nuovamente vittimizzato nelle relazioni, può effettivamen­ t e fungere da schermo per i ricordi d'abuso o rappresentare simbolica­ m ente i ricordi mantenendo quelli espliciti fuori dalla consapevolezza. Fa rsi del male ripetutamente è un modo per non dover ricordare il dolore originario. Infliggersi delle ferite può anche essere una ripetizione incon­ scia dell'abuso passato nel tentativo di dare senso a un ricordo poco chiaro ma che persiste. Si sta cercando di inserire la traccia implicita del ricordo traumatico nella trama di una narrazione mentale. Alcuni ricercatori hanno descritto i tagli o le bruciature autoinflitti co­ me un dispositivo a breve termine per dare sollievo all'odio per se stessi, al­ la colpa e all'ansia associate all'abuso e al trauma infantile. Essi notano co­ me in molte persone il comportamento sia ciclico, consistendo in pattern ripetitivi di autolesioni, con una silenziosa e graduale escalation di tensio­ ne psichica che porta a un altro episodio di violenza diretta verso di sé. L'amnesia che molti autolesionisti hanno per il loro comportamento di­ struttivo può essere legata al ritorno di ricordi con i quali non sono in con­ tatto. Poiché il dolore emotivo per il ritorno dei ricordi è travolgente, la persona entra in uno stato simile a una trance nel tentativo di tenerli bloc­ cati. Gli autolesionisti spesso dicono di "trovarsi" con tagli, graffì o brucia­ ture sul corpo esattamente come si ritrovano in posti strani senza sapere come ci sono arrivati. L'infliggersi delle ferite rappresenta un test di realtà per l'abuso di cui, a un qualche livello, la persona è a conoscenza, ma che ha scisso dalla consapevolezza cosciente. Sono diversi i modi in cui l'auto­ lesionismo può portare i ricordi " dimenticati" di abuso alla consapevolez­ za. Le ferite stesse possono rafforzare la realtà dell'abuso che è stato a lun­ go disconosciuto attraverso la dissociazione e il persistente diniego dei membri della famiglia, i quali affermano che l'abuso non è mai accaduto o che era una manifestazione d'affetto. Il dolore autoinflitto può servire a ve­ r ifi care l'esistenza della realtà restituendo la sensazione di essere vivi. Il farsi del male può rappresentare un rimettere in atto simbolicamente l'a­ buso richiamandolo da un punto di vista comportamentale e rinforzando l a convinzione di essere stati abusati da bambini. La paura di ricordare ciò che era proibito ricordare può fare dell'amnesia ancora una volta una stra­ tegia di sopravvivenza.5 5. P. M. Coons, V. Milstein, "Self-mutilation associateci with dissociative disorders", in Dis­ socùltion, 3 (2), 1990, pp. 81 -87. D. Miller, Donne che si/anno male, tr. it. Feltrinelli, Milano 1 99 7 . M. Strong, Un urlo rosso sangue, tr. it. Frassinelli, Milano 1999. Vedi anche i capitoli 3 e 4 ln M. Steinberg, Handbook/or the Assessment o/Dissociation: A Clinica l Guide, American Psy­ chiatric Press, Washington, DC, 1995.

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RICONOSCERE l SEGNI E VALUTARE l SINTOMI D ISSOCIATIVI

Segni comuni di amnesia grave

Vediamo alcuni esempi di amnesia grave: - almeno una consistente lacuna nella memoria che causa grave disfun­ zionamento; il ritrovarsi in un posto strano senza sapere come ci si è arrivati; l'incapacità di richiamare importanti informazioni personali (indirizzo, numero di telefono ecc.) ; l'incapacità di ricordare mesi o anni della propria vita adulta; il dimenticare una capacità o un'abilità appresa; - lo sperimentare significativa sofferenza a causa dei problemi di memoria. Proprio in quanto l'amnesia è la negazione della memoria, le persone con un'amnesia grave possono essere inconsapevoli che i loro ricordi sono in­ completi; possono avere un'amnesia per la loro amnesia. Una donna con DDI, che utilizza per l'amnesia la metafora di un televisore rotto, se la rappre­ senta così: "C'è semplicemente un vuoto lì. Niente. Non ti ricordi per niente di essere esistito. È come accendere un televisore, solo che quello non fun­ ziona e c'è solo uno schermo nero". Prosegue dicendo: " Ciò che trovo più confusivo è la sensazione che persino quanto ricordo non sembra corrispon­ dere al modo in cui lo ricordo. Non ci sono molto in contatto. Il ricordo è quello che mi è stato raccontato. È come se qualcuno mi dicesse: 'Ecco, guarda il film della tua vita e ti aiuteremo a riempire i vuoti'. Tu guardi il film e quella è la tua storia. Pensi che sia così, ma non lo ricordi veramente". L e tecniche di compensazione

Inventare ricordi per " colmare" le lacune nella memoria, tecnica nota co­ me confabulazione, è una strategia adottata da molte persone con amnesia cronica per mantenere i rapporti sociali, il lavoro o la scuola. Essi spesso ri­ corrono alla confabulazione quando hanno la sensazione che ammettere onestamente di avere un'amnesia comprometterebbe relazioni importanti. Alcuni trovano che il lavoro autonomo sia l'unica soluzione all'impatto disastroso dei vuoti cronici di memoria sull'attività lavorativa, ma essi sono disturbanti lo stesso. "Decisi di mettermi in proprio quando le mie scuse non bastavano più a giustificarmi" racconta Jackie, un'artista free-lance di quarantatré anni, a proposito della sua amnesia legata al DDI. "L'unico pro­ blema che questa cosa mi procura è che i clienti vorrebbero che io facessi la tal cosa per il tal giorno, mentre le lacune nella memoria mi rallentano. Non mi presento agli appuntamenti o non riescono a trovarmi, cose di questo genere. Ho perso decine di incarichi per questo. Ma non posso es­ sere licenziata e per questo mi ritengo fortunata. " 48

1

IL BUCO NERO DEI RICORDI PERDUTI

Le persone spesso compensano il fatto di avere una memoria terribil111 ente inaffidabile prendendo appunti, tenendo agende o facendo ricorso all ' aiuto di amici o parenti per recuperare eventi o dettagli dimenticati. Ammettere apertamente i problemi di memoria nell'era dell'informazione p uò essere una strategia sbagliata dal punto di vista professionale, e non s olo. Per ottenere l'aiuto degli altri e tuttavia tenere nascosta la loro condi­ zione, alcune persone con amnesia grave mostrano notevole ingenuità. Una persona, per esempio, racconta: " Sono abbastanza bravo a dissimula­ re. Se non riconosco qualcuno che penso dovrei conoscere o non riesco a ricollegare quello di cui si sta parlando, semplicemente cerco di tenere la bocca chiusa e spero che si dirà della persona o dell'argomento quanto ba­ sta a sbloccarmi". U n senso del tempo distorto

Spesso l'amnesia implica una cattiva percezione del tempo trascorso. Il tem­ po passa rapidamente quando una persona "entra ed esce" dalla dimensione temporale o "salta" dall'ultimo momento di consapevolezza pienamente ri­ cordata al presente. Victoria, una commessa di quarantotto anni, racconta un episodio di amnesia in cui il tempo trascorre rapidamente; questo tipo di episodi è di lieve entità per la maggior parte di noi quando sogniamo o siamo assorti nel lavoro, ma è grave per lei in quanto le succede diverse volte a setti­ mana: "All'improvviso mi trovo in qualche posto, magari all'acquaio della cucina e penso: 'Che ore sono?'. Guardo l'orologio e inizio a immaginare che ore fossero prima che la mia mente se ne andasse, o che giorno sia. E poi inizio a pensare: 'Che cos'è successo? Dove è andato il tempo?'". Questa distorsione temporale può estendersi alle stagioni dell'anno. " l mesi si mescolano" racconta una trentenne con un'amnesia grave. " Mi ve­ sto con un abbigliamento estivo - ci sono ventiquattro gradi fuori ! - e pen­ so che sia gennaio. Vado al centro commerciale per fare spese e mi imbatto in un cartello che dice 'Saldi di fine estate' e la mia reazione è 'Dovrebbero togliere quel cartello, si sono sbagliati, non dovrebbero pubblicizzare dei vestiti estivi a gennaio'. E poi il messaggio arriva 'No, non è gennaio, che stupida ! È luglio' . " Gli attivatori del trauma

Paradossalmente le persone che soffrono di disturbi dissociativi non ricor­ dano grossa parte del loro abuso infantile e possono avere una capacità mnestica aumentata (ipermnesia) per l'abuso in certe circostanze. I flash­ back, che provocano il riemergere dei ricordi traumatici con bruciante 49

RICONOSCERE I SEGNI E VALUTARE I SINTOMI DISSOCIATIVI

realismo, possono essere spietatamente dettagliati e, di solito, si verificano in momenti successivi della vita durante periodi stressanti - il servizio mili­ tare, gli esami accademici, un licenziamento - oppure quando uno stimolo brutalmente li attiva. Un elemento che ricorda un'esperienza traumatica può far reagire in maniera esagerata a oggetti apparentemente innocui sen­ za nessuna consapevolezza cosciente del nesso simbolico tra i due. Donna, una segretaria di venticinque anni, si descrive durante la SCID-D come " paranoica " verso i fazzoletti e " spaventata a morte " di toccarne uno. Non riesce a capirne il motivo fino a quando, durante la diagnosi di DDI, non ripercorre la sua storia e, di colpo, si imbatte su un orribile ricor­ do. "Dovevo avere quattro anni" dice, "e una baby-sitter mi imbavagliava sempre con un fazzoletto, me lo conficcava in gola e mi violentava. Non è strano che mi facciano paura, no? " Continua dicendo: "Ho paura delle bi­ blioteche, dei posti con gli scaffali alti pieni di libri, perché così era la stan­ za in cui stavo. Dopo un po' impari a ricordare cose come queste. Non vor­ rei farlo, ma per aiutare me stessa so che devo" . I buchi non sono vuoti

I "buchi temporali" di cui fanno esperienza le persone con un disturbo dissociativo di solito non sono veramente vuoti. Nella maggior parte dei casi gravi, come nel DDI, emergono tipicamente degli alter durante questi episodi e l'amnesia serve a tenerli separati. Alcuni sopravvissuti al trauma possono rimettere in atto l'abuso durante i periodi di tempo che non rie­ scono a ricordare e risvegliarsi con ferite che si sono procurati da soli senza avere nessuna idea di cosa le abbia prodotte. Altri possono viaggiare e a volte arrivare in una città di un altro Stato senza ricordare come o perché si trovino lì, o commettere crimini violenti in una condizione di trance e suc­ cessivamente non ricordarli. Gli alter autodistruttivi possono tentare di uccidere la persona durante un intervallo temporale di cui non ha il ricordo e la personalità dominante può riprendere coscienza in ospedale senza ricordare affatto di aver preso un'overdose di pillole o di essersi buttata giù da un ponte. Nella logica di­ storta di una trance da DDI, il desiderio di un alter di distruggere il corpo che passivamente ha sopportato l'abuso originario non è sempre ricono­ sciuto dalle personalità più sane del soggetto come mirante alla loro distru­ zione irreversibile. L'amnesia che un tempo serviva a confinare le esperien­ ze dolorose soverchianti fuori dalla coscienza e aiutare la persona a soprav­ vivere, ora minaccia la sopravvivenza stessa. Il questionario seguente aiuta a identificare i sintomi di amnesia e la lo­ ro gravità.

50

l

IL BUCO NERO DEI RICORDI PERDUTI

TEST DELL'AMNESIA DI STEINBERG

segnare per ciascun item la casella che indica la frequenza con cui viene sperimentata ciascuna delle situazioni descritte. Segnare l'ultima casella a destra nel caso in cui l'esperienza si verifichi soltanto sotto l' effet­ to di droghe o alcool.

Istruzioni:

Solo con droghe o alcool

Una o due volte

Qualche Molte volta volte

2

3

4

Quasi sempre 5

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Sento di rivivere il pas­ sato.

D

D

Dimentico informazioni personali come il nome, l'età, l'indirizzo o la data di nascita.

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D

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D

D

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Il. Possono passare ore o giorni senza che li ricordi.

D D

D D

D D

D

D

D

D

D

D

Mi ritrovo in posti ina­ ricor­ spettati e non riesco a sia dare come ci arrivato.

D

D

D

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D

D

Mai 1.

Ho problemi a richia­ mare i ricordi della mia in­ fanzia prima dei quattro an ni .

2. Quando penso alla mia \'ita passata mi sembra co­ me un puzzle con alcune tessere mancanti. 3 . Ho problemi a ricordare le mie attività quotidiane. .f.

Prima di fare una rela­ ZIOne, sono preoccupato di dimenticare qualcosa di importante. 5.

6.

7. Quando guido per una strada che conosco arrivo a destinazione e senza ren­ dermi conto del passare del viaggio. tempo durante il

9.

1 0.

Dimentico dove ho messo le chiavi, gli occhiali personali. o altri oggetti

1 1 . Sento come se i ricordi c.lella mia infanzia fossero nas costi da qualche p arte c.l en tro di me.

D

D D

D D D

D

D D

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D D D 51

RI CONOSCERE I SEGNI E VALUTARE I SINTOMI DISSOCIATIVI

Solo con droghe o alcool

Una o due volte

Qualche Molte volta volte

2

3

4

5

D

D

D

D

D

D

o guardo un film perdo la cognizione del tempo.

D D

D [J

D D

D

14. Ho competenze che non ricordo di avere appreso.

D D

D

D D

15. Sento di avere dei "black-out" di memoria (non legati all'alcool).

D

D

D

D

D

D



No

La/e esperienza/e ha/hanno interferito nelle relazioni con gli amici, la famiglia o i colleghi?

D

D

Ha/hanno influenzato la capacità di lavorare?

D

D

È/sono stata/e causa di disagio o sofferenza?

D

D

Mai

Quasi sempre

12. Trovo in casa degli og-

getti che mi appartengono ma non riesco a ricordare come o dove li abbia presi.

1 3 . Quando leggo un libro

-- - - -- ---·------- ·-- --- ---·-·-··

Se alcune delle esperienze sopra menzionate sono state vissute, rispondete alle seguenti domande:

Il calcolo del punteggio al Test dell'amnesia di Steinberg

l . Assegnare un punteggio pari a zero ai seguenti item normali: l , 4, 7 , 10, 1 3 . 2. Per tutti gli altri item assegnare i punti d a l a 5 indicati sulla riga in alto in corrispondenza delle caselle segnate. 3 . Sommare il punteggio e usare le linee guida generali di seguito riportate per interpretarlo.

Punteggio dell'amnesia globale

Amnesia assente: lO Amnesia lieve: 1 1 -20 Amnesia moderata: 2 1 -3 0 Amnesia grave: 3 1 -5 O

IL BUCO NERO DEI RICORDI PERDUTI

In dicazioni

Se il punteggio totale ottenuto rientra nel range dell'amnesia assente e lieve

( 10-20) , si è nell'ambito della normalità, a meno che l'esperienza degli item

6 o 15 non sia stata ricorrente. In quest'ultimo caso, è consigliabile sotto­

porsi alla valutazione di un professionista in grado di somministrare la sc:ID-D completa. Se il punteggio totale rientra nel range dell'amnesia moderata e grave (2 1 -50), è consigliabile sottoporsi alla valutazione di un professionista spe­ cializzato nella somministrazione della SCID-D completa. Se l'amnesia ha interferito nelle relazioni con gli amici, la famiglia o i colleghi o ha influen­ zato la capacità di lavorare o ha causato sofferenza, è particolarmente im­ portante richiedere la consulenza di un professionista. Anche nel caso in cui un clinico esperto riscontri un disturbo dissociati­ vo, esso è trattabile e ha una buona prognosi di guarigione. Tale disturbo è molto diffuso tra le persone che hanno dovuto affrontare un trauma usan­ do una difesa dissociativa per proteggersi. Con il trattamento appropriato, nel corso del tempo, si inizierà ad avere accesso a ricordi e sentimenti con i quali non si era più in contatto perché soverchianti. Alla fine, quando si sarà diventati sufficientemente forti da recuperare i propri ricordi e senti­ menti nascosti accettandoli come propri, l'amnesia ne risulterà ridotta e questo permetterà una maggiore integrazione e salute psichica.

53

s SI SI

lS

6 Guardarsi da lontano

Stavano giocando a tennis e Ray era stato appena battuto sonoramente da un collega, un giovinastro arrogante che dopo aver vinto il game disse in maniera compiaciuta: " Non sono neanche riuscito a sudare" . "Dopo aver sentito questa osservazione" racconta Ray, "mi sono detto: 'Giochiamo un'altra volta'. E l'ho battuto sei a zero. Gli ho dato una lezione incredibile. Era come se non fossi io. Era come se avessi permesso a qual­ con altro di prendere il sopravvento mentre io mi riposavo. Io ero preoccu­ pato per il mio cuore, lui no. Era più giovane di me di circa vent'anni e non dimenticherò mai con quale impeto quel ragazzo immaginario lo ha battu­ to. E come ero concentrato solo su quella persona - era molto reale - e la palla da tennis. Non facevo attenzione a come colpivo la palla, né a dove fi­ nivano i colpi. Sentivo soltanto il suono della racchetta e sapevo che il tipo con cui stavo giocando non riusciva neanche a rispondermi. " La sensazione di Ray di sentirsi distaccato da se stesso e di lasciare agire una persona immaginaria dentro di sé mentre lui guarda come un osserva­ tore è un tipico episodio di depersonalizzazione piuttosto diffuso nella po­ polazione normale. Questo senso di distacco da se stessi viene comune­ mente sperimentato come un sentimento di estraneità da sé, accompagna­ to dalla sensazione di guardarsi dall'esterno e dall'appiattimento della ri­ sposta emotiva. Come nel caso di Ray, si ha un'esperienza di questo tipo in momenti de­ cisivi, nel lavoro o nel gioco quando si raggiunge un livello di performance straordinario e si ha la sensazione di stare guardando qualcun altro che agi­ sce automaticamente. Sentirsi distaccati dalle proprie emozioni permette di controllare l'ansia. E sentirsi fisicamente separati da parti del proprio corpo - Ray lascia che il suo braccio piazzi i colpi senza pensare al modo in cui lo fa - è ciò che rende liberi di poter contare sulle proprie capacità naturali, o i stinti, per superare un momento difficile. Liberi dalla paura del fallimento e dall'ansia da prestazione, facciamo meglio di quanto saremmo capaci se n on potessimo mettere in atto tale depersonalizzazione. La sensazione di distacco da se stessi può manifestarsi in molte forme: - l'esperienza di essere fuori dal corpo; - la perdita di sensibilità di parti del corpo; 55

RI CONOSCERE

l SEGNI E VALUTARE l SINTOMI D ISSOCIATIVI

- una percezione distorta del corpo; la sensazione di essere invisibili; l'incapacità di riconoscersi allo specchio; un senso di distacco dalle proprie emozioni; l'impressione di guardare un film su se stessi; la sensazione di essere irreale o di essere un automa; la sensazione di essere scisso in un osservatore e un partecipante; - dialoghi interattivi con una persona immaginaria. Ne esistono molte altre varianti. Tutte queste esperienze rappresentano una forma di distacco dal proprio senso di sé o dal proprio corpo o dalle proprie emozioni, e spesso si verificano simultaneamente. Queste manifestazioni si muovono su un continuum di gravità, che va da una intensità e una frequenza basse nelle persone normali fino a una in­ tensità e frequenza alte in coloro che hanno un disturbo dissociativo. L'in­ tensità si riferisce alla gravità dell'interferenza di questi episodi con il be­ nessere personale e le relazioni sociali, alla vividezza degli episodi e a quan­ to vengono personificati i dialoghi interni come se si stesse parlando con un'altra persona. La depersonalizzazione lieve, nella parte bassa dello spettro - singoli episodi brevi o rari, di solito associati a stress o pericolo estremo è nor­ male. La depersonalizzazione moderata nel mezzo dello spettro - episodi ricorrenti non precipitati dallo stress - si ritrova in una serie di diverse condizioni psichiatriche. All'estremo alto dello spettro sta la depersonaliz­ zazione grave in persone con disturbi dissociativi e un disturbo post-traumatico da stress (DPTS). Queste esperienze non sono precipitate dallo stress e sono persistenti, durevoli, di alta intensità o hanno una combina­ zione di queste caratteristiche. -

LA DEPERSONALIZZAZIONE LIEVE

Come dimostrano i racconti delle persone che sono sopravvissute a un e­ vento traumatico, la depersonalizzazione è una risposta normale, quasi u­ niversale, a un pericolo che minaccia la vita. Le vittime di incidenti o di al­ tri episodi traumatici riescono a funzionare paralizzando le proprie emo­ zioni e azionando il pilota automatico, come se fossero lontani da se stessi e si muovessero in una realtà virtuale piuttosto che nella vita reale. 1 "Mi sentii gridare e sembrava la voce d i qualcun altro quella che prove­ niva dalla mia gola" ricorda Janet, una studentessa universitaria che riuscì a sfuggire a uno stupro fuori dal suo palazzo gridando aiuto e lottando conl. R. Noyes Jr et al. " Depersonalization in accident victims and psychiatric patients" , in

]ourna! o/Nervous and Menta! Disease, 1 64 , 1977, pp. 401 -407.

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GUARDARSI DA LONTANO

tra il suo aggressore mentre questi la teneva inchiodata a terra. " Non sape­ vo di essere capace di tanto rumore" afferma. Resasi conto che il suo ag­ "ressore era disarmato, iniziò a colpirlo e a tirare pugni fino a che questi, 17 qu ando uscì un inquilino per aiutarla, non fuggì. " Avevo la sensazione che s olt anto il mio corpo fosse disteso sul terreno mentre io guardavo quel cor­ po , che supponevo fossi io, da lontano" ricorda Janet. "Mi diede una forza c he non sapevo di avere. " Lionel, un vigile del fuoco, descrive la sensazione di depersonalizzazione che provò entrando in un palazzo in fiamme e portando le persone che vi erano intrappolate in salvo. " Quasi non riesci a sentire il calore o la sensa­ zione di asfissia per il fumo perché sei fuori dal tuo corpo e completamente i ntorpidito dentro" dice Lionel. "Ti guardi fare quello che devi come se lo stes se facendo qualcun altro. Le persone ti dicono: 'Oh sei così coraggioso, un eroe'. Ma quando sei in una situazione come quella, non sei neanche consapevole del pericolo. È il tuo corpo che sta svolgendo il lavoro, tu stai solo a guardare. Immagino sia come per quelli che camminano sui carboni ardenti: ci camminano sopra con i piedi nudi senza coprirsi di vesciche. " Janct c Lionel sono due esempi tipici di persone normali che sperimen­ tano episodi di depersonalizzazione transitori in circostanze estremamente pericolose. Anche la mancanza di sonno, l'alcool o le droghe, la meditazio­ ne o la fatica possono portare a brevi e lievi episodi di depersonalizzazione nelle persone normali. Molte persone sperimentano esperienze fuori dal corpo, a volte, anche quando non sono sotto l'effetto della deprivazione di sonno o delle droghe, oppure quando si trovano in una situazione molto stressante ma che non comporta rischi per la vita. Lo stress può indurre il desiderio di staccarsi dalla realtà per guardarsi da una certa distanza. Quando queste esperienze fuori dal corpo si verificano soltanto poche vol­ te nella vita, sono normali. "La prima volta che il mio ragazzo mi portò a casa per conoscere la sua famiglia, ero molto nervosa" racconta Cynthia, ventinove anni, ammini­ stratrice di banche dati. " Temevo di non piacere perché mi aveva avvertita che i suoi avrebbero potuto essere molto critici. " Quando il ragazzo la pre­ sentò alla famiglia, Cynthia provò una "strana" sensazione di depersona­ lizzazione. "Sentivo di guardare me stessa che parlava con i suoi come se li conoscesse da una vita, e pensavo: 'Questa persona li sta conquistando. È così equilibrata e piena di fascino' . " Cynthia trova difficile descrivere que­ st o sentimento: " Non ho le parole per esprimerlo, questo uscire da te stes­ sa e diventare distaccata. Sei fuori dell'azione mentre guardi la vita accade­ re. Suppongo che sia qualcosa che bisogna provare per capire " . Warren, u n architetto di quarant'anni a capo della sua ditta, descrive un episodio di depersonalizzazione vissuto durante la presentazione a un po­ tenziale cliente importante per la sua carriera: "Ebbi questa sensazione di essere due persone. Mi sentivo come se fossi per un attimo uscito dal mio 57

RICONOSCERE l SEGNI E VALUTARE l SINTOMI DISSOCIATIVI

corpo e mi trovassi dietro o davanti o al suo fianco a guardarmi mentre fa­ cevo l'offerta. Era una sensazione surreale, come se fossi wna specie di fan­ tasma. Mi aiutò a controllare i nervi. Non mi sentivo ansioso - non prova­ vo nulla per quella situazione - perché non ero io a essere coinvolto. Stavo solo guardando" .

DIALOGHI INTERIORI

L'episodio di depersonalizzazione può essere accompagnato da un sé os­ servante e uno partecipante. La natura del dialogo è una caratteristica chiave che aiuta a distinguere le persone normali da quelle con un disturbo dissociativo. Il dialogo interiore normale è il tipo di conversazione che ha luogo nelle seguenti situazioni:

nel prendere decisioni: di solito, quando soppesiamo i pro e i contro di una decisione il dialogo è sperimentato come una conversazione me­ taforica o simbolica e non viene pensato come una conversazione tra se stessi e un'altra persona reale. Si pensa generalmente all"' avvocato del diavolo" come a una figura immaginaria che propone il punto di vista opposto e non come all'incarnazione di un essere umano separato in grado di condurre un dialogo interattivo. nel lutto: le persone normali che fanno esperienza di un lutto spesso si sentono distaccate e hanno un dialogo simbolico con la persona amata da poco scomparsa. Questa esperienza molto comune è una forma leg­ gera di depersonalizzazione. Invece di distaccarsi da se stessi e avere una conversazione con un sé immaginario, chi ha subito una perdita si distacca dal ricordo intensamente reale della persona amata deceduta e ha un dialogo con questa persona immaginaria. Quando il processo di elaborazione del lutto è completato, questo fenomeno di solito scema. nel gioco di ruolo: è usuale per le persone normali avere dei dialoghi in­ teriori quando " assumono mentalmente dei ruoli", simulando anticipa­ tamente interazioni e rivedendo dialoghi passati in situazioni fantastica­ te. Una persona che si prepara a un appuntamento, per esempio, può provare possibili avvii di conversazione, oppure uno studente che si prepara per un esame orale può porre una serie di domande probabili e rispondere.

Al contrario, quando una persona con un disturbo dissociativo ha dei dialoghi durante un episodio di depersonalizzazione, le conversazioni so­ no distintamente personificate piuttosto che simboliche. Esse tendono a durare di più e a verificarsi più di frequente; inoltre manca loro la qualità intenzionale dei dialoghi interiori delle persone normali. 58

GUARDARSI DA LONTANO

LA

DEPERSONALIZZAZIONE MODERATA

La sensazione di osservarsi dall'esterno è molto diffusa nella popolazione

normale, ma può diventare disturbante per coloro che sono inclini all'an­ sia e alla depressione. Potrebbe essere indicativa persino di una base disso­ ciativa di questi problemi. Viene descritta in modi diversi, come, per esem­ pio, " una scimmia ciarliera" nella testa, "il critico" , " il brontolone" o come un' inclinazione a criticarsi con il senno di poi. Questo sé osservante e criti­ co può essere un seccatore fastidioso e, in qualche caso, può interferire con un livello elevato di performance. Evan, una violinista di talento, dice di essersi "bruciata" diverse audi­ zioni a causa della sua propensione a girovagare fuori da se stessa mentre suona, criticando la sua prestazione. "Sto nel mezzo di un passaggio diffi­ cile" racconta, " e mi ascolto dire: ' Stai correndo troppo', oppure 'I tuoi movimenti sono goffi', o 'Questo non mi piace' . È una distrazione che non aiuta. Sono più brava quando sono sola e semplicemente mi lascio andare e suono. " Questa sensazione di " guardarsi" in maniera ipervigile provoca una sofferenza, ma non si arriva alla depersonalizzazione grave in quanto l'osservatore è percepito come simbolico e non impersonato da un'entità separata. La depersonalizzazione lieve o temporanea che aiuta la persona ad af­ frontare l'ansia in una situazione di stress o di pericolo di vita, può essa stessa diventare causa di ansia quando si struttura in un pattern che stabi­ lizza il ciclo ansia-depersonalizzazione-ansia. L'ansia induce gli episodi di distacco da se stessi o dalle proprie emozioni, i quali possono stimolare la paura di perdere il controllo e portare a un'ansia crescente che dà luogo agli attacchi di panico. Gillian, un'ambiziosa giornalista la cui paura di una relazione impegna­ ta l'ha indotta a restare single per trent'anni, ha episodi di depersonalizza­ zione quando gli uomini le si avvicinano troppo. La sua ansia fobica verso il matrimonio, dice, deriva dall'aver assistito alla distruzione di sua madre a causa del matrimonio turbolento dei suoi genitori. Gillian ricorda un'e­ sp erienza di depersonalizzazione che portò a un attacco di panico mentre era in vacanza ad Aruba insieme a un uomo che stava frequentando. "Ebbi l'impressione che stesse per chiedermi di sposarlo" racconta, " rimasi in ten­ sione tutto il tempo, aspettando che tirasse fuori la questione. Una sera, prima di uscire a cena, mi guardai allo specchio e vidi la mia figura che mi fissava come se fosse un'altra persona. C'erano stati altri episodi in cui ave­ vo avuto la sensazione di guardarmi dall'esterno, ma questo mi sconvolse. Continuai a guardare la mia immagine riflessa e a vedere una completa estranea. Pensai che stavo diventando pazza. "

59

RICONOSCERE l SECNI E VALUTARE l S INTOMI DISSOCIATIVI

METTERE I SENTIMENTI IN UN CASSETTO

Una forma di insensibilità emotiva tipica della depersonalizzazione diffusa nella nostra cultura competitiva è la tendenza a compartimentalizzare le emozioni. Gli uomini, spesso educati ad essere più orientati all'obiettivo rispetto alle donne, sono più soggetti a livelli moderati di questo tipo di di­ stacco emotivo, nonostante esso si manifesti in entrambi i sessi. Molte per­ sone orientate al successo, temendo che i sentimenti personali impedisca­ no loro l'ascesa, imparano a non sentire quando ritengono che questo po­ trebbe essere d'ostacolo. Perdere il lavoro procurerebbe loro un danno emotivo doppiamente devastante - non soltanto il loro senso di sé subireb­ be un brutto colpo, ma la perdita scatenerebbe un flusso di emozioni re­ presse che sono male equipaggiate a gestire, avendole tenute a distanza per così tanto tempo. Cari era stato per molti anni un dirigente d'azienda di successo quando, all'età di quarantasei anni, venne licenziato. Sposato e padre di due bambi­ ni, aveva un rapporto importante con una donna da diversi anni. Sebbene fosse molto più in sintonia e pieno di passione con questa donna che con la moglie, Cari continuava a oscillare tra le due, incapace di chiudere il suo matrimonio meccanico e sgradevole per stare con qualcuno da amare sin­ ceramente. Era trattenuto dalla sua paura del confronto emotivo e dal suo stare poco in contatto con i propri sentimenti. Se avesse lasciato la moglie, avrebbe dovuto fare i conti con la rabbia; se avesse lasciato andare l'altra donna, avrebbe provato il dolore di perderia. Quando Cari venne per la visita, si descrisse come " un pazzo completo al massimo della disfunzione". Sosteneva che, in quelle condizioni, non sa­ rebbe riuscito a svolgere un lavoro o avere una relazione. Temeva che la sua vita, una volta raggiunto l'apice, avrebbe preso una china irreversibile. Era preoccupato del fatto che le emozioni bloccate dentro di lui non sa­ rebbero mai state liberate e un giorno sarebbero esplose. La SCID-D dimostrò che Cari aveva una depersonalizzazione moderata. Poiché si sentiva spesso distaccato dalle proprie emozioni e paralizzato dentro e non sperimentava gli altri quattro sintomi dissociativi di base, gli diagnosticai un disturbo di personalità. Il suo distacco dalle emozioni non era sorprendente perché la depersonalizzazione è il terzo problema più frequentemente riportato dai pazienti psichiatrici dopo l'ansia e la depres­ sione.2 Il metodo educativo tradizionale, secondo cui "i maschi non pian­ gono", predispone gli uomini come Cari e molti altri nella nostra cultura a questo problema. "Mi sembra di mettere tutte le mie emozioni difficili in un cassetto, lo 2. Questo dato viene riportato in ].P. Cattell, J.S. Cattell, " Depersonalization: psychological and social perspectives", in S. Arieti (a cura di) American Handbook o/Psychiatry, Basic Books, New York 1 974, II ed., pp. 766-799.

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GUARDARSI DA LONTANO

chiudo e cerco di dimenticarmene" diceva Cari descrivendo il suo distacco emotivo. "La rabbia, l'amore, la gelosia sono tutte nel cassetto. Ho biso­ gno delle competenze necessarie per andare al cassetto e aprirlo, ma o so­ no nato sprovvisto di esse o le ho perse da qualche parte nel corso della vi­ ta; ho perso le istruzioni che arrivavano al mio cervello. " Sembrava per­ plesso di questa sua carenza, e diceva assorto: " Forse l'emozione è come la lezione di danza - fuggo dalle cose in cui non sono bravo. O forse i miei sentimenti mi terrorizzano da morire" . Gli uomini che soffrono di disturbi dissociativi spesso separano il loro sé logico, intellettuale, dal loro sé emozionale e hanno problemi nelle rela­ zioni intime. La terapia di Cari è consistita essenzialmente nell'identificare e comprendere le emozioni stipate nei cassetti metaforici e nel cominciare a consolare ed esprimere i sentimenti di rabbia, gelosia e amore. Espri­ mendo queste emozioni in terapia, Cari ha imparato a non avere più biso­ gno di distaccarsene, riducendo il suo bisogno di ricorrere alla depersona­ lizzazione. L'integrazione del pensiero logico con le emozioni ha diminuito la sua ansia e ha svolto un ruolo importante nel trovare un nuovo lavoro e il coraggio di chiudere il suo matrimonio senza amore.

LA DEPERSONALIZZAZIONE GRAVE

Il ciclo ansia-depersonalizzazione-ansia, che è relativamente comune, può trasformarsi in una sindrome disturbante per chi ha un problema di tipo dissociativo. Questa sindrome sembra essere più diffusa tra le donne: ini­ zia tipicamente verso la fine del terzo decennio di vita e, di solito, è precipi­ tata dalla gravidanza, dalla nascita di un figlio o da gravi traumi emotivi. La reazione dissociativa della persona all'ansia eccessiva attiva ulteriori paure di perdere il controllo e di essere etichettati dagli altri come pazzi. Queste paure possono a loro volta rientrare in un ciclo a feedback, attivando un al­ tro episodio di depersonalizzazione e panico. È un po' come chiedere se è nato prima l'uovo o la gallina. Se gli attacchi di panico si verificano prima, il problema è di tipo ansioso. Se si verificano prima gli episodi di deperso­ nalizzazione, il problema è di tipo dissociativo.3 Kristin, un'operatrice sociale di trentasei anni che soffre di sintomi d'ansia, è stata in trattamento per un disturbo ossessivo-compulsivo per sette anni quando viene da me per una valutazione. Le diagnostico con la SCID-D un disturbo dissociativo ed ella racconta in maniera toccante signi­ ficativi esempi di depersonalizzazione di cui non si era resa conto prima. "Succede sempre" dice Kristin durante la somministrazione della SCID-D. 3. M. Roth, "The phobic anxiety-depersonalization syndrome an d some generai aetiological problems in psychiatry", in ]ournal o/Neuropsychiatry, l, 1 960, pp. 293-306. Vedi anche i capi­ toli 5 e 6 in M. Steinberg, Handbook/or the Assessment o/Dissociation: A Clinica! Guide, Ame­ rican Psychiatric Press, Washington, DC, 1995.

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RICON OSCERE l SH;NI E VALUTARE I SINTOMI DISSOCIATIVI

" Sta accadendo anche ora, questo sentire di essere un osservatore e un te­ stimone; questo stare fuori di me e fare l'inventario generale di quello che ho fatto nella mia vita. Sono malata e tuttavia ho un testimone molto sano e molto vivo che vede le persone della mia età andare avanti, ottenere dei buoni lavori, comperare la loro prima casa, mentre io non ce l'ho. Anche se posso comunicare con il mio dottore verbalmente, non posso comunicar­ gli i sentimenti e come è andata momento per momento, giorno per giorno e i problemi che questo ha causato nella mia vita personale e professionale. E la cosa più triste è che questo testimone sa che sono una persona molto , valida. Questo sì che mi rende triste. Mi sento come se avessi perso del tempo che non posso recuperare. " Le persone che sperimentano una grave depersonalizzazione spesso ri­ cordano di aver vissuto il primo episodio durante un abuso in passato, co­ me la donna a cui venne diagnosticato un DDI che ricordava di aver sentito la metà inferiore del suo corpo salire fino al soffitto mentre veniva stuprata. Altri raccontano che a volte sentono le gambe o le braccia più grandi o più ' piccole del solito o si sentono disconnessi dal corpo. La sensazione di essere invisibile è un altro segno comune di depersona­ lizzazione grave. " Sono stata invisibile sin da bambina" dice Paula, un agente immobiliare sui quarant'anni, che ha subito gravi abusi emotivi e incuria da bambina. "Avevo la sensazione che l'unica parte esistente di me fossero i miei occhi e che il resto non ci fosse. È una cosa che mi succede molte volte, nei giorni di stress intermedio o eccezionale. Divento sempli­ cemente invisibile. Penso di non esserci veramente. Cammino, cammino ma nessuno mi vede. " Gli autolesionisti ci hanno insegnato che il numbing nella depersonaliz­ zazione, a volte descritto come la sensazione di essere " morti" , può diven­ tare così terrificante che le persone possono infliggersi del dolore per riac­ quistare la sensazione di essere vivi.4 " Stavamo guidando a Park Avenue" ricorda Cheryl, una disegnatrice di moda di trentanove anni, descrivendo un episodio che accadde dopo aver visto un pezzo teatrale con il suo fidan­ zato, " quando all'improvviso tutto era irreale, come sul palcoscenico. Lot­ tai per far tornare le cose a posto, ma non vi riuscii. Non riuscivo bene a ca­ pire. Questa sensazione di essere irreale continuava. Andai in bagno, tro­ vai un rasoio, mi tagliai il polso e allora le cose si ricomposero. Il mondo tornò a essere reale. Ma imparai che quando le cose diventavano irreali o iniziavano a frammentarsi, potevo riportarle al loro posto tagliandomi. So­ lo allora tornavo a essere intera. " A meno che non si sia consapevoli che il torpore emotivo è un elemento concomitante della depersonalizzazione che indica un disturbo nel senso 4. F. Miller, E.A. Bashkin, " Depersonalization and self-mutilation" , in Psychoanalytic Quar­ terly, 43(4), 1 974, pp. 638-649.

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GUARDARSI DA LONTANO

di sé, si può scambiare la sensazione di essere morti dentro o distaccati dal­ la vita circostante come un segno di depressione. Qui di seguito vengono riportati alcuni commenti fatti da persone che sono entrate in terapia la­ mentando una depressione e ai quali è stato diagnosticato un disturbo dis­ sociativo con la SCID-D: "Faccio delle cose, ma è come fossi momentaneamente distante, non coin­ volto, come se non fossi reale" .

"È come guardare un film non troppo interessante, leggermente comico. Non è qualcosa di doloroso, è solo un'assenza di sentimenti. " "Mi sento congelato e insensibile. "

Occorre sapere che la depersonalizzazione cronica può non essere ango­ sciante perché ci si è così abituati che convivere con essa può sembrare na­ turale come respirare. Si può persino trovare rassicurante l'esperienza di vedersi da un punto che è esterno al proprio corpo. In quanto difesa disso­ ciativa contro l'ansia, il distanziarsi da se stessi può aiutare a funzionare, ma il funzionamento sarà lontano dall'essere ottimale. Come dice a proposito del suo distacco emotivo Ira, un ufficiale giudiziario di quarantasette anni che entra ed esce dalla terapia da quando era al college e che ora viene trat­ tata per un DDJ, " Sta diventando sempre più stressante e sono consapevole di questo. Era il mio modo abituale di essere e lo gestivo evitando ogni reale intimità. Ora che so quello che faccio e voglio cambiare, sta diventando stressante il fatto di non riuscire a entrare in contatto quando lo voglio" . Sentirsi annebbiati

La depersonalizzazione cronica si verifica spesso nelle persone che hanno sperimentato traumi ricorrenti. Una delle differenze importanti tra le esperienze di depersonalizzazione delle persone sane che si trovano in pe­ ricolo o che reagiscono allo stress e quelle dei pazienti psichiatrici ambula­ toriali è la componente dell'" annebbiamento mentale" . I racconti delle vit­ t im e di incidenti e le reazioni delle persone normali allo stress dimostrano che essi erano pienamente vigili rispetto agli awenimenti al momento del­ l' episodio di depersonalizzazione. I pazienti psichiatrici raccontano più sp esso di vivere una specie di annebbiamento mentale. Invece di essere più acuti mentalmente, essi sperimentano una sorta di "stordimento" quando si distaccano da se stessi. Dice un paziente: " Non è come guardare qualco­ s a che puoi controllare. Guardi e sai che quello che stai facendo è stupido ma non ci puoi fare niente. Puoi solo sederti e osservare come ti rendi un b abbeo " . L a ragione d i questa differenza potrebbe consistere nel fatto che uno 63

RICONOSCERE l SEGNI E VALUTARE l SINTOMI DISSOCIATIVI

stato di aumentato arousal può non essere utile quando si è sottoposti im­ potenti a un abuso fisico e sessuale inevitabile e cronico, che spesso dura diversi anni. L'accelerazione e il rallentamento dei processi mentali in ri­ sposta al trauma possono corrispondere alla quantità d'impotenza associa­ ta alle esperienze soverchianti. In qualsiasi punto del continuum, c'è una combinazione di arousal e numbing. L'arousal può prevalere nelle reazioni a esperienze traumatiche transitorie dalle quali le persone sentono di poter fuggire, laddove il numbing e l'amnesia possono essere più marcati nelle reazioni connotate da un elevato senso di impotenza in risposta al trauma cronico, come quelle di un bambino sessualmente abusato per anni. Inoltre, un bambino che subisce l'abuso a opera di un adulto emotiva­ mente significativo può trovare l'annebbiamento mentale, di nuovo come l'amnesia, una risposta più adattiva rispetto all'iperattivazione che le per­ sone sperimentano quando sono esposte a un pericolo estremo. C'è qual­ cosa di più dolorosamente violento, che ferisce più intimamente nei traumi inflitti intenzionalmente da altri esseri umani rispetto a quelli riferibili a eventi impersonali che minacciano la vita, come gli incidenti o i disastri na­ turali. Gli studi sui sopravvissuti all'Olocausto indicano che il numbing emotivo e mentale sperimentato dalle persone nei campi di concentramen­ to era legato al loro sapere di essere vittime della malvagità e della crudeltà umane, non di disastri naturali o della volontà divina. Il rapporto con la propria ombra

La misura dell'impote�za e della perdita di controllo avvertite durante gli episodi di depersonalizzazione è un indicatore della loro gravità. " Quando peggiora veramente e non va via, sono nel panico" dice Lee dei suoi episo­ di gravi. "Ho forti vertigini e la stanza inizia a ondeggiare o il marciapiede inizia ad andare su e giù. Inizio a perdere effettivamente il senso dell'equi- ' librio e mi sento come se stessi per svenire. Non perdo mai i sensi. Mai. Ma mi gira così tanto la testa che sento di stare per accasciarmi. Allora vado in bagno e mi getto dell'acqua sul viso. È una sensazione molto pervasiva. " N ella depersonalizzazione grave si possono verificare distorsioni nella percezione del corpo, come se ci si guardasse a uno specchio deformante: le braccia o le gambe sembrano più grandi o più piccole del solito o im­ provvisamente si è aumentati di dieci taglie. Le esperienze fuori dal cor­ po possono andare da una sensazione di estraneità ( ''Questa non è la mia faccia" ) a una sensazione di distacco fisico dal corpo ( ''Dov'è la mia fac­ cia? " ) .5 5 . R.]. Lifton, "Understanding the traumatized self: imagery, symholism, and transforma­ tion " , in J .P. Wilson et al. (a cura di) Human Adaptation to Extreme Stress: From the Holocaust to Vietnam, Plenum Press, New York 1 988.

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GUARDARSI DA LONTANO

In alcuni casi di grave depersonalizzazione ci si sente come se la testa, gli arti o l'intero corpo fossero diventati estranei o disconnessi. Bonnie, so­ pravvissuto a un abuso infantile, descrive questo senso di profon �o distac­ co dal proprio corpo: " Sento di non appartenere a questo corpo. E il corpo sbagliato. Sento che non avrei dovuto nascere in questo corpo. Non so quale corpo avrei dovuto avere. Non questo. Ho sempre sentito di avere la faccia sbagliata ". Gli episodi di depersonalizzazione grave spesso evocano ricordi di ripe­ t uti abusi verbali nell'infanzia. Le esperienze fuori dal corpo con dialoghi interiori tra un sé attivo e uno osservatore, punitivo, possono ferire come delle sferzate di frusta. Darrell, un uomo di trentatré anni il cui padre alco­ lista lo tormentava senza sosta nell'infanzia, descrive questo episodio, cer­ cando di trattenere le lacrime: " Sono seduto lì, eppure mi sento trascinato via. Mi guardo e tutto il mio corpo mi sembra irreale. Non so, forse è per­ ché da bambino venivo sempre definito grasso e brutto, ma me ne sto fuori a guardarlo come se fosse il corpo di un'altra persona e gli grido 'grasso e brutto, grasso e brutto' continuamente. E poi scoppio in lacrime, e piango, piango, piango, piango" . J erry, uno strano e irascibile lavoratore edile sui trent'anni con una lun­ ga storia di abuso di alcool, mostra come i continui dialoghi con se stessi in una persona con DDI differiscano dal normale parlare fra sé tipico delle persone che dibattono i pro e i contro di una decisione o fanno un gioco di ruolo. Diversamente dalla persona normale che sa di stare parlando con se stessa, chi ha un DDI fa delle conversazioni interiori con un alter, per lo più come farebbe con un'altra persona. " Lui mi guarda mentre sto seduto su quella sedia" dice Jerry, "e comin­ eia a chiedermi: 'Fammi uscire. Fammi uscire' . E io gli dico: 'Esci [ Nessu­ no ti ferma'. Allora, inizia a deridermi. In realtà vedo questo tipo per un paio di secondi. È grande, molto grande, con i capelli neri come il giaietto e grandi occhi verdi che mi fìssano. E allora dice: 'Quand'è che mi farai uscire, buon uomo?'. E io gli dico: 'Esci da solo, cazzo ! Vai [ Nessuno ti trattiene; non paghi nemmeno l' affìtto' ." N ella sua espressione più grave, la depersonalizzazione ripetuta può avere effetti devastanti sulla capacità della persona di funzionare, avere rapporti sociali e godersi la vita. Quando si è in preda a questo senso di ir­ realtà e di distacco da se stessi, la paura di perdere il controllo può indur­ re al ritiro dal contatto sociale. Nel corso del tempo, il numbing può por­ tare a una depressione intrattabile. Non viene smorzata soltanto l'ansia, ma anche l'anima delle persone, che ne risulta anestetizzata. Come des cri­ ve un paziente con DDI: " Vivo all'interno di questo sogno. Semplicemente Pas so da una cosa all'altra, da un posto all'altro. Vado al lavoro, faccio qualsiasi cosa ci sia da fare. Neanche voglio fare quello che faccio, lo fac­ cio e b asta. E poi vado a casa a dormire. È come se non ci fossi, solo che 65

RICONOSCERE I SEGNI E VALUTARE I SINTOMI DISSOCIATIVI

poi perdo il filo e all'improvviso non so cosa sto facendo o dove lo sto facendo o perché" . Per le persone che sono distaccate da se stesse, la vita diventa senza gioia, un "sogno vuoto" . Guardano il mondo come attraverso uno spesso strato di nebbia, non sentendo dentro nient'altro che un freddo senso di morte. Vivere come se si fosse già morti è il prezzo ultimo da pagare per distanziarsi dall'ansia. Il questionario seguente aiuta a identificare i sintomi di depersonalizzazione e la loro gravità.

TEST DI DEPERSONALIZZAZIONE DI STEINBERG

Mai

Una o due volte

Qualche Molte volte volta

Quasi sempre

Solo con droghe o alcool

2

3

4

5

D D

D D

l . Simulo la vita mentre il me reale è lontano da ciò che mi succede.

D

D

D

2. Sento di vivere in un sogno.

D

D

D

D D

Mi vedo da lontano, come se fossi fuori dal mio corpo e guardassi un film su me stesso.

D

D

D

D

D

D

Sento che posso spegnere le mie emozioni o distaccarmene.

D

D

D

D

D

D

5 . Sento che il mio comportamento va fuori controllo.

D

D

D

D

D

D

6. Mi faccio del male o mi taglio intenzionalmente per provare dolore o per sentirmi reale.

D

D

D

D

D

D

7 . Fingo di lavorare mentre sento che la mia mente va da qualche altra parte.

D

D

D

D

D

D

D

D

D

D

D

D

3.

4.

8. Mi sento come se fossi " stordito" . 9 . Ho l'impressione di essere estraneo a me stesso o di non riconoscermi allo specchio.

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GUARDARSI DA LONTANO

Mai

10. Una parte di me fa del-

Una o due volte

Qualche Molte volta volte

Quasi sempre

2

3

4

5

Solo con droghe o alcool

le cose mentre una parte che osserva me ne parla.

D

D

D

D

D

D

1 1 . Sento come se alcune parti del mio corpp fossero disconnesse dal resto.

D

D

D

D

D

D

parti di esso mi sembrano irreali o estranei.

D

D

D

D

D

D

Sento come se le parole fluissero dalla mia bocca fuori dal mio controllo.

D

D

D

D

D

D

14. Sento che le mie emozioni sono fuori dal mio controllo.

D

D

D

D

15. Mi sento invisibile.

D

D D

D

D

D

D D



No

La/e esperienza/e ha/hanno interferito nelle relazioni con gli amici, la famiglia o i colleghi?

[J

D

Ha/hanno influenzato la capacità di lavorare?

D

D

È/sono stata/e causa di disagio o sofferenza?

D

D

12. Tutto il mio corpo o

13.

Se alcune delle esperienze sopra menzionate sono state vissute, rispondete alle seguenti domande:

Il calcolo del punteggio al Test di depersonalizzazione di Steinberg:

l . Assegnare O punti al seguente item normale: 7 . 2 . Per tutti gli altri item, assegnare i punti d a l a 5 indicati sulla riga in alto in corrispondenza delle caselle segnate. 3 . Sommare il punteggio e usare le linee guida generali di seguito riportate per interpretarlo. Punteggio della depersonalizzazione globale

Depersonalizzazione assente: 1 4 Depersonalizzazione lieve: 15-25 67

RIC :ON< lSCERE l SEGNI E VALUTARE l SINTOMI DISSOCIATIVI

Depersonalizzazione moderata: 26-44 Depersonalizzazione grave: 45-70 Indicazioni

Se il punteggio totale ottenuto rientra nel range della depersonalizzazione assente e lieve ( 14-25) si è nell'ambito della normalità a meno che l'espe­ rienza degli item 3 , 6, 1 1 o 12 non sia stata ricorrente. In quest'ultimo caso, è consigliabile sottoporsi alla valutazione di un professionista in grado di somministrare la SCID-D completa. Se il punteggio totale rientra nel range della depersonalizzazione modera­ ta e grave (26-70), è consigliabile sottoporsi alla valutazione di un professio­ nista specializzato nella somministrazione della SCID-D completa. Se la de­ personalizzazione ha interferito nelle relazioni con gli amici, la famiglia o i colleghi o ha influenzato la capacità di lavorare o ha causato sofferenza, è particolarmente importante richiedere la consulenza di un professionista. Anche nel caso in cui un clinico esperto riscontri un disturbo dissociati­ vo, esso è trattabile e ha una buona prognosi di guarigione. Tale disturbo è molto diffuso tra le persone che hanno dovuto affrontare un trauma usan­ do una difesa dissociativa per protcggcrsi. Con il trattamento appropriato, nel corso del tempo, non sarà più necessario distaccarsi da se stessi e dai propri sentimenti. Alla fine, quando si sarà diventati sufficientemente forti da rientrare in contatto con i propri ricordi e sentimenti nascosti accettan­ doli come propri, la depersonalizzazione ne risulterà ridotta e questo per­ metterà una maggiore integrazione e salute psichica.

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7 Una visita nella terra di Oz

Pat Neville, quindici anni, studente al secondo anno della Columbine High School a Littleton, Colorado, pensò, in un primo momento, sentendo le esplosioni, che si trattasse di fuochi d'artificio. Stava fuori dall'edificio, sul campo da calcio quel martedì mattina del 20 Aprile 1 999, il funesto giorno in cui due studenti, vestiti con degli impermeabili neri, uccisero con furia omicida dodici compagni, un insegnante e ne ferirono molti altri prima di puntare le armi contro se stessi. Pat pensava si trattasse di uno scherzo dei più anziani, fino a quando non vide qualcosa sibilare nell'aria e atterrare sul tetto della scuola. Sentì una forte esplosione e vide una densa nuvola di fumo uscire a volute dall'e­ dificio. Qualcun altro con un fucile da guerra sventagliò il terreno, solle­ vando la terra fuori dal bar. "Poi un ragazzo con un fucile da caccia s'in­ camminò verso di noi" ricorda Pat, "attraversando il campo. Buum ! Un'e­ splosione. Io mi chiedevo, incredulo, se stesse succedendo per davvero. N on riuscivo a crederci. " 1 La sensazione che il mondo circostante sia irreale o che gli eventi non stiano accadendo veramente è chiamata derealizzazione. La si può pensare come una sorta di jamais vu. Invece della sensazione di déjà vu, in cui luo­ ghi e persone nuove ci sembrano familiari, si ha la sensazione opposta: che persone e luoghi che dovremmo conoscere molto bene ci sono estranei. Ci si sente estraniati e distaccati dall'ambiente o si ha la sensazione che l' am­ biente sia estraneo e non reale. Per la maggior parte delle persone la derealizzazione si verifica quando un evento traumatico stravolge il proprio mondo quotidiano, come accad­ de al giovane studente che, improvvisamente, si rese conto che il campo da calcio della tranquilla scuola superiore di provincia che frequentava, si era trasformato in un campo di battaglia. Le situazioni di guerra, la perdita di una persona amata e le esperienze di pre-morte sono le occasioni in cui le persone normali tendono ad avere episodi di derealizzazione. l e 1999,

l. G. Florio, M. Matza, "Gunshots, blood and chaos" , in The Philadelphia Inquirer, 2 1 apri­ pp. A l , Al6.

�·=69

RICONOSCERE l SEGNI E VALUTARE l SINTOMI DISSOCIATIVI

Si può riconoscere la derealizzazione dai seguenti segni: la sensazione di distacco dal mondo; la sensazione che la propria casa, il luogo di lavoro o altri ambienti usua­ li siano sconosciuti o non familiari; la sensazione che quello che sta accadendo non sia reale; la sensazione che gli amici o i parenti siano strani, non familiari o irreali; cambiamenti nella percezione visiva dell'ambiente - la sensazione che gli edifici, l'arredamento o altri oggetti stiano cambiando grandezza o forma, o che i colori stiano diventando più o meno intensi. Quest'ultima manifestazione, i disturbi nella percezione dell'ambiente, è più probabile che si verifichi nella depersonalizzazione moderata o grave che nelle situazioni vissute dalle persone normali in condizioni di emer­ genza. Anche la sensazione di non riconoscere i propri genitori, la propria casa o i propri amici caratterizza la derealizzazione grave piuttosto che gli episodi lievi e brevi precipitati dallo stress.

DEREALIZZAZIONE E ALTRI SINTOMI

Cy, di professione avvocato, descrive un breve episodio di derealizzazione lieve causato dallo stress. Ricorda che si agitò molto all'esame di stato: " Fa­ ceva molto, molto freddo nella stanza e sentii di stare per morire assidera­ to. Forse il freddo prese il sopravvento, non so, ma mi guardai attorno e vi­ di tutte quelle persone, curve sopra i libri d'esame, scribacchiare furiosa­ mente. Ebbi la sensazione che le cose fossero irreali, io compreso. Ero completamente distaccato dalla scena, come un extraterrestre circondato da tutte quelle strane creature mortali. C'era qualcosa di grottesco in tutta quella situazione. Suppongo che gli diedi un senso però, perché tornai al­ l' esame e lo finii". Come dimostra il breve episodio di Cy, la derealizzazione si verifica tipi­ camente in tandem con la depersonalizzazione: Cy si sentiva irreale in quel­ la situazione stressante e lo era anche il mondo intorno a sé. Sebbene la de­ realizzazione raramente si verifichi da sola, talvolta può accadere di speri­ mentarla separatamente. Si potrebbe pensare alla derealizzazione come a una forma ampliata di depersonalizzazione, in cui il sentimento di distacco da se stessi, dal proprio corpo e dalle proprie emozioni viene esteso al pro­ prio ambiente immediato o al mondo circostante, in senso più ampio. La derealizzazione può essere accompagnata da amnesia, e in molti casi lo è, con episodi ricorrenti. Le persone con derealizzazione grave possono trovare difficile riconoscere la propria casa o i membri della propria fami­ glia o gli amici, mentre restano consapevoli della propria identità o della propria storia familiare. Nell'amnesia l'oblio delle persone familiari è asso70

UNA VISITA NELLA TERRA DI OZ

luto, laddove nella derealizzazione esiste ancora un qualche legame intel­ lettuale con queste persone, che dovrebbero essere familiari e invece non lo sono. Per esempio, una donna può sapere che le persone sedute a tavola con lei a cena sono i genitori e i fratelli, ma non si sente in contatto con lo­ ro, le sembrano estranei. Sa che quella è la casa della sua infanzia, e tuttavia non le sembra casa sua. Il paesaggio circostante che vede da sempre le sembra strano ed estraneo, perché non ha affatto la sensazione di apparte­ nere a quel luogo o di essere mai appartenuta a esso. L'amnesia e la derealizzazione sono strettamente legate all'ansia. Poiché persone con alti livelli d'ansia hanno un forte bisogno delle difese dissocia­ le tive, coloro che sono più ansiosi sperimentano una derealizzazione più gra­ ve. Non è chiaro, tuttavia, se sia l'ansia a precipitare la derealizzazione oppu­ re se sia la derealizzazione a produrre l'ansia. Quello che si sa è che le perso­ ne con disturbo da attacchi di panico che sperimentano derealizzazione so­ no più gravemente ansiose, ossessive, depresse e hanno un inizio più precoce degli attacchi di panico rispetto a coloro che non ne fanno esperienza. Que­ sto dato potrebbe indicare che alcune delle persone alle quali viene diagno­ sticato un disturbo da attacchi di panico potrebbero avere un disturbo dis­ sociativo sottostante mai ipotizzato, diagnosticabile con la SCID-D. La depersonalizzazione è una caratteristica saliente del disturbo post-trau­ matico da stress (DPTS) . Le persone che sperimentano i flashback, che abbia­ no il DPTS o un disturbo dissociativo, rivivono gli eventi passati come se acca­ dessero nuovamente nel presente. La sovrapposizione della realtà passata a quella presente fa sembrare gli eventi irreali. I pazienti a cui è stato diagnosti­ cato un DPTS descrivono gli episodi di derealizzazione alla SCID-D esattamen­ te negli stessi termini delle persone con disturbi dissociativi.

CHE COSA FA SEMBRARE IRREALE IL MONDO?

La sensazione che "la propria madre (o chiunque altro) non sia reale" ri­ flette un disturbo nella memoria emozionale: si ha la consapevolezza che all'esperienza della madre manca la normale familiarità che solitamente l'accompagna. La persona riconosce la madre intellettualmente ma l'emo­ zione è rimossa. La persona è consapevole che a quell'esperienza mancano le emozioni, i sentimenti di amore, vicinanza, conforto e sicurezza. Come è possibile che si riconosca la propria madre e, al tempo stesso, non la si per­ cepisca come tale? Sono state avanzate teorie diverse per spiegare la derealizzazione.2 Dal punto di vista cognitivo, essa può essere vista come una disgregazione del 2. V. Siomopoulos, " Derealization and déjà vu: forma! mechanisms", in American ]ournal o/ P1ychotherapy, 26, 1972, pp. 84-89.

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RICONOSCERE l SEGNI E VALUTARE I SINTOMI DISSOCIATIVI

normale flusso dell'esperienza. In condizioni di stress, la coscienza si fram­ menta e la persona sperimenta alcune componenti del sentimento di realtà piuttosto che direttamente la vita come reale. Durante una crisi, per esem­ pio, l'esperienza del normale scorrere del tempo può interrompersi per dare luogo alla percezione che il tempo si sia fermato. In maniera simile, la vittima di un abuso infantile può avere consapevolezza di elementi eli co­ scienza che stanno sullo sfondo e sentire di aver perso la parte normale dell'esperienza, cioè il legame emotivo con la persona amata. La teoria cognitiva della derealizzazione implica la possibilità di un cer­ to controllo volontario su di essa, un po' come per gli stati alterati di co­ scienza delle persone che meditano. Le affermazioni raccolte durante lo studio sul campo della SCID-D, secondo cui le esperienze di derealizzazione possono essere controllate o provocate a comando ( ''Posso farlo quando voglio" disse una donna) confermano in qualche misura questa teoria. La maggior parte delle teorie psicoanalitiche considera la derealizzazio­ ne una difesa dell'Io contro un'ansia insopportabile. Secondo una scuola di pensiero, quando la persona si scinde in un sé osservante e un sé parteci­ pante, il sé partecipante è pensato come immaginario e separato dalla per­ sona reale. Come risultato, anche il mondo esterno viene pensato come im­ maginario e irreale. Un'altra teoria che si accorda con l'idea di uno stretto legame tra i sinto­ mi dissociativi e l'abuso infantile grave sostiene che il bambino abusato ri­ tira l'investimento emotivo dalle immagini interne degli abusatori e non si identifica più con loro. Questo sentimento di mancata identificazione vie­ ne esteso ad altri aspetti del mondo esterno, facendo sembrare irreale ciò che è familiare. Tutte queste teorie portano alla stessa conclusione: la derealizzazione è un sintomo dissociativo che separa la coscienza di una persona dalla perce­ zione della familiarità del mondo esterno e delle persone. È una strategia di coping che aiuta le persone ad adattarsi a un evento traumatico (un inciden­ te ferroviario, un tornado, una sparatoria, una situazione in cui si è presi in ostaggio) o che può essere adottata durante l'infanzia per far fronte ai ripe­ tuti abusi. Per quanto adattiva la prima volta che viene sperimentata, se essa persiste e si verifica di frequente, come tutte le risposte dissociative, diventa disadattiva e causa difficoltà nelle relazioni, nel lavoro e nel mondo interno.

LA DEREALIZZAZIONE LIEVE

La derealizzazione lieve può essere normale ed è piuttosto comune. È ca­ ratterizzata da pochi episodi nel corso della vita, di solito non spiacevoli. Tipicamente, è provocata dallo stress, dalla fatica, da stati ipnotici e dall'u­ so di droghe o alcool. 72

UNA VISITA NELLA TERRA

DI OZ

Micheal, un fotografo di trent'anni che usa la marijuana per rilassarsi dopo una lunga giornata di lavoro, descrive un tipico episodio di derealiz­ zazione indotto dalla sostanza psicotropa: " Entro in uno stato di confusio­ ne trasognato, dove nulla sembra più importante. Sento come di fluttuare nello spazio e qualsiasi cosa mi si dica va perduta in questo stato. Sono in un mondo in cui i miei sensi sono la sola realtà. I colori sono talmente bril­ lanti che quasi fanno male agli occhi. Il tempo sembra fermarsi. Tutto è co­ sì lento. Guardo l'orologio e indica le nove. Dopo di che mi sembra sia passata un'ora, guardo di nuovo l'orologio e indica le nove e cinque. Non riesco a crederci. È come se il mondo reale non mi riguardasse. Vivo in una diversa dimensione spazio-temporale" . I traumi collettivi, come i l massacro alla Columbine High School, pos­ sono attivare normali episodi di derealizzazione nei membri della comu­ nità colpita. Anche uno shock personale, se improvviso, inaspettato, e se tocca un'area sensibile della vita della persona, può attivare un breve epi­ sodio di derealizzazione in persone altrimenti normali. È il caso di Leonard, cinquantaquattro anni, direttore della stessa banca da ventitré, che pensava di poter continuare così, comodamente, fino a che, a sessant'anni, non fosse andato in pensione. I figli erano ormai grandi e indipendenti e Leonard, insieme alla moglie, un perito assicurativo, stava accumulando risparmi per passare gli " anni d'argento" a soddisfare la loro passione per i viaggi. Ad un certo punto, però, una scure impietosa e defi­ nitiva si abbatté sui loro sogni. "Il capo mi convocò nel suo ufficio e mi disse di sedermi" ricorda Leo­ nard. "Poi, dopo una lunga pausa, mi comunicò che la banca stava 'con­ traendo le spese' - odio quell'espressione ! - e che stavano tagliando il mio posto. Non potevano neanche farmi un'altra offerta o trasferirmi in una fi­ liale diversa. Mi sentii morire e pensai che la mia vita era stata un fallimen­ to. Era come se un serpente a sonagli mi avesse morso al collo. Come pote­ vano farmi questo dopo che avevo lavorato per loro tutti quegli anni? Dov'era finita la lealtà? " Leonard descrive come i sentimenti di umiliazione, tradimento e im­ provvisa perdita di identità che provò gli provocarono un episodio di de­ realizzazione che ancora oggi è vivido nel ricordo come il giorno in cui ac­ cadde, sei anni fa: " Guardai il mio capo e all'improvviso non lo riconosce­ vo più. Non mi sembrava reale. Anche la stanza sembrava strana e irreale, com e se fosse fuori fuoco. Dopo di che ogni cosa tornò ad essere nitida e molto più definita di prima. Il capo aveva un grande quadro astratto attac­ c ato al muro, sopra la scrivania e le figure rosse del quadro iniziarono a ri­ saltare diventando di un rosso molto vivo. Gli oggetti, non cambiarono grandezza o forma, no, ma diventarono molto brillanti. Questo mi distras­ se. Le altre cose semplicemente si affievolirono passando sullo sfondo, compreso il capo, di cui sentivo la voce in maniera indistinta. Pensavo di 73

RICONOSCERE l SEGNI E VALUTARE I SINTOMI DISSOCIATIVI

essere in un brutto sogno. Tutto quello che dovevo fare era andarmene al diavolo, fuori di lì il più velocemente possibile" . I sentimenti di vergogna, che siano legati al senso di fallimento e improv­ visa perdita d'identità di un capofamiglia disoccupato oppure alla violazio­ ne delle regole morali nell'abuso sessuale, sono comuni attivatori di episodi di depersonalizzazione e derealizzazione. I problemi nei rapporti intimi possono essere un altro attivatore, soprattutto per le donne, le quali posso­ no awertire la perdita effettiva o potenziale del partner come una minaccia alla loro identità. Alcune terapeute femministe ritengono che il modo in cui le donne vengono allevate nella nostra cultura le renda inclini alla dissocia­ zione nelle esperienze amorose, perché ci si aspetta da loro che, nelle rela­ zioni significative, si rimettano a modelli degli altri. Queste autrici suggeri­ scono che i sintomi di depersonalizzazione e derealizzazione sono dei segni, sebbene non gli unici, del senso di perdita di controllo e di contatto con sé che le donne provano nei rapporti d'amore. Rachel, coordinatrice di ricerche di mercato di quarantaquattro anni, divorziata da cinque, ricorda un episodio di derealizzazione che ebbe quando il suo compagno, un ricco uomo d'affari con il quale stava da due anni, all'improwiso le annunciò che la lasciava per una modella che aveva la metà dei suoi anni. " Mi portò fuori a pranzo per darmi la cattiva notizia, sapendo che non avrei fatto una scenata in pubblico" ricorda. " Questo mi fece adirare ancora di più nei suoi confronti. Era così tipico del suo stile calcolatore. Dopo averlo ascoltato, sentii questo suono che mi rimbomba­ va nelle orecchie. Sentivo le altre persone nella stanza che parlavano e ride­ vano e il tintinnio delle posate , ma i suoni erano ovattati. Niente intorno a me sembrava reale. Era come la scena di un film. Pensavo fosse un film o il frutto della mia immaginazione. Mi alzai da tavola e uscii frastornata. " Questi episodi passeggeri di derealizzazione sono normali se si verifica­ no raramente in risposta a un trauma o a uno shock improwiso al proprio senso di sé e non sono associati ad amnesia o a flashback. Anziché causare sofferenza o disfunzione, possono aiutare a superare momenti difficili del­ la propria vita, salvaguardando la propria integrità.

LA DEREALIZZAZIONE MODERATA

Le persone che sperimentano una derealizzazione moderata hanno ricor­ renti episodi che non sono precipitati dallo stress e possono riguardare di­ sturbi nella percezione della loro famiglia e della loro casa. Nonostante molte persone si esprimano chiaramente sulla spiacevolezza della derealiz­ zazione, gli episodi moderati non sono sempre disturbanti. Brooke fa l'artista e racconta di trovare ispirazione creativa nei suoi epi­ sodi di derealizzazione. "I rapporti spaziali cambiano" spiega. " I colori as74

UNA VISITA NELLA TERRA DI OZ

s umono caratteristiche speciali. È quasi come un'intensificazione e un'a­ strazione, il che gli dà un carattere irreale. " Strizza gli occhi, come per vi­ s ualizzare una stanza immaginaria. " So benissimo cosa ho di fronte" dice. " C'è un divano lì, di fronte al camino e c'è questo strano color malva, con le tende giallo canarino e tutto il resto. Ma c'è un modo di guardarlo fron­ talmente e c'è un altro modo che consiste nel fare un passo indietro e ve­ d erlo in maniera diversa. " A differenza degli episodi di derealizzazione normali, quelli moderati possono riguardare la propria famiglia o la propria casa. Libby, un regista di cinquantatré anni il cui rapporto con una madre ultrasettantenne im­ possibile è sempre stato doloroso, soffre di episodi di derealizzazione in cui la madre non gli sembra reale. " Sono con lei in macchina che guido. Dopo che mi ha attaccato in maniera perversa e ha criticato qualsiasi cosa io abbia fatto" dice Libby, "le lancio un'occhiata di traverso e mi sembra un'estranea; allora, mi ascolto mentre penso: 'Chi è questa persona? Non è mia madre. Questa persona non è mia madre'. " Coloro che sono sopravvissuti a un evento traumatico e vivono con le conseguenze emotive della paura o dell'ansia, possono sperimentare una derealizzazione di livello moderato, se le esperienze non ricorrono di fre­ quente e non interferiscono con la capacità di funzionare. Terry, un poliziotto colpito al petto da una pallottola nel corso dell'arre­ sto di un rapinatore armato, dopo la lunga convalescenza si ritirò dal servi­ zio attivo. Nonostante non avesse flashback sulla sparatoria, Terry speri­ mentò un episodio di depersonalizzazione accompagnato da derealizza­ zione quando s'imbatté in una persona vestita come il suo aggressore. Questo episodio accadde mentre Terry stava camminando per strada con sua moglie all'uscita dal cinema. " Stavamo camminando verso la mac­ china parcheggiata e all'improvviso spuntò dal nulla questo tipo che in­ dossava una vecchia giacca militare e un passamontagna di lana grigio ab­ bassato sul viso" ricorda Terry. "Pensai che era il ragazzo che per poco non mi aveva ucciso. 'È tornato per finire il lavoro' mi dissi. Tutt'intorno a me diventò confuso, come annebbiato. Non sapevo se quello che stava acca­ dendo fosse reale o fossi ancora davanti al film. Era come stare nella mac­ china della pattuglia a guardarlo accadere. Il tipo prese qualcosa dalla sua tasca e io ero sicuro si trattasse di una pistola. Diventai di pietra e tuttavia avanzai a grandi passi davanti a mia moglie per proteggerla. La cosa nella sua mano era soltanto un telecomando per aprire la macchina. Lo guardai entrare e andare via, poi le cose tornarono a essere reali. Sentii mia moglie che diceva: 'Va tutto bene ? ' . " Alcuni sopravvissuti al trauma, per esempio i sopravvissuti all'abuso in­ fantile, hanno la tendenza a sopravvalutare i pericoli del mondo e a sotto­ valutare la propria competenza e il proprio valore. Con una terapia relati­ vamente breve le paure di Terry di essere vittima di un secondo crimine 75

IUCONOSCERL l SE;NI E VALUTARE l SINTOMI DISSOCIATIVI

violento diminuirono e riuscì a controllare la sua ansia di una nuova ag­ gressione senza sperimentare altri episodi di depersonalizzazione e derea­ lizzazione. LA DEREALIZZAZIONE GRAVE

Gli episodi di derealizzazione considerati gravi causano disagio e disfun­ zione e si differenziano dagli episodi di derealizzazione lieve perché ri­ guardano i genitori, la casa e gli amici. Ricorrono più spesso degli episodi di gravità moderata e sono più persistenti (ventiquattro ore o più). Per le persone con disturbo dissociativo, questi cambiamenti nella percezione dell'ambiente sono di solito associati ad amnesia, alterazione dell'identità e flashback. La derealizzazione senza depersonalizzazione è una caratteristica del disturbo dissociativo chiamato DDNAS (disturbo dissociativo non altrimen­ ti specificato) , una leggera variante del DDI o di altri disturbi dissociativi. La mia ricerca ha dimostrato che alcune persone con questa diagnosi han­ no un DDI. In quanto risposta post-traumatica a un abuso infantile protratto, la de­ realizzazione viene spesso sperimentata in relazione alla persona che ha perpetrato l'abuso. Quando si è dei bambini abusati, percepire la propria madre o il proprio padre abusanti come alieni rispetto a sé rappresenta un tentativo di dare senso all'incomprensibile, senza perdere il contatto con la realtà. È un prendere le distanze emotivamente ma non intellettualmente dall'esperienza del genitore come figura accudente e, al tempo stesso, fon­ te di un dolore, un'incuria o una deprivazione schiaccianti. Questo gioco di prestigio può essere sconvolgente. "È terrificante" dice una diciannovenne a proposito degli episodi di derealizzazione che speri­ menta a casa. "Ti senti come se fossi stata gettata fuori dai confini della real­ tà. Sei di fronte al fatto che conosci, ovviamente, la realtà, ma non sai chi siano quelle persone. Eppure sono lì e tu vivi in quella casa con loro. Ti svegli, scendi e quella signora ti serve la colazione e tu non sai nemmeno chi sia. Ed è tua madre. " In alcuni casi la derealizzazione può assumere il carattere surreale di Ali­ ce nel paese delle meraviglie. In quanto reazione naturale al trauma, questa realtà intensificata risulta da un aumentato stato di allerta e da una scissione dalla consapevolezza delle emozioni soverchianti. Le persone, gli edifici, l'arredamento o altri oggetti sembrano cambiare dimensione o forma; i co­ lori sembrano diventare più o meno intensi. L'effetto ultimo è quello di tra­ sformare l'ambiente in un'astrazione o spegnere la persona derealizzata. Rosa, una donna ispanica di trentuno anni con un DDI e una storia di di­ ciannove anni di ripetuti abusi sessuali, racconta: "Avviene una cosa di76

UNA VISITA NELLA TERRA DI OZ

st anziante in cui io mi avvicino moltissimo, così - mette i suoi palmi vicini quasi a contatto - e questo è tutto quello che posso vedere. Perdo la visio­ ne d'insieme. I miei occhi si chiudono e, allo stesso tempo, sento un suono assordante. Pensavo che succedesse a tutti". Una persona sopravvissuta all'abuso può proiettare le sensazioni di paura prodottesi durante l'infanzia su una figura sostitutiva dell' abusatore - un fidanzato, una fidanzata, un datore di lavoro o un collega che somigli all'abusato re o attivi i ricordi del trauma. Il sovrapporre un viso familiare a un'altra persona conosciuta, di solito un amico o la persona amata, ha l'effetto surreale e incongruo di far apparire la seconda persona non fami­ liare. Questa è un'esperienza comune di derealizzazione associata ai flash­ back. Audrey, una donna sopravvissuta ad abuso, di trentasette anni, mi fu in­ viata per una SCID-D dal suo psichiatra che era interessato ai suoi gravi sin­ tomi dissociativi. " A volte quando guardo il dottore" mi raccontò Audrey durante il colloquio, "vedo la faccia di mio padre o del mio ex marito e gliene parlo subito. Di solito questo avviene perché temo che mi farà la stessa cosa che mi hanno fatto loro, anche se non c'è ragione per non fidar­ si di lui. È una persona straordinaria e non mi farebbe mai del male. Quan­ do ero sposata, a volte guardavo il mio ex marito e vedevo la faccia di mio padre. " La situazione lavorativa di una persona può attivare la derealizzazione del luogo di lavoro nei flashback. Se l'atmosfera è carica di tensione per le molestie sessuali o un superiore somiglia all' abusatore originario della per­ sona, si può innescare un episodio di derealizzazione. Oltre che dalle iute­ razioni personali, molte persone raccontano che gli episodi possono essere attivati da certe caratteristiche dell'ambiente fisico del posto di lavoro. Le immagini ipnotiche sugli schermi dei computer, i nastri trasportatori che si muovono, i flash, le superfici che riflettono o rispecchiano, tutto può sti­ molare il sistema di processamento dell'informazione del cervello e attiva­ re i flashback dell'incidente traumatico originario. Quello che rende così intensa la derealizzazione durante i flashback è il fatto che l'evento ricordato è molto più di un ricordo. L'esperienza legata alla paura che il cervello non ha mai processato in maniera appropriata ir­ rompe letteralmente nella consapevolezza ed è così tanto coinvolgente da far perdere il controllo del presente e renderlo irreale. Una vittima di stu­ pro descrive in questo modo i suoi flashback durante la SCID-D: " Ero fuori con un ragazzo e vidi un tipo completamente diverso - il tipo che mi aveva stuprata. Stavo seduta lì con lui e poi, oh mio Dio, corsi fuori dal teatro " . Faith, una donna abusata sessualmente dal padre, riassume l a rapidità dei flashback in questo modo: "I flashback non sono come foto che puoi mettere nell'album, accumulare nell'armadio e ricordare come parte del passato. Si ha la sensazione di provarli in quel momento" . 77

RICONOSCERE l SECNI E VALUTARE l SINTOMI DISSOCIATIVI

I responsabili dei crimini possono essere distaccati da ciò che sta acca­ dendo quanto le loro vittime. Uno stupratore, ad esempio, può dissociarsi dalla consapevolezza della violenza e del dolore che sta infliggendo a un'e­ stranea immaginando che sia qualche odiosa figura femminile del suo pas­ sato. Proprio come la donna stuprata fluttua fuori dal suo corpo e immagi­ na che il crimine stia accadendo a qualcun altro, la derealizzazione consen­ te allo stupratore di agire la sua rabbia in questo modo violento e brutale. La sovrapposizione di un' altra realtà sul presente può anche implicare l'immaginazione. La derealizzazione probabilmente ha giocato un ruolo importante nella furia omicida di Eric Harris e Dylan Klebold nell'aprile del 1 999, alla Columbine High School di Littleton, in Colorado. Dopo la tragedia, una nazione intera, sbigottita, si chiese come questi due giovani, alienati come tanti altri teenager e, tuttavia, apparentemente "normali" , si fossero potuti trasformare in sociopatici dal sangue freddo e soffocare, al­ legri e indifferenti, le vite di tutti gli studenti e gli insegnanti che incrocia­ vano. Come poterono essere completamente senz' anima e privi di pietà? Come poterono ignorare le invocazioni dei compagni di classe di !asciarli vivi o ridurre al silenzio chiunque piangesse o si lamentasse con un colpo di fucile? Una risposta stava nei violenti videogame da cui i due erano ossessiona­ ti. Gli effetti grafici, sufficientemente realistici da sfumare il confine tra realtà e fantasia, permettono di utilizzare questi giochi in cui si uccide per il brivido di farlo, per superare l'avversione delle persone a uccidere. Al momento della strage, Doom, il gioco preferito di uno degli assassini, era stato adattato dalla Marina statunitense per scopi di addestramento. I so­ pravvissuti al massacro hanno raccontato che Harris e Klebold sembrava trucidassero le persone reali con lo stesso entusiasmo con cui sparavano al­ le figure animate.3 Brooks Brown, un compagno di classe che aveva frequentato Harris e Klebold, dichiarò che quando i due fecero il loro festino di sangue "stava­ no vivendo come in un videogame" . Il Simon Wiesenthal Centre, un cen­ tro che indaga sui gruppi fondati sull'odio in Internet scoprì nei suoi archi­ vi una copia del sito web di Harris con la versione personalizzata di Doom che rappresentava due personaggi pesantemente armati e la loro preda im­ potente. Mentre l'investigatore del centro lo scopriva, alla Columbine i due assassini stavano "mettendo in atto il loro gioco alla maniera di Dio". Harris e Klebold erano delle bombe cariche che aspettavano di esplo­ dere in preda a un episodio di derealizzazione. Le fantasie da videogame, da cui erano dipendenti, diventarono la loro realtà e sovrapposero quella realtà al presente, prendendosi una rivincita sui tipi 'tutti muscoli' e sui 'fi­ ghetti' che li respingevano e li maltrattavano, dando libero sfogo alla rab3. E. Pooley, "Portrait of a deadly bond" , in Time, 10 maggio 1 999, pp. 26-32.

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UNA VISITA NELLA TERRA DI

OZ

bia, all'ostilità e al risentimento nel sanguinoso massacro. Sentendosi non in contatto con i loro pari, anche internamente non erano in contatto con la loro umanità. Sembra evidente che i videogame violenti possono favori­ re la derealizzazione in una persona predisposta. Per degli adolescenti ri­ belli che possono avere sintomi dissociativi non identificati e non trattati, pas sare ore e ore su questi giochi in uno stato di isolamento può essere pe­ ricoloso.4 Nonostante il sito web e altri segnali indicassero che Harris e Klebold eran o disturbati, i due non ricevettero un'approfondita valutazione psi­ chiatrica. Per ironia della sorte, dopo aver partecipato a un programma riabilitativo e a un seminario sulla gestione della rabbia in sostituzione del­ la pena per aver scassinato un furgone e rubato dell'attrezzatura elettroni­ ca, Harris venne definito " uno che sarebbe riuscito nella vita" e Klebold "abbastanza intelligente da poter realizzare qualsiasi sogno. " Lo psichiatra che vide Harris qualche tempo prima della sparatoria consigliò un anti-de­ pressivo per alleviare la sua rabbia verso il mondo. Klebold, una persona sensibile e premurosa per quanto timida e introversa, impressionò tutti co­ loro che lo conoscevano con il suo improvviso cambiamento da dottor Jekyll a Mr Hyde. L'attrazione che provavano per il neo-Nazismo, la morte e i video violenti, insieme alla loro confusione d'identità e alla loro impulsi­ vità è un forte indicatore del fatto che questi brillanti giovani potevano avere dei sintomi dissociativi sottostanti la rabbia e la tristezza. Se questi sintomi fossero stati trattati in tempo, forse sarebbe stato possibile stabili­ re i nessi mancanti prima che la loro fantasia omicida prendesse il soprav­ vento sul mondo reale. Separare le proprie emozioni dalla sensazione di familiarità del mondo esterno può essere un modo adattivo di far fronte alla paura e all'ansia sca­ tenate da un forte trauma o dall'abuso infantile ripetuto. Quando la derea­ lizzazione diventa abituale e grave, il suo effetto sulle relazioni, il lavoro e la serenità può essere devastante. La sensazione opprimente di vivere in un mondo personale scoordinato può produrre una tormentata confusione interiore e trasformare le persone reali di quel mondo in fantasmi privi di realtà. Il questionario seguente aiuta a identificare i sintomi di derealizzazione e la loro gravità.

4. N. Gibbs et al. , " Special rcport: the Littleton massa ere", in Time, 3 maggio 1999. Vedi an­ che i capitoli 7 e 8 in M. Steinberg, Handbook/or the Assessment o/Dissociation. A Clinica! Gui­ de, American Psychiatric Press, Washington, DC, 1995.

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RICONOSCERE I SEGNI E VALUTARE I SINTOMI DISSOCIATIVI

TEST DI DEREALIZZAZIONE DI STEINBERG

Mai

Una o due volte

Quasi sempre

Solo con droghe o alcool

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4. Ho la sensazione che le persone che mi circondano facciano parte di un sogno.

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5 . Ho la sensazione che le cose intorno a me cambino dimensioni o forma.

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6. Ho la sensazione che i colori cambino intensità.

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7. Ho la sensazione che le persone si trasformino in altre.

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8. Sebbene io sappia da un punto di vista intellettuale chi siano i miei parenti, ho la sensazione che non abbiano realmente a che fare con me.

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9. Ho difficoltà a riconoscere gli amici, la famiglia o la mia stessa casa.

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10. Ho dei dubbi su quali delle cose che mi circondano siano reali.

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l.

Persone o luoghi che conosco mi sembrano non familiari.

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Sento come se stessi guardando il mondo attraverso degli occhiali appannati e le persone o le cose mi appaiono non chiari o distanti.

2.

3. Gli amici, i parenti o i vicini mi sembrano strani o irreali.

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1 1 . Ho la sensazione che le persone o i luoghi che conosco sbiadiscano o scompaiano. 12.

Mi sento distaccato dagli altri.

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2

Qualche Molte volta volte

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UNA VISITA NELLA TERRA DJ OZ

Se alcune delle esperienze sopra menzionate sono state vissute,

rispondete alle seguenti domande: L �/e esperienza/e ha/hanno interferito nelle relazioni con gli amici, la famiglia o i colleghi? Ha/hanno influenzato la capacità di lavorare? t/sono stata/e causa di disagio o sofferenza?



No

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Il calcolo del punteggio al Test di derealizzazione di Steinberg:

l . Assegnare i punti da l a 5 indicati sulla riga in alto in corrispondenza delle caselle segnate. 2. Sommare il punteggio e usare le linee guida generali di seguito riportate per interpretarlo. Punteggio della derealizzazione globale

Derealizzazione assente: 12 Derealizzazione lieve: 1 3 -20 Derealizzazione moderata: 2 1 -40 Derealizzazione grave: 4 1 -60

Indicazioni

Se il punteggio totale ottenuto rientra nel range della derealizzazione assen­ te e lieve ( 12-20) si è nell'ambito della normalità a meno che l'esperienza degli item 9 o 1 0 non sia stata ricorrente. In quest'ultimo caso, è consiglia­ bile sottoporsi alla valutazione di un professionista in grado di sommini­ strare la SCID-D completa. Se il punteggio totale rientra nel range della derealizzazione moderata e g rave (2 1 -60), è consigliabile sottoporsi alla valutazione di un professioni­ sta specializzato nella somministrazione della SCID-D completa. Se la de­ realizzazione ha interferito nelle relazioni con gli amici, la famiglia o i col­ leghi o ha influenzato la capacità di lavorare o ha causato sofferenza, è par­ ticolarmente importante richiedere la consulenza di un professionista. Anche nel caso in cui un clinico esperto riscontri un disturbo dissociati­ vo, esso è trattabile e ha una buona prognosi di guarigione. Tale disturbo è molto diffuso tra le persone che hanno dovuto affrontare un trauma usan81

RICONOSCERE l SEGNI E VALUTARE I SINTOMI DISSOCIATIVI

do una difesa dissociativa per proteggersi. Con il trattamento appropriato, nel corso del tempo, il bisogno di distaccarsi dalle persone circostanti e dai familiari diminuirà. Alla fine, quando si sarà diventati sufficientemente forti da rientrare in contatto con i propri ricordi e sentimenti nascosti ac­ cettandoli come propri, la derealizzazione ne risulterà ridotta e questo per­ metterà maggiore integrazione e salute psichica.

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8 Quando non sai chi sei

Steve Willis guadagnava quasi un milione di dollari all'anno come consi­ gliere delegato all'UBS, il complesso finanziario svizzero, quando, prima ancora della quarantina, se ne andò da Wall Street per aprire due ristoranti a Princeton, la sua città natale nel New Jersey. Willis spiega che sebbene la moglie Harriette fosse "incredibilmente supportiva" , era stanco di quel la­ voro reputato affascinante ma che, in realtà, di divertente non aveva nulla: alzarsi per prendere il treno delle 6 di mattina da Princeton J unction per New York e tornare a casa la sera alle 8; passare 150 notti all'anno in came­ re d'albergo in giro per il mondo, rincorrendo potenziali clienti; vedere di sfuggita un ristorante qui e una sala conferenze lì; ricevere una chiamata di sabato sera che ti mette su un aereo per la Finlandia il giorno dopo, anche quando è il compleanno di tuo figlio; per cinque anni di seguito mancare a tutte le rappresentazioni teatrali, tutti i colloqui con gli insegnanti e tutti gli incontri sportivi a scuola. Willis era stato cresciuto a pane e azienda. Suo padre era il vicepresi­ dente della Gillette e, da giovane, Willis si era sentito obbligato a tentare la strada dirigenziale prima di arrivare alla conclusione che più che il denaro quello che desiderava era essere felice. Quando si fosse stancato dei risto­ ranti, li avrebbe venduti e sarebbe passato a un'altra cosa, magari una ban­ ca di investimenti telematica. Qualunque sarebbe stato il passo successivo, una cosa era certa: Willis non avrebbe più preso quel treno delle 6 di matti­ na per Wall Street che un tempo gli forniva un'identità. 1

U N SEGNO DEI TEMPI

Steve Willis è un esempio illuminante di come la libertà di scelta abbia reso l'accezione tradizionale di identità, intesa come un'entità coerente e co­ stante, in qualche misura superata. La possibilità di reinventare se stessi p assando dal fare l'investitore al ristoratore, fino all'imprenditore in Interl . ]. Palmer, "A new leaf: how a Wali Streeter turned restaurateur", in Barron's, lO maggio 1999, pp. 25- 26, 28. 83

RICONOSCERE l SEGNI E VALUTARE l SINTOMI DJSSOCIATIVJ

net difficilmente calza con la definizione dell'identità data dall' American Psychiatric Association, con "il senso di sé che fornisce unità alla persona­ lità nel tempo" .2 Sembrano messi in discussione anche gli insegnamenti di Erik Erikson, il padre della teoria dello sviluppo psicosociale, secondo il quale l'identità è un concetto ben organizzato di sé, costituito da valori, convinzioni e obiettivi rispetto ai quali l'individuo è impegnato.3 Sebbene la maggior parte delle persone sottoscriverebbe ancora oggi l'idea di un senso nucleare di sé, o natura fondamentale, che guida le pro­ prie scelte e il proprio comportamento, la flessibilità del concetto di iden- ' tità dimostrata da Willis è un segno dei tempi. Molte persone hanno oggi un'idea di sé "in divenire" , continuamente monitorata, che dà alla loro vita una complessità senza precedenti. Nel suo libro The Saturated Sel/: Dilem­ mas o/Identity in Contemporary Lz/e ( 1991 ) [Il Sé saturato: i dilemmi del­ l'identità nella vita contemporanea] ,4 il sociologo Kenneth Gergen elenca alcune situazioni incontrate nell'arco di alcuni mesi: un neurologo sposato con una donna passa il martedì e il giovedì notte con un'altra da cui ha un figlio; un avvocato sposa una collega e invita al matrimonio le precedenti amanti; una donna cambia lavoro quattro volte in quindici anni, diventan­ do insegnante di recitazione, procacciatrice di fondi, agente di Borsa e an­ tiquaria. " Questa personalità pastiche è un camaleonte sociale" dice Gergen, " che prende continuamente in prestito pezzi di identità da qualsiasi fonte siano disponibili e li compone in quanto utili o desiderabili in una situazio­ ne data. " Questa consapevolezza, secondo Gergen, solleva dubbi sul biso­ gno personale di coerenza e costanza e domande sul motivo per cui abbia­ mo bisogno di rimanere legati a "indicatori tradizionali di identità: profes­ sione, genere, etnia e nazionalità" . Sebbene nessuno condanni l a libertà d i scelta, molte persone influenza­ te da questa "mentalità da self-service" finiscono per sentirsi confuse, non sapendo realmente chi sono. Sentono che questa cornucopia di possibilità esercita una pressione sul loro senso di identità e li induce a interrogarsi sull'esistenza di un "vero" sé. L'enfasi della nostra cultura sulle possibilità di scelta può essere la ragione per cui molte persone nella popolazione ge­ nerale sperimentano una leggera confusione dell'identità e coloro che so­ no particolarmente vulnerabili per il fatto di crescere in famiglie disturbate ne sperimentano una di livello più grave. La globalizzazione dell'economia è un'altra ragione che spiega il motivo per cui la confusione sulla propria identità sia così diffusa tra le persone 2. American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistica! Manual o/ Menta! Disorders, (DSM-IV), American Psychiatric Association, Washington, DC, 1994. 3. E . H. Erikson, Gioventù e crisi d'identità, tr. it. Armando, Roma 1995. 4. K . Gergen, The Saturated Se!/: Dilemmas o/ Identity in Contemporary Li/e, Basic Books, New York 199 1 . 4'h ed.

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QUANDO NON SAI CHI SEI

normali oggi. A causa delle esigenze aziendali dirigenti e professionisti de­ vono molto spesso sradicare e trasferire le loro famiglie, viaggiare all'inter­ no del proprio paese e/o all'estero, producendo un disorientamento rispet­ to al posto o al "luogo" geografico in cui le persone si trovano. Si aggiunga a questo l'instabilità della vita d'azienda, con continue fusioni, acquisizioni e relative dismissioni e contrazioni del personale. L'inclusione, nel 1 994, della categoria diagnostica del disturbo dell'adattamento nel Manuale diagnosti­ co e statistico dei disturbi mentali (DSM-IV) ha rappresentato il riconosci­ mento da parte dell'American Psychiatric Association di quanto sia distur­ bante questa particolare forma di stress della vita contemporanea su coloro che vivono le tensioni dei trasferimenti o della perdita del lavoro. Un altro aspetto del mondo contemporaneo che può essere logorante per il proprio mondo interiore è la rapidità e la molteplicità delle possibili forme di comunicazione: fax, e-mail, sms, corrieri espressi che lavorano di notte e così via. A questo si aggiungono i mass media che bombardano continuamente il proprio senso di identità con ritratti sensazionalistici di stili di vita " alternativi" , pettegolezzi sulle celebrità e informazioni sulle di­ verse culture del mondo, insieme a una massa caotica di opinioni di esperti che si contraddicono su tutto, dalla menopausa alle finanziarie. Le notizie televisive, gli spettacoli d'intrattenimento, i canali satellitari monotematici, i rotocalchi scandalistici, i film, i video da vedere a casa, i CD , i commenti alla radio, le chat, i message board in Internet, le riviste e i tascabili hanno mescolato tutto in un turbinio che crea incertezza sugli stili di vita. Alla fine, le persone provano una sensazione di "sovraccarico dei siste­ mi" generata da un flusso continuo di stimoli casuali. Sempre più spesso ci si aspetta che le persone funzionino in maniera "polifasica" , cioè che dedi­ chino contemporaneamente la loro attenzione cosciente a svariate attività. Un impiegato nell'amministrazione, per esempio, può dover trattare con le persone in pubblico, rispondere al telefono, rispondere alle chiamate in­ terne ed elaborare un testo al computer, tutto questo più o meno simulta­ neamente. Anche durante il tempo libero, le persone che sono abituate alla scissione polifasica della loro attenzione possono rilassarsi facendo diverse cose contemporaneamente, come guidare parlando al telefono o ascoltan­ do un nastro o facendo mentalmente la lista della spesa. Può sembrare che passi una grande differenza tra questo tipo di funzio­ namento pluristratificato e un disturbo dissociativo, ma è dimostrato che la tecnologia moderna sta insegnando alla popolazione generale ad accet­ tare l'attenzione divisa, o scissa, come normale. Alcuni teorici ritengono che il funzionamento polifasico, nel tempo, possa influenzare il senso d'i­ dentità di una persona rendendo più difficile distinguere le questioni cen­ trali da quelle marginali. Quando la vita è fatta di una molteplicità di deci­ sioni, che richiedono tutte attenzione contemporaneamente, la questione di dove consumare il pranzo un certo giorno può apparire altrettanto im85

R!COI"OSCERE l SEGNI E VALUTARE I SINTOMI DISSOCIATIVI

portante della domanda se si crede in Dio. In questo modo si può arrivare al punto di attribuire ad aspetti quotidiani della vita la stessa importanza che hanno gli elementi nucleari della propria identità, come i propri principi fondamentali, le proprie convinzioni morali o relazioni intime.

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COME SI FORMA L'IDENTITÀ

Innanzitutto, occorre rispondere alla domanda circa le origini dell'iden­ tità. Il fatto stesso di dover scegliere una teoria dell'identità tra le numero­ se esistenti potrebbe essere motivo di confusione. Le teorie sull'identità coprono l'intera gamma delle esperienze umane e possono essere raggruppate in quattro categorie. Secondo le teorie dell'apprendimento il comportamento viene appreso in due modi: o si agisce e si sperimentano le conseguenze delle proprie azioni, oppure si apprende in modo vicario guardando come il comportamento dei modelli viene rinforzato. Le teorie cognitive sostengono, invece, che la realtà, il concetto di sé e i codici morali sono il frutto di costruzioni elaborate mentre si esplora l'ambiente nel corso di una serie di stadi di sviluppo e si organizza l'informa­ zione al fine di risolvere i problemi. Per le teorie psicoanalitiche, la psiche è divisa in tre regioni: il Super-io, un'interiorizzazione parzialmente cosciente degli atteggiamenti morali dei genitori e delle regole della società, che ricompensa o punisce per mezzo della coscienza e del senso di colpa; l'Es, un serbatoio completamente in­ conscio di bisogni istintuali e pulsioni che sono una fonte di energia psichi­ ca; e l'Io, il mediatore cosciente organizzato che si colloca tra la persona e la realtà e si occupa sia del modo in cui la persona percepisce la realtà sia del modo in cui si adatta a essa. I processi mentali in conflitto, la mente in­ conscia, i meccanismi di difesa, le rappresentazioni mentali degli altri si­ gnificativi e i modelli relazionali formati nella prima infanzia, contribuisco­ no tutti a modellare i pensieri, i sentimenti e i comportamenti attuali. Le teorie psicosociali, come quella di Erik Erikson, sono fondamental­ mente psicoanalitiche ma molto più orientate verso la società e la cultura. Esse propongono un dispiegarsi di stadi geneticamente predeterminati dell'identità, ciascuno con i propri temi, un proprio periodo critico e com­ piti di sviluppo da affrontare. Il procedere da uno stadio all'altro dipende dalla riuscita o meno degli stadi precedenti. La teoria di Erikson è forse una delle più rilevanti per la confusione del­ l'identità. Il compito dell'adolescenza - il quinto dei suoi otto stadi, che inizia con la pubertà e finisce intorno ai 1 8-20 anni - è quello di raggiungere un'identità dell'Io ed evitare la confusione dei ruoli. Per negoziare que­ sto stadio con successo, occorre modellare tutto ciò che si è appreso su se 86

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QUANDO NON SAI CIII SEI

stessi e sulla vita in una immagine di sé unitaria che racconti chi si è e come ci si colloca nella società. È necessario raggiungere un senso d'identità ri­ spetto all'ambito lavorativo, ai ruoli sessuali, alla politica e alla religione. I bambini piccoli si identificano primariamente con i genitori, interioriz­ z ando le loro convinzioni, valori e comportamenti, ma, crescendo, amplia­ no l'identificazione estendendola a fratelli, parenti, altri adulti significativi e ai pari. Erikson specifica che le identificazioni sono sottoposte a un conti­ nuo processo di selezione e modificazione, rendendo la formazione dell'i­ dentità qualcosa di simile a un caleidoscopio, una configurazione in evolu­ zione che gradualmente si stabilisce attraverso continue sintesi dell'Io. In assenza di adeguati modelli di ruolo adulti che sostengano la forma­ zione dell'identità, si soccombe a questa confusione di ruoli, tormentati dall'incertezza sulla propria vera natura, i propri ideali, la propria filosofia di vita, il proprio scopo e il proprio posto nel mondo. Ogni stadio di svi­ luppo successivo porterà il marchio di questa menomazione, in quanto, so­ stiene Erikson, "I fallimenti sono cumulativi" . I L DISTURBO DELL'IDENTITÀ

In quanto sintomo dissociativo, la confusione dell'identità è una sensazio­ ne soggettiva di incertezza, confusione o conflitto sul proprio senso di sé. Essa comprende la difficoltà a capire se stessi e i sentimenti di infelicità che derivano dalla tensione interna. Coloro che ne soffrono, ostacolati dalla mancata conoscenza di sé, da confini personali deboli e dall'assenza di un sistema coerente di credenze e convinzioni morali, provano una sensazio­ ne d'angoscia alle domande sulla propria identità che riecheggiano conti­ nuamente nella loro mente. Molti di coloro che ritenevano di aver risposto a questa domanda pos­ sono trovarsi nelle condizioni di doverla riconsiderare e di reinventarsi quando accadono degli eventi imprevisti. Messi di fronte alla necessità di un cambiamento radicale - sposarsi o divorziare, trovare un nuovo lavoro, trasferirsi - vengono gettati in uno stato di " shock identitaria" . Fortunata­ mente questa penosa ma lieve confusione identitaria non dura a lungo, in quanto c'è ancora un'identità nucleare come fondamento da cui ripartire. Alcune persone non sono così fortunate. Qualche evento accaduto lun­ go il percorso di costruzione della propria identità le ha fatte deragliare e quel qualcosa è solitamente una relazione disfunzionale con i membri della propria famiglia in un momento precoce della vita. Un filo rosso che attra­ versa tutte le teorie della personalità è, infatti, quello secondo cui il senso d'identità di base del bambino dipende in larga misura dall'identificazione e dalle interazioni con membri della famiglia empatici che confermino i suoi sentimenti . Genitori abusanti o inadeguati costringono il bambino a 87

RICONOSCERE l SEGNI E VALUTARE l SINTOMI DISSOCIATIVI

identificarsi con comportamenti o tratti negativi o possono imporre al bambino un'identità negativa di capro espiatorio o di perdente della fami- 1 glia. Un bambino che proviene da un ambiente abusante può crescere con · una visione distorta del mondo come un posto pericoloso, minaccioso, che non perdona e offre pochissime possibilità. Se gli sforzi del bambino di identificarsi con un adulto ammirato al di fuori della famiglia vengono cri- . ticati o contrastati dai genitori, il bambino è un probabile candidato al di­ sturbo dell'identità nell'adolescenza o nella prima età adulta. Ma perché i genitori abusanti sono così crudeli? Alcuni semplicemente hanno uno scarso controllo degli impulsi e si scagliano fisicamente contro i figli quando si sentono arrabbiati o frustrati dai loro bisogni e dalle loro ri­ chieste. Altri identificano momentaneamente il bambino con un genitore o un fratello o una sorella più grandi odiati o temuti. Essi " sentono" la voce autoritaria dei propri genitori nelle grida o nel pianto del bambino, credono che questi deliberatamente cerchi di infastidirli o che, genericamente, "lo abbia chiesto" . Alcuni genitori abusanti, mal interpretando uno sguar­ do del bambino come sfida o rabbia, trovano nell'espressione del suo volto la giustificazione all'abuso e si sentono istigati a picchiarlo nuovamente. Naturalmente un bambino che viene non soltanto maltrattato ma verbal­ mente disconfermato, e accusato di provocare il maltrattamento, è un can­ didato ideale per una qualche forma di confusione dell'identità. La centratura su di sé di genitori ciechi rispetto ai bisogni emotivi dei fi­ gli è un'altra causa del disturbo dell'identità. Moltissimi dei miei pazienti parlano dei loro genitori come "incredibilmente narcisistici", "trascuran­ ti" , "manipolativi" , e dicono di loro "mi trattavano come uno schiavo" o " si comportavano come fossi stato invisibile" , al punto che queste descri­ zioni sono diventate il leitmotiv della loro storia di vita. I genitori hanno modi diversi di anteporre le proprie gratificazioni ai bi­ sogni del bambino e tutti danneggiano l'identità del bambino stesso. È sta­ ta già sollevata discreta attenzione sull'atteggiamento utilitaristico di chi prende indiscriminatamente ciò che vuole nei rapporti sessuali. Alcuni ri­ cercatori ritengono che l'elevata incidenza di abusi incestuosi negli Stati Uniti sia in parte un effetto derivato del divorzio e dei secondi matrimoni. I genitori acquisiti è meno probabile che siano inibiti dal tradizionale tabù dell'incesto rispetto ai genitori biologici. Quand'anche il nuovo partner o l'amante di un genitore rion abbia rapporti sessuali con il bambino, i geni­ tori permissivi che espongono ripetutamente il bambino piccolo alla loro attività sessuale sono abusanti. I bambini introdotti forzatamente in un mondo di relazioni "facilmente reversibili" crescono con un instabile senso di sé che produce un alto livello di ansia rispetto alle relazioni con gli altri. Un'altra dimensione della centratura su se stessi dei genitori è la convin­ zione diffusa che i bambini esistano per gratificare i bisogni dei genitori. Questo assunto di base sottende non solo l'abuso sessuale ma anche l'abu88

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so emotivo. Alcuni genitori emotivamente abusanti spingono i figli a perse­ guire il prestigio sociale (per esempio, diventare un atleta di successo, vin­ cere concorsi di bellezza, entrare in una scuola prestigiosa) e altri cercano di indottrinare i figli con determinati principi morali o ideologie religiose o politiche. Se sufficientemente forti queste pressioni possono creare una qualche confusione nell'identità dei figli, incerti su quali scopi o modelli son o i propri e quali sono stati loro imposti dai genitori. I genitori che sfruttano i figli spesso sono fisicamente abusanti perché non comprendono le normali tappe evolutive. Picchiano il bambino per non aver soddisfatto le loro irrealistiche aspettative di un'acquisizione ra­ pida della capacità di controllare gli sfinteri, di mangiare da solo e così via. Quando il bambino cresce, i genitori abusanti è probabile che continuino ad addossargli responsabilità eccessive e premature - aspettandosi per e­ sempio che una figlia cucini, pulisca la casa e si prenda cura dei fratellini quando ha, lei stessa, soltanto otto o nove anni. I bambini deprivati dell'in­ fanzia acquisiscono la dolorosa sensazione di non avere diritti, ma solo l'obbligo di servire il genitore. Di conseguenza essi sviluppano spesso un rapporto con se stessi compromesso, l'incapacità di conoscere o sperimen­ tare i propri bisogni o desideri indipendentemente dalle reazioni e dalle ri­ chieste degli altri. L'ultima forma di sfruttamento dei bambini da parte degli adulti è la violazione parentale dei confini psicologici del bambino. Molti bambini in famiglie monoparentali sono reclutati nel ruolo di confidenti o di terapeuti in erba e vengono costretti ad ascoltare problemi da adulti, che vanno oltre il loro livello di maturazione. "Avevo tredici anni quando i miei genitori si separarono e mia madre venne da me a lamentarsi che mio padre aveva un'altra relazione" ricorda un'adolescente. " Mi fece sentire completamen­ te lacerata dentro. Ricordo che scrissi nel mio diario: 'Sono TERRORIZZA­ TA ! ' . "

Questo inopportuno ribaltamento dei ruoli d a protetto a protettore espone il bambino al rischio di una confusione sulla sua identità. Un'ado­ lescente costretta a diventare un partner per la madre divorziata proprio quando sta iniziando a uscire con dei ragazzi si sente minacciata perché la richiesta è eccessiva. Avere un genitore che dimostra questo tipo di centra­ tura su di sé o una generale mancanza di maturità, svantaggia l'adolescente che deve identificarsi con il genitore prima di spostarsi per formare la pro­ pria identità. Un certo grado di confusione dell'identità sembra inevitabile in un mondo complesso come il nostro. La migliore garanzia contro di essa è cir­ condare il bambino a partire dall'infanzia di adulti e fratelli portatori di una gamma di tratti di personalità positivi che rappresentino una coerente e prevedibile fonte di amore e di sostegno. 89

RICONOSCERE l SEGNI E VALUTARE l SINTOMI DISSOCIATIVI

LA CONFUSIONE DELL'IDENTITÀ LIEVE

" Quando John e io divorziammo, mi sentii come se non sapessi più chi ero" dice Glenda, quarantasei anni, madre di due ragazzi in età da college, parlando della confusione dell'identità che sperimentò divorziando dal marito dopo ventidue anni di matrimonio. " Siamo stati sposati così a lun­ go che non riuscivo a concepirmi come donna single, anziché come parte di una coppia. Sapevo che i soldi sarebbero stati un problema se non avessi trovato un lavoro migliore, ma cosa sapevo fare? Come potevo partire sen­ za qualcos'altro verso cui andare? Dovevo tornare a scuola? " Ride amara­ mente e prosegue: "Mi sentivo come il Titanic. Sai, mentre navighi su un mare calmo, all'improvviso urti un iceberg e l'acqua entra da tutte le parti e tu inizi ad affondare. La vedevo arrivare, ma non avevo ancora una scia­ luppa di salvataggio. I bambini cercavano di risollevarmi il morale con di­ scorsi vitalizzanti come: 'Dai mamma, oggi è il primo giorno della tua se­ conda vita' . E io pensavo: 'Sì, ma cosa ci farò con questa mia seconda vi­ ta? ' . Non ne avevo la più pallida idea" . Una lieve confusione dell'identità come questa è comune prima o dopo una decisione importante per la propria vita: decidere di sposarsi, di di­ vorziare, scegliere una vocazione, trasferirsi da un luogo a un altro, rivela­ re il proprio orientamento sessuale ecc. È naturale che queste transizioni sconvolgano l'equilibrio interno di chi desidera un senso dell'identità per­ sonale stabile o di chi deve scegliere tra aspetti contrastanti della propria identità. Una certa confusione sulla propria identità in un periodo di adattamen­ to, come nel caso di Glenda, è solitamente transitoria, episodica e legata a uno stressor specifico. Come abbiamo visto, questo tipo lieve di confusio­ ne non è inusuale in un'epoca come la nostra all'insegna della libertà di scelta, al contrario è particolarmente probabile in certi momenti di passag­ gio del ciclo di vita adulta, come al momento della laurea, del matrimonio, di un lutto familiare durante la mezza età, l'invecchiamento e la pensione. Trevor, direttore artistico nell'agenzia pubblicitaria del padre, ebbe un tipico episodio di leggera confusione dell'identità dopo essersi diplomato alla Parsons School of Design a New York. " Non ero sicuro di voler entra­ re nell'attività di mio padre perché non sapevo se quello era ciò che deside­ ravo fare io o quello che mio padre voleva che facessi" racconta Trevor. Continua con una smorfia di amarezza: " E poi, a quell'età pensavo di avere un meraviglioso talento che il mondo aspettava solo di scoprire, così me ne andai in Italia a studiare arte per un anno. Lì conobbi artisti seri che erano anni luce più dotati e appassionati al loro lavoro di me" rivela, "e mi resi conto che, in effetti, mi avvinceva di più l'arte commerciale. Tornai a casa ed entrai nell'agenzia di mio padre perché, in cuor mio, sapevo di amare per davvero quel lavoro e che lo stavo facendo per me stesso " . 90

QUANDO NON SAI CHI SEI

Tutti i momenti di passaggio dello sviluppo psicosociale comportano u na certa quantità di conflitto e confusione. Con la risoluzione della crisi, l'incertezza lascia spazio a una sensazione di maggiore sicurezza e agio ri­ spetto a se stessi e al proprio posto nel mondo. LA CONFUSIONE DELL'IDENTITÀ MODERATA

Quando la confusione dell'identità va al di là di un episodio transitorio le­ gato a uno specifico stressor e diventa un'esperienza ricorrente che causa sofferenza, essa è moderata piuttosto che lieve. Si può dire che questo tipo di confusione è come una melodia insistente che, per qualche ragione, è di­ ventata la propria colonna sonora. Di solito essa si incentra su qualche do­ manda circa la propria identità a cui dobbiamo ancora rispondere. Le persone che sono state adottate spesso hanno questo tipo di confu­ sione ed è normale che si interroghino sulla propria identità, anche quan­ do vengono adottate in una famiglia sana e amorevole. Non importa quan­ ta intimità abbiano con i genitori adottivi, essi non hanno con loro un lega­ me biologico e possono persino appartenere a un diverso gruppo etnico o razziale; dunque si chiederanno come sono i loro genitori biologici. Com'è il loro aspetto? Perché li hanno abbandonati? A questi genitori non impor­ ta più niente di loro? Quanto somigliano loro? Quanto sono diversi? Aaron, un musicista poco più che trentenne, adottato da bambino da una ricca famiglia ebrea, amava i suoi genitori adottivi ma aveva sempre desiderato incontrare la madre e il padre biologici. "C'era una parte della mia vita che era un mistero per me" dice Aaron. " Ero fondamentalmente felice, ma non mi sentivo completo. C'era qualcosa che mancava: un pezzo della mia storia che le altre persone avevano. " Con l'aiuto di un'agenzia, Aaron rintracciò i suoi genitori biologici e scoprì che vivevano in Irlanda. "La mia ragazza mi diede il coraggio di scrivere e di capire se erano d' ac­ cordo che andassi a trovarli" ricorda. " Ero terrorizzato da morire che ri­ spondessero di no, ma non lo fecero. " Aaron andò in Irlanda insieme alla ragazza per incontrare i genitori bio­ logici e scoprì che erano dei sessantenni " figli dei fiori" che al momento della sua nascita vivevano in una comune nella parte interna dello stato di New York. La madre gli spiegò che la sua gravidanza non era stata prevista - allora non era neanche sposata con suo padre - e che erano semplice­ mente troppo giovani per assumersi la responsabilità di crescere un bam­ bino. In quanto cattolici, avevano escluso la possibilità dell'aborto e aveva­ no deciso che dare Aaron in adozione era l'unica alternativa. " Incontrarli fu una bella esperienza per me" dice Aaron. " Sono due per­ sone intelligenti e rispettabili che si sono trovate in un pasticcio quando era­ no giovani. So che mi avrebbero tenuto se fossero stati in grado di farlo. 91

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Posso non vederli mai più - le nostre vite sono così diverse - ma averli co­ nosciuti finalmente mi ha fatto sentire in pace con me stesso. " Aaron avrebbe potuto sviluppare un livello più grave di confusione del­ l'identità se fosse stato adottato in una famiglia disfunzionale, anziché in una sana come è avvenuto. Un bambino adottato da genitori abusanti o ri­ preso indietro da una "madre in affitto" che lo sottrae ai genitori adottivi e gli attribuisce un nome diverso, può crescere con una grave confusione dell'identità e una predisposizione al DDI. Si osserva spesso una confusione circa la propria identità o il proprio orientamento sessuale in seguito a un abuso sessuale infantile, oppure cre­ scendo in una famiglia disfunzionale con genitori che ostentano la loro at­ tività sessuale di fronte al bambino, o che sciorinano i loro conflitti sessuali apertamente. Questa confusione sulla natura della propria sessualità è più grave rispetto alla lieve confusione legata alla rivelazione della propria identità sessuale o del proprio orientamento sessuale. Valerie, un ingegnere biochimico di trentasette anni straordinariamente graziosa, combatte contro la confusione sul proprio orientamento sessuale dalla tarda adolescenza, quando si rese conto per la prima volta di essere attratta da persone del suo stesso sesso. È cresciuta in una casa dove il pa­ dre esibiva le amanti di fronte alla madre e quest'ultima, amareggiata, lo screditava continuando, tuttavia, a restare con lui. Da bambina la gover­ nante assunta dalla madre rappresentò una figura d'identificazione vicaria positiva per lei, tanto che perderla, quando la madre la licenziò, fu profon­ damente disturbante. "I miei genitori mi hanno reso molto difficile fidarmi degli uomini o avere di loro una buona opinione " racconta. " Sono cresciu­ ta pensando che fossero tutti dei porci." Verso i venticinque anni Valeric ebbe il suo primo rapporto con una ra­ gazza della sua età. "Ero stata con degli uomini e mi era persino piaciuto fare sesso con loro" racconta Valerie, "ma la passione e la profondità emo­ tiva che raggiunsi con questa donna erano diverse da qualunque cosa aves­ si provato prima. " Tuttavia, sia Valerie sia la compagna sentivano di doversi conformare al­ le aspettative sociali e dei loro genitori e, così, " ufficialmente" ebbero delle relazioni con degli uomini, mentre in segreto continuavano a vedersi. Do­ po quattro anni di doppia vita, l'amante di Valerie troncò la relazione: vo­ leva sposare il fidanzato e mettere su famiglia. " Andai al matrimonio in uno stato di incredibile agitazione" racconta Valerie. " Volevo avere un bambino più di ogni altra cosa al mondo, ma il problema era con chi. A quel tempo ero profondamente legata a un'altra donna e questo ci rendeva entrambe infelici perché non potevo impegnarmi con lei. Non ero pronta a lasciare perdere gli uomini completamente. Il mio psichiatra pensava fossi gay, ma io non ci volevo credere. Non coincideva con l'immagine che ave­ vo in mente di come avrei dovuto essere. N on sapevo chi fossi. " 92

(.lUANLlU NON SAl CHJ SE!

Dopo dodici anni di terapia con frequenza quotidiana da uno psichia­ tra, Valerie venne da me per una valutazione. La SCID-D dimostrava che ol­ tre alla confusione circa il suo orientamento sessuale, aveva un livello mo­ derato di depersonalizzazione che non era stato trattato durante la sua an alisi. Era necessario affrontare la sua ricorrente depersonalizzazione, al­ trimenti sarebbe rimasta bloccata per sempre. La discrepanza tra la sua percezione di sé e la sua rappresentazione mentale basata sulle opinioni degli altri aveva creato una profonda vergogna per il suo reale orientamen­ to sessuale. Non riconoscendo e non trattando la depersonalizzazione, la terapia non le permetteva di entrare in contatto con la sua vera identità ses­ suale, non contribuendo alla sua scoperta e accettazione come una parte di se stessa indipendente dalle reazioni e dalle opinioni degli altri. La difficoltà di Valerie è un esempio della mancata centratura delle don­ ne su se stesse, molto diffusa nella nostra società anche nelle famiglie più sane. Le bambine sono doppiamente a rischio di perdere la loro identità nelle relazioni, perché viene insegnato loro, nelle prime fasi della vita, ad anteporre le richieste degli altri alle proprie. L' assunto culturale pervasivo secondo cui le donne esistono per andare incontro ai desideri psicologici e fisici degli altri esercita un'influenza negativa sullo sviluppo della loro identità. L'incapacità di laurearsi o di completare la formazione professio­ nale, l'ansia legata alla promozione o al successo e le difficoltà a stabilire un chiaro senso di sé e un "progetto di vita" sono alcune manifestazioni di tale influenza. Come risultato di questa continua pressione a gratificare gli altri, molte donne crescono con una profonda sensazione di mancata soddisfazione dei propri bisogni, ansia di soddisfarli e una generale inconsapevolezza di averne il diritto. Studi recenti hanno dimostrato che, in generale, le adole­ scenti soffrono di un senso di invalidazione e invisibilità - il non essere ascoltate o non avere una risposta empatica - e sentono di "non essere in grado di comunicare o persino di credere alla propria esperienza". Secon­ do alcuni ricercatori l'epidemia dei disturbi alimentari tra le donne ameri­ cane e occidentali è direttamente legata alle difficoltà che le donne hanno con il proprio senso di sé c la propria identità.5 Se una confusione lieve o moderata dell'identità è diffusa tra gli adulti che crescono in famiglie relativamente sane, questo problema è enorme­ mente più grande per gli adulti, maschi e femmine, che provengono da fa­ miglie abusanti. Un chiaro senso della propria identità deriva in parte dalla consapevolezza e accettazione delle proprie qualità e dei propri interessi. I bambini mossi dalla paura dei membri abusanti della famiglia e costante­ mente in attesa di segnali di incombente pericolo hanno scarse possibilità 5. C. Gilligan, Con voce di donna, tr. it. Feltrinelli, Milano 1987 . Vedi anche il capitolo 10 in M. Steinberg, Handbook /or the Assessment o/ Dissociation: A Clinica! Guide, American Psy­ chiatric Press, Washington, DC, 1995.

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o energia residua per definire, esplorare o gratificare i loro interessi o desi­ deri. Per queste persone la confusione dell'identità spesso raggiunge livelli più alti. LA CONFUSIONE DELL'IDENTITÀ GRAVE

La confusione circa la propria identità può intensificarsi trasformandosi in una continua lotta interiore fino a divenire l'equivalente di una guerra nel­ le persone che hanno sofferto a causa di abusi nell'infanzia. Essa comporta episodi disfunzionali ricorrenti accompagnati da intensi sentimenti di infe­ licità chiamati disforia. È noto che la confusione circa la propria identità è grave quando essa interferisce con le relazioni personali o la capacità di mantenere un lavoro. Non è difficile comprendere il motivo per cui l'abuso emotivo, fisico e/o sessuale nell'infanzia produca un disturbo dell'identità grave. Come possono sviluppare una sana immagine di sé dei bambini che sono stati cresciuti con ostile trascuratezza dei loro bisogni, diritti, talenti e interessi e che sono stati costantemente vilipesi come " cattivi" , " stupidi" , " incapa­ ci " o "bugiardi" ? Avendo passato l'intera infanzia a lottare per evitare il dolore inflitto loro dalle persone che amavano, non possono definire chi sono e in cosa credono o dire quello che vogliono dalla vita in modo profondo o coerente. La confusione dell'identità per queste persone va ol­ tre il normale temporaneo disorientamento dell'adolescenza, o quello ma­ gari causato dal divorzio, dalla morte del partner o dalla ricerca della pro­ pria identità in età adulta per una persona adottata. La confusione cresce all'interno del profondo abisso nel loro senso di sé, in direzione del quale vengono spinti dalla ripetizione martellante dell'abuso. "È questa sensazione di essere divisi, come se la tua mano non ti appar­ tenesse" , dice Bob , un paziente di trentasei anni la cui storia occupaziona­ le è come un crittogramma con troppe parti non decifrate. " Quando sei a­ dolescente e hai una crisi d'identità, sai di essere una persona intera. Stai solo cercando di mettere al loro posto i tuoi valori e la tua identità. Ma questa è la sensazione di essere scissi, di non essere interi. Ti senti in modi così diversi, che non sai chi sei. Sei un estraneo a te stesso." Un'altra paziente, una donna di mezz'età a cui è stato diagnosticato un DDI, dà questa vivida descrizione dell'intensa lotta interiore che quotidia­ namente mette a repentaglio la sua personale integrità ogni volta che deve prendere una decisione, persino quando deve scegliere cosa comprare al bancone del supermercato: " Mi sento come un'ameba con quindicimila diverse idee su dove voglio andare. Ed è letteralmente come essere spinta in ogni direzione possibile, fino a che non resta niente e mi sento divisa a metà. C'è un continuo combattimento " . 94

QUANDO NON SAl

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SEI

Le persone con una confusione dell'identità estrema spesso sperimen­ tano questa lotta come una battaglia o una guerra civile ingaggiata al pro­ p rio interno, utilizzando persino immagini di armi e la descrizione fisica dei combattenti. L'ansia che provano è legata alla paura di lasciare emerge­ re i ricordi del loro abuso e perdere il controllo di sé. "È come un tiro alla fune" dice J erry, l'operaio edile che prima parlava di un gigante con i ca­ pelli corvini al suo interno che durante i suoi episodi di depersonalizzazio­ ne gridava: " Lasciami uscire ! Lasciami uscire ! " . " Tiri, tiri la corda, tiri, continui a tirare, a tirare" dice J erry, "e lui dall'altra parte tira e tu tiri dalla tua e lui dalla sua e tu dalla tua e vuoi dire: 'Hey tu ! Molla dannazione ! '. Questo tipo vuole uscire, ma non sono mica matto a !asciarlo uscire. Se lo lasciassi uscire, non riavrei più indietro me stesso. E questo è quello che mi spaventa di più. " Rick, un programmatore di computer di trentaquattro anni cresciuto in una casa di alcolisti dove ha subito abusi fisici ed emotivi da entrambi i ge­ nitori, conduce una lotta interiore che è nota a molti uomini e alle loro donne. Prima di sistemarsi e sposarsi, Rick aveva una storia di risse nei bar e frequentava le donne passando da una relazione breve a un'altra non ap­ pena sentiva sentore di impegno. Ora, nonostante sia profondamente in­ namorato di sua moglie e vorrebbe esserle fedele, una parte indomita di lui che vuole ancora fare bagordi e sesso occasionale - una parte modellata se­ condo l'esempio del padre - è in guerra con il suo lato responsabile. "C'è una lotta su chi sono veramente" dice Rick. " Sono un sciocco autentico oppure qualcuno dal quale mia moglie può tornare e che può amare senza temere di essere lasciata? Sono un adulto intelligente e responsabile o vo­ glio soltanto fare quello che voglio e prendere quello che voglio quando mi pare ? " Rick, prosegue, ovviamente tormentato dalla sua confusione dell'iden­ tità: " Mia moglie vuole avere dei bambini, ma io non so se sono un tipo da famiglia. Intimamente, sento che potrei avere una famiglia, prendermi cu­ ra di mia moglie per il resto della mia vita e condurre una vita semplice e bella insieme. Poi mi sento come uno a cui non importa di niente e di nes­ suno, soprattutto di chi mi ama. Questo tipo continua a dirmi che dovrei allontanarmi da mia moglie e avere un'infinità di rapporti sessuali non im­ pegnati ed essere un grande stallone menefreghista" . Abuso sessuale e confusione sulla sessualità

I bambini sessualmente abusati spesso sviluppano problemi nella propria sfera sessuale. Comunemente credono che l'abuso non sarebbe avvenuto se fossero appartenuti all'altro sesso. Un maschio sopravvissuto all'abuso da parte della madre, per esempio, può attribuire il motivo del disgustoso 95

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abuso al suo sesso e domandarsi: "Perché sono nato disgustosamente ma­ schio ? " . O una donna violentata dal padre può attribuire la sua vulnerabi­ lità all'abuso al fatto di essere una donna e sviluppare personalità multiple maschili per proteggersi da ulteriori vittimizzazioni. Le persone con un disturbo dissociativo possono vivere una generale incertezza sul loro orientamento sessuale - come nel caso di Valerie, ma più pervasiva e distruttiva per le loro vite - oppure possono interrogarsi sulla loro identità sessuale, non sapendo a quale genere appartengono. Le persone con DDI che hanno delle personalità alter di genere diverso posso­ no sperimentare il conflitto interno come una vera e propria "battaglia dei sessi" . In un caso, diventato noto, di disturbo dissociativo dell'identità, per esempio, un uomo dichiarato colpevole di stupro indicava che la per­ sonalità che veniva fuori quando commetteva effettivamente gli stupri era non solo di genere femminile ma lesbica. Un altro uomo che intervistai nella mia ricerca sul campo riguardante il disturbo dissociativo dell'identità era stato abusato sessualmente da bam­ bino e aveva al suo interno una donna cieca, un esempio paradigmatico di quanto potenti e metaforiche siano le immagini. Sebbene non ci fosse nulla che non andasse nei suoi occhi, a volte non riusciva a vedere, camminava grazie alle segnalazioni per i non vedenti e con l'aiuto di un bastone. Aveva anche una parte dentro di sé che sentiva essere una ballerina. Tale era la sua confusione che vi era anche un'altra donna al suo interno con cui aveva una relazione e, a volte, il suo coinvolgimento con la donna interiore entra­ va in conflitto con la sua frequentazione di una donna nella vita reale. Alcune persone con una grave confusione sulla propria identità sessua­ le possono esprimere il desiderio di cambiare sesso chirurgicamente. "Mi capitava spesso di sentire il bisogno di cambiare sesso, mi chiedevo se fossi omosessuale" dice Dan, un paziente con disturbo dissociativo dell'identità la cui personalità principale è maschio. Ha una foto di se stesso in abiti femminili e qualche vaga idea di come Danielle, il suo alter femminile, ap­ pare. " Non sono sicuro che Danielle sia felice" confida. " Non è felice dei miei genitali e non sono sicuro le piaccia il mio peso e la mia struttura os­ sea. Danielle ha un suo progetto. Vorrebbe vedermi sciolto da questa per­ sona. Io continuo a dirle che se esce fuori dal mio terapeuta e ci lavoriamo sopra saremo una persona sola, ma non vuole essere una persona sola con Dan. " La confusione d'identità e il lavoro

La ricerca effettuata per la costruzione della SCID-D dimostra che la confu­ sione grave d'identità è un fattore significativo nel disturbo dissociativo dell'identità, quando una personalità crea un ambiente che è in conflitto 96

QUANDO NON SAl CIII SEI

con quello che un'altra personalità si aspetta. "È come entrare al lavoro" dice Edie, un direttore del personale di quarant'anni, "e non sapere che cosa sei tenuto a fare quel giorno. Qualche volta sono entrato al lavoro chiedendomi chi diavolo fossi, non sapendo quale fosse il mio lavoro, qua­ le la mia qualifica, cosa fossi tenuto a fare. E poi quando inizi a chiedere aiuto, all'improvviso sai perché sei lì. " Una donna conosciuta come una straordinaria segretaria amministrati­ va si trovò in una situazione penosa con un nuovo datore di lavoro perché un'altra personalità che non sapeva niente di dattilografia e di dettatura era inaspettatamente emersa nel frattempo prima dell'inizio del nuovo la­ voro. "Era come se il mio cervello fosse danneggiato" raccontò durante la somministrazione della SCID-D. " Dissi che avevo dieci anni di esperienza in azienda, ma a loro sembrava che non ne avessi più di una settimana. Il vice­ presidente mi disse che non avevo la benché minima abilità come segreta­ ria e, invece, avevo ottenuto il massimo dei voti a scuola e tutti i miei prece­ denti datori di lavoro mi avevano detto che le mie prestazioni erano eccel­ lenti. 'È da dieci anni che cerco di farti lavorare per me' mi disse questo di­ rigente. Lavorai lì per un mese, ma non riuscii a combinare nulla; allora disse: ' Non posso credere a quello che ti è successo' e iniziò a sbraitare contro di me. Proprio quando stavo imparando di nuovo a dattilografare daccapo ! " Tutti quanti noi ereditiamo una qualche forma di confusione dell'iden­ tità dagli inevitabili conflitti tra i nostri diversi processi mentali e le rappre­ sentazioni di noi stessi. Il conflitto tra chi siamo e chi vorremmo essere o tra quello che vorremmo fare e quello che siamo costretti a fare ci disorien­ ta in momenti critici o di transizione della vita. Tuttavia, la maggior parte di noi sa che sebbene la propria identità sia in continua evoluzione, essa ha un nucleo essenzialmente stabile con preferenze, scopi e ideali coerenti. Alcune persone con un disturbo dissociativo dell'identità, al contrario, so­ no costantemente in lotta con le loro identità separate, spesso tra loro anta­ goniste, che combattono ventiquattrore su ventiquattro per ottenere il controllo della mente e del corpo della persona. Il questionario seguente aiuta a identificare i sintomi della confusione dell'identità sperimentati e la loro gravità.

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RICONOSCERE I SEGNI E VALUTARE I SINTOMI DISSOCIATIVI

TEST DELLA CONFUSIONE DELL'IDENTITÀ DI STEINBERG

Mai

Un a o due volte

2

Qualche Molte volta volte

Quasi sempre

Solo con droghe o alcool

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Non ho idea delle cose che approvo o in cui credo.

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C'è una lotta dentro di me su chi sono veramente. 5. È difficile destreggiarsi tra i diversi ruoli e le diverse esigenze della mia vita.

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6. La mia identità può cambiare da un giorno all'altro.

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7. Gli altri mi dicono che ho del talento, ma non capisco a quale talento si riferiscono.

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8. Mi sento confuso su chi sono realmente.

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9. Mi sento come fossi due diverse persone.

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l. Sento che ho bisogno di trovare la mia vera identità.

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2. Sento nella testa un commento critico sulle cose che faccio.

3. 4.

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10. Mi sento come se il me reale fosse chiuso a chiave all'interno. 1 1 . Da bambino parlavo ad amici immaginari.

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D

12. Mi sento come se fossi stato posseduto.

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1 3 . Mi sento confuso circa la mia identità sessuale.

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14. C'è un " censore" dentro di me che mi impedisce di dire quello che provo.

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Mi sento come se ci fossero diverse persone al mio interno che mi spingono in direzioni diverse.

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15.

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QUANDO NON SAI CHI SEI



No

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Se alcune delle esperienze sopra menzionate sono state vissute, rispondete alle seguenti domande: La/e esperienza/e ha/hanno interferito nelle relazioni con gli amici, la famiglia o i colleghi? Ha/hanno influenzato la capacità di lavorare? È/sono statale causa di disagio o sofferenza?

Il calcolo del punteggio al Test della confusione dell'identità

l . Assegnare zero punti ai seguenti item normali: 5 , 1 1 . 2. Per tutti gli altri item, assegnare i punti da l a 5 indicati sulla riga in alto

in corrispondenza delle caselle segnate. 3 . Ora sommare il punteggio e usare le linee guida generali di seguito ri­ portate per interpretarlo.

Punteggio della confusione d'identità globale

Confusione dell'identità assente: 1 3 Confusione dell'identità lieve: 1 4 - 1 9 Confusione dell'identità moderata: 20-44 Confusione dell'identità grave: 45-65

Indicazioni

Se il punteggio totale ottenuto rientra nel range della confusione dell'iden­ tità assente e lieve ( 1 3 - 19), si è nell'ambito della normalità, a meno che l'e­ sperienza degli item 9, 1 3 , o 15 non sia stata ricorrente. In quest'ultimo ca­ so, è consigliabile sottoporsi alla valutazione di un professionista in grado di somministrare la SCID-D completa. Se il punteggio totale rientra nel range della confusione dell'identità mo­ derata e grave (20-65 ) , è consigliabile sottoporsi alla valutazione di un pro­ fessionista specializzato nella somministrazione della SCID-D completa. Se la confusione dell'identità ha interferito nelle relazioni con gli amici, la fa­ miglia o i colleghi, o ha influenzato la capacità di lavorare, o ha causato sof­ ferenza, è particolarmente importante richiedere la consulenza di un pro­ fessionista. Anche nel caso in cui un clinico esperto riscontri un disturbo dissociati99

RICONOSCERE I SH;NI E VALUTARE I SINTOMI DISSOCIATIVI

vo, esso è trattabile e ha una buona prognosi di guarigione. Tale disturbo è molto diffuso tra le persone che hanno dovuto affrontare un trauma usan­ do una difesa dissociativa per proteggersi. Con il trattamento appropriato, nel corso del tempo, la confusione sulla propria identità diminuirà. Alla fi­ ne, quando si sarà diventati sufficientemente forti da rientrare in contatto con i propri ricordi e sentimenti nascosti accettandoli come propri, la con­ fusione dell'identità ne risulterà ridotta e questo permetterà una maggiore integrazione e salute psichica.

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"Devo indossare così tanti panni diversi qui, che mi sento un trasformista" dice Angelo, l'amministratore di un'agenzia governativa di servizi legali oberato di lavoro. "Quando sono con un cliente che vuole cha io acquisisca un gigante societario, devo fare la parte del duro. Quando sono con un cliente che sta impazzendo in una battaglia per l'affidamento, devo fare lo psicologo. Quando uno degli altri avvocati dell'ufficio viene da me con una questione da risolvere su un caso, sono il capo, il supervisore. Credo che mi piaccia di più fare il supervisore che trattare con i clienti, perché non richie­ de travestimenti. Semplicemente posso indossare sempre lo stesso abito. " Quello d i cui parla Angelo è un'alterazione dell'identità nella sua forma lieve: l'indossare "panni diversi" o il cambiare ruolo che la maggior parte di noi sperimenta nel proprio lavoro o nella vita personale. Questo tipo di gioco di ruolo e di cambiamento di ruolo è piuttosto comune e fa parte della vita quotidiana: ci comportiamo in maniera composta al lavoro e ci trasformiamo in animali da party nei fine settimana; siamo una "mammi­ na" o un " papino" con i figli piccoli e un pari con gli amici. In queste situa­ zioni, di solito, siamo consapevoli di assumere un ruolo e di cambiarlo e sentiamo che questo avviene sotto il nostro controllo. La ricerca effettuata per la costruzione della SCID-D ha rivelato che l'al­ terazione dell'identità, come tutti i disturbi dissociativi, ha uno spettro di intensità: è lieve nella popolazione generale, da lieve a moderata nei distur­ bi psichiatrici non dissociativi e nel disturbo dissociativo non altrimenti specificato ( DDNAS ) , e, infine, è grave nelle persone con disturbi dissociati­ vi come il disturbo dissociativo dell'identità. Una persona con livelli moderati di alterazione dell'identità può com­ portarsi come se fosse due (o più) persone diverse, ma non è chiaro se que­ ste alterazioni dell'identità assumano il controllo completo del comporta­ mento della persona o rappresentino personalità separate. Una persona normalmente timida che va a una festa e si ubriaca, per esempio, può fare una scenetta con un paralume in testa o trasformarsi in un provocatore sesl. Vedi i capitoli 9 e 11 in M. Steinberg, Handbook/or the Assessment o/Dissociation: A Cli­ nica! Guide, American Psychiatric Press, Washington, DC, 1995.

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suale patentato. Tuttavia questa trasformazione può dipendere semplice­ mente dal fatto che la persona si è liberata dalle solite inibizioni che gli im­ pone il proprio sé, piuttosto che dall'essere sotto il controllo di un distinto frammento di identità. Un'alterazione dell'identità grave, il sine qua non del disturbo dissocia­ tivo dell'identità, comporta il passaggio di una persona a distinti stati di personalità che prendono il controllo del suo comportamento e del suo pensiero. Queste personalità sono più chiaramente definite e distinte ri­ spetto ai frammenti di personalità che caratterizzano i livelli moderati del­ l'alterazione dell'identità. Ciascuna personalità ha il proprio nome, i pro­ pri ricordi, tratti e modelli di comportamento. IL "TRIANGOLO DELLE BERMUDA" DEL DISTURBO DELL'IDENTITÀ

L'alterazione dell'identità si distingue dalla confusione dell'identità per il fatto che la confusione rappresenta la dimensione interna del disturbo del­ l'identità, laddove l'alterazione ne rappresenta la dimensione esterna. Una persona con confusione dell'identità, in altre parole, ha pensieri e senti­ menti legati alla propria identità incerti e conflittuali; una persona con alte­ razione dell'identità manifesta l'incertezza e il conflitto da un punto di vi­ sta comportamentale. Può essere utile pensare al disturbo dell'identità come a una sorta di "triangolo delle Bermuda" psichiatrico con tre dimensioni: una temporale, l'altra interna e infine una esterna (vedi la figura 9 . l riportata di seguito) . I cinque sintomi principali della dissociazione si dispongono lungo i tre lati del triangolo. L'amnesia, il sintomo fondamentale legato agli altri quattro, è il lato temporale o linea del tempo del disturbo che sta alla base del trian­ golo. La depersonalizzazione e la confusione dell'identità rappresentano il lato interno dei pensieri e dei sentimenti soggettivi su se stessi. La derealiz­ zazione e l'alterazione dell'identità sono il lato esterno della relazione con l'ambiente e con gli altri. L'amnesia può essere pensata come una rottura della continuità tempo­ rale nell'identità di una persona. Quando una persona non riesce a ricor­ dare grosse porzioni di tempo, il suo senso di identità, intesa come una sto­ ria di vita che ha una " forma" narrativa continua e una sequenza coerente di eventi nel tempo, è compromesso o perduto. La depersonalizzazione e la confusione dell'identità possono essere pensate come la perdita, da par­ te della persona, di un'immagine interna coerente con una struttura affida­ bile. Invece, la derealizzazione e l'alterazione dell'identità possono essere definite come disturbi nella percezione di dove una persona si colloca nel mondo e una manifestazione della perdita di controllo sulla propria posi­ zione nello spazio fisico. Gli episodi di fuga come il sonnambulismo o il 1 02

UNA PERSONA, MOLTI SÉ

IL SENSO DI SÉ FRAMMENTATO Tre dimensioni del disturbo dell'identità

INTERNA Depersonalizzazione Confusione d'identità

ESTERNA Derealizzazione Alterazione dell'identità

TEMPORALE Amnesia

Figura 9.1. Il senso di sé frammentato: le tre dimensioni dei disturbi dell'identità.

viaggiare verso un'altra città o Paese in uno stato dissociativo, una cosa che accade spesso nel disturbo dissociativo dell'identità e nella fuga dissociati­ va, possono essere visti da questo punto di vista come un'espressione spa­ ziale del disturbo dell'identità. Un'altra espressione esterna di questo di­ sturbo consiste nell'agire con gli altri come se si fosse un'altra persona. La differenza tra questo triangolo delle Bermuda figurato e quello reale è che ciò che scompare nel triangolo delle Bermuda reale non viene più ri­ trovato, mentre nel disturbo dell'identità le parti "perdute" , intrappolate nel triangolo immaginario possono essere recuperate. Una diagnosi accu­ rata e un trattamento appropriato possono aiutare la persona a rientrare in contatto con le parti dissociate del sé e a reintegrarle in un senso coerente dell'identità. LA MOLTEPLICITA ALL'INTERNO DELLA MENTE

Per quanto diverse, le numerose teorie della formazione dell'identità for­ mulate nel corso dei secoli hanno un elemento in comune: nessun teorico ha inteso l'identità umana come un dato monolitico. Tutte le scuole di pen­ siero si fondano sull'assunto che l'identità è un costrutto, edificato dall'in­ dividuo a partire da una serie di elementi, esperienze, capacità o compo­ nenti diverse. Oltre a diversi livelli di consapevolezza, vi sono le pulsioni istintuali di base e la coscienza; le facoltà della ragione, dell'emozione, del­ la volontà e così via; le capacità di analisi e di pensiero logico nell'emisfero sinistro del cervello e le capacità intuitive, artistiche e musicali in quello 1 03

RICONOSCERE l SEGNI E VALUTARE l SINTOMI DISSOCIATIVI

destro; una predisposizione verso l'introversione o l'estroversione; caratte­ ristiche come l'amabilità, la socievolezza, la coscienziosità, l'ambizione e via di seguito. Nel corso del normale sviluppo, nonostante la splendida varietà e com­ plessità di tutti gli elementi che ci compongono, siamo di solito in grado di integrare le continue interazioni e i dialoghi con il nostro ambiente sociale in un coerente senso di noi stessi. Lo facciamo principalmente identifican­ doci con gli altri significativi e scegliendo alcune delle loro qualità per inte­ riorizzarle. In qualche misura, i primi stadi del disturbo dissociativo dell'identità nell'infanzia possono essere intesi come un disturbo del normale processo di identificazione. Molti pazienti con un disturbo dissociativo dell'identità hanno personalità che sono essenzialmente plasmate sul modello dei loro abusatori originari. Ci sono prove che indicano che una personalità alter potrebbe anche nascere come un compagno di giochi immaginario, mo­ dellato secondo una figura della vita reale o fantastica. Alcuni ricercatori credono che essere costretti a identificarsi con genitori che hanno tratti di personalità contraddittori - prima calorosi, un minuto dopo violenti - in­ sieme con la perdita di una figura di identificazione più positiva, come un nonno o una persona che si è presa cura di noi, disturbi il normale proces­ so di identificazione. Poiché è impossibile per il bambino che sta svilup­ pando un disturbo dissociativo dell'identità integrare le identificazioni in­ congrue, amorevoli e abusive, offerte da uno stesso genitore, queste identi­ ficazioni rimangono dissociate e formano dei nuclei di personalità distinti. Inoltre, una volta che i sintomi dissociativi si sono sviluppati, il bambi­ no può iniziare a comportarsi in un modo che o provoca ulteriori maltrat­ tamenti da parte degli abusatori originari o rende difficile sollecitare l'at­ tenzione di adulti supportivi esterni alla famiglia nucleare, che potrebbero rappresentare modelli di ruolo migliori. Accusato costantemente di essere " cattivo " , " con la testa tra le nuvole" o " bugiardo" il bambino continua a ricorrere alla dissociazione come adattamento all'abuso continuo e il ciclo si perpetua. Nel momento in cui un adulto sopravvissuto all'abuso manife­ sta i sintomi di un disturbo dissociativo dell'identità conclamato, il livello della confusione e dell'alterazione dell'identità è di solito molto più grave rispetto alle forme lievi del cambiamento di ruolo che la maggior parte di noi sperimenta. L'ALTERAZIONE LIEVE DELL' IDENTITÀ

Belinda era tentata di sgridare l'odioso passeggero del sedile 15C, cQme avrebbe fatto con uno dei suoi nipotini che avesse osato comportarsi in quel modo a casa sua. Il passeggero si stava comportando peggio di un tur104

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bolento bambino di 6 anni. Ovviamente, aveva bevuto troppi Martini e stava gridando oscenità a qualcuno dall'altra parte del corridoio; gli aveva persino lanciato un panino, mancando per poco la testa della donna seduta a fianco. Per quanto Belinda volesse dare sfogo alla sua rabbia, sapeva di non poterlo fare. Il suo lavoro di assistente di volo richiedeva un contegno cortese, piacevole e un atteggiamento rispettoso verso tutte le persone a bordo, indipendentemente da quanto queste fossero irritanti. Fu così che, facendo un profondo respiro, Belinda attraversò il corridoio fino a rag­ giungere il sedile 15C e disse con voce ferma ma educata: " Signore, devo chiederle di mostrare maggiore considerazione per gli altri passeggeri su questo volo. Per favore abbassi la voce, controlli il suo linguaggio e non lanci oggetti a nessuno sull'aereo" . L a consapevolezza di Belinda che il suo lavoro le richiedeva di essere più paziente con i passeggeri indisciplinati di quanto lo sarebbe stata con degli ospiti che si fossero comportati male a casa sua, le faceva assumere una personalità " ufficiale" diversa dalla sua personalità fuori dal posto di lavoro. Questo tipo deliberato di cambiamento di ruolo in circostanze in cui la persona sente che tale cambiamento è giustificato, caratterizza l'alte­ razione dell'identità al suo livello più lieve. Tutti noi, in qualche misura ab­ biamo una persona o un volto pubblico, che presentiamo nelle situazioni formali, e un volto privato, per quando ci sentiamo liberi di sbottonarci. Questa forma consapevole di alterazione dell'identità che percepiamo es­ sere sotto il nostro controllo non è generalmente associata a disfunzione o disforia, e non è considerata un problema o l'indicatore di un disturbo. Gli attori si sforzano di attuare una lieve alterazione dell'identità ogni volta che interpretano una parte. Anche altri tipi di professionisti lo fanno. Stan, un provocatore radiofonico ospite di un talk show a Miami, dice: " Essere retorico e ostinato nelle mie convinzioni fa parte della finzione. Non farei audience senza essere eccessivo. Gli ascoltatori se la bevono quando sono sgarbato con le persone che chiamano e chiudo loro il telefo­ no in faccia. Non lo farei mai nella vita reale. Non fa parte della mia natura essere volgare con le persone, tranne quando sono in onda a fare spettaco­ lo. Chieda a mia moglie e ai bambini. Loro mi ritengono un micione" . Ci sono situazioni in cui una persona si trova a doversi comportare co­ me un professionista con una persona intima. Per esempio, un medico del Pronto Soccorso chiamato a curare un amico ferito in un incidente, po­ trebbe pensare che, nonostante si tratti di un amico, in quel momento deve comportarsi come con qualunque altro paziente. Cambiare ruolo è una de­ cisione intenzionale. In maniera simile le coppie sposate o che hanno una relazione e lavorano insieme, di solito, assumono, in ufficio, l'uno rispetto all'altra, personalità che sono parzialmente diverse da quelle assunte come partner a casa. Oggi la capacità di cambiare ruolo consapevolmente è diventata tal1 05

RICONOSCERE l SEGNI E VALUTARE l SINTOMI DISSOCIATIVI

mente necessaria che il non essere in grado di farlo quando la situazione lo richiede rappresenta un problema per alcune persone. "Torno a casa dopo aver preso delle decisioni dirigenziali e aver dato ordini tutto il giorno in ufficio" dice Colette, un alto dirigente di una ditta farmaceutica, "e, a vol­ te, mi ci vuole un po' prima di riuscire a cambiare marcia. Mio marito si la­ menta che sono su di giri e mi dice di darmi una calmata e mia figlia di cin­ que anni dice: 'Mammina, perché mi parli con il tono da capo?'. Il proble­ ma è che la mia testa è ancora in ufficio. Sto cercando di far funzionare be­ ne le cose invece di essere solo una moglie e una madre". La capacità di dissociarsi che la nostra società normalmente richiede nel ' cambiare ruolo al lavoro non è sempre semplice da attuare. La maggior parte delle persone vengono invitate a tenere gli affari personali separati dalla loro vita lavorativa e quelle la cui prestazione lavorativa inizia a soffri­ re a causa delle preoccupazioni per le difficoltà familiari possono essere criticate o rimproverate dai superiori. Anche se questo non accade, la per­ sona può non essere in grado di compartimentalizzare i sentimenti forti che intrudono durante l'orario di lavoro. Don, uno specialista in fusioni e , acquisizioni finanziarie che sta portando avanti un astioso procedimento di divorzio, racconta: " L'avvocato di mia moglie mi sta gettando in un in­ ferno - vuole l'impossibile - ma non posso lasciare che i miei problemi co­ niugali interferiscano con il mio lavoro. Sfortunatamente non è semplice separare le due cose. Come puoi fare una faccia felice quando sei lacerato dentro? Ma se mostri di essere debole in ufficio, lo paghi. Ti ritrovi a essere angariato e gli affari migliori ti sfuggono" . Che s i riesca o meno a cambiare ruolo facilmente, l a maggior parte di noi sperimenta questa forma lieve di alterazione dell'identità nella vita quotidiana, passando dalla propria personalità privata a quella lavorativa. Queste transizioni, di solito fatte in maniera cosciente, sono percepite co­ me sotto il proprio controllo e non sono associate normalmente ad amne­ sia o disfunzione. L'ALTERAZIONE MODERATA DELL'IDENTITÀ

L'alterazione moderata dell'identità differisce dalla sua controparte più lieve nel senso che le alterazioni non sono sempre sotto il controllo della persona. Sebbene questi stati alterati possano essere percepiti dalla perso­ na come incontrollabili, essi non sono sempre manifestazioni di persona­ lità complete come lo sono per coloro che sperimentano un'alterazione grave dell'identità. Questo livello intermedio compreso tra l'alterazione dell'identità lieve e grave può essere caratteristico dei disturbi psichiatrici non dissociativi, co­ me il disturbo maniaco-depressivo, o bipolare, come viene ora chiamato. 1 06

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Una persona che ha il disturbo bipolare spesso si sente come " due diverse p ersone" , a seconda che il suo umore sia maniacale o depresso, e può attri­ buire la moderata alterazione dell'identità che caratterizza la malattia a un temperamento incontrollabile. "A volte vorrei soltanto scattare, senza una ragione precisa" dice Nick, un meccanico di automobili di cinquantadue anni, del suo comportamen­ to p rima che gli venisse diagnosticato un disturbo bipolare e venisse stabi­ lizzato con i farmaci. " Mi avventavo contro chiunque, quando ero di catti­ vo umore. Non importava chi fosse, gli davo addosso. Mi prendeva qual­ cosa. Mi sentivo come se stessi guidando una macchina senza freni, che an­ dava a novanta miglia all'ora e non riuscivo a fermarla. Non ho mai pic­ chiato mia moglie o i miei bambini, ma quando impazzivo sbattevo i pugni contro il muro. Spesso, comunque, ero completamente diverso, calmo e molto riservato. Non avevo una via di mezzo. Ero in un modo o nell'altro, come due persone diverse. Mia moglie mi diceva sempre che non sapeva chi doveva aspettarsi quando mi vedeva entrare dalla porta . " S e Nick avesse manifestato in misura significativa l a presenza degli altri quattro sintomi dissociativi, la sua diagnosi non sarebbe stata di disturbo bipolare ma di disturbo dissociativo dell'identità. In quel caso i suoi cam­ biamenti d'umore non sarebbero stati attribuiti al suo brutto carattere, ma al passaggio da una personalità all'altra. Anche le persone con un disturbo borderline di personalità tendono a fluttuare rapidamente tra tipi radicalmente diversi di comportamento e di umore. Se queste moderate alterazioni dell'identità si aggregano attorno a distinte personalità con nomi, ricordi, preferenze, età diversi o amnesie per eventi passati, scoppi d'ira e altri cambiamenti nell'umore e nel com­ portamento, potrebbero essere il risultato di un DDI. La ricerca sulla SCID-D ha dimostrato che le persone a cui veniva diagno­ sticato un disturbo dissociativo non altrimenti specificato (DDNAS) , che potrebbe essere considerato una forma più lieve o uno stadio che precede il DDI , sperimentano livelli moderati di alterazione dell'identità. Si possono comportare come due o più persone diverse, ma non è chiaro se queste al­ terazioni assumano il controllo del loro comportamento o rappresentino delle personalità complete. Quando le persone con DDNAS sperimentano un conflitto tra la persona che di solito sono e alcune parti della loro iden­ tità, i loro frammenti di personalità sono meno chiaramente definiti e di­ stintivi di quelli che caratterizzano l'alterazione dell'identità grave nel DDI. Vince, il lottatore professionista che mi fu inviato per una SCID-D dopo aver sviluppato una grave amnesia per cui non riusciva a ricordare nulla del suo passato tranne di avere tre bambini e un cane, inizialmente mostra­ va soltanto un'alterazione moderata dell'identità. Nei suoi stati dissociativi vedeva l'ombra di " figure nere" di tutte le dimensioni e forme - " alte, bas­ se, grasse, scheletrite" - che lo tenevano, lo strangolavano, gli conficcava1 07

RICON( lSCERE l SE(; NI E VALUTARE l SINTOMI DISSOCIATI V I

no degli aghi e lo minacciavano di impadronirsi della sua anima o di ucci- : derlo se non avesse fatto quello che volevano. Per guanto minacciose e or- ' ride, esse erano troppo vaghe e amorfe per essere considerate delle perso- . nalità separate. Poiché i sintomi di Vince non soddisfacevano criteri per il disturbo dissociativo dell'identità, gli venne inizialmente diagnosticato un disturbo dissociativo non altrimenti specificato. Fu soltanto quando Vince ricordò di essere stato abusato sessualmente dai preti della scuola cattolica durante l'infanzia che "le figure nere" vennero messe a fuoco più chiara­ mente come personalità distinte, modellate sulla base dci suoi abusatori e venne fatta una diagnosi di DDI. Coloro che fanno abuso di sostanze rappresentano un altro gruppo che sperimenta livelli moderati di alterazione dell'identità sotto l'influenza di droghe o alcool. Dice Carla, la moglie di un poliziotto alcolista che si è sot­ toposto a una terapia per la sua dipendenza e ora è disintossicato: "Mio marito era un'altra persona quando beveva. Da sobrio era un tipo bonario, ma quando beveva - guai ! Si trasformava in un pazzo. Gridava e bestem­ miava e lanciava gli oggetti. Non riuscivo a credere che le cose che diceva uscissero dalla sua bocca. Anche nell'aspetto non sembrava lui. Quando tornava a essere sobrio, diceva che quello 'era un linguaggio da sbronza'. Rimaneva se stesso e le cose andavano bene fino alla volta successiva. Era un po' come essere sposata con due persone diverse" . Queste evidenti trasformazioni sono tipiche dei tossicodipendenti, i quali sembrano essere " un'altra persona" sotto l'influenza delle droghe o dell'alcool. L'insidia qui sta nel fatto che l'alcool o le droghe possano ma­ scherare un sottostante disturbo dissociativo e rendere invisibile il sinto­ mo dell'alterazione dell'identità. Questo non è diverso da guanto accade quando una persona con una lesione alla spalla pensa che il dolore che si irradia al suo braccio sia il risultato della lesione, mentre in realtà può esse­ re il sintomo prodromico di un arresto cardiaco. Lo stesso si può dire delle persone che normalmente hanno delle buone maniere ma che al volante assumono una personalità aggressiva. Le condi­ zioni di traffico stressanti insieme alla libertà garantita dall'anonimato del­ la macchina, possono rimuovere le normali inibizioni del comportamento di una persona, come dimostrano gli incidenti da "rabbia al volante" .2 A meno che la persona non abbia altri gravi sintomi dissociativi, la persona­ lità del guidatore presumibilmente non è un frammento separato e distinto della personalità che caratterizza la grave alterazione dell'identità nel DDI.

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2. È il fenomeno, di recente studiato negli Stati Uniti, per cui le persone al volante, soprat­ tutto nel traffico delle grandi città, manifestano una rabbia e uno stile di guida aggressivo, con scambi di insulti, risse e incidenti anche mortali per futili motivi legati alla guida. [NdT]

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UNA PERSONA, MOLTI SÉ

L'ALTERAZIONE GRAVE DELL'IDENTITÀ

Diversamente dalla persona che ha il controllo sul cambiamento di ruolo, ch i ha una grave alterazione dell'identità sperimenta una perdita di con­ trollo sulla sua coscienza e sul suo comportamento in favore di una perso­ nalità alter, separata e distinta. La persona con un'alterazione dell'identità grave si sente come se ci fossero una o più persone diverse al suo interno che sono in grado di influenzare o controllare il suo comportamento. Cia­ scun alter ha il proprio nome, i propri ricordi, il proprio modo di vestire, di parlare, di scrivere e persino le proprie indisposizioni come mal di testa e allergie. Quando le personalità alternative emergono, la persona può sperimentare una regressione con cambiamenti nella voce, nel modo di parlare, di vestire, nella pastura e nei movimenti. Avere un alter di sesso di­ verso può indurre la persona a valutare la possibilità di compiere un'ope­ razione chirurgica per cambiare sesso. Il passaggio tra distinti stati di personalità che controllano i pensieri, i ricordi, il comportamento e le emozioni di una persona è il segno distinti­ vo del disturbo dissociativo dell'identità. Il "ping-pong" mentale che tutti sperimentiamo quando soppesiamo i pro e i contro di una decisione è una schermaglia, a confronto dello stato di guerra totale sperimentato dalla mente delle persone che hanno una grave alterazione dell'identità. Avere personalità diverse che litigano tra loro o cercano di assumere il controllo sulla personalità " ospite" fa sentire la testa una specie di " frappè" , come lo ha definito uno dei miei pazienti. Questa descrizione penso rappresenti bene un senso di sé frammentato che ribolle e si rimescola tra contraddi­ zioni e disaccordi. I segni di un'alterazione grave dell'identità includono: - il fare riferimento a se stessi con nomi diversi; il fare riferimento a se stessi con il "noi " ; - l'agire a volte come una persona completamente diversa; - il sentir dire dagli altri che si appare come una persona diversa; il ritrovarsi in possesso di oggetti che non si ricorda di aver acquistato; - marcate discrepanze nei ricordi; - un'improvvisa perdita di capacità che prima si possedevano; - il ritrovarsi dei documenti scritti con una grafia diversa; - il dimostrare conoscenze su un argomento o una lingua che non si ricorda di avere studiato; l'agire come se si fosse ancora dei bambini. L'alterazione grave dell'identità è accompagnata da un'accentuata sof­ ferenza o disfunzionalità e può causare la perdita del lavoro, disturbare le relazioni personali, indurre all'uso di droga o alcool o provocare problemi con la giustizia. 1 09

RICONOSCERE l SECNI E VALUTARE l SINTOMJ D!SSOCIATJVJ

In maniera sorprendente, molte persone con un disturbo dissociativo dell'identità riescono a conservare il posto di lavoro e a mantenere relazio- ·. ni stabili facendo i funamboli con abili tattiche compensatorie. Alla fine, però, inciampano su qualche stimolo inatteso che fa cadere il castello di carte interno che hanno costruito, travolgendo la loro debole maschera pubblica. Per questo motivo è indispensabile che le persone possano rico­ noscere i segni dell'alterazione grave dell'identità e richiedere il più preco­ cemente possibile un trattamento con un terapeuta in grado di sommini- ; strare la SCID-D completa e fare una diagnosi. Una volta accertata la presenza di un disturbo dissociativo, la terapia ·• giusta può portare alla cooperazione tra le diverse personalità, in modo ta- . . le che l a persona stessa non n e esca lacerata. Erika, una paziente di quaran­ tadue anni con un DDI con molte personalità alter, sta cercando di conservare la sua brillante carriera nel settore delle risorse umane di una grande società grazie a una personalità che lei chiama la "Professionista " , la quale si assume l'onere della sua vita lavorativa. La sua personalità principale ha tenuto una riunione interiore e ha spiegato alle altre il motivo per cui è im­ portante che non escano mentre lei e la Professionista sono sul posto di la­ voro: "Sentivo che erano presenti tutte le personalità, così ho fatto un di­ scorso a ognuna di loro" racconta Erika. "Abbiamo una tabella, perché ce ne sono molte. Ho spiegato a ciascuna di esse che avrei potuto perdere il lavoro se qualcun'altra a parte la Professionista fosse uscita. Ho detto loro: 'Dovete promettere di restare a casa domani e se starete a casa buone buo­ ne vi dirò che cosa è successo al lavoro' . Un po' come si parla ai bambini. E ha funzionato. Da allora, non sono più venute". Prima di entrare in terapia, Erika sentiva che dentro di sé si svolgeva un'interminabile battaglia, un baccano di personalità rendevano la sua vita quotidiana una lotta per la sopravvivenza, sia psicologicamente sia sul la­ voro. A volte, l'energia consumata in questa battaglia la rendeva incapace di parlare. Erika, una bella donna alta, bionda, elegante e composta, è stata abusata sessualmente dal padre durante l'adolescenza e ricorda questo momento vissuto al lavoro: " Stavo per entrare a una riunione alla quale ero tenuta a partecipare e l'unico posto libero era tra due uomini. Il mio corpo si girò e uscì, benché io non lo volessi. E non potei dire nulla per giustifi­ carmi, perché dentro di me stava avvenendo questa battaglia sulla questio­ ne del mio partecipare o meno alla riunione: qualcuno voleva far emergere dei ricordi e qualcun altro li voleva reprimere. Cercai di entrare, ma non ci riuscii" . I n questo episodio, Erika descrive non solo l'esperienza di un' alterazio­ ne dell'identità grave ( " qualcuno voleva far emergere dei ricordi e qualcun altro li voleva reprimere" ) , ma anche tre altri sintomi dissociativi. La sua confusione dell'identità è espressa in termini di ambivalenza circa l'entrare o meno nella stanza: la parte di lei che si sentiva vulnerabile seduta tra due ·

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uomini alla riunione - probabilmente una personalità che portava i ricordi dell' abuso - la costrinse a compiere un'azione a cui un'altra parte di lei si op poneva. La sua depersonalizzazione è espressa nel suo " il mio corpo u s cì " e la sua amnesia in termini di " reprimere" il ricordo che voleva emer­ gere. Questa interdipendenza di sintomi è tipica del disturbo dissociativo dell 'identità. I nomi che le persone danno alle loro personalità alternative sono a voi. . . te del nom1 comum, come " ,.,..,.Lommy , , " Susan " , "Joan " o "Joe , , ma possono essere anche nomi simbolici che suggeriscono parti scisse delle loro personalità o capacità parzialmente non riconosciute, come il " Coman­ dante" , la " Governante" , il " Saggio" o la "Professionista" di Erika. Le personalità alter coprono un'ampia gamma, dai neonati ai vecchi, rappre­ sentando spesso la persona in età diverse, incluse quelle non ancora rag­ giunte. Alcune personalità "guru" che rappresentano delle guide, degli as­ sistenti o dei consiglieri interiori possono essere pensate come senza età o senza tempo piuttosto che connotate da un'età specifica e possono essere modellate sulla base di figure religiose che non sono necessariamente della confessione della persona. Molti immaginano le caratteristiche fisiche e del viso delle loro personalità alter e delegano alcune competenze a una perso­ nalità rispetto alle altre oppure la personalità principale può non condivi­ dere le sue cose e non esprimersi quando ce n'è un'altra. Inoltre, una per­ sonalità che in un certo momento assume il controllo può stringere delle amicizie senza che la persona ne abbia consapevolezza, così che questa non sarà in grado di riconoscere tali amici in un momento successivo. La tendenza di una personalità multipla a riferirsi a sé come a "noi " , come nel caso di Erika, dà un'idea di come ci si possa sentire ad avere un gruppo di individui marcatamente diversi che vivono in un solo corpo. In alcuni casi, una persona con un DDI associa i diversi nomi delle perso­ nalità con particolari azioni o sentimenti. " Sally farà sesso" dice uno stu­ dente in giurisprudenza, descrivendo le diverse vite di Sally, Andrea e Cindy, tre delle sue quattro personalità. " Sally mangia. Sally fa la spesa in drogheria. Sally ha amici a giurisprudenza. Sally ha avuto una relazione con un ricercatore di giurisprudenza. Andrea è andata a scuola, sai al colle­ ge. Cindy mi ha bruciato con un accendino. " Il passaggio da una personalità all'altra spesso avviene in uno stato di trance. Se la persona ne è consapevole, l'ansia può essere travolgente. Una donna, che si riferisce alle parti infantili di sé come ai suoi "bambini" , dice di avere una sorta di " riunioni" con i suoi alter, di tanto in tanto per cal­ marsi dopo un passaggio disturbante da una personalità all'altra. Raccon­ ta: " Se uno dei bambini ha fatto baccano o qualcosa di sbagliato, ci sedia­ mo tutti lì e ci immaginiamo cosa possiamo fare per riparare al danno. Poi scegliamo la personalit à che può affrontare meglio la situazione e cerchia­ mo di prenderei cura di essa" . 111

RICON OSCERE I SUi NI E VALUTARE I SINTOMI DISSOCIATIVI

Prove indiziarie

Come effetto dell'amnesia che spesso accompagna i suoi episodi dissocia­ tivi, la persona con un disturbo dissociativo dell'identità può ritrovarsi articoli che non ricorda di aver acquistato e, addirittura, che non le piac­ ciono, comperati da uno dei suoi alter. " Nel mio armadio ho dei vestiti che non indosserei neanche morta" dice una giovane donna sbigottita. " una tonnellata di gioielleria d'argento, e io odio l'argento. Mi piace l'oro e ho così tanto argento: dei pezzi degli indiani d'America e roba simile. Ho un servizio di tazze da tè cinese e non mi piace radunare cianfrusaglie, rac­ colgono polvere. Queste cose stanno dappertutto. Ma le tengo. Non posso liberarmene. " Nel disturbo dissociativo dell'identità questo possedere degli oggetti di cui non si conosce l'origine è diverso rispetto alla sgradevole sorpresa che caratterizza lo shopping compulsivo. Coloro che sono dipendenti dagli ac­ quisti soffrono essenzialmente di una forma di alterazione dell'umore. Molti di loro rimangono sorpresi o scioccati alla vista di cosa contengono i loro armadi, quando qualche circostanza - di solito l'annullamento della carta di credito o i contrasti con i membri della famiglia - li costringe a riconoscere che hanno un disturbo compulsivo. Ciò che sorprende è la quantità di oggetti che hanno acquistato o la somma di denaro che hanno speso, non la natura degli oggetti in sé. Sebbene i disturbi dissociativi e i disturbi compulsivi in qualche misura possano sovrapporsi - si può avere una personalità dipendente dallo shopping - i due disturbi non sono iden­ tici. La persona con il disturbo bipolare che fa spese pazze durante una fa­ se maniacale non ha un'amnesia per gli acquisti, ma solo scarsa attenzione per il loro costo. Un altro segno di una grave alterazione dell'identità che può far trasali­ re, è trovare prove scritte di qualche tipo - lettere, appunti, diari - che atte­ stano la presenza di altre personalità. Questi oggetti possono andare da documenti scritti con una grafia diversa, alla poesia o alla prosa in una lin­ gua che la persona non ricorda di aver studiato. Una donna che non ha mai studiato francese, per esempio, può essere interdetta ritrovandosi a parlare fluentemente in quella lingua, perché una personalità alter o l'ha studiata o l'ha appresa da un parente o da un amico francese senza la consapevolezza conscia della donna. Dopo aver avuto un aborto spontaneo, una scrittrice di testi di medici­ na a cui era stato diagnosticato un DDI ricevette per posta una pubblicazio­ ne che aveva scritto, nonostante inizialmente non riuscisse a riconoscerla come sua. " Arrivò una busta con le copie di questo fascicolo che riportava il mio nome come autrice" racconta, "e io non ricordavo affatto di averlo scritto. Ero proprio sconvolta. Lo lessi e fui abbastanza sicura che era il mio stile. C'era un capitolo sull'aborto spontaneo e sapevo che, scrivendo1 12

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lo, mi ero detta: 'Hmm, mi chiedo se questo non lo giudicheranno troppo intimo e lo cestineranno' . Poi quando vidi la parola aborto spontaneo mi resi conto che, sì, lo avevo scritto proprio io questo libretto. " Il feedback degli amici

Nella maggior parte dei casi, una persona che sperimenta una grave altera­ zione dell'identità sa di questo sintomo principalmente dai racconti degli altri. " Sarah è viziosa e Terry è cattivo" dice Randy, un odontotecnico di ventisette anni a cui è stato diagnosticato un disturbo dissociativo dell'i­ dentità. " Il mio amico Frank mi ha detto: 'Fammi sapere quando arriva Sa­ rah. È cintura nera di karate e non voglio averci a che fare'. Mi sento dav­ vero stupido per questo. Intendo, come può dirti un amico che hai dentro di te una cintura nera e tu non conosci nemmeno il karate? Non sono neanche un tipo molto atletico. " Sebbene per molte persone con DDI i cambiamenti vocali e comporta­ mentali all'emergere di una personalità alter siano sottili, può risultare im­ barazzante per loro che qualcun altro noti questi cambiamenti. Randy ri­ corda un'occasione in cui fu osservata in macchina da un estraneo mentre due dei suoi alter cominciarono a discutere animatamente. " Decisi di non andare dal dottore perché stava nevicando, le strade erano terribili e i vei­ coli non circolavano. Mi recai in una cabina telefonica, chiamai, cancellai l'appuntamento e tornai in macchina. All'improvviso quella che chiamo Sarah iniziò a gridare che dovevamo andare dal dottore. Io le dissi con cal­ ma: ' No, non dobbiamo andare' ma lei di nuovo iniziò a protestare. C'era un uomo in un camion o forse in una macchina che mi guardava. E i suoi occhi incrociarono i miei e mi resi conto che mi sentiva. " Le persone che non sono consapevoli di avere diverse personalità pos­ sono credere che i loro amici o parenti li stiano prendendo in giro in ma­ niera poco divertente, e possono reagire con rabbia o fastidio. Cassie, uno studente del college di diciannove anni a cui è stato diagnosticato un di­ sturbo dissociativo alla SCID-D, ha detto durante la somministrazione: " Ini­ zi a chiederti chi sono i tuoi amici. Pensi che si stiano prendendo gioco di te. Ti dicono: ' Ieri ti chiamavi Renee' , o qualsiasi altro nome, e 'Avevi un'acconciatura punk'. Per te è una cosa bizzarra e ti chiedi: 'Cosa inten­ di? ' Non ricordo di averlo fatto. Non avevo idea che stessi usando nomi di­ versi o di aver agito in modi diversi. È come un grande scherzo, uno scher­ zo che non trovi divertente ". Alla domanda se pensava che gli amici lo stes­ sero sfottendo, rispose: "Beh, sono amici, ma hai due possibilità. Puoi sce­ gliere di credere che ti stiano prendendo in giro o che sei matto" .

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RICONOSCERE l SEGNI E VALUTARE l SINTOMI DISSOCIATIVI

Curarsi

La conclusione secondo cui chi ha i sintomi del DDI deve essere "matto dimostra quanto sia necessario destigmatizzare i disturbi dissociativi prendere delle misure contro le difese che impediscono a moltissime i sone di ottenere l'aiuto di cui hanno bisogno. Una giovane donna incon 1-''"'-u'""u trata durante lo studio sulla SCID-D dimostrava, parlando dello che inizialmente le aveva diagnosticato il DDI, quanto una persona mettersi sulla difensiva. "Pensai che si stesse innervosendo molto a di spiegarmi la questione delle personalità multiple" disse. " Stava lì a insistere che quello era il mio problema e che se non ci credi o non lo cetti, non puoi essere curato. È come avere un dottore che ti dice che morendo, ma tu ti senti in perfetta forma. Non devi accettarlo solo questo tipo ha una laurea, si suppone, e non ha ragioni oggettive per dirti qualcosa di non vero. E io scelsi di non farlo. " Quando confermai la diagnosi del suo psichiatra disse: " Non può stare' lì seduta a dirmi che ho una personalità scissa, per me questo è del tutto sufficiente. Se la ascoltassi e le credessi, non sopravviverei. Non è qualcosa che posso accettare o che posso affrontare " . Che cosa sarebbe accaduto se allo stesso paziente fosse stato comunicata una polmonite? Il suo atteggiamento sarebbe stato lo stesso? Se avesse saputo che la sua malattia è trattabile e che ha una prognosi favorevole avrebbe pronunciato la frase: " Se accettassi di avere questa malattia, non potrei sopravvivere" ? No, nel caso avesse voluto sopravvivere. Avrebbe accettato la diagnosi e avrebbe fatto tutto il possibile da un punto di vista medico per favorire la guarigione. Un disturbo dissociativo non è diverso da qualsiasi altra malattia fisica o psichiatrica. Accettando la malattia e sot­ toponendosi al trattamento appropriato, i pazienti hanno una buona pro­ gnosi entro tre/cinque anni. Al contrario, se la malattia non viene identifi­ cata o trattata in maniera corretta, la persona può andare incontro a molte ospedalizzazioni, passare anni in terapia senza miglioramenti significativi e patire atroci sofferenze. In aggiunta alla depressione e all'ansia associate con un disturbo disso­ ciativo non individuato o non trattato adeguatamente, l'impatto sul lavoro e sulle relazioni di una persona può essere disastroso. Gli atti antisociali commessi in uno stato di grave alterazione dell'identità o di fuga dissocia­ tiva vanno dai furti nei negozi alla distruzione di beni di proprietà, all' abu­ so infantile, all'omicidio. Nel peggiore dei casi gli alter ostili possono cac­ ciare una persona nei debiti, allontanarne gli amici o il partner, metterla in una situazione in cui rischia lo stupro o l'aggressione fisica da parte di un estraneo, costringerla a farsi del male o a tentare il suicidio . Per sopravvivere all'abuso massiccio nell'infanzia le persone con un di­ sturbo dissociativo dell'identità hanno dovuto portare la dissociazione ai ·

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s uoi limiti estremi, suddividendosi in un certo numero di personalità sepa­ rate , con ricordi e sentimenti confinati al loro interno. Il loro segreto mon­ do interiore è tormentato da tutti e cinque i sintomi dissociativi. Pezzi del loro passato, persino la loro intera infanzia, sono svaniti nel buco nero del­ le memorie perdute, !asciandoli esposti a intensi flashback o a incompren­ sib ili lacune di memoria che sottraggono inspiegabilmente stralci di tempo alle loro vite attuali. Alcuni si sentono profondamente disconnessi dal loro corpo, fluttuanti fuori di esso e si osservano da lontano o sperimentano par­ ti del corpo che cambiano forma o misura. Altri sono così distaccati dalle loro emozioni che si sentono nella vita come attori in un film, distanti e ro­ botici, e talvolta si tagliano compulsivamente per dare sollievo alla loro an­ sia spaventosa e ai sentimenti di morte interiore. Possono percepire il mondo intorno a sé come irreale o sconosciuto - stranieri in una terra stra­ niera, anche se sono a casa con la famiglia. Alcuni provano sentimenti di confusione o conflitto su chi sono e persino sulla propria identità di gene­ re. E alla fine ci sono quelli che i talk show amano sfruttare: coloro che hanno un'identità frammentata in una pluralità stratificata di parti discon­ nesse, ciascuna contenente diversi frammenti dell'"ospite" e impegnata in un logorante tiro alla fune interiore. Persino in questi casi estremi, il disturbo dissociativo dell'identità è al­ tamente trattabile. L'importante successo ottenuto da molti pazienti che hanno superato un DDI dovrebbe incoraggiare tutti all'impegno per curare . le ferite dell'infanzia. Il questionario seguente aiuta a identificare i sintomi dell'alterazione dell'identità sperimentati e la loro gravità. TEST DELL'ALTERAZIONE DELL'IDENTITÀ DI STEINBERG Una o due volte

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Solo con droghe o alcool

2. Ho un'immagine di qual. cuno dentro di me che è diverso da me.

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3 . Mi comporto in maniera diversa quando sono con i miei genitori, rispetto a quando sono con gli amici o al lavoro (o a scuola).

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Mai l . Ho sbalzi d'umore che non riesco a controllare.

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Solo con droghe o alcool

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9. Mi sento come se avessi un volto pubblico e uno privato.

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Le persone mi dicono che mi sono comportato come una persona diversa.

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Ho scoppi d'ira che sembrano fuori controllo o sproporzionati alla situazione.

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Ho diversi nomi con cui mi chiamo o con cui altre persone mi chiamano.

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6. Non riconosco le cose che ho scritto.

7. Mi sento come se stessi vivendo una vita segreta e persino i miei amici più intimi non sono consapevoli di come sono veramente. 8. Parlo con voci o stili completamente diversi.

4.

5.

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1 1 . Ho degli amici immaginari con cui parlare (in età adulta). 12.

Mi sento come se il mio "bambino interiore" prendesse il controllo del mio comportamento.

13. Mi sento come se ci fossero diverse persone dentro di me che influenzano il mio comportamento o umore.

2

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Se alcune delle esperienze sopra menzionate sono state vissute, rispondete alle seguenti domande: La/e esperienza/e ha/hanno interferito nelle relazioni con gli amici, la famiglia o i colleghi? Ha/hanno influenzato la capacità di lavorare? ---��

È/sono stata/e causa di disagio o sofferenza?

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UNA PERSONA, MOLTI SÉ

Il calcolo del punteggio al Test dell'alterazione dell'identità:

1 . Assegnare zero punti ai seguenti item normali: 3 , 9. 2 . Per tutti gli altri item, assegnare i punti da l a 5 indicati sulla riga in alto

in corrispondenza delle caselle segnate. 3 . Ora sommare il punteggio e usare le linee guida generali di seguito ri­ portate per interpretarlo.

Punteggio dell'alterazione dell'identità globale

Alterazione dell'identità assente: 1 1 Alterazione dell'identità lieve: 12-20 Alterazione dell'identità moderata: 2 1 -3 5 Alterazione dell'identità grave: 3 6-55 Indicazioni

Se il punteggio totale ottenuto rientra nel range dell'alterazione dell'iden­ lieve ( 1 1 -20) si è nell'ambito della normalità, a meno che l'e­ sperienza degli item 6 o 13 non sia stata ricorrente. In quest'ultimo caso, è consigliabile sottoporsi alla valutazione di un professionista in grado di somministrare la SCID-D completa. Se il punteggio totale rientra nel range dell'alterazione dell'identità mo­ derata e grave (2 1 -55), è consigliabile sottoporsi alla valutazione di un pro­ fessionista specializzato nella somministrazione della SCID-D completa. Se l'alterazione dell'identità ha interferito nelle relazioni con gli amici, la fa­ miglia, o i colleghi o ha influenzato la capacità di lavorare o ha causato sof­ ferenza è particolarmente importante richiedere la consulenza di un pro­ fessionista. Anche nel caso in cui un clinico esperto riscontri un disturbo dissociati­ vo, esso è trattabile e ha una buona prognosi di guarigione. Tale disturbo è molto diffuso tra le persone che hanno dovuto affrontare un trauma usan­ do una difesa dissociativa per proteggersi. Con il trattamento appropriato, nel corso del tempo, diventerà possibile integrare i ricordi e i sentimenti delle diverse parti di sé. Alla fine, quando si sarà diventati sufficientemente forti da rientrare in contatto con i propri ricordi e sentimenti nascosti ac­ cettandoli come propri, l'alterazione dell'identità ne risulterà ridotta e questo permetterà una maggiore integrazione e salute psichica. tità assente e

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lO Gli uomini, l'abuso e i disturbi dissociativi

Sebbene gli uomini abusati sessualmente nella nostra società siano meno numerosi rispetto alle donne, la violenza fisica ed emotiva riscontrata nei giovani maschi, anche nelle famiglie di ceto medio e alto, è enorme. 1 Il danno psicologico riportato dagli uomini come effetto dei maltrattamenti è aggravato dalla paura di sembrare deboli se parlano apertamente delle loro ferite profonde. Molti uomini preferiscono soffrire in silenzio o espri­ mere il loro tormento interiore attraverso la violenza o i comportamenti autodistruttivi. Rispetto alle donne, gli uomini che hanno disturbi dissociativi è più probabile che " agiscano" contro la società o che intraprendano azioni an­ tisociali. In effetti, la disparità nelle diagnosi di disturbo dissociativo dell'i­ dentità per sesso - un rapporto maschi-femmine di 1 :9 - è spesso attribui­ bile al fatto che a molti uomini con DDI viene diagnosticato unicamente l'a­ buso di sostanze ed essi vengono inseriti nei programmi di recupero o mandati in prigione per comportamenti antisociali prima che possano arri­ vare all'attenzione di un terapeuta.2

SEGNALI D'ALLARME

Le esplosioni di rabbia sono un sintomo comune negli uomini con un sot­ tustante disturbo dissociativo ed è necessario che vengano valutate nel contesto di tutti e cinque i sintomi dissociativi fondamentali. Quando la rabbia è estrema questi sintomi sono spesso mascherati. Anziché richiede­ re una terapia per i sentimenti di rabbia con una possibile base dissociati­ va, molti uomini si curano da soli usando alcool, cocaina, marijuana, eroi­ na o altre sostanze per alleviare la sofferenza.3 La loro trasformazione in l. M. Landsberg, "Memories of molestation recovered by men, too", in The Taranto Star, 4 marzo 2000. 2. M. Hunter, Abused Boys: The Neglected Victims o/ Sexual Abuse, Fawcett Columbine, New York 1 990. 3. G. Kolodner, R. Frances, "Recognizing dissociative disorders in patients with chemical dependency", in Hospitaland Community Psychiatry, 44 (Il), 1993, pp. 104 1 - 1043.

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Hl CONOSCERE l SEGNI E VALUTARE l SINTOMI DISSOCIATIVI

una persona adirata, insolitamente piena di rabbia, quando sono sotto l' ef­ fetto della sostanza, può non essere la conseguenza dell'ubriacatura, ma di una parte dissociata di se stessi che fa sentire la sua voce. In alcuni casi alcolisti (donne e uomini) che hanno periodi intermittenti di remissione e marcati cambiamenti dell'umore quando bevono, hanno una personalità dentro di sé che beve e una che non lo fa. Poiché quella che non beve ha un'amnesia per quella che beve, i bagordi sono sentiti come completamen­ te fuori controllo. Quelli che seguono sono alcuni dei sintomi e dei disturbi più comuni compresenti sperimentati dagli uomini con un disturbo dissociativo di base: ·

depressione; ansia, spesso sperimentata come un terrore costante o la sensazione di avere sempre i nervi tesi; abuso di sostanze; improvvise esplosioni di rabbia; difficoltà di concentrazione, saltare da un pensiero all'altro o sintomi assimilabili di mancanza d'attenzione o impulsività associata con un di­ sturbo da deficit d' attenzione/iperattività; flashback o altri sintomi associati con il disturbo post-traumatico da stress; disturbo da ansia sociale (fobia sociale) , caratterizzato da paura estrema delle situazioni sociali o di performance, in cui si è esposti a persone non familiari o a un possibile giudizio da parte di altri, come nel parlare in pubblico; sesso compulsivo,4 una storia di avventure sentimentali o perversioni sessuali; - violenza o praticare sport che legittimano la violenza come la boxe o il football. Jordan, quarant'anni, direttore generale di un canale televisivo di N ew York, esemplifica come i sintomi che gli uomini portano a un terapeuta spesso sono solo un aspetto della storia. La cosa di cui si lamentava princi­ palmente Jordan era di soffrire di un'ansia molto grave, soprattutto quan­ do incontrava persone nuove o doveva parlare in pubblico. Effettivamente aveva un attacco di panico ogni volta che doveva svolgere un compito di carattere sociale con i clienti dell'azienda o era tenuto a rivolgersi a un'or­ ganizzazione, un aspetto di public relations importante per il canale. Era anche tormentato da fantasie masochistiche in cui veniva picchiato da una dominatrice e aveva una strana ossessione sessuale che stava mettendo a repentaglio il suo matrimonio. Nonostante amasse la moglie e gli piacesse 4. E. Griffìn-Shelly, L.R. Benjamin, R. Benjamin, " Sex addiction and dissociation ", in Sexual Addiction and Compulsivity: The ]ournal o/ Treatment and Prevention, 2, 1 995 , pp. 295306.

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fare sesso con lei, andava compulsivamente nei topless bar a farsi abbrac­ ciare da donne nude sconosciute. Il precedente terapeuta diJordan gli aveva diagnosticato un disturbo da ansia sociale, ma quando iniziai a lavorare con lui, sospettai che ci potesse essere una base dissociativa mai ipotizzata al di sotto della superficie dei s uoi sintomi. Raccontò che da ragazzo era continuamente terrorizzato dal p adre che abusava di lui fisicamente, e correva dalla madre dopo che il pa­ dre lo aveva picchiato per essere confortato. Sebbene all'inizio non se ne fosse reso conto, Jordan arrivò a capire che, per lui, l'amore e il piacere ses­ suale erano associati con la dominazione e le botte, perché suo padre gli di­ mostrava amore attraverso la dominazione e l'abuso. La ricerca degli ab­ bracci delle donne nei topless bar era una riattualizzazione dei modelli del­ la sua infanzia: essere picchiato e poi circondato dalle braccia della madre. Un a parte adolescente di Jordan stava cercando gratificazione per mezzo di questa compulsione. Poiché si vergognava di ammettere con la moglie di essere così bisognoso, Jordan metteva a repentaglio il suo matrimonio per cercare l'ab braccio di una donna anonima. Era questa parte adolescente di Jordan che si sentiva terrorizzata dalle situazioni sociali o prima dei discorsi pubblici, in quanto Jordan identifica­ va le persone non familiari e quelle nella posizione di giudicarlo con il pa­ dre violento. Il " piccolo Jordan" come chiamava questo bambino interio­ re, non era sufficientemente indipendente o autonomo da costituire una personalità separata ma rappresentava il tipo di alterazione dell'identità moderata che si incontra nel DDNAS. Jordan in questo momento sta impa­ rando a ridurre la sua ansia sociale, così come ad abbassare il livello della sua compulsione sessuale, calmando il "piccolo Jordan" nelle situazioni che minacciano di ricordagli il passato. LA PERSONALITÀ GUERRIERA

Il disturbo dissociativo dell'identità spiega la " personalità guerriera" che alcuni uomini assumono in battaglia. Essi sono in grado di sparare e ucci­ dere senza provare sentimenti per le loro vittime, ma quando non sono più in guerra, possono diventare disfunzionali. Un veterano che tornato alla vita civile cammina per strada, per esempio, può aggredire improvvisa­ mente un uomo innocente che gli cammina troppo vicino, perché ha un flashback di una situazione di battaglia e il suo guerriero dissociato prende il controllo. Poiché le persone con il disturbo post-traumatico da stress spesso soffrono di sintomi dissociativi non diagnosticati, la base dissociati­ va di alcuni casi di DPTS può non essere riconosciuta. Una personalità guerriera dissociata può essere trovata anche negli uo­ mini che sono attratti da sport violenti. Tom, trentotto anni, un tempo pu12 1

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gile professionista e cintura nera di karate, venne da me dopo aver conseguito una laurea in ingegneria aerospaziale ed essersi da poco sposato. J oanna, sua moglie, aveva insistito perché richiedesse una terapia per le sue in controllabili crisi di gelosia ogni volta che un uomo la guardava e per le sue esplosioni di rabbia quando qualcuno lo prendeva per il verso sbagliato. Una volta, mentre si stavano allenando insieme in palestra, la chiamò " sgualdrina" e "puttana" per aver chiacchierato in maniera innocente con un uomo che faceva gli esercizi al suo fianco, e per poco non fracassò la mandibola del tipo. " Stavano soltanto facendo una conversazione amiche­ vole" disse Tom, "ma mi sembrava che stessero intrecciando una relazione sotto il mio naso e questo mi fece partire di testa. " Un'altra volta Tom andò su tutte le furie quando un automobilista di­ stratto rischiò di investirlo mentre scendeva dalla macchina. Senza render­ sene conto, aveva afferrato l'uomo per i capelli attraverso il finestrino aper­ to e stava per pestarlo a sangue. " Non sapevo dove fossi - forse pensavo di essere di nuovo sul ring. C'eravamo soltanto io e questo tipo, e io ero fuori del mio corpo e osservavo tutt'e due. Poi sollevai lo sguardo e vidi la fila delle macchine e uno sbirro che si stava awicinando e questo mi indusse a fermarmi. " Tom mi raccontò di essere stato gravemente picchiato e abusato emoti­ vamente dal padre nel corso dell'infanzia e di aver intrapreso la boxe e il karate per proteggersi, oltre che come sfogo alla sua rabbia. La madre di Tom, incapace di proteggere il figlio dalla violenza distruttiva della casa, cercava conforto in relazioni extraconiugali. Un giorno mentre il giovane Tom rien­ trava in casa trovò suo padre che gettava i vestiti della madre giù dalle scale, minacciando di buttare giù anche lei. "Sgualdrina! Puttana ! " gridava il pa­ dre alla madre, proprio quello che gridò Tom alla moglie in palestra. Gli incidenti descritti da Tom indicavano che la sua rabbia poteva avere una base dissociativa. La derealizzazione si manifestava attraverso la so­ vrapposizione della realtà passata a quella presente. La confusione tra la passata infedeltà della madre e il comportamento fedele della moglie pro­ vocò la sua esplosione verso Joanna e verso l'uomo della palestra. L'espe­ rienza fuori dal corpo di quando reagì in maniera violenta alla disawentu­ ra nel traffico, percepita come un attacco personale, era la prova della de­ personalizzazione. Dentro di lui, sembrava esistere uno stato disconnesso di rabbia che poteva esprimersi soltanto con i pugni, che fosse sul ring o per strada. "Mi sento come se stessi cercando di tenere un coperchio sopra un vulcano" disse. " Ho una tale rabbia dentro e non so da dove viene. " L a SCI'D-D dimostrava che Tom aveva un'amnesia moderata e gravi livel­ li degli altri quattro sintomi dissociativi. Poiché descriveva anche diverse personalità ben sviluppate che prendevano il controllo del suo comporta­ mento iroso, la mia diagnosi fu di disturbo dissociativo dell'identità. Riu­ sciva a identificare tre parti dissociate al suo interno. "Tom il selvaggio" , 122

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GLI UOMINI, l: ABUSO E l DISTURBI D ISSOCIATIVI

un soprannome dei tempi della boxe: era la parte che conteneva i ricordi e

i sentimenti legati all'abuso fisico ed emotivo malevolo del padre. Era il ri­

cettacolo della rabbia di Tom e veniva fuori in maniera appropriata negli sport violenti e in maniera inappropriata nelle esplosioni di rabbia verso le persone che in qualche modo lo irritavano. Tommy era un monello viziato che provava tutta la sofferenza della penosa infanzia di Tom. Era cattivo e antipatico conJoanna quando Tom non si fidava di lei o quando lei piange­ va, una cosa che Tommy considerava un segno di debolezza. Il Padre, la parte più terribile di sé, era critico e verbalmente abusante come suo padre e aveva un lato oscuro assolutamente distruttivo che veniva fuori quando Tom aveva bevuto troppo. " Questa è la parte che mi fa andare a 125 miglia all'ora sull'autostrada dopo che sono stato in un bar" raccontava Tom. "Penso che stia cercando semplicemente di distruggermi, pezzo per pezzo, come ha fatto mio padre. " Poiché Tom è un uomo molto intelligente, oltre che un atleta dotato, oggi sta facendo progressi straordinariamente rapidi in terapia. Sta impa­ rando come calmare la sua rabbia usando diverse strategie per aiutare "Tom il selvaggio " a sentirsi sicuro nel presente. Una tecnica rivelatasi effi­ cace consiste nel portare con sé un portachiavi con dei minuscoli guantoni da boxe. Tutte le volte che sente che "Tom il selvaggio" sta per prendere il controllo ed esplodere di rabbia, guarda i piccoli guanti da boxe che gli ri­ cordano che Tom è un uomo adulto che ha la forza di proteggere se stesso senza bisogno di pestare le persone. È importante ricordare che gli uomini dissociati che hanno esplosioni di collera non sono necessariamente violenti. Alcuni uomini (e donne) con disturbi dissociativi hanno pensieri violenti ma non li mettono mai in atto. Altri, avendo deciso di non voler perpetuare l'abuso che hanno sperimen­ tato, potrebbero evitare del tutto la violenza e incapsulare i sentimenti di rabbia in un aspetto dissociativo di se stessi che è non violento.

SENTIRSI INVISIBILI

Il caso di Ross Cheit dimostra come gli uomini che sono stati abusati ses­ sualmente nell'infanzia soffrono delle stesse disastrose ripercussioni delle donne. Nel 1 992 Cheit, professore di scienze politiche alla Brown Univer­ sity e uomo felicemente sposato, ricevette una telefonata che lo informava che il nipote preferito era stato selezionato per partecipare al prestigioso Coro dei Ragazzi di San Francisco e frequentare uno speciale campus di musica. Cheit, che era stato membro dello stesso coro e aveva fatto la stes­ sa esperienza di campus in gioventù, avrebbe dovuto essere entusiasta; in­ vece, ebbe una sgradevole sensazione di allerta che non riusciva a capire. Subito dopo la telefonata Cheit sognò un uomo che non vedeva più da 123

RICONOSCERE l SEGNI E VALUTARE I SINTOMI DISSOCIATIVI

quando, tredicenne, frequentava questo campus di musica: William Far­ mer, il tutor del campus più ammirato e di cui aveva maggiore fiducia. Per la prima volta Cheit si ricordò attraverso i flashback che Farmer entrava nel suo alloggio ogni notte, quando gli altri ragazzi dormivano, e lo mole­ stava sessualmente. Determinato a far uscire fuori la verità, Cheit andò a parlare con la fondatrice e direttrice del coro andata in pensione. Questa rivelò che si erano verificati numerosi episodi di molestie sessuali nella sto­ ria del campus, tutti messi a tacere e giudicati irrilevanti per difendere la reputazione del coro. Con l'aiuto di un investigatore privato Cheit rintracciò Farmer, che con­ fessò l'abuso in una conversazione telefonica registrata. F armer rivelò an­ che che, dopo essere stato scoperto e infamato come pedofilo mentre era sacerdote metodista, diventò - incredibile a dirsi - un insegnante della scuola statale. Quando Cheit rese pubblica la sua storia di abuso sessuale ad opera di Farmer, questi si trasferì in un altro Stato a insegnare in una scuola religiosa. Le imputazioni contro Farmer caddero in prescrizione. Per rafforzare l'azione legale contro di lui, Cheit raccolse scrupolosamente un archivio di casi dettagliati e suffragati di ricordi d'abuso e, alla fine, gli fu riconosciuto un risarcimento per i danni di 475 mila dollari. Michael Landsberg che scrisse del caso Cheit sul The Taranto Star (4 marzo 2000) fu mosso dalle toccanti lettere inviate da uomini sopravvissuti all'abuso che si sentivano isolati e invisibili dopo aver recuperato i ricordi del loro abuso. I sopravvissuti all'abuso di sesso maschile si sentono isolati per molte , ragioni analoghe a quelle delle donne: la vergogna, la sensazione di meri­ tarlo, l'inconsapevolezza di essere stati abusati, la percezione di essere di­ versi dalle altre persone. Il loro isolamento è aggravato dal fatto che, poi­ ché gli uomini non sono altrettanto propensi delle donne a ricercare un trattamento, ricevono meno attenzione da parte della letteratura clinica e dci media. Il caso di Cheit dimostrava che gli uomini abusati non soltanto compio­ no lo stesso triste percorso delle donne, ma possono anche sperimentare il ritorno dei ricordi di un abuso accertabile molti anni più tardi. Sebbene gli uomini, come le donne, possano avere difficoltà a ricordare i dettagli del­ l' abuso, sono a rischio di sviluppare un gruppo caratteristico di sintomi sottostante ai disturbi dissociativi.

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PARTE TERZA

Tre storie interiori

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Nei prossimi capitoli verranno esposte le storie di tre pazienti che ho in cura. Si avrà modo di conoscere, così, tutta la ricchezza del loro mondo in­ teriore e tutta la complessità della loro vita. Esse mi hanno generosamente permesso di narrare le loro storie, e da parte mia ho protetto la loro iden­ tità cambiandone i nomi e i tratti caratteristici. Anche se a confronto con queste storie i nostri traumi sembrano irrile­ vanti, e i nostri sintomi dissociativi lievi, le loro esperienze possono essere molto significative anche per trovare il senso di sentimenti, pensieri e azio­ ni che a volte ci lasciano perplessi. Le capacità apprese in terapia sono strumenti universalmente utili, che servono non soltanto a guarire da un disturbo dissociativo ma a mantenere la salute psicologica in generale. Nancy L. impersona la "vicina della porta accanto" , nel senso che ha l'aspetto, parla e agisce come qualcuno che si ha l'impressione di conosce­ re o che si vorrebbe conoscere - potrebbe essere per tutti la sorella, l'ami­ ca, la collega, la moglie o un'altra persona familiare. Come molte altre per­ sone con un DDI, ha la sorprendente capacità di funzionare a un livello molto alto, eppure, internamente, è molto sofferente. Il suo caso esemplifi­ ca anche la difficoltà, per chi ha un disturbo dissociativo, di trovare un trattamento appropriato: prima che le fosse diagnosticato il disturbo sot­ tostante, infatti, veniva trattata da molti anni per un disturbo da deficit di attenzione/iperattività. Il caso di Linda A. è simile a quello di molte altre persone per le quali un episodio banale scatena un flusso di emozioni incomprensibili. È un esem­ pio di come una circostanza nella vita adulta - nel suo caso la relazione con il fidanzato - possa far scattare ricordi relativi a un trauma della prima in­ fanzia e come quel trauma precedente possa interferire con la vita attuale. La storia di Jean W. mostra la capacità di una persona di sopravvivere al trauma più estremo immaginabile, così come a una serie di altre esperienze altamente traumatiche, usando in maniera creativa la difesa della dissocia­ zione. Jean non potendo sottrarsi fisicamente al trauma, è riuscita ad allon­ tanarlo mentalmente e alla fine si è sollevata rispetto alle tragiche circo­ stanze diventando un'abile professionista. Tutte queste persone, in un modo o nell'altro, costituiscono esempi in127

TRE STORIE INTERIORI

coraggianti in virtù dei notevoli progressi che sono state in grado di fare. Il modo in cui hanno scoperto le proprie parti nascoste e hanno imparato a mettersi in contatto con esse in maniera costruttiva può essere un insegna­ mento universalmente utile come guida nel viaggio verso l'analisi della propria vita. Il fatto che persino coloro il cui senso di sé è stato frantumato nel modo più brutale possano imparare a rimettere insieme i propri pezzi e quindi a guarire, è una lezione che dà speranza e un valido insegnamento a tutti.

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11 Nancy L. : la " combinaguai "

"SONO UNA BRAVA BAMBINA"

Era un giorno come gli altri, ordinario e di routine, senza il minimo segno che lasciasse presagire quello che sarebbe accaduto. N ancy si alzò insieme a suo marito, Walter, gli preparò la colazione e lo salutò quando uscì per un appuntamento di prima mattina. Rimase sulla porta, salutandolo con la mano mentre lui se ne andava con la macchina dalla loro nuova casa, ada­ giata sulla collina di White Plains, a New York, soprannominata "la casa di vetro" per le sue enormi finestre cielo-terra inondate di sole da ogni lato. Tornata in cucina bevve il suo caffè della mattina, scorse i titoli del giornale e aspettò che Shawn e Chrissie, il figlio e la figlia adolescenti, scendessero. Preparò per loro alcune frittelle, poi corse di sopra a vestirsi per andare al lavoro. Quando uscì dalla doccia, Nancy sentì che Shawn era intento ai suoi so­ liti scherzi turbolenti, azzuffandosi con Chrissie, prima che l'autobus pas­ sasse a prenderli per portarli a scuola. I loro colpi e le loro grida le scuote­ vano 1 nerv1. " Hey! Voi, smettetela ! " Nancy diede loro una voce. Erano dei bravi bambini, ma non li sopportava quando facevano la lotta, anche quando le loro baruffe erano giocose. Tutto quel rumore e quel trambusto la faceva­ no diventare furiosa, la riempivano di apprensione legata a qualche ricor­ do incancellabile di pericolo di un lontano passato. Erano solo le otto di mattina e già la sua testa stava roteando come la lama di un frullatore. "Prendila con leggerezza" diceva tra sé e sé. " Sono ragazzi normali. La­ sciali fare. " I n ogni caso, non aveva il tempo d i litigare con i ragazzi quella mattina. Se non avesse tenuto il ritmo sarebbe arrivata in ritardo al lavoro e avreb­ be rovinato il suo record di fisioterapista più affidabile del servizio di ria­ bilitazione, sempre puntuale, mai mancata un giorno in quindici anni. I suoi pazienti - anziani fragili e vittime di traumi neurologici - dipendeva­ no da lei. Il pensiero di loro in fila in palestra che aspettavano di fare gli esercizi trasformava il frullatore dentro la sua testa nel treno di una linea ad alta velocità. Sentiva che quella vecchia familiare locomotiva con il 129

TRE STORIE I NTERIORI

vento alle spalle la incalzava ad andare, ciuff-ciuff-ciuff, a sbrigarsi a finire di vestirsi. Nancy scivolò rapidamente dentro un paio di pantaloni rossicci e una camicia fatta a mano color cioccolata e frugò nell'armadio per trovare una giacca che si abbinasse. Per mettere in risalto il completo afferrò il foulard . giusto dal cassetto del comò. Dopo tutto, aveva da difendere la reputazio­ ne di essere una che poteva anche mettersi un sacco di patate e farlo sem­ brare un Armani. Si precipitò in bagno per prendere il phon. Non c'era - non stava sullo scaffale sul quale lo teneva di solito, né nell'armadietto della toilette. Pote­ va averlo lasciato in camera da letto. Corse di nuovo in camera. No, non era sul comò. Poteva essere forse nel cassetto del comodino? No, non c'era neanche lì. Dove diavolo era? Diede un'occhiata all'orologio. Otto e tren­ ta. Non sarebbe mai arrivata in tempo dai suoi pazienti. Il rumore del tre­ no nella sua testa aumentava e diventava più insistente. Daz� sbrigati, andia­ mo, andiamo. Poteva aver ficcato il phon nell'armadio? Immergendosi di nuovo dentro all'armadio fece scivolare la sua mano sullo scaffale in cima. L'asciugacapelli cadde giù insieme con la sua agenda che da giorni non riusciva a trovare. Che cosa c'era di sbagliato in lei? Aveva sempre messo le cose nel posto sbagliato, ma ora non riusciva a trovare nulla di quello che metteva via. Non riusciva a ricordare neanche le ricette. Veniva da una fa­ miglia di cuochi di alto livello e poteva cucinare a occhi chiusi ma ultima­ mente aveva problemi a fare una torta al cioccolato di quelle confezionate. Non si era mai persa per andare dal suo medico. Era una strada che aveva percorso innumerevoli volte, e tuttavia, a volte, il mese scorso aveva di­ menticato quale uscita prendere ed era finita in posti strani chiedendosi: " Ma dove sono ? " . Diede un'occhiata alla sua agenda che stava aperta sul pavimento. Era piena zeppa di appuntamenti scribacchiati - il suo programma di lavoro, gli impegni sociali, roba di calcio per mamme, una lista della spesa con gli ingredienti per una torta di compleanno che voleva fare per Walter, ap­ puntamenti con gli ebanisti, i pavimentisti e gli elettricisti per finire la casa. Solo guardare il quaderno la faceva sentire confusa e nauseata. Lo prese e lo gettò nel cestino. Afferrò il phon e corse di nuovo in bagno. Stava davanti allo specchio ad asciugarsi i capelli, sentiva il calore sul cuoio capelluto, il ronzio dell'a­ sciugacapelli mescolato al rumore battente nella sua testa quando improv­ visamente si sentì investita da una densa ondata di fatica - una pesante on­ nicomprensiva stanchezza del mondo. Ogni millimetro di lei lamentava esaurimento fisico ed emotivo. Si sentiva troppo stanca per alzare un dito, troppo stanca per respirare, troppo stanca per andare avanti. L'asciugacapelli cadde dalla mano di Nancy mentre lei perdeva cono­ scenza e crollava sul pavimento. Si sentì fluttuare fuori dal corpo verso il ·

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l�Al�L i L LA 'UJMJliNAl,UAI

cielo e si guardò laggiù stesa sul pavimento del bagno. "Alzati, stupida e oziosa buona a nulla; alzati! " incalzava il suo corpo inerte con una voce cattiva, crudele, insolente che non era la sua, ma era una voce che conosce­ va molto bene. All'improvviso Nancy iniziò a piangere come una bambina, completa­ mente regredita, singhiozzando e ripetendo continuamente con un lamen­ to piagnucoloso e rotto dal pianto: "Sono una brava bambina, non sono cat­ tiva, sono una brava bambina, non sono cattiva". Shawn salì l� scale per salutare l a madre prima di andare a scuola. Entrò nel bagno, rimase senza fiato per lo shock e si inginocchiò per aiutarla. " Chrissie, mamma sta male! Chiama subito papà ! " gridò alla sorellina che stava già saltellando per le scale per salutare anche lei. Quando arrivò Walter, trovò Nancy rannicchiata sul pavimento del suo armadio, nascosta sotto una pila di vestiti. Seduta con le braccia contratte intorno al petto, che si abbracciava e si dondolava. Non dava segni di rico­ noscerlo e diceva soltanto: "Sono una brava bambina, non sono cattiva, sono una brava bambina, non sono cattiva" in continuazione, con una voce infan­ tile così commovente che egli non riusciva a credere che fosse sua moglie.

L'ULTIMA GOCCIA

Questa donna minuta, come una fatina, dal viso a cuore seduta nel mio studio è intelligente, elegante e simpaticamente disinvolta. Sembra di dieci anni più giovane rispetto ai suoi quarant'anni. Esteriormente è una perfet­ ta "professionista bianca di mezz'età" , come lei stessa descrive l'immagine che presenta al mondo. Sebbene chiaramente spaventata e preoccupata, sembra molto equilibrata per essere una che è stata portata al Pronto Soc­ corso dopo essere svenuta in bagno in uno stato di totale scompensazione due settimane prima. Era sul punto di essere ricoverata quando è interve­ nuto il destino. Lo psicologo che stava trattando N ancy per il disturbo da deficit di attenzione/iperattività che le fu diagnosticato nove anni prima chiamò uno psichiatra per ricoverarla. Lo psichiatra di recente aveva fatto uno dei miei workshop e sospettando che Nancy soffrisse di un disturbo dissociativo, me la inviò. " Così non posso lavorare" mi dice. " Non ho il controllo della mia men­ te. Le cose mi spaventano - ogni tipo di conflitto. Ogni volta che i miei figli o mio marito cominciano a litigare in casa, devo scappare. Se ho reso qual­ cuno triste o arrabbiato, mi trasformo in una bambinetta atterrita. La mia vo ce cambia, cambia il mio vocabolario, la mia gestualità. Piango come una bambina piccola che ha appena perduto il cane." Mi guarda disperata e prosegue: " Oppure quando mi sento in pericolo, divento una vipera cat­ tiva, maligna , che inveis ce, grida e sbraita e critica il marito e i figli. Mi sen13 1

TKE STOKIE I NTERIORI

to come se avessi un comportamento diverso per ogni diversa situazione. n giorno prima che mi disorganizzassi mio marito si è arrabbiato con me e mi . h a chiusa fuori per molto tempo, io mi sono infuriata e quasi gli ho strap­ pato via la faccia. È una cosa che accade in un attimo. Riesco a sentire il passaggio. So che sta avvenendo ma non riesco a controllarlo" . "Pensa che la molla sia stata la collera di suo marito ? " chiedo. " Sì. È come tutto quello che avevo sentito da bambina" dice. "Mio ma­ rito stava attraversando un periodo difficile e non era in grado di prendere decisioni e io lo percepivo come se non volesse farlo. Si arrabbiò molto quando gli dissi che stava scaricando tutte le responsabilità su di me. Disse che era tutta colpa mia, che non c'era niente che non andava per lui e che avrei dovuto controllarmi. Questo è stato molto doloroso per me. Non riu­ scivo a tenermi il dolore. Una persona in cui riponevo così tanta fiducia e in cui credevo con tutta me stessa mi stava dicendo di nuovo, per dirla in breve: 'Sei una merda'. Andai subito su tutte le furie. Per tutto l'anno scor­ so ho avuto questa lotta costante nella mia testa e questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. " " Che tipo di lotta? " " Sentivo una parte di me che diceva: 'Stupida idiota, ti lasceranno tutti se non assumerai il controllo di te stessa'; e allora rispondevo: 'Gliela farò vedere. Diventerò migliore. Nulla mi ha sconfitta prima d'ora'; e poi di nuovo: 'Chi vuoi prendere in giro? Sei una perdente. Non cambierà mai nulla'. Ho cercato di fischiettare per soffocare i pensieri fino a che le mie labbra non si sono spaccate e hanno iniziato a sanguinare. Poi ho tenuto la radio accesa per tutto il tempo per distrarmi. Ma i pensieri iniziavano ad aumentare e ho iniziato a dire a me stessa: perfavore qualcuno mi aiutz> sto affondando. E nessuno mi poteva sentire eccetto me, così diventavo soltan­ to più cattiva. " Le chiedo se ultimamente è stata sottoposta a qualche stress e mi rac­ conta che suo marito, un dirigente d'azienda alto e di bell'aspetto, profon­ damente innamorato di lei, aveva perso il suo lavoro sei mesi prima. " Sta­ vamo per trasferirei nella nostra nuova casa, questa casa dei sogni che sta­ vamo costruendo per la nostra famiglia e non avevamo altro modo di pa­ garla che usare tutti i nostri risparmi" dice Nancy. " Il livello d'insicurezza era molto alto. E poi uno degli impresari - lo avevamo pagato un mucchio di soldi - andò in bancarotta e scomparve. È stato un periodo molto stres­ sante, orrendo. " Quando le chiedo dei vuoti di memoria, durante la SCID-D , inizia a rac­ contare di un incidente accaduto quando aveva sedici anni. "Ero stata ap­ pena bocciata all'esame di guida e andai al lavoro dopo la scuola da Howard Johnson's. Allora accadde qualcosa, una di quelle cose in cui sa­ pevo cosa stavo facendo ma non sapevo cosa stavo facendo. " Si ferma e chiede: "Ha senso ? " . ·

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NANCY L LA "COMBINAGUAI"

Annuisco. Una descrizione perfetta di uno stato dissociativo. " Stavo la­ vorando al bancone del gelato" prosegue, " e vidi questa lucida Mustang rossa nell'area parcheggio con le chiavi dentro. Uscii fuori con il mio grem­ biule e il mio cappello bianco e presi la macchina. La presi. Rubai una macchina. " Si spinge in avanti e ripete empaticamente: " Rubai una mac­ china" come a dire: "Riesce a crederlo? " . " Guidai per un po' , e poi ricordo di averla posteggiata da qualche parte, forse di nuovo nel parcheggio, e di aver detto a m� stessa: 'Cosa diavolo stai facendo?'. Uscii e me ne andai a casa. " "Ha avuto altri episodi come questo?" "Un'altra volta" risponde Nancy, " fu quando ero al college in camerata, una camerata tutta femminile. Ci era permesso ricevere gli uomini fino al­ l' ora del coprifuoco. Un giorno le ragazze per il corridoio, che erano delle mie buone amiche, vennero a dirmi: 'Perché l'hai fatto la notte scorsa? '. Io dissi: 'Di cosa state parlando? ' . E mi raccontarono che avevo aperto la mia porta e mi ero tolta tutti i vestiti ed ero rimasta sulla porta mentre era pieno di uomini. Allora pensai che mi stessero prendendo in giro in maniera cru­ dele. Più tardi, ripensando a questa vicenda, mi resi conto che non aveva­ no motivi per essere crudeli. Ma io non ricordavo di averlo fatto. Non era da me. Della macchina non lo sapevo ma lo sapevo, ma di questo non ave­ vo alcun ricordo. " La mia idea è che la macchina sia stata rubata da Nancy in un episodio di depersonalizzazione senza perdita di consapevolezza, mentre probabil­ mente era stata una personalità alter a spogliarsi, seguita dall'amnesia di Nancy per l'episodio. "Può ricordare qualche altra volta in cui ha avuto dei vuoti di memoria? " chiedo. Mi risponde così: "Diversi anni fa mi svegliai alle due circa del mattino e sedetti impettita sul letto in un bagno di sudore freddo: 'Oh, mio Dio'. Avevo un ricordo talmente vivido dell'abuso sessuale del mio nonno pater­ no. Era incredibile. Viveva accanto a noi, alla porta a destra, quando ero piccola e pensavo che l'episodio si stesse ripetendo, che fosse reale. Potevo sentire non solo le sensazioni fisiche ma anche le emozioni - la paura, lo shock, la vergogna " . "Era l a prima volta che aveva u n flashback di quel tipo? " " Sì. Penso che i ricordi non riaffioravano prima perché il Ritalin che prendevo per il mio disturbo da deficit di attenzione/iperattività stordiva ogni cosa. Ne prendevo una dose molto pesante. La persona che mi segui­ va diceva: 'Non so come lei possa andare a scuola perché ha uno dei peg­ giori casi di disturbo da deficit dell'attenzione che io abbia mai visto'. Il cli­ nico iniziò a somministrarmi il Ritalin. Poi era il mio medico di famiglia a controllarlo e a gestirlo, fino a quando non funzionò più. " "Quando accadde? " " Circa un anno e mezzo fa. Ero molto nervosa al pensiero che qualcuno 133

TRE STORIE INTERIORI

potesse aprire la borsetta vicino a me e questo mi distraeva completamen­ te. Non riuscivo a lavorare e ad andare dal dentista lo stesso giorno. Era troppo confondente, così dimenticavo di andare dal dentista. Non ero in grado di tenere l'attenzione al lavoro. Alle riunioni dicevo sempre: 'Cosa ha detto? Scusi, mi è sfuggito'. Ero allarmata. Mi dissi che non potevo la­ sciare che questo avvenisse, così iniziai a cercarmi un terapeuta. È allora che ebbi il flashback. " " Il terapeuta le ha prescritto delle medicine? " " No. Pensava che non ne avessi bisogno. Voleva lavorarci sopra senza stordire tutto di nuovo" dice Nancy. "Andò bene, ma" si ferma e scuote la testa in maniera incerta. " Ovviamente, non ha smascherato tutta quest'al­ tra roba. " All'improvviso Nancy scoppia in lacrime. " Non voglio essere così" sin­ ghiozza. "A casa mi sento come un robot. Faccio solo lavori domestici. Ho dei momenti di tenerezza verso i miei figli, ma non appena varco la soglia della porta, tutti i sentimenti si fermano. Quando mi sento minacciata o mi comporto come una bambina e corro nell'armadio a nascondermi oppure mi trasformo in una cagna rabbiosa e dico cose che feriscono le persone. Quando andiamo a una festa, se non riesco a tenere insieme il tutto, allora me ne devo andare. Dico a Walter: 'Dobbiamo andare. Andiamo' quasi fino alla nausea. Quando sono a casa e c'è un litigio o una discussione in corso, sento che se restassi non mi resterebbe nulla del mio cervello, della mia men­ te, che li perderei. A volte semplicemente corro fuori di casa e vado a fare un giro e questo riesce a tenermi un po' calma, mi permette di non impazzire." Nancy mi guarda implorante. " Non pensa che sono pazza, vero ? " Strizza i suoi occhi chiusi e h a u n brivido, temendo i l peggio. "Per favo­ re non me lo dica. La prego. "

LA ZONA DI GUERRA

Una sedia della sala da pranzo schizzò per aria e atterrò come una bomba intelligente su un vaso di cristallo. Era la raffica d'apertura. La guerra not­ turna tra i suoi genitori era iniziata. " Smettila, ubriacone figlio di puttana ! " gridava sua madre. " Smettila ! " Un posacenere e un vassoio volarono in rapida successione e colpirono una lampada. "Dannazione, Barb, lo so che sono ubriaco ! " rispose gridando con voce roca il padre. " Lasciami da solo ! " I l suono nauseante dei vetri che s i rompevano, le grida, le imprecazioni e la furiosa perfidia nella voce della madre facevano aggrappare Nancy, ot­ to anni, al fratello più piccolo, Keith. Poi scappava di sopra a nascondersi nell'armadio più vicino. 134



NANCY L.: LA "COMBINAGUAI"

Dall'esterno la loro casa non sembrava diversa dalle altre sulla tranquil­ la strada alberata nella pittoresca e pacifica periferia in cui crebbe N ancy. Era una città dove il negozio di abbigliamento per signora si chiamava " Ye Olde Stoppe" e la farmacia " Apothecary". La casa di famiglia era una gran­ de casa in pietra e stucco con le imposte nere, due convenzionali colonne bianche all'ingresso e un letto di fiori sotto la finestra a sporto pieno di ce­ spugli di rose, ortensie rosa e grossi rododendri. Un frondoso acero allar­ gava i suoi rami protettivi sul prato all'inglese di fronte. Chi fosse passato di là a piedi avrebbe pensato che era una casa uscita da Pleasantville. Ma dentro era più come La guerra dei Roses. Notte dopo notte infuriava la bat­ taglia. Quella notte era peggio del solito. Accucciati insieme nell'armadio della camera, Nancy e Keith si tenevano stretti e aspettavano che finisse. Sape­ vano che non sarebbe finita fino a quando il padre non avesse rotto ogni singolo pezzo di arredamento della casa. Povero Keith, pensava Nancy, mentre cercava di consolarlo. Aveva solo tredici mesi meno di Nancy, ma piangeva così forte che pensava che la madre li avrebbe trovati e puniti. Non importava che non avessero fatto nulla di sbagliato. Anche Nancy era terrorizzata ma non osava piangere. Lei doveva stare all'erta e proteggere entrambi. Tutum ! Tutum ! Tutum ! Oh Dio, il padre stava salendo le scale. La sua voce era roboante come un tuono. Quella di sua madre stridula come una sirena. "Barb, ti ho detto di !asciarmi andare al diavolo da solo ! " "No, non lo farò, schifoso ubriacone figlio di puttana! " Altre cose che andavano in pezzi, grida e imprecazioni provenivano dal­ la stanza da letto dei genitori. Il rumore veniva dalle scale ed era sempre più vicino. Disperata, Nancy saltò via, mise in piedi suo fratello e corse con lui verso l'attico. Trovarono rifugio sotto un vecchio tavolo. Trak.' Suonò come un ramo che crepitava nel fuoco. Trak! Trak! Bum.' Nancy guardava fisso, terrificata, mentre una sedia si fracassava contro la porta dell'attico e suo padre entrava nella stanza brandendo la sedia come una spada. Si guardò dietro le spalle, vide la moglie che si avvicinava e ur­ lò furiosamente: "Per Dio, Barb, ti ho detto di !asciarmi da solo, diavolo cane l. " . Detto questo, non sapendo che Nancy e Keith stessero nascosti là sotto, suo padre sbatté la sedia contro il tavolo spaccandolo in due. A bocca aperta fissò i figli rannicchiati insieme come due orfani, naufra­ ghi in un mare turbolento. Fu per un attimo pieno di rimorso. " Mi dispia­ ce, mi dispiace" disse, chinandosi e raccogliendoli tra le braccia. Ma la madre era interessata solo al tavolo. Raccolse una scheggia di le­ gno dal pavimento e la brandì verso il marito rimproverandolo. "Bastardo ubriacone" disse a denti stretti. " Guarda cosa hai fatto. " 135

TRE STORIE INTERIORI

LA BAMBINA BOCCA LARGA

Nancy entra nello studio vestita in modo sportivo, ma la vistosa spilla da . bavero sulla sua giacca e il foulard al collo nella scollatura della sua camicia ' Oxford suggerisce la sua attitudine artistica. Dice che gli antidepressivi che le ho prescritto per ridurre le sue deprimenti ruminazioni l'hanno aiu ­ tata ma non hanno eliminato i pensieri completamente. "È come se dei vecchi nastri girassero ancora nella mia testa" mi dice. " Non riesco a fare la cena, non riesco a fare il bucato, non riesco a lavorare e non riesco ad avere un buon aspetto. Non riesco a portare a termine le cose. Devo essere una perdente. So da dove viene tutto questo. Da bambi­ na si veniva misurati in base a quello che si riusciva a fare - le faccende e i compiti. I sentimenti o le emozioni negative o ciò che non si confaceva ai bisogni di mia madre venivano minimizzati e invalidati e venivo punita per quelli. Mia madre era così autoritaria e narcisistica, è incredibile. È pro­ prio ridicolo." Lo scenario dipinto da Nancy della sua infanzia è come un racconto di Dickens di un trovatello ridotto in schiavitù. " Mio padre tornava a casa ubriaco tutte le sere e si comportava in maniera violenta terrorizzandoci" dice, " ma poi è rimasto sobrio per anni e ha cercato di fare ammenda. An­ che allora era gentile e affettuoso e non era cattivo neanche la metà di mia madre. Lei continuava soltanto a sbraitare e a farneticare fino a quando non lo faceva diventare furioso e ci tormentava tanto da farcela fare sotto a me e a mio fratello Keith, cogliendoci sempre in fallo e frustandoci. Notte e giorno, non si fermava mai. Era brutale. Sei anni dopo la nascita di Keith, sono arrivati i miei due fratelli più piccoli. Mia madre lavorava dalle tre alle cinque ogni giorno, dovevo sbrigarmi e far trovare tutto pronto per quan­ do tornava a casa. Non ero grande, dovevo avere otto o nove anni. E dove­ vo stare sempre con l'ansia: 'Sono le cinque e cinque, mio Dio, sta per arri­ vare ! ' E se non era tutto perfetto - se la cena non era fatta e la tavola non era preparata e i bambini non erano pronti per la cena, se avevo lasciato un cucchiaio nel lavello dopo aver cucinato la cena - non mi avrebbe parlato. E allora avrei dovuto cercare di fare del mio meglio perché mi parlasse di nuovo. Oppure mi avrebbe fatta restare in piedi nella sala da pranzo con Keith senza muovermi o parlare fino a che non fosse entrata e non ci avesse picchiati a sangue o lasciati da soli. Non sapevamo mai cosa aspettarci. L'attesa era orribile. " So quanto un'atmosfera caratterizzata da una simile violenza caotica abbinata con uno sfruttamento ingrato e una fredda e dura crudeltà possa essere dannosa per l'identità di un bambino estremamente bisognoso di protezione e approvazione. "Riesce a vedere qualche connessione tra l'a­ buso di allora e quello che avviene dentro di lei oggi ? " chiedo. " Sì, ho questa dannata furia, come un tornado dentro di me" dice

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NANCY L LA "COMBJNAGUAI"

Nancy, " un meccanismo automatico. Devo soltanto muovermi continua­ mente, preparandomi per una guerra. È come: 'Chiudete i boccaporti ! '. Mi sento molto tesa, molto minacciata e spaventata. Ecco perché devo vi­ vere in una casa con finestre così grandi tutt'intorno, così posso vedere mia madre che arriva con la macchina sul viale e pulire e farmi trovare pronta. Non sapevo mai bene quello che sarebbe successo. " Oltre a questa estenuante ipervigilanza, N ancy vede un'altra conse­ guenza del trattamento abusante di sua madre. Lo mette in relazione con una parte incontrollabile di sé che chiama la " Cattiva" . "La vedo come una d a bassifondi" dice aggiungendo rapidamente " con questo non intendo un'offesa di carattere economico, ma la vedo come un tipo da Harley-Davidson, dura, abrasiva, con i tatuaggi, della mia età circa. Viene fuori solo quando ci sono intorno altre persone e li attacca in maniera maligna. Sbraita contro Walter e i ragazzi, dopo di che mi dico: 'Mio Dio, cosa ho fatto? Come posso ferire i sentimenti della gente in quel modo?'. E allora mi trasformo in quella piccola bambina triste e disperata che piange sempre. Non so chi sono. Un minuto sono pietrificata da mia madre e il mi­ nuto successivo voglio ucciderla. E poi c'è una parte di me che dice: 'Walter è un perdente, te l'avevo detto che non potevi fidarti di lui' e un'altra parte che dice: ' Non è vero'. Questo mi confonde molto. La mia testa si sente co­ me una piscina olimpionica con migliaia di persone che ci nuotano dentro. È come una gara a staffetta nella mia testa. " " Se la parte bambina di lei potesse parlare" le chiedo, " cosa direbbe a proposito di come si sente? " " Non lo so, non lo so " dice Nancy. Confusa, scuote la testa e inizia a piangere. Allora succede. Di colpo, come per un gioco di prestigio, si tra­ sforma in una bambina di otto anni angosciata, la sua voce si irruvidisce nella stridula e sonora cantilena di una bambina che piange sonoramente con gli occhi spalancati - la personalità Bambina. Con la mimica e la ge­ stualità caricaturale della bambina piccola passa a uno stile di eloquio da scuola elementare, dicendo " ho tanta tanta paura" per dire " sono spaven­ tata" : "Ho tanta paura. Ho tanta paura. Il mio papà torna domani. Mi piace il mio papà, ma ho tanta tanta paura che il mio papà dica qualcosa alla mia mamma. Ogni volta che cerco di essere una brava bambina, la mia mamma mi dice che sono cattiva. Io cerco, mi sforzo di essere una brava bambina ma sono soltanto una bambina cattiva. Dico alla mia mamma qualcosa e lei non ci crede. Dice che sono una bugiarda " . "Perché lo fa? " Nancy s i stringe nelle spalle impotente: " Non lo so. Lei non è una signo­ ra buona. Ho tanta paura di lei. Le piacciono solo i miei/ratellini. Io non le p iaccio. Non so perché. Sono solo una bambina. Mi /a sentire molto triste" . " Mi sembra che sei una brava bambina. Dimmi, cosa ti piace fare ? "

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TRE STOIUE INTERIORI

"Mi piace colorare. Mi piace cuocere le cose al /orno. La mia nonnina ha fatto la pasta con me. Mi piacciono molto i bambini. Mi piace la casa ma non mi piace sistemarla. Non mi piace spostare le cose. A mia mamma piace farlo." Nancy si sporge in avanti e mette la sua mano a coppa intorno alla bocca in maniera confidenziale. "Sai cosa ha/atto la Moglie?" chiede la Bambina. "No. Cosa?" La Moglie, apprendo, è un'altra personalità all'interno di Nancy in aggiunta alla Mamma e alla Bambina. "Era qui un minuto /a e-fiuum.' - è andata via. Non voleva dirti niente, nossignore. È cosi spaventata e triste." Parlando di un'altra personalità, la Bambina prosegue: "La Sorella è morta. Ho cercato in tutti i modi di trovarla, ma lei se n'è andata. È la cosa che mi/a sentire peggio. La Sorella era una ragazzona. Molto carina. Era l'u­ nica che sapeva tutto. Tutto.' Non mi ha detto molto. Il suo cuore le faceva troppo male e si è rotto in mille pezzi e semplicementeè morta". "E la Moglie che è andata via, com'è?"

"È una signora molto bella. È quella che va al lavoro. Io le dico: 'Torna'. Ma lei non vuole tornare. E le voglio molto male, perché so che renderebbe molto felice anche Walter." "Forse sarebbe una buona cosa imparare come trovarla quando hai bi­ sogno di lei." "Oh sz: se devo continuare a venire quz; anche lei deve venire qualche vol­ ta, giusto? Io e la Mamma dobbiamo /are tutto il lavoro. Non è giusto. Stia­ mo diventando stufe. La Mamma è caduta per terra nel bagno, era cosi stan­ ca. Poverina." "Da quanto tempo stai dentro Nancy?" "Non lo so. Tu lo sai? Probabilmente da tanto tempo. So tutto di lei. È una brava ragazza. Non direbbe a nessuno come si sente veramente. Diventa terrorizzata quando arrivo io. Andavo a dirlo a tutti. Io posso dire a Walter quando non mi piace qualcosa. La Mamma cuce e cucina, non pensa mai di /are abbastanza. Non è come la Cattiva." "Lei non è dawero cattiva" dico della personalità alternativa di Nancy. "Io penso che sia terrorizzata." "Sz: ma non te lo dirà mai. Non chiederà mai aiuto. Diventa solo molto antipatica e respinge tutti quanti. Diventa cattiva con me, e sai cosa dice? Di­ ce: 'Tu sei una bambina bocca larga'." "Bocca larga?" "Vuole dire che sono una bambina piagnucolosa e lamentosa." "Ti diceva così tua madre?" "St� Mi chiamava bocca larga. Io non sono bocca larga. Non sono una bu­ giarda. Non sono una pettegola. Chiacchiero, ma non sono una pettegola cat­ tiva. Non dico cose brutte. Intendo" La Bambina cede a un nuovo scoppio di singhiozzi. "I tuoi ricordi sono gli stessi di Nancy?" 138

NANCY L LA "COMBINAGUAI"

" No! Non sono gli stessi. A me fanno più male. Faranno molto male alla Moglie. Faranno male alla Mamma. Il cuore della Mamma sarà addolorato per Chrissie e Shawn. " Nancy sembra imbarazzata mentre la Bambina chiede: "Sai cosa ha ap­ pena detto la Cattiva? 'Non mi piacz� dottoressa. Non ti voglio, dottoressa. ' Ho detto alla Cattiva di schiacciare un pisolino. Non voglio che parli alla Cat­ tiva. È troppo dzfficile. È una tipa molto forte. Sono molto stanca di dirle tut­ to il tempo: 'Basta.' Non essere cattiva '. Perché quando lei è cattiva, allora tutti si arrabbiano anche con me e questo non mi piace" . " Forse se fossi in grado di aiutare la Cattiva a sentirsi meno spaventata e ad esprimersi in modo diverso, allora sarebbe meno faticoso per te. " " Ci proverò. Più tardz� non ora. Sono troppo stanca adesso" la Bambina emette un sospiro. "È stato dzfficile per me far /are un pisolino alla Cattiva. La Cattiva mi ha sfinito. Posso andare?" Nancy siede silenziosa, tira un respiro profondo e si asciuga le lacrime e il viso con un fazzolettino. Sembra stordita. " Oh, Dio" dice silenziosamen­ te con voce normale. " Questo non lo capisco. Non so dirti quanto mi senta devastata. " Il suo oscuro segreto è stato svelato. La facciata costruita con tanta atten­ zione nel corso degli anni si è finalmente sgretolata sotto la pressione del dolore cementato all'interno, tirando fuori per la prima volta le diverse par­ ti di lei che stavano nascoste al suo interno come una congrega di rumorosi e rissosi occupanti abusivi. La Bambina al comando ha espresso in maniera candida e con semplicità primitiva sentimenti di cui Nancy non ha mai par­ lato prima. La tristezza e il profondo dolore per l'incesto di suo nonno e il rifiuto di sua madre per lei perché bugiarda sono incarnate dalla Bambina. La sua rabbia e la paura di ulteriori abusi sono portati dalla Cattiva. E il lut­ to per qualcosa in lei che è morto - la fiducia incondizionata forse? - è sim­ bolizzato dalla metafora della morte della Sorella per il cuore spezzato. Era possibile che la sorella, quella che sapeva tutto ma che non avrebbe parlato, potesse avere altri ricordi dell'abuso sessuale che sembrano essere spariti a fin di bene? Torneranno mai? È troppo presto per dirlo. La SCID-D completata dimostra che Nancy ha livelli gravi dei quattro sintomi dissociativi - amnesia, depersonalizzazione, confusione dell'iden­ tità e alterazione dell'identità - rendendo la diagnosi di DDI una certezza. Particolarmente eloquenti sono i continui dialoghi interattivi che Nancy ha quando si depersonalizza e quelli che le personalità, ciascuna delle quali è distinta con il proprio nome, età, sentimenti e ricordi, hanno l'una con l'altra. Il sopraggiungere del disturbo dissociativo di Nancy, ipotizzato sulla base della SCID-D, si è verificato quando era in seconda o terza elementare. Quello è stato il momento del primo episodio di depersonalizzazione che Nancy ha ricordato durante il colloquio. Era un giorno caldo, ricordava, e 139

TRE STORIE INTERIORI

lei stava in piedi nuda sull'uscio di casa sua, completamente esposta ai pas- ' santi e riusciva a vedersi mentre lo faceva. Quando comunico a Nancy la mia diagnosi, dice quasi stordita: "Ho sa­ puto quello che stava succedendo dopo che \Yalter mi ha trovata nell'ar- : madio. Semplicemente non potevo crederci. E come quelle persone che vedono il telegiornale dopo inondazioni o incendi. Sanno che la loro casa non c'è più, ma non vogliono crederci, perché è così duro lavorare per ri­ costruire la propria vita. Ma quando un esperto te lo dice, non puoi più na­ sconderlo" . " Stare meglio è possibile" la rassicuro, consapevole del terrore e della disperazione che prova. " Non deve continuare a soffrire così tanto. " Le spiego perché è così importante porre fine all'isolamento delle diverse par­ ti, che vivono tutte nella stessa casa ma divise l'una contro l'altra. "La Bam­ bina porta il fardello immane di dover parlare molto dei suoi sentimenti. Cerchi di ascoltare i sentimenti della Bambina e inizi a esprimerne alcuni, così che la Bambina non debba più soffrire da sola e prendere completa­ mente il controllo. Sarebbe anche utile riuscire a trovare come calmare la Cattiva perché la Cattiva sta ancora vivendo le paure che lei aveva quando era una bambina piccola. Al momento attuale sa soltanto come tirare fuori i suoi sentimenti con una rabbia incontrollabile, a volte verso persone con le quali non è neanche arrabbiata. " " Qual è il prossimo passo? " chiede Nancy. "Dove si va a partire da qm' ;:>. " " Vorrei che pensasse ai sentimenti che provano queste parti di lei - la Cattiva, la Mamma, la Moglie, la Bambina - e scrivesse quello che può fare per consolarsi quando prova quei sentimenti. Come può consolare la Bam­ bina quando si sente triste e profondamente ferita da qualcosa che qualcu­ no ha detto o fatto? Come può calmare la rabbia della Cattiva quando si sente minacciata e redirezionare i suoi sentimenti di rabbia in attività co­ struttive? Cerchi di appuntarlo." "Quando scrivo qualche pagina di diario " obietta Nancy, " divento così arrabbiata che è veramente controproducente. " "Allora aspetti finché non si sente pronta a farlo" la incoraggio. "Avrà bisogno di una lista delle diverse cose positive che può usare per consolare i sentimenti della Bambina e della Cattiva, così che quando vogliono uscire fuori, possono essere sotto controllo. Può buttare giù la lista e contattare la Mamma perché l'aiuti a fare quello che c'è bisogno di fare per calmare quella parte. Faccia sapere alle sue diverse parti che lei rispetta i sentimenti di cui sono portatrici. Queste parti che sono dentro di lei le sono state vici­ ne per aiutarla in momenti molto difficili e ora possono aiutarla a guarire. " "Devo stare meglio" dice Nancy disperata. " Sono paralizzata dal fatto che sto logorando tutta la mia famiglia. Sono stati così buoni con me, non posso tollerarlo. " 140

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"Una volta che le diverse parti di lei si sentiranno accettate e apprezza­ potranno iniziare a lavorare insieme" le assicuro, "e quelle esplosioni di te, rabbia non si verificheranno più così spesso." Nancy fissa sconfortata il pavimento. " Mi sento molto sola; questo è tutto quello che so " mormora alla fine. " Ma ci proverò. " UN

PIACERE COLPEVOLE

La coperta fatta a mano che ritrae un tramonto splendido con fasce bril­ lanti di arancio, rosso, violaceo, blu e verde che si dissolvono l'una nell'al­ tra contro uno sfondo blu marino sembra fatta da una professionista. "La sto facendo per Walter: è un regalo" mi dice Nancy quando entra alla seduta successiva mentre apre la coperta per mostrarmela. " Mia non­ na - la madre di mia madre - faceva sempre delle coperte per me. Aveva anche un ristorante ed era una cuoca meravigliosa. Mi lasciava cucinare con lei a casa e quando fu sul punto di morire di cancro venne a casa mia e mi insegnò tutto così che avrei ricordato come fare quando lei se ne fosse andata." Nancy lancia un'occhiata critica al suo lavoro. " Non penso che sia un buon lavoro, no? " chiede. "Nancy, è bellissimo ! Ha molto talento" le dico, davvero impressionata dalla sua maestria. Come molte persone con un disturbo dissociativo, Nancy è una persona creativa che trova nel lavoro artistico uno sfogo per quell'espressione di sé che era spietatamente soffocata nell'infanzia. Mi chiedo quale percorso avrebbe scelto per la sua vita se il suo talento artisti­ co fosse stato supportato prima. Si siede e tira fuori dalla sua borsetta un blocchetto di post-it giallo. " Questa è la lista che mi ha chiesto di fare" dice. "Parte di me pensa che sia stupido fare questo; parte di me pensa che devo farlo; e parte di me pensa che non lo farò. " Ride in maniera difensiva. "Spero sia questo quello che intendeva. " " Mi faccia sentire. " Non mi sorprende che occuparsi di sua madre è il punto numero uno della lista. La madre stava sciando a Montreal quando Nancy è crollata a terra un mese fa e, con sollievo di Nancy, non era ancora andata a trovarla. "La cosa più importante da fare per me è non lasciare che mia madre mi ferisca ancora " inizia. "L'incesto è soltanto una fetta molto piccola della torta. La cosa peggiore che ha fatto è stata quella di chiamarmi bugiarda e invalidare i miei sentimenti e punirmi per essi. Mi chiama ancora bugiarda e le fa molto piacere sminuirmi. Mi ha messo contro i miei due fratelli più piccoli e io li amo così tanto. Non posso lasciare che mia madre mi ferisca più di quanto non abbia già fatto. Se mio padre non può capire questo, al­ lora dovrò trame delle conclusioni. " 14 1

TRE STORIE INTERIORI

Scorre la lista e prosegue: " Devo imparare a smetterla di forzarmi quan­ do non completo quello che intendevo fare o non lo faccio in modo perfet to. E devo mettere a conoscenza Walter dei meccanismi che mi rendono • veramente ansiosa, come quando mi fa esplodere, e vedere se può aiutarmi a fare insieme un piano per evitare quelle situazioni" . Mi guarda e chiede preoccupata: " Va bene quello che sto facendo? " . " Sì, va bene. L a prego, continui. " " Devo essere in grado di dire no quando non posso fare qualcosa per Walter o i bambini e questo è veramente difficile perché temo che si arrab- • bieranno con me e non mi ameranno più e se ne andranno. Questa paura fa emergere in me la cattiveria. E quando mi sento cattiva, devo fare degli : elogi a quella parte di me e farle sapere che non è davvero perfida, che va ' bene. Fare dei lavori nel cortile o pulizie pesanti calma quella parte." . Nancy continua: " Quando la parte infantile esce fuori, ho bisogno di eu- ' eire, cucinare e dipingere. Questo la fa sentire meglio. Amavo fare queste cose da bambina ma non mi era permesso fare disordine in casa. Dovevo andare fuori a giocare invece. Traggo tanto piacere da quelle cose ora, per- ' ché non le ho mai fatte. Così quando mi sento infantile" conclude, guardan­ domi con uno sguardo colpevole, "mi permetto di divertirmi un po'. " "La bambina che c'è dentro d i lei s a che è libera d i divertirsi quanto vuole ora ? " le chiedo. " Riesce a divertirsi anche senza comportarsi come una bambina?" Sbalordendomi per la rapidità della trasformazione, Nancy cambia per­ sonalità e diventa di nuovo la Bambina, una bambina spaventata e agitata. "Ciao.'" grida con la sua voce strana di bambina di otto anni. "La Mamma vuole andarsene e io devo gridare perché lei mi senta" spiega. "Devo tratte­ nere la Mamma. Lei dice che sta venendo qui soltanto perché Walter vuole che lei lo faccia, che questo è sciocco e che non sta migliorando per niente. " Timorosa di verbalizzare i suoi dubbi sulla terapia e la sua resistenza a sentirsi in diritto di provare gioia nella vita, Nancy ha lasciato che la Bam­ bina di nuovo parlasse per conto suo. Aspetto che lei ritorni in sé e chiedo: "Perché pensa che la parte bambi­ na di lei, la parte che si sente triste, debba gridare per essere sentita? " . " Perché quando ero triste d a bambina non potevo dirlo a nessuno" dice Nancy, aggiungendo rapidamente: " Non potevo dirlo. Non ricordo per­ ché. So soltanto che non si poteva dire. E non importava a nessuno. Quin­ di non so come dirlo" . " Questo è qualcosa che può aiutare questa parte di lei a imparare come fare" rispondo. "Può farle sapere che ora è al sicuro, che può dirlo e sarà ascoltata. Non deve gridare per farsi sentire. " Faccio a Nancy questo e­ sempio: " Supponga che lei abbia adottato una bambina di otto anni che ha avuto un forte stress prima di venire da lei, che sta singhiozzando e pian­ gendo e che non le dice cosa c'è che non va. Cosa farebbe?" . 142

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NANCY L LA "COMBINAGUAI"

" La prenderei su e la terrei tra le braccia, la dondolerei e le canterei qualcosa. Le direi che nella nostra casa i bambini sono la cosa più impor­ tante dopo il matrimonio. E che ascolterò qualsiasi cosa abbia da dirmi. " " Cosa le direbbe se la respingesse e iniziasse di nuovo a piangere? " " Non lo so. " Nancy diventa turbata e ripete: " Non lo so. Non lo so" . Tra le lacrime dice: "Posso dirle quello che faccio con i miei fìgli. Quando i miei fìgli piangono li stringo tra le braccia, faccio loro sapere che sono me­ ravigliosi e chiedo loro di dirmi di cosa hanno bisogno e che sono lì per lo­ ro. Che per loro ci siamo sempre. E che non c'è nessun problema troppo grande che non si possa risolvere insieme" . "È stata molto consolatoria con i suoi fìgli" , le faccio notare. "Pensa di riuscire a esserlo altrettanto con se stessa? " "No, non ci riesco. No" singhiozza. " Come p osso fare se non riesco neanche a capire se sono degna di consolazione? E come far fìnta. " " Forse il primo passo è riconoscere çhe non merita questo. Perché una parte di lei non si sente degna di essere consolata? Qual è la logica? " " Non c'è una logica, lo so" ammette Nancy. " È solo che ho sempre cre­ duto di non aver soddisfatto le aspettative di nessuno. È stato impresso dentro di me nel corso di tanti anni. È così radicato che sembra naturale co­ me il fatto che il lunedì venga di lunedì. È come un curriculum vitae: Nancy L . , deficiente e priva di valore. Parole non belle, ci sono sempre state." "Ma mi sembra che disponga di tante energie positive. Ha appena dimo­ strato di essere capace di dare ai suoi fìgli cose che forse non ha ricevuto. " Nancy fa una confessione penosa: " Quando ero incinta ho pregato non ha idea quanto che Dio mi desse una femmina. Ma quando ebbi Chrissie dopo Shawn, ero terrorizzata. E dal momento della nascita dei miei fìgli fì­ no ad ora l'obiettivo che ho continuato ad avere è che quel modello non si ripeta: che non passino quello che ho passato io. Sapranno cos'è l'amore, quali sono le possibilità di scelta e che sono meravigliosi" . " Deve fare a s e stessa l o stesso regalo d i non ripetere quel modello. " " Su un piano oggettivo lo faccio. Ma quando traduco una situazione so­ no le mie emozioni a dettare le regole. Non credo al fatto che non sono cat­ tiva; penso di esserlo; sono orgogliosa in qualche misura dei miei risultati, ma quelli non sono io; sono le cose che ho fatto. " " Ma quelle sono le cose che fa in ragione di chi è." Nancy si stringe nelle spalle con rassegnazione. " Sono così insicura ora che devo avere la prova fìsica che non sono cattiva come penso di essere" rivela. "Walter è così dolce. Mi ha detto: 'Guardiamo i video che abbiamo fatto ai bambini nel corso degli anni e vedrai alcune delle cose meravigliose che hai fatto' . Sono al punto che è impossibile per me avere spontanea­ mente dei pensieri positivi su me stessa o sentirmi autorizzata a fare cose divertenti o consolatorie. " Nel profondo quello che sta davvero impedendo a Nancy di impegnarsi 143

TRE STORIE INTERIORI

in un lavoro così cruciale per la sua guarigione è la paura di fallire: " Non voglio sempre cercare di fare qualcosa e trovarmi di nuovo respinta tutte le volte" dice. " Non so come consolarmi. Non so nemmeno come iniziare. " Nancy scuote l a testa, turbata d a questa ammissione e chiede: " Non è tri­ ste avere la mia età e non sapere come farlo ? " .

LA PARTITA DI HOCKEY

Il parcheggio dell'arena di hockey sul ghiaccio della Valley View High School era piena di macchine quella sera. Genitori e figli infagottati, incap­ pucciati in giacche da sci, sciarpe pesanti e guanti per evitare il freddo pungente dell'aria, stavano fluendo dal parcheggio verso l'arena. La gran­ de partita tra la squadra del Valley View e il Saint Matthew, il suo principa­ le rivale, aveva fatto il tutto esauritp. Nancy spinse la sua Jeep Grand Cherokee dentro al parcheggio e guidò lentamente su e giù per le file di macchine e di suv che cercavano posto . "Sbrigatz; sbrigatz; sbrigati" la rimproverava la Cattiva. "Sei sempre in ritar­ do. Perché non riesci ad arrivare in tempo da nessuna parte?" " Oh , chiudi il becco" borbottò a se stessa quando alla fine trovò un posto dietro ad altre macchine parcheggiate sull'erba che delimitava il par­ cheggio. Scese dal furgone nell'aria fredda della notte e iniziò a camminare a grandi passi verso l'arena, formando con il respiro piccole nuvole bian­ che di vapore mentre si affrettava. Sapeva quanto fosse importante per lei essere lì per Shawn - il figlio di sedici anni era una delle star della squadra; Walter era impegnato con il suo nuovo lavoro e non riusciva a venire e Chrissie, la figlia, era a casa con il raffreddore. Questa sera aveva lei la re- . sponsabilità del tifo. Mentre si avvicinava all'arena sentì un boato della folla e suppose che la , partita fosse già iniziata. La Cattiva iniziò di nuovo a dire: "Dannazione, sbrigatz; sbrigatz; muoviti, muoviti, muoviti" . Ma allora un'altra voce la fermò di colpo gridando: "Non entrare! Perfa­ vore non farlo! Per favore!". Era la Bambina che stava gridando da dentro. 1 Nancy entrò nell'arena e iniziò a camminare verso il suo posto, ma di ! nuovo la voce della Bambina la tratteneva: "No! Non puoi stare qui! Devi 1 andartene! " . Era troppo angosciante per ignorarla. Di colpo, Nancy girò ' sui tacchi e corse fuori dall'edificio più velocemente che poté. ..

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AMORE FRATERNO

" Quando ha lasciato l'arena" chiedo a Nancy durante la seduta successiva, " cosa provava? " 144

NANCY L LA "COMBINAGUAI"

"Ho infilato la porta in preda al panico e me ne sono dovuta andare" ri­ sponde Nancy. "Sono tornata di corsa alla mia Jeep e mi sono seduta lì, tre­ mando e troppo sconvolta per guidare, finché non mi è passato. E poi di col­ po ho capito. Mi sono ritrovata a pensare ai miei due fratelli più piccoli. Ho insegnato a tutt'e due a pattinare sul ghiaccio ed erano degli eccellenti gioca­ tori di hockey all'età di Shawn. Mio figlio somiglia a Rory, il mio fratello più giovane. Andare alla partita mi ha richiamato alla mente l'orribile muro che mia madre ha messo tra i miei fratelli e me. Ha detto loro che non avrebbero dovuto avere niente a che fare con me perché avrei combinato solo guai. L'assecondano in tutto, perché in quel modo è più facile, e non li vedo più." "Ha parlato con loro di questo?" "No, non ne parlerebbero con me" dice con aria sconsolata. "Forse potrebbe scrivere una lettera ai suoi fratelli, in cui dice loro co­ me si sente." "Dovrei" conviene Nancy. "Allontanarmi dai miei fratelli è stata una delle cose più crudeli che mi ha fatto mia madre. Li ho allevati io i miei fra­ telli più piccoli. Erano più figli miei che suoi. E naturalmente si prende tut­ to il merito. Penso che la ragione per cui sono abbastanza sani è che li ho cresciuti io e non lei. Lei ha allevato me e Keith e siamo entrambi molto in­ guaiati. Ricordo che pensavo: 'Nessuno farà mai del male a questi due bambini' al punto che ho dormito nella culla di Rory con lui fino a che non è cresciuto. Volevo proteggerlo." "I suoi fratelli sanno che ha un Dm?"

"No, ma il mio stato emotivo ha interferito terribilmente sul mio rappor­ to con loro" replica Nancy. "Due anni fa circa ero in Arizona con mia ma­ dre e i miei figli e c'erano anche i miei fratelli. È successo un incidente -non riesco neanche a ricordare cosa fosse- e la cattiveria in me irruppe e durò a lungo. Rory era sgomento. Nel mezzo della notte misi i bambini in macchina e tornai a New York, il che è estremamente irrazionale. Non ave­ vo scelta. Dovevo partire. Dovevo andarmene di lì perché temevo che la Cattiva sarebbe venuta fuori di nuovo e avrebbe detto cose imperdonabili." "Come ha reagito la sua famiglia a quella sua partenza in quel modo?" "Rory mi ha scritto tre settimane dopo e diceva: 'Tu sei un'altra perso­ na. Non sei mia sorella"' risponde Nancy. "E io ero così infuriata. È un col­ po che non ho mai incassato, perché da allora mia madre ha colto l'occa­ sione di questa frattura per trasformarla in una massiccia triangolazione tra i miei fratelli e me. Ed è come se mi dicessero: 'Vedi, sei veramente fuo­ ri di testa'." Nancy inizia a piangere amaramente. La rabbia bruciante repressa du­ rante un'infanzia di silenziose sofferenze finalmente ha tracimato. La sua furia per l'abuso emotivo che le infliggeva la madre forse ferendola più profondamente persino dell'incesto trova le parole. "La odio!" grida Nancy. "La odio! Vorrei ucciderla!" l4S

TRt: STORIE INTERIORI

Dico a Nancy che riuscire a esprimere i suoi sentimenti nel contesto del­ la terapia è un passo importante verso l'integrazione dei suoi sé separati. " Non avrà bisogno della Cattiva per esprimere la rabbia al posto suo, in maniera inappropriata e neanche di !asciarla venire fuori contro suo mari­ to o i figli" le spiego, "quando rientrerà in contatto con la sua rabbia impa­ rerà come diminuirne il potere. " " Anche mio fratello Keith odia mia madre" mi dice, "ma si è spinto troppo oltre per poterei fare qualcosa. " "Quello più vicino a lei come età? " "Sì. È in un ospedale psichiatrico. È stato fuori uso per anni" rivela N ancy come se con riluttanza si togliesse le bende che coprono una ferita ancora aperta. " Keith era nella squadra olimpica di atletica ed era un atleta meraviglioso e uno studente di successo. Ero molto orgogliosa di lui ! Venne a casa un N atale ed ebbe questa grande crisi psicotica e non è più guarito. Due settimane fa si è buttato da un ponte. Non aveva mai cercato di uccidersi prima. " Empatizzo con Nancy per questa commovente tragedia familiare e chie­ do: "Eravate vicini lei e suo fratello? " . "Molto vicini; ci siamo presi cura l'uno dell'altra" risponde Nancy. "L'ho chiamato la scorsa settimana e non l'ho mai sentito così depresso. Sento che ho bisogno di andare a trovarlo, tanto per me che per lui. Essen­ zialmente sta seduto in camera sua e si tiene la testa. Era all'ultimo anno del college quando ha avuto il suo primo crollo e non ha mai lavorato. Non avrei mai voluto perdere i contatti con lui. Voglio solo abbracciarlo e fargli sapere quanto bene gli vogliamo. " " Gli h a mai parlato di sé? " "No, non so se sarebbe in grado di sopportarlo" risponde Nancy. "Per grossa parte della mia vita non ho avuto ricordi dell'abuso sessuale. Non penso che lo sappia. Non penso che lui sia stato abusato da mio nonno, ma · mia madre è stata tanto orrenda con lui quanto con me. Il suo livello di funzionamento è semplicemente troppo basso per parlare delle esperienze che abbiamo vissuto insieme, ma c'è una vaga percezione di esse. " N ancy inizia a piangere al pensiero di quanto è sprofondato in basso lo splendido fratello di un tempo. "Non lo meritava" dice con la voce com­ mossa. " Io penso di essere l'unica che lo capisce. " Sorride attraverso le la­ crime mentre ricorda l'ultima volta con Keith quando sono stati a casa sua. "Una notte stavamo seduti insieme nella stanzetta e guardando le sue dita , disse scherzando: 'Pensi che escano davvero dei serpenti dalle mie mani o è perché sono pazzo?'. Ridemmo insieme come due bambini. " Nancy s i asciuga l e lacrime con il dorso della mano. "La cosa triste in tut­ to questo è che Keith era l'unico con cui potevo condividere questo incu­ bo" dice, "perché gli altri fratelli sono troppo giovani rispetto a me. Ero una madre per loro e hanno avuto un'infanzia diversa. Keith è l 'unico che sa. " ·

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NANCY L.: LA "COMBINAGUAI"

In maniera quasi implorante, Nancy chiede: " Va bene se vado a trovar­ lo? Voglio soltanto sedermi vicino a lui e stringer!o fra le braccia" . " Sì" rispondo, sapendo quanto avrebbe significato per lei stare con suo fratello in questo momento terribile delle loro vite.

LA VISITA

Il sabato Nancy si svegliò colma di buone intenzioni. Era una giornata per­ fetta per fare visita a Keith. Tirò le tende della camera da letto e guardò fuori la luce splendente del sole che si diffondeva attraverso lo strato cri­ stallino di ghiaccio sugli alberi e sull'erba, residuo della rugiada della mat­ tina. Presto sarebbe scomparso tutto. Le previsioni del tempo davano " una giornata con temperature fuori dalla media stagionale a più di qua­ ranta gradi" . Walter era andato a fare jogging e non appena fosse tornato avrebbero messo dei vestiti in una valigia ventiquattrore e si sarebbero messi in viaggio per percorrere le centocinquanta miglia che li separavano dall'ospedale nel nord del Massachusetts. I bambini avevano i loro pro­ grammi per la giornata e, in ogni caso, non pensava che sarebbe stata una buona idea per loro vedere Keith in quelle condizioni. I suoi genitori non era previsto che tornassero ancora dall'Arizona, e quindi non avrebbe do­ vuto imbattersi in sua madre all'ospedale. Sedeva al tavolo della cucina bevendo il suo caffè della mattina quando Shawn irruppe nella stanza e cominciò a frugare nei mobili. Era già vestito e cercava qualcosa da mangiare velocemente per colazione prima di corre­ re dai suoi amici. "Mamma, non abbiamo i cornflakes? " chiese Shawn. Era una domanda innocente, ma a Nancy suonò come: "Cristo, perché non ti occupi mai delle cose di questa casa ! " . La irritò come un'accusa, un gettare calunnie sulla sua perizia. Perché la sua famiglia non apprezzava quello che lei faceva per loro? Perché cercare di essere carina quando a nessuno importava? Immediatamente la Cattiva entrò in azione. "Fanculo Shawn!" gridò. "Perché sei così incapace? Trova qua/cos'altro se non hai i tuoi dannati corn­ flakes. Non sono la tua fottuta schiava!" Nancy lanciò la sua tazza e la guardò andare in pezzi contro l'armadio sopra la testa di Shawn. " Hey, smettila ! " le urlò per tutta risposta, colto di sorpresa. " Tutto quello che ti ho chiesto è: 'Dove sono i cornflakes?'." Ecco, l'ho fatto, pensò. Uscirà dalla porta e non lo rivedrò mai più. Sentì l'ansia crescere dentro di sé come una febbre, il cuore prese a batter­ le forte nel petto. La Bambina era spaventata e non sapeva cosa fare e la Mamma voleva soltanto fuggire da lì e andare in qualche posto dove non la conoscesse nessuno.

TRI: STORTE INTERIORI

Nancy non poteva aspettare che Walter tornasse a casa; doveva andar­ sene in quel momento. Filò al piano di sopra, si mise al volo un paio di jeans e un maglione, corse giù per le scale all'armadio dell'ingresso, afferrò una giacca da sci e volò fuori di casa come un colpo di vento. Stava guidando lungo la Route 14 di White Plains nella Jeep Grand Cherokee quando all'improvviso notò un segnale che diceva che si sta­ va avvicinando al Foster Center. Come poteva essere? Non era in strada da più di venti minuti e il Foster Center era a Rhode Island, a cento miglia da casa sua. Guardò l'orologio sul cruscotto e fu scioccata nel leggere 12 e 55. Il suo orologio diceva la stessa cosa. Questo significava che aveva gui­ dato per almeno due ore e la maggior parte di quel tempo era una pagina bianca ! Per la prima volta da quando era andata via a tutta velocità da casa sua, Nancy diventò consapevole dell'ambiente che la circondava. Era una cam­ pagna pittoresca di campi, fattorie e frutteti allineati con i muretti di pietre a secco che descrivevano delle curve e le stalle ricoperte con assicelle che sembravano vecchie di secoli, intervallate da pochi ranch moderni fuori luogo e da case a piani sfalsati. Lo stesso Foster Center era una sorta di car­ tolina americana. Sistemato tra fatate foreste di conifere, la città era com­ posta da maestosi edifici che risalivano al XVIII secolo e da una scuola com­ posta da un locale unico e un campanile che era stato convertito in biblio­ teca comunale. Nancy era stanca e iniziava a sentirsi affamata, ma la Mamma non vole­ va fermarsi. Stava tormentando Nancy per andare a Cepachet, una vecchia città di diligenze famosa per il suo antiquariato. La Mamma amava l'anti­ quariato e sperava di poter trovare lì qualcosa per la casa. Poiché erano soltanto dodici miglia circa in più, Nancy ci diede dentro e si diresse verso nord attraverso la campagna di meleti di Rhode Island verso Cepachet. Lungo la strada Nancy individuò dei segnali che pubblicizzavano diver­ se varietà di mele, torte di mele e sidro. La Mamma stava morendo dalla voglia di raccogliere qualche gigante mela mutsu giapponese chiamata cri­ spin da portare a casa e immergerla nel caramello e nel cioccolato per i bambini. Voleva prepararle per sgridarli duramente quando fosse venuta fuori la Cattiva, ma tutti i negozi delle fattorie erano chiusi e non avrebbe­ ro aperto che tra qualche mese a inizio stagione. Guidando all'interno di Cepachet, Nancy sentiva di essere entrata in una città color seppia nel Montana o nel Wyoming ai tempi degli indiani e dei cow-boy. Affamata si spinse al Brown and Hopkins Country Stare e comperò un pezzo di formaggio stagionato e qualche cracker per resistere fino all'ora di cena. La fermata successiva era a Stone Mill Antiques, un vecchio mulino in pietra che ora vantava un cartello rosso, bianco e blu che imitava la bandiera di fronte e un cavallo bianco a grandezza naturale del XIX secolo ricavato da tronchi d'albero, vicino all'entrata. 148

NANCY L.: LA "COMBINAGUAI"

Curiosando tra i pezzi d'arredamento ammassati dei tempi che furono, Nancy individuò un tavolo Shaker che aveva qualcosa di familiare. Sentì il suo corpo irrigidirsi, un brivido le salì su per la schiena. Era proprio come il tavolo dell'attico dove lei e Keith si nascondevano quando erano molto piccoli e che il padre facendo irruzione nella stanza spaccò a metà con una sedia durante una delle sue sfuriate da ubriaco. " Non ti preoccupare, non dargli retta, devi essere adulta" disse a se stessa mentre sentiva il terrore e l'impotenza infantile di una bambina di otto anni abusata e messa nell'angolo che iniziava a sopraffarla. Ma la Bambina non voleva ascoltare. " Non posso stare qui/" gridò. Uscendo in fretta dal locale, Nancy salì nella Jeep e si allontanò in mac­ china nel panico. Venti minuti dopo si ritrovò ad entrare nel cortile di un motel a Providence. Non aveva idea di come si trovasse lì, ma sapeva che avrebbe dovuto fare il check-in, chiamare Walter e dirgli di venire lì. Aveva paura a fare il resto del viaggio verso l'ospedale del Massachusetts da sola. Mentre aspettava Walter, poteva stendersi un po' e riposare e, dopo aver fatto visita a Keith, potevano tornare lì a passare la notte. Ricomporsi e parlare al bancone come una donna ragionevole e matura costò a Nancy tutte le ultime energie rimaste. Ebbe una camera doppia e disse all'impiegato, quando le chiese se aveva dei bagagli, che suo marito avrebbe portato la sua valigia ventiquattrore quando fosse arrivato nel po­ meriggio inoltrato. " Nancy, stai bene? " chiese Walter in ansia dopo aver risposto al telefo­ no al primo squillo e aver sentito il suo pronto. " Sto bene. Sono a . . . " Guardò l'indirizzo su una scatola di fiammiferi e glielo diede. "Mi dispiace di non essere riuscita ad aspettarti, ma mi sono arrabbiata con Shawn e . . . " La vergogna la sopraffece e si dissolse nella Bambina che confessò in lacrime: "Sono una bambina cattiva e la Mamma mi ha anche /atto diventare matta, perché voleva trovare qualcosa di carino per la casa in un grande posto pieno di tavoli e sedie. Le ho detto che quel po­ sto mi terrorizzava e così se n'è andata. Mamma è una ragazza simpatica. Ti ha chiamato per /arti venire a stare con me e ad abbracciarmi e a portarmi il mio pigiamino per quando vado a letto" . Walter le disse che avrebbe fatto una borsa per lei e sarebbe arrivato prima possibile. Sollevata, Nancy si sdraiò sul letto e dormì fino a quando non fu svegliata dal suono del telefono. Era l'impiegato al bancone che le annunciava che il marito era arrivato e Nancy disse di mandarglielo. Non appena vide Walter, Nancy gli gettò le braccia al collo e lo abbrac­ ciò come se fossero stati lontani dei mesi. La Cattiva non si fidava di lui, ma Nancy sapeva nel profondo della sua anima che Walter non l'avrebbe mai delusa. Quando entrarono nel parcheggio dell'ospedale psichiatrico in cui Keith era ricoverato, Nancy fece un profondo respiro per darsi forza. Frugò con 14

TRE STORIE INTERIORI

la mano nella sua borsa per assicurarsi di non essersi dimenticata il librici­ no di preghiere che aveva portato come regalo per Keith e lo toccò affin­ ché le portasse fortuna. Dentro, l'edificio a mattoncini aveva l'aspetto di un ospedale qualsiasi tranne per la sinistra porta chiusa a chiave che portava all'ala di Keith. Un'infermiera lasciò entrare Nancy e Walter. Passarono in un salotto in cui un uomo in jeans e camicia scozzese stava fissando con sguardo vuoto una partita di calcio alla TV e alcuni visitatori stavano parlando con una giovane donna le cui braccia erano coperte di una serie di rabbiose cicatrici di tagli autoinflitti. Trovarono Keith con un aspetto più depresso che mai. Il suo corpo mu­ scoloso sembrava si fosse ristretto e la barba scura sul viso emaciato gli da­ va un aspetto trascurato. Riuscì ad accennare solo un debole sorriso quan­ do Nancy lo baciò e abbracciò per salutarlo e gli diede il suo regalo. "Hai un aspetto magnifico" mentì. Stava per sedersi sulla sedia vicino a Keith quando sentì un suono che la fece raggelare, come qualcuno che camminando per i boschi sente il sibilo di un serpente a sonagli. Era la vo­ ce di sua madre fuori dalla porta. "Oddio" pensò Nancy, "che crudele scherzo del destino." O i suoi genitori avevano accorciato le vacanze in Arizona o Nancy si era sbagliata sulla data del loro ritorno. Non importa­ va. Per nessuna ragione avrebbe permesso di essere presa in trappola nella

mPn trP.· stessa stanza con quella donna, per nessuna ragione al mondo, non mentre

era così fragile. Nancy si girò improwisamente e gridò a suo padre che stava per entrare •• nella stanza con la madre: "Tienila fuori di qui! Tienila fuori! Tienila FUORI!". Suo padre la guardò scioccato, ma prese gentilmente sua moglie per un braccio e disse: "Su Barb, aspettiamo qui fuori per un minuto". Nancy notò che aveva spaventato a morte Keith. Avrebbe voluto tassi­ curarlo, ma sapeva che doveva sparire immediatamente prima di trasfor­ marsi nella Bambina. "Mi dispiace Keith. Devo andare" disse piegandosi per salutarlo con un bacio. La respinse, terrorizzato, così gli tirò un bacio e lasciò rapidamente la stanza. Con Walter al suo fianco, sfiorò passando i suoi genitori e si al­ lontanò a grandi passi verso l'uscita senza voltarsi indietro.

L'OSSERVATRICE

"Stavamo andando via dall'ospedale con la macchina e Walter ha detto: 'Dio ha fatto questo affinché tua madre e tuo padre vedessero in faccia l'ef­ fetto che tutta questa faccenda ha avuto su di te negli anni e che non stai raccontando balle'" racconta Nancy nel mio studio alla seduta successiva. "Quando siamo arrivati a casa abbiamo fatto una riunione familiare. Ab150

NANCY L.: LA " COMBINAGUAI"

biamo concordato dei segnali che Walter e i bambini useranno per farmi capire che non mi odiano e non mi lasceranno quando succede qualcosa che mi fa sentire minacciata o non apprezzata. Sono stati meravigliosi in questo, ma la Cattiva esce ancora due o tre volte al giorno. È Shawn a pro­ vocarla più di tutti. Quando fa il cafone, mi terrorizza come mio padre. " Come molte vittime di abuso, Nancy deve imparare come desensibiliz­ zare il suo sistema di risposta al trauma iperattivo affinché non scatti subito attivando sempre la massima protezione di fronte a minacce che sono in realtà innocue. Il suo sistema di protezione al trauma è fermo permanente­ mente sullo stato di " allerta" e verrà disattivato soltanto quando sarà in grado di avere accesso ai ricordi e ai sentimenti dissociati del passato e di mettersi in contatto con essi come una persona adulta che non è più una vittima impotente. Come è tipico dei pazienti con DDI che si depersonalizzano, Nancy ha un sé osservante ipervigile che si aspetta sempre il peggio e deve costante­ mente prepararsi a esso. "C'è una parte di me, l'Osservatrice, che sta sem­ pre in guardia verso i problemi" dice. "Pensa ogni minuto che stia per arri­ vare mia madre. L'Osservatrice ascolta la Cattiva - stanno sempre insieme - ma non dice nulla. È troppo terrorizzata. " " Deve aiutarla a imparare che nessuno la odierà o le farà del male o romperà qualcosa o le tirerà qualcosa se la cena non è pronta o la casa non è perfetta" le dico. " Lei non sa che la casa dove vive ora non è quella in cui lei è cresciuta. È necessario che la Mamma lo spieghi alla Cattiva e all'Os­ servatrice e lo dica anche alla Bambina. La Bambina deve sapere che non è più in pericolo quando è tra gli adulti. Non deve più abbassarsi a essere abusata o scappare via, perché sono passati trentacinque anni e può avere una vita sua indipendente. Ricordi a tutte loro che anno è. Penso che ab­ biano bisogno di essere orientate rispetto a tempo e spazio. " Nancy sembra perplessa. " La cosa che mi confonde è che non temo di essere ferita fisicamente dalle persone a cui tengo profondamente, ma di essere danneggiata emotivamente" dice. " Non è un problema di sicu­ rezza. Ecco perché non ho mai potuto capire la cosa di nascondersi nell' ar­ madio. " " Una parte molto importante di questa fase del trattamento è iniziare a capire quando qualcosa nel presente la fa balzare nel passato e le provoca sentimenti del passato nel presente, che si traducono in comportamenti" le spiego. " Se riuscisse a identificare quando questo accade, la comunicazio­ ne e la cooperazione tra queste diverse parti di lei la metterebbero in con­ dizione di sapere che ora è al sicuro. Essere in grado di distinguere tra il passato, terrificante, e il presente, dove è al sicuro, è cruciale in questo frangente. " " Riesco a riconoscere le molle" dice Nancy, "ma le mie reazioni sono così automatiche che non riesco a fermarle. " 15 1

TKE STOKIE INTERIORI

"La consolazione è ciò che le ferma" le dico. "Se cerca di zittire le diver­ se parti di lei o di sviarle, questo le farà soltanto arrabbiare di più o le spa­ venterà o le manderà fuori controllo. L'idea è quella di essere supportiva con loro e fare in modo che queste diverse parti di lei inizino a condividere dei ricordi e dei sentimenti e infine a funzionare insieme. La Bambina può imparare dalla Cattiva che può arrabbiarsi e non essere solo terrorizzata e triste e che non deve nascondersi più nell'armadio. E la Cattiva può impa­ rare dalla Bambina ad avere sentimenti di tristezza e anche sentimenti pia­ cevoli così da non dover portare soltanto lei la rabbia e la cattiveria. E la Mamma può imparare dalla Bambina che ha bisogno di esprimere se stessa onestamente e non deve farlo fare alla Cattiva o alla Bambina. " Nancy fa con il capo un cenno di assenso. " Ho finito con tutto questo piangere" singhiozza. Sembra impaziente e determinata allo stesso tempo e dice: "Voglio andare avanti con la mia vita" .

USCIRE ALLO SCOPERTO

Dopo diversi mesi di terapia Nancy racconta con orgoglio di essere stata in grado di passare una settimana intera senza che la Cattiva uscisse fuori neanche una volta. "Shawn si è lamentato con me perché non vado alle sue partite di hockey" racconta, "e invece di trasformarmi in una cagna rabbio­ sa, mi sono resa conto che non mi stava odiando e che non stava per abban­ donarmi. Ho detto soltanto: 'Mi dispiace, non posso farlo, Shawn, ma pos­ siamo stare insieme in altre occasioni e posso dimostrarti quanto ti voglio bene in altri modi'. Sono più determinata a far finire questa cattiveria che c'è dentro di me. Non ho mai sentito prima di volerlo con così tanta forza. " "Riesce a consolarsi attivamente ora ? " "Ancora sento che non valgo nulla s e non sono sempre produttiva" re­ plica Nancy, "perciò intendo il consolarmi come fare quello che mi piace. La Cattiva ama dipingere, così ho dipinto una tempesta. Alla Mamma pia- .. ce disegnare e alla Bambina quando faccio i dolci al miele che mi ha inse­ gnato a fare mia nonna. Per la prima volta ho iniziato a credere che non faccio nulla di sbagliato e che non devo vergognarmi di come mi sento o mi ' comporto. " Sono entusiasta degli insight di Nancy sui suoi sintomi come cicatrici del suo abuso. Ora lei comprende che i suoi sintomi prima attribuiti al di­ sturbo da deficit di attenzioneliperattività - la sua difficoltà a stare seduta ad aspettare, la sua distraibilità, i problemi a sostenere l'attenzione, le sue dimenticanze - hanno un nucleo dissociativo. Si sente più calma e più piena di speranza nel futuro ora che sta impa­ rando come accettare e nutrire le diverse parti di sé che stanno al di sotto dei suoi sintomi. Si rende conto che ha cercato di anestetizzare le sue di152

NANCY L.: LA "COMBINAGUAI"

verse parti con farmaci come il Ritalin, che la faceva sentire meglio solo a breve, ma ha ritardato il momento della sua guarigione impedendole di avere a che fare con la causa profonda dei suoi sintomi. Nancy mi dice che finalmente è riuscita a scrivere una lettera "cortese" ai suoi due fratelli più piccoli e inizia a leggerla: Una mattina dello scorso gennaio, sembrava che avessi finito le pile, non so­ no riuscita a mantenere la maschera dietro la quale mi ero nascosta per mol­ ti anni. Semplicemente mi sono sciolta, e stavo lì stesa sul pavimento del ba­ gno, comportandomi come una bambina terrorizzata. Ho perso la cognizio­ ne del tempo e Walter mi ha trovata nascosta nell'armadio sotto i miei vesti­ ti, che parlavo in modo infantile e non capivo le parole dei grandi. Credo di essere ancora in parte una bambina terrorizzata. Sono finita al Pronto Soc­ corso del Westchester Community Hospital e in un battibaleno sono torna­ ta a essere una posata professionista di mezz'età ingannando tutti tanto ra­ pidamente da riuscire a tornare a casa. Sulla via di casa mi sono trasformata in un'arpia cattiva, perfida, che im­ precava, gridava e criticava Walter, Shawn e la povera Chrissie. Era abba­ stanza surreale ed ero terrorizzata dal fatto che Walter e i bambini potessero pensare che stavano vivendo con un mostro o, peggio, che stessi fingendo e mi chiamassero bugiarda. Sono stata chiamata bugiarda tutta la vita. Sto scrivendo questa lettera per me stessa, perché se voglio tornare a es­ sere di nuovo sana e felice devo essere onesta su di me, sui miei sentimenti e sulle cose che mi sono successe. Non intendo entrare in dettagli con voi sul­ l'incesto, né ho mai inteso farlo. È una cosa privata, dolorosa e molto triste. Ma mi sono confrontata con la verità e non voglio più sentirmi o sentirmi dire che sono una combinaguai e una bugiarda. Ora devo soltanto imparare a credere che non lo sono. Ho quello che viene chiamato un disturbo dissociativo dell'identità. Sa­ pevo cosa non è andato anni fa, ma mi vergognavo di raccontare l'accaduto. In qualche misura conservavo la debole speranza di essere una bugiarda perché a quel tempo era più facile essere chiamata bugiarda che fare emer­ gere tutti questi orribili ricordi. Adesso forse avrete capito il senso dell'episodio· accaduto in Arizona. Dovevo uscire da quell'appartamento perché se fossi rimasta in quella si­ tuazione avrei cambiato personalità e allora tutti voi avreste saputo il segre­ to che vi ho nascosto per così tanto tempo. Sono dolorosamente consapevole del duro lavoro che ho davanti e temo che questo potrebbe consumare Walter e i bambini. Sono molto arrabbiata, perché non ho fatto niente per causare tutto questo e tuttavia devo occupar­ mi delle sue conseguenze e di tutte le perdite dolorosissime e viscerali che mi ha procurato, fra le quali la vicinanza che avevamo. Quella era una delle mie fonti di gioia autentica. Due mesi fa pensavo di aver perso tutto, anche la mia mente. Ma ora le cose stanno migliorando. Sto ottenendo un po' di controllo e non mollerò questa volta. Non avrò più la stessa visione della vita e del mondo, ma alme­ no so che non c'è bisogno che io odi me stessa. Cercherò con tutte le mie forze di provare ancora gioia e speranza.

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TRE STORIE INTERIORI

NONNINA

Nancy amava stare a casa di Nonnina, anche in una giornata calda e attac­ caticcia come quella. Non voleva giocare fuori e diventare tutta sudata e assetata quando poteva stare con Nonnina in cucina, a fare la pasta per il pane e ad aiutarla a fare le torte alle mele selvatiche per il suo grande night- , club e ristorante che aveva al piano di sotto. Il night-club di Nonnina era famoso. Le persone venivano lì da tutte le parti, persino le star del cinema che erano in città di passaggio verso qualche altra destinazione. Nancy an- ' dava nella sala e si nascondeva dietro le tende sul palco e guardava Dizzy Gillespie e Buddy Rich suonare. A volte Nonnina lasciava che Nancy si se­ desse sotto il piano ad ascoltare la musica mentre gli adulti ballavano. A ca­ sa sua madre teneva il piano nello scantinato e diceva a Nancy: " Vai nel se­ minterrato se vuoi esercitarti" . Non era molto carino. Nonnina non era affatto come sua mamma. Non te la faceva mai fare franca, ma era sempre corretta. Non c'era persona conosciuta da Nancy che non pensasse molto bene di sua nonna. Il punto era che non si dava mai del­ le arie. A Nonnina non dava fastidio che Nancy fosse un po' grassottella. Anche se aveva delle buone maniere, non sempre le usava. Indossava delle lunghe calze come Katharine Hepburn nei film. Nonnina era molto ricca e poteva togliersi qualsiasi soddisfazione, ma dava via molte più cose di quan­ te ne teneva. Non le importava degli oggetti; le importava delle persone. Questo Nancy non lo poteva neanche immaginare. Sua madre doveva sempre avere avuto molte cose, anche da bambina. Nancy vide una sua fo­ to quando aveva otto o nove anni con un delizioso vestitino da pattinaggio che Nonnina le aveva comperato. Aveva una piccolo volant di visone bian­ co attorno alla gonna. E il matrimonio di sua madre, oddio ! Quella fu la cosa più grandiosa che vide la città. A sua madre non mancava niente. Che cosa le era accaduto dunque nel corso del tempo? Sua mamma non era carina con le persone come lo era Nonnina. Il gior­ no del Ringraziamento, quando Nancy era in seconda elementare, c'era un tavolo al ristorante preparato per almeno cinquanta persone. Era così di­ vertente preparare. Nancy era seduta al tavolo e sentì un cattivo odore. Guardò la signora che le stava vicino, scese dal tavolo, corse da sua nonna e le bisbigliò nell'orecchio: " Nonna, la donna laggiù puzza" . E Nonnina disse: "Ringrazia che non puzzi tu ! Quella persona non sapeva dove passa­ re il giorno del Ringraziamento". Nancy seppe più tardi che Nonnina ave­ va incontrato la signora in chiesa e che, sembrandole molto triste quella mattina del giorno del Ringraziamento, la portò a casa con sé. Quello era il suo modo di essere, ma pensare di dover avere a tavola qualcuno che in ­ dossava dei vecchi vestiti maleodoranti e che non sapeva dove altro andare faceva diventare matta sua madre. " Oh, shh, shh ! " disse. Nancy pensava che Nonnina avesse ragione. Che problema c'era se la persona era carina? 154

NANCY L LA "COMBINAGUAI"

Nonnina aveva dieci tra fratelli e sorelle e le volevano tutti un gran be­ ne. Sposò un uomo che beveva troppo ed era una spina nel fianco. Sbraita­ va con le persone e bestemmiava tutto il tempo. Il nonno di Nancy era ami­ co del gangster Legs Diamond, trafugava whiskey dal Canada sotto carichi di legname - whiskey di contrabbando. I soldi se li faceva così. Non mette­ va mai le mani addosso a nessuno ma una volta diede un calcio a sua nonna di fronte a lei. Nancy si avventò contro di lui e gli diede un calcio sul ginoc­ chio. Con una padella in mano disse: " Se dai ancora un calcio a mia nonna, te la darò in testa ! " . Non le diede più calci di fronte a N ancy. Nancy non aveva mai paura di suo nonno. Beveva troppo e aveva la bocca cattiva ma non era terribile come suo padre. Non era un bevitore del tipo "rompo tutto quello che c'è in casa". E pensava che Nancy fosse la mi­ gliore bambina del mondo. Nancy poteva mozzare la testa a qualcuno con una mannaia, avrebbe detto: " Ci deve essere una ragione". Sua nonna era uguale. La cucina di Nonnina aveva una ventola grande e grossa, più grande e più alta di Nancy. Aveva delle lame grigie spesse che giravano, giravano, gi­ ravano e facevano un vento che li teneva freschi. I dolcetti al miele che ave­ vano fatto con la ricetta segreta di Nonnina stavano già cuocendo in forno. L'odore dolce, burroso, della cannella era così buono da indurre Nancy a chiudere gli occhi e tirare su con il naso quando lo inspirava. Ora Nonnina stava cucinando le cipolle tritate al forno e versando i tuorli d'uovo dal frullatore in una grande terrina piena di polpa di granchio per le torte. Chiamò dietro di sé: " Nancy, mi porteresti il vaso di maionese, tesoro ? " . " Certo, Nonnina. " L e piaceva quando Nonnina l a chiamava con nomi come " tesoro" e " cara" e " dolcezza" e non "bocca larga" e " bugiarda" co­ me la chiamava la mamma a casa. Nancy si avviò portando il vaso di maionese verso Nonnina quando perse l'equilibrio. Cercò per quanto poté di salvare il vaso, ma le cadde dalle mani e colpì il tavolo. La maionese volò in aria e andò diritta sulla ventola. Splat! Splat! Splat! La maionese finì ovunque. "Oh, discola di una bambina, sei una discola" la rimproverò Nonnina. Ma Nancy non era una discola. Non l'aveva fatto di proposito. Si morse le labbra per non piangere. Nonnina si asciugò le mani sul suo grembiule e prese un pezzo di gelato dal freezer e lo tagliò con un grande coltello. Tac! Nancy era spaventata. Non aveva mai visto un coltello così grande. "Ora vai a mangiare un po' di gelato" disse Nonnina. " Non sei una disco­ la. La maionese era troppo pesante per te. " E abbracciò Nancy. Nancy corse a mangiare il gelato, sapendo che Nonnina l'amava ancora anche se aveva fatto qualcosa di sbagliato. Sapeva anche che quando suo padre dava di matto, l'amava molto lo stesso. Ma con sua madre era diver­ so. A sua mamma non piaceva. Non le era mai piaciuta. Perché? 155

TRE STORIE INTERIORI

Doveva essere successo qualcosa per cui a sua madre non piaceva la fi­ glia. Nancy non l'aveva mai capito. Come si abbinava sua mamma con una nonna che era amata da chiunque la conoscesse, che era stimata dall'intera città, che era buona e gentile con Nancy e l'amava con tutto il suo cuore? Era una specie di rompicapo.

DA NON NINA

Arriviamo al punto in cui Nancy parla di tornare al lavoro. La sua capacità di consolare le diverse parti di sé quando si sente minacciata è migliorata molto e la Cattiva difficilmente si manifesta. "Ho trovato un piccolo caffè dove mi piacerebbe lavorare part time" mi dice Nancy. " Potrei fare i dolcetti al miele o qualche altro dolcetto che mi ha insegnato a fare mia nonna. Mi darebbe un'occasione per uscire di casa. Non si può stare in casa seduti tutto il giorno quando non l'hai mai fatto. Che ne pensa? " "Penso che sia un'ottima cosa per lei fare delle cose che le piacciono e da cui ricava piacere" le dico in maniera entusiasta, " se sta attenta a non stress arsi troppo. " "Oh, non come un rullo compressore; non lo rifarò mai più" mi assicu­ ra N ancy. "E non voglio tornare a fare la fisioterapista; semplicemente non è per me" dice esprimendo un ritrovato senso della sua identità personale e del suo diritto a esprimerla nella scelta lavorativa. " La terapia mi ha resti­ tuito la vita. Ogni giorno continuo a chiedermi: 'Di cosa ho bisogno per darmi piacere e gioia? ' . " I l ritorno di Nancy al lavoro nel campo che h a scelto è come una di quel­ le storie di rapida scalata al successo che si leggono sulle riviste imprendito­ riali. In breve tempo i dolcetti al miele e altri prodotti da forno che portava­ no il suo nome raddoppiarono gli affari del suo datore di lavoro e iniziò a pensare di mettersi in proprio. Decise di aprire un piccolo caffè alla moda dove poter servire e vendere la pasticceria che sua nonna le aveva insegnato a preparare, decorata con i suoi disegni artistici. Sempre piena di risorse, trovò gratuitamente lo spazio in un palazzo vuoto fatiscente in cambio del restauro. Nancy lo dipinse e lo decorò da sola e trasformò la malridotta ve­ trina in un caldo e invitante ristorantino. Lo chiamò Da Nonnina. Dopo soltanto un anno di affari Nancy, felice, racconta che Da Nonnina si sta trasformando in un affare e che sta traslocando in un posto che è il doppio del primo. È di nuovo iniziato il restauro con una data di apertura anticipata a maggio, tra un mese. " Non fare caso al mio aspetto" si scusa Nancy, mostrando i suoi jeans schizzati di vernice quando entra per l'appuntamento. " Vengo diretta­ mente dal locale e non ho avuto il tempo di cambiarmi. " 156

NANCY L.: LA "COMBINAGUAI"

"Va benissimo" la rassicuro. " Come sta andando? " " Magnificamente! " dice N ancy eccitata. " Gli inviti per l'apertura sono arrivati oggi. Devo raccontarle questo: mentre li stavo disegnando conti­ nuavo a provare diversi stili di stampa scrivendoli prima a mano; la terza volta che ho scritto 'Domenica, 9 maggio' l'ho guardato e, all'improvviso, mi sono resa conto che quello è il giorno del compleanno di mia nonna ! Ho chiamato Walter per dirglielo e lui mi ha detto: 'Vedi? Tua nonna è lì con te, che ti accompagna e ti aiuta' . "

L A PAURA DEL BUIO

Nancy è molto preoccupata. Sembra che le sue paure di logorare la sua fa­ miglia stiano prendendo il sopravvento. Shawn stanco di " camminare sulle uova" con lei, è andato a vivere in un appartamento con due amici. E Wal­ ter è depresso. Sebbene sia contento dei suoi successi, si sente trascurato e fa delle battute cattive sul fatto che cucina per tutti tranne che per lui e che non riceve più gli amici a casa. Nancy pensa che a Walter quasi piacereb­ be che lei tornasse a essere di nuovo una vittima ora che la Mamma è più forte. " È chiuso e sta seduto a lungo da solo al buio quando torna a casa dal lavoro" dice Nancy. " Non ho intenzione di andare con lui in nessun posto dove le persone bevono molto, così lui se ne va un paio di sere a settimana con i suoi amici e torna a casa tardi con l'alito che sa di birra. Odio quell'o­ dore ! " " Forse ci sono altre cose divertenti che potete fare insieme che non comportano il bere. Ne ha mai suggerite? " "A lui piacerebbe andare al cinema, ma a me no" dice Nancy con forza. " Non posso andare a vedere i film. È troppo buio lì. Non posso vedere se arriva qualcuno. " La nota di panico nella sua voce mi coglie di sorpresa. " Quando è con Walter vicino, si rende conto che è al sicuro ? " Nancy si agita sulla sedia e sente l a sua fronte. " Il mio viso è bollente" mormora. Sembra agitata. " Il mio viso è bollente. È rosso il mio viso? " Prende un bicchiere d'acqua e lo ingoia di colpo. " Cosa sente?" chiedo. " Non lo so. Il mio viso è bollente" ripete. Si fa piccola e sembra terro­ rizzata. " Nancy, perché è spaventata? Chi si sente spaventata al cinema? " "Io" dice la Bambina, che viene fuori mentre Nancy è presa nella morsa di una paura incontrollabile. " Non mi piace stare al buio. Ora te lo racconto subito. Nossignore. " " Che cosa temi che possa succedere?" 157

TRE STORIE INTERIORI

"Qualcuno potrebbe sorprendermi nel buio. Non posso vedere se arrivano nel buio. Vengono da dietro. " "Qualcuno ti ha mai sorpreso al cinema prima d'ora? " "Penso di no, ma nel buio . . . " La voce della Bambina si affievolisce. Poi dice: "Ecco perché non si può dormire con la schiena verso la porta. Non puoi farlo . E si deve dormire in cima al letto. E non si deve dormire senza una co­ perta rimboccata sotto il materasso" . Nancy si sente ancora la fronte. "Non mi piace quando il mio viso diventa bollente. " " Che relazione ha questo con il fatto che il tuo viso diventa bollente? " "C'è una cosa brutta di cui mi sono ricordata questa settimana, qualcosa che non avevo mai ricordato prima d'ora, e ho passato un momento molto, molto brutto ma non l'ho detto a nessuno, e penso potrebbe essere qualcosa di quello che non va. " "Vuoi parlarne? " "Non voglio parlarne, ma penso che dovrei. " "Puoi parlarne poco o tanto, quanto vuoi e puoi fermarti in qualsiasi momento. Così puoi renderti conto che parlare dei tuoi ricordi non è lo stesso che viverli. " " Questo lo so" dice l a Bambina, con l a voce di una precoce alunna di . scuola elementare. " Una volta che ne parlo e lo dico a voce alta, allora non dovrò pasticciarlo nella mia testa . " Inizia a dirmi quello che è successo. " I:altra notte sono andata a letto . . prima di Walter e stavo nel letto e all'improvviso stavo andando carponj(in fondo al letto. Di solito mi nascondo in fondo al letto. Dormo sul lato d((l let­ to più vicino alla porta con il viso rivolto alla porta così che posso vedere sem­ pre se arriva qualcuno. Ma quella notte mi ero messa nell'altro modo. Non so perché. . . non lo faccio mai. . . e mi sono spaventata e il mio cuore ha iniziato a battere /orte tum, tum, tum perché sapevo che non avrei potuto vedere chi arrivava. Sapevo che stava emergendo nella mia testa qualcosa di cattivo e non mi piaceva. Di solito dico: 'Vai indietro.' ' e non l'ho detto. Non so per­ ché. E sono stata molto triste a lungo. E mi sono ricordata di quando ero . . . " La Bambina esita. " Non so se dovrei. . . " Si ferma, probabilmente per ac­ cordarsi con un'altra personalità o per farsi forza. " Okay, mi sono ricordata di quando eravamo nella nostra vecchia casa " va avanti, "e avevamo dei co­ priletto rosa ed ero piccola. Ero in pigiama ed ero all'asilo o in prima o secon­ da elementare. Mio padre era un alcolista - ti ho raccontato di questo, credo, /arse no . . . e . . . e" è ovvio quanto sia difficile dirlo per lei, "molte volte saliva in camera mia e voleva /are delle cose brutte. E non lo ricordavo fino all'altro giorno, e questo è stato molto dzfficile per il mio cuore da ricordare. " " Quali cose voleva fare? " " Cose non molto belle. Mi sono girata dall'altra parte subito. " " E poi cosa è successo? " "Ho ricordato quelle cose che sono successe e quello era troppo per la mia 158

NANCY L LA "COMBINAGUAI"

testa. Le ho rimesse in quel cassetto della mia testa e l'ho chiuso perché era troppo per me tutto in una volta. " " E sei riuscita a dormire?" "Sz'. Mi sono detta che sapevo che ero nella casa che ci siamo costruiti da soli e che Walter era al piano di sotto a guardare la TV e che nessuno poteva entrare in casa a /armi del male ora. Quello che è successo appartiene a molto tempo fa. Ti stavo quasi per chiamare per quanto ero terrorizzata. Ma era tar­ di. Non ti ho mai chiamato di notte prima d'ora. La Cattiva diceva: 'Faresti meglio a chiamare la dottoressa. Faresti meglio a chiamare la dottoressa'. " "Quindi la Cattiva stava cercando di rendersi utile? " "Penso di sì. È venuta fuori per proteggermi. E poi la Mamma ha detto: 'Se non mi sentirò meglio e non riuscirò a calmarmi da sola allora chiamerò la dottoressa. Non voglio saltare a conclusioni affrettate'. La Mamma era preoccupata. Non era sicura che saremmo riuscite a prenderei cura di noi stes­ se, ma non voleva mollare. Ha continuato soltanto a dirmi che nessuno pote­ va farmi del male e mi ha /atto andare via subito. Non era cattiva o incalzante o autoritaria su questo. Ha detto soltanto: 'Sto arrivando, cosi non devi preoc­ cuparti di essere da sola'. " "È una buona cosa che ti abbia protetto in questo modo" le dico. " Ora sai che puoi ricorrere a lei la prossima volta che ti senti preoccupata per chiedere conforto al tuo interno. Più esperienze fai di questo tipo, più di­ venterà automatico come una seconda natura. " "Mi ha talmente spaventato che il giorno successivo ho dimenticato tut­ to . . . Non ricordavo neanche di aver ricordato" dice la Bambina, descriven­ do quanto può essere spaventosa l'amnesia. "Non era mai successo prima. Mi ha terrorizzata quanto mi è tornato in mente oggi perché anche se non ri­ cordavo che era accaduto, in realtà lo ricordavo. " "E cosa ti fa pensare che lo ricordavi anche se non lo ricordavi? " L a Bambina spiega il ricordo traumatico cancellato in questo modo semplice ma toccante: "È un po' come andare a Disney World quando sei molto piccola e poi non ci torni per vent'anni. Non ricordavi di esserci andata da piccolissima, ma in qualche modo lo sai" . "Sentivi che c'era qualcosa di familiare. Era familiare anche il sentimen­ to della tristezza? " "La parte triste stava ricordando che mio padre aveva/atto quella cosa" ri­ sponde la Bambina. "Sentivo che qualcun altro mi aveva reso sporca e poi mi aveva mentito per molto tempo. Quella è la parte cattiva. Non tanto quello che è successo. Ma la bugia." Il viso di Nancy si contrae e inizia a piangere. "Nessuno può farci niente e li perdonerò ma non ditemi bugie" singhiozza. " Tutti mi hanno mentito. Ecco la cosa che più di tutte le altre era sbagliata. " Nella quiete della stanza interrotta solo dai rumori del traffìco e dalle occasionali sirene dell'ambulanza che provenivano dall'esterno, Nancy lentamente torna in se stessa. Le dico di quanto sono orgogliosa del fatto 159

TRt: STORIE JNTF.RIORI

che è stata in grado di confortarsi da sola in maniera così efficace quando il ricordo dell'incesto di suo padre è ritornato dopo così tanti anni. "È ritornata anche la Sorella" mi dice. " Non è divertente? Ero sicura che fosse morta. È uscita fuori soltanto due volte da quando la conosco. La prima volta quando ho avuto il flashback dell'abuso di mio nonno ed era come un animale selvaggio, era molto impaurita. Questa volta parlava con una voce robotica senza nessuna espressione. Non voleva parlare con me e con nessuna delle altre, solo con Walter. Ha preso a dire: 'Io ti conosco. Ti ho già vista' . Lei è quella che sa tutto ma non vuole parlare con nessuno e nessuno le parla. È come se ci fosse un muro." Come pensavo già da prima, la Sorella rappresenta la parte di Nancy in cui sono sepolti tutti i ricordi dell'abuso sessuale. Il muro è lì a proteggere N ancy dalla scompensazione totale se dovessero tornare a un certo punto più ricordi di quanti Nancy ne possa gestire. "È molto significativo che lei sia stata in grado di riporre i ricordi dell'a- . buso sessuale di suo padre di nuovo nel 'cassetto' della sua mente quando ha sentito che stavano diventando soverchianti" dico a Nancy. " Il fatto che stiano riaffiorando ora è il segno che sta diventando più forte c più in gra- . do di gestirli. Quando si sente pronta, cerchi di comunicare di più con la Sorella e di sollevarla un po' dal portare tutti quei ricordi da sola. La co­ municazione e la condivisione aiuteranno a buttare giù quel muro così da permetterle di integrare i ricordi e i sentimenti del passato che sono ancora nascosti. " Nancy ricorda quanto fu peggiore il primo flashback dell'abuso sessua­ le del nonno paterno. "Diedi di matto così tanto che Walter chiamò i miei genitori. Mi credettero subito. Mia madre mi disse persino che il padre di mio padre cercò di assalirla una volta che mio padre non c'era e lei dovette fuggire dalla porta posteriore. Ammise che aveva una brutta reputazione a proposito di molestie alle giovani donne. " Nancy corruga la fronte come chi non capisce. "Allora perché mia madre non mi ha creduto quando • gliel'ho detto la prima volta? Perché mi ha detto che stavo mentendo? Per­ ché lo ha negato anche a proposito di mio padre? " " Sulla base della mia esperienza un genitore che ha una macchia cieca verso l'abuso sessuale di un figlio può aver avuto i suoi problemi nell'in­ fanzia" le dico, "e inconsapevolmente può permettere che se ne verifichi­ no altri. Se ha dissociato i propri traumi, ha dovuto tagliare fuori anche sua figlia e non è in grado di ascoltarla. Ci sono molte ragioni diverse per cui le persone hanno problemi a credere ai propri figli. " Nancy continua: " Non c'è mai stato nessun abuso fisico o sessuale dei figli nella casa di mia nonna. Non lo avrebbe mai tollerato" . "Allora com'era l a relazione d i sua madre con l a propria madre? " " Mia mamma adorava sua madre, l'amava moltissimo" risponde N ancy. "E mia nonna stravedeva per mia madre - era la sua unica figlia. Mia ma-



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NANCY L: LA "COMBJNAGUAJ"

dre era una pattinatrice modello. Era bella, assolutamente adorabile. Era ' anche la reginetta della scuola e mio padre era il re del ballo di fine anno. Lui era il prestante quarterback1 della squadra di football. Mia mamma an­ dava al college e dopo due mesi ha lasciato ed è tornata a casa e ha detto a mia nonna che stava per sposarsi. È andata così." "Ma sua madre sembra avere una tremenda rabbia irrisolta della pro­ p ria infanzia e può aver spostato la sua rabbia su di lei" sottolineo. " Qual­ cosa deve averla fatta infuriare. " Nancy mi dice che ci ha pensato molto e questo è quello che ha suppo­ sto: " Quando sono nata mia nonna ha spostato tutta l'attenzione che pre­ stava a mia madre su di me e non ha mai smesso di farlo. Mia mamma non lo tollerava. Io avevo molte più cose in comune con mia nonna di quante ne avesse mia madre e mia mamma era molto gelosa. L'altra cosa era che la famiglia di mia madre era molto ricca e potente e mio padre era il figlio di un carpentiere2 che non aveva un centesimo. Fece i soldi più tardi, ma al­ lora era solo agli inizi. Così mia mamma passò da essere la figlia unica ado­ rata in tutta la città allo stile di vita da carpentiere e al matrimonio con un furibondo alcolista. Sentiva che le era stato portato via tutto e se l'è presa con me " . Quindi era questo il pezzo mancante del puzzle: non era stato affatto un mostruoso abuso sessuale ma una precipitosa caduta da uno stato di grazia a lasciare un buco aperto nel suo senso di sé. "Ha perso il suo posto al so­ le" commento, "ha cercato di sentirsi meglio facendola vergognare. " "Ma s e chiedi a mia madre, ti dirà che lei non h a mai fatto nulla che non vada" dice Nancy amaramente. "Pensa di essere stata una meravigliosa madre dedita unicamente alla casa solo perché ha sempre avuto una casa e un giardino migliori degli altri. N on ha nessuna capacità di insight. " "Tormentarsi con la casa era il suo modo di far fronte a questioni che non voleva affrontare" dico a Nancy, " un modo inefficace di cercare di mantenere il controllo. Era una donna emotivamente incapace di trattare con l'alcolismo del marito, la cura dei figli o di proteggere la figlia dall' abu­ so sessuale. Focalizzandosi su qualcosa di superficiale e di relativamente benigno, come tenere la casa immacolata poteva distrarsi dai suoi proble­ mi più profondi e apparire al resto del mondo come una persona con un al­ to livello di funzionamento. Possedere le cose poteva fungere da sostituto per questo vuoto che sentiva dentro. " " Non è triste? " dice Nancy mestamente. " La cosa più carina che si po­ trà mai dire di mia madre è: 'Aveva una bella casa'. " l . Spesso definito come "capo dell'attacco" , il quarterback è uno dei ruoli principali del foot­ ball americano, con il compito di chiamare gli �cherni e guidare l'o//eme in end-zone. [NdT] 2. Nel testo inglese è roo/er, il carpentiere specializzato nella costruzione di tetti, figura pro­ fessionale che non trova un corrispondente in italiano. [NdT]

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TRE STORIE INTERIORI

SI SENTE UNA VOCE NUOVA

Nancy ha ottenuto i finanziamenti per la fabbrica, mi dice orgogliosa e i suoi prodotti da forno stanno per essere distribuiti su scala nazionale. E la sua buona stella continua ora che i suoi talenti artistici e l'acume per gli af­ fari che ha ereditato dalla sua amata nonna hanno trovato lo sbocco perfet­ to. Anche la sua relazione con Walter è migliorata. Si è fedelmente attenuta al programma che avevamo elaborato di dedicare almeno due giorni a set­ timana unicamente al riposo e al relax ed è diventata più disponibile a di­ vertirsi insieme a Walter. Anche se Shawn ha traslocato chiama ancora tut­ ti i giorni e il loro rapporto è ottimo. "Ha fatto notevoli progressi nei tre anni che è stata in trattamento" le dico. " Non soltanto, ha fatto delle cose meravigliose." "Ho fatto molte cose in poco tempo" Nancy riconosce modestamente, "ma le situazioni emotivamente cariche sono ancora difficili per me. Se mi imbattessi in mia madre a una fiera da qualche parte, andrebbe bene . . . semplicemente la cancellerei. Ma vederla al diploma di Shawn quest'estate potrebbe essere qualcosa che potrei non essere in grado di gestire. " " Quando l a parte professionale di lei - la Moglie - h a il controllo, quel­ la parte ha la capacità di non permettere che sua madre le faccia del male" faccio notare. "Ma nelle situazioni emotivamente cariche è un'altra parte di lei - la Bambina - che ha il controllo e la Bambina non ha quella capa­ cità. È soltanto un groviglio di ricordi emotivi ed è ancora spaventata. " "Anche l a Moglie h a quei ricordi" dice Nancy, "ma non l a buttano così tanto giù. La parte professionale di me è in grado di essere più oggettiva, logica e razionale quando reagisco alle situazioni. " " Quindi il punto non è che non può acquisire quelle capacità; è che ha bisogno che il lato di sé che le possiede insegni al lato che non le possiede. Allora diventerà consapevole che non deve essere spaventata da sua madre in nessuna situazione. " Nancy è d'accordo a far cooperare e comunicare maggiormente la Mo­ glie e la Bambina. Poi mi racconta di un altro problema che sta avendo con una parte di sé che chiama la Rompiscatole. " Si prende gioco di me e mi spaventa e sta emergendo più spesso ora che sto migliorando. È diversa dalla Cattiva. È questa voce interiore che mi dice per tutto il tempo: 'Bene, pensi di stare così meravigliosamente. Ti fermerò'. Mi punisce con i flash­ back dell'abuso sessuale. Sento quella voce: 'Te la farò pagare' e - pum ! ­ un flashback. Essi sono più frequenti, più vividi, più chiari. È come guar­ dare un pezzo registrato. Perché c'è una parte di me che vuole punirmi? " "Ma è più forte ora e può gestire i flashback, giusto? " " Sì, ho sufficiente controllo su di loro da non !asciarmi spingere di nuo­ v o oltre il limite, come facevo prima. Non sono piacevoli ma non sono più spaventosi. Non spaventano più neanche la Sorella. È una breve intrusione 1 62

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NANCY L.: LA "COMBINAGUA!"

nella mia giornata, di secondi o minuti. Ma ancora non posso capire per­ ché alcune parti di me devono ributtarmi indietro. È una sensazione umi­ liante, degradante. " " Ha sempre avuto quella parte, no? " " Sì" ammette Nancy. "Tutto quello che facevo di straordinario, ero con­ vinta di non averlo fatto io. Ora che finalmente sono arrivata al punto di poter ammettere delle cose buone su di me arriva la parte denigratoria. So che somiglia m.olto a mia madre, ma perché sviluppare una personalità co­ me quella se il disturbo dissociativo è un meccanismo protettivo? " " Questa parte d i lei sta lì per mantenere l a percezione distorta che lei non è buona e che non si merita di essere felice perché questo è qualcosa che ha imparato dal trattamento punitivo e denigratorio di sua madre" ri­ spondo. " Quella parte di lei è identificata con quello che le è stato inse­ gnato. " "Mia madre mi ha letteralmente punito per tutto il tempo" rivela Nancy. " Ora anche la Rompiscatole lo sta facendo in un certo senso. " " Questo è quello che l e è familiare. H a imparato che l e persone che suppone la amino la puniscono e la denigrano. " "E che c'era sempre una ragione nascosta e che in realtà non mi amava­ no" aggiunge N ancy. "Per quanto tempo ancora deve permettere a quella parte di lei di affer­ mare queste percezioni distorte che le sono state insegnate? " chiedo. " For­ se la Rompiscatole potrebbe parlarmi del perché le dà sempre filo da tor­ cere. È quello l'unico modo che conosce per esprimersi? " " Non c'è un altro modo. Tutto quello che s a dirmi quella parte è che so­ no una pigra buona a nulla merdosa. " Nancy sta diventando irruenta. " So­ no stanca di tutto questo ! Lo voglio fermare! Voglio che vada via ! " "Cerchi di conversare con quella parte o di scriverle una lettera o di fare in modo che qualche altra parte di lei contrasti queste cose negative che le sono state sempre dette e lasci che quella parte sappia che sono sba­ gliate. " All'improvviso Nancy inizia a parlare con una voce che non avevo mai sentito prima. È la Rompiscatole, un'intrattabile adolescente con un cau­ stico atteggiamento dimostrativo. " Come sai che erano sbagliate?" dice con tono di dileggio. " Tu non c'eri. ] 'u non lo sai. " "Perché ho sentito quello che Nancy mi ha raccontato" replico, " e so che da bambina lei ha cercato in tutti i modi di piacere alla sua mamma. Ti sono state dette delle cose non vere. Tu non sei una brutta persona e non devi più far sentire N ancy cattiva. " "Perché?" la Rompiscatole vuole sapere, "Perché? Perché?" "Perché ha lavorato davvero duro per essere brava, ma la sua mamma non era in grado di apprezzarla a causa dei suoi problemi. Ma ora puoi ini1 63

TI\E ST< li\! E INTERIORI

ziare a riconoscere quanto sia brava e di talento Nancy e quale brava per­ sona fosse sin da allora, anche se la mamma non poteva apprezzarla. " " Io so che non è una bugiarda, ma questa è l'unica cosa che so che non era vera " ammette la Rompiscatole, suonando meno incline al contraddittorio ma non del tutto convinta. "Nancy è stata punita duramente. Stava in piedi in soggiorno e sua mamma le gridava: 'Oziosa buona a nulla piccola puttana' e prendeva a schiaffi la sua /accia molte, molte volte ed è allora che sono arrivata. " " Nancy non ha fatto nulla per meritare questo. È arrivato il momento di , correggere . . . " Una voce acuta e stravolta mi interrompe urlando: " Voglio andare a casa , ora.' Sono a disagio adesso.' " . È la Bambina che grida in preda alla paura. " Quella ragazza non parla mai. Non parla a nessuno tranne che a me. Non so perché ti abbia parlato. È semplicemente partita. " "Forse sta cercando di entrare in terapia" suggerisco. " Va bene. È una cosa buona. " "È stata carina con te? Non si è scagliata contro di te?" chiede la Bambi- . na ansiosamente. Poiché l'amnesia funziona nel DDI per separare o distinguere le perso- , nalità, la Bambina è consapevole soltanto che la Rompiscatole ha parlato, ma non ha il ricordo di quello che ha detto. " Non ha inveito contro di te, . giusto? Con me lo/a. " " No, non ha inveito contro di me. " "I.: ho solo sentita parlare dentro la mia testa. Non l'ho mai sentita parlare , /uori. Questa è stata una cosa spaventosa. Ora sento come se stessi sudando." ·.· Nancy si tiene la testa, sopraffatta dal terrore e dalla vergogna che una personalità nota solo a lei si sia manifestata pubblicamente per la prima volta. " Oooh, oooh, è come se si/acesse il vuoto nella mia testa." " Fai qualche respiro profondo. " In un attimo Nancy è di nuovo in sé. Mi guarda con aria interrogativa. " Cosa è successo? " Metto al corrente Nancy su quello che è avvenuto durante il gap tempo­ rale che spesso si verifica mentre un'altra personalità è fuori. "Dovrebbe continuare a conversare con la Rompiscatole da sola o in terapia" le dico, "e cercare di fare in modo che tutte le parti di lei funzionino insieme per darle dei feedback positivi così da non accettare più questi pensieri critici. " " Questo richiede molta energia." "Lo so, ma ha fatto dei progressi stabili e non tornerà indietro" la rassi­ curo. "È come imparare a nuotare. Prima si impara come respirare con la testa nell'acqua, poi si impara come muovere le braccia, poi si impara co­ me muovere le gambe e poi all'improvviso un giorno viene tutto insieme. " ·

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NANCY

L.: LA "COMBJNAGUAI"

"QUANTO SONO ARRIVATA LONTANO"

La capacità di Nancy di confortare le parti separate di sé e di farle funzio­ nare insieme ha raggiunto il livello desiderato. Nessun brutto tiro ora la spinge più con facilità in quel posto sul pavimento del bagno dove ha per­ so completamente il controllo. Le capacità che ha acquisito continueranno a farla avanzare, ma il rapido progresso in terapia non avviene senza le sue battute d'arresto. "Mi sono atrabbiata con Walter e Chris la scorsa settimana perché non avevano ancora tolto le luci dell'albero di N atale di fronte casa, ma non ero cattiva" racconta con orgoglio. " Ho detto solo: 'Ciao, è marzo, io non lo farò e non voglio vedere quelle luci tra una settimana'. " Prosegue: " Quella voce punitiva che c'è dentro di me va ancora a tutta birra a volte, ma la par­ te razionale di me la rifiuta, così non mi butta giù come prima. L'unica vol­ ta che entro nel panico adesso, a volte, è quando vado alle partite di hockey di Shawn. Non riesco a stare più di un tempo. Devo correre fuori dall'edificio. È una sensazione travolgente" . " Questo è iniziato quando suo fratello Rory h a smesso di parlarle" os­ servo, "ma vi parlate ora, non è vero ? " " Sì, m a quando vado a una partita è a Shawn che continuo a pensare" risponde Nancy, "e a come abbia lasciato la casa troppo presto . " La sua voce si incrina e dice: " Non pensavo che sarebbe finita in questo modo. Ci manca terribilmente" . " Ma non s e n e è veramente andato; s i tiene in contatto con voi tutti i giorni" le ricordo. " Forse sentiva di aver bisogno di fare questo per la sua indipendenza. " " Si sta comportando molto bene da solo, lavorando part time per man­ tenersi, ma prende dei brutti voti a scuola e io mi sento responsabile per questo. " " Non dovrebbe" controbatto. "Vivere con qualcuno che ha un DDI può essere difficile, ma lei ha la tendenza a rendere le cose personali. Penso che si stia biasimando per le difficoltà accademiche di Shawn più di quanto do­ vrebbe. " " Lo scorso fine settimana non riuscivo convincermi ad andare alla sua partita di hockey e mi dava fastidio non avere un controllo maggiore" rac­ conta Nancy. " Shawn doveva ricevere un trofeo come migliore giocatore e Walter ha detto: 'Vuoi venire con me? Non voglio andare da solo'. Ancora non ci riuscivo, poi ho pensato che dovevo farlo per Shawn. Mi ha richie­ sto un'energia fisica enorme, ma ho messo semplicemente un piede davan­ ti all'altro e mi sono trovata lì. E sono così felice di averlo fatto. " "È andata bene?" Nancy sorride, ricordando l'evento. "Tutte le mamme mi hanno ricono­ sciuta quando sono entrata e mi sono presentata con un delizioso bouquet 1 65

TJU: STl l!UE INTERIORI

di rose per Shawn. Dopo la partita mi ha abbracciato forte e mi ha detto: 'Mamma, ti voglio bene con tutto il mio cuore'. E io ho detto: 'Lo so, Shawn' . È stato molto importante per entrambi. " "È stato un grande passo per lei arrivare fin lì e tenere sotto controllo i suoi ricordi e le sue emozioni così bene. " " Sì, lo è stato " concorda Nancy. " Sono andata a letto quella notte stan­ ca morta e ho pensato: 'Perché è necessaria questa lotta estenuante per fa­ re qualcosa che dovrebbe essere un piacere per me? '. Non sembrava logi­ co. Ma fare quella lotta mi ha dimostrato anche che ho fatto molti progres­ si. " Le lacrime salgono agli occhi di N ancy - lacrime di gratitudine. " Sto viaggiando su una strada difficile" dice con voce lieve: "Ma guarda quanto sono arrivata lontano. "

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12 Linda A. : una passione ferita

IN ARRESTO

Avrebbe ricordato successivamente che in quella fredda e limpida sera d'inverno, mentre andava a prendere Julie, la figlia di sette anni, a casa di un'amica, alla radio della sua macchina stavano dando la canzone di J enni­ fer Lopez I/ You Had My Lave. La splendida giornata di sole dopo l'ab­ bondante nevicata aveva reso le strette stradine di collina scivolose per il ghiaccio e ai bordi della strada la neve accumulata iniziava a gelare. Linda notò che da circa un miglio la polizia di Stato la seguiva piuttosto da vicino, ma il lampeggiante non era acceso, per cui, pensò, doveva essere tutto a posto. I suoi occhi erano fissi sullo sdrucciolevole percorso di ghiac­ cio che brillava davanti a lei. Cercò di guidare con molta attenzione, ma le ruote del suo Saturn girarono a vuoto e la fecero slittare verso destra con­ tro la banchina di neve. Ora il mezzo della polizia era parcheggiato proprio a fianco del suo e le luci erano accese, proiettando ombre rosse e blu sul cruscotto della sua macchina. Dallo specchietto retrovisore, vide il poli­ ziotto uscire dalla macchina e dirigersi verso di lei. "Buona sera, signora, dov'è diretta? " chiese il poliziotto. Sembrava abbastanza gentile, nonostante Linda percepisse in lui una certa impertinenza. Il suo cappello a falda larga oscurava parzialmente il viso ma sembrava giovane, non più di venticinque anni, supponeva. " Sto andando a prendere mia figlia a cinque minuti da qui" disse Linda. " Ha bevuto dell'alcool stasera ? " L a domanda colse Linda d i sorpresa. Non s i era mai ubriacata in vita sua. " Sì, ho bevuto un bicchiere di vino a cena" rispose. " Circa un'ora fa. " " Favorisca patente e libretto. " "Certo. " Linda iniziò a preoccuparsi. Aveva fatto qualcosa di sbagliato? Frugò nella sua borsa per prendere il suo portafogli, tirò fuori la patente e il libretto e glieli porse. Il poliziotto accese una torcia elettrica sulla foto della sua patente e vide il nome Linda Alvarez con sotto la foto di una bella donna di trentatré anni con grandi occhi marroni luminosi, la pelle olivastra, i capelli castani ten­ denti al biondo e due sensuali labbra carnose. 1 67

TRE STORIE INTERIORI

" Non sapevo che ci fossero degli spic1 che vivono qui intorno" sogghi­ gnò il poliziotto quando lesse il nome di Linda. Linda si risentì, ma mantenne la calma. Nel suo lavoro d'insegnante di bambini emotivamente disturbati era abituata al fatto che i bimbi si chia­ massero con degli appellativi, ma non si aspettava quel tipo di epiteto raz­ ziale da un poliziotto. In ogni caso, pensò che era meglio ignorare l'offesa piuttosto che mettersi nei guai. " Scenda dalla macchina" disse il poliziotto bruscamente. La patina di gentilezza nei suoi modi era svanita. Ancora prima che fosse uscita dalla macchina, il poliziotto chiese a Lin­ da di recitare l'alfabeto, iniziando dalla lettera G. Le venne in mente che iniziare l'alfabeto con la lettera G invece che con la A si riteneva facesse in­ nervosire chi era già disorientato per aver bevuto troppo. Recitò l'alfabeto e uscì dalla macchina. " Si tolga il cappotto" disse il poliziotto. Linda esitò. Pensò che era una richiesta strana. Pensava che nascondes­ se una pistola? Voleva perquisirla? "Toglilo" disse il poliziotto con tono irritato. Linda indossava un caldo e pesante cappotto scamosciato lungo fino al­ le caviglie foderato con pelle di pecora. Era riluttante a toglierselo con quel freddo, ma acconsentì. " Okay, ora voglio vederla fare il tacco-punta" disse il poliziotto. "E cos'è? " Il poliziotto fece pochi passi mostrando come voleva che camminasse, facendo passi alterni con il tacco e con la punta del piede. " Sento freddo" si lamentò Linda, tremando. "Potrebbe darmi prima in­ dietro il mio cappotto? " "Uh-uh " disse il poliziotto scuotendo la testa. " Faccia il tacco-punta." Linda fece pochi passi, ma si rese conto che si stavano dirigendo verso un ripido pendio scivoloso. "Possiamo farlo in salita? " chiese. " Va bene, girati e fallo. " Guardò Linda fare un paio di tentativi, dei malfermi passi tacco-punta, cercando a fatica di mantenere l'equilibrio sulla strada ghiacciata. Inaspettatamente, il poliziotto raggiunse Linda e l'afferrò per il braccio. " Che fa? " esclamò Linda con tono di voce acuto. L'atterriva essere da sola con un estraneo su una strada deserta di notte, anche se era una poli­ ziotto. Prima le aveva fatto togliere il cappotto. Ora l'afferrava per un brac­ cio. Cosa sarebbe successo dopo? " Lei è in arresto" le disse il poliziotto. Tirò fuori un paio di manette e la spinse lungo la parte anteriore della macchina. l . Termine offensivo con cui si indicano le persone di origine latino-americana. Mutazione del termine obsoleto spig, messicano, abbreviazione di spiggoty, che deriva forse dall'accento nel pronunciare (No) speak the (English). [NdT]

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LINDA A . : UNA PASSIONE FERITA

Linda crollò. Un'ondata crescente e inarrestabile di rabbia, paura e in­ dignazione montò in lei e la travolse con un panico incontrollabile. "Metti giù le mani ! " gridò. "Lasciami andare ! In arresto? E per cosa? " Come un animale in trappola cercò di liberarsi dal poliziotto e iniziò a gridare in ma­ niera isterica. Il poliziotto non disse niente. Con il volto impassibile, afferrò Linda per il collo e la buttò con la faccia contro il cofano della macchina. Sentì una punta sul collo e vide il sangue colare sul davanti del suo maglione. Sapeva che il poliziotto stava per metterle le manette dietro la schiena. "No ! Fermati ! " gridò furiosamente Linda. "Lasciami stare ! Non mi puoi fare questo! " Si sollevò dalla macchina e cadde all'indietro contro il poliziotto. " Stai opponendo resistenza all'arresto ! " le disse tagliente e chiamò alla radio dei rinforzi. In pochi minuti arrivò un altro poliziotto. " Sembra che tu abbia il tuo da fare" disse quando vide lo stato sconvolto in cui era Linda. " Dobbiamo metterla giù" gli disse il primo poliziotto. Insieme i due uo­ mini spinsero Linda a terra sulla neve ghiacciata ai bordi della strada. "Per favore, non mi mettete le manette" invocò Linda. " Non mi amma­ nettate. Per favore ! Se dovete ammanettarmi, fatelo davanti dove posso vederlo, non dietro. " I due ignorarono le sue suppliche. Linda udì un click metallico e sentì le manette che premevano sulla sua colonna vertebrale con una rigidità irre­ vocabile. Il primo poliziotto aprì lo sportello posteriore della macchina, fece en­ trare Linda e sbatté la portiera. Linda iniziò a prendere a calci ripetuta­ mente il finestrino, cercando di uscire. Il poliziotto aprì lo sportello. " Se non la smetti, " l'avvertì " userò il Mace !2" Andò a prendere il suo cappotto che stava a terra a fianco alla macchina, se lo caricò sulle spalle e glielo buttò addosso. Poi chiuse la por­ tiera e andò a sedersi al posto di guida per portare Linda alla caserma della polizia con il secondo poliziotto che li seguiva nella sua macchina. Linda giaceva sul sedile. Non riusciva a smettere di gridare e piangere. L'assoluta impotenza di stare in macchina da sola con quest'uomo, amma­ nettata con le braccia dietro la schiena, la faceva sentire come una bambina terrorizzata. Iniziò a pregare in spagnolo come faceva di solito quando era bambina e sua madre la portava nella chiesa latina la domenica, a Filadel­ fia, dove era cresciuta. Pensava di aver dimenticato quelle preghiere ma le affiorarono alle labbra automaticamente. Quando arrivarono alla caserma della polizia, il poliziotto la portò den­ tro, in una stanza con un tavolo lungo e qualche sedia. 2. Mace è il nome commerciale di uno spray che rende temporaneamente le persone incapa­ ci di fare qualsiasi cosa, irritando gli occhi e provocando stordimento e immobilità. [NdT]

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"Posso fare una telefonata?" chiese Linda. "Ho bisogno di chiamare Ted, il mio fidanzato e dirgli dove sono. Mia figlia di sette anni mi sta aspet­ tando a casa di un'amica. Sarà spaventata che nessuno la vada a prendere. " " Non farai nessuna telefonata" le disse il poliziotto. " Non ti lasceremo civettare con nessuno. " "Ma ho bisogno di chiamare il mio fidanzato. Fategli almeno sapere che sono qui" pregò Linda. "Ho diritto a una telefonata. " " Scordatela" disse il poliziotto impassibile. Le tasche del cappotto di Linda erano state svuotate del loro contenuto e c'erano poche penne biro sparse sul tavolo. Il poliziotto aprì le manette , di Linda, prese una penna e le disse di firmare alcune carte. Il senso di impotenza fece di nuovo arrabbiare Linda. " Non lo farò! " urlò. Afferrò una delle penne e iniziò a colpire il tavolo con quella, martel­ lando la superficie a ritmo incalzante, come una bambina di quattro anni che ha un'esplosione d'ira e si mise a gridare: "Non lo farò; non lo farò ! Non lo farò finché il mio fidanzato non saprà dove sono ! " . Senza aggiungere neanche una parola, il poliziotto trascinò Linda a un anello inchiodato al muro e l'attaccò per una manetta appendendola come un quarto di bue in macelleria. Poi le spruzzò il Mace sulla faccia. Il Mace le irritò terribilmente gli occhi e sentiva il muco che le colava giù per la gola. Si accasciò contro il muro, accecata e stordita. "Posso avere dell'acqua, per favore? " chiese. "Per cosa? " chiese il poliziotto maliziosamente. " Vuoi buttarla addosso a qualcuno? " Un altro poliziotto apparve sulla scena. Non poteva vederlo, m a Linda sentì che le chiedeva se voleva dei fazzoletti bagnati per lenire l'irritazione degli occhi. Sembrava gentile. " Sì, grazie" le disse e lui prese a passarle i fazzolettini per gli occhi. Infine, il poliziotto che l'aveva arrestata le chiese: "Qual è il numero del tuo fidanzato? " . Linda glielo diede e lui chiamò Ted. In meno di un'ora Ted arrivò alla caserma della polizia conJulie, la figlia di Linda. Era andato a casa dell'amica prima e l'aveva dovuta svegliare per portarla con sé. Ted chiese di Linda e gli venne riferito che non era ancora arrivata; che la stavano trasferendo in caserma. Quando Linda sentì la voce di Ted, e si rese conto che non gli stavano permettendo di vederla, iniziò a gridare come un'isterica di nuovo. Il poli­ ziotto che l'aveva arrestata chiuse la porta della stanza. "Lasciami andare da lei" disse Ted. " La conosco. Una volta che ci sono io va tutto bene." " Calmala" disse il poliziotto. Quando a Ted fu concesso di entrare nella stanza, trovò Linda che gia­ ceva sul pavimento in posizione fetale. "Mio Dio, cosa ti hanno fatto? " ��-� ------�

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chiese mentre si chinava accanto a lei e l'aiutava a rimettersi in piedi. Af­ frontò il poliziotto, con gli occhi pieni d'ira, chiedendo a voce bassa una spiegazione. Il poliziotto guardò Ted da vicino, prendendo le misure di quest'uomo con il fisico da maratoneta e un bell'aspetto irlandese - lineamenti puliti e capelli ondulati e ramati. Probabilmente era un tipo intelligente, un bravo ragazzo forse, ma uno che la sapeva lunga. "È una buona cosa che indos­ siamo queste" disse il poliziotto indicando il suo giubbotto antiproiettile. "Ha cercato di pugnalarmi al petto con quella penna rotta là sopra. " Linda sapeva che non era vero. Se aveva fatto del male al poliziotto, cer­ tamente non era stato intenzionalmente. Ma non era il caso di discutere con lui. Tutto quello che voleva era uscire dal quel posto il più rapidamen­ te possibile e lasciarsi alle spalle questo incubo. "Perché l'hai arrestata?" chiese Ted. " Guida in stato di ebrezza. " "Le hai fatto il test dell'etilometro? " "No, si è rifiutata" disse il poliziotto. " Andava a sessantacinque miglia all'ora in un tratto con il limite di trentacinque e ha sbandato a destra e a si­ nistra fino a quando non si è arenata contro una banchina. Io ero diretto a ovest e lei veniva da est e l'ho cronometrata con la mia pistola radar. Ha opposto resistenza all'arresto e mi ha insultato usando un linguaggio osce­ no. Ne ha dette delle altre in spagnolo che io non capivo. E dopo che sia­ mo arrivati qui, come ho spiegato, mi ha aggredito con la punta affilata di una penna rotta. " Bugie, bugie, bugie, pensava Linda piena di rabbia. Stava montando il caso contro di lei facendolo più grande di quanto fosse perché voleva di­ struggere la sua credibilità in caso avesse raccontato che l'aveva chiamata " spie". Ma doveva ammettere che c'erano alcune parti dell'incidente che non riusciva a ricordare - poteva aver cancellato qua e là. " Se tu stavi andando in una direzione e lei nell'altra" iniziò a dire Ted, " come hai potuto fare inversione, afferrare la pistola radar e . . . " "Tesoro, aspetta che arrivi il mio giorno in tribunale" interruppe Linda, tirando Ted per la manica. Ne aveva abbastanza di mettersi nei guai con quel poliziotto per quella notte. "Hanno sequestrato la mia macchina, quindi verrò a casa con te e Julie. Dai, andiamo. " Quando Linda entrò con Ted nell'area accoglienza, Julie rimase scon­ volta dall'aspetto della madre - gli occhi rossi tumefatti, il collo insangui­ nato, i capelli arruffati per essere rimasta distesa sulla neve, i vestiti in di­ sordine. "Ti hanno fatto del male, mammina? " chiese Julie, correndo da sua madre. Linda si chinò, l'abbracciò e la baciò. " No, va tutto bene" disse. Ma non era vero. 171

TRE STORIE INTERIORI

"NON TOCCARMI"

" Mi sono sentita così violata, aggredita, piena di vergogna per essere stata arrestata in quel modo" mi dice Linda alla sua prima visita con un aspetto ultrafemminile e professionale al tempo stesso. Indossava un vestito di jer­ sey grigio carbone e una cintura di pelle con una fibbia decorativa che sot­ tolineava il suo vitino. "Per una settimana sono stata sotto shock" dice. "Mi aggiravo dicendomi: 'Non riesco a credere che sia successo'. Mi senti­ vo davvero come in un brutto sogno. E poi resto colpita dal fatto che è suecesso. Tutto quello che faccio è pensare e ripensare a quella notte e rivive­ re quel momento. Vivo con la paura che quel poliziotto mi segua e mi fac­ cia del male per farmi tacere. I miei attacchi di panico sono diventati così forti che penso potrei essere ricoverata un giorno o l'altro. Ecco perché so­ no qui. " "Ha mai avuto attacchi di panico come questo prima? " chiedo. "Oh sì, ho iniziato ad averli verso la tarda adolescenza" risponde Linda. " Dopo sono diventata agorafobica e avevo paura a lasciare la casa. Negli ultimi cinque anni sono entrata e uscita dalla terapia in continuazione. " "Vede nessuno ora ? " " No, d a circa u n anno h o finito l a terapia, m a prendo ancora i farmaci per l'ansia. " Mi mostra le pillole e il dosaggio sembra appropriato. "Quando ha questi attacchi di panico" chiedo, " cosa sente esatta­ mente? " "Ne ho avuto uno alle quattro circa di questa mattina, è stato così inten­ so da svegliarmi. È iniziato con un dolore al petto che mi ha preso il brac­ cio. Il cuore mi batteva forte. Le mani erano sudate, la faccia rossa e mi sentivo terrorizzata. Pensavo di avere un attacco cardiaco. Il mio fidanzato si è svegliato e ha chiesto: 'Che c'è che non va?'. Viviamo insieme da sei mesi, ma ci conosciamo da due anni ed è molto in sintonia con me. Stavo quasi per dire: 'Ted, chiama un'ambulanza'." "Ma non l'ha fatto? " " No. Sapevo per esperienza che sarebbe durato probabilmente soltanto venti minuti circa. Ho chiesto a Ted di usare un po' d'immaginazione gui­ data per farmi riaddormentare. Navighiamo molto in barca d'estate, così lui ha iniziato a descrivere come navigavamo e stavamo nell'oceano calmo e il dolce ondulare della barca e ci sentivamo in pace. Ho chiuso gli occhi e finalmente mi sono sentita un po' meglio. Ma temo di non riuscire più ad andare al lavoro. " "Perché? " " Sono troppo sotto stress. M i hanno sospeso l a patente e questo signifi­ ca che devo guidare senza patente per andare al lavoro. Sono terrorizzata all'idea che mi fermino di nuovo. Quel poliziotto mi ha accusato di aggres172

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LINDA A., UNA PASSIONE FERITA

sione. Sono andata davanti al giudice il giorno dopo e ho dovuto pagare una cauzione di venticinque dollari. Potrebbero sbattermi in prigione se mi fermano questa volta. Con il senno di poi penso: 'Perché hai dovuto reagire in quel modo esasperato? Non potevi stare calma e dire sempre di sì?' . Ma poi rifletto: 'Non puoi pensare queste cose. Oramai è fatta' . " " Quando potrà riavere l a sua patente? " "È stata sospesa per 120 giorni - hanno il diritto di farlo s e rifiuti di fare il test dell'etilometro" mi dice Linda, "nonostante io non ricordi di essermi rifiutata. Ted ha fatto delle foto la notte dell'arresto e il pubblico ministero è rimasto sconcertato quando il mio avvocato gliele ha mostrate. Ha con­ cordato d'incontrare il mio avvocato entro due settimane per discutere la situazione. " "Ted sembra molto supportivo. " " Lo è ! " dice Linda con commozione. "È uno degli uomini migliori che abbia mai avuto in vita mia. Quando mi sono risistemata mi sono resa con­ to che il taglio sul mio collo me lo aveva procurato uno degli orecchini che Ted mi aveva regalato per San Valentino. Li portavo quella sera e mancava proprio quello. Era un bel cuore d'oro fiorentino con un diamante in mez­ zo. Ho sentito che si conficcava nel mio collo quando il poliziotto mi ha af­ ferrato e mi ha spinto sul cofano della sua macchina. Mi deve essere caduto in seguito. Ho iniziato a piangere perché significava così tanto quell' orec­ chino per me e lo rivolevo. " "Capisco." "Il giorno dopo abbiamo preso mia figlia con noi e siamo andati nel punto della banchina dove mi avevano stesa a terra" continua Linda. "An­ che se era buio ho riconosciuto il punto esatto. L'impronta del mio corpo era ancora impressa sul ghiaccio della superficie della banchina. Abbiamo iniziato a cercare l'orecchino, ma non riuscivamo a trovarlo. Io ho smesso di cercare e ho detto: 'Non c'è. Forse qualcuno che è passato di qua l'ha trovato'. Ted ha recitato una breve preghiera perché uscisse fuori. E come ha iniziato a pregare, ha ritrovato l'orecchino, 'Oh, mio Dio. Eccolo ! ' Era deformato ma lo abbiamo riparato. " " Siete stati fortunati. " "Ted e io dovremmo sposarci il prossimo agosto quando saremo en­ trambi in ferie" dice Linda. Parla con ardore del suo fidanzato. "Ted ulti­ mamente ha trovato lavoro come amministratore nel settore della salute mentale. È passato dalla consulenza all'amministrazione perché vuole assi­ curare una vita migliore a me e a J ulie. È una persona così premurosa. Pre­ para la cena e mi aspetta di notte quando torno a casa dal lavoro. E conti­ nua a dirmi quanto mi ama e che sono più bella ora di quando mi ha cono­ sciuta. " Linda si morde le labbra e sembra sul punto di piangere. "Ma io non so . . . io . . . io ho chiesto a Ted di posticipare il matrimonio di un anno" balbetta. 173

TRE STORIE INTERIORI

"Perché? Che c'è che non va?" "Penso che forse dovremmo prenderei una piccola pausa per un po'. Ted era molto sconvolto quando gliel'ho det­ to e ha iniziato a piangere. Mi ha fatto sentire male." "Perché pensa che avreste bisogno di separarvi per un po'?"

"È difficile per me ora essere in intimità con lui" dice Linda a bassa vo­

ce, guardando altrove per l'imbarazzo. "Semplicemente non voglio che Ted mi tocchi" continua. "Mi arrabbio molto quando mi tocca. Lui sta passando un momento difficile perché non abbiamo più alcuna intimità e non so cosa fare." "Da quanto tempo va avanti?" "Da un mese" dice Linda in lacrime.

"È iniziato subito dopo l'incidente

con la polizia. Suppongo di avere ancora i nervi scoperti. Ted mi tocca e io mi arrabbio. Oppure mi tocca e io non sento niente. Non so se ho soltanto disattivato tutto o cos'altro. Semplicemente non mi sento in sintonia con lui o con me stessa. Ho la sensazione confusa di non desiderare, di non volergli essere vicina, di non voler essere toccata." "In precedenza, nella vostra relazione, c'erano dei momenti in cui lui la...

toccava e lei non si arrabbiava anzi contraccambiava?"

"All'inizio era bello" dice Linda. "Ma dopo l'incidente con il poliziotto ho iniziato a porre dei limiti: 'Per favore non mi toccare i seni nel mezzo della notte. Per favore non toccarmi la mattina quando ti svegli'. Sentivo di dover controllare la situazione. Ora penso di essermi chiusa completamente. Non gli dò nessuna possibilità. Voglio dire, Ted ha i suoi bisogni; e di' mattina la prima cosa che fa è abbracciarmi e io posso sentire la sua erezio­ ne e io ... io non la sopporto. Invece di sentirmi lusingata mi arrabbio mol­ to, mi riempio di rabbia. Non gli dico niente perché non voglio ferirlo." "Allora si distacca e non sente niente?" "Cerco di pensare a tutte le qualità di quest'uomo, a non associarlo ad altre cose solo perché ha un pene, ma non funziona." Linda inizia a pian­ gere sommessamente, confusa e scissa da una profonda contraddizione in­ terna. "Mi dico sempre più spesso che dovrei trasferirmi e starmene per conto mio, ma sono in conflitto. Non mi capisco certe volte. Amo Ted e voglio farmi una vita con lui. È tutto quello che ho sempre sognato e non osavo neanche immaginare, voglio dire che non pensavo di poter mai trovare qualcuno così. E invece ce l'ho. Ho un uomo che è una persona buona, vuole stare con me, non vuole nessun'altra, è laureato, ha un lavoro mera­ viglioso, vuole aiutarmi a crescere mia figlia in una bella casa e portarmi a navigare e andare nei ristoranti più raffinati e . . . e io lo sto allontanando." Mi chiedo se questo problema con l'intimità è un pattern di Linda o se è specifico della relazione con Ted. "Ha mia avuto questo problema con gli uomini prima d'ora?" chiedo. "Penso di aver sempre avuto poca fiducia negli uomini" dice Linda, "e ------ -------

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LINDA A.: UNA PASSIONE FERITA

quindi non mi sono mai aspettata molto da loro. I miei standard erano molto bassi. Prima di Ted, gli uomini con cui ho avuto una relazione erano tutte persone bisognose che dipendevano da me e di cui mi prendevo cura. Ero attratta da uomini che non erano molto aggressivi - poco audaci con me, ma anche poco ambiziosi. Hanno tutti tratto dei vantaggi da me, in un modo o nell'altro e mi hanno distrutta. " "Questo è quello che è successo con suo marito? " " Rafael era gentile e paziente con me, come Ted" risponde Linda, " ma mi usava. Era un artista che non guadagnava molto e io dovevo mantenerlo con il mio salario. Questo poteva andare bene se non avesse speso la mag­ gior parte dei soldi in droghe. È morto in un incidente motociclistico quan­ do Julie aveva solo tre anni. " "Come ha fatto fronte alla situazione? " "Ho solo chiuso tutto e mi sono ritirata nel guscio" risponde Linda. " Non so come. Mi sembra così surreale, questo meccanismo dentro di me che chiude e sembra significare: 'Ne hai avuto abbastanza e questo è molto oltre quanto puoi andare'. È qualcosa che mi protegge. " Linda prosegue con voce tremante: " Due anni dopo che mio marito è morto ho incontrato Ted. E ora mi sto chiudendo con lui e lui non ha fatto nulla per meritarlo" . M i guarda con aria interrogativa. "Perché? Che c'è d i sbagliato i n me? " È ovvio che il meccanismo protettivo di Linda di " chiudere" è una for­ ma di depersonalizzazione legata allo stress post-traumatico. Questo sinto­ mo dissociativo è il meccanismo che "l'ha chiusa dentro " quando non po­ teva gestire la morte di suo marito. Ora lo sta sperimentando di nuovo sul­ la scia del suo imbarazzante arresto. Il distacco dal suo fidanzato e da se stessa quando lui la tocca, il senso di vuoto interiore, il sentimento surreale di vivere dentro un guscio di cui parla sono tutte descrizioni comuni della depersonalizzazione. Sembra che il trattamento subito da Linda da parte del poliziotto abbia attivato ricordi emotivi carichi di rabbia e paura che, a loro volta, vengono irrazionalmente azionati dalle avances amorose del suo fidanzato. Ma cosa ha causato la sua reazione di sproporzionato terrore e rabbia quando il po­ liziotto l'ha afferrata per le spalle all'inizio? Perché è diventata isterica quando lui voleva metterle le manette dietro alla schiena? Cosa ha reso la corsa nella macchina della polizia da sola con quest'uomo così terrorizzan­ te da farla regredire e recitare le preghiere della sua infanzia? Mi sembra che l'arresto l'abbia rigettata in qualche brutto, orrido evento della sua gio­ vinezza. Quale? "L'incidente della polizia sembra aver influenzato la sua relazione con Ted" dico a Linda, "e può aver suscitato pensieri ed emozioni legati a qual­ che evento passato." Linda annuisce con l'aria di chi ha capito. " Riesce a vedere qualche nesso tra i sentimenti di rabbia che ha provato 1 75

TRE STORIE INTERIORI

per il poliziotto e quelli che ora prova con Ted" le chiedo, "e qualcosa che le è successo in un momento precedente della vita? " " Sì " dice Linda calma. " È successo quando avevo quattordici anni. "

CON IL COLTELLO PUNTATO

La madre di Linda era irremovibile. Non aveva intenzione di permettere alla figlia di quattordici anni di andare a trovare il suo ragazzo, Miguel, a casa sua quella sera. " Lo hai visto ieri sera" disse Consuela. "Perché devi andare di nuovo a trovarlo? " "Voglio semplicemente vederlo" disse Linda. Perché sua madre non si fidava di lei? Era soltanto una visita amichevole. Lei era una brava ragazza, vergine, e non aveva intenzione di fare nulla che la mettesse nei guai. " Mammina, è Capodanno" disse Linda, cercando di essere persuasiva. "È un giorno di festa. Lo so che sono uscita con lui ieri sera ma sono torna- · t a a casa presto, no? Non mi sta aspettando. Voglio semplicemente fargli una sorpresa e augurargli buon anno. " " Chiamalo al telefono" disse Consuela. " Oh, mamma, non è la stessa cosa" fece le sue rimostranze Linda. " So- . no soltanto le sette. Sarò a casa alle nove. " Guardò la madre con aria sup- . plichevole. "Posso andare?" implorò. "Per favore, mamma, per favore. " Ma Consuela non l'ascoltò. Era una donna profondamente religiosa che conosceva i guai in cui potevano incappare le ragazze giovani come Linda , quando iniziavano a uscire con i ragazzi. Nessuna delle sue figlie si sarebbe fatta mettere incinta da qualche ragazzetto per dover lasciare poi la scuola. Miguel era un ragazzo ammodo, ma viveva vicino ai cantieri. Era una zona pericolosa. Aveva sentito dire di storie di droga lì intorno e di sparatorie notturne che echeggiavano come gli scarichi delle macchine. " No, Linda, non voglio che tu vada da Miguel" disse Consuela ferma­ mente. " Non è bene che tu ti aggiri da quelle parti quando è buio. Non è sicuro. Voglio che tu stia a casa stasera. " Vide la delusione sul volto di Lin­ da e si fece intenerire. "Guarda, se vuoi uscire stasera, vai a trovare la tua amica Annina in cima alla strada. Torna per le nove però. Domani si va a scuola. " " Okay, andrò a trovare Annina" disse Linda, grata per il compromesso. Non c'era niente da fare per riuscire a uscire di casa. Da quando i suoi ge­ nitori avevano divorziato, quando Linda aveva nove anni, la religione era diventata tutta la vita di sua madre. A Linda mancava molto il padre. Le si spezzò il cuore quando lui si risposò e si trasferì a Miami per insegnare mu­ sica al college. Linda l'anno successivo avrebbe iniziato la scuola superiore dove lui solitamente insegnava e non ci sarebbe stato. La madre di Linda 176

UNDA A., UNA PASSIONE FERITA

era determinata a crescere i suoi figli in maniera proba anche senza il pa­ dre, ma la casa una volta traboccante di risate, calore e musica latina era ora una solenne canonica priva di sorriso. Era freddo e umido fuori, un freddo pungente che annunciava la neve incipiente. Il vento sferzava il volto di Linda e faceva rotolare le carte delle caramelle buttate e i mozziconi di sigaretta sul marciapiede. Anche i festo­ ni natalizi rossi e verdi appesi tra i lampioni ondeggiavano per il vento. Linda si avviò verso la casa di Annina, ma a metà strada le venne in mente che nessuno avrebbe saputo se, invece, fosse andata da Miguel, un paio di miglia più avanti. Se fosse tornata in tempo, sua madre non avrebbe avuto ragione di chiamarla da Annina. E proprio per essere sicura, una volta da Miguel avrebbe chiamato Annina lei stessa e le avrebbe detto di coprirla in caso sua madre l'avesse cercata lì. Linda continuò a camminare verso casa di Annina, ma invece di salire i gradini della sua casa continuò verso l'angolo della strada e girò a sinistra verso i cantieri dei palazzi a dodici piani che si stagliavano in lontananza. Scese per le stradine strette affollate di case a schiera ed entrò in un quar­ tiere che iniziava a mostrare i segni del deterioramento. Passò un vuoto campo da gioco con delle macerie sparpagliate. All'angolo c'era una fab­ brica abbandonata chiusa con degli assi. Girando l'angolo, superò un garage vuoto, fatiscente, vicino a un picco­ lo palazzo con una recinzione anticiclone. Poi ancora blocchi di case a schiera. Le strade erano deserte e questo andava bene per Linda. Non po­ teva aspettare per andare da Miguel. Rifiutarsi di obbedire a sua madre le dava un'elettrizzante sensazione di nervosa eccitazione: era qualcosa che Linda, obbediente e responsabile, faceva raramente. Girò un altro angolo e passò i cantieri. Poi attraversò un piccolo tratto solitario, un'area vuota. La casa di Miguel era soltanto a pochi minuti da lì. Linda affrettò il passo, con la testa contro il vento. Fuori dal suo angolo vi­ sivo, individuò una macchina isolata parcheggiata nell'area. Era una mac­ china nera e un uomo stava in piedi a fianco a essa - un grosso africano for­ se sulla quarantina. Che faceva lì? Si chiese Linda. Aspettava qualcuno? Lei? Linda sentì il cuore che iniziava a battere ripetutamente contro il suo petto. Non guardarlo, si disse. Continua ad andare avanti e andrà tutto bene. " Signorina, ha un fiammifero? " chiese l'uomo mentre andava nella sua direzione. "No" rispose, e continuò a camminare. Linda sentì un dolore acuto quando le dita dell'uomo si chiusero intor­ no al suo braccio con una presa d'acciaio. Si divincolò e si fermò congelata quando vide il lungo affilato coltello balenare minacciosamente nell'altra mano. 177

TRE STORIE INTERIORI

"Unh ... unh ..." Linda cercò di gridare, ma il suono le morì in gola. "Entra in macchina" disse l'uomo, spingendola sul sedile posteriore. "Non ti farò del male, non ti farò del male" prese a dirle, cercando di farla sentire

sicura nonostante brandisse un coltello. "Tutto quello che voglio è che tu faccia una telefonata alla sorella di mia moglie" disse in maniera poco cre­ dibile, "e non sto facendo altro che cercare una cabina telefonica." Ma non raggiunsero mai la cabina telefonica. L'uomo guidava, guidava,

guidava. Linda giaceva dalla sua parte nel sedile posteriore della macchina� paralizzata dal terrore, la sua mente era fissa sul coltello che l'uomo teneva:

vicino a sé. Infine si infilò in una strada di case a schiera e alla quarta casa a destra - Linda stava contando - entrò nel viale e poi nel garage. Con il coltellQ puntato sulla sua schiena l'uomo la portò su per due rampe di scale al terzo

piano di quella che supponeva fosse una casa su più piani. Entrarono in un appartamentino con una sola stanza, molto pulita, ben arredata, con uq tocco accogliente che dimostrava la presenza di una donna.prou,tluH.LH\.. Le foto di fa� u

miglia testimoniavano che l'uomo era sposato. Sua moglie probabilmente era fuori città per le vacanze, congetturò Linda. Un telefono sul tavolo del soggiorno colpì l'attenzione di Linda. Cercò

di imparare il numero a memoria sperando di poter in questo modo de· nunciare l'uomo, lui le disse di andare nella camera da letto a spogliarsi. ...vL·La ... .. seguì nella camera, sbatté il coltello sul piano all'armadio solo per ricorda·

glielo e lo lasciò. Linda era ancora vestita quando l'uomo tornò. Era seduta sul letto, im-, mobilizzata dalla paura. Avanzò verso di lei e la spinse giù con la mano. Poi

si tolse i jeans, si abbassò le mutande e la stuprò. Il dolore era insopporta­ giovane : bile, diverso da qualsiasi cosa Linda avesse sperimentato nella sua giovane

vita, ma non lottò né gridò. Era sotto shock. Questo grosso e potente. ./: omaccione si conficcava inarrestabilmente e senza pietà dentro di lei anco­ ra e ancora come una macchina di Prometeo mentre lei giaceva lì, come un' automa insensibile, permettendoglielo. Tutto quello che le passava per la !ri1 mente era: "Dio, ti prego fammi uscire viva di qui".

un:.y.

Quando ebbe finito, lasciò Linda da sola a vestirsi. Frastornata, si lavò

in bagno, si rimise i vestiti e andò nel soggiorno. L'uomo le disse che l'a· vrebbe portata ovunque fosse voluta andare.

Nella macchina cercò di parlarle, ma Linda finse di parlare solo spagno­ lo. Pensava che se avesse saputo che parlava inglese l'avrebbe uccisa per evitare che lo denunciasse alla polizia. Erano successe molte cose di questo genere in città di cui si sentiva sempre parlare e non voleva entrare a far parte delle statistiche.

"Dimmi solo dove posso portarti- almeno una traversa" disse l'uomo. Linda gli diede il nome della strada in cui viveva Miguel e lui la lasciò alla fine del blocco di case, dove nessuno l'avrebbe vista uscire dalla macchina.

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LINDA A.: UNA PASSIONE FERITA

" Che Dio ti benedica" disse l'uomo mentre lei se ne andava e le passò un biglietto da dieci dollari. Porco, come puoi nominare il nome di Dio? Pensava Linda. Strappò il biglietto e gettò i pezzi nella fogna prima di andare a casa del suo ragazzo ad augurargli buon anno.

COLLEGAMENTI

"Ha rubato la mia anima, ma mi ha lasciata viva" dice Linda del suo stu­ pratore quando ha finito di raccontarmi la sua storia, "e a volte mi chiedo cos'è peggio. " " Quando è andata a casa del suo ragazzo h a detto niente di quello che le era successo? " " Niente" risponde Linda. " Sono rimasta lì per un po' e poi sono tornata a casa. " " Dopo che è andata a casa ha parlato con sua madre di quello che era successo? " " No. Sentivo che me lo meritavo perché l'avevo ingannata. Dovevo es­ sere a casa della mia amica e invece sono andata a casa del mio ragazzo. Lei ci ha insegnato che quando fai delle cose brutte, ti succedono delle cose brutte. Ti prende il diavolo. Ora non credo a tutto questo, ma è il modo in cui sono stata cresciuta. Provo senso di colpa verso quel giorno - sa, se fos­ si andata a casa della mia amica, non sarebbe successo nulla. " " Quindi non ha detto niente a nessuno dello stupro ? " " Ne h o parlato come se fosse successo a qualcun altro" dice Linda. "Ho detto ai miei amici: 'Non crederete che cosa è successo a questa ragazza che conosco'. Ho inventato un nome e ho raccontato loro tutta la storia. E loro con il fiato grosso hanno detto: 'Mio Dio ! '. E io ho aggiunto: 'Sì, pote­ va essere uccisa ! Lui aveva un coltello ! '. Mi vergognavo troppo per am­ mettere che fosse successo a me" spiega Linda, "ma parlarne in terza per­ sona mi aiutava. Almeno ne ricavavo un po' di empatia vicaria. " " Quando è stata la prima volta che ne ha parlato come di qualcosa che era successo a lei ? " " Circa quattro anni fa. L'ho detto alla mia amica Nora perché sentivo proprio di averne bisogno. Nora è laureata in psicologia e mi sentivo sicura a parlarne con lei. Era molto supportiva. Mi ha indirizzata a un centro per donne dove ho fatto una terapia di gruppo per circa dodici settimane. È stata un'esperienza positiva. Dopo di che sono riuscita a parlare a mia ma­ dre dello stupro ed è stata comprensiva. " " E Ted? A lui n e h a parlato? " " Sono stata molto sincera con Ted s u questo, più che con chiunque al­ tro. Lui è stato incredibilmente supportivo, molto sensibile e anche molto 179

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arrabbiato. Ha pianto con me per quello che è accaduto e poi ha detto: ' Come si può fare questo? Come può essere così brutto il mondo?'. Ora mi sento come se gli stessi dando un calcio nel sedere. Condivido tutto questo con lui e poi gli dico: 'Ora tieniti lontano da me. Non mi toccare'. " " Come s i sente quando dice: ' Non mi toccare?'." "Infantile. Molto infantile. Non come una donna matura. " " Che effetto pensa abbia avuto su di lei lo stupro?" "Penso di aver sofferto di depressione da allora, anche se non riuscivo a riconoscerlo o a dargli voce" risponde Linda. "Ho iniziato ad avere que­ st'umore nero in cui tutto sembrava così cupo e tetro anche se fuori c'era il sole. Per lo più, comunque, quell'esperienza l'ho tenuta sotto il tappeto e non ci ho pensato sul serio finché non sono diventata adulta. Poi ho avuto una rivelazione del tipo: 'Oddio ! Ma questa è stata una violazione vera ! È una cosa orribile quella che ti è successa ! Non l'hai mai raccontata a nessu­ no; non ci hai mai fatto i conti; hai vissuto questa bugia ! ' : Questo è avvenu­ to quando l'ho detto a Nora. " "E i suoi attacchi di panico e d'ansia sono iniziati dopo lo stupro?" " Sì, quando ero alla scuola superiore" risponde Linda. "Ho sempre sentito che non c'era un buco abbastanza grande in cui potermi infilare. A volte mi sarei voluta nascondere nell'armadio, perché il mondo mi sembra­ va troppo grande. Era davvero terribile per me. Decisi che dovevo andare via da Filadelfia e frequentare il college da qualche altra parte. Scelsi la zo­ na del Massachusetts, perché mio zio stava facendo il dottorato alla Boston ·.· University e mi aveva invitato a stare con lui e la sua famiglia mentre anda­ vo a scuola. " Linda ricorda come la sua paura di essere aggredita rese il college un in­ cubo per lei: "Era orribile con tutti quegli studenti dappertutto. Cammina­ vo per il campus e vedevo gli studenti - degli estranei - ovunque e pensavo: 'Oh, mio Dio, come devo fare? Non ci riesco. Voglio andare a casa'. E sem­ plicemente resistevo, resistevo, resistevo. Volevo il mio diploma e mi con­ vincevo che non avrei lasciato che questa cosa avesse la meglio su di me" . "Quando si è sposata, l'ansia e gli attacchi di panico continuarono ? " "Peggiorarono" dice Linda. " Andavo a fare l a spesa alla drogheria e do­ vevo lasciare il carrello in mezzo al corridoio e tornare a casa perché pensa­ vo che tutti mi guardassero. Ero in fila alla banca e il mio cuore iniziava a battere così velocemente che pensavo volesse uscire. Se guidavo la macchi­ na e rimanevo intrappolata nel traffico, dovevo chiudere gli occhi e ascol­ tare una musica rasserenante e iniziare a parlare per evitare di dare di mat­ to. Avevo sempre queste orribili sensazioni. Incredibile. Pensavo di diven ­ tare pazza, di perdere la mia mente. " Linda scuote la testa al ricordo di qualcosa che sarebbe comico se non fosse così doloroso. "Ricordo un giorno quando Julie aveva pochi mesi e stava dormendo con un braccio nascosto sotto di lei. Potevo vedere solo



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un braccio e nella mia mente gliene mancava uno. Ebbi un'allucinazione. Pensavo che il suo braccio si fosse staccato o qualcosa del genere. Non osa­ vo guardare, sentivo soltanto di dover vedere se il suo braccio era ancora lì. Cose come queste davano inizio a un incredibile attacco di panico e questo è proseguito per diversi anni. Mi sentivo così male che avevo paura a uscire fuori di casa. " "Come ha reagito suo marito? " " Mia madre gli h a detto che avevo questi attaques de nervos - la sua espressione per gli attacchi di panico - e lui lo ha accettato" dice Linda. " Quando siamo andati a Filadelfia a trovare mia madre da poco sposati, Rafael guidava e io stavo nel sedile posteriore, distesa. Temevo sempre che qualcosa dentro di me mi dicesse di saltar fuori dalla macchina. " "Quindi anche se era suo marito che la riportava a Filadelfia ed era al sicu­ ro" commento, "lei si sentiva in pericolo. Cosa pensava potesse accadere? " " Suppongo che temessi di essere rapita di nuovo, perché stavo tornan­ do dove era successo. Sentivo come se fossi stata effettivamente rapita. Mi sentivo in trappola. " "Ha idea di come il suo incontro con il poliziotto potrebbe essere legato a quella sensazione di essere in trappola che ha provato prima?" " Quando stavo descrivendo come sono stata rapita - l'essere afferrata per il braccio" risponde Linda, "pensavo a come il poliziotto mi ha immo­ bilizzato per ammanettarmi. Riuscivo a vedere il nesso e perché l'arresto è stato così traumatico per me. Il mio avvocato mi ha detto la scorsa settima­ na che l'altro poliziotto ha dichiarato che non aveva mai visto un arresto come quello prima di allora. Che io ero totalmente, proprio totalmente fuori controllo. Ora so che posso essere molto instabile in situazioni in cui mi sento messa nell'angolo e questo è terribile. " "Cosa ricorda sia successo mentre opponeva resistenza?" "Ricordo che non volevo essere toccata, non volevo essere ammanetta­ ta. Ricordo che sono stata messa nel sedile posteriore della macchina e che scaldavo contro la portiera e volevo uscire assolutamente. E continuavo a dirgli, a pregarlo di farmi uscire, fammi uscire, fammi uscire, fammi uscire. In seguito ci ho riflettuto: 'Perché non sono semplicemente andata con lui? Perché non l'ho semplicemente seguito e non sono andata con lui?'. " "E cosa ha concluso? " " Ero fuori di me" risponde Linda semplicemente. "Avevo la stessa sen­ sazione di quando a quattordici anni fui rapita con il coltello puntato. Se fossi stata in me, non avrei scaldato contro la portiera. Non lo avrei prega­ to di farmi andare. Non poteva !asciarmi andare. Se doveva arrestarmi, do­ veva arrestarmi e basta. " " Sembra, da quello che dice, come se alcune delle sensazioni provate a quattordici anni avessero cercato di emergere quando si è di nuovo sentita in trappola a trentatré." 181

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"Lo so" dice Linda. "Mi ricordo che pregavo in spagnolo, ma il rappor­ to della polizia dice che stavo anche parlando al poliziotto in spagnolo quando ero nella macchina. Ho pensato che fosse davvero strano perché sapevo che lui non parlava spagnolo. Poi mi sono resa conto che avevo pa­ lato spagnolo anche con lo stupratore. Così era come se avessi viaggiato in­ dietro nel tempo." "Quali altri collegamenti vede tra lo stupro e l'arresto?" "Ci sono molte somiglianze" dice Linda. Le elenca: "Una zona isolata, con nessuno in giro. Da sola con un estraneo. Essere presa per il braccio. Essere obbligata a girarmi con lui che sta dietro di me. Mi viene ordinato di togliermi il cappotto. Il buio, il freddo di una notte d'inverno. Essere co­ stretta - il poliziotto ha usato le manette, lo stupratore il coltello. Essere obbligata a sedermi dietro in macchina. Stare sdraiata al mio posto sul se­ dile del passeggero. Essere spaventata a morte. Sentirmi violata". "Le somiglianze tra i due incidenti hanno attivato molte emozioni che sono uscite fuori in maniera inappropriata" dico a Linda, "perché le ha te­ nute dentro il suo guscio per molto tempo. Ha bisogno di individuare al­ cuni di quei sentimenti ed esprimerli in maniera appropriata. Allora potrà imparare a gestirli in modo da non trasformarli in un attacco di panico

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mettere in fuga Ted quando vuole essere affettuoso o intimo." Linda emette un profondo respiro. "Dio, lo vorrei tanto" dice con deside­ rio struggente. "Sarebbe quasi come una rinascita. Sento che vivo in questo mondo irreale. Sono qui e non sono qui, certe volte mi dò un pizzicotto molto forte e non mi fa male. Mi chiedo se ho un cuore, se sta battendo, se sono viva. Non sento che sono fuori dal corpo, ma a volte che sono fumo dentro, la su· perficialità e il vuoto di tutto questo. Le persone pensano che io sia forte per­ ché ho affrontato dei momenti molto difficili nella mia vita senza mostrare emozioni. Non sanno che mi sto consumando dentro. Non c'è rimasto niente eccetto questo vuoto. Sento che mi sono mancate così tante cose che la mia vita mi sta passando velocemente accanto o forse mi sta attraversando." Linda ricorda la sua prima visita dallo psichiatra. "Dopo che mio mari· to è morto, mi sono decisa a non lasciare che i miei attacchi di panico mi te­ nessero ingabbiata in casa o mi rendessero dipendente da qualcuno" dice. "Andai da uno psichiatra e lui mi spaventò e non ci tornai più. Mi disse: 'Lei ha un vaso di Pandora dentro di sé e quando questo vaso di Pandora si aprirà- attenzione! Si sentirà peggio prima di sentirsi meglio'. Ho detto: 'Oh no! Non sono pronta per questo' perché per me sentirmi peggio signi­ ficava perdere la ragione. Penso di essere ancora spaventata." "La terapia le insegnerà come consolarsi quando quelle sensazioni esco­ no fuori, così non saranno tanto spaventose" rassicuro Linda. "Quello che vorrei che lei facesse è scrivere una lettera all'uomo che l'ha stuprata. Non deve essere spedita. È soltanto qualcosa che potrà aiutarla a far uscire i suoi sentimenti. Può portare qui la lettera e possiamo parlarne."

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LINDA A.: UNA PASSIONE FERITA

" Non sarà molto cortese, " dice Linda, facendo una risatina sommessa. " Non mi aspetto che sia cortese" le dico, facendole capire che non mi scandalizzerò. " E poi mi piacerebbe che scrivesse una lettera alla ragazza di quattordici anni dentro di lei che è ancora traumatizzata e molto spa­ ventata, perché non è stata confortata abbastanza. È quella bambina che sta rifiutando Ted. " "Ma è una bambina assertiva che può dire: 'Non voglio essere toccata"' controbatte Linda. " Una bambina a volte ha difficoltà a rendersi conto che può stabilire dei confini. " "Ma la bambina che stabilisce questi confini s a che sono passati dician­ nove anni da quando è stata rapita e stuprata e che ora può sentirsi sicura perché lei è in grado di proteggerla? " " Non lo so; tutto questo è così nuovo per me" dice Linda meravigliata, " dover riscoprire questa bambina e scriverle. Che bene pensa le farà? " "Una volta che quella parte di lei è sufficientemente confortata, io pen­ so che sarà in grado di stare vicino a Ted" dico a Linda. " Ora questa parte infantile sente che deve essere presente come una sorta di cane da guardia in allerta quando Ted la tocca. Se riesce a farla rilassare e a permettere alla parte adulta di lei di tenere sotto controllo la sua sessualità, non si sentirà arrabbiata e potrà permettere a se stessa di avvicinarsi e di godere dell'inti­ mità sessuale pienamente. "

"CARO STUPRATORE"

Servono diverse sedute perché Linda afferri il concetto di comunicare con la bambina traumatizzata. Uno dei suoi problemi più grandi, dice, è Ted. "Ho bisogno del mio spazio per sedermi da sola a scrivere e Ted non me lo dà" si lamenta. " Quando inizio a scrivere, arriva e dice: 'Ti supporterò in qualsiasi modo tu abbia bisogno' . Quello che voglio da lui è essere la­ sciata da sola. Inizia a farmi domande, mi vuole aiutare e mi infastidisce; al­ lora mi arrabbio molto, come quando mi tocca. Sento che mi viola. Voglio che quello che scrivo sia personale. " " Forse ha bisogno di programmare un po' di tempo privato per se stes­ sa, per scrivere" suggerisco. "L'ho fatto" dice Linda. "Sabato ho fatto una passeggiata con il mio Rolf, il mio Grande Danese da guardia. Mi sono seduta in una zona bosco­ sa vicino a un albero e ho scritto nel mio quaderno. " Mi mostra la sua lettera alla quattordicenne dentro di lei. Carissima Linda, sei rimasta in silenzio troppo a lungo, semiaddormentata e chiusa dentro al guscio. Ti scrivo perché voglio aiutarti a rompere il silenzio e a uscire. So

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che stai portando un grosso peso di paura, colpa e vergogna sulle tue spalle.

È arrivato il momento di lasciare andare il tuo dolore, abbracciarti ed essere buona con te. Voglio che tu sappia che non dovrai vivere nella paura mai più in vita tua. Puoi smettere di rivivere continuamente quel momento. È successo, è fatta. Non succederà un'altra volta perché ti terrò io al sicuro, mia cara. Cerca di capire che l'accaduto non è stata una punizione di Dio. Che Dio sarebbe, se fosse così crudele con te per aver mentito a tua madre su dove eri andata? È stato l'atto di un uomo malato e poteva succedere a chiunque. La tua unica colpa è stata quella di essere giovane e intrepida. Quell'uomo orribile ti ha derubato della tua anima di bambina e io te la restituirò. Vorrei riuscire a portare indietro le lancette dell'orologio al momento in cui eri una bambina felice e spensierata e cambiare quei terribili momenti in un'esperienza positiva da serbare nel cuore per il resto della tua vita. La ve­ rità è che non posso. Di questo sono molto addolorata, ma posso aiutarti ad alimentare tutte le esperienze positive che hai fatto e puoi fare ora. Ti prego, fai la tua parte nell'aiutarmi a farti diventare forte. Sei una brava ragazza. Non devi mai dimenticare quanta gioia hai porta­ to alle persone. Sei speciale, bella, gentile. E nessuno può portarti via que­ sto. lo ti voglio bene senza condizioni. Ti prego, per amor del cielo, vivia­ mo, amiamo e siamo una cosa sola.

"È una lettera molto consolatoria" dico a Linda. " Come si sentiva men­ tre la scriveva? " "Avevo un groviglio di sentimenti. Mi sentivo come una madre molto affettuosa; e, a volte, mi sentivo impotente e sul punto di piangere; e poi mi sentivo potente, a seconda di quello che scrivevo e quello che pensavo. È così tipico dei miei stati d'animo. Posso stare bene un minuto e piangere quello successivo. Ero abituata a pensare di essere bipolare, ma non sembrava si trattasse di questo." "Per cosa piangeva quando ha scritto questa lettera? " "Mi sentivo triste perché avrei voluto essere quella che ero un tempo: la persona spensierata che piaceva a tutti e che veniva ammirata da tutti, quel­ la piena di vita e felice di svegliarsi la mattina. Non mi sento così da molto tempo." "Io penso che la sua parte bambina debba fare i conti con molta tristez­ za, quindi più riesce a raggiungerla, a comunicare con lei e fornirle confor­ to e supporto, prima si sentirà di nuovo felice. " "Voglio continuare a scriverle; c'è molto altro che le devo dire" asseri­ sce Linda. "È come se fossi fuggita da me stessa per anni e ora voglio dare alla parte di me chiusa nel guscio una possibilità di mettersi in pari. Mi sen­ to come se avessi aperto una strada. " Chiedo s e è i n grado d i scrivere qualcosa anche all'uomo che l'ha stu­ prata. Scuote la testa per dire di no. " Ogni volta che ho provato a scrivergli h o strappato la lettera" mi dice. " Non riuscivo a sopportare la rabbia. Lo odio 1 84

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LINDA A., UNA PASSIONE FERITA

e non so nemmeno chi sto odiando; non mi piace odiare nessuno. " Il volto di Linda si contorce per l'emozione e le lacrime spuntano nei suoi occhi. "È come un fantasma, questo . . . questo" fa un respiro profondo e serra i denti, " questa cosa che è parte di me e che non va via. Non mi lascia da so­ la. E io penso che sia questo il vuoto che sento dentro, perché non doveva stare lì . . . proprio non avrebbe dovuto essere lì. All'inizio, sentivo una ri­ pulsa tutte le volte che vedevo un africano per strada. Poi ho iniziato a ren­ dermi conto di quanto questo fosse ingiusto. Il colore della sua pelle non aveva nulla a che fare con questo. Era un uomo cattivo. E a volte mi chiedo se sono disgustata dagli uomini. Forse mi ritraggo quando Ted mi tocca perché non voglio avere a che fare con nessun uomo. Non voglio vedere più un pene in vita mia . " "Quello che sta dicendo è che poiché quell'uomo i n particolare era mal­ vagio, non le è più permesso di godere del sesso con un uomo corretto. Non può stare con qualcuno che è buono? " "Ted lo è " concorda Linda. " Allora ha bisogno di tirare fuori la rabbia con una persona che lo meri­ ta" le dico, "ed esorcizzare il fantasma. " Diverse sedute più tardi Linda entra con la sua lettera scritta all'uomo che la rapì e la stuprò quando aveva quattordici anni. "Ho iniziato a scrivere 'Caro stupratore,"' mi dice ridacchiando, "e poi mi sono resa conto di quanto fosse ridicolo essere educata. Quindi questo è quello che ho scritto. "

�stupratore, perché lo hai fatto? Come hai potuto sequestrare una ragazza di quattordici anni a Filadelfia, puntarle un coltello alla schiena e obbligarla a fare sesso con te? Sei una disgustosa, idiota, narcisistica merda. Hai mentito a quella povera ragazza, l'hai terrorizzata, violata, le hai rubato la sua verginità, raz­ za di animale ! Non so come tu possa vivere con te stesso. Hai nominato Dio. Pensi che Lui ti perdonerà per aver stuprato una bambina innocente? Sai quale devastazione hai portato nella sua vita? L'hai fatta crescere desiderando di non avere organi sessuali e sentendosi sporca e piena di vergogna verso il suo corpo. Le persone come te mi fanno vomitare ! Se solo potessi incontrarti ora ! Sono la persona a cui hai fatto questo. Ho patito un dolore e un'angoscia insopportabili a causa tua. Spero d'incon­ trarti così da poterti dire come mi sono sentita, come mi sento e cosa ho pas­ sato. Continui a ossessionarmi. Sei come un serpente che mi avvelena le vi­ scere con il suo veleno. Vorrei che fossi un serpente visibile da poter tagliare in pezzi con un coltello come quello che avevi tu. Ti odio, ti odio! !

Finito di leggermi la lettera, Linda piange amaramente. Dopo un momen­ to dice: "Provo così tanta rabbia al pensiero che può girare liberamente". " Cosa farebbe se lo incontrasse di nuovo?" 1 85

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"Ho sempre immaginato questa situazione" ammette. " Ho persino por­ tato un mio amico a cercare la sua casa anni fa, ma la zona era cambiata. Non ho idea di dove viva. La mia prima idea era quella di prendere que­ st'uomo in ostaggio, torturarlo e fargli sapere che sono quella ragazza di quattordici anni e che sono tornata. Con il passare del tempo, ho smesso di pensare alla vendetta. Ora vorrei soltanto chiedergli perché. Voglio che ve­ da il mio volto e ascolti quanto mi ha fatto del male. E vorrei che si scusas­ se, mi dimostrasse del rimorso, si prendesse qualche responsabilità, pro­ vasse un po' del dolore che ho provato nel corso di questi anni. " "Vorrebbe che quest'uomo sapesse che lei è una persona reale che ha dei sentimenti e un'anima e che ha sofferto a causa sua; ma poiché lui non si può scusare e chiedere di essere perdonato, Linda, io penso che lei deb­ ba perdonare se stessa" le dico. "E come lei desidera essere vista per quella che è, lo stesso vale per Ted. Quando lui la tocca, chi pensa che sia?" " So che è Ted. " " Lo s a intellettualmente, m a emotivamente reagisce a lui come s e fosse Ted? O reagisce come se fosse qualcun altro di cui una volta ebbe paura?" " Io so solo che non voglio essere toccata. Non voglio che mi parli. Vo­ glio che mi lasci da sola. " "Ted ha mai fatto nulla nel toccarla o parlarle che sia stato dannoso o di­ struttivo per la vostra relazione? " " No. " "Quindi non c'è nessuna ragione logica per cui essere così sconvolta quanto la tocca o le vuole parlare?" "No." " Quindi se non è logico che lei respinga le avances di Ted, quale situa­ zione del passato le viene in mente che le fa fare questo? " " Suppongo che a livello inconscio io mi relazioni a Ted come h o fatto con lo stupratore" ammette Linda, "ma è così difficile uscire da quella rea­ zione. Una volta che ci sono intrappolata dentro, odio quello che succede. N on lo sopporto. Anche se mi tiene la mano in modo gentile per abbrac­ ciarmi, reagisco male e divento furiosa. " Inizia a piangere di nuovo, questa volta con struggimento. " Il dolore di Ted è così penoso che fa peggiorare anche il mio. Continuo a pensare che potrebbe essere felice con qualcun'al­ tra che non ha questi problemi. Ma poi il pensiero di perderlo mi terroriz­ za c penso: 'Quanto resisterà prima di andarsene? ' . " ACQUE AGITATE

Erano entrambi eccitati per il fine settimana. C'era un tempo perfetto per navigare: il cielo pulito, un sole splendente e una temperata brezza prima­ verile. Ted aveva bisogno di partire persino più di Linda. Era meno bravo 1 86

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di lei a contenere i suoi sentimenti. Si sentiva spossato e distratto al lavoro perché rimuginava nella testa sempre le questioni di casa. Per lei era l'op­ posto. Il lavoro era il suo paradiso sicuro. Il lavoro era il posto in cui anda­ va per rifugiarsi. Riusciva a immergersi nei problemi dei suoi giovani clien­ ti e dimenticare i propri, chiuderli fuori come se non esistessero. A un certo punto Ted si era così scoraggiato che non voleva più mettere in acqua la barca quell'estate. " Non ne verremo a capo" le disse quando ebbe uno sfogo contro di lui la settimana prima. Ma poi ci passò sopra e fu affettuoso come sempre. Linda sapeva che era perduto senza la barca - ave­ va navigato per così tanti anni - così gli disse che lei voleva andare. Ora erano a Old Lymer, dove la barca di Ted, Tranquility, era attraccata al porticciolo. Stavano cenando di sabato sera al Bee and Thistle Inn, un affascinante e storico maniero. Collocata su un'ampia distesa di prato che scendeva al Lieutenant River, la locanda aveva un che dello spazio e della grazia di altri tempi, insieme a piatti sapientemente preparati come la co­ stata di agnello e la torta di aragoste. Quella notte avrebbero dormito in barca. Linda non vedeva l'ora di provare la calma che le dava stare sulla barca a guardare la luna baluginare sull'incresparsi delle onde - una visio­ ne che rendeva anche il più riluttante degli amanti vulnerabile al fascino mistico del romanticismo. Stavano sorseggiando i loro cocktail e Ted fissava Linda con autentico desiderio. Mi vuole, pensò e questo la faceva sentire nervosa, ma disse a se stessa di smetterla di preoccuparsi e di godersi il momento. Le sorrise affettuosamente, le prese la mano e gliela tenne. " Sai Linda, sei tutto il mio mondo" disse. "Amo il tuo modo di essere calda, comunica­ tiva e appassionata sulle cose. Hai una personalità meravigliosa. " "Sei così dolce" disse Linda, pensando a se stessa. Quale personalità? Non ne ho una. Di che cosa parlz; Ted? Forse avrei dovuto alzarmi prima e dirti che non ho una personalità. Si protese verso di lei. "Tutto quello che voglio è prendermi cura di te e proteggerti per quanto posso. " Sz: e questa è l'ultima cosa che voglio, pensò. Non h o bisogno che tu ti prenda cura di me e mi protegga. Posso farlo da sola. Ma tutto quello che dis­ se fu: "Lo so che lo fai, Ted" . Avrebbe voluto che finisse lì, m a invece andò avanti: " Sai come m i sento a proposito di quello che ti è successo e voglio che tu mi dica cosa posso fa­ re per aiutarti a guarire" . Gesù, Dio, non voglio la tua compassione -' Te l'ho detto solo affinché lo sapessi. Non puoi tenertela ? Non disse nulla. " Sto cercando di capire cosa stai passando" Ted continuò in maniera sentita. "Forse mi aiuterebbe leggere quello che stai scrivendo sul tuo qua­ derno." Linda sentì la colonna vertebrale irrigidirsi. Pensava che stesse scriven-

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do qualcosa su di lui? "Non ha niente a che fare con te, Ted" disse cercan­ do di non sembrare scontrosa. "È solo che ho questi pensieri in mente e voglio fermarli. Non sono sicura che ti aiuterebbe a capire. " "Ma sento che mi stai lasciando fuori dal circuito" insistette. "Ti dispia­ ce se lo leggo? " "Mi dispiace" disse. Ora si stava arrabbiando. " Guarda, quello che scri­ vo in quel quaderno è parte della mia terapia. Non mi sento a mio agio a condividerlo e non voglio sentire che devo nasconderlo. Voglio essere nel­ le condizioni di metterlo da qualche parte a casa dove è al sicuro e non vie­ ne letto. È chiaro ? " "Va bene, va bene. Non lo leggerò; hai la mia parola" disse Ted, respin­ gendo la sua mano. Si guardò intorno a disagio, temendo che stessero facen­ do una sceneggiata. " Non c'è bisogno che alzi la voce. Non sono sordo, sai." "Ma ti comporti come se lo fossi" disse lei. Nonostante lui, la sua voce si alzò. " Ecco perché devo gridare. Continuo a sperare che forse sentirai. " "Questo non è vero. Faccio tutto quello che è nelle mie possibilità per essere sensibile con te e tu tutto quello che fai è allontanarmi. " La frustra­ zione e il dolore sul volto di Ted erano come un'accusa. " Vorrei che la smettessi di agire in maniera così infantile e mi parlassi come un'adulta fa con un altro adulto." " Non posso parlare con te; tu mi invadi ! " scattò Linda. Vide le lacrime formarsi negli occhi di Ted. La faceva sentire colpevole e più in collera allo stesso tempo. Avrebbe voluto che non fosse così molliccio. Pensò: " Perché devo occuparmi del tuo dolore? Ti stofacendo affondare con me? Questo non posso sopportarlo! Devo andare via". Ora le altre persone nella stanza la stavano fissando. Linda vide il came­ riere camminare verso il suo tavolo e lei si alzò di scatto. "Mi dispiace Ted, devo andare" disse. Sentendosi gli occhi puntati sulla schiena, Linda corse alla cieca fuori dalla sala da pranzo e lasciò la locanda. Quando si trovò fuori si rese conto che aveva solo una vaga nozione di come raggiungere la barca. Se non fosse stata attenta, sarebbe potuta cade­ re nel fiume e annegare. Conosceva quanto bastava da permetterle di diri­ gersi verso l'incrocio, tre case a partire dal Bee and Thistle. Quando raggiunse l'incrocio era alla Hall's Road. Se avesse girato a sini­ stra, si sarebbe inoltrata nella zona storica, lontano dal porticciolo; quindi girò a destra, passando per un centro commerciale, un A&P3 e una stazio­ ne di servizio e proseguì verso il ponte. Per raggiungere il porticciolo avrebbe dovuto camminare per tutta Hall's Road, ma era così affaticata che impiegò mezz'ora per percorrerla. Alla fine della strada Linda girò a destra e camminò verso il porticciolo alla foce del Connecticut River. Mentre si avvicinava al porticciolo, iniziò 3. A&P è il nome di una catena di supermercati. [NdT]

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ad andare nel panico. Nel buio era difficile distinguere Tranquility dalle al­ tre barche attraccate. Era terrorizzata dall'idea di mettere un piede in fallo e finire in acqua. Il suo cuore iniziò a martellare con il suo familiare battito di tamburo d'allarme. Affrettandosi lungo la banchina, Linda esaminò attentamente i nomi delle barche, una zuppa alfabetica di piatti di vanità idiosincratica che on­ deggiavano nell'acqua. A dispetto della brezza fresca, si sentiva accaldata e sudata. Il sudore le copriva la fronte. La sua testa iniziò a girare e le sembrò di stare su una giostra. Tranquility ! Linda dovette guardare due volte per assicurarsi che fosse veramente lì e non un'illusione. Sentì salire una sensazione di sollievo men­ tre s'inerpicava a bordo. Inciampò su alcuni attrezzi che Ted aveva lasciato sparsi su un telone e quasi cadde nel tambucio aperto prima di avviarsi ver­ so il posto letto B e sprofondarvi dentro. Circa un'ora più tardi arrivò Ted con un aspetto stravolto. "Oh, Dio ti ringrazio, sei qui" disse. " Pensavo che stessi ad aspettare fuori e ho passato mezz'ora a cercarti nei giardini fuori dalla locanda prima di tornare qui. Tutto bene? " " Sto bene" bofonchiò Linda. La guardò pieno di disapprovazione. " Mi hai fatto spaventare a morte. Per favore, non scappare mai più in quel modo " disse sedendosi sul letto al suo fianco. " Vuoi parlare? " " No ! " gridò Linda. Si tirò la coperta sopra la testa. Ted cercò di scoprirla. "No, per favore non la togliere ! " Anche se smorzata dalla coperta, non c'era dubbio alcuno sulla paura nella voce di Linda. Iniziò a piangere in maniera isterica. Non voleva vedere Ted né parlargli. Voleva soltanto stare sotto la coperta, al sicuro. Ted si alzò. "Mio Dio, Linda, cosa ti ho fatto? " "Per favore Ted, !asciami da sola" singhiozzò Linda. " Ne parleremo do­ mani mattina. " Ted dormì da qualche altra parte sulla barca quella notte. Linda si svegliò al mattino piena di rimorso. Quando si guardò allo spec­ chio e vide la sua faccia tesa e rossa, gli occhi gonfi, si chiese: "Chi è questa persona? " cercò di vedersi da fuori ma era troppo spaventoso. Mise via lo specchio, si lavò, si vestì velocemente e andò a trovare Ted. "Mi dispiace per il modo in cui mi sono comportata la notte scorsa " dis­ se contrita. " Niente di tutto questo ha a che fare con te. È tutto legato al mio passato." Di nuovo Linda suggerì di prendersi una pausa mentre lei lavorava sui suoi problemi in terapia. " Non ho intenzione di !asciarti" disse a Ted. "Penso solo che potrebbe essere pi ù semplice per entrambi se potessimo stare lontani per un po'. " l

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" No, no. Io non voglio questo" disse Ted in maniera ferma. " Io ti amo ancora e ho intenzione di resistere per tutto il tempo necessario. " Passò il giorno a lavorare sulla barca mentre lei sedeva sul ponte di co­ perta a scrivere il suo diario. Era una piacevole e tranquilla domenica priva di problemi, ma il romanticismo del fine settimana era stata buttato a mare e spazzato via dalle onde.

CONGELATA

"Perché soffro quando so che non dovrei soffrire? " mi chiede Linda scon­ solata dopo avermi parlato del suo weekend sulla barca. "Ha detto di aver scritto sulla barca. Cosa ha scritto? " " Ho scritto un'altra lettera alla parte di me quattordicenne. Ho cercato di pensare a cosa avrei detto in qualità di insegnante a uno dei miei studen­ ti che fosse turbato, ma non è riuscita con quello stile . " L a lettera d i Linda dice: Ho bisogno di farti venire fuori dal guscio, ma sembra che il guscio sia trop­ po difficile da rompere. Non ci sto provando abbastanza? Mi sto tirando in­ dietro? Di che cosa ho bisogno per farti uscire? Sono troppo debole o trop­ po cieca? Ho bisogno di sacrificarmi? L'ho già fatto. Come puoi notare ho molte domande. Solo che non riesco a trovare le ri­ sposte. Ma io so che vuoi essere libera; mi rendo conto di questo. Sono così brava a risolvere i problemi degli altri e non riesco a farlo con i tuoi. Sei per me la persona più importante; sei la mia vita. Allora cos'è c'è che non va? Quanto può essere difficile? Linda, devi aiutarmi. Ci deve essere uno sforzo di gruppo qui. Io e te, bambina, io e te. Sono stanca di essere un'estranea a me stessa e di vedere la mia vita che mi passa a fianco. Voglio iniziare a respirare, sentire l'odore dell'erba, a sentire l'amore. Ma niente. A volte mi sento fredda come una pietra. È un po' come i versi della canzone di Madonna: " Sei congelato quando il tuo cuore non è spalancato . . . Perdi il tuo tempo con l'odio e il rimpianto . . . Se ti perdo, il mio cuore si spezza . . . L'amore è un uccello, ha bisogno di volare . . . Lascia tutto il dolore dentro di te andare " . Conosco il problema e l o comprendo. Perché non l o s o risolvere? Perché?

"È così frustrante essere congelata nel tempo, congelata nei sentimen ­ ti" dice Linda con rabbia, stringendo i pugni. " A volte vorrei prendere questa parte di me che sta nel guscio fisicamente, scuoterla e dire: 'Esci fuori ! ' . " "È u n modo rispettoso d i cercare d i mettersi i n contatto con quella par­ te? " le chiedo. " Sa che ci sono molte ragioni per cui quella parte è stata in­ dotta a entrare nel guscio e ha paura di uscire fuori. E non uscirà a meno che non si senta sicura. " 1 90

LINDA A.: UNA PASSIONE FERITA

"Come posso far sentire questa parte sicura quando io stessa non mi sento sicura ? " chiede Linda. E la stessa domanda che sento fare ai miei pa­ zienti che non sanno come consolare se stessi, perché o sono stati sistema­ ticamente abusati, oppure, come nel caso di Linda, sono stati sottoposti a traumi gravi che li hanno tenuti congelati nel tempo, costretti a rivivere l'e­ vento. "Ma la sua parte adulta è in grado di superare quei sentimenti e funzio­ nare bene nel lavoro con i bambini" replico. " Era sulla strada giusta quan­ do cercava di assumere il suo ruolo professionale di counsellor con la sua bambina congelata dentro al guscio, ma lei permette che l'impazienza in­ tralci il cammino. Ha bisogno di mettere da parte la frustrazione e di foca­ lizzarsi sul rispetto e l'empatia verso i sentimenti di quella parte, dandole spazio nella sua vita. " " Farei meglio a fare qualcosa o la situazione con Ted continuerà a peg­ giorare sempre di più" dice tristemente Linda. "È la stessa cosa che è suc­ cessa con la ex moglie di Ted. Ha smesso di fare sesso con lui sei mesi dopo che si sono sposati. Forse anche lei aveva una storia di abuso sessuale. " "Potrebbe darsi. " Linda fa una faccia disgustata. " Mettere la coperta sulla testa - mio Dio, è stato così infantile. " " Ma questo è il problema, no? S i sente più come una bambina quando lui ricerca l'intimità. " " Sì, ed essere sorpresa con quella sensazione di immaturità e avere que­ st'uomo che cerca di fare l'amore con te quando ti senti in quel modo è molto . . . è . " Linda lotta per trovare la parola e finalmente dice: "In quel momento penso che sia disgustoso: 'Per amor di Dio, che cosa fa? ' . " "Io credo che dovrebbe consolare regolarmente l a parte di lei che prova i sentimenti di una bambina" suggerisco. "Non aspetti di essere già in una si­ tuazione potenzialmente sessuale e che la paura e la rabbia siano travolgen­ ti. " Le consiglio un tascabile intitolato I:arte di prendersi cura di sé di Jenni­ fer Louden. " Naturalmente non si addice a una bambina essere coinvolta in una situazione sessuale" continuo, " quindi ha bisogno di trasmettere a quel­ la parte di sé che la parte adulta sarà lì e avrà il controllo della situazione e non abbandonerà la bambina in quel momento. È necessario comunicare questo alla bambina così che possa . . . " "Andare a dormire" finisce Linda per me. . .

ISOLATA MA NON SEPARATA

Dopo un riesame della SCID- D di Linda, la diagnosi a cui pervenni fu di DDNAS ovvero disturbo dissociativo non altrimenti specificato. Questa ca­ tegoria riguarda persone che hanno sintomi dissociativi ma che non soddi191

TRE STORIL INTERIORI

sfano i criteri per gli altri disturbi dissociativi. Coloro che sono sopravvis­ suti a traumi estremi, ostaggi, membri di riti, vittime di tortura o di terrori­ smo, prigionieri sono tutte persone che possono sviluppare sintomi disso­ ciativi di questa natura. In quanto sopravvissuta a un singolo evento alta­ mente traumatico, Linda ha sviluppato una forma più lieve di DDI che rien­ tra nella categoria del DDNAS. In alcune persone il DDNAS è effettivamente uno stadio precoce di DDI. Per la maggior parte, i sintomi sono simili ma meno gravi e alcuni sono assenti, per esempio, l'amnesia per importanti informazioni personali o la presenza di due o più distinte personalità. Linda non ha amnesia per la sua parte bambina ed essa non è sufficien­ temente distinta per qualificarsi come una personalità vera e propria. La quattordicenne traumatizzata all'interno di Linda non è una personalità completamente separata con un proprio nome, ricordi, tratti, stili di elo­ quio, grafia e altre caratteristiche. Sebbene alcuni dei sentimenti di Linda siano isolati in questa sua parte infantile, Linda non ha un'immagine visiva distintamente definita di quella parte o dialoghi interni interattivi con essa. In circostanze che evocano l'evento traumatico che accadde quando aveva quattordici anni - essere rapita e stuprata - i suoi indistinti stati di perso­ nalità assumono il comando della sua coscienza, del suo comportamento e la fanno agire in maniera immatura ed emotivamente sovraeccitata. I suoi repentini cambiamenti d'umore, attacchi di panico e disfunzioni sessuali con il suo fidanzato derivano tutti da questa base dissociativa. Il sintomo dissociativo che Linda sperimenta in maniera più grave è la depersonalizzazione, in particolare sentirsi disconnessa dalle sue emozio­ ni. Parla di questo in tutti i modi noti: i suoi sentimenti sono congelati o chiusi dentro un guscio; ha dentro un senso di vuoto; si sente come un'e­ stranea con se stessa; a volte non si riconosce allo specchio; sente di far fin­ ta di vivere mentre la vita le passa accanto. Sebbene questo sintomo abbia negativamente influenzato la sua relazione con il fidanzato, non ha com­ promesso la sua capacità di funzionare al lavoro. Paradossalmente Linda afferma che compartimentalizzare i suoi sentimenti l'ha aiutata nel lavoro perché le ha permesso di immergersi completamente in esso e non dover pensare alla disconnessione da se stessa e alla paura dell'intimità. Ma è in terapia perché sa che scappare dai suoi problemi li ha soltanto aggravati. Oltre alla depersonalizzazione, Linda sperimenta un certo numero di altri sintomi dissociativi. Durante gli attacchi di panico può occasionai­ mente " distanziarsi" e avere in certa misura una perdita di memoria. La sua derealizzazione o la percezione distorta del suo ambiente si verifica quando reagisce a Ted come se fosse il suo stupratore nonostante non veda realmente il volto dello stupratore quando lo guarda. Ha anche una confu­ sione d'identità di fronte al suo atteggiamento verso gli uomini. Da un lato vuole una relazione d'amore con il suo fidanzato, dall'altro vorrebbe che lui se ne andasse e la lasciasse da sola. Parte di lei si sente priva di femmini192

LI�DA A.: UNA PASSIONE FERITA

lità quando rifiuta di fare sesso e un'altra parte pensa di non volere più ve­ dere un pene. Quando dico a Linda che ha un DDNAS, accetta la diagnosi benevolmen­ te. " So che sarà dura" dice con un profondo sospiro, "ma sento che sono nella direzione giusta. Questa terapia è diversa. Per la prima volta, sono in grado di fare di più che parlare e andarmene. Sto piangendo più spesso e sento che è un pianto che mi fa bene. " Ride sommessamente per l'incon­ gruità. "Indagare in profondità è doloroso e spaventa" spiega, "ma metter­ si in contatto con tutti quei sentimenti sepolti e accettarli è molto utile. Non voglio piangere per sempre, però" aggiunge Linda. "Mi piacerebbe piangere di felicità."

SALVA PER MIRACOLO

Oh mio Dio, un'altra volta ! pensò Linda. Stava guidando per andare al la­ voro di mattina quando una macchina della polizia l'affiancò. N on c'erano altre macchine che andavano nella stessa direzione. Quando guardò nello specchietto retrovisore, lo vide dietro di sé con i lampeggianti accesi. Ave­ va fatto inversione ! L'aveva riconosciuta ! Le leggi dello Stato per la guida senza patente, che aveva trovato su Internet, erano molto rigide. Poteva es­ sere sbattuta in prigione per questo - specialmente perché era in libertà provvisoria su cauzione per guida in stato d'ebbrezza, resistenza all'arre­ sto, aggressione a pubblico ufficiale. Sarebbe stata in grado di gestire un altro arresto? Il panico le stava salendo come una febbre. Una domanda le batteva ripetutamente in testa: Cosa devo /are? Pensò al piano che aveva provato più e più volte. Sarebbe stata calma e non si sarebbe agitata. Se fosse stato lo stesso tipo, avrebbe chiuso le portiere e chiesto di aspettare un altro poliziotto, una donna. La strada girava e una svolta spuntò alla sua sinistra. Via di fuga ! Come girò sulla strada laterale, vide il poliziotto che si girò intorno come per se­ guida. L'avrebbe seguita anche ora? No, grazie a Dio, continuò ad andare diritto sulla strada principale. Forse non è riuscito a vedere che aveva gira­ to sulla strada laterale perché saliva in collina. O forse non era lei quella che seguiva. Poteva aver fatto inversione perché aveva avuto una chiamata e aveva acceso il lampeggiante in modo da farla spostare per passare. Ma era vicino, troppo vicino. Linda doveva essere al lavoro alle nove in punto. I suoi nervi erano così logori che rimase seduta in macchina a piangere per quasi un'ora prima di andarsene. E poi si perse. Le strade non le erano familiari, piene di curve e svolte che davano il mal d'auto. Ci volle un'altra ora di giri a vuoto prima che finalmente trovasse il modo di tornare alla barriera dell'autostrada. Si presentò al lavoro due ore dopo. 1 93

TRE STORIE JNTERJORJ

Il mattino successivo Ted non riusciva a tirarla fuori dal letto. " Linda, dai, devi alzarti e prepararti per andare al lavoro" disse scuotendola gentilmente. "Lasciami stare" borbottò, con la faccia affondata nel cuscino. " Non vado oggi . " Linda non poteva affrontare u n altro giorno d i guida d i un'ora per anda­ al re lavoro e un'ora per tornare, terrorizzata dal fatto di poter essere ferma­ ta e arrestata. La barriera dell'autostrada era in costruzione e i poliziotti ci ronzavano intorno come uno sciame d'api intorno a un favo. Come era pos­ sibile che uno di loro non la riconoscesse? Era sicura che la sua foto fosse in tutte le caserme della polizia di stato. E la scenata che aveva fatto non pote­ va essere passata inosservata ad altri poliziotti lì intorno. Era sicura che si sarebbero ricordati di lei rivedendola sulla strada. Per quanto possa sem­ brare ridicolo, si sentiva come una criminale, una donna segnata. "Mammina, alzati" disse}ulie quando vide Linda ancora nel letto. "Devi portarmi a scuola. Sono quasi le otto." Linda grugnì in maniera disgustata. " Che c'è, mammina? Stai bene? " Linda vide lo sguardo preoccupato sul volto di Julie mentre si sedeva sul letto. " Sì bambina, sto bene; ho solo dormito troppo, è tutto" disse. Sentì una punta acuta di rimorso. Non era carino verso J ulie, farle fare tar­ di a scuola. L' ultima cosa che Linda voleva era un'altra macchia sulla sua coscienza. Si trascinò fuori dal letto e si vestì. Una volta lasciata }ulie a scuola, Linda decise che poteva anche andare al lavoro. Okay, correrò ancora una volta il rischio, disse a se stessa, ma non posso andare avanti così. Cercò di pensare ad altre opzioni. Poteva prendere l'autobus, ma partiva con un'ora di ritardo per portarla al lavoro in tempo. Ted non poteva accompagnarla perché doveva essere al lavoro alle sette e trenta. L'udienza per riavere la sua patente era tra un mese. Po­ teva lasciare il lavoro, ma lo amava e sarebbe andata in prigione piuttosto che stare a casa a impazzire - almeno in prigione avrebbe avuto qualcuno con cui parlare. La sua unica possibilità, concluse, era sudare sangue per un altro mese fino all'udienza. Heather, il suo avvocato, diceva che se il giudice avesse giudicato Linda colpevole all'udienza, la sua patente poteva essere sospesa per altri qua­ rantacinque giorni e avrebbe dovuto prendere delle lezioni molto costose per guidatori alcolisti. Rischiava anche di avere una condanna da scontare in carcere per le accuse di aggressione. Heather non voleva andare affatto in tribunale. Suggeriva un patteggiamento: una sospensione di novanta giorni e un anno di prova. Linda era riluttante. Non voleva una macchia sulla sua fedina penale . . . cosa sarebbe successo alla sua carriera d'inse­ gnante se fosse stata resa nota questa vicenda? E inoltre, non pensava di es­ sere colpevole. Il suo avvocato non sapeva che Linda aveva subito uno stu­ pro e che era in cura da uno psichiatra per un disturbo post-traumatico da ��--

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LINDA A., UNA PASSIONE FERITA

stress. Linda mantenne il riserbo sul suo disturbo, perché temeva di essere etichettata o stigmatizzata. Le persone conoscevano gli attacchi di panico, ma brancolavano ancora nel buio per quanto riguardava la dissociazione. Fu Ted che lo disse a Heather. Lei lo convocò per sottoporgli alcune do­ mande e lui la mise al corrente. Linda non si arrabbiò quando lo venne a sapere; fu sollevata. Venne fuori che Heather aveva lavorato al Disability Law Center prima e conosceva il disturbo post-traumatico da stress. Molti dei suoi preceçlenti clienti avevano subito abusi sessuali. Heather fu d' ac­ cordo ad andare in tribunale. Confidava nel fatto che nessun giudice ragio­ nevole avrebbe trovato Linda responsabile da un punto di vista criminale per le accuse contro di lei una volta nota la sua condizione medica. Sareb­ be stata scagionata. Era solo questione di tempo.

IL FUOCO

"Penso che sia fatta" disse Linda, infilando la forchetta in un pezzo di pol­ lo sfrigolante che Ted stava cuocendo sul grill del barbecue. Stavano a casa, a fare una cenetta all'aperto sulla veranda di sabato sera, perché Ted doveva lavorare quel weekend. Era un pasto estivo semplice - pollo alla griglia, pannocchia di mais e un'insalata mista. Più tardi entra­ rono in casa per vedere Mulan con Julie. Dopo che Julie era andata a letto, Linda notò che Ted era insolitamente silenzioso. "C'è qualcosa che non va? " chiese. "No, niente di particolare. " " E invece sì. Cos'è?" Riluttante Ted confidò che iniziava a sentirsi in colpa perché non era produttivo al lavoro come riteneva avrebbe dovuto essere. " Allora forse potresti tornare al counseling se non sei felice" disse Lin­ da. Voleva che sapesse che per lei lui era più importante del lavoro. "Dav­ vero, Ted, non mi piace quello che ti succede. Non importa dei soldi in più se ti fa stare male. " "Invece importa" disse Ted. "Sono venticinquemila dollari in più all'an­ no e il lavoro mi piace; solo non mi piace il modo superficiale in cui lo sto facendo. " L'espressione sconsolata sul suo volto fece provare a Linda una grande compassione per lui. "Ted, ti vedo aggirarti senza meta, non goderti il lavo­ ro quanto dovresti e mi sento responsabile di questo" gli disse. " Non dire sciocchezze Linda. Perché dovresti sentirti responsabile? " "Perché sono la ragione per cui il tuo lavoro ne sta risentendo. Tu pensi sia a causa tua che non voglio fare l'amore e vai al lavoro sentendoti in colpa per questo. Allora non riesci a fare bene il tuo compito e ti senti di nuovo in colpa. Tutta la tua vita ora è solo un senso di colpa . . . e io sono da biasimare. " 1 95

TRE STr lRIE INTERIORI

" Oh, Linda, tu non sei da biasimare per nulla" disse Ted. " Niente è col­ pa tua. Lo sai, no? " Lui l'abbracciò e Linda resistette all'impulso di allontanarlo. Non ti sta facendo del male, si disse, calmando la parte di sé che avvertì una punta di allarme. Vuole soltanto essere rassicurato quanto lo vuoi tu. Permise a se stessa di sentirsi sicura tra le sue braccia e si strinsero teneramente per un po' prima che arrivasse il sonno, poi andarono a letto. Nel mezzo della notte Ted si svegliò per andare in bagno e vide che la veranda era tutta illuminata. Pensò di aver dimenticato di spegnere le luci fuori ma quando pigiò l'interruttore la luce non si spense. Non capì il motivo fino a quando non guardò fuori dalla finestra e vide che la veranda era in fiamme. Uno dei cubetti di carbonella doveva essere caduto dal grill in­ nescando un incendio. Rapidamente Ted riempì un secchia d'acqua corse fuori e spense le fiamme. Quando tornò a letto, Linda sembrava ancora ad- , dormentata. "Buon Dio, Ted, cosa è successo in veranda?" chiese Linda quando si alzò la mattina e vide il gigantesco buco che aveva fatto il fuoco la notte precedente. "Tu dormivi quando è successo. La veranda ha preso fuoco a causa dei tizzoni caduti dal grill . " Linda guardava scioccata, poi interdetta. "È strano" disse. "La notte scor­ sa ho sognato di un disco da hockey bruciato e continuavo a chiedermi co­ me fosse potuto accadere. Probabilmente l'ho sognato subito prima che scoppiasse l'incendio . " " Questo sì che è strano" disse Ted. Lo attribuirono alla sincronicità.

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L'UOMO CARBONIZZATO

Diversi giorni dopo l'incendio Linda si presenta per la sua seduta di tera­ pia e racconta un sogno che ha avuto la notte scorsa - questa volta su un uomo carbonizzato. Quanto la metafora fosse ispirata dal fuoco sulla ve­ randa non so, ma il sogno è molto significativo in sé per quello che raccon­ ta della paura di Linda dell'intimità. "C'era quest'uomo che era tutto carbonizzato da un incendio e aveva la pelle cotta, che era come una crosta nera" dice Linda. "Mi chiedeva di an­ dare dentro la casa che stava quasi bruciando. Io ero molto esitante. Ho detto: 'Non voglio entrare lì'. Ma lui era molto persuasivo e mi ha convinto a entrare nella casa. Era una grande casa e c'erano lingue di fuoco qui e lì e ho continuato a dire: 'Voglio uscire di qui; voglio tornare indietro' . E lui diceva, 'Abbi fiducia in me; non ti succederà niente. Vieni con me. Andrà tutto bene' . Poi mi ha afferrato e mi ha costretto a baciarlo ed era disgusto1 96

LINDA A., UNA PASSIONE FERITA

so, grasso in maniera davvero repellente. Io ero imbarazzata e dovevo farlo per essere sicura. Fa ceva molto buio come se la casa fosse una segreta. Ab­ biamo continuato a camminare e camminare e poi quando abbiamo intra­ preso un sentiero, sembrava più luminoso e piacevole. Qualunque cosa fosse quella roba sulla sua pelle stava lentamente venendo via e la stava perdendo. Quando fu andata via tutta, riuscii a vedere che era semplice­ mente un uomo normale. Ed ero così grata di essere andata con lui perché ora provavo ar:nore - un amore folle. E gli ho detto quanto ero stata stupi­ da ad aver patira di lui e lui mi ha risposto: 'Ti stavo mettendo alla prova per vedere se saresti venuta e lo hai fatto' . " "Riesce a mettere in relazione questo sogno con qualcosa? " l e chiedo. "Penso sia legato a Ted e al modo in cui sta cercando di aiutarmi a di­ stinguerlo dallo stupratore, mentre io gli oppongo così tanta resistenza" ri­ sponde Linda. " Io semplicemente non mollo - non gli permetto di sentirsi bene con quello che sta facendo per me e non mi permetto di sentirmi be­ ne. Ho pianto per tutto il sogno, ma quando mi sono svegliata ero felice, perché non è finita come mi aspettavo. " " Cosa si aspettava? " "Ero terrorizzata perché lui era così brutto e ogni altra cosa che vedevo era sfigurata e brutta; ecco come la mia vita mi è sempre sembrata" rispon­ de Linda. " Io credo che il sogno riguardi la capacità di fidarsi, il sapere che dall'altra parte ci può essere la bellezza e un uomo meraviglioso. Mi sono sentita molto felice e sicura quando tutta quella roba bruciata si è staccata da lui, ma quando mi sono svegliata ero delusa. " Linda scoppia in una risa­ ta. " Volevo tornare di nuovo a dormire, per riprendere da dove avevo la­ sciato. " " Nel sogno si è sentita felice e sicura con Ted, ma nella vita reale no. Perché? " "C'è una parte di me che non mi permette di accogliere Ted, di accetta­ re e apprezzare tutta la sua gentilezza e il suo affetto. Continuo a pensare: 'Cosa posso dargli? Nient'altro che dolore e infelicità' . " " Sono sicura che Te d non pensa l a stessa cosa." " No, continua a dirmi quanto è felice con me e io mi chiedo come possa essere possibile" risponde Linda. "Perché riesco a provare rabbia, paura e tristezza così facilmente" chiede con la voce rotta dall'emozione, "ma non riesco a provare gioia? " " Che ne pensa, perché? È sicuro per lei provare gioia? " Linda riflette u n momento. "No, temo di no" risponde lentamente. "Ho paura che provando gioia mi possa essere tolta. Questo è il motivo per cui tengo alte le mie difese. Sto sempre in attesa che inevitabilmente accada di nuovo. " "Questo è un comportamento appreso che dovrà disimparare" le dico. "La gioia non viene necessariamente sottratta e la gioia non è necessaria1 97

TRE STORI[ INTERIORI

mente associata al dolore. Ha adottato quel comportamento difensivo da adolescente per sopravvivere. Ma ora non sta lottando per la sopravviven­ za e quel comportamento non è più adattivo. Nella situazione attuale è con qualcuno che la ama, che è sicuro, che non le farà del male e questo è molto diverso dal passato. La parte di lei che le ha fatto conoscere Ted e le ha per­ messo di stargli vicino deve insegnare alla parte che è ancora spaventata e arrabbiata che questo è un momento diverso della vita e che quest'uomo è . SICUrO. "È strano, quando ho incontrato Ted ero come una bambina tutta felice ed eccitata di stare con un tipo così grande" ricorda Linda. " Ma quando ha iniziato a compiacermi e a comperarmi gioielli e a mandarmi queste mera­ vigliose e-mail e a ricoprirmi sempre di complimenti, mi sono sentita a di­ sagio. Potrebbe essere che sto tentando di sabotare la relazione perché so­ no abituata a dare piuttosto che a ricevere e per me è troppo dura accettare di essere amata?" " Sta dicendo che sente di non avere il diritto a una bella vita, che deve · proseguire con le stesse modalità della sua vita passata? " "Non so cosa sia" dice Linda con lacrime di frustrazione agli occhi. " So­ no stata abbastanza forte da vincere la mia agorafobia, ma quando si tratta di avere una reale intimità con un uomo che si prende cura di me, respon­ sabile, competente che sta davvero lì per me - il primo in vita mia - non so se posso farcela. " "Ce l a può fare" l a rassicuro. "Cosa direbbe a una delle sue studentesse adolescenti preoccupata che è stata stuprata allo stesso modo in cui lo è stata lei e che crede che sia colpa sua? Le direbbe che è da biasimare e che dovrà proteggersi da sola per il resto della sua vita chiudendo dentro i suoi sentimenti e buttando via la chiave? Le direbbe che ogni uomo che le si av­ vicinerà sta invadendo il suo spazio e la sta intrappolando e che deve man­ darlo via? " " No, l e direi che non aveva nessun controllo s u quello che è accaduto, non aveva nessun modo di proteggersi allora, ma che ora ce l'ha" risponde Linda nella veste di quel genitore supportivo che è per molti dei suoi stu­ denti. "Può usare il buon senso. Non assumersi dei rischi inutili ma non re­ spingere qualcuno che la ama veramente e che è buono per lei. " "Esattamente. Vede, quella orribile seconda pelle carbonizzata sull'uo­ mo nel sogno è fatta delle sue distorsioni cognitive della realtà. Continuan­ do a comunicare e a stare in contatto e a consolare la bambina spaventata al suo interno, riuscirà a eliminare queste distorsioni. Lei è quella che deve togliersi quella seconda pelle, così che Ted non la spaventi più e lei possa accoglierlo e fare esperienza da sveglia dell'amore che provava nel sogno. " ,

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LINDA A.: UNA PASSIONE FERITA

UNA STELLA CADENTE

Man mano che si avvicinava la settimana di vacanza, Linda diventava sem­ pre più apprensiva. Si chiedeva, come riuscirò a stare con Ted sulla barca in spazi ristretti per così tante ore? Per prepararsi iniziò a dirsi con calma, rassicurando la sua parte bambina, che non c'era niente di cui avere paura. Il giorno prima di partire, si tenne occupata a impacchettare le cose e a cu­ cinare. Fece dei piatti di pasta e di riso per accompagnare il pesce o la car­ ne che avrebbero grigliato sul braciere quando Tranquility fosse stata in oceano aperto, ripetendo nel frattempo il suo piccolo m an tra: " Andremo e staremo bene" . L a prima notte a Old Lyme mangiarono aragoste per cena al The Hi­ deaway Pub vicino alla marina e andarono a ballare. Ted non era un buon ballerino, ma era divertito. Linda sapeva che lui si stava divertendo e si sentì bene a ballare con lui. Si tennero per mano tornando alla barca. Quando raggiunsero la ban­ china del porticciolo, nessuno dei due notò che mancava un asse. " Attenta ai piedi" disse Ted. "È buio. " Il suo avvertimento arrivò troppo tardi. Il piede di Linda attraversò il buco nella banchina e - plu//! - finì nell'acqua. " Devo proprio prendermi cura di te, no? " disse Ted ridendo affettuosa­ mente, mentre la riportava sulla banchina. Anche Linda dovette ridere nonostante i piccoli graffi e le ammaccatu­ re. Si sentì sciocca e adulta allo stesso tempo, in grado di divertirsi e di dare e ricevere liberamente affetto, mentre teneva la bambina spaventata fuori da una relazione in cui solo un'adulta poteva essere coinvolta. Il giorno successivo Ted portò Tranqutlity in oceano aperto. Linda si beò dell'odore fresco e salato dell'aria e della bellezza dell'acqua verde gia­ da che ondeggiava lievemente tutt'intorno a loro. Subito prima che fossero pronti per tornare indietro, gettarono i garofani e le rose che avevano por­ tato con loro nel mare in memoria diJohn F. Kennedy Jr. Quella notte nel corridoio buio tra la cabina principale e la cuccetta B Linda prese la mano di Ted e disse: " Sento che ti voglio stare vicina" . Era felice di essere diventata pronta a poterlo dire. Quando fecero l'amore sul letto nella cabina principale, Linda seppe che quest'uomo era diverso dagli altri prima di lui. Non era un estraneo che voleva soltanto soddisfare i suoi desideri animali con lei o un uomo che, alla fine, le avrebbe spezzato il cuore. Era un uomo buono. Era sicura ad amarlo. Non le avrebbe mai fatto del male. Linda e Ted desideravano entrambi che la vacanza non finisse mai. Lin­ da non se ne uscì neanche una volta con le sue intimazioni cariche di rab­ bia come " Lasciami stare" oppure "Non toccarmi" . Si rese conto di quan­ to era stata ingiusta con Ted quando cercava di proteggere il suo spazio da 1 99

TRE STORIE INTERIORI

quella che percepiva come un'invasione. Ora riusciva a vedere che i tenta­ tivi di Ted di avvicinarsi a lei per amore e tenerezza erano diversi dagli epi­ sodi in cui il suo spazio era davvero stato invaso in passato. Il suo bisogno di ricorrere a modalità difensive estreme si era ridotto an­ che perché Ted stava imparando come darle lo spazio di cui aveva bisogno. Era abituato a essere così ipcrprotettivo che voleva esserci sempre come un angioletto sopra di lei ovunque andasse. Trovò un gruppo di sostegno su Internet per donne vittime di abuso sessuale e si iscrisse, sperando di comprendere meglio i problemi di Linda. E le donne presero a spedirgli lettere d'incoraggiamento: " Linda sta provando del dolore reale; ha biso­ gno di spazio; dalle spazio" oppure " Lei ti ama veramente; sta ancora con te; dalle tempo". Ogni volta che Linda sentiva il bisogno di sabotare l'intimità che stava sperimentando con Ted sulla barca, metteva via il suo diario e scriveva per sé degli appunti per alleviare le sue paure. "Questa intimità è la cosa ideale che dovrebbe accadere tra un uomo e una donna" scrisse un giorno. "Pen­ savi che ti fosse preclusa dopo lo stupro e quindi hai sempre protetto i tuoi sentimenti feriti. O ti aspettavi di non essere sostenuta da un uomo o re­ spingevi l'amore appassionato, timorosa che ne sarebbe seguito il dolore. Ma l'amore non significa farsi male. L'amore che hai adesso è bello e dolce. Tieni duro e lascia che tu cresca in esso. " A volte Ted la prendeva in giro e scherzando diceva: " Questa sei tu o la bambina? " . Invece d i mettersi sulla difensiva e d i replicare: "Questo non è qualcosa su cui scherzare" Linda iniziava a ridere insieme a lui. Sapeva che non si stava prendendo gioco di lei in maniera irrispettosa; stava solo cercando di dare un tocco di ironia alla situazione. Doveva alleggerirsi, e anche Linda. C'erano stati periodi in cui non avevano riso per giorni, talmente erano ri­ succhiati dal dolore. Ora le ferite di Linda non erano più così vive da non riuscire a farsi aiutare da una risata. "Hey, Linda, guarda, una stella cadente ! " esclamò Ted una sera che sta­ va seduti insieme sul ponte di coperta di Tranquility. " Esprimi un desiderio" disse lei. Chiuse gli occhi ed espresse il suo desiderio in silenzio e Ted il suo. Sen­ za chiederlo, Linda sapeva che i loro desideri coincidevano: " Dio, ti prego, facci continuare a essere felici insieme" . E sapeva anche che la possibilità che il desiderio si avverasse era dentro di loro.

IL SUO GIORNO IN TRIBUNALE

"Ho questa sensazione di giudizio incombente" mi dice Linda, parlando di domani, il giorno della causa. "La cosa più terribile per me è vedere di ��--- -------

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LINDA A.: UNA PASSIONE FERITA

nuovo quel poliziotto. Temo che vederlo e essere tormentata dall'accusa mi provocherà un attacco di panico e non sarò in grado di parlare. So che ho bisogno di pensare e agire come un'adulta e di non farmi percepire co­ me questa piccola persona terrorizzata, ma non sono ancora sicura di avere padronanza della situazione. " "Ma ha avuto padronanza, Linda" le ricordo, " quando in vacanza con Ted è stata in grado di far sentire sicura la parte di lei bambina e al coman­ do la parte adulta. Ora deve essere consapevole di quello che ha fatto allo­ ra e utilizzare in misura sempre maggiore quelle stesse strategie e capacità con Ted e in altre situazioni che potrebbero attivare il suo trauma passato, come il processo di domani. " "Ma vedere quel poliziotto nella sua uniforme con la pistola legata alla cintura - è una forma di intimidazione" insiste Linda. "È come se vedessi di nuovo il mio stupratore, in un certo senso, le stesse sensazioni dentro. " " Sì, m a le sensazioni che h a provato quando è stata stuprata non do­ vrebbero essere proiettate su questo processo più di quanto non lo siano state su Ted" faccio notare, "perché le situazioni non sono le stesse. Deve rassicurarsi rispetto a quelle emozioni dicendosi che ciò che vive non è la stessa cosa che vedere di nuovo il suo stupratore e sentirsi da sola e impo­ tente con un predatore. Oggi lei è un'adulta in gamba e ha creato una siste­ ma di supporto intorno a sé e lì è al sicuro. Ha un avvocato il cui lavoro è cercare di proteggerla. Io sarò lì a dare la mia opinione sul suo conto. An­ che lei potrà parlare per se stessa. E ci sarà Ted, così non sarà da sola. " "Devo dire a m e stessa che questo processo è una cosa d a adulti, non da quattordicenni a cui dover badare" dice Linda. "Se riesco a metterla in questo modo, so che posso fare bene. Devo sedermi lì e sentirmi a mio agio e ricordarmi che ho la capacità di farlo. " Linda assume un'espressione risoluta. " Devo farlo, non solo per me, ma per Ted" dice. "Ha fatto un sogno l'altra notte in cui era stato preso da due poliziotti che gli dicevano che sarebbe stato interrogato per aver stuprato un bambino la notte prima. E lui diceva: 'Come può essere? Ero con mia moglie e può testimoniarlo' . E loro dicevano: 'Non provarci nemmeno. Sappiamo che tua moglie ti coprirà'. Poi si è svegliato e si sentiva male. Ha detto: 'Ci credi che in sogno venivo accusato di aver stuprato un bambi­ no?'. È stato così triste. Tutto questo lo sta davvero coinvolgendo - il mio stupro, l'incidente con la polizia, il mio presentarmi davanti alla corte, il suo presentarsi davanti alla corte. Tutto questo deve finire. " Mostro a Linda alcune pietre con parole come fiducia, perdono, verità e speranza scritte sopra. "Pensa che alcune di queste parole colgano certi si­ gnificati che dovrebbe mettere a fuoco per oggi e domani? " chiedo. " Fiducia" dice Linda. " Devo avere fiducia che le persone che saranno lì mi sosterranno e devo avere fiducia in me stessa sul fatto che andrò bene. " Prendé la pietra con scritto speranza e la gira lentamente nella mano. 201

TRE STORIE INTERIORI

"Devo ricordare di non abbandonare mai la speranza per un futuro mi­ gliore" dice soffusamente. " Spero che domani sarà l'ultima cosa orribile della mia vita. " Poi chiede: " Va bene se tengo questa con me? Gliela resti­ tuirò dopo il processo". " Naturalmente. " Il giorno successivo mi siedo in aula, aspettando con ansia la decisione del giudice dopo aver fornito un parere da esperta sui sintomi di Linda at­ tribuibili al disturbo post-traumatico da stress e come hanno influenzato il suo comportamento la notte del suo arresto. Sono orgogliosa del modo in cui Linda ha parlato per se stessa, mantenendo compostezza e dignità in circostanze difficili. Finalmente il giudice esprime il suo parere. Assolve Linda dalle accuse, la patente e dà mandato di continuare la psicoterapia. restituisce le Linda stringe il suo avvocato e corre da Ted ad abbracciarlo. Si gira e mi fa un ampio sorriso, sollevando il braccio in segno di vittoria con la pietra con scritto speranza stretta nella mano.

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13 Jean W. : visioni da incubo

LA LUCE VERDE

Siamo al primo colloquio quando J ean con calma e in maniera prosaica ini­ zia a parlare della fatidica notte di trent'anni fa quando la madre uccise il padre. Racconta questo evento eccezionalmente traumatico con l'occhio dotato del romanziere per i dettagli e il ricordo indelebile di orrore e di profonda perdita della figlia. Ora, a quarant'anni, sposata e madre di due bambini, sta frequentando l'università, per conseguire una laurea in socio­ logia, un risultato notevole alla luce della sua storia familiare piena di trau­ mi e desolazione. Racconta la propria storia alla maniera stranamente pa­ cata delle vittime di abuso che hanno dovuto distaccarsi dalle proprie emozioni al fine di sopravvivere. Ecco il suo racconto, raccolto nel corso di diverse sedute, di un'infanzia deprivata e di una notte incancellabile che l'ha lasciata senza padre all'età di nove anni. "Mio padre era un uomo violento ed è così che è morto: in maniera vio­ lenta. A quel tempo aveva perso il suo lavoro e vivevamo in una vecchia fattoria sulla collina ai piedi dei monti Adirondacks vicino al confine cana­ dese. La nostra casa stava in alto nella fitta boscaglia ed era così fatiscente che mia madre una volta precipitò attraverso il pavimento della cucina. Tutto il denaro che mio padre guadagnava nelle segherie se lo beveva. Spesso si sentiva troppo male per lavorare. Eravamo cinque bambini nella nostra famiglia e raramente avevamo qualcosa da mangiare. Il più delle volte non avevamo elettricità, niente bagno in casa, niente riscaldamento, né acqua calda. La nostra congelata latrina esterna era la più strana stanza da bagno che io abbia mai visto: un vaso da notte rotto dal ghiaccio, un ca­ tino senza tubatura, una tinozza con i piedi ad artiglio, inclinata perché era senza un piede e chiazzata di un marrone verdognolo. Il soggiorno era spo­ glio: c'erano soltanto una stufa a legna consunta, un divano, un tavolo da gioco, una lampada a cherosene e una vecchia poltrona rossa sulla quale di solito mi sedevo tra le braccia di mio padre. Ricordo ancora quel dolce odore di tabacco e di porto. La nostra comunità era molto piccola, isolata e povera. Nei dintorni, a perdita d'occhio, non si vedevano abitazioni. I nostri vicini più prossimi 2 03

TRL: ST( JRIE INTERIORI

erano a circa tre quarti di miglio. Quando giocavamo fuori, tutto quello ' che potevamo vedere per miglia e miglia era una lussureggiante montagna verde dopo l'altra, come la Città degli Smeraldi ne Il mago di Oz. Era di una bellezza da togliere il fiato ed è l'unico aspetto della mia infanzia che non cambierei. Non ricordo molto prima dei sei anni tranne una cosa: la violenza. Mio padre picchiava brutalmente i bambini più grandi della famiglia, special­ mente mio fratello Eddie, quello di mezzo. Era il capro espiatorio, il figlio da pestare. Non si può dimenticare il modo in cui veniva trattato. Lo vedo ancora scappare da mio padre con le braccia incrociate intorno alla testa mentre sento il suono della cinghia sulla sua schiena. Io e mia sorella Betty ci stringevamo insieme nel letto, serrando forte gli occhi mentre produce­ vamo dei suoni con la bocca e sbattevamo i piedi per non sentire le grida di nostro fratello. Quello che avveniva a casa ogni sera lo chiamavo il "gioco del cerchio" perché la nostra casa era costruita come un grande anello. Mio padre a­ vrebbe corso dietro a Eddie e l'altro mio fratello, Gavin, che amava la lot­ ta, li avrebbe rincorsi. Poi sarebbe arrivata mia madre. E ci sarebbe stato un tirare pugni, gridare, imprecare, sbattere porte e tirare oggetti. Si sareb­ bero rincorsi a lungo. Non riesco a ricordare chi vincesse il gioco del cer­ chio, ma non posso neanche dimenticarlo. Ero la figlia più piccola e la preferita di mio padre, così riuscivo a scam­ pare le botte vere e proprie. La maggior parte delle volte, accucciandomi, diventavo invisibile. Quando mio padre era ubriaco, era l'uomo più igno­ bile della terra e non riesco nemmeno a ricordarlo da sobrio. Si azzuffava con mia madre costantemente e abusava di lei fisicamente, sessualmente e mentalmente. Il mio rapporto con lui era dolce-amaro. Un minuto mi te­ neva tra le sue braccia, mi canticchiava e mi chiamava la sua "morettina" ed era molto affettuoso e il minuto successivo stava tirando dei pugni in faccia a mia madre. Non ha abusato di me fisicamente o sessualmente, nien­ te che possa ricordare, ma soltanto assistere alla violenza in casa nostra era già un abuso mentale sufficiente. Il primo ricordo che ho di mia madre riguarda un incidente accaduto quando avevo forse tre o quattro anni. Ero seduta sul pavimento della cu­ cina e lei stava stirando mentre litigava con mio padre. Lui uscì dalla porta, probabilmente per andare a bere al bar. E mia madre diede uno strappo violento alla presa del ferro da stiro e glielo lanciò contro dalla finestra. L a cordicella raschiò e sbatté contro il muro vicino al mio viso. Mia madre corse fuori dalla porta dietro a mio padre, sbraitandogli contro e non si girò neanche a vedere se stessi bene. Questo mi diede una vaga idea di quanto il temperamento di mia madre fosse impetuoso, ma chi poteva pre­ vedere ciò a cui avrebbe portato? Tutti noi figli frequentavamo una scuola composta da tre aule che aveva





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dalla prima alla sesta classe. Ciò che ricordo meglio della scuola è che ci davano la colazione e il pranzo gratuitamente. Era meraviglioso avere da mangiare. L'infermiera della scuola ci diagnosticò tre volte la malnutrizio­ ne e le donne della mensa erano molto buone con noi. Era l'unico posto della comunità in grado di offrirei una qualche forma di beneficenza. I miei genitori rifiutavano la carità, perché si vergognavano. Desideravano a tal punto far parte della classe operaia, che cercavano di coprire l'abuso e l'incuria negandoli e fingendo che fossimo quelli che non eravamo. Non tutta la comunità era disposta ad aiutarci. La maggior parte delle persone ci guardavano dall'alto in basso. Eravamo i più umili tra gli umili, i più poveri tra i poveri. Un sacerdote di una città vicina una volta cercò di intervenire su mio fratello Eddie, ma mio padre lo aggredì fisicamente. Poi ci fu un'insegnante, la signora Alden, che cercò di parlare da donna a don­ na con mia madre, ma c'era un'implicazione morale nelle sue visite. Lei era una signora di classe media che veniva nella casa di una impoverita a cerca­ re di spiegarle come fare. Mia madre uscì fuori di testa. Urlò e sbraitò che stavano sottintendendo che lei fosse una persona priva di valore. Questo giudizio entrava in risonanza con tutte le sue paure sul Giudizio Universa­ le e Dio. Mia madre era una cattolica caduta dallo stato di Grazia. Mi dice­ va spesso: "Non c'è Dio per le donne" . Entrambi mia madre e mio padre erano degli inguaribili romantici che avevano problemi a distinguere la realtà dalla fantasia. Erano colpiti dal­ l'immagine di Camelot proiettata dai Kennedy e sognavano potere, grazia e bellezza. Non capivano la differenza tra Camelot e l'inferno. È difficile raccontare mia madre. Era una donna inesperta, una donna vuota che non aveva nessuna abilità pratica. Non sapeva come tenere una casa, non sapeva come allevare i figli, non sapeva cucinare e tutto questo era davvero insolito per una donna della sua generazione. Mia madre non attribuiva valore ai suoi figli. Era emotivamente indisponibile per noi, ci picchiava e ci trascurava fino alla crudeltà. Ma era brillante. Leggeva e scri­ veva. Scriveva delle storie d'amore che qualche rara volta cercò di pubbli­ care, senza riuscirei. Negare era tutto quello che sapeva fare. Incapace di cambiare le cose, si preoccupava di come queste apparivano. Stabiliva del­ le regole - dire correttamente "bagno" , stare in piedi e sedere con la schie­ na diritta, sedere con le gambe incrociate, non dire parolacce, parlare solo se interpellati, non mettere i gomiti sul tavolo quando si mangia - come se l'accento giusto e le buone maniere potessero cancellare l'alcolismo croni­ co, la violenza, la povertà e la dipendenza di cui erano fatte le nostre vite. La mia prima infanzia è passata senza traccia dei soliti eventi che segna­ no le tappe dello sviluppo. Non c'erano racconti della prima volta che mi sono seduta, del primo passo o del primo dentino; nessun filmino della pri­ ma corsa in bicicletta o del mio primo giorno di scuola. Il nutrimento emo­ tivo era poco, per lo più si trattava di sopravvivere. Non avevo una biciclet2 05

TRE STORIE INTERIORI

ta e davvero non ricordo nessun libro per bambini in casa. Il malessere dei nostri genitori contaminava i nostri rapporti di fratelli. A volte un fratello o una sorella potevano essere molto più pericolosi di un genitore. Imparavi a osservare tutto molto attentamente. La comunicazione non verbale era esaustiva nella nostra famiglia. Uno sguardo o un tono di voce ti poteva ri­ velare le intenzioni di qualcuno e preavvisare che c'erano dei guai in arri­ vo. I miei fratelli e le mie sorelle mi torturavano ed erano violenti con me e tra loro. Si divertivano un mondo ad appendermi, legata alla sedia, al filo per stendere i panni che attraversava la cucina e mi costringevano a bere un disgustoso intruglio preparato da loro. In casa nostra la risoluzione del conflitto significava semplicemente che il più cattivo vinceva. Ci insegnavano a non uccidere, a non rubare, a non dire bugie o truffare ma i nostri valori non erano condivisi dalla comunità. A essere onesti, e­ rano tutti dei poveri diavoli razzisti. Il mondo degli adulti era molto cor­ rotto e i confini erano davvero andati. Non era insolito essere picchiati dai genitori dei vicini - o peggio. A scuola durante l'intervallo c'era un gioco chiamato "ti ho preso" . I bambini rincorrevano le bambine e quando le prendevano le buttavano a terra e mettevano loro le mani nelle mutande. Ma c'era un limite d'età: dovevi essere almeno della terza. Questo "gioco" avveniva mentre gli insegnanti si aggiravano parlando tra loro. Le bambine a scuola venivano aggredite sessualmente proprio sotto il naso delle inse­ gnanti e loro non ci badavano. Avevano la filosofia del "i ragazzi sono ra­ gazzi" e "le bambine sono vittime" . U n altro gioco che ero solita fare a scuola, con un'amica in particolare, era "leggere" . Durante l'intervallo prendevamo un libro e fingevamo di leggerlo. Faceva lei la maggior parte della "lettura" e tutte le sue storie ri­ guardavano schiavitù, stupri, padri e figli che facevano sesso con la madre e le figlie. Questa bambina rimase assente da scuola a lungo e poi finì in un centro per ustionati perché uno dei fratelli le diede fuoco. Questa era la nostra comunità. La morte di mio padre segnò la fine della mia infanzia. Accadde una notte in cui tornò a casa ubriaco come al solito e mia madre iniziò a litigare con lui in cucina. Ricordo tutto di quella notte come in un film, ed è strano, perché ci sono molte cose della mia vita che non ricordo. I miei fratelli, Gavin e Eddie e mia sorella più grande, Ginny non erano a casa. Mia sorel­ la Betty e io giocavamo a carte sul tavolo del soggiorno. Mentre stavamo lì sedute, il litigio in cucina diventò sempre più violento e minaccioso. Mia madre gridava a mio padre di smettere di picchiarla, ma i colpi continuava­ no. Tutto quello che riuscivamo a sentire erano le grida di mia madre e il suono della mano di mio padre che colpiva ripetutamente la sua bocca e le sue nocchie che fracassavano il ponte del suo naso. Carne contro parole e ossa contro ossa. All'improvviso tutto tacque e pensammo che mio padre avesse fìnal206

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mente smesso. Ma poi mia madre venne in soggiorno stringendo tra le ma­ ni un affilato coltello a seghetto gocciolante di sangue e ci disse che nostro padre si era suicidato. " Avete visto cosa è successo, vero ? " chiese mia madre. Era la questione più importante. " Lo avete visto affondare il coltello nel suo petto, vero? Mi avete sentito gridare di non farlo, vero ? " Mia sorella, che aveva undici anni, corse dai Comly, i nostri vicini, per cercare aiuto - eravamo così poveri che non avevamo un telefono per chia­ mare i soccorsi. Iniziai a gridare, a saltare e a dimenare le mani e continua­ vo a correre avanti e indietro dalla cucina al soggiorno. Mia madre era chi­ nata a terra su mio padre e mi gridava di smetterla. Tornai in cucina e devo essere rimasta lì per almeno mezz'ora e non ricordo nulla. Non ricordo nient'altro che il sangue. Era ovunque. Sgorgava dal petto di mio padre, spandendosi intorno. Era chiaro che era stato pugnalato diritto al cuore. Il pavimento era coperto di sangue, la stufa era striata e il sangue colava giù dal frigorifero bombato. C'è molto sangue nel corpo umano - tanto, tanto sangue - e penso che venne fuori tutto. Mia madre mi mandò dai Comly a stare lì per la notte mentre lei aspet­ tava che arrivasse la polizia. Quando la signora Comly mi vide con i miei vestiti inzuppati di sangue disse: " Oh, povera Jeanie, vieni subito su a fare un bel bagno. Troveremo qualcosa di pulito da mettere" . Dopo il bagno scesi giù in pigiama e con indosso un accappatoio che apparteneva a una delle bambine dei Comly. I vestiti dovevano essere fre­ schi di bucato perché profumavano di sapone. La signora Comly pensò che un po' di latte caldo mi avrebbe aiutata a dormire e me ne diede un bicchiere. Stavo in piedi alla finestra della cucina a sorseggiare il latte e fis­ sando fuori nel buio quando vidi questa brillante luce verde splendente, che veniva dal sentiero nei boschi verso la casa. Sembrava un asteroide ca­ duto dal cielo. Pensavo fosse mio padre. Iniziai a gridare alle persone della casa: " Guardate fuori dalla finestra! Guardate ! È papà! È papà! Sta scendendo per il sentiero con un luce ver­ de". I miei vicini mi zittirono e dissero che era soltanto la mia immaginazio­ ne e che forse avrei dovuto andare a letto a cercare di dormire un po'. Ma per me, quella luce era mio padre, l'ultimo briciolo di legame. Era silenzio­ sa, ma per qualche ragione mi diede il coraggio e la volontà di andare avan­ ti. Chiamai quella luce Sapienza. Divenne la mia forza ed è ancora con me.

LA BAMBINA DELLA CAVERNA

Jean è venuta da me in primo luogo a causa dei suoi sintomi d'ansia per i quali di recente si è rivolta al Pronto soccorso. L'ansia è legata alla paura di fallire negli studi. Ha disperatamente bisogno della sua laurea in sociologia 207

TRE STOIUE INTERIORI

per uscire fuori dal matrimonio con un uomo non supportivo che la deru­ ba, spendendo la maggior parte del suo stipendio in biglietti di lotterie e premi e che le lascia ampiamente l'onere di crescere i loro due bambini di cinque e nove anni. Un semestre è un'eccezionale studentessa con ottimi voti in spagnolo e il semestre successivo, alle prove finali, non supera l'esa­ me: la caduta di prestazioni repentina e inspiegabile tipica dell'amnesia dissociativa. Quale trauma inenarrabile deve essere stato per una bambina di nove anni, pensai dopo aver sentito la storia di Jean durante la nostra prima se­ duta, sua madre che pugnala suo padre a morte mentre lei è nella stanza accanto. " Ha visto effettivamente sua madre pugnalare suo padre? " le chiedo. " No" risponde Jean, " ma il modo in cui costrinse me e mia sorella a mentire e a dire che lo avevamo visto uccidersi rendeva ovvio che non era quello che era successo. Più tardi le autopsie e altre prove hanno dimostra­ to che è stato ucciso . " Ricorda come mentì sull'uccisione per proteggere sua madre quando testimoniò in aula. "Mi chiesero di un bicchiere di por­ to che mia madre stava bevendo quella sera. Dissi che non lo stava beven­ do, ma che lo versava sulle ferite di mio padre per cercare di salvargli la vi­ ta. Penso di aver visto troppi film di cowboy" ride, "e loro sapevano che stavo mentendo. " " Cosa è successo a sua madre? È stata giudicata colpevole? " "È stata accusata dell'omicidio di mio padre, ma il caso è stato archivia­ to per insufficienza di prove" mi informa Jean. " In realtà è caduto in pre­ scrizione perché non è stato inserito in tempo nel registro delle cause a ruolo per essere giudicato, così l'hanno lasciata andare. " Ricorda l'infelice pubblicità: " Quando successe, il giornale locale lo sbatté in prima pagina a lettere cubitali: 'Madre di cinque figli nega l'uccisione del marito' e 'Padre di cinque figli ucciso dalla moglie'. Quando andai a scuola, i bambini mi bersagliarono molto sull'omicidio di mio padre. Dissero che mia madre era un'assassina". Empatizzo con lei per la crudeltà di cui ha sofferto da parte dei suoi pari e chiedo " Come si sentì a proposito della morte di suo padre? " "Provai un senso di sollievo" ammette J ean. " Amavo veramente molto mio padre, ma quando morì era così malato e così cattivo a causa dell'al­ cool che tutto quello che riuscivo a sentire era: 'Oh, grazie a Dio, non c'è più'. Non era importante come o perché fosse successo, ma solo che fosse successo. " "È rimasta con sua madre dopo che lui è morto ? " " No, mia madre è andata via per u n p o ' e Betty e io andammo a vivere dai Comly. I miei fratelli rimasero con persone diverse in città e mia sorella, la più grande, Ginny si sposò e andò a vivere per conto suo. Cinque mesi dopo vivevamo di nuovo tutti insieme, fatta eccezione per Ginny. Le cose 208

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non andarono meglio a casa. Quando avevo undici anni, a mia madre dia­ gnosticarono un cancro al seno. Era troppo avanzato per salvarla. Morì due anni, due mesi e due giorni dopo mio padre. Nessuno dei due arrivò a cinquant'anni. " "Come h a reagito alla morte di sua madre? " " Iniziai a sviluppare strani sintomi. Niente intorno a me mi sembrava reale. E non riuscivo a sentire niente. Diventai emotivamente molto distac­ cata dalla mia vita. A dodici anni, fui portata in una clinica psichiatrica per una valutazione. Mi diagnosticarono una depressione grave. " "Così il suo distacco emotivo è iniziato quando è morta sua madre? " "No, è iniziato la notte in cui è morto mio padre" dice}ean. " Non sentii nessun tipo di terrore quando portarono via mia madre o nei giorni succes­ sivi. L'ho perduta allora. Non abbiamo mai parlato delle botte e di come si sentisse. Non abbiamo mai parlato della realtà dell'accoltellamento; sol­ tanto di quello che lei voleva che io dicessi a riguardo. Non abbiamo mai parlato veramente. Ero sconvolta dal fatto che avesse buttato la sua vita in un momento di rabbia, tuttavia non riuscivo a provare niente per lei. Ero inebetita dentro. Suppongo che fossi in uno stato di shock post-traumati­ co. Ho chiuso fuori i miei sentimenti allora e lo faccio ancora. " " Come? " "Ho questo rumore nella testa - una specie di suono stridulo, uno scric­ chiolio o un grido - e alzo il volume quando mi sento ansiosa o sto male" rivela Jean. " Ferma qualsiasi cosa abbia un impatto su di me, o se c'è un impatto, mi impedisce di sentirlo. " "Quando ha iniziato a sentire questo rumore?" "Penso di averlo stabilito originariamente come sistema di difesa così da potermi sottrarre alla violenza che mi circondava escludendola. Mi na­ scondevo da qualche parte a cullarmi, ascoltando il rumore e non avevo più così tanta paura. Ricordo di aver sentito quel rumore la notte in cui è morto mio padre - non so se era udibile o meno - oppure quando è acca­ duta qualunque altra cosa terribile nella mia vita. " "Quando sente il rumore nella sua vita attuale? " "Lo sento proprio adesso" dice Jean sorprendendomi, " perché sono nervosa per quello che mi chiederà. Lo sento durante la supervisione a le­ zione per non essere ferita dalle critiche. E lo sento a casa quando sono con mio marito. È ciò che mi rende possibile stare con lui. " Jean si acciglia e ag­ giunge con disagio "Ma ascoltare il rumore sta diventando più doloroso di quello che succede fuori" . "Il rumore non è solo doloroso, non è più necessario" le dico. " Lo ha sviluppato per proteggersi da sensazioni che emergevano dalle situazioni violente e pericolose del passato. La sua vita attuale non è piena di violenza e non deve trovarsi o restare, in situazioni che non sono sicure, quindi non ha più bisogno di escludere i suoi sentimenti. " 209

TRE STORIE INTERIORI

" Sì, ma se il rumore non c'è, se non tieni alta la guardia" obietta Jean, " allora non sai quello che sta per succedere. " "Vuole ancora affrontare la vita non permettendosi d i sentire? " "No" risponde Jean in maniera pacata. "Essere continuamente distante da me stessa dal punto di vista emotivo mi fa sentire molto strana. Devo lottare per stare in contatto. Quando rispondo in maniera intelligente in classe, penso, 'Questa persona è brillante e si esprime in maniera chiara'. Ma poi non riesco neppure a riformulare ciò che quella persona ha appena detto. Sono consapevole che l'ho detto io e che le persone stanno rispon­ dendo a me, ma semplicemente lo sento surreale, come se mi chiedessi: 'Da dove è venuto ? ' . " Prosegue sembrando in qualche modo confusa: "A volte mio marito non mi sembra reale. È come un completo estraneo che dovrei conoscere ma non conosco. E quando guardo indietro alla mia vita, non mi sento molto in contatto con le mie esperienze. Sento la mia come la storia di qualcun'altra. La mia vita non mi appartiene, mi piacerebbe inve­ ce che mi appartenesse" . Il rumore che Jean sente nella sua testa è diventato una lama a doppio taglio. L'ha usato per distaccarsi dai suoi sentimenti e dal suo ambiente quando era una bambina terrorizzata. Ora questi meccanismi di coping un tempo utili - la depersonalizzazione e la derealizzazione - stanno funzio­ nando contro di lei, tenendola lontana dai suoi ricordi e sentimenti e in­ trappolata in un matrimonio avvilente. Questa è la cosa insidiosa della dis­ sociazione abituale - alcune persone trovano che il potersi distaccare dalle situazioni disturbanti e dai propri sentimenti li mette in condizioni di an­ dare avanti nella loro vita quotidiana, ma al tempo stesso impedisce loro di affrontare l'aggravarsi dei problemi. Elaborando ulteriormente la depersonalizzazione o come la chiamaJean, , " questa mancanza di sentimenti" dice: " Ora, talvolta, quando entro in contatto emotivamente con le mie esperienze quotidiane, cosa che prima non facevo mai, mi ritrovo travolta dai sentimenti. Quando sono davvero sconvolta, come quando scoprii che mio marito mi stava ingannando, su­ bisco un vero e proprio bombardamento di sensazioni che non hanno niente a che fare con quello che sta avvenendo. Così ho un attacco di pani­ co e l'iperventilazione" . " È quello che è successo un paio di settimane fa quando è finita al Pron­ to soccorso? " " Sì, m a questo riguardava un altro uomo, non mio marito" replica Jean . "Avevo una relazione amichevole a scuola con Drew, il mio professore di statistica. A un certo punto è diventata una cosa eccitante e strana per me e ho sentito che mi stava davvero travolgendo. I sentimenti che Drew ha sol­ levato all'improvviso mi hanno messa in contatto con altri sentimenti sulla mia sessualità che non avevano nulla a che fare con Drew. " Jean ride in ma­ niera consapevole. " So che potrebbe suonare come una cosa alla Sybil, ma

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per la prima volta mi sto rendendo conto che esistono diversi livelli della mia sessualità e diversi aspetti di me, ed è sconvolgente." Temo che questi diversi "livelli" o " aspetti" di sé di cui Jean è diventata consapevole siano frammenti separati della sua identità. Come molti di co­ loro che hanno un disturbo dissociativo, non pensa a questi come a perso­ nalità distinte. "Riesce a legare i sentimenti che Drew ha suscitato in lei a qualcosa che le è successo nel passato? " Jean sembra riluttante a rispondere. Alla fine dice: "Dall'età sei anni fi­ no a quando non è morta mia madre, sono stata sessualmente abusata da mio fratello Gavin. Non ricordo molto su questo ma ultimamente sto aven­ do dei flashback che riguardano le sue mani. Quando la mia relazione con Drew è diventata più intima, in qualche modo si sono attivati quei ricor­ di" . Si ferma e aggiunge: "E poi mi sono ricordata anche di Troy" . " Chi è Troy? " " Mio cognato" risponde J ean. "Mia sorella Betty e io andammo a vivere con nostra sorella più grande, Ginny, nel New Hampshire dopo che nostra madre era morta. Ginny era sposata con Troy e avevano un bambino. La vita nel New Hampshire era così diversa. " " In che senso? " " Vivevamo in una bella casa, facevamo dei pasti con cibo abbondante e avevamo dei vestiti" ricorda Jean. " Era la prima volta in vita mia che i ve­ stiti si abbinavano dalla testa ai piedi quando andavo a scuola la mattina e che non assistevo a violenze, abusi verbali, vomito o morte prima di andare sull'autobus. Sono entrata alla scuola superiore virtualmente analfabeta e molto al di sotto del livello della classe. Ero una studentessa povera ma sta­ vo iniziando a leggere e scrivere. E poi è stato tutto distrutto in meno di un anno. " "Cosa è successo? " "Troy, il marito di mia sorella, h a iniziato a molestarmi sessualmente e una notte mi ha costretto a fare sesso orale con lui" rivela Jean. "La situa­ zione era a un punto tale che temevo mi avrebbe stuprata. Lo dissi a mia sorella e lei mi diede uno schiaffo in piena faccia e disse che ero malata. Al­ la fine divorziò da Troy, ma non poteva credere che avesse fatto una cosa si­ mile. Impacchettò le sue cose, prese il bambino e andò a stare da un'amica per una settimana, !asciandomi con Troy. Ho passato una settimana terrifi­ cante; sebbene illesa fisicamente, ero più arrabbiata che mai. Sei mesi più tardi mio fratello Eddie è rimasto vittima di un incidente automobilistico. Era troppo ! Ho iniziato ad avere alcuni dei vecchi sintomi. Quattro mesi dopo la morte di Eddie vivevo per strada. Avevo sedici anni. " " Cosa successe poi? " " Caddi nella cultura della droga degli anni Settanta, e mi coinvolsi in re­ lazioni promiscue e sessualmente abusanti" risponde J ean. " Scoprii molto

TRE STORIE INTERIORI

presto che le droghe alleviano molti dei sintomi della depressione. Ero u na consumatrice pesante di erba, eroina, cocaina, farmaci che richiedono pr� scrizioni o qualsiasi altra cosa potessi fare da sola, fino a quando non com. pii diciotto anni. Dopo di che mi diedi all'alcool. Ho bevuto per nove anni fino a quando non sono stata arrestata con un'accusa di guida in stato d'e. brezza e sbattuta in prigione. Questa cosa mi ha curata. Ho seguito un pro1 gramma riabilitativo di trenta giorni e sono stata sei mesi in una comunit�

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di reinserimento per detenuti dove sono rimasta senza bere un periodo al� trettanto lungo di quello in cui bevevo."

Con tutto il carico del suo dolore emotivo, Jean, come molti tossicodi­ tos:slcoc11J: pendenti, ha fatto ricorso a sostanze che alteravano l'umore per autocurarsi oppure per distanziarsi da sintomi come la depressione e l'ansia. Può anche aver usato l'alcool e le droghe per sfuggire ai suoi sintomi dissociativi, in particolare al suo sentirsi non in contatto con la sua vita. Sebbene l'alcool e le droghe possano indurre sintomi dissociativi come la depersonalizzazione ed episodi di blackout della memoria in persone che non hanno un DDI, l'a­ buso di sostanze può anche esacerbare i sintomi dissociativi nelle persone che ne soffrono. Quando i sintomi dissociativi precedono l'abuso di sostan­ ze, come nel caso di Jean, essi non possono essere ascritti all'alcool o alla droga.1 "Penso che con Drew stessi andando in una direzione che stimolava molti ricordi di abuso sessuale e il mio comportamento autodistruttiva" diceJean, "anche se la nostra relazione non è affatto così. Non mi sono re­ sa conto di cosa stesse succedendo ed è diventato talmente terrorizzante che sono finita in ospedale." "Imparerà come riconoscere le situazioni stimolo come quella e a ren­ dersi conto che è in grado di tenere sotto controllo la sua sessualità e che non deve essere una vittima" la rassicuro; "e questo la terrà fuori dal Pron­ to soccorso la prossima volta che sarà in una situazione simile." "Ho questa immagine della mia sessualità come di tre diverse donne" rivela Jean. "C'è questa rude 'ragazzaccia' promiscua, civettuola, che ha provocato l'abuso sessuale nel periodo in cui bevevo e questa affettuosa 'brava ragazza', accudente, la cui passione è legata all'essere moglie e ma­ dre. La terza donna è una sopravvissuta muta allo stupro, all'incesto e ad altri abusi sessuali, che se ne sta abbastanza indietro e osserva le altre due senza dire nulla." Questa compartimentalizzazione è tipica di molti sopravvissuti all'abu­ so sessuale che si dissociano durante il trauma nell'infanzia e sviluppano più avanti nella vita una parte scissa della loro sessualità che può essere ir­ responsabile e aggressiva verso il sesso come espressione di un'intensa rabl. G. Dunn et al. "Dissociative symptoms in a substance abuse population", in American

Journalo/Psychiatry, 150, 1993,pp.1043-1047. 212

JEAN W.: VISIONI DA INCUBO

bia. Le persone che sono state abusate sessualmente da bambini sono mol­ to soggette all'abuso in altre relazioni, perché l'unica forma di amore che conoscono è associata a esso. È familiare per loro e possono tendere a ri­ metterlo in atto con i partner che scelgono. Possono anche credere, a qual­ che livello, che siano stati loro a indurre l'abuso, che avrebbero dovuto sbrigarsela da soli o non meritano nessun altro che un abusatore. Per con­ verso, alcune donne che sono state sessualmente abusate da bambine scel­ gono uomini che sono l'esatto opposto dei loro abusatori o possono essere così traumatizzate da non potersi fidare di nessun uomo e minare o evitare del tutto i rapporti. Infine, una vittima d'abuso che pensa che una parte della sua sessualità sia 'cattiva', come J ean, può voler esprimere la parte 'buona' nel matrimonio e nella maternità ma scegliere un marito inaf­ fidabile e irresponsabile per provare proprio quanto 'buona' possa essere. "C'è un'altra parte di me che chiamo la Bambina della caverna" rivela Jean. " Non posso parlare o scrivere di lei, così ho iniziato a dipingerla. " " Quanti anni ha?" "È giovane, forse cinque o sei," risponde Jean; e aggiunge: " All'inizio era una bambina molto sporca, scarmigliata, trascurata, completamente i­ solata nella caverna. Io l'ho ripulita e le ho messo un lago e dei fiori vicino alla caverna per cercare di portarla alla luce del sole e un fuoco per indurla a uscire di notte. E all'improvviso, c'era quest'altra ragazza, più grande e non altrettanto sporca o in disordine. Ho portato la ragazza più grande, Jeanie, così che quella piccola nella caverna sapesse di non essere sola. Ma Jeanie non sta mai vicino alla piccola; sta sempre da parte. Sono riuscita a fare uscire la Bambina della caverna dal nascondiglio" . "Può comunicare con l a Bambina della caverna? " " No. È troppo lontana e irraggiungibile e ingestibile. Quando voglio ri­ volgermi a lei sono troppo spaventata. " "La bambina può comunicare con me? " " No, non penso. Può soltanto comunicarmi rabbia. Il che mi fa sentire a disagio. " •j L'immagine della Bambina della caverna è adeguata a rappresentare una parte di Jean inaccessibile. In qualche misura anche lei somiglia a una donna che è appena uscita da una caverna. I suoi capelli rossastri, colorati lievemente di grigio, cadono sciolti sulle spalle. Non porta trucco per am­ morbidire le rughe della sua pelle logora e indossa vestiti semplici, sempre neri o marrone scuro - quasi fosse in lutto. Se la maggior parte delle perso­ ne con un DDI appaiono più giovani della loro età, J ean ha il volto di una donna vissuta e dimostra più dei suoi anni. Una cicatrice frastagliata segue il profilo della sua bocca e spicca come un punto interrogativo su qualche misterioso episodio violento del passato. "Quando si è manifestata la prima volta la Bambina della caverna? " le chiedo. 2 13

TRE STORIE INTERIORI

"È apparsa quando avevo undici anni, subito prima che morisse mia madre." "Come si sente?" "Si sente nervosa per il fatto che vengo in terapia. È ansiosa perché te­ me di essere rivelata, di venire scoperta. È ansiosa per la sua rabbia, che potrebbe non essere sotto controllo." L'ansia di Jean al portare allo scoperto la Bambina della caverna dopo che è rimasta nel buio per così tanti anni è normale: sono pazza? Penserà che sono pazza? Peggiorerò e non sarò in grado di funzionare? Cerco di rassicurarla. Se Jean deve guarire, abbiamo bisogno di scoprire quali se­ greti custodisce la bambinetta nella caverna.

GIOCHI IN CORTILE

I giorni d'estate come quello rendevano le montagne e i boschi intorno alla vecchia casa di campagna sulla collina dell'A dirondacks qualcosa di una bellezza ineguagliabile. La maestosa geometria della foresta di conifere che affondava le sue punte nel cielo, in direzione del cerchio infuocato rosso arancio del sole, era una visione magnifica. "Uno, due, tre, quattro." Aveva sei anni e il gioco a nascondino con i suoi fratelli e sorelle era iniziato. Jean attraversò correndo la cucina diri­ gendosi verso la botola di legno, si sdraiò di pancia e fece penzolare le gam­ be oltre il bordo. Esplorò con le mani il pavimento di legno, cercò una sporgenza e la trovò. Con un movimento delle anche si spostò di 8 centime­ tri a sinistra e con una presa disperata afferrò la vecchia catena arrugginita del trattore. La catena le si attorcigliò attorno alle dita mentre lei penzolava pregando di non cadere e quindi si lasciò andare verso l'acciottolato. Quando mollò la catena, Jean vide i segni bianchi dei pizzicotti sulle sue dita. Si sbilanciò all'indietro verso il pavimento e atterrò di sedere. Rimet­ tendosi rapidamente in piedi, individuò un'apertura adatta nel muro e vi scivolò dentro finendo nel garage sotto la cucina. Jean si fermò e trattenne il respiro. Sua sorella Betty stava ancora contando? Non riusciva a sentire. Mi nasconderò sotto lo slitta da cavallo, pensò, ma decise che sarebbe sta­ to troppo facile trovarla. No, dai, si disse, raggiungi la stalla. Dio sa che co­ sa sarebbe successo se avesse perso il gioco. Jean si arrampicò in una strana intercapedine che non aveva stanze so­ pra. Le ragnatele piene di polvere pendevano dappertutto. Forse doveva stare lì. Nessuno sarebbe andato a guardarci. Ma non ci riusciva, era trop­ po stretto e spaventoso. Strisciò fuori carponi fin dentro la stalla. Non c'erano animali nella stalla deserta e tutto era in rovina. L'aria era ancora densa dell'odore pungente di letame di mucca mischiato al pene­ trante odore di melassa di insilamento, terra, polvere e fieno vecchio. Jean

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aprì l'acqua del trogolo e con sua sorpresa l'acqua zampillò fuori - l'unico segno di vita nella vecchia stalla spettrale. Pigiò ancora e i tubi spararono con forza. Un maledetto indizio! Dove nascondersi? Jean era terrorizzata. Ovunque guardasse vedeva ragni che camminavano con le loro zampe lun­ ghe e magre e lei odiava i ragni! Avrebbe voluto non partecipare al gioco, ma non voleva essere chiamata gallina - o peggio, poppante. Jean camminava lentamente per la navata, ascoltava ma non sentiva niente. La scala che portava al piano di sopra aveva la maggior parte degli scalini rotti. Il secondo gradino era intatto ma quando Jean cercò di rag­ giungere il successivo udì un rumore sordo sopra di lei. Il suo cuore iniziò a battere forte, rendendole difficile deglutire. Mise con attenzione il piede su quello che restava di un gradino marcio e si spinse su. Le sue mani cer­ carono il primo piano e iniziò a passare attraverso la botola. E se mi pesta­ no le dita prima che riesca a passare, si chiese, oppure mi danno un calcio quando spunta la mia testa? No, non c'è nessuno intorno. È solo la mia im­ maginazione, si rassicurò, cercando di placare le sue paure. Si spinse attra­ verso il passaggio e si sedette in cima. Ancora un'altra rampa e sarebbe sta­ ta nel fienile. Nessuno l'avrebbe cercata lì. Avrebbero pensato tutti che aveva troppa paura per andare lì da sola. I gradini per il fienile erano ancora in buone condizioni. Sporse la testa. Oooh ! Zecche del fieno ! Ce ne dovevano essere milioni là sopra. Ma l'odo­ re del fieno caldo che fermentava era delizioso. Decise di nascondersi lì so­ pra vicino alla porta di fieno e di restare a osservare. Stava fissando le tre travi di legno insellate con balle e spago di canapa quando . . . " BUUH ! " Qualcuno le mise le mani alla gola e la sbatté a terra. Dio ! Oh, Dio. Ter­ rorizzata, guardò con gli occhi spalancati il ragazzo che l'aveva immobiliz­ zata e che ora la sovrastava. Era Gavin, il fratello di dodici anni. "Togliti! " gridò lei, tirandogli inutilmente dei calci. " Fifona ! " la schernì. "Ti ho seguito. " Le sue labbra si arricciarono in un sorriso malizioso. "Abbastanza coraggiosa ad arrivare fin quassù in questo vecchio fienile con i ragni e le zecche, no? " " Sì, sono grande ormai," disse con voce tremante. " Aspetterò con te visto che sei 'grande'. " Gavin si alzò e andò a sprofondarsi in un cumulo di fieno. Si sdraiò sulla schiena e guardò Jean senza dire una parola. Jean si sedette con la schiena rivolta verso di lui e poteva sentire i suoi occhi addosso. "Vuoi fare un gioco ? " chiese Gavin. Quale gioco? Si chiese Jean. Un gioco con il coltello? Ai fantasmi? Al lupo mannaro? Quale? Jean voleva solo compiacere il fratello più grande. Voleva piacergli. " Okay, " disse e si girò. 2 15

TRE STORIE INTERIORJ

Si era aperto i pantaloni. "lo ti ho fatto vedere il mio; ora tu mi mostri la tua" disse. I suoi occhi brillavano, proprio per lei. "Dai, ti aiuto." Il fratello andò verso di lei. Prima che Jean se ne rendesse conto, si era tolto le mutande e stava disteso sopra di lei, coprendola con il suo corpo. NO! NO! NO! Oh, Dio! Oh, per favore! Ti prego non. Ti prego. Ti prego. Ti prego. Bzzz, bzzz, bzzz, bzzz, bzzz, bzzz, bzzz. Vuoto. NERO.

LA BAMBINA DELLA CAVERNA AL COLLEGE

Alla nostra seduta successiva Jean mi racconta che si è ricordata maggiori dettagli sull'abuso sessuale di suo fratello Gavin. Questa è la prima volta che parla a qualcuno dell'incesto. Trova più facile annotare i suoi pensieri e ricordi e scopro quale scrittrice di talento sia quando mi mostra qualcosa che ha scritto dal titolo "Ricordi dall'ombra". In parte recita così: Penso a queste ombre nel ricordo, queste visioni segrete, paure sacre che fanno agire fratelli e sorelle, madri e padri come dei villani in un pessimo film. Io sono quella che non c'è ... ma la protagonista principale. Penso all'abuso, alla tortura dei fratelli, all'incuria della madre. E alle molestie da cortile. Chi erano gli animali? Ero io? Che dire del gioco delle sferzate del padre con i quattro figli fino alla strada? E dei giochi fatti nel cortile della scuola? Inseguimenti e violazioni. Solo dalla terza in poi si può giocare! Legata a una sedia. Sospesa. "Ecco, bevi questo." Aagh! "Non muoverti o cadi a terra e ti spacchi la testa. Ah, ah." Dove sono an­ dati tutti? Dio, non !asciarmi qui in questo modo. Ti prego! Mi fa male lo stomaco. Sto per vomitare. "Bene!" dice mia madre quando sente che Jack, un ragazzo più grande che ci ronza sempre attorno, ha una ragazza. "Adesso forse lascerà in pace le mie figlie." Tu lo sapevi!? Spegnete tutte le luci. Coprite tutte le finestre. L'orrore al buio. Ogni giorno ti spinge sempre più giù, sempre di più. Ho soltanto le scene d'apertura, le prime orride linee di un brutto quadro. Sto cercando di rappresentarmi come vivere.

Quale atto d'accusa alla sua infanzia! Mi stupisce che Jean sia stata in grado di 'sopravvivere a una tale vittimizzazione senza essere cronicamente istituzionalizzata. Il trauma di essere virtuale spettatrice della morte di suo padre per mano della madre sarebbe stato sufficiente di per sé a !asciarla con un grave disturbo post-traumatico da stress. In aggiunta, la continua violenza domestica a cui ha assistito e l'incuria genitoriale, la volatilità mer216

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curiale delle personalità dei suoi genitori, la tortura dei fratelli, l'incesto e le altre forme di abuso sessuale immagino avrebbero reso impossibile la so­ pravvivenza in assenza di una difesa dissociativa instaurata in età precoce. I suoi problemi accademici, gli attacchi di panico e i problemi relazionali so­ no certamente comprensibili dato che sappiamo come il trauma e l'abuso nell'infanzia tra gli altri effetti possano alterare i processi chimici inibendo l'apprendimento, la concentrazione e l'attaccamento. La SCID-D di Jean dimostra chiaramente che tutto quello che ha sofferto le ha lasciato in eredità una risposta iperattiva e fissa ai pericoli percepiti. Soltanto dopo aver risposto in maniera estrema dissociandosi può tornare al pensiero razionale e a valutare logicamente le minacce percepite. J ean ri­ porta livelli da moderato a grave per tutti e cinque i sintomi dissociativi - un'amnesia per intere porzioni del suo passato e per le materie di studio; la depersonalizzazione e la derealizzazione quotidiane in tutte quelle situa­ zioni che la fanno sentire ansiosa o in pericolo, come alle supervisioni o ne­ gli scontri con suo marito all'interno della loro tormentata relazione; la confusione dell'identità sperimentata come un conflitto tra diversi " aspet­ ti" di sé; e l'alterazione dell'identità, come dimostrato dall'esistenza di par­ ti diverse di sé: la Sapienza, la Bambina della caverna, Jeanie e la Sessualità compartimentalizzata. Quando comunico a Jean che le ho diagnosticato un DDI assume un at­ teggiamento difensivo. "So che non sono integrata come dovrei e forse mi sento davvero rifiutata", dice, "ma questo suona come un altro di quei grandi raggiri. Sono venuta qui perché ho avuto un attacco di panico e vo­ levo che mi aiutasse con l'ansia di non riuscire bene negli studi. Perché non può semplicemente trattare la mia ansia? " "Le prescriverò dei farmaci ansiolitici" l e dico, " ma l a SCID-D dimostra che il suo sintomo di panico rispetto al non riuscire bene a scuola ha una sottostante base dissociativa. Questo significa che è necessario che io lavo­ ri con lei in maniera diversa rispetto a una persona che ha semplicemente un"ansia da prestazione', per esempio. Dobbiamo anche lavorare in ma­ niera più attenta con la Bambina della caverna che non è una generica 'bambina interiore'. La sua parte bambina sembra essere una parte separa­ ta della sua personalità ed è più estrema rispetto al convenzionale bambino interiore. Prende il controllo e se ne esce in maniera inappropriata e pro­ voca disfunzione, agendo nelle situazioni attuali come se lei fosse di nuovo nel passato. " Jean appare sconcertata. " Sta dicendo che la Bambina della caverna è una parte di me che non sa quello che avviene a scuola e quando quella parte prende il controllo, dimentico tutto quello che ho imparato al corso di spagnolo? " " Giusto" rispondo. "La Bambina della caverna rappresenta grossa par­ te del suo trauma infantile. Porta i suoi ricordi dell'abuso. Se lei avesse 2 17

TRE

S'I'i\IU!l!N1'rR!i\�l

portato con sé tutti i giorni quei ricordi, non avrebbe potuto funzionare. Ecco il motivo per cui esiste la Sapienza dentro di lei. Quella parte può es­ sere libera dai ricordi e concentrarsi sullo studio. È quando la Bambina della caverna, cioè la parte di lei che non ha ricordo di ciò che avviene a scuola, si manifesta che le cose non funzionano e sorge il problema. Quella che una volta era una difesa adattiva che la aiutava a sopravvivere all'abuso è diventata un problema ora che non viene più sessualmente abusata e de­ ve studiare." "Come posso impedire a quella parte di me di venire fuori?" "Non deve fermarla" rispondo. "È necessario che la Sapienza comuni­ chi con lei e l'aiuti a consolarsi." Proprio mentre dico questo richiamo la storia della genesi della Sapien­ za -il ritorno del padre diJean, quando aveva nove anni, sotto forma di lu­ ce verde la notte in cui morì. Mi meraviglio di come questa bambina traumatizzata e penosamente trascurata fosse in grado di trovare una fonte di ispirazione nel padre ubriaco, abusante e per lo più disoccupato che costringeva la sua famiglia a vivere nella povertà più assoluta. Dissociandosi, la giovaneJean ha potuto far fronte all'incubo della morte del padre e preservare i momenti di tene­ rezza con lui in una parte sana di se stessa a cui ha dato il nome di Sapien­ za. Mi sembra anche che la luce verde che ha immaginato possa essere pre­ sa letteralmente: la fine della furiosa violenza quotidiana in una casa rumo­ rosa e distruttiva come la sua che non permetteva alla mente di pensare, con la morte del padre, le aveva dato la "luce verde" per proseguire e cer­ care di migliorarsi. "Quando la Sapienza va a scuola" proseguo, "è indispensabile che con­ divida quello che apprende con la Bambina della caverna in modo che quest'ultima possa ascoltare, imparare e acquisire nel tempo i ricordi che ha la Sapienza e non debba essere relegata nella caverna per uscire solo in condizioni di stress. Allora non le succederà più di passare da un funziona­ mento alto a uno basso." "Come posso far sì che questo accada?" chiedeJean con aria interroga­ tiva. "La Bambina della caverna non vuole essere raggiunta. Vuole essere lasciata in pace." "Potrebbe scriverle una lettera, confortandola così che non debba con­ tinuare a rivivere oggi i vecchi abusi" suggerisco. "Forse dovrebbe essere Janie, la parte di lei che ha creato per essere sua amica, a scriverle." "Ci sono altri aspetti di me pieni di rabbia e di paura che non parlano," rivelaJean, "ma sono nella mia 'altra parte'. Non sono inconsapevole di lo­ ro; è solo che non vi ho accesso. Loro possono sopraggiungere, ma io da loro non vado." Jean ha problemi a comunicare con le sue parti separate perché le im­ magina essenzialmente come delle parti mute. I suoi episodi di depersona218

j!'!.AN "&., V!S!òN I bA INCUBO

lizzazione sono occasionalmente accompagnati da dialoghi interni interat­ tivi - una delle caratteristiche distintive del DDI - ma la maggior parte del tempo sente le parti nascoste come rumori nella testa o le vede nei flash­ back. Tranne la Bambina della caverna e Jeanie, che sono molto reali per lei, Jean sperimenta ciascuna delle sue altre parti separate principalmente come una congerie intrusiva e confusa di paura, rabbia e tristezza. Sapendo che trovare espressione creativa nel lavoro artistico è tipico di molte persone che sono state obbligate a tacere il trauma che hanno subito durante l'infanzia, incoraggio Jean a usare la sua capacità di disegnare in maniera terapeutica. "Cerchi di disegnare delle immagini della Bambina della caverna e di disegnare le parti di se stessa che immagina dall" altra parte'. Appunti i suoi pensieri su quello che ciascuna di esse rappresenta - i sentimenti e i ricordi più importanti che hanno - così che possa iniziare a recuperarli e a entrarci in contatto. " "È difficile" dice Jean, " perché io in realtà penso che l'altra parte sia molto più potente di questa. " " Allora a maggior ragione la deve conoscere" la incoraggio, "e aiutare entrambi i lati a condividere i punti di forza, sentimenti e ricordi e fare in modo che si consolino reciprocamente ed eventualmente che diventino un tutt'uno . "

I VOLTI D I UNA SOPRAVVISSUTA MUTA

I disegni che Jean porta e che ritraggono le parti di sé così come le immagi­ na sono sbalorditivi nella loro potenza, simbolismo ed emozione allo stato puro. La maggior parte dei disegni sono in bianco e nero e la serie porta il semplice titolo di " Aspetti" . I l primo disegno (figura 13 . 1 ) di Jean rappresenta l a Sessualità, una fi­ gura di Giano bifronte con due facce una di fronte all'altra e una terza tra loro. Sulla destra sta il volto di una giovane donna dall'aspetto innocente con i capelli raccolti in una coda di cavallo. Rappresenta la parte " Buona" o sana della sessualità di Jean, la passione espressa in modo appropriato e legata al matrimonio e alla maternità. È comparsa dopo la disintossicazio­ ne diJ ean grazie al programma terapeutico. Al centro sta la "Sopravvissuta muta" una donna imbavagliata dal volto pietrificato e gli occhi socchiusi che rappresenta la parte osservatrice della sessualità di Jean. Sulla sinistra c'è una giovane donna accigliata, dall'espressione dura con lunghe ciglia e ombre a indicare il trucco pesante. Rappresenta la "Cattiva" o la parte ma­ lata della sessualità di Jean che è emersa durante la pubertà; sopravvissuta all'abuso sessuale del fratello, del cognato e di altre persone è associata con il suo comportamento sessuale fuori controllo. "La Cattiva ha problemi con i confini" diceJean. 219

TRE STORIE INTERIORI

" Sì e penso che possa essere emersa nella sua relazione seduttiva con Drew, il suo professore," le dico, "e questo ha attivato il flusso di ricordi ed emozioni che l'hanno portata al Pronto soccorso. " I ritratti della Sessualità dimostrano come l a bussola interna di J ean sia stata totalmente deviata verso relazioni violente per un lungo periodo co­ me risultato dell'abuso subito nell'infanzia. Ora che è disintossicata e sta diventando più sana, può rendersi conto che anche l'attuale relazione co­ niugale è abusante. Jean ora si trova in una situazione in cui la sua bussola interiore, "la Sopravvissuta muta " , la motiva a lasciare il marito cronica­ mente infedele e a non coinvolgersi in un'inadeguata relazione sessuale con il suo professore. La Saggezza (figura 1 3 . 1 0) è una giovane donna carina, dagli occhi chia­ ri e dall'aspetto sincero con lunghi capelli lisci (tutte le immagini che Jean disegna, persino la Bambina della caverna, hanno gli stessi capelli sciolti che cadono sulle spalle come i suoi). Attorno a lei sono scritte parole ispi­ ratrici come saggezza, felicità, fantasia, liberazione, speranza e spiritualità. La Bambina della caverna (figura 13 .2) siede nuda e con le gambe incro­ ciate nella suo buio antro - una piccola figura isolata e desolata. A volte è così lontana nella caverna da essere invisibile. Fuori gli alberi circondano la caverna, il sole splende, e a terra c'è della legna di un fuoco da bivacco; una ragazzina triste, J eanie, sta disegnando sulla terra un cuore con all'in­ terno le parole "Ti voglio bene papà", esprimendo i sentimenti di perdita della Bambina della caverna per il padre. Nei diversi "ritratti di famiglia" di queste figure femminili, Jeanie è sem­ pre ritratta vicino al cuore diJean. " Non sa cosa fare" diceJean. " È smarri­ ta, terrorizzata, trascurata e abusata ma è la parte di me che vuole davvero essere aiutata. Non è come l'altra ragazzina che vuole soltanto stare nella caverna da sola. " Uno dei disegni più sconvolgenti tracciati da Jean ritrae l'immagine di una delle sue parti nascoste: è una donna nuda con dei lunghi capelli, un bavaglio alla bocca e una corda attorno al collo come un capestro. "Questa è la sensazione che ho di stare in gabbia," dice J ean. "È appar­ sa quando vivevo per strada. È l'icona di tutte le sensazioni bloccate di do­ lore, sofferenza e oppressione che riguardano l'abuso sessuale e l'uccisione del mio papà, sulle quali ho taciuto. L'incapacità di parlare è iniziata quan­ do avevo diciassette anni ed è durata per due anni in modo grave. " " Come ha funzionato durante quel periodo? " " Riuscivo a rispondere a domande generiche con un 'sì' o con un 'no', ma questo era tutto. " "Perché la donna ha quel giogo intorno al collo?" "Quando mi sento in trappola, il cappio intorno al collo tiene la mia te­ sta alta e mi impedisce di essere collegata con il mio corpo. " Che potente simbolo della depersonalizzazione, penso. Noto quello che 220

JEAN w_, VISIONI DA INCUBO

Figura 1 3 . 1 Aspetti di me stessa. / l

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Figura 13.2 La Bambina della caverna. 22 1

TRE STORit: INTERIORI

Figura 13.3 Nuda, im­ bavagliata e imprigio­ nata. Fig�ra 13.4 Annegare nel! alcool per il dolore/ la speranza dopo la te­ rapia.

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