Antropologia culturale. I temi fondamentali 8860309948, 9788860309945

Il testo tornisce una panoramica introduttiva all'antropologia culturale e ai dibattiti contemporanei che caratteri

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Italian Pages xvi, 367 [382] Year 2018

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Antropologia culturale. I temi fondamentali
 8860309948, 9788860309945

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Dal catalogo Arjun Appadurai Il futuro come /atto culturale Saggi sulla condizione globale

Arjun Appadurai Modernità in polvere MarcAugé !}antropologo e il mondo globale Pierre Bourdieu Per una teoria della pratica con Tre studi di etnologia cabila

Jean-Pierre Olivier de Sardan Antropologia e sviluppo Saggio sul cambiamento sociale

Ugo Fabietti Medio Oriente Uno sguardo antropologico

Sally Falk Moore Antropologia e Africa

Antropologia culturale I temi fondamentali

a cura di Stefano Allovio, Luca Ciabarri, Gaetano Mangiameli

� Raffaello Cortina Editore

www

.raffaellocortina.it

Copertina Studio CReE

ISBN 978-88-6030-994-5

© 2018 Raffaello Cortina Editore Milano, via Rossini

Prima edizione:

4

2018

Stampato da Consorzio Artigiano LVG, Azzate (Varese) per conto di Raffaello Cortina Editore

Ristampe l 2 3 4 5 2018 2019 2020 202 1 2022

INDICE

IX

Premessa l. Cultura/culture

n concetto di cultura in antropologia (Francesco Remotti)

La dimensione culturale (Arjun Appadurai) Abitare o costruire (Tim Ingolcl)

2 . Comparazione/etnografia

n metodo comparativo (Ugo Fabietti) L'etnografia e la politica del campo

(]ean-Pierre Olivier de Sardan)

3 . Percezione/ conoscenza La diversità linguistica (Alessandro Duranti) La conoscenza del corpo (Michael Jackson) Gli schemi della pratica (Philippe Descola)

4. Cosmo-logie/socio-logie Cosmologie (Michael Herz/elcl) Donare, scambiare, custodire: come si creano le società

(Maurice Godelier) L'identità nella relazione (Lila Abu-Lughocl)

l

6 39 45 57 61 89 113 117 134 156 169 173 192 203 221

5 . Identità/appartenenze La razza: un errore scientifico e un abominio sociale

(Gianfranco Biondi, Olga Rickards) L'etnia e le minoranze etniche (Anne-Christine Taylor,

Patrick Williams,]ean-Paul Razon) Una spiegazione dei significati sessuali

(Sherry Beth Ortner, Harriet Whiteheacl!

VII

226 241 249

INDICE

6. Mobilità/migrazioni L'emigrazione e lo studio degli africani in città

(Philip Mayer, Iona Mayer) Da rifugiati a cittadini (Azhwa Ong)

7 . Globalizzazione Storia dello zucchero (Sidney Wilfred Mintz) La globalizzazione

e

il futuro della differenza culturale

(Jean-Loup Amselle)

8. Diversità e relativismo La nuova Turii (Leonardo Piasere)

Fonti

271 274 290 303 306 325 343 345 365

VIII

PREMESSA

Questa proposta antologica ha come scopo quello di introdurre all'Antropologia culturale. Si è ritenuto opportuno individuare specifiche questioni di ampio respiro che caratterizzano e defini­ scono la disciplina così come oggi è conosciuta. Si tratta di alcuni temi fondamentali, utili a cogliere il senso del lavoro degli antropo­ logi: la nozione di cultura, la diversità culturale, l'etnocentrismo e il relativismo, l'etnografia, la comparazione, le visioni del mondo, le forme delle relazioni sociali e parentali, i processi di naturaliz­ zazione delle appartenenze (razza, etnia) , le questioni di genere, disuguaglianze e gerarchizzazioni, le dinamiche migratorie, la glo­ balizzazione. Sviluppare questi temi risulta cruciale non solo per cogliere il senso di una disciplina, ma per contribuire al ricono­ scimento e all'inclusione sociale a partire dalle politiche culturali e dai contesti educativi. Lo studio degli esseri umani ha due dimensioni principali: quel­ la socioculturale, cui è dedicato questo volume, e quella biolo­ gica. I due ambiti non sono facilmente isolabili e gli antropolo­ gi contemporanei ne sono pienamente consapevoli. Nonostante ciò, storicamente si sono costituite due discipline accademiche dell'anthropos, le quali hanno finito per occuparsi, con metodo­ logie differenti, di cose molto diverse. l) Antropologia culturale e sociale. Essa si occupa degli esseri umani organizzati in società e dotati di specifiche visioni del mon­ do, proponendo un linguaggio scientifico per lo studio delle diver­ sità e delle somiglianze socioculturali rintracciabili e degne di es­ sere studiate, in modo approfondito e con spirito comparativo, in IX

PREMESSA

ogni angolo del pianeta. Nonostante gli antropologi siano necessa­ riamente interessati anche al passato e alla dimensione diacronica, la loro metodologia principale, ovvero l'indagine etnografica, li ha condotti a studiare soprattutto gruppi umani coevi al ricercatore. 2) Antropologia fisica (oggi denominata prevalentemente Antro­ pologia biologica) . Essa si occupa principalmente della variabili­ tà dei caratteri morfologici, metrici e genetici all'interno di e tra le popolazioni umane; della storia evolutiva dell'Homo sapiens e delle altre specie di omini di che in passato costituivano il grande " cespu­ glia" (metafora ormai preferibile a quella di " albero " ) dei processi di ominazione. Gli antropologi biologici, tradizionalmente, interro­ gano il passato attraverso gli scavi in situ rinvenendo resti fossili di ominidi e testimonianze delle prime culture materiali. Attualmen­ te, l'Antropologia biologica raggiunge gran parte dei suoi preziosi risultati anche attraverso l'analisi della variabilità genetica e, sem­ pre di più, di quella genomica (estesa a gran parte del DNA), sia su popolazioni attuali sia su reperti umani antichi, utilizzando model­ li interpretativi e approcci avanzati dalla genetica di popolazione.

È curioso, e dopotutto anche rassicurante, rilevare che gli an­ tropologi biologici si autodefiniscono, fra di loro, " antropologi"; analogamente, gli antropologi culturali e sociali si autodefinisco­ no, fra di loro, anch'essi " antropologi" : questa denominazione condivisa è ormai consolidata e accettata da tutti. Diverso è il ca­ so dell'Antropologia filosofica, ambito di interesse circoscritto nel quadro del settore disciplinare della filosofia morale: coloro che insegnano "Antropologia filosofica" non si autodefiniscono, fra di loro, " antropologi" , bensì "filosofi " . Non si ascrivono alla vasta e variegata comunità degli antropologi ma giustamente rivendica­ no il loro essere filosofi. Venendo ora più precisamente alla disciplina che si occupa della dimensione socioculturale dell'umanità, le denominazioni maggiormente usate in ambito accademico e scientifico sono due: "Antropologia sociale" e "Antropologia culturale" , quest'ultima di gran lunga la più diffusa in Italia e per tale motivo scelta nella tito­ lazione del volume. Fino a non molti anni fa, con particolare rile­ vanza per la situazione francese, era diffusa anche la denominazio­ ne "Etnologia " , oggi molto meno utilizzata. Si può affermare, con x

PREMESSA

un po' di approssimazione e tenuto conto dello scopo introduttivo di questo volume, che gli antropologi culturali, gli antropologi so­ ciali e gli etnologi facciano lo stesso mestiere. È opportuno tutta­ via precisare che le tre denominazioni fanno riferimento rispetti­ vamente all'interesse per la sfera simbolica, i saperi e il linguaggio (Antropologia culturale, in particolare negli USA), all'analisi dei si­ stemi sociali, giuridici e delle istituzioni (Antropologia sociale, in particolare in Gran Bretagna) , e allo studio storico di aree culturali geograficamente limitate (Etnologia) . Esse costituiscono dunque sfumature differenti di attività scientifico-intellettuali che posso­ no essere svolte dalle medesime persone, e non discipline distinte. Nel corso del Novecento, inoltre, hanno preso corpo nell'al­ veo dell'Antropologia culturale ulteriori " sotto-discipline " , quali l'Antropologia politica, l'Antropologia economica, l'Antropologia medica ecc., che lavorano sulle rispettive specializzazioni temati­ che mantenendo le coordinate generali della disciplina e contri­ buendo ad affinarne gli strumenti concettuali. Alcune denomina­ zioni rimandano peraltro a una doppia competenza: per esempio esistono antropologi culturali e linguisti che si occupano di An­ tropologia linguistica, oppure antropologi culturali e giuristi che si occupano di Antropologia giuridica. In Italia le differenti tradizioni e denominazioni sono state rias­ sunte in un ulteriore termine declinato al plurale, quello di disci­ pline demoetnoantropologiche (rappresentate nel mondo accade­ mico con la sigla M-DEA/01). Se questo appellativo risponde alle esigenze ministeriali di classificazione tra settori disciplinari, esso permette anche di mettere in rilievo - oltre all'Antropologia cul­ turale e all'Etnologia - lo specifico settore di ricerca antropologi­ ca della Demologia, o come si dice più comunemente in altri paesi europei, lo studio del folklore o delle tradizioni popolari, che ha avuto in Italia particolare importanza e che ancora oggi contribui­ sce in modo significativo al dibattito disciplinare. Fatte queste premesse, occorre introdurre brevi coordinate sto­ riche che permettano di far cenno ai luoghi e ai tempi nei quali l'Antropologia culturale si è affermata come disciplina. Probabil­ mente il paese che per primo vide svilupparsi un interesse intel­ lettuale nei confronti della diversità culturale è stata la Francia. Questo fu possibile grazie all'eredità dello spirito illuminista e ad alcuni sviluppi della sociologia. Nonostante ciò, lo studio delle XI

PREMESSA

società " altre " non si consolidò oltralpe se non molto lentamen­ te. Dove invece si registra, già nella seconda metà dell'Ottocento, maggiore consapevolezza del fatto che una nuova disciplina si sta­ va costituendo è in Gran Bretagna e negli Stati Uniti: due nazioni che, per motivi differenti, si trovarono a dover riflettere intensa­ mente sulla diversità culturale. In Gran Bretagna la poderosa politica coloniale aveva orientato l'interesse di molti uomini di scienza nei confronti delle società " al­ tre" (orientali, oceaniche e africane) . Inoltre, l'indirect rule, owero la particolare forma di amministrazione e gestione dei territori co­ loniali britannici, favorì lo studio dei modelli di organizzazione po­ litica, giuridica e sociale delle popolazioni indigene. La società sta­ tunitense, dal canto suo, percepiva la propria specificità rispetto alla vecchia Europa, anche grazie alla presenza sul territorio americano di differenti gruppi nativi, i cosiddetti "indiani" , degni di essere in­ dagati a partire dalla loro complessità linguistica, culturale e sociale. Sia in Gran Bretagna sia negli Stati Uniti gli strumenti teorici per le indagini antropologiche si basavano sul paradigma dominante dell'evoluzionismo portando ad ampie comparazioni e alla costru­ zione di classificazioni e tipologie delle società e dei tratti culturali rinvenuti nei differenti " angoli di mondo " . Gli antropologi evolu­ zionisti di fine Ottocento sostenevano che tutte le culture umane seguissero necessariamente una sola sequenza di sviluppo che le avrebbe condotte dallo stadio selvaggio a quello della civiltà. Alcu­ ne società si sarebbero "sviluppate" prima, altre sarebbero rimaste attardate su livelli evolutivi inferiori. Gli evoluzionisti, sulla base di questa idea congetturale e convinti che il livello di sviluppo massi­ mo fosse rappresentato dalla civiltà europea, contribuirono a giu­ stificare la posizione dominante di quest'ultima sulle popolazioni colonizzate inventando, al contempo, la categoria del "primitivo " . Nonostante l'impianto teorico gerarchizzante e le fragili basi congetturali delle argomentazioni dei primi antropologi, occorre ammettere che essi contribuirono in modo determinante a ricono­ scere forme culturali significative e degne di essere studiate anche fra coloro che all'epoca venivano denominati " selvaggi" e "primi­ tivi " . Se oggi tale considerazione pare essere un' owietà (perlome­ no, lo si spera!) , nella seconda metà dell'Ottocento ha rappresen­ tato una conquista intellettuale notevole. All ' epoca non era cosÌ owio pensare la " cultura " non più come segno distintivo delle XII

PREMESSA

civiltà fornite di scrittura e di tecnologie avanzate, ma come una caratteristica universale dell'umanità, rintracciabile in qualunque gruppo umano, dai pigmei della foresta del Congo agli aborigeni australiani, dagli indios amazzonici agli inuit dell'Artico. Nel periodo incluso fra gli ultimi anni dell' Ottocento e gli an­ ni Venti del Novecento, l'Antropologia culturale si consolida at­ traverso una risoluta critica all'impianto teorico evoluzionista e, ancor più, per mezzo di una decisiva revisione metodologica. La connessione tra il viaggiare fra le varie " forme di umanità" e lo studio dell'essere umano si fa sempre più stretta. Gli antropologi non si limitano a riflettere sulla diversità culturale nel chiuso delle loro biblioteche sup portati da resoconti di viaggio (atteggiamento diffuso fra gli antropologi evoluzionisti) , ma optano decisamente per l'osservazione diretta del proprio oggetto di studio. A partire dal 1 886, e per molti anni successivi, Franz Boas condusse ricerche presso i kwakiutl della costa del Nordovest. Boas ( 1 858-1942 ) , et­ nografo di origine tedesca, rifondò la disciplina diventando il mae­ stro di almeno due generazioni di antropologi americani. Partico­ larmente critico nei confronti del metodo comparativo caro agli evoluzionisti, Franz Boas riteneva scientificamente infondate le ge­ neralizzazioni inerenti lo sviluppo delle culture umane e, sempre per una estrema aderenza al rigore scientifico, concepiva il lavoro dell'antropologo come la raccolta empirica dei dati nell'ambito di specifici gruppi umani. L'obiettivo dell' antropologia di Boas non era quello di rintracciare leggi universali, ma di compiere " scavi" etnografici mirati e rigorosi che permettessero di delineare le par­ ticolari conformazioni sociali e rintracciare le cause storiche dei singoli tratti culturali registrati in specifiche popolazioni. Anche nell'antropologia britannica il passaggio dai viaggi "vir­ tuali " ai viaggi reali si colloca idealmente alla fine dell'Ottocento, il secolo delle grandi rassegne comparative degli evoluzionisti. Ri­ sale infatti agli anni 1898- 1 899 l'importante spedizione allo Stret­ to di Torres organizzata dall'Università di Cambridge, per mezzo della quale · s i ebbero significativi contatti diretti con i nativi e si raccolse una preziosa collezione di oggetti di interesse etnografi­ co. A questa spedizione ne seguirono altre che aumentarono la consapevolezza nei ricercatori dell'importanza del soggiorno sul campo e dell'osservazione diretta al fine di comprendere la cultu­ ra dei nativi. In questo clima di consapevolezza metodologica vieXIII

PREMESSA

ne pubblicata nel 1 922 una delle opere più influenti della storia dell'antropologia: Argonauts o/Western Pacific di Bronislaw Ma­ linowski ( 1884- 1 942 ) , antropologo polacco formatosi a Londra. Il volume, incentrato sull'analisi dello scambio cerimoniale kula effettuato dagli isolani delle Trobriand (Melanesia occidentale) si basa sui dati raccolti da Malinowski durante una prolungata ri­ cerca sul campo. La definizione e l' applicazione di un metodo ri­ goroso (l'osservazione partecipante su un lungo periodo), la bril­ lantezza della scrittura, il fascino dei mari del Sud, garantiranno al volume e al suo autore un notevole successo e la stima dei colleghi. L'antropologo polacco, interpretando lo scambio cerimoniale ku­ la come un'istituzione che permette ai trobriandesi di mantenere le relazioni sociali fra le diverse isole dell'arcipelago, garantendo la coesione del tutto, prefigura l'approccio funzionalista allo stu­ dio delle società. Tale prospettiva, secondo la quale ogni elemen­ to culturale è funzionale al mantenimento della coesione sociale, dominerà l'antropologia britannica per gran parte del Novecento. A partire dagli anni Venti, l'Antropologia culturale contribui­ sce alla conoscenza delle differenti culture attraverso la stesura di accurate monografie basate sul rigore metodologico di prolungate ricerche sul campo. I modi di vita e le società di interesse etnogra­ fico vengono presentati come sistemi coerenti dotati di una logica interna e di una complessità organizzativa che, l ungi dall'essere prerogative dell'Europa, caratterizzano il vivere in società di qua­ lunque gruppo umano. Gli antropologi del Novecento contribui­ scono a mostrare come la "semplicità " , la "primitività " e "l'irra­ zionalità" delle altre culture siano riconducibili essenzialmente allo sguardo etnocentrico di noi occidentali, ovvero alla tendenza a giudicare e a interpretare le altre culture sulla base della propria, considerata ideologicamente superiore. La conoscenza delle culture e delle organizzazioni sociali dif­ ferenti da quella " occidentale " permette inoltre di affinare uno sguardo critico nei confronti delle nostre categorie di pensiero che, lungi dall'essere universali, sono anch'esse elaborate in specifici ambiti culturali. Le forme di umanità alternative alla nostra ap­ paiono spesso come residuali e periferiche rispetto alla "via mae­ stra " segnata dalla modernità eurocentrica. L'Antropologia cul­ turale contribuisce a smontare questa visione mostrando la pari dignità culturale di percorsi eterogenei e spesso interconnessi. XIV

PREMESSA

Molti antropologi hanno indagato i sistemi di pensiero " altri" sottolineando come, al di là dell'unità psichica del genere umano, esistono differenti modi di percepire il mondo, costruire categorie cognitive ed elaborare sistemi cosmogonici e religiosi. Con riferi­ mento alle sole fasi costitutive degli studi di Antropologia cultura­ le che si vogliono qui presentare, questi ambiti di ricerca sono sta­ ti particolarmente indagati dagli etnologi francesi sulla scia delle riflessioni di Émile Durkheim ( 1 858- 1 9 1 7 ) , Marcel Mauss ( 1 8721950) e Lucien Lévy-Bruhl ( 1 85 7 - 1 93 9 ) . Anche in Francia - che si può per l'appunto definire la terza culla (con Gran Bretagna e Stati Uniti) degli studi antropologici culturali - fu una spedizio­ ne (la "Dakar-Gibuti " del 1 93 1-193 3 ) a inaugurare una stagione particolarmente proficua di ricerche etnologiche. Emblematico è lo studio condotto dal direttore della missione, Marcel Griaule ( 1 898- 1 956) presso i Dogon dell'Africa occidentale. Griaule ha mostrato come il pensiero cosmogonico dei Dogon, raccontatogli da un anziano cacciatore cieco, sia altrettanto complesso, elabora­ to e profondo delle riflessioni filosofiche occidentali. Lungi dal voler ripercorrere l'intera storia della disciplina, è suf­ ficiente aver ricordato come la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Francia siano stati i paesi in cui si è affermata inizialmente (dalla fine dell'Ottocento ai primi decenni del Novecento) l'Antropolo­ gia culturale. Taie disciplina si è successivamente diffusa in altre nazioni e negli ultimi decenni, in un contesto mondiale di forte in­ terconnessione, di scambi, di mobilità volontarie e forzate, di me­ scolanze, di incontri e scontri, l'Antropologia culturale ha ottenuto sempre maggiore visibilità e riconoscimento. Questo è dovuto al fatto che, se da un lato si è assistito a un'implosione degli orizzon­ ti, a un ripiegamento sulle radici, sulle identità, sul "noi" che deve, per alcuni, salvarsi dall'assedio dell'alterità, dall'altro ci si è messi alla ricerca di strumenti, teorie ed esperienze che potessero aiutare l'incontro, il dialogo interculturale e la reciproca comprensione. Il mondo degli umani non è univoco e di conseguenza occorre gover­ nare intellettualmente e politicamente gli equivoci che insorgono perché - per dirla con Roy Wagner - il modo in cui essi non com­ prendono me è diverso dal modo in cui io non comprendo loro. Nella situazione odierna di forte interconnessione, la stessa An­ tropologia culturale ha profondamente integrato i propri metodi e contenuti, rivedendo i rapporti con i soggetti studiati. In tal modo xv

PREMESSA

essa si qualifica non come il sapere dell'" Occidente " su " gli altri" , m a come una forma specifica di indagine scientifica, svolta secon­ do metodi e concetti propri delle scienze sociali e umane. Fra i molti che si sono proposti quali studiosi ed esperti della differenza culturale, gli antropologi culturali non hanno fatto al­ tro che mettere a disposizione una secolare riflessione su forme di organizzazione sociale, su universi simbolici e visioni del mondo, su abilità e abitudini (su " usi e costumi " come si era soliti dire un tempo) , che come ricorda Lévi-Strauss alla fine di Tristi tropici rappresentano, in fin dei conti, una fioritura passeggera ma pur sempre indispensabile all'Homo sapiens per sostenere il proprio ruolo come abitante, particolarmente ingombrante, di questo pia­ neta. Su questo " essere ingombrante " e sulle relazioni non solo fra umani, ma anche fra gli umani e i non-umani (gli altri legitti­ mi abitanti del pianeta) , è facile che si orientino una buona par­ te delle riflessioni degli antropologi culturali in questa nuova Era dell' Antropocene.

Nota Per esigenze editoriali, i curatori del volume hanno scelto di omettere passi o interi paragrafi dei testi presentati o di modificarne alcune parti. Tali interventi non im­ pediscono una piena comprensione dei contributi presentati. Il segno grafico [ . . . ] è stato utilizzato per indicare parti di testo tagliate. n segno grafico ( . . . ) è stato utiliz­ zato invece in caso di omissis presenti nella versione originale del testo. Nei brani antologizzati, le interpolazioni dei curatori sono racchiuse tra parentesi quadre, quelle degli autori tra parentesi quadre seguite da N dA. Per rispondere alla finalità didattica del volume, è stata eliminata dai testi degli autori gran parte dei riferimenti bibliografici ritenuti eccessivamente specialistici o settoriali. Le indicazioni bibliografiche considerate fondamentali sono state mante­ nute e riportate in note a piè di pagina. Per i testi stranieri si è scelto di indicare la traduzione italiana, qualora presente. In questi casi, l'anno della prima edizione ori­ ginale è stato riportato tra parentesi dopo il titolo. Le note a piè di pagina, salvo ove segnalato con le indicazioni [N dA] (nota dell' au­ tore) e [NdT] (nota del traduttore), sono dei curatori. Un sentito ringraziamento va a Valentina Beccarini per l'accurato lavoro svolto nella redazione dei testi antolo­ gizzati. XVI

l

CULTURA/CULTURE

L'introduzione e l'affinamento teorico del concetto di cultura, in­ teso in senso antropologico, è stato uno degli snodi più importanti, fra Otto e Novecento, nello studio scientifico dell'essere umano in­ serito in società. Come spiega Francesco Remotti nella _p ri1Jl a par­ te di questo capitolo , esistono almeno duç;:çoncetti7di;'�cultJltà": il primo,.classico, si riferisce alla formazione individuale e differen­ zia gli individui all'interno di una società fra colti e incolti, o fra "più colti" e "meno colti" ; il s€G0ii:id&J%proprio delle scienze sociali, si riferisce a una condizione che riguarda gli indivj.�gg4'ip.;;ca:Lf3A-Jif> ntem1Jm:Iài1unrrsècfétaipartlè�ò1are o di un gruppo che c ondivide forme di vita e visioni del mondo (per esempio " cultura maori " , " cultura pastorale " ) . L ' Afitròf'olegi�Fcultliral'è, :fin dagli esordi, s i è legata - e spe­ riamo continui a esserlo anche in futuro! - al concetto di cultura in questa se