Iuvencus: "Evangeliorum Liber Quartus": Introduzione, testo criticamente riveduto, traduzione e commento 3515128441, 9783515128445

In piena età costantiniana, probabilmente tra gli anni 329 e 330, il presbitero iberico Gaio Vettio Aquilino Giovenco co

191 3 2MB

Italian Pages 509 [514] Year 2020

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

Iuvencus: "Evangeliorum Liber Quartus": Introduzione, testo criticamente riveduto, traduzione e commento
 3515128441, 9783515128445

Table of contents :
Sommario
Ringraziamenti
Introduzione
I. L’autore
II. L’opera
II 1 Statuto letterario e definizione di genere
II 2 Destinazione d’uso e pubblico
II 3 Le tecniche parafrastiche
II 4 Spunti antigiudaici
II 5 Spunti esegetici
II 6 Modelli poetici
II 7 Lingua e stile
II 8 Prosodia e metrica
II 9 L’ipotesto biblico
II 10 Fortuna e ricezione
III. La struttura del quarto libro
IV. Il testo
V. Traduzione e commento
Tavola comparativa
Testo e traduzione
Commento
Bibliografia e Abbreviazioni
Index locorum

Citation preview

Donato De Gianni

Iuvencus Evangeliorum Liber Quartus Introduzione, testo criticamente riveduto, traduzione e commento

Klassische Philologie Franz Steiner Verlag

Palingenesia | 123

Palingenesia Schriftenreihe für Klassische Altertumswissenschaft Begründet von Rudolf Stark Herausgegeben von Christoph Schubert Band 123

Iuvencus Evangeliorum Liber Quartus Introduzione, testo criticamente riveduto, traduzione e commento Donato De Gianni

Franz Steiner Verlag

Coverabbildung: Phönix aus einem byzantinischen Mosaik aus Antiochia am Orontes, jetzt im Louvre (Paris) © akg-images / Erich Lessing Bibliografische Information der Deutschen Nationalbibliothek: Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über abrufbar. Dieses Werk einschließlich aller seiner Teile ist urheberrechtlich geschützt. Jede Verwertung außerhalb der engen Grenzen des Urheberrechtsgesetzes ist unzulässig und strafbar. © Franz Steiner Verlag, Stuttgart 2020 Layout und Herstellung durch den Verlag Druck: Hubert & Co, Göttingen Gedruckt auf säurefreiem, alterungsbeständigem Papier. Printed in Germany. ISBN 978-3-515-12844-5 (Print) ISBN 978-3-515-12848-3 (E-Book)

Parentibus carissimis

Sommario Ringraziamenti

9

Introduzione I L’autore II L’opera II.1 Statuto letterario e definizione di genere II.2 Destinazione d’uso e pubblico II.3 Le tecniche parafrastiche II.4 Spunti antigiudaici II.5 Spunti esegetici II.6 Modelli poetici II.7 Lingua e stile II.8 Prosodia e metrica II.9 L’ipotesto biblico II.10 Fortuna e ricezione III La struttura del quarto libro IV Il testo V Traduzione e commento

11 11 14 14 16 18 19 20 21 24 26 28 30 32 34 36

Tavola comparativa

38

Testo e traduzione

41

Commento

80

Bibliografia e Abbreviazioni

455

Index locorum

478

Ringraziamenti Questo volume è una versione ampliata e riveduta della mia tesi di dottorato difesa nel 2015 presso l’Università degli Studi di Macerata Profonda e affettuosa riconoscenza esprimo innanzitutto al mio compianto Maestro, il prof Antonio V Nazzaro, che per primo mi ha iniziato allo studio della poesia latina cristiana, guidandomi con il suo esempio e la sua dottrina È anche alla sua cara memoria che dedico questo mio contributo giovenchiano Al prof Crescenzo Formicola, punto di riferimento umano e scientifico e fonte di preziosi insegnamenti, va la mia sincera gratitudine Ringrazio il coordinatore del dottorato maceratese, il prof Roberto Palla, che fin dall’inizio ha seguito il lavoro con scrupolo e professionalità; il prof Giuseppe Flammini, che ha discusso pazientemente la stesura di queste pagine, elargendomi proficui consigli; i membri della commissione che mi ha esaminato, proff Carmelo Crimi (Università di Catania), Anna Maria Piredda (Università di Sassari), Maria Veronese (Università di Padova) Indirizzo il mio grazie ai proff Lucio Ceccarelli (Università dell’Aquila) e Thomas Riesenweber (Bergische Universität Wuppertal) per i loro validi suggerimenti Nell’a a 2016/2017 ho potuto beneficiare di una borsa post-dottorale presso la School of Ancient Languages and Text Studies della North-West University, Potchefstroom Campus (South Africa); in quella occasione il ruolo di supervisore è stato svolto dalla prof ssa Marianne Dircksen, a cui va un sentito ringraziamento Sono estremamente grato al prof Stefan Freund per la generosa disponibilità e il supporto fornitomi durante il mio soggiorno presso l’Institut für Klassische Philologie della Bergische Universität Wuppertal, dove ho potuto portare avanti le mie ricerche grazie a una borsa biennale (2017–2019) della Fondazione Alexander von Humboldt Utilissimo è stato il confronto con gli amici Francesco Lubian, Antonio Mileo e Katharina Pohl, che hanno riletto con competenza il dattiloscritto, aiutandomi nel lavoro di revisione Devo infine ringraziare il prof Christoph Schubert per aver accolto il libro nella prestigiosa collana Palingenesia da lui diretta La responsabilità di eventuali errori, sviste od omissioni resta, naturalmente, soltanto mia

Introduzione Mira loquar, supraque fidem; sed carmina uidi hic hominis, pariterque aquile, bouis, atque leonis Hispanum nostra modulantem uoce iuuencum (F Petrarca, buc. carm. 10, 326–328)

I. L’autore Le notizie biografiche su Giovenco ci sono fornite da Girolamo in alcuni brevi passi che, più volte ripresi anche nei secoli successivi da quanti, a vario titolo, si sono occupati del poeta cristiano, si rivelano indispensabili per tracciare un ritratto dell’autore Nel cap 84 del De uiris illustribus Girolamo precisa che Giovenco1 fu un presbitero di nazionalità iberica2, appartenente a una nobile famiglia3; definisce poi la tipologia dell’opera giovenchiana, presentata come una trasposizione in esametri dei quattro 1 2

3

Il nome completo Caius Vettius Aquilinus Iuvencus si ricava dalle subscriptiones dei mss Sulla base di una glossa marginale alla notizia di Girolamo contenuta nel ms León, Archivo-Biblioteca de la S I Catedral , 22, in cui Giovenco viene definito Eliberritanus, Fontaine, Naissance, p  71, ipotizza che il poeta fosse originario di Elvira, nella Betica, l’attuale Andalusia, provincia da tempo civilizzata che aveva dato a Roma Seneca, Lucano, Traiano, Adriano e Teodosio Secondo lo studioso il parafraste cerca di preservare per il pubblico di questa terra, in cui agli inizi del IV secolo si era celebrato un importante sinodo provinciale presieduto da Ossio di Cordova, il rigore del testo evangelico, non senza interventi d’autore di carattere estetico e anche polemico Force, pp   325–326, coglie un collegamento tra Iuvenc 3,476–481, che aggiunge temere alla parafrasi di Matth 19,8–9 (sul ripudio della moglie e la legge mosaica), e il canone ottavo del Concilio di Elvira, in cui per la prima volta si prospetta una eccezione alla possibilità del divorzio, assente nel luogo biblico L’avverbio usato da Giovenco è troppo generico per ricavarne conclusioni certe, ma non è comunque improbabile che un provvedimento conciliare così importante riguardo alla disciplina matrimoniale fosse noto a Giovenco; l’eventuale conoscenza del canone non implica comunque che il poeta fosse necessariamente di Elvira, dato che a quel concilio presero parte tutti i vescovi iberici e che le disposizioni disciplinari valevano per l’intera chiesa iberica Meno probabile è, invece, l’ipotesi di Moricca, p  831, secondo il quale la città di provenienza di Giovenco sarebbe stata Caesarobriga in Lusitania (cfr Poinsotte, p  16, n  27) Uno dei consoli dell’anno 286 si chiamava Vettius Aquilinus; di un C Vettius Aquilinus si ha notizia ai tempi dell’imperatore Commodo; se l’identificazione di Giovenco con il console non è

12

Introduzione

Vangeli e aggiunge una notizia su altri carmi probabilmente di contenuto liturgico e/o teologico composti nello stesso metro4; infine, fissa il floruit del poeta sotto il regno dell’imperatore Costantino5 Per quanto riguarda la questione cronologica, ulteriori precisazioni vengono dal Chronicon, che, nelle aggiunte alle tavole di Eusebio, colloca il poema ai tempi della 277a olimpiade, dunque nel 3296, datazione che secondo Green, nonostante le altre suggerite dalla critica sulla base di elementi linguistici interni piuttosto deboli, appare la più verisimile7 Girolamo non si limita al dato biografico Nel suo commento a Matteo rinveniamo infatti la più antica citazione giovenchiana (1,250 s ), tratta dalla pericope dedicata alla visita dei Magi8 Il frustulo poetico è chiosato da un giudizio di merito (pulcherrime … Iuuencus … uersiculo comprehendit) sulla riuscita qualità letteraria del verso, che sinte-

4

5

6 7

8

dimostrabile, non si può tuttavia escludere che egli fosse imparentato con uno di questi nobili personaggi L’espressione usata da Girolamo (ad sacramentorum ordinem pertinentia) non consente di chiarire in maniera sicura la natura del contenuto di questi altri testi, in quanto con il lessema sacramentum, piegato nel latino cristiano a una serie di diverse sfaccettature semantiche, lo Stridonense fa in genere riferimento a realtà differenti connesse con la fede cristiana; cfr Green, Latin Epics, p  2, n  2 Nel commentario al locus geronimiano Ceresa-Gastaldo, p  318, riporta l’interpretazione di Bardenhewer, secondo cui il sintagma sacramentorum ordinem alluderebbe all’ordine dei riti liturgici Hier vir. ill. 84 Iuuencus, nobilissimi generis Hispanus, presbyter, quattuor euangelia hexametris uersi­ bus paene ad uerbum transferens, quattuor libros composuit, et nonnulla eodem metro ad sacramento­ rum ordinem pertinentia. Floruit sub Constantino principe Forse influenzato da quest’ultima affermazione Gregorio di Tours (hist Franc 1,36 Iuuencum praesbiterum euangelia uersibus conscripsisse, rogante supradicto imperatore) sostiene che proprio l’imperatore avesse commissionato l’opera; per quanto tale ipotesi non sia del tutto improbabile (Nazzaro, Praefatio ed Epilogus, p  31), nell’epilogo non vi sono prove sicure per poterla avallare Hier chron. a. Abr 2345 = 329 d C (ed Helm, p  232) Iuuencus presbyter, natione Hispanus, euangelia heroicis uersibus explicat Green, Latin Epics, p  7 Delle diverse ipotesi di datazione elaborate sulla base del tributo a Costantino nell’epilogo e delle indicazioni storiche che da questo elemento gli studiosi hanno voluto inferire si darà conto dettagliatamente nelle note di commento ai vv 802–812 Non ha valore autoritativo la testimonianza del Chronicon omnimodae historiae attribuito a Flavio Lucio Destro (un prefetto del pretorio vissuto alla fine del IV secolo), che Salvini, pp  60–61, annovera tra i testimonia antichi su Giovenco Nella rubrica dell’anno 337 l’autore della cronaca colloca due eventi, la morte di Costantino e quella di Giovenco, definito santo, avvenuta a Salmantica; aggiunge poi che il poeta partecipò al concilio di Elvira (cfr PL 31,483) Tale testimonium, contestato da Arevalo nei suoi Prolegomena (PL 19,9 s ), giustamente non è registrato da Huemer, dato che con ogni probabilità il Chronicon è un falso creato ad arte dal gesuita spagnolo J R de la Higuera (1538–1611) Oltre alla notizia sulla presunta santità di Giovenco non suffragata da altre testimonianze, pare sospetto il riferimento al concilio di Elvira, un dato che il plagiario avrà forse desunto dalla succitata glossa del cod di León Hier in Matth 1,2,11 et apertis thesauris suis obtulerunt ei munera aurum, thus et myrram. Pulcherri­ me munerum sacramenta Iuuencus presbyter uno uersiculo comprehendit: Thus aurum murram regique hominique deoque / dona ferunt Degno di nota il fatto che per il v 251 Girolamo offra una variante diversa, ferunt in luogo dei tràditi dabant o donabant (si veda l’apparato di Huemer, p  16); si osservi anche la diversa grafia della parola ‘mirra’ nel testo geronimiano e in quello giovenchiano Il prosatore avrà forse usato un esemplare del poema in cui già compariva la variante ferunt o avrà semplicemente citato (male) a memoria

I L’autore

13

tizza il valore teologico dei doni offerti al Cristo neonato Il fatto che i commentari biblici geronimiani contengano, in genere, solo pochissime citazioni poetiche conferisce un peso anche maggiore alle sue parole Una prospettiva più generale sul senso dell’impresa giovenchiana si legge in epist 70,5 (Iuuencus, presbyter sub Constantino historiam Domini saluatoris uersibus explicauit, nec pertimuit euangelii maiestatem sub metri leges mittere) La lettera, indirizzata al retore romano Magno, che aveva rinfacciato a Girolamo l’eccessivo impiego nei suoi scritti di exempla tratti dalla cultura pagana, giustifica il ricorso ai classici tracciando un profilo storico-letterario a partire dalla Bibbia fino ai più recenti scrittori cristiani, greci e latini (da Tertulliano a Ilario) Giovenco, incluso in questa lunga lista, rappresenta un valido esempio della possibile conciliazione fra la tradizione pagana e le nuove istanze religiose e culturali del Cristianesimo Il breve trafiletto è denso di spunti Con il verbo explicare, piuttosto frequente nel linguaggio della storiografia contemporanea, Girolamo allude, secondo Roberts9, all’assenza di connotazioni esegetiche e interpretative e riconosce implicitamente un approccio fedele al senso letterale della Scrittura, intesa appunto come historia Il termine rimanda comunque anche all’idea di spiegazione, quindi di ampliamento sotteso al rifacimento in versi della fonte biblica10 Il prosatore non nasconde la propria ammirazione per l’ambizioso progetto del poeta, che consiste nel sottomettere (sub … mittere) alle leggi della metrica (metri leges) la maiestas del testo evangelico, per sua natura sobrio ed essenziale11 La formulazione geronimiana sintetizza la novità del poema giovenchiano, che è appunto l’esito della combinazione di due filoni autoritativi, i Vangeli e l’epica, specialmente quella virgiliana12 Sono però le parole del succitato capitolo del De uiris illustribus a fornire qualche spunto decisivo per l’inquadramento dell’opera Centrale è soprattutto la definizione hexametris uersibus … transferens; come osserva Fontaine, il verbo transferre e il sostantivo corrispondente translatio sono in latino termini tecnici esprimenti non semplicemente il significato di ‘tradurre’ e ‘traduzione’ ma anche quello di trasposizione metaforica, che implica il passaggio da un codice comunicativo

9 10 11

12

Roberts, Biblical Epic, p  75 Si discuterà più avanti delle implicazioni letterarie ed esegetiche presentate dal testo giovenchiano Tanto più significativo appare il giudizio di Girolamo se si tiene conto sia dell’epoca in cui egli scrisse, cioè la fine del IV e gli inizi del V secolo, dunque prima della grande produzione poetica cristiana in lingua latina, sia anche della delicata fase di transizione culturale determinata dalla cosiddetta svolta costantiniana Girolamo non sarà altrettanto benevolo nei confronti di Proba (epist  53,7); il motivo di tale avversione non poggia solo su basi teologiche e critico-letterarie (anche in virtù del diverso genere letterario praticato dai due poeti cristiani), ma anche sulla convinzione di Girolamo che fosse sconveniente per una donna insegnare la Parola di Dio (cfr al riguardo Springer, pp  96–105) Due testi autoritativi, la Bibbia e l’Eneide, che in epoca tardoantica sono ricomposti in prodotti letterari nuovi attraverso processi associativi ed evocativi (Gualandri, p  172), di cui l’esempio più emblematico è costituito dai centoni cristiani

14

Introduzione

all’altro13 Si tratta di una trasposizione, precisa Girolamo, paene ad uerbum, quasi letterale; il poeta accorda alla propria creatività (e, in varia misura, alla propria interpre­ tatio) un margine di intervento per rimodellare la forma dei contenuti, un’operazione di per sé nuova e sul piano teologico e ideologico non priva di rischi Sarei comunque prudente nella valutazione del peso da assegnare all’avverbio paene, troppo spesso oggetto di opposte considerazioni sulla natura e le finalità dell’opera giovenchiana Girolamo parte da un dato di fatto, constata, cioè, che il testo poetico in oggetto non è, e non potrebbe essere, una semplice traduzione, e lascia implicitamente intendere che, nonostante la diversa forma di espressione linguistica, il poeta si sia mantenuto fedele al dettato originario; la positività del giudizio, credo, sta nell’ad uerbum, il che si trova perfettamente in linea con i principi dello scrupoloso traduttore della Vulgata14 Le testimonianze geronimiane anticipano, dunque, in modo embrionale, la questione centrale di ogni studio su Giovenco, ossia quella relativa al genere letterario degli Euan­ geliorum libri15 e alle conseguenti implicazioni tecnico-stilistiche legate al processo di transcodifica messo in atto dal poeta II. L’opera II 1 Statuto letterario e definizione di genere Curtius riteneva l’epica biblica un finto genere, un prodotto di scuola, che sminuirebbe anche l’autorità della Bibbia, falsandone i contenuti con l’impiego di una forma letteraria originariamente pagana16 Tale valutazione ha influenzato i giudizi della critica successiva17, inaugurando nel contempo un dibattito sulla definizione del genere

13 14

15

16 17

Fontaine, Naissance, pp  70 s ; Nazzaro, Riscritture, pp  402 s Sulla definizione del genere letterario si veda infra, § II Non può non venire in mente la celebre riflessione traduttologica geronimiana secondo cui del testo originario bisogna mantenere il contenuto, non la struttura verbale, tranne che nella versione delle Sacre Scritture, dove anche l’ordine delle parole risponde a una volontà divina (epist 57,5 ego enim non solum fateor, sed libera uoce profiteor me in interpretatione Graecorum absque scripturis sanc­ tis, ubi et uerborum ordo mysterium est, non uerbum e uerbo sed sensum exprimere de sensu) In questa prospettiva l’operazione compiuta da Giovenco appare valida proprio perché aderisce, sia pure nei limiti impostigli dalla scelta del metro, alla ‘lettera’ del testo biblico I manoscritti non concordano sul titolo del poema In alcuni di essi si legge solo il nome dell’autore, mentre in altri si trasmettono titoli come Euangelia quattuor uersibus o hexametris uersibus, Euangelii uersi, Conscriptum rhetorice euangelium, Libri quattuor euangeliorum e altri simili Nella sua edizione veneziana del 1502 Aldo Manuzio lo intitolò Historia euangelica, denominazione che perdura nelle edizioni successive A partire dalle edizioni di Marold e Huemer l’opera è convenzionalmente indicata con il titolo Euangeliorum libri, adottato anche in questo volume Curtius, p  513 Grosso modo di questo avviso erano già Schanz-Hosius-Krüger, IV, I, p  211; questa linea è stata mantenuta a lungo in molti autorevoli manuali di Letteratura latina e Letteratura cristiana antica:

II L’opera

15

letterario, animatosi soprattutto nel corso degli ultimi decenni In un primo momento l’epica biblica è stata considerata una derivazione delle antiche parafrasi retoriche legate alle esercitazioni scolastiche, in un sostanziale rapporto di continuità con l’epica pagana18 Questa continuità, intesa come riproposizione dei moduli classici riadattati alla materia biblica, è stata negata da Herzog, che parla piuttosto di una vera e propria rottura operata dai poeti cristiani rispetto all’epica antica e della specificità del progetto poetico dei cosiddetti poeti biblici (Bibelepiker), mossi da finalità catechetiche e parenetiche19 Una messa a punto terminologica, orientata alla precisazione delle caratteristiche strutturali e contenutistiche dei componimenti cristiani di argomento biblico, è stata fatta da Antonio V Nazzaro Alle precedenti denominazioni di Bibelepik (Herzog e Thraede)20 e Bibeldichtung (Kartschoke)21 lo studioso preferisce quella di ‘parafrasi biblica’, definizione che egli estende anche ai testi agiografici in versi esemplati su modelli in prosa22 Questa ridefinizione, per così dire estensiva e inclusiva, sembra superare l’ambiguità di nomenclature non applicabili indistintamente a tutti i testi poetici che abbiano come referente un preciso ipotesto biblico23 Franca E Consolino, al contrario, nega alla parafrasi biblica lo status di genere letterario indipendente, per il fatto che le antiche tradizioni grammaticali non parlano della parafrasi come genere a sé e che la parafrasi intesa come tecnica compositiva è applicata anche a testi appartenenti ad altri generi letterari quali omelie, inni, commentari esegetici24

18

19 20 21 22 23

24

Pichon, Histoire, p  879; Rostagni, III, p  410; Lana, p  472; Simonetti, p  334 Altrettanto dura è la stroncatura della Mohrmann, Études, pp  219 s , che definisce l’epica biblica opera di modesti versificatori, priva di qualsivoglia originalità Più attenuati sono invece i giudizi di de Labriolle, p  422; Moricca, II, p  835; Amatucci, p  140 Questa, per es , è la posizione di Kartschoke In Biblical Epic Roberts mantiene sostanzialmente la medesima linea, ponendo l’accento sul valore letterario della parafrasi cristiana, improntata al principio della aemulatio dei classici in una costante ricerca di raggiungimento degli standard letterari della tradizione, all’approfondimento esegetico e alla edificazione morale In anni più recenti Cottier, pp  237–252, ha definito gli Euangeliorum libri una parafrasi retorica, che rispetto alla sua fonte si pone tuttavia come un prodotto del tutto nuovo, in quanto realizzata con un fine non puramente imitativo ma esplicativo del testo biblico parafrasato Herzog, p  154 Su questa posizione si allineano per es Deproost, L’épopée, pp  14 ss ; Gambino, pp  7; 10–15; Smolak, Bibelepik, pp  7–24 Definizione adottata anche da Rolling, pp  327–382 Nazzaro, Poesia biblica, pp  119–153; cfr altresì Id , Parafrasi agiografica, pp  69–106; Parafrasi, coll 3909–3916 Nella categoria dell’‘epos biblico’ non rientrerebbero i componimenti scritti in metri diversi dal verso eroico La definizione di ‘poesia biblica’ è troppo generica; l’ispirazione scritturistica di fatto sostanzia in misura e modi diversi tutta la produzione poetica cristiana La tesi di Nazzaro è seguita da altri studiosi contemporanei: Flammini, La parafrasi, pp  123–137, in partic p  130; Palla, Aspetti e momenti, pp  97–116; Santorelli, Aquilino Giovenco, pp  17–20 Consolino, pp  447–526 A queste obiezioni ha ribattuto ancora Nazzaro, Riscritture, pp  397–439, che, attraverso l’analisi dei testi di carattere programmatico (prologhi, epiloghi, epistole dedicato-

16

Introduzione

In ogni caso, all’interno di questo lavoro si utilizzeranno indifferentemente le denominazioni di ‘parafrasi’, ‘riscrittura in versi’, ‘epos biblico’, che, a mio parere, si attagliano perfettamente all’operazione poetica dell’autore iberico: in quanto rifacimento metrico di un ipotesto in prosa, gli Euangeliorum libri sono tecnicamente a tutti gli effetti una parafrasi25; tramite il ricorso agli schemi dell’espressività epica, poi, essi si riallacciano al tradizionale genere dell’epos, in particolare virgiliano, ricostituendolo attraverso la scelta della materia biblica26 II 2 Destinazione d’uso e pubblico Finalità e pubblico degli Euangeliorum libri sono una questione tuttora aperta27 È probabile che la genesi del testo sia da ricondurre alla volontà del poeta di offrire ai lettori una versione stilisticamente più elaborata rispetto alle prime traduzioni latine della Bibbia28; l’ipotesi vale tuttavia solo se si ammette che Giovenco abbia inteso predisporre un mero strumento attrattivo che invogliasse alla lettura del testo scritturistico e non una alternativa ad esso29 Questo è vero anche a prescindere dalla categoria dei possibili fruitori Che fossero pagani da avvicinare alla nuova fede cristiana, oppure credenti già da tempo convertiti, il punto di incontro è costituito, infatti, dalla loro comune formazione culturale Si tratta di lettori colti, dotati di raffinata sensibilità letteraria, capaci di decodificare la densa rete di rimandi intertestuali che tramano la pa-

25

26

27 28 29

rie), ha rivendicato ai poeti biblici e agiografici una piena consapevolezza della originalità letteraria delle loro parafrasi La flessibilità di queste denominazioni traspare del resto anche nella sovrapposizione terminologica con cui spesso gli studiosi moderni si riferiscono al testo giovenchiano o in generale ad altre analoghe opere tardoantiche; per es , Stella, La poesia carolingia, p  209, parla di ‘parafrasi’ a proposito delle forme della poesia biblica più praticate in epoca tardoantica, ma in Poesia e teologia, p  37 e 47, definisce il poema giovenchiano «epos cristiano» ed «epos virgiliano» Di fatto Giovenco riprende la struttura metrico-formale e gli elementi caratteristici del genere epico, a partire dal bacino stilistico ed espressivo della lingua esametrica latina Quello epico, del resto, è un imprescindibile referente letterario «dont on retrouve chaque fois, outre le mètre, les lieux communs obligés tels que les labores des héros, la multiplication des combats singuliers ou aristies, la mise en œuvre du merveilleux, les récits de tempête, un traitement particulier des paysages, l’intériorisation des valeurs héroïques, etc » (Deproost, L’épopée, p  19) Lo stesso discorso vale anche per il Carmen paschale di Sedulio, l’Historia apostolorum di Aratore, l’Heptateuchos del cosiddetto Cipriano Gallo, l’Alethia di Claudio Mario Vittorio e il De spiritalis historiae gestis di Alcimo Avito Il costante confronto, imitativo ed emulativo, degli autori citati con l’epos tradizionale smentisce l’obiezione di Schaller, p  17, che vede in Giovenco e Sedulio un disinteresse per l’imitazione strutturale dell’epica classica Herzog, p  XLVI Roberts, Biblical Epic p  107 Come avverte McClure, p  308

II L’opera

17

rafrasi30  Il solido impianto retorico e la massiccia presenza di richiami allusivi alla tradizione letteraria rispondono proprio all’orizzonte di attese della élite intellettuale del tempo e agevolano, nella prospettiva propagandistica e didascalica31 certamente sottesa all’opera, la divulgazione della storia evangelica e delle implicazioni morali e dottrinali ad essa connesse Giovenco sfrutta le potenzialità del medium linguistico-letterario per intercettare un uditorio più ampio e trasversale quanto a orientamento religioso e a istanze ideologiche L’intento divulgativo si giova del propizio clima culturale e socioreligioso e della risonanza, anche nei circoli pagani, del concilio di Nicea, celebratosi pochi anni prima nel 325 L’elaborazione di una tipologia letteraria formalmente conforme ai parametri del genere epico ha poi il duplice scopo di mostrare ai lettori pagani la possibilità di scrivere poesia epica su tematiche diverse da quelle mitologiche32 e di (ri)conciliare i lettori cristiani con la forma poetica, inizialmente ritenuta inadeguata alla trasmissione delle verità teologiche33

30

31 32 33

In questo periodo pagani e cristiani studiano nelle stesse scuole, hanno gli stessi maestri e leggono gli stessi libri Non è quindi pensabile che il poeta «volesse anche far gustare ai lettori cristiani la dulcedo del verso classico» (Campagnuolo, p   50) I destinatari del testo giovenchiano avevano già dimestichezza con la poesia classica ed erano ben attrezzati culturalmente Un lettore privo di competenze letterarie avrebbe faticato a leggere tra le pieghe del testo i continui richiami (spesso emulativi e polemici) ai modelli classici più di quanto un lettore pagano avrebbe faticato a capire i riferimenti semitici, che, sebbene fondamentali nel testo biblico, non creano un ostacolo, essendo essi ridotti al minimo dal poeta La dimensione didattica, che appartiene già al testo evangelico, va intesa in senso lato, in rapporto cioè al proposito di promuovere l’edificazione morale del lettore attraverso il racconto delle gesta e delle parole di Cristo In una direzione di contrapposizione tra mondo culturale classico e patrimonio valoriale cristiano (Stella, La poesia carolingia, p  13, n  33) Per una ricostruzione delle diverse posizioni degli scrittori cristiani dei primi secoli sul ruolo della retorica e sull’uso della poesia rinvio a Evenepoel, pp  35–60

18

Introduzione

II 3 Le tecniche parafrastiche Nella costruzione del racconto in rapporto all’ipotesto biblico seguito, Giovenco si serve delle tradizionali modalità parafrastiche, messe a punto dalle scuole di retorica34: abbreviazioni e omissioni, trasposizioni, amplificazioni e aggiunte35 La ricerca della breuitas, che mira chiaramente allo snellimento della narratio, induce l’autore alla soppressione di dettagli superflui e di ripetizioni, caratteristiche dello stile semitico in cui sono frequenti i casi di parallelismo dei membri La fedeltà contenutistica al testo biblico non impedisce l’esclusione di elementi incompatibili con la versificazione esametrica o stilisticamente inadatti a essere recepiti in un testo che ambiva al raggiungimento dei tradizionali canoni letterari Certe omissioni riguardano soprattutto località geografiche, lunghe genealogie, aspetti culturali e cultuali del mondo giudaico (usanze religiose, riti, normativa giuridica), nomi propri di personag-

34

35

Quintiliano precisa che gli esercizi sottoposti dal grammaticus agli allievi per l’apprendimento dell’ars scribendi devono rispondere a criteri di gradualità; il primo momento è dato dalla trasposizione dei versi in prosa con il mantenimento della chiarezza del testo base; il secondo da una interpretatio mediante un lessico diverso da quello del modello; il terzo da una più originale rielaborazione della fonte mediante abbellimenti ornamentali, riassunti delle parti meno significative e integrazioni di omissioni, senza che ciò comprometta a livello contenutistico il senso dell’originale (inst 1,9,2 igitur Aesopi, quae fabulis nutricularum proxime succedunt, narrare sermone puro et nihil se supra modum extollente, deinde eandem gracilitatem stilo exigere condiscant: uersus primo soluere, mox mutatis uerbis interpretari, tum paraphrasi audacius uertere, qua et breuiare quaedam et exornare saluo modo poetae sensu permittitur) Il retore discute ancora della parafrasi come esercizio imprescindibile per la composizione definendo la redazione parafrastica una ex Latinis conuersio, cioè, sostanzialmente, una rielaborazione endolinguistica su testi scritti nella stessa lingua (inst  10,5,4 sed et illa ex Latinis conuersio multum et ipsa contulerit. Ac de carminibus quidem neminem credo du­ bitare, quo solo genere exercitationis dicitur usus esse Sulpicius. Nam et sublimis spiritus adtollere ora­ tionem potest, et uerba poetica libertate audaciora non praesumunt eadem proprie dicendi facultatem. Sed et ipsis sententiis adicere licet oratorium robur et omissa supplere, effusa substringere. Neque ego paraphrasin esse interpretationem tantum uolo, sed circa eosdem sensus certamen atque aemulationem) Quintiliano prevede tutte quelle operazioni formali (adiectio, detractio, transmutatio e immutatio), intese come categorie di mutamento applicabili alla riscrittura di un testo di qualsivoglia natura (in versi o in prosa) e come parti costitutive della parafrasi, secondo la classificazione di Lausberg, pp  47 ss Sugli sviluppi della parafrasi dalle exercitationes della scuola antica ai componimenti biblici cristiani offre puntuali osservazioni Flammini, La parafrasi, pp  123–137, che commenta i passi quintilianei citati, ai quali vanno aggiunti almeno Svetonio (gramm 4,4 s ) ed Ermogene (περί μεθόδου δεινότητος 24 [440, 8–13 Rabe]) Queste tecniche di base si intersecano poi con altri procedimenti standardizzati individuati da Simonetti Abbolito, Osservazioni, pp  304–324; possiamo schematizzarli in quest’ordine: 1) sostituzione di un sostantivo dei Vangeli con un altro di colorito poetico; b) impiego di attributi, talvolta puramente esornativi, talaltra volti a precisare il senso del nome che accompagnano; c) sostituzione delle voci verbali evangeliche mediante sostantivi della stessa radice, a loro volta qualificati da uno o più aggettivi In generale possiamo rilevare che Giovenco trasforma solitamente il discorso diretto del modello in indiretto, salvo nei casi in cui le parole dei personaggi comportino particolari coloriture emotive o siano pronunciate dal protagonista Gesù Per ulteriori precisazioni sui modi della parafrasi giovenchiana rinvio a Donnini, Annotazioni, pp  27–45, Castro Jiménez, pp  211–219, e Campagnuolo, pp  47–84

II L’opera

19

gi minori36, ovviamente lì dove la loro presenza non risulti necessaria all’impianto narrativo e alla comprensione dell’intero contesto Nella riorganizzazione del materiale scritturistico può verificarsi l’inversione dell’ordine delle parole o di intere porzioni di testo allo scopo di razionalizzare la sequenza degli eventi e conseguire una maggiore economia narrativa: la transpositio ritocca il resoconto biblico per dare rilievo a fatti e personaggi in un ordine diverso da quello esibito dalla fonte37 Non meno marcata è la tendenza a enfatizzare quegli elementi della storia evangelica particolarmente istruttivi per il lettore sul piano morale e spirituale; a effetti visivi di forte impatto contribuiscono le amplificazioni descrittive38, spesso realizzate mediante immagini e locuzioni ricavate dell’epica pagana; si incontrano talvolta amplificazioni sinonimiche che consistono nella ripresa di un concetto biblico attraverso l’accostamento e la ripetizione di verbi, aggettivi o nomi semanticamente equivalenti, sovente con una abbondanza verbale che incorpora altre figure retoriche Se l’amplificatio presuppone materiale già presente nel modello, l’espediente della adiectio prevede invece aggiunte del tutto autonome da parte dello scrittore, per lo più finalizzate alla sottolineatura di nozioni specifiche, all’abbellimento della dictio poetica o alla ricerca di pathos Solo raramente ampliamenti e aggiunte hanno un rilevante peso interpretativo39 II 4 Spunti antigiudaici Questo rimodellamento della Vorlage sembra talvolta orientarsi in senso antigiudaico Alcuni interventi parafrastici danno effettivamente questa impressione40, ma la loro portata non consente di vedere nell’antisemitismo – come fa Poinsotte – la chiave di lettura dell’opera Certamente il milieu culturale in cui il poeta visse era permeato da una vena antigiudaica che trapela dagli scritti dei Padri e caratterizza l’atteggiamento

36

37

38 39 40

Su questo genere di eliminazioni cfr Widmann, pp  32 s ; Nestler, pp  32 s e 62; Herzog, pp  111–113 Per quanto riguarda le citazioni veterotestamentarie riportate nei Vangeli Giovenco talvolta le omette per intero, talaltra ne riassume il contenuto; in qualche caso le parafrasa quasi letteralmente In questa selezione degli eventi, spostati all’interno del racconto o ripresi da altra Vorlage biblica e inseriti nel tessuto narrativo, si può vedere la volontà non solo di enfatizzare l’importanza di un episodio rispetto a un altro, ma anche di suggerire accostamenti e parallelismi tra fatti e personaggi biblici Esemplare in tal senso è il caso della risurrezione di Lazzaro: come vedremo, il poeta pone l’episodio, ripreso da Giovanni, subito prima della cospirazione del Sinedrio contro il Messia, nell’intento di leggere la risurrezione di Lazzaro come prefigurazione di quella di Cristo Sulla funzione dell’ekphrasis nelle parafrasi bibliche latine, si veda Labarre, pp  35–50 Kartschoke, p  85, definisce tali incrementi d’autore «theologische Interpretationen» Va inoltre detto che, a differenza di altri parafrasti, Giovenco non inserisce quasi mai interventi autoriali metanarrativi, eccetto che nella praefatio e nell’epilogo (cfr Hecquet-Noti, pp  197–215) Quali l’espunzione di riferimenti al ritualismo dell’antico Israele o l’immissione di materiale mirante ad accentuare la perfidia degli Ebrei e la loro responsabilità collettiva come deicidi

20

Introduzione

della Chiesa tardoantica; polemici verso gli Ebrei erano stati del resto anche gli intellettuali pagani delle epoche precedenti, come in generale la società romana41 Giovenco respira quest’aria, è uomo del suo tempo e porta con sé il retaggio culturale di una tradizione diffusa e consolidata In molti casi, tuttavia, il tratto degiudaizzante risponde piuttosto a esigenze poetiche; l’adesione al genere epico richiede una configurazione classicheggiante del dettato, con la fisiologica estromissione di componenti estranee alla lingua letteraria latina e, viceversa, la romanizzazione di lineamenti spiccatamente semitici (ambientazioni, cariche istituzionali, concetti) Propria del genere epico è anche la polarizzazione delle forze in campo con la conseguente esagerazione oppositiva delle caratteristiche costitutive dei diversi sistemi valoriali e dei personaggi messi in scena L’eliminazione degli ebraismi, punto distintivo dello stile giovenchiano e in genere della produzione parafrastica, tiene conto soprattutto del pubblico romano, per il quale certi particolari erano del tutto privi di interesse o comunque non immediatamente comprensibili Le ragioni squisitamente narrative si incrociano poi con l’istanza di promuovere nella nuova prospettiva cristiana l’universalità del messaggio evangelico sminuendo giocoforza il ruolo dell’Antico Israele42 II 5 Spunti esegetici Se Giovenco sia o meno un esegeta è una questione ancora controversa Non mancano studiosi convinti che gli Euangeliorum libri siano in qualche misura una sorta di commento scritturistico e contengano spunti esegetici immessi nella parafrasi attraverso inserzioni e dilatazioni, che risentirebbero dei commentari patristici e di tradizioni orali43 In linea di massima si può sostenere che il presbitero iberico abbia letto opere di carattere didattico e catechetico, trattati teologici e commenti esegetici latini 41 42 43

Rinvio a Santorelli, I libri dei Vangeli, pp  29–30 Fontaine, Naissance, pp  77–78 Di interessi esegetici in Giovenco parla già Rollins, p  323, che, nell’analisi della riscrittura delle parabole, individua spunti interpretativi autonomi dai Padri, soprattutto da Origine, di cui il poeta rifiuta la triplice interpretazione; a un approccio sostanzialmente esegetico nella parafrasi pensano anche Kirsch, p  11, e Nodes, che dedica il suo saggio ai rapporti tra esegesi e poesia biblica in lingua latina Rilievi più puntuali con riferimenti ai loci patristici vicini alle inserzioni giovenchiane hanno individuato Fichtner, nei versi relativi al battesimo e alla tentazione di Cristo, e Orbán, Ju­ vencus, pp  334–352, che a proposito del discorso della montagna coglie somiglianze lessicali tra la versificazione e i commenti a Matteo di Ilario e Cromazio, posteriori a Giovenco Colombi, Paene ad verbum, pp  9–36, verifica anche l’esegesi precedente (Ireneo, Tertulliano, Origene), focalizzando l’attenzione sulle corrispondenze contenutistiche più che su quelle lessicali Green, Exegesis, pp  65–80, ha rintracciato nel poema spunti esegetici antiariani Più di recente, Lubian, Teaching, pp  33–49, ha ipotizzato che, nella riscrittura giovenchiana di Matth 13,10–17 34 ss (l’unico caso di un discorso meta-didattico di Cristo sul proprio insegnamento mediante le parabole), la differenziazione dei destinatari interni in base alla loro dignità e ai loro meriti risenta dell’influenza del commento di Origene (o della sua scuola) al passo matteano

II L’opera

21

o anche greci (non sappiamo se in traduzione o in originale) e che, in certa misura, le idee ivi contenute siano state assimilate e abbiano lasciato traccia nella riscrittura esametrica dei Vangeli Nel poema gli interventi d’autore non sono mai del tutto neutri, esenti cioè da una personale (ri)lettura dei fatti, su cui inevitabilmente agisce la formazione culturale e religiosa del parafraste Tuttavia, nel complesso, gli inserti non propriamente poetici sono molto limitati; spesso si riducono a forme di interpretatio esplicativa44, difficilmente riconducibile a questa o a quella specifica tradizione esegetica45 Del resto, eventuali proposte ermeneutiche in versi sarebbero risultate tanto più inattuali nell’Occidente latino di inizio IV secolo, in cui, anche nella produzione in prosa, mancava ancora un esplicito interesse esegetico46 II 6 Modelli poetici L’apparato dei fontes allestito da Huemer e le indicazioni dei loci similes individuati dalla critica nei commentari ai singoli libri o a limitate porzioni di testo47 rivelano negli Euangeliorum libri una corposa tramatura intertestuale, variamente organizzata e riadattata, che sostanzia la dictio poetica di Giovenco Se la principale fonte letteraria della parafrasi è costituita da Virgilio48, un contributo significativo viene anche da Ovi-

44

45

46

47

48

L’autore, cioè, ribadisce in altri termini un medesimo concetto per raggiungere un maggior livello di chiarezza; è in questo spazio ristrettissimo che una parola, un aggettivo, un elemento della frase sembrano a volte ricordare qualche analoga espressione presente nella letteratura patristica Anche nel commento se ne darà conto Palla, Esegesi, pp  209–229 (partic pp  222 s ) mette giustamente in guardia dal rischio di sovrastimare l’entità di questi inserti interpretativi Anche in La parafrasi, pp  19–29, lo studioso aveva osservato la necessità di procedere con cautela nel reperimento di presunti loci similes tra la parafrasi e la tradizione patristica, dedicando una puntuale analisi alla resa poetica di Matth. 7, 13–14 in Iuvenc 1, 679–689 In una diversa temperie culturale operano i successivi autori di parafrasi vetero- e neotestamentarie (in particolare Claudio Mario Vittorio, Draconzio, Avito, Sedulio, Severo di Malaga), che alla rielaborazione metrica di singoli episodi biblici aggiungono glosse, commenti, interpretazioni più o meno ampie, rispondenti alle istanze teologiche (spesso dettate dalle coeve dispute dottrinali) del pubblico di riferimento Alcune pericopi sono state analizzate anche per quanto riguarda la rete intertestuale e la fruizione di modelli classici; Ratkowitsch, pp   40–58 (la tempesta sedata: 2,25–42, su cui si veda da ultimo anche Schubert, pp  87–93); Testard, pp  3–31 (il battesimo di Gesù: 1,346–363); Deproost, La résurrection, pp  129–145 (la risurrezione di Lazzaro: 4,306–402) Come per tutti i successivi epici biblici (Malsbary, pp  55–83)

22

Introduzione

dio e Silio Italico49 e, in generale, dai principali epici latini (Ennio, Lucano50, Valerio Flacco, Stazio)51 o anche da poeti didascalici quali Lucrezio52 e Manilio, nonché dalle opere raccolte nella cosiddetta Appendix Vergiliana; non mancano richiami, sia pure in misura più limitata, anche a Orazio e Catullo È comunque l’Eneide53 il modello guida; nella praefatio54 (vv 9–10) Giovenco menziona espressamente solo il nome di Virgilio, mentre evoca tramite una perifrasi Omero, in quanto massimi rappresentanti dell’epica greca e latina, cui evidentemente egli intende rifarsi Del resto, Virgilio, la cui opera epica era diventata nel corso dei secoli il testo scolastico per eccellenza e l’espressione massima dell’epos latino, non poteva non rappresentare, anche per le implicazioni morali e spirituali, il dichiarato auctor di riferimento per l’iniziatore dell’epos biblico55 Le strategie di riutilizzo dei modelli letterari pagani seguono modalità ricorrenti, esemplificate da Borrel Vidal in numerosi contributi dedicati alla intertestualità virgiliana in Giovenco (limitatamente al libro primo)56 Il procedimento imitativo più ricor-

49

50 51 52 53 54 55

56

Un’indagine sulla memoria di Silio Italico in Giovenco è stata puntualmente condotta da Colombi, L’allusività, pp  157–185; la studiosa osserva che le citazioni provengono in maniera omogenea da tutti i libri dei Punica, per quanto talune affinità contestuali spingano il poeta cristiano ad attingere da alcuni luoghi in particolare Secondo Deproost, La résurrection, p  5, n  7, l’interesse mostrato dal Nostro verso i Punica di Silio Italico si spiegherebbe «par le fait que le poète chrétien était conscient de l’analogie de leurs entreprises Silius avait mis en vers épiques un livre d’histoire, rédigé en prose par Tite-Live, comme Juvencus entendait exprimer en vers épiques le récit historique en prose de saint Matthieu» Un breve accenno alla presenza di Lucano in Giovenco è in Herrero Llorente, p  36; alcuni esempi significativi di intertestualità lucanea sono discussi in De Gianni, Constitutio textus, pp  75–85 Sull’atteggiamento di Giovenco nei confronti dell’epica si veda in generale Gärtner, pp  29–35 Un caso di studio in Marpicati, Echi, pp  151–160 Letta anche con il supporto di qualche commentario virgiliano, forse quello di Emilio Aspro, come ipotizza Gnilka, Vergilerklärung, pp  387–400 Numerosi gli studi sul proemio giovenchiano Mi limito a segnalare: Murru, pp  133–151; Costanza, pp  253–286; Carruba, pp  303–312; Marpicati, Aurea Roma, pp  333–344; Nazzaro, Praefatio ed Epi­ logus, pp  11–35 Si veda al riguardo Campagnuolo, pp  50 s : «Enea appare infatti ricco di un’umanità e di una pietas che lo accostano alla sensibilità cristiana, così come il suo iter presenta delle affinità – anche se su un diverso piano spirituale – con l’iter Christi: l’eroe troiano guida i compagni che erano sopravvissuti alla distruzione di Troia verso la salvezza, superando indicibili pericoli e sofferenze Vivo è in lui il sentimento religioso e spesso si rivolge agli dèi pregandoli di assisterlo nella sua impresa; voluto dagli dèi è d’altra parte il faticoso viaggio che intraprende, conformandosi totalmente al loro disegno e realizzando le predizioni profetiche […]» Su tale approccio imitativo nei confronti dell’Eneide all’interno degli Euangeliorum libri e sull’intento epicizzante del poeta cristiano la critica è sostanzialmente concorde: Kartschoke, pp  32–34; Roberts, Vergil, pp  47–61; Hummel, pp  161–176; Santorelli, Secondo Giovenco, pp  479–499; Bažil, pp  303–312 Non è condivisibile invece l’ipotesi avanzata da Murru, p  139, n  16, per il quale l’opera di Giovenco rappresenterebbe in qualche misura una contestazione del genere epico tradizionale, addirittura recuperato ironicamente mediante i nuovi contenuti; proprio il dichiarato apprezzamento in sede proemiale del parafraste per Virgilio e la sua opera smentisce tale ipotesi Cfr Borrel Vidal, Las Palabras, pp   26–91; Virgilio, pp   137–145; Originalidad, pp   261–265 Studi parziali sull’imitazione virgiliana negli Euangeliorum libri sono quelli di Laganà, pp  129–146 e di Hudson-Williams, pp  11–21

23

II L’opera

rente è il recupero di giunture e sintagmi, ricollocati nella parte iniziale (4,428 iamque dies ~ Verg Aen 3,356), centrale (4,746 caelo lapsus ~ Verg Aen 2,693 caelo lapsa) o finale dell’esametro (4,550 ac talia fatur ~ Verg Aen 5,464), oppure contemporaneamente nell’incipit e nell’explicit (4,153 signa dabit, proles hominis quis uertice caeli ~ Verg georg 1,439 signa dabit + Aen 1,225 uertice caeli) In alcuni casi Giovenco inverte l’ordine delle parole, anche mediante il cambio della loro funzione grammaticale (4,513 pars strictis gladiis ~ Verg Aen 12,278 pars gladios stringunt), oppure ricorre alla sostituzione, spesso sinonimica, di sostantivo e aggettivo, senza che ciò comprometta la chiara evidenza del prestito formale (4,368 durae succumbere morti ~ Verg Aen 2,62 certae oc­ cumbere morti; 4,373 rupe sub excisa ~ Verg georg 4,508 rupe sub aeria) Spesso il gioco imitativo coinvolge i valori fonici del testo originario (4,539 at Petrus longe ~ Verg Aen 9,556 at pedibus longe), oppure si realizza attraverso la contaminazione di due o più nessi della Vorlage (4,207 iam noctis medio clamor crebrescere magnus ~ Verg Aen 8,407 medio iam noctis + Aen 11,454 s clamor / … magnus)57 L’intertestualità può poggiare sulla ripresa verbale o sul riuso di segmenti testuali estesi, che suggeriscano parallelismi, per analogia o contrasto, tra fatti e personaggi Nella conclusione del discorso tenuto da Gesù ai discepoli sulla figura di Davide (4,45–51), il v 51 talia saluator; cuncti obstipuere silentes evoca la fine del discorso tenuto da Enea ai Latini sulla opportunità di una tregua (Verg Aen 11, 120 dixerat Aeneas. Illi obstipuere silentes)58 L’affinità contestuale tra certe scene bibliche e quelle eneadiche innesca il meccanismo di imitatio basato su riconoscibili trasposizioni tematiche L’esempio più significativo sono i vv 4,403–405 che danno inizio alla passione di Cristo; l’assemblea del sinedrio convocata da Caifa presenta una significativa similitudine con quella convocata dal re Latino e i notabili del popolo in Verg Aen 11,234 s 59 Il materiale classico, soprattutto quando restituisce con immediatezza ambientazioni, strutture di pensiero e parametri culturali tipicamente romani, è spesso funzionale a

57

58 59

Un curioso aspetto tecnico della imitatio virgiliana notato da Borrell Vidal consiste nel posizionamento delle parole nella medesima ubicazione metrica del modello All’interno di un singolo esametro può capitare talvolta che il parafraste inserisca termini derivanti da differenti versi virgiliani e li disponga in sequenza secondo la stessa collocazione che essi avevano nel contesto di provenienza; il verso creato da Giovenco dà così l’impressione di una ‘scala’, in cui ciascuna parola forma un piolo Proporrei il seguente esempio da me notato nel libro quarto: nuntius et saxum tumuli de limine uoluit

Iuvenc. 4,747

nuntius et iuueni ingentem fert Acca tumultum frangerat ad saxum sanieque aspersa natarent aggere composito tumuli, postquam alta quierunt et maestas alto fundunt de limine uoces scuta uirum galeasque et fortia corpora uoluit

Aen. 11,897 Aen. 3,625 Aen. 7,6 Aen. 11,482 Aen. 1,101.

Cfr commento ad loc Cfr commento ad loc , e Borrell Vidal, Ejemplo, pp  11–17

24

Introduzione

quel procedimento di Romanisierung o Entjudaisierung esaminato da Herzog60, ossia la sistematica cancellazione dei tratti specificamente ebraici o la loro sostituzione mediante moduli più consueti al codice espressivo dell’epica romana Sul piano qualitativo le dinamiche imitative giovenchiane rientrano nelle tipologie intertestuali della poesia cristiana, già individuate da Thraede61 e rielaborate da Stella62; si riducono, cioè, sostanzialmente, alla Kontrastimitation e a forme di ricontestualizzazione e risemantizzazione Se in determinati passi (si pensi alla censura delle divinità pagane) è palese la volontà di allusione contrastiva, l’intenzione cioè di capovolgere il contenuto dell’enunciato classico, un certo livello di antagonismo culturale agisce comunque anche quando il meccanismo allusivo punta sulla rilettura in chiave cristiana degli intertesti; le analogie sono solo il punto di contatto iniziale per approdare, attraverso scarti semantici e ideologici, a una ridefinizione concettuale che valorizzi il modello cristiano II 7 Lingua e stile Le caratteristiche linguistiche degli Euangeliorum libri dipendono in larga parte dalla tradizione latina del genere epico cui il poeta cerca costantemente di uniformarsi, a partire dal lessico e dalla sintassi Tuttavia, al di là del repertorio standardizzato della tradizione letteraria, emergono anche tratti peculiari dello stile giovenchiano, risultato per lo più di una personale ricerca di originalità espressiva o anche effetto dei tempi di elaborazione dell’opera, che porta i riconoscibili segni dei mutamenti linguistici del tardo latino63 Il poeta seleziona accuratamente il vocabolario, ricerca epismi quali epiteti, perifrasi, arcaismi64, composizioni aggettivali e verbali, e riduce al minimo il ricorso a biblismi e cristianismi65, di regola rimpiazzati con vocaboli più acclimatati nella poesia esametrica latina66 La specificità di tematiche teologiche e dottrinali impone comunque l’accesso a risorse linguistiche non poetiche, mediate non di rado da

60 61 62 63 64 65

66

Herzog, p  207, n  177 Thraede, Epos, 1034–1041 Stella, Imitazione, pp  9–24 Sulla lingua di Giovenco un utile strumento di consultazione è costituito dalle ricerche di Hatfield e Thor Arcaismi lessicali e fonetico-morfologici come iteris (4,767) e quis = quibus (4,75 153 232 254 544 722) si giustificano anche per comodità metrica Questa attitudine accomuna Giovenco ad altri epici cristiani; cfr Mohrmann, Études, I, p  220: «la poésie épique chrétienne évite même d’une manière rigoureuse l’usage des éléments linguistiques d’un caractère spécifiquement chrétien» Di una tendenza purista, volta a ridurre gli elementi in stridente contrasto con i moduli espressivi dell’epica precedente, parla Flury, Dichtersprache, p  44 Il fenomeno non è costante; il poeta è infatti costretto in molti casi a conservare la terminologia di matrice ebraica in assenza di esaurienti perifrasi o sinonimi latini (Simonetti Abbolito, Termini tecnici, pp  53 s ; Hernández González, pp  593–599, e Id , Helenismos, pp  101–115)

II L’opera

25

necessarie traslazioni semantiche67 Questa complessa sovrapposizione di contenuti spiega anche la preferenza per parole astratte, adatte alla resa di concetti non altrimenti esprimibili in poesia Come pioniere del nuovo genere letterario egli è anche originale innovatore e sperimentatore linguistico, capace di coniare ad hoc, secondo la migliore tradizione poetica, neologismi destinati spesso ad avere séguito nelle epoche successive68 Alcune particolarità sintattiche riflettono l’uso linguistico tardoantico Quanto alle forme pronominali, per es , è consueto l’impiego di iste per hic, di ipse per is, di qui­ sque per quisquis, di totus per omnis, di alius per alter, di ullus per aliquis, di nullus per nemo Nei verbi il frequentativo sostituisce spesso la corrispondente forma base senza sostanziali modifiche di senso, e non rare sono alcune sostituzioni nei tempi e nei modi verbali (indicativo piuccheperfetto in luogo dell’imperfetto; infinito presente in luogo dell’infinito futuro; infinito perfetto in luogo dell’infinito futuro; ablativo del gerundio in luogo del participio presente) Una certa deroga alla ‘norma’ nella scelta di alcuni costrutti preposizionali si spiega o con l’adesione a modi sintattici tipicamente postclassici o con la formularità, l’uso cioè in contesti apparentemente impropri di sintagmi altrove usati correttamente69 Le congiunzioni quod e quoniam dopo i verbi di percezione e di dire si alternano alla classica infinitiva oggettiva Come è stato osservato70, un tratto distintivo del poetare giovenchiano è la ricca aggettivazione  – con una spiccata predilezione per le forme composte, alcune delle quali neoformazioni analogiche dell’autore71, chiaramente più corpose ed efficaci  –, esibita per la ricerca di una maggiore espressività sia nella costruzione dei personaggi72 sia nella descrizione di paesaggi e ambientazioni Gli epiteti, soprattutto quelli di Dio Padre e di Cristo73, sono in larga parte attinti dalla tradizione pagana con riadattamenti semantici alle nuove funzioni tematiche74, oppure sfruttano la suffissazione in -tor, assai produttiva nell’uso tecnico cristiano75 La scelta dell’esametro e della fisionomia 67

68 69 70 71 72 73 74 75

Tuttavia queste deroghe al convenzionale linguaggio epico, con adozione di parole non poetiche, sono piuttosto limitate, come ha dimostrato Schicho, pp  40–84, nel suo studio dedicato ai termini non comunemente poetici ricorrenti negli Euangeliorum libri Giovenco è piuttosto contenuto anche nella adozione di grecismi solitamente presenti nella produzione esametrica di epoca classica, come machaera e hydria Approfondimenti in De Gianni, Sinuamen, pp  245–268 Del fenomeno si è occupata Colombi, Preposizioni, pp  9–21 Donnini, L’aggettivazione, pp  54–67 Si vedano, per es , le forme altithronus (praef 24), astrifer (3,225), auricolor (1,356), flammicomans (4,201), flammipes (2,546), flammiuomus (praef 23) La connotazione caratteriale (spesso anche fisica) dei personaggi del poema, siano essi amici o antagonisti di Cristo, punta su una analisi introspettiva definita Psychologisierung da Kirsch, pp  113 s Santorelli, I libri dei Vangeli, pp  26 s , n  31, raccoglie i dati relativi ai predicati che sono attribuiti a Cristo Ne risulta una griglia composita che disegna, come già aveva rilevato Vega, p  246, una vera e propria cristologia giovenchiana Si pensi al tradizionale epiteto di Giove (Tonans) applicato da Giovenco a Dio in 4,553 786 Cfr , tra gli altri esempi, 4,479 lucis uitaeque repertor e 4,770 uictorem leti … Iesum

26

Introduzione

epica rende naturale la ricezione di quelle figure retoriche che avevano caratterizzato fin da Ennio l’epopea latina; come si noterà più volte nel commento, soprattutto l’omeoteleuto e l’allitterazione, specie nelle clausole esametriche o in particolari combinazioni schematiche all’interno del verso (disposizioni chiastiche, sequenze allitteranti binarie, ternarie e quaternarie, intrecci di allitterazioni e omeoteleuti), danno rilievo ai concetti con una ritmicità spesso potenziata da rime e omofonie76 Alle iterative strutture semitiche della Vorlage evangelica corrisponde nel poema una variegata uariatio lessicale e sintattica, via privilegiata per vivacizzare la narrazione nel rispetto del contenuto biblico II 8 Prosodia e metrica Quanto si è osservato a proposito della lingua si potrebbe applicare, fatte le debite distinzioni, anche alla tecnica metrica Il poeta adegua il suo verso ai principali modelli della poesia esametrica, specialmente quella virgiliana Le ragioni del genere letterario impongono uno stile metrico per così dire standard che conformi l’opera nel suo andamento globale alle tendenze poetiche della tradizione e la facciano procedere su linee sostanzialmente convergenti con quelle dei principali auctores epici All’interno del macrostile del genere è tuttavia possibile cogliere elementi di originale innovazione, frutto della personale sperimentazione poetica del parafraste Anche nello studio della metrica vale quanto in generale si può affermare della intertestualità, soprattutto quando il gioco imitativo si realizza tra opere affini per forma e ispirazione di genere Il poeta infatti riecheggia il modello non solamente attraverso gli strumenti lessicali, sintattici e stilistici ma anche attraverso le similarità o le specularità metriche, recuperando cioè nella costruzione del verso la medesima configurazione del testo imitato, che talvolta può capovolgere per contrasto, con richiami anche intratestuali In questa intelaiatura classicheggiante si affacciano di tanto in tanto particolarità metrico-prosodiche comuni ad altri componimenti in esametri di epoca tardoantica, benché la loro presenza sia comunque piuttosto contenuta

76

Ancora Donnini, L’allitterazione, pp  129–159, analizza una serie di esempi che rivelano in Giovenco un costante perseguimento di questi mezzi espressivi, in maniera omogenea all’interno del testo e in episodi assai diversi tra loro per contenuto e messaggio, non solo nelle parti più narrative ma anche in quelle catechetiche, in cui anzi l’efficacia retorica contribuisce a imprimere nell’uditorio un determinato insegnamento

II L’opera

27

Stando alla recensio pedum eseguita da Flammini77, negli Euangeliorum libri (3211 esametri) sono rispettati i sedici schemi segnalati dal Drobisch78 con una frequenza dei patterns che mostra una preferenza per il dattilo 1o e per lo spondeo 4o, prerogative primarie dell’esametro classico Il numero degli spondei è superiore a quello dei dattili con una intensità crescente nel procedere dalla prima alla quarta sede, il che determina un conseguente rallentamento del ritmo Tra i fatti prosodici degni di nota vanno rilevati l’allungamento di sillaba finale breve in arsi davanti a cesura (4,179 558 668 723 756); la presenza di esametri spondiaci (4,233 426 629)79; due casi di esametri olospondiaci (4,233 e 629); una certa libertà nel trattamento dei nomina sacra e dei nomina Hebraea, con una oscillazione comunque ricorrente nella poesia cristiana in genere Giovenco, per es , considera il nome Iesus nelle sue varie uscite desinenziali (4,365 546 591 596 613 625 720 767 770 790)80 sempre un trisillabo, probabilmente sul modello del nome proprio Iulus, da Virgilio collocato in fine di verso, tranne che ad Aen 12,18581 Il parafraste mostra una spiccata predilezione per l’uso di termini a suffissazione -tion, che solitamente impiega nel caso nominativo e posiziona tra 4o e 5o piede a seconda della facies prosodica di ciascuna parola82: cretico > dattilo (4,1 19 216 219 232 250 510 675)83; epitrito III > ionico a maiore (4,40 121 154 251 498 664)84; dochmios > mesomacros (4,31 131 137 159 299 349)85; molossoiambos > molossopyrrichios (4,594)86 Usitata è la riduzione quantitativa della -o finale di parola nelle diverse categorie grammaticali e morfologiche Le cosiddette cesure principali, tritemimere, pentemimere ed eftemimere, variamente assortite, sono rintracciabili in tutti gli esametri degli Euangeliorum libri87; l’incisione di gran lunga più adoperata da Giovenco, come del resto da tutti i poeti classici, 77

78 79 80 81 82 83 84 85 86 87

Flammini, La struttura, pp   259–288 Studi parziali sulla metrica giovenchiana, legati ad aspetti specifici di metrica e metrica-verbale, sono quelli di Strzelecki, pp  14–40, e Longpré, pp  128–138 Della prosodia in particolare si è invece occupato Hatfield, pp  35–39 Sull’esametro katà stichon fondamentale è il contributo di Ceccarelli, a cui si rinvia per approfondimenti e ulteriori informazioni bibliografiche Drobisch, pp  75–139 A cui si aggiunga il solo altro esempio attestato nell’opera (2,217); si tratta di un indice di occorrenze molto inferiore rispetto a quello registrato nell’Eneide virgiliana Si veda infra, nota al v 546 Nelle sue 39 occorrenze complessive il nome è sempre in chiusura di esametro Questo è uno di quei casi in cui il modello virgiliano agisce sulle scelte metrico-prosodiche del parafraste, tant’è che Fichtner, p  49, parla al riguardo di «prosodische Vergilimitation» Il poeta tende a collocare tali termini in penultima posizione, cosicché la -o finale costituisca la sillaba in tesi del 5o dattilo Fanno eccezione, nel libro quarto, i vv 117 454 525 553 593 (qui la -o finale di parola forma infatti la seconda sillaba in tesi del IV dattilo) 31 esempi complessivi nell’opera 25 esempi complessivi nell’opera 17 esempi complessivi nell’opera 5 esempi complessivi nell’opera A esclusione di 3,567 aiunt, conductoris quod praecepta fuissent Sulle incisioni in Giovenco si veda Ceccarelli, pp  185 n  61, 188 e 189

28

Introduzione

soprattutto di età augustea, è la pentemimere, che spesso si accompagna alle altre due cesure maschili; non mancano evidentemente le pause femminili come le trocaiche, che rendono più articolato e vario il ritmo; in alcuni casi, poi, conformemente a una consueta prassi esametrica, i punti di incisione coincidono con altrettanti stacchi sintattici, lasciando intuire un più forte legame tra cesura e pausa di senso La chiusa del verso, regolata fin da Virgilio da norme pressoché fisse, si presenta anche nel poema giovenchiano conforme alle tradizionali clausole esametriche, del tipo trisillabo (parola dattilica) + bisillabo (parola trocaica/spondaica), del tipo bisillabo (parola trocaica) + trisillabo (palimbacchio/anfibraco) Sono documentate anche altre tipologie clausolari, come quella pentasillabica (4,98 117 155 190 192 193 201 559 634 640 783), quella formata da monosillabo (o finale di parola bisillabica o trisillabica) + bisillabo (pirrichio) + bisillabo (4,340 532 778 806), o quella monosillabo + trisillabo + monosillabo con il trisillabo sempre costituito da parola anapestica (4,149 586)88 Di tutto questo di volta in volta daremo conto nel commento; in quella sede ci soffermeremo con maggiore cura anche su altri aspetti che si adattano all’approfondimento della metrica intesa come veicolo semantico: penso, per es , al cosiddetto periodo metrico e alle annotazioni di tipo fonosimbolico e fonosintattico che tendono al rilievo di certe sonorità, risultato di una ricercatezza poetica costantemente perseguita dall’autore I versi di Giovenco si prestano a una lettura non stichicamente parcellizzata; raramente il pensiero si conclude nel ristretto giro di un esametro, ma si dispiega sovente in un periodo metrico più arioso, che incoraggia il lettore all’individuazione delle sottili implicazioni di senso dettate dai contenuti biblici parafrasati, alla verifica, cioè, di quelle convergenze tra veste metrica e res tematica, coniugate in una continua ricerca di espressività che denota approfondimento e studio della tradizionale Verstechnik II 9 L’ipotesto biblico La presenza nel testo di un certo numero di parole greche, talvolta estranee al latino classico e tardo, ha indotto alcuni studiosi a ritenere che Giovenco avesse lavorato direttamente su un esemplare in lingua greca del NT89 Il materiale finora raccolto dai commentatori, limitato a pochi casi in cui la somiglianza con il testo greco parrebbe più stretta90, non ha tuttavia portato a risultati convincenti Innanzitutto, gli esempi 88 89 90

Non si riscontrano nel libro quarto clausole formate da parola quadrisillabica (coriambo) + monosillabo (solo in 3,1 fuderat in terras roseum iubar ignicomus sol), né quelle formate da monosillabo + quadrisillabo La questione fu aperta da Gebser, la cui tesi è sostenuta da Widmann, p  11; Ermini, p  182; Fichtner, p  189 Una lista di tali esempi è riportata da Green, Latin Epics, pp  386–388, il quale per la maggior parte dei luoghi citati trova possibili spiegazioni alternative Discuteremo dettagliatamente nel commento i passi relativi al quarto libro

II L’opera

29

selezionati sono pochi per numero e assai sparpagliati all’interno dell’opera per poter ipotizzare un uso sistematico e determinante di una versione greca dei Vangeli; l’inserimento di sporadici termini non altrove attestati nella latinità o di locuzioni vagamente riconducibili a quelle presenti nell’originale greco, come è stato recentemente suggerito91, può derivare dall’influsso di coevi commentari esegetici al testo biblico92 o può risalire alla circolazione nella lingua parlata di taluni lemmi o ancora alla ricercatezza del vocabolario poetico dell’autore, costretto per forza di cose a misurarsi costantemente con i vincoli imposti dall’esametro; molte coincidenze verbali si possono inoltre spiegare con la presenza di una versione biblica latina assai fedele al modello greco Gli indizi sono insufficienti e precari per dire se e in che misura Giovenco conoscesse il greco, e comunque va verificato se tale conoscenza abbia in qualche modo giocato un ruolo nella stesura della parafrasi Di sicuro il principale modello biblico seguito è una versione latina precedente alla Vulgata, come chiaramente dimostrano i paralleli presi in esame da Widmann93 e gli studi più recenti incentrati sulla parafrasi di singole pericopi evangeliche Rimane invece ancora da stabilire quale traduzione pregeronimiana nello specifico abbia tenuto presente il parafraste Marold elenca alcuni passi che presentano affinità con uno o più manoscritti del cosiddetto ramo europeo94; al contrario Sanday seleziona loci più vicini alla tradizione africana95, rispetto alla quale rintraccia similarità linguistiche anche Orbán, che analizza un centinaio di versi del libro primo (il sermone della montagna)96 Una mediazione tra queste contrapposte posizioni è offerta da Heinsdorff, il quale, pur rintracciando legami tra gli Euangeliorum libri e il gruppo gallo-irlandese della Vetus La­ tina (d’ora in poi VL), conclude che in ogni caso si riscontra l’influenza di un qualche 91 92

93 94 95 96

Ancora Green, Latin Epics, p  389 L’ipotesi che Giovenco avesse avuto accesso a qualche armonia evangelica, in particolare il Diates­ saron di Taziano, pare poco credibile Per quanto riguarda quest’ultimo testo, si conserva nell’originale greco un solo capitolo tramandato da un papiro di III secolo rinvenuto a Dura nel 1933; a riprova della sua diffusione ci sono tuttavia numerose traduzioni, per es in arabo, persiano e volgare (veneto e toscano), oltre al commento di Efrem il Siro conservato in versione armena e siriaca; della versione latina copiata da Vittore di Capua intorno al 546 e tràdita dal cosiddetto Victor­Codex (= Fulda, Hessische Landesbibliothek, Bonifatianus 1) si ignora il modello esatto; tra l’altro dubbi vi sono anche sulla lingua in cui il Diatessaron fu redatto (cfr Petersen, pp  27–51, ed Ehrman, passim) In ogni caso, al di là della mancanza di sicuri appigli testuali per effettuare un confronto attendibile, è la struttura stessa della silloge di Taziano, ordinata secondo una sequenza differente sia da quella dei Vangeli sinottici sia da quella di Giovanni, a essere molto lontana dalla dispositio della materia biblica del testo giovenchiano, improntato alla sequenza narrativa matteana e solo occasionalmente integrato con prelievi (comunque coerenti con il filo narrativo) da Luca e Giovanni I tre esempi commentati da Otero Pereira, Edición crítica, pp  XXVI–XXVII, tra l’altro molto generici, non consentono in alcun modo di trarre conclusioni sulla eventuale conoscenza da parte di Giovenco del Diatessaron Widmann, pp  6–11; cfr anche Nestler, passim Marold, Euangelienbuch, pp  338–341; dello stesso avviso è anche Nestler, pp  27–30 Sanday, pp  45–50 Orbán, Juvencus, pp  334–340

30

Introduzione

testo africano97 Ancora una volta i dati a disposizione sono parziali (peraltro rilevati solo da brevi porzioni di testo) e non consentono valutazioni conclusive; anche un più ampio lavoro d’insieme, per quanto sempre utile, non sarebbe comunque decisivo, dato che il numero di versioni bibliche esistenti è solo una parte di quelle che dovettero circolare agli inizi del IV secolo, e le caratteristiche verbali, sintattiche e testuali in genere spesso si sovrappongono e si mescolano; oltretutto non si può individuare una netta separazione tra testo africano e testo europeo, essendo quest’ultimo in rapporto di continuità con l’altro98 Prima di ogni altra valutazione bisogna però tener conto dell’usus scribendi di Giovenco: la coincidenza di una singola parola con uno o con l’altro ramo della tradizione, l’assenza nella riscrittura di uno o più versetti assenti in un dato gruppo di testimoni della VL, la scelta di una soluzione sintattica più rispondente allo stile di questa o quella traduzione biblica si possono giustificare con l’applicazione delle succitate tecniche parafrastiche e con i gusti stilistici dello scrittore, che ad ogni modo con grande libertà sottopone l’ipotesto a un profondo rimodellamento formale99 II 10 Fortuna e ricezione Per la sorte dell’opera il giudizio di Girolamo fu certamente decisivo Un ruolo non secondario giocò però anche il cosiddetto Decretum Gelasianum100, in cui il poema di Giovenco, menzionato accanto al Carmen paschale di Sedulio, cui sarà spesso associato nelle attestazioni seriori, viene annoverato tra i libri recipiendi101 Tale legittimazione determina l’inserimento del poeta in una ideale rosa di auctores cristiani fruiti dagli intellettuali dei secoli successivi (già Claudiano, Prudenzio, Paolino Nolano, Avito)102

97 98 99 100 101 102

Heinsdorff, pp  329–351 Fischer, p  37 Cfr Thraede, Juvencus, p  887, e Green, Latin Epics, p  390 Sulla attribuzione e sulla datazione (forse VI s ) del decreto cfr Schneemelcher, p  38 Decret. Gelas 4,5 (ed Dobschütz, TU 38,4, p  10): Item uenerabilis uiri Sedulii opus paschale, quod heroicis descripsit uersibus, insigni laude praeferimus. Item Iuuenci nihilominus laboriosum opus non spernimus sed miramur Per questi poeti si vedano in ordine: Fo, pp   157–169; Manitius, Juvencus, pp   485–491; Vega, pp  209–247; Flury, Paulinus, pp  129–145 e Alcimus Avitus, pp  286–296; Nazzaro, La veste, pp  315– 324; Luca, pp  191–204 e Maria, pp  19–33 Per Paolino di Périgueux si veda Smolak, Bezugstext, pp  231–241 Significativa ancora la testimonianza di Venanzio Fortunato (Mart 1,12–25); nel celebre carme 11, Isidoro di Siviglia illustra i volumi della propria biblioteca con interventi valutativi sui singoli auctores, compreso Giovenco (si veda la recente ediz a c di J M Sanchez Martín, CCh 113A, Turnhout 2000; a p  57 l’editore nota la convergenza dei uersus di Isidoro con quelli di Venanzio nel canone dei poeti sacri) Beda il Venerabile nella praefatio in prosa alla Collectio Psalterii (PL 94, 515 ss ), attraverso la tradizionale metafora del prato fiorito, dichiara che, per cantare le lodi divine, attingerà materiale, tra gli altri, anche da Giovenco

II L’opera

31

Per tutto il medioevo103 gli Euangeliorum libri sono tra le letture obbligate degli uomini di cultura Emistichi, interi versi o brevi escerti, sia pure in modo non omogeneo104, sono citati in manuali di grammatica per illustrare particolarità linguistiche e lessicali o per descrivere regole morfo-sintattiche e prosodico-metriche105 L’allestimento di florilegi e repertori agevolò la ripresa citazionale in testi in prosa (trattati teologici ed esegetici, omelie, scritti storiografici, epistole o manuali scolastici di letteratura latina), a fini estetici o anche argomentativi Gli Euangeliorum libri diventarono così progressivamente una fonte d’ispirazione in campo stilistico e un modello per analoghe parafrasi bibliche, anche in volgare (è il caso dell’Evangelienbuch di Otfrido di Weissenburg, discepolo di Rabano Mauro)106 I testimonia proseguono fino alle soglie dell’epoca moderna, con il celebre elogio giovenchiano inserito nell’Ecloga X del Bucolicum Carmen di Petrarca (vv 313–328) La ricezione di Giovenco in età umanistico-rinascimentale107 gode, soprattutto, del favore di Erasmo da Rotterdam, che nella postfazione (epist 49 Allen, 85–90) alle Odi di Guillaume Herman, pubblicate a Parigi nel 1496, rimprovera ai poeti moderni lo scarso interesse verso i primi autori cristiani Erasmo ricorda anche nella Ratio studii il legame tra poesia e Scrittura, e insiste sul valore letterario e morale della poesia biblica, chiamando in causa scrittori quali Gregorio di Nazianzo, Damaso, Paolino Nolano e ancora Giovenco, che «Christi mysteria poeticis carminibus tractarint»108 Al poeta iberico l’erudito Hermann von dem Busche dedica un epigramma elogiativo (PL 19,32), premesso a molte edizioni degli Euangeliorum Libri apparse nel XVI secolo Il secolo successivo, il XVII, vede il primo commentario filologico e linguistico ad alcuni passi del poema a cura di Kaspar von Barth109

103 104 105 106 107 108 109

Oltre ai Prolegomena di Huemer (pp VI–XXIII) e alle osservazioni di Gebser, pp  13 ss , per una ampia panoramica sulla fortuna medievale di Giovenco si veda Salvini, pp  8–82 Studio limitato alla Querela magistri Paulini in Dräger, Paulinus, pp  65–148 Stando ai sondaggi effettuati da Salvini, prevalgono, infatti, quelli tratti dalla praefatio e dal primo libro Secondo la prassi dell’insegnamento scolastico medievale gli exempla cristiani sono proposti in aggiunta o in sostituzione di quelli pagani Per un sintetico excursus sulla versificazione della Bibbia dal tardoantico al medioevo rinvio a Dinkova Bruun, pp  315–342 Un ampio prospetto delle citazioni e delle testimonianze relative all’opera di Giovenco nei secoli XV–XVII è offerto da Reusch nella sezione Elogia et Testimonia scriptorum de Iuuenco, premessa all’ediz del 1710, e da Arevalo (PL 19, 23 ss ) Cfr H. 190,34; 191,1 Un giudizio condiviso da Macario Muzio (XV/2 s ), che nel prologo del suo De triumpho Christi elogia la poesia biblica di epoca tardoantica, lamentando che ai suoi tempi tale genere letterario fosse diventato ormai obsoleto Aduersariorum commentariorum libri LX, Francofurti 1624 Il Fortleben merita ulteriori indagini Per la circolazione del testo giovenchiano tra gli intellettuali del XIX secolo rimando a De Gianni, Traduzioni, pp  129–137

32

Introduzione

III. La struttura del quarto libro Le caratteristiche sopra esaminate fanno del poema un carmen perpetuum, la cui divisione interna è regolata dalla necessità di distribuire in modo organico la materia biblica110 Il quarto libro, che consta di 812 versi (segue per estensione il secondo, 829 versi), riprende il Vangelo di Matteo dal cap 22,15 al cap 28,16 con alcune importanti integrazioni ricavate da Giovanni e qualche influsso – benché minimo – di Luca Il libro è strutturato in tre macrosezioni tematiche La prima (vv 1–305) tratta della polemica di Gesù con le autorità giudaiche e del grande discorso escatologico, con una più articolata suddivisione interna che comprende anche le quattro parabole sulla vigilanza; la seconda, più breve (vv 306–402), narra l’episodio di Lazzaro (è, questo, l’unico miracolo raccontato nel libro); la terza, la più lunga (vv 403–801), è dedicata alla passione di Cristo e contiene i racconti pasquali sulla risurrezione e sulle ultime consegne ai discepoli I vv 802–812 costituiscono l’epilogo Nella ripartizione della materia la corrispondenza tra i luoghi scritturistici e la parafrasi tiene conto della fluidità dovuta ai consueti procedimenti parafrastici praticati dal poeta (sintesi e amplificazioni, versi di raccordo, anticipazioni e posticipazioni di sezioni testuali)111 La scansione strutturale è la seguente112:

110

111

112

La suddivisione in quattro libri potrebbe rinviare semplicemente al numero degli Evangelisti (Campagnuolo, p  55), senza ulteriori implicazioni numerologiche Non trova riscontro nel poema la tesi secondo cui tale ripartizione segnerebbe altrettante tappe della vita terrena del Signore (Amatucci, p  121); l’impressione è che il poeta abbia cercato di ripartire la materia seguendo i capitoli della Vorlage senza però distribuirli nei libri secondo un riconoscibile criterio contenutistico La struttura stessa del Vangelo di Matteo, articolato secondo la critica moderna (Turner, p  9) in sette parti, non potrebbe trovare del resto una precisa collocazione in soli quattro libri Che poi Giovenco con la sua quadruplice ripartizione abbia voluto in qualche modo alludere al numero dei libri delle Argonautiche di Apollonio Rodio (Lana, La poesia, p  78) pare piuttosto inverosimile, soprattutto in assenza di riferimenti testuali che provino la conoscenza del poeta ellenistico da parte del parafraste Lo schema rispecchia nel complesso l’impostazione adottata relativamente al secondo libro da Santorelli, I libri dei Vangeli, pp  31 s Una scansione più meccanica risulta invece quella fornita da Widmann, pp  30–32, il quale, pur indicando con precisione le sezioni scritturistiche parafrasate e i corrispondenti versi del testo poetico, segnala omissioni e trasposizioni troppo rigidamente, senza tener conto delle sintesi e delle amplificazioni cui il poeta sottopone l’ipotesto; nella riscrittura, infatti, può capitare talvolta che due o più versetti vengano fusi insieme, sicché di primo acchito sembri che uno di essi sia stato completamente eliminato Meno puntuali sono le ripartizioni di Knappitsch, che si limita a titolare ciascuna pericope in base all’episodio trattato, con l’indicazione del brano evangelico corrispettivo, e di Castillo Bejarano, pp  14 s , che suddivide il contenuto dei quattro libri in macrosezioni tematiche, giustapponendo al numero dei versi i corrispondenti capitoli del Vangelo Tra parentesi tonde, accanto a ciascun gruppo di versi con il titolo relativo al brano, saranno indicati capitolo e versetti del testo evangelico di volta in volta preso a modello da Giovenco, seguito, laddove è possibile, dai loci paralleli degli altri Evangelisti

III La struttura del quarto libro

– vv 1–13: il tributo a Cesare (Matth 22,15–21; Marc 12,13–17; Luc 20,20–26); – vv 14–37: la donna dai sette mariti e la risurrezione dei morti (Matth 22,23–33; Marc 12,18–27; Luc 20,27–38); – vv 38–44: il comandamento dell’amore (Matth 22,34–40; Marc 12,28–31; Luc 10,25– 28); – vv 45–51: il Messia figlio di Davide (Matth 22,41–45; Marc 12,35–37; Luc 20,41–44); – vv 52–77: invettiva contro scribi e farisei (Matth 23,1–28; Marc 12,37b-40; Luc 11,39–52; 20,45–47); – vv 78–85: il lamento di Gesù su Gerusalemme (Matth 23,37–39; Luc 13,34–35); – vv 86–90: l’annuncio della distruzione del tempio (Matth 24,1–2; Marc 13,1–2; Luc 21,5–6); – vv 91–120: l’inizio della tribolazione (Matth 24,3–14; Marc 13,3–13; Luc 21,7–19); – vv 121–148: la distruzione della Giudea (Matth 24,15–28; Marc 13,14–23; Luc 21,20–24); – vv 149–162: il ritorno del Figlio dell’uomo (Matth 24,29–31 e 34–35; Marc 13,24–27; Luc 21,25–28); – vv 163–178: esortazione alla vigilanza (Matth 24,36–42; Marc 13,35; Luc 17,26–36); – vv 179–184: parabola del padre di famiglia (Matth 24,43–44; Luc 12,39–40); – vv 185–196: parabola del servo fedele e del servo cattivo (Matth 24,45–51; Luc. 12,42– 46); – vv 197–226: parabola delle dieci vergini (Matth 25,1–13); – vv 227–258: parabola dei talenti (Matth 25,14–30; Luc 19,11–27); – vv 259–305: il giudizio finale, suddiviso in vv 259–267: gloriosa venuta del giudice (Matth 25,31–33); vv 268–283: sentenza in favore dei giusti (Matth 25,34–40); vv 284– 305: sentenza contro i malfattori e conclusione (Matth 25,41–46); – vv 306–402: la risurrezione di Lazzaro (Ioh 11,1–46); – vv 403–408: il complotto dei sacerdoti (Matth 26,3–5; Marc 14,1–2; Luc 22,1–2; Ioh 11,47–53); – vv 409–421: l’unzione di Betania (Matth 26,6–13; Marc 14,3–9; Luc 7,36–50; Ioh 12,1– 8); – vv 422–427: il tradimento di Giuda (Matth 26,14–16; Marc 14,10–11; Luc 22,3–6); – vv 428–456: l’ultima cena (Matth 26,17–29; Marc 14,12–25; Luc 22,7–23; Ioh 13,2 21– 30); – vv 457–477: la predizione del rinnegamento di Pietro (Matth 26,30–35; Marc 14,26–31; Luc 22,31–34; Ioh 13,36–38); – vv 478–510: al Getsemani (Matth 26,36–46; Marc 14,32–42; Luc 22,39–46); – vv 511–536: la cattura di Gesù e la fuga dei discepoli (Matth 26,47–56; Marc 14,43–50; Luc 22,47–53; Ioh 18,3–12); – vv 537–569: Gesù davanti al sinedrio (Matth 26,57–68; Marc 14,53–65; Luc 22,54–55; 66–71; Ioh 18,12–24); – vv 570–585: Pietro rinnega Gesù (Matth 26,69–75; Marc 14,66–72; Luc 22,56–62; Ioh 18,15–18; 25–27);

33

34

Introduzione

– vv 586–625: Gesù davanti a Pilato e la liberazione di Barabba (Matth 27,1–2 e 11–26; Marc 15,2–15; Luc 23,2–5; 13–25; Ioh 18,29–19, 1); – vv 626–641: il pentimento di Giuda (Matth 27,3–10); – vv 642–652: Gesù oltraggiato dai soldati romani (Matth 27,27–31; Marc 15,16–20; Ioh 19,2–3); – vv 653–686: la crocifissione (Matth 27,32–44; Marc 15,21–32; Luc 23,26 33–43; Ioh 19,17–27); – vv 687–715: la morte di Gesù (Matth 27,45–56; Marc 15,33–41; Luc 23,44–49; Ioh 19,28–30); – vv 716–726: la sepoltura (Matth 27,57–61; Marc 15,42–47; Luc 23,50–56; Ioh 19,38–42); – vv 727–742: la custodia della tomba (Matth 27,62–66); – vv 743–766: la tomba vuota (Matth 28,1–8; Marc 16,1–8; Luc 24,1–12; Ioh 20,1–13); – vv 767–775: Gesù appare alle donne (Matth 28,9–10; Ioh 20,14–18); – vv 776–783: l’imbroglio dei Giudei (Matth 28,11–15); – vv 784–801: apparizione di Gesù in Galilea e missione degli apostoli (Matth 28,16–20; Marc 16,9–20; Luc 24,13–51; Ioh 20,11–23); – vv 802–812: epilogo

IV. Il testo Il testo qui proposto è quello fissato da Huemer per CSEL 24, Vindobonae 1891113 Si indicano nella tavola comparativa i casi, comunque discussi nel commento, in cui si è ritenuto opportuno discostarsene La tradizione manoscritta degli Euangeliorum libri114 è piuttosto ampia e alta, con un consistente gruppo di testimoni databili al IX s , il periodo di massima diffusione dell’opera di Giovenco; il cod C= Cambridge, Corpus Christi College 304 (VIII sin ), è il testimone più antico della tradizione e conserva integralmente il poema giovenchiano115 La massiccia presenza di varianti, talvolta completamente adiafore, in alcu113

114 115

Si sono consultate anche le precedenti edizz di Reusch (1710), Arevalo (1792) e Marold (1886) e quella recentissima di Otero Pereira, non pubblicata ma disponibile online Sulla edizione di Faustino Arevalo sono da segnalare gli studi di Gallego Moya, Cuestiones, pp  117–120, ed Ediciones, pp  495–502, e la dissertazione di Gil Abellán Ne offre uno studio dettagliato Colombi, Iuvencus presbyter, pp  61–86; cfr anche le pagine prefatorie di Huemer (XXIII–XLIII); Mercati, pp  72–82, e Hansson, pp  19–35 Riporto qui di séguito lo scioglimento dei sigla degli altri mss giovenchiani citati e non nelle note di carattere critico-testuale del commentario, disposti per comodità di consultazione in ordine alfabetico: A = Karlsruhe, Badische Landesb , Aug 112 (VIII/IX s ); Al = Albi, Bibl Municipale 99 (IX s ); Am = Amiens, Bibl Municipale 404 (X s ); Av = Antwerpen, Mus Plantin Moretus M312 (IX s ); B = Bern, Stadtbibl 534 (IX–X s ); Bb = Milano, Bibl Ambrosiana C74 sup (1/4 IX s ); Bx = Bruxelles, Bibl Royale 9964–66 (XI s ); C2 = Cambridge, Univ Library Ff 4 42 (IX s ); C3= Cambridge, Univ Library Gg 5 35 (1/2 XI s ); Ca = Abbazia di Montecassino, 326Q (XI s ex ); Ca2 =

IV Il testo

35

ni codd riportate a margine o nell’interlinea dal copista, suscita non pochi imbarazzi nell’editore moderno, costretto a scegliere, in mancanza di sicuri appigli esterni, in base a parametri di ordine interno non sempre affidabili Huemer postula l’esistenza di un archetipo già contenente un alto numero di varianti testuali, alcune frutto di interpolazione, altre invece da ricondurre alla mano del poeta stesso116 La variantistica non si limita alla sostituzione di singole parole, ma interessa persino interi versi, circa una trentina, tràditi da diversi mss , che a loro volta esibiscono lezz differenti, e finora definiti dalla critica ‘supplementari’ o Plusverse117 Se ne era occupato per primo Korn, per il quale in presenza di due versioni alternative bisognerebbe ritenere interpolata una delle due, in assenza di prove certe che dimostrino una doppia redazione da parte del poeta118 Hansson, che al contrario si spinge a ipotizzare una doppia redazione del poema, nella gran parte dei casi propende per l’autenticità di tali versi, che andrebbero considerati come correzioni o interventi di rimaneggiamento stilistico successivi a una prima stesura119 La tesi opposta è sostenuta da Gnilka, secondo il quale l’insorgenza di questi versi supplementari risalirebbe a una antica edizione critica del poema, all’interno della quale ci sarebbero state glosse e annotazioni confluite poi nel testo120 Colombi, riprendendo le argomentazioni di Mariotti sulla variantistica d’autore, non esclude che all’interno di queste doppie redazioni, tra corruzioni e interpolazioni, possa esserci anche materiale autentico, da valutare di volta in volta in base a elementi interni ed esterni favorevoli o contrari all’ipotesi121

Abbazia di Montecassino, 560Q (XII s ); E = Épinal, Bibl Municipale 74 (3/4 IX s ); G = Paris, Bibl S te Géneviève 2410 (1/4 XI s ); Gr = Grenoble, Bibl Municipale 859 (XII s ); Hl = London, British Museum, Harley 3093 (XI s ); K1 = Karlsruhe, Badische Landesb , Aug 217, ff 1–40 (IX sex ); K2 = Karlsruhe, Badische Landesb , Aug 217, ff 68–125 (IX s ex ); L = Laon, Bibl Municipale 101 (IX s ); M = München, Bayerische Staatbibl 6402 (VIII s ex ); M2 = München, Bayerische Staatbibl 19453 (XII s ); Ma = Madrid, Bibl Nacional 10029 (IX/X s ); Mb = London, British Museum, Add 19723 (X s ); Mp = Montpellier, Bibl Fac Médécine 362 (IX s ); O = Orléans, Bibl Municipale 295 (3/4 IX s ); P = Paris, Bibl Nat 9347 (IX s in ); P2 = Paris, Bibl Nat 18553 (IX s ); P3 = Paris, Bibl Nat 10307 (IX s ex ); Ph = Berlin, Bayerische Staatsb , Phillips 1824 (IX s ); R = London, British Museum, Royal 15 A XVI (1/2 IX s ); S = Saint Omer, Bibl Municipale 266 (IX s ); Sg = St Gallen, Stiftsbibl 197 (IX/X s ); T = Zürich, Zentralbibl C68 (IX s ex ); Tr = Trier, Stadtbibl 169 (IX s ); V1 = Biblioteca Apostolica Vaticana, Reginensis 333 (1/2 IX s ); V2 = Biblioteca Apostolica Vaticana, Ottobon Lat 35 (IX s ) 116 Huemer, XXXVII: «archetypus non solum uerba discrepantia, sed uersus totos uel in margine adscriptos uel supra lineas positos habuisse uidetur, quae lectionum discrepantiae ita sunt comparatae ut aliae ad glossatoris manum, multo plures ad ipsum poetam, qui multo cum sudore uersus suos panxit, redire mihi quidem uideantur» Sostanzialmente dello stesso parere è anche Petschenig, Evangeliorum libri, p  138 117 Sintesi della questione in Weber, Symmikta, pp  29–43 118 Korn, p  22 119 Hansson, p  62 120 Hansson, pp  60–85; Gnilka, pp  365–382 121 Mariotti, pp  100–102; Colombi, Iuvenciana I, pp  236–238

36

Introduzione

Per quanto riguarda il libro quarto, Huemer segnala con un asterisco due esametri supplementari o alternativi (30* legibus et uirtute dei mens decolor exit e 332* haec ait et Christo cuncti praeeunte sequuntur) relegandoli tra testo e apparato122 Non essendo possibile approdare a un giudizio definitivo sulla paternità di questi versi, si è cercato nel commento di procedere per gradi di probabilità, a partire dalla concomitanza di convergenti criteri valutativi, non dirimenti se presi singolarmente: innanzitutto la distribuzione di queste doppie letture all’interno della tradizione manoscritta; il livello di aderenza all’usus scribendi giovenchiano in rapporto sia alla costruzione del verso sia alle modalità di rielaborazione del materiale biblico parafrasato123; la rispondenza contenutistica alla Vorlage scritturistica e infine la congruenza logica e narrativa con la sezione di riferimento o con l’intera pericope V. Traduzione e commento Traduzione e commento sono concepiti come un insieme unitario La resa in italiano è in prosa; si è consapevoli che in questo modo molto dell’originale vada inevitabilmente disperso, ma lo scopo è la perspicuità immediata del testo latino, cui si è cercato di restare fedeli il più possibile124 Per quanto riguarda il commento, si riporterà di volta in volta l’ipotesto biblico di riferimento secondo la versione della Vetus Latina125: ci si accorgerà che alcune ambi122

A questi vanno aggiunte poi altre piccole porzioni di esametri tramandate da gruppi di manoscritti o da singoli testimoni, registrate in apparato dall’editore di CSEL o segnalate da Hansson e più di recente da Otero Pereira Il caso più significativo è rappresentato dal cod A, che in molti casi offre varianti isolate per singole parole o interi esametri; su questo ms si veda Bischoff, p  344, nº 1642 123 Criterio di per sé insufficiente a determinarne l’attribuzione, in quanto è proprio di un falsario riprodurre movenze, lessico e stile dell’autore imitato 124 Si è tenuto conto, come è ovvio, delle principali traduzioni nelle lingue moderne: quella tedesca di Knappitsch, Graz 1910–1913; quella spagnola di Casillo Bejarano, Madrid 1998; le due italiane di Canali, Milano 2011, e Galli, Roma 2012; quella inglese di McGill, London-New York 2016, e quella tedesca di Müller, Stuttgart 2016 125 Seguo l’edizione a cura di A Jülicher – W Matzkow – K Aland, Berlin 1938–63 Gli altri libri biblici verranno citati secondo il testo della Vulgata (ed R Weber, Stuttgart 1969), eccetto che nei casi in cui si è ritenuto opportuno un confronto con le versioni pregeronimiane Riporto qui di seguito lo scioglimento dei sigla dei codd della VL citati in questo volume: a = Vercellensis, Vercelli, Biblioteca Capitolare (IV/V sec ); a2 = fr Curiensia, Chur, Rhätisches Museum (V s ); aur = Aureus Holmiensis, Stockholm, Kungliga Bibl (VII s ); b = Veronensis, Verona, Bibl Capitolare (V s ); β = fr Carinthianum, St Paul (Kärnten), Benediktinerabtei 25 3 19 (VII s ); c = Colbertinus, Paris, Bibl Nationale, Lat 254 (XII s ); d = Bezae Cantabrigiensis, Cambridge, University Library, Nn 2 41 (VI s ); δ = Interlinearis Sangallensis, St Gallen, Stiftsbibl 48 (X s ); e = Palatinus, Trento, Museo Nazionale (Castello del Buon Consiglio s n ) (già Hofbibl Wien, Lat 1185) (V s ); f = Brixianus purpureus, Brescia, Bibl civica Queriniana (VI s ); ff1 = Corbeiensis I, Leningrad, Public Library (VIII/XI s ); ff2 = Corbiensis, Paris, Bibl Nationale, Lat 17225 (Corb 195) (V/VI s ); g1 = Sangermanensis, Paris, Bibl Nationale, Lat 11553 (Sangermanensis 15) (VIII/X s ); h = Claromontanus, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Lat 7223 (IV/V s ); i = Vindobonensis,

V Traduzione e commento

37

guità della parafrasi risalgono già alla Vorlage, che laddove è necessario andrà confrontata con l’originale greco Il raffronto puntuale con il modello scritturistico consentirà di mettere in rilievo i principali procedimenti parafrastici esperiti dal poeta, facendone emergere più chiaramente l’apporto originale L’analisi dei singoli versi non mancherà di segnalare aspetti significativi riguardanti stile e lingua (scelte lessicali, figure retoriche, presenza di neoformazioni, hapax, neologismi semantici) e fatti di ordine prosodico e metrico Una particolare attenzione sarà riservata ai rapporti che il dettato poetico intrattiene con la tradizione letteraria antecedente e con quella successiva, mediante l’esame delle affinità formali e/o contenutistiche con gli individuati fontes/auctores e i riconosciuti imitatores126

126

Napoli, Bibl Nazionale, Lat 3 (già Hofbibl Wien, Lat 1235) (V/VI s ); j (z) (22) = Sarzanensis, Sarezzano (Alessandria), Chiesa (VI s ); k = Bobbiensis, Torino, Bibl Nazionale Universitaria, G  VII 15 (IV/VI s ); l = Rehdigeranus, Breslau, Stadtbibl , R 169 (VII/VIII s ); m = Speculum, Torino, Bibl Nazionale Universitaria G VII 15 (V s ); n = fr Sangallensia, St Gallen, Stiftsbibl 1394 (V s ); p = fr Sangallense, St Gallen, Stiftsbibl 1395 VII (VIII s ); π = fr Stuttgartensia, Stuttgart, Landesbibl HB (VII 29) (VII s ); q = Monacensis, München, Bayerische Staatsbibl , Lat 6224 (VI/VII s ); r1 = Usserianus, Dublin, Library of Trinity College, 55 (già A 4 15) (VI/VII s ) Salvo diversa indicazione, la traduzione italiana dei passi citati, comprese le pericopi bibliche, è mia

Tavola comparativa Huemer 6 22 33 36 46 50 77 78 94 107 113 119 138 159 178 191 191 238 248 253 257 364 379 386

1

tributum mortis; iusta taetram prophetae1 proprio adytis prophetas quo tremescet prophetae sanctae prophetae praeteriet nec descendet contemnet erum erus igitur certum potiora mereri demersus credentum foetorem suspicit

tributum? mortis iuxta tetram profetae proprium aditis profetas quem tremiscet profetae sancti profetae praeteriet neque discendet contempnet herum herus etiam certum, potiora mereri, dimersus credentum, fetorem suscipit

Nonostante già a partire dal II secolo d C i grammatici registrino il passaggio da [ph] in [f] e nel IV secolo l’impiego di f per la trascrizione di φ sia un fatto usuale soprattutto nelle monete e nelle iscrizioni (cfr Biville, pp 192 s ), va qui preferita la forma aspirata attestata nella VL; si ricordi, poi, che Giovenco, dotto conoscitore della precedente tradizione poetica, adotta la grafia ph anche per altri termini, quali per es l’aggettivo Caiphaeus (4,405 537)

Tavola comparativa

403 412 414 448 448 451 569 585 597 607 611 613 628 633 637 639 641 657 659 661 672 709 709 710 717 721 732 746 773

scribae fragrantis fantes docuit se dedere edocuitque prophetabis egressumque … amarus quaerit poena uulgum populum aegris adytis prophetae ‘Argenti agellum’ Golgotha recusat, posset descendat uisum passae lata mundum; tum rogat decet, quoniam descendit referte:

scribae, fraglantis fantes, docuit, sic edere edocuitque, profetabis egressusque … amaros quaerit, poenae uulgum, populum, ueris aditis profetae Argenti agellum Golgatha recusat; poscit discendat uisi passim late mundum, cum rogat, decet; quoniam discendit referte

39

Testo e traduzione

42

Testo e traduzione

Talia dicentem confestim factio frendens temptare adgreditur uerbis cum fraude malignis: «Certum est, ueridicum te nunc uenisse magistrum, nec quemquam metuens Domini uestigia seruas Dic ergo, an liceat nostrae dissoluere genti Caesaris urgentis semper sub lege tributum» Ille sed inspiciens saeui penetralia cordis: «Cur temptatis, ait, nunc me concludere uerbis, fallaces? Mentis prodit fallacia fructum Inspicite in nummum sculptique nomismatis aera, Caesaris expressum facile est ubi cernere uultum Soluite nunc illi propria sub lege tributum, atque Deo proprium legis seruemus honorem» Post Sadducaei hinc inde latratibus urgent: «Moysea, qui legum posuit praecepta, iubere, si quis conubium properata morte relinquet, pignoribus mediis nondum de germine cretis, huius germano rursus sociabile uinclum deberi, generis pereat ne portio lapsi Finibus in nostris septem germana fuerunt corpora; sed maior primus mox uincula nuptae sumpsit, praeceleri cecidit sub acumine mortis; post alius frater thalamis sine fructibus isdem concidit et cuncti iacuere ex ordine fratres unius et cunctos fletus gemuere maritae; post ipsam rapuit gelidae inclementia mortis Si uenient igitur cuncti sub limina uitae, cuius conubiis mulier reddenda resurget?» Ollis Christus ait: «Errori obnoxia prauo legibus et iussis Domini mens dura resistit Namque secunda dehinc laetae reparatio uitae non thalamos nouit, non terrae gaudia uana, sed similes leuibus genitoris iusta ministris constituet regni uirtus sublimis in aula Nec Deus illorum dominum se ponere mauult, qui taetram proni meruerunt sumere mortem, sed potius uitae possunt qui prendere lucem» Ecce alii rogitant, quae sint firmissima legis Ille indefessus nulli responsa negabat: «Sublimem caeli Dominum deuotio cordis diligat; est istaec uirtus firmissima legis Consimile est isti: magno teneantur amore ad ius fraternum iustae penetralia mentis; his etenim geminis dependent omnia iussis 30* legibus et uirtute dei mens decolor exit

5

10

15

20

25

30

35

40

Testo e traduzione

43

Mentre dice così, la rabbiosa fazione cerca subito di metterlo alla prova con maligne parole d’inganno: «È certo che tu ora sei venuto come maestro veritiero e che, senza timore di alcuno, segui la via del Signore [5] Dicci, dunque, se è lecito al nostro popolo pagare il tributo di Cesare, che sempre ci opprime sotto il peso della legge» Egli, scrutando nel segreto dei loro cuori malvagi, dice: «Perché ora tentate di raggirarmi con parole, o ingannatori? La falsità del vostro animo svela il suo frutto [10] Osservate la moneta e l’effigie scolpita nel bronzo, ove è facile scorgere riprodotto il volto di Cesare Pagate ora a lui il tributo secondo la sua legge, e a Dio riserviamo l’onore della legge che gli è proprio» I sadducei, poi, lo incalzano con grida di qua e di là: [15] «Mosè, che fissò i precetti delle leggi, ordina che se uno per morte improvvisa lascia la moglie, senza che ancora siano nati dei figli in comune dal suo seme, al fratello di lui di nuovo spetti il matrimonio, affinché la parte di lignaggio del defunto non perisca [20] Nella nostra terra vissero sette fratelli; ma non appena il maggiore contrasse per primo il vincolo nuziale, cadde sotto il pungiglione di una morte fulminea; poi un altro fratello morì senza prole nello stesso talamo, e uno alla volta vennero a mancare tutti i fratelli, [25] e le lacrime di una sola sposa piansero tutti loro; infine l’inclemenza della gelida morte rapì anche lei Se dunque tutti giungeranno alle soglie della vita, a quale marito dovrà essere restituita la donna una volta risorta?» Ad essi Cristo risponde: [30] «Schiava dell’errore perverso, la vostra dura mente resiste alle leggi e ai comandi del Signore Infatti, la seconda acquisizione della vita beata non conosce i talami né le gioie vane della terra, ma la giusta potenza del Padre li porrà nella corte del regno celeste simili agli angeli leggeri [35] Dio non vuole ergersi a Signore di coloro che, proni, meritarono di ottenere la tetra morte, ma piuttosto di quanti sanno attingere la luce della vita» Ed ecco, altri pretendono di conoscere quali siano i capisaldi della legge Egli, instancabile, a nessuno negava risposte: [40] «La devozione del cuore ami il sublime Signore del cielo; questo valore è il vero fondamento della legge Tale precetto è simile a quest’altro: la parte più intima dell’anima dei giusti sia presa da un grande amore verso il diritto fraterno; da questi due comandamenti infatti dipende ogni cosa 30* l’animo corrotto si allontana dalle leggi e dalla potenza di Dio

44

Testo e traduzione

Sed uobis cuius suboles uentura uidetur Christus, quem cuncti spondent in saecla prophetae?» Respondent, illum Dauidis germine nasci Prosequitur Christus: «Cur illum dicere Dauid diuino flatu scriptum est Dominumque Deumque, quod proprio patrem non aequum est dicere nato?» Talia saluator; cuncti obstipuere silentes Ille sed accita credentum plebe profatur: «Adspicite scribas sublimi sede superbos Hi quaecumque docent, iustum est conprendere cordis obsequio, maculas ipsorum temnite uitae Abrupta inponunt umeris nam pondera uestris, ipsi quae digito saltem contingere nolunt Adcubito primo cenae fastuque superbo atque salutantum uano tolluntur honore, et nomen sublime uolunt gestare magistri Sed uos noluerim praecelsi nominis arcem adfectare tamen, uobis est una magistri imposita aeternum caeli de lege potestas, uos eadem fratrum parili coniunxit amore Vnus item pater est, caeli qui in culmine regnat In uobis si quis sublimia colla leuabit, decidet et barathri mergetur ad ultima caeno; ast humilis claram conscendet liber in aethram Deflendi semper scribae et lacrimabilis aeui caeca Pharisaeae cunctis fallacia plebis Nam uobis itiner clausum quia iure negatur, non sinitis quemquam penetrare per ardua lucis et cunctos trahitis saeuae ad consortia flammae Vos similes dicam tectis splendore sepulchris, quis facies nitida est, internaque turpia bustis Sic uox uelatur iustae sub imagine uitae atque adytis mentis celantur sordida corda O Solymi, Solymi, ferro qui saepe prophetas ad uestram missos uitam sine fine necastis, quam uolui uestram gentem populumque tueri, ales uti dulces solita est sub corpore pullos obice pinnarum circumconplexa fouere! Sed uobis semper caelestia munera sordent Deseritur iam nunc domus haec uastanda ruinis, nec nostrum uobis fas ultra est cernere uultum» Egreditur templo, cuius praecelsa notantes moenia discipulos tali sermone docebat: «Haec operum uobis miracula digna uidentur obtutu stupido; ueris sed discite dictis, quod mox cuncta solo passim disiecta iacebunt»

45

50

55

60

65

70

75

80

85

90

Testo e traduzione

45

[45] Ma secondo voi da quale stirpe verrà il Cristo, che tutti i profeti annunciano per i tempi futuri?» Rispondono che egli discende dalla stirpe di Davide Prosegue Cristo: «Perché sta scritto che Davide, ispirato dallo spirito divino, lo chiama Signore e Dio, [50] mentre non è giusto che un padre dica ciò al proprio figlio?» Così il Salvatore; tutti tacquero stupiti Egli, allora, chiamata a sé la folla dei credenti, parla: «Osservate gli scribi superbi sul loro alto seggio È giusto accogliere con animo ossequioso tutto ciò che essi insegnano, [55] ma disprezzate le sozzure della loro vita Impongono infatti sulle vostre spalle pesi gravosi, che essi non vogliono toccare nemmeno con un dito Si esaltano per i primi posti ai banchetti, per la superba sontuosità e per il vano onore di chi li riverisce, [60] e vogliono portare il titolo sublime di maestro Ma io non vorrei che voi aspiraste a raggiungere la vetta del nome eccelso; dalla legge del cielo a voi è imposta in eterno solo la potenza del Maestro; quella stessa potenza vi ha uniti con eguale amore di fratelli [65] Allo stesso modo uno solo è il Padre, che regna nell’alto dei cieli Se tra voi qualcuno leverà alto il capo, cadrà giù e verrà sommerso nel fango fino al fondo del baratro; l’umile invece salirà libero al cielo luminoso Tutti devono compiangere sempre gli scribi e [70] il cieco inganno della deplorevole vita della setta farisaica Infatti, poiché il cammino che avete precluso a voi è giustamente negato, non lasciate che alcuno entri nelle alture della luce e trascinate tutti al comune castigo del fuoco crudele Vi dirò simili a sepolcri coperti di splendore, [75] il cui esterno è nitido, ripugnante di cadaveri l’interno Così le vostre parole sono velate sotto la parvenza di una vita retta e l’impurità dei cuori è nascosta nei recessi dell’anima O Solimi, Solimi, che spesso col ferro uccideste i profeti inviati per la vostra salvezza eterna, [80] quanto volli proteggere la vostra gente e il popolo, come un uccello è solito scaldare i dolci nati sotto il corpo, avvolgendoli al riparo delle piume! Ma voi sempre sdegnate i doni del cielo Ormai questa casa, destinata ad andare in rovina, è lasciata deserta, [85] né vi è lecito vedere oltre il mio volto» Esce dal tempio e con tale discorso ammaestrava i discepoli che indicavano le sue altissime mura: «Le meraviglie di quest’opera vi sembrano degne di stupita ammirazione; ma apprendete da parole veritiere [90] che presto tutte giaceranno al suolo sparse in ogni parte»

46

Testo e traduzione

Haec ad Oliueti dicens peruenerat arcem Discipuli solum postquam uidere, rogabant, ut sibi uenturi tempus distingueret aeui, promissa ipsius quo poscant prendere finem, eius et aduentus terrae consumeret orbem Quaerentum uerbis respondit talia Christus: «Obseruate dolum, falso ne nomine capta credulitas laqueis errantum praecipitetur Discurrent cunctis bellorum incendia terris; sed uos praeualido consistite robore cordis, ne mens accepto iaceat turbata tumultu, non etenim prima inponent mox proelia finem, gentibus et gentes et regibus obuia reges signa ferent, nec morbi tunc corrumpere tractum aeris aut pestes prosternere corpora parcent Fixa etiam solido per inania pondere tellus per diuersa loci motu quassante tremescet Haec in primitiis temptamina parua manebunt Prodentur multi uestrum letoque dabuntur, proque meo uobis incumbere nomine gentes tormentis poenisque feris odiisque necesse est Liuor erit terris, erroribus omnia plena et falsi surgent populorum labe prophetae Haec inter si quis protectum a uulnere pectus ad finem seruare queat, sublimia lucis aeternis uitae sertis redimitus adibit Regnorum caeli celebratio peruolitabit in cunctas terrae metas; gens omnis habebit testem lucifluo sanctae sermone salutis Et tunc finis erit currentia saecula soluens Adueniet iam tum tristis defletio terris, quae Danihelis habet iussam uerissima uocem; haec dignus tantum poterit cognoscere lector Iudaei longe fugient montesque capessent, nec quisquam domibus repetat sustollere secum, quae fuga consociet uestemue aut mobile quicquam Deflendae iam sunt uteri cum pondere matres et miseros fetus dulci quae lacte rigabunt Poscite iam precibus, tristis ne frigore brumae adueniat fuga uestra tamen, neu sabbata festa anceps praecipiti turbet trepidatio cursu; nam cunctis uenient saeuissima pondera terris Tale malum non saecla prius nec postera norunt Et ni sublimis genitor decerpere tempus et numerum miserans uellet breuiare dierum, nulla dehinc trepidae superarent corpora uitae

95

100

105

110

115

120

125

130

135

Testo e traduzione

47

Dicendo questo era giunto al monte degli Ulivi Quando i discepoli lo videro solo, gli chiedevano di definire loro il momento del tempo futuro in cui le sue promesse reclamavano di compiersi [95] e il suo arrivo avrebbe distrutto il mondo Alle parole di chi lo interrogava così rispose Cristo: «Guardatevi dall’inganno, affinché, catturata da falso nome, la credulità non cada nelle trappole degli ingannatori Fuochi di guerre percorreranno tutta la terra, [100] ma voi resistete con vigorosa forza d’animo; non soccomba la mente turbata alla notizia di un tumulto, poiché non subito le prime guerre segneranno la fine: popoli contro popoli, re contro re leveranno le loro insegne, né le malattie risparmieranno di contaminare il flusso dell’aria [105] o le pestilenze di abbattere i corpi Anche la terra, fissata nel vuoto col suo peso compatto, in diversi luoghi comincerà a tremare per i movimenti che la scuoteranno Queste prove agli inizi resteranno piccole Molti di voi saranno traditi e messi a morte, [110] e per il mio nome è necessario che i popoli si scaglino su di voi con torture, pene crudeli e odio Ci sarà livore sulla terra, tutto sarà pieno di inganni e con rovina dei popoli sorgeranno falsi profeti Se tra queste sciagure qualcuno [115] potrà conservare fino alla fine il cuore intatto da ferita, varcherà le plaghe eccelse della luce cinto della corona eterna della vita L’annuncio festoso del regno dei cieli si diffonderà veloce in tutti i confini della terra; ogni nazione avrà testimonianza mediante la luminosa parola della divina salvezza [120] Allora sarà la fine, che dissolve il corso dei secoli Si abbatterà allora sulla terra la funesta desolazione, che a conferma della sua verità ha la voce profetica di Daniele; questo solo un lettore degno potrà comprendere I Giudei fuggiranno lontano e cercheranno i monti; [125] nessuno torni a casa a portar via con sé oggetti che la fuga gli associ, una veste o altro bene mobile Sono da compiangere, allora, le madri col peso del ventre e quante bagneranno col dolce latte i miseri infanti Pregate tuttavia che la vostra fuga non avvenga [130] nel freddo del triste inverno e che l’incerta agitazione non turbi con la sua corsa precipitosa la festa del sabato; su tutta la terra piomberanno infatti crudelissime sventure Un male così non lo conobbero le generazioni passate, né lo conosceranno quelle future E se il sommo Padre non volesse abbreviare il tempo [135] e, mosso a compassione, accorciare il numero dei giorni, nessun corpo potrebbe poi sopravvivere a una vita disperata

48

Testo e traduzione

Sed propter lectos ueniet miseratio iustos Nomine fallentes Christi falsique prophetae exsurgent terris et monstra potentia fingent, quae forsan lectos capient miracula iustos En praedicta patent instantia saecula uobis Desertis si quis Christum peragrare loquetur occultisue procul penetralibus esse repostum, longe credulitas absit uanissima uobis Sicut enim fulgur caelum transcurrit apertum et cerni facile est cunctis orientis ab oris usque sub occiduum caeli uergentis in orbem, sic rapido aduentu clarebunt lumina Christi Abscondet furuis rutilos umbris radios sol, amittet cursum lunaris gratia lucis ignicomaeque ruent stellae caelumque relinquent Omnis item uirtus caeli conmota superni signa dabit, proles hominis quis uertice caeli clareat; omnigenasque tribus defletio iugis urgebit, ueniet cum nubibus ignicoloris maiestate potens hominis per sidera natus Tum tuba terrifico stridens clangore uocatos iustos quadrifido mundi glomerabit ab axe Praeteriet nec enim praesens generatio saecli, donec cuncta sequens claudat sibi debita finis Haec tellus caelumque super soluentur in ignes, sed mea non umquam soluentur ab ordine dicta Quis fuat ille dies nescire est omnibus aequum, ni soli rerum Domino, qui sidera torquet Vt quondam terras undae inuoluere furentes et diuersa sibi tractantes munia cunctos diluuii rapuit subito uiolentia tractu, sic subitus flammas uoluens descendet ab aethra aduentus noster; nec cunctos ille sub una condicione premet Nam tunc ubi iugera laeta infindent duo depresso sub uomere sulcis, unus correpto tolletur corpore arator, ignarusque alius uasto linquetur in agro Vno quin etiam recubantes stramine lecti dispar iudicium diuersa sorte subibunt Vnus enim socium quaeret per strata relictus Idcirco famuli uigilent, quia nescius illis aduentus Domini subita descendet in hora

140

145

150

155

160

165

170

175

Testo e traduzione

49

Ma a motivo dei giusti eletti verrà la misericordia Impostori nel nome di Cristo e falsi profeti sorgeranno sulla terra e simuleranno potenti prodigi, [140] miracoli che avvinceranno forse anche i giusti eletti Ecco, vi si svelano predetti i tempi futuri Se qualcuno dirà che Cristo vaga nel deserto o che lontano è nascosto in segreti recessi, sia lontana da voi la vanissima credulità [145] Come, infatti, la folgore solca veloce il cielo aperto ed è facilmente visibile a tutti, dalle regioni dell’oriente fino alla parte occidentale del cielo che si curva a forma di cerchio, così al suo rapido avvento brillerà la luce di Cristo Il sole nasconderà i raggi rutilanti sotto ombre tenebrose, [150] la bellezza della luce lunare perderà il suo corso, le stelle dalla chioma infuocata precipiteranno e lasceranno la volta celeste Similmente, ogni potenza dell’alto cielo sconvolta darà segni, con i quali nelle sommità celesti apparirà luminoso il Figlio dell’uomo; [155] il pianto opprimerà con il suo giogo tribù di ogni stirpe, quando tra nubi color di fuoco verrà attraverso gli astri il Figlio dell’uomo, potente nella sua maestà Allora una tromba, risuonando col suo squillo terrificante, radunerà i giusti chiamati dai quattro angoli del mondo Non passerà la generazione del tempo presente [160] finché la fine futura non porti a compimento tutto quanto le è stato destinato Questa terra e il cielo sopra di essa si dissolveranno nel fuoco, ma mai le mie parole verranno meno all’ordine stabilito È giusto che nessuno sappia quale sia quel giorno, se non il solo Signore del mondo, che volge le stelle [165] Come un tempo le onde furiose avvolsero le terre, e la violenza del diluvio col suo corso improvviso trascinò via tutti mentre attendevano a occupazioni tra loro diverse, così inattesa scenderà dal cielo la mia venuta in un vortice di fiamme, [170] e non presserà tutti allo stesso modo Allora, infatti, dove due aratori tracceranno solchi nei fertili campi sotto il peso del vomere, uno sarà preso e portato via con il suo corpo, l’altro sarà lasciato ignorato nel vasto campo E ancora: due sdraiati sul giaciglio di uno stesso letto [175] subiranno un giudizio diverso nella diversità della sorte: uno infatti, abbandonato, cercherà tra le coltri il compagno Perciò siano vigili i servi, perché la venuta del Signore, a loro ignota, giungerà in un’ora imprevista

50

Testo e traduzione

Si sciret certum furis insistere tempus quisque domus custos, uigilaret et obuia ferret arma procul, ruptas ne quis penetraret in aedes Sed uos intentis animis adsistite semper, namque repentinus uobis subitusque recurret filius huc hominis iustis sua praemia seruans Ille fidelis erit seruus, cui credere cuncta aedes et famulos uoluit per longa profectus uir pater ipse domus: sapiens nimiumque beatus, quem ueniens Dominus seruantem iussa uidebit Illum maiori famulum redimibit honore Ast ille infelix, qui sordida luxuriatus tardantem contemnet erum, famulosque fatigans uerberibus segnique indulgens ebrietati luxuriosorum conuiuia concelebrarit; adueniet dominus seruumque incauta furentem praecipitem dignis poenarum cladibus abdet Illum perpetuus fletus stridorque manebit Conferri possunt caelestia regna puellis bis quinis, pars est quarum sapientior una, altera praestupido pars est stolidissima corde Occurrere illae uotis sponsalibus omnes ornatu adcinctae taedarum flammicomantum Sed sapiens pars illa, sibi quo lumina flammae susciperet, portare simul curabat oliuum Stultarum uero non est prudentia talis Cumque moraretur sponsus, tum membra sopore soluuntur cunctae per compita lata uiarum Iam noctis medio clamor crebrescere magnus exoritur, laetoque dehinc occurrere uoto admonuit taedisque uias ornare coruscis Surgere uirginibus properatum, et lumina taedis instruere et flammas pingui conponere oliuo Tum stolidae rogitant olei sibi cedere partem, prudentes secum quod tunc gestare uidebant Sed quoniam sapiens pauitat chorus, omnibus aeque ne desint clarae nutrimina pinguia flammae, ex paruo aequalis si detur portio cunctis, tum pergunt stultae, ut liquidum mercentur oliuum Dum pergunt, laetae transcurrunt omnia pompae et sponso tantum comitatur factio prudens Adueniunt brutae sero post tempore segnes et sponsi pulsare fores et limina clausa nequiquam ingeminant precibusque ingrata frequentant, ut liceat miseris penetrare in limina laeta Illas non comitum sponsi cognoscere quisquam non ipse sponsus uoluit Vigilate timentes, aduentus uobis quia non est certior hora

180

185

190

195

200

205

210

215

220

225

Testo e traduzione

51

Se ogni guardiano della casa sapesse il momento preciso in cui incombe il ladro, [180] vigilerebbe e da lontano gli muoverebbe contro le armi, perché nessuno penetri in casa dopo averla violata Ma voi state sempre attenti con l’animo pronto, poiché il Figlio dell’uomo ritornerà qui a voi inatteso e repentino, riservando ai giusti i suoi premi [185] Sarà fedele quel servo al quale tutto volle affidare, dimora e schiavi, partendo per un lungo viaggio, il capo della famiglia: saggio e davvero beato chi al suo ritorno il signore vedrà osservare gli ordini; promuoverà quel servitore a una mansione più importante [190] Ma sventurato colui che, datosi a sordidi piaceri, disprezzerà il padrone che tarda e, spossando con percosse i domestici e indulgendo alla pigra ebbrezza, avrà partecipato ai banchetti dei dissoluti Arriverà il signore e sprofonderà a precipizio [195] fra i meritati flagelli della pena il servo impudente e folle Lo attenderanno pianto perenne e grida Il regno dei cieli può essere paragonato a dieci fanciulle, una parte delle quali è più saggia, l’altra invece stoltissima e d’animo assai stupido [200] Esse andarono alla cerimonia nuziale, tutte cinte dell’ornamento di torce dalla chioma fiammeggiante Ma il gruppo delle sagge si preoccupava nel contempo di portare l’olio con cui poter nutrire la luce della fiamma Non fu tale invece la prudenza delle stolte [205] E poiché lo sposo tardava, allora a tutte si sciolsero le membra nel sopore per gli ampi crocicchi delle vie Ormai nel cuore della notte comincia a levarsi sempre più forte un alto grido ed esorta ad accorrere alle festose nozze e a ornare le strade con le torce splendenti [210] Le vergini s’affrettano a levarsi, a dare lume alle fiaccole e ad alimentare la fiamma col pingue olio Allora le sciocche pregano che venga loro ceduta una parte di olio: vedevano che le sagge lo portavano con sé Ma poiché la schiera prudente teme [215] che a tutte ugualmente venga a mancare il pingue nutrimento della luminosa fiamma, se di quel poco a tutte si desse una porzione uguale, allora le stolte si recano a comprare il liquido olio Mentre vanno, passa tutto il festoso corteo e soltanto le sagge s’accompagnano allo sposo [220] Poi, in ritardo, sopraggiungono pigramente le stolte e invano insistono a bussare ai battenti dello sposo e agli stipiti chiusi, assillando con preghiere le porte ingrate, affinché anche a loro poverine sia concesso di varcare le liete soglie Nessuno dei compagni dello sposo le volle riconoscere, [225] neppure lo sposo Vigilate timorosi, poiché non è abbastanza certa per voi l’ora della venuta

52

Testo e traduzione

Sicut enim, longas cui contigit ire profecto in terras, credens seruis tractanda talenta uni quinque dedit, duo cepit et alter habenda, tertius unius curam tractare talenti suscepit, uires quoniam diuersa merentur Sed maior quis est concredita portio nummi, certatim duplis auxerunt incrementis Ille sed, unius cui credita cura talenti, telluri infodiens seruat sine fructibus aera Iamque aderat praesens dominus: tum primus et alter se geminasse illi pariter concredita monstrant Illos laudat erus potioraque credere tantae promittit fidei Sed tertius ille refodit et domino reddit tali cum uoce talentum: «Quod scirem domino memet seruire seuero, qui meteres segetes alieno semine cretas, extimui, argentumque tuum concredere terrae malui, quod saluum semper tibi reddere possem» Tum dominus famulo respondens talibus infit: «Si nescire meos auderes dicere mores, nequitiae tantae ueniam concedere possem Hoc igitur gnarum potius praestare decebat, ut fructum nobis tractata pecunia ferret Quapropter segni tollatur portio nostri prudentique dehinc detur possessio maior, quem duplis cumulasse lucris mea quinque talenta inueni Namque est certum potiora mereri quis res uberior cumulatae sortis abundat At cui parua subest segni substantia corde, id minimum penitus iuste tolletur ab illo, ut nequam seruus tenebras demersus ad imas perpetuos fletus poenae stridore frequentet» En hominis natus ueniet patrisque ministris stipatus celsa iudex in sede sedebit Tum gentes cunctae diuersis partibus orbis conuenient iustosque omnes de labe malorum secernet dextraque libens in parte locabit, at prauos laeua despectos parte relinquet; ut pastor pecoris discernit pascua mixti, lanigeris dextri permittens mollia prati at laeuos hirtis dumos tondere capellis Sed rex ad dextros conuersus talia dicet: «Huc ueniant sancti, iamdudum debita sumant dona patris, mundi quae sunt aequaeua nitentis et iustis primo promissa parantur ab ortu

230

235

240

245

250

255

260

265

270

Testo e traduzione

53

Così un tale, che dovette partire per terre lontane, affidò ai servi dei talenti da amministrare: a uno ne diede cinque, a un altro toccò averne due, [230] un terzo ebbe l’incarico di curarne uno soltanto, poiché a diverse capacità corrispondono compiti diversi Ma quelli a cui era stata assegnata una somma maggiore di denaro, a gara ne accrebbero gli interessi del doppio; invece, colui al quale era affidata la cura di un solo talento [235] conservò la moneta sotterrandola, senza alcun frutto E già era lì presente il signore; allora il primo e il secondo parimenti gli mostrano di aver duplicato quanto ad essi affidato Il padrone li loda e promette di affidare beni più grandi a una tale fedeltà Il terzo invece dissotterra il talento [240] e lo restituisce al signore con queste parole: «Sapendo di servire te padrone severo, che mieti messi cresciute dal seme d’altri, ho avuto paura e ho preferito affidare alla terra la tua moneta d’argento, perché sempre intatta potessi restituirtela» [245] Allora il padrone rispondendo al servitore dice così: «Se tu osassi dire di non conoscere le mie abitudini, potrei concedere il perdono a tale indolenza Essendone a conoscenza, dunque, conveniva piuttosto fare in modo che il denaro amministrato mi fruttasse interesse [250] Perciò all’inetto sia tolta la parte del mio avere e un possesso maggiore sia poi dato al saggio che ho trovato aver accresciuto i miei cinque talenti con doppio guadagno Infatti, è certo che meritano beni maggiori coloro ai quali abbonda un patrimonio più cospicuo del capitale accumulato; [255] ma a chi possiede poca sostanza a causa di un animo neghittoso, sarà giustamente tolto del tutto anche quel minimo, cosicché il servo inetto, sprofondato nell’abisso delle tenebre, ripeta senza fine i lamenti stridenti della pena» Ecco, il Figlio dell’uomo verrà e, [260] attorniato dagli angeli del Padre, starà assiso giudice sull’alto trono Allora tutte le genti si raduneranno dalle opposte parti del mondo: egli separerà tutti i giusti dal contagio dei malvagi e volentieri li porrà alla sua destra, ma i peccatori, disprezzati, li lascerà alla sinistra; [265] come il pastore di un gregge promiscuo spartisce i pascoli, lasciando brucare alle pecore lanose i teneri prati alla sua destra e alle capre irsute i rovi alla sinistra Ma il Re, rivolto a quelli di destra, dirà: «Vengano qui i santi, ricevano subito i dovuti doni del Padre, [270] i quali sono coevi al mondo splendente e, promessi ai giusti, sono pronti fin dalle origini

54

Testo e traduzione

Namque fame fessum quondam me grata refecit haec plebes potuque sitim mihi saepe remouit, hospitiumque domus patuit mihi saepe uocato et nudus uestis blandissima tegmina sumpsi carceris et poenis horum solacia cepi» Tum Domino tali respondent uoce beati: «Non meminit nostrum quisquam te uisere nudum nec famis oppressum dura dicione notauit, carceris aut poenis meminit uidisse reuinctum» Respondens illis dicet tum talia iudex: «Fratribus ista meis humiles miserando labores qui fecit, certum est dulcem mihi ponere fructum At uos, iniusti, iustis succedite flammis et poenis semper mentem torrete malignam, quas pater horrendis barathri per stagna profundis daemonis horrendi sociis ipsique parauit Namque sitim passo quondam mihi pocula nulla nec famis in poena parui miseramina panis, aut peregrina mihi tecti uestisue parumper tegmina de magnis gracili pro parte dabantur, carceris aut saepto claustris morbisue iacenti umquam uisendi solacia uestra fuerunt» His damnata dehinc respondet factio uerbis: «Haut umquam nostrum meminit te uisere quisquam aut sitis aut saeuae famis aegrum agitare laborem, hospita uel fessis errare per oppida rebus, carceris aut mersum poenis morboue grauatum, ut tibi sollicito fieret miseratio iusta» His rerum dicet Dominus: «Cum uestra superbo angustis rebus feritas sub corde tumebat calcauitque humiles minimos, me spreuit in illis» Haec ubi dicta dabit, meritis sua praemia reddet Aeternum miseri poena fodientur iniqui, aeternumque salus iustis concessa manebit» Talia dum loquitur, scissos lacerata capillos pro fratris morbo iustis soror anxia curis hortatur iuuenem rapido percurrere gressu, casibus ut tantis Christus seruaret amicum Nam fuerat mulier meritis accepta benignis, obsequio cuius fratremque domumque merentem amplexus pleno Christus retinebat amore Nuntius adueniens perfert, extrema iacere dilectum Christo iuuenem per tristia morbi et leti et uitae confinia summa tenentem

275

280

285

290

295

300

305

310

315

Testo e traduzione

55

Un tempo infatti, questa gente a me cara mi ristorò afflitto dalla fame e con una bevanda spesso mi tolse la sete, e con frequenti inviti mi fu aperta l’ospitalità della loro casa; [275] nudo ho ricevuto la dolcissima protezione di una veste e nelle sofferenze del carcere ho avuto il loro conforto» Allora i beati così rispondono al Signore: «Nessuno di noi ricorda di averti visto nudo, né ti notò schiacciato dalla dura morsa della fame, [280] o rammenta di averti visto incatenato nei tormenti di una prigione» Allora rispondendo a quelli il giudice dirà così: «Chi fece tutto questo ai miei fratelli, avendo compassione delle sofferenze dei miseri, certamente ha offerto a me un dolce frutto Ma voi, ingiusti, soccombete alle giuste fiamme, [285] e bruciate per sempre il vostro animo malvagio nelle pene, che il Padre preparò per l’orrendo demonio e i suoi seguaci in orride profondità tra gli stagni dell’abisso Un tempo, infatti, quando pativo la sete, non mi si dava alcuna bevanda, né la carità di un pezzo di pane nella sofferenza della fame [290] o per poco tempo, quando ero forestiero, il riparo di un tetto o di una veste, come piccola porzione di grandi beni; mentre ero chiuso fra le sbarre di un carcere o giacevo ammalato, mai ci fu il conforto di una vostra visita» La schiera dei dannati replica con queste parole: [295] «Nessuno di noi ricorda di averti mai visto patire sofferente il tormento della sete o della terribile fame, né vagare allo stremo per città straniere, o sprofondato nelle pene del carcere o prostrato dalla malattia, perché nascesse in noi la giusta compassione per i tuoi affanni» [300] A costoro il Signore del creato dirà: «Quando nelle ristrettezze la vostra crudeltà si gonfiava d’orgoglio nel cuore superbo e calpestò i più piccoli miseri, disprezzò me in loro» Detto questo, assegnerà i suoi premi secondo i meriti Gli iniqui, poveri loro, saranno tormentati in eterno dalla pena, [305] e in eterno durerà la salvezza concessa ai giusti» Mentre parla così, una sorella, strappandosi i capelli scarmigliati, angosciata da giustificati timori per la malattia del fratello, esorta un giovane a correre con rapido passo, perché Cristo salvi l’amico in sì gravi circostanze [310] La donna gli era infatti cara per le sue benemerenze, e per il rispetto di lei Cristo circondava di un amore totale il fratello e la casa meritevoli Al suo arrivo il messaggero riferisce che il giovane caro a Cristo giace negli ultimi tormenti del male [315] e occupa l’estremo confine tra la vita e la morte

56

Testo e traduzione

Lazarus hic habuit nomen, sed Christus amaris percussus uerbis: «Non est, si creditis» inquit «ad letum ducens istaec uiolentia morbi, sed Deus ut digno iustis celebretur honore et suboles hominis sancta uirtute nitescat» Tunc ad discipulos: «Dormit iam Lazarus» inquit «sed carum iuuenem faciam consurgere rursus» Aiunt discipuli: «Somno succedere plena et remeare salus poterit»; nec mente sequuntur, quod mortem somni dixit sub nomine Christus Errorem quorum tali sermone remouit: «Lazarus in letum cecidit, sed gaudia menti hinc ueniunt uestramque fidem mihi fortius armant, cernitis absentem longe quod cuncta uidere Sed properemus» ait Didymus tum talia fatur: «Pergamus pariterque omnes procumbere leto cogamur, totiens quod gens Iudaea minatur» Iamque aderat Christus, fuerat sed forte sepulto quarta dies, mersasque atris de morte tenebris germanas luctus lacrimosaque tecta tenebant Conuenere illuc solacia debita dantes Iudaeae gentis proceres carique propinqui Sed Martha, audito Christum uenisse, cucurrit obuia deseruitque domum maestamque sororem, et procul: «O utinam praesens uirtus tua nobis adforet et morti fratrem rapuisset acerbae Nam quicquid poscis, certum est tibi posse uenire» Quam Dominus tali solatur uoce gementem: «Robustam mentem, mulier, uirtute resume Lazarus haec uitae recidiua in lumina surget» Et mulier: «Certe surgent in munera uitae mortales cuncti, ueniet cum terminus orbi» Christus item sancto depromit pectore uocem: «En ego sum clarae uobis reparatio uitae In me qui credit, mortem deponere sumptam et uitam poterit iugi conponere saeclo At quicumque fidem uiuo sub pectore sumet, horrida non umquam continget limina mortis; istaec si credis puro de pectore, Martha?» Illa dehinc: «Haec una fides mea corda tenebit, sublimis ueneranda Dei quod uenerit in te caelestis suboles celso sub nomine Christi» Haec ait et Mariam cursu motura sororem interiora petit; sanctum uenisse magistrum et pariter luctu oppressam uocitare sororem admonuit tacito designans omnia nutu 332* haec ait et Christo cuncti praeeunte sequuntur

320

325

330

335

340

345

350

355

360

Testo e traduzione

57

Il suo nome era Lazzaro; Cristo, colpito dalle amare parole, disse: «Se avete fede, la violenza di questo morbo non conduce alla morte, ma serve affinché Dio sia celebrato con degno onore dai giusti [320] e il Figlio dell’uomo risplenda di santa potenza» Poi si rivolse ai discepoli: «Lazzaro ormai dorme, ma io farò sorgere di nuovo l’amato giovane» I discepoli dicono: «La piena salute potrà tornare e subentrare al sonno»; non afferrano con la mente [325] che sotto il nome di ‘sonno’ Cristo intendeva dire ‘morte’ Egli allontanò l’errore con queste parole: «Lazzaro è morto, ma da qui gioia viene al cuore e con più forza rinsalda la vostra fede in me, poiché osservate che, pur assente, tutto vedo da lontano [330] Ma affrettiamoci», dice Allora Didimo parla così: «Andiamo e tutti insieme spingiamoci a morire, perché così tante volte il popolo giudeo ci minaccia» Cristo era già lì, ma erano passati tre giorni dalla sepoltura, [335] e le sorelle, immerse nelle tetre tenebre della morte, erano chiuse nel pianto e nella dimora luttuosa Si radunarono lì per dare il dovuto conforto i notabili del popolo giudeo e i cari congiunti Ma Marta, udito che era giunto Cristo, gli corse incontro e abbandonò la casa e l’afflitta sorella, [340] e da lontano: «Oh, se la tua potenza presente ci avesse assistito e alla morte precoce avesse strappato nostro fratello! Infatti, qualsiasi cosa tu chieda, è certo che a te possa venire» Con tali parole il Signore consolò lei che piangeva: «Donna, riprendi con forza la fermezza d’animo [345] Lazzaro risorgerà a queste luci rinnovate della vita» E la donna: «Certamente si leveranno al dono della vita tutti i mortali, quando verrà la fine per il mondo» A sua volta Cristo trae dal suo santo petto queste parole: «Ecco, io sono per voi la rinascita alla vita luminosa [350] Chi crede in me, potrà porre fine alla morte sopraggiunta e congiungere la vita con i secoli eterni E chiunque avrà fede nel suo cuore da vivo, non toccherà mai le orrende soglie della morte; credi questo, Marta, con animo puro?» [355] Ed ella: «Questa sola fede regnerà nel mio cuore, che con il nome eccelso del Cristo divino sia discesa in te la veneranda prole dell’Altissimo» Così dice e di corsa va dentro casa per scuotere la sorella Maria; comunicando tutto con cenni silenziosi, l’avvertì che il santo Maestro era giunto [360] e chiamava anche lei, affranta dallo stesso dolore 332* Questo dice, e tutti seguono Cristo che li precede

58

Testo e traduzione

Prosilit illa foras audito nomine Christi; prosequiturque simul Solymorum turba gementem credentum tumulo fletus inferre sorores Illa salutiferum postquam conspexit Iesum, procidit ante pedes rumpitque hanc pectore uocem: «Si mihi germanum potuisses uisere uiuum, Lazarus haut poterat durae succumbere morti» Fletibus his Christus socians de corde dolorem inquirit tumuli sedem, quo condita nuper membra forent animae uolucris spoliata calore Haut mora demonstrant flenti maestoque sepulchrum rupe sub excisa; lapidis quod pondere clausum ut uidit Sanctus, multo mox uecte moueri praecipit; at Marthae talis uox uerberat auras: «Quattuor en luces totidemque ex ordine noctes praetereunt, quo membra solo composta quiescunt Crediderim, corpus motu fugiente caloris foetorem miserum liquefactis reddere membris» His dictis contra depromit talia Christus: «Iam totiens dictum est, magnis consistere rebus credentum uirtute fidem; sed gloria summi iam genitoris adest, fidei si robur habetis» Haec ubi dicta dedit saxumque immane reuulsis obicibus patuit, uirtus mox conscia caelum suspicit et tali genitorem uoce precatur: «Eximias grates, genitor, tibi, sancte, fatemur; me placidus semper uenerandis auribus audis, sed populus praesens me missum credere discat» Haec ubi dicta dedit, tumuli mox limine in ipso restitit aduerso conplens caua saxa clamore: «Lazare, sopitis redeuntem suscipe membris en animam tuque ipse foras te prome sepulchro» Nec mora conexis manibus pedibusque repente procedit tumulo, uultum cui linea texta et totum gracilis conectit fascia corpus Tum solui iussit laetumque ad tecta remittit Iudaei postquam factum uenerabile cernunt, qui tanti Mariam fuerant Marthamque secuti, pars credens sequitur tantae uirtutis honorem; ast alii repetunt urbem procerumque superbis cuncta Pharisaeis rerum miracula narrant

365

370

375

380

385

390

395

400

Testo e traduzione

59

Udito il nome di Cristo, ella si precipita fuori; insieme una folla di gerosolimitani segue la piangente, credendo che le due sorelle vadano a versare lacrime sulla tomba [365] Quando ella vide Gesù salvatore, cade ai suoi piedi e dal petto emette questa voce: «Se tu avessi potuto vedere da vivo mio fratello, Lazzaro non avrebbe potuto soccombere alla dura morte» Cristo, associando a questo pianto il dolore del suo cuore, [370] chiede il luogo della sepoltura, dove fossero state da poco riposte le membra, spogliate del calore dell’anima alata Senza indugio mostrano a lui afflitto e in lacrime il sepolcro scavato nella roccia; quando il Santo lo vide chiuso dal peso di una pietra, subito ordina che venga rimossa con molte spranghe; [375] ma questa voce di Marta sferzò l’aria: «Son passati quattro giorni e altrettante notti, da quando le membra riposano ricomposte nella terra Credo che il corpo, fuggito il flusso del calore, emani un miserevole fetore dalle membra putrefatte» [380] A queste parole Cristo risponde di rimando: «Già tante volte si è detto che nei momenti importanti la fede si fonda sulla forza dei credenti; ma la gloria del Padre supremo è già presente, se avete una fede salda» Quando ebbe detto ciò e il grosso macigno, rimosse le sbarre, si aprì, [385] la forza conscia di sé subito si rivolge al cielo e così prega il genitore: «Padre santo, a te rendiamo grazie infinite; sempre benigno mi esaudisci con il tuo venerando ascolto, ma il popolo qui presente impari a credere che io sono mandato da te» [390] Dopo queste parole, subito si fermò proprio sulla soglia del sepolcro, riempiendo le cave rocce dirimpetto con un grido: «Lazzaro, accogli l’anima che ritorna nelle membra assopite, e tu stesso portati fuori dal sepolcro» Senza indugio, con le mani e i piedi legati, [395] egli esce immediatamente dalla tomba; un panno di lino copre il suo volto e un velo sottile fascia tutto il corpo Allora ordinò che fosse sciolto e pieno di gioia lo rimanda a casa Dopo che i Giudei, che in tanti avevano seguito Maria e Marta, vedono il venerabile fatto, [400] una parte che crede asseconda la gloria di sì grande potenza, altri invece tornano in città a raccontare ai superbi capi farisei tutti quei prodigiosi eventi

60

Testo e traduzione

Ergo ad concilium scribae plebisque uocatur iam grauior numerus, qua uatum principis alte pulchra Caiphaeae conlucent atria sedis Illic conplacuit Christum prosternere leto, sed uitare dies paschae, ne plebe frequenti discordes populi raperent in bella furorem Ille Simonis erat tectis, quem lurida lepra uirtute ipsius diffugerat Ecce iacenti accedit mulier propius, sanctumque alabastro, quo pretiosa inerant late fragrantis oliui unguenta, ab summo perfundit uertice Christum Discipuli increpitant fantes potuisse iuuari de pretio unguenti miserorum corpora egentum Has Dominus prohibet uoces factumque probauit: «Desinite obsequio iustam prohibere puellam Pauperibus semper dabitur succurrere tempus, sed me non semper tribuetur uisere uobis Funeris ista mei multum laudanda ministrat officio mundumque inplebunt talia facta» Tunc e discipulis unus se subtrahit amens Iudas et ad proceres tali cum uoce cucurrit: «Quod pretium sperare datur, si prodere uobis quaesitumque diu possim monstrare magistrum?» Illi continuo statuunt ter dena argenti pondera; his Iudas sceleri se subdidit alto Iamque dies paschae primo processerat ortu: discipuli quaerunt, ubi cenam sumere paschae uellet; at ille sibi quendam sine nomine quaeri, ultima qui domini caperet mandata, iubebat Vespere mox primo bis sex recubantibus una discipulis, tali diuinat uoce magister: «En urget tempus, Christum cum prodere morti e uobis unus scelerato corde uolutat» Continuo cuncti quaerunt, quis talibus ausis insano tantum cepisset corde uenenum Ille dehinc: «Epulis mecum nunc uescitur» inquit «Sed suboles hominis quondam praescripta subibit supplicia ad tempus Miserabilis ille per aeuum, qui iustum dedet; quanto felicior esset, si numquam terris tetigisset lumina uitae!» Et Iudas grauiter tum conscia pectora pressus, «Numquid» ait «Iudam talis suspicio tangit?» Respondit Dominus: «Te talia dicere cerno»

405

410

415

420

425

430

435

440

445

Testo e traduzione

61

Allora gli scribi e il gruppo più autorevole del popolo sono convocati in assemblea, [405] dove alto risplende il bel cortile del palazzo di Caifa, capo dei sacerdoti Lì fu deciso di mettere a morte Cristo, ma di evitare i giorni di Pasqua, affinché in mezzo alla grande folla le genti discordi non trasformassero la collera in rivolta Egli si trovava in casa di Simone, da cui per suo potere era fuggita la livida lebbra [410] Ecco, mentre era a mensa, gli si avvicina una donna, e con un vaso di alabastro, ove erano racchiusi preziosi unguenti di olio molto profumato, dall’alto del capo cosparge il Cristo divino I discepoli la rimproverano, dicendo [415] che con il denaro del profumo si sarebbero potuti aiutare i corpi dei miserevoli poveri Il Signore mette a tacere queste voci e apprezza il gesto: «Smettete di impedire l’ossequio a una donna giusta Sempre avrete tempo di soccorrere i poveri, ma non sempre vi sarà concesso di vedere me [420] Costei, che deve essere molto lodata, attende all’ufficio della mia sepoltura, e tali azioni si conosceranno in tutto il mondo» Allora uno dei discepoli, il folle Giuda, si allontanò e corse dai capi con questa proposta: «Quale compenso è dato sperare, se riuscissi a consegnarvi [425] e a indicarvi il Maestro a lungo cercato?» Quelli subito stabiliscono trenta monete d’argento; di fronte a queste monete Giuda si piegò a un gravissimo crimine E ormai era giunto il giorno di Pasqua, al sorgere del sole: i discepoli gli chiesero dove volesse consumare la cena pasquale; [430] egli ordinava che gli si cercasse un tale, senza indicarne il nome, che accogliesse le ultime volontà del Signore Verso sera, mentre i dodici discepoli sedevano a tavola insieme, il Maestro profeta così: «Ecco, sopraggiunge il tempo in cui [435] uno di voi, nel suo cuore scellerato, medita di consegnare alla morte Cristo» Subito tutti domandano chi con tale ardimento avesse accolto nel suo folle cuore tanto veleno Ed egli disse: «Costui ora mangia con me a banchetto Ma il Figlio dell’uomo al momento debito subirà i supplizi [440] un tempo fissati Miserabile in eterno colui che consegnerà il Giusto; quanto più felice sarebbe, se non avesse mai toccato sulla terra le luci della vita!» Allora Giuda, profondamente turbato nella sua coscienza, chiese: «Forse tale sospetto riguarda Giuda?» [445] Rispose il Signore: «Vedo che tu dici questo»

62

Testo e traduzione

Haec ubi dicta dedit, palmis sibi frangere panem, diuisumque dehinc tradit sancteque precatus discipulos docuit proprium se dedere corpus Hinc calicem sumit Dominus uinoque repletum gratis sanctificat uerbis potumque ministrat, edocuitque suum se diuisisse cruorem, atque ait: «Hic sanguis populi delicta redemit; hoc potate meum Nam ueris credite dictis, post haec non umquam uitis gustabo liquorem, donec regna patris melioris munere uitae in noua me rursus concedent surgere uina» Exin cantato sanctis concentibus hymno montis Oliueti conscendunt culmina cuncti Talia tum Christus depromit pectore uerba: «Omnes praesenti noctis uos tempore longe disperget misere deserto principe terror Sic etenim scriptum est: «Pastoris casibus omnes in diuersa fugam capient per rura bidentes» Post ubi uita nouos caeli mihi reddet honores, praeueniam uestrosque choros genitalibus aruis grata Galilaeae uolitans per rura docebo» Respondit Petrus: «Cunctos, si credere fas est, quod tua labanter possint praecepta negare, sed mea non umquam mutabit pectora casus» Ille dehinc: «Nox haec, quae lucida sidera terris inducit lucemque premens nunc incubat undas, audiet, ut trinis pauidus mendacia uerbis dices et Christum, fortissime Petre, negabis, et prius, alitibus resonent quam tecta domorum» At Petrus: «Duram mortem mihi sumere malim, uox oblita suum quam deneget ista magistrum» Has uires cordis perstant promittere cuncti Nominis Hebraei sunt Gessamaneia rura Illo progreditur lucis uitaeque repertor, circa discipuli Iuda fugiente sequuntur Atque illic reliquos iussit residere ministros Ipse sed adsumpto longe procedere Petro Zebedeique simul natis per deuia tendit Tunc angore graui maestus sic uoce profatur: «Tristia nunc uoluens animus mihi pectora turbat morte tenus, sed nunc uos segnem excludite somnum, sollicitamque simul uigilando ducite noctem» Haec ait et paulum procedens corpore terram deprimit et tali proiectus uoce precatur: «Si fas est, genitor, calicis me transeat huius incumbens ualido nobis uiolentia tractu

450

455

460

465

470

475

480

485

490

Testo e traduzione

63

Com’ebbe parlato così, con le sue mani spezza il pane, poi diviso lo distribuisce, e, dopo aver pregato santamente, insegnò ai discepoli che dava il proprio corpo Poi il Signore prende il calice e, riempitolo di vino, [450] lo consacra con parole di ringraziamento, lo serve da bere e spiega di aver distribuito il suo sangue, dicendo: «Questo sangue redime i peccati del popolo; bevetene, è mio Credete alla verità delle mie parole, d’ora in poi mai più gusterò il succo della vite, [455] finché il regno del Padre non mi conceda di risorgere in vino nuovo con il dono di una vita migliore» Subito dopo, cantato l’inno con sacre armonie, salgono tutti sulla cima del monte degli Ulivi Allora Cristo attinge dal suo cuore tali parole: [460] «Questa notte stessa, abbandonato miseramente il Maestro, il terrore disperderà lontano tutti voi Così infatti è scritto: «Nella disgrazia del pastore tutte le pecore fuggiranno per i campi in diverse direzioni» Poi, quando la vita del cielo mi renderà nuovi onori, [465] vi precederò e nei luoghi natii ammaestrerò le vostre schiere, percorrendo le amate terre della Galilea» Gli rispose Pietro: «La sventura cambierà tutti – se è lecito credere che essi, vacillando, possano rinnegare i tuoi precetti – ma mai il mio cuore» [470] Egli allora: «Questa notte, che porta sulla terra stelle lucenti e ora si distende sulle onde oscurando la luce, udrà come tu, spaventato, per tre volte mentirai e rinnegherai Cristo, fortissimo Pietro, prima che i tetti delle case risuonino del canto del gallo» [475] Ma Pietro: «Preferirei affrontare la dura morte, piuttosto che questa voce rinneghi dimentica il suo Maestro» Tutti insistono a promettere questa forza d’animo C’è un campo chiamato in ebraico Getsemani Là si dirige il Creatore della luce e della vita; [480] i discepoli lo seguono standogli attorno, mentre Giuda fugge E lì ordinò di fermarsi ai restanti discepoli Egli, invece, presi con sé Pietro e i figli di Zebedeo, per luoghi appartati comincia ad avanzare lontano Allora, afflitto da profonda angoscia, così esclama: [485] «Il mio animo, volgendo ora tristi pensieri, mi turba il cuore fino alla morte, ma voi ora allontanate il torpore del sonno e trascorrete la notte affannosa vegliando insieme» Così dice e, avanzando un poco, preme la terra con il corpo e prostrato prega con queste parole: [490] «Se è lecito, o Padre, passi da me la violenza di questo calice che incombe su di noi con forza impetuosa

64

Testo e traduzione

Sed tua iam ueniat potius, quam nostra uoluntas, quae tibi decreta est tantis sententia rebus» Tunc ad discipulos repedat, sed somnus anhelis prostratos terrae membris dissoluerat omnes Tunc ait ad Petrum: «Non est mihi ponere uirtus unam peruigilem tantis sub casibus horam? Sed uigilate, precor, ne uos temptatio raptos horrida praecipitet saeuae per lubrica mortis Spiritus iste uiget, sed corpus debile labat» Secessit rursus secreti montis in arcem orabatque patrem: «Rerum mitissime rector, hunc quoniam calicem non est transire potestas, iam tua proueniat nostra de sorte uoluntas» Rursus discipulos somni sub pondere pressos inuenit et rursus idem genitore precato adloquitur fesso nexos languore quietis: «Iam dormire licet sociosque reuisere uestros, nam uenit ecce, meum qui dedat in omnia corpus, quae maculata meis inponet factio membris» Cum dicto Iudas numero stipante cateruae aduenit procerum iussu populique ferocis Pars strictis gladiis pars fidens pondere clauae signa sequebatur Iudae promissa furentis Oscula nam pepigit sese contingere Christi, quo facile ignotum caperet miserabile uulgus Ille ubi dissimulans blanda cum uoce salutat, attigit et labiis iusti uenerabilis ora, continuo Christus: «Totum conplere licebit, huc uenisse tuo quaecumque est causa paratu» Iniecere manum turbae Christumque prehendunt Tunc e discipulis unus fulgente machaera occurrit uatis famulo sublatus in iram tempore et excussam rapuit ui uulneris aurem Olli Christus ait: «Gladium tu ponito, noster; nam quicumque ferox confidet uindice ferro, hunc iusti similis ferri uindicta manebit An ego non possem caelestia castra uocare et patris innumeras in proelia ducere turmas? Sed scriptura meis conplenda est debita rebus Vos autem stricto qui me conprendere ferro fustibus et gladiis concurritis, en ego uobis occurram, templi media qui semper in arce uobiscum residens docui, nec talia quisquam in solum tantis circumlatrantibus ausus» Discipuli passim Christo fugere relicto

495

500

505

510

515

520

525

530

535

Testo e traduzione

65

Ma si compia la tua volontà piuttosto che la mia: questa è la sentenza da te decretata per eventi così grandi» Poi ritorna dai discepoli, ma il sonno tutti aveva assopiti, [495] distesi a terra con le membra ansimanti Allora dice a Pietro: «In un momento così grave non c’è la forza di dedicarmi un’ora sola di veglia? Vigilate, vi prego, affinché la tentazione non vi trascini a precipizio negli orridi dirupi della morte crudele [500] Il vostro spirito è forte, ma il corpo debole vacilla» Si allontanò di nuovo sulla cima del monte appartato e pregava il Padre: «Dolcissimo Signore del mondo, poiché non è possibile che questo calice passi oltre, sia fatta la tua volontà riguardo alla mia sorte» [505] Trova ancora i discepoli schiacciati dal peso del sonno, e, supplicato nuovamente il Padre allo stesso modo, si rivolge a quelli avvinti dal fiacco languore del riposo: «Ormai potete dormire e rivedere i vostri compagni; ecco viene infatti colui che consegna il mio corpo a tutti i tormenti [510] che la fazione corrotta infliggerà alle mie membra» A queste parole, attorniato da una caterva di gente, sopraggiunge Giuda, per ordine dei capi e del popolo feroce Una parte con le spade sguainate, una parte confidando nelle pesanti clave, aspettavano il segnale promesso dell’invasato Giuda [515] Aveva pattuito infatti di baciare il volto di Cristo, affinché il miserabile volgo potesse facilmente catturare colui che non conosceva Appena egli, fingendo, lo saluta con una dolce voce e con le sue labbra tocca il viso del venerabile Giusto, subito Cristo: «Sarà lecito compiere tutto, [520] qualunque sia il motivo per cui tu sia venuto qui con il tuo apparato» La moltitudine mise le mani su Cristo e lo arrestò Allora uno dei discepoli, con la spada sfolgorante, si scaglia preso dall’ira contro il servo del sacerdote e gli stacca fulmineo un orecchio dalla tempia con un colpo violento [525] A lui Cristo disse: «Riponi la spada, amico; infatti, chi feroce confiderà nel ferro vendicatore, lo attenderà similmente la vendetta di una giusta spada Non potrei io forse chiamare le milizie celesti e guidare in battaglia le numerose schiere del Padre? [530] Ma con la mia sorte si deve compiere il destino della Scrittura Quanto a voi, che armi in pugno insieme accorrete a prendermi con bastoni e spade, ecco verrò io incontro a voi: ho sempre insegnato nella rocca del tempio seduto tra voi, e nessuno osò tali azioni [535] contro uno solo, in mezzo a tanti che mi latravano intorno» I discepoli, abbandonato Cristo, fuggirono in ogni direzione

66

Testo e traduzione

Iamque Caiphaea steterat saluator in aula, cum uenere omnes scribae proceresque uocati At Petrus longe seruans uestigia solus occulte maestus sedit cum plebe ministra extremum opperiens tanto sub turbine finem Ecce sacerdotes falsos conquirere testes incumbunt fictasque uolunt contexere causas, quis mortem insonti possent inponere Christo Sed nullus tanto uisus satis esse furori Vltima prosiliunt testes, qui dicere Iesum audissent, templum quod solus uertere posset et uersum trinis iterum instaurare diebus Ipse sacerdotum princeps urgere tacentem insistit frendens furiis ac talia fatur: «Cur nihil ad tantas nunc respondere querellas conuictus ueris procerum sub testibus audes? Adiurabo tamen summi per regna Tonantis, ut fateare palam, si fas te credere Christum» Ille dehinc tali conpellat uoce superbum: «Istaec sola tibi procedunt pectore uerba uera tuo; ueniet uobis uisenda per auras maiestas prolis hominis, cum dextera sanctae uirtuti adsidet sub nubibus ignicoloris» Talibus auditis scindit de pectore uestem exsultans furiis et caeco corde sacerdos atque ait: «Audistis pugnantis foeda profani uerba Deo; polluta magis consurgat in iras religio et uestram cuncti iam pandite mentem» Conclamant omnes mortique addicere certant Tum sanctam Christi faciem sputa inproba conplent et palmae in malis colaphique in uertice crebri insultant uerbisque omnes inludere certant: «Christe, prophetabis, cuius tibi palma sonarit!» At Petrum mulier tristem quod uiderat intus, «Tune etiam, iuuenis, fueras comes additus» inquit «isti, quem ludens procerum sententia damnat?» Ille negat tectisque feris se promere temptat Ecce sed egressum primo sub limine cernens altera consimili prodebat uoce ministris Rursus ait iurans, illum se nosse negabat Tum percontatum multi accessere sequentes eque sono uocis sese cognoscere dicunt, cuncta Galilaeam streperent quod uerba loquellam Et Petrus iurans deuotis omnia uerbis nescire adfirmat, quisquis foret ille, negando

540

545

550

555

560

565

570

575

580

Testo e traduzione

67

Il Salvatore era già nel palazzo di Caifa, quando si radunarono, convocati, tutti gli scribi e i notabili Pietro, invece, che solitario seguiva da lontano i suoi passi, [540] afflitto sedette nascosto in mezzo ai servi in attesa della fine ultima in tale tempesta Ecco, i sacerdoti si adoperano a cercare falsi testimoni e vogliono costruire accuse fittizie, per poter mandare a morte Cristo innocente [545] Ma nessuno sembrò soddisfare così grande furore Si fanno avanti infine testimoni che avrebbero udito Gesù affermare che da solo poteva distruggere il tempio e, abbattutolo, nuovamente ricostruirlo in tre giorni Il capo stesso dei sacerdoti, fremente d’ira, [550] insiste nell’incalzare lui che tace, e parla così: «Perché ora non osi rispondere ad accuse così gravi, dimostrato colpevole dai veritieri testimoni dei capi? Ti scongiurerò tuttavia, per il regno del sommo Tonante, che tu pubblicamente dichiari se è lecito crederti il Cristo» [555] Allora egli si rivolge in tal modo a quel superbo: «Queste sole parole vere scaturiscono dal tuo cuore; verrà a voi visibile per il cielo la maestà del Figlio dell’uomo, quando siederà alla destra della santa potenza, sotto nubi color del fuoco» [560] Udite queste parole, il sacerdote, balzando su tutte le furie e con l’animo accecato, si strappa la veste dal petto e dice: «Avete ascoltato le turpi parole di un blasfemo nemico di Dio; la religione vilipesa si accenda ancor più all’ira, e voi tutti esprimete ora il vostro pensiero» [565] Gridano tutti insieme e fanno a gara per condannarlo a morte Poi empi sputi ricoprono il sacro volto di Cristo, schiaffi colpiscono oltraggiosamente le gote e numerosi pugni il capo, e tutti gareggiano a schernirlo con queste parole: «Cristo, indovina la mano di chi ti ha fatto sentire il suo schiocco!» [570] Ma una donna, poiché aveva visto là dentro Pietro rattristato, dice: «Anche tu, giovane, ti accompagnavi a lui, che la beffarda sentenza dei capi condanna?» Egli nega e tenta di portarsi fuori da quelle mura ostili Ma ecco, appena uscito, proprio vicino alla soglia, [575] un’altra donna, nel vederlo, lo additava ai servi con parole simili Di nuovo egli giurava e negava di conoscerlo A quel punto molti al séguito gli si avvicinarono per indagare e affermarono di riconoscerlo dall’accento, poiché tutte le parole facevano risonare la parlata galilea [580] Ma Pietro giura negando tutto con parole di maledizione e afferma di non sapere, chiunque fosse quell’uomo

68

Testo e traduzione

Hanc uocem, plausum quatiens sub culmine tecti, ales prosequitur cantu, mentemque Simonis circumstant tristem uerbis praesagia Christi; egressumque dehinc ploratus habebat amarus Sidera iam luci concedunt et rapidus sol progreditur radiis terras trepidantibus inplens Iamque e concilio Christum post terga reuinctum praesidis ad gremium magno clamore trahebant Interea celsum Dominus stans ante tribunal talia Pilati uerbis excepit Iesus: «Tu rex Iudaeae gentis, quod dicitur, astas?» Respondit Christus: «Vestris haec audio uerbis» Exhinc terribilis iusti accusatio surgens infremit et sanctum scelerata facundia pressat Respondere nihil trucibus dignatur Iesus Pilatus quaerit quae tum sit causa tacendi Ille magis perstans miranda silentia seruat Sollemni sed forte die concedere leges unum damnati capitis de more iubebant; et fuit in uinclis famoso nomine latro, quem Christo infensus populus dimittere uitae ardebat: trucibus somno sed territa uisis Pilati coniux, iusti discedere poena, mandatis precibusque uirum suspensa rogabat Tum iudex iterum procerum disquirere mentem temptat, et instanti cuperent quem soluere poena, plebis ad arbitrium mitti de lege requirit Sed proceres populum fusa ambitione rogabant, latronem legi peterent Christumque negarent At postquam procerum incendit sententia uulgum latronisque petit potius sibi cedere uitam, consuluit praeses populum quid uellet Iesum Plebs incensa malo saeuos miscere tumultus, et crucis ad poenas iterumque iterumque petebant, 615 qui regis nomen cuperet, qui Caesaris hostem confessus sese proprio damnauerit ore Denique ui uictus detestatusque cruentum officium increpitans se libera sanguinis huius corda tenere sibi, coramque a crimine palmas abluit, ut genti tantum macula illa maneret Hoc magis inclamant: «Nos, nos cruor iste sequatur, et genus in nostrum scelus hoc et culpa redundet» Pilatus donat plebi legique Barabban et crucis ad poenam uictus concedit Iesum

585

590

595

600

605

610

620

625

Testo e traduzione

69

Sulla cima di un tetto, battendo le ali, un gallo accompagna con il suo canto questa voce, e la profezia con le parole di Cristo assedia l’animo angosciato di Simone; [585] e uscito di lì lo colse un pianto amaro Ormai le stelle cedono alla luce e rapido il sole avanza riempiendo la terra con i suoi raggi palpitanti Dall’assemblea con grande clamore già trascinavano Cristo, mani legate dietro la schiena, al cospetto del governatore [590] Intanto il Signore Gesù, in piedi davanti all’alto tribunale, ricevette tali domande da Pilato: «Sei tu qui presente il re dei Giudei, come si dice?» Rispose Cristo: «Sento questo dalle vostre parole» Insorge allora e freme la terribile accusa del Giusto [595] e la scellerata facondia opprime il Santo Nulla Gesù si degna di rispondere a quei violenti Pilato chiede allora quale sia la causa del suo tacere Egli, ancor più persistendo, serba uno straordinario silenzio Ma per caso, la legge prescriveva secondo il costume di liberare [600] uno dei condannati a morte nel giorno di festa C’era in carcere un famigerato ladrone, al quale il popolo, ostile a Cristo, desiderava ardentemente risparmiare la vita: ma la moglie di Pilato, spaventata nel sonno da terribili visioni, [605] con richieste e preghiere angosciata chiedeva al marito di dissociarsi dalla condanna di un giusto Allora il giudice cerca di sondare nuovamente l’animo dei capi, e chiede in conformità con la legge che venga rimesso all’arbitrio del popolo chi vogliano liberare dalla pena incombente I notabili però con diffuse sollecitazioni spingevano il popolo [610] a chiedere alla legge il rilascio del ladrone e a rifiutare Cristo Quando il parere delle autorità infiammò la folla e questa reclamò che le venisse consegnata piuttosto la vita del ladrone, il governatore consultò il popolo su cosa volesse fare di Gesù La plebe, infiammata dal male, provocava violenti tumulti e [615] chiedeva più e più volte la pena della croce per colui che pretendeva il nome di re e che, dichiarandosi nemico di Cesare, di propria bocca si era condannato Infine, sopraffatto dalla violenza, maledicendo il compito cruento, gridò [620] di tenersi il cuore libero da questo sangue e davanti a tutti si lavò le mani dal crimine, affinché soltanto nel popolo rimanesse quella macchia A questo essi urlano più forte: «Noi, noi perseguiti questo sangue, e sulla nostra stirpe si riversino questo delitto e questa colpa» Pilato dà al popolo e alla legge Barabba [625] e, vinto, consegna Gesù al supplizio della croce

70

Testo e traduzione

Proditor at Iudas, postquam se talia cernit accepto sceleris pretio signasse furentem, infelix aegris damnans sua gesta querellis proiecit templo tunc detestans argentum Exorsusque suas laqueo sibi sumere poenas informem rapuit ficus de uertice mortem Inde sacerdotes, pretium quod sanguinis esset, inlicitum fantes adytis concedere templi, quod dare tum licitum, cum sanguis distraheretur, credebant, agrum mercati nomine uero sanguinis, horrendo signant scelera impia facto Haec quondam cooperta canens uox uera prophetae euentum rerum patefecit in ordine saecli: «Argenti triginta minas posuere profani hoc pretium pretiosi corporis instituentes, quod mox ad figuli rursus transfertur agellum» Traditus est trucibus iustus scelerisque ministris militibus: scelerata ludibria corpore praebet Purpureamque illi tunicam clamidemque rubentem inducunt spinisque caput cinxere cruentis, inque uicem sceptri dextram comitatur harundo Tum genibus nixi regem dominumque salutant Iudaeae gentis faciemque lauere saliuis uertice et in sancto plagis lusere nefandis Haec ubi transegit miles ludibria demens, indutum propriae ducebat tegmina uestis et crucis ad poenam sanctum iustumque trahebat Ecce sed egressi quendam cepere Simonem Cyrena genitum lignumque adferre iubebant, quo dominum lucis iussis suffigere saeuis instans urgebat saecli inmutabilis ordo At postquam uentum est, ubi ruris Golgotha nomen, permixtum felli uinum dant pocula Christo Ille sed in summo gustu tractata recusat, ut satis antiquis fieret per talia dictis, nec tamen insultans hominum furor omnia posset Iamque cruci fixum pendebat in arbore corpus, intactaeque dedit tunicae sub sorte per omnes militis unius seruans possessio textum Et scriptum causae titulum meritique locarunt, quod rex Iudaeae plebis gentisque fuisset Accidit, ut pariter poenae consortia ferrent latrones hinc inde duo; sed caeca furentis insultat plebis fixo uaesania Christo: «Hic est, qui templum poterat dissoluere solus, hic est, qui trino lucis reparare meatu

630

635

640

645

650

655

660

665

670

Testo e traduzione

71

Ma Giuda il traditore, quando vide che lui aveva suggellato in preda alla follia tali eventi per aver accettato il compenso del crimine, allora, sventurato, condannò il suo gesto con lamenti di dolore e gettò nel tempio il denaro, maledicendolo [630] E, deciso a darsi da sé il castigo con un cappio, dalla cima d’un fico strappò turpe morte I sacerdoti poi, siccome era denaro del sangue, dichiararono illecito accogliere nei penetrali del tempio quel che invece credevano lecito dare quando il sangue era in vendita, [635] e, comprato il campo dal nome veritiero ‘di sangue’, con un’azione orrenda sanciscono l’empietà del misfatto La voce veridica del profeta, che un tempo cantò questi segreti, rivelò l’esito degli eventi nel succedersi del tempo: «Gli empi posero trenta mine d’argento, [640] stabilendo per il prezioso corpo questo prezzo, che fu poi di nuovo usato per il campicello di un vasaio» Il Giusto fu consegnato a brutali soldati, servitori del crimine: con il suo corpo egli offre perverso divertimento Gli mettono addosso una tunica di porpora e un mantello rosseggiante, [645] gli cingono il capo con spine sanguinose; a guisa di scettro una canna accompagna la sua destra Allora, inginocchiatisi, lo salutano re e signore del popolo giudeo, gli inzuppano il viso di sputi e per gioco sul sacro capo infliggono oltraggiosi colpi [650] Quando i folli soldati conclusero questi scherni, conducevano il Santo e Giusto rivestito del riparo delle proprie vesti e lo trascinavano al supplizio della croce Ma ecco, usciti, presero un certo Simone, nativo di Cirene, e gli comandarono di portare il legno [655] sul quale l’ordine immutabile del tempo con duri comandi spingeva incalzante a inchiodare il Signore della luce Quando giunsero dove la campagna prende il nome di Golgota, danno da bere a Cristo vino mescolato col fiele Egli, però, lambitolo con un assaggio a fior di labbra, lo rifiuta, [660] affinché in tal modo si adempiano le antiche parole e tuttavia l’insultante follia dei presenti non abbia potere su tutto Il suo corpo inchiodato alla croce già pendeva sul legno, e un solo soldato, sorteggiato tra tutti, ebbe in possesso il tessuto della tunica intatta, preservandolo [665] E posero una tabella con su scritti la causa e il reato: era stato il re del popolo e della stirpe giudaica Accadde che dall’uno e dall’altro lato due ladroni subissero parimenti la stessa pena; ma la cieca follia del popolo infuriato insulta Cristo crocifisso: [670] «Questi è colui che da solo poteva distruggere il tempio, è questi che nel triplice corso della luce poteva ricostruirlo

72

Testo e traduzione

Sed nunc descendat suboles ueneranda Tonantis et crucis e poena corpusque animamque resoluat» Haec uulgi proceres uaecordis dicta sequuntur; atque Pharisaei scribaeque et factio demens inludunt motuque caput linguasque loquellis insanis quatiunt aeternae ad uincula poenae: «Nonne alios quondam trucibus seruare solebat morborum uinclis? Sese cur soluere poenis non ualet? En regem nostrae quem credere gentis debuimus: soluat ligni de robore corpus! Tunc sanctis digne poterimus credere signis Confidit genitore Deo: dimittere poena cur propriam non uult subolem ueneranda potestas?» Nec minus increpitant dextra laeuaque gementes adfixi crucibus scelerum pro sorte latrones Iam medium cursus lucis conscenderat orbem, cum subito ex oculis fugit furuisque tenebris induitur trepidumque diem sol nocte recondit Ast ubi turbatus nonam transegerat horam consternata suo redierunt lumina mundo Et Christus magna genitorem uoce uocabat Hebraeae in morem linguae; sed nescia plebes Heliam uocitare putat Tum concitus unus cogebat spongo turpi calamoque reuincto inpressum labiis acidum potare saporem Cetera turba furens tali cum uoce cachinnat: «Spectemus pariter, caelo ne forte remissus Helias ueniat, celsa qui sede quiescit, liberet et misero confixum stipite regem» Tum clamor Domini magno conamine missus aetheriis animam comitem conmiscuit auris Scinduntur pariter sancti uelamina templi carbasaque in geminas partes disrupta dehiscunt et tremebunda omni concussa est pondere tellus, dissiliuntque suo ruptae de corpore cautes Tum ueterum monumenta uirum patuere repulsis obicibus iustaeque animae per membra reuersae et uisum passae populi per moenia lata errauere urbis: sic terrent omnia mundum; militibus primis quatiuntur corda pauore, dedita qui saeuae seruabant corpora poenae, et subolem dixere Dei Christumque fatentur E speculis matres miracula tanta tuentur omnes, obsequium Christo quae ferre solebant

675

680

685

690

695

700

705

710

715

Testo e traduzione

73

Ma ora il venerabile Figlio del Tonante venga giù e liberi il suo corpo e la sua anima dal supplizio della croce» I notabili ripetono queste parole dello sciocco volgo: [675] i farisei, gli scribi e la stolta fazione si fanno beffe di lui, scrollano il capo e muovono la lingua con insane parole, verso le catene della pena eterna: «Ma un tempo non era forse solito salvare gli altri dai terribili lacci dei morbi? [680] Perché non è capace di liberare se stesso dai tormenti? Ecco chi avremmo dovuto credere re della nostra gente: sciolga il corpo dal legno della croce! Allora potremo credere veramente a segni santi Confida in Dio come padre suo: allora perché la veneranda potenza non vuole affrancare dalla pena il proprio figlio?» [685] Non meno a destra e a sinistra imprecano, lamentandosi, i ladroni crocifissi per la sorte dei loro crimini Il corso della luce era già salito a metà del cielo, quando all’improvviso il sole scompare dalla vista, si riveste di fosche tenebre e nasconde nella notte il trepido giorno [690] Ma quando, sconvolto, ebbe superato l’ora nona, le luci ritornarono confuse nel loro firmamento E Cristo invocava a gran voce il Padre nella lingua ebraica, ma il popolo ignaro crede che egli chiami Elia Allora uno, in tutta fretta, [695] con una spugna ripugnante legata a una canna lo costringeva a bere dell’aceto premuto sulle labbra La restante folla lo irride furiosa con queste parole: «Vediamo se, mandato dal cielo, non venga per caso Elia, che riposa nelle sedi eccelse, [700] a liberare il re inchiodato a un misero legno» Poi un grido del Signore, emesso con grande sforzo, mescolò come loro compagna l’anima con gli aliti eterei Nello stesso momento si squarciano i velari del sacro tempio e lacerati in due parti si aprono i drappi di lino, [705] la terra fu scossa tremante in tutto il suo peso e le rocce balzarono via, staccate dalla loro massa Allora, rimosse le sbarre, si spalancarono i sepolcri degli uomini antichi, le anime giuste tornate nelle membra e visibili al popolo [710] vagarono per le ampie mura della città: così tutti questi avvenimenti atterriscono il mondo; per primi sono turbati dalla paura i cuori dei soldati che sorvegliavano i corpi condannati al crudele supplizio; lo dissero Figlio di Dio e lo riconobbero come il Cristo Dalle alture contemplano sì grandi prodigi tutte le donne [715] che solevano offrire a Cristo il loro servigio

74

Testo e traduzione

Iam decedenti uesper succedere soli coeperat, et procerum solus tum iustior audet corpus ad extremum munus deposcere Christi Hic ab Arimathia nomen gestabat Ioseph, qui quondam uerbis aures praebebat Iesu Pilatum tunc iste rogat sibi cedere membra, quis nuper tulerat uitam uis horrida poenae Concessit praeses et corpus fulgida lino texta tegunt saxique nouo conponitur antro Limen concludunt inmensa uolumina petrae; e speculis seruant matres et cuncta tuentur Iamque dies rutilo conplebat lumine terras, otia qui semper prisca de lege iubebat, nulla sed inmitis procerum furor otia seruat Conueniunt onerantque simul sic iudicis aures: «Erroris laqueos iustissima poena resoluit Nunc meminisse decet, quoniam planus ille solebat uulgari semper iactans promittere plebi, e mortis sese tenebris ad lumina uitae cum trino solis pariter remeare recursu Hoc petimus, custos miles noua funera seruet, ne fera discipulis furandi audacia corpus consurgat turbetque recens insania plebem» Et Pilatus ad haec: «Miles permittitur» inquit «seruare, ut uultis, corpus tellure sepultum» Conueniunt saxique ingentia pondera uoluunt, et limen signis et saxum milite seruant Sidera iam noctis uenturo cedere soli incipiunt, tumuli matres tum uisere saeptum concurrunt, motus sed terram protinus omnem concutit et caelo lapsus descendit aperto nuntius et saxum tumuli de limine uoluit Illius et facies splendet ceu fulguris ignis, et niuis ad speciem lucent uelamina uestis Militibus terror sensum discluserat omnem et iacuere simul ceu fusa cadauera leto Ille sed ad matres tali cum uoce profatur: «Vestra pauor nullus quatiens nunc corda fatiget; nam manifesta fides, sanctum uos quaerere corpus, quod crucis in ligno scelerata insania fixit Surrexit Christus aeternaque lumina uitae corpore cum sancto deuicta morte recepit Visere iam uobis licitum est, quod sede sepulchri nulla istic iaceant, fuerant quae condita membra

720

725

730

735

740

745

750

755

Testo e traduzione

75

La sera aveva già cominciato a subentrare al sole che calava, e allora uno solo dei maggiorenti, un giusto, osa chiedere il corpo di Cristo per le ultime onoranze Costui portava il nome di Giuseppe di Arimatea [720] e un tempo aveva prestato ascolto alle parole di Gesù Egli dunque prega Pilato di concedergli le membra a cui l’orrida violenza della pena aveva da poco strappato la vita Il governatore lo concesse; candide stoffe di lino avvolgono il corpo, che viene deposto in un sepolcro nuovo, scavato nella roccia [725] Una pietra enorme viene rotolata per bloccare l’entrata; dall’alto le donne osservano e tutto contemplano Il giorno che, secondo l’antica legge, sempre imponeva il riposo già riempiva di luce fiammante la terra; ma l’inumano furore dei capi non osserva alcun riposo [730] Si radunano e insieme assordano così gli orecchi del giudice: «Giustissima condanna sciolse i lacci dell’errore Ora è giusto ricordare che quell’impostore, per vanteria, soleva sempre promettere alla moltitudine del volgo che [735] al volgere del terzo giorno sarebbe ritornato dalle tenebre della morte alla luce della vita Chiediamo che un soldato di guardia custodisca il nuovo sepolcro, perché non sorga nei suoi discepoli il feroce ardire di trafugare il corpo, e questa recente follia confonda il popolo» A queste parole Pilato risponde: [740] «Si permette che una guarnigione sorvegli, come volete, il corpo sepolto nella terra» Si riuniscono, fanno rotolare grandi blocchi di pietra e assicurano l’entrata con sigilli e il macigno con soldati Le stelle della notte già iniziano a cedere al sole che avanza; [745] le donne accorrono allora a visitare il recinto del sepolcro, ma subito un tremito scuote tutta la terra, discende un angelo proveniente dal cielo aperto e fa rotolare la pietra dall’ingresso della tomba Il suo volto risplende come il fuoco della folgore, e i veli della veste brillano simili alla neve [750] Il terrore aveva annullato tutti i sensi ai soldati, che giacquero come cadaveri abbattuti dalla morte Ma quello si rivolge alle donne con tali parole: «Nessun timore affanni ora il vostro cuore turbandolo; infatti è segno manifesto di fede che voi cerchiate il santo corpo [755] che la scellerata follia ha inchiodato al legno della croce Cristo è risorto e, vinta la morte, ha riacquistato la luce eterna della vita con il suo santo corpo Potete ormai vedere che qui, nel luogo della sepoltura, non giacciono più le membra che vi erano state deposte

76

Testo e traduzione

Dicite praeterea celeri properoque recursu discipulis, Christum remeasse in luminis oras, inque Galilaeam laetum praecedere terram» His dictis uisisque animos perfuderat ardens laetitia attonitis stupor ancipitique pauore Denique praecipiti celebrantes gaudia cursu talia discipulis referunt tumulumque relinquunt Ecce iteris medio clarus se ostendit Iesus et fidas matres blandus saluere iubebat Occurrunt illae et genibus plantisque prehensis uictorem leti pauidae uenerantur Iesum Talibus ille dehinc praeceptis pectora firmat: «Mentibus absistat fidei pauor omnis et ista fratribus en nostris propere mandata referte: Nostri conspectus si cura est, ite uolentes inque Galilaeam propere transcurrite terram» Interea tumulo custodum exterrita corda; mittunt e numero partem, quae tanta referret Iudaeis rerum miracula Sed manus amens iam semel insano penitus deuota furori praemia militibus certatim magna rependit et famam argento redimit, quod limine rupto furtim sustulerit corpus defensa tenebris occulte rapiens audacia discipulorum Iamque Galilaeos conscenderat anxia montes mandatis Christi concurrens turba suorum: cernitur ecce suis proles ueneranda Tonantis Illum procumbens sancte chorus omnis adorat; nec tamen in cunctis pariter fundata manebat pectoribus uirtus, nam pars dubitabat eorum Tunc sic discipulos clarus conpellat Iesus: «In caelo et terris genitor mihi cuncta subegit, me pater est uobis dignatus mittere lucem Gentibus haut aliter nunc uos ego mittere cunctis institui, uestrum est cunctas mihi iungere gentes Pergite et ablutos homines purgantibus undis nomine sub sancto patris natique lauate, uiuifici pariter currant spiramina flatus Ablutisque dehinc nostra insinuate docentes praecepta, ut uitam possint agitare perennem; nec uobis umquam nostri praesentia deerit, donec consumens dissoluat saecula finis»

760

765

770

775

780

785

790

795

800

Testo e traduzione

77

[760] Annunciate inoltre ai discepoli, con rapido e veloce ritorno, che Cristo è tornato alle regioni della luce e lieto vi precede nella terra di Galilea» A tali parole e visioni un intenso stupore aveva pervaso i loro animi, stordite e incerte tra gioia e paura [765] Infine, diffondendo la gioia con celere corsa, riferiscono tali eventi ai discepoli e abbandonano la tomba Ecco, a metà del cammino, risplendente si mostrò Gesù e con dolcezza salutava le donne fedeli Quelle gli corrono incontro e, abbracciando le ginocchia e i piedi, [770] venerano timorose Gesù, vincitore della morte Egli allora rassicura i cuori con tali precetti: «Si allontani dagli animi ogni timore di fede e riportate subito questo messaggio ai nostri fratelli: se desiderate vedermi, andate di buon grado [775] e presto raggiungete la terra di Galilea» Intanto al sepolcro erano atterriti i cuori delle guardie; inviano alcuni di loro a riferire ai Giudei questi straordinari prodigi Ma la fazione dissennata, già una volta profondamente votata all’insano furore, [780] a gara offre grandi ricompense ai soldati e col denaro compra la diceria che, violato l’ingresso, l’impudenza dei discepoli, difesa dalle tenebre, aveva furtivamente trafugato il corpo portandolo via di nascosto La schiera dei suoi, accorrendo ai comandi di Cristo, [785] aveva già raggiunto sollecita i monti di Galilea: ecco, la prole veneranda del Tonante appare ai suoi Prostrato il gruppo tutto devotamente lo adora; tuttavia non in tutti i cuori era ugualmente salda la fede: dubitava, infatti, una parte di loro [790] Allora Gesù, pieno di splendore, così esorta i discepoli: «In cielo e in terra il Genitore tutto sottomise a me e il Padre si degnò di inviarmi come luce a voi Non diversamente ora io ho deciso di mandare voi ai popoli tutti, è compito vostro unire a me tutte le genti [795] Affrettatevi e battezzate gli uomini, lavati nelle acque purificatrici, nel nome santo del Padre e del Figlio, e insieme scorra il soffio dello Spirito vivificante Una volta purificati, poi, insegnate e infondete loro i miei precetti, perché possano ottenere la vita eterna; [800] mai vi mancherà la nostra presenza, finché la fine dissolva il mondo consumandolo»

78

Testo e traduzione

Has mea mens fidei uires sanctique timoris cepit et in tantum lucet mihi gratia Christi, uersibus ut nostris diuinae gloria legis ornamenta libens caperet terrestria linguae Haec mihi pax Christi tribuit, pax haec mihi saecli, quam fouet indulgens terrae regnator apertae Constantinus, adest cui gratia digna merenti, qui solus regum sacri sibi nominis horret inponi pondus, quo iustis dignior actis aeternam capiat diuina in saecula uitam per dominum lucis Christum, qui in saecula regnat

805

810

Testo e traduzione

79

Il mio spirito ha ricevuto queste forze di fede e di santo timore, e la grazia di Cristo tanto mi illumina che la gloria della Legge divina [805] volentieri accolse nei nostri versi gli ornamenti terreni della lingua Questo mi concesse la pace di Cristo, questo la pace del tempo presente, favorita dall’indulgente sovrano di una terra aperta, Costantino Per i suoi meriti degnamente la grazia lo assiste; egli, solo tra gli imperatori, ha orrore [810] che gli si imponga il peso di un titolo sacro, affinché, più degno per le sue giuste azioni, ottenga per i secoli divini la vita eterna, per Cristo, signore della luce, che regna nei secoli

Commento 1–13 Il tributo a Cesare. I versi parafrasano Matth 22,15–21: 15 Tunc abierunt Pharisaei et consilium acceperunt ut caperent eum in sermone. 16 Et mittunt discipulos suos cum Hero­ dianis dicentes: Magister, scimus, quia uerax es et uiam Dei in ueritate doces et non est tibi cura de aliquo; non enim respicis personas hominum. 17 Quid tibi uidetur? Licet censum dari Caesari aut non? 18 Cognita autem Iesus nequitia eorum ait: Quid me temptatis, hypocritae? 19 Ostendite mihi nomisma census. At illi optulerunt ei denarium. 20 Ait illis Iesus: Cuius est imago haec et superscriptio? 21 Dicunt ei: Caesaris. Tunc ait illis: Reddite quae sunt Caesaris Caesari et quae sunt Dei Deo. 22 Et illi audientes mirati sunt et relicto eo abierunt («Allora i farisei si allontanarono e tennero un consiglio per trarlo in inganno con un discorso E mandarono i loro discepoli insieme con gli erodiani a dirgli: Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai timore di nessuno, poiché non guardi in faccia agli uomini Cosa te ne pare? È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Gesù però, compresa la loro malizia, rispose: Perché mi tentate, ipocriti? Mostratemi la moneta del tributo Ma essi gli porsero un denaro Gesù chiese loro: Di chi sono questa immagine e l’iscrizione? Gli risposero: Di Cesare Allora egli disse: Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio Essi nell’udire queste parole si stupirono e, lasciatolo, se ne andarono») Giovenco omette il riferimento al consiglio tenuto dai farisei, non fa menzione dei loro discepoli e degli erodiani, tutti raggruppati indistintamente nel termine factio (v  1); dilata al v  2 il concetto di ‘mettere alla prova’ e conserva il discorso diretto per lo scambio di battute tra Gesù e i suoi interlocutori Il primo segmento del versetto 16 è eliminato, la restante parte corrisponde ai vv  3 s : la locuzione impersonale certum est (v  3) rimpiazza scimus; la subordinata dichiarativa (quia uerax es) diventa un’infinitiva soggettiva; magister dal vocativo passa all’accusativo; l’aggettivo uerax si converte in ueridicus Al v  4 il poeta rielabora uiam Dei … doces con Domini uestigia seruas, senza l’indicazione modale (in ueritate), e rende le due distinte proposizioni dell’ipotesto (non est tibi cura de aliquo e non enim respicis personas hominum) con una formula participiale (nec quemquam metuens) I vv  5 s riprendono il versetto 17, con qualche cambio nel lessico (quid tibi uidetur? ~ Iuvenc dic ergo; licet ~ liceat; Caesari ~ Caesaris; censum dari  ~ dissoluere  … tributum) e qualche aggiunta (nostrae  … genti e urgentis semper sub lege) Il versetto 18 è riscritto ai vv  7–9: Giovenco cambia Iesus con il pronome

Commento

81

ille (v  7); usa lo stesso uerbum dicendi (ait, v  8); rende il semplice nequitia con saeui penetralia cordis e amplifica il participio cognita mediante un’espressione che mette in luce la capacità di Gesù di vedere nei cuori; al v  8 la voce verbale temptatis è ripresa con diversa funzione sintattica e semantica per reggere l’infinito me concludere uerbis; resta la dura apostrofe ai farisei: in luogo di hypocritae c’è l’aggettivo fallaces, valorizzato in apertura di esametro (v  9) La massima del secondo emistichio 9 è un’additio, che ribadisce la nozione di inganno Muta la prospettiva nella resa della prima parte del versetto 19: nell’originale Gesù chiede che venga mostrata a lui la moneta della tassa (ostendite mihi nomisma census), nella parafrasi l’invito a guardare la moneta è rivolto agli interlocutori (inspicite in nummum) Il secondo emistichio 10 (sculptique nomismatis aera) amplia nomisma del modello, accorpando concettualmente i termini imago e superscriptio del versetto 20 La seconda parte di questo versetto (at illi optule­ runt ei denarium) è omessa Il v  11 sintetizza in forma assertiva la domanda rivolta da Gesù in Matth 22,20 e la risposta dei farisei del versetto successivo L’esortazione finale di Matth 22,21 occupa i vv  12 s , che mantengono il parallelismo dell’ipotesto: soluite sostituisce reddite; il pronome illi il nome Caesari; Deo corrisponde; le due relative del testo base sono glossate con due sostantivi (tributum [~ quae sunt Caesaris] e honorem [~ quae sunt Dei]); le aggiunte propria sub lege e proprium legis introducono l’antitesi tra la legge di Cesare e quella di Dio Manca nella parafrasi il versetto conclusivo 1–2 Rispetto agli incipit degli altri tre libri, caratterizzati da amplificazioni ornamentali del dettato evangelico, questi primi due versi, legati da una continuità ritmica e sintattica, sono privi di particolari descrittivi Il poeta entra nel vivo della narrazione riallacciandosi direttamente alla conclusione del libro III, dove Gesù racconta la parabola delle nozze reali (vv  737–773) Questa organizzazione del racconto è ricondotta da Fraïsse, p  679, alla volontà dello scrittore di situare cronologicamente gli episodi evangelici in una coerente connessione poetica e simbolica, oltre che temporale A garantire tale coerenza interna è qui la formula di raccordo talia dicentem, di matrice già omerica (Il  1,428 ὣς ἄρα φωνήσας) e presente nel poema giovenchiano anche in 1,728 e 2,403, sempre in riferimento a Cristo La ripresa di Verg Aen 4,362 talia dicentem iamdudum auersa tuetur, segnalata da Huemer, sembra, come spesso accade in apertura di esametro, di tipo automatico, anche se è possibile scorgere delle analogie tra l’incomprensione dei capi ebraici e il loro rifiuto di credere alle parole del Salvatore e l’incapacità di Didone di comprendere il senso del discorso di Enea; le numerose imitazioni del segmento virgiliano sono registrate da Pease, p  313 L’espressione appare modificata (talia dicenti) e riferita ad altri personaggi anche in 1,170 (l’arcangelo Gabriele) e in 2,282 (la donna di Samaria) La clausola allitterante del v  1, l’omeottoto del secondo emistichio di v  2 e i suoni duri che percorrono il periodo sembrano quasi riprodurre il tono rabbioso e incalzante della setta farisaica

82

Commento

1 confestim La variante continuo del cod A è incompatibile con questa posizione esametrica In Giovenco le attestazioni di avverbi in -tim – su cui si veda Funck, pp  485–506, e, in generale, Schaffner-Rimann – sono in totale tredici (certatim 1,440; 3,493 643; 4,233 780; confestim 1,428; 2,420; 3,122 675; 4,1; furtim 4,782; mensatim 3,214; paulatim 3,118) La predilezione per questo tipo di formazioni è testimoniata dal neologismo mensatim, che risulta essere un hapax assoluto factio frendens Su undici occorrenze il sostantivo è sempre nella medesima sede esametrica, al quinto piede, tranne che in 1,616, dove si trova a inizio di verso Con questo termine collettivo astratto, spesso qualificato da aggettivi o participi con valore aggettivale, Giovenco comprende tutti quei gruppi che di volta in volta si oppongono all’azione e al messaggio di Gesù: nel nostro caso i farisei e gli erodiani; ancora i farisei in 2,580 (non iam saepe uiros damnasset factio sacros) e 606 (caeca Pharisaeae cognouit factio gentis); altrove gli scribi (3,344 cur scriptis ueterum scribarum factio certet); oppure i sommi sacerdoti e gli scribi (3,645 cuncta sacerdotum cognouit factio mirans); i sommi sacerdoti e gli anziani (3,689 se nescire tamen respondit factio fallax e 4,675 s atque Pharisaei scribaeque et factio demens); la folla (4,510 quae maculata meis inponet factio membris) A 1,616 (horrida furum / factio) rappresenta invece i ladri e a 4,294 (damnata factio) una più generica categoria di peccatori L’unico esempio di accezione positiva è a 4,219 (factio prudens), a distinguere le cinque vergini sagge della parabola; cfr Poinsotte, p  190; Flieger, p  87; Santorelli, I libri dei Vangeli, p  238, e le annotazioni di Müller al v  4,675 Per l’abbreviamento di o finale di parola cretica (factiŏ) e, in generale, sull’uso di vocaboli a suffisso -tion negli Euangeliorum libri, si veda Flammini, La struttura, pp  269–280 Frendere (propriamente ‘digrignare i denti’) talvolta esprime traslatamente le manifestazioni esteriori di differenti stati d’animo (ira, rabbia, dolore), talaltra ha il significato di furiose dicere (cfr ThlL VI1 1287,41 ss ); quest’uso figurato non è estraneo al latino classico, e gli epici (Virgilio, Ovidio, Stazio e Silio Italico) impiegano la parola per lo più al participio Giovenco gioca con questa doppia valenza semantica per mettere in risalto la virulenza dei farisei, la loro ostinazione contro Gesù; il verbo ha nell’opera quattro occorrenze: nel nostro caso è unito a un nome collettivo; a 1,466 (insectatio frendens) e 2,463 (frendens … uiolentia) a un nome astratto; a 4,550 (… sacer­ dotum princeps … / … frendens) a un nome di persona Poinsotte, p  169, n  625, rileva l’impiego diffuso del vocabolo da parte degli scrittori cristiani sia in relazione ai Giudei in quanto nemici di Cristo (Salv gub 8,18 irridebant … maledicebant … insufflabant in faciem … frendebant dentibus super caput eius) e degli apostoli (Ps Primas in Gal 5,11 cum aduersus me frendeant insania Iudaei; si parla di Paolo) sia in relazione ai persecutori degli Ebrei o dei patriarchi biblici (Alc Avit carm 5,24 s inuisam sibimet frendens qui crescere turbam, / … doluit, detto del Faraone) e dei martiri cristiani (Prud perist 5,204 spumasque frendens egerit e 393 sic frendit, detto del carnefice di Vincenzo) Nel NT

Commento

83

una reazione psicologica simile hanno gli uccisori del protomartire Stefano (act. 7,54 disseccabantur cordibus suis et stridebant dentibus in eum); nell’AT tale atteggiamento collerico caratterizza in generale gli empi e gli ingiusti (psalm 34,16; 36,12; 111,10) Cfr Flieger, pp  154 s , e Santorelli, I libri dei Vangeli, pp  207 s 2 temptare adgreditur «Cerca di metterlo alla prova» Il ThlL I 1321,15 s registra il luogo giovenchiano tra i casi in cui il verbo adgredior nel senso di ‘cominciare’, ‘tentare di’ è costruito con l’infinito; l’uso è già classico, cfr Cic inv 2,74; Sall Iug 9,3; e, in poesia, Enn ann 596 Skutsch; Lucr 5,167; Verg Aen. 2,165 Vi si riconosce comunque anche la nozione di aggressività, che qui accompagna l’invettiva Quanto al verbo temptare, in questa stessa accezione esso caratterizza l’operato del demonio che mette alla prova Gesù nel deserto in 1,368 temptandi … Christum uersutia fallax e 374 fallacia temptans Alla luce di questo precedente, appare tanto più emblematico l’uso che Giovenco ne fa in riferimento ai Giudei, l’impia gens, di cui egli vuole sottolineare ripetutamente l’ostilità nei confronti del Signore; così, anche quando nell’ipotesto i discorsi o le richieste degli interlocutori sono introdotti da semplici verbi di dire, il poeta ricorre al più intenso tempto: 2,586 sed tum dictis temptando dolosis ~ Matth 12,10 interrogabant eum dicentes; 3,221 s ecce Pharisaei Sadducaeique dolosi / poscere temptantes instant caelestia signa ~ Matth 16,1 temptantes et rogauerunt eum e 3,464 ecce Pharisaei temptantes quaerere pergunt ~ Matth 19,3 temptan­ tes eum et dicentes Cfr Poinsotte, p  178, e n  670 uerbis … malignis Il nesso malignum uerbum, che in poesia si riscontra in Manil 4,575 (ma si veda anche Plaut Bacch 1020), appartiene soprattutto al vocabolario patristico, probabilmente per influsso della lingua biblica, per cui cfr Itala deut 13,11 (cod. Lugd ) facere secundum uer­ bum malignum hoc in uobis; Vulg III Ioh 10 propter hoc si υenero commoneam eius opera quae facit υerbis malignis garriens in nos (gr διὰ τοῦτο, ἐὰν ἔλθω, ὑπομνήσω αὐτοῦ τὰ ἔργα ἃ ποιεῖ λόγοις πονηροῖς φλυαρῶν ἡμᾶς) L’aggettivo malignus nell’uso cristiano connota ciò che si allontana dalla volontà di Dio e che dunque è ingiusto, empio (ThlL VIII 185,9 ss ); per altre occorrenze nella parafrasi si veda infra, nota al v  285 cum fraude Il termine fraus, di ampio impiego poetico, anche altrove dà al poeta l’occasione di caricare di sfumature negative situazioni e personaggi: in 1,693, parafrasi di Matth 7,15, Gesù mette in guardia dai falsi profeti che vengono in vesti di agnelli, ma nascondono ‘con l’inganno’ cuori di lupi; in 2,434 (~ Matth 10,5) sempre Gesù avverte i discepoli delle vie ‘ingannevoli’ dei Samaritani Di contro, l’essere privi di questa astuzia è una dote positiva; così in 2,112 Natanaele è definito come un uomo dalla virtù pura, senza inganno (uir … cui pectora nescia falsi / uirtutem puram seruant sine fraude maligna) In relazione al luogo matteano, cfr Hier in Matth 22,17 (CCL 57, p  203): blanda et frau­

84

Commento

dulenta interrogatio illuc prouocat respondentem ut magis Deum quam Caesarem timeat et dicat non debere tributa solui, ut statim audientes Herodiani seditionis contra Romanos principem teneant («la domanda, lusinghiera e ingannevole, vuole spingerlo a dire che egli teme Dio più di Cesare, e che non si deve pagare il tributo, cosicché gli erodiani, nel sentirlo, subito lo prendano come capo della loro rivolta contro i Romani») Per lo stilema cum fraude, sempre al quinto piede, cfr Ov met 15,766; Stat Theb. 3,616; 6,894; Sil 7,403 3 certum … ueridicum … magistrum Queste tre parole, opportunamente collocate a inizio, a metà (prima della cesura pentemimere) e a fine di verso, sono in omeoteleuto certum est Come notato da Heinsdorff, p  147, che ne offre una dettagliata rassegna, la costruzione impersonale certum est + infinito ricorre in Giovenco complessivamente otto volte in diverse posizioni metriche, ma soltanto qui è a inizio di verso Talvolta, come in questo caso (~ Matth 22,16 scimus, quia uerax es) e, nel libro quarto, ancora al v  342 (nam quic­ quid poscis, certum est tibi posse uenire ~ Ioh 11,22 nunc scio quia, quaecumque poposceris a deo, dabit tibi deus) ad essa corrisponde nell’ipotesto una proposizione dichiarativa o un’infinitiva; talaltra invece è priva di riferimenti, come in 4,253, ove la copula precede la forma aggettivale (namque est certum, potiora mereri ~ Matth 25,29) e 282 s (fratribus ista meis … / qui fecit, certum est dulcem mihi ponere fructum ~ Matth 25,40) In inci­ pit essa è spesso utilizzata dai poeti precedenti (Plaut Amph 786; Asin 613; Aul 681; Cas  448 522; Mil 303 485; Pseud. 590; Verg ecl 10,52; Stat silv 4,4,26) In questo caso si potrebbe vedere nell’esordio del discorso una leggera vena ironica, adombrata anche dalle successive esagerazioni, che danno alle parole dei farisei un tono di finta lusinga ueridicum L’aggettivo composto è usato dal poeta anche in 2,275 (le parole della donna della Samaria) e 610 (le parole di Gesù) La prima attestazione poetica si trova in Lucr 6,6 ueridico … ex ore e 6,24 ueridicis … dictis, sempre in riferimento agli insegnamenti di Epicuro Il termine appartiene al vocabolario religioso della lingua latina e spesso connota personaggi e fatti legati al mondo delle divinità o le divinità stesse (Catull 64,326 ueridicum oraclum; Liv 1,7,10 ueridica interpres deum; Sen Ag 255 famula ueridici dei; Auson ephem 3,35 ueridicis aetas praedicta prophetis) Interessante notare che l’aggettivo sostantivato ueridicus diventa, presso gli scrittori cristiani, un comune appellativo per indicare Dio (Blaise, p  842) magistrum Il termine magister ricorre quindici volte (tra il secondo e il quarto libro), ed è sempre in clausola Nell’uso del vocabolo Giovenco non si comporta sempre alla stessa ma-

Commento

85

niera; lo sostituisce all’evangelico rabbi in 2,120 (~ Ioh 1,49) e 4,60 (~ Matth 23,7); a doctor in 2,205 (~ Ioh 3,10); oppure lo riprende dall’originale, sia pure con qualche mutamento nella flessione (come già nel verso in esame): 2,475 (~ Matth 10,24); 477 (~ Matth 10,25); 4,62 (~ Matth 23,8); 359 (~ Ioh 11,28) In altri casi invece manca un referente nei Vangeli: 2,249 (~ Ioh 4,8); 2,295 (~ Ioh 4,27); 2,306 (~ Ioh 4,33); 4,425 (~ Matth 26,15); 433 (~ Matth 26,18?); 476 (~ Matth 26,35); in un solo caso poi il sostantivo è inserito all’intero di un verso che è un’aggiunta con funzione di raccordo (2,526) La clausola uenisse magistrum si trova identica in 4,359 4 nec quemquam metuens Giovenco applica qui la tecnica parafrastica dell’abbreviazione; tronca uno dei due membri del Vangelo, rinunciando – forse a scapito di una maggiore incisività – alla frase idiomatica di origine semitica che si legge in Matth 22,16 non enim respicis personas hominum (gr οὐ γὰρ βλέπεις εἰς πρόσωπον ἀνθρώπων, «non guardi in faccia a nessuno») Per nec quisquam in epica cfr Enn ann 211 Skutsch; Lucr 3,966; Verg Aen 7,703; Sil 16,301; alta è la frequenza in Giovenco (1,475 542 nec … cuiquam; 2,48 414 nec … cuiquam 536 553 643; 3,219 340 407 608; 4,4 125 534); tale forma deriva direttamente dall’ipotesto biblico in 2,48 (Marc 5,4) e 643 (Ioh 5,22) uestigia seruas Cfr Verg Aen 2,711 seruet uestigia coniunx (di Creusa che deve seguire Enea nella fuga da Troia) Il riecheggiamento virgiliano pare assumere una maggiore pregnanza allusiva al v  539 (su cui cfr infra, nota ad loc ) 5 an liceat Cfr 2,587 e 3,465; con anastrofe è in Mart 5,41,7 La congiunzione an è sempre in apertura di verso (1,300; 2,191 515; 3,326 682; 4,528), tranne che a 2,587; 3,465 e 4,5, dove forma la prima sillaba lunga del 2o piede nostrae … genti Poinsotte, p  202, e nn 782; 783 e 784, analizza le diverse occorrenze di gens nel poema: nei Vangeli il termine indica i pagani, i gentili e non è mai riferito alla tribù d’Israele; anche presso gli scrittori cristiani vi è una sostanziale distinzione tra gentes e Iudaei (ThlL VI 1853,51 ss ); negli Euangeliorum libri il plurale ha la stessa accezione biblica, designa cioè in generale i popoli della terra, mentre il singolare rappresenta sempre i Giudei, con una valenza chiaramente negativa, a segnare cioè una opposizione rispetto ai seguaci di Cristo 5–6 dissoluere … / … tributum Il nesso, qui valorizzato dall’iperbato in enjambement, è a 3,395 (dissolue tributum) in un contesto analogo: a Pietro, provocato dagli esattori delle tasse, Gesù ordina di pagare la

86

Commento

didrakme per il tempio Dissoluo è generalmente utilizzato in rapporto al pagamento di denaro, specie per i debiti (Cic Verr 4,174; Caes civ 1,87,1) In riferimento al tributum cfr Ennod epist 1,6,5; Greg Tur vit. Patr 2,1 e ThlL V2 1501,5 ss 6 Caesaris urgentis semper sub lege tributum L’omeottoto, l’allitterazione e l’avverbio temporale esprimono fonicamente e semanticamente il senso di oppressione da parte del potere statale; i farisei, con una certa dose di autocommiserazione, portano il discorso sulla durezza dell’imposizione, con lo scopo di influenzare la risposta di Gesù L’espressione sub lege, che si ritrova al singolare anche in altri autori sia classici sia tardolatini (Ov hal 33; Sen benef 3,19,2; Ambrosiast in Rom 1,6; Aug lib. arb 1,106) e che qui rinvia chiaramente alla legge mosaica, appartiene al lessico giuridico (Colombi, Preposizioni, p  20) La clausola sub lege tributum, identica in 4,12 sempre nel contesto di questa pericope biblica, deriva da Manil 2,111 mitto quod aequali nihil est sub lege tributum Nella traduzione si può assegnare al sintagma una sfumatura causale o modale, come intendono Knappitsch, IV, p  5 («auf Grund des Gesetzes») e Castillo Bejarano, p  199 («de acuerdo con la ley»), oppure un valore strumentale (‘per mezzo di’), come nelle due seriori attestazioni in Sev Malac 9,354 361, confrontabili con questo verso (anche lì si parla della legge mosaica a proposito però di Matth 22,23–33) Per questa accezione di sub, cfr Kievits, p  128, e l’Index di Huemer, p  172 7 ille sed inspiciens Il primo emistichio è uguale a 2,353 ille sed inspiciens, quid pectora clausa tenerent / … in­ quit (cfr Sen benef 6,38,5 se quisque consulat et in secretum pectoris sui redeat et inspiciat, quid tacitus optauerit), detto ancora del Signore che scruta l’animo dei farisei Nella versione giovenchiana Cristo non si limita a intuire l’imbroglio dei suoi interlocutori, ma entra nel segreto dei loro cuori, mettendone a nudo la doppiezza Poinsotte, p  178, parla in proposito di «pénétration surnaturelle» e cita altri casi in cui, con verbi diversi ma altrettanto incisivi, Giovenco rende lo stesso concetto: 2,599 (talia perspiciens procerum molimina Christus); 610 (Christus / … aperit conuincens pectora); 3,223 (sed Christus cernens fallacia pectora fatur); ai quali si possono aggiungere 2,84 (Christus … pectora talia cernens ~ Matth 9,4 cum uidisset Iesus cogitationes eorum; 308 (ille sed inter­ nae cernens molimina mentis ~ Ioh 4,34 dicit illis Iesus) e 393 (credentia pectora cernens ~ Matth 9,22 at ille conuersus uidens eam dixit) Questa prerogativa di Gesù, come osserva Santorelli, I libri dei Vangeli, p  274, non è esplicitamente menzionata in nessuno dei passi biblici elencati, tranne che nell’ipotesto in questione, rispetto al quale, comunque, la parafrasi risulta molto più efficace sul piano espressivo Nello specifico il verbo inspicio assume questa particolare coloritura metaforica già a partire dalla commedia plautina e poi spesso in Seneca e Agostino (ThlL 1951,73–84 e 1952,1–5)

Commento

87

saeui … cordis La perifrasi, intensificando il biblico nequitia, tratteggia più vigorosamente l’indole malvagia dei farisei; questa caratteristica è impressa dall’aggettivo saeuus, che di frequente ricorre nel poema come attributo di realtà negative: Erode il Grande (1,252) e la sua ferocia (1,267); Erode Antipa (3,40); il demonio (3,180); oppure i tumulti della folla che chiede la crocifissione di Gesù (4,614) penetralia cordis L’impiego metaforico di penetralia nel senso di ‘intimo del cuore, parte riposta della coscienza’ (ThlL X 1063,51–70) ha precedenti poetici in Stat Theb 9,346 animae tota in penetralia sedit e silu 3,5,56 fixam … animi penetralibus imis … tenes; combinazioni con cor sono in Gell 9,9,15 gaudium … in ipso penetrali cordis et animae uigens; Calch comm 224 animae partem potiorem Aristoteles asserit locatam esse in penetralibus cordis; Zeno 1,36,21; 2,3,11 aliud … in labris, aliud in penetralibus cordis La clausola giovenchiana verrà riadottata da Proba cento 11; Damas 50,5 e 60,4 Ferrua; Ps Prosp carm. de prov 916; in altra positio metrica il nesso si incontra poi in Prud ham 542; Prosp epigr 51,5; Paul Petric Mart 6,446 La metafora è cara a Giovenco, che, come annotano Heinsdorff, p  177, e Santorelli, I libri dei Vangeli, p  148, la impiega anche in altri contesti per lo più con il genitivo mentis (1,505 et tua tunc tacitae mentis penetralia tanget; 2,220 quicumque fidem mentis penetralibus altis; 3,539 uos quicumque meum mentis penetralibus altis; 4,43 ad ius fraternum iustae penetralia mentis), come faranno in seguito altri scrittori cristiani quali Paul Nol carm 6,237; Aug c. acad 2,2,3; Paul Pell euch 20; Ps Prosp carm. de prov 419; Paul Petric Mart 1,210; cfr altresì Claud rapt. Pros 1,215 La fortuna cristiana di questa immagine già classica, tesa a dare rilievo alla interiorità, potrebbe essere stata favorita dalla dottrina paolina dell’interior homo (cfr II Cor 4,16; Rom 7,22) poi approfondita da Origene, che rimarca la distinzione tra l’‘uomo interiore’, del quale si può predicare l’essere a immagine di Dio, incorruttibile e spirituale, e l’‘uomo esteriore’, puramente corporale e corruttibile; cfr hom. in Gen 1,13 (GCS 29, p  15,11–14) is autem qui ‘ad imaginem Dei’ factus est, interior homo noster est, inuisibilis et incorporalis et incorruptus atque immortalis. In his enim talibus Dei imago rectius intelligitur L’eventuale spunto interpretativo, derivato dalla interiorizzazione da parte del poeta di concetti largamente diffusi nelle comunità cristiane del suo tempo, rimane in ogni caso solo abbozzato, privo di ulteriori sviluppi esegetici 8 temptatis … concludere Per tempto con l’infinito in funzione di oggetto (LHS, II2, p  346), in poesia attestato già in Lucr 5,659 e Verg Aen 12,104, cfr , sempre in Giovenco, anche 1,113; 2,476; 4,607 concludere uerbis L’espressione ut caperent eum (eum caperent c f; eum captarent d; in sermone eum caperent ff1) in sermone (in sermonem g1 l; uerbo f ff2 d h) di Matth 22,15 lascia una

88

Commento

traccia nella chiusa del v  8 Il testo dell’Itala recepito da Girolamo è una traduzione a calco dell’originale greco ὅπως αὐτὸν παγιδεύσωσιν ἐν λόγῳ, dove il sintagma ἐν + dativo, secondo l’uso tipico del greco tardo, soprattutto neotestamentario, ha funzione strumentale (cfr Debrunner-Scherer, II, p  92; Blass-Debrunner, pp  291 s ) Sulla base del modello greco il ThlL (337,55 ss ) dà al verbo capio il significato di «irretire disputando»; la traduzione è dunque «per irretirlo con / per mezzo di un discorso» In Giovenco claudo ha l’accezione traslata di ‘mettere alle strette’, ‘cogliere in fallo’, attestata anche in altri scrittori cristiani (Hil in Matth 12,6 quos decidentis in foueam ouis conclusit exemplo; Ambr patr 8,35 quo temptantes magis … concluderet; cfr ThlL IV1 74,69 ss ), e corrisponde appunto al biblico capio (Arevalo, p  280; Knappitsch, IV, p  4) L’ablativo uerbis sembra riprodurre il testo dei codd f ff2 d h della VL, che hanno il singolare uerbo In 3,683, aggiunta a Matth 21,25 haec ait ancipiti uerborum pondere claudens / captantum procerum mentem, con un rovesciamento di prospettiva, il verbo è usato invece per le inoppugnabili argomentazioni di Gesù 9 fallaces … fallacia fructum Triplice allitterazione e figura etimologica La posizione incipitaria dell’attributo, parola molossica che completa in rejet il periodo metrico in corrispondenza di tritemimere, con pausa di senso, dà rilevanza alla apostrofe Secondo Poinsotte, pp  178 s , e nn 669, 672 e 673, Giovenco denuncia la falsità dei Giudei mediante vocaboli ed espressioni pleonastiche e ricorrenti: dictis temptando dolosis (2,586); dolosi … captantes … fallacia (3,133 s ); dolosi … temptantes … fallacia pectora (3,221 e 223); fallaces (3,231); dolosi … fallunt (3,241 s ); captantum … fallax (3,684 e 689) Con fallacia, che conta complessivamente cinque occorrenze nel poema, si indica l’ipocrisia dei farisei anche a v  70 mentis prodit … fructum Enfatica la posizione del predicato verbale collocato tra pentemimere ed eftemimere Il verso si rinviene tra gli esempi di prodere in relazione alle opere degli uomini o delle divinità segnalati da Morelli in ThlL X 1628,15 s («prodit qui (quod) quolibet modo efficit, instituit sim ») Una iunctura simile in unione con lo stesso oggetto si leggerà anche nella prosa agostiniana (c. Petil 1,25,27 apertissime fructus suos produnt) Quanto al nesso mentis fructus, potenziato dall’iperbato e riferito traslatamente al pensiero o alle intenzioni, se ne contano attestazioni soprattutto nella successiva prosa latina cristiana (Salv gub 4,1 fides autem fructus est mentis; Apon 8, p  169 illa procul dubio beata est anima in grege Christi quae non inanibus uerbis compta hominibus gestit uideri, sed fructus mentis, sancto Spiritu seminante, generat Deo) 10 inspicite in nummum Come osserva Colombi, Preposizioni, pp  13 s , la costruzione del verbo inspicio con in + accusativo, tipica del linguaggio parlato e presente, non a caso, in Plauto e Terenzio, non conosce altre attestazioni letterarie se non nel latino tardo

Commento

89

nomismatis Nomisma è qui metonimicamente l’immagine riprodotta sul tondello della moneta, come in Prud perist 2,95 s en Caesar agnoscit suum / nomisma nummis inditum («ed ecco, Cesare riconosce la sua effigie incisa sulle monete») Calco del gr νόμισμα (OLD, s. v., p  1187), la parola è molto rara nella poesia latina classica, dove occorre in Orazio (epist 2,1,134) e Marziale (1,11,1 26,3; 8,78,9; 9,31,7; 12,62,11); nel latino tardo essa allude per lo più a conii rari e stranieri La presenza di tali grecismi nelle prime versioni bibliche conferma la scrupolosità dei traduttori latini (Rönsch, p  243; Mohrmann, Études, III, p  190) 11 Caesaris … facile est … cernere uultum Come il 6 anche questo verso si apre con il genitivo Caesaris (qui allitterante con il verbo) e si chiude con un accusativo; questo tipo di costruzione con un genitivo all’inizio e il termine che esso specifica alla fine dell’esametro è presente 17 volte in Giovenco; un altro esempio nel quarto libro è il v  612 latronis … uitam; cfr Widmann, p  70 La clausola, che in 4,85 è riferita al volto di Gesù, si leggerà anche in Paul Nol carm 17,76; Sedul carm. pasch 5,237; Ven Fort carm 10,12B,3 Alcuni testimoni esibiscono la variante promptum (il solo B legge certum); la lez facile, oltre che meglio attestata e adeguata al contesto, trova anche conforto in Iuvenc 4,146 cerni facile est 12–13 Appare degna di nota la ricercata struttura di questi due versi: in entrambi gli accusativi tributum e honorem sono posizionati in clausola; i destinatari dell’azione (illi e Deo) in sedi metriche significative, rispettivamente in corrispondenza di cesura pentemimere e tritemimere; il medesimo trattamento è riservato agli aggettivi propria (eftemimere) e proprium (pentemimere) in poliptoto come lege e legis Il poeta accentua il parallelismo sintattico dell’originale e l’antitesi tra Cesare e Dio, dando corpo alle prerogative che spettano a ciascuno Questa polarizzazione è marcata anche dal passaggio dall’imperativo soluite al congiuntivo esortativo seruemus: l’uso della 1ª persona plurale coinvolge così scrittore e lettore nell’esortazione spirituale; su questo espediente, spesso adoperato dai parafrasti del NT per passaggi biblici particolarmente importanti sul piano morale, si sofferma Roberts, Biblical Epic, pp  170 s 13 seruemus honorem L’espressione è influenzata dalla chiusa di Verg Aen 5,601 patrium seruauit honorem, dove si parla di una gara di corsa; c’è anche un richiamo interno a 2,689 Moyses, quem fidei nullo seruastis honore

90

Commento

14–37 La donna dai sette mariti e la risurrezione dei morti. Questa nuova e più ampia sezione, sviluppata secondo il racconto di Matth 22,23–33, segue la disputa dottrinale tra Gesù e i sadducei sul tema della risurrezione dei morti 14–28 I versi riprendono Matth 22,23–28: 23 In illa die accesserunt ad eum Sadducaei, qui dicunt non esse resurrectionem, et interrogauerunt eum 24 dicentes: Magister, Moyses dixit: si quis mortuus fuerit non habens filium, ut ducat frater eius uxorem illius et suscitet semen fratri suo 25 Erant autem apud nos septem fratres, et primus uxore ducta defunctus est semen non habens; reliquit uxorem suam fratri suo. 26 Similiter secundus et tertius usque ad septimum 27 Nouissime autem omnium et mulier defuncta est 28 In resurrectione autem cuius erit uxor? Septem enim habuerunt eam («In quel giorno si recarono da lui i sadducei, i quali negano che vi sia la risurrezione, e lo interrogarono: Maestro, Mosè ha detto: Se qualcuno muore senza figli, suo fratello ne sposi la moglie e generi una discendenza a suo fratello Presso di noi c’erano sette fratelli, e il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli e lasciò la moglie a suo fratello Allo stesso modo, il secondo e il terzo, fino al settimo Ultima fra tutti morì anche la donna Alla risurrezione di chi sarà moglie? Poiché l’hanno avuta tutti e sette») Del primo versetto matteano il poeta elimina la determinazione temporale (in illa die) e la notizia di cultura giudaica (riportata da tutti e tre i sinottici) sul fatto che i sadducei non credessero nella risurrezione Le secche voci verbali della prosa evangelica, accesserunt e interrogauerunt, sono condensate in un’unica, suggestiva immagine, latratibus urgent, e la domanda posta a Gesù si apre senza l’apostrofe magister presente nell’originale (Matth 22,24) La citazione veterotestamentaria di deut 25,5–6, che occupa il versetto 24, si dilata in ben cinque versi nella riscrittura metrica (15–19), ed è resa sul piano sintattico mediante la subordinazione: al v  15 Giovenco offre di Mosè (Moyses  ~ Iuvenc Moysea) un’informazione assente nell’ipotesto (qui legum posuit praecepta) e rende il dixit evangelico con un più forte iubere, che ferma l’attenzione sul valore iussivo della Legge mosaica; il v   16 parafrasa, ampliandola, la protasi del modello (si quis ~ Iuvenc si quis; mortuus fuerit ~ properata morte), ed è aggiunto il particolare conubium … relinquet All’essenziale locuzione non habens filios corrisponde un intero verso, il 17 (pignoribus mediis nondum de germine cretis); la completiva (ut ducat frater eius uxorem illius) è resa in maniera libera ai vv  18 s ; il v  19 (generis pereat ne portio lapsi) spiega il senso della pratica del levirato, cioè la perpetuazione della stirpe Il primo stico del versetto 25 è conservato quasi alla lettera: apud nos diventa finibus in nostris e il prosastico septem fratres acquista la coloritura poetica dell’espressione septem germana … / corpora Il sintagma uxore ducta della seconda parte del versetto è mutato in uincula nuptae / sumpsit, vv  21 s , e l’asciutto defunctus est in una elegante espansione parafrastica (praeceleri cecidit sub acumine mortis); primus rimane ma come complemento predicativo; maior e mox costituiscono delle aggiunte; il significato di

Commento

91

semen non habens viene recuperato al v  23 attraverso l’analoga immagine metaforica dei frutti; dell’ultimo stico (reliquit uxorem suam fratri suo), probabilmente percepito come non necessario ai fini della comprensione del passo, non resta traccia I vv  23–25 sono una riscrittura estremamente libera ed elaborata dello scarno versetto 26, ellittico del verbo; l’intenzione di conferire più pathos al racconto spiega la nota del v  25 (una sola sposa pianse tutti e sette i mariti) In ossequio al principio della varietas al v  26 Giovenco rielabora con tratti più vividi e con il supporto di reminiscenze classiche Matth 22,27: nouissime autem omnium si restringe in post; mulier è reso dal pronome ipsam e il soggetto è inclementia mortis La domanda finale dei sadducei (versetto 28) si estende in due esametri: tutto il v  27 si uenient igitur cuncti sub limina uitae e il futuro resurget del verso successivo si configurano come una lunga perifrasi di in resurrectione; al v  28 cuius conubiis … reddenda sostituisce il più colloquiale cuius erit de septem e mu­ lier il termine uxor Manca l’ultimo periodo del versetto 14 post In funzione avverbiale anche a 1,177 430; 2,797; 3,396 697 699 730 742; 4,23 26 220 464 (in 3,114 è variante minoritaria, pertanto ricusata, di mox); con valore di preposizione a 1,475; 2,173 414 515 521 583; 3,589 733; 4,454 588 Nel poema 9 volte su 23 il monosillabo è a inizio di esametro (1,430; 3,699 733 742; 4,14 23 26; 4,454 464) Sadducaei hinc Si verifica lo iato alla semiquinaria (Kievits, p  8) La sillaba iniziale di latratibus, solitamente lunga, deve quindi ritenersi breve (cfr ThlL VII 1011,85 ss ); la stessa misurazione si incontra successivamente in Cypr Gall exod 345; Paul Petric Mart 5,247 325; Alc Avit carm 4,501 È invece meno verisimile che si tratti di una sinalefe, che comporterebbe un improbabile trattamento spondaico di inde Il termine Sadducaei ricorre tre volte in Giovenco (a 3,221 e 241 in coppia con Pharisaei) hinc inde latratibus urgent I due avverbi appaiati (cfr anche 1,321; 2,28; 3,133 493; 4,668) rendono bene l’idea di ‘accerchiamento’, mentre latratibus evoca l’immagine dei cani che incalzano la preda Il termine latratus e il verbo corradicale, traslatamente applicati alle urla degli oratori nel foro e al loro impeto nelle arringhe (Hor sat 2,1,84 s ; Ov Ib. 232 con il commento di La Penna, p  47), troveranno presso gli scrittori ecclesiastici ampio impiego nelle controversie teologiche, soprattutto nell’omiletica e nella trattatistica, in riferimento a eresie o a comportamenti contrari all’etica e alla dottrina (ThlL VII2 1012,50 ss ) 15 Moysea Alla variante ortografica Mosea di C R1 B Bb H1 è preferibile la forma dittongata del resto della tradizione, calco del gr Μωυσῆς, concordemente tràdita dai codd per le altre occorrenze del nome nel poema Incertezze si riscontrano nella stessa tradizione ma-

92

Commento

noscritta della VL e della Vulgata Le due forme alternative sono segnalate da Girolamo (nom hebr. p  14, 1 Lagarde Moyses vel Moses) e si registrano nei Padri latini anteriori, sebbene Moyses sia prevalente Il poeta valuta oy come dittongo sia qui sia in 2,689 e 3,473, sempre a inizio di verso; il nome riceve lo stesso trattamento prosodico in Iuv 14,102; Paul Nol carm 6,214; 22,39 154; 27,517; 31,363; Sedul carm. pasch 4,168; 5,274; Cypr Gall num 498 514 A 1,185; 2,691; 3,324 Giovenco ha la forma trisillabica Mŏўses, successivamente documentata in altri poeti cristiani (Paul Nol carm 6,166; 26,36 94 219; Cypr Gall exod 752 1035; Sedul carm. pasch 3,208; Ven Fort carm 5,5,33), mentre a 2,218 la forma Mōўses, ripresa poi da Alc Avit carm 5,218 In alcuni poeti si trova anche Mŏȳses (Prud apoth 51; ham 339; Sedul carm. pasch 3,285) qui legum posuit praecepta L’inserimento di questo inciso ha anche una funzione didascalica, serve cioè a ricordare al pubblico romano il ruolo di Mosè come nomoteta Un analogo riferimento si trova in 1,185 (~ Luc 2,22), 2,691 (~ Ioh 5,46) e 3,473 (~ Matth 19,8), dove però la parafrasi ha un puntuale riscontro nell’ipotesto Su questa caratteristica del patriarca porrà l’accento anche Nonno di Panopoli in due passaggi della sua parafrasi del vangelo di Giovanni (5,174–176 ὑμέας ἐν γραφίδεσσι κατήγορος ἄλλος ἐλέγχει, / Μωσῆς θεσμοθέτης πρωτόθροος, ᾧ ἔπι μούνῳ / ἐλπίδες ὑμείων θεοπειθέες e 9,144–145 ἡμεῖς γὰρ προτέροιο θεουδέος ἐσμὲν ἑταῖροι  / θεσμοτόκου Μωσῆος ὑποδρηστῆρες ἰωῆς) Per il nesso legum … praecepta, che appartiene al linguaggio biblico e cristiano, cfr ancora Iuvenc 1,7 548 legis praecepta 16 conubium … relinquet Huemer preferisce giustamente la lez conubium di C alla variante coniugium, esibita dalla maggior parte dei testimoni e ritenuta genuina da Hansson, pp  103 s : non pone alcun problema l’abbreviamento di u (conŭbium), ampiamente attestato in poesia (Müller, pp   302 s ; ThlL IV 814,49 ss ), e da Giovenco praticato ancora a 2,276; 3,47 e 4,28, dove peraltro conubiis è lez maggioritaria rispetto a coniugiis di pochi codd Il fatto che Giovenco usi altrove conubium sempre al plurale (1,531; 2,127 276; 3,47; 4,28) e coniugium al singolare (1,139 e 2,273) non ha peso eccessivo per la costituzione del testo; conubium si fa preferire, in mancanza di appigli più solidi, proprio per il carattere di maggiore rarità del singolare, documentato nella poesia latina soltanto in Catull 62,57 e Stat Theb 1,69; la parola, inoltre, è qui metonimia per uxor, come in Verg Aen  9,600 e Stat Theb 3,578 s (liquere … dilectaque laeti / conubia), su cui è esemplato il sintagma giovenchiano; nel brano di Matteo uxor e mulier compaiono rispettivamente quattro volte e una, il poeta, viceversa, variega il lessico sia nelle riprese dirette sia nelle aggiunte: conubium (v  16), nuptae (v  21), maritae (v  25), ipsam (v  26), mulier (v  28)

Commento

93

properata morte È un nesso assai frequente negli autori classici per esprimere l’idea di ‘morte improvvisa’: in aggiunta al luogo di Verg Aen 9,401 et pulchram properet per uolnera mortem, segnalato da Huemer in apparato, si possono citare Ov trist 3,3,34 mors properata; Quint inst 10,1,115 properata mors; oltre poi ad alcune iscrizioni funebri di epoca tarda che ne dimostrano la valenza ormai topica (CLE 1260,3; 1402,8; 1550b,2) L’intero emistichio è riutilizzato con leggere modifiche da Ausonio al v  3 del De herediolo (properata morte reliquit) 17 pignoribus mediis … cretis Sostantivo e participio, in omeoteleuto con mediis, segnano gli estremi dell’esametro Nella letteratura latina pignus, che appartiene alla terminologia giuridica, acquista una sfumatura allativa per indicare le persone care, soprattutto i figli (Prop 4,11,69; Ov. met 11,542; Stat silv 2,1,86 ; Nemes cyn 64), forse, come spiega Ottink, ThlL X 2125,34 s , «quia homines eis amandis constringuntur, maxime parentes, qui communi pignore nexum confirmant» Più che avere una sfumatura temporale (‘nel frattempo’), l’aggettivo medius, delimitato da tritemimere e pentemimere, sembra qui alludere alla condivisione di una prole comune, che costituisce il legame tra moglie e marito de germine cretis Un ristrettissimo numero di testimoni (M L T) tramanda la variante semine, che potrebbe trovare riscontro nelle clausole di Ov met 15,760 (semine cretus) e dello stesso Iuvenc 4,242 (semine cretas) Va tuttavia preferita la lez germine, che è molto meglio attestata: si veda poi la successiva ripresa clausolare di Cypr Gall gen 694 s patris nam germine creta / Sarra fuit Crescere con ablativo di origine (ThlL IV 1184,27 ss ) è anche a 3,639 18 sociabile uinclum Sociabilis («that is easily joined in partnership […] close, intimate», OLD, s. v., p  1777) è aggettivo piuttosto raro e di uso prosastico, come mostrano le poche attestazioni precedenti (Liv 48,8,12 sociabilem consortionem inter binos Lacedaemoniorum reges; Sen epist 95,2 haec nobis amorem indidit mutuum et sociabiles fecit; Plin nat 16,225 eadem e cunctis maxime sociabilis glutino); una seriore testimonianza poetica è in Ven Fort Mart 2,459 coetibus angelicis sociabilis et patriarchis Più consueto in poesia a proposito delle nozze e del vincolo coniugale è invece l’affine socialis, largamente utilizzato nelle opere ovidiane (per es , am 3,11,45 lecti socialia iura e met 14,380 socialia foedera) e poi presente in un passo di Agostino sul matrimonio all’interno di un sintagma molto simile a quello giovenchiano (bon. coniug 7,7 illud sociale uinculum coniugum)

94

Commento

19 pereat ne portio Anastrofe e allitterazione Portio, raramente attestato nella poesia classica, in tutte le quindici ricorrenze è sempre in caso nominativo e costituisce sempre il dattilo in quinta sede; è seguito da un genitivo in sette casi: 1,518 p. nummi; 2,454 p. uitae; 3,188 p. men­ sae; 564 p. lucis; 578 p. saluae; 4,19 p. lapsi; 232 p. nummi; 250 p. nostri generis … lapsi In questo caso il participio potrebbe avere valore attributivo (il ThlL VII 783,56 s propone un raffronto con Verg georg 4,249 generis lapsi sarcire ruinas) oppure, e il senso complessivo orienta piuttosto verso tale direzione, sostantivato (si veda Sil 16,42) In ogni caso labor ha qui il significato di ‘morire’, comune nella letteratura latina (Val Max 5,2 ext 4; Val Fl 5,3; Stat Theb 1,632) 20–21 finibus in nostris septem germana fuerunt / corpora L’incipit della storia riproduce la semplicità del testo biblico ma con accresciuta espressività Il luogo e il tempo del racconto sono legati dall’allitterazione finibus … fuerunt; il sintagma preposizionale in anastrofe occupa il primo emistichio, il verbo al perfetto chiude il secondo I protagonisti della vicenda, i sette fratelli, presentati con il numerale septem, tra pentemimere ed eftemimere, occupano in enjambement anche l’inizio del verso successivo, corpora Il nome proprio o comune e l’indicazione di luogo sono elementi ricorrenti nell’incipit dell’αἶνος (Norden, p  369, n  1) e sfruttati da Giovenco nella ripresa di alcuni episodi biblici già dall’esordio del poema (1,1 s rex fuit Hero­ des Iudaea in gente cruentus, / sub quo seruator), che secondo Donnini, Allitterazioni, pp  142 s , si colora di una atmosfera fiabesca Questa scelta mira evidentemente a far presa sul lettore, a rendere più fascinosa la narratio e a tenere desta l’attenzione sull’argomento germana … / corpora Cfr 2,729 s mecum germana residunt  / corpora, con uguale sistemazione metrica dei termini Qui corpus è nell’accezione di ‘persona’, ‘individuo’ (ThlL IV2 1017,15 s ) 20 finibus in nostris Forse un riecheggiamento di Verg Aen 4,211–214 femina, quae nostris errans in finibus urbem / exiguam pretio posuit, cui litus arandum / cuique loci leges dedimus, conubia no­ stra / reppulit ac dominum Aenean in regna recepit, suggerito per una mera associazione di idee dal tema nuziale, nel passo eneadico legato al rifiuto di Didone di sposare Iarba Lo stesso incipit giovenchiano ritorna in Paul Nol carm 19,382 e Coripp Ioh 3,65 21 maior primus Una concordanza a senso, quasi una sillepsi del genere, in quanto il referente è chiaramente il maschile fratres della Vorlage biblica e non il neutro germana corpora della

Commento

95

versione poetica L’uso del comparativo (maior) in luogo del superlativo è attestato nel latino tardoantico e biblico (ThlL VIII 141,66 ss ) mox Nell’accezione di ubi primum o simulatque, tipica degli scrittori tardi (Löfstedt, Pere­ grinatio Aetheriae, pp  289 s ; LHS, p  637), l’avverbio è anche in 1,384 398; 2,816 ed è sempre accompagnato dal perfetto, secondo una tendenza del latino biblico dell’Itala (gen 32,32; exod 31,18; 34,33; II Macc 1,15; Ps Cypr adv. Iud 5), tranne che nel luogo del secondo libro, dove è seguito dal futuro anteriore (vd Petschenig, Latinität, p  267) uincula nuptae È una uariatio rispetto a thalamorum uincula di 2,277 e 3,737 e a coniugium di 2,273 Riecheggia nelle parole di Giovenco la concezione cristiana dell’unione coniugale intesa come ‘vincolo, legame’, risalente già agli scritti neotestamentarii: cfr Rom 7,2 nam quae sub uiro est mulier, uiuenti uiro alligata est lege; I Cor 7,39 mulier alligata est, quanto tem­ pore uir eius uiuit Il motivo sarà poi sviluppato nella riflessione teologica agostiniana 22–27 Alla scarna elencazione dell’ipotesto, Giovenco contrappone una versificazione più ricca: la successione degli eventi luttuosi è sottolineata dall’anafora di post (vv  23 e 26) e dall’epifora di mortis (vv  22 e 26) Il poliptoto cuncti (v  24) / cunctos (v  25), rinvigorito dall’anafora di et, che precede le due forme pronominali poste nelle stesse sedi esametriche dei due versi consecutivi, si concentra sulla comune sorte toccata a tutti i fratelli; l’accostamento antitetico unius – cunctos (v  25) insiste invece sull’aspetto provocatorio della domanda: una sola moglie per sette uomini A v  22 il pattern dattilico dopo l’iniziale sumpsit, che prolunga in rejet il periodo metrico del verso precedente, concorre con l’aggettivo praeceleri a dare l’idea della morte prematura del secondo marito; non sfugga la ben architettata struttura di questo verso, in cui il predicato verbale cecidit è bilanciato in posizione mediana tra pentemimere ed eftemimere Il dolore della donna per i compianti mariti è reso dall’omeoteleuto iacuere (v  24) / gemuere (v  25), che determina anche un musicale effetto di rima Un analogo espediente stilistico si realizza con maritae (v  25) / uitae (v  27) 22 praeceleri cecidit sub acumine mortis Cadere sub, seguito dall’ablativo, ha il significato di ‘morire per mano o per mezzo di …’, e la preposizione ha valore strumentale: cfr Svet Otho 5,1 in foro sub credito­ ribus; Drac satisf 131 nemo cadet  … sub morte cruenta; ThlL III 24,43 La locuzione clausolare, di probabile conio giovenchiano (ThlL I 459,39), sembra modellata sulla giuntura m. aculeus di I Cor 15,55 56, che è invece presente in altri scrittori cristiani (Tert resurr. 51,30; Ambr fug. saec 9,57; Hier epist 36,8; Aug civ 13,5; 20,17) Se acumen è parola poetica e all’ablativo è di casa in Ovidio sempre in questa posizione esametri-

96

Commento

ca, l’epiteto che lo accompagna vede in poesia una sola altra attestazione in un luogo di Stazio (Theb 6,550 s uiros … cursu / praeceleres), dove, nel contesto dei giochi Nemei, qualifica i guerrieri più veloci nella corsa, presentati nell’elenco dei versi successivi È necessario un segno interpuntivo a chiusura dell’esametro per isolare il periodo da quello seguente 23 thalamis Proprio della Dichtersprache, il termine thalamus passerà successivamente nella lingua parlata (Ernout-Meillet, p  690) Giovenco lo usa anche a 1,5 136; 2,127 277; 3,44 477 481 737 741 757 764; 4,32 sine fructibus Lo stilema è nella stessa sede esametrica anche in 4,235 e Carm adv. Marc 4,101 La metafora fructus = ‘figli’ è piuttosto ricorrente nella letteratura latina cristiana (ThlL VI 1386,26 ss ) Per quanto il termine sia piuttosto generico, va comunque notato in proposito che di frutti parla già Origene nel commento esegetico ai versetti di Matteo (in Matth. 17,30 [GCS 10, p  673,2–6] ζητητέον οὖν ἐν αὐτῷ τίς ἡ μία γυνή καὶ τίνες οἱ δύο ἄνδρες οἱ ἀλλήλων ἀδελφοί, πρότερον μὲν γαμῶν ὁ ἔτερος τὴν γυναῖκα οὐ καρποφορῶν δὲ ἐξ αὐτῆς con l’anonima traduzione latina quaero ergo, quae sit haec mulier una et qui duo fratres, quorum primus quidem habuit uxorem et fructum non reliquit ex ea) 24 iacuere Nel senso di «morirono» (cfr ThlL VII1 16,35 s ) Per i verbi che indicano la morte viene attivata un’accurata uariatio sinonimica: cecidit (v  22), concidit e iacuere (v  24), rapuit … inclementia mortis (v  26) ex ordine Con sfumatura temporale 25 unius … maritae Lo stico è incorniciato dalla traiectio Giovenco tende ad abbreviare la penultima sillaba di alcune forme pronominali, quando queste si trovano a inizio di verso, secondo una consuetudine tipica dei precedenti poeti epici o esametrici in generale: unius (1,407 626; 2,686; 3,413 554; 4,25), illius (1,127 342; 2,221 708; 4,748), istius (1,23 211; 3,377 401); nel caso di alterius ciò si verifica invece non soltanto al primo piede (1,275 661 663) In tali forme la i viene normalmente considerata lunga in tutte le altre posizioni esametriche; cfr al riguardo Kievits, p  40

Commento

97

fletus gemuere Insolita combinazione sintagmatica con fletus in funzione di soggetto (ThlL VI 1761,50 s ) 26 ipsam rapuit gelidae inclementia mortis È una citazione, con lieve modifica, di Verg georg 3,68 rapit inclementia mortis (luogo ripreso anche da Proba al v  262 del suo centone nella serie di maledizioni di Dio contro Adamo), dove, nel contesto dei precetti sull’accoppiamento del bestiame, il Mantovano riflette sulla caducità delle creature mortali Si tratta di una nonreferential allusion, per usare la terminologia di McGill, in quanto, al di là delle convergenze sulla riproduzione prima della morte, tra il testo imitato e quello ricettore vi sono differenze che «demand that reader not activate the content of the source text and, in fact, that he separate Juvencus’ subject matter from Virgil’s» (p 237) Al prelievo virgiliano si mescola quello di Ov am 2,9,41 somnus gelidae … mortis imago e met 15,153 O genus attonitum gelidae formidine mortis, dove la posizione metrica di aggettivo e sostantivo è la stessa del verso giovenchiano 27 sub limina uitae Quella delle ‘soglie della vita’ è un’immagine poetica classica, di cui si hanno esempi già nei poemi omerici (Il 22,60 ἐπὶ γήραος οὐδῷ) Per le attestazioni latine cfr Lucr  3,681 tum cum gignimur et uitae cum limen inimus; Sen Herc. f 1133 s quas in primo limine uitae / scelus oppressit patriusque furor; Lucan 2,106 nec primo in limine uitae / infantis miseri nascentia rumpere fata; Stat Theb. 5,260 s semineces pueri trepidas in limine ui­ tae / singultant animas, 5,535 s tune hoc uix prima ad limina uitae / hoste iaces? (la stessa clausola, forse imitata recta via da Giovenco, si ritrova anche a Theb. 7,166 e silv 4,2,13) Giovenco, che anche a 2,652 (lucisque uigens ad limina tendit) e 3,314 (sub limine lucis) propone un motivo assai simile, cristianizza la metafora per rappresentare la seconda vita dopo la risurrezione, un concetto chiaramente estraneo ai modelli pagani da cui essa è tratta 28 cuius conubiis mulier reddenda resurget Le allitterazioni si articolano secondo uno schema binario (AABB), con la collocazione di mulier, che bilancia i due gruppi di membri allitteranti, tra le due cesure principali, pentemimere ed eftemimere Schicho, pp  47 s , ritiene che Giovenco sia in controtendenza rispetto ai poeti esametrici precedenti, i quali, a partire dall’età augustea, tra i sinonimi mulier e femina scelgono il secondo; in Virgilio il rapporto è di 1/10; in Tibullo di 1/6; in Properzio di 5/16; in Marziale di 1/9 (Axelson, pp  53 s ) La preferenza del parafraste per il primo (il rapporto è di 14/9) potrebbe dipendere invece dall’influsso della prosa tardoantica, specie quella biblica, in cui l’uso di mulier è maggioritario (ben 500 casi nella Vulgata)

98

Commento

reddenda resurget In luogo di resurrectio, Giovenco elabora una perifrasi con il verbo corradicale, valorizzata dalla ripresa allitterante del prefisso re- Anche altrove l’oggettiva difficoltà di rendere un concetto tipicamente cristiano come quello di risurrezione spinge il poeta a sostituire il vocabolo della Vorlage con termini alternativi o circonlocuzioni, come accade più avanti a v  31 (namque secunda dehinc laetae reparatio uitae ~ Matth 22,30 in resurrectione enim), oppure a eliminarlo del tutto come a v  35 (~ Matth 22,31) Per altre esemplificazioni, si veda Simonetti Abbolito, Termini tecnici, p  83 L’uso del gerundivo con valore di participio futuro passivo, peculiarità della lingua latina tardoantica (LHS, II, p  394), si rinviene nell’opera giovenchiana ancora a 1,38; 2,638; 4,84 29–37 Continua la parafrasi di Matth 22,29–33: 29 Respondens Iesus ait illis: Erratis nescientes scripturas neque uirtutem Dei. 30 In resurrectione enim neque nubunt neque uxores ducunt, sed sunt sicut angeli in caelo. 31 De resurrectione autem mortuorum non legistis quod dictum est uobis a Deo dicente: 32 Ego sum Deus Abraham et Deus Isaac et Deus Iacob? Non est Deus mortuorum sed uiuentium». 33 Et cum audissent turbae, mirabantur super doctrinam eius («Gesù rispose loro: Siete in errore, poiché non conoscete né le Scritture né la forza di Dio Alla risurrezione infatti non prendono né marito né moglie, ma sono come gli angeli nel cielo Riguardo poi alla risurrezione dei morti non avete letto ciò che vi è stato detto da Dio: Io sono il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Non è il Dio dei morti ma dei viventi E, avendo udito ciò, le folle si stupivano della sua dottrina») Con un’espressione (ollis Christus ait, v  29) formulare (cfr in proposito Santorelli, p  91) Giovenco parafrasa il primo stico del versetto 29: sostituisce Christus al nome Ie­ sus; l’arcaismo ollis al più comune illis; e mantiene ait Nella resa del secondo membro del versetto (vv  29 ss ), l’inizio cioè della replica di Gesù ai sadducei, il poeta moltiplica le sfumature negative per meglio sottolineare l’incapacità dei Giudei di comprendere il senso delle Scritture e di rispettare le leggi di Dio (cfr Poinsotte, p  94, n  304): nella parafrasi il soggetto è mens dura; la locuzione errori obnoxia prauo rende la voce verbale erratis (soggetto sottinteso uos); non c’è nescientes; scripturas e uirtutem cedono il posto a legibus e iussis; Domini sostituisce Dei Il versetto 30 è parafrasato ai vv  31–34, due coppie di versi che compendiano rispettivamente il primo e il secondo segmento del versetto biblico Una nuova perifrasi rende il concetto di risurrezione: reparatio uitae (v  31), che diventa soggetto del primo periodo, con i due aggettivi, secunda e laetae; al v  32 il riferimento alle nozze (neque nubunt neque uxores ducunt) è reso con il termine poetico thalamos (non thalamos nouit), mentre il secondo emistichio (non terrae gaudia uana) è una additio tesa a rimarcare la fondamentale differenza tra la vita terrena, con i suoi piaceri effimeri, e quella eterna I vv  33 s sviluppano con delle amplificazioni la similitudine tra i risorti e gli angeli incorporei: l’avversativa è la stessa, sed; angeli è cambiato in ministris, qualificato da leuibus e specificato da genitoris; il paragone è

Commento

99

introdotto da similes (~ sicut); genitoris … / … uirtus è eco di Matth 22,29 uirtutem Dei; la semplice notazione spaziale in caelo è mutata in regni … sublimis in aula, che propone l’immagine della reggia sospesa nei cieli come sede di Dio e dei suoi angeli La citazione di exod 3,6, introdotta dal versetto 31 e contenuta nel primo stico del versetto successivo, con la menzione dei patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe, è eliminata da Giovenco per la sua tendenza degiudaizzante Viceversa, ai vv  35–37 egli rielabora, con una ricercata espansione parafrastica, il secondo periodo del versetto 32, di cui mantiene solamente Deus, sciogliendo i due genitivi (mortuorum e uiuentium) in altrettante perifrasi (v  36 qui tetram proni meruerunt sumere mortem e v  37 uitae possunt qui prendere lucem) È assente nella parafrasi il versetto 33 29 errori obnoxia prauo L’espressione è esito di Matth 22,29 erratis Simonetti Abbolito, Osservazioni, p   313, nota al riguardo che è «frequente l’esplicitazione di una forma verbale attraverso un sostantivo della stessa radice del verbo, seguito da uno o più aggettivi, talvolta in forma allitterante» L’aggettivo prauus, caro a Orazio e a Silio Italico, meno invece ad altri poeti (Axelson, p  102), è accordato con error anche in 1,597 tua mox largitio soluat / in­ numera indulgens erroris debita praui, in una adiectio del poeta a Matth 6,12 (la preghiera del ‘Padre nostro’) Il vocabolario è quello già classico per indicare in generale ciò che si allontana dalla giustizia e dal bene e in senso più circoscritto le false dottrine religiose e filosofiche (così in Cic Tusc 3,2 Aegyptiorum imbutae mentes prauitatis erroribus); la stessa terminologia viene ereditata poi dalla letteratura cristiana in riferimento ai culti pagani contrapposti alla vera fede (Min Fel 26,8 non desinunt perditi perdere et depraua­ ti errorem prauitatis infundere): il medesimo nesso aggettivale di Giovenco compare a partire da Cipriano (epist 34,1 communicando cum lapsis et offerendo oblationes eorum in prauis erroribus suis frequenter deprehensi, qui per le eresie) Per quanto riguarda lo stilema errori obnoxia, in cui l’attributo, in forza del suo significato (Paul Fest p  191 Müller obnoxius: poenae obligatus ob delictum; Gell 6,17,3 eum dici obnoxium, cui quid ab eo, cui esse obnoxius dicitur, incommodari et noceri potest et qui habeat aliquem noxae, id est culpae suae, conscium), denuncia la consapevole adesione all’errore dei sadducei, si possono rintracciare successive attestazioni sia in prosa (Ambr Abr 1,4,22) sia in poesia (Auson ephem 3,52 con il commento di Green, Ausonius, p  256, che vi riconosce una probabile imitatio di Giovenco) 30 mens dura Il nesso, già impiegato in vari ambiti (militare, erotico) e con significati diversi (indifferenza, rifiuto) dai poeti latini (Catull carm. 60,3 tam mente dura procreauit ac taetra; Prop 1,14,18 illa etiam duris mentibus esse dolor; Ov met 9,608 s si singula duram / flectere non poterant, potuissent omnia, mentem; Lucan 3,304 duramque uiri deflectere mentem), viene qui risemantizzato per significare la chiusura del cuore al messaggio evangelico, un atteggiamento spesso imputato al popolo d’Israele nel NT (Matth 19,8; Marc 10,5;

100

Commento

16,14) In 2,212 quis uestrum duram poterit mihi pandere mentem Cristo rivolge le stesse parole di rimprovero a Nicodemo e ad altri Giudei Cfr Poinsotte, pp  158 s ; Santorelli, I libri dei Vangeli, p  146 30* legibus et uirtute dei mens decolor exit Questo Plusvers segue il v  30 in alcuni mss (M2 R2 S P K1 B P3 Ca Bx), si trova dopo il v  34 in R1, in margine in Ph, al posto del v  30 in Av K21 T1 Bb1, manca invece negli altri testimoni Hansson, pp  74–75, ritiene che si tratti di una variante d’autore, una prima redazione sulla quale Giovenco sarebbe intervenuto in un secondo momento apportando delle modifiche Dopo un incipit identico a quello del verso 30, il nesso uirtute dei riproduce letteralmente Matth 22,29 uirtutem Dei, che invece manca nel testo sicuramente giovenchiano; l’attributo decolor, impiegato per la prima volta in poesia da Cic carm. frg 34,9 Blänsdorf decolorem sanguinem per tradurre Soph Trach 1055 χλωρὸν αἷμα, assume qui lo stesso valore traslato di ‘malvagio’, ‘corrotto’ che ha in 2,683 ueniet sed decolor alter a proposito dell’Anticristo (cfr ThlL V1 199,45 s ; la variante discolor di alcuni mss non è pertinente al contesto); exire sembra avere il significato tipicamente ecclesiastico e metaforico di ‘allontanarsi dalla Chiesa e dal corpo di Cristo’ (ThlL V2 1363,3–14), mai attestato in Giovenco, che usa tale verbo solo a 2,749 s sentibus hic spini­ sque feris uelocius exit / roboris augmentum, nell’accezione di ‘venir fuori’, ‘uscire’ (delle spine che soffocano il seme) Il predicato verbale poi, che unito a legibus si avvicina grosso modo al senso dell’erratis matteano, si trova a reggere zeugmaticamente anche uirtute dei, determinando un collegamento sintattico che sul piano semantico si discosta dal significato di nescientes … uirtutem Dei della Vorlage Per quanto non si possa del tutto escludere la paternità giovenchiana, sono soprattutto questi ultimi dati, accanto a una tradizione solo parziale, a dare l’impressione che il verso sia apocrifo, frutto di una interpolazione avvenuta comunque probabilmente già molto presto Va ancora detto che al posto del v  30 il cod A tramanda il seguente testo: pectora concertant crebris se iungere taedis (Huemer, p  113, e Hansson, p  52, scrivono seiungeret aedis) L’interpolatore, come ipotizzato da Heinsdorff, Der interpolierte Juvencus, pp  160–162, intende stabilire a mo’ di glossa un rapporto diretto tra la pratica delle nuove nozze e la cattiva condotta dei miscredenti, alla luce di una visione morale diffusa nella Chiesa antica, secondo cui sarebbe da evitare un secondo matrimonio dopo la morte del coniuge 31 secunda … laetae reparatio uitae Si tratta di una doppia ipallage Huemer, Index, p  160, conta nel libro quarto altri cinque esempi di questa figura di pensiero: aeternis uitae sertis (v  116); subita in hora de­ scendet (v  178); praesenti noctis tempore (v  460); sanctam Christi faciem (v  566); ludens procerum sententia (v  572)

Commento

101

reparatio uitae Reparatio = «restoration, repairs» (Souter, p  350), qui in senso figurato, è vocabolo del tardo latino La risurrezione, in quanto vittoria sulla morte, è una restaurazione della vita, un ritorno dell’uomo alla sua originaria integrità L’originale perifrasi è usata in un contesto analogo anche a 4,349 en ego sum clarae uobis reparatio uitae ed è ripresa da Prud cath 10,120 mors haec reparatio uitae est in riferimento alla risurrezione della carne Reparare, nel significato di pieno ristabilimento della vita nello stato iniziale, appartiene alla terminologia escatologica dei primi scrittori cristiani (Tert res. mort 57,2; Min Fel 34,9; cfr Blaise, p  712) Una ricca rassegna di altre fonti patristiche è offerta da Buchheit, pp  269–270 e nn 74–86, che approfondisce le numerose ripetizioni del lessema in Prudenzio e le sue implicazioni teologiche e filosofiche (cath 3,192; apoth 1073; c. Symm 2,194) 32 non thalamos nouit, non terrae gaudia uana La doppia allitterazione a membri alterni (non thalamos – non terrae), l’anafora di non, che apre i due emistichi in parallelo e la collocazione davanti a cesura pentemimere del predicato verbale, allitterante con la negazione, scandiscono il verso, determinando una progressione semantica, dal caso di specie, le nozze, a una visione globale, le gioie vane della terra La iunctura clausolare in Hor epist. 2,1,188 preannuncia la lista delle meraviglie sceniche che distraggono gli spettatori durante le rappresentazioni drammatiche; per terrae gaudia si veda invece Lucan 9,946, ma in altra posizione esametrica La fugacità delle gioie terrene è un topos già classico, largamente attestato, pur con differenti modulazioni, nella Anthologia Graeca (7,402; 7,572; 9,259) e nella letteratura latina (Sen epist 23,6; Mart 1,15,18; 7,47,12) Il recupero del motivo presso gli scrittori cristiani assume un tono fortemente censorio, come quello di Commodiano, che ricorre al medesimo attributo oraziano (instr 1,26,3–5 perdunt te luxuriae et breuia gaudia mundi, / unde sub inferno cruciaberis tempore toto. / Gaudia sunt uana, quibus oblectaris inepte), e di Prudenzio (ham 375–377 mille alia stolidi bacchantia gaudia mundi / percen­ sere piget, quae ueri oblita tonantis / humanum miseris uoluunt erroribus aeuum); ancora in una prospettiva escatologica lo Pseudo-Paolino Nolano contrapporrà a tali gioie i securi tandem noua gaudia mundi  / innumeris dudum scripta uoluminibus (carm. app 3,215–216) non … non Siffatte geminazioni, comuni nella poesia latina (Wills, pp  119–121), si rinvengono ancora in: praef 2–3 (addirittura in una sequenza di ben sei membri); 2,441–443 (in alternanza con nec); 3,26 505 Il non come monosillabo iniziale, fortemente espressivo (Guillemin, pp  101–112), apre i seguenti esametri: praef 2 3; 1,483 615 643 671 701; 2,231 337 354 358 367 441 443 498 580 681; 3,26 148 246 301 418 505 598; 4,32 72 102 225 278 680

102

Commento

33 leuibus … ministris Per leuibus il contesto sembra suggerire soltanto il significato di ‘leggeri’, in quanto incorporei, eterei, e non anche quello negativo di ‘inferiori’ («minderwertig») proposto da Heinsdorff, Der interpolierte Juvencus, p  162 genitoris Già impiegato dai pagani a proposito di Giove e nel linguaggio filosofico a proposito del dio creatore del mondo (al femminile si pensi, per es , al celebre incipit di Lucr  1,1–2 Aeneadum genetrix, hominum diuumque uoluptas, / alma Venus), il termine genitor viene trasferito dagli scrittori cristiani a Dio, in quanto nella sua attività creatrice Egli è considerato genitore del mondo, del Figlio e dell’uomo (ThlL VI2 1819,56 ss ; Palla, Ha­ martigenia, p  215) iusta I codd oscillano tra iuxta e iusta Petschenig, Evangeliorum libri, p   141, seguito da Knappitsch, IV, p  7, propende per la seconda variante, in quanto la prima è resa metricamente problematica dall’insolito abbreviamento della sillaba finale; il ThlL VII 748,47 cita infatti come esempio di tale misura per il termine in questione soltanto il verso giovenchiano Per quanto nel contesto iuxta si possa in qualche maniera giustificare dando all’avverbio valore locale (coloro che entreranno nel regno dei cieli saranno creature angeliche e come tali avranno posto accanto a Dio e agli angeli) o comparativo (ThlL VII2 748,75 ss ), a rafforzare pleonasticamente similes, sembra preferibile la lez maggioritaria iusta: oltre che metricamente corretta, essa risulta perfettamente adeguata al contesto e all’organizzazione stilistica del periodo, in cui ogni sostantivo è accompagnato da un aggettivo (leuibus  … ministris; iusta …  /  … uirtus; regni  … sublimis); per il nesso iusta uirtus si può contare sulla successiva testimonianza di Paul Petric Mart 6,471 Simili confusioni paleografiche non sono inusuali nei mss latini, dove la grafia iuxta spesso si sovrappone a iusta (si pensi, ad es , al caso di Stat Theb 1,199) Il cod interpolato A legge claris aeterna in luce in luogo di leuibus genitoris iusta (o iuxta): con la ‘iunctura’ aeterna lux, già presente in Ov met 14,132, l’interpolatore vuole riallacciarsi al ricorrente motivo giovenchiano della luce, cui rimanda anche la qualificazione claris per le creature angeliche 33–34 genitoris … / … regni uirtus sublimis La ‘iunctura’ genitoris … / … uirtus riprende a distanza uirtutem Dei di Matth 22,29 e definisce la potenza di Dio Padre come in 1,68 381; 2,83 262 601 L’aggettivo subli­ mis potrebbe essere, pur con il forte iperbato, tanto epiteto di genitoris, come in 3,463 (sublimis … patris) e 4,134 (sublimis genitor), quanto di regni, come in 1,455 756; 2,538 (caeli … sublimior aula) 795; 3,591

Commento

103

34 regni … in aula Aula = ‘la corte celeste’, con genitivo dipendente o attributi, si rinviene negli Euange­ liorum libri ancora in 2,195 (aetheriam … in aulam ~ Ioh 3,3 regnum Dei); 215 (caeli … ab aula ~ Ioh 3,13 de caelo); 538 (caeli … aula ~ Matth 11,11 in regno caelorum); 3,437 (domini praediuitis aulae ~ Matth 18,23 regni caelorum); 496 (aulae caelestis ~ Matth 19,14 regnum caelorum) Il termine ha questa valenza semantica già nella produzione letteraria classica in riferimento alla sede celeste degli dèi (per es , Verg Aen 1,140; Sen Thy 1078; Octauia 218; Stat silv 1,1,106) e spesso nella letteratura cristiana latina in riferimento a quella di Dio (Tert test. anim 6,5 ante aulas dei; Arnob nat 2,36 eius … ex aula; 37 aulam … regiam; Carm laud Dom 60 aulam domini; Ambr hymn 8,7 Fontaine caelestis aulae; Prud perist 14,62 caelestis aulae; Cypr Gall gen 961 aetheriae … aulae; exod 559 astrigera … aula; Mar Victor aleth. praef 96 patria … ab aula; Sedul carm. pasch 3,320 s aulae / caelestis regni; Ennod carm 2,13,7 caelestem … in aulam; Ps Ven Fort carm. app 1,209 aula dei) Sulla larga fortuna cristiana di questa metafora ha probabilmente influito, nell’immaginario poetico, anche la pianta delle prime basiliche, in cui il seggio episcopale si erge al centro dell’abside (Salzano, p  65) La medesima giuntura si ritroverà in Prud psych 876 regni … ab aula; ulteriore documentazione in Münscher (ThlL II 1456,15 ss ; 1456,82 ss e 1458,71 ss ) e Heinsdorff, p  169 In altre tre occorrenze giovenchiane il lemma è invece riferito a un palazzo terreno: di Erode (1,253); di Salomone (1,644; anche qui la giuntura è regni … aula); di Caifa (4,537); in tutti questi passaggi non c’è mai una parola corrispettiva nell’ipotesto di riferimento In aula è un poetismo frequente in chiusura di verso (Verg georg 4,90; Aen 1,140; Hor epist. 1,2,66; Ov. met. 4,512) Per il regno dei cieli Giovenco ha pure il sinonimo regia caeli a 1,467 482; 2,513 539 (cfr Verg Aen 7,210; Ov met 2,298; Prud c. Symm 2,126; Paul Petric Mart 4,320) 35–37 La contrapposizione tra il dio dei morti e il dio dei vivi di Matth 22,32 è resa più forte dalle figure di stile I versi sono introdotti da tre monosillabi: nec … / qui … / sed …; ai vv  36 s c’è un gioco di simmetrie: l’anafora del relativo qui (in apertura di esametro a v  36 e dopo cesura eftemimere a v  37) e le due clausole del tipo trisillabo + bisillabo, in cui le parole in omeoteleuto (verbo + oggetto) fanno rima (… sumere mortem / … prendere lucem) L’antitesi concettuale (morte/vita, tenebre/luce) è visivamente rappresentata dalla struttura chiastica dei membri (taetram … mortem / uitae … lucem) 35 dominum L’inserto dell’appellativo consolida il senso dell’originale e lo rende più esplicito (Simonetti Abbolito, Termini tecnici, p  59)

104

Commento

36 taetram … sumere mortem L’inedita combinazione taetra mors è fatta risaltare dall’iperbato e dalla strategica dislocazione dei due elementi, rispettivamente in corrispondenza di tritemimere e piede finale; l’attributo (‘ripugnante’, ‘orribile’), in epica presente fin da Ennio (ann 225 e 611 Skutsch; cfr OLD, s. v., p  1901), qualifica la sfera della morte anche in 2,47 illi grata domus taetris habitare sepulchris (del demonio), ancora con una ampiezza semantica che trascende la dimensione puramente visuale La variante terram di pochi mss è un mero errore paleografico; il copista potrebbe però anche essere stato indotto allo sbaglio dalla presenza di proni («homines in terram versi», secondo la definizione del ThlL X 1932,57 s ), epiteto spesso associato al concetto di terra anche in formulazioni di tipo traslato come in Lact inst 2,2,20 quid uos beneficiis caelestibus orbatis pronique in humum … procumbitis?; ira 20, 11 curuus et pronus est, qui ab aspectu caeli deique … auersus terram … ueneratur Quanto alla grafia, nelle occorrenze giovenchiane spesso la tradizione è divisa tra la forma senza dittongo, sempre adottata da Huemer, e quella con, che va preferita L’espressione mantiene una analoga coloritura metaforica, sia pure in altro contesto, nella ripresa di Paul Petric Mart 5,8, che forse dipende da Giovenco All’interno del poema la morte è connotata con vari aggettivi di segno negativo per definirne aspetti propri o metaforici quali acerba (4,341); atra (2,651s ); celeris (3,661); dura (4,368 475); gelida (4,26); informis (4,631) La iunctura in clausola, che si legge anche al v  475, non ha precedenti nell’epica classica, ma ritorna in Sedul carm. pasch  5,151, su cui si veda la nota ad loc di Deerberg, p  265 37 potius uitae possunt … prendere lucem Si osservi l’allitterazione trimembre in p  La locuzione ‘luce della vita’ ha un valore traslato, riproposto dal poeta altresì a 2,641 ad claram uitae lucem e 3,15 lux aurea uitae, secondo una valenza metonimica di lux documentata già in Cicerone (Tusc. 3,1) e Virgilio (georg 4,255; Aen 10,704) Per una discussione sulla simbologia della luce associata alla vita in Giovenco, cfr infra, nota al v  345 La iunctura clausolare non risulta attestata altrove nella latinità; abbinamenti simili si riscontrano nel poema anche a 3,502 ut mihi perpetuam liceat conprendere uitam e 528 s uirtus / … talem possit quae prendere uitam 38–44 Il comandamento dell’amore. Giovenco si rifà a Matth 22,34–40: 34 Pharisaei autem audientes, quod silentium posuit Sadducaeis, conuenerunt ad eum 35 Et interrogauit eum unus ex eis legis doctor temptans eum et dicens: 36 Magister, quod est mandatum magnum in lege?. 37 Ait illis Iesus: Diliges Dominum Deum tuum in toto corde tuo et in tota anima tua et in tota mente tua. 38 Hoc est maximum et primum mandatum. 39 Secundum autem simile est huic: Diliges proximum tuum sicut te ipsum. 40 In his duobus mandatis uniuersa lex pendet et prophetae («I farisei poi, udendo che Gesù aveva messo a tacere i sadducei, si radunarono intorno a lui Uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: Maestro, qual è il grande comandamento della Legge? Gesù rispose loro:

Commento

105

Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente Questo è il più grande e il primo comandamento Il secondo poi è simile a questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti») Il primo versetto biblico è soppresso per intero; i versetti 35 s sono assorbiti nel solo v  38: la precisazione di Matth 22,35 sull’interrogante (un fariseo dottore della legge) è sfumata in un generico alii; i due uerba dicendi (interrogauit – dicens) confluiscono in rogitabant, e non si conserva la nozione di ‘prova’ (temptans) dell’ipotesto Al discorso diretto il poeta preferisce una interrogativa indiretta; elimina l’apostrofe (Magister); con un aggettivo neutro plurale, opportunamente espresso al grado superlativo, rimpiazza il sintagma mandatum magnum; mantiene il riferimento alla Legge La formula di transizione (Ait illis Iesus) del versetto 37 è riscritta con un maggior numero di dettagli al v  39: il soggetto Iesus è sostituito dalla forma pronominale ille, a cui si lega l’attributo indefessus e il secco ait illis si espande in nulli responsa negabat Ai vv  40 s il poeta mantiene nella sostanza la citazione di deut 6,5, riadattandola con delle ad­ ditiones e delle eliminazioni: in luogo del tu sottinteso il soggetto diventa un astratto deuotio cordis che in qualche modo compendia, ed esplicita, le indicazioni modali (o strumentali) del testo matteano (in toto corde tuo et in tota anima tua et in tota mente tua); il verbo è lo stesso (diliges ~ Iuvenc diligat); a Dominum si aggiunge la specificazione caeli e si attribuisce l’epiteto sublimem, mentre Deum e tuum sono soppressi Al v  41 è parafrasato Matth 22,38: rispetto al modello il poeta fa nuovamente menzione della Legge, sostituisce con uirtus, che appartiene ad un campo semantico differente, il termine mandatum, e accorpa i due aggettivi (maximum – primum) in firmissima Il primo emistichio 42 aderisce con fedeltà al periodo iniziale del versetto 39 (simile ~ Iuvenc consimile; est ~ est; huic ~ isti; secundum e autem sono omessi) I vv  42 s riportano l’esortazione di leu 19,18 sull’amore fraterno, citata da Matth 22,39, con una accurata rielaborazione lessicale, che, anche grazie al riuso di un locus virgiliano (cfr infra, nota al v  42), intensifica il contenuto biblico Nella riscrittura del versetto 40 rimangono pressoché immutati gli elementi fondamentali (in his duobus mandatis ~ Iuvenc his … geminis … iussis; pendet ~ dependent), ma non si fa cenno alla Legge e ai Profeti, ricompresi in un vago ed imprecisato omnia (v  44) 38 Tra le tecniche parafrastiche adottate dal poeta rientra il passaggio dal discorso diretto del Vangelo a quello indiretto; questo procedimento consente di evitare la ripetizione dei verba dicendi e, nel contempo, di non spezzare il continuum narrativo; cfr Roberts, Biblical Epic, p  143 ecce alii Esempio di sinalefe L’avverbio ecce, una marca testuale tipica della deissi esoforica, ricorre 37 volte in Giovenco (sempre in apertura di verso tranne che in 1,77 90 101

106

Commento

181 214; 3,557; 4,410 509 786) su un totale di 3211 versi, il che dimostra un impiego molto maggiore rispetto ai precedenti poeti esametrici, soprattutto Virgilio (44 occorrenze su 12914 versi); questa tendenza è in linea con il gusto degli autori cristiani di epoca successiva in cui il lessema ha spesso lo stesso valore del gr ἰδοὺ (Poinsotte, p  68, e n  210) Nel nostro caso l’avverbio non ha un riferimento in Matteo, ma si trova nel luogo parallelo di Luc 10,25 (et ecce quidam legis peritus [gr καὶ ἰδοὺ νομικός τις]) L’atteggiamento di Giovenco non è costante: Flieger, pp  83 s , constata che 26 delle occorrenze del termine seguono l’ipotesto matteano, e distingue tra i casi in cui esso è un’aggiunta del poeta (2,9 361 799; 3,133 221 464 557 720; 4,542 574 653 786), e altri in cui trova una precisa corrispondenza nel Vangelo, 11 volte in Matteo, e 3, compreso il luogo in esame, in Luca In molti casi il marcatore enfatizza l’entrata in scena di un personaggio e richiama l’attenzione dei lettori o ascoltatori sulla nuova sezione testuale (Cuzzolin, Ecce, pp  261–271) Va infine osservato che vi è un solo altro esempio di elisione in 3,557 (ecce alios) con il medesimo pronome ma in caso accusativo rogitant La petulanza delle domande è sottolineata dal verbo frequentativo; rogito è presente nell’opera con altre quattro occorrenze e sostituisce sempre le forme semplici del modello: in tre casi indica la sollecitudine dei discepoli (2,302 discipuli interea rogitabant ~ Ioh 4,31 rogabant eum discipuli dicentes; 3,2 discipuli rogitant ~ Matth 13,36 discipuli eius dicentes; 371 discipuli rogitant ~ Matth 17,19 discipuli … dixerunt), e in un caso la richiesta insistente delle vergini stolte (4,212 stolidae rogitant ~ Matth 25,8 fatuae … dixe­ runt) firmissima legis La medesima clausola si legge in 4,41 uirtus firmissima legis, dove però l’aggettivo è al femminile singolare concordato con uirtus Frequente è in Giovenco l’uso di un aggettivo neutro plurale con valore di sostantivo + genitivo: per es , 4,107 per diuersa loci; 266 mollia prati; 499 per lubrica mortis; cfr Huemer, Index, pp  148 s ; Kievits, pp  64 s 39 Alla subdola ostinazione degli interroganti fa da contraltare l’instancabile amorevolezza del Signore, ben ritratta dalla successione spondaica dei primi quattro patterns e dalla allitterazione nulli … negabat Al riguardo si noti che nullus in luogo di nemo, sostituzione praticata da Giovenco pure in 2,214 e 266 (Huemer, Index, p  165; de Wit, p  60), appartiene alla Umgangssprache ed è molto ricorrente nella tardalatinità (LHS,  II2, p  204) L’attenzione va soprattutto sull’aggettivo indefessus, di probabile conio virgiliano (Aen 11,651 per la guerriera Camilla, sul modello del gr ἀπόνητος, cfr Horsfall, Aeneid 11, p   366) e molto raro nella grande poesia epica (Ov met 9,199; Sil   13,127; 15,576); il posizionamento in corrispondenza di cesura pentemimere ne valorizza poi ulteriormente il senso

Commento

107

40 sublimem caeli Dominum L’emistichio rimpiazza la coppia Dominum Deum di Matth 22,37, mentre in 1,406 (~  Matth 4,10) si legge la stessa perifrasi ma senza l’aggettivo; Simonetti Abbolito, Termini tecnici, p  58, osserva che laddove con Dominus nel Vangelo si fa riferimento a Dio Padre, Giovenco ricorre a espressioni che diano maggior rilievo al dominio di Dio sul mondo Similmente, adsisto ante Deum di Luc 1,19 diventa Dominus caeli in 1,35, e il semplice Dominum di Luc 1,46 immensi Domino mundi in 1,97 Sotto il profilo metrico e metrico-verbale è da notare la presenza delle tre incisioni principali che fermano il ritmo sui tre lessemi valorizzandoli semanticamente Sublimis è attributo di Dio anche in 1,515 sublimi … sub iudice; 2,62 nomen sublime; 3,463 sublimis … patris; 4,134 sublimis genitor; 356 sublimis … Dei La tessera caeli Dominum, già presente in 1,35 406, ritorna in poeti seriori (Prud c. Symm 2,841; Sedul carm. pasch 2,237; Cypr Gall gen 93; Alc Avit carm 4,203) caeli Dominum deuotio cordis / diligat Le allitterazioni del v   40 si dispongono secondo uno schema chiastico ABBA (genitivo/accusativo  – nominativo/genitivo), mentre il suono allitterante della dentale sonora si estende al verso successivo e coinvolge i tre membri principali del periodo: l’oggetto dell’amore (Dio), il soggetto (il cuore devoto) e il verbo L’impiego di un termine particolarmente pregnante come deuotio, un hapax nel poema, non è casuale; esso indica nell’uso cristiano il sentimento di pietà e religione, di dedizione spirituale verso Dio, spesso associato al concetto di fede (Lact. mort. 16,8 adimere tibi fidem ac deuotionem nulla uis potuit; inst 2,12,15 ut … deo patri summa deuotione seruiret; 5,19,13 inutilis est enim deo qui deuotione ac fide caret; Hier in Gal 2,3 fides pro mentis deuotione censetur; epist 108,31 deuotae … mentis seruitus; cfr Hil in Matth 23,2 deuotas deo men­ tes) Hatfield, p  30, e Fichtner, pp  158–167, hanno dimostrato come questa preferenza per i nomi astratti, praticata soprattutto dagli scrittori cristiani, sia da imputarsi ai canoni della poesia tardoantica in genere e di età costantiniana in particolare 41 consimile est Cfr 3,437 s nam caeli regnum domini praediuitis aulae / consimile est, dove l’espressione introduce però la parabola del servo spietato (Matth 18,23–35) L’aggettivo consimilis, che ricorre poi anche al v  575, è frequente nella commedia plautina, ma non ha grande fortuna nella poesia epica classica, se si escludono le numerose attestazioni lucreziane e quella di Sil 10,36 41–42 C’è un interessante gioco di omofonie tra il verbo, in anafora, e il pronome, in poliptoto (… est istaec … / … est isti …), elementi grammaticali che occupano le stesse posizioni metriche in entrambi i versi e sono rilevati dalle cesure; cfr anche 2,577 est istic e 3,575 est, istis La forma istaec è un arcaismo da Giovenco impiegato sei volte (3,143 510;

108

Commento

4,41 318 354 556); al v  42 il pronome isti è in luogo di huic, come in 4,476 (ista = haec) e in altri luoghi dell’opera (1,23 98 209 211 546; 2,550 702; cfr Huemer, Index, p  162) Tale fenomeno, già attestato in autori classici come portato del sermo uulgaris, diventerà sempre più frequente in epoca tardoantica, quando i tipi hic e ille gradualmente perderanno terreno a favore della forma iste (LHS, II2, p  184) 42 magno teneantur amore Il secondo emistichio di v  42 è un suggestivo riecheggiamento di Verg Aen 1,675 sed magno Aeneae mecum teneatur amore; è la quinta ῥῆσις di Venere nel I libro: la dea, per neutralizzare un intervento ostile di Giunone, decide di scambiare Ascanio con Amore, affinché questi offra i doni di ospitalità a Didone, e la faccia innamorare di Enea Ad una analisi più attenta, estesa ai rispettivi contesti, si osserverà come in questo caso l’imitazione del modello classico non si ponga solamente su un piano formale, con l’incorporazione, quasi per intero, dell’hemiepes virgiliano, ma abbia piuttosto una forza allusiva di tipo contrastivo: nell’uno e nell’altro caso, infatti, a parlare sono due divinità (Venere e Gesù), e fulcro dei loro discorsi è l’invito ad amare; l’amore cristiano ha però tutt’altra portata rispetto a quello meramente erotico (e rovinoso) del testo virgiliano 43 ius fraternum iustae … mentis Per il poeta, animato anche da un intento catechetico, la carità fraterna si risolve in un atto concreto di giustizia, concetto efficacemente evidenziato dalla ripetizione del radicale (ius … iustae) Se nella tradizione classica la ‘giustizia’ implica sul piano morale l’osservanza delle leggi civili (cfr Cic leg. 1,42), in quella biblica e cristiana essa è invece l’attuazione dei comandamenti divini dell’amore di Dio e del prossimo (gen. 26,5; psalm 71,2; Matth 20,4; I Cor 6,9; Col 4,1), come ribadito dai Padri a proposito del passo evangelico (Iust dial. c. Tryph 93,3; Orig in Matth 22,39 [GCS 11, p  8,10–31]) Ius fraternum fa riferimento alla fratellanza degli uomini in quanto figli di Dio e accomunati dalla stessa fede in Cristo; l’espressione, non priva di implicazioni anche politicogiuridiche, si trova spesso negli scrittori cristiani insieme con quella di significato affine ius fraternitatis (Tert cult. fem 2,1,1 ancillae dei uiui, conseruae et sorores meae, quo iure de­ putor uobiscum, postremissimus omnium equidem, eo iure conseruitii et fraternitatis audeo ad uos facere sermonem, non utique affectationi, sed affectioni procurans in causa uestrae sa­ lutis; Lact inst 5,22,7 iustus uero ac sapiens quia illa omnia humana, ut est a Laelio dictum, sua bona diuina iudicat, nec alienum quicquam concupiscit, ne quem contra ius humanitatis laedat omnino, nec ullam potentiam honoremue desiderat, ne cui faciat iniuriam – scit enim cunctos ab eodem deo et eadem condicione generatos iure fraternitatis esse coniunctos –, sed et suo contentus et paruo, quia fragilitatis suae memor, non amplius quaerit quam unde uitam sustentet, et ex eo ipso quod habuerit inpertit etiam non habenti, quia pius est; pietas autem summa uirtus est; Ambr Noe 26,94 etenim bestiae nihil nobis cum habent commune naturae, nullo uelut fraterno iure deuinctae sunt; Aug vera relig 41,78 hoc et feminis prae­ cipi potest et non maritali, sed fraterno iure, quo iure in Christo nec masculus nec femina su­

Commento

109

mus; un. bapt 12,20 et qui haec nostrorum neglegenter agunt et eos forte clericos in catholica faciunt uel esse permittunt, quamuis a diligentioribus fraterno iure culpentur, tamen nec ipsi eis clericatum deferendum putant, nisi quos ab illis malis uel nouerunt emendatos esse uel credunt) Negli stessi termini, sia pure nella specificità di un diverso contesto, il giurista Ulpiano evoca l’antico consorzio fraterno per spiegare il concetto giuridico che regola l’istituto della societas (dig 17,2,63 hoc enim summam rationem habet, cum societas ius quodammodo fraternitatis in se habeat); in questo caso ius «with its connotations of law, code of behavior, moral rectitude, implies a recognizable pattern of appropriate brotherly behavior that operated even outside the semantic field of consortium This concept, then, could be detached from actual brothers and applied analogously to other relationships of reciprocal responsibility, even beyond the family Whereas partnership was redefined and kept alive as a legal institution, consortium was transformed from legal institution into a social code that shaped the ethical and economic practices of Roman brothers» (Bannon, p  24) Il nesso iusta mens figura in CLE 755,2 nam iustae mentes fouentur luce caelesti penetralia mentis Varia la clausola di 4,7 (cfr nota ad loc.) 44 his … geminis … iussis Il triplice omeoteleuto, marcato dalle posizioni in incipit, cesura semiquinaria e clausola, l’aggettivo dimostrativo e il nome, che, separati per iperbato, incorniciano l’esametro, solennemente chiudono la pericope richiamando l’attenzione sul profondo significato teologico e morale dei due precetti evangelici In realtà, l’intera sequenza è costruita fin dall’inizio su una struttura rimata con la serie legis (v  38), cordis (v  40), legis (v  41), mentis (v  43) e culmina con questa rima interna conclusiva che sintetizza il messaggio del comandamento Bureau, Rime, pp  106–108, ha chiarito come questa struttura strofica, che isola il discorso di Cristo all’interno della trama narrativa, acquisti così una propria autonomia e assicuri la messa in evidenza dell’enunciato e la sua possibile memorizzazione da parte dell’uditorio etenim Ha una funzione dichiarativa e introduce la spiegazione di quanto affermato nella proposizione precedente Schicho, p  68, osserva che, rispetto ai precedenti poeti esametrici (fatta eccezione di Lucrezio), e agli epici in particolare, Giovenco adopera la congiunzione etenim in maniera decisamente più disinvolta, inserendola nel testo 8 volte (praef 22; 1,601; 2,263 359 534; 4,44 102 462), quasi sempre dopo un monosillabo iniziale, quindi in seconda posizione nella frase (come in genere in poesia; cfr ThlL V 917,10–28), tranne che in 2,263

110

Commento

45–51 Il Messia figlio di Davide. I versi riprendono Matth 22,41–45: 41 Congregatis autem Pharisaeis interrogauit eos Iesus 42 dicens: Quid uobis uidetur de Christo? Cuius filius est? Dicunt ei: Dauid. 43 Ait illis: Quomodo ergo Dauid in Spiritu uocat eum Dominum dicens: 44 «Dixit Dominus Domino meo: Sede a dextris meis, donec ponam inimicos tuos sub pedibus tuis»? 45 Si ergo Dauid eum in spiritu uocat Dominum, quomodo filius eius est? («Essendosi radunati i farisei, Gesù chiese loro: Cosa pensate del Cristo? Di chi è figlio? Gli risposero: Di Davide Ed Egli: Come mai allora Davide, sotto ispirazione dello Spirito, lo chiama Signore, dicendo: Ha detto il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici sotto i tuoi piedi? Se dunque Davide, in spirito, lo chiama Signore, come può essere suo figlio?») Omessa la parafrasi del versetto 41, lo Spagnolo riscrive metricamente l’interrogatio di Gesù del primo segmento del versetto 42 Il v  45 incorpora in un unico periodo, mediante un rapporto di subordinazione sintattica, le due distinte domande del modello: sed è aggiunto; la voce verbale uidetur e il pronome uobis rimangono; Christus (~  Christo) del v   46 diventa soggetto, e il termine filius è reso con suboles Il verso successivo (quem cuncti spondent in saecla prophetae) è una sorta di parafrasi esplicativa che ribadisce il ruolo messianico di Cristo preannunciato dai profeti veterotestamentarii La risposta dei farisei è ampliata al v  47: il nome Dauid viene ricollocato in una proposizione subordinata di più ampio respiro, in dipendenza da respondent che sostituisce dicunt L’essenziale attacco del versetto 43 acquista maggior risalto nel primo emistichio 48: ait è mutato in un più espressivo prosequitur, Christus è aggiunto, illis scompare Nei vv  48 s è parafrasata la restante parte del versetto, con delle modifiche sintattiche e lessicali: la principale dell’ipotesto si trasforma in una infinitiva; uocat è sostituito da dicere e quomodo da cur; in Spiritu è riecheggiato dal più letterario diui­ no flatu; a Dominum si unisce Deum Giovenco taglia l’intero versetto 44, citazione di psalm 109,1, a cui rimanda implicitamente la locuzione scriptum est Il v  50 spiega il senso del versetto 45 (non è giusto che un padre chiami il figlio con l’epiteto ‘Signore’) Il v  51 è una adiectio 45 suboles In luogo di filius, in riferimento a Cristo come Figlio di Dio, il poeta impiega un aulico termine epico, come in 4,357 (~ Ioh. 11,27) 672 (~ Matth 27,40) 683 s (~ Matth 27,43) e 713 (~ Matth 27,54) Non è da escludere che sulla opzione lessicale di Giovenco abbia giocato un ruolo il ricordo della apostrofe al puer della quarta ecloga virgiliana (v  49 cara deum suboles, magnum Iovis incrementum!), che proprio in quegli anni subiva una decisa interpretazione cristianizzante 46 Christus, quem … spondent … prophetae Un analogo rimando alle promesse degli antichi profeti sull’avvento del Cristo è pure in 1,195 (omnia quem uatum spondent oracula Christum ~ Luc 2,26) e 236 s (Christo, /

Commento

111

omnia uenturum spondent quem oracula uatum ~ Matth 2,4) Si osservi che, mentre nel nostro caso il poeta adopera il termine prophetae, negli altri due lo rende con il poetico e più classico uates Come attestano le numerose occorrenze (1,125 214 234 324 471 484 678 691 711; 2,104 278 299 357 532 542 697 703 773 825; 3,31 50 144 268 684 687; 4,46 78 113 138 637), Giovenco non ha difficoltà a introdurre nel testo il tecnicismo veterotestamentario, che, nonostante l’origine greca, si prestava a essere traslitterato in latino sia per il prefisso e il suffisso sia per il radicale φα (Simonetti Abbolito, Termini tecnici, p  77 e n  55) in saecula ‘Per il tempo avvenire, i secoli futuri’ 47 Dauidis germine Il rapporto di filiazione tra Gesù e Davide, più volte ricordato nei Vangeli, è reso da Giovenco anche con altre locuzioni: Dauidis origine (1,121 151 166; 2,105; 3,639); Daui­ dis suboles (3,356); Dauidis stirpe (3,647); cfr Poinsotte, pp  50 s e n  153 Contrariamente ad altri poeti cristiani, come Commodiano, Prudenzio, Paolino Nolano, che presentano in genere la forma indeclinabile del nome ebraico (Perin, I, pp  463–464), il parafraste ha il genitivo Dauidis (1,121 151 166; 2,105; 3,356 639 647; 4,47), attestato poi soltanto in Sedul carm. pasch 3,180, e l’accusativo Dauida (1,149; 2,570); la forma non flessa Dauid per l’accusativo è invece solo a 4,48 Quanto alla prosodia le prime due sillabe del nome sono sempre lunghe, fatta eccezione per 4,48 in cui il metro lascia aperte per la seconda entrambe le soluzioni; Dāuīd è ancora in Carm adv. Marc 3,130; Prud apoth 1012; ham 563; ditt. 63; Paul Nol carm 32,6; Arator apost 2,676; etc ; Dăuid in Paul Nol carm 20,44; Avian fab 1a, 1; etc ; Dāuĭd in Drac laud. dei 2,664; altrove la seconda sillaba è lunga per posizione; in altri casi il metro non ne chiarisce la quantità (sui passi prudenziani si veda Palla, Hamartigenia, p  252) 48 prosequitur Christus È lo stesso incipit di 3,704, mentre in 3,435 è invertito l’ordine delle parole; prosequor presenta le parole di Gesù anche in 2,274 49 diuino flatu Giovenco attinge l’espressione da Manil 2,136 haec ego diuino cupiam cum ad sidera flatu / ferre, dove, in un contesto pagano, essa indica il soffio divino che ispira il canto del poeta, e in una prospettiva cristianizzante la trasferisce allo Spirito di Dio secondo il senso tipicamente biblico Flatus sostituisce invece il nesso paleocristiano Spiritus Sanctus in 4,797, su cui cfr infra, nota ad loc L’aggettivo diuinus nella Sondersprache cristiana viene impiegato soprattutto in sostituzione del genitivo di appartenenza dei, con riferimento a opere e attributi tipici di Dio (Braun, p  37) Giovenco, forse anche per comodità metrica, lo usa anche a praef 20; 1,85 264; 2,114 187; 3,34 301 681; 4,804 811

112

Commento

Dominumque Deumque Clausola allitterante anche in 1,24 e Carm adv. Marc 4,221 Il polisindeto in clausola, abituale nella poesia epica, conferisce solennità al verso Per altre occorrenze negli esametri giovenchiani di -que -que clausolare cfr 1,24 62 148 171 250 486 568 637 751; 2,345 645 ; 3,356 545 50 proprio … patrem … nato La tradizione è divisa tra proprium, a testo in Marold e Huemer, e la variante proprio recepita dagli edd più antichi Con Hansson, pp  48 s , preferisco questa seconda lettura, sintatticamente più regolare per la concordanza del possessivo nel caso del nome e stilisticamente più aderente all’uso dell’autore, che anche in 2,680 e 3,172 segue la stessa dispositio esametrica per aggettivo e sostantivo Al contrario, proprium accordato con patrem risulta innaturale sul piano sintattico; l’insorgere di questa forma può risalire a un errore di trascrizione, spiegabile per la vicinanza di parole uscenti in -um ai vv  49 e 50 Per proprius = suus vd Iuvenc 1,104 147 581 605; 3,305 e Kievits, p  55; le due forme di possessivo, come si sa, sono concorrenti nel latino tardo (Wackernagel, II, p   82; Lavarenne, p  92; Svennung, Orosiana, pp  65 s ; LHS, II2, p  179) 51 talia saluator; cuncti obstipuere silentes L’intero verso collega la precedente porzione di testo alla successiva, segnando uno stacco tematico; con ogni probabilità il poeta ha voluto riassumere concettualmente, senza alcun preciso richiamo lessicale, anche il contenuto del versetto 46 (Et nemo po­ terat respondere ei uerbum neque ausus est quisquam ex illa die eum amplius interrogare) Il senso di stupore che coglie i farisei è veicolato dal riconoscibile prelievo virgiliano di Aen. 11,120 dixerat Aeneas. Illi obstipuere silentes, dove Enea, mosso a pietà, concede ai Latini una tregua per seppellire i morti; in entrambi i casi i versi seguono la fine del discorso del protagonista; alla figura dell’eroe mitico si sovrappone specularmente quella del Messia (saluator è strategicamente nella stessa sede metrica occupata nell’intertesto da Aeneas); i nemici (illi – cuncti) stupiti delle parole inattese rimangono in silenzio L’incipitario talia saluator è già in 3,192 Saluator Mohrmann (I, pp  24, 119 s , 387 s ; III, pp  137–139, 182 s , 388; IV, pp  203–205) rileva che il neologismo cristiano derivato dal verbo saluare come equivalente del gr σωτήρ si impose in maniera definitiva, non senza incertezze, alla fine del IV secolo nei principali scrittori cristiani; cfr la testimonianza di Aug serm 299,6 Iesus, id est Christus salua­ tor. Hoc est enim Latine Iesus. Nec quaerant grammatici quam sit Latinum, sed Christiani quam uerum. Salus enim Latinum nomen est. Saluare et saluator non fuerunt haec Latina antequam ueniret saluator …) Giovenco, in ossequio all’etimo ebraico, se ne serve per sostituire il nome Iesus in 2,247 (~ Ioh 4,6); 3,192 (~ Matth 15,28) e 4,537 (~ Matth 26,57); in 1,769 (saluator Iesus) sia saluator sia Iesus sono delle aggiunte al testo di

Commento

113

Matth 8,15; in un solo caso, invece, il termine compare anche nella fonte biblica (Ioh 4,42) ed è tradotto da Iuvenc 2,327 con seruator La questione è largamente discussa da Weyman, Analekten, pp  203 s ; Hansson, pp  96 s ; Flieger, pp  135 s e nn 238–239 52–77 Invettiva contro scribi e farisei Nel rifacimento metrico di Matth 23,1–28 il presbitero iberico procede con dei tagli netti di intere porzioni dell’ipotesto Della lunga serie di rimproveri, introdotti dalla particella uae, Giovenco conserva, modificandoli, solamente alcuni; sono omessi i versetti 16–26, il cui contenuto risulta strettamente legato alle pratiche cultuali dell’antico Israele (il giuramento sul tempio e sull’oro [16 s e 21]; il giuramento sull’altare e sull’offerta [18–20]; il giuramento sul cielo, sul trono e su Dio [22]; le norme sulle decime estese dai farisei alle erbe aromatiche [23]; il riferimento al moscerino e al cammello [24]; le abluzioni prima dei pasti [25 s ]), e i versetti 29–36, sulle colpe dei Giudei nei confronti dei profeti Se è vero che, in linea di massima, i lettori romani poco sapevano di certi ebraismi culturali (Widmann, pp  32 ss ; Poinsotte, pp  84 ss ; Roberts, Biblical Epic, p  109 e n  6), non bisogna comunque sottovalutare anche la possibile cerchia di fruitori più vicini al mondo giudaico, perfettamente capaci di comprendere le pratiche religiose descritte dalla Bibbia La scelta di Giovenco, quindi, è piuttosto motivata dalla maggiore o minore compatibilità del materiale biblico con l’epica o, più precisamente, con l’idea di epos che egli ha in mente 52–68 La parafrasi di questi versi segue la falsariga di Matth 23,1–12: 1 Tunc Iesus locutus est ad turbas et ad discipulos suos 2 dicens: Super cathedram Moysi sederunt scribae et Pharisaei. 3 Omnia ergo, quaecumque dixerint uobis, seruate et facite, secundum facta uero eorum nolite facere; dicunt enim et ipsi non faciunt. 4 Alligant autem onera grauia et imponunt supra umeros hominum, digito autem suo nolunt ea mouere. 5 Omnia uero opera sua faciunt, ut uideantur ab hominibus; dilatant enim phylacteria sua et magnificant fimbrias. 6 Amant au­ tem primum recubitum in conuiuiis et primas cathedras in synagogis 7 et salutationes in foro et uocari ab hominibus rabbi. 8 Vos autem nolite uocari rabbi; unus est enim magister uester, omnes autem uos fratres estis. 9 Et patrem nolite uocare uobis super terram; unus est enim pater uester, qui in caelis est. 10 Nec uocemini magistri, quia magister uester unus est Christus. 11 Qui maior est uestrum, erit uester minister. 12 Qui autem se exaltauerit, humiliabitur; et qui se humiliauerit exaltabitur («Allora Gesù parlò alle folle e ai suoi discepoli, dicendo: Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei Rispettate ed eseguite tutto ciò che essi vi diranno, ma non agite secondo le loro opere, poiché dicono e non fanno Legano pesanti fardelli e li caricano sulle spalle della gente, ma essi non vogliono spostarli neanche con un dito Fanno le loro opere per essere visti dagli altri; allargano i loro filatteri e allungano le frange Amano i primi posti nei banchetti e i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze ed essere chiamati dagli uomini ‘rabbi’ Ma voi non fatevi chiamare ‘rabbi’, perché uno solo è il vostro maestro, voi invece siete tutti fratelli E non

114

Commento

chiamate nessuno sulla terra ‘padre’, poiché uno solo è il padre vostro, che è nei cieli E non fatevi chiamare maestri, poiché il vostro solo maestro è Cristo Il più grande di voi sarà vostro servo Chi si esalterà sarà umiliato, e chi si umilierà sarà esaltato») Il v  52 si apre con l’anastrofe Ille sed, frequente negli Euangeliorum libri La credentum plebs giovenchiana accorpa in un’unica categoria di persone, accomunate dalla fede, le folle e i discepoli del brano evangelico Il pronome ille subentra al nome Iesus; per evitare una ripetizione, tipica della prosa neotestamentaria, i due uerba dicendi (locutus est del versetto 1 e dicens del versetto 2) confluiscono in profatur, solennemente posizionato in chiusura di esametro Il v  53 presenta significative modifiche rispetto all’ipotesto: il nesso, aulico ma piuttosto generico, sublimi sede, sostituisce la precisa indicazione della cattedra di Mosè (super cathedram Moysi); non si parla dei farisei ma dei soli scribi, qualificati come superbi Ai vv  54 s è parafrasato il primo segmento del versetto 3: docent sta al posto di dixerint; la coppia di imperativi (facite e seruate) è resa dall’espressione conprendere cordis / obsequio, fortemente intesa ad affermare la necessità di rispettare la Legge mosaica, che il Cristo viene a perfezionare non ad abolire Al v  55 il parafraste condensa la seconda parte del versetto in una sola battuta, secca e pungente (maculas ipsorum temnite uitae) Il v  56 è una riscrittura fedele, ma non letterale, della prima parte del versetto 4: per la sua inclinazione ad abolire i parallelismi, delle due voci verbali usate dall’Evangelista Giovenco mantiene solamente imponunt; analogamente fonde i due aggettivi grauia e importabilia in un più enfatico abrupta; per il resto i cambiamenti sembrano di scarso rilievo (onera ~ Iuvenc pondera; in umeros homi­ num ~ umeris … uestris) Il v  57 riproduce l’ipotesto quasi ad uerbum: digito ~ Iuvenc digito; nolunt ~ nolunt; ea ~ Iuvenc quae; mouere ~ contingere; suo e autem sono recisi; l’avverbio saltem è aggiunto Non viene ripreso il versetto 5, in cui si cita l’ostentazione dell’ornamento farisaico, frange e filatteri, particolari superflui o comunque troppo caratteristici della cultura giudaica I versetti 6 e 7 sono sottoposti a un rimaneggiamento: gli accusativi dell’ipotesto, retti da amant, sono mutati in ablativi dipendenti da tollun­ tur (v  58); si fa cenno ai posti d’onore nei banchetti (adcubito primo cenae ~ Matth primum recubitum in cenis) ma non alle sinagoghe (primas cathedras in synagogis; sulla sistematica eliminazione del termine cfr Poinsotte, p  102, n  329; Simonetti Abbolito, Termini tecnici, p  78); fastuque superbo è un supplemento giovenchiano; salutationes è ripreso in salutantum, mentre il complemento di stato in luogo (in foro) è soppresso Il secondo membro del versetto 7 è sviluppato con alcuni cambiamenti: la perifrasi no­ men gestare per il semplice uocari; l’aggiunta dell’aggettivo sublime e la sostituzione del termine ebraico rabbi con il latino magister Ai vv  61 s la parafrasi è più articolata: i rapporti sintagmatici cambiano (nolite ~ Iuvenc noluerim, che introduce un’infinitiva); si evita la ripetizione e con una nuova perifrasi si riformula il senso dell’evangelico uocari Il poeta ricrea la seconda metà del versetto 8 ai vv  62–64, rispettando la disposizione paratattica dell’originale ma arricchendo la lexis La prima proposizione (unus est enim magister uester) ha uno sviluppo in uobis est una magistri / imposita … potestas; aeter­ num e caeli de lege mancano nel testo base La seconda proposizione ha come soggetto

Commento

115

eadem (scil potestas): il poeta riconduce al potere di Dio il vincolo di fratellanza che unisce gli uomini nell’amore reciproco Il monito di Gesù a non chiamare nessuno sulla terra ‘Padre’, titolo riservato in Israele ai dottori della legge, è riprodotto fedelmente al v  65, dove si registra solamente l’amplificatio del sintagma qui in caelis est nell’elegante caeli qui in culmine regnat Tralasciati i versetti 10 e 11, la riscrittura interessa l’ultimo versetto biblico (vv  66–68): il concetto di superbia (Qui autem se exaltauerit) è reso con una locuzione icastica (si quis sublimia colla leuabit, v  66); quello di umiliazione con una forma di interpretatio escatologica: humiliabitur si sdoppia in due kola (v  67), la caduta (decidet) e lo sprofondo nell’abisso infernale (barathri mergetur ad ultima caeno) Con la stessa premura teologica lo scrittore dà una spiegazione anche per exal­ tabitur, che egli intende come il premio eterno riservato all’umile, cioè l’accesso ai cieli luminosi (v  68) 52–54 plebe profatur / … sede superbos / … conprendere cordis Tre clausole allitteranti consecutive Più volte ritorneranno nel libro IV allitterazioni in fine verso, su cui cfr in generale Heinsdorff, p  167 52 Ille sed accita credentum plebe profatur Il verso riproduce quasi per intero 2,757 ille sed amota credentum plebe profatur, dove il senso però è di segno esattamente contrario e plebs pare riferito solo alle folle (Hansson, p  47; de Wit, Obseruationes, pp  147 s ) Il participio sostantivato credentes, attestato già in Tertulliano (adv. Prax 3,1) e Cipriano (unit. eccl 8) per designare i fedeli, è ancora in Iuvenc 2,226 757; 3,670; 4,52 Per la predilezione dei participi sostantivati nel latino cristiano si rimanda a Koffmane, p  53 Non è raro in Giovenco l’uso del termine plebs, che in ambito cristiano aveva assunto il significato di ‘membri della comunità ecclesiale’ distinti dal clero (Löfstedt, Syntactyca, II, p  469), per indicare i credenti o i discepoli (2,794 ~ Matth 13,24 e 3,494 ~ Matth 19,13) o gli uni e gli altri, come in questo caso Cinque volte su dieci il verbo profatur, sempre in clausola, introduce i discorsi di Gesù (2,365 757; 3,399; 4,52 484); nei restanti casi, quelli di altri personaggi: l’arcangelo Gabriele (1,67), Simeone (1,201), il padrone nella parabola della zizzania (2,806) e l’angelo apparso accanto al sepolcro vuoto (4,752) Ille La sostituzione di Iesus con la forma pronominale ille è un dato frequente nell’opera, e quasi sempre il poeta tende a ribadire la centralità del protagonista con una posizione di evidenza del pronome, a fine di verso o, più spesso, in sede incipitaria (1,751 ~ Matth  8,10; 2,10 ~ Matth 8,18; 193 ~ Ioh 3,5; 308 ~ Ioh. 4,34; 3,70 ~ Matth 14,13; 80 ~ Matth 14,16; 384 ~ Matth 17,25; 4,7 ~ Matth. 22,18)

116

Commento

53 scribas sublimi sede superbos Nel verso quattro parole su cinque sono allitteranti Giovenco conserva il riferimento agli scribi di Matth 23,2 facendo ricorso al corrispondente termine latino che ben si adatta alla versificazione esametrica, ma elimina Pharisaei; un fenomeno analogo si riscontra a 2,692 nella parafrasi di Matth 12,38 (de scribis et Pharisaeis) realizzata con l’omissione di Pharisaeis e il mantenimento di scribis (talia tum contra scribarum uerba sequuntur) sublimi sede Cfr Lucan 5,16 sublimis sede profatur e, successivamente, Alc Avit carm 3,257 sublimi sede locatum 54 conprendere cordis La clausola si trova, con qualche lieve modifica, anche in 2,551 conprendere corda e 3,334 conprendite corde 55 maculas … temnite uitae È un giudizio di ordine morale sulla condotta di vita di scribi e farisei; macula ha in Giovenco sempre il significato traslato di ‘vizio, infamia’ (1,310 337–338; 3,681–682 766; 4,621), come il verbo corradicale maculare ‘sporcare (l’anima)’ (2,237 e 4,510), secondo un’accezione metaforica nota già agli autori classici (ThlL VIII 26,79 ss ) e poi prevalente nella lingua biblico-cristiana (deut 32,5; II Petr 2,13; Tert adv. Marc 4,9,6; Cypr Demetr 12; Lact inst 4,26,11; 4,26,12; ira 24,10; Optat 5,4,7 sordes […] et macu­ las mentis; Prud apoth 913 ingenitas animarum … maculas e ditt 3 maculis sordentibus; ulteriore documentazione in Heinsdorff, p  206) Fraseologia simile a quella giovenchiana si ritrova nella prosa geronimiana (in Philem 8–9 [CCL 77C, p  94,344] credidit in Christum et, ab eo baptizatus, digna paenitentia maculas uitae prioris abstersit; si veda anche Isid synon 1,42 a uitio et peccato te retrahe, fuge iam uitae maculam, fuge turpitudi­ nem uitae, puritate uitae maculas ueteres ablue) ipsorum Equivale a eorum, come in 1,565 e 2,583 (Kievits, p  135; de Wit, p  124); l’uso di ipse con valore di pronome dimostrativo di terza persona, già attestato in epoca classica, è tipico soprattutto del tardo latino (Schick, pp  217 ss ; LHS, II2, p  190) 58–60 La presentazione delle ambizioni degli scribi è articolata secondo una gradatio ascendente che culmina nella pretesa del titolo di maestro (Simonetti Abbolito, Termini tecnici, p  74, n  48) Questo crescendo dei contenuti è evidenziato dagli omeoteleuti in sedi metriche strategiche, cesura semiternaria, semiquinaria, clausola, cesura semisettenaria (adcubito primo … superbo / … uano), dal gioco chiastico tra ablativo più

Commento

117

genitivo (adcubito … cenae … / … salutantum … honore) e sostantivo più aggettivo (adcubito primo … / … uano … honore), nonché dal prevalere degli spondei particolarmente accentuato al v  60 58 adcubito primo Forma sinonimica rispetto alla lezione primum recubitum (gr πρωτοκλισίαν) esibita dalla gran parte dei codd della VL per il versetto corrispondente di Matth 23,6; probabilmente Giovenco avrà avuto sottomano un esemplare biblico con una variante (in l e in altri pochi mss di Luc 11,43; 14,7 e 20,46 si legge accubitos), anche a tener conto della anomalia morfologica del termine, qui trattato come un sostantivo di 2a declinazione e non regolarmente come uno di 4a In questo contesto l’adcubitus indica propriamente la «pars tori» (ThlL I 339,12–16) 58–59 fastuque superbo / … salutantum A v  58 colpisce la concordanza pleonastica di nome e aggettivo L’alterigia degli scribi è già stata ricordata al v  53; tale insistenza denota una sorta di accusa stereotipata da parte di Giovenco nei confronti dei Giudei (cfr infra, nota al v  555) Presso gli scrittori cristiani l’associazione di fastus e superbia sorregge spesso il motivo del biasimo verso la superbia umana (Hier in Soph 1; Prud psych 178–182; Greg M moral 2,43; ThlL VI1 329,43 ss ) In Giovenco il trisillabo superbus, preceduto da parola unita all’enclitica -que, è posizionato con variazioni morfologiche in chiusa di esametro anche a 1,101 (su­ perbos) e 4,401 (superbis) Confronterei il passo con Verg georg 2,461 s si non ingentem foribus domus alta superbis / mane salutantum totis uomit aedibus undam: il poeta contrappone alla sana vita agreste una descrizione della corrotta vita di città, dominata da superbia e prepotenza Sulla soglia delle sontuose case dei potenti uno stuolo di clientes si accalca per la salutatio matutina, che assicura al padrone il riconoscimento pubblico del proprio potere Nella critica sociale virgiliana Giovenco sembra ritrovare una sintonia concettuale, una corrispondenza di temi con le dinamiche bibliche oggetto della sua rilettura poetica 59 uano tolluntur honore A 1,606 con uanus il poeta bolla l’esteriorità di certe pratiche penitenziali giudaiche intese a conquistare l’ammirazione del popolo L’emistichio assomiglia alla fraseologia di 2,177 celso sublatus honore / … unus e 218 summo sublatus honore est Locuzioni simili sono in Hor carm 1,1,8 tergeminis tollere honoribus (le più alte magistrature cui si accedeva per suffragio popolare: l’edilità curule, la pretura, il consolato); Ps Sall rep 3,3,9 suos ad honorem extollunt; Tac ann 1,2,1 opibus et honoribus extollerentur 60–63 Simonetti Abbolito, Termini tecnici, p  69, nota che il titolo magister è inserito in una espressione molto elaborata con chiasmo, poliptoto e omeoteleuto dei due verbi fre-

118

Commento

quentativi di secondo grado (nomen sublime … gestare / praecelsi nominis … / adfecta­ re), per meglio evidenziare che solo Cristo è il vero maestro Nel più ampio contesto dell’eliminazione dei semitismi lessicali, Poinsotte, pp  73 s , e nn 231 e 233, calcola che delle sette ricorrenze di rabbi nel Vangelo di riferimento (Ioh 1,49 ~ 2,119 s ; Ioh 3,2 ~ 2,180 s ; Ioh 4,31 ~ 2,302; Matth 23,7 s  ~ 4,60 s ; Matth 26,25 ~ 4,444; Matth 26,49 ~ 4,517), Giovenco omette puntualmente le cinque in cui esso è al vocativo; nei versi in esame il prestito ebraico, attributo del soggetto, è tradotto con magister nel primo caso e reso con praecelsi nominis nel secondo Sul trattamento complessivo del termine magister, vd supra, nota al v  3 60 nomen sublime In 2,62 è detto del nome di Dio Padre; alla fama poetica e alla celebrità rimandano invece i loci similes di Verg ecl 9,27 ss e Ov trist 4,10,121 s 61 praecelsi nominis arcem Con praecelsus il poeta connota prevalentemente realtà fisiche: una rupe (1,452 e 478), un monte (3,196), le mura del tempio di Gerusalemme (4,87); qui invece, secondo un uso traslato tipico soprattutto in autori tardolatini (ThlL X 410,71 ss ), esprime la caratteristica di una realtà inanimata, come in 3,514, dove si allude ai meriti per ottenere la vita eterna Arx presenta un valore metaforico (rassegna di esempi in ThlL II 742,32 ss ) anche in 3,666 animi … in arce È un chiaro esempio di accumulo sinonimico mirante a stigmatizzare l’importanza dell’appellativo ‘maestro’ Per la compresenza dell’aggettivo e del sostantivo si veda 3,196 praecelsi … montis … in arce 62–63 La complessa amplificatio di questi versi parte da unus est enim magister uester, omnes autem uos fratres estis di Matth 23,8 È questo il primo dei due modi tipici della parafrasi di Giovenco individuati da Simonetti Abbolito, Osservazioni, pp  305 ss , quando cioè «a un sostantivo, per lo più in caso retto, corrisponde lo stesso sostantivo in genitivo, retto da altro sostantivo, talvolta allitterante e accompagnato in qualche caso da aggettivo» Nel libro quarto tale procedimento è attuato ancora ai vv  150 166 s 490 s e 749 62 adfectare tamen Per garantire al periodo una sua coerenza logica, accolgo la proposta del Petschenig, Evangeliorum libri, p  141, di porre la virgola, come fanno Arevalo e Marold, dopo tamen e non dopo adfectare; l’avverbio è a fine enunciato anche a 4,130 aduniat fuga uestra tamen 63 aeternum Aeternum ha funzione avverbiale anche a 1,21; 4,304 e 305; altri esempi di accusativo avverbiale sono registrati da Huemer, Index, p  149, e Hatfield, § 124, p  33; nel libro quarto

Commento

119

anche multum di v  420 Attestate per la prima volta in Virgilio e nei poeti augustei, queste forme, funzionali all’espressività, sono ricalcate sul modello greco (Löfstedt, Syntactica, II, pp  418 ss ; Janssen, p  107; LHS, II2, pp  36–40) de lege La locuzione ricorre quattro volte (2,574; 4,63 608 728) L’impiego di de lege in luogo del più classico ex lege è caratteristico soprattutto nel latino tardo (Vlp dig 43 12 1 16; Cassiod var 4,10,2) Si vedano LHS, II2, p  263, e Colombi, Preposizioni, p  10 potestas Nelle prime versioni latine della Bibbia potestas traduce i corrispettivi greci δύναμις, ἐξουσία, κράτος, applicati alla natura di Dio (psalm 61,12; Sirach 10,4; Dan 3,100; 4,31; 6,26); da qui l’uso comune presso gli autori ecclesiastici (Tert anim 23,1; Lact inst 1,3,23; Prud apoth 644) Tuttavia, anche nel mondo classico il termine è già associato alle prerogative delle divinità pagane e di Giove in particolare, come in Verg Aen 10,18 o pater, o hominum rerumque aeterna potestas; cfr v  Kamptz (ThlL X2 319,68 ss ); Braun, pp  110–113; Loi, pp  75–77 Nel poema potestas è utilizzato indifferentemente sia a proposito di Gesù, soprattutto in relazione al suo potere di operare miracoli e guarigioni (1,730 749; 2,40 662 711), sia a proposito di Dio Padre (2,489; 4,63 684) 64 uos … fratrum … amore Spicca centralmente la parola chiave, scandita dall’incisione; il pronome e l’altro vocabolo semanticamente rilevante cingono il verso Con l’espressione coniunxit amo­ re Giovenco sembra trasferire all’amicizia un linguaggio tipicamente erotico (Catull 64,372 animi coniungite amores); Prudenzio parlerà in termini simili della armonia fraterna (psych 762 s quod sapimus coniungat amor, quod uiuimus uno / conspiret studio) 65 pater Giovenco a volte riprende il termine pater del Vangelo, inserendolo in parafrasi che sono assai vicine all’ipotesto, altre volte lo qualifica con attributi; nel libro quarto sembra prevalere la prima modalità (vv  65 269 s 455 s 502 529 796); esame della casistica in Simonetti Abbolito, Termini tecnici, pp  60–63 caeli qui in culmine regnat Il motivo delle sommità celesti quali sede di Dio è topico; una variazione sul tema sono 1,590 sidereo genitor residens in uertice caeli e 3,456 genitor, qui culmina caeli / possidet Possibile il richiamo a Manil 2,810–811 primus erit, summi qui regnat culmine caeli / et medium tenui partitur limite mundum, a proposito del cosiddetto Medium Coeli, solitamente associato, secondo agli astrologi antichi, alla dignità, la gloria e la fama; l’eventuale reminiscenza si cristianizzerebbe così per descrivere in termini noti all’uditorio

120

Commento

romano la gloriosa dimora divina che ospiterà i salvati Per l’elisione nel monosillabo qui in cfr 2,216 e de Wit, p  61 66 sublimia colla leuabit L’uso del plurale poetico in luogo del singolare, utile metricamente soprattutto nell’esametro, è comune a partire da Virgilio Analoghi a colla (2,42; 3,405; 4,66) in quanto riferiti a parti del corpo, negli Euangeliorum libri sono anche i casi di ora (3,167; 4,518) e terga (1,635; 3,634; 4,588); sul plurale poetico presso gli scrittori latini cfr Maas, pp  479–550; Löfstedt, Syntactica, I2, pp  27–65 (in particolare le pp  30 s sulla frequenza di tale impiego in riferimento a parti anatomiche) La clausola va confrontata con Ov met 8,798 colla leuauit 67 barathri mergetur ad ultima caeno Giovenco interpreta humiliabitur di Matth 23,12 in chiave escatologica come la dannazione eterna negli abissi infernali La combinazione, sia pure in contesti differenti, di caenum, barathrum e mergo e le sue forme composte ha modelli tanto in prosa quanto in poesia: Ov Ib. 443 mergare uoragine caeni; Apul met 2,25 somnus … in imum ba­ rathrum repente demergit; Lact inst 5,3,13 animas ad sanctitatem genitas uelut in caeni gurgite demersit; cfr anche Prud c. Symm 1,294 taetro leti immersere barathro Il termine barathrum, presente anche a v  286 e spesso impiegato dagli autori pagani come sinonimo di Tartaro (ThlL II 1723,77 ss ), il mondo sotterraneo dei morti sempre in senso negativo (Verg Aen 8,245), viene recuperato nell’uso comune cristiano in riferimento all’Inferno (Comm instr 1,34,10; Ps Ambr serm 35,4; Hier epist 112,14; Prud apoth 785) Similmente, anche caenum, che indica le paludi infernali già negli scrittori pagani (Verg Aen 6,296 turbidus hic caeno uastaque uoragine gurges / aestuat), viene poi riadattato in senso cristiano (Arnob nat 2,30 torrentium fluminum volvatur in caeno; Lact inst 7,7,13 luere poenas … in caeni uoraginibus horrendis; cfr ThlL III 97,76 ss ) Il nesso ad ultima è nella medesima posizione di esametro anche in 3,587 ad ultima mortis; per barathri … ultima si può confrontare Hier epist 124,10 in ultimum … barathrum 68 ast Nella lingua giuridica arcaica ast introduceva una seconda protasi nella frase ipotetica (cfr Fest , p  260,9–11 Lindsay si parentem puer uerberit, ast olle plorassit paren, puer diuis parentum sacer esto), come testimonia in letteratura, tra gli altri, Plaut Capt 683 s si ego hic peribo, ast ille, ut dixit, non redit, / at erit mi hoc factum morto memorabile A partire dai poeti augustei e in tutta l’età imperiale ast equivale ad at forse per convenienza metrica in particolare a inizio di esametro (LHS, II, p  489; ThlL II 943,23 ss e 944,1 ss ) e si deve considerare come un arcaismo puramente formale (Pascucci, pp  340 s ) In questo caso il lessema con la sua patina arcaizzante, atta a conferire gravità alle parole del Salvatore, ha un valore nettamente avversativo che marca la salvezza concessa agli umili rispetto alla dannazione dei superbi

Commento

121

claram conscendet liber in aethram Il verso è molto simile, sia nella struttura sia nel significato, a 2,195 aetheriam liber con­ scendet in aulam, detto dell’uomo rinato dall’acqua battesimale L’immagine dell’ascesa al cielo, qui rafforzata dall’effetto allitterante e dall’aggettivazione, nel testo è spesso ripresa e variata per la sua forza evocativa: 2,185 nullus ad excelsum poterit conscendere regnum; 214 sidereum nullus poterit conscendere caelum; 3,400 quisque cupit celsam caeli conscendere sedem; cfr altresì Ov met 3,298 s ergo maestissimus … / aethera conscendit. claram … aethram La traiectio ne accresce l’efficacia espressiva Nel commento ad Aen 3,585 Servio definisce aethra come splendor aetheris (cfr ThlL I 1158,40 ss ); questo aspetto coloristico è valorizzato dai poeti latini che in genere appongono alla parola qualificazioni cromatiche afferenti ai toni del rosso o alla lucentezza (Enn ann 416 Skutch rubra  … aethra; Verg Aen 12,247 rubra … in aethra; Sil 4,103 liquida … aethra; 5,283 albenti … in aethra; Auson ecl. 25,5 nitidae … aethrae; 16 rutilam … aethram; Macr Sat 6,4,19 flammeam per aethram; Mart Cap 2,120 aethram fulgidam; 6,567 flammantis … aethrae; Drac Romul 10,501 rutilam  … per aethram), anche in adesione all’etimologia greca (αἴθειν = ‘bruciare’, ‘risplendere’) Giovenco segue questa tendenza e ne amplifica la portata creando combinazioni espressionistiche quali auricolor … aethra (1,356), cla­ ram … aethram (4,68) e flammas uoluens … ab aethra (4,168) Il termine è più raro di aether, che nell’epos tradizionale ha una frequenza di gran lunga superiore; cfr Manitius, Juvencus, p  486, e Fichtner, pp  66 s , che calcola le percentuali delle occorrenze dei due lessemi nei principali poeti esametrici latini Esso identifica, con o senza attributi, la celeste dimora di Dio anche a 1,356 470; 2,125; 3,532 e 4,168 conscendet … in aethram Nei passi qui sopra menzionati è sempre conscendere a definire la salita al cielo e l’abbandono della vita terrena; la combinazione con in è qui e a 2,195; con ad soltanto a 2,185; altrove il predicato verbale è sempre con l’accusativo senza preposizioni (2,25 210 214; 3,93 318 400 622; 4,458 687 784) Per in aethram tra 5o e 6o piede vd già Lucr 6,467 e poi Avien Arat 831 1295; Sidon carm 11,2; Coripp Ioh 1,328; 4,388 liber Come a 2,195 si allude alla libertà dal peccato e alla rinascita spirituale; cfr Rom 8,2 lex … Spiritus uitae in Christo Iesu liberauit me a lege peccati et mortis; II Cor 3,17 ubi … Spiritus Domini, ibi libertas 69–72 I quattro versi amplificano Matth 23,13: Vae autem uobis, scribae et Pharisaei hypocritae, quia clauditis regnum caelorum ante homines; uos enim non intratis nec introeuntes sinitis intrare («Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché chiudete davanti agli uomini il re-

122

Commento

gno dei cieli; voi infatti non vi entrate e non lasciate entrare neanche chi vuole farlo») La dura esecrazione di Gesù si protrae per due stichi (vv  69–70) nella parafrasi giovenchiana: l’interiezione di sdegno uae scompare lasciando il posto ad un gerundivo (deflendi); scribae rimane, non più come vocativo ma come nominativo; una ricca perifrasi ingloba il termine Pharisaei che viene ripreso come attributo di plebs; l’aggettivo hypocritae si dissolve nel sostantivo fallacia (qualificato da caeca), che esprime un significato affine; il genitivo lacrimabilis aeui è un’aggiunta La seconda parte del versetto biblico diventa nam uobis itiner clausum quia iure negatur (v  71); al v  72 il poeta conserva dell’originale solo la voce verbale sinitis; rende con penetrare l’infinito intrare; aggiunge per ardua lucis, lontano echeggiamento di regnum caelorum, e sostituisce introeuntes con il pronome quemquam 69 deflendi … lacrimabilis Il uae scritturistico, che apre la minaccia profetica, passa in un’espressione di compianto messa in risalto dal pleonasmo; lacrimabilis è detto «de eis quae deflentur» (ThlL VII2 843,57 s ) In senso cristiano e per lo più con valore dispregiativo aeuum è la vita di questo mondo, contrapposta a quella eterna 70–76 Questa porzione di testo abbonda di omeoteleuti, amplificati talvolta dal posizionamento in corrispondenza delle stesse incisioni in versi successivi (cunctis – plebis – uo­ bis – sinitis – lucis – trahitis – tectis – sepulchris – quis – bustis; cunctos – uos; similes – facies) Ai vv  74 s il paragone con i sepolcri imbiancati è intensificato dalle connesse allitterazioni in s (similes … splendore sepulchris); ben sei versi (71–76) presentano poi un monosillabo iniziale (nam; non; et; uos; quis; sic) 70 caeca Pharisaeae … fallacia plebis Il baricentro dell’esametro poggia sul dativo cunctis, che bilancia le due coppie di aggettivi e sostantivi disposti in una struttura aAbB grazie al forte iperbato La mancanza di una parola latina o di una circonlocuzione adatte a designare il gruppo dei farisei spinge Giovenco a lasciare inalterato il termine, accompagnandolo con aggettivi e iuncturae che ne accentuino l’avversione contro Gesù; cfr ancora Simonetti Abbolito, Termini tecnici, pp  75 s La setta farisaica è definita ‘cieca’ (l’attributo è qui per ipallage accordato a fallacia) anche in 2,606 caeca Pharisaeae cognouit factio gentis, strutturalmente simile (sono, peraltro, i due soli casi in cui Pharisaeus ha valore aggettivale); nel nostro caso la connotazione potrebbe risentire dell’influsso della apostrofe del versetto matteano 23,16 uae uobis duces caeci, non confluito nella riscrittura poetica L’aggettivo caecus in Giovenco ha solo raramente il significato proprio di cecità fisica: 2,409 caecorum … duorum ~ Matth 9,27; 517 caecorum tenebrae ~ Matth 11,5 e 3,157 caecum forte ducem caecus si nactus oberret ~ Matth 15,14; è più costante invece il significato metaforico, spirituale, comune già negli scrittori classici (ThlL III 43,38,ss ), per rappresentare stati

Commento

123

d’animo e azioni, quali l’odio (1,562), il mormorio dei Giudei (2,169), il furore degli uccisori di Elia (3,350), il cuore di Caifa (4,561) e la rabbia cieca della folla ai piedi della croce (4,668 s ); oppure per descrivere, talvolta con allusioni di tipo morale, l’oscurità della notte e delle tenebre (1,758; 2,6 236 510) Ulteriori approfondimenti in Poinsotte, p  158 e nn 577–580 71 nam uobis itiner clausum quia iure negatur Si potrebbe considerare uobis un dativo di agente legato ἀπὸ κοινοῦ alle due forme verbali passive, vedendo in iure un riferimento alla legge farisaica, per mezzo della quale scribi e farisei negano, sbarrandolo, il cammino verso la salvezza eterna agli uomini loro sottomessi In alternativa, il verso potrebbe voler dire che l’accesso al regno dei cieli è negato (da Dio) a scribi e farisei, proprio perché essi lo precludono agli altri; in tal senso uobis dipenderebbe da negatur e da clausum, con funzione di dativo di svantaggio nel primo caso e di agente nel secondo; iure sarebbe poi o una nota di giustificazione di questa divina interdizione (‘a buon diritto, giustamente’), o ancora un’allusione alla legge strumentalizzata dalle autorità giudaiche La clausola iure negatur è imitata da Arator act 2,984 Per il v  71 il solo cod A riporta un testo alternativo (intran­ di regnum quibus est aduersa uoluntas): struttura sintattica e metrica sono adeguate, e l’autore del verso ricorre a una clausola che si legge in poesia già in alcuni testimoni di Verg Aen 12,647, contro la variante auersa preferita dagli editori, e successivamente in Prosp carm. de ingrat 293; direttamente alla Vorlage biblica è ispirato il verbo che apre l’esametro, non altrove attestato in Giovenco; anche la combinazione quibus est tra 3o e 4o piede, racchiusa tra pentemimere ed eftemimere, spesso in Virgilio e nella successiva poesia esametrica, non è mai negli Euangeliorum libri Il verso seguente è introdotto, sempre isolatamente in A, da nec in luogo di non per garantire una struttura paratattica al periodo, che, per incoerenza logica e stilistica, risulta comunque non armonico itiner Nonio Marcello (p 787,10 Lindsay = 490,10 Mercier) cita passi di Ennio (scaen 292 Ribbeck3 [= 336 Vahlen2; 289 Jocelyn]) e di Pacuvio (trag 45 121 Ribbeck3 [= 63 145 D’Anna]) come rari esempi letterari di itiner; cfr altresì Plaut Merc 913 929; Acc trag  457 500 Ribbeck3; Neue-Wagner, I3, p  290 Questa forma ricorre altre due volte in Giovenco (2,23 433), che generalmente adotta il più usuale iter (1,24 681; 2,99 154 341; 3,101 103 540 637) Il caso inverso è rappresentato dal genitivo iteris (1,243 290 318 557; 2,184; 3,585; 4,767), che si legge in poesia solo in due luoghi di poeti arcaici (Naev trag 33 Ribbeck3 e Acc trag 627 Ribbeck3); cfr Huemer, Index, p  162; Knappitsch, IV, p  7 72 penetrare per ardua lucis Secondo Colombi, Preposizioni, pp  17 s , in questo caso l’impiego di per, in luogo di in o ad, si può spiegare ammettendo che la preposizione abbia il significato, già classi-

124

Commento

co, di «lungo la superficie di» (cfr altresì 3,10 uenient per rura e 129 conueniunt … per litora) La costruzione penetrare per potrebbe essere stata influenzata da Lucr 6,303 penetrare per auras Il nesso per ardua è poi assai frequente in poesia (cfr , per es , Verg georg 3,291; Lucan 6,38; Val Fl 2,516; Sil 4,65; 5,458) Una uariatio formale di ardua lucis è sublimia lucis di Iuvenc 4,115, ugualmente in clausola 73 cunctos trahitis saeuae ad consortia flammae È una proiezione sul piano escatologico relativa al destino ultimo che toccherà a scribi, farisei e loro seguaci Giovenco riprende Matth 23,15: Vae uobis, scribae et Pharisaei hypocritae, quia circuitis mare et aridam, ut faciatis unum proselytum, et cum fuerit factus, facitis eum filium gehennae duplo quam uos («Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché attraversate il mare e la terra per fare un solo proselito e, quando lo avete ottenuto, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi»). Tutta la prima parte dell’ipotesto non trova corrispondenza nella riscrittura metrica; rimane solamente il riferimento alla Geenna reso attraverso una perifrasi esplicativa: saeuae ad consortia flammae Tale omissione non è dovuta comunque a ragioni di tipo ideologico, visto che il termine aramaico è mantenuto senza riserve in 1,707 praemia iustitiae tribuet scelerique gehen­ nam, quanto piuttosto a fini puramente poetici Un analogo collegamento con il fuoco è evocato, per es , da Prudenzio (perist 1,110 s reddit omnia / confitens ardere sese; nam gehennae est incola e ham 959 auidae nec flamma gehennae) e Aratore (act 2,1174 s ignem / unde gehenna calet); cfr Poinsotte, p  72 e n  220 Secondo Girolamo questa associazione è dovuta al fatto che nella piccola valle a sud di Gerusalemme si bruciavano i rifiuti (in Matth 1,10,28 futura ergo supplicia et poenae perpetuae, quibus peccatores cruciandi sunt, huius loci uocabulo denotantur. Duplicem autem esse gehennam, nimii ignis et frigoris, in Iob plenissime legimus [cfr Iob 24,19]); la spiegazione è anche in Isid orig 14,9,9 Gehenna est locus ignis et sulphuris […] Futuri ergo supplicii locus Nella costruzione dell’esametro si potrebbe vedere un richiamo a Val Fl 6,663 saeuae trahitur dul­ cedine flammae, in cui la metaforica immagine del fuoco allude all’amore distruttivo di Medea Consortia, che indica la condivisione della comune pena riservata ai dannati, è parola rara prima degli autori cristiani, specialmente in poesia; si registra in Stat Theb 1,84; 3,166; silv 2,1,29; Val Fl 3,677; Sil 3,611; 14,20; per comodità metrica è spesso al plurale (ThlL IV 488, 20 ss ) Con analoga perifrasi Giovenco allude alla condanna dei due ladroni crocifissi insieme con Cristo in 4,667 s ut pariter poenae consortia ferrent / latrones Una venatura allusiva sembra contenere il verbo trahere, che richiama alla mente il proselitismo dei falsi profeti ricordati in 1,693 lacerantque incauta trahentes / agmina Del verso si sarà ricordato Prudenzio nel ritrarre Eva che seduce Adamo rendendolo complice del peccato (ham 741 traxerat Euua uirum dirae ad consortia culpae) 74–77 Una coppia di versi riscrive i due versetti biblici di Matth 23, 27–28: 27 Vae uobis, scribae et Pharisaei hypocritae, quia similes estis sepulcris dealbatis, quae a foris parent hominibus

Commento

125

speciosa, intus uero plena sunt ossibus mortuorum et omni spurcitia! 28 Sic et uos a foris quidem paretis hominibus iusti, intus autem pleni estis hypocrisi et iniquitate («Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché siete simili ai sepolcri imbiancati, che all’esterno sembrano belli agli uomini, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni sporcizia! Così anche voi fuori apparite giusti agli occhi degli altri, ma interiormente siete pieni di ipocrisia e di malizia») A parte qualche cambiamento sintattico, come il passaggio dalla proposizione causale del Vangelo ad una principale, l’inversione di soggetto e l’aggiunta del verbo dicam, al v  74 non si riscontrano interventi di particolare rilievo: similes e sepulchris corrispondono testualmente; dealbatis diventa tectis splendore, una forma di interpre­ tatio attualizzante, che potrebbe alludere alle fastose decorazioni tombali tipiche del mondo romano tardoantico Al verso successivo il poeta lascia il pronome relativo, non più al nominativo ma al dativo (quis); muta a foris parent hominibus speciosa in un più conciso facies nitida est, e interviene in maniera decisa sulla seconda parte del versetto che si contrae in un kolon nominale (internaque turpia bustis) Il v  76 riproduce il primo membro del versetto 28: l’avverbio sic, come nell’originale, introduce il secondo elemento della similitudine; l’evangelico a foris … paretis hominibus è eliminato; iusti è ripreso nella perifrasi iustae sub imagine uitae; il lessico concentrato sull’idea di apparenza (uelatur – imagine – celantur) esprime il concetto di ‘ipocrisia’ racchiuso in hypocrisis della fonte matteana; il secondo membro è riscritto al v  77: intus ha un corrispondente concettuale in adytis mentis, mentre iniquitate nel nominativo sordida corda 75 quis Questa forma di dativo plurale del pronome relativo, al tempo stesso poetica e di lingua dell’uso (Neue-Wagner, II3, 469), è da Giovenco preferita a quella concorrente qui­ bus (1,165 672; 3,3 382), rispetto alla quale vanta un numero di occorrenze decisamente superiore (1,236 312 441; 2,374; 3,583 718; 4,153 232 254 544 722) facies nitida … internaque turpia bustis Un parallelismo oppositivo Per il neutro plurale sostantivato interna (‘la parte interna’) si veda Voß-Lumpe in ThlL VII 2235,88 s Il plurale busta, al posto del biblico os­ sibus mortuorum, va inteso qui in riferimento o ai cadaveri, accezione che, per es , il termine ha in Drac Romul 10,508 mors rapiat sponsum cum paelice busta, o alle ceneri (ThlL II 2258,2–8) Nel secondo caso la scena si ‘romanizzerebbe’ a scapito della coerenza storica rispetto al rito ebraico, che prevedeva la sepoltura e non l’incinerazione Giovenco sembra essere imitato da Sev Malac 10,47 ss sensus nitido sub corpore false, / albatis tu]mulis similes, quos candidus ornat / exterius]paries formatus arte uirili

126

Commento

76 uox uelatur iustae … uitae In luogo del tràdito uox Reusch, p  357, pone a testo nox, accogliendo una congettura di Eusthatius Swartius, p  106, che chiosa la proposta con «hoc est, obscura vitia, lita fulgore quodam mendacii teguntur»; la correzione è suggerita successivamente anche da Petschenig, Evangeliorum libri, p  141 Il riferimento metaforico alla notte interiore, immagine già classica e poi spesso presente anche nella letteratura patristica, è senza dubbio molto suggestivo e appropriato al contesto Si può comunque in qualche modo giustificare anche la lez ms , glossata dal Badius con «sermo vester»; il poeta starebbe contrapponendo i discorsi dei farisei, ornati o rivestiti dell’apparenza di una vita giusta, ai pensieri malvagi nascosti nel profondo del loro cuore; le autorità giudaiche, cioè, parlano da persone perbene, ma nutrono segretamente pensieri malvagi; il gioco oppositivo sarebbe dunque tra uox e corda, tra ciò che gli altri possono percepire dal di fuori e ciò che invece rimane inconfessato Non è poi forse ininfluente ai fini della constitutio textus il consueto gioco allitterativo, che qui si dispiegherebbe in ben tre membri dello stico (uox uelatur … uitae) Il nesso iusta uita, che in 2,202 s prefigura la vita dei battezzati (quisque igitur iustae repetit primordia uitae, / hunc similem sancti flatus reuirescere certum est), ritornerà con la stessa connotazione semantica al v  42 del Carmen ad Flauium Felicem, dove l’anonimo autore lega il conseguimento dei premi eterni ai meriti di una vita cristianamente giusta 77 adytis mentis Posto che la corruttela di adytis in aditis, grafia adottata da Huemer in tutte le occorrenze del termine (1,10 507; 2,760; 4,633), non è infrequente, come accade per es in alcuni codd di Acc trag 624 Ribbeck3 e Ov met 15,636, va ripristinata la corretta forma greca del sostantivo adytum (-on), indicante la parte interna del tempio accessibile ai soli sacerdoti (Caes civ 3,105,5 in occultis ac reconditis templi, quo praeter sacerdotes adire fas non est, quae Graeci adyta appellant) e metaforicamente le profondità dell’anima La metafora, derivata da Lucr 1,737 ex adyto tamquam cordis e poi spesso sfruttata da Cassiano (conl 7,13,2; 22,3,5; 22,7,16 in adytis interioris hominis; inst 8,8,1 pectoris nostri), rientra in quel linguaggio figurato con cui Giovenco parla dell’uomo interiore; cfr su­ pra, nota al v  7 Colombi, Preposizioni, p  15, rileva in Giovenco una spiccata tendenza all’uso del semplice ablativo al posto della costruzione preposizionale, più frequente negli autori della tarda latinità, e raggruppa i casi presi in esame per affinità di espressioni che si riferiscono al cuore e allo spirito (nel libro IV, oltre a questo luogo, anche al v  143 penetralibus), al cielo e alla terra (4,99 139 442 terris; 153 uertice caeli), al ventre oppure alla navigazione 78–85 Il lamento di Gesù su Gerusalemme. I versi si rifanno a Matth 23,37–39: 37 Hierusa­ lem, Hierusalem, quae occidis prophetas et lapidas eos, qui ad te missi sunt, quotiens uolui congregare filios tuos, quemadmodum gallina congregat pullos suos sub alis suis, et noluistis!

Commento

127

Ecce relinquitur uobis domus uestra deserta! 39 Dico autem uobis, quia non me uidebitis amodo, donec dicatis: Benedictus qui uenit in nomine Domini («Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono inviati; quante volte ho voluto radunare i tuoi figli, come una gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le sue ali, e voi non avete voluto Ecco, la vostra casa vi è lasciata deserta Vi dico che non mi vedrete d’ora in avanti, finché non direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore») Ai vv  78 s il poeta rispetta l’epanalessi iniziale che marca l’apostrofe rafforzandola con una interiezione; al nome della città, incompatibile con l’esametro per la sua successione di sillabe brevi (Hĭěrŭsălem), sostituisce quello degli abitanti (Sŏlўmi; cfr Simonetti Abbolito, Termini tecnici, p  68, n  32); mantiene la prima proposizione relativa con l’additio del particolare relativo all’arma (ferro) Sostituisce poi il complemento di moto a luogo (ad te) con uno di scopo (ad uestram … uitam); comprime la seconda relativa nel participio congiunto missos; conserva prophetas, cambia occidis in necastis e sopprime lapidas Il v  80 aderisce all’originale solamente nell’attacco (quo­ tiens ~ Iuvenc quam; uolui ~ uolui); filios tuos si sdoppia in una coppia di accusativi, uestram gentem populumque; il più esplicito tueri spiega il senso di congregare La retrac­ tatio giovenchiana della similitudine della gallina e dei pulcini, tenera immagine con cui Gesù definisce se stesso e gli abitanti di Gerusalemme, è ravvivata ai vv  81 s da un linguaggio di impronta epica (ales uti dulces solita est sub corpore pullos / obice pinna­ rum circumconplexa fouere): il poetico ales rimpiazza gallina; uti la formula comparativa quemadmodum; dulces qualifica pullos (uguale in Matteo); suos scompare; sub alis suis è sciolto in due locuzioni, sub corpore e obice pinnarum; a congregat, come in precedenza, si preferisce un altro verbo, in questo caso fouere, che indica il calore con cui la chioccia riscalda i pulcini; si inseriscono solita est e circumconplexa Un notevole ampliamento di natura esegetica si rileva ai vv  83–85, in cui emerge scopertamente la vena antigiudaica del poeta Il v  84 rielabora l’allusione veterotestamentaria a Ier 12,7 e 22,5 che occupa l’intero versetto 38 (relinquitur uobis domus uestra deserta): relinquitur … deserta è sintetizzato da deseritur; in luogo di uestra c’è haec; non rimane uobis; con il nesso uastan­ da ruinis il poeta fa preannunciare a Gesù (indirettamente) la futura devastazione del tempio Il v  85 rielabora soltanto l’inizio del versetto 39 (non … uidebitis ~ nec … fas … est cernere; me ~ nostrum … uultum), è tagliata invece la citazione finale di psalm 117,26 38

78 o L’interiezione fa registrare sei occorrenze (1,86 330; 3,365 501; 4,78 340), ed è in posizione incipitaria tre volte (3,365 501; 4,78) Solymi, Solymi Negli Euangeliorum libri il nome Solymi (-orum) vanta 9 attestazioni ed è riferito talvolta alla città talaltra al popolo di Gerusalemme (1,227 ~ Matth 2,1 Hierosolyma; 205 ~ Ioh 3,10 Istrahel; 233 ~ Matth 2,3 Hierosolyma; 2,154 ~ Ioh 2,13 in Hierosolymis; 284 ~ Ioh 4,21 Hierosolymis; 3,584 ~ Matth 20,18 Hierosolyma; 622 ~ Matth 21,1 Hierosolymis;

128

Commento

641 ~ Matth 21,10 Hierosolyma) L’aggettivo Solymus è invece adottato in 1,449 540; 2,281; 3,291; 4,363; oltre a motivazioni di carattere metrico, è probabile che tale impiego in Giovenco rientri nella convenzione poetica di indicare il luogo mediante i suoi abitanti (Santorelli, I libri dei Vangeli, p  127) 79 sine fine Si è incerti se il sintagma vada con necastis («avete ucciso senza limite») o con ui­ tam («vita senza fine, eterna») Propendo per la seconda lettura, sulla scorta di 3,379 precibus sine fine e 771 sine fine doloris, in cui il sintagma accordato con sostantivi ha un’analoga funzione aggettivale Se seguissimo la prima ipotesi, inoltre, il verbo risulterebbe accompagnato da due forme avverbiali temporali (saepe e sine fine), ridondanti e contraddittorie necastis Axelson, pp  66 s , osserva che necare, nonostante la sua compatibilità con l’esametro, sia poco amato dai poeti classici e postclassici, che ricorrono ad altri vocaboli o locuzioni per rendere il senso di ‘uccidere’ Il verbo, adoperato più spesso soltanto da Ovidio e Manilio, in Giovenco è attestato anche in 2,789; in 2,750 c’è invece il composto internecare; cfr Schicho, p  52 80 gentem populumque Cfr nella stessa posizione esametrica Verg Aen 6,706 gentes populique e Lucan 7,207 gentes populosque 81 ales Widmann, p  4, considera l’impiego di ales un argomento a favore dell’ipotesi secondo cui Giovenco avrebbe qui seguito il testo greco di Matth 23,37, che esibisce ὄρνις, e non la versione della VL, dove i codici riportano concordemente gallina Tuttavia, la scelta pare dettata piuttosto da una semplice opportunità stilistica, vista la maggiore poeticità di ales Anche in 4,583 (ales prosequitur cantu) il termine traduce gallus (gr  ἀλέκτωρ) di Matth 26,74 81–82 dulces … pullos / obice pinnarum circumconplexa Il frasario ricorda 2,338 dulcem conplectere natum e Verg georg 2,523 interea dulces pen­ dent circum oscula nati Il poco poetico pullus trova un puntuale riscontro nel modello anche in 3,632 e 635 a proposito del puledro d’asino; la ‘dolcezza’ è qualità dei volatili ancora in 2,459 dulces … columbas; si veda altresì Ps Orig tract 16 p  175,16 turtur et hirundo, dulces aues Sulla scorta di questi paralleli si può difendere dulces, ancorché lezione di pochi mss tra cui già C (in K2 si legge invece dulci), contro la variante maggioritaria molli, recepita a testo da Arevalo Al v  82, formato da solo quattro parole, la metafora obice pinnarum non sembra avere altre attestazioni nella letteratura latina

Commento

129

(ThlL IX 66,40 s ) Circumconplector è un hapax assoluto (ThlL III 1127,11 ss ); si veda tuttavia Verg Aen 12,433 Ascanium fusis circum complectitur armis, dove circum si lega però a fusis La tenerezza della similitudine biblica richiama forse alla mente del poeta proprio l’immagine virgiliana di Enea che cinge affettuosamente suo figlio; l’inconsueta opzione lessicale giovenchiana sarà poi servita da segnale anche per il lettore tardoantico, che avrà così potuto riconoscere le suggestive analogie psicologiche tra personaggi e situazioni In ogni caso, il riecheggiamento giovenchiano non risolve del tutto l’ambiguità dell’armis virgiliano, ‘braccia’ o ‘armi’ (per la seconda ipotesi propende Tarrant, pp  201 s ); l’ambivalenza metaforica dell’obex pinnarum sembra anzi combinare in qualche modo entrambe le possibilità, evidentemente previste da Giovenco Il neologismo si aggiunge ad altri composti con il medesimo prefisso presenti nel poema: circumicio (3,331), circumlatro (4,535), circumsto (1,205; 4,584), circumuolito (1,68) 83–85 Le voci verbali sono puntellate da forme avverbiali (semper, iam nunc, nec … ultra), che sembrano rendere definitiva l’impossibilità della conversione dei Giudei (Poinsotte, p  91 e n  292; p  92 e n  293) 83 sed uobis semper caelestia munera sordent Con Poinsotte, p  162 e n  606, si può vedere nel v  83, che parafrasa, dilatandolo, il nolu­ istis biblico, un’accentuazione in tono polemico del rifiuto della grazia divina da parte dei Giudei, un rifiuto che nell’ottica dello Spagnolo diventa un’attitudine definitiva e costante L’apostrofe gesuana ha un sentore virgiliano sottilmente allusivo: nel contesto pastorale di ecl. 2,44 et faciet, quoniam sordent tibi munera nostra, l’infelice Coridone dona due cerbiatti ad Alessi che disprezza il regalo e respinge l’amico Giovenco cristianizza l’immagine, applicandola con una nuova coloritura spirituale all’amore non corrisposto di Dio verso il popolo d’Israele Per il nesso caelestia munera, qui nel senso biblico-cristiano di ‘grazia di Dio’, ‘provvidenza divina’, si vedano Ov met 13,659 im­ perat Argolicam caelesti munere classem e soprattutto Prop 2,3,25 haec tibi contulerunt caelestia munera diui (da confrontare, a sua volta, con Verg georg 4,1 protinus aerii mellis caelestia dona) Giovenco se ne serve anche al singolare in 2,763 qui uero expertes cae­ lestis muneris errant e 820 fermento par est munus caeleste salubri, e, con una variazione sinonimica dell’attributo, in 2,187 atque nouam capiat diuino munere uitam 84 uastanda Cfr supra, nota al v  28 86–305 Incomincia il grande discorso escatologico, che occupa in Matteo i capp 24 e 25; è l’ultimo dei cinque discorsi di Cristo riportati dall’Evangelista, che li alterna a parti narrative; essi sono tutti parafrasati da Giovenco, che ne mantiene contenuto e strut-

130

Commento

tura (Santorelli, Aquilino Giovenco, pp  270–271 e 388) Qui Gesù si rivolge ai discepoli perché perseverino, siano pronti per l’arrivo del Signore e portino frutti di giustizia 86–90 L’annuncio della distruzione del tempio Si veda Matth 24,1–2: 1 Et egressus Iesus de templo ibat et accesserunt discipuli eius, ut ostenderent ei structuras templi. 2 Ipse au­ tem respondens dixit illis: Videtis haec omnia? Amen dico uobis, non relinquetur hic lapis super lapidem, qui non destruatur («Gesù uscito dal tempio se ne andava; allora gli si avvicinarono i suoi discepoli per mostrargli le strutture del tempio Gesù rispose loro: Vedete tutto questo? In verità vi dico, non resterà qui pietra su pietra che non venga distrutta») Al primo emistichio 86 corrisponde il primo membro del versetto 1: dei due verbi di moto dell’ipotesto rimane solamente egredior al presente storico (egreditur), accompagnato da templo senza la preposizione de; balza subito all’occhio l’assenza del soggetto Iesus, non sostituito, come pure spesso accade, da una forma pronominale La restante parte del versetto e l’inizio di quello successivo vedono nella parafrasi un arrangiamento del tutto autonomo rispetto al testo biblico: il poeta sinteticamente presenta i discepoli che osservano le altissime mura del tempio (notantes) e Gesù che li ammaestra (docebat), mettendo in risalto la grandezza dell’edificio (praecelsa … / moenia, vv  86 s  ~ Matth structuras); l’insistenza sulla straordinaria imponenza della costruzione, delineata ancora ai vv  88 s con l’impiego di un selezionato repertorio lessicale che enfatizza il senso di meraviglia (haec operum … miracula; obtutu stupido), prepara, per contrasto, alla predizione della futura rovina, prefigurata con poche ma vivide pennellate al v  90 (quod mox cuncta solo passim disiecta iacebunt), che anticipa l’ultima parte del versetto 2 La frase amen dico uobis è tradotta a v  89 con una locuzione classicheggiante che meglio si attaglia all’esametro latino (ueris sed discite dictis) 87 discipulos … docebat L’allitterazione presenta sulla scena i discepoli e Gesù nell’atto di impartire un insegnamento; la specificità dei ruoli è chiaramente distinta dalle due parole di opposta area semantica (apprendere e insegnare); cfr l’analogo contrasto di 3,135 cur tua discipulos patitur doctrina labare? L’uso del verbo docere (oppure edocere), sia quando ha dei corrispondenti nel testo base sia quando è introdotto ex novo, risponde ad una precisa volontà di Giovenco di rappresentare il Signore come maestro, detentore dell’unica e vera dottrina (3,17 20; 4,448 451 466 534) Per le stesse ragioni, Gesù è altresì indicato come doctor, con o senza la specificazione legis (2,352; 3,27 109 399 425) tali sermone Il medesimo stilema è in 4,326, sempre come formula di transizione in riferimento a un discorso pronunciato dal Salvatore, e ricompare nella stessa posizione esametrica in Sidon carm 5,367 e Alc Avit carm 6,478

Commento

131

88–89 miracula digna uidentur / obtutu stupido Emblematica suggestione tratta da Verg Aen. 1,494 s miranda uidentur, / dum stupet obtutuque haeret defixus in uno: Enea fissa lo sguardo carico di stupore sulle scene della guerra di Troia dipinte sulle pareti del tempio di Giunone a Cartagine; Santorelli, Aquilino Giovenco, p  388, scorge nel riuso virgiliano una imitatio in opponendo: Cristo preannunzia la distruzione del tempio di Gerusalemme; Enea, contemplando la rovina della sua città, nutre invece la speranza di fondarne una nuova Nella risemantizzazione dell’immagine, inoltre, l’intertesto classico serve anche a fornire materiale descrittivo per la rappresentazione del tempio in una trasposizione contrastiva che oppone all’universo pagano quello biblico-giudaico; non va poi sottovalutata la possibilità che il richiamo virgiliano voglia anche evocare una contrapposizione culturale, quella tra cristianesimo e giudaismo, sulla falsariga della contrapposizione tra Roma e Cartagine, implicitamente evocata nel sottotesto virgiliano È un interessante esempio di come Giovenco, mediante riprese lessicali più o meno esplicite dal modello, stimoli il lettore dotto a cogliere punti di contatto, analogie e differenze tra i passaggi virgiliani e quelli biblici parafrasati 89 ueris sed discite dictis La formula neotestamentaria amen dico uobis (e la variante dico autem uobis), pronunciata nei Vangeli da Gesù per esporre un ammaestramento di particolare importanza, è di preferenza omessa da Giovenco Poinsotte, pp  78–83 e nn 269, 270, 271, calcola che le due espressioni semitiche, che risentono di uno stile formulare e primitivo poco conciliabile con l’epos latino, vengono recuperate e adattate al testo poetico in soli sette casi, compreso il nostro (1,486 ~ Matth 5,18; 754 ~ Matth 8,11; 3,314 ~ Matth 16,28; 665  ~ Matth 21,21; 704  ~ Matth 21,31; 4,453  ~ Matth 26,29) L’hemiepes in oggetto, rafforzato dall’allitterazione e dall’omeoteleuto, presenta strette corrispondenze con 1,754 sed ueris discite dictis, con la sola inversione dei primi due termini, e 4,453 nam ueris credite dictis Per il nesso ueris … dictis cfr Lucr 4,914 Il tono didascalico della profezia è garantito dal verbo discere (l’imperativo al 5° piede è già in Verg georg 2,35; Aen 3,103; Sil 5,249), con cui spesso nel poema Cristo invita all’ascolto i destinatari delle sue parole (1,472 Discite uos hac in terra salis esse saporem; 2,357 Discite nunc saltem, iubeant quid uerba prophetae; 4,389 sed populus praesens me missum credere discat) 90 quod Quod (o quia) come elemento di subordinazione, accompagnato dall’indicativo o dal congiuntivo, dopo i uerba dicendi o sentiendi è raro nel latino classico (Bell. Hisp 36,1; Petr 71,9; Mart 11,64,2) Non c’è accordo tra i grammatici sul fatto che il costrutto in questione sia un grecismo sintattico; Oniga, p  233, accoglie la tesi di Cuzzolin, pp  13–21 e 83–134, secondo il quale l’affinità della costruzione dico quod + indic /cong con il gr λέγω ὅτι + indic può aver solo accelerato il processo di diffusione del costrutto latino, sorto tuttavia non come calco dal greco, ma per dinamiche interne alla lingua latina

132

Commento

Certo è che un significativo incremento dell’uso di questa costruzione si ha presso gli scrittori cristiani e soprattutto nell’età di Agostino, molto probabilmente per influsso della corrispondente costruzione greca presente nei Vangeli Come si ricava dall’elenco dei passi allestito da Huemer, Index, p  170, tale uso è attestato in tutta l’opera giovenchiana: 1,168 193 238 300 506 713 755; 2,291 327 389 550 579; 3,34 35 38 139 152 245 248 262 567; 4,356 468 547 666 758 781; cfr altresì Hatfield, § 107, p  25; Kievits, p  73; Flieger, p  147 disiecta iacebunt Da confrontare con Enn scaen 79 Ribbeck3 (= 89 Vahlen2; 84 Jocelyn) disiectae iacent e ancora con la clausola dello stesso Iuvenc 1,666 namque illa in caeno pedibus subiecta iacebunt 91–120 L’inizio della tribolazione I credenti saranno messi alla prova con calamità e persecuzioni; cfr Matth 24,3–14: 3 Sedente autem ipso super montem oliueti, accesserunt ad eum discipuli secreto dicentes: Dic nobis, quando haec erunt et quod signum aduentus tui et consummationis saeculi ? 4 Et respondens Iesus dixit: Videte, ne quis uos seducat ullo modo. 5 Multi enim uenient in nomine meo dicentes: Ego sum Christus, et multos seducent. 6 Audientes autem proelia et opiniones proeliorum: Videte, ne turbemini; oportet enim haec fieri, sed nondum est finis. 7 Insurget enim gens contra gentem et regnum contra regnum et erunt fames et terrae motus per loca; 8  Omnia haec initia sunt dolorum. 9 Tunc tradent uos in tribulationem et occident uos et eritis odio omnibus gentibus propter nomen meum. 10 Et tunc scandalizabuntur multi et inuicem tradent et odio habebunt inuicem. 11 Et multi pseudoprophetae insurgent et seducent multos. 12 Et quoniam abundabit iniquitas, refrigescet caritas multorum. 13 Sed qui permanserit in finem, hic saluus erit. 14 Et praedicabitur hoc euangelium regni in uniuerso orbe in testimo­ nium omnibus gentibus; et tunc ueniet consummatio («Mentre Gesù era seduto sul monte degli Ulivi, i discepoli si avvicinarono a lui e, in privato, gli chiesero: Dicci, quando avverranno queste cose e quale sarà il segno del tuo arrivo e della fine del mondo? E Gesù rispondendo disse: Guardate che nessuno vi inganni in alcun modo Perché verranno molti nel mio nome, affermando: Io sono il Cristo, e sedurranno molti Quando sentirete parlare di guerre e di rumori di guerre, non vi turbate; è necessario che accadano questi fatti, ma non è ancora la fine Insorgerà popolo contro popolo e regno contro regno e vi saranno carestie e terremoti in ogni luogo Tutto questo è l’inizio dei dolori Allora vi consegneranno al supplizio e vi uccideranno, e sarete odiati da tutte le genti a causa del mio nome E allora molti si scandalizzeranno e si tradiranno a vicenda e si odieranno gli uni gli altri Sorgeranno molti falsi profeti e trarranno molti in inganno E per la troppa iniquità si raffredderà l’amore di molti Ma chi persisterà sino alla fine sarà salvo E questa novella del regno sarà predicata in tutto il mondo, per essere una testimonianza a tutti i popoli; e allora verrà la fine»)

Commento

133

Ben cinque versi parafrasano Matth 24,3 Diversamente dal brano scritturistico in cui la scena inquadra Gesù da fermo, già seduto sul monte degli Ulivi, al v  91 il poeta rende più dinamica l’azione, con peruenerat e l’aggiunta di haec … dicens Originale è pure la resa dell’altro segmento biblico: in luogo di accesserunt c’è un verbo di percezione (uidere); una proposizione temporale sostituisce la principale del modello, e al participio dicentes corrisponde rogabant, che è il verbo della sovraordinata Nell’uno e nell’altro caso il soggetto sono i discepoli Non meno significativa è la precisazione circa il fatto che Gesù era solo (solum), circostanza che trova probabile spiegazione alla luce della forma avverbiale secreto (‘in privato’, ‘in disparte’) dell’ipotesto Le interrogative dirette del modello sono riprodotte in forma indiretta ai vv  93–95 I vv  93 s sono una amplificatio che spiega, sviluppandolo, il sintetico quando haec erunt di Matteo; nella resa giovenchiana i discepoli si informano sul momento preciso (uenturi tempus distingueret aeui, v  93) in cui si adempiranno le promesse di Gesù (promissa ipsius quo poscant prendere finem, v  94); i due versi esibiscono una sovrabbondanza di termini che meglio mettono a fuoco il carattere escatologico del passo: la coaceruatio synonimorum (tempus/aeui), il participio futuro (uenturi) e il ricercato giro di parole per esprimere il compimento delle predizioni (promissa … poscant prendere finem) Gli ultimi due segmenti biblici riguardano i segni che accompagneranno l’arrivo del Cristo e la fine del mondo: proprio il riferimento al signum, egualmente attestato da tutti e tre i sinottici, è assente al v  95 (eius et aduentus terrae consumeret orbem), dove, pur con diversa funzione morfologico-sintattica, restano gli elementi basilari: il sostantivo consummationis è ripreso nella voce verbale consumeret, il cui soggetto è aduentus (nell’originale specificazione di signum); a saeculi si sostituisce il più concreto terrae … orbem Il primo membro del versetto 4, un periodo di transizione che introduce la risposta di Gesù, a parte qualche mutamento vede una resa sostanzialmente letterale a v  96: i due verbi di dire si riducono ad uno (respondit) con l’incremento di talia; quaerentum uerbis, in apertura di verso, sostituisce eis; in luogo di Iesus il soggetto è Christus La seconda parte del versetto 4 e tutto il versetto successivo sono un monito ai discepoli a diffidare degli impostori, che si presenteranno nel nome del Cristo per indurre molti in errore; il luogo non è duttile, caratterizzato com’è da un ordinamento prevalentemente paratattico e da ripetizioni: al primo emistichio 97 Giovenco riassume con obseruate dolum (il termine dolum è enfaticamente posto davanti a cesura tritemimere) il concetto insito in uidete, ne quis uos seducat ed escogita un’ampio giro di frase per rendere il contenuto del versetto 5, con la lontana ripresa di in nomine meo (~ Iuvenc falso … nomine, v  97), un soggetto astratto (credulitas, v  98) e la metafora dei lacci dell’errore (laqueis errantum praecipitetur, v   98) Il versetto 6 preannuncia le guerre imminenti, esorta a non temere, ricordando che non è ancora la fine: il v  99 (discur­ rent cunctis bellorum incendia terris) aggiunge pathos al dettato scritturistico mediante un’immagine pregnante, i fuochi dei conflitti (bellorum incendia), che divamperanno in ogni angolo della terra (cunctis  … terris); con quest’ultima aggiunta il parafraste tende a confermare il carattere universale della profezia evangelica Altrettanto carico

134

Commento

di vigore espressivo è l’ampio sviluppo, ai vv  100 s, del conciso uidete, ne turbemini: la secca battuta dell’Evangelista si espande in un accorato invito a rimanere saldi (sed uos praeualido consistite robore cordis, v  100), perché l’animo non soccomba schiacciato dai tumulti (ne mens … iaceat turbata …, v  101); l’unico aggancio testuale con l’ipotesto è il participio turbata (v  101), che richiama il biblico turbemini, mentre accepto … tu­ multu rinvia concettualmente ad audientes autem proelia et opiniones proeliorum Il v  102 (non etenim prima inponent mox proelia finem) ripropone liberamente il senso della seconda parte del versetto 6 (oportet enim fieri, sed nondum est finis), più precisamente l’ultimo membro, con degli ampliamenti (si noti la ripresa del solo termine finis ~ Iuvenc finem; proelia riecheggia l’inizio del versetto) Ai vv  103–107, parafrasi di Matth 24,7, il presbitero iberico dà prova della sua abilità compositiva, sfruttando a pieno le sue reminiscenze poetiche, al fine di conferire maggior enfasi alla parafrasi Dopo un inizio grosso modo simile al v  103 (gens in gentem ~ Iuvenc gentibus et gentes; et regnum in regnum ~ Iuvenc et regibus … reges) con delle sostituzioni forgiate con intertesti classici (cfr infra, nota ai vv  99–109), il poeta si diffonde in interessanti espansioni parafrastiche I vv  104 s paventano morbi che infetteranno l’aria e pestilenze che abbatteranno i corpi: la versione più accreditata della VL parla esclusivamente di carestie e terremoti; Giovenco sembra invece aver qui tenuto presente un ramo secondario della tradizione (codd aur c f ff1 g1 l ug), che a Matth  24,7 legge pestilentiae et fames (u l fames et pestes; si veda altresì il luogo corrispettivo di Luc 21,11), lez echeggiata da pestes (v  105) Il semplice terrae motus per loca dà luogo a una retractatio ornamentale (vv  106 s ), che presenta la terra librata sul suo peso e fissata nel vuoto, scossa in ogni dove dai terremoti Il versetto 8 (omnia haec initia sunt dolorum) è riscritto al v  108 (haec in primitiis temptamina parua manebunt): haec è uguale; in primitiis ripropone il senso di initia; temptamina porta l’idea di ‘prova’, al posto di dolorum Ai primi due membri del versetto 9 (tunc tradent uos in tribulatio­ nem et occident uos) corrisponde il v  109 (prodentur multi uestrum letoque dabuntur): le voci verbali passano dalla forma attiva a quella passiva, quasi a voler sottolineare, anche attraverso la sintassi, le sofferenze subite; è omesso in tribulationem; il verbo prodo in luogo di trado abbraccia semanticamente sia la consegna ai supplizi sia i tradimenti e le delazioni Rispetto agli altri sinottici Matteo è qui più parco di dettagli: Marco aggiunge un preciso riferimento ai sinedri e alle singoghe (13,9 tradent uos conciliis et in synagogis uapulabitis), Luca alle sinagoghe e al carcere (21,12 persequentur tradentes in synagogas et custodias); è tanto più significativa, quindi, la concisione di Giovenco che condensa tutto in un pregnante prodentur. Il segmento occident uos si ingentilisce nel più poetico leto … dabuntur Il secondo elemento del versetto è sviluppato ai vv  110 s : salvo poche corrispondenze lessicali (propter nomen meum ~ Iuvenc proque meo … nomine, v  110; gentibus ~ gentes, v  110; odio ~ odiis, v  111), le altre componenti testuali sono amplificationes giovenchiane; l’ineluttabilità di questi patimenti, anch’essi inseriti nel piano misterioso della Provvidenza, è sancita dalla clausola del v  111, necesse est

Commento

135

Il versetto 10 è sottoposto ad una radicale revisione: alla struttura trimembre dell’ipotesto, incardinata su tre punti chiave, lo scandalo (scandalizabuntur multi), il tradimento (inuicem tradent) e l’odio (odio habebunt inuicem), subentrano due cola, uno concernente l’invidia (liuor erit terris), l’altro l’errore (erroribus omnia plena) Pressoché ad uerbum è la resa del versetto 11 a v  113: il grecismo pseudoprophetae è tradotto con falsi … prophetae (cfr in proposito Simonetti Abbolito, Termini, p  77 e n  56); insurgent (u l surgent) ~ Iuvenc surgent; seducent multos è interpretato con populorum labe, che punta sugli effetti rovinosi dell’inganno; i multi di Matteo diventano interi popoli (po­ pulorum) Dopo l’omesso del versetto 12, il successivo, cioè il 13, si dilata (vv  114–116): la proposizione relativa (sed qui permanserit in finem) diventa (vv  114 s ) la protasi di un periodo ipotetico (haec inter si quis protectum a uulnere pectus / ad finem seruare queat), in cui il concetto di ‘perseveranza’ è reso metaforicamente (‘proteggere il petto da ferite’); quasi identica è l’indicazione ad finem (~ Matth. in finem) L’apodosi (vv  115 s ) è un’interpretazione escatologica dell’hic saluus erit matteano: la salvezza finale di chi avrà perseverato è la corona della vita eterna nel regno della luce (sublimia lucis / ae­ ternis uitae sertis redimitus adibit) Il versetto 14 è parafrasato con degli additamenta ai vv  117–120: il primo periodo del modello si sdoppia; nel primo caso si registrano solamente delle sostituzioni lessicali: in luogo di hoc euangelium vi è celebratio (v  117); in luogo di praedicabitur un più evocativo peruolitabit (v  117); regni ha una resa quasi letterale (~  Iuvenc regnorum caeli, v   117); in uniuerso orbe si risolve nella locuzione in cunctas terrae metas (v  118) Più significativi sono invece gli interventi operati nel secondo caso: il semplice segmento biblico (in testimonium omnibus gentibus) si ingrandisce e acquista una propria autonomia sintattica ai vv  118b e 119; gens (~ Matth gentibus) diventa soggetto; testem riprende in testimonium; su tutto spicca l’elegante definizione perifrastica del Vangelo (lucifluo sanctae sermone salutis) Per quanto riguarda l’ultimo segmento scritturale (et tunc ueniet consummatio), a v  120 il poeta segue quasi alla lettera la prima parte (et tunc ~ Iuvenc et tunc; ueniet ~ erit), cambia consummatio con finis, lez esibita da alcuni testimoni della VL (d f h q; gr τέλος), e aggiunge la perifrasi currentia saecula soluens, che è una forma di interpretatio 91 haec ad Oliueti dicens … arcem Anastrofe e iperbati mettono in primo piano le coordinate geografiche (cfr infra, nota al v  458) Arx con rimando alla cima di un monte è poetico e d’impronta virgiliana (Verg Aen 1,56; 9,85; Ov met 1,467); cfr Diehl in ThlL II 741,52 e 742,9 ad … peruenerat arcem Sedulio imita il passaggio per raccontare il suo viaggio immaginario verso il cielo (carm. pasch 1,336 ad summam … peruenimus arcem)

136

Commento

93 uenturi tempus … aeui Ad Aen 8,627 (haut … uenturi … inscius aeui), passo cui Giovenco pare ispirarsi, Efesto, consapevole del tempo avvenire, effigia sullo scudo di Enea i trionfi italici e la futura storia di Roma L’imitatio è suggerita dal contesto similmente relativo a vaticini e a previsioni, forse con velata polemica sul destino transitorio di tutte le realtà umane, compresa la potenza della Roma imperiale, di cui già nella praefatio veniva annunciata la fine (vv  1–3 inmortale nihil mundi conpage tenetur, / non orbis, non regna hominum, non aurea Roma, / non mare, non tellus, non ignea sidera caeli) 94 promissa … quo poscant prendere finem La tradizione è divisa tra quo e quem Con Petschenig, Evangeliorum libri, p   142, e Knappitsch, IV, p  14, è da preferirsi la prima lez : l’ablativo temporale («il tempo in cui  … ») trova indiretta conferma nell’ipotesto matteano (quando) e soprattutto si adegua meglio alla sintassi, dal momento che su quo poggiano entrambi i congiuntivi (poscant e consumeret); con quem non ci sarebbe invece alcun legame sintattico tra la principale e il verbo del v  95 La domanda è marcata da una triplice allitterazione inserita in un periodo contraddistinto da una varietà di tempi verbali (uidere e rogabant, v  92; distingueret, v  93; poscant, v  94; consumeret, v  95) La iunctura in clausola, in cui il verbo regge un accusativo indicante una realtà incorporea (ThlL X 1165,20–25), risulta inedita e riappare dopo Giovenco solo in testi medievali quali la Vita Gerardi Broniensis dell’XI secolo (ed L De Heinemann, MGH SS 15 [Hannoverae 1888], p  663: denique finem lucendi prendente lucerna): potrebbe essere il portato della lingua colloquiale, il cui esito romanzo è il fr prendre fin 95 eius I poeti latini, soprattutto gli epici, mostrano una certa avversione per il pronome dimostrativo is, ea, id, che utilizzano prevalentemente al singolare e in espressioni di collegamento del tipo idque, atque ea, uix ea L’accusativo eum figura solamente una volta in Lucano e Valerio Flacco; molto raro è anche l’uso del genitivo: eius è 35 volte in Lucrezio, due in Properzio e Ovidio elegiaco, una in Orazio lirico, Tibullo, Ovidio (Metamorfosi), Seneca e Silio Italico; il plurale eorum ha 34 attestazioni in Lucrezio e 2 negli esametri oraziani fra satire ed epistole; si veda la tabella allestita da Axelson, pp  71 s Schicho, p  54 e nn 88–89, fa una stima delle occorrenze giovenchiane di is, che su 14 casi è 6 volte al nominativo singolare, per lo più al maschile (solo un esempio di femminile e di neutro) accompagnato dall’enclitica -que (1,197 326; 2,53 725; 3,765; 4,256), 5 al genitivo (eius: 2,201 225 690; 3,686; 4,95; eorum: 3,603; 4,789), 1 all’accusativo (eum: 1,15) 97 obseruate dolum Come in 1,690 s obseruate illos, falso qui nomine uobis / insidias faciunt appellanturque profetae  – il contesto è similare: il monito a guardarsi dai falsi profeti (cfr Kievits,

Commento

137

p  154) –, obseruare equivale a cauere, secondo un’accezione tipica del sermo colloquiale e del latino postclassico, soprattutto nel gergo medico Cfr Rönsch, p  374; Löfstedt, Vermischte Studien, pp  111 s Entrambi i luoghi giovenchiani sono riportati in ThlL IX2 216,46 tra gli usi del verbo con diatesi attiva e sfumatura riflessiva 98 credulitas laqueis errantum praecipitetur È un verso formato da quattro parole, come 1,207 259 353 591 691; 2,57 362 546 598 629 647; 3,51 221 230 241 253 259 392 548 685 703; 4,117 192 233 783 Credulitas, come in 4,144, allude nel suo significato deteriore alla eccessiva o ingiustificata fiducia in ciò che altri sostiene, alla sprovvedutezza, nel caso concreto alla fede prestata ai falsi profeti: cfr Lact inst 2,16,2; Amm 30,1,22 e ThlL IV 1151,16 ss Laqueus è un cristianismo semasiologico di origine popolare nobilitato dall’uso biblico (Mohrmann, Sonderspra­ che, I, pp  229 ss ; Études, III, pp  54 s ) Tale vocabolo 4 volte su 6 prende nell’opera la più ricorrente accezione cristiana di ‘inganno’, ‘insidia’ (del mondo o del demonio), accompagnato dalla specificazione erroris (3,12 402; 4,731) o errantum (4,98), come in Cypr epist 65,4 (ThlL VII2 963,80 ss ) La fine di esametro pentasillabica (del tipo qua­ dripedantum), inusuale presso i poeti classici (vi sono, per es , solo 3 occorrenze nelle Georgiche virgiliane; cfr Cupaiuolo, p  7), vede 19 casi in Giovenco, che si conforma in questo ad altri autori della tarda latinità (Longpré, Métrique, p  133) 99 bellorum incendia Metafora usuale (cfr ThlL VII 864,82 ss , dove si cita anche il caso giovenchiano), che annovera analoghi precedenti già nell’epica omerica (Il 17,736 s ἐπὶ δὲ πτόλεμος τέτατό σφιν / ἄγριος ἠΰτε πῦρ) e trova altri illustri paralleli nella prosa e nella poesia latine (Cic rep 1,1 incendium belli Punici secundi; Verg Aen 1,566 uirtutesque uirosque aut tanti incendia belli, per la guerra di Troia; cfr altresì Val Fl 6,739; Sil 2,358) Una diretta dipendenza da Giovenco, suggerita dalla medesima posizione metrica e dall’ordo uer­ borum, si può supporre per Arator ad Vigil 1 moenibus undosis bellorum incendia cernens 100–112 Donnini, L’allitterazione, pp  131–133, sceglie questo brano, già grandiosamente presentato da Matteo, come esempio della tendenza di Giovenco a servirsi di mezzi retorici per impressionare il lettore Le allitterazioni sottolineano la forza che i seguaci di Cristo devono mostrare alla fine dei tempi (consistite … cordis, v  100) e, fondendosi a poliptoti, anafore e omeoteleuti, arricchiscono di espressività il quadro delle predizioni (turbata tumultu, v  101; prima … proelia, v  102; pestes prosternere … parcent, v  105; per … pondere, v  106; primitiis … parua, v  108; prodentur … / proque, vv  109 s ; gentibus … gentes … regibus … reges, v  103; per inania … / per diuersa, vv  106 s ; ue­ strum … / … uobis, vv  109 s ) Il ritmo risulta piuttosto duro soprattutto ai vv  111 s , per l’omeoteleuto in arsi (tormentís poenísque ferís odiísque necesse est / liuor erit terrís, erroribus omnia plena)

138

Commento

100 praeualido … robore Un ablativo di qualità, che insiste con lessico quasi tautologico sulla forza d’animo da mostrare di fronte alle future avversità; Cipriano di Cartagine aveva riferito al legno resistente con cui costruire una barca il medesimo frasario usato qui con valore traslato (epist 55,28,3 uel si ei cui dominium et usum nauium suadeas dicas: «materiam de excellen­ tibus siluis mercare, frater, carinam praeualidis et electis roboribus intexe …») Sul ricorso da parte di Giovenco a robur e ai suoi corradicali in analoghe costruzioni attinenti all’atteggiamento spirituale che si addice ai veri discepoli rinvio alla nota al v  344 101 mens accepto … turbata tumultu Doppio iperbato a intreccio Accipio va qui inteso nel senso di ‘venire a conoscenza, apprendere’ (ThlL I 306,45 ss ) La clausola si deve confrontare con quella di Verg Aen 6,857 e 9,397 turbante tumultu, ripresa da Sil 11,191 In prosa si veda Liv 22,19,11 itaque non ab hoste et proelio magis Poeni quam suomet ipsi tumultu turbati 102 inponent … proelia finem L’espressione finem imponere ha ampia diffusione sia in prosa sia in poesia (ThlL VI 797 5 ss e VII 658,77 ss ) Le prime attestazioni si leggono in Virgilio (Aen 2,619 finemque impone labori; 4,639 perficerest animus finemque imponere curis e 5,463 finem imposuit pu­ gnae) e Livio (30,30,4 teque huic bello uestris prius quam nostris cladibus insigni finem im­ posuisse; 44,29,7 bello finem se auctoritate sua imposituros esse; etc ), per i quali Horsfall, Aeneid 2, p   445, ipotizza una fonte comune, ossia Ennio o Sallustio Giovenco, che ripropone il nesso anche in 1,203 finemque inponere uerbis, varia il giro di frase rispetto a questi ed altri passi classici in cui le parole indicanti la guerra sono al dativo e pone proelia come soggetto 103–104 gentibus et gentes et regibus obuia reges / signa ferent Per questi versi Herrero Llorente, p  36, suggerisce un raffronto con Lucan 1,6 s infesti­ que obuia signis / signa, pares aquilas et pila minantia pilis, dove la figura della ripetizione serve a introdurre in sede proemiale la guerra civile narrata nel poema (sul virtuosismo declamatorio del passo lucaneo e sul giudizio positivo che ne diede Frontone si è soffermato Narducci, pp  388 s ) Benché non si riscontrino puntuali corrispondenze testuali (ma si veda obuia), non è comunque improbabile che la memoria poetica, probabilmente evocata dalle affinità di contenuto tra il contesto biblico e quello della Farsaglia, ossia le guerre fratricide, abbia giocato un ruolo nella riproposizione di un analogo schema retorico 104–105 signa ferent … corrumpere tractum / aeris Per il nesso incipitario si può richiamare almeno Verg Aen 7,628 e 8,498 signa ferre (con il commento ad loc di Fratantuono-Alden Smith, Aeneid 8, p  563, che definiscono l’espressione «anachronistic Roman military language») La chiusa di v  104 risente

Commento

139

delle parole con cui Virgilio descrive l’origine della pestilenza di Creta in Aen  3,138 corrupto caeli tractu; alla base del ricordo vi è probabilmente la funzione narrativa dell’immagine atmosferica, che ha la forza soprannaturale del presagio, del segno premonitore In Giovenco tractus non indica tanto ‘un tratto del cielo’, quanto la ‘corrente dell’aria’ (Vitr 9,8,4; OLD, s. v., 3, p  1955), che, contaminata da miasmi pestilenziali, propaga ovunque il contagio Aer è certo vocabolo obbligato per l’elemento cosmologico qui descritto, ma nel latino cristiano spesso si contrappone anche, con maggiore spessore semantico, a parole indicanti le regioni celesti (Prud ham 381; Sidon epist 7,6,2; Aug civ 14,3; ThlL I 1062,40 ss ) 105 prosternere corpora La locuzione, di cui Giovenco si serve anche in 2,485 s despicite illorum rabiem, qui corpora uestra / prosternent ferro, è comune tanto in prosa (Liv 38,21,11 tum in rabiem et pudorem tam paruae perimentis uersi pestis prosternunt corpora humi) quanto in poesia (Catull 64,355 infesto prosternet corpora ferro e Sil 14,106 corpora prosternunt) 106 solido per inania pondere tellus Il frasario è esemplato sul linguaggio cosmologico della poesia latina Il sintagma ablativale, rinforzato dall’iperbato, sembra di ispirazione lucreziana, cfr 1,987 e 2,88 pon­ deribus solidis, a proposito, rispettivamente, della massa compatta della materia e del solido peso degli atomi sospesi nel vuoto (si vedano pure Vitr 10,3,7 e, in seguito, Paul Nol carm 19,672, ma per altri referenti) Anche l’aggettivo inanis rientra nel vocabolario filosofico-scientifico lucreziano, a indicare propriamente il vuoto cosmico; più nello specifico, per inania si legge al verso 1,223 del De rerum natura, dove la forma al singolare ricorre ben ventuno volte; al testo di Lucrezio si rifanno direttamente o indirettamente i successivi poeti (Virgilio, Ovidio, Manilio, Lucano, etc ) che ne riadattano il senso ai propri contesti (cfr in proposito Porter, p  493) Negli Euangeliorum libri il nesso al singolare ritorna con analogo significato anche in 1,360 tunc uox missa Dei longum per inane cucurrit e 2,3 sidereis pictam flammis per inane trahebat Per la clausola, paralleli sono Verg Aen 9,752 (più estesamente citato al v  705, su cui cfr infra, nota ad loc ); Manil 1,159 173 e Sil 4,199 sub pondere tellus 107 per diuersa loci motu Il genitivo loci dipende da diuersa (= diuersis locis; cfr Knappitsch, IV, p  15) più che da motu tremescet Seguo la grafia più usuale per questa voce verbale, laddove Huemer adotta la forma in -isc- esibita da C anche nel caso di tremescis di 3,302 Quest’alternanza grafica si riscontra nella tradizione mss giovenchiana anche per altri verbi con il medesimo suffisso; si veda al riguardo Hansson, p  43, n  23

140

Commento

108 in primitiis Locuzione avverbiale (‘agli inizi’) documentata in testi tardoantichi; cfr ThlL X 1254,34 ss , dove si cita il caso di Giovenco Si vedano anche, tra i pochi altri esempi, Tert praescr 8,5 [scil Christus] dixit id [cfr Matth 7,7] in primitiis ipsis doctrinae suae, cum adhuc dubitaretur …, an Christus esset e Ps Claud carm. min. app 2,13 s (= Anth. Lat 494b R 2) lucis in ipsis / … primitiis Il solo cod M legge imprimis temptamina Temptamen (‘prova’), hapax degli Euangeliorum libri, è una neoformazione ovidiana (met 3,341 con il commento ad loc di Bömer, pp  539 s ; 7,734; 13,19) ripresa anche da Stat silv 5,2,109 (OLD, s. v., p  1915) 109 letoque dabuntur Dativo finale in una tipica espressione, forse risalente al formulare linguaggio sacrale (Wigodsky, pp  46 s ), attestata già in Ennio (scaen 289 Ribbeck3 [= 334 Vahlen2; 283 Jocelyn]; cfr Varro ling 7,42) e ampiamente riutilizzata in poesia da Virgilio (Aen 5,806; 11,172; 12,328) e i successivi poeti esametrici 110 nomine gentes Clausola di Ov met 9,442 111 necesse est Come oportet (cfr Axelson, pp  113 ss ; Baer, ThlL IX2 737,8–12), rispetto a cui la differenza semantica è minima (Menge-Burkard-Schauer, 485), anche necesse (est) è voce prevalentemente prosastica; presso gli epici si incontra spesso in Lucrezio e Lucano, una sola volta nella Tebaide di Stazio e in Manilio, mai nell’Eneide di Virgilio, nelle Metamorfosi di Ovidio, in Silio Italico e Valerio Flacco Giovenco al contrario ne fa uso nove volte (1,72 182 240 301 658; 2,219 473; 3,431; 4,111), una sola di oportet (1,395) 112 liuor L’ente astratto personalizzato, visto come causa degli odi e dei tradimenti (l’invidia conduce a conflitti e divisioni [II Cor 12,20; Gal 5,20 s ] e distrugge la comunione tra i cristiani [I Petr 2,1; Iac 3,14 16]), sostituisce il versetto 24,10 Liuor, che in Giovenco è anche a 1,366 (l’invidia del demonio) e 3,21 (quella della plebs), è parola non comune nell’epos (manca in Ennio, Lucrezio, Virgilio, Valerio Flacco; compare solo una volta in Stazio, due in Silio e Lucano, tre nelle Metamorfosi e quattordici negli altri carmi ovidiani); cfr Fichtner, p  101 erroribus omnia plena Si vedano le chiuse di Lucr 6,269 ignibus omnia plena e Verg ecl 3,60 Iovis omnia plena Un raffronto lessicale è pure possibile con Cic Tusc 1,44,105 sed plena errorum sunt om­

Commento

141

nia e soprattutto con Lact ira 1,6 remoto autem deo caelestique doctrina, omnia erroribus plena sunt, dove analogamente l’errore di cui si parla è quello derivato dalla assenza di Dio e della vera fede 113 falsi surgent … prophetae Il brano è imperniato sui concetti di ‘falsità’, ‘errore’ e ‘inganno’ (dolum e falso … nomi­ ne, v  97; laqueis errantum, v  98; erroribus, v  112; falsi … prophetae, v  113) Ancora Fichtner, pp  59 ss , prende in considerazione i significati che surgere ha in Giovenco; questi i principali: ‘presentarsi’ (i profeti 4,113), ‘insorgere’ (594 l’accusa; 3,725 l’ingiuria; 2,285 la salvezza), ‘levarsi’ (1,224 il sole), ‘elevarsi’ (1,717 le mura), ‘gonfiarsi’ (3,99 i venti), ‘alzarsi’ (2,90 e 91 il paralitico; 3,339 i discepoli), ‘risorgere’ (2,407 642 700 707; 3,589; 4,345 346 456 756); quest’ultima valenza, maggiormente attestata, è certo influenzata dalla lingua neotestamentaria (Matth 9,25; 14,2; 27,52 64; 28,6 7; Marc 5,41; 6,14; 14,28; 16,6–9; Luc 24,6 34; Ioh 21,14; I Cor 15,4) populorum labe Labe (= damno, detrimento; Knappitsch, IV, p  16, e ThlL VII2 769,25) è da intendersi probabilmente come ablativo comitativo (si veda LHS, II2, p  115); nel contesto ci si attenderebbe piuttosto un datiuus incommodi o di fine 114 haec inter Cfr 3,24 e Sil 1,488; 10,202 276; 16,78 114–115 protectum a uulnere pectus / … seruare Si notino l’allitterazione e le assonanze che danno maggiore spessore alla metafora di gusto bellico di v  114, dove uulnus è traslatamente nell’accezione di ‘colpa’, ‘iniquità’ (Cic Cael 15; S. Rosc 91) L’espressione verrà ripresa da Prud c. Symm 1,650 sed liceat tectum seruare a uulnere pectus, nel contesto ancora metaforico della battaglia retorica contro gli attacchi polemici dell’avversario Simmaco 115 ad finem seruare Cfr Ov met 11,750 ad finem seruatos … amores 116 aeternis uitae sertis redimitus Cfr Ov met 9,238 inter plena meri redimitus pocula sertis; Sen Oedip. 430 turgida pam­ pineis redimitus tempora sertis; Prud c. Symm 2,724 si potui miseras sertis redimire ruinas Con la stessa imagine allude traslatamente alla vita eterna anche Ambr obit. Valent 70 caelesti corona redimitus

142

Commento

117–120 Green, Latin Epics, p  65, confronta le parole di Cristo sulla predicazione del Vangelo alle nazioni con la profezia di Giove sul dominio universale di Roma in Virgilio (Aen 1,278 s his ego nec metas rerum nec tempora pono, / imperium sine fine dedi) La divinità pagana non aveva imposto limiti di tempo e di spazio all’impero romano; la predicazione cristiana, invece, oltrepassando i confini dell’impero aveva anche predetto la fine dei tempi, in accordo con la profezia gesuana di Matth 24,14 Secondo lo studioso inglese, il poeta ribadisce così quanto aveva già affermato nella Praefatio, cioè che la vera eternità è esclusiva prerogativa di Dio e del kerygma cristiano, non di Roma e dei suoi vati 117 regnorum caeli celebratio peruolitabit Il nesso regnum (regna) caeli (caelorum) è biblico e soprattutto matteano (3,2; 4,17; 5,3 10 19 20; 7,21; 8,11; 10,7; 11,11 12; 13,11 24 31 33 44 45 47 52; 16,19; 18,1 3 4 23; 19,12 14 23; 20,1; 22,2; 23,13; 25,1); negli Euangeliorum libri è 8 volte (1,455 756; 2,540; 3,315 397 437 489; 4,117) Caelum (gr οὐρανός) compare ben 82 volte in Matteo, 57 al plurale, prevalentemente al genitivo; Giovenco talvolta copia la parola dalla fonte, talaltra, come in questo caso, la inserisce autonomamente (1,11 17 35 160 163 194 266 406 463; 2,29 513 540; 3,16 172 224 315 317 330 345 591 705; 4,40 63 145 147 385 464 698), quasi sempre al singolare (1,455 467 482 590 756; 2,538 539; 3,285 287 397 400 437 489 523; 4,65 152); si veda Fichtner, pp  70 s Di celebratio, un hapax nella produzione poetica latina (le altre poche occorrenze sono attestate tutte in poeti medievali), gli interpreti danno letture diverse: Knappitsch, IV, p  16, in nota glossa il lemma con «annuntiatio, praedicatio» e traduce con «Kunde»; similmente Canali, p  197, che intende «predicazione»; Castillo Bejarano, p  206, e Galli, p  227, rendono il vocabolo, rispettivamente, con «júbilo» e «giubilo», in accordo con la voce del ThlL III 740,55 ss , che registra per Giovenco e altri scrittori il significato di sollemnitas (Gloss ἑορτασμός) Per mantenere il valore anfibologico dell’espressione abbiamo tradotto «annuncio festoso» Peruolitabit, hapax virgiliano di Aen 8,24, come traslato dal volteggiare degli uccelli (Lucr 2,145 e 346) per rappresentare il riverbero di un riflesso di luce, e due volte in Manilio (2,66 e 5,65) per descrivere lo spirito vitale che pervade gli organismi viventi e il sorgere di Orione, è qui perfettamente riadattato in relazione alla gioia del Vangelo, annunziata alle genti della terra Lo stesso verbo ricorre in riferimento alla divulgazione di dottrine in altri autori tardi, cristiani e non (ThlL X1 1885,6 ss ) L’impressione di solennità, in un esametro per giunta articolato su quattro parole, è qui accentuata dall’allitterazione dei lessemi centrali e dalla clausola pentasillabica 119 testem lucifluo sanctae sermone salutis Huemer recepisce la lez sancti di C M R2 e pochi altri mss contro la variante sanctae della gran parte dei testimoni, preferita da Petschenig, Evangeliorum libri, p  142 Sanc­ ti, inteso evidentemente come un aggettivo sostantivato indicante Cristo o Dio Padre

Commento

143

(cfr infra, nota al v  374), andrebbe collegato con testem («tutte le genti avranno testimonianza del Santo, mediante la parola di salvezza»), oppure con sermone, nel qual caso testem reggerebbe salutis («tutte le genti avranno testimonianza della salvezza, per mezzo della parola del Santo») Per quanto la lezione abbia senso, la variante sanc­ tae sembra tuttavia preferibile; oltre a essere meglio attestata, essa trova anche un significativo parallelo stilistico in 2,791 clarae … praecepta salutis, dove il termine in clausola è qualificato da un attributo collocato similmente in corrispondenza di cesura; ne risulta un elegante schema agg 1 – agg 2 – sost 1 – sost 2, familiare all’uso giovenchiano; sancti, che tra l’altro non ha un referente scritturistico, potrebbe avere avuto origine per un errore di trascrizione da sancte, dato che notoriamente le permutazioni e/i sono molto frequenti in tutti i mss latini Il genitivo potrebbe dipendere tanto da sermone, come in altri luoghi della parafrasi in cui esso è retto da vocaboli esprimenti la nozione di ‘insegnamento’ o ‘predicazione’ (1,420 praeconia larga salutis e 434 iussa salutis), quanto da testem (cfr Paul Nol carm 31,169 et testes tantae cunctis estote salutis; Aug serm 200,2 testimonium salutis nostrae), con una concordanza segnata da forte iperbato (per altri casi, si veda Widmann, p  71) La prima ipotesi mi sembra comunque più probabile, in quanto, in rapporto all’ipotesto biblico, sermo salutis equivarrebbe proprio a euangelium; si noti inoltre che l’espressione biblica in testimonium, a cui corrisponde testem, non regge alcun genitivo La triplice allitterazione in clausola suona arcaizzante lucifluo Il composto aggettivale, usato qui traslatamente e in senso proprio a 3,293 ast ubi luci­ fluum reddet sol tertius ortum, è di probabile conio (ThlL VII2 1712,2 ss ), come multifluus di 1,582 con lo stesso tema verbale nel secondo membro (Kievits, p  138) L’attestazione cronologicamente più vicina è quella in prosa di Zenone di Verona (1,2,168 aureo igne flagrantis luciflui aurigae), altre se ne troveranno poi in Ven Fort Mart 2,265 sol quo­ que lucifluas curru flectebat habenas e in successivi scrittori mediolatini Come annota Röttger, pp  45 s , la correlazione tra la luce e la salvezza è un motivo biblico-teologico e panegiristico usuale e appare soprattutto in contesti in cui, in una prospettiva universalistica, i destinatari sono terra, terrae, gentes, res, homines, omnes (per es Is 49,6 dedi te in lucem gentium ut sis salus mea usque ad extremum terrae; Cypr unit. eccl 3 postquam lux gentibus uenit et sospitandis hominibus salutare lumen effulsit; Opt Porf carm 14,1 s Sancte, decus mundi ac rerum summa salutis, / lux pia terrarum) Oltre ai vv  117–119, negli Eangeliorum libri questa combinazione è più volte praticata in riferimento a Cristo, alla sua incarnazione e alla sua missione nel mondo: 1,120 s (cornuque salutis … / … indulget … lumen); 319 s (lumen tractare … / omnibus indulget … Dominusque salutis); 762 (fructus cum luce salutis); 2,513–515 (tune … / … nostro sub tempore fulgens / … sperare salutem?); 3,294 (consurget radiis … redimita salutis) e 356 (Dauidis suboles, ho­ minum lumenque salusque)

144

Commento

salutis Il vocabolo salus, che già nella riflessione filosofica aveva assunto con Seneca e Apuleio una valenza spirituale, trovò ampio spazio presso gli scrittori latini cristiani per esprimere il concetto della salvezza eterna (Braun, pp  478 ss ) 121–148 La distruzione della Giudea. Questi versi parafrasano la pericope di Matth 24,15–28 121–128 Cfr Matth 24,15–19: 15 Cum ergo uideritis abominationem desolationis, quod dictum est a Daniel propheta, stans in loco sancto, qui legit, intellegat. 16 Tunc qui in Iudaea sunt, fugiant in montibus, 17 et qui in tecto, non descendat tollere aliquid de domo; 18 et qui in agro, non reuertatur tollere tunicam suam. 19 Vae autem praegnantibus et nutrientibus in illis diebus! («Quando vedrete l’abominio della desolazione, di cui ha parlato il profeta Daniele, collocato nel luogo santo, chi legge capisca Allora, quelli che sono in Giudea fuggano sui monti, e chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere alcunché da casa, e chi è nel campo non ritorni a prendere la sua tunica Guai alle donne incinte e a quelle che allatteranno in quei giorni») Il versetto 15 contiene la ripresa citazionale di Daniele 9, 27 sulla profanazione del tempio: l’oscura espressione biblica abominationem desolationis, che nel luogo veterotestamentario allude probabilmente all’idolo pagano posto sull’altare da Antioco IV Epifane durante la sua persecuzione (168–164 a C ; cfr II Mach 5,11–20; 6,2) e ha in Matteo una valenza più generica di tono apocalittico, è reinterpretata a v  121 come tri­ stis defletio terris Il biblico quae dicta est a Daniele propheta è sviluppato a v  122: resta il pronome relativo quae, dall’Evangelista riferito ad abominationem desolationis, da Giovenco a defletio; resta anche il nome del profeta ma in caso genitivo; manca l’apposizione propheta, ma al vaticinio rinvia la perifrasi iussam … uocem; l’attributo uerissima, predicativo del soggetto, è un’aggiunta del poeta L’ultimo segmento del versetto, con cui si affida alla perspicacia del lettore l’intelligenza del passo, è riformulato da Giovenco a v  123: rispetto alla parentesi del modello – forse una glossa posteriore – la parafrasi esibisce una osservazione di ordine morale con l’aggettivo dignus, attributo di lector (si noti l’uso del sostantivo in luogo della relativa qui legit): solo un lettore degno, cioè devoto e attento (così interpreta Knappitsch, vol IV, p  17), potrà comprendere il senso delle Scritture La resa del versetto 16 è abbastanza letterale: al posto della perifrasi con il nome della regione (qui in Iudaea sunt) si sostituiscono gli abitanti (Iudaei); si aggiunge l’avverbio longe; a fugiant in montibus Giovenco fa corrispondere due azioni distinte espresse al futuro con forza iussiva (fugient montesque capessent) I vv  125–126 riassumono il senso dei versetti 17 e 18: in un unico soggetto reso con il pronome indefinito e la negazione nec quisquam si condensano gli evangelici qui in tecto e qui in agro; in repetat le due diverse voci verbali dell’ipotesto (descendat; reuertatur); rimangono

Commento

145

degli strascichi di carattere lessicale (de domo ~ Iuvenc domibus; tollere ~ sustollere; tunicam ~ uestem); quae fuga consociet è una chiosa; mobile quicquam sembra piuttosto una adiectio esornativa La retractatio del versetto 19 offre ai vv  127–128 apprezzabili mutamenti artistici: il primo stico sviluppa il participio pregnantibus con due elementi, le madri (matres, che è soggetto) e il fardello del ventre (uteri cum pondere); come al v  69 (Deflendi semper scribae) il uae scritturistico è reso con il gerundivo del verbo de­ fleo (Deflendae sunt); il secondo sviluppa nutrientibus, con degli effetti patetici ottenuti anche grazie alla forte aggettivazione 121–122 Combinazioni allitteranti intervengono a sostenere il tono greve della profezia di Daniele sulla fine del mondo: tum tristis … terris (v  121), uerissima uocem (v  122) 121 defletio terris I codd esibiscono numerose varianti Marold, seguito da Huemer, stampa defletio, parola che risulterebbe attestata nella latinità solo qui e in 4,154 (ThlL V1 360,74 ss ) Gli editori più antichi e Petschenig, Evangeliorum libri, p  142, optano invece per defectio Propenderei per la prima variante, tràdita, a quanto si apprende dall’apparato di Otero Pereira, da un più cospicuo numero di testimoni, tra i quali anche C adueniet … terris Cfr 2,294 terris … uenisse e 4,132 uenient … terris; nei due versi del libro quarto terris è un datiuus incommodi; in quello del secondo viceversa, dove il soggetto è lumen = Cristo, un datiuus commodi 122 quae Danihelis habet iussam uerissima uocem Questo il testo di C seguito da Marold e Huemer; altri mss collazionati dall’editore di CSEL recano numerose varianti (quam Al, habent R Mp V1, iussa Hl; uoce K1 K2 P T) Arevalo stampa quam Danielis habent iussa uerissima uocem, che impone la productio ob caesuram del nominativo plurale iussa e non convince sul piano semantico Per quanto non sintatticamente scorrevole, il verso si può comunque spiegare intendendo uerissi­ ma come predicativo del soggetto quae (= defletio) e iussam … uocem come una perifrasi indicante il vaticinio, che è appunto una voce ordinata da Dio; il senso di habere è quello di ‘avere a testimone’, che spesso il verbo assume con o senza un predicativo dell’oggetto espresso, soprattutto in relazione all’autorità derivante dal testo scritto e, per i cristiani, dalle Sacre Scritture; cfr Tert adv. Marc 5,11,1 deus domini nostri Iesu Christi non alius quam creator intellegetur qui et universa benedixit, habes Genesim; et ab universis benedicitur, habes Danihelem In altre parole, la verità di quanto annunciato trova il suo fondamento di verità nella profezia di Daniele Il verso esibito dal cod A quam propria Danihael testatur uoce prophetae, metricamente e sintatticamente corretto, ha l’aria di una glossa esplicativa

146

Commento

Danihelis Presso i poeti cristiani si ha sempre Dănĭhel, tranne che in Drac laud. dei 3,188 Dănīel 123 dignus … cognoscere lector L’enfasi posta qui sull’elitarismo (sul concetto si veda Colombi, Paene ad verbum, p  28) della parola divina, riservata a un lettore degno, rientra in una prospettiva ideologica manifestata anche altrove dal poeta; cfr 2,173–175 hoc uerbum quondam post tempora debita digni / cognouere uiri, proprio de corpore Christum / delubrum dixisse dei, parafasi di Ioh 2,22 rememorati sunt discipuli eius; 2,762 si quis habet dignus, capiet potiora redun­ dans, rielaborazione di Matth 13,12 (Qui enim habet, dabitur ei et abundabit; qui autem non habet, et quod habet, auferetur ab eo); 3,289 quo soli cognoscant talia digni, aggiunta a Matth 16,20 (Tunc imperauit discipulis suis, ut nemini dicerent, quod ipse esset Christus); 3,490 s quisque capax fuerit celsa uirtute capessat / quod paucis lectisque Deus uult pan­ dere munus, integrazione a Matth 19,12b (qui potest capere, capiat) Come si è più volte sottolineato, la valutazione delle fonti esegetiche di Giovenco è questione tutt’altro che risolta; tuttavia si può rintracciare qua e là l’eco della conoscenza delle principali tendenze esegetiche, che circolavano tramite la predicazione orale o in forma scritta Nel caso specifico, ricollegandomi a quanto detto da Lubian, Teaching, pp   33–49, a proposito della parafrasi giovenchiana di Matth 13,10–17, si potrebbe vedere una certa assonanza tra l’idea giovenchiana e quella origeniana secondo cui Dio concede solo ai degni la comprensione dei suoi misteri; cfr in particolare il commento alla Lettera ai Romani: Rufin Orig. in Rom 1,1 (1,37 Hammond Bammel): propter quod deprecantes […] Deum qui docet hominem scientiam (psalm. 93,10) et qui dat per spiritum uerbum sapientiae (I Cor 12,8) quique inluminat omnem hominem uenientem in hunc mundum (Ioh 1,9) ut dignos nos facere dignetur intellegere parabolas et obscuros sermones dictaque sapientium et aenigmata (prov 1,6), ita demum explanationis Pauli ad Romanos continge­ mus exordium Forse si può cogliere in quel poterit cognoscere una lontana eco di Verg ecl 4,27 quae sit poteris cognoscere uirtus, tratto dalla apostrofe al puer, da un contesto dunque analogamente profetico su eventi futuri È possibile poi un suggestivo confronto con il verso incipitario dello pseudocatoniano dist. 3 praef. 1 Hoc quicumque uolet carmen cognoscere lector: con tono precettistico-sapienziale l’anonimo autore della silloge esorta il lettore a voler trarre dal carme precetti utili alla vita e, in caso contrario, a incolpare se stesso e non lo scrittore per l’eventuale danno ottenuto La contiguità lessicale e in parte, per contrasto, anche tematica non consente tuttavia affermazioni definitive sulla priorità citazionale, date le incertezze circa la datazione della raccolta, probabilmente del III secolo o degli inizi del IV (Roos, pp  187–190) 124 fugient montesque capessent L’omeottoto e l’insistito gioco fonico del gruppo -nt scandiscono le azioni tratteggiando la trepidazione della fuga Molto probabilmente Giovenco ha in mente Val Fl 4,315 s Bebrycas extemplo spargit fuga: nullus adempti / regis amor; montem celeres

Commento

147

siluamque capessunt: la descrizione ad effetto dell’immediata fuga dei Bebrici verso la montagna atterriti dopo l’uccisione di Amico da parte di Polluce offre lo spunto per completare con precisi riusi verbali la revisione del racconto biblico già di per sé fortemente patetico 126 mobile quicquam L’aggettivo mobilis, soprattutto al neutro con valore di sostantivo, per indicare i beni mobili in opposizione a quelli immobili è d’uso nella lingua giuridica (Iavol dig  41,3,23; Vlp reg 19,6; Mod dig 3,3,63), come si evince dalla documentazione del ThlL VIII 1199,5 ss e 34, dove è censito anche il verso giovenchiano Per un nesso simile cfr Symm epist 5,66,4 mobile aliquid 127 uteri cum pondere matres La perifrasi intende specificare che la fuga delle donne gravide è ostacolata dal peso del ventre, come preciserà la glossa di Hil in Matth 25,6 simpliciter quidem istud propter moram fugae accipi potest, quia uentris onere impeditas imminentem temporum ruinam effugere sit molestum Va detto che rispetto alla gran parte dei mss della VL esibenti la lez praegnantibus il solo cod d attesta la variante in utero habentibus, più vicina alla versione poetica giovenchiana Il poeta comunque usa uterus, parola di tradizione epica (Ov met 3,344; 9,287; Sil 4,357), sia in presenza di un esatto corrispondente nella Vorlage sia in casi in cui manchi un referente biblico Nelle quattro attestazioni giovenchiane il lessema è sempre in caso genitivo dipendente da sostantivi che ne chiariscono il senso a seconda dei diversi contesti (1,83 uteri gremio; 87 uteri sinuamine; 134 uteri … pondera; 4,127 uteri … pondere) Cfr Heinsdorff, p  124 La iunctura metaforica uteri pondus in relazione al ventre delle donne gravide si legge in Prop 4,1B,100; Ps Quint decl 6,10; 8,13; 16,2 La clausola riadatta con una lieve variazione Stat silv 3,4,76 s nec lege sinstra / ferre timent famulae natorum pondera matres, con un rovesciamento anche di prospettiva rispetto al modello, dove la gravidanza è inquadrata in un contesto del tutto positivo, cioè quello delle nuove leggi di Domiziano, grazie alle quali le gestanti possono procreare serenamente 128 miseros fetus dulci … lacte rigabunt L’immagine delle madri che allattano gli sventurati neonati aggiunge un’ulteriore nota patetica al racconto Il nesso dulci … lacte riferito al latte materno è lucreziano (5,813 s femina quaeque / cum peperit, dulci repletur lacte) Il verbo rigare ha una vasta estensione semantica: esso significa bagnare, aspergere, oppure abbeverare, nutrire Il poeta, che qui restringe il campo all’ultima accezione, sfrutta invece questa pluralità di valori in praef 26, dove Nazzaro, Praefatio ed Epilogus, p  27, coglie non solo «la nozione del pulire propria dell’azione battesimale, ma anche quella del nutrire propria dell’ispirazione poetica pagana»

148

Commento

129–141 Cfr Matth 24,20–25: 20 Orate autem, ut non fiat fuga uestra hieme uel sabbato: 21 erit enim tribulatio magna, qualis non fuit ab initio saeculi usque modo neque fiet. 22 Et nisi breuiati fuissent dies illi, non fieret salua omnis caro; sed propter electos breuiabuntur dies illi. 23 Tunc si quis uobis dixerit: ecce hic Christus ecce illic, nolite credere. 24 Surgent enim pseudochristi et pseudoprophetae et dabunt signa magna et prodigia, ita ut in errorem inducantur, si fieri potest, etiam electi. 25 Ecce praedixi uobis («Pregate perché la vostra fuga non avvenga d’inverno o di sabato Poiché vi sarà una grande tribolazione, quale non ci fu mai dal principio del mondo fino ad ora, né mai vi sarà E se quei giorni non fossero stati accorciati, non si salverebbe nessun essere vivente; ma a motivo degli eletti quei giorni saranno accorciati Allora se uno vi dirà: ecco, Cristo è qui, ecco, è là, non credetegli Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e compiranno grandi segni e prodigi, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti Ecco ve l’ho predetto») Il primo versetto è riscritto ai vv   129–131 A orate autem corrisponde poscite iam precibus; dalla sola completiva volitiva del modello il poeta ne ricava due: la prima (vv  129 s ) è una resa fedele (ut non ~ ne; fiat ~ adueniat; fuga uestra ~ fuga uestra), vivacizzata solamente dalla amplificazione ornamentale di hieme (~ Iuvenc tristis … frigore brumae); la seconda (neu sabbata … / turbet trepidatio, vv  130 s ) è costruita a partire dall’indicazione temporale di Matteo (sabbato), e ha uno scopo puramente letterario La prima frase del versetto 21 è riscritta a v  132: in luogo di tribulatio magna troviamo un più suggestivo saeuissima pondera; cunctis … terris è un’aggiunta Il senso della seconda frase è sostanzialmente riprodotto a v  133 Per la protasi del versetto 22 Giovenco pare che abbia seguito più da vicino l’evangelista Marco Ai vv  134–135 il poeta scrive: et ni sublimis genitor decerpere tempus / et numerum miserans uellet breuiare dierum; nell’ipotesto matteano manca il riferimento al Padre celeste, che è invece esplicitamente menzionato in Marc 13,20 Et nisi breuiasset Dominus dies Nella parafrasi si conserva la medesima struttura sintattica (et nisi ~ Iuvenc et ni), ma osserviamo un rigonfiamento del dettato scritturistico, con la adiectio della clausola di v  134, del participio miserans e della voce verbale uellet al v  135; breuiasset (~ Iuvenc breuiare) e dies (~ Iuvenc nume­ rum … dierum) sono ripresi, e la solenne formula sublimis genitor sostituisce Dominus A v  136 è parafrasata solamente l’apodosi del versetto 22: con una espressione tipica del linguaggio poetico romano, nulla … corpora, si risolve l’ebraismo non … omnis caro; non fieret salua si risolve in superarent con l’inserimento di trepidae … uitae, altra adiec­ tio non esornativa Mentre l’incipit di v  137 ricalca quasi senza sbavature il sed propter electos di Matteo (~ Iuvenc sed propter lectos, con la significativa aggiunta di iustos), è eliminata l’ultima proposizione (breuiabuntur dies illi), che Giovenco rimpiazza con una interpretazione teologica, secondo la quale ‘a causa’ dei giusti vi sarà compassione, misericordia (miseratio) per tutti Il versetto 23 è omesso Ai vv  138–139 il parafraste ormeggia da vicino l’ipotesto: scioglie il termine composto pseudochristi in una perifrasi esplicativa (nomine fallentes Christi) e, come a v  113, pseudoprophetae in falsi … prophetae; usa la forma composta exsurgent in luogo del semplice surgent; condensa

Commento

149

nel pregnante monstra potentia l’espressione bimembre signa magna et prodigia, sostituendo al più banale dabunt un icastico fingent Il versetto 24 si conclude con il timore che tali prodigi possano confondere anche gli eletti: a v  140 la parafrasi, pur riadattata nella forma, non presenta scarti rilevanti rispetto al modello: si ritorna sui segni che seducono (quae … miracula); lectos … iustos (~ Matth electi) diventa l’oggetto; con l’avverbio forsan si rende la sfumatura dubitativa (o di eventualità) contenuta in si fieri potest Il v  141 sviluppa infine il biblico praedixi uobis (coincidono ecce ~ Iuvenc en; uo­ bis ~ uobis; il verbo è lo stesso, praedico); patent instantia saecula delinea infine il tempo futuro che incombe sui Cristiani (uobis) 129 poscite … precibus Cfr Verg Aen 3,456; Pers 2,3; Amm 31,4,1 poscite … ne La struttura, di uso prettamente tardo, è altresì in Amm 29,6,5; Cod Theod 11,36,32; Cassiod Ios. antiq 3,51; cfr Scheible-Flury (ThlL X2 81,45 ss ) frigore brumae La clausola, modellata su Ov trist 4,7,1 frigora brumae, è successivamente imitata da Paul Petric Mart 1,63 e Boeth cons 1,5,14 130 neu Solo un’altra occorrenza di tale congiunzione a 1,631 ma in posizione incipitaria sabbata festa Poinsotte, p  76, n  243, analizza il trattamento del termine sabbatum negli Euangelio­ rum libri; la parola, traduzione latina dell’ebraico šabbāt, il riposo festivo celebrato dai Giudei ogni sette giorni (de Vaux, pp  458–465; Lemaire, pp  161–185; Marcheselli Casale, pp  231–265), ricorre nel testo matteano 11 volte (12,1 2 5 bis 8 10 11 12; 24,20; 28,1 bis) e soltanto 5 in Giovenco, sempre al plurale per ovvi motivi metrici (2,565 ~ Matth 12,1; 2,576 ~ Matth 12,5; 2,581 ~ Matth 12,8; 2,587 ~ Matth 12,10; 4,130 ~ Matth 24,20) In due casi il poeta allude indirettamente al vocabolo mediante delle perifrasi attinenti alla Legge (sancta lex 2,567 ~ Matth 12,2 e otia legis 2,590 ~ Matth 12,11); in altre occasioni non conserva alcun riferimento linguistico o concettuale, in quanto la nozione non è funzionale alla comprensione del contesto (Matth 12,5 non legistis in lege quia sabbatis sacerdotes … sabbatum uiolant; 12,12 itaque licet sabbatis benefacere e 28,1 uespere autem sabbati, quae lucescit in prima sabbati) Harrison, pp  138–149, esplora la ricorsività delle clausole esametriche del tipo discordia taetra, in cui un nome terminante in a breve è seguito da un epiteto con la medesima uscita, e conclude che, mentre nella poesia preaugustea la frequenza è piuttosto alta, nei poeti augustei e in alcuni loro imitatori vi è al contrario la tendenza a evitare tale disposizione verbale In Giovenco

150

Commento

ci sono 26 casi: 1,61 97 159 249 646; 2,423 443 453 461 485 578 581 589 658 3,276 430 558 566 691; 4,32 130 170 221 223 288 395 La clausola giovenchiana è anche in Cypr Gall exod. 767 131 trepidatio Il termine, introdotto per la prima volta nella lingua poetica da Giovenco, muta per opportunità metrica l’originaria fisionomia prosodica del docmio in quella del meso­ macros (al riguardo Flammini, La struttura, p  277) Alle due occorrenze giovenchiane (1,586; 4,131) vanno aggiunte per la poesia tardolatina quelle di Prudenzio (psych 248; ditt 139), Paolino di Nola (carm 15,281) e Paolino di Périgueux (Mart 3,351) 132 nam La congiunzione, attestata in totale 72 volte negli Euangeliorum libri, è frequentemente usata in incipit da Giovenco Delle 12 occorrenze di nam nel libro quarto ben 7 si trovano in apertura di esametro (vv  71 132 310 342 509 526 754); le percentuali registrate anche negli altri libri da Flieger, p  83, e Santorelli, I libri dei Vangeli, p  271, mostrano chiaramente una preferenza del parafraste per tale collocazione metrica in conformità ad altri poeti esametrici delle epoche precedenti saeuissima pondera Pondera sta metaforicamente per mala; per tale accezione cfr Hajdú in ThlL X1 2624,60 ss uenient … terris Cfr supra, nota al v  121 133 saecla … postera In questo caso saeclum significa ‘generazione’, come in 1,100 108; 2,103; 3,232 e 4,159, e l’intero sintagma richiama Lucr 3,967 materies opus est ut crescant postera saecla, dove si fa riferimento alle generazioni venture Heinsdorff, pp   180 s , nota che il termine ricorre in Giovenco ben 32 volte a fronte delle 7 occorrenze matteane e che solo in un caso il poeta recupera il vocabolo direttamente dalla fonte, cioè in 4,801 donec consu­ mens dissoluat saecula finis, parafrasi di Matth 28,20 usque ad consummationem saeculi Il parafraste carica il sostantivo di un valore fortemente negativo in 2,368 iamque dies ade­ rit, cum sponsus turbine saecli / e medio comitum rapietur e 2,463 frendens urgebit pro me uiolentia saecli; tale accezione è tipicamente cristiana ed esprime il significato peggiorativo di ‘mondo profano, pagano’ (cfr Löfstedt, Syntactica, II, pp  470–473 e Orbán, Les dénominations, pp  171–192) Altre volte il poeta lo usa a proposito della caducità del mondo terreno (2,543 si uultis uolucris penetralia noscere saecli e 3,308 quid proficient saecli mortalia lucra […], che rende Matth 16,26 quid … prodest homini, si mundum lu­

Commento

151

cretur?) oppure in relazione alla salvezza del mondo operata dal Signore (2,327 uenisset saecli quod iam seruator Iesus) non … prius nec postera norunt Parallelismo dei membri con alternanza di lessemi allitteranti; si noti il grecismo sintattico nell’uso dell’avverbio prius, che forma coppia antitetica con l’aggettivo postera, come determinazione del nome (LHS, II, p  171b) 134–135 Nell’espansione sintattica di questi due versi, costruiti sulla ripetizione sinonimica delle espressioni decerpere tempus e numerum … breuiare dierum e resi più espressivi dall’anafora della congiunzione e dall’effetto allitterativo (et ni … / et numerum …), si può vedere con Roberts, Biblical Epic, p  157, una forma di interpretatio: il poeta vuole porre l’accento, soprattutto con l’incremento di miserans a v  135, sul carattere teologico implicito nel testo biblico (Matth 24,22 Et nisi breuiati fuissent dies illi) e in particolare sulle virtù spirituali che contraddistinguono le azioni di Dio, cioè la compassione e la misericordia 134 ni Questa particella condizionale è largamente diffusa nella Umgangssprache e, di riflesso, nella commedia e nei sermones oraziani; nella poesia esametrica la prima attestazione certa è in Lucrezio (LHS, II, p  668); nell’Eneide virgiliana si contano 19 occorrenze contro le 3 di nisi; viceversa nelle Metamorfosi ovidiane se ne contano 7 contro le 98 di nisi Giovenco ha 10 volte ni e 3 nisi (Heinsdorff, p  107) decerpere tempus Decerpere è traslato per minuere (ThlL V1 158,80 s ) 135 numerum … breuiare dierum Attestato per la prima volta in Manilio, che lo usa con una connotazione temporale (3,434 s ex illa totidem per partes sic breuiantur / lanigeri ad fines), e poi, per la prosa, in Quintiliano, il verbo breuiare diventa più frequente a partire dal III secolo, soprattutto nel latino biblico, che influenza, come in questo caso, anche il vocabolario degli autori cristiani (ThlL II 2170,70–76) Alla frase giovenchiana si possono accostare quelle più tarde in prosa di Sidon epist 7,18,1 seruans hoc sedulo genus temperamenti, ut epistolarum non produceretur textus, si numerus breuiaretur e conc. Epaon 29 p  25,12 annorum multi­ tudine breuiata 136 nulla … trepidae superarent corpora uitae Le due coppie di aggettivi e sostantivi si intrecciano divise dall’iperbato Sul piano verbale sono possibili i raffronti con Lucr 1,579 nunc etiam superare necessest corpora rebus

152

Commento

e Stat Theb 7,206 tot reddere corpora uitae La caratterizzazione della vita degli uomini come trepida prevede qui una comprensività concettuale duplice, cioè esistenziale ed escatologica, in quanto alle comuni preoccupazioni che turbano la vita umana si aggiungono, in una prospettiva ultraterrena, anche i timori dell’imminente giudizio divino Con Giovenco la storia letteraria del nesso trepida uita, entrato in poesia con Gratt 13 a proposito delle ansie degli uomi primitivi non ancora dotati di armi per la lotta contro le bestie feroci e non privo di coloriture filosofiche (Sen epist 15,9), si avvia ai riadattamenti ascetico-teologici della letteratura cristiana (Sedul carm. pasch 3,298; Prosp ad coniug 3) 137 propter Solo qui e in 1,467 Axelson, pp  78 ss , classifica le preposizioni causali ob (assente in Giovenco) e propter tra le parole unpoetische; per il complemento di causa i poeti preferivano altre preposizioni o locuzioni sostitutive La bassa ricorsività di tale termine negli Euangeliorum libri conferma ancora una volta l’adesione del poeta agli standard della poesia epica tradizionale ueniet miseratio Il termine miseratio, un cristianismo lessicologico indiretto (Mohrmann, Études, III, p  62), entra nella lingua poetica latina a partire da Giovenco che complessivamente lo impiega 5 volte nelle due differenti accezioni indicate dal Thesaurus linguae Latinae (VIII 1112,38 ss e 1113,43 ss ) per il latino cristiano, quella di misericordia, compassione degli uomini verso il prossimo (3,445 e 4,299), e quella di misericordia di Dio verso l’uomo (1,462; 3,205 e 4,137) Questo secondo significato risulta prevalente nell’Itala (psalm 5,8; Ioel 2,13; Dan 9,4) e nella Vulgata (exod 34,6; II Esdr 9,17; Ion 4,2; Iudith 8,13; Sirach 5,6) Cfr altresì Tert adv. Iud 1,5; adv. Marc 4,16,12 Per l’abbinamento del sostantivo con il verbo uenio si può citare come parallelo CLE 1178,37 ad mihi uiuenti tua sic miseratio uenit 138 nomine fallentes Christi Simonetti Abbolito, Termini tecnici, p  78, n  56, valuta correttamente Christi come un genitivo dipendente da nomine («coloro che ingannano mettendo avanti il nome di Cristo») piuttosto che come un nominativo plurale concordato con fallentes falsique prophetae Il nesso sarà ripreso, sempre in chiusura di esametro, da Wynfrid-Bonifacio (VII–VIII sec ) in carm 1,99 139 exsurgent … fingent L’omeottoto avvolge l’esametro con una perfetta simmetria

Commento

153

140 forsan … capient Forsan con l’indicativo appare già in Virgilio (ThL VI 1137,20 ss ; LHS, II2, p  334) lectos … iustos In ben tre luoghi della pericope (4,137 140 e 158) iusti è una adiectio al testo di Matteo (24,22 24 31) Flieger, pp  118 s , nota che il termine iustus ha un elevato numero di occorrenze in Giovenco (61), a fronte delle 33 dei Vangeli e delle 24 di Paolo, e ne valuta puntualmente le diverse sfumature: esso è impiegato per Cristo, soprattutto nel racconto della Passione (cfr infra, nota al v  518) e per altri personaggi chiamati per nome: Natanaele (2,102), Giovanni Battista (2,510; 3,39 263 708), Giuseppe di Arimatea (4,717); nella gran parte dei casi, come nel verso in esame, ha funzione di sostantivo (1,679; 2,446; 3,530; 4,137 140 158 184 262 271 305 319), e segna spesso un’antitesi rispetto agli iniqui, i malvagi (1,124 406 568; 2,359 633 660; 3,761; 4,284 305) Il poeta parla anche del concetto di giusto in assoluto oppure attribuisce questa qualità ai comportamenti degli uomini e al loro cuore (1,468 570 578; 2,184 202 288 575; 3,334; 4,43 76 307 441 527 708 810) Lo studioso conclude che l’alta frequenza di iustus, al pari di sanctus e credere, risponde al fenomeno che Herzog, p  115, definisce Theologisierung, cioè la ricezione di concetti e valori derivati dalla Bibbia e divenuti contenuto dell’insegnamento cristiano La preferenza dello Spagnolo per tale appellativo, tra altri che pure avrebbero consentito una uariatio stilistica e si sarebbero adeguati alle leggi della metrica (electi, sancti, pii, elencati nei canoni di Elvira), sembra comunque in linea con l’enfasi accordata al tema della giustizia da altri scrittori cristiani del IV secolo, soprattutto Lattanzio, che identifica i cultori di Dio con i giusti (inst 2,15,3 e 5,1,6; sull’uso cristiano di iustus si veda ThlL VII2 724,51 ss ) Secondo Green, Latin Epics, pp  121 s , questa sottolineatura andrebbe ricollegata all’esperienza delle persecuzioni dei secoli precedenti, durante le quali i cristiani avevano rivendicato la loro innocenza e, per contrasto, i persecutori apparivano mossi da ingiustizia Ai tempi di Giovenco il titolo di iustus era ormai diventato una marca identificativa dei cristiani, che nel rileggere le proprie passate sventure applicavano a se stessi l’immagine del giusto sofferente di psalm 34,19 141 instantia saecula Cfr CIL X 1401,6 felicitas saeculi instantis; Ambr epist 14,37 in superiore igitur epistula dat consilium et existimat bonum esse munus uirginitatis, ut nullis instantis saeculi turbetur necessitatibus; Mart Cap 9,894 instantium saeclorum gerenda denuntiat 142–148 Cfr Matth 24,26–28: 26 Si autem dixerint uobis: ecce in deserto est, nolite exire, aut: ecce in penetralibus, nolite credere. 27 Sicut enim fulgur exit ab oriente et paret usque in occidentem, ita erit et aduentus filii hominis. 28 Ubicumque fuerit corpus, illic congregabuntur aquilae («Se poi vi diranno: ecco, è nel deserto, non uscite; oppure: ecco, è nei penetrali [della casa], non ci credete Come una folgore spunta a oriente e brilla fino a occidente, così

154

Commento

sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo Dovunque sarà il corpo, lì si raduneranno le aquile») Per non interrompere la continuità narrativa, il parafraste muta il discorso diretto del modello in indiretto, trasformando ai vv  142 s le due brevissime battute del versetto 26 in due proposizioni infinitive oggettive, dipendenti da un uerbum dicendi (si quis … loquetur) Le indicazioni di luogo rimangono ma senza la preposizione in (in deserto ~ Iuvenc desertis; in penetralibus ~ penetralibus, parola rafforzata dall’aggettivo occultis e dall’avverbio procul); per amore della uariatio il poeta adotta due voci verbali appropriate al contesto per rendere l’est scritturistico: peragrare nel primo caso, esse repostum nel secondo (dove est è sottinteso) A v  144 egli abolisce il parallelismo nolite exire, no­ lite credere, riprendendo concettualmente solo quest’ultimo membro mediante l’esortazione credulitas absit La similitudine della folgore che sorge a oriente e risplende fino ad occidente (versetto 27) presenta già di per sé colori epici: il poeta la rimaneggia qua e là per ottenere più suggestivi effetti poetici ai vv  145–147 (immutato è l’incipit: sicut enim fulgur, espressione spendibile anche sul piano metrico) Il v  148 esplicita il confronto tra la folgore e la venuta del Cristo che avverrà nello splendore della luce (clarebunt lumina): rimane (con diversa funzione sintattica) il termine aduentus (~ Iuvenc aduentu), accompagnato da un aggettivo (rapido); Christi sostituisce Filii homi­ nis Secondo Galli, p  229, il proverbio semitico di Matth 24,28, con l’immagine degli uccelli rapaci (cfr anche Luc 17,37), non sarebbe parafrasato probabilmente a causa del tono troppo dimesso che avrebbe sminuito il referente del paragone 142 desertis … peragrare Peragrare con ablativo semplice è inusuale; generalmente in dipendenza da tale verbo si trovano l’accusativo o un costrutto preposizionale indicanti il luogo (ThlL X1 1183,13 s ) 143 occultisue procul penetralibus … repostum L’espressione, marcata dall’accostamento allitterante in posizione mediana, è pleonastica Per il sintagma occultis … penetralibus (il neutro sostantivato è qui senza un genitivo dipendente) si veda almeno Cypr ad Donat 9 recludere cubiculorum … fores et … penetralia occulta reserare 144 longe credulitas absit uanissima uobis Questo verso è interessante per l’analisi integrativa di metro e significato: l’avverbio iniziale longe ha già di per sé forza esortativa; al primo emistichio si avverte la tensione scaturita dal ‘doppio passo’ di pentemimere ed eftemimere, con la ravvicinata combinazione di soggetto (parola quadrisillaba) e predicato verbale, lo spondeo absit, che esprime l’azione, a bilanciare l’esametro tra le due incisioni, per poi ridiscendere con gli ultimi due lessemi Si osservi infine l’allitterazione in clausola, notevole soprattutto per il superlativo uanissima che rinsalda pleonasticamente il contenuto semantico di credulitas (cfr supra, nota al v  98)

Commento

155

145–148 I quattro versi sono percorsi da omeoteleuti e allitterazioni che enfatizzano i segni della venuta del Figlio dell’uomo: caelum … apertum (v  145); cerni … cunctis orientis … oris (v  146); occiduum … orbem (v  147); clarebunt … Christi (v  148) 145 caelum transcurrit Il locus virgiliano di Aen 9,111 uisus ab Aurora caelum transcurrere nimbus è qui riecheggiato con maggiore puntualità che non a 3,317 lumina conuerso terras transcurrere caelo caelum … apertum Cfr 1,11 e 4,746 L’apertura dei cieli è convenzionale topos apocalittico nel linguaggio biblico (gen 7,11; Ezech 1,1; II Cor 7,19; Matth 3,16; Marc 1,10; Luc 3,21; Ioh 1,51; apoc 4,1; 11,19; 15,5), cui aderiscono gli scrittori cristiani anche per altre immagini, quali il dono dello Spirito Santo e le teofanie; cfr Paul Nol carm 22,6; Arator act 1,610 899 146 cunctis Il dativo al posto dell’ablativo preposizionale in funzione di complemento di agente è comune in poesia ed è usitato in Giovenco (Huemer, Index, p  155; Kievits, p  48; Knappitsch, IV, p  19) È anche possibile legare cunctis a oris («dalle regioni tutte dell’Oriente»), come fa Galli, p  228, ma sembra meno probabile: quel che desta meraviglia è il fatto che tutti nello stesso tempo, a Oriente e a Occidente, possano vedere la folgore nel cielo 147 usque sub occiduum caeli uergentis in orbem Forse nell’incipit c’è un vago ricordo di Verg georg 1,211 usque sub extremum brumae (cfr anche Ov met 5,607 usque sub Orchomenon) L’aggettivo occiduus è adottato come sostantivo con genitivo dipendente («la parte occidentale del cielo»); cfr Chron Alex chron 1,191 ab oriente usque ad occiduum solis e ThlL IX2 354,3 ss Giovenco aderisce alle teorie astronomiche tradizionali che si figurano il cielo ruotante intorno all’asse e l’atmosfera nel suo insieme declinata a forma di circolo; questo il senso di in orbem, come in Cic Tim 20 caelo … in orbem incitato e Manil 1,287 aer semper uoluatur in orbem e 291 se conuertere in orbem, a proposito dei corpi celesti 148 rapido aduentu Non si può essere d’accordo in questo caso con Simonetti Abbolito, Osservazioni, p  309, che ritiene rapidus un aggettivo puramente esornativo; l’attributo qui non solo concorre al maggiore realismo della similitudine del lampo, ma introduce il tema della subitaneità dell’avvento di Cristo, vero Leitmotiv del brano evangelico e della riscrittura giovenchiana; cfr infra, nota al v  168

156

Commento

clarebunt lumina Christi Clarebunt può valere «appariranno» (~ Matth 24,27 paret; Arevalo, p  292, nota ad loc : «manifesta erunt»; Knappitsch, p   21) oppure «brilleranno» (Castillo Bejarano, p  208; Canali, p  199; Galli, p  229); l’anfibologia del verbo si presta a entrambe le letture (cfr infra, nota al v  154) La giuntura lumen Christi è derivata probabilmente dalla liturgia, dove la formula, pronunciata dal celebrante nel rituale dell’accensione del cero pasquale, ripete l’antica acclamazione con cui anche nelle famiglie si salutava l’accendersi dei lumi; cfr Dölger, p  33, e Röttger, p  115 e n  478 Diverse le attestazioni in Cipriano (zel 10 inluminati Christi lumine e 11 recedens scilicet a Christi lumine) 149–162 Il ritorno del Figlio dell’uomo. La seconda venuta di Cristo sarà improvvisa e avrà una dimensione universale; in attesa di tale evento l’uomo deve vivere vigilando Di Matth 24,29–35 Giovenco tralascia la parabola del fico, esposta anche dagli altri sinottici (cfr Marc. 13,28–29 e Luc. 21,29–31), e la sua spiegazione (versetti 32–33), perché – come ritiene Galli, p  229, n  30 – il contenuto appariva ripetitivo con quello dell’immagine dell’albero impiegata in 3,654–661 per una esemplificazione analoga 149–158 Cfr Matth 24,29–31: 29 Statim autem post tribulationem dierum illorum sol obscurabitur et luna non dabit lumen suum et stellae cadent de caelo et uirtutes caelorum mouebuntur. 30 Et tunc parebit signum filii hominis in caelo et tunc plangent se omnes tribus terrae et uidebunt filium hominis uenientem in nubibus caeli cum uirtute multa et maiestate. 31 Et mittet an­ gelos suos cum tuba et uoce magna et congregabunt electos eius a quattuor uentis a summis caelorum usque ad terminos eorum («Subito dopo la tribolazione di quei giorni il sole si oscurerà e la luna non darà più la sua luce e le stelle cadranno dal firmamento e le potenze dei cieli si smuoveranno Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo e tutte le tribù della terra si percuoteranno e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande forza e maestà Egli manderà i suoi angeli con la tromba e una grande voce, ed essi raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, dalle sommità del cielo fino ai loro confini») Soppressa la sezione incipitaria del passo scritturistico, Giovenco parafrasa le parole del profeta Isaia (cfr 13,10 e 34, 4) che denotano il carattere cosmico dell’evento annunciato Con un verso di squisita fattura, il 149, si rende l’essenziale sol obscurabitur del versetto 29; similmente, al verso successivo, il 150, trova una bella resa poetica l’altro membro del versetto (et luna non dabit lumen suum); il v  151 vede degli ampliamenti rispetto al modello: coincide il soggetto (stellae), accompagnato però da un aggettivo con funzione ornamentale, ignicomae; cadent è sostituito da un sinonimo appena più intenso, ruent; al complemento de caelo corrisponde poi una frase più articolata che ne riproduce il senso, caelum … relinquent I vv  152 s riassumono l’ultimo segmento di Matth. 24,29 e parte del versetto 30 Ai nomi dell’ipotesto Giovenco fa corrispondere

Commento

157

coppie di sostantivi e aggettivi: uirtutes ~ omnis … uirtus; caelorum ~ caeli … superni (si osservi in entrambi i casi il passaggio dal plurale al singolare); commouebuntur lascia una eco in conmota; in signa dabit si può infine riconoscere un implicito richiamo a parebit signum del versetto seguente (nella resa poetica il soggetto non è più signum ma uirtus) Proprio gli astri e le potenze celesti riveleranno la venuta del Figlio dell’uomo, la sua luminosa teofania (proles hominis quis uertice caeli / clareat, vv  153 s ): qui Giovenco rimpiazza la formula cristologica Filium hominis con proles hominis, poeticamente più adatto, e in caelo con uertice caeli, nesso che anche in 1,590 e 614 è in chiusura di esametro (cfr già Verg Aen 1,225; Manil 3,356 e Val Fl 2,88) Ai vv  154–156 trova posto la profezia di Daniele 7,13, ripresa più avanti da Matteo 26, 64 («tutte le tribù della terra si batteranno il petto e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria»): l’espressione, già di per sé di tono apocalittico, acquista una ulteriore patina di maestosa solennità: le nubi si tingono di color rosso-fuoco (ignicoloris, v  155) e si rimarca la dimensione cosmica con per sidera (v  156); la necessità di variare la lexis spinge il poeta a sostituire Filium hominis con hominis … natus, che è soggetto, evitando così la ripetizione del Vangelo; i due ablativi del modello (cum uirtute multa et maiestate) si risolvono, ovvero si riducono, in un più intenso maiestate potens Per quanto riguarda i vv  154 s , se il testo di Huemer è corretto (defletio … / urgebit), il parafraste interpreta la voce verbale plangent della VL (uu. ll lamentabunt se e lamentabuntur), che rende propriamente il gr κόψονται (‘si percuoteranno’), come ‘piangeranno’; in questo caso, la lez defletio, attestata, stando all’apparato di Otero Pereira, in un buon numero di mss , sarebbe supportata dalla Vorlage in modo più esplicito rispetto al v  121 (cfr nota ad loc ) Il versetto 31 è riscritto ai vv  157–158, dove non sono menzionati gli angeli ma solamente la tromba del giudizio; Giovenco rende electos con uocatos / iustos, congregabunt con glomerabit e a quattuor uentis con quadrifido … ab axe; taglia infine l’ultimo membro del versetto (a summis caelorum usque ad terminos eorum) 149–151 La descrizione dell’oscuramento degli astri (sole, luna, stelle), immagine simbolica convenzionale del linguaggio profetico-apocalittico (cfr Is 13,9–10; 34,3; Zach  12,10– 12; Dan 7,13), è accompagnata nella parafrasi da iterazioni foniche (allitterazioni e omeoteleuti), che esaltano l’accostamento oppositivo luce/ombra e la portata straordinaria del fenomeno (abscondet …  / amittet; ruent  … relinquent; rutilos  … radios; lunaris … lucis; furuis … umbris) 149 umbris radios sol Questo tipo di clausola 1 + 3 + 1, in cui il trisillabo è sempre costituito da parola anapestica, conta quattro attestazioni in Virgilio (georg 2,231; Aen 1,65; 2,248 e 10,743); in Giovenco si trova ancora a 4,586 et rapidus sol Cfr Flammini, La struttura, pp  287 s Giovenco traduce nel ritmo prevalentemente spondiaco di questo esametro e nella

158

Commento

disposizione a schema abAB delle coppie di sostantivi e aggettivi l’eclissi solare e il lento addensarsi delle ombre 150 lunaris gratia lucis Efficace la definizione allitterante per la luce lunare; dopo Giovenco si ritrova anche in Drac laud. dei 1,419; Prisc periheg 989; Eug Tolet hex 301, ma si veda anche l’alternativa sinonimica con lumen di Hier in Ezech 45,15–17 ; Macr Sat 7,16,16 ed Eustath Basil. hex 6,3,14, che traduce il gr σεληναῖον φῶς (ThlL VII 1837,56–59) Il nesso clausolare si legge poi in Paul Nol carm 32,200 et docet ex tenebris quae sit data gratia lucis e Drac laud. dei 1,122 lux gratia solis 151 ignicomae L’aggettivo, usato per la prima volta da Nemes cyn 207 ignicomi candentia terga Leonis per la chioma rosso-fuoco della costellazione del Leone, ricorre anche a 3,1 come attributo del sole (fuderat in terras roseum iubar ignicomus sol, giuntura recuperata poi da Avien orb. terr 801 e Auson epist 14,8) 152 omnis … uirtus caeli commota superni L’allitterazione e la posizione mediana del sintagma uirtus caeli, tra tritemimere ed eftemimere, suggeriscono solennità item L’avverbio, che nel poema è presente solamente nel libro quarto (vv  65 152 348) e sempre nella stessa giacitura esametrica (tra 1° e 2° piede), è tipicamente prosastico e molto di rado figura in poesia, ove presenta il maggior numero di attestazioni (65) in Lucrezio, sia per ragioni puramente stilistiche sia soprattutto per il carattere didascalico della sua opera (un’alta frequenza del lessema non a caso è reperibile in altri poeti didascalici, Terenziano Mauro, Avieno e Sereno Sammonico); Tibullo, Properzio, Lucano, Valerio Flacco, Silio Italico, Marziale e Giovenale non lo usano affatto, Virgilio soltanto due volte nelle Georgiche (1,187 e 2,248), come anche Orazio (sat 1,3,77 e ars 90), e solo un esempio si riscontra in Ovidio (rem 621); Giovenco accoglie altresì la forma sinonimica itidem (2,497 666 790), ancora più rara e mai utilizzata da Virgilio; cfr Axelson, pp  93 s , e Schicho, p  62 e nn 123–125 153 signa dabit La ripresa dell’incipit virgiliano di georg 1,439 ha forza evocativa: nella digressione finale sui presagi delle guerre civili, il Mantovano si dilunga sui fenomeni atmosferici, riservando al sole una parte solenne e minacciosa, che prepara in qualche modo alla tragicità dell’evento finale; analoga funzione premonitrice e simbolica hanno in Giovenco i segni celesti che preannunziano l’avvento di Cristo e l’ultimo giudizio

Commento

159

proles hominis Come anticipato, esigenze di uariatio impongono al parafraste di alternare forme sinonimiche senza differenze di significato (v  153 proles hominis; v  156 hominis … natus; v  184 filius … hominis) per la resa del nesso filius hominis, che in Matteo è ripetuto in tutta la pericope in esame e in quella seguente cinque volte (Matth 24, 30 bis 37 39 44) 154 clareat Cioè «illustris, splendidus appareat», come intendono Arevalo, p  292, e Knappitsch, p  20; clarere è parola rara in poesia, specie nell’epica (non si trova mai in Virgilio, Valerio Flacco, Silio Italico, Lucano, Stazio), e di solito, soprattutto alla 3a pers singolare, ricorre nel significato traslato di «manifestum est, constat» (ThlL III 1263,29 s ), oppure di «to be famous» (OLD, s. v., 3, p  332), come in Lucr 6,937 e Sedul carm. pasch 5,319 In Giovenco il verbo, qui enfatizzato dalla posizione incipitaria, riconduce sempre a quello che Fichtner, p  61, definisce il Lichtcharakter della divinità (1,355; 2,774; 4,148 154) radicato nelle formulazioni neotestamentarie (Matth 17,2; Ioh 1,4; 3,19; 8,12; Eph  5,8; I Thess 5,5; I Tim 6,16) omnigenas Raro aggettivo composto di provenienza lucreziana (5,428; cfr ThlL IX2 591,11 ss ), attestato dopo Verg Aen 8,698 solo nella tarda latinità 155 nubibus ignicoloris Ignicolor (­colorus) è un neologismo giovenchiano (ThlL VII1 285,33 s ) Queste formazioni aggettivali appartenenti alla bassa latinità sono caratteristiche dello stile del poeta, che conia a 1,356 l’hapax assoluto auricolor e recupera a 2,683 il ciceroniano decolor (su cui si veda supra, nota al v  30*) André, pp  230 ss , registra i due neologismi giovenchiani tra gli aggettivi composti il cui primo elemento evoca l’idea di un particolare colore e individua per ignicolor un precedente greco in πυρίχρως di Arist rhet 3,3,1 (1406A) Di nubi color del fuoco parla anche Sen nat 1,5,8 praeterea uidemus ortu solis partem quandam caeli rubere, uidemus nubes aliquando ignei coloris La stessa clausola si trova in 4,559 156 maiestate La posizione incipitaria del sostantivo e il ritmo spondiaco dell’incipit danno solennità alla celebrazione della potenza del Signore Il termine maiestas, già impiegato dagli scrittori pagani per la grandezza dei filosofi e per le divinità pagane (cfr Drexler, pp  196 ss ), nella Bibbia latina traduce i termini greci δόξα, μεγαλοσύνη e μεγαλειότης Presso gli autori cristiani il lessema è spesso inserito in più elaborate perifrasi in concomitanza con termini indicanti i concetti di gloria e splendore in riferimento a Dio, a Gesù o alla Trinità (ThlL VIII 153,44 ss ; Mohrmann, Études, I, pp  284 s ; III, p  187; Braun, p  44, n  4); si tratta di una qualità divina teologicamente rilevante, tant’è che

160

Commento

per Ambrogio la maestà costituisce una delle tre prerogative del Padre condivise anche dal Figlio (fid 2,5,38 sed ‘ea quae Pater habet’ [Ioh 16,15], id est aeternitatem, maiestatem diuinitatemque nascendo possedit; incarn 10,112 omnia, quae sunt Dei, uidentur in Filio, id est sempiterna divinitas, omnipotentia atque maiestas) In Giovenco la maestà di Cristo è sempre ricordata in relazione alla parusia (3,542; 4,558) 157–158 L’elemento della tromba, tipicamente apocalittico (cfr apoc 8,6–13; 9,1), riportato da Matteo, non trova riscontro nei luoghi paralleli di Marco (13,27) e di Luca (21,27–28) La sequenza ravvicinata del gruppo tu­ (tum tuba) allitterante con terrifico nelle prime parole del v  157 ottiene l’evidente effetto onomatopeico del suono cupo e stridente della tuba; un artificio che ricorda l’analoga sperimentazione onomatopeica di Enn ann  451 Skutsch at tuba terribili sonitu taratantara dixit Un dato poeticamente non meno significativo è poi la disposizione in tempo forte (cesura pentemimere) di ter­ rifico (v  157) e quadrifido (v  158), aggettivi in omeottoto e con suffissi paronomastici (-fico/-fido) Per il resto, si possono facilmente isolare le possibili fonti letterarie del frasario: Lucan 1,431 s Batauique truces, quos aere recuruo / stridentes acuere tubae («i truci Batavi, che sono eccitati dalle stridule trombe dal bronzo ricurvo») e Sil 5,189 ac tuba terrificis fregit stridoribus auras («e la tromba con stridori terrificanti infranse l’aria») Anche in 2,398 s clangorque tubarum / ultima supremae celebrabant munera pom­ pae, lo squillo di trombe si lega a uno scenario tetro, cioè il corteo funebre per la morte della figlia di Giairo; cfr Santorelli, I libri dei Vangeli, p  193 Il nesso clangor tubae/tuba­ rum e la combinazione non sintagmatica dei due lessemi sono ben attestati tanto negli autori classici (Verg Aen 2,313 e 11,192 clangorque tubarum, in clausola come in Lucan 1,237 e 4,750; Lucan 10,401 clangore tubae [= Sil 2,19]; Stat Theb 8,345 s acuitque tu­ bas … / … stupet insolito clangore; 14,627 s tubarum … / … clangoribus; Amm 14,1,1 tubarum cessante clangore; 16,12,7 tubarumque concinente clangore; 19,6,9 tubarum perciti clangore), quanto nella Bibbia latina (num 10,7 simplex tubarum clangor; II par 15,14 in clangore tubae) e negli scrittori cristiani (Hier adv Pelag 1,35 tubarum clangor concinit; epist 76,3 tubarum … clangoribus; Sulp Sev chron 1,17,5 ualidis tubarum clangoribus) 158 quadrifido Quadrifidus, hapax del poema, è un composto nominale coniato da Virgilio (georg 2,25; Aen 7,509); lo si trova anche in Val Fl 1,663; Claud 1,268; Mar Victor aleth 1,270; Cypr Gall gen 56 In prosa la parola si incontra a partire da Colum 4,33,4 glomerabit Glomerare, propriamente ‘avvolgere’, ‘aggomitolare’, occorre principalmente in poesia (ThlL IV 2058,68 ss ), spesso in senso traslato per esseri animati Giovenco lo adopera in senso proprio e metaforico, sia nella forma semplice sia in quella composta: conglo­

Commento

161

merat (2,431); glomerando (2,721); glomerauit (3,581); glomerauerit (3,756) In 2,577 si trova anche il deverbale glomeratio, nel significato di ‘raduno della folla’ mundi … ab axe Lessico astronomico stereotipato, per il quale si vedano Lucr 6,1107 mundi … axis e Lucan 3,359 mundi … ad axem 159–162 Omesso Matth 24,32–33, la parafrasi si concentra sui versetti 34–35: 34 Amen dico uobis, quia non praeteribit haec generatio, donec omnia fiant. 35 Caelum et terra transibunt, uerba uero mea non praeteribunt («In verità vi dico, non passerà questa generazione, finché non si avveri tutto Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno») Il detto evangelico di carattere profetico si inserisce nel contesto escatologico della fine dei tempi e dei segni premonitori Al v  159, come al solito, Giovenco toglie l’enunciato ebraico formulare (Amen dico uobis), ma lascia il primo segmento del versetto 34 (non ~ Iuvenc nec; praeteribit ~ praeteriet; haec generatio ~ praesens generatio saecli) Nella resa del secondo segmento, al v  160, mutano i rapporti sintagmatici (il soggeto del brano scritturistico è omnia, imitato in cuncta che però è complemento oggetto), e con tono sentenzioso viene introdotto il tema della fine che porterà a compimento ogni cosa (donec cuncta sequens claudat sibi debita finis) I vv  161 s riprendono il versetto 35; nella resa del primo membro alcune parti sono somiglianti (caelum et terra ~ haec tellus caelumque, con l’aggiunta di super), altre modificate: la parafrasi dell’espressione transibunt aggiunge un elemento assente nell’ipotesto, il fuoco (soluentur in ignes); quanto al secondo membro, il soggetto è simile (uerba … mea ~ mea … dicta), ma la perifrasi soluentur ab ordine sostituisce praeteribunt 159 praeteriet nec enim Praeteriet neque è correzione di Marold, accettata da Huemer e Knappitsch, del tràdito nec praeteribit della maggior parte dei codd (nec praeteriit K2 T) Reusch e Arevalo propongono praeteriet nec (l’apparato huemeriano erroneamente registra neque per nec), emendatio accolta inizialmente dallo stesso Huemer, Beiträge, p  86 Hansson, p  17, n  18, sulla scia di Petschenig, Evangeliorum libri, p  142, rivaluta invece la tradizione sulla base dell’ipotesto matteano, che esibisce la lez praeteribit (attestata da quasi tutti i mss della VL), argomentando che il poeta adotta altrove l’uscita -ibit per la 3a persona del futuro semplice dei composti di ire (transibit 2,590 e 3,621) È tuttavia proprio il confronto con il referente biblico che avrà indotto in errore i copisti nel tentativo di adeguare il testo della parafrasi a quello del modello In Giovenco praetereo, variamente coniugato, è spesso in apertura di esametro (1,421; 2,244 562; 3,137; 4,377); mai si verifica in poesia la correptio del dittongo ae in questo verbo (il caso di Comm instr 1,18,2 et tamen exsequimur, ne quod praeterisse dicamur non può dirsi attendibile, date le stravaganze metriche di tale poeta) Probabile è la genuinità del tràdito nec, 80 attestazioni in Gio-

162

Commento

venco contro una sola sicura di neque (1,697); numerosi sono poi gli esempi poetici di nec enim, in autori sia classici sia postclassici (Müller, p  505; Lundström, pp  125 ss ) In ogni caso va segnalata l’allitterazione sillabica tra il predicato verbale e praesens generatio saecli Siffatte locuzioni pleonastiche, consuete nella Bibbia latina e presso gli scrittori ecclesiastici, circoscrivono un periodo della storia umana, un’età del mondo Per generatio non vi sono attestazioni poetiche anteriori a Giovenco, che usa il vocabolo anche a 2,695 Altre poche occorrenze sono in poeti cristiani tardolatini Cfr Meyer (ThlL VI 1786,72 ss e 1787,4 ss ) 160 donec cuncta sequens claudat sibi debita finis Parole allitteranti si rincorrono nel verso, alternandosi in un gioco di intrecci Il participio debita, che esprime comunque la necessità degli eventi, la fatalità in un ottica cristiana, può riferirsi tanto a cuncta come accusativo plurale («tutto ciò che è stato destinato»), quanto a finis, in poesia sovente di genere femminile, come nominativo singolare, ossia «la fine stabilita» (Val Fl 5,530 e ThlL V1 104,82 ss ) La prima opzione sembra tuttavia preferibile, sia perché finis in altri luoghi del testo è sempre di genere maschile (1,696; 3,9; 4,541), sia anche perché risulterebbe altrimenti ridondante la doppia determinazione (sequens e debita) per il soggetto; inoltre, soprattutto, in tal modo si spiega il riflessivo sibi, che ha senso solo se legato al participio in funzione di oggetto claudat Claudere con valore di ‘compiere, finire’ è poetico, oltre che post-augusteo (Moretti Pieri, p  162) 161 haec tellus caelum … super La sistemazione a chiasmo pone al centro i due elementi cosmici (questa terra, il cielo di sopra), con l’opposizione delle due componenti deittiche (le coordinate spaziali), che fanno diretto riferimento alla situazione del discorso ed esprimono vicinanza e distanza rispetto al parlante; super ha valore avverbiale, come in 1,717; 2,2 31 277; 3,47 436 603 631 (Huemer, Index, p  173) in ignes Frequente nelle clausole esametriche; cfr Ov met 5,106; 7,613; 8,180 161–162 Nel riferimento alla dissoluzione in fuoco della terra e del cielo (vv  161–162), originale additio del poeta al testo di Matteo, Colombi (Paene ad verbum, pp  21–22) riconosce una possibile allusione alla dottrina stoica della ἐκπύρωσις, che nel NT è direttamente collegata al Giudizio in II Petr 3,7–10 (caeli autem, qui nunc sunt, et terra eodem uerbo re­

Commento

163

positi sunt igni, seruati in diem iudicii et perditionis impiorum hominum … adueniet autem dies Domini ut fur, in qua caeli magno impetu transient, elementa uero calore soluentur); se  ne trova traccia in II Clem 16,3 e Herm vis 4,3 La studiosa ipotizza soprattutto un possibile influsso sulla parafrasi del commento origeniano al luogo matteano; cfr ser. 56 p  129,24–26 sic puto et in consummatione futurum (secundum quod saluatus est et Lot [cfr Luc 17,29]), ut tunc ignis ille consummationis obtineat mundum secundum iudi­ cium dei L’ipotesi è suggestiva Si noti tuttavia che la topica del fuoco, anche altrove sfruttata nella parafrasi (praef 21–24; 4,156 s 559), è assai comune nei contesti apocalittici anche nella poesia latina, si pensi alla conflagrazione universale di cui parla Ovidio (met 1,256–8 esse quoque in fatis reminiscitur adfore tempus, / quo mare, quo tellus correptaque regia caeli / ardeat et mundi moles operosa laboret, versi senz’altro noti al Giovenco di praef 1–5) La corrispondenza di costrutti nei membri, la ripetizione del verbo (… soluentur … / … soluentur …) e le combinazioni allitteranti rendono più vivo l’antítheton del pensiero («la terra e il cielo passeranno / le mie parole non passeranno») 162 soluentur ab ordine Canali, p  201, interpreta ab ordine, che ricorre nella stessa sede metrica in Verg Aen 3,447 e Val Fl 1,387, come una locuzione avverbiale («le mie parole una per una non periranno»); più verisimilmente, il nesso va unito sul piano sintattico a soluentur, verbo costruito spesso con ab e ablativo, nel senso di «le mie parole non verranno meno al piano divino» o, preso autonomamente, nel significato di «in conformità al piano divino», come intendono Knappitsch, IV, p  21; Castillo Bejarano, p  209, e Galli, p  229 Potremmo anche tradurre «le mie parole non saranno mai dissolte dalla successione (degli eventi, naturalmente quelli degli ultimi tempi)» Sul significato di ordo, parola dall’area semantica assai vasta, in Giovenco, cfr infra, nota al v  656 163–178 Esortazione alla vigilanza. Solo il Padre conosce il giorno del ritorno del Figlio Le parole di Matth 24,36–42, con il richiamo al diluvio che colse alla sprovvista gli uomini ai tempi di Noè, preparano alle parabole sulla vigilanza 163–169 La versione poetica si attiene a Matth 24,36–39: 36 De die autem illa uel hora nemo scit, neque angeli caelorum nec filius nisi Pater solus. 37 Sicut autem in diebus Noe ita erit et aduentus filii hominis. 38 Sicut erat in diebus illis ante diluuium manducantes et bibentes et uxores ducentes, usque eo die, quo intrauit Noe in arcam. 39 Et non cognouerunt, donec uenit diluuium et tulit omnes; ita erit aduentus Filii hominis («Riguardo poi a quel giorno o all’ora, nessuno li conosce, nemmeno gli angeli del cielo e neanche il Figlio, ma solamente il Padre Come ai giorni di Noè, così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo Come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano, bevevano e prendevano

164

Commento

moglie fino al giorno in cui Noè salì sull’arca, e non si accorsero di nulla fino a quando venne il diluvio e portò via tutti, così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo») Il passo è incentrato sulla impossibilità di conoscere con certezza il giorno del giudizio definitivo e sulla imprevedibilità della fine Il cosiddetto ‘giorno di Dio’ della tradizione veterotestamentaria (cfr Zach 14,7) o ‘ultimo giorno’ (cfr Marc 14,25; Ioh 6,39–40), in cui il Signore si manifesterà al mondo, è un evento di cui neanche Gesù è a conoscenza Un primo significativo punto di stacco tra parafrasi e ipotesto è, a v  163, l’eliminazione del riferimento all’ignoranza degli angeli e del Figlio; questa assenza è tanto più evidente se si tiene conto che l’accostamento Figlio / Padre compare in forma così diretta nei sinottici solamente in quattro luoghi paralleli (Matth 24,36 = Marc 13,32; Matth 11,27 = Luc 10,22): dietro l’omissione, secondo Galli, p  230, è possibile vedere uno scrupolo teologico da parte dell’autore, che tace volutamente su un aspetto ritenuto forse critico per la rappresentazione ortodossa della figura di Cristo Giovenco accentua con il pronome indefinito omnibus l’universale inconoscibilità dell’evento, della quale afferma la giustezza e l’equità (est … aequum); sul piano sintattico egli trasforma il complemento di argomento in una interrogativa indiretta, che dipende dall’infinito nescire Il v  164 amplifica il nisi Pater solus scritturistico; Domino sostituisce ‘Padre’, di cui, con uno spezzone virgiliano (cfr infra, nota relativa), si indica il dominio assoluto sugli elementi del cosmo (rerum e qui sidera torquet) Il rimando ai giorni del diluvio (cfr gen 6,11–13; 7,7–13), richiamato in maniera originale solamente da Matteo, offre al poeta l’abbrivo per una riscrittura di intonazione epica Innanzitutto egli accorcia la narratio biblica eliminando per intero il versetto 37 compreso il nome del patriarca Noè (al riguardo Poinsotte, p  49) L’avverbio temporale quondam (v  165) fa riferimento a in diebus ante diluuium del versetto 38; la serie di azioni giustapposte (manducantes, bibentes e uxores ducentes) è riassunta in un più generico diuersa … trac­ tantes munia (v  166); uenit diluuium et tulit omnes del versetto 39 è enfatizzato in cun­ ctos / diluuii rapuit … uiolentia (vv  166–167); al parafraste preme rappresentare la forza distruttiva del diluvio (diluuii … uiolentia, v  167), i marosi infuriati che travolgono le terre emerse (terras undae inuoluere furentes, v  165) e la rapida inondazione (subito … tractu, v  167) I vv  168–169 espandono l’ita erit et aduentus Filii hominis matteano: l’aggettivo subitus, che richiama in poliptoto l’ablativo subito del verso precedente, esprime l’immediatezza e l’imprevedibilità dell’avvento del Signore; Gesù parla qui in prima persona con il pronome possessivo noster, un pluralis maiestatis, usato in luogo di Filii hominis; se il diluvio ha distrutto la terra con l’acqua, la parusia ristabilirà l’ordine universale attraverso il fuoco (flammas uoluens) che si abbatterà dal cielo (descendet ab aethra, v  168): in questa immagine di grande impatto emotivo si deve leggere forse la volontà di Giovenco di creare uno scenario drammatico e solenne, nel quale vengono coinvolti, e accostati per contrasto, tutti gli elementi cosmici: terra e acqua (terras/ undae, v  165), fuoco e aria (flammas/aethra, v  168)

Commento

165

163 fuat È lez , tra gli altri, di A K1 K2 T1 Le varianti fuit, fuerit ed erit sono incongruenti sul piano sintattico, in quanto il testo richiede chiaramente un congiuntivo presente; poco importa pertanto la somiglianza del nostro incipit con quello di Ov am 3,12,1; Lucan  2,99; Stat Theb 1,166; 12,698 quis fuit ille dies; l’alternativa fiat di altri testimoni pare piuttosto un errore di ipercorrettismo Non è neppure necessario ipotizzare un guasto della tradizione, come invece propone Green, Problems, p  209, che congettura sit correggendo quis in qui Ampiamente presente nel teatro latino e soprattutto in Plauto (Foucher, pp  97–115), isolatamente in Ennio (scaen 142 Ribbeck3 [= 177 Vahlen2; 151 Jocelyn]) e Virgilio (Aen 10,108) e occasionalmente in Lucrezio (2,383 e 4,637), questa forma arcaica di congiuntivo, come tale percepita dagli scrittori tardoantichi, risulta meno scontata delle alternative manoscritte e perfettamente adeguata al contesto Proprio la patina arcaizzante sembra sottolineare il carattere venerando del detto gesuano 164 ni soli Analoga forma di pleonasmo a inizio verso, a sottolineare l’eccezione di un fatto, è ni solus di 2,215 e 554 qui sidera torquet Con un chiaro esempio di risemantizzazione cristiana, Giovenco applica al Signore, variandola, l’espressione che Virgilio (Aen 9,93 torquet qui sidera mundi) riferisce a Giove Lo stesso farà Proba (cento 136), che però preleva testualmente l’emistichio virgiliano per introdurre le benedizioni di Dio ad Adamo ed Eva nel momento in cui li pone nell’Eden 165 ut quondam terras undae inuoluere furentes Il verso è imbastito con eleganti giunture classiche che godono di illustri precedenti: Verg georg 3,99–100 ut quondam in stipulis magnus sine uiribus ignis, incassum furit; Sil 15,792 ut quondam terras; Lucan 3,195 e Stat Theb 9,446 furentibus undis 166 sibi tractantes Il pronome riflessivo sibi è pleonastico; si potrebbe trattare comunque di un datiuus sympatheticus 167 diluuii rapuit … uiolentia tractu Altro esempio della tendenza giovenchiana alla personificazione dell’astratto; il sintagma uiolentia più genitivo è una consuetudine nella letteratura latina, tanto nella prosa quanto nella poesia, per la rappresentazione di certi fenomeni atmosferici (u. tempestatis, Curt 8,4,5; u. uentorum, Plin nat 2,46), climatici (u. hiemis, Colum 1,1,5; u. radii solis, Plin nat 2,13) o naturali in genere (u. flammae, Aetna 214) La giuntura con il verbo rapio risale probabilmente a Sil 16,96 quantumque rapit uiolentia ponti, che

166

Commento

analogamente allude alla furia devastatrice delle acque Nella poesia cristiana anche Rustico Elpidio si soffermerà sulla violenza del diluvio in termini molto simili a quelli di Giovenco (hist testam 14 ne quid diluuii perdat uiolentia, Noe) L’astratto uiolentia è usato anche in altri contesti: 2,463 la violenza del mondo; 2,540 i violenti che distruggono il regno dei cieli; 4,318 l’aggressività della malattia; 4,491 la morte che incombe su Cristo (qui la clausola è identica) 168 subitus L’aggettivo e l’avverbio corrispondente accompagnano in Giovenco le manifestazioni divine (1,416; 4,168 178 183) o quelle dei messi celesti (1,161); si trovano sovente nelle scene di epifanie di personaggi e divinità, con valore metaforico o reale, anche nell’epica classica: per es , l’improvvisa apparizione di Annibale in Sil 15,664 et fulmen subitum Carthaginis Hannibal adsit o quella di Dioniso in Stat Theb 5,267 multa subitus cum luce refulsit Sulle strategie descrittive adottate dal poeta in altri contesti epifanici, si veda lo studio di Thraede, Epiphanien, pp  499–511 Sono altresì ricorrenti in associazione con immagini di luce, come ancora in Stat Theb 1,354 attritus subita face rumpitur aether e 10,618 grandem subiti cum fulminis ictum, oppure, in ambito cristiano, nella visione che Paolo ebbe sulla strada verso Damasco in act. 9,3 subito circumfulsit eum lux e 22,6 subi­ to … circumfulsit me lux copiosa Cfr Röttger, p  55 flammas uoluens Anche in questo verso Colombi, Paene ad verbum, p  21, fa notare l’aggiunta del fuoco, assente nel Vangelo, suggerita verisimilmente da scene topiche nella letteratura apocalittica, come il fiume di fuoco (apoc. Petr 2,9; 3,7 10,11), il fuoco mescolato a grandine e sangue (apoc. 8,7), la montagna di fuoco nel mare (ibid 8,8), oppure il fuoco sceso dal cielo (ibid 20,9) Del resto, il fuoco è collegato in maniera esplicita alla venuta di Cristo già in Paolo (II Thess 1,7 s ) Negli Euangeliorum libri Giovenco recupera questo motivo biblico-teologico tradizionale, che proprio per il coinvolgimento degli elementi cosmici e dei fenomeni atmosferici si presta alla rappresentazione epica, potenziando quegli aspetti che rendano grandiosa e spaventosa la parusia del Messia (fiamme, bagliori, nubi rosseggianti, fulmini): praef 23 s ; 3,311–315; 4,145 148 152–157 168 s 557–559 169–170 Questo passaggio funge da cerniera e prepara il lettore alla sezione successiva, dandone una breve sintesi e anticipandone la spiegazione, cioè l’interpretazione allegorica (la diversa sorte che toccherà agli uomini alla fine del mondo): tale procedimento, che punta a richiamare l’attenzione del pubblico su aspetti fondamentali del discorso, segue i praecepta della retorica classica ed è frequente sia nelle opere poetiche, soprattutto in sede proemiale, sia nelle orazioni; Giovenco per lo più se ne avvale per introdurre le parabole; cfr Roberts, Biblical Epic, pp  162 s ; il luogo in questione è segnalato a p  163, n  3

Commento

167

sub una / condicione premet L’espressione sub condicione, attestata già in Ovidio (trist 1,2,109) e per la prosa in Livio (6,40,8), appartiene al linguaggio giuridico (cfr Pompon dig 46,4,4; Ulp dig 28,6,8; D’Ors, pp  73–78, e Colombi, Preposizioni, p  19) L’incipit del v  170 è una vaga reminiscenza di Verg Aen 7,737 contentus late iam tum dicione premebat, detto di Ebalo, re dei Teleboi, che estese il suo dominio alla Campania 170–176 La parafrasi ha come modello Matth 24,40: Tunc duo erunt in agro, unus adsumetur, et unus relinquetur, duo in lecto uno, unus adsumetur et unus relinquetur («Allora due staranno in un campo, uno sarà preso e l’altro sarà lasciato, due in un solo letto, uno sarà preso e l’altro sarà lasciato») Il testo evangelico, attraverso immagini concrete della tradizione popolare, attinte dalla vita contadina e domestica, presenta una scena di quotidianità, nella quale irrompe, ineluttabile, il giudizio divino, che separa i buoni dai malvagi Il versetto 40 è regolato sintatticamente da una struttura fortemente paratattica con membri paralleli coordinati per asindeto; anche nella resa poetica, che impegna ben sette versi (170–176), prevale la paratassi, armonizzata tuttavia da una maggiore varietà lessicale e da aggiunte Il primo segmento trova ai vv  170 s una efficace ampli­ ficatio di natura descrittiva con l’immagine dei campi fecondi e del vomere affondato nei solchi (ubi iugera laeta / infindent duo depresso sub uomere sulcis) Ai vv  172 s resta il parallelismo dell’ipotesto: a unus è aggiunto arator; alla voce verbale adsumetur corrisponde tolletur, rafforzata da correpto … corpore, che precisa le modalità della salvezza; il secondo uomo (alius) è definito ignarus; il verbo è ripreso nella corrispondente forma semplice (relinquetur ~ linquetur); in agro richiama a distanza la medesima espressione locativa dell’Evangelista con l’aggiunta di uasto Quanto alla seconda coppia, la locuzione duo in lecto diventa uno … recubantes stramine lecti (v  174), con la trasformazione dello statuto grammaticale del termine chiave, che passa dall’ablativo al genitivo; il v  175 spezza il costrutto iterativo della fonte enunciando la diversa sorte dei due uomini, spiegata al v  successivo, che è un ampliamento del solo unus relinquetur matteano L’autore omette la prima parte del versetto 41 relativa all’esempio delle due donne che macinano assieme alla stessa mola (duae molentes ad molam, una adsumetur et una relinquetur), non attestato in tutti i codd della VL ma recepito dalla Vulgata geronimiana (si vedano in proposito Marold, Evangelienbuch, pp  329 ss , e Nestler, p  19): è difficile dire se l’omissione sia dovuta a una semplice scelta del poeta o piuttosto all’assenza nell’esemplare evangelico utilizzato del passaggio in questione Incertezze nel testo biblico si riscontrano peraltro anche nel luogo parallelo di Luc 17,34–35 (34 Illa nocte erunt duo in lecto uno: unus adsumetur et alter relinquetur; 35 duae molentes in unum: una adsumetur, et una relinquetur); a questi versetti, infatti, concordemente riportati dalla tràd ms , in alcuni testimoni lucani se ne aggiunge un altro, il 35 nell’attuale numerazione (i due uomini nel campo), che deriva probabilmente da Matth 24,40

168

Commento

170 iugera laeta I codd sono divisi tra laeta, lez tràdita tra gli altri anche da C e recepita dagli edd moderni, alta e lata di altri mss Hansson, p  49, propende per quest’ultima variante, ritenendo inverisimile che i campi siano ‘fecondi’ al momento dell’aratura, prima della raccolta L’argomentazione pare piuttosto debole; al di là del valore puramente evocativo della scena e della maggiore aderenza allo stile epico tradizionale di laeta, che comunque è qui solo un epiteto esornativo, la scelta di espressioni analoghe nell’opera giovenchiana (1,159 e 2,423 pascua laeta; 1,646 uirentia laeta; 2,426 laetae segetes, dove peraltro pochi mss esibiscono l’alternativa latae) e la presenza di tale aggettivo in un successivo nesso prudenziano (c. Symm 2,1039 quam cum laeta suas ostentant iugera messes) avvalorano la genuinità della prima variante; si veda Mohrmann, Review, p  125 171–176 Con la sua allure molto ricercata per l’abbondanza di allitterazioni, anafore, poliptoti, omeoteleuti (spesso valorizzati dal tempo forte e dalle incisioni), chiasmi e copia uer­ borum, questo passaggio testuale è tutto basato su un gioco contrastivo, che fa emergere l’equità della giustizia divina proprio dal vaglio selettivo del giudizio finale 171 infindent … depresso sub uomere sulcis Il frasario agricolo richiama Verg ecl 4,33 quae iubeant telluri infindere sulcos; georg 1,45 depresso incipiat iam tum mihi taurus aratro e 2,203 presso pinguis sub uomere terra; cfr anche Ov met 15,618 quantum depresso subiectis bubus aratro L’impiego di sub più ablativo, in luogo di un ablativo apreposizionale o della costruzione con in, conferma la più ampia superficie semantica di tale preposizione e nel caso specifico rende particolarmente realistica l’immagine agricola (Colombi, Preposizioni, p  19) 172 unus correpto tolletur corpore arator Nel v  172, caratterizzato dall’equilibrata disposizione a iperbato dei termini, il verbo occupa la posizione centrale, rinserrato com’è tra la coppia allitterante correpto … cor­ pore subito dopo la cesura pentemimere Questo esempio del cosiddetto versus aureus corrisponde al ‘tipo 12’ secondo la classificazione che Baños Baños, pp  762–774, assegna agli esametri che presentano la successione chiastica A1 – A2 – V – S2 – S1, da Wilkinson, pp  215–216, definiti «silver lines»; questa medesima tipologia, che, stando alle statistiche di Mayer, p  161, risulta meno diffusa presso i poeti esametrici latini, in Giovenco è ancora ai vv  1,215; 2,152 e 4,396 Tollo come sinonimo di sumo o capio è piuttosto colloquiale ed è proprio della latinità tarda (Rönsch, Beiträge, III, p  84; Löfstedt, Peregrinatio Aetheriae, pp  182 ss ) correpto … corpore Il riferimento al corpo afferrato e portato via ricorda l’assunzione corporea al cielo dei giusti biblici Enoch (gen. 5,24; Sirach. 44,16) ed Elia (II reg. 2,1–11; Sirach. 48,9) e

Commento

169

si riallaccia alla dottrina cristiana della risurrezione dei corpi di matrice scritturistica (Is  26,19; Ezech 37,1–14; Rom 8,11 23; I Cor. 15,53–57; I Thess 4,15–17), codificata nell’art 11 del simbolo apostolico e ribadita nella riflessione dei Padri corpore arator La sinalefe in clausola si verifica nell’opera altre 16 volte: 1,11 descendere aperto; 499 con­ surgere in iras (= 2,27); 561 succurrere amicis; 663 demere aristam; 2,352 talia iniret; 732 no­ mine habetur; 3,282 robore habebit; 442 corpore adorat; 447 limine in ipso (= 4,390); 489 pectore amorem; 586 moenia adimus; 597 considere honore; 4,211 conponere oliuo; 415 cor­ pora egentum In 3 casi la prima parola a uscita vocalica è corpus (corpore/corpora) Cfr in generale Strzelecki, passim, e Fichtner, p  49 173 ignarus Da intendersi forse passivamente come ‘ignorato’; altri esempi epici di quest’uso in Wiese (ThlL VII 276,13 ss ) Tale inserto risente chiaramente del tema escatologico del disconoscimento degli iniqui, centrato sulla risposta del Salvatore «io non vi conosco», che chiude l’affermazione sui veri discepoli di Matth 7,23, la parabola delle dieci vergini di Mattth 25,12 e la parabola delle due porte di Luc 13,25 alius In luogo di alter come in 1,552 e 4,23; viceversa alter sta per alius in 3,616; cfr Huemer, Index, p  151; Kievits, p  133) Lo scambio delle due forme aggettivali o pronominali è un tratto caratteristico del latino tardo (Löfstedt, Peregrinatio Aetheriae, p  145; Svennung, Orosiana, p  75; LHS, II2, pp  207 s ) 174 uno quin etiam … stramine lecti Il nesso quin etiam (‘che anzi’) intensifica la separazione del secondo binomio rispetto al primo: in uno spazio, che è ancora più ristretto, addirittura nel medesimo letto, è riservata una sorte diversa ai due che vi sono distesi La clausola è anche in Paul Petric Mart. 4,447, per il quale cfr già Sulp Sev dial 2,8,6 nam certe dum stramen illud, quod in lectos nostros paratur, aspicio, subuenit in memoriam etiam de stramine, in quo Martinus iacuerat La testimonianza di Sulpicio è una vera e propria spiegazione dell’uso della paglia per la realizzazione di giacigli (OLD, s. v. stramen, 1a, p  1826, «straw or the like laid down for bedding or similar purposes», in epica fin da Verg Aen 11,67) 175 diuersa sorte Il nesso è attestato per la prima volta in Giovenco Nella medesima posizione di verso si trova anche in Paul Pell euch 491 s perpetuum exilium diuersa sorte dierum / exigo; si contano invece 4 occorrenze in poeti mediolatini

170

Commento

176 unus … quaeret … relictus Iperbato a cornice, bilanciato dal predicato verbale tra pentemimere ed eftemimere per strata Colombi, Preposizioni, p  18, fa notare che in questo caso ci si dovrebbe attendere piuttosto l’impiego di in, per la maggiore staticità dell’azione descritta Il sintagma per stra­ ta pone poi due fondamentali problemi interpretativi Il primo è legato alla sua reggenza sintattica; il nesso potrebbe infatti dipendere da relictus realizzando un parallelo con l’espressione corrispondente del v  173 linquetur in agro; oppure da quaeret, dipendenza che, oltre a essere più corretta grammaticalmente, gode sia di richiami interni a 1,290 s perque iteris stratas … / quaerebat e 3,79 quaerens per compita uictum, sia di paralleli classici (Ov met 11,62 quaerensque per arua piorum e Stat Theb 9,601 falsos quaerit per lumina fletus) Il secondo problema è invece connesso con il valore semantico di stra­ ta, che può significare tanto ‘strada’ (propriamente il lastrico, la pavimentazione e per sineddoche la via), come intende Castillo Bejarano, p  210 («buscarà a su compañero por los caminos»), quanto ‘le coltri’, ‘le coperte’, come interpretano Canali, p  201, e Galli, p  231 Ferma restando la sostanziale ambiguità della locuzione e nonostante la somiglianza lessicale del nostro verso con 1,290 s , il contesto suggerisce di accogliere la seconda interpretazione, dato che al v  174 si parla di stramen e di lectus; in Giovenco inoltre il neutro stratum, sia al singolare sia al plurale, sta sempre a indicare nelle altre occorrenze il giaciglio o il letto (2,90; 3,621), mentre è il femminile strata a denotare la via (1,290 315; 2,535; 3,462 636 655) 177–178 Il monito alla vigilanza (Matth 24,42) è espresso in termini analoghi più avanti in Matth 25,13 (Vigilate itaque, quia nescitis diem neque horam); nel nostro caso (Vigilate ergo, quia nescitis, qua hora Dominus uester uenturus est) l’Evangelista si rifà alla enarratio di Marc 13,34–37 e, sostituendo il ‘padrone della casa’ (dominus domus) della fonte marciana (13,35) con ‘il Signore vostro’ (Dominus uester), allegorizza la parabola originale Nella parafrasi giovenchiana c’è un richiamo esplicito ai servi (famuli uigilent); questa formulazione è una vera e propria immutatio rispetto al testo base; si potrebbe ipotizzare che il poeta abbia fuso elementi eterogenei, ricavati da diverse fonti neotestamentarie (proprio il luogo marciano sopra citato si incentra, infatti, sulla figura dei servi cui il padrone affida il compito di sorvegliare la casa), o, più semplicemente, che egli anticipi la parabola del servo fedele di Matth 24,45–51, parafrasata ai vv  185–196, per rendere più coerente l’argomentazione (cfr Galli, p  231); non sfugga, tuttavia, che nell’uso cristiano famulus equivale spesso a fidelis (ThlL VI 267,4 ss ), per cui si potrebbe trattare di un invito rivolto direttamente alla comunità dei credenti fruitori dell’opera Quanto alla tecnica parafrastica, nella riscrittura il congiuntivo rimpiazza l’imperativo, e il tono esortativo è rafforzato dal brusco passaggio al registro prosastico con l’avverbio causale idcirco in luogo della congiunzione conclusiva ergo, in apertura di esametro come

Commento

171

in 2,765: tale parola, evitata del tutto da alcuni poeti classici, è raramente usata da altri (ThlL VII1 172,2 ss ; Axelson, p  80, n  67) Rimane la causale introdotta da quia; la voce verbale nescitis viene recuperata tramite l’aggettivo corradicale nescius da intendersi in senso passivo come «sconosciuto, ignoto» (cfr Arevalo, p  295; OLD, s. v., 4a, p  1174) La circonlocuzione aduentus Domini esprime perifrasticamente Dominus uester; rimane anche hora, ma con un epiteto (subita) che, anche per la sua posizione di rilievo tra le due cesure, indica l’imprevedibilità della venuta del Signore (Simonetti Abbolito, Termini tecnici, p  82); il verbo descendo è già impiegato, nella medesima positio metrica, poco più sopra, al v  168, sempre in riferimento al ritorno di Cristo 178 aduentus domini Aduentus è il corrispondente latino del gr παρουσία (Mohrmann, Études, I, p  250) che indica il secondo avvento di Cristo alla fine dei tempi; numerose sono le attestazioni del termine nella Bibbia latina e presso gli autori cristiani (Matth 24,3; 24,27; I Cor  1,8; I Thess 2,19; II Thess 2,8; Tert anim 50,55; Hier epist 121,1) Aduentus domini è in Tert spect 30,1 e bapt 19,8 Cfr ThlL I 838,47 s Il cambio operato dal poeta sviluppa in maniera immediata il tema della parusia trattato nell’ipotesto descendet In tutte le occorrenze del verbo in Giovenco (praef 23; 1,11 160 357; 2,225; 4,168 178 746) i testimoni sono divisi tra le alternative grafiche descendere e discendere, forma, quest’ultima, sempre preferita da Huemer tranne che a 4,168 Per quanto le due grafie siano piuttosto comuni e intercambiabili nei mss latini, i grammatici antichi raccomandavano la prima (Caper gramm 7,92,1 cato (i. ϰάτω) descendit dicimus, non discen­ dit), che scegliamo di adottare in tutti i casi relativi al libro quarto 179–184 Parabola del padre di famiglia. L’esemplificazione parabolica esposta sia da Matteo che da Luca (12,39 s ) affronta in maniera più esplicita il tema della vigilanza Il modello di Giovenco è Matth 24,43–44: 43 Illud autem scitote, quoniam si sciret pater familias, qua hora fur uenit, uigilaret utique et non sineret perfodiri domum suam. 44 Ideo et uos estote pa­ rati, quia nescitis, qua hora filius hominis uenturus est («Considerate questo: se il padre di famiglia sapesse a che ora arriva il ladro, vigilerebbe e non si lascerebbe scassinare la casa Perciò anche voi state pronti, perché non conoscete l’ora in cui verrà il Figlio dell’uomo») Ai vv  179–181 leggiamo il medesimo inizio (si sciret) e la medesima organizzazione sintattica (un periodo ipotetico di 3° tipo) del versetto 43 con la detractio del primo segmento (Illud autem scitote quoniam) Non mancano le immutationes: in luogo dell’interrogativa indiretta abbiamo una infinitiva (qua hora fur uenit ~ Iuvenc certum furis insistere tempus, v  179), in luogo del pater familias il domus custos (v  180), cioè il custode della casa, identificato con un generico quisque L’apodosi et non sineret perfodiri do­

172

Commento

mum suam viene concettualmente recuperata a v  181 come proposizione finale (ruptas ne quis penetraret in aedes): Giovenco immagina una difesa in armi (et obuia ferret / arma procul, vv  180 s ) e inscena un’irruzione in casa (ruptas … penetraret) più che una semplice perforazione del muro (VL perfodiri; gr διορυχθῆναι) Il versetto 44 è parafrasato ai vv  182–184: rispetto alla prima frase scritturistica (Ideo et uos estote parati), sintetica e immediata, il poeta presenta una parafrasi più complessa (sed uos intentis animis adsistite semper, v  182), che meglio concorre all’intento parenetico Possono considerarsi equivalenti sul piano concettuale la congiunzione causale quia e la dichiarativa namque che apre il v  183; il significato di qua nescitis hora è restituito in qualche modo dagli aggettivi repentinus e subitus, riferiti, con valore predicativo, a recurret / Filius … hominis, vv  183 s (~ Matth 24,44 filius hominis uenturus est: resta inalterata questa volta l’espressione cristologica che denota l’umanità di Gesù); l’avverbio huc, non una semplice zeppa (vd anche 3,311 e 341), ricorda che il ritorno di Cristo (recurret) sarà qui sulla terra, nuovamente nella storia umana Il v  184 si chiude con una appendice esegetica relativa alla ricompensa per i giusti (iustis sua praemia seruans) 179 si sciret certum furis Giovenco opera in questo locus il cosiddetto allungamento in arsi davanti a cesura; tale fenomeno prosodico-metrico ricorre nel poema complessivamente dodici volte, di cui ben cinque nel libro quarto (cfr ancora 558 maiestas prolis // hominis, cum dextera sanc­ tae; 668 latrones hinc inde duo; // sed caeca furentis; 723 concessit praeses // et corpus fulgi­ da lino; 756 surrexit Christus // aeternaque lumina uitae); per ulteriori approfondimenti e per l’elenco completo delle occorrenze si rimanda a Flammini, La struttura, pp  263 s 180–181 obuia ferret / arma procul Il dettaglio delle armi levate contro il ladro e dello scontro ambientato fuori dall’abitazione (procul) suggerisce, secondo Green, Latin Epics, p  10, un contesto socio-economico significativamente diverso rispetto a quello biblico; Giovenco cioè non avrebbe avuto in mente una piccola cittadina palestinese ma un’estesa uilla romana dell’Occidente, economicamente più avanzata È probabile, tuttavia, che il poeta abbia voluto semplicemente colorare la descrizione con un linguaggio marcatamente epico per elevare il tono del discorso e drammatizzare la scena Riconoscibili sono i prelievi virgiliani con i quali sembra confezionata la frase (Aen 9,56 s non obuia ferre / arma uiros; 3,597 e 6,651 arma procul; cfr anche Sil 5,240 s namque obuia ferre / arma quis auderet) 180 quisque domus custos L’impiego di quisque nell’accezione di quicumque o quisquis, risalente già al periodo arcaico, rivive nel latino tardo, soprattutto presso gli scrittori cristiani (LHS, II, pp  201 s ; Schrijnen-Mohrmann, I, pp  160 s ; Rönsch, p  336) Negli Euangeliorum libri cfr anche 1,715; 2,202 619 621 776; 3,400 490 614 (Huemer, Index, p  169; Kievits, p  157)

Commento

173

181 penetraret in aedes Giovenco adopera penetrare prevalentemente con l’accusativo semplice (1,81 115 198 354 767; 2,125 186 520 792; 3,41) e in qualche caso con le preposizioni in e per (1,682; 2,722; 4,72 181 223), senza sostanziali differenze di significato 182 sed uos Nella recensione all’edizione di Huemer il Petschenig (p 142) propone di correggere in sic, sulla scorta di Matth 24,44 ideo et, il tràdito sed; tale lez va tuttavia mantenuta: anche in altri luoghi il poeta opera, infatti, passaggi logici bruschi e inattesi, soprattutto a inizio di periodo; inoltre, il nesso sed uos, attestato anche in Verg Aen 1,369 e 9,146, apre spesso in Giovenco discorsi diretti pronunciati da Gesù (prettamente esortazioni), indirizzati a discepoli e astanti sia nei casi in cui l’ipotesto biblico abbia ergo o ideo (1,330 ~ Matth 3,8 ergo; 572 ~ Matth 5,48 ergo; 629 ~ Matth 6,25 ideo; 2,458 ~ Matth 10,16 ergo), sia in quelli in cui tali congiunzioni o avverbi non siano presenti (3,288 ~ Matth 16,20; 4,100 ~ Matth 24,6) Cfr Hansson, pp  58 s e nn 65 e 67 intentis animis adsistite semper La ridondanza sintagmatica e il ricorso al verbo adsistere, qui probabilmente nell’accezione del sermo militaris «to take up a position, make a stand» (OLD, s. v., 3a, p  189), rendono perfettamente la necessità di stare in guardia, in una tensione spirituale costante Per intentis animis, che in poesia compare poi solo in Ven Fort Mart 2,398, cfr Sall Iug 44,3; Caes Gall. 3,22,1; civ 3,19,5 183 repentinus … subitusque La duplicazione sinonimica non ha come movente la semplice ricerca dell’esuberanza espressiva, ma mira piuttosto ad amplificare il concetto, ancora per ribadire, come al v   178 (ove è peraltro ripreso l’aggettivo subitus), l’imprevedibilità della parusia Per un’analoga combinazione lessicale si vedano Plaut Mil 177; Lucr 4,992; Sil 5,611 e 16,385 184 iustis … praemia Flury, Paulinus, p  143, rileva la ripresa di questo nesso, in una diversa giacitura esametrica ma in un contesto sostanzialmente simile, cioè il premio riservato ai credenti, da parte di Paul Nol carm 6,281 proponisque malis poenas et praemia iustis Con praemium Giovenco si riallaccia a una visione ‘agonistica’ della fede cristiana risalente agli scritti di Paolo (cfr II Tim 4,7–8; I Cor 9,24–26) e insiste sull’idea più volte ribadita nel NT (cfr Matth 16,27; apoc 2,23; 20,12–13; 22,12) secondo cui nel giudizio finale Dio ricompenserà ciascuno in base alle proprie azioni, riservando ai giusti i premi eterni Lo stesso concetto sarà in seguito riformulato da altri poeti cristiani, che sulla base delle indicazioni scritturistiche prospettano la vita eterna come il risultato di un costante

174

Commento

esercizio di virtù e della pratica della giustizia (cfr Orient comm 1,171–174 273–276; Ps Prosp carm. de prov 244–248) 185–196 Parabola del servo fedele e del servo cattivo. Il luogo parallelo è Luc. 12,42–46 I versi in questione seguono Matth 24, 45–51: 45 Quis nam est fidelis seruus et prudens, quem constituit dominus supra familiam suam, ut det illis cibum in tempore? 46 Beatus ille seruus, quem ueniens dominus eius inueniet sic facientem. 47 Amen dico uobis, quoniam super om­ nia bona sua constituet eum. 48 Si autem dixerit malus ille seruus in corde suo: Moram facit dominus meus uenire, 49 et incipiet percutere conseruos suos, manducet autem et bibat cum ebriis, 50 ueniet dominus serui illius in die qua non sperat et in hora qua ignorant. 51 Et diuidet eum partemque eius ponet cum hypocritis: Illic erit fletus et stridor dentium («Qual è infatti il servo fedele e saggio, cui il padrone ha dato l’autorità sui suoi domestici, affinché dia loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che al suo ritorno il padrone troverà ad agire in questo modo In verità vi dico, gli darà autorità su tutti i suoi beni Ma se quel servo malvagio dirà in cuor suo: Il mio padrone tarda a venire, e inizierà a percuotere i suoi conservi, e a mangiare e bere con gli ubriaconi, ritornerà il padrone di quel servo nel giorno in cui meno se lo aspetta e nell’ora che non conosce E lo spaccherà in due e una parte di lui metterà con gli ipocriti: Lì sarà pianto e stridore di denti») La domanda diretta posta da Gesù al versetto 45 cede il posto a un enunciato assertivo (vv  185–187): degli aggettivi fidelis e prudens rimane solamente il primo; rimane anche la frase relativa (vv  185 s ) ma variata nella forma (quem constituit ~ Iuuenc cui credere … /… uoluit); familiam suam è sciolto, quasi glossato, in aedes e famulos, apposizioni di cuncta; al v  186 per longa profectus è un additamentum, che fa riferimento alla partenza del padrone e spiega la nomina di un amministratore dei beni; il termine do­ minus, dall’Evangelista usato due volte a breve distanza, è qui reso con uir pater ipse do­ mus (v  187); la frase finale (ut det illis cibum in tempore) è omessa I vv  187 s sono molto simili all’originale: tolto ille seruus, l’aggettivo beatus è rafforzato dall’avverbio nimium e accompagnato da sapiens, che recupera, variandolo, il prudens del versetto precedente; quem … inueniet si trasforma in quem … uidebit, mentre sic facientem in seruantem iussa, espressione focalizzata sui comandi impartiti; restano il participio ueniens e il soggetto dominus, ma senza la specificazione eius Il v  189 riprende il versetto 47: ma­ iori … redimibit honore allude all’amministrazione di tutti i beni (super omnia bona sua constituet eum); illum … famulum esplicita il pronome deittico eum; la formula Amen dico uobis, come di consueto, è soppressa Nella riscrittura (vv  190 s ) del versetto 48 il poeta si concede una notevole libertà: innanzitutto è diversa la sintassi (si aboliscono la protasi del periodo ipotetico e il discorso diretto); a segnare un netto contrasto con la breve sezione precedente vi è l’avversativa ast, in posizione di rilievo, a inizio di esametro; con l’epiteto infelix, riferito a ille (scompare seruus), si prefigura la sorte futura che toccherà al servo malvagio Giovenco mira a farne emergere la bassezza morale con l’inserimento di sordida luxuriatus (v  190) e il disprezzo per il padrone con contemnet

Commento

175

erum (v  191); al ritardo di quest’ultimo, cui nell’ipotesto è dedicata un’intera battuta (Moram facit dominus meus uenire), rinvia il participio tardantem (v  191) Il versetto 49 è ripreso ai vv  191–193: conseruos suos è modificato in famulos (in poliptoto con fa­ mulum di v  189); percutere in fatigans / uerberibus; segnique indulgens ebrietati (v  192) è un’amplificatio di bibat cum ebriis (quest’ultimo termine è riecheggiato dal corradicale ebrietati) e luxuriosorum conuiuia concelebrarit (v  193) del conciso manducet Del versetto 50 è ripreso solo l’incipit al primo emistichio 194 (ueniet dominus ~ Iuuenc adueniet dominus) I vv  194 s sembrano attenuare il crudo contenuto del primo stico del versetto 51: il presbitero spagnolo non fa parola dello squartamento del servo, ma accenna al precipizio negli inferi (praecipitem … abdet) come degna punizione (dignis poenarum cladibus) per il peccatore (per un’immagine analoga cfr il v  67) Il pianto e lo stridore dei denti sono menzionati al v  196: fletus è accompagnato dall’attributo perpetuus, a stridor manca la specificazione dentium; manebit e illum sono aggiunti 185 cui credere cuncta La fiducia concessa al servo fedele è fonicamente rimarcata dalla triplice allitterazione in c del secondo emistichio 186 per longa profectus A per longa gli studiosi attribuiscono generalmente il significato di per longum tempus intendendo l’espressione come un complemento di tempo continuato (Sil 2,465 per longum celata fames); così Arevalo, p  295; Knappitsch, IV, p  23, nota ad loc , che però traduce «bei seiner weiten Verreisung», e Castillo Bejarano, p  210, «al marchar por largo tiempo» Colombi, Preposizioni, p  16, ritiene che il nesso indichi piuttosto un moto a luogo («partito per terre lontane»), come in Sil 13,462 ut portet tumulis per longum membra paternis e 17,473 conuertitque ruens per longum hostilia terga, oppure un fine («per un lungo viaggio») Il nesso è usato da Giovenco anche a 1,227 s Solymos per longa uiarum / deueniunt e 3,209 populos per longa uiantes, con valore di complemento di moto per luogo; la diversità dei contesti non ci permette però di ricavare conclusioni certe, e il raffronto ha solamente un valore indiziario Nel nostro caso sembra che il poeta abbia volutamente lasciato all’espressione una sostanziale ambiguità, in virtù di quella polisemia insita nella lingua poetica; nella traduzione abbiamo comunque optato per la sfumatura finale, che ingloba l’idea di distanza e di durata Giovenco adopera spesso il costrutto di per + un aggettivo neutro plurale anche senza un genitivo dipendente: si vedano anche per prona 1,682; per scrupea 1,684; per cuncta 2,416; per culta 2,561; per summa 3,618; per lubrica 1,722 e 3,374 187 uir pater ipse domus Più che Ov ars 1,522 nec laedat naris uirque paterque gregis (da Arevalο, p  295, «energice, uti in illo Maronis: Vir pater ipse gregis», erroneamente assegnato a Virgilio), Giovenco ha tenuto presente, per un esplicito richiamo testuale e per una certa affinità di conte-

176

Commento

sto, Hor sat 2,6,88 s cum pater ipse domus palea porrectus in horna / esset ador loliumque, detto appunto di un padrone di casa L’incipit giovenchiano è recuperato per intero da Beda (Cuthb 1,535 uir pater ipse domus morbo depressus acerbo) sapiens nimiumque beatus Il poeta ha senz’altro presente Lucan 8,843 satis o nimiumque beatus Se la matrice del makarismos è chiaramente evangelica, Giovenco non rinuncia tuttavia a un tocco di novità riusando una tessera poetizzante epica; l’attenzione alle variazioni retoriche si avverte anche nella parafrasi del discorso della montagna (1,454–471), dove il testo di Matteo (5,3–11) è riscritto poeticamente con una serie di modulazioni anaforiche che riproducono l’effetto del formulare μακάριοι οἱ; la struttura di 2,525 ille beatus erit, quem non deceperit error segue invece più da vicino lo schema di Matth 11,6 et beatus est qui non fuerit scandalizatus in me Sulla evoluzione del modulo dei makarismoi, a partire dal notissimo Verg georg 2,490, si sofferma Palla, Appunti, pp  171–192 188 quem ueniens dominus seruantem Questa prima parte del verso presenta una struttura a chiasmo seruantem iussa uidebit La variante praecepta inplere uidebit, esibita da un ristretto numero di testimoni e non recepita da alcun editore moderno, ha piuttosto l’aria di una glossa Giovenco costruisce i uerba sentiendi sia con l’infinito (1,243 327; 2,122; 3,75 117; 4,213 445) sia con il participio in funzione predicativa (due: 2,53; 4,188) Nel nostro caso proprio la scelta del participio, che peraltro consente la disposizione chiastica, sottolinea con più forza la concomitanza delle azioni 189 illum L’additio del dimostrativo, enfaticamente posto in apertura di esametro, nella pericope si riferisce due volte al servo fedele (vv  185 e 189), una a quello infedele (v  196) In un’antitesi giocata sul parallelismo sintattico, a conclusione delle parti testuali riservate a ciascuno di loro, i due personaggi sono così messi a confronto nel momento della ricompensa: il premio per l’uno (v  189), il supplizio per l’altro (v  196) maiori … redimibit honore La desinenza in -i per l’ablativo singolare di maior, non usuale ma comunque ben attestata sia in prosa sia in poesia (ThlL VIII 122,13–18) e documentata anche per il comparativo di altri aggettivi (Neue – Wagner, II, pp  264–269), non si incontra altrove in Giovenco, che a 1,83 ha la forma in -e (motu maiore) L’uscita in -i dell’ablativo sarà poi abituale nel latino medievale (Stotz 2, IV, § 35,10) Il futuro redimibit non risulta altrove documentato nella latinità (cfr ThlL XI 543,9) La clausola sarà ripresa e variata in altra sede esametrica da Paul Nol carm 15,360 immarcescibilis redimiuit honore coronae

Commento

177

190, 192 e 193 Gli ultimi due piedi di questi tre versi coincidono – non senza conseguenze sul senso – con l’ultima parola (in tutti i casi un pentasillabo) dell’esametro: rispettivamente luxuriatus, ebrietati e concelebrarit La facies prosodica delle tre parole permette clausole con dattilo + dattilo catalettico o dattilo + spondeo 190 sordida luxuriatus Luxurior, ‘vivere smodatamente’ (ThlL VII2 1929,38 ss ), denota la condotta peccaminosa del servo che si dedica al godimento dei piaceri carnali, richiamando il concetto di ‘lussuria’ con cui i primi teologi cristiani comprendevano l’abbandono dell’uomo non solamente agli atti sessuali ma a ogni desiderio disordinato La matrice di questa interpretazione teologica va rintracciata nei testi moralistici latini in cui luxuria ricorre in opposizione alle austere virtù della prima età repubblicana Di questo «Roman pedigree», come scrive Jordan, p  37, è ben consapevole Girolamo, che sceglie il termine per tradurre differenti vocaboli veterotestamentari inerenti alla crapula, alla gozzoviglia e agli eccessi sessuali Oltre al verbo e al successivo aggettivo etimologicamente affine, in Giovenco (3,54) compare anche luxuria in riferimento alla sontuosa festa di compleanno di Erode Il neutro avverbiale sordida, che evoca in prima battuta l’idea di sporcizia, ha qui forte connotazione morale Suggerirei infine un confronto con un passo degli Adelphoe di Terenzio, in cui ompare l’analoga immagine di un servo perso nel vizio e di una casa che non potrà essere salvata dagli dèi (vv  759–762 uxor sine dote ueniet, intus psaltria est, / domus sumptuosa, adulescens luxu perditus, / senex delirans: ipsa si cupiat Salus, / seruare prorsus non potest hanc familiam: a parlare è Demea che espone agli spettatori le sue preoccupazioni per le nozze imminenti che segneranno l’entrata in famiglia di una danzatrice; cfr Mileo, pp  62–63); le corrispondenze lessicali sono troppo deboli per poterne trarre conclusioni certe, ma, vista anche la congruenza situazionale, sembra suggestivo pensare che il poeta abbia in qualche modo avuto in mente anche la scena terenziana 191 tardantem … erum Il tardantem giovenchiano trova riscontro nella voce tardat offerta da alcuni codd della VL (d ff1 e) accanto alle varianti moram facit e moratur di altri testimoni Matteo ripete la sola parola dominus per ‘padrone’ (24,45 46 48 50); a questa povertà lessicale Giovenco contrappone una rosa di forme sinonimiche che si colorano di diverse sfumature semantiche e gradualmente orientano verso l’interpretazione allegorica della figura evangelica: pater … domus (v  187), dominus (v  188), erus (v  191), dominus (194) Si noti che dominus è mantenuto solamente nei due versi dedicati al ritorno del padrone, dove il rimando figurale alla seconda venuta del Signore è più scoperto Per questa valenza allegorica di erus in relazione a Cristo si veda anche Prud apoth 40 e ThlL V2 849,82 s I mss riportano la grafia herum per questo luogo, mentre si dividono tra herus ed erus per il v  238; si preferisce pertanto la forma deaspirata in entrambi i casi

178

Commento

191–192 famulosque fatigans / uerberibus segnique indulgens ebrietati Nel richiamo a Val Fl 2,138 s famulasque fatigat / litoribus la figura del servo malvagio si sovrappone a quella di Eurinome che, in ansia per il marito Codro partito per la guerra, manda le ancelle ad aspettarlo sulla riva (sull’esegesi del tràdito litoribus, variamente spiegato o emendato dalla critica, cfr Gärtner, Argonautica, p  214) Nei due versi l’uso dell’enclitica favorisce un netto legame sintattico-semantico tra i costituenti enucleando anche ritmicamente i cola A v  192 l’elisione del -que al 3° piede incide efficacemente sul ritmo con un effetto di prolungamento della vocale i, e ancora una forte intensità ritmica è prodotta dalla serie di spondei fra 2ª, 3ª e 4ª sede, quasi a significare la fiacca indolenza dell’ebbrezza Il termine ebrietas è in chiusa di esametro, ma in caso ablativo, anche in Paul Nol carm 27,106 flumine potabit, quod sobriat ebrietate 191 e 193 contemnet … fatigans / … / … conuiuia concelebrarit La tradizione manoscritta non è concorde nella trasmissione dei due versi Arevalo stampa contemnit … fatigat / … / … concelebrabat, in cui l’alternanza di presente e imperfetto risulta sintatticamente incoerente, e soprattutto fatigat, in luogo del participio fatigans, spezza bruscamente la simmetria con indulgens del v  192 Hannson, p  50, propende per contemnet … fatigans / … / concelebrabit, ritenendo che la forma concelebra­ bit della gran parte dei mss , attraverso il passaggio intermedio concelebrabet di Al, si sia trasformata successivamente in concelebraret di C per una confusione paleografica tra b e r, fra le più comuni in tutte le aree scrittorie Lo stesso errore paleografico, tuttavia, potrebbe essere, al contrario, alla base del passaggio dal futuro perfetto concelebrarit, emendazione di Marold recepita da Huemer, alla lettura più facile concelebrabit (cfr Otero Pereira, Edición crítica, p  480) A v  191 adotto la grafia contemnet in luogo della variante grafica contempnet di alcuni mss preferita da Huemer; sebbene l’alternanza delle due grafie nei codd latini sia ricorrente (ThlL IV 635,4 ss ), la forma con l’epentesi della p risulta non solo rifiutata dal latino letterario ma anche censurata dai grammatici (Scaur gramm 7,21,6) Sotto il profilo stilistico si noti l’omoarcto dovuto all’identico prefisso con- in ben tre parole 193 luxuriosorum conuiuia concelebrarit Il verso è costituito da tre sole parole (un esasillabo, un quadrisillabo e un pentasillabo) La cesura pentemimere isola il primo, significativo termine dagli altri due: luxu­ riosorum, che si riallaccia grazie alla figura etymologica a luxuriatus del v  190, è quasi sillabato e fissa emblematicamente l’accento su questa categoria di dissoluti e dissipatori ai quali ora si accompagna il servo Anche la lunghezza della parola, collocata in apertura di verso, concorre a dare il senso di tanta prodigalità Flammini, La struttura, p  281, riscontra nel poema solamente un’altra parola esasillabica (Istrahelitarum: 1,207 240; 2,474) L’aggettivo luxuriosus, raro in poesia dove è attestato a partire da Ovidio, fa spesso riferimento a cene e bevute, specialmente in contesti di critica moralistica del lusso (Ov fast 6,171 s ; Quint inst 8,5,23; Hier epist 22,10) È risaputo che gli aggettivi in

Commento

179

-osus accrescono la portata del sema contenuto nei sostantivi da cui derivano e pertanto assumono frequentemente una valenza negativa La loro forza espressiva, propria della lingua d’uso, ne agevola l’impiego non solo nella palliata plautina o in generi letterari meno ‘impegnati’ ma anche, sin da Catullo e Virgilio, nel linguaggio poetico L’impiego di questi aggettivi nella versificazione epica va forse ricondotto al fatto che essi furono percepiti come equivalenti delle forme greche in -όεις (LHS, p  754; Knox, pp  90–101) Svariate in Giovenco le forme con tale suffisso, riconducibili o meno alla fonte biblica: dolosus (2,586; 3,133 221 241), famosus (4,601), frondosus (3,72), lacrimosus (4,335), pre­ tiosus (3,611; 4,412 640), spatiosus (1,680), speciosus (3,341), squamosus (2,519), uentosus (1,689), umbrosus (1,364) Non meno rilevante è l’uso fortemente espressivo della dieresi bucolica, che sposta l’attenzione sugli altri due elementi dello stico, valorizzandone il comune prefisso comitativo e il concetto, qui negativo, da esso veicolato (il prender parte ai lascivi conviti) Simile a conuiuia concelebrarit è l’espressione conuiuia concele­ brabat di 2,129, riferita alla partecipazione di Gesù e Maria alle nozze di Cana Per l’uso del verbo con analogo significato, cfr Q Cic pet 44 est in conuiuiis, quae fac ut et abs te et ab amicis tuis concelebrentur et passim et tributim e Ov fast 4,353–354 cur uicibus factis ineant conuiuia, quaero, / tum magis indictas concelebrentque dapes 194 adueniet dominus Nel distico ecoico di hymn 1,105 s (adueniet Dominus dare digna piis, mala prauis: / credite iam, miseri, adueniet Dominus) Sedulio copierà l’incipit giovenchiano in un contesto tematicamente affine, cioè la seconda venuta del Signore alla fine dei tempi incauta Aggettivo neutro plurale con funzione avverbiale; la variante incaute di alcuni mss è banalizzante A 1,693 nella stessa posizione metrica la parola conserva il valore aggettivale 195 L’exaggeratio enfatizza la severità della condanna e dipinge con tinte fosche il tetro scenario infernale 196 perpetuus fletus stridorque Per rappresentare le afflizioni eterne Giovenco sceglie un abbinamento di parole simile a questo pure in 1,759 s dentibus horrendum stridens fletumque frequentans / perpetuis poenae cruciatibus acta subibit; 3,771 s illic stridor erit uasti sine fine doloris, / et semper fletus e 4,258 perpetuos fletus poenae stridore frequentet manebit Maneo, qui con valore transitivo, è spesso impiegato nella letteratura latina per indicare i tristi eventi della sorte e le sventure future (ThL VIII 290,71 ss ) A proposito delle

180

Commento

pene eterne si possono almeno richiamare gli esempi di Cypr Demetr 9,27 manet post­ modum carcer aeternus et iugis flamma et poena perpetua e Lact inst 5,19,10 quae poena in contemptu maneat 197–226 Parabola delle dieci vergini. La parabola è narrata solo da Matth 25,1–13, ma un vago richiamo al simbolismo delle nozze è anche in Luc 12,35 s , sempre nell’ambito delle parabole sulla vigilanza Un’attenta disamina di questi versi è stata condotta da Rollins, pp  282–322, che vi coglie diversi livelli di lettura (narrativo, allegorico, escatologico e soteriologico), in chiave strettamente esegetica Lo studioso individua soprattutto una serie di spunti riconducibili al motivo poetico del komos e dell’exclusus amator, topici soprattutto in contesti elegiaci Sulla scorta dello schema base del genere, elaborato da Cairns, p  6, e Pinotti, pp  61–65, Rollins analizza in maniera dettagliata tutti gli elementi corrispondenti e le variazioni rispetto al modello: la figura dell’amante, in genere l’uomo, è rappresentata dalle vergini, un plurale femminile; quella dell’amata dallo sponsus; i lamenti e il monologo in cui il primo esprime il suo desiderio di incontrare la seconda sono riassunti in forma indiretta ai vv  220–223; le porte della casa, che fa da sfondo alla scena, sono ugualmente chiuse (v  221), ma i comasti anziché venire dal simposio vi si recano e i comites non sono i compagni dell’amante, bensì i custodes/ ianitores dello sposo Alla formula tradizionale sono accostabili anche altri aspetti del racconto: il riferimento alla notte (noctis medio, v  207), che contestualizza l’episodio sul piano cronologico; il particolare delle ragazze addormentate agli incroci prima della processione (vv  205 s ), una variazione sul tema, che prevede che l’innamorato si distenda davanti alla soglia; la pena dell’amante (miseris, v   223); le preghiere per poter entrare in casa (precibus … / ut liceat, v  222 s ) e l’accusa di crudeltà che segue al rifiuto (ingrata, v  222); gli atti di propiziazione alla porta, che nella parafrasi sono implicitamente echeggiati nel tributo verbale del v  223 (limina laeta); la menzione del rivale, non pronunciata direttamente dalle vergini ma comunque riportata (et sponso tantum comitatur factio prudens, v  219) e l’assalto ai battenti (pulsare fores et limina clau­ sa / … ingeminant, vv  221 s ) Questi richiami, in parte espliciti, servono al parafraste per drammatizzare la resa poetica del brano evangelico e riproporlo al pubblico tardoantico in una veste letteraria che in qualche modo ricordasse motivi tradizionali, facilmente assimilabili, per le analogie contestuali e il profilo dei personaggi, alla vicenda biblica descritta Manca invece l’approfondimento teologico cui il testo biblico era stato già in parte sottoposto dai commentatori cristiani e che caratterizzerà l’esegesi dei secoli successivi, soprattutto quella agostiniana (fondamentali al riguardo i contributi di Marin, Esegesi, e La parabola, pp  243–254) 197–209 I versi sono parafrasi di Matth 25,1–6: 1 Tunc simile aestimabitur regnum caelorum decem uirginibus, quae acceperunt lampades suas et uenerunt obuiam sponso et sponsae. 2 Quinque

Commento

181

autem ex eis erant fatuae et quinque prudentes. 3 Sed quinque fatuae acceptis lampadibus suis non sumpserunt oleum secum. 4 Prudentes uero acceperunt oleum in uasis suis cum lam­ padibus suis. 5 Moram autem sponso faciente dormitauerunt omnes et dormierunt. 6 Media autem nocte clamor factus est: Ecce sponsus uenit, surgite obuiam ei («Allora il regno dei cieli sarà considerato simile a dieci vergini, le quali presero le loro lampade e andarono incontro allo sposo e alla sposa Cinque di loro erano stolte e cinque sagge Ora le cinque stolte presero le lampade ma non portarono con sé l’olio Le sagge, invece, insieme con le lampade portarono dell’olio nei loro vasetti Poiché lo sposo tardava, tutte si assopirono e dormirono Verso mezzanotte si levò un grido: Ecco, arriva lo sposo, alzatevi e andategli incontro») L’inizio del racconto, con la formula comparativa, è ripreso ai vv  197 s con qualche ritocco formale: un plurale poetico (caelestia regna) al posto di regnum caelorum (si noti la sostituzione del genitivo con l’aggettivo corradicale), puellis in luogo di uirginibus e il cambio del numerale decem con la perifrasi bis quinis, di stampo epico (cfr infra, nota relativa) Ai vv  199 s Giovenco anticipa il versetto 2 e inverte l’ordine di presentazione delle vergini (nel Vangelo prima le stolte e poi le sagge, nella parafrasi il contrario), sostituisce il partitivo ex eis con quarum, lascia il parallelismo dei membri, ma indica le due diverse categorie con il termine pars in luogo del più determinato quinque; l’espediente consente di accentuare il contrasto fra gli attributi: il primo gruppo è definito sa­ pientior, che rimanda a prudentes dell’ipotesto, il secondo stolidissima (~ Matth fatuae), con l’aggettivo al grado superlativo e l’additio del sintagma praestupido … corde, che rimarca la negligenza delle vergini stolte La riscrittura riprende a questo punto dalla seconda parte del versetto 1 (quae acceperunt lampades suas et uenerunt obuiam sponso et sponsae), che è posticipata ai vv  200 s : il pronome dimostrativo illae prende il posto del relativo quae e un più espressivo occurrēre quello di uenerunt; sponso et sponsae è lontanamente riecheggiato da uotis sponsalibus e ad accipientes lampadas si sovrappone la più colorita immagine delle vergini preparate con l’ornamento delle fiaccole Il poeta anticipa anche la parafrasi del versetto 4 ai vv  202 s : si trascurano dettagli come in uasis e cum lampadibus suis (cfr Roberts, Biblical Epic, p  109), ma si mettono in risalto la previdenza e la cura delle ragazze sagge (portare … curabat ~ Matth acceperunt) nel fornirsi di olio (oleum ~ Iuvenc oliuum), anche grazie all’aggiunta di sibi quo lumina flammae / susciperet Al diverso comportamento delle stolte (Matth 25,3) è dedicato il conciso v  204 (Stultarum uero non est prudentia talis) Il versetto 5 narra del ritardo dello sposo e delle ragazze che si assopiscono e corrisponde ai vv  205 s Tra i due testi vi è una iniziale concordanza formale (moram autem sponso faciente ~ Iuvenc cumque moraretur sponsus), con irrilevanti cambiamenti sintattici (ablativo assoluto  ~ cum narrativo); le ridontanti voci verbali dormitauerunt e dormiuerunt confluiscono in una locuzione poetica (tum membra sopore / soluuntur) ed è aggiunto il cenno ai crocicchi delle vie (per compita lata uiarum) Il versetto 6 si allarga in tre versi (207–209): anche qui l’inizio è simile (media autem nocte ~ Iuvenc iam noctis medio; clamor è uguale), ma vi sono cambi lessicali (factus est ~ crebrescere … / exoritur) e aggiunte (magnus), che

182

Commento

rimarcano l’intensità del grido Nel Vangelo il comando rivolto alle vergini è in forma diretta, nella parafrasi, al contrario, in forma indiretta ed è espresso mediante il uerbum monendi del v  209 (admonuit), che regge due infinitive: laetoque dehinc occurrere uoto (v  208) e taedisque uias ornare coruscis (v  209) La prima è una libera riproposizione del modello (Ecce sponsus uenit, surgite obuiam ei) e ripete termini già adoperati al principio della parabola (v  200): occurrere (infinito) ~ occurrēre (perfetto); uoto ~ uotis sponsalibus; la seconda, invece, è una adiectio 197 caelestia regna Il nesso è già in 1,651 e 3,526 e, al singolare, in 2,813 regnum caeleste e 3,283 caelestisque … regni In poesia l’espressione è molto frequente negli autori tardi, soprattutto cristiani, per indicare il regno dei cieli; tra le numerose attestazioni, anche pagane, cfr Ov met 1,152; Pont 4,8,59; Sil 9,309; Carm adv. Marc 2,252; Comm instr 1,38,7; la iunctura è poi in Damas 7,3; 60,10; 72,9; 77,4 Ferrua Quanto a caelestia, va segnalato che l’impiego di aggettivi derivati al posto del genitivo adnominale è un tratto caratteristico del latino cristiano fin da Tertulliano (Löfstedt, Syntactica, I, pp  107 ss ; Schrijnen-Mohrmann, I, pp  89 ss ; Mohrmann, Études, I, pp  169 ss ); in Giovenco cfr anche 4, 83; 405; 528; 537 Sull’immagine biblica del regno dei cieli cfr supra, nota al v  117 198–199 pars est … una / altera … pars est L’opposizione tra le due differenti categorie di vergini è messa in evidenza dalla struttura chiastica e dall’anafora di pars est, in diversa sede di esametro ma con la voce verbale ugualmente in corrispondenza di cesura La studiata simmetria strutturale verrebbe meno con la variante torpens tràdita per il v  199 dai codd V1 e Ph 198 bis quinis L’uso di bis quinis al posto del più prosastico decem è classicheggiante, ma anche rispondente alla tendenza baroccheggiante del tardoantico (Lavarenne ne parla diffusamente per Prudenzio) Giovenco adotta analoghe perifrasi anche in altri passi (1,281; 2,431; 3,90 316), secondo una tendenza tipicamente virgiliana (ecl 1,43; Aen 1,71 381 393; 2,126; 3,518; 5,561; 9,161 272; 11,9 161 326; 12,163 899) Si vedano al riguardo Hatfield, § 126, p  33, e Donnini, Annotazioni, p  18, n  28 199 praestupido … corde Praestupidus è un hapax assoluto (ThlL X2 947,12 ss ) La scelta conferma la preferenza di Giovenco per gli aggettivi composti con il preverbio prae­, di cui si contano nel poema numerosi esempi: praeblandus (1,702), praecautus (1,259), praeceler (4,22), pra­ ecelsus (1,452 478; 3,196 514; 4,61 86), praeclarus (2,482), praediues (3,437), praedulcis (1,305), praefulgidus (3,330), praegratus (1,604), praelargus (3,753), praemitis (3,635), praenuntius (1,275), praeparuus (1,154; 2,813), praepulcher (1,427; 2,139), praescius (1,191),

Commento

183

praesolidus (1,422), praetumidus (1,580), praeualidus (4,100) Cfr Hatfield, § 143, p  47, e Kievits, p  67 200 occurrere … uotis sponsalibus Rollins, p  285, traduce l’espressione con «they fell in with the groom’s wishes», cogliendovi un riferimento allegorico ai comandi di Cristo In ogni caso, come anticipato, la riscrittura giovenchiana riprende nella sostanza il biblico uenerunt obuiam sponso et sponsae – con delle modifiche lessicali adottate anche al v  208 – e descrive semplicemente le ragazze che vanno incontro agli sposi Vota (più raramente uotum), da solo o con l’aggettivo nuptialia (oppure sponsalia) o il genitivo nuptiarum, ha il significato di nozze tanto negli autori latini pagani (Apul met 4,26) quanto in quelli cristiani (Tert apol 6,6; nat 2,11,13; Arnob nat 5,13; Zeno 1,5,6), e diffusamente nella letteratura giuridica In Giovenco cfr 2,366 sponsi … uota e 3,739 uoti regalis) 201 ornatu adcinctae Il verbo adcingere sembra qui impiegato nel suo senso traslato di ‘ornare, preparare’ seguito da ablativo strumentale, secondo un uso attestato particolarmente negli autori cristiani e nella Bibbia latina (ThlL I 303,21 ss ) L’ornatus, nella sua doppia valenza di elemento di decoro e di strumento di cui ci si munisce, rinvia alla funzione ornamentale e liturgica delle fiaccole nuziali, ma allo stesso tempo anche alla loro funzione allegorica nel contesto della lettura simbolica (mai esplicitata dal poeta) della parabola È suggestivo il fatto che lo stesso termine, certamente qui influenzato dal corradicale ornare del versetto 7, si trovi anche nella traduzione latina del commentario origeniano a tale versetto del brano evangelico (Orig in Matth CGS 11,148,29–30 non autem omnes decentem imposuerunt lampadibus suis ornatum, sed quae audierunt prudentiam eas ornantem) taedarum flammicomantum Giovenco sostituisce il termine lampades dell’ipotesto con taedae, che ritorna nel brano tre volte (vv   201 209 210) Come notano Flury, Alcimus Avitus, p   294, n   46, e Castillo Bejarano, p  211, n  271, la scelta lessicale non è semplicemente poetizzante, ma riflette l’uso tipicamente romano di illuminare con torce il corteo nuziale (DarembergSaglio, II2, pp  1028 s ); il vocabolo biblico indica invece le lampade, simili piuttosto alle lucerne romane, recipienti di ceramica, bronzo o altro metallo È un esempio della tendenza del poeta a ‘romanizzare’ il dettato poetico, per spiegare al pubblico tradizioni e usi giudaici L’aggettivo flammicomans, a chiusura del verso formato da solo quattro parole, sembra rinvenirsi per la prima volta in Giovenco (ThlL VI 872,47 s ) ed è simile alle neoformazioni flammiuoma di praef 23 e flammipes di 2,546; il secondo elemento del composto completa invece il neologismo glaucicomans di 3,623 Sulla clausola terminante in pentasillabo, cfr supra, nota al v  98

184

Commento

202–204 Nella resa poetica di Matth 25,3–4, giocata sulla riorganizzazione del materiale presente nell’ipotesto con tagli e inversioni di parti, si può agevolmente individuare un esempio di trasposizione, intesa a razionalizzare l’ordine del racconto biblico, la cui struttura risulta ridondante Farei notare la sequenza marcatamente allitterante degli incipit di questi versi per la ripetizione della fricativa sibilante 202 sibi Il riflessivo sibi, un datiuus commodi o un datiuus sympatheticus, può essere legato sia a susciperet sia a portare del v  203 lumina flammae La clausola è già in Ov epist 12,191, dove l’espressione è applicata al Sole invocato da Medea Giovenco attribuisce particolare importanza alle parole indicanti lo splendore della fiamma all’interno della parabola, sia nella resa puntuale dell’ipotesto biblico, come in questo caso e al v  210 (lumina), sia nelle numerose additiones: flammicoman­ tum (v  201), coruscis (v  209), flammas (v  211), clarae … flammae (v  215) 202–203 quo lumina … / susciperet La frase ha una funzione strumentale/finale (cfr nota al v  516), che serve a chiarire lo scopo per il quale le vergini sapienti portano con sé l’olio, cioè ravvivare, alimentare la luce della fiamma («to catch from below, save from falling or being lost»; OLD, s. v. suscipio/succipio, 1, p  1888), un significato analogo a quello che il verbo ha in Verg Aen  1,175 s succepitque ignem foliis atque arida circum / nutrimenta dedit rapuitque in fomite flammam Va notato che l’espressione lumen suscipere, nel senso però di ‘ricevere, accogliere’, risulta poi attestata solo nella successiva letteratura patristica, quasi sempre a proposito della luce metaforicamente riferita a Cristo oppure alla fede (Rufin Orig. in gen 1,5 sicut enim luna de sole percipere dicitur lumen, ut per ipsam etiam nox possit illu­ minari, ita et ecclesia suscepto Christi lumine illuminat omnes, qui in ignorantiae nocte uer­ santur; Hier in Is. 1,2,5 lumen suscipiant ueritatis et ambulent in lumine Domini; 17,60,6 si suscepissent lumen suum, quod ad eos missum fuerat; Caes Arel serm 203,1 redit in lucem creatura cum Domino, quae olim fuerat tenebrata piaculo: lumen enim ex lumine suscipere meruisti, quod, cum Christus oculos clauderet, perdidisti) 203 portare … curabat oliuum L’ipotesi di Rollins, p  287, secondo cui l’omissione di in uasis e cum lampadibus suis di Matth 25,4 servirebbe a mettere in risalto l’importanza dell’olio, pare confortata anche dalla insistenza con cui Giovenco fa riferimento ad esso A fronte delle tre occorrenze di oleum nel testo biblico, nella riscrittura vi sono infatti ben cinque richiami al prezioso liquido, sia diretti con oliuum (vv  203 211 217) e oleum (v  212), sia indiretti con l’immagine metaforica nutrimina pinguia di v  215 La costruzione del verbo curare

Commento

185

seguito da un accusativo con un infinito conta un altro esempio in Giovenco (1,663 tunc minimam alterius curabis demere aristam) 204 prudentia Giovenco non si limita a posticipare il riferimento alla negligenza delle vergini stolte menzionate al versetto 3, ma pone soprattutto l’accento sulla positiva qualità morale di cui esse sono prive, la prudentia, che identifica una delle quattro virtù cardinali del cristiano A 3,301 (non diuina tibi mentem prudentia tangit) la mancanza di saggezza è rimproverata a Pietro da Gesù 205 sponsus La figura dello sposo è dominante nel testo matteano, in cui il sostantivo sponsus conta quattro attestazioni, ma lo è ancor di più nella riscrittura giovenchiana, dove il termine compare ben cinque volte (vv  205 219 221 224 225), sempre in sedi metriche che ne valorizzano il senso Il mancato ricorso a soluzioni sinonimiche è un fatto insolito per il poeta, che in genere preferisce variare il dettato poetico nei casi in cui il modello presenti delle ripetizioni lessicali 205–206 membra sopore / soluuntur L’immagine delle membra infiacchite dal sonno, di stampo spiccatamente epico (Verg Aen 9,236; 11,867; Ov met 10,368 s ), ritorna ai vv   494 s a proposito dei discepoli (si veda la nota ad loc ) Con la clausola membra sopore, che vanta precedenti illustri (Lucr  4,453; Culex 207; Sil 3,170), nel primo libro (vv  137 e 271) il poeta descrive il corpo di Giuseppe addormentato Roberts, Biblical Epic, p  151, rileva che molti aspetti della vita umana, come il sonno, la morte, la nascita, sono sottoposti dal poeta a questo genere di perifrasi e riporta un dettagliato elenco di tutti gli esempi relativi a tale tendenza 206 per compita lata uiarum Cfr 3,758 progressi famuli per compita cuncta uiarum Il sintagma per compita occupa la stessa sede metrica anche in 1,260 per compita caedem e 3,79 per compita uictum (cfr già Hor sat 2,6,50; Sil 13,330; Mart 6,64,21 e Iuv 9,112) 207 medio clamor crebrescere magnus La doppia allitterazione, organizzata in uno schema a chiasmo, rinvigorisce l’immagine del grido che si leva nella notte, cresce e si propaga, annunciando l’arrivo dello sposo e del suo seguito Il verso sembra ricomporre due diversi ritagli virgiliani, cioè quello di Aen 8,407 medio iam noctis per l’incipit iam noctis medio ed Aen 11,454 s undi­ que clamor / … magnus se tollit in auras (in un contesto tuttavia prettamente bellico)

186

Commento

207–208 crebrescere … / exoritur Crebrescere, con poche attestazioni prima di Giovenco (Verg Aen 3,530; 12,222 407; Stat Theb 4,30; Val Fl 3,210), è piuttosto raro in poesia (ThlL IV 1223,72 ss ) Negli Euangeliorum libri cfr altresì 3,117 Exorior ha qui il significato di ‘cominciare’ ed è costruito con l’infinito in funzione di oggetto (ThlL V2 1578,30) 208 laeto … uoto L’incremento del qualificativo laetus descrive la gioia che anima il corteo nuziale incontro al quale le ragazze si affrettano ad andare Il motivo della gioia torna con insistenza nella riscrittura della parabola e connota i vari momenti della festa: la processione (v  218 laetae … pompae) e il banchetto (v  223 limina laeta); l’aggiunta del poeta prepara in qualche modo all’esito conclusivo: quanto più è festosa la celebrazione delle nozze, tanto più forte sarà la delusione delle vergini che non potranno prendervi parte 209 taedis … uias ornare coruscis Questa porzione di testo, inserita dal parafraste, ha lo scopo di precisare la funzione delle fiaccole: ornare e illuminare le strade attraverso le quali lo sposo condurrà la vergine nella propria casa; taedis e ornare ripetono con qualche modifica ornatu e taeda­ rum del v  201, mentre uias riprende uiarum del v  206 210–226 Il racconto prosegue sul modello di Matth 25,7–13: 7 Tunc surrexerunt omnes illae uirgi­ nes et acceperunt lampades suas. 8 Fatuae autem sapientibus dixerunt: Date nobis de oleo uestro, quia lampades nostrae exstinguntur. 9 Responderunt prudentes dicentes: Non, ne for­ te non sufficiat nobis et uobis; ite potius ad uendentes et emite uobis. 10 Dum eunt emere, uenit sponsus et quae paratae erant intrauerunt cum eo in nuptias, et clausa est ianua. 11 Nouissime ueniunt reliquae uirgines dicentes: Domine, domine, aperi nobis. 12 At ille respondens ait: Amen dico uobis, quod nescio uos. 13 Vigilate itaque, quia nescitis diem neque horam («Allora tutte quelle vergini si alzarono e presero le loro lampade E le stolte dissero alle sagge: Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono Ma le sagge risposero: No, che non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto a comprarvelo dai venditori Mentre esse andavano a comprarlo, arrivò lo sposo, e quelle che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa Più tardi vennero le altre vergini e dissero: Signore, signore, aprici Ma egli rispose: In verità vi dico, non vi conosco Vigilate dunque, poiché non sapete né il giorno né l’ora») Il versetto 7 occupa i vv  210 s : surrexerunt e uirgines sono ripresi in uirginibus e surge­ re, retto da properatum, con cui Giovenco aggiunge alla narratio evangelica la nozione di fretta, per animare il racconto e tratteggiare l’ansia delle ragazze Le loro azioni sono descritte nella parafrasi più dettagliatamente che nel Vangelo: il poeta chiarisce il senso di acceperunt lampades suas, specificando, con un tocco di realismo, che le torce furono accese (… et lumina taedis / instruere, vv  210 s ) e le fiamme alimentate con l’olio (… et

Commento

187

flammas pingui conponere oliuo, v  211) Il versetto 8 è parafrasato ai vv  212 s : ci sono dei cambi sinonimici (fatuae autem ~ tum stolidae); la richiesta di olio da parte delle vergini stolte è in forma indiretta (date nobis de oleo uestro ~ olei sibi cedere partem) e l’insistenza è data dal frequentativo rogito (~ Matth. dixerunt), che chiude in tempo forte il primo emistichio; non è riportato il particolare delle lampade che si spengono, deducibile dal contesto; il v  213 (prudentes secum quod tunc gestare uidebant) è una adiectio La risposta negativa delle sagge (prudentes ~ sapiens … chorus) di Matth 25,9 è inglobata in maniera indiretta in una proposizione causale ai vv  214–216: la preoccupazione che il prezioso combustibile venga a mancare per tutte è espressa dalla voce verbale pauitat, ancora una volta un frequentativo; il biblico ne forte non sufficiat nobis et uobis diventa ne desint clarae nutrimina pinguia flammae; un’innovazione è il v  216 (ex paruo aequalis si detur portio cunctis), che ha una funzione esplicativa e puntualizza l’insufficienza d’olio L’invito a recarsi dai venditori non aggiunge nuove informazioni al racconto (cfr Roberts, Biblical Epic, p  110) e non è pertanto riscritto direttamente; vi si accenna comunque, in maniera implicita, al v  217 tum pergunt stultae, ut liquidum mercentur oliuum Il contenuto di Matth 25,10 è riportato ai vv  218 s , ove soltanto l’attacco è somigliante (Dum eunt emere ~ Iuvenc Dum pergunt); rispetto al uenit sponsus dell’Evangelista, Giovenco rappresenta il festoso corteo nuziale che passa (laetae tran­ scurrunt omnia pompae, v  218), versificando in maniera più sintetica il secondo stico del versetto 10 (et quae paratae erant ~ factio prudens; intrauerunt cum eo in nuptias ~ et sponso tantum comitatur) I vv  220–223 riprendono Matth 25,11: al v  220 nouissime si trasforma in sero post tempore, ueniunt in adueniunt, e il soggetto reliquae uirgines è sostituito da due aggettivi, che rimarcano nuovamente l’insensatezza (brutae) e la pigrizia (segnes) delle cinque ragazze Il discorso diretto (Domine, domine, aperi nobis) è soppresso: con forti ampliamenti il poeta ritrae le vergini mentre si affannano a bassuare alle porte sbarrate (vv  221 s ) e rivolgono preghiere che restano inascoltate (v  222), per poter partecipare alla festa (v  223); l’elemento delle porte chiuse (limina clausa) deriva dall’ultimo segmento del versetto 10 (et clausa est ianua) I vv  224 s ampliano il testo di Matth 25,12, con l’eliminazione del discorso diretto: il primo segmento (at ille respon­ dens ait), che introduce le parole dello sposo, viene tagliato; stessa sorte tocca alla formula Amen dico uobis; è aggiunta la citazione dei comites, con la ripetizione di sponsus, da valutare come una espansione interpretativa, che sembra implicitamente suggerire una lettura allegorica della figura dello sposo (si veda Schicho, pp  136 s ); nescio sfocia in cognoscere … / non … uoluit La consegna di vigilanza (vv  225 s ), a conclusione della parabola, come in Matth 25,13, è affidata alla viva voce di Gesù: l’imperativo è lo stesso (uigilate), ma in Giovenco è rafforzato dal participio tementes, che accenna al timore di Dio; rimane anche la frase causale introdotta da quia; il senso di nescitis diem neque horam è reso da uobis … non est certior hora, senza diem; aduentus è un’aggiunta riferita alla seconda venuta di Cristo ed esplicita quanto nell’ipotesto è sottinteso

188

Commento

211 flammas … conponere Conpono ha qui il significato di ‘nutrire, alimentare’; cfr ThlL III 2112,80 s pingui … oliuo Cfr Verg ecl 5,68 craterasque duo statuam tibi pinguis oliui; georg 2,425 pinguem … nu­ tritor oliuam; Aetna 14 penderent foliis et pingui Pallas oliuae; Stat Theb 6,576 pinguique cutem fuscatur oliuo; 12,621 pingui melior Lycabessos oliuae L’aggiunta del riferimento all’olio come nutrimento delle fiamme anticipa la ragione per la quale le vergini sagge non daranno il liquido alle compagne: senza l’olio le torce rimarranno spente 212 rogitant … sibi cedere Una costruzione simile è in 4,721 rogat, sibi cedere membra; cfr anche 1,112 rogant edicere e 4,604 s discedere … / … rogabat 214 sapiens … pauitat chorus Va notata la uariatio con cui Giovenco fa riferimento al gruppo delle vergini sagge, indicate sempre con un sostantivo singolare, tranne che in un caso: pars … sapientior (v  198), sapiens pars (v  202), prudentes (v  213), sapiens … chorus (v  214), factio pru­ dens (v  219) L’aggettivo sapiens nel Vangelo ricorre solo una volta, a fronte delle tre occorrenze di prudens; in Giovenco, invece, il rapporto è di tre a due, tenuto conto dell’additio del v  213 Nel verso la cesura pentemimere è accompagnata dalla dieresi bucolica; negli Euangeliorum libri tale fenomeno è documentato in 19 versi (1,142 181 209 295 387 426; 2,37 96 302 369 392 658 827; 3,494; 4,214 410 532 774), con una percentuale dello 0,59 %; cfr Flammini, La struttura, p  280 e n  73 214–215 pauitat … / ne desint Questo è uno di quei casi citati in ThlL X1 820,59 ss in cui pauito è seguito da una subordinata con funzione di oggetto 215 desint … nutrimina pinguia flammae I tasselli lessicali predisposti dal poeta rimandano a un passo del quindicesimo libro delle Metamorfosi ovidiane in cui Pitagora preannuncia l’esaurimento del combustibile dell’Etna, quando la terra, prosciugate ormai le sue risorse, non potrà più garantire l’approvvigionamento e vi sarà un progressivo declino del mondo (vv  352–355 nempe, ubi terra cibos alimentaque pinguia flammae  / non dabit absumptis per longum uiribus aeuum / naturaeque suum nutrimen deerit edaci, / non feret illa famem, desertaque deseret ignis) A rendere trasparente l’allusiva imitazione è soprattutto l’appropriazione di una parola di fucina ovidiana quale nutrimen (ma in un contesto simile si veda Verg Aen 1,174–176 ac primum silici scintillam excudit Achates / succepitque ignem foliis atque arida circum / nutrimenta dedit rapuitque in fomite flammam), che poi non verrà più recuperata fino alla poesia mediolatina

Commento

189

217–218 tum pergunt stultae … liquidum … oliuum / dum pergunt, laetae transcurrunt … pompae I due versi sono attraversati da anafore, allitterazioni e omeoteleuti, che producono rime interne speculari in coincidenza delle cesure tritemimere ed eftemimere Gli effetti stilistici fanno risaltare le due immagini contrapposte: da un lato le vergini pigre che si attardano a comprare l’olio, dall’altro la gioiosa processione nuziale 217 ut liquidum mercentur oliuum La variante mercantur di alcuni testimoni mss è con tutta evidenza grammaticalmente inappropriata Il poeta incorpora nell’emistichio una iunctura virgiliana per denotare l’olio (cfr georg 2,466 nec casia liquidi corrumpitur usus oliui: il limpido olio degli agricoltori, al naturale, non corrotto dalla cannella come quello usato invece in città) 218 laetae transcurrunt omnia pompae Rollins, p  191, che ritiene pompae un nominativo, traduce con «passed throug everything» l’espressione transcurrunt omnia, sottintendendo a omnia «all the streets» Mi pare comunque più logica l’ipotesi già avanzata da Arevalo, p  299, che pompae sia un genitivo retto da omnia, come confermato da altri analoghi costrutti negli Euangelio­ rum libri (1,235 o. legis; 2,198 o. mundi; 3,535 o. nostrorum; cfr Oomes-Ehlers in ThlL IX2 619,37 ss ) Si potrebbe anche intendere transcurrrere come «to pass without taking notice» (OLD, s. v., 4a, p  1962), con soggetto stolidae e oggetto omnia, donde la traduzione «mentre si avviavano, non si curano di ogni particolare del festoso corteo» 219 sponso … comitatur L’impiego di comitor con il dativo si rinviene anche in 2,693 a proposito però di realtà inanimate (uocibus indubitata fides comitabitur istis) In Giovenco prevale comunque la costruzione con l’accusativo (1,173 446; 2,23 366 470), ed è forse tale tendenza alla base della variante sponsum tràdita da un ristrettissimo numero di testimoni factio La variante portio di pochissimi mss nasce forse dal fatto che factio ha spesso in Giovenco accezione negativa Cfr supra, nota al v  1 220 brutae L’aggettivo brutus va qui inteso come sinonimo di stultus (cfr ThlL II 2216,32 s ) Nella descrizione delle vergini stolte, il poeta applica il procedimento inverso a quello adottato per l’altra categoria, impiega cioè prevalentemente forme plurali, ugualmente variate, laddove Matteo ripete sempre la forma fatuae: pars … stolidissima (v  219), stul­ tarum (v  204), stolidae (v  212), stultae (v  217), brutae (v  220), segnes (v  220), miseris (v  223)

190

Commento

sero post tempore segnes La perifrasi sero post tempore, che rende il matteano nouissime, amplifica la notazione temporale, ricordando che l’azione si svolge ormai a notte fonda (al v  207 gli eventi sono collocati noctis medio): si noti l’allitterazione sero … segnes, che sembra stabilire un rapporto di causa-effetto tra la pigrizia delle vergini e il loro ritardo 221 pulsare fores et limina clausa Partendo da Matth 25,10 et clausa est ianua, Giovenco ricorre all’uso retorico della duplicazione sinonimica per potenziare la dictio poetica e soprattutto accenna al fatto che le vergini bussano alla porta dello sposo, particolare non menzionato dalla fonte biblica ma non sconosciuto alla successiva letteratura patristica (Tycon in apoc 3; Chromat in Matth 33,7; si veda Marin, Esegesi, p  236, n  36) Il lessico è quello tipico del paraklausithyron, in cui centrale è appunto il ruolo della porta che separa l’amante dall’amata, e i termini impiegati sono parole chiave del genere (cfr Copley, p  36, e Anderson, p  6) Fores ricorre spesso in contesti di questo tipo, specie nei poeti elegiaci, come annota Pichon, p  152: «fores saepe nominant poetae, cum eas claudi doleant, aut ante eas iaceant, aut preces effundant, aut coronas ponant»; ampia documentazione in ThlL VI 1 1057, 13 ss e 1067,62 ss Limen indica l’area innanzi alla porta; anche questo vocabolo è frequente in analoghe scene poetiche; cfr ancora Pichon, p  189, che riporta una nutrita campionatura di esempi; per la giuntura limina clausa cfr Prop 2,7,9 aut ego transirem tua limina clausa maritus 221–222 pulsare … / nequiquam ingeminant Non si conoscono altre attestazioni dell’impiego del verbo ingeminare costruito con l’infinito (ThlL VII1 1518,21 s ) L’immagine delle vergini che invano bussano alla porta dello sposo avrà ricordato al parafraste quella di Enea, che nell’ultima notte di Troia inutilmente cerca la moglie Creusa ripetendone il nome (Verg Aen 2,770 nequiquam ingeminans iterumque iterumque uocaui) 222 precibusque ingrata frequentant Knappitsch, IV, p  27, sulla scia di Arevalo, pp  299 s , assegna a ingrata valore avverbiale e interpreta l’intera espressione come «iterum et saepius moleste petere» Ingrata, da concordare con limina del verso precedente, più semplicemente conserva qui il valore di aggettivo e ha il significato di «non propitius, difficilis, durus», attestato per il passo giovenchiano in ThlL VII1 1563,5 ss Il lessema assume questa medesima accezione anche in Prop 1,17,4 omniaque ingrato litore uota cadunt; Colum 1, praef 10 nocte sera foribus ingratis adiacere; Stat Theb 10,564 ingratae uallantur planctibus arae L’attributo, riferito ai battenti, allude per ipallage alla durezza dello sposo, indifferente alle preghiere delle vergini che ripetutamente chiedono di essere ammesse alla festa nuziale In Mart 10,58,11 s qui nocte dieque frequentat / limina i clienti che visitano la casa del patrono si affollano davanti alle porte, fanno avanti e indietro in cerca di benefici e piaceri;

Commento

191

diversamente dal testo epigrammatico, a cui rinvia Leo (ThlL VI 1308,76), Giovenco costruisce però il verbo con un ablativo strumentale: le vergini subissano (frequentant) di preghiere (precibus) le soglie della stanza 223 ut liceat miseris … limina laeta L’allitterazione trimembre in l, la ripetizione di limina nella stessa sede metrica del v  221 (limina clausa) e l’accostamento antitetico miseris / laeta contrappongono la gioia della festa alla sorte infelice delle vergini escluse dal banchetto La formula ut liceat è tipica delle preghiere (Verg Aen 10,46 s ) 224–225 non comitum sponsi cognoscere … / non … sponsus uoluit La concisa espressione di Matth 25,12 quod nescio uos si dilata in due versi, in cui l’anafora della negazione non e il poliptoto sponsi … / … sponsus, con il lemma rimarcato in entrambi i casi dalle cesure, accentuano la forza del rifiuto, che diventa ora collettivo, perché coinvolge anche i compagni dello sposo, e la decisione di quest’ultimo di non ammettere le vergini alla festa nuziale Tale volontà è formulata con la locuzione co­ gnoscere … / … uoluit, dove l’iperbato stacca l’infinito dal verbo reggente, che si viene a trovare in tempo forte prima di incisione eftemimere Stando al contesto cognoscere sembra avere qui il significato di agnoscere, come spesso si verifica soprattutto nel latino biblico e in genere cristiano (ThlL III 1057,61–73) 226 certior hora Ci si aspetterebbe qui piuttosto un aggettivo di grado positivo, a cui, tuttavia, non di rado nel poema il poeta preferisce un comparativo, secondo un uso del latino tardo (LHS II, p  169): altri esempi sono registrati da Huemer, Index, p  153 Il nesso ricompare in chiusura di esametro anche in Ven Fort carm 6,5,5 nulli certa dies, nulli est sua certior hora, verso inserito nel preambolo sentenzioso sulla volubilità della sorte e sulla precarietà del tempo 227–258 Parabola dei talenti. L’immagine allegorica è ancora una volta quella dei servi e del padrone (il tema è già in Matth 24,45–51) La parabola è tutta incentrata sulla necessità di far fruttificare i talenti, cioè i doni di Dio, argomento affrontato con delle variazioni anche da Luc. 19,11–27, dove un homo diues va a ricevere l’investitura regale e affida ai suoi fattori le mine da investire Anche questi versi sono stati analizzati da Rollins, pp  254–280, e Schicho, pp  138–141, che individuano nel brano soprattutto motivi escatologici Un raffronto tra la riscrittura giovenchiana della parabola dei talenti e quella di Avito (carm 6,290–337) è delineato da Flury, Alcimus Avitus, pp  287–292, che sottolinea la dipendenza formale di quest’ultimo dal poeta iberico, nonostante il dettato poetico risulti notevolmente ampliato e più autonomo dalla fonte biblica

192

Commento

227–235 Giovenco segue Matth 25,14–18: 14 Sicut enim homo peregre afuturus uocauit seruos suos et tradidit illis bona sua. 15 Et uni dedit quinque talenta, alii autem duo, alii uero unum, uni­ cuique secundum propriam uirtutem, et profectus est. 16 Continuo abiit qui quinque talenta acceperat et operatus est in eis alia quinque. 17 Similiter qui duo accepit, lucratus est in eis alia duo. 18 Qui autem unum talentum accepit fodit in terram et abscondit pecuniam domini sui («Sarà come di un uomo che, sul punto di intraprendere un viaggio, chiamò i suoi servi e affidò loro i suoi beni A uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì Quello che aveva ricevuto cinque talenti subito andò a investirli e ne ricavò altri cinque; similmente, quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due Il servo che aveva ricevuto un solo talento invece scavò a terra e vi nascose il denaro del suo padrone») Questa prima parte del brano biblico esibisce una prosa particolarmente asciutta, con accostamenti paratattici dei membri Laddove è possibile il poeta evita questa monotonia sintattica per mezzo della subordinazione; per il resto vi è qui una parafrasi abbastanza letterale Il versetto 14 è riscritto ai vv  227 s : la narratio comincia con le medesime parole di Matteo, sicut enim, incipit che ricorre anche in 2,640 e 4,145 e instaura un naturale collegamento con il λόγιον precedente; il soggetto homo non è espresso, ma vi si allude implicitamente con il relativo cui; afuturus è omesso, e il senso è reso con contigit ire, con l’aggiunta di profecto, che anticipa profectus est del verso successivo; l’avverbio peregre viene glossato con la locuzione longas … / in terras Per esigenze di brevitas Giovenco accorpa i due kola evangelici (uocauit seruos suos et tradidit illis bona sua), riassumendoli nel secondo emistichio 228 (credens seruis tractanda talenta), ove viene anticipato il termine talenta di Matth 25,15 Ai vv  229–231 troviamo parafrasato il versetto 15 La prima parte è quasi un calco (et uni dedit quinque ~ Iuvenc uni quinque dedit), poi interviene qualche escamotage atto a variare il dettato poetico: il secondo segmento del v  229 (duo cepit et alter habenda) rende alii autem duo, mentre i vv  230 s (tertius unius curam tractare talenti / suscepit) amplificano il sintetico alii uero unum Il senso di unicuique secundum propriam uirtutem è restituito da uires quoniam diuersa me­ rentur (v  231) In maniera cursoria il poeta descrive gli abili investimenti dei primi due servi e i loro profitti (vv  232 s  ~ Matth 25,16–17), senza alcuna ripresa testuale; dedica poi due versi (234 s ) al comportamento del terzo servo (~ Matth 25,18): la frase relativa dell’ipotesto corrisponde al primo verso giovenchiano, con qualche modifica lessicale e il passaggio dalla forma attiva a quella passiva (qui autem ~ ille sed, … cui; unum talentum ~ unius talenti; accepit ~ credita cura); le due principali coordinate, invece, al v  235: fodit in terram si trasforma in un costrutto participiale (telluri infodiens), mentre abscondit viene reso con seruat, da cui dipende l’accusativo aera (senza il genitivo domi­ ni sui), il corrispondente poetico di pecuniam; sine fructibus è un’aggiunta

Commento

193

227–228 longas cui contigit ire profecto / in terras L’iperbato, che, scavalcando i confini del verso, stacca aggettivo e sostantivo, posti a cornice della frase, e il pleonasmo insistono sui concetti di lontananza e partenza con un’abbondanza verbale tipica del latino tardo Il nesso adoperato nella locuzione locale ha un parallelo in prosa in Ps Quint decl 320 p  256,7 qui longas terras et ignotas regio­ nes peragraui e una successiva attestazione poetica in Avien Arat 312 longas exercent uomere terras Quanto a contigit ire si possono richiamare per la poesia i casi di Verg Aen  6,109 ire ad conspectum cari genitoris et ora contingat e di Ov epist 11, 92 tunc de­ mum pectora plangi contigit inque meas unguibus ire comas; forse da Giovenco Claudiano (15,336) imiterà la clausola ire profecto 228 tractanda talenta L’omissione di bona sua di Matth 25,14 focalizza subito l’attenzione sul denaro affidato ai servi e sull’incarico assegnato; l’espressione allitterante, ripetuta con qualche modifica al v  230 nella stessa sede metrica, in relazione al terzo servo, attinge al lessico tecnico dell’economia: il verbo tractare, replicato ben tre volte nell’intero brano (vv  228 230 249), a sottolineare l’importanza del compito, ha infatti il significato di ‘amministrare’, ‘investire’, ricorrente in contesti relativi alla gestione di beni (OLD, s. v., 6a–b, p  1955) Green, Latin Epics, p  10, ha opportunamente fatto notare che Giovenco mostra una certa familiarità con il lessico della finanza, come dimostrano espressioni del tipo uenali nomine sisti («essere messo in vendita»: 3,441) o cedere pro («essere equivalente di»: 1,218; 2,494; cfr ThlL III 732,21–42) 229–231 In questi versi c’è una variatio di soggetti: il sottinteso ‘padrone’ (homo) nel primo caso (dedit), alter nel secondo (cepit), tertius nel terzo (suscepit) Si noti poi la sproporzione nello spazio dedicato ai tre servi: mentre ai primi due il poeta ritaglia un emistichio ciascuno (v  229), alla figura del terzo egli riserva l’intero v  230, chiuso in rejet al verso successivo dalla voce verbale suscepit; l’espediente evoca fin dall’inizio del racconto la diversità di condotta del personaggio rispetto ai suoi compagni 230 tertius unius … tractare talenti Il verso è scandito da un’allitterazione trimembre e dall’omeoteleuto delle prime due parole Nel testo biblico il sostantivo talentum è ripetuto dodici volte, mentre il sinonimo pecunia soltanto due; Giovenco nella maggior parte dei casi lascia la parola chiave del brano (vv  228 230 234 240 252), in altri, invece, la cambia con vocaboli equivalenti: nummus (v  232), aes (v  235), argentum (v  243), pecunia (v  249)

194

Commento

unius Diversamente che altrove (cfr supra, nota al v   25) qui Giovenco computa regolarmente come lunga la sillaba centrale (così anche in 2,823; 4,234 664) Si vedano già Lucr  4,1066 e Verg Aen 1,251 curam Solo a proposito del terzo servo il poeta introduce il concetto di ‘responsabilità’, ripreso anche al v  234 231 uires … diuersa merentur Il padrone affida ai fattori responsabilità diverse, appropriate all’esperienza e all’abilità di ciascuno Rollins, pp   259 s , fa notare che uires, sostituito a uirtus di Matth 25,15, implica comunque la capacità di agire che ognuno di loro possiede; ciò comporta implicazioni di carattere pastorale e fornisce un’ulteriore giustificazione alla conseguente condanna del terzo servo, cui pure non mancavano le forze per eseguire i comandi ricevuti 232–233 Roberts, Biblical Epic, pp  115 s , n  25, rileva in questi versi l’impiego da parte del poeta della figura retorica della percursio, vale a dire la compressione di una sequenza di eventi in un blocco narrativo sintetico, in cui vengono riportati soltanto i dettagli più significativi (Mortara Garavelli, p  252) Questa tecnica, adottata anche ai vv  236–240, è frequente in Giovenco (cfr , per es , 1,107–112; 2,301–304; 3,77–82 448 455) 232 maior … portio nummi La perifrasi, che rimarca la diseguale distribuzione di denaro tra i servi, sfrutta nessi impiegati in altri loci del poema: portio maior di 3,693, nella parabola dei due figli, e portio nummi (similmente in clausola) di 1,518, nel brano relativo all’omicidio e alla riconciliazione di Matth 5,26 nummi In età augustea il termine era stato riservato alla satira e all’epigramma, mentre era quasi del tutto bandito da altri generi poetici (Axelson, p  108) 233 certatim duplis auxerunt incrementis L’oggetto mancante può essere facilmente sottinteso in base al contesto e ricavato dal verso precedente, dove si parla della somma di denaro Il verso, formato da quattro parole, esibisce una successione di soli spondei (esametro olospondiaco come 4,629 proiecit templo tunc detestans argentum); secondo l’uso virgiliano, inoltre, il 5o spondeo fa parte di parola quadrisillabica comprendente anche l’ultimo piede; il vocabolo in­ crementum, che Giovenco colloca in altre posizioni dell’esametro e con altri significati

Commento

195

in 1,641 (lo sviluppo del corpo umano) e 2,753 816 (la crescita delle piante), è in fine di verso già in Verg ecl 4,49 Iouis incrementum e Lucan 10,216 lunaribus incrementis e poi in alcuni poeti tardoantichi (Paul Nol carm 25,89 corporis incrementum e 28,202 luminis incrementa; Prud apoth 285 eget incremento); in Catull 64,274 si trova increbe­ scunt In Giovenco risultano solo quattro casi di esametri con lo spondeo in quinta sede (2,217; 4,233 426 629), un indice molto basso rispetto all’Eneide virgiliana, in cui su un totale di vv  9827 gli esempi assommano a ventiquattro Cfr Flammini, La struttura, pp   264 s In alcuni mss giovenchiani si riscontrano interventi del copista o di altre mani miranti al ripristino del dattilo al quinto piede, inque crementis M R Av V1 S Mp P Al K1 V2 Sg Bx; munera donis L P2 B2 Ma C3 Ca2 (modellato su Verg Aen 5,282 e 361 munere donat; Ov ars 2,261 munere dones); cfr Hansson, p  92 L’avverbio certatim, che qui tratteggia lo spirito competitivo dei due servi, il loro sforzo di soddisfare le aspettative del padrone, apre l’esametro spondiaco di Paul Nol carm 18,122 (certatim populus pietatis circumfusus) duplis L’aggettivo duplus è poco usato dai prosatori classici e dai poeti; è tre volte in Plauto (Capt 819; Poen 184 1351), una in Germanico (548), tre in Giovenco (1,557; 4,233 252), due in Ausonio (hered 23; epist 15,6), una in Prudenzio (ham 731) e una anche in Sidonio Apollinare (epist 7,26) Cfr ThlL V1 2281,54 ss , dove però, evidentemente per un vizio tipografico, si inverte il numero di occorrenze di Giovenco con quello delle occorrenze di Ausonio 234 cui credita cura L’allitterazione trimembre richiama alla mente del lettore il v  230, ugualmente dedicato alla figura del terzo servo, e sottolinea parole centrali nella parabola Credere implica il concetto di fiducia, la disposizione d’animo che spinge il padrone ad affidare i suoi beni ai fattori; questa fiducia non sarà ricambiata dal terzo servo che preferisce piuttosto sotterrare la sua parte di lascito Il rilievo del concetto è ribadito dalla ripetizione del verbo, sia nella forma semplice sia in quella composta, che nella pericope si alternano in maniera regolare: credens (v  228), concredita (v  232), credita (v  234), concredita (v  237), credere (v  238), concredere (v  243) 235 telluri infodiens Infodio, non comune in poesia ma comunque usato da Virgilio, definisce spesso nella prosa tarda, specialmente cristiana, l’interramento di ricchezze, sovente in contesti di critica nei confronti della pratica della tesaurizzazione, non senza un ricorso allusivo alla topica negatività dell’ipogeo: cfr Ambr Nab 14,58 aurum terrae infodis; Hier epist  22,33 centum solidos … decreuerunt infodiendos; Salv eccl 1,6 simul pecuniam suam ac spem suam infodientes; Cassiod var 4,34,1 talenta … infossa pereunt

196

Commento

seruat sine fructibus Seruare, che prende il posto di abscondere, porta con sé una diversa sfumatura di senso rispetto all’originale: il fattore tiene al sicuro la moneta, la custodisce senza utilizzarla; l’idea è consolidata dall’adiectio di sine fructibus, espressione legata al lessico giuridicofinanziario (ThlL VI 1391,10), che qui richiama anche in senso metaforico l’immagine del raccolto presentata in Matth 25,24 Un dettaglio simile, sine fruge, è aggiunto dal poeta anche nella spiegazione della parabola del seminatore (2,780), a proposito dei semi del frumento privi di frutto 236–244 I versi riprendono Matth 25,19–25: 19 Post multum uero tempus uenit dominus seruorum illorum et posuit rationem cum eis. 20 Et accedens qui quinque talenta acceperat optulit alia quinque talenta dicens: Domine, quinque talenta mihi dedisti, ecce alia quinque superlucra­ tus sum. 21 Ait illi dominus eius: Euge, bone serue et fidelis, quia super pauca fuisti fidelis, super multa te constituam, intra in gaudium domini tui. 22 Accessit autem qui duo talenta acceperat et ait: Domine, duo talenta tradidisti mihi, ecce alia duo lucratus sum. 23 Ait illi dominus eius: Euge, serue bone et fidelis, quia super pauca fuisti fidelis, super multa te con­ stituam, intra in gaudium domini tui. 24 Accedens autem qui unum talentum acceperat ait: Domine, scio, quia homo austeris es, metis, ubi non seminasti, et congregas, ubi non sparsisti. 25 Et timens abii et abscondi talentum tuum in terra; ecce habes, quod tuum est («Dopo molto tempo ritornò il padrone di quei servi e regolò con loro i conti Venne quello che aveva ricevuto cinque talenti e ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai dato cinque talenti, ecco ne ho guadagnati altri cinque Il suo padrone gli rispose: Bene, servo buono e fedele, poiché sei stato fedele nel poco, ti darò potere sul molto, entra nella gioia del tuo padrone Venne poi quello che aveva ricevuto due talenti e disse: Signore, mi hai consegnato due talenti, ecco ne ho guadagnati altri due Il suo padrone gli disse: Bene, servo buono e fedele, poiché sei stato fedele nel poco, ti darò potere sul molto, entra nella gioia del tuo padrone Si presentò infine quello che aveva ricevuto un solo talento e disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato, e raccogli dove non hai sparso Ho avuto paura e sono andato a nascondere nella terra il tuo talento; ecco, tieni ciò che è tuo») Tutta la pericope evangelica è caratterizzata dal dialogo tra il padrone e i servi, e il continuum narrativo è di volta in volta interrotto dal breve scambio di battute tra gli interlocutori; lo schema seguito è sempre lo stesso, e il risultato è una monotona ripetizione di parole e intere frasi Giovenco è mosso da esigenze di sintesi; per ottemperare alle norme retoriche che regolano la narratio egli sorvola su alcuni elementi, passando in rapida rassegna il contenuto dei versetti 19–23 ai vv  236–239, con lo stesso espediente retorico della percursio applicato ai vv  232 s ; contrae il dialogo, converte l’oratio recta nella forma dell’oratio obliqua e tocca brevemente gli aspetti salienti: a) la fruttuosa intraprendenza dei primi due servi (vv  236–237); b) le lodi del padrone (v  238); c) la promessa di beni più grandi (vv  238–239) Più meditato appare invece l’adattamento

Commento

197

poetico delle parole del terzo servo, riportate in forma diretta (vv  239–244 ~ Matth 25,24–25) La prima parte del versetto 24 è ripresa ai vv  239 s , con delle modifiche: il poeta elimina accedens, cambia autem con sed, allude a qui unum talentum acceperat con tertius ille, aggiunge che il servo dissotterra il talento (refodit) e lo restitusce al padrone (domino reddit) e rimpiazza ait con una formula di transizione (tali cum uoce) Il resto del versetto 24 è riscritto ai vv  241 s : manca l’apostrofe che apre il discorso; scio è recuperato con diverso aspetto morfologico in una frase causale (quod scirem); la dichiarativa quia homo austeris es diventa un’infinitiva, e muta il soggetto (homo ~ Iuvenc memet, cioè il servo); austeris è reso con seuero, attributo di domino, che riecheggia il vocativo Domine; viene meno il parallelismo del modello (metis, ubi non seminasti, et congregas, ubi non sparsisti), ma il senso è comunque rispettato al v  242 (qui meteres segetes alieno semine cretas) L’ultimo versetto, il 25, occupa i vv  243 s : extimui è esito di timens; abii è omesso; concredere terrae / malui esprime il significato di abscondi … in terra; argentum è sinonimo di talentum; il possessivo tuum resta; infine, in luogo di ecce habes, quod tuum est vi è la giustificazione del servo, che cerca di spiegare il suo mancato guadagno (quod saluum semper tibi reddere possem) 236 iamque aderat praesens dominus Nella resa di Matth 25,19 uenit dominus, relativa al ritorno del padrone, Rollins, pp  265–267, e Flury, Alcimus Avitus, p  289, n  16, individuano un’allusione in chiave escatologica alla parusia 237 geminasse Il termine ha la stessa sfumatura economico-finanziaria in Paneg 9 (4),11,2 trecena … sestertia  … addita pari sorte geminarent Il verso giovenchiano suggerirà ad Avito il Wortspiel del locus parallelo di 6,318 s argentum gemini geminata mole ministri / promunt illi pariter Rollins, p  267, considera illi un nominativo e fa notare come il pronome dimostrativo associ e contrapponga i tre servi all’interno della pericope: il plurale, variato nel caso in due enunciati contigui (… illi … / illos …, vv  237 s ), denota i primi due, il singolare ille (vv  234 e 239) il terzo Dal contesto, tuttavia, ci sembra che illi sia piuttosto un dativo (= domino), in quanto il soggetto della frase è già espresso al v  236 primus et alter, e l’aggiunta della forma pronominale risulterebbe a questo punto ridondante Pariter è da intendere in combinazione con monstrant («parimenti gli mostrano», cioè entrambi) piuttosto che con geminasse o concredita, perché in tal caso verrebbe da pensare che la somma di denaro raggiunta dai due sia la stessa, mentre ciò che li accomuna è il fatto di aver duplicato somme diverse

198

Commento

concredita Il ThlL IV 92,60 dà al participio valore di sostantivo (‘il deposito’); è tuttavia possibile anche sottintendere talenta (‘i talenti assegnati’) 238 illos laudat L’interiezione d’encomio (euge) è implicita in laudat, che spiega il motivo della gioia dell’ultimo segmento biblico (intra in gaudium domini tui), non direttamente parafrasato, con la lode stessa del signore Lo stesso tema viene sviluppato anche da Hil in Matth 27,8 nam collaudatione eadem iubetur in gaudium Domini introire 238–239 potioraque credere tantae / promittit fidei Le parole pronunciate dal padrone ai versetti 21 e 23 (quia super pauca fuisti fidelis, super multa te constituam) sono riassunte in questa concisa affermazione, focalizzata sulla fedeltà dei servi obbedienti Nel Vangelo l’aggettivo fidelis compare quattro volte, due per ciascun servo; Giovenco lo riecheggia nel sostantivo corradicale fides, la cui forza semantica è sottolineata dall’incisione semiquinaria; la scelta del vocabolo riconduce immediatamente alla principale chiave di lettura del brano biblico individuata dai commentatori antichi, cioè l’attuazione della fede in Cristo attraverso le opere (cfr Hil in Matth 27,7–8 igitur cui erant quinque commissa, Domino reuerso de quinque decem obtulit: talis scilicet in fide repertus […] ut gentium fidem exaequatam credentium ex lege scientiae nosceremus. […]. Est autem duplicatio sumptae pecuniae, operatione fidei addi­ disse, et quae opinione crediderant, rebus factisque gessisse) Credere conferma la promessa del signore, che assicura l’amministrazione di un patrimonio più grande, e accostato a fides si carica di un particolare valore allusivo, tutto centrato sulle nozioni di fede, fiducia, necessità di credere 239 refodit Il verbo refodere, assai raro in poesia (è in clausola in Carm adv. Marc 3,146) e tipico soprattutto del lessico agricolo (Colum 2,2,28; 3,11,4; Plin nat 2,158; cfr OLD, s. v., 3e, p  1596), fa pendant con infodere del v  235, scandendo simmetricamente le azioni del fattore alla partenza e al ritorno del padrone: egli interra e dissotterra e nel frattempo aspetta inoperoso 240 tali cum uoce Cfr nella medesima posizione di verso 2,394; 4,423 697 752 Il nesso tali … uoce, già virgiliano (Aen 1,406; 9,17), in Giovenco ricorre in totale undici volte e prevalentemente nel quarto libro (vd anche 4,277 343 386 433 489 555) 241 memet La particella rafforzativa -met dopo i pronomi personali è spesso in Giovenco, sempre in prossimità di cesura (quattro volte semisettenaria, due volte semiquinaria): mihimet

Commento

199

(1,66); sibimet (1,257 654; 2,299 615) Sull’uso di questa enclitica nella poesia postvirgiliana cfr Fletcher, pp  254–256 seruire seuero Nella rivendicazione del servo la durezza del padrone, nel testo matteano indicata con l’aggettivo austeris (v l durus), è rilevata dalla parechesis della clausola Fra i loci similes non si può annoverare il passo di Pacuv trag 74–75 Ribbeck3 (= 90–91 D’Anna) qui tam quam nos seuero seruiunt / sub regno, dove l’integrazione seuero di Ribbeck è respinta dai moderni editori del frammento (cfr Schierl, p  187) 242 meteres segetes … semine cretas Rispetto all’ipotesto viene conservato il rimando alla mietitura e alla semina, con il recupero di metere e la sostituzione di seminare con il corradicale semen, ma non v’è traccia della raccolta (congregas), che in Matteo occupa il secondo membro del periodo, nel complesso ridondante L’immagine agricola prende colore grazie al sigmatismo, all’omeoteleuto e al gioco di assonanze per la falciatura delle messi (meteres segetes), oltre che all’echeggiamento della clausola ovidiana di met 15,760 semine cretus 243–244 extimui … / malui … Le due voci verbali con eguale terminazione sono isolate negli incipit dei due versi, a collegare sul piano logico e cronologico le azioni del fattore: la paura lo spinge a una errata interpretazione degli ordini bloccandolo nell’inoperosità 244 saluum Rollins, p  270, coglie nell’aggiunta dell’aggettivo, sottolineato dalla cesura e allitterante con semper, un segno dell’interpretatio giovenchiana, che in maniera allusiva farebbe riferimento alla posizione di comodo scelta dal servo, in un’ottica opposta a quella cristiana, giocata invece sul rischio della sequela (cfr Matth 10,39 qui inuenit animam suam, perdet illam; qui perdiderit animam suam propter me, inueniet eam) 245–258 La conclusione della parabola descrive la reazione del padrone e la condanna del servo infedele; cfr Matth 25,26–30: 26 Respondens autem dominus eius dixit ei: Serue nequam et piger, sciebas, quod meto, ubi non semino, et congrego, ubi non sparsi. 27 Oportuit ergo te committere pecuniam meam nummulariis et ueniens ego recepissem quod meum est. 28 Tol­ lite itaque ab eo talentum et date ei, qui habet decem talenta. 29 Omni enim habenti dabitur, et abundabit; ei autem qui non habet, et quod habet, auferetur ab eo. 30 Et nequam seruum proicite foras in tenebras exteriores; illic erit fletus et stridor dentium («Allora il suo padrone gli rispose: Servo malvagio e pigro, sapevi che mieto dove non semino e raccolgo dove non ho sparso Avresti dovuto perciò affidare il mio denaro ai banchieri, e al mio ritorno avrei recuperato quello che è mio Toglietegli dunque il talento e datelo a colui

200

Commento

che ne ha dieci Poiché a chi ha sarà dato, e sarà nell’abbondanza; invece a chi non ha sarà tolto anche quello che ha E il servo iniquo gettatelo fuori, nelle tenebre esterne; lì sarà pianto e stridore di denti») L’inizio del versetto 26 è reso al v  245: in apertura di esametro c’è una marca temporale (tum); rimangono respondens e dominus senza eius; il pronome anaforico ei è sostituito dal sostantivo famulo e il verbo che introduce il discorso diretto (dixit) da una tipica clausola dell’epica classica, talibus infit (cfr Verg Aen 10,860; Val Fl 1,666; 2,610; 8,414; Sil 16,139) I vv  246 s sono una parafrasi molto libera della seconda parte del versetto: Giovenco elimina l’esecrazione serue nequam et piger e riduce a meos … mores ciò che segue, collocando le prime parole pronunciate dal padrone in un periodo ipotetico del 3° tipo Anche i vv  248 s sul piano strettamente testuale si smarcano dal Vangelo (Matth 25,27), ma ne trasmettono comunque il significato Il versetto 28 è parafrasato ai vv  250–253: al v  250 quapropter prende il posto di itaque; resta tollite (~ tollatur); portio nostri sostituisce talentum e l’aggettivo segni l’espressione pronominale ab eo Partendo dal semplice date ei di Matteo, il poeta costruisce l’intero v  251: anche qui rende il pronome con una forma aggettivale, prudenti; lascia il verbo dare (~ detur), cui accosta possessio maior; impiega quasi un verso e mezzo, 252 s quem du­ plis cumulasse lucris mea quinque talenta / inueni, per la resa di qui habet decem talenta, accentuando i lauti profitti del servo sapiente Il primo segmento del versetto 29 (Omni enim habenti dabitur, et abundabit) sfocia ai vv  253 s in una parafrasi esplicativa, con un nuovo cenno ai proventi I due versi successivi (255 s ) spiegano l’altra parte del versetto; vi è la stessa struttura della frase con variazioni di termini: qui non habet si tramuta in cui parua subest … substantia con l’incremento di segni … corde, che attribuisce alla pigrizia dell’animo la mancanza di mezzi; id minimum sintetizza et quod habet; tolletur ab illo è assai fedele (~ auferetur ab eo), nonostante l’inserimento degli avverbi penitus e iuste al centro dell’esametro Il senso del versetto 30 occupa i vv  257 s : la scomparsa dell’imperativo proicite determina anche una modifica della sintassi, e i due periodi si aggregano; il soggetto è nequam seruus; foras è omesso, mentre in tenebras exteriores è variato in tenebras … ad imas, con l’inserimento del participio demersus che rende più forte il concetto Nel verso finale, variati nel caso rispetto al modello, si recuperano fle­ tus, qualificato da perpetuos, e stridor senza il genitivo dentium come al v  196; frequentet e poenae sono delle aggiunte 245 respondens … infit Forme pleonastiche di questo tipo, comunissime nella Bibbia, sono ebraismi recepiti nella LXX e nel greco neotestamentario e conseguentemente nelle traduzioni bibliche latine: Vulg I reg 1,15 respondens … inquit (ἀπεκρίθη … εἶπεν); Is 21,9 respondit et dixit (ἀποκριθεὶς εἶπεν); Matth 3,15 respondens … dixit (ἀποκριθεὶς … εἶπεν); 15,28 respondens  … ait (ἀποκριθεὶς  … εἶπεν); Ioh 4,10 respondit  … et dixit (ἀπεκρίθη  … καὶ εἶπεν); 4,13 respondit … et dixit (ἀπεκρίθη … καὶ εἶπεν); 5,19 respondit … et dixit (ἀπεκρίνατο … καὶ ἔλεγεν) Cfr Blass-Debrunner-Rehkopf, 420, 2; Joün, pp  309–14

Commento

201

Negli Euangeliorum libri si incontrano altresì a 2,253 (respondens … inquit ~ Ioh 4,9 di­ cit) e 4,281 (respondens … dicit ~ Matth 25,40 respondens … dicet [ἀποκριθεὶς … ἐρεῖ]) Del tutto assenti nell’epica latina, combinazioni simili (ἀμειβόμενος προσέειπε) sono però nei poemi omerici (Il 3,437; 20,86; Od 2,84; 4,234) Cfr Heinsdorff, p  237 246 dicere mores Stessa clausola di Stat silv 5,2,72 247 nequitiae Nequitia, parola evitata dagli epici classici (Axelson, p  104), appartiene soprattutto al linguaggio della elegia di età augustea (a eccezione di Tibullo e del Corpus Tibullia­ num), in cui, quasi sempre con una connotazione erotica, indica l’amore totalizzante del poeta (Prop 1,6,25 s ; 2,24a,6; Ov am 2,1,2; 3,1,17) oppure la lascivia e l’infedeltà della donna amata (Prop 2,6,30; 3,10,24; Ov am 1,13,32; 3,4,10); in Marziale la gran parte delle occorrenze fa invece riferimento alla licenziosità dei suoi epigrammi (5,2,3; 6,82,4–6; 11,15,1–4; 11,16,7–8) Se è vero che il termine ha qui un immediato referente nel nequam biblico e che nella letteratura cristiana esso conosce un ampio ventaglio di applicazioni, il suo campo semantico si attiva, però, anche alla luce dei precedenti adattamenti poetici In 2,608 Giovenco assegna il potere della nequitia al principe dei demoni ueniam concedere Cfr Lucan 3,744; Stat silv 5,3,264; Ter Maur 1010 248–249 hoc igitur gnarum … praestare decebat, / ut Marold e Huemer mettono a testo la lez etiam, tràdita da C Al Sg Ca; la variante igitur del resto della tradizione, recepita da Reusch e Arevalo, è ritenuta plausibile anche da Hansson, p  58, n  65, sulla scorta di Matth 25,27 (oportuit ergo …) e, più recentemente, da Green, Problems, p  210 La lettura etiam potrebbe legarsi con gnarum («conoscendomi anche») oppure con il sottinteso te («anche tu», come gli altri servi); in ogni caso accolgo la variante maggioritaria, che, oltre a offrire un senso pertinente, trova supporto nel modello biblico L’iniziale hoc, in funzione prolettica, anticipa quanto espresso da praestare, che vale qui «produce (a result, effect)» (OLD, s. v., 12a, p  1443) 249 tractata pecunia Nuovo ricorso al lessico della finanza: cfr Cic Verr 5,60 ut is eam pecuniam tracta­ ret quem ipse praefecisset; 5,61 tantam utilitatem per alios tractandae pecuniae neglexeris; Font  5 in pecunia maxima tractanda procurandaque uersatus

202

Commento

250 quapropter L’avverbio, che ha una bassa frequenza nella poesia esametrica latina (il più alto numero di esempi si registra in Lucrezio, 27 in tutto), è presente altresì nell’incipit di 2,89 250–251 segni … portio nostri / prudenti … possessio maior La distinzione tra il servo stolto e quello saggio, visualizzata tramite la simmetria dell’ordo sintattico e i giochi di allitterazioni e omeoteleuti, sfrutta le stesse definizioni usate a proposito delle due categorie opposte di vergini, prudentes (4,213) e segnes (4,220) Secondo Rollins, p  273, l’espressione portio nostri, riferita letteralmente al denaro del padrone (cfr portio nummi del v  232), sul piano escatologico indica l’eredità del regno dei cieli negata al servo infedele Anche il secondo astratto, possessio, afferente alla terminologia giuridico-economica (Nicosia, pp  275–283), trascende la sfera dei beni materiali per alludere allegoricamente al possesso della vita eterna (cfr Tert adv. Iud 9,22 in uitae aeternae possessionem; adv. Marc 3,24,1 regnum dei aeternae et caelestis possessionis) Il lessema compare in poesia con Giovenco, che lo impiega in riferimento sia a res corporeae, quali le ricchezze (2,441; 3,499) e la tunica di Cristo (4,664), sia a res incorporeae, quale la luce (3,307) La giuntura possessio maior si ritrova in Anth. Lat  684,7 Riese2 fundorum spatiis cinerum est possessio maior 251 prudenti … dehinc detur possessio Le allitterazioni sono ordinate in schema chiastico 252 duplis cumulasse lucris La copia uerborum e l’omeottoto mettono a fuoco i raddoppiati guadagni incassati dai due servi; il sintagma duplis … lucris replica, con la variazione del sostantivo, il nesso duplis  … incrementis del v  233 Il frasario giovenchiano è riecheggiato da Paul Nol carm 17,274 his sacrum lucris cumulans talentum quinque talenta La clausola è in Hor sat 2,7,89 e Ov epist 3,33 253 inueni La posizione enfatica del verbo, sbalzato a inizio di esametro in corrispondenza di incisione, evoca nuovamente il senso escatologico della parusia: nella VL e nella Vulga­ ta, infatti, inuenio, che traduce il greco εὑρίσκω, è connesso con la venuta del padrone (cioè, allegoricamente, Cristo) nei detti sulla vigilanza (cfr Matth 24,46; Marc 13,36; Luc 12,37 38 43) potiora mereri L’autore reintroduce il motivo del merito legato all’intraprendenza dei fattori; la terminologia è quella già vista nei versi precedenti, in riferimento al premio assegnato ai

Commento

203

servi operosi (potiora … credere, v  238) e alla connessione tra i talenti e le virtù individuali (uires quoniam diuersa merentur, v  231) 254 sortis Sors è la quota di denaro data, il capitale in opposizione all’interesse ricavato (OLD, s. v., 7a, p  1795) 255 at Nel poema gli at sono 38: ai vv  1,125 257 305 493 685 761; 2,69 240 281 297 719 786; 3,7 612 711 762; 4,255 264 267 284 352 475 539 570 611 657 la congiunzione si trova a inizio di esametro; ai vv  1,161 245; 2,628 816; 3,68; 4,626 al 2o longum; al v  1,295 è al 5o longum seguita da parola pirrichia; al v  2,810 è al 3o longum; ai vv  1,382; 3,725; 4,430 è invece collocata alla 2a breve del 1o biforme L’avversativa, che, rispetto alla più comune sed, appartiene al linguaggio elevato (Calboli, EV, I, p   874), ha una sua capacità di imprimere movimento al discorso poetico, di contrapporre eventi e personaggi e di segnalare al lettore il passaggio da una sezione narrativa all’altra (Guardì, EV, I, pp  440– 442) Non è un caso che in Virgilio, soprattutto nell’Eneide, frequenza e modalità d’uso appaiano altamente significative per la valutazione delle strategie narrative adottate dal poeta (rinvio al recente contributo di Borgo, pp  39–56) Erede della tradizione epica classica, anche Giovenco se ne serve per avviare e riavviare l’azione, per presentare un personaggio o una categoria di uomini, oppure per mettere a confronto tratti comportamentali e modi di agire diversi subest segni substantia L’accusa del padrone è rinvigorita dall’allitterazione trimembre; analogo lusus fonico in 2,745 subest suci substantia parua … substantia Il termine substantia, qui propriamente inteso nell’accezione di ‘denaro’, ‘guadagno’ (Matth 25,29 qui non habet), in relazione al mancato profitto (Arevalo, p  301; Knappitsch, IV, p  30), in senso lato, con implicazioni di ordine morale, allude alla natura (cfr OLD, s. v., 2, p  1851) del servo (‘uomo di poca sostanza’, ‘inetto’) Roberts, Biblical Epic, p  163 e n  7, considera il sintagma un’anticipazione del valore allegorico della parabola e definisce questo tipo di procedimento, in cui alcune parole inglobano nel contempo il significato letterale e le sfumature allegoriche, «impure allegory»; Giovenco attua anche in altri loci questa tecnica, finalizzata ad allertare il lettore sul senso figurale di un determinato passaggio (cfr 1,344 s ; 2,133 166 355 s 590 s 763) Substantia, termine non documentato nell’epos classico, in Giovenco ha otto occorrenze e, fatta eccezione del nostro verso, regge sempre un genitivo d’identità (1,380 e 595 s. panis; 1,474 salis s ; 2,418 s. uocis; 675 credendi s ; 745 suci s ; 3,668 arboris s ; 4,255 parua s ); in tutti i casi non c’è un equivalente diretto nell’ipotesto biblico Anche in questo caso, come ai vv  595 s

204

Commento

del primo libro riferiti, nella preghiera del Padre Nostro, al biblico panem cottidianum di Matth 6,11, credo che la scelta lessicale miri a dare «maggiore concretezza al concetto» (Santorelli, Padre Nostro, p  168) Fichtner, pp  126 s , rileva che anche in prosa il sostantivo è assai più frequente negli autori cristiani che in quelli pagani, per influsso della Bibbia latina (più di cento esempi nella Vulgata), che con esso traduce diverse parole dell’originale greco segni … corde La connotazione spirituale del servo evoca la consimile qualità negativa delle vergini stolte del v  199 (praestupido … corde) 256 id minimum penitus … tolletur Penitus integra il senso di tolletur («sarà tolto completamente, del tutto»), che richiama tollatur del v  250: l’affermazione, lì valida per il caso specifico, qui assume carattere universale in un’ottica escatologica Tolletur della parafrasi ha un immediato corrispondente nel cod d della VL, a fronte della variante auferetur esibita da tutti gli altri testimoni iuste La condanna del servo è un atto di giustizia; l’avverbio in posizione forte davanti a cesura eftemimere puntualizza il valore del provvedimento 257 nequam Il vocabolo, caro alla commedia plautina con 34 attestazioni, registra pochissime occorrenze in altri generi poetici; non vi sono attestazioni epiche (Axelson, p  104) Nel poema è ancora a 1,621 in altra collocazione di esametro tenebras demersus ad imas Le tenebre infernali vengono presentate nel passo matteano fuori dal mondo dei viventi (cfr anche 8,12 e 22,13), nozione rinsaldata dalla giustapposizione di foras ed exteriores; Giovenco muta il dettato biblico con un accumulo sintagmatico di stampo tradizionale (Ov trist 1,9,55 tenebris … in imis; Stat Theb 2,441 ex imis … tenebris; Ter Maur praef 24 imis ab tenebris) Sul simbolismo delle tenebre, intese come immagine della morte interiore, cfr infra, nota al v  334 258 perpetuos fletus poenae … frequentet La coppia costituita da aggettivo e verbo, legati al concetto di validità duratura nel tempo e d’iterazione, incornicia icasticamente il verso, in cui le allitterazioni intrecciate (ABAB) enfatizzano il perpetuarsi della pena e del pianto Frequentare nel senso di iterare, geminare (ThlL VI 1308,30 s ) si trova in una simile combinazione lessicale, oltre che nello stesso Iuvenc 1,759 s (su cui si veda supra, nota al v  196), anche in Ser

Commento

205

Samm  594 si uero in lapides densus conuertitur umor, / qui retinent cursus gemitumque dolore frequentant (del dolore provocato dai calcoli renali) poenae stridore Il sintagma, raffrontabile con quello impiegato da Stat Theb 2,51 (stridor ibi et gemitus poenarum) per la sofferenza dei dannati alle Furie, fa riferimento ai gemiti e alle urla suscitati dal castigo 259–305 Il giudizio finale. Il discorso profetico è riportato solamente da Matteo: al suo ritorno il Signore giudicherà gli uomini in base alle opere di misericordia da loro compiute (un’anticipazione è già in 7,12) La descrizione giovenchiana è strutturata in tre parti: a) gloriosa venuta del giudice (vv  259–267 ~ Matth 25,31–33); b) sentenza in favore dei giusti (vv  268–283 ~ Matth 25, 34–40); c) sentenza contro i malfattori e conclusione (vv  284–305 ~ Matth 25, 41–46) 259–267 È qui ripreso Matth. 25,31–33: 31 Cum autem uenerit filius hominis in maiestate sua et omnes angeli cum eo, tunc sedebit super sedem maiestatis suae 32 et congregabuntur ante eum omnes gentes et separabit eos ab inuicem, sicut pastor segregat oues ab haedis, 33 et statuet oues ad dextris suis, haedos autem ad sinistris («Quando il figlio dell’uomo verrà nella sua gloria insieme con tutti gli angeli, allora si siederà sul trono della sua gloria, e si raduneranno davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore divide le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sua sinistra») I vv  259 s e il versetto 31 sostanzialmente coincidono: filius hominis ~ Iuvenc ho­ minis natus; cum autem uenerit ~ ueniet; manca il sintagma in maiestate sua; a omnes angeli cum eo corrisponde ministris / stipatus, con la specificazione patris; sedebit super sedem ~ in sede sedebit, con l’incremento di celsa e l’omissione di maiestatis suae; Cristo è fin d’ora presentato in veste di giudice con l’inserimento di iudex La prima frase del versetto 32 è recepita senza variazioni di rilievo ai vv  261 s (omnes gentes ~ gentes cun­ ctae, v  261; congregabuntur ~ conuenient, v  262; ante eum è omesso, mentre è aggiunto diuersis partibus orbis, v  261, che marca l’universalità dell’evento), mentre della seconda c’è solamente la somiglianza della voce verbale (separabit ~ secernet, v  263) A questo punto il poeta anticipa Matth 25,33: sciogliendo la metafora sostituisce a oues la categoria dei giusti (iustos … omnes, v  262) e a haedos quella dei malvagi (prauos, v  264), con una ulteriore nota peggiorativa (despectos); lascia degli elementi simili (ad dextris suis ~ Iuvenc dextra … in parte; ad sinistris ~ laeua … parte) e sdoppia il verbo statuet in locabit, con il predicativo del soggetto libens, e relinquet La similitudine del pastore (versetto 32) è invece posticipata e amplificata ai vv  265–267: dopo un attacco assai somigliante (sicut pastor ~ Iuvenc ut pastor), Giovenco ingrandisce l’evangelico segre­

206

Commento

gat oues ab haedis e ritrae con coloriture poetiche, intessute di echi virgiliani (cfr infra, nota ad loc ), il pastore che separa i pascoli per il bestiame (vv  265–267) 259 en hominis natus Variazione desinenziale dell’incipit di 3,352 en hominis nato 259–260 ministris / stipatus Ministris è ablativo sociativo, assai usuale con il participio stipatus (Wistrand, p   4; LHS, II2, p  115); lo stesso verbo descrive la scorta di angeli che attornia Gesù anche in 3,313 (~ Matth 16,27), un luogo contenutisticamente affine sulla venuta ultima del Messia 260 stipatus celsa iudex in sede sedebit L’attenzione ricade sul lessema iudex, strategicamente valorizzato nella struttura del verso tra pentemimere ed eftemimere A conferire solennità alla rappresentazione del giudizio finale concorrono inoltre l’allitterazione trimembre e la figura etymologica a contatto nella clausola, confrontabile con Verg Aen 7,192 s patriaque Latinus  / sede sedens Teucros ad sese in tecta uocauit: l’immagine di Gesù assiso in trono potrebbe aver ricordato al poeta quella del re Latino, che accoglie i Troiani nel suo palazzo ricevendone i doni a suggello dell’alleanza tra i due popoli Il sintagma in sede, forma stereotipata di cui si registrano numerose occorrenze in poesia, ricorre in Giovenco 5 volte nella stessa posizione di verso: 2 nel primo libro (vv  298 e 492), 1 nel secondo (v  216), 1 nel terzo (v  408), 1 nel quarto (v  260) Per il nesso celsa … sede, riferito al cielo anche a 3,400 e 4,699, cfr Cic carm. frg 11,61 Blänsdorf; Pers 1,17; Lucan 5,16 261 diuersis partibus orbis La locuzione, derivata da Verg Aen 12,708 genitos diuersis partibus orbis, occupa la stessa sede metrica in 1,754–756 sed ueris discite dictis, / quod multos homines diuersis par­ tibus orbis / progenitos caeli regnum sublime uocabit, dove l’influsso virgiliano è anche più evidente Nel verso in esame, tuttavia, diuersis partibus è un ablativo separativo, in quanto l’immagine presuppone il raduno dei popoli della terra in uno stesso punto (conuenient) 262 labe malorum L’adiectio giovenchiana è assai forte: l’allontanamento dei giusti dai rei serve a evitare il contagio con le colpe di questi ultimi L’intertesto virgiliano di Aen 2,97 hinc mihi pri­ ma mali labes («di qui il principio della mia rovina») funge da modello anche per 3,28 cedit cui labes uicta malorum, sulla potenza di Cristo davanti al quale si piega vinta l’onta dei mali In questi passi si parla però del concetto astratto di ‘male’ e non dei malvagi

Commento

207

263 libens L’uso degli aggettivi predicativi al posto degli avverbi, specialmente quelli attinenti a emozioni, penetra attraverso la poesia anche nella prosa postclassica (LHS, II, pp  171 s ) Per libens, un impiego analogo è anche a v  805 in parte locabit Variazione di una ben nota formula esametrica, forgiata da Cicerone (cfr Arat 145 Soubiran namque etiam Eridanum cernes in parte locatum e 188 Iuppiter, huic paruum: in­ feriore in parte locauit, dove Salanitro, p  259, corregge in locatae) e forse riecheggiata da Lucr 3,98 sensum animi certa non esse in parte locatum e Verg Aen 4,374 in parte locaui e 12,145 in parte locarim (su cui si veda Traglia, p  267) 264 prauos Matteo definisce i peccatori semplicemente maledicti (25,41); la varietà lessicale esibita dal parafraste colora la dictio poetica con una gradazione semantica che tenta di cogliere le differenti sfumature comportamentali e culmina nel raggruppamento di questi malvagi nella schiera dei dannati: mali, (v  262); praui (v  264), iniusti (v  284), iniqui (v   304), damnata  … factio (v   294) Prauus è sostantivato anche a 2,661 e 3,47; cfr supra, nota al v  29 265 ut pastor pecoris … pascua mixti L’avvio della similitudine è rinvigorito dalla sequenza allitterante e dall’iperbato discernit La separazione dei giusti dai peccatori e delle pecore dai capri, da Matteo espressa con separare e segregare, è delineata da Giovenco con due verbi legati etimologicamente, secerno (v  263) e discerno (v  265); quest’ultimo acquista una particolare valenza spirituale presso gli scrittori ecclesiastici (ThlL V1 1299,59 ss ), che l’adoperano per la distinzione tra salvati e dannati Frasario simile adotterà anche Ilario di Poitiers (in Matth 28,1 fideles ab infidelibus separabit atque ab infructuosis fructuosa discernet, haedos uidelicet ab agnis) 266–267 lanigeris dextri permittens mollia prati / at laeuos hirtis dumos tondere capellis Riconoscibilissima l’impronta virgiliana nella trama dei due esametri, che contaminano con qualche modifica ecl 10,42 hic gelidi fontes, hic mollia prata, Lycori e georg  3,287 lanigeros agitare greges hirtasque capellas A v   266 l’intertesto virgiliano conferma la genuinità del testo tràdito contro la variante banalizzante dextrae … partis di alcuni mss Per il plurale lanigerae come sinonimo di oues si veda ThlL VII 930,54 ss Forte nell’incipit di v  267 il peso dell’avversativa, che contrappone gli spinosi cespugli per le capre al tenero prato per gli agnelli; il pattern prevalentemente spondaico impresso

208

Commento

all’esametro e la scansione delle tre incisioni principali quasi restituiscono al lettore la severità della pena riservata ai dannati Attraverso l’immagine del pascolo e dei rovi, che nella letteratura cristiana simboleggiano rispettivamente la vita eterna e l’aridità del peccato, Giovenco sembra caricare, sia pure in modo velato, la similitudine di ulteriori significati allegorici, che anticipano il senso della successiva spiegazione biblica 268–283 Si veda Matth 25,34–40: 34 Tunc dicet rex his, qui ad dextris eius sunt: Venite benedicti patris mei, possidete paratum uobis regnum a constitutione mundi. 35 Esurii enim et dedistis mihi manducare, sitiui et dedistis mihi bibere, hospes eram et collexistis me, 36 nudus et ope­ ruistis me, infirmus et uisitastis me, in carcere eram et uenistis ad me. 37 Tunc respondebunt ei iusti dicentes: Domine, quando te uidimus esurientem et pauimus te, sitientem et dedimus tibi potum? 38 Quando autem te uidimus hospitem et collegimus te aut nudum et cooperui­ mus te? 39 Aut quando te uidimus infirmum aut in carcere et uenimus ad te? 40 Et respondens rex dicit illis: Amen dico uobis: quamdiu fecistis uni horum fratrum meorum minimorum, mihi fecistis («Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite benedetti del padre mio, possedete il regno che è stato preparato per voi fin dalla fondazione del mondo Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, sete e mi avete dato da bere; ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, ammalato e mi avete fatto visita; ero in carcere e siete venuti da me Allora i giusti gli domanderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo nutrito, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo coperto? Quando ti abbiamo visto infermo o in carcere e siamo venuti a trovarti? E il re risponderà loro: Amen vi dico: ogni volta che lo avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me») Il versetto 34 è ripreso ai vv  268–271: la parte introduttiva è pedissequa (dicet rex ~ Iuvenc rex  … dicet), seppure con alcune modifiche (Tunc  ~ sed; his, qui ad dextris eius sunt ~ ad dextros) e l’aggiunta di conuersus e talia Del discorso diretto la prima proposizione è piuttosto simile (uenite ~ ueniant, v  269 con l’inserimento di huc; bene­ dicti è sostituito da sancti con la soppressione di patris mei), la seconda è ampliata con adeguamenti lessicali: possidete ~ Iuvenc sumant, v  269; il riferimento al regno celeste (paratum uobis regnum) è implicitamente reso con iamdudum debita … / dona patris, vv   269 s , e l’espressione temporale a constitutione mundi sfocia in una frase relativa (mundi quae sunt aequaeua nitentis, v  270); il v  271 è aggiunto per ribadire il concetto Il versetto 35 è riprodotto ai vv  272 ss : nei primi due stichi il soggetto è haec plebes, positivamente connotato da grata; al v  272 namque varia enim, mentre l’avverbio di tempo quondam è un’additio; fame fessum ripropone il senso di esurii e refecit riassume dedistis mihi manducare; al v  273 mihi rimane, e dedistis … bibere è espresso da sitim (che recupera sitiui) … remouit; il v  274 (hospitiumque domus patuit mihi saepe uocato) parafrasa in maniera indipendente il segmento finale (hospes eram et collexistis me), con l’unico riecheggiamento letterale di hospitium (~ Matth hospes) Del versetto 36 è omesso il

Commento

209

secondo segmento (infirmus et uisitastis me); gli altri due sono ripresi rispettivamente al v  275 (nudus è uguale, il resto è un’amplificatio) e 276 (in carcere ~ carceris, con l’incremento di poenis; horum solacia cepi restituisce l’idea del conforto dato dalla visita, uenistis ad me); in entrambi il soggetto è l’io loquens Gesù Il v  277 riporta fedelmente la frase di transizione del versetto 37 (tunc ~ Iuvenc tum; respondebunt ~ respondent; iusti ~ beati; il pronome ei è sostituito da Domino e il participio dicentes da tali … uoce) La riscrittura (vv  278–280) dei versetti 37–39 si fa più autonoma rispetto al modello: al posto dell’interrogativa diretta c’è una frase affermativa; dei due membri del versetto 37 è accolto solamente il primo (quando te uidimus esurientem et pauimus te), che è trasposto al v  279 (nec famis oppressum dura dicione notauit), mentre al v  278 (non meminit nostrum quisquam te uisere nudum) è anticipato il secondo membro del versetto 38 (nu­ dum et cooperuimus te); del versetto 39 è recepito solo il contenuto dell’ultima parte (in carcere et uenimus ad te ~ carceris aut poenis meminit uidisse reuinctum, v  280) Il v  281 corrisponde all’inizio del versetto 40, che introduce la risposta di Gesù (restano re­ spondens e illis, dicit è al futuro dicet, tum e talia sono introdotti ex novo e al termine rex subentra iudex), riscritta ai vv  282 s : vi è l’abituale omissione della formula introduttiva Amen dico uobis; alcuni elementi corrispondono (fratrum meorum ~ fratribus … meis, v  282); trova posto un cenno alla compassione (humiles miserando labores, v  282), quamdiu fecistis si trasforma in qui fecit (v  283) e fecistis si dilata in certum est dulcem mihi ponere fructum (v  283) 268 sed … ad dextros conuersus talia dicet Una formula di transizione affine è in 3,384 ille sed ad Petrum conuersus talia fatur 269 huc ueniant sancti L’emistichio si chiude con sancti in tempo forte; la santità è tratto distintivo degli eletti che erediteranno il regno dei cieli, come si ricorda nelle benedizioni di Eph 1,4 sicut elegit nos in ipso ante mundi constitutionem, ut essemus sancti et immaculati in conspectu eius in caritate 269–271 debita sumant / dona patris … quae … / … parantur Ciò che viene dal Padre (la vita eterna, la missione salvifica di Cristo) è giudicato dal poeta come un donum (praef 20; 2,649; 3,599) Sumant dona è una variazione di capiat donum (2,223), mentre il nesso dona parantur si può confrontare con numerosi precedenti poetici a partire da Verg ecl 6,79 e Tib 2,4,21 L’immagine di Dio che prepara i doni per gli eletti ha un significativo parallelo in un passo di Commodiano (instr  2,8,12–14 Rex adest optato; propter spem dimicat uestram; / ille parat dona, ille pro uictoria lectos / suscipit et proprium satellem dedicat esse), a proposito del quale Poinsotte, Commodien, p  373, vede un collegamento metaforico con «les donatiua dont le général romain gratifie ses troupes» Dopo il v  270 l’interpolatore del cod A aggiunge qui coluere metant dignos pro tempore fructus Questo esametro sintetizza il contenuto di

210

Commento

Matth 25,34, elaborato da Giovenco ai vv  269–271 Chiara matrice biblica ha l’immagine della mietitura, che nelle descrizioni apocalittiche indica il giudizio di condanna dei popoli (Gal 4,13), la promessa del ritorno (psalm 125,5–6), il ristabilimento della giustizia (Is 62,8–9; Am 9,3), il compimento della legge (lev 26,5–6) o anche la fine del mondo, come nella parabola della zizzania e del grano (Matth 13,30 39) o in quella del seme (Marc 4,29) Di probabile ispirazione biblica è anche il nesso dignos … fruc­ tus (Matth 3,8 fructum dignum paenitentiae; Luc 3,8 fructus dignos paenitentiae; ma cfr anche Bell. Alex 32,3 e Paul Pell euch 118), mentre la iunctura con metere risale a Prud cath 4,93 qui fructum domino metunt perenni, che con la metafora allude alle profezie scritturistiche presentate in termini spirituali come cibo degli uomini giusti 270 mundi … nitentis È un topos già classico che al principio dei tempi il mondo fosse splendente, in opposizione alle tenebre del caos primordiale; cfr , per es , Manil 1,126 s mundumque enixa nitentem / fugit in infernas caligo pulsa tenebras aequaeua Aggettivo di probabile conio virgiliano (Aen 2,561 e 5,452), poi ripreso da Seneca, Stazio e i poeti tardi; cfr Colonna, in EV I, p  865; Horsfall, Aeneid 2, p  425 Presso gli scrittori cristiani indica solitamente la coeternità del Figlio e dello Spirito Santo rispetto al Padre (ThlL I 993,38–42) 271 iustis primo promissa parantur ab ortu L’allitterazione al centro dell’esametro lega la promessa dei doni del Padre alla prima fondazione del mondo, ripercorrendo il motivo della chiamata di Dio che ha predestinato gli uomini a essere figli adottivi in Cristo e partecipi del regno dei cieli (cfr Rom 8,29–30; Eph 1,1–12; Ioh 6,44) In una prospettiva catechetica Giovenco ricorda però che questo dono è riservato ai soli giusti; il termine iustus nella pericope è centrale (vv  262 271 299 305), perché rimanda all’idea concreta di giustizia, essenziale per il conseguimento della salvezza eterna Per primo … ab ortu (notevoli anastrofe e traiec­ tio) si vedano in poesia Germ Arat 340 sidus primo speculatur ab ortu e in prosa, tra gli altri, Sen epist 44,5 a primo mundi ortu usque in hoc tempus, dove ortus indica l’inizio, l’origine del mondo come già in Cic nat. deor 1,73 e poi spesso nella letteratura cristiana (Lact epit 38,2; Aug civ 12,18) 272–276 Per alleggerire i costrutti biblici, ripetitivi e simmetrici, Giovenco trasforma la sintassi, introduce qualche artificio retorico e varia i soggetti: haec plebes (vv  272 s ), hospitium (v  274) e il sottinteso ‘io’ (vv  275 s ); ne risulta una struttura a trittico perfettamente bilanciata, con due coppie di verbi in clausola accomunati da omeottoti, che realizzano rime del tipo aabb: refecit / … remouit (si noti la ripetizione del preverbio); sumpsi / …

Commento

211

cepi L’anafora mihi saepe dei vv  273 s mette al centro la figura di Cristo, preparando alla stupita reazione dei discepoli Il cambiamento delle voci verbali dell’ipotesto in sostantivi che ne rendono il senso complessivo richiama più efficacemente l’attenzione sulla concretezza della solidarietà e propone degli incisivi keywords che si fissino nella mente del lettore 273 plebes La forma vetustiore del nominativo singolare plebes (1,332 450; 2,163 364 402 708 771; 3,21 29 88 4,273 693) è dal poeta privilegiata rispetto a plebs (1,13 e 4,614) Cfr Kievits, p  98 274 hospitium … domus patuit Possibile reminiscenza di Verg Aen 1,298 s ut terrae utque nouae pateant Karthaginis arces / hospitio Teucris: Giove manda dal cielo Mercurio affinché in rifugio ai Teucri si aprano le rocche di Cartagine; per esemplificare il senso evangelico dell’accoglienza del forestiero, il poeta evoca allusivamente la generosa ospitalità offerta da Didone a Enea e ai suoi compagni provati dal viaggio 275 uestis blandissima tegmina La perifrasi (su cui cfr infra, nota al v  651) descrive il dolce conforto dato dalla veste, che ripara dalla nudità; è da notare l’impiego di blandus, generalmente usato per gli esseri umani, qui in riferimento a una realtà inanimata Cfr ThlL II 2039,6 s 276 solacia cepi Cfr Sen exc 4,1 senex, orbus, infelix hoc tantum inter miserias solacium capio, quod mise­ rior esse non possum; Tert anim 55,2 in Abrahae sinu expectandae resurrectionis solacium capere; Lact inst 2,2,7 quaero enim, si quis imaginem hominis peregre constituti contemple­ tur saepius, ut ex ea solacium capiat absentis e per la poesia la testimonianaza più tarda di Paul Petr Mart 4,329–331 interea ut spreto caperet solacia sancto, / comminus astantem nullo dignatus honore / immotis pressit subiecta sedilia membris 277 beati Il testo biblico si riferisce alla categoria dei giusti soltanto con le parole benedicti (Matth 25,34) e iusti (Matth 25,37 e 46); come per l’altro gruppo, Giovenco dispone invece di un lessico più variegato, adottando aggettivi con valore di sostantivo anche laddove l’ipotesto ha semplici forme pronominali: iusti (vv   262 271 e 305), sancti (v   269) e beati (v  277) 278–280 L’ipotesto evangelico ruota su domande in parallelo introdotte da quando; Giovenco pratica la uariatio tramite mezzi espressivi che vivacizzino il dettato: l’anafora di memi­

212

Commento

nit (vv  278 e 280), l’insistenza sul lessico della percezione (uisere, notauit, uidisse), gli omeoteleuti in rima (nostrum / oppressum; nudum / reuinctum); l’allitterazione quadrimembre in n, a cornice dei vv  278 s , inizianti similmente con una negazione (non … nudum / nec … notauit), e il nesso allitterante dura dicione 278 meminit … uisere nudum Infinito presente al posto dell’infinito perfetto, come a v  283 e nella clausola di v  295 (meminit … uisere quisquam) per opportunità metrica; a v  280 ancora in dipendenza da meminit è invece uidisse 279 dicione Il sostantivo astratto, afferente alla sfera giuridica e qui attribuito con valore traslato alla morsa della fame, è anche ai vv  1,617 (il potere del demonio), 2,608 (il potere delle ricchezze) e 3,602 (il potere dell’autorità), sempre all’ablativo singolare e al quarto e quinto piede dell’esametro, come in Virgilio Ovidio adopera dicio una sola volta, al terzo e al quarto piede, mentre Silio Italico tre volte, al quarto e al quinto, similmente all’ablativo singolare; manca del tutto in altri poeti di epoca classica (ThlL V1 960,2 ss ) Una certa libertà nell’adozione di tale vocabolo si registra, al contrario, nei poeti tardolatini come Claudiano, Prudenzio, Paolino Nolano, Sidonio e Draconzio (Palla, Ha­ martigenia, p  162) 280 carceris aut Stesso attacco ai vv  292 e 298 Incalzante in tutta la pericope la serie anaforica degli aut correlati La congiunzione (24 occorrenze) occupa questa sede metrica ancora a 1,553 626; 2,452 555; 4,105 292 296 298; è in incipit a 1,488 562 633 636 688 689; 2,373; 3,361; 4,290 296; ai vv  1,544 (preceduta da parola elisa) è al 3o longum; a i vv  1,559 615 635; 4,126 è collocata al 4o biforme; a 3,507 segue altro monosillabo nello spondeo del 1o piede Soltanto a 4,296 il monosillabo si ripete all’interno di uno stesso verso 281 respondens … dicet Diretta ripresa dell’originale; cfr supra, nota al v  245 iudex Matteo chiama Gesù filius hominis (25,31), rex (25,33 e 40) e dominus (25,37 e 44); a questi appellativi, ripresi in modo più o meno aderente nella resa dei singoli versetti biblici, Giovenco aggiunge anche quello di iudex ai vv  260 e 281, per la necessità di far risaltare tale specifica funzione del Salvatore all’interno del contesto escatologico rappresentato (cfr similmente praef 24); nella parafrasi lo stesso titolo è riservato anche a Dio Padre, giudice supremo della storia (1,515; 2,635 636 643)

Commento

213

282 miserando Negli Euangeliorum libri è molto frequente l’ablativo del gerundio con funzione modale (1,20 23 93 126 282 491 582; 2,586 721 797; 3,20 143 201; 4,282 487 581), spesso in sostituzione del participio presente, secondo una tendenza tipica del sermo uulgaris (Marouzeau, Participe présent, pp  210 ss ); questo impiego, raro presso gli scrittori classici, diventerà piuttosto comune nella tarda latinità, specie nell’Itala (Rönsch, pp  432 ss ) e nei testi cristiani Cfr Wackernagel, I, p  290; LHS, II, pp  379 s Quanto al trattamento della o finale in questa categoria morfologica, è dato riscontrare delle oscillazioni nel testo: si alternano casi in cui tale vocale è normalmente computata come lunga ad altri, come il nostro, in cui essa subisce una riduzione quantitativa (1,93 dignandŏ; 491 audendŏ; 582 ducendŏ; 2,586 temperandŏ; 721 glomerandŏ; 3,20 insinuandŏ); documentazione in Huemer, Index, p  159, e Kievits, p  126 miserando labores La clausola riecheggia quella di Verg Aen 6,56 miserate labores 283 fecit … ponere Incongruenza di tempi verbali, con l’infinito presente in luogo dell’infinito perfetto (cfr supra, nota al v  278) Fecit, tuttavia, potrebbe anche essere un perfetto gnomico dulcem … ponere fructum: Qui ponere vale ‘offrire’, ‘servire’, come in altri contesti letterari relativi a doni e offerte votive o anche a cibo e bevande, cfr Cato agr 79,1 (globos coctos) melle unguito, papauer infriato, ita ponito; Varro Men 160 Astbury patella esurienti posita; Hor sat 1,2,105 s leporem uenator ut alta / in niue sectetur, positum sic tangere nolit (ulteriori esempi in ThlL X 26,44 65; 2645,53–58) Fructus è frequentemente impiegato dagli scrittori cristiani per alludere, con una intuitiva metafora, alle opere di misericordia compiute dagli uomini: cfr Hier epist 52,5 f. … elemosynae; Ambr paenit 2,11,104 f. caritatis; ThlL VI 1391,64 ss La ‘iunctura’ dulcis fructus è sia in prosa (Colum 5,10,15; Plin. nat 13, 26; Vulg cant 2,3), sia in poesia (Carm adv. Marc 4,179) In Iuvenc 2,632 l’espressione allude in senso figurato alla mitezza delle parole che producono benefici effetti su chi le ascolta 284–305 Si tratta dell’ultimo blocco di Matth 25,41–46: 41 Tunc dicit et his, qui ad sinistris eius sunt: Discedite a me, maledicti, in ignem aeternum, quem parauit pater meus diabolo et angelis eius. 42 Esurii enim et non dedistis mihi manducare, sitiui et non dedistis mihi potum. 43 Hospes eram et non collexistis me; nudus et non operuistis me, infirmus et in carcere et non uisitastis me. 44 Tunc respondebunt et ipsi dicentes: Domine, quando te uidimus esurientem aut sitientem aut hospitem aut nudum aut infirmum aut in carcere et non ministrauimus tibi? 45 Tunc respondebit illis dicens: Amen dico uobis: quamdiu non fecistis uni de minori­ bus his, nec mihi fecistis. 46 Et ibunt hi in ignem aeternum, iusti autem in uitam aeternam

214

Commento

(«Poi dirà anche a quelli che sono alla sua sinistra: allontanatevi da me, maledetti, nel fuoco eterno, che il padre mio ha preparato per il diavolo e i suoi angeli Ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, sete e non mi avete dato da bere Ero straniero e non mi avete accolto; nudo e non mi avete rivestito; ammalato e in carcere e non mi avete fatto visita Allora anche quelli domanderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o infermo o carcerato e non ti abbiamo assistito? Ed egli risponderà: Amen vi dico: ogni volta che non lo avete fatto a uno di questi più piccoli, non lo avete fatto a me E se ne andranno, questi nel fuoco eterno, i giusti invece alla vita eterna») La parafrasi del versetto 41 vede l’eliminazione del periodo iniziale, e le prime parole di Gesù subiscono una notevole amplificazione: la radicale contrapposizione dei malvagi ai misericordiosi è fortemente espressa dall’incipitario At uos; maledicti è reso con iniusti e in ignem con flammis e l’attributo iustis; la voce verbale discedite diventa succedite; nella relativa (quem ~ Iuvenc quas, v  286) le uniche corrispondenze lessicali sono pater (v  286), senza il possessivo meus, e parauit (v  287); angelis è tradotto con un più neutro sociis e la specificazione eius con daemonis, che rinvia a diabolo (ripreso invece dal dativo ipsi) Rispetto alla fonte biblica Giovenco ha aggiunto due versi, uno, il 285 (et poenis semper mentem torrete malignam), concentrato sulla punizione spirituale dell’inferno, l’altro, il 286 (horrendis barathri per stagna profundis), inteso alla tetra rappresentazione del luogo della pena, dipinto con i colori del Tartaro virgiliano I vv  288 s invertono le battute del versetto 42 con una nuova struttura sintattica e termini diversi: Esurii enim ~ Iuvenc famis in poena; non dedistis mihi manducare ~ nec … parui misera­ mina panis, v  289; sitiui ~ Iuvenc sitim passo … mihi; non dedistis mihi potum ~ pocula nulla, v  288 Il verbo dabantur (v  291) ha come soggetti anche i nominativi dei vv  290 s , che riprendono i due segmenti iniziali di Matth 25,43: il primo è reso in maniera cursoria (Hospes eram et non collexistis me ~ Iuvenc peregrina mihi tecti), il secondo occupa uno stico e mezzo con un più ricco ornatus (nudus et non operuistis me ~ uestisue parum­ per / tegmina de magnis gracili pro parte) Nella versificazione delle ultime due coppie del versetto Giovenco attua ancora una transpositio: al v  292 menziona prima il carcere (carceris aut saepto claustris ~ Matth in carcere) poi l’infermità (morbisue iacenti ~ infir­ mus), e, come al v  276, ritorna sul concetto di conforto (umquam uisendi solacia uestra fuerunt, v  293) L’incipit del versetto 44 è riformulato al v  294: Tunc respondebunt ~ Iuvenc dehinc respondet; il soggetto è ora la damnata … factio, e la funzione di dicentes, analogamente al v  277, è svolta da his … uerbis Ancora in maniera libera i vv  295–299 rielaborano la rimanente porzione del versetto con la solita inversione dei membri, il passaggio dalla forma interrogativa a quella assertiva e l’omissione di Domine; Giovenco amplia l’attacco (quando te uidimus ~ haut umquam nostrum meminit te uisere qui­ squam, v  295, da cui dipendono gli infiniti dei versi successivi) e recepisce, con qualche variazione che conferisce pathos al ritratto, gli elementi essenziali: l’arsura della sete e i morsi della fame (esurientem aut sitientem ~ aut sitis aut saeuae famis aegrum agitare laborem, v  296); il vagare per città straniere (hospitem ~ hospita uel … errare per oppida,

Commento

215

v  297, dove fessis … rebus definisce lo stato d’indigenza), la prigionia (in carcere ~ carce­ ris aut mersum poenis, v  298) e la malattia (infirmum ~ morboue grauatum, v  298), senza però il riferimento alla nudità (nudum) La proposizione finale del v  299 (ut tibi sollicito fieret miseratio iusta), parafrasi del matteano ministrauimus tibi, dalla semplice assistenza pone l’accento sulla giusta compassione La prima parte del versetto 45 è resa al v  300: respondebit ~ Iuvenc dicet; illis ~ his; tunc manca, ma è espresso il soggetto Dominus con la specificazione rerum La replica di Gesù si articola nei vv  300–302: Amen dico uobis è puntualmente eliminato, e la parafrasi si apre a una riflessione dell’autore sulla superbia dei malfattori (cum uestra superbo / angustis rebus feritas sub corde tumebat, vv  300 s ), che, nel calpestare i più piccoli (calcauitque humiles minimos, v  302), disprezzano Cristo stesso (me spreuit in illis) Il v  303 è un’aggiunta di Giovenco e funge da elemento di transizione che anticipa la sentenza finale Questa si sofferma a v  304 sulla pena riservata agli iniqui (hi ~ Iuvenc iniqui, con l’epiteto miseri; in ignem è chiarito da poena fodientur; l’aggettivo aeternum è mantenuto ma con valore avverbiale) e a v  305 sulla salvezza dei giusti (iusti ~ Iuvenc iustis; aeternum … salus … concessa manebit amplia in uitam aeternam, esplicitando l’idea di redenzione) 284 at uos Il soggetto espresso dà enfasi al discorso, come accade anche in altri passaggi del poema: at tu (1,125); en ego (3,109); tu Sancti filius (3,271); sed uos (3,288); uos … / … serua­ tis (3,539 s ); tuque … prome (4,393) iniusti, iustis L’accostamento degli antonimi, che segue la cosiddetta legge di Behaghel (von Albrecht, p  188), denuncia una ricerca di intensificazione retorica e accresce il potenziale drammatico della sentenza, puntando sull’efficacia del contrasto anche mediante la figura etymologica a contatto La combinazione dei due epiteti, che in 3,761 traducono malos et bonos di Matth. 22,10, è un espediente tradizionale di probabile stampo proverbiale (Otto, pp  179 s ) noto già dalla commedia (Plaut Amph 34–36; Bacch 401; Ter Ad 990 con il commento ad loc di Martin, p  239, e la glossa di Donato: prouerbiales sunt huiusmodi elocutiones … fuit veteribus usitatum iusta iniusta, digna indigna, fas nefas) e ripreso nella poesia esametrica (Ov met 2,627) Con questa figura di stile gli scrittori cristiani (specie i poeti) tendono volentieri a contrapporre le due differenti categorie di uomini, i giusti e i peccatori (Prud ham 703; c. Symm 2,783; Aug psalm c. Don 199; Prosp carm de ingrat 893 897) Diverso il senso del nesso iustae flammae in Val Fl 9,234 s iustas sibi nostra senectus / prospiciat flammas, dove esso allude ai dovuti rituali funebri auspicati dagli uomini di Pompeo 285 poenis … torrete Spesso Giovenco a conclusione di un versetto, parafrasato in maniera quasi aderente, aggiunge poi altri pochi dettagli che confermino o spieghino quanto detto in preceden-

216

Commento

za; torreo ribadisce la tipologia della pena ed è ricorrente in quei loci dedicati all’immagine escatologica del fuoco che consumerà il mondo (praef 5) o delle fiamme infernali (2,630) mentem … malignam Il nesso allitterante, rinvigorito dalla traiectio e dalla forte pregnanza dell’attributo (su cui cfr supra, nota al v  2), quasi una enallage, si può confrontare con Catull 68,37 s quod cum ita sit, nolim statuas nos mente maligna / id facere aut animo non satis ingenuo In 2,82 protesa al male è la mente degli scribi (hoc dictum scribae mentis per operta ma­ lignae / carpebant) 286 quas pater horrendis barathri per stagna profundis Alcuni mss tramandano il testo in maniera diversa: horrendi (A K1 K2 T); baratris (R1); profundi (R2 T B Hl) Hays, pp  599–600, ritiene che horrendis derivi da un errore meccanico dovuto alla ravvicinata presenza di horrendi al v  287 e ipotizza che la lez corretta in chiusura di esametro sia profundi, la cui genuinità parrebbe confermata dalla frequenza nei poeti esametrici latini della clausola stagna profundi (Lucan 2,571; 8,853; 9,305; Sil 7,282 378 500) Lo studioso propone, infine, di riempire il vuoto lasciato da horrendis con un epiteto accordato a pater, per es aeternus, oppure con uno riferito a quas, per es aeternas Effettivamente il testo così come ci è giunto presenta una certa ruvidezza stilistica; le proposte di Hays convincono però solo parzialmente La lez profundi, esibita da un buon numero di codd e accolta da Reusch e Arevalo, è di per sé verisimile e nel contesto potrebbe avere valore tanto di sostantivo (‘le acque’ o ‘le profondità’, come in 3,257 per terga profundi e 670 undis … profundi) quanto di aggettivo accordato a barathri (3,770 tenebras … profundas) Tuttavia, rimane al momento insolubile la questione di horrendis, che pure è ben attestato già a partire da C L’eventuale sostituzione della lez con altro vocabolo non documentato dalla tradizione si presterebbe inevitabilmente a obiezioni, in quanto si potrebbe pensare anche ad altre parole isometriche più o meno adeguate al contesto, quali omnipotens, attributo tipico di pater nell’epos classico e cristiano (per Giove e Dio), oppure aeternum con funzione avverbiale (cfr 4,304 s ) Dato quindi che la sorte dei due termini sembra interdipendente – accogliere profundi e lasciare horrendis, come fanno Reusch e Arevalo, complicherebbe ulteriormente la situazione –, e vista l’assenza di altre e più sicure prove, si preferisce seguire il testo fissato da Huemer, che pure dà senso Così stando le cose, profundis va inteso come un aggettivo neutro plurale sostantivato (‘gli abissi’, ‘le profondità’; cfr ThlL X2 1746,60 ss ), di cui horrendis è l’attributo; per l’ablativo apreposizionale con funzione locale negli Euangeliorum libri cfr supra, nota al v  77 Barathri si trova ad avere una doppia reggenza da stagna e da profundis, secondo una figura di comunanza non di rado sfruttata da Giovenco

Commento

217

287 daemonis horrendi Talvolta daemon sostituisce nella parafrasi l’evangelico diabolus, con l’aggiunta di perifrasi o attributi fortemente espressivi imperniati sull’idea di ‘oscurità’ e ‘inganno’ (Simonetti Abbolito, Termini tecnici, p  73 e n  43) Il vocabolo, attestato, a prescindere da Varro Men 539 Astbury κακὸς δαίμων, fin da Apuleio (ThlL V1 4,52 s ), è frequente soprattutto nel latino tardo e presso gli scrittori cristiani per indicare il diavolo, come in questo caso, oppure una divinità pagana o entità intermedie tra gli dèi e gli uomini Donnini, L’aggettivazione, pp  56 s , registra tutti gli aggettivi con cui Giovenco connota aspetto fisico, natura, attività del demonio ed effetti delle sue opere: tetri … daemonis (1,599); atram / … mentem (1,366 s ); uersutia fallax (1,368); horrendi … sceleris (1,374); uis liuida (1,384); pestiferi … ueneni (1,404); rabies uaesana (1,404); saeui … furores (1,445), saeua temptatio (1,599) e daemone saeuo (3,180); uis tetra (1,547); furibunda … arte (2,5); spiritus ater (2,45), daemonis atri (2,437) e horridus … daemon … daemo­ ne … atro (2,614); horrida uirtus (2,602), uis horrida (3,8); ueneniferi serpentis (2,631); letifero … ore (2,634); mala … uenena (2,634) e conuulsa uenena (3,369); liuenti pectore (3,37); pestis saeuissima (3,40); feris … gestis e scelera impia (3,42); horribilem … mor­ bum (3,357); daemonis horrendi (3,370 e 4,287) Cfr anche Flieger, pp  57 s , e Fichtner, pp  102–106 La raffigurazione tratteggiata dal parafraste si allontana da quella biblica e allegorica del serpente che spinse al peccato Adamo ed Eva e nel complesso, come scrive Laganà, p  108, si avvicina di più a quella degli esseri malefici della letteratura classica, essendo l’attenzione tutta rivolta agli attributi che del daemon definiscono le qualità e le prerogative (sozzura, empietà, perfidia) Il nesso giovenchiano daemonis horrendi ispirerà Aldh carm. eccl 4,4,8 288–291 Nei versi si riscontra una marcata allitterazione in p (passo … pocula … / poena pa­ rui … panis / … peregrina … parumper / pro parte) Il nesso pocula nulla di v  288 può aver ispirato in tutt’altro contesto Isid carm 24,2 289 miseramina Miseramen, da intendersi come sinonimo di stips (si confronti il gr ἐλεημοσύνη), è un hapax assoluto (ThlL VIII 1111,76 ss ); la variante fragmina di Opc, accolta da qualche editore cinquecentesco, è una evidente banalizzazione, benché anche tale vocabolo sia attestato in Giovenco Il parafraste mostra una certa predilezione per le parole in -men (talvolta di nuovo conio), dal colorito più antiquato e dunque più poetico (tali formazioni sono preferite, per es , da Lucrezio e Ovidio; cfr Marouzeau, Stylistique, pp  120 s , e Perrot, passim), alternando in qualche caso doppioni morfologici con suffissi diversi ma equivalenti: conamen (4,701); foramen (3,524); fragmen (3,82 90 216) – fragmentum (3,250); fundamen (1,716 720) – fundamentum (1,724); miseramen (4,289) – miseratio (1,462; 3,205 445; 4,137 299); moderamen (praef 14; 1,6 185 493 496; 2,575; 3,421) – moderatio (3,606); molimen (1,521; 2,18 171 308 599); sinuamen (1,87; 3,56); specimen

218

Commento

(2,708); spiramen (1,215)  – spiraculum (1,115); temptamen (1,108)  – temptatio (1,599; 4,498); uelamen (1,323; 3,631; 4,703 749) 290 peregrina mihi L’ipotesto è Matth 25,43 hospes eram (la gran parte dei codd della VL); peregrinus fui (d e f); peregrinus eram (ff1) I testimoni giovenchiani si dividono tra peregrina mihi e peregrino mihi Gli editori moderni accolgono unanimemente la prima variante La congettura peregrinanti del Badius (Rouen 1509), ritenuta plausibile da Koenig e Reusch (p 383) e riportata nella nota ad loc da Arevalo (p 342), è difesa da Hansson, pp  51 s , in quanto garantirebbe il parallelismo sitim passo – carceris … saepto claustris – morbo iacenti L’argomentazione di ordine stilistico è smentita, però, dalla variatio sintattica dell’intero periodo, soprattutto dal brusco passaggio da sitim passo del v  288 a famis in poena del v  289 Inoltre, una confusione ottica tra peregrina mi(hi) e peregrinanti è ammissibile sul piano paleografico, ma è più probabile che uno scriba abbia alterato la prima forma nella seconda, e non viceversa Esclusa dunque la lez peregrino, banalizzante e contra metrum, nonostante la correptio di sillabe lunghe non sia rara in Giovenco nelle varie categorie grammaticali, è preferibile mantenere la lez peregrina, metricamente ineccepibile; sembra più verisimile che un copista abbia corretto peregrina in peregrino, attratto dal contiguo mihi, che non il contrario È un caso di ipallage dell’aggettivo, analogo a quello del v  297 hospita … per oppida (Matth 25,44 quando te uidimus … hospitem), dove il poeta recupera hospes della fonte biblica mediante l’aggettivo corradicale, che accorda però con un altro elemento del testo 291 de magnis gracili pro parte La complessa perifrasi, costruita con due sintagmi preposizionali, sviluppa l’antitesi tra i grandi patrimoni e la piccola porzione, assumendo indirettamente la forma di una denuncia contro l’egoistica indifferenza dei peccatori de magnis Il de partitivo, non estraneo alla lingua classica e molto comune in età imperiale (Schrijnen-Mohrmann, I, pp  100 s ; LHS, II, pp  58 s ), è in Giovenco solo qui e a 3,580 gracili pro parte «In piccola parte»; la formula pro parte è ricorrente soprattutto nella lingua giuridica (LHS, II, p  270) Per gracilis nel senso di paruus cfr ThlL VI 2131,76 s 292 carceris … claustris Ritorno alla sua accezione letterale della metafora applicata al corpo da Lucan 6,721 s claustra … / carceris

Commento

219

morbis … iacenti Iacere equivale ad aegrotare anche in 1,768 e 3,178 Cfr Huemer, Index, p  160 293 uisendi solacia Solacium è parola usata pure al v  276 nella parafrasi di Matth 25,36 ed è pronunciata sempre da Cristo, lì in una frase affermativa, qui in una negativa Gli atti di amore fraterno sono resi da Giovenco con sostantivi neutri plurali in caso nominativo accompagnati da genitivi di identità; questo tipo di perifrasi, caratteristico dello stile dell’autore, nel nostro caso serve principalmente a mettere in rilievo tanto l’opera concreta di bene (un pezzo di pane, un tetto, una veste, una visita) quanto il sentimento che la realizza o l’effetto da essa sortito (la compassione, il riparo, il conforto): miseramina panis, v  289; tecti uestisue … / tegmina, vv  290 s ; uisendi solacia, v  293 294 his … uerbis «Con queste parole» oppure «a queste parole»; l’iperbato a cornice introduce la risposta della damnata … factio, che occupa invece il centro dell’esametro, con un altro stacco tra participio e sostantivo Nel verso va inoltre notata l’allitterazione damnata dehinc 295 haut umquam L’interrogativa di Matth 25,44 è trasposta da Giovenco in forma negativa; i codd oscillano tra umquam ed equidem; Reusch accoglie la seconda variante, seguito da Arevalo; Marold e Huemer recepiscono invece la prima La lez umquam, tràdita, tra gli altri, anche dal più antico testimone C, pare preferibile soprattutto per la sua rispondenza all’usus scribendi giovenchiano: il nesso haut umquam compare, infatti, sempre in apertura di esametro anche in 1,628 753; 3,276, mentre haut equidem, che pure conta alcune occorrenze in Virgilio (per es , Aen 5,56 399) e in altri poeti esametrici, non è mai attestato negli Euangeliorum libri Umquam, inoltre, in omeoteleuto con quisquam nella clausola dello stesso v  295, rafforza in maniera più vigorosa la risposta negativa dei discepoli 296 saeuae famis … agitare laborem Nel verso si possono individuare tessere di origine lucanea (4,94 saeua fames aderat; 6,108 s patitur saeuam … / … famem e 9,295 agitare laborum) Agitare è qui adoperato con il valore affettivo-spirituale di ‘patire’, ‘sopportare’ (ThlL I 1336,11 s ) 297 uel Spezza la serie degli aut del verso precedente Il monosillabo è in questa ubicazione metrica anche a 3,627, sempre seguito da sillaba lunga a formare lo spondeo 2o; ai vv  2,478 502; 3,142 310 434 esso apre l’esametro; ai vv  1,558; 2,113; 3,275 costituisce la 2a sillaba lunga del 3o piede, mentre a 1,626 assolve tale funzione nel 4o piede

220

Commento

fessis … rebus È giuntura virgiliana di Aen 3,145 e 11,335, presente anche in Tac ann l5,50,1 deligen­ dumque qui fessis rebus succurreret Nello stico si intrecciano gli iperbati delle due coppie di aggettivi e sostantivi (hospita … fessis … oppida rebus), che sembrano tra loro quasi ossimoriche 298 carceris aut mersum poenis morbo … grauatum Il verso è caratterizzato da omeoteleuti e da allitterazione La prima parte dell’esametro è una variazione di 3,450 carceris et mersum tenebris poenisque premebat Tutto il brano è scandito dalla ripetizione del lessema poena (vv  276 280 285 298 304), ora a indicare le sofferenze corporali e spirituali dei miseri che rispecchiano Cristo (nell’accezione di dolor, molestia; cfr ThlL X1 2505,71 ss e 2506,5 ss ), ora a denotare la pena riservata ai dannati (propriamente l’inferno nel lessico cristiano; cfr ThlL X1 2504,26 ss ) 299 ut tibi sollicito L’incipit varia quello di Verg Aen 3,389 cum tibi sollicito: la figura del Salvatore si sovrappone a quella di un angustiato Enea in cerca di riposo dagli affanni miseratio iusta Cfr Liv 9,6,5 evicit miseratio iusta sociorum superbiam ingenitam Campanis e Ps Quint decl 17,3 sperauit, iuxta contentionem suam ut lassesceret aliquando pro me iusta miseratio Anche a 4,137 (miseratio iustos) Giovenco accosta (ma non in sintagma) i due radicali in fine di verso Si noti come il tema della compassione sia modulato con vocaboli appartenenti alla medesima famiglia lessicale (miserando, v   282; miseramina, v   289; miseratio, v  299) 300 his rerum … Dominus Hatfield, § 45, p  10, intende rerum come genitivo partitivo retto dal neutro his; in realtà il pronome in apertura di verso è con tutta evidenza di genere maschile («costoro», cioè i peccatori), e rerum dipende da Dominus Nella poesia classica la giuntura Domi­ nus rerum, variamente documentata anche con le forme del plurale e del femminile (domini, domina), è parimenti riferita al potere degli dèi e degli uomini, senza sostanziali differenze di significato Negli Euangeliorum libri essa è risemantizzata in chiave cristiana come titolo esclusivo di Dio, di cui indica la signoria sul creato (cfr anche 4,164); questa nuova valenza si trova in altri autori cristiani, che applicano l’espressione tanto a Dio Padre quanto al Figlio (Arnob nat 2,60; Prud apoth 227; Paul Nol carm 22,160) 300–301 superbo / … feritas … tumebat Il giro della frase arricchito da un lessico ridondante ruota attorno alla rappresentazione dei sentimenti negativi che caratterizzano l’agire dei peccatori (orgoglio, superbia,

Commento

221

crudeltà) L’autore sfrutta soprattutto il valore evocativo e fortemente icastico del verbo tumeo (vd OLD, s. v., 3a, p  1987), sul piano logico connesso piuttosto al concetto reso dall’aggettivo superbus (la tronfia arroganza di chi disprezza Cristo) 302 calcauit … humiles minimos, me spreuit In calcare è implicita una marcata componente emotiva connessa col disprezzo e la superbia, sentimenti tipici di chi schiaccia un nemico o un sottomesso; l’accumulo sinonimico amplificante delle voci verbali, assimilate dall’omeottoto, e di humiles mini­ mos (il secondo termine è chiaramente sostantivato; cfr Matth 25,45 de minoribus [de minimis aliqui codd ; horum minimorum d]) ha lo scopo di conferire forza drammatica all’asserzione gesuana, che nella disposizione chiastica degli elementi attua l’equazione minimos = me 303 haec ubi dicta dabit Solo in questo caso il verbo è al futuro; nelle altre ricorrenze (2,561; 3,176 316 674; 4,384 390 446) il segmento formulare presenta sempre il perfetto dedit come nel modello virgiliano (Aen 2,790; 6,628; 7,323 471; 8,541; 10,633; 12,81 441) meritis sua praemia reddet Al secondo hemiepes, ricalcato su Verg Aen 2,537 s et praemia reddant / debita (cfr Carm laud dom. 5 meritis qui praemia reddat), meritis può intendersi tanto come il dativo del participio perfetto sostantivato di mereo («a coloro che lo hanno meritato», Castillo Bejarano, p  215; Galli, p  237), quanto come l’ablativo del sostantivo meritum («secondo i meriti», Knappitsch, IV, p  35; Canali, p  209) Passi paralleli quali 1,578 meritis … digna rependet e 3,558 pro meritis … promittens praemia digna fanno propendere per la seconda accezione Con praemium non è indicato il premio dei giusti ma, con accezione neutra, la ricompensa, il cui contenuto effettivo verrà spiegato solo ai versi successivi 304–305 aeternum … poena … iniqui / aeternum … salus iustis La diversa sorte assegnata a quanti sono sottoposti a giudizio si attua in una simmetria perfetta demarcata dall’iterazione in incipit dell’aggettivo con valore avverbiale aeter­ num; all’interno di questo parallelismo il contrasto tra i due gruppi è reso più vivo sul piano lessematico dalle coppie di contrari in sedi metriche rilevanti, a contrapporre la condanna degli uni alla salvezza degli altri 304 miseri … iniqui Miseri, qui univocamente con funzione di attributo, è frequente nell’opera per caratterizzare coloro che resteranno privi di salvezza (cfr 2,235 aduentum lucis miseri fugere superbi e 660 s iustorumque animas rediuiuo corpore necti / iudicioque graui miseros exur­ gere prauos) e ha spesso in latino una sfumatura di biasimo e riprovazione; cfr Verg

222

Commento

Aen 5,671 e ThlL VIII 1104,74 e 1105,15: «spectat magis ad uitium, peccatum … fere i q malae qualitatis, turpis, prauus sim » L’aggettivo iniquus assume invece valore sostantivale e designa i peccatori, diversamente che in 1,714 gestis … iniquis, dove conserva l’originaria funzione aggettivale Presso gli scrittori ecclesiastici il vocabolo è comune sinonimo di peccator, impius (ThlL VII1 1644,52 ss ) fodientur Il ThlL VI 994,26 ss («de animo pungendo») annovera questo passo tra le valenze traslate di fodio in relazione ai tormenti spirituali 306–402 La risurrezione di Lazzaro. L’episodio è narrato esclusivamente da Giovanni (11,1–44) e fa parte dei segni miracolosi descritti nel quarto Vangelo: le nozze di Cana (2, 1–12), la guarigione del figlio del funzionario regio a Cafarnao (4,1–26 e 43–54), la guarigione del paralitico alla piscina di Betzata (5,1–18), la moltiplicazione dei pani e dei pesci (6,1–15), la camminata di Gesù sulle acque (6,16–21), la guarigione del cieco nato (9,1–12) Il racconto ha una funzione di collegamento tra due distinte sezioni del Vangelo giovanneo: chiude infatti la parte iniziale relativa al ministero pubblico di Gesù, inaugurata dalla sua iniziazione battesimale, e precede la pericope riguardante il consiglio dei sacerdoti che ne decretano la morte Nel libro quarto Giovenco riporta solo questo miracolo, oggetto di un’attenta analisi da parte di Deproost, La résurrection, pp  129–145; si tratta anche dell’unico blocco narrativo in cui viene usato un modello diverso da quello matteano Secondo Green, Latin Epics, p  26, e, prima di questi, Braun-Engel pp  134 s , con la collocazione del fatto prima dell’arresto di Gesù e della sentenza del sinedrio (vv  403–408) il parafraste crea indirettamente una connessione già esplicita in Ioh 12,10–11 I versetti 6–10 (6 ut ergo audiuit, quia infirmatur tunc quidem mansit Iesus in eodem loco biduo. 7 Deinde post haec dicit discipulis suis: Eamus in Iudae­ am iterum. 8 Dicunt ei discipuli: Rabbi, nunc quaerebant te lapidare Iudaei et iterum uadis illuc? 9 Respondit Iesus: Nonne duodecim horae sunt diei? Si quis ambulauerit inter die, non offendit, quia lucem mundi huius uidet. 10 Si quis ambulauerit in noctem, offendet, quia lux non est in eo) sulle perplessità degli apostoli circa il ritorno in Giudea sono omessi per non rallentare la narratio Possiamo individuare alcune parole chiave, ripetute in punti strategici della parafrasi (ne stimeremo di volta in volta il valore specifico nel contesto di appartenenza): credere (317 350 354 364 378 382 389 400), fides (328 352 355 382 383), mors (325 334 341 350 353 368), uirtus (320 340 344 382 385 400) e uita (315 345 346 349 351) Sulla fortuna del miracolo della risurrezione di Lazzaro negli scritti poetici cristiani di lingua sia greca sia latina si è soffermata di recente Marchetti, pp  79–103, che ha notato come l’episodio trovi di frequente spazio non solo in componimenti parafrastici, ma anche in opere appartenenti ad altri generi letterari, in cui il richiamo alla figura di Lazzaro diventa tramite per trasmettere insegnamenti ulteriori

Commento

223

306–320 Esposizione dei fatti Cfr Ioh 11,1–5: 1 Erat autem quidam infirmus nomine Lazarus a Be­ thania de castello Mariae et Marthae sororis eius 2 Maria autem erat, quae unxit Dominum unguento et extersit pedes eius capillis suis, cuius frater Lazarus infirmabatur 3 Miserunt ergo sorores eius ad Iesum dicentes: Domine, quem amas, ecce infirmatur 4 Audiuit Iesus et dixit: Haec infirmitas non est ad mortem, sed pro claritate Dei, ut clarificetur filius Dei per ipsum 5 Diligebat autem Iesus Martham et sororem eius Mariam et Lazarum («Era allora ammalato un tale di nome Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e Marta sua sorella Maria era colei che aveva cosparso di unguento il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era ammalato Le sorelle mandarono a dire a Gesù: Signore, colui che tu ami è ammalato A queste parole il Signore rispose: Questa malattia non è per la morte ma per la gloria di Dio, affinché per lui venga glorificato il Figlio di Dio Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella Maria e a Lazzaro») L’ordine della narrazione è invertito: i vv  306–308, dopo una formula di transizione che ricollega questo brano alla parte precedente (talia dum loquitur), presentano una donna in ambasce (scissos lacerata capillos, v  306; iustis soror anxia curis, v  307) per la malattia del fratello (pro fratris morbo, v  307); ella manda un giovane ad avvisare Cristo (hortatur iuuenem rapido percurrere gressu, v  308), perché salvi l’amico (casibus ut tantis Christus seruaret amicum, v  309) Giovenco non riporta i nomi dei protagonisti, citati fin dall’inizio dall’Evangelista, e omette qualunque riferimento geografico al villaggio di Betania nell’intento di degiudaizzare il racconto e, nel caso specifico, conferire una portata universale al miracolo; secondo Poinsotte, p  101 e n  326, l’omissione mira anche ad attenuare il tono drammatico della risurrezione di Lazzaro, che Gesù compie in prossimità della città in cui sarà ucciso Le informazioni del versetto 2 si leggono al v  310 (nam fuerat mulier meritis accepta benignis), ove non è espressamente menzionato l’episodio della lavanda dei piedi, sottinteso da quell’allusivo meritis accepta benignis, e non è fatto il nome di Maria, che rimane nell’anonimato di un vago mulier Il versetto  5 è anticipato ai vv   311 s : all’obsequium mostrato da Maria Giovenco ricollega l’affetto che Gesù nutre (Iesus ~ Iuvenc Christus; diligebat è amplificato in amplexus pleno  … retinebat amore) per il fratello (fratrem), ancora senza nome, e per l’intera famiglia (domumque merentem) Il contenuto del versetto 3 è ripreso ai vv  313–315: tutta la prima parte di Giovanni (miserunt ergo sorores eius ad Iesum dicentes) ha un equivalente nell’annuncio del messaggero (nuntius adueniens perfert, v  313), le cui parole sono in forma indiretta (cade Domine; a quem amas corrisponde in 3ª persona dilectum Christo iuuenem); Giovenco insiste sulla gravità del male (extrema iacere / … per tristia morbi, vv  313 s , a fronte del semplice infirmatur del Vangelo, senza la ripresa dell’avverbio ecce) e l’imminente pericolo di morte (et leti et uitae confinia summa tenentem, v  315), che non ha riscontri nell’ipotesto Il nome di Lazzaro – che compare nel versetto incipitario – è posticipato al primo emistichio 316 (Lazarus hic habuit nomen) La reazione del Cristo a tale notizia (versetto 4) occupa i vv  316–320: sed (v  316) vale qui come particella di passaggio; manca l’attacco biblico audiuit et … dixit; invece di Iesus

224

Commento

c’è Christus, con l’inserimento di amaris / percussus uerbis (vv  316 s ) Per le parole di Cristo è mantenuto il discorso diretto con il uerbum dicendi (dixit ~ inquit); la prima battuta non è molto diversa rispetto al modello (haec infirmitas ~ istaec uiolentia morbi, v  318; non est è uguale, v  317; ad mortem ~ ad letum ducens, v  318), salvo l’inserimento di un inciso sulla necessità di credere (si creditis, v  317); la seconda invece è meno pedissequa: il sed avversativo resta ma il sintagma pro claritate Dei è riformulato con la proposizione finale del v  319 (Deus ut digno iustis celebretur honore); ut clarificetur filius Dei diventa, al verso successivo, et suboles hominis … nitescat, con l’aggiunta di sancta uirtute, che esalta la potenza divina di Gesù, e l’omissione di per ipsum 306 talia dum loquitur Questa formula di transizione apre anche il v  3,330; cfr Drac Orest 706 scissos lacerata capillos Le chiome sciolte e scarmigliate sono, notoriamente, tipiche manifestazioni del dolore femminile radicate in rituali funebri antichissimi noti già da Omero (Il 10,15) e ampiamente rappresentati nell’arte figurativa greco-romana e in letteratura L’immagine, quindi, non può non ricordare le tante eroine tragiche del mito, a partire dalla Didone virgiliana di Aen 4,590 flauentis … abscissa comas e dalla madre di Eurialo di Aen 9,478 scissa comam Per la similarità del lessico si possono citare numerosi paralleli nella poesia latina (Tibull 1,10,53 s  scissosque capillos / femina perfractas conqueriturque fores; Ov epist 8,79 s ipsa ego, non longos etiamtunc scissa capillos / clamabam; met 4,546 deplanxere domum, scissae cum ueste capillos e 8,527 s scissaeque capillos  / planguntur matres Calydonides Eueninae) Il participio lacerata potrebbe alludere sia al volto graffiato, altro gesto funebre caratteristico, sia ancora ai capelli strappati, come in analoghe descrizioni di donne piangenti (cfr Ov met 13,534 albentes lacerata comas e Sil 4,774 asperat haec foedata genas lacerataque crines (ThlL VII2 825,50 ss ) Sulla stereotipia del lamento funebre e per ulteriori paralleli letterari, cfr Pease, pp  517 ss ; Kübler, RE XIII 2, s v ‘Luctus’, coll 1697–1705; De Martino, pp  178 ss ; Kierdorf, pp  100 ss 307 iustis soror anxia curis La clausola anxia curis è attestata già in Enn spur 26 Skutsch Anche in questo caso l’espressione rievoca figure mitiche angosciate da preoccupazioni: Alcmena in Ov met 9,275 (at longis anxia curis / Argolis Alcmene); Venere in Stat silv 3,4,71 (Tamen anxia curis / mordetur puerique timet Cytherea dolores); le donne di Lemno in Val Fl 2,113 (‘O patria, o uariis coniunx nunc anxia curis / …’) e, sempre negli Argonautica, Giunone (4,7 sic Iuno ducem fouet anxia curis / Aesonium) Il sintagma iustis … curis è di Ov met  15,768 Solane semper ero iustis exercita curis?, riferito a Venere in ansia per la sorte di Enea (ulteriore esempio di riadattamento concettuale di una immagine classica)

Commento

225

pro fratris morbo Pro ha sfumatura causale ed equivale a ob o propter + accusativo; l’uso, attestato fin da Plauto (per es , Trin 26), è diffuso soprattutto nella tarda latinità (Löfstedt, Peregrina­ tio Aetheriae, p  156; Svennung, Orosiana, p  42; LHS, II2, p  270) Huemer, Index, p  168, segnala altri esempi di tale impiego in Giovenco: 1,265 pro funere; 2,596 pro signis; 2,469 504 e 3,546 pro nomine nostro; 3,489 pro caeli regnis 600 pro talibus; 4,110 pro … meo … nomine e 686 pro sorte 308 hortatur iuuenem rapido percurrere gressu La combinazione di patterns (SDDS), con l’aggettivo rapido in corrispondenza di cesura, e l’alta incidenza della vibrante r, anche geminata, suggeriscono l’urgenza del messaggio e la rapidità della corsa, sviluppando una maggiore tensione emotiva rispetto all’ipotesto L’incipitario hortatur iuuenem ricorda (ma la probabile ripresa è meccanica) la fine del discorso con cui in Val Fl 1,58 (talibus hortatur iuuenem) Pelia ordina a Giasone di mettersi in viaggio alla ricerca del vello d’oro Nell’immagine della celere marcia del giovane si avverte l’influsso dell’epos classico, dove gli inviati procedono in genere a passo spedito: cfr , per es , Verg Aen 7,156 s haud mora, festinant iussi rapidi­ sque feruntur / passibus Una variante di rapido gressu nel poema è rapidis passibus, con cui a 1,80, forse rammentando il succitato passo virgiliano, Giovenco descrive la sollecitudine di Maria che fa visita alla cugina Elisabetta 309 casibus … tantis Flieger, p  54, analizza le diverse sfumature di significato che casus ha in Giovenco a seconda dei contesti di appartenenza: ‘rovina’ (1,209 hic puer ad casum populi datur); ‘caduta’ (1,391 ut lapsum studeant casu defendere corpus e 3,336 nec prius e prono uultus sustollere casu); ‘destino’ (3,126 nauigio socios quos casus habebat e 756 et quoscumque illic casus glomerauerit); più frequentemente indica la sorte avversa, direttamente o indirettamente correlata con la sofferenza e la morte di Gesù: 3,299 (nec tibi tam durus poterit contingere casus); 4,462 (sic etenim scriptum est: pastoris casibus); 469 (sed mea non umquam mutabit pectora casus) e 496 s (non est mihi ponere uirtus / unam peruigi­ lem tantis sub casibus horam) Per la iunctura si veda Val Fl 7,443 sola tibi quoniam tantis in casibus adsum Christus seruaret amicum Cristo, il cui nome è evidenziato dalla cesura semisettenaria, è il solo personaggio chiaramente identificato nella parte iniziale del racconto e fin dalle prime battute gli viene riconosciuta la funzione di ‘salvatore’ 310–311 L’affetto di Gesù verso Lazzaro e la sua famiglia è attribuito ai meriti di Maria (non chiamata per nome); si notino l’allitterazione trimembre (mulier meritis … / … meren­

226

Commento

tem), gli omeoteleuti (meritis … benignis e fratrem … merentem) e l’epifora dell’enclitica -que, che congiunge gli accusativi fratrem e domum, ordinati in una sorta di climax ascendente 310 fuerat … accepta In luogo di erat accepta; cfr infra, nota al v  571 Il participio acceptus, equivalente alle corrispettive forme greche ἀποδεϰτέος, εὐπϱόσδεϰτος, πϱοσφιλής e qui usato absolute senza dativo (cfr ThlL X 319,80 ss e 321,48 ss , con la citazione del verso in esame), viene usato nella latinità per indicare persone gradite a qualcuno 311 obsequio cuius Cuius ha funzione di genitivo soggettivo («per il rispetto che lei nutriva verso Cristo») e non di genitivo oggettivo («per riguardo a lei da parte di Cristo») In 2,506 s (qui uos suscipiet, me suscepisse benignis / obsequiis) l’ultima parola del v  310 (benignis) e la prima del successivo (obsequio) sono usate in sintagma al plurale per parafrasare l’esortazione di Gesù sull’amorosa accoglienza da riservare ai suoi inviati nella conclusione del discorso apostolico di Matth 10,37–42 312 amplexus pleno … retinebat amore Analoghi abbinamenti di parole, con amplector nel significato di «amare» (ThlL I 1992,57 ss ), sono documentati soprattutto nella prosa (Cic Sull 59 tanto amore suas pos­ sessiones amplexi tenebant; Liv 3,52,6 imperium … quod amplexi tenetis; Arnob nat  2,33 eum … retinemus, amplectimur) Per pleno … amore, cfr Prop 2,25,21 313 nuntius adueniens perfert Ancora in un susseguirsi di richiami epici, la figura del messaggero sembra sovrapporsi a quella di Eumèlo, che porta al tumulo di Anchise e agli spettatori dell’arena il triste annuncio delle navi in fiamme (Verg Aen 5,664 s nuntius Anchisae ad tumulum cune­ osque theatri / incensas perfert nauis Eumelus) Il riuso virgiliano potrebbe essere più che meccanico, se si pensa alle suggestive analogie delle pagine successive, ossia alle preghiere rivolte da Enea e da Cristo rispettivamente a Giove e a Dio Padre per ottenere l’aiuto divino (la pioggia per spegnere l’incendio e il ritorno alla vita per Lazzaro) 313–314 extrema iacere … / … tristia Extrema va concordato con tristia del verso successivo, che è un aggettivo neutro sostantivato Si osservi il chiasmo con il nesso di v  315 extrema tristia – confinia summa 314 per tristia morbi Per ha valore locale al posto di in + ablativo Tristis è attributo usuale di morbus: vd Verg georg 4,252; Tibull 1,5,9; Ov met 7,601 e Nemes cyn 195; le due parole sono

Commento

227

compresenti anche in Verg georg 3,67 subeunt morbi tristisque senectus (=Aen 6,275) a proposito dei morbi e della vecchiaia che coabitano nelle sedi infernali 315 et leti et uitae confinia summa tenentem Il poetico giro di parole con cui si allude all’agonia di Lazzaro, sospeso tra la morte e la vita (enfatica l’anafora di et, in tempo forte in entrambe le occorrenze), si ispira alla suggestiva descrizione delle qualità divine dell’Aurora, che in Ov met 7,706 (quod teneat lucis, teneat confinia noctis) veglia i confini della luce e della notte, elementi riletti da Giovenco in chiave metaforica e sostituiti con l’antitesi uita e letum 316 Lazarus hic habuit nomen Il lettore apprende solo ora l’identità del moribondo; il nome di Lazzaro compare sei volte in Giovanni e altrettante in Giovenco (4,316 321 327 345 368 392), sempre in caso nominativo tranne che nell’ultima occorrenza, dove è al vocativo Va notata la particolarità della frase, in cui al posto del nominativo Lazarus ci si aspetterebbe piuttosto l’accusativo Lazarum; un esempio analogo potrebbe essere forse 4,719 hic ab Ari­ mathia nomen gestabat Ioseph, che non consente tuttavia una valutazione sicura, dato che il nome Ioseph è indeclinabile Il nome del protagonista del miracolo occupa sempre la posizione incipitaria anche in altri poeti cristiani (Prud apoth 743; Sedul carm. pasch 4,272 284; Rust Help hist. testam 70; Ps Victorin Christ. 56; vita Dom 66) 316–317 amaris / percussus uerbis Giovenco delinea lo status psicologico di Gesù, la reazione emotiva suscitata dalle parole del messo, anche tramite effetti fonici e metrici: la reiterazione dei suoni r e s, atti a evocare la drammaticità della scena; l’omeoteleuto amaris … uerbis; l’enjambement e il ritmo spondiaco nei primi due piedi del v  317, fino alla cesura semiquinaria; la doppia arsi che coinvolge il participio rimarcandone il significato Nella parafrasi percussus è impiegato in analoghe circostanze per sottolineare angoscia e turbamento psichico dei personaggi: Giairo affranto per la morte della figlioletta (2,377 percussus pectora luctu) e Pietro quando Gesù preannuncia la propria morte (3,296 tum Petrus magno percussus corda dolore) L’aggettivo amarus è usato dal poeta in riferimento a realtà materiali solo a 2,798 lolium … amarum (non senza una sfumatura metaforica di carattere spirituale); a 3,200 è attributo di languores e a 4,585 di ploratus; più spesso (tre casi compreso il nostro) definisce l’asprezza delle parole: quelle del Maestro che rimprovera l’incredulità di Pietro (3,123 et dubitata fides uerbis mulcatur amaris) e quelle offensive di un figlio verso il padre (3,141 si genitor cuiquam uerbo laedatur amaro) La iunctura amaris … uerbis risale a Sil 11,209 iussa ducis uerbisque etiam incessebat amaris 317–319 non est … / ad letum ducens … / sed … ut … celebretur Nel tentativo di latinizzazione del testo evangelico Giovenco elimina sistematicamente i semitismi lessicali e sintattici; Poinsotte, p  70, n  214, nota tuttavia che in questo

228

Commento

caso l’elemento semitico di Ioh 11,4 haec infirmitas non est ad mortem non scompare del tutto ma «prend la forme … d’un hellénisme toléré», grazie alla perifrasi con sum e il participio presente: tale costrutto, attestato nel latino arcaico e proprio della lingua popolare, è usitato presso gli scrittori ecclesiastici (specie Lucifero di Cagliari), che lo mutuano dal latino biblico (per es , Luc 1,21 et erat plebs expectans); cfr Blaise, Manuel, pp  133 s , e soprattutto Piras, pp  63–97; è questo l’unico esempio negli Euangeliorum libri (Hatfield, § 5, p  3) Da notare infine la uariatio sintattica non est … ad letum du­ cens / … sed … ut … celebretur 318 uiolentia morbi Cfr Val Max 5,1,1 quamquam uiolentia morbi dilabebatur La clausola, rimarcante la forza letale del morbo, verrà replicata dai poeti seriori (Ser med 725; Prud apoth 1076; Paul Petric Mart 2,482 e 6,167) Per uiolentia + genitivo, cfr supra, nota al v  167 319 digno … celebretur honore La clausola riprende con qualche variazione quella virgiliana di Aen 5,58 (celebremus honorem): Enea, sbarcato sulle coste sicule, annuncia ai compagni l’apertura dei giochi funebri in memoria di suo padre; l’analogia è basata sulle parole dei due protagonisti (Enea/Gesù) circa l’onore da tributare ai loro padri (Anchise/Dio) 320 sancta uirtute nitescat Alla sacra potenza di Cristo si fa riferimento anche a 1,240 sancta uirtute necesse est; identica è peraltro la sede metrica della giuntura; cfr Röttger, p  28, n  101 321–332 Annuncio di Cristo e reazione dei discepoli Cfr Ioh 11,11–16: 11 Haec dixit et post haec dicit eis: Lazarus amicus noster dormiuit. Sed uado, ut a somno suscitem eum 12 Dixerunt ergo ei discipuli: Domine, si dormit, saluus erit 13 Dixerat autem Iesus de morte eius; illi autem putauerunt, quod de dormitione somni diceret 14 Tunc ergo dicit eis Iesus manifeste: Lazarus mortuus est. 15 Et gaudeo propter uos, ut credatis, quia non eram ibi. Sed eamus ad illum 16 Dixit ergo Thomas, qui dicitur Didymus, ad condiscipulos: Eamus et nos moriamur cum illo («Dopo queste parole soggiunse: Il nostro amico Lazzaro si è addormentato, ma vado a svegliarlo dal sonno Allora i discepoli gli dissero: Signore, se dorme, si salverà Gesù aveva parlato della morte di lui, quelli invece avevano pensato che si riferisse al riposo del sonno Gesù allora parlò loro apertamente: Lazzaro è morto Io gioisco per voi di non essere stato là, perché voi crediate Ma andiamo da lui Allora Tommaso, detto Didimo, si rivolse ai condiscepoli: Andiamo anche noi a morire con lui») La parafrasi mantiene la struttura dialogica dell’originale Alla ridondante formula introduttiva di Giovanni ne corrisponde una più semplice in Giovenco (haec dixit è omesso; post haec dicit eis ~ tunc ad discipulos … inquit, v  321); l’iniziale battuta di Gesù è letterale (dormiuit ~ dormit con l’aggiunta di iam; Lazarus coincide ma è senza l’ap-

Commento

229

posizione amicus noster); vi sono invece modifiche nelle altre parole: al v  322 l’avversativa sed rimane, ma il pronome eum è reso con carum iuuenem, a rimarcare il legame affettivo tra Gesù e Lazzaro; a somno non è ripreso, e il significato di suscitem è dato da faciam consurgere, rafforzato dall’avverbio rursus, che già anticipa la futura risurrezione del giovane L’incipit del v  323 è simile a quello del versetto 12 (dixerunt ergo … discipu­ li ~ Iuvenc aiunt discipuli; il pronome ei è eliminato); come Giovanni, anche Giovenco sottolinea il fraintendimento da parte dei discepoli: l’apostrofe Domine è omessa, la protasi si dormit è riecheggiata da somno, saluus erit si espande in succedere plena / et remeare salus poterit (vv  323 s ) Il versetto 13 è ripreso in maniera sintetica ai vv  324 s : nec mente sequuntur indica il malinteso (~ Ioh. illi autem putauerunt) e regge la proposizione dichiarativa, introdotta, come nel testo biblico, da quod (Iesus ~ Iuvenc Christus; diceret ~ dixit; de morte eius ~ mortem; la locuzione somni … sub nomine è in luogo di de dormitione somni ed esprime il parlare allusivo di Cristo) Il v  326 rende il versetto 14: il soggetto Iesus è sottinteso; tali sermone rimpiazza dicit, il senso di manifeste è dato da errorem quorum … remouit; l’asserzione di Gesù, come nel Vangelo, è concisa e diretta (Lazarus ~ Iuvenc Lazarus; mortuus est ~ in letum cecidit) Maggiori cambiamenti si riscontrano nella riscrittura del versetto 15 ai vv  327–329: il tema della gioia di Cristo è amplificato (et gaudeo ~ Iuvenc sed gaudia menti / hinc ueniunt, vv  327 s ), come pure quello della fede (ut credatis ~ uestram … fidem mihi fortius armant, v  328); Giovenco riassume quia non eram ibi con il participio absentem e mette l’accento sulla divina chiaroveggenza di Cristo (cernitis … longe quod cuncta uidere, v  329); al primo emistichio 330 sed properemus, che sottolinea la sollecitudine dell’invito, sostituisce sed eamus, senza la ripresa di ad illum; aggiunge ait Al secondo emistichio, nel riscrivere l’inizio del versetto 16, il poeta introduce la battuta dell’apostolo con una locuzione di sapore epico (tum talia fatur ~ Ioh dixit ergo), non riporta il nome ebraico Thomas ma la traduzione greca Didymus (~ Ioh qui dicitur Didymus), e omette ad condiscipulos; le parole di Tommaso sono riprese ai vv  331 s con pochi ritocchi formali (eamus ~ Iuvenc pergamus; moriamur ~ procumbere leto, che dipende da cogamur; et nos è riassorbito da omnes e pariter allude a cum illo) e un’adiectio che evoca le minacce dei Giudei (totiens quod gens Iudaea minatur, v  332) 321 tunc ad discipulos L’espressione, sempre a inizio di verso, introduce un discorso diretto di Gesù anche a 2,425; a 4,494 (tunc ad discipulos repedat) è inserita in un contesto diverso in presenza di un verbo di moto L’avverbio tunc a inizio di frase è tipico: praef 23; 1,52 103 227 238 360 373 403 663 708 713 716; 2,19 93 274 425 583 718 3,21 40 159 182 269 424 426 563 569 572 636 752; 4,321 422 484 494 496 522 682 790 In molti casi esso precede un altro monosillabo: congiunzione (praef 23); avverbi (1,227 403; 2,274; 4,790); preposizioni (2,19 425; 3,426; 4,321 422 494 522); parola piena (1,360)

230

Commento

322 faciam consurgere La costruzione perifrastica dei cosiddetti causativi o fattivi, attestata fin dal latino arcaico sia nella lingua d’uso sia in quella poetica, ma del tutto assente nella prosa classica, si diffonde largamente nel latino tardo (Norberg, Faire faire, pp  17–60); cfr altresì Iuvenc 1,385 fecit consistere Consurgo come sinonimo di resurgo è comune nel latino biblico e negli autori cristiani (VL Col 3,1 si consurrexistis Christo [gr συνηγέρθητε; Vulg cum Christo]; Hier epist 22,39 qui commortuus est domino suo et consurrexit; adv Iovin 64,7 consurreximus cum Christo) 323–324 somno succedere … / et remeare salus poterit Si noti l’hysteron proteron Nel fraintendimento degli apostoli si tratta semplicemente del ritorno della salute, di una guarigione come le tante compiute da Gesù durante il suo ministero; la parola salus, davanti alla cesura semiquinaria del v  324, fa eco al tema del Cristo salvatore, introdotto, come si è visto, già all’inizio del racconto (v  309), e alle più complesse implicazioni spirituali 324 mente sequuntur Perifrasi per intellegunt La iunctura è ripresa in clausola da Cypr Gall exod 766 325 somni … sub nomine «Con o sotto il nome di ‘sonno’»; la locuzione sub nomine, al posto del semplice nomi­ ne, secondo Colombi, Preposizioni, p  20, pare sottendere talvolta «un’interpretazione del testo evangelico o dal punto di vista linguistico o concettuale»; un significato analogo essa assume ai vv  356 s quod uenerit in te / caelestis suboles celso sub nomine Christi, che riscrivono l’affermazione tu es Christus Filius Dei di Ioh 11,27 326 errorem … sermone remouit Cfr 2,287 errore remoto; per espressioni similari si vedano Cic Cato 85 mihi hunc erro­ rem … extorqueri; Ov. fast 5,362 errores abstulit; Sen dial 7,4,5 expulsis … erroribus; Lact inst 4,28,1 abiectis uanitatibus et errore miserabili e 7,27,1 abiectis erroribus La clausola ispira quella di epitaph. Sabin 1 hic hominum uitia blando sermone remouit 327–329 L’espansione cui Giovenco sottopone il versetto 15, soprattutto con l’inserimento del v  329 (cernitis absentem longe quod cuncta uidere), serve a sottolineare che Gesù, pur non essendo presente, già conosce tutto in anticipo e che gli apostoli debbono fondare la loro fede su questo potere di chiaroveggenza, più che sulla eccezionalità del prodigio Deproost, La résurrection, p  134 e n  19, ipotizza che il parafraste si inserisca in questo modo nei dibattiti teologici del suo tempo, insistendo implicitamente sulla uguaglianza del Padre e del Figlio, per contribuire allo sviluppo di una «christologie orthodoxe» agli occhi del suo uditorio

Commento

231

327 in letum cecidit Cfr Cic Tusc 1,79 c. in morbum e ThlL III 29,61 s 328 fidem mihi fortius armant L’applicazione figurata di armo, con il valore metaforico tratto dal lessico militare e l’aggiunta di fortius, si concentra sul rafforzamento della fede prodotto nei discepoli dall’onniscienza di Cristo; per la giuntura fidem armare cfr ICVR II 241,5,4 armata fides e ThlL II 620,5 ss Anche a 2,288 con analoga terminologia Giovenco definisce i cultores di Cristo armati delle giuste leggi, cioè il NT in opposizione all’AT oppure, con allusione antieretica, la fede ortodossa, con evidente richiamo al lessico militare adottato dalla patristica come metafora della militia Christi. Fondamentale al riguardo rimane il saggio di von Harnack 329 cernitis … uidere Due verbi di percezione sono posti agli estremi dell’esametro longe L’avverbio, da legare all’infinito uidere più che al participio absentem, ribadisce la facoltà divina di Gesù di prevedere e conoscere ogni cosa 330–332 Le parole di Tommaso fanno eco a quelle di Gesù, e tale riecheggiamento passa anche attraverso le marcate allitterazioni I versi sono percorsi da sonorità secche come la bilabiale sorda p e la liquida r (properemus … / pergamus [in incipit anche in Stat silv 1,4,100] pariter … procumbere … / cogamur); si osservino ancora la ripresa del prefisso pro in procumbere e properemus e l’effetto di rima interna prodotto dalla coincidenza delle ultime tre lettere nei primi due congiuntivi esortativi (-mus … -mus) 330 Didymus tum talia fatur In genere, quando nel testo evangelico compaiono due nomi propri, quello con sonorità tipicamente ebraiche viene eliminato, come Thomas di Ioh 11,16 Vi sono solo due eccezioni segnalate da Poinsotte, p  53 e n  161: la prima è rappresentata da 1,422 (praesolidum Simonem, dignum cognomine Petri), che rende Matth 4,18 (Simonem, qui dicitur Petrus); qui il mantenimento del doppio nome è funzionale alla messa in rilievo del ruolo di Pietro come ‘anti-Giuda’ e alla spiegazione del suo soprannome mediante l’epiteto praesolidus, che anticipa la parafrasi di Matth 16,18 (tu es Petrus et super hanc petram …) a 3,278 ss La seconda è 4,657 (at postquam uentum est, ubi ruris Golgatha nomen ~ Matth 27,33 et uenerunt in locum, qui dicitur Golgotha, quod est Caluariae locus), dove, paradossalmente, viene omessa la traduzione latina del nome; ciò si spiega col fatto che Golgotha (Golgatha; sulla grafia cfr infra, nota al v  657) era un termine entrato a far parte del vocabolario cristiano, e la sua origine, almeno direttamente, non era più

232

Commento

percepita come ebraica Diverso è l’atteggiamento di altri poeti cristiani quali Paolino di Nola (carm 27,415 hic dubius gemino Didymus cognomine Thomas / adiacet) e Sedulio (carm. pasch 5,378 s Thomas, / cui Didymo cognomen erat), che al contrario mantengono entrambi i nomi del discepolo In Verg Aen 11,501 tum talia fatur introduce le parole con cui Camilla si rivolge a Turno, promettendo di affrontare la schiera degli Eneadi e di combattere da sola contro i cavalieri tirreni; la citazione sembra qui riconoscere una uniformità psicologica tra l’eroina epica e Tommaso, accomunati da analoga prontezza di spirito A 3,185 e 187 Giovenco ricolloca la locuzione virgiliana in altre posizioni di verso senza intenti allusivi La sola clausola talia fatur, impiegata dai maggiori poeti esametrici (conta 12 occorrenze in Virgilio, 1 in Valerio Flacco, 2 in Silio Italico), è poi altrove utilizzata dal poeta prevalentemente per le parole di Gesù (3,238 384 662) e solo in due casi per quelle di figure minori: Giovanni Battista (1,348) e Caifa (4,550) 332 totiens quod gens Iudaea minatur Poinsotte, p  173 e n  643, sostiene che con l’inserimento di questa sezione testuale Giovenco evochi il rischio concreto di proselitismo esercitato sui cristiani da parte della comunità giudaica del suo tempo e che faccia allusione a precise rappresaglie e intimidazioni a opera dei Giudei durante le persecuzioni cristiane delle epoche precedenti; di tali persecuzioni parla anche Cypr epist 59,2 nam et gentiles et Iudaei minantur et haeretici atque omnes, quorum pectora et mentes diabolus obsedit Mi sembra comunque che il riferimento sia piuttosto vago per potervi cogliere un’allusione storica di tipo attualizzante, soprattutto alla luce dei testi evangelici e neotestamentari in genere, in cui l’ostilità giudaica nei confronti di Gesù e dei discepoli è tratto ricorrente Quattro volte su cinque il nesso Iudaea gens è nel libro quarto (vv  337 Iudaeae gentis proceres carique propinqui; 592 tu rex Iudaeae gentis, quod dicitur, astas? e 647 s tum genibus nixi regem dominumque salutant / Iudaeae gentis), una volta nel primo (v  1 rex fuit Herodes Iudaea in gente cruentus) 332* haec ait et Christo cuncti praeeunte sequuntur Il verso, tràdito da tutti i testimoni analizzati da Hansson, p   83, a eccezione di C S Mp P C2 Mb P3 Am C3 Ca, è accolto nel testo da Arevalo e Knappitsch Huemer in un primo momento ne aveva sostenuto la paternità giovenchiana (Beiträge, pp  82 s ), salvo poi contrassegnarlo con un asterisco nella sua edizione vindobonense, come Marold prima di lui Nella recensione alla edizione huemeriana Petschenig, p  138, tenta di difenderne l’autenticità sulla base di una contiguità strutturale con 4,480 circa discipuli Iuda fugiente sequuntur; la somiglianza è evidente, per quanto al v  332* ci si aspetterebbe, dopo il predicato verbale della frase principale, un accusativo piuttosto che un ablativo assoluto, che trova comunque un precedente poetico in Val Fl 7,348 te ducente sequor Dall’analisi linguistica non affiorano evidenti deroghe all’usus giovenchiano, come appare fin dalla formula incipitaria di impronta epica spesso utilizzata dal parafraste in relazione alle parole dei personaggi biblici (cfr infra, nota al v  358); anche

Commento

233

se mai altrove attestato nel poema, il verbo praeire si può comunque accostare ad analoghe forme composte di verbi di moto usate nella parafrasi per indicare il cammino di Cristo che precede i discepoli in qualche luogo, come nel caso di praecedere (v  4,762 inque Galilaeam laetum praecedere terram) e praeuenire (4,465 s praeueniam uestrosque choros … / … Galilaeae … per rura docebo) Ciononostante, rimane l’impressione che il verso sia «pedantisch», secondo la definizione di Heinsdorff, Der interpolierte Ju­ vencus, p  168, che nota come in ben tre versi consecutivi si ripeterebbe il riferimento al viaggio verso Betania, già richiamato nell’esortazione di Cristo prima (v  330 prope­ remus) e in quella di Tommaso poi (v  331 pergamus) Si aggiunga poi la ripetizione di ait, presente già a v  330, in stridente contrasto con la tendenza dello Spagnolo a una ricorrente uariatio lessicale Questi aspetti, uniti al fatto che nella Vorlage giovannea non vi sia alcun referente testualmente o concettualmente affine, revocano in dubbio l’autenticità dell’esametro 333–357 Arrivo di Gesù a Betania e dialogo con Marta Cfr Ioh 11,17–27: 17 Venit ergo Iesus et inuenit eum quattuor dies iam in monumento habentem 18 Erat autem Bethania iuxta Hie­ rosolyma quasi a stadiis quindecim 19 Multi autem ex Iudaeis uenerant ad Martham et Mariam, ut consolarentur eas de fratre 20 Martha ergo ut audiuit, quia Iesus uenit, occurrit illi. Maria autem domi sedebat 21 Dixit ergo Martha ad Iesum: Domine, si hic fuisses, frater meus non esset mortuus. 22 Sed nunc scio, quia quaecumque petieris a Deo, dabit tibi Deus 23  Dicit ei Iesus: Resurget frater tuus 24 Dicit ei Martha: Scio, quia resurget in resurrectione in nouissimo die. 25 Dixit ei Iesus: Ego sum resurrectio et uita; qui credit in me, etiamsi mortuus fuerit, uiuit. 26 Et omnis, qui uiuit et credit in me, non morietur in aeternum. Credis hoc? 27 Ait illi Martha: Utique, Domine, ego credidi, quia tu es Christus, filius Dei, qui in hunc mundum uenisti («Venne dunque Gesù e lo trovò che stava nel sepolcro già da quattro giorni Betania distava da Gerusalemme all’incirca quindici stadi Molti Giudei erano venuti a consolare Marta e Maria per il loro fratello Appena Marta sentì dell’arrivo di Gesù gli andò incontro Maria invece se ne stava seduta in casa Marta disse a Gesù: Signore, se fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto Ma ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, Egli te la concederà Le rispose Gesù: Tuo fratello risorgerà Allora Marta: So che risorgerà nell’ultimo giorno, alla risurrezione Replicò Gesù: Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se è morto, vive E chiunque vive e crede in me non morirà in eterno Tu credi questo? Gli rispose Marta: certamente, Signore, io ho creduto che tu sei il Cristo, il figlio di Dio, che sei venuto in questo mondo») Nella resa del versetto 17 c’è solo un cambio di termini nell’attacco (uenit ergo Ie­ sus ~ Iuvenc iamque aderat Christus, v  333); la continuazione subisce una modifica nella struttura della frase: il soggetto è quarta dies (~ quattuor dies) e il participio sepulto compendia eum … in monumento habentem (vv  333 s ) I vv  334 s , privi di un referente biblico, rappresentano con enfasi drammatica il grande dolore che affligge le sorelle di Lazzaro La precisazione geografica sulla distanza di Betania da Gerusalemme (ver-

234

Commento

setto 18) è omessa I ‘molti Giudei’ di Ioh 11,19 si riducono nel poema (v  337) ai soli notabili (multi … ex Iudaeis ~ Iudaeae gentis proceres) e ai familiari (carique propinqui); uenerant è ripreso da conuenere; l’eliminazione di ad Martham et Mariam è compensata dall’avverbio illuc; la finale ut consolarentur eas de fratre diventa un’espressione che indica piuttosto il cordoglio formale (solacia debita dantes, v  336) Ai vv  338 s , ove compare per la prima volta il nome di Marta (Martha ergo ~ Iuvenc sed Martha), troviamo quasi identico il primo periodo del versetto 20: ut audiuit ~ audito; la dichiarativa quia Iesus uenit si trasforma in una infinitiva il cui soggetto è Christum, al solito in sostituzione di Iesus; occurrit illi ~ cucurrit obuia; al v  339 non è nominata Maria, che il poeta definisce maestam … sororem Giovenco, seguendo Giovanni, fa pronunciare a Marta il rimprovero a Gesù, ma da lontano (et procul); taglia l’incipit del versetto 21 (dixit ergo Martha ad Iesum) e modifica le parole della donna: Domine è omesso; si hic fuisses diventa o utinam praesens … nobis / adforet (vv  340 s ), che ha come soggetto non più il tu sottinteso del modello, ma uirtus tua, cioè la divina potenza del Cristo che rende possibile il miracolo (sempre uirtus è il soggetto di morti fratrem rapuisset acerbae, ancora un congiuntivo desiderativo in luogo dell’apodosi frater meus non esset mortuus) Il v  342 spiega il motivo della convinzione di Marta, con cambiamenti sintattici rispetto alla fonte (versetto 22): sed nunc scio, quia è reso dall’impersonale certum est, che regge l’infinitiva tibi posse uenire; a quaecumque petieris corrisponde quicquid poscis; manca ogni riferimento alla figura di Dio Padre (a Deo, dabit tibi Deus) Il v  343 (quam Dominus tali solatur uoce gementem) è un’amplificatio del sintetico dicit ei Iesus, in apertura del versetto 23 A questo punto Giovenco inserisce l’intero v  344, un’esortazione alla donna a darsi coraggio (robustam mentem, mulier, uirtute resume), e dilata, a v  345, il biblico resurget frater tuus tramite un’espressione che insiste sul concetto di ‘luce della vita’; con il predicato surget riprende poi la forma composta resurget dell’ipotesto, di cui recupera il prefisso re- mediante l’aggettivo recidiua esprimente in modo compiuto l’idea del ritorno Ai vv  346 s la replica di Marta (Ioh 11,24) si espande in una confessione di fede nella risurrezione escatologica: dicit ei Martha ~ Iuvenc et mulier; l’avverbio certe esprime il senso di scio, quia; in resurrectione è eliminato, e la voce verbale resur­ get è ripresa nella forma non composta surgent, con l’additio di in munera uitae e con un nuovo soggetto, che indica l’universalità dell’evento (mortales cuncti); ueniet cum terminus orbi è una perifrasi esplicativa di in nouissimo die Le parole centrali di Cristo sulla risurrezione, versetto 25, sono introdotte da Giovenco al v  348 con una formula solenne (Christus item sancto depromit pectore uocem), a fronte dell’asciutto dixit ei Iesus del Vangelo Data l’importanza teologica della dichiarazione, il v  349 (en ego sum clarae uobis reparatio uitae) è molto aderente all’ipotesto, almeno sul piano concettuale (ego sum resurrectio et uita): di nuovo registriamo il pronome uobis a specificare i beneficiari della futura risurrezione annunciata da Cristo e l’aggettivo clarae appartenente al vocabolario della luce caro all’autore, qui indicante la vita dei risorti (cfr supra, nota al v  345) Dal momento che in 4,31 con l’espressione reparatio vitae Giovenco parafrasa il solo termine resurrectio di Matth. 22,30, Deproost, La résurrection, pp  136 s e n  32,

Commento

235

ritiene che clarae … reparatio vitae non renda la formula Ego sum resurrectio et uita ma quella abbreviata Ego sum resurrectio, ben attestata prima del IV secolo (Cypr mort  21) e anche successivamente, come dimostrano, per es , le testimonianze di Paul Nol epist. 13,25 e Aug in euang. Ioh. 49,14 (cfr Metzger, p  396; Royse, pp  148–152); tuttavia, la presenza della formula più lunga nella gran parte dei testimoni della VL lascia pensare che sia essa, almeno in questo punto, il modello di riferimento Al v  350 in me qui credit è un calco di qui credit in me; etiamsi mortuus fuerit, uiuit riceve invece un ampliamento retorico ai vv  350 s (mortem deponere sumptam / et uitam poterit iugi conponere saeclo) Il versetto 26 (et omnis, qui uiuit et credit in me) è ripreso ai vv  352–354: simile è il soggetto (et omnis, qui ~ Iuvenc at quicumque); la perifrasi fidem … sumet rimpiazza credit, senza in me; uiuo sub pectore è una adiectio in cui l’aggettivo è esito del verbo corradicale presente nel modello Giovenco adotta il topos poetico dei limina mortis, con il classico epiteto horrida, e, come nota Deproost, La résurrection, p  137, banalizza la formula biblica non morietur in aeternum, teologicamente basata sulla nozione di eternità, nell’avverbio non umquam, ricavato dal linguaggio poetico romano La domanda rivolta a Marta al v  354 è una riscrittura fedele del modello (credis ~ Iuvenc si credis; hoc ~ istaec), solo meno sintetica (si noti l’aggiunta del vocativo Martha e del complemento puro de pectore) La prima parte del versetto 27 introduce la battuta e occupa il primo emistichio 355 (ait illi Martha ~ illa dehinc) Segue la confessione di Marta sulla divina filiazione di Cristo: mancano utique e Domine; l’atto di fede (ego credidi) è assolto da una più ampia perifrasi (haec una fides mea corda tenebit); la dichiarativa si protrae nei vv  356 s , con delle variazioni nella sintassi e con un’insolita ridondanza: filius Dei è ora sublimis ueneranda Dei … / … suboles; Christus è inglobato come specificazione in caelestis … celso sub nomine Christi, e la nozione di ‘venire’ (qui in hunc mundum uenisti) è recuperata attraverso quod uenerit in te 333–337 L’atmosfera di cupo dolore della casa di Lazzaro è dipinta mediante le allitterazioni e la ripetizione dei suoni duri s e t (fuerat sed forte sepulto / … dies, mersasque … de morte, vv  333 s ; luctus lacrimosaque tecta tenebant, v  335; debita dantes, v  336; proceres … pro­ pinqui, v  337), l’omeoteleuto e le assonanze forte / morte (vv  333 s ) e gli omeottoti ade­ rat … fuerat (v  333), che lega la morte dell’amico alla lontananza di Cristo, e atris … tenebris (v   334) Cfr Donnini, L’allitterazione, pp   152–54 Deproost, La résurrection, p  135 e n  23, coglie nella rappresentazione del lutto «une émotion plus païenne que chrétienne devant l’obscurité de la mort» e richiama analoghe descrizioni virgiliane: lo sconforto della casa di Priamo ad Aen 2,486–88 (at domus interior gemitu miseroque tumultu / miscetur penitusque cauae plangoribus aedes / femineis ululant) e di quella di Enea ad Aen 2,679 (talia uociferans gemitu tectum omne replebat); la clausola del v  335 (tecta tenebant) varia la iunctura virgiliana di Aen 2,757 (tectum … tenebant), che descrive la dimora di Enea conquistata dai Danai (si veda anche Stat silv 3,3,196 intra tecta tenebo)

236

Commento

333 iamque aderat Christus Una formula incipitaria analoga, con il nome proprio al nominativo in corrispondenza di cesura semiquinaria, dunque in una sede di rilievo, è in Ov met 7,404 iamque aderat Theseus Anche in Virgilio a iamque aderat segue immediatamente un nome proprio ma in altro caso (Aen 12,391 iamque aderat Phoebo ante alios dilectus Iapyx) Qui e a v  236 Giovenco ricorre a questo sintagma, molto diffuso nella poesia esametrica classica (Val Fl 1,255; 5,273; Sil 2,188; 5,306; 11,191; 13,705) per introdurre eroi e divinità, in riferimento alla figura del Signore; in 1,105 se ne serve invece per annunciare il compiersi del tempo a proposito della nascita di Cristo fuerat sed forte L’anastrofe contribuisce a dare peso al predicato verbale, che, delimitato tra pentemimere ed eftemimere, riecheggia in omeoteleuto l’altra voce verbale presente nell’esametro, aderat, enfaticamente piazzata in corrispondenza di tritemimere La combinazione sed forte non è precedentemente documentata nella poesia latina; dopo Giovenco (ancora 1,144; 2,244; 3,52; 4,599) se ne contano attestazioni in Cypr Gall exod 102; Sidon carm 5,126 ; Drac laud. dei 1,50; Romul 4,4 334 mersasque … tenebris Cfr Sil 12,659 mersusque profundis / … tenebris e Iuvenc 3,450 mersum tenebris poeni­ sque premebat; si veda anche Comm instr 1,24,10 mergis te in tenebris; una variante della locuzione, con il verbo composto demergo, è in Iuvenc 1,758 caecis demersa tenebris; 2,207 demergis praeceps furuis, miserande, tenebris; 4,257 tenebras demersus ad imas (su cui si veda supra, nota ad loc ) atris … tenebris La iunctura è in Tubero hist 9 [Peter, I, p   311, 6]; Ov carm frg 2,2 Blänsdorf; Sil 12,249 s Il poeta sembra avere una particolare preferenza per questa caratterizzazione delle tenebre, alla quale ricorre, variandola, anche a 1,758 caecis … tenebris; 2,207 e 4,688 furuis … tenebris de morte La locuzione de morte, che Huemer, Index, p  155, fa dipendere da luctus, assegnando alla preposizione de un valore di relazione (‘il dolore per la morte’), per Colombi, Pre­ posizioni, p  13, potrebbe invece essere in dipendenza da atris … tenebris; si tratterebbe quindi, pur partendo comunque da un valore di relazione, di uno stadio più avanzato verso il costrutto preposizionale delle lingue romanze; potremmo tradurre così: «le sorelle immerse nelle nere tenebre della morte», oppure «… nelle tenebre oscure a causa della morte» La giustapposizione di morte e tenebris in questo verso supera, secondo Roberts, Biblical Epic, p  152, il mero significato della morte fisica e carica la

Commento

237

risurrezione di Lazzaro di una connotazione soteriologica, ossia la liberazione dalla morte spirituale, anticipando il racconto della risurrezione di Cristo 336–337 Nella parafrasi di Ioh 11,19 (multi autem ex Iudaeis uenerant ad Martham et Mariam, ut consolarentur eas de fratre) Giovenco riprende la voce verbale uenerant nella sua forma composta conuenere, in cui il preverbio con (cum) è mutuato da consolarentur, espresso invece con il sostantivo corradicale solacia seguito dal nesso allitterante debita dantes (con relativo poliptoto); si aggiungano l’allitterazione sillabica e il gioco di consonanze nella locuzione proceres carique propinqui, che distingue le due diverse categorie di presenti (autorità e familiari), accorpati da Giovanni nell’imprecisato multi Per la compresenza delle componenti lessicali, è possibile un confronto con Verg Aen 11,62 s solacia luctus / exigua ingentis, misero sed debita patri (del corteo funebre che accompagnerà il corpo di Pallante verso il Pallanteo) e Stat Theb 10,11 sed dant solacia Thebis 337 proceres Il termine deriva probabilmente da proci, con cui veniva indicato il ceto dei patrizi nell’organizzazione delle classi sociali attribuita secondo la tradizione a Servio Tullio: cfr Cic orat 156 centuriam, ut censoriae tabulae locuntur, fabrum et procum audeo dice­ re, non fabrorum et procorum; Fest p  249,21 Lindsay procum patricium in discriptione classium, quam fecit Ser. Tullius, significat procerum; i enim sunt principes Il singolare è raramete attestato, cfr Ernout – Meillet, s v , p  537: «Terme archaïque, conservé seulement par la tradition littéraire» Come si vedrà, nel corso della parafrasi Giovenco adotta la parola per diverse categorie di personaggi pubblici, dai sacerdoti ai capi del popolo 338–339 Christum … cucurrit / … deseruitque domum Nuovo esempio di hysteron proteron Si notino l’allitterazione binaria del tipo AABB e l’omeottoto in corrispondenza delle due cesure semisettenarie 338 audito Christum uenisse L’ablativo assoluto con il participio perfetto singolare reggente un’infinitiva è raro nella poesia e nella prosa classiche; tale impiego, che comincia a partire da Livio e si impone nel latino tardo (LHS, II2, p  141), non è in altri passi dell’opera Hatfield, § 72, p  18, conduce un’indagine statistica sull’uso dell’ablativo assoluto in Giovenco e registra che tale costrutto occorre in tutto il poema 56 volte, di cui 41 con il participio perfetto, 10 con il participio presente e 3 con verbi deponenti

238

Commento

339 maestam … sororem Il sintagma evoca sorelle virgiliane: Anna turbata per le sofferenze di Didone (Aen 4,477) e Giuturna abbandonata sul carro dal fratello Turno, intenzionato a duellare con Enea (Aen 12,682 s ) 340–341 I versi riprendono Ioh 11,21 Domine, si hic fuisses, frater meus non esset mortuus Simonetti Abbolito, Osservazioni, p  318 e n  33, fa notare che tutte le volte che in questo brano evangelico compare il verbo morior Giovenco adatta la riscrittura o allo stato d’animo di Marta e di Maria, come in questo caso e ai vv  367 s (si mihi germanum potuisses uise­ re uiuum / Lazarus haut poterat durae succumbere morti ~ Ioh 11,32 Domine, si esses hic, non esset mortuus frater meus), oppure alla potenza vivificatrice di Cristo (Ioh 11,25 s dixit ei Iesus: Ego sum resurrectio et uita; qui credit in me, etiamsi mortuus fuerit, uiuit. Et omnis, qui uiuit et credit in me, non morietur in aeternum. Credis hoc ~ 4,350–54 (in me qui credit, mortem deponere sumptam / et uitam poterit iugi conponere saeclo. / At quicumque fidem uiuo sub pectore sumet / horrida non unquam continget limina mortis) Il desiderio formulato dalla sorella di Lazzaro (O utinam praesens uirtus tua nobis / adforet) rispecchia quello con cui Didone, nell’accogliere i Troiani nella sua reggia, auspica che anche Enea, scampato al naufragio, possa essere lì al sicuro (Verg Aen 1,574 s atque utinam rex ipse Noto compulsus eodem / adforet Aeneas!); un ulteriore tentativo del poeta di sovrapporre, attraverso riecheggiamenti e richiami intertestuali, il protagonista del suo epos a quello dell’Eneide 340 et procul: «O …» L’espressione incipitaria deriva da Verg georg 4,353 ed Aen 2,42 Gli et iniziali negli Euangeliorum libri sono 142, se si esclude 3,410 in cui la congiunzione è u. l., e di questi 25 sono seguiti da pirrichio (1,414 et uia; 505 et tua; 508 et prius; 2,24 et sine; 88 et mihi; 236 et magis; 317 et sator; 379 et sibi; 591 et pecus; 634 et mala; 712 et tamen; 734 et maris; 3,31 et sine; 536 et tua; 555 et sua; 4,340 et procul; 474 et prius; 529 et patris; 601 et fuit; 615 et crucis; 623 et genus; 625 et crucis; 652 et crucis; 673 et crucis; 749 et niuis) O utinam La locuzione è in Properzio, Ovidio, Lucano, Stazio e Valerio Flacco; non la usa Virgilio Esempi di iato in Giovenco sono ancora 1,26 272; 4,427; dubbio, come si è visto, è il caso di 4,14 Il valore esclamativo della interiezione è accresciuto dall’avverbio utinam, dal parafraste usato solo in questo passo praesens uirtus Il poeta impiega il participio praesens con valore aggettivale in luogo del verbo sum dell’ipotesto, che viene però ripreso in enjambement attraverso la forma composta adfo­ ret (v  341), per mettere in evidenza la figura del Salvatore, nel quale Marta crede In

Commento

239

ThlL X2 839,55 ss il nesso giovenchiano, riferito alla potenza guaritrice di Cristo, viene confrontato con l’analoga formulazione riferita a Dio Padre da Min Fel 32,4 in mundi omnibus motibus uirtutem eius semper praesentem aspicimus, cum tonat uirtus tua nobis Clausole atipiche formate da monosillabo (oppure finale lunga e in tempo forte di parola bisillabica o trisillabica) + bisillabo (pirrichio) + bisillabo (1 + 2 + 2) ricorrono in Giovenco 16 volte; nel libro quarto si chiudono in maniera analoga i vv  532 (en ego uo­ bis); 778 (sed manus amens) e 806 (haec mihi saecli); cfr Flammini, La struttura, p  287 341 morti … acerbae Giuntura convenzionale anche in prosa (Cic Rab. perd 14; fam 11,28,4; 4,12,2; Nep Cim 4,4; Liv 7,1,9; Sen dial 6,16,4; Quint inst 6 prooem 4; Apul met 7,27) Una interpretazione della parola acerbus nei testi letterari e nelle iscrizioni metriche (in cui assume sempre un senso specialistico, riferendosi alla morte prematura) secondo la teoria della metafora contemporanea è offerta da Fernández Martínez, pp  313–337 342 In Ioh 11,22 (sed nunc scio, quia quaecumque petieris a Deo, dabit tibi Deus) per due volte viene menzionato il nome di Dio, omesso invece nella parafrasi, forse per far risaltare il ruolo di salvatore e mediatore assegnato a Cristo Il poliptoto e l’allitterazione (po­ scis … posse) sottolineano la fiduciosa speranza di Marta, certa che il Padre esaudirà ogni richiesta del Figlio tibi … uenire Venire equivale a euenire, fieri oppure a contingere, come spesso nel poema insieme con il dativo: 1,66 subolem mihimet  … uenire; 676 quae cupitis uobis  … benefacta uenire; 761 s tibi … / … ueniet fructus; 2,229 populis ueniant … munera; 3,190 s ueniant tibi … / praemia Flieger, p  44, sostiene che locuzioni di questo tipo denuncino la preferenza di Giovenco per i verbi semplici rispetto a quelli composti 343 solatur … gementem Gesù è presentato nella veste di consolatore; solor, un hapax del poeta, ripercorre motivi biblici: nel NT il verbo greco παρακαλέω è impiegato per indicare la consolazione che si attua per mezzo della salvezza divina e per mezzo dell’azione amorevole di Cristo; Dio stesso viene indicato come consolatore in II Cor 1,3–7 Nel Vangelo di Giovanni (14,16) è Gesù che si definisce implicitamente come paraclito (παράκλητος) e così viene qualificato in I Ioh 2,1; altrove il riferimento è invece allo Spirito Santo (ancora Ioh 14,16 e 15,26) Cfr in generale Spurgeon, passim, e Stählin, pp  653–654

240

Commento

344 robustam mentem, mulier … resume L’aggiunta del v  344 prepara all’annuncio della risurrezione di Lazzaro e drammatizza il racconto; la rassicurante esortazione di Cristo è espressa mediante allitterazioni intrecciate a chiasmo e la ripetizione della lettera m; il nesso robustam mentem, che rimanda alla saldezza di spirito, è anche a 2,758 (qui firmo robustam pectore mentem / … constabilistis), dove è riferito alla capacità dei discepoli di accogliere il mistero del regno dei cieli; ma si vedano anche le parafrasi di Matth 17,21 hoc autem genus non eicitur nisi per orationem et ieiunium, che a 3,379 s diventa nam genus hoc morbi preci­ bus sine fine fidesque / multaque robusti ieiunia pectoris arcent e di Matth 21,22 et omnia quaecumque petieritis in oratione credentes accipietis, che a 3,672 s diventa et quaecumque fides robusto pectore poscet, / credentum semper digna virtute tenebit (al riguardo Lubian, Teaching, p  44, n  94) Il concetto viene riformulato in termini analoghi più avanti al v  383 345 Lazarus … uitae … in lumina surget Senza alcuna ambiguità, questa volta Gesù annuncia effettivamente la risurrezione dell’amico, promessa in maniera allusiva a v  322 Le parole chiave sono posizionate in punti di rilievo dell’esametro: Lazarus è in incipit, uitae in corrispondenza di cesura pentemimere, il verbo in clausola Una qualche suggestione sul verso giovenchiano avrà esercitato Verg Aen 7,770–773 tum pater omnipotens aliquem indignatus ab um­ bris / mortalem infernis ad lumina surgere uitae, / ipse repertorem medicinae talis et artis / fulmine Phoebigenam Stygias detrusit ad undas; qui il padre onnipotente si indigna che Ippolito-Virbio, un mortale (come mortale è, appunto, Lazzaro), possa risorgere dalle ombre dei morti alla luce della vita grazie alle erbe peonie e alle cure di Diana; l’intertesto, pur nel capovolgimento di prospettiva in chiave cristiana, con la strategica sostituzione di Cristo alla divinità pagana, contribuisce anche a semplificare in qualche modo il complesso concetto di risurrezione attraverso il linguaggio dell’epica più familiare al pubblico romano Anche nel testo virgiliano, tra l’altro, l’immagine della luce della vita è in antitesi con quella delle tenebre della morte, che nella parafrasi viene proposta a v  334 Il verso giovenchiano ha invece ispirato le successive imitazioni dello Ps Claudiano (carm. min. app 21,11 Lazarus e tumulo Christo inclamante resurgit) e di Elpidio Rustico (hist testam 70 Lazarus hic iterum proiecta morte resurgit) uitae … lumina Più in generale, il nesso lumen/lumina uitae, frequentemente adoperato negli Euan­ geliorum libri (2,206; 4,442 734 756), appartiene già alla poesia esametrica latina e si trova in contesti riguardanti la caducità della vita umana (Cic carm. frg 25,1 Blänsdorf; Lucr   1,227; 3,849 1042; 5,989; Verg Aen 6,828) Röttger, pp   87 s , e Heinsdorff, pp  154 s , rintracciano precedenti biblici e patristici, in cui la metafora della luce legata a Dio Padre e Gesù è associata alla risurrezione dei corpi e alla vita, soprattutto alla vita nuova acquisita mediante il battesimo, oppure alla conoscenza: psalm 55,13 eripuisti

Commento

241

animam meam de morte … ut placeam coram Deo in lumine uiuentium; Vulg Iob 33,30 reuocet (scil Deus) animas eorum a corruptione et inluminet luce uiuentium; Ioh 1,4 in ipso (scil Deo) uita erat, et uita erat lux hominum; 8,12 qui sequitur me … habebit lumen uitae; Cypr sent. episc 22 censeo … haereticos baptizandos esse, cum ad ecclesiam uenire coeperint, et sacra et diuina lauatione lotos et in lumine uitae inluminatos non hostes sed pacificos, non alienos sed fidei Domini domesticos, non adulteros sed Dei filios, non erroris sed salutis effectos in ecclesiam recipi; Arnob nat 2,2 et non in cunctos et lumen praetenderit uitae et periculum ignorationis amouit (scil Christus)? recidiua L’attributo potrebbe qui dipendere direttamente dall’uso virgiliano, dato che nell’Enei­ de esso compare per ben tre volte riferito a Troia che rinasce (Aen 4,344; 7,322; 10,58, su cui la spiegazione di Serv ad loc illud solum recidiuum dicimus quod postea nascitur: unde modo recidiua Pergama dixit quae renouantur ab his qui sunt superstites Troianis pe­ riclis e in generale di Char gramm I 99 Keil rediuiua dicimus, quae post interitum redeunt, recidiua, quae ex suo usu restituuntur; cfr anche Sen Tro 472, che dipende probabilmente da Virgilio, e Sil 1,106, a proposito dei Romani associati ai loro antenati troiani); in senso figurato viene usato nella prosa cristiana, per es in Tert resurr. 12,6 uniuersa conditio recidiua est e adv. Marc 4,25,15 sed quia et mortui iam suscitabantur a Christo, et suscitatus ad spem aeternae uitae per exempla recidiuae […] ne plus aliquid obseruationis exigeret sublimior spes, idcirco consuluit de aeternae uitae consecutione (cfr Blaise, p  699); per la risurrezione del figlio della vedova di Nain, dunque ancora per un miracolo di Cristo, se ne serve poi Sedulio (carm. pasch 4,140 deponens trepidum recidiuo tramite luctum); interessante l’ulteriore attestazione di Claud carm. min 27,66 recidiuus san­ guis e Coripp Iustin 1,350 a busto recidiua suo, in cui si allude alla fenice che risorge dalle proprie ceneri Sulla base di questi numerosi riferimenti si può anche avvalorare la genuinità della lezione recidiua contro la variante rediuiua, più scontata; una simile alternanza si trova del resto anche nella tradizione manoscritta dei succitati luoghi di Virgilio (Aen 10,58), Seneca e Silio Italico 346 surgent in munera uitae Sulla sfumatura finale del costrutto, cfr infra, nota al v  456 La stessa clausola (nella poesia esametrica il plurale poetico munera costituisce spesso il dattilo quinto), usata da Giovenco anche in 2,229 769 e in cui uitae ha funzione di genitivus inhaerentiae o identitatis (cfr Heinsdorff, p  190), è in Sil 14,177; Mart 3,6,5; Carm laud. Dom 24, e spesso nella successiva produzione poetica tardolatina L’immagine metaforica refluisce nella letteratura cristiana caricandosi di ulteriori implicazioni teologiche legate sia all’idea, già classica, della vita come un dono, di cui l’uomo in qualche modo è debitore, sia, soprattutto, al motivo della vita eterna, come emerge da numerosi esempi in poesia (Paul Nol carm 32,227 uenturae m. u.; Arator act 1,591 aeternae … m. u. e 1,845 perpetuae … m. u.) e in prosa (Hil in Matth 14,7 sub peccatis enim et saeculi uoluptatibus

242

Commento

Israelitae uitae aeternae munera uendiderunt; Ambr in Luc 6,104 propter munera lucis et uitae; exc. Sat 2,80 uident signa mortis et uitae munera; Aug epist 153,7 largissima munera uitae ac salutis) 347 ueniet cum terminus orbi Il sintagma in nouissimo die del versetto 24, che si riferisce al giorno del giudizio, è reso con una perifrasi molto simile a quella impiegata dal poeta a 2,456 (ueniet mundo cum terminus omni) per parafrasare l’espressione in die iudicii di Matth 10,15 348 sancto depromit pectore uocem Si può confrontare con Enn ann 553 Skutsch effudit uoces proprio cum pectore sancto, che, come nota l’editore, introduce probabilmente un discorso di Giove, per quanto il contesto sia incerto In poesia il petto dei personaggi viene spesso qualificato con l’epiteto sanctus (Lucr 2,1093, degli dèi; Ciris 274, della nutrice di Scilla; Lucan 9,17, di Bruto), che qui assume una valenza squisitamente cristologica (a Dio creatore farà riferimento, con vocabolario molto simile, Cypr Gall gen 242 sancto permotus pectore fatur) Rodríguez Hevia, p  260, colloca l’espressione depromit … uocem tra le formule di transizione in cui l’elemento significativo è quello nominale; la voce verbale, cioè, per il suo significato, non potrebbe avere qui una sua autonomia; solo grazie all’accusativo uocem acquista una funzione introduttiva, che non ha mai nell’epica classica; si veda successivamente Cypr Gall exod 646 mordaces populum fecit depromere uoces Una sua forza espressiva ha l’ablativo pectore, metonimicamente inteso come la sede dei sentimenti, ulteriore rimando alla sfera emotiva del Signore; si noti che nel giro di sette versi (348, 352 e 354) il vocabolo è ripetuto per ben tre volte La clausola, impiegata anche al v  366, con alternanza di singolare e plurale del termine al 6o piede, trova una larga diffusione a partire da Catull 64,125 202 e poi spesso in Virgilio (Aen 1,371; 3,246; 5,409 482; 11,377 840; annotazioni al riguardo in Fratantuono-Alden Smith, Ae­ neid 5, p  439) 349 en ego sum Lo stesso attacco deittico presenta anche a 3,109 le parole del Salvatore che proclama ai discepoli la propria natura divina (en ego sum, uestrae doctorem noscite lucis) La formula incipitaria, raffrontabile in poesia con en ego cum di Tib 1,2,25; Ov met 14,33 e trist  3,7,45 e, benché in altra posizione di verso, con Pont 4,15,19 s tam tuus en ego sum, cuius te munere tristi / non potes in Ponto dicere habere nihil, viene ripresa a proposito di una asserzione identitaria di Cristo anche da Venanzio Fortunato (Mart 2,310 en ego sum Christus, tecum qui consero uoces) reparatio uitae Cfr supra, nota al v  31

Commento

243

350 in me qui credit La costruzione di credere + accusativo della persona o in e accusativo è prevalentemente postclassica e cristiana (ThlL IV 1148,31–1149,6), favorita dall’influsso del modello gr πιστεύειν ἐν/ἐπί (nel NT anche εἰς), a sua volta esemplato su forme ebraiche Secondo Schrijnen-Mohrmann, I, p  129, tale struttura specifica nell’uso cristiano la fede in Dio e in Cristo, mentre la variante classica con il dativo mantiene il significato di ‘fidarsi di’ Credere è parola ad alta frequenza nell’opera (54 casi) a fronte delle 11 attestazioni di Matteo, le 16 di Marco e le 12 di Luca; in Giovanni se ne contano invece ben 95 In Giovenco l’impiego prevalente del verbo è relativo alla professione di fede in Cristo (4,52 317 350 354 364 382 389 400 453 554 680 682) 350–351 mortem deponere sumptam / … iugi uitam conponere saeclo Due perifrasi rendono i concetti di morte e di vita di Ioh 11,25 (etiamsi mortuus fuerit, uiuit): nel primo caso la locuzione mortem … sumptam (in antitesi con deponere; la iunctura è pure in Alc Avit carm 6,225 sumptam nostro pro crimine mortem), usata con qualche variazione anche a 4,36 sumere mortem e 475 mortem … sumere, in alternativa a morior del modello; nel secondo l’espressione uitam … conponere, attestata anche in Rut Nam 1,161 Attraverso l’aggiunta di iugi … saeclo il poeta chiarisce che la vita di cui parla Gesù non è temporanea ma eterna Il parallelismo valorizza l’opposizione: le parole mortem e uitam sono in tempo forte e gli infiniti deponere e conponere, con prefissi antitetici, occupano la stessa posizione esametrica 351 poterit Il futuro gnomico di posse (su cui vd Kühner-Stegmann, I, p  143; LHS, II, p  310) è molto frequente, data l’adattabilità del servile a dichiarazioni di tono generale (SchrijnenMohrmann, II, p  28) Negli Euangeliorum libri la forma poterit si trova a 1,29 628; 2,553 352 fidem Presso gli scrittori cristiani, che usano il termine fides per tradurre il greco πίστις, il vocabolo riacquista il significato religioso affievolitosi nel tempo; cfr Fraenkel, pp  187– 199; Heinze, Fides, pp  40–166 uiuo sub pectore Tra sub pectore e in pectore in Lucrezio e Virgilio Lamacchia, pp  66 ss , riscontra una maggiore carica affettiva nella prima forma, preferita da Giovenco (2,493 697; 3,528) rispetto alla seconda (2,340) Colombi, Preposizioni, pp  20 s , suggerisce di accostare quest’impiego ai casi di per più accusativo, per indicare la diffusione di un sentimento lungo le parti del corpo, o di de più ablativo per esprimere la provenienza del sentimento Per la stessa iunctura, cfr Claud carm. min 53,21

244

Commento

353 limina mortis Clausola di Stat silu 4,6,104, che varia limina leti di Lucr 6,1208 354 si La particella introduce altrove l’interrogativa indiretta (3,414 434 593; 4,554) L’adozione di si in luogo di num o an risente del sermo cotidianus e si trova in tutta la latinità; cfr in generale Kühner – Stegmann, II2, p  426; LHS, II2, p  464; per quanto riguarda il latino tardo e le versioni bibliche, in cui questa tendenza prende maggiormente piede, si vedano Löfstedt, Peregrinatio Aetheriae, p  327; Svennung, Untersuchungen, p  514; Väänänen, p  277; Rönsch, pp  403 s puro de pectore La locuzione, in cui de è ridondante, a meno che non stia a indicare la provenienza (‘dal cuore’), ha valore modale (‘con cuore puro’) Cfr Lucr 5,18 non poterat sine puro pectore uiui 355–357 La resa del versetto 27 ricorre a effetti retorici miranti a enfatizzare l’incrollabile fede di Marta che proclama la divinità di Cristo: l’accumulo di attributi (haec una … mea, v  355; sublimis ueneranda, v  356; caelestis … celso, v  357); le allitterazioni (e l’insistenza su alcune sonorità) ueneranda … uenerit (v  356) e sublimis … / caelestis suboles celso sub … Christi (vv  356 s ), qui secondo uno schema a ricorrenza alterna s-c; l’omeoteleuto in cesura delle due forme aggettivali sublimis  / caelestis, ugualmente in sede incipitaria in due stichi consecutivi; l’identità di caso per i nomi di Dio e di Cristo, a indicare lo stretto rapporto di paternità e figliolanza; l’iperbato a cornice del v  357 (caelestis … Christi) Si veda anche Donnini, L’allitterazione, pp  153 s 355 illa dehinc In apertura di verso anche a 1,80; 2,291 e 822 356–357 ueneranda … / … suboles Gesù è designato con questo appellativo anche a 4,672 Il gerundivo ueneranda con valore aggettivale è noto fin da Virgilio (georg 3,294 ueneranda Pales e Aen 9,276 uene­ rande puer; cfr Hatfield, § 86, p  20, e OLD, s. v., p  2027) Gli altri epici riferiscono il gerundivo a concetti astratti, a cose, a persone e a divinità (Lucan 2,530; 5,397; 7,582; 9,987; Val Fl 1,11; 5,207; Stat Theb 7,497; silv 1,1,76; 3,1,49; Sil 3,88; 6,534; 7,382; 9,293; 13,801) Giovenco lo riserva alla grazia di Dio (1,280), al lavacro battesimale (1,347), a Cristo Figlio di Dio (2,119; 3,728; 4,356 672 786), al potere di Dio e alle sue opere (4,388 684), ai prodigi di Cristo (2,146; 3,201) e alle parole di Dio (2,279 534)

Commento

245

358–368 L’incontro con Maria Cfr Ioh 11,28–32: 28 Et cum haec dixisset, abiit et uocauit Mariam sororem suam silentio dicens: Magister adest et uocat te 29 Et illa ut audiuit, surrexit cito et ueniebat ad illum. 30 Nondum enim uenerat Iesus in castellum, sed erat adhuc in illo loco, ubi occurrit ei Martha. 31 Iudaei autem, qui erant cum ea in domo, qui consolabantur eam, uidentes Mariam, quia cito surrexit et exiit, secuti sunt eam dicentes: Quia uadit ad monu­ mentum, ut ploret ibi. 32 Maria autem ut uenit, ubi erat Iesus, et uidit eum, cecidit ad pedes eius et dixit ei: Domine, si esses hic, non esset mortuus frater meus («Dopo aver detto queste parole, andò a chiamare sua sorella Maria, sussurrandole a bassa voce: Il maestro è qui e ti chiama All’udire ciò, ella si alzò in fretta e andò da lui Gesù infatti non era ancora entrato nel villaggio, ma si trovava nel luogo in cui gli era andata incontro Marta Allora i Giudei che erano in casa con lei e la consolavano, nel vedere che Maria si era alzata in fretta ed era uscita, la seguirono pensando: Va al sepolcro per piangere lì Maria, appena giunse nel luogo dove si trovava Gesù e lo vide, cadde ai suoi piedi e gli disse: Signore, se fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto») Ai vv  358–361 è ripreso il versetto 28: l’inizio è simile (et cum haec dixisset ~ Iuvenc Haec ait), abiit è reso da interiora petit; a uocauit corrisponde il participio futuro mo­ tura, che ha un valore finale, mentre l’ablativo cursu, aggiunto, suggerisce l’idea della fretta; Mariam sororem è lasciato ma senza il possessivo suam; dicens è sostituito da admonuit (v  361); le due coordinate principali diventano infinitive (magister adest ~ uenisse magistrum, incrementato dall’epiteto sanctum, v  359; uocat ~ uocitare; te ~ so­ rorem, ampliato da luctu oppressam, che enfatizza il peso del dolore, v  360); silentio è quasi glossato tramite la locuzione tacito designans omnia nutu del v  361 Il versetto 29 è riscritto al v  362: ut audiuit ~ audito, con il riferimento al nome del Cristo (nomine Christi); la prontezza del gesto di Maria è pienamente restituita al primo emistichio da prosilit illa foras Il versetto 30 con i suoi dettagli geografici è tralasciato, mentre quello successivo, il 31, è sviluppato, con qualche taglio, ai vv  363 s : diversamente dal Vangelo, Giovenco passa sotto silenzio il fatto che i Giudei (Iudaei ~ Solymorum turba) erano in casa a consolare Maria (qui erant cum ea in domo, qui consolabantur eam), e si limita a dire che essi la seguirono (secuti sunt ~ prosequitur); pone poi l’accento sulla sofferenza della donna con il participio gementem (v  363); cambia dicentes con credentum (v  364), che comporta una diversa organizzazione sintattica e regge l’infinitiva fletus … inferre (~ ut ploret); muta ad monumentum in tumulo e soggiunge sorores La prima parte del versetto 32 trova preciso riscontro ai vv  365 s , salvo poche trasformazioni lessicali: Ma­ ria ~ Iuvenc illa; ut ~ postquam; uidit ~ conspexit; eum ~ Iesum, cui è associato l’attributo salutiferum, che presenta la funzione salvifica di Cristo; cecidit ~ procidit; ad pedes ~ ante pedes; al v  366 rumpitque hanc pectore uocem si carica di una forza espressiva più vigorosa di dixit e ha un sentore virgiliano (cfr nota ad loc ) Le parole di Maria sono riprodotte ai vv  367 s : resta il perido ipotetico, ma al dettato evangelico fanno eco articolate perifrasi (si esses hic ~ Iuvenc si mihi germanum potuisses uisere uiuuum; non esset mortuus ~ haut poterat durae succumbere morti); il nome Lazarus subentra a frater meus

246

Commento

358–361 I quattro versi rappresentano la concitazione di Marta che corre in casa a scuotere la sorella e l’avverte dell’arrivo del Maestro: l’epifora sororem insiste sulla figura della sorella assente mandata a chiamare da Gesù; l’omeoteleuto sanctum … magistrum e le voci verbali all’infinito, allitteranti e racchiuse da una coppia di aggettivo/participio, analogamente in tempo forte, più sostantivo in clausola (… sanctúm uenisse magi­ strum  /  … oppressám uocitare sororem), affiancano idealmente Maria sofferente e il Maestro consolatore; la vocale posteriore u, ripetuta con effetto di assonanza nelle tre parole bisillabe in caso ablativo (cursu … / … luctu … / … nutu) e interessata da arsi nei termini cursú, motúra, sanctúm e nútu, con coincidenza di sede esametrica per il primo e il terzo di essi, evoca un cupo senso di gravezza, la corsa ansimante della donna, la tristezza e il pianto, il cenno silenzioso che si addice a una casa in lutto 358 haec ait et Formula tradizionale negli incipit esametrici, a delimitare l’inizio o la fine di un discorso diretto, come marca dello stile epico; ampia documentazione da Virgilio all’epos mediolatino in Schumann, II, pp  478 s In Virgilio vi sono sei attestazioni (georg 4,415; Aen 1,297; 4,630; 10,285 379 444), in Lucano (1,695), Ilias Latina (575) e Stazio (Theb 2,704) una, in Valerio Flacco due (1,651; 3,521), in Silio Italico quattro (10,91 524; 13,276; 17,544); nessuna in Orazio, Tibullo, Properzio, Ovidio Frequente è altresì la forma senza et (Ov met 11,658; Ilias Latina 55 e 1028; Val Fl 7,431 e 8,195) o con altre copulative (ac: Sil 1,55; atque: Val Fl 8,54; Sil 4,81) Dodici sono le occorrenze negli Euangeliorum libri, nove con et (1,42 302 346; 3,236 353 492 584; 4,358 488), tre senza (1,214; 3,653 e 683) In otto casi il soggetto è Gesù, in uno l’angelo (1,42), in uno Dio per bocca di Simeone (1,214), in uno Giovanni Battista (1,346) e in uno Marta (4,358) Mărĭam La quantità della seconda sillaba dell’idionimo, riferito alla Vergine o alla sorella di Lazzaro, è sempre breve in Giovenco (1,53 91 133 151 184 189 208 272; 3,26; 4,399) e presso quasi tutti i poeti cristiani La forma con la penultima sillaba lunga è in Sedulio (carm. pasch 2,30 36; 4,142 280; 5,359), a eccezione di carm. pasch 2, 49; in Aratore (1,57; 2,70 298) e Venanzio Fortunato (Mart 3,459; carm 1,15,55; 1,15,57; 4,26,96; 6,5,359; 8,1,45; 8,3,25; 8,3,102; 8,3,136; 8,4,33; 10,5,8; 11,6,6), a eccezione di Mart 3,441 359 interiora petit Incipit di Iuv 6,80 361 tacito … nutu Cfr Ov am 3,11,23 tacitos inter conuiuia nutus.

Commento

247

362 audito nomine Christi Probabile eco di Verg Aen 12,697 audito nomine Turni, detto della reazione di Enea che al nome di Turno abbandona le alte rocche per apprestarsi al duello foras Diversamente che in 4,393, l’avverbio non ha referenti nell’ipotesto A eccezione di Lucrezio, gli epici classici non usano questa parola (in Virgilio è solo a ecl 8,101; in Ovidio ad am 1,12,5 e ars 2,280 521 s ), caratteristica del gergo colloquiale, come appare dalle numerose occorrenze in Plauto e Terenzio, e di casa nel latino tardo Cfr Löfstedt, Peregrinatio Aetheriae, pp  171 ss ; Väänänen, pp  197 ss ; LHS, II2, pp  276 ss Negli Euan­ geliorum libri si registra un’altra occorrenza a 3,732 362–363 Va notato il gioco allitterativo nelle due voci verbali omoprefissali in incipit (prosilit … v   362  / prosequitur  … v   363), funzionale alla rappresentazione della prontezza con cui Maria si precipita fuori della casa nell’udire il nome di Cristo e della conseguente reazione degli astanti Nel contesto prosequor acquista una particolare sfumatura di significato, in quanto è verbo specializzato per descrivere l’accompagnamento della processione funebre (ThlL X2 2187,38 ss ) L’allitterazione di determinate consonanti (r, s, t, m, n) concorre sul piano fonosimbolico all’espressione del cordoglio e dell’austerità del corteo 363 Solymorum turba La perifrasi sembra stigmatizzare la mancanza di individualità degli abitanti di Gerusalemme, quasi un insieme collettivo e amorfo Poinsotte, pp  196 s e nn 753 ss , rileva che il termine Iudaei, attestato per ben cinque volte nella pericope giovannea (11,19 31 33 36 45), viene ripreso dal parafraste solamente in due occasioni, all’inizio dell’episodio per indicare le autorità giudaiche (v  337 ~ Ioh 11,19) e alla fine per distinguere coloro che raccontano il miracolo ai farisei (v  398 ~ Ioh 11,45); secondo lo studioso Giovenco intende sottolineare che questa folla proviene da Gerusalemme, città ostile a Gesù, che a 4,78 s aveva rivolto contro di essa un duro rimprovero 364 tumulo fletus inferre sorores Giovanni fa riferimento a una sola delle due sorelle, Giovenco a entrambe; fletus in­ ferre, giuntura di nuovo conio, è quasi «offrire il pianto» come omaggio sacrificale al sepolcro; per infero nel senso di offero in contesti attinenti ai sacrifici funebri, cfr Verg Aen 3,66; 5,652; Ov met 6,569; Val Fl 3,456 e ThlL VII1 1376,14 ss La clausola inferre sorores è in Stat Ach 1,46

248

Commento

365 salutiferum … Iesum Il composto salutifer, hapax del poema, è di probabile conio ovidiano (cfr Ov met 2,642 e Bömer, ad loc , p   392; un elenco dettagliato delle attestazioni è in Sblendorio Cugusi, p   32) e, come il greco σωτήριος, un epiteto divino (Dornseiff in RE 2 R  III 1212,43 ss ) Nelle occorrenze di epoca tardoimperiale lo si trova riferito nei testi in prosa anche all’imperatore (paneg 6[7],21,6 iuuenis et laetus et salutifer imperator), ma diventa frequente nella letteratura latina cristiana per qualificare Cristo L’autore lega la forma aggettivale a Iesus quasi a glossare l’idionimo, che in ebraico vale appunto ‘salvatore’ (cfr Lact epist 37,9 ab hominibus tamen duobus uocabulis nuncupatur, Iesus, quod est Saluator, et Christus, quod est rex: Saluator ideo, quia est sanatio et salus omnium qui per eum credunt in deum e Isid orig 7,2,7 Iesus Hebraice, Graece σωτήρ, Latine autem salutaris siue saluator interpretatur, pro eo quod cunctis gentibus salutifer uenit) L’attributo è attestato anche nell’epigrafia cristiana per connotare realtà sacre connesse con la vita e con l’azione salvifica di Gesù: per es , il grembo di Maria (ILCV 976, 2 digna salutifero munera uentre tuo), il giorno di Pasqua o il giorno del battesimo (ILCV 1523 salutifero die Paschae; cfr altresì Ven Fort Mart 1,443 atque salutiferi baptismatis amne nouatur) 366 rumpitque hanc pectore uocem La formula, che descrive la commossa trepidazione di Maria, riproduce letteralmente l’hemiepes di Verg Aen 3,246: l’arpia Celeno predice ai Troiani che una volta giunti in Italia una terribile fame li avrebbe costretti a nutrirsi delle loro stesse mense Costruzioni simili si trovano ancora in Verg Aen 2,129 rupit uocem, per il discorso di Sinone, e 11,377 rumpitque … imo pectore uoces, per la reazione di Turno a Drance; una variante è l’analoga espressione usata per Didone in Aen 4,553 rumpebat pectore questus Cfr altresì Stat Theb 6,136 e 11,676 (uocem de pectore rumpit) Per la fortuna della clausola, cfr ancora supra, nota al v  348 Il riuso virgiliano assicura la genuinità del testo tràdito dalla maggior parte dei testimoni contro la variante minoritaria hac uoce dolorem (a quanto risulta, mancano tra l’altro anche paralleli per il nesso rumpere dolorem) 367–368 Maria esprime la convinzione che la sola presenza del Signore avrebbe tenuto in vita Lazzaro; il poeta potenzia il concetto con effetti retorici: il poliptoto potuisses – poterat, la clausola allitterante uisere uiuum (v  367) e l’antitesi tra le parole che chiudono i due esametri (uiuum – morti) 368 haut La negazione, assai rara presso gli elegiaci, è di casa nell’epica (cfr Axelson, pp  91 s ) In Giovenco si registra complessivamente diciotto volte (1,519 598 628 753; 2,180 197 359 382 440 812; 3,197 276 287 561; 4,295 368 372 793)

Commento

249

durae … morti L’attributo che qualifica la morte ha una sfumatura fisica e spirituale anche a 4,475 (du­ ram mortem) Il nesso ha celebri precedenti (Verg Aen. 10,791; georg 3,68; Lucan  6,772; Stat Theb 4,413) Giovenco fa da mediatore per il riuso dell’espressione da parte dell’autore dei Miracula Christi, che se ne servirà per il racconto dello stesso episodio (Ps Claud carm. min. app 21,12 et durae mortis resoluta lex) succumbere morti La clausola è una delle tante perifrasi impiegate a proposito della morte (per es , 2,747 labuntur … leto; 4,331 procumbere leto e 406 prosternere leto) e risente evidentemente di Verg Aen 2,62 (occumbere morti) 369–389 L’arrivo al sepolcro e la preghiera al Padre Cfr Ioh. 11,33–42: 33 Iesus ergo ut uidit eam plo­ rantem et Iudaeos flentes, qui uenerant cum ea, infremuit spiritu et turbauit se ipsum. 34 Et dixit: Ubi posuistis eum? Dicunt ei: Domine, ueni et uide. 35 Et lacrimatus est Iesus  […] 38 Iesus ergo fremens intra semetipsum uenit ad monumentum. Erat autem spelunca et la­ pis superpositus illi 39 Dicit Iesus: Tollite lapidem. Dicit ei Martha: Domine, iam foetet, quadriduum enim habet. 40 Dicit illi Iesus: Non dixi tibi, quia si credideris, uidebis gloriam Dei? 41 Tulerunt ergo lapidem, Iesus autem leuauit oculos suos sursum et dixit: Pater, gratias ago tibi, quia audisti me. 42 Et ego sciebam, quia semper me audis; sed propter turbam cir­ cumstantem dixi, ut credant, quia tu me misisti («Gesù allora, vedendo lei e i Giudei che piangevano, si commosse profondamente e si turbò Poi chiese: Dove lo avete sepolto? Gli risposero: Signore, vieni a vedere E Gesù scoppiò in lacrime […] Gesù dunque, ancora commosso, arrivò al sepolcro Era una grotta sbarrata da una pietra Gesù disse: Togliete la pietra! Marta gli rispose: Signore, già puzza, poiché è di quattro giorni! E Gesù: Non ti ho detto che se crederai vedrai la gloria di Dio? Tolsero la pietra; Gesù levò gli occhi al cielo ed esclamò: Padre ti rendo grazie perché mi hai ascoltato Io sapevo che tu sempre mi ascolti, ma l’ho detto per la folla che mi circonda, perché credano che tu mi hai mandato») Il versetto 11,33 si sofferma sul fremito interiore di Gesù dovuto sia alla commozione per la morte dell’amico sia alla sfiducia della donna, che fatica a credere che Egli possa realmente risuscitare Lazzaro Giovenco glissa sulla commozione dei Giudei e rappresenta la compartecipazione di Gesù al pianto di Maria; diversamente da quanto affermato da Deproost, La résurrection, p  139, n  43, Marchetti, p  95 e n  53, nota giustamente che con il termine dolor, in cui si possono condensare i due significati di tristezza e ira (ThLL V 1840,3 e 1842,17), il poeta rende infremuit spiritu et turbauit se ipsum della Vorlage e che dunque tale sentimento va attribuito a Cristo e non alla donna Il primo emistichio 370 inquirit tumuli sedem racchiude l’interrogativa del versetto 34 et dixit: Ubi posuistis eum? I vv  370 s sono dedicati alla descrizione delle membra prive di vita (quo condita nuper / membra forent animae uolucris spoliata calore) I vv  372–375 accor-

250

Commento

pano sinteticamente informazioni ricavate da più versetti Nella parafrasi alla domanda di Gesù circa il luogo della sepoltura non fa seguito la risposta dei presenti di Ioh 11,34 Domine, ueni et uide, ma un’azione immediata (haut mora demonstrant … sepulchrum, vv  372 s ); Giovenco mette in risalto la mestizia del Signore tramite la coppia flenti ma­ estoque, esito del versetto 35 (et lacrimatus est Iesus), senza cogliere la nozione di sdegno implicita nel verbo fremens del versetto 38 Dopo l’omissione dei versetti 36 e 37, che descrivono le diverse reazioni dei Giudei alla commozione del Salvatore (alcuni lo compatiscono, altri si meravigliano che egli non abbia guarito Lazzaro), la parafrasi continua dal versetto 38 con la trasformazione di monumentum in sepulchrum (v  372) e di spelunca nella perifrasi rupe sub excisa (v  373) e la ripresa del particolare della pietra che sbarra il sepolcro (vv  373 s ) Il comando di rimuovere il masso, versetto 39, è ai vv  374 s : il discorso diventa indiretto; dicit è reso con praecipit, da cui dipende moueri che riecheggia il tollite giovanneo e sottintende lapidem; c’è l’incremento dell’ablativo strumentale multo … uecte Le parole con cui Marta si oppone all’apertura della tomba, amplificate fin dalla formula iniziale con la fusione di più luoghi poetici (at Marthae talis uox uerberat auras ~ dicit ei Martha), occupano quattro versi, due (376 s ) per la resa di quadriduum enim habet e altrettanti (378 s ) per quella di iam foetet, il cui senso è espresso dal sostantivo corradicale foetorem; la realistica descrizione del cadavere decomposto mira a rendere più straordinaria la portata dell’imminente prodigio Il versetto 40 è sviluppato ai vv  380–383: l’introduzione è più ampia (dicit illi ~ Iuvenc his dictis contra depromit talia, con la consueta sostituzione di Iesus con Christus a v  380); non dixi tibi, quia diventa impersonale (iam totiens dictum est, v  381); l’infinitiva seguente è un’additio che riafferma il valore della credentum uirtus come imprescindibile fondamento della fede; nella resa dell’ultima parte del versetto Giovenco cambia i tempi verbali dal futuro al presente, quasi a significare la rivelazione imminente della gloria di Dio, e le persone dal singolare al plurale, rivolgendosi così non più ad un solo interlocutore, Marta, ma all’intera comunità dei credenti (si credideris ~ fidei si robur habetis; uidebis gloriam Dei ~ sed gloria summi / iam genitoris adest, vv  382 s ) Il versetto 41 è ripreso ai vv  384–389: apre il v  384 una formula di trapasso (haec ubi dicta dedit); l’attenzione si focalizza sull’enorme lastra di pietra che si spalanca (saxumque inmane reuulsis  / obicibus patuit, vv   384 s ), mentre l’Evangelista è più parco di dati (tulerunt ergo lapidem); al v  385 Gesù è designato come uirtus … conscia; meno rilevanti sono le altre variazioni (leuauit oculos suos ~ Iuvenc suscipit; sursum ~ caelum); al v  386 la preghiera è introdotta da una solenne clausola epica (et tali genitorem uoce precatur ~ dixit), ma le parole pronunciate da Cristo sono abbastanza simili (Pater ~ Iuvenc genitor, connotato da sancte; gratias ~ grates, incrementato da eximias; tibi ~ tibi; è esplicitato il verbo che nel Vangelo è sottinteso, fatemur, ma quia audisti me non c’è) Di Ioh 11,42 manca, al v  388, la prima frase (et ego sciebam quia), per il resto vi sono corrispondenze (semper ~ semper; me ~ me; audis ~ audis) e poche aggiunte (placidus e uenerandis auribus); il secondo blocco del versetto è fedelmente trascritto al v  389

Commento

251

(turbam [populum d f] circumstantem ~ Iuvenc populus praesens; ut credant ~ credere discat; quia tu me misisti ~ me missum) 369 Non bisogna necessariamente pensare con Poinsotte, p  196 e n  752, che il mancato riferimento al pianto degli astanti abbia lo scopo di disumanizzare i Giudei ed evidenziarne la durezza di cuore Il poeta in questo caso sembra interessato piuttosto ad altri risvolti narrativi, soprattutto alla reazione emotiva e spiccatamente umana del Signore, alla quale egli assegna uno spazio autonomo anche mediante la studiata struttura dell’esametro, che risulta incorniciato, con marcato raddoppiamento espressivo, da parole indicanti il concetto di afflizione (fletibus … dolorem) de corde dolorem De indica l’origine del dolore («dal cuore») Nel testo il verbo di provenienza rimane sottinteso, come nel caso analogo di 3,489 de pectore amorem, mentre viene espresso il sostantivo da cui dipende il sintagma Questo conferma la piena consapevolezza da parte del poeta del valore proprio della preposizione in una fase di passaggio tra l’uso regolare di de e la costruzione preposizionale del genitivo; cfr Colombi, Preposizioni, p  12 L’intera espressione chiude l’esametro di Petron frg 63,22 s Shackleton Bailey sed tua labra meo saeuum de corde dolorem / depellant (non in sintagma in Sil 6,86); corde dolorem con o senza preposizioni è nelle clausole di Verg Aen 1,209; Stat Theb 1,249; 9,824; silv 5,1,201 370–371 tumuli sedem, quo condita … / membra forent Anche attraverso gli accostamenti lessicali il poeta stabilisce un parallelismo tra la morte di Lazzaro e quella di Gesù, presentando il miracolo di Betania come anticipo della risurrezione Dall’analisi comparativa di questo passo e di 4,758 s (uisere iam uobis lici­ tum est, quod sede sepulchri / nulla istic iaceant, fuerant quae condita membra) riguardante la Passione di Cristo, Opelt, pp  206 s , fa notare infatti che il lessico usato per la rappresentazione del sepolcro e del corpo ivi deposto è del tutto identico: tumuli sedem ~ sede sepulchri; condita …  / membra  ~ condita membra) L’ampia perifrasi descrittiva gioca sul contrasto corpo / spirito recuperando l’immagine ovidiana (met 15,457 uolu­ cres animae) dell’anima alata (animae uolucris) Per la metafora delle membra spogliate del calore (spoliata calore) è possibile invece un confronto con Verg  12,935 corpus spo­ liatum lumine 370 quo Equivale a ubi (cfr LHS, II, p  277) come in 4,655

252

Commento

372 flenti maestoque Marchetti, pp  89–99, ha messo in luce come il tema del pianto di Gesù per la morte dell’amico sia variamente utilizzato dalla letteratura cristiana antica, che se ne serve per dimostrare la compresenza nel Cristo incarnato della duplice natura umana e divina; esso trova posto, oltre che in testi di altro genere, in particolare in scritti di carattere consolatorio (Paul Nol carm 31,121 s ; epist 13,4; Hier epist 39,2), in cui vale a giustificare il dolore provato dall’uomo per la perdita di persone care 372–373 haut mora … flenti … sepulchrum / rupe sub excisa Giovenco descrive la sepoltura di Lazzaro con un lessico che ricorda quello impiegato da Verg Aen 6,176–178 tum iussa Sibyllae, / haud mora, festinant flentes aramque sepul­ cro / congerere arboribus caeloque educere certant (a proposito dell’altare funerario eretto in onore di Miseno, in un analogo contesto di pianto e scoramento) e 6,42 excisum Euboicae latus ingens rupis in antrum (a proposito dell’antro della Sibilla cumana) 374 Sanctus L’aggettivo sanctus, derivato dal linguaggio giuridico, all’inizio significava ‘ciò che è garantito da una sanzione o da un atto sacro’, poi, probabilmente per influsso del greco, il suo significato si incrocia con quello degli aggettivi ἅγιος e ἀγνός e finirà con l’assumere l’accezione di ‘sacro, transcendentale’ in uso nell’oriente ellenistico Cfr Fugier, pp  249–492 La santità, principale attributo di Dio (Braun, pp  81–83), negli scritti neotestamentari è anche una qualità di Cristo, cui sono assegnati gli epiteti di ‘il Santo di Dio’ (Sanctus Dei ~ ὁ ἅγιος τοῦ θεοῦ; Marc 1,24 [= Luc 4,34] e Ioh 6,69) o ‘il tuo Santo’ (Sanctum tuum ~ τὸν ὅσιόν σου; act 2,27 e 13,35) Questa designazione cristologica, recepita nel vocabolario della poesia cristiana latina (Prud cath 2,69; 3,96; Sedul carm. pasch 4,87; Alc Avit carm 3,399), ritorna anche in altri passaggi del poema giovenchiano (2,13 21 176 180; 4,595) 374–375 multo mox … moueri / praecipit La scena è resa più realistica dalla menzione delle spranghe adoperate per rimuovere il blocco di pietra dall’ingresso del sepolcro Il poeta sembra voler riprodurre lo sforzo degli astanti nello spostamento dell’ostacolo attraverso figure del significante ed espedienti metrici: la triplice allitterazione in m e l’assonanza della o (multo mox … mou­ eri), al secondo emistichio 374, sono inserite in un esametro dal ritmo marcatamente spondiaco, all’interno di un lungo periodo metrico chiuso in rejet dalla voce verbale praecipit (v  375) Tipico della Volkssprache e diffuso nella lingua poetica è l’impiego dell’aggettivo multus, con valore di plurale (al pari di omnis, paucus, plurimus, singulus), concordato con un sostantivo singolare (LHS, II, pp  161 s ), qui uectis («a wooden or metal bar, used esp for leverage, a crowbar or sim », OLD, s. v., p  2019) In Giovenco cfr anche 3,205 (miseratio multa) e 368 (pondere multo) Praecipere con l’infinito è

Commento

253

struttura molto comune negli autori cristiani (Mohrmann, Études, III, p  57), e negli Euangeliorum libri si ritrova a 1,17–18 398–399 473–474 563 768–770 375 uox uerberat auras L’allitterazione e l’impiego del pregnante uerbero rappresentano plasticamente il grido sferzante di Marta; per un analogo uso del verbo in riferimento alla voce umana o alle parole, cfr Plaut Amph 333 (uox auris, ut uidetur uerberat) e Truc 112 (me … uerberat uerbis) Il nesso uerberat auras è confrontabile con Verg Aen 5,377 (uerberat ictibus auras), 503 (diuerberat auras) e 10,892 s (auras / uerberat) La clausola giovenchiana ritorna in Drac laud. dei 3,193 376–377 La determinazione temporale, che dilata quadriduum enim habet del versetto 39, si articola in una struttura simmetrica in cui i termini indicanti il giorno e la notte, accomunati dall’omeoteleuto (luces – noctes), si trovano rispettivamente in corrispondenza di cesura semiquinaria e clausola; la stessa collocazione metrica è anche in Lucr 5,681 (et minui luces, cum sumant augmina noctes) e, con l’ordine invertito, in Manil 3,263 (inde cadunt noctes surguntque in tempora luces) L’idea della lunga durata della tumulazione è resa dall’enjambement della voce verbale praetereunt davanti a tritemimere, riecheggiata dall’omeottoto di quiescunt nella clausola del v  377 377 membra solo conposta quiescunt Variante fonico-verbale di Verg Aen 1,249 nunc placida compostus pace quiescit, detto di Antenore tumulato a Padova 378–379 Per Simonetti Abbolito, Osservazioni, p  318, il poeta «cerca di attenuare la crudezza partecipando con un senso di pietà al doloroso spettacolo»; è vero piuttosto il contrario: Giovenco, infatti, insiste sulle conseguenze della morte nel corpo umano per dare enfasi al miracolo operato da Cristo (Laganà, p  53) e accresce il realismo della scena tramite la personificazione del calore vitale che abbandona le membra (motu fugiente caloris) e la giuntura del v  379 (liquefactis … membris), ricavata da Sil 1,178 (il cruento tableau delle torture subite dal servo del re iberico Tago, macabramente scempiato dai Cartaginesi) Si osservi inoltre la triplice allitterazione del v  378 (crediderim – corpus – caloris) 378 crediderim Potenziale aoristico in posizione iniziale come in Verg georg 2,338; Ov ars 3,178; met  15,260 (ThlL IV 1147,37 ss )

254

Commento

380 his dictis A inizio di verso anche a 4,763 381–383 Il dubbio sollevato da Marta spinge Gesù a ricordare in tono solenne che nelle situazioni difficili la fede può grandi cose grazie alla forza dei credenti; i tre concetti più importanti, e le parole che li esprimono, compongono il primo emistichio 382 (credentum uirtute fidem) e proprio il termine fidem, centrale nell’interpretazione del brano scritturistico, acquista la maggiore visibilità in corrispondenza di incisione semisettenaria ed è ripetuto al verso seguente, in poliptoto, sempre nella stessa giacitura esametrica 381 iam totiens Stesso incipit di Opt Porf carm 6,18 La mancanza di dati precisi circa la cronologia dei singoli carmi optazianei e degli Euangeliorum libri, che comunque dovrebbero essere di poco posteriori alla prima edizione del libello optazianeo, databile assai probabilmente al 325–326, non consente di stabilire con certezza una priorità cronologica tra i due poeti La tesi di Weyman, Beiträge, pp  27–28, della imitatio giovenchiana del liber Optatiani è stata recentemente ripresa da Pipitone, pp  80–83, che ricorda come non sia infrequente nella poesia cristiana delle origini il riuso di espressioni standardizzate del linguaggio pagano, oltre al fatto che il testo di Optaziano ebbe una maggiore diffusione per i suoi pregi estetici e per il suo carattere di novità (cfr Polara, Studi, p  108, n  207) consistere rebus Clausola di Lucr 2,1120 382 credentum Cfr supra, nota al v  52 gloria Nella lingua biblica il gr δόξα, equivalente dell’ebr kabod, possiede il duplice significato di ‘opinione’ e ‘onore, gloria’; il latino gloria traduce piuttosto questa seconda accezione Il termine può indicare sia la gloria donata da Dio agli uomini, come premio per le giuste opere e per la santità di vita (Ioh 5,44; Tert uirg. uel 2,4; Aug civ 14,28), in contrasto con la fama acquisita nel mondo classico (cfr Knoche, pp  102–24), sia le manifestazioni di Dio (come nel nostro passo) e l’onore da tributargli (psalm 18,2; Ezech 9,3; 10,19; 11,22; 43,2; Matth 15,31; 16,27; Marc 10,37; Ioh 1,14; 2,11; 11,4 40; 12,43; act 7,35 55; Rom 1,23; 3,23; 5,2; 8,21; 15,7; I Cor 2,8; 10,31; 11,7; II Cor 1,20; 4,15; Hebr 1,3; 2,10; 3,3; I Petr 4,13) Accanto a gloria, tuttavia, nelle versioni bibliche e nella liturgia si rintraccia una varietà di termini latini per le differenti gradazioni semantiche del complesso lessema ebraico kabod Cfr Mohrmann, I, p  284–286; II, p  27; Vermeulen, pp  196–225 Queste e altre sfaccettature semantiche ha il lemma negli Euangeliorum li­

Commento

255

bri, applicato di volta in volta a referenti diversi: i poeti (praef 11), Dio Padre (praef 24; 1,173 481; 2,548; 4,382), il Figlio (1,19 363; 2,134 524; 3,640), il Padre e il Figlio (2,645), gli uomini giusti (2,242 685; 3,306), la vita eterna (2,470; 3,530), il popolo d’Israele (1,207), il mondo (1,400; 2,681) e la Sacra scrittura (4,804) 382–383 summi / … genitoris Non è una nuova iunctura, come affermato da Fichtner, p  139, in quanto già impiegata in Octauia 245 e Apul apol 64; cfr ancora Iuvenc 1,390 e 2,682 e Prud ham 378 Summus traduce, al pari di altissimus e supremus, il greco ὕψιστος, a sua volta equivalente dell’ebr El-Elyôn, comunissimo nell’AT (meno nel NT) come attributo divino (Tob  3,24; 4,13; Marc 5,7; Vulg Hebr 7,1) Poco ricorrente negli scrittori ecclesiastici dei primi secoli, in quanto usato dagli autori pagani in relazione a Giove e ad altre divinità, tale aggettivo si incontra invece con una certa frequenza a partire da Lattanzio (Braun, pp  42–44; 83–88; Loi, pp  20–22) Heinsdorff, pp  296 s nota che Giovenco spesso applica a Dio Padre epiteti simili a quelli delle antiche divinità pagane: altus pater (1,592; 2,289; cfr Verg Aen 10,875; 12,140; Prud cath 9,104; Mess, ThlL I 1777,39– 48); supremus pater (1,173; Stat Theb 3,304 s ); summus tonans (cfr infra, nota al v  553); supremus genitor (2, 507); supremus deus (1,38 72; cfr Cic leg 1,22) Su genitor cfr le note ai vv  33 e 387 383 fidei … robur Anche altrove nel poema questa perifrasi sottolinea la solidità e la forza della giusta fede: 3,119 quae ualidum fidei gestabant aequora robur (Pietro chiede a Gesù di poter camminare sulle acque, ma la sua fede vacilla al rigonfiarsi dei flutti); 3,191 praemia, quae fidei meruerunt robora tantae (la fede con cui una donna cananea chiede la guarigione della figlia); 3,277 tam ualidum fidei concedere robur (Gesù riconosce a Pietro il dono di una fede profonda) Nel primo e nel terzo caso la locuzione, riferita all’apostolo, è un’aggiunta rispetto al modello (Matth 14,30 e 16,17 s ) Il concetto è riproposto anche mediante l’abbinamento, non necessariamente sintagmatico, di altre parole riconducibili alle famiglie lessicali di fides e robur, come in 1,331–335 nec generis uestri tollat fiducia mentes. / Nam facile e saxis etiam pro nomine plebes / succedet uestro, suboles quia degener errat. / Proxima roboreis iamiam radicibus instat / cunctorum ante oculos acies leuata securis (su cui Tanca, pp  57–61) Si veda supra, nota al v  344 384–385 saxumque immane reuulsis / obicibus patuit Termini simili adotta Virgilio per la caverna di Caco ad Aen 8,225–227 (ut sese inclusit ruptisque immane catenis / deiecit saxum … / … fultosque emuniit obice postis) e 262 (panditur extemplo foribus domus atra reuulsis); il nesso saxumque inmane ricorre ancora ad Aen 10,196 e 12,904; reuulsis / obicibus patuit ritorna variato a 4,707 (patuere / repulsis obicibus), a proposito delle tombe degli antichi scoperchiatesi alla morte di Gesù Ancora una volta il poeta scava nella sua memoria letteraria e vi pesca materiale

256

Commento

con cui sollecitare l’immaginario del pubblico; soprattutto nel riecheggiare la descrizione virgiliana della spelonca del mostruoso Caco Giovenco delinea i contorni dello spazio e del paesaggio, producendo una sinistra assimilazione con il mondo infernale 385 uirtus … conscia La metonimia che sostituisce il nome Iesus indica il potere di Gesù di ridare la vita; la forza (gr δύναμις) è caratteristica della natura divina e il termine greco (e la sua traduzione latina uirtus) può essere usato da solo per designare la persona di Dio (per es Matth 26,64); la forza del Padre appartiene al Figlio, nel quale si manifesta per mezzo dei miracoli: cfr Marc 5,30; Luc 4,36; 5,17; 6,19; 8,46 e Iuvenc 2,121 336 411 694; 4,340 385 400 410 Nel NT Cristo è anche definito ‘potenza di Dio’: si vedano Matth 22,29 (τὴν δύναμιν τοῦ θεοῦ); Luc 22,69 (τῆς δυνάμεως τοῦ θεοῦ); I Cor 1,24 (Χριστὸν θεοῦ δύναμιν) e Iuvenc 1,68 381 2,83 e 183 (Comm apol 284; Prud perist 5,473; Ps Aug serm 93,2) Virgilio conia la ‘iunctura’ conscia uirtus per il vecchio eroe sicano Entello (Aen 5,455; nel commento ad loc Fratantuono-Alden Smith, Aeneid 5, p  467, notano che in conscia «there is a move from the merely private to the public»; un senso che, fatti i dovuti distinguo, traspare anche nella riutilizzazione giovenchiana, dove si allude alla portata pubblica del miracolo come segno riconoscibile della natura divina di Cristo), l’etrusco Mezenzio (Aen 10,872) e Turno (Aen 12,668); per approfondimenti rimando a Tarrant, pp  259 s e al ThlL IV 373,4–42 L’aggettivo andrà interpretato come conscia sibi ‘una forza consapevole del proprio potere divino’ 386 suspicit Per un refuso di stampa Huemer ha suscipit per suspicit, che è evidentemente la forma corretta Per caelum suspicere cfr Verg georg 1,375 s ; Aen 12,196; Germ 397; Lucan 6,644 s ; Paul Nol carm 33,84 tali genitorem uoce precatur La clausola uoce precatur è spesso utilizzata nella poesia latina per introdurre preghiere rivolte alle divinità (Verg Aen 9,403; 11,784; Stat Theb 1,55; Val Fl 6,212); per tali … uoce precatur cfr Stat Theb 9,607 e Iuvenc 4,489 A 4,692 et Christus magna genitorem uoce uocabat un’espressione analoga precede la preghiera di Gesù al Padre prima di spirare 387 genitor … sancte Il termine genitor, che rende Pater del versetto 41, è ripetuto tre volte a breve distanza (genitoris, v  383; genitorem, v  386; genitor, v  387), nel primo caso in sostituzione di Dei di Ioh 11,40, nel secondo come adiectio del poeta Il sinonimo genitor ha numerose attestazioni nella poesia esametrica ed è di tono certamente più aulico rispetto a pater (vd Axelson, p  14, e Hey in ThlL VI2 1819,46–78); in epica il vocativo è in Sil 7,737 Sancte … o genitor (Minucio a Fabio), mentre la variante sancte pater è in Val Fl 1,11

Commento

257

(Febo), Mart 10,28,7 (Giano), CLE 1504 a,12 (Priapo) e, per l’ambito cristiano, in Hil trin 12,52 A 2,287 Giovenco ha l’accusativo sanctum genitorem per patrem di Ioh 4,23 388–389 La struttura sintattica è semplificata rispetto al testo giovanneo e il numero delle subordinate è ridotto In rapporto al trattamento dei parallelismi dell’originale, Roberts, Biblical Epic, p  133 e n  71, rileva che Giovenco in presenza di due o più membri in cui ci sia una gradazione di senso tende in genere ad ampliare gli elementi del testo biblico conservandone il significato con semplici cambiamenti formali L’ultima parte del versetto 42 motiva la scelta di Gesù di pregare pubblicamente il Padre affinché egli venga riconosciuto dal popolo come Messia; tale motivazione è formulata a v  389 tramite l’allitterazione binaria populus praesens me missum 388 placidus L’aggettivo si trova riferito anche alla serenità di Cristo in 2,365; 3,399 634 Il lessema, non documentato in prosa e nella poesia di età repubblicana nei contesti di preghiera, diventa invece topico a partire dai poeti augustei per le invocazioni agli dèi olimpici (Hickson, pp  58 s ), tra cui Giove (Prop 2,16,47; Ov met 8,703; Stat Theb 1,202), Venere (Ov fast 4,161), Mercurio (Verg Aen 4,578), ma anche di supplica a eroi del mito quali Ulisse (Sen Tro 694) o Eeta (Val Fl 8,14) La combinazione con audire ha i suoi precedenti poetici nella preghiera ad Apollo di Hor carm. saec 33 s placidus … / … audi pueros, Apollo e in quella a Nettuno di Ov met 8,598 audi placidus, Neptune, pre­ cantem Nella letteratura cristiana l’epiteto è riferito a Dio, e nelle formule epicletiche della liturgia al significato primario di ‘sereno’ unisce quello di ‘propizio’ (cfr Blaise, Dictionnaire, p  692) Con l’aggettivo Giovenco qualifica altrove anche la pace (2,38), il sonno (2,401), un luogo (2,717), un asinello (3,632) e il popolo che erediterà il regno dei cieli (3,736) placidus … uenerandis auribus audis Da notare l’intreccio degli omeoteleuti e il gioco di assonanze e allitterazioni Un analogo accostamento paretimologico in clausola si rinviene anche in Comm apol 128 auribus audit 390–402 Il miracolo e lo stupore degli astanti Cfr Ioh 11,43–46: 43 Et cum haec dixisset, uoce magna clamauit: Lazare, ueni foras. 44 Et exiit ille mortuus ligatus pedes et manus institis, et facies eius orario conligata erat. Dixit illis Iesus: Soluite eum et sinite ire 45 Multi ergo ex Iudaeis, qui uenerant ad Mariam, uidentes, quae fecit, crediderunt in eum. 46 Quidam uero ex ipsis abierunt ad Pharisaeos et dixerunt eis, quod fecit Iesus («Detto ciò, gridò a gran voce: Lazzaro, vieni fuori! Il morto uscì con i piedi e le mani legati da bende e il viso avvolto in un sudario Gesù ordinò loro: Slegatelo e lasciatelo andar via Molti Giudei

258

Commento

che erano andati da Maria, vedendo ciò che egli aveva compiuto cedettero in lui Alcuni di loro invece andarono a dire ai farisei ciò che Gesù aveva fatto») Fatta salva l’introduzione (et cum haec dixisset ~ Iuvenc haec ubi dicta dedit, v  390), il parafraste drammatizza il racconto del miracolo, più sobrio in Ioh 11,43; Gesù si ferma sulla soglia del sepolcro (tumuli mox limine in ipso / restitit, vv  390 s ) e riempie con l’eco della sua voce le cavità della grotta: aduerso conplens caua saxa clamore (v  391) è un’amplificatio di uoce magna clamauit Del breve ordine resta solamente il vocativo Lazare, mentre ueni foras è rielaborato ai vv  392 s Il versetto 44 è reso ai vv  394–397: Giovenco sottolinea l’immediatezza dell’azione (nec mora … repente, v  394), che segue all’ingiunzione divina, e fa qualche cambio nel lessico (exiit ~ Iuvenc procedit tu­ mulo, v  395; ligatus pedes et manus ~ conexis manibus pedibusque, v  394) e nella sintassi (il soggetto è linea texta ~ orario; l’oggetto è uultum ~ facies); il v  396 è un’adiectio Il comando di slegare l’uomo e di rimandarlo a casa è in forma indiretta al v  397 (soluite eum ~ Iuvenc tum solui iussit; sinite ire ~ ad tecta remittit, con l’incremento dell’aggettivo laetum) I versetti 45 s , dedicati alle reazioni dei Giudei dopo il prodigio, sono parafrasati ai vv  398–402: al v  398 Iudaei riprende ex Iudaeis; la temporale postquam … cernunt sviluppa il participio uidentes; il nesso factum uenerabile riassume la relativa quae fecit; al v  399 il pronome qui rimane, rafforzato da tanti; uenerant ad Mariam diventa Mariam fuerant  … secuti, ed è citata anche Marta (Marthamque); al v   402 la locuzione cuncta … rerum miracula è esito di quod fecit Iesus, mentre narrant della voce verbale dixerunt 390–393 L’insieme di allitterazioni (dicta dedit – conplens caua … clamore – saxa … / … sopi­ tis … suscipe … / … sepulchro), attributi (ipso / … aduerso … caua … / … sopitis), ossimori e antitesi (restitit aduerso – conplens caua – membris / … animam) e verbi composti (restitit – conplens – redeuntem – suscipe) enfatizza la grandezza del miracolo con un gioco di contrasti (vuoto/pieno; dentro/fuori; sonno/risveglio; corpo/anima), che fanno risaltare l’opera prodigiosa di Gesù, comunicando un diffuso senso di gioia per il ritorno alla vita di Lazzaro (cfr Simonetti Abbolito, Osservazioni, p  318 e nn  34 s ) 390 tumuli … limine in ipso Il sintagma tumuli limine è ripreso con qualche variazione a v  747 (saxum tumuli de limine uoluit), nel contesto della risurrezione di Gesù Per quanto riguarda la clausola limine in ipso, usata anche a 3,447, accanto ad altri paralleli epici (Verg ecl 8,92; Aen  10,355; 11,881) va ricordato soprattutto Lucr 6,1157 leti iam limine in ipso, che descrive i corpi degli appestati emananti dalle loro bocche un odore fetido come quello dei cadaveri decomposti

Commento

259

391 conplens caua saxa clamore Il grido con cui Gesù ordina a Lazzaro di venir fuori ricorda il boato prodotto dagli scrosci dell’acqua sugli scogli di Cariddi in Verg Aen 3,566 ter scopuli clamorem inter caua saxa dedere; più esplicitamente Prudenzio (apoth 747–749 Quae tam uicina Carybdis / regna tenebrarum tenui distantia fine  / coniungit superis?) evocherà metonimicamente Cariddi per designare la voragine in cui perviene a Lazzaro la voce di Cristo Conplere si costruisce tanto con l’ablativo strumentale quanto con il genitivo partitivo; nella prosa postclassica si afferma piuttosto la forma con l’ablativo, mentre l’uso del genitivo è percepito come arcaizzante e poetico (cfr LHS, II2, pp  82 e 125; Menge, p  97, n  1); negli Euangeliorum libri la prima costruzione è maggioritaria (1,22 155 215 381; 2, 321 429; 3, 272 630 646; 4,391 530 727) rispetto alla seconda (1,85; 3,253 760) Per il nesso caua saxa nella stessa collocazione di esametro, cfr Ov am 3,6,45 e Stat Theb 1,713 Clamare di Ioh 11,43 è reso con il sostantivo corradicale secondo un tipo di parafrasi adottato anche a 3,106 clamoremque simul confusa mente dederunt (~ Matth 14,26 prae timore cla­ mauerunt) e 4,701 tum clamor Domini, magno conamine missus (~ Matth 27,50 Iesus au­ tem iterum clamans uoce magna); si veda Simonetti Abbolito, Osservazioni, p  318, n  34 In molte edizioni a stampa il tràdito clămore viene emendato in canore per ovviare alla anomalia prosodica data dall’insolito abbreviamento della prima sillaba del termine Analoghe correzioni sono apportate dagli editori anche nelle clausole di 3,646 et pueros templi conplentes tecta clămore (il solo cod A legge et pueros templum magno clamore replentes) e 648 ipsum percontant cuncti, quae causa clămoris, emendate rispettivamente in canore e canoris; il fatto che tale fenomeno prosodico, non altrove documentato per questa parola nella poesia latina (cfr ThlL III 1254,83 s ), si verifichi tre volte e in libri diversi in Giovenco parrebbe confermare la genuinità della lezione ms 392–393 Lazare … / … tuque ipse foras te prome sepulchro Nell’apostrofe, da enunciatore ad enunciatario interno, l’insistita ripetizione del pronome di seconda persona con effetto di poliptoto evidenzia, come nota Deproost, La résurrection, p  141, il ruolo attivo di Lazzaro nel miracolo, prefigurando così quello che avrà Cristo nella risurrezione Rispetto a un procedimento citazionale che prevede la ripresa letterale delle parole che accompagnano il miracolo, spiegabile con il fatto che queste parole sacre possiedono in sé la forza necessaria alla realizzazione del prodigio e rivelano sul piano teologico il dominio di Cristo sulle leggi della natura, Giovenco – osserva Bureau, pp  201–204 – attua una parafrasi più libera; diversamente farà invece Sedulio, che, nel contesto di una rappresentazione grandiosa senza rapporti con l’originale, trascrive tuttavia le parole esatte del Signore (carm. pasch 4,284 Lazare, perge foras) A riprova della rilevanza teologica e narrativa dell’apostrofe rivolta a Lazzaro, il dettato biblico è riprodotto, al netto di ulteriori rimaneggiamenti interpretativi, nelle successive rivisitazioni poetiche di Prudenzio (apoth 742–744 procede sepulcro, / La­ zare; dic cuius uocem tellure sub ima / audieris) e dello Pseudo Vittorino (Christ 55–57 procede sepulcro / Lazare, clamat, et haec ad uitae lumina surge, / atque haeres succede tibi)

260

Commento

392 redeuntem Il verbo redire, indicante la vita che ritorna nelle membra addormentate di Lazzaro, ha diretta attinenza con la risurrezione del corpo anche in autori successivi, come Prudenzio (ditt 152 putrescentis redierunt membra sepulti), nel medesimo racconto della storia di Lazzaro, o lo Pseudo Paolino Nolano (carm. app 2,38 redeuntque sursum ab inferis) 393 sepulchro Per la tomba di Lazzaro usano il sostantivo sepulchrum anche altri scrittori cristiani, (Prud cath 9,46; apoth 742; Sedul carm. pasch 4,273; Rust Help hist. testam 71; Ps Victorin Christ 55), forse con una sottile allusione al sepolcro del Signore, in virtù delle implicazioni cristologiche connesse al brano giovanneo 394 conexis manibus pedibusque In 3,769 Giovenco parafrasa con le stesse parole il passo della parabola delle nozze reali (Matth 22,13) che parla del convitato scacciato dal banchetto (tollite illum pedibus et manibus et mittite in tenebras exteriores) 395 linea texta La clausola ritorna in Prud ham 328 Textum indica il tessuto prodotto tramite l’intreccio di fili, dunque la stoffa usata per vestiti, tendaggi, tappeti (OLD, s. v., p  1935,1); al plurale, per es , in Ov epist 9,163 illita Nesseo misi tibi texta ueneno e 17,225 purpura nempe mihi pretiosaque texta dabuntur In riferimento al sudario funebre di Cristo si veda infra, nota ai vv  723 s 396 et totum gracilis conectit fascia corpus Giovanni (11,44) raffigura Lazzaro con le mani e i piedi fasciati da bende (institis) e il volto coperto da un sudario (orario); dopo aver espresso il contenuto della prima parte del versetto al v  394, senza l’indicazione delle fasce, e aver ripreso il riferimento al sudario con il nesso linea texta, il poeta sviluppa il significato di instita con lo schema del versus aureus che innalza il registro descrittivo; anche qui, come nel v  172, è del ‘tipo 12’: il predicato verbale conectit è in posizione mediana dopo cesura pentemimere; gli aggettivi totum e gracilis lo precedono e i sostantivi fascia e corpus lo seguono, disposti tra loro a chiasmo Il v  2,731 (meo proprium conectit sanguine corpus) presenta un’analoga struttura compositiva, con la stessa voce verbale e il sostantivo corpus in clausola L’aggettivo gracilis equivale qui a tenuis (cfr ThlL VI 2131,14) conectit Per l’uso di un predicato verbale al singolare con doppio soggetto o con più soggetti, frequente in latino (LHS, II, p  433), Hatfield, § 7, p  4, cita anche Iuvenc 1,222; 2,289; 3,499

Commento

261

397 Tum solui iussit laetum … remittit L’omissione del soggetto della proposizione infinitiva, nei casi in cui il contesto ne consenta facilmente l’individuazione, non è rara in poesia ed è un portato della lingua colloquiale, cfr Kühner-Stegmann, II1, pp  700 s; LHS, II, p  362; per Giovenco Hatfield, § 101d, p  24, riporta anche 1,45 269; 2,598 La sequenza di spondei nel pat­ tern incipitario (tum solui iussit) ferma l’attenzione sul comando di Gesù e genera attesa per l’esito del miracolo; l’aggiunta dell’aggettivo laetum in posizione centrale tra pentemimere ed eftemimere sottolinea invece lo sciogliersi della tensione e la festosa esultanza del miracolato L’idea della gioia che segue al pianto è chiaramente di ascendenza biblica (Matth 5,5 beati qui lugent, quoniam ipsi consolabuntur; Luc 6,21 beati, qui nunc fletis, quia ridebitis) e troverà applicazione soprattutto nelle scene di guarigioni e miracoli della letteratura agiografica, come, per es , in Prud perist 1,14 laetus hinc tersis reuertit supplicator fletibus oppure nella biografia martiniana di Paolino di Périgueux (Mart  1,385 s ostentant cunctis domini miracula Christi / atque hostis spolium credentis gaudia plebis; orant 22 qui flens adfuerit, laetus redit) L’espressione laetum … remittit è traslata da Verg Aen 9,818 laetum … remisit: lieto è Turno restituito salvo ai compagni dalle acque purificatrici del fiume 398–402 L’Evangelista riferisce che molti dei Giudei presenti credettero (multi ergo ex Iudaeis … crediderunt in eum) e solo alcuni raccontarono l’accaduto ai farisei (quidam uero ex ip­ sis abierunt ad Pharisaeos et dixerunt eis, quod fecit Iesus); il parafraste parla invece di una più ridotta pars credens, per i primi, e di alii per gli altri, quasi a ridimensionare il numero dei convertiti o comunque a renderlo pari a quello degli increduli Secondo Poinsotte, pp  162 ss, Giovenco, in un’ottica antigiudaica, dedica solo un verso al primo gruppo (pars credens sequitur tantae uirtutis honorem, v  400) e ben due al secondo (ast alii repetunt urbem procerumque superbis / cuncta Pharisaeis rerum miracula narrant, vv  401 s ), per condannare l’infedeltà dei Giudei futuri autori del deicidio 398 Iudaeus Giovenco conserva il riferimento all’etnico che acquista nella parafrasi funzione di soggetto Il termine Iudaeus in origine designava semplicemente l’appartenenza etnico-geografica; a partire dal V secolo si carica di un’accezione fortemente peggiorativa, tanto da non poter essere più utilizzato nei testi ufficiali Giovenco anticipa questa tendenza e nel poema impiega la parola talvolta con valore neutro, per indicare gli uomini e le cose della Giudea (1,80 229; 2,153 254 285; 4,337 592 648 666 778), talaltra in contesti polemici: la folla che domanda un segno (2,163); i Giudei costretti a fuggire quando si realizzerà la profezia di Daniele (4,124); i Giudei ruffiani dei farisei (4,398) e il popolo che minaccia Gesù e i discepoli (4,332); cfr Poinsotte, pp  43 s e n  125

262

Commento

399 qui tanti Mariam fuerant Martam … secuti Si noti la perfetta simmetria nell’architettura dell’esametro, in cui fuerant è tra i nomi delle due donne uniti dall’omeottoto in tempo forte L’aggettivo tantus viene usato come sinonimo dell’indeclinabile tot o della perifrasi tam multi, che il latino classico preferiva per indicare la quantità, a prescindere dall’aspetto qualitativo (‘così numerosi’, ‘così tanti’; cfr 2,422 milia tanta; 3,249 cophinis … tantis e 4,535 tantis circumlatranti­ bus) Il fenomeno è diffuso nell’epoca tardoantica quando i monosillabi tot e quot iniziano a perdere terreno a vantaggio degli aggettivi indefiniti tanti e quanti; cfr LHS, II, p  758, e Vineis, pp  173–174 Per Mărĭa cfr supra, nota al v  358 400–401 pars … / … alii Una forma ‘mista’ di opposizione partitiva molto comune nella prosa sallustiana e usata anche da Virgilio (ecl 1,64 s ; Aen 2,399 s ); cfr Tessmer in ThlL X1 454,48 ss 400 tantae uirtutis honorem Nel commentario ad loc Knappitsch, che traduce «glaubte ein Teil an Christi Macht, solche Wunder zu wirken», spiega l’espressione t. u. h. come «tam excellentem egregiamque miraculorum patrandorum vim»; honor, quindi, è la potenza del miracolo, attraverso la quale si manifestano pubblicamente la gloria e la divinità del Salvatore, come nel caso di 3,663 ligni istius nostro … honore, a proposito del fico infecondo seccato dalle parole di Cristo Virtutis honor è giuntura poetica frequente (Schumann, V, pp  665 s ); nella poeasia cristiana esempi sono in Prud perist 13,39 ne quis ab egregiae uirtutis honore discreparet e Sev Malac euang 10,10 auri … pondus uirtutis cessit honori 401 repetunt urbem Da confrontare con Verg Aen 2,749 ipse urbem repeto et cingor fulgentibus armis e Sil 12,752 tum festam repetunt lustratis moenibus urbem 402 cuncta Pharisaeis rerum miracula narrant Sul piano compositivo il v  402 è la combinazione di Verg georg 4,441 omnia trans­ format sese in miracula rerum (le metamorfosi di Proteo) e Ov met 11,346 quae dum Lucifero genitus miracula narrat Il sostantivo miracula è utilizzato nella parafrasi solo al plurale ed è specificato da rerum in cinque casi; in tre passaggi l’espressione è identica a quella virgiliana: 2,639 ~ Ioh 5,20 (le potenti opere del Padre); 3,116 ~ Matth 14,30 (la tempesta sedata) e 3,675 ~ Matth 21,23 (il potere di Gesù); l’ordine inverso (genitivo + nome) è attestato invece qui, in 2,123 ~ Ioh 1,50 (i prodigi che vedrà Natanaele) e in 4,778 ~ Matth 28,11 (la risurrezione di Cristo) L’aggiunta della specificazione è comunque considerata superflua in ThlL VIII 1057,12–16 Testard, p  23 e n  67, ritiene significativo che Giovenco adotti per i miracoli di Cristo la medesima giuntura che in Virgilio designa i portenti di Proteo e aggiunge che la parafrasi, in quanto prodotto di ispirazione cristiana, si rifà al racconto evangelico per il contenuto, ma in quanto opera

Commento

263

epica non disdegna di narrare i mirabilia del testo biblico richiamando motivi topici dell’epopea classica A conclusione del racconto, l’autore inserisce un altro appiglio testuale alla risurrezione di Gesù: il verso si può infatti confrontare con 4,777 s mittunt e numero partem, quae tanta referret / Iudaeis rerum miracula, dove le sentinelle riportano ai capi giudaici la scoperta del sepolcro vuoto Narrare i miracoli compiuti da Dio risponde al sentire dell’Antico Israele, come si legge in psalm 25,7 ut audiam uocem laudis et enarrem uniuersa mirabilia tua, ma allo stesso tempo, se non accompagnata dalla attuazione dei comandamenti divini, è una condotta biasimata dai polemisti cristiani; si veda Comm instr 1,37,11–13 ignoratur enim propter quod maxime sumus: / at illi quoniam rei sunt ex ipso delicto, / nihil de praeceptis Dei nisi mirabilia narrant 403–408 Il complotto dei sacerdoti. Il racconto continua nella scia di Matth 26,3–5: 3 Tunc congregati sunt principes sacerdotum et scribae et seniores populi in atrium principis sacer­ dotum, qui dicebatur Caiphas 4 Et consilium fecerunt, ut Iesum dolo tenerent et occiderent 5  Dicebant autem, ut non in die festo tumultus fieret in populo («Allora si radunarono i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani del popolo nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa E tennero un consiglio per prendere con l’inganno Gesù e ucciderlo Dicevano però che ciò non si verificasse in un giorno di festa per evitare un tumulto nel popolo») Di Matth 26, 3 Giovenco salva pochi elementi (tunc ~ Iuvenc ergo; scribae ~ scri­ bae), ricompatta principes sacerdotum e seniores populi in plebis … / grauior numerus e trasforma congregati sunt in ad concilium  … uocatur (vv   403 s ); l’ultima parte del versetto vede un ampliamento retorico che esalta lo sfarzo della residenza sacerdotale: in atrium è assorbito nella relativa qua … alte / pulchra … conlucent atria (vv  404 s ); il poetico uatum principis (v  404) è quasi identico a principis sacerdotum, mentre qui dicebatur Caiphas, che presenta il nome del sommo sacerdote, è recuperato nella specificazione Caiphaeae … sedis del v  405 Il versetto 4 è liberamente parafrasato al v  406 (illic conplacuit Christum prosternere leto): il senso di et consilium fecerunt è espresso da conplacuit, che introduce la decisione; manca il riferimento alla cattura e all’inganno (ut … dolo tenerent), ma resta quello all’uccisione (occiderent ~ Iuvenc prosterne­ re leto); Iesum è sostituito da Christum (oggetto sia nel Vangelo sia nella parafrasi) I vv  407 s riproducono il versetto 5: il giorno di festa è apertamente spiegato come il tempo della pasqua ebraica (in die festo ~ dies paschae, retto dall’infinito uitare); la parte riguardante il timore di eventuali tumulti è dilatata (ut non … tumultus fieret in popu­ lo ~ ne … / … populi raperent in bella furorem), e vi sono le aggiunte di plebe frequenti (v  407) e dell’aggettivo discordes (v  408), attributo di populi 403–405 Borrel Vidal, Un ejemplo, pp   11–17, individua analogie lessicali e contenutistiche tra questi versi e Verg Aen 11,234 s ergo concilium magnum primosque suorum / imperio

264

Commento

accitos alta intra limina cogit: Latino, convocati i principi del popolo nella sua reggia, propone loro un’alleanza con i Troiani I punti di contatto riguardano la convocazione del consiglio, la sottolineatura dell’importanza dei partecipanti e la terminologia usata per il luogo dell’adunanza L’incipit del v  403 iam grauior deriva poi da Verg Aen 2,436; la locuzione ad concilium … uocatur risente della formula stereotipata per i concili epici (Verg Aen 10,2 conciliumque uocat diuum; Ov met 1,167 conciliumque uocat; Stat Theb 5,98 e 8,275 concilium uocat) A partire dall’avverbio relativo qua, il poeta descrive il sontuoso palazzo di Caifa con l’accurata scelta dell’aggettivo, che ne ritrae la bellezza (pulchra), della voce verbale, che ne evoca lo splendore (conlucent), e dell’avverbio, che allude alla maestà del luogo (alte); cfr Opelt, p  205 403–404 plebis … / iam grauior numerus Contrariamente all’opinione di Poinsotte, p  191 e n  727, che traduce l’espressione con «une grande affluence de peuple», è più probabile che il senso sia «il gruppo più autorevole del popolo»; l’ipotesto menziona tre distinte categorie di persone (scribi, capi dei sacerdoti e anziani del popolo); il poeta cita apertamente la prima e allude alle altre due tramite il sintagma del v  404 L’aggettivo grauis, infatti, con o senza l’ablativo aeuo (o aetate), significa ‘anziano’ e, estensivamente, ‘autorevole’ (auctoritate grauis); si veda la voce di Bräuninger in ThlL VI2 2278,67 ss e 2283,65 ss Il sostantivo numerus, che in Giovenco generalmente significa ‘folla’ (2,361 429 511; 3,91 416; 4,511), ha qui il senso di ‘gruppo, parte o classe’ (cfr Arevalo, p  312; Knappitsch, IV, p  45) 404 uatum In otto delle sue ventidue attestazioni in Giovenco uates ha il significato di ‘sacerdote’ in relazione alla sinagoga (1,4 47 132 186 233; 2,576; 3,292; 4,523), accezione che Blaise, p  837, assegna anche al passo di Ps Heges 1,16,6 La parola indica invece il sacerdote cristiano in numerosi luoghi di Ambrogio (in Luc 5,36; epist 69,5; 73,30; tituli 14), che secondo Gnilka, Tituli, pp  134–135, sarebbe stato influenzato dall’uso poetico giovenchiano; l’ipotesi è plausibile, per quanto si possa essere trattato di un allargamento dello spettro semantico del tutto autonomo (si vedano le conclusioni di Lubian, Disticha, p  191), tenuto conto anche della duttilità del termine e della valenza sacrale assunta già in epoca antica (Runes, pp  202–216) Vates trova largo impiego nelle epigrafi tardoantiche con il significato di ‘vescovo’, con cui è attestato anche in Ennodio e Venanzio Fortunato (ancora Gnilka, Ennodius, pp  81–82) 405 Caiphaeae … sedis Sul nome Caiphas Giovenco conia l’aggettivo Caiphaeus (un hapax assoluto), che impiega anche al v  537 (ThlL, Onom , II 63,33 ss ) Il nome proprio è invece in Prudenzio (ditt. 157), Sedulio (carm. pasch 5,83) e Severo di Malaga (evang 8,97) In Giovenco e Prudenzio la prima sillaba è breve e la seconda lunga; in Sedulio e Severo entrambe brevi; cfr Perin, I, p  311 Sugli aggettivi derivati in Giovenco vd supra, nota al v  197

Commento

265

406 conplacuit La costruzione di conplaceo con l’infinito è tipica soprattutto del latino biblico: cfr Vulg I Macc 14,46; Luc 12,32; Col 1,19; Comm. instr 1,22,9; Rönsch, pp  184 s prosternere leto La clausola ricorda procumbere leto di 4,331 Cfr Verg Aen 12,464 sternere morti e Comm apol 321 per quod prius hominem prostrauerat morti malignus Sulla scorta di questi ultimi due paralleli poetici leto andrà quindi inteso come un dativo di fine più che come un ablativo strumentale (si veda al riguardo Galdi, ThlL 10,2233,11 ss ) 407 paschae Sul mantenimento del sostantivo ebraico nella parafrasi, cfr infra, nota ai vv  428 s 408 discordes populi Il sintagma può far riferimento ai soli sostenitori di Gesù in disaccordo con la sentenza del sinedrio, oppure ai due gruppi giudaici (i seguaci e gli oppositori di Cristo) in disaccordo tra di loro L’aggettivo discors si trova nell’epica classica anche in altri contesti relativi a guerre civili: per es Lucan 3,312 ss ; Stat Theb 6,290 s (per Danao ed Egitto); per populi = homines in Giovenco cfr anche praef 20; 1,20 71 148 167 210 326 436 450 601 732; 2,6 120 159 229 484; 3,18 129 260 263 636 (Huemer, Index, p  167; Kievits, p  39) raperent in bella furorem Il parafraste sposta l’accento dal semplice tumultus al pericolo di vere e proprie guerre fratricide Cfr Hor epod 7,13 furorne caecus an rapit uis acrior, dove il poeta condanna le conseguenze delle guerre civili tra Sesto Pompeo e Ottaviano, con lo spargimento di sangue romano versato dai fratelli 409–421 L’unzione di Betania. Matteo e Marco (14,3–11) situano il fatto dopo l’assemblea dei sacerdoti e prima del tradimento di Giuda, quasi a segnare un netto contrasto tra le figure negative di questi e quella positiva di Maria Anche Giovanni (12,1–8), che identifica la donna con la sorella di Lazzaro e Marta, pone l’episodio dopo il consiglio del sinedrio, ma prima dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, mentre Luca (7,36–50) cambia contesto e introduce particolari diversi Giovenco attinge a Matth 26,6–13: 6 Cum autem esset Iesus in Bethania in domo Simonis leprosi, 7 accessit ad eum mulier habens ala­ bastrum unguenti pretiosi et infudit super caput eius recumbente ipso. 8 Videntes autem di­ scipuli indignati sunt dicentes: Ut quid perditio haec fit huius unguenti? 9 Potuit enim istud uenundari pretio et dari pauperibus. 10 Quod ut cognouit Iesus, ait illis: Quid molesti estis huic mulieri? Opus enim bonum operata est in me. 11 Nam semper pauperes habetis uobi­ scum, me autem non semper habetis. 12 Mittens enim haec unguentum hoc in corpus meum

266

Commento

ad sepeliendum me fecit. 13 Amen dico uobis: ubicumque praedicatum fuerit hoc euangelium in toto mundo, dicetur et quod haec fecit in memoriam ipsius («Mentre Gesù era a Betania in casa di Simone il lebbroso, si avvicinò a lui una donna con un vasetto di alabastro pieno di un prezioso unguento e lo versò sul capo di lui che stava disteso A questa scena i discepoli si indignarono e dissero: Perché questo spreco di unguento? Lo si sarebbe potuto vendere a caro prezzo e darne il ricavato ai poveri Quando sentì queste parole Gesù disse loro: Perché infastidite questa donna? Ha compiuto un’opera buona nei miei confronti I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me Versando questo unguento sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura Amen vi dico: ovunque sarà predicato questo vangelo nel mondo intero, si dirà anche in suo ricordo ciò che ella ha fatto») I vv  409 s riprendono il versetto 6: la frase principale sviluppa il cum narrativo del modello (Iesus ~ Iuvenc ille; in domo Simonis ~ Simonis tectis), senza la coordinata geografica (in Bethania), mentre la relativa il semplice attributo leprosi (quem lurida le­ pra / uirtute ipsius diffugerat) Ben quattro versi (410–13) sono impiegati per il versetto 7: l’incipit corrisponde (accessit  … mulier  ~ Iuvenc accedit mulier, con l’aggiunta di propius); la mancanza di ad eum è bilanciata dal dativo iacenti (v  410), che esprime lo stesso concetto di recumbente ipso in chiusura di versetto Anche Giovenco menziona il vaso di alabastro (alabastro ~ Matth habens alabastrum), ma amplia unguenti pretiosi in quo pretiosa inerant … / unguenta (vv  412 s ) Il particolare del profumo che si diffonde dappertutto (late fragrantis oliui, v  412), assente in Matteo, potrebbe essere una semplice adiectio poetica oppure derivare da Ioh 12, 3 (et domus impleta est ex odore unguenti); c’è un verbo della stessa radice (infudit ~ Iuvenc. perfundit, v  413); l’oggetto non è più caput eius ma Christum (v  413), connotato da sanctum (v  411); resta tuttavia la menzione del capo (ab summo … uertice, v  413) I versetti 8–9 sono accorpati ai vv   414 s : manca uidentes; gli altri elementi rimangono (discipuli  ~ Iuvenc discipuli; indignati sunt ~ increpitant; dicentes ~ fantes), ma il discorso diventa indiretto, senza la domanda che chiude il versetto 8 (ut quid perditio haec fit huius unguenti?); il verbo servile è lo stesso (potuit ~ potuisse); la locuzione uenundari pretio evolve nel sintagma de pretio unguenti; dari pauperibus subisce un’amplificazione (iuuari  /  … miserorum corpora egentum) Il versetto 10 occupa i vv  416 s : l’incipit (quod ut cognouit Iesus, ait illis) scompare; al v  416 è presentato Gesù che mette a tacere i discepoli (has Dominus prohibet uoces) e apprezza il gesto della donna (factumque probauit); al v  417 la domanda dell’originale diventa una severa ingiunzione, e Maria è definita iustam (Matteo qualifica invece l’atto, opus … bonum) Il versetto 11 è riscritto ai vv  418 s : Giovenco mantiene il parallelismo dei membri e le parole fondamentali, ma cambia habetis, ripetuto due volte dall’Evangelista, con delle perifrasi: nel primo caso (v  418) con da­ bitur succurrere tempus (semper ~ Iuvenc semper; pauperes ~ pauperibus); nel secondo (v   419) con tribuetur uisere (me autem  ~ Iuvenc sed me; non semper  ~ non semper) La parafrasi del versetto 12 è molto sintetica: tutta la prima parte (mittens enim haec unguentum hoc in corpus meum) è tolta; al v  420 è conservato come soggetto un dimo-

Commento

267

strativo (haec ~ Iuvenc ista), con l’immissione di un nuovo attestato di lode (multum laudanda); come nel Vangelo è istituita una relazione tra l’unzione e la sepoltura di Cristo (funeris … mei … ministrat / officio ~ Matth ad sepeliendum me fecit) L’inizio del versetto 13 è omesso; cursorio è l’accenno alla grande eco che l’episodio avrà nel mondo (mundumque inplebunt talia facta, v  421) 409–410 quem lurida lepra / uirtute ipsius diffugerat La perifrasi personifica la malattia, che fugge dal lebbroso sconfitta dalla potenza guaritrice di Cristo Il nesso allitterante (lurida lepra), nella clausola esametrica, delinea l’aspetto esteriore del terribile morbo Nelle sue tre ricorrenze l’aggettivo luridus, denotante il colore terreo caratteristico degli ammalati, è costantemente attribuito alla lebbra (2,519 lurida … lepra) o alle membra che essa sfigura (1, 738 lurida membra); con vivido realismo il poeta descrive invece le tumefazioni dei lebbrosi di Matth 11,5 con l’aggettivo squamosus (2,519 squamoso corpore), che mostra il corpo deturpato dalle eruzioni cutanee e dalle mucose che lo sfaldano a guisa di squame (Donnini, L’agget­ tivazione, p  60) 409 lepra Per la productio della prima sillaba di lepra, solitamente breve, vd ancora Iuvenc 1,734 e 2,519; Cypr Gall lev 52; Paul epigr 36; Sedul carm. pasch 3,163; ThlL VII2 1177,40 ss 410 diffugerat L’impiego transitivo di diffugere è per lo più del latino tardo, spesso con valore traslato: Hil trin 12,20 humanas doctrinas non … diffugere; Aug in psalm 143,18 nolo illam … diffugias; Macr Sat 2,8,7 non diffugiendas … exercitationes; Cassian inst 4,6 tenebras nocte diffugiat. 411 mulier La donna, di cui Matteo e Marco (14,3) tacciono il nome, è Maria, sorella di Marta e di Lazzaro, come si ricava dal luogo parallelo di Ioh 12,3, che situa l’episodio nella casa dei tre fratelli 411 e 413 sanctumque alabastro … Christum L’iperbato sanctum … Christum è fortissimo; di qui le congetture frangensque alaba­ strum di Arevalo e fractoque alabastro di Huemer, che tuttavia mette a testo la lez dei codd L’alabaster o alabastrum (cfr il gr ἀλάβαστρος) è propriamente una boccetta per unguenti e profumi, di alabastro od onice orientale Il termine, raro in poesia (Mart  11,8,9; Sidon carm 9,324), si legge spesso negli autori cristiani per influsso del passo biblico (ThlL I 1471,61 ss )

268

Commento

412 fragrantis oliui La variante ortografica fraglantis di C accolta da Huemer ha piuttosto l’aria di un volgarismo Per l’alternanza della forma grafica (fragr-/fragl-), frequentissima nei mss latini, si veda la voce di Vollmer in ThlL V1 1237,56 ss Una variante sostanziale, chiaramente inappropriata al contesto, è invece flagrantis di alcuni testimoni Matteo non precisa la natura dell’unguento; Marco (14,3) e Giovanni (12,3) parlano di nardo genuino (νάρδος πιστικής), Giovenco genericamente di olio fragrante Per un’analoga combinazione lessicale, cfr Catull 6, 8 Sertis ac Syrio fragrans oliuo 413 ab summo … uertice Christum Cfr Verg Aen 12,493 hasta tulit summasque excussit uertice cristas, con la similarità fonetica di cristas / Christum; da vedere altresì Ov met 6,672 (cui stant in uertice cristae) e Stat Theb 5,587 (summas libauit uertice cristas) perfundit A 1,359 perfundere è applicato al battesimo di Cristo nelle acque del Giordano 414 increpitant fantes Fermo è lo sdegno dei discepoli Il verbo increpitare ha altre quattro attestazioni negli Euangeliorum libri (1,348 ~ Matth 3,14 dicens; 1,420 ~ Matth 4,23 coepit praedicare; 4,619 ~ Matth 27,24 dicens; 4,685 ~ Matth 27,44 improperabant/increpabant [cfr infra, nota ad loc ]) con sottili sfumature di senso dettate dal referente biblico di volta in volta parafrasato (Fichtner, p  36) Il participio fantes ricorre una seconda volta a 4,633 riferito ai sacerdoti; tale forma non è frequente nell’epos classico, che offre solo due esempi, uno in Virgilio (Aen 6,46 fanti) e l’altro in Valerio Flacco (6,679 fantem); la gran parte dei casi si registra nella tarda latinità 415 de pretio unguenti Sulla base di Matth 26,9 (potuit enim istud uenundari pretio et dari pauperibus), Colombi, Preposizioni, p  11, ritiene che l’espressione di Giovenco sia più intellegibile sottintendendo un ablativo strumentale come argento oppure un termine affine da cui far dipendere de pretio («con il denaro proveniente dal valore dell’unguento») miserorum … egentum Miser connota lo status psicologico e materiale dei poveri, prostrati da sofferenza e tristezza; il poeta rende in questa maniera il biblico pauper già a 3,516 ad miseros … egentes (~ Matth 19,21) 416 prohibet … probauit Da notare la uariatio dei tempi verbali e l’allitterazione

Commento

269

factumque probauit Cfr Ov fast 6,453 factum dea … probauit Nel seriore commento di Ilario di Poitiers al brano biblico si rinviene un vocabolario simile a quello di Giovenco (in Matth 29,1 tum ut Dominus et mulieris factum comprobaret et aeternam cum praedicatione euangelii operis huius esse memoriam sponderet […]) 418–419 Giovenco rispetta il parallelismo del versetto 11 (nam semper pauperes habetis uobiscum, me autem non semper habetis), ma cambia la voce verbale habetis (ripetuta) con dei sinonimi alla forma passiva e al tempo futuro (dabitur e tribuetur), disponendo l’anaforico semper in corrispondenza di pentemimere: la possibilità di vedere Cristo e il tempo per soccorrere i poveri sono indipendenti dalla volontà degli apostoli, in quanto concessione di Dio L’opposizione temporale tra la presenza immancabile dei poveri e l’assenza prossima del Salvatore è accentuata dal diverso andamento ritmico nei primi due piedi dei versi: dattilo + spondeo (pauperibus sem/per) nel primo, spondeo + spondeo (sed me non sem/per) nel secondo, in cui la contigua successione di tre monosillabi scandisce l’annuncio dell’imminente Passione di Cristo prefigurata dall’unzione L’esortazione a godere di quella momentanea presenza gioca anche sull’accostamento delle forme pronominali me … uobis, che inquadrano il v  419, marcando la distanza tra Cristo e gli apostoli 418 pauperibus … succurrere tempus Cfr Verg Aen 10,512 tempus uersis succurrere Teucris: un messaggero riferisce a Enea che i suoi si trovavano in pericolo e che era ormai tempo di soccorrere i Teucri in fuga; è come se l’aiuto ai poveri, cifra comportamentale della nuova fede cristiana, subentrasse al soccorso prettamente bellico dell’epos virgiliano, sollecitando un capovolgimento valoriale 419 tribuetur uisere Per la costruzione di tribuo con l’infinito, di uso piuttosto tardo, si veda Souter, p  428 420–421 funeris ista … multum laudanda ministrat / officio Intendo ista … laudanda come un nominativo singolare riferito al sottinteso mulier; il predicato verbale viene a reggere così il dativo officio In alternativa si potrebbe considerare il sintagma ista … laudanda come un accusativo neutro plurale in dipendenza da ministrat («compie queste azioni molto lodevoli per / in vista della mia sepoltura»), o ancora interpretare ista come un nominativo singolare e laudanda come un accusativo plurale («costei compie azioni molto lodevoli …») Le diverse ipotesi interpretative poggiano sulla doppia reggenza di ministro, da cui può dipendere sia un dativo sia un accusativo (cfr ThlL VIII 1017,44 69; 1018,60; 1019,15; 1020,52) Multum laudanda è nella stessa posizione di esametro in Persio, che riferisce tale espressione alle parole di

270

Commento

Catone morente, oggetto di una declamazione scolastica (3,44–46 saepe oculos, memi­ ni, tangebam paruus oliuo, / grandia si nollem morituri uerba Catonis / discere non sano multum laudanda magistro); il ricordo del passo satirico, di tipo puramente automatico, potrebbe essere stato suggerito dall’analogo riferimento all’olio, con cui però nel brano satirico, in tutt’altro contesto, un allievo cosparge i propri occhi per evitare lo studio o per lenire gli effetti della cispa Non sfugga infine l’effetto di rima interna attivato nei due versi dai termini allitteranti e in omeoteleuto multum e mundum, rispettivamente in coincidenza di eftemimere (v  420) e pentemimere (v  421) funeris … / officio Per l’espressione indicante le esequie e qui enfatizzata dal forte iperbato, che distacca i membri del sintagma, posti a inizio dei due versi, cfr Culex 414; epiced. Drusi 70; Vulg gen 23, 3 e ThlL IX2 520,19 ss 421 talia facta L’espressione, che occupa una diversa posizione esametrica in 2,164, è usata in clausola da Val Fl 6,515; Mart 1,43,13 e Comm apol 997 422–427 Il tradimento di Giuda. Il modello è Matth 26,14–16 (i luoghi paralleli sono Marc 14,10–11 e Luc 22,3–6): 14 Tunc abiit unus de duodecim, qui dicitur Iudas Scarioth, ad principes sacerdotum. 15 Et ait illis: Quid uultis mihi dare, et ego uobis eum tradam? At illi constituerunt ei triginta stateres 16 Et exinde quaerebat opportunitatem, ut eum traderet eis («Allora uno dei dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse loro: Cosa siete disposti a darmi, perché ve lo consegni? Quelli stabilirono trenta stateri Da quel momento egli cercava l’occasione di consegnarlo a loro») Nella ripresa del versetto incipitario ai vv  422 s ci sono delle corrispondenze (tunc ~ Iuvenc tunc; unus de duodecim ~ e discipulis unus) e delle modifiche: il poeta sdoppia abiit in se subtrahit e cucurrit, parla genericamente di proceres (~ Matth ad principes sa­ cerdotum), colloca a inizio verso (423) il nome Iudas, omettendo l’appellativo Scarioth, peraltro di incerto significato, e inserisce nella chiusa del v   422 l’ingiurioso epiteto amens Il formulare tali cum uoce del v  423 è in sostituzione dell’altrettanto formulare et ait illis del versetto 15, che è poi riscritto con ampliamenti ai vv  424–27; la richiesta del traditore resta nella forma diretta (vv  424 s ): quod pretium sperare datur dà il senso di quid uultis mihi dare; le parole esprimenti la consegna sono simili (uobis … tradam ~ Iuvenc prodere uobis / … possim); il v  425 è completamente nuovo (magistrum rende il pronome eum di Matteo; quaesitumque diu allude ai frequenti tentativi di catturare Gesù) I vv  426 s riproducono il secondo segmento biblico con variazioni minime (at illi ~ Iuvenc illi; constituerunt ~ statuunt; l’avverbio continuo è un’additio; ei manca; tri­ ginta stateres ~ Iuvenc ter dena argenti / pondera) Il versetto 16 è sostituito da una lapidaria valutazione morale del crimine di Giuda (his Iudas sceleri se subdidit alto, v  427)

Commento

271

422 se subtrahit amens … 427 se subdidit alto Un gioco di parallelismi antitetici chiude in Ringkomposition la pericope Simile è l’or­ do uerborum degli emistichi: pronome riflessivo, voci verbali formanti il dattilo 5° e aventi lo stesso prefisso sub, aggettivi in clausola Proprio sul riflessivo se si appunta l’attenzione del poeta, che coglie così l’autodeterminazione del protagonista nella sua personale volontà di compiere il male Nel primo caso il predicato verbale indica un allontanamento dai condiscepoli, nel secondo una adesione al crimine; nel primo caso l’attributo qualifica il personaggio, nel secondo l’azione; agente e azione poi, accostati e rilevati dalle incisioni pentemimere ed eftemimere, sembrano perfino identificarsi al v  427, enfatizzato dalla ripetizione del suono s, quasi un sibilo serpentino che evoca l’apparizione di una vipera, tradizionale simbolo di perfidia (his Iudas sceleri se subdidit alto); vd Poinsotte, p  225 e n  867 Allo stesso v  427 non è necessaria la correzione atro del Petschenig per il tràdito alto, da intendersi come «gravi, quod alte resedit ad praecordia usque» (annotazione del Badius citata da Reusch, ad loc , p  400); per l’uso dell’aggettivo in Giovenco, cfr ancora 1,609 deuoti pectoris altum seruitium 422–423 amens / Iudas È la prima apparizione di Giuda nel poema; l’apostolo è subito qualificato con l’epiteto ‘folle’, caratterizzazione più volte ribadita da Giovenco: la consegna di Cristo è «un misfatto terribile che non può essere perpetrato se non da un animo scellerato» (Donnini, L’aggettivazione, p  57) Il nome Iudas è declinato dal poeta al nominativo (4,423 427 443 511 626), al genitivo (4,514), all’accusativo (4,444), all’ablativo (4,480) Va detto che il nome proprio, di solito uno spondeo, stranamente riceve qui trattamento trocaico; al riguardo possiamo riportare le osservazioni del Müller, pp  423 ss : «Contra as in Latinis numquam corripitur … nisi quod nefas indeclinabile pro pyrrichio adhibetur a Paulino Petricordiensi (Vit Mart 2,47; 3,45 51 382), et ita Claudius Victor (aleth 1,452) … quo minus debuit tolerari apud Iuvencum accuratiorem multo versificatorem metrum tale (4,423 [citato erroneamente come 424] … ubi traiectis verbis opus erat: Iudas et tali ad proceres cum voce cucurrit» 424 quod pretium sperare datur Il passivo impersonale di dare nel significato di licet con l’infinito è attestato fin da Lucrezio e per la prosa fin da Vitruvio (LHS, II2, p  345) Per pretium sperare si vedano Ov  ars 3,551 pretium scelus est sperare e met 6,84 quod pretium speret, da cui deriva probabilmente l’incipit di Giovenco 424–425 Borrel Vidal, Las Palabras, pp  89 ss , confronta il discorso di Giuda con quello che in Verg Aen 9,240–43 Niso tiene ai Troiani sulla possibilità di cercare Enea attraversando il campo dei Rutuli (si fortuna permittitis uti / quaesitum Aenean et moenia Pallantea, / mox hic cum spoliis ingenti caede peracta / adfore cernitis) La dipendenza di Giovenco

272

Commento

dal passaggio virgiliano si fonda sui seguenti punti di contatto: a) l’equivalenza sintattica e concettuale delle locuzioni fortuna permittitis uti e quod pretium sperare datur; b) l’identico significato di quaesitum Aenean e quaesitum … magistrum, con l’identificazione tra Enea e Gesù; c) la contiguità semantica dei termini utilizzati per esprimere l’immediata conseguenza della presenza di Enea e di Gesù: la perifrasi giovenchiana prodere … / … possim esprimerebbe, infatti, il senso di adfore e l’infinito monstrare quello di cernitis Si tratta, quindi, di un ulteriore esempio di riadattamento tematico di scene virgiliane realizzato dal parafraste attraverso la combinazione di elementi lessicali e somiglianze fonetiche La genesi formale del v  425 è data poi dalla fusione di Verg georg 3,549 quaesitaeque nocent artes; cessere magistri con Stat Theb 11,599 ut quaesita diu monstrauit corpora clamor e, per l’incipit (quaesitumque diu), Sil 1,7 Le allitterazioni pretium … prodere (v  424) e monstrare magistrum (v  425) enfatizzano il tema della vendita del maestro e il prezzo del tradimento 426 illi continuo statuunt ter dena argenti Altro esempio di esametro spondiaco Come per il v  233, in alcuni codd si tenta di correggere il 5° spondeo con soluzioni dattiliche: illi continuo argenti ter dena promittunt / pondera C Al; illi continuo statuunt ter dena minarum / pondera Ma Cfr supra, nota al v  233 e Hansson, p  92 Il termine argentum è tra 5° e 6° piede anche al v  629 similmente spondiaco Sul verso ha esercitato il suo influsso Verg Aen 7,634 aut leuis ocreas lento ducunt argento, che funge da modello anche per Paul Nol carm 18,33 hi leues titulos lento poliant argento 426–427 argenti / pondera La VL ha triginta stateres, traduzione del gr τριὰκοντα ἀργύρια, ripresa a calco dalla Vul­ gata geronimiana (triginta argenteos); Marc 14,11 e Luc 22,5 hanno il singolare ἀργύριον senza il numerale; in alcuni mss dell’Itala per Matteo sono attestate altresì le forme stateres argenteos e il semplice argenteos Giovenco non menziona gli stateri (si tratta del siclo giudaico, cfr Matth 17,27 e Hultsch, p  273) ma il metallo di cui sono fatti, o perché nell’esemplare biblico adottato mancava la parola stateres o per una semplice convenzione poetica, dato l’ampio impiego nella poesia latina della ‘iunctura’ argenti pondus/ pondera (Lucr 5,1242; Verg Aen 1,359 [= Hor sat 1,1,41]; Calp Sic ecl 5,83; Sil 15,497; Mart 7,53,12) Non diversa da questa formulazione giovenchiana sarà la parafrasi di Sedulio (carm. pasch 5,43 s tantundem sceleris ter dena nomismata sumens / argenti paruo caecatus munere gessit; al riguardo Deerberg, p  115, richiama il motivo della φιλαργυρία, largamente diffuso a proposito di Giuda nella Chiesa primitiva) 427 his Cioè argenti ponderibus

Commento

273

428–456 L’ultima cena. La sezione si articola in tre unità: i preparativi della cena pasquale (vv  428–431 ~ Matth 26,17–19); la rivelazione del traditore (vv  432–445 ~ Matth  26,20– 25); l’istituzione dell’eucaristia (vv  446–456 ~ Matth 26,26–29) Prenderemo in esame in un unico blocco i primi due brani e separatamente il terzo 428–445 La riscrittura segue Matth 26,17–25: 17 Prima autem die azymorum accesserunt discipuli ad Iesum dicentes: Ubi uis paremus tibi pascha manducare? 18 At ille dixit eis: Ite in ciuita­ tem ad quendam et dicite: Magister dicit: tempus meum prope est, apud te facio pascha cum discipulis meis 19 Et fecerunt discipuli, sicut constituit illis Iesus, et parauerunt pascha. 20 Ve­ spere autem facto discubuit cum duodecim discipulis suis. 21 Et edentibus illis dixit: Amen dico uobis, quod unus uestrum me traditurus est. 22 Et contristati nimis coeperunt singuli dicere: Numquid ego sum, Domine? 23 At ipse respondens ait: Qui intingit mecum manum in parapside, hic me tradet. 24 Filius quidem hominis uadit, sicut scriptum est de illo. Vae autem homini illi, per quem filius hominis traditur. Bonum erat homini illi non nasci 25 Respondens autem Iudas, qui traditurus erat eum, dixit: Numquid ego sum, rabbi? Ait illi Iesus: Tu dixisti («Il primo giorno degli Azzimi i discepoli si accostarono a Gesù e gli chiesero: Dove vuoi che ti prepariamo da mangiare la Pasqua? Ed egli rispose loro: Andate da un tale, in città, e riferitegli questo: Il maestro dice: il mio tempo è vicino, trascorro la Pasqua da te con i miei discepoli Essi fecero come egli aveva ordinato loro e prepararono la Pasqua Venuta la sera si mise a tavola con i dodici, e mentre stavano mangiando disse: Amen vi dico, uno di voi mi tradirà Rattristati profondamente, essi cominciarono ciascuno a chiedere: Sono forse io, Signore? Ed egli rispose: Colui che intinge con me la sua mano nel piatto, costui mi tradirà Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui, ma guai a colui, dal quale è tradito il Figlio dell’uomo; sarebbe stato bene per lui se non fosse mai nato Allora Giuda, che stava per tradirlo, disse: Rabbì, sono forse io? E Gesù a lui: Tu lo hai detto») Il v  428 è un’espansione del complemento di tempo prima autem die azymorum, e quest’ultimo termine lascia il posto al più consueto paschae; il resto del versetto 17 è rielaborato ai vv  429 s con la soppressione di accesserunt … ad Iesum; dicentes è reso con quaerunt, e la domanda dei discepoli è riproposta in forma indiretta (paremus tibi è tolto; pascha manducare ~ cenam sumere paschae) I vv  430 s riproducono la parte del versetto 18 che introduce la risposta di Gesù (at ille ~ Iuvenc at ille; dixit eis ~ iubebat); vi è il cenno all’anonimo quendam, con l’inciso sine nomine; il contenuto della battuta è molto più sintetico rispetto a Matteo ed è implicitamente racchiuso nella relativa con sfumatura finale ultima qui domini caperet mandata (v  431) Per gli stessi motivi di brevitas Giovenco omette anche il versetto 19 Il racconto procede quindi in maniera puntuale con la resa fedele del versetto 20: uespere autem facto ~ Iuvenc uespere mox primo (v  432); duodecim ~ bis sex (v  432); discipulis (v  433) è uguale; recubantibus, concordato con discipulis, richiama discubuit e indirettamente ingloba il primo segmento

274

Commento

del versetto successivo (et edentibus illis) Particolare risalto è conferito al uerbum dicen­ di (dixit ~ Iuvenc tali diuinat uoce, v  433), che apre il discorso diretto con l’annuncio del tradimento; anche le parole di Cristo, definito magister, si discostano dall’originale: come di consueto è omesso il formulare amen dico uobis; en urget tempus, a inizio del v  434, è un’aggiunta che potrebbe rifarsi alla locuzione tempus meum prope est del versetto 18, e stigmatizza l’imminenza del sacrificio ultimo di Gesù; la sintassi è modificata con il passaggio della dichiarativa (quod unus uestrum me traditurus est) in una frase introdotta da cum; tranne la corrispondenza di unus uestrum (Iuvenc e uobis unus, v  435), gli altri termini sono diversi (me ~ Iuvenc Christum; traditurus est ~ prodere morti / … uolutat, con l’incremento di scelerato corde che è funzionale alla costruzione negativa del personaggio di Giuda) Per quanto riguarda il versetto 22, nella parafrasi non c’è il riferimento alla tristezza dei discepoli (et contristati nimis); l’attenzione si sposta sulla loro richiesta di spiegazioni (coeperunt singuli dicere ~ Iuvenc continuo cuncti quaerunt, v  436) e sulla sgomenta valutazione del gesto del traditore, espressa dai nessi insano … corde e tantum … venenum del v  437 Al v  seguente ille dehinc … inquit sostituisce at ipse respondens ait del versetto 23; l’affermazione di Gesù è più asciutta (epulis mecum nunc uescitur), con l’omissione di intingit … manum in parapside e del superfluo hic me tradet I vv  439 s riscrivono il primo stico del versetto 24: filius … hominis è mutato in suboles hominis; subibit / supplicia ad tempus esplicita quanto è implicito in uadit; il participio praescripta è esito di sicut scriptum est, con la caduta di de illo Più massicci sono gli interventi sul secondo stico: miserabilis ille per aeuum (v  440) è una dichiarazione di biasimo e compassione più intensa di uae autem homini illi; la relativa è volta dalla forma passiva all’attiva, con conseguente inversione delle funzioni sintattiche dei termini (il soggetto è qui ~ Matth per quem; il predicato verbale è dedet ~ traditur; l’oggetto è iustum ~ filius homis); il conciso bonum erat homini illi non nasci si espande in un periodo esclamativo che dà maggior vigore alla battuta (quanto felicior esset, / si numquam terris tetigisset lumina uitae!, vv  441 s ); su questo genere di variazioni cfr Roberts, Bi­ blical Epic, p  141 e n  93 Il v  443 (et Iudas grauiter tum conscia pectora pressus) non ha corrispondenti nell’originale Giovenco dedica i vv  444 s al versetto 25: la particella interrogativa è la stessa (numquid); non c’è il vocativo rabbi; Giuda, già menzionato al v  precedente senza la chiosa qui traditurus erat eum, parla alla 3a persona (Iudam talis suspicio tangit?); la risposta di Cristo è introdotta da respondit (~ Matth ait); illi è soppresso; Iesus è sostituito da Dominus e tu dixisti da una perifrasi (te talia dicere cerno) 428–429 paschae Il vocabolo sostituisce nel primo caso l’espressione die azymorum, che designa la festa della Pasqua ebraica celebrata il 14 del mese di Nisan, nel secondo, invece, rende letteralmente pascha del versetto 17 Il termine azymus per la sua connotazione marcatamente giudaica occorre solo raramente nella produzione poetica latina (per es , Prud apoth 353; Paul Nol carm 23, 45; Cypr Gall gen 640; exod 394; 975; 987; Ios 120); tale specifico riferimento al mondo semitico ne spiega l’esclusione dal poema giovenchia-

Commento

275

no e la sostituzione con una parola che, sia pure di impronta ebraica, è perfettamente integrata nel lessico tardoantico, in quanto utilizzata in relazione alla principale festività cristiana e considerata, per via dell’omofonia, un grecismo (Lact inst 4, 26, 40 avvalora la falsa etimologia dal verbo greco πάσχειν); cfr Mohrmann, Études, III, pp  51 s Nei sei casi in cui il poeta impiega il lemma segue letteralmente il testo evangelico a 1,282 (= Luc 2,41); 2,153 (= Ioh 2,13) e 4,429 (= Matth 26,17), mentre specifica con pascha il generico dies festus di Luc 2,42 e Matth 26,5, rispettivamente a 1,285 e 4,407; si veda Poinsotte, pp  71 e 75 e nn 219 e 242 Al genere neutro del modello, largamente attestato negli scrittori cristiani soprattutto in prosa, Giovenco preferisce sempre il femminile forse per motivi di ordine metrico L’espressione paschae dies, che verrà poi impiegata anche in riferimento alla Pasqua cristiana (cfr Ambr exhort. virg 7,42 uenit paschae dies, in toto orbe baptismi sacramenta celebrantur, uelantur sacrae uirgines), ricompare per il racconto della Passione in Sedulio (carm. pasch 5,1–2 has inter uirtutis opes iam proxima paschae / coeperat esse dies) 430 at ille È nella stessa positio esametrica anche in 1,382 La formula di transizione, comune in poesia e in prosa per esplicitare il cambio di interlocutore nelle sezioni dialogiche anche in forma indiretta, si rinviene comunemente anche nella Bibbia latina come traduzione del greco ὁ δέ quendam sine nomine Il pronome quidam, tipico della prosa, determina un distacco dal rigoroso stile epico In Virgilio, che lo evita nell’Eneide e nelle Bucoliche, compare tre volte nelle Georgiche; manca in Orazio lirico; Ovidio lo utilizza otto volte nelle Metamorfosi, una percentuale decisamente bassa su 12 000 versi complessivi; Lucano e Silio Italico hanno soltanto due occorrenze, mentre Seneca tragico sei In Giovenco si incontrano tre casi (3,712; 4,430 653) Cfr Axelson, p  75, e Schico, pp  56 s Il parafraste ripropone il nesso sine nomine, qui nell’accezione di ‘anonimo’, anche in altri due versi del poema, che mostrano in modo più evidente il debito verso Virgilio (3,68 corporis at lacerum flentes sine nomine truncum ~ Verg Aen 2,558 auulsumque umeris caput et sine nomine corpus e 3,760 conplentur mensae mixtae sine nomine plebis ~ Verg Aen 9,343 perfurit ac multam in medio sine nomine plebem) 432 uespere mox primo I testimoni si dividono tra mox e sed, varianti che, secondo Otero Pereira, Edición críti­ ca, p  482, potrebbero risalire già all’archetipo «a juzgar por la desigual repartición entre los distintos grupos y la presencia de ambas lecturas en uno de ellos» Per quanto sed sembri in qualche modo rispecchiare il parallelismo del testo biblico, l’avverbio temporale lega tuttavia in modo più efficace la successione cronologica degli eventi descritti Il nesso temporale che incornicia l’avverbio trova un precedente poetico in

276

Commento

Stat silv 4,3,113, sia pure a termini invertiti e nello schema metrico dell’endecasillabo falecio; invece l’incipit giovenchiano avrà probabilmente ispirato Alc Avit carm 5,403 uespere tum primo 433 tali diuinat uoce L’amplificatio della voce verbale dixit sottolinea le prerogative profetiche di Gesù, che sta per svelare l’apostolo traditore Il ThlL V2 1618,65 cita il verso tra i casi in cui diuinare nel senso di ‘vaticinare’, ‘presagire il futuro’ è usato absolute 434 en urget tempus Urgere si collega all’imminente adempimento del destino; cfr Cic Tusc 1,103 cum … iam moriendi tempus urgeret; Iuvenc 2,286 instantis cursus iam temporis urget e OLD, s. v., 7, p  2106 prodere morti Si può raffrontare con Iuvenc 3,587 filius hic hominis prodetur ad ultima mortis 435 scelerato corde uolutat Cristo definisce ‘scellerato’ il cuore di Giuda; sceleratus è un aggettivo con cui l’autore qualifica spesso personaggi e sentimenti, sottolineandone la negatività: la cupidigia di denaro (2,442), la follia dei fratelli che tradiscono altri fratelli (2,467), la perversa soddisfazione di Erodiade per la morte del Battista (3,67), le accuse del popolo contro Gesù davanti a Pilato (4,595), gli oltraggi arrecati al suo corpo dai soldati (4,643) e la furia della folla che lo crocifigge (4,755); per la clausola corde uolutat, cfr Laev carm. frg 3,1 Blänsdorf; Verg Aen 4,533; 6,185 e 1,50 (corde uolutans); una variante con preposizione (sub corde uolutat) è in Sil 8,177 e 12,556 436–437 e 443–444 Per Poinsotte, p  221 e n  850, la parafrasi dei versetti 22 e 25 marca una netta separazione tra Giuda e gli altri discepoli: gli undici rappresentano l’intera comunità apostolica unita e fedele a Cristo e al v  436 sono designati per mezzo dell’aggettivo cuncti che li identifica come gruppo, diversamente che in Matth 26,22 dove si parla di ‘ciascuno di loro’ (singuli); il traditore, nel suo voluto distacco, ha invece una precisa identità, e il suo nome è isolato nell’incipit del v  443 Per sottolineare anche per mezzo della sintassi la differenza tra i fedeli e l’infedele, il parafraste ricorre poi alla forma indiretta per la domanda degli uni e a quella diretta per le parole dell’altro 436 talibus ausis Si tratta di una clausola epica (Verg Aen 2,535; 12,351; Val Fl 5,269; Sil 13,697) Ad Aen 2,535 Priamo invoca la vendetta degli dèi su Pirro, che ha ucciso Polite sotto gli occhi dei genitori L’intero verso virgiliano sarà ripreso da Proba (cento 252 = gen 3,17)

Commento

277

a proposito dell’audacia sacrilega di Adamo, che mangia il frutto dell’albero proibito; Sedulio (carm. pasch 5,352), forse influenzato dal precedente giovenchiano, usa la clausola a proposito dell’empia Giudea, che ha condannato a morte Cristo 437 insano tantum cepisset corde uenenum Nel verso ritorna la configurazione del golden line, questa volta del ‘tipo 11’ A1 – A2 – V – S1 – S2, dove, a differenza del tipo 12, i sostantivi non sono posti in chiasmo rispetto ai loro aggettivi; lo stesso schema è anche in 2,399 Ora sono gli apostoli a definire insanus l’animo del traditore; l’attributo vede altri impieghi negli Euangeliorum libri a proposito della follia, reale o metaforica: ‘folli’, infatti, sono l’indemoniato geraseno (2,72), la mente dei bestemmiatori (2,625), le parole della folla che deride il Crocefisso (4,677), la fazione che corrompe i soldati per testimoniare il falso sul corpo di Gesù (4,779) L’immagine del veleno, rappresentativa della malvagità dell’apostolo, è tratto caratteristico del demonio e delle sue trame (1,386 404 547; 2,715; 3,369) e delinea la crudeltà degli uomini che perpetrano imprese sacrileghe, come scribi e farisei (2,631 e 634) Con la stessa metafora i Padri paragonano il bacio di Giuda al morso di un serpente velenoso (Ambr in psalm 39,17,1 Iuda … uenenum infundis osculo, quo gratia caritatis infunditur) corde uenenum Ripresa traslata della clausola di Lucan 9,750: una dipsade calpestata morde il giovane alfiere Aulo, che in preda alla febbre si squarcia le vene per bere il proprio sangue; il suicidio del personaggio lucaneo pare anticipare allusivamente quello del personaggio biblico Cfr ancora in clausola Iuvenc 2,719 corda uenenis 439–440 sed suboles … subibit / supplicia L’allitterazione quadrimembre contribuisce a enfatizzare la predizione L’espressione subibit supplicia è un’amplificatio esplicativa della voce verbale uadit della Vorlage; questo verbo, che mette l’accento sul cammino terreno di Cristo e il suo definitivo compimento mediante la morte, è frequentemente attestato nel NT e soprattutto nel Vangelo di Giovanni (8,14 21 s ; 13,3 33; 14,4 28) 440 ad tempus … per aeuum Le due locuzioni temporali, accuratamente collocate davanti a cesura semiquinaria e in clausola, delimitano i due emistichi: il supplizio del Messia è ad tempus (‘a tempo debito’), compiuto cioè in un momento determinato della storia per la salvezza dell’uomo, quello del traditore, che si condanna alla perdizione, si proietta invece nell’indeterminatezza dell’eternità (per aeuum = in omne tempus [εἰς αἰῶνα])

278

Commento

441–442 quanto felicior esset / si numquam … tetigisset lumina uitae Già Courcelle, p  371 e n  678, notava in questo passo l’imitazione di Verg Aen 4,657 felix, heu nimium felix, si litora tantum / numquam Dardaniae tetigissent nostra carinae: se in Virgilio l’esclamazione di Didone esprime il rimpianto di una felicità distrutta dal destino che le ha fatto conoscere Enea, in Giovenco protasi e apodosi riguardano solamente Giuda, unico responsabile della propria sorte infelice Probabile è anche il ricordo di Verg Aen 6,828 s heu quantum inter se bellum, si lumina uitae / attigerint; forse una allusione contrastiva (in negativo per l’apostolo), se si pensa che Anchise fa riferimento alle anime di due personaggi illustri della storia romana, Cesare e Pompeo Quanto felicior è in questa stessa posizione di esametro già in Iuv 14,312 Per il nesso clausolare del v  442 si veda anche Lucr 1,227; 3,849; 5,989 e supra, nota al v  345 441 iustum L’aggettivo iustus, su cui cfr supra, nota al v  140, soltanto nel libro quarto è riservato, e sempre con valore di sostantivo, a Gesù, il Giusto per eccellenza, e unicamente nell’ambito del racconto della Passione (vv  441 594 604 642 652) Tale appellativo gesuano è di derivazione neotestamentaria: cfr Col 4,11 Iesus, qui dicitur iustus; 1 Ioh 2,29 si scitis quoniam iustus est, scitote quoniam et omnis, qui facit iustitiam, ex ipso natus est 442 terris Per l’ablativo apreposizionale, cfr supra, nota al v  77 443 conscia pectora pressus Con questo dettaglio di carattere psicologico il parafraste «ipotizza in Giuda una consapevolezza dell’entità del crimine» (Santorelli, Aquilino Giovenco, p  404) Hatfield, § 37, p  9, individua in Giovenco complessivamente dodici casi del cosiddetto accusativo di relazione (proprio del linguaggio poetico e di stampo greco), di cui dieci, compreso il verso in esame, fanno riferimento a parti del corpo, spesso in relazione a stati emozionali (1,607 733; 2,188 377; 3,296 321 364; 4,205 306 443), due invece a realtà incorporee, la mente e l’anima (2,5 768) È probabile che vi sia qui una ripresa allusiva di Ov trist 3,9,15 conscia percussit meritorum pectora Colchis, che ritrae una Medea consapevole del proprio crimine; analogamente Giuda conosce le proprie colpe, ma non può sottrarsi al corso degli eventi La clausola allitterante pectora pressus sarà anche in Avien Arat 240, ma si veda già Stat silv 4,6,40 pectore pressus 444 numquid Forma propria della Umgangssprache ricorrente nella commedia plautina (KühnerStegmann, II, p  514) Si tratta della sola occorrenza in Giovenco, che preferisce nettamente num (4 casi) e an (9), utilizzati nella prosa più sorvegliata e nella poesia elevata

Commento

279

suspicio Il termine, prosodicamente un epitrito III, grazie all’abbreviamento della -o finale viene ridotto a ionico a maiore per essere inserito nell’esametro In Mart 11,45,5 (oblinitur minimae si qua est suspicio rimae) la parola è nella stessa sede di verso; diversa collocazione trova invece qualche decennio dopo Giovenco in Paul Nol carm 18,26 (duceret in sanctum suspicio falsa parentem) Su questo genere di correptio, relativa ai temi in nasale maschili e femminili (del tipo sermo, suspicio) o esibenti la degradazione apofonica della stessa vocale (del tipo dulcedo, mansuetudo, uertigo, uirgo), si veda Flammini, La struttura, pp  268 s 445 respondit Dominus Tale formula introduttiva è sempre in posizione incipitaria, tranne che a 3,273, dove anche la sequenza delle parole è diversa (tum Dominus forti respondit talia Petro); a 4,593 Dominus è sostituito da Christus Una ripresa successiva è in Prud apoth 42 446–456 Cfr Matth 26,26–29: 26 Ipsis autem cenantibus accepit Iesus panem et benedixit ac fregit et dedit discipulis suis et ait: Accipite et manducate, hoc est corpus meum. 27 Et accipiens cali­ cem gratias egit et dedit illis dicens: Bibite ex hoc omnes. 28 Hic est enim sanguis meus noui testamenti, qui pro multis effundetur in remissionem peccatorum. 29 Dico autem uobis: Non bibam amodo de hac creatura uitis usque in diem illum, cum illud bibam uobiscum nouum in regno patris mei («Mentre cenavano Gesù prese il pane, lo benedisse, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro dicendo: Bevetene tutti Questo è il mio sangue della nuova alleanza, che sarà versato per molti in remissione dei peccati Vi dico che d’ora in poi non berrò più di questo frutto, fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padrer mio») Dopo la frase introduttiva haec ubi dicta dedit, ai vv  446–448 il poeta parafrasa il versetto 26 omettendo il soggetto Iesus, che è sottinteso, e riportando in forma indiretta le parole di Gesù La sequenza delle azioni è in parte invertita e sono sostituiti anche i verbi (Matth accepit – benedixit – fregit – dedit – ait; Iuvenc frangere – diuisum – tra­ dit – precatus – docuit); il significato del pane distribuito (accipite et manducate, hoc est corpus meum), di fondamentale importanza teologica, è spiegato nel testo poetico sotto forma di insegnamento impartito da Cristo (discipulos docuit proprium se dedere corpus, v  448) I vv  449–453 replicano la medesima struttura per il versetto 27: questa volta è aggiunto Dominus; nelle voci verbali c’è una variazione sinonimica, che tuttavia non intacca la successione del brano biblico (accipiens calicem ~ Iuvenc calicem sumit, v  449; gratias egit ~ gratis sanctificat uerbis, v  450; dedit illis ~ potumque ministrat, v  450; una novità è costituita da uinoque repletum, v  449); il verbo attinente all’ammaestramento per la spiegazione del vino è all’interno di un incremento di carattere catechetico (edocuitque suum se diuisisse cruorem, v  451) La riscrittura riprende dal v  452, con

280

Commento

la trasformazione di dicens in atque ait e l’anticipazione del versetto 28, che esplicita il valore sacrificale del sangue: Giovenco tace sulla nuova alleanza (noui testamenti) che tale offerta sancisce tra Dio e gli uomini ma non sulla remissione dei peccati (hic sanguis populi delicta redemit); l’invito a bere è posticipato al primo emistichio 453 (bi­ bite ex hoc omnes ~ Iuvenc hoc potate meum) La formula biblica dico autem uobis del versetto 29 è tradotta con una locuzione confacente allo stile epico (nam ueris credite dictis, v  453); il detto escatologico sul banchetto messianico occupa i vv  454–456: la prima parte è molto simile, solo più poetica (non bibam amodo de hac creatura uitis ~ Iuvenc post haec non umquam uitis gustabo liquorem); la seconda è decisamente diversa: il nominativo regna patris echeggia in regno patris; il vino è immagine allegorica della vita nuova alla quale Cristo risorgerà per volere del Padre (in noua me rursus concedent surgere uina, v  456); manca uobiscum; l’incremento di melioris munere uitae definisce ‘migliore’ la vita eterna 446–452 La scena è descritta con scrupolosa attenzione, a scandire le singole azioni compiute da Gesù, con una sovrabbondanza di voci verbali, che acquistano particolare rilievo per la studiata disposizione in punti strategici dell’esametro: cesura pentemimere (de­ dit, v  446; docuit, v  448; sumit, v  449; sanctificat, v  450), cesura eftemimere (tradit, v  447), clausola (precatus, v  447; ministrat, v  450) 446 dedit, palmis sibi frangere panem Al posto di dedit alcuni mss , tra cui M e Ma, leggono capit, variante accolta da Marold; il solo cod T tramanda poi coepit in luogo di palmis; l’alternativa capit, comunque già piuttosto antica, sembra insorta per dare un verbo reggente all’infinito frangere I casi di infinito storico negli Euangeliorum libri sono tuttavia ben attestati (1,55 365; 2,351; 4,614; Huemer, Index, p  161, e Hatfield, § 20, p  6); inoltre la formula di passaggio virgiliana in apertura di esametro viene sempre usata da Giovenco nella sua forma piena, cioè con il verbo esplicitato e mai sottinteso Il riflessivo sibi sembra avere qui funzione possessiva (‘con le sue mani’), oppure potrebbe essere usato in sostituzione dei dimostrativi eis/illis = discipulis Il riferimento alle mani con cui Cristo spezza il pane – si osservi l’allitterazione palmis … panem – è assente nei Vangeli, ma figura nelle più antiche testimonianze sulla Preghiera Eucaristica, come in quella conservata nel De sacra­ mentis attribuito ad Ambrogio (sacr 4,5,21 qui pridie quam pateretur, in sanctis manibus suis accepit panem) Altri testi liturgici, compresi i frammenti mozarabici, sono discussi in Botte-Mohrmann, p  19 447 sancteque precatus Accolgo la lez sancte della gran parte dei testimoni, messa a testo dagli ultimi editori, contro la variante sanctum, che comunque dà senso, recepita da Reusch e Arevalo; la stessa forma avverbiale ritorna più avanti al v  787 Spesso Giovenco omette il passaggio

Commento

281

scritturistico in cui compare il verbo benedico oppure ne recupera il significato tramite sinonimi e perifrasi, per evitare probabilmente un termine percepito ormai come caratteristico della Sondersprache cristiana Secondo l’uso biblico infatti benedico, costruito transitivamente, fa riferimento alle benedizioni di Dio e di Cristo, diversamente dall’accezione classica secondo cui il verbo, comunque piuttosto raro dopo il periodo repubblicano (Burton, pp  131 s ), costruito con il dativo significa ‘parlare bene di, lodare’ Green, Latin Epics, p  102, pensa che l’eliminazione di tale parola nella parafrasi sia ascrivibile a semplici ragioni stilistiche 448 se dedere corpus I mss esibiscono una diffrazione di varianti: sic dedere C Al; se dedere K1 K2ac Bb; sibi tradere Tras V1sl; se edere Ma; sibi dedere cett Huemer stampa sic edere attribuendo erroneamente in apparato il verbo a C Il senso di ēdere (‘esporre’, ‘svelare’) pare comunque piuttosto inappropriato al contesto, a meno che non si voglia pensare all’omografico ĕdere (‘mangiare’), che a sua volta presenterebbe un anomalo trattamento prosodico riscontrabile solamente nel verso spurio 1,325* edere locustas solitus ruralibus aruis, in cui la prima sillaba della voce verbale viene computata come lunga; l’eventuale corrispondenza formale con la clausola di Tib 3,7,114 s (ipse tamen uelox celerem super edere corpus / audet equum) non ha valore probante, data la grande differenza dei due contesti La lezione dedere, ineccepibile quanto al significato, trova invece riscontro, oltre che nella identica clausola di 1,526, anche in 3,213 s quodque fuit totum propriis discerpere palmis, / et cunctae curat mensatim dedere plebi, dove la scena della distribuzione dei pani e dei pesci, parafrasi di Matth 15,36 fregit et dedit, è descritta con frasario molto simile Tra se e sibi va poi preferita la prima variante, difendibile sulla scorta della costruzione similare di v  451 edocuitque suum se diuisisse cruorem; la seconda comporterebbe peraltro un malinteso sintattico, che in un punto teologicamente così cruciale il poeta avrà senz’altro voluto evitare Per quanto riguarda la genesi delle varianti, il passaggio se → sic → sibi mi sembra più facile che non il contrario; sic ha certamente avuto origine da se, e la comparsa di c si spiega con la d della parola seguente, che nelle scritture latine spesso assomiglia al gruppo cl proprium … corpus Il de Lubac, p 127, ricorda il luogo giovenchiano tra le testimonianze latine della formula eucaristica proprium corpus largamente attestata nella letteratura patristica dei primi secoli e poi in età carolingia Interessanti in proposito le testimonianze di Euseb dem. euang. 1,10 τὴν εἰκόνα τοῦ ἰδίου σώματος; Isid Pelus epist. 109 (PG 78,256C) ἰδικὸν τῆς αὐτοῦ σαρκώσεως; Gaudent serm 2,13 ipse igitur … qui producit de terra panem, de pane rursus efficit proprium corpus; Macar Magnes apocr 3,23 (ed Blondel, pp  105 e 106) τὴν σάρκα φαγεῖν τὴν οἰκείαν ἑαυτοῦ … σῶμα γοῦν ἴδιον ἔδωκε

282

Commento

450 gratis sanctificat uerbis Non è una semplice perifrasi per gratias egit del versetto 27 Il poeta accenna a una vera e propria azione liturgica con l’aggiunta di sanctifico Tale verbo è infatti tipico del latino cristiano in riferimento alla consacrazione del pane e del vino eucaristici (Aug serm 227,1; Pont Rom Germ II, p  75; Blaise, Dictionnaire, p  817), e si legge anche in alcune anafore anamnetiche (Giraudo, pp  296 ss ) I neologismi in -ficare sono peculiarità della Sondersprache cristiana (cfr Mohrmann, Études, I, p  34; II, p  125; III, pp  211 ss ) potumque ministrat La clausola di Verg Aen 8,181 è Bacchumque ministrant: giovani coppieri versano da bere a Enea e ai compagni durante il banchetto in cui si festeggia il patto d’alleanza con Evandro Come osserva Kirsch, p  135, Giovenco trasforma la giuntura virgiliana in una versione meno pregna di contenuti pagani censurando il nome del dio Bacco, nella fonte una comune metonimia indicante il vino La sostituzione, o se vogliamo la neutralizzazione, dell’intertesto risulta tanto più programmatica alla luce del contesto di riferimento, teologicamente fondante nella struttura generale dell’opera Volendo azzardare qualche ipotesi interpretativa appare poi suggestivo il gioco oppositivo tra il locus classico e quello parafrastico: il frutto di Bacco suggella l’alleanza fra Troiani e Arcadi, il vino/sangue di Cristo segna il nuovo patto tra Dio e l’uomo In tal senso vi sarebbe una sottile e implicita allusione al contenuto dell’espressione noui testamenti di Matth 26,28, non altrimenti parafrasata e comunemente interpretata come il nuovo patto sancito dall’istituzione eucaristica 451 cruorem Cruor, l’umore sanguigno denso, il sangue già rappreso o in fase di coagulazione, ricorre in genere nella letteratura latina in riferimento al sangue fuoriuscito da ferite a seguito di azioni violente Il parafraste sembra in questo modo anticipare l’esito finale, la morte in croce; la parola ritorna, infatti, nell’urlo della folla che chiede a Pilato la condanna di Cristo (4,622) e anche in altri luoghi dell’opera essa indica il sangue innocente: 1, 268 (dei bimbi trucidati da Erode) e 3,729 (dei coloni uccisi dai vignaioli omicidi) Proprio a proposito del sangue versato da Cristo per la redenzione dell’uomo, il termine si ritrova poi di frequente nella tradizione poetico-liturgica cristiana (cfr Germano, pp  489–490 e nn 30–31) 452 populi delicta Cfr Hebr 2,17 ut misericors fieret et fidelis pontifex in iis, quae sunt ad Deum, ut repropitia­ ret delicta populi e 7,27 prius pro suis delictis hostias offerre, deinde pro populi Per delictum nell’accezione cristiana di ‘peccato’ si veda Blaise, p  252

Commento

283

redemit È un perfetto gnomico Altri esempi negli Euangeliorum libri sono raccolti da Hatfield, § 14, p  5 453 hoc potate meum La lezione maggioritaria hoc è preferita da tutti gli editori più recenti alla variante hunc, accolta invece da Reusch, che concorda il pronome maschile con sanguis del verso precedente Il solo cod C legge putate in alternativa a potate, che gode del supporto di Matth. 26,27 bibite; questo tipo di errore, che lo scriba commette anche a 3,596, è del resto comune nei mss latini (ThlL X2 358,13 ss ) Non ha avuto infine seguito il merum che si legge in alcune edizioni cinquecentesche e che aveva fatto storcere il naso ai teologi contemporanei e successivi (tra gli altri, Taylor, pp  471–472) Il latino di Giovenco è qui poco lineare, e l’ambiguità dell’enunciato si riflette anche nella traduzione Se accettiamo hoc, che non ha un immediato referente di genere neutro nei versi precedenti, possiamo: 1) intendere il dimostrativo come un ablativo strumentale o locale riferito a calix di v  449, sulla falsariga dell’ipotesto (Matth 26,27 bibite ex hoc), e sottintendere al possessivo meum il termine sanguinem deducibile da v  452 («da questo calice bevete il mio sangue»); 2) sottintendere un nome neutro del tipo poculum (come in 3,596 uos nostrum calicem fas est potare), meno verisimilmente sanguen, visto che a v  452 è usata la forma maschile; 3) valutare ancora hoc come una locuzione causale (= ob hoc; cfr ThlL VI 2745,57 ss ), che prepara alla frase successiva introdotta da nam Variazioni di genere e concordanze anomale si riscontrano comunque già nelle traduzioni latine pregeronimiane, dove nei passi paralleli di Matth 26,27 e Marc 14,24 alcuni mss leggono hoc est sanguis meus (gr τοῦτο γάρ ἐστιν τὸ αἷμά μου; cfr anche Luc 22,17 accepit ca­ licem … dixit: Accipite hoc ~ καὶ δεξάμενος ποτήριον εὐχαριστήσας εἶπεν· λάβετε τοῦτο), per influsso del modello greco, in cui il referente è un nome neutro Se Giovenco ha avuto sottomano una di queste versioni latine, si potrebbe anche pensare che egli, mosso dallo stesso scrupolo dei traduttori biblici, abbia voluto lasciare immutato il testo di riferimento, anche a costo di una maggiore perspicuità ueris credite dictis Sulla resa delle formule bibliche del tipo dico autem uobis ci siamo già soffermati nella nota al v  89 454 post haec Questa locuzione temporale ricorre in incipit anche a 3,733; occupa invece una diversa sede metrica in 1,475; 2,414 515 Richiamerei l’attenzione sul ritmo prevalentemente spondiaco dell’esametro; è come se il poeta avesse voluto in questo modo significare la lunga attesa che deve precedere la venuta del regno di Dio

284

Commento

uitis … liquorem La poetica metonimia è adoperata nello stesso contesto situazionale dell’istituzione eucaristica in Carm adv. Marc 5,191 acceptum panem pariter uitisque liquorem Giovenco indica il vino con liquor anche a 2,132 (laetitiae defecisse liquorem) nell’episodio delle nozze di Cana 455 donec La costruzione di donec con il futuro primo, attestata due volte in Virgilio (georg 4,413 ed ecl 1,273–274), è assai rara nella latinità classica; cfr EV III, p  994, e LHS, pp  628 ss Nelle altre occorrenze giovenchiane la particella è sempre seguita dal congiuntivo (1,41 131 486; 3,94; 4,160 801) regna patris Ricalca l’espressione usata da Verg Aen 12,22 per il regno di Dauno Cfr altresì Ov fast 4,47 patris regnum Forme parallele in Giovenco sono regnum … Tonantis (2,795) e regna Tonantis (4,553) melioris munere uitae Per munere/­a uitae in clausola, cfr ancora 2,229 769; 4,346; a 2,187 c’è invece munere uitam La locuzione, già ricorrente nella poesia classica (Sil 14,177; Mart 3,6,5), sarà rifunzionalizzata dagli scrittori cristiani per dare corpo al nuovo concetto della vita eterna: Carm laud. dom 24 e 114 (munia uitae); Paul Nol carm 32,227; Mar Victor aleth   1,179 (munere u ); 344; Drac laud. dei 3,467 (aeternae  … m. u.); Sedul carm. pasch 5,290; Arator act 1,591 (aeternae … m. u.), 845 (perpetuae … m. u.) Vitae è un genitivo di inerenza o di identità 456 in noua … surgere uina Colombi, Preposizioni, p  15, osserva che qui e a 4,346 s (… surgent in munera uitae / mortales …) la costruzione di surgo + in e accusativo con valore finale è meno usuale del più comune moto a luogo, proprio o figurato; per la poesia il giro di frase si può confrontare con Manil 3,1 in noua surgentem (il solo sintagma preposizionale in inci­ pit anche in Aetna 7; Ov met 1,1, precedente interessante, se si pensa che anche nel testo giovenchiano si tratta, ancorché in termini allegorici, di una metamorfosi; Val Fl 1,114) Vi sono altre attestazioni, sia pure assai diverse sul piano concettuale, tra gli altri, in Aetna 204 surgant in bella); Sen suas 5,1 in gaudia surgit animus e 5,3 in melioris euentus fiduciam surgere e Stat Theb 4,440 in proelia surgunt 457–477 Predizione del rinnegamento di Pietro. Sia in Luca (22,31–34) sia in Giovanni (13,36–38) il dialogo tra Gesù e Pietro si sviluppa dopo il banchetto nel contesto degli ultimi avvertimenti ai discepoli Marco (14,26–31) e Matteo lo riportano invece duran-

Commento

285

te il cammino verso il monte degli Ulivi Giovenco segue il testo di Matth 26,30–35: 30  Et hymno dicto exierunt in montem oliueti 31 Tunc dicit illis Iesus: Omnes uos scandalum patiemini in me in ista nocte. Scriptum est enim: percutiam pastorem, et dispargentur oues gregis 32 Sed postquam resurrexero, praecedam uos in Galilaeam 33 Respondens autem Pe­ trus ait: Si omnes scandalizabuntur in te, ego numquam scandalizabor 34 Dicit illi Iesus: Amen dico tibi, quod hac nocte, antequam gallus cantet, ter me negabis 35 Ait illi Petrus: Etiamsi me oportuerit mori tecum, non te negabo. Similiter et omnes discipuli dixerunt («E dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi Allora Gesù disse loro: Tutti voi subirete lo scandalo a causa mia questa notte Sta scritto infatti: Percuoterò il pastore, e le pecore del gregge saranno disperse, ma dopo la mia risurrezione vi precederò in Galilea Rispose Pietro: Se tutti si scandalizzeranno a causa tua, io non mi scandalizzerò mai Gesù gli disse: Amen ti dico, questa notte, prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte Replicò Pietro: Anche se sarà necessario morire con te, non ti rinnegherò Lo stesso dissero tutti i discepoli») I vv  457 s riprendono fedelmente il versetto 30: hymno dicto ~ Iuvenc cantato … hymno, con la precisazione del modo (sanctis concentibus); exierunt ~ conscendunt, con l’aggiunta di cuncti; in montem oliueti ~ montis Oliueti … culmina Il v  459 (talia tum Christus depromit pectore uerba) dilata il breve inizio di Matth 26, 31 (tunc dicit illis Ie­ sus), con Christus sostituito a Iesus Giovenco evita il grecismo scandalum; aggiunge due versi relativi alla paura che spinge i discepoli ad abbandonare il Maestro (omnes … uos … longe / disperget misere deserto principe terror, vv  460 s ); fa pronunciare a Gesù una sofferta constatazione di tale comportamento (misere) e rielabora l’indicazione temporale (in ista nocte ~ Iuvenc praesenti noctis … tempore, v  460) Al v  462 sic etenim scriptum est introduce, come nell’ipotesto (~ scriptum est enim), la citazione di Zach 13,7, con l’immagine veterotestamentaria del pastore e del gregge: pastoris casibus spiega il biblico percutiam pastorem; la seconda frase (dispargentur oues gregis) vede uno sviluppo retorico incentrato sulla fuga delle pecore attraverso i campi (omnes / in diuer­ sa fugam capient per rura bidentes, vv  462 s ) Il v  464 amplifica con elaborate perifrasi il primo stico del versetto 32 relativo alla risurrezione; ai vv  465 s la promessa del futuro incontro in Galilea (praecedam uos ~ Iuvenc praeueniam) si arricchisce di espressioni che ricordano il forte legame affettivo tra Gesù e questa terra (genitalibus aruis, v  465; grata Galilaeae per rura, v  466); il poeta aggiunge che il Cristo risorto continuerà ad ammaestrare le schiere dei discepoli prima disperse (uestrosque choros … / … docebo) Nella risposta di Pietro, dopo l’incipit formulare (respondens autem Petrus  ~ Iuvenc respondit Petrus; ait è omesso), il verbo scandalizo, ripetuto due volte al versetto 33, è reso nel primo caso con una parafrasi riferita al rinnegamento dei cuncti e alla loro debolezza interiore (cunctos, si credere fas est, / quod tua labanter possint praecepta negare, vv  467 s ), nel secondo con la convinta dichiarazione di fedeltà dell’apostolo (sed mea non umquam mutabit pectora casus, v  469) La predizione del tradimento, versetto 34, è riscritta ai vv  470–474: il segmento introduttivo comprende solo pronome e avverbio (dicit illi Iesus ~ Iuvenc ille dehinc); manca amen dico tibi; la notazione cronologica

286

Commento

hac nocte è ravvivata dalla suggestiva ekphrasis della notte, forgiata con riusi classici (vv   470 s ); proprio la personificazione della nox, che udrà Pietro, definito pauidus, mentire per tre volte (audiet, ut trinis … mendacia uerbis / dices …) e rinnegare Cristo (et Christum … negabis), vv  472 s , ottiene particolare enfasi, accresciuta dalla vena di amara ironia dell’apostrofe fortissime Petre; il riferimento al canto del gallo che preannuncia l’alba (et prius, alitibus resonent quam tecta domorum, v  474), posticipato rispetto a Matteo, chiude l’intervento di Gesù I vv   475–477 presentano la replica di Pietro: l’avversativa a inizio del v  475 (at Petrus ~ Matth ait illi Petrus) segna un deciso contrasto tra l’annuncio della defezione e l’ostinata volontà dell’apostolo; la sua determinazione ad affrontare la morte (etiamsi me oportuerit mori tecum) è resa mediante il cambio di mori con il sostantivo mortem qualificato da duram (v  475); il v  476 (uox oblita suum quam deneget ista magistrum) sviluppa il conciso non te negabo; il v  477, che parafrasa la frase conclusiva del versetto 35, annota l’adesione di tutti gli altri discepoli a tale proclamazione di costanza (has uires cordis perstant promittere cuncti) 457–458 cantato … concentibus … / … conscendunt culmina cuncti L’allitterazione in c, la figura etymologica, l’iterazione del prefisso con, il gruppo cu nelle parole della clausola del v  458 e la coincidenza di tempo forte e accento di parola al secondo emistichio 657 rendono la solennità del rito collettivo e la comune ascesa al monte degli Ulivi, dove le strade dei protagonisti saranno destinate a dividersi 457 exin L’avverbio apre anche il v  3,600 Si tratta di una rara forma enniana (ann 85 147 491 Skutsch), attestata presso gli epici una volta in Lucrezio (4,101), otto in Silio Italico (3,14 594; 6,94; 11,259; 13,537 752; 15,327; 16,168) e due nella Tebaide di Stazio (2,223; 6,268) Sia exin sia la forma exim, che invece compare in Virgilio, sono collocati solo prima di consonante cantato … hymno A conclusione del banchetto pasquale si recitavano i salmi dell’Hallel (113–118) L’espressione sembra appartenere al latino cristiano (Vulg Iudith 16,15 hymnum cantemus Domino hymnum nouum cantemus Deo nostro; psalm 136,3 hymnum cantate nobis de can­ ticis Sion; Ambr epist 7,28 cantabiles habebant iustificationes dei, cum hymnum deo de creaturarum laudatione cantarent) 458 montis Oliueti Il Monte degli Ulivi (ebr Har HaZeitim, ‘Monte della Sommità’) è situato a Est di Gerusalemme; in realtà secondo il racconto evangelico Gesù e i discepoli non salirono sulla montagna ma si fermarono nel campo del Getsemani, posto ai piedi dell’altura Per l’importanza assunta dal luogo nell’immaginario cristiano, l’autore mantiene il nome proprio Oliuetum pure a 4,91 ad Oliueti … arcem

Commento

287

montis … conscendunt culmina cuncti In 3,622 Giovenco parafrasa l’ingresso di Gesù a Gerusalemme e il riferimento al monte degli Ulivi descritti in Matth 21,1 con una perifrasi molto simile (proxima tum Solymis conscendit culmina montis), recuperando una clausola poetica classica (Sen apocol 15,7; Val Fl 4,260; Stat Theb 3,633; 11,319; silv 1,1,59), qui invece riposizionata mediante iperbato e anastrofe Per la combinazione del verbo conscendere con culmen si possono citare Prop 2,10,23 laudis conscendere culmen (qui in senso traslato; culmen è correzione del Passerat accolta da Fedeli; i codd leggono carmen, lezione recepita da Mattingly, pp  49 s , e Shackleton Bailey, p  94) e Sil 3,510 dominantis moenia Romae / credite uos summumque Iouis conscendere culmen La clausola di Lucan 5,250 è culmine cuncta 459 talia tum Christus L’intero verso costituisce un’introduzione alle parole di Gesù L’espressione è anche al primo emistichio 2,205 e, con i termini invertiti (tum talia Christus), a 3,595 (in clausola); l’allitterazione talia tum a inizio verso, riproposta con o senza ellissi del verbo ancora a 2,692 728 824, ha illustri precedenti epici in Enn ann 35 Skutsch talia tum memorat; Ov met 8,703 talia tum … edidit ore; a fine verso è invece in Verg Aen 11,501 tum talia fatur depromit pectore uerba La forma verbale depromo, unita a pectore anche al v  348, nelle sue nove attestazioni, fatta eccezione di 2,744, in cui il soggetto è una realtà inanimata (farra), è sempre impiegata a proposito dei discorsi rivolti da Cristo alle folle o ai discepoli (2,425 527 737; 3,3 467; 4,348 380 459) La clausola pectore uerba, ripresa al v  556 (le parole di Caifa), si legge già in Val Fl 4,372 461 deserto principe È l’unico caso in cui l’appellativo princeps, che nella parafrasi ha sempre una connotazione negativa (2,378 il capo dei sacerdoti; 4,404 e 549 Caifa; 2,607 il principe dei demoni), è riferito a Cristo Questo epiteto gesuano ricorre spesso presso gli scrittori cristiani, che lo mutuano dalla Bibbia (VL Is 9,6 princeps pacis; act 3,15 principem uitae; apoc. 1,5 princeps regum terrae; Ps Cypr idol 9 cum mens … sui auctoris et principis admonetur; Arnob nat 1,27 regis ac principis; Prud cath 12,205 laudate uestrum princi­ pem); casistica in Blaise, p  252, e ThlL X2 1288,40 ss terror La paura come movente psicologico, che spinge i discepoli alla fuga e spiega la natura dello scandalum di Matth 26,31, non ha equivalenti nella Vorlage Questa interpretazione ha però delle corrispondenze nella coeva e successiva esegesi patristica, per es , nel commento a Matteo di Ilario di Poitiers (in Matth 30,3 futurae quoque eos infirmitatis admonuit et nocte eadem omnes metu atque infidelitate turbandos)

288

Commento

462 sic etenim scriptum est È una ripresa ad litteram del modello; per il formulare scriptum est, di stampo biblico, cfr anche 2,575 e 4,49 sic etenim In incipit anche a 1,601; la matrice poetica è Lygd 1,14 (poi successivamente Paul Nol carm 23,220 e Arator act 2,892) 463 in diuersa fugam capient per rura bidentes Sofisticata risulta l’architettura del verso, in cui la collocazione centrale di fugam capient è fatta risaltare dai sintagmi preposizionali dislocati lateralmente per rappresentare la fuga disordinata del gregge tra i campi Il lessico è nell’insieme stereotipato: l’incipitario in diuersa risale già a Culex 259; Manil 1,278; Stat Theb 1,135; 7,38; la giuntura fugam capere è poi in Ov fast 3,867 utque fugam capiant Bidens, che compare anche a 3,183, a partire da Virgilio è usato in poesia quasi esclusivamente come sinonimo di ouis (cfr ThlL II 1973,49 ss ) La clausola per rura bidentes sarà imitata da Cypr Gall exod 126 464 post ubi Convenzionale cliché poetico risalente già a Plauto (Bacch 960; Stich 569) e Terenzio (Andr 631), è frequente soprattutto nella produzione poetica a carattere didascalico (Lucrezio, Virgilio georgico, Grattio, Columella) uita nouos caeli mihi reddet honores Per il cristianismo resurgo del versetto 32 il poeta impiega – secondo un usus notato da Simonetti Abbolito, Termini tecnici, pp  82 s , e supra, nota al v  28 – una ricercata locuzione e un verbo con prefisso re­, variando la clausola ovidiana di met 13,272 reddat honorem 465–466 genitalibus aruis / grata Galilaeae … per rura La determinazione di luogo in Galilaeam di Matth 26,32 è significativamente dilatata in una perifrasi scandita dall’allitterazione in g, che prolunga in un’eco il nome della Galilea; il nesso genitalibus aruis, al singolare, è in Verg georg 3,136 sit genitali aruo et sulcos oblimet inertis; tra le attestazioni più tarde si può citare almeno Mar Victor aleth 2,7 sedibus ac regnis genitalia contigit arua La giuntura grata … rura è di Stat Theb 4,294 grata pharetrato Nonacria rura Tonanti 465 uestrosque choros Il termine chorus, ripreso più avanti al v  787 (illum procumbens sancte chorus omnis ado­ rat) ancora per indicare il gruppo degli apostoli, è attestato con la medesima accezione sia al singolare sia al plurale in prosatori e poeti cristiani (Cypr mortal. 26 illic aposto­ lorum gloriosus chorus; Hier in Is 7,21,11 dominus ergo loquitur ad apostolorum chorum;

Commento

289

Nicet hymn. te Deum 7 Te gloriosus apostolorum chorus; Paul Nol carm 27,209 pulcher apostolici chorus agminis; ThlL III 1025,60 ss ) 466 Galilaeae Il nome geografico ha due attestazioni in Giovenco (2,243 e 4,466); dieci volte si trova l’aggettivo corrispettivo (1,414 Galilaea … arua; 435 terram Galilaeam; 450 Galilaea … plebs; 2,328 Galilaeam … regionem; 3,195 Galilaeas … oras; 459 Galilaea … arua; 4, 579 Galilaeam … loquellam; 762 Galilaeam … terram; 775 Galilaeam … terram e 784 (Gali­ laeos … montes) La quantità della seconda sillaba varia in base alle esigenze metriche: essa è sempre lunga nei cinque casi del libro quarto, nei due del secondo (243 328) e a 3,195 (cfr Prud ditt. 126); è invece breve a 1,414 435 450 e 3,459 (cfr Orient carm. app  3,165; Sedul carm. pasch 4,189; Ven Fort Mart 2,327) uolitans Alla nuova dimensione ultraterrena assunta da Cristo dopo la risurrezione rimanda il participio uolitans, che Knappitsch, IV, p  52, pone in relazione alla trasfigurazione del corpo di Gesù ormai «clarificatum» Con lo stesso verbo ma nella sua forma semplice Giovenco descrive il diffondersi nell’aria dell’invisibile Spirito di Dio che genera un soffio simile a sé (2,199 s hic, ubi uult, quocumque uolat uocemque per auras / iactat) 467 respondit Petrus L’incipit è già in 3,387; i due termini ricorrono invece in clausola con l’aggiunta di talia in 3,110 (respondit talia Petrus), sempre come formula introduttiva di un discorso diretto 467–468 cunctos, si credere …, / quod A una prima lettura l’accusativo cunctos sembra anacolutico; si ha quasi l’impressione che il poeta in un primo momento abbia avuto in mente una proposizione infinitiva con un regolare soggetto in accusativo per poi dirottare inaspettatamente su una frase dichiarativa introdotta dal quod subordinante (su cui si veda supra, nota al v  90) Non sembra comunque necessaria la correzione cuncti proposta da Arevalo L’interpretazione di Green, Problems, p  211, che fa dipendere il pronome da mutabit di v  469, sembra chiarire il senso complessivo del periodo e giustificare anche l’avversativa in apertura del v  469: «a disaster [may change all men], if it is right to believe that they can waveringly deny your commands, but will not change my heart» La locuzione si credere fas est occupa la stessa positio metrica in Sil 3,425 468 labanter La lez labanter di C (labenter M) è meno ovvia del participio labentes di altri testimoni manoscritti; l’avverbio risulta essere un hapax assoluto La prima sillaba è computata

290

Commento

come lunga anche nel termine corradicale lābat di 2,435; 3,373 e 4,500; essa è invece regolarmente breve in lăbare di 3,135; cfr ThlL VII2 779,65 ss 470–471 L’indicazione temporale di Matth 26,34 hac nocte viene dilatata attraverso una descrizione di carattere ornamentale, che costituisce un chiaro esempio di amplificatio I due versi sono il risultato della contaminazione di Hor sat 1,5,9 s (iam nox inducere terris / umbras et caelo diffundere signa parabat) e Verg Aen 1,89 (ponto nox incubat atra); il nesso lucida sidera si trova già in Hor carm 1,3,2 e Sen Oed 503 Analoghe descrizioni della notte realizzate da Giovenco sono anche in 2,1–3; 3,97 e 4,428 Il gusto per il dettaglio descrittivo (talvolta portatore di ulteriori significati rispetto al modello, talaltra mero artificio retorico), condiviso anche da altri parafrasti, soprattutto per le notazioni di luogo e di tempo, riportate nel testo biblico in maniera disadorna, è il prodotto della tradizione epica e risponde ai canoni stilistici della poesia tardoantica; cfr al riguardo Roberts, Biblical Epic, pp  206–13 Herzog, p  154, n  389, e Röttger, p  84, notano che in questo caso la scena si carica di una chiara dimensione simbolica, per cui la notte diventa metafora della tenebra interiore di Pietro, personaggio comprimario del brano 470 ille dehinc L’attacco, raffrontabile con l’analoga formula di passaggio ipse dehinc (Verg Aen 12,87), è usato dall’autore per introdurre, nella maggior parte dei casi, i discorsi di Gesù (cfr anche 2,36 695; 3,154; 4,438 555) e, solo in 3,510, le parole pronunciate dal giovane ricco di Matth 19, 20 In 4,771 il nesso occupa una diversa posizione esametrica 471 incubat undas La lez undas, tràdita dai codd C M Bb1 e accolta da Huemer, va preferita alla variante undis di altri testimoni per la maggiore rarità della costruzione di incubo (nel significato di ‘giacere sopra’) con l’accusativo; cfr Avien ora 236 incubat caligo terras e la voce di Rehm in ThlL VII1 1062,52 s La forma undis, se non è una trivializzazione, sarà insorta per una svista degli scribi, data la ripetizione della desinenza ­is nella chiusa dei vv  470, 472 e 473 472–473 audiet, ut … / dices et … negabis La costruzione di audio con ut e l’indicativo in luogo della più comune infinitiva oggettiva sembra essere un hapax sintattico; una variante con il congiuntivo è in Tac hist 1,37,2 auditisne, ut poena mea et supplicium uestrum simul postulentur? (si veda ThlL II 1269,30 s ) Negli Euangeliorum libri una costruzione analoga si ha con il verbo cerno a 1,642 (cernite … ut lilia fulgent) e 2,60 (cernis, ut … subigant) I due predicati verbali dices e negabis circoscrivono il v  473

Commento

291

trinis … uerbis Per l’uso del numerale distributivo al posto del cardinale, cfr supra, nota al v  198 pauidus È ancora la paura che porta l’apostolo al rinnegamento; l’aggettivo (qui con funzione predicativa) che denota tale emozione ha una posizione di rilievo, al centro dell’esametro, in corrispondenza di cesura semisettenaria L’attributo connota diversi personaggi nell’epopea di Giovenco: Maria nel colloquio con l’arcangelo Gabriele (1,64), la folla che assiste alla guarigione dell’indemoniato di Gerasa (2,74), i peccatori (2,238), i discepoli durante la tempesta sedata e sul monte Tabor (3,107 335), le pie donne alla vista del Cristo risorto (4,770) mendacia uerbis Se ne ricorderà Paul Petric Mart 2,213 e 6,197 473 fortissime Petre Le qualificazioni che nel poema accompagnano il nome di Pietro hanno lo scopo di lodarne la fede salda e matura (1,422 praesolidum Simonem, dignum cognomine Petri; 3,271 stabilis Petrus; 273 forti … Petro; 278 tu nomen Petri digna uirtute tueris; 534 Pe­ trus fidei munitus moenibus) Tanto più stridente sembra quindi questa apostrofe, che oscilla sottilmente tra l’ironia e la compassione Il Signore, in previsione degli eventi, sembra dire al discepolo, altrimenti così coraggioso e animato da buone intenzioni, che altra, rispetto a quella promessa, sarà la sua reazione nel momento della prova La centralità del personaggio nell’epopea giovenchiana è dimostrata dal fatto che il numero di occorrenze del suo nome, come osserva Poinsotte, p  48, cresca d’intensità nel passaggio dal modello evangelico alla riscrittura esametrica; lo stesso vale per l’antagonista Giuda 474 prius, alitibus resonent quam tecta domorum Come è noto, per i Romani il ‘canto del gallo’ corrispondeva alla terza veglia (l’arco di tempo compreso fra la mezzanotte e le tre del mattino), detta gallicinium Giovenco traduce l’indicazione temporale mediante una frase poetica, scandita da iperbato e anastrofe; tecta domorum è clausola di Lucr 2,191 e 6,223 e Verg Aen 12,132; cfr anche Comm apol 1030 alitibus Un plurale poetico per gallus di Matth 26,34 (se ne è discusso nella nota al v  81) Sedulio non avrà le stesse remore a ricollocare nella parafrasi il termine biblico (carm. pasch 5,80 s prius aliger … / quam gallus cantet e 108 gallus cecinit)

292

Commento

475–477 I tre esametri sono un complesso sviluppo dell’ultima parte del versetto 35, contenente la promessa di fedeltà a Cristo da parte di Pietro e degli altri discepoli Il poeta accentua tale ostentazione di coraggio mediante la ripetizione della consonante m (duram mortem mihi sumere malim / … magistrum) e le allitterazioni chiastiche cordis perstant promittere cuncti, unitamente alla scelta di aggettivi che connotano i termini più importanti Simonetti Abbolito, Osservazioni, p  313, nota che «gli attributi duram, suum, ista, has hanno tutti lo scopo di rinforzare non solo per le orecchie ma anche per gli occhi la sicurezza di Pietro e degli apostoli di mantenersi forti e costanti» 477 perstant promittere Per altri esempi di persto seguito dall’infinito si veda ThlL X1 1751,34 ss 478–510 Al Getsemani. Nell’orto degli Ulivi Gesù sperimenta in totale solitudine l’angoscia e la paura, lacerato da sentimenti contrapposti, il naturale rifiuto della morte e la piena accettazione della volontà di Dio Alla sofferta veglia di preghiera di Cristo si contrappone il sonno dei discepoli, incapaci di comprendere fino in fondo la portata dell’evento, fragili di fronte alla tentazione; da qui il richiamo a vegliare, come già nel discorso escatologico (cfr soprattutto Matth 24,36–51) Il brano biblico è caratterizzato dall’accostamento di concetti antitetici, che nella parafrasi Giovenco recupera, talvolta mantenendosi fedele all’originale, talatra variando il dettato poetico: sonno – veglia (vv  486 s segnem excludite somnum, / sollicitamque simul uigilando ducite noctem ~ Matth 26,38 sustinete hic et uigilate mecum; vv  494 s sed somnus anhelis / … membris dissoluerat omnes ~ Matth 26,40 dormientes; vv  496 s non est mihi ponere uirtus / unam peruigilem … horam? ~ Matth 26,40 non potuistis una hora uigilare mecum; v  498 uigi­ late ~ Matth 26,41 uigilate; v  505 discipulos somni sub pondere pressos ~ Matth 26,43 dormientes; v  508 iam dormire licet ~ Matth 26,45 dormite), mia volontà – tua volontà (v  492 sed tua … potius, quam nostra uoluntas ~ Matth 26,39 sed tamen non sicut ego uolo, sed sicut tu; v  504 iam tua proueniat nostra de sorte uoluntas ~ Matth 26,42 fiat uoluntas tua), spirito pronto – carne debole (v  500 spiritus iste uiget, sed corpus debile labat ~ Matth 26,41 spiritus quidem promptus, caro autem infirma), preghiera – tentazione (vv  498 s uigilate, precor, ne uos temptatio … / … praecipitet ~ Matth 26,41 orate, ut non intretis in temptationem) È altresì rispettata la ripartizione della scena con il triplice ritorno di Gesù dai discepoli addormentati 478–493 I versi riprendono Matth 26,36–39: 36 Tunc uenit Iesus cum illis in praedium, quod dicitur Gedsamani. Et dicit discipulis suis: Sedete hic, donec eo illuc orare 37 Et adsumpto Petro et duobus filiis Zebedei coepit contristari et maestus esse 38 Tunc ait illis: Tristis est anima mea usque ad mortem; sustinete hic et uigilate mecum 39 Et progressus pusillum procidit in

Commento

293

faciem suam orans et dicens: Pater meus, si possibile est, transeat a me calix iste; sed tamen non sicut ego uolo, sed sicut tu («Poi Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsemani, e disse ai discepoli: Sedete qui, mentre io vado di là a pregare E, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia Disse loro: La mia anima è triste fino alla morte; rimanete qui e vegliate con me Allontanatosi un po’ si prostrò col volto a terra, pregando così: Padre mio, se è possibile, passi lontano da me questo calice; tuttavia non come voglio io, ma come vuoi tu») La pericope giovenchiana si apre con l’immediata indicazione del luogo, il podere del Getsemani; il parafraste subito chiarisce che si tratta di una parola ebraica, pur non dandone il significato (nominis Hebraei sunt Gessamaneia rura, v  478); rimpiazza il nome Iesus di Matth 26,36 con un appellativo altamente distintivo (lucis uitaeque re­ pertor, v  479) e uenit con progreditur; sviluppa poi il complemento cum illis in una frase coordinata (circa discipuli … sequuntur), con l’incremento di Iuda fugiente (v  480) Il v  481 riproduce in forma indiretta l’ordine di aspettare impartito ai discepoli, senza però l’esortazione a pregare I due versi seguenti si ricollegano all’attacco di Matth  26,37, in maniera quasi letterale (adsumpto Petro coincide; et duobus filiis Zebedei ~ Iuvenc Zebedeique simul natis), con la sola additio di procedere … / per deuia tendit Il v  484 accorpa la fine del versetto 37 e l’inizio del 38: Giovenco tratteggia i sentimenti di Gesù, le sue emozioni umane con l’aggettivo maestus (~ Matth coepit … maestus esse) e la giuntura angore graui (~ contristari); la clausola sic uoce profatur equivale a tunc ait illis Le parole di Gesù sulla propria tristezza (tristis est anima mea usque ad mortem), che riflettono il linguaggio salmico (cfr psalm 41,6), sono richiamate con degli ampliamenti ai vv  485 s (tristia nunc uoluens animus mihi pectora turbat / morte tenus); altrettanto rielaborato è l’appello alla vigilanza che completa il versetto, modulato ai vv  486 s sul gioco oppositivo sonno-veglia (sed nunc uos segnem excludite somnum, / sollicitamque simul uigilando ducite noctem) I vv  488 s riprendono la parte del versetto 39, che precede la preghiera al Padre: notiamo l’aggiunta di haec ait, il mantenimento di progressus pusillum (~ Iuvenc paulum procedens, da confrontare con la variante esibita da ff2), la parziale modifica di procidit in faciem suam in corpore terram / deprimit, con l’inserimento dal participio proiectus, e il passaggio di orans et dicens in tali … uoce precatur Gesù supplica Dio di risparmiargli la prova finale: c’è qualche cambio lessicale (pater meus ~ Iuvenc genitor; si possibile est ~ si fas est); transeat corrisponde; calix diventa specificazione di uiolentia, all’interno di una perifrasi giocata sull’imminenza dell’ora fatale e sulla morsa violenta del supplizio (vv  490 s ) Il v  492 annuncia l’adesione del Figlio al volere paterno, senza grossi interventi sul testo biblico; una novità è invece il v  493, che ricollega al disegno divino il doloroso evento (quae tibi decreta est tantis sententia rebus) 478 nominis Hebraei … Gessamaneia rura Struttura a chiasmo bilanciata dal predicato verbale in posizione mediana Giovenco scarta toponimi di secondaria importanza, le cui sonorità dure, caratteristiche della

294

Commento

lingua ebraica, non avrebbero incontrato il favore del pubblico tardoantico, mentre ne mantiene altri intimamente legati alla vicenda terrena di Gesù e tali da suscitare viva emozione negli ascoltatori Per Poinsotte, pp   42 ss e nn 115, 120 e 125, la scelta della forma Gessamaneia, in luogo di Gethsemani, rappresenterebbe un tentativo di dissimulazione dei suoni ebraici nel più ampio disegno di romanizzazione del testo evangelico I testimoni della VL, oltre alla lezione Gedsamani (a b ff2), esibiscono le varianti Gezamani (a u r), Getsamani (d r1), Gethsamani (f), Gethsemani (ff1 g1 l ug), Gessemani (q) La lez Gessamani dei codd c e h lascia supporre, come osserva Flieger, p  16, che l’attributo giovenchiano non sia un’innovazione isolata, un ‘addolcimento’ fonico funzionale alla versificazione latina, ma derivi piuttosto da un ramo della tradizione ms della VL noto al poeta Il genitivo di qualità nominis Hebraei (cfr Hatfield, § 44, p  10) ricorre variato a 2,178 Iudaei nominis L’aggettivo Hebraeus, documentato per la prima volta in poesia nella descrizione del sontuoso apparato funebre di Priscilla in Stat silv 5,1,208 ss , vede in Giovenco solo un’altra occorrenza a 4,693 Hebraeae in morem linguae 479–483 Questa sezione è tutta imperniata sulle coordinate spaziali, che definiscono l’ambito entro cui si muovono i personaggi La descrizione si apre con l’avverbio di moto illo, che indica il campo del Getsemani e che costituisce la destinazione di Gesù (illo pro­ greditur lucis uitaeque repertor, v  479); la collocazione degli apostoli che circondano il maestro è espressa da circa, ancora in incipit (circa discipuli … sequuntur, v  480) La successiva terna di versi presenta un’antitesi tra l’interruzione della marcia del più ampio numero dei discepoli, con l’ordine di fermarsi «in quel luogo» (illic, v  481), e la prosecuzione del cammino da parte di Gesù, di Pietro e dei figli di Zebedeo verso un indeterminato longe (v  482), relegato fuori dai confini della scena in una dimensione di appartata solitudine (per deuia, v  483) 479 lucis uitaeque repertor L’epiteto repertor, nel significato di ‘creatore’, viene assegnato da Virgilio a Giove (Aen 12,829 hominum rerumque repertor), mentre più frequentemente ricorre nel senso di ‘inventore’ o ‘scopritore’ (di arti, mestieri, discipline), anche in riferimento a divinità, sia negli autori classici (soprattutto gli epici) sia nei cristiani, oppure di ‘fondatore’ (Cyrenaicae sectae; detto di Aristippo in Apul Socr prol 2,16) A proposito del Dio cristiano il termine è attestato, tra gli altri, in Comm apol 238 quo Deus pependit Dominus, uitae nostrae repertor; Prud cath 4,9 rerum conditor et repertor orbis; Claud carm. min 32,11 mundi … repertor e Merob Christ 2 lucis … repertor La ricorrenza dell’epiteto virgiliano, attribuito a Cristo anche in altri due luoghi giovenchiani (1,35 nunc ego, quem dominus caeli, terraeque repertor e 2,405 sed Christus, leti uictor uitaeque repertor), ha indotto Flieger, pp  19 s , a parlare in proposito di Christusanschauung, una formulazione cristologica con cui il presbitero spagnolo entrerebbe nella controversia dottrinale del

Commento

295

Concilio di Nicea, contribuendo a dare risonanza in Occidente ai temi dottrinali riguardanti la natura di Cristo Il valore profondamente teologico di questa formula, che afferma il ruolo di Cristo come co-creatore dell’universo, è stato riconosciuto da Fontaine, Dominus lucis, pp  137 s e nn 44 e 45, il quale stabilisce un parallelo con l’espressione uitae lucisque parentem di 1,747 (la confessione di fede del centurione) e ritiene il nome d’agente repertor sinonimo di conditor nell’accezione tipicamente cristiana di ‘creatore’ L’uso di tale perifrasi all’inizio del racconto della Passione esprime, per lo studioso, un tributo alla sovranità dell’Uomo-Dio che si consegna volontariamente alla morte per la redenzione dell’umanità 480 circa discipuli Iuda fugiente sequuntur Al posto di circa, che ha qui valore avverbiale come in 1,158, alcuni mss leggono quem mox, variante messa a testo da Arevalo e raffrontabile con l’incipit di 4,641 quod mox La struttura paratattica e asindetica ottenuta con la lezione maggioritaria sembra garantire tuttavia una maggiore simmetria oppositiva rispetto al verso precedente Giovenco esplicita che Giuda non è più con i dodici, informazione omessa da Matth 26,36, mediante una doppia antitesi, che sottolinea la rottura venutasi a creare tra la figura del traditore, il cui nome acquista particolare evidenza tra le due incisioni principali, e gli altri apostoli, ancora fedeli seguaci di Cristo; cfr Poinsotte, p  221 La giustapposizione di fugere e sequi è in Verg Aen 1, 406 e 9, 17 (tali fugientem est uoce secutus) 481 reliquos … residere La coincidenza del prefisso re- nei due lessemi contribuisce a distinguere, quasi a isolare, Pietro e i figli di Zebedeo dalla restante parte degli apostoli ministros L’impiego del termine ministri per designare gli apostoli è attestato nella Bibbia latina e negli scrittori cristiani; cfr ThlL VIII2 1001,45 ss 482 ipse sed Stessa anastrofe a 3,58 e 556 (cfr Verg ecl 4,43; Ov Pont 1,7,43); a 2,326 si ha ipsos sed; vd altresì Verg Aen 1,353 ipsa sed e Val Fl 2,280 ipsam sed 482–483 procedere … / … tendit Il semplice tendo con l’infinito in luogo dei composti intendo o contendo è comune in poesia fin da Lucrezio e in prosa fin da Livio (LHS, II, p  346) Notevole la traiectio che scavalca il limite di fine verso 483 Zebedei … natis Quattro volte su cinque rispetto all’ipotesto Giovenco conserva il nome di Zebedeo, padre degli apostoli Giacomo e Giovanni (1,433; 3,319 e 590; 4,483), e sempre computa

296

Commento

come breve la terza sillaba, non tenendo conto della derivazione dall’originario dittongo greco (Ζεβεδαῖος) Tale libertà prosodica nel trattamento dei nomi propri di origine ebraica è comune ad altri scrittori cristiani; cfr Lavarenne, pp  76 ss ; Fichtner, pp  47– 50; Flammini, La struttura, pp  265 ss Negli Euangeliorum libri casi analoghi si riscontrano anche a proposito dei toponimi: 1,411 finibus et statuit Zabŭlonum ponere sedes e 413 terra Zabūlonum et regionis Neptala nomen; 2,255 dispernens ueterum Samăritum iussa ministrem e 322 ecce Samāritum populi uenere rogantes per deuia Il sintagma ricorre altre quattro volte (1,408 528; 2,622; 3,319) e soltanto in 1,528 ha il valore metaforico di ‘allontanamento dalla retta via’ (cfr Sen epist 5,49,12 e Flury, Dich­ tersprache, pp  41 s e n  23) Simile al nostro è il v  3,319 Petrum Zebedeique duos per deuia natos Lucrezio e Virgilio non usano il termine deuius, che invece è usuale nell’epica tarda; il neutro plurale è adottato con funzione di aggettivo da Ovidio (met 1,676; 3,146 370; fast 2,369), più spesso compare invece come sostantivo sia in poesia (Val Fl 3,49; 8,54; Stat Theb 5,248; silv 3,1,75;) sia in prosa (Amm 31,16,2; Oros hist 1,10,19) 484 angore graui maestus L’autore interrompe il parallelismo biblico (coepit contristari et maestus esse), mantiene dell’originale solamente il secondo elemento e sostituisce il primo con un ablativo di causa che introduce il concetto di angoscia Angor è parola non molto ricorrente nella poesia latina (sebbene tali formazioni in -or siano molto amate da Lucrezio), e il parafraste la usa solamente in questo caso; essa conserva nel contesto sia l’accezione propriamente fisica di ‘soffocamento’, effetto della somatizzazione dello stato psicologico, sia quella morale di ‘angoscia’, ‘oppressione’ (cfr Cic Tusc 4,18 angor aegritudo premens) Se il ricorso a un termine così espressivo può spiegarsi come una semplice scelta stilistica conforme agli standard epici miranti a una patetizzazione dei sentimenti dei personaggi, è pur vero, però, che un riferimento all’angoscia è documentato nella VL in alcune varianti di Matth 26,37 (anxius a) e di Marc 14,33 (anxiari f) Un esplicito rimando all’angor, termine comunque non presente nella Bibbia latina, come causa della maestitia del Signore si legge nel seriore commentario matteano di Ilario di Poitiers (in Matth 31,2 quae [scil aeternitas] si ad metum tristis est, si ad dolorem infirma, si ad mortem trepida, iam et corruptioni subdita erit et incidet in eam totius infirmitatis adfectio. Erit ergo quod non erat, de angore maesta, de timore sollicita, de dolore perterrita) graui L’aggettivo può concordare con angore (Anth. Lat 635,22 Riese2 [= 142 Friedrich] ani­ moque maesto demit angores graues) o con uoce (Ov fast 6,343 territa uoce graui surgit dea e Coripp Ioh 8,114 constitit atque graui populos sic uoce furentes) Nella traduzione si è preferito legarlo ad angore, a intensificare la condizione emotiva (maestus) di Cristo; nella letteratura latina infatti l’attributo qualifica spesso parole indicanti stati d’animo

Commento

297

e aspetti psicologici, quali tristezza (Sen Herc. O 1855) o terrore (Hil in Matth 31,8); cfr ThL V2 2288,40 ss uoce profatur Cfr Stat silv 4,1,16 e Iuvenc 2,179 e 4,752 485 tristia … animus … pectora turbat Tristezza e turbamento sono accentuati dall’allitterazione dei termini che incorniciano il verso e dalla clausola virgiliana di Aen 2,200, riferita alla paura dei Troiani alla vista del mostruoso serpente che ucciderà Laocoonte L’innesto clausolare, scaturito forse per una giustapposizione concettuale tra le sofferenze mortali di Cristo e quelle del personaggio mitologico, va letto anche alla luce delle altre riprese citazionali relative all’episodio dell’assedio di Troia (su cui cfr infra, nota al v  568) Per il neutro plurale tristia sostantivato si veda Ov fast 6,463 Il quadro psicologico del protagonista è delineato per mezzo di espressioni astratte, che giocano sul complesso meccanismo interiore messo in moto dalla preghiera 486 segnem excludite somnum Cfr Colum 10,68 s segnis / pellite nunc somnos; un giro di frase simile a quello giovenchiano si ritrova più tardi in Ambr in psalm 36,66,3 sed excludebat somnum lauans per singulas noctes lectum suum Per Green, Latin Epics, p  43, si tratta di una metafora per la pigrizia spirituale, a cui l’aggettivo rinvierà più esplicitamente in Prud cath 1,17–19 tectos tenebris horridis / stratisque opertos segnibus / suadet quietem linquere 487 sollicitamque … uigilando ducite noctem La struttura pentasillabica in incipit, che determina la pausa del 2o trocheo, e l’iperbato a cornice (sollicitam … noctem) danno la sensazione del perdurare dell’angosciosa veglia Simonetti Abbolito, Osservazioni, p  311 e n  13, richiamandosi all’etimologia dell’aggettivo sollicitus («entièrement ou sans cesse agité», da sollus e citus; cfr ErnoutMeillet, p  633), nota come esso arricchisca di senso il termine nox comunicando l’atmosfera di grave tensione che caratterizza la notte di veglia nel Getsemani, e come il medesimo nesso renda in 1,158 s (circa sollicitae pecudum custodia noctis  / pastores tenuit uigiles per pascua laeta) lo stato di agitazione dei pastori all’annuncio della nascita di Gesù da parte dell’angelo Ancora nello stesso quadro di eventi, a 1,251 s Giovenco impiega il verbo sollicitare per rappresentare le spaventose visioni notturne che prescrivono ai magi di evitare l’incontro con Erode (totam mox horrida somnia noctem / sollici­ tant) Nella mente del lettore vengono così a sovrapporsi i due momenti fondamentali della vicenda terrena di Cristo, la natività e la (vigilia della) morte, la prima e l’ultima notte nel mondo La -o finale dell’ablativo del gerundio esibisce quantità lunga solo in questo verso, dove uigilando è prosodicamente trattato come uno ionico a minore, e in 1,20 plurima qui populis nascendo gaudia quaeret, dove si è in presenza di un molosso

298

Commento

Altrove nell’opera si riscontra invece sempre l’abbreviamento della -o in questa categoria grammaticale, documentato tra i poeti dattilici per la prima volta in Iuv 3,232 L’espressione (e)ducere noctem, spesso in clausola, fa parte del repertorio epico ed è in Verg Aen 9,166 s noctem … ducit / insomnem, in riferimento alla notte di festa delle sentinelle rutule (cfr anche Stat Theb 2,74 insomnem ludo certatim educere noctem) e Val Fl 1,250 s hanc uero, socii, uenientem litore laeti / dulcibus adloquiis ludoque educite noctem, in cui Giasone invita i compagni a trascorrere la notte che precede la partenza divertendosi e conversando È probabile che Giovenco avesse in mente proprio questo passo delle Argonautiche, rispetto al quale opera tuttavia, come di consueto, uno scarto semantico, un rovesciamento di prospettiva; contrariamente alla festosa leggerezza che pervade la vigilia del viaggio degli argonauti, peso e gravità degli eventi sacri narrati si riflettono nel diverso, opposto contenuto della esortazione di Cristo ai discepoli 488–489 I due versi sono strutturati in tre membri perfettamente allineati con l’anafora della coordinazione et in tempo forte nella stessa posizione di esametro: dopo la formula di transizione (haec ait), gli altri segmenti hanno la medesima disposizione sintattica (participio più verbo all’indicativo), con l’allitterazione quadrimembre in p, la ripetizione del prefisso pro nelle forme participiali e la prevalenza del gruppo consonantico pr nelle voci verbali (paulum procedens … / deprimit … proiectus … PRecatur) La scena rappresentata si costituisce di tre fotogrammi giustapposti: Gesù avanza per un breve tratto, si getta a terra e, prostrato, prega I due participi, posti entrambi dopo cesura semiquinaria, sono concettualmente speculari: all’idea di movimento espressa dal participio presente, corrisponde, al verso successivo, quella di staticità contenuta nel participio perfetto, usato anche a proposito della preghiera del centurione a 1,742 (cen­ turio et precibus proiectus talibus orat) Tutta l’enfasi sulla descrizione dei movimenti del corpo, mediata dalle scelte stilistiche e lessicali, sottolinea la solennità di tale preghiera 488 corpore terram Giovenco adotta tale clausola, che ha un precedente in Cic Arat. 433 Soubiran, anche a 1,248 (l’adorazione dei Magi) e 3,335 (lo smarrimento dei discepoli sul monte Tabor) Per la medesima locuzione, lievemente modificata, cfr altresì Verg Aen 11,22 e 87; Ov met 14,206; Sil 1,674 e 10,524 488–489 terram / deprimit Cfr Cic Tusc 5,51 ut terram et maria deprimat e ThlL V1 613,22 s e 39 s In epica una giuntura simile è in Lucan 10,49 terrasque premamus 489 tali … uoce precatur Cfr supra, nota al v  386

Commento

299

490–493 me … / … nobis … / … tua … potius, quam nostra … / … tibi La preghiera è tutta giocata sull’effetto contrastivo dell’Ich/Wir­Stil e del Du­Stil, a segnare la distanza tra la volontà di Dio e quella del Cristo-uomo 490–491 I due versi sono un esempio di amplificatio; attraverso una costruzione participiale (in­ cumbens), un ablativo modale/strumentale (ualido … tractu) e una locuzione nominale (calicis … huius / … uiolentia) il poeta dà corpo al dramma psicologico di Cristo, la cui soggettiva percezione della prova è evidenziata dal pronome personale nobis, incastonato tra due termini allitteranti (ualido … uiolentia), a dare l’impressione della violenza che attanaglia l’orante 490 si fas est Questa formula dell’antica religione romana accresce lo scrupolo religioso con cui Cristo avanza al Padre l’audace richiesta Si fas con ellissi di est è anche al v  554 L’espressione, non usata da Virgilio, è più familiare a Ovidio (Thomason, pp  150 s ) 491 uiolentia tractu Si confronti la clausola di 4,167 492 ueniat … uoluntas Per il semplice uenire in luogo di euenire, cfr supra, nota al v  342 Flieger, pp  43 s , ritiene che qui e a 4,504 (proueniat … uoluntas) la scelta di questo verbo sia stata influenzata dall’uso biblico neotestamentario di uenio e dei suoi composti (cfr il gr ἔρχεσθαι) per indicare la venuta escatologica del Regno, del Messia o dell’ultima ora; un esempio di tale influsso si troverebbe, per es , nella preghiera del Padre nostro di 1,592–594, in cui gli stessi elementi, variamente abbinati, sono in compresenza (tranquillaque mundo / adueniat regnumque tuuum lux alma reclaudat / sic caelo ut terris fiat tua clara uoluntas) Il termine uoluntas negli Euangeliorum libri è sempre riferito alla volontà di Dio Padre (1,418 e 594; 2,180 e 730; 3,333; 4,492 e 504) e di Cristo (2,21), eccetto che a 3,656, dove ha il significato di ‘desiderio, appetito’ (cibi … uoluntas) 493 decreta … sententia Cfr Filastr 36,4 cuius causa contra illum et haeresim eius decreuerunt … beati apostoli sen­ tentiam; Rufin hist 5,3 iudicium suum et sententiam de his quoque … decernunt ecclesiae Galliarum e ThlL V1 141,51 ss Sententia ha in Giovenco un ampio spettro semantico e compare nel racconto della Passione altre due volte a proposito della condanna capitale emessa dai capi del popolo (vv  4,572 e 611) Analoga terminologia impiega Origene in riferimento allo stesso luogo matteano (Orig Cels 2,24 [GCS 1, p  153,20–22] τὴν πρὸς τὸ βούλημα τοῦ πατρὸς περὶ τῶν κεκριμένων αὐτὸν παθεῖν εὐπείθειαν τοῦ Ἰησοῦ)

300

Commento

sententia rebus È la stessa chiusa di 2,213, dove sententia equivale però a ‘senso, significato’ 494–510 I versi corrispondono a Matth 26,40–46: 40 Et uenit ad discipulos suos et inuenit eos dor­ mientes et ait Petro: Sic non potuistis una hora uigilare mecum? 41 Vigilate et orate, ut non intretis in temptationem. Spiritus quidem promptus, caro autem infirma. 42 Iterum secundo abiit et orauit dicens: Pater meus, si non potest hoc transire nisi illud bibam, fiat uoluntas tua 43 Et uenit iterum et inuenit eos dormientes, erant enim oculi eorum grauati 44 Et relictis illis iterum abiit et orauit tertio eundem sermonem dicens 45 Tunc uenit ad discipulos suos et dicit illis: Dormite iam et requiescite: ecce adpropiauit hora et filius hominis traditur in manus peccatorum 46 Surgite eamus: ecce adpropiauit, qui me tradet («Poi tornò dai suoi discepoli e, trovandoli addormentati, disse a Pietro: Così non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora? Vigilate e pregate, per non cadere in tentazione Lo spirito è pronto, ma la carne è debole Si allontanò di nuovo per la seconda volta e pregava così: Padre mio, se questa (coppa) non può passare senza che io la beva, sia fatta la tua volontà Al suo ritorno li trovò che dormivano, poiché i loro occhi si erano appesantiti Li lasciò e andò di nuovo a pregare per la terza volta, ripetendo le stesse parole Poi, venuto dai suoi discepoli, disse loro: Dormite ormai e riposate; ecco, è giunta l’ora, e il Figlio dell’uomo è consegnato nelle mani dei peccatori Alzatevi, andiamo: il traditore si avvicina») Dopo la resa puntuale della prima frase del versetto 40 (uenit ~ Iuvenc repedat; ad discipulos suos ~ ad discipulos), una significativa amplificazione interessa il participio dormientes (vv  494 s ) Quanto alla constatazione di Gesù, introdotta da ait Petro (~ Iuvenc tunc ait ad Petrum), nella parafrasi (vv  496 s ) l’aggettivo peruigilem, che accompagna horam, accoglie il significato di uigilare; il vocabolo uirtus (non est mihi ponere uirtus) esprime la forza spirituale, la capacità di resistere, e potenzia il semplice potuistis di Matteo; il nesso tantis sub casibus, assente nel modello, ricorda l’assoluta gravità del momento e fa risaltare per contrasto l’incoerenza degli apostoli Il versetto 41 è ripreso ai vv  498–500: c’è il primo imperativo (uigilate), il secondo (orate) è omesso; in maniera inaspettata compare il sinonimo precor, pronunciato in 1a persona da Cristo: l’inciso fotografa la condizione emotiva del personaggio, presentando il suo monito ad essere vigili come una preghiera accorata e personale; mediante dilatazioni e una ricca aggettivazione il poeta riscrive la proposizione ut non intretis in temptationem: quest’ultimo termine diviene soggetto, e la possibilità di soccombere alla tentazione è vista come una resa alla morte spirituale (ne uos temptatio raptos / horrida praecipitet saeuae per lu­ brica mortis, vv  498 s ); la distinzione biblica tra spirito e carne è recepita da Giovenco con alcuni cambiamenti lessicali (spiritus quidem promptus ~ Iuvenc spiritus iste uiget; caro autem infirma ~ sed corpus debile, con l’incremento di labat) I vv  501 s parafrasano il primo blocco del versetto 42, che anticipa il discorso diretto: nel testo poetico rursus riproduce il senso della reiterazione, dato nell’ipotesto dalle forme avverbiali iterum e

Commento

301

secundo; l’immagine del solitario ritiro sulla cima del colle (secessit rursus secreti montis in arcem) è uno sviluppo di abiit; orabat (~ Matth orauit) regge patrem, termine mutuato dall’incipit della successiva preghiera (Pater meus) L’invocazione al Padre si apre invece con un titolo solenne, che designa Dio come guida amorevole dell’universo (re­ rum mitissime rector, v  502); la protasi del periodo ipotetico (si non potest hoc transire) si trasforma in una frase causale (hunc quoniam calicem non est transire potestas, v  503), con l’eliminazione di nisi illud bibam; la parte riguardante l’adempimento della volontà divina (fiat uoluntas tua ~ Iuvenc tua proueniat … uoluntas) vede di importante solo l’adiectio di nostra de sorte (v  504) Ragioni di brevità inducono il parafraste a operare una rapida retractatio dei versetti 43 e 44, riproposti rispettivamente ai vv  505 e 506, e dell’inizio del 45, riassunto al v  507 con adloquitur e una nuova notazione sullo stato di sopore dei discepoli (fesso nexos languore quietis); al v  508 al permesso di dormire che Gesù concede ai suoi (dormite iam et requiescite ~ Iuvenc iam dormire licet), Giovenco unisce quello di rivedere i compagni (sociosque reuisere uestros), ma omette la restante parte del versetto e la prima battuta di quello successivo (surgite eamus) A questo punto l’accento ritorna sul traditore: al v  509 nam uenit ecce è parafrasi di ecce adpropiauit; meum qui dedat in omnia corpus espande la relativa qui me tradet; il v  510 (quae maculata meis inponet factio membris) rielabora, posticipandolo, il contenuto dell’ultima parte di Matth 26,45: maculata … factio allude infatti ai peccatores nelle cui mani è consegnato il Figlio dell’uomo 494 repedat La parola, non epica e con pochissime attestazioni poetiche (Pacuv trag 400 Ribbeck3 [= 422 D’Anna]; Lucil 676 s Marx; Damas 59,4 Ferrua; Ven Fort carm 5,5,31; Mart  1,1; 3,107; Sev Malac 8,40), è ricorrente nella prosa tardoantica e biblica (Kievits, p  55; Rönsch, p  199) 494–495 somnus anhelis / … membris dissoluerat L’immagine del sonno che scioglie le membra è già omerica (Od 20,56 s εὖτε τὸν ὕπνος ἔμαρπτε, λύων μελεδήματα θυμοῦ, / λυσιμελής, ἄλοχος δ᾽ ἄρ᾽ ἐπέγρετο κεδνὰ ἰδυῖα e 23,342 s ὅτε οἱ γλυκὺς ὕπνος / λυσιμελὴς ἐπόρουσε, λύων μελεδήματα θυμοῦ); la giuntura membra soluere è in Verg Aen 12,867 illi membra nouos soluit formidine torpor e Ov met 11,612 quo cubat ipse deus membris languore solutis; con il verbo composto è invece in Lucr 4,919 dissoluuntur … membra; Vitr 8,3,4 dissoluta membra; Tac ann  15,57,2 dis­ solutis membris; nei versi di Giovenco tuttavia le membra non sono l’oggetto di dissoluo, che regge l’accusativo omnes, ma un ablativo di circostanza concomitante (LHS, II, pp  115 s ), come in Dict 3,22 animo deficere ac dissolui membris … occipit Lackenbacher (ThlL V1 1497,32 s ) registra Iuvenc 4,494 tra gli usi di dissoluo relativi agli effetti del sonno L’aggettivo anhelus, voce poetica assai diffusa presso gli scrittori di epoca flavia e poi presso i cristiani, ha negli Euangeliorum libri quattro attestazioni e indica per lo più l’affanno prodotto dalla febbre (1,768 e 2,330) o dalla calura (2,247); qui ha il senso

302

Commento

figurato di ‘stanco’, ‘spossato’ Nella letteratura latina tale attributo qualifica parti del corpo e il corpo stesso (Hier epist 38,2; Claud 2,2 membra … anhela e Prud cath 10,105 s artus / … anhelos) 495 prostratos terrae Come in 1,162 prostrauit uiridi … terrae; negli Euangeliorum libri ricorre spesso il dativo di direzione dopo verbi di movimento (Huemer, Index, pp  154 s ; Kievits, p  68) Si tratta di un uso prettamente poetico e postclassico (Svennung, Untersuchungen, p  205; Löfstedt, Syntactica, I, pp  190 ss; LHS, II2, pp  100 s ) 496 ait ad Petrum L’impiego di aio con ad più accusativo in luogo del più consueto dativo, non attestato nell’epos latino, è postclassico (Apul met 2,15; Peregr Aeth 19,16; Lucif Athan 2,25; Hyg fab 126,22; Itala act 7,3; Vulg gen 4,9; Aug civ 22, 29; ThlL I 1459, 67 ss ) La variante con dico, presente anche in Cicerone e Properzio, è invece diffusa nella letteratura giuridica L’alta incidenza di tale costruzione dei uerba dicendi presso gli scrittori cristiani deriva secondo Schrijnen-Mohrmann, p  105, dall’influsso della Bibbia latina per l’analogia con il gr εἰπεῖν πρὸς τινα 496–497 ponere … / unam … horam L’originale sintagma giovenchiano potrebbe essersi generato per analogia con espressioni del tipo tempus ponere presente in Verg Aen 1,278 his ego nec metas rerum nec tem­ pora pono oppure horam dare; cfr ThlL VII2 2961,51 ss Il v  497 è delimitato dall’iperbato a cornice 497 tantis sub casibus L’espressione  – senza preposizione e con i termini invertiti al v   309 casibus  … tan­ tis – si può confrontare con Val Fl 7,443 sola tibi quoniam tantis in casibus adsum; una più stretta affinità contestuale evoca tuttavia l’immagine virgiliana di Aen 4,560 nate dea, potes hoc sub casu ducere somnos (citato da Huemer in apparato): a Enea, disteso sulla poppa della nave nel porto di Cartagine, appare il dio Mercurio che rimprovera l’eroe di essersi addormentato in un così grave frangente e lo esorta a salpare in fretta Nell’una e nell’altra situazione il momento è cruciale: Enea deve vincere la passione erotica – e il senso di colpa – che lo lega alla regina sidonia e raggiungere le coste latine; i discepoli devono superare la prova della fedeltà a Dio nell’ora del sacrificio supremo del Redentore Il sonno rappresenta l’ostacolo alla realizzazione del superiore progetto divino; nell’uno e nell’altro caso inoltre sono due divinità (Mercurio e Gesù) ad ammonire i dormienti Nel poema epico al sopore si abbandona il protagonista, nella parafrasi invece non Gesù ma i suoi discepoli (del tutto ignari), e questo particolare segna la profonda differenza dei due personaggi principali: Enea sperimenta la debo-

Commento

303

lezza e ad essa cede, come gli apostoli nel Vangelo; Gesù, al contrario, nella sua veglia di preghiera vince la tentazione, sempre proiettato in una dimensione ultraterrena 498 temptatio La trasformazione del complemento in temptationem in soggetto mira a dare importanza al concetto di ‘tentazione’, mediante la personificazione di tale forza che viene a coincidere con la figura del tentatore, cioè il demonio; proprio al demonio è associato il termine a 1,599 tetri saeua procul temptatio daemonis absit (nella preghiera del Padre Nostro di Matth 6,13 ne nos inducas in temptationem); Giovenco usa anche il ‘nomen agentis’ temptator a 1,383 (detto appunto di Satana nel racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto); molto più ricorrente è invece il verbo corradicale temptare, impiegato dal poeta a proposito degli avversari di Gesù e delle loro insidie (cfr supra, nota al v  2) Nel NT il sostantivo πειρασμός si trova 21 volte (le uniche due attestazioni matteane sono quelle citate sopra, puntualmente riprese nella parafrasi); il verbo corrispettivo πειράζω ben 36 e 4 la forma composta ἐκπειράζω (c’è solamente un’attestazione invece per il medio πειράζομαι in act. 26,21) Cfr Kuhn, pp  200 ss , e Seesemann, pp  1413–1454 498–499 raptos / … praecipitet Per giunture simili si vedano Verg georg 1,203 praeceps … rapit; Lucan 6,14 praeceps rapiendas; Val Fl 2,289 praecipitem … rapit; Sil 4,600 rapitur praeceps; 718 raptis prae­ ceps; 740 praeceps rapit (= 5,349 s ) e 14,245 rapta praeceps 499 horrida Con l’aggettivo horridus Giovenco spesso qualifica il demonio (horridus et daemon, 2,614) e la sua orribile potenza (daemonis horrida uirtus, 2,602 e uis horrida, 3,8) In altri luoghi l’attributo connota realtà inanimate (gli incubi di Giuseppe e dei magi: 1,138 e 251 horrida somnia; le soglie della morte: 4,353 horrida … limina mortis; il violento supplizio di Cristo: 4,722 uis horrida poenae) e animate (una banda di ladri: 1,615 s horrida furum / factio) Alla luce di questi luoghi l’epiteto potrebbe qualificare tanto temptatio di v  498 quanto lubrica; nella traduzione si è preferita questa seconda soluzione, confermata soprattutto dal parallelo del v  4,353 saeuae … per lubrica mortis La tendenza del parafraste a usare per più un aggettivo neutro plurale con valore di sostantivo (su cui cfr la nota al v  186) nella stessa posizione di verso determina, secondo Colombi, Preposizioni, p  16, espressioni formulari come questa, impiegata anche in 1,721 s qui uero auditu tantum mea iussa tenebit / diuersisque procul factis per lubrica perget e 3,373 s labat quia pectore uestro / instabilis fidei nutans per lubrica gressus; cfr altresì per deuia di 4,483 Per saeua mors vd Lucan 2,100; Val Fl 7,285; Stat Theb 10,379 e 12,456

304

Commento

500 spiritus iste uiget … corpus debile labat Si noti la simmetria Al primo emistichio il nesso spiritus uiget ha un precedente in Plin epist 7,19,3 animus tantum et spiritus uiget … reliqua labuntur, in combinazione con un verbo simile a labo a indicare il contrasto tra la forza d’animo e l’infermità fisica; la giuntura spiritus iste, uguale a 1,98, è in incipit anche in Ov met 7,820 Al secondo emistichio il concetto di fragilità, già espresso da debile, sinonimo di infirma del modello (gr ἀσθενής), è rafforzato dall’aggiunta di labat (sulla prosodia inconsueta della parola cfr supra, nota al v  468) A 2,435 questo verbo è riferito all’immagine della vacillante custodia del gregge nel contesto della missione dei dodici (Matth 10,6); a 3,135 s indica l’allontanamento dei discepoli dagli antichi insegnamenti giudaici, mentre a 3,373 s denota in senso spirituale l’incertezza della fede Infine, come in 2,196–198 terrenum corpus terreno corpore natum est, / spiritus haut aliter similem generat sibi flatum. / Spi­ ritus hic Deus est, cui parent omnia mundi, versi relativi all’opposizione spirito/carne di Ioh 3,6, Giovenco sostituisce la parola caro (greco σάρξ), molto rara nella poesia classica (ThlL III 480–488), con corpus, che invece è familiare alla dictio epica; cfr Flieger, pp  60 s 501–502 secessit rursus secreti montis in arcem / orabatque patrem La coincidenza del prefisso se- nel predicato verbale secessit e nell’aggettivo secreti sta a significare l’appartata solitudine di Cristo Per arx montis vd ancora 3,196 320; Flor epit 1,7 (13),13; Oros hist 6,11,21 e supra, nota al v  91; i due lessemi non in sintagma sono anche a Verg Aen 6,774 hi Collatinas imponent montibus arces Per la giuntura se­ cretus mons, con cui a 3,320 Giovenco designa il monte Tabor, cfr Ov met 11,765 secretos montes e CLE 954,2 secretis montibus Knappitsch, IV, p  56, ritiene che Giovenco sia caduto in errore, in quanto il luogo cui allude il passo evangelico si troverebbe ai piedi del monte e non sulla cima; si deve tuttavia osservare con Opelt, p  54, che il poeta semplicemente descrive la scena con il linguaggio formulare dell’epica La variazione di tempo delle voci verbali al v  501 e al primo emistichio 502 (secessit/orabat) risponde a una tendenza stilistica del poeta: cambiamenti analoghi in costruzioni paratattiche si verificano anche ai vv  301 s tumebat / calcauitque; 521 iniecere … prehendunt; 576 ait … negabat; 645 inducunt … cinxere; 713 dixere … fatentur 502 rerum mitissime rector Gesù è definito rector anche nella similitudine del pastore e del gregge di 2,424 pecudes rectoris egentes (~ Matth 9,36) Il termine indica invece il nocchiero nella similitudine del cavallo al galoppo di 1,689 rectoris egens … puppis, che integra la parabola delle due vie di Matth 7,13 s Cristo prega il Padre attribuendogli un appellativo che negli autori classici è tipico delle divinità pagane, Zeus/Giove e Nettuno, con o senza la specificazione che ne determina la signoria sugli dèi e sugli uomini per il primo, sul mare per il secondo (per es , r. diuum: Verg Aen 8,572; r. Olympi: Ov met 2,60; 9,499; r superum: Ov met 1,688; Lucan 5,626; r. deum: Ov met 2,848 e 13,599; r. maris: Ov met 11,207)

Commento

305

In sintagma con il genitivo rerum riferito al dio la parola è in Sen epist. 2,16 si deus rector omnium rerum est?. Gli scrittori cristiani se ne servono sia per indicare Giove sia, più di frequente e in poesia, per il loro Dio, talvolta con il classico riferimento al monte Olimpo (Licent carm. ad Aug 26; Mar Victor aleth. 1,158; 2,546) o al dominio sul mondo e le creature (Carm de Macc 249 mundi rector; Ambr hymn 5,2 poli … rector e 17,1 rector potens; Prud cath 10,5 tua sunt, tua, rector, utraque; perist 14,81 aeterne rector; Prosp epigr  2,1 nostri Deus est et rector) L’aggettivo mitis, al grado positivo, concordato con rector si legge in Opt Porf carm 3,10 come epiteto di Giove, benevolo difensore dell’imperatore Costantino; al grado superlativo compare, per es , in Ov trist 2,27 (mi­ tissime Caesar) e 2,147 (mitissime princeps): in entrambi i casi il poeta, relegato nella lontana Tomi, si appella alla clemenza di Augusto Flieger, pp  68 s , fa notare che il riuso da parte di Giovenco (consapevolmente o meno) di una terminologia non solo di stampo epico ma adottata anche nella produzione panegiristica per gli imperatori (Ovidio, Optaziano) è il prodotto dei tempi, in cui si assiste a un processo di risemantizzazione religiosa e politica degli epiteti tradizionali, la cui portata effettiva in ambito teologico e cristologico risulta però di difficile valutazione La mitezza è comunque qualità caratteristica del Dio cristiano: nella LXX la voce ἐπιεκέως («mite»), è usata prevalentemente per Dio (I Reg 12,22 ἐπιεκέως κύριος; psalm 85,5 κύριε ἐπιεκής), mentre negli scritti neotestamentari il mite per eccellenza (πραύς/mitis/mansuetus) è Gesù stesso (Matth 11,29; 21,5); tale prerogativa è ribadita dai poeti (Opt Porf carm 5,30 mi­ tis iure deus; Cypr Gall Ios. 226 deus … mitis) La formula mitissime deus è ampiamente presente nella liturgia medioevale (per es , l’Oratio ante Missam attribuita a Tommaso d’Aquino: O mitissime Deus, da mihi Corpus unigeniti Filii tui, Domini nostri, Iesu Chri­ sti, quod traxit de Vírgine Maria, sic suscipere, ut corpori suo mystico merear incorporari, et inter eius membra connumerari) e ritorna in diverse orazioni, non solo della liturgia eucaristica, del Missale Romanum 503–504 L’immagine del calice come metafora della morte cruenta in croce si trova in tutti e tre i sinottici La supplica di Gesù al Padre è qui più sintetica rispetto ai vv  490–494, che amplificano il versetto 39 Giovenco collega in una successione logica le due formule di preghiera del modello e, diversamente da Matteo che in entrambi i casi ricorre al periodo ipotetico (26,39 si possibile est; 26,42 si non potest), introduce nei versi in esame una frase causale per imprimere alla dichiarazione di Cristo un valore definitivo Si osservi l’omeoteleuto potestas/uoluntas, parole isometriche in chiusura dei due versi 503 hunc … calicem non est transire potestas Intendo calicem come il soggetto dell’infinitiva («non è possibile che questo calice passi oltre») diversamente da Hansson, p  106 e n  60, che dà a transire valore transitivo La costruzione di potestas più l’infinito nel significato di ‘è possibile’, ‘è permesso’ si rinviene in poesia fin da Virgilio (Aen 4,565; 9,739 813); cfr LHS, II, p  349, e Kamptz

306

Commento

in ThlL X2 315,45 s e 318,4 ss Il testo giovenchiano presuppone probabilmente una versione latina esibente la lez calix tràdita dalla gran parte dei mss della VL (aur c f ff1 r1 g1 l d) contro le varianti hoc (b ff2 q) e hoc poculum (a h) 505 somni sub pondere pressos È uno di quei casi analizzati da Colombi, Preposizioni, p  19, in cui l’impiego della preposizione sub al posto dell’ablativo semplice o in + ablativo è giustificato dal senso generale dell’espressione; cfr supra, nota ai vv  170 s ; la locuzione sub pondere è altresì a 3,64 La pesantezza del sonno che schiaccia i discepoli è prontamente restituita dall’allitterazione binaria in s e p che caratterizza l’emistichio; per pondere pressos si vedano Lucr 6,105 pondere pressae e Lucan 7,162 pondere pressum; somno premitur è in Plin nat 9,41 506 inuenīt Allungamento in arsi di sillaba finale breve genitore precato A 3,85 la stessa locuzione chiude la preghiera di Gesù al Padre nell’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci (cfr Matth 14,13–21); è da notare l’impiego del participio perfetto del verbo deponente precor con valore passivo; i due loci giovenchiani sono i soli esempi noti di quest’uso, come annota Reijgwart (ThlL X2 1153,9 s ) 507 alloquitur Nell’epica classica il composto poetizzante introduce solennemente il discorso di un personaggio (Verg Aen 1,229; 6,341; 10,228; Ov met 8,735; 9,243; Lucan 9,612 etc ) In Giovenco vd ancora 1,362; 3,205 585 fesso nexos languore quietis Si noti l’accumulo verbale, da Pflugbeil (ThlL VI1 612,47 ss ) definito «locutio artificiosa»; per languore quietis cfr Culex 198 somni languore 508 dormire licet sociosque reuisere Un altro hysteron proteron La ‘iunctura’ socios reuisere è epica: cfr Verg Aen 6,899 (= 8,546) sociosque reuisit; Val Fl 3,735 socios … reuisat; Sil 13,895 socios … reuisit 509 meum qui dedat … corpus La frase rende Matth 26,46 qui me tradet; Fichtner, p  139, fa notare che Giovenco spesso impiega la parola corpus a proposito della persona di Gesù quasi sempre in sostituzione di una forma pronominale presente nell’ipotesto, soprattutto nel racconto della Passione: 1,359 corpus perfudit (~ Matth 3,16 uenientem in ipsum); 373 monuit conquirere corpus (~ Matth 4,2 esuriit); 388 saltu iaculabere corpus (~ Matth 4,6b mitte te deor­ sum); 391 ut … studeant casu defendere corpus (~ Matth 4,6b ut custodiant te); 4,755 s

Commento

307

corpus / quod scelerata insania fixit (~ Matth 28,5 qui crucifixus est); 782 sustulerit corpus (~ Matth 28,13 furati sunt eum) In un tentativo di approccio teologico agli eventi biblici, l’attenzione rivolta alla corporeità suggerisce che il dolore fisico di Cristo vada spiegato in relazione alla sua natura anche umana, non assorbita o annullata dalla divinità, suscitando così nel lettore un maggiore coinvolgimento emotivo nel momento di massima tensione narrativa 509–510 in omnia … / quae … inponet Per la locuzione manca un referente in Matteo; si veda il passo parallelo di Ioh 18,4 Iesus autem sciens omnia, quae uentura erant super eum 510 quae maculata meis inponet factio membris La struttura chiastica dell’esametro si avvale anche degli iperbati e del gioco allitterativo per rappresentare la violenza inflitta dalla factio giudaica al corpo del Signore maculata … factio Il verbo maculare è inteso nel suo significato letterale di ‘macchiare’, ‘sporcare’ a 1,497 (humano si quis maculauerit sanguine palmas) e 2,800 (lolio messis maculata redundat) È tuttavia il valore traslato, icasticamente espressivo, che di preferenza Giovenco accorda a tale vocabolo nella maggior parte degli impieghi: a ‘macchiare’ l’animo degli uomini sono le impurità (2,237 malis mentem maculauerit actis), le parole infamanti (3,151 in­ ternam misere maculabunt edita mentem e 168 immundoque hominem maculare piaclo), oppure omicidi, frodi e falsa testimonianza (3,173 quae maculant hominem) Con il participio Giovenco qualifica come peccatori coloro che arrestano Gesù e realizza indirettamente un collegamento con 3,729, dove la mens maculata cruore è quella dei vignaioli omicidi di Matth 21,33–44, parabola allegorica prefigurante l’uccisione di Cristo meis … membris Giovenco insiste sul carattere corporale della sofferenza di Cristo utilizzando ai vv  509 s un lessico anatomico (meum … corpus / meis … membris) su cui anche a 3,588 (scribarum procerumque ferens ludibria membris), cioè nella parafrasi del terzo annuncio della Passione di Matth 20,17–19, aveva richiamato l’attenzione 511–536 La cattura di Gesù e la fuga dei discepoli. Il brano consta di due parti: la prima, incentrata sulla figura dell’antagonista Giuda, tratta dell’arresto di Gesù nell’orto degli Ulivi; la seconda descrive il ferimento di un servo del sommo sacerdote da parte di uno dei discepoli

308

Commento

511–521 Giovenco riprende Matth 26,47–50: 47 Adhuc ipso loquente ecce Iudas unus de duodecim uenit et cum eo turba multa cum gladiis et fustibus missi a principibus sacerdotum et senio­ ribus plebis 48 Qui autem tradidit eum, dedit illis signum dicens: Quemcumque osculatus fuero, ipse est, tenete eum 49 Et confestim accedens ad Iesum dixit: Haue, rabbi, et osculatus est eum 50 Dixitque illi Iesus: Amice, ad quod uenisti? Tunc accesserunt et manus iniecerunt in Iesum et tenuerunt eum («Mentre stava ancora parlando, ecco arrivare Giuda, uno dei dodici, e insieme con lui una gran folla armata di spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo Il traditore diede loro un segnale, dicendo: Quello che bacerò, è lui, prendetelo E subito si accostò a Gesù e disse: Salve, maestro E lo baciò Gesù gli rispose: Amico, perché sei venuto? Poi si avvicinarono, misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono») I vv  511–513 seguono il versetto incipitario: il collegamento con il racconto del Getsemani è sancito da cum dicto (~ Matth adhuc ipso loquente); la scena si apre subito con l’arrivo di Giuda (Iudas … / aduenit ~ Matth. Iudas … uenit), non definito però come uno dei dodici; cum eo turba multa diventa numero stipante cateruae; anziché dei capi dei sacerdoti e degli anziani (a principibus sacerdotum et senioribus plebis) si parla delle autorità e del popolo (procerum … populique ferocis, v  512); al v  513 un ordinato parallelismo e la uariatio sintattica (ablativo semplice prima e poi fidens più ablativo) sviluppano cum gladiis et fustibus dell’ipotesto Il segnale convenuto, versetto 48, è riportato indirettamente ai vv  514 s , e Giovenco coglie l’occasione per connotare nuovamente in senso negativo la figura del traditore con l’epiteto furentis; nella parafrasi trova luogo una motivazione del gesto (quo facile ignotum caperet miserabile uulgus, v  516) Ulteriormente rimaneggiato è il versetto 49: il poeta elimina la prima parte, il discorso diretto e l’apostrofe rabbi, sostituendo il termine con la descrizione del comportamento dell’apostolo (dissimulans blanda cum uoce salutat, v   517; cfr Simonetti Abbolito, Termini tecnici, p  70); al v  518 rende la voce verbale osculatus est con la perifrasi attigit et labiis … ora (con incipit di Lucan 10,2), indicando il Redentore con l’aggettivo sostantivato iustus e l’attributo uenerabilis (~ Matth eum) Il versetto 50 è ai vv  519–521: l’avverbio temporale continuo e il soggetto Christus (~ Iesus) anticipano la risposta di Gesù (il solo a parlare) al saluto; l’interrogazione presente nel Vangelo (ad quod uenisti) è integrata ai vv  519 s con una sorta di interpretazione e senza l’apostrofe amice Dei tre kola che compongono il periodo finale, nella parafrasi (v  521) scompare il primo (tunc accesserunt); gli altri due, salvo pochi ritocchi, sono aderenti al dettato biblico: manus iniecerunt ~ Iuvenc iniecere manum; in Iesum è reciso; tenuerunt ~ prehendunt; eum ~ Christum; è espresso il soggetto turbae 511 cum dicto Si tratta di un cum sociativo La sintetica formula di raccordo, che non si trova presso altri poeti, si riscontra in Apul met 1,6 In apertura di esametro cfr anche Iuvenc 2,595 Una locuzione similare è dixerat et dicto citius di 1,763, derivata da Verg Aen 1,142

Commento

309

numero stipante cateruae L’accostamento di termini indicanti la quantità pone particolare enfasi sul gran numero di uomini giunti con Giuda La clausola richiama lo stuolo di servi al seguito di Didone in Verg Aen 1,497 incessit magna iuuenum stipante caterua e 4,136 tandem progreditur magna stipante caterua, ma anche Lucan 7,492; Sil 10,452 (Schumann, V, p  268) Simile alla nostra è l’espressione di 2,421 populi stipante tumultu Per il sintagma numero … cateruae, cfr in prosa Amm 17,12,16 maximus numerus cateruarum Con cate­ rua, lessema convenzionale dell’epica, Giovenco designa altrove le innumerevoli folle che ascoltano le parole di Gesù (2,301 e 735); una marcata connotazione negativa il termine assume invece a 1,682, dove contrassegna la stolta moltitudine che alla salvifica via stretta preferisce quella larga che conduce alla morte Il seguito di Giuda è indicato con caterua anche da Ps Victorin Christ 72 ruit inde caterua 512 procerum iussu populique ferocis Cfr Matth 26,47 missi a principibus sacerdotum et senioribus plebis Poinsotte, p   190, identifica nei proceres solo i principes sacerdotum e non anche gli anziani del popolo; lo studioso registra le diverse occorrenze del vocabolo, che di volta in volta indica una precisa classe di individui del Vangelo: i farisei, gli anziani, i notabili, i sommi sacerdoti, associati a seconda dei casi ai farisei, agli anziani, all’intero sinedrio Flieger, p  105, ritiene invece, giustamente, che populi non sia da collegarsi con seniores e che il poeta, operando una distinzione, riservi un ruolo attivo al popolo, istigatore anch’esso della cattura di Gesù Le due categorie di capi sono entrambe inglobate nel più generico proceres, appellativo che Giovenco utilizza anche altrove per indicare gli anziani (4,538 scribae proceresque) o gli anziani e i sommi sacerdoti insieme (4,606 609 611), e popu­ li va considerato come un’entità a sé: oltre che alle autorità religiose e civili, l’autore attribuisce parte della responsabilità all’intera comunità giudaica, al popolo nel suo insieme Ancora secondo Poinsotte, p  187 e n  713, il termine populus, contrariamente a plebs, non avrebbe mai nel poema un valore peggiorativo e designerebbe semplicemente le folle alle quali Gesù rivolge le sue parole; tale affermazione è però smentita proprio dall’uso evidentemente negativo che del sostantivo Giovenco fa nel nostro caso, ove peraltro l’aggettivo ferocis ne rimarca la prerogativa e accomuna nel male il popolo a Giuda, definito furentis al v  514 È vero, come osserva Schreckenberg, pp  81– 124, che tale negativa rappresentazione degli Ebrei appartiene al lessico antigiudaico della letteratura cristiana antica; più in generale, però, l’essere ferox è una caratteristica tipica dei barbari, dei popoli non assoggettati a leggi e istituzioni, ed è probabile che su Giovenco agisca soprattutto il ricordo epico di queste genti feroci, ancora non civilizzate; la clausola è del resto simile a quella di Verg Aen 1,263 e 7,384 populosque feroces, ripresa al singolare da Sil 2,532 populumque ferocem (ma si veda anche a Lucan 2,249 populique furentis) Per la combinazione di proceres e populus si veda Val Fl 5,405 rex feret, hic proceres audit populosque precantes

310

Commento

513 pars strictis gladiis pars fidens pondere clauae I membri in parallelo sono scanditi dalla geminazione del sostantivo pars allitterante con pondere; la frequenza della sibilante s sembra riprodurre il duro suono delle armi e l’ostile furore della turba Un accoppiamento molto simile è in Verg Aen 12,278 s pars gladios stringunt manibus, pars missile ferrum / corripiunt strictis gladiis Al linguaggio bellico rimanda il nesso strictis gladiis, che trova precedenti in prosa (Liv 9,35,5; 10,38,8; 22,60,17; Tac hist 2,36,1; Amm 20,11,22) e poesia (Ov met 15,800 s ) Nella Dichtersprache il vocabolo gladius si riscontra solitamente con minore frequenza rispetto a ensis (Axelson, p  51) pondere clauae Perifrasi che traduce l’evangelico fustis e sottolinea il gran peso delle spranghe; la clausola è di Lucr 5,968; pondera clauae si legge in Sil 2,246 (vd altresì 8,584 robora clauae), mentre il sintagma clauae pondus in Sen Herc. O 787 514 signa sequebatur … promissa L’ipotesto è Matth 26,48 dedit illis signum; il riferimento è al segnale stabilito da Giuda per indicare agli astanti la persona di Gesù; Sedulio ricorrerà al tecnicismo militare si­ gnifer per descrivere gli stessi eventi (carm. pasch 5,62 praeuius horribiles comitaris signi­ fer enses?) Signa sequi è una giuntura molto frequente in poesia (cfr Verg georg  1,439; Prop 3,12, 2; Manil 3,601; Sil 5,89) In Ov met 8,331 ss il nesso è inserito in una successione anaforica di pars che ricorda il locus giovenchiano (pars retia tendunt, / uincula pars adimunt canibus, pars pressa sequuntur / signa pedum) Iudae … furentis Giuda è definito folle anche al v   627; con questa ulteriore connotazione Giovenco associa l’apostolo alla galleria di figure avverse a Gesù, o comunque votate al male, che si incontrano in tutto il poema: coloro che bestemmiano il Figlio dell’uomo (2,626 s siue furens hominis nato conuicia quisquam / ingeret); l’incauto servo della parabola di Matth 24,45–51 (4,194 seruum … incauta furentem); la folla esagitata ai piedi della croce (4,668 s sed caeca furentis  / insultat plebis fixo uaesania Christo e 697 cetera turba furens tali cum uoce cachinnat) 515 oscula … sese contingere Christi Osculum conserva l’originario valore diminutivo di os, cfr Verg Aen 12,434 summa­ que per galeam delibans oscula fatur; per il plurale poetico, impiegato in seguito anche da Sedulio per lo stesso episodio, sia pure in una formulazione più densa di richiami allegorici (carm. pasch 5,68 truculenta pio lupus oscula porrigit agno), si veda ThlL IX 1109,68–70 Una iunctura somigliante è in Ov met 9,386 s oscula … / … tangi possunt

Commento

311

e 13,491 oscula … ore tegit; e ancora 2,122 s pater ora sui … nati / contigit; 11,308 uirgi­ nis os tangit e 14,413 ora … tetigit Si noti l’iperbato a cornice che separa il sostantivo dal genitivo dipendente Della forma rafforzata del pronome riflessivo sese si contano 16 esempi in Giovenco (1,42 230; 2,39 169 273 345 612; 3,24 406 696 742; 4,515 578 617 679 734) 516 quo Il quo finale, già presente nel latino arcaico e diventato elemento privilegiato dello stile poetico con Orazio e Ovidio, nella letteratura latina cristiana è apprezzato soprattutto nei generi poetici tradizionali (Mohrmann, Études, III, pp  251 s ) In Giovenco le attestazioni certe di tale uso sintattico sono a 1,213 231 606; 2,645 825; 3,289 474; 4,810 facile Questa forma avverbiale ha negli Euangeliorum libri quattro occorrenze (1,332; 3,41 252; 4,516) miserabile uulgus A 3,198 e 643 c’è debile uulgus Il nesso miserabile uulgus è due volte nell’epos classico: in Verg Aen 2,798 indica la moltitudine di Troiani raccolti attorno a Enea la mattina dopo l’incendio di Troia; in Lucan 6,110 designa l’esercito di Cesare, che, stretto nella morsa della fame mentre assedia Pompeo, si getta sul cibo destinato agli animali Nei due luoghi epici l’attributo esprime la profonda compassione dei poeti nei confronti dei personaggi descritti e dei loro destini; in Giovenco invece esso ha piuttosto un valore negativo: la folla di cui si parla è ostile a Gesù, decisa a colpirlo, e riceve da parte dell’autore lo stesso forte biasimo misto a cristiana pietà riservato a Giuda al v  440 517–518 Giuda è caratterizzato con i tratti della falsità: egli saluta il Maestro con parole dolci mascherando la vera natura dei suoi sentimenti Poinsotte, p  226, n  874, nota come il poeta sottolinei la perfidia del bacio con un gioco di liquide (ille ubi dissimulans blanda cum uoce salutat / attigit et labiis iusti uenerabilis ora) La simulazione dell’apostolo è stata oggetto di riflessione nell’esegesi patristica; tra gli altri si veda il commento origeniano a Rom 16,16 (PG 14,1283): hoc autem osculum sanctum appellat Apostolus. Quo no­ mine illud docet primo, ut casta sint oscula quae in ecclesiis dantur; tum deinde ut simulata non sint, sicut fuerunt Iudae, qui osculum labiis dabat («L’apostolo chiama questo bacio ‘santo’ Con tale attributo egli insegna che i baci scambiati in chiesa sono casti e che non sono falsi come quelli di Giuda, che diede il bacio con le labbra») 517 blanda … uoce Giuda ‘usurpa’ una qualità di Cristo, la dolcezza; l’aggettivo blandus, infatti, nel poema è sempre riferito a Gesù (3,269 338; 4,768); la scelta lessicale fa risaltare la finzione

312

Commento

dell’apostolo acuendo la netta distinzione tra i due personaggi La iunctura, che il poeta declina al plurale in 3,338, è spesso adottata in poesia (Enn ann 49 Skutsch; Culex 279; Ov ars 1,703; al nominativo in Lucr 6,1245) Anche Sedulio nella parafrasi dell’episodio evangelico rinfaccia all’apostolo l’ingannevole cordialità con lo stesso aggettivo (carm. pasch 5,65 blanda Dominum sub imagine prodis?) 518 iusti uenerabilis Al miserabile volgo del v  516 fa da contraltare il Giusto venerabile; si noti in proposito l’impiego di due attributi a suffisso -bilis Venerabilis, ricorrente in latino non solo nel linguaggio sacrale, si rinviene nella Bibbia otto volte in Esodo e Numeri come equivalente di ἐπίκλητος e una sola volta in Sap 4,8 (gr τίμιος) L’aggettivo è applicato a Cristo anche in 1,232 uenerabile numen; a realtà inanimate in tutte le altre attestazioni: il nome della città di Gerusalemme (1,540 urbis uenerabile nomen); il tempio (2,166 uenerabile templum); il dono della fede (2,346 fidei uenerabile donum) e la risurrezione di Lazzaro (4,398 factum uenerabile) A partire dal quarto secolo sarà un epiteto di ecclesiastici e laici ragguardevoli (Souter, p  437) 519–520 totum conplere licebit / huc uenisse tuo quaecumque est causa paratu Sulla base di quanto osservato da Eltester, pp  70–91, per il quale l’ellittica espressione di Matth 26,50 amice, ad quod uenisti? andrebbe intesa nel senso di ‘ciò per cui sei qui, avvenga’, Colombi, Paene ad verbum, p  34, sostiene che anche l’amplificazione di Giovenco, autonoma o derivata da altra fonte non pervenutaci, avrebbe quest’allusione finalistica 519 continuo Christus È a inizio di esametro anche a 3,321 L’avverbio è sei volte in Giovenco, sempre in posizione incipitaria tranne che a 4,426, ma solo in questo caso introduce un discorso diretto Presente in poesia fin dalla commedia plautina, continuo registra in Virgilio il più alto numero di occorrenze (Horsfall, Aeneid 7, p  120) totum conplere La sostituzione del collettivo singolare totum al plurale omnia, praticata dall’autore anche in altre occasioni (1,147; 2,298 374; 3,213 413), è propria del linguaggio colloquiale ed è assai usitata nella tarda latinità (Rönsch, p  338; Löfstedt, Peregrinatio Aetheriae, p  69; LHS, II2, p  203) L’abbassamento di tono ben si adatta nel contesto a esprimere l’informalità del dialogo tra i due personaggi 520 huc uenisse Da sottintendere te L’ellissi del soggetto nell’infinitiva si riscontra spesso negli Euan­ geliorum libri (1,45 109 181 257 269; 2,97; 3,247; 4,278 280 283 295 448 581) Huemer, Index, p  161, non cita questo verso

Commento

313

tuo … paratu È difficile che si tratti di un dativo, «vix pro dat habeas formam -u», avverte Breimeier (ThlL X1 322,5), anche volendo far dipendere il sintagma da quaecumque est causa, in doppia costruzione con l’infinitiva huc uenisse; è più ovvio pensare a un ablativo sociativo Paratus, parola non comune nell’epos (manca in Virgilio ed è sporadicamente soltanto in Ovidio, Valerio Flacco e Stazio), ha qui il significato militare – e velatamente ironico – di ‘dispiegamento di forze’ (cfr Tac Agr 25,3 magno paratu … oppugnare … castella; Prud psych 200 Mens Humilis … egens alieni auxilii proprio nec sat confisa para­ tu; Claud 21,336 Martis grauiore paratu) A 3,328 trino … hic tentoria … faciam diuersa paratu e 3,630 discipuli celeri conplent praecepta paratu, il termine è sempre in fine di verso ma con significato differente quaecumque est causa Cfr Ov met 5,260 521 iniecere manum turbae Christumque prehendunt Il verso è strutturato secondo una disposizione chiastica dei due membri bilanciati dal soggetto turbae in posizione mediana davanti a cesura semisettenaria; la contiguità di tale termine con Christum assicura l’immediata opposizione tra la folla e il Signore L’ipotesto matteano (manus iniecerunt in Iesum) suggerisce al poeta la ripresa dell’in­ cipit virgiliano di Aen 10,419 iniecere manum Parcae: qui le Parche afferrano Aleso e lo consegnano ai dardi di Evandro, portando a compimento il piano del fato cui invano si era opposto il padre del giovane; il riuso della stessa espressione virgiliana, desunta dal linguaggio giuridico (cfr Colafrancesco, p  30), fa da ponte tra le due figure, quella epica e quella biblica, associandole nel valore sacrificale che nei rispettivi contesti assume la loro morte Cfr pure Lucan 3,242 iniecisse manum fatis uitaque repletos Si osservi infine il cambio di tempi verbali 522–536 Il racconto continua secondo Matth 26,51–56: 51 Et ecce unus ex his, qui erant cum Iesu, extendens manum exemit gladium suum et percussit seruum principis sacerdotum et am­ putauit auriculam eius 52 Tunc ait illi Iesus: Conuerte gladium tuum in loco suo. Omnes enim, qui accipiunt gladium gladio peribunt 53 Aut non putas posse me modo rogare patrem meum et exhibebit mihi plus quam duodecim milia legiones angelorum? 54 Quomodo ergo implebuntur scripturae, quia sic oportet fieri? 55 In illa hora dixit Iesus turbis: Quasi ad latronem uenistis cum gladiis et fustibus comprehendere me Cottidie apud uos sedebam in templo docens et non me tenuistis 56 Hoc autem totum factum est, ut impleantur scripturae prophetarum. Tunc discipuli omnes relicto eo fugierunt («Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù, stesa la mano, sguainò la sua spada e colpì il servo del sommo sacerdote, amputandogli un orecchio Allora Gesù gli disse: Riponi la tua spada al suo posto Infatti, tutti coloro che impugnano la spada periranno di spada O forse pensi che io non

314

Commento

possa pregare il Padre mio, che mi invierebbe più di dodicimila legioni di angeli? In che modo dunque si adempiranno le scritture, secondo le quali bisogna che accada così? In quel momento Gesù disse alla folla: Siete venuti a prendermi con spade e bastoni come se fossi un ladro Ogni giorno sedevo con voi nel tempio ad insegnare e non mi avete arrestato Tutto ciò è avvenuto affinché si adempiano le scritture dei profeti Allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono») Ai vv  522–524 Giovenco si attiene al versetto 51; egli riduce la perifrasi che designa uno dei discepoli (unus ex his, qui erant cum Iesu) a e discipulis unus; mantiene l’impianto base (percussit … et amputauit auriculam ~ Iuvenc excussam rapuit … aurem, v  524; seruum principis sacerdotum ~ uatis famulo), ma vivacizza la narrazione mediante alcuni espedienti, quali il dettaglio della spada lucente (… fulgente machaera, v  522), la corsa del difensore contro il servo del sommo sacerdote (occurrit, v  523), il moto d’ira che agita il discepolo (sublatus in iram, v  523) e la violenza del colpo (ui uulneris, v  524) Al v  525 il rimprovero al feritore si apre con olli Christus ait (~ ait illi Iesus), l’ordine di riporre la spada, formulato con il più solenne imperativo futuro ponito (~ conuerte), rinuncia al sintagma in loco suo, ma guadagna il pronome noster, con cui Gesù apostrofa l’amico; i vv  526 s sono un ampliamento del periodo conclusivo del versetto 52 Il versetto 53 è ripreso ai vv  528 s : manca non putas e di conseguenza posse diventa possem; caelestia castra uocare sostituisce rogare patrem meum; nella resa della seconda frase exhibebit viene meno e l’infinito è ducere, costruito con in proelia; innumeras … turmas, specificato da patris, evita il dettaglio numerico (plus quam duodecim milia legiones an­ gelorum) L’interrogativa diretta del versetto 54 è riscritta al v  530 con un enunciato affermativo (sed scriptura meis conplenda est debita rebus) L’incipit del versetto successivo è eliminato, come pure la similitudine del brigante (quasi ad latronem); la proposizione principale, ripresa come relativa (vv   531 s ), vede il mantenimento di alcuni termini (comprehendere me resta; cum gladiis et fustibus ~ Iuvenc fustibus et gladiis), il cambio di uenistis con concurritis e l’incremento di stricto … ferro; la resa spontanea di Cristo (en ego uobis / occurram, vv  532 s ) non ha riferimenti nell’ipotesto I vv  533–535 riscrivono la seconda parte del versetto 55: alcuni elementi rimangono (apud uos ~ Iuvenc uobi­ scum, v  534; sedebam ~ residens, v  534; docens ~ docui, v  534), l’indicazione di luogo (in templo) è ampliata in templi media … in arce (v  533) e vi sono delle aggiunte: le urla dei molti (tantis circumlatrantibus, v  535), contrapposti al solo Gesù (in solum, v  535), e l’insolenza del loro gesto (nec talia quisquam / … ausus, vv  534 s ) Del versetto finale è parafrasato al v  536 solamente l’ultimo stico riguardante la fuga dei discepoli: discipuli è senza omnes; passim è un’adiectio; relicto eo si trasforma in Christo … relicto 522 fulgente machaera Flieger, p  131, ipotizza che l’autore abbia attinto la parola machaera direttamente dal testo greco esibente la forma μάχαιραν L’assenza del termine nei mss superstiti della VL non esclude comunque la possibilità che esso fosse reperibile in qualche versione pregeronimiana non pervenuta, tenuto conto anche del fatto che i primi traduttori latini

Commento

315

della Bibbia avevano solitamente ripreso il grecismo nella resa di altri passi scritturistici (Rönsch, p  243); che l’opzione per tale vocabolo non presupponga necessariamente la fruizione della fonte greca si può indirettamente vedere nella riscrittura di Luc 2,35 a 1,212, dove machaera non corrisponde né a gladius della VL né a ῥομφαία dell’originale greco In ogni caso, è come sempre la ricerca della uariatio a guidare le scelte lessicali del poeta, che in questo caso cambia le quattro occorrenze matteane di gladius-μάχαιρα con i sinonimi machaera (v  522), gladius (v  525) e ferrum (vv  526 s ) Presso gli epici precedenti il vocabolo, utilizzato per lo più nella produzione teatrale (Plauto, Cecilio Stazio, Accio), compare soltanto in Ennio (ann 519 e 603 Skutsch); cfr Flury, Dichter­ sprache, p  39 Nel grande epos la lucentezza è qualità tipica delle armi e soprattutto delle spade: Verg Aen 10,414 fulgenti … ense e 475 fulgentem … ensem 523 sublatus in iram Giovenco spiega la reazione del discepolo individuando nell’ira la componente psicologica alla base del gesto Il medesimo concetto è variamente reso in poesia con altri verbi (per es conuertor, exeo, exardeo, furio, transeo) È piuttosto frequente in fine di esametro il sintagma in iram preceduto da participi quali conuersus (Lucan 4,267), ac­ census (Sil 5,558), compulsus (Avian fab 36,7), collectus (Avian fab 37,13) 524 tempore et excussam rapuit … aurem L’accumulo verbale si sofferma sul crudo dettaglio dell’amputazione; nell’organizzazione del verso i due lessemi relativi alla sfera anatomica (la tempia e l’orecchio) sono posti a cornice dell’esametro; aurem rimpiazza il poco poetico diminutivo auriculam di Matteo ui uulneris Iunctura allitterante simile a quella di Verg Aen 12,720 illi inter sese multa ui uulnera miscent 525 olli Christus ait Questo stesso attacco è in 2,14 252; 3,659, mentre ritorna parzialmente modificato, con il plurale ollis, in 2,410; 3,677; 4,29 In 2,134 olli respondit … Christus e 265 olli respon­ dit … Iesus troviamo una variante con il medesimo soggetto (Cristo/Gesù) ma in fine di esametro La forma pronominale olli è un arcaismo risalente a Ennio (ann 31 113 146 569 621 Skutsch) ed è più volte impiegato da Virgilio in sede incipitaria; anche nelle altre attestazioni giovenchiane esso è collocato sempre in incipit (1,27 428; 2,412; 3,110 713) Nei casi sopra citati l’espressione di Giovenco risulta perfettamente speculare alla locuzione usata nei Vangeli per introdurre il discorso di Gesù (2,14 ~ Matth  8,20 illi Iesus ait; 252 ~ Ioh 4,7 dicit ei Iesus; 3,659 ~ Matth 21,19 ait illi; 2,410 ~ Matth  9,28 et dixit illis Iesus; 3,677 ~ Matth 21,24 respondens Iesus dixit illis; 4,29  ~ Matth   22,29 respondens Iesus ait illis)

316

Commento

noster In Matteo e nei luoghi paralleli di Luc 22, 51 e Ioh 18, 11, dove è Simon Pietro a sferrare il colpo, non vi è traccia dell’apostrofe che Giovenco fa rivolgere da Gesù al suo discepolo Il possessivo noster è impiegato nel significato di ‘amico’, ‘uno dei nostri’; quest’accezione, piuttosto colloquiale, è documentata fin da Ter Ad 885 Il termine specifica l’appartenenza di colui che ferisce, lo dichiara fedele seguace di Cristo marcando una distinzione tra la schiera armata dei nemici di Gesù e i suoi amici 526–527 L’ultima parte del versetto 52 (omnes enim, qui accipiunt gladium gladio peribunt) non trova corrispondenti negli altri Vangeli ed è rielaborata dal parafraste con una resa esplicativa incentrata sul concetto di vendetta Nel NT Gesù invita i discepoli a rinunciare a qualunque forma di violenza e ad amare ogni uomo, persino il nemico (cfr Matth 5,38–42; 43–48), e anche Paolo riprova decisamente la vendetta personale (cfr Rom   12,19 non uosmetipsos uindicantes  … scriptum est enim: ‘Mihi uindicta, ego retri­ buam’); nella prospettiva neotestamentaria la vendetta, ossia il ristabilimento della giustizia, appartiene solamente a Dio Nella parafrasi la struttura formale evidenzia efficacemente il contenuto: da notare il chiasmo, il poliptoto, la figura etimologica (uin­ dice ferro / ferri uindicta) e l’insistita allitterazione (ferox … ferro) 526 nam quicumque L’attacco e l’intera struttura dell’esametro, oltre al concetto di vendetta esplicitato al verso seguente, fanno pensare alle parole con cui Camilla morente preannuncia la punizione per chi ha osato colpirla a morte (Verg Aen 11,847 s nam quicumque tuum uiolauit uulnere corpus / morte luet merita) Il sottile richiamo al tragico episodio epico sembra quasi una esemplificazione letteraria del tema proposto dal detto biblico uindice ferro In 1,498 (ille reus ferro persoluet uindice poenas) il ferro vendicatore allude al castigo divino per gli assassini (~ Matth 5,21) La clausola sarà replicata da Mar Victor aleth  2,243 527 iusti similis ferri uindicta Diversi luoghi veterotestamentari parlano della spada vendicatrice come metaforica immagine della giustizia di Dio (cfr lev 26,25 inducamque super uos gladium ultorem foederis mei; Iob 19,29 fugite ergo a facie gladii, quoniam ultor iniquitatum gladius est: et scitote esse iudicium; Sirach 39,35–36 omnia haec ad uindictam creata sunt: bestiarum dentes et scorpii et romphea uindicans in exterminium impios; Ier 46,10 dies ultionis ut sumat uindictam de inimicis suis deuorabit gladius et satiabitur et inebriabitur sanguine) Il nesso iusti … ferri va confrontato con Lucan 10,523 terribilem iusto transegit Achillea ferro, in cui la ‘giusta vendetta’ è quella di Arsinoe contro il generale egizio Achilla; si­ milis … uindicta, che a 1,549 (laedentem semper similis uindicta sequatur) parafrasa l’an-

Commento

317

tico precetto della legge del taglione citato da Matth 5,38, sottolinea che la pena per le colpe sarà proporzionata ed equivalente; Giovenco ripropone il concetto di vendetta anche nel contesto, molto diverso, di 2,588 quaerunt, calcatae ut legis uindicta maneret (cfr Matth 12,10), in relazione ai tentativi dei farisei di accusare Gesù sulla violazione del riposo sabbatico La giuntura giovenchiana si legge anche in Anth. Lat 21,26 Riese2 (= 8 Shackleton Bailey) sit similis uindicta malo Vindicta si differenzia in positivo da ultio (Forcellini, s v uindex, p  997: «illa namque est actus iustitiae et poena, haec actus iracundiae») e assume un rilievo specifico nel lessico cristiano, in quanto rientra tra le prerogative esclusive di Dio (Blaise, p  849) Forse il riferimento giovenchiano, al netto delle già menzionate implicazioni biblico-patristiche del motivo, avrà avuto qualche influenza sulla rielaborazione del racconto evangelico operata da Sedulio in carm. pasch 5,72 s nec enim uindicta Tonanti / conueniens humana fuit 528–529 Tra gli Evangelisti solo Matteo fa pronunciare a Gesù la proclamazione della sua divina autorità mediante l’immagine delle legioni angeliche (aut non putas posse me modo rogare patrem meum et exhibebit mihi plus quam duodecim milia legiones angelorum?) La parafrasi dilata l’ipotesto biblico, e i due versi sono improntati a un linguaggio di tipo militare in sintonia con lo stile epico del testo poetico 528 caelestia castra Il sintagma sostituisce legiones angelorum di Matteo Castra ha qui funzione metonimica, come spesso accade anche in altre fonti letterarie latine in cui non è raro l’impiego della parola al posto di termini designanti gli occupanti del luogo, quali exercitus, mili­ tia, legiones (ThlL III1 562,59 ss ) Il passo di gen 32,3 in cui si parla di ‘accampamento’ a proposito delle schiere celesti è richiamato da Origene (ser 102 p  222,24–32 ex hoc autem demonstratur quoniam secundum similitudinem legionum militiae mundialis sunt et ‘angelorum legiones’ militiae caelestis militantium contra legiones daemonum habitantium in sepulcris … Sed etiam Iacob locum aliquem uocauit ‘castra domini’, quoniam militiam illic aspexit angelorum), che si riferisce a Macanaim, dove gli angeli apparvero a Giacobbe; per un commento a questo e ad altri passi origeniani relativi a immagini militari si rinvia a Caspary, pp  41–101 Paralleli sono poi in Cypr mortal 2 in caelestibus castris e Lact mort. pers 16,9 militem Christi, quem … nullus lupus de castris caelestibus rapiat; locuzioni analoghe ricorrono ancora in Cypr epist 58,8 Dei castra e 13,2 Chri­ sti castra Un immediato collegamento tra l’accampamento e gli angeli è istituito da Aug quaest. hept 1,101 castra Dei … angelorum fuerat multitudo Nel NT si trovano riferimenti agli angeli definiti come ‘milizia celeste’: Luc 2,13 multitudo militiae caelestis (gr  πλῆθος στρατιᾶς οὐρανίου) è riadattato da Iuvenc 1,170 s con milia plebis / caelestis; la definizione è presente, identica o variata, in altri autori cristiani quali Cypr ad Donat 15 caelestis militia e Tert mart 3,1 militiam Dei La metafora dell’accampamento è poi di frequente utilizzata per designare la città di Dio (Comm instr 1,44,12) e la Chiesa

318

Commento

(Tert pudic 14,17 castra ecclesiae) Altra documentazione in Flieger, pp  131 ss , e Souter, p  41 529 in proelia ducere turmas Cfr Prop 2,10,3 iam libet et fortis memorare ad proelia turmas; Ov met 13,82 Hector … deos in proelia ducit; Stat Ach 1,720 s in proelia ducent / Peliden; Sil 6,241 reuocatam in proelia turmam 530 sed scriptura meis conplenda est debita rebus La solenne affermazione che sostituisce l’interrogativa diretta dell’ipotesto (quomodo ergo implebuntur scripturae … ?) proclama la necessità dell’evento annunciato dagli antichi profeti e il ruolo attivo di Cristo nella realizzazione del piano divino scriptura Questo cristianismo semasiologico indicante le Sacre Scritture (Mohrmann, Études, III, p  113) è spesso usato in formule stereotipate per introdurre le citazioni bibliche Presso i poeti cristiani si trova sia la forma singolare (Commodiano, Prudenzio, Paolino di Nola, Sedulio, Draconzio, Aratore) sia quella plurale (Commodiano, Aratore) Nelle poche attestazioni poetiche pagane (Ter Hec 13; Phorm 5; Mart 1,66,3) il termine fa riferimento al testo scritto, all’opera letteraria A Iuvenc 1,389 scriptura rende scriptum est di Matth 4,6 (si veda il commento ad loc di Fichtner, p  139) meis conplenda est debita rebus Il sintagma meis … rebus può essere inteso come un dativo da legare a debita (‘la scrittura dovuta alla mia sorte si deve compiere’), oppure, più verisimilmente, un ablativo strumentale (‘tramite la mia sorte si deve compiere la scrittura dovuta, cioè quanto stabilito dalla scrittura’); questa seconda interpretazione pare sorretta dal passo tematicamente affine di 1,485 omnia … per me conplenda manebunt (~ Matth 5,17 adimplere; sul compimento della legge mosaica) Va osservato che i soli codd d r1 della VL esibiscono la lez conplebuntur contro la variante implebuntur degli altri mss Anche Commodiano sceglie questo verbo per esprimere lo stesso concetto in apol 532 iuxta prophetias conpleuit omnia Christus e 552 dixerat et ipsud, et conpleuit omnia dicta Giovenco conia il deverbale conpletor come epiteto di Gesù a 2,568 legum … conpletor Iesus 531–535 Gesù si rivolge al manipolo che accompagna Giuda Il poliptoto e il chiasmo delle forme pronominali (uos me / ego uobis), i predicati verbali corradicali ma con prefissi diversi (concurritis / occurram) fanno leva sul contrasto, comportamentale e morale, tra i personaggi messi in scena: da un lato la ferocia della folla armata, dall’altro la mitezza di Cristo che si offre arrendevole ai suoi persecutori Nel ricordo degli anni del ministero a Gerusalemme, ai vv  534 s docui … / … solum tantis circumlatrantibus, questo con-

Commento

319

trasto, ancora rafforzato dallo schema chiastico, è tra Gesù che ammaestra nel tempio e i tanti che lo sovrastano con vociare confuso e capziose argomentazioni; la polarità è tra il vero insegnamento di Cristo e i falsi ammaestramenti dei Giudei 531 stricto … ferro L’adiectio di questo dettaglio si appunta sullo sproporzionato impiego di armi contro Gesù; il nesso è di stampo virgiliano (Aen 4,580; 10,715 e 12,175 stricto … ense) 533 templi media … in arce Giovenco integra il sostantivo templum del modello con la locuzione epica in arce, che figura in fine di esametro a 2,279; 3,196 591 666 e, in accusativo, a 3,320 e 4,501 A proposito del tempio, anche a 3,674 templi se moenibus infert (~ Matth 21,23 cum uenisset in templum) il poeta inserisce un elemento nuovo, il particolare delle mura, per arricchire la descrizione La notazione locale contamina Sil 13,54 templum celsa surgebat in arce, il tempio eretto da Diomede ad Arpi per espiare il furto del Palladio, con Stat Theb  8,21 media … in arce Effettivamente il tempio di Gerusalemme, ampliato da Erode il Grande a partire dal 20 a C , sorgeva sulla cima più alta e larga della città, sul cosiddetto Monte del Tempio, nell’attuale spianata delle Moschee con la Cupola della Roccia e la Moschea di El-Aqsa 535 circumlatrantibus Come per latratus di 4,14 (cfr supra, nota ad loc ), analogo significato traslato ha qui il corradicale circumlatrare riferito alle invettive dei Giudei Gli scrittori ecclesiastici usano metaforicamente il verbo per definire dottrine e condotte contrarie all’insegnamento cristiano: quelle dei filosofi antichi (Lact inst 2,8, 50 in quo illum circumlatran­ tes philosophi omnes coarguerunt), degli avversari (Hier in Gal 2,4 nec circumlatran­ tium strepitum pertimescere paruulorum), degli uomini malvagi e degli eretici (Aug in psalm   139,11 de circumlatrantibus et circuminsidiantibus malignis hominibus; epist 65,1 inter haereticorum circumlatrantium rabiem) Nella sua edizione cinquecentesca Poelmann propone per il v  535 un testo differente, frutto di emendazione o di errata lettura dell’esemplare ms utilizzato: insonuit: tantis circum latratibus audax 536 discipuli passim Christo fugere relicto Il racconto dell’agonia nel Getsemani si apre con la fuga di Giuda e si chiude con la fuga disordinata di tutti i discepoli Questa Ringkomposition, che delinea il graduale processo di defezioni e di timori, gioca anche su corrispondenze strutturali tra il verso in epigrafe e il v  480 circa discipuli Iuda fugiente sequuntur Il soggetto grammaticale è in entrambi i casi discipuli, e avverbi di significato opposto sottolineano il diverso atteggiamento del gruppo, prima vicino al Maestro poi lontano e disperso (circa discipuli / discipuli passim); i nomi dei protagonisti occupano la stessa posizione di esametro, tra pentemimere ed eftemimere, come se i due personaggi si ergessero su una più anonima

320

Commento

moltitudine, soli davanti al proprio destino; uguale è la sede metrica dei verbi indicanti la fuga (fugiente/fugere) e di quelli indicanti le azioni contrapposte della sequela e dell’abbandono (sequuntur/relicto) 537–569 Gesù davanti al sinedrio. Il processo istruito presso il sommo sacerdote Caifa fu piuttosto un procedimento informale, eppure esso è descritto dagli Evangelisti in termini ufficiali: la riunione dei capi religiosi, scribi e anziani (vv  537 s  ~ Matth 26,57); la fase probatoria e l’audizione dei testimoni (vv  545–548 ~ Matth 26,59–61); l’interrogatorio dell’imputato (vv  549–559 ~ Matth 26,62–64); l’accusa (vv  560–564 ~ Matth 26,65) e la sentenza di morte (v  565 ~ Matth 26,66); nel finale l’imputato subisce percosse e ingiurie (vv  566–569 ~ Matth 27,67–68) 537–548 I versi sono parafrasi di Matth 26,57–61: 57 At illi tenentes Iesum duxerunt ad Caipham principem sacerdotum, ubi scribae et seniores conuenerant 58 Petrus autem sequebatur eum a longe usque in atrium principis sacerdotum, et ingressus intro sedebat cum ministris, ut uideret finem rei 59 Princeps autem sacerdotum et universum concilium quaerebant falsum testimonium contra Iesum, ut eum morti traderent 60 Et non inuenerunt, cum multi falsi testes accessissent; nouissime autem uenerunt duo falsi testes 61 et dixerunt: Audiuimus hunc dixisse: possum destruere templum hoc Dei et post triduo illud reaedificare («Quelli che avevano arrestato Gesù lo condussero da Caifa, il sommo sacerdote, presso il quale si erano radunati gli scribi e gli anziani Pietro lo seguì da lontano fin nel cortile del sommo sacerdote; entrò e si mise a sedere all’interno insieme con i servi, per vedere l’esito della cosa Il sommo sacerdote e tutto il sinedrio cercavano una falsa testimonianza contro Gesù per condannarlo a morte; tuttavia, nonostante si fossero fatti avanti molti falsi testimoni, non la trovarono; infine se ne presentarono due che affermarono: Abbiamo sentito dire a costui: posso distruggere il tempio di Dio e riedificarlo in tre giorni») I vv  537 s riprendono il versetto 57: in Matteo la moltitudine conduce Gesù dal sommo sacerdote, Giovenco invece presenta Cristo già fermo nel palazzo di Caifa (iamque Caiphaea steterat saluator in aula, v  537) e introduce l’arrivo degli scribi (scribae) e degli anziani del popolo (proceres) mediante un cum inuersum atto a trasmettere dinamismo al testo enfatizzando l’insediamento del tribunale ebraico Quanto al versetto successivo, nella riscrittura metrica ci sono delle corrispondenze (Petrus autem ~ Iuvenc at Petrus; a longe ~ longe, sedebat ~ sedit, cum ministris ~ cum plebe ministra) e delle sostituzioni: al v  539 il nesso seruans uestigia rende sequebatur e la locuzione participiale extremum opperiens … finem (v  541) la finale ut uideret finem rei; l’aggiunta degli aggettivi solus (v  539) e maestus (540) e dell’avverbio occulte (540) serve a tracciare lo stato psicologico di Pietro (solitudine, tristezza, paura di farsi vedere), mentre tanto sub turbine (v  541) sottolinea la gravità della situazione I vv  542–544 rielaborano il verset-

Commento

321

to 59: princeps … sacerdotum e universum concilium si riducono a sacerdotes (v  542); a quaerebant equivale la forma composta conquirere, retta da incumbunt (v  543); falsum testimonium, incompatibile con l’esametro, si risolve al v  542 in falsos … testes (cfr Simonetti Abbolito, Termini tecnici, p  81 e n  61); il poeta insiste sulla volontà del sinedrio di cercare false accuse contro Gesù mediante l’incremento del secondo emistichio 543 (fictasque uolunt contexere causas) e ribadisce la non colpevolezza dell’imputato con l’epiteto insonti, accordato a Christo (v  544) La prima parte del versetto 60 è resa liberamente al v  545, con l’additio di tanto … furori; la seconda è invece al primo emistichio 546, con il cambio di uenerunt in prosiliunt e la soppressione del numerale duo e del qualificativo falsi Le parole dei testimoni (audiuimus hunc dixisse) e quelle di Gesù (possum destruere templum hoc Dei et post triduo illud reaedificare) sono riferite in modo indiretto, rispettivamente con una relativa (qui dicere Iesum / audissent, vv  546 s ) e una dichiarativa (templum quod solus uertere posset / et uersum trinis iterum instaurare diebus, vv  547 s ) 537 iamque Caiphaea steterat saluator in aula La costruzione del verso è simile a quella di Stat Theb 2,310 Echionia steterat priuatus in aula: l’immagine di Gesù nel palazzo di Caifa, solo e abbandonato dai discepoli, avrà ricordato a Giovenco l’eroe ismenio Polinice, che ritorna con la mente ai giorni in cui era rimasto nella reggia di Tebe come un privato cittadino, addolorato e deluso per l’abbandono degli dèi e la fuga degli amici sconvolti dalla paura Conformemente allo stile epico, anche nella parafrasi iamque è spesso a inizio di verso, e otto delle ventidue attestazioni si riscontrano nel libro quarto (vv  236 333 428 537 588 662 727 784) L’abbinamento di iam e stare è in Ov fast 3,215 iam steterant acies L’allitterazione ste­ terat saluator mette in risalto la figura del Salvatore impassibile di fronte ai giudici del sinedrio È suggestivo pensare che nel contesto del processo l’uso di stare, presente già nell’intertesto staziano, si carichi di ulteriori sfumature allusive: il verbo, infatti, usato nella lingua militare per designare chi fronteggia il nemico senza indietreggiare (cfr OLD, s. v., 2 e 3, p  1823), ricorre nella letteratura martiriale per coloro che rimangono saldi nella fede e perseverano fino alla fine, sul modello della lingua biblica (I Cor 16,13; Eph 6,13–14) Sul cristianismo saluator, cfr supra, nota al v  51 Caiphaea … in aula Il poeta evita il nome del sommo sacerdote e, come al v  405 Caiphaeae sedis, ricorre all’aggettivo derivato Secondo Flury, Dichtersprache, p  39, il termine aula, che non corrisponde al testo dell’Itala, dove al versetto seguente, il 58, c’è il sinonimo atrium (usato da Giovenco solo in 4,405 = Matth. 26,3 in atrium principis sacerdotum), deriva da αὐλή del modello greco (Vulg. usque in aulam) Si noti però che aula, parola epica usuale in fine di esametro, soprattutto nel sintagma in aula in combinazione con un attributo, si trova nell’individuato modello staziano (cfr inoltre Val Fl 7,301 Echionia ceu Penthea Bacchus in aula e supra, nota al v  34)

322

Commento

538 scribae proceresque uocati Variazione di uocatur di 4,403, dove il verbo è ugualmente usato per la convocazione dell’assemblea 539–541 Si notino gli omeoteleuti longe … / occulte e solus / … maestus e la ripresa allitterante seruans … solus / … sedit … / … sub 539 longe seruans uestigia solus Nel racconto dei tragici eventi della fuga da Troia Enea si addossa la responsabilità della morte di Creusa e si rimprovera di aver commesso l’errore di non essersi girato a controllare se la moglie, secondo la prescrizione ricevuta (Verg Aen 2,711 longe seruet uestigia coniunx), lo stesse seguendo L’effetto citazionale è straniante: la figura di Pietro si sovrappone a quella di Creusa e nel contempo a quella dell’eroe epico, tormentato dai rimorsi e dai sensi di colpa 540 occulte maestus sedit cum plebe ministra L’avverbio occulte si può legare all’aggettivo maestus (‘soffrendo in segreto’), a esprimere la repressione delle più intime emozioni da parte dell’apostolo, oppure al successivo blocco testuale, con il significato di ‘non riconosciuto’, in quanto Pietro si nasconde confondendosi tra i servi L’uso di minister con funzione aggettivale è comune nella latinità; cfr Manil 5,316; Lucan 10,127; Tac hist 4,22,3 541 extremum … finem Il nesso pleonastico, attestato sia in prosa (Liv 8,32,13; 27,40,10; Hyg de astr 4,7) sia in poesia (Verg georg 4,116 extremo … sub fine laborum), delimita l’esametro accentuando l’impaccio dell’apostolo, l’ansia crescente, il desiderio che tutto finisca Simonetti Abbolito, Osservazioni, p  313, fa notare in proposito la pregnanza dell’aggettivo extre­ mum «che solo sintatticamente si riferisce a finem, perché è Pietro che in quel momento vorrebbe trovarsi extra … tanto sub turbine» tanto sub turbine Gli attimi concitati che segnano l’attesa di Pietro sono fissati nella suggestiva immagine della tempesta Con l’uso figurato di turbo – spesso in relazione a sconvolgimenti politici, sciagure collettive o personali (Cic Pis 20 in maximis turbinibus ac fluctibus rei publicae; Ov met 7,614 attonitus tanto miserarum turbine rerum, nella medesima giuntura giovenchiana) – a 2,368 s (sponsus turbine saecli / … rapietur) il poeta prefigura la morte violenta di Cristo; la ripresa della stessa parola nel nostro luogo, in un sottile gioco di allusioni, acquista perciò una sfumatura tutta particolare: i dolorosi eventi della Passione sono proprio ‘il turbine del mondo’ anticipato nel II libro dalla profezia di Gesù Per il nesso sub turbine, cfr ancora Iuvenc 2,221 e Claud 26,458

Commento

323

542–543 falsos conquirere testes / incumbunt fictasque uolunt contexere causas La dilatazione della locuzione biblica quaerebant falsum testimonium rivela la volontà del poeta di mostrare la malafede degli accusatori e l’illegittimità del processo Ne consegue sul piano formale una composita impalcatura di elementi retorici finalizzati a dare enfasi al concetto: il parallelismo dei membri; la collocazione in chiusura di verso dei termini semanticamente rilevanti (testimoni, accuse); la corrispondenza del prefisso completivo nei due verbi all’infinito; l’allitterazione degli aggettivi, entrambi interessati dal tempo forte; l’omeoteleuto in cesura dei verbi reggenti 542 falsos conquirere testes Secondo la prassi processuale giudaica una condanna capitale poteva essere pronunciata solo in presenza di almeno due testimoni concordi dell’accusa (cfr deut 17, 6) Di falsi testimoni ricercati ad hoc parla – con la medesima terminologia – anche Hil in Matth 32,3 reliqua uero gestorum ordinem habent: falsi testes conquisiti, sacerdos eius ipsius in qua gloriabatur legis ignarus, etiam sacramento an ipse esset Christus fidem quaerens, quasi occulte de eo lex et prophetae loquerentur 543 incumbunt … contexere causas Per la costruzione di incumbere con l’infinito cfr Verg georg 4,249; Tac hist 2,10,2 Contexere, in nesso allitterante con causas, ha l’accezione traslata e negativa di ‘ordire’, ‘inventare ad arte’, presente per lo più in contesti giuridici a proposito di incriminazioni e false testimonianze, come in Cic Deiot 19 at quam festiue crimen contexitur; Cod Theod 4,4,5 testimonia non scripta et falso contexta; Cassiod hist 1,12 calumnias contexe­ re; cfr ThlL IV 693,10 ss e 40 544 insonti Nel poema questa qualità appartiene anche ad altre figure di giusti uccisi violentemente, cioè Giovanni Battista (3,66 e 71) e i servi inviati dal re nella parabola dei vignaioli omicidi (3,748), allegoria di Cristo mandato dal Padre e rifiutato dagli uomini Soprattutto nel caso del Battista, come fa osservare Consolino, Priamo, p  165, il motivo del sangue innocente, estraneo all’ipotesto biblico, è sviluppato in modo del tutto autonomo da Giovenco per stabilire un rapporto diretto tra il precursore Giovanni e il Salvatore A Gesù ingiustamente messo a morte applica il medesimo attributo anche Sedul carm. pasch 5,141 s nil inimica cohors insontis sanguine dignum / repperiens 545 sed nullus tanto uisus satis esse furori Tanto furori allude ai fatti imminenti della Passione e della morte di Cristo; il senso è che nessun testimone fu sufficiente per emettere la condanna capitale La costruzione satis est / esse + dativo è assai rara; un caso analogo è Sen Med 1008 unus est poenae sa­ tis Su sette parole che compongono il verso ben cinque sono bisillabe Diversamente

324

Commento

da Matteo, che accenna al gran numero di testi esibiti, Giovenco cambia prospettiva e fissa l’attenzione sulla mancanza assoluta di testimoni 546–548 Flieger, pp  148–150, analizza il comportamento di Giovenco nella resa dei verbi che indicano la distruzione e la riedificazione del tempio nei quattro casi in cui nella parafrasi se ne fa menzione e rileva la sapiente uariatio con cui il poeta di volta in volta evita i termini ripetuti nel modello: 2,166 s (soluite – restituam) e 170–72 (renouare) ~ Ioh 2,19 (soluite – suscitabo) e 20 (suscitabis); 4,547 s (uertere posset / … uersum … instaurare) ~ Matth 26,61 (possum destruere … reaedificare); 4,670 s (poterat dissoluere / … repara­ re) ~ Matth 27,40 (destruebas … reaedificabas) 546 ultima L’accusativo neutro plurale ultima, un grecismo sintattico, rende l’avverbio nouissime dell’ipotesto; cfr Hatfield, p  33, e supra, note ai vv  190 (sordida) e 194 (incauta) prosiliunt testes La locuzione, che indica la fretta con cui si presentano i testi decisivi reperiti all’ultimo momento, è più vicina a exurgentes di Marc 14,57 che a uenerunt di Matth 26,60 L’ipotesto parla di duo falsi testes, Giovenco ha invece solo testes senza indicazione numerica e aggettivazione È possibile che il poeta abbia utilizzato una versione del testo biblico priva del qualificativo, concordemente attestato dalla tradizione ms dell’Itala (anche nel testo greco, ove ricorre solo il numerale δύο, si sottintende chiaramente ψευδομάρτυρες della frase precedente), oppure che non voglia ripetere quanto già evidenziato all’inizio della pericope ai vv  542 s Iesus Dal momento che qui e a 1,63 Iesus è preceduto da vocale, si è indecisi tra la misurzione trisillabica con sinalefe in clausola (rara in Giovenco, anche se presente) e quella senza sinalefe e con attacco consonantico Il nome è inevitabilmente trisillabico nelle altre occorrenze del libro quarto in cui è preceduto da consonante (4,365 591 596 613 625 720 767 770 790) 547 solus Tale aggiunta, che fa apparire più straordinaria l’impresa e accresce la meraviglia del sinedrio, è inserita anche a 4,670 nell’analoga dichiarazione sul tempio 547–548 audissent … uertere posset / et uersum … instaurare Cfr Verg Aen 1,20 audierat Tyrias olim quae uerteret arces: i timori dei Giudei sulla eventualità che il Signore potesse distruggere il tempio sembrano sovrapporsi a quelli di Giunone, che paventa la realizzazione di quanto aveva sentito dire sulla futura di-

Commento

325

struzione delle rocche tirie da parte della stirpe troiana La clausola del v  547 è in Hor epist. 2,1,164 e Val Fl 7,297; cfr altresì Lucr 1,105 uertere possint Vertere, che meglio si attaglia allo stile epico, riprende destruere del modello Il diptoto uertere … / … uer­ sum, con cui Giovenco si sofferma sul concetto di ‘abbattimento’, è raffrontabile con un analogo gioco verbale di epigr. Bob 27,3 et summa in imum uertit ac uersa erigit 548 trinis … diebus Analoghe perifrasi temporali sono a 1,103 trinos … menses; 4,671 trino lucis … meatu e 735 trino solis … recursu iterum instaurare Il nesso allitterante esprime la reiterazione contenuta in reaedificare dell’ipotesto; si veda nella stessa posizione di verso Sil 1,35 iterum instaurata (detto delle armi) 549–559 I versi riprendono Matth 26,62–64: 62 Et surgens princeps sacerdotum ait illi: Nihil re­ spondes ad ea, quae isti aduersum te testificantur? 63 Iesus autem tacebat. Et respondens princeps sacerdotum ait illi: Adiuro te per Deum uiuum, ut dicas nobis, si tu es Christus, filius Dei 64 Dicit illi Iesus: Tu dixisti. Tamen dico uobis: a modo uidebitis filium hominis sedentem ad dexteram uirtutis et uenientem cum nubibus caeli («Il sommo sacerdote si alzò e gli disse: Non rispondi nulla alle accuse che costoro muovono contro di te? Ma Gesù taceva Allora il sommo sacerdote incalzò: Ti scongiuro per il Dio vivente di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio Gesù gli rispose: Tu lo hai detto Anzi io vi dico che d’ora in poi vedrete il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo seduto alla destra dell’Onnipotente») L’intervento del sommo sacerdote (princeps sacerdotum ~ Iuvenc sacerdotum prin­ ceps) subisce ai vv   549 s un’amplificatio grazie all’inserimento di nuovi particolari: l’insistenza di Caifa (urgere … / insistit, vv  549 s ), l’ira furiosa di cui è preda (frendens furiis, v  550) e di contro il tenace silenzio di Gesù (tacentem, v  549, che anticipa il senso di Iesus autem tacebat del versetto seguente); ad ait illi corrisponde la locuzione poetica talia fatur (v  550) L’interrogativa resta ma con l’aggiunta di cur; l’infinito respondere (v  551), che dipende da audes (v  552), richiama respondes di Matteo; ad tantas … que­ rellas esplicita il significato di ad ea, e nella prospettiva di Caifa la testimonianza degli accusatori è verace (ueris … sub testibus, v  552), perché offerta da membri ragguardevoli del popolo (procerum, v  552), e dimostra la colpevolezza di Cristo (conuictus, v  552) La prima parte del versetto 63 è eliminata; la seconda occupa i vv  553 s : il verbo, che è lo stesso, è coniugato al futuro (adiuro ~ Iuvenc adiurabo); il giuramento su Dio (per Deum uiuum) guadagna la solennità epica di summi per regna Tonantis; ut fateare palam è la pubblica confessione ed è più forte di ut dicas nobis; l’ultima frase (si tu es Christus ~ Iuvenc si fas te credere Christum, v  554), che si riferisce alla natura divina di Cristo, è riscritta senza il nesso filius Dei Per introdurre la risposta di Gesù (dicit illi

326

Commento

Iesus) del versetto 64, il poeta impiega l’intero verso 555, ricorrendo ad un aggettivo che denuncia la superbia del sommo sacerdote (ille dehinc tali conpellat uoce superbum) I vv  556 s parafrasano tu dixisti, con una espansione che dà vigore all’affermazione e gioca, forse, sull’ironia (istaec sola tibi procedunt pectore uerba / uera tuo); l’altro segmento della risposta, non introdotto dalla formula tamen dico uobis, ricompare ai vv  557–559: l’omissione di uidebitis fa sì che i participi in accusativo (sedentem e uenientem) passino al modo indicativo (ueniet, v  557 e adsidet, v  559) e il soggetto divenga l’astratto ma­ iestas specificato da prolis hominis (~ Matth filium hominis); la visione della gloria di Cristo è espressa al v  557 dalla locuzione uobis uisenda cui è aggiunta la determinazione locale per auras (v  557); la parafrasi è per il resto quasi letterale (ad dexteram ~ Iuvenc dextera, v  558; uirtutis ~ sanctae / uirtuti, vv  558 s ; cum nubibus caeli ~ sub nubibus igni­ coloris, v  559) 549–550 urgere … / insistit frendens furiis A fronte dell’asettica esposizione biblica, Giovenco carica i due versi di pathos narrativo accentuando lo stato emozionale del sommo sacerdote ormai non più padrone di sé; l’abbinamento pleonastico urgere insistit ne rappresenta la pressione incalzante e l’ostinazione; la coppia allitterante frendens furiis si catalizza invece sull’adirata protesta Anche Girolamo si soffermerà sulla reazione furibonda di Caifa (in Matth 4,26,62 s tanto magis pontifex furore superatus) Frendere e urgere sono combinati insieme a 2,463 nella rappresentazione delle violente persecuzioni a causa del nome di Gesù (frendens urgebit pro me uiolentia saecli) Per gli usi di frendere negli Euangeliorum libri, cfr supra, nota al v  1 Il sostantivo furia è usato in entrambe le occorrenze, qui e al v  561, per l’ira del sommo sacerdote 550 ac Monosillabo lungo al 4o biforme, come a 3,746; altrove la congiunzione è in posizione iniziale (1,70 453 551), al 2o longum (3,495), oppure alla 2a lunga del 2o biforme (2,289) Questa è l’unica attestazione della parola nel libro quarto talia fatur Cfr supra, nota al v  330 551–552 I due versi amplificano il testo di Matth 26,62 nihil respondes ad ea, quae isti aduersum te testificantur? Flieger, pp  156–158, analizza le aggiunte apportate da Giovenco al modello scritturistico mettendo in luce come queste facciano emergere la psicologia di Caifa: mentre ai vv  542 s viene presentata la prospettiva esterna dell’autore, che definisce falsi e fittizi i testimoni e le imputazioni contro Gesù, qui viene offerto invece il punto di vista soggettivo del sommo sacerdote, che ai falsos testes contrappone i ueris … testibus e alle fictas causas le tantas querellas Il Caifa giovenchiano ha già condannato Cristo

Commento

327

prima ancora che egli parli, sulla base delle sole testimonianze; anzi, proprio il fatto che l’imputato non osi rispondere è per lui un segno inconfutabile di colpevolezza, come si evince dall’adiectio della sequenza conuictus … audes, che conferma l’opinione preconcetta di Caifa e il suo convincimento nella veridicità delle prove addotte Giovenco insomma entra nelle dinamiche psicologiche del personaggio, ne riporta il pensiero e le motivazioni interiori, con una capacità narrativa più spiccata rispetto all’autore biblico 551 cur nihil Incipit di Stat silv 5,3,274 ad tantas … querellas Il termine querella, largamente attestato in Virgilio e nell’epos in genere con il significato di ‘lamento’, acquista qui l’accezione di ‘lagnanza’, ‘accusa’, tipica dell’uso giuridico (Val Max 9,10,2; Ulp dig 37,14,1; CIL VI 10284,8 e OLD, s. v., 3d, p  1547) Nelle altre due ricorrenze giovenchiane la parola, variata nel caso e sempre in chiusura di esametro, indica semplicemente un’espressione di dolore, i lamenti delle madri nella strage degli innocenti (1,266 horrendis grauiter caelum pulsare querellis) e il pianto di Giuda pentito per il tradimento (4,628 infelix ueris damnans sua gesta querellis) 552 conuictus Conuincere (‘dimostrare colpevole’) è voce del lessico giuridico-retorico cara a Cicerone (51 attestazioni) e Agostino (più di 40 occorrenze); tra gli epici la usano soltanto Lucrezio (5 volte) e Ovidio nelle Metamorfosi (5 volte); 4 sono gli esempi nella Vulgata (cfr ThlL IV 876) ueris … sub testibus Il sintagma è segnalato da LHS, II2, p  279, come esempio dell’impiego di sub con valore di coram tipico della tarda latinità; vi sono già esempi prima di Giovenco: Petronio (118,6), Stazio (silv 2,3,76; Theb 2,153), Valerio Flacco (7,148), Giovenale (15,26) e Silio Italico (11,608) Colombi, Preposizioni, p  19, cita anche il caso analogo di Iuvenc 3,478 crimen adulterii populo sub teste subibit Nel latino classico si trova solitamente il semplice ablativo di mezzo teste o testibus senza preposizione 553–554 adiurabo … per … / ut Il passaggio dal presente del testo matteano al futuro conferisce maggiore solennità alle parole di Caifa; nella riscrittura viene a mancare l’oggetto diretto te e vi è l’aggiunta di tamen Negli epici di epoca classica è sempre usato il presente, mentre un’attestazione con il futuro è nell’AT nella versione della VL di gen 24,3 et adiurabo te per Dominum, Deum caeli et Dominum terrae In ThlL I2 713,24 ss il locus giovenchiano è tra gli esempi di adiurare con la valenza di «obtestari, iure iurando obstringere» seguito da ut + congiuntivo Si tratta di un impiego comune nella Bibbia latina (Vulg I Esdr 10,5; Tob 8,23;

328

Commento

I Thess 5,27), recepito dagli scrittori cristiani (Cypr Gall gen 1465) La costruzione con per + accusativo in formule rituali e con determinazioni varie, documentata fin da Plauto e Terenzio, si legge anche nella prosa ecclesiastica (Min Fel 27,7 adiurati … per deum uerum et solum; Hier epist 51,1 nos per nomen Christi) Catullo (66,40) e Virgilio (Aen 12,816) hanno l’accusativo senza preposizione 553 summi per regna Tonantis Il parafraste attribuisce al Dio vivente invocato dal sommo sacerdote in Matth 26,63 un tipico epiteto divino della tradizione classica Già nell’epica omerica infatti il participio βροντῶν e l’aggettivo ὑψιβρεμέτης erano attributi convenzionali di Zeus, e a partire da Orazio (epod 2,29 e carm 3,5,1) il termine tonans sarà comunissimo per il padre degli dèi nella poesia latina (Carter, pp  56 s ) La risemantizzazione cristiana di tale parola, attestata solo in poesia anche grazie alla sua caratteristica facies epica, avviene con Optaziano Porfirio (carm 24,7) e con Giovenco, che la impiega per Dio Padre anche in 2,795 e 4,672 786, sempre nella stessa positio metrica; in epoche successive significative attestazioni sono in Prudenzio (cath 6,81; 12,83; ham 376), Paolino Nolano (carm  22,149), Sedulio (carm. pasch 1,27; 2,205; 5,17 72), Draconzio (laud. dei 1,1) e Venanzio Fortunato (Mart 1,126) Su queste riprese cristiane avrà senz’altro influito anche la tradizionale associazione veterotestamentaria di Dio, della sua voce e delle sue manifestazioni con il tuono; cfr Iob. 37,5 tonabit deus in uoce sua mirabiliter; psalm  17,14 et intonuit de caelo Dominus; 28,3 Deus maiestatis intonuit Per l’analisi del fenomeno in Prudenzio cfr Lavarenne, p  351, e Palla, Hamartigenia, p  214 Nelle sue numerose attestazioni il genitivo Tonantis è solitamente in chiusura di verso, come, tra i tanti, in Ov met 1,170 ad magni tecta Tonantis; Sil 16,273 ad templa Tonantis; Manil  5,289 per tecta Tonantis Una clausola simile è quella di Germ frg 4,143 magni cum regna Tonantis L’aggettivo summus è riferito a Dio in Marc 5,7 Dei summi; è concordato con Tonans anche in Lucan 2,34; Mart 6,13,7; Sil 8,219; Val Fl 2,560 554 ut fateare palam Nel NT le autorità giudaiche chiedono a Gesù di proclamare apertamente il carattere messianico della sua missione non solo nel processo dinanzi al sinedrio (cfr i luoghi paralleli di Marc 14,61 e Luc 22,67), ma anche nel corso della sua predicazione, come in Ioh 10,24 si tu es Christus, dic nobis palam; proprio da questo passo giovanneo potrebbe derivare l’avverbio palam aggiunto da Giovenco al testo di Matteo Fateri, sostituito al meno incisivo dico, marca il carattere solenne dell’affermazione richiesta al Salvatore, anche per mezzo della patina arcaizzante della desinenza del congiuntivo tipicamente lucreziana Negli Euangeliorum libri questo verbo è legato prevalentemente al riconoscimento del divino mandato di Cristo: 2,294 (Gesù rivela alla samaritana di essere la luce del mondo); 2,412 (due ciechi ammettono di credere nella potenza risanatrice di Cristo) e 4,713 (i soldati ai piedi della croce riconoscono pubblicamente il Figlio di Dio)

Commento

329

si fas te credere Christum La convenzionale formula sacrale mette in scena le riserve del gran sacerdote che vuole evitare una dichiarazione empia Per la costruzione del verbo con l’accusativo della persona cfr supra, nota al v  350 e, tra i numerosi esempi nella letteratura latina cristiana, Tert adv. Marc 3,7,8 (scil Christum) facile et intellegere et credere potuerunt Per quanto riguarda la struttura formale dell’hemiepes, che si chiude con una clausola allitterante, cfr Ov Pont 4,8,55 Di quoque carminibus, si fas est dicere, fiunt; Sil 3,425 si credere fas est e Stat Theb 2,595 non aliter, Geticae si fas est credere Phlegrae 555 tali conpellat uoce Cfr Lucan 9,226 mente fugae tali conpellat uoce regentem: uno dei ribelli al seguito del re cilicio Tarcondimoto si rivolge a Catone Per la combinazione di conpello e uoce/­ibus, cfr Verg Aen 4,304; 5,161; 6,499 superbum L’attributo spregiativo rientra nella rete di qualificazioni intessuta dal poeta per connotare la figura di Caifa, che col suo vano orgoglio si contrappone alla salvifica verità di Cristo Superbus, anche con valore sostantivato, contraddistingue in Giovenco una serie di personaggi e di comportamenti dell’élite giudaica: Erode Antipa (3,33), le risposte dei capi (3,691), gli scribi e il loro fasto (4,53 e 58), i farisei (4,401); a 2,235 designa i peccatori che rifuggono la luce e seguono le tenebre, a 2,550 i superbi sapienti contrapposti ai bambini e a 4,300 il cuore di chi disprezza i fratelli bisognosi Su questa caratteristica psicologica giudaica si soffermano anche altri scrittori tardoantichi, quali Ausonio (ephem 3,17 s superbi / … populi) e Aratore (act 1,336 gentisque super­ bae) Soprattutto nella Spagna meridionale, dove ben radicata era la presenza di gruppi giudaici, ricorre l’identificazione dell’orgoglio come specifica qualità della Sinagoga (Greg Ilib in cant 2,36 synagogae ceruix dura et superba); il problema è analizzato da Poinsotte, p   161 e nn 597 ss La stigmatizzazione della superbia è tanto più forte in quanto tale peccato, annoverato tra i sette vizi capitali, è condannato nei testi scritturistici (prov  6,17; 11,2; Sirach 10,99; Matth 23,12; Luc 1,51; Rom 1,30; 11,20) 556–557 La risposta di Gesù, che dichiara veritiera la sola affermazione sulla sua origine divina appena pronunciata dal sommo sacerdote, denuncia di contro la falsità delle precedenti esternazioni di Caifa e dei falsi testimoni esibiti in tribunale (ueris … sub testibus, v  552) All’amplificatio giovenchiana del tu dixisti biblico conferisce singolare rilievo la studiata architettura dei due versi, con la combinazione a chiasmo dei termini allitteranti (tibi procedunt pectore … / … tuo) e l’allitterazione delle parole chiave (uerba/ uera)

330

Commento

556 procedunt pectore uerba Procedere in riferimento all’atto di proferire parole o articolare suoni è in Sen nat 4a, praef 15; Tac ann 4,60,1; Apul met 8,29; in ambito biblico cfr psalm 88,35 quae proce­ dunt de labiis meis e Matth 4,4 in omni uerbo, quod procedit de ore Dei Per altri esempi di ablativo apreposizionale (pectore) dopo verbi di moto in Giovenco si veda Hatfield, § 70, p  17; la clausola è già a 4,459 557 ueniet uobis uisenda L’allitterazione trimembre introduce l’annuncio della parusia; uobis, incuneato tra ue­ niet e uisenda, si presta a essere tanto un datiuus commodi, se legato al predicato verbale, quanto un datiuus auctoris, se legato al gerundivo per auras Cfr 2,199; tipicamente in fine di verso negli epici classici (si veda Hey in ThlL II 1476,70 e 1477,6) 558–559 dextera sanctae / uirtuti adsidet Al posto del costrutto preposizionale ad dexteram l’autore ricorre al predicativo dexte­ ra, da legare al nominativo maiestas, e costruisce adsidere con il dativo uirtuti, secondo un uso sintattico assai raro; il precedente di Sen benef 4,20,3 (qui aegro assidit [u l as­ sidet]) citato in OLD, s. v. assido, 3, p  188, non può dirsi certo Sul piano linguistico possiamo raffrontare il nesso giovenchiano con il locus postclassico di Nov. Theod 2,15,2,1 dexter assedit ei Come adsideo (Prop 4,11,21; Vulg act 26,30), anche adsido prende nella latinità una sfumatura tecnico-giuridica, in relazione cioè alla postura del giudice che siede in tribunale, qui confacente al contesto apocalittico del Vangelo (Plaut Most 1143; Amm 15,5,12; Papin dig 1, 22, 6; ThlL II 879,74 ss ) 558 maiestas Cfr supra, nota al v  156 559 sub nubibus ignicoloris Il linguaggio è quello convenzionale dell’epifania messianica; cfr supra, note ai vv  145 ss e 155 Poelmann stampa un testo sensibilmente diverso per questo verso e cioè cum sedeat dextram per nubes ignicolores 560–569 È la continuazione di Matth 26,65–68: 65 Tunc princeps sacerdotum scidit uestimenta sua dicens: Blasphemauit. Quid adhuc egemus testibus? Ecce nunc audistis blasphemiam eius 66  Quid uobis uidetur? At illi responderunt omnes et dixerunt: Reus est morti 67 Tunc expue­ runt in faciem eius et colaphis eum ceciderunt 68 dicentes: Prophetiza nobis, Christe, quis est, qui te percussit? («Allora il sommo sacerdote si strappò le vesti, dicendo: Ha bestem-

Commento

331

miato Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco ora avete udito la sua bestemmia Cosa ne pensate? Quelli risposero tutti: È reo di morte Allora gli sputarono in faccia e lo colpirono con i pugni dicendo: Indovina, Cristo, chi è che ti ha colpito?») Alla risposta affermativa di Gesù circa la propria filiazione divina segue la reazione indignata di Caifa: della prima parte del versetto 65 sono ripresi il soggetto (princeps sacerdotum  ~ Iuvenc sacerdos, v   561), il predicato verbale (scidit  ~ scindit, v   560) e l’oggetto (uestimenta sua ~ uestem, v  560); dopo aver inserito talibus auditis (v  560) e de pectore (v  560), dovuta precisazione circa il punto esatto dello strappo della veste, Giovenco ritrae ancora una volta la psicologia di Caifa: egli è in preda a una folle euforia (exultans furiis, v  561) e il suo cuore è accecato (caeco corde, v  561); atque ait in apertura del v  562 rende il participio dicens Le prime due battute sono soppresse, della terza è mantenuto solo audistis, con l’ampliamento di blasphemiam in foeda … / uerba e di eius in pugnantis … profani / … Deo ai vv  562 s (nelle parole del sommo sacerdote Cristo è un empio nemico di Dio, e questo è per lui motivo di condanna); l’istigazione all’ira per l’oltraggio arrecato alla religione (polluta magis consurgat in iras / religio, vv  563 s ) è un elemento che non trova paralleli in Matteo e rimarca il cieco furore del sinedrio La domanda del versetto 66 si trasforma in un severo imperativo che non lascia possibilità di dissenso (uestram cuncti iam pandite mentem, v  564) Il v  565 parafrasa l’inappellabile verdetto finale con termini che meglio fanno risaltare l’unanime volontà dell’assemblea (conclamant omnes mortique addicere certant) I vv  566–568 rimaneggiano il versetto 67: Giovenco mantiene l’elemento degli sputi (expuerunt ~ Iuvenc sputa inproba conplent, v  566) e dei pugni (colaphis eum ceciderunt ~ colaphi­ que in uertice crebri  / insultant, vv   567 s ) qualificando come sacro il volto di Cristo che subisce tale dileggio (sanctam Christi faciem, v  566); con il riferimento agli schiaffi ricevuti da Cristo (et palmae in malis, v  567), egli mostra poi di seguire una versione biblica in cui è contenuta tale indicazione (palmas in faciem ei [eius h] dederunt aur c f ff1 l n q h g1), attestata nella maggior parte dei testimoni mss della VL e della Vulgata e accolta dai poeti cristiani (Comm apol 355; Sedul carm. pasch 5,96–98; Carm adv. Marc 5,166) Una lunga locuzione (uerbisque omnes inludere certant, v  568) introduce l’ingiurioso indovinello presentato con il semplice dicentes nel versetto finale, che è reso poi in maniera sostanzialmente fedele: prophetiza ~ Iuvenc prophetabis; nobis non è ripreso; Christe è uguale; quis est, qui te percussit ~ cuius tibi palma sonarit 560 talibus auditis La formula di raccordo, che connette la precedente sezione di testo alla successiva e allude alle parole appena pronunciate da Gesù, potrebbe essere la resa di un’analoga espressione contenuta nel luogo parallelo di Marc 14,63 audiens haec princeps sacerdo­ tum scidit uestimenta sua et ait

332

Commento

scindit de pectore uestem Lo sdegno del sommo sacerdote si manifesta con un gesto plateale che esprime il totale rifiuto di quella che il sinedrio percepisce come una bestemmia L’atto simbolico di stracciarsi le vesti nel mondo giudaico era espressione di orrore e cordoglio per il defunto: cfr I reg 4,12; II reg 1,2 11; 3,31; 13,19 31–32; tale costume era però vietato al sommo sacerdote (lev 21,10–11 sacerdos maximus  … uestimenta non scindet) Non mancano paralleli nella tradizione classica, dove il gesto indica lutto, riprovazione, orrore, preghiera (Verg Aen 12,609; Stat silv 5,1,20; Iuv 10,262) Sulla base dell’ipotesto matteano (scidit uestimenta sua), il poeta imbastisce l’hemiepes con il linguaggio usuale della poesia latina: la medesima costruzione sintattica, con il verbo composto, è attestata, per es , già in Sil 16,436 (auratam medio discindit pectore uestem), mentre in Ilias Latina 846 (deformat, scindit firmo de pectore uestes) e 1018 (Andromacheque suas scindit de pectore uestes) il lessema uestis, sempre nella chiusa del verso, è al plurale; in Ov met 7,848 (mollibus attollo scissaque a pectore ueste) il verbo al participio e il sostantivo sono in caso ablativo; una variante con corpus sostituito a pectus è in Prop 2,5,21 nec tibi periuro scindam de corpore uestis; la combinazione dei composti di scindere + uestis è poi in Tib 1,10,61 e membris … rescindere uestem e Ov epist 12,153 abscissa … ueste; per l’abbinamento delle parole pectus e uestis in clausola esametrica vd ancora Ov met 6,59 (pectora uestes); 9,636 (pectore uestem); 11,681 (pectore uestes); ars 3,707 (pectore uestes) 561 Il verso è un’additio di Giovenco, che condensa nella figura di Caifa l’adirata reazione dell’intero sinedrio e della comunità giudaica exultans furiis Caifa è agitato da un duplice sentimento di euforia e furore: questa voluta ambiguità, giocata sulla doppia valenza del verbo exultare, che può indicare tanto la follia (Verg Aen 10,813) quanto la gioia scomposta (Sen dial. 4, 21,5), esprime la piena soddisfazione per la confessione di Cristo e incarna nel contempo l’immagine del furor Iudaicus, spesso denunciato dal parafraste; cfr Poinsotte, p   169, n   626 Girolamo ricondurrà il gesto del sommo sacerdote alla medesima componente psicologica, la collera (in Matth 4,26 quem de solio sacerdotali furor excusserat eadem rabies ad scindendas uestes prouocat) caeco corde La corrispondenza delle ultime due lettere della prima parola e delle prime due della seconda (-co co-) dà maggiore risonanza all’allitterazione in c della locuzione, che ritrae l’accecamento interiore di Caifa Il nesso caecum cor è presente sia nella poesia classica (Acc trag 450 Ribbeck3 cor ira feruit caecum), ove ricorre anche con la variante pectus (Lucr 2,14 o pectora caeca), sia in quella cristiana (Sedul carm. pasch 2,208 cae­ ca gerit … corda; Cypr Gall exod 243 caeco nil corde uidentem); cfr ThlL III 43,38 ss

Commento

333

e IV 935,18 ss In ambito biblico la cecità è sinonimo di durezza di cuore o di spirito, e nel NT le due immagini sono spesso utilizzate in riferimento al popolo d’Israele (cfr , per es , Marc 8,17 caecatum habetis cor uestrum, traduzione della Vulgata sul gr πεπωρωμένην … τὴν καρδίαν; Ioh 12,40 excaecauit oculos eorum et indurauit eorum cor, citazione di Is 6, 9–10) Gli scrittori cristiani imputeranno questa peculiare prerogativa ai Giudei (Comm apol 479 ignominiosi, crudeles, caeci, superbi e 777 qua natiuitate excordantur caeci Iudaei; Lact inst 4,19 quam excaecatos tum fuisse atque insanabili furore correptos) 562 profani L’aggettivo profanus è qui sostantivato come a 2,161 (i mercanti del tempio) e 4,639 (gli empi della profezia di Zaccaria); conserva invece il suo valore originario a 2,628 (Spiritus at sanctus … profana / uerborum rabie uiolabitur) per connotare le bestemmie contro lo Spirito Santo 562–563 pugnantis … / … deo La costruzione di pugnare con il dativo è un grecismo sintattico del tipo μάχεσθαί τινι; cfr Hatfield, § 53, p  12; Knappitsch, IV, p  62, e Kühner-Stegmann, II, p  319; la VL traduce con Deo repugnantes la forma greca θεομάχοι di act. 5,39 563–564 polluta … / religio Il forte iperbato in enjambement, che distanzia il participio dal sostantivo religio, rilevato a inizio del v  564, conferisce rilevanza centrale al tema della bestemmia Il verbo polluere, legato al gr λούω e usato frequentemente al participio perfetto, già nella letteratura di età repubblicana appare in connessione con la profanazione dei riti sacri o il sovvertimento dell’ordine naturale e divino o dei ruoli religiosi, assumendo estensivamente il significato di ‘vilipendere’; cfr Cic dom 125 qui religiones omnis pollueris; Mil  87 polluerat … sanctissimas religiones; Lennon, pp  33 s Religio è parola non estranea all’epica classica, ancorché non frequentissima; essa compare in caso nominativo e in posizione incipitaria anche in Lucr 1,83; Verg georg 1,270; Aen 3,363; 12,182; Stat Theb 1,560; Val Fl 1,80; 8,402; Sil 13,317 Nella Bibbia latina il vocabolo traduce il gr θρησκεία, che indica la religione giudaica in act. 26,5 e ha per lo più una valenza negativa, come la venerazione degli angeli in Col 2,18 e la vana pietà religiosa in Iac 1,26 s 563 magis Hansson, p  51, difende la variante malis sulla base di 2,695 polluta malis generatio, dando al termine il significato di ‘parole empie’ (ThlL VIII 224,73 ss ), in riferimento a bla­ sphemiam della Vorlage Il contesto del passo parallelo è però molto diverso, in quanto parafrasa piuttosto letteralmente il versetto di Matth 12,39 generatio mala et adultera, sulla generazione malvagia che chiede un segno rivelatore a Cristo Flieger, pp  189 s e n  338, conserva invece la lez magis, tràdita tra gli altri anche da C, perché concet-

334

Commento

tualmente più difficile Sintatticamente l’avverbio va legato a consurgat, a esprimere il crescendo d’ira e indignazione di Caifa e del sinedrio consurgat in iras La clausola, che compare parzialmente modificata (consurgere in iras) in 1,499 a proposito dell’odio contro i fratelli e 2,27 a proposito del mare sconvolto dalla tempesta, deriva da Val Fl 1,673 truces consurgere in iras (l’ira del dio Nettuno), ed è simile in Comm apol 849 incenduntque prius senatum consurgere in ira Particolarmente interessante è l’affinità contestuale tra il passo giovenchiano e quello commodianeo: nella più ampia sezione dedicata agli eventi che accompagneranno la fine dei tempi, Commodiano inserisce una digressione sull’attività di Elia e i ripetuti tentativi degli Ebrei di sobillare il senato contro il profeta 564 pandite mentem Pandere mentem, qui nel senso di ‘manifestare l’opinione’ (ThlL X1 199,64–69), in 2,212 ha invece il valore di ‘aprire il cuore’ Per analoghe giunture cfr Ov ars 1,241 (aperire m.); Avien Arat 1445 (p. pectora); Claud rapt. Pros 1,215 (mentis penetralia p ); Aug serm 234,3 (p. corda). 565 conclamant … certant Il verso è incorniciato da due verbi che iniziano con la stessa consonante e hanno la stessa desinenza Come è noto, siffatti accorgimenti stilistici, allitterazione e omeoteleuto in sede incipitaria ed explicitaria di esametro, sono inaugurati da Ennio, specialmente per quanto riguarda elementi morfologicamente affini, e saranno poi ampiamente usati da Virgilio morti … addicere Il verso di Giovenco è segnalato in ThlL I1 575,43 ss tra gli esempi di addicere costruito con il dativo per esprimere la pena; cfr Amm 15,3,2 capitalibus … suppliciis; 28,1,23 mor­ ti; 22,3,12 poenae letali; nel serm 16,38 di Massimo di Torino vi è una diversa costruzione (tali … iudicio non est addictus ad mortem) 566–567 L’uso di soggetti inanimati, sputi (sputa inproba, v  566), schiaffi (palmae, v  567), pugni (colaphique … crebri, v  567), che colpiscono il volto di Cristo in ogni suo punto, viso (sanctam … faciem, v  566), guance (in malis, v  567), capo (in uertice, v  567), fissa nel lettore la cruda immagine di tanta violenza con un realismo più accentuato rispetto al testo biblico

Commento

335

566 sanctam Christi faciem sputa inproba L’asprezza del dileggio e l’opposizione di due realtà antitetiche (la santità di Cristo, l’empietà dei suoi nemici) sono comunicate dallo schema chiastico dei sostantivi e degli aggettivi, con la preminenza conferita al nome del protagonista in corrispondenza di cesura semiquinaria Come rileva Simonetti Abbolito, Osservazioni, p  313, per meglio sottolineare l’azione di scherno al secondo emistichio sono affiancati termini con prefissi di segno opposto, negativo (inproba) e completivo (conplent), con l’aggiunta dell’omeoteleuto (sputa inproba) Sputum è parola non poetica, a contare le pochissime attestazioni precedenti (Lucr 6,1188; Prop 4,5,68; Mart 2,26,2; 8,33,11), e anche nella prosa viene usata raramente (cfr OLD, s. v., p  1811); ricorrente invece negli scrittori cristiani proprio nel contesto della Passione, si vedano Aug in euang. Ioh 3,3 ille qui ap­ prehensus, colaphizatus, flagellatus, sputis illitus, spinis coronatus, in cruce suspensus, mor­ tuus, lancea uulneratus, de cruce depositus in sepulcro positus e Sedul carm. pasch 5,103 haec sputa per Dominum nostram lauere figuram Sempre nel resoconto della Passione il viso di Cristo sarà definito ‘sacro’ anche da Prudenzio (ditt 158 facies sacra Christi) 567–568 Dopo le percosse fisiche, riferite mediante un equilibrato parallelismo dei termini (nominativo + complemento), meglio evidenziato dall’anafora della preposizione in al v  567 (palmae in malis colaphi … in uertice), il secondo emistichio 568 è dedicato alle ingiurie: il verbo in clausola (certant) è legato dall’omeoteleuto al verbo in incipit (insultant), che chiude in enjambement il verso precedente e contiene lo stesso prefisso di inludere; la reiterazione del preverbio rende l’immagine dell’aggressione fisica e verbale che si abbatte su Cristo 568 inludere certant L’espressione compare in diversa sede metrica e con i termini invertiti in Verg Aen  2,64 certantque illudere: il greco Sinone, condotto prigioniero al cospetto del re Priamo, è fatto oggetto di ludibrio da parte della gioventù troiana, che intorno a lui si accalca al suo arrivo La ripresa dell’intertesto virgiliano, giocata non soltanto su un piano formale, consente un interessante parallelismo tra la figura epica e quella di Gesù Singolari sono infatti le analogie situazionali: una volontà superiore che determina l’evento (i fata/Dio), la volontaria accettazione del sacrificio e la consapevolezza del grave pericolo, l’ostilità dell’avversario, il consimile esito positivo che seguirà al generoso gesto (la vittoria dei Greci sui nemici / la vittoria di Cristo sulla morte) Il confronto tra le due storie mostra però come il prigioniero greco sia in realtà «the antitype of Christ» (Roberts, Vergil, p  54): se infatti il gesto di Sinone ha un valore parziale ed esclusivo, a solo vantaggio dei compagni d’armi, la crocifissione acquista un carattere salvifico di portata universale; e ancora, su un piano più generale che attiene alla qualità del messaggio proclamato, mentre nella narratio virgiliana il discorso di Sinone si configura come un atto retorico persuasivo, che rivela l’aspetto ingannevole della parola, piegata

336

Commento

alla menzogna, al contrario le parole pronunciate da Gesù davanti a Caifa sono vere, e vero, almeno nella percezione dell’uditorio giovenchiano, è il contenuto dell’annuncio evangelico Alla storia di Sinone faranno ricorso anche Proba (cento 600–612) e l’autore del centone virgiliano De Ecclesia (= Anth. Lat 16,25–38 Riese2) nelle loro riscritture metriche dell’episodio biblico; in questo caso, come ho dimostrato in De Gianni, Sinone, pp  495–510, il testo virgiliano funge da archetipo citazionale, si pone cioè alla base della catena di riprese testuali della successiva tradizione cristiana, fornendo il materiale verbale; il rapporto allusivo invece si instaura verisimilmente tra Giovenco, il primo a rileggere in chiave cristiana il racconto eneadico, e i poeti centonari 569 prophetabis Futuro con valore iussivo tipico soprattutto del latino biblico Hatfield, § 18, p  6, individua complessivamente undici casi di quest’uso (1,388 iaculabere corpus; 1,557 comi­ tabere; 1,585 Deum uenerabere; 1,663 curabis demere; 2,23 itiner … comitabere; 3,505–507 non … perimes … non / inuades … / … non … falsa loqueris; 4,124 longe fugient, capes­ sent; 4,569 prophetabis) Prophetare, calco del gr προφητεύειν, è un cristianismo lessicologico diretto (Mohrmann, Études, III, p  113); attestato nel latino cristiano a partire dalla VL, in poesia si trova, tra gli altri, presso Commodiano, Paolino Nolano, Prudenzio; cfr Schröder, ThlL X2 2006,18 ss Questa è la sola occorrenza in Giovenco sonarit Icastica rappresentazione del sonoro colpo vibrato dalla mano; il tema del perfetto sonau- rispetto al più usitato sonu- è raro; le poche attestazioni sono nella letteratura cristiana: cfr psalm 82,3 ecce inimici tui sonauerunt (Itala e Vulgata); il parafraste deve rendere la parlata della folla presente nel cortile di Caifa e inserisce nello stesso verso forme verbali riconducibili al latino biblico, che un lettore dotto avrebbe percepito come volgarismi; cfr De Gianni, Caifa, p  576 e n  42 570–585 Pietro rinnega Gesù. L’episodio chiude il cap 26, già carico di drammatici avvenimenti Il triplice diniego di Pietro è articolato nel testo biblico secondo un intenso ritmo crescente, scandito dallo scambio di battute tra il discepolo, le due serve e gli astanti Giovenco riporta solo l’intervento della prima serva, preferendo poi la forma narrativa a quella dialogica La pericope fa riferimento a Matth 26,69–75: 69 Petrus uero sedebat foris in atrio; et accessit una ancilla ad eum dicens: Et tu cum Iesu Galilaeo eras 70 At ille negauit coram omnibus dicens: Nescio, quid dicis, neque intellego 71 Exeuntem autem illum ianuam uidit illum alia ancilla et ait his, qui erant ibi: Et hic erat cum Iesu Nazareno 72 Et iterum negauit cum iuramento dicens: Non noui hominem 73 Et post pusillum accesserunt qui stabant, et dixerunt Petro: Vere ex illis es tu; nam et loquella tua similis est 74 Tunc coepit deuotare se et iurare, quod non nouisset hominem; et continuo gallus cantauit 75 Et rememoratus est

Commento

337

Petrus uerbi Iesu, quod dixerat: Priusquam gallus cantet, ter me negabis. Et egressus foras amarissime plorauit («Pietro intanto stava seduto fuori nel cortile; gli si avvicinò una serva e disse: Anche tu eri con Gesù, il Galileo Egli però negò davanti a tutti, affermando: Non so di cosa parli e non capisco Mentre usciva dalla porta lo vide un’altra serva, che disse ai presenti: Anche costui era con Gesù, il Nazareno E per la seconda volta Pietro negò, giurando: Non conosco quell’uomo Dopo un po’ si avvicinarono gli astanti e dissero a Pietro: Sì, tu sei uno di loro, poiché la tua parlata è simile Allora egli cominciò a imprecare e a giurare che non conosceva quell’uomo; e subito un gallo cantò E Pietro si ricordò delle parole di Gesù: Prima che un gallo canti, mi rinnegherai tre volte E uscito fuori pianse molto amaramente») Il v  570 è una breve sintesi del primo stico di Matth 26,69, con la sola ripresa dei due personaggi, la serva (mulier) e Pietro (Petrum), qualificato da tristem; il uerbum dicendi (dicens), che introduce la battuta, è posticipato al v  571 (inquit); i vv  571 s riscrivono in forma interrogativa la frase affermativa pronunciata dalla donna (et tu cum Iesu Gali­ laeo eras): l’autore aggiunge il vocativo iuuenis, rende Iesu Galilaeo con il pronome isti, a cui unisce la relativa quem ludens procerum sententia damnat, che sviluppa l’idea di beffa; per dire che Pietro era discepolo di Cristo impiega poi l’espressione fueras comes additus (v  571) Al primo emistichio 573 è mantenuto solo l’incipit del versetto 70 (at ille negauit ~ Iuvenc ille negat), con la soppressione del discorso diretto; un’aggiunta è invece costituita dal riferimento alle insidie del palazzo di Caifa (tectisque feris se promere temptat) I vv  574 s affrontano il versetto 71, con alcune sostituzioni sinonimiche (exeuntem ~ Iuvenc egressum; ianuam ~ primo sub limine; uidit ~ cernens), l’uso del semplice pronome altera al posto di alia ancilla e del sostantivo ministris al posto della perifrasi indicante gli astanti (his, qui erant ibi); l’abolizione della frase diretta è compensata dalla locuzione consimili … uoce del v  575 Il v  576 riporta sempre indirettamente il secondo rinnegamento (Matth 26,72): vi è un parziale mantenimento dei termini (cum iuramento ~ Iuvenc iurans; dicens ~ ait; negauit ~ negabat, che regge l’infinito nosse ~ Matth non noui) e il cambio di hominem in illum La parafrasi del versetto 73 è ai vv  577–579: al v  577, dopo il recupero della voce verbale (accesserunt ~ Iuvenc accessere), vanno notati l’inserimento di percontatum e il passaggio di qui stabant in multi … sequentes, che rimane soggetto; dicunt del v  578 (~ Matth dixerunt) regge l’infinitiva sese conoscere, sganciata dal Vangelo; la battuta diretta è rielaborata in un periodo che conserva solo il termine loquella (loquellam, v  579), e per il resto costituisce un’amplificatio riguardante la parlata galilea di Pietro I vv  580 s conservano la medesima pregnanza del versetto 74 (la terza, più intensa negazione): il soggetto Petrus, in Matteo sottinteso, è espresso (v   580); giuramenti e imprecazioni, nel rispetto della uariatio, sono resi una volta con un participio (iurans ~ Matth iurare), un’altra con un sintagma ablativale (deuotis … uerbis ~ deuotare se); nescire adfirmat, quisquis foret ille ripropone il senso della dichiarativa quod non nouisset hominem, con l’adiectio di negan­ do (v  581), che ribadisce il concetto di ‘rinnegamento’ Ampio sviluppo riceve l’ultimo segmento del versetto (et continuo gallus cantauit) ai vv  582 s , che hanno un tono più

338

Commento

descrittivo, con la solita opzione per il vago ales al posto di gallus (cfr supra, note ai vv  81 e 474); anche i vv  583 s sono poco aderenti all’originale: manca la profezia di Cristo, cui allude il nesso uerbis praesagia, specificato da Christi; Simonis sostituisce Petrus; mentem … / … tristem ricorda ancora lo stato d’animo dell’apostolo Piuttosto fedele è l’ultimo verso, il 585, che mantiene il primo verbo biblico (egressum) e cambia il secondo, preceduto da un avverbio (amarissime plorauit), con la coppia di sostantivo e aggettivo corradicali ploratus … amarus 570 Petrum … tristem Giovenco per due volte accenna alla tristezza del discepolo: in questo caso Pietro appare triste alla serva; ai vv  583 s è triste il suo cuore al ricordo delle parole profetiche di Cristo che preannuncia il rinnegamento (mentem … / … tristem) 571–572 Il passaggio dalla forma assertiva di Matteo all’interrogativa diretta serve a cogliere l’intenzione della donna di attirare l’attenzione degli astanti; a tal fine il poeta colloca in posizione di rilievo, a inizio di verso, i pronomi tune (v  571) e isti (v  572), che danno l’idea di una scena animata, in cui la serva accompagna le parole con i gesti; cfr Simonetti Abbolito, Osservazioni, p  321 571 tune etiam Questo incipit è anche a 2,206; cfr Stat Theb 10,910; Sil 15,37 e Iuv 6,192; in Verg Aen 11,857 l’espressione è fra 2° e 3° piede fueras comes additus Comes appartiene al vocabolario epico; negli Euangeliorum libri il termine designa i discepoli sia come gruppo (2,321; 3,527 584) sia come singoli (2,100 Filippo; 3,323 Pietro e i due figli di Zebedeo) La medesima definizione è impiegata a 1,287 (comitis … matris) per la Vergine Maria prima seguace del Figlio Per comitem addere, nell’accezione di ‘associare (come collega, alleato)’, si vedano, per es , Verg Aen 6,528 s comes additus una / hortator scelerum Aeolides; Stat Theb 8,184 comes additus armis; Liv 1,56,7 comes iis additus L. Iunius Brutus È probabile che vi sia un’allusione proprio alla figura del bugiardo Ulisse del citato brano virgiliano, al quale Pietro può essere accostato nel momento in cui il poeta lo ritrae intento a mentire e a rinnegare il Maestro Sull’uso del piuccheperfetto in luogo dell’imperfetto nei poeti latini, cfr LHS, II, pp  321 ss Altri esempi in Giovenco sono registrati da Huemer, Index, p  174, e Hatfield, § 10, p  5 572 isti, quem Nell’ipotesto il nome Iesus è ripetuto tre volte, nelle parole della prima e della seconda serva, versetti 69 e 71, e nel ricordo di Pietro, versetto 75; Giovenco ricorre a più gene-

Commento

339

riche forme pronominali (isti, quem v  572; illum v  576; ille v  581) La sostituzione segna la presa di distanza dell’apostolo dal suo Maestro 573 ille negat Il diniego dell’apostolo è valorizzato dalla cesura tritemimere Il verbo negare, parola chiave del brano, è ripetuto tre volte a rimarcare l’ostinata negazione di Pietro (Matth  26,70 negauit ~ negat, v  573; Matth 26,72 negauit ~ negabat, v  576; Matth 26,75 negabis è omesso, ma ugualmente recuperato a v  581 con negando) È interessante notare la eco fonica prodotta dall’omeoteleuto damnat di v  572, negat e temptat di v  573, percepita come una vera e propria rima attraverso la quale la viltà di Pietro che tenta di defilarsi diventa muta partecipazione alla sentenza dei sommi sacerdoti (Bureau, Rime, p  106) tectisque feris se promere temptat La tradizione ms è divisa tra feris, foris e foras Müller, Tod, pp  21 e 25, accoglie quest’ultima lezione sulla base di Iuvenc 4,392 s Lazare, sopitis redeuntem suscipe membris / en animam tuque ipse foras te prome sepulchro, dove tuttavia foras ha un diretto corrispondente nella Vorlage biblica (Ioh 11,43 Lazare, ueni foras); in 3,732 obtruncant iaciuntque foras trans saepta cadauer l’avverbio accompagna un verbo diverso e rende all’interno di una perifrasi ridondante il senso di extra uineam di Matth 21,39 Foris, che ricorre nel poema solo a 2,726 et miscere foris sermonem comminus orat, si potrebbe facilmente spiegare come una corruttela per foras, benché le due forme siano spesso equivalenti (OLD, s. v. foris, 4, p  722) Riguardo all’alternativa feris, messa a testo da Huemer, si può osservare che l’impiego di promo con il pronome riflessivo e senza un avverbio che ne precisi senso e direzione trova un significativo precedente in Verg Aen 2,260 laeti­ que cauo se robore promunt (dei Danai che con il favore della notte escono dal ventre del cavallo di legno), qui forse riecheggiato per contrasto (Thraede, Juvencus, p  902): l’apostolo infatti esce dal palazzo di Caifa per non essere messo a morte, i Danai, viceversa, escono dal cavallo per uccidere i nemici Siffatti giochi metonimici rientrano poi nel bagaglio espressivo di Giovenco, che anche altrove, con analoghe correlazioni concettuali, connota i luoghi con aggettivi logicamente riferiti agli abitanti: in 3,586 trucu­ lentaque moenia adimus (per Hierosolymam di Matth 20,18), l’attributo, in previsione degli eventi della Passione, allude evidentemente alla ferocia dei Gerosolimitani Ferus appartiene alla serie di qualificazioni assegnate dal poeta a figure e realtà contrapposte al Signore quali Erode il Grande (1,257) e le azioni di Erode Antipa (3,42); in questo spezzone di verso, potenziato dalla allitterazione tectis … temptat, l’epiteto indicherebbe il carattere ostile e minaccioso del’edificio dal quale Pietro tenta di fuggire 574 ecce sed egressum primo sub limine cernens Un primo raffronto è possibile con lo stesso Iuvenc 3,642 s ingresso occurrit primo sub limine templi / cruribus atque oculis certatim debile uulgus, dove è evidente la remini-

340

Commento

scenza di Sil 1,617 primoque in limine templi: il poeta descrive qui una folla di invalidi che va incontro al Signore appena entrato nel tempio, ancora sulla soglia Il rimando a Verg Aen 6,255 ecce autem primi sub limina solis et ortus, suggerito da Huemer nel suo apparato intermedio, è suggestivo anche per la presenza dell’avverbio presentativo ecce in apertura di esametro; nel contesto virgiliano la perifrasi temporale, che allude al primo sorgere del sole, è diversamente tràdita, e i codici oscillano tra sub limina, forma recepita da Proba (cento 160), e sub lumina, presente nei commentari ad loc di Servio e di Donato; probabilmente Giovenco usava un testo virgiliano con la prima variante (l’alternativa lumine di alcuni mss giovenchiani è chiaramente fuori contesto) L’eventuale riecheggiamento virgiliano, come avverte Müller, Tod, p  27, sembra comunque meramente automatico, non dettato cioè dalla volontà allusiva di stabilire un confronto tra Pietro ed Enea che sta per entrare negli Inferi, anche perché molto diversi sono i rispettivi contesti e referenti Più simile alla iunctura giovenchiana è Val Fl 1,823 primo … sub limine rerum, metaforicamente attribuito alle soglie dell’esistenza per un neonato In Sil 16,229 s iamque nouum terris pariebat limine primo / egrediens Aurora diem l’ablativo dipende da egrediens, diversamente dal passo giovenchiano in cui il sintagma preposizionale va legato al participio cernens (ancora Müller, Tod, p  26) L’apostolo, braccato dalla serva, non ha il tempo di varcare completamente la soglia e di uscire dall’edificio; la collocazione dell’espressione tra le due voci verbali è funzionale all’idea Nella stessa sede esametrica la locuzione ricompare infine nella integrazione di CLE 679,1 (ILCV 3432) hic iacet extinctus pri[mo sub limine uitae]. 575 prodebat uoce ministris Prodere vale ‘mostrare’, come in 3,139 e 4,9; la clausola varia quella di Ov met 11,679 uoce ministri 576 ait iurans … nosse negabat Va notato l’accumulo di voci verbali; la struttura del verso tende a dare rilievo al giuramento e al disconoscimento del Maestro da parte di Pietro, anche mediante la clausola allitterante mutuata con qualche modifica da Ov Pont 1,7,54 nosse neget 577 tum percontatum multi accessere sequentes Alcuni mss tramandano percontantum (Marold), altri percunctantum (Arevalo), alternative grafiche comunissime nei mss latini (si veda il caso di Prop 2,22,23) Con il genitivo partitivo, dipendente da multi, la pericope andrebbe così tradotta: «molti di quelli che chiedono si avvicinarono seguendolo»; non stupirebbe l’hysteron proteron, figura retorica non estranea all’usus giovenchiano, come più volte rilevato nel commento A favore di questa variante militerebbe il fatto che numerose sono in Giovenco le forme di participio presente al genitivo plurale, sovente con valore sostantivato, posizionate talvolta in questa stessa sede esametrica, in coincidenza, cioè, di cesura pentemimere (si vedano i vv  3,458 e 4,59); sul piano logico, tuttavia, l’eventuale riferi-

Commento

341

mento a questi multi che fanno domande darebbe vita a una incongruenza rispetto al contenuto dei versi precedenti, dove, al contrario, conformemente al testo biblico, si dice che una sola serva interroga l’apostolo, un’altra lo accusa (prodebat) La forma per­ contatum, accolta da Huemer e recentemente rilanciata da Otero Pereira, Edición críti­ ca, p  420, e Müller,Tod, pp  28 s , potrebbe intendersi tanto come un participio perfetto quanto come un supino, interpretazione, quest’ultima, già data da Reusch e suggerita anche da Hajdú (ThlL X 1222,55 s ), che cita il passo insieme con Sall hist. frg  4,2 ad ostia … percontatum miserant (ma si vedano anche Ter Hec 77 e Phorm 462) Entrambe le ipotesi sono sintatticamente plausibili, per quanto anche questa lezione abbia i suoi punti deboli Va infatti notato che nelle sue poche attestazioni in Giovenco il verbo accedere è usato sempre senza l’accusativo e che mai si incontra nel poema il supino attivo (vi si trovano casi di supino passivo in espressioni epiche standardizzate: Hatfield, p  21) In assenza di più persuasivi argomenti, si può tuttavia osservare che questa seconda possibilità sintattica, un supino esprimente il fine dell’azione, ha forse il merito di rendere più lineare il pensiero, in quanto spiega il motivo per cui gli astanti si avvicinano a Pietro, cioè poterne carpire informazioni, interrogarlo; è inoltre utile ricordare che spesso perconto/­or si trova in combinazione con analoghi verbi di moto per esprimere due azioni strettamente correlate e logicamente consecutive, l’andare e il chiedere, l’andare a chiedere (Naev frg. Corp. Christ 133D p  113 l 362 accedamus, per­ contemus; Plaut Most 682 i, percontare et roga) Il verbo, di raro impiego poetico (non è mai negli epici classici), fa registrare altre due occorrenze giovenchiane (3,648 s ipsum percontant cuncti, quae causa clamoris / inpubem tantum tollat per gaudia plebem; 3,678 s si nobis uestra uicissim / percontata prius paucis sententia soluat, qui sostantivato, come poi in Mart Cap 3,229 exponere percontata) Quanto a sequentes, per Müller, Tod, p  29, che traduce con «viele Diener», il participio «ist nicht verbal zu verstehen, da Petrus sich von der Schwelle nicht weiter wegbewegt hat»; tuttavia, nella sua ricostruzione degli eventi Giovenco, in linea con il resoconto biblico, precisa, invece, che Pietro si è allontanato dal cortile, e dunque non è inverosimile immaginare che, benché per breve tratto, sia stato anche seguito; sequor potrebbe, certo, avere il significato di ‘servi, accoliti’, secondo una accezione restrittiva del verbo («to escort, attend, accompany (esp as a servant or client», OLD, s. v., 11a, p  1742), ma è pur vero che il generico qui stabant di Matth 26,73 non definisce una precisa categoria di persone; preferirei pertanto rendere il participio con ‘al séguito’, a indicare cioè l’assembramento di curiosi che si erano radunati per assistere al processo, in piena sintonia con il senso del modello biblico Sul piano stilistico, non sfugga infine l’effetto fonico prodotto dalla ripetizione della sillaba tum, due volte interessata da tempo forte nell’attacco esametrico e quasi riecheggiata, specularmente, dal gruppo mu­ del contiguo nominativo multi 578 sono uocis Cfr Verg Aen 5,649 uocis … sonus e Stat Ach 1,583 uocis … sonum

342

Commento

cognoscere dicunt Variazione della clausola virgiliana di georg 2,226 cognoscere dicam 579 Galilaeam La notazione geografica, assente nell’ipotesto, serve a determinare la provenienza di Pietro, alla quale accennano invece Marc 14,70 e Luc 22,59; nel testo biblico è invece Gesù a essere indicato con l’appellativo Galilaeus Per Gălīlaea cfr supra, nota al v  466 streperent … uerba loquellam Strepere, che regge qui l’accusativo dell’oggetto interno loquellam (cfr OLD, s. v., 1, p  1827), allude al suono della parlata galilaica, percepita come straniera dai servi parlanti invece il dialetto giudaico Knappitsch, ad loc , ha giustamente messo in evidenza come Giovenco intenda in qualche modo riprodurre questa particolarità linguistica attraverso una serie di suoni allitteranti in c e q, che si rincorrono nei vv  577–579 (si noti in particolare il gioco fonico eque …  /  … loquellam alla fine della sequenza) Sono condivisibili le conclusioni di Müller, Tod, pp  29 s , secondo il quale l’espediente è puramente letterario, non legato cioè alla conoscenza delle peculiarità fonetiche del dialetto della Galilea da parte del poeta e a una conseguente finalità distintiva tra le diverse varietà linguistiche; l’insistenza sui suoni gutturali, caratteristici delle lingue semitiche, rivelano semplicemente, aggiungerei, un vago intento mimetico, funzionale a restituire al lettore l’impressione generale di una parlata ebraica, che sia Giovenco sia il suo pubblico potevano aver sentito pronunciare, vista la presenza di comunità giudaiche in Spagna e a Roma La clausola sarà ripresa da Paul Nol carm 6,211 580–581 La protesta di Pietro, interrogato per la terza volta, si fa ora più decisa; una serie di accorgimenti retorici imprime vigore al testo: il ritmo spondiaco dei due versi accompagna in lenta sequenza i fotogrammi della scena; il termine centrale, iurans, è rimarcato dal tempo forte in coincidenza di cesura semiquinaria, come al v  576; il verso seguente è racchiuso tra due parole allitteranti (nescire … negando) che con enfasi accentuano il rinnegamento 580 deuotis … uerbis Sono le parole con cui Pietro maledice se stesso La iunctura, non altrove attestata, risulta più perspicua se, come già suggerito da Arevalo, ad loc , si dà al participio valore attivo nel significato di «verbis quibus Petrus se devovit» Sulle difficoltà interpretative poste già dal modello biblico si rimanda agli approfondimenti di Müller, Tod, pp  31 s

Commento

343

581 quisquis foret ille Una espressione analoga, ugualmente dopo pentemimere, si legge in Ov met 1,32 sic ubi dispositam, quisquis fuit ille deorum (cfr anche met 15,104 e Iuv 8,274) Il congiuntivo foret ricorre in Giovenco altre tre volte (3,375 443 528) 582–583 plausum quatiens sub culmine tecti, / ales prosequitur cantu L’ampliamento di Matth 26,74 sul canto del gallo è forgiato con lessico e immagini di stampo classico attinenti a soggetti simili: Enn scaen 356–357 Ribbeck3 (= 219–221 Vahlen2; 344–345 Jocelyn) fauent faucibus russis / cantu plausuque premunt alas; Verg Aen 8,455 s Euandrum ex humili tecto lux suscitat alma / et matutini uolucrum sub culmi­ ne cantus (per la clausola del v  582 si veda Verg Aen 4,186); Prop 4,6,61 s prosequitur cantu Triton omnesque marinae / plauserunt circa libera signa deae; Ov met 8,238 et plau­ sit pennis testataque gaudia cantu Degni di nota sembrano in particolare le questioni esegetiche suscitate dalla ripresa del sopra citato passo dell’VIII libro dell’Eneide I versi virgiliani descrivono il risveglio di Evandro accompagnato dal canto mattutino degli uccelli Il testo non chiarisce se si tratti di galli o altri volatili, ed è proprio su questo punto che intervengono Servio e il cosiddetto Servio Danielino (ad Aen  8,456, p  268,14–17 Thilo: Volucrum sub culmine potest et generaliter accipi volucrum quarumvis, quae matutinae sonant; potest et specialiter, ut hirundinum; potest et gallo­ rum: quae omnia propter sermonis humilitatem uitauit) Secondo Gnilka, Vergilerklärung, pp  398–400, è possibile che l’attribuzione da parte di Giovenco delle parole della fonte epica al canto del gallo risenta di un antico commentario virgiliano, di cui potrebbe essere rimasta traccia nell’inserto potest et gallorum del Danielino Per quanto l’impronta virgiliana risulti meno evidente, un analogo riferimento al gallo è anche in Prudenzio (cath 1,13–16 uox ista, qua strepunt aues / stantes sub ipso culmine / paulo ante quam lux emicet, / nostri figura est iudicis) L’ipotesi dello studioso tedesco è suggestiva, anche se, come egli stesso riconosce, Giovenco potrebbe aver interpretato in questo senso il verso virgiliano in modo del tutto autonomo, eventualmente fungendo poi da intermediario per la proposta esegetica del commentatore tardoantico L’intera locuzione sub culmine tecti è infine imitata da Paul Nol carm. 15,337 e 16,34, nella stessa posizione esametrica ma in contesti assai diversi 583–584 La perifrasi che sostituisce rememoratus est drammatizza il momento e prepara il lettore al pianto finale di Pietro I nomi dei protagonisti, il rinnegatore e il rinnegato, entrambi in caso genitivo e in chiusura di esametro, sono contrapposti in un ideale faccia a faccia tutto interiore, nella tormentata coscienza del discepolo 583 Simonis Il nome ebraico sostituisce Petrus di Matth 26,75; la scelta è dovuta probabilmente a esigenze di uariatio: nel brano evangelico infatti Petrus ha tre attestazioni, due delle

344

Commento

quali puntualmente riprese nella parafrasi (vv  570 e 580, sempre in apertura di esametro) L’uso del nome proprio in tale circostanza suggerisce l’immagine di un Pietro più intimo, solo di fronte alla sua coscienza e schiacciato dal rimorso Delle altre quattro occorrenze di Simon due trovano riscontro nel modello (1,422 ~ Matth 4,18; 409 ~ Matth 26,6), due sono invece delle aggiunte (3,120 ~ Matth 14,30; 3,391 ~ Matth 17,27) Sulla tendenza del parafraste a mantenere i nomi dei personaggi biblici significativamente legati alla storia della Chiesa si veda Poinsotte, pp  44–46 584 circumstant … uerbis praesagia Christi La tradizione del verso è particolarmente tormentata La quasi maggioranza dei mss tramanda uerbis (C M R2 K1 K2 P2 T1 B Mb Bb P3 Sg1), lezione accolta da Huemer, che però in apparato ipotizza «fort. uerbi», proposta poi difesa da Petschenig, Evange­ liorum libri, p  142, Hansson, p  55 e n  53, e Müller, Tod, pp  34 s ; altri testimoni si dividono tra ueri (P22 T2 Ca), uera (V12 Mp), che si legge anche nelle edizioni di Arevalo e Marold, ueris (Matr) e varianti minoritarie (numinis Hl : muneri V21 : muneris Ph) Per ueri si potrebbe citare Ov met 15,879 siquid habent ueri uatum praesagia, uiuam e trist 4,10,129 si quid habent igitur uatum praesagia ueri (il genitivo dipende però da quid e non da praesagia) La variante uera risulta senz’altro attraente, anche per i paralleli poetici del nesso uera praesagia (Stat Theb 9,631 886 e Drac Romul 8,468): l’allungamento davanti a cesura della desinenza –a del nominativo neutro plurale lascia comunque perplessi, anche se per altre categorie grammaticali tale fenomeno è attestato in Giovenco (Flammini, La struttura, pp  263 s ) Verbi dà certamente senso; il raffronto con rememoratus est … uerbi Iesu di Matth 26,75, suggerito da Petschenig, è però solo parzialmente di supporto, in quanto il genitivo dipende in quel caso dal verbo di memoria, e manca nell’intero versetto un termine equivalente a praesagia La lezione maggioritaria si può comunque spiegare come un ablativo strumentale o sociativo che completa il senso del predicato verbale, a cui inerisce la nozione di ‘minaccia’ (ThlL III 1174,61): la premonizione di Cristo assilla con le sue parole l’animo tormentato di Pietro praesagia Christi Praesagium è hapax degli Euangeliorum libri La parola acquista cittadinanza poetica con Ovidio che la colloca nella forma praesagia sempre fra 4° e 5° piede (met 2,550; 6,510; 15,439 879; trist 4,10,129; Pont 2,8,75; 3,4,89); tale forma è apprezzata dagli epici di epoca successiva (Lucano, Stazio, Silio Italico) che ne fanno largo uso Il parafraste cambia Iesus con Christus pure a 4,348 (~ Ioh 11,25), 380 (~ Ioh 11,39) e 459 (~ Matth 26,31); altre volte preferisce Christus alla voce pronominale del testo biblico, come a 4,515 Christi (~ Matth 26,48 quemcumque), 536 Christo … relicto (~ Matth 26,56 relicto eo), 566 Christi faciem (~ Matth 26,67 faciem eius), 588 Christum … reuinctum (~ Matth 27,2 uinctum … eum) e 658 Christo (~ Matth 27,34 ei) Šubrt, pp  12 s , calcola che il rapporto delle occorrenze di Iesus e Christus in Matteo è di 150:17, mentre in Giovenco di 39:154; secondo Simonetti Abbolito, Termini tecnici, pp  63 ss e nn 25 e 26, questa

Commento

345

sproporzione si spiega perché ai tempi di Giovenco Christus, in origine un appellativo messianico, era ormai percepito come un nome proprio ed era divenuto comunissimo per designare il Salvatore 585 egressumque dehinc ploratus habebat amarus Per il v  585 la gran parte dei mss legge egressusque dehinc ploratus habebat amaros; altri testimoni esibiscono un testo alternativo (egressumque Al K1 P T || ploratus amarus habebat K1 T Bb Matr Ca: ploratus amaros habebat K2 Sg) La lezione ploratus … ama­ ros, benché meglio attestata, è resa problematica dall’abbreviamento della sillaba –us nell’accusativo plurale di quarta declinazione, un fenomeno che non si riscontra mai in Giovenco e di cui si contano per altre parole pochi esempi in autori più tardi discussi nel De re metrica di Müller, p  422 Mancano inoltre paralleli poetici per l’espressione ploratus habere, che si può forse confrontare con analoghe giunture della prosa tardolatina quali luctum habere, attestata in prosa in I Cor 5,2 sia nella Vetus Latina sia nella Vulgata geronimiana (et uos inflati estis et non magis luctum habuistis), e fletum habere, impiegata da Isid sent 2,13,5 duplicem habere debet fletum in paenitentia omnis peccator A favore della variante ploratus … amarus, che impone, di conseguenza, di accogliere nell’incipit egressum in luogo di egressus, militerebbe, oltre che la corretta scansione del nominativo singolare ploratus, il possibile confronto con Sil 13,694 sed me luctus habet, opportunamente suggerito da Hansson, p  55, n  56 Non è invece pertinente il caso di Sedul carm. pasch 5,112 et dulcem ueniam, fletus, generastis, amari citato da Müller, Tod, p  35, in quanto differenti sono lì verbo, frasario e concetto (le lacrime, segno dell’avvenuto pentimento, ottengono all’apostolo il perdono); utile risulta, al contrario, il rimando a un passo del Carmen in honorem Hludovici Caesaris di Ermoldo Nigello (1,370 e contra Mauros fletus habet miseros), già proposto in apparato da Huemer, p   136: il poeta carolingio, infatti, potrebbe aver imitato, sia pure con delle variazioni, il luogo di Giovenco, auctor ampiamente presente nella sua opera (si veda l’apparato dei fontes di Dümmler, MGH Poetae Latini aevi Carolini, II, pp   4–79), confermando così per il verso in questione lo statuto grammaticale di ploratus come nominativo singolare Egressumque  … amarus sembra anche meglio rappresentare la passività di Pietro di fronte agli eventi vissuti, prima tormentato dal ricordo delle profetiche parole del Signore e poi afflitto dal pianto amaro Ploratus è un vocabolo di rarissimo impiego poetico; prima di Giovenco compare in Cic carm. frg 34,25 Blänsdorf; Lucr 2,580 e Ov ars 1,75; in nesso con lo stesso attributo giovenchiano è in Vulg Ezech 27,31 plorabunt te … ploratu amarissimo 586–625 Gesù davanti a Pilato e la liberazione di Barabba.

346

Commento

586–605 La fonte è Matth 27,1–2 e 11–19: 1 Mane autem facto consilium acceperunt omnes principes sacerdotum et seniores plebis aduersus Iesum, ut eum morti traderent 2 Et uinctum adduxe­ runt eum et tradiderunt Pontio Pilato praesidi […] 11 Iesus autem stetit ante praesidem; et interrogauit eum praeses dicens: Tu es rex Iudaeorum? Dicit ei Iesus: Tu dicis 12 Et cum ac­ cusaretur a principibus sacerdotum et senioribus, nihil respondebat 13 Tunc dicit illi Pilatus: Non audis, quanta aduersum te dicunt testimonia? 14 Et non respondit ei ullum uerbum, ita ut miraretur praeses uehementer 15 Per diem autem sollemnem consueuerat praeses dimittere populo unum uinctum, quem uoluissent 16 Habebant autem uinctum insignem, qui diceba­ tur Barabbas 17 Congregatis autem illis dixit Pilatus: Quem uultis dimittam, Barabban an Iesum, qui dicitur Christus? 18 Sciebat enim, quod per inuidiam tradiderunt eum 19 Sedente autem illo pro tribunali misit ad illum uxor eius dicens: Nihil sit tibi et iusto illi, multa enim passa sum hodie per uisum propter eum («Al mattino tutti i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù, per metterlo a morte Dopo averlo legato lo portarono via e lo consegnarono al governatore Ponzio Pilato […] Gesù era in piedi davanti al governatore, che lo interrogò dicendo: Tu sei il re dei Giudei? Gesù gli rispose: Tu lo dici E anche se i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, egli non rispose nulla Allora Pilato gli disse: Non senti quante accuse muovono contro di te? Ma egli non gli rispose una parola, tanto che il governatore restò molto meravigliato Nel giorno di festa il governatore era solito rilasciare il prigioniero che piacesse al popolo Avevano un detenuto famoso, di nome Barabba Mentre erano riuniti, Pilato chiese loro: Chi volete che liberi, Barabba o Gesù, detto Cristo? Sapeva infatti che lo avevano consegnato per invidia Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: Non avere nulla a che fare con quel giusto, poiché oggi ho sofferto molto in sogno a causa sua») L’omissione di Matth 27,1 tende a convogliare l’attenzione sulla figura di Pilato e a lasciare in secondo piano gli altri personaggi; solo l’indicazione temporale è ripresa e dilatata ai vv  586 s con una descrizione ornamentale; la resa del versetto successivo vede il mantenimento di due elementi (uinctum ~ Iuvenc reuinctum, v  588; praesidi ~ praesidis, v  589), l’omissione del nome proprio (Pontio Pilato) e alcune aggiunte: e con­ cilio (v  588), detto del tribunale ebraico, ad gremium (v  589), a indicare quello di Pilato, e magno clamore (v  589), che descrive l’intensa partecipazione della folla I vv  590–593 riecheggiano il versetto 11: l’appellativo Dominus accompagna il nome Iesus; l’espressione riferita alla persona (ante praesidem) è mutata in una riferita al luogo (celsum … ante tribunal, v  590); nel segmento che precede la domanda, come ha notato Rodriguez Hevia, p  270, il poeta scambia il punto di vista del parlante (et interrogauit eum praeses) con quello dell’udente, su cui va l’attenzione (talia Pilati uerbis excepit Iesus, v  591); per il resto, salvo l’inserimento della parentetica (quod dicitur), vi sono coincidenze (tu es rex ~ Iuvenc tu rex … adstas; Iudaeorum ~ Iudaeae gentis); la secca risposta di Gesù (tu dicis) si stempera in una battuta più lunga, che per questo risulta meno incisiva (uestris haec audio uerbis, v  593) I vv  594–596 sono un’amplificatio di Matth  27, 12:

Commento

347

al posto di a principibus sacerdotum et senioribus c’è l’astratto accusatio del v  594 (~ ac­ cusaretur) connotato da terribilis; la rimanente parte del v  594 e il v  595 sono completamente nuovi, a evocare il furore dell’accusa; al v   596, più aderente all’ipotesto (respondebat ~ Iuvenc respondere; nihil ~ nihil), sono inseriti Iesus e una qualifica degli accusatori (trucibus) Il v  597 recupera in maniera indiretta il versetto 13, con il riferimento al persistente silenzio di Gesù; il v  598 ricorda puntualmente il grande stupore che colpisce Pilato (versetto 14), con il passaggio della frase da subordinata a principale, da passiva ad attiva, e con il cambio di soggetto, non più il governatore ma Gesù (ita ut miraretur praeses uehementer ~ Iuvenc. ille … miranda silentia seruat) I vv  599 s sono sostanzialmente fedeli al contenuto del versetto 15, con la sola, significativa differenza che la consuetudine di rilasciare un prigioniero è da Giovenco fatta risalire alla legge (leges / … iubebant) e non a Pilato (consueuerat praeses) Il versetto successivo, il 16, è parafrasato con l’omissione del nome di Barabba: al v  601 questi è definito semplicemente latro, con la qualifica di famoso nomine, che discende da insignem di Matteo; il complemento in uinclis è una eco del participio uinctum, di cui conserva il significato; l’aggiunta dei vv  602 s presenta l’ostilità del popolo a Cristo (Christo infensus populus, v  602) e l’ardente desiderio della folla (ardebat, v  603) di risparmiare la vita al brigante (dimittere uitae, v  602) I versetti 17 e 18 sono omessi; il 19 occupa i vv  603–605, con la soppressione della prima parte (sedente autem illo pro tribunali misit ad illum uxor eius dicens) e il rifacimento della seconda, proposta in forma indiretta: la moglie di Pilato (Pilati coniux, v  604), atterrita da sogni terribili (trucibus somno sed territa uisis, v  603 ~ passa  … per uisum) e angosciata (suspensa, v   605), chiede con insistenza al marito (mandatis precibusque uirum  … rogabat, v   605) di non condannare un giusto (iusti discedere poena, v  604 ~ nihil sit tibi et iusto illi) 586–587 La Tageszeitbeschreibung, un modulo espressivo tipicamente epico per segnalare uno stacco narrativo, confluisce nell’apparato retorico della parafrasi biblica (se ne è occupato Thraede, Buchgrenzen pp  285–294) Qui l’auxesis descrittiva del mattino rischiarato dalla luce del giorno è in stridente contrasto con la cupa atmosfera che avvolge le fasi cruciali della Passione Il primo emistichio 586 (sidera … luci concedunt) ricorda Mart  8,21,9 tarda tamen nitidae non cedunt sidera luci; l’attacco sidera iam è di Stat Theb  10,305; la clausola dello stesso verso rapidus sol è di Verg georg 2,321, anche se la iunctura entra in poesia già con Catull 66,3 e si trova poi spesso nella successiva produzione poetica di età augustea (Verg georg 1,92 424; Hor carm 2,9,12; Ov am 3,6,106 e met 8,225); sulla tipologia della struttura clausolare si veda la nota al v  149, quanto invece alla combinazione di epiteto più sol al nominativo nella stessa sede esametrica valga il confronto con lo stesso Iuvenc 3,1 fuderat in terras roseum iubar ignicomus sol L’attributo rapidus, che «presenta il sole in tutto il suo potente e lampeggiante apparire, dinanzi al quale le stelle si dileguano» (Donnini, L’aggettivazione, p  63), anticipa la descrizione dei raggi definiti al verso 587 trepidantibus: la lezione maggioritaria può

348

Commento

essere difesa anche sulla base del v  4,689 trepidum … diem sol nocte recondit e del gioco allitterativo ottenuto con l’accusativo terras; non è infine secondario l’effetto dato dal prevalente ritmo dattilico che, come fa notare Müller, Tod, p  63, sembra simboleggiare il rapido sorgere del sole; l’impressione verrebbe meno con l’alternativa minoritaria uibrantibus, ancorché raffrontabile con il v  3,16 uibrantur lumina solis 588–589 L’inizio dell’episodio è modellato su Verg Aen 2,57 s ecce, manus iuuenem interea post terga reuinctum / pastores magno ad regem clamore trahebant; i versi danno inizio alla storia di Sinone consegnato a Priamo: la ripresa virgiliana dimostra anche in questo caso una precisa volontà allusiva da parte dell’autore, che sembra così voler sovrapporre l’intera scena evangelica a quella epica, sollecitando il lettore a interpretare la prima sulla scorta della seconda e a coglierne somiglianze e differenze (cfr supra, nota al v  568) 588 e concilio L’adunanza dei capi religiosi acquista la designazione epica di concilium, e la stessa giacitura metrica dell’espressione richiama alla mente Verg Aen 5,75, ossia l’assemblea voluta da Enea per informare i compagni della commemorazione per l’anno trascorso dalla morte del padre Anchise (si veda anche Sil 11,71) post terga reuinctum L’hemiepes virgiliano era stato apprezzato dai poeti delle epoche successive che lo ripropongono in svariati contesti; cfr Stat Theb 12,677; Sil 1,450; 16,72; Ilias Latina 540; Claud 21,213; Prud ham 435 e la rassegna di fonti discussa in De Gianni, Sinone, p  498–500 589 ad gremium L’impiego di gremium nel significato di ‘seggio’ o in senso più lato di ‘tribunale’ si afferma a partire dall’età imperiale e diventa usuale in epoca tardoantica (Plin paneg 64,2; Paneg 6 [7],21,1; Cassiod var 12,5,6; Ennod carm 1,9,54); il lessema ha ancora questo valore traslato in Iuvenc 1,453 discipulis gremium cingentibus, dove indica la postazione su cui siede Gesù Cfr ThlL VI2 2324,39 ss 590 interea Il marcatore temporale sposta la scena dal tribunale ebraico a quello romano scandendo la rapida successione cronologica degli eventi, quasi la loro simultaneità, ed evidenziando il contrasto tra i soggetti delle due scene (la folla e il Signore) L’avverbio di raccordo è frequente nell’epica per introdurre un nuovo segmento narrativo, a partire soprattutto da Virgilio, che lo usa con lievi sfumature di senso per indicare la contemporaneità degli eventi, lo spazio di tempo tra due azioni o lo spazio di tempo tra un

Commento

349

evento già menzionato e la prospettiva del narratore, come osserva Kinsey, p  259; cfr inoltre Heinze, Virgils, p  388, e Reinmuth, pp  323–339 Negli Euangeliorum libri esso è attestato 12 volte, in 8 delle quali in posizione incipitaria (1,43 133 307; 2,33 127; 3,33; 4,490 776) e quattro al 2° piede (1,368 374; 2,130 302), quasi sempre all’inizio di fatti drammatici o particolarmente salienti nell’economia del racconto Cfr Thraede, Be­ ginn, pp  538 s ; Juvencus, p  891 celsum Dominus stans ante tribunal Dominus è centralmente tra celsum e tribunal, come se il poeta volesse rappresentare anche visivamente l’immagine di Gesù ai piedi del tribunale, che con la sua imponenza sovrasta l’imputato Per l’espressione stare ante tribunal, glossata dal Forcellini, s v tri­ bunal, IV, p  791, con «adesse tribunali vel pendere ad iudicium magistratus ius dicentis», si vedano Vulg act 25,10 ad tribunal Caesaris sto e Rom 14,10 omnes enim stabimus ante tribunal Dei La giuntura celsum … tribunal sarà recuperata da Prud perist 5,223 s (ceu iam coronae conscius / celsum tribunal scanderet) e 11,77 s (haec persultanti celsum subito ante tribunal / offertur senior nexibus implicitus) per le pire su cui vengono arsi i martiri Vincenzo e Ippolito Il tribunal, che corrisponde al gr βῆμα (Bauer – Aland, p  279), era un palco sopraelevato, spesso usato per l’amministrazione della giustizia (cfr Liv 31,29,9 excelso in suggestu superba iura reddentem); scarse sono le attestazioni poetiche della parola (quasi sempre in questa positio esametrica) Nestler, p  71, fa notare che la scena giovenchiana è imitata da Sedul carm. pasch 5,139 (at Dominus patiens cum praesidis ante tribunal) nel passo parallelo sulla sentenza di Pilato 591 talia Pilati uerbis excepit Iesus Giudice e imputato, chiamati per nome (Pilati … Iesus), sono posti uno di fronte all’altro nel momento culminante della scena; la concentrazione di piedi spondaici nella parte centrale dell’esametro e un giro di frase involuto giocato sull’accezione sensoriale di excipere, qui indicante la percezione uditiva (ThlL V2 1252,55 ss ), presentano le parole del governatore, che danno inizio all’azione Il pensiero di Pilato è riportato in maniera indiretta (v  597 quaerit; v  608 requirit; v  613 consuluit; v  619 increpitans) per dare maggiore risalto al gesto finale che imprime la svolta decisiva al racconto (così Santorelli, Aquilino Giovenco, p  417, e Pilato, p  311) Il verso talibus exceptum Pilatus uocibus urget trasmesso dai codd Ph Hl (quest’ultimo ms legge Pilatum) sembra un tentativo di semplificazione del testo giovenchiano, scaturito probabilmente per un fraintendimento del valore di excipere L’interpolatore ricorre in clausola a una espressione epicizzante attestata già in Lucan 1,677 uocibus  his prodens  urguentem  pectora Phoebum e poi più volte in fine di esametro presso altri autori epici (Ilias Latina 272; Val Fl 8,304; Cypr Gall iud 270) Sulla stessa linea è grosso modo il testo esibito da Ma talibus Pilati uerbis excipitur Iesus

350

Commento

592 rex Iudaeae gentis Gens, con o senza l’attributo Iudaea, ricorre in tutte le altre traduzioni poetiche del titulus (‘re di Israele’ oppure ‘re dei Giudei’) attribuito a Gesù nei Vangeli e, in una prospettiva antigiudaica, si carica di una connotazione dispregiativa più delle forme sinonimiche populus e plebs: 2,119 rex inclite gentis (~ Ioh 1,49 rex Istrahel); 4,647 s domi­ num … / Iudaeae gentis (~ Matth 27,29 rex Iudaeorum); 666 rex Iudaeae plebis gentisque (~ Matth 27,37 rex Iudaeorum); 680 regem nostrae … gentis (~ Matth 27,42 rex Istrahel) Cfr Poinsotte, p  202 e n  784 593 uestris … uerbis Il cosiddetto pluralis reuerentiae, appartenente alla più ampia categoria del ‘plurale associativo’, in cui rientrano i possessivi, è attestato già in Ov trist 2,65 ed è ricorrente nella prosa tardoantica a partire dalle lettere di Simmaco (Châtelain, pp  129–139; Wackernagel, I, pp  100 s ; LHS, II2, pp  20 s ) Tuttavia, nel contesto di riferimento la valenza di uester non è così ovvia: l’aggettivo potrebbe riferirsi infatti non alle parole di Pilato, ma alle voci messe in giro sul conto di Gesù dai Giudei, dei quali il procuratore romano è ora mandatario (si veda l’inciso quod dicitur del verso precedente); questa interpretazione assegnerebbe a uester l’originario valore di plurale Degni di nota sono infine l’allitterazione e l’iperbato 594–595 Gli accusatori di Gesù (sommi sacerdoti e anziani del popolo) diventano nella parafrasi forze astratte (‘l’accusa terribile’ e ‘la scellerata facondia’), tratti comportamentali e psicologici propri di quegli stessi personaggi, che ora prendono corpo e si animano sulla scena personificati (cfr Poinsotte, p  174 e n  648) In un riuscito gioco chiaroscurale alle qualificazioni peggiorative di queste entità incorporee (… terribilis … / … scelerata …) il poeta affianca gli appellativi positivi di Gesù (… iusti … / … sanc­ tum …), sopraffatto dalle soverchianti forze nemiche; a v  595 il lessema sanctum davanti a pentemimere è collocato significativamente tra le voci verbali infremit, che completa in rejet il v  594, e l’intensivo pressat in clausola 595 infremit In ThlL VII1 1487,70 s Iuvenc 4,595 è rubricato tra le attestazioni di infremere in relazione a realtà inanimate Nello stesso contesto del processo a Gesù il termine si incontra in Ps Aug serm 120,5 barbarus ille fragor truculenti stridoris infremuit ‘crucifige, crucifige’ A 2,163 la forma semplice di tale verbo descrive l’agitazione della plebes Iudaea che chiede un segno a Gesù (~ Ioh 2,18) scelerata facundia La correptio della prima sillaba di facundia, non altrove documentata nella latinità (ThlL VI1 157,63), spinge Arevalo a correggere il tràdito scelerata in scelerum Huemer,

Commento

351

Beiträge, p  98, propone sceleris, emendazione rilanciata nel suo apparato critico e recentemente promossa da Müller, Tod, p  67 Le correzioni non sembrano necessarie Va ricordato che l’abbreviamento di sillabe lunghe non è raro nella parafrasi e che aggettivi come sceleratus riferiti a sostantivi astratti indicanti concetti negativi rientrano perfettamente nello stile del poeta (cfr supra, nota al v  435); ancora sul piano stilistico, tipico dell’usus giovenchiano, come osservato da Adkin, Emendations, p  284, è altresì la giustapposizione davanti a cesura di due epiteti antitetici allitteranti (qui gli stessi usati già da Ov fast 6,439 flagrabant sancti sceleratis ignibus ignes e successivamente da Sedul carm. pasch 2,201 tunc assumpsit eum sanctam sceleratus in urbem) pressat A 2,787 presso è impiegato metaforicamente in senso spirituale a proposito delle ricchezze che soffocano l’uomo 596 trucibus In Giovenco trux rientra nella rete di qualificazioni dei persecutori di Gesù; l’attributo ricorre soprattutto in quei passi che, direttamente o indirettamente, riguardano la Passione, in riferimento tanto ai carnefici quanto alle loro azioni: le deliberazioni dei farisei per catturare Gesù (2,598 conciliis trucibus conclamant decipiendum); i tormenti che egli dovrà patire (3,352 en hominis nato trucibus laniatibus instat); i soldati che lo scherniscono (4,642 traditus est trucibus iustus scelerisque ministris) A 4,603 esso connota le visioni della moglie di Pilato 597 quae tum sit causa tacendi Il passo giovenchiano funge probabilmente da modello per il v   14 del secondo dei Carmina Einsidlensia (= Anth. Lat 726,14 Riese2 tu dic quae sit tibi causa tacendi): il parallelo è citato da Stover, p  302, tra altri casi di intertestualità, i quali, in aggiunta a ulteriori indizi interni ed esterni, dimostrerebbero che i due carmi del codice di Einsiedeln sarebbero stati composti verso la fine del IV secolo 598 La fermezza di Gesù, che tra lo stupore dei presenti continua a tacere, è ancora restituita dal verbo stare, potenziato dal prefisso per, in coincidenza di cesura pentemimere, e dall’avverbio magis, ugualmente in tempo forte; ille magis è incipit di Stat Ach  1,400; silv 5,3,223; Mart 4,49,3 Il secondo emistichio fonde il nesso miranda silentia di Sil 4,471 con la clausola allitterante di Stat Theb 4,423 599–600 La concessione di una amnistia durante le festività pasquali rifluisce nell’ampio periodo metrico non spezzato da alcuno stacco sintattico o da segni interpuntivi Il pensiero risulta conchiuso nell’ambito di due interi versi terminanti con lessemi correlati

352

Commento

sintatticamente, il soggetto e il predicato (… leges / … iubebant), e rilevati dalla abnormità dell’iperbato Negli incipit degli esametri il ritmo si arresta decisamente sulle due parole molossiche rilevanti sotto il profilo semantico, sollemni e damnati, collocate rispettivamente tra 1o e 2o piede e 2o e 3o piede, con cesure tritemimere e pentemimere, e portatrici di due tempi forti; le accomuna un evidente gioco fonico prodotto dalla ripetizione del gruppo consonantico mn e dalla medesima sillaba desinenziale in arsi, da cui deriva la rima interna 599 sollemni sed forte die Cfr Sil 15,416 forte dies … sollemnis e Iuvenc 3,52 sed forte die 600 unum damnati capitis La correzione damnatum capitis proposta in nota da Arevalo e accettata da Müller, Tod, p  72, risponde senz’altro meglio alla grammatica Conservo tuttavia, pur con qualche dubbio, il tràdito damnati capitis, che si potrebbe spiegare come un genitivo di qualità, benché non vi siano nella latinità altri esempi simili, oppure come una forma poetica di singularis pro plurali; come paralleli del nesso damnatum caput si possono citare Lucan 2,307 hoc caput in cunctas damnatum exponere poenas e Apul met 4,13 damnatorum capitum funera, che Maurenbrecher (ThlL III 405,53 s ) registra insieme con il passo giovenchiano tra gli esempi di «caput pro tota persona» de more Con il sintagma, che a partire da Virgilio occupa nella poesia esametrica quasi sempre questa posizione di verso, si indica qui un’usanza connessa con la Pasqua come anche a 1,283 s ad templum laetis puerum perducere festis / omnibus annorum uicibus de more solebant 601 et fuit in uinclis L’attacco esametrico et fuit in risale a Ov am 2,5,46 ed è ripreso da Sil 13,787; il solo dattilo incipitario è attestato ancora in Ov epist 21,70 (cfr altresì Comm apol 768); in uinclis è situato tra 2o e 3o piede anche da Lucr 3,310 e 4,1202 La congiunzione, che segue la forte pausa di senso, svolge una funzione diversa da quella puramente copulativa, segnando con più decisione l’inizio del nuovo periodo famoso nomine latro Cfr Amm 24,2,4 famosi nominis latro; famosus gioca allusivamente sulla doppia valenza di ‘noto a tutti’ e ‘famigerato’ (Vetter in ThlL VI 257,70 ss ) latro La posticipata menzione di Barabba al v  624 conferma quanto notato da Poinsotte, pp  54 s e n  164, sulla tendenza di Giovenco a non citare per nome un personaggio

Commento

353

presentato per la prima volta sulla scena, come nel caso di Elisabetta e di Lazzaro L’appellativo latro dato da Giovenco a Barabba non è in Matth 27,16 ma in Ioh 18,40 (erat autem Barabbas latro); la prima sillaba del termine risulta lunga anche a 4,610 612 668, breve a 4,685 (Huemer, Index, p  163); su questa oscillazione prosodica, ampiamente diffusa presso i poeti latini, si rimanda alla voce di van Wees in ThllLVII2 1015,30 ss 602 Christo infensus populus Il nesso infensus populus è in Val Fl 1,71 s populumne leuem ueterique tyranno / infensum dimittere uitae Cfr in clausola Sil 2,259 e 17,265 dimittere uitam e, in altra posizione, Stat Theb 7,367 uita dimittite 603 ardebat La frase relativa si protrae fino al v  603, chiudendosi in rejet con la voce verbale ardebat, che indica l’inarrestabile volontà del popolo giudaico di salvare Barabba; questo verbo ha in Giovenco sempre un valore traslato in riferimento a persone o entità astratte: lo spirito immondo espulso dal corpo ad opera di Dio (2,717); Erode arso dall’amore per la cognata (3,43); la gioia delle pie donne davanti al sepolcro vuoto di Cristo (4,763) trucibus somno territa uisis Le spaventose visioni notturne che assalgono la moglie di Pilato prendono forma nello schema chiastico delle allitterazioni e nell’insistita ripetizione del fonema sibilante s; alla genesi dell’hemiepes concorrono Verg Aen 10,447 lumina uoluit obitque truci procul omnia uisu e Ov met 4,232 at uirgo, quamuis inopino territa uisu 604 Pilati coniux, iusti La qualificazione di Cristo (iusti), prima dell’incisione semisettenaria, echeggia, mediante l’uguaglianza fonetica e sintattica della sillaba desinenziale, il nome di Pilato in incipit e similmente in cesura (Pilati): le due figure principali sono affrontate in un tratto saliente della sequenza narrativa, in cui il governatore romano, còlto dal dubbio, è invitato a «non avere nulla a che fare con quel giusto» Tra gli Evangelisti solo Matteo parla della moglie di Pilato; nella successiva tradizione cristiana ella è nota con il nome di Procula, Procla, Perpetua o Claudia Procula discedere poena Discedo seguito dall’ablativo apreposizionale si legge anche in 1,533 discedet … tectis; è invece usato absolute in 1,447; 2,600 e 3,325

354

Commento

605 mandatis precibusque uirum suspensa rogabat Il destinatario delle suppliche (uirum) è incastonato, quasi compresso, tra le coppie mandatis precibusque e suspensa rogabat che in un accumulo sintagmatico sottolineano l’insistente preghiera rivolta dalla donna Il predicativo del soggetto suspensa sembra richiamare la Didone virgiliana di Aen 4,9 (Anna soror, quae me suspensam insomnia terrent!), allo stesso modo turbata da terribili sogni ma in preda alla smania d’amore 606–625 Si continua con Matth 27,20–26: 20 Principes autem sacerdotum et seniores persuaserunt populo, ut peterent Barabban, Iesum uero perderent 21 Respondens autem praeses ait illis: Quem uultis de duobus uobis dimittam? At illi dixerunt: Barabban 22 Dicit illis Pilatus: Quid ergo faciemus Iesum, qui dicitur Christus? Dicunt omnes: Crucifigatur 23 Ait illis prae­ ses: Quid enim male fecit? At illi magis clamabant: Crucifigatur 24 Videns autem Pilatus, quia nihil proficit, sed magis tumultum fieri, accepta aqua lauit manus coram populo dicens: Innocens ego sum a sanguine huius; uos uideritis 25 Respondens uniuersa turba dixit: San­ guis eius super nos et super filios nostros 26 Tunc dimisit illis Barabban; Iesum uero flagellis caesum tradidit eis, ut cruci eum figerent («Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero il popolo a richiedere Barabba e a far morire Gesù Allora il governatore rispose loro: Chi volete che vi liberi tra i due? Essi dissero: Barabba Disse Pilato: Cosa farò di Gesù, detto Cristo? Tutti risposero: Sia crocifisso Il governatore replicò: Che male ha fatto? Quelli gridavano di più: Sia crocifisso Pilato, vedendo che non otteneva nulla ma che anzi il tumulto cresceva, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti al popolo, dicendo: Io sono innocente del sangue di costui; vedetevela voi La folla tutta rispose: Il suo sangue ricada su noi e sui nostri figli Allora rilasciò Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò loro, perché lo crocifiggessero») I vv   606–608 forniscono informazioni (assenti nell’ipotesto), che assegnano un ruolo più attivo alla figura di Pilato: egli cerca di sondare le intenzioni delle autorità (procerum disquirere mentem / temptat, 606 s ) e chiede che secondo la legge (de lege requirit, v   608) si rimetta alla volontà popolare (plebis ad arbitrium mitti, v   608) la scelta di salvare un imputato (et instanti cuperent quem soluere poenae, v  607); la parafrasi riprende poi il versetto 20 molto da vicino (vv   609 s ): sono i sommi sacerdoti e gli anziani, genericamente definiti proceres (~  Matth principes  … sacerdotum et seniores), a chiedere la liberazione di Barabba (peterent ~ Iuvenc peterent), indicato come latronem (~ Matth Barabban), e a negarla a Cristo (Iesum ~ Iuvenc Christum; perderent ~ negarent); il nesso fusa ambitione (v  609) è un’aggiunta Il veloce scambio di domande e risposte tra il governatore e la folla (versetti 21 e 22) è condensato nei vv  611–613, con l’eliminazione del discorso diretto: si ribadisce l’ingerenza dei capi sul giudizio del volgo (at postquam procerum incendit sententia uulgum, v  611), intenzionato a salvare il malfattore (latronisque petit potius sibi cedere uitam, v  612) La domanda di Pilato sulla sorte da riservare a Cristo è al v  613: a dicit illis Pilatus fa eco nella riscrittura consuluit praeses populum; a quid ergo faciemus Iesum il conciso quid uellet Iesum;

Commento

355

svanisce la relativa con il titolo messianico (qui dicitur Christus) Dopo il v  614, una adiectio relativa al furore della folla e alla sua colpevolezza, la risposta (crucifigatur), in Matteo replicata due volte (versetti 22 e 23), è racchiusa al v  615 (et crucis ad poenas iterumque iterumque petebant) Ad altra fonte biblica (cfr infra) sono invece ispirati i vv  616 s , che ricordano i motivi della condanna di Gesù nella prospettiva degli accusatori: l’essersi proclamato (confessus) re (qui regis nomen cuperet) e nemico di Cesare (Caesaris hostem) Del versetto 24 Giovenco omette l’inizio ma recupera il gesto della lavanda delle mani (coramque a crimine palmas / abluit, vv  620 s ) e, sempre in forma indiretta, le parole auto-assolutorie di Pilato (se libera sanguinis huius / corda tenere sibi, vv  619 s ), che ritrae sopraffatto dalla violenza (ui uictus, v  618) e riluttante al suo compito sanguinario (detestatusque cruentum / officium, vv  618 s ); l’incremento del v  621 motiva l’atteggiamento del governatore e accolla tutta la responsabilità della condanna ai Giudei (ut genti tantum macula illa maneret, v  621) La risposta degli astanti (versetto 25) è ai vv  622 s e presenta delle modifiche lessicali (sanguis ~ Iuvenc cruor; filios no­ stros ~ genus in nostrum) e l’inserimento di scelus e culpa, che riflettono una certa vena antigiudaica del parafraste; noterei che nella lingua latina la prima parola comporta implicazioni anche giuridiche, la seconda principalmente morali; il loro abbinamento ha, dunque, una marcata funzione di arricchimento lessicale Il versetto 26 è ripreso fedelmente per quanto riguarda il primo stico (tunc dimisit illis Barabban ~ Iuvenc Pilatus donat plebi … Barabban, v  624), con la sola aggiunta di legi, a rimarcare la legalità della scarcerazione di Barabba; per quanto concerne il secondo, invece, non c’è alcun riferimento alla flagellazione ma soltanto alla crocifissione (ut cruci eum figerent ~ et crucis ad poenam … concedit Iesum, v  625); Pilato infine è ancora definito uictus (v  625) 606–608 Il passaggio costituisce un altro esempio di periodo metrico ampio, in cui la compattezza sintattica e ritmica si sviluppa nell’arco di più versi; la stessa massiccia presenza di voci verbali (disquirere, temptat, cuperent, soluere, mitti, requirit) sta a indicare una complessa organizzazione stichica Il poeta descrive il giro di consultazioni tra Pilato e i capi giudaici e l’intenzione del governatore romano di affidare la questione alle decisioni del popolo; questa fase consultiva si riproduce nell’ariosità del periodo e nelle modalità dell’organizzazione del pensiero Il rejet del v  607, con forte pausa sintattica dopo il trocheo 1o (temptat), chiude il verso precedente, dove grazie al gioco delle incisioni iudex e procerum sono messi in rilievo; questa seconda parola è in omeoteleuto con tum e iterum, anch’esse in tempo forte Allo stesso verso, dopo l’elemento di coordinazione (et), sono individuabili le due cesure maschili: la pentemimere enfatizza l’aggettivo instanti, già accentuato dalla doppia arsi e diviso per iperbato da poenae in clausola, a suggerire l’imminenza della condanna; la eftemimere dopo cuperent sottolinea l’importanza della volontà popolare nel dibattimento, un aspetto riaffermato anche dal sintagma incipitario del v  608 È rimarcabile la figura etimologica che accomuna disquirere (v  606) e requirit (v  608): Pilato procede per tentativi, cerca in ogni

356

Commento

modo di allontanare da sé il peso della deliberazione finale anche mediante l’escamo­ tage giuridico (de lege) 606 disquirere mentem L’espressione, in cui il verbo equivale a indagare (cfr ThlL V 1450,66), non sembra avere paralleli nella latinità 607 soluere poena È preferibile la lez poena, accolta dalla gran parte degli editori (Arevalo, Marold, Knappitsch e Müller), alla variante maggioritaria poenae recepita da Huemer; soluo infatti, nel significato di ‘liberare da’, risulta costruito nella latinità sempre con l’ablativo (semplice o preposizionale; postclassica la costruzione di solutus con genitivo: cfr KühnerStegmann, I, pp  439–441), e tale tendenza è confermata dalle altre attestazioni giovenchiane (1,156 517; 4,162 681) 608 plebis ad arbitrium Nella Bibbia latina e presso gli scrittori ecclesiastici plebs designa il popolo giudeo distinto dalle autorità: VL psalm 106,32; Sirach 41,22; Ier 1,18 (cfr Lucif non parc 131,48 = 141,6); act. 6,12; III Esdr 1,13; Hier epist 78,40; cfr ThlL X1 2386,13 ss La locuzione è ripresa in altra ubicazione metrica e a termini invertiti da Claud 24,116 ad arbitrium mitti Analoghe strutture verbali sono tipiche soprattutto della lingua giuridica (ThlL II 415,4 ss ) de lege Cfr supra, nota al v  63 mitti … requirit È lez di C K1 K2 T1, messa a testo da Marold e Huemer; Arevalo preferisce la variante mittit … requiri degli altri testimoni; in Giovenco comunque requiro regge l’infinito anche a 3,513 s requiris / prendere 609–610 Il poeta sottolinea il ruolo svolto dai dignitari nel manipolare la massa popolare Le due entità si muovono insieme, l’una funzionale all’altra: al v  609 proceres e populus (termini legati dall’allitterazione) sono associati nella realizzazione dell’impresa; rogabant in clausola riprende, attraverso il poliptoto, rogabat del v  605, con un rovesciamento di situazione: nel primo caso la moglie di Pilato sollecita il marito a non macchiarsi di sangue innocente, nel secondo, viceversa, i capi giudaici persuadono la folla a farsi carico proprio di quel delitto infamante Il v  610 ordina in perfetta simmetria sintattica e

Commento

357

metrica i due kola concettualmente antitetici, la richiesta di assoluzione per il brigante (latronem legi peterent) e la condanna di Cristo (Christumque negarent) Per analoghi costrutti paratattici in presenza di uerba rogandi si veda 2,74 orabant … linqueret 609 fusa ambitione rogabant «Effuso studio captandi suffragia pro Barabba, et contra Christum» (Arevalo, p  370); ambitio è parola del gergo politico (‘l’andare attorno per cercare voti’ o, in senso negativo, ‘il broglio elettorale’, con allusione ai tentativi di corruzione); fusus, come sinonimo di amplus, largus, in contesti retorici fa riferimento soprattutto alla lunghezza del discorso (ThlL VI1 1573,13) Si allude quindi alle sollecitazioni di voto a favore di Barabba fatte in modo capillare dai capi L’ellissi di ut dopo il verbo rogare è attestata già nella prosa ciceroniana (LHS, II, p  530) 610 legi peterent La costruzione di petere con il dativo è poco usuale (Löfstedt, Syntactica, I2, p  205; Norberg, p  148; OLD, s. v., 12, p  1370) Manca l’esempio giovenchiano tra i passi raccolti in ThlL X1 1976,49 ss ; Knappitsch, IV, p  67, interpreta invece legi come ex lege (‘secondo la legge’), accezione di cui, a quanto risulta, non vi sono paralleli; si potrebbe, eventualmente, anche intendere legi come un dativo di vantaggio (‘per la legge’) Christumque negarent I codd si dividono tra necarent e negarent, mentre perderent di M, parola metricamente inadeguata, è piuttosto una glossa confluita nel testo per influsso della Vorlage La prima variante, tràdita dalla maggioranza dei testimoni e recepita da Arevalo, è difesa da Hansson, p  56, sulla base del significato, che sarebbe più vicino a quello di perderent di Matth 27,20; sembra comunque preferibile l’alternativa negarent, esibita anche da C e accolta da Marold, Huemer e Müller, in quanto, oltre che meno scontata, potrebbe essere suffragata da act. 3,13 Iesum, quem uos quidem tradidistis et negastis ante faciem Pilati 611 incendit sententia uulgum L’azione persuasiva dei notabili è rappresentata dalla pregnanza semantica di incen­ dere, ripreso metaforicamente anche più avanti a v  614 per descrivere il popolo aizzato dalle autorità La clausola modifica quella di Stat Theb 10,580 s nec non ancipitis pugnat sententia uolgi / discordesque serit motus; possibile è poi il raffronto con Verg Aen 12,238 talibus incensa est iuuenum sententia dictis: Giuturna, simulando l’aspetto di Camerte, esorta i Rutuli alla guerra per strappare il fratello alla morte; si tratta forse di una semplice ripresa meccanica, ma suggestive sembrano le analogie situazionali e la possibile sovrapposizione delle figure in scena (Turno e Barabba, Enea e Cristo) L’impiego di uulgus maschile è ben attestato in letteratura a partire da Acc trag 288 Ribbeck3 e, con la sua coloritura arcaizzante, trova posto in particolare nella prosa storiografica (Sisenna hist 48 Peter; Caes Gall 6,14,4; Sall Iug 69,2; Liv 6,34,5; si veda

358

Commento

Lebek, p  274); per la poesia vanno menzionati almeno gli esempi di Lucr 2,921 e Verg Aen 2,99, dove questa forma di accusativo è dettata da convenienza metrica (Horsfall, Aeneid 2, p  122) Non è da escludere che la scelta del maschile sia qui ispirata a questo passo virgiliano, in cui Sinone racconta a Priamo delle calunnie e delle voci ambigue sparse da Ulisse contro di lui; l’ipotesi non è peregrina, se si considera che gli intertesti relativi all’episodio eneadico affiorano in più punti nella pericope della Passione In 3,198 Giovenco ha la forma più consueta in -us 612 petit … sibi cedere Cfr 4,212 rogitant … sibi cedere 613 praeses populum Come al v  609 proceres populum, il lessema indicante la folla è adiacente a quello indicante l’autorità, in un gioco allitterante; il populus è sempre oggetto passivo: lì persuaso dai capi, qui consultato da Pilato Santorelli, Aquilino Giovenco, pp  417 s , ha riscontrato che rispetto al testo biblico, in cui prevale nettamente il termine populus (versetti 27,20 e 24), a fronte di una sola occorrenza di turba (versetto 25), nella pericope il parafraste, per non ripetersi e per ragioni metriche, sfoggia una più variegata gamma di sostantivi, senza però una precisa distinzione di significato: populus (vv   602 609 e 613), plebs (vv  608 614 e 624), uulgus (v  611) e gens (vv  592 e 621) quid uellet Iesum Arevalo stampa Iesu, da intendersi evidentemente come un dativo unito a un verbo sottinteso quale fieri (‘cosa volesse che accadesse a Gesù’) L’espressione sembra modellata per analogia sul corrispettivo quid ergo faciemus Iesum di Matth 27,22, a sua volta traduzione a calco del greco τί οὖν ποιήσω Ἰησοῦν; alcuni mss della VL leggono Iesu; la versione geronimiana ha invece quid igitur faciam de Iesu Anche sulla base della Vorlage biblica, Iesum va spiegato quindi come un accusativo alla greca (Müller, Tod, p  79) 614 plebs incensa malo I proceres, che incitano il popolo, nella graduale progressione degli eventi sono ora definiti addirittura malum, in quanto incarnano in senso spirituale il male assoluto, animati come sono da forze diaboliche, con una piena identificazione del peccatore con il peccato saeuos miscere tumultus Asimmetrico risulta l’abbinamento paratattico dell’infinito storico con l’imperfetto del verso successivo Il nesso saeuos … tumultus è improntato a saeuo … tumultu di Val Fl 1,736; tipico della lingua storiografica è invece miscere tumultus, su cui si veda Liv 8,32,11 tumultum … miscentes La clausola di Giovenco è imitata e variata da Paul

Commento

359

Petric Mart 2,579 miscere tumultu; cfr altresì Paul Nol carm 19,527 laetitia incertos miscebat et ira tumultus 615 et crucis ad poenas Cfr 4,625 e 652 iterumque iterumque petebant L’epizeusi dell’avverbio riproduce in qualche modo il doppio crucifigatur di Matteo e accentua l’insistenza della folla; su questa geminatio polisindetica, risalente a Virgilio e collocata dopo cesura a intensificare la forza del verbo, si sofferma Wills, pp  116 s Non sfugga la costruzione ‘a senso’ di petebant, coniugato al plurale pur in presenza di un soggetto singolare (plebs), secondo una scelta stilistica anche altrove attuata dal poeta (Hatfield, pp  3 s ; Müller, Tod, p  80 e n  99); banalizzante è la variante petebat di H Hl, accolta invece da Otero Pereira, Edición crítica, p  424 ad poenas … petebant Petere ad (o in) con l’accusativo è formulare in ambito giuridico in riferimento alla pena da comminare (Sen apocol 15,2; Quint inst 7,1,55) Altri esempi in ThlL X1 1972,38 ss 616–617 Braun-Engel, p  136, ritengono che questi versi, non corrispondenti al racconto matteano, derivino da Ioh 19,12 (si hunc dimittes non es amicus Caesaris. Omnis, qui regem facit contradicit Caesari), una minaccia ricattatoria dei capi giudaici a Pilato, oppure da Luc 23,2 (coeperunt autem accusare illum dicentes: Hunc inuenimus subuertentem gentem nostram et prohibentem tributa dare Caesari et dicentem se Christum regem esse), passo relativo però a tutt’altro contesto In questa contaminazione di fonti bibliche Poinsotte, p  133 e n  431, legge la volontà antigiudaica dell’autore, che lega la decisione di Pilato al ricatto e ai timori di sobillazioni antiromane 616 qui regis nomen … qui Caesaris hostem Il parallelismo dei due gruppi sintattici è qui reso più marcato dall’epanafora del relativo qui Si noti la uariatio sintattica dal congiuntivo cuperet, che chiude il primo membro con pausa di senso in coincidenza di cesura semisettenaria, al participio confessus, che scavalcando il confine metrico apre il verso successivo 617 confessus sese proprio … ore L’esametro, dall’incipit dispondiaco, è regolato dalle tre incisioni maschili, che sottolineano la pretesa confessione di Gesù; la giustapposizione della forma rafforzata del pronome riflessivo sese, retto ἀπὸ κοινοῦ dal verbo che lo precede e da damnauerat, e del possessivo proprio rimarca l’idea di autocondanna Il nesso proprio ore si trova in Germ frg 4,2 e Tert apol 2,2

360

Commento

618–621 L’enfatica rielaborazione della lectio evangelica tende ad attenuare le responsabilità di Pilato nell’uccisione di Cristo; soprattutto la forma indiretta del suo discorso stride con la risposta diretta dei Giudei, carica d’invettive Il periodo si sagoma in quattro versi con una dilatazione espressiva che è funzionale alla formulazione del concetto Colpisce la ridondanza delle voci verbali, soprattutto delle forme participiali al nominativo (uictus, detestatus, increpitans), che scandiscono le singole azioni; il sintagma allitterante ui uictus, ricalcato su Verg Aen 12,254, dove l’aquila di Giove accerchiata da stormi di uccelli è costretta a lasciare la preda e fuggire, presenta Pilato sopraffatto dalla foga del popolo e sconfitto, secondo un concetto già formulato da Tert apol  21,17 magistri primoresque Iudaeorum ita exasperabantur […] ut […] uiolentia suffragiorum in crucem dedi sibi extorserint e Lact inst 4,18,6 tum Pontius et illorum clamoribus et Herodis tetrarchae instigatione metuentis, ne regno pelleretur, uictus est Il participio de­ testatus, in omeoteleuto con il precedente, attira su di sé l’attenzione grazie al doppio tempo forte che lo percuote enfatizzando l’assoluto ripudio dell’incarico sanguinario L’allargamento dei confini del periodo genera anche una scansione ritmica che lega le parole: si notino l’enjambement e l’elisione cruentum / officium increpitans, con un picco di intensità concentrato sul participio esprimente il grido di Pilato, che precede la dichiarazione vera e propria, anch’essa dilatata in due versi (se libera sanguinis huius / corda tenere sibi) Tale prolungamento metrico e sintattico innesca nel lettore un senso di aspettazione per il gesto eclatante, che suggella la sequenza: la lavanda delle mani si inserisce nell’alveo del v  620, chiuso in rejet al v  621 dal verbo abluit, quasi sbalzato per dare corpo al significato che esprime Interessante è la triplice allitterazione del v  620 (corda … coram … crimine …) che mette l’accento sull’idea basilare: il cuore del giudice non vuole macchiarsi di quel crimine, e il rifiuto è manifestato pubblicamente 618 denique Le occorrenze totali dell’avverbio nella parafrasi sono 7, nel libro quarto solo qui e al v  765 È parola particolarmente cara a Lucrezio e a Ovidio, cfr il commento di Mynors a Verg georg 2,369: «it … always conveys the sense that we are being given something that we have been waiting for» detestatus Il verbo, «i q exsecrari, aversari, odisse» (ThlL V 1810,11 ss ), conta pochissime attestazioni poetiche (Hor carm 1,1,25; Ov met 15,505; Lucan 6,431; Sil 17,434; Comm instr   2,15,4 e apol 731) Giovenco lo usa anche al v   628 per Giuda che, in preda al rimorso, maledice il denaro ricevuto in cambio della vita del Signore 619–620 libera sanguis huius / corda tenere Sulla preferenza di Giovenco per la costruzione di liber con il genitivo di relazione, nota fin da Orazio e diffusa soprattutto nella lingua postclassica e in poesia (ThlL VII2

Commento

361

1288,29 ss ), cfr Hatfield, § 47, p  11 La clausola del v  619 è di Stat Theb 3,83 e 6,906 Per corda tenere, in cui il termine cor va inteso nell’accezione di ‘coscienza’ comune anche ad altri scrittori cristiani (Tert anim 15; Aug in epist. Ioh 8,9), cfr 1,617 corda etiam simili dicione tenentur e 4,355 haec una fides mea corda tenebit 620–621 a crimine palmas / abluit L’abluzione delle mani è nota soltanto dal racconto di Matteo Pilato segue un uso ebraico legato alle norme in caso di omicidio occulto prescritte da deut 21,6–8 Il verbo abluo, spesso impiegato nella letteratura latina per indicare l’abluzione delle mani (Ov met 4,740; Sen contr 9,2,3; Sen Ag 977; Herc. O 908), si trova a proposito dell’episodio biblico in Tert orat 13 quae ratio est manibus quidem ablutis, spiritu uero sordente orationem obire […]? […] comperi commemorationem esse Pilati: manus abluisse in Do­ mini deditione L’anonimo autore del centone De ecclesia, cucendo insieme Verg Aen 4,683–684 lymphis / abluam e Aen 2,153 sustulit exutas uinclis ad sidera palmas, descrive la scena con un frasario che ricorda quello giovenchiano (Anth Lat 16,30 Riese sustulit ablutas lymphis ad sidera palmas) 621 ut genti tantum macula illa maneret L’aggiunta della subordinata finale, che ha il tono di una solenne maledizione, conferma l’intento assolutorio nei confronti di Pilato Secondo Knappitsch, IV, p  68, manere ha qui il senso di imminere, instare (‘minacciare’); Poinsotte, p  147, n  513, pensa piuttosto al significato di «demeurer à jamais», in quanto nell’opera tale verbo è tendenzialmente legato alla nozione di eternità: praef 12 (la gloria del poeta); 1,39 (la promessa irrevocabile di Dio); 239 e 263 (le antiche profezie sulla nascita di Gesù); 2,448 (la pace per chi accoglie i discepoli); 455 (la pena per i peccatori); 3,280 (la Chiesa fondata sulla pietra = Pietro); 4,196 (il pianto e lo stridore di denti per i dannati); 305 (la salvezza eterna per i giusti) 622–623 L’anatema pronunciato dal popolo ha il tono crudo dell’imprecazione Il primo emistichio si interrompe con la cesura eftemimere coincidente con pausa di senso forte, delimitando un’espressione semanticamente e sintatticamente compiuta: alle parole di Pilato la folla urla con più forza; l’intenzione enfatizzante conferisce importanza non solo alla voce verbale inclamant, posta prima di pentemimere, ma anche all’avverbio magis; ed è significativo che proprio il pirrichio rafforzi il senso del verbo, e quindi dell’intera frase Il secondo emistichio è contrassegnato dalla geminatio della forma pronominale nos: la contiguità del monosillabo atono e di quello tonico determina un crescendo di intensità ritmica, e dunque di significato, che dà vigore alla rivendicata responsabilità dei Giudei («su di noi, proprio su di noi …») Questa autocoscienza spinge la folla a farsi carico delle tragiche conseguenze della propria volontà deicida estendendo la terribile maledizione a tutta la generazione futura L’esecrazione vie-

362

Commento

ne espressa con ridondanza lessicale (scelus et culpa) e verbi in clausola dall’identica struttura metrica (… sequatur / … redundet); al primo emistichio 623, dopo il dattilo iniziale et genus, il ritmo si arresta sull’aggettivo nostrum, etimologicamente affine a nos del verso precedente, a unire in un unico destino i Giudei; metricamente rilevante è altresì la struttura dei primi piedi, ottenuti con la sequenza di monosillabo + bisillabo (et genus in nostrum) Effettivamente, esclusi i predicati verbali, i due esametri sono occupati da parole monosillabe e bisillabe che imprimono solennità all’autocondanna dei parlanti 622 nos, nos La ripetizione emozionale del pronome plurale, in poesia meno frequente del singolare (Wills, p  82), si riscontra anche in Verg Aen 10,88 s nosne tibi fluxas Phrygiae res uer­ tere fundo / conamur? nos?; Sen Tro 969 nos, Hecuba, nos, nos, Hecuba, lugendae sumus; Val Fl 4,745 s nos quoque, nos Amycum, tanto procul orbe remoti / sensimus; Iuv 10,365 s (= 14,315 s ) nos te, nos facimus, Fortuna, deam Poinsotte, p  148, n  514, ha contato cinque casi di epanalessi nel poema; fatta eccezione di 1,545 est est sufficiat, che riproduce esattamente la formula di Matth 5,37 est est, gli altri quattro (due nel I l e altrettanti nel IV) sono originali: a 1,202 nunc nunc sottolinea la gioia di Simeone nel rendere grazie al Signore (~ Luc 2,29); a 1,276 ueniet, ueniet annuncia il ritorno di Gesù a Nazareth (~ Matth 3,23); di segno negativo è invece l’apostrofe di Cristo a Gerusalemme O Solymi, Solymi di 4,78 (~ Matth 23,37) 624–625 In Matteo (27,26) e in Marco (15,15) la flagellazione anticipa l’esecuzione capitale Il silenzio di Giovenco su questo punto serve ancora a presentare in una luce meno fosca la figura di Pilato I nomi dei due imputati, segnati da opposti destini, occupano similmente le clausole dei due esametri consecutivi La sequenza spondaica nei primi piedi del v   624 (Pilatus donat plebi legique) ritrae la rassegnazione di Pilato, nuovamente dichiarato uictus a v  625: il profilo del personaggio fin qui tracciato da Giovenco contribuisce ad avvalorare la genuinità di questa lezione contro la variante uinctum, preferita da Arevalo e probabilmente derivata, come ipotizza Poinsotte, p  133, n  430, dal ricordo del v  588 (post terga reuinctum) 624 Barabban Cfr il gr Βαραββάς, di cui la forma latina conserva l’accusativo Il nome è sempre tra 5o e 6o piede nelle pochissime altre attestazioni poetiche (Sedul carm. pasch 5,147; Ps Prosp carm. de prov 525) 626–641 Il pentimento di Giuda. Solo Matteo ci informa degli ultimi momenti della vita dell’apostolo, del pentimento e del conseguente suicidio Nel testo biblico i fatti sono

Commento

363

inseriti subito dopo i due versetti che parlano della consegna di Gesù a Pilato (27,1–2) e prima dell’istruttoria nel tribunale romano (27,11–26) Giovenco posticipa il racconto sia per garantire unità narrativa alla pericope relativa a Pilato, evitando così frammentazioni e stacchi, sia per assegnare il giusto rilievo all’episodio di Giuda, che in tal modo segue quello della condanna a morte di Gesù Secondo Green, Latin Epics, p  26, tale riorganizzazione strutturale punta a un maggiore impatto emotivo e rivela un intento edificante, che insiste sulla fine del traditore e sul concetto di rimorso La parafrasi segue Matth 27,3–10: 3 Tunc uidens Iudas, qui eum tradidit, quia damnatus est, paenitentia ductus rettulit triginta argenteos principibus sacerdotum et senioribus 4 di­ cens: Peccaui, quod tradiderim sanguinem iustum. At illi dixerunt: Quid ad nos, tu uideris. 5  Et proiectis argenteis in templo secessit et abiit et laqueo se suspendit. 6 Tunc principes sacer­ dotum acceptis argenteis dixerunt: Non licet mittere eos in loculum, quia pretium sanguinis est. 7 Consilio autem accepto inter se emerunt agrum figuli in sepulturam peregrinorum. 8 Propter hoc uocatus est ager ille Acheldemach, quod est ager sanguinis, usque in hodier­ num diem. 9 Tunc impletum est, quod dictum est per prophetam dicentem : Et acceperunt triginta argenteos pretium adpretiati, quod adpretiauerunt a filiis Istrahel. 10 Et dederunt eos in agrum figuli, sicut constituit mihi Dominus («Allora Giuda, che lo aveva tradito, vedendo che era stato condannato, mosso dal pentimento riportò i trenta denari ai capi dei sacerdoti e agli anziani, dicendo: Ho peccato, poiché ho consegnato sangue giusto Ma quelli risposero: Che cosa ci importa, veditela tu E, gettati i denari nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi Allora i capi dei sacerdoti, raccolti i denari, dissero: Non è lecito metterli nel tesoro, perché è il prezzo del sangue Dopo essersi consultati tra di loro, acquistarono il campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri Perciò quel campo è stato chiamato fino ad oggi Acheldemach, cioè ‘Campo del sangue’ Si adempì allora quanto era stato detto dal profeta: E presero i trenta denari, il prezzo del venduto che era stato fissato dai figli di Israele E li diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore»). La pericope evangelica si apre con il nome del discepolo (Iudas), mantenuto nel testo poetico, e con la relativa che ne indica il crimine (qui eum tradidit), parafrasata con l’appellativo proditor (v  626) Come nell’ipotesto, anche nella parafrasi Giuda riconosce di essere causa della condanna di Cristo, evocata solo allusivamente (tunc uidens … quia damnatus est ~ Iuvenc postquam se talia cernit / … signasse, vv  626 s ); ciò determina il pentimento: il poeta evita la parola paenitentia ma introduce elementi lessicali tesi a sottolineare il rimorso (aegris … querellis, v  628) e un’aggettivazione che delinea lo stato d’animo dell’apostolo, definito furentem al momento del tradimento e infelix nell’autocondanna (vv  627 e 628) L’ultima parte del versetto 3 e anche il duro scambio di battute tra Giuda e i sacerdoti, che occupa il versetto successivo, sono soppressi, a meno che, come suggerito da Dijkstra, p  96, n  117, il v  628 non inglobi anche il senso complessivo della dichiarazione di Giuda di Matth 27,4 (Peccaui, quod tradi­ derim sanguinem iustum) Un nuovo rimando al ravvedimento dell’apostolo trapela dal participio detestans di v  629 e dalla locuzione suas … sibi sumere poenas di v  630, che

364

Commento

rivela la volontà di espiazione; nella riscrittura della parte iniziale del versetto 5 le corrispondenze testuali sono maggiori (proiectis argenteis ~ Iuvenc proiecit … argentum; in templo ~ templo) Al v  631 la descrizione dell’impiccagione si arricchisce del dettaglio relativo all’albero di fico, taciuto da Matteo, l’unico Evangelista a narrare l’episodio del suicidio, e dell’espressione informem … mortem, che qualifica quella morte Il discorso dei sacerdoti (versetto 6) è riferito in maniera indiretta ai vv  632–635 con alcune variazioni lessicali (tunc ~ Iuvenc inde; principes sacerdotum ~ sacerdotes; dixerunt ~ fantes; non licet  ~ inlicitum; mittere  … in loculum  ~ adytis concedere templi; quia pre­ tium sanguinis est ~ pretium quod sanguinis esset) e l’eliminazione di acceptis argenteis Il v  634, completato in rejet al verso seguente, è invece una nota amaramente ironica dell’autore, che attacca l’ipocrisia giudaica e il falso concetto di ‘lecito’ (quod dare tum licitum, cum sanguis distraheretur / credebant) Quanto al versetto 7, Giovenco non fa menzione del consiglio tenuto dai capi religiosi e riporta soltanto l’acquisto del terreno (emerunt agrum ~ Iuvenc agrum mercati, v  635) omettendo la specificazione figuli e la destinazione d’uso in sepulturam peregrinorum; glossa con la perifrasi nomine uero  / sanguinis (vv  635 s ) il nome aramaico Acheldemach (versetto 8), che significa appunto ‘campo del sangue’, e chiosa con la condanna dell’empio misfatto e della scelleratezza dei sacerdoti (v  636) L’enunciato che in Matth 27,9 introduce le parole di Geremia è svolto in maniera molto diversa ai vv  637 s , con amplificazioni poetiche che rendono più solenne la presentazione della profezia Questa impegna i vv  639–641 ed è in forma diretta: lo stico iniziale è abbastanza simile (acceperunt ~ Iuvenc posuere; triginta argen­ teos ~ argenti triginta minas), con l’aggiunta del soggetto profani di tono dispregiativo; tutta la seconda parte confluisce nel v  640, dove, tolta la menzione dei figli di Israele, il predicato verbale adpretiauerunt si converte in instituentes, e il gioco di parole pretium adpretiati (gr τὴν τιμὴν τοῦ τετιμημένου) trova un corrispondente in pretium pretiosi, che rispetto alla Vorlage esalta la preziosità del corpo di Cristo Il v   641 riprende il versetto 10: la voce verbale passa dalla forma attiva a quella passiva (dederunt ~ Iuvenc transfertur); il soggetto è quod (scil pretium); in agrum figuli diventa ad figuli … agel­ lum Scompare il segmento finale riguardante l’ordine impartito dal Signore al profeta 626 postquam se talia cernit Cfr Sil 17,154 postquam se … cernunt e Ov met 9,402 se talia, ugualmente tra 4o e 5o piede 627 accepto sceleris pretio Per accipere pretium cfr Catull 110,2 La vendita di Cristo al sinedrio è definita scelus anche in 4,427 e da Prud ditt 153 s campus Achaldema sceleris mercede nefandi / uenditus exequias recipit tumulosus humandas

Commento

365

628 infelix … damnans Nel primo emistichio 628, percorso da spondei fino alla incisione eftemimere, spiccano due parole chiave: l’aggettivo infelix in posizione incipitaria può essere interpretato tanto come ‘sventurato’, ‘misero’ quanto come ‘infausto’, secondo i potenziali significati con cui anche Virgilio usa tale parola carica di pathos (cfr Raymond, pp  215–246) Nel racconto del suicidio l’attributo attiva ulteriori suggestioni, se si tiene conto che in latino infelix è anche l’albero i cui frutti venivano consacrati agli dèi infernali e ai cui rami si impiccavano i condannati (OLD, s. v., 2c, p  895) Questa immagine è evocata esplicitamente da Sedul carm. pasch 5,122–124 (cum iam demersa securis / arboris infandae radicibus, exitialem / quae peperit fructum, feralia germina uertat) con un chiaro richiamo a Matth 3,10 e Luc 3,9 La medesima condizione spirituale è attribuita all’apostolo maledetto dal Signore (Matth 26,24) anche da Prudenzio (ditt 156 infelix collum laqueo pro crimine tanto) e Sedulio (carm. pasch 5,130–131 nodatis faucibus angens / infelicem animam laqueo suspendit ab alto) Il participio damnans racchiuso tra pentemimere ed eftemimere descrive il riconoscimento della colpa commessa e la condanna del tradimento Significativi l’omeoteleuto e l’allitterazione delle forme participiali damnans e detestans (vv  628 s ) aventi l’ultima sillaba in arsi aegris … querellis Accolgo la lez maggioritaria aegris difesa da Hansson, p  105, anche sulla base di paralleli interni ed esterni (Iuvenc 1,631 neu faciles uictus aegra disquirite cura; Lucr 3,933s quid tibi tanto operest, mortalis, quod nimis aegris / luctibus indulges? Quid mortem conge­ mis ac fles? e Ov met 2,329 nam pater obductos luctu miserabilis aegro), contro le varianti ueris del solo cod C e miseris di Mp P, che pure potrebbe vantare qualche precedente poetico (Ov met 2,343; fast 4,481; Sil 9,156) 629 Il v  629 è olospondiaco come il v  233 630 exorsusque suas laqueo sibi sumere poenas Il suono s, così insistito, pare esternare il tormento interiore che spinge il discepolo alla drammatica scelta; exordior con l’infinito appare in poesia sin da Ter Hec 362 e in prosa sin da Cic Q. Rosc 27 La clausola sumere poenas riprende quella virgiliana di Aen 2,576 e 6,501 631 informem rapuit ficus de uertice mortem La raffinata struttura del verso si caratterizza per l’iperbato a cornice, reso più efficace dall’omeoteleuto e dal ritmo spondiaco dell’incipit, che richiama l’attenzione sulla valenza negativa dell’aggettivo; particolare evidenza è data alla parola ficus, racchiusa al centro dell’esametro tra pentemimere ed eftemimere

366

Commento

informem … mortem In ThlL VII1 1476,79 s Szantyr confronta il v  4,631 con la descrizione del suicidio di Amata in Verg Aen 12,603 et nodum informis leti trabe nectit ab alta, dove, stando alla glossa di Servio ad loc , informis è sinonimo di infamis (‘informis leti’, quasi mortis in­ famissimae) I libri pontificali prescrivevano, infatti, di lasciare insepolto chi si fosse suicidato per impiccagione; secondo Thaniel, p  78, la ragione dell’orrore per questo tipo di morte va ricondotta al fatto che per gli antichi il sangue, veicolo della vita, dovesse scorrere per liberare l’anima dal corpo Anche altri autori cristiani commentano il metodo scelto da Giuda per morire con lo stesso attributo, che ha un marcato valore morale (Ambr in psalm 40,24,4 caput informis laquei nodo ligauit; Tob 3,11; Ps Heges 4,9,4) rapuit … mortem Variazione dell’espressione letum rapere, che indica il suicidio in Lucan 4,345 e Sil 2,678 ficus de uertice Il sostantivo ficus è eteroclito e segue sia la seconda sia la quarta declinazione Qui si tratta chiaramente di un genitivo (altre attestazioni di tale uso in ThlL VI 651,13–40) La precisazione della pianta non trova conferma nei testi scritturali canonici o apocrifi e nemmeno nei commenti dei Padri Colombi, Paene ad verbum, p  32, ricordando le valenze negative assunte dal fico in ambito sia classico sia cristiano, pensa che si tratti di un’invenzione del poeta o di una leggenda popolare tramandata oralmente e confluita nella parafrasi Leone, p  92, citato da McGill, p  264, allude senza riferimenti precisi ad alcune leggende apocrife in cui si parlerebbe del fico a proposito del suicidio di Giuda Una testimonianza tardoantica finora sfuggita alla critica si rinviene anche nel resoconto dell’anonimo pellegrino piacentino, che intorno al 570 visitò Gerusalemme descrivendo i luoghi del supplizio di Cristo (Itin Anton Plac rec A 170 in dextra parte portae est oliuetum; ibi est ficulnea, in qua Iudas se suspendit, cuius talea stat munita petris) Se non si può risalire con certezza all’origine di tale tradizione, è comunque interessante notare che proprio il verso giovenchiano sarà citato come fonte della notizia da autori medievali quali Adamnano di Iona (loc. sanct. 1,17,3 [CCL 175, p  197] ad cuius medietatem ab occasu ille uicinus habetur locus ubi Iudas Scariothis disperatione coactus laqueo se suspendens disperierat. Ibidem et grandis hodieque monstratur ficus, de cuius, ut fertur, uertice inlaqueatus pependit Iudas, ut de ipso Iuda Iuuencus presbiter uersificus ce­ cinit: Informem rapuit ficus de uertice mortem) e Beda il Venerabile (loc. sanct. 3,4 ss [CCL 175, p  259] Portam Dauid egredientibus pons occurrit in austrum per uallem direc­ tus, ad cuius medietatem ab occasu Iudas se suspendisse narratur. Nam et ficus magna ibi ac uetustissima stat, iuxta quod Iuuencus ait: Informem rapuit ficus de uertice mortem)

Commento

367

632–636 La reazione del collegio sacerdotale è descritta con l’uso di alcune figurae uerborum: la ripetizione del prefisso in che accomuna le prime parole dei vv  632 s (inde … / inlici­ tum …) e richiama informem del v  631; l’uguaglianza agli stessi versi del gruppo -tes in cesura pentemimere nei lessemi sintatticamente correlati sacerdotes e fantes; l’insistita omeoteleutia in -um, estesa ai vv  632–635 e valorizzata dal tempo forte (pretium … / inlicitum … / … tum licitum, cum … / … agrum …); la figura etimologica inlicitum/ licitum (vv  633 e 634), incentrata sulla contrapposizione tra ‘illecito’ e ‘lecito’; gli omeoteleuti e l’allitterazione dei vv  635 s (… uero / sanguinis, horrendo signant scelera impia facto) 632 inde sacerdotes Cfr Ov fast 3,391 Come nell’epos antico e in genere nella poesia dattilica – ricca campionatura in ThlL VII 1,1111 s  –, anche negli Euangeliorum libri l’avverbio inde è spesso una marca temporale nella prosecuzione di un racconto (1,47 177 221 741 767; 2,37 75 95 99 109 126 137 153 243 270 408 472 829; 3,93 195 220 257 320 381 396 626) pretium … sanguinis esset La disposizione delle parole, che appartengono già all’ipotesto, è suggerita da Lucan 8,9 pretium … sanguinis esse, una suggestione tematica oltre che formale: nei concitati momenti della sua fuga verso Lesbo Pompeo, ben consapevole che Cesare è disposto a pagare per la sua morte, sospetta tradimenti L’allusione alla ricompensa derivata dal tradimento sulla base del testo di Matth 27,6 ritorna spesso nei poeti cristiani, come nel caso della sententia di Prud ditt. 155 sanguinis hoc pretium est Christi o dell’invettiva di Carm pass. dom 31 s collige … nefandum / sanguinis innocui pretium Per Agostino pretium è il riscatto per la risurrezione (in psalm 95,5 sanguis Christi pretium est) 633 adytis Cfr supra, nota al v  77 634 distraheretur Il verbo distrahere nel senso specialistico-economico di ‘vendere’ è in uso fin da Tac ann 6,17,3 ed è assai comune nell’Itala (II Macc 8,14; act. 2,45; 7,9) e presso gli scrittori ecclesiastici (Cypr eleem 25; Rufin hist 3,7; Paul Nol carm 24,702) Lo spondeo, risultante da parola trocaica in seguito a chiusura della sillaba finale, è fenomeno eccezionale negli Euangeliorum libri, dove si incontrano soltanto altri due esempi (2,72 e 3,515); in questo caso lo spondeo convive con la clausola pentasillabica 635–636 agrum … nomine uero / sanguinis Secondo Matth 27, 3–10 il nome ‘campo di sangue’ deriva dallo spargimento del sangue di Cristo; secondo act. 1,18 s dal fatto che vi morì Giuda di morte violenta; il luogo

368

Commento

si troverebbe nelle vicinanze della Porta dei Cocci, allo sbocco della valle di Innom presso Gerusalemme (Klauck, pp  92–109) Contrariamente a Giovenco, non avrà difficoltà a inserire il toponimo ebraico di Matth 27,8 Prudenzio, che in ditt 153 scrive campus Achaldema (per le varianti ortografiche cfr Charlet, pp  10–11) Nomine uero è clausola di Lucan 6,732 636 horrendo signant scelera impia facto Il predicato verbale è posto tra pentemimere ed eftemimere all’interno di uno schema sintattico valorizzato dal forte iperbato Il versetto 8, contenente un elemento topografico-eziologico troppo connotato, viene sostituito, come suggerisce Colombi, L’allu­ sione, p  167, con una ripresa di Sil 9,266 signauit moriens sceleratum sanguine carmen: Solimo uccide per errore il padre Satrico scambiandolo per un soldato punico e, preso dal rimorso, si suicida; nel testo di Silio signauit fa riferimento al messaggio tracciato col sangue da Solimo morente per Emilio Paolo; nella parafrasi il verbo si riferisce alla metaforica σφραγίς, con cui i sommi sacerdoti sottoscrivono il loro crimine: l’acquisto del campo con i soldi resi da Giuda secondo la profezia di Geremia (32,6–10) è infatti prova del loro diretto coinvolgimento nell’uccisione del Signore La reminiscenza siliana potrebbe essere stata contaminata con Lucr 1,83 religio peperit scelerosa atque impia facta La giuntura scelera impia, avvicinabile a Stat Theb 5,300 s impia terrae / infodiunt scelera, ha in Giovenco altre due occorrenze nel libro terzo (vv  42 e 61), in riferimento a Erode ed Erodiade, i due attori corresponsabili della morte del Battista Zuliani, p  57, fa giustamente notare che con questa terza riutilizzazione Giovenco propone una lettura interfigurale (pur sempre appena abbozzata, incardinata sulla memoria intratestuale) tra Giovanni e Cristo 637–641 I vv  637 s annunciano la profezia; i vv  639–641 la riportano La struttura ritmica, particolarmente incalzante, si distingue per evidenti effetti sonori che interessano elementi lessicali legati da sintassi stretta o no e che accompagnano il tono solenne del vaticinio: le coppie allitteranti del v  637 (cooperta canens uox uera); l’omeoteleuto del v  638 euentum rerum, con i fonemi finali in arsi prima delle due incisioni; i nessi allitteranti dei vv  639 e 640 637 quondam … prophetae Matteo fonde la profezia di Zaccaria (11,12 s ) con quella di Geremia (32,6–9) Giovenco tende in genere a non eliminare del tutto le citazioni veterotestamentarie ma a incorporarle nel contesto poetico, quasi a diluirle, per ridimensionarne la portata o comunque conferire a esse la minore enfasi possibile Per quanto riguarda le profezie, tale intento degiudaizzante spiega la sostituzione dei nomi propri dei profeti con il nome comune propheta (in questo luogo e a 3,144 dicta prophetae ~ Matth 15,7 prophe­ tauit … Esaias dicens) oppure con la parola epica uates (3,633 hinc ueteris quondam fluxit

Commento

369

uox nuntia uatis ~ Matth 21,4 ut impleretur quod dictum est per prophetam dicentem) A 3,633 e a 4,631 l’avverbio temporale quondam, tipico dello stile diegetico, allude a un imprecisato passato biblico cooperta canens La rilevanza semantica di canere nell’accezione sacrale di ‘divinare, vaticinare’, che qualifica l’attività fatica dei profeti veterotestamentari anche in altri scrittori cristiani (Tert carn 20,3; adv. Iud 7,1; Comm apol 227; Lact inst 4,15,4 15,15; Aug civ 18,23), garantisce solennità alla profezia Stando al ThlL IV 894,29 s il verso di Giovenco è la sola attestazione nota del neutro plurale cooperta con valore di sostantivo per indicare eventi nascosti e segreti La variante comperta di M L V2 è con tutta evidenza erronea 638 euentum rerum patefecit in ordine saecli Il predicato verbale bilancia al centro del verso le due coppie sintagmatiche poste lateralmente Euentus rerum indica soprattutto nel linguaggio storiografico lo svolgersi degli eventi, passati o futuri, e non è quindi un caso che prima di Giovenco il nesso sia attestato per la poesia nell’epos storico (Lucan 5,779 e Sil 1,597 e 8,208) Per la cristianizzazione del concetto di ordo saecli / saeclorum, si veda la nota al v  656; Giovenco impiega poi la stessa chiusa esametrica già a 1,489 omnia quin fiant digesto ex ordine saecli 639 trigintă La presenza di numerali con la -a finale breve è un fenomeno molto ricorrente nei testi poetici tardoantichi, in particolare per quanto riguarda i decimali in -gintă, di cui si contano numerosi casi in autori quali Giovenco, Ausonio e Cipriano Gallo (al riguardo Vogel, p  500 e n  1340) Nel caso specifico, lo stesso trattamento prosodico di trigintă si registra anche in Cypr Gall iud 464 478; Anth. Lat 798,10 Riese2 profani Nella letteratura patristica sono così definiti i Giudei che hanno messo a morte il Signore (Ps Cypr adv. Iud 5,3 o … ciuitatem profanam et populum Domini nece cruen­ tum!; Hil in Matth 29,2 Israel profanus) Cfr anche la nota al v  562 640 hoc pretium pretiosi corporis Se l’incipit è di matrice ovidiana (fast 6,128; Pont 2,4,16 e trist 2,11), il Wortspiel creato dalla figura etymologica può ricordare Plaut Epid 120 emere pretio pretioso uelim Il nesso pretiosum corpus, che in Claud 22,451 s sarà riferito al disco dorato di Febo/ Sole, ricompare in poesia a proposito di Cristo in Ven Fort carm 3,7,21 Non è improbabile che possa trattarsi di una definizione attinta dalla lingua liturgica Analoghe formulazioni, infatti, sono successivamente attestate nella liturgia eucaristica in lingua latina e nelle traduzioni latine delle liturgie greche e orientali, quali la sezione anamnetica dell’anafora bizantina di Giovanni Crisostomo (PL 63,916,792 ποίησον τὸν ἄρτον

370

Commento

τοῦτον τίμιον σῶμα τοῦ Χριστοῦ σοῦ ~ fac panem quidem hunc pretiosum corpus Christi tui), la sezione epicletica della liturgia siriaca di Giacomo di Sarug, inizi del VI secolo (LOC 2,369 ueniat Spiritus Sanctus … et exhibeat panem quidem istum, corpus ipsum pretiosum Domini nostri Iesu Christi) e l’orazione postcommunio del Corpus Domini inserita nel Missale Romanum (ac nos, quaesumus, Domine, diuinitatis tuae sempiterna fruitione repleri: quam pretiosi Corporis et Sanguinis tui temporalis perceptio praefigurat) Cfr Giraudo, pp   301–303 In ambito liturgico (Sacr Leon 16 e Sacr Greg 132) l’aggettivo pretiosus, al pari dell’equivalente greco τίμιος (Lampe, p   1394), qualifica più comunemente il sangue di Cristo, secondo la definizione biblica di I Petr 1,19 sed pre­ tioso sanguine quasi agni incontaminati et inmaculati Christi, poi ripresa numerose volte dai Padri (Tert fug 12,4; Firm err 27,8; Ambr Iacob 1,3,11; sacr 4,4,20) e dallo stesso Giovenco in 3,611 multos redimens pretioso sanguine La paradossale contrapposizione tra la preziosità del corpo di Cristo e la cifra irrisoria pattuita per l’acquisto è un motivo ricorrente nella letteratura patristica, ed è presente in poesia in Rust Help hist. testam 29–30 commercia tanti / sanguinis exiguo peragit mens improba lucro 641 quod mox Questo incipit è già a 4,90; a termini invertiti si ritroverà in Drac laud. dei 2,253 agellum Le forme diminutive, più piene ed espressive, com’è noto, sono caratteristiche del ser­ mo uulgaris, soprattutto quando, perduta la loro forza originaria, equivalgono a nomi o ad aggettivi semplici (LHS, II2, pp  772 s ) Per quanto concerne la poesia, Axelson, pp   39–45, ha dimostrato la bassa frequenza di questo tipo di formazioni nei generi poetici ‘elevati’ (epos e tragedia) e la sua maggiore presenza in quelli più colloquiali come la commedia o la satira Rispetto all’epica tradizionale, Giovenco, in linea con la tendenza del latino cristiano, esibisce nel suo vocabolario un numero di diminutivi relativamente alto, talvolta parole già classiche, talaltra neoformazioni o termini scarsamente attestati in poesia, vuoi per esigenze metriche vuoi anche per speciali effetti stilistici: agellus (2,814; 4,641), capella (4,267), paruulus (2,551), pecusculum (2,589), pi­ sciculus (3,211), uasculum (2,140) Cfr Schicho, pp  43–45 642–652 Gesù oltraggiato dai soldati romani. Del dileggio subito da Cristo nel pretorio romano parlano anche Marco (15,6–14) e Giovanni (19,1–7), il quale aggiunge le parole con cui Pilato mostra ai Giudei Gesù flagellato; Luca omette l’episodio I versi in esame riprendono Matth 27,27–31: 27 Tunc milites praesidis susceperunt eum in praetorio et congregauerunt ad eum uniuersam cohortem. 28 Et induerunt eum tunicam purpuream et chlamydem coccineam circumdederunt ei 29 et coronam de spinis posuerunt super caput eius et harundinem in dexteram eius et adgeniculantes se ante eum deludebant eum dicentes: Haue rex Iudaeorum. 30 Et expuentes in faciem eius acceperunt harundinem et percutiebant

Commento

371

caput eius. 31 Et postquam inluserunt eum, exuerunt eum clamydem et induerunt eum uesti­ menta eius et duxerunt, ut cruci eum figerent («Allora i soldati del governatore lo prelevarono nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la coorte Gli misero addosso una tunica color porpora e lo avvolsero in un mantello scarlatto; posero sul suo capo una corona di spine e una canna nella sua destra Poi, genuflettendosi davanti a lui, lo deridevano dicendo: Ave, re dei Giudei Sputandogli in faccia, presero la canna e percuotevano il suo capo Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo») Il primo versetto subisce una significativa retractatio che stigmatizza la ferocia dei soldati romani (vv  642 s ): il poeta conserva del modello soltanto il termine generico milites, mentre elimina ogni riferimento ai tecnicismi indicanti la carica istituzionale di Pilato (praesidis), l’edificio (praetorio) e l’unità militare ivi radunata (cohortem) Un’aggiunta rispetto al testo di Matteo è la seconda parte del v  643 (scelerata ludibria praebet), che introduce la serie di umiliazioni patite da Cristo nel pretorio I vv  644 s rendono il versetto 28, con la ripresa delle medesime parole per designare la tunica e il mantello (tunicam e chlamydem) e la sostituzione dell’aggettivo coccineam con la forma sinonimica rubentem; le due voci verbali esprimenti la nozione di ‘rivestire’ (in­ duerunt e circumdederunt) sono accorpate nel solo inducunt, secondo la solita prassi compositiva che tende ad abolire i parallelismi dell’ipotesto Al secondo emistichio 645 è parafrasata la parte iniziale del versetto 29, con la resa della locuzione coronam … posuerunt mediante cinxere e con l’adiectio dell’aggettivo cruentis, che qualifica spinis Un intero verso, il 646, dilata il secondo segmento testuale del Vangelo (harundinem in dexteram eius): Giovenco spezza la linearità sintattica di Matteo e, per uariatio, trasforma il vocabolo harundo in soggetto, con l’inserimento di comitatur e di una sorta di glossa esplicativa che interpreta la canna come immagine di uno scettro (in … uicem sceptri) I vv  647 s riscrivono l’ultima sezione del versetto: il participio adgeniculantes, di uso raro e tipicamente cristiano (cfr , per es , Tert paen 9,4 aris dei adgeniculari), ha un riflesso in genibus nixi; la lunga espressione deludebant eum dicentes si riduce al solo salutant, che consente di evitare la formula di saluto in discorso diretto; di tale formula, tuttavia, sono recuperati i termini chiave (rex ~ Iuvenc regem; Iudaeorum ~ Iudaeae gentis), con l’aggiunta di un altro appellativo (dominum) L’attacco del versetto 30 è ripreso al secondo emistichio 648, in cui la clausola lauere saliuis sviluppa poeticamente il participio expuentes; Giovenco rincara la dose: gli sputi sono così tanti da inzuppare il volto di Cristo, quasi lavarlo La scena seguente, che descrive le percosse sul capo di Gesù, è in parte modificata nella riscrittura (v  649): acceperunt harundinem è omesso; caput eius ha un esito in uertice et in sancto; percutiebant è indirettamente ripreso tramite l’ablativo plagis, qualificato da nefandis; lusere del testo poetico ribadisce l’azione di scherno messa in atto dai soldati Il versetto conclusivo è riscritto ai vv  650–652: resta la proposizione temporale; l’inluserunt matteano ha un corrispondente nel sostantivo di significato affine ludibria, retto da transegit; il soggetto da plurale diviene singolare, miles … demens (v  650); non c’è la menzione della clamide (exuerunt eum clamydem),

372

Commento

ma il membro successivo è seguito puntualmente (induerunt ~ Iuvenc indutum; uesti­ menta eius ~ propriae … tegmina uestis); il poeta sdoppia il predicato verbale duxerunt in ducebat (v  651) e trahebat (v  652); rimpiazza il pronome eum con gli aggettivi sostantivati sanctum iustumque e la frase finale ut cruci … figerent con il complemento crucis ad poenam 642–643 Come si è visto, nella parafrasi non resta traccia del pretorio e della coorte citati nel passo di Matth 27,27; il fruitore dell’opera si imbatte in un gruppo di soldati anonimi, la cui nazionalità non è ben determinata Secondo Poinsotte, pp  134 s e nn 438–42, l’omissione di questi realia serve a de-romanizzare i gruppi militari, affinché i lettori non li percepiscano come milites Romani, cioè come loro ‘connazionali’ Il poeta, inoltre, ritrarrebbe tali figure come semplici esecutori delle decisioni giudaiche, strumenti passivi e privi di autodeterminazione Come spesso accade nell’opera, il poeta gioca con i contrasti e le antitesi; in questo caso egli accosta l’aggettivo sostantivato iustus, che indica la speciale prerogativa di Cristo, all’epiteto trucibus, che connota invece i soldati, e al termine sceleris: in questa contrapposizione viene così esaltata la sofferenza del giusto sopraffatto dalla violenza del mondo A rafforzare le suggestioni prodotte dalla scena cooperano alcuni accorgimenti retorici e metrici, frequentemente adottati da Giovenco: il periodo metrico, che si chiude in enjambement al v  643 con forte pausa di senso, è percorso infatti da omeottoti (traditus – iustus; trucibus – militibus), omeoteleuto (sceleris – ministris) e allitterazioni (traditus – trucibus; ministris – militibus); la ripetuta ictazione sulla sillaba -us nelle parole collocate in corrispondenza di cesure determina effetti musicali di rime interne che fissano l’attenzione sui protagonisti del dramma: trucibús (pentemimere), iustús (eftemimere), militibús (tritemimere) Soprattutto il forte iperbato e la posizione centrale conferita al soggetto suscitano nel lettore l’impressione che Cristo sia accerchiato dai suoi carnefici Nella sua versione poetica del racconto biblico Sedulio ricalca quasi alla lettera il testo giovenchiano (carm. pasch 5,164 s cumque datus saeuis ad poenam Sanctus abiret / militibus) 642 scelerisque ministris Cfr Lucr 3,61 scelerum … ministros; Ov am 1,7,27 scelerumque ministrae; Octauia 466 ministros sceleris; Lucan 6,573 scelerum … ministri; Val Fl 2,123 scelerisque dolique minis­ tram; Claud 15,270 scelerum … ministros 643 scelerata ludibria corpore praebet L’adiectio di questo segmento testuale introduce l’ingiuriosa parodia inscenata dai soldati Tale aggiunta è accompagnata, sotto il profilo metrico, dalla coincidenza di tempo forte e accento di parola, con un notevole rallentamento del ritmo rispetto all’incalzante scansione del precedente periodo metrico La lez praebet, tràdita dalla quasi totalità dei testimoni, trova sostegno in una frase simile di Ter Eun 1010 ludos praebueris; la

Commento

373

lettura minoritaria perfert sarà forse scaturita dal confronto con 3,588 scribarum pro­ cerumque ferens ludibria membris L’anomala correptio della sillaba iniziale di ludibria spinge Arevalo a emendare scelerata in scelerum, soluzione inizialmente approvata da Huemer, Kritische Beiträge, pp  97 s , che però recepisce a testo scelerata, pur congetturando in apparato sanctus Green, Problems, p  212, suggerisce sancto o piuttosto nudo come attributo di corpore, richiamandosi al resoconto di Matth 27,28 secondo cui i soldati spogliarono Gesù; avrebbe forse più probabilità sancto, se si pensa alla frequenza in Giovenco del nesso sanctum corpus a proposito della figura di Cristo Müller, Tod, p  130, accoglie invece la congettura sceleri, proposta a voce da Rudolf Kassel Quest’ultima correzione è contestata da Adkin, Emendations, p  285, sulla base di condivisibili argomentazioni di carattere stilistico, in quanto sceleri risulterebbe ridondante rispetto a scelerisque ministris del v  642; anche qui si potrebbe poi aggiungere quanto osservato a proposito del v  595; il fatto che la prima sillaba di ludibria sia dal poeta computata altrove correttamente come lunga (3,588 e 4,650) è un dato significativo ma non decisivo, dato che analoghe oscillazioni prosodiche si verificano nel poema anche per altre parole Pur con qualche esitazione conservo quindi la lezione ms , che comunque risulta semanticamente appropriata 644 purpuream … tunicam clamidem … rubentem Le parole, che si legano in coppie di sintagmi accomunati dagli omeottoti, sono organizzate in una disposizione chiastica che pone in risalto alle estremità dell’esametro gli attributi indicanti la notazione coloristica Secondo la narrazione matteana, Gesù viene rivestito di una tunica rosso-porpora, a imitazione della porpora imperiale, e di una clamide scarlatta; le due vesti sono citate insieme dai testimoni della VL e dal solo cod  D dell’originale greco (cfr Nestler, p  26; Marold, Euangelienbuch, p  341); nei loci paralleli di Marc 15,17 e Ioh 19,2 si menziona soltanto la tunica purpurea La chlamys o clamis (gr χλαμύς) è un mantello aperto sul davanti, non cucito ma fermato da una fibbia, di uso soprattutto militare (cfr Isid orig 19,24,2 chlamys est qui ex una parte in­ duitur, neque consuitur, sed fibula infrenatur. Hinc et Graece nomen accepit) La differenza cromatica tra il rosso-porpora e lo scarlatto, nel testo biblico indicato dal termine coc­ cineam, è relativamente lieve, come già annota Knappitsch, vol IV, p  71: «color purpureus autem paulum a coccineo differebat; nam color purpureus (ex coclea purpurea paratus) nigrior et magis saturatus erat coccineo, qui ex cocco factus erat)» La sostituzione con rubentem di tale aggettivo, attestato dal consenso pressoché unanime della tradizione manoscritta della VL, è dovuta soprattutto a ragioni di carattere metrico Non va tuttavia sottovalutato il valore allusivo del verbo rubeo (hapax nel poema), che nella latinità spesso indica il rosso ematico (anche in relazione alle vesti intrise di sangue), immagine evocata dall’aggettivo cruentis, che connota le spine al verso successivo (ugualmente in clausola) L’insistito richiamo ai toni del rosso veicola con un riuscito simbolismo cromatico la violenza subita da Cristo e ne prefigura la morte cruenta sulla croce Per maggiori approfondimenti sui colori presenti nel verso e sulla terminologia

374

Commento

che li denota si rinvia ad André, pp  76; 96; 347 s ; 116 s ; 347 Per la iunctura purpure­ am … tunicam si veda Varro Men 372 Astbury Regillae tunicae purpura distinguitur 645 inducunt La variante induunt di V1 Hl va respinta per evidenti ragioni metriche La correzione induerunt proposta da Arevalo e recepita da Müller, Tod, pp  131 e 133, appare del tutto superflua: il tràdito inducunt offre un senso pertinente, e il verbo in abbinamento con tunica trova un parallelo già in Verg Aen 8,457 consurgit senior tunicaque inducitur ar­ tus (altri esempi dell’impiego del verbo in questa stessa accezione sono registrati dal ThlL VII 1236,24 ss ); il cambio di tempi risulta poi perfettamente in linea con lo stile del poeta, e, come più volte osservato, il fenomeno è frequente soprattutto nel libro quarto caput cinxere cruentis La triplice allitterazione in c arresta il fermo-immagine sull’oltraggiosa coronazione di spine Per caput cinxere cfr Lucr 2,606 muralique caput summum cinxere corona; l’aggettivo cruentus nel poema connota sempre realtà direttamente collegate con la vicenda terrena di Cristo: qui e in 4,618 (l’officium di Pilato) fa riferimento a elementi inanimati; in 1,1 alla figura di Erode 646 inque uicem sceptri dextram comitatur harundo L’elemento della canna messa nella destra di Cristo è un’aggiunta di Matteo (27,29), cui si rifà Giovenco; Marco (15,17) e Giovanni (19,2) parlano solo della mantellina e della corona È interessante notare la pregnanza semantica dell’espressione dextram comitatur harundo: la canna accompagna la mano di Cristo, lo segue dove lo spingono gli aguzzini: l’oggetto inanimato acquista una vitalità negata al protagonista, completamente in balia dei soldati, in una singolare inversione di ruoli, in base alla quale l’oggetto è personificato e la persona reificata, trasformata in strumento di macabro divertimento L’incipit esametrico inque uicem appartiene alla tradizione epica Non mancano casi nella produzione poetica latina in cui sono in compresenza, non sempre in sintagma, i termini sceptrum e dextra; cfr , tra gli altri, Verg Aen 4,597; 12,206; Ov fast 6,38; Sen Herc f 331; Oed 642; Stat Theb 9,56; Sil 16,536 Questo è il solo caso nell’opera in cui è attestato il vocabolo harundo; a 2,529 si trova l’aggettivo corrispondente (stramen harundineum ~ Matth 11,7 harundinem) 647 genibus nixi Rispetto al participio adgeniculantes, tràdito dalla gran parte dei testimoni della VL, l’espressione genibus nixi è più vicina alle varianti di altri codd (genu posito di h r1 e genu flexo di aur ff1 l) In poesia il nesso è nella medesima sede di verso anche in Carm adv. Marc 3,212 quam genibus nixi simulacro pandere palmas

Commento

375

regem dominumque salutant La canzonatoria salutatio rivolta a Cristo si legge tal quale nei due passi corrispondenti di Marc 15,18 e Ioh 19,3 Giovenco espande la breve formula matteana haue rex rielaborandola in forma indiretta mediante intertesti classici riadattati ad hoc: la clausola si può accostare a Priap 3,5 huius nam domini colunt me deumque salutant e soprattutto a Mart 4,83,5 sollicitus donas, dominum regemque salutas (in preda all’ansia Nevolo saluta tutti con l’appellativo di ‘signore e padrone’) e Iuv 8,161 hospitis adfectu dominum regemque salutat (similmente un Sirofenicio accoglie Laterano, che si aggira per taverne); la terminologia impiegata da Marziale e Giovenale, con la coppia di sostantivi in funzione predicativa, appartiene alla salutatio che i clienti la mattina porgevano ai patroni, solitamente con la formula aue (o salue) domine et rex (cfr e. g. Sen ben 6,34,3; Mart  1,55,6; 2,68,2) Il contesto ironico degli intertesti, in stridente contrasto con la drammaticità della scena evangelica, veicola con maggiore enfasi l’effetto parodistico della battuta; anche il saluto di Nevolo e del Sirofenicio è, in qualche modo, seppur celato dalla ossequiosità, una burla Il verso rientra tra i casi esaminati da Simonetti Abbolito, Termini tecnici, p  59, in cui dominus viene introdotto dal poeta per rinforzare il senso dell’originale e per esplicitare quanto è sottinteso; cfr supra, nota al v  35 Ancora nel racconto della Passione con il verbo salutare il poeta introduce a 4,517 il saluto di Giuda a Cristo nel Getsemani Secondo McBrine, p  53, l’immagine dei Romani che si genuflettono ironicamente offrendo omaggi al Signore evocherebbe per opposizione la scena della sincera adorazione dei Magi narrata nel primo libro (vv  246 gaudia magna Magi gaudent sidusque salutant e 250 s tus, aurum, murram regique hominique Deoque / dona dabant); potrebbe essere un ulteriore, interessante esempio di allusività interna costruito appunto sul senso del riconoscimento della divinità di Cristo 648 Iudaeae gentis Per la parola gens, usata per rendere il titolo di ‘re dei Giudei’, cfr supra, nota al v  592 faciem … lauere Con ampliamento semantico, giocato anche sulla forza dell’ironia, il verbo equivale qui a «conspergere, madefacere» (cfr ThlL VII 1051,76 s e 1052,31 s , dove, tra altri esempi esclusivamente poetici, si riporta questo verso nella sezione «liquoribus variis») Non vi sono appigli testuali per avvalorare l’ipotesi di McBrine, p  52, per il quale nell’uso del verbo vi sarebbe una ironica allusione alla scena della Maddalena che in Luc 7,38 bagna di lacrime i piedi del Signore Tra i testimoni lucani della VL infatti solo c esibisce la forma lauit rispetto ad altre varianti maggioritarie; inoltre, come si è visto, Giovenco al solito segue per quell’episodio la Vorlage matteana, divergente da quella lucana (la donna si limita a cospargere di olio il capo di Cristo) Dubito che un lettore, in assenza di precisi e consistenti richiami interni, abbia potuto cogliervi un rinvio allusivo, eventualmente costruito comunque sul contrasto tra il gesto ossequioso della Maddalena e quello oltraggioso dei personaggi della scena in questione

376

Commento

648–649 Le clausole dei due versi (… lauere saliuis / … lusere nefandis) producono un effetto di rima, potenziata da allitterazioni e omeottoti che danno grande enfasi alla descrizione dell’oltraggio Stilisticamente efficace risulta l’insistita omeoteleutia in -is; la sillaba desinenziale è poi due volte interessata da tempo forte nelle parole poste in corrispondenza di cesura (… gentís //… saliuis / … plagís //… nefandis) 649 uertice et in sancto plagis lusere nefandis Il gioco antitetico è ottenuto con l’accostamento di aggettivi indicanti qualità opposte: alla santità del capo di Cristo (sancto è rilevato dall’incisione pentemimere) si contrappongono le percosse scellerate (nefandis è anch’esso in posizione di rilievo nella clausola) Il vocabolo uertex sta a indicare la testa di Cristo anche in 4,413 ab summo perfundit uertice Christum (l’unzione di Betania) e 567 colaphique in uertice crebri (i pugni ricevuti da Gesù nel cortile di Caifa), luogo affine a quello in esame per analogia contestuale A differenza del passo biblico, in cui i colpi sono dati con la canna (Matth  27,30 acceperunt harundinem et percutiebant caput eius), il poeta parla genericamente di plagae, ma rappresenta la scena con vigorosa carica emotiva rimarcando nuovamente il concetto di scherno mediante il verbo ludo, che già in 4,572 definisce la derisione subita da Cristo durante il processo giudaico, e l’empietà del gesto mediante l’aggettivo nefandus Quest’ultimo è impiegato in 3,46 170 a proposito, rispettivamente, delle nozze di Erode con Erodiade e dell’infedeltà coniugale 650 miles … demens Nelle sue undici occorrenze il termine miles ha valore di nome collettivo solo in questo caso A 4,675 demens qualifica la folla irridente ai piedi della croce 651 indutum … tegmina uestis In costruzione con induere Giovenco adotta tanto l’accusativo quanto l’ablativo (vv  688 s ); cfr Hatfield, § 38, p  9 L’accumulo di termini relativi al vestimento vuole sottolineare che il protagonista trova nelle sue vesti riparo e protezione La clausola ricorda quella di Sil 1,673 lacerato tegmine uestis Nel poema tegmen e uestis ricorrono insieme, in sintagma e non, ancora a 2,443 non geminas uestes nec plantis tegmina bina, 4,275 uestis blandissima tegmina e 290 s uestisue parumper / tegmina 652 sanctum iustumque trahebat Sanctus e iustus sostantivati ritraggono le peculiari caratteristiche di Cristo già ribadite ai vv  642 e 649; tali aggettivi, in genere adoperati singolarmente, sono appaiati pure a 2,773, passo relativo ai profeti di Matth 13,17 Nella rappresentazione poetica il protagonista viene trascinato verso l’esecuzione capitale; come al v  589 praesidis ad gremium magno clamore trahebant, in cui Gesù viene condotto prigioniero al tribunale di Pilato, anche in questo caso l’azione è espressa dal verbo traho, quasi un riecheggiamento

Commento

377

interno che chiude in struttura anulare la fase processuale, introducendo il cammino verso la croce 653–686 La crocifissione. Sulla falsariga di Matteo (27,32–44) si apre la lunga pericope che descrive il viaggio di Cristo verso il Golgota aiutato dal Cireneo, la crocifissione (con l’iscrizione titolatoria e la divisione delle vesti), il dialogo con i due ladroni e la derisione dei farisei Per comodità del lettore analizzeremo il brano in due blocchi, che corrispondono ai momenti più significativi dell’intero racconto 653–666 I versi seguono Matth 27,32–37: 32 Exeuntes autem inuenerunt hominem Cyrenaeum ue­ nientem obuiam sibi nomine Simonem; hunc angariauerunt, ut tolleret crucem eius 33 Et uenerunt in locum, qui dicitur Golgotha, quod est Caluariae locus 34 Et dederunt ei bibere uinum cum felle mixtum; et cum gustasset, noluit bibere 35 Postquam autem crucifixerunt eum, diuiserunt sibi uestimenta eius sortem mittentes, ut impleretur quod dictum est per prophetam dicentem: Diuiserunt sibi uestimenta mea et super uestem meam miserunt sor­ tem 36 Et sedentes seruabant eum 37 Et posuerunt supra caput eius causam eius scriptam: Hic est Iesus rex Iudaeorum («Mentre uscivano, si imbatterono in un uomo di Cirene, chiamato Simone, che veniva verso di loro, e lo costrinsero a prendere la croce di lui Giunsero al luogo chiamato Golgota, che significa ‘luogo del Cranio’ Gli diedero da bere del vino misto a fiele ed egli, dopo averlo assaggiato, non volle bere Dopo averlo crocifisso, si divisero le sue vesti, tirando a sorte, affinché si adempisse la profezia del profeta, che dice: Si sono divisi tra loro i miei abiti e sopra la mia veste hanno gettato la sorte E, messisi a sedere, gli facevano la guardia Posero poi sopra la sua testa la scritta col motivo della sua condanna: Gesù re dei Giudei») La prima parte del versetto 32 corrisponde ai vv   653 ss , che ne sono una riscrittura abbastanza fedele: dopo la variazione sinonimica (exeuntes ~ egressi), Giovenco mantiene il nome proprio del personaggio con l’aggiunta dell’indefinito quendam, cambiando il denominativo Cyrenaeum nel nome corradicale indicante la terra di provenienza (Cyrena); elimina le voci verbali inuenerunt e uenientem e introduce cepere che rimarca il forzato coinvolgimento di Simone nell’azione Anche la seconda parte trova al v  654 un riscontro puntuale, realizzato con semplici sostituzioni lessicali (an­ gariauerunt ~ Iuvenc iubebant; tolleret ~ adferre; crucem ~ lignum) e l’omissione dei pronomi (hunc ed eius) Originale adiectio sono invece i vv   655 s tesi a sottolineare l’ineluttabilità della morte di Cristo La narrazione prosegue quindi aderente al modello La frase principale del versetto 33 viene trasformata (v  657) in temporale, con il mantenimento del nome Golgotha, la sostituzione di locus con rus e la soppressione della glossa esplicativa che ne traduce il significato latino (quod est Caluariae locus) Il versetto 34 è sviluppato in due versi, che presentano poche, irrilevanti modifiche: del segmento iniziale il v   658 riprende anche la terminologia (dederunt  ~ Iuvenc dant;

378

Commento

uinum resta; cum felle mixtum ~ permixtum felli), salvo la resa di bibere con il sostantivo pocula, che esprime il medesimo concetto, e del pronome ei con Christo; al v  659, dopo l’inserimento del soggetto ille, il segmento conclusivo subisce cambiamenti di carattere puramente formale, che costituiscono delle semplici rielaborazioni poetiche (cum gustasset ~ Iuvenc in summo gustu tractata; noluit bibere ~ recusat) Il v  660 richiama le antiche profezie sulla morte di Cristo (cfr infra, nota ad loc ) Il v  661 non ha un corrispondente biblico L’attacco del versetto 35 è ampliato al v  662 in un riadattamento che dell’originale recupera in parte soltanto il verbo crucifixerunt (~ cruci fixum) Quanto ai vv  663 s , secondo Braun-Engel, Quellenwechsel, pp  123–128, essi lasciano supporre una contaminazione con il brano parallelo di Ioh 19,23 s , il quale, diversamente dai sinottici (Matth 27,35; Marc 15,24; Luc 23,34), distingue tra gli abiti di sopra e la tunica di sotto e aggiunge che questa era tessuta senza cuciture e che dunque fu tirata a sorte perché spettasse a un solo soldato (erat autem tunica rudis, desuper contexta per totum. Dixerunt ergo ad alterutrum: Non scindamus eam sed sortiamur de illa, cuius sit, ut scriptura implea­ tur: Diuiserunt uestimenta mea et in uestem meam miserunt sortem. Et milites quidem haec fecerunt) Il versetto 36 non è parafrasato Riguardo al versetto 37, ai vv  665 s Giovenco cambia posuerunt in locarunt; sostituisce titulum a causam, che recupera con diversa funzione sintattica, e aggiunge meriti; elimina supra caput eius e riscrive in forma indiretta il titolo della condanna, con l’omissione di Iesus e l’ampliamento di Iudaeorum in Iudaeae plebis gentisque, come da consuetudine 653 ecce sed egressi Richiama l’incipit del v  574 ecce sed egressum (Pietro uscito nel cortile di Caifa) 653–654 Simonem / Cyrena genitum Marco (15,21) aggiunge altri particolari sul personaggio, dicendo che era padre di Alessandro e Rufo, evidentemente noti all’Evangelista e agli ambienti cui egli si rivolgeva; in Rom 16,13 si menziona un certo Rufo che potrebbe essere identificato con il figlio di Simone Non è chiaro se il Simone del passo evangelico sia lo stesso di cui si parla in act 13,1 Con il nome Cyrena viene indicata la Cirenaica, una regione dell’Africa settentrionale, la cui capitale era appunto Cirene; di uso più frequente nella prosa latina è il termine Cyrenaica (incompatibile con l’esametro); cfr Perin, II, s. v. Cyrena, pp  536 s La costruzione di gigno al participio perfetto con l’ablativo della località è attestata sia in prosa sia in poesia (Ov met 5,187; Sil 17,404; Val Max 1,1,3; LHS II2, § 73, p  105) 654 lignum La sineddoche indicante la croce come a v  681 evita la ripetizione con crucis del v  652 e crea l’efficace omeoteleuto con genitum, collocato ugualmente in corrispondenza di cesura pentemimere Come nel caso dell’equivalente gr ξύλον, la sostituzione della parola esprimente il materiale con quella esprimente la funzione rimonta all’uso scritturistico fatto proprio dai Padri (Itala act. 5,30; 13,29; I Petr 2,24; Tert adv. Iud 10,11; 13,11;

Commento

379

adv. Marc 3,19,1; cfr ThlL VII2 1389,16 ss ) Giovenco chiama lo strumento del supplizio anche arbor (v  662) e stipes (v  700) Se la uariatio e il ricorso alla sineddoche rientrano nelle caratteristiche del linguaggio poetico, non va dimenticato, come nota Roberts, Biblical Epic, p  200, che la scelta del lessico in conformità all’esegesi patristica, secondo cui Cristo è il frutto salvifico che pende dall’albero della croce, risente delle numerose suggestioni bibliche veterotestamentarie, dall’equazione tra la croce e l’albero genesiaco della conoscenza del bene e del male alla maledizione di deut 21,23 e a psalm 1,3 L’immagine metaforica dell’arbor crucis avrà fortuna non solo nella poesia cristiana antica (Paul Nol carm 31,129; Ven Fort carm 2,3,7–10), ma anche nella successiva tradizione esegetica medievale, dal Lignum uitae di Bonaventura da Bagnoregio all’Ar­ bor uitae crucifixae di Ubertino da Casale Per una analisi sulla presenza della croce nell’esegesi patristica si veda Piscitelli Carpino, pp  129–152 A v  755 lignum conserva il valore proprio di ‘legno’ in sintagma con crux; a 1,662 allude invece alla trave nell’immagine della pagliuzza e dell’occhio di Matth 7,4 655–656 I due versi aggiunti dal poeta ricordano che la morte in croce del Signore si inserisce nel progetto salvifico di Dio, la cui volontà determina gli eventi della storia La sottomissione di Cristo a tale volontà immutabile prende corpo al v   655 attraverso la scansione delle tre incisioni maschili e un gioco di omeoteleuti e allitterazioni, che imprimono enfasi alle parole, evidenziando soprattutto la durezza del comando (domi­ num // lucis // iussis // suffigere saeuis) Al verso successivo il ritmo prevalentemente spondiaco accompagna un lessico già ridondante teso a rimarcare l’incalzante pressione di questo ordo 655 dominum lucis L’appellativo, che si incontra due volte negli Euangeliorum libri (4,655 e 812), attinge dalla simbologia cristiana della luce, attraverso la quale nell’uso linguistico della Bibbia sono caratterizzati Dio, le sue opere e, come Figlio del Padre, Cristo stesso, in relazione alla luce che lo circonda e che egli porta ai giusti in qualità di messia (Matth 4,16 [Is  8,23; 9,1]; Luc 2,32; Ioh 1,9; 8,12; 9,5; cfr ancora Matth 17,2; Ioh 3,19–21; 12,35–36 46; 1 Ioh 1,5–7; 2,8–10) Analoghi titoli messianici sono usati da Giovenco a 1,747 parens lucis; 3,109 doctor lucis e 4,479 repertor lucis L’ampia messe di testimonianze bibliche, liturgiche, patristiche ed esegetiche esibite da Fontaine, Dominus lucis, pp  133 ss , mostra la serie di implicazioni teologiche e culturali che tale titolo assume nell’opera La funzione sintattica di lucis non è univoca Potrebbe essere un genitivo oggettivo, come altri retti da dominus in giunture classiche e cristiane recuperate dal parafraste (rerum d Verg Aen 1,282; Ov Pont 2,2,12; Lucan 5,699; 6,595; Mart 12,49,2; 14,124,1; Arnob nat 3,2; Iuvenc 4,164 300; terrae/terrarum d Hor carm 1,1,6; 3,1,36; Ov Pont 1,9,36; 2,8,26; Lucan 8,208; Stat silv 3,4,20; mundi d Lucan 8,242; 9,20; Sen epist 9,20; Iuvenc 1,97; caeli d Octauia 204; Matth 11,25; act. 17,24; Iuvenc 1,35 406; 4,40), nel senso

380

Commento

di ‘Signore che domina sulla luce’, intesa come la luce cosmica (il sole, la luna, gli astri) Potrebbe trattarsi di un genitivo epesegetico, di identità/inhaerentiae o di qualità, a richiamare il carattere epifanico di Cristo (cfr 4,767 e 790), con una sfumatura quasi aggettivale di ‘luminoso’ (cfr Löfstedt, Syntactica I, pp  281–83; LHS, II, pp  64 e 70); oppure, come sostiene Röttger, pp  121 s , un genitivo di scopo o azione, esemplato su corrispondenti forme del greco biblico (Blass–Debrunner–Rehkopf, § 166, pp  137 s ), con il valore di ‘Signore che porta la luce’ iussis suffigere saeuis Alla luce di quanto osservato sopra, gli ‘ordini crudeli’ potrebbero essere quelli di Pilato, come intende Fontaine, Dominus lucis, p  137, oppure quelli di Dio, che ha prestabilito fin dall’eternità la dura sorte del Figlio Il sintagma iussa saeua è in poesia a Val Fl 3,47 (iussa ferens saeuissima Matris) Per suffigere a proposito di crocifissioni cfr Hor sat 1,3,82; Sen contr 7,6,14; Val Max 2,7,1; 6,2,3; Sen epist. 101,12; in relazione alla morte di Gesù cfr Carm adv. Marc 5,168 compungit caput, et ligno suffigitur ipse e Comm apol 417 suffigitur clauis, quod Dauid praedixerat olim 656 instans urgebat Cfr Verg Aen 10,433 hinc Pallas instat et urget; la medesima ridondanza verbale è nel contesto escatologico di 2,286 et nunc instantis cursus iam temporis urget, parafrasi di Ioh  4,23 sed uenit hora et nunc est saecli inmutabilis ordo La crocifissione fa parte di un ordo saecli, una prestabilita sequenza di eventi che devono compiersi; questo ordine del tempo ha per Giovenco una portata cosmica, parte dal principio del mondo e coinvolge le tappe della vita di Cristo dalla incarnazione alla morte, dal battesimo annunciato dalle Sacre Scritture (1,307 interea ueteris scripti per debita currens / omnia saeclorum series promissa trahebat) a ogni altro evento della storia umana (1,489 omnia quin fiant digesto ex ordine saecli) Il lessico scelto rispecchia quello virgiliano di ecl 4,5 magnus ab integro saeclorum nascitur ordo (è la dottrina del Grande Anno: con il ciclo finale, quello di Sole-Apollo, il susseguirsi delle epoche riprenderebbe dall’iniziale età dell’oro; cfr Stat silu 4,3,137 magnus te manet ordo sae­ culorum) o di Aen 3,375 s sic fata deum rex / sortitur uoluitque uices, is uertitur ordo e 5,707 quae fatorum posceret ordo Anche sulla scorta di questi precedenti, Fontaine, Do­ minus lucis, p  137, n  42, commentando soprattutto l’attributo inmutabilis sostiene che l’immutabilità di cui si parla non è quella divina ma piuttosto quella classica dell’ordo fatorum, in una prospettiva ancora legata al fatalismo stoico (Cic fat 58 esse causas immutabiles easque aeternas; Quint inst. 2,13,1 immutabili necessitate) La tesi pare però smentita da una lettura più attenta del poema in cui, come mostrato da Fichtner, p  53, e da Heinsdorff, p  181, termini come iustitia, ordo e iussa rappresentano la volontà di Dio secondo una visione ormai tipicamente cristiana; anche Knappitsch, vol IV, p  72,

Commento

381

intende l’espressione di 4,656 come «dei certa uoluntas» In questo senso assumono valore probante quei contesti in cui l’impiego di tale terminologia rinvia in modo più diretto all’annuncio di ordini divini, cioè le profezie veterotestamentarie che nella sua missione salvifica Cristo deve adempiere (1,412 ut dictum Esaiae concurreret ordine lon­ go; 2,825 s ueteris quo possent dicta profetae / ordine saeclorum iussis concurrere rebus) Quanto all’aggettivo, tipico del lessico filosofico latino a partire da Cicerone e Lucrezio e di raro uso poetico, va notato che esso compare ancora in relazione all’adempimento delle scritture in 1,405 haereat ut semper nobis inmobile iussum Tutte le altre attestazioni poetiche del termine si registrano poi prevalentemente in autori cristiani, che con esso definiscono l’immutabilità del tempo eterno (Carm de resurr 195) e soprattutto del Verbo (Orient carm. app 3,26; Rust Help hist. testam 46), in accordo con una nozione formulata fin dagli apologisti greci con il concetto di ἀναλλοίωτος (Braun, pp  57– 59) e divenuta nel corso del IV secolo strumento di polemica antiariana per ribadire la consustanzialità di Padre e Figlio Interessante il recupero della clausola giovenchiana da parte di Prospero di Aquitania, che in epigr 58,3 s sviluppa l’idea di Dio come causa prima di tutte le cose, artefice eterno alle cui leggi sottostà un ordine immutabile di tutta la natura (hinc mutabilium rerum immutabilis ordo, / aeterni seruit legibus artificis) In chiusura, mi sembra quindi che Giovenco, secondo una prassi che gli è propria, operi una risemantizzazione di categorie e linguaggio della precedente tradizione poetica e filosofica latina rovesciandone i contenuti in un orizzonte strettamente cristiano 657 at postquam uentum est, ubi Un possibile parallelo è dato da Ov fast 5,93–96 Hic, ubi nunc Roma est, orbis caput, arbor et herbae / et paucae pecudes et casa rara fuit: / quo postquam uentum est, ‘consisti­ te’, praescia mater / ‘Nam locus imperii rus erit istud’ ait È credibile, come ipotizzato da Müller, Tod, p  144, che il poeta rievocando l’immagine ovidiana degli albori di Roma abbia voluto dire che il Golgota sul piano teologico è «als Ursprungsort des Heiles dem teleologischen Rom entgegengestellt» L’incipitario At postquam apre anche il v  4,611 Un inizio di esametro molto simile si trova anche nella periocha Odyssiae 11 attribuita ad Ausonio (at postquam uentum ad naues et litora ponti) Golgotha Va ripristinata la grafia Golgotha (calco del gr Γολγοθᾶ) della quasi totalità dei mss degli Euangeliorum libri, della VL e della Vulgata La grafia Golgatha seguita da Huemer è attestata in poesia soltanto nel componimento mediolatino (XII sec ) Iudas 2,404; nelle altre occorrenze poetiche il nome presenta invece la forma alternativa, che è maggiormente diffusa (Carm. adv. Marc 2,196 e Ps Cypr pasch 2) Il cod V1 esibisce isolatamente la variante Gulgotha tràdita da alcuni testimoni della VL nel passo corrispettivo di Ioh 19,17 Il luogo in cui Gesù fu crocifisso è menzionato anche da Marc 15,22 e Ioh 19,17 Il nome deriva dalla parola aramaica gūlgūtā e viene tradotto nei Vangeli con ‘luogo del cranio’ (Κρανίου Τόπος: Matth 27,33; Marc 15,22; Ioh 19,17) o

382

Commento

semplicemente ‘cranio’ (Κρανίον: Luc 23,33), designazione dovuta alla configurazione del terreno simile appunto a un cranio L’etimologia è testimoniata anche da Girolamo, che fa derivare il termine dalla lingua siriaca (nom. hebr p  60, 18 Lagarde Golgotha, caluaria. Syrum est, non Hebraeum); cfr Perin, I, s. v. Golgotha, p  680 658 permixtum felli uinum Cfr Sen Med 829–832 habeo flammas / … / quas permixto felle Medusae / tacitum iussi seruare malum Per altre attestazioni di permiscere con il dativo cfr Stat Ach 1,811 is decor et formae species permixta uirili e ThlL X 1544,42–1545,69 uinum dant pocula Il metonimico pocula è predicativo dell’oggetto uinum Per dare in sintagma con po­ culum cfr , per es , Ov met 7,421; 14,276 287 (data pocula); Mart 9,94,1 (dedit mihi pocula); 11,26,4 (pocula da labris); Ser med 1068 (dederat quae pocula) 659 in summo gustu tractata In summo vale ‘a fior di labbra’; si può anche pensare che a in summo sia sottinteso poculo, e che l’espressione faccia riferimento all’orlo della coppa Gustus significa qui ‘modica assunzione (di bevanda)’, ‘piccolo sorso’, come segnalato in ThlL VI 2370,21 s «actus uescendi, cibi aut potionis assumptio» Per analoghi usi di tractare cfr Hor epist 2,1,235 s sed ueluti tractata notam labemque remittunt / atramenta e Lucr 2,398–399 huc accedit uti mellis lactisque liquores / iucundo sensu linguae tractentur in ore recusat Lo stesso verbo sarà usato da Hil in Matth. 33,4,7 oblatum quoque uinum felli admixtum bibere recusauit; non enim aeternae gloriae incorruptioni peccatorum amaritudo miscetur 660–661 ut satis antiquis fieret per talia dictis, / nec tamen insultans hominum furor omnia posset Marold espunge il v  660 ut satis antiquis fieret per talia dictis, in quanto nell’attuale posizione esso non avrebbe alcuna corrispondenza nell’ipotesto (Matth 27,34–35) Il riferimento più immediato alle profezie è infatti quello a psalm 21,19 diuiserunt sibi uesti­ menta mea et super uestem meam miserunt sortem, che si legge in Matth 27,35b (benché la citazione non sia attestata in maniera omogenea in tutti i mss della VL Cfr altresì Marc 15,24; Luc 23,34; Ioh 19,24 e Widmann, pp  33 s ) Per questa ragione già Arevalo, pur stampando il testo tràdito, nella nota ad loc , p  334, suggeriva con qualche cautela di posporre il v  660 dopo il v  664 Per quanto riguarda il v  661, i codd , come si evince da Hansson, pp  56 s , si dividono tra posset (P2 K1 K21 T2 Ma Ph2 Sg P3 Hl Ca Bx Ca2), possit (C2 K22), poscet (R1), poscit (cett ) Il testo stabilito da Huemer reca omnia poscit, il cui senso è problematico Le traduzioni moderne offrono soluzioni non pienamente soddisfacenti Knappitsch, p  73, rende con «nicht jedoch fordert die Wut der Menge

Commento

383

Erfüllung in allem» riconoscendo nel commento che il passaggio è di difficile lettura Castillo Bejarano, pp  236–237 («y sin embargo la cólera insolente de los hombres non se la exige toda»), e Galli, pp  259–260 («Ma la furia insolente degli uomini niente risparmiò») pospongono la traduzione del verso dopo quella del v  664; nella resa della studiosa italiana, inoltre, l’interpretazione di nec … omnia poscit esprime un concetto del tutto contrario a quello del testo latino McGill, p  171 («Men’s sneering rage did not demand all things to satisfy the ancient statements thus») lega ut satis … fieret a poscit del verso successivo; il senso è però poco chiaro, e sembra quasi che il poeta faccia dipendere la realizzazione delle antiche profezie dal volere della folla Per Green, Emendations, p   12, che ritiene valido il testo fissato da Huemer, il verso sarebbe un inciso meditativo del poeta sul limite che i presenti si sarebbero dati nell’umiliare il Signore Tale spiegazione contrasta tuttavia con la tendenza di Giovenco a rappresentare negativamente gli oppositori di Cristo L’ambiguità del testo huemeriano impone, dunque, di prendere in considerazione le altre varianti Hansson, p  57, preferisce posset o possit e riferisce il contenuto del v  661 a quello del v  659 Per quanto riguarda l’eventuale cambio di tempo fieret / possit, lo studioso cita il caso analogo di 4,92–94 rogabant, / ut sibi uenturi tempus distingueret aeui, / promissa ipsius quem poscant prende­ re finem; registra infine analoghe alterazioni grafiche: 3,277 possunt corrotto in poscunt e 4,94 poscant corrotto in possent Questa proposta di lettura sembra risolvere anche il problema della incongruenza sintattica data, in assenza di un’altra proposizione coordinata, dall’inatteso nec tamen in apertura della frase principale Il testo risulta al contrario più scorrevole grazie alle due coordinate finali, e anche perfettamente simmetrico se si recepisce la lez maggioritaria posset (fieret … / nec … posset) A questo punto, il senso complessivo del passo, con il v  661 così restituito e nella sua attuale collocazione, sembra ben chiarito da Petringa, pp  118–119: secondo la studiosa il Signore limitandosi ad assaggiare il vino adempie la profezia di psalm 68,22 et dederunt in escam meam fel, et in siti mea potauerunt me aceto (a cui farebbe riferimento il nesso giovenchiano anti­ quis … dictis), non bevendolo oppone invece la sua ferma resistenza ai capricci della folla Si vedano anche le conclusioni di Müller, Tod, pp  146 s 660 antiquis … dictis Poinsotte, p  95 e nn 306–309, nota che in 31 casi Giovenco appone qualificazioni alla Legge e ai Profeti, ma soltanto in otto occasioni egli accenna alla loro santità e allo spirito di giustizia; generalmente il poeta si limita a ribadire l’antichità dei fondamentali precetti giudaici tramite gli aggettivi antiquus (1,185 536; 4,660), priscus (1,122 483; 2,565; 4,728) e uetus (1,234 307 484 496 531; 2,104 533 564 569 676 773 825; 3,136 344 504 633), differenziati da una sottile sfumatura di significato: antiquus designa un passato venerabile; priscus implica la nozione di rispetto o venerazione e uetus esprime il concetto di deteriorità in opposizione a nouus È soprattutto con l’uso maggioritario di quest’ultimo (17 occorrenze) che Giovenco parla dell’Antica Legge mosaica in contrapposizione alla Nuova

384

Commento

662 cruci fixum Müller, Tod, p   148, accoglie crucis di un ristretto numero di testimoni e connette il genitivo con in arbore La variante cruci, oltre a essere maggioritaria, trova un parallelo in Iuvenc 3,589 adfixusque cruci post tertia lumina surget Il dativo e il participio separati in luogo della forma crucifixus sono inoltre spesso attestati nella letteratura latina (ThlL IV 1220,65 ss ) Al contrario solo raramente e in autori cristiani più tardi si incontra la giuntura crucis arbor (Chromat in Matth 42,6; Max Taur serm 37,2) Per approfondimenti sulle più antiche raffigurazioni cristiane della croce, cfr GiordanoKahn, pp  78–84 iamque … fixum … in arbore corpus L’immagine del Signore inchiodato all’albero della croce avrà richiamato alla mente del poeta la descrizione ovidiana del corpo straziato delle Eliadi trasformate in alberi (met 2,362 s nostrum laceratur in arbore corpus. Iamque uale) Per il lessico è possibile altresì un confronto con Cic Arat. 68 Soubiran tum fixum tremulo quatietur frigore cor­ pus, dove si parla del Capricorno e fixum traduce l’hapax μαλκιόωντι del modello greco e dunque significa ‘irrigidito’, ‘contratto’, senso che non pare attestato altrove pendebat in arbore Cfr Verg ecl 1,37 cui pendere sua patereris in arbore poma e Tib 2,5,29 pendebatque uagi pastoris in arbore uotum Il sintagma preposizionale è nella medesima sede esametrica in Ov met 4,131 La sineddoche si lega al valore simbolico dell’immagine dell’albero commentata al v  654 663–664 L’ingorgo sintattico di questi due versi, in cui alcuni lessemi ed espressioni sono ἀπὸ κοινoῦ, crea non poche difficoltà al traduttore Il testo aveva posto problemi già agli editori cinquecenteschi, tanto che Poelmann emendava il tràdito intactae … tunicae (v  663) in intactam … tunicam, modifica accolta da Reusch, che nel commento ad loc , p   432, chiosa: «ut miles unicus textum […] integrum possidendum seruaret, hinc factum est, ut possessio affectata a pluribus, quae tamen uni solum cedere debebat ac poterat, daret seu mitteret intactam tunicam» Green, Problems, p  212, dubita della attendibilità del testo edito da Huemer e suppone una lacuna; Müller, pp  148–150, accoglie infine la congettura intactum  … textum suggeritagli da Rudolf Kassel, una proposta che tuttavia non risolve la complessità del brano, data piuttosto dal soggetto astratto possessio e dal significato da attribuire al verbo dedit Qualsiasi interpretazione deve muovere dal dato di fatto che la tunica non fu divisa in alquante parti, perché, come da ipotesto giovanneo, essa fu assegnata in seguito a sorteggio ad uno solo tra tutti i soldati presenti La giuntura militis unius, che potrebbe anche essere unita, così da formare un solo insieme sintattico, con sub sorte per omnes («in seguito al sorteggio di un solo soldato tra tutti»), va piuttosto intesa come un genitivo soggettivo dipen-

Commento

385

dente dall’astratto verbale possessio Quanto al nesso intactae tunicae, sembra difficile considerarlo un dativo, come fa Arevalo, p  335, che assegna a dedit il non altrimenti attestato significato di conseruauit («possessio … dedit intactae tunicae textum, uidelicet conseruauit tunicae suum textum» Si tratta di un genitivo Per quanto riguarda la reggenza, si potrebbe pensare a sorte («in seguito al sorteggio della tunica indivisa»), oppure dal nominativo possessio («la proprietà della tunica indivisa»); credo però che la soluzione più comoda sia legare il genitivo all’accusativo textum: «la proprietà di un solo soldato sorteggiato tra tutti diede a lui [a quel soldato] il tessuto della tunica indivisa, preservandolo» Dopo il v  662 in alcuni codd , tra cui M R (in margine) K1 P T3 N (cfr Hansson, p  85), si legge il verso spurio uestesque milites quattuor partiuntur in partes, chiaramente non compatibile con la struttura esametrica Si tratta di una glossa marginale poi confluita nel testo e riconducibile al testo di Ioh 19,23a milites ergo cum crucifixissent Iesum, acceperunt uestimenta eius et fecerunt quattuor partes, unicuique militi partem 663 sub sorte per omnes Due sintagmi preposizionali consecutivi Il primo, che ha precedenti poetici solo negli Astronomica di Manilio (1,110; 2,215 243; 4,300), rientra nella più ampia casistica di costrutti retti dalla preposizione sub (Colombi, Preposizioni, pp  19 s ) Il secondo ha valore distributivo come in 2,150 deteriora prius per mensas uina dedisset 664 textum Müller, Tod, p  150, rileva che in Virgilio il sostantivo textum è attestato solo una volta ad Aen 8,625 hastamque et clipei non enarrabile textum, verso che avvia l’ekphrasis dello scudo di Enea, istoriato con i futuri trionfi del popolo romano È suggestivo pensare che Giovenco abbia voluto contrapporre, tramite un più sottile gioco allusivo denso di implicazioni simboliche, lo scudo di Enea e l’umile tunica del Signore, evocando idealmente una contrapposizione tra la storia della Roma pagana e quella della nuova Roma cristiana 665 titulum Il titulus (gr τίτλος) era una tavoletta imbiancata su cui veniva scritto il motivo della condanna con inchiostro nero; il cartiglio veniva in genere appeso al collo del condannato oppure lo precedeva Nel caso di Gesù invece esso fu affisso sulla croce Giovanni (19,19–20) precisa che il libello di iscrizione era in tre lingue (ebraico, latino e greco) e che fu Pilato stesso a comporlo meriti Bulhart (ThlL VIII 820,34 s ) riporta il v  665 tra i casi in cui meritum avrebbe il significato di ‘carica’, ‘grado’, in relazione al titolo di ‘re’ scritto sulla tabella; il termine potrebbe anche intendersi nella sua accezione più estensiva e negativa di ‘colpa’, ‘reato’, ampia-

386

Commento

mente attestata presso gli autori classici e cristiani (ThlL VIII 814,51–76) Il fatto poi che si tratti di una semplice sezione diegetica porta a escludere che vi sia qui una forma di Ironie, come invece suggerisce Müller, Tod, p  152 666 Simonetti Abbolito, Termini tecnici, p  67, n  28, registra questo verso tra i casi in cui Iesus del modello viene cassato Tali omissioni si verificano sia quando il nome è utilizzato da solo, come, per es , in Matth 20,17 (Iesus Hierosolyma adsumpsit ~ Iuvenc 3,584 Solymos repetit), sia quando è unito ad altre espressioni o attributi che ne specificano alcune particolari prerogative, come nel nostro caso o come in 2,55 regnantis semper Domini certissima proles, che rende Matth 8,29 quid nobis et tibi, Iesu, Fili Dei? Diversamente da Marco (15,26 ὁ βασιλεὺς τῶν Ἰουδαίων) e Luca (23,38 ὁ βασιλεὺς τῶν Ἰουδαίων οὗτος), che a proposito dell’iscrizione riferiscono soltanto il titolo di ‘re dei Giudei’, Matteo e Giovanni (19,20) menzionano esplicitamente il nome di Gesù 667–686 La versione poetica procede secondo il racconto di Matth 27,38–44: 38 Tunc crucifixi sunt cum eo duo latrones, unus a dextris et alius a sinistris 39 Transeuntes autem blasphe­ mabant eum mouentes capita sua 40 et dicentes: Va qui destruebas templum Dei et in triduo illud reaedificabas; libera te, si filius Dei es, et descende de cruce 41 Similiter et principes sacerdotum deludentes cum scribis et Pharisaeis dicebant: 42 Alios saluos fecit, se ipsum salu­ um facere non potest. Si rex Istrahel est, descendat de cruce nunc et credimus ei 43 Si confidit in Deo, liberet nunc eum, si uult eum; dixit enim, quia Dei filius sum 44 Id ipsum autem et latrones, qui crucifixi erant cum eo, improperabant ei («Allora furono crocifissi con lui due ladroni, uno a destra e l’altro a sinistra Quelli che passavano lo bestemmiavano, scuotendo il capo e dicendo: Oh, tu che distruggevi il tempio di Dio e in tre giorni lo ricostruivi, salva te stesso, se sei il Figlio di Dio, e scendi dalla croce! Nello stesso modo anche i capi dei sacerdoti insieme con gli scribi e i farisei si beffavano di lui dicendo: Ha salvato gli altri e non può salvare se stesso Se è il re d’Israele, scenda dalla croce ora e gli crediamo Se confida in Dio, Egli lo liberi ora, se lo ama; poiché ha detto: Io sono il Figlio di Dio Similmente lo insultavano anche i ladroni, che erano crocifissi con lui») Il versetto introduttivo è ripreso in forma altrettanto stringata ai vv   667 s , che trasformano la frase principale di Matteo in una completiva retta da accidit, ut: il verbo esprimente il supplizio si trasforma in una perifrasi, che rende anche il senso di cum eo (pariter poenae consortia ferrent); il soggetto resta identico, mentre le due locuzioni di luogo (a dextris e a sinistris) sono sostituite dagli avverbi hinc e inde Più libera è la riscrittura del versetto successivo (vv  668 s ): della struttura di base rimangono solo pochi elementi (insultant è riflesso di blasphemabant; fixo … Christo esplicita il pronome eum), inseriti in un’amplificazione che rimpiazza il riferimento ai passanti con un soggetto astratto (plebis … uaesania) e una rete di qualificazioni indicanti la cecità e la collera del popolo Le prime battute del versetto 40 sono riportate, sempre in forma diret-

Commento

387

ta, ai vv  670 s : scompare l’interiezione Va; il pronome qui è rafforzato da hic e ripetuto due volte negli incipit, con l’incremento di solus nel primo caso; i due verbi (destruebas e reaedificabas), relativi alla distruzione e alla ricostruzione del tempio, sono ripresi mediante forme sinonimiche all’infinito rette dal servile poterat: si osservi a proposito che dissoluere di Giovenco corrisponde al testo del cod d della VL (qui dissoluit; gr ὁ καταλύων τὸν ναὸν), mentre gli altri mss attestano il verbo destruo; templum perde la specificazione Dei, e l’indicazione temporale in triduo sfocia in una perifrasi poetica (trino lucis … meatu) Le ultime parole occupano i vv  672 s , con il passaggio delle voci verbali dall’imperativo al congiuntivo: dopo la soppressione della protasi, filius Dei diventa suboles ueneranda Tonantis; dei due verbi di Matteo (libera e descende) soltanto il secondo è simile (descendat), mentre l’altro si espande in corpusque animamque reso­ luat; una dilatazione subisce anche il complemento de cruce (~ crucis e poena) Il testo di Matth 27,41 prende nella parafrasi ben quattro versi (674–677): Giovenco dedica il v  674 al comportamento dei capi dei sacerdoti che ripetono le parole del popolo, definito ‘folle’ (uulgi … uaecordis), e riecheggia vagamente principes sacerdotum con il termine proceres; impiega gli altri tre versi per descrivere le ingiurie di scribi e farisei e menziona ancora la folla (factio demens): salvo il cambio sinonimico (deludentes ~ Iuvenc inludunt) e la ripresa motu … caput … / … quatiunt (vv  676 s ), una posticipazione di mouentes capita del versetto 39, le altre componenti testuali sono innovazioni del poeta (linguas … / … quatiunt e loquellis / insanis ai vv  676 s e aeternae ad uincula poenae al v  677) La parafrasi mantiene il discorso diretto del versetto 42 I vv  678–680 riprendono il primo segmento, con il passaggio delle due proposizioni da principali a interrogative e una maggiore varietà lessicale: di effettivamente comune c’è poco (alios ~ alios; saluos fecit ~ seruare solebat, v  678; se ipsum ~ sese, v  679; non potest ~ non ualet, v  680 [cfr Lucr 6,1057; Lucan 5,433 648]); il poeta spiega il significato delle parole dei presenti, riferendole alle guarigioni operate da Gesù (trucibus … / morborum uinclis), e aggiunge l’avverbio temporale quondam; risolve infine la locuzione saluum facere in soluere poenis I vv  680–681 parafrasano il secondo segmento: la protasi lascia il posto a una più ampia frase esclamativa; alcuni termini sono conservati (rex ~ regem), altri sostituiti (Istrahel ~ nostrae … gentis), altri aggiunti (credimus ~ credere … / debu­ imus); l’esortazione non è «scenda dalla croce» ma «liberi il corpo», e una perifrasi designa la croce (descendat ~ soluat … corpus; de cruce ~ ligni de robore); l’apodosi si espande al v  682, che ripete la richiesta degli astanti (tunc … poterimus credere ~ Matth credimus) di un segno miracoloso (sanctis … signis) Alla protasi del versetto 43 viene preferita una frase principale (v  683), che però sul piano lessicale conserva confidit e Deo e anticipa concettualmente la dichiarativa quia Dei filius sum, non altrimenti parafrasata, attraverso l’apposizione genitore L’apodosi e la seconda protasi vengono trasformate in un’interrogativa (vv  683 s ), in cui si registrano la sostituzione del pronome eum con propriam … subolem, l’inserimento del soggetto ueneranda potestas e la spiegazione di liberet con dimittere poena; l’ipotesi del testo biblico si esplicita nella forma negativa, a confermare l’incredulità dei Giudei (si uult ~ non uult) I vv  685 s sviluppano

388

Commento

il versetto finale: alle poche parti corrispondenti (nec minus è concettualmente affine a id ipsum; latrones resta; adfixi crucibus ~ Matth crucifixi) se ne aggiungono altre per descrivere i lamenti dei malfattori (gementes, v  685), il motivo della loro pena (scelerum pro sorte, v  686) e la loro collocazione (dextra laeuaque è una variazione sinonimica di a dextris e a sinistris del versetto 38, da cui è attinta l’indicazione) 667–669 Matteo e Marco (15,27) danno la notizia della crocifissione dei ladroni senza altri particolari Luca e Giovanni, al contrario, ampliano il racconto attribuendo alla presenza dei malfattori significati diversi: Luc 23,39–43 evidenzia la differenza di atteggiamento dei due rispetto all’efficacia salvifica della croce, secondo il suo tipico interesse per le scene di conversione, mentre Ioh 19,31–37 si sofferma sulla diversità di trattamento subito dai tre descrivendo il modo differente in cui i soldati si accertarono della loro morte Giovenco sembra far risaltare l’‘abbassamento’ di Gesù al livello dei banditi, ai quali è assimilato dalla parità di trattamento, come efficacemente sottolinea l’allitterazione pariter poenae di v   667 Questa assimilazione si fa ancora più stridente ai vv  668 s , incorniciati dal nome dei condannati latrones … / … Christo in una struttura speculare che potenzia il suo forte impatto sul lettore anche mediante l’omeoteleuto, enfatizzato nelle prime due parole dalla scansione delle cesure e dal tempo forte (duó – fixó – Christo) 667 accidit, ut Incipit oraziano di sat 1,2,45 poenae consortia Cfr Ov met 13,663 consortia corpora poenae / dedidit, dove le parole hanno però diversa funzione morfosintattica; il nesso giovenchiano sarà ripreso da Prud c. Symm 2,191, a sua volta imitato da Alc Avit carm 2,111 Il termine consortium già al v  73 (cunctos tra­ hitis saeuae ad consortia flammae) è in riferimento alla condivisione di una condanna, cioè la pena eterna per scribi e farisei 668–669 La scena, già di per sé assai suggestiva, si carica di una nota di profonda disapprovazione espressa dall’accumulo di forme aggettivali e sostantivi che comunicano l’idea di follia, incapacità di capire, accanimento; su tali concetti, più volte ribaditi nell’opera a proposito dei carnefici di Gesù o in generale dei suoi oppositori, fermano l’attenzione le figure retoriche impiegate (iperbati, omeottoti, allitterazioni) e il ritmo spondiaco del v  669 che scandisce le ingiuriose parole di bestemmia Secondo il consueto espediente, Giovenco contrappone al protagonista e alle sue positive virtù la negatività degli avversari, in questo caso tramite l’ardito accostamento in clausola di uaesania e Christo

Commento

389

668 duo Questo numerale cardinale, parola bisillaba dall’originaria struttura di pirrichio, nella misura prosodica di questo verso viene calcolato come giambo, secondo una tendenza ricorrente in molti poeti postclassici (Prud ham 13 122; perist 11,89; Paul Nol carm  3,1; Cypr Gall gen 1210; num 122; 261; iud 309 458 464; Paul Pell euch 177), autorizzata probabilmente dall’esempio di Verg ecl 5,68, dove comunque l’allungamento va ricondotto alla collocazione prima di doppia consonante Le occorrenze si trovano sempre in cesura, dal momento che, almeno nell’esametro, sarebbe difficile avere duo giambico in posizione diversa La parola è invece trattata regolarmente come pirrichio in Iuvenc 4,171 e 229 (Flammini, La struttura, p  264) 669 insultat … plebis uaesania Il greco βλασφημέω, attestato nei sinottici (Matth 27,39; Marc 15,29; Luc 23,39) e tradotto concordemente con blasphemo sia nell’Itala sia nella Vulgata, equivale propriamente a ‘bestemmiare’ Giovenco ricorre al verbo insulto, che per la sua pregnanza semantica non è un semplice sinonimo del corrispondente biblico, ma esprime contemporaneamente il significato di ‘insultare’ e ‘saltare su/contro’; viene così rappresentata con particolare vivacità e con attenzione egualmente rivolta ai tratti fisici e spirituali la folla che insulta Cristo scagliandosi contro la sua croce Insulto indica in 2,51 le ingiurie lanciate dall’indemoniato di Matth 5,1–5, mentre è sempre riferito agli oltraggi patiti da Cristo negli altri impieghi, tutti nel libro quarto (568 661 669) Altri poeti cristiani, quali Commodiano (instr 1,31,7 12; apol 442 816), Prudenzio (apoth 16 347 772; ham 2; psych 715; perist 1,75; ditt. 157) o Avito (carm 4,102), non hanno remore a optare per blasphemare e blasphemus, cristianismi integrali diretti (Mohrmann, Sonder­ sprache, pp  86–87, ed Études, III, p  113), calchi delle corrispettive forme greche che alludono a ogni offesa nei confronti dei giusti (Fehrenbach, s v Blasphème, in DACL, II, coll 926–935) Anche a 3,172 (et rapidae caelum pulsans uaesania uocis) uaesania, parola molto rara in poesia, attestata com’è prima di Giovenco solo una volta in Orazio (sat 2,3,174; si veda anche Carm adv. Marc 5,161; tarde le ulteriori occorrenze poetiche), rende il termine blasphemia di Matth 15,19 670–671 hic est, qui templum … / hic est, qui trino Ritorna negli insulti dei passanti la medesima accusa mossa contro Gesù nel sinedrio (cfr Matth 26,61) Il parallelismo sintattico dei due versi poggia sulla ripetizione anaforica in apertura di esametro e sull’allitterazione, che scandiscono l’antitesi tra i concetti di ‘distruzione’ e ‘ricostruzione’ del tempio L’iterazione del pronome dimostrativo, che implica una deissi spaziale espressa linguisticamente e gestualmente prevista per il pubblico riconoscimento (Pers 1,28 at pulchrum est digito monstrari et dicier ‘hic est’), assume qui una chiara sfumatura dispregiativa

390

Commento

670 dissoluere L’affermazione sul tempio, forse effettivamente pronunciata da Gesù, poteva riferirsi sia all’accusa contro il culto ebraico sia alla proclamazione dell’avvento del nuovo Israele; in tal senso, è suggestivo notare che la voce verbale è impiegata anche a 1,483 non ego nunc priscas leges dissoluere ueni (~ Matth 5,17), in riferimento al compimento della Legge e ai rapporti tra Antico e Nuovo Testamento 671 lucis … meatu Il nesso è simile ad analoghe iuncturae impiegate sia in prosa sia in poesia per il corso del sole e della luna (Lucr 1,128; 5,76 774; Lucan 9,6 693), del cielo (Verg Aen 6,849), degli astri (Sen suas 1,4; Sen dial 6,25,2; Apul flor 18,10; met 11,25) e dei giorni (Colum 3,6,19) 672 Sed nunc L’avverbio temporale nunc, assente al versetto 40 nella maggior parte dei testimoni dell’Itala, è tràdito da ff2; il nesso sed nunc è comunque un incipit poetico assai frequente negli autori classici, e Giovenco lo impiega anche in 2,285 suboles ueneranda Tonantis In bocca a coloro che insultano Cristo la frase sembra un «mock epic» (McBrine, p  55; cfr anche Hudson-Williams, p 14) Una clausola simile è costituita da 4,786 cer­ nitur ecce suis proles ueneranda Tonantis, in cui Gesù, con una leggera variazione sinonimica, è ancora chiamato ‘Figlio venerabile del Tonante’; forse questa ripetizione terminologica, con allusivo richiamo interno, è una sorta di risposta al sarcasmo degli increduli che qui mettono in dubbio la divinità del Signore Su ueneranda cfr supra, nota al v  356; sull’epiteto Tonantis, in luogo di Dei, si veda la nota al v  553 673 corpusque animamque resoluat Dittologia antinomica evidenziata dal polisindeto; l’emistichio, assai simile a corpus animamque recusans di 3,304 (la rinuncia a se stessi per il discepolato in Matth 16,24), ricorda Verg Aen 4,695 quae luctantem animam nexosque resolueret artus, dove Giunone, mossa a compassione, invia Iride a liberare l’anima e le membra di Didone agonizzante dopo il suicidio 674–677 La rappresentazione delle autorità e della fazione che li accompagna è tutta giocata, ancora una volta, sul linguaggio della follia; i gesti descritti sono scomposti e grotteschi, le parole si sovrappongono ai movimenti del corpo, in una scena particolarmente carica di suggestioni Giovenco dispiega al solito mezzi espressivi di sicuro effetto: la ripetizione a inizio dei vv  676 s del prefisso in, a indicare l’aggressione e gli attacchi verbali e fisici contro Gesù (inludunt … / insanis …); l’allitterazione della liquida l,

Commento

391

quasi a riprodurre la vibrazione della lingua (inludunt … linguas … loquellis); la ripetizione incalzante della vocale u (uulgi … uaecordis … sequuntur / inludunt motu … caput … / … quatiunt … uincula) e la sequenza di spondei al v  676, che fanno pensare a una mimesi obliqua delle urla e delle esclamazioni di dissenso; ancora gli omeottoti (inludunt … / … quatiunt; loquellis / insanis) rilevati nel primo caso anche dalle cesure e dal tempo forte 674 dicta sequuntur Cfr Verg Aen 7,212; Apul met 10,16; OLD, s. v. sequor, 6c, p  1741 Della clausola giovenchiana ha memoria Cypr Gall exod 467 675 factio demens Come al v  510, la parola factio designa la folla Giovenco passa in rassegna per l’ultima volta i tradizionali nemici di Cristo (anziani, scribi e farisei) citati da Matteo e aggiunge un raggruppamento indeterminato unito dall’odio, la factio formata da dignitari giudei e gente comune, quasi ad assimilare gli istigatori e i loro strumenti in un termine collettivo che implica solida coesione e forte determinazione 676–677 Il poeta posticipa in questo punto il particolare del capo scrollato in segno di burla che l’Evangelista ricava da alcuni passi veterotestamentari (psalm 21,8 omnes uidentes me deriserunt me; locuti sunt labiis, et mouerunt caput; 109,25 et ego factus sum opprobrium illis; uiderunt me et mouerunt capita sua; thren 2,15 plauserunt super te manibus omnes transeuntes per uiam; sibilauerunt et mouerunt caput suum super filiam Ierusalem) motu … caput … / … quatiunt Cfr Catull 64,305 quatientes … motu; Maecen carm. frg 5 quate … caput; Ov met 8,375 quatiebant … motu; fast 6,400 quatiens … caput; Sen Med 854 s caput …/ qua­ tiens … motu Quatere regge zeugmaticamente anche l’accusativo linguas 677 aeternae ad uincula poenae L’aggiunta giovenchiana è diversamente interpretata dalla critica Arevalo nella nota ad loc , p  356, ritiene l’espressione oscura e ipotizza che «fortasse innuit Juvencus, id a Pharisaeis factum, ut augerent poenam»; si tratterebbe cioè di un’allusione al contenuto delle parole di condanna pronunciate dagli astanti che invocano per Cristo la dannazione eterna («sia dannato in eterno!») Con Knappitsch, IV, pp  74 s , che traduce «um der ewigen Strafe mit Recht zu verfallen», sarei più propenso a spiegare l’inserto come un personale commento del poeta sulla sorte di scribi e farisei che con le loro azioni si condannano al castigo eterno La clausola è molto simile a quella di 3,455 per uincula poenis

392

Commento

678–684 Come annota Roberts, Biblical Epic, pp  141 s , in questo gruppo di versi il poeta altera il dettato evangelico, segnato da frasi affermative, introducendo esclamative e interrogative combinate tra loro per ottenere un maggiore effetto emozionale, secondo i precetti della tradizionale trattatistica retorica (cfr Quint 9,2,7–8 figuratum autem quotiens non sciscitandi gratia adsumitur, sed instandi: ‘quid enim tuus ille, Tubero, destrictus in acie Pharsalica gladius agebat?’ et ‘quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?’ et ‘patere tua consilia non sentis?’ et totus denique hic locus [Cic Cato 1] Quanto enim magis ardet quam si diceretur ‘diu abuteris patientia nostra’, et ‘patent tua consilia’ e 9,3,97 sola est in eo libro posita inter figuras uerborum exclamatio, quam sententiae potius puto (adfec­ tus enim est), de ceteris omnibus consentio) 678–680 Le due interrogative, inserite in ampi periodi metrici che si chiudono in enjambement, sono incorniciate dalle particelle negative in una struttura anulare all’interno della quale i contenuti sono disposti simmetricamente (nonne alios … seruare … / … sese … soluere … / non); allitterazioni (seruare solebat / … sese … soluere …) e omeoteleuti (uinclis … poenis) rafforzano l’antitesi concettuale (guarigione operata sugli altri / incapacità di salvare se stesso) su cui poggiano le insinuazioni della folla 678 nonne La particella interrogativa, comunissima in Plauto e Terenzio, è poco adoperata dagli epici precedenti (Axelson, pp  89 s ; LHS, II, p  462) Giovenco, con 6 attestazioni (1,632 638 709; 2,802; 3,25; 4,678), anticipa la tendenza di altri poeti tardolatini e cristiani (Claudiano, Prudenzio, Paolino Nolano, Draconzio), che ne fanno un uso maggiore 679–680 soluere … / non ualet Per il v  679 alcuni mss (K1 K2 T Bb Ma) leggono proprias cur uincere poenas; isolatamente il cod R tramanda poi l’alternativa proprias cur soluere poenas; la variante con uincere, insorta probabilmente già molto presto, trova paralleli poetici in Manil 2,602 poenas iam noxia uincit e Claud carm 5,519 uincant cum singula poenas Valeo con l’infinito, che compare in poesia con Lucrezio e in prosa con Livio (LHS, II2, p  347), non ha altre attestazioni negli Euangeliorum libri La variante uolet di Hl è una semplificazione 680–681 Rispetto ai venti casi in cui nell’ipotesto biblico (Matth 2,6 21; 8,10; 9,33; 10,6 23; 15,24 31; 19,28; 27,9 42; Luc 1,16 54–55 68 80; 2,25 32 34; Ioh 1,49; 3,10) vi è un esplicito richiamo a Israele, si riscontrano nella parafrasi la completa eliminazione del passaggio biblico oppure la sostituzione della parola Istrahel Questa seconda tendenza, la più ricorrente, si realizza per lo più attraverso locuzioni, nomi propri o comuni, familiari

Commento

393

alla poesia classica, i quali, se da un lato offrono traduzioni stilisticamente eccellenti di tale vocabolo, dall’altro diluiscono la potenza evocativa e la ricchezza spirituale dell’originale L’altra modalità, quella attuata anche nel nostro verso, prevede l’impiego di termini generici come populus, plebs e gens, talvolta accompagnati da aggettivi dimostrativi o possessivi; al di là delle semplici esigenze letterarie della uariatio, Poinsotte, pp  109–115, interpreta questi espedienti come un rifiuto di Giovenco di dare al popolo dell’Alleanza un’identità troppo precisa e di affermare invece la dimensione universale del cristianesimo 680 en regem … quem credere Hatfield, § 40, p  9, segnala un secondo caso di accusativo esclamativo nel poema, cioè 1,77 famulam nunc ecce La variante et esibita in luogo di en da alcuni testimoni è chiaramente erronea, e peraltro tali scambi sono piuttosto frequenti nella tradizione ms di altri autori latini (ThlL V 545,49 s ); il deittico, ampiamente impiegato da Giovenco (è nella stessa ubicazione esametrica anche a 4,376 773), risulta qui perfettamente adeguato al senso e al contesto 680–681 credere … / debuimus La perifrasi con debeo e l’infinito in luogo della perifrastica passiva (ThlL V 93,53 ss ), non molto poetica nonostante le attestazioni elegiache di età augustea, si riscontra ancora in Iuvenc 1,34 e 2,593 Si noti anche l’esempio del cosiddetto falso condizionale 682 sanctis … signis Giovenco ha spesso signum nel significato di ‘miracolo’, ‘prodigio’ (2,151 163 175 182 336 596 668 694 696 3,222 233; 4,682), che tale termine assume nel Vangelo di Giovanni come traduzione del greco σημεῖον (cfr Bauer – Aland, p  1496, 2a) La pregnanza del concetto è accentuata dall’allitterazione poterimus Flammini, La struttura, pp  265 s , registra l’inconsueto allungamento della ­i del futuro semplice; si tratta di un trattamento prosodico forse attuato per la prima volta proprio da Giovenco e attestato anche in Paul Nol carm 31,631 tum nostro socii poterimus uiuere Celso; cfr altresì Carm adv. Marc 3,220 cuius difficile poterimus dicere laudes Un esempio analogo è costituito da Iuvenc 1,664 dederītis 683 confidit genitore Deo Questo è uno di quei casi in cui l’autore non si limita a trasferire nella parafrasi il termine Deus del Vangelo, ma lo specifica per mezzo di attributi, apposizioni o perifrasi per ampliarne la valenza semantica (Simonetti Abbolito, Termini tecnici, p  54) Il cliché metrico del nesso, racchiuso tra tritemimere ed eftemimere, è dato da Nemes cyn 71, che lo applica all’imperatore Caro divinizzato dopo la morte; nella sua nova accezio-

394

Commento

ne cristiana, attraverso la mediazione giovenchiana, l’espressione ritorna, sempre nella stessa collocazione esametrica, in Paolino Nolano (carm 20,39) e Sedulio (carm pasch 2,203) Quanto a confidere, il poeta usa il verbo con il dativo a 3,110 olli confidens respondit talia Petrus 684 ueneranda potestas Clausola di Lucan 5,397, che attribuisce l’appellativo di potere venerando al consolato ormai privo di validità ai tempi di Cesare Sull’esempio di Giovenco anche i poeti mediolatini assegneranno la clausola alla maestà di Dio (Aldh aenigm 10,1; Carmen de Nynia episcopo 1 185; Ricardus, passio Catharinae 1,255) Per potestas cfr supra, nota al v  63 685 nec minus Cfr 1,522 e 3,462 increpitant Il cod d della VL esibisce la lez increpabant, a fronte della variante improperabant degli altri testimoni; sulle occorrenze di increpito negli Euangeliorum libri cfr supra, nota al v  414 dextra laeuaque Lo stilema, risalente a Lucr 4,276 e ampiamente sfruttato in poesia, spesso in questa medesima collocazione metrica, compare a 3,592 (felices nati dextra laeuaque sederent) a proposito dei figli di Zebedeo che la loro madre vorrebbe alla destra e alla sinistra di Gesù 686 adfixi crucibus Un incipit simile è a 3,589 adfixus cruci, dove la iunctura sostituisce ugualmente il biblico crucifigo 687–715 La morte di Gesù. Mori, pp  62–64, mette a confronto questi versi con il passo corrispondente di Sedul carm. pasch 5,232–275 L’analisi comparativa mostra il maggior grado di rielaborazione della fonte biblica raggiunto da Sedulio, che introduce versi di chiarimento sul perché si verifichi l’eclissi, con la spiegazione allegorica della durata (tre ore), sulle motivazioni alla base del terremoto, sull’atteggiamento del Creatore nei confronti del mondo e sulla ragione per cui il velo del tempio si strappi Questi inserti nel tessuto narrativo costringono il poeta a selezionare gli avvenimenti per poterli meglio commentare nella parafrasi trascurando altri passi del Vangelo, come nel caso dei corpi dei giusti usciti dai sepolcri o del centurione e dei soldati che riconoscono in Gesù il Figlio di Dio Tale scelta spezza la continuità del racconto, che nel complesso

Commento

395

risulta meno avvincente di quello giovenchiano Sul piano lessicale l’autore del Carmen sembra accostarsi a Giovenco soprattutto nelle sezioni descrittive (Iuvenc 4,689 recon­ dit ~ Sedul carm. pasch 5,235 abscondens; 4,703 uelamina ~ 5,235 uelatus; 4,705 treme­ bunda ~ 5,246 intremuit), mentre è del tutto originale nei luoghi esplicativi ed esegetici 687–702 I versi corrispondono a Matth 27,45–50: 45 Ab hora autem sexta tenebrae factae sunt super uniuersam terram usque ad horam nonam 46 Circa horam nonam clamauit Iesus uoce magna dicens: Heli Heli lama zapthani? Hoc est: Deus meus, Deus meus, ut quid me dereliquisti? 47 Quidam autem illic stantes et audientes dicebant: Heliam uocat iste 48 Et continuo currens unus ex eis accepta spongia impleuit aceto et inposuit harundini et dabat ei bibere 49 Ceteri uero dixerunt: Sine uideamus, si ueniet Helias et liberabit eum 50 Iesus autem iterum clamans uoce magna emisit spiritum («Dall’ora sesta scesero le tenebre su tutta la terra fino all’ora nona Verso l’ora nona Gesù gridò a gran voce: Elì, Elì, lemà sabactàni? Cioè: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Alcuni degli astanti, udito ciò, dissero: Costui chiama Elia E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò nell’aceto e, postala su una canna, gli diede da bere Gli altri dicevano: Lascia, vediamo se viene Elia a liberarlo Gesù, dopo aver gridato una seconda volta ad alta voce, rese lo spirito») Il versetto 45 è sottoposto a una rielaborazione formale che riprende dal modello soltanto il riferimento alle tenebre (vv   687–689) Ai vv   690 s analogo ampliamento poetico subisce anche l’indicazione temporale del versetto successivo, che al v  692 vede poi la sostituzione di Iesus con Christus e di clamauit con uocabat, da cui dipende genitorem, e il mantenimento di uoce magna; sono omesse invece l’invocazione a Dio in aramaico e la corrispondente traduzione latina, a cui Giovenco accenna in un una breve nota al v  693 Hebraeae in morem linguae Il versetto 47 è reso ai vv  693 s : quidam si trasforma in plebs, con l’incremento di nescia; mancano i participi stantes e audien­ tes e l’avverbio illic; la battuta pronunciata in forma diretta è recuperata nell’infinitiva introdotta da putat, che rimpiazza il uerbum dicendi, al v  694 (Heliam uocat ~ Iuvenc Heliam uocitare) I vv  694–696 parafrasano il versetto 48: oltre ai cambiamenti sinonimici e sintattici (currens ~ Iuvenc concitus; unus resta, senza il partitivo ex eis; spongia ~ spongo; aceto ~ acidum saporem; inposuit harundini ~ calamo … reuincto; bibere ~ pota­ re), vi è l’inserimento di turpi, che qualifica la spugna, e di inpressum labiis; in luogo del semplice dabat c’è cogebat, che comporta una diversa sfumatura di significato e sottolinea la costrizione; cade il pronome ei L’incipit del versetto 49 è ripreso al v  697, in cui solo cetera, attributo di turba, ha riscontro nel testo di Matteo (ceteri), mentre gli altri elementi o sono delle aggiunte (furens e tali cum uoce) o delle sostituzioni (dixerunt ~ cachinnat) Le parole della folla sono riportate ugualmente in forma diretta, ma all’ossatura ricavata dall’ipotesto (uideamus ~ Iuvenc spectemus; Helias è identico; ueniet ~ ueniat; liberabit ~ liberet) il poeta aggiunge altri segmenti, a proposito della discesa dal cielo di Elia (caelo ne forte remissus, v  698) e del suo riposo nelle sedi celesti (celsa qui

396

Commento

sede quiescit, v  699), e rimpiazza il pronome eum, riferito a Cristo, con una locuzione che in tono ironico parla del re inchiodato a un misero legno (misero confixum stipite regem, v  700) Il versetto finale occupa i vv  701 s : il soggetto diventa clamor, che è esito di clamans; Iesus non è ripreso direttamente ma lascia una traccia in Domini; al posto di uoce magna c’è magno conamine, che rende piuttosto l’idea dello sforzo con cui Gesù emette l’ultimo grido; il concetto espresso da emisit spiritum è riformulato al v  702 in toni epici che rendono più solenne il drammatico momento 687–689 L’ampliamento poetico della notazione temporale di Matteo è imbastito con ritagli virgiliani: al v  687 (iam medium cursus lucis conscenderat orbem) la descrizione del sole ritornato nel suo zenit richiama Aen 8,97 sol medium caeli conscenderat igneus orbem, intertesto recuperato anche da Proba (cento 607) per introdurre la scena della crocifissione, forse influenzata dal precedente giovenchiano; l’improvvisa scomparsa della luce al v  688 (cum subito ex oculis fugit), come nota Green, Latin Epics, p  57, ricorda una raffigurazione analoga nell’episodio della morte di Euridice in georg 4,499 s dixit et ex oculis subito, ceu fumus in auras / … fugit; di stampo epico sono anche gli incipit dei vv  687 iam medium (~ Verg Aen 3,665 e 6,536) e 688 cum subito (~ Verg Aen 1,509 535; 3,590) La massiccia ripresa di espressioni virgiliane serve soprattutto a richiamare l’attenzione sull’immagine immediatamente successiva, la morte di Cristo, vero centro dell’intera pericope Questa introduzione rafforza il tono apocalittico del versetto biblico puntando sul potenziamento del contrasto cromatico tra luce e tenebra (lucis, v  687; tenebris, v  688), giorno e notte (diem … nocte, v  689), soltanto lievemente tratteggiato dall’Evangelista 688–691 Gli elementi naturali sono personificati: il sole fugge improvvisamente dalla vista (fu­ git, v  688), si ammanta di una coltre di tenebre (induitur) e nasconde (recondit) il trepido giorno (trepidum, v  689), è ancora sconvolto (turbatus, v  690) e la sua luce è sgomenta, costernata (consternata, v  691); verbi e aggettivi comunemente impiegati per esseri animati sembrano esprimere la partecipazione emotiva della natura e delle sue forze al dramma dell’agonia e della morte di Cristo (Donnini, L’aggettivazione, p  65; Galli, p  261) Röttger, p  84, assegna all’eclissi di sole una funzione di segnale, come quella assunta dalla cometa per i Magi, e confronta il passo giovenchiano con quello di Verg georg 1,463–468, in cui un analogo fenomeno atmosferico accompagna l’uccisione di Cesare (sol tibi signa dabit; solem quis dicere falsum / audeat? ille etiam caecos instare tumultus / saepe monet fraudemque et operta tumescere bella; / ille etiam extincto miseratus Caesare Romam, / cum caput obscura nitidum ferrugine texit / impiaque aeter­ nam timuerunt saecula noctem) La scena ha pertanto una valenza simbolica, in quanto l’oscuramento del sole rappresenta metaforicamente la morte del Signore secondo la ricorrente associazione con il motivo della luce

Commento

397

688 furuis … tenebris Con lo stesso nesso, ripreso in seguito da Aldh aenigm 8,4, il poeta descrive l’oscurità delle tenebre anche a 2,207 demergis praeceps furuis, miserande, tenebris; l’aggettivo fu­ ruus è ancora a 2,2 (furuamque super nox caerula pallam) nell’immagine della notte che si veste di buio e a 4,149 furuis … umbris per l’eclissi solare; spesso in poesia l’attributo connota il regno dei morti e le divinità infernali (Hor carm 2,13,21 paene furuae regna Proserpinae; Tib 2,1,89 s postque uenit tacitus furuis circumdatus alis / Somnus); cfr la sezione de rebus inferis in ThlL VI1 1651,30 ss Nel verso in esame l’oscurità non è solo quella atmosferica ma anche quella metaforica della morte 688–689 tenebris / induitur … sol Probabile riecheggiamento contrastivo della descrizione personificata del sole che indossa la sua veste luminosa in Val Fl 4,92–94 Sol auricomis cingentibus horis / multifi­ dum iubar et bisseno sidere textam / loricam induitur. 689 diem sol … recondit Per analoghe scene di oscuramento, cfr Germ 424 si tenuem traxit nubem stellasque recondit e frg 3,21 imbribus incumbit caelum solemque recondit Nella poesia dattilica il verbo occupa quasi sempre l’ultima posizione del verso 690 ast ubi … nonam transegerat horam Molto somigliante è la notazione temporale di 3,560 ast ubi sexta dehinc lucis transfluxe­ rat hora Arevalo corregge in conscenderat il tràdito transegerat, forse influenzato dalla variante transcenderat di R Hl B Sg V1 H o, come ipotizza Müller, Tod, p  180, dalla clausola del v  687 L’emendazione non è necessaria: l’espressione transigere horam, benché senza precedenti, ritorna in Agostino (in euang. Ioh 117,1; civ 15,14; urb. exc 6,7); nella prosa classica e tardoantica vi sono poi espressioni similari come tempus transigere, che si legge in Svet Tib 11,5 e Vit 8,1; Apul met 11,21 e ancora in Lact inst 3,12,20 ast ubi Tradizionale attacco dattilico già presente in Verg Aen 3,410 Nel complesso non numerose sono le attestazioni nei principali poeti esametrici latini: 1 in Orazio (sat 1,6,125), 3 in Ovidio (met 6,685; 8,878; fast 4,637), 1 in Lucano (6,538), 4 in Stazio (Theb 2,41; 5,340; 7,438; 9,699), 1 in Valerio Flacco (6,95), 3 in Silio Italico (1,123; 10,353; 12,175); con 8 occorrenze (1,267; 2,232 419 743; 3,100 293 560; 4,690) Giovenco è secondo a Draconzio, che ne vanta 10 Negli Euangeliorum libri l’avverbio ubi ha valore locale solo a 2,743, in tutti gli altri casi temporale, come in genere nei precedenti classici 691 consternata Il raro consternare entra in poesia con Pacuv trag 156 284 Ribbeck3 (= 172 332 D’Anna), su cui si veda ora il commento di Schierl, p  444; altre successive attestazioni si trovano

398

Commento

in Ovidio (met 2,314; 12,60; fast 5,310) e Silio Italico (10,210; 13,134) Soprattutto al participio il verbo è comunemente applicato a persone o animali, raramente a esseri inanimati (ThlL IV 508,38 ss ) redierunt lumina mundo Cfr , sia pure in tutt’altro contesto, Ov ars 2,442 lumen, quod fuit ante, redit e, non in sintagma, Stat Theb 10,608 lumina consumptumque genis rediisse nitorem La clausola lumina mundo, creata da Manil 2,18 per le stelle vaganti nell’immensità del cosmo, è riproposta da Arator act 1,865 per gli astri che brillano dopo il battesimo delle genti 692 magna … uoce uocabat Cfr Verg Aen 6,506 magna Manis ter uoce uocaui (Enea invoca i Mani alla notizia della morte di Deifobo) e 10,873 atque hic Aenean magna ter uoce uocauit (dopo l’uccisione di Lauso, Mezenzio a gran voce sfida a duello Enea) Sulla fortuna letteraria di questa figura etymologica, ereditata dalla Odissea omerica (19,545 φωνῇ … φώνησέν τε) ed entrata nella letteratura latina con Enn ann 49 Skutsch blanda uoce uocabam, si veda Wills, pp  247 s 693 Hebraeae in morem linguae Giovenco non parafrasa l’invocazione Heli Heli lama zapthani e la relativa traduzione latina In questa omissione Green, Latin Epics, pp  119 s , legge l’intenzione dell’autore di evitare in polemica antiariana i passaggi in cui la figura di Cristo possa apparire in qualche modo inferiore a quella di Dio Padre Il disinteresse del parafraste per delicate questioni teologiche che peraltro in quel periodo non trovano spazio in Occidente neanche nella trattatistica, fa pensare piuttosto a motivazioni poetiche risalenti alla inconciliabilità delle parole aramaiche con la versificazione esametrica L’aggettivo Hebraeus entra in poesia con Giovenco e trova posto presso altri scrittori cristiani (Mar Victor aleth 3,524; Cypr Gall gen 1233; exod 38 67 128; iud 159; Sedul carm. pasch  2,79; 5,198; Ps Prosp carm. de prov 366) Il sintagma in morem per introdurre paragoni e similitudini si incontra già in Virgilio (georg 1,245; 2,250; Aen 5,556; 7,159; 8,88 282; 11,616; 12,401) e molto raramente negli altri epici In Giovenco è solo a 4,693 nescia plebes Per la iunctura, che a 2,402 completa la riscrittura di Matth 9,23–25 in riferimento agli astanti che credono morta la figlia di Giairo, si può citare Colum 10,58 nescia plebs ge­ neris matri ne parcite falsae, l’unico precedente poetico in cui compaia, sia pure a inizio verso, tale espressione: il passaggio del De re rustica, riservato all’errore dei destinatari dell’apostrofe, rei di ignorare, secondo l’autore, quale sia la vera madre degli uomini, ha una coloritura ‘teologica’ Per Aratore, in una additio verbale al testo di act 17,19–20 elaborata molto probabilmente sull’esempio dei versi giovenchiani, nescia è invece la plebs

Commento

399

pagana ateniese cui Paolo rivolge il suo celebre discorso presso l’Areopago (2,446–448 plebs nescia Paulum / semina ferre uocat fruiturque errore magistro / uera loquens) 694 Heliam Cfr infra, nota al v  699 uocitare L’intensivo sostituisce la forma semplice uocare anche a 1,26 uocitare (~ Luc 1,13 uo­ cabis); 72 uocitare (~  Luc 1,35 uocabitur); 110 uocitetur (~  Luc 1,60 uocabitur); 2,116 uocitarent (~ Ioh 1,48 uocaret); 4,360 uocitare (~Ioh 11, 28 uocauit); cfr Hatfield, § 128, p  34; Poinsotte, p  65, n  195 Negli epici classici e nella poesia esametrica latina uocitare, colloquiale come in genere tutte le forme intensive, è quasi del tutto assente 695–696 L’uso di due aggettivi che non hanno un corrispondente biblico, turpi (v  695) e aci­ dum (v  696), aggiunge al racconto una nota di crudo realismo, mostrando l’indecenza della spugna sudicia e l’amarore dell’aceto; questa realistica rappresentazione mette tristemente in risalto la cattiveria umana nei confronti dell’infinita bontà di Cristo (cfr Donnini, L’aggettivazione, p  65) 695 spongo Widmann, p  2, rifacendosi alle osservazioni di Gebser, p  43, sostiene che la voce spon­ gus (­os), non altrove attestata nella latinità (cfr Forcellini, IV, p  461), derivi direttamente dal greco σπόγγος (Matth 27,48 καὶ λαβὼν σπόγγον), laddove sia i codd dell’Ita­ la sia la Vulgata geronimiana esibiscono unanimemente la lez spongia Lo studioso considera questo hapax un ulteriore indizio del fatto che il poeta abbia avuto sotto mano un codice greco del testo matteano Non è comunque da escludere che il termine si trovasse in qualche traduzione latina pregeronimiana nota a Giovenco e non pervenutaci 696 potare Il testo poetico si avvicina al cod d della VL, che esibisce la lez potabat eum; gli altri testimoni riportano in maniera concorde dabat ei bibere 697 cetera turba furens … cum … cachinnat Il primo emistichio mescola l’incipit di Ov. met 3,236 cetera turba, la muta di cani che assale Atteone, con la tessera poetica e allusiva turba furens applicata in met 3,716 alle Baccanti furibonde che si scagliano contro Penteo; si veda anche Verg Aen 12,606 s tum cetera circum / turba furit, sulla disperazione della moltitudine dopo il suicidio di Amata È ancora la terminologia della pazzia a tratteggiare la massa, il cui comportamento ostile è messo in luce da una triplice allitterazione in c che sembra riprodurne i

400

Commento

rumorosi sghignazzi Cachinnare e il sostantivo corradicale cachinnus, secondo la nota di Non p  742,12 Lindsay non risu tantum sed et de sono uehementiore uetustas dici uoluit, indicano per onomatopea il ridere sonoramente provocando schiamazzi; si tratta di un tipo di riso aggressivo, spesso finalizzato allo scherno e alla derisione, specialmente in contesti polemici (Beard, pp  71–74 e 239, n  12) Il verbo, attestato in poesia prima di Giovenco solo in Accio (trag 573 Ribbeck3), Lucrezio (1,919; 2,976; 4,1176) e Persio (1,12), è un hapax negli Euangeliorum libri, dove ha il valore transitivo di «iocari aliquid, ridendo dicere» (ThL III,6,69 s ) Espressioni linguistiche inerenti al riso, in ad­ ditamenta o riprese dirette della Vorlage, caratterizzano nella parafrasi la malignità dei nemici di Cristo, quali farisei (2,351 ecce Pharisaei occulto reprehendere risu ~ manca in Matth 9,11), scribi (3,153 occulto traherent scribarum pectora risu ~ manca in Matth  15,12) e folle (2,403 talia dicentem ridentum turba ~ Matth 9,24 et deridebant eum) cum uoce cachinnat Se ne ricorderà Aldh uirg 2527 stolida cum uoce cachinnans 698 caelo … remissus È una variazione senza precedenti della più comune combinazione caelo demittere ampiamente documentata in poesia (Verg georg 1,23; Ov met 1,261; 2,310, Lucan 6,257, 433, 445), a meno che non si voglia vedere nell’espressione un ulteriore riferimento all’ascesa di Elia al cielo (‘Elia che, ritornato al cielo, riposa nelle alture celesti’) e dunque assegnare a caelo non valore di moto da luogo ma di moto a luogo (cfr Manil 2,859 accipiunt uires caeloque remittunt e Sen Phaedr 1224 caelo remissum findat in geminas trabes) ne forte L’uso della congiunzione nē nel significato di si unita a forte è piuttosto comune nel latino tardo (Löfstedt, Peregrinatio Aetheriae, pp  268–269) I due elementi, al di là della funzione grammaticale svolta, sono poi spesso combinati in poesia nella stessa sede esametrica già a partire da Lucrezio (1,80; 5,1091) 699 Hēlīās … quiescit Il nome, che nella poesia latina mantiene costantemente il rispetto delle quantità vocaliche del gr Ἠλίας a eccezione di Comm apol 833 (Perin, I, p  523), in Giovenco è sempre in apertura di esametro La parafrasi riprende sette delle otto occorrenze del nome proprio attestate nel vangelo di Matteo; l’unica omissione a 3,327 è finalizzata a evitare la ripetizione (2,545 Helias ~ Matth 11,14; 3,265 Heliam ~ Matth 16,14; 3,324 He­ liae ~ Matth. 17,3; 345 Heliam ~ Matth 17,10 e 348 Helias ~ Matth 17,11; 4,694 Heliam ~ Matth 27,47 e 699 Helias ~ Matth 27,49) La figura di Elia aveva una particolare rilevanza escatologica, e nel giudaismo era diffusa l’attesa del suo ritorno alla fine dei tempi, come precursore del Messia, sulla base della profezia di Malachia (3,23); si credeva

Commento

401

inoltre che egli sarebbe venuto a soccorrere i credenti in pericolo Giovenco aggiunge che il profeta riposa nelle sedi celesti, alludendo verisimilmente a IV Reg 2,11, dove si parla del rapimento di Elia salito in cielo avvolto in un turbine di fuoco senza morire (cumque pergerent, et incedentes sermocinarentur, ecce currus igneus, et equi ignei diuiserunt utrumque: et ascendit Elias per turbinem in caelum) celsa … sede quiescit Per la iunctura cfr supra, nota al v  260 A 3,345 caeli de sede è ancora a proposito di Elia L’abbinamento clausolare è invece in Lucan 8,768 non hac in sede quiescent e poi, per influsso di Giovenco, in Carm de resurr 250; Cypr Gall iud 760; CLE 573,2 700 confixum stipite regem Configere trova altre attestazioni cristiane a proposito della crocifissione: cfr Tert adv. Marc 5,6 quod principes huius aeui dominum […] cruci confixerint; VL Hebr 6,6 (cod  r) configentes (ἀνασταυϱοῦντας, Vulg crucifigentes) a se ipsis cruci filium dei; Hier tract. in Luc p  384,29 uidit Christum confixum ad crucem Dell’hemiepes giovenchiano resta memoria in Hraban laud 1 fig IV 18 confixum in stipite regem 701 clamor … magno conamine missus Il verso è strutturato su una doppia allitterazione di tipo ABAB che dà enfasi alla fatica con cui Gesù emette l’ultimo grido Alla resa di quest’immagine contribuisce anche l’imitazione di Ov met 3,60 sustulit et magnum magno conamine misit, in relazione allo sforzo con cui Cadmo alla vista dei compagni morti scaglia un grosso macigno contro il serpente che li aveva uccisi Per la parafrasi di clamare tramite il corradicale clamor, cfr supra, nota al v  391 702 aetheriis … conmiscuit auris La rappresentazione dello spirito vitale che abbandona il corpo e si mescola agli aliti eterei è modulata, secondo Huemer, p  141, sulle parole con cui in Verg Aen 6,761 s (primus ad auras / aetherias Italo commixtus sanguine surget) Anchise parla di Silvio che farà grande la stirpe troiana e regnerà su Alba Longa; più pertinente sul piano contestuale mi pare però la descrizione dell’anima di Paolo che sale esultante al cielo in Sil 10,577 aetherias anima exsultans euasit in auras; è possibile un raffronto puramente verbale anche con Lucr 5,502 s nec liquidum corpus turbantibus aeris auris / commiscet Per l’iperbato a cornice declinato all’accusativo aetherias … auras, cfr Ov met 4,700 e Mart 1,3,11; 1,6,1 comitem conmiscuit Notevole l’omoarcto dato dal medesimo prefisso associativo che rafforza l’immagine dell’anima ora unita alle brezze celesti Lucrezio aveva definito comes l’anima che dopo la morte segue come compagna la mente e l’animo dissolvendosi nell’aria (3,399 ss ani­

402

Commento

mai, / sed comes insequitur facile et discedit in auras / et gelidos artus in leti frigore linquit) È meno probabile che qui il termine veicoli la metafora dell’anima come compagna del corpo ben nota da Adriano (carm. frg 3,1 s animula … / … comes … corporis) 703–715 La parafrasi segue ancora Matth 27,51–56: 51 Et ecce uelum templi scissum est in duas par­ tes a summo usque deorsum et terra mota est et petrae fissae sunt 52 Et monumenta aperta sunt et multa corpora sanctorum dormientium surrexerunt 53 Et exeuntes de monumentis post resurrectionem ipsius uenerunt in sanctam ciuitatem et multis apparuerunt 54 Centurio autem et qui cum eo erant custodientes Iesum uiso terrae motu et his, quae fiebant, timuerunt ualde dicentes: Vere filius Dei erat iste 55 Erant autem ibi mulieres multae a longe uidentes, quae secutae erant Iesum a Galilaea ministrantes ei, 56 inter quas erat Maria Magdalena et Maria Iacobi et Ioseph et mater filiorum Zebedei («Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due parti dall’alto in basso, la terra tremò e le rocce si spaccarono Le tombe si aprirono e molti corpi di santi che dormivano risuscitarono e, usciti dalle tombe, dopo la risurrezione di lui, giunsero in città e apparvero a molti Il centurione e quelli che insieme con lui stavano di guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di questi fatti che succedevano, ebbero molta paura e dissero: Veramente costui era il Figlio di Dio Erano lì anche molte donne che guardavano da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo; tra di loro c’era Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Giuseppe e la madre dei figli di Zebedeo») Il versetto 51 è costituito da tre membri Il primo corrisponde ai vv  703 s : l’attacco et ecce non è ripreso; uelum ha un doppio esito, uno nel plurale poetico uelamina, l’altro in carbasa; ciò comporta l’impiego di due diverse voci verbali, scinduntur (~ scissum est) e dehiscunt (quest’ultima rafforzata dal participio disrupta); in duas partes è simile (~ Iuvenc in geminas partes); templi rimane, con l’incremento di sancti; a summo usque deorsum scompare Il secondo è reso al v  705 in modo libero, con variazioni sinonimiche (terra ~ Iuvenc tellus; mota est ~ concussa est) e aggiunte (tremebunda; omni … pondere), che risentono di un influsso virgiliano (cfr infra, nota ad loc ) Il terzo subisce un analogo trattamento al v  706 (petrae ~ Iuvenc cautes; fissae sunt ~ ruptae; dissiliunt e suo … de corpore sono additiones di Giovenco) Il versetto 52 è ripreso ai vv  707 s , dedicati, rispettivamente, all’apertura dei sepolcri e alla risurrezione dei santi; la prima parte vede il mantenimento di monumenta, ampliato dalla specificazione ueterum … uirum, la sostituzione di aperta sunt con patuere e l’introduzione di repulsis obicibus; per la seconda non si possono rintracciare precise corrispondenze testuali, salvo vaghi riecheggiamenti (multa corpora ~ Iuvenc per membra; sanctorum ~ iustae animae); l’idea di risurrezione (surrexerunt) è data dall’immagine delle anime che rientrano nei loro corpi Per quanto riguarda il versetto successivo, Giovenco elimina tutto il segmento iniziale, che ripete il concetto già espresso, anticipa (v  709) con altri termini il riferimento alle apparizioni dei morti (apparuerunt ~ uisum passae), posticipando quello alla loro venuta nella città santa (uenerunt in sanctam ciuitatem), definita urbs (per mo­

Commento

403

enia … / errauere urbis, vv  709 s ) L’epifonema del secondo emistichio 710 sul terrore suscitato nel mondo da tali prodigi (sic terrent omnia mundum) chiude il discorso; vi si può forse vedere un lontano richiamo al contenuto della prima porzione del versetto 54, relativo alla visione del terremoto e agli altri fatti straordinari, non altrimenti parafrasato (uiso terrae motu et his, quae fiebant) Il v  711 riprende Matth  27,54: la paura dei soldati (militibus), tra i quali è compreso anche il centurione, non menzionato dal poeta, è descritta con moduli poetici di maggiore intensità espressiva (timuerunt ual­ de ~ quatiuntur corda pauore); la parafrasi aggiunge poi che proprio i soldati furono i primi (primis) a essere atterriti; al v  712 la frase riguardante il corpo di guardia viene conservata, ma a custodientes subentra seruabant e a Iesum il plurale dedita … corpora, che allude a tutti i condannati al supplizio della croce (saeuae … poenae, altro inserto giovenchiano); l’affermazione in chiusura di versetto è riproposta al primo emistichio 713 in forma indiretta, con il consueto cambiamento di filius in suboles e l’omissione di uere; del tutto nuovo è l’ultimo blocco del verso (Christumque fatentur) I vv  714 s sono aderenti a Matth 27,55: a longe si trasforma in e speculis; mulieres multae in ma­ tres … / omnes; uidentes in tuentur, che regge miracula tanta, ulteriore rimando ai fenomeni prodigiosi; manca la menzione della Galilea e il participio ministrantes passa in una più ampia proposizione relativa, con il pronome ei sostituito da Christo Non resta traccia del versetto 56 703–706 Gli eventi narrati dall’Evangelista appartengono alle profezie che preannunciano il giorno del giudizio finale contenute negli scritti veterotestamentari (cfr Am 8,3; Is  26,19; Ezech 37,12; Dan 12,2) Rispetto agli altri sinottici (Marc 15,38 e Luc 23,45), che parlano solo dello strappo del velo, Matteo introduce altri particolari di valore teologico descrivendo la rivolta della natura alla morte di Cristo Nel passaggio poetico la linearità dell’ipotesto, con la giustapposizione parallela dei membri, cede il posto a una struttura più composita: ai vv  703 s le voci verbali racchiudono in Ringkomposition il riferimento ai drappi squarciati (scinduntur … / … dehiscunt); la congiunzione et (v  705) coordina, bilanciandole, due coppie di versi affini sul piano contenutistico (la rottura delle tende, vv  703 s , e il drammatico sconvolgimento delle potenze naturali, vv  705 s ), unite a loro volta dall’enclitica ­que (scinduntur … uelamina / carbasaque … dehiscunt et concussa est … tellus / dissiliuntque … cautes), con effetto di climax 703–704 sancti uelamina templi / carbasaque I sinottici (Matth 27,51; Marc 15,38 e Luc 23,45) parlano di un solo velo, senza specificare quale sia Esistevano in realtà due drappi differenti, uno che separava l’atrio dal tempio vero e proprio (cfr exod 26,36 s facies et tentorium in introitu tabernaculi de hyacintho, et purpura, coccoque bis tincto, et bysso retorta, opere plumarii. Et quinque columnas deaurabis lignorum setthim, ante quas ducetur tentorium: quarum erunt capita aurea, et bases aeneae) e un altro che divideva la parte più interna, riservata tradizional-

404

Commento

mente al sommo sacerdote, dall’ambiente esterno cui poteva accedere anche il popolo (cfr exod 26,33 inseretur autem uelum per circulos, intra quod pones arcam testimonii, quo et sanctuarium, et sanctuarii sanctuaria diuidentur) Sul piano teologico la rottura della cortina viene interpretata o come simbolo del libero accesso a Dio mediante la morte di Cristo o come presagio della fine del tempio e del sacerdozio dell’Antica Alleanza (cfr Hebr 6,19; 10,20) A v  703 si nota l’eco di Val Fl 2,623–626 Ogygii quam nec triete­ rica Bacchi / sacra neque arcanis Phrygius furor inuehit antris / sed suus in Venerem raptat deus. Illius aras / urbe super celsique uident uelamina templi: nel riprendere le parole con cui l’epico classico descrive il tempio di Venere a Lampsaco, il parafraste opera una Kontrastimitation, ben dichiarata, come fa osservare Müller, Tod, p  191, attraverso lo scambio degli attributi (sancti per celsi) Carbasus, -i (gr ϰάϱπασος), al singolare femminile e al plurale neutro (ThlL III 428,70 ss ), designa un tipo di lino usato soprattutto per la realizzazione di vele (Daremberg–Saglio, I2, p  915) Arevalo, p  338, spiega l’uso di due sostantivi diversi (uela e carbasa) sulla base dei succitati versetti dell’Esodo che fanno una distinzione tra i tendaggi del tempio e il loro tessuto Credo tuttavia che si tratti qui di un semplice raddoppiamento sinonimico, secondo una delle più praticate modalità parafrastiche 704 in geminas partes disrupta dehiscunt In geminas partes deriva da Ov met 15,739 (la biforcazione del Tevere); nel complesso lo spezzone testuale ricorda le parole con cui a 2,611–613 Giovenco parafrasa il discorso di Matth 12,25 (omne regnum diuisum contra se desolabitur et omnis ciuitas uel domus diuisa contra se non stabit) sulla divisione di un regno discorde: si gemina regnum di­ stractum parte dehiscat / et scissa aduersum sese diuulsio pugnet / disruptis propere laben­ tur cuncta medullis 705 tremebunda Il deverbativo, che entra nella letteratura latina a partire da Cicerone (dom 134 e Arat  88 122 Soubiran), è dotato di una forte espressività e ha uso prevalentemente epico o comunque poetico (Pianezzola, p  202) In 3,667 nec dubiis nutans uitiis tremebunda iace­ bit, parafrasi di Matth 21,21 et non haesitaueritis, l’aggettivo è riferito alla fede che deve essere salda senza ripensamenti In Giovenco si ha poi soltanto un’altra forma di aggettivo verbale in -bundus, cioè furibundus di 1,398 e 2,5 concussa est pondere tellus L’hemiepes ricopia quello di Verg Aen 9,752 ingenti concussa est pondere tellus, dove il guerriero troiano Pandaro, ferito a morte da Turno, cade percuotendo la terra col peso enorme del suo corpo

Commento

405

706 dissiliuntque … cautes L’immagine delle rocce che si frantumano riprende quella di Sil 17,277 dissiliens sonu­ it rupta compage carina, che descrive una nave sfiancata durante la tempesta suscitata da Nettuno contro Annibale Colombi, L’allusione, p  168, ha notato che Giovenco non soltanto mantiene i termini chiave del modello con una diversa funzione grammaticale, ma preserva anche, sia pure con parole differenti, le medesime allitterazioni (dissiliuntque suo ruptae de corpore cautes); sull’incipit incide forse anche il ricordo di Lucr  1,491 dissiliuntque fero feruentia saxa uapore La clausola corpore cautes sarà imitata da Cypr Gall gen 395 707 tum ueterum monumenta uirum È riconoscibile il prelievo virgiliano di Aen 3,102 tum genitor, ueterum uoluens monu­ menta uirorum: preceduto da boati e scosse, Apollo, attraverso la memoria degli antichi eroi, predice a Enea le sue sorti future e gli consiglia di cercare l’antica madre patria; diverso è nei due loci il significato di monumenta (in Virgilio il ricordo, in Giovenco le tombe); accomunano i due contesti lo sconvolgimento della natura per gli eventi narrati (l’epifania di Apollo, la morte di Gesù) e la menzione degli uomini passati (gli eroi, i santi) La sillaba -um è tre volte in tempo forte; la sonorità rende mimeticamente il cupo rumore delle tombe scoperchiate La ripetizione di tum ai vv  701 e 707 correla in un rapporto consequenziale l’apertura dei sepolcri con la morte di Cristo 707–708 patuere repulsis / obicibus Cfr supra, nota ai vv  384 s. 708 animae per membra reuersae La preposizione per dà l’idea che l’anima non sia fissa in un punto preciso ma si espanda per tutto il corpo; per un’immagine analoga cfr Verg Aen 8,30 procubuit seramque dedit per membra quietem Colombi, Preposizioni, p  17, propone un richiamo alla concezione stoica della diffusione del principio vitale attraverso le membra del corpo ripresa dal cristianesimo a partire da Tertulliano (anim 14,4) e Lattanzio (opif 16,12) fino ad Agostino (gen. ad litt 3,5) e Isidoro (orig 11,1,8) 709 uisum passae populi Questo è il testo della maggior parte dei mss , accolto da Reusch e Arevalo; il solo cod C legge invece uisi passim populi, alternativa recepita da Marold e Huemer: questa variante, in cui populi avrebbe il significato di ‘masse, moltitudini [di anime]’, impone un inattesto cambio di soggetto rispetto al verso precedente, dove si dovrebbe sottintendere un sunt al participio reuersae Nella sua recensione alla edizione huemeriana Petschenig, Evangeliorum libri, p  142, corregge poi il tràdito populi in populis, valutando come una frase parentetica l’intero primo emistichio («e – sembrò qua e là alle masse – esse vagarono …») La lez maggioritaria uisum passae, recentemente rivalutata da

406

Commento

Müller, Tod, p  387, che traduce «sie zogen überall den Blick des Volkes auf sich», ha il vantaggio di una maggiore coerenza grammaticale e stilistica; l’espressione uisum pati, che varrebbe ‘subire, sostenere lo sguardo’, benché non documentata, trova comunque analoghi paralleli letterari (Sen benef 4,23,4 longius … a conspectu seducti di eunt redeuntque et ex his, qui oculos nostros patiuntur, plerique obscuro gradu pergunt e Tert orat  22,3 si uirgo es, plures oculos pati noli) Segnalerei infine la proposta dell’erudito tedesco Kaspar von Barth, che, a suo dire sulla base di un perduto ms da lui posseduto, aveva emendato il passo in uisae passim populo (ne dà conto Reusch, ad loc , p  438) 709–710 per moenia lata / … urbis Cfr Val Fl 7,380 per moenia deficit urbis Tra le varianti latae, late e lata, opterei per quest’ultima, che si può difendere sulla base di Verg Aen 6,549 moenia lata uidet tri­ plici circumdata muro; cfr anche Auson ordo 24,32 lata per extentum procurrunt moenia collem Il poeta ricorre alla sineddoche epica moenia urbis, che qui sostituisce il generico ciuitas del testo biblico, sia quando nell’ipotesto compare il riferimento a una città senza l’indicazione precisa, in quanto già fornita precedentemente o deducibile dal contesto, come in questo caso, sia quando ne è riportato espressamente il nome (1,153 383; 2,248 250 solo moenibus senza la specificazione urbis; 298) 710 sic terrent omnia mundum A chiusura dell’epifonema che riassume gli eventi prodigiosi suggerisco di apporre come segno interpuntivo un punto e virgola, la cui funzione demarcativa contrassegna in modo più netto la fine dell’enunciato La clausola di 2,198 è omnia mundi (= Stat Theb 3,26; Ps Hil gen 2,198 e 158); cfr altresì Paul Nol carm 32,194 omnia mundus e Cypr Gall gen 6 omnia mundo 711 militibus Il centurione e le sue guardie In tutta la pericope della crocifissione alle autorità militari si applica una designazione generica (vv  643 650 664 711); Giovenco conserva invece l’indicazione del grado in 1,742 centurio et precibus proiectus talibus orat, a proposito del centurione di Cafarnao la cui fede è lodata da Gesù in Matth 8,10 (audiens autem Iesus miratus est et sequentibus se dixit: Amen dico uobis. Non inueni tantam fidem in Istrahel); cfr Poinsotte, p  134 e n  439 quatiuntur corda pauore Cfr 4,753 uestra pauor nullus quatiens nunc corda fatiget; l’emistichio verrà imitato da Drac Orest 119 anxia sollicito quatiuntur corda pauore Per il nesso corda pauore vd ancora Iuvenc 1,14 corde pauorem e 2,488 cordis secreta pauescant; ai luoghi di Verg georg  3,106 ed Aen 5,138 corda pauor segnalati da Huemer si può aggiungere almeno Ov met 15,514 corda pauent

Commento

407

712 dedita quae saeuae seruabant corpora poenae Si può supporre una contaminazione tra Sil 13,191 tres claustra aequaeuo seruabant corpore fratres e 2,509 dedita nec fessi tramittant corpora Poeno; nel secondo caso, per quanto la clausola corpora poenae sia già attestata in Ov met 13,663, la ripresa siliana pare suggerita oltre che dall’identico incipit anche dal suono simile delle ultime parole dei due versi, ancorché di significato assai diverso (Punico/pena) Seruabant si legge anche nel cod d della VL al versetto 54 (qui cum eo seruabant), a fronte della variante erant custodientes dei restanti testimoni 713 Christumque fatentur Un ritaglio di verso raffrontabile con Carm adv. Marc 1,51 daemones expulsi clamant, Christumque fatentur completa la professione di fede dei soldati; il poeta sembra dare un peso particolare al riconoscimento del ruolo messianico di Gesù da parte dei pagani che stanno sotto la croce (il centurione e le guardie) e presentare accanto al titolo di ‘Figlio di Dio’ anche l’altro epiteto tradizionale, quello di ‘Cristo-Messia’, quasi a leggere in quelle parole l’atto di fede dei cristiani provenienti dal paganesimo 714 e speculis matres miracula tanta tuentur I sinottici notano la presenza di donne sul Calvario ma a distanza dalla croce: Marc 15,40 s nomina Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Joses e Salome, da Matteo identificata come la madre dei figli di Zebedeo; Luc 23,49 parla di conoscenti e di donne senza specificarne l’identità; Ioh 19,25 colloca tali figure ai piedi della croce e cita la madre di Gesù e sua sorella, Maria di Cleofa e Maria Maddalena Giovenco non riporta i loro nomi, come per altri personaggi minori dei Vangeli, ma non elimina del tutto il riferimento alle persone, definite nella pericope con la parola virgiliana matres (4,726  ~ Matth 27,61; 744  ~ Matth 28,1; 752  ~ Matth 28,5) Usata al plurale quaranta volte da Virgilio, essa si riferisce a donne sposate o rispettabili e compare sovente nella descrizione di folle femminili In una consueta prospettiva di romanizzazione del racconto biblico, tale scelta verbale va letta, quindi, proprio alla luce dei precedenti usi virgiliani e della nozione solitamente espressa dal termine, designante anche in testi di altre epoche figure femminili oneste, che «vivono secondo i boni mores» (W Wolodkiewicz, EV III, p  405) La parte iniziale dell’esametro è un riecheggiamento di Verg Aen 11,877 s e speculis percussae pectora matres  / femineum clamorem ad caeli sidera tollunt, un passo che descrive le donne di Laurento mentre dalle rocche della città assistono allo scontro fra Latini e Troiani Quanto a e speculis si può accogliere l’interpretazione di Arevalo, p  339, secondo cui «specula est locus editus, ex quo aliquid prospicimus»; questa ipotesi è avallata dal confronto con Verg Aen 3,239 s dat signum specula Misenus ab alta / aere cauo e Iuvenc 2,69 at uero e speculis miracula tanta pauentes, un verso strutturalmente simile a quello in esame ma dedicato ai guardiani dei porci che assistono dalle alture a un miracolo, la liberazione di un giovane dallo spirito immondo; si veda il commento ad loc di De Wit, p  29, e Santo-

408

Commento

relli, I libri dei Vangeli, p  105 La giuntura miracula tanta, derivata da Lucan 10,196 sit pietas aliis miracula tanta silere (cfr altresì Mart 9,83,1 inter tanta tuae miracula, Caesar, harenae), analogamente a proposito di fatti straordinari, cioè le misteriose sorgenti del Nilo, è nella stessa sede metrica a 2,69 e 3,202 Va notata la clausola allitterante con la ripetizione del gruppo consonantico nt La riscrittura metrica presenta punti di contatto con il passo parallelo di Luc 23,48 s , che rispetto a Matteo accresce i rimandi al lessico della vista: Et omnis turba eorum, qui simul aderant ad spectaculum istud et uidebant, quae fiebant, percutientes pectora sua reuertebantur. Stabant autem omnes noti eius a longe et mulieres, quae secutae erant eum a Galilaea, haec uidentes (gr ἐπὶ τὴν θεωρίαν ταύτην, θεωρήσαντες τὰ γενόμενα  … ὁρῶσαι) Dell’emistichio giovenchiano resta traccia in Vita Leudeg 2,200 miracula tanta tuentes 715 obsequium Christo ferre L’espressione rende il senso di Matth 27,55 (ministrantes ei); nell’opera cinque volte su dieci obsequium ricorre a proposito di Gesù: 1,365 (l’ossequio da parte degli angeli del Padre); 2,507 (l’amore nei suoi confronti); 4,311 (la devozione mostrata da Maria, sorella di Lazzaro); 417 (l’unzione di Betania) La parola conserva una sottile ambiguità semantica: accanto al significato di ‘servizio’, ‘omaggio’, vi è infatti anche quello, prevalentemente cristiano, di ‘culto’ da tributare a Dio e a Cristo (cfr ThlL IX 2 181,57 ss e 183,16 ss ) 716–726 La sepoltura. La pericope è modellata su Matth 27,57–61: 57 Cum sero autem factum esset, uenit quidam homo diues ab Arimathia, nomine Ioseph, qui et ipse discipulus erat Iesu 58 Hic accessit ad Pilatum et petit corpus Iesu. Tunc Pilatus iussit reddi corpus 59 Et accepto corpore Iesu inuoluit illud in sindone munda 60 Et posuit eum in monumento suo nouo, quod excidit in petra. Et aduoluit saxum magnum ad ostium monumenti et abiit 61 Erat autem ibi Maria Magdalena et altera Maria sedentes contra sepulcrum («Quando si fece sera, venne un uomo ricco di Arimatea, di nome Giuseppe, il quale era anche lui discepolo di Gesù Egli andò da Pilato a chiedere il corpo di Gesù Allora Pilato ordinò che gli venisse rilasciato il corpo E, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo di lino e lo depose nel suo sepolcro nuovo, scavato nella roccia; fece rotolare una grossa pietra all’ingresso della tomba e se ne andò Maria Maddalena e l’altra Maria stavano lì sedute difronte al sepolcro») Dopo la retractatio ornamentale (vv  716 s ) della determinazione di tempo del versetto incipitario, Giovenco inserisce due versi (717 s ) che offrono informazioni sulla condizione sociale e le qualità morali di Giuseppe di Arimatea (procerum solus … iu­ stior) e spiegano la richiesta a Pilato del corpo di Gesù al fine della sepoltura (audet / corpus ad extremum munus deposcere Christi) Gli altri dati dell’ipotesto sono grosso modo mantenuti: al v  719 leggiamo il nome e la provenienza del personaggio (ab Ari­ mathia, nomine Ioseph ~ Iuvenc ab Arimathia nomen gestabat Ioseph) e al verso seguen-

Commento

409

te la notizia relativa al suo discepolato, resa in maniera perifrastica (qui et ipse discipulus erat Iesu ~ qui quondam uerbis aures praebebat Iesu); non resta traccia di diues, a meno che non vi si voglia vedere un’allusione nel procerum del v  717 Per quanto riguarda il versetto 58, l’inizio (accessit ad Pilatum) è omesso ma al v  721 viene recuperato il soggetto (hic ~ Iuvenc iste); petit diventa rogat, da cui dipendono Pilatum e sibi cedere; corpus si trasforma in membra; l’adiectio del v  722 è una considerazione sull’orrore della pena, che con violenza ha strappato alle membra di Cristo lo spirito vitale Dell’ultimo segmento di Matth 27,58 non vi sono riprese testuali: il nome di Pilato, menzionato per la seconda volta, è sostituito, al v  723, dalla carica istituzionale (praeses), per evitare la ripetizione; la frase iussit reddi corpus viene sintetizzata nel semplice conces­ sit I vv  723 s parafrasano il versetto 59 con cambiamenti nei termini e nella sintassi: in Matteo il soggetto è il sottinteso Giuseppe, in Giovenco la sindone stessa indicata per mezzo di una perifrasi (in sindone munda ~ fulgida lino  / texta); l’ablativo assoluto scompare ma corpore viene recuperato in caso accusativo senza la specificazione Iesu; il predicato verbale è reso con un sinonimo (inuoluit ~ tegunt) La prima parte del versetto 60 parla di una tomba nuova scavata nella roccia: nella parafrasi c’è un’altra variazione sintattica, che rende un sottinteso corpus soggetto di conponitur; a in monu­ mento suo nouo corrisponde nouo … antro; saxi esprime in estrema sintesi il contenuto della relativa quod excidit in petra La seconda parte è ulteriormente rimaneggiata, ancora con mutamenti di sintassi e di lessico: l’oggetto (saxum magnum) nella riscrittura diventa soggetto (immensa uolumina petrae), con il conseguente cambio di predicato (aduoluit ~ concludunt) e la scomparsa di abiit; il complemento indiretto (ad ostium monumenti) si trasforma invece in oggetto (limen) Il v  726 allude alle donne sedute davanti al sepolcro senza citarle direttamente 716–717 L’ekphrasis del tramonto amplifica la coordinata temporale del testo biblico sviluppando il motivo antitetico del giorno e della sera, con la figura etimologica delle due voci verbali semanticamente opposte (decidenti – succedere) e la clausola allitterante (succedere soli); la prevalente successione di spondei al v  716 e la continuazione del periodo, che si chiude in rejet al verso successivo con coeperat (noterei la somiglianza strutturale con Ov met 3,85 s iamque uenenifero sanguis manare palato / coeperat), sono un’efficace combinazione di significante metrico e significato: al sole che lentamente cala subentra con graduale progressione la sera, e proprio il lessema uesper, incastonato tra pentemimere ed eftemimere, si trova ad avere un particolare risalto; dopo la scena apocalittica della pericope precedente, il ritratto della quiete vespertina introduce la sezione dedicata alla sepoltura di Cristo, una sosta meditativa che fa da intermezzo prima della risurrezione Ancora al v  716 per la combinazione decedenti … soli si trovano paralleli poetici che valgono a confermare la correttezza della lez maggioritaria decedenti contro le varianti recedenti di K1 K2 T Bb H, metricamente inadeguata avendo la prima sillaba breve, e decidenti di R1 V1 V2, chiaramente erronea

410

Commento

succedere … / coeperat L’uso di coepisse + infinito, proprio della Umgangssprache e documentato in letteratura fin da Plauto (ThlL VII1 921,78 ss ; LHS, II, p  319; Reichenkron, pp  451–480), si incontra nel poema anche a 1,725; 2,195 211 717 tum Huemer segue la lez minoritaria et … cum, resa problematica dalla presenza di et, una vera e propria zeppa metrica senza paralleli negli altri esempi del cosiddetto cum inuer­ sum riscontrabili nel poema Gli altri editori e Petschenig, Evangeliorum libri, p  142, propendono invece per la variante et … tum offerta dalla gran parte dei mss Green, Problems, p  15, suggerisce di leggere qui e di isolare tra due virgole le parole qui iustior: l’espressione sarebbe così un esempio di frase relativa con ellissi del verbo e riecheggerebbe nel complesso Verg Aen 536 s iustissimus unus / qui fuit Tale ipotesi è stata tuttavia respinta da Müller, Tod, p  222, per ragioni paleografiche, in quanto qui potrebbe essere esito solo di un originario quum, non attestato in alcun testimone ms , e non di cum Più di recente Adkin, pp  299–301, ha proposto di legare cum all’aggettivo iustior e di assegnare alla congiunzione valore causale con ellissi del verbo; tra i casi analoghi di tale fenomeno, non raro anche nelle subordinate (LHS, II, pp  421–422), lo studioso cita Ov met 3,497 te, quia femina, rebar e Amm 19,12,8 ciuitas …, quod secretior L’ipotesi interpretativa è acuta e suggestiva; lascia però dubbiosi il fatto che, a quanto risulta, non siano documentati nella latinità altri paralleli con cum (è solo del XII secolo il luogo segnalato da Adkin, cioè Bernardo di Chiaravalle, laud. milit 22 profecto namque cum homo esset, potuit mori; cum iustus, debuit non gratis, dove peraltro la formula ellittica si comprende alla luce della subordinata del periodo precedente) e che Giovenco, benché talvolta sottintenda le voci del verbo esse, non ricorra però ad analoghe costruzioni ellittiche in frasi subordinate Si preferisce dunque optare per la lez maggioritaria, che sembra dare un senso adeguato al contesto; per la correlazione cronologica espressa da iam e tum si può ricordare poi Iuvenc 4,236 s iamque aderat praesens dominus: tum primus et alter / se geminasse illi pariter concredita monstrant Il parafraste contamina il suo principale modello matteano con il luogo parallelo di Luc 23,50 et ecce uir nomine Ioseph, qui erat decurio, uir bonus et iustus Quanto alla forma aggettivale, il comparativo sembra avere qui valore di superlativo o piuttosto di positivo, a giudicare dal modello biblico seguito, secondo un impiego non estraneo allo Spätlatein (LHS, II, pp  168 s ) 718 corpus … Christi Notevole l’iperbato in questa iunctura documentata nella letteratura cristiana latina a partire già da Tertulliano e Cipriano ad extremum munus Sono le estreme onoranze tributate al corpo di Gesù, cioè l’imbalsamazione e la sepoltura; cfr Iuvenc 2,20 ultima defuncto debentur munera patri (la richiesta del discepolo

Commento

411

di poter seppellire il padre in Matth 8,21) e 399 ultima supremae celebrabant munera pompae (aggiunta del poeta alla parafrasi di Matth 9,23, riguardante la morte della figlia di Giairo) Extremum munus ha un diverso significato in Verg ecl 8,60, in riferimento al suicidio del pastore Damone (con ripresa a Ciris 267 per la confessione di Scilla morente), e Aen 4,429, a proposito del suicidio di Didone; Lucan 6,724 s allude invece all’estremo vantaggio della morte, ossia il non poter più morire; in ambito cristiano Pietro Crisologo (serm 19,5 numquid sic Christus negat ultimum pietatis obsequium, uetat extremum munus parentibus, quod debetur?) riusa l’espressione nella spiegazione di Matth 8,18–22 Il ThlL VIII 1667,6 cita Iuvenc 4,718 come esempio di munus nel senso di ‘esequie’, ‘sepoltura’; in questa medesima accezione il lessema è spesso qualificato da attributi quali ultimus, supremus o extremus (Verg Aen 11,25 s supremis / muneribus; Ov Pont 1,7,29 supremum … munus; Lucan 8,741 extremo … a munere) deposcere L’impiego del verbo composto non è dettato da particolari esigenze espressive, se non da quelle di ordine metrico, ma sembra piuttosto in linea con le tendenze del latino tardo, che preferisce le forme composte a quelle semplici con un valore puramente sinonimico, senza che il preverbio determini consistenti differenze di senso o sfumature semantiche; a fronte delle 18 occorrenze di posco, la forma composta ricorre soltanto tre volte (2,334 428; 4,718), sempre con funzione di semplice sinonimo La clausola deposcere Christi sarà copiata dall’anonimo poeta noto come Poeta Saxo (IX sec ), autore degli Annales de gestis Caroli magni imperatoris (3,69 auxilium … deposcere Christi) 719 ab Arimathia Ablativo aggettivale di origine o provenienza con preposizione (LHS, II2, § 73, p  105 e § 142, p  256) Giovenco ripropone la grafia dell’Itala, mentre nei codd della Vulgata si legge la forma con dittongo Arimathaea, modellata sul gr Ἁριμαθαία; cfr Perin, I, s v Arimathaea, p   449 Su questa importante città della Giudea (Luc 23,51), che la tradizione identifica con Ramataim-Sofim (Euseb onomast 32,21) e gli studiosi moderni con la toparchia samaritana di Ramataim presso Rentis, 15 Km a NE di Lidda, cfr Dalman, pp  239 s nomen gestabat Cfr Sil 16,607 s satis inclita nomen / gestat fama meum e Tert nat 1,5,8 omnes nomen de professionibus gestant Ioseph Negli Euangeliorum libri il nome, calco del gr Ἰωσήφ, ha 7 occorrenze (6 per il padre adottivo di Gesù) ed è trattato come bisillabo a 1,151 222; 2,105 e come trisillabo a 1,256 272; 3,25; 4,719 In tutti i casi esso si trova nel 6o piede dell’esametro, tranne che a 1,222, dove è collocato tra 3° e 4° piede Presso altri poeti latini Ioseph, indicante i vari perso-

412

Commento

naggi biblici, è per lo più parola bisillabica (Carm adv. Marc 3,37 e 5,145; Ambr tituli 7; Prud ditt. 27; Orient comm 1,467; Ps Prosp carm. de prov 361; Rust Help hist testam 4; etc ); è un trisillabo in Paul Nol carm 19,100; 27,624 In contesti poetici la forma flessa del nome proprio è adottata, a quanto pare, soltanto dal cosiddetto Cipriano Gallo (22 casi) a proposito del figlio di Giacobbe (gen 973 1115 1166 1184 1206 1263 1305 1361 1369 1389; etc ) 720 qui quondam uerbis aures praebebat Iesu Giovenco allude al discepolato di Giuseppe mediante la perifrasi uerbis aures praebebat, su cui cfr almeno Ov met 5,334 nec nostris praebere uacet tibi cantibus aures; 6,1 praebue­ rat dictis Tritonia talibus aures; 15,465 inmotas praebet mugitibus aures e Rufin Clement 5,8,2 libenter praebere aurem uerbo dei; come al verso precedente, il nome proprio Iesu è in clausola: il poeta dà così rilievo ai due personaggi menzionati, maestro e discepolo Matteo e Giovanni (19,38) indicano Giuseppe come discepolo di Cristo, mentre Marco (15,43) e Luca (23,50) come un influente membro del sinedrio giudaico; secondo act. 13,27–29 furono gli abitanti di Gerusalemme a seppellire il corpo di Gesù 721 iste Ha valore di pronome anche a 1,209; è in funzione aggettivale a 1,98; 4,500 622 rogat sibi cedere Cfr 4,212 e nota relativa 722–725 I versi sono percorsi da allitterazioni (uitam uis, v  722; concessit, corpus, conponitur e concludunt, vv  723–725; texta tegunt, v  724) e omeoteleuti che producono le rime interne horrida / fulgida (vv  722 s ) e tegunt / concludunt (vv  724 s ), una combinazione, quest’ultima, evidenziata dalla coincidenza delle cesure Si notino ancora gli omeoteleuti e le allitterazioni delle parole in clausola, quasi disposte in una conformazione chiastica in base alle desinenze (poenae – lino – antro – petrae) 722 tulerat Caso di ‘simplex pro composito’ segnalato da Huemer, Index, p  171 uis horrida A 3,8 è apposizione di daemon; la iunctura si trova nella stessa collocazione metrica in Lucr 3,170 a proposito della forza della freccia; in Sen Oed 89 s indica la violenza della guerra e in Lact Phoen 21 la furia del vento 723–724 corpus … / texta tegunt … -que … conponitur Costruzione anacolutica Si noti l’allitterazione paronomastica che apre il v  724

Commento

413

fulgida lino / texta Come a 4,395 (linea texta) per la resa di orarium (il sudario di Lazzaro) di Ioh 11,44, anche qui per il biblico sindon, propriamente un telo di lino, Giovenco preferisce una perifrasi indicante il tessuto Il termine è nei sinottici (Matth 27,59; Marc 15,46; Luc  23,53), ma solo in Matteo è accompagnato da un attributo (in sindone munda [gr ἐν σινδόνι καθαρᾷ]) L’aggettivo fulgidus, che spesso qualifica le vesti (ThlL VI 1514,66 ss ), associa alla nozione di nettezza espressa dal mundus biblico quella di lucentezza, orientata al motivo della luce come metafora di Cristo 724 saxique nouo … antro L’iperbato mette in rilievo l’attributo, posizionato in corrispondenza di eftemimere; per saxique nella stessa sede metrica si veda oltre al v  741, questa volta per il masso di pietra che chiude il sepolcro Secondo l’usanza romana i cadaveri dei condannati potevano essere restituiti alla famiglia o agli amici per la sepoltura; tuttavia non era consentito seppellirli in tombe già occupate da altri corpi per non contaminarli I sinottici (Matth 27,60; Marc 15,46; Luc 23,53) concordano nel dire che il sepolcro di Gesù fosse scavato nella roccia, ma solo Matteo e Luca aggiungono che esso era nuovo, seguiti anche da Giovanni (19,41), che colloca la tomba in un giardino Stando alle testimonianze neotestamentarie, la tomba aveva un’anticamera (Ioh 20, 1–8), un masso circolare all’ingresso (Matth 28,2; Marc 15,46; 16,3; Luc 24,2) e il loculo funerario sul lato destro (Marc 16,5); questa elaborata struttura corrisponde alla condizione agiata di Giuseppe di Arimatea; cfr Abel–Vincent, pp  89–300 e Kroll, pp  368–373 conponitur … antro Conponere è adoperato anche per la sepoltura di Lazzaro a 4,377, secondo il significato di ‘seppellire’ registrato in ThlL III 2116,52 ss Per analoghe costruzioni con l’ablativo apreposizionale cfr Ov met 4,157; Stat silv 3,5,13; Paul Nol epist 13,4 725 immensa uolumina petrae L’iperbole descrittiva delle volute del masso rotolato all’imbocco del sepolcro deriva da Virgilio, che applica l’immagine alle spire dei serpenti (Aen 2,208 sinuatque immen­ sa uolumine terga) e ai viluppi dei lacci (Aen 5,408 immensa uolumina uersat) 726 Salvo qualche leggero cambiamento, il verso è una fedele riproposizione di 4,714, a incastonare il momento della sepoltura in una struttura ad anello Questa sorta di refrain, secondo Galli, p  264, vuole evidenziare «negli snodi fondamentali dell’azione la presenza costante e silenziosa delle donne e il loro ruolo di attenta custodia e di vicinanza a Gesù, anche nei momenti più drammatici»

414

Commento

seruant Su 32 occorrenze complessive, seruare ha solo qui il significato di ‘osservare’, ‘guardare’, su cui cfr OLD, s. v., 2a, p  1747 et cuncta tuentur Ricordo forse contrastivo di Val Fl 2,223 et cuncta tuentes, detto delle donne di Lemno che spinte da Venere si apprestano a massacrare i propri mariti nel letto Si noti l’insistenza sul lessico della percezione visiva, che, come a 4,714, trova un interessante parallelo biblico in Luc 23,55 subsecutae autem mulieres, quae cum ipso uenerant de Galilaea, uiderunt monumentum et quemadmodum positum erat corpus eius 727–742 La custodia della tomba. Della richiesta a Pilato di guardie a custodia del sepolcro da parte dei capi giudaici parla soltanto Matteo; gli altri Evangelisti agganciano alla pericope della sepoltura direttamente quella della visita delle pie donne, che trovano la tomba vuota Il modello di Giovenco è dunque Matth 27,62–66: 62 Altera autem die, quae est post parasceuen, conuenerunt principes sacerdotum et Pharisaei ad Pilatum 63 di­ centes: Domine, rememorati sumus, quod seductor ille dixit adhuc uiuens: Post tertium diem resurgam 64 Iube ergo custodiri sepulcrum usque in diem tertium, ne forte ueniant discipuli eius et furentur eum et dicant plebi: Surrexit a mortuis, et erit nouissimus error peior priori 65 Ait illis Pilatus: Habetis custodes; ite custodite, sicut scitis 66 Illi autem euntes munierunt sepulcrum signantes lapidem cum custodibus («Il giorno successivo, che è quello dopo la parasceve, i capi dei sacerdoti e i farisei si riunirono presso Pilato e gli dissero: Signore, ci siamo ricordati che quell’impostore, quand’era ancora in vita, disse: Dopo tre giorni risorgerò Ordina dunque che il suo sepolcro venga custodito fino al terzo giorno, affinché non vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: È risorto dai morti Quest’ultimo errore sarebbe peggiore del primo Pilato rispose loro: Avete le guardie; andate, custodite come sapete Essi andarono a presidiare il sepolcro, sigillando la pietra per mezzo delle guardie») La notazione di tempo che apre il versetto 62 si allarga in una poetica rielaborazione al v  727; segue nella parafrasi una spiegazione del sabato e della parasceue, termine non mantenuto da Giovenco, con il riferimento alle norme della Legge, che fissa il riposo festivo (v  728) Il v  729 è un’aggiunta sul furor Iudaicus L’ultima parte del versetto è ripresa al v  730, ove, tranne il verbo (conuenerunt ~ Iuvenc conueniunt), tutto il resto è diverso: il soggetto sottinteso sono i proceres del verso precedente, parola che accorpa i principes sacerdotum e i Pharisaei; Pilato non è chiamato per nome ma mediante il titolo di iudex al secondo hemiepes, completamente nuovo, deputato a evidenziare il fare molesto dei dignitari La pericope continua con un dialogo tra le autorità e il procuratore romano; il poeta conserva tale struttura dialogica, ma apporta qua e là modifiche più o meno consistenti Prima della resa di Matth 27,63, vi è un verso che non ha referenti biblici, il 731, ancora riservato all’ostilità dei Giudei; il versetto 63 è ri-

Commento

415

scritto ai vv  732–734: manca l’apostrofe a Pilato, nel Vangelo definito con l’appellativo Domine; al v  732 rememorati sumus diventa meminisse decet, che regge ugualmente una frase dichiarativa, introdotta però da quoniam e non da quod, il cui soggetto è planus ille (~ seductor ille); dixit si espande in solebat … promittere (vv  732 s ), senza il participio adhuc uiuens, ma con l’incremento di iactans e uulgari  … plebi (v  733), altri segnali dell’astio dei capi giudaici nei confronti di Gesù e della sua predicazione L’annuncio della risurrezione (post tertium diem resurgam), nell’ipotesto formulato in modo diretto, è inserito in una proposizione infinitiva e ampliato in maniera del tutto autonoma rispetto al modello (vv  734 s ) Il v  736 riprende la prima battuta del versetto 64 (la richiesta di sentinelle al sepolcro di Cristo), con un lessico assai differente (solo custos echeggia custodiri), una diversa struttura sintattica (iube più infinito pass Matth  ~ pe­ timus più congiuntivo att Iuvenc ) e l’omissione del complemento di tempo usque in diem tertium Le tre finali coordinate del testo matteano aventi come soggetto discipuli si riducono a due nella parafrasi, con altri cambi di sintassi: al v  737 il soggetto della prima proposizione diventa l’astratto audacia qualificato da fera, da cui dipende furandi (~  furentur), l’oggetto è corpus, che sostituisce il pronome eum, e il verbo è consur­ gat (v  738), che permette di recuperare, sia pure in un caso diverso, la parola discipuli (~ discipulis); anche l’altra frase (v  738) ha un soggetto astratto, recens insania, lontana eco di nouissimus error, e da turbet dipende l’accusativo plebem (~ plebi) Per esigenza di uariatio l’autore non riscrive il segmento surrexit a mortuis, concettualmente simile all’affermazione del versetto precedente La risposta di Pilato è ai vv  739 s : la formula introduttiva è di poco modificata (ait illis Pilatus ~ Iuvenc et Pilatus ad haec … inquit); le parole del personaggio ricevono una retractatio più corposa sul piano sia contenutistico sia formale: dopo la soppressione dell’attacco matteano (habetis custodes; ite), Giovenco mette in risalto il permesso accordato ai proceres giudaici (custodite ~ Iuvenc permittitur … / seruare), per assecondare le loro volontà (ut uultis esprime un diverso significato rispetto a sicut scitis), e aggiunge tutto il secondo emistichio 740 (corpus tel­ lure sepultum) I vv  741 s seguono il versetto 66: conueniunt è esito di euntes; illi manca; è aggiunto un intero blocco (saxique ingentia pondera uoluunt); seruant corrisponde a munierunt, milite a cum custodibus, signis a signantes, saxum a sepulcrum e limen a lapidem (la pietra posta all’ingresso della grotta) 727 rutilo … lumine L’amplificatio temporale di Matth 27,62 altera autem die, che fa pendant con v   716, sfrutta un linguaggio stereotipato incentrato sull’aspetto cromatico della luce diurna Si veda Cic Arat. 107 Soubiran namque pedes subter rutilo cum lumine claret, allusione al colore rosseggiante di Sirio; l’aggettivo rutilus qualifica la luce del giorno anche in Iuvenc 2,168 incipient rutilam terris infundere lucem

416

Commento

conplebat lumine terras Per la iunctura iniziale, cfr Carm adv. Marc 4,125 aurea materies complebat lumine templum e lo stesso Iuvenc 1,51 donec quinque cauam conplerent lumina lunam e 3,272 Christus, magnifico terras qui lumine conples La clausola, di probabile conio ciceroniano (carm. frg 31,2 Blänsdorf e Arat 473 Soubiran), è ampiamente attestata nell’epica classica: si veda in particolare Verg Aen 9,459 et iam prima nouo spargebat lumine terras, la cui struttura è molto simile a quella del verso giovenchiano; nell’Eneide il sorgere dell’aurora dà inizio a un nuovo giorno di combattimenti e ai preparativi di Turno che incita i suoi alla battaglia; negli Euangeliorum libri segna l’inizio del giorno festivo, in cui tuttavia il furor dei Giudei trama ancora contro il Signore 728 otia … prisca de lege iubebat La mancata citazione del termine tecnico parasceue, che secondo l’uso cultuale giudaico fa riferimento al giorno di preparazione alla festa, cioè al venerdì che precede il sabato, è compensata dalla lunga perifrasi esplicativa, in cui Giovenco chiama in causa i precetti dell’Antica Legge e la nozione di riposo, per chiarire con parole più comprensibili ai lettori romani il senso del testo biblico Il poeta adotta questo tipo di perifrasi anche in 2,564 ille dies ueteri poscebat lege quietem (~ Matth 12,1) e 590 certe transibitis otia legis (additio al testo di Matth 12,11 s ), sempre in un passaggio concernente il sabato; cfr Herzog, pp  112 s ; Poinsotte, p  94 e n  305; supra, nota al v  130 I loci giovenchiani sono segnalati dal ThlL IX2 1178,47 ss tra i valori di otium come sinonimo di ‘sabato’, giorno festivo dei Giudei, connesso con le prescrizioni legali (Tac hist 5,4,3; Tert nat  1,13,3) Anche i Padri fanno spesso ricorso a tale vocabolo per spiegare allegoricamente il senso spirituale del riposo del sabato (Rufin Orig. princ 2,7,2 neque … corporaliter in­ tellegi … otium sabbati; Orig. in Ios 2,1 sabbatizare populum dei non otium gerentem a conuersatione communi, sed otium gerentem ab operatione peccati; Hil in Matth 12,2 ergo sabbato in agrum profectus in legis otio domini progressus in hunc mundum est; 25,7 ne … in otio bonorum operum reperiamur) 729 nulla sed inmitis procerum furor otia seruat L’additio al testo di Matth 27,62 ribadisce il Leitmotiv del poema, cioè l’ostilità a Cristo dei sommi sacerdoti e dei farisei, definiti congiuntamente proceres (cfr Simonetti Abbolito, Termini tecnici, p  76) Questi capi, presentati nei Vangeli come custodi gelosi delle norme legali, cadono ora in contraddizione, per la mancata osservanza del precetto dello šabbāt, pur di dar sfogo alla loro collera La cadenza ritmica si ferma proprio sull’aggettivo inmitis e sul sostantivo procerum, quasi sbalzati al centro dell’esametro, in una contiguità funzionale all’immediata determinazione della cifra distintiva del gruppo dirigente, cioè la crudeltà; lo stesso attributo si legge in 3,457 a proposito dei peccatori che non sono capaci di perdonare i fratelli che li implorano (~ Matth 18,35) Per l’incipit del verso, ma senza l’anastrofe dell’avversativa, cfr 4,545 sed nullus tanto uisus satis esse furori

Commento

417

730 onerantque simul … iudicis aures I presenti subissano Pilato di richieste e reclami Knappitsch, IV, p   79, propone un raffronto con Hor sat 1,10,10 uerbis lassas onerantibus aures, un’esortazione alla breuitas per non stancare gli ascoltatori; alla luce del contesto, si può anche citare un passo di Cicerone riguardante l’inutile esibizione di argomenti in tribunale (nat. deor 3,8 quia te quoque, inquit, animaduerti, Cotta, saepe, cum in foro diceres, quam plurimis posses ar­ gumentis onerare iudicem, si modo eam facultatem tibi daret causa) Pilato è definito iudex anche in 4,606 731 erroris laqueos … resoluit L’adiectio sottolinea la malafede dei sommi sacerdoti e dei farisei, che riaffermano davanti a Pilato l’assoluta opportunità della condanna di Cristo, definita iustissima, presentando la sua dottrina come un inganno insidioso; è interessante notare che l’espressione usata dai proceres (erroris laqueos; per gli usi cristiani dell’immagine si veda supra, nota al v  98) è la stessa che in altre occasioni all’interno del poema Giovenco fa pronunciare a Gesù in sostituzione del termine scandalum dell’ipotesto biblico: 3,12 col­ ligere erroris laqueos labemque iubebit (~ Matth 13,41) e 3,402 erroris laqueos saeclis in­ crescere certum est (~ Matth 18,7) L’appropriazione del linguaggio cristiano da parte degli accusatori giudei, in un rovesciamento di prospettiva, rende tanto più paradossali e inverosimili le loro affermazioni Per laqueos resoluit una successiva attestazione si legge in Agostino (c. Cresc 3,55,61 si laqueos diaboli, quos resoluere atque abrumpere de­ berent, constrictius implicant et obuoluunt, adhuc accipe, unde uehementius et utinam cum aliquo fructu correctionis erubescant), ma numerose sono le attestazioni con la forma non composta del verbo (Sen dial 9,10,1 fortuna … laqueum inpegit, quem nec soluere possis nec rumpere; Plin epist 2,8,2 numquam ne hos artissimos laqueos, si soluere negatur, abrumpam?; Calp decl 29 laqueum filiae soluam) iustissima poena Acuisce ulteriormente il paradosso, se si pensa che l’attributo è prevalentemente applicato nel poema al Signore, alle sue opere o ai giusti biblici Il nesso, con l’aggettivo al grado positivo, ha grande diffusione nella prosa latina a partire almeno da Cicerone (Mil 85) e Livio (8,34,4); con il superlativo si riscontra poi nel latino cristiano, molto spesso soprattutto in Agostino (lib arb 3,18; civ 10,8; 14,27, etc ) 732–735 La compattezza sintattica e metrica della riscrittura di Matth 27,63 si sviluppa, grazie soprattutto agli enjambements, in un periodo metrico particolarmente arioso; si vuole insistere in tal modo sulla promessa di Cristo relativa alla sua risurrezione, e proprio questo pensiero centrale si articola nel giro di quattro versi, in cui gli elementi strutturali della sintassi sono staccati da forte iperbato (solebat / … promittere … / …  sese  …  / … remeare …) Il giro di parole, trascinate in uno spazio metrico così

418

Commento

ampio, rivela l’incredulità dei dignitari giudaici rispetto alla dichiarazione riportata, ma allo stesso tempo punta a focalizzare l’importanza del concetto, fondamentale per il lettore cristiano 732 meminisse decet, quoniam Per meminisse decet cfr Plaut Stich 46; Lucr 4,643; Tib 1,2,13 (nella stessa collocazione metrica) Il senso e la sintassi esigono un ritocco della punteggiatura rispetto alla ediz huemeriana che stacca con un punto e virgola decet da quoniam; la congiunzione introduce infatti, come a 1,379 memini scriptum, quoniam non sola tenebit (cfr Huemer, Index, p  170; Kievits, p  107; Hatfield, § 108, p  27; Fichtner, pp  124 s ), una subordinata oggettiva retta da meminisse, che impone un segno interpuntivo meno forte La costruzione analitica nella subordinata con quoniam + verbo di modo finito in presenza di uerba sentiendi e dicendi (oppure di memoria), calco del greco ὅτι della koiné, è tipica del latino tardo anche per influsso della lingua biblica (cfr Lundström, pp  199 s ) Presso gli scrittori ecclesiastici l’indice di frequenza di tale congiunzione rispetto a quod e quia in analoghi costrutti sintattici è oscillante: Itala Matth 7: 3: 40; Peregr. Aeth 4: 2: 7; Didasc. apost 5: 3: 10; Aug civ 4: 117: 5; conf 8: 56: 23; epist 0: 111: 23; Vitae patr 21: 73: 427; Bened reg 0: 0: spesso; in Giovenco la concorrenza è di 2: 0: 28 Cfr Salonius, pp  26 s ; Blatt, p  176; Perrochat, pp  144 ss ; Süss, pp  44 ss ; LHS, II2, pp  577 s Sul quod subordinante negli Euangeliorum libri, cfr supra, nota al v  90 planus Tutti i testimoni della VL e della Vulgata esibiscono la lez seductor; planus di Giovenco trova un corrispondente nel testo greco di Matth 27,63 ὅτι ἐκεῖνος ὁ πλάνος εἶπεν; non è da escludere, tuttavia, che tale parola fosse anche in qualche versione latina pregeronimiana, come dimostrerebbe un passaggio di Cesario di Arles che riprende testualmente il passo matteano in serm 142,7 intrauerunt Iudaei ad Pilatum, et dixerunt ei: Domine, audiuimus quia ille planus (ὁ πλάνος) id est, ille impostor, dixit discipulis suis quia resurrecturus erit occisus Il lemma, rubricato in ThlL X1 2347,5 ss come sinonimo di deceptor, fraudator, compare nella latinità sin da Cic Cluent 72; le attestazioni più numerose sono comunque nel latino cristiano e postclassico (Tert adv. Marc 3,6,10; Arnob nat 2,32; Aug conf 4,3,4) 733 uulgari … iactans promittere plebi Aggettivo e sostantivo inquadrano il verso, al centro del quale spicca il participio iac­ tans tra pentemimere ed eftemimere; le autorità giudaiche riunite presso Pilato vedono la profezia di Gesù sulla risurrezione come una vanteria detta per impressionare il popolo; il discredito gettato su quest’ultima categoria trapela dal pleonasmo uulgaris plebs, una nota di disprezzo che denuncia la profonda distanza sociale e spirituale tra i notabili e il popolo (la giuntura pare attestata qui per la prima volta e non vede riprese se non nel latino medioevale) Si osservi ancora la clausola allitterante

Commento

419

734 mortis … tenebris … lumina uitae La struttura chiastica contrappone la morte alla vita tramite il consueto accostamento antitetico tenebre/luce, su cui ci si è soffermati al v  345; il richiamo lessicale suggerisce ancora una volta l’intenzione del poeta di stabilire un collegamento diretto, alla luce anche di implicite letture teologiche e figurali, tra la risurrezione di Lazzaro e quella di Cristo La prima parte dell’esametro è fortemente contraddistinta dall’omeoteleuto, con le parole interessate posizionate in corrispondenza di cesure; il gioco coinvolge al verso successivo anche solis, in una voluta opposizione, agevolata anche dalla reiterazione degli stessi suoni; non sfugga poi l’enfasi assegnata a quel pronome rafforzato, che è il soggetto dell’azione incriminata e vuole porre l’accento, nella prospettiva giudaica, sull’impudenza mostrata dal Signore nel proclamare la propria risurrezione L’espressione ‘tenebre della morte’, riconducibile ad altre analoghe presenti nella letteratura pagana (Lucan 3,713 s stat lumine rapto / attonitus mortisque illas putat esse tene­ bras; Apul met 6,31 ne mortis quidem maturatae festinas tenebras accersere), è però caratteristica soprattutto degli scrittori cristiani (anche quelli di lingua greca, nella variante σκιά [σκότος] θανάτου), influenzati dal testo biblico (per es , psalm 106,10 sedentes in tenebris et umbra mortis); per questo tipo di indagine si rinvia a Novakova, pp  134 s Nel nostro caso, Roberts, Biblical Epic, p  152, n  118, pensa che questa formulazione, espressa nel linguaggio tipicamente cristiano, risulti incoerente sulla bocca degli accusatori di Cristo; ma è forse proprio questo modo di parlare inatteso a far emergere, grazie a uno stridente contrasto, la portata straordinaria della profezia gesuana Nella clausola un ristretto numero di mss legge la variante limina, errore che si riscontra anche nella tradizione mss di Verg Aen 6,828 735 trino solis … recursu L’immagine gioca sul parallelo tra la rinascita di Gesù alla vita e il sorgere del sole il terzo giorno, in una sorta di identificazione, sottilmente evocata, di Cristo con la luce solare, secondo un motivo ricorrente nel poema; si osservi in tal senso la rilevanza assunta dall’avverbio pariter tra pentemimere ed eftemimere Una suggestione analoga è nel passaggio relativo al primo annuncio della risurrezione in 3,293–295 ast ubi lucifluum reddet sol tertius ortum / consurget radiis pariter redimita salutis / uita mihi La perifrasi cronologica, che si avvale del numerale distributivo (cfr supra, nota al v  548), risente probabilmente, su un piano meramente formale, di Stat Theb 4,307 s funereae tunc namque dapes mediique recursus / solis, con riferimento al mezzogiorno remeare recursu Cfr la chiusa similmente allitterante di 2,332 comperit ut Christum certo remeasse recursu, dove si allude al ritorno di Cristo in Galilea Per l’uso dell’infinito presente in luogo dell’infinito futuro in Giovenco, ancora a 1,66 257; 3,346 443 s , si veda Hatfield, § 10, p  5

420

Commento

736–738 La richiesta dei dignitari è formulata in tono solenne all’interno di un ampio periodo metrico, che occupa ben tre esametri La frase enunciativa, chiusa da tritemimere, è in primo piano nell’incipit del v  736 (hoc petimus); il costrutto paratattico conferisce alla seguente frase volitiva una sua indipendenza sintattica e semantica, che meglio fissa l’attenzione sull’istanza presentata (una guarnigione a guardia della tomba), anche mediante la concentrazione del ritmo sui due lessemi bisillabici (custos e miles), accentuati dalle incisioni, e dalla voce verbale in clausola (seruet) La domanda è finalizzata a scongiurare il furto del cadavere da parte dei discepoli e il pericolo di conseguenti sedizioni popolari: i timori delle autorità sembrano accompagnati dal crescere dell’intensità ritmica, che si ferma appunto sulle due voci verbali (consurgat turbetque) isolate, all’inizio del v  738, con tritemimere e pentemimere 736 hoc petimus È incipit di Lucan 4,362 hoc petimus, uictos ne tecum uincere cogas, dove a parlare è Lucio Afranio che chiede a Cesare l’esenzione da ogni vincolo di guerra per le truppe sconfitte Sulla base dell’intertesto lucaneo, che sul piano formale si estende anche all’analogo impiego del congiuntivo in chiusura di esametro e alla coincidenza del gruppo -tos davanti a pentemimere (uictos / custos), è possibile difendere la lez hoc contro la variante sed, promossa da Hansson, pp  58 ss ; va inoltre notato che il pronome hoc in funzione prolettica a inizio di esametro si ritrova in Giovenco anche a 1,122 e 4,248 Per una più dettagliata discussione del passo rinvio a De Gianni, Constitutio textus, pp  83 s noua funera Sineddoche indicante il sepolcro nuovo Cfr nella stessa sede metrica Ov met 13,518; Stat Theb 10,489; Val Fl 3,29 737 audacia I capi giudaici parlano di sfrontatezza dei discepoli anche nel passo affine di 4,783, dove corrompono le guardie per dire che i seguaci di Gesù ne hanno trafugato il corpo dal sepolcro Anche nelle altre occorrenze del termine il contesto è sempre negativo: 1,396 ne uires Domini fidens audacia temptet (le tentazioni del demonio nel deserto); 537 sed nostris cedat iurandi audacia iussis (il divieto di giurare) Cfr Fichtner, p  144 738 consurgat … insania Consurgere, qui con valore traslato, è sovente con soggetti astratti esprimenti concetti negativi, quali ira e discordia (ThlL IV 622,3 ss ) L’idea della risurrezione è definita dalle autorità giudaiche una follia (su insania cfr infra, nota al v  755); la nozione potenzia in senso negativo quella di error presentata dall’ipotesto e accentua il rifiuto dei proce­ res di accogliere il messaggio di Cristo

Commento

421

739 et Pilatus ad haec Una struttura analoga presenta le parole di Nicodemo in 2,204 et Iudaeus ad haec La formula ellittica ad haec prima di un discorso diretto appartiene alla lingua epica fin da Virgilio (Aen 9,207; 11,507; 12,631) In Giovenco essa ha 10 attestazioni, 8 delle quali nella forma Christus ad haec (2,23 121 184 336 589; 3,300 347 650); in due casi c’è una espansione che comprende un uerbum dicendi (1,378 e 2,365) Sull’uso di ad nelle locuzioni di passaggio e sull’ellissi dei verbi di dire si veda ThlL I 554,18–67 739–740 miles permittitur … / seruare La costruzione personale del verbo permitto in forma passiva più infinito è altrove documentata nella latinità (cfr LHS II2, p  365); non è pertanto necessaria la correzione seruate proposta da Poelmann e recepita da Arevalo 740 seruare … sepultum I termini allitteranti incorniciano l’esametro ut uultis I testimoni della VL e della Vulgata attestano in maniera concorde sicut scitis; tuttavia, una differente locuzione, più vicina a quella impiegata da Giovenco e forse presente in qualche antica versione latina del locus matteano, si legge in una citazione testuale di Caes Arel serm 142,7 ait illis Pilatus: Habetis milites, ite, custodite sicut uultis. 741 conueniunt saxique ingentia pondera uoluunt L’omeoteleuto a cornice scandisce le azioni dei capi del sinedrio Evidente la ripresa di Verg Aen 6,616 saxum ingens uoluunt alii, sulla punizione dei criminali condannati a rotolare un macigno Questa aggiunta sembra in contraddizione rispetto a quanto detto al v   725, dove già si parla di una grossa pietra posta all’ingresso del sepolcro Knappitsch, IV, p  80, ipotizza perciò che Giovenco alluda a un’altra azione dello stesso tipo all’interno di una dinamica dei fatti non del tutto esplicitata («probabile autem est eos [scil Iudaeos] prius saxum remouisse, ut sepulcrum inspicerent, num corpus adesset, deinde eundem lapidem aduoluisse et signasse») In realtà, come chiarito con finezza da Roberts, Vergil, p  56, l’imitazione virgiliana serve a veicolare un contenuto interpretativo di ordine morale: Giovenco, cioè, creerebbe una connessione tra i sommi sacerdoti e i malfattori dell’intertesto facendo intendere che ogni sforzo per proteggere la tomba è destinato a fallire, in quanto si tratta di un’azione sacrilega che contiene in sé la propria punizione 742 et limen signis et saxum milite seruant Il verso, articolato sull’anafora polisindetica, è scandito da un’allitterazione trimembre in s La clausola riecheggia quella virgiliana di Aen 9,161 bis septem Rutuli muros qui mili­ te seruent: i Rutuli sorvegliano i ripari dell’accampamento con corpi di guardia Le suc-

422

Commento

cessive dichiarazioni fatte circolare dai sacerdoti (Matth 28,13), secondo cui i discepoli avrebbero trafugato il corpo di Gesù mentre i soldati dormivano, avranno richiamato alla mente del poeta il contesto eneadico, che anticipa la sortita notturna di Eurialo e Niso nel campo dei nemici, mentre questi sono addormentati Nel giro di pochi versi il verbo seruo, nelle sue diverse sfumature di significato, ricorre ben 5 volte (vv  726 729 736 740 742) e nelle ultime tre occorrenze ha come oggetto il corpo o il sepolcro di Cristo, a rimarcare il concetto di ‘custodia’ che caratterizza l’intera pericope 743–766 La tomba vuota. Il racconto si articola in tre momenti: l’arrivo delle donne al sepolcro e i prodigi che accompagnano l’apparizione dell’angelo, l’annuncio pasquale e il successivo annuncio delle donne ai discepoli L’episodio, pur con leggere differenze, è narrato da tutti gli Evangelisti: Matth 28,1–8; Marc 16,1–8; Luc 24,1–12; Ioh 20,1–13 743–751 La fonte di Giovenco è Matth 28,1–4: 1 Vespere autem sabbati, quae lucescit in prima sab­ bati, uenit Maria Magdalena et altera Maria uidere sepulcrum 2 Et ecce terrae motus factus est magnus. Angelus enim Domini descendit de caelo et accedens reuoluit lapidem et sede­ bat super eum 3 Erat autem aspectus eius sicut fulgur et uestimenta eius candida sicut nix 4  A timore autem eius exterriti sunt custodes et facti sunt uelut mortui («Passato il sabato, quando cominciò a risplendere il primo giorno della settimana, Maria Maddalena e l’altra Maria vennero a visitare il sepolcro Ed ecco ci fu un grande terremoto, poiché un angelo del Signore scese dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si mise a sedere sopra di essa Il suo aspetto era come la folgore e le sue vesti bianche come la neve Per la paura che ebbero di lui, le guardie si spaventarono e rimasero tramortite») La perifrasi dei vv  743 s sostituisce l’indicazione cronologica di Matth 28,1, dove per ben due volte figura il termine sabbati, eliminato del tutto da Giovenco (per i diversi trattamenti di questa parola nell’opera cfr supra, nota al v  130) Il secondo segmento del versetto iniziale è riscritto ai vv  744 s : anche questa volta il generico matres rimpiazza i nomi di Maria Maddalena e dell’altra Maria; cambia il verbo reggente, anche nel numero (uenit ~ Iuvenc concurrunt), mentre l’infinito è simile (uidere ~ uisere); sepulcrum si sdoppia in tumuli … saeptum Il riferimento al terremoto del versetto 2 è ai vv  745 s : alla locuzione et ecce subentra sed; il soggetto motus nella parafrasi non è accompagnato dall’attributo magnus; il verbo è diverso (factus est ~ concutit); terrae viene recuperato come oggetto (terram) I vv  746 s descrivono con estrema fedeltà l’apparizione dell’angelo: angelus è cambiato in nuntius senza la specificazione Domi­ ni; descendit è uguale; il participio lapsus è aggiunto; de caelo diventa caelo … aperto; accedens e super eum sono tolti; a reuoluit corrisponde uoluit, con l’incremento di tu­ muli de limine, e a lapidem il sinonimo saxum Il versetto 3 presenta una descrizione del messaggero celeste, riportata ai vv  748 s ; si riscontrano soprattutto sostituzioni di tipo sinonimico: aspectus ~ facies; eius ~ illius; sicut fulgur ~ ceu fulguris, con l’additio di ignis,

Commento

423

che rende più pregnante il concetto (Simonetti Abbolito, Osservazioni, p  307); uesti­ menta ~ uelamina uestis; sicut nix ~ niuis ad speciem La luminosità del volto, già chiarita dalla similitudine della folgore, è ulteriormente ribadita da splendet (Matth. erat); l’aggettivo candida, riferito alle vesti, sfocia in un verbo che esprime similmente la nozione di lucentezza (lucent) L’ultimo versetto è dedicato allo spavento delle guardie, alla loro reazione alla visione soprannaturale; questo contenuto si legge ai vv  750 s , con lievi cambiamenti, che non modificano il significato di fondo: il soggetto è il sostantivo astratto terror, che echeggia il corradicale exterriti dell’ipotesto; a timore, ridondante, non è ripreso; il poeta si sofferma sulle conseguenze della paura con l’espressione sen­ sum discluserat omnem, che non ha un referente in Matteo; l’aggiunta di iacuere descrive con un realismo più spiccato l’accasciarsi dei corpi, che vengono paragonati a cadaveri: ceu fusa cadauera leto è una perifrasi di uelut mortui 743–744 Il sorgere del nuovo giorno è descritto con una consueta perifrasi temporale che contrappone al sole le stelle della notte che lentamente scompaiono (cfr la nota ai vv  586 s ); si noti l’allitterazione che interessa proprio i termini sidera … soli, in incipit e clausola, a incorniciare il v  743, che è chiuso in rejet dalla voce verbale incipiunt in apertura del verso seguente Allo stesso v  743 Giovenco sembra inaugurare una iunctura, uenturo … soli, poi recuperata da altri autori cristani quali Ambrogio (Abr 2,3,11 con­ tra orientem ideo, quia prophetabat uenturum iustitiae solem, quod illic sapientia pararet sibi domum et inde per uirginem suum praedestinaret exortum; epist 9,68,10 significabatur enim esse uenturus sol iustitiae) e Paolino di Nola (carm 19,221 tamquam uenturo sole serenus) 744 tumuli … tum … saeptum Si osservi l’assonanza realizzata con la ripetizione del gruppo tum 745–751 Dopo la notazione temporale, il poeta descrive la visita delle matres alla tomba di Cristo: la loro trepidazione è espressa dal predicato verbale concurrunt, in rima con inci­ piunt del v  744 e allitterante con concutit del verso successivo, parola di senso pieno che chiude in rejet il v  745 I tre verbi compongono il quadro iniziale: l’arrivo delle donne al sepolcro sul fare del giorno e l’improvviso terremoto che le sorprende; è proprio il termine motus di v  745 ad acquistare una particolare pregnanza semantica e ritmica, compreso com’è tra tritemimere e pentemimere Il poeta tratteggia la rapidità degli eventi e l’arrivo del messo divino realizzando il senso di paura e spaesamento dei presenti anche attraverso il polisindeto copulativo, che scandisce il lungo periodo in una serie di membri giustapposti; spicca soprattutto la ripetizione dell’elemento di coordinazione et, che ai vv  746–748 segue la parola dattilica del 1° piede, trovandosi così sempre in tempo forte (concutit ét … / nuntius ét … / illius ét …) La congiunzione è

424

Commento

ancora in tempo forte ai vv  749 e 751 a inizio di esametro La concatenazione anaforica rende incalzante l’elencazione dei fatti prodigiosi e sviluppa un crescente senso di attesa all’interno di una riscrittura che per il resto poco aggiunge all’ipotesto 745 motus L’impiego di motus senza il genitivo di specificazione terrae per indicare il terremoto è poco frequente in latino (ThlL VIII 1534,45) 746–747 caelo lapsus descendit aperto / nuntius Per struttura e terminologia questo segmento testuale assomiglia a Iuvenc 1,11 s uisus caelo descendere aperto / nuntius, che descrive l’apparizione dell’angelo Gabriele a Zaccaria Kirsch, p  107, sostiene che nella costruzione di queste epifanie ai motivi scritturistici si sovrapponga la struttura narrativa di analoghe teofanie classiche, soprattutto virgiliane, in cui i messaggeri celesti scendono dal cielo aperto, eseguono gli ordini della divinità, ne riferiscono le parole o le ingiunzioni e poi scompaiono (Mercurio in Aen  1,297–304 e 4,206–278; Iride in Aen 4,693–705; 5,606–658; Apollo in Aen  9,644– 658); su questo modulo descrittivo si è soffermato più di recente anche Springer, Bibli­ cal Epic, pp  103–126 Per quanto riguarda l’aspetto formale, sul verso influisce soprattutto Verg Aen 8,423 hoc tunc Ignipotens caelo descendit ab alto, detto della discesa di Vulcano sull’isola di Lipari Di derivazione virgiliana è anche lo stilema caelo lapsus: cfr Aen  2,693 s de caelo lapsa per umbras / stella (una stella cadente) e 8,664 lapsa an­ cilia caelo (gli ancili caduti dal cielo), ancora in riferimento, dunque, a fenomeni prodigiosi, o come tali visti dal lettore antico; per caelo … aperto nelle epifanie divine si veda supra, nota al v  145 747 nuntius Il cristianismo lessicologico diretto angelus, calco del greco ἄγγελος (Mohrmann, Étu­ des, III, p  49; Marangoni, p  11), è sempre sostituito da Giovenco con il corrispondente latino nuntius o con minister, termini più aderenti alla tradizione poetica (Orbán, Versi­ fikation, p  231); nuntius compare comunque anche presso altri scrittori cristiani (Min Fel 26,11; Comm apol 99; Lact inst 2,8,6; Ps Cypr ad Novat 16; Prud cath   4,55) Per altri casi negli Euangeliorum libri, cfr Simonetti Abbolito, Termini tecnici, p   72 Nell’opera sei volte su nove nuntius, parola dattilica, forma il 1° piede; per nuntius et nella stessa sede d’esametro, cfr Verg Aen 11,897 saxum … uoluit In Verg Aen 6,616 con saxum … uoluunt si descrive la pena dei dannati costretti nel Tartaro a rotolare un enorme macigno 748–749 fulguris ignis / … niuis … uestis Si noti l’omeoteleuto con effetto di rima nelle parole in clausola

Commento

425

748 et … splendet ceu fulguris ignis In Sil 13,556 s (extrema hinc auro fulgens iam lucis honorem / sentit et admoto splendet ceu sidere lunae) la similitudine paragona la decima porta d’oro dell’altro mondo allo splendore della luna; la clausola poi è ancora una variazione di Sil 6,220 e 12,724 fulgu­ rat ignis La particella comparativa, comune nella lingua della tragedia e dell’epica (cfr Axelson, p  89 e ThlL III 977,62 ss ) e qui ereditata dall’intertesto, si riscontra in Giovenco soltanto un’altra volta a 4,751 749 uelamina uestis La clausola allitterante e pleonastica si può raffrontare con quelle di Stat Theb 5,315 uelamina uestes e Sil 3,236 uelamine uestis (= Iuvenc 3,631) 750 terror sensum discluserat omnem Attraverso questa notazione Giovenco presenta gli effetti dello spavento sulle sentinelle e prepara alla similitudine del verso successivo Il verbo discludo ricorre solo un’altra volta nell’opera, a 3,162 uos etiam duro discluditis omnia corde, nel significato di ‘chiudere fuori’, ‘respingere’ a proposito di scribi e farisei che rifiutano i precetti evangelici 751 fusa … leto Knappitsch, IV, p  81, interpreta leto come un datiuus finalis e confronta il passo con 2,747 labuntur … leto e 3,351 demersit leto; nel nostro caso, però, mi pare si tratti piuttosto di un ablativo di causa efficiente («cadaveri abbattuti dalla morte») cadauera Giovenco, contrariamente ad altri poeti postclassici, usa solo due volte questo vocabolo (3,732 e 4,751), che per la sua valenza negativa era stato estromesso dalla lingua poetica di età augustea, dove si preferivano i sinonimi corpus, mors, funus (Axelson, pp  49 s ) 752–766 La riscrittura esametrica riprende Matth 28,5–8: 5 Respondens autem angelus dixit mu­ lieribus: Nolite timere uos. Scio enim, quod Iesum, qui crucifixus est, quaeritis 6 Non est hic, surrexit enim, sicut dixit; uenite et uidete locum, ubi positus erat Dominus 7 Et cito euntes dicite discipulis eius, quia surrexit. Et praecedit uos in Galilaeam: ibi eum uidebitis; ecce dixi uobis 8 Et exierunt cito de monumento cum timore et gaudio magno currentes nuntiare disci­ pulis eius («Ma l’angelo rispondendo disse alle donne: Non temete voi So che cercate Gesù, che è stato crocifisso Non è qui, è risorto, come aveva detto; venite e vedete il luogo, dove era deposto il Signore Presto, andate a dire ai suoi discepoli che Egli è risorto e che vi precede in Galilea; là lo vedrete Ecco, ve l’ho detto Quelle, uscite in fretta dal sepolcro, con timore e grande gioia corsero a dare la notizia ai suoi discepoli»)

426

Commento

La pericope è quasi interamente occupata dal messaggio dell’angelo Il primo stico del versetto 5, che ne introduce le parole, è riscritto al v   752, con l’omissione di re­ spondens, alcune modifiche lessicali (autem ~ sed; angelus ~ ille; mulieribus ~ ad matres; dixit ~ profatur) e l’aggiunta di tali cum uoce La battuta iniziale, che infonde fiducia ed esorta a non temere, è resa al v  753, notevolmente dilatata, mediante una terminologia già impiegata al v  711, per descrivere la reazione dei soldati alla morte di Cristo I vv  754 s esprimono il contenuto dell’ultimo segmento biblico; nam echeggia enim; manifesta fides potrebbe rimandare vagamente a scio, ma ha una pregnanza semantica più complessa (cfr infra, nota ad loc ); il sintagma regge l’infinitiva (nell’ipotesto c’è invece una dichiarativa introdotta da quod); il nome Iesum è sostituito dal nesso sanctum  … corpus, ma il verbo rimane lo stesso, con un semplice cambio di modo (quaeritis  ~ quaerere); la frase relativa di Matteo (qui crucifixus est) prende l’intero v  755: il passaggio dalla forma passiva all’attiva sposta l’attenzione sull’astratto scelerata insania, ulteriore atto d’accusa contro i carnefici, mentre la voce verbale si sdoppia in fixit e crucis in ligno Il versetto 6 si apre con non est hic; il poeta preferisce tralasciare (perlomeno in questo punto del racconto) la locuzione e riportare direttamente la proclamazione successiva, dal fondamentale valore teologico, surrexit enim, riprodotta al primo emistichio 756, senza la congiunzione enim e l’inciso sicut dixit e con l’inserimento di Christus; il secondo emistichio e tutto il v  757 sono un’additio a tale nucleo centrale e sviluppano il tema della risurrezione attraverso motivi tradizionali La parafrasi del versetto continua ai vv  758 s : uenite manca, l’imperativo uidete è stemperato nella locuzione uisere … licitum est; sede sepulchri echeggia locum; la frase nulla istic iaceant … membra richiama l’iniziale non est hic; a positus erat corrisponde condita e al soggetto Dominus, come al v  754, un termine che indica il corpo di Gesù (membra) Il versetto 7 è riscritto ai vv  760 s in maniera più aderente: dicite e discipulis, senza il genitivo eius, sono trascritti alla lettera; il participio euntes si trasforma nell’ablativo re­ cursu; l’avverbio cito negli aggettivi celeri e propero; la formula quia surrexit è ampliata al v  761 mediante il topos della luce e l’aggiunta di Christum, che, come al v  756, richiama l’attenzione sul soggetto dell’azione L’accenno alla Galilea è al v  762 (in Galilaeam ~ inque Galilaeam … terram; praecedit ~ praecedere; uos è eliminato), con l’incremento di un attributo che qualifica Cristo (laetum); la sezione finale è integralmente tagliata I vv  763 s costituiscono un approfondimento sullo stato d’animo delle donne e ampliano l’espressione cum timore et gaudio magno di Matth 28,8; la restante parte del versetto è ripresa ai vv  765 s : currentes è reso dal corradicale cursu connotato da praecipiti; all’idea di fretta si unisce quella di gioia con il nesso celebrantes gaudia, assente nel modello La conclusione è sostanzialmente simile: exierunt … de monumento ~ tumulum … relinquunt; discipulis perde la specificazione eius; nuntiare ~ talia … referunt 752 ille sed ad matres Simile l’incipit di 3,384 ille sed ad Petrum

Commento

427

753 pauor nullus … corda fatiget Clausole simili sono in Sil 1,63 corda fatigat; 12,496 corde fatigat e 13,142 corda fatigans È probabile che Giovenco abbia tenuto presente soprattutto quest’ultimo luogo (13,142– 144 dum pauitant, spumantis equi fera corda fatigans, / euehitur porta sublimis Taurea cri­ stis / bellator), come lascia supporre il riecheggiamento del verbo pauito nel sostantivo corradicale pauor 754 manifesta fides Il nesso è di derivazione classica (Verg Aen 2,309; 3,375; Aetna 177; Lucan 1,524; Stat Theb 6,638) Il poeta gioca sull’ambivalenza semantica dell’espressione che può essere interpretata sia nel significato classico di ‘è chiaro che’, come un equivalente concettuale di scire dell’ipotesto, sia nel significato cristiano di ‘è chiaro segno di fede’, nel senso cioè che nella visita al sepolcro si manifestano la fede e la devozione delle pie donne Una risemantizzazione in senso cristiano della locuzione è in Carm adv. Marc 3,174 e 5,188 sanctum … corpus La definizione del corpo di Cristo come ‘santo’, ripetuta a breve distanza anche più avanti al v  757, risente forse dell’uso di una terminologia analoga in ambito liturgico, legata soprattutto al sacrificio eucaristico, come si evince da alcune formulazioni di Cipriano (epist 15,1 ante actam paenitentiam, ante exomologesim grauissimi atque extremi delicti factam, ante manum ab episcopo et clero in paenitentiam inpositam, offerre pro illis et eucharistiam dare, id est sanctum Domini corpus profanare audeant, cum scriptum sit: qui ederit panem aut biberit calicem domini indigne reus erit corporis et sanguinis domini) e Novaziano (spect 5,26 cui ut non obiciam quod fortasse commisit, uidit tamen quod com­ mittendum non fuit et oculos ad idolatriae spectaculum per libidinem duxit, ausus secum sanctum in lupanar ducere, si potuisset, qui festinans ad spectaculum dimissus e dominico et adhuc gerens secum, ut assolet, eucharistiam inter corpora obscena meretricum Christi sanctum corpus infidelis iste circumtulit, plus damnationis meritus de itinere quam de spec­ taculi uoluptate) Nella poesia cristiana l’autore del Carmen aduersus Marcionem ricorre allo stesso motivo cristologico a proposito della Incarnazione e della Passione (1,98–99 omnia sunt hominis qui sancto in corpore uersus, / a patre deo uero missus e 5,238–240 nec non in terris suo postquam corpore sancto / omnia perpessus persoluit debita nostra, / infernum petit) 755 scelerata insania Si tratta di un nesso virgiliano di Aen 7,461 saeuit amor ferri et scelerata insania belli: l’Erinni Aletto scaglia una torcia rovente nel cuore di Turno per suscitare in lui il desiderio della guerra; l’eroe si sveglia furioso e, in preda al delirio, comanda di preparare le armi contro Latino Con la stessa espressione Giovenco definisce l’odio tra fratelli in 2,467 prodet enim fratrem scelerata insania fratris Il recupero della iunctura virgiliana serve nel nostro caso a ribadire la follia degli assassini di Cristo (cfr Santorelli, Aqui­

428

Commento

lino Giovenco, p  425), ma, nel contempo, direi, anche a modellare letterariamente la figura eroica del protagonista e quella antagonistica degli avversari Insania ricorre già in 1,446 lunae cursum comitata insania mentis, in relazione ai lunatici di Matth 4,24, e, come si è visto, in 4,738 recens insania Secondo una ricorrente topica cristiana, di matrice già veterotestamentaria (Vulg Is 37,28 cognoui … insaniam tuam contra me), tale sentimento è il motivo scatenante delle persecuzioni a opera di pagani ed eretici: cfr Rufin Clement 1,53,1 infideles […] immensa aduersum nos insania commouentur; Prud perist 5,167 s qui tuam / calcat, tyranne, insaniam; Aug serm 278,1 illius furoris atque insaniae, qua pertrahebat Christianos ad necem e ThlL VII1 1828,44 ss 756 surrexit Christus L’annuncio pasquale occupa il primo emistichio 756, in cui hanno grande rilievo, in corrispondenza di incisioni (tritemimere ed eftemimere), la voce verbale che indica l’azione, prelevata tal quale dall’ipotesto, e il nome del protagonista del prodigioso evento Nel nome proprio la sillaba -tus subisce productio in arsi davanti a cesura; a proposito di questa parola il fenomeno si registra solo in questo caso all’interno dell’opera 756–757 aeternaque lumina uitae / corpore cum sancto deuicta morte recepit Nell’additio al testo di Matth 28,6, nella cornice di un arioso periodo metrico, si incrociano il motivo della luce connesso con la vita eterna, un tema presene anche in 3,341 s ; 4,734 s e 760 s , l’idea della corporeità legata alla risurrezione di Cristo e il topos della vittoria sulla morte; queste tematiche vanno a formare quella che Röttger, p  25, chiama «kleine Auferstehungstheologie» Per lumina uitae rinvio alla nota al v  345 lumina … / … recepit Stilema frequente nella prosa tardolatina, anche fuor di metafora (Lact ira 13,5 luna quoque nocturni temporis gubernatrix amissi ac recepti luminis uicibus menstrua spatia moderatur; Rufin Orig. in gen 1,7 nam sicut sol et luna corporalibus oculis caecos quamuis illustrent, illi tamen lumen recipere non possunt, ita et Christus lucem suam praestat men­ tibus nostris; Aug conf 8,4,2 redeunt ad te et accedunt et inluminantur recipientes lumen) 757 corpore cum sancto L’insistenza sulla nozione di ‘corpo’ (vv  754 757 759) coglie anche la necessaria connessione tra la risurrezione del Salvatore e il vuoto lasciato nella tomba Giovenco chiarisce al lettore romano, culturalmente più vicino alla concezione greco-occidentale che distingue i principi costitutivi dell’uomo (principio vitale e principio materiale), ciò che per i primi cristiani, formati nel pensiero biblico, era più immediato, anche in forza della loro idea dell’uomo globalmente inteso, al di là delle diverse definizioni di volta in volta utilizzate (spirito, carne, anima, corpo, occhi, etc ) Questa spiegazione risente degli scritti neotestamentari, soprattutto della riflessione teologica sulla risurrezione dei corpi esposta in I Cor 15,35–53

Commento

429

deuicta morte Il motivo della vittoria di Cristo sulla morte è di ascendenza scritturistica; si vedano le citazioni di Is 25,8 e Os 13,14 contenute in I Cor 15,55–57 absorpta est mors in uictoria. Ubi est, mors, uictoria tua? Ubi est, mors, stimulus tuus? La giuntura occupa la stessa posizione metrica in Manil 4,87 inuictum deuicta morte Catonem (Catone Uticense con il suicidio sconfigge la morte naturale e non cede al nemico) e Carm adv. Marc 1,60 in caelos hominem deuicta morte leuari, in riferimento alla guarigione di un moribondo operata da Cristo, e ancora 1,108, dove si trova mortis deuictio 758–759 uisere  … uobis  … sede sepulchri  / nulla iaceant, fuerant  … condita membra Vi è una sequenza di allitterazioni e omeoteleuti Per il nesso condita membra, ma in altra positio metrica, cfr Prop 2,20,10 e Carm adv. Marc 3,170 Le analogie con la tomba di Lazzaro sono discusse supra, nota ai vv  370 s 760 celeri properoque recursu Esempio di synonymorum coaceruatio Il nesso celer recursus si rinviene in Ov met 6,450 e Stat Achill 1,232; per propero … recursu, cfr ancora Iuvenc 1,765 properante recursu 761 remeasse in luminis oras Giovenco reinterpreta in chiave cristiana, con riferimento alla risurrezione (Matth 28,7 surrexit), la solenne locuzione classica luminis orae, con cui nella poesia latina pagana si indica la luce della vita a proposito della nascita; il nesso, risalente a Enn ann 109 tu produxisti nos intra luminis oras e 135 Skutsch at sese sum quae dederat in luminis oras, è ripreso da Lucrezio (1,22 170 179; 2,617 577; 5,224 781 1455, a cui va forse aggiunto 1,5, se è valida l’emendazione del tràdito lumina solis proposta da Giardina, pp  147–149) e Virgilio (georg 2,47; Aen 7,660 sub luminis edidit oras); cfr Witke, pp  205 s ; Roberts, Biblical Epic, p  153 e n  120 In 2,342 s il parafraste descrive con la medesima terminologia la guarigione del figlio moribondo del funzionario reale a Cana (pueroque in luminis oras / limine de mortis subitam remeasse salutem), in un contesto in qualche modo affine, cioè un passaggio dalla morte alla vita operato da Cristo La iunctura conserva il suo valore originario in 1,106 e 3,486, dove fa riferimento alla nascita di Giovanni Battista e degli uomini dediti ai piaceri carnali La fortuna di questa formula poetica, che ritorna anche in altri testi cristiani (cfr Mar Victor aleth 2,516 e Carm de resurr 8), è stata indagata da Williams, pp  718 s 762 laetum L’aggettivo, che non appare nel testo matteano, connota molti eroi dell’epica tradizionale ed è assai frequente nel poema virgiliano; in questo punto del racconto il richiamo alla gioia del Risorto crea un legame tra la figura di Cristo e quella di Lazzaro, il quale similmente dopo la risurrezione torna gioioso a casa (4,397 tum solui iussit laetumque

430

Commento

ad tecta remittit; anche in questo caso, come si è detto, si tratta di un’additio al testo di Ioh 11,44) In entrambi i luoghi, peraltro, il vocabolo è situato nella stessa ubicazione metrica 763–766 I versi sono caratterizzati dalla massiccia presenza di omeoteleuti, alcuni dei quali producono rime interne (his dictis uisis … / … attonitis … ancipiti … / … praecipiti … / … discipulis referunt … relinquunt) 763–764 L’ordine sintattico degli elementi è il seguente: his dictis uisisque ardens stupor perfu­ derat animos attonitis [scil matribus] laetitia ancipitique pauore; il v   764 è occupato dai termini che esprimono le diverse emozioni provate dalle donne (gioia, stupore, paura), in una disposizione simmetrica che vede i due ablativi (laetitia e pauore) alle estremità dell’esametro e il nominativo stupor, staccato con forte iperbato dall’aggettivo ardens, al centro, dopo cesura semiquinaria Frequente è in poesia l’accostamento dell’aggettivo attonitus al radicale stup­: Verg georg 2,508 hic stupet attonitus rostris; Sen Tro 442 si somnus ille est mentis attonitae stupor; Octauia 35 quisquis attonitus stupet; Sil  12,252 attonitus stupet; ancora Iuvenc 3,59 attonitus stupuit e 527 talibus attoniti comi­ tes stupidique silebant 764 laetitia Il motivo della gioia, già anticipato a v   762 nella qualificazione di Cristo, sfrutta lo stesso lessema con cui a 1,167 qui populis lucem mox laetitiamque propaget, un’aggiunta al testo di Luc 2,10, l’angelo annuncia ai pastori la nascita del Salvatore; il poeta lega così i due lieti annunci della nascita e della risurrezione 765 praecipiti … cursu Il nesso praecipiti cursu, già attestato in Lucano (2,706; 3,391 praecipitem cursum; 7,336 496; 10,508), ricorre anche in 4,131 anceps praecipiti turbet trepidatio cursu celebrantes gaudia In luogo di celebrantes, lez della gran parte dei mss , tra cui C, Arevalo, seguito da Knappitsch, accoglie la variante celerantes tràdita da altri testimoni Quest’ultima potrebbe essersi generata per influsso di praecipiti … cursu e risulterebbe un superfluo appesantimento del concetto già reso da tale sintagma Celebrantes invece, come fa giustamente notare Colombi, L’allusione, p  181, è difendibile sulla base di Sil 11,492 s procurrit … / certatim ingenti celebrat noua gaudia plausu, in cui si descrive l’esultanza del popolo per il ritorno di Magone a Cartagine Il motivo della gioia per il lieto evento scandisce del resto l’intero brano (vv  762 764 765) e qui viene nuovamente ricordato in maniera autonoma dal modello; proprio la mancanza di un referente biblico rende la lez celebran­

Commento

431

tes meno scontata di celerantes, innescata forse dal raffronto con Matth 28,8 (currentes) Talia del v  766 andrà quindi inteso come un neutro sostantivato (‘questi fatti’, cioè la visione e il messaggio), oggetto di referunt 766 talia … referunt tumulum … relinquunt L’ordine cronologico della narrazione viene invertito mediante l’hysteron proteron, per dare priorità all’annuncio dell’evento ai discepoli; il parallelismo dei membri, con le voci verbali in omeottoto in chiusura degli emistichi, è messo in luce dalle allitterazioni 767–775 Gesù appare alle donne. L’episodio è riportato dal solo Matteo; in Giovanni (20,14– 18) l’apparizione riguarda soltanto Maria Maddalena I versi seguono Matth 28,9–10: 9 Et ecce Iesus occurrit illis dicens: Hauete. Illae autem accesserunt et tenuerunt pedes eius et adorauerunt eum 10 Tunc ait illis Iesus: Nolite timere; ite, nuntiate fratribus meis, ut eant in Galilaeam, ibi me uidebunt («Ed ecco Gesù venne loro incontro, dicendo: Salute Esse si avvicinarono, gli strinsero i piedi e lo adorarono Allora Gesù disse loro: Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea, lì mi vedranno») La prima parte del versetto 9 corrisponde ai vv  767 s : l’incipit del v  767 mantiene dell’ipotesto soltanto l’avverbio ecce; rispetto a occurrit di Matteo, l’espressione usata da Giovenco si focalizza soprattutto sul concetto di epifania (se ostendit); il nesso fidas matres, che rimarca la fede delle pie donne, sostituisce la forma pronominale illis; il soggetto Iesus è accompagnato da due attributi, ambedue collocati tra pentemimere ed eftemimere con effetto di rima interna, i quali fanno riferimento, rispettivamente, alla luce che Cristo emana (clarus, v  767) e alla dolcezza delle sue parole (blandus, v  768) L’indirizzo di saluto, hauete, è riecheggiato in forma indiretta, con la conseguente scomparsa del ‘uerbum dicendi’ dicens, da saluere iubebat La seconda parte del versetto è riscritta ai vv   769 s , con poche modifiche di carattere formale: rimane il nominativo illae; la voce verbale accesserunt è cambiata con occurrunt, per esprimere con maggiore efficacia la corsa con cui le matres si avvicinano al Risorto; tenuerunt si trasforma nel participio prehensis, anche per interrompere il parallelismo sintattico; la resa del sostantivo pedes con genibus e plantis è registrata da Roberts, Biblical Epic, p  154, tra gli esempi di amplificazioni sinonimiche di un nome; adorauerunt diventa uenerantur, mentre il pronome eum, come al solito, è esplicitato con il nome proprio Iesum, definito uictorem leti; l’aggettivo pauidae, aggiunto, presenta la trepidazione con cui le donne compiono l’atto di venerazione Al v  771 troviamo la formula introduttiva del versetto 10: questa volta è Iesus a mutarsi in ille; il semplice ait si dilata in una frase dedicata al conforto derivato dalle parole di Gesù (talibus … praeceptis pectora firmat) Il v  772 è un’amplificazione di nolite timere; al v  773 la consegna del messaggio per i discepoli è piuttosto somigliante (fratribus meis ~ fratribus … nostris; nuntiate ~ mandata referte), con l’eliminazione di ite e l’unico, significativo incremento di propere,

432

Commento

altro tributo al motivo della sollecitudine; risulta invece abbastanza rimaneggiato il contenuto di tale messaggio, riformulato in maniera diretta con verbi all’imperativo (ite ~ eant; transcurrite è aggiunto), accompagnati da elementi incentrati sulla volontà della sequela e sulla premura (uolentes e propere); l’enunciato indipendente ibi me ui­ debunt confluisce in una protasi, che pone nel desiderio di vedere Cristo la condizione necessaria per andare in Galilea (nostri conspectus si cura est) 767 ecce iteris medio Lo stesso emistichio apre 1,243, in cui si descrive l’apparizione della cometa ai Magi a metà del loro camminο verso la grotta di Betlemme; significativo appare il fatto che qui l’aggettivo clarus occupi la stessa posizione esametrica che nell’altro locus occupa il sostantivo stella (ecce iteris medio stellam …; ecce iteris medio clarus … Iesus) Si può pensare che il richiamo interno voglia evocare una sottile analogia tra il luminoso corpo celeste e la figura di Cristo, che si mostra alle donne in tutto il suo splendore La metafora Gesù-stella, del resto, a partire dalla profezia di num 24,17 ἀνατελεῖ ἄστρον ἐξ Ιακωβ e apoc 22,16 ἐγώ εἰμι … ὁ ἀστὴρ ὁ λαμπρὸς ὁ πρωϊνός (Dorival, pp  295–352), è largamente nota nella letteratura patristica già da Giustino (apol 1,32,13 = 140,39 Wartelle ἄστρον δὲ φωτεινὸν ἀνέτειλε … Χριστός) e Origene nella traduzione latina di Rufino (hom. in Num 18,4 [GCS 30, p  173,2] ut Christum, de quo in consequentibus dicit: orietur stella Iacob; cfr Cypr testim 2,10 e Lact inst 4,13,10), fino a testimonianze poetiche seriori incentrate in particolare sulla visita dei Magi, quali Prud apoth 615 s ‘uidimus hunc’ aiunt ‘puerum per sidera ferri / et super antiquos signorum ardescere tractus’ o Sedul hymn 2,35 lumen requirunt lumine Anche per la similarità morfologica con il monogramma cristologico, l’astro diventa poi un ricorrente simbolo messianico anche nella raffigurazione iconografica (Deichmann, pp  98–106; Dulaey, pp  21–25) Sul rarissimo genitivo iteris, qui scelto anche per motivi metrici, si veda supra, nota al v  71 clarus … Iesus L’aggettivo clarus in questo contesto è volutamente anfibologico; da un lato esso esprime il carattere di evidenza che ha l’epifania di Gesù (il suo apparire in maniera chiara e manifesta alle donne), dall’altro, soprattutto, allude alla luce abbagliante che lo circonda, accezione che si conserva anche al v  790, a proposito dell’apparizione del Risorto ai discepoli (cfr infra, nota ad loc ) L’epiteto, sia pure con una differente sfumatura di significato, connota ancora Cristo in altri due luoghi del poema, ossia 2,127–129 (inte­ rea thalamis conubia festa parabant / in regione Chanan, ubi clari mater Iesu / nato cum pariter conuiuia concelebrabat), dove l’attributo è in diretta connessione con il miracolo compiuto alle nozze di Cana, e 3,2 s (discipuli rogitant, lolii quid quaestio uellet / et segetis; clarus quibus haec depromit Iesus) in riferimento alla chiarezza delle parole con cui viene spiegata ai discepoli la parabola della zizzania Al di là del valore concreto o metaforico che nei diversi contesti assume tale attributo, scopo del poeta, secondo

Commento

433

Röttger, p  28, è comunque imprimere nel lettore l’immagine di una Licht­Gestalt in relazione alla figura di Cristo 768 saluere iubebat Cfr Hor epist 1,10,1 urbis amatorem Fuscum saluere iubemus 769 genibus plantisque prehensis Lo sdoppiamento di pedes in plantis, che è una sineddoche, e genua, che indica invece una differente parte anatomica, oltre a rispondere a una prassi parafrastica, si può anche spiegare con la suggestione esercitata da certe scene epiche, in cui i personaggi abbracciano le ginocchia del protagonista in segno di supplica o di sottomissione 770 È degna di nota la studiata struttura dell’esametro: l’iperbato a cornice stacca l’appellativo uictorem dal nome Iesum; il complemento predicativo del soggetto pauidae risalta centralmente tra pentemimere ed eftemimere; l’allitterazione lega il predicato verbale e l’oggetto (uictorem … uenerantur) uictorem leti Il titolo ‘vincitore della morte’ designa Gesù anche in 2,405 leti uictor uitaeque reper­ tor in occasione della guarigione della figlia di Giairo (Matth 9,23–25) La iunctura, a quanto risulta, resta un hapax nella poesia latina cristiana; un riuso si avrà nel X sec con Rosvita, ascens 114 ascendit diri uictor super aethera leti Una forma variata è in Paul Nol carm 31,184 uictorem mortis e Flav hymn 33 uictori mortis Per l’appellativo ‘vincitore’ relativamente a Cristo che sconfigge la morte si veda, tra gli altri, Gaudent serm. 19,36 calcato mortis aculeo caelos uictor ascendens Il parafraste insiste su questo motivo, già richiamato al v  757 (cfr supra, nota ad loc ) pauidae L’aggettivo, caratteristico di molte matres virgiliane in preda alla paura e all’apprensione, si ricollega al radicale pau­, che domina l’intera scena della visita al sepolcro (vv  753 764 770 772), a definire la prevalente emozione delle donne La paura spiega anche la reazione del Salvatore che al verso seguente rinsalda i cuori con parole rassicuranti uenerantur Iesum Il verbo ueneror non è biblico Nella Vulgata si trova soltanto due volte (II reg 16,12 e Dan 11,38) e non è molto più frequente nella VL, dove si registra l’uso in una citazione di Is 45,14 riportata da Mario Vittorino nell’Ad Candidum Arianum Negli scrittori cristiani il termine è impiegato come sinonimo di adoro anche in coppia endiadica con colo (Ambr hex 2,4,6; vid 5,30) e sembra adatto a denotare atti di rispetto religioso verso oggetti sacri e persone, sia santi (Aug bapt 6,2,3) sia Dio o Cristo (Ambr epist

434

Commento

32,4) Presso gli epici classici ueneror esprime il culto delle divinità oppure l’ossequio religioso verso persone, edifici sacri e altari (OLD, s. v., 1a, p   2028) Con questa diversificazione di usi Giovenco adatta il verbo alle forme di devoto omaggio al Signore (1,407 585 735; 3,355; 4,770) e all’altare (1,504), ma anche alla devozione per gli amici (1,569), al dono della guarigione (2,66) o alla venerazione pretesa dal demonio (1,402) Il deverbale ueneratio, attestato in Vulg I par 29,18, è invece in 1,591; 2,284 596; 3,51 685 Vd in generale Heinsdorff, p  282, e supra, note ai vv  356 e 518 771 pectora firmat Una clausola simile è in 2,340 in pectore firmat, detto della fede che fortifica l’animo del funzionario reale dopo la guarigione del figlio; in 1,428 compare invece il nesso firmato pectore La matrice è Val Fl 1,79 (con variazione a 2,47 pectora firmans), in cui è la religio a confermare il cuore confuso di Giasone, che rivolge supplice la sua preghiera a Giunone Si tratta quindi di una ulteriore appropriazione in chiave cristiana di una tessera poetizzante desunta da un contesto pagano 772 mentibus absistat fidei pauor omnis In luogo del tràdito fidei Müller, Tod, p  269, congettura fidis, citando numerosi paralleli classici e cristiani del nesso fida mens Se è vero che di pauor fidei non si conoscono altre attestazioni, è però possibile in qualche modo spiegare l’espressione: il termine fidei, in evidenza tra le due cesure maschili, si dovrebbe valutare verisimilmente come un genitivo oggettivo, e l’invito rivolto alle donne e di riflesso al pubblico suonerebbe quindi come «nel vostro cuore non ci sia alcun timore della fede, non abbiate paura di credere» 773 propere L’aggiunta di questa forma avverbiale all’ipotesto matteano, qui e al v  775, nella stessa collocazione metrica, tra pentemimere ed eftemimere, sottolinea l’urgenza dell’annuncio pasquale anche agli altri discepoli Il tema della sollecitudine è già ai vv  760 e 765 mandata referte Il comando di riportare le parole appena pronunciate dal protagonista ripropone la clausola virgiliana di Aen 7,267 e 11,176, che segue ai discorsi diretti di Latino ed Evandro Huemer chiude il v  773 con un punto fermo; Knappitsch, IV, p  82, preferisce invece i due punti Quest’ultima soluzione editoriale pare più convincente: sul piano sintattico e logico, infatti, questo secondo segno interpuntivo serve a indicare in quel che segue una spiegazione di quanto detto prima; in questo caso introduce appunto l’esplicitazione dei mandata, il cui contenuto, l’ordine di seguire Cristo in Galilea, è presentato in forma diretta

Commento

435

774 nostri conspectus si cura est Poelmann stampa noster conspectus si curae est, proposta non motivata, in quanto il testo tràdito è perfettamente comprensibile (per altri esempi di cura est con il genitivo si rimanda a ThlL IV 1455,21 ss ) Giovenco impiega lo stesso termine conspectus anche a proposito della apparizione dell’arcangelo Gabriele a Maria (1,59 conspectu mentem turbare uerendo) ite uolentes La clausola esametrica imita con probabile intento contrastivo l’ordine impartito da Bacco alle divinità fluviali in Stat Theb 4,692 775 inque Galilaeam … terram Cfr 4,762 Attraverso la ripetizione le parole di Cristo sembrano riecheggiare e confermare quelle dell’angelo; la posizione di rilievo in sede incipitaria del determinativo geografico richiama l’attenzione sulla Galilea, luogo della sequela e scenario delle apparizioni del Risorto transcurrite terram Si può accostare alla clausola di Val Fl 8,176 transcurrere terrae 776–783 L’imbroglio dei Giudei. L’ipotesto è Matth 28,11–15: 11 Quae cum abissent, ecce quidam de custodibus uenerunt in ciuitatem et nuntiauerunt principibus sacerdotum omnia, quae facta sunt 12 Et congregati cum senioribus consilium acceperunt et pecunias copiosas dede­ runt militibus 13 dicentes: Dicite, quia discipuli eius nocte uenerunt et furati sunt eum nobis dormientibus 14 Et si hoc auditum fuerit a praeside, nos persuadebimus ei et securos uos faciemus 15 At illi accepta pecunia fecerunt sicut erant docti. Et diuulgatum est uerbum istud apud Iudaeos usque in hodiernum diem («Quando quelle se ne furono andate, ecco alcune delle guardie vennero in città e riferirono ai sommi sacerdoti tutto ciò che era accaduto Questi, riunitisi con gli anziani, presero la decisione di dare una grande somma di denaro ai soldati, dicendo: Dichiarate che i suoi discepoli sono venuti di notte e lo hanno rubato mentre noi dormivamo E se il governatore lo verrà a sapere, lo convinceremo e vi metteremo al sicuro Quelli, preso il denaro, fecero secondo le istruzioni ricevute E questa voce è stata divulgata tra i Giudei fino a oggi») La pericope giovenchiana si apre (v  776) con una nota sul terrore delle guardie, tema trattato anche al v  750; questa innovazione rispetto al testo di Matteo, che invece introduce il racconto con la menzione delle donne (quae cum abissent), serve a riprendere il filo del discorso e a presentare già nell’esordio narrativo gli strumenti dell’inganno giudaico La riscrittura (vv  777 s ) riprende quindi a partire dal versetto 11: il soggetto sottinteso sono i custodes (Matth. de custodibus) del v  776 e il predicato verbale è mittunt; uenerunt in ciuitatem è omesso; il senso del pronome indefinito quidam è

436

Commento

reso dall’espressione e numero partem, cui si aggancia la relativa con valore finale quae referret (~ nuntiauerunt); i destinatari della notizia non sono però i capi religiosi ma la più ampia categoria dei Giudei (Iudaeis), globalmente intesi, e la locuzione neutra om­ nia, quae facta sunt, che allude agli eventi verificatisi, diventa tanta … / … rerum mira­ cula I vv  778 s sono una adiectio dedicata alla follia di coloro che corrompono i soldati (sed manus amens / iam semel insano penitus deuota furori) Tutta la parte incipitaria del versetto 12 è eliminata; l’ultimo stico è rielaborato al v  780 con cambi lessicali (pecu­ nias copiosas ~ praemia … magna; dederunt ~ rependit; resta militibus) e l’inserimento dell’avverbio certatim I vv  781–783, che parafrasano il versetto 13, sono un esempio di amplificatio: il poeta fa un ulteriore accenno al denaro che compra le guardie (et … argento redimit) e riferisce il contenuto della menzogna in forma indiretta, con una dichiarativa retta da famam … quod (Matth. dicite, quia); sostituisce discipuli eius con audacia discipulorum; riecheggia l’indicazione cronologica nocte con il nesso allusivo defensa tenebris; sopprime uenerunt e nobis dormientibus; sdoppia furati sunt nell’avverbio corradicale furtim e nel verbo sustulerit, con l’aggiunta di occulte rapiens; rimpiazza infine il pronome eum con il sostantivo corpus L’additio della clausola limine rupto (v  781) precisa le modalità del furto Gli ultimi due versetti sono soppressi: il 14 perché fa emergere un Pilato in completa balia dei capi giudei, e questa immagine appannata del governatore avrebbe sminuito anche il prestigio della carica, urtando la sensibilità dell’uditorio giovenchiano; il 15 perché è semplicemente riepilogativo, e dunque ridondante nella parafrasi, che tende invece alla breuitas; cfr Poinsotte, p  134, n  436 776 tumulo Ablativo apreposizionale di stato in luogo; la variante tumuli di alcuni mss , da legare in sintagma con custodum, è una banalizzazione exterrita Il terrore prodotto sulle guardie dalla risurrezione è espresso dal radicale terr- (cfr vv  710 e 750), mentre, come si è detto (cfr supra, nota al v  770), la paura delle donne è resa con il radicale pau-, quasi a distinguere le emozioni delle due diverse categorie di personaggi custodum … corda Sintagma allitterante 777–778 quae tanta referret / Iudaeis rerum miracula Abbiamo già rilevato la somiglianza di questo segmento testuale con 4,402 cuncta Pha­ risaeis rerum miracula narrant, nel passaggio in cui i Giudei raccontano ai farisei la risurrezione di Lazzaro; cfr supra, nota ad loc

Commento

437

778 manus amens In 3,572 manus designa la squadra di vignaioli della parabola di Matth 20,11, mentre al v  422, come si è già notato, lo stesso attributo qualifica Giuda Il lessico ripropone quindi, attraverso rinvii intratestuali, connotazioni dispregiative e peculiarità morali proprie dei nemici di Cristo (dell’aggettivo insanus del verso seguente si è già detto nel commento al v  437) 779 iam semel … deuota furori L’incipit, che allude chiaramente alle trame precedentemente ordite dai Giudei contro il Signore, è di Lucr 6,1041 Quanto alla chiusa esametrica, il cui senso è intensificato dall’enfatico avverbio penitus, compresso tra pentemimere ed eftemimere, nell’apparato dei fontes (p 144) Huemer suggerisce un raffronto con Verg Aen 1,712 pesti deuota futurae, di Didone, già votata alla futura rovina mentre ammira i doni di Enea 780 praemia … magna rependi Linguaggio epico convenzionale; cfr Verg Aen 2,161; 12,437; Ov am 2,9,40; ars 3,406; con il verbo in clausola Stat Theb 9,50 praemia digna rependi Sul concetto di premio si veda supra, nota al v  184 781 famam, quod La formula, come si è detto, è una libera resa del concetto espresso da dicite, quia del versetto 13; fama pare altresì alludere al contenuto di Matth 28,15 Et diuulgatum est uer­ bum istud apud Iudaeos usque in hodiernum diem, che non è poi parafrasato, come esito di uerbum (u l sermo; gr λόγος) nel senso di ‘diceria’, ‘voce’ 782–783 furtim sustulerit corpus defensa tenebris / occulte rapiens Singolare esempio di accumulo sinonimico, segnalato da Huemer, Index, p   173; entrambi i versi si aprono con due avverbi seguiti da voci verbali indicanti il furto Nell’in­ cipit del v  782 Giovenco si sarà ricordato di una analoga giuntura con cui in Virgilio si allude al fatto che la schiava Licimnia aveva sottratto al re della Meonia il figlio spurio Elenore allevandolo di nascosto (Aen 9,545–547 Helenor, / Maeonio regi quem serua Licymnia furtim / sustulerat) defensa tenebris Echeggiamento dell’incipit virgiliano di Aen 8,658, dettato dal contesto: sullo scudo di Enea sono effigiati i Galli, che difesi dall’oscurità delle tenebre lanciano l’assalto notturno al Campidoglio; la clausola si trova poi in Coripp Ioh 6,9 783 audacia discipulorum Come al v  737 (cfr supra, nota ad loc ), l’astratto audacia esprime una caratteristica dei discepoli Poinsotte, p  171, n  634, fa giustamente osservare che i notabili giudei

438

Commento

pronunciano contro i discepoli una critica che in realtà si applica a loro stessi; il lettore, del resto, sa bene che questo termine e i suoi corradicali denotano nel testo giovenchiano le azioni dei nemici di Cristo, il demonio (1,396) e Giuda (4,436) Questo capovolgimento di parti è stato notato già a proposito di Caifa, che in 4,562 s chiama Gesù profanus, e ancora a proposito dei dignitari, che in 4,738, nel timore che il corpo di Gesù possa essere trafugato, paventano la follia (insania) che turberebbe il popolo Giovenco ricorre a questo tipo di clausola pentasillabica, con la parola discipulorum, anche in 2,151 304 362 562; 3,182 259 270 624 784–801 Apparizione di Gesù in Galilea e missione degli apostoli. Il modello è Matth 28,16– 20: 16 Undecim autem discipuli abierunt in Galilaeam in monte, ubi consituerat illis Iesus 17 Et uidentes eum adorauerunt; quidam autem dubitauerunt 18 Et accedens Iesus locutus est eis dicens: Data est mihi omnis potestas in caelo et terra 19 Euntes nunc docete omnes gentes, baptizantes eos in nomine patris et filii et spiritus sancti 20 docentes eos seruare omnia quaecumque mandaui uobis, et ecce ego uobiscum sum omnibus diebus usque ad consumma­ tionem saeculi. Amen («Intanto gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva indicato loro Vedendolo, lo adorarono; alcuni però dubitavano E Gesù, avvicinatosi, disse loro: Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra Andate ora e ammaestrate tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto quanto vi ho comandato Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo Amen») La pericope biblica si apre con il riferimento numerico undecim … discipuli; nella parafrasi, invece, si allude alla schiera degli apostoli con il nesso turba suorum e l’aggettivo anxia (vv  784 s ); la voce verbale abierunt è cambiata in conscenderat, con l’aggiunta di concurrens; la determinazione geografica è ripresa, ma il sostantivo Galilaeam si trasforma nell’aggettivo corrispondente, come attributo di montes (~ Matth in mon­ te) Lo stico finale del versetto 5, che si riferisce alle disposizioni di Gesù sul luogo dell’incontro, lascia una traccia nell’incipit del v  785 (mandatis Christi) Il v  786 è un ampliamento del participio uidentes del versetto seguente: l’autore conferisce maggiore risalto all’epifania del Signore, collocando a inizio di esametro la voce verbale nella forma passiva cernitur seguita dal dativo di agente suis prima di pentemimere (musicale l’omeoteleuto con mandatis del verso precedente), e soprattutto rivolgendosi a Cristo col titolo solenne di Figlio dell’Altissimo (proles ueneranda Tonantis; cfr supra, nota al v  672) A eum adorauerunt corrisponde illum … adorat; vi sono anche delle addi­ tiones che precisano la gestualità dell’adorazione (procumbens), mettono in evidenza la sacralità dell’atto (sancte) ed esplicitano il soggetto sottinteso nella traccia biblica (chorus omnis) Ai vv  788 s il poeta contrappone la solidità della fede di alcuni ai dubbi e alle incertezze di altri (nec tamen in cunctis pariter fundata manebat / pectoribus uir­ tus): l’avverbio pariter, incastonato tra pentemimere ed eftemimere e negato dal nec che apre l’esametro, racchiude tutto il senso di questa contrapposizione La parafrasi

Commento

439

ricomincia con il v  789, una ripresa fedele dell’ultimo segmento del versetto 17: qui­ dam diventa pars … eorum, mentre rimane identico il verbo che indica tali perplessità (dubitauerunt ~ dubitabat) Il blocco iniziale del versetto 18 occupa il v  790: Iesus è uguale, ma è connotato da clarus; il pronome eis è sostituito da discipulos e i due uerba dicendi si riducono al solo conpellat; accedens è omesso L’importanza teologica e dottrinale delle parole pronunciate da Gesù impone il mantenimento del discorso diretto, che prende gran parte del brano La battuta iniziale è riscritta al v  791: in caelo et terra è identico, salvo il cambio del secondo termine con il plurale poetico terris; la frase data est mihi omnis potestas si trasforma in genitor mihi cuncta subegit: Giovenco integra potestas in una perifrasi che ne spiega il senso come ‘dominio su tutte le cose’ e cita in maniera esplicita il datore di questo potere (il Padre) I vv  792–794, inseriti ex novo, sviluppano il tema del mandato apostolico, che scaturisce direttamente dalla missione del Figlio La riscrittura riprende dal versetto 19: docete omnes gentes ha il suo corrispettivo concettuale in uestrum est cunctas mihi iungere gentes del v  794; il participio euntes, che in Matteo è in posizione incipitaria, viene posticipato al v  795 ed è reso con l’imperativo pergite; una notevole copia uerborum, incentrata sulle nozioni di ‘lavare’ e ‘purificare’, è impiegata ai vv  795 s per la resa di baptizantes, e ben due versi (796 s ) dilatano la formula trinitaria, che chiude il versetto L’inizio del versetto 20 equivale ai vv  798 s : a docentes si affianca insinuate; il pronome eos scompare; ablutis indica i battezzati; nostra … / praecepta assorbe la relativa omnia quaecumque mandaui uobis; l’incremento della frase finale del v  799 mette in correlazione l’attuazione dei precetti evangelici con il conseguimento della vita eterna La parafrasi (vv  800 s ) dell’ultimo stico di Matth  28,20 è molto aderente all’ipotesto: la proposizione negativa del v  800 rende più incisivo il senso del biblico ecce ego uobiscum sum e consente l’eliminazione di omnibus diebus, concetto inglobato in nec … umquam … deerit Per l’ultimo segmento matteano Giovenco sceglie un soggetto astratto (finis) e conserva l’indicazione temporale (usque ad  ~ donec) e l’idea di ‘consumazione’ (consummationem saeculi), semanticamente assai pregnante, mediante le forme verbali consumens e dissoluat, che reggono ἀπὸ κοινοῦ l’accusativo saecula 784–785 conscenderat … / … concurrens L’amplificatio della forma verbale abierunt è realizzata attraverso due differenti verbi, accomunati dal prefisso con­, che esprime nel contempo le nozioni di unione e simultaneità: il poeta puntualizza la coesione degli apostoli, che si affrettano a raggiungere i monti della Galilea secondo il comando del Salvatore 784 anxia L’aggettivo, inserito nel contesto di una elaborata composizione, descrive l’inquietudine degli apostoli; l’iperbato, che divide l’attributo dal sostantivo turba (v  785), con cui è sintatticamente accordato, accentua proprio l’intensità di questo sentimento, che Knappitsch, IV, p   85, spiega in relazione all’incertezza degli avvenimenti futuri e al

440

Commento

timore di persecuzioni da parte dei Giudei Forse nella scelta della iunctura che definisce gli apostoli si può ravvisare un ricordo di Sil 15,7 anxia turba patrum, con cui sono rappresentate le preoccupazioni del senato circa le sorti della guerra in Spagna 785 turba suorum Per la clausola si vedano Ov met 3,564 e Lucan 6,251 786 proles ueneranda Tonantis Cfr supra, nota al v  672 787 procumbens … adorat Giovenco indica la postura fisica assunta dagli apostoli nell’atto di adorazione; lo stesso incremento è in altri due passi in cui nell’ipotesto si trova adorare (gr προσκυνεῖν): 1,735 procubuit uenerans … Christumque precatur (~ Matth 8,2) e 2,378 ecce sacerdotum princeps procumbit adorans (~ Matth 9,18); i tre loci giovenchiani sono citati in ThlL X2 1567,69 ss , nella documentazione relativa all’uso di procumbere in contesti cristiani di preghiera Adorare, che in Matteo conta tredici attestazioni, nella parafrasi viene talvolta mantenuto e accompagnato da espressioni che ne accentuino il senso, come in questo caso, talaltra sostituito con sinonimi; ampia disamina in Flieger, p  39 chorus omnis Per questa valenza metonimica di chorus in relazione agli apostoli, cfr supra, nota al v  465; il nesso occupa la stessa posizione in Stat Ach 1,643 in un riferimento astronomico al coro delle stelle 788 fundata Presso gli scrittori cristiani la saldezza è una qualità tipica della fede in Cristo: Aug epist 157,22; 164,14; anim 2,12,17; c. Iulian 1,2,4; nupt. et concup 18,33,22; c. Iulian. op. imperf 5,64; Leo M epist 164,3 In Giovenco fundare ha ancora una valenza spirituale a 2,324 iamque fides multos plebis fundauerat alta, a proposito della fede che fortifica gli animi Sugli usi cristiani del verbo cfr Blaise, p  468; Robbert (ThlL VI 1562,73 s ); Heinsdorff, p  335 789 uirtus Qui sta per fides dubitabat Il verbo, che in Matteo è ripetuto tre volte, nella riscrittura viene conservato qui e a 3,123 dubitata fides (Matth 14,31), mentre è reso con una perifrasi e l’aggettivo corradicale a 3,667 dubiis … uitiis Negli autori cristiani dubito esprime l’incertezza della fede

Commento

441

degli apostoli e più in generale quella dei credenti (cfr Hier epist 65,1; Aug serm 177,11; ThlL V 2092,73 ss ) 790 tunc sic … conpellat Per tunc sic con verbo di dire nelle formule introduttive di un discorso diretto, cfr anche 1,403 tunc sic … dictis reiecit; 2,274 tunc sic prosequitur; Ov met 4,320 tunc sic orsa loqui (= Stat Theb 10,125); fast 5,79 tunc sic … / … coepit; Stat silv 4,3,123 tunc sic … profatur; Sil 7,435 s tunc sic … / incipit; 8,104 (con ellissi del verbo) clarus … Iesus Probst (ThlL III 1273,29 s ) assegna all’aggettivo clarus il significato di serenus Come al v  767, l’attributo fa soprattutto riferimento alla luce che promana da Cristo e prepara il lettore al motivo che verrà sviluppato al v  792 L’impiego di Iesus in fine di verso è una costante giovenchiana, che si registra complessivamente trentanove volte; il nostro è uno di quei casi in cui il nome proprio non solo è conservato ma è anche rilevato con l’aggiunta di un attributo di particolare risalto; per la documentazione completa relativa a tale procedimento si veda Simonetti Abbolito, Termini tecnici, pp  67 s 791–792 genitor … / … pater La ripetizione dei due sinonimi, entrambi delle aggiunte, ha la funzione di sottolineare l’obbedienza del Figlio e il ruolo centrale che il Padre ha nella vicenda terrena di Cristo Per altri casi in cui Giovenco introduce pater in luoghi in cui la parola non compare nel Vangelo, cfr ancora Simonetti Abbolito, Termini tecnici, pp  62 s Per mihi cuncta subegit di v  191 si confronti nella medesima sede metrica l’espressione simile di Ov met 7,165 mihi cuncta dedisti 792 me pater … dignatus mittere lucem Non si allude al singolo episodio dell’apparizione agli apostoli sui monti della Galilea ma più in generale alla salvifica missione di Cristo; viene inoltre ripreso il tema della concessione al mondo della luce (= Cristo) da parte di Dio, un motivo più volte toccato negli Euangeliorum libri: 1,121 indulget Dauidis origine lumen; 319 s lumen tractare serenum / omnibus indulget; 2,180 s Dei te, Sancte, uoluntas / … lucem concessit surgere dignatus Fichtner, p  38, rileva che dignari, poco ricorrente nella Bibbia latina (Ruth 2,10; Tob 12,4; Iudith 5,5;9, 6; Iob 30,1; II Thess 1,11), nelle nove occorrenze attestate in Giovenco è sempre usato in relazione a Dio Padre o a Cristo con il significato di ‘degnarsi’, ‘abbassarsi’, segno della loro benevolenza nei confronti dell’umanità Si può supporre un’influenza della lingua liturgica, in cui le perifrasi con questo verbo sono tipiche (esempi in Mohrmann, Études, II, p  107; IV, p  338)

442

Commento

me … mittere lucem L’uso del verbo mittere per denotare la missione di Cristo inviato dal Padre è frequente negli Euangeliorum libri (2,215 s 227 s 649 e 4,389) Vi sono dei precedenti nell’epica tradizionale in relazione ai messi celesti, gli inviati degli dèi, soprattutto di Giove (Verg Aen 4,268 s 574; Stat Theb 2,115 s ), e nella Bibbia latina, ancora in relazione a Gesù (Matth 10,40; Ioh 3,17; 5,36; 8,42) La combinazione di tale verbo con un vocabolo indicante la luce trova riscontro sia nel repertorio biblico (Tob 10,4; psalm 42,3; Si­ rach  24,37) sia in quello classico (Lucr 2,150; 5,593; Sil 15,439 s ) 792–793 me pater … uobis … mittere … / … uos ego mittere Giovenco stabilisce una linea di continuità tra il mandato di Cristo, inviato dal Padre, e quello degli apostoli, inviati da Cristo; il simbolico passaggio di consegne è scandito dal parallelismo sintattico (c ogg + sogg ) tra me pater e uos ego, dal poliptoto uobis/ uos e dall’anafora della parola chiave mittere Sul piano contenutistico la parafrasi è evidentemente influenzata da Ioh 17,18 sicut me misisti in hunc mundum, et ego misi eos in hunc mundum e 20,21 sicut misit me pater, et ego mitto uos, passi attinenti all’apostolato e all’annuncio della parola Il tema della missione figura anche nel discorso apostolico di Matth 10,5 misit Iesus e 16 ego mitto uos, ma nella riscrittura il poeta cambia il verbo con una diversa terminologia (2,432 delegit e 457 pergite nunc) 793–794 gentibus … cunctis / … cunctas … gentes Poliptoti e allitterazioni a chiasmo esaltano la missione universale degli apostoli rivolta a pagani ed Ebrei 793 haud aliter Il nesso, che è anche a 1,598; 2,440 812; 3,287, presso gli epici (Virgilio, Ovidio, Lucano, Valerio Flacco, Silio Italico) spesso si trova a inizio di esametro (sempre tra 2o e 3o piede in Stazio) per la presentazione di similitudini (ThlL I 1655,62 ss) 794 cunctas … iungere gentes Cfr Lucan 7,659 cunctas prosternere gentes e 718 cunctas impellere gentes e la clausola di Manil 2,818 Secondo Fichtner, p  31, e Röttger, p  125, la locuzione si avvicina più al greco μαθητεύειν (‘far discepoli, proseliti’) che al latino docere (‘insegnare, ammaestrare’) 795 pergite et ablutos Cfr Val Fl 3,625 pergite et inceptos, del comando di riprendere il viaggio impartito da Giasone ai suoi compagni Fichtner, p  31, reputa la voce verbale pergite semanticamente più vicina a πορευθέντες del testo greco che non a euntes della VL Negli Euangelio­ rum libri la voce pergere è comunque comunissima con le sue quattordici occorrenze; in cinque casi (compreso 4,795) essa ha come referente nel testo greco πορεύω (2,337 ~ Ioh 4,50; 435 e 436 ~ Matth 10,6 e 7; 4,217 ~ Matth 25,9); negli altri (1,557 722; 2,53

Commento

443

457; 3,464 561; 4,218 331) il vocabolo o è aggiunto ex novo dal poeta o rende il latino ire, anche quando nell’originale greco vi sono verbi diversi da πορεύω 795–796 ablutos … purgantibus undis / … lauate Notevole esempio di synonymorum coaceruatio Il frasario giovenchiano è tipico della Sondersprache cristiana, che esprime il concetto tutto nuovo del battesimo mediante l’evocativa immagine dell’acqua purificatrice (Mohrmann, Études, III, p  143) In questa stessa accezione abluere è già usato nel libro primo (v  338 ~ Matth 3,11; v  340 ~ Matth 3,11; v  361 ~ Matth 3,16) In un contesto altamente significativo quale quello del battesimo di Giovanni Battista e di Cristo in 1,340 s , il poeta abbina poi il verbo a purgare, come già prima di lui Cypr epist 69,2 quomodo qui in ecclesia non est aut diligi a Christo aut ablui et purgari lauacro eius potest (per purgo = baptizo cfr altresì Tert pudic 19,5; Chromat in Matth 11,2 e ThlL X2 2689,64 ss ) Il sinonimo lauare, diffuso con il medesimo significato battesimale presso i prosatori cristiani (Tert bapt. 16,2; Cypr epist 69,12; ThlLVII2 1051,29 ss ), compare anche in due luoghi del libro terzo (v  263 ~ Matth 16,14 e v  680 ~ Matth 21,25); Giovenco conosce anche il corradicale lauacrum (1,311), altro termine della lingua religiosa cristiana, risalente a Cypr laps 24 hoc enim crimini eius et malis deerat, ut et ad balneas statim pergeret quae lauacri uitalis gratiam perdidisset 796 nomine sub Il sintagma preposizionale (con anastrofe in Ov trist 4,10,68) vale ‘in nome di’ come in nomine di Matth 28,19 Negli Euangeliorum libri cfr altresì 1,709 s 712; 3,311 432; Colombi, Preposizioni, p  20 797 uiuifici Viuificus, un hapax degli Euangeliorum libri documentato in poesia a partire da Giovenco, è termine soprattutto poetico (Carm de resurr 59; Paul Nol carm 18,188 e CLE 1394,8), come la gran parte dei composti in -ficus (Axelson, p  61; LHS, II, p  754); l’uso in prosa, che si registra già in Ps Apul Ascl 2 e Amm 21,1,8, è prevalentemente di autori cristiani (Blaise, p  854) Tipici cristianismi sono i corradicali uiuificator, caratteristico appellativo di Cristo, e uiuificare, parola di derivazione popolare molto comune nella latinità cristiana (Mohrmann, Études, I, pp  58; 91; 98; II, pp  125; 238 s ; III, pp  62; 113; 211 s ; IV, p  18) currant spiramina flatus La ricercata perifrasi rimpiazza et Spiritus Sancti di Matteo; la descrizione dello Spirito Santo come un alito vitale che corre veloce rispecchia evidentemente il passo di gen 2,7, dove si parla di πνοὴ ζωῆς (Vulg spiraculum uitae), una definizione che si trova anche negli scritti giovannei (Ioh 6,63 spiritus est et uita [gr τὸ πνεῦμά ἐστιν τὸ ζωιοποιοῦν]) Giovenco, che pure non ha difficoltà a mantenere la parola Spiritus in altri casi in cui la riscontra nel testo biblico, qui combina due sinonimi che si rafforzano

444

Commento

a vicenda e insistono sul concetto di soffio: spiramen ricorre pure in 1,215 (~ Luc 2,36) e 340 (~ Matth 3,11), mentre flatus ha lo stesso significato nella lunga perifrasi di 1,359 e 361 (~ Matth 3,16); in 2,194 (~ Ioh 3,5) e 203 (~ Ioh 3,8) e 4,49; analisi delle singole occorrenze in Simonetti Abbolito, Termini tecnici, pp  70–72 Anche a 2,201 currere è applicato alla manifestazione dello Spirito divino che vola dovunque e diffonde la sua voce nell’aria (quamque petant eius currentia flamina partem) Per l’uso traslato del verbo, specie per fenomeni atmosferici, si vedano Val Fl 3,152 (hiems); Sil 15,713 (nubila); Stat Theb 5,586 (moti aura fulminis) e ThlL IV 1515,56–59 La clausola viene imitata da Alc Avit carm 1,105 798 insinuate docentes Insinuare, nel significato di ‘comunicare’, ‘divulgare attraverso l’insegnamento’ (ThlL VII1 1917,81 ss ), ricorre in Giovenco in coppia con altre voci verbali anche a 1,435 s serebat / insinuans e 3,20 insinuando docebat (in clausola), sempre in relazione agli insegnamenti di Cristo 799 praecepta … possint … perennem Allitterazione trimembre uitam … perennem La giuntura, già usata in altri passi (2,226 ~ Ioh 3,16 uitam aeternam; 3,309 e 547 ~ Matth 19,29 uitam aeternam), è molto comune negli scrittori latini cristiani per il concetto biblico di ‘vita eterna’ (Tert paen 6,5; Lact inst 7,11,1; Carm adv Marc 3,237; Carm laud. dom 93 e 123 s ; Ambr hymn 8,20; Paul Nol carm 31,560; Mar Victor aleth 1,336 434 e praef 90; Orient comm 1,315) L’aggettivo perennis, cinque volte nell’opera e sempre in clausola, è poetico uitam … agitare Cfr Sall Catil 2,1 uita … agitabatur; Verg georg 4,154 agitant … aeuum; Ov fast 2,291 uita … agitata 800 Il verso è quasi interamente formato da spondei; le forme pronominali (uobis e nostri) sono poste in corrispondenza di cesure (tritemimere ed eftemimere); davanti a cesura (pentemimere) è anche l’avverbio umquam; in chiusura di esametro sono affiancate due parole omoradicali, semanticamente antitetiche (praesentia deerit): l’autore pone così in risalto la promessa di vicinanza ai suoi da parte di Cristo nostri praesentia Praesentia ha un discreto numero di attestazioni classiche (Lucr 2,1166; 3,957; 5,1032; Verg Aen 9,73; Ov epist 19,111; met 4,612; 12,4; fast 2,777; 6,525; trist 3,9,23; Pont  2,7,63;

Commento

445

Val Fl 5,251; Sil 4,335 e 5,217); manca in Lucano e Stazio Negli Euangeliorum libri ha un significato analogo nel contesto di 3,430 s in concilium semper praesentia nostra  / adueniet ~ Matth 18, 20 ego sum in medio eorum (la presenza di Cristo in mezzo a coloro che si riuniscono nel suo nome); al manifestarsi di Dio in Gesù nel battesimo del Giordano allude 1,355 manifesta dei praesentia claret, dove va notato che il nesso dei praesentia trova riscontro in Opt Porf carm 7,23 alma dei per te praesentia; cfr Polara, pp  31 e 116; Fichtner, pp  60 s Il pronome nostri può essere inteso come un semplice pluralis maiestatis, in riferimento soltanto alla figura di Cristo, oppure come un vero e proprio plurale, a indicare le tre persone della Trinità menzionate nella formula trinitaria dei vv  796 s deerit Un altro esempio di sinizesi all’interno di deerit (sempre al 6° piede) è in 1,488; in Giovenco il fenomeno si verifica anche nel nome Bethleem (1,149 153 238 e 260) 801 donec consumens Cfr l’incipit di Sil 4,620 donec consumptis dissoluat Raro in riferimento alla fine del tempo; cfr Lackenbacker (ThlL V 1501,58 s ) 802–812 Epilogo. In questo spazio contenutisticamente esterno al testo principale, il poeta completa e integra, in una ideale circolarità strutturale, le riflessioni anche poetologiche espresse nel proemio Il passaggio dall’ultimo episodio narrativo alla σφραγίς che chiude il poema si riflette anche nel cambio dalla terza persona all’uso dell’aggettivo possessivo di prima persona (mea, v  802) L’architettura della sezione è sostanzialmente bipartita Il primo segmento riassume il programma poetico-ideologico di Giovenco secondo due direttrici principali: 1) l’implicita definizione del genere del poema mediante una lunga perifrasi (vv  802–805); 2) l’individuazione dei presupposti esistenziali, cioè la fede e il timore di Dio che hanno guidato l’animo dell’autore nella sua impresa poetica, e socio-politici, cioè la nuova era di pace, che finalmente regna nell’Impero Il secondo segmento (vv  806–811) è una solenne dedica a Costantino, posticipata rispetto alla praefatio e costruita su motivi encomiastici aderenti all’ideologia costantiniana e alla propaganda ufficiale L’opera si chiude nel nome di Cristo (v  812) Il progressivo aumento del numero di versi dalla prima alla seconda parte e la densità di temi sviluppati rivelano l’attenzione rivolta al ruolo dell’imperatore, attenzione che giustifica la definizione di «panégyrique en miniature» proposta da Fontaine, Domi­ nus lucis, p  131 Nell’epica omerica e virgiliana non ci sono epiloghi programmatici Ovidio termina le Metamorfosi con una affermazione autobiografica, che si rifà alla poesia lirica e in

446

Commento

particolare al carm 3,30 di Orazio; un precedente illustre è costituito dalla chiusa della Tebaide di Stazio (12,816 ss ), il cui significato è tuttora dibattuto dagli studiosi, che si interrogano se si tratti di una lode o di una critica, sia pure velata, dell’imperatore Domiziano; anche la menzione di un sovrano nell’epilogo di un testo epico sembra introdotta per la prima volta da Stazio (Dominik, pp  173–175; Hardie, pp  156–158); nelle Metamorfosi ovidiane la preghiera agli dèi per una lunga vita ad Augusto si colloca di fatto prima della σφραγίς vera e propria Poco in comune con questi testi ha l’epilogo di Giovenco: nel caso di Ovidio l’epilogo è anche una continuazione del corpo del poema, di cui le vicende postume del poeta costituiscono un ulteriore episodio; i due epici classici condividono poi il topos della sopravvivenza dell’opera dopo la loro morte, tema comune nella tradizione poetica latina (oltre al già citato Hor carm 3,30, anche Ov am 3,15,19–20; trist 3,7,49–54), che Giovenco però ripropone, in un’ottica tipicamente cristiana, non qui ma nella praefatio Il modello giovenchiano è piuttosto il finale delle Georgiche virgiliane (4,559–566) Virgilio riassume brevemente il contenuto dell’opera e, attraverso una breve autopresentazione, lega la sua impresa letteraria a quelle politico-militari di Ottaviano Come hanno notato Roberts, Vergil, pp  40–49, e Sandnes, pp  55–56, Giovenco sembra suggerire una contrapposizione tra le due figure: Ottaviano è comandante vittorioso che scaglia saette come Giove (vv  560–561), promulga leggi tra i popoli (v  562) e con i suoi successi prepara l’apoteosi (v  562), aspetti già presenti nel proemio del I libro (vv  24–42), dove Virgilio pone Ottaviano sullo stesso piano delle divinità tradizionali, ne loda il dominio sul mare e il ruolo di salvatore del mondo e dei contadini, ne preconizza infine il futuro catasterismo Costantino, al contrario, è artefice di pace, rifiuta un nome sacro e godrà della vita eterna per le sue giuste azioni, non per la sua divinizzazione Il Costantino giovenchiano, in una nuova prospettiva cristianamente ispirata, porta a compimento l’ideale di pace promosso dalla propaganda augustea; questo tema della pace militare per mare e per terra combinata alla pace religiosa diventerà poi topos, ricorrendo anche negli elogi degli imperatori del sacro romano impero Inoltre, al contrario di Virgilio, Giovenco tace la propria identità, forse per un atto di umiltà, e agli iura umani oppone la gloria della legge divina (su cui cfr infra, nota al v  804) Si può essere d’accordo con McGill, p  5, secondo il quale con la menzione di Costantino il poeta legittima la propria opera e le conferisce autorità, allineandola ai contenuti della fede dell’imperatore 802–803 has mea mens fidei uires sanctique timoris / cepit … gratia Christi Il brano imita, variandolo, Val Fl 5,498 s sed me nuda fides sanctique potentia iusti / huc tulit ac medii sociatrix gratia Phrixi: Giasone spiega a Eeta il motivo del suo arrivo nella Colchide e tenta di persuaderlo a consegnargli il vello in base ai diritti derivatigli dalla parentela con Frisso Si tratta di un tipico esempio della posizione ambivalente di Giasone nei confronti delle profezie e degli dèi e dell’uso retoricamente strumentale del concetto di fede, che qui equivale a quello di fato Nel passo, che insieme con altri luoghi valeriani riflette a livello metaletterario le ansie politiche e religiose peculiari

Commento

447

dell’epica flavia, la retorica della fede accompagna anche l’inganno (Lovatt, pp  94–95) Sul piano formale si riscontrano il mantenimento delle parole caratterizzanti (solo in parte diversamente declinate o cambiate di posto) e la sostituzione oppositiva di Chri­ sti a Phrixi L’intento emulativo della ripresa intertestuale si attua quindi con il rovesciamento in chiave prettamente cristiana del sistema valoriale epico-pagano dell’intertesto e il rifiuto del patrimonio mitico della tradizione classica In altri termini, alle incertezze religiose del paganesimo, esemplificate letterariamente dal sottotesto delle Argonautiche, risponde il nuovo orizzonte etico e teologico della fede cristiana Questa risemantizzazione valoriale ha tanto più significato nella chiusa programmatica del poema Il gioco intertestuale pare poi suggerire un ulteriore livello di lettura, un possibile, suggestivo parallelismo, sempre in un’ottica di imitazione contrastiva, tra la fatica epico-eroica di Giasone e quella letteraria e religioso-propagandistica del poeta cristiano Mens compare già nella invocazione allo Spirito Santo di praef 26; la ripetizione dello psiconimo, nel contempo sede dell’ingegno poetico e del sentimento religioso, chiude il cerchio ribadendo implicitamente il carattere divino dell’ispirazione poetica 802 fidei … timoris Si tratta di due qualità proprie del credente Nell’AT il timore di Dio è spesso legato alla teofania, che spaventa l’uomo e lo induce a fuggire (gen 35,5; exod 15,16; 20,18); ciò si trasforma in rispetto e ubbidienza verso Yahwe (deut 4,10; 5,29; I reg 8,40 43; II reg 17,7 25 28 32) Nel NT il significato cultuale è più sfumato, e l’espressione si lega al concetto di fede, come punto di svolta dell’esistenza cristiana (Matth 9,8; 14,33; 15,31; Luc 5,8; Ioh 6,68 s ; Rom 13,3–7; II Cor 5,11; 7,11; I Tim 5,20); cfr Balz, pp  626–44; di qui le numerose indicazioni patristiche in cui i termini timor e fides sono assunti singolarmente oppure abbinati (Blaise, p  817) 803 gratia Christi La gratia, cristianamente considerata, è il favore o la misericordia di Dio e di Cristo nei confronti dell’uomo, secondo la terminologia neotestamentaria (Rom 16,20; I Cor 16,23 s ; II Cor 8,9; 13,13; Gal 1,6; 6,18; Phil 4,23; I Thess 5,28); gratia Christi è quindi nesso consueto negli scritti patristici sia in prosa (Tert pudic 18,14; Cypr hab. virg 10; sent. episc 64; Firm err 13,6; Aug civ 8,11) sia in poesia, quasi sempre in clausola (Comm instr 2,12,20; apol 606); sulla risemantizzazione cristiana del termine, come traduzione latina del gr χάρις, cfr Moussy, pp  371 s e 446 s Anche il motivo dell’illuminazione mediante la gratia è un’immagine tipica della teologia cristiana (Tert pu­ dic 7,11 magis ethnico gratia Dei inlucet; Cypr domin. orat 1 [CCL 3A, p  90,10] ut … luce gratiae luminati iter uitae … teneremus) In questa sede, però, il vocabolo, nella sua accezione tradizionale, allude pure all’ispirazione poetica, come in Ov fast 5,109 gra­ tia Pieridum nobis aequaliter adsit: alle muse della Pieria, ispiratrici del carme del vate pagano, subentra la figura di Cristo, nel contempo ispiratore e protagonista dell’epos giovenchiano Questa sovrapposizione di livelli interpretativi (fede/gratia e poesia/

448

Commento

gratia) ricollega, secondo Röttger, p  127 e n  520, l’epilogo ai vv  26 s della praefatio, in cui il tema della fede in Cristo, evocata dal battesimo nel fiume Giordano, si accompagna al topos classico dell’ispirazione, qui però scaturita non più da Apollo o dalle muse ma dallo Spirito di Dio lucet … gratia Cfr Itala Tit 2,11 illucescit g ; Ambr obit. Theod 46 e Pass. Mar. Iac 3,11 micat g La gran parte degli editori prima di Marold e Huemer stampa luxit in luogo del tràdito lucet La correzione non è comunque necessaria, sia perché anche nelle strutture ipotattiche lo scambio dei tempi verbali e un uso libero della consecutio temporum in Giovenco non sono fenomeni rari, sia anche perché il presente vuol qui indicare che la grazia di Cristo continua a risplendere, al di là dunque del semplice riferimento alla fatica letteraria del poeta (si veda al riguardo Müller, Tod, p  310) 803–804 in tantum … / … ut Un costrutto tipico della prosa (cfr OLD, s. v. tantum, 6, p  1906), per quanto l’espressione in tantum compaia anche in poesia a partire da Virgilio (Aen 6,876), non seguita però da una frase consecutiva Per ulteriori attestazioni poetiche tardoantiche, si veda Cypr Gall exod 1326 s quam dominus missa sublimis nube repleuit / in tantum, ut uates non posset scandere postes e iud 171 s nam membra toris uacuata lababant / in tantum, ut modico posset procumbere culsu 804 uersibus ut nostris Imitazione con variazione dell’incipit di Lucr 1,949 e 4,24 uersibus in nostris (cfr anche Ov trist 3,4b,68), tratto da sezioni programmatiche dell’opera lucreziana e, dunque, non privo di una valenza anche allusiva in questo passaggio metapoetico finale diuinae gloria legis Con il riadattamento dell’hemiepes virgiliano di georg 1,168 diuini gloria ruris, dove la campagna, tema del canto, è dispensatrice di gloria, il poeta precisa che oggetto della sua poesia è la diuina lex, istituendo quindi un implicito parallelismo, ideologicamente oppositivo, tra la propria opera e quella virgiliana La perifrasi, costruita con termini astratti cari al parafraste, definisce secondo Herzog, p  183, la Sacra Scrittura, in conformità al linguaggio ricorrente nella teologia cristiana, che, ponendo l’accento sulla nozione di legge, esplicita l’aspetto precettivo del testo biblico (Tert idol 4,1; Comm instr 2,11,12; Lact inst 5,13,5) Nella letteratura cristiana è comune anche il solo lex, in riferimento sia all’AT sia al NT Cfr ThlL VII2 1244,76 ss Diversamente intendono altri studiosi, che vedono nell’espressione un omaggio al cristianesimo ormai pubblicamente riconosciuto («die christliche Religion», Curtius, p   454; «la gloria della nuova religione», Ermini, p  183), secondo una valenza di lex che pure non è del tutto

Commento

449

estranea all’uso cristiano (Filastr 129,9; ILCV 1062), oppure alla gloria della Rivelazione («die Herrlichkeit der Offenbarung», Wehrli, p  55) 805 ornamenta libens … terrestria linguae L’esametro è bilanciato dalla voce verbale in posizione centrale tra pentemimere ed eftemimere in una struttura che desidera offrire il maggiore risalto al sintagma che cinge in fortissima traiectio l’intero verso Ornamenta è parola tecnica della retorica, qui enfaticamente posizionata nell’incipit esametrico; cfr Hor ars 447 s ambitiosa …  / ornamenta, anche se con una connotazione negativa, ossia i pomposi ornamenti che appesantiscono i versi La combinazione con terrestria, aggettivo poco usato in poesia e già adottato da Giovenco in 2,209 per rendere la contrapposizione tra parole umane e parole divine di Ioh 3,11–12, definisce l’opposizione concettuale rispetto alla diuinae gloria legis del verso precedente Come notato dalla critica, il poeta supera la tradizionale dicotomia dell’apologetica cristiana, che opponeva al contenuto del messaggio biblico la forma esteriore dell’ornatus classico, attuando una sintesi tra i due elementi, secondo una tendenza che in quegli anni cominciava ad affacciarsi nella riflessione degli intellettuali cristiani, come Lattanzio, non contrario all’uso dei mezzi espressivi retorici per la trasmissione della verità biblica (cfr inst 1,1,10 ut potentius in animos in­ fluat … luce orationis ornata e 3,1,2 quod magis possent credere homines ornatae ueritati); il problema è accuratamente discusso da Kartschoke, pp  23–28 Giovenco legittima il ricorso alla poesia e ai suoi artifici per la sua revisione formale del Vangelo, prevenendo eventuali obiezioni con un efficace libens, che qui assume un significato centrale, in posizione enfatica prima di pentemimere La rivendicazione dei pregi letterari del poema sembra antitetica rispetto a quanto, sia pure nella finzione del topos, affermeranno delle proprie opere altri poeti cristiani Penso soprattutto, per affinità di genere, alle parole con cui Sedulio, attraverso raffinate similitudini costruite sulle immagini del banchetto e dell’orto, presenta al pubblico il Carmen paschale, ridimensionandone il valore artistico-letterario a favore di quello spirituale (carm pasch 1,3–15 pone superci­ lium si te cognoscis amicum, / nec quaeras opus hic codicis artificis: / sed modicae contentus adi sollemnia mensae / plusque libens animo quam satiare cibo. / Aut si magnarum caperis dulcedine rerum / diuitiasque magis deliciosus amas, / nobilium nitidis doctorum uescere cenis […] / At nos exiguum de paupere carpsimus horto) Per Roberts, Biblical Epic, p  74, è assai probabile che su questa scelta letteraria abbia influito la teoria stoica della sublimità della poesia atta a esprimere verità elevate (analoghi influssi di stampo stoico sulla prosa latina cristiana sono stati individuati da Fontaine, Aspects, pp  48 e 161 s ) 806–808 haec mihi pax Christi tribuit, pax haec mihi saecli, / quam fouet … / Constantinus Attraverso una simmetria antitetica, saldata dalla ripetizione anaforica di haec mihi pax (a membri invertiti nel secondo emistichio), Giovenco celebra la pace spirituale di Cristo e quella politico-religiosa promossa dall’imperatore, il cui nome spicca nell’incipit

450

Commento

del v  808, valorizzato dalla pausa del 2° trocheo Il retroterra teologico dell’espressione pax Christi è chiaramente quello neotestamentario (Ioh 14,27; 20,19 21 26; Eph 2,4) e di riflesso liturgico In questi versi Weyman, Beiträge, pp  27–28, coglie una consentaneità con il concetto espresso in un analogo contesto panegiristico da Optaziano Porfirio (2,27–28 rebus missa salus, per te pax, optime ductor, / et bellis secura quies, sancta omnia per te) L’analogia, oltre che formale, è soprattutto contenutistica, basata com’è sul comune riferimento alla fine delle lotte civili e alla pacificazione operata dall’imperatore Nell’encomio di Optaziano però, e la differenza mi sembra sostanziale, si esalta unicamente il ruolo politico e militare di Costantino, slegato, almeno in questo caso, dal piano religioso, centrale invece nel passo giovenchiano Se in Optaziano si può cogliere un possibile ricordo di Sil 11,592–595 pax optima rerum,  / quas homini nouisse datum est, pax una triumphis / innumeris potior, pax custodire salutem / et ciues aequare potens (Pipitone, p  80; farei notare che la memorizzazione dei versi siliani, che costituiscono un vero e proprio inno alla pace, è favorita anche dalla loro portata per così dire gnomico-sentenziosa), meno sicure mi sembrano invece le affinità formali tra l’epico del periodo flavio e Giovenco Sui due poeti tardoantichi, al di là di eventuali influenze reciproche, ha senz’altro influito un diffuso motivo propagandistico che in quegli stessi anni esaltava la dimensione irenica dell’impero costantiniano; si pensi alle iscrizioni ‘Fundatori Quietis’ e ‘Liberatori Vrbis’ incise sulle pareti interne del fornice centrale dell’arco di trionfo di Costantino (sulla funzione propagandistica di questo monumento si rinvia, tra gli altri, a Peirce, pp  387–418; Barceló, pp  105–114) Per quanto riguarda l’accostamento della figura dell’imperatore a quella di Cristo, non è da escludere che si possa riconoscere il riflesso di un ulteriore tema propagandistico centrato sul ruolo messianico di Costantino e sul suo sacerdozio spirituale, come emerge dalla coeva letteratura cristiana, soprattutto dagli scritti di Eusebio che paragona Costantino al Logos, secondo una visione improntata alla teologia ariana, in cui Cristo appare subordinato al Padre (laud. Const 2,1–4; 3,6; 7,13; vita Const 3,10); sulla graduale cristianizzazione dell’immagine imperiale nel corso del IV secolo, anche a livello iconografico, cfr Leeb, pp  121–125; Van Dam, pp  283–316; Bardill, pp  338–384 Come si è detto, la chiusa dell’opera sembra evocare implicitamente il principale modello letterario dello Spagnolo, Virgilio, che aveva esaltato la pax Augusti, l’inizio cioè di un nuovo processo storico di prosperità e di sicurezza Come il Mantovano con le Georgiche e l’Eneide additava a Ottaviano una nuova sapientia politica, «fondata sulla convinzione che i risultati politici acquisiti hanno un fondamento di provvidenzialità, risalente all’intervento divino» (Formicola, p  172); così Giovenco, in una nuova visione cristiana, sembra suggerire a Costantino un agire umano e politico conforme al messaggio evangelico La dedica va letta infine anche come testimonianza indiretta del mecenatismo culturale dell’imperatore e del supporto fornito agli scrittori del suo tempo, dei quali egli parla favorevolmente nella lettera indirizzata a Optaziano Porfirio (Constant epist ad Opt. Porf 6–7 saeculo meo scribentes dicentesque non aliter benignus auditus quam lenis aura prosequitur; denique etiam studiis meritum a me testimonium non

Commento

451

negatur; per una panoramica sulle nuove istanze letterarie del periodo costantiniano si rimanda a Hose, pp  535–558) 807 indulgens Epiteto di tono encomiastico comunemente riferito agli imperatori romani (Plin epist 10,10,2; paneg 90,4); gli scrittori cristiani applicano l’attributo a Dio o a Cristo (Cypr laps 35) terrae regnator apertae L’appellativo regnator, riferito qui a Costantino e a 2,265 a Cristo, è attribuito a Giove da Virgilio (Aen 2,779 e 7,558) Prudenzio (c. Symm 2,758) adotta una locuzione affine (regnator mundi) per l’imperatore Onorio Marold, Euangelienbuch, p  329, sostiene che queste parole alludano all’espansione del potere imperiale a seguito della sconfitta dei Goti nel 332 e che dunque il poema non sia stato composto prima di questa data Anche Fontaine, Dominus lucis, p  139, ritiene che vi sia qui un rimando a precisi eventi storici e interpreta il nesso terra aperta come «terre libérée», cioè l’Oriente sottratto a Licinio dopo la battaglia di Crisopoli (in Asia Minore) tra il settembre e il novembre del 324; questa interpretazione risulta però limitativa, in quanto circoscrive la sovranità di Costantino a una sola area dell’Impero, l’Oriente; aperta potrebbe anche significare ‘non protetta’, in riferimento alle città che ormai non abbisognano di mura difensive grazie all’era di pace inaugurata dall’imperatore; oppure, più verisimilmente, ‘ampia, senza confini’ (cfr ThlL II 223,54 s ), a designare il mondo intero definitivamente assoggettato a Roma sotto la nuova religione cristiana È significativo che Giovenco assegni a Costantino il titolo di regnator, un convenzionale appellativo virgiliano per indicare Giove (Aen 2,779; 7,558), già applicato a Cristo in 2,265; si tratta ancora una volta di un esempio di rifunzionalizzazione semantica del tradizionale apparato lessicale pagano, riadattato con una certa disinvoltura dai primi scrittori cristiani per denotare referenti anche molto diversi tra loro (si veda quanto osservato nel commento a v  502) L’espressione terrae regnator è usata invece da Silio per l’eroe lusitano Viriato (10,219 s regnator Hiberae / … terrae, quasi un tributo letterario da parte di Giovenco al conterraneo personaggio siliano) 808 adest Adesse nell’accezione di ‘assistere’, ‘proteggere’ è molto comune in contesti liturgici; cfr Blaise, p  59 gratia digna merenti Digna potrebbe essere un femminile singolare, epiteto di gratia, oppure un neutro plurale, oggetto di merenti; il probabile intertesto ovidiano di trist 1,6,15 s (hunc tua per fortis uirtus summouit amicos, / nulla quibus reddi gratia digna potest) parrebbe orientare verso la prima opzione La variante gloria, tràdita isolatamente da Ma, non coglie il

452

Commento

senso complessivo del passo in cui centrale è il riferimento alla grazia divina Ad essa il poeta aveva in precedenza accennato al v  803 a proposito di se stesso, ora a proposito dell’imperatore, in quanto entrambi, ciascuno nel proprio ruolo, sono promotori della vera fede La grazia è dunque legata ai meriti poetico-religiosi dell’uno (in praef 18 im­ mortale decus tribuet meritumque rependet, Giovenco rivendicava la giusta ricompensa ultraterrena per quanto di buono realizzato grazie ai propri versi) e a quelli politicoreligiosi dell’altro Ai meriti di Costantino si accenna anche nella chiusa delle Laudes Domini, l’anonimo carme composto tra il 317 e il 324, che elogia l’imperatore come legislatore giusto e clemente e modello di vita cristiana (vv  143–146 At nunc tu dominum meritis, pietate parentem, / imperio facilem, uiuendi lege magistrum  / edictisque parem, quae lex tibi condita sancit, / uictorem laetumque pares mihi Constantinum!) 809 qui solus regum In luogo di regum Huemer stampa regnum (variante minoritaria insieme con rerum stando all’apparato di Otero Pereira), per un refuso tipografico segnalato dall’editore stesso nei Corrigenda premessi al testo Tale segnalazione, registrata già da Knappitsch, IV, p  87, è sfuggita tuttavia alla critica successiva: Fontaine, Naissance, p  68, riporta fedelmente il testo huemeriano, ma traduce «seul de tous les princes», mentre in La figure du prince, p  146, e in Dominus lucis, p  131, n  1, corregge regnum in regum rivendicando la paternità della correzione; Santorelli, Nota, pp  17–20, rileva l’errore di stampa ripercorrendo la storia editoriale del brano L’intera porzione testuale è un prelievo da Lucan 8,359, dove si parla del re dei Parti Alla luce del giudizio fortemente negativo espresso nel contesto lucaneo su questo popolo, colpevole di aver arrecato offesa alla dignità di Roma, l’allusione giovenchiana assume tutto il tono di una Kon­ trastimitation sacri … nominis Tra nominis, lez della maggioranza dei testimoni, e numinis è da ritenersi genuina la prima variante, in quanto, come emerge dal contesto, si fa riferimento a un titolo sacro rifiutato da Costantino; la confusione tra le due parole è del resto persistente nei mss latini, come mostra la tradizione di Hor epist 2,1,16; Liv 7,30,20; Sil 16,654; Tac ann 1,73,2; 3,66,1 Nessuna delle identificazioni di questo nome proposte dagli studiosi ha tuttavia riscosso successo Kirsch, p  88, suggerisce l’appellativo di pontifex maximus, che tuttavia fu adottato fino ai tempi di Graziano; quello di diuus continuò a essere conferito postumo anche agli imperatori cristiani al pari di diuinus attribuito normalmente a Costantino nel panegirico di Nazario (4[10],29,5 34,2) L’iperbolico deus, ormai svuotato del contenuto religioso, sarà applicato senza scandalo ancora a Teodosio in un panegirico del 389 (paneg 2[12],4,5 deum dedit Hispania quem uidemus) Per ulteriori approfondimenti si veda Béranger, pp  242–254 Fontaine, Dominus lucis, pp  139 s , pensa piuttosto al titolo di comes solis o inuictus Il primo cessò a partire dal 324, anno in cui per l’ultima volta apparve ad Antiochia l’immagine antropomorfica

Commento

453

del sole su una moneta di Costantino; il secondo, collegato al culto solare e facente parte della titolatura ufficiale, fu dismesso soltanto dopo la sconfitta di Licinio a Crisopoli e sostituito con quello più modesto di uictor Per Green, pp  5–6, si tratterebbe piuttosto di dominus o rex, titolo, quest’ultimo, sempre connotato negativamente nella cultura romana e applicato al potere imperiale esclusivamente dagli scrittori cristiani, che intendono condannare quegli imperatori ritenuti malvagi o eretici, come si ricava da alcuni passi di Arnobio (nat 4,34), Lattanzio (mort. pers 19,6; inst 4,27,5) e Orosio (hist 7,28,27) Questo titolo, però, non ha nella tradizione una tipica valenza sacrale, che invece si potrebbe ricavare indirettamente solo dal quadro più generale del poema, in cui la regalità è un tema centrale legato alla figura di Cristo Bardill, p  339 osserva che dopo il 324 Costantino scoraggiò i sudditi di lingua greca a chiamarlo Σεβαστός, traduzione del latino Augustus che comunque rimase formulare nella nomenclatura imperiale Si potrebbe pensare a numen, un epiteteto imperiale molto comune (l’autore del panegirico 12 lo riferisce ben quattro volte a Costantino), che però Nazario evita in riferimento all’imperatore attribuendolo esclusivamente al potere divino (cfr Saylor Rodgers, pp  71–75); anche in questo caso, tuttavia, non vi sono prove che Costantino abbia espressamente rifiutato tale appellativo Appropriato risulta l’aggettivo sacer, fortemente connotato in senso pagano (Fugier, pp  63–71), in riferimento a tutto ciò che appartiene alla sfera di una divinità e intrattiene una relazione con essa e con il suo potere Quale che sia questo titolo, difficile da determinare in assenza di elementi extratestuali più cogenti, nella prospettiva cristiana di Giovenco è il riconoscimento di un’autorità divina superiore ad assicurare a Costantino il premio della vita eterna 809–810 horret / inponi pondus L’espressione potrebbe indicare sia l’orrore per uno stato di cose, l’avvenuta imposizione del nome sacro, sia la paura che ciò possa accadere, dato l’uso non univoco di horreo (cfr Ehlers, ThlL VI3 2981,42–47 e 52–54) attestato in costruzione con l’infinito e l’accusativo a partire da Livio (10,10,11) e poi prevalentemente nella tarda latinità (Claud rapt. Pros 3,72; Ps Aug quaest. test 1,114; Prosp carm. de ingrat 117) Giovenco usa pon­ dus metaforicamente nel significato di ‘importanza’, ‘autorità’, come in Cic Att 11,6,1; Prop 3,7,44; 4,7,88; Ov fast 1,182; la metafora ‘peso, fardello del comando’ è documentata anche nella Bibbia latina (num 11,11 cur imposuisti pondus universi populi huius super me?) Per il nesso inponere pondus cfr 4,56 inponunt umeris nam pondera uestris 810–811 iustis dignior actis / aeternam capiat … uitam A chiusura del poema Giovenco ritorna sul tema nodale della giustizia; cfr supra, nota al v  140 Le azioni compiute dall’imperatore sono definite giuste in sintonia con il giudizio morale sulla politica costantiniana formulato grosso modo negli stessi anni da Lattanzio (inst 1,1,13) e Optaziano Porfirio (2,22; 7,25; 8,30; 11,16; 12,7; 14,5) La dignità non sta quindi nel titolo imperiale ma nelle buone opere compiute In questa prospettiva escatologica, secondo Fontaine, Dominus lucis, p  133, l’idea di giustizia rimanda

454

Commento

al presupposto biblico della santità, alla virtù dei tanti giusti della Bibbia premiati dal Signore, ai quali implicitamente ora viene associato Costantino Una ripresa diretta dal passo di Giovenco sarà nella parafrasi di Luc 14,11 qui se humiliat, exaltabitur operata da Sev Malac 9,161 s qui minuit sese uerbis gratatur et actis, / aeternam capiet uitam dignamque coronam (l’imitatio si estende non solo alla espressione di v  811, come già rilevato da Zwierlein, p  120, ma anche ad actis, similmente al 6o piede, e all’aggettivo dignam, echeggiamento del comparativo giovenchiano di v  810); l’imitatore tardoantico probabilmente trova nelle parole usate da Giovenco per la retta condotta di vita dell’imperatore un modello adatto a esprimere il precetto dell’umiltà proposto dalla fonte lucana 811 capiat … uitam La costruzione è ancora in Iuvenc 2,187 e 3,547 Cfr Manil 5,396 quisquis erit tali ca­ piens sub tempore uitam; Paul Nol carm 24,63 s intra carinae uiscera infuso mari / quo uita capietur loco? e, per la prosa, almeno Lact inst 1,5,17 animus per uniuersas mundi partes omnemque naturam commeans atque diffusus, ex quo omnia quae nascuntur anima­ lia uitam capiunt Hey (ThlL III 323,43–46 e 328,70) non cita il verso di Giovenco tra gli esempi registrati, peraltro quasi tutti tardoantichi diuina in saecula Il nesso diuina saecula non sembra attestato altrove 812 per Dominum lucis Christum, qui in saecula regnat L’epilogo si conclude con una dossologia cristica Il frasario ricorda complessivamente la chiusura di molte orazioni della liturgia occidentale attestata ancora oggi nel Missale Romanum (per Dominum nostrum Iesum Christum Filium tuum, qui tecum uiuit et regnat in unitate Spiritus Sancti, Deus, per omnia saecula saeculorum) Probabilmente Giovenco rielabora o traspone qualche analoga formula della liturgia spagnola degli inizi del IV secolo (Röttger, p  130) Secondo Fontaine, Dominus lucis, pp  137–140, questo titolo, impiegato per Cristo anche a v  655 (cfr supra, nota ad loc ), è in antitesi rispetto a quello di terrae regnator dato a Costantino a v  807 In altri termini, è come se nell’elogio finale il poeta volesse rammentare ai lettori che Cristo è il solo Signore della luce, compresa quella del sole, forse con una implicita allusione alla teologia solare precedentemente ereditata dalla casa imperiale e ora rifiutata da Costantino Che vi sia o meno tale allusione, certo è che il richiamo alla luce nell’ultimo verso dell’epilogo completa la lunga serie di immagini e metafore luministiche presenti in tutta l’opera

Bibliografia e Abbreviazioni Abel – Vincent = F M Abel – L H Vincent, Jerusalem: Recherches de Topographie, d’Archéologie et d’Histoire Jérusalem Nouvelle, II, Paris 1914 Adkin = N Adkin, A crux in Juvencus: 4,717, ‘Vetera Christianorum’ 54, 2017, pp  299–301 Adkin, Emendations = N Adkin, Two Unnecessary Emendations in Juvencus: scelerata, ‘Euphrosyne’ 45, 2017, pp  283–285 von Albrecht = M von Albrecht, Masters of Roman Prose from Cato to Apuleius Interpretative Studies Translated by N Adkin, Leeds 1989 (ARCA: ‘Classical and Medieval Texts, Papers and Monographs’ 23) Amatucci = A G Amatucci, Storia della letteratura latina cristiana, Bari 1929 Anderson = W S Anderson, Hercules exclusus: Propertius IV 9, ‘American Journal of Philology’ 85, 1964, pp  1–12 André = J André, Étude sur les termes de couleur dans la langue latine, Paris 1949 (‘Études & Commentaires’ 7) Anth Lat = Anthologia Latina sive poesis Latinae supplementum, Pars prior: Carmina in codicibus scripta, recensuit A Riese, editio altera denuo recognita, 2 voll , Lipsiae 1894–1906; D R  Shackleton Bailey, Anthologia Latina sive poesis Latinae supplementum, Pars prior: Carmina in codicibus scripta, Fasciculus I: Libri Salmasiani aliorumque carmina, Stutgardiae 1982 Arevalo = F Arevalo, C Vettius Aquilius Iuvencus Ad mss codd Vaticanos aliosque et ad vett editiones recensuit F A , Romae 1792 = J P Migne, PL 19 Axelson = B Axelson, Unpoetische Wörter Ein Beitrag zur Kenntnis der lateinischen Dichtersprache, Lund 1945 Balz = H R Balz, Furcht vor Gott? Überlegungen zu einem vergessenen Motiv biblischer Theologie, ‘Evangelische Theologie’ 29, 1969, pp  626–644 Baños Baños = J M Baños Baños, El versus aureus de Ennio a Estacio, ‘Latomus’ 51, 1992, pp  762– 774 Bannon = C J Bannon, The Brothers of Romulus: Fraternal Pietas in Roman Law, Literature, and Society, Princeton 1997 Barceló = P Barceló, Una nuova interpretazione dell’arco di Costantino, in: AA VV , Costantino il Grande Dall’Antichità all’Umanesimo A cura di G Bonamente e F Fusco, Macerata 1992, pp  105–114 Bardill = J Bardill, Constantine, Divine Emperor of the Christian Golden Age, Cambridge 2012 Bauer – Aland = W Bauer – K Aland-Barbara Aland, Griechisch-deutsches Wörterbuch zu den Schriften des Neuen Testaments und der frühchristlichen Literatur, Berlin-New York 19886 Bauer = M Bauer, Philologischer Kommentar zum dritten Buch der Evangeliorum libri des Juvencus, Diss Wien 1999

456

Bibliografia e Abbreviazioni

Bažil = M Bažil, Les débuts de l’épopée biblique au IVe siècle: les «Quatre livres des Évangiles» de Juvencus et le «Centon virgilien» de Proba, in: AA VV , Retelling the Bible: Literary, Historical, and Social Contexts Edited by L Dolezalová and T Visi, Bern-Frankfurt am Main 2011, 303–312 Beard = M Beard, Laughter in Ancient Rome On Joking, Tickling, and Cracking Up, BerkeleyLos Angeles-London 2014 Béranger = J Béranger, L’expression de la divinité dans les Panégyriques Latins, ‘Museum Helveticum’ 27, 1970, pp  246–250 Bischoff = B Bischoff, Katalog der festländischen Handschriften des neunten Jahrhunderts (mit Ausnahme der wisigotischen), Wiesbaden 1998 Biville = F Biville, Les emprunts du latin au grec Approche phonétique Tome I: Introduction et consonantisme, Louvain-Paris 1990 Blaise = A Blaise, Dictionnaire latin-français des auteurs chrétiens, Turnhout 1954 (fotorist 1993) Blaise, Dictionnaire = A Blaise, Dictionnaire latin-français des auteurs du moyen-âge Lexicon Latinitatis Medii Aevi, Turnhout 1975 Blaise, Manuel = A Blaise, Manuel du latin chrétien, Strasbourg 1955 Blass – Debrunner – Rehkopf = F Blass – A Debrunner – F Rehkopf, Grammatik des neutestamentlichen Griechisch, Göttingen 1976 Blatt = F Blatt, Die lateinischen Bearbeitungen der Acta Andreae et Matthiae apud antropophagos, Kopenhagen 1930 Borgo = A Borgo, Note di lettura all’Eneide: su una modalità dell’uso di at in Virgilio, in: AA VV , L’esegeta appassionato Studi in onore di Crescenzo Formicola A cura di O Cirillo e M  Lentano, Milano 2019, pp  39–56 Borrell Vidal, Ejemplo = E Borrell Vidal, Un ejemplo de trasposición temática virgiliana en Juvenco, ‘Anuari de filologia’ 14, 1991, Secció D, nr 2, pp  11–17 Borrell Vidal, Index verborum = E Borrell Vidal, Iuvenci Index verborum et alia instrumenta lexica, Barcelona 1990 Borrell Vidal, Las palabras = E Borrel Vidal, Las palabras de Virgilio en Juvenco, Barcelona 1991 (‘Aurea Saecula’ 6) Borrell Vidal, Miracula rerum = E Borrell Vidal, Miracula rerum Una iunctura virgiliana en Juvenco, in: AA VV , Actes del IXè Simposi de la Secció Catalana de la SEEC (St Feliu de Guíxolos, 13–16 d’abril de 1988), II, Barcelona 1991, pp  751–756 Borrell Vidal, Originalidad = E Borrell Vidal, Originalidad de Juvenco en el tratamiento de la fuente virgiliana (Iuvenc 1, 27), in: AA VV , Homenaje a Josep Alsina, Actes del Xè Simposi de la Secció Catalana de la SEEC (Tarragona, 28–30 de novembre de 1990), II, Tarragona 1992, pp  261–265 Borrell Vidal, Virgilio = E Borrell Vidal, Virgilio en Juvenco, in: AA VV , Studia Virgiliana, Actes del VIè Simpos de la Secció Catalana de la SEEC (Barcelona 11–13 de febrar de 1981), Barcelona 1983, pp  137–145 Botte – Mohrmann = B Botte – Ch Mohrmann, L’Ordinaire de la Messe, Paris-Louvain 1953 (‘Textes et Études liturgiques’ 2) Braun = R Braun, Deus Christianorum Recherches sur le vocabulaire doctrinal de Tertullien, Paris 19772 Braun – Engel = L von Braun – A Engel, ‘Quellenwechsel’ im Bibelepos des Iuvencus, ‘Zeitschrift für antikes Christentum’ 2, 1998, pp  123–138 Buchheit = V Buchheit, Resurrectio carnis bei Prudentius, ‘Vigiliae Christianae’ 40 (3), 1986, pp  261–285

Bibliografia e Abbreviazioni

457

Bureau = B Bureau, Citer et/ou paraphraser chez quelques poètes bibliques latins: Juvencus, Sedulius, Arator, in: AA VV , La citation dans l’Antiquité Actes du colloque du PARSA (Lyon, ENS LSH, 6–8 novembre 2002) Edité par C Darbo-Peschanski, Grenoble 2004, pp  199–219 Bureau, Rime = B Bureau, Rime et sens dans la poésie hexamétrique latine tardive, quelques exemples, in: AA VV, Poétique de la rime Edité par M Murat et J Dangel, Paris 2005 (‘Métrique française et comparée’ 3), pp  97–124 Burton = P H Burton, The Old Latin Gospels A study of their Texts and Language, Oxford 2000 (‘Oxford Early Christian Studies’) Cairns = F Cairns, Generic Composition in Greek and Roman Poetry, Edinburgh 1972 Campagnuolo = G Campagnuolo, Caratteri e tecniche della parafrasi di Giovenco, ‘Vetera Christianorum’ 30, 1993, pp  47–84 Canali = L Canali, Aquilino Giovenco Il poema dei Vangeli Traduzione di L C , Introduzione, commento e apparati di P Santorelli, Postfazione di Elena Malaspina, Milano 2011 (cfr qui Santorelli, Aquilino Giovenco) Carruba = R W Carruba, The preface to Juvencus’ Biblical Epic: a Structural Study, ‘American Journal of Philology’ 114, 1993, pp  303–312 Carter = I B Carter, Epitheta Deorum quae apud poetas Latinos leguntur Ausführliches Lexicon der griechischen und römischen Mythologie Suppl , Lipsiae 1902 Caspary = G E Caspary, Politics and Exegesis: Origen and the Two Swords, Berkeley-Los Angeles-London 1979 Castillo Bejarano = M Castillo Bejarano, Juvenco, Historia evangélica Introducción, traducción y notas de M C B , Madrid 1998 (‘Biblioteca Clásica Gredos’ 249) Castro Jiménez = M D Castro Jiménez – V Cristóbal – S Mauro Melle, Sobre el estilo de Juvenco, ‘Helmantica’ 40, 1989, pp  211–219 CCL = Corpus Christianorum Series Latina, Turnhoult 1954– Ceccarelli = L Ceccarelli, Contributi per la storia dell’esametro latino, Roma 2008 (‘Studi e Testi TardoAntichi’ 8) Ceresa-Gastaldo = A Ceresa-Gastaldo, Gerolamo Gli uomini illustri, Firenze 1988 (‘Bibl Patrist ’ 12) Charlet = J L Charlet, Prudence et la Bible, ‘Recherches augustiniennes et patristiques’ 18, 1983, pp  3–149 Châtelain = E Châtelain, Du pluriel de respect en latin, ‘Revue de philologie, de littérature et d’histoire anciennes’ 4, 1880, pp  129–139 CIL = Corpus Inscriptionum Latinarum, consilio et auctoritate Academiae Litterarum Regiae Borussi­ cae editum, Berolini–Novi Eboraci, 1863– CLE = Carmina Latina Epigraphica (Anthologiae Latinae pars posterior), conlegit F Bücheler, 2 vol , Lipsiae 1895–1897; III. Supplementum curavit E Lommatzsch, Lipsiae 1926 Colafrancesco = P Colafrancesco, Dalla vita alla morte: il destino delle Parche (da Catullo a Seneca), Bari 2004 Colombi = E Colombi, Poesia ed esegesi cristiana: interferenze tra i Vangeli di Matteo e Luca negli Evangeliorum libri di Giovenco, in: AA VV , Prospettive sul Tardoantico Atti del Convegno di Pavia (27–28 novembre 1997) A cura di G Mazzoli e F Gasti, Como 1999 (‘Biblioteca di Athenaeum’ 41), pp  151–156 Colombi, Iuvenciana = E Colombi, Iuvenciana I, ‘Vetera Christianorum’ 37, 2000, pp  235–269 Colombi, Iuvencus presbyter = E Colombi, Iuvencus presbyter, in: AA VV , TraPat – Traditio Pa­ trum, 1 Scriptores Hispaniae A cura di E Colombi, Turnhout 2015 (‘Corpus Christianorum Claves – Subsidia’ 4), pp  61–86

458

Bibliografia e Abbreviazioni

Colombi, L’allusione = E Colombi, L’allusione e la variante: Giovenco e Silio Italico, in: AA VV , Nuovi archivi e mezzi d’analisi per i testi poetici I lavori del progetto Musisque Deoque (Venezia, 21–23 giugno 2010) A cura di P Mastandrea e L Spinazzè, Amsterdam 2011 (‘Supplementi di Lexis’ 60), pp  157–185 Colombi, Paene ad verbum = E Colombi, Paene ad verbum Gli Evangeliorum libri di Giovenco tra parafrasi e commento, ‘Cassiodorus’ 3, 1997, pp  9–36 Colombi, Preposizioni = E Colombi, Sull’uso delle preposizioni negli Evangeliorum libri IV di Giovenco, in: AA VV , Discentibus obvius Omaggio degli allievi a D Magnino A cura di G  Mazzoli, Como 1997, pp  9–21 Consolino = F E Consolino, Il senso del passato: generi letterari e rapporti con la tradizione nella «parafrasi biblica» latina, in: AA VV , Nuovo e antico nella cultura greco-latina di IV–VI secolo A cura di I Gualandri, F Conca e R Passarella, Milano 2005 (‘Quaderni di Acme’ 73), pp  447–526 Consolino, Priamo = F E Consolino, Priamo, Pompeo e Giovanni Battista Caratteri e limiti dell’allusività in Giovenco 3,33–72, in: AA VV , Lateinische Poesie der Spätantike Internationale Tagung in Castelen bei Augst, 11 –13 Oktober 2007 Herausgegeben von H Harich-Schwarzbauer und P Schierl, Basel 2009 (‘Schweizerische Beiträge zur Altertumswissenschaft’ 36), pp  159– 177 Copley = F O Copley, Exclusus amator A Study in Latin Love Poetry, Baltimore 1956 (‘American Philological Association Philological Monographs’ 17) Costanza = S Costanza, Da Giovenco a Sedulio I proemi degli Evangeliorum libri e del Carmen Paschale, ‘Civiltà classica e cristiana’ 6, 1985, pp  253–286 Cottier = J F Cottier, La paraphrase latine, de Quintilien à Érasme, ‘Revue des Études Latines’ 80, 2002, pp  237–252 Courcelle = P Courcelle, Lecteurs Païens et Lecteurs Chrétiens de l’Énéide I: Les Témoignages Littéraires, Paris 1984 CSEL = Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, Vindobonae 1866– Cupaiuolo = F Cupaiuolo, Alcune osservazioni sull’esametro delle Georgiche di Virgilio, ‘Bollettino di studi latini’ 15, 1985, pp  3–17 Curtius = E R Curtius, Letteratura europea e Medio Evo Latino, Firenze 1992 [Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter, Bern 1948] Cuzzolin = P Cuzzolin, Sull’origine della costruzione dicere quod: aspetti sintattici e semantici, Firenze 1994 (‘Pubblicazioni della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pavia’ 72) Cuzzolin, Ecce = P Cuzzolin, Quelques remarques syntaxiques à propos de ecce, in: AA VV , Estudíos de lingüística latina A cura di B García-Hernández, Madrid 1998 (‘Bibliotheca Linguae Latinae’), p  261–271 DACL = Dictionnaire d’archéologie chrétienne et de liturgie, Paris 1907–1953 Dalman = G Dalman, Orte und Wege Jesu, Gütersloh 19672 Daremberg – Saglio = Ch Daremberg – E Saglio, Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, d’après les textes et les monuments, Paris 1877–1919 Deerberg = D Deerberg, Der Sturz des Judas Kommentar (5,1–163) und Studien zur poetischen Erbauung bei Sedulius, Münster 2011 (‘Orbis Antiquus’ 43) De Gianni = D De Gianni, Il comandamento più importante (Matth 22, 34–40) nella riscrittura esametrica di Giovenco (4, 38–44), ‘Rendiconti dell’Accademia di Archeologia Lettere e Belle Arti’ 76, 2011–2012, pp  93–102 De Gianni, Caifa = D De Gianni, «Caifa si straccia le vesti» (Matth 26, 65–68) nella riscrittura esametrica di Giovenco (4, 560–69), ‘Bollettino di studi latini’ 43, 2013, pp  568–577

Bibliografia e Abbreviazioni

459

De Gianni, Constitutio textus = D De Gianni, Intertesti lucanei e constitutio textus negli Evangelio­ rum libri IV di Giovenco, ‘Vetera Christianorum’ 52 (2), 2015, pp  75–85 De Gianni, Fortleben = D De Gianni, Sul Fortleben di Giovenco, ‘Koinonia’ 37, 2013, pp  396–400 De Gianni, Sinone = D De Gianni, Sinone, Palamede e Cristo Riletture cristiane di miti pagani, ‘Atene e Roma’ 12, 2018, pp  495–510 De Gianni, Sinuamen = D De Gianni, Sfumature semantiche e diffusione di un neologismo tardoantico Sinuamen da Giovenco a Venanzio Fortunato, ‘Wiener Studien’ 130, 2017, pp  245–268 De Gianni, Traduzioni = D De Gianni, Due traduzioni ottocentesche di Giovenco, praef 1–3, ‘Vichiana’ 55, 2018, pp  129–137 Deichmann = F W Deichmann, Zur Erscheinung des Sternes von Bethlehem, in: AA VV , Vivarium Festschrift Theodor Klauser zum 90 Geburtstag, Münster in Westfalen 1984 (‘JbAC Erg -Bd ’ 11), pp  98–106 De Martino = E De Martino, Morte e pianto rituale nel mondo antico: dal lamento pagano al pianto di Maria, Torino 1958 Deodato – Romeo = P Deodato – M Romeo, Gli Euangeliorum Libri quattuor di Giovenco Introduzione, traduzione e commento dell’episodio della «Visitazione» (I,80–104), Palermo 2019 Deproost, Ficta et facta = P A Deproost, Ficta et facta La condamnation du «mensonge des poètes» dans la poésie latine chrétienne, ‘Revue des Études Augustiniennes’ 44, 1998, pp  101– 121 Deproost, L’épopée = P A Deproost, L’épopée biblique en langue latine Essai de définition d’un genre littéraire, ‘Latomus’ 56, 1997, pp  14–39 Deproost, La résurrection = P A Deproost, La résurrection de Lazare dans le poème évangélique de Juvencus (IV, 306–402), ‘Revue belge de philologie et d’histoire’ 78 (1), 2000, pp  129–145 Dijkstra = R Dijkstra, The Apostles in Early Christian Art and Poetry, Leiden-Boston 2016 (‘Supplements to Vigiliae Christianae’ 134) Dinkova Bruun = G Dinkova Bruun, Biblical Versifications from Late Antiquity to the Middle of the Thirteenth Century: History or Allegory?, in: AA VV , Poetry and Exegesis in Premodern Latin Christianity The encounter between classical and Christian strategies of interpretation Edited by W Otten and K Pollmann, Leiden 2007 (‘Supplements to Vigiliae Christianae’ 87), pp  315–342 Di Terlizzi = P Di Terlizzi, Interpretazioni e prospettive di ricerca negli studi recenti su Giovenco, ‘Studia Patavina’ 37, 1990, pp  359–373 Dölger = F J Dölger, Lumen Christi Untersuchungen zum abendlichen Licht-Segen, ‘Antike und Christentum’ 5, 1936, pp  1–43 Dominik = W J Dominik, The Mythic Voice of Statius: Power and Politics in the Thebaid, Leiden 1994 (‘Mnemosyne Supplements’ 136) Donnini, Annotazioni = M Donnini, Annotazioni sulla tecnica parafrastica negli Evangeliorum libri di Giovenco, ‘Vichiana’ 1, 1972, pp  27–45 Donnini, L’aggettivazione = M Donnini, Un aspetto della espressività di Giovenco: l’aggettivazione, ‘Vichiana’ 2, 1973, pp  54–67 Donnini, L’allitterazione = M Donnini, L’allitterazione e l’omeoteleuto in Giovenco, ‘Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Perugia’ 12, 1974–1975, pp  129–159 Dorival = G Dorival, Un astre se lèvera de Jacob L’interprétation ancienne de Nombres 24,17, ‘Annali di storia dell’esegesi’ 13, 1996, pp  295–352 D’Ors = A D’Ors, Sub condicione, ‘Emerita’ 8, 1940, pp  73–78 Dräger = A Dräger, Historische Syntax der lateinischen Sprache, I–II, Leipzig 1878–18812

460

Bibliografia e Abbreviazioni

Dräger, Paulinus = P Dräger, Klage des Magisters Paulinus (Querela magistri Paulini) Hrsg , zum ersten Mal übers und kommentiert von Paul Dräger, ‘Kurtrierisches Jahrbuch’ 50, 2010, pp  65–148 Drexler = H Drexler, Maiestas, ‘Aevum’ 30, 1956, pp  195–212 Drobisch = M W Drobisch, Ein statistischer Versuch über die Formen des lateinischen Hexameters, ‘Berichte über die Verhandl K Sächs Gesellschaft der Wiss zu Leipzig’ 18, 1866, pp  75–139 Dulaey = M Dulaey, Symboles des Évangiles (Ier – VIe siècles): le Christ médecin et thaumaturge, Paris 2007 Ehrman = B D Ehrman, Misquoting Jesus: The Story Behind Who Changed the Bible and Why, San Francisco 2005 Eltester = W Eltester, Freund, wozu du gekommen bist, in: AA VV , Neotestamentaria et Patristica Eine Freundesgabe O Cullmann zu seinem 60 Geburtstag überreicht, Leiden 1962, pp  70–91 (‘Supplements to Novum Testamentum’ 6) Ermini = F Ermini, Storia della letteratura latina medievale dalle origini alla fine del secolo VII, Spoleto 1960 Ernout – Meillet = A Ernout – A Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine, Paris 19854 (con le aggiunte di J André) Ertmer = D Ertmer, Studien zur althochdeutschen und altsächsischen Juvencusglossierung, Göttingen 1994 (‘Studien zum Althochdeutschen’ 26) Evenepoel = W Evenepoel, The Place of Poetry in Latin Christianity, in: AA VV , Early Christian Poetry A Collection of Essays Edited by J den Boeft and A Hilhorst, Leiden 1993 (‘Supplementum to Vigiliae Christianae’ 22), pp  35–60 EV = Enciclopedia virgiliana, Roma 1984–1991 Fedeli = P Fedeli, Sexti Properti Elegiarum Libri IV Editio stereotypa editionis correctioris 1994, Monachii et Lipsiae 2006 Fernández Martínez = C Fernández Martínez, Acerbus: la amargura de morir antes de tiempo, ‘Emerita’ 71 (2), 2003, pp  313–337 Fichtner = R Fichtner, Taufe und Versuchung Jesu in den Evangeliorum libri quattuor des Bibeldichters Juvencus (1, 346–408), Stuttgart-Leipzig 1994 (‘Beiträge zur Altertumskunde’ 50) Fischer = B Fischer, Das Neue Testament in lateinischer Sprache, in: AA VV , Die alten Übersetzungen des neuen Testaments, die Kirchenväterzitate und Lektionare Der gegenwärtige Stand ihrer Erforschung und ihre Bedeutung für die griechische Textgeschichte Herausgegeben von K Aland, Berlin 1972 (‘Arbeiten zur Neutestamentlichen Textforschung’ 5), pp  1–92 Flammini, La parafrasi = G Flammini, La parafrasi: dalla utilizzazione nelle scuole dei retori alla nascita di un nuovo genere poetico, ‘Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’ Università di Macerata’ 35, 2002, pp  123–137 Flammini, La struttura = G Flammini, La struttura dell’esametro degli Evangeliorum libri di Giovenco, ‘Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Macerata’ 32, 1999, pp  259– 288 Fletcher = G B A Fletcher, The Suffix met in Post-Virgilian Poetry, ‘Hermes’ 94, 1966, pp  254– 256 Flieger = M Flieger, Interpretationen zum Bibeldichter Iuvencus Gethsemane, Festnahme Jesu und Kaiphasprozess (4, 478–565), Stuttgart 1993 (‘Beiträge zur Altertumskunde’ 40) Flury, Alcimus Avitus = P Flury, Juvencus und Alcimus Avitus, ‘Philologus’ 132, 1988, pp  286–296

Bibliografia e Abbreviazioni

461

Flury, Dichtersprache = P Flury, Zur Dichtersprache des Juvencus, in: AA VV , Lemmata Donum natalicium W Ehlers sexagenario a sodalibus Thesauri Linguae Latinae oblatum, München 1968, pp  38–47 Flury, Paulinus = P Flury, Das sechste Gedicht des Paulinus von Nola, ‘Vigiliae Christianae’ 27, 1973, pp  129–145 Fo = A Fo, La visita di Venere a Maria nell’Epithalamium de nuptiis Honorii Augusti di Claudiano, ‘Orpheus’ 2, 1981, pp  157–169 Fontaine, Dominus lucis = J Fontaine, Dominus lucis: un titre singulier du Christ dans le dernier vers de Juvencus, in: AA VV , Mémorial A -J Festugière Antiquité païenne et chrétienne, Genève 1984 (‘Cahiers d’Orientalisme’), pp  131–141 Fontaine, La figure du prince = J Fontaine, La figure du prince dans la poésie latine chrétienne de Lactance à Prudence, in: AA VV , La poesia tardoantica: tra retorica, teologia e politica Atti del V corso della Scuola Superiore di Archeologia e Civiltà Medioevali (Erice 6–12 dicembre 1981) A cura di S Costanza, Messina 1984, pp  103–132 Fontaine, Naissance = J Fontaine, Naissance de la poésie dans l’Occident chrétien Esquisse d’une histoire de la poésie latine chrétienne du IIIè au VIè siècle, Paris 1981 Force = P Force, Encore les incises de Matthieu! ( Juvencus et Mt 9,19), ‘Bulletin de littérature ecclésiastique’ 94, 1993, pp  315–318 Forcellini = Ae Forcellini – I Furlanetto – F Corradini – I Perin, Lexicon totius latinitatis, I–IV; Onomasticon, V–VI, Patavii 19405 (rist anast Bologna 1965) Formicola = C Formicola, Il poeta e il politico Virgilio e il potere, ‘Rendiconti dell’Accademia di Archeologia Lettere e Belle Arti’ 75, 2012, pp  161–180 Foucher = A Foucher, Un aspect formulaire de la langue et de la métrique plautiniennes: les formes de subjonctif fuam, fuas, fuat, fuant, ‘Revista de Estudios Latinos’ 5, 2005, 97–115 Fraenkel = E Fraenkel, Zur Geschichte des Wortes fides, ‘Rheinisches Museum für Philologie’ 71, 1916, pp  187–199 Fraïsse = A Fraïsse, Éléments biographiques dans l’épopée biblique de Juvencus, ‘Latomus’ 66, 2007, pp  673–689 Frank = G Frank, Vossianus Q 86 and Reginensis 333, ‘American Journal of Philology’ 44, 1923, pp  67–70 Fratantuono – Alden Smith, Aeneid 5 = L M Fratantuono – R Alden Smith, Virgil Aeneid 5 Text, Translation and Commentary, Leiden-Boston 2015 (‘Mnemosyne Supplements’ 386) Fratantuono – Alden Smith, Aeneid 8 = L M Fratantuono – R Alden Smith, Virgil Aeneid 8 Text, Translation and Commentary, Leiden-Boston 2018 (‘Mnemosyne Supplements’ 416) Frey = L H Frey, The Rhetoric of Latin Christian Epic Poetry, ‘Annuale Mediaevale’ 2, 1961, pp  15–30 Fugier = H Fugier, Recherches sur l’expression du sacré dans la langue latine, Paris 1963 Funck = A Funck, Neue Beiträge zur Kenntnis der lateinischen Aduerbia auf ­im, ‘Archiv für lateinische Lexikographie und Grammatik’ 7, 1892, pp  485–506 Gallego Moya, Cuestiones = E Gallego Moya, Cuestiones métricas y prosódicas en el comentario de F Arévalo a la edición de Juvenco, in: AA VV , Actas del IX Congreso Español de Estudios Clásicos (27–30 septiembre 1995), Humanismo y tradición clásica A cura di A Alvar Ezquerra, J García Fernández, J F González Castro, Madrid 1999, pp  117–120 Gallego Moya, Ediciones = E Gallego Moya, Las ediciones de Juvenco en Arévalo, in: AA VV , Humanismo y pervivencia del mundo clásico Homenaje al Profesor Luis Gil A cura di J M  Maestre, P Barea y L C Brea, Cádiz 1997, pp  495–502 Galli = F Galli, Giovenco I libri dei Vangeli, Roma 2012

462

Bibliografia e Abbreviazioni

Gambino = F Gambino, «Epica biblica»: spunti per la definizione di un genere medievale, ‘La Parola del Testo’ 3, 1999, pp  7–43 Gärtner = H A Gärtner, Zur Haltung des Iuvencus gegenüber der klassischen Epik, in: AA VV , Noctes Sinenses: Festschrift für Fritz-Heiner Mutschler zum 65 Geburtstag Herausgegeben von A Heil, M Korn und J Sauer, Heidelberg 2011 (‘Kalliope’ 11), pp  29–35 Gärtner, Argonautica = T Gärtner, Kritische Bemerkungen zu den Argonautica des Valerius Flaccus, ‘Emerita’ 78, 2010, pp  211–229 Gärtner, Musen = T Gärtner, Die Musen im Dienste Christi: Strategien der Rechtfertigung christlicher Dichtung in der lateinischen Spätantike, ‘Vigiliae Christianae’ 58, 2004, pp  424–446 GCS = Griechische Christliche Schriftsteller der ersten drei Jahrhunderte, herausgegeben von der Kirchenväter-Commission der Königl Preussischen Akademie der Wissenschaften, Leipzig, 1897–1941; Berlin–Leipzig, 1953; Berlin, 1954– Gebser = A R Gebser, De Caii Vettii Aquilini Iuvenci presbyteri Hispani vita et scriptis, Ienae 1827 Germano = G Germano, L’Antifona O cruor sanguinis di Hildegard von Bingen, in: AA VV , Ami­ corum munera Studi in onore di A V Nazzaro A cura di G Luongo, Napoli 2016, pp  479–500 Giardina = G Giardina, Lumina solis o luminis oras? Una nota al testo di Lucrezio 1,5, ‘Philologus’ 154, 2010, pp  147–149 Gil Abellán = C Gil Abellán, La Historia evangélica de Juvenco en la edición de Faustino Arévalo, Diss Murcia 2004 Giordano – Kahn = C Giordano – I Kahn, Testimonianze ebraiche a Pompei, Ercolano, Stabia e nelle città della Campania Felix, Roma 2001 (‘Collezione archeologica’ 2) Giraudo = C Giraudo, La struttura letteraria della preghiera eucaristica, Roma 19892 (‘Analecta Biblica Dissertationes’ 92) Glei = R F Glei, Jesus als Gottmensch in lateinischer Bibelepik, in: AA VV , Gottmenschen: Konzepte existentieller Grenzüberschreitung im Altertum Herausgegeben von G Binder und B Effe, R F Glei, Trier 2003 (‘Bochumer Altertumswissenschaftliches Colloquium’ 55), pp  133–154 Gnilka = Ch Gnilka, Palestra bei Prudentius, ‘Illinois Classical Studies’ 14, 1989, pp  365–382 Gnilka, Ennodius = Ch Gnilka, Zum Grabepigramm auf Ennodius, zu den ambrosianischen Tituli und zu vates gleich episcopus, ‘Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik’ 169, 2009, pp  79–83 Gnilka, Juvencustext = Ch Gnilka, Über einige unechte Verse im Juvencustext, ‘Wiener Studien’ 114, 2001, pp  501–517 Gnilka, Seesturm = Ch Gnilka, Der Seesturm beim echten und beim unechten Juvencus, ‘Würzburger Jahrbücher für die Altertumswissenschaft’ 25, 2001, pp  215–229 Gnilka, Tituli = Ch Gnilka, Zur Frage der Verfasserschaft der ambrosianischen Tituli, ‘Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik’ 168, 2009, pp  123–148 Gnilka, Vergilerklärung = Ch Gnilka, Spuren antiker Vergilerklärung bei Juvencus, in: AA VV , Vergil und das antike Epos Festschrift Hans Jürgen Tschiedel Herausgegeben von S Freund – M Vielberg, Stuttgart 2008 (‘Altertumswissenschaftliches Kolloquium’ 20), pp  387–400 Goelzer = H Goelzer, Le latin de Saint Avit, évêque de Vienne (450?–526?), Paris 1909 Golega = J Golega, Der homerische Psalter, Ettal 1960 Green, Approaching = R P H Green, Approaching Christian epic: the preface of Juvencus, in: AA VV , Latin epic and didactic poetry Genre, Tradition and Individuality Edited by M Gale, Swansea 2004, pp  203–222 Green, Ausonius = R P H Green, The Works of Ausonius, Oxford 1991

Bibliografia e Abbreviazioni

463

Green, Birth = R P H Green, Birth and transfiguration: some gospel episodes in Juvencus and Sedulius, in: AA VV , Texts and Culture in Late Antiquity: Inheritance, Authority and Change Edited by J H D Scourfield, Swansea 2007, pp  135–170 Green, Exegesis = R P H Green, The Evangeliorum libri of Juvencus: Exegesis by Stealth?, in: AA VV , Poetry and Exegesis in Premodern Latin Christianity Edited by W Otten – K Pollmann, Leiden 2007 (‘Supplements to Vigiliae Christianae’ 87), pp  65–80 Green, Latin Epics = R P H Green, Latin Epics of the New Testament Juvencus, Sedulius, Arator, Oxford 2006 Green, Problems = R P H Green, Problems in the Text of Juvencus, ‘Vigiliae Christianae’ 65, 2011, pp  199–213 Gualandri = I Gualandri, Prassi esegetica e stile letterario: alcuni problemi, in: AA VV , Esegesi, parafrasi e compilazione in età tardoantica Atti del Terzo Convegno dell’Associazione di Studi tardoantichi, Pisa 7–9 ottobre 1993 A cura di C Moreschini, Napoli 1995, pp  147–174 Guillemin = A M Guillemin, L’évolution d’un cliché poétique, ‘Revue des études latines’ 19, 1941, pp  101–112 Hansson = N Hansson, Textkritisches zu Juvencus Mit vollständigem Index verborum, Lund 1950 Hardie = Ph Hardie, Closure in Latin Epic, in: AA VV , Reading the End in Greek and Latin Literature Edited by D H Roberts, F M Dunn, D P Fowler, Princeton 1997, pp  139–162 von Harnack = A von Harnack, Militia Christi Die Christliche Religion und der Soldatenstand in den ersten drei Jahrhunderten, Tübingen 1905 Harrison = S J Harrison, Discordia taetra: the history of a hexameter-ending, ‘Classical Quarterly’ 41 (1), pp  138–149 Hatfield = J T Hatfield, A study of Juvencus, Bonn 1890 Hays = G Hays, A Note on Juvencus 4 286, ‘Classical Quarterly’ 48, 1998, pp  599–600 Hecquet-Noti = N Hecquet-Noti, Entre exégèse et épopée: présence auctoriale dans Juvencus, Sédulius et Avit de Vienne, in: AA VV , Lateinische Poesie der Spätantike Internationale Tagung in Castelen bei Augst, 11 –13 Oktober 2007 Herausgegeben von H Harich-Schwarzbauer und P Schierl, Basel 2009 (‘Schweizerische Beiträge zur Altertumswissenschaft’ 36), pp  197– 215 Heinsdorff = C Heinsdorff, Christus, Nikodemus und die Samaritanerin bei Juvencus Mit einem Anhang zur lateinischen Evangelienvorlage, Berlin-New York 2003 (‘Untersuchungen zur Antiken Literatur und Geschichte’ 67) Heinsdorff, Der interpolierte Juvencus = C Heinsdorff, Der interpolierte Juvencus des Codex Au­ giensis 112 und Severus von Malaga, ‘Vigiliae Christianae’ 60, 2006, pp  148–170 Heinze = R Heinze, Fides, ‘Hermes’ 64, 1929, pp  40–166 Heinze, Virgils = R Heinze, Virgils epische Technik, Leipzig-Berlin 19153 Helen = S M Helen, Juvencus, «A Minor Virgil», ‘The Classical Bulletin’ 15, 1939, pp  57–59 Hernández González = F Hernández González, La recepción de los helenismos léxicos en la obra de Juvenco, in: AA VV , Actas del VIII Congreso Español de Estudios Clásicos, Madrid 1994, pp  593–599 Hernández González, Helenismos = F Hernández González, Helenismos bíblicos no usados por Juvenco, ‘Fortunatae’ 22, 2011, pp  101–115 Herrero Llorente = V J Herrero Llorente, Lucano en la literatura hispanolatina, ‘Emerita’ 27, 1959, pp  19–52 Herzog = R Herzog, Die Bibelepik der lateinischen Spätantike Geschichte einer erbaulichen Gattung, München 1975 (‘Theorie & Gesch der Lit & der schönen Künste’ 37)

464

Bibliografia e Abbreviazioni

Hickson = F V Hickson, Roman Prayer Language Livy and the Aneid of Vergil, Stuttgart 1993 (‘Beiträge zur Altertumskunde’ 30) Hilhorst = A Hilhorst, The Cleansing of the Temple ( John 2, 13–25) in Juvencus and Nonnus, in: AA VV , Early Christian Poetry A Collection of Essays Edited by J Den Boeft and A  Hilhorst, Leiden-New York-Köln 1993 (‘Supplements to Vigiliae Christianae’ 22), pp  61–76 Hoogterp = P W Hoogterp, Étude sur le latin du Codex Bobiensis (k) des Evangiles, Wageningen 1930 Horsfall, Aeneid 2 = N Horsfall, Virgil, Aeneid 2 A Commentary, Leiden-Boston 2008 (‘Mnemosyne Supplements’ 299) Horsfall, Aeneid 7 = N Horsfall, Virgil, Aeneid 7 A Commentary, Leiden-Boston 2000 (‘Mnemosyne Supplements’ 198) Horsfall, Aeneid 11 = N Horsfall, Virgil, Aeneid 11 A Commentary, Leiden-Boston 2003 (‘Mnemosyne Supplements’ 244) Hose = M Hose, Konstantin und die Literatur oder Gibt es eine Konstantinische Literatur?, ‘Gymnasium’ 114, 2007, pp  535–558 Hudson-Williams = A Hudson-Williams, Virgil and the Christian Latin poets, ‘Proceedings of the Virgil Society’ 6, 1966–1967, pp  11–21 Huemer = I Huemer, Gai Vetti Aquilini Iuvenci Evangeliorum libri quattuor Recensuit et commentario critico instruxit I Huemer, Pragae-Vindobonae-Lipsiae 1891 (‘CSEL’ 24) Huemer, Beiträge = I Huemer, Kritische Beiträge zur Historia evangelica des Juvencus I, ‘Wiener Studien’ 2, 1880, pp  81–112 Hultsch = Fr Hultsch, Griechische und römische Metrologie, Berlin 1862 Hummel = P Hummel, Épisme(s) et épopées dans la littérature chrétienne des premiers siècles, in : AA VV , Palimpsestes épiques Récritures et interférences génériques Études réunies par D Boutet et C Esmein-Sarrazin, Paris 2006, 161–176 ICVR = Inscriptiones Christianae Vrbis Romae septimo saeculo antiquiores, colligere coepit Ioannes Baptista De Rossi, compleverunt et ediderunt A Silvagni, A Ferrua, D Mazzoleni, C  Carletti, voll I–X, Romae [postea] in civitate Vaticana 1922–1992 ILCV = E Diehl, Inscriptiones latinae christianae ueteres, 3 voll , Berlin 1924–1931 Janssen = H H Janssen, Le caratteristiche della lingua poetica romana, in: AA VV , La lingua poetica latina A cura di A Lunelli, Bologna 19802, pp  69–130 Jiménez Delgado = J Jiménez Delgado, Juvenco en el Códice Matritense 10 029, ‘Helmantica’ 19, 1968, pp  277–332 Jordan = M Jordan, The Invention of Sodomy in Christian Theology, Chicago 1997 Joün = P Joün, Respondit et dixit, ‘Biblica’ 13, 1932, pp  309–314 Kartschoke = D Kartschoke, Bibeldichtung Studien zur Geschichte der epischen Bibelparaphrase von Juvencus bis Otfrid von Weißenburg, München 1975 Kierdorf = W Kierdorf, Laudatio funebris Interpretationen und Untersuchungen zur Entwicklung der römischen Leichenrede, Meisenheim am Glan 1980 (‘Beiträge zur Klassischen Philologie’ 106) Kievits = H H Kievits, Ad Iuvenci Evangeliorum librum primum commentarius exegeticus, Groningae 1940 Kinsey = T Kinsey, The Meaning of interea in Virgil’s Aeneid, ‘Glotta’ 57, 1979, pp  259–265 Kirsch = W Kirsch, Die lateinische Versepik des 4 Jahrhunderts, Berlin 1989 (‘Schriften zur Geschichte und Kultur der Antike’ 28) Klauck = H J Klauck, Judas, ein Jünger des Herrn, Freiburg 1987 (‘Quaestiones Disputatae’ 111)

Bibliografia e Abbreviazioni

465

Knappitsch = A Knappitsch, C Vetti Aquilini Iuvenci Evangeliorum libri quattuor, 4 voll , Graz 1910–1913 Knoche = U Knoche, Der römische Ruhmesgedanke, ‘Philologus’ 89, 1934, pp  102–24 Knox = P E Knox, Adjectives in -osus and Latin Poetic Diction, ‘Glotta’ 64, 1986, pp  90–101 Koffmane = G Koffmane, Geschichte des Kirchenlateins, Breslau 1879–1881 (rist Hildesheim 1966) Korn = O Korn, Die Handschriften der historia euangelica des Juvencus in Danzig, Rom und Wolfenbüttel Ein Beitrag zur Kritik des Juuencus, Leipzig 1870 Kroll = G Kroll, Auf den Spuren Jesu, Leipzig 199011 Kuhn = K G Kuhn, Peirasmos, hamartia, sarx im NT und die damit zusammenhängenden Vorstellungen, ‘Zeitschrift für Theologie und Kirche’ 49, 1952, pp  200–222 Kühner-Stegmann = R Kühner – C Stegmann – A Thierfelder, Ausführliche Grammatik der lateinischen Sprache, I–II, Hannover 19624 Labarre = S Labarre, Le projet poétique des auteurs latins d’épopées bibliques: la place des ekphraseis In : AA VV , Manifestes littéraires dans la latinité tardive Colloque international organisé par P Galand-Hallyn et V Zarini, Paris 2009, pp  35–50 (‘Collection des Études Augustiniennes, série Antiquité’ 188) de Labriolle = P de Labriolle, Histoire de la littérature latine, Paris 1924 Laganà = F Laganà, Giovenco, Catania 1947 (‘Raccolta di studi di letteratura cristiana antica’ 6) Lamacchia = R Lamacchia, Tra sub e in in alcune espressioni latine, ‘Studi italiani di filologia classica’ 46, 1974, pp  51–84 Lampe = G W H Lampe, A Patristic Greek Lexicon, Oxford 1961 Lana = I Lana, Letteratura latina Disegno storico della civiltà letteraria di Roma e del mondo romano, Messina 1963 Lana, La poesia = I Lana, La poesia cristiana latina dei primi secoli: prospettive di lettura, in: AA VV , Metodologie della ricerca nella tarda antichità A cura di A Garzya, Napoli 1989, pp  71–88 La Penna = A La Penna, P Ovidii Nasonis Ibis, Firenze 1957 Lausberg = H Lausberg, Elementi di retorica, Bologna 1969 [Elemente der Literarischen Rhetorik, München 1949] Lavarenne = M Lavarenne, Étude sur la langue du poète Prudence, Paris 1933 Lebek = W D Lebek, Verba prisca Die Anfänge des Archaisierens in der lateinischen Beredsamkeit und Geschichtsschreibung, Göttingen 1970 (‘Hypomnemata’ 25) Leeb = R Leeb, Konstantin und Christus Die Verchristlichung der imperialen Repräsentation unter Konstantin dem Großen als Spiegel seiner Kirchenpolitik und seines Selbstverständnisses als christlicher Kaiser, Berlin 1992 (‘Arbeiten zur Kirchengeschichte’ 58) Lemaire = A Lemaire, Le Sabbat à l’époque royale israélite, ‘Revue Biblique’ 80, 1973, pp  161–185 Lennon = J J Lennon, Pollution and Religion in Ancient Rome, Cambridge 2014 Leone = M Leone, Religious Conversion and Identity: The Semiotic Analysis of Texts, LondonNew York 2004 LHS = M Leumann – J B Hofmann – A Szantyr, Lateinische Syntax und Stilistik, München 19722 LOC = E Renaudot, Liturgiarum orientalium collectio, Francofurti ad Moenum 18472 (rist London 1970) Löfstedt, Peregrinatio Aetheriae = E Löfstedt, Philologischer Kommentar zur Peregrinatio Aethe­ riae Untersuchungen zur Geschichte der lateinischen Sprache, Uppsala 1911 (= Darmstadt 1962)

466

Bibliografia e Abbreviazioni

Löfstedt, Syntactica = E Löfstedt, Syntactica Studien und Beiträge zur historischen Syntax des Lateins, I–II, Lund 1928–1933 Löfstedt, Vermischte Studien = E Löfstedt, Vermischte Studien zur lateinischen Sprachkunde und Syntax, Lund-London-Oxford-Paris-Leipzig 1936 (‘Skrift utg Human Vetenskapssamf i Lund’ 23) Loi = V Loi, Lattanzio nella storia del linguaggio e del pensiero teologico preniceno, Zürich 1970 (‘Pontif Athenaeum Salesianum Fac theol Bibl theol Sales Ser 1ᵃ Fontes’ 5) Longpré = A Longpré, Aspects de métrique et de prosodie chez Juvencus, ‘Phoenix’ 29, 1975, pp  128–138 Lovatt = H Lovatt, Faith in Fate: Plot, Gods, and Metapoetic Morality in Valerius Flaccus, in: AA VV , Fides in Flavian Literature Edited by A Augoustakis, E Buckley and C Stocks, Toronto 2019 (‘Phoenix Supplementary Volumes’ 56), pp  85–108 de Lubac = H de Lubac, Corpus mysticum L’Eucaristia e la chiesa nel Medioevo, Milano 1996 (‘Scrittura ed Eucarestia’ 15) [Corpus mysticum L’Eucharistie et l’Eglise au Moyen Age Étude historique, Paris 1949] Lubian, Cana = F Lubian, The Wedding at Cana (Joh 2:1–11) in Juvencus, Sedulius, and in the tituli historiarum, ‘Acta Antiqua Academiae Scientiarum Hungaricae’ 56, 2016, pp  93–118 Lubian, Disticha = F Lubian, Disticha Sancti Ambrosii, Turnhout 2017 (‘Lingua Patrum’ 10) Lubian, Recensione = F Lubian, Rezension zu: Scott McGill (ed ): Juvencus’ Four Books on the Gospels Evangeliorum libri quattuor Translated and with an Introduction and Notes by S  McGill London-New York 2016 (‘Routledge Later Latin Poetry’), ‘Plekos’ 21, 2019, pp  39– 51 Lubian, Teaching = F Lubian, Teaching through Images between claritas and obscuritas: Christ’s Meta-Didactic Speech on Parables in Juvencus’ Evangeliorum libri 2,755–774; 824–828, ‘Jahrbuch für Antike und Christentum’ 61, 2018, pp  33–53 Lundström = S Lundström, Neue Studien zur lateinischen Irenäusübersetzung, Lund 1948 Maas = P Maas, Studien zum poetischen Plural bei den Römern, ‘Archiv für lateinische Lexikographie und Grammatik’ 12, 1902, pp  479–550 Malsbary = G Malsbary, Epic Exegesis and the Use of Vergil in the Early Biblical Poets, ‘Florilegium’ 7, 1985, pp  55–83 Manitius, Geschichte = M Manitius, Geschichte der christlich-lateinischen Poesie bis zur Mitte des 8 Jahrhunderts, Stuttgart 1891 Manitius, Juvencus = M Manitius, Zu Juvencus und Prudentius, ‘Rheinisches Museum für Philologie’ 45, 1890, pp  485–491 Marangoni = C Marangoni, Supplementum etymologicum Latinum, I, Trieste 2007 (‘Polymnia: Studi di Filologia Classica’ 8) Marcheselli Casale = C Marcheselli Casale, Il Sabato in Israele Sintesi storico-letteraria Contenuto teologico, ‘Asprenas’ 24, 1977, pp  231–265 Marchetti = M Marchetti, «Lazzaro, vieni fuori» La resurrezione di Lazzaro nella poesia cristiana, in: AA VV , Dulce Melos II Akten des 5 Internationalen Symposiums: Lateinische und Griechische Dichtung in Spätantike, Mittelalter und Neuzeit (Wien, 25 –27 November 2010) Herausgegeben von V Zimmerl-Panagl, Pisa 2013, pp  79–103 Marin, Esegesi = M Marin, Ricerche sull’esegesi agostiniana della parabola delle dieci vergini (Mt 25, 1–13), Bari 1981 (‘Quaderni di Vetera Christianorum’ 16) Marin, La parabola = M Marin, La parabola delle vergini da Origene ai Cappadoci, in: AA VV , Origene e l’alessandrinismo cappadoce: III–IV secolo Atti del V Convegno del Gruppo italia-

Bibliografia e Abbreviazioni

467

no di ricerca su «Origene e la tradizione alessandrina» (Bari, 20–22 settembre 2000) A cura di M Girardi e M Marin, Bari 2002 (‘Quaderni di Vetera Christianorum’ 28), pp  243–254 Mariotti = S Mariotti, Varianti d’autore e varianti di trasmissione, in: AA VV , La critica del testo Problemi di metodo ed esperienza di lavoro Atti del Convegno di Lecce, 22–26 ottobre 1984, Roma 1985, pp  97–111 Marold = C Vettii Aquilini Iuvenci libri IIII Recensuit C Marold, Lipsiae 1886 Marold, Euangelienbuch = K Marold, Ueber das Evangelienbuch des Juvencus in seinem Verhältniss zum Bibeltext, ‘Zeitschrift für wissenschaftliche Theologie’ 33, 1890, pp  329–341 Marold, Glossen = K Marold, Althochdeutsche Glossen aus Juvencushandschriften, ‘Germania’ 32, 1887, pp  351–355 Marold, Otfrids Beziehungen = K Marold, Otfrids Beziehungen zu den biblischen Dichtungen des Juvencus, Sedulius, Arator, ‘Germania’ 32, 1887, pp  385–441 Marouzeau, Participe présent = J Marouzeau, L’emploi du participe présent latin à l’époque républicaine, ‘Mémoires de la Société de Linguistique de Paris’ 16, 1910, pp  133–216 Marouzeau, Stylistique = J Marouzeau, Traité de stylistique appliquée au latin, Paris 19624 (‘Coll D’Et lat , Ser scient ’ 12) Marpicati, Aurea Roma = P Marpicati, Aurea Roma: Giovenco, praef 2 2 e Ausonio, ordo urb. nob  1 1, in: AA VV , Οὐ πᾶν ἐφήμερον. Scritti in memoria di Roberto Pretagostini A cura di C  Braidotti, E Dettori, E Lanzilotta, vol I, Roma 2009, pp  333–344 Marpicati, Echi = P Marpicati, Echi lucreziani in Giovenco (Lucr 2, 349 ss e Iuv 1, 284 ss ), in: AA VV , Il latino e i cristiani Un bilancio all’inizio del terzo millennio A cura di E dal Covolo e M Sodi, Città del Vaticano 2002 (‘Monumenta, Studia, Instrumenta Liturgica’ 17), pp  151–160 Martin = R H Martin, Terence Adelphoe, Cambridge 1976 (‘Cambridge Greek and Latin Classics’) Mattingly = H Mattingly, Mutatis mutandis (Prop II 10 23), ‘Classical Revíew’ 26, 1912, pp  49–50 Mayer = K Mayer, The Golden Line: Ancient and Medieval Lists of Special Hexameters and Modern Scholarship, in: AA VV , Latin Grammar and Rhetoric Classical Theory and Modern Practice Edited by C Lanham, London 2002, pp  139–179 McBrine = P McBrine, Biblical Epics in Late Antiquity and Anglo-Saxon England Divina in Lau­ de Voluntas, Toronto 2017 McClure = J McClure, The Biblical Epic and its Audience in Late Antiquity, in: AA VV , Papers of the Liverpool Latin Seminar 3 Edited by F Cairns, Liverpool 1981 (ARCA: ‘Classical and Medieval Texts, Papers and Monographs’ 7), pp  304–321 McGill = S McGill, Juvencus’ Four Books of the Gospels. Evangeliorum libri quattuor, LondonNew York 2016 (‘Routledge Later Latin Poetry’) Menge = H Menge, Repetitorium der lateinischen Syntax und Stilistik, Darmstadt 199011 Menge – Burkard – Schauer = H Menge – Th Burkard – M Schauer, Lehrbuch der lateinischen Syntax und Semantik, Darmstadt 2000 Mercati = G Mercati, Il palinsesto bobbiese di Iuvenco, in: AA VV , Eis mnémen S Lámprou Epistrophè ekdóseos tôn kataloípon S Lámprou, Atene 1935, pp  72–82 Metzger = B Metzger, Patristic Evidence and the Textual Criticism of the New Testament, ‘New Testament Studies’ 18, 1972, pp  379–400 MGH = Monumenta Germaniae Historica, Berolini 1877 ss Mileo = A Mileo, Struttura e funzione del monologo terenziano, Roma 2013 Mohrmann, Études = Ch Mohrmann, Études sur le latin des Chrétiens, I–IV, Roma 19612 [1958]– 1977

468

Bibliografia e Abbreviazioni

Mohrmann, Review = Ch Mohrmann, Review to: Nils Hansson, Textkritisches zu Juvencus, ‘Vigiliae Christianae’ 6, 1952, pp  125–126 Mohrmann, Sondersprache = Ch Mohrmann, Die altchristliche Sondersprache in den Sermones des hl Augustin, I, Nijmegen 1932 Moreschini – Norelli = C Moreschini – E Norelli, Storia della letteratura cristiana antica greca e latina, I, Brescia 1995 Moretti Pieri = G Moretti Pieri, Sulle fonti evangeliche di Sedulio, ‘Atti e Memorie dell’Accademia Toscana La Colombaria’ 39, 1969, pp  125–234 Mori = R Mori, Sedulio: tra prosa e poesia L’Opus Paschale e il Carmen Paschale, Padova 2013 (‘Studi e progetti’) Moricca = U Moricca, Storia della letteratura latina cristiana, I–III, Torino 1923–1928 Mortara Garavelli = B Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano 20059 Moussy = Cl Moussy, Gratia et sa famille, Paris 1966 (‘Publications de la Faculté des Lettres et Sciences Humaines de Clermont-Ferrand Série 2’ 25) Müller = L Müller, De re metrica poetarum Latinorum praeter Plautum et Terentium libri septem, Lipsiae 1894 (= Hildesheim 1967) Müller, Tod = M Müller, Tod und Auferstehung Jesu Christi bei Iuvencus (IV 570–812): Untersuchungen zu Dichtkunst, Theologie und Zweck der Evangeliorum Libri Quattuor, Stuttgart 2016 (‘Palingenesia’ 105) Murru = F Murru, Analisi semiologica e strutturale della praefatio agli Evangeliorum libri di Giovenco, ‘Wiener Studien’ 93, 1980, pp  133–151 Mynors = R A B Mynors, Virgil Georgics Edited with a Commentary, Oxford 1990 Narducci = E Narducci, Rhetoric and Epic Vergil’s Aeneid and Lucan’s Bellum Civile, in: AA VV , A Companion to Roman Rhetoric Edited by W Dominik  – J Hall, Chichester 2010, pp  382–395 van der Nat = P G van der Nat, Die Praefatio der Evangelienparaphrase des Iuvencus, in: AA VV , Romanitas et Christianitas. Studia Iano Henrico Waszink A D VI Kal Nov MCMLXXIII XIII lustra complenti oblata Herausgegeben von W den Boer, P G van der Nat, C M J Sicking, J C M van Winden, Amsterdam 1973, pp  249–257 Nazzaro, Giovanni Battista = A V Nazzaro, La nascita di Giovanni Battista nelle scritture metriche di Giovenco e Paolino di Nola, ‘Impegno e Dialogo’ 15, 2006, pp  133–146 Nazzaro, Giovenco = A V Nazzaro, Giovenco, in: AA VV , Nuovo Dizionario Patristico e di Antichità cristiane A cura di A Di Berardino, II, Genova-Milano, 2007, coll 2256–2260 Nazzaro, La veste = A V Nazzaro, La veste e il cibo del Battista (Mc 1, 6 = Mt 3, 4) nelle riscritture metriche di Giovenco (1, 323–25) e Paolino di Nola (carm 6, 229–35), ‘Rendiconti dell’Accademia di Archeologia Lettere e Belle Arti’ 74, 2008, pp  315–324 Nazzaro, Luca = A V Nazzaro, Luca 1, 39–56 nelle parafrasi di Giovenco (1, 80–104) e Paolino (carm. 6, 139–78), ‘Impegno e Dialogo’ 14, 2003, pp  191–204 Nazzaro, Maria = A V Nazzaro, L’Annunzio dell’angelo a Maria (Lc 1, 26–38) nelle riscritture metriche di Giovenco (1, 52–79) e Paolino di Nola (carm. 6, 108–138), in: AA VV , La poesia tardoantica e medioevale Atti del II convegno internazionale di Studi (Perugia 15–16 novembre 2001) A cura di A M Taragna, Alessandria 2004 (‘Centro Internazionale di Studi sulla poesia greca e latina in età tardoantica e medievale’, Quaderni 2), pp  19–33 Nazzaro, Motivi e forme = A V Nazzaro, Motivi e forme della poesia cristiana antica tra Scrittura e tradizione classica, ‘Studia Ephemeridis Augustinianum’ 108 (XXXVI Incontro di studiosi dell’antichità cristiana, Roma 3–5 maggio 2007), 2008, pp  9–56

Bibliografia e Abbreviazioni

469

Nazzaro, Parafrasi agiografica = A V Nazzaro, La parafrasi agiografica nella tarda antichità, in: AA VV , Scrivere di santi Atti del II Convegno di studio dell’Associazione Italiana per lo studio della santità, dei culti e dell’agiografia (Napoli, 22–25 ottobre 1997) A cura di G Luongo, Roma 1998, pp  69–106 Nazzaro, Parafrasi = A V Nazzaro, Parafrasi (biblica e agiografica), in: AA VV , Nuovo Dizionario Patristico e di Antichità cristiane A cura di A Di Berardino, III, Genova-Milano, 2008, coll 3909–3916 Nazzaro, Poesia biblica = A V Nazzaro, Poesia biblica come espressione teologica: fra tardoantico e alto medioevo, in: AA VV , La scrittura infinita Bibbia e poesia in età medievale e umanistica A cura di F Stella, Firenze 2001, pp  119–153 Nazzaro, Praefatio ed Epilogus = A V Nazzaro, Praefatio ed Epilogus negli Evangeliorum libri di Giovenco, in: AA VV , Carminis incentor Christus Atti del Seminario su «Poesia cristiana in Oriente e Occidente», Curtea de Arges (Romania) 6–11 aprile 2010 A cura di A V Nazzaro e R Scognamiglio, Bari 2012 (‘Analecta Nicolaiana’ 13), pp  11–35 Nazzaro, Riscritture = A V Nazzaro, Riscritture metriche di testi biblici e agiografici in cerca del genere negato, ‘Auctores Nostri’ 4, 2006, pp  397–439 Nazzaro, Visita di Maria = A V Nazzaro, La visita di Maria a Elisabetta (Lc 1, 39–56) nelle riscritture metriche di Giovenco (I 80–104) e Paolino di Nola (carm. 6, 139–78), in: AA VV , Societas Studiorum per S D’Elia A cura di U Criscuolo, Napoli 2004 (‘Pubblicazioni del Dipartimento di Filologia Classica «Francesco Arnaldi» dell’Università di Napoli Federico II’ 24), pp  355– 370 Nazzaro, Zaccaria = A V Nazzaro, L’annuncio dell’angelo a Zaccaria (Lc 1, 5–25) nelle parafrasi di Giovenco (1, 1–51) e Paolino di Nola (carm. 6, 27–107), in: AA VV , Munera amicitiae Studi di storia e cultura sulla Tarda Antichità offerti a S Pricoco A cura di R Barcellona e T Sardella, Catanzaro 2003, pp  283–306 Nestler = H Nestler, Studien über die Messiade des Juvencus, Programm des K humanistischen Gymnasiums zu Passau für das Schuljahr 1909/1910, Passau 1910 Neue – Wagner = Ch F Neue – C Wagner, Formenlehre der lateinischen Sprache, Leipzig 1892– 1905 Nicosia = G Nicosia, Possessio e res incorporales, ‘Annali del Seminario Giuridico dell’Università degli Studi di Palermo’ 56, 2013, pp  275–283 Nodes = D J Nodes, Doctrine and Exegesis in biblical Latin Poetry, Leeds 1993 (‘ARCA: Classical and Medieval Texts, Papers and Monographs’ 31) Norberg = D Norberg, Syntaktische Forschung auf dem Gebiete des Spätlateins und des frühen Mittelalters, Uppsala 1943 Norberg, Faire faire = D Norberg, Faire faire quelque chose à quelqu’un Recherches sur l’origine latine de la construction romane, in: D Norberg, Au seuil du Moyen-Age Études linguistiques, métriques et littéraires publiées par ses collègues et élèves à l’occasion de son 65e anniversaire, Padova 1974 (‘Medioevo e Umanesimo’ 19), pp  16–60 Norden = E Norden, Agnostos Theos: Untersuchungen zur Formengeschichte religiöser Rede, Leipzig-Berlin 1913 Norton = M A Norton, Prosopography of Juvencus, ‘Folia’ 4, 1950, pp  36–42 Novakova = J Novakova, Umbra Ein Beitrag zur dichterischen Semantik, Berlin 1964 (‘Deutsche Akademie der Wissenschaften zu Berlin, Schriften der Sektion für Altertumswissenschaft’ 36) OLD = Oxford Latin Dictionary Edited by P G W Glare, Oxford 1997 Oniga = R Oniga, Recensione a P Cuzzolin, Sull’origine della costruzione dicere quod: aspetti sintattici e semantici (Firenze 1994, pp  323), ‘Incontri Linguistici’ 18, 1995, pp  228–235

470

Bibliografia e Abbreviazioni

Opelt = I Opelt, Die Szenerie bei Juvencus Ein Kapitel historischer Geographie, ‘Vigiliae Christianae’ 29, 1975, pp  191–207 Orbán Arpad, Juvencus = A P Orbàn Arpad, Juvencus als Bibelexeget und als Zeuge der «Afrikanischen» Vetus-Latina-Tradition Untersuchungen der Bergpredigt (Mt 5, 1–48) in der Ve­ tus Latina und in der Versifikation des Juvencus (I 452–572), ‘Vigiliae Christianae’ 49, 1995, pp  334–352 Orbán Arpad, Les dénominations  = A P Orbàn Arpad, Les dénominations du monde chez les premiers auteurs Chrétiens, Nimwegen 1970 (‘Graecitas Christianorum primaeva’ 4) Orbán Arpad, Versifikation = A P Orbàn Arpad, Die Versifikation von Lk 1, 5–80 in den Evange­ liorum libri quattuor des Juvencus Eine Analyse von Juvenc I 1–132, ‘Zeitschrift für die neutestamentliche Wissenschaft’ 83, 1992, pp  224–244 Orejón Calvo = A Orejón Calvo, La Historia Evangélica de Juvenco, ‘Revista Española de Estudios Bíblicos’ 7, 1926, pp  3–19 Otero Pereira, Amistad = E Otero Pereira, Del amor y la amistad en los Euangeliorum libri de Juvenco, in: AA VV , Mentis amore ligati. Lateinische Freundschaftdichtung und Dichterfreundschaft in Mittelalter und Neuzeit  Festgabe für R Düchting zum 65 Geburstag Herausgegeben von B Körkel, T Licht und J Wiendlocha, Heidelberg 2001, pp  335–345 Otero Pereira, Consideraciones = E Otero Pereira, Algunas consideraciones en torno a la difusión de los Euangeliorum libri de Juvenco en el s IX a través de los catálogos de las bibliotecas carolingias, in: AA VV , Actas del III Congreso Hispánico de Latín Medieval A cura di M Pérez González, León 2002, I, pp  403–410 Otero Pereira, Edición crítica = E Otero Pereira, C Vetti Aquilini Iuvenci Evangeliorum libri quattuor Edición crítica, Diss Universidad de Salamanca 2009 Otero Pereira, Exégesis = E Otero Pereira, Juvenco y la exégesis bíblica, in: AA VV , Cristianismo y Tradición Latina Actas del Congreso Internacional, Málaga, 25 a 28 de abril de 2000 A cura di A Alberte González e C Macías Villalobos, Málaga 2002, pp  191–196 Otero Pereira, Juvenco = E Otero Pereira, Las primeras biografías de Cristo: Juvenco y las harmonías evangélicas, in: AA VV , Scripturus uitam Lateinische Biographie von der Antike bis in die Gegenwart Festgabe für W Berschin zum 65 Geburtstag Herausgegeben von D Walz, Heidelberg 2002, pp  175–183 Otero Pereira, Textkritische Fragen = E Otero Pereira, Die Evangeliorum libri des Juvencus Textkritische Fragen, ‘Studia Ephemeridis Augustinianum’ 108 (XXXVI Incontro di studiosi dell’antichità cristiana, Roma 3–5 maggio 2007), 2008, pp  497–505 Otto = A Otto, Die Sprichwörter und sprichwörtlichen Redensarten der Römer, Leipzig 1890 Palla, Aeterna in saecula = R Palla, Aeterna in saecula in Giovenco, Praefatio 17, ‘Studi classici e orientali’ 26, 1977, pp  277–282 Palla, Appunti = R Palla, Appunti sul ‘makarismos’ e sulla fortuna di un verso virgiliano, ‘Studi classici e orientali’ 33, 1984, pp  171–192 Palla, Aspetti e momenti = R Palla, Aspetti e momenti della poesia cristiana latina del quarto secolo, in: AA VV , La Poesia Origine e sviluppo delle forme poetiche nella letteratura occidentale, I, Pisa 1991, pp  97–116 Palla, Esegesi = R Palla, Esegesi in versi? Agli inizi dell’epica biblica, in: AA VV , Arma uirumque cano: l’epica dei greci e dei romani Atti del Convegno Nazionale di Studi (Torino 23–24 aprile 2007) A cura di R Uglione, Alessandria 2008, pp  209–229 Palla, Hamartigenia = R Palla, Hamartigenia Introduzione, traduzione e commento, Pisa 1981 (‘Bibl di studi ant ’ 26)

Bibliografia e Abbreviazioni

471

Palla, La parafrasi = R Palla, La parafrasi di Matth 7, 13–14 negli Evangeliorum libri di Giovenco, in: AA VV , Ὀπώρα Studi in onore di mgr Paul Canart per il LXX compleanno, II A cura di S  Lucà e L Perria, ‘Bollettino della Badia greca di Grottaferrata’ 52, 1998, pp  19–29 Pascucci = G Pascucci, Aspetti del latino giuridico, ‘Studi italiani di filologia classica’ 40, 1968, pp  3–43, ora in: G Pascucci, Scritti scelti, I, Firenze 1983, pp  311–351 (da cui si cita) Pease = A S Pease, P Vergili Maronis Aeneidos liber quartus, Cambridge-Mass 1935 Peirce = P Peirce, The Arch of Constantine: propaganda and ideology in Late Roman Art, ‘Art History’ 12, 1989, pp  387–418 Perin = I Perin, Onomasticon totius latinitatis, 2 voll , Patavii 1913–1920 (rist 1940) Perrochat = P Perrochat, Recherches sur le valeur et l’emploi de l’infinitif subordonné en latin, Paris 1932 Perrot = J Perrot, Les dérivés latins en «­men» et «­mentum», Paris 1961 (‘Études et commentaires’ 37) Petersen = W L Petersen, The Diatessaron and Ephrem Syrus as Sources of Romanos the Melodist, Leuven 1985 (‘Corpus Scriptorum Christianorum Orientalium’ 475) Petringa = M R Petringa, Giovenco, Evangeliorum libri 4,657–664, ‘Commentaria Classica’ 3, 2016, pp  113–120 Petschenig, Evangeliorum libri = M Petschenig, Gai Vetti Aquilini Iuvenci Evangeliorum libri quattuor ex recensione Ioh Huemer, ‘Berliner philologische Wochenschrift’ 5, 1891, pp  137– 144 Petschenig, Latinität = M Petschenig, Zur Latinität des Iuvencus, ‘Archiv für lateinische Lexikographie und Grammatik’ 6, 1889, pp  267–268 PG = Patrologiae cursus completus, sive Bibliotheca universalis, integra, uniformis, commoda, oeconomica omnium SS Patrum, Doctorum Scriptorumque ecclesiasticorum […] Series Graeca, Parisiis, 1857–1866 Pianezzola = E Pianezzola, Gli aggettivi verbali in -bundus, Firenze 1965 (‘Facoltà di Magistero dell’Università di Padova’ 8) Pichon = R Pichon, De sermone amatorio apud Latinos elegiarum scriptores, Parisiis 1902 (rist Hildesheim 1966) Pichon, Histoire = R Pichon, Histoire de la littérature latine, Paris 1908 Pinotti = P Pinotti, Propert IV 9: Alessandrinismo e arte allusiva, ‘Giornale italiano di filologia’ 8, 1977, pp  50–71 Pipitone = G Pipitone, La «biblioteca» di Optaziano Porfirio, ‘Vichiana’ 52, 2015, pp  71–86 Piras = A Piras, Criteri e limiti di accertabilità della perifrasi con sum e il participio presente: dalle origini a Lucifero di Cagliari, ‘Sandalion’ 12–13, 1989–1990, pp  63–97 Piscitelli Carpino = T Piscitelli Carpino, La croce nell’esegesi patristica del II e III secolo, in: AA VV , La croce Iconografia e interpretazione: secoli I – inizio XVI, Atti del convegno internazionale di studi (Napoli, 6–11 dicembre 1999) A cura di B Ulianich e U Parente, Napoli 2007, pp  129–152 PL = Patrologiae cursus completus, sive Bibliotheca universalis, integra, uniformis, commoda, oeconomica omnium SS Patrum, Doctorum Scriptorumque ecclesiasticorum […] Series Latina, Parisiis, 1844–1855 Poelmann = T Poelmann, Iuvenci Hispani Evangelicae Historiae libri IIII Omnia per T Poelmanum Cranenburgensem recognita, Basileae 1520 (= Marpurgi 1537) Poinsotte = J -M Poinsotte, Juvencus et Israël La représentation des Juifs dans le premier poème latin chrétien, Paris 1979

472

Bibliografia e Abbreviazioni

Poinsotte, Commodien = J -M Poinsotte, Commodien Instructions Texte établi et traduit par J -M P , Paris 2009 (‘Collection des Universités de France Série Latine’ 392) Polara = G Polara, Publii Optatiani Porfyrii Carmina, Torino 1973 Polara, La poesia = G Polara, La poesia latina dopo Costantino, in: AA VV , I venerdì delle Accademie napoletane nell’anno accademico 2007–2008 A cura di A Garzya, A V Nazzaro e C  Sbordone, Napoli 2008, pp  17–34 Polara, Studi = G Polara, Cinquant’anni di studi su Optaziano (1922–1973), ‘Vichiana’ 4, 1975, pp  97–115 Pollmann = K Pollmann, The Transformation of the Epic Genre in Christian Late Antiquity, ‘Studia Patristica’ 36, 2001, pp  61–75 Pollmann, Baptized Muse = K Pollmann, The Baptized Muse Early Christian Poetry as Cultural Authority, Oxford-New York 2017 Porter = J I Porter, The Sublime in Antiquity, Cambridge 2016 Quadlbauer = F Quadlbauer, Zur invocatio des Juvencus (praef. 25–27), ‘Grazer Beiträge’ 2, 1974, pp  189–212 Raby = J E Raby, A History of Christian-Latin Poetry from the Beginnings to the Close of the Middle-Ages, Oxford 1953 Ratkowitsch = Ch Ratkowitsch, Vergils Seesturm bei Iuvencus und Sedulius, ‘Jahrbuch für Antike und Christentum’ 29, 1986, pp  40–58 Raymond = E Raymond, Entre poétique du pathos et mémoire du poète Le cas d’infelix dans l’Énéide de Virgile, in: AA VV , Vox poetae Manifestations auctoriales dans l’épopée grécolatine Actes du colloque organisé les 13 et 14 novembre 2008 par l’université Lyon 3 Textes réunis et présentés par E Raymond, Paris 2011 (‘Collection du Centre d’Études Romaines et Gallo-Romaines Nouvelle Série’ 39), pp  215–246 RCh = Reallexikon für Antike und Christentum Herausgegeben von Th Klauser, Stuttgart 1941 [1950]– RE = Paulys Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft: neue Bearbeitung Unter Mitwirkung zahlreicher Fachgenossen herausgegeben von G Wissowa, fortgeführt von W  Kroll, K Mittelhaus, K Ziegler, H Gärtner, Stuttgart 1893–1980 Reichenkron = G Reichenkron, Die Umschreibung mit occipere, incipere und coepisse als analytische Ausdrucksweise eines ingressiven Aorists, in: AA VV , Syntactica und Stilistica Festschrift für E Gamillscheg Herausgegeben von G Reichenkron, Tübingen 1957, pp  451–480 Reinmuth = O W Reinmuth, Vergil’s Use of Interea: a Study of the Treatment of Contemporaneous Events in Roman Epic, ‘American Journal of Philology’ 54, 1933, pp  323–339 Reusch = E Reusch, C Vetti Aquilini Iuvenci, Hispani presbyteri, historiae evangelicae libri IIII Edidit E R , Francofurti-Lipsiae 1710 Roberts, Biblical Epic = M J Roberts, Biblical Epic and Rhetorical Paraphrase in Late Antiquity, Liverpool 1985 (‘ARCA: Classical and Medieval Texts, Papers and Monographs’ 16) Roberts, Jeweled Style = M J Roberts, The Jeweled Style Poetry and Poetics in Late Antiquity, New York 1989 Roberts, Vergil = M J Roberts, Vergil and the Gospels The Evangeliorum Libri IV of Juvencus, in: AA VV , Romane memento: Vergil in the Fourth Century Edited by R Rees, London 2004, pp  47–61 Rodríguez Hevia = V Rodríguez Hevia, Las fórmulas de transición en Juvenco, ‘Studia Philologica Salmanticensia’ 5, 1980, pp  255–271

Bibliografia e Abbreviazioni

473

Rolling = B Rolling, Zwischen epischer Theologie und theologischer Epik Die Versuchung Christi in der lateinischen Bibeldichtung von Iuvencus bis Robert Clarke, ‘Frühmittelalterliche Studien’ 40, 2006, pp  327–382 Rollins = S J Rollins, The Parables in Juvencus’ Evangeliorum libri IV, Diss Liverpool 1984 Rönsch = H Rönsch, Itala und Vulgata Das Sprachidiom der urchristlichen Itala und der katholischen Vulgata unter Berücksichtigung der römischen Volkssprache durch Beispiele erläutert, München 19652 Rönsch, Beiträge = H Rönsch, Semasiologische Beiträge, I–III, Leipzig 1887–1889 Roos = P Roos, Sentenza e proverbio nell’antichità e i ‘Distici di Catone’, Brescia 1984 Rostagni = A Rostagni, Storia della letteratura latina, Torino 19643 Röttger = W Röttger, Studien zur Lichtmotivik bei Iuvencus, Münster 1996 (‘Jahrbuch für Antike und Christentum’ Ergänzungsband 24) Royse = J R Royse, Scribal Habits in Early Greek New Testament Papyri, Leiden-Boston 2008 (‘New Testament Tools, Studies and Documents’ 36) Runes = M Runes, Geschichte des Worts vates, in: AA VV , Festschrift für Universitäts-Professor P Kretschmer Beiträge zur griechischen und lateinischen Sprachforschung, Wien-LeipzigNew York 1926, pp  202–216 Salanitro = M Salanitro, Aratea, II, ‘Studi classici e orientali’ 15, 1966, pp  258–261 Salonius = A H Salonius, Vitae Patrum Kritische Untersuchung über Text, Syntax und Wortschatz der spätlateinischen Vitae Patrum, Lund 1920 Salvini = A Salvini, Giovenco nel Medioevo Una ricerca, Novi Ligure (AL) 2011 Salzano = A Salzano, Agli inizi della poesia cristiana latina, Salerno 2006 Sanday = W Sanday, Recent Publications Dealing with the Latin Fathers, ‘Classical Review’ 6, 1892, pp  45–50 Sandnes = K O Sandnes, The Gospel «According to Homer and Virgil» Cento and Canon, Leiden-Boston 2011 (‘Supplements to Novum Testamentum’ 138) Santorelli, Aquilino Giovenco = P Santorelli, Aquilino Giovenco Il poema dei Vangeli Traduzione di L Canali, Introduzione, commento e apparati di P S , Postfazione di E Malaspina, Milano 2011 Santorelli, I libri dei Vangeli = P Santorelli, Giovenco I libri dei Vangeli II, Pisa 2005 Santorelli, Nota = P Santorelli, Nota a Giovenco IV 809, ‘Annali della Facoltà di Lettere dell’Università di Napoli’ 29, 1986–1987, pp  17–20 Santorelli, Padre Nostro = P Santorelli, Il Padre Nostro in Giovenco (1, 589–600): una preghiera in versi, in: AA VV , Amicorum Munera Studi in onore di A V Nazzaro A cura di G Luongo, Napoli 2016, pp  159–178 Santorelli, Pilato = P Santorelli, Erode e Pilato nella riscrittura esametrica di Giovenco (3,33–69 e 4,588–625), in: AA VV , Clavigero nostro Per A V Nazzaro A cura di R Palla, M G Moroni, C Crimi e A Dessì, Pisa 2014, pp  299–319 Santorelli, Secondo Giovenco = P Santorelli, Il Vangelo secondo Giovenco, ‘Auctores Nostri’ 4, 2006, pp  479–499 Saylor Rodgers = B Saylor Rodgers, Divine Insinuation in the Panegyrici Latini, ‘Historia’ 35, 1986, pp  69–104 Sblendorio Cugusi = M T Sblendorio Cugusi, L’uso stilistico dei composti nominali nei Carmina Latina Epigraphica, Bari 2005 (‘Quaderni di Invigilata Lucernis’ 25) Schaffner-Rimann = J Schaffner-Rimann, Die lateinischen Adverbien auf -tim, Abhandlung zur Erlangung der Doktorwürde der Philosopischen Fakultät I der Universität Zürich, Winterthur 1958

474

Bibliografia e Abbreviazioni

Schaller = D Schaller, La poesia epica, in: AA VV , Lo spazio letterario del Medioevo, I/2, Roma 1993, pp  9–42 Schicho = J Schicho, C Vettius Aquilinus Juvencus Untersuchungen zur poetischen Kunst des ersten christlichen Epikers, Graz 1987 Schick = C Schick, Per la questione del latino africano Il linguaggio dei più antichi Atti dei martiri e di altri documenti volgarizzanti I La Passio Scillitanorum e la Passio SS. Perpetuae et Felici­ tatis, ‘Rendiconti dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere’ 96, 1962, pp  191–234 Schierl = P Schierl, Die Tragödien des Pacuvius Ein Kommentar zu den Fragmenten mit Einleitung, Berlin-New York 2006 (‘Texte und Kommentare’ 28) Schreckenberg = H Schreckenberg, Juden und Judentum in der altkirchlichen lateinischen Poesie, ‘Theokratia’ 3, 1973–1975, pp  81–124 Schrijnen  – Mohrmann = J Schrijnen  – Ch Mohrmann, Studien zur Syntax der Briefe des hl  Cyprian (= Latinitas Christianorum Primaeva Studia ad sermonem Latinum Christianum pertinentia V–VI), Nijmegen 1936 (I) – 1937 (II) Schubert = Ch Schubert, Between imitation and transformation: the (un)conventional use of epic structures in the Latin biblical poetry of Late Antiquity, in: AA VV , Structures of Epic Poetry Edited by Ch Reitz and S Finkmann, Berlin-Boston 2019, pp  79–133 Schumann = O Schumann, Lateinisches Hexameter-Lexikon, I–VI, München 1979–1989 Seesemann = H Seesemann, πεῖρα, in: AA VV , Grande Lessico del NT A cura di G Kittel e G  Friedrich, IX, Brescia 1974, pp  1413–1454 Shackleton Bailey = D R Shackleton Bailey, Propertiana, Cambridge 1956 Simonetti = M Simonetti, Letteratura cristiana antica greca e latina, Firenze-Milano 1969 Simonetti-Prinzivalli = M Simonetti – E Prinzivalli, Storia della letteratura cristiana antica, Alessandria 1999 Simonetti Abbolito, Osservazioni = G Simonetti Abbolito, Osservazioni su alcuni procedimenti compositivi della tecnica parafrastica di Giovenco, ‘Orpheus’ 6, 1985, pp  304–324 Simonetti Abbolito, Termini tecnici = G Simonetti Abbolito, I termini ‘tecnici’ nella parafrasi di Giovenco, ‘Orpheus’ 7, 1986, pp  53–84 Sipione = C Sipione, Filius meus es tu: ego hodie genui te: Giovenco e Otfrid di Weißenburg, interpreti ed esegeti della «Vetus Latina», in: AA VV , Espana al revés Atti del I Convegno di Studi Interdisciplinari Ragusa Ibla, 4–5 aprile 2006, Acireale 2008, pp  247–258 Smolak, Bezugstext = K Smolak, Ein verborgener Bezugstext der Vita Sancti Martini des Sulpicius Severus?, in: AA VV , Scripturus vitam: lateinische Biographie von der Antike bis in die Gegenwart: Festgabe für Walter Berschin zum 65 Geburtstag Herausgegeben von D Walz, Heidelberg 2002, pp  231–241 Smolak, Bibelepik = K Smolak, Die Bibelepik als ‘verfehlte Gattung’, ‘Wiener Humanistische Blätter’ 41, 1999, pp  7–24 Souter = A Souter, A Glossary of Later Latin to 600 A D , Oxford 19643 Springer = C P E Springer, Jerome and the Cento of Proba, ‘Studia Patristica’ 28, 1993, pp  96–105 Springer, Biblical Epic = C Springer, The Biblical Epic in Late Antiquity and the Early Modern Period The Poetics of Tradition, in: AA VV , Antiquity Renewed Edited by Z von Martels – V M Schmidt, Leuven-Paris-Dudley 2003, pp  103–126 Spurgeon = C H Spurgeon, Ich bin der Herr, dein Arzt, Wuppertal 1988 Stählin = G Stählin, παρακαλέω, παράκλησις, in: AA VV , Grande Lessico del NT A cura di G  Kittel e G Friedrich, IX, Brescia 1974, pp  653–654 Stella, Imitazione = F Stella, Imitazione interculturale e poetiche dell’alterità nell’epica biblica latina, ‘Incontri triestini di filologia classica’ 5, Trieste 2006, 9–24

Bibliografia e Abbreviazioni

475

Stella, La poesia carolingia = F Stella, La poesia carolingia latina a tema biblico, Spoleto, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 1993 (‘Biblioteca di Medioevo latino’ 9) Stella, Poesia e teologia = F Stella, Poesia e teologia Vol 1 L’Occidente latino tra IV e VIII secolo, Milano 2001 (‘Eredità medievale’ 18) Stotz = P Stotz, Handbuch zur lateinischen Sprache des Mittelalters, 5 Bände, München 2002– 2004 Stover = J Stover, Olybrius and the Einsiedeln Eclogues, ‘The Journal of Roman Studies’ 105, 2015, pp  288–321 Strzelecki = L Strzelecki, De synaloephae apud Iuvencum usu, in: Studia prosodica et metrica II, ‘Rozprawi Wydziału Filologicznego Polska Akad Umiejt’ 68 (3), 1949, pp  14–40 Šubrt = J Šubrt, Jesus and Aeneas (The Epic Mutation of the Gospel Story in the Paraphrase of Juvencus), ‘Listy Filologické’ 116, 1993, pp  10–17 Süss = W Süss, Studien zur lateinischen Bibel I Augustins locutiones und das Problem der lateinischen Bibelsprache, Tartu 1932 Svennung, Orosiana = J Svennung, Orosiana Syntaktische, semasiologische und kritische Studien zu Orosius, Diss Uppsala 1922 Svennung, Untersuchungen = J Svennung, Untersuchungen zu Palladius und zur Fach- und Volkssprache, Uppsala 1935 Swartius = E Swartius, Analectorum libri tres, in quibus innumera auctorum, qua Graecorum, qua Latinorum loca emendantur, Lugduni Batavorum 1616 Tamisier = P Tamsier, La sacrée poésie et histoire évangélique de Juvencus, Lyon 1591 Tanca = E Tanca, Fiducia bei Iuvencus Ein Beispiel exegetischer Dichtung aus der Spätantike, in: AA VV , Laetae segetes Brno 2005 Griechische und Lateinische Studien an der Masaryk Universität und Universität Wien Herausgegeben von J Nechutová und I Radová, Brno 2006, pp  57–69 Tarrant = R Tarrant, Virgil: Aeneid Book XII, Cambridge 2012 (‘Cambridge Greek and Latin Classics’) Taylor = J Taylor, The Whole Works of The Right Rev Jeremy Taylor, D D , Lord Bishop of Down Connor, and Dromore With a Life of the Author and a Critical Examination of his Writings by The Right Rev Reginald Heber, D D , rev and corrected by Ch Page Eden, London 1850 Testard = M Testard, Juvencus et le sacré dans un épisode des Evangeliorum libri IV, ‘Bulletin de l’Association Guillaume Budé’ 49, 1990, pp  3–31 Thaniel = G Thaniel, Nodum Informis Leti, ‘Αcta Classica’ 19, 1976, pp  75–81 ThlL = Thesaurus linguae Latinae, Lipsiae (poi anche Stutgardiae, Monachii, Berolini, Novi Eboraci, Bostoniae) 1900– Thoma = H Thoma, The Oldest Manuscript of Juvencus, ‘Classical Review’ 64, 1950, pp  95–96 Thomason = R F Thomason, The Ciris and Ovid: A Study of the Language of the Poem III, ‘Classical Philology’ 19, 1924, pp  147–156 Thor = A Thor, Studies on Juvencus’ Language and Style, Diss Uppsala 2013 Thraede, Anfangsverse = K Thraede, Die Anfangsverse der Evangeliendichtung des Juvencus, in: AA VV , Philanthropia kai eusebeia Festschrift für Albrecht Dihle zum 70 Geburtstag Herausgegeben von G W Most, H Petersmann und A M Ritter, Göttingen 1993, pp  473–481 Thraede, Beginn = K Thraede, Zum Beginn der Täuferperikope beim Bibeldichter Juvencus, in: AA VV , Hortus litterarum antiquarum. Festschrift für H A Gärtner zum 70 Geburtstag Herausgegeben von A Haltenhoff und F -H Mutschler, Heidelberg 2000, pp  537–546

476

Bibliografia e Abbreviazioni

Thraede, Bibelepik = K Thraede, Anfänge frühchristlich-lateinischer Bibelepik: Buchgrenzen bei Juvencus, in: AA VV , La poesia tardoantica e medievale Atti del I Convegno internazionale di studi (Macerata 4–5 maggio 1998) A cura di M Salvadore, Alessandria 2001, pp  13–23 Thraede, Buchgrenzen = K Thraede, Buchgrenzen bei Iuvencus, in: AA VV , Chartulae Festschrift für Wolfgang Speyer Herausgegeben von W Speyer – E Dassmann – K Thraede – J Engemann, Münster 1998 (‘Jahrbuch für Antike und Christentum Ergänzungsband’ 28), pp  285– 294 Thraede, Epiphanien = K Thraede, Epiphanien bei Juvencus, in: AA VV , Stimuli Exegese und ihre Hermeneutik in Antike und Christentum Festschrift für E Dassmann Herausgegeben von G Schöllgen und C Scholten, Münster 1996 (‘Jahrbuch für Antike und Christentum Ergänzungsband’ 23), pp  499–511 Thraede, Epos = K Thraede, Epos, ‘Reallexikon für Antike und Christentum’ 5, 1962, coll 983– 1042 Thraede, Juvencus = K Thraede, Juvencus, ‘Reallexikon für Antike und Christentum’ 19, 2001, coll 881–906 Traglia = A Traglia, La lingua di Cicerone poeta, Bari 1950 (‘Sermo Latinus’ I) Turner = D L Turner, Matthew, Ada, MI, 2008 Väänänen = V Väänänen, Introduzione al latino volgare, Bologna 19823 (‘Testi e manuali per l’insegnamento universitario del latino’ 8) [Introduction au latin vulgaire, Paris 1963 (‘Bibl franç  & romane publ par le Centre de Philol rom de Strasbourg Sér A Manuels & Études ling ’ 6)] Van Dam = R Van Dam, The Roman Revolution of Constantine, New York 2007 de Vaux = R de Vaux, Le istituzioni dell’Antico Testamento, Torino 19773, pp  458–465 Vega = A C Vega, Capitulos de un libro Juvenco y Prudencio, ‘La Ciudad de Dios’ 157, 1945, pp  209–247 Vermeulen = A J Vermeulen, Gloria, ‘Reallexikon für Antike und Christentum’ 11, 1981, pp  196– 225 Vineis = E Vineis, Studio sulla lingua dell’‘Itala’, Pisa 1974 Vivona = F Vivona, De Iuvenci poetae amplificationibus, Palermo 1903 VL = A Jülicher – W Matzkow – K Aland, Itala. Das Neue Testament in altlateinischer Überlieferung I, Matthäus-Evangelium, Berlin 19722; II, Marcus-Evangelium, Berlin 19702; III, LucasEvangelium, Berlin 19762; IV, Johannes-Evangelium, Berlin 1963 Vogel = M Vogel, Ter quinque volumina: Zahlenperiphrase in der lateinischen Dichtung von ihren Anfängen bis ins zweite Jahrhundert n Chr , Münster 2014 (‘Orbis Antiquus’ 46) Vulg = R Weber, Biblia Sacra iuxta vulgatam versionem, recensuit et brevi apparatu instruxit R W , 2 voll , Stuttgart 1969 Wacht = M Wacht, Concordantia in Iuvenci Evangeliorum libros, Hildesheim-Zürich-New York 1990 Wackernagel = J Wackernagel, Vorlesungen über Syntax mit besonderer Berücksichtigung von Griechisch, Latein und Deutsch, I–II, Basel 1926–1928 Weber, Symmikta = D Weber, Symmikta Iuvenciana Zur Entstehung einiger Plusverse und zum Epilog des Juvencus, in: AA VV , Poesia tardoantica e medievale Atti del VI convegno internazionale di studi, Macerata, 3–5 dicembre 2013 A cura di R Palla et al , Pisa 2019, pp  29–43 Wehrli = M Wehrli, Sacra poesis Bibelepik als europäische Tradition, Zürich 1969 Weyman, Analekten = C Weyman, Kritisch-sprachliche Analekten, I, ‘Zeitschrift für die österreichischen Gymnasien’ 45, 1894, pp  203–204 Weyman, Beiträge = C Weyman, Beiträge zur Geschichte der christlich-lateinischen Poesie, München 1926

Bibliografia e Abbreviazioni

477

Weyman, Varia = C Weyman, Varia, ‘Rheinisches Museum für Philologie’ 51, 1896, p  327 Widmann = H Widmann, De Gaio Vettio Aquilino Iuvenco carminis evangelici poeta et Vergilii imitatore, Vratislaviae 1905 Wigodsky = P Wigodsky, Virgil and Early Latin Poetry, Wiesbaden 1972 (‘Hermes Einzelschriften’ 24) Wilkinson = L P Wilkinson, Golden Latin Artistry, Cambridge 1963 Williams = G Williams, Tradition and Originality in Roman Poetry, Oxford 1968 Wills = J Wills, Repetition in Latin poetry Figures of allusion, Oxford 1996 Wistrand = E Wistrand, Der Instrumentalis als Kasus der Anschauung im Lateinischen, Göteborg 1941 de Wit = J de Wit, Ad Iuuenci Evangeliorum librum secundum commentarius exegeticus, Groningae 1947 de Wit, Obseruationes = J de Wit, De textu Iuvenci poetae obseruationes criticae, ‘Vigiliae Christianae’ 8, 1954, pp  145–148 Witke = Ch Witke, Numen litterarum The Old and the New in Latin Poetry from Constantine to Gregory the Great, Leiden-Köln 1971 (‘Mittellateinische Studien und Texte’ 5) Young = F Young, Classical Genres in Christian Guise Christian Genres in Classical Guise, in: AA VV , The Cambridge History of Early Christian Literature Edited by F Young, L Ayres and A Louth, Cambridge 2004, pp  251–258 Zannoni = G Zannoni, Quid poetica popularis ratio, quid optimorum scriptorum imitatio aetate ss patrum ad latinam christianorum poesim contulerint, ‘Latinitas’ 6, 1958, pp  93–106 Zuliani = M Zuliani, Commento al III libro degli Evangeliorum libri di Giovenco, Diss Macerata 2005 Zwierlein = O Zwierlein, Severi Episcopi «Malacitani (?)» in Evangelia libri XII Das Trierer Fragment der Bucher VIII–X Unter Mitwirkung von R Herzog erstmalig herausgegeben und kommentiert von B Bischoff † und W Schetter †, München 1994

Index locorum* a) Bibbia act

1,18 s : 367 2,27: 252; 45: 367 3,13: 357; 15: 287 5,30: 378; 39: 333 6,12: 356 7,3: 302; 9: 367; 35: 254; 54: 83; 55: 254 9,3: 166 13,1: 378; 27–29: 412; 29: 378; 35: 252 17,19–20: 398; 24: 379 22,6: 166 25,10: 349 26,5: 333; 21: 303; 30: 330 Am 8,3: 403 9,3: 210 apoc 1,5: 287 2,23: 173 4,1: 155 8,6–13: 160; 7: 166; 8: 166 9,1: 160 11,19: 155 15,5: 155 20,9: 166; 12–13: 173 22,12: 173; 16: 432 *

cant 2,3: 213 Col 1,19: 265 2,18: 333 3,1: 230 4,1: 108; 11: 278 I Cor 1,8: 171; 24: 256 2,8: 254 5,2: 345 6,9: 108 7,39: 95 9,24–26: 173 10,31: 254 11,7: 254 12,8: 146 15,4: 141; 35–53: 428; 53–57: 169; 55–57: 429; 55: 95; 56: 95 16,13: 321; 23 s : 447 II Cor 1,3–7: 239; 20: 254 3,17: 121 4,15: 254; 16: 87 5,11: 447 7,11: 447; 19: 155 8,9: 447 12,20: 140 13,13: 447

Le abbreviazioni relative ai testi latini fanno riferimento al Thesaurus linguae Latinae. Index libro­ rum scriptorum inscriptionum ex quibus exempla afferuntur, Lipsiae 19902; per quelle relative ai testi greci ci si attiene invece a H G Liddell – R Scott – H S Jones – R McKenzie, A Greek­English Lexicon. With a revised supplement, Oxford 19969, tranne nei casi in cui esse risultino poco perspicue; si segue lo stesso criterio anche per i testi mediolatini, che sono citati secondo il Mittellateini­ sches Wörterbuch bis zum ausgehenden 13. Jahrhundert, München 1959 ss La numerazione dei salmi è quella della Vulgata geronimiana Non si è ritenuto necessario riportare i luoghi del libro quarto di Giovenco e i corrispettivi capitoli evangelici oggetto della parafrasi

a) Bibbia

Dan 3,100: 119 4,31: 119 6,26: 119 7,13: 157 9,4: 152; 27: 144 11,38: 433 12,2: 403 deut 4,10: 447 5,29: 447 6,5: 105 13,11: 83 17,6: 323 21,6–8: 361; 23: 379 25,5–6: 90 32,5: 116 Eph 1,1–12: 210; 4: 209 2,4: 450 5,8: 159 6,13–14: 321 I Esdr 10,5: 327 II Esdr 9,17: 152 III Esdr 1,13: 356 exod 3,6: 99 15,16: 447 20,18: 447 26,33: 404; 36 s : 403 31,18: 95 34,6: 152; 33: 95 Ezech 1,1: 155 9,3: 254 10,19: 254 11,22: 254 27,31: 345 37,1–14: 169; 12: 403 43,2: 254 Gal 1,6: 447 4,13: 210

479

5,20 s : 140 6,18: 447 gen 2,7: 443 3,17: 276 4,9: 302 5,24: 168 6,11–13: 164 7,7–13: 164; 11: 155 23,3: 270 24,3: 327 26,5: 108 32,3: 317; 32: 95 35,5: 447 Hebr 1,3: 254 2,10: 254; 17: 282 3,3: 254 6,6: 401; 19: 404 7,1: 255; 27: 282 10,20: 404 Iac 1,26 s : 333 3,14: 140; 16: 140 Ier 1,18: 356 12,7: 127 22,5: 127 32,6–9: 368; 6–10: 368 46,10: 316 Iob 19,29: 316 24,19: 124 30,1: 441 33,30: 241 37,5: 328 Ioel 2,13: 152 Ioh 1,4: 159, 241; 9: 146, 379; 14: 254; 48: 399; 49: 85, 118, 350, 392; 50: 262; 51: 155 2,1–12: 222; 11: 254; 13: 127, 275; 18: 350; 19: 324; 20: 324; 22: 146 3,2: 118; 3: 103; 5: 115, 444; 6: 304; 8: 444; 10: 85, 127, 392; 11–12: 449; 13: 103; 16: 444; 17: 442; 19–21: 379; 19: 159

480

Index locorum

4,1–26: 222; 6: 112; 7: 315; 8: 85; 9: 201; 10: 200; 13: 200; 21: 127; 23: 257, 380; 27: 85; 31: 106, 118; 33: 85; 34: 86, 115; 42: 113; 43–54: 222; 50: 442 5,1–18: 222; 19: 200; 20: 262; 22: 85; 36: 442; 44: 254; 46: 92 6,1–15: 222; 16–21: 222; 39–40: 164; 44: 210; 63: 443; 68 s : 447; 69: 252 8,12: 159, 241, 379; 14: 277; 21 s : 277; 42: 442 9,1–12: 222; 5: 379 10,24: 328 12,1–8: 265; 3: 266–268; 10–11: 222; 35–36: 379; 40: 333; 43: 254; 46: 379 13,3: 277; 33: 277; 36–38: 284 14,4: 277; 16: 239; 27: 450; 28: 277 15,26: 239 16,15: 160 17,18: 442 18,4: 307; 11: 316; 40: 353 19,1–7: 370; 2: 373, 374; 3: 375; 12: 359; 17: 381; 19–20: 385; 20: 386; 23 s : 378, 385; 24: 382; 25: 407; 31–37: 388; 38: 412; 41: 413 20,1–13: 422; 1–8: 413; 14–18: 431; 19: 450; 21: 442, 450; 26: 450 21,14: 141 I Ioh 1,5–7: 379 2,1: 239; 8–10: 379; 29: 278 III Ioh 10: 83 Ion 4,2: 152 Is 6,9–10: 333 8,23: 379 9,1: 379; 6: 287 13,9–10: 157; 10: 156 21,9: 200 25,8: 429 26,19: 169, 403 34,3: 157; 4: 156 37,28: 428 45,14: 433 49,6: 143 62,8–9: 210

Iudith 5,5: 441 8,13: 152 9,6: 441 16,15: 286 lev 21,10–11: 332 26,5–6: 210; 25: 316 Luc 1,13: 399; 16: 392; 19: 107; 21: 228; 35: 399; 46: 107; 51: 329; 54–55: 392; 60: 399; 68: 392; 80: 392 2,10: 430; 13: 317; 22: 92; 25: 392; 26: 110; 29: 362; 32: 379, 392; 34: 392; 35: 315; 36: 444; 41: 275; 42: 275 3,8: 210; 9: 365; 21: 155 4,34: 252; 36: 256 5,8: 447; 17: 256 6,19: 256; 21: 261 7,38: 375 8,46: 256 10,22: 164; 25: 106 11,43: 117 12,32: 265; 35 s : 180; 37: 202; 38: 202; 39 s : 171; 42–46: 174; 43: 202 13,25: 169 14,7: 117; 11: 454 17,29: 163; 34–35: 167; 37: 154 19,11–27: 191 20,46: 117 21,11: 134; 12: 134; 27–28: 160; 29–31: 156 22,3–6: 270; 5: 272; 17: 283; 51: 316; 59: 342; 67: 328; 69: 256 23,2: 359; 33: 382; 34: 378, 382; 38: 386; 39– 43: 388; 39: 389; 45: 403; 48 s : 408; 49: 407; 50: 410, 412; 51: 411; 53: 413; 55: 414 24,1–12: 422; 2: 413; 6: 141; 34: 141 I Macc 14,46: 265 II Macc 1,15: 95 5,11–20: 144 6,2: 144 8,14: 367 Mal 3,23: 400

a) Bibbia

Marc 1,10: 155; 24: 252 4,29: 210 5,4: 85; 7: 255, 328; 30: 256; 41: 141 6,14: 141 8,17: 333 10,5: 99; 37: 254 13,9: 134; 20: 148; 27: 160; 28–29: 156; 32: 164; 34–37: 170; 35: 170; 36: 202 14,3: 267, 268; 3–11: 265; 10–11: 270; 11: 272; 24: 283; 25: 164; 26–31: 284; 28: 141; 33: 296; 57: 324; 61: 328; 63: 331; 70: 342 15,6–14: 370; 15: 362; 17: 373, 374; 18: 375; 21: 378; 22: 381; 24: 378, 382; 26: 386; 27: 388; 29: 389; 38: 403; 40 s : 407; 43: 412; 46: 413 16,1–8: 422; 3: 413; 5: 413; 6–9: 141; 14: 100 Matth 2,1: 127; 3: 127; 4: 111; 6: 392; 21: 392 3,2: 142; 8: 173, 210; 10: 365; 11: 443, 444; 14: 268; 15: 200; 16: 155, 306, 443, 444; 23: 362 4,2: 306; 4: 330; 6: 306, 318; 10: 107; 16: 379; 17: 142; 18: 231, 344; 23: 268; 24: 428 5,1–5: 389; 3–11: 176; 3: 142; 5: 261; 10: 142; 17: 318, 390; 18: 131; 19: 142; 20: 142; 21: 316; 26: 194; 37: 362; 38–42: 316; 38: 317; 43–48: 316; 48: 173 6,11: 204; 12: 99; 13: 303; 25: 173 7,4: 379; 7: 140; 12: 205; 13–14: 20, 304; 15: 83; 21: 142; 23: 169 8,2: 440; 10: 115, 392, 406; 11: 131, 142; 12: 204; 15: 113; 18–22: 411; 18: 115; 20: 315; 21: 411; 29: 386 9,4: 86; 8: 447; 11: 400; 18: 440; 22: 86; 23–25: 398, 433; 23: 411; 24: 400; 25: 141; 27: 122; 28: 315; 33: 392; 36: 304 10,5: 83, 442; 6: 304, 392, 442; 7: 142; 15: 242; 16: 173, 442; 23: 392; 24: 85; 25: 85; 37–42: 226; 39: 199; 40: 442 11,5: 122, 267; 6: 176; 7: 374; 11: 103, 142; 12: 142; 14: 400; 25: 379; 27: 164; 29: 305 12,1: 149, 416; 2: 149; 5: 149; 8: 149; 10: 83, 149, 317; 11 s : 149, 416; 12: 149; 25: 404; 38: 116; 39: 333 13,10–17: 20, 146; 11: 142; 12: 146; 17: 376; 24: 115, 142; 30: 210; 31: 142; 33: 142; 34: 20;

481

36: 106; 39: 210; 41: 417; 44: 142; 45: 142; 47: 142; 52: 142 14,2: 141; 13–21: 306; 13: 115; 16: 115; 26: 259; 30: 255, 262, 344; 31: 440; 33: 447 15,7: 368; 12: 400; 14: 122; 19: 389; 24: 392; 28: 112, 200; 31: 254, 392, 447; 36: 281 16,1: 83; 14: 400, 443; 17: 255; 18: 231; 19: 142; 20: 146, 173; 24: 390; 26: 150; 27: 173, 206, 254; 28: 131 17,2: 159, 379; 3: 400; 10: 400; 11: 400; 19: 106; 21: 240; 25: 115; 27: 272, 344 18,1: 142; 3: 142; 4: 142; 7: 417; 20: 445; 23–35: 107; 23: 103, 142; 35: 416 19,3: 83; 8–9: 11; 8: 92, 99; 12: 142, 146; 13: 115; 14: 103, 142; 20: 290; 21: 268; 23: 142; 28: 392; 29: 444 20,1: 142; 4: 108; 11: 437; 17–19: 307; 17: 386; 18: 127, 339 21,1: 127, 287; 4: 369; 5: 305; 10: 128; 19: 315; 21: 131, 404; 22: 240; 23: 262, 319; 24: 315; 25: 88, 443; 31: 131; 33–44: 307; 39: 339 22,2: 142; 10: 215; 13: 204, 260 num 10,7: 160 11,11: 453 24,17: 432 Os 13,14: 429 I par 29,18: 434 II par 15,14: 160 I Petr 1,19: 370 2,1: 140; 24: 378 4,13: 254 II Petr 2,13: 116 3,7–10: 162 Phil 4,23: 447 prov 1,6: 146 6,17: 329 11,2: 329 psalm 1,3: 379

482

Index locorum

5,8: 152 17,14: 328 18,2: 254 21,8: 391; 19: 382 25,7: 263 28,3: 328 34,16: 83; 19: 153 36,12: 83 41,6: 293 42,3: 442 55,13: 241 61,12: 119 68,22: 383 71,2: 108 82,3: 336 85,5: 305 88,35: 330 93,10: 146 106,10: 419 106,32: 356 109,1: 110; 25: 391 111,10: 83 117,26: 127 125,5–6: 210 136,3: 286 I reg 1,15: 200 4,12: 332 8,40: 447; 43: 447 12,22: 305 II reg 1,2: 332; 11: 332 2,1–11: 168 3,31: 332 13,19: 332; 31–32: 332 16,12: 433 17,7: 447; 25: 447; 28: 447; 32: 447 IV reg 2,11: 401 Rom 1,23: 254; 30: 329 3,23: 254 5,2: 254 7,2: 95; 22: 87 8,2: 121; 11: 169; 21: 254; 23: 169; 29–30: 210 11,20: 329

12,19: 316 13,3–7: 447 14,10: 349 15,7: 254 16,13: 378; 20: 447 Ruth 2,10: 441 Sap 4,8: 312 Sirach 5,6: 152; 10,4: 119; 99: 329 24,37: 442 39,35–36: 316 41,22: 356 44,16: 168 48,9: 168 I Thess 2,19: 171 4,15–17: 169 5,5: 159; 27: 328; 28: 447 II Thess 1,7 s : 166; 11: 441 2,8: 171 I Tim 5,20: 447 6,16: 159 II Tim 4,7–8: 173 Tit 2,11: 448 Tob 3,24: 255 4,13: 255 8,23: 327 10,4: 442 12,4: 441 Zach 11,12 s : 368 12,10–12: 157 13,7: 285 14,7: 164

c) Autori antichi e tardoantichi

b) Apocrifi apoc Petr 2,9: 166 3,7: 166 10,11: 166

c) Autori antichi e tardoantichi Accius trag (Ribbek3) 288: 357; 450: 332; 457: 123; 500: 123; 573: 400; 624: 126; 627: 123 Aetna 7: 284; 14: 188; 177: 427; 204: 284; 214: 165 Alcimus Avitus carm 1,105: 444 2,111: 388 3,257: 116; 399: 252 4,102: 389; 203: 107; 501: 91 5,24 s : 82; 218: 92; 403: 276 6,225: 243; 290–337: 191; 318 s : 197; 478: 130 Ambrosiaster in Rom 1,6: 86 Ambrosius Abr 1,4,22: 99 2,3,11: 423 epist 7,28: 286 9,68,10: 423 14,37: 153 32,4: 434 69,5: 264 73,30: 264 exc Sat 2,80: 242 exhort virg 7,42: 275

fid

2,5,38: 160 fug saec 9,57: 95 hex 2,4,6: 433 hymn 5,2: 305 8,7: 103; 20: 444 17,1: 305 Iac 1,3,11: 370 incarn 10,112: 160 in Luc 5,36: 264 6,104: 242 Nab 14,58: 195 Noe 26,94: 108 obit Theod 46: 448 obit Valent 70: 141 paenit 2,11,104: 213 patr 8,35: 88 in psalm 36,66,3: 297 39,17,1: 277 40,24,4: 366 sacr 4,4,20: 370; 5,21: 280 tituli 7: 412 14: 264 Tob 3,11: 366 vid 5,30: 433 Ps Ambrosius serm 35,4: 120

483

484 Ammianus Marcellinus 14,1,1: 160 15,3,2: 334; 5,12: 330 16,12,7: 160 17,12,16: 309 19,6,9: 160; 12,8: 410 20,11,22: 310 21,1,8: 443 22,3,12: 334 24,2,4: 352 28,1,23: 334 29,6,5: 149 30,1,22: 137 31,4,1: 149; 16,2: 296 Anthologia Graeca 7,402: 101; 572: 101 9,259: 101 Anthologia Latina (Riese2) 21,26: 317 635,22: 296 684,7: 202 726,14: 351 798,10: 369 Aponius 8, p 169: 88 Apuleius apol 64: 255 flor 18,10: 390 met 1,6: 308 2,15: 302; 25: 120 4,13: 352; 26: 183 6,31: 419 7,27: 239 8,29: 330 10,16: 391 11,21: 397; 25: 390 Socr prol 2,16: 294 Ps Apuleius Ascl 2: 443

Index locorum

Arator act 1,57: 246; 336: 329; 591: 241, 284; 610: 155; 845: 241, 284; 865: 398; 899: 155 2,70: 246; 298: 246; 446–448: 399; 676: 111; 892: 288; 984: 123; 1174 s : 124 ad Vigil 1: 137 Aristoteles rhet 3,3,1 (1406A): 159 Arnobius nat 1,27: 287 2,2: 241; 30: 120; 32: 418; 33: 226; 36: 103; 37: 103; 60: 220 3,2: 379 4,34: 453 5,13: 183 Augustinus c. acad 2,2,3: 87 anim 2,12,17: 440 bapt 6,2,3: 433 civ 8,11: 447 10,8: 417 12,18: 210 13,5: 95 14,3: 139; 27: 417; 28: 254 15,14: 397 18,23: 369 20,17: 95 22,29: 302 conf 4,3,4: 418 8,4,2: 428 c Cresc 3,55,61: 417 epist 65,1: 319 153,7: 242 157,22: 440 164,14: 440

c) Autori antichi e tardoantichi

in epist Ioh 8,9: 361 in euang Ioh 3,3: 335 49,14: 235 117,1: 397 gen ad litt 3,5: 405 c Iulian 1,2,4: 440 c Iulian op imperf 5,64: 440 lib arb 1,106: 86 3,18: 417 nupt et concup 18,33,22: 440 c. Petil 1,25,27: 88 in psalm 95,5: 367 139,11: 319 143,18: 267 psalm. c. Don 199: 215 quaest hept 1,101: 317 serm 177,11: 441 200,2: 143 227,1: 282 234,3: 334 278,1: 428 299,6: 112 un bapt 12,20: 109 urb exc 6,7: 397 vera relig 41,78: 108 Ps Augustinus quaest test 1,114: 453 serm 93,2: 256 120,5: 350

Ausonius ecl 25,5: 121 epist 14,8: 158 15,6: 195 ephem 3,17 s : 329; 35: 84; 52: 99 hered 3: 93; 23: 195 Mos 16: 121 ordo 24,32: 406 Avianus fab 1a,1: 111 36,7: 315 37,13: 315 Avienus Arat 240: 278; 312: 193; 831: 121; 1295: 121; 1445: 334 ora 236: 290 orb terr 801: 158 Bellum Alexandrinum 32,3: 210 Bellum Hispaniense 36,1: 131 Boethius cons 1,5,14: 149 Caesar civ 1,87,1: 86 3,19,5: 173; 105,5: 126 Gall 3,22,1: 173 6,14,4: 357 Caesarius Arelatensis serm 142,7: 418, 421 203,1: 184

485

486

Index locorum

Calpurnius Flaccus decl 29: 417 Calpurnius Siculus ecl 5,83: 272 Caper gramm 7,92,1: 171 Carmina ad Flavium Felicem 42: 126 laud dom 5: 221; 24: 241, 284; 60: 103; 93: 444; 114: 284; 123–124: 444; 143–146: 452 de Macc 249: 305 adv Marc 1,51: 407; 60: 429; 98–99: 427; 108: 429 2,196: 381; 252: 182 3,37: 412; 130: 111; 146: 198; 170: 429; 174: 427; 212: 374; 220: 393; 237: 444 4,101: 96; 125: 416; 179: 213; 221: 112 5,145: 412; 161: 389; 166: 331; 168: 380; 188: 427; 191: 284; 238–240: 427 pass. dom 31 s : 367 de resurr 8: 429; 59: 443; 195: 381; 250: 401 Cassianus conl 7,13,2: 126 22,3,5: 126; 7,16: 126 inst 4,6: 267 8,8,1: 126 Cassiodorus hist 1,12: 323 Ios antiq 3,51: 149 var 4,10,2: 119; 34,1: 195 12,5,6: 348 Cato agr 79,1: 213

Ps Cato dist 3 praef 1: 146 Catullus 6,8: 268 60,3: 99 62,57: 92 64,125: 242; 202: 242; 274: 195; 305: 391; 326: 84; 355: 139; 372: 119 66,3: 347; 40: 328 68,37 s : 216 110,2: 364 Cento de ecclesia (= Anth. Lat 16 Riese2) 25–38: 336; 30: 361 Chalcidius comm 224: 87 Charisius gramm (Keil) I 99: 241 Chromatius in Matth 11,2: 443 33,7: 190 42,6: 384 Chronicum Alexandrinum 1,191: 155 Cicero Arat 68: 384; 88: 404; 107: 415; 122: 404; 145: 207; 188: 207; 433: 298; 473: 416 Att 11,6,1: 453 Cael 15: 141 carm frg 11,61: 206 25,1: 240 31,2: 416 34,9: 100; 25: 345 Cato 1: 392 85: 230 Cluent 72: 418 Deiot 19: 323

c) Autori antichi e tardoantichi

dom 125: 333 134: 404 fam 4,12,2: 239 11,28,4: 239 fat 58: 380 Font 5: 201 inv 2,74: 83 leg 1,22: 255; 42: 108 Mil 85: 417 87: 333 nat deor 1,73: 210 3,8: 417 orat 156: 237 Pis 20: 322 Q Rosc 27: 365 Rab perd 14: 239 rep 1,1: 137 S Rosc 91: 141 Sull 59: 226 Tim 20: 155 Tusc 1,79: 231; 103: 276; 105: 140 3,1: 104; 2: 99 4,18: 296 5,51: 298 Verr 4,174: 86 5,60: 201; 61: 201 CIL VI 10284,8: 327 X 1401,6: 153

Ciris

487

267: 411; 274: 242 Claudianus 1,268: 160 2,2: 302 5,519: 392 15,270: 372; 336: 193 21,213: 348; 336: 313 22,451 s : 369 24,116: 356 26,458: 322 carm min 27,66: 241 32,11: 294 53,21: 243 rapt Pros 1,215: 87, 334 3,72: 453 Ps Claudianus carm min app 2,13 s (= Anth. Lat 494b R 2): 140 21,11: 240; 12: 249 CLE 573,2: 401 679,1: 340 755,2: 109 954,2: 304 1178,37: 152 1260,3: 93 1394,8: 443 1402,8: 93 1504a,12: 257 1550b,2: 93 Codex Theodosianus 4,4,5: 323 11,36,32: 149 Columella 1, praef 10: 190; 1,5: 165 2,2,28: 198 3,6,19: 390; 11,4: 198 4,33,4: 160 5,10,15: 213 10,58: 398; 68 s : 297 Commodianus apol 99: 424; 128: 257; 227: 369; 238: 294; 284: 256; 321: 265; 355: 331; 417: 380; 442:

488

Index locorum

389; 479: 333; 532: 318; 552: 318; 606: 447; 731: 360; 768: 352; 777: 333; 816: 389; 833: 400; 849: 334; 997: 270; 1030: 291 instr 1,18,2: 161; 22,9: 265; 24,10: 236; 26,3–5: 101; 31,7: 389; 31,12: 389; 34,10: 120; 37,11–13: 263; 38,7: 182; 44,12: 317 2,8,12–14: 209; 11,12: 448; 12,20: 447; 15,4: 360 Constantinus epist ad Opt. Porf 6–7: 450 Corippus Ioh 1,328: 121 3,65: 94 4,388: 121 6,9: 437 8,114: 296 Iust 1,350: 241 Culex 198: 306; 207: 185; 259: 288; 279: 312; 414: 270 Curtius Rufus 8,4,5: 165 Cyprianus Carthaginiensis Demetr 9,27: 180 12: 116 domin orat 1: 447 ad Donat 9: 154 15: 317 eleem 25: 367 epist 12,2: 317 15,1: 427 34,1: 99 55,28,3: 138 58,8: 317 59,2: 232 65,4: 137 69,2: 443; 12: 443

hab virg 10: 447 laps 24: 443 35: 451 mortal 2: 317 21: 235 26: 288 sent episc 22: 241 64: 447 testim 2,10: 432 unit eccl 3: 143 8: 115 zel 10: 156 11: 156 Ps Cyprianus idol 9: 287 adv. Iud 5,3: 95, 369 ad Novat 16: 424 pasch 2: 381 Cyprianus Gallus gen 6: 406; 56: 160; 93: 107; 242: 242; 395: 405; 640: 274; 694 s : 93; 961: 103; 973: 412; 1115: 412; 1166: 412; 1184: 412; 1206: 412; 1210: 389; 1233: 398; 1263: 412; 1305: 412; 1361: 412; 1369: 412; 1389: 412; 1465: 328 exod 38: 398; 67: 398; 102: 236; 126: 288; 128: 398; 243: 332; 345: 91; 394: 274; 467: 391; 559: 103; 646: 242; 752: 92; 766: 230; 767: 150; 975: 274; 987: 274; 1035: 92; 1326 s : 448 lev 52: 267 num 122: 389; 261: 389; 498: 92; 514: 92

c) Autori antichi e tardoantichi

Ios

120: 274; 226: 305 iud 159: 398; 171 s : 448; 270: 349; 309: 389; 458: 389; 464: 369, 389; 478: 369; 760: 401 Damasus carm (Ferrua) 7,3: 182 50,5: 87 59,4: 301 60,4: 87; 10: 182 72,9: 182 77,4: 182 Decretum Gelasianum 4,5: 30 Dictys Cretensis 3,22: 301 Dracontius laud dei 1,1: 328; 50: 236; 122: 158; 419: 158 2,253: 370; 664: 111 3,188: 146; 193: 253; 467: 284 Orest 119: 406; 706: 224 Romul 4,4: 236 8,468: 344 10,501: 121; 508: 125 satisf 131: 95 Ennius ann (Skutsch) 31: 315; 35: 287; 49: 312, 398; 85: 286; 109: 429; 113: 315; 135: 429; 146: 315; 147: 286; 211: 85; 225: 104; 416: 121; 451: 160; 491: 286; 519: 315; 553: 242; 569: 315; 596: 83; 603: 315; 611: 104; 621: 315 scaen (Ribbeck3 [= Vahlen2; Jocelyn]) 79 (= 89; 84): 132; 142 (= 177; 151): 165; 289 (=334; 283): 140; 292 (= 336; 289): 123; 356–357 (= 219–221; 344–345): 343 spur (Skutsch) 26: 224

Ennodius carm 1,9,54: 348 2,13,7: 103 epist 1,6,5: 86 Epicedion Drusi 70: 270 Epigrammata Bobiensia 27,3: 325 Eusebius dem euang 1,10: 281 laud. Const 2,1–4: 450 3,6: 450 7,13: 450 onomast 32,21: 411 vita Const : 3,10: 450 Eustathius Basil hex 6,3,14: 158 Festus (Lindsay) p 249,21: 237 p 260,9–11: 120 Filastrius 36,4: 299 129,9: 449 Firmicus err 13,6: 447 27,8: 370 Flavius hymn 33: 433 Florus epit 1,7,13: 304 Gaudentius serm 2,13: 281 19,36: 433 Gellius 6,17,3: 99 9,9,15: 87

489

490

Index locorum

Germanicus 340: 210; 397: 256; 424: 397; 548: 195 frg 3,21: 397 4,2: 359; 143: 328 Gregorius Iliberritanus in cant 2,36: 329 Gregorius Magnus moral 2,43: 117 Gregorius Turonensis Franc 1,36: 12 vit patr 2,1: 86 Hadrianus carm. frg 3,1 s : 402 Ps Hegesippus 1,16,6: 264 4,9,4: 366 Hermae Pastor vis 4,3: 163 Hermogenes περί μεθόδου δεινότητος 24 (440,8–13 Rabe): 18 Hieronymus chron a Abr 2345: 12 epist 22,10: 178; 33: 195; 39: 230 36,8: 95 38,2: 302 39,2: 252 51,1: 328 52,5: 213 53,7: 13 57,5: 14 65,1: 441 70,5: 13 76,3: 160 78,40: 356 108,31: 107 112,14: 120

121,1: 171 124,10: 120 in Ezech 45,15–17: 158 in Gal 2,3: 107; 4: 319 adv. Iovin 64,7: 230 in Is 1,2,5: 184 7,21,11: 288 17,60,6: 184 in Matth 1,2,11: 12; 10,28: 124 4,26,62 s : 326, 332 22,17: 83 nom hebr (Lagarde) p 14,1: 92 p 60,18: 382 adv Pelag 1,35: 160 in Philem 8–9, p 94: 116 in Soph 1: 117 vir. ill. 84: 11, 12 Hilarius Pictaviensis in Matth 12,2: 416; 6: 88 14,7: 241 23,2: 107 25,6: 147; 7: 416 27,7–8: 198 28,1: 207 29,1: 269; 2: 369 30,3: 287 31,2: 296; 8: 297 32,3: 323 33,4,: 382 trin 12,20: 267; 52: 257 Ps Hilarius gen 2,158: 406; 198: 406

c) Autori antichi e tardoantichi

Homerus Il 1,428: 81 3,437: 201 10,15: 224 17,736 s : 137 20,86: 201 22,60: 97 Od 2,84: 201 4,234: 201 19,545: 398 20,56 s : 301 23,342 s : 301 Horatius ars 90: 158; 447 s : 449 carm 1,1,6: 379; 1,8: 117; 1,25: 360; 3,2: 290 2,9,12: 347; 13,21: 397 3,1,36: 379; 5,1: 328; 30: 446 carm saec 33 s : 257 epist 1,2,66: 103; 10,1: 433 2,1,16: 452; 1,134: 89; 1,164: 325; 1,188: 101; 1,235 s : 382 epod 2,29: 328 7,13: 265 sat 1,1,41: 272; 2,45: 388; 2,105 s : 213; 3,77: 158; 3,82: 380; 5,9 s : 290; 6,125: 397; 10,10: 417 2,1,84 s : 91; 3,174: 389; 6,50: 185; 6,88 s : 176; 7,89: 202 Hyginus astr 4,7: 322 fab 126,22: 302 Iavolenus dig 41,3,23: 147 ICVR II 241,5,4: 231

ILCV

491

976,2: 248 1062: 449 1523: 248 3432: 340 Ilias Latina 55: 246; 272: 349; 540: 348; 575: 246; 846: 332; 1018: 332; 1028: 246 Isidorus Hispalensis carm 11: 30 24,2: 217 orig 7,2,7: 248 11,1,8: 405 14,9,9: 124 19,24,2: 373 sent 2,13,5: 345 synon 1,42: 116 Isidorus Pelusinus epist 109: 281 Itinerarium Antonini Placentini rec A 170: 366 Iustinus apol 1,32,13 [= 140,39 Wartelle]: 432 dial c Tryph 93,3: 108 Iuvenalis 3,232: 298 6,80: 246; 192: 338 8,161: 375; 274: 343 9,112: 185 10,262: 332; 365 s : 362 14,102: 92; 312: 278; 315 s : 362 15,26: 327 Iuvencus praef 1–5: 163; 2–3: 101; 5: 216; 9–10: 22; 11: 255; 12: 361; 14: 217; 18: 452; 20: 111, 209, 265; 21–24: 163; 22: 109; 23: 25, 166, 171, 183, 229; 24: 25, 212, 255; 26: 147, 447

492

Index locorum

1,1: 94, 232, 374; 4: 264; 5: 96; 6: 217; 7: 92; 10: 126; 11: 142, 155, 169, 171, 424; 13: 211; 14: 406; 15: 136; 17–18: 253; 17: 142; 19: 255; 20: 213, 265, 297; 21: 118; 22: 259; 23: 96, 108, 213; 24: 112, 123; 26: 238, 399; 27: 315; 29: 243; 34: 393; 35: 107, 142, 294, 379; 38: 98, 255; 39: 361; 41: 284; 42: 246, 311; 43: 349; 45: 261, 312; 47: 264, 367; 51: 416; 52: 229; 53: 246; 55: 280; 59: 435; 61: 150; 62: 112; 63: 324; 64: 291; 66: 199, 239, 419; 67: 115; 68: 102, 129, 256; 70: 326; 71: 265; 72: 140, 255, 399; 77: 105, 393; 80: 225, 244, 261; 81: 173; 83: 147, 176; 85: 111, 259; 86: 127; 87: 147, 217; 90: 105; 91: 246; 93: 213; 97: 107, 150, 379; 98: 108, 304, 412; 100: 150; 101: 105, 117; 103: 229, 325; 104: 112; 105: 236; 106: 429; 107–112: 194; 108: 150, 218; 109: 312; 110: 399; 112: 188; 113: 87; 115: 173, 218; 120 s : 143; 121: 111, 441; 122: 383, 420; 124: 153; 125: 111, 203, 215; 126: 213; 127: 96; 131: 284; 132: 264; 133: 246, 349; 134: 147; 136: 96; 137: 185; 138: 303; 139: 92; 142: 188; 144: 236; 147: 112, 312; 148: 112, 265; 149: 111, 445; 151: 111, 246, 411; 153: 406, 445; 154: 182; 155: 259; 156: 356; 158: 295, 297; 159: 150, 168; 160: 142, 171; 161: 166, 203; 162: 302; 163: 142; 165: 125; 166: 111; 167: 265, 430; 168: 132; 170 s : 81, 317; 171: 112; 173: 189, 255; 177: 91, 367; 181: 106, 188, 312; 182: 140; 184: 246; 185: 92, 217, 383; 186: 264; 189: 246; 191: 182; 193: 132; 194: 142; 195: 110; 197: 136; 198: 173; 201: 115; 202: 362; 203: 138; 205: 127, 129; 207: 137, 178, 255; 208: 246; 209: 108, 188, 225, 412; 210: 265; 211: 96, 108; 212: 315; 213: 311; 214: 106, 111; 215: 168, 218, 259, 444; 218: 193; 221: 367; 222: 260, 411; 224: 141; 227: 127, 175, 229; 229: 261; 230: 311; 231: 311; 232: 312; 233: 127, 264; 234: 111, 383; 235: 189; 236: 110, 125; 238: 132, 229, 445; 239: 361; 240: 140, 178, 228; 243: 123, 176, 432; 245: 203; 246: 375; 248: 298; 249:

150; 250 s : 12, 112, 375; 251: 297, 303; 252: 87; 253: 103; 256: 411; 257: 199, 203, 312, 339, 419; 259: 137, 182; 260: 185, 445; 263: 361; 264: 111; 265: 225; 266: 142, 327; 267: 87, 397; 268: 282; 269: 261; 271: 185; 272: 238, 246, 411; 275: 96, 182; 276: 362; 280: 244; 281: 182; 282: 213, 275; 283 s : 352; 285: 275; 287: 338; 290: 123, 170; 295: 188, 203; 298: 206; 300: 85, 132; 301: 140; 302: 246; 305: 182, 203; 307: 349, 380, 383; 310: 116; 311: 443; 312: 125; 315: 170; 318: 123; 319 s : 143, 441; 321: 91; 323: 218; 324: 111; 325*: 281; 326: 136, 265; 327: 176; 330: 127, 173; 331–335: 255; 332: 211, 311; 337–338: 116; 338: 443; 340: 443, 444; 342: 96; 344 s : 203; 346–363: 21; 346: 246; 347: 244; 348: 232, 268; 353: 137; 354: 173; 355: 159, 445; 356: 25, 121, 159; 357: 171; 359: 268, 306, 444; 360: 139, 229; 361: 443, 444; 362: 306; 363: 255; 364: 179; 365: 280, 408; 366: 140, 217; 368: 83, 217, 349; 373: 229, 306; 374: 83, 217, 349; 378: 421; 379: 418; 380: 203; 381: 102, 256, 259; 382: 203, 275; 383: 303, 406; 384: 95, 217; 385: 230; 386: 277; 387: 188; 388: 306, 336; 389: 318; 390: 255; 391: 225, 306; 395: 140; 396: 420, 438; 398–399: 253; 398: 95, 404; 400: 255; 402: 434; 403: 229, 441; 404: 217, 277; 405: 294, 381; 406: 107, 142, 153, 379; 407: 96, 434; 408: 296; 409: 344; 411: 296; 412: 381; 413: 296; 414: 238, 289; 416: 166; 418: 299; 420: 143, 268; 421: 161; 422: 182, 231, 291, 344; 426: 188; 427: 182; 428: 82, 315, 434; 430: 91; 433: 295; 434: 143; 435: 289, 444; 436: 265; 440: 82; 441: 125; 445: 102, 217; 446: 189, 428; 447: 353; 449: 128; 450: 211, 265, 289; 452: 118, 182; 453: 326, 348; 454–471: 176; 455: 142; 462: 152, 217; 463: 142; 466: 82; 467: 103, 142, 152; 468: 153; 470: 121; 471: 111; 472: 131; 473–474: 253; 474: 203; 475: 85, 91, 282; 478: 118, 182; 481: 255; 482: 103, 142; 483: 101, 383, 390; 484: 111,

c) Autori antichi e tardoantichi

383; 485: 318; 486: 112, 131, 284; 488: 212, 445; 489: 369, 380; 491: 213; 492: 206; 493: 203, 217; 496: 217, 383; 497: 307; 498: 316; 499: 169, 334; 504: 434; 505: 87, 238; 506: 132; 507: 126; 508: 238; 515: 107, 212; 517: 356; 518: 94, 194; 519: 248; 521: 217; 522: 394; 526: 281; 528: 296; 531: 92, 383; 533: 353; 536: 383; 537: 419; 540: 128, 312; 542: 85; 544: 212; 545: 362; 546: 108; 547: 217, 277; 548: 92; 549: 316; 551: 326; 552: 169; 553: 212; 557: 123, 195, 336, 442; 558: 219; 559: 212; 561: 169; 562: 123, 212; 563: 253; 565: 116; 568: 112, 153; 569: 434; 570: 153; 572: 173; 578: 153, 221; 580: 182; 581: 94, 112; 582: 143, 213; 585: 336, 434; 586: 150; 590: 119, 142, 157; 591: 137, 434; 592–594: 299; 592: 255; 594: 299; 595: 203; 597: 99; 598: 248, 442; 599: 217, 218, 303; 601: 109, 265, 288; 604: 182; 605: 112; 606: 117, 311; 607: 278; 609: 271; 614: 157; 615: 101, 212, 303; 616: 82; 617: 212, 361; 621: 204; 626: 96, 212, 219; 628: 219, 243, 248; 629: 173; 631: 149, 365; 632: 392; 633: 212; 635: 120, 212; 636: 212; 637: 112; 638: 392; 641: 195; 642: 290; 643: 101; 644: 103; 646: 150, 168; 651: 182; 654: 199; 658: 140; 661: 96; 662: 379; 663: 96, 169, 185, 229, 336; 664: 393; 666: 132; 671: 101; 672: 125; 676: 239; 678: 111; 679–689: 21, 179; 679: 153; 680: 179; 681: 123; 682: 173, 175, 309; 684: 175; 685: 203; 688: 212; 689: 212, 304; 690 s : 136; 691: 111, 137; 693: 83, 124, 179; 696: 162; 697: 162; 701: 101; 702: 182; 707: 124; 708: 229; 709: 392, 443; 711: 111; 712: 443; 713: 132, 229; 714: 222; 715: 172; 716: 217, 229; 717: 141, 162; 720: 217; 721 s : 303; 722: 175, 442; 724: 217; 725: 410; 728: 81; 730: 119; 732: 265; 733: 278; 734: 267; 735: 434, 440; 738: 267; 741: 367; 742: 298, 406; 747: 295, 379; 749: 119; 751: 112, 115; 753: 219, 248; 754–756: 206; 754: 131; 755: 132; 756: 102, 142; 758: 123, 236; 759 s : 179, 204; 761: 203,

493

239; 762: 143; 763: 308; 765: 429; 767: 173, 367; 768–770: 253; 768: 219, 301; 769: 112 2,1–3: 290; 2: 162, 397; 3: 139; 5: 217, 278, 404; 6: 123, 265; 9: 106; 10: 115; 13: 252; 14: 315; 18: 217; 19: 229; 20: 410; 21: 252, 299; 23: 123, 189, 336, 421; 24: 238; 25–42: 21; 25: 121; 27: 169, 334; 28: 91; 29: 142; 31: 162; 33: 349; 36: 290; 37: 188, 367; 38: 257; 39: 311; 40: 119; 42: 120; 45: 217; 47: 104, 434; 48: 85; 51: 389; 53: 136, 176, 442; 55: 386; 57: 137; 60: 290; 62: 107, 118; 66: 434; 69: 203, 407, 408; 72: 277, 367; 74: 291, 357; 75: 367; 82: 216; 83: 102, 256; 84: 86; 88: 238; 89: 202; 90: 141, 170; 91: 141; 93: 229; 95: 367; 96: 188; 97: 312; 99: 123, 367; 100: 338; 102: 153; 103: 150; 104: 111, 383; 105: 111, 411; 109: 367; 112: 83; 113: 219; 114: 111; 116: 399; 119 s : 118, 244, 350; 120: 85, 265; 121: 256, 421; 122: 176; 123: 262; 125: 121, 173; 126: 367; 127–129: 432; 127: 96, 349; 129: 179; 130: 349; 132: 284; 133: 203; 134: 255, 315; 137: 367; 139: 182; 140: 370; 146: 244; 150: 385; 151: 393, 438; 152: 168; 153: 261, 275, 367; 154: 123, 127; 159: 265; 161: 333; 163: 211, 261, 350, 393; 164: 270; 166: 203, 312, 324; 168: 415; 169: 123, 311; 170–172: 324; 171: 217; 173: 91; 173–175: 146; 175: 393; 176: 252; 177: 117; 178: 294; 179: 297; 180: 118, 248, 252, 299, 441; 182: 393; 183: 256; 184: 123, 153, 421; 185: 121; 186: 173; 187: 111, 129, 284, 454; 188: 278; 191: 85; 193: 115; 194: 444; 195: 103, 121, 410; 196–198: 304; 197: 248; 198: 189, 406; 199 s : 289, 330; 201: 136, 444; 202: 126, 153, 172; 203: 444; 204: 421; 205: 85, 287; 206: 240, 338; 207: 236, 397; 209: 449; 210: 121; 211: 410; 212: 100, 334; 213: 300; 214: 106, 121, 246; 215: 103, 165, 442; 216: 120, 206; 217: 27, 195; 218: 92, 117; 219: 140; 220: 87; 221: 96, 322; 223: 209; 225: 136, 171; 226: 115, 444; 227 s : 442; 229: 239, 241, 265, 284; 231: 101; 232: 397;

494

Index locorum

235: 221, 329; 236: 123, 238; 237: 116, 307; 238: 291; 240: 203; 242: 255; 243: 289, 367; 244: 161, 236; 247: 112, 301; 248: 406; 249: 85; 250: 406; 252: 315; 253: 201; 254: 261; 255: 296; 262: 102; 263: 109; 265: 315, 451; 266: 106; 270: 367; 273: 92, 95, 311; 274: 111, 229, 441; 275: 84; 276: 92; 277: 95, 96, 162; 278: 111; 279: 244, 319; 281: 128, 203; 282: 81; 284: 127, 434; 285: 141, 261, 390; 286: 276, 380; 287: 230, 257; 288: 153, 231; 289: 255, 260, 326; 291: 132, 244; 294: 145, 328; 295: 85; 297: 203; 298: 312, 406; 299: 111, 199; 301–304: 194; 301: 309; 302: 106, 118, 349; 304: 438; 306: 85; 308: 86, 115, 217; 317: 238; 321: 259, 338; 322: 296; 324: 440; 326: 295; 327: 112, 132, 151; 328: 289; 330: 301; 332: 419; 334: 411; 336: 256, 393, 421; 337: 101, 442; 338: 128, 312; 340: 243, 434; 341: 123; 342 s : 429; 345: 112, 311; 346: 312; 351: 280, 400; 352: 130, 169; 353: 86; 354: 101; 355 s : 203; 357: 111, 131; 358: 101; 359: 109, 153, 248; 361: 106, 264; 362: 137, 438; 364: 211; 365: 115, 257; 366: 183, 189; 367: 101; 368 s : 150, 322; 369: 188; 373: 212; 374: 125, 312; 377: 227, 278; 378: 287, 440; 379: 238; 382: 248; 389: 132; 392: 188; 393: 86, 243; 394: 198; 398 s : 160; 399: 277, 411; 401: 257; 402: 211, 398; 403: 81, 400; 404: 381; 405: 433; 407: 141; 408: 367; 409: 122; 410: 315; 411: 256; 412: 315, 328; 414: 85, 91, 282; 416: 175; 418: 203; 419: 266, 397; 420: 82; 421: 309; 422: 262; 423: 150, 168; 424: 304; 425: 229, 287; 426: 168; 428: 411; 429: 259, 264; 431: 161, 182; 432: 442; 433: 123; 434: 83; 435: 290, 304, 442; 436: 442; 437: 217; 440: 248, 442; 441–443: 101; 441: 101, 202; 442: 276; 443: 101, 150, 376; 446: 153; 448: 361; 452: 212; 453: 150; 454: 94; 455: 361; 456: 241; 457: 442, 443; 458: 173; 459: 128; 461: 150; 463: 82, 150, 166, 326; 467: 276, 427; 469: 225; 470: 189, 255; 472: 367; 473: 140; 474: 178; 475: 85;

476: 87; 477: 85; 478: 219; 482: 182; 484: 265; 485: 139, 150; 488: 406; 489: 119; 493: 243; 494: 193; 497: 158; 498: 101; 502: 219; 504: 225; 506 s : 226; 507: 255, 408; 510: 123, 153; 511: 264; 513–515: 143; 513: 103, 142; 515: 85, 91, 282; 517: 122; 519: 179, 267; 520: 173; 521: 91; 524: 255; 525: 176; 526: 85; 527: 287; 529: 374; 532: 111; 533: 383; 534: 109, 244; 535: 170; 536: 85; 538: 102, 103, 142; 539: 103, 142; 540: 142, 166; 542: 111; 543: 150; 545: 400; 546: 25, 137, 183; 548: 255; 550: 108, 132, 329; 551: 116, 370; 553: 85, 243; 554: 165; 555: 212; 561: 175, 221; 562: 161, 438; 564: 383, 416; 565: 149, 383; 567: 149; 568: 318; 569: 383; 570: 111; 574: 119; 575: 153, 217, 288; 576: 149, 264; 577: 107, 161; 578: 150; 579: 132; 580: 82, 101; 581: 149, 150; 583: 91, 116, 229; 586: 83, 88, 179, 213; 587: 85, 149; 588: 317; 589: 150, 370, 421; 590: 149, 161, 203, 416; 591: 238; 593: 393; 595: 308; 596: 225, 393, 434; 598: 137, 261, 351; 599: 86, 217; 600: 353; 601: 102; 602: 217, 303; 606: 82, 122; 607: 287; 608: 201, 212; 610: 84, 86; 611–613: 404; 612: 311; 614: 217, 303; 615: 199; 619: 172; 621: 172; 622: 296; 625: 277; 626 s : 310; 628: 203, 333; 629: 137; 630: 216; 631: 217, 277; 632: 213; 633: 153; 634: 217, 238, 277; 635: 212; 636: 212; 638: 98; 639: 262; 640: 192; 641: 104; 642: 141; 643: 85, 212; 645: 112, 255, 311; 647: 137; 649: 209, 442; 651: 104; 652: 97; 658: 150, 188; 660: 153, 221; 661: 207; 662: 119; 666: 158; 668: 393; 675: 203; 676: 383; 680: 112; 681: 101, 255; 682: 255; 683: 100, 159; 685: 255; 686: 96; 689: 89, 92; 690: 136; 691: 92; 692: 116, 287; 693: 189; 694: 256; 695: 162, 290, 333; 696: 393; 697: 111, 243; 700: 141; 702: 108; 703: 111; 707: 141; 708: 96, 218, 211; 711: 119; 712: 238; 715: 277; 717: 257, 353; 718: 229; 719: 203, 277; 721: 161, 213; 722: 173; 725: 136; 726: 339; 728: 287; 729 s : 94; 730: 299;

c) Autori antichi e tardoantichi

731: 260; 732: 169; 734: 238; 735: 309; 737: 287; 743: 397; 744: 287; 745: 203; 747: 249, 425; 749: 100; 750: 128; 753: 195; 757: 115; 758: 240; 760: 126; 762: 146; 763: 129, 203; 765: 171; 768: 278; 769: 241, 284; 771: 211; 773: 376, 383; 774: 159; 776: 172; 780: 196; 786: 203; 787: 351; 789: 128; 790: 158; 791: 143; 792: 173; 794: 115; 795: 102, 284, 328; 797: 91, 213; 798: 227; 799: 106; 800: 307; 802: 392; 806: 115; 810: 203; 812: 248, 442; 813: 182; 814: 370; 816: 95, 195, 203; 820: 129; 822: 244; 823: 194; 824: 287; 825: 111, 311, 381, 383; 827: 188; 829: 367 3,1: 28, 158, 347; 2: 106, 432; 3: 125, 287; 7: 203; 8: 217, 303, 412; 9: 162; 10: 124; 12: 137, 417; 15: 104; 16: 142, 348; 17: 130; 18: 265; 20: 130, 213, 444; 21: 140, 211, 229; 23: 400; 24: 141, 311; 25: 392, 411; 26: 101, 246; 27: 130; 28: 206; 29: 211; 31: 111, 238; 33: 329, 349; 34: 111, 132; 35: 132; 37: 217; 38: 132; 39: 153; 40: 87, 217, 229; 41: 173, 311; 42: 217, 339, 368; 43: 353; 44: 96; 46: 376; 47: 92, 162, 207; 50: 111; 51: 137, 434; 52: 236, 352; 54: 177; 56: 217; 58: 295; 59: 430; 61: 368; 64: 306; 66: 323; 67: 276; 68: 203, 275; 69: 411; 70: 115; 71: 323; 72: 179; 75: 176; 77–82: 194; 79: 170, 185; 80: 115; 82: 217; 85: 306; 88: 211; 90: 182, 217; 91: 264; 93: 121, 367; 94: 284; 97: 290; 99: 141; 100: 397; 101: 123; 103: 123; 106: 259; 107: 291; 109: 130, 215, 242, 379; 110: 289, 315, 394; 114: 91; 116: 262; 117: 176, 186; 118: 82; 119: 255; 120: 344; 122: 82; 123: 227, 440; 126: 225; 129: 265; 133: 88, 91, 106, 179; 135: 130, 290, 304; 136: 383; 137: 161; 139: 132, 340; 141: 227; 142: 219; 143: 107, 213; 144: 111, 368; 148: 101; 151: 307; 152: 132; 153: 400; 154: 290; 157: 122; 159: 229; 162: 425; 167: 120; 168: 307; 170: 376; 172: 112, 142, 389; 173: 307; 176: 221; 178: 219; 180: 87, 217; 182: 229, 438; 183: 288; 185: 232; 187: 232; 188: 94; 190 s : 239; 191: 255;

495

192: 112; 195: 289, 367; 196: 118, 182, 304, 319; 197: 248; 198: 311, 358; 200: 227; 201: 213, 244; 202: 152, 306, 408; 205: 217, 252; 209: 175; 211: 370; 213: 281, 312; 214: 82; 216: 217; 219: 85; 220: 367; 221: 83, 88, 91, 106, 137, 179; 222: 393; 223: 86, 88; 224: 142; 225: 25; 230: 137; 231: 88; 232: 150, 298; 233: 393; 236: 246; 238: 232; 241: 88, 91, 137, 179; 245: 132; 246: 101; 247: 312; 248: 132; 249: 262; 250: 217; 252: 311; 253: 137, 259; 257: 216, 367; 259: 137, 438; 260: 265; 262: 132; 263: 153, 265, 443; 265: 400; 268: 111; 269: 229, 311; 270: 438; 271: 215, 291; 272: 259, 416; 273: 279, 291; 275: 219; 276: 150, 219, 248; 277: 255, 383; 278: 231, 291; 280: 361; 282: 169; 283: 182; 285: 142; 287: 142, 248, 442; 288: 173, 215; 289: 146, 311; 291: 128; 292: 264; 293–295: 419; 293: 143, 397; 294: 143; 296: 227, 278; 299: 225; 300: 421; 301: 101, 111, 185; 302: 139; 304: 390; 305: 112; 306: 255; 307: 202; 308: 150; 309: 444; 310: 219; 311–315: 166; 311: 172, 443; 313: 206; 314: 97, 131; 315: 142; 316: 182, 221; 317: 142, 155; 318: 121; 319: 295, 296; 320: 304, 319, 367; 321: 278, 312; 323: 338; 324: 92, 400; 325: 353; 326: 85; 327: 400; 328: 313; 330: 142, 182, 224; 331: 129; 333: 299; 334: 116, 153; 335: 291, 298; 336: 225; 338: 311; 339: 141; 340: 85; 341: 172, 179, 428; 344: 82, 383; 345: 142, 400, 401; 346: 419; 347: 421; 348: 400; 350: 123; 351: 425; 352: 206, 351; 353: 246; 355: 434; 356: 111, 112, 143; 357: 217; 361: 212; 364: 278; 365: 127; 368: 252; 369: 217, 277; 370: 217; 371: 106; 373: 290, 303, 304; 374: 175; 375: 343; 377: 96; 379 s : 128, 240; 381: 367; 382: 125; 384: 115, 209, 232, 426; 387: 289; 391: 344; 392: 137; 395: 85; 396: 91, 367; 397: 142; 399: 115, 130, 257, 401; 400: 121, 142, 172, 206; 401: 96; 402: 137, 417; 405: 120; 406: 311; 407: 85; 408: 206; 410: 238; 413: 96, 312; 414: 244; 416: 264; 418: 101; 421: 217; 424:

496

Index locorum

229; 425: 130; 426: 229; 430: 150, 445; 431: 140; 432: 443; 434: 219, 244; 435: 111; 436: 162; 437: 92, 103, 107, 142, 182; 441: 193; 442: 169; 443 s : 343, 419; 445: 152, 217; 447: 169, 258; 448: 194; 450: 220, 236; 455: 194, 391; 456: 119; 457: 416; 458: 340; 459: 289; 462: 170, 394; 463: 102, 107; 464: 83, 106, 443; 465: 85; 467: 287; 473: 92; 474: 311; 476–481: 11; 477: 96; 478: 327; 481: 96; 486: 429; 489: 142, 169, 225, 251; 490: 146, 172; 492: 246; 493: 82, 91; 494: 115, 188; 495: 326; 496: 103; 499: 202, 260; 501: 127; 502: 104; 504: 383; 505–507: 336; 505: 101; 507: 212; 510: 107, 290; 513 s : 356; 514: 118, 182; 515: 367; 516: 268; 523: 142; 524: 217; 526: 182; 527: 338, 430; 528: 104, 243, 343; 530: 153, 255; 532: 121; 534: 291; 535: 189; 536: 238; 539: 87, 215; 540: 123; 542: 160; 545: 112; 546: 225; 547: 444, 454; 548: 137; 554: 96; 555: 238; 556: 295; 557: 106; 558: 150, 221; 560: 397; 561: 248, 443; 563: 229; 564: 94; 566: 150; 567: 27, 132; 569: 229; 572: 229, 437; 575: 107; 578: 94; 580: 218; 581: 161; 583: 88, 125; 584: 127, 246, 338, 386; 585: 123, 306; 586: 169, 339; 587: 120, 276; 588: 307, 373; 589: 91, 141, 384, 394; 590: 295; 591: 102, 142, 319; 592: 394; 593: 244; 595: 287; 596: 283; 597: 169; 598: 101; 599: 209; 600: 225, 286; 602: 212; 603: 136, 162; 606: 217; 608: 85; 611: 179, 370; 612: 203; 614: 172; 616: 169; 618: 175; 621: 161, 170; 622: 121, 127, 287; 623: 183; 624: 438; 626: 367; 627: 219; 630: 259, 313; 631: 162, 218, 425; 632: 128, 257; 633: 368, 369, 383; 634: 120, 257; 635: 128, 182; 636: 170, 229, 265; 637: 123; 639: 93, 111; 640: 255; 641: 128; 642: 339; 643: 82, 311; 645: 82; 646: 259; 647: 111; 648: 259, 341; 650: 421; 653: 246; 654–661: 156; 655: 170; 656: 299; 659: 315; 661: 104; 662: 232; 663: 262; 665: 131; 666: 118, 319; 667: 404, 440; 668: 203; 670: 115; 672 s : 240; 674: 221,

319; 675: 82, 262; 677: 315; 678: 341; 680: 443; 681: 111, 116; 682: 85, 116; 683: 246; 684: 88, 111; 685: 137, 434; 686: 136; 687: 111; 689: 82, 88; 691: 150, 329; 693: 194; 696: 311; 697: 91; 699: 91; 703: 137; 704: 111, 131; 705: 142; 708: 153; 711: 203; 712: 275; 713: 315; 718: 125; 720: 106; 725: 141, 203; 728: 244; 729: 282, 307; 730: 91; 732: 247, 339, 425; 733: 91, 283; 736: 257; 737–773: 81; 737: 95, 96; 739: 183; 741: 96; 742: 91, 311; 746: 326; 748: 323; 752: 229; 753: 182; 756: 161, 225; 757: 96; 758: 185; 760: 259, 275; 761: 153, 215; 762: 203; 764: 96; 765: 136; 766: 116; 769: 260; 770: 216; 771: 128, 179 Lactantius epit 37,9: 248 38,2: 210 inst 1,1,10: 449; 1,13: 453; 3,23: 119; 5,17: 454 2,2,7: 211; 2,20: 104; 8,6: 424; 8,50: 319; 12,15: 107; 15,3: 153; 16,2: 137 3,1,2: 449; 12,20: 397 4,13,10: 432; 15,4: 369; 15,15: 369; 18,6: 360; 19,1: 333; 26,11: 116; 26,12: 116; 26,40: 275; 27,5: 453; 28,1: 230 5,1,6: 153; 3,13: 120; 13,5: 448; 19,10: 180; 19,13: 107; 22,7: 108 7,7,13: 120; 11,1: 444; 27,1: 230 ira 1,6: 141 13,5: 428 20,11: 104 24,10: 116 mort pers 16,8: 107; 9: 317 19,6: 453 opif 16,12: 405 Phoen 21: 412 Laevius carm frg (Blänsdorf) 3,1: 276

c) Autori antichi e tardoantichi

Leo Magnus epist 164,3: 440 Licentius carm. ad Aug 26: 305 Livius 1,7,10: 84; 56,7: 338 3,52,6: 226 6,34,5: 357; 40,8: 167 7,1,9: 239; 30,20: 452 8,32,11: 358; 32,13: 322; 34,4: 417 9,6,5: 220; 35,5: 310 10,10,11: 453; 38,8: 310 22,19,11: 138; 60,17: 310 27,40,10: 322 30,30,4: 138 31,29,9: 349 38,21,11: 139 44,29,7: 138 48,8,12: 93 Lucanus 1,6 s : 138; 237: 160; 431 s : 160; 524: 427; 677: 349; 695: 246 2,34: 328; 99: 165; 100: 303; 106: 97; 249: 309; 307: 352; 530: 244; 571: 216; 706: 430 3,195: 165; 242: 313; 304: 99; 312 ss : 265; 359: 161; 391: 430; 713 s : 419; 744: 201 4,94: 219; 267: 315; 345: 366; 362: 420; 750: 160 5,16: 116, 206; 250: 287; 397: 244, 394; 433: 387; 626: 304; 648: 387; 699: 379; 779: 369 6,14: 303; 38: 124; 108 s : 219; 110: 311; 251: 440; 257: 400; 431: 360; 433: 400; 445: 400; 538: 397; 573: 372; 595: 379; 644 s : 256; 721 s : 218; 724 s : 411; 732: 368; 772: 249 7,162: 306; 207: 128; 336: 430; 492: 309; 496: 430; 582: 244; 659: 442 8,9: 367; 208: 379; 242: 379; 359: 452; 741: 411; 768: 401; 843: 176; 853: 216 9,6: 390; 17: 242; 20: 379; 226: 329; 295: 219; 305: 216; 612: 306; 693: 390; 750: 277; 946: 101; 987: 244

497

10,2: 308; 49: 298; 127: 322; 196: 408; 216: 195; 401: 160; 508: 430; 523: 316 Lucifer Athan 2,25: 302 non parc 131,48: 356 141,6: 356 Lucilius (Marx) 676 s : 301 Lucretius 1,1–2: 102; 5: 429; 22: 429; 80: 400; 83: 333, 368; 105: 325; 128: 390; 170: 429; 179: 429; 223: 139; 227: 240, 278; 491: 405; 579: 151; 737: 126; 919: 400; 949: 448; 987: 139 2,14: 332; 88: 139; 145: 142; 150: 442; 191: 291; 346: 142; 383: 165; 398–399: 382; 577: 429; 580: 345; 606: 374; 617: 429; 921: 358; 976: 400; 1093: 242; 1120: 254; 1166: 444 3,61: 372; 98: 207; 170: 412; 310: 352; 399 ss : 401; 681: 97; 849: 240, 278; 933: 365; 957: 444; 966: 85; 967: 150; 1042: 240 4,24: 448; 101: 286; 276: 394; 453: 185; 637: 165; 643: 418; 914: 131; 919: 301; 992: 173; 1066: 194; 1176: 400; 1202: 352 5,18: 244; 76: 390; 167: 83; 224: 429; 428: 159; 502 s : 401; 593: 442; 659: 87; 681: 253; 774: 390; 781: 429; 813 s : 147; 968: 310; 989: 240, 278; 1032: 444; 1091: 400; 1242: 272; 1455: 429 6,6: 84; 24: 84; 105: 306; 223: 291; 269: 140; 303: 124; 467: 121; 937: 159; 1041: 437; 1057: 387; 1107: 161; 1157: 258; 1188: 335; 1208: 244; 1245: 312 Lygdamus 1,14: 288 Macarius Magnes apocr 3,23 (ed Blondel, pp 105 e 106): 281 Macrobius Sat 2,8,7: 267

498

Index locorum

6,4,19: 121 7,16,16: 158 Maecenas carm. frg 5: 391 Manilius 1,110: 385; 126 s : 210; 159: 139; 173: 139; 278: 288; 287: 155; 291: 155 2,18: 398; 66: 142; 111: 86; 136: 111; 215: 385; 243: 385; 602: 392; 810–811: 119; 818: 442; 859: 400 3,1: 284; 263: 253; 356: 157; 434 s : 151; 601: 310 4,87: 429; 300: 385; 575: 83 5,65: 142; 289: 328; 316: 322; 396: 454 Marius Victor aleth praef 90: 444; 96: 103 1,158: 305; 179: 284; 270: 160; 336: 444; 344: 284; 434: 444; 452: 271 2,7: 288; 243: 316; 516: 429; 546: 305 3,524: 398 Martialis 1,3,11: 401; 6,1: 401; 11,1: 89; 15,18: 101; 26,3: 89; 43,13: 270; 55,6: 375; 66,3: 318 2,26,2: 335; 68,2: 375 3,6,5: 241, 284 4,49,3: 351; 83,5: 375 5,2,3: 201; 41,7: 85 6,13,7: 328; 64,21: 185; 82,4–6: 201 7,47,12: 101; 53,12: 272 8,21,9: 347; 33,11: 335; 78,9: 89 9,31,7: 89; 83,1: 408; 94,1: 382 10,28,7: 257; 58,11 s : 190 11,8,9: 267; 15,1–4: 201; 16,7–8: 201; 26,4: 382; 45,5: 279; 64,2: 131 12,49,2: 379; 62,11: 89 14,124,1: 379 Martianus Capella 2,120: 121 3,229: 341 6,567: 121 9,894: 153

Maximus Taurinensis serm 16,38: 334 37,2: 384 Merobaudes Christ 2: 294 Minucius Felix 26,8: 99; 11: 424 27,7: 328 32,4: 239 34,9: 101 Modestinus dig 3,3,63: 147 Naevius trag (Ribbeck3) 33: 123 Nemesianus cyn 64: 93; 71: 393; 195: 226; 207: 158 Nepos, Cornelius Cim 4,4: 239 Niceta(s) Remesianensis hymn. te Deum 7: 289 Nonius Marcellus (Lindsay) p 742,12: 400 p 787,10: 123 Nonnus Panopolitanus par ev Ioh 5,174–176: 92 9,144–145: 92 Novellae Theodosii 2,15,2,1: 330 Octavia 35: 430; 204: 379; 218: 103; 245: 255; 466: 372 Optatianus Porfyrius carm 2,22: 453; 27–28: 450 3,10: 305 5,30: 305 6,18: 254 7,23: 445; 25: 453 8,30: 453

c) Autori antichi e tardoantichi

11,16: 453 12,7: 453 14,1 s : 143; 5: 453 24,7: 328 Optatus 5,4,7: 116 Orientius carm. app 3,26: 381; 165: 289 comm 1,171–174: 174; 273–276: 174; 315: 444; 467: 412 Origenes Cels 2,24: 299 hom. in Gen 1,13: 87 hom. in Num 18,4: 432 in Matth 11,148,29–30: 183 17,30: 96 22,39: 108 Rom 16,16: 311 ser 56 p 129,24–26: 163 102 p 222,24–32: 317 Ps Origenes tract 16: 128 Orosius hist 1,10,19: 296 6,11,21: 304 7,28,27: 453 Ovidius am 1,7,27: 372; 12,5: 247; 13,32: 201 2,1,2: 201; 5,46: 352; 9,40: 437; 9,41: 97 3,1,17: 201; 4,10: 201; 6,45: 259; 6,106: 347; 11,23: 246; 11,45: 93; 12,1: 165; 15,19–20: 446 ars 1,75: 345; 241: 334; 522: 175; 703: 312 2,261: 195; 280: 247; 442: 398; 521 s : 247 3,178: 253; 406: 437; 551: 271; 707: 332

499

epist 3,33: 202 8,79: 224 9,163: 260 11,92: 193 12,153: 332; 191: 184 17,225: 260 19,111: 444 21,70: 352 fast 1,182: 453 2,291: 444; 369: 296; 777: 444 3,215: 321; 391: 367; 867: 288 4,47: 284; 161: 257; 353–354: 179; 481: 365; 637: 397 5,79: 441; 93–96: 381; 109: 447; 310: 398; 362: 230 6,38: 374; 128: 369; 171 s : 178; 343: 296; 400: 391; 439: 351; 453: 269; 463: 297; 525: 444 hal 33: 86 Ib 232: 91; 443: 120 met 1,1: 284; 32: 343; 152: 182; 167: 264; 170: 328; 256–258: 163; 261: 400; 467: 135; 676: 296; 688: 304 2,60: 304; 122 s : 311; 298: 103; 310: 400; 314: 398; 329: 365; 343: 365; 362 s : 384; 550: 344; 627: 215; 642: 248; 848: 304 3,60: 401; 85 s : 409; 146: 296; 236: 399; 298 s : 121; 341: 140; 344: 147; 370: 296; 497: 410; 564: 440; 716: 399 4,131: 384; 157: 413; 232: 353; 320: 441; 512: 103; 546: 224; 612: 444; 700: 401; 740: 361 5,106: 162; 187: 378; 260: 313; 334: 412; 607: 155 6,1: 412; 59: 332; 84: 271; 450: 429; 510: 344; 569: 247; 672: 268; 685: 397 7,165: 441; 404: 236; 421: 382; 601: 226; 613: 162; 614: 322; 706: 227; 734: 140; 820: 304; 848: 332

500

Index locorum

8,180: 162; 225: 347; 238: 343; 331 ss : 310; 375: 391; 527: 224; 598: 257; 703: 257, 287; 735: 306; 798: 120; 878: 397 9,199: 106; 238: 141; 243: 306; 275: 224; 287: 147; 386 s : 310; 402: 364; 442: 140; 499: 304; 608 s : 99; 636: 332 10,368 s : 185 11,62: 170; 207: 304; 308: 311; 346: 262; 542: 93; 612: 301; 658: 246; 679: 340; 681: 332; 750: 141; 765: 304 12,4: 444; 60: 398 13,19: 140; 82: 318; 272: 288; 491: 311; 518: 420; 534: 224; 599: 304; 659: 129; 663: 388, 407 14,33: 242; 132: 102; 206: 298; 276: 382; 287: 382; 380: 93; 413: 311 15,104: 343; 153: 97; 260: 253; 352–355: 188; 439: 344; 457: 251; 465: 412; 505: 360; 514: 406; 618: 168; 636: 126; 739: 404; 760: 93, 199; 766: 84; 768: 224; 800 s : 310; 879: 344 Pont 1,7,29: 411; 7,43: 295; 7,54: 340; 9,36: 379 2,2,12: 379; 4,16: 369; 7,63: 444; 8,26: 379; 8,75: 344 3,4,89: 344 4,8,55: 329; 8,59: 182; 15,19 s : 242 rem 621: 158 trist 1,2,109: 167; 6,15 s : 451; 9,55: 204 2,11: 369; 27: 305; 65: 350; 147: 305 3,3,34: 93; 4b,68: 448; 7,45: 242; 7,49– 54: 446; 9,15: 278; 9,23: 444 4,7,1: 149; 10,68: 443; 10,121 s : 118; 10,129: 344 Pacuvius trag (Ribbeck3 [= D’Anna]): 45 (= 63): 123; 74–75 (= 90–91): 199; 121 (= 145): 123; 156 (= 172): 397; 284 (= 332): 397; 400 (= 422): 301 Panegyrici Latini 2 (12),4,5: 452 4 (10),29,5: 452; 34,2: 452 6 (7),21,1: 348; 21,6: 248 9 (4),11,12: 197

Papinianus dig 1,22,6: 330 Passio Mariani et Iacobi 3,11: 448 Paulinus epigr 36: 267 Paulinus Nolanus carm 3,1: 389 6,166: 92; 211: 342; 214: 92; 237: 87; 281: 173 15,281: 150; 337: 343; 360: 176 16,34: 343 17,76: 89; 274: 202 18,26: 279; 33: 272; 122: 195; 188: 443 19,100: 412; 221: 423; 382: 94; 527: 359; 672: 139 20,39: 394; 44: 111 22,6: 155; 39: 92; 149: 328; 154: 92; 160: 220 23,45: 274; 220: 288 24,63 s : 454; 702: 367 25,89: 195 26,36: 92; 94: 92; 219: 92 27,106: 178; 209: 289; 415: 232; 517: 92; 624: 412 28,202: 195 31,121 s : 252; 129: 379; 169: 143; 184: 433; 363: 92; 560: 444; 631: 393 32,6: 111; 194: 406; 200: 158; 227: 241, 284 33,84: 256 epist 13,4: 252, 413; 25: 235 Ps Paulinus Nolanus carm app 2,38: 260 3,215–216: 101 Paulinus Pellaeus euch 20: 87; 118: 210; 177: 389; 491 s : 169 Paulinus Petricordiae Mart 1,63: 149; 210: 87; 385 s : 261 2,47: 271; 213: 291; 482: 228; 579: 359

c) Autori antichi e tardoantichi

3,45: 271; 51: 271; 351: 150; 382: 271 4,320: 103; 329–331: 211; 447: 169 5,8: 104; 247: 91; 325: 91 6,167: 228; 197: 291; 446: 87; 471: 102 orant 22: 261 Peregrinatio Aetheriae 19,16: 302 Persius 1,12: 400; 17: 206; 28: 389 2,3: 149 3,44–46: 269 Petronius 71,9: 131 118,6: 327 frg 63,22 s : 251 Petrus Chrysologus serm 19,5: 411 Plautus Amph 34–36: 215; 333: 253; 786: 84 Asin   613: 84 Aul 681: 84 Bacch 401: 215; 960: 288; 1020: 83 Capt 683 s : 120; 819: 195 Cas 448: 84; 522: 84 Epid 120: 369 Merc 913: 123; 929: 123 Mil 177: 173; 303: 84; 485: 84 Most 682: 341; 1143: 330 Poen 184: 195; 1351: 195 Pseud 590: 84 Stich 46: 418; 569: 288

501

Trin 26: 225 Truc 112: 253 Plinius Maior nat 2,13: 165; 46: 165; 158: 198 9,41: 306 13,26: 213 16,225: 93 Plinius Minor epist 2,8,2: 417 7,19,3: 304 10,10,2: 451 paneg 64,2: 348 90,4: 451 Pomponius dig 46,4,4: 167 Priapea 3,5: 375 Ps Primasius in Gal 5,11: 82 Priscianus periheg 989: 158 Proba cento 11: 87; 136: 165; 160: 340; 252: 276; 262: 97; 600–612: 336; 607: 396 Propertius 1,6,25 s : 201; 14,18: 99; 17,4: 190 2,3,25: 129; 5,21: 332; 6,30: 201; 7,9: 190; 10,3: 318; 10,23: 287; 16,47: 257; 20,10: 429; 22,23: 340; 24a,6: 201; 25,21: 226 3,7,44: 453; 10,24: 201; 12,2: 310 4,1b,100: 147; 5,68: 335; 6,61 s : 343; 7,88: 453; 11,21: 330; 11,69: 93 Prosper Aquitanus carm de ingrat 117: 453; 293: 123; 893: 215; 897: 215 epigr 2,1: 305

502

Index locorum

51,5: 87 58,3 s : 381 Ps Prosper carm. de prov 244–248: 174; 361: 412; 366: 398; 419: 87; 525: 362; 916: 87 Prudentius apoth 16: 389; 40: 177; 42: 279; 51: 92; 227: 220; 285: 195; 347: 389; 353: 274; 615 s : 432; 644: 119; 742–744: 259; 742: 260; 743: 227; 747–749: 259; 772: 389; 785: 120; 913: 116; 1012: 111; 1073: 101; 1076: 228 cath 1,13–16: 343; 17–19: 297 2,69: 252 3,96: 252; 192: 101 4,9: 294; 55: 424; 93: 210 6,81: 328 9,46: 260; 104: 255 10,5: 305; 105 s : 302; 120: 101 12,83: 328; 205: 287 ditt. 3: 116; 27: 412; 63: 111; 126: 289; 139: 150; 152: 260; 153: 364, 368; 155: 367; 156: 365; 157: 264, 389; 158: 335 ham 2: 389; 13: 389; 122: 389; 328: 260; 339: 92; 375–377: 101; 376: 328; 378: 255; 381: 139; 435: 348; 542: 87; 563: 111; 703: 215; 731: 195; 741: 124; 959: 124 perist 1,14: 261; 75: 389; 110 s : 124 2,95: 89 5,167–168: 428; 204: 82; 223 s : 349; 393: 82; 473: 256 11,77 s : 349; 89: 389 13,39: 262 14,62: 103; 81: 305 psych 178–182: 117; 200: 313; 248: 150; 715: 389; 762 s : 119; 876: 103 c Symm 1,294: 120; 650: 141 2,126: 103; 191: 388; 194: 101; 724: 141; 758: 451; 783: 215; 841: 107; 1039: 168

Quintilianus inst 1,9,2: 18 2,13,1: 380 6 prooem 4: 239 7, 1, 55: 359 8,5,23: 178 9,2,7–8: 392; 3,97: 392 10,1,115: 93; 5,4: 18 Ps Quintilianus decl 6,10: 147 8,13: 147 16,2: 147 17,3: 220 320,7: 193 Quintus Tullius Cicero pet 44: 179 Rufinus Clement 1,53,1: 428 5,8,2: 412 hist 3,7: 367 5,3: 299 Orig in gen 1,5: 184 1,7: 428 Orig. in Ios 2,1: 416 Orig. princ 2,7,2: 416 Orig in Rom 1,1: 146 Rusticus Helpidius hist testam 4: 412 14: 166 29–30: 370 46: 381 70: 227, 240 71: 260 Rutilius Namatianus 1,161: 243 Sacramentarium Gregorianum 132: 370

c) Autori antichi e tardoantichi

Sacramentarium Leonianum 16: 370 Sallustius Catil 2,1: 444 hist frg 4,2: 341 Iug 9,3: 83 44,3: 173 69,2: 357 Ps Sallustius rep 3,3,9: 117 Salvianus eccl 1,6: 195 gub 4,1: 88 8,18: 82 Sedulius carm pasch 1,3–15: 449; 27: 328; 336: 135 2,30: 246; 36: 246; 49: 246; 79: 398; 201: 351; 203: 394; 205: 328; 208: 332; 237: 107 3,163: 267; 180: 111; 208: 92; 285: 92; 298: 152; 320 s : 103 4,87: 252; 140: 241; 142: 246; 168: 92; 189: 289; 272: 227; 273: 260; 280: 246; 284: 227, 259 5,1–2: 275; 17: 328; 43 s : 272; 62: 310; 65: 312; 68: 310; 72: 317, 328; 80 s : 291; 83: 264; 96–98: 331; 103: 335; 108: 291; 112: 345; 122–124: 365; 130–131: 365; 139: 349; 141 s : 323; 147: 362; 151: 104; 164 s : 372; 198: 398; 232–275: 394; 235: 395; 237: 89; 246: 395; 274: 92; 290: 284; 319: 159; 352: 277; 359: 246; 378 s : 232 hymn 1,105 s : 179 2,35: 432 Seneca Ag 255: 84 977: 361

503

apocol 15,2: 359; 7: 287 benef 3,19,2: 86 4,20,3: 330; 23,4: 406 6,34,3: 375; 38,5: 86 dial 4,21,5: 332 6,16,4: 239; 25,2: 390 7,4,5: 230 9,10,1: 417 epist 2,16: 305 5,49: 296 9,20: 379 15,9: 152 23,6: 101 44,5: 210 95,2: 93 101,12: 380 Herc f 331: 374; 1133 s : 97 Herc O 787: 310; 908: 361; 1855: 297 Med 829–832: 382; 854 s : 391; 1008: 323 nat 1,5,8: 159 4a, praef 15: 330 Oed 89 s : 412; 430: 141; 503: 290; 642: 374 Phaedr 1224: 400 Thy 1078: 103 Tro 442: 430; 472: 241; 694: 257; 969: 362 Seneca Rhetor contr 7,6,14: 380 9,2,3: 361 exc 4,1: 211 suas 1,4: 390 5,1: 284; 3: 284

504

Index locorum

Serenus med 549: 205; 725: 228; 1068: 382 Servius ad Aen 3,585: 121 6,255: 340 8,456: 343 10,58: 241 12,603: 366 Severus Malacitanus (?) euang 8,40: 301; 97: 264 9,161 s : 454; 354: 86; 361: 86 10,10: 262; 47 ss : 125 Sidonius carm 5,126: 236; 367: 130 9,324: 267 11,2: 121 epist 7,6,2: 139; 18,1: 151; 26: 195 Silius Italicus 1,7: 272; 35: 325; 55: 246; 63: 427; 106: 241; 123: 397; 178: 253; 450: 348; 488: 141; 597: 369; 617: 340; 673: 376; 674: 298 2,19: 160; 188: 236; 246: 310; 259: 353; 358: 137; 465: 175; 509: 407; 532: 309; 678: 366 3,14: 286; 88: 244; 170: 185; 236: 425; 425: 289, 329; 510: 287; 594: 286; 611: 124 4,65: 124; 81: 246; 103: 121; 199: 139; 335: 445; 357: 147; 471: 351; 600: 303; 620: 445; 718: 303; 740: 303; 774: 224 5,89: 310; 189: 160; 217: 445; 240 s : 172; 249: 131; 283: 121; 306: 236; 349: 303; 458: 124; 558: 315; 611: 173 6,86: 251; 94: 286; 220: 425; 241: 318; 534: 244 7,282: 216; 378: 216; 382: 244; 403: 84; 435 s : 441; 500: 216; 737: 256 8,104: 441; 177: 276; 208: 369; 219: 328; 584: 310 9,156: 365; 266: 368; 293: 244; 309: 182

10,36: 107; 91: 246; 202: 141; 210: 398; 219 s : 451; 276: 141; 353: 397; 452: 309; 524: 246, 298; 577: 401 11,71: 348; 191: 138, 236; 209: 227; 259: 286; 492 s : 430; 592–595: 450; 608: 327 12,175: 397; 252: 430; 249 s : 236; 496: 427; 556: 276; 659: 236; 724: 425; 752: 262 13,54: 319; 127: 106; 134: 398; 142–144: 427; 142: 427; 191: 407; 276: 246; 317: 333; 330: 185; 462: 175; 537: 286; 556 s : 425; 694: 345; 697: 276; 705: 236; 752: 286; 787: 352; 801: 244; 895: 306 14,20: 124; 106: 139; 177: 241, 284; 245: 303 15,7: 440; 37: 338; 327: 286; 416: 352; 439 s : 442; 497: 272; 576: 106; 664: 166; 713: 444; 792: 165 16,42: 94; 72: 348; 78: 141; 96: 165; 139: 200; 168: 286; 229 s : 340; 273: 328; 301: 85; 385: 173; 436: 332; 536: 374; 607 s : 411; 654: 452 17,154: 364; 265: 353; 277: 405; 404: 378; 434: 360; 473: 175; 544: 246 Sisenna (Peter) hist 48: 357 Sophocles Trach 1055: 100 Statius Ach 1,46: 247; 232: 429; 400: 351; 583: 341; 643: 440; 720: 318; 811: 382 silv 1,1,59: 287; 1,76: 244; 1,106: 103; 4,100: 231 2,1,29: 124; 1,86: 93; 3,76: 327 3,1,49: 244; 1,75: 296; 3,196: 235; 4,20: 379; 4,71: 224; 4,76 s : 147; 5,13: 413; 5,56: 87 4,1,16: 297; 2,13: 97; 3,113: 276; 3,123: 441; 3,137: 380; 4,26: 84; 6,40: 278; 6,104: 244

c) Autori antichi e tardoantichi

5,1,20: 332; 1,201: 251; 1,208 ss : 294; 2,72: 201; 2,109: 140; 3,223: 351; 3,264: 201; 3,274: 327 Theb 1,55: 256; 69: 92; 84: 124; 135: 288; 166: 165; 199: 102; 202: 257; 249: 251; 354: 166; 560: 333; 632: 94; 713: 259 2,41: 397; 51: 205; 74: 298; 115 s : 442; 153: 327; 223: 286; 310: 321; 441: 204; 595: 329; 704: 246 3,26: 406; 83: 361; 166: 124; 304 s : 255; 578 s : 92; 616: 84; 633: 287 4,30: 186; 294: 288; 307 s : 419; 413: 249; 423: 351; 440: 284; 692: 435 5,98: 264; 248: 296; 260 s : 97; 267: 166; 300 s : 368; 315: 425; 340: 397; 535 s : 97; 586: 444; 587: 268 6,136: 248; 268: 286; 290 s : 265; 550 s : 96; 576: 188; 638: 427; 894: 84; 906: 361 7,38: 288; 166 s : 97; 206: 152; 367: 353; 438: 397; 497: 244 8,21: 319; 184: 338; 275: 264; 345 s : 160 9,50: 437; 56: 374; 346: 87; 446: 165; 601: 170; 607: 256; 631: 344; 699: 397; 824: 251; 886: 344 10,11: 237; 125: 441; 305: 347; 379: 303; 489: 420; 564: 190; 580: 357; 608: 398; 618: 166; 910: 338 11,319: 287; 599: 272; 676: 248 12,456: 303; 621: 188; 677: 348; 698: 165; 816 ss : 446 14,627 s : 160 Sulpicius Severus chron 1,17,5: 160 dial 2,8,6: 169 Svetonius gramm 4,4 s : 18 Otho 5,1: 95 Tib : 11,5: 397 Vit 8,1: 397

Symmachus epist 5,66,4: 147 Tacitus Agr 25,3: 313 ann 1,2,1: 117; 73,2: 452 3,66,1: 452 4,60,1: 330 6,17,3: 367 15,50,1: 220; 57,2: 301 hist 1,37,2: 290 2,10,2: 323; 36,1: 310 4,22,3: 322 5,4,3: 416 Terentianus Maurus praef 24: 204; 1010: 201 Terentius Ad 885: 316; 990: 215 Andr 631: 288 Eun 1010: 372 Hec 13: 318; 77: 341; 362: 365 Phorm 5: 318; 462: 341 Tertullianus anim 14,4: 405 15: 361 23,1: 119 50,55: 171 55,2: 211 apol 2,2: 359 6,6: 183 21,17: 360 bapt 16,2: 443 19,8: 171 carn 20,3: 369

505

506

Index locorum

cult fem 2,1,1: 108 fug 12,4: 370 idol 4,1: 448 adv Iud 1,5: 152 7,1: 369 9,22: 202 10,11: 378 13,11: 378 adv Marc 3,6,10: 418; 7,8: 329; 19,1: 379; 24,1: 202 4,9,6: 116; 16,12: 152; 25,15: 241 5,6: 401; 11,1: 145 mart 3,1: 317 nat 1,5 ,8: 411; 13,3: 416 2,11,13: 183 orat 13: 361 22,3: 406 paenit 6,5: 444 9,4: 371 praescr 8,5: 140 adv Prax 3,1: 115 pudic 7,11: 447 14,17: 318 18,14: 447 19,5: 443 resurr 12,6: 241 51,30: 95 57,2: 101 spect 30,1: 171 test anim 6,5: 103 uirg uel 2,4: 254

Tibullus 1,2,13: 418; 2,25: 242; 5,9: 226; 10,53: 224; 10,61: 332 2,1,89 s : 397; 4,21: 209; 5,29: 384 3,7,114 s : 281 Tubero hist 9 [Peter, I, p 311, 6]: 236 Tyconius in apoc 3: 190 Ulpianus dig 17,2,63: 109 28,6,8: 167 37,14,1: 327 43,12,1,16: 119 reg 19,6: 147 Valerius Flaccus 1,11: 244, 256; 58: 225; 71 s : 353; 79: 434; 80: 333; 114: 284; 225: 236; 250 s : 298; 387: 163; 651: 246; 663: 160; 666: 200; 673: 334; 736: 358; 823: 340 2,47: 434; 88: 157; 113: 224; 123: 372; 138 s : 178; 223: 414; 280: 295; 289: 303; 516: 124; 560: 328; 610: 200; 623–626: 404 3,29: 420; 47: 380; 49: 296; 152: 444; 210: 186; 456: 247; 521: 246; 625: 442; 677: 124; 735: 306 4,7: 224; 92–94: 397; 260: 287; 315 s : 146; 372: 287; 745 s : 362 5,3: 94; 207: 244; 251: 445; 269: 276; 273: 236; 405: 309; 498 s : 446; 530: 162 6,95: 397; 212: 256; 515: 270; 663: 124; 679: 268; 739: 137 7,148: 327; 285: 303; 297: 325; 301: 321; 348: 232; 380: 406; 431: 246; 443: 225, 302 8,14: 257; 54: 246, 296; 176: 435; 195: 246; 304: 349; 402: 333; 414: 200 Valerius Maximus 1,1,3: 378 2,7,1: 380 5,1,1: 228; 2 ext 4: 94

c) Autori antichi e tardoantichi

6,2,3: 380 9,10,2: 327

Varro ling 7,42: 140 Men (Astbury) 160: 213; 372: 374; 539: 217 Venantius Fortunatus carm 1,15,55: 246; 15,57: 246 2,3,7–10: 379 3,7,21: 369 4,26,96: 246 5,5,31: 301; 5,33: 92 6,5,5: 191; 5,359: 246 8,1,45: 246; 3,25: 246; 3,102: 246; 3,136: 246; 4,33: 246 10,5,8: 246; 12b,3: 89 11,6,6: 246 Mart 1,1: 301; 12–25: 30; 126: 328; 443: 248 2,265: 143; 310: 242; 327: 289; 398: 173; 459: 93 3,107: 301; 441: 246; 459: 246 Ps Venantius Fortunatus carm app 1,209: 103 Vergilius ecl 1,37: 384; 43: 182; 64 s : 262; 273–274: 284 2,44: 129 3,60: 140 4,5: 380; 27: 146; 33: 168; 43: 295; 49: 195 5,68: 188, 389 6,79: 209 8,60: 411; 92: 258; 101: 247 9,27 ss : 118 10,42: 207; 52: 84 georg 1,24–42: 446; 23: 400; 45: 168; 92: 347; 168: 448; 187: 158; 203: 303; 211: 155; 245: 398; 270: 333; 375 s : 256; 424: 347; 439: 23, 158, 310; 463–468: 396 2,25: 160; 35: 131; 47: 429; 203: 168; 226: 342; 231: 157; 248: 158; 250: 398; 321: 347; 338: 253; 369: 360; 425: 188;

507

461 s : 117; 466: 189; 490: 176; 508: 430; 523: 128 3,67: 227; 68: 97, 249; 99–100: 165; 106: 406; 136: 288; 287: 207; 291: 124; 294: 244; 549: 272 4,1: 129; 90: 103; 116: 322; 154: 444; 249: 94, 323; 252: 226; 255: 104; 353: 238; 413: 284; 415: 246; 441: 262; 499 s : 396; 508: 23; 559–566: 446; 560–561: 446; 562: 446 Aen 1,20: 324; 50: 276; 56: 135; 65: 157; 71: 182; 89: 290; 101: 23; 140: 103; 142: 308; 174–176: 188; 175 s : 184; 209: 251; 225: 23, 157; 229: 306; 249: 253; 251: 194; 263: 309; 278: 142, 302; 282: 379; 297– 304: 424; 297: 246; 298 s : 211; 353: 295; 359: 272; 369: 173; 371: 242; 381: 182; 393: 182; 406: 198, 295; 494 s : 131; 497: 309; 509: 396; 535: 396; 566: 137; 574 s : 238; 675: 108; 712: 437 2,42: 238; 57 s : 348; 62: 23, 249; 64: 335; 97: 206; 99: 358; 126: 182; 129: 248; 153: 361; 161: 437; 165: 83; 200: 297; 208: 413; 248: 157; 260: 339; 309: 427; 313: 160; 399 s : 262; 436: 264; 486–488: 235; 535: 276; 537 s : 221; 558: 275; 561: 210; 576: 365; 619: 138; 679: 235; 693: 23, 424; 711: 85, 322; 749: 262; 757: 235; 770: 190; 779: 451; 790: 221; 798: 311 3,66: 247; 102: 405; 103: 131; 138: 139; 145: 220; 239 s : 407; 246: 242, 248; 356: 23; 363: 333; 375: 380, 427; 389: 220; 410: 397; 447: 163; 456: 149; 518: 182; 530: 186; 566: 259; 590: 396; 597: 172; 625: 23; 665: 396 4,9: 354; 136: 309; 186: 343; 206–278: 424; 211–214: 94; 268 s : 442; 304: 329; 344: 241; 362: 81; 374: 207; 429: 411; 477: 238; 533: 276; 553: 248; 560: 302; 565: 305; 574: 442; 578: 257; 580: 319; 590: 224; 597: 374; 630: 246; 639: 138; 657: 278; 683–684: 361; 693–705: 424; 695: 390 5,56: 219; 58: 228; 75: 348; 138: 406; 161: 329; 282: 195; 361: 195; 377: 253; 399:

508

Index locorum

219; 408: 413; 409: 242; 452: 210; 455: 256; 463: 138; 464: 23; 482: 242; 503: 253; 556: 398; 561: 182; 601: 89; 606– 658: 424; 649: 341; 652: 247; 664 s : 226; 671: 222; 707: 380; 806: 140 6,42: 252; 46: 268; 56: 213; 109: 193; 176–178: 252; 185: 276; 255: 340; 275: 227; 296: 120; 341: 306; 499: 329; 501: 365; 506: 398; 528 s : 338; 536: 396; 549: 406; 616: 421, 424; 628: 221; 651: 172; 706: 128; 761 s : 401; 774: 304; 828: 240, 278, 419; 849: 390; 857: 138; 876: 448; 899: 306 7,6: 23; 156 s : 225; 159: 398; 192 s : 206; 210: 103; 212: 391; 267: 434; 322: 241; 323: 221; 384: 309; 461: 427; 471: 221; 509: 160; 536 s : 410; 558: 451; 628: 138; 634: 272; 660: 429; 703: 85; 737: 167; 770–773: 240 8,24: 142; 30: 405; 88: 398; 97: 396; 181: 282; 225–227: 255; 245: 120; 262: 255; 282: 398; 407: 23, 185; 423: 424; 455 s : 343; 457: 374; 498: 138; 541: 221; 546: 306; 572: 304; 625: 385; 627: 136; 658: 437; 664: 424; 698: 159 9,17: 198, 295; 56 s : 172; 73: 444; 85: 135; 93: 165; 111: 155; 146: 173; 161: 182, 421; 166 s : 298; 207: 421; 236: 185; 240–243: 271; 272: 182; 276: 244; 343: 275; 397: 138; 401: 93; 403: 256; 459: 416; 478: 224; 545–547: 437; 556: 23; 600: 92; 644–658: 424; 739: 305; 752: 139, 404; 813: 305; 818: 261 10,2: 264; 18: 119; 46 s : 191; 58: 241; 88 s : 362; 108: 165; 196: 255; 228: 306; 285: 246; 355: 258; 379: 246; 414: 315; 419: 313; 433: 380; 444: 246; 447: 353; 475: 315; 512: 269; 633: 221; 704: 104; 715: 319; 743: 157; 791: 249; 813: 332; 860: 200; 872: 256; 873: 398; 875: 255; 892 s : 253 11,9: 182; 22: 298; 25: 411; 62 s : 237; 67: 169; 87: 298; 120: 23, 112; 161: 182; 172: 140; 176: 434; 192: 160; 234 s : 23, 263; 326: 182; 335: 220; 377: 242, 248; 454 s : 23, 185; 482: 23; 501: 232, 287; 507: 421; 616: 398; 651: 106; 784: 256;

840: 242; 847: 316; 857: 338; 867: 185; 877 s : 407; 881: 258; 897: 23, 424 12,22: 284; 81: 221; 87: 290; 104: 87; 132: 291; 140: 255; 145: 207; 163: 182; 175: 319; 182: 333; 185: 27; 196: 256; 206: 374; 222: 186; 238: 357; 247: 121; 254: 360; 278 s : 23, 310; 328: 140; 351: 276; 391: 236; 401: 398; 407: 186; 433: 129; 434: 310; 437: 437; 441: 221; 464: 265; 493: 265; 603: 366; 606 s : 399; 609: 332; 631: 421; 647: 123; 668: 256; 682 s : 238, 301; 697: 247; 708: 206; 720: 315; 816: 328; 829: 294; 867: 301; 899: 182; 904: 255; 935: 251 Ps Victorinus Christ 55–57: 259; 55: 260; 56: 227; 72: 309 vita Dom 66: 227 Vitruvius 8,3,4: 301 9,8,4: 139 10,3,7: 139 Zeno Veronensis 1,2,168: 143; 5,6: 183; 36,21: 87 2,3,11: 87

d) Autori medievali e umanistici Adamnanus Hiensis loc sanct 1,17,3: 366 Aldhelmus aenigm 8,4: 397 10,1: 394 carm eccl 4,4,8: 217 uirg 2527: 400 Beda Cuthb 1,535: 176 loc sanct 3,4 ss : 366

d) Autori medievali e umanistici

Bernardus Claraevallensis laud. milit 22: 410 Bonifatius carm 1,99: 152 Carmen de Nynia episcopo 1: 394; 185: 394 Erasmus Roterodamus epist 49 Allen, 85–90: 31 Ermoldus Nigellus Hlud 1,370: 345 Hrabanus Maurus laud 1 fig IV 18: 401

509

Hrotsvitha ascens 114: 433 Iudas 2,404: 381 Petrarca buc carm 10,313–328: 11, 31 Poeta Saxo Annales de gestis Caroli magni imperatoris 3,69: 411 Ricardus passio Catharinae 1,255: 394 Vita Leudegarii 2,200: 408

pa l i ng e n e s i a Schriftenreihe für Klassische Altertumswissenschaft

Begründet von Rudolf Stark, herausgegeben von Christoph Schubert.

Franz Steiner Verlag

ISSN 0552–9638

72. Hans Bernsdorff Hirten in der nicht-bukolischen Dichtung des Hellenismus 2001. 222 S., geb. ISBN 978-3-515-07822-1 73. Sibylle Ihm Ps.-Maximus Confessor Erste kritische Edition einer Redaktion des sacro-profanen Florilegiums Loci communes, nebst einer vollständigen Kollation einer zweiten Redaktion und weiterem Material 2001. 12*, CVIII, 1153 S., geb. ISBN 978-3-515-07758-3 74. Roderich Kirchner Sentenzen im Werk des Tacitus 2001. 206 S. mit 4 Tab., geb. ISBN 978-3-515-07802-3 75. Medard Haffner Das Florilegium des Orion Mit einer Einleitung herausgegeben, übersetzt und kommentiert 2001. VII, 267 S., geb. ISBN 978-3-515-07949-5 76. Theokritos Kouremenos The proportions in Aristotle’s Phys. 7.5 2002. 132 S., geb. ISBN 978-3-515-08178-8 77. Christian Schöffel Martial, Buch 8 Einleitung, Text, Übersetzung, Kommentar 2002. 723 S., geb. ISBN 978-3-515-08213-6 78. Argyri G. Karanasiou Die Rezeption der lyrischen Partien der attischen Tragödie in der griechischen Literatur Von der ausgehenden klassischen Periode bis zur Spätantike 2002. 354 S., geb. ISBN 978-3-515-08227-3 79. Wolfgang Christian Schneider Die elegischen Verse von Maximian Eine letzte Widerrede gegen die neue christliche Zeit. Mit den Gedichten der

80.

81.

82.

83.

84.

85.

86.

87.

Appendix Maximiana und der0 Imitatio Maximiani. Interpretation, Text und Übersetzung 2003. 255 S., geb. ISBN 978-3-515-07926-6 Marietta Horster / Christiane Reitz (Hg.) Antike Fachschriftsteller Literarischer Diskurs und sozialer Kontext 2003. 208 S., geb. ISBN 978-3-515-08243-3 Konstantin Boshnakov Die Thraker südlich vom Balkan in den Geographika Strabos Quellenkritische Untersuchungen 2003. XIV, 399 S., geb. ISBN 978-3-515-07914-3 Konstantin Boshnakov Pseudo-Skymnos (Semos von Delos?) Ta; ajristera; tou` Povntou Zeugnisse griechischer Schriftsteller über den westlichen Pontosraum 2004. X, 268 S., geb. ISBN 978-3-515-08393-5 Mirena Slavova Phonology of the Greek inscriptions in Bulgaria 2004. 149 S., geb. ISBN 978-3-515-08598-4 Annette Kledt Die Entführung Kores Studien zur athenisch-eleusinischen Demeterreligion 2004. 204 S., geb. ISBN 978-3-515-08615-8 Marietta Horster / Christiane Reitz (Hg.) Wissensvermittlung in dichterischer Gestalt 2005. 348 S., geb. ISBN 978-3-515-08698-1 Robert Gorman The Socratic Method in the Dialogues of Cicero 2005. 205 S., geb. ISBN 978-3-515-08749-0 Burkhard Scherer Mythos, Katalog und Prophezeiung

88.

89.

90.

91.

92.

93.

94.

95.

96.

Studien zu den Argonautika des Apollonios Rhodios 2006. VI, 232 S., geb. ISBN 978-3-515-08808-4 Mechthild Baar dolor und ingenium Untersuchungen zur römischen Liebeselegie 2006. 267 S., geb. ISBN 978-3-515-08813-8 Evanthia Tsitsibakou-Vasalos Ancient Poetic Etymology The Pelopids: Fathers and Sons 2007. 257 S., geb. ISBN 978-3-515-08939-5 Bernhard Koch Philosophie als Medizin für die Seele Untersuchungen zu Ciceros Tusculanae Disputationes 2007. 218 S., geb. ISBN 978-3-515-08951-7 Antonina Kalinina Der Horazkommentar des Pomponius Porphyrio Untersuchungen zu seiner Terminologie und Textgeschichte 2007. 154 S., geb. ISBN 978-3-515-09102-2 Efstratios Sarischoulis Schicksal, Götter und Handlungsfreiheit in den Epen Homers 2008. 312 S., geb. ISBN 978-3-515-09168-8 Ugo Martorelli Redeat verum Studi sulla tecnica poetica dell’Alethia di Mario Claudio Vittorio 2008. 240 S., geb. ISBN 978-3-515-09197-8 Adam Drozdek In the beginning was the apeiron Infinity in Greek philosophy 2008. 176 S. mit 11 Abb., geb. ISBN 978-3-515-09258-6 Eckart Schütrumpf Praxis und Lexis Ausgewählte Schriften zur Philosophie von Handeln und Reden in der klassischen Antike 2009. 368 S., geb. ISBN 978-3-515-09147-3 Theokritos Kouremenos Heavenly Stuff The constitution of the celestial objects

and the theory of homocentric spheres in Aristotle’s cosmology 2010. 150 S., geb. ISBN 978-3-515-09733-8 97. Bruno Vancamp Untersuchungen zur handschriftlichen Überlieferung von Platons „Menon“ 2010. 115 S., geb. ISBN 978-3-515-09811-3 98. Marietta Horster / Christiane Reitz (Hg.) Condensing texts – condensed texts 2010. 776 S., geb. ISBN 978-3-515-09395-8 99. Severin Koster Ciceros Rosciana Amerina Im Prosarhythmus rekonstruiert 2011. 178 S., geb. ISBN 978-3-515-09868-7 100. Theokritos Kouremenos Aristotle’s de Caelo Γ Introduction, Translation and Commentary 2013. 121 S., geb. ISBN 978-3-515-10336-7 101. Hendrik Obsieger Plutarch: De E apud Delphos / Über das Epsilon am Apolltempel in Delphi Einführung, Ausgabe und Kommentar 2013. 417 S., geb. ISBN 978-3-515-10606-1 102. Theokritos Kouremenos The Unity of Mathematics in Plato’s Republic 2015. 141 S. mit 8 Abb., geb. ISBN 978-3-515-11076-1 103. Stefan Freund / Meike Rühl / Christoph Schubert (Hg.) Von Zeitenwenden und Zeitenenden Reflexion und Konstruktion von Endzeiten und Epochenwenden im Spannungsfeld von Antike und Christentum 2015. 219 S., geb. ISBN 978-3-515-11174-4 104. Sonja Nadolny Die severischen Kaiserfrauen 2016. 257 S. mit 10 Abb., geb. ISBN 978-3-515-11311-3 105. Michael Müller Tod und Auferstehung Jesu Christi bei Iuvencus (IV 570–812) Untersuchungen zu Dichtkunst, Theologie und Zweck der Evangeliorum Libri Quattuor

106.

107.

108.

109.

110.

111.

112.

113.

114.

2016. 413 S., geb. ISBN 978-3-515-11340-3 Hedwig Schmalzgruber Studien zum Bibelepos des sogenannten Cyprianus Gallus Mit einem Kommentar zu gen. 1–362 2016. 601 S. mit 1 Abb. und 8 Tab., geb. ISBN 978-3-515-11596-4 Stefan Weise (Hg.) HELLENISTI! Altgriechisch als Literatursprache im neuzeitlichen Europa 2017. 389 S. mit 5 Abb., geb. ISBN 978-3-515-11622-0 Armin Eich / Stefan Freund / Meike Rühl / Christoph Schubert (Hg.) Das dritte Jahrhundert Kontinuitäten, Brüche, Übergänge 2017. 286 S. mit 30 Abb., geb. ISBN 978-3-515-11841-5 Antje Junghanß Zur Bedeutung von Wohltaten für das Gedeihen von Gemeinschaft Cicero, Seneca und Laktanz über beneficia 2017. 277 S., geb. ISBN 978-3-515-11857-6 Georgios P. Tsomis Quintus Smyrnaeus Kommentar zum siebten Buch der Posthomerica 2018. 456 S., geb. ISBN 978-3-515-11882-8 Silvio Bär Herakles im griechischen Epos Studien zur Narrativität und Poetizität eines Helden 2018. 184 S., geb. ISBN 978-3-515-12206-1 Christian Rivoletti / Stefan Seeber (Hg.) Heliodorus redivivus Vernetzung und interkultureller Kontext in der europäischen Aithiopika-Rezeption 2018. 229 S., geb. ISBN 978-3-515-12222-1 Friedrich Meins Paradigmatische Geschichte Wahrheit, Theorie und Methode in den Antiquitates Romanae des Dionysios von Halikarnassos 2019. 169 S., geb. ISBN 978-3-515-12250-4 Katharina Pohl Dracontius: De raptu Helenae Einleitung, Edition, Übersetzung und Kommentar

115.

116.

117.

118.

119.

120.

121.

122.

2019. 571 S. mit 14 Abb., geb. ISBN 978-3-515-12216-0 Gregor Bitto / Anna Ginestí Rosell (Hg.) Philologie auf zweiter Stufe Literarische Rezeptionen und Inszenierungen hellenistischer Gelehrsamkeit 2019. 280 S. mit 2 Abb., geb. ISBN 978-3-515-12357-0 Antje Junghanß / Bernhard Kaiser / Dennis Pausch (Hg.) Zeitmontagen Formen und Funktionen gezielter Anachronismen 2019. 235 S. mit 3 Abb., geb. ISBN 978-3-515-12366-2 Stefan Weise Der Arion des Lorenz Rhodoman Ein altgriechisches Epyllion der Renaissance 2019. 321 S., geb. ISBN 978-3-515-12412-6 Katharina Pohl Dichtung zwischen Römern und Vandalen Tradition, Transformation und Innovation in den Werken des Dracontius 2019. 302 S., geb. ISBN 978-3-515-12089-0 Bernd Bader Josephus Latinus: De Bello Iudaico Buch 1 Edition und Kommentar 2019. 256 S., geb. ISBN 978-3-515-12430-0 Marco Palone Le Etiopiche di Eliodoro Approcci narratologici e nuove prospettive 2020. 240 S., geb. ISBN 978-3-515-12612-0 Klaus Meister Studien zur griechischen Geschichtsschreibung Von der Klassik bis zur Spätantike 2020. 346 S., geb. ISBN 978-3-515-12591-8 Anne-Elisabeth Beron / Stefan Weise (Hg.) Hyblaea avena Theokrit in römischer Kaiserzeit und Früher Neuzeit 2020. 216 S., geb. ISBN 978-3-515-12708-0

In piena età costantiniana, probabilmente tra gli anni 329 e 330, il presbitero iberico Gaio Vettio Aquilino Giovenco compose gli Euangeliorum libri quattuor, il primo esempio di riscrittura poetica della Bibbia in lingua latina. Il poema esametrico ripercorre la vita di Cristo sulla base dei Vangeli, soprattutto quello di Matteo. Dopo un’introduzione che illustra le principali questioni legate all’autore e all’opera, il volume offre al lettore il testo criticamente riveduto a partire dall’edizione di J. Huemer (CSEL 24, Vindobonae 1891), una traduzione in italiano e un commento del libro quarto. Quest’ultima parte della

ISBN 978-3-515-12844-5

9

7835 1 5 1 28445

parafrasi, che abbraccia gli eventi finali della vicenda terrena del Salvatore (dalle dispute con scribi e farisei fino alla risurrezione), si chiude con un epilogus programmatico, in cui trova posto la dedicatio all’imperatore Costantino. L’analisi dei procedimenti parafrastici messi in atto dal poeta nel rimodellamento della materia biblica mostra la complessa interazione culturale tra i contenuti elleno-semitici e le strutture espressive della tradizione latina, mettendo altresì in luce, sul piano intertestuale, i debiti imitativi di Giovenco nei confronti dell’epos virgiliano e, più in generale, della poesia classica.

www.steiner-verlag.de Franz Steiner Verlag