Il Vescovo e i filosofi : La condanna parigina del 1277 e l'evoluzione dell'aristotelismo scolastico 8877660848

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Il Vescovo e i filosofi : La condanna parigina del 1277 e l'evoluzione dell'aristotelismo scolastico
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LUCA BIANCHI

IL VESCOVO E I FILOSOFI LA CONDANNA PARIGINA DEL 1277 E L'EVOLUZIONE DELL' ARISTOTELISMO SCOLASTICO

PIERLUIGI LUBRINA EDITORE Bergamo 1990

BIANCHI, Luca Il v~sc?vo e~ filosofi : 1~ condanna parigina del 1277 e l'evoluzione dell ar1stotehsmo scolastico I Luca Bianchi.

Bergamo : Lubrina, 1990. 280 p ; 24 cm. - (Quodlibet ; 6). ISBN 88 7766 084 8 l. Filosofia medioevale 2. Aristotelismo - Sec. XIII 3. Tempier, Etienne. 189

Pubblicazione realizzata anche con iJ contributo del Ministero della Pubbiica Istruzione

INDICE

PREFAZIONE

Note

13 13 16 21 25 31 35 40

Il.

ÜNNIPOTENZA DIVINA E ORDINE DEL MONDO l. Tempier e l' onnipotenza divina 2. La 'dialettica dei poteri divini' 3. Necessita e possibilita 4. L' ordine delle cause seconde 5. La propositio famosa theologorum 6. Il Dio-sovrano 7. La 'metamorfosi del discorso scolastico' Note

63 63 67 72 76 79 82 85 89

III.

PARADIGMA ARISTOTELICO, IMMAGINAZIONE, SCIENZA l. La filosofía aristotelica della natura fra autonomía e ancillarita

I.

IL VESCOVO, I FILOSOFI, E GLI STORICI CONTEMPORANEI l. L' 'esperienza cruciale' di Tempier 2. Questioni di metodo 3. La F acolta delle Arti di fronte alla condanna

4. Articuli Parisienses 5. Controllo dottrinale e liberta di ricerca 6. Symbolum parisinum

ISNB 88 7766 084 8 Copyright © aprile 1990 by Pierluigi Lubrina Editore srl Viale V. Emanuele 19, Bergamo Stampato in Italia

11

2. 3. 4. 5. 6.

Naturaliter loquendo Metamorfosi dell' ancillarita

Al di la del paradigma aristotelico? La teologizzazione del discorso físico Ipotesi e realta: sapere scientifico e potentia Dei ab-

soluta Note

107 107 111 114 117 122 127 133

INDICE

8 IV.

VIRTU, FELICITA E FILOSOFIA

l. Dall' 'averroísmo' al 'contra natura'? 2. 3. 4. 5.

Vita filosofica e 'felicita mentale' Etica cristiana ed etica 'naturale' Filosofi, teologi e simplices Una morale 'nominalista'? 6. Anima/is philosophus Note

CoNCLUSIONE.

Incauta locutio

Note

APPENDICI

l. Sull' edizione degli Articuli Parisienses 2. Ancora sulle fonti di Tempier Note

BIBLIOGRAFIA

Sigle e abbreviazioni Fonti primarie l. Autori antichi e medievali 2. Autori moderni 3. Altre fon ti Letteratura secondaria

149 149 153 159 163 168 172

178 197 200 203 203 205 207 209 209 210

210 219 220

220

INDICE DEI MANOSCRITTI

255

INDICE DEI NOMI

257

I filoso/i si esprimono liberamente e, dinnanzi a realta di/ficilissime a comprendere, non si fanno troppi scrupoli di of/endere le orecchie degli uomini religiosi. Noi invece siamo tenuti a parlare secando regale precise, perché !'arbitrio linguistica non generi opinioni empie su ció di cui si parla. Agostino, De civitate Dei, X, 23

PREFAZIONE

Il presente !avaro trae origine da una tesi di dottorato, stesa negli anni 1984-1986 e discussa a Roma ne! settembre 1987, che comprendeva la sostanza degli attuali capitoli secando, terzo e quarto. Il capitolo primo einvece il frutto di un successivo semestre di ricerca presso l'Institut d'Études Médiévales dell'Universita di Louvain-la-Neuve, reso possibile grazie a una borsa di studio CNR-NATO. Il capitolo secando e stato gfa pubblicato, con il titolo Onnipotenza divina e ordine del mondo fra XIII e XIV seco/o, su «Medioevo», 10, 1984, pp. 105-153: lo riproduco qui, con qualche modifica e molte integrazioni nelle note, con il permesso della redazione e dell'editore della rivista, che ringrazio vivamente. Ne! capitolo quarto ho rifuso, in una struttura profondamente mutata e con ben altra documentazione, parte del!' articolo La felicita intellettuale come professione nella Parigi del Duecento, apparso sulla «Rivista di Filosofia», 78, 1987, pp. 181-199. Il resto e completamente nuovo. Numerase sono le persone che in vario modo mi hanno aiutato ne! corso di questi anni e che mi e caro ringraziare: innanzitutto il Collegio dei Docenti del Dottorato di Ricerca in Filosofía dell'Universita degli Studi di Milano, e in particolare l' aliara direttore del Dottorato, Prof. Mario Da! Pra; la Prof.saJaqueline Hamesse che, accogliendomi all'Institut d'Études Médiévales, di cui e direttrice, mi ha facilitato l' accesso a fonti introvabili in Italia, mi ha fornito preziosi suggerimenti e mi ha insegnato a muovermi con maggior disinvolttira fra i manoscritti; il Dott. Zénon Kaluza, del CNRS di Parigi, che ha letto il dattiloscritto del primo capitolo, formulando critiche e richiedendo precisazioni che ne hanno indubbiamente migliorato la qualita. Pur non essendo in alcun modo responsabili delle tesi qui sostenute, desidero inoltre ricordare quanti, durante seminari, discussioni informali o scambi epistolari mi hanno offerto il loro contributo di informazione e di idee su! pensiero dei secoli XIII e XIV: Padre L.-J. Bataillon (Commissio Leonina - Grottaferrata), il Prof. F.

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Bottin (Universita di Bari), il Prof. W.J. Courtenay (Universita di Wisconsin), il Prof. A. de Libera (École des Hautes Études - Parigi), il Prof. F. Del Punta (Universita di Pisa), il Prof. G. Fioravanti (Universita di Messina), il Prof. A. Ghisalberti (Universita Cattolica di Milano), il Dott. R. Hissette (Thomas lnstitut - Colonia), il Prof. R. lmbach (Universita di Friburgo - Svizzera), il Prof. H.A. Oberman (Universita di Tucson - Arizona), il Dott. P. Porro (Universita di Bari), il Prof. Pietro Rossi (Universita di Torino), la Prof.sa K. Tachau (Universita di Iowa), il Prof. F. Van Steenberghen (Universita di Louvain-la-Neuve), il Dott. R. Wielockx (Albertus Magnus lnstitut - Bonn). Molto debbo anche alla costante collaborazione con Massimo Parodi ed Eugenio Randi (Universita di Milano). La mia piU profonda gratitudine va, ancora una volta, alla Prof.sa Mariateresa Fumagalli Beonio-Brocchieri: relatrice della tesi di dottorato, direttrice - insieme a Massimo Parodi - della collana nella quale questo studio viene pubblicato, ha seguito fin dall'inizio le mie ricerche, ( 51 ); mentre dietro all'assassinio di Sigeri «a clerico suo quasi dementi» non c'e motivo di immaginare escure congiure (52). Resta, comunque, che quegli avvenimenti segnarono la fine della carriera accademica di Sigeri e Boezio (") e, altresl, !'inizio della loro 'sfortuna' - ma, al contempo, della loro 'leggenda'. L'oblio, in effetti, calo rapidamente su Boezio di Dacia. Certo la sua lucida impostazione del rapporto ragione-fede, malgrado il diretto attacco di Tempier ("), continuo a rappresentare una tentazione per molti 'artisti': ma nessuno, che io sappia, oso mai richiamarsi esplicitamente a luí ( 55). Lette e utilizzate da Giovanni di Dacia, da Goffredo Fontaines, forse da Dante (") - le sue opere circolavano perlo píU anonime, o sotto i nomi di Tommaso d' Aquino e di Egidio Romano (57). Stessa sorte tocco a molti scritti di Sigeri di Brabante: e se qui si e potuta invocare una qualche somiglianza paleografica fra segeri ed egidi, le false attribuzioni a Egidio sembrano in realta originate da «delle ragioni di opportunita, il nome di Sigeri essendo abbastanza compromettente in certi ambienti» ("). Proprio le medesime ragioni di opportunita spiegano del resto perché in un manoscritto di Vienna contenente numerose opere sigeriane, il nome dell' autore, indicato in note marginali tramite un crittogramma, nell'indice e ne! testo sía stato píU volte grattato, e sostituito con quello píU innocuo di Pietro d' Auvergne. Si trattava, evidentemente, di una misura precauzionale del possessore, per evitare ogni rischio in tempi di caccia agli 'averroisti' (59). Altri, píU zelanti o piU pavidi, ricorsero a una soluzione ben píU brutale: anziché nasconderne la paternita, cancellarono o distrussero, nei loro manoscritti, ogni passo giudicato a ragione o a torto pericoloso. E il caso, ad esempio, del celebre codice monacense Clm. 9559, dove singoli brani o intere pagine delle questioni sulla Metafisica di Sigeri - attribuite - e delle questioni sulla Fisica e su! De Generatione di Boezio - anonime - vennero coperti da grosse righe e croci di inchiostro nero (60). Ed e il caso, forse ancor píU sorprendente, del codice parigino Nat. lat. 62 86, che la D' Alverny ha felicemente definito un «testimone muto» delle lotte dottrinali di fine Duecento. Si tratta di una miscellanea dalla quale si volle eliminare tutto e solo quanto potesse in qualche modo collegarsi al decreto del 1277. Cosl si risparmiarono I' Asclepius e il De deo Socratis, «di un neoplatonismo abbastanza inquietante», mentre ci si accanl centro un trattato pseudoari-

stotelico sugli elementi, contra un breve commento di Al F arabi all' Etica, contro un frammento di Avicenna, centro le Quaestiones naturales di Adelardo di Bath - un pensatore degli inizi del XII secolo che nulla aveva a che vedere con gli 'averroisti' ma cui furo no fatali le simpatie per la cultura araba; e persino centro il Liber XXIV philosophorum, forse assumendo gli articoli 10 e 11 come un'implicita condanna di ogni forma di 'teología negativa'. «Possiamo cosl ricostruire il piccolo dramma che ha condotto alla mutilazione del manoscritto latino 6286. Copiato senza dubbio in Italia, in un' epoca assai prossima alla condanna di Stefano Tempier, le agitazioni provocate dai dibattiti universitari raggiunsero certo, negli anni seguenti, il suo possessore, ed eccitarono i suoi scrupoli e i suoi timori. II suo esempio e stato seguito da altri? Quanti testi, dei quali non abbiamo piU traccia o dei quali talune allusioni dei contemporanei ci permettono solo di supporre I'esistenza, sono spariti in questo modo?» (61 ) Fortunatamente i meccanismi della censura e dell' autocensura non sempre agirono in modo cosl spietato. Opere di Sigeri - attribuite poterono trovare posto nella biblioteca del piU prestigioso collegio teologice parigino, la Sorbona, accanto a edizioni del Sillabo di Tempier (62 ). Sigeri, del resto, sembra essersi in qualche modo sottratto alla 'congiura del silenzio' che colpl gli altri 'averroisti'. Ricordato con ammirazione da allievi come Pietro d' Auvergne e Pietro Dubois, con rispetto da teologi come Egidio Romano e Giovanni Baconthorpe, la sua fama vareo presto le Alpi, giungendo a Dante, che com'e noto gli fece posto ne! Paradiso ( 63 ). L'Italia, del resto, sarebbe rimasta sempre tetra favorevole al maestro di Brabante, il cuí pensiero vi sarebbe stato discusso fino a tutto il XVI secolo (64). Quest'ultima constatazione invita peraltro a interrogarsi sulla continuita della tradizione 'averroísta', troppo facilmente data per morta all'indomani dell'editto del 1277. Esso - si e scritto - «mise fine almovimento eterodosso», che sarebbe riapparso solo «con Giovanni di Jandun» (65). Persino uno dei massimi specialisti in materia, pur rifiutando prudentemente ogni pronunciamento definitivo, ha suggerito che il controllo dottrinale fosse divenuto «cosl severo che nessun sintomo del pensiero eterodosso si manifesto per lungo tempo»; e ha parlato di una rifondazione «quasi ne! vuotm> di una nuova 'scuola averroísta' su! finire del XIII secolo (66). La questione, in realta, e assai complessa; e lo e tanto piu quanto píU si allarghi la prospettiva dall' 'averroísmo' in senso stretto - una particolare interpretazione del De anima di Aristotele - a quell'intricato in-

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IL VESCOVO, I FILOSOFI, E GLI STORICI CONTEMPORANEI

sieme di posizioni teoriche e di assunti di metodologia e deontologia professionale, a quell' originale concezione del filosofare di cui Sigeri di Brabante e Boezio di Dacia furono i campioni. Ora, le nostre conoscenze sulla Facolta delle Arti di Parigi da! 1280 in avanti - e fino almeno al 1310 - sono talmente scarse da importe la sospensione di ogni giudizio. Ci mancano, infatti, dati elementari, al punto che persino stendere una lista completa dei maestri presenta non poche difficolta. Spesso, poi, ai loro nomi non corrisponde alcuna opera attribuita, o solo il titolo di opere mai rinvenute: mentre immenso e il numero degli scritti anonimi da studiare (67). Si aggiunga che il poco che si e fatto e si sta facendo riguarda per lo pill i trattati di logica e i commentari aristotelici, ossia un insieme di scritti dí primaria importanza, che tuttavia non esanriscono la produzione filosofica della Facolta delle Artí. Nella prospettiva della presente ricerca sarebbe anzi utilissimo disporre di un' ampia campionatura di questioni disputate; ma la ricerca storica su questo genere della letteratura scolastica medievale ha finora privilegiato in modo pressoché esclusivo la Facolta di Teologia (68). Colmare queste !acune esula dai compiti che mi sono proposto: si tratta del resto di un lavoro immenso che potra essere affrontato solo da un' équipe di studiosi. Era pero indispensabile richiamare I' attenzione su di esse; come e doveroso confessare un conseguente, consapevole limite della mia indagine, che non approfondisce quanto sarebbe auspicabile l'accoglienza e le reazioni che il nostro Sillabo ebbe nell'ambiente degli 'artisti'. Non sara superflua, comunque, qualche osservazione di carattere generale. In via preliminare bisogna chiedersi in quale misura I' impressione di un prevalere, dopo il 1277, di posizioni moderate, dipenda in realta dalla pervicace tendenza a collocare ogni testo 'radicale' prima di quella data; proprio presupponendo inverosimile che qualcuno si sia permesso di difendere pubblicamente una tesi condannata (69). Impiegato sistematicamente questo criterio discutibilissimo (70 ), ci si troverebbe di fronte all'immagine rassicurante di una Facolta delle Arti ricondotta all'ordine da! provvidenziale intervento episcopale: quest'immagine sarebbe pero il riflesso non della realta storica, bensl di una petizione di principio storiografica. Inoltre e bene rilevare come qualche sondaggio compiuto su taluni scritti sicuramente successivi al 1277 mostri il convivere di una certa prudenza con l'esercizio - se non pill la rivendicazione - di una piena indipendenza intellettuale. Cosl se l' affermazione del primato della fede -

unita magari a un'insistenza un po' manierata sull'imperscrutabilita dei disegni divini e sul motivo 'agostiniano' della non meritorieta della credenza in quanto e dimostrato - e costante, costante e anche la netta distinzione fra la verita religiosa e que! che puo concludersi dai principi dell'esperienza (ex sensatis o ex sensibilibus) (7 1); e se le formule prudenziali si sprecano, abbastanza rari sembrano sia i casi di autocensura (7') sia gli omaggi all'auctoritas di Tempier (73 ). Non manco, anzi, qualche secca risposta polemica. Chiamato direttamente in causa in quanto fautore di alcune tesi condannate, Giacomo di Douai approfitto del!' occasione offertagli da! commento ai Meteorologica non solo per precisare il suo pensiero (74), ma anche e soprattutto per stigmatizzare i comportamenti che avevano condotto alla drammatica conclusione della 'crisi averroista'. Pur non risparmiando critiche a quei sedicenti filosofi - a suo giudizio dotati solo di un'infarinatura di filosofia - che minacciavano la fede cristiana (75 ), Giacomo se la prendeva soprattutto con i censori, affermando senza mezzi termini che le loro acense nascevano dalla malizia e dall'invidia, e si radicavano nell'ignoranza: poiché costoro - scriveva - «ignorant quid est erroneum et quid non erroneum». Di qui - egli lamentava - un discredito generalizzato contro gli 'artisti', che impediva il progresso del sapere, in ambito filosofico ma anche in ambito teologico: Et licet ita sit quod philosophia sit hominis magna perfectio, uerumtamen uiri philosophíci hiis diebus sunt oppressi [. .. ] Unde hoc quod uiri 6 philosophici sunt sic _oppressi multes retrahit a uia philosophica (7 }.

4.

Articuli Parisienses

Benché gli obiettivi dichiarati dí Tempier fossero degli 'artisti', !'eco del suo intervento non poteva limitarsi alla sola Facolta delle Arti; tanto pill che le tesi da lui censurate coinvolgevano questioni - dall' onnipotenza divina alla contingenza del mondo, dalla liberta umana alla definizíone della virtu - che erano al centro del dibattito teologico. Non a caso quanti hanno parlato di un' influenza dottrinale di quell'intervento l'hanno fatto quasí sempre a proposito di teologi: si trattasse di Riccardo di Mediavilla o di Duns Scoto, di Raimondo Lullo o di Meister Eckhart (77). In effetti, fra i teologi la conoscenza del decreto del 1277 non mancava. Basta qualche sondaggío per rendersi conto di come la sua circolazione manoscritta sia stata vastissima, ínteressando tutti i grandi centri

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Il.. VESCOVO, I FILOSOFI, E GLI STORICI CONTEMPORANEI

universitari europei (78 ). CiO spiega l'altissima frequenza di citazioni o di riferimenti agli articoli condannati, riscontrabile in quasi tutti i pfü significativi pensatori scolastici, dalla fine del XIII secolo in avanti: senza apprezzabili differenze conseguenti vuoi al luogo di formazione e di insegnamento, vuoi ali' appartenenza a un particolare ordine religioso (79). Inserito spesso in piU ampie raccolte di 'errori', individuati nei testi dei filosofi pagani da qualche difensore della fede oppure oggetto di altri divieti ecclesiastici (80 ), l' editto di Tempier, nuova fon te di innumerevoli argomenti d'autorita (81 ), divenne infatti un imprescindibile strumento di !avaro che molti amavano tenere costantemente sottomano: qualcuno, del resto, non manca di ricordarcelo (82 ). Ancora in pieno XIV secolo, parlando semplicemente di articuli con o senza la specificazione geografica parisienses - ci si riferiva in genere a quelli colpiti da! vescovo Tempier ne! 1277; che venivano talvolta designati come articuli antiqui per differenziarli piU chiaramente dai novi, novelli, o f!Osteriores: ossia dagli altri ne! frattempo a vario titolo condannati (83 ). E del resto assai significativo che ne! 1364, volendo inserire negli statuti della neonata Facolta teologica dell'Universita di Bologna le tre principali liste di proposizioni proibite a Parigi, Ugolino da Orvieto si sia risparmiato la fatica di trascriverne una, perché universalmente nota: e si trattava, verosimilmente, proprio del nostro Sil/abo (84). Esso, dunque, circolava, ma in versioni differenti. Oltre ai manoscritti che lo riproducevano ne! suo tenore originale, cominciarono infatti a diffondersene ben presto altri, nei quali gli articoli venivano raggruppati secando un qualche ordine tematico. Grandissima diffusione ebbe soprattutto la cosiddetta Collectio errorum in Anglia et Parisius condemnatorum, un vero e proprio corpus di dottrine censurate. In omaggio ali' origine inglese del compilatore, essa si apriva con la condanna oxoniense del 1277, seguita da quelle parigine del 1241, del 1270 e infine del 1277: i cui articoli erano accorpati sotto diciassette rubriche (85 ). Questa divisione in capitoli - come si vede, una pratica inaugurata ben prima di Pierre Mandonnet (86) - , se ha finito per creare un cerio caos nelle citazioni del decreto parigino (87), mirava pero a facilitarne la consultazione e !'uso (88 ). Del resto ben altri sforzi vennero compiuti in questa direzione: dai semplici indici alfabetici per materia (89 ) fino a dei veri e propri commentari, che esponevano il senso delle proposizioni condannate e chiarivano perché esse fossero pericolose e inaccettabili. Il piU celebre di questi commentari e senz' altro quello sieso ne! 1298 da Raimondo Lullo, sotto forma di un dialogo fittizio con un improbabile So-

crate, sprovveduto portavoce del polimorfo 'paganesimo' denunciato dallo zelante vescovo di Parigi (90). Ma non meno interessante e il commento che, alla meta del XIV secolo, Corrado di Megenberg si sentl in dovere di inserire all'interno del terzo libro del suo trattato di economia, dedicato ali' organizzazione della domus scholastica, a manito dei pericoli insiti in ogni eccessivo attaccamento agli studi filosofici (91); per non parlare di quello anear pili tardo, risalente al XV secolo, segnalato da Martin Grabmann (92). La straordinaria risonanza della condanna del 1277, comunque, non fu fenomeno spontaneo. In primo luogo perla ragione assai ovvia che si trattava di un provvedimento dichiaratamente restrittivo e repressivo, la cui osservanza era imposta sotto la minaccia di una scomunica episcopale; che avrebbe colpito non solo chi avesse sostenuto qualcuno dei duecentodiciannove 'errori' ma anche i suoi ascoltatori, qualora non lo denunciassero entro una settimana al vescovo o al cancelliere (93 ). Veniva casi istituito un sistema delatorio, la cui efficacia era peraltro rafforzata da! preesistente divieto di insegnare in locis privatis (94 ); e che, almeno per qualche decennio, funziono egregiamente (95). In secando luogo non si devano dimenticare i provvedimenti di 'politica culturale' assunti da talune autorita, religiose e accademiche. I primi a muoversi furono i frati Minori. Ne! 1279 il loro Capitolo generale, riunitosi ad Assisi, ne! rinnovare il divieto delle Costituzioni Narbonensi di sostenere dottrine comunemente rigettate dai confratelli, precisava: «et potissime opiniones a domino Episcopo et magistris Parisiensibus reprobatas» (96). Tredici anni dopo, le Costituzioni di Parigi ribadivano il concetto, diffidando i membri dell' ordine dallo scrivere e dal sostenere, in pubblico o in privato, «aliquam opinionem corruptam, non sanarn ve! ah episcopo et magistris Parisiensibus communiter reprobatam» (97): una formula, quest'ultima, che ne! corso del XIV secolo sarebbe stata pili volte ripresa in documenti ufficiali di parte francescana (98). Si aggiunga che il minore inglese Guglielmo de la Mare, ne! suo Correctorium di Tommaso d' Aquino - da cui furono tratte poi le anonime Declarationes - aveva rinfacciato fra l'altro all'illustre teologo domenicano di aver insegnato o almeno favorito numerase tesi messe all'indice da Tempier (99). Ora, il Capitolo generale tenutosi a Strasburgo ne! 1282, aveva ufficialmente accolto le preoccupazioni dottrinali di Guglielmo, deliberando addirittura che la Summa Theologiae del!' Aquinate non potesse essere data in lettura agli studenti dell'ordine senza l'antidoto delle Declarationes (1ºº). La condanna di Tempier, la sua autorita, i1 senso da

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attribuirle, !a misura del coinvolgimento dell' Aquinate divenivano cosl un ulteriore motivo di contesa fra i francescani ed un ordine domenicano che si andava sempre pill allineando sulle posizioni temiste (101). Numerosi furo no quindi i domenicani che replicarono sdegnati, cercando di scagionare completamente i1 loro maestro dalle accuse mosse da Guglielmo (102 ), e partecipando aquella campagna d' opinione perla revisione del provvedimento di Tempier - di sui si dira meglio fra breve (101 ) - che avrebbe messo capo, all'indomani della canonizzazione dell' Aquinate, ali' annullamento da parte del nuovo vescovo di Parigi S tefano di Bourret defü condanna degli articoli «quantum tangunt ve! tangere asseruntur doctr1nam beati Thomae» (104 ). Vale la pena di chiarire fin d'ora che il coinvolgimento di Tommaso era, entro certi limiti, inevitabile, data la contiguita fra talune sue prospettive teoriche e il dettato di un certo numero di articoli censurad il 7 marzo 1277 (105 ): benché sia ormai ampiamente dimostrato che in quell'occasione Tommaso venne colpito solo indirettamente. Grazie a Robert Wielockx sappiamo infatti che Tempier prosegul senza indugio la sua azione inquisitoria, censurando Egidio Romano - teologo spesso vicino ali' Aquinate - e quindi aprendo centro quest'ultimo un vero e proprio processo postumo; che pero venne prima tirato perle lunghe, poi definitivamente insabbiato grazie alle pressioni dei domenicani. Ora se - come spesso si epreteso - dietro la facciata di un attacco agli 'artisti' il vero obiettivo, gia il 7 marzo, fosse stato Tommaso, che,senso poteva avere !'apertura di un distinto procedimento contra di lui? E quindi evidente che Tommaso non fu né la fonte né il bersaglio diretto dell' azione del 7 marzo; ma e altrettanto evidente che quell' azione era solo il primo momento di una strategia pill vasta, orchestrata da! vescovo di Parigi contro un complesso movimento di idee del quale Tommaso era uno dei protagonisti (106 ). L'interrogativo sollevato da alcuni storici, se la stessa data scelta per I'intervento 'antiaverroista' - il 7 marzo 1277 ricorreva il terzo anniversario della morte dell' Aquinate - sia una mera coincidenza oppure !' espressione di «una malizia di cattivo gusto», resta peraltro aperto (107). Tornando ai francescani, va sottolineato come la loro duplice mossa abbia avuto un molo fondamentale nell' assicurare lunga fortuna agli articoli parigini: sel' averli accostati al nome illustre dell' Aquinate li ~oll?cª: va al cuore del dibattito teologico, !' avervi indicato, nelle Cost1tuz10m generali, un criterio negativo di ortodossia ~ dotava - quale c?e fosse, alla luce del diritto canonico, il loro effettlvo valore (108 ) - di una costrittivita universale, senza distinzioni geografiche, per tutti i membri di

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un ordine tanto influente e tanto presente nella cultura scolastica (109). Ma quegli articoli vennero imposti, e in qualche modo recepiti, anche dalla legislazione ecclesiastica e accademica. Non e un caso, credo, che dalla fine del XIII secolo, fra i peccati dei quali il vescovo di Parigi si riservava la confessione, figurassero anche quelli «de erroribus condempnatis per papam ve! episcopum» (110). E non e un caso che da allora il cancelliere il rettore e l'universita di Parigi siano stati chiamati ad intensificare le ~isure centro ogni forma di devianza intellettuale: dei teologi, verrebbe da dire, pill ancora che degli 'artisti'. In effetti se da questi ultimi si continuo a pretendere i1 vecchio giuramento che, in conformifa allo statuto del 1272 della stessa Facolta delle Arti, vietava loro di compiere sortite in campo strettamente teologice, o di determinare in modo irriguardoso per la fede questioni di confine fra filosofía e teología (111 ), ai baccellieri sentenziari si richiese il preventivo impegno davanti al cancelliere a non insegnare tesi contrarie alla morale e alla verita cristiana, «seu in favorem articulorum in Romana curia ve! Parisius condampnatorum»: impegno unanimemente ricordato, in occasione dei processi centro Dionigi Foullechat, Giovanni di Monzon e Jean Petit, da alcune fonti universitarie, fra cui i cancellieri Pier d' Ailly e Giovanni Gerson (112 ). Quest'ultimo si premurava di sottolineare che una simile usanza era diffusa non solo a Parigi, ma anche in altre universita: e citava espressamente quella di Bologna ("'), cui dovranno aggiungersi almeno quelle di Vienna, di Colonia e di Erfurt (114). L'interesse di queste testimonianze - che peraltro colmano una !acuna delle informazioni trasmesseci dal Chartularium dell'universita parigina (115 ) - risiede anche e soprattutto ne! loro carattere tardo. Averle riportate alla luce consente infatti di confutare ~efinitivam~nte I' i~otesi, formulata da Anneliese Maier, secondo la quale ti decreto di Temp1er sarebbe caduto nell' oblio assai presto, specie dopo I' annullamento del 1325 da parte di Stefano di Bourret. Una simile ipotesi, gia ampiamente i?verosimile alla luce dell' ampia documentazione a suo tempo prodotta da Pierre Duhem e recentemente ripresa da Edward Grant, e stata contestata con ottimi argomenti da Roland Hissette ("'). Bastera quindi aggiungere come, accanto alla loro persistente influenza dottrinale, che si cerchera di approfondire ulteriormente nei capitoli seguenti, que! che non venne meno fu lo stesso valore giuridico del Sillabo di Tempier: che ufficialmente rimase in vigore, a Parigi e altrove, per tutto il Trecento e o!tre (:'.')" Del resto, I' annullamento di Stefano di Bourret era lung1 dall rnf!ciarne l' autorita, da! momento che la formula adottata - «quantum tan-

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gunt ve! tangere asseruntur» - era limitativa e generica al contempo, e lasciava del tutto indeterminato quali articoli andassero considerati soppressi. Cosl Giovanni Baconthorpe, attaccando la posizione 'intellettualistica' di Goffredo Fontaines e dei suoi seguaci e accusandoli di contraddire esplicitamente il dettato di alcuni articoli condannati, poteva concludere: In hoc aliquis faciat sibi conscientiam, quod lic~at opinari contra articulas, quia Episcopus Parisiensis suspendebat sententiam ex consensu Magistrorum anno domini millesimo trecentesimo vigesimo quarto, ut licite possint disputare, et opinari de articulis factis contra s. Thomam. Quia isti articuli, qui sunt de libertate voluntatis, non fuerunt facti contra eum (118).

Per di piU l' annullamento - benché reiterato ne! 13 36 (119) - fu ; e il seguente passo di ENRico DI FruEMAR, citato da STROICK 1954, n. 68, p. 66: «nam sicut Deus habens potestatis plenitudinem in naturalibus potest agere contra cursum naturae faciendo per miraculum quod aliquid existens in igne non calefiat, licet ignis naturaliter calefaciat, sic etiam summus pontifex propter suae potestatis plenitudinem potest facere per miraculum in positivis quod aliquis in jurisdictione et dyocesi praelati non sit ei subiectum».

(156) «Nec in moralibus scientiis nec in naturalibus oportet semper uti rationibus demonstrativis sed aliquando licet uti probationibus persuasibilibus». Cosl BURIDANO, Q. in Ethic., V, 28, f. 114v. Ma si pensi anche ad una figura come Nicola di Autrecourt, su cuí DAL PllA 1951, spec. pp. 90-106. Tutto da ridefinire eil rapporto fra probabilismo trecentesco e probabilismo 'averroísta': le pagine che Weinberg ha dedicato all'argomento (WEINBERG 1948, pp. 115-126) risultano infatti superate, fondate come sono sulla caricaturale immagine di Sigeri presentara da Mandonnet e ormai definitivamente ripudiata dalla storiografia pill attenta.

(146) potestate ordinaria singula immediate agit, sed quodam ord.ine creaturarum, quem ipse immediate creavit. Potestate vero absoluta singula immediate agere potest, que sue non derogant dignitati». Cosl, commentando l'articolo 94 del Sil/abo di Tempier, CORRADO DI MEGENBERG, Ycon., III, 1, 14, 9, III, pp. 161-162. Ma si veda anche supra, pp. 79-80.

(157) E interessante notare come appena un secolo dopo la sua faticosa affermazione fra gli attributi divini (in proposito SWEENEY 1957a, pp. 38-51 e SWEENEY 1957b, pp. 233-245), l'.infinita fosse gia sentita come un limite: ÜRESME, ad esempio, insisteva che la potenza e la perfezione di Dio non sono infinite, ma «plus que infinie». Cfr. Du Ciel, II, 3 e 8, pp. 300 e 364.

( 147) Di qui le reazioni di quanti temevano si finisse per scardinare completamente la struttura piramidale e gerarchica della Chiesa. E il caso di Giovanni di Pouilly, preoccupato in particolare di rivendicare il ruolo dei curati, che né il papa né Dio stesso pottebbero sostituire de potentia ordinata: una precisazione, quest'ultima, che non bastO a evitargli noie disciplinari. Cfr. KocH 1973, II, pp. 391-392 e 413-414.

(158) AJ di Ja di qualche forza tura polemica contra Courtenay, mi sembrano dunque sostanzialmente condivisibili le osservazioni di CLAruc 1978, pp. 151-153. Pur se non agisce de potentia absoluta, il Dio di Ockham, guidato solo dall'imperscrutahile liberta del suo volere, lascia l'uomo in una sostanziale incertezza gia riguardo a quanto puO accadere de potentia ordinata. II riferimento del Quodl., VI, 1, OT, IX, p. 586, al mutamento di fondamentali prescrizioni etico-religiose introdotto dalla Rivelazione e assai indicativo ed avrebbe conosciuto larga fortuna. Ma anear pii.1 notevoli mi paiono alcuni passi generalmente trascurati ove - riecheggiando Scoto -1' ordinatio viene chiaramente intesa come contenente disposizioni mutevoli nel tempo: cfr. Sent., I, 17, 1, OT, III, p. 460; Sent., IV, 6, OT, VII, p. 85; Quaest. Variae, 1, 3 e 6, 11, 2, OT, V!II, pp. 25-26 e 295-296.

(148)

E quanto sosterranno, in pieno XVII secolo, alcuni polemísti inglesi fautori di casa Stuart. Cfr.

ÜAKLEY (149) ( 150)

1968, pp. 339-341.

Mi riferisco ovviamente al sottotitolo di

LEFF

1977.

Di grande utilita sarebbe un'analisí che documentasse quantitativamente il progressivo incremento, fra Duecento e Trecento, delle questioni di possibilita rispetto alle questioni di fatto. Per il momento bastera ricordare come uno dei primi ambiti in cuí, gia nel XIII secolo, questa tendenza cominciO a manifestarsi, fu la controversia de aetemitate mundi: i precisi vincoli dogmatici che imbrigliavano la discussione teorica - a ragione o a torto tlltti gli scolastici ritenevano la temporalitli

(159) CLARK 1978, p. 152, ha felicemente parlato di una «rivelazione storica» che Dio concede all'uomo del suo potere.

(160) Sí considerino affermazioni come le seguenti: «nec ad negandum aliquid posse fieri virtute divina experimenta sufficiunt, cum totum ordinem causarum naturalium possit deus immutare. Et contra cursum communem causarum naturalium constat eum multa fecisse» (GUGLIELMO DI ÜCKHAM:, De

LUCA BIANCHI

ONNIPOTENZA DIVINA E ORDINE DEL MONDO

Sacr. Alt., 6, ff. non numerad); ~quantum ad certitudinem experientiae, credo quod nulla est certi· tudo creata ita certa de aliqua re presenti, quin posset esse falsa per mutationem» (ROBERTO HoLKOT, Sent., IV, 3, ad 2, fogli non numerad).

ricordare, ad ogni modo, che la 'storia della storiografia' sui rapporti fra cartesianesimo e dibattíto scolastíco intorno alla tromperie divine inizia perlomeno con il Dictionnaire di Bayle (voce Rimini (Gregoire de), p. 57 B).

I04

(161) GREGORY

1974, spec. pp. 505-512;

GREGORY

1984b, spec. pp. 187-189.

(162) Sent., I, Pro/., 1, OT, I, pp. 38-39. Ma si veda anche Quodl., V, 5 e VI, 6, OT, IX, pp. 495-500 e 604-607. (1 63 ) Pur discostandosi anche molto profondamente dalla loro interpretazíone dei testi per sottoli-

neare l'effettiva problematicita del nesso fra intuizione e evidenza, la storiografia piU recente sembra in sostanza accogliere la 'riabilitazione' della gnoseología occamista operata da Boehner e Day, e rifíutare ogni lettura la Michalsky ín chía ve puramente fenomenistica e scettica. Cfr. RICHARDS 1968, pp. 345-363; ScoIT 1969, pp. 27-49; McCoRD AnAMs 1970, pp. 389-398; GmsALBERTI 1972, pp. 68-69; BoLER 1973, pp. 95-106; STREVELER 1975, pp. 223-235; DAVIS 1975, pp. 411-429; LEFF 1977, spec. pp. 15-29; VAN NESTE 1977, spec. pp. 116-119; GmsALBERTI 1976, pp. 13-17; GmsAL· BERTl 1978, pp. 207-226.

a

( 164) Cfr. almeno NARDI 1952, pp. 60-67; LEFF 1957, pp. 250-254; LEFF 1963, pp. 30-31; GREGO· RY 1974, pp. 497-505; GREGORY 1984b, pp. 190-192; CovA 1976, pp. 227-251; nonché il testo pub· blicato ín KENNEDY 1985, spec. pp. 132-137 e 150.

( 165) Non a caso nel tentativo di salvare la certezza della conoscenza lo 'scettico' Gíovanni di Mirecourt fu costretto a fornire un'ínterpretazione assai debole di quel postulato: «ad primum contra quartam conclusionem negatur assumptum sic intelligendo, quod possibile foret deum se solo causa· re aliquam actionem et tamen ista sit actio agentís, nec illud est principium theologorum, sed_bene illud: cuiuslibet causae secundae actionem deus potest supplere, et illud est verum». Cito da VAN NESTE 1977, n. 60, p. 124. (166)

NICOLA DI AuTRECOURT, Ep. an Bern., 1, p. 6.

(167) Una netta reticenza a spingersi sul terreno della potentia Dei absoluta traspare ad esempío in Q. in Metaph., IV, 12, f. 21v e nel passo del commento all'Etica citato in/ra, p. 172. Sulla fedeltil di Buridano all'impostazione epistemologica caratteristica degli 'artisti' paríginí, infra, pp. 122-123 e 171-173.

("") Cfr. REINA 1966, pp. 683-690. ( 169 ) Cfr. Q. in Metaph., II, 1, ff. 8r-10r. In proposito, REINA 1966, pp. 684-687; GHISAl.BERTI 1975, pp. 212-214; GREGORY 1984b, p. 191.

Che la tematica della potentia Dei absoluta rientri di diritto nella tradizione della 'teología negativa' stato recentemente suggerito da GmsALBERTI 1986, pp. 49-50. ( 17º)

( 171)

e

In proposito, GENEST 1984; pp. 198-199.

( 172) «Si deus posset dicere falsum [. . .] deus posset non esse deus [. ..] Et [. .. ] si deus vellet mentid, deus non esset deus». SetJt., I, 42-44, 2, III, p. 398. In proposito, LEFF 1961a, pp. 100-104; GREGO· RY 1974, pp. 484-489. ( 173 ) Lo hanno documentato NARDI 1952, pp. 66-67 e, pill ampiamente, GREGORY 1974, pp. 477-516. Sí vedano - ma con cautela - anche i contributi di DE MURALT 1966 e DE MURALT 1976. E bene

(174) Sent., I, 42-44, 2, III, p. 398. L'articolo del 1277 richiamato da Gregario n. 122, pp. 189-190.

e il 4, citato in/ra,

III. PARADIGMA ARISTOTELICO, IMMAGINAZIONE, SCIENZA

Alla vera filosofia spetta di derivare le natu-

re delle cose dalle cause realmente esistenti e di indagare quelle leggi con le quali il sommo Artefice volle ·stabilire il meraviglioso or-

dine di questo mondo; non le leggi con le quali avrebbe potuto stabilirlo, se gli fosse parso opportuno. Roger Cotes, prefazione alla seconda edizío-

ne dei Principia di Newton

1.

La filosofia della natura aristotelica fra autonomía e ancillarita

All'interno della piU recente storiografia sulla scienza medievale e non, specie di lingua inglese, sembra essersi ormai imposta una precisa immagine del ruolo della grande condanna di Tempier: vigorosa e salutare reazione contro il 'dogmatismo' aristotelico e 'averroísta'-, essa avreb.be riattivato lo spirito critico e l'immaginazione scientifica consentendo, grazie a spregiudicate utilizzazioni in chiave euristica e analitica della potentia Dei absoluta, di prendere in considerazione situazioni controfattuali, di elaborare suggestive 'esperienze mentali', di formulare ipotesi audaci e di costruire originali modelli della realta. Tutto cío avrebbe in breve tempo condotto a risultati estremamente positivi, come le prime affermazioni del vuoto intra e extracosmico, della rotazione terrestre o della pluralita dei mondi, offrendo quindi un contributo decisivo alla messa in questione del tradizionale 'cosmo chiuso' ed aprendo lastrada aquell'universo infinito che si sarebbe definitivamente imposto con Copernico, Keplero e Galileo (1). Dietro la superficiale copertura di una fraseología attenta alle suggestioni delle epistemologie di moda, non e difficile scorgere qui le struttu-

LUCA BIANCHI

PARADIGMA ARISTOTELICO, IMMAGINAZIONE, SCIENZA

re portan ti del vecchio impianto duhemiano (2). Rifiutata solo la provocatoria indicazione del 7 marzo 1277 come 'data di nascita' della scienza moderna, resta infatti la paradossale funzione liberatoria e cat.artica accordata a un intervento indiscutibilmente restrittivo e repress1vo; resta la fuorviante riduzione del discorso a un paio di tematiche fisicocosmologiche, quindi a due o tre fra i duecentodiciannove articoli censurati; e resta, specialmente, l'anacronistico approccio 'modernista' che, valutando gli eventi del XIII e XIV secolo con il metro di quanto accadde ne! XVII, identifica l' ostacolo da superare in un indeterminato aristotelismo, e coglie quindi un progresso in ogni sortita antiaristotelica, di qu.alsiasi genere e provenienza (3). Ora, un approccio di questo genere, smtomo del persistente complesso di inferiorita di una medievistica che non si sente legittimata finché non individua 'precorrimenti', non e solo metodologicamente discutibile, ma rappresenta anche un grave freno a una adeguata comprensione del significato della filosofía naturale del basso medioevo: i cuí meriti furono ben piU notevoli che non I' aver fornito qualche vaga anticipazione di quella cosmología che Fontenelle avrebbe volgarizzato a uso e consumo dei salotti illuminati; e i cuí limiti furono ciononostante tanto profondi che solo in un senso ben definito possiamo vedervi un'indispensabile precondizione della scienza moderna. Per evitare fraintendimenti, mi pare indispensabile muovere da una attenta considerazione del lavoro svolto ne! corso del Duecento dagli aristotelici, e in particolare dai maestri delle Facolta delle Arti. Costoro non furono, come qualcuno si ostina a credere, gli antenati del Simplicio galileiano, bensl i primi in ambito cristiano a impostare, se non a realizzare, un organico programma di indagine sulla realta física. In altri termini, essi furono i primi a prendere davvero su! serio la rivoluzione intellettuale introdotta nell' occidente latino da! recupero dei libri naturales dello Stagirita, che offrivano il quadro categoriale per pensare concretamente la struttura di que! mondo cuí la riscoperta Meta/isica veniva restituendo autonomía ontologica. Non piU ridotto o riducibile a mero scenario del dramma religioso, carico di significad simbolici edificanti, esso si imponeva come oggetto centrale della riflessione filosofica, pronta a aggredirIo con una strumentazione concettuale ben piU ricca, coerente e potente di quella messa a disposizione, cent' anni prima, da! sincretismo platonizzante della scuola di Chartres: la Fisica, il De cae/o, il De generatione et corruptione costituivano le fonti di un 'paradigma' entro il quale era possibile sviluppare una vera e propria tradizione di ricerca ('). Sorgevano tuttavia non pochi problemi. Innanzitutto problemi di con-

tenuta. In quegli scritti, infatti, erano presenti dottrine incompatibili con la fede cristiana, prima fra tutte quella del!' eternita del mondo. Cfo spiega le immediate e decise resistenze delle autorita ecclesiastiche, che dapprima cercarono di impedirne la diffusione e la circolazione tramite divieti e restrizioni, poi ne chiesero censure ed emendamenti; e anche di fronte alla loro adozione come testi di insegnamento, sancita dallo statuto della Facolta delle Arti di Parigi del 1255, conservarono un atteggiamento di preoccupata diffidenza se non di aperta ostilita ('). Tanto piu che mentre la Meta/isica, oltre a mimetizzare maggiormente le sue potenzialita 'eversive' (6), palesava elementi di indubbio interesse perla cultura cristiana, quali ]' affermazione delle sostanze immateriali e la dimostrazione dell'esistenza e dell'unicita di Dio, i libri naturales stentavano a scrollarsi di dosso il sospetto di essere la tipica incarnazione della vana curiositas, di un riprovevole, colpevole interesse per quanto non e essenziale in vista dell'unico vero scopo dell'esistenza umana, la salute dell'anima. Gilberto di Tournai non faceva che esprimere un sentimento largamente condiviso quando paragonava quanti «pertinaci et inutili labore naturas rerum inquirunt» a quegli uccelli notturni che si fanno catturare lasciandosi abbagliare dalla luce (7). Siamo cosl al secando ordine di problemi, ai problemi di metodo. Che senso, che funzione, che spazio aveva o doveva avere la conoscenza del naturale? Ove le questioni strettamente epistemologiche si intrecciavano e interagivano con la dinamica dei concreti rapporti istituzionali e accademici. Sede preposta alla ricerca e all'istruzione scientifica erano infatti le F acolta delle Arti, prima tappa della formazione universitaria da cuí si accedeva alle Facolta di Legge, Medicina e, specialmente, Teología. Di qui una considerazione puramente propedeutica e fortemente eterodiretta degli studi del settore: trasparente ne! divieto di dedicarvisi in forma continuativa e stabile, sintetizzata dall'adagio non est senescendum

ro8

in artibus (8). Fra i primi a prendere posizione in proposito spicca Ruggero Bacone, uno degli antesignani dell'insegnamento aristotelico a Parigi, ben attento, da buon discepolo del Grossatesta, alla filosofía naturale. Alla luce della metafora dei 'due libri', la decifrazione del liber creaturarum gli appariva imprescindibile precondizione di una piena intelligenza di que! Testo Sacro ne! quale ogni verita era stata implícitamente e sinteticamente racchiusa; ma solo in questa finalita esplicativa essa trovava un suo senso e una sua legittimazione. L'enfasi era tutta su! carattere unitario, onnicomprensivo e organico di un sapere dalla natura squisitamente salvífica,

IIO

LUCA BIANCHI

di cui le singole scienze non etano che 'membra', prive di ogni valore intrinseco e di ogni vita autonoma. Il principio di ispirazione agostiniana che «ab uno Deo data est tota sapientia et uní mundo, et propter finem unum» diveniva strumento di subordinazione delle differenti discipline alla teologia come scientia dominatrix; una subordinazione che non ammetteva deroghe e forniva anzi un drastico criterio di validita e di verita. CiO che non e direttamente risolubile nell' assoluta certezza della rivelazione, di necessita la contraddice, quindi e falso ed erroneo. Né si pensi - concludeva Bacone in un passo centrale dell' Opus Maius - che vi possano essere saperi diversi da quello religioso e tuttavia non contrari ad esso: infatti se non sempre diversita e sinonimo di contrarieta, lo e certo nella sapientia christiana, che e totalizzante ed esclusiva, come conferma il detto evangelico «qui non est mecum, contra me est» (9). Non e dunque un caso se agli occhi di Ruggero l' enciclopedismo del suo illustre contemporaneo Alberto di Colonia abbia rappresentato una sorta di modello negativo. Esso, in effetti, era espressione di un atteggiamento sostanzialmente differente di fronte alla sfida dell'irruzione aristotelica. Anziché di una riforma culturale tanto radicale da doversi trasformare in rigenerazione morale e política, Alberto riteneva fosse giunto il momento di un ripensamento critico dei maggiori risultati teorici raggiunti in ogni campo da! pensiero antico, che promuovesse la definitiva emancipazione intellettuale della cristianita. Nasceva da questo spirito il grandioso progetto di una sistematica esposizione e parafrasi dell'intero corpus aristotelicum, di vari scritti pseudo-aristotelici e di alcuni trattati boeziani; progetto realizzato nell' arco di una quindicina d' anni, con una viva sensibilita per le peculiarita, le partizioni e i reciproci rapporti fra le molteplici regioni del sapere (1°). Fortissima in Alberto era d'altronde l'esigenza di distinguere nettamente l'indagine razionale dalla sovrarazionale adesione ai dogmi di fede. Il filosofo - Alberto amava ripetere - si interessa solo della legalita della natura, senza fare riferimento all'istituzione di questa legalita né, quindi, all'eventualita di una sua sospensione o violazione, o tantomeno all'ipotesi di una sua completa ridefinizione de potentia Dei absoluta (11 ). Cosl ali' interno di un'indagine física non doveva esservi spazio perla considerazione di interventi sovrannaturali di demoni, di angeli, o di Dio stesso: secondo una celebre invocazione, «nihil ad me de Dei miraculis cum ego de naturalibus disseram» (12). Al contrario era lecito tentare di spiegare nei termini della sola causalita seconda fenomeni anomali, tradizio-

PARADIGMA ARISTOTELICO, IMMAGINAZIONE, SCIENZA

III

nalm~nt.e ri~en:iti. m~acolosi, come certe visioni e apparizioni, 0 addirittura 1 diluv1 di biblica memoria (1 3). In tal modo, pero, diveniva indispensabile precisare di volta in volta a qu~le livello di discorso ci si muovesse, perché su determínate questioni -:- s1 trattasse della creazione e annichilazione del mondo, della resurre~10ne. d~ll~, carne o dell_'immortalita dell' anima - le risposte dei diversi spec1ahsti potevano divergere drammaticamente: «de inceptione mundi - leggiamo ad esempio - aliter loquitur naturalis, et aliter metaphysicus, ~t ali ter theologus» (1 4). E difficile stabilire se e quanto Alberto si rendesse conto che da una simile impostazione potevano trarsi conclusioni dirompenti rispetto all'ideale di una sapientia christiana unitaria. E noto peraltro come entro la sua opera sterminata sia tutt' altro che agevole rintracciare una linea di pensiero defin!tª. e univoca, e quindi alla lettura qui proposta se ne pot'.ebbero verosmillmente contrapporre altre, che privilegiassero quelle pagine-. che cer'.o.non mancano - ove si prospettava invece una piU compatta ricompos1z10ne del sapere, come struttura integrata i cui elementi si d~spo~es~ero in precisi rapporti di inclusione e di subordinazione (1'). Oscillaz1oru analoghe, anche se piil marcate, si riscontrano del resto in quasi tutti i teologi del XIII secolo, spesso disposti a locali riconoscimenti dell' auto:io?1i.a diversi ª:i'biti della ricerca scientifica, ma sempre preoccupatl di ribad1re ad ogru modo l'indiscutibile primato della teologia. Un primato la cui affermazione poteva passare attraverso lo schema 'forte' della reductio bonaventuriana come attraverso opportune riletture della stessa epistemologia aristotelica. L'idea dell' ancillarita della filosofía, .e in ~rimo .luogo della filosofia naturale, rispetto alla teologia, non era mfatti solo il retaggio di una tradizione antiintellettualistica risalente ai Padri; in certo senso era anche una logica trasposizione di que! model. lo di sudditanza gerarchica che lo Stagirita aveva indicato alle 'scienze particolari' per esaltare nella metafisica la 'filosofía prima' (1').

de!

2.

Naturaliter loquendo

E p:oprio ?gni scontata e aproblematica fiducia nella possibilita di una stabile a~ch1tettura del conoscere entro la quale le distinzioni presupponessero e nmandassero a un' originaria unita pienamente attingibile solo a livello teologico che gli 'averroisti' misero definitivamente in crisi. Per comprendere come e perché e indispensabile tenere presentí alcuni ben noti avvenimenti.

LUCA BIANCHI

PARADIGMA ARISTOTELICO, IMMAGINAZIONE, SCIENZA

L'anno 1270 si era concluso con il primo intervento censorio del vescovo Tempier, che il 13 dicembre aveva pubblicato una lista di tredici «errori» - dall'unita dell'intelletto all'eternita del mondo e della specie umana, da! determinismo psicologico e astrale alla negazione della provvidenza divina - pericolosi perla fede (1 7). Forse a causa della sua stessa rigidita - l'esprimere le dottrine riprovate nella loro forma piU astratta e piU forte lasciava spazio a facili scappatoie e dissociazioni di responsabilita (18) - quest'intervento si dimostro ben presto inadeguato a fronteggiare la situazione. Fu allora la maggioranza moderata della Facolta delle Arti a prendere l'iniziativa, promulgando nell' aprile del 1272 uno statuto che impartiva direttive drasticamente restrittive della liberta di ricerca e di insegnamento, allineate con le richieste dei teologi piU conservatori, Bonaventura in testa. Bisognava anzitutto evitare di compiere azzardate sortite su! terreno strettamente teologico, come le imprudenti discussioni di Sigeri e altri circa l' azione del fuoco infernale sulle immateriali sostanze separate; bisognava rifuggire qualsiasi eresia; bisognava infine impegnarsi a confutare tutte le dottrine contrarie alla religione cristiana che si incontrassero nei testi filosofici, oppure dichiararle assolutamente false e totalmente erronee, per trincerarsi poi dietro il comedo schermo del silenzio:

do stese il trattato De aeternitate mundi, vero manifesto culturale ove i presupposti epistemologici dell' aristotelismo radicale venivano perla prima volt a esplicitati e compendiati con una certa sistematicita (22 ). Rivelazione religiosa e ricerca razionale - sosteneva Boezio - non si contraddicono né possono fario, collocandosi su due piani diversi, fra loro non interferenti (23 ). CiO significava che ogni apprensione, especialmente ogni pretesa di intromissione e di controllo da parte dei teologi era tanto ingiustificata quanto dannosa. Ogni disciplina scientifica era, ne! suo ambito, assolutamente sovrana, e doveva essere lasciata libera di ricavare con coerenza le conseguenze dei suoi principi. Solo le conseguenze: rinunciando a qualsiasi azione di sostegno e di fiancheggiamento, la ragione non si proponeva piU il compito di escogitare argomenti e esempi confortanti il dogma. Tutte le conseguenze: se dai principi costitutivi di una disciplina derivavano teoremi apparentemente contrari alla fede, ali' interno e relativamente aquella disciplina essi andavano affermati, per non comprometterne irrimediabilmente lo statuto scientifico e ripiombare ne! regno delle piU incontrollate e incontrollabili fantasie (24). Cosl per stare al tema di cui Boezio maggiormente si occupava, assumendolo come tutti i suoi contemporanei come esemplare - solo ilfidelis, alla luce del primo versetto del Genesi, era certo dell'inizio del mondo, che né il metafisico né il matematico né il fisico sapevano o potevano dimostrare. Il fisico, assumendo l'esistenza del moto come un principio, doveva anzi rifiutare con Aristotele la 'novita' del moto e del mondo, poiché «sicut consequens ex principiis est concedendum, sic repugnans est negandum» (25 ). Quindi la medesima proposizione - il moto e il mondo hanno avuto inizio - veniva contemporaneamente affermata da! cristiano e negata da! philosophus natura/is, in quanto tale (26). Si trattava di una posizione sottile ma - come ormai tutti riconoscono - pienamente coerente e del tutto ortodossa, non della subdola indicazione di una improbabile 'doppia verita' (27 ). Che cosl sía stata letta e pero un fatto - e un problema. In realta, Boezio e gli altri 'averroisti' non contestavano certo l'unicita della verita: aristotelici profondi e conseguenti condividevano senza esitazioni l' assioma, risalente ali' Etica Nicomachea, che omnia vera vero consonant (28); credenti sinceri, identificavano la verita assoluta (simpliciter) con il contenuto della Rivelazione cosl come veniva tradizionalmente interpretato dalla Chies a (29). Que! che essi effettivamente contestavano era invece l'unita del sapere. Traendo le logiche conseguenze di que! processo di specializzazione avviatosi ormai da alcuni decenni sotto la spinta di precise esigenze epi-

I I2

si magister vel bachellarius aliquis nostre facultatis passus aliquos difficiles vel aliquas questiones legat vel disputet, que fidem videantur dissolvere, aliquatenus videatur; rationes autem seu textum, si que contra fidem, dissolvat vel etiam falsas simpliciter et erronea totaliter esse concedat, aut aliter hujusmodi difficultates vel in textu vel in auctoritatibus disputare vel legere non presumat, sed hec totalíter tamquam erronea pretermittat (").

Abbia o meno un significato ne! quadro delle lotte per il controllo di una Facolta dilaniatasi in occasione dell'elezione del nuovo rettore, un regolamento di questo genere si configurava anzitutto come un diretto attacco a quell' originale modo di intendere e praticare il ruolo del magister artium proprio di Sigeri di Brabante e di Boezio di Dacia (20); i quali, non a caso, replicarono. Il primo rivendico con forza il diritto-dovere di presentare il pensiero dei 'filosofi' nella sua effettiva consistenza, senza edulcorarlo o camuffarlo con astoriche letture concordistiche, e senza censure o autocensure che ne mutilassero assurdamente la partí piU restie a farsi 'battezzare': «sententia Philosophi ah his qui eius libros suscipiunt exponendos, non est celanda, licet sit contraria veritatis» (21 ). Il secan-

II}

LUCA BIANCHI

stemologiche e didattiche, essi non fecero che dare dignita culturale alla · loro coscienza professionale di maestri della Facolta delle Arti, istituzionalmente chiamati a sviluppare - talvolta su! medesimo oggetto teorico - una molteplicita di analisi indipendenti; analisi fra loro coordinate grazie allo schema della subalternatio, mala cuí reciproca consonanza, e soprattutto la cui perfetta rispondenza al dogma di fede non erano pill garantite a priori ('°). Il sintagma loquens ut naturalis, típicamente sigeriano e boeziano, e destinato a una straordinaria fortuna (' 1), serviva quindi a sottolineare la non assolutezza, ad annunciare la relativizzazione del discorso filosofico in generale, físico in particolare; ma ritagliava anche lo spazio protetto entro il quale la nuova figura dell'intellettu~e 'speci~­ sta' intendeva muoversi con piena indipendenza, senza subue la continua, soffocante supervisione dei teologi (32 ). Costoro potevano certo opporre alle 'probabili' conclusioni ricavate dalla considerazione dei principi e delle cause naturali la consapevolezza dell' azione delle cause sovrannaturali: ma secando l'indicazione di Alberto Magno l'appello al miracolo e ali' onnipotenza divina non doveva intaccare la strutturale autonomia delle scienze, bensi configurarsi come salutare richiamo alla inevitabile limitatezza e condizionalita di ogni loro dimostrazione (33 ). In questa perentoria rivendicazione di una reale liberta della ragione, e non in pretese tentazioni di restaurazione pagana, stava la vera 'er~sia' degli 'averroisti'. All'ideale agostiniano, poi baconiano e bonaventuriano di una sapientia teocentrica o meglio cristocentrica, sintesi di ogni dialettica fra credere e comprendere, la cuí unita era preventivamente postulata e poi realizzata con qualche disinvoltura, essi sostituivano un'immagine del sapere come costruzione umana, priva di qualsiasi intento apologetico; come rete di teoremi sintatticamente validi, ma talvolta falsi, se giudicati con il criterio assoluto della fede anziché con locali nozioni intrateoriche di verita ("). 3.

Metamorfosi dell' ancillarita

Si spiegano cosi i contrasti, le violente opposizioni e i fraintendimenti pill o meno innocenti da parte di tanti teologi, non solo conservatori. Vedremo fra breve quale scempio del testo boeziano abbia fatto la commissione censoria riunitasi intorno a Tempier ("); ma per comprendere quanto le resistenze e le incomprensioni fossero diffuse mi paiono preziose due testimonianze cronologicamente precedenti. La prima e quella offertaci da Egidio Romano in un passo delle Quae-

PARADIGMA ARISTOTELICO, IMMAGINAZIONE, SCIENZA

II5

stiones de generatione et corruptione che attrasse l' attenzione di Anneliese Maier. Scagliatosi controla tesi - che sarebbe stata condannata nell'articolo 108 - secondo la quale anche la Prima Causa necessiterebbe della materia per agite (36), Egidio ricordava come Aristotele aves se sostenuto l'impossibilita della creazione ex nihilo in nome dell'immutabilita divina; e si affrettava a scusarlo, essendo a suo giudizio pill che legittimo non trattare, all'interno di un discorso físico, di un evento non físico come la creazione. Tuttavia - egli precisava - se era giusto che, in quanto naturalis, non si fosse occupato del sovrannaturale, non avrebbe pero dovuto negarlo: Ideo phylosophus non ponendo aliquid produci ex nihilo et non ponendo posse procedere novum a primo agente absque actione secondarum causarum non peccavit, immo tenebatur non ponere, quia hoc erat praeter principia naturalis philosophiae. In qua sic ponitur tamquam prímum motus et transmutatio ergo quae absque transmutatione et motu producuntur in esse, talia non debet ponere philosophus naturalis. Sed licet non peccaverit philosophus in non ponendo praedicta peccavit tamen in negando ea. Nam etsi non spectat ad quamlibet scientiam ponere quamlibet veritatem, spectat tamen ad omnem scientiam non ponere aliquam falsitatem; propter quod si naturalis philosophus non debuit ponere deum posse de novo aliquid ex nihilo producere vel in nihilum redigere, quia hoc erat praeter naturalis philosophiae principia, tamen non debuit hoc negare (3 7).

Gia su! piano del giudizio storico emergeva una sostanziale divergenza nei confronti degli 'averroisti'. Se un Boezio di Dacia o l' Anonimo di Delhaye giustificavano pienamente lo Stagirita perla sua posizione eternalista (38), Egidio teneva ben fermo un grave capo di accusa: non a caso era autore di un fortunatissimo trattato contro i 'filosofi', ove agli aristotelici venivano rinfacciati numerosissimi 'errori', fatti risalire tutti all'incomprensione della causalita creatrice e agli inevitabili 'sofismi' che ne derivavano (39). Su! piano epistemologico poi, il contrasto, sfuggito alla Maier, era nettissimo. Disposto ad ammettere solo che ogni scienza ha un suo oggetto determinato, non coincidente con la totalita del reale, Egidio rifiutava invece la conseguenza forse meno piacevole e tuttavia qualificante dell'impostazione boeziana: che lo 'specialista' di un qualunque campo del sapere dovesse negare qualsiasi enunciato incompatibile con i principi da luí assunti, falso o vero che fosse (40). Intese non come sistemi assiomatico-deduttivi, indiscutibilmente utili ma fallibili, bensi come gradini per innalzarsi verso quella verita assoluta che spettava alla teologia definire e dispensare, le scienze particolari conservavano solo la par-

LUCA BIANCHI

PARADIGMA ARISTOTELICO, Th1MAGINAZIONE, SCIENZA

venza dell' autonomía, ma scontavano di fatto le condizioni dell' ancillarita. Cosl, ne! successivo commentario al secondo libro delle Sentenze, il loro stesso ordinamento gerarchico diveniva piU modello ideale che sanzione di un concreto comportamento rispettoso delle frontiere disciplinari. Esigenze didattiche e teoriche - l'imperfetta preparazione degli studenti e la presenza di !acune e falsita all'interno della eredita del pensiero classico - legittimavano a detta di Egidio l'interventismo dei teologi anche al di fuori dell' ambito loro proprio, finalizzato a un chiaro ristabilimento della verita:

di una marcata polemica - assai significativa considerato che siamo intorno al 1276 (43 ) - contro non ben identifícate velleita di assolutizzare i risultati della filosofía e delle scienze, la cuí sudditanza rispetto alla teología veniva invece ribadita pesantemente. Se il compito delle prime era delineato tramite le consuete metafore 'servili' - ancillantes, subservientes - alla seconda venivano riservate piU nobili funzioni di dominio: gubernare, regere, o piU tecnicamente subalternare (44 ). La teología dunque non si riproponeva solo come 'luogo naturale' della verita assoluta - cío che gli 'averroisti' erano pronti a concedere - ma anche, in linea con il Tommaso d'Aquino del commentario al De Trinitate, come criterio negativo, capace di espellere ogni elemento non risolubile in essa quale puro e semplice errore, per definizione estraneo all'ambito della filosofía (45). Quest'ultima - per nulla identica alla 'tradizione filosofica', incarnazione di quella sedicente sapientia mundi nella quale san Paolo aveva insegnato a riconoscere il frutto di un' arrogante stultitia (46) - si distingueva infatti dalla teología per il differente modo d' accesso a Dio, ma almeno in parte coincideva contenutisticamente con essa. Di qui un forte presupposto concordistico, che si traduceva in un completo rifiuto del pluralismo epistemologico boeziano. Non si puo ammettere che scienze diverse siano portatrici di conclusioni contrastanti sullo stesso oggetto, altrimenti Dio dovrebbe averne verita contraddittorie:

u6

propter addiscentes multoties Doctores Theologorum suos transgrediun-

tur limites declarantes in suis libris, quae declarantur in alijs scientiis, quae deberent accipere, et supponere, quod non dicimus malum esse [. .. ] Si enim essent adiscentes perfecti, scientes ceteras scientias, ut expediret, suffice-

ret propositiones assumere absque declarationibus alijs, nunc autem oportet multa pertractare propter imperfectionem auditorum. Sic ergo excedere limites, est in limitibus permanere propter bonum publicum, quod inde consurgit. Potest autem esse alia ratio, quare theologi pertractant quae deberent aliae scientiae pertractare [. .. ]; quia non solum potest contingere quod hoc sit necessarium ex imperfectione audientium Theologiam, sed ex imperfectione tradentium Philosophiam, ut quia Philosophi in multis ad Philosophiam pertinentibus erraverunt, et multa ad Philosophiam pertinentia obmiserunt, possunt Theologi multa Philosophica pertractare corrigendo errorem Philosophorum, et supplendo eorum defectu. Sed si auditores Theologiae sufficientes essent et Philosophi sufficienter scientiam Philosophiae tradidissent, ubi desineret Philosophus, ibi inciperet Theo-

si ergo ídem quod verum est in hac scientia falsum esset in alia vel econverso, scientia dei esset sibiipsi contraria circa idem, quia esset simul vera et falsa, quod est impossibile (47 ).

logus (").

Un atteggiamento analogo ritroviamo anche in una figura per tanti versi differente da Egidio come Enrico di Gand, le cuí questioni introduttive alla Summa, sinora ingiustamente trascurate, costituiscono un'interessante messa a punto su! rapporto fra teología, filosofía e scienze. Anche qui non mancava una superficiale affinita con gli 'averroisti'. Le dimostrazioni razionali - scriveva Enrico riecheggiando Boezio di Dacia possono essere vere relativamente (secundum quid) e false in senso assoluto (simpliciter). La loro validita, infatti, e sempre condizionale, perché nulla escinde l'irruzione di cause sovrannaturali capad di modificare radicalmente la situazione indagata: cosl quando un medico pronostica la morte di un paziente lo fa sulla base di una determinata prognosi, ma Dio, se vuole, puo curare anche il male piU incurabile (42 ). Osservazioni di questo genere, tuttavia, si inserivano ne! contesto

117

Il presupposto implicito in una simile obiezione e chiara: le scienze erano pensate come momenti parziali di quell'unitaria visione delle cose, assolutamente vera, che Dio ha in sé perfetta e compiuta, non come sistemi teorici esclusivamente umani, fondati su principi ricavati per induzione incompleta, tramite cioe una generalizzazione dell'esperienza empírica, e in quanto tali 'probabili' ma privi di necessita universale. 4.

Al di la del paradigma aristotelico?

«Quod naturalis philosophus debet negare simpliciter mundi novitatem, quia innititur causis naturalibus et rationibus naturalibus. Fidelis autem potest negare mundi aeternitatem, quia innititur causis superna-

n8

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turalibus». Cosl l' articolo 191 dell' editto di Tempier compendiava il messaggio del De aeternitate mundi di Boezio di Dacia, attribuendogli esattamente quanto, con encomiabile metodicita, questi aveva sempre contestato: che le teorie fisiche fossero vere assolutamente (simpliciter) (48). E in questa e in altre forza te letture dei testi degli 'averroisti' che bisognera ricercare le fon ti della cosiddetta 'dottrina della doppia verita': espressione non di una loro effettiva ambiguita bensl della presupposizione di ambiguita fatta valere nei loro confronti dai teologi conservatori ("). Ma a prescindere da simili, profondi fraintendimenti, l'attacco alla proposta metodologica boeziana tradiva comunque un atteggiamento di drastica chiusura verso una considerazione indipendente della realta naturale. Emblematico, in questo senso, il commento ali' articolo 191 della Declaratio Raymundi. Lullo non lo riportava nella sua forma completa, che contrapponeva la posizione del natura/is aquella delfidelis e, pur con que! simpliciter di troppo, non imputava a Boezio di sostenere la 'doppia verita' ('°): si scagliava pero contra !'idea di una física autonoma, per riproporre l'immagine di un sapere immediatamente fínalizzato al divino, ove ogni specialismo e illegittimo e il filosofo (145): metodologie assai sofisticate ma non per questo superiori a quelle dei padri fondatori della scíenza moderna (146 ). Il rifiuto di ogni determinazíone dell' essenza ultima delle cose, l' abbandono della pretesa di raggiungere verita definitíve e esaustive, infatti, era stato ínteso in modo tale da introdurre una frattura insanabile, da sancire un completo divorzio fra la realta e ogni schema intellettuale volto a comprenderla: nella convinzíone che nessuno avesse fondamento necessario, che tutti fossero ugualmente insuffícienti in relazíone a quanto Dio, nell'imperscrutabilita del suo volere, poteva aver decretato (147). Facíle comprendere, aquesto punto, come la proliferazione delle congettúre, se rispondeva ali' «esigenza, típicamente religiosa, di giustificare il dato in confronto con il possibile» (148), raramente condusse a risultati davvero innovatori su! piano dell'indagine razionale: trasformandosi in surrogato pfü che in espressione di un' autentica originalita e creativita intellettuale, e risolvendosi troppo spesso in semplice occasione per magnificare l' onnipotenza divina tramite la compiaciuta proclamazione della impotenza conoscitiva umana (149). Era in fondo una soluzione di comodo, essenzialmente pacificatrice, che eludeva alla radice il problema piu drammatico dell'impresa scientifica: quello della scelta e dei suoi criteri. Anziché rappresentare descrizíoni alternative fra loro in conflitto di quell'unico mondo che effettivamente esiste, le teorie si riducevano infatti amodelli, incommensurabili e tuttavia compatibili, degli innumerevoli mondi che avrebbero potuto e potevano essere creati; mentre le ipotesi, di principio equivalenti e inverificabili, restavano mere esercitazioni dialettiche, senza divenire il caso limite di quanto la natura concretamente ci mostra, le condizioni ideali esperibili da chi «difalchi gli impedimenti della materia» (150).

( 1)

133

Il piU efficace e influente rappresentante della corrente storiografica cui qui faccio riferimento

e lo statunitense Edward Grant: dr. GRANT 1969, pp. 50-51; GRANT 1976, pp.

141-142; GRANT 1979, pp. 211-244; GRANT 1981, pp. 108-110; GRANT 1982, pp. 537-539; GRANT 1983, pp. 38-49, 102-103, 108-116 (facendo malta attenzione alla traduzione, sulla cui affidabilita, BtANCHI 1985c, pp. 608-609). Ma si vedano anche ÜAKLEY 1961, spec. pp. 4.38-443, 452-457; BEAUJOUAN 1963, p. 227; DÜHRING 1968, pp. 118-119; DIJKSTERHUIS 1971, p. 231; Gn.SON 1973, p. 555; HOOYKAAS 1973, pp. 31-32; ÜBERMAN 1975, pp. 408-409; BLVMEMBERG 1975, pp. 557-558; MUÑoz DELGADO 1977, pp. 38-39; DALES 1980, pp. 547-550; BornN 1982, pp.197-210; GHISALBERTI 1983, pp. 26-33. Fra le tare voci discordi si segnalano MVRDOCH 1975, n. 163, p. 338; HrssETTE 1980a, pp. 268-269; FUNKENSTEIN 1986, n. 7, p. 59 en. 20, p. 63. WALLACE 1981, pp. 315-317, giustamente contesta che per trovare un atteggiamento critico nei confronti dell' aristotelismo si debba «aspettare l' editto di Tempier»; ma al solo scopo di affermare un continuismo ancora piU forte - e ancora pill generico - di quello duhemiano, sintetizzabile nella tesi che «Galileo ha un debito non solo rispetto ai secoli quattordicesimo e quindicesimo, ma anche rispetto al tredicesimo secolo>~. (2) Cfr. supra, pp. 13-15. ( 3) Cosl facendo, oltretutto, si presuppone che al super amento dell' aristotelismo abbiano giovato piU le critiche extrasistematiche che non la consapevolezza delle sue difficolta interne, acquisita attraverso il meno spettacolare ma non perciO improduttivo lavoro dei commentatori: una consapevolezza che in realt?t sembra essere stata decisiva per gli artefici della scienza moderna.

e

( 4) «Si spesso dimenticato che la filosofia aristotelica si presentava innanzitutto come un sistema del mondo fisico e che il suo successo e Jegato anche al fatto che essa offrl alla cultura medievale uno schema generale del cosmo». GREGORY 1984a, p. 557. Quanto all'affermazione dell'idea di natura negli ambienti chartriani del XII secolo e fondamentale GREGORY 1966, pp. 27-65. ( 5) La storia dell' opposizione ecclesiastka alla filosofia aristotelica e largamente nota: si vedan o almeno GRABMANN 1941, passim; VAN STEENBERGHEN 1972, pp. 71-91, 125-127, 289-290. Per il dibattito duecentesco sull'eternit3. del mondo cfr. BIANCHI 1984a e BIANCHI 1987a, pp. 11-38.

e

( 6) Potenzialit3. 'eversive' che come si visto (cfr. supra, pp. 69-73) non mancavano, mache almeno in un primo tempo non furono chiaramente percepite.

e

( 7) La citazione, dal Rudimentum Doctrinae, tratta da BAUDRY 1928, n. 3, p. 36. Sulle origini e gli sviluppi della polernica religiosa contra la vana curiositas cfr. PETERS 1985, spec. pp. 90-95.

( 8) In proposito, VAN STEENBERGHEN 1974-1975, pp. 197-198. Si trattava comunque di una consuetudine, generalmente seguita anche per motivazioni di carattere economico e sociologico - le minori possibilitil di guadagno e il rninor prestigio dei filosofi naturali rispetto ai teologi, ai medid ed ai giuristi (dr. infra, n. 83, p. 141 en. 72 p. 185) - , non di un divieto formalmente sancito dagli statuti universitari. Si trova cosl qualche eccezione: Sigeri di Brabante, Giovanni Vate o Giovanni Buridano spesero l'intera loro carriera a.lle Arti; ma Ruggero Bacone, che vi insegnO per cinque anni, gi?t si presentava come un'eccezione. Cfr. WEISHEIPL 1964, p. 164; LEFF 1968, pp. 6-8.

(9) Cfr. OM, ll, 1, III, pp. 36-37. In proposito, BIGALLI 1971, pp. 149-151; ALEss10 1985, pp. 10-22. ( 1º) Per una esplicita dichiarazione, da parte di Alberto, dei suoi intenti encicloped.ici si veda il prologo del commento alla Fisica (I, 1, OOC, IV, 1, p. 1) Sull'opposizione di Bacone ad Alberto si vedano HACKETT 1980, pp. 53-72 e ALESSIO 1985, pp.19-20.

LUCA BIANCHI

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(11) Emblematico qui un passo del commentario al De caelo (I, 4, 10, OOC, V, 1, p. 103): era sottolineata da ALBERTO MAGNO, Super Ethic., X, 14, OOC, XIV, 2, p. 765 (ma cfr. anche X, 16, ivi, p. 771-772). ( 86 )

De reg. princ., I, 16.

( 87 )

Cfr. CUP, I, p. 609. In proposita, PosT - G10CARINIS - KAY 1955, pp. 211 e 233; GIOCARINIS 1959, p. 300. 88

Hexaiim., V, 00, V, p. 355. Il parallelo fra castitas e·paupertas sí ritrova anche nella versione, peraltro assai differente, della reportatio edita da Delorme, I, 2, pp. 76·77. In proposito, GAUTHIER (

)

- }OLIF

1958-1959, 11, p. 246.

(95) Cfr. supra, pp. 156-159. (96) Emblematica qui Sigeri di Brabante. Cfr. ad esempia Q. in Metaph., rep. di Cambridge, IV, c. 3, p. 145 (contra i sofisti che cercano non il sapere mal'apparenza di sapere); IV, 34-35, pp. 183-184 (contra ogni autoproclamazione di sapíenza); V, 41, p. 285 (contro í maghi, che «gaudent cum reputantur mirabiles»). Q. in Metaph., rep. di Vienna, V, 1, pp. 305-306 (riconoscimento dei propri errori); V, 2, p. 313 (disponibilitli a rivedere le praprie posizioni). In proposito, CAPARELLO 1985, pp. 570-592; BIANCHI 1985a, pp. 257-258; supra, p. 119.

(97) Conv., III, 11, 5, p. 229. E chiara, tuttavia, che l'umilta era prescritta al filosofo solo nel rapporto teorico con altri filosofi, ma non comportava alcun apprezzamento positivo dei simplices, essendo esclusa di principio la possibilita di ogni approccio alla verita sul terreno del 'senso comune': quanti rifiutano il tecnicisrno del discorso razionale (senno perscrutatus) per accontentarsi del linguaggio quotidiano (propositiones communes) - scriveva ad esempio SIGERI DI BRABANTE, Q. in Metaph., frammento del II libro, p. 419 - sono destinad a restare nell'ignoranza. Mantiene quindi la sua validita la contrapposiziane - su cuí ha insistito di recente Franco Alessio (cfr. ALESSIO 1983, p. 672; ALEsSIO 1985, pp. 40-49) - fra l'elitismo accademico degli 'averroistí' e la prospettiva di Ruggero Bacone il quale, indicando nell'umilta la virtll specifica del dotto, invitava a preferire ai professori di universita ed al loro sapere libresco gli artigíani ed i 'tecnici', depositad di conoscenze empiriche pratico-operative. (98) Cfr. ALBERICO DI REIM:s, Phi!., in GAuTHIER 1984, p. 33; SIGERI DI BRABANTE, De anima intell., 9, p. 112 (in proposito, MAIERU 1984, pp. 853-855). Ma si veda anche quanto detto supra, p. 157, sulla posizione di Boezio di Dacia e di Giacomo di Douai. (99) Cito da GAUTiilER 1952, p. 278. L'accusa di esaltare le virtU dianoetiche al punto da neg~r~ le etiche, mossa agli 'averroisti' da Tempier tramite l'articolo 170 }.

Cfr. in/ra, p. 175.

)

Cfr. &:p. super Ethic., IV, 2, 1, ff. 74v-75r; VIII, 1, 1, f. 179v; I, 3, 1, ff. 16v-17r.

)

Cfr. Le livre de Ethiques, nell'ordíne IV, 11, 3, p. 244 e III, 7, 2, p. 188; I, 13, 2, p. 128;

146

1 93

( 1' 9) Non a caso sía JANDUN (Q. in Metaphysic., I, 18, f. 15v; in proposito GR!GNASCHI 1958, pp. 443-444) sia BuRIDANo (Q. in Ethic., III, 18, f. 55v) sia ÜRESME (Le livre de Ethiques, IX, 11, 13, pp. 480-482) rimettevano in discussione l'obbligatoriet3. - specie per gli speculativi - del sacrificio della vita per la patria. Per le critiche di BRADWARDINE, in/ra, p. 177.

VIII, 17, 6, p. 444. Cfr. Q. in Ethic., VIII, 1, f. 168v; I, 18, f. 18r; I, 17, f. 17r: «[ ... ]nihil ad presens discutio, quia hoc ad superiorem pertinet facultatem»; «[ ... ] redeuntes ad nostram intentionem que est in hoc tato libro nichil nisi pure phylosophice tractare [... ]»; [ne! manoscritto: accedens] non per se conueníens -, dico quod prínceps habet statum nobiliorem sed periculosiorem, phylosophus uero statum tranquilliorem et securiorem, et ideo eligibiliorem. Ad argumentum in oppositum patet solutío, quia per habitum non fit distinctio statuum, cum sine habitu corespondente possit haberi status. Sed requiritur habitus ad decentem executionem status. Et hoc modo dico quod ad princípem spectat habere habitum iustitie, caritatis, prudentie et fortitudinis, ad phylosophum autem habitum notitie et ueritatis. Et ita adhuc nobilior est habitus princípis. Et si dicatur quod habitus sapientie est nobilissimus, intelligendum ínter habitus cognitiuos. Cum enim nobilis dicatur notus, nominabilis, predarus et famosus, patet quod nobiliores sunt habitus qui dicti sunt debere esse in príncipe>}. Quodl., III, 15, manoscritto Vat. lat. 982, f. llOrb-va.

194

LUCA BIANCHI

VIRTU, FELICITA E FILOSOFIA

Fer l' elenco completo delle questioni quodlibetali di Nicola e la descrizione dei manoscritti si veda PELSTER 1951, pp. 951-958.

195

(172) Cfr. ivi, III, 1, 9-11, III, pp. 40-46. (1B) Cfr. ivi, III, 1, 13-14, III, pp. 49-189. Su questo commento si veda anche supra, p. 27.

(161) Cfr.

Le livre de Ethiques, IX, 3, 8, pp. 461-462.

(162) Cfr.

Q. in Physic., praef, fogli non numerati; Q. in Metaph., I, 1, f. lr-v e II, 4, f. 25v; Q.

de anima, proem., c. 2-3 e spedalmente III, 36, ce. 413-423 (su quest'ultimo passo PACCHI 1959, pp. 455-456 e MAHONEY 1986, pp. 467-469). ( 163 ) Cfr. Q. in Metaph., I, 18, f. 15r, ove si notera la secca sentenza: «sacerdotes non addunt supra speculativos vitos ad speciem speculationum dei nisi actus exteriores». Sulla gerarchia sodale e il primate dei filosofi secando Jandun si vedano GRIGNASCHI 1958, pp. 431-447; SCHMUGGE 1966, spec. pp. 54-61; QUILLET 1976, pp. 376-380; MURRAY 1986, pp. 279-281. Per quanto riguarda la cautela degli 'averroisti' duecenteschi verso i teologi, supra, p. 166-167.

( 16 4)

(174) Cfr. ivi, III, 1, 13, III, pp. 49-53, con particolare attenzione al commento all'articolo 1 (citato supra, n. 118, p. 189): [nell'edizione: incutio) in errorem pertrahit, [... )». In proposito, supra, p. 199.

articolo 216: «Quod resurrectio futura non debet concedí a philosopho, quia impossibile est eam investigari per rationem. Error, quia etiam philosophus debet captivare intellectum in obsequium Christi». Cfr. 2 Cor, 10, 5: «[ ... ] in captivitatem redigentes omnem intellectum in obsequium Christi [ ... )»; ma si veda anche la lettera del 1228 di Gregario IX ai teologi parigini sui pericoli dell'utilizzazione della filosofía, CUP, I, p. 115: «Cum enim theologiam secundum approbatas traditiones sanctorum exponere debeant, et non carnalibus armis, set Deo potentibus destruere omnem altitudinem extollentem se adversus scientiam Dei et captivum in obsequium Christi omnem reducere intellectum [... )». In proposito, supra, n. 52, p. 138.

206

«[ ... ) nos tam doctorum sacrae Scripturae, quam aliorum prudentium virorum communicato consilio, [... )». Cfr. lo statuto del 1215 di Roberto di Cour~on, CUP, I, p. 78: «[ ... ) nos de bonorum virorum consilio [... ]»; la condanna di Giovanni Brescain ne! 1247, ivi, p. 207: «[ ... )de consilio dictorum magistrorum et aliorum bonorum [... )»; la lettera del legato pontificio a Innocenzo IV, dello stesso anno, relativa alla condanna del Talmud, ivi, p. 204: «[ ... ) omnium magistrorum theologiae et iuris canonici et aliorum multorum habito consilio [... )»; la sentenza del 1269 contra gli studenti responsabili di violenze, ivi, p. 481: «[ ... ) ad instantiam multorum bonorum et de consilio eorumdem [... ]»; lo statuto della Facolta delle Arti del 1272, ivi, p. 499: «[ ... ]nos omnes magistri et singuli de bonorum consilio [... )». In proposito, supra, n. 28, p. 42. «[ ... ) excommunicantes omnes illos, [ ... ] necnon et auditores, nisi infra vii dies nobis vel cancellario Parisiensi duxerint revelandum [... )». Cfr. la sentenza del 1269 contra gli studenti responsabili di violenze, CUP, I, p. 481: «Excommunicamus nichilominus omnes illos, qui aliquid de premissis sciverint, nisi infra septem diem a tempore sciencie [ ... ) illud quod sciverint dicto domino reverendo episcopo vel nobis duxerint revelandum [... )». Dagli articoli articolo 102: «quod nihil fit a casu, sed omnia de necessitate eveniunt, et quod omnia futura, quae erunt, de necessitate erunt, et quae non erunt, impossibile est esse, et quod nihil fit contingenter, considerando omnes causas. Error, quia concursus causarum est de definitione casualis, ut dicit Boethius libro De consolatione». Cfr. Boezio, De consol., V, l. articolo 166: «Quod si ratio recta, et voluntas recta. Error, quia contra glossa Augustini super illud Psalmi: "Concupivit anima mea desiderare"

207

(') Cfr. CUP, 1, pp. 543-558. ( 2)

Cfr.

( 3)

Ivi, n. 1, p. 181, sull'articolo 64.

MANDONNET

1908-1911, II, n. 1, p. 175.

(4) Cfr. DUHEM 1913-1959, VI, n. 1, p. 65 e VII, p. 368 (con la n. 1). In proposito, supra, n. 72, p. 140 e infra, n. 14, p. 208.

(') Cfr. LOTTIN 1942-1960, ], n. 3, p. 279. ( 6) Cfr. HISSETTE 1977, p. 26, articolo 7; p. 64, articolo 27; p. 78, articolo 40; p. 112, articolo 57; p. 115, articolo 62; p. 116, articolo 63; p. 120, articolo 72; p. 142, articolo 79; p. 224, articolo 144; p. 225, articolo 145; p. 228, articolo 148; p. 273, articolo 179; p. 307, articolo 214. In questa stessa direzíone sí etano mossi gia i curatori dell'edizione Marietti della Contra Gentiles dell' Aquina-

te che, riproducendo in appendice il testo della condanna (III, pp. 493-504), introducevano qualche correzione congetturale ricavata da Lullo o dall'apparato dell'edizione di Denifle e Chatelain: cfr.

p. 496 ' 500. (7) Un'indagine approfondita sulla circolazione manoscritta degli articoli parigini - e piU in generale delle raccolte di 'errori' - non e stata ancora compiuta, e sarebbe dí notevole interesse. Senza alcuna pretesa di completezza, ma al solo scopo dí favorire chi volesse intraprenderla, elenco qui sotto alcuni manoscritti contenenti il decreto dí Tempier, non dtati da Denifle e Chatelain. Poiché non ha potuto controllarli tutti dí persona, in qualche caso manca l'indícazione dei fogli:

208

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Erfurt, Stadtbücherei 4° 395a. In proposito, supra, n. 92, p. 50. Edangen, Universitiitsbibliothek 251, ff. 291ra-298vc. In proposito, supra, n. 89, p. 49. Firenze, Bibl. Nazionale, Conv. S. Maria Novel/a, E. 5.532, f. 128r-v. In proposito, PErzER 1913, p. 381. Karlsruhe, Landesbibliothek 367. Milano, Bibl. Ambrosiana H 201 In/., ff. 195rb-197vb. Il testo si interrompe all'articolo 119; in proposito, supra, n. 84, pp. 48-49. Monaco, Clm. 26711, ff. 406rb-407vb. ll testo e incompleto; in proposito, supra, n. 88, p. 49. Monaco, Clm. 28126, ff. 196ra-217va. In proposito, supra, n. 92, p. 50. Oxford, Merton College 107, f. 1ra-2va. In proposito, MACKEN 1979, I, p. 448. Parigi, Nat. lat. 15661, ff. 99ra-103rb. Si tratta forse della pill antica copia della Collectio errorum in Anglia et Parisius condemnatorum; Denifle e Chatelaín segnalavano solo la versione originaria del decreto, riprodotta ai ff. 79ra-82ra; su questo codice cfr. anche supra, n. 87, p.-49. Roma, Ottob. lat. 179, ff. 119ra-120vb. Roma, Vat. lat. 4413, ff. 155v-164v. I1 testo e quello della Collectio e110rum in Anglia et Parisius condemnatorum; in proposito, CREYTENS 1942, p. 317. Utrecht, Universitdtsbibliothek 318, ff. 146a-151b. Cfr. i manoscritti parigini Nat. lat. 16393, f. 130r, Nat. lat. 16533, f. 55v, Nat. lat. 17476, f. 185rb. Du Pr.Ess1s D'ARGENTRÉ, Col!. iudic. I, 2, p. 201, sceglieva questa seconda lezione, segnalando l'altra in apparato. Per il richiamo a San Paolo, infra, p. 207. ( 8)

( 9)

( 10 )

Cosl ancora nella Sacra Bibl. S. Patrum, IV, col. 1318.

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