Il sogno di una Chiesa evangelica: l'ecclesiologia di papa Francesco 9788826600345

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Il sogno di una Chiesa evangelica: l'ecclesiologia di papa Francesco
 9788826600345

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Roberto Repole

Il sogno di una Chiesa _ -evangelica L'ecclesiologia di pCipa Francesco

LIBRERIA EDITRICE VATICANA

ROBERTO REPOLE

IL SOGNO DI UNA CHIESA EVANGELICA L'ECCLESSIOLOGIA DI PAPA FRANCESCO

LIBRERIA EDITRICE VATICANA

© Copyright 2017 - Libreria Editrice Vaticana 00120 Città del Vaticano Tel. 06.698.81032 - Fax 06.698.84716 [email protected] ISBN 978-88-266-0034-5 www.vatican.va www.libreriaeditricevaticana.va

COLLANA LA TEOLOGIA DI PAPA FRANCESCO JuRGEN WERBICK: La deboleZ:?,a di Dio per l'uomo. La visione di Dio di papa Francesco Lucio CASULA: Volti, gesti, e luoghi. La cristologia di papa Francesco PETER HùNERMANN: Uomini secondo Cristo oggi. L'antropolo­ gia di papa Francesco ROBERTO REPOLE: Il sogno di una Chiesa evangelica. L'ecclesio­ logia di papa Francesco CARLos GAILI: Cristo, Marza, la Chiesa e i popok La mariolo­ gia di papa Francesco SANTIAGO MADRIGAL TERRAZAS: "L'unità prevale sul conflitto". L'ecumenismo di papa Francesco ARISTIDE FuMAGAILI: Camminare nell'amore. La teologia mo­ rale di papa Francesco JuAN CARLos ScANNONE: Il Vangelo della Misericordia nello spirito di discernimento. L'etica sociale di papa Francesco MARINELLA PERRONI: Kerigma e prefezia. L'ermeneutica bi­ blica di papa Francesco PIERO CoDA: ''La Chiesa è il Vangelo". Alle sorgenti della teologia di papa Francesco MARK.o IVAN RuPNIK: Secondo lo Spinto. La teologia spiritua­ le in cammino con la Chiesa di papa Francesco

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ABBREVIAZIONI

AAS AG

Acta Apostolicae Sedis Adgentes

AL

Amoris Laetitia

CD DV

Christus Dominus

EG EN

EV

GS LF

LG

Dei Verbum Evangelii gaudium Evangelii nuntiandi Enchiridion Vaticanum Gaudium et spes Lumenftdei Lumen gentium

Laudato si' LS MeM Misericordia et Misera MV

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Misericordiae Vultus

PREFAZIONE ALLA COLLANA

Sin dal primo apparire in piazza san Pietro, la sera della sua elezione, è stato chiaro ai più che il pontificato di Francesco si presentava all'insegna di una novità di stile. Il vestire sobrio, il chiamarsi vescovo di Roma, il chiedere - nel "silenzio assordante" di una piazza gremita - la pre­ ghiera del popolo, il salutare con un semplice "buonasera" i presenti . . . sono stati tutti segni eloquenti del fatto che era in atto un mutamento nel "modo di porsi" e, dunque, nel "linguaggio". I gesti e le parole che da lì in poi sono seguiti non hanno fatto che confermare e consolidare la prima im­ pressione. Si potrebbe anzi dire che, in questi anni, l'im­ magine del papato ne sia uscita decisamente trasformata, in un mutamento che investe anche le omelie tenute, i di­ scorsi fatti e i documenti promulgati. Ciò - com'era prevedibile -ha ingenerato pareri anche molto discordanti tra loro, specie per quel che concerne il suo insegnamento. Se molti hanno infatti accolto con gran­ de entusiasmo e simpatia il suo magistero, sentendovi il fre­ sco soffio del Vangelo, alcuni lo hanno invece accostato con distacco e, talvolta, con sospetto. Non sono mancati giudizi anche molto perentori, giunti a mettere in forse l'esistenza stessa di una teologia nell'insegnamento di Francesco. 5

Un tale sommario giudizio poteva far leva sulla dif­ ferente provenienza tra Francesco e il suo predecessore, Benedetto XVI. Quest'ultimo, lo si sa, è stato uno dei più illustri e rilevanti teologi del Novecento e ha indubbia­ mente fatto tesoro della sua personale elaborazione teolo­ gica nel ricco magistero papale, di cui non si finisce né si finirà di apprezzare la profondità. Bergoglio ha alle spalle, soprattutto e primariamente, la lunga e radicale esperienza del religioso e del pastore. Ciò non significa, però, che il suo magistero sia pri­ vo di teologia. Il fatto che egli non sia stato, per lo più o soltanto, teologo "di professione" non vuol dire che il suo magistero non sia supportato da una teologia. Se così fosse, si dovrebbe con rigore dedurne che la maggioran­ za dei suoi predecessori siano stati privi di teologia, dal momento che Ratzinger rappresenta l'eccezione più che la regola. In ogni caso, il fatto che si sia potuto discutere della portata teologica del magistero di Francesco così come il fatto che, molto spesso, alcune sue espressioni altamente evocative e immediate siano state talmente abusate - in ambiente giornalistico come in quello ecclesiastico - da farne smarrire la profondità, rende sensata un'operazione come quella cui intende rispondere la collana che ho l'o­ nore di presentare. Avvalendosi della competenza e dello studio rigoro­ so di teologi provenienti da diversi contesti e dalla serietà ormai assodata, si è inteso ricercare quale sia il pensiero 6

teologico che supporta l'insegnamento del Papa, quali ne siano le radici, quale la novità e quale la continuità con il magistero precedente. Il risultato è racchiuso negli 11 volumi che vengono a formare la presente collana, dal titolo semplice e imme­ diato: "La teologia di papa Francesco". Essi possono venire letti in modo autonomo l'uno dall'altro, ovviamente; così come in modo autonomo sono stati redatti dai singoli autori. L'auspicio, tuttavia, è che la lettura dell'intera collana possa rappresentare non solo un valido supporto per cogliere la teologia su cui si fonda l'insegnamento di Francesco nei diversi ambiti del sapere teologico, ma anche un'introduzione ai punti cardine del suo pensiero e del suo insegnamento complessivi. L'intento, dunque, non è di tipo "apologetico" né, tanto meno, di aggiungere ulteriori voci alle tante che già parlano del Papa. Lo scopo è quello di cercare di vedere e di aiutare a vedere quale sia il pensiero teologico su cui si basa Francesco e che si esprime, con novità di accento, nel suo insegnamento. Tra le molte scoperte che il lettore potrà fare, leggen­ do i volumi, ci sarà certamente quella di dover constatare come nel magistero di Francesco confluisca tanto la be­ nefica novità dell'insegnamento conciliare, quanto quella della teologia che lo ha preparato e che vi ha fatto seguito. Dal momento che è forse ancora troppo presto perché tutta questa ricchezza costituisca un patrimonio comune, pacifico e pienamente recepito da tutti, non stupisce che 7

l'insegnamento del Papa possa risultare, talvolta, non im­ mediatamente comprensibile a tutti. Allo stesso modo, nell'insegnamento di Francesco ap­ pare ormai come un punto di non ritorno ciò che tanto la teologia recente quanto il magistero conciliare hanno inse­ gnato: che la dottrina, cioè, non è né può essere qualcosa di estraneo rispetto alla cosiddetta pastorale. La verità che la Chiesa è chiamata a custodire è quella del Vangelo di Cristo, che deve essere comunicato alle donne e agli uomi­ ni di ogni luogo ed ogni tempo. Per questo il compito del magistero ecclesiale deve essere anche quello di favorire la comunicazione del Vangelo. E per questo, la teologia non potrà mai ridursi ad un asettico esercizio da tavolino, sganciato dalla vita del popolo di Dio e dalla sua missione di far incontrare le donne e gli uomini del proprio tempo con la novità perenne e inesauribile del Vangelo di Gesù. Non sono mancati, in questi anni, coloro che ascol­ tando alcune espressioni critiche di Francesco concernen­ ti la teologia o i teologi, hanno pensato di doverne dedur­ re una sua personale incondizionata svalutazione. Forse, uno studio più puntuale dell'insegnamento del Papa, come quello offerto dalla presente collana, potrà essere anche utile a mostrare che, se occorre rimanere sempre critici rispetto ad una teologia che smarrisse il suo vitale anco­ raggio alla viva fede della Chiesa, è invece indispensabile una teologia che assuma con "fedeltà creativa" il compito di pensare criticamente quella stessa fede, affinché conti­ nui ad essere annunciata. 8

Di una tale teologi.a non è certo privo l'insegnamento di Francesco; ed una tale teologia è certo auspicata da un magi.stero come il suo, così desideroso che l'amore miseri­ cordioso di Dio continui a toccare il cuore e la mente delle donne e degli uomini del nostro tempo. Il curatore ROBERTO REPOLE

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PROLOGO PER CUSTODIRE E FAR CRESCERE UN SOGNO

In maniera indubbiamente suggestiva, si potrebbe dire che ai suoi primordi la Chiesa ha potuto "prendere il largo" grazie a un sogno. Nella Bibbia, lo si sa, i sogni sono spesso luoghi in cui Dio si manifesta, fa conoscere la sua volontà, indica il cammino e dischiude nuove strade. Dal patriarca Giusep­ pe, il "signore dei sogni", a Giuseppe "il giusto", padre e custode di Gesù, la Scrittura sovrabbonda di racconti di sogni nei quali Dio si rende vicino e apre il futuro. Nel libro degli Atti degli Apostoli si racconta di una vi­ sione, che confina con un sogno, attraverso la quale Pietro comprende come la Chiesa non possa essere circoscritta al gruppo dei giudeo-cristiani, ma sia invece destinata a tutti, perché Dio non fa preferenze di persone. In At 10 si dice infatti che, in corrispondenza della visione avuta dal paga­ no Cornelio a Cesarea, anche Pietro viene rapito in estasi. A Giaffa, salito sulla terrazza a pregare verso mezzogior­ no, egli ha fame. Mentre gli preparano il cibo, è coinvolto in una visione. Dice l'Autore di Atti che vide il cielo aperto e un oggetto che scendeva, simile a una grande tovaglia, calata a terra per i quattro capi. In essa c'era ogni

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sorta di quadrupedi, rettili della terra e uccelli del cielo. Allora risuonò una voce che gli diceva: «Coraggio, Pietro, uccidi e man­ gia!J>. Ma Pietro rispose: «Non sia mai, Signore,perché io non ho mai mangiato nulla di profano e di impuro». E la voce di nuovo a lui: «Ciò che Dio hapurificato, tu non chiamarlopro­ fano». Questo accaddeper tre volte;poi d'un tratto quell'oggetto fu risollevato nel cielo. (.A.t 10, 10-16).

La visione non gli insegnerà soltanto che andrà ormai superata ogni divisione tra cibi puri ed impuri. Attraverso di essa e per mezzo della richiesta di andare a casa di Cor­ nelio, a Pietro e alla comunità cristiana primitiva diverrà sempre più evidente che anche i pagani dovranno essere accolti nell'unità della Chiesa. 1 Pietro non solo entrerà in­ fatti a casa di Cornelio, ma vi annuncerà il Vangelo e, per mezzo del battesimo, farà sì che lui e la sua famiglia ven­ gano accolti nella comunità. Si tratta, dunque, di un "sogno" determinante a com­ prendere sempre più in profondità come Gesù Cristo sia il Signore di tutti (At 10,36) e come, per conseguenza, la Chiesa non sia una conventicola o una setta destinata ad alcuni, ma rappresenti, al contrario, luogo di riconciliazio­ ne e di unità dei giudei e dei pagani, ovvero dell'umanità intera (cfr. Ef 2,11-22). Cfr. Gh'Atti degli apostoli (commento di G. STAHLIN), Paideia, Brescia 1973, 271-272. 1

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L'episodio risulterà così determinante per il futuro della Chiesa e per la comprensione della sua realtà che se ne è potuto parlare non solo in termini di conversione di Cornelio, ma di "conversione" dello stesso Pietro e della comunità cristiana delle origini: « Col battesimo di Cor­ nelio e della sua famiglia "è la religione stessa che è in via di ridefinizione"».2 Il "sogno" di Pietro è stato, dunque. determinante perché la Chiesa potesse scoprire se stessa e diventare ciò che era destinata ad essere. In termini altrettanto suggestivi si potrebbe dire che, nell'arco della sua lunga bimillenaria storia, la Chiesa ha sempre avuto bisogno di cristiane e cristiani capaci di riattivare quello stesso sogno, per rimanere fedele, nello scorrere del tempo e nel mutare delle situazioni, alla sua propria identità. Non dovrebbe allora stupire che, anche oggi, papa Francesco lasci spesso intuire quale sia la sua visione del­ la Chiesa, su quale cammino la voglia incamminata o in quale direzione debba essere spronata, ricorrendo spesso all'immagine del sogno o a metafore e locuzioni affini e capaci di esprimere soprattutto desiderio, auspicio, attiva­ zione di processi ... come ama dire spesso. 3 I

S.B. BEVANS-R.P. SCHROEDER, Teologia per la missione oggi. Co­ stanti nel contesto, Queriniana, Brescia 2010, 60. Cfr. anche pp.58-59. 3 In questa direzione Gronchi leggeva il primo documento del Papa: cfr. M. GRONCHI, Il SOfffJO dipapa Francesco, in M. GRONCm-R RE­ POIE, Il dolce stil novo dipapa Francesco, Messaggero, Padova 2015, 11-48. 2

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Sin dal giorno successivo alla sua elezione, egli si espresse secondo un tale registro. Raccontando come fosse pervenuto alla scelta del nome Francesco e spiegando come uno dei motivi per cui aveva adottato questo nome andasse rintracciato nell'attenzione che san Francesco aveva avuto per i più poveri, disse: «Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!». 4 Identico registro linguistico è rinvenibile nella Evangelii gaudium (EG), in cui sulla base della tematica di fondo che caratterizza l'Esortazione apostolica il papa dice: « Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguag­ gio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l'evangelizzazione del mondo attuale, più che per l'au­ topreservazione».5 In occasione del V Convegno naziona­ le della Chiesa italiana, il Papa è ancora una volta tornato ad usare parole che richiamano l'idea del sogno: «Mi piace una Chiesa italiana inquieta - disse -, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accom­ pagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà». 6 4

FRANCESCO, Udienza ai rappresentanti dei media, sabato 16 marzo 2013. 5 EG, n. 27. 6 FRANCESCO, Incontro con i rappresentanti del V Convegno della Chiesa italiana. Cattedrale cli santa Maria del Fiore, Firenze, martedì 10 novembre 2015.

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Proprio il tenore di quest'ultimo discorso (al quale se ne potrebbero affiancare molti altri), nel corso del quale Francesco ha invitato la Chiesa italiana ad essere e vivere secondo i sentimenti che furono di Gesù Cristo - dove spiccano umiltà, disinteresse e beatitudine - induce a dire che il sogno di papa Francesco è in fondo molto semplice e proprio per questo piuttosto spiazzante: si potrebbe, in modo immediato, affermare che si tratti del sogno di una Chiesa evangelica. Con ciò si intende dire di una Chiesa capace di con­ frontare costantemente se stessa, la sua vita, le sue scelte e le sue strutture con la freschezza del Vangelo: ben sapen­ do che il Vangelo è un tesoro dato alla Chiesa e da essa custodito e trasmesso, affinché tutti gli uomini ne possano vivere. Una Chiesa evangelica è, dunque, una Chiesa che è chiamata a misurarsi costantemente con tale ampiezza e ricchezza dell'Evangelo di Cristo. Per questo l'aggettivo "inquieta" è tutt'altro che peregrino al fine di esprimerne la costituzione. Non si tratta, ovviamente, dell'inquietudi­ ne di chi si sente costantemente insicuro, perché privo di una identità stabile. Si tratta, al contrario, dell'inquietudine di chi ha una "identità aperta" e "relazionale" in diverse direzioni, come si potrà ved�re in seguito; è l'inquietudine che, in definitiva, deriva alla Chiesa dal suo essere a servi­ zio di quell'unico Signore, che è sempre più grande e aldilà di Lei e che è, appunto, il Signore del cosmo e di tutti gli uonuru. 15

Sarebbe, però, falsare la realtà dichiarare che il sogno di Francesco rappresenti. un inizio assoluto. Come esiste il pericolo di neutralizzare il suo magistero facendolo ap­ parire povero di pensiero o di teologia, così esiste il peri­ colo inverso che consiste nell'esaltarlo come se fosse un insegnamento disancorato dal cammino e dal magistero ecclesiale precedenti. Volendo scorgere e studiare quale sia la visione eccle­ siologica sottesa ai documenti. principali e agli interventi di papa Francesco, viene piuttosto da dichiarare, sin da subi­ to e in maniera sintetica, che ci si trova alle prese con una nuova fase di recezione dell'insegnamento ecclesiologico espresso dal Vaticano Il. Francesco è il primo papa che non ha preso parte ai lavori conciliari. Egli è, però, pienamente figlio del Con­ cilio e del rinnovamento ecclesiale che da esso ha preso l'avvio. Vedendo i suoi gesti, leggendo i suoi documen­ ti ed ascoltando i suoi interventi traspare una visione di Chiesa profondamente radicata nelle prospettive dischiuse dall'ultimo Concilio, dalla ricca teologia che lo ha precedu­ to e da quella che ne è seguita. Del resto, che il Vaticano II costituisca lo sfondo nel quale collocare il pontificato e il magistero di Francesco, è lo stesso Papa a dirlo: implicita­ mente ed esplicitamente. Non può passare inosservato, in tal senso, il fatto che nella Bolla di indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia, Francesco abbia detto di aver scelto 1'8 dicembre come data di apertura dell'Anno Santo, in quanto ricorrenza del cinquantesimo anniver16

sario della conclusione del Concilio. 7 Né si può mancare di osservare come in EG 17, dicendo di voler proporre alcune linee per incoraggiare e orientare la Chiesa in una nuova tappa evangelizzatrice, egli dichiari di richiamarsi alla dottrina della Costituzione dogmatica Lumen gentium. Ciò non significa che le prospettive offerte da Fran­ cesco siano prive di una certa originalità. Si può, al con­ trario, affermare che esse risentano del luogo da cui Jorge Bergoglio proviene, quella "fine del mondo", cioè, cui si è riferito nella sua prima uscita pubblica, la sera della ele­ zione al soglio pontificio. Esse portano, inoltre, l'eredità di quella particolare versione della teologia latino-americana che va sotto il nome di "teologia del popolo", 8 oltre che 7 «Aprirò infatti la Porta Santa - afferma il Papa - nel cin­ quantesimo anniversario della conclusione del Concilio Ecume­ nico Vaticano IL La Chiesa sente il bisogno di mantenere vivo quell'evento. Per lei iniziava un nuovo percorso della sua storia. I Padri radunati nel Concilio avevano percepito forte, come un vero soffio dello Spirito, l'esigenza di parlare di Dio agli uomini del loro tempo in un modo più comprensibile. Abbattute le mu­ raglie che per troppo tempo avevano rinchiuso la Chiesa in una cittadella privilegiata, era il tempo di annunciare il Vangelo in modo nuovo. Una nuova tappa dell'evangelizzazione di sempre».

Misericordiae vultus. Bolla di indizione del Giubileo Straor­ dinario della Misericordia, 11 aprile 2015, n. 4.

FRANCESCO, 8

Carlos Galli afferma che «la gran novedad del pontificado de Francisco incluye la pequei'ia novedad de un primer conoci­ miento de aportes de la teologia argentina». C.M. GAIJJ, El ''retor-

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di quella singolare spiritualità, già rispondente alle istanze moderne, quale è quella ignaziana. 9 Una tale originalità va, tuttavia, inquadrata nel solco aperto dal Vaticano II, come si è detto: in questo senso, pare appropriato affermare che con Francesco la recezio­ ne del Concilio entra in una fase nuova. Del resto, il fatto stesso che ci sia un Papa proveniente dall'America Latino" del Pueblo de Dios misonero. Un concepto-simbolo de la eclesiologia del Con­ cilio a Francirco, in VR AzcUY-J.C. CAAMANo-C.M. GALU (eds.), La Eclesiologia del Concilio Vaticano II, Agape Libros, Buenos Aires 2015, 405-471, 426. La teologia cui si riferisce è appunto la cosiddetta "teo­ logia del popolo" di cui uno dei primi e più importanti esponenti fu il pensatore italo-argentino Lucio Gera (1924-2012): cfr. 424-431. 9 È in tal senso condivisibile quanto dichiarato da Piero Coda, per il quale papa Francesco « [ ... ] in certo modo imper­ sona il rinnovamento promosso dal Vaticano II: è il primo Papa non europeo, che fa rifluire nella Chiesa universale i frutti che il magistero del Concilio ha portato abbondanti e inediti nel conti­ nente della speranza, l'America Latina; è il primo Papa che offre a tutta la Chiesa, programmaticamente, la ricchezza del carisma di sant'Ignazio di Loyola, il santo della modernità, e di san France­ sco d'Assisi, il santo in cui laforma Evangelii si è propostaforma Ec­ cleriae». P. CODA, Il Concilio della Misericordia. Sui sentieri del Vaticano II, Città Nuova, Roma 2015, 21. Circa il peso che la spiritualità ignaziana ha nella teologia di Francesco, è utile vedere lo studio di A. Cozz1, La verità di Dio e dell'uomo in Cristo. Il teologico e l'antropolo­ gico nella cristologia di J Bergoglio, in A. Cozz1-R. REPOLE-G. PIANA, Papa Francesco. Quale teologia? (postfazione di Gianfranco Ravasi), Cittadella, Assisi 2016, 13-67.

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na, che possa far tesoro dell'esperienza di quella Chiesa oltre che dell'elaborazione teologica lì sviluppatasi, è già un primo frutto del Concilio se è vero, come ebbe a dire Karl Rahner, che uno degli aspetti di maggiore novità del Vaticano II consiste in una Chiesa divenuta mondiale. 10 E d'altra parte, l'indole pastorale del Concilio e l'operazione di "aggiornamento" con esso effettuata richiedono una "fedeltà creativa", soprattutto sul piano della riflessione ecclesiologica. Si è fedeli a ciò che il Concilio è stato e detto se, sulla sua scia, si continua a ripensare, alla luce della Rivelazione e del Vangelo, la Chiesa nel mondo e nei "mondi" di oggi: preoccupazione palese in tutto il magi­ stero dell'attuale Papa. Ciò detto, è evidente che non si deve ricercare nell'in­ segnamento di Francesco una visione sistematica della Chiesa, come del resto non la si può né la si deve ricercare nell'insegnamento di tutti i suoi predecessori. Una chiara prospettiva ecclesiologica è tuttavia rinvenibile nel suo in­ segnamento: esplicitarla al meglio e darne il più possibile ragione è il compito principale e l'obiettivo del presente scritto.

1

°

Cfr. K.

RAHNER, Interpretazione teologica fondamentale del

in K. RAHNER, Sollecitudine per la Chiesa. Nuovi Paoline, Roma 1982, 343-361. Cfr. nello stesso volume K. RAHNER, Il significatopermanente del Concilio Vaticano II, 362-380. Concilio Vaticano II, saggi VIII,

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I IL PRIMATO DEL VANGELO CAPITOLO

1. De Trinitate Ecclesia Da professore di teologia e collega, l'illustre teologo Joseph Ratzinger ebbe modo di dissentire e prendere le distanze da alcune posizioni del più noto allievo di Karl Rahner, Johann Baptist Metz. In anni più recenti, quando era ormai prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinal Ratzinger espresse invece parole di elogio per la conferenza che Metz tenne, nel 1993, nell'at­ to di congedarsi dalla cattedra di Miintser. Ciò cui l'antico collega plaudeva era l'accento posto da Metz sulla centra­ lità per il contesto europeo, oggi, della grande questione di Dio: una questione che rischiava addirittura di essere, per così dire, schermata, dal tanto parlare di Chiesa. Quan­ to Metz in qualche modo finiva per denunciare in quel discorso era il fatto che il Vaticano II avrebbe raccolto solo a metà l'eredità del Concilio Vaticano I. Quest'ulti­ mo, infatti, non aveva messo a tema soltanto la questione ecclesiologica ma, più radicalmente, la questione di Dio, mentre l'ultimo Concilio avrebbe parlato del Dio annun­ ciato dalla Chiesa. 21

L'elogio del discorso di Metz serviva, nell'occasione, al cardinal Ratzinger per esprimere la sua tesi di fondo circa l'ultimo Concilio, che egli riassunse così:« [ ... ] il Va­ ticano II voleva chiaramente affiancare e subordinare il discorso della Chiesa al discorso su Dio, voleva proporre una ecclesiologia nel senso propriamente teologico, ma la recezione del Concilio ha finora trascurato questa caratte­ ristica qualificante in favore di singole affermazioni eccle­ siologiche [ ...] ».1 Si può eccepire sul giudizio dato circa la recezione, così come sulle posizioni assunte dal cardinal Ratzinger in quel testo a proposito di diverse questioni ecclesiologiche. Non si può mancare di rilevare, ciò nondimeno, che la lettura completa del corpus conciliare induca a riconoscere come il Concilio abbia realmente innervato il discorso ecclesiologi­ co in un orizzonte cristologico e, in ultima analisi, teologico. Riferendosi all'incipit di Lumengentium (LG), a ragione l'allo­ ra cardinal Ratzinger poteva perciò affermare che subito la prima frase della Costituzione sulla Chiesa chiarisce che il Concilio non considera la Chiesa come una realtà chiusa in se stessa, ma la vede a partire da Cristo: « Cristo è la luce delle genti, e questo sacro concilio, adunato nello Spirito Santo, ardentemente desidera che la luce di Cristo, riflessa sul volto della Chiesa, illumini tutti gli uomini ... ». Sullo sfando rico-

J. R.ATZINGER, L'ecclesiologia della costituzione Lumen gentium, in J. RATZINGER, La Comunione nella Chiesa, San Paolo, Cinisello Bal­ samo (MI) 2010, 129-161, 132. 1

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nasciamo l'immagine presente nella teologia dei padri, che vede nella Chiesa la luna, la quale non ha da se stessa luce propria, ma rimanda la luce del sole Cristo. L'ecclesiologia si manife­ sta come dipendente dalla cristologia, a essa legata. Poiché pero nessuno può parlare correttamente di Cristo, del Figlio, senza allo stesso tempo parlare del Padre e poiché non si può parlare correttamente del Padre e del Figlio senza mettersi in ascolto dello Spirito Santo, la visione cristologica della Chiesa si al­ larga necessariamente in una ecclesiologia trinitaria. Il discorso sulla Chiesa è un discorso su Dio, e solo cosi è corretto. 2

La prima e più importante svolta del Concilio, sul piano ecclesiologico, è indubbiamente veicolata dal pri­ mo capitolo della LG, nel quale si presenta il mistero della Chlesa, che deve se stessa al libero fuoriuscire di Dio: al disegno universale salvifico del Padre, che si ma­ nifesta nell'invio del suo Figlio, che si compie nel dono dello Spirito (LG 2-4). Tale prospettiva trova una sintesi nella citazione di Cipriano posta a conclusione di LG 4, con la quale si afferma che la Chlesa si presenta « come "un popolo adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"». Il testo ciprianeo serve a richlamare che il Dio trinitario rappresenta il fondamento della Chlesa. Con pertinenza si è, dunque, potuto affermare che la pri­ ma grande svolta impressa dal Vaticano II all'ecclesiologia è di ordine metodologico, prima ancora che di contenuto. 3 2

3

Ibidem, 147-148. Cfr. A. ANT6N, Ecclesiologia postconciliare: speranze, risultati,

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Essa consiste nel considerare come la Chiesa abbia in Dio il suo fondamento, il suo termine, la sua più profonda ra­ gion d'essere, Colui da cui è costantemente abitata e di cui vive. 4 Sarebbe fuorviante parlare dell'ecclesiologia di Fran­ cesco senza mettere anzitutto in evidenza come, anche per lui, la Chiesa debba se stessa al Dio comunicatosi piena­ mente in Cristo e nel dono dello Spirito, a come essa viva di Lui e a Lui tenda. Alcune sue frasi, cariche di metafore, rischiano di diventare degli slogan quando vengono private - a livello giornalistico o nel parlare ecclesiastico - della loro profondità; cosa che accade, inevitabilmente, quan­ do non si metta in evidenza anzitutto questo radicamento teologico della Chiesa. Così è, ad esempio, di locuzioni quali "Chiesa in uscita", "Chiesa delle periferie", "Chiesa ospedale da campo", pastori che debbono "avere l'odore delle pecore" ... Basterebbe ascoltare alcune delle sue omelie, per es­ sere avvertiti del fatto che la Chiesa ha senso, per France­ sco, in quanto anzitutto luogo dell'agire di Dio e perché prospettive, in R. LAToUREUE (a cura di), Vaticano IL Bilancio e prospettive venticinque anni dopo (1962-1987), vol. 1, Cittadella, Assisi 1988, 361388, 365. Sulla importanza di questa svolta conciliare e sulla non sempre lineare recezione postconciliare cfr. W KA.SPER, La Chiesa di Gesù Cristo. Scritti di ecclesiologia, Queriniana, Brescia 2011, 231-234. 4 Cfr. H. DE LUBAC, Paradosso e mistero della Chiesa, Jaca Book, Milano 1997, 13-31.

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interamente riferita a Cristo ed abitata dallo Spirito. Così è, ad esempio, di una omelia tenuta nella settimana prece­ dente la Pentecoste del 2016, nella quale ha parlato dello Spirito Santo come di Colui che muove la Chiesa e lavora in essa. Nell'occasione, il Papa ha invitato a invocare lo Spirito con parole che esprimono chiaramente la dipen­ denza della Chiesa dal suo agire, che riconduce a Cristo: «Cerchiamo - ha esortato - di parlare con lui e dire: "Io so che tu sei nel mio cuore, che tu sei nel cuore della Chie­ sa, che tu porti avanti la Chiesa, che tu fai l'unità fra tutti noi, ma diversi tutti noi, nella diversità di tutti noi». 5 È soprattutto nell'esordio della Evangelium Gaudium (EG), suo testo programmatico, che si può tuttavia coglie­ re come la Chiesa debba se stessa all'agire e alla presenza di Dio. Il modo con cui Francesco afferma che il centro della Chiesa non è la Chiesa e che è perciò de-centrata in direzione di Dio, è di richiamare che essa deve se stessa al Vangelo che è, etimologicamente, fonte di gioia per gli uorruru. Non molti commentatori di questo importante testo magisteriale hanno sostato sul suo inizio, nel quale il Papa dà ad intendere che non esiste la Chiesa se non come frut­ to del Vangelo. Sin dalle prime battute, egli dice infatti che «la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita di coloro FRANCESCO, Meditazione mattutina nella cappella della Domus Sanctae Marthae, lunedì 9 maggio 2016. 5

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che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall'isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia»6• In che cosa poi consista questo Vange­ lo, Francesco lo lascia trasparire poco oltre, facendo ricor­ so alle parole stesse del suo predecessore e chiarificando che il Vangelo si può riassumere nell'incontro con la Per­ sona di Cristo e, dunque, con l'Amore di Dio. Dice, infatti il Papa: «Non mi stancherò di ripetere quelle parole di Benedetto XVI che ci conducono al centro del Vangelo: "All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva" 7». E nel numero successivo della medesima Esortazione apostolica, il Papa chiarifica come non ci possa essere alcuna contraddizione tra cri­ stocentrismo e teocentrismo, in quanto l'incontro con la Persona del Cristo è ipsofacto incontro con l'Amore stesso di Dio. 8 Che la Chiesa viva di questo incontro ininterrotto con l'Amore divino è confermato da quanto, a conclu­ sione della medesima Esortazione, Francesco dice deEG, n. 1. Si tratta di una citazione della Enciclica Deus can·tas est del 2005: cfr. AAS 98 (2006), p. 217. Cfr. M. GRONCHI, Il sogno di papa Francesco, cit., 18-19. 8 Cfr. EG, n. 8. 6

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lineando lo spirito dell'evangelizzatore. Egli mostra in­ fatti che l'affermazione della resurrezione di Cristo non è l'asserzione di un evento del passato, ma del fatto che Egli continua ad essere vivo nello Spirito, nella sua vitto­ ria sulla morte e sul peccato. 9 Incontrare il Risorto signi­ fica, per i cristiani, essere collocati sotto il suo sguardo amorevole, che introduce nell'Amore stesso di Dio, in una relazione viva e che perdura. 10 9

Cfr. Ibidem, nn. 275-280, in particolare n. 276. Cfr. Ibidem, n. 264. Particolarmente illuminante è quanto il Papa dice circa una Chiesa che per evangelizzare deve lasciarsi sempre evangelizzare. Afferma: «Pertanto, bisogna formarsi con­ tinuamente all'ascolto della Parola. La Chiesa non evangelizza, se non si lascia continuamente evangelizzare. È indispensabile che la Parola di Dio "diventi sempre più il cuore di ogni attività ecclesia­ le". La Parola di Dio ascoltata e celebrata, soprattutto nell'Eucari­ stia, alimenta e rafforza interiormente i cristiani e li rende capaci di un'autentica testimonianza evangelica nella vita quotidiana. Ab­ biamo ormai superato quella vecchia contrapposizione tra Parola e Sacramento. La Parola proclamata, viva ed efficace, prepara la recezione del Sacramento, e nel Sacramento tale Parola raggiunge la sua massima efficacia». Ibidem, n. 174. Si apprezza, in questo, una recezione nuova e feconda di quanto l'ecclesiologia recente ha ormai da tempo messo in evidenza; il fatto, cioè, che la Chiesa non abbia la sua origine in un qualche momento puntuale della vicenda di Gesù, ma in tutto il suo mistero. Da ciò consegue che Cristo non rappresenta il fondatore da relegare nel passato, bensì il fondamento perenne, vivo e operante, nello Spirito, all'interno della Chiesa. Su questa consapevolezza ormai da tempo condivisa cfr. 1

°

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2. Il Vangelo della misericordia Se esiste, tuttavia, una novità di accento con cui Fran­ cesco esprime un tale primato di Dio sulla Chiesa e ci fa dire, anche a tal proposito, che si è alle prese con una nuo­ va fase di recezione del magistero conciliare, essa è data dalla centralità che nel suo insegnamento riveste il "Van­ gelo della misericordia". Per Francesco, la misericordia non è un aspetto acces­ sorio del Vangelo o un tratto da accostare indifferentemen­ te ad altri. Essa esprime qualcosa di fondamentale del volto di Dio che si è rivelato compiutamente in Cristo. È una realtà che deve aver già rappresentato un faro per la spiri­ tualità e la pastorale del vescovo Bergoglio dal momento che egli, rifacendosi a Beda il Venerabile, scelse come mot­ to episcopale Miserando atque eligendo («Mentre ha guardato a me con gli occhi della misericordia, egli mi ha scelto»). 11 Con la misericordia si esprime, in ogni caso, qualcosa di centrale del Vangelo riassumibile in Cristo. Sono sinto­ matiche di ciò le parole iniziali di Misericordiae Vultus (Ml/). « Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre - dice la sintesi offerta A. Ant6n, El misterio de la Iglesia. EvolucirJn historica de las ideas eclesirJlogicas, II, BAC, Madrid-Toledo 1986, 843-865, so­ prattutto 861-862. 11 Cfr. W KASPER, Papa Francesco. La rivoluzione della tenerezza e dell'amore, Queriniana, Brescia 2015, 49. Cfr. anche FRANCESCO, Il nome di Dio è misericordia. Una conversazione con Andrea Tornielli, Piem­ me, Milano 2016, 25-27.

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Francesco -. Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi. Essa è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth. [ ...] Chi vede Lui vede il Padre (cfr. Gv 14,9). Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona rivela la misericordia di Dio ». 12 Si è qui alle prese, dunque, con un aspetto fondamen­ tale di quel Vangelo che fa esistere la Chiesa e che è fonte di gioia per l'umanità, in quanto si è a contatto con il trat­ to più caratteristico del Dio comunicatosi in Cristo. Nella intervista concessa a Tornielli, Francesco asserisce infatti che, a partire dall'atteggiamento e dalla prassi di Gesù in quanto rivelati.va di Dio, si può affermare che «la mise­ ricordia è la carta d'identità del nostro Dio. Dio di mise­ ricordia, Dio misericordioso. Per me questa è davvero la carta d'identità del nostro Dio ». 13 Entrare a contatto con la Persona di Cristo, in cui è sintetizzabile il Vangelo, significa dunque essere messi in relazione con il Dio che ha cuore per i miseri, specialmente quanti sono afflitti da quella sin­ golare miseria che è il peccato. Tutto l'agire salvifico di Dio, culminante in Gesù, è sintetizzabile in questo Dio che ha cuore per le miserie dell'umanità, compreso il peccato; ed ha il suo fondamento nell'essere trinitario di Dio. «Con lo 12

MV, n.1.

FRANCESCO, Il nome di Dio è misericordia, cit., 24. Cfr. W. KA­ Misericordia. Concetto fondamentale del vangelo - chiave della vita cri­ stiana, Queriniana, Brescia 20156 , 150-158. 13

SPER,

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sguardo fisso su Gesù e il suo volto misericordioso, pos­ siamo cogliere l'amore della SS. Trinità - dice infatti Fran­ cesco - . La missione che Gesù ha ricevuto dal Padre è stata quella di rivelare il mistero dell'amore divino nella sua pienezza. "Dio è amore" (1 Gv4,8.16) afferma per la prima e unica volta in tutta la Scrittura l'evangelista Giovanni». 14 Ciò di cui vive, dunque, la Chiesa e quanto la fa essere è questo agire salvifico di Dio nei confronti delle miserie dell'umanità, compreso il peccato, che si è lasciato incon­ trare sommamente in Cristo. 15 La misericordia, così come ci viene sintetizzato dalle parabole di Le 15, è per il Papa «il nucleo del Vangelo e della nostra fede, perché la mi14 MV, n. 8. Che una tale prospettiva sia plausibile trova conferma dall'ampia bibliografia con cui Kasper sostiene la fondamentale importanza della categoria nel messaggio e nella vicenda di Cristo, oltre che in chiave sistematica: cfr. W. KAsPER, Misericordia, eit., 94-232. Più di recente cfr. G. FERRETTI, Il criterio misericordia. Sftde per la teologia e la prassi della Chiesa, Queriniana, Brescia 2017. Può essere altresì utile vedere come la misericordia, chiaramente declinata nell'orizzonte della trascendenza divina, risulti centrale anche in un autore classico come Anselmo, spesso equivocato su questo punto nella storia del pensiero teologico. Cfr. M. CoRBIN, Introduction à /'Epistola et au Cur Deus homo, in Anselme de Cantorbéry, L'incarnation du Verbe. Pourquoi un Dieu­ homme, Cerf, Paris 1988, 15-163, 42-48. 15 Nella maniera probabilmente più evidente ciò è detto in FRANCESCO. Misericordia et misera, (MeMJ, nn. 6-8 nei quali tutta la vita liturgica è letta come attualizzazione della misericordia divina che fa esistere la Chiesa.

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sericordia è presentata come la forza che tutto vince, che riempie il cuore di amore e che consola con il perdono». 16 Essa è ciò che gli appartenenti alla comunità dei credenti in Cristo sanno di aver sperimentato per primi. 17 Anche in questo caso, risulta evidente come ci si trovi dinanzi "ad un balzo innanzi" rispetto a quel che è si è affermato con il Vaticano Il. Riconsiderando, infatti, lo "statuto" della verità cri­ stiana rivelata da Dio, l'ultimo Concilio ha permesso di evidenziare come si tratti di una verità che coinvolge l'uo­ mo, nella sua libertà e nella sua, pur asimmetrica, recipro­ cità. Tanto la svolta rinvenibile in Dei Verbum (Dl)), per la quale la Rivelazione è ravvisabile nell'auto-comunicazione di Dio agli uomini - con cui si intrattiene come con amici (DV, 2) -, quanto quella riscontrabile in Dignitatis huma­ nae - con la quale si afferma implicitamente che la libertà religiosa riconosciuta agli appartenenti ad altre comunità religiose deve essere presupposta anche per i credenti in Cristo - portano ad un chiaro ripensamento dello "sta­ tuto" della verità cristiana. 18 Risulta ormai evidente il su16

17

MV, n. 9.

Cfr. FRANCESCO, Il nome di Dio è misericordia, cit., 80. Una chiara recezione di ciò la si ha nel terzo paragrafo di AG 13, in cui si afferma che "la chiesa proibisce severamente di costringere o di indurre e attirare alcuno con inopportuni raggiri ad abbracciare la fede, allo stesso modo che rivendica energicamente il diritto che nessuno con ingiuste vessazioni dalla fede stessa sia distolto". 18

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peramento di qualsiasi presunta dicotomia tra oggettività e soggettività. Quando si consideri, infatti, che a rivelarsi sia il Dio che si è lasciato incontrare in Gesù e che in ciò consiste la verità, appare chiaro come si tratti di una verità "coinvolgente", per la quale, pur nella asimmetricità, gli uomini con la loro libertà, la loro singolarità e la loro reale situazione non sono affatto estrinseci. 19 Nel magistero di Francesco, questo trova un nuovo sviluppo proprio a partire dalla considerazione che nella Misericordia Divina, apparsa definitivamente in Cristo, è rintracciabile il nucleo del Vangelo. Da ciò consegue, infatti, che il Vangelo non sia riducibile a "dottrina"; che Dio in­ contri gli uomini nella diversità delle loro culture e li afferri nella singolarità della loro vita e della loro situazione esi­ stenziale; che l'incontro implichi il libero assenso dell'uomo. Sono aspetti che Francesco mette nitidamente in luce quando si parla della Chiesa nel suo atto di evangelizzare ma che, in qualche modo, riguardano la Chiesa anche e primariamente in quanto raggiunta dal Vangelo ed esisten­ te in forza di esso. 2.1 Il Vangelo non riducibile ad idea Dal momento che il Vangelo consiste nell'amore mi­ sericordioso di Dio, non è pensabile di ridurlo ad "idea Cfr. su questi aspetti P. CooA, Il Concilio della Misericordia, cit., 27-32. 19

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astratta" o a "dottrina". Ciò non vuol dire che non vi sia la necessità di determinate formulazioni della fede per custodire il Vangelo, come una lettura superficiale di al­ cune espressioni francescane potrebbe dedurne. Si tratta, piuttosto, della necessità di riconoscere che tali formule non possono rappresentare un pretesto per oscurare la verità del Vangelo della misericordia; 20 e del fatto che esse hanno il compito di custodire il Vangelo nella sua tra­ scendenza e di renderlo disponibile per tutte le epoche e tutti gli uomini. È, dunque, necessario considerare come le formule dottrinali siano l'espressione della verità nella sua permanente novità, ammettendo pertanto che sono vere nella loro finitudine e nel loro essere sempre ne­ cessariamente "figlie" di un determinato contesto. Esse sono perciò sempre definitive e provvisorie al tempo stesso, per usare un'espressione adoperata da Kasper già diversi decenni or sono. 21 Tali formulazioni non possono, perciò 20 All 'intervistatore che gli chiede se può esserci opposizio­ ne tra verità e misericordia o tra dottrina e misericordia, il Papa risponde: «La misericordia è vera, è il primo attributo di Dio. Poi si possono fare delle riflessioni teologiche su dottrina e misericordia, ma senza dimenticare che la misericordia è dottrina. Tuttavia io amo piuttosto dire: la misericordia è vera». FRANCESCO, Il nome di Dio è misericordia, cit., 75-76. 21 W KAsPER, Il dogma sotto la Parola di Dio, Queriniana, Bre­ scia 1968, 147-148. Cfr. K. RAHNER, Che cos'è un asserto dogmatico?, in K. RAHNER, Sa!,?} teologici, Paoline, Roma 1965, 113-165, 121; e

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costituire un divieto allo sforzo di riesprimere in altri modi quella medesima verità, perché si realizzi davvero l'incon­ tro tra Cristo vivo nello Spirito e le persone. È in que­ sto orizzonte che si può collocare e comprendere quanto papa Francesco afferma in EG. Dice il Papa che, nei rapidi mutamenti culturali, è necessario fare attenzione «per cer­ care di esprimere la verità di sempre in un linguaggio che consenta di riconoscere la sua permanente novità», arri­ vando ad affermare che «a volte, ascoltando un linguaggio completamente ortodosso, quello che i fedeli ricevono, a causa del linguaggio che essi utilizzano e comprendono, è qualcosa che non corrisponde al vero Vangelo di Gesù Cristo. Con la santa intenzione di comunicare loro la ve­ rità su Dio e sull'essere umano, in alcune occasioni diamo loro un falso dio o un ideale umano che non è veramente cristiano». 22 Senza cogliere il senso profondo e il compi­ to delle formule dottrinali, che non impediscono nuove formulazioni e, soprattutto, nuovi linguaggi di espressione della fede, si potrebbe arrivare alla situazione paradossale di sentire un linguaggio formalmente ortodosso che non indirizza al vero Vangelo di Cristo. 23 In questo contesto,

J. RATZINGER, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa con­ temporanea. Storia e dogma,Jaca Book, Milano 1993, 140. 22 23

EG, n. 41.

Ratzinger ha mostrato in modo molto pertinente come le formulazioni dogmatiche abbiano una importanza capitale in quanto consentono di esprimere insieme la fede comune. Da ciò

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ciò deve essere anzitutto detto del Vangelo che, per così dire, "fa la Chiesa" e dal quale essa viene costantemente edificata. 2.2 Il Vangelo che incontra Allo stesso modo, deve essere evidenziato come un tale Vangelo edifichi la Chiesa e le Chiese solo se rag­ giunge le persone all'interno delle loro diverse culture e nelle loro diversificate situazioni esistenziali. A proposito del primo aspetto, può essere sintoma­ tico quanto il Papa richiama circa il linguaggio dell'o­ melia, quando afferma che «la predica cristiana [... ] tro­ va nel cuore della cultura del popolo una fonte d'acqua viva, sia per sapere che cosa dire, sia per trovare il modo appropriato per dirlo». 24 In ordine al secondo aspetto, risulta particolarmente istruttivo, invece, quanto affer­ mato nell'ormai famoso VIII capitolo di Amoris Laetitia (AL). In esso è chiaro che esiste un inequivocabile Vannon consegue, tuttavia, che la fede possa essere detta solo "così". A proposito del dogma, Ratzinger dice qualcosa che è riconosciuto dalla migliore teologia novecentesca e che oggi porta frutto negli stimoli offerti dal magistero di Francesco: "non l'esclusiva possi­ bilità di poter dire solo in questo modo e non diversamente, ma la possibilità di poterlo dire così in comune, è il fondamento della sua obbligatorietà e della sua permanenza". J. RATZINGER, Natura e compito della teologia, cit. 138. 24 EG, n. 139.

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gelo della famiglia, come viene attestato al n. 292. 25 Esso è, però, tale quando raggiunge le famiglie nelle loro con­ crete situazioni esistenziali; ed è, per questo, che diviene indispensabile un costante discernimento e accompa­ gnamento, affinché ciascuno sia aiutato « [ ... ] a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una misericordia - immeritata, incondizionata e gratuita-. Nessuno può essere condan­ nato per sempre, perché questa non è la logica del Van­ gelo. Non mi riferisco solo ai divorziati che vivono una seconda unione - dice in questo passaggio il Papa -, ma a tutti, in qualunque situazione si trovino». 26

25

Vi si afferma che «il matrimonio cristiano, riflesso dell'u­ nione tra Cristo e la sua Chiesa, si realizza pienamente nell'unione tra un uomo e una donna, che si donano reciprocamente in un amore esclusivo e nella libera fedeltà, si appartengono fino alla morte e si aprono alla trasmissione della vita, consacrati dal sa­ cramento che conferisce loro la grazia per costituirsi come Chiesa domestica e fermento di vita nuova per la società». AL, n. 292. 26 Ibidem, n. 297. Cfr. per la lettura di questi aspetti, S. No­ CETI, Guida alla lettura della Esortazione Apostolica postsinodale di papa Francesco Amoris Laetitia, in FRANCESCO, Amoris Laetitia. La gioia dell'amore, Piemme, Milano, 7-60, 45-50. Cfr. anche C. ToRCIVIA, Criteri per una lettura pastorale del capitolo ottavo di Amoris Laetitia,

Elledici, Leumann (TO) 2016, 18-24.

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2.3 Il Vangelo che invoca la libera adesione e la conversione Il richiamo al Vangelo della misericordia che edifi­ ca la Chiesa non può essere in alcun modo equivoca­ to, però, come se inducesse alla indifferenza rispetto al cammino di conversione richiesto all'uomo o, peggio, avvallasse il suo peccato. Molti di quanti guardano con sospetto all'insistenza di Francesco sulla Misericordia Divina e tanti tra coloro che, all'inverso, vi si riferiscono con grande enfasi, lo intendono a ben vedere in questo modo equivoco. In un caso come nell'altro, si finisce per concepire la misericordia secondo una tale "gratuità" da renderla, in verità, de-responsabilizzante e, perciò, disu­ mana. Una disamina attenta del pensiero del Papa non per­ mette, però, di incorrere in alcun modo nel malinteso suddetto. Si pensi al richiamo fatto alla pratica del pelle­ grinaggio, in occasione dell'indizione del Giubileo straor­ dinario della misericordia, proposto come « un segno del fatto che anche la misericordia è una meta da raggiunge­ re e che richiede impegno e sacrificio. Il pellegrinaggio, quindi, sia stimolo alla conversione». 27 Ma si consideri, soprattutto, la netta distinzione che egli opera tra pecca27

MV n. 14. Si veda anche il forte invito alla conversione

rivolto ai criminali, alle persone fautrici o complici di corruzione, al n. 19 dello stesso documento. Ad essi il Papa dice con forza che «rimanere sulla via del male è solo fonte di illusione e di tristezza».

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tori e corrotti. Mentre i primi si sentono costantemente bisognosi della Misericordia Divina e sanno di doversi percepire in cammino, in stato di costante conversione, i secondi si auto-giustificano ed arrivano a non avvertire neppure più il senso del peccato, come chi ha l'alito pe­ sante - dice il Papa, ricorrendo ancora una volta ad una bella metafora - e non si accorge del suo stato. 28 La corruzione - afferma perciò Francesco - è il peccato che invece di essere riconosciuto come tale e di renderci umilz; vie­ ne elevato a sistema, diventa un abito mentale, un modo di vivere. Non ci sentiamo più bisognosi di misericordia, ma giustifichiamo noi stessi e i nostri comportamenti. [ .. . J Il peccatore pentito, che poi cade e ricade a motivo della sua de­ bolezza, trova nuovamente perdono, se si riconosce bisognoso di misericordia. Il corrotto, invece, è colui che pecca e non si pente, colui che pecca e finge di essere cristiano, e con la sua doppia vita dà scandalo. 29

28

FRANCESCO, Il nome di Dio è misericordia, cit., 95. Si veda tut­ to il capitolo. Gli esempi qui fatti, così come la denuncia chiara di alcuni peccati sociali e contro il creato emergente dai suoi do­ cumenti più significativi, induce a vedere come per il Papa non scompaiano affatto la categoria del peccato e la sua drammaticità. Se una novità è da rilevare, essa è data dal fatto che vengono oggi denunciati con più forza alcuni peccati sociali, a dispetto di altri sui quali poteva cadere prevalentemente l'accento nel recente passato. 29 FRANCESCO, Il nome di Dio è Misericordia, cit., 92-93. Va no­ tato come si sia alle prese con una distinzione che Jorge Bergoglio fece sin dagli anni '90 e che ripropose alla diocesi di Buenos Aires,

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La misericordia, pur essendo gratuita, va a buon fine laddove incontra degli uomini che, nella loro libertà, si lasciano toccare da Cristo e si convertono. Per questo, come ha affermato Kasper, «il discorso sulla misericordia di Dio non è [ ...] un parlare retorico bello, ma innocuo. Esso non ci culla in una tranquillità e sicurezza illusoria: esso ci mette in moto; vuole che le nostre mani e soprat­ tutto i nostri cuori si aprano».30 Non è un parlare innocuo per i singoli cristiani; non lo è per la Chiesa, che rappresenta il primo grande frutto della misericordia divina. 3. Chiesa madre. L'importanZfl della mediazione ecclesiale Che la Chiesa si lasci plasmare ed informare dal Van­ gelo della misericordia, che la fa essere, è di capitale im­ portanza affinché esso possa continuare a risuonare anco­ ra all'interno di questo mondo. Si tocca qui un aspetto fondamentale della ecclesio­ logia sottesa all'insegnamento di papa Francesco: non co­ glierlo ed esplicitarlo a dovere può portare a falsare o a nel dicembre del 2005. Cfr. J.M. BERGOGLIO- FRANCESCO, Guarire dalla corruzione, Emi, Bologna 2013. In quel contesto egli mostrava, tra l'altro, come ci sia un salto qualitativo dal peccatore al corrotto (pp. 34-35); e come uno dei discrimini stia nel fatto che il corrotto è chiuso alla trascendenza (pp. 18-21). 30 W KAsPER, Papa Francesco. La rivoluzione della tenerezza e dell'amore, cit., 55.

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non dare profondità a molte delle sue affermaziorù. Tale tratto potrebbe venire sinteticamente espresso nel modo seguente: soltanto una Chiesa realmente evangelica può consentire al Vangelo di continuare la sua strada nel mon­ do; la mediazione ecclesiale è indispensabile perché il Dio misericordioso apparso in Cristo possa raggiungere l'u­ marùtà di oggi. Detto ancora in altri termini, la questio­ ne di Dio divenuta centrale nel mondo di oggi, lungi dal relativizzare la questione della Chiesa, la pone in assoluta evidenza. Infatti, soltanto una Chiesa trasparente al Dio apparso in Cristo può far sì che Egli rimanga vivo e capace di interpellare l'umanità di oggi e di sempre. Egli è ovvia­ mente trascendente la Chiesa, è Colui che la fa esistere; ciò nondimeno, il Vangelo della misericordia può continuare a toccare le donne e gli uomini solo attraverso il servizio della Chiesa. Anche in questo caso, ci si trova dinanzi ad una fase nuova di recezione dell'insegnamento del Concilio Vatica­ no II, in particolare di quel dinamismo del mistero della Chiesa messo in evidenza dal primo capitolo di LG, per il quale la luce di Cristo e l'amore di Dio si lasciano incon­ trare solo nel "fragile specchio" della Chiesa. 31 Cfr. Lumen Fidei (IF), n.37. Il Papa dice testualmente: «La luce di Gesù brilla, come in uno specchio, sul volto dei cristiani e così si diffonde, così arriva fino a noi, perché anche noi possiamo partecipare a questa visione e riflettere ad altri la sua luce, come nella liturgia di Pasqua, la luce del cero accende tante altre candele». Per 31

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È in quest'orizzonte che si deve inquadrare la preoc­ cupazione di Francesco per una riforma della Chiesa, per una Chiesa povera e per i poveri, per una Chiesa miseri­ cordiosa. Nel già citato discorso tenuto in occasione del V Convegno Nazionale della Chiesa italiana, Francesco ha ripreso a parlare di una ecclesia semper reformanda. A con­ ferma di quanto si è appena detto, va richiamato come la riforma di cui Francesco parla sia aliena dal pelagianesimo, in quanto «non si esaurisce nell'ennesimo piano per cam­ biare le strutture. Significa invece innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività». 32 La Chiesa deve cioè ri­ formarsi, affinché in essa risplenda la forma Christi; essa è chiamata a lasciarsi plasmare dallo Spirito, al fine di essere conformata al suo Signore; il mutamento delle strutture è relativo a questo suo innestarsi in Cristo. l'importanza che questa immagine della luce "lunare" della Chiesa ha avuto presso i Padri cfr. H. RAHNER, Simboli della Chiesa. L'ecclesi­ ologia dei Padri, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1995, 253-268; H. DE LUBAC, Paradosso e mistero della Chiesa, cit., 15-18. Per il modo in cui il tema confluisce al Concilio, cfr. V. MARALDI, Lo Spirito e la Sposa. Il ruolo ecclesiale dello Spirito Santo dal Vaticano I alla Lumen gentium del Vaticano II, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1997, 279-296. 32 FRANCESCO, Incontro con i rappresentanti del V Convegno nazio­ nale della Chiesa italiana, Cattedrale di santa Maria del Fiore. Firenze. Martedì, 10 novembre 2015.

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Per questo e solo per questo essa è chiamata ad essere Chiesa povera e per i poveri. Solo una Chiesa povera e indi­ rizzata anzitutto ai poveri, agli emarginati, agli esclusi, agli scartati dalla società può farsi, infatti, trasparenza di quel Cristo nel quale si condensa tutto il Vangelo di Dio. La questione della povertà della Chiesa e della sua preferenza per i poveri, lungi dall'essere mera questione sociologica o economica è, invece, questione primariamente cristologica e, dunque, teologica. Appaiono inequivocabili, in tal sen­ so, le parole con cui, in EG, Francesco ha ripreso a parlare di una Chiesa povera e per i poveri, specie attraverso la citazione dell'inno della lettera ai Filippesi e il ricorso alle parole di Benedetto XVI. Per la Chiesa - dice papa Francesco - l'opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Dio concede loro "la sua prima misericordia". Questa preferenza divina ha delle conseguenze nella vita di tutti i cristia­ ni, chiamati ad avere ''gli stessi sentimenti di Gesù" (Fil 2,5). Ispirata da essa, la Chiesa ha fatto una opzione per i poven· intesa come una 'Jorma speciale di primazia nell'esercizio della carità cristiana, della quale dà testimonianza tutta la tradi­ zione della Chiesa". Questa opzione - insegnava Benedetto XVI - è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci mediante la sua povertà. Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri. 33 33

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EG, n. 198.

Si deve riconoscere come si abbia qui un rilancio ed una nuova ermeneutica di quanto il Concilio aveva già messo in evidenza nel fondamentale paragrafo 3 di LG 8, ultimo residuo di un ben più ampio progetto di strut­ turare tutto il discorso conciliare sulla Chiesa attorno alla prospettiva della povertà. 34 Si tratta di un passo - occor­ re riconoscerlo - passato spesso sotto silenzio nei cin­ quant'anni che ci distanziano dal Vaticano II. Non è certo casuale che il tema venga riproposto, con novità di accen­ to, a tutta la Chiesa da un papa che proviene dall'America Latina e da una Chiesa che in questi decenni lo ha recepito e sviluppato: sia sul piano della riflessione teologica, sia sul piano magisteriale. 35 34

Cfr. M. DONATI, Il sogno di una Chiesa. Gli interventi al Concilio

Vaticano II del cardinale Giacomo Lercaro, Cittadella, Assisi 2010, 197-

227; G. RuGGIERI, Evangelizzazione e stih' ecclesiali: Lumen gentium 8,3, in Associazione Teologica Italiana, Annuncio del Vangelo, for­ ma Ecclesiae, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2005, 225-256. Si tratta di un tema su cui è tornato, in un testo ormai classico, Con­ gar: cfr. YM. CoNGAR, Per una chiesa serva e povera, Qiqajon, Magna­ no (BI) 2014. L'edizione italiana contiene anche, alle pp. 163-166, il noto "Patto delle catacombe", sottoscritto da alcuni vescovi il 16 novembre 1965, poco prima della conclusione del Concilio. Esso è certamente noto da tempo a Bergoglio. 35 Occorre richiamare, al riguardo, come Bergoglio abbia avuto un ruolo di primaria importanza nell'estensione del docu­ mento di Aparecida, che viene citato diverse volte in EG. Galli ha potuto affermare, al proposito, che «ayer Bergoglio contri-

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Qualcosa di analogo lo si deve affermare, come si può evincere dalla citazione di EG 198 sopra riportata, a proposito del richiamo costante che Francesco fa ad una Chiesa misericordiosa, capace di guardare con compassio­ ne alle miserie dell'umanità, di sanarne le ferite, di offrire perdono e concedere, così, nuova possibilità di vita. È per mezzo di una Chiesa misericordiosa che il Vangelo della misericordia può, infatti, raggiungere l'umanità di oggi, ri­ divenendo udibile e "sperimentabile" per le donne e gli uomini in carne ed ossa e dal di dentro delle loro situazio­ ni di miseria e peccato. 36 È espressione di questa visione ciò che Francesco ha affermato nella già menzionata in­ tervista concessa a Tornielli. Dice il Papa: Sì, io credo che questo sia il tempo della misericordia. LA Chie­ sa mostra il suo volto materno, il suo volto di mamma, all'u­ manità ferita. Non aspetta che i feriti bussino alla sua porta, li va a cercare per strada, li raccoglie, li abbraccia, li cura, li fa sentire amati. [ ... ]Questo amore di misericordia illumina anche il volto della Chiesa, e si manifesta sia mediante i sacra-

buy6 con Aparecida; hoy Aparecida contribuye con Francisco». C.M. GALLI, El "retorno" del Pueblo de Dios misonero, eit., 439-440. Cfr. anche C.M. GALLI, LA Chiesa latino-americana e la teologia argentina come radici della Evangelii gaudium, in FACOLTA TEOLOGICA DELL'lTALIA SETTENTRIONALE- SEZIONE DI TORINO (a cura di R. REPoLE), Siamo sempre discepoli-missionari (Evangelii gaudium 120). Quali ''conversioni" per evangelizzare oggi?, Dehoniane, Bologna (in via di pubblicazione). 36 Cfr. MeM, nn. 12-19.

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menti, in particolare quello della riconciliazione, sia con le opere di carità, comunitarie e individuali. Tutto ciò che la Chiesa dice e compie manifesta la misericordia che Dio nutre per l'uomo. 37

La citazione è particolarmente opportuna, in quan­ to contiene il richiamo ad una delle metafore preferite da Francesco, per parlare della Chiesa: quella materna. 38 Considerando i suoi riferimenti teologici, non stupi­ sce particolarmente. Francesco ha infatti espressamente riconosciuto un debito teologico nei confronti del suo confratello gesuita Henri de Lubac (in particolare per la sua opera Méditation sur l'Église), per il quale tale immagi­ ne ha avuto un peso ecclesiologico considerevole. 39 Essa

37 FRANCESCO, Ii nome di Dio è misericordia, cit., 22-23. Cfr. an­ che le importanti pp. 76-83. 38 Galli lo mette più volte in evidenza: cfr. C.M. GALLI, La te­ ologia pastoral de Aparecida, una de las raices latinoamericanas de Evangelii gaudium, in Gregorianum 96 (2015/1), 25-50, 45; C.M. GALLI, La Chiesa latino-americana e la teologia argentina come radici della Evangelii gaudium, cit. Cfr. LF, nn. 37-45; cfr. M. CRUCIANI, Lo stilefamiliare di una evangelizzazjone gioiosa, in in H.M. YANEZ (a cura di), Evangelii gaudium: il testo interroga. Chiavi di lettura, testimonianze e prospettive, Gregorian & Biblical Press, Roma 2014, 95-108, 97-102. 39 È Spadaro a far notare come sia importante per compren­ dere la visione ecclesiologica di Francesco riferirsi a Meditazione sulla Chiesa di H. de Lubac: A. SPADARO, La Biblioteca di papa Francesco, in La Civiltà Cattolica 165 (2014), 490-498, 496. Nell'intervista conces­ sa al Direttore de La Civiltà cattolica de Lubac è menzionato insieme a de Certeaux come uno dei due pensatori francesi contemporanei

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viene usata dal Papa per esprimere proprio la funzione di mediazione che la Chiesa ha, perché l'agire salvifico e mi­ sericordioso di Dio continui a raggiungere l'umanità. Due catechesi tenute in piazza san Pietro - il 3 e il 1 O settem­ bre 2014- risultano, al riguardo, particolarmente istruttive per coglierne l'importanza e la funzione nel pensiero di Francesco. L'immagine materna è utile a dire come sia per mezzo della Chiesa che si viene generati, con il battesimo, alla vita in Cristo; ed è solo per suo tramite che si viene raggiunti dal Vangelo. 40 La Chiesa, dice il Papa, non deve essere perciò una ONG, ma deve generare dei figli, so­ prattutto attraverso l'annuncio evangelico. Dal momento, poi, che il Vangelo è quello di un Dio che ha cuore per le miserie dell'umanità, tale maternità si esprime anche nell'agire misericordioso della Chiesa: dove per Chiesa, che il Papa predilige: cfr. A. SPADARO, Intervista a papa Francesco, in

La Civiltà Cattolica 164 (2013), 449-477, 450. Per l'importanza che

l'immagine assume nell'ecclesiologia di de Lubac, mi permetto di rimandare a R. REPoLE, Chiesa, pienezza dell'uomo. Oltre la postmoderni­ tà: G. Marce/ e H. de Lubac, Glossa, Milano 2002, 354-393. E per la differenza di accento tra l'uso che ne fa de Lubac e quello di papa Francesco, cfr. R. REPOLE, Introduzione alla Sezione terza Chiesa, in H. DE LUBAC, Le Chiese particolari nella Chiesa universale, Jaca Book, Milano 2017, IX-XX, XX. Il volume contiene nella seconda parte il testo delubachiano La maternità della Chiesa. 4 ° Cfr. FRANCESCO, Udienza generale. Mercoledì 3 settembre 2014. Per il nesso tra maternità della Chiesa, la sua riforma e il suo essere Chiesa della misericordia cfr. A. SPADARO, Intervista apapa Francesco, cit., 461-464.

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senza nulla togliere al ruolo singolare che vi rivestono i ministri ordinati, si deve intendere la totalità dei cristianì. 41 È attraverso i sacramenti, 42 l'annuncio del Vangelo, l'esistenza stessa di tutti i cristiani, la loro compassione e il loro chinarsi sulle ferite dell'umanità, che il Vangelo continua ad essere udibile e vivo nel mondo. È, dunque, la maternità della Chiesa che consente di rimettere al centro la questione di Dio; non un "Dio qualunque", ma il Dio che ha a cuore e si prende cura di un'umanità misera e peccatrice. Si tratta di una realtà di cui, nonostante, le apparen­ ze, l'umanità contemporanea ha, secondo il Papa, una sete infinita. 43

Cfr. FRANCESCO, Udienza generale. Mercoledì 10 settembre 2014. Cfr. anche quanto il Papa esprime attraverso la metafora della. "Chiesa ospedale da campo": cfr. A. SPADARO, Intervista a papa Fran­ cesco, cit., 461-462. 42 Cfr. LF, nn. 40-45. 43 FRANCESCO, Il nome di Dio è misericordia, cit., 30-31. 41

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II IL "SANTO POPOLO FEDELE DI DIO" CAPITOLO

I . Popolo di Dio: il ritorno a una categoria centrale Se ci si domanda a chi si riferisca Francesco quando parla della Chiesa - che deve se stessa al Vangelo della misericordia e che è madre permettendo che il Dio mi­ sericordioso raggiunga tutti - la risposta appare nitida: al santo popolo di Dio. Anche e soprattutto a motivo di ciò, è lecito dire che con Francesco si è entrati in una nuova fase di recezione del Vaticano Il. Se un rinnovamento ecclesiologico ci si poteva atten­ dere, alla vigilia del Concilio, esso lo si aspettava da una ri­ trovata centralità dell'idea paolina della Chiesa quale corpo di Cristo. 1 In realtà, per una serie di motivi, la categoria più Si tratta tanto di testi come 1 Cor 12,4-29 e Rm 12,3-8, nei quali si dice che ciascun membro concorre a formare il corpo di Cristo, quanto di passi come quelli delle deuteropaoline (Ej 1,2023; Col 1,15-20), nei quali si sottolinea il rapporto tra Cristo-capo e il corpo. La prospettiva paolina feconda un testo magisteriale di notevole rilevanza, per il rinnovamento ecclesiologico, come la Mystici corporis (1943) di Pio XII, oltre che importanti studi eccle­ siologici. Tra questi ultimi, si pensi, ad esempio, a H. DE LuBAC, Méditation sur l'église, Aubier-Montaigne, Paris 1952; e H. DE LUBAC, 1

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importante con cui il Vaticano II ha parlato della Chiesa è stata quella del popolo di Dio. 2 Quando nella Lumen gentium (LG) si descrive che cosa sia la Chiesa in quanto rrùste­ ro che prende concretezza nella storia, lo si fa affermando anzitutto che essa è il popolo di Dio. Il fatto che l'intero secondo capitolo della Costituzione della Chiesa sia ad esso dedicato e che, per ben 184 volte, i testi conciliari ricorrano a tale categoria, sono un chiaro indizio della sua centralità. 3 Corpus Mysticum. L'eucharistie et l'église au m en la Argentina, cit., 696-697; C.M. GALLI, El "retorno" del Pue43

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connetta il sensus fidei alla pietà popolare, dato il modo in cui ne parla. Il Papa presenta, infatti, quest'ultima come espressione del Vangelo inculturato e invita a leggere le sue azioni quali espressioni di una vita teologale, dal mo­ mento che vi è all'opera quello Spirito Santo di cui i cri­ stiani sono unti. Dice, infatti, Francesco che «chi ama il santo Popolo fedele di Dio non può vedere queste azioni unicamente come una ricerca naturale della divinità. Sono la manifestazione di una vita teologale animata dall'azione dello Spirito Santo che è stato riversato nei nostri cuori (cfr. Rm 5,5)». 44 Proprio in ragione di questa inabitazione dello Spirito nel cuore dei cristiani, la pietà popolare deve essere vista, per Francesco, «come spiritualità incarnata nel cuore dei semplici». 45 L'espressione di EG è una ci­ tazione del documento di Aparecida per il quale è stato fondamentale il contributo di Bergoglio e che serve ora al Papa per affermare come nella pietà popolare si espri­ ma una fede, benché più per via simbolica che per via di «ragione strumentale» - dice lui- e nonostante che si ac­ centui maggiormente il credere in Deum rispetto al credere Deum dell'atto di fede. Nella pietà popolare è, cioè, in ri­ lievo più lo slancio personale con cui i credenti, specie i blo de Dios misonero, cit., 452-454; C.M. della Chiesa secondo Francesco, cit., 52. 44

45

GALLI,

La riforma missionaria

EG, n. 125.

Ibidem, n. 124.

75

più poveri,46 si abbandonano filialmente a Dio, che non la conoscenza credente di Dio e del suo piano salvifico. 47 In quanto espressione della fede cristiana e di un'autentica vita teologale, le azioni della pietà popolare sono da leg­ gersi addirittura quali luogo teologico cui prestare particolare attenzione in ottica di una nuova evangelizzazione. 48 Appare abbastanza evidente come la prospettiva dise­ gnata da Francesco a tal proposito risenta fortemente del­ la teologia del popolo, del cammino fatto in questi decenni dalla Chiesa latino-americana (non da ultimo del percor­ so giunto a maturazione con Aparecida) e della situazio­ ne ecclesiale di quel preciso contesto. Data la specificità della questione, si impone una riflessione critica, specie pensando di dover ricevere un tale sviluppo della dottrina conciliare nel contesto di Chiese che abitano culture anche molto diverse tra loro. In prima battuta, è opportuno raccogliere l'invito a guardare la realtà della Chiesa ormai a partire dal cosiddet­ to sud del mondo, in cui abita la maggior parte dei cristia­ ni, per molti dei quali la pietà popolare può rappresentare Cfr. Ibidem, n. 125. A chiarificazione di tale distinzione, si può ricordare quan­ to Francesco dichiara altrove: «È come con Maria - egli dice-: se si vuol sapere chi è, si chiede ai teologi; se si vuol sapere come la si ama, bisogna chiederlo al popolo». A. SPADARO, Intervista a papa Francesco, cit., 459. 48 Cfr. EG, n. 126. 46

47

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davvero il modo più normale e naturale di esprimere e vivere la propria spiritualità cristiana ed ecclesiale. Alcuni sospetti che, nell'Europa secolarizzata, si nutrono al ri­ guardo possono essere il retaggio di una Chiesa ed una teologia ancora fortemente eurocentriche. C'è, poi, da considerare come attraverso un tale di­ scorso si ponga in primo piano l'istanza di un ascolto della fede dei cristiani, anche laddove essi non abbiano le categorie e lo strumentario teologico adatto. Il tema è della massima importanza e può venire allargato anche ad altre istanze ecclesiologiche, quale la corresponsabilità di tutti i credenti. Talvolta, infatti, ci può essere il pericolo di confondere l'ascolto reale dei credenti con l'ascolto di alcuni cristiani soltanto: quelli più acculturati o più "cleri­ calizzati". Allo stesso modo, si può confondere la corre­ sponsabilità di tutti i cristiani, con la partecipazione alla vita ecclesiale di quelli che hanno assunto un determina­ to linguaggio. Non si può mancare di notare, al riguardo, come la pietà popolare sia vista da Francesco anche come espressione dell'attività evangelizzatrice di tutti, a comin­ ciare dai più semplici e più poveri. 49 Essa è uno dei modi attraverso cui i poveri non sono solo destinatari dell'at­ tenzione ecclesiale, ma protagonisti della sua missione. Il discorso potrebbe, tuttavia, essere allargato per doman­ darsi se, in altri contesti culturali, non sia impellente la Cfr. Ibidem, n. 126. Sul ruolo attivo dei poveri cfr. ].C. SCAN­ Incarnazione, kénosis, inculturazione epovertà, eit., 475-477.

49

NONE,

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necessità di cogliere il sensus ftdei di cristiani che vivono ed esprimono la propria fede, avendo confidenza con altri linguaggi: ad esempio, quello delle diverse scienze di cui sono esperti. Infine, senza nulla togliere al fatto che in alcuni con­ testi secolarizzati sia ancora possibile che la pietà popolare rappresenti, per alcuni, una autentica espressione di fede, non si può mancare di rilevare come li essa possa fatal­ mente diventare anche la migliore rappresentazione di un cedimento alla secolarizzazione. 50 Infatti, uno dei suoi tratti è da rintracciarsi non soltanto nell'autonomia delle diverse sfere sociali (economia, politica, arte, affetti, religione ... ) 51 ma - specie in un'epoca tardo-moderna come la nostra nel confinamento della religione al margine della vita reale. In contesti di questo genere, la pietà popolare può essere anche ciò che rimane di un mondo assoggettato ad una logica strumentale ed una "via di fuga" rispetto ad esso. È pertanto evidente come, in un tale contesto, la pietà po50

Può risultare, a questo riguardo, opportuna la distinzione cui invita Angelini, quando nota che «l'iscrizione del cristianesimo nel codice culturale di un popolo è cosa diversa dalla pietà popola­ re: è realtà decisamente più comprensiva». G. .ANGEUNI, Evangelii gaudium. La conversione pastorale e la teologia, in Teologia 39 (2014/ 4), 493-508, 507. 51 Si tratta della lucida interpretazione della secolarizzazione offerta da N. LUHMANN, Funzione della religione, Morcelliana, Brescia 1991.

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polare più che l'espressione di una fede inculturata potrebbe essere l'espressione di una fede marginalizzata. Accogliere, dunque, con serietà la prospettiva di un unico popolo di Dio esistente nei diversi popoli significa anche domandarsi come ricevere gli stimoli a considerare la portata ecclesiale della pietà popolare all'interno di con­ testi culturali assai differenti da quelli dell'America Latina o del cosiddetto sud del mondo.

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CAPITOLO

III CHIESA ESTROVERSA. UNA CHIESA CHE ESISTE PER ALTRI

Non si coglierebbe il cuore della proposta ecclesio­ logica di Francesco, se si tralasciasse di mettere in primo piano la sua visione di una Chiesa in uscita missionaria. Si è, anzi, qui alle prese con l'aspetto più rilevante e pro­ babilmente originale della ecclesiologia soggiacente il suo magistero. Anche in questo caso, non si può pensare di trovarsi dinanzi ad un "inizio assoluto". È risaputo come, a dispet­ to di una visione di Chiesa che poteva ritenere la missione come qualcosa di già realizzato o riguardante, al limite, soltanto alcuni luoghi (i cosiddetti "posti di missione'') e alcuni soggetti ecclesiali (le missionarie e i missionari), l'ultimo Concilio abbia già offerto una lettura chiaramente rinnovata. Esso lo ha fatto, richiamando anzitutto come la Chiesa -il concreto popolo di Dio - sia essa stessa il frut­ to della missione divina. La Chiesa rappresenta l'incipiente unificazione dell'umanità, primo effetto dell'invio del Fi­ glio e dello Spirito ad opera del Padre (cfr. Lumen Gentium, 2-4, LG). Ciò ha permesso di vedere come la fedeltà a tale origine non possa che comportare, per la Chiesa, il suo essere strutturalmente missionaria. Il testo conciliare che,

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con tutta probabilità, lo esprime nella maniera più plastica è Adgentes (AG) 2. «La Chiesa peregrinante - dice il noto passo conciliare - per sua natura è missionaria, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito santo, secondo il disegno di Dio Padre». Tale istanza ha potuto puntualizzarsi anche per l'ap­ porto che cominciava a venire dai Paesi di antica cristia­ nità, all'interno dei quali si intravvedeva la necessità di ri-evangelizzare categorie di persone per le quali la Chiesa stava diventando sempre più estranea. In tali contesti si trattava evidentemente di operare quella che Francesco ha definito «una rilettura del Vangelo alla luce della cultu­ ra contemporanea». 1 Tra gli effetti di una tale rilettura, ci fu quello di pensare la Chiesa come sacramento universa­ le di salvezza e di vedere come l'unica missione si realizzi in modi diversi nei differenti contesti socio-antropolo­ gici. Altro è, infatti, la missione nei luoghi non ancora raggiunti dall'annuncio evangelico, altro è la missione in contesti già formalmente cristiani. In questa prospettiva, un testo come quello di AG 6 risulta particolarmente ri­ levante. Non c'è dubbio sul fatto che, tanto a livello teologico quanto sul piano magisteriale, la riflessione conciliare ab­ bia trovato ulteriore sviluppo. 2 A proposito del magistero,

82

Intervista a papa Francesco, cit., 467.

1

Cfr. A.

2

Sul piano teologico, si pensi, nel contesto italiano, a tut-

SPADARO,

merita qui una particolare menzione la Evangelii nuntiandi (EN) di Paolo VI, a motivo del grande impatto che ebbe nella Chiesa latino-americana e della forte rilevanza che ha nel pensiero di Jorge Bergoglio. 3 In America Latina il tema è stato poi approfondito e contestualizzato, come mostra una lettura del documento di Aparecida, alla cui elabora­ zione contribuì in modo determinante Bergoglio e che, oggi, confluisce nel magistero papale di Francesco. 4 A partire da queste premesse, si comprende come il discorso di Francesco sulla Chiesa in uscita missionaria ta l'importante ricerca e riflessione condotte da Severino Dianich. Cfr., ad esempio, S. DIANICH, Chiesa in missione. Per una ecclesiologia dinamica, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1987; S. DIANICH, Chiesa estroversa. Una ricerca sulla svolta dell'ecclesiologia contemporanea, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1987. Va segnalato anche il più recente manuale scritto con Serena Noceti: S. DIANICH-S. NOCETI, Trattato sulla Chiesa, Queriniana, Brescia 2002. 3 Cfr. C.M. GAU1, I/forte vento del Sud, cit., 59-60. Nel discor­ so ai partecipanti del Convegno diocesano di Roma del 2014, Fran­ cesco ha detto di EN: «Anche oggi è il documento pastorale più importante, che non è stato superato, del post-Concilio. Dobbia­ mo andare sempre li. È un cantiere di ispirazione quell'Esortazione Apostolica. [ ... ] E non è stata superata. È un cantiere di cose per la pastorale». FRANCESCO, Discorso ai partecipanti al Convegno diocesano di Roma dedicato al tema: Vn popolo che genera i suoi figli, comunità efami­ glie nella grandi tappe dell'inizjazjone cristiana', lunedì 16 giugno 2014. 4 Cfr. C.M. GALLI, La riforma missionaria della Chiesa secondo Francesco, cit., 41.

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possa apparire singolarmente incisivo e ricco proprio per le Chiese di antica cristianità, segnate oggi dalla scristianiz­ zazione e dalla secolarizzazione. Ciò che prima del Con­ cilio e durante i lavori conciliari cominciava a palesarsi è oggi, infatti, scontato: anche e, forse, soprattutto in questi luoghi, una nuova evangelizzazione è impellente e impro­ rogabile. È leggendola primariamente a partire da questo con­ testo, che la proposta racchiusa nell'insegnamento del Papa appare particolarmente stimolante.

1. Siamo tutti discepoli-missionan:· il soggetto che annuncia e il Vangelo annunciato

Per Francesco, la missione della Chiesa risponde evi­ dentemente al mandato del Risorto attestato nella finale del vangelo di Matteo, nel quale Cristo invia i discepo­ li a predicare il Vangelo in ogni tempo e in ogni luogo (Mt 28,19-20). 5 La ragione più profonda, tuttavia, per cui la Chiesa è chiamata ad uscire risiede nel fatto che essa stessa è il frutto dell'iniziativa missionaria del Dio mise­ ricordioso, il quale è uscito per primo. È particolarmente pregnante, in tal senso, quanto Francesco afferma agli ini­ zi del primo capitolo di Evangelii gaudium (EG). Dice: La comunità evangeliZKfJtrice sperimenta che il Signore ha pre­ so l'iniziativa, l'ha preceduta nell'amore (cfr. 1 Gv 4,10), e 5

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EG, n.19.

per questo essa safare il primo passo, sa prendere l'iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusz: Vive un desiderio inesauribile di offire misericordia,frutto dell'aver sperimentato l'infinita misericordia del Padre e la suafarz.a diffusiva. 6

Il passo è particolarmente capace di richiamare due aspetti essenziali dell'insegnamento ecclesiologico di Francesco. Anzitutto, ad essere missionario non è un qualche soggetto ecclesiale, ma l'intera comunità, detta appunto «comunità evangelizzatrice». È la Chiesa in quanto tale ad essere chiamata ad evangelizzare; e ciascun soggetto al suo interno. È, evidentemente, un aspetto connesso all'idea che la Chiesa sia il popolo di Dio, nel quale tut­ ti i cristiani sono dotati della medesima dignità filiale e ugualmente responsabili, in quanto unti dallo Spirito. In tale orizzonte, infatti, non si può ritenere che l'evange­ lizzazione riguardi solo qualcuno. Se il popolo di Dio è per natura missionario, ne deriva che ogni cristiano lo sia. Anzi, essere discepolo di Cristo ed essere missionario non sopportano alcuna separazione. Il Papa dichiara il nesso indissolubile tra l'essere discepoli e l'essere evangelizzato­ ri, collegando i due termini con un trattino. Dice: «Ogni cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l'amore di Dio in Gesù Cristo; non diciamo più che 6

Ibidem, n. 24.

85

siamo "discepoli" e "missionari", ma che siamo sempre "discepoli-missionari" ». 7 Il passo succitato è altrettanto illuminante per coglie­ re quale sia l'oggetto dell'annuncio. Quel che la Chiesa è chiamata ad annunciare è il Vangelo della misericordia che la fa essere, di cui vive e dal quale è costantemente evan­ gelizzata. È un aspetto che conviene evidenziare, non solo per cogliere come vi sia un nesso nitido, nell'insegnamen­ to di Francesco, tra il ricupero massiccio della Misericor­ dia Divina e la Chiesa in uscita missionaria, ma anche per rilevare come l'evangelizzazione non possa risolversi in un mero annuncio verbale. 8 Evangelizzazione e promozione umana se sono, infatti, distinte non possono venire viste come separate: l'impegno della Chiesa nel promuovere e far fiorire l'umano ha intimamente a che fare con un Vangelo, il cui centro è il Dio che ha cuore per le miserie dell'umanità, peccato incluso. Basandosi sul magistero del suo predecessore, Francesco invita perciò a considerare come la carità non sia estranea ali'opera evangelizzatrice della Chiesa. «Dal cuore del Vangelo - dice - riconoscia­ mo l'intima connessione tra evangelizzazione e promozio­ ne umana, che deve chiaramente esprimersi e svilupparsi Ibidem, n. 120. Si tratta di un tratto rimarcato in modo particolare nella teologia latino-americana: cfr. J. SoBRJNO, Gesù Cristo liberatore, cit., 154-155. 7

8

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in tutta l'opera evangelizzatrice». 9 Egli cita il motu proprio Intima Ecclesia natura cli papa Benedetto XVI per asseri­ re che « "anche il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza". Come la Chiesa è missionaria per natura, così sgorga inevitabilmente da tale natura la carità effettiva per il prossimo, la compassio­ ne che comprende, assiste e promuove». 10 Si comprende, perciò, perché spesso il Papa inviti la Chiesa a stare nelle periferie o a non temere cli essere "ospedale da campo". Sono metafore che rischiano di diventare slogan che dan­ neggiano la profondità della proposta di Francesco, se non le si inquadra in tale cornice. Il dovere che la Chiesa ha di chinarsi su tutte le ferite dell'umanità e cli operare perché nessuno possa risultare uno scarto non le deriva da qualche forma di neutrale filantropia: è esigenza del Vangelo della misericordia, che è chiamata ad annunciare. Esso, proprio perché è annuncio del cuore di Dio che si china sulle miserie - compreso il peccato ed ogni divisione degli uomini tra loro - non può essere ridotto all'individuale rapporto del singolo con Dio11 o a qualco­ sa che rimandi ad un aldilà che nulla avrebbe a che fare con l'aldiqua di una vita, spesso misera, degli uomini. Il 9 10 11

EG, n. 178.

Ibidem, n. 179. Cfr. Ibidem, n. 180.

87

Papa lo chiarifica mettendo in evidenza la portata sociale dell'evangelizzazione; 12 rilevando come il Vangelo impli­ chi il regnare di Dio nel mondo, permettendo così che la vita sociale diventi «uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti»; 13 e prendendo le distanze da una visione del cristianesimo che lo concepisca come reli­ gione che si occupa della sfera intima delle persone, senza coinvolgere un impegno attivo e trasfigurante della società umana e di tutte le sue istituzioni. 14 È chiaro come un tale ripensamento della missionarie­ tà della Chiesa possa risultare un sentiero particolarmente promettente per le Chiese di antica cristianità e abitanti contesti sociali nei quali una certa ideologia post-moderna ed una certa secolarizzazione potrebbero comportare il relegamento della fede nella sfera solo individuale. 15 Allo stesso modo, in contesti di fine della cristianità, nei quali l'annuncio evangelico è già stato udito e si considera spes­ so scontato e in cui sono in atto, al contempo, processi di perdita di dignità per molte donne e uomini, potrebbe risultare particolarmente efficace una Chiesa che mostri Cfr. in parti.colare ibidem, nn. 17 6-185. Dice esplicitamente in EG, n. 180: «Tanto l'annuncio quanto l'esperienza cristiana ten­ dono a provocare conseguenze sociali». 13 Ibidem, n. 180. 14 Cfr. Ibidem, n. 183. 15 Cfr. quanto rilevato dallo stesso Papa in ibidem, n. 64. 12

88

come l'evangelizzazione implichi la testimonianza e l'im­ pegno in processi fattivi di umanizzazione.

2. Missione e conversione pastorale Una Chiesa in uscita missionaria comporta, però, una conversione pastorale. Sin dagli esordi di EG il Papa esplicita come l'assun­ zione dell'idea che la Chiesa sia la comunità dei discepoli­ missionari, che prendono l'iniziativa per offrire il Vangelo della Misericordia Divina di cui vivono, obblighi ad una conversione pastorale, a tutti i livelli della vita ecclesiale: essa non può, infatti, lasciare le cose come stanno. An­ che in tal caso, è chiaro come ciò si fondi nell'idea che la Chiesa sia il popolo di Dio animato e guidato dallo Spirito, affinché tutti e ciascuno siano messi a contatto con la Mi­ sericordia di Dio: la radice è data, cioè, dalla visione di un soggetto collettivo strutturalmente dinamico. Si potrebbe altrimenti dire che da una Chiesa missionaria per natura derivi il dovere di una incessante conversione pastorale. Dice, perciò, Francesco: « Spero che tutte le comunità fac­ ciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avan­ zare nel cammino di una conversione pastorale e missio­ naria, che non può lasciare le cose come stanno. Ora non ci serve una "semplice amministrazione" ». 16 16

Ibidem, n. 25. Cfr. Ibidem, no. 25-33.

89

La conversione concerne in particolar modo la ca­ pacità di rendere nuovamente evidente, nell'annuncio, il cuore del Vangelo, ovvero « [ ... ] la bellezza dell'amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo». 17 È un richiamo tanto importante quanto facilmente equivocabile. Esso risulta imprescindibile per una Chie­ sa che, come è il caso delle Chiese occidentali in regime di fine cristianità, voglia ancora annunziare il Vangelo in un ambiente nel quale non si può più dare per scontato il cristianesimo. Qui è indispensabile rendere nuovamen­ te evidente, infatti, quale sia il centro. Non solo: si trat­ ta di vedere come questo centro, cristologico, trinitario e coinvolgente ogni singola libertà, non possa essere mai e in nessuna circostanza dato per scontato o per acquisito. Francesco afferma che quando si dice che tale annuncio è il primo « [ ... ] ciò non significa che sta all'inizio e dopo si dimentica o si sostituisce con altri contenuti che lo supe­ rano. È il primo in senso qualitativo, perché è l'annuncio principale, quello che si deve tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve tornare ad annunciare durante la ca­ techesi in una forma o nell'altra, in tutte le sue tappe e i suoi momenti».18 Al contempo e proprio a partire da qui, si rende necessario il richiamo, sulla scia conciliare e nella prospettiva di una Chiesa missionaria, all'esistenza di una 17 18

90

Ibidem, n. 36. Ibidem, n. 163.

"gerarchia delle verità". È attorno al centro e in relazione ad esso che debbono essere ricomprese le diverse verità, specie quelle morali. Non si può, dunque, in alcun modo interpretare l'invito di Francesco come se inducesse ad una menomazione dell'integralità del Vangelo e della veri­ tà. Esso è piuttosto l'invito a ritrovare il cuore del Vangelo, che consiste nell'incontro salvifico con Cristo e, dunque, con l'Amore di Dio, affinché ogni verità possa essere ri­ trovata ed integrata nella giusta prospettiva. 19 Pensando in particolare a Chiese chiamate a recepire tale invito all'interno di contesti di fine della cristianità e di secolarizzazione, sono diversi gli aspetti che si potreb­ bero approfondire. 20 Per dovere di sintesi, se ne segnalano quattro, particolarmente urgenti: la ristrutturazione delle comunità cristiane sulla base della necessità di annunciare il Vangelo a quanti non lo conoscono o ne hanno una per­ cezione errata; la costituzione di luoghi di autentica frater19

Cfr. A. Cozzr, La verità di Dio e dell'uomo in Cri.rto, cit., 14-22. Per un ripensamento della Chiesa in tale contesto, cfr. R. REPOLE, Come .rtelle in terra. La Chie.ra nell'epoca della .recolarizZfZ­ zjone, Cittadella, Assisi 2012; e per una riconsiderazione di alcune questioni fondamentali della fede cristiana all'interno della attuale cultura cfr. G. FERRETTI, Il grande compito. Tradurre la .fede nello spazjo pubblico .reco/are, Cittadella, Assisi 2013; G. FERRETTI, Spiritualità cri­ stiana nel mondo contemporaneo. Per un superamento della mentalità .racrift­ cale, Cittadella, Assisi 2016. 20

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nità; la scelta preferenzìale deì gìovani; il coìnvolgìmento reale e responsabile deì crìstiani laìcì. Va anzìtutto consìderato come troppo spesso le co­ munità crìstiane formatesì ìn regime dì crìstianità sìano ancora strutturate secondo l'ìpotesì che tutti sìano "nor­ malmente crìstiani", che la fede venga trasmessa nelle fa­ mìglie dì provenienza, che la vìta crìstiana possa contare sull'appoggìo dì un contesto sodale che ne trasmette ì va­ lori. Molte delle energìe sono, percìò, spese per mantenere lo status quo; e restano, per conseguenza, poche rìsorse per annuncìare il Vangelo a chì non ne ha rìcevuto l'annun­ cìo o a quanti, per dìversì motìvì, hanno una percezìone dìstorta del Vangelo. L'ìnvìto del Papa dovrebbe attivare energìe e fantasìa pastorale, per ristrutturare le comuni­ tà ìn modo che le prìncìpali risorse vengano utilizzate ìn quest'ultima dìrezìone. Strettamente connessa con cìò, c'è l'esigenza che le comunità cristiane, prima ancora che luoghì dì scelte da prendere e inizìative da svolgere, sìano luoghì ìn cui i cri­ stiani possano confrontare la loro fede. In un contesto nel quale, ìnfatti, non è più scontato essere cristiani e ìn cui si è credenti al cospetto dì uomini che attraversano la medesima esistenza da non credenti,21 è più necessario che 21 Il riferimento è alla importante lettura della secolarizza­ zione offerta da Charles Taylor. In essa si supera la interpretazione della secolarizzazione come arretramento ineluttabile del religioso al cospetto dell'avanzare del mondo moderno. La secolarizzazione

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mai poter confrontare la propria fede con i compagni di credenza; così come risulta indispensabile, a partire da qui, vivere esperienze di autentica fraternità cristiana. Un terzo aspetto che è bene rilevare concerne la ne­ cessità di una pastorale che, a diversi livelli, operi una au­ tentica scelta preferenziale dei giovani. Con essi, infatti, la "normale" comunicazione della fede, sulla quale si poteva contare in regime di cristianità, si è chiaramente interrot­ ta.22 È ad essi che una comunità cristiana dovrebbe sentirsi chiamata ad annunciare in modo prioritario la novità di Cristo, con tutta la pregnanza che ciò comporta e che si è già espressa: non considerando la condizione giovanile una sorta di "malattia"; e non pensando di poterlo fare con eventi, che distolgano dall'impegno di formare delle coscienze, dal prendersi cura di una crescita e dal fare in modo che, nello Spirito, Cristo raggiunga dei cuori ed il­ lumini dei volti. Infine, è palese come una conversione pastorale deb­ ba passare anche e sopratutto per una de-clericalizzazione della Chiesa, che comporti il riconoscimento effettivo dell'imprescindibile contribuito di tutti i cristiani, anzitutè da intendersi, piuttosto, come un mutamento delle condizioni di credenza; come la possibilità di credere solo al cospetto della pos­ sibilità, uguale e contraria, della non-credenza e di un "umanesimo esclusivo". Cfr. C. TAYLOR, L'età secolare, Feltrinelli, Milano 2009. 22 Cfr., ad esempio, F. GARELLI, Piccoli atei crescono. Davvero una generazione senZfl Dio?, il Mulino, Bologna 2016.

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to ovviamente dei cristiani laici, perché il Vangelo, in un modo che vede intimamente connessi annuncio e carità vissuta, raggiunga davvero quante più donne ed uomini possibili. 3. Protagonismo laicale Per l'importanza che ha e per il taglio che assume nel pensiero ecclesiologico di Francesco, vale la pena di sof­ fermarsi sul modo in cui il Papa stesso considera il compi­ to dei laici all'interno di una Chiesa in uscita. Nell'orizzonte di quanto già richiamato circa la Chie­ sa popolo di Dio, Francesco insiste sin da EG sulla im­ portanza di ricuperare il senso e la prassi di un protago­ nismo dei laici. Egli lo fa, in particolare, segnalando come tra le sfide ecclesiali che una Chiesa in uscita missionaria deve affrontare, c'è proprio quella di ricordare che «i laici sono semplicemente l'immensa maggioranza del Popolo di Dio. Al loro servizio c'è una minoranza: i ministri ordi­ nati».23 Che il ricupero del loro protagonismo rappresenti una sfida è stato da lui più di recente ribadito, in tono ironico, ricordando quante volte si sia usata l'espressione con cui si diceva che era scoccata l'ora dei laici, senza che 102. Cfr. E. PALLADINO, I laici: l'immensa maggioranza (a cura di), Evangelii gaudium: il testo interroga, cit., 67-80, 76-77. 23

EG, n.

del popolo di Dio, in in H.M. YANEZ

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ne seguisse, però, alcuna reale trasformazione ecclesiale: « per esempio - ha detto Francesco -, ricordo ora la fa­ mosa frase: "È l'ora dei laici", ma sembra che l'orologio si sia fermato». 24 Per evidenziare la specificità del discorso del Papa al riguardo, è importante rilevare come per lui sia assoluta­ mente scontato il guadagno offerto dal secondo capitolo della LG in forza del quale non si può pensare che esista una Chiesa ad intra, appannaggio dei chierici, ed una Chie­ sa ad extra, appannaggio dei laici. Tutti sono ugualmente appartenenti al popolo di Dio e responsabili della sua mis­ sione. Ciò nondimeno, senza lasciar trasparire un sistema­ tico sviluppo teologico della questione, egli fa intravve­ dere come, su questa base e senza scalfire in alcun modo tale visione, andrebbe anche ricuperato uno degli aspetti che l'idea di una "indole secolare" dei laici, presente anco­ ra nel IV capitolo di LG intendeva salvaguardare: il fatto, cioè, che la Chiesa esista per altri, che sia missionaria, che sia chiamata ad abitare e trasfigurare le realtà di questo mondo. Sono istruttivi, a tal proposito, i motivi che, se­ condo Francesco, avrebbero bloccato il protagonismo dei laici: il fatto di non essere stati formati a dovere; il fatto di non aver trovato spazi nelle Chiese particolari; ma anche il fatto di essere stati chiamati ad assumere spesso compiti 24

FRANCESCO,

Il santo popolo fedele di Dio, cit., 202.

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intraecclesiali, a discapito di un impegno di evangelizza­ zione all'interno delle diverse realtà del mondo. 25 Aldilà di una compiuta discussione teologica sul tema, si dovrà quanto meno ammettere che la prospettiva di Francesco rappresenta un invito non solo a riconoscere che la Chiesa è fatta per lo più da cristiane e cristiani laici, che i ministri sono a servizio di tale maggioranza e che tra gli uni e gli altri c'è un legame di fraternità; ma anche che la Chiesa è già in uscita laddove esistono laiche e laici che vivono e trasmettono il Vangelo nel mondo. Ogni di­ scorso sui laici rischia di essere incompiuto se non rileva questo fatto, come un dato essenziale per l'esserci della Chiesa. Da ciò dovrebbe derivare, infatti, la consapevolez­ za che la Chiesa esiste non soltanto nel momento del suo raccogliersi, ma anche laddove, specie per la presenza dei cristiani laici, vive nelle realtà di questo mondo. Tale con­ sapevolezza dovrebbe poi essere di stimolo ad una con­ versione pastorale (e magari dello stesso Codice di Diritto canonico), che faccia sì che esistano dei luoghi (ad esem­ pio, gli organi di partecipazione) in cui è possibile che ci si metta in ascolto delle ricchezze e delle tensioni che tanti cristiani sperimentano quando, incontrando le persone, vivendo la realtà del lavoro, svolgendo diverse professioni, curando i più deboli, aiutando i figli a crescere, affrontan­ do le questioni sociali ... annunciano il Vangelo. 25

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Cfr. EG, n. 102.

4. Uno stile che è contenuto Sulla base di quanto sin qui espresso, sia in relazione all'oggetto dell'annuncio (ovvero il Vangelo della rrùseri­ cordia), sia in relazione ai soggetti (ovvero tutti i cristiani e primariamente l'immensa maggioranza costituita dai laici), non stupisce che Francesco rilevi come la rrùssione della Chiesa si realizzi nel rapporto da persona a persona. Proprio perché l'annuncio, infatti, è quello del Van­ gelo della rrùsericordia che deve toccare le persone nella loro singolare e irripetibile situazione, che costituisce un appello alla loro libera e personale risposta, che non può ridursi a comunicazione verbale poiché implica una carità effettiva e che viene trasmesso, infine, potendo contare sui molteplici carisrrù di tutti i cristiani (anzitutto i lai­ ci), sarebbe assurdo pensare ad una "evangelizzazione di massa". Essa avviene sempre nell'incontro interpersonale. Per questo, esistono molteplici modi di evangelizzare: « Si trasmette in forme così diverse - afferma il Papa - che sarebbe impossibile descriverle o catalogarle, e nelle quali il Popolo di Dio, con i suoi innumerevoli gesti e segni, è soggetto collettivo». 26 È un aspetto che dice quanto sia importante lo stile dell'annuncio, al punto di poter dire che lo stile esprime già il contenuto. Esso implica una relazione e un autentico incontro tra chi dona l'annuncio e chi lo riceve. 26

Ibidem, n. 129. Cfr. Ibidem, nn. 127-129.

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Ed è in questo orizzonte che occorre leggere an­ che lo stile di insegnamento assunto dallo stesso Fran­ cesco, attraverso un evidente mutamento del linguaggio magisteriale;27 così come gli insegnamenti dati a chi, nel popolo di Dio, è investito del compito di un annuncio autorevole. Per mezzo di un linguaggio che mira a coin­ volgere l'interlocutore, che rintraccia tutti i modi possibili per mettersi al suo livello, che ricerca metafore esistenzial­ mente rilevanti, Francesco mostra, infatti, come anche il linguaggio magisteriale possa e debba essere normalmente un linguaggio pastorale, in quanto è finalizzato all'evan­ gelizzazione. Sembra di dover leggere in questi termini la grande rilevanza data da Francesco all'omelia, quale strumento normale con cui esercitare il suo personale magistero di vescovo di Roma. 28 Al contempo, è proprio sull'omelia, sulla sua preparazione e sulla sua efficacia che 27 Cfr. quanto rilevato da C. THEOBALD, Fraternità. Il nuovo stile della chiesa secondo papa Francesco, Qiqajon, Magnano (BI) 2016, 2025. Cfr. anche M. SEME.RARO, Introduzione, in FRANCESCO, Evangelii gaudium. Esortazione apostolica, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2013, 7-27, 11-12. 28 Cfr. quanto messo bene in evidenza da S. DrANICH, Magi­ stero in movimento. Il caso papa Francesco, Dehoniane, Bologna 2016, 35-66. In altro modo, la novità del linguaggio intimamente asso­ ciato ai gesti è rimarcato anche da O.E. VIGANÒ, Fedeltà e cambia­ mento. La svolta di Francesco raccontata da vicino, Rai-Eri, Roma 2015, 103-124.

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il Papa insiste quando si rivolge ai pastori: 29 segno dell'im­ portanza che deve avere anche per essi la comunicazione della fede da persona a persona, dal momento che l'omelia è una forma di comunicazione viva, dove sono coinvolte persone reali e nella quale è fondamentale il rapporto che si crea tra chi parla e chi ascolta. Tale sottolineatura non è da leggersi come il ripudio della necessità di un linguaggio più "definitorio" o "dog­ matico", qualora l'autenticità della fede rischiasse di venire compromessa: essa segnala, piuttosto, come quest'ultimo non possa essere il linguaggio con cui normalmente si tra­ smette la fede; e ricorda come anche esso, in ogni caso, chieda sempre il coinvolgimento personale del credente. Poiché, però, le persone non esistono al di fuori di una cultura, la missione della Chiesa implica sempre, per Francesco, una inculturazione ed una evangelizzazione delle culture. È singolare come questa venga interpretata dal Papa attraverso la categoria dell'accoglienza; quasi che 29

Si veda la grande rilevanza che il tema assume in EG, nn. 135-159. Si consideri, in particolare, come Francesco evidenzi l'importanza di una personalizzazione della Parola da parte di chi predica, affinché egli sia totalmente coinvolto con ciò che annun­ cia e sia testimone (nn. 149-151); e la necessità che egli sia anche in ascolto del popolo, perché la sua parola raggiunga l'interlocutore (nn. 154-155). Cfr. anche G. RAVASI, Una vera "Postefzione". L'omelia secondo papa Francesco, in A. Cozzr-R. REPOLE-G. PIANA, Papa France­ sco. Quale teologia?, cit., 193-208.

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evangelizzare una cultura comporti, per la Chiesa, l'ospi­ talità in sé di alcune sue dimensioni. Dice, infatti, il Papa: « Quando alcune categorie della ragione e delle scienze vengono accolte nell'annuncio del messaggio, quelle stes­ se categorie diventano strumenti di evangelizzazione; è l'acqua trasformata in vino». 30 Va rilevato come, pur senza citarlo, Francesco usi qui lo stesso esempio adoperato da Tommaso per difendersi da quanti lo accusavano di an­ nacquare il Vangelo con la sua teologia, a motivo dell'uso della ragione e della filosofia. 31 Allo stesso modo, è d'ob­ bligo segnalare come Francesco veda proprio nella teolo­ gia lo strumento indispensabile per operare questa incul­ turazione da parte di una Chiesa in uscita missionaria. 32 È evidente come tale mutamento di stile debba com­ portare anch'esso delle conversioni pastorali, specie per una Chiesa che viva dentro una cultura occidentale. Mol­ to sinteticamente, può essere utile segnalare, per un tale ambiente e nell'assunzione autentica delle prospettive di­ schiuse dal Papa, tre orizzonti di conversione. 30

EG, n. 132.

Cfr. TOMMASO, Expositio super librum Boetii de Trinitate, q. 2, art. 3, ob. 5, e ad 5. Cfr. quanto dice Chenu del dinamismo di purificazione e di illuminazione che tale trasformazione comporta in Tommaso: M.D. CHENU, La teologia come scienza nel XII secolo, Jaca Book, Milano 1995, 123-125. 32 Cfr. EG, nn. 133-134. 31

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Il primo concerne la necessità di passare da una Chiesa che potevafar conto su un ''cristianesimo di massa" ad una Chiesa che si strutturi sapendo che il Vangelo non può che essere trasmesso da persona a persona. Questo dovrà declinarsi, ancora una volta, nella capacità di discernere, promuovere e valoriz­ zare i carismi dei molti cristiani laici che annunciano nor­ mahnente il Vangelo in incontri interpersonali, nei diversi contesti di vita; e nella capacità di fare spazio reahnente a quanti accolgono con fede il Vangelo ed entrano nel­ la Chiesa, con la loro novità, unicità e singolarità. In tal senso, l'accento sulla missionarietà della Chiesa deve an­ dare di pari passo a quello sulla sinodalità, di cui si dirà in seguito. Il secondo riguarda l'importanza che, in questo oriz­ zonte, viene ad avere la teologia. Senza una reale valorizza­ zione del lavoro teologico, difficilmente la Chiesa sarà ca­ pace di rendere udibile e di inculturare il Vangelo dentro la cultura tardo-moderna o postmoderna. Si pensi, solo per esemplificare, a quanto impegno teologico sia necessario perché il Vangelo sia reahnente annunciato all'interno di una cultura dominata dalla scienza e da una visione disin­ cantata del mondo. Infine, il compito di evangelizzare la cultura comporta per delle Chiese che abitano società come quelle occiden­ tali, generahnente democratiche, l'assunzione di una capacità di abitare lo spazio pubblico, senza più contare su una posizione di forza e dipotere; e senza, tuttavia, abdicare al compito di of101

frire la forza trasfigurante del Vangelo per la realizzazione di una società più giusta e fraterna. 33 Per farlo, i cristiani dovranno essere capaci di mostrare, nei discorsi pubblici, la forza umanizzante dei valori evangelici; ed essere pron­ ti ad operare - nel normale "gioco democratico" - per convincere dell'impatto umanizzante di tali valori anche quanti cristiani non sono. È un aspetto che sta evidentemente molto a cuore a papa Francesco.

5. Dimensione profetica de/l'annuncio: la denuncia del relativismo pratico

In Francesco, infatti, il ripensamento di una Chiesa in uscita missionaria, oggi, si accompagna alla denuncia dell'idolatria che caratterizza il mondo tardo-moderno e

33

Può essere utile, al fine di cogliere come la secolarizzazi­ one contrassegni anche lo spazio pubblico e per essere accorti del mutamento che ciò comporta per una Chiesa che non voglia abdicare all'annuncio evangelico anche in quel contesto la let­ tura di M. GAUCHET, Un mondo disincantato? Tra laicismo e riflusso elencale, edizioni Dedalo, Bari 2008; M. GAUCHET, La religione nella democrazia, edizioni Dedalo, Bari 2009. Si veda, inoltre, L. Dro­ TALLEVI, Fine corsa. La crisi del cristianesimo come religione confessionale, Dehoniane, Bologna 2017. Per una riflessione ecclesiologica in tale orizzonte, cfr. S. DIANICH, Chiesa e laicità dello Stato, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2011.

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globalizzato: in particolare, l'idolatria del denaro34 e quella rintracciabile nell'esaltazione mitica della tecnica. 35 Potrebbero apparire, a tutta prima, due dimensio­ ni irrelate. In verità, esse sono intimamente correlate: la Chiesa non potrebbe, infatti, annunciare il Vangelo della misericordia che la fa esistere, senza denunciare, al con­ tempo, quegli idoli che pretendono di prendere il posto del Dio rivelatosi in Cristo e vivo nello Spirito, finendo per disumanizzare gli uomini e disintegrare la Terra. È quanto il Papa mette in luce a proposito dell'idolatria del denaro sottesa a certo liberismo economico, che dà vita ad una economia ingiusta, che disumanizza tanto chi ne è vitti­ ma quanto chi la produce; ed è quanto rileva a riguardo di quello che viene chiamato «paradigma tecnocratico», 36 che finisce per distruggere la casa comune, a discapito an­ zitutto della vita e della dignità dei più poveri. 37 34 Cfr. Ibidem, nn. 55-56. Per una disamina dell'idolatria e delle sue dimensioni mitiche cfr. R. REPoLE, Annuncio del Vangelo e idolatria, in M. GRONCHI-R. REPOLE, Il dolce stil novo dipapa Francesco, eit., 49-88, 80-88. Cfr. G. PIANA, Il magistero morale dipapa Francesco, in A. Cozz1-R. REPoLE-G. PIANA, Papa Francesco. Quale teologia?, eit., 127-191, 148-156. Sull'importanza del tema, in ambito teologico, cfr. D. MARGUERAT, Dio e il denaro, Qiqajon, Magnano (BI) 2014; D.-R. DuFOUR, Le Di­ vin Marché. La révolution culture/le libérale, Denoel, Paris 2007. 35 Si veda, in particolare il capitolo III di Ll dedicato a di­ scernere le cause della crisi ecologica. 36 Cfr. Ibidem, nn. 107-109. 37 Cfr. Ibidem, nn. 48-52. Quanto sia vivo il tema, nella vita

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Nel farsi voce di una Chiesa che, proprio perché missionaria, è capace di profezia, Francesco denuncia in modo particolare il grave pericolo rappresentato dal rela­ tivismo pratico. 38 Benedetto XVI, provenendo dal cuore di un'Europa in crisi di valori e con il sospetto verso ogni prospettiva di verità, ha opportunamente messo l'accento sulla forza anti-evangelica e disumanizzante del relativi­ smo teorico. Francesco, provenendo da un'America Lati­ na in cui è più evidente la disuguaglianza sociale e in cui si è portati a vedere il mondo a partire dai più poveri e dalle vittime, mette oggi in rilievo la portata ugualmente anti­ evangelica e disumanizzante del relativismo pratico. La fenomenologia che ne offre è ampia, precisa e, per questo, beneficamente inquietante. Dice Francesco: la cultura del relativismo è la stessa patologia che spinge una persona ad approfittare di un'altra e a trattarla come un mero oggetto, obbligandola a lavoriforz.ati, o riducendola in schiavitù a causa di un debito. È la stessa logica che porta a sfruttare sessualmente i bambini, o ad abbandonare gli anziani che non servono ai propri interessi. È anche la logica interna di chi afferma: lasciamo che le forz.e invisibili del mercato regolino l'economia, perché i loro effetti sulla società e sulla natura sono danni inevitabili. Se non ci sono verità oggettive e principi stacome nei diversi discorsi di Francesco, è evidente in D.E.

VIGANÒ,

Fedeltà e cambiamento. LA svolta di Francesco raccontata da vicino, cit., 125132. 38 Cfr. EG, n. 80.

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bili, al di fuori della soddisfazione delle proprie aspirazioni e delle necessità immediate, che limiti possono avere la tratta degli esseri umani, la criminalità organizzata, il narcotraffico, il commercio di diamanti insanguinati e di pelli di animali in via di estinzione? Non è la stessa logica relativista quella che giustifica l'acquisto di organi dei poveri allo scopo di venderli o di utilizzarli per la sperimentazione, o lo scarto di bambini perché non rispondono al desiderio dei loro genitori? 39

È chiaro che, in forza del Vangelo di cui vive e che è chiamata ad annunciare, la Chiesa dovrà essere voce profetica, tanto rispetto al relativismo teorico, quanto ri­ spetto a quello pratico. Essa esprimerà così quella "riserva critica" anche nei confronti del mondo postmoderno e globalizzato che deve rappresentare rispetto a qualsivoglia cultura. C'è, tuttavia, una specificità del relativismo prati­ co, che ha una notevole rilevanza ecclesiologica. Esso può insinuarsi anche in quei cristiani la cui dottrina è inoppu­ gnabile e può riguardare, dice Francesco, « [ ... ] persino chi apparentemente dispone di solide convinzioni dottri­ nali e spirituali [ ... ] »: 40 anche costoro possono, infatti, vivere come se Dio non esistesse o decidere come se i poveri non ci fossero. È, dunque, possibile essere cristiani, professare una dottrina e idee spirituali corrette e, tuttavia, incorrere in tale relativismo. 39 40

LS, n. 123. Si veda anche il n. precedente. EG, n. 80. 105

Per questo Francesco lo reputa ancora più pericoloso di quello dottrinale: esso appare, infatti, come una minac­ cia subdola, che può far sì che la comunità dei credenti in Cristo parli del Vangelo, senza essere evangelica. E per questo la conversione è, per la Chiesa, un compito co­ stante e mai concluso; così come indispensabile è la sua riforma.

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CAPITOLO

IV LA NECESSARIA RIFORMA

A distanza di cinquant'anni dal Vaticano II risulta oggi piuttosto evidente come, da un lato, i testi conciliari non siano sempre così univoci nel prospettare una trasfor­ mazione della Chiesa anche sul piano strutturale e come, dall'altro lato, la riforma di alcune importanti istituzioni ecclesiali che molti si aspettavano all'indomani del Conci­ lio non sia sempre stata attuata. Guardando all'insegnamento ecclesiologico di papa Francesco e ad alcune sue importanti scelte, è palese come - anche a questo proposito - si sia entrati in una nuova fase di recezione del Vaticano II. Potendo far leva sullo sviluppo teologico che ha preparato il Concilio e che vi ha fatto seguito, egli offre chiare idee e fa precise scelte di riforma. Come si è già osservato, per Francesco una riforma della Chiesa non è "un qualunque mutamento struttura­ le". Essa è necessaria affinché la Chiesa, nello scorrere del tempo e nel mutare delle situazioni, rimanga sempre evangelica e trasparente al Dio misericordioso che la abita e la fa esistere. Alla luce di quanto sinora evidenziato do­ vrebbe risultare altrettanto evidente come la riforma sia, proprio per questo, intimamente connessa all'idea di una 107

Chiesa in uscita missionaria. La Chiesa, infatti, avverte il dovere di uscire e di far incontrare tutti con il Dio mise­ ricordioso comunicatosi in modo ultimo in Cristo e nel dono del suo Spirito, perché sa di esistere in forza della misericordia di un Dio che ha preso l'iniziativa ed è uscito per primo. 1 Il Papa lo esprime in maniera netta e nitida nel primo capitolo di EG: « La riforma delle strutture - dice-, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istan­ ze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di "uscita" e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia». 2 Anche in questo caso, non ci si deve aspettare dal Papa un programma di riforma sistematico ed offerto in modo organico. Al contempo, è bene rilevare come su questo punto Francesco sembri confidare su ed agire secondo quel­ la logica che indica spesso a tutti i cristiani, per la quale non si tratta di occupare spazi ma di avviare processi. Proprio per questo, risulta forse impossibile e addirit­ tura insensato delineare un quadro preciso delle riforme che si dovrebbero attuare. Farlo sarebbe in fondo smentire alcuni capisaldi della visione ecclesiologica di Francesco, 1

2

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Cfr. EG, n. 24. Ibidem, n. 27.

qualcuno già menzionato e altri su cui è necessario sosta­ re: il fatto, ad esempio, che la Chiesa sia un soggetto dina­ mico guidato dalla presenza viva dello Spirito di Cristo; il fatto che tutti i cristiani siano soggetti vivi ed attivi nella Chiesa; il fatto che le Chiese locali non siano dipartimenti amministrativi, ma Chiese aventi una loro soggettualità. Ciò nondimeno, si possono evidenziare alcune fon­ damentali linee di riforma nell'insegnamento di France­ sco, debitrici della visione ecclesiologica fin qui presentata e chiaramente interconnesse l'una con l'altra. Esse concer­ nono: la sinodalità della Chiesa e il superamento di una vi­ sione universalista di Chiesa; l'importanza di una collegia­ lità intermedia; il papato e la realtà del Sinodo dei Vescovi.

1. Sinodalità e superamento di una visione universalista di Chiesa Occorre onestamente riconoscere come, con il pa­ pato di Francesco, il tema ecclesiologico della sinodalità sia tornato prepotentemente alla ribalta. Esso non è sta­ to esplicitamente tematizzato al Vaticano II: nella visio­ ne ecclesiologica del popolo di Dio e nella conseguente concezione del sensus fidei vi erano, però, le premesse per un suo sviluppo. Negli ultimi anni, tuttavia, il tema poteva apparire ad alcuni addirittura sospetto. 3 3 Va segnalato come l'Associazione Teologica Italiana sia già intervenuta sul tema, dedicandovi un Congresso alcuni anni fa: cfr. Associazione Teologica Italiana, Chiesa e sinodalità. Coscienza, ferme,

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Francesco l'ha riportato al centro dell'attenzione ecclesiale ed ecclesiologica. Un discorso divenuto ormai fondamentale per la sua visione di Chiesa è particolar­ mente istruttivo al riguardo; e chiarifica come, per il Papa, la strada della sinodalità sia da percorrere in quanto è quel­ la che permette, in questo nostro mondo, di attivare siner­ gie in vista della missione della Chiesa.4 In occasione del 50 ° anniversario dell'istituzione del Sinodo dei Vescovi, il 17 ottobre 2015, il Papa ha infatti parlato della « sinodali­ tà, come dimensione costitutiva della Chiesa», in quanto secondo l'espressione di Giovanni Crisostomo, Chiesa e sinodo sono sinonimi « perché - continua sempre Fran­ cesco - la Chiesa non è altro che il "camminare insieme" del Gregge di Dio sui sentieri della storia incontro a Cri­ sto Signore [ ... ] ». 5 Il fondamento di ciò è da rintracciarsi proprio nel fatto che la Chiesa è il popolo di Dio; che tutti i cristiani sono unti dallo Spirito ed esiste perciò un sensus ftdei che rende la Chiesa infallibile in credendo; e che non si può separare rigidamente una Ecclesia docens ed una Ecclesia discens. All'interno della Chiesa nessuno può essere, infatti, collocato al di sopra degli altri. Chi assume al suo interno processi, Glossa, Milano 2007. Cfr., più di recente, G. RuGGIERI, Chiesa sinodale, Laterza, Bari 2017. ° 4 FRANCESCO, Discorso in occasione del 50 anniversario dell'istitu­ zione del Sinodo dei vescovi. Sabato, 17 ottobre 2015. Si veda l'avvio del discorso. 5 Ibidem.

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il ministero è posto piuttosto al servizio altrui. Il Papa non ha ti.more di parlare della Chiesa secondo l'immagine di una piramide capovolta, per cui «il vertice si trova al di sotto della base». 6 Quanto occorre qui soprattutto richiamare è il fatto che, affinché sia realmente percepito il sensus fidei, vi è - se­ condo il Papa - la necessità di un ascolto, che investe la Chiesa a tutti i livelli e in tutti i soggetti: nella consapevolez­ za - ha suggerito con finezza antropologica - che ascol­ tare sia più del semplice sentire. 7 «Una Chiesa sinodale - dice infatti Francesco - è una Chiesa dell'ascolto, nella consapevolezza che ascoltare "è più che sentire". È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da impara­ re. Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l'uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo "Spirito della verità" (Gv 14,17), per conoscere ciò che Egli "dice alle Chiese" (Ap 2,7)». 8 La sinodalità investe, pertanto, la Chiesa ad ogni livel­ lo del suo esistere; ed è essenziale perché nell'ascolto di tutti si oda la voce dello Spirito. 6

Ibidem. 7 Cfr. EG 171, dove il Papa spiega che l'ascolto non è totale passività, in quanto « [ ... ] ci aiuta ad individuare il gesto e la parola opportuna che ci smuove dalla tranquilla condizione di spettatori». ° 8 FRANCESCO, Discorso in occasione del 50 anniversario dell'istituzione del Sinodo dei Vescovi, cit.

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Un tale discorso concerne la questione della riforma, proprio in quanto obbliga a chiedersi dove si dia la Chiesa, ovvero quale sia il primo e fondamentale livello nel quale si tratta di realizzare questo ascolto reciproco, che sta a fondamento del camminare insieme. Si sa come al Vaticano II ci sia stato un evidente ripri­ stino della visione secondo cui quelle locali sono realmente Chiese e della prospettiva che vede la Chiesa quale communio Ecclesiarum. 9 È risaputo, altresì, come il ricupero di una tale ecclesiologia sia avvenuto all'interno di una cornice anco­ ra tendenzialmente universalista di Chiesa. Un emblema di ciò è dato dal fatto che il collegio dei vescovi è visto ancora come realtà in parte slegata dalla comunione delle Chiese. 10 Non deve, perciò, sorprendere che negli ultimi decenni, in seguito al documento della Congregazione della dottri­ na della fede, Communionis notio, nel quale si affermava una 9 Un testo capace di mostrare la portata e gli effetti del mutamento rispetto alla ecclesiologia precedente è quello di H. LEGRAND, La réalisation de l'église en un lieu, in B. LAURET-F. REFOULÉ (suos la direction de), Initiation à la pratique de la théologie, III, Cerf, Paris 1983, 145-345. 10 È quanto si evidenzia ad una lettura critica di LG 22, presa nella sua letteralità; ed è quanto ha permesso interpretazioni post­ conciliari che sono andate in quella medesima direzione, come è il caso diApostolos suos, n. 12, di Giovanni Paolo IL Cfr. H. LEGRAND, Communio Ecclesiae, communio Ecclesiarum, collegium episco­ porum, in A. SPADARo-C.M. GALLI (a cura di), La Riforma e le riforme nella Chiesa, cit., 159-188, 159-164.

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precedenza ontologica e temporale della Chiesa universale rispetto a quelle locali, vi sia stato un intenso dibattito te­ ologico che ha visto in Ratzinger e Kasper i due principali protagonisti. Francesco pare orientarsi con decisione ver­ so la concezione per cui non si possa intendere l'universa­ lità della Chiesa come realtà previa all'esistenza concreta delle Chiese locali.11 È assai significativo, al proposito, il modo in cui in EG 30 egli parla della Chiesa particola­ re. Dice: « Ogni Chiesa particolare, porzione della Chie­ sa cattolica sotto la guida del suo Vescovo, è anch'essa chiamata alla conversione missionaria. Essa è il sogget­ to dell'evangelizzazione, in quanto è la manifestazione concreta dell'unica Chiesa in un luogo del mondo, e in essa "è veramente presente la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica"».12 Del passo di EG va rilevato il fatto che il Papa parli della Chiesa locale non quale parte, bensì come porzione della Chiesa; e il rimando, in nota, a Christus Dominus ( CD) 11, uno dei testi nei quali in modo 11 Kasper nota come sul tema del rapporto tra Chlesa uni­ versale e Chlese locali « [ ... ] anche il cardinale Bergoglio, in qualità di arcivescovo di Buenos Aires, è finito occasionalmente in conflit­ to con posizioni della curia romana. Ora - aggiunge Kasper - egli riprende il tema nel quadro della ecclesiologia della communio e parla di una decentralizzazione della chlesa e di un rafforzamento del­ le Conferenze episcopali (EG 16; 32)». W KASPER, Papa Francesco, cit., 73. 12 EG, n. 30.

113

più maturo il Vaticano II ricupera ed esprime una teologia della Chiesa locale. Allo stesso modo, non può passare inosservato il fatto che nel Giubileo della misericordia Francesco abbia chiesto che si aprisse una porta santa in ogni Chiesa parti­ colare 13 e che la prima porta sia stata aperta in Africa.14 Si tratta, infatti, di segni concreti con cui si dice che le Chiese locali non sono parti o distretti di una Chiesa universale, da pensarsi astrattamente come realtà previa al loro esi­ stere: esse sono, piuttosto, la Chiesa in quanto esiste in un determinato "luogo", così come emerge dagli indirizzi delle lettere paoline (cfr. 1Cor 1,2; 2Cor 1, 1; 1Ts 1, 1). Poiché c'è un ricupero della piena consistenza delle Chiese locali si comprende perché, per il Papa, la sinodalità debba anzitutto realizzarsi proprio a questo livello e com­ porti una necessaria riforma degli organismi di partecipazio­ ne di cui ciascuna Chiesa si dovrebbe servire. Vale la pena di riportare quanto dice Francesco nel suddetto discorso. Il primo livello di esercizio della sinodalità si realizza nelle Chiese particolari. Dopo aver richiamato la nobile istituzio­ ne del Sinodo diocesano, nel quale Presbiteri e Laici sono chiamati a collaborare con il Vescovo per il bene di tutta la comunità ecclesiale, il Codice di diritto canonico dedica ampio spazio a quelli che si è soliti chiamare gli "organismi di co-

13 14

Cfr. FRANCESCO, Misen'cordiae Vultus, n. 3. Cfr. D.E. VIGANÒ, Fratelli e sorelle, buonasera. Papa Francesco e la comunicazione, Carocci editore, Roma 2016, 143-144.

114

munione" della Chiesa particolare: il Consiglio presbiterale, il Collegio dei Consultori, il Capitolo dei Canonici e il Con­ siglio pastorale. So/tanto nella misura in cui questi organismi rimangono connessi col "basso" e partono dalla gente, dai problemi di ogni giorno, può incominciare a prendere farma una Chiesa sinodale: tali strumenti, che qualche volta proce­ dono con stanchezza, devono essere valorizzati come occasione di ascolto e condivisione.15

Le parole del Papa mostrano la coscienza, comune a molti oggi, che tali istituti abbiano spesso attraversato una crisi e debbano essere rivitalizzati. Egli rimanda al Diritto e non pare offrire soluzioni preconfezionate. Si può inter­ pretare ciò proprio nell'orizzonte di una reale soggettuali­ tà di ogni singola Chiesa locale, che è chiamata a prendere in mano il proprio destino. È opportuno notare come vi sia, però, nelle parole del Papa un chiaro indirizzo: tali or­ ganismi di partecipazione non debbono essere solo luoghi di organizzazione delle attività ad intra, in quanto debbono partire dai problemi di ogni giorno che la gente vive; e non debbono risolversi solo in luoghi di· ascolto, ma anche di condivisione. Non si dice che cosa si è chiamati anzitutto a condi­ videre ma, alla luce delle linee di fondo dell'ecclesiologia presente in Francesco, si può sensatamente pensare che si tratti primariamente della fede concretamente vissuta e 15

FRANCESCO,

Discorso in occasione del 50 ° anniversario dell'istitu­

zione del Sinodo dei vescovi, cit.

115

trasmessa. Per realizzare una autentica evangelizzazione in un mondo complesso e nel quale la fede si dà solo al co­ spetto della possibilità della non credenza è, infatti, quan­ to mai necessario che i credenti confrontino e sostengano reciprocamente la propria fede e i modi in cui essi la tra­ smettono. I consigli di partecipazione possono e debbono divenire, sempre più, anche i luoghi di Un tale scambio. 2. Conferenze episcopali e collegialità intermedia Dal momento che ciascuna Chiesa esiste, però, nella communio con tutte le altre ed anzitutto con la Chiesa di Roma che presiede nella carità (secondo la nota espressio­ ne di Ignazio di Antiochia), ne consegue che la sinodalità debba allargarsi anche ad altri livelli; e debba coinvolgere i vescovi che presiedono le Chiese e che debbono "rap­ presentarle". Si tratta, in questo caso, di ciò che va sotto il nome di collegialità episcopale. Proprio a tal riguardo e, specificamente, a livello di quanto viene espresso in termini di collegialità intermedia, pare di percepire le principali istanze di riforma da parte di papa Francesco. È stato un tema piuttosto dibattuto nei decenni post­ conciliari. A dispetto di quanti hanno sostenuto che vi sa­ rebbe un effettivo esercizio di collegialità episcopale anche nel caso di Conferenze episcopali nelle quali partecipano solo i vescovi di un determinato territorio, vi sono stati quanti hanno invece ritenuto che un effettivo esercizio di collegialità si avrebbe solo con la partecipazione di tutti i 116

vescovi: negli altri casi si esprimerebbe solo una collegia­ lità affettiva. Assumendo quest'ultima posizione, sarebbe praticamente impossibile, però, superare una forte centra­ lizzazione. Da una tale prospettiva consegue infatti che - a parte il concilio, che rimane tuttavia un fatto eccezionale si avrebbe il governo del papa, per quel che concerne la Chiesa universale e quello di ogni singolo vescovo, per quel che attiene alla Chiesa locale. Oltre a dover rimarcare come una tale visione contraddica la prassi della Chiesa antica, è bene rilevare come essa sarebbe assai poco fun­ zionale ad una Chiesa missionaria, che necessita di istanze intermedie per prendere delle decisioni che possano favo­ rire l'annuncio evangelico in Chiese che vivono in culture anche sensibilmente diverse tra loro. Papa Francesco sembra andare decisamente nella li­ nea di una decentralizzazione e, dunque, di una valoriz­ zazione effettiva delle istanze di collegialità intermedia, proprio perché rilancia una nuova fase di evangelizzazio­ ne, nella quale si auspica che il Vangelo della misericordia incontri le persone nelle loro situazioni singolari e nelle loro differenti culture. 16 Ciò richiede, evidentemente, che 16 Cfr. J. XAVIER, Spalancamento del dinamismo ecclesiale: l'identità ritrovata, in in H.M. YANEZ (a cura di), Evangelii gaudium: il testo interroga, cit., 39-52, 46-49. Si ha con ciò una più netta recezione di quanto - proprio nell'ambito di una riflessione sulla nùssionarietà della Chiesa - veniva auspicato dai padri concilliari, nell'ultimo paragrafo di AG 22 o in AG 31.

117

il discernimento e le decisioni vengano assunte dagli epi­ scopati locali e non siano demandati a Roma.17 Nell'ottica di una Chiesa in uscita missionaria, infatti, una centraliz­ zazione è di ostacolo invece che essere di aiuto. Si com­ prende allora perché, sin da EG, Francesco si sia espresso a favore della valorizzazione effettiva di una collegialità intermedia, quando ha detto: il Concilio Vaticano II ha affermato che, in modo analogo alle antiche Chiese patriarcali, le Coriferenze episcopali possono "portare un molteplice e facondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente". Ma, questo auspicio non si è pienamente realizzato, perché ancora non si è esplici­ tato sufficientemente uno statuto delle Coriferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale. Un'eccessiva cen­ traliZf(,azione, anzjché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria. 18

Sul tema, è ancora tornato nel succitato discorso in occasione del 50 ° anniversario del Sinodo dei vescovi; e ha dato prova di sostenere chiaramente una riforma in tale direzione per il fatto che, nei suoi documenti, sin dagli inizi egli non ha citato soltanto i suoi predecessori, ma di­ versi interventi di differenti Conferenze episcopali. 19 Egli Cfr. EG, n. 16. Ibidem, n. 32. 19 Lo aveva sin da subito notato Semeraro a proposito di EG: cfr. M. SEMERARO, Introduzione, cit., 24-25. Lo stesso si eviden­ zia, solo per fare qualche esempio, in LS 14; 38; 41; 48; 51; 52; 54. 17

18

118

ha così mostrato di riconoscere un loro reale magistero, di voler dare ad esse un valore effettivo e di non concepire il proprio ministero come un servizio all'unità della Chiesa che prescinda dalla concretezza delle Chiese, in una nuova recezione di quanto sostenuto in LG 13 a proposito del ministero pettino. In tale contesto si dice, infatti, che la cattedra di Pietro « [ ... ] tutela le varietà legittime e, in­ sieme veglia affinché ciò che è particolare non solo non nuoccia all'unità, ma piuttosto la serva». A chi abbia a cuore davvero una Chiesa capace di evangelizzare nel mondo attuale - indubbiamente più globalizzato sul piano economico, ma sempre attraversa­ to da diverse culture -, apparirà evidente l'importanza di dare valore effettivo alle Conferenze episcopali e di crea­ re, all'occorrenza, anche nuovi patriarcati sulla base della distribuzione, oggi, dei cristiani nel mondo. È una propo­ sta che, all'indomani del Concilio, aveva già avanzato un ecclesiologo raffinato come Joseph Ratzinger ma che è rimasta, di fatto, lettera morta. 20 Il pontificato di Francesco ha quanto meno il meri­ to di renderla nuovamente plausibile; e con ciò, come è chiaro, di aver rimesso in primo piano l'impellenza di un ripensamento dello stesso papato.

°

2

Cfr. J. RATZINGER, Il nuovo popolo di Dio, Queriniana, Brescia

19924, 155-156.

119

3. Papato e Sinodo dei vescovi Pur limitando l'attenzione a tempi relativamente re­ centi, non si può certo dire che la necessità di realizzare una riforma che coinvolga lo stesso papato sia totalmente nuova, né sul piano teologico né su quello magisteriale. A livello teologico, può essere richiamata, a mo' di esempio, la proposta che - nella medesima occasione in cui auspicava la creazione di nuovi patriarcati - il teologo Ratzinger avanzava, di distinguere in modo netto, per il futuro, l'ufficio del successore di Pietro e l'ufficio patriar­ cale. 21 Sul piano magisteriale è, invece, doveroso ricorda­ re il desiderio espresso da Giovanni Paolo II in Ut unum sint, ai nn. 95-96, di instaurare un dialogo fraterno con i responsabili di altre Chiese e i loro teologi al fine di rin­ tracciare una modalità di esercizio del primato che, senza rinunciare all'essenziale della sua missione, si apra però ad una situazione nuova. 22 Papa Francesco si muove in modo nitido - e con de­ cisione - sulla stessa scia. Può essere sintomatico di ciò il fatto che sin dalla prima sera della sua elezione si sia presentato alla Chiesa con il titolo di vescovo di Roma e che spesso abbia continuato a presentarsi così. Allo stesso modo, può essere emblematico il fatto che, in questi anni, 21

22

Ivi.

Chi, in modo assai significativo, volle rispondere alla ri­ chiesta di Giovanni Paolo II fu O. CLÉMENT, Roma diversamente. Un ortodosso difronte alpapato, Jaca Book, Milano 1998.

120

con i suoi gesti e la sua maniera di porsi, abbia operato in direzione di una evidente desacralizzazione del suo ruolo. Soprattutto, è lui stesso ad aver esplicitamente dichiarato di voler prendere in seria considerazione una riforma del papato, nell'orizzonte di una Chiesa in uscita missionaria. In EG egli ha infatti riconosciuto che «anche il papato e le strutture centrali della Chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l'appello ad una conversione pastorale». 23 È riconosciuto da molti come uno dei luoghi simbo­ lici e strategici sui quali intervenire, a tal fine, sia la curia romana, affinché non sovrasti né i singoli vescovi né le conferenze episcopali, ma sia piuttosto di aiuto al papa e ad essi. Anche Francesco ha mostrato l'intenzione di apportare dei reali mutamenti in tale direzione. 24 L'istitu23 EG, n. 32. Vedendo la chiara portata ecumenica di ciò eri­ conoscendo quanto ci sia da imparare dai fratelli ortodossi in ordi­ ne alla collegialità episcopale e alla sinodalità, Francesco ha inoltre detto: «Voglio proseguire la riflessione su come esercitare il prima­ to pettino, già iniziata nel 2007 dalla Commissione Mista, e che ha portato la firma del Documento di Ravenna. Bisogna continuare su questa strada». A. SPADARO, Intervista a papa Francesco, cit., 466. 24 È un desiderio evidente di Francesco. Egli stesso ha infatti affermato che «i dicasteri romani sono al servizio del Papa e dei Vescovi: devono aiutare sia le Chiese particolari sia le Conferenze episcopali. Sono meccanismi di aiuto. In alcuni casi, quando non sono bene intesi, invece, corrono il rischio di diventare organismi di censura. È impressionante vedere le denunce di mancanza di ortodossia che arrivano a Roma. Credo che i casi debbano essere

121

zione di un consiglio di cardinali è apparsa, al riguardo, una scelta importante e foriera di benefiche conseguenze: oltre ad essergli di aiuto nel governo della Chiesa, essi lo debbono infatti sostenere proprio nella riforma della curia. 25 In relazione ad una effettiva riforma del papato, uno degli istituti fondamentali che domanda anch'esso di es­ sere riformato è quello del Sinodo dei vescovi. Da de­ cenni, ormai, si registra una certa insoddisfazione, sia in relazione alla sua importanza sia in ordine alla procedura adottata. 26 Francesco non ha mancato, sin dall'inizio del suo pontificato, di dire espressamente che si tratta di una istituzione fondamentale che richiede, però, un cambia­ mento. 27 Egli non si è tuttavia limitato a denunciare delle carenze; ha anche già concretamente operato dei significastudiati dalle Conferenze episcopali locali, alle quali può arrivare un valido aiuto da Roma. I casi, infatti, si trattano meglio sul posto. I dicasteri romani sono mediatori, non intermediari o gestori». A. SPADARO, Intervista a papa Francesco, cit., 465. 25 Il Papa ha peraltro dichiarato che si è trattato di una deci­ sione maturata tra i cardinali nelle Congregazioni Generali prima del Conclave. Cfr. A. SPADARO, Intervista a papa Francesco, cit., 458. 26 Cfr. ad esempio A. ANr6N, La collegialità nel Sinodo dei vescovi, in J. ToMKO (a cura di), Il Sinodo dei vescovi. Natura-Metodo- Prospettive, LEV, Città del Vaticano 1985, 59-111; e G. RoUTIIIER, Le Synode des éveques: un débat inachevé, in G. RoUTHJER-L. VTIIBMIN (sous la direction de), Nouveaux apprentissages pour l'Église, Cerf, Paris 2006, 269-293. 27 Cfr. A. SPADARO, Intervista a papa Francesco, cit., 466.

122

tivi mutamenti. Attraverso la convocazione di un Sinodo straordinario preceduto da una ampia consultazione, cui ha fatto seguito il Sinodo ordinario sulla famiglia nell'au­ tunno del 2015, egli ha agito affinché il Sinodo venisse sempre meglio incastonato nell'alveo di un più ampio pro­ cesso sinodale. «Certamente - ha detto Francesco durante il già citato discorso in occasione del 50° anniversario del Si­ nodo dei vescovi-, una consultazione del genere in nessun modo potrebbe bastare per ascoltare il sensusftdei. Ma come sarebbe stato possibile parlare della famiglia senza interpel­ lare le famiglie, ascoltando le loro gioie e le loro speranze, i loro dolori e le loro angosce?». 28 Il limite denunciato dal­ lo stesso Papa può essere di aiuto a riconoscere con più oggettività uno degli aspetti su cui deve camminare una riforma: la formalizzazione di strutture e processi attraver­ so cui, ferma restando la natura di un Sinodo dei vescovi, venga realmente coinvolto l'intero popolo di Dio e siano anzitutto resi responsabili quei cristiani più direttamente coinvolti nel tema di volta in volta trattato. Il modo in cui Francesco invita a considerare il Sinodo dei vescovi orienta, però, ad una interpretazione che mette in gioco lo stesso papato. In occasione del medesimo di­ scorso, Francesco ne ha infatti parlato come espressione della collegialità episcopale «la quale può divenire in alcu28

Discorso in occasione del 50 ° anniversario dell'istitu­ zione del Sinodo dei vescovi, cit. FRANCESCO,

123

ne circostanze "effettiva"», congiungendo «i vescovi fra loro e con il Papa nella sollecitudine per il Popolo di Dio». Si tratta di una affermazione importante, che orienta a interpretare il Sinodo come espressione di una collegia­ lità episcopale nella quale i vescovi, con e sotto il papa, eserciterebbero una responsabilità di governo della Chie­ sa universale. La portata dell'indicazione, sul piano della riforma delle strutture ecclesiali, è grande: finora, infatti, tanto il Motu proprio Apostolica sollicitudo di Paolo VI con cui è stato istituito il Sinodo dei vescovi quanto il successivo testo conciliare CD 5 hanno inteso il Sinodo come aiuto al servizio del governo del papa. 29 Le parole di Francesco orientano a vederlo, invece, quale strumento di governo dei vescovi uniti al papa in ordine alla Chiesa universale: un indirizzo di riforma che recepirebbe le istanze di quanti, prima e dopo il Concilio, hanno inteso promuovere una maggiore collegialità nel governo della Chiesa.

29 Sul tema si è tenuto un seminario di studio, in Vaticano, nel 2016. Cfr. L. BALDISSERI (a cura di),A cinquant'anni dall'Aposto­ lica sollicitudo. Il Sinodo dei vescovi al servizio di una Chiesa sinodale. Atti del Seminario di studio organizzato dalla Segreteria generale del Sinodo dei Vescovi (Città del Vaticano, 6-9 febbraio 2016), LEV, Città del Vaticano 2016. Cfr. A. INDELICATO, Il Sinodo dei vescovi. La collegialità sospesa (1965-1985), il Mulino, Bologna 2008.

124

EPILOGO COINVOLGERSI NEL SOGNO PER RIMANERE FEDELI AL VANGELO

Se il Vaticano II ha rappresentato l'occasione affin­ ché, nello scorrere del tempo e a contatto con la cultura moderna, la Chiesa ripensasse se stessa specchiandosi nel Vangelo di sempre, il pontificato di Francesco costituisce, a distanza di cinquant'anni, un nuovo momento di rece­ zione e di rilancio di quella stessa operazione. La Chiesa vi appare come il santo popolo fedele di Dio, la cui perenne ed inesauribile sorgente è il Vangelo della misericordia, che ha il suo centro in Cristo e rimane vivo nello Spirito. Da quest'accentuazione peculiare deriva la possibilità di un magistero che rimetta al centro aspetti che hanno potuto, talvolta, essere obliati o trascurati: il fatto che il Vangelo debba raggiungere le persone nella loro unicità, nella loro libertà e all'interno di una determi­ nata cultura, in una reciprocità pur asimmetrica e a comin­ ciare dai poveri e dai più bisognosi di misericordia; il fatto che il popolo di Dio sia dinamico e formato da cristiani dotati di pari dignità e corresponsabili; il fatto che si trat­ ti di un popolo che vive nei diversi popoli della Terra; il fatto che risulti fondamentale il sensus ftdei che si esprime nel popolo, aldilà della capacità di concettualizzare la fede 125

che i cristiani possiedono e che giustifica una rinnovata at­ tenzione alla dimensione sinodale della Chiesa; il fatto che questa "popolarità" della Chiesa non possa in alcun modo confondersi con alcun genere di "populismo". L'accento peculiare su una Chiesa che nasce dalla Mi­ sericordia Divina quale popolo santo di Dio ha come ef­ fetto un altrettanto singolare rilancio, da parte di France­ sco, della missionarietà della stessa. Essa è chiamata, nella sua maternità, a rendere disponibile il Vangelo della mise­ ricordia di cui vive, ovunque, a tutti e a ciascuno. Ad esser­ ne responsabili sono tutti i cristiani, in quanto tutti sono discepoli-missionari. Essi sono chiamati ad annunciare il Vangelo in modi diversificati ed impossibili da catalogare. L'annuncio prevede, infatti, l'incontro da persona a per­ sona, in una strutturale differenza che dipende da diversi fattori: i molteplici carismi di chi annuncia, la unicità di chi riceve il Vangelo, le differenti culture in cui ciascuno vive, il fatto che il Vangelo non si possa mai esaurire in un'i­ dea ma - essendo il Vangelo della misericordia - implichi anche una ortoprassi, nel _superamento di ogni possibile separazione tra annuncio del Vangelo, carità e promozio­ ne umana. Da tutto questo si comprende come, per Francesco, una Chiesa missionaria sia una Chiesa profetica: proprio perché è chiamata ad annunciare il Vangelo della mise­ ricordia apparsa definitivamente in Cristo, essa è ugual­ mente chiamata a denunciare ogni genere di idolatria; costituendo così una istanza critica, non solo verso il re126

lativismo dottrinale, ma anche rispetto al relativismo pra­ tico, che può insinuarsi persino al suo interno. Al con­ tempo, da tutto ciò discende la necessità di una costante conversione della Chiesa, affinché assuma sempre di più la forma di Cristo povero e misericordioso, sia trasparente al suo Vangelo e lo renda costantemente disponibile a tut­ ti; e si giustifica la necessità di un'autentica riforma delle strutture ecclesiali. Alla luce delle prospettive ecclesiologiche brevemente sintetizzate risulta altresì chiaro come la riforma debba es­ sere orientata ad una decisa decentralizzazione della Chiesa, nel reale superamento di una visione universalista della stes­ sa. Essa deve conferire centralità e soggettualità alle Chiese locali, valore alla collegialità episcopale intermedia e porta­ re ad una nuova interpretazione del senso del Sinodo dei vescovi e del servizio del papato, che renda possibile una maggiore collegialità nel governo della Chiesa. Il sogno di una Chiesa così non può, però, essere il sogno del solo Papa. Esso domanda l'adesione reale e indifesa di tutte le Chiese e di tutti i cristiani che, pur con responsabilità di­ versificate, ne sono coinvolti. Esso chiede, cioè, di essere un sogno condiviso, sulla base di una medesima ed au­ tentica passione evangelica e di una reale assunzione di responsabilità da parte di tutti i soggetti ecclesiali. Pensando, in particolare, agli orizzonti di riforma che il Papa prospetta, ci si può auspicare che il sogno coinvol­ ga cristiani, pastori, teologi e canonisti in un ripensamen127

to, in particolare, delle strutture di sinodalità all'interno delle Chiese locali. Infatti, nei cinquant'anni che ci separano dal Concilio, molto si è discusso e detto in ordine a quello che è stato indubbiamente il tema centrale, sul piano strutturale, per i padri conciliari: il rapporto tra papato e collegialità epi­ scopale. Oggi appare evidente come un'autentica riforma chieda di "recepire in modo creativo" la svolta conciliare, concentrandosi in particolare sul livello delle Chiese locali: nel superamento di una visione "monarchica" del mini­ stero del vescovo come di quello dei preti; nel ricupero della realtà del presbiterio e della novità del ministero dei diaconi; 1 nel ripensamento degli organismi di partecipa1 Cfr. R. REPoLE, Il vescovo nel suo presbiterio. Ripensare oggj la realtà del presbiterio, in La Rivista del Clero Italiano, 98 (2017/ 6), 405-

419. Si avverte oggi la necessità di andare aldilà dei testi conciliari, ancora acerbi e "appiattiti" sulla ripresa del modello ignaziano ca­ lato in un contesto ecclesiale ormai completamente diverso. Può essere assai istruttivo, in tal senso, il ricorso anche ad altri modelli di ministero più sinodali presenti nell'antichità, che consentano di ripensare la realtà dell'episcopato e di dare consistenza al tema del presbiterio, oltre che risultare più rispondenti alle sfide che vengo­ no dalla complessità del tempo attuale. Cfr. E. NoRELLI, La nascita del cristianesimo, Il Mulino, Bologna 2014, 132-135; P. TH. CAMELOT, Introduction, in Ignace d'Antioche-Policarpe de Smyrne, Lettres (Sources Chrétiennes), Cerf, Paris 1958, 7-61, 47-48; A. JEAUBERT, Introduction, in Clemente, Epistola ad Corinthios (Sources Chrétiennes, 167), Cerf, Paris 1971 14-96, 90.

128

zione, affinché sia davvero intercettato il sensus ftdei, vi sia la valorizzazione dei diversi carismi e si attui una autentica corresponsabilità; in una nuova valorizzazione dell'istituto del Sinodo diocesano, dove ministri ordinati e laici si tro­ vano insieme, pur nella differenza di ruoli, ad assumere la responsabilità delle scelte pastorali fondamentali della Chiesa cui appartengono. 2 Non sono che alcuni esempi per dire come il sogno di una Chiesa evangelica che il magistero del Papa ci con­ segna chieda oggi, a tanti livelli e da parte di tutti, cuore, intelligenza e volontà, per diventare realtà. È forse questa, sul piano ecclesiologico, la principale sfida dell'insegnamento di Francesco.

2 Cfr. R REPOLE, Il Sinodo diocesano. Una prospettiva teologica, in Rassegna di Teologia, 57 (2016/ 4), 579-603. Cfr. anche G. RoUTHIER, Le Synode diocésain. Le comprendre, le vivre, le célibrer, Novalis, Ottawa

1995.

129

INDICE

Abbreviazioni. . . .

4

Prefazione alla collana

5

Prologo. Per custodire e far crescere un sogno . CAPITOLO IL PRIMATO DEL

11

I 21

VANGELO

1. De Trinitate Ecclesia

21

2. Il Vangelo della misericordia

28

2.1 Il Vangelo non riducibile ad idea 2.2 Il Vangelo che incontra . . . . 2.3 Il Vangelo che invoca la libera adesione e la conversione . . . . . . . . . . . . 3. Chiesa madre. L'importanza della mediazione ecclesiale CAPITOLO IL "SANTO POPOLO FEDELE DI

32 35 37 39

II

DIO"

49

1. Popolo di Dio: il ritorno a una categoria centrale

49

1.1 Dio elegge e salva in un popolo 1.2 Destinazione universale della Chiesa .

53 55 131

1.3 Pari dignità e corresponsabilità di tutti i cristiani . . . . . . . . . . . . . .

57

1.4 Popolare, non populista. La sfida di una fraternità mistica . . . . . . . . .

60

2. Circumdata varietate e "veste dai molti colori''

63

2.1 Il riferimento alla "teologia del popolo"

65

2.2 Il popolo nei popoli . . . . . .

67

3. Sensus fidei. Una lettura nuova e provocante

71

3.1 Senso delle cose divine e possibilità di esprimerle . . . . . . . . . .

72

3.2 La pietà popolare, tra valore e limiti

74

III

CAPITOLO

CHIESA ESTROVERSA. UNA CHIESA CHE ESISTE PER ALTRI •



.





























81

1. Siamo tutti discepoli-missionari: il soggetto che annuncia e il Vangelo annunciato . . .

84

2.

Missione e conversione pastorale

89

3.

Protagonismo laicale . .

94

4.

Uno stile che è contenuto

97

5. Dimensione profetica dell'annuncio: la denuncia del relativismopratico

132

102

CAPITOLO LA. NECESSARIA RIFORMA .

.

.

.

IV .

.

107

Sinodalità e superamento di una visione universalista di Chiesa. . . . . . . . . . . . . .

109

2.

Conferenze episcopali e collegialità intermedia

116

3.

Papato e Sinodo dei vescovi. . . . . . .

120

1.

EPILOGO. COINVOLGERSI NEL SOGNO PER RIMANERE FEDELl AL VANGELO. Indice.

.

.

.

.

.

.

125 131

133

Roberto Repole

N

ato nel 1967 a Torino, nella cui Chiesa è presbitero, ha conseguito Licenza e Dottorato in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, con una tesi in ambito ecclesiologico su G. Marcel e H. de Lubac. È docente di Teologia sistematica presso la Facoltà Te­ ologica dell'Italia settentrionale - Sezione di Torino, presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose della stessa città e presso il Biennio di specializzazione in Teologia morale sociale della Regione ecclesiastica Piemontese. Collabora con diverse riviste scientifiche. Dal 2011 è Presidente dell'As­ sociazione Teologica Italiana; e dal 2015 è Direttore della Sezione di Torino della Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale.

I 111111

ISBN 978-88-266-0034-5

9 788826 600345