Il sistema della corruzione [5 ed.] 8858126726, 9788858126721

Sono trascorsi venticinque anni dall'avvio dell'inchiesta Mani pulite, e ancora oggi le prime pagine dei giorn

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Italian Pages 101 [121] Year 2017

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Il sistema della corruzione [5 ed.]
 8858126726, 9788858126721

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i Robinson / Letture

Di Piercamillo Davigo nelle nostre edizioni:

La giubba del re. Intervista sulla corruzione (con G. Mannozzi)

La corruzione in Italia. Percezione sociale e controllo penale (con L. Sisti)

Processo all’italiana

Piercamillo Davigo

Il sistema della corruzione

Editori Laterza

© 2017, Gius. Laterza & Figli www.laterza.it Prima edizione febbraio 2017

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Edizione 5 6

Anno 2017 2018 2019 2020 2021 2022

Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Bari-Roma Questo libro è stampato su carta amica delle foreste Stampato da SEDIT - Bari (Italy) per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 978-88-581-2672-1

Indice

Introduzione

vii

I. Perché le indagini di Tangentopoli ebbero tanto successo II.

Perché fu abbattuto un sistema politico

3 11

III. La restaurazione

23

IV.

Seriale e diffusiva: come funziona la corruzione

27

V.

Quando le imprese si spartiscono gli appalti

43

VI. Perché la lotta alla corruzione è stata inadeguata

59

VII. La cultura della corruzione

87

VIII. Che fare?

93

­­­­­v

Introduzione

Nella mia attività di magistrato, ormai quasi quarantennale, mi sono dovuto occupare a lungo di corruzione e di criminalità organizzata; e me ne occupo ancora oggi, sia pure come giudice di legittimità. Ho avuto modo, quindi, di esaminare da vicino e nel lungo periodo fatti e protagonisti di questi due ambiti diversi ma strettamente correlati, e che purtroppo in Italia più che altrove occupano con continuità le prime pagine dei giornali. Tra l’altro, i delitti di corruzione presentano una cifra nera (ovvero la differenza fra il numero di reati commessi e quelli risultanti dalle statistiche giudiziarie) molto elevata. Per intenderci, il numero di condanne ogni 100.000 abitanti in Italia è più basso rispetto, ad esempio, alla Finlandia (uno dei paesi ritenuti meno corrotti al mondo), mentre gli indici di percezione della corruzione, elaborati da Transparency International, collocano l’Italia dietro molti paesi africani e asiatici. Poiché la criminalità sommersa sembra essere più elevata nelle aree del Centro-Sud del paese, si può ipotizzare che ­­­­­vii

Introduzione

la presenza massiccia della criminalità organizzata, e della sottocultura che ne costituisce la matrice ideologica, ostacoli l’emersione della criminalità legata al malaffare politico-amministrativo. Ma su questo tornerò nelle pagine che seguono. Ho esposto spesso pubblicamente – nei miei scritti e nel corso di dibattiti – le opinioni che mi sono fatto trattando questi procedimenti, specialmente sulla natura della corruzione: su quale sia il suo modo di esplicarsi, sulla sostanziale inefficacia degli apparati normativi rispetto all’attività di contrasto e sui possibili rimedi da adottare. Nelle pagine che seguono vi è un distillato di queste opinioni, ricondotto ad unità. La corruzione è disciplinata dal nostro Codice penale all’interno degli articoli 318-322, là dove si tratta dei delitti commessi dai pubblici ufficiali contro la Pubblica amministrazione. In prima battuta, essa può essere definita come un particolare accordo (pactum sceleris) tra un funzionario pubblico e un soggetto privato, mediante il quale il primo accetta dal secondo, per un atto relativo alle proprie mansioni, un compenso che non gli è dovuto. Nelle pagine che seguono, tuttavia, intenderò il termine in senso più ampio e per così dire più vicino al dibattito corrente, e quindi considererò le caratteristiche principali dei fenomeni corruttivi anche con riferimento a fatti di concussione, traffico di influenza e finanziamento illecito di partiti ed esponenti politici. Fatta questa precisazione, introduco un aspetto a mio avviso importante per capire che cosa sia la corruzione e per quale motivo sia così difficile sradicarla. Essa presenta infat­­­­­viii

Introduzione

ti, come vedremo, due caratteristiche fondamentali: è seriale e diffusiva. È seriale in quanto coloro che sono dediti a questi illeciti tendono a commetterli ogni volta che ne hanno occasione, con ragionevole certezza di impunità. È diffusiva in quanto corrotti, corruttori e intermediari, al fine di assicurarsi la realizzazione dei patti illeciti e di evitare di essere scoperti, tendono a coinvolgere altre persone, creando una fitta rete di interrelazioni illecite, fino a che sono gli onesti ad essere esclusi dagli ambienti prevalentemente corrotti. Appare, quindi, un grave errore considerare i reati di corruzione come episodi isolati anziché calarli nel contesto generale in cui si compiono. E questo è il motivo per cui ritengo necessario tenere sempre a mente, al di là dei singoli fatti e delle responsabilità personali, il «sistema della corruzione» nel suo complesso. Sistema che prevede spesso collegamenti ad altri reati quali quelli fiscali o comunque relativi alle falsità contabili, le turbative d’asta e il riciclaggio. Alcuni esempi sono illuminanti per capire quanto questi atti criminali finiscano per inquinare interi ambienti: un indagato, nel 1992 (agli inizi della stagione nota come Tangentopoli), riferiva – parlando di un ente di livello nazionale – che lì vi operava un cartello di circa duecento imprese che si spartivano gli appalti e che pagavano praticamente chiunque all’interno dell’ente, oltre ai principali partiti. Per inciso, chiariva anche che questo sistema era adottato da almeno vent’anni! Non solo. Il sistema di cui ci stiamo occupando comprende anche stretti legami con il crimine organizzato. Non sarà ­­­­­ix

Introduzione

superfluo ricordare che il mercato della corruzione è un mercato illegale, nell’ambito del quale non è possibile ottenere il rispetto delle regole ad esso relative e dei patti intervenuti ricorrendo a forme di tutela legale. Ecco perché la «tutela» va affidata alla pressione del mercato illegale stesso: attraverso l’esclusione di un’impresa che non abbia versato una tangente promessa da successivi appalti relativi a forniture di beni o servizi; o l’esclusione del pubblico funzionario che non tenga il comportamento per il quale aveva ricevuto denaro da futuri versamenti e talora dallo stesso ufficio ricoperto, mediante trasferimento o non ricandidatura alle elezioni. Tali meccanismi sono però efficaci solo se tutti gli attori del mercato illegale lo percepiscono come stabile nel tempo e soddisfacente nel suo funzionamento1. Fuori da queste ipotesi sono necessari dei regolatori esterni, il principale dei quali è appunto la criminalità organizzata. Quando un mercato illegale è gestito dal crimine organizzato, il rispetto delle relative regole è assicurato dal potere di intimidazione che promana dalle organizzazioni criminali2 e – ove questo non basti – dall’uso della forza. Bastino per ora al riguardo questi brevi cenni. In questo libro spero di condividere con il lettore, nel 1 Cfr. A. Vannucci, La «legge» della tangente. Strategie per combattere la corruzione italiana, in «Etica degli affari e delle professioni», 1995, p. 26. 2 G. Turone, Il delitto di associazione mafiosa, Giuffrè, Milano 1995, pp. 99 sgg. (in part. p. 107, in cui l’Autore sostiene che la forza di intimidazione «fa parte del patrimonio aziendale dell’associazione di tipo mafioso, così come l’avviamento commerciale fa parte dell’azienda»).

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Introduzione

modo più divulgativo possibile e almeno per linee essenziali, come funziona il sistema della corruzione, per consentire di guardare con occhio diverso e più consapevole alle notizie di cronaca. Negli ultimi venticinque anni le discussioni sulla corruzione sono state infatti a mio avviso, il più delle volte, superficiali e generiche. Raramente ho colto la volontà di approfondire la conoscenza dei fenomeni, di studiarne le dimensioni, di misurare i guasti prodotti. Per dirne una, si sente ogni tanto citare la cifra di sessanta miliardi di euro l’anno quale costo della corruzione, attribuendo tale valutazione alla Corte dei Conti, istituto che non ha mai azzardato tale ipotesi. In realtà quella cifra nasce dall’assunto, peraltro ad oggi indimostrato, che la corruzione incida all’incirca nella misura del 3% del Pil. La verità è che misurare i costi della corruzione è impresa decisamente ardua. Tra gli studi dedicati al tema, particolarmente originali mi sembrano quelli di Miriam A. Golden e di Lucio Picci, che considerano il costo delle opere pubbliche un efficace misuratore della corruzione. I due studiosi hanno comparato le spese delle Regioni italiane in infrastrutture e l’inventario di quanto è stato effettivamente realizzato sul territorio. La differenza tra spese e opere realmente costruite è servita a elaborare un indice di corruzione delle Regioni italiane che mostra enormi distanze. Con le Regioni meridionali che spendono mediamente di più di quelle settentrionali per avere, a confronto, meno in­­­­­xi

Introduzione

frastrutture. Tale distanza è indicata come costo, aggregato, di corruzione e inefficienza. Mi pare che discorsi simili – che offrirebbero basi solide all’argomentazione – siano riportati raramente nei dibattiti pubblici. Peraltro, a ben cercare, sono facilmente reperibili fonti – anche datate – in grado di illustrare la natura del fenomeno della corruzione, i rapporti fra corruzione e sistema politico, e fra corruzione e crimine organizzato. Già nella relazione, approvata il 25 luglio 1990, sulle risultanze dell’indagine del Gruppo di lavoro della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia istituito con la L. 94/1988, si leggeva che i gruppi mafiosi tallonavano il potere politico3. Alla sinergia tra criminalità mafiosa e corruzione dei pubblici funzionari si alludeva ancora prima, nei risultati delle Commissioni parlamentari di inchiesta proposte a più riprese sin dalla fine degli anni Cinquanta, proprio perché si sospettava un intreccio significativo tra mafia e appalti pubblici. Va però ricordato – come ritiene anche Alberto Vannucci – che «quella mafiosa e quella della corruzione sono “industrie” che si occupano di beni distinti: protezione privata, in un caso, diritti di proprietà su rendite politiche, nell’altro. D’altra parte, generalmente i servizi forniti da ciascuna delle due “industrie” sono utili per l’attività dell’altra, oppure vengono consumati da imprenditori, faccendieri, mafiosi, 3 Uno stralcio della relazione è riportato in N. Tranfaglia, Mafia, politica e affari. 1943-91, Laterza, Roma-Bari 1992, p. 368.

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Introduzione

politici. Gli accordi di corruzione e gli scambi politici ed elettorali sono rinsaldati dalla tutela mafiosa, che garantisce nel contempo l’omertà: significativamente le confessioni incrociate di corrotti e corruttori, che hanno dato all’inchiesta “Mani pulite” una grande forza propulsiva nel resto d’Italia, hanno segnato il passo nelle aree a più alta densità mafiosa»4. Raramente, nel dibattito pubblico e nei lavori preparatori delle leggi, si riprendono queste tematiche per cercare di conoscere ciò che si dice di voler affrontare; aggiungo anzi che per anni le iniziative politiche sono state di segno contrario a ciò che sarebbe necessario fare. La conseguenza è che le linee portanti dei fenomeni corruttivi e del rapporto fra corruzione e crimine organizzato sono rimaste sostanzialmente invariate negli ultimi quarant’anni. Nulla allora è cambiato? Non direi: sono variate le modalità concrete di manifestazione di questi fenomeni e le tecniche utilizzate. Negli anni Ottanta e Novanta del Novecento vi era, per quanto riguardava la corruzione politica, un sistema accentrato, con versamenti occulti alle segreterie di diversi partiti politici, sostanzialmente forfettari rispetto agli appalti delle grandi opere pubbliche. Si trattava, quindi, di pochi soggetti che ricevevano somme ingenti. Accanto a questo sistema accentrato (o talora al suo interno), vi era un sistema decentrato di corruzione che coin4 A. Vannucci, Il mercato della corruzione. I meccanismi dello scambio occulto in Italia, Società aperta, Milano 1997, pp. 178 sg.

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Introduzione

volgeva numerosi soggetti con tangenti di importo meno rilevante. Parallelamente alla corruzione politica vi era poi una vasta area di corruzione burocratica. Dovendo compiere un confronto tra la corruzione ai tempi di Tangentopoli e quanto accade oggi, direi che la prima area (quella della corruzione politica accentrata) sembra aver subìto duri colpi, mentre la seconda e la terza (quelle della corruzione politica decentrata e della corruzione burocratica) sembrano aver superato con facilità le attività di contrasto investigativo e giudiziario. Ma si registrano altri cambiamenti. Ad esempio, si sono modificate le modalità corruttive: alla consegna di denaro contante si è sostituita (in molti casi) o affiancata un’altra forma di retribuzione (attraverso incarichi, consulenze, ecc.). Sono poi cresciuti i pagamenti estero su estero – specie nei paradisi societari, bancari e fiscali – che hanno irrisorie possibilità di essere individuati in tempi rapidi. In un mondo in cui le frontiere sono diventate evanescenti e in cui i sistemi informatici e telematici consentono di spostare somme ingenti da un paese all’altro in pochi secondi, le procedure di assistenza giudiziaria internazionale continuano ad essere di una lentezza esasperante, e la partita fra guardie e ladri – è triste dirlo – è sbilanciata a favore dei ladri. Purtroppo anche gli interventi di natura preventiva previsti dal legislatore a partire dal 2012 (mi riferisco alla cosiddetta legge Severino) non sembrano risolutivi, ma si incanalano nella tradizione italiana di ulteriore soffocante burocrazia e di controlli formali di scarsa efficacia. ­­­­­xiv

Introduzione

Sono invece quasi assenti i controlli di prodotto, idonei a verificare quali beni o servizi siano stati forniti alla Pubblica amministrazione, a quale prezzo, in quanto tempo e di che qualità. Eppure i dati sul costo delle opere pubbliche in Italia e i loro tempi di realizzazione, in genere addirittura doppi rispetto a quelli dei paesi stranieri, dovrebbero suscitare una certa attenzione. Mi auguro che questo libro possa costituire uno stimolo a questa riflessione. Ringraziamenti Desidero ringraziare la Casa editrice per avermi proposto di scrivere questo libro, supportandomi con la consueta elevatissima professionalità. Un grazie particolare a Lia Di Trapani, che mi ha assistito con intelligenza, pazienza e competenza, per di più assicurandomi di essersi divertita.

Il sistema della corruzione

I

Perché le indagini di Tangentopoli ebbero tanto successo

Sono passati venticinque anni da quando, il 17 febbraio 1992, a Milano fu arrestato Mario Chiesa, ossia da quello che è stato considerato l’inizio delle indagini che i mezzi di informazione hanno chiamato «Mani pulite». Non era, quella, la prima volta in cui un pubblico amministratore veniva sorpreso in flagranza di corruzione, e non fu l’ultima. Per quale ragione, allora, dopo così tanto tempo, ci ricordiamo ancora quell’episodio? Credo che la spiegazione sia da ricercare nel sorprendente sviluppo delle indagini innescate da quella vicenda, che in un tempo relativamente breve (specie se rapportato ai tempi dell’amministrazione giudiziaria) portò alla scoperta di un numero impressionante di reati e al coinvolgimento di migliaia di politici, funzionari e imprenditori. Ci tengo a dire che i primi ad essere sorpresi fummo proprio noi inquirenti. Che cosa aveva fatto la differenza in quelle indagini rispetto ad altre precedenti e successive? In questi anni si sono sentite in proposito, da parte di vari commentatori, ­­­­­3

Il sistema della corruzione

numerose sciocchezze: «lo sapevano tutti!», «dov’era prima la magistratura?», «è stato un golpe» (orchestrato dai comunisti, dalla Cia, dai poteri forti e da chi più ne ha più ne metta). Altre stravaganze nemmeno vale la pena di ricordarle. Anzitutto, non è vero che «lo sapevano tutti». Né i miei colleghi né io, pur avendo la percezione che i reati di concussione, corruzione, finanziamento illecito dei partiti politici e false comunicazioni sociali fossero ben più numerosi di quanto risultava dalle statistiche giudiziarie, immaginavamo le dimensioni dell’illegalità, quali poi effettivamente emersero. Neppure i cittadini immaginavano che la corruzione avesse raggiunto dimensioni simili e, soprattutto, che appartenenti a partiti di opposti schieramenti si dividessero le tangenti; rimasero perciò attoniti quando il 29 aprile 1993 Bettino Craxi, alla Camera dei deputati, parlò di un sistema di finanziamento illegale alla politica che coinvolgeva tutti. Tra i deputati presenti in aula certamente ve ne erano pure di onesti, e ignari di ciò che era accaduto all’interno dei loro partiti. Eppure, quel giorno, non uno si alzò per rivendicare la propria estraneità e il proprio sdegno nel sentirsi accomunare al generale ladrocinio, per rispondere: «Ma come ti permetti?». Dico questo non perché io pensi che fossero tutti ladri, ma perché nessuno sapeva esattamente che cosa accadeva all’interno del proprio partito. È questa una negazione della democrazia, che invece richiede trasparenza, conoscenza dei meccanismi di funzionamento, controllo. «Accountabi­­­­­4

I. Perché le indagini di Tangentopoli ebbero tanto successo

lity», direbbero gli anglosassoni, ma da noi sembrava non esserci nulla di tutto ciò. E ho molti dubbi sul fatto che sotto questo aspetto qualcosa sia cambiato negli ultimi anni. Tuttavia, sui motivi in seguito ai quali quei fatti emersero con tale evidenza in quel momento, alcune riflessioni sono opportune. Anzitutto va ricordato (anche se sembrerà ovvio) che la caccia e la conquista della preda sono due cose distinte. Si può andare a caccia seguendo alla perfezione le regole venatorie e non prendere nulla, così come si può essere pessimi cacciatori e tuttavia avere fortuna, tornando dalla battuta con un ricco bottino. Allo stesso modo gli inquirenti possono svolgere le indagini nel migliore dei modi e non pervenire ad alcun risultato. Detto questo, ritengo che siano individuabili alcuni specifici fattori che possono contribuire a spiegare l’esito particolarmente favorevole che quelle indagini ebbero nel periodo che va dal 1992 al 1995. L’enorme debito pubblico che il nostro paese aveva accumulato fino a quel momento e la crisi economica del 1992 avevano avuto come effetto, tra gli altri, quello di ridurre la spesa pubblica per l’acquisto di beni e servizi. Di conseguenza, si era ridotta la possibilità per i corruttori di trasferire il costo delle tangenti sul bilancio della Pubblica amministrazione e di sperare in futuri lucrosi appalti. È mia ferma convinzione, infatti, e l’ho ribadito più volte, che le indagini si concludano con esito positivo specialmente nei momenti di grave recessione economica. ­­­­­5

Il sistema della corruzione

Per chiarire questo passaggio è utile ricordare, a mo’ di esempio, tre grandi scandali: le frodi petrolifere del 1974; la vicenda della P2, con quello che ne è seguito nel 1981 con il caso del Banco Ambrosiano, in qualche modo ad essa connesso; infine – appunto – «Mani pulite» nel 1992. Si tratta di tre casi esplosi tutti in concomitanza con altrettante gravi crisi economiche, con la caduta del Pil e, soprattutto, con la riduzione della spesa della Pubblica amministrazione per acquisto di beni e servizi. Qual è la spiegazione possibile? Ci sono due motivi da considerare. Il primo è quello dell’acquisizione delle notizie di reato. Mi limito in questa sede alla corruzione, anche se altri reati attengono a fatti in parte diversi dalla corruzione, che in genere non vengono portati a conoscenza dell’autorità giudiziaria. La corruzione non avviene davanti a testimoni ed è nota soltanto a chi è direttamente coinvolto, cioè a corrotti e corruttori, che hanno un interesse comune e condiviso a osservare il silenzio. E infatti la si scopre sempre mentre sono in corso indagini su altro, e soprattutto si scopre quando si rompe il patto di solidarietà tra coloro che commettono questi reati, cioè quando costoro litigano. Ciò accade, solitamente, quando la «torta» non si allarga più, anzi si restringe, ossia quando diminuisce la spesa destinata all’acquisto di beni e servizi e quindi non si può più utilizzare una certa somma di denaro, che dovrebbe essere ogni anno sempre maggiore, per accontentare i nuovi ingressi o comporre le liti. Ecco, allora, che esplodono le controversie: è a quel punto che gli inquirenti riescono a inserirsi e a ottenere finalmente notizie di reato. ­­­­­6

I. Perché le indagini di Tangentopoli ebbero tanto successo

La seconda ragione è che nei momenti di recessione l’opinione pubblica è meno disposta – diciamo così – a farsi raccontare bugie. Si infuria, per esempio, quando sente dire che taluni personaggi potenti sono perseguitati da magistrati impazziti che farebbero supplenza rispetto ad altri poteri o addirittura tramerebbero un complotto mediatico-giudiziario per rovesciare la classe dirigente al potere. In condizioni normali – per intenderci, quando i livelli di disoccupazione e di disagio sociale sono sotto controllo (e tanto meglio se c’è pure il campionato di calcio in corso!) –, è possibile che la maggioranza delle persone non sia attenta a queste cose e non dico che le accetti, ma quanto meno non si indigni. Viceversa, quanto più non si riesce ad arrivare alla fine del mese tanto più ci si infuria, anche perché nel comune sentire si ritiene che la maggior parte dei fatti contestati siano veri. In sintesi, le crisi economiche sembrano comportare da un lato una maggiore reattività dell’opinione pubblica ai tentativi di coprire vicende di corruttela; dall’altro, determinando una riduzione della spesa, accentuano crisi e contrasti nelle imprese che hanno quale cliente esclusivo o prevalente la Pubblica amministrazione. Ciò tende a generare contrasti che inducono a comportamenti collaborativi con le autorità inquirenti o comunque impediscono accordi su cosa tenere nascosto. Inoltre, una crisi economica produce un aumento delle dichiarazioni di insolvenza con il conseguente avvio di procedimenti penali per reati fallimentari: ciò porta di frequente alla scoperta di falsità contabili e di ­­­­­7

Il sistema della corruzione

conseguenza, attraverso l’individuazione della destinazione dei fondi gestiti fuori dai bilanci ufficiali, all’emersione di delitti di corruzione. Ecco perché le fasi negative del ciclo economico sono quelle in cui per le autorità di supervisione e di regolamentazione, oltre che per la magistratura, risulta meno problematico perseguire con maggior successo i propri obiettivi istituzionali sia di prevenzione di comportamenti anticompetitivi, sia di repressione di fenomeni di corruzione. Certo, quando la situazione complessiva sembra migliorare accadono di nuovo fatti a dir poco sconcertanti. Il senatore Carlo Giovanardi, per dirne una, ha scritto qualche anno fa un libro in cui sosteneva una tesi davvero divertente, ossia che il cosiddetto «Parlamento degli inquisiti», quello che nella storia della Repubblica ha avuto il maggior numero di parlamentari sottoposti a procedimento penale, era in realtà un Parlamento di perseguitati e, a supporto di questa sua tesi, ricordava che sono stati poi assolti quasi tutti gli imputati. Ora, a parte il fatto che molti di quei parlamentari non sono stati assolti in senso pieno, bensì semplicemente prescritti, che è cosa ben diversa (e ci aspettiamo che un parlamentare abbia ben chiara questa differenza!), il problema è che anche la gran parte di quelle assoluzioni è stata possibile perché nel frattempo sono state cambiate le leggi! Del resto, queste vicende possono essere sempre viste in due modi addirittura opposti: quando una persona arrestata viene assolta, si può parlare di «manette facili» oppure (come diceva il generale Dalla Chiesa) di «ingiustizia che ­­­­­8

I. Perché le indagini di Tangentopoli ebbero tanto successo

assolve». È la solita questione del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: bisogna vedere se è giusta la prima interpretazione o la seconda.

II

Perché fu abbattuto un sistema politico

Nel 1992, con il crollo delle ideologie, era anche entrata in crisi la tradizionale forma-partito come strumento di aggregazione del consenso e soggetto destinatario dell’assoluta fedeltà degli iscritti. Ricordo che in una trasmissione televisiva, poco dopo l’arresto di un importante esponente locale del Pds, un iscritto a quel partito commentò il fatto dicendo che da trent’anni andava alle feste dell’Unità come volontario a cuocere le salamelle e che ora veniva a sapere che, mentre lui girava le salamelle sulla griglia, i suoi capi rubavano, e concludeva affermando che dovevano finire in galera. Le cause sopra citate (recessione, crollo delle ideologie, crisi della tradizionale forma partito) consentirono la scoperta della vasta trama di corruzione, e la reazione dell’opinione pubblica – la cui sensibilità, come ho detto, era acuita dalla crisi economica – ebbe effetti (all’apparenza) dirompenti sul panorama politico: scomparvero dalla scena cinque partiti, quello di maggioranza relativa (Democrazia cristiana) e altri quattro (Partito socialista italiano, Partito socialdemocrati­­­­­11

Il sistema della corruzione

co italiano, Partito repubblicano italiano e Partito liberale italiano), tre dei quali avevano più di cento anni. Un vero e proprio terremoto. Di fatto, sul versante della politica le cose sono sempre andate peggio rispetto a quello delle imprese. Questo perché c’è il rischio grave che faccia carriera chi ruba di più. Ricordo due casi. Il primo riguarda Mario Chiesa, che ci spiegò che teneva aperta a Milano, coi soldi delle tangenti, una sezione del Psi per la quale pagava tutto, comprese le tessere degli iscritti, nessuno dei quali sapeva di essere iscritto! C’era chi portava claque di pensionati che lo applaudivano alle manifestazioni di partito, e per questo si organizzavano gite sociali con i pensionati, che erano appunto iscritti che ignoravano di esserlo, e venivano per così dire esibiti in giro. Dieci anni dopo Mario Chiesa, è stato arrestato il direttore generale dell’Ospedale Molinette di Torino, il quale ha spiegato che con le tangenti comprava ogni anno ottocento tessere del suo partito, perché voleva diventare assessore regionale alla Sanità e, in prospettiva, sottosegretario alla Sanità nel governo nazionale. La carriera politica si fa mostrando di avere un seguito, e siccome spesso questo seguito non c’è, ecco che lo si inventa. Ma il problema è che un politico perbene, per ottenere cariche nel partito, deve convincere iscritti veri a votare per lui; un farabutto, invece, inventa iscritti che non esistono, con il risultato che finirà sempre per battere il politico onesto, perché se questi ha convinto mille elettori, il disonesto creerà mille e cento tessere, e vincerà comunque. Non sono ­­­­­12

II. Perché fu abbattuto un sistema politico

in grado di dire che cosa accada esattamente ora, perché il sistema delle primarie mi è ancora ignoto. Personalmente, non condivido l’analisi secondo la quale una delle cause determinanti del successo delle indagini del 1992 sarebbe stata la politica internazionale, e in particolare il nuovo assetto derivante dalla caduta del Muro di Berlino. Questa tesi poggia sulla seguente considerazione: ci sarebbe meno corruzione se ci fosse alternanza; in Italia l’alternanza non era possibile a causa di una determinata situazione internazionale. L’assunto è vero, però la sua efficacia causale è smentita dal fatto che, in sede locale, l’alternanza c’era, e si rubava a man bassa lo stesso. La tragedia italiana non è data dal fatto che nel nostro pae­se ci sono i corrotti, perché costoro sono presenti ovunque, ma dal fatto che maggioranza e opposizione si spartivano le mazzette! Questo è il problema: si comportavano come «i ladri di Pisa», che di giorno facevano finta di litigare e di notte rubavano insieme. Ricordo il mio stupore quando, interrogando il segretario regionale di un partito che aveva ricevuto 150 milioni di lire – di notte, in contanti, in un garage – da un consigliere regionale di un altro partito, mi sentii rispondere che si trattava soltanto di un finanziamento illecito. Quando, incredulo, gli chiesi: «Perché mai l’appartenente a un partito dovrebbe finanziare un altro partito? Se gli piace l’altro partito si iscriva a quello!», ebbene, quello mi guardò e rispose: «Lei non capisce niente di politica». Certo, non capisco niente di questa politica, perché penso che la politica debba funzionare secondo regole diverse. ­­­­­13

Il sistema della corruzione

Io non credo che si possa sperare in una collaborazione da parte della politica fino a quando le regole di selezione del personale politico resteranno quelle attuali. Mi spiego meglio. Per anni ci hanno raccontato la storia che le tangenti erano «il costo della democrazia». Ricordo un uomo politico che, secondo una sua collaboratrice, passava tutta la notte con due donne e, se mancava una delle due, lei doveva sostituirla! E tutto questo avveniva in gran parte con l’utilizzo di denaro proveniente da episodi di corruzione. Per carità, quest’uomo sarà stato forse invidiato da molti, ma trovo difficoltà a definire tutto questo «il costo della democrazia». In ogni caso, al di là dei fatti di malcostume individuale, c’è un problema molto serio: con le tangenti non venivano affatto finanziati i partiti. Questa è una leggenda, perché soltanto una piccolissima parte delle tangenti finiva nelle casse dei partiti: la parte maggiore, oltre alle ruberie individuali, andava alle articolazioni di partito, cioè alle correnti. Proviamo allora a vedere come funziona in concreto, al di là delle regole astratte, il sistema di selezione della classe dirigente nel nostro paese. Noi siamo abituati a credere – sbagliando – che gli eletti siano scelti dagli elettori: non è così, o lo è soltanto in minima parte. Gli eletti sono scelti da chi costruisce le liste elettorali, perché candidando una persona in un collegio sicuro la si fa eleggere, mentre candidandola in un collegio non sicuro non la si fa eleggere. Addirittura, l’elezione può dipendere dalla collocazione in lista. Chi redige le liste elettorali? Salvo il caso di partiti personali, le liste elettorali sono redatte da chi ha il controllo del partito ­­­­­14

II. Perché fu abbattuto un sistema politico

perché ha vinto il congresso. Ma chi vince il congresso? Lo vince chi ha il maggior numero di voti congressuali che, per lo più, sono espressi mediante deleghe. Il problema reale, come ho già detto, è che una parte consistente degli iscritti non esiste e che le tessere sono pagate con le tangenti. Faccio un altro esempio. Un imputato, all’epoca vicepresidente della Sea, la società che gestisce gli aeroporti di Milano, mi spiegava che con i soldi delle tangenti pagava le tessere della sezione del suo partito. Poi cominciò a parlare di un altro soggetto a cui aveva dato parte del denaro e mi disse: «Guardi, un vero mascalzone: tessera centinaia di persone, interi condomini per volta»; quando io ribattei: «Ma mi scusi, ha appena finito di dirmi che lo faceva anche lei!», mi rispose: «Sì, ma quello tesserava anche gli iscritti al mio partito; le sembra bello? Mi rubava le liste!». Tutto questo può accadere perché in Italia i partiti politici sono associazioni non riconosciute, non hanno cioè alcuna regola, nemmeno le regole minime che valgono per una società di persone, per una società a responsabilità limitata. Abbiamo avuto due segretari di partito che hanno espulso la maggioranza degli iscritti: messi in minoranza, hanno pensato di espellere la maggioranza! Se questo accadesse in una bocciofila, i soci si precipiterebbero dal sindaco per richiedere il trattamento sanitario obbligatorio per il presidente che ha espulso la maggioranza! Nei partiti invece questo è accaduto, e nessuno ha avuto nulla da ridire. La prima questione, quindi, è che bisognerebbe introdurre una regolamentazione giuridica della vita dei partiti, i ­­­­­15

Il sistema della corruzione

quali, tra l’altro, ricevendo risorse ingenti dallo Stato dovrebbero rendere conto di come le impiegano; invece i bilanci sono inventati e non c’è nessun controllo efficace. Sono inadeguati i controlli sui bilanci delle società, figuriamoci quelli sui partiti. In un contesto di questo genere, di corruzione diffusa, si produce un meccanismo perverso, perché il potere è continuamente scambiabile con il denaro mediante la corruzione. Si crea una situazione in cui io rubo; rubando compro tessere; comprando tessere ho maggior peso all’interno del partito, faccio eleggere i miei fedelissimi o comunque li faccio nominare in società o enti da cui proviene altro denaro di tangenti, in un circuito perverso in cui le persone perbene contano sempre di meno e i farabutti sempre di più. L’unica seria possibilità è che l’opinione pubblica si liberi di un sistema del genere, perché fino a quando un simile sistema selezionerà una classe dirigente sulla base di queste regole, è evidente che non potrà essere d’aiuto agli apparati repressivi. Ci mancherebbe: perché mai dovrebbero suicidarsi! Qualche volta accade, ma solo quando l’opinione pubblica si indigna. Il cosiddetto «Parlamento degli inquisiti» abolì l’autorizzazione a procedere. Non è che i parlamentari fossero diventati improvvisamente buoni; semplicemente l’opinione pubblica era furiosa: voleva un segnale. E allora anche coloro che sapevano benissimo che in conseguenza di quel voto sarebbero finiti sotto processo, hanno capito che per calmare in qualche modo l’opinione pubblica bisognava dare un segno e hanno fatto qualcosa. Allo stesso modo, negli anni seguenti, hanno preso alcuni provvedimenti «an­­­­­16

II. Perché fu abbattuto un sistema politico

ticasta»: per esempio, quando si è scoperto che alcune Comunità montane arrivavano a livello del mare, distribuendo gettoni di presenza e compensi a tutti, oppure che un’attività di pubblico servizio che prima era svolta da una società era stata affidata – nello stesso modo – a trentadue società, con altrettanti consigli di amministrazione i cui compensi erano a carico del contribuente. Il problema è che il costo della politica, considerato nel suo complesso, nel nostro paese è eccessivo: ci sono troppe persone che vivono di politica, così come ci sono troppe persone che vivono di altre attività non immediatamente produttive (e voglio inserire nella lista anche la giustizia), rispetto alla tenuta dell’economia. Per capire come tutto questo possa accadere dobbiamo provare a descrivere i fenomeni considerandoli non solo singolarmente, ma globalmente. Prendiamo alcuni esempi milanesi, come quello della metropolitana (ma si potrebbero reiterare per altri settori): le imprese si consorziavano in associazioni temporanee d’imprese o in consorzi, partecipavano agli appalti che poi vincevano, l’impresa capogruppo raccoglieva denaro da tutte le imprese consorziate e lo versava a un politico che lo divideva tra tutti i partiti di maggioranza e di opposizione. Il primo risultato è che queste imprese, in tal modo, evitavano la concorrenza di imprese che non fossero dentro meccanismi di tutela. Il secondo, che i partiti che fingevano di competere fra loro sul mercato del voto si spartivano, in base al peso elettorale che già avevano, le tangenti, in modo da perpetuare gli stessi rapporti di potere. ­­­­­17

Il sistema della corruzione

Si creava così un sistema perverso in cui chi aveva più denaro otteneva più cariche pubbliche perché attraverso il denaro riusciva a controllare gli apparati di partito e quindi a formare liste elettorali, e comunque a farsi attribuire assessorati o cariche pubbliche e quindi più denaro, più cariche, più cariche, più denaro, più denaro, più cariche in un giro vizioso facilmente intuibile. In tutto questo si sono imbattuti i magistrati che poi, paradossalmente, si sono visti pesantemente attaccati. Mi era capitato di procedere in passato per altre vicende, una fra tutte, quella delle cosiddette carceri d’oro; ma mi ero fatto l’idea che fosse una situazione del tutto particolare: un unico acquirente, perché nessuno può comprare le carceri se non lo Stato. In quel caso, erano alcuni funzionari del Provveditorato regionale delle opere pubbliche a voler essere pagati. Ma mai mi sarei immaginato che il sistema fosse presente anche in situazioni apparentemente regolate dal mercato. Finché un giorno è arrivato un manager che ha raccontato come funzionavano gli appalti all’Anas; ha detto che c’erano circa trecento imprese che, tutte d’accordo, si dividevano gli appalti mediante sorteggio, dopodiché una faceva l’offerta per vincere e tutte le altre formulavano offerte per perdere. E se arrivava qualcuno estraneo agli accordi, cercavano con le buone o con le cattive di estrometterlo. Per esempio, accettando di lavorare in perdita per uno o due appalti in modo da strangolare economicamente il nuovo venuto, oppure facendo offerte che quello non avrebbe potuto reggere, anche perché le offerte che non possono reggere, se ­­­­­18

II. Perché fu abbattuto un sistema politico

c’è corruzione, si aggiustano (nel senso che scatta la revisione prezzi e di seguito la variante in corso d’opera; se invece uno non ha corrotto, si pretende la puntuale osservanza delle regole contrattuali; anche i controlli possono essere più o meno fiscali, può passare di tutto, può non passare nulla). È molto importante scoprire questi meccanismi, perché le tracce esterne emergono quando i reati presupposti sono estinti, per prescrizione. Per esempio, quando un ponte che è stato costruito male (perché nessuno ha controllato) crolla dopo trent’anni, i reati di corruzione commessi trent’anni prima sono ormai prescritti. Certo, si potrà procedere per il crollo della costruzione, per omicidio colposo se sopra il ponte in quel momento transitava un’autovettura e se sfortunatamente qualcuno è morto, ma non sarà più possibile andare a ricostruire la trama iniziale. In ogni caso, tutti ricordano l’ondata di indignazione popolare che accompagnò le inchieste di venticinque anni fa, e forse c’era chi coltivava la speranza in un radicale cambiamento di rotta. Invece gli scandali non finirono, e ancora oggi c’è chi si stupisce, a cominciare dai mezzi di informazione. Si trascura, infatti, un effetto collaterale della repressione penale sulla devianza criminale. Ne parlai in pubblico una ventina d’anni fa, nel 1996: in quell’occasione venni rimproverato da un componente del Csm, durante un seminario organizzato proprio dal Csm per un confronto tra l’ordinamento giudiziario italiano e quello francese. Eravamo sessantacinque magistrati italiani e trentacinque francesi e io – che pure non figuravo tra i relatori – ­­­­­19

Il sistema della corruzione

fui chiamato al tavolo della presidenza a spiegare ciò che era accaduto da noi negli ultimi anni. Tra gli altri fatti, spiegai ai colleghi francesi che nelle elezioni del 1994, anche in conseguenza di ciò che era emerso dalle indagini, c’era stato uno smottamento politico notevole. Erano scomparsi, come già ho ricordato, ben cinque partiti, tra cui quello di maggioranza relativa. E conclusi: «Noi organi preposti alla repressione penale, forze di polizia e magistratura, svolgiamo rispetto alla devianza criminale la funzione tipica che svolgono in natura i predatori: miglioriamo la specie predata. Abbiamo preso le zebre lente, mentre sono rimaste quelle veloci. Se preferite, abbiamo creato i ceppi resistenti agli antibiotici». Il componente del Csm si irritò e mi domandò se davvero ritenevo necessario dire queste cose ai colleghi francesi, ma io ne resto assolutamente convinto, così come resto convinto che sul lungo periodo l’evoluzione della specie predata migliori anche i predatori. D’altra parte, in nessun paese e in nessuna epoca la criminalità è stata mai completamente debellata, quindi quella sopravvissuta subisce una pressione selettiva. Certo, in Italia le cose sono andate peggio che altrove, considerando che la principale attività della politica per oltre vent’anni non è stata quella di rendere più difficile commettere delitti di corruzione, ma quella di rendere più difficili indagini e processi su quei delitti. Ogni tanto, nel corso di qualche dibattito, mi sento dire ancora: «Avete fatto un sacco di confusione, avete processato quasi 4.500 persone e oggi rubano più di prima». Voglio ­­­­­20

II. Perché fu abbattuto un sistema politico

sdrammatizzare un po’ e rispondere con una barzelletta. Durante il periodo fascista venne promossa una vera e propria guerra contro le mosche e le zanzare, e questa prassi andò avanti anche nel primo decennio del secondo dopoguerra. Ricordo che, quando ero bambino, il Comune affiggeva manifesti con la scritta: «Guerra alle mosche e alle zanzare»; ogni famiglia doveva disinfestare la propria abitazione e il Comune disinfestava i luoghi pubblici col Ddt (oggi sappiamo che era cancerogeno, ma a quel tempo ancora no). Questo il contesto. La barzelletta è questa: un prefetto va in visita in un piccolo Comune, viene ricevuto dal podestà, ma appena scende dalla macchina viene assalito da un nugolo di mosche. Allora, in tono di rimprovero, si rivolge al podestà e gli dice: «Ma in questo Comune non avete fatto la guerra alle mosche?». E il podestà gli risponde: «Sì, eccellenza, ma hanno vinto le mosche»! Ci tengo a dire, comunque, che io rimango ottimista. Anni fa mi recavo frequentemente da un notaio per farmi autenticare le sottoscrizioni su procure speciali ai miei difensori per la costituzione di parte civile in processi in cui ero persona offesa dei delitti di diffamazione e calunnia. Il notaio, a furia di vedere le frasi che avevano detto sui miei colleghi e su di me, immaginando le tensioni che ciò poteva innescare, mi chiese come potessi continuare così. Gli risposi: «non prevarranno». Il notaio mi oppose però che questa massima vale solo per chi ha una formazione culturale cristiana e che secondo il Talmud neanche i giusti possono ­­­­­21

Il sistema della corruzione

vincere in questo mondo, altrimenti non vi sarebbe bisogno della redenzione. Di fronte a questa dottissima citazione risposi citando a mia volta il dialogo tra Krishna e Arjuna nel Mahabharata, poema epico indiano che racconta la guerra tra le famiglie dei Kaurava e dei Pandava. Arjuna, il protagonista, è lacerato da questa guerra, non sa più che cosa fare, né quali saranno le conseguenze ultime delle sue azioni e chiede come comportarsi. Krishna gli risponde che egli è un guerriero e che il suo dovere è di combattere a prescindere dalle conseguenze ultime. Non a lui ma agli dèi compete di guidare il mondo, lui deve solo fare al meglio delle sue capacità ciò che gli è toccato in sorte di fare. Sono convinto che se ciascuno di noi cercasse di fare al meglio delle sue capacità ciò che gli è toccato in sorte di fare, il mondo sarebbe migliore.

III

La restaurazione

In realtà il vecchio sistema politico si è rapidamente ricomposto in forme nuove, continuando a calpestare sia la volontà dell’opinione pubblica (ad esempio aggirando l’esito del referendum sull’abrogazione del finanziamento pubblico dei partiti politici, che oggi ottengono dallo Stato più denaro di prima, con la giustificazione di rimborsi per spese elettorali), sia le esigenze, imposte anche da istanze internazionali (Onu, Consiglio d’Europa, Unione europea, Fondo monetario internazionale, Ocse), di ridare legalità e trasparenza alle istituzioni e al mercato. Da allora (e fino a non molto tempo fa) è invece stato avviato un tentativo di restaurazione che ha ottenuto il duplice risultato di far crollare il numero delle condanne per corruzione e di far precipitare ogni anno l’Italia, negli indici della corruzione percepita, agli ultimi posti (nel senso degli ultimi della classe) nel mondo occidentale, dietro molti paesi africani e asiatici. Nella prima, ma non nella seconda, metà degli anni No­­­­­23

Il sistema della corruzione

vanta vi è stato un tentativo di ripresa di valori etici e politici volti a trasformare l’Italia in un paese moderno, simile a quelli ai quali diciamo di voler somigliare. Ma poi, negli anni successivi, nulla è stato fatto, se non quel che derivava da convenzioni internazionali, per rendere più facile la scoperta e la repressione dei reati di corruzione, o per rendere più difficile commettere quel tipo di reati. Moltissimo, invece, è stato fatto per impedire indagini, processi, condanne. E questo è dovuto non a una singola parte politica, ma a gran parte dei due schieramenti politici esistenti in quel momento. Aggiungo che il centro-destra ha tentato di far passare misure talmente abnormi che per fortuna non ci è riuscito. Il centro-sinistra ha promosso azioni molto più mirate, ed è stato più efficace anche perché gli sono arrivati pure i voti degli altri. Dal punto di vista di chi si occupa della repressione penale meglio è, dunque, se a governare è sempre il centro-destra! Bisognerebbe aver chiaro che in un sistema a corruzione diffusa e costruito sulla base di un sistema criminale, alla fine vincono i peggiori. Quello che la politica italiana non capisce è che alla fine essa stessa verrà spazzata via da un sistema in cui la corruzione è capillare; non è che si fa carriera prima perché con questo sistema vince il più bravo, nemmeno per sogno! Alla fine il rischio è che arrivino Cosa nostra o la ’ndrangheta a comandare. È una strada suicida, per tutti. Quando emergono elementi gravi relativamente a un fatto – poco importa quanto quel fatto sia riprovevole o penalmente rilevante –, di solito scatta un curioso meccanismo che spin­­­­­24

III. La restaurazione

ge molti commentatori ad affermare: «Aspettiamo le sentenze». Ma come, «aspettiamo le sentenze»? A questo proposito sono costretto a ripetere una metafora che uso spesso: se invito a cena il mio vicino di casa e mi accorgo che mi sottrae l’argenteria mettendosela in tasca, non è che per non invitarlo più a cena devo aspettare la sentenza della Corte di Cassazione: smetto di invitarlo seduta stante. Dirò di più: non lo inviterò più a cena anche se verrà assolto perché è un cleptomane, e quindi non è sua intenzione rubare in quanto la sua è una malattia. A me non importa nulla delle eventuali attenuanti, non lo inviterò più! Nel mondo dell’economia e della politica si dice, invece, «aspettiamo le sentenze»: e questo – per inciso – significa attribuire ai giudici il compito di selezionare la classe dirigente, mentre così non dovrebbe essere. Se noi processassimo gli ex, già allontanati dai loro posti di responsabilità dai loro «pari» – come usava dire un nostro presidente del Consiglio –, ciò che avviene nelle aule di giustizia avrebbe lo stesso rilievo di un museo delle cere: avrebbe rilevanza storica, ma non incidenza sull’attualità politico-­economica. Tutto questo, invece, non avviene quasi mai. Se, poi, le sentenze sono di condanna, apriti cielo! Allora si tratta di una persecuzione politica da parte dei giudici e, ancora una volta, mai nessuno si prende la briga di discutere dei fatti che sono alla base delle sentenze: si discute del colore politico della toga… Ma in Italia questa è una storia antica: basti ricordare la figura di Aurelio Sansoni, magistrato in Toscana durante il Ventennio. Che si ricordi, è stato il primo giudice a essere ­­­­­25

Il sistema della corruzione

chiamato con disprezzo «rosso». Quindi politicizzato e fazioso, perciò privo di legittimità. «Non era in realtà né rosso né bigio», ha scritto Piero Calamandrei dedicandogli la terza edizione dell’Elogio dei giudici scritto da un avvocato (nel 1954). «Aurelio Sansoni era semplicemente un giudice giusto: per questo lo chiamavano “rosso” (perché sempre, tra le tante sofferenze che attendono il giudice giusto, vi è anche quella di sentirsi accusare, quando non è disposto a servire una fazione, di essere al servizio della fazione contraria)». Suppongo che il catechismo lo abbiano insegnato a tutti gli italiani com’è stato insegnato a me quando ero bambino. Ebbene, ci è stato detto che la validità di un sacramento dipende dall’osservanza delle norme liturgiche e non dal fatto che il ministro di culto sia degno; se il prete ha detto messa, come prescrive il messale romano, e ha consacrato l’eucaristia secondo i canoni stabiliti, la comunione vale anche se il prete ha la fidanzata! Allora, se è così, perché si discute del colore del magistrato e non degli atti che ha compiuto? Quegli atti erano conformi al Codice, sì o no? Dopo di che il magistrato la penserà come meglio crede!

IV

Seriale e diffusiva: come funziona la corruzione

La corruzione (intendendo il termine in senso non tecnico, ma comprensivo della concussione, del traffico di influenza e del finanziamento illecito di partiti ed esponenti politici) presenta alcuni aspetti particolari: serialità e diffusività. Serialità, perché si tratta di un reato tendenzialmente ripetuto infinite volte. Un pubblico funzionario che si vende, perché dovrebbe vendersi una sola volta? È chiaro che tenderà a ripetere lo stesso comportamento tutte le volte che ne avrà occasione con ragionevole certezza di impunità; un’impresa che affidi il suo sviluppo non alle capacità manageriali, ma a relazioni privilegiate e illecite, continuerà a perseguire questa strada. La diffusività è, invece, quel fenomeno per il quale dove c’è un corrotto presto o tardi ve ne saranno altri, fino a quando saranno le persone perbene a doversi fare da parte. La corruzione, inoltre, è un reato con cifra nera (la differenza fra delitti commessi e quelli che giungono a conoscenza dell’autorità) molto elevata: di solito, infatti, la cor­­­­­27

Il sistema della corruzione

ruzione è nota solo a corruttori, intermediari e corrotti, i quali hanno tutti un convergente interesse al silenzio. Di regola non avviene innanzi a testimoni ed è un reato a vittima diffusa, senza cioè una persona fisica che abbia la percezione immediata del danno patito e da denunciare subito: è qualcosa che danneggia tanti, ma in modo tale che nessuno percepisce direttamente di esserne rimasto vittima. I dati delle statistiche giudiziarie sono sostanzialmente inattendibili e la stessa dizione Istat di reati «denunciati» è errata: non si tratta propriamente di reati denunciati, ma di reati iscritti nel relativo registro, che è cosa profondamente diversa, in quanto questi reati sono per lo più acquisiti dalla stessa autorità giudiziaria. Un’ulteriore caratteristica del nostro paese è che da noi non esistono corpi di polizia giudiziaria. La polizia italiana ha corpi che sono, contemporaneamente, di sicurezza pubblica e di polizia giudiziaria, ma questo fa sì che essi siano organizzati soprattutto per la repressione dei cosiddetti «reati visibili», ossia di quelli che incidono immediatamente sull’ordine pubblico, con una particolare attenzione alla microcriminalità, anche perché per anni si è ripetuto che il problema principale del nostro paese è la sicurezza. Viceversa, la corruzione è molto più grave ed entra nella devianza dei cosiddetti «colletti bianchi». Un esempio della gravità del fenomeno: al processo Parmalat (circa un decennio dopo le vicende da cui hanno preso avvio queste riflessioni) c’erano ben 45.000 parti civili, ovvero 45.000 vittime che chiedevano il risarcimento dei danni. Se il giudice avesse dovuto fare l’appello di tutti, avrebbe ­­­­­28

IV. Seriale e diffusiva: come funziona la corruzione

terminato l’udienza semplicemente chiamando le parti civili! Per fortuna molti avvocati rappresentavano più vittime e quindi si poté procedere più rapidamente, ma questo caso illustra bene la vastità del fenomeno. Quanto ci impiega uno scippatore a mietere 45.000 vittime? Non solo: in tanti anni di magistratura non mi è mai capitato di incontrare qualcuno che nella borsa scippata conservasse i risparmi di tutta una vita, mentre molte di quelle parti civili nei bond Parmalat avevano investito tutti i loro risparmi. Non ho alcuna simpatia per gli scippatori, sia bene inteso. Questo però dà l’idea della diversa gravità dei due tipi di reato di cui si parla. Purtroppo, le strutture sono attrezzate per reprimere la microcriminalità e non la criminalità dei «colletti bianchi». I corrotti, insomma, sono una minoranza informata contro una maggioranza di cittadini disinformata in quanto esclusa dalla conoscenza dei meccanismi, delle persone e dei fatti. Corrotti e corruttori non si presentano, almeno di solito, nella loro vera qualità, ma si proclamano onesti e le rare volte in cui vengono individuati tendono a definirsi vittime di persecuzioni giudiziarie o politiche, oppure di calunnie. D’altra parte non siamo di fronte a una devianza individuale, ma piuttosto a un sistema criminale, esattamente uguale a quello del crimine organizzato. Ha un suo sistema di sanzioni che, magari, non è feroce quanto quello del crimine organizzato: non si spara, ma si esclude il soggetto inaffidabile dagli ulteriori appalti, lo si tiene fuori dalla cerchia delle notizie riservate. Questo aspetto spiega perché, poi, si creano delle reazio­­­­­29

Il sistema della corruzione

ni a catena. Nel 1992, molti imprenditori che fino ad allora avevano partecipato a cartelli corruttivi si scoprirono concussi e, anziché far fronte comune con i corrotti, cominciarono a «scaricarli», fornendo agli inquirenti l’elenco delle tangenti pagate. All’inizio i vertici dei partiti prendevano le distanze dai soggetti che venivano arrestati, descrivendoli come mariuoli isolati, singole mele marce. E quelli, sentendosi abbandonati dai loro complici, descrivevano il resto del cestino delle mele, avviando così una reazione a catena nelle chiamate in correità incrociate, cioè quello che chiamo «effetto domino». Le indagini confermarono che la corruzione è un fenomeno seriale e diffusivo: quando qualcuno viene trovato con le mani nel sacco, di solito non è la prima volta che lo fa. Ma c’è di più: i corrotti tendono a creare un ambiente favorevole alla corruzione, coinvolgendo nei reati altri soggetti, in modo da acquisirne la complicità fino a che sono le persone oneste a rimanere isolate. Ciò indusse ad affrontare questi reati con la consapevolezza che non si trattava di comportamenti episodici, ma di delitti seriali che coinvolgevano un rilevante numero di persone, fino a dar vita ad ampi mercati illegali. Alcune esperienze personali serviranno a chiarire questa mia affermazione. La prima avvenne quando, da giovanissimo, ero giudice istruttore al Tribunale di Vigevano. Era il 1979, e venne chiuso l’ufficio Iva di Pavia, dopo l’arresto di ventinove dei suoi trenta impiegati. Fuori dall’ufficio venne appeso il cartello: «Chiuso per arresti». Cos’era successo? Tre impiegati di quell’ufficio erano andati a svolgere una verifica fiscale presso un orefice di Mortara (una cittadi­­­­­30

IV. Seriale e diffusiva: come funziona la corruzione

na della provincia, con circa 10.000 abitanti), e gli avevano chiesto cinque milioni di lire (somma cospicua all’epoca) e un orologio d’oro per il loro capoufficio per non procedere con una verifica dura. Si erano però imbattuti in una persona onesta, che andò dai carabinieri. Venne accompagnato dal procuratore della Repubblica, il quale gli suggerì di pagare, ma annotando i numeri di serie delle banconote e il numero di matricola dell’orologio, perché fuori dal negozio si sarebbero appostati i carabinieri. Quando i funzionari corrotti ricevettero i soldi e l’orologio, all’uscita vennero immediatamente arrestati. Il procuratore della Repubblica era un magistrato molto serio e notò un particolare: quella era la prima volta che i tre funzionari arrestati prestavano servizio assieme. Solitamente ognuno di loro andava a effettuare controlli con altri due. Domandò dunque agli arrestati: «Ma se voi che uscite assieme per la prima volta fate una cosa del genere, allora vuol dire che la fate sempre, altrimenti ognuno avrebbe dovuto aver paura degli altri due. Come si fa a chiedere soldi davanti a due sconosciuti?». Allora i tre impiegati, temendo conseguenze serie, decisero di confessare non il fatto per cui erano stati arrestati (c’era già la flagranza di reato), ma altre malefatte analoghe, chiamando ciascuno in correità gli altri due: e così i tre arrestati finirono per diventare nove, i nove divennero ventinove e in pochi giorni l’ufficio Iva venne chiuso. Si trattava di una corruzione a catena, basata sulla serialità. Il trentesimo impiegato fu prosciolto per insufficienza di prove, perché a suo carico c’era una sola chiamata ­­­­­31

Il sistema della corruzione

in correità senza riscontro. In via di prima approssimazione, si può dire che rubavano tutti. Di solito la corruzione non viene denunciata, ma, per il principio della serialità di cui si diceva, basta scoprire un caso per arrivare a tutti gli altri. Fu proprio allora che interrogai per la prima volta un imputato di corruzione: si trattava di un giovane funzionario di ventisette anni (io all’epoca ne avevo ventotto), laureato in giurisprudenza, entrato in amministrazione da pochi mesi. Aveva già confessato al procuratore della Repubblica di aver ricevuto denaro in quattro occasioni, la prima volta 250.000 lire che gli aveva messo in mano il suo diretto superiore (all’epoca il suo stipendio di un mese). Mi ero segnato su un foglio tutte le domande da fargli, perché chiunque si sia occupato di questi reati sa quanto è difficile ricostruire la divisione delle mazzette: mentono tutti, ognuno fa le creste, si derubano gli uni con gli altri e i conti non tornano mai. In vita mia non avevo mai visto un corrotto. Me l’immaginavo come un visitor, con la lingua verde che fuoriesce dalla bocca, e quando le guardie mi portarono questo detenuto rimasi impressionato dalla sua assoluta normalità. Era uno come me. Avrebbe potuto essere un mio compagno di università o di serate in discoteca. Allora misi via il foglietto con gli appunti e l’unica domanda che formulai fu: «Ma come può un ragazzo di ventisette anni vendersi per 250.000 lire?». L’imputato per un po’ rimase in silenzio e poi rispose: «Lei non può capire, perché appartiene a un mondo nel quale queste scelte sono individuali; essere onesto o disone­­­­­32

IV. Seriale e diffusiva: come funziona la corruzione

sto dipende da lei. Io, dopo quindici giorni dal mio arrivo, ho capito che in quell’ufficio rubavano tutti! E ho anche capito che non avrebbero tollerato la presenza in mezzo a loro di un uomo onesto. Mi avrebbero cacciato perché sarei stato un pericolo per tutti gli altri. Le 250.000 lire me le ha messe in mano il mio capoufficio. Io ero in prova, e ho avuto paura di essere cacciato via se non le avessi prese. Non ho avuto il coraggio che ci vuole per essere onesto». Una frase terribile: si dovrebbe vivere in un paese nel quale ci voglia coraggio a fare il delinquente, e non la persona perbene. Una frase che mi colpì molto: dopo quasi quarant’anni che faccio questo lavoro sono come le monache di clausura, non so se sono casto, dovrei provare ad andare in discoteca o in qualche altro luogo di tentazione. Uno che mi abbia offerto dei soldi o che abbia cominciato il discorso così non l’ho mai trovato. Quindi non so se sono onesto, perché mai un mio capoufficio mi ha offerto soldi. Quando venne arrestato per corruzione il presidente vicario del Tribunale di Milano, era il 1993, ne parlai con l’allora collega Gherardo Colombo sostenendo una tesi di cui sono tuttora convinto, e cioè che la corruzione in magistratura sia molto meno frequente che in altri settori. A sostegno della mia tesi affermavo di aver incontrato nella mia vita professionale migliaia, forse decine di migliaia, di persone ma di non aver mai incontrato nessuno che non dico sia venuto a parlare di soldi, ma neanche che abbia mai cominciato discorsi vagamente allusivi. Colombo disse che neppure a lui era mai accaduto, ma che c’era un’altra spiega­­­­­33

Il sistema della corruzione

zione possibile: magari discorsi vagamente allusivi c’erano stati, ma noi due eravamo stupidi, non avevamo capito, ed era finita lì. Fin qui siamo alla diffusività che «caccia via» le persone oneste. Mi diedi una spiegazione: pensai che il capo era cattivo e aveva fatto diventare cattivi tutti. Una decina di anni dopo questo episodio, quando mi occupai della vicenda delle «carceri d’oro», scoprii che la corruzione seriale e diffusiva dà vita frequentemente, oltre che a mercati illegali, a veri e propri sistemi criminali. La Procura della Repubblica di Genova aveva disposto la perquisizione di una società. In un computer era stato trovato un file che conteneva un elenco con delle sigle alfanumeriche che nascondevano l’identità dei percettori di tangenti, facilmente decifrabili perché c’erano le ultime due lettere del cognome, un numero che indicava le lettere mancanti e le prime due. Per esempio Davigo sarebbe stato scritto «Go2da». Poi il cantiere di riferimento grazie al quale era facile decifrare la sigla alfanumerica, la somma pagata, l’incidenza sui costi dei lavori della somma pagata e, siccome l’amministratore era preciso fino alla pignoleria, anche il numero di serie dell’assegno bancario cambiando il quale era stata creata la provvista in contanti per pagare la mazzetta. Capite bene che se si ha la fortuna di trovare una roba del genere non è che bisogna essere Sherlock Holmes per prenderli tutti: infatti li prendemmo tutti. L’imprenditore si difendeva in modo assai intelligente. Diceva: «Io non sono un corruttore, sono vittima di concus­­­­­34

IV. Seriale e diffusiva: come funziona la corruzione

sione, perché se io fabbricassi vestiti o automobili il mio successo o il mio insuccesso dipenderebbe dalla mia capacità imprenditoriale, ma io fabbrico carceri. E chi volete che me lo compri un carcere? Non è che posso fare uno spot televisivo: “Compratevi un carcere”. Il carcere me lo compra solo lo Stato». Si tratta di quella situazione di monopolio dell’unico acquirente che gli economisti chiamano monopsonio. E ancora: «Lo Stato è rappresentato da alcuni funzionari del Provveditorato alle opere pubbliche i quali vogliono essere pagati: o li pago o chiudo». Sembrava convincente, tant’è che all’inizio iscrivemmo il procedimento per concussione. Sennonché, approfondendo, osservammo che lui non pagava subito le tangenti, le prometteva, e poi, mano a mano che riceveva denaro, a stato avanzamento lavori, dalla Pubblica amministrazione, andava a pagare. Ora, la costruzione di un carcere richiede molto tempo, questi funzionari erano andati in pensione e lui continuava a pagarli. Allora lo riconvocai e gli dissi: «Ma scusi, che concussione è questa qui? Che cosa può più farle un pensionato? Perché continua a pagare il denaro che ha promesso prima se è concussione?». L’imprenditore mi guardò come se fossi un deficiente (una cosa che mi capita abbastanza spesso e che mi fa innervosire moltissimo) e poi mi rispose: «Ma benedetta gente, voi in che mondo vivete? Se io smetto di pagare quello in pensione, quelli in servizio non accettano più la rateizzazione, vogliono essere pagati prima». So che sembra divertente, ma questo vuol dire che quelli in servizio conoscono i delitti commessi da chi li ha prece­­­­­35

Il sistema della corruzione

duti e garantiscono l’adempimento dei patti illeciti. In altri termini, vuol dire che si accede per posizione nel concorso del reato, esattamente come accade nella riscossione del pizzo da parte di Cosa nostra: non è il capofamiglia a chiedere il pizzo, lo ha chiesto il suo predecessore, lui manda gli uomini perché c’è da eseguire un accordo intervenuto prima. E allora, dovendo affrontare fenomeni di questo genere, l’armamentario che abbiamo a disposizione è ridicolo. Ecco perché non prendiamo quasi nessuno; quando poi li prendiamo, li condanniamo a pene esigue e pressoché nessuno sconta la pena. Si tratta, lo ripeto, di un sistema del tutto analogo a quello del crimine organizzato. E con ciò saltano tutte le chiacchiere sull’abuso della custodia cautelare. Un sistema criminale, infatti, non si affronta che in un modo: impedendo a chi commette il crimine di comunicare con gli altri complici, in modo da evitare la sparizione di documenti, prove e testi, o di concordare versioni. Fin qui abbiamo parlato di corruzione in generale. In realtà, l’analisi giuridica richiede alcune precisazioni. Gli studiosi di criminologia che si applicano alla corruzione distinguono tre grandi forme, che non sono alternative e possono cumularsi tra loro: 1) la corruzione amministrativa decentrata, caratterizzata da un numero rilevantissimo di tangenti di piccolo ammontare (molti funzionari rubano, ma ciascuno di essi ruba poco, almeno in ogni singola occasione); 2) la corruzione amministrativa accentrata, che si riscontra ­­­­­36

IV. Seriale e diffusiva: come funziona la corruzione

quando alcuni funzionari di grado elevato, vicini ai centri decisionali, prendono un numero relativamente ridotto di tangenti costituite da congrue somme di denaro; 3) la cattura dello Stato (State capture), già prerogativa dei paesi cosiddetti «in via di sviluppo», collocati prevalentemente in Asia o in Africa, e che ha portato tra l’altro alla convenzione dell’Ocse sulla corruzione transnazionale (in risposta all’impossibilità di fronteggiare nei singoli paesi la corruzione dei capi di Stato o di governo e alla richiesta da parte di tali nazioni di un intervento dei paesi industrializzati per punire i corruttori ed evitare la degenerazione totale del sistema). L’Italia cumula sicuramente le prime due caratteristiche, nel senso che ha una diffusissima corruzione amministrativa decentrata e ha avuto – e a mio avviso ha ancora, anche se in maniera meno scoperta – una notevole corruzione amministrativa accentrata. Ho già detto che nelle statistiche giudiziarie i reati di corruzione apparivano (e appaiono tuttora) come poco numerosi, e che ciò non deve stupire. La corruzione presenta infatti alcune altre caratteristiche della mafia, fra cui la sommersione e il contesto omertoso. La corruzione non si commette di fronte a testimoni; è un reato a vittima diffusa, non viene subìta da una persona fisica determinata che abbia interesse a denunciarla; e le pratiche comprate sono quasi sempre le più «a posto», le più curate; se a ciò si aggiunge che le leggi vigenti rendono difficile scoprirla e reprimerla, vi sono ragioni sufficienti per spiegare perché prima (ma ­­­­­37

Il sistema della corruzione

anche dopo) gli anni di «Mani pulite» sia emerso nelle statistiche giudiziarie pochissimo di quel sistema di illegalità diffusa che le indagini del 1992-95 svelarono. Queste considerazioni rispondono anche alla domanda: «dov’era prima la magistratura?». Mi sono sempre chiesto perché mai tale domanda (almeno per quel che ne so, ma non mi stupirei del contrario) non sia stata formulata anche a proposito dei procedimenti di mafia. Solo dalla collaborazione di Tommaso Buscetta in poi le indagini sulla mafia hanno potuto evidenziare l’esistenza di Cosa nostra come struttura unitaria con regole radicate. Prima, i magistrati e le forze di polizia non avevano un’idea esaustiva della struttura interna di tale organizzazione. Peraltro è ben possibile che alcuni di quelli che pongono queste domande retoriche sapessero sia della corruzione sia della mafia, ma allora il quesito da porre a costoro dovrebbe essere: «Se lo sapevi, perché non hai informato le procure della Repubblica?». Rimane il fatto che nella vicenda chiamata «Mani pulite» gli esiti delle indagini furono diversi da quelli di procedimenti anteriori e successivi, pur talvolta condotti dalle stesse persone fisiche, e con uguale determinazione. Le caratteristiche di serialità, diffusività e segretezza rispetto a chi è estraneo ai patti illeciti determinano frequentemente la creazione di mercati illegali, quali sono, oltre alla corruzione, lo spaccio di droga, il traffico di esseri umani, la prostituzione, il gioco clandestino e altro. Normalmente i mercati illegali sono o autoregolamentati ­­­­­38

IV. Seriale e diffusiva: come funziona la corruzione

o gestiti da organizzazioni criminali. Intanto va rilevato che l’autoregolamentazione è conseguenza dell’impossibilità di rivolgersi a un’autorità per ottenere il rispetto delle regole (ovviamente illegali) che caratterizzano siffatti mercati. Ed è altrettanto evidente che non è possibile ricorrere al giudice per ottenere il pagamento di una partita di droga o di una tangente promessa e così via. Il mercato della corruzione è un mercato illegale nell’ambito del quale non è possibile ottenere il rispetto delle regole a esso relative e dei patti intervenuti ricorrendo a forme di tutela legale. Pertanto, la «tutela» è affidata alle regole del mercato illegale stesso (esclusione di un’impresa che non abbia versato una tangente promessa da successivi appalti relativi a forniture di beni o servizi, esclusione da futuri versamenti del pubblico funzionario che non tenga il comportamento per il quale aveva ricevuto denaro e talora dallo stesso ufficio ricoperto, mediante trasferimento o non ricandidatura alle elezioni). Peraltro, ciò è possibile fintanto che i mercati illegali hanno dimensioni tali da consentire ai soggetti che vi operano di conoscersi direttamente, indirettamente (tramite intermediari) o per «fama» e le poste in gioco non sono di entità tale da indurre a violare le regole. Tali meccanismi sono efficaci solo se tutti gli attori del mercato illegale lo percepiscono come stabile nel tempo e soddisfacente nel suo funzionamento. Tuttavia, quando il mercato illegale supera le dimensioni che consentono l’autoregolamentazione, ovvero quando la possibilità di guadagno che deriva dalla violazione delle ­­­­­39

Il sistema della corruzione

regole interne è molto elevata, esso non è più in grado di funzionare senza interventi coattivi. In genere, in questi casi, il mercato illegale è allora gestito dal crimine organizzato, il quale utilizza la forza di intimidazione e – se necessario – la violenza per assicurare il rispetto delle regole e il segreto sulle attività illecite. Nella relazione sulle risultanze dell’indagine del Gruppo di lavoro della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia istituito con la L. 94/1988 si legge: i gruppi mafiosi «tallonano» il potere politico e talvolta uomini di partito non riescono a sottrarsi alla tentazione di acquisire «pacchetti» di consensi elettorali che a loro vengono offerti; forti interessi sono presenti nel settore degli appalti pubblici, con un conseguente intreccio così stretto fra cattiva gestione amministrativa, rapporti con personaggi della delinquenza, minacce e violenze […] La proliferazione delle cosche e una loro conflittualità interna riconducono alla esigenza della delinquenza organizzata di gestire il territorio non soltanto tramite antiche pratiche di ordinario costume mafioso, o con la consumazione di reati di natura tradizionale come l’estorsione, i sequestri, bensì anche con rapporti di nuovo genere con le amministrazioni comunali e complessivamente con i pubblici poteri […] L’ente locale nel Mezzogiorno è oggi un importante erogatore di spesa, più che di servizi; tale circostanza non è sfuggita a questa criminalità che, direttamente o con mediazioni di vario genere, tenta di orientare l’attività comunale per conquistare più ampi spazi economici e di potere1.

1 La citazione è tratta dal volume di Nicola Tranfaglia, Mafia, politica e affari. 1943-91, Laterza, Roma-Bari 1992.

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IV. Seriale e diffusiva: come funziona la corruzione

Si può quindi concludere che, ove è presente la criminalità organizzata, essa finisce per gestire il mercato della corruzione. Questo non è vero solo per l’Italia. Diversi studi hanno dimostrato che anche negli Stati Uniti il sistema della corruzione «moderna» – quello delle tangenti, degli appalti e dei «cartelli» di imprese, per intenderci – è autonomo e antecedente all’avvento della mafia nella società americana e che Cosa nostra si è impadronita solo successivamente di tale mercato2. Alla sinergia tra criminalità mafiosa e criminalità dei pubblici funzionari si alludeva, del resto, già nei risultati delle Commissioni parlamentari di inchiesta proposte a più riprese sin dalla fine degli anni Cinquanta, proprio perché si sospettava un intreccio significativo tra mafia e appalti pubblici. Osserva in proposito Ernesto Ugo Savona: L’edilizia è sempre stata un settore di investimento privilegiato della criminalità organizzata italiana. Dal momento che non richiede tecnologie avanzate o un elevato grado di expertise, può essere utilizzata per attività di riciclaggio […] e permette di controllare il territorio attraverso l’offerta di lavoro e la canalizzazione del consenso politico. Esiste, infatti, una connessione tra organizzazioni 2 Vedi ad esempio R. Goldstock, Control of Corruption and Racketeering in the Construction Industry: The Use of the Independent Private-Sector Inspector General, relazione redatta, su richiesta del governatore Mario Cuomo, dalla New York State Organized Crime Task Force nel 1990. Cfr., più ampiamente, R. Goldstock, M. Marcus, T.D. Thacher, J.B. Jacobs, Corruption and Racketeering in the New York City Construction Industry, New York University Press, New York 1990.

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Il sistema della corruzione

criminali, potere politico, amministrazione pubblica e diversi settori dell’economia tale da determinare una convergenza di interessi tra i soggetti operanti nel campo degli appalti pubblici: il politico fornisce lavoro all’imprenditore in cambio di una tangente, l’imprenditore paga tangenti al politico e fornisce denaro e lavoro al mafioso; il mafioso prende denaro dall’imprenditore, assicurando, in cambio, la pace sociale e il controllo sulla forza lavoro, e garantisce supporto elettorale al politico3.

Va tuttavia osservato che, tendenzialmente, quella mafiosa e quella della corruzione sono «industrie» che si occupano di beni distinti: protezione privata, in un caso; diritti di proprietà su rendite politiche, nell’altro4. D’altra parte, generalmente i servizi forniti da ciascuna delle due «industrie» sono utili per l’attività dell’altra, oppure vengono consumati da imprenditori, faccendieri, mafiosi, politici. Gli accordi di corruzione e gli scambi politici ed elettorali sono rinsaldati dalla tutela mafiosa, che garantisce nel contempo l’omertà: significativamente, le confessioni incrociate di corrotti e corruttori, che hanno dato all’inchiesta «Mani pulite» una grande forza propulsiva nel resto d’Italia, hanno segnato il passo nelle aree a più alta densità mafiosa. La partita è perciò unica: il contrasto al crimine organizzato deve accompagnarsi al contrasto alla corruzione e viceversa. 3 E.U. Savona, Criminalità organizzata, in Enciclopedia del Novecento, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1998, vol. X, p. 426. 4 Lo ha sottolineato in più occasioni anche Alberto Vannucci, uno degli studiosi italiani che da più tempo si occupa di fenomeni corruttivi.

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Quando le imprese si spartiscono gli appalti

Appena si fanno indagini, appena «si gratta» da qualche parte, viene fuori l’ira di Dio, perché questo paese funziona secondo regole diverse da quelle scritte nelle leggi. Noi abbiamo un sistema normativo di standard più o meno europeo. Ma nella realtà i comportamenti sono del tutto diversi da quelli prescritti dalle norme. Consideriamo, per esempio, gli appalti per la fornitura di beni e servizi alla Pubblica amministrazione. Noi abbiamo un sistema molto rigoroso, con gare di appalto disciplinate nel dettaglio, scheda segreta, controlli sulla regolarità di queste procedure, ecc., ma di fatto le cose funzionano in tutt’altro modo. Leggiamo un brano dell’interrogatorio di un indagato che parlava dell’Anas, uno dei principali enti di spesa in quanto gestiva tutte le strade statali d’Italia. Da molti anni, presso Anas funziona un cartello di circa duecento imprese che si riuniscono periodicamente, vedono il ruolino delle opere che sono andate o devono andare in Consiglio di ­­­­­43

Il sistema della corruzione

amministrazione e decidono come deve essere attuato il giro di chi vince. Tutto ciò si verifica saltuariamente e serve a decidere in concreto da quale gruppo di imprese si deve incominciare ad assegnare i lavori: la scelta avviene tramite un sorteggio, nel senso che si scrivono i nomi delle imprese sui bigliettini e poi si estrae a sorte. Nell’ambito del sorteggio, ovvero attraverso il sorteggio, si decide cioè che il primo gruppo di imprese si aggiudica il primo appalto, il secondo gruppo di imprese si aggiudica il secondo appalto, il terzo gruppo il terzo appalto e così via. Vengono nominati dei coordinatori delle imprese che hanno il compito – quando la gara viene successivamente bandita – di chiamare le altre imprese che saranno convocate per gli appalti successivi per sollecitarle a «ringraziare», cioè rinunciare alla gara che non devono vincere, ovvero per comunicare loro l’entità del ribasso che devono indicare nella loro offerta in modo da non vincere. Tutto ciò passa ovviamente attraverso la comunicazione del valore della scheda segreta. Ciò funziona sia a livello di direzione generale a Roma che nei compartimenti per le imprese regionali. Sulla base di questi meccanismi le imprese prescelte vincono l’appalto. All’Anas si paga praticamente chiunque, voglio dire anche a livello di commessi. In particolare, per il discorso che qui interessa, all’Anas si pagava sia alla struttura dell’ente – il ministro presiede il Consiglio di amministrazione – sia al sistema dei partiti, che ricevono a livello di segretari nazionali amministrativi, che sono, per settori, i segretari nazionali dei partiti di maggioranza e dei più grossi partiti di opposizione. Il flusso di cui ho parlato è standardizzato da almeno vent’anni.

Un altro indagato ha raccontato che, sempre all’Anas, l’avevano pregato di portare i soldi non più in una valigetta ­­­­­44

V. Quando le imprese si spartiscono gli appalti

ma in buste di plastica, perché avevano una stanza piena di valigette vuote e non sapevano più dove metterle! Noi giuristi distinguiamo quelli che definiamo errori in senso proprio – attribuibili all’elemento soggettivo – che chiamiamo colpa, da quelli relativi alla consapevolezza e alla volontà di realizzazione dell’evento che chiamiamo dolo. Quando ero bambino ho imparato in un’unica occasione la funzione rieducativa della pena e la distinzione tra dolo e colpa: giocavo con i sassi e ho rotto un vetro; mi è arrivato un ceffone accompagnato dalla frase «così impari» (funzione rieducativa della pena), e siccome mi sono difeso dicendo «non l’ho fatto apposta» me n’è arrivato un altro insieme alla frase «ci mancherebbe». Così ho capito anche la distinzione tra dolo e colpa. Nell’ambito della corruzione siamo in presenza di comportamenti dolosi; non parlo soltanto del reato di corruzione, ma anche di tutti i comportamenti conseguenti e antecedenti i reati di corruzione che sono a loro volta previsti dalla legge come delitti dolosi (penso alle turbative d’asta per farsi aggiudicare gli appalti, alle frodi in pubbliche forniture e a una serie di falsità contabili che servono a disporre del denaro per coprire questi illeciti da un lato, e dall’altro lato ai finanziamenti illeciti a partiti politici, reati ai quali in genere la corruzione si accompagna). In questo contesto di delitti caratterizzati da un’elevata ripetitività e diffusività, e quindi rispondenti a quello che può essere definito un sistema criminale, i risultati finali sono stati: l’alterazione delle regole ­­­­­45

Il sistema della corruzione

del gioco politico, ma anche la produzione di beni o inutili o scadenti, o il costo eccessivo di tali beni inutili o scadenti. La prima ricaduta di un sistema di questo genere sta nell’azzeramento della concorrenza e nel dilagare dell’inefficienza. Le opere pubbliche finiscono per costare dal doppio a sette volte di più del dovuto. C’è un dato diffuso da Transparency International relativo al costo delle opere pubbliche a Milano prima e dopo le indagini. Per esempio, i lavori per la metropolitana costavano fra 300 e 350 miliardi di lire al chilometro prima delle indagini, tra 150 e 250 miliardi di lire al chilometro dopo le indagini. Ciò significa che con gli stessi soldi si poteva costruire il doppio di linee metropolitane: Milano avrebbe avuto sei linee del metrò anziché tre con gli stessi costi (se non si fosse rubato). Un altro esempio clamoroso è quello dell’aeroporto di Malpensa, per il quale era stato preventivato un costo di 4.220 miliardi di lire e che alla fine ha portato la spesa a 1.990 miliardi (anche qui si sarebbero potuti costruire due aeroporti, oppure un aeroporto grande il doppio, oppure un aeroporto dove magari gli aerei partono anche se c’è la neve). Il Passante Ferroviario merita qualche parola in più, perché qui il costo è relativamente modesto, nel senso che era stato preventivato in 1.994 miliardi di lire, poi scesi a 1.452. Credo che abbia più o meno le stesse dimensioni di quello di Zurigo, che è stato realizzato in cinque anni spendendo la metà. I cosiddetti esperti approfittano del fatto che i giuristi sono ignoranti su questioni ingegneristiche per raccontare loro qualunque cosa; mi sentivo dire dai tecnici degli impu­­­­­46

V. Quando le imprese si spartiscono gli appalti

tati: «Non potete fare il confronto tra il Passante Ferroviario di Milano e quello di Zurigo, perché a Milano la falda freatica è molto più alta che a Zurigo e questo richiede operazioni molto più costose e complesse». Sta di fatto che dopo gli arresti il costo è sceso da 1.994 miliardi a 1.452, per cui o si deve ipotizzare una novità dal punto di vista tecnico, e cioè che gli arresti fanno abbassare la falda freatica, oppure vuol dire che raccontavano bugie e che in realtà il maggior costo delle opere derivava dalle ruberie. L’altro aspetto di cui dicevamo è quello della costruzione di opere pubbliche assolutamente inutili, e qui mi viene in mente un altro esempio: quello del Fondo investimento occupazione. L’Unione europea stanziava dei fondi che venivano, tramite le autorità nazionali, assegnati alle Regioni che dovevano individuare, su suggerimento dei Comuni, delle opere pubbliche da realizzare. In base alle confessioni degli imputati si è appreso che quasi mai nella valutazione di quale fosse l’opera da realizzare veniva tenuto conto dell’interesse pubblico, piuttosto veniva considerato l’ammontare della tangente percepibile. Ad esempio, se l’impresa che proponeva di ripulire il Lambro offriva di più di quella che proponeva di costruire la Pedemontana, si sceglieva di bonificare il Lambro (anche perché con questo tipo di operazioni è più facile imbrogliare: se dico che bonifico qualcosa, è più difficile andare a vedere se ho bonificato: se il fiume è ancora inquinato, l’inquinamento può essere dovuto a un fatto sopravvenuto; se invece dico che voglio costruire una ­­­­­47

Il sistema della corruzione

strada, chiunque può facilmente constatare se la strada c’è o non c’è). In questo contesto la reazione delle autorità pubbliche – non solo di quelle giudiziarie – avrebbe dovuto essere di estrema preoccupazione, sia per lo sperpero di denaro che c’era stato, sia per la perdita di efficienza delle imprese. Le quali imprese, per decenni poste al riparo dalla concorrenza, erano diventate talmente inefficienti che riuscivano, nonostante il costo spaventoso delle opere pubbliche (circa il doppio di quello medio europeo), a perderci. Di fronte a questa situazione ci si sarebbe dovuti attendere che l’autorità politica si preoccupasse, e infatti si è preoccupata: ma non dei misfatti accaduti, bensì delle indagini che li andavano scoprendo, e lì si è cominciato a tirare in ballo il concetto di primato della politica. Concetto che, a mio avviso, non vuol dire niente, perché se si intende dire che la politica determina le regole, questo è ovvio, e nessuno l’ha mai messo in discussione; se si intende dire che i politici non sono soggetti alla legge come gli altri cittadini, si dice qualcosa che risale alle monarchie assolute e che l’Occidente dovrebbe avere abbandonato da almeno due secoli. Il problema è che i politici professionisti si sono presentati più o meno come dei padroni di casa, sostanzialmente facendo intendere «non dovete darci fastidio». Io penso invece che i padroni di casa siano i cittadini. I politici sono assimilabili ad amministratori di condominio, che sono stati incaricati di governare e di amministrare temporaneamente i nostri beni, e che dovrebbero rendere conto di come li amministrano. ­­­­­48

V. Quando le imprese si spartiscono gli appalti

La funzione dei magistrati – uso questa metafora – è quella dei «cani da guardia»: il loro mestiere è abbaiare se ci sono i ladri. Avevo una certa stima di me stesso come cane da guardia, ero convinto di essere un buon cane, di abbaiare anche molto bene; sennonché tutte le volte che abbaiavo gli amministratori del condominio, anziché guardare se c’erano i ladri, scendevano e mi prendevano a calci. Allora sorge il dubbio che siano stupidi o collusi, perché altrimenti non si spiega che il problema sia sempre e soltanto il cane che abbaia e mai il ladro che ruba. Ma c’è di più e di peggio: se si volesse soltanto l’impunità per i comportamenti passati, la cosa sarebbe tutto sommato accettata (visto che il nostro è un paese ampiamente incline al perdono). Si ha invece la sensazione che si pretenda l’impunità per il futuro, cioè di poter fare le stesse cose fatte in passato e che a nessuno dia fastidio; che si pretenda non solo di non essere perseguiti (infatti ogni tanto si discute di ripristino dell’immunità parlamentare), ma neanche svergognati quando questi comportamenti vengono scoperti. Qualche esempio per dare l’idea della singolarità della reazione del mondo politico alla scoperta di misfatti. Primo caso: intorno al 1996-97, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli venne informata di un’estorsione in corso a danno di un’impresa che lavorava per la realizzazione della linea ad alta velocità ferroviaria tra Napoli e Roma: in un cantiere fu fatta esplodere una bomba. Dopodiché arrivò la richiesta estorsiva: l’azienda pagò una prima rata, ma sopraggiunse una nuova richiesta. Allora i dirigenti ­­­­­49

Il sistema della corruzione

di questa società si rivolsero alle forze dell’ordine, e il Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri mandò un ufficiale che, fingendo di essere un dirigente della società, prese contatto con gli estorsori e chiese loro cosa volevano. L’ufficiale domandò come poteva essere sicuro che non sarebbero arrivati altri soggetti a pretendere soldi o subappalti, chiese di parlare con i capi degli interlocutori e questi lo portarono da un sovraordinato in ambito camorristico. Si sentì chiedere l’1,50% del valore dell’appalto per la camorra e l’1,50% del valore dell’appalto per i partiti. Furono poi consegnati due elenchi di imprese a cui dovevano essere assegnati i subappalti, precisando che una era la lista delle imprese sponsorizzate dalla camorra e l’altra quella delle imprese sponsorizzate dai partiti. L’ufficiale chiese di essere garantito anche rispetto ai partiti e fu portato da vari esponenti politici, via via salendo fino al vicepresidente della Regione. Ma l’ufficiale, accampando di doversi garantire rispetto ad altre future pretese, disse di voler parlare con «qualcuno più in su». Gli venne fissato un appuntamento con un parlamentare in un bar vicino a Montecitorio. Ma nel locale l’ufficiale venne raggiunto da una telefonata con cui lo si invitava ad entrare alla Camera per incontrare il deputato. L’incontro poi non ebbe luogo. Ma quando si venne a sapere della vicenda, si scatenò una bagarre infernale alla Camera dei deputati e molti protestarono dicendo che i carabinieri stavano per violare la sacralità del Parlamento. A me sembra che la sacralità del Parlamento la violino i ladri e non i carabinieri che cercano di prenderli. ­­­­­50

V. Quando le imprese si spartiscono gli appalti

La questione si trascinò e, siccome erano stati minacciati ulteriori attentati dinamitardi qualora i soldi non fossero arrivati, l’ufficiale dei carabinieri venne prudentemente fatto defilare con la scusa che aveva avuto un incidente stradale ed era finito in ospedale. E per non correre rischi la Procura dispose che l’ufficiale si facesse davvero ricoverare (e quindi che venisse simulata la scena). Gli autori dell’estorsione andarono a trovarlo in ospedale e poi finirono in carcere. Il Tribunale del riesame li mise fuori con una dotta argomentazione giuridica secondo la quale si era in presenza di un reato impossibile, giacché l’estorto era un ufficiale dei carabinieri che non poteva essere estorto in quanto stava operando sotto copertura. La Corte di Cassazione annullò la decisione, ma quando gli estortori ritornarono in carcere era ormai passato un anno e mezzo: le varie versioni avevano potuto essere ben coordinate tra loro e quindi l’indagine non fece più passi avanti. Il secondo esempio riguarda un metodo di sperpero del denaro pubblico e persino, ove fosse dimostrata (visto che è una mera ipotesi), la finalizzazione di atti politici a questi risultati: mi riferisco all’uscita del nostro paese dal nucleare. Come è noto, l’Italia scelse in un primo tempo di dotarsi di centrali nucleari. Furono effettuate gare d’appalto, e alcune imprese le vinsero pagando tangenti. Poi vi fu un referendum in cui si decise di interrompere la produzione di energia nucleare. Le imprese che avevano vinto gli appalti dovettero essere indennizzate e pagarono tangenti pure per avere l’in­­­­­51

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dennizzo (tanto più pagavano tangenti, tanti più indennizzi prendevano). L’Italia, però, continuava ad aver bisogno di energia, e se anche qualcosa si poteva comprare all’estero, bisognava pur tuttavia costruire centrali. E così furono costruite nuove centrali termoelettriche, o furono convertite in centrali termoelettriche le centrali nucleari in costruzione. E le imprese pagarono tangenti per vincere gli appalti per la costruzione di queste centrali o per la loro riconversione. Dopodiché si scoprì quello che era ovvio: e cioè che almeno nell’immediato le centrali termoelettriche inquinano molto di più delle centrali nucleari perché emettono fumi. Allora l’Enel bandì appalti per la desolforazione e la denitrificazione dei fumi delle centrali termoelettriche. Soltanto per la desolforazione vennero spesi 2.900 miliardi di lire (base di gara su cui le imprese pagarono l’1,50% di tangenti). Ovviamente nessuno, quando queste cose si sono sapute, si è mai posto il problema di aprire un’indagine parlamentare per verificare se, quando fu indetto il referendum, qualcuno avesse progettato di prendere tutte le tangenti ad ogni successivo passaggio di questa vicenda. Questo esula dai compiti dell’autorità giudiziaria; non è possibile fare il processo alle intenzioni, bastano i reati e i responsabili che ci sono. Ma ci possono essere responsabilità politiche che sono diverse e ulteriori rispetto alle responsabilità penali. La questione emerge financo in modo umoristico in materia di intercettazioni telefoniche: di solito questi reati non vengono scoperti perché qualcuno li denuncia, ma si scopro­­­­­52

V. Quando le imprese si spartiscono gli appalti

no per caso, in genere partendo da altri reati e qualche volta con intercettazioni. È successo, in alcune occasioni, che ci siano state violentissime reazioni in conseguenza di intercettazioni – disposte legittimamente dall’autorità giudiziaria – quando queste hanno coinvolto membri del Parlamento. È vietato intercettare parlamentari, ma giurisprudenza e dottrina hanno sempre inteso questo divieto come divieto di intercettazione diretta: se cioè si intercetta una persona normale e questa parla con un parlamentare, questo divieto non sussiste (altro è il problema di come la legge regola l’utilizzabilità di queste intercettazioni). Così sono accadute cose divertenti: per esempio la Procura della Repubblica di Palermo intercettava il socio del figlio di Totò Riina, il quale aveva chiamato per trentatré volte un sottosegretario in carica (il numero delle chiamate rende improbabile che sbagliasse numero). La reazione di molti politici non è stata quella di stigmatizzare il fatto che il socio del figlio di Totò Riina parlasse con un sottosegretario, ma di attaccare la Procura di Palermo che intercettava indirettamente un sottosegretario. E quando l’autorità giudiziaria di Potenza dispose intercettazioni – che tra l’altro portarono all’arresto di numerose persone – per appalti truccati, l’ex presidente della Repubblica Cossiga, che aveva scoperto di essere menzionato nelle intercettazioni o addirittura di aver parlato, minacciò di dimettersi da senatore a vita. La diffusione della corruzione dipende anche dal prestigio e dall’efficienza della Pubblica amministrazione. Riporto qual­­­­­53

Il sistema della corruzione

che passo di una lettera che il dirigente degli uffici amministrativi scrisse al presidente della Corte d’Appello di Milano (che la trasmise a tutti i magistrati) una ventina d’anni fa: Illustre Presidente, dopo numerosi franchi colloqui avuti con Lei, ritengo opportuno predisporre anche quest’anno una franca relazione che accompagni il documento da trasmettere alla commissione per la valutazione dei dirigenti. Se per due anni sono stato in grado di fissare gli obiettivi e di raggiungerli, adesso non sono più in grado di determinarli, né tantomeno di conseguirli. Gli interventi che dovrebbero essere adottati al fine di assicurare organizzazione e funzionamento dei servizi di cancelleria – secondo i principi di efficacia e di efficienza dell’attività amministrativa come previsto dal contratto di lavoro – presuppongono una base operativa che sia di per sé sufficiente per il normale funzionamento degli uffici, tale da consentire una linea di programmazione. Attualmente la condizione della Corte d’Appello è di gran lunga peggiore rispetto agli anni scorsi. La situazione del personale è letteralmente disastrosa, ove si consideri che le vacanze di organico si attestano attorno al 28% della dotazione organica. A queste si aggiungono le assenze per malattia, maternità, i permessi per ragioni personali o familiari; poi si aggiungono i rapporti di lavoro part-time e quanto altro. In tale situazione, sicuramente negativa per l’amministrazione, la valutazione del sottoscritto è cosa di scarso rilievo: intendo dire che se l’amministrazione non ha la possibilità o la volontà o l’interesse alla copertura degli organici evidentemente vuole mantenere gli uffici in condizioni di scarsa funzionalità, sotto il profilo dell’efficacia, dell’efficienza o quantomeno non è in grado di risolvere questo problema. In queste condizioni la valutazione di un dirigente, che per inciso non ha ­­­­­54

V. Quando le imprese si spartiscono gli appalti

alcuna possibilità concreta di intervento, può essere solo riferita alla gestione dell’emergenza.

Il dirigente conclude scrivendo che per l’anno successivo si ripromette di tenere aperti gli uffici e questo, data la situazione, sembra già un grande risultato di efficacia ed efficienza. Due parole sui controlli. Quando sento di persone che hanno svolto seriamente il proprio lavoro di controllori all’interno di amministrazioni o di enti economici in senso lato alimentati dal denaro pubblico, mi convinco del perché noi magistrati siamo così invisi. Siccome non è facile mandarci a casa come si fa con altri soggetti, perché abbiamo garanzie di inamovibilità previste nella Costituzione, veniamo attaccati con le accuse più varie, fra cui spicca quella di essere politicizzati. Ogni tanto, però, i politici si distraggono lasciando emergere il loro vero pensiero: qualche anno fa, per esempio, Gae­tano Pecorella partecipò a un convegno a Todi in qualità di presidente della Commissione Giustizia della Camera e disse che era necessario provvedere subito alla separazione delle carriere tra giudici e pm, mettendo al vertice di una procura federale un pm designato dal Parlamento e ai vertici delle procure locali i pm scelti dai consigli regionali. Ciò non tanto per un problema di legami fra la sinistra e i magistrati, «perché questa alleanza c’è oggi, ma potrebbe non esserci domani», ma piuttosto perché «la magistratura si comporta da vero e proprio potere a sé che non risponde a niente e a nessuno». Il professor Pecorella scoprì la Costituzione, ­­­­­55

Il sistema della corruzione

secondo la quale la magistratura è un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere, ed evidentemente lo trovava intollerabile. Credo che tutti i fenomeni corruttivi si potrebbero contenere favorendo il mercato, sia nel senso di estendere la concorrenza quando possibile, sia nel senso di creare interessi contrapposti che si bilancino sul modello dei sistemi. Un esempio: la legge federale statunitense contro la corruzione e il crimine organizzato prevede un risarcimento dei danni non inferiore al triplo del danno realmente patito dalla vittima di atti di corruzione o racket. Cosa è successo in Nord America in conseguenza di questa normativa? È successo che molte imprese, accanto ai loro uffici di progettazione, hanno sviluppato uffici investigativi e uffici legali perché conviene che l’appalto lo vinca un altro corrompendo: infatti, se lo si scopre, si guadagna il triplo di quel che si sarebbe guadagnato se si fosse vinto l’appalto. Ora, questo controllo reciproco tra i soggetti induce a comportamenti più corretti o quantomeno più avveduti. È difficile creare interessi contrapposti, soprattutto perché questo dipende anche dalle dimensioni complessive del mercato: tanto più sono numerosi i soggetti operanti, tanto più è possibile creare occasioni di reciproco controllo. Se si è invece in presenza di una situazione asfittica come la nostra, dove ci sono poche imprese che hanno rapporti esclusivi con la Pubblica amministrazione e che operano tutte in maniera strettamente correlata tra loro, diventa pressoché impossibile creare interessi contrapposti. ­­­­­56

V. Quando le imprese si spartiscono gli appalti

Ultima questione: lo stipendio dei funzionari. Per alcuni dirigenti non è certo un problema di retribuzione, ma per altri dipendenti pubblici sì. Ricordo un capitano della Guardia di Finanza che nel 1996 mi mostrò la sua busta paga: siccome in quei mesi c’era stata la battaglia di affittopoli – era emerso che gli affitti degli edifici pubblici costavano troppo poco – pagava tra l’affitto e l’arretrato per l’adeguamento dell’affitto di un alloggio demaniale 1.500.000 lire al mese, su uno stipendio netto di 2.500.000. Aveva una moglie che non lavorava e due figli. Negli stessi giorni un maresciallo alle sue dipendenze aveva arrestato in flagranza un imprenditore che gli aveva offerto 200 milioni di lire per non approfondire una verifica; siccome una verifica dura in media ventitré giorni, se la scelta è fra un milione netto al mese di stipendio o 200 milioni netti al mese per tutti i mesi e per tutti gli anni della propria carriera, per resistere, quando non si riesce a sfamare i propri figli, bisogna essere santi o eroi. Qualunque amministrazione che presupponga che tutti i suoi appartenenti siano santi o eroi avrà grandi delusioni. Non si può fare concorrenza alla corruzione con gli stipendi, ma sarebbe già molto tenere i funzionari al riparo dal bisogno.

VI

Perché la lotta alla corruzione è stata inadeguata

Il numero di condanne per corruzione, ridotto a un decimo rispetto a quello di venticinque anni fa, non appare dunque frutto di una riduzione della corruzione, ma della difficoltà a fronteggiarla. Il clima in cui da anni operano i magistrati (attaccati da ogni parte) e lo sfascio della giustizia, non impedito e talora accentuato da parte delle maggioranze parlamentari che si sono trasversalmente avvicendate in questi anni, spiegano sia le maggiori difficoltà delle indagini sia l’esito negativo dei processi, sempre più spesso conclusi con pronunzie di prescrizione. Non ci si deve quindi stupire se la corruzione è probabilmente aumentata; semmai, ci si deve domandare perché questi reati dovrebbero emergere. A questo proposito, va fatto un cenno all’attuale inadeguatezza, in Italia, delle attività di contrasto: la deterrenza delle pene è molto bassa, ove si pensi che la quasi totalità delle condanne si attesta su pene che non comportano l’effettiva espiazione in carcere (per sospensione condizionale o per affidamento in prova al servizio sociale) e che comunque ­­­­­59

Il sistema della corruzione

solo una piccolissima parte di questi reati viene scoperta e una parte ancora minore si conclude con una sentenza di condanna. Il sistema giudiziario italiano versa in una condizione di inefficienza gravissima: per questo siamo sorvegliati speciali del Consiglio d’Europa, e probabilmente passeremo dei guai seri perché ci hanno ammoniti in tutte le maniere. Nonostante questo, il problema non viene risolto perché, secondo me, sono state imboccate strade sbagliate. Ebbene, il nostro sistema giudiziario è durissimo e spietato nei confronti di chi è così sciocco da farsi arrestare in flagranza di reato; è invece del tutto inadeguato nei confronti di chi commette reati di una certa complessità. Infatti, per questo tipo di reati è difficile che si arrivi a sentenza prima che maturi la prescrizione; se invece uno si fa arrestare in flagranza – ad esempio per uno scippo – sconta la pena prima che inizi l’appello, per cui non avrà benefici penitenziari, non avrà prescrizione, non avrà nulla. Allora, che cosa succede? Ricordiamo ancora il caso Parmalat con le sue 45.000 parti civili. Il problema è che sugli apparati giudiziari si scaricano questioni che dovrebbero trovare soluzioni diverse: ad esempio, il risarcimento dei danni potrebbe essere risolto prima, in via extragiudiziale. Ma questo accade raramente, perché il debitore pagherà solo se gli conviene, e potrebbe invece trovare più vantaggioso resistere in giudizio, nella speranza di non pagare più. Nel frattempo, avrà provveduto a far sparire i beni per evitare pignoramenti, sequestri, ecc. ­­­­­60

VI. Perché la lotta alla corruzione è stata inadeguata

Qual è lo stato dell’arte relativamente alla repressione? Come ho già detto, la situazione è disastrosa. In primo luogo, le fattispecie di reato sono del tutto inadeguate in quanto non corrispondenti ai reali fenomeni. Anche dopo la legge cosiddetta Severino (dal nome del ministro proponente) esistono diverse fattispecie. La maggior parte dei processi non serve ad accertare se il privato A ha pagato il funzionario B, ma soltanto a decidere in quale casella collocare quella condotta. Altrettanto inadeguate sono le pene. Il Codice penale svolge in Italia una funzione di spaventapasseri: visto da lontano fa paura, ma da vicino lo si scopre essere sostanzialmente innocuo. Questo perché l’Italia è l’unico paese d’Europa, assieme alla Norvegia, ad avere un Codice penale antecedente alla seconda guerra mondiale. Le pene spaventose previste dal Codice penale non vengono realmente applicate, perché una serie di meccanismi (dai bilanciamenti di attenuanti alle attenuanti generiche, ai benefici penitenziari, alle amnistie, all’indulto, ecc.) fa sì che, concretamente, le pene inflitte siano del tutto indipendenti da quelle previste dal Codice. Così nel 98% delle condanne per corruzione le pene inflitte sono inferiori ai due anni di reclusione, con conseguente sospensione della pena. La repressione della corruzione in Italia è dunque sostanzialmente inesistente. Per avere un raffronto, la Finlandia, considerata dagli indici di percezione della corruzione uno dei paesi meno afflitti da questo tipo di reato, ha ogni 100.000 abitanti più condanne per corruzione dell’Italia, con pene ­­­­­61

Il sistema della corruzione

decisamente maggiori. Anche il recente aumento delle pene ha scarsa efficacia, poiché riguarda i massimi e non i minimi. C’è poi l’inadeguatezza delle attività investigative. Ho già accennato al fatto che le forze di polizia non sono strutturate per scoprire i reati di corruzione. Inoltre, in Italia non sono attualmente previste operazioni sotto copertura in materia di corruzione. Negli Stati Uniti, ad esempio, vengono realizzati dei test di integrità che consistono nel mandare un poliziotto sotto copertura a offrire denaro ai neoeletti, che se accettano vengono subito arrestati. In questo modo si garantisce un buon livello di onestà della classe dirigente. Infatti, chi riceve l’offerta ha due alternative: o chiama la polizia e quindi si mostra onesto; o accetta, e allora si mostra ladro e finisce in galera. In Italia abbiamo, in sintesi, due problemi. Il primo è quello di scoprire i reati. Ed è un problema drammatico. Basti pensare a un dato: nel distretto di Corte d’Appello di Reggio Calabria in vent’anni vi sono state due condanne per corruzione, una ogni dieci anni: o il distretto di Corte d’Appello di Reggio Calabria è un’isola felice, oppure il sistema è impenetrabile. La mia sensazione è che la corruzione si scopre di più dove ce n’è di meno. Dove il sistema non è perfetto, infatti, c’è possibilità di penetrare; ma dove il sistema è perfetto, non è possibile far nulla. Il secondo problema – lo ripeto – è il legame strettissimo tra il crimine organizzato e la corruzione, perché quello della corruzione è un mercato illegale e il crimine organizzato gestisce i mercati illegali molto meglio di singoli individui. ­­­­­62

VI. Perché la lotta alla corruzione è stata inadeguata

Quindi, là dove esistono organizzazioni criminali, si ha un miglior sistema di corruzione, come ha rivelato tra gli altri il pentito Angelo Siino con l’esempio del tavolino a tre gambe (Cosa nostra, imprese, politica) dove si decidevano il pizzo e contemporaneamente le tangenti ai partiti. E in questo tipo di realtà è praticamente impossibile scoprire in via autonoma la corruzione, che viene alla luce solo grazie alle indagini sul crimine organizzato. La ragione principale dei diversi esiti di indagini e processi è che sono influenzati da una serie di variabili che non dipendono soltanto dai magistrati o, in generale, dagli inquirenti, ma dipendono dal comportamento dei soggetti processuali. Facciamo un esempio: le indagini sul crimine organizzato si fanno da sempre, però in alcuni momenti ci sono persone che decidono di collaborare (i collaboratori di giustizia, i cosiddetti pentiti), in altri momenti invece questo non accade. La valutazione che un imputato fa – ossia se collaborare o meno – dipende da una serie di fattori, tra i quali la previsione se verrà condannato oppure no, quale sarà la pena, se davvero gli faranno scontare quella pena e con quali modalità. Se sa che prenderà l’ergastolo e che lo sconterà secondo quanto previsto dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario, le probabilità che decida di collaborare crescono in maniera vertiginosa. Se, invece, si incomincia a discutere se abolire l’ergastolo, se abolire il 41 bis, se applicare o meno una serie di benefici alternativi, l’indulto, ecc., questa persona, fatte le debite valutazioni, capisce che nel caso in cui decida di collaborare la pena sarà ridotta di soli due o tre anni e quindi, ­­­­­63

Il sistema della corruzione

probabilmente, deciderà di non collaborare, evitando così di esporre se stesso e i propri parenti a possibili ritorsioni. La stessa cosa avviene con la corruzione. Quando le indagini incalzano la situazione cambia radicalmente, e lo prova il comportamento di molti imprenditori che nel 1992-94 si presentavano in Procura per dirci quante tangenti avevano pagato. Non erano certo imprenditori «folgorati sulla via di Damasco». Il fatto è che questi imprenditori davano per scontato che sarebbero stati scoperti e sottoposti a procedimento penale. A quel punto il loro interesse era di evitare lo strepitus fori, perché se ci fosse stato un processo i giornali avrebbero parlato in termini negativi delle loro imprese, con conseguente danno di immagine; gli imprenditori preferirono perciò venire in Procura, confessare e patteggiare, e così uscire dal processo. Se, invece, una persona dà per scontato che difficilmente il processo partirà, che – ammesso che parta – sarà difficile sostenere le accuse in giudizio, e che anche in caso di condanna la legislazione farraginosa farà sì che in appello o in Cassazione possa intervenire la prescrizione, allora il rapporto di forza è avvertito in modo diverso e quindi diminuisce il numero di coloro che sono disposti a collaborare. Questo è il contesto: gli apparati giudiziari non ce la possono fare e non c’è da aspettarsi che l’aiuto venga dalla politica. Aggiungo, inoltre, che quando ci sono in gioco interessi rilevanti, forti, può neutralizzarsi quel fenomeno che io chiamo del «jukebox». Noi abbiamo un regime di azione penale obbligatoria in cui il pubblico ministero che riceve una no­­­­­64

VI. Perché la lotta alla corruzione è stata inadeguata

tizia di reato è obbligato a procedere. Io dico sempre che la professionalità del pubblico ministero è la professionalità del jukebox, cioè deve controllare se la moneta che hanno inserito è vera o falsa. Se la moneta è buona e corrisponde all’ammontare indicato, lui deve suonare la canzone, per quanto ignobili siano le ragioni di chi ha inserito la moneta. Se ci sono in ballo interessi contrapposti, tutti inseriscono monete scegliendo canzoni diverse e, alla fine, il concerto può azzerare gli opposti «fini pravi» e dare un risultato di giustizia. Se invece c’è soltanto qualcuno che possiede la moneta e gli altri la moneta non ce l’hanno, il jukebox suona sempre e soltanto un’unica canzone. Questo può accadere. Motivi per essere ottimisti è difficile trovarne, a meno che uno non faccia propria la battuta di Zinov’ev, riportata in Cime abissali, sulla differenza tra l’ottimista e il pessimista: pessimista è chi sostiene che peggio di così non può andare; ottimista è chi dice: «Sì che può andare anche peggio!»… Purtroppo – e lo sottolineo – nel nostro paese gran parte della cronaca politica ed economica è anzitutto cronaca giudiziaria. Se scorriamo le pagine economiche, quasi sempre troviamo un articolo su un qualche processo, e questa è una grave anomalia: ciò non dovrebbe accadere, perché dovrebbero esserci meccanismi di regolazione a monte, e non dovrebbe intervenire il giudice penale. Al massimo dovrebbero esserci delle cause civili. Quanto alle falsità contabili, presupposto in molti casi della corruzione perché indispensabili per procurarsi il de­­­­­65

Il sistema della corruzione

naro gestito extrabilancio necessario a pagare le tangenti, la normativa è ancora una volta inadeguata. Negli Stati Uniti, con lo scandalo Enron, hanno fatto una cosa molto semplice, e cioè hanno detto: «Benissimo, l’amministratore va in tribunale e giura che il bilancio è vero. Se poi si scopre che non è vero, risponde di perjury», punibile fino a venticinque anni di carcere. I bilanci falsi non devono essere una specialità solo italiana, perché ho visto che molte società europee hanno smesso di quotarsi a Wall Street dopo il varo di questa norma. Evidentemente gli amministratori non se la sentivano di assumere i rischi di un’incriminazione per perjury davanti a una Corte americana. Detto questo, se ci fossero norme più serie per le false comunicazioni sociali, se fosse perseguita realmente la corruzione privata, se fossero introdotti reati diversi da quelli che già ci sono, rimarrebbe comunque un problema da affrontare, vale a dire l’inadeguatezza degli Stati nazionali davanti a questi fenomeni. Tranne, forse, gli Stati Uniti (per le loro dimensioni) e l’Unione europea, gli altri paesi non sono in grado di opporvisi, perché oggi è possibile fare quello che viene chiamato lo «shopping degli ordinamenti». In altre parole: io scelgo l’ordinamento che preferisco con il quadro normativo a me più favorevole e colloco, per esempio, una società in un paradiso societario che tiene i conti in un paradiso bancario; faccio le operazioni di cambio da una valuta all’altra in un paradiso valutario (dove non ci sono controlli sui cambi); imputo redditi a un soggetto che sta in un paradiso fiscale. Qualche volta le quattro cose stanno insieme negli ­­­­­66

VI. Perché la lotta alla corruzione è stata inadeguata

stessi paesi, e questi sono paradisi anche dal punto di vista turistico. In questi paesi a volte operano le Ibc (International Business Company), imprese tipiche di molti paradisi off shore le quali hanno questa caratteristica stupefacente: non possono operare con i residenti in quegli Stati. Si sa già così bene che sono soggetti di malaffare, che possono operare soltanto con persone di altri paesi. Di fronte a questa situazione tutte le autorità giudiziarie – non soltanto quella italiana – sono disarmate perché non si può fare una richiesta di assistenza giudiziaria internazionale, per esempio a Panama, per sapere chi sono i soci di una determinata società, giacché il libro delle assemblee può essere conservato in qualunque paese al mondo (dal momento che le azioni a Panama possono essere al portatore). È quindi inutile chiedere all’autorità giudiziaria di Panama di effettuare la perquisizione di una determinata società perché a noi serve sapere quali sono stati i partecipanti dell’ultima assemblea: non lo si saprà mai, perché risponderanno che il libro delle assemblee è altrove. C’è poi un ulteriore problema: lo strumento dell’assistenza giudiziaria internazionale è obsoleto. Adesso c’è un tentativo di creare, sul modello del mandato di arresto europeo, un «modello di mandato europeo di ricerca della prova», che dovrebbe agevolare le cose. In ogni caso sarà valido soltanto nell’ambito dell’Unione europea e non per gli altri paesi. Ci troviamo in un gioco dell’oca in cui le frontiere non ci sono più per i ladri ma sono rimaste per le guardie, e quindi i ladri passano liberamente, le guardie no. Con un messaggio di po­­­­­67

Il sistema della corruzione

sta elettronica, o un fax, spostano milioni di euro o di dollari da un capo all’altro del pianeta in un secondo, mentre noi impieghiamo alcuni anni per ogni singolo passaggio. Un esempio efficace è quello che mi capitò nel corso di una rogatoria a Hong Kong, quando era ancora possedimento britannico. Accadde questo: risultava trasferita una somma di denaro – verosimilmente per una tangente – su un conto svizzero; una volta tanto la Svizzera rispose rapidamente e ci disse che questa somma era stata trasferita su un conto intestato alla Acceptor Limited, una società di diritto delle Isole Cook (la cui esistenza ho scoperto in quell’occasione, e che si trovano tra l’Australia e il continente americano), presso la Hong Kong Shanghai Bank di Hong Kong. Il primo problema che dovetti affrontare fu: come si fa a chiedere una rogatoria a Hong Kong? La Gran Bretagna, che ha firmato la convenzione europea di assistenza giudiziaria, ha escluso i suoi possedimenti d’oltremare. Riuscii tuttavia a trovare un trattato fra il Regno Unito e il Regno d’Italia del 1870 sulla «consegna dei malfattori» – s’intitolava proprio così – dove c’è un codicillo che recita: «le Corti si presteranno assistenza». A questo punto mi dissi che proprio grazie a questo passaggio avrei potuto costruire un grattacielo e allora presentai la mia rogatoria citando quel trattato, ma la prima risposta che arrivò dal governo di Hong Kong fu che la Hong Kong Shanghai Bank non esisteva (faccio notare che è uno dei colossi bancari mondiali). Allora chiamai il consolato italiano e chiesi se potevano cercare l’indirizzo di questa banca sull’e­­­­­68

VI. Perché la lotta alla corruzione è stata inadeguata

lenco del telefono. Mi risposero che c’erano ben due pagine dedicate a questa banca. Chiesi cortesemente di farne una fotocopia e di spedirmela via fax. Scrissi di nuovo alle autorità di Hong Kong chiedendo come avessero potuto dichiarare che la Hong Kong Shanghai Bank non esisteva, posto che sull’elenco telefonico occupava ben due pagine. La risposta fu che non avevano capito bene la mia richiesta, ma precisarono che non potevano darci assistenza perché, secondo la loro legge, per sequestrare una cosa bisognava che fosse realmente esistente e non solo immaginata, e se noi volevamo gli estratti conto dovevamo dimostrarne l’esistenza. Così mi rivolsi all’Abi, chiedendo se fossero in grado di darmi qualcosa che dimostrasse che anche la Hong Kong Shanghai Bank ha gli estratti conto: mi furono mostrati gli usi internazionali bancari e quindi recuperammo questo materiale. Da Hong Kong mi fu allora risposto che non potevano darci assistenza perché si trattava di reati politici. Ma come: la corruzione è un reato politico? In quei giorni uscì una sentenza dell’Alta Corte di Londra che escludeva il carattere politico di questi reati e gliela mandai. Mi risposero: «Sì, va bene, ma non possiamo darvi assistenza perché la richiesta non promana da una Corte ma dal public prosecutor». Cercai di spiegare loro che, secondo la legge italiana, per poter andare davanti al giudice ci vuole un imputato; se io non so chi ha preso i soldi non ho neppure l’imputato, quindi come posso arrivare davanti al giudice? Alla fine arrivò la risposta del giudice di Hong Kong che riepilogava tutti questi argomenti e – con una battuta non so se cinese o britannica ­­­­­69

Il sistema della corruzione

– scriveva: «Tutto questo è vero, ma il fatto che la coda si muova non basta ad alzare il cane. La richiesta di assistenza giudiziaria alla Repubblica italiana è respinta». Non si saprà mai chi ha preso quei soldi. Questa vicenda, che qui ho riassunto brevemente, si è protratta per due anni, e siccome le indagini preliminari devono esaurirsi al massimo in due anni ho dovuto chiedere l’archiviazione. Immaginatevi quando sono necessari sette passaggi: ci vogliono quattordici anni; peraltro se ne fanno molti di più, e tutto ciò è incompatibile con la vita umana, perché poi si arriva alla morte dell’imputato e il processo è comunque finito. Ora, tutto questo potrebbe finire se gli Stati decidessero di farlo finire davvero. Infatti, quando è stata compilata la black list a fini fiscali dei paradisi, stabilendo che chi operava con quei paesi doveva tenere qui la contabilità e che comunque la tassazione sarebbe stata fatta secondo le nostre regole, le cose sono in parte cambiate. Gli Stati, però, hanno interesse ad accogliere questi soggetti perché servono loro per una serie di traffici e per difendere gli arcana imperii. Il trattato Ocse sulla corruzione fu richiesto inizialmente dagli Stati Uniti, che erano particolarmente interessati al problema della corruzione perché avevano altri meccanismi di influenza (economici, diplomatici, militari). Alla richiesta americana si aggiunsero quelle dei paesi in via di sviluppo, che fecero presente che la loro classe dirigente non era in grado di resistere alle corruzioni delle imprese occidentali. Questi paesi hanno detto chiaramente che dobbiamo essere ­­­­­70

VI. Perché la lotta alla corruzione è stata inadeguata

noi a punire i nostri cittadini perché non commettano questi reati! L’Italia è stata l’ultimo paese a ratificare il trattato; il penultimo è stato la Francia, che voleva inserire una clausola per la quale le mazzette pattuite prima del trattato si dovevano comunque pagare, «perché i francesi hanno una parola sola»: ritengo l’idea di una disposizione che consente di pagare le tangenti pattuite una cosa veramente ignobile! Alla fine si sono resi conto che scrivere qualcosa del genere in un trattato internazionale non sarebbe mai stato possibile, e hanno desistito. Questa vicenda dà l’idea di come sia ancora diffusa la cultura degli arcana imperii, cioè che ci siano delle cose che rimane lecito fare, anche se si tratta di delitti, perché si sono sempre fatte. Tutto questo richiede un ripensamento: andiamo verso un mondo sempre più integrato e non è pensabile che non si integrino gli organi di controllo e repressivi perché, altrimenti, la partita tra guardie e ladri è finita e vincono sicuramente i ladri. La normativa sulla corruzione, per il numero e la frammentazione delle fattispecie, consente di inquinare agevolmente le prove: basta un’occhiata d’intesa fra due soggetti per passare, con lievi modifiche delle dichiarazioni, dalla concussione alla corruzione, dalla corruzione propria a quella impropria, con rilevanti effetti sia sulla pena sia sulla prescrizione. Perciò non si può indagare su un caso di corruzione se i protagonisti sono in grado di comunicare fra loro. Inoltre, la serialità e diffusività di questi reati integra pressoché sempre il pericolo ­­­­­71

Il sistema della corruzione

di reiterazione dei reati. E l’esperienza insegna che questo pericolo non viene meno neppure con l’allontanamento dei corrotti dagli incarichi pubblici, perché li si ritrova di lì a poco a svolgere il ruolo di intermediari fra i vecchi complici non scoperti. In materia penale vige il principio di tassatività e di legalità, che è un principio di civiltà e garanzia: si può essere puniti solo in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto compiuto e preveda come reato quello specifico comportamento, e con le pene espressamente previste dalla legge. La giurisprudenza quindi non inventa reati, semmai interpreta le leggi esistenti. Per esempio, il concorso esterno in associazione mafiosa è una interpretazione. Nel Codice penale esiste il concorso di persone nel reato. Il concorso esterno fu applicato per la prima volta ai tempi del terrorismo altoatesino, a fronte di persone che non appartenevano alle bande armate che compivano attentati, né si limitavano a dare loro rifugio: ma si era in presenza di una situazione di contiguità. Un esempio può aiutare a capire: io non sono iscritto a una associazione, ma faccio propaganda attiva per quella associazione; fin qui è facile stabilire il concorso morale sotto il profilo dell’istigazione ad aderire all’associazione, mentre è più difficile fissare il concetto di «prestare aiuto», che ha determinato pronunce della Cassazione in senso più o meno restrittivo. Personalmente sono molto critico con la nostra giurisprudenza in tema di concorso esterno, perché il più delle volte accettiamo di farci dettare dalle organizzazioni mafiose i criteri di appartenenza. Parliamo di concorso esterno quando ­­­­­72

VI. Perché la lotta alla corruzione è stata inadeguata

una persona non è «iniziata», secondo quello che è il preciso rito mafioso. Mentre secondo me dovremmo essere noi, prescindendo dal rito mafioso, a dover decidere. Ci si arriverà certamente, ma è un processo faticoso e difficile, e lo diventa sempre di più quando il livello politico o economico degli imputati sale. Posso assicurare che io avverto sulla mia pelle l’eccessività della dimensione dell’intervento giudiziario nel nostro paese. Certamente in Italia l’intervento dello strumento giudiziario in generale e degli organi repressivi in particolare è superiore a quanto dovrebbe essere fisiologico. In questo concordo con le analisi di molti – anche sul versante politico –, ma arrivo a individuare la genesi di questo fenomeno in un aspetto completamente diverso, direi rovesciato, rispetto a quello che viene considerato normalmente. Credo che l’intervento giudiziario in Italia sia così frequente – tanto nel settore civile quanto in quello penale – perché vi è una dimensione eccessiva del contenzioso in questo paese, e ritengo che ciò dipenda dal fatto che le leggi in Italia tutelino molto di più chi le viola rispetto alle vittime delle violazioni. Si possono fare riforme, ad esempio nel settore della giustizia civile, che rendano più efficiente il sistema giudiziario in sede civile e la tutela dei diritti o si possono potenziare gli organici, ma la conseguenza immediata sarebbe comunque la paralisi di quel sistema, perché oggi c’è molta gente che non ricorre al giudice perché non ci sono speranze di aver giustizia in tempi rapidi. Un incremento di efficienza nel bre­­­­­73

Il sistema della corruzione

ve-medio periodo avrebbe addirittura un effetto opposto, determinerebbe il sorgere di un ulteriore contenzioso. La situazione è quindi drammatica. Ma veniamo al tema che io conosco meglio, quello della giustizia penale. In Italia se ne parla sempre in termini assolutamente astratti e senza alcuna forma di comparazione. Si è discusso di custodia cautelare, di durata dei termini dei processi e di molte altre cose, ma non ho visto nessuno chiedersi: conosciamo il fenomeno che dobbiamo affrontare? Abbiamo dati statistici? Sappiamo esattamente quanti sono i detenuti in Italia in totale, quanti sono i detenuti in Italia in un certo periodo di tempo, in quale fase di giudizio si trovano questi detenuti, quali sono i detenuti nei paesi a noi vicini, qual è il parametro tra i delitti commessi e il numero dei detenuti? Nulla. Si discute in astratto di sovrani e sommi principi. Non che i principi non siano importanti: alcuni di essi vanno difesi ad oltranza quale che sia la realtà. Ci sono casi in cui è dovere di ogni uomo, se ritiene che un principio sia cardine dell’umana esistenza, cercare di modificare la realtà, ma negli altri casi bisogna almeno conoscere la realtà prima di decidere di affermare dei principi. Allora io sostengo, secondo il mio punto di vista – non pretendo che sia la verità –, che l’eccesso della dimensione dell’intervento giudiziario in Italia è frutto dell’eccesso della dimensione dell’illecito. Non ha alcun senso pensare di ridurre l’intervento giudiziario se prima, o quanto meno contestualmente, non si riduce la dimensione dell’illecito in due sensi. ­­­­­74

VI. Perché la lotta alla corruzione è stata inadeguata

Anzitutto sotto il profilo quantitativo. Tra il 2010 e il 2015 il numero degli omicidi volontari in valore assoluto è sceso da 1.700 circa all’anno a 550 di media. Quindi è possibile ridurre la dimensione dell’illecito. Peraltro è eccessivo il numero delle fattispecie penali e sarebbe necessaria una drastica depenalizzazione. Il secondo senso è quello qualitativo in quanto in Italia, purtroppo, la devianza non riguarda soltanto le frange marginali della società, come dovrebbe accadere in condizioni normali. Da un lato vi è la presenza del crimine organizzato, dall’altro è coinvolta anche la classe dirigente. E intendo classe dirigente sia nel settore pubblico, riferendomi a chi riveste pubbliche funzioni o per elezioni o per nomina politica o per scelta professionale, cioè funzionari di carriera, sia nel settore privato. Certo, nel settore pubblico è successo di tutto: è stata possibile la perpetrazione di una serie infinita di illegalità senza che i meccanismi di controllo funzionassero. In Italia c’era un sistema di controllo per cui ogni anno sulle sole amministrazioni centrali dello Stato venivano effettuati 100 milioni di atti di controllo che non hanno, per quanto ne so, impedito la perpetrazione di un solo reato. Perché se c’è una pratica formalmente ineccepibile – come abbiamo visto – è quella sotto la quale si nasconde una corruzione o una concussione. Non foss’altro perché quella è stata seguita con la dovuta attenzione. Ma questo vale anche per i privati. Viviamo in un paese dove c’è la Consob, dove ci sono regole di trasparenza, dove ci sono le certificazioni di bilancio, eppure ogni sette o otto ­­­­­75

Il sistema della corruzione

mesi si trova un grandissimo gruppo finanziario di cui si scopre un buco gigantesco. Ora, o si opera in un sistema finanziario in cui è possibile leggere i bilanci, e allora vi saranno imprenditori e finanzieri veri; o si vive in un paese in cui sui bilanci non si può fare alcun affidamento, e allora vi saranno solo giocatori d’azzardo. Si può decidere di fare un investimento finanziario oculato se si conoscono tutte le carte; ma se si deve tirare a indovinare guardando negli occhi l’interlocutore perché i suoi bilanci non danno alcuna affidabilità, allora si agisce da giocatori di poker. Non si può prescindere da questo aspetto del problema perché è da qui che deriva la sovraesposizione della magistratura, chiamata a fronteggiare fenomeni di massa da un lato, e dall’altro di qualità talmente alta da investire parte della classe dirigente o talora i suoi vertici. Questo è potuto accadere perché sono mancati tutti i meccanismi di controllo alternativi a quelli della giustizia penale. Io vorrei vivere in un paese dove l’ordine giudiziario è il braccio secolare a cui le varie categorie consegnano i reprobi dopo averli allontanati dalle posizioni di responsabilità perché moralmente indegni, dicendo all’autorità giudiziaria: «guardate se per caso hanno commesso anche un delitto». Invece succede il contrario. In Italia c’è chi è rimasto avvinghiato al proprio posto fino a quando non sono arrivati i carabinieri a schiodarlo, e qualche volta anche dopo. Questo è avvenuto in quanto non hanno funzionato forme di responsabilità diversa, e ciò ha prodotto alcune conseguenze aber­­­­­76

VI. Perché la lotta alla corruzione è stata inadeguata

ranti. In primo luogo, facendo coincidere la responsabilità etica, la responsabilità disciplinare, la responsabilità politica e la responsabilità morale in senso lato con la responsabilità penale, si è applicata in modo perverso la presunzione di non colpevolezza. In sostanza, assegnando il compito al giudice si è deciso che, in attesa della pronuncia della sentenza, valga la presunzione di non colpevolezza. Ma a quel punto la valutazione della condotta di una persona è delegata solo ed esclusivamente al giudice. E sarà il giudice, allora, a decidere della carriera, per esempio, di un uomo politico. Perché altri meccanismi non hanno funzionato. Poi, per il perverso intreccio dei meccanismi, dobbiamo anche ascoltare il ministro delle Finanze che in Parlamento dice: «Su 89 casi di sentenza di condanna irrevocabile per delitti contro la Pubblica amministrazione di appartenenti all’amministrazione finanziaria, nel settore civile (non abbiamo ancora i dati per quello militare), c’è stato un caso di rimozione». Allora ci si chiede: ma in che paese vivo? Per poter riportare la situazione alla normalità, per ridurre la sovraesposizione della magistratura, bisogna prima di tutto riportare a un livello fisiologico la devianza utilizzando tutti gli altri strumenti di prevenzione, in quanto l’intervento del magistrato è sempre un intervento tardivo. Interviene, infatti, dopo che un delitto è stato commesso. E sarebbe invece molto meglio per tutti che quel delitto non venga affatto commesso, che venga prevenuto, e soprattutto che l’accertamento del magistrato su fatti penalmente rilevanti sia ­­­­­77

Il sistema della corruzione

integrato e talora preceduto da altri accertamenti compiuti autonomamente da altri organi dello Stato. Io non mi sono mai sentito un contropotere, mi sono sempre sentito parte di questo Stato. Qualche volta, però, non ho capito se in qualità di sostituto procuratore della Repubblica fossi io in quel momento a rappresentare la Repubblica, o se fosse la Repubblica a stare dalla parte dell’imputato. Ed è drammatico trovarsi in quella situazione, anzitutto psicologicamente, per chi ha scelto di fare il magistrato e crede nel giuramento di fedeltà prestato alla Repubblica. Dobbiamo porci, allora, la questione della unitarietà dello Stato nelle sue manifestazioni, che non significa che i vari poteri non siano autonomi, che non abbiano garanzie di reciproca non interferenza; essi devono, piuttosto, conservare conciliabilità e soprattutto condivisione dei fini ultimi. Il fine ultimo di tutti i poteri dello Stato, infatti, dovrebbe essere il funzionamento dello stato di diritto. Nel senso che vi è un organismo che fa le regole, un organismo che le fa eseguire, un organismo che giudica le loro violazioni. Ma dopo che queste regole sono state approvate, dopo che sono stati messi in piedi gli apparati amministrativi per farle rispettare, non si può sostenere che, di fronte a plateali violazioni, i magistrati che fanno rispettare quelle regole stiano debordando. Dicendo magari, come è accaduto riguardo alla legge sul finanziamento ai partiti, che è «una legge ipocrita»! Il magistrato non conosce la configurazione delle leggi ipocrite. Guai se gli fosse affidata l’ulteriore discrezionalità ­­­­­78

VI. Perché la lotta alla corruzione è stata inadeguata

di scegliere tra leggi vere, da applicarsi, e leggi ipocrite, da non applicarsi. Io ho sempre paragonato il nostro lavoro a quello dei guardalinee. Il nostro mestiere è sventolare la bandierina quando il pallone va fuori dalla riga del campo, e non deve importarci assolutamente niente di chi vince o perde la partita: tutte le volte che il pallone va fuori noi dobbiamo sventolare la bandierina. Epperò dobbiamo essere messi in condizione di farlo: la nostra neutralità non deve essere solo vissuta nella realtà e fatta apparire come tale, ma deve essere difesa dagli attacchi di chi cerca di negarla. Perché se io subisco tutti i giorni attacchi violentissimi con accuse di prevenzione politica, diventa difficile dimostrare che non è così; inevitabilmente, prima o poi, una certa parte della popolazione si convincerà di quelle accuse: «tanto lo dicono tutti». Non credo che la disciplina interna alla magistratura sia blanda. Molte volte ci sono state sanzioni inadeguate, ma mediamente veniamo sottoposti a procedimento disciplinare per fatti che in altre amministrazioni non vengono contestati. Qualche volta i procedimenti disciplinari sono pretestuosi e infondati, finalizzati a intimorire il magistrato. Per esempio, i miei colleghi della Procura della Repubblica di Milano e io abbiamo subìto quattordici procedimenti disciplinari e siamo stati assolti in tutti! Si potrebbe dire che questa è la prova che la giustizia disciplinare è inefficiente, mentre io credo che ciò sia accaduto perché eravamo innocenti. Tra l’altro, erano procedimenti rigorosamente bipartisan, perché sei so­­­­­79

Il sistema della corruzione

no stati avviati da un ministro del centro-sinistra, sette da un ministro del centro-destra e uno dal procuratore generale. Pressoché tutti questi procedimenti erano relativi a dichiarazioni che contrastavano con l’«editto» dell’ex ministro Flick, il quale preannunciò che avrebbe proceduto disciplinarmente quando non fosse stato rispettato il «galateo istituzionale». In sostanza l’idea era questa: i magistrati sono liberi di esprimersi, ma non possono parlar male degli altri poteri dello Stato. Per esempio, il collega Gherardo Colombo fu sottoposto a procedimento disciplinare per questo e la sezione disciplinare del Consiglio lo assolse dopo che il suo difensore produsse una bella sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti nella quale si affermava che i diritti di libertà sono stati conferiti per poter parlare male di chi è al potere, perché per parlarne bene c’erano già i cortigiani e non c’era bisogno del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero. Ciò premesso, pur ammettendo che certamente si può fare di più, è anche vero che, mediamente, la professionalità e l’impegno dei magistrati italiani sono elevati. Abbiamo la più alta produttività al mondo: nessun’altra magistratura fa tanti provvedimenti come noi e, siccome vedo che perfino gli altezzosi francesi mandano spesso i loro magistrati a fare stage in Italia, evidentemente siamo apprezzati anche dal punto di vista del contenuto professionale. È chiaro che, tra di noi, ci sono magistrati bravi e altri meno bravi. C’è di tutto: la magistratura è lo specchio del paese. Il problema è che, per poter controllare davvero il rendimento, sia quantitativo sia ­­­­­80

VI. Perché la lotta alla corruzione è stata inadeguata

qualitativo, bisogna stabilire una cosa di cui si parla da tempo, ossia qual è il carico esigibile da un magistrato. Se, per esempio, dispongo che un magistrato debba fare quattrocento processi l’anno e lui non li fa, posso contestarglielo; se, invece, gliene affido quattromila sapendo che non può farli, il risultato è che non ne fa nemmeno quattrocento. Ne abbiamo avuto un esempio quando c’erano le procure presso le preture. La Procura presso il Tribunale di Milano aveva un organico di cinquanta magistrati per 20.000 processi l’anno contro imputati noti. Quindi circa quattrocento processi l’anno a testa, e con molta fatica si riusciva a farli tutti. Io, per esempio, ci sono sempre riuscito. Ma la Procura presso la pretura aveva un organico di trentaquattro magistrati e 300.000 processi penali l’anno! Non riuscivano nemmeno a registrarli, non solo a farli. Una generazione perduta, perché la loro professionalità di pubblici ministeri non poteva esprimersi. Il pubblico ministero ha essenzialmente questi compiti: dirigere la polizia giudiziaria, fare le indagini e andare in udienza a sostenere l’accusa. Ma la polizia giudiziaria non li stava nemmeno a sentire, in quanto i pubblici ministeri non riuscivano neanche a prendere cognizione dei fascicoli e non erano quindi in grado di dare direttive serie; le indagini non venivano fatte perché non avevano il tempo di farle; in udienza non ci potevano andare e vi mandavano i viceprocuratori onorari. In questo modo i pubblici ministeri presso le procure hanno disimparato quello che sapevano quando avevano superato il concorso e non è stato semplice poi reimpiegarli quando gli uffici sono stati unificati. ­­­­­81

Il sistema della corruzione

La magistratura è sistematicamente sotto organico e a questo proposito mi sono sempre chiesto come mai, posto che è stato stabilito un organico – e lasciamo perdere se sia adeguato o meno –, esso non viene rispettato. Abbiamo discusso molto al riguardo con il procuratore della Repubblica di Milano: io sostenevo una tesi militare, cioè quella dei sostituti-quadro. I reparti-quadro sono quelli che hanno i mezzi ma non gli uomini: in caso di guerra verranno richiamati gli uomini e anche quei reparti diventeranno operativi. Infatti, se in una procura l’organico prevede cinquanta sostituti ma in realtà ce ne sono quaranta, il carico di lavoro non lo si può ripartire su quaranta e a quel punto il procuratore deve decidere che cosa non fare e assegnarlo a «dieci caselle vuote»; altrimenti i quaranta sostituti che ci sono devono lavorare per cinquanta, e questo non è giusto. Se l’organico è di cinquanta, il carico di lavoro va distribuito su cinquanta perché, altrimenti, cala la qualità del lavoro. Adesso io presto servizio in Cassazione. La Corte suprema di Cassazione italiana è l’unica Corte suprema al mondo che segue quasi 90.000 processi l’anno. La Corte suprema degli Stati Uniti, che svolge anche le funzioni della nostra Corte costituzionale, ne fa 120 (attenzione, non 120.000, ma 120)! È anche vero che i giudici sono nove e noi più di trecento, e quindi riusciamo a contraddirci più volte nella stessa giornata… La produzione pro capite è di circa quattrocento provvedimenti definitori di procedimenti per magistrato. Si tratta di una cifra altissima, tenendo conto che l’età media è pros­­­­­82

VI. Perché la lotta alla corruzione è stata inadeguata

sima alla morte. Infatti, ogni volta che arrivo in Cassazione trovo una lettera del primo presidente che ci scrive: «Ho il triste compito di comunicare la scomparsa del collega…». Terribile! Il problema è che non ha senso pretendere un impegno di questo genere. Non è pensabile aumentare il numero dei processi a udienza perché già adesso sembra di essere su una giostra. Le sezioni normali – almeno quelle penali – fanno cinquanta processi al giorno; la VII sezione ne fa duecento al giorno e quindi le possibilità di sapere che cosa fa il relatore si riducono drasticamente, perché alla decisione di ogni processo si dedica solo qualche minuto, e bisogna per forza affidarsi al relatore. Per la Corte di Cassazione ho coniato la stessa definizione che avevo dato per la Corte d’Appello quando ero lì: un giudice monocratico temperato; sostanzialmente decide il relatore e quindi quasi tutto dipende da lui, mentre gli altri si assumono i rischi della decisione. La sezione disciplinare ci ha però recentemente ricordato che non è pensabile attribuire tutte le colpe soltanto al relatore, perché tutti dovranno rispondere della negligenza nell’affermare un fatto incontrovertibilmente escluso, o nell’escludere un fatto incontrovertibilmente risultante dagli atti. Quindi, prima di andare in udienza, ci si fa il segno della croce sperando che vada bene. Oltre ai cinquanta processi al giorno, abbiamo poi quaranta sentenze al mese da scrivere. Questo significa che, tolte le udienze, i giorni che restano – escluse unicamente le domeniche – si devono scrivere due sentenze al giorno: una al ­­­­­83

Il sistema della corruzione

mattino e una al pomeriggio (come le medicine!). Per inciso, c’è la sentenza che può essere scritta in due ore, ma c’è anche quella che richiede quindici giorni. Una volta un collega disse al presidente della Corte: «Benissimo, vuole aumentare il carico? Sappia che io lavoro quarantotto ore alla settimana; otto ore al giorno dal lunedì al sabato, tranne quando sono in udienza; non intendo né aumentare né diminuire questo ritmo di lavoro perché lo ritengo già eccessivo per la mia età, per le mie condizioni di salute, ecc. Quindi, se mi viene aumentato il numero dei processi, vorrà dire che calerà la qualità del mio lavoro, perché io lavorerò sempre quarantotto ore». Se vogliamo pretendere un controllo serio della produttività dei magistrati, dal punto di vista sia qualitativo sia quantitativo, dobbiamo prima decidere che cosa si può esigere dal magistrato. Il modo migliore per favorire i lavativi è sovraccaricarli di lavoro, perché poi diranno che è impossibile portarlo a termine. Se, invece, il carico di lavoro è affidato in misura ragionevole, a chi lavora meno si potrà obiettare che gli altri hanno svolto puntualmente il lavoro assegnato e quindi anche lui dovrà adeguarsi. Mi rendo conto che per far questo sono necessari strumenti statistici più raffinati di quelli che abbiamo. Ricordo che, quando ero un giovane sostituto, un procuratore aggiunto mi faceva infuriare in quanto sosteneva che il Consiglio superiore non gli rendeva sufficientemente merito per il suo impegno lavorativo. Sostanzialmente diceva che, da solo, definiva 300.000 processi l’anno. E io mi chiedevo come facesse, non essendo Superman. Poi capii: aveva una squadra ­­­­­84

VI. Perché la lotta alla corruzione è stata inadeguata

di carabinieri che, muniti di un timbro con la sua firma, sulla copertina del fascicolo timbravano la richiesta – secondo il vecchio Codice – di «sentenza di non doversi procedere per essere ignoti gli autori del reato». Lui definiva i procedimenti con richiesta di non doversi procedere a carico di ignoti. All’ufficio istruzione, poi, c’era il consigliere istruttore aggiunto che con una squadra di poliziotti timbrava la sentenza stampata in calce al provvedimento. Una volta un collega cercava disperatamente la prima notizia di reato relativa a un sequestro di persona a scopo di estorsione con il rapito ancora nelle mani dei rapitori, finché alla fine la trovò già archiviata come «ignoti». Ora, i rapitori erano certamente ignoti ma, forse, quella decisione era prematura, visto che il rapito era ancora nelle loro mani. A questo ci può portare la mancanza di adeguati strumenti statistici. Quel procuratore poteva dire di essere il più bravo di tutti, avrebbe potuto pure aspirare a diventare primo presidente della Corte di Cassazione; ma noi sappiamo quale tipo di lavoro aveva fatto! Bisognerebbe quindi poter guardare anche alla qualità del lavoro svolto dai magistrati: per questo il numero di procedimenti assegnati deve essere ragionevole, in modo da poter pretendere standard di qualità accettabili. Oggi, di fronte al carico decisamente eccessivo, si trovano delle soluzioni che io probabilmente non avrei accettato. Ma per fortuna non sono più in procura. A Milano, per esempio, hanno inventato lo Sdas (Servizio definizione affari semplici), che è nato utilizzando agenti della Polizia di Stato lau­­­­­85

Il sistema della corruzione

reati in giurisprudenza in servizio di leva (ma non so come facciano adesso che la leva non c’è più) per redigere provvedimenti seriali come quelli relativi alla patente falsa, alla carta di identità falsa, che sono standard, con un sostituto al giorno, di turno, che li controlla a campione e li firma tutti. Ma come: stiamo discutendo della libertà personale! Come ci si può limitare a un controllo a campione? Non credo che si possa continuare a rispondere a una domanda di giustizia eccessiva, che non ha equivalenti al mondo, con questi sistemi. Va ridotta la domanda di giustizia. In Italia per la giustizia si spende quanto in Gran Bretagna, dove si fanno 100.000 processi penali l’anno, mentre noi ne facciamo tre milioni! Non si può andare avanti così: va ridotto il numero dei processi, anche perché la richiesta di aumentare le risorse è un’illusione. Le risorse non ci sono e non ci saranno per molti anni.

VII

La cultura della corruzione

Certo, è anche un problema di comportamento e di cultura; ho da ridire sul fatto religioso, là dove si sostiene che i paesi cattolici sono più corrotti. Alcuni lo sono, ma ad esempio la Francia, che è cattolica, è molto meno corrotta di altri paesi. Non solo: Carl Schmitt affermava che tutti i concetti del diritto pubblico moderno sono concetti teologici secolarizzati; sotto questo profilo, la corruzione è la secolarizzazione della simonia. Esiste invece un problema vero, che riguarda prima di tutto l’assenza in Italia, con poche eccezioni, di una Pubblica amministrazione con un forte senso di appartenenza e di dignità. Non abbiamo nulla che somigli alle amministrazioni britannica e francese; da questo punto di vista è decisivo il reclutamento, perché chi viene reclutato per la sua capacità, con un concorso serio, di solito è orgoglioso e poco incline alla corruzione; magari sarà incline alla concussione, ma non alla corruzione. Noi, invece, abbiamo funzionari pubblici che spesso occupano una posizione non per le loro riconosciute capacità, ­­­­­87

Il sistema della corruzione

ma perché imposti da qualcuno. Siamo di fronte a una sorta di sistema feudale calato in un paese post-industriale. Come una volta si concedeva la terra, ora si offre il posto pubblico, e la fedeltà non è alla Repubblica, bensì al padrone del momento. È questo il tema dirompente. Ma per cambiare una tale mentalità occorrono generazioni e buoni esempi che si protraggano a lungo. Anche il sistema penale dovrebbe avere la funzione di dare l’esempio. Nessun giudice apprezza mai di dover infliggere pene severe, però talvolta queste sono necessarie per segnalare che un certo tipo di comportamento non è in alcun modo accettabile. Guardiamo alle pene inflitte negli Stati Uniti per gli scandali finanziari. Persone avanti negli anni sono state condannate a pene molto severe e rinchiuse in carcere dove probabilmente moriranno, e non per vendetta ma perché altri si astengano dai comportamenti che hanno determinato quelle pene così dure. Da noi non esiste nulla del genere; anzi, molti sono tornati dove erano, e alcuni hanno anche fatto carriera. Una volta ho discusso con Giuliano Ferrara, che a mio avviso va sempre ascoltato con attenzione perché dice ciò che altri si limitano a pensare. Alla domanda del conduttore del dibattito, che chiedeva se per fare politica occorresse la capacità di ricatto, Ferrara rispose: «No. Per fare politica bisogna essere ricattabili, perché questo dà la garanzia che si è disposti a fare fronte comune». È una frase che mi mette i brividi, perché rifiuto di credere che sia solo così che si possa fare politica. Ho conosciuto politici perbene, e mi rendo ­­­­­88

VII. La cultura della corruzione

conto della loro difficoltà, visto il mondo in cui operano, ma se si accetta che siano tutti come indica Ferrara, siamo finiti. All’epoca della vicenda Telekom Serbia, lessi le dichiarazioni del teste Igor Marini e pensai che, se avesse saputo davvero anche solo la decima parte delle cose che millantava di conoscere, sarebbe stato come minimo parlamentare, e non addetto a scaricare la frutta al mercato di Brescia. Questo perché ciò che gli imputati non svelano, anche quando decidono di raccontare, costituisce un’area di silenzio a elevata capacità di ricatto. Il messaggio che arriva è: «Ho taciuto queste cose, ma tu sai che io so, dunque regolati di conseguenza, perché potrei farmi venire in mente anche le cose che ho taciuto». Per ottenere risultati duraturi non basta l’intervento penale, ma è necessario un netto e diffuso impegno culturale. Questo è tanto più vero in una realtà come quella italiana, che risente di una cultura della legalità per più aspetti incerta. Non mancano eccezioni, ma appunto di eccezioni si tratta. Penso al documento della Commissione ecclesiale Giustizia e Pace, Educare alla legalità, del 4 ottobre 1991, una pietra miliare che ha cambiato forse la concezione stessa di peccato sociale nella tradizione cattolica italiana. Ma quale rispondenza ha avuto? Prendendo spunto da Isaia, 33, 15-16 («Chi cammina nella giustizia e parla con lealtà, / chi rigetta un guadagno frutto di angherie, / scuote le mani per non accettare regali, / si tura gli orecchi per non udire fatti di sangue / e chiude gli occhi per non vedere il male: / costui abiterà in alto, / fortezze sulle rocce saranno il suo rifugio, / gli sarà dato il pa­­­­­89

Il sistema della corruzione

ne, avrà l’acqua assicurata»), Giovanni Paolo II affermò: «Il credente, poi, s’impegna a condannare la corruzione politica e giudiziaria “scuotendo le mani per non accettare regali”, immagine suggestiva che indica il rifiuto di donativi fatti per deviare l’applicazione delle leggi e il corso della giustizia» (Udienza generale del 30 ottobre 2002). Non può non impressionare il silenzio con cui queste parole vennero accolte. C’è chi sostiene vi sia una radice religioso-sacrificale nei comportamenti corruttivi: il dono alla divinità che diventa il dono all’autorità superiore. È un’impostazione sicuramente originale e io sono convinto, come ho già detto, che effettivamente i comportamenti collettivi e la normazione trovano radici in archetipi religiosi o comunque religioso-secolarizzati. Dobbiamo però anche tener conto del rovescio della questione: se è vero che alla base della corruzione ci può essere anche una arcaica concezione che risale al sacrificio alla divinità, è altrettanto vero che la divinità è cosa diversa dal suo ministro. Nella nostra tradizione culturale e religiosa quando è il ministro del culto a ricevere doni in contrasto con i doveri del suo ministero si parla di simonia. Uno dei peccati più gravi. La corruzione è simonia secolarizzata. Una cosa è lo Stato sovrano. Altra è il pubblico funzionario che, per un tempo determinato e nei limiti delle sue funzioni e attribuzioni, è chiamato a esercitare autorità non nel proprio interesse, ma nell’interesse della collettività. A parte la constatazione che mai nessuno di noi magistrati del pool di «Mani pulite» si sarebbe immaginato la vastità ­­­­­90

VII. La cultura della corruzione

della corruzione, vorrei fare la seguente riflessione. Da una parte, avevamo gli imprenditori che da anni predicavano i valori dell’etica del mercato e però intrattenevano rapporti discutibili. Dall’altra, avevamo il mondo della politica dove la situazione si presentava ancora più grave, perché non vi era soltanto incoerenza tra valori asseriti e comportamenti concreti, ma qualcosa di peggio: ritenersi esenti dall’osservanza della norma. (Un salto indietro: al limite, questo poteva avere un senso in un altro contesto, dove esisteva una legge superiore a quella dello Stato e dove il principe non era soggetto alla norma di tutti.) Oggi la radicata percezione che questo non è più valido comporta una profonda uguaglianza di fronte alla legge. Per questo, il mercimonio della pubblica funzione è qualcosa di estremamente grave, non scusabile o tollerabile.

VIII

Che fare?

Le indagini giudiziarie gettano luce ormai da molti anni su una vasta trama di corruzione che coinvolge politica e mondo imprenditoriale fino ai vertici della cosa pubblica. La corruzione è purtroppo ancora molto diffusa e non emerge nella sua gravità dalle statistiche giudiziarie. E mi pare che i partiti continuino a difendere i propri uomini che finiscono nei guai, o almeno il sistema nel suo complesso. La casta fa quadrato, nessuno o quasi viene mai scaricato. Nel 1992 era entrata in crisi la forma-partito come strumento di aggregazione del consenso. Oggi non sono più i partiti ad aggregare il consenso, ma l’informazione, o meglio la disinformazione ad essa sottostante. Nel 1992 giornali e tv raccontavano i fatti, e i fatti superavano i commenti perché parlavano da soli; oggi molto spesso i fatti vengono nascosti, filtrati e manipolati da un sistema mediatico controllato in maniera ferrea. Il commento fuorviante prevale sulla cronaca, relegata in posizioni marginali per consentire ai media di parlar d’altro. ­­­­­93

Il sistema della corruzione

Frequentissimi sono gli attacchi ai singoli magistrati, a interi uffici giudiziari e alla magistratura nel suo complesso. Tuttavia, nonostante i violentissimi attacchi, la magistratura ha complessivamente tenuto. Negli anni Ottanta, quando subì il referendum sulla responsabilità civile dopo le prime indagini sulla corruzione e il crimine organizzato, ne uscì a pezzi. Oggi è molto più corazzata. Grazie a Dio, gli attacchi hanno investito non solo i magistrati del pubblico ministero, ma i giudici di ogni grado, fino alle sezioni unite della Cassazione. Questi attacchi hanno tenuto uniti i magistrati. Il fatto che in tutta Italia ci siano ancora tante inchieste e processi sui reati dei colletti bianchi, nati quasi sempre da iniziative del pubblico ministero e quasi mai dalle forze di polizia (che non hanno le guarentigie di indipendenza dal potere politico), dimostra che siamo riusciti nell’intento di tenere insieme le pattuglie dei samurai e il resto della truppa, rallentando un po’ i primi e spingendo avanti la seconda. La corruzione, come la mafia, crea relazioni con altissime capacità di inquinare le prove: basta un’occhiata per indurre qualcuno a raccontare le cose in un modo anziché in un altro e modificare così le ipotesi di reato fino a renderle non penalmente perseguibili, viste le norme farraginose che abbiamo. Una normativa chiara e semplice poteva venire dal recepimento della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla corruzione, ma l’Italia, dopo averla firmata nel 1999, l’ha ratificata tredici anni dopo e l’ha attuata con la legge Severino che, anziché ridurle, ha ulteriormente aumentato le fattispecie penali. ­­­­­94

VIII. Che fare?

Le campagne contro le presunte «manette facili» hanno sortito l’effetto che oggi si arresta molto meno, dunque molte indagini vengono irrimediabilmente inquinate e non si sviluppano. Gli indagati fingono di collaborare, dicono solo quel che non possono negare e spesso raccontano a modo loro, dopo aver concordato versioni di comodo con i complici. Nel sistema ci sono meno smagliature in cui infilarsi per scoprire la verità. La legge «ex Cirielli», oltre a ridurre i termini di prescrizione e a mandare in fumo decine di migliaia di processi in più, ha sortito un effetto spesso ignorato: prima, se un corrotto prendeva tangenti per dieci anni, tutte le corruzioni rientravano di solito in un unico disegno criminoso e l’istituto della continuazione gli riduceva la pena: ma la prescrizione decorreva dall’ultima tangente intascata. Con l’ex Cirielli, invece, ogni reato in continuazione si prescrive autonomamente. Accade spesso che un politico venga sottoposto a un processo e poi magari assolto. A parte il fatto che non ricordo politici la cui carriera sia stata impedita da processi, va ricordato che i processi si fanno appunto per stabilire se uno è colpevole o innocente. Si sa dopo, non prima. Spesso però i processi evidenziano fatti che dovrebbero bastare e avanzare perché l’imputato si metta da parte. A un certo punto si è anche proposto il ripristino dell’immunità parlamentare. L’autorizzazione a procedere, come la immaginano alcuni, riprenderebbe non lo spirito del vecchio articolo 68 della ­­­­­95

Il sistema della corruzione

Costituzione, ma la lettura che se ne fece per quarant’anni fino al 1993: non come una difesa dell’autonomia del Parlamento, ma come scudo per qualunque delitto della casta. E poi, là dove ha senso, cioè per le opinioni espresse e i voti dati, l’immunità c’è già (e viene fin troppo dilatata, abbracciando anche gli insulti che questo o quel politico lanciano in tv o per strada). Non c’è bisogno d’altro. I Padri costituenti non avevano certo concepito l’autorizzazione a procedere per fermare indagini e processi per reati gravi, comuni ed extrafunzionali, ma solo per eventuali fattispecie delittuose legate alle funzioni, all’attività politica. Non pensavano certo alla corruzione, alla truffa, alla mafia. Trovo giusto che non si possa arrestare un parlamentare prima del processo senza autorizzazione della Camera di appartenenza. Trovo invece irragionevole l’autorizzazione della Camera di appartenenza per le intercettazioni e le perquisizioni: sono atti a sorpresa, come si fa ad avvertire prima l’intercettando o il perquisendo? Tanto vale dire che i parlamentari non si possono intercettare né perquisire. Se la maggioranza pensa di avere la forza di reintrodurre l’autorizzazione a procedere, lo faccia. Invece avevano cercato, senza riuscirci, i voti dell’opposizione per arrivare ai due terzi ed evitare il referendum popolare. Il che la dice lunga su quanto credono nella condivisione dei loro propositi da parte dei cittadini. La giustizia è una virtù cardinale, ma anche la prudenza. La prudenza non c’entra con la presunzione di non colpevo­­­­­96

VIII. Che fare?

lezza. In casi simili la Chiesa usava un brocardo: «Nisi caste, saltem caute», se non riesci a essere casto, sii almeno cauto. Qui da noi invece si fa l’apologia dei reati. Una volta, nei partiti, valeva la regola che si perdonava di tutto in camera caritatis, ma quando si veniva scoperti si andava a casa: per mancanza di cautela. Ora non va più a casa nessuno, nemmeno se viene preso con le mani nel sacco, nemmeno se viene condannato in via definitiva. Poi qualcuno si meraviglia se continuano a prendere mazzette: e perché dovrebbero smettere? Tanassi, quando fu condannato nel processo Lockheed, parlò di «delitto politico». Io ero molto giovane – stiamo parlando degli anni Settanta – e rimasi di sasso. Poi capii: lo facevano in tanti. Ma almeno non gli perdonarono di essersi fatto scoprire e lo misero da parte. Craxi, invece, si difese dicendo: rubano tutti. Io quando sento ripetere questa frase, ho sempre voglia di ribattere: «Ah sì, ruba anche lei?». Quello risponderà: «No». «Ecco, vede? Siamo almeno in due a non rubare»… Ad ogni modo, è evidente che le scelte legislative fino ad ora compiute si sono rivelate inefficaci. Per fronteggiare questi reati occulti, diffusivi, seriali, che danno vita a mercati illegali e talora a sistemi criminali, è necessario un decalogo. In primo luogo, va agevolata l’acquisizione delle notizie di reato: i reati di corruzione non sono denunziati pressoché mai e quindi è possibile venirne a conoscenza soltanto attraverso le indagini sulle falsità contabili o le dichiarazioni di concorrenti in reati di corruzione. Sotto il primo profilo, non è intervenuta fin qui alcuna modifica dei reati finanziari (l’annotazione di fatture per operazioni ine­­­­­97

Il sistema della corruzione

sistenti è infatti delitto solo se riverbera sulla dichiarazione dei redditi oltre un certo importo). Andrebbe poi incentivato il sistema di premialità, fino a mandare esente da pena chi collabora. È infatti necessario assicurare la protezione di coloro che collaborano: i legami con il crimine organizzato devono indurre a prevedere l’estensione a questa materia della normativa sui collaboratori e i testimoni di giustizia. Andrebbero introdotte pene più severe per i reati di turbativa d’asta da applicare anche alle procedure di tipo privatistico: il sistematico ricorso ad accordi fra le imprese rende in larga parte inutile la stringente normativa in materia di appalti. Ancora, è necessaria l’introduzione di una fattispecie di corruzione tra privati: l’Italia è inadempiente alle convenzioni internazionali in materia, in quanto la relativa fattispecie penale è stata introdotta ai limitati fini della disciplina societaria. Andrebbe introdotta una diversa disciplina della prescrizione: il carattere seriale delle condotte di corruzione e il loro carattere occulto deve comportare il decorrere della prescrizione dall’ultimo reato, analogamente a quanto disposto dalla disciplina previgente in materia di reato continuato. Altra misura urgente sarebbe la presunzione semplice in materia cautelare, analogamente a quanto accade in materia di criminalità organizzata, in ragione delle caratteristiche seriali dei reati in questione. Sempre analogamente a quanto accade in materia di cri­­­­­98

VIII. Che fare?

minalità organizzata, andrebbe introdotta una diversa disciplina delle intercettazioni. Ancora, bisognerebbe poter rivedere sentenze di assoluzione quando si accerti che sono state frutto di corruzione in atti giudiziari e della possibilità di annullare atti amministrativi, compresi avvisi di accertamento in materia fiscale in deroga ai termini previsti o a pronunzie intervenute, quando si accerti che sia intervenuta corruzione. Infine, andrebbero introdotte in questa materia operazioni sotto copertura, efficaci non solo per l’acquisizione di notizie di reato, ma per conseguire prove solide. Tutte le misure ora riportate possono essere ricondotte a tre tipi d’intervento, tutti urgenti: – l’incremento (ma sarebbe meglio dire l’avvio) di attività di ricerca di tali notizie di reato da parte dei corpi di polizia, creando uffici a ciò deputati; – l’introduzione di più forti incentivi e la previsione di protezione per chi collabora, estendendo la normativa sui collaboratori e sui testimoni di giustizia; – la previsione di operazioni sotto copertura. Qualche approfondimento su quest’ultimo punto mi sembra necessario. Anche in Italia, in tempi recenti, sono state introdotte norme che prevedono attività definite sotto copertura, in cui gli operanti dissimulano la loro identità. Ad oggi tali operazioni non sono previste in materia di corruzione. Se è vero che la tradizione e le radici dell’ordinamento statunitense sono molto diverse dalle nostre, è anche indubitabile che il ­­­­­99

Il sistema della corruzione

fenomeno della corruzione rappresenta una patologia, sempre più grave, delle democrazie occidentali in genere e che a pagare per questo fenomeno sono i cittadini, soprattutto quelli più svantaggiati, che lo Stato dovrebbe poter assistere in modo efficace. Insomma, introdurre anche nell’ordinamento italiano la figura dell’agente sotto copertura in relazione ai fenomeni corruttivi non solo significherebbe attuare nell’ordinamento italiano una specifica previsione della Convenzione Onu contro la corruzione – che all’articolo 50 consente agli Stati membri di porre in essere attività sotto copertura per contrastare i fenomeni di corruttela, e di cui è stata autorizzata la ratifica dal Parlamento italiano con la legge 3 agosto 2009, n. 116 –, ma anche introdurre uno strumento giuridico che ha già dato buona prova di sé in altri ordinamenti. Si tratta, evidentemente, di una scelta volta non già ad assecondare il preteso «giustizialismo» dei magistrati italiani, quanto ad assicurare quell’esigenza di buon governo della cosa pubblica che gli italiani reclamano. La politica ha mostrato una totale indifferenza alle regole etiche minime che qualunque comunità deve avere, così come la totale assenza di una promozione positiva della legalità agli occhi dei cittadini. Il messaggio che viene percepito non può dunque che essere: «mettiamoci tutti a rubare». Penso, tuttavia, che i ladri – mi si permetta di continuare a usare questa terminologia ingenua – non possano mai superare di numero i derubati: perché ovviamente non producono reddito, ma si limitano a ridistribuirlo. La maggioranza può ­­­­­100

VIII. Che fare?

tutt’al più essere ingannata, ma non può essere composta di ladri, per quanto i meccanismi di selezione della classe dirigente in Italia possano essere inquinati, come si diceva sopra. Io mi rifiuterei di andare in udienza vicino a uno che ha confessato di aver rubato, farei il diavolo a quattro finché uno di noi due non venga trasferito. Non certo per moralismo, ma perché se faccio finta di niente e mi siedo a discutere con lui come se nulla fosse, la gente potrebbe pensare che sono come lui. Inoltre, un sistema politico, sociale ed economico che si fondi sullo sgretolamento dei principi minimi generalmente accettati da qualunque collettività – un sistema in cui chi viene filmato mentre chiede i soldi oppure chi confessa di averli presi continua a ricoprire cariche pubbliche nell’indifferenza di quelli che siedono vicino a lui – non può funzionare. Certo, viviamo in un paese in cui è palpabile l’esistenza di un modo di pensare la vita pubblica improntato all’indifferenza. Non è percepito il danno che alla collettività deriva dai comportamenti illegali: il rispetto delle leggi nei fatti e nella sostanza non appare il primo doveroso requisito della politica, che preceda le divisioni e gli schieramenti; non è sentita la necessità del riconoscimento da parte di tutti di uno standard etico minimo e tanto meno appare ovvio che non si cominci neppure a discutere con chi non è disposto ad accettarlo. Ma, appunto, un sistema senza valori minimi comuni non può funzionare, e il grado di indifferenza nel nostro paese è talmente grave e grottesco da impedire il funzionamento del ­­­­­101

Il sistema della corruzione

sistema. Dunque, sono convinto che una simile situazione non durerà a lungo, e non potrà che cominciare a migliorare. Infatti, sembra nuovamente lacerarsi il velo di ipocrisia che consente a coloro che sono dediti a questi delitti di presentarsi come persone oneste. La speranza di non essere ingannati da corrotti e corruttori rimane legata a quanto disse Abramo Lincoln in occasione del celebre discorso a Clinton del 1858: «Potete ingannare tutti per qualche tempo, o alcuni per tutto il tempo, ma non potete ingannare tutti per tutto il tempo».