Il quinto vangelo di Nietzsche. Sulla correzione delle buone notizie 8857527581, 9788857527581

Il 25 agosto del 1900 moriva Friedrich Nietzsche, alle porte di un nuovo secolo in cui lui, in fondo, viveva già. Peter

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Il quinto vangelo di Nietzsche. Sulla correzione delle buone notizie
 8857527581, 9788857527581

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PETER SLOTERDIJK IL QUINTO «VANGELO» DI NIETZSCHE SULLA CORREZIONE DELLE BUONE NOTIZIE A C U R A DI PAOLO PER TICA RI

H > M IM E S IS / IM PR O N T E

“ ...chi v o lesse con trapporre il m igliore al buono in m ateria evan gelica, dovrebbe risolversi a con tare fino a cin qu e.” Peter Sloterdijk

Il 25 agosto del 1900 moriva Friedrich Nietzsche, alle porte di un nuovo secolo in cui lui, in fondo, viveva già. Peter Sloterdijk, in occasione del centenario della morte di Nietzsche, vuole restituirne un’immagine integrata. E questo è in sé un gesto provocatorio: si è visto un Nietzsche amato, un Nietzsche odiato, un Nietzsche frainteso, un Nietzsche censurato e un Nietzsche preso a modello. Ma l’uomo era uno solo, e il suo messaggio non era così frammentato e multiforme come potrebbe sembrare nel momento in cui ci si ostina a considerare unicamente le sue derivazioni. In questo breve saggio, Sloterdijk ricongiunge ciò che di Nietzsche si può dire, con ciò che è sconveniente dire, e ci restituisce un senso originario, un messaggio, un quinto “Vangelo"; come suo discepolo, raccoglie e veicola un dono alla portata di chi è disposto a correre il rischio di riceverlo. Queste poche pagine infatti, hanno la caratteristica peculiare di rappresentare il supporto di un contenuto super-massivo, dove un grande protagonista del dibattito filosofico contemporaneo mostra la tremenda attualità dell’autore Nietzsche e tenta di leggerlo come lui avrebbe voluto essere letto. Questo è l’omaggio offerto a Nietzsche nel centenario della sua scom parsa: riapparire sulla scena, di nuovo, con sembianze tanto simili a quelle originali da risultare ulteriormente innovative.

, fra i maggiori protagonisti della filosofia contemporanea, annovera nelle sue opere titoli come: Critica della ragion cinica, Sfere, Devi cambiare la tua vita. insegna Pedagogia generale e filosofia dell'educazione all’Università di Bergamo. Tra i suoi lavori: Attesiimprevisti, L'obsoleto, Smarrita l’anima?

I S B N 9 7 8 -8 8 -5 7 5 2 -7 5 8 -1 Mimesis Edizioni Impronte www.mimesisedizioni.it

10,00 euro

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Ί § ) M IM ESIS/ IM PRONTE N. 9 Pedagogia, filosofia e (inter)cultura Collana diretta da Paolo Perticari

P e t e r S l o t e r d ijk

IL QUINTO «VANGELO» DI NIETZSCHE Sulla correzione delle buone Notizie prefazione e cura di Paolo Perticari traduzione di Eleonora Fiorio 1

MIMESIS

Titolo originale:

Über die Verbesserung der guten Nachricht. Nietzsches fünftes »Evangelium« by Peter Sloterdijk © Suhrkamp Verlag Frankfurt am Main 2000

MIMESIS EDIZIONI (Milano - Udine) www.mimesisedizioni .it [email protected] Collana: Impronte, η. 9 Isbn: 9788857527581 © 2015 - MIM EDIZIONI SRL Via Monfalcone, 17/19 - 20099 Sesto San Giovanni (MI) Phone: +39 02 24861657 / 24416383 Fax: +39 02 89403935

INDICE

P refazione

di Paolo Perticari

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I l q u in t o « V a n g e l o » di N i e t z s c h e Sulla correzione delle buone Notizie Introduzione

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1. V angeli-R edazioni

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2. Il Q uinto

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3. S ponsorizzazione T otale

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4. Di S oli e U mani

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P a o lo P erticari

PREFAZIONE

Nietzsche quinto “evangelista ” e Sloterdijk suo discepolo

Questo piccolo libro, frutto di un discorso pronunciato a Weimar il 25 agosto 2000, per il centenario della morte di Friedrich Nietzsche, è uscito in Germania nel 2001 con il titolo Über die Verbesserung der guten Nachricht. Nietzsches fünftes «Evangelium». Letteral­ mente: sul miglioramento della buona Novella. Il quinto «Vange­ lo» di Nietzsche. Tradotto Fanno successivo in francese col titolo La compétition des Bonnes Nouvelles, e col sottotitolo Nietzsche évangéliste. Letteralmente: la competizione delle buone notizie. Nietzsche evangelista. E poi, nel 2013, in lingua inglese con il tito­ lo: Nietzsche Apostle. Così, semplicemente: Nietzsche Apostolo. In questa edizione italiana si è voluto tornare al titolo originario, tutta­ via capovolgendolo: Il quinto «Vangelo» di Nietzsche. Sulla corre­ zione delle buone Notizie. Perché? Perché questo trattatello, scritto con la leggerezza e lo spirito tipico del suo autore, pur essendo tutto sommato poca cosa, apre un cantiere di lavoro di proporzioni enor­ mi, smisurate: considerare Nietzsche il quinto «evangelista» che corregge l’intero corpus neotestamentario attraverso Zarathustra, in­ teso come quinto evangelo, consente di leggere il presente con occhi nuovi. Chi avrà sufficiente respiro per superare la cecità del presente su se stesso e vedere in Zarathustra non solo l’eroe del nichilismo, ma il «Vangelo» che spezza il cerchio infernale della violenza che condiziona il nostro modo di pensare, di sentire, di agire anche in virtù di quelle esperienze emotive che riproducono l’eterno ritorno della nostra storia di obbedienza acquiescente creatasi attraverso la mala ripetizione del cristianesimo, dei comandamenti e dei quattro evangeli venuti per migliorarne il senso e le pratiche.

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Il quinto «Vangelo» di Nietzsche

Il 13 febbraio 1883 Friedrich Nietzsche, allora appena trentotten­ ne, redige sulla riviera ligure a Rapallo una lettera destinata al suo editore: |...J Oggi ho una buona notizia da darLe: ho compiuto un passo deci­ sivo - e tale che, a mio avviso, può essere vantaggioso per Lei. Si tratta di un volumetto (di appena cento pagine), il cui titolo è Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno. Si tratta di una «composizione poetica», o di un quinto «Vangelo» oppure è qualcosa per cui non esiste ancora una definizione: è la mia opera di gran lunga più seria e anche più allegra, e accessibile a chiun­ que. Perciò sono convinto che avrà un «effetto immediato» [...] Il volumetto di allora cento pagine diventerà poi il libro che ha consentito un nuovo orgoglio: di non ficcare più il capo nella sab­ bia delle cose celesti, ma di portarlo libero, un capo terreno che dà senso alla terra! Una nuova volontà da insegnare agli uomini: volere questa via che l’uomo ha finora percorso alla cieca, e approvarla e non discostarsene più furtivamente come fanno gli ammalati e i moribondi per onorare invece il corpo e la terra. È questa la «buona novella» che Nietzsche porta e si appresta a fare circolare per l ’in­ tero mondo. Partecipando a questa competizione di buone notizie con altre correzioni di buone notizie, Peter Sloterdijk arriva puntual­ mente alla nozione di «vangelo». E poi alla questione della morte di Dio esplicata attraverso la capacità di fiutare il lezzo della divina putrefazione poiché anche gli dei si decompongono: è già questa un’indicazione della maniera in cui tale nuova notizia è la correzio­ ne della «Buona Novella» che l’ha preceduta. E tale buona novella, per Sloterdijk, può al giorno d ’oggi procedere senza avere in alcun modo a che vedere con delle visioni deiste o teologiche del mondo e della vita. Ma ciò apre comunque a una immagine radicalmente differente da quella a cui ricorre l’intera vulgata culturale, giorna­ listica e spirituale odierna quando si parla di Friedrich Nietzsche, e cioè quella semplicista di un Nietzsche nichilista alla ricerca di un «superuomo» in grado di esprimere la sua volontà di potenza contro i valori cristiani del Vangelo. Questa visione, a cento anni dalla morte del quinto “ Evangelista” , è destituita filosoficamente di

I’. Perticari - Prefazione'

II

ogni fondamento. Il rapporto tra Nietzsche e il Vangelo è tutt’altra cosa da ciò che comunemente se ne dice sui media. Riguarda pre­ cisamente, dopo duemila anni di cristianesimo, il lezzo della putre­ fazione e della decomposizione della "Buona Novella” e di tutte le buone novelle possibili e immaginabili. Ne scaturisce un ritratto di Nietzsche generoso, aperto, adatto ad una sponsorizzazione totale e a un dono totale di sé che tanto Nietzsche quinto “ Evangelista” , quanto Sloterdijk come suo discepolo, portano in questo momento nel mondo come occasione storica per leggere la verità della via e la realtà della vita. Nietzsche con ogni probabilità è stato un bam­ bino non sempre trattato bene, che ha avuto modo di sperimentare su di sé le virtù cristiane della madre protestante, delle sorelle, dei parenti, dei preti; poi è stato la mente più brillante del firmamento filosofico dopo Socrate, poi undici anni di oscurità, di tenebre, di urla, fino alla morte. Per questo, pur rischiando una interpretazione cattolicheggiante errata, ma anche oltre qualunque forma di imbecil­ leria ermeneutico-letteraria applicata a Sloterdijk dai suoi cultori che vedono la sua opera totalmente separata da qualunque legame con il cristianesimo e la sua storia, si è scelto, come titolo per questo volu­ metto: il quinto «Vangelo» di Nietzsche, oggi. Questo breve saggio pone la questione cruciale di Nietzsche. Essa dovrà in futuro essere necessariamente ulteriormente sviluppata, essendo fino ad ora poca cosa, ma la sua favilla primordiale è stata posta e potrà accendere un fuoco grande e divampante se saprà trovare il respiro giusto... Per Peter Sloterdijk, Friedrich Nietzsche rappresenta niente di meno che una «catastrofe nella storia del linguaggio», un nuovo evangelista per una giubilazione linguistica di ogni narcisismo e, si potrebbe aggiungere, come cura di qualunque forma di disordine narcisistico della personalità sul suolo della storia. Sloterdijk ha da sempre avuto un rapporto empatico e audace con Nietzsche fin dal suo libro II pensatore sulla scena, il materialismo di Nietzsche. Sfortunatamente non ancora tradotto in lingua italiana, questo approccio deve molto a Osho, ma ancora di più, se non tutto, a un autore poco approfondito dai filosofi italiani e dalle loro riviste, e che dunque il grande pubblico poco conosce: Oswald Spengler. Nel suo capolavoro, Il tramonto dell'Occidente, Spengler rileva che l’idea darwiniana del superuomo di Nietzsche implica il concetto

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// quinto «Vangelo» di Nietzsche

di un corrispondente «allevamento» dell’uomo. Shaw, riconoscendo che non ha senso parlare se poi non si vuole anche fare, si chiede come si debba procedere effettivamente e finisce anch’egli con l’au­ spicare la trasformazione deH'umanità mediante un regime di alle­ vamento. Tutto questo è ancora tra le conseguenze dello Zarathustra e noi oggi sappiamo bene quanto questa idea di allevamento umano di fede zarathustriana, fortemente sottolineata da Spengler nella sua opera capitale, abbia inciso sulla filosofia di Sloterdijk che ha avuto il coraggio di promuovere una filosofia del l’allevamento nella serra umana nei suoi saggi fondamentali sulle regole per il parco umano e sulla domesticazione dell’essere raccolti nel contenitore Nicht ge­ rettet, non salvati; in italiano tradotto con “ non siamo stati ancora salvati” che è precisamente una lettura nietzscheano-spengleriana di alcuni passi di Martin Heidegger, soprattutto la sua «lettera sull’u­ manismo». Anche se questo coraggio è talvolta l’ardore della man­ canza di gusto che rivela una certa rozzezza alla maniera della poli­ tica di Angela Merkel, quando si parla di allevamento sistematico, ed è questo il senso ultimo del pondus più recente sull’antropotec­ nica Devi cambiare la tua vita, si coglie il nome di un’epoca in una prospettiva completamente materialista e utilitarista, anche quando questo imperativo viene emanato attraverso la voce che Rilke ha ascoltato dalla pietra, attraverso il tono spirituale oshiano o attraver­ so la stella ascetica di Nietzsche stesso, con i suoi relativi esercizi spirituali per il miglioramento dell’uomo nelle sue attività pratiche, resta sempre problematico dire chi è l’allevatore, chi debba allevare, dove e in che maniera debba avvenire la correzione dell’uomo. Noi siamo precisamente nell’età dell’allevamento e della corre­ zione del genere umano, anche se con l’allevatore non ben identifi­ cato. È nota infatti la ripugnanza romantica di Nietzsche a venire a conseguenze sociali eccessivamente prosaiche, tutta la sua esitazio­ ne e il suo timore di sottoporre delle concezioni poetiche e spirituali a una prova di carico tecnico-sperimentale misurabile attraverso i crudi fatti della vita, che non gli fece mai contemplare che tutta la sua dottrina del superuomo, così come scaturisce da Darwin e dal darwinismo, altresì presuppone anche il socialismo e per questa via un certo hegelismo, probabilmente,che in un modoo nell’altro retro­ agisce fino al cristianesimo se non addirittura al proto-cattolicesimo

P. Perticari - Prefazione

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paolino. Tutto questo, professori, mediatici, preti, cardinali e rabbini di ogni genere, culto e cultura, non lo hanno potuto vedere; ma il medium del socialismo, deH'hegelismo e dello stesso darwinismo porta come un fiume carsico con sé l'humus del cristianesimo erran­ te delle prime comunità paoline e il medium, specificamente inteso come mezzo che opera un'imposizione o un freno, indispensabile per comprendere Zarathustra. E con lui il fatto che ogni allevamento sistematico di una classe di uomini superiori - ogni tentativo di ri­ forma dell’ uomo - non può non essere preceduto da un ordinamen­ to sociale rigorosamente socialistico e che questa è ancora un’idea «dionisiaca», poiché si tratta di un’azione comune, linguistica, di un sogno che può essere poeticamente condiviso e non di un legame finanziario e neppure di una faccenda privata di filosofi appartati; poiché il vero punto della poeticità evangelica nietzscheana è de­ mocratico e si riferisce a come cementare forme di divenire diver­ se, unendo la società attraverso uomini superiori ed evitando ogni obiezione di merito. Così il dinamismo etico del «tu devi» giunge al parossismo quinto-evangelico di Nietzsche quinto evangelista che per imporre al mondo la forma della sua volontà di correzione evan­ gelica sacrifica faustianamente anche se stesso. L’allevamento del superuomo nietzscheano deriva dal concetto di selezione naturale darwiniano. Da quando scrisse i suoi aforismi, Nietzsche fu consapevolmente o inconsapevolmente darwiniano, poiché Darwin aveva modificato l’intero concetto di evoluzione del XVIII secolo in base alle tendenze economiche che potevano venire proiettate sull’intero regno degli animali, e tutto questo sistema che si può trovare già nella storia della civiltà inglese è, appunto, ancora, storico e non esclusivamente biologico, ma biologico e storico strati­ ficati insieme, e può essere applicato all’uomo e all’animale insieme. Così, per una via curiosa, ma caratteristica dei tempi, la «morale da signori» contrapposta alla «morale da schiavi» del «prete malato» di quest’ultimo immenso romantico che risponde al nome di Friedrich Nietzsche, non azzera completamente la storia, ma anzi proviene dalla stessa sorgente di tutto il modernismo spirituale mischiato nel clima deH’industria meccanica inglese: dall’aria sporca che crea il clima teo-ecopolitico di qualunque città industriale otto-novecentesca fino all’aria fina che si respira nei luoghi ameni sulle montagne alpine, le

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Il quinto «Vangelo» di Nietzsche

fonti sono state inquinate. Se ne sente, appunto, il lezzo. È Nietzsche il primo filosofo deH’aria e da filosofo deH’aria persino il suo concetto di cosmo viene inteso come respiro orientato all’auto-superamento di se stessi. In fin dei conti l’uomo è il risultato dell’aria che respira. La famosa frase «l'uomo è l'auto-sperimentazione di se stessi» che tanto spaventa i sapienti moderni come quel noto cardinale di Milano che si è giocato di recente l’ultimo conclave, non è semplicista negazione di ogni contatto con Dio in nome deH’autosperimentazione umana fine a se stessa, altrimenti non si capirebbe nulla di cristianesimo così come degli almeno milleseicento anni post Christum che generarono la più robusta riforma dell’uomo dai padri della Chiesa fino agli albori dei tempi moderni. E lo stesso machiavellismo che Nietzsche esalta come il fenomeno decisivo del Rinascimento, non dovrebbe essere liquidato senza notare che tali entità nietzscheane furono date per l’elevazione dell’uomo dal fondo abrasivo, putrido, melmoso e ipocrita che aveva toccato e che lo fagocitava con forme di schiavitù e di male sempre più pervasi ve che furono effettivamente considerate ne II Capitale di Marx (altro famoso discepolo se non di Cristo almeno dell’intero arco che va da Cristo alla nascita della borghesia), il cui libro, che già ave­ va anticipato le idee di questa opera fondamentale per il socialismo politico e non purtroppo per il socialismo etico, Per la Critica dell’e­ conomia politica, apparve simultaneamente all’opera principale di Darwin. Tale è la genealogia di Nietzsche, che da qui in poi possiamo legittimamente definire “ il quinto evangelista” . Anzi, persino tutta l’impresa filosofica post-Nietzsche da Heideg­ ger a Foucault a Gilles Deleuze da una parte, e da Spengler fino a Peter Sloterdijk in questo caso, può essere considerata come una vera e propria cometa che annuncia retrospettivamente il quinto evangelo di Nietzsche in quanto caposaldo per la correzione di qualunque Buo­ na Novella che non voglia semplicemente e banalmente partecipare alla competizione delle tante buone notizie che hanno attraversato il Novecento con esiti nefasti e che oggi si manifestano nella tragica competizione paranoica tra il capitalismo finanziario onnipresente e il terrorismo islamico teocratico. Si tratta non già dell’esposizione di un nuovo evangelo e neppure della emanazione della sua memoria involontaria, ma è piuttosto un apprendimento, il quinto, là dove ap­ prendere è qualcosa che concerne la lingua e i segni. E l’una e gli

I’. Perticali - Prefazione

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altri insieme diventano appunto oggetto di un apprendimento tempo­ rale e spaziale nel pensiero che è ancora storico, concreto, legato alle pratiche anche quando produce pensieri-guida sulla metafisica e sulla sua nascita o sull’essere, esso riguarda sempre la scienza contempo­ ranea, il discorso ordinato dai poteri e la nascita della civiltà tecni­ ca moderna; - non l’esercizio del potere o la volontà di possedere, un sapere astratto Perché se con Nietzsche si intende una sorta di svolta linguistica o, appunto come Sloterdijk dice, di una “catastrofe nel linguaggio” e dunque comunque sempre di una “ svolta simbolica” nella prassi sociale e nella realtà storica, il sogno di produrre rapporti sociali sulla base egualitaria del linguaggio, non può non riproporsi nella storia dell’uomo e dei suoi rapporti sociali. E la Chiesa, cattolica in particolare, e il socialismo comunista nello specifico, vengono a trovarsi in una stessa costellazione errante nietzscheanamente quinto evangelica destinata a venire spazzata via dalle nuove regole dell 'al­ levamento dell’uomo, rientrando a pieno titolo nella stessa “ catastrofe del linguaggio in quanto sorte condivisa” . Per cui se con evangelo si vuole intendere la competizione delle buone notizie di salvezza con le buone notizie del mercato e della finanza, e se con socialismo si vuole intendere un progetto che vuole subordinare l’economia alla politi­ ca, così almeno Boris Groys ha recentemente definito il comuniSmo, tutta l’economia che funziona attraverso il medium del denaro e tut­ ti i vangeli che funzionano attraverso il medium del logos sporcato dagli schermi, dallo spettacolo e dai suoi rapporti di potere, entrano in una ipercompetizione la cui posta in gioco è il divino in quanto tale. Persino la politica comunista, che con i suoi orrori ha spaventato il mondo, ha tuttavia un funzionamento comunque orientato verso il linguaggio, e cristianesimo e socialismo hanno un comune denomina­ tore nell’urgenza di rivoluzionare le attuali regole dell’allevamento e della selezione (selezione e selektiv segnano il vero turning-point di tutta l’economia, del linguaggio, della politica, del diritto da Darwin a Nietzsche, ad Auschwitz, a noi e ai nostri laboratori genetici), quindi le regole attuali dell’allevamento e della selezione dell’uomo vengono emanate per creare le condizioni del passaggio di una società e di inte­ re popolazioni in movimento sulla faccia del pianeta dal medium del denaro che conduce al rischio rii una mostruosa guerra mondiale delle razze e dei clan a quello della lingua e del linguaggio.

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Il quinto «Vangelo» di Nietzsche

Fin da Platone i filosofi hanno avuto questo sogno di stabilire ra­ zionalmente le regole e le leggi di uno stato per creare il migliora­ mento e lo sviluppo di una nazione regolata; e regolata attraverso il potere del linguaggio e della parola. Anche il libro dell’Esodo e i Dieci Comandamenti raccontano questo stesso tipo di esigenza e anche i quattro Vangeli di Matteo, di Luca, di Marco, di Giovanni, raccontano in estrema sintesi la vita di un uomo di nome Gesù, nato da Maria, una ragazza vergine, che venne a dire «lo sono la verità, la vita e la via». Oggi solo il denaro, e la sua cultura tao-tantrica, ha assunto su di sé il potere di dire: io sono la verità, la giusta via e la vera vita. Per questo all'uomo del tempo del mercato globale non manca più Gesù e il suo amore, manca sempre e soltanto di denaro, gli mancano solo i soldi. Il quinto vangelo di Nietzsche condivide con Platone, con il corpus dell’Antico Testamento e con il Nuovo Testamento, tutto il dramma del pervertimento del cristianesimo e della sua riforma dell’uomo, e insieme a ciò quel sogno di giustizia che fu anche il sogno di Gesù e che non è il sogno dell’uomo a cui mancano i soldi e il denaro. E ciò è meglio comprensibile se è fon­ dato sul miglioramento, anche duro, dell’errore della buona Novella il cui amore è stato pervertito in forme di odio sempre più subdole, sempre più sottili, eccessive; e in supporti tecnologici e tecnoscien­ tifici sempre più estenuanti la vita delle coscienze; e tutto questo può essere ancora inteso come il tentativo instancabile di rimpiazzare il legame finanziario che cementa la società di questo tempo con un legame più umano, terre nuove e cieli nuovi tra il troppo umano e il super umano, che trovi nel linguaggio e non nei soldi la vera struttura che tiene unita una società autodistruttiva e disgregantesi. Il potere trasformativo del quinto vangelo di Nietzsche, per la eco che mantiene con il medium della giustizia, del superamento della uguaglianza menzognera e ipocrita, del capitalismo e della finanza, è la chiave per aprire de facto, e non solo de verbis, la prigione della violenza e dell’esercizio del potere dell’uomo ordinario nel medium del denaro, dove egli si è autorecluso. Se uno vuole opporre il meglio al buono in questioni di vangelo, deve risolvere i conti con il quinto.

P eter S loterdijk

IL QUINTO «VANGELO» DI NIETZSCHE* Sulla correzione delle buone Notizie

Discorso in occasione del centesimo anniversario della morte di Friedrich Nietzsche, tenutosi a Weimar il 25 agosto 2000,

INTRODUZIONE

Come parlare di Friedrich Nietzsche - oggi, nell’anno 2000, nel centesimo anniversario della sua morte fisica, agli albori dei primi del millennio che, come lui aveva affermato, sarebbero dovuti essere datati dopo di lui? Dovremmo dire che lui antistà a noi, sofferen­ te e grande, come il secolo a cui appartenne la sua intera esistenza e da cui lui irruppe nell’eternità della gloria autoriale? Dovremmo seguirlo nel suo giudizio, secondo cui lui non era un uomo, ben­ sì dinamite? Dovremmo evidenziare ancora una volta la peculiarità della sua «storia effettiva»: il fatto che mai un autore avesse enfatiz­ zato così tanto la distinzione e attratto la volgarità? Dovremmo dia­ gnosticare, che con lui si costituì Vera del narcisismo , inizialmente manifestatosi come «insurrezione delle masse», poi come «grande politica» collettivistica ed infine come dittatura del mercato globale? Dovremmo riconoscere che con lui la storia della filosofia accademi­ ca finì e la storia dell’arte del pensiero iniziò? O dovremmo desistere dal fare commenti e leggere, e rileggere, Nietzsche? Io vorrei, signore e signori, descrivere l’evento-Nietzsche come una catastrofe nella storia del linguaggio e fornire la prova alla tesi secondo cui il suo intervento come nuovo-evangelista letterario co­ stituisce una spaccatura nei rapporti d’intesa della vecchia Europa. Assieme a Marshall McLuhan, avanzo l’ ipotesi che i compromessi comunicativi tra persone nelle società - soprattutto, ciò che sono e ciò che di solito provocano - hanno un significato autoplastico. Essi danno ai gruppi la ridondanza in cui possono risuonare. Imprimo­ no loro il ritmo e il modello in base a cui riconoscersi e attraverso cui reiterarsi quasi perfettamente. Generano consenso inscenando il perpetuo ritorno del medesimo, come in una litania. Le lingue sono strumenti del narcisismo di gruppo, che vengono suonate in modo tale da sintonizzarsi e risintonizzarsi sul musicista; esse lasciano ri­

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Il quinto «Vanitelo» di Nietzsche

suonare i loro parlanti nella caratteristica tonalità deM’auto-eccitazione. Sono sistemi di melodie per il riconoscimento, che illustrano già gran parte dell’intero programma. Non sono usate primariamen­ te per ciò che oggi è chiamato passaggio di informazioni, bensì ser­ vono alla formazione di gruppi di corpi comunicanti. Le persone possiedono il linguaggio così da poter parlare dei loro pregi - e, non da ultimo, dell’ineguagliabile merito di essere capaci di parlare dei propri pregi nella propria lingua. In primo luogo, e per lo più, sono le genti a non preoccuparsi di attirare la reciproca attenzione sullo stato dei fatti, anzi, incorporano lo stato dei fatti in una glo­ ria. I differenti gruppi storici di parlanti, tribù e popoli, sono entità auto-elogiative che praticano il loro inconfondibile idioma come se fosse una competizione psicosociale per ottenere vantaggi a proprio favore. In questo senso, prima di diventare tecnico, tutto il parlare serve all’auto-innalzarsi e all’auto-onorarsi dei parlanti; persino i di­ scorsi tecnici, seppur in maniera indiretta, sono tenuti a dare lustro al tecnico. Le lingue dell’auto-critica sono supportate anch’esse da una funzione di auto-innalzamento. Il masochismo stesso proclama le lodi dei tormentati. Quando è utilizzato conformemente al suo narcisismo primario costitutivo, il linguaggio dice solo e sempre una cosa: che al parlante non poteva accadere nulla di meglio al mondo che essere proprio se stesso, e testimoniare in questa lingua, da que­ sto luogo, il privilegio di essere nella propria pelle. A tal proposito v’è da notare, in una prospettiva storica, che il narcisismo primario diviene osservabile inizialmente solo in gruppi etnici e regni, e solo più tardi, con l’alba dell’età moderna, diventa il segno distintivo di quelle nazioni che abbondano di classici e di armi. Per quanto riguarda l ’individuo, questi ha dovuto attendere più a lungo prima di poter far emergere dall’ombra dei peccati la propria autoaffermazione - nelle vesti di amour-propre nel XVIII secolo, come santo egoismo nel XIX secolo, come narcisismo nel XX e come auto-progettazione nel XXI. Nietzsche è stato probabil­ mente il solo teorico del linguaggio dei tempi moderni ad avere ben in mente queste condizioni di base; egli sosteneva che la preghiera derivasse dall’euforia di un popolo consapevole di sé: «proietta il suo piacere di sé | ... ] in un essere al quale possa rendere grazie per questo. |...| Si è riconoscenti per se stessi: perciò si ha bisogno di

Introduzione

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un D io».1 E, più in generale, in una precedente occasione, possiamo leggere nel suo principale testo: «Il parlare è una follia bella: con esso l’ uomo danza su tutte le cose».12 Nella ricostruzione del senti­ mento religioso dalla gratitudine auto-referenziale, è il linguaggio a essere determinato come un medium, permettendo ai parlanti di dire ad alta voce le ragioni del loro essere superiori. Di conseguenza la professione di fede al proprio modus vivendi è il più nobile atto linguistico. È il gesto eulogistico p ar excellence. In quanto derivate dal distinguere, le azioni del parlare e del silenzio vengono intese come modalità di un’esaltazione esilarante che professa se stessa. In entrambe, si diffonde la volontaria auto-dichiarazione di successo nel perseguimento dell’Essere - nel parlare, come manifestazione del diritto e del potere; e nel silenzio, come quiete consentita dal presupposto secondo cui non si necessiterebbe di alcuna difesa. Risulta piuttosto chiaramente, signore e signori, che già questo rudimentale rimando ad una linguistica del giubilo o dell’autoaffermazione è in netta contrapposizione con tutto ciò che è stato detto e pensato dalla communis opinio teorizzante del XX secolo in merito ai linguaggi, incurante di mostrarsi come critica ideologica o come filosofia analitica, come teoria del discorso o come psicoanalisi, come dottrina dell’incontro o come decostruzione. Nel primo caso, sono state smascherate tutte le illusorie generalizzazioni dei linguag­ gi della borghesia; nel secondo, è stata restituita la precedenza alle locuzioni del linguaggio ordinario rispetto alle inversioni metafisi­ che; nel terzo, è stato connesso il gioco linguistico del sapere con le routine del potere; nel quarto caso, è stato scalzato il segno per mezzo del contenuto inconscio dell’espressione; nel penultimo caso l ’evento linguistico è stato descritto come risposta che, attraverso la chiamata che altri bisognosi rivolgono a me, viene suscitata o rifiu­ tata; invece Γ ultimo caso ha condotto alla prova che, ad imporre la 1 2

F. Nietzsche, Der Antichrist: Fluch au f das Christentum, ed. it. diretta da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, L ’Anticristo: Maledizione del cristia­ nesimo , Adelphi, Milano 1988, p. 18. F. Nietzsche, Also sprach Zarathustra: Ein Buch für Alle und Keinen, ed. it. diretta da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Così parlò Zarathustra: Un libro per tutti e per nessuno, Adelphi, Milano 2000, p. 255.

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Il quinto «Vanfid o » di Nietzsche

piena presenza del significato in ciò che è detto, si fallisce sempre. In tutti questi casi la lingua viene intesa come un medium del fallimento e del travisamento, magari anche come organo dell 'ipersensibilità e della compensazione, del disbrigo di problemi e della terapia. La lin­ gua e il parlato appaiono ovunque come sintomo e problema. Quasi mai sono concepite come supporto di affermazioni e promesse, a meno che non si voglia mantenere l’ indole inautentica e fallimentare dei toni festanti e profetizzanti. Chiunque parli con le modalità con­ sentite - borghesi, politiche, accademiche, giuridiche, psicologiche - è sempre in difetto, e corre, invano e senza meta, nello spazio delle ragioni alla ricerca dei mezzi per rimborsare e ridisporre le afferma­ zioni scoperte. Chiunque parli, fa debiti; chi continua a parlare, dice, cercando di estinguerli. L’orecchio viene inoltre educato a non dare credito e ad interpretare la propria avarizia come consapevolezza critica. In quanto seguirà, mi cimenterò nel tentativo di ricapitolare l’idea nietzscheana di linguaggio, della quale Nietzsche stesso ab­ bozzò solamente i princìpi, per poi estenderla, da un punto di vista contemporaneo, nel futuro - per cui mi arrischierò nell’argomentare che la massima di Nietzsche secondo cui «tutta la nostra filosofia è la correzione dell’uso del linguaggio» è carica di significati che vanno oltre tutte le concezioni critiche.

VANGELI-REDAZIONI

Va fatto innanzitutto un passo indietro per comprendere più chia­ ramente il contrasto tra le condizioni linguistiche moderne e quelle premoderne. Non appena le culture hanno raggiunto il livello mo­ narchico - lo dico senza avere una particolare fiducia nei presupposti dogmatici della teoria sociologica dell’evoluzione - vien da sé che le energie auto-elogiative della lingua non dovrebbero più riguardare direttamente i parlanti specializzati nel parlare in pubblico, come gli anziani, i preti e i rapsodisti. Piuttosto, devono fare una deviazione attraverso l’elogio di padroni ed eroi, di dei, poteri e forze della vir­ tù, dai quali proviene un'irradiazione riflessa che ricade sull’oratore. Poeti e retorici dell’epoca feudale erano istruiti nella grammatica dell’eulogia indiretta; il loro mestiere consisteva nell’intendersi del­ la produzione di elevati circoli euforici, in cui il decantare sta al centro e il cantate sta a margine. La loro discrezione gli richiedeva di prostrarsi per fare il necessario a seconda deH’umore del proprio am­ biente regale. Le prime culture avanzate, proprio nella misura in cui bandiscono la diretta espressione dell’egotismo da parte del parlan­ te, mostrano la via dello slancio linguistico del narcisista primario, così che questi possa porsi nelle vicinanze del destinatario di lodi, tramite il doveroso entusiasmo rivolto ai grandi-altri. Questo non lo si può studiare quasi da nessuna parte così esplici­ tamente come nell’evangelizzazione cristiana, al momento del suo sconfinamento nei rapporti d’intesa esistenti tra le società europee dell’Alto Medioevo. Qui viene presentato, con particolare chiarez­ za, in quale modo gli atti linguistici evangelici - l’annunciazione della salvezza tramite il figlio di Dio e il giuramento vincolante, da parte di una comunità etnica, di partecipare il meno ambiguamente possibile alla sua sfera - collocano il parlante e l’ascoltatore in un circuito oscillatorio, in cui non v’è altro che la celebrazione di un

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Il quinto «Vangelo» di Nietzsche

privilegio condiviso. Otfrid von Weißenburg, prete e poeta Renofranconiano del IX secolo, nel suo Libro dei Vangeli ha giustificato l’adattamento vernacolare del Nuovo Testamento con l’argomenta­ zione che anche i Franchi dovrebbero finalmente trovare, attraverso una Bibbia poetizzata, l’accesso alla dolcezza della Lieta Novella, dulcedo evangeliorum. «Dato che ora molte persone hanno iniziato a scrivere nella propria lingua e che molti si adoperano diligentemente per lodare ciò che hanno di più caro perché i Franchi devono essere gli unici a temere il tentativo di proclamare lode a Dio nel linguaggio franconiano?» « [...] lascia che la lode di Dio sia dolce per te, allora anche il Franconiano sarà determinato da ritmi, quantità e regole metriche, così Dio stesso parlerà attraverso te. ([...] so ist gotes selbes brédiga )» (Liber evangeliorum , 1, 1, V. 31 -34; 41 -42)1

Il senso di queste considerazioni, uniche nella loro epoca, sta in un’operazione etno-narcisistica grazie a cui i Franchi dovettero conformarsi a un’euforia collettiva per il livello d’eccellenza delle tecniche linguistiche del tempo - con la pretesa di essere pari o su­ periori alle grandi popolazioni storiche dei Greci e dei Romani. Il verso evangelico in lingua tedesca si presenta come un’offensiva per l’istituzione di un sistema di vanterie politico-religiose che, tramite una lezione di recupero in rima e ritmica, si connette all’arte del poe­ ticamente possibile. Ne deriva che d ’ora in poi, nell’immagine della gloria Francorum , l’effettivo legame tra la glorificazione di Dio e la poetica dell’impero non può più essere nascosto. Con lo stesso spirito, nella sua dedica a Ludwig il Germanico, Otfrid gli attribui­ sce pari valore rispetto a Re David. Anche in questo atto linguistico scorrono due funzioni eulogistiche, l’elogio del re e la glorificazione del popolo, che si sommano in un unico effetto potenziato. Otfrid era convinto così di aver rispettato l’essenza del linguaggio, dal mo-1

1

Otfrid von Weißenburg, Evangelienbuch, Antologia, alto-tedesco antico/ alto-tedesco moderno, tradotto e commentato da Gisela Vollmann-Profe, Stuttgart 1987, p. 37.

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mento che esso è di per sé uno strumento dell’eulogia - ciò risulta evidente nel caso delle lodi a Dio: «lui infatti (Dio) ha dato loro (ai popoli) lo strumento della lingua (plectrum linguae ) affinché possa­ no far risuonare le sue lodi». (Dedica a Liutbert). Chi loda, parteci­ pando allo splendore proveniente dall’oggetto dell’eulogia, diviene meritevole di lodi. Il poeta esprime la stessa idea nella sua preghiera introduttiva all’epos evangelico: Solo tu sei il Signore di tutte le lingue che esistono | ...| 11 tuo potere ha concesso loro il linguaggio, e loro riuscirono - o beatitudine! - a formare parole nelle loro lingue per commemorarTi sempre, lodarTi per l’eternità, riconoscerTi e servirTi. (Liber evangeliorum, I, 2. V. 33-38) In questa invocazione, non è rimarchevole solo il fatto che anche la conoscenza viene posta al servizio della funzione eulogistica; ma anche che tutte le lingue dell’ umanità vengono definite come mezzi del narcisismo di Dio. Esso si accresce nella derivazione degli idio­ mi umani e ritorna a se stesso in un’incessante auto-celebrazione. La lode di sé ha per Dio un gradevole profumo. Va celebrato il si­ gnificato della lingua e ogni lingua che ci si dimentica di celebrare, perde il suo senso. L’ unico aspetto sgradevole di questo arrangia­ mento teo-linguistico è dovuto al fatto che ora Dio dev’essere ce­ lebrato anche in alto-tedesco antico, una lingua agrestis, un idioma rustico che non corrisponde ancora del tutto alle norme melodiche e grammaticali della relazione divina con se stessi. Otfrid dovette mobilitare tutto il suo orgoglio di Franco per trovare il coraggio di lodare Dio nel dialetto Reno-franconiano del sud. Sebbene non gli venga in mente di migliorare il Vangelo in quanto tale, percepisce sempre più chiaramente la necessità di rendere il dialetto Theotisk idoneo ai Vangeli, tramite un restauro poetico - una visione da cui provenne la più significativa produzione creativa linguistica prima della traduzione della Bibbia da parte di Lutero. Va anche notato che a Otfrid, quando inizia il suo progetto, non mancano i motivi per formare un unico e continuo testo narrativo dal Vangelo cano­ nico. In un’epoca in cui la lettura laica delle Sacre Scritture non era

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Il quinto « Vangeli)» di Nietzsche

ancora oggetto di dibattito, le forme didattico-si»eretistiche come le cosiddette armonie evangeliche erano ben introdotte e discreta­ mente legittimate come genere sacro. Ciò che era appropriato per Taziano il Siro poteva risultare banale ad un nobile Franco. A ll’au­ tore invece sembrava degna di motivazione Γ articolazione della sua epos evangelica in cinque libri: Questi cinque, di cui ho appena parlato, li ho così suddivisi, sebbene ci siano solo quattro Libri dei Vangeli, perché la santa rettitudine della tetrade santifica l’abiezione dei nostri cinque sensi, trasforma tutta l’in­ temperanza che c ’è in noi [...] la erge al paradiso. In qualsiasi cosa man­ chiamo attraverso il vedere, il tastare e il sentire odori, sapori e suoni: tenendo sempre presenti i testi evangelici (eorum lectionis memoria) ci purifichiamo dalla nostra corruzione.2

Anche qui, non è naturalmente il Vangelo in sé a richiedere un miglioramento; sono il lettore e l’ascoltatore che, come Franchi ed esseri umani con la loro naturale attrazione carnale per la pentade, si rivolgono al testo beatificante e perciò - se si vuol credere al poeta necessitano di cinque libri di poesia evangelica in tedesco piuttosto che dei quattro Vangeli originali. Questo episodio della storia linguistica tedesca avviene 1010 anni prima dell’auto-dichiarazione dello stesso Nietzsche, là dove la prossima prova ci giunge dalla storia dei rapporti auto-elogiativi nella tradizione occidentale e consiste in un caso collocato appe­ na settanta, ottanta anni prima rispetto all’intervento del maestro dell’eterno ritorno. Il problema è ancora quello del miglioramento dei Vangeli - ma questa volta in una modalità considerevolmente più complicata perché, accanto all’auto-elogio collettivo, fa la sua com­ parsa anche il desiderio di auto-innalzamento individuale. La scena deiresperimento sono gli Stati Uniti d’America, intorno al 1810 e il redattore dei Vangeli non è altri che il redattore della Dichiarazione di Indipendenza Americana, Thomas Jefferson, che in quel momen­ to poteva avere uno sguardo retrospettivo su diverse cariche da mi­ nistro e da vicepresidente degli U SA , così come su due mandati da 2

Dedica a Liutbert, Arcivescovo di Mainz, loc. cit., pp. 19-21.

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presidente. Dopo i suoi anni di servizio a Washington, tornò a casa nella sua villa a Monticello, Virginia, e si dedicò al perfezionamento deirimmagine di sé che voleva lasciare ai posteri. Queste indicazio­ ni sono sufficienti per supportare l ’idea che siamo di fronte ad un eminente caso di pragmatismo linguistico nazional-religioso, spe­ cialmente se consideriamo che fino ad oggi gli USA rappresentano la più fertile collettività auto-elogiativa tra le identità politiche dell’at­ tuale «consenso delle nazioni»; si potrebbe anche dire che sono le stesse condizioni fondanti della società a promuovere il più possibile la demolizione degli ostacoli culturali che impediscono l’uso di su­ perlativi migliorativi nell’autoreferenza democratica. Cosa sono gli USA se non il prodotto di una Dichiarazione di Indipendenza - dalla modestia (certamente non solo dalla Corona Britannica)? Non do­ vremmo sorprenderci nel vedere quanto efficientemente venga adat­ tato anche il messaggio cristiano alla gloria americana. Jefferson si adoperava già in tal senso durante il suo primo mandato presidenzia­ le a Washington: in alcune delle proprie notti libere ritagliava, da una serie di edizioni del Nuovo Testamento in greco, latino, francese e inglese, degli estratti che poi incollava in un libro vuoto, in modo da creare una nuova versione dei Vangeli. Questo progetto era apparso già nel 1795, durante la sua corrispondenza con il teologo unitario e scrittore Joseph Priestley, presumibilmente però fu portato a termine solo nel 1820, dopo lunghi anni di interruzioni. II prodotto di questo lavoro taglia-e-incolla, che Jefferson svolse per intero complessiva­ mente due volte, venne presentato con il titolo The Life and Mond o f Jesus o f Nazareth e conosciuto con il titolo The Jefferson Bible. Nel suo lavoro con le forbici, il redattore doveva essere convinto di possedere dei criteri in base ai quali distinguere, aH’intemo dei te­ sti tramandati, Γ utilizzabile daH'inutilizzabile. Come rappresentante dei pensatori deH'Illuminismo americano, con il loro monoteismo decorativo e la loro esuberanza tipica di Philadelphia, Jefferson pone il fatto di testimoniare la situazione dei problemi evangelici al ver­ tice dell’ Illuminismo. Si può riconoscere che, in questo gentiluomo cristian-umanistico, il bisogno di auto-innalzarsi attingendo a riser­ ve di significato classiche, era più vivace che mai, ma poteva esse­ re soddisfatto solo attraverso la cancellazione di vasti passaggi dei Vangeli storici. Chiunque volesse ancora praticare, sulla scia della

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// quinto «Vanitelo» di Nietzsche

Rivoluzione Americana e di quella Francese, il gioco linguistico dei Vangeli come se fosse un gioco a premi, dovrebbe soprattutto essere capace di omettere. Questo è il significato del neoumanesimo: essere in grado di eliminare dai vecchi Vangeli ciò che è diventato incom­ patibile con la propria glorificazione come umanista e cittadino. Per questa operazione non c ’è immagine più imponente del figurarsi un capo di stato americano che di notte, nella sua dimora, con una for­ bice, spezzetta pagine da sei copie del Nuovo Testamento in quattro lingue diverse e incolla gli estratti in un esemplare privato di Lieta Novella che dovrebbe corrispondere all’esigenza, propria della ra­ zionalità e sentimentalità contemporanee, di avere a disposizione un citabile compendio biblico. È caratteristico delle ambizioni filosòfi­ che di Jefferson il fatto che egli non consideri questa redazione dei Vangeli - o , come lui stesso disse, questa formulazione di un abstract o syllabus - un’eresia nel senso primordiale del termine, ammesso che hairesis significhi una repellente insolenza riguardo alla totalità dei dogmi e della tradizione. Egli piuttosto si presenta come curatore del vero contenuto della scrittura, quello che ristabilisce un testo più puro in contrapposizione alla torbidezza dovuta ad aggiunte succes­ sive. Con energica ingenuità, il redattore illuminato andò a separare le parole inaccettabili di Gesù da quelle che Gesù avrebbe detto per essere citato con approvazione da Jefferson, o meglio, da quelle che avrebbe senza dubbio detto una volta prevista la trasformazione dei credenti in simpatizzanti. Infatti il moderno simpatizzante di Gesù può essere definito come il sostenitore deH’Illuminismo Euro-Ame­ ricano, e come colui che dà valore, nonostante l’attaccamento alla tradizione cristiana, al rimanere entro il continuum delle possibilità mondane d ’auto-innalzamento, elaborato a partire dal Rinascimen­ to. E questo è precisamente ciò che Jefferson aveva in mente quando ha fatto lo sforzo di tagliar via dei residui validi, e citabili persino dagli umanisti, dall’imbarazzante massa di frasi neotestamentarie. Quindi, già nell’ottobre 1813, Jefferson potè spedire a John Adams la notizia del proprio successo: Ciò che rimane è il più sublime e benevolo codice morale che mai è stato offerto aU’ uomo. Ho portato a termine questa operazione per il mio uso personale, tagliando verso dopo verso dal libro stampato e rias­

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semblando i contenuti evidentemente attinenti a Gesù, i quali risaltano vistosamente, come diamanti in un letamaio. Il risultato è un ottavo di quarantasei pagine, di pure e inalterate dottrine [ ,..|.3

In una lettera indirizzata all’erudito olandese e religioso unitario, Francis Adrian van der Kemp, Jefferson chiariva esaurientemente il proprio rapporto con l’Uomo Gesù: È l’innocenza del Suo carattere, la purezza e la sublimità dei Suoi precetti morali, l’eloquenza delle Sue parabole, la bellezza delle apo­ logie tramite cui Lui le trasmette, questo è tutto ciò che io ammiro così tanto; talvolta proprio nel bisogno di indulgenza nei confronti dell’iperbolismo orientale. Le mie eulogie ( eulogies ) sono anch’esse fondate su un postulato che non tutti potrebbero essere pronti ad accettare. Accan­ to alle massime e ai discorsi imputati a Lui dai suoi biografi, trovo molti passaggi di fine immaginazione, corretta moralità, e della più amabile benevolenza; e gli altri, invece, di tale ignoranza, tale assurdità, tale fal­ sità, ciarlataneria e impostura, da rendere impossibile affermare che tali contraddizioni possano aver avuto origine dallo stesso Essere. Separo, quindi, l’oro dalle scorie; restituisco a Lui il primo e lascio le ultime alla stupidità e alla furfanteria di alcuni altri Suoi discepoli.4

Alla luce di questa spiegazione ha poco senso sostenere, assieme all’attuale editore de The Jefferson Bihle, Forrester Church, che il saggio di Monticello abbia cercato solo l ’intelligibile Gesù e man­ cato quello storico. Jefferson non cercava né il Gesù intelligibile né quello storico, piuttosto un oggetto d ’eulogia, da glorificare at­ traverso l’accesso a valori morali condivisi, cosa che renderebbe il parlante un infallibile co-vincitore; lui era interessato ad un maestro spirituale che potesse essere citato a proprio vantaggio e che, attin­ gendo alla santa e meritevole sorgiva dei valori, avrebbe permesso al lodatore di diventare un prestigioso azionista. Dopo la cesura men­ tale dell’Illuminismo, una versione intatta del Nuovo Testamento non poteva avere molte aspettative di profitti simbolici e perciò ogni 3 4

The Jefferson Bihle. With an Introduction by F. Forrester Church and an Aftervvord by Jaroslav Pelikan, Boston 1989, p. 17; traduzione di P. Sloterdijk. Ivi, p. 28.

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redattore ragionevole doveva espungere dal corpus di parole e cro­ nache dell’autorità evangelica, tutto ciò che potesse comprometterlo di fronte agli altri esseri razionali e che gli avrebbe addossato un sen­ tore di settarismo o, quel che in fin dei conti sarebbe la stessa cosa, la condizione di perdente cognitivo. Più tardi, ma con motivi e mezzi assolutamente simili. Lev Tolstoj ha composto una versione privata del Nuovo Testamento e l’ha presentata come una sorta di «Quinto Vangelo»: la via russa verso una coesistenza di evangelismo e Illu­ minismo5. I moderni non conoscono più gli evangelisti, conoscono solo i classici. Quando viene citato un classico si ottiene una rendita sicura, seppur modesta; chi invece, nella società, si appella al Re­ dentore, vedrà restringersi il proprio credito. Difatti rilluminismo è un gioco linguistico per vincitori cognitivi, che annotano sui loro conti una serie ininterrotta di premi della conoscenza e della critica; e sfoggiano i loro crediti culturali, mentre la fede si ritira sempre più dietro una barriera di imbarazzo, attraversabile solo se si è disposti a rinunciare all’avanzato potenziale di vanto proprio deH’Illuminismo. Ma Jefferson non era il tipo d’uomo che si appesantisce con imbarazzi e giochi linguistici da perdente. Dalla sua redazione delle Sacre Scritture per vincenti illuministi, devono perciò essere esclusi i minacciosi discorsi apocalittici di Gesù, così come i racconti di resurrezione e la maggior parte delle storie di guarigioni miracolose. Il suo Vangelo depurato finisce con alcuni amici di Gesù che fanno rotolare la pietra davanti al sepolcro per poi riprendere la loro stra­ da. Come arrangiatore di testi, Jefferson esegue l’ imperativo della modernità: dove era leggenda, dovrà essere novella! Pertanto è ora di scambiare gli agenti sacri con gli attori terrestri. Persino Gesù può essere solo un eroe da romanzo o un partecipante al discorso. In via generale, il moderno tributo agli eroi deve affrontare del­ le complicazioni consistenti nel fatto che le funzioni eulogistiche sono sempre più dipendenti dalle premesse scientifiche e che devono soddisfare i dettami della correttezza politica. Oggi bisogna peren­ nemente tenere ben in vista gli effetti collaterali di ogni elogio e cal­ colare l’angolo di rifrazione dell’auto-innalzamento indiretto. Ma la 5

Cfr. The Gospel According to Tolstoy, edited and translated by David Patterson, Tuscaloosa and London 1992.

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regola basilare è che le asserzioni eulogistiche devono rimanere on­ tologicamente corrette, e che non va sostenuto nessun intervento at­ tuale della trascendenza nell’immanenza. Gli spazi scenici del vanto divengono più ristretti; la strategia deH’auto-elogio indiretto, propria delle culture avanzate, causa all’investitore costi crescenti a fronte di ricavi narcisistici calanti. Queste circostanze sono riepilogate nel termine umanesimo, nell’accezione utilizzata dagli eticisti odierni: esso raccomanda a tutti i parlanti di tornare ad una misurata auto­ affermazione, che risulta essere solo lievemente distinguibile da una mediocre depressione. La cultura di massa del XX secolo vuole dapprima indicare una scappatoia da questo disagio, disconnettendo l ’auto-elogio dalle prestazioni rimarchevoli e dalle altre cose che venivano ammirate in base a criteri di valutazione superiori. Questa disconnessione consentì aH’euforia primitiva di essere lanciata alla ribalta, di fronte a un pubblico di complici che attende nella disinibi­ zione, pronto ad aderire. Per Jefferson, facilitazioni di questo genere non sono neanche all’orizzonte. Deve ancora legare il suo slancio eulogistico alle Sacre Scritture e rientrare tra i più alti esempi della tradizione, in modo da soddisfare, attraverso i suoi estratti salvifici, la pretesa culturale di discorsi euforici. Perciò potè scrivere ad uno dei suoi corrispondenti: «Io sono un cristiano, nell’unico senso in cui lui avrebbe voluto che ognuno lo fosse; sinceramente attacca­ to alle sue dottrine [...] e ascrivendo a lui stesso ogni eccellenza umana (ascribing to himself every human excellence)...»6. A parlare per Jefferson è la sua ipocrisia spontanea e coerente. Afferrando i diamanti dal letamaio della tradizione, illustra la crescente selettivi­ tà americana in merito all’eredità della vecchia Europa. L’ importa­ zione di significato da Gerusalemme, Roma, Ginevra e Wittenberg, deve passare per la dogana americana. La redazione dei Vangeli da parte di Jefferson ci insegna che le condizioni per guadagnarsi una posizione di prestigio derivante dal­ la tradizione cristiana, erano problematiche già da circa un secolo prima dell’intervento di Nietzsche. Per più di mezzo millennio, ciò 6

The Jefferson Bible. With an Introduction by F. Forrester Church and an Afterword by Jaroslav Pelikan, Boston 1989, p. 30; traduzione di P. Sloterdijk.

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che nella cultura occidentale era la buona, nonché sp e sso proficua, N otizia per antonom asia - la professione di fede che porta a ll’ acco ­ glien za degli uomini nel sistem a di affinità proprio del D io extra­ m ondano - si dim ostra sem pre più un gio co a perdere per i m e ssag ­ geri: per le novelle di questo tipo infatti, le condizioni di diffusione sono state m odificate; chi parla di una tale notizia si pone soltanto com e qualcuno che non ha ancora appreso propriam ente i procedi­ menti moderni utilizzati per incassare la parola con profitto.

2. IL QUINTO

Il 13 febbraio 1883, a Rapallo, Friedrich Nietzsche compose, all’età di trentotto anni, una lettera tatticamente stilizzata da inviare al suo editore, Ernst Schmeitzner, a Chemnitz: Stimatissimo signor editore, | ... ] Oggi ho una buona notizia da darLe: ho compiuto un passo deci­ sivo - e tale che, a mio avviso, può essere vantaggioso per Lei. Si tratta di un volumetto (di appena cento pagine), il cui titolo è Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno. Si tratta di una «composizione poetica», o di un quinto «Vangelo» oppure è qualcosa per cui non esiste ancora una definizione: è la mia opera di gran lunga più seria e anche più allegra, e accessibile a chiun­ que. Perciò sono convinto che avrà un «effetto immediato» [... |.'

Il 20 aprile dello stesso anno Nietzsche scrive a Malvida von Meysenbug, a Roma: E una storia meravigliosa: io ho sfidato tutte le religioni e scritto un nuovo «libro sacro»! E, detto in tutta serietà, è un libro serio come qualunque altro libro sacro, anche se introduce il riso nella religione.12

Il 24 maggio, in uno scritto a Karl Hillebrand, Nietzsche fa un’os­ servazione sulla prima parte di Zarathustra :

1

2

F. Nietzsche, Sämtliche Briefe, Kritische Studienausgabe, voi. VI, München 1986, tr. it. condotta sul testo critico stabilito da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Epistolario 1880-1884, voi. IV, Adelphi, Milano 2004. pp. 307-308. Ivi, p. 343.

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II quinto «Vangelo» di Nietzsche

Tutto quello che ho pensato, sofferto e sperato è lì dentro, e in guisa tale che ora ai miei occhi la mia vita sembra aver trovato la sua giusti­ ficazione. E poi torno a vergognarmi di me stesso: perché con queste pagine ho allungato la mano verso i più alti allori che Γ umanità possa offrire.3 Malgrado ciò, appena un anno dopo, quando l’espressione «più alti allori» giungerà all’orecchio di Nietzsche, la ascriverà al «linguaggio stupido e falso degli ambitiosi».4 Tutta la sua corrispondenza del pe­ riodo Zarathustra, è punteggiata da messaggi micro-evangelici ine­ renti alla conclusione di un lavoro che, nella mente dell’autore, è qual­ cosa di impareggiabile. Ed erano, a quei tempi, i servizi postali italiani e svizzeri a provvedere alla trasmissione della «buona notizia». La frattura di Nietzsche con la tradizione evangelica della vec­ chia Europa fa risaltare come, da un certo grado di illuminismo, le funzioni dell’eulogia indiretta proprie del discorso, non possano più essere assicurate da compromessi deistici e dalla coltivazione del Protestantesimo. Chiunque cerchi un linguaggio che consenta di attribuire al parlante «every human excellence», o che perlomeno garantisca la partecipazione indiretta ai più alti privilegi, deve svi­ luppare strategie di espressione che vadano oltre l ’eclettismo jeffersoniano. Nella comunicazione tra i moderni, l’imbarazzo non viene più evitato semplicemente attraverso l ’omissione di compromettenti resoconti di miracoli; non è più sufficiente tralasciare quelle furiose apocalissi e quelle comminazioni profetiche che fanno fare brutta figura a chiunque ne parli di fronte ad un pubblico secolare o uma­ nistico. In società, chi si potrebbe mai riferire ad un’autorità come il Gesù di Marco 9.42, che ritenne corretto dire: «E se qualcuno re­ casse scandalo a uno di questi piccoli che credono in me, meglio sarebbe per lui che gli fosse appesa al collo una pietra da macina e venisse gettato in mare!». A tal riguardo, un commentatore dell’anno 1888 si accontenta di esprimere il parere: «Quanto è evangelico !»5. 3 4 5

Ivi, pp. 358-359. Ivi, p. 474. F. Nietzsche, Der Antichrist: Fluch auf das Christentum, ed. it. diretta da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, L ’Anticristo: Maledizione del cristianesimo, Adelphi, Milano 1988, p. 61.

Il Quinto

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Le forbici non possono più salvare l’autostima del parlante tramite la diffusione della Buona Notizia - complessivamente, il Vangelo residuo non si dimostra in grado di sopportare un’analisi seria. E il processo di demitologizzazione difficilmente lo aiuterà a rimettersi in piedi. Troppo offuscate, troppo sospette, troppo inferiori sono le fonti da cui sgorgano i bei discorsi. 11 disagio per il loro astioso uni­ versalismo e per la loro benevolenza gravida di minacce, non può più essere celato a lungo. D’altra parte, se le «buone notizie» fossero ancora possibili e soddisfacessero i requisiti della loro diffusione lungo una catena di vincitori, dovrebbero venire costituite di nuovo - dovrebbero essere nuove abbastanza da evitare imbarazzanti somi­ glianze con testi ormai diventati inaccettabili, ma abbastanza simili da venir almeno percepite come un formale aggiornamento del fon­ do evangelico ufficiale. Per questo, la nuova stesura di un discorso, una capace di essere proclamata e con cui il parlante possa avere un’aspettativa di vittoria, per ora si può raggiungere solo attraverso la sovversione delle forme precedenti: l’uomo che può promettere il nuovo è colui che con parole antiche dice l'inaudito. Ma Nietzsche non vuole essere un mero parodista dei Vangeli; lui non vorrebbe limitarsi a sintetizzare Lutero con il ditirambo e a rimpiazzare le tavole mosaiche con quelle zarathustriane. Per lui è molto più im­ portante dare un nuovo ordine ai presupposti della professione di fede e alle catene di citazioni, anzi, si propone proprio di rivedere la distinzione tra una professione di fede e una citazione. L’autore di Zarathustra vuole rivelare la forza eulogistica della lingua fin dal suo fondamento e liberarla dalle inibizioni che le erano state impres­ se dal risentimento metafisicamente codificato. Questa intenzione traspare quando Nietzsche rassicura l’amico Franz Overbeck: «con questo libro, sono andato al di là di tutto quello che sia mai stato detto finora con le parole [...]» e viene presupposta quando rivolge al medesimo destinatario la constatazione del fatto che «è estremamen­ te probabile che io sia adesso l ’uomo più indipendente d ’Europa».6

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F. Nietzsche, Sämtliche Briefe, Kritische Studienausgabe, voi. VI. München 1986, tr. it. condotta sul testo critico stabilito da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Epistolario 1880-1884, voi. IV, Adelphi, Milano 2004, pp. 474,486.

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Il quinto «Vangelo» di Nietzsche

L’altezza - o megl io: i I teatro operativo - di questa indipendenza, è il risultato di un’intuizione, che Nietzsche attuò in un offensivo eser­ cizio spirituale su se stesso fin dai giorni di Umano, Troppo Umano. L’autore de La Gaia Scienza era convinto che il risentimento fosse una modalità di produzione del mondo, precisamente la più potente e la più deleteria mai esistita. Più l’autore critico riflette acutamente su tali circostanze e più si delinea un vasto e mostruoso profilo: in tutto ciò che finora è stato chiamato cultura avanzata, religione e morale, il risentimento ha dominato come modo di costruire il mon­ do; tutto ciò che lungo un’epoca si è voluto presentare in qualità di ordine morale mondiale, porta la sua firma. Qualunque cosa venisse spacciata come contributo allo sviluppo del perfezionamento mon­ diale, aveva bevuto questo veleno. Ne segue una conclusione cata­ strofica, che assale il pensatore come un’intuizione millenaria: che tutte le lingue formate dalla metafisica gravitano attorno a un nucleo misologico. Le classiche dottrine della sapienza, insieme alle loro moderne teorie connettive, sono sistemi di discorsi maligni inerenti l’esistente nella sua interezza. Servono agli sfavoriti per denigrare il mondo, il potere e gli esseri umani, e hanno come obiettivo la mortificazione delle attitudini auto-elogiative felicemente energiche. Sono le culture avanzate tra Asia ed Europa ad avere l'ultima paro­ la, ed esse parlano, senza alcuna eccezione, la lingua di coloro che vogliono rivalersi sulla vita stessa. Ciò che finora è stato chiamato morale, è l’universalismo della vendetta. Anche il discorso meta­ fisico sulla più valida saggezza, scienza ed esperienza del mondo, porta con sé il primo impulso a rivolgersi verso la maligna realtà con superiorità, in nome di un anti-mondo superiore, di cui si vuol parlar bene appositamente per umiliare il suo contrario. Al tempo stesso, si parla bene delle esigenze di vendetta con cui i deboli e i folli si vantano della loro debolezza e della loro follia. Nel discorso metafisico-religioso, il disprezzo diventa un’insidiosa e contorta for­ za auto-elogiativa. Che, rispetto a Socrate e a Platone, Nietzsche abbia identifica­ to soprattutto l ’apostolo Paolo come il genio del capovolgimento, non necessita di ulteriori delucidazioni; lo stesso vale per il fatto che Nietzsche ricava, dalla ricchezza conseguente all’intervento

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paolino, il criterio in base a cui stabilire che la propria correzio­ ne rappresenta l'asse di una storia del futuro. Su questo sfondo, l’autore di Zarathustra si accinge a redigere il primo anello di una catena di messaggi alternativa, in cui il falsetto metafisico è esclu­ so. In vista di questa manovra, prende con sicurezza la sua posi­ zione epocale; lui sa che sganciare le future correnti linguistiche dal risentimento e ricanalizzare le energie eulogistiche, è un atto «storico-universale»; ma comprende anche che operazioni di una tale magnitudine richiedono molto tempo; egli considera il fatto di non poter osservare le conseguenze dei suoi concetti fondamentali come una parte del proprio martirio: «Esigo talmente tanto da me stesso», scrive da Venezia nel maggio del 1884 a Overbeck, con tenue autoironia, «che anche il meglio di quanto ho fatto finora mi lascia indifferente; e se non arriverò al punto che interi millenni pronuncino i loro giuramenti nel mio nome, ai miei occhi non sarò arrivato a nulla».7 Nel settembre dello stesso anno fa questa con­ fessione a Heinrich Kòselitz: «Zarathustra per il momento signifi­ ca qualcosa soltanto per me, in quanto è il mio ‘libro di devozioni ed esortazioni’ - per il resto rimane incomprensibile, misterioso e ridicolo per chiunque».8 Un «libro di devozioni», un «libro sacro», un libro dell’in­ dipendenza e del superamento, un «vero libro delle cinte»9, un «testamento»10, un «quinto ‘Vangelo’»: le etichette di Nietzsche per il suo letterario «figliolo Zarathustra» attingono, come il testo stesso, dal repertorio della tradizione linguistico-religiosa, rimodellato per la nuova occasione. Comunque, la ragione essenziale del ricorso a tali formule va cercata oltre la sfera della retorica e della parodia. Nietzsche ci informa che il termine «Vangelo» in quanto tale, finora 7 8 9 10

Ivi, p. 481. Ivi, pp. 499-500. F. Nietzsche, Ecce homo. Wie man wird, was man ist, tr. it. a cura di Roberto Calasso, Ecce homo. Come si diventa ciò che si è, Adelphi, Milano 2000. p. 13. Lettera a Overbeck, 10 febbraio 1883, in: Sämtliche Briefe, Kritische Studienausgabe, voi. VI. München 1986, tr. it. condotta sul testo critico stabilito da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Epistolario 1880-1884, voi. IV, Adelphi, Milano 2004, p. 306.

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ha colpito l’attenzione solo grazie a falsi esempi, e questo perché nella tradizione cristiana ciò che veniva diffusa come Buona Noti­ zia, a causa del pragmatismo linguistico insito nel suo valore e nella sua espressione, poteva portare solamente a un trionfo della misologia. Nella sua visione, l’antica tetrade dei Vangeli non è altro che un prontuario per malignare sul mondo in favore dei vendicativi e degli indolenti, un libro redatto e interpretato dalla casta p ar excellence, quella che crea dipendenza, quella dell’epoca metafisica, dei preti-teologi, degli avvocati del nulla e dei loro moderni successori - giornalisti e filosofi idealisti; tali testi sono propaganda del risen­ timento, riscrivono le sconfitte come se fossero successi, godendosi così la vendetta inibita come un fluttuare, raffinato e sprezzante, al di sopra di testi e fatti. L’autoconsapevolezza di Nietzsche poggia sulla convinzione che il ruolo a cui deve adempiere preveda di interrom­ pere l’epocale continuum della propaganda misologica. La seguente osservazione estratta da Ecce homo dovrebbe essere applicata all’in­ tero complesso di distorsioni metafisiche: È finita con tutti gli «impulsi oscuri», proprio l’ uomo buono sapeva meno di ogni altro qualcosa della retta via... E in tutta serietà, nessuno prima di me ha conosciuto la retta via, la via verso l ’alto: per la prima volta con me ci sono di nuovo speranze, compiti, vie da tracciare alla civiltà - io sono il loro lieto messaggero [...]."

L’evangelismo di Nietzsche dunque significa: conoscere se stes­ si; prendere posizione in contrasto con le vecchie forze millenarie del capovolgimento, in opposizione a tutto ciò che fino ad oggi è stato chiamato Vangelo; lui vede il suo destino di dover esse­ re un lieto messaggero, «quale mai si è visto».112 La sua missione è distruggere la competenza comunicativa dei velenosi. Il quin­ to «Vangelo» - Nietzsche mette tra virgolette solo il sostantivo, non il numerale, e vi pone accanto come varianti le espressioni «composizione poetica» o «qualcosa per cui non esiste ancora una 11 12

F. Nietzsche, Ecce homo. Wie man wird, was man ist, tr. it. a cura di Ro­ berto Galasso, Ecce homo. Come si diventa ciò che si è, Adelphi, Milano 2000, p. 116. Ivi, p. 128.

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definizione» - vuole essere anche un vangelo del contrasto, che non ha come contenuto la negazione come liberazione dalla realtà, ma l’affermazione come liberazione della totalità della vita. I un vangelo del non-è-più-necessario-mentire, un vangelo della liegen tropia o della creatività e conseguentemente - in base al presup posto secondo cui solo pochi individui sarebbero creativi e capaci di migliorare - un vangelo delle minoranze, e ancora: un vangelo «per nessuno», un invio ad un destinatario irrintracciabile, perché ancora non esiste una minoranza così piccola da poterlo ricevere in quanto messaggio destinato a se stessa. Non per niente, nei mesi e negli anni successivi alla pubblicazione delle prime tre parti di Zarathustra , Nietzsche faceva continuamente notare, con una ma­ linconia autentica e al contempo fittizia, che non aveva neanche un singolo «discepolo». Questa constatazione viene solo apparentemente contraddetta dal fatto che Nietzsche ha compiuto la sua «vitalistica» svolta del pen­ siero in un milieu temporale che fin troppo volentieri si dichiarava disposto ad assimilare i nuovi linguaggi dell’affermazione della vita; neanche l’osservazione attraverso la lente della «storia effettiva», che colloca poco dopo la morte di Nietzsche l’ondata di richieste di tramutare Zarathustra in un profeta alla moda e le «volontà di potenza» in una parola d’ordine per arrampicatori sociali, smenti­ rebbe la tesi secondo cui non c ’era, e non ci potrebbe mai essere, nessun adeguato destinatario di questo «Vangelo». La ragione di ciò va ricercata nell'economia interna del nuovo messaggio, che ri­ chiede un prezzo sproporzionato per accedere ai suoi privilegi di proclamazione, in effetti, un prezzo impossibile da corrispondere. Il quinto «Vangelo» abbatte i suoi riceventi con costi così alti, che dal punto di vista del bilancio può essere percepito solo come una cattiva notizia. Non a caso, già il suo primo predicatore praticò una de-solidarizzazione con l’umanità passata e attuale. Richiedeva ad ogni potenziale discepolo una tale astinenza dalle forme tradizionali di facilitazioni borghesi e di illusioni al servizio della vita che, se questi avesse seriamente aderito al nuovo messaggio, si sarebbe ri­ trovato solo con un’invivibile disillusione. La bizzarra trasformazio­ ne delle energie eulogistiche in una corrente linguistica alternativa, matura innanzitutto dalla proposta di diffondere un vangelo basato

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su un «D isangelo»11- il termine deriva da Nietzsche stesso, che ave­ va denominato così la «vera» dottrina di Paolo; rifacendosi ad esso, Eugen Rosenstock-Huessy caratterizzò gli autorevoli esegeti della realtà del XIX secolo, Marx, Gobineau, Nietzsche e Freud, come i quattro «disangelisti» della costernazione moderna1314: più obiettiva­ mente, noi vorremmo parlare di loro in quanto fondatori dei giochi discorsivi concernenti il reale. Il quinto «Vangelo» deriva da un lavoro di distruzione delle illu­ sioni, del quale non esiste un parallelo - si orienta attorno alle norme de La Gaia Scienza che, in verità, è la scienza più disperata che sia stata mai lanciata, dato che presume un livello di disincanto tale da far sprofondare in abissi quasi suicidari, pressoché corrispondenti ad una morte vagale ( Vagus-Tod) da delusione.15 Nietzsche non ha mai dubitato del fatto che esistesse un indissolubile legame produttivo tra la propria infermità cronica e l’ineguagliabile lucidità nel tratta­ re cose psicologiche e metafisiche. Vedeva la sua stessa vita come «esperimento del discernimento» e intese la sua sofferenza come un pagamento rateale per le proprie cognizioni. E più pagava, più le sue opinioni e condizioni lo allontanavano dalla comunità umana esistente. Andava sempre più alla deriva, in un'implacabile posizio­ ne estrema rispetto all’intesa mendace della società. Guardava agli idoli della tribù, del mercato e della caverna da una distanza sem­ pre maggiore. Con i suoi miti privati degli Iperborei descriveva il suo soggiorno nel suo esilio freddo, ma anche gaio e volontario. Per Nietzsche era impossibile pensare di possedere un punto di partenza in comune coi lettori a lui contemporanei; ed era ancor meno am­ missibile l’ ipotesi secondo cui avrebbe potuto trovare degli allievi assenzienti ad apprendere le loro lezioni a simili condizioni. Da ciò il persistente riferimento alla sua ineluttabile solitudine; da ciò la sua 13

NdC: Si potrebbe anche dire “dis-evangelo” e conseguentemente “dis-evangelisti” . 14 E. Rosenstock-Huessy, Die Sprache des Menschengeschlechts. Eine leibhaftig Grammatik in vier Teilen, voi. Il, Heidelberg 1964, p. 897. 15 Cfr. R. Bilz, Der Vagus-Tod. Eine anthropologische Erörterung über die Situation der Ausweglosigkeit, in: Die unbewältigte Vergangenheit des Menschengeschlechts. Beiträge zu einer Paläoanthropologie, Frankfurt 1967, p. 242.

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visione del mondo come «una grande porta su mille deserti, vuota e fredda». Da ciò, anche la diffidenza verso chiunque avesse osato dare all’autore una pacca di approvazione sulla spalla. Zarathustra illustra il costo del nuovo messaggio nel capitolo II Convalescente quando, scontrandosi con il suo «pensiero più abissale», sviene dal disgusto e dal disappunto, e dopo il risveglio oscilla per sette gior­ ni tra la vita e la morte. La verità ha, «in verità», la forma di una malattia mortale: è un attacco a quel sistema immunitario aletheiologico che lascia fluttuare gli uomini nella sede geometrica della menzogna e della salute. Chi volesse sopravvivere alla distruzione di ciò che fino ad oggi è stato conosciuto come economia delle il­ lusioni, dovrebbe essere qualcos’altro rispetto a quella che è stata sinora la concezione di essere umano - un sopravvissuto vaccinato con la follia della verità. 11 paradosso economico della Buona Noti­ zia di Nietzsche consiste nell’indicare che la primaria e incommen­ surabile cattiva notizia, deve essere necessariamente compensata da una dubbia mobilitazione di contro-energie creative. Il concetto di superuomo è la scommessa sulla lontana possibilità di una tale com­ pensazione: «Abbiamo l'arte per non perire a causa della verità» - vale a dire: abbiamo la prospettiva del superuomo, in modo da sop­ portare l’insostenibile visione della disvelata condizione umana. Un tale annuncio appare come una pubblicità per ciò che ispira terrore. Questa è la ragione per cui l’intero Zarathustra doveva assumere la forma di un esteso prologo: nelle proprie parti narrative non tratta di nient’altro che dell’esitazione del predicatore nel pronunciare il proprio messaggio. Se invece si vuole avere rapido accesso ai nuovi privilegi di aral­ do, in modo più economico e senza riguardo per intimidazioni e re­ strizioni sperimentali - ed è questa la formula che caratterizza pra­ ticamente l’intera storia delle redazioni di Nietzsche nel movimento anti-democratico, incluse le sue successive elaborazioni nell’ideo­ logia critica democratica - , allora la ritrovata funzione eulogistica si scinde daH’Illuminismo precedentemente necessario e dal suo lavoro di annientamento, e la parola d'ordine «vangelo» prende le sue virgolette, vale a dire la sua novità e la sua ironia. Nietzsche era consapevole dei costi assurdi della sua impresa e ne ha dubitato abbastanza spesso, si chiedeva se fosse ancora sensato, esistenzial­

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mente parlando, recuperare una posizione evangelico-eulogistica dal completo nichilismo. Nel 1884 scrive a Malvida von Meysenbug: Sulla mia anima gravano cose che sono cento volte più pesanti da portare della bètise humaine. È possibile che per l’umanità futura io diventi una fatalità, la fatalità - e di conseguenza è possibilissimo che io un giorno ammutolisca, per amore dell’ umanità!!!16

Annotiamo il triplo punto esclamativo dopo il riferimento alla pos­ sibilità di ammutolire. Ogni spiegazione del messaggio nietzscheano deve prima di tutto rispondere alla domanda su come sia possibile che l’annunciare prevalga sulla propria inibizione interna. Ciò equi­ varrebbe a spiegare come mai, nella compensazione tra fattori dis­ angelici e motivi ev-angelici, sono questi ultimi a prevalere - e in tale revisione, sarebbe da verificare il calcolo in sé, nella sua imma­ nente correttezza. Tutti gli indizi non sono forse a favore del fatto che secondo Nietzsche è la cattiva notizia a possedere un incompen­ sabile vantaggio su quella buona e che invece tutti i tentativi di dare il primato a quest’ultima sono fondati solo sullo slancio momenta­ neo e sulTautoipnosi temporanea? E quindi, non è forse Nietzsche il paradigmatico pensatore della modernità, purché essa sia definita tale attraverso rimpossibilità di raggiungere il reale con correzioni contro-fattuali? La modernità non viene forse definita attraverso una particolare e progressiva consapevolezza della mostruosità dei fatti, nei confronti dei quali i discorsi dell’arte e dei diritti umani costitu­ iscono solo una compensazione e un primo soccorso? E per questo motivo, non è forse il mondo contemporaneo impotente nel l’alzare i toni, perché costretto ad ammettere la superiorità degli scellerati? Per quanto riguarda Nietzsche, egli sapeva bene che, fino a nuo­ vo avviso, sarebbe rimasto l’unico elettrizzato lettore di Zarathu­ stra; il suo quinto «Vangelo» è, come lui stesso disse abbastanza giustamente, «incomprensibile, misterioso e ridicolo per chiunque», e questo non solo per la sua prematurità. Non si riesce a prevedere 16

F. Nietzsche, Sämtliche Briefe, Kritische Studienausgabe, voi. VI, München 1986, tr. it. condotta sul testo critico stabilito da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Epistolario 1880-1884, voi. IV, Adelphi, Milano 2004, p. 465.

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come un tale documento, che renderebbe ridicolo ogni suo diffusore, possa diventare il punto di partenza di una nuova catena eulogistica in cui il gioco a premi è ancora a disposizione del portavoce. Così, fino a nuovo avviso, per chiunque professi di voler citare un brano dal quinto «Vangelo», risulta ancora più impossibile fare un effet­ to borghese e accademico di quanto non lo sia per chi continua a provarci con la versione integrale dei primi quattro. Neanche la co­ spirazione deH’irrealizzabile può fare niente in proposito, dato che improvvisò il proprio impero del vanto appellandosi ad alcuni fram­ menti di Nietzsche fortemente travisati e tagliati, nonché tradotti in lingua Völkisch'1. Nessuna forbice può salvare i canti di Zarathustra ed usarli nel gioco linguistico degli standard illuministici. Il Nietz­ sche intatto si dischiude solo a coloro che sono abbastanza perduti da reinventare per sé il concetto di «redenzione». Assumendo che questo Nietzsche stesso l’abbia sempre saputo - e sia i reperti bio­ grafici che quelli letterari indicano in tal senso - cosa gli poteva far ancora credere che da lui si sarebbe originata una nuova epoca di discorsi? Come si proponeva di fare un passo dal ridicolo al sublime e dal sublime alla libertà - e chi avrebbe potuto farlo, emulandolo? Per risolvere questo enigma, dobbiamo indagare più da vicino il pro­ getto di Nietzsche per un’etica della generosità.*

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NdT: il termine Völkisch-Banale non viene qui tradotto poiché è riferito al movimento Völkisch, originatosi in Germania nel XIX secolo.

3.

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Chi volesse conoscere ulteriori particolari sulla teoria nietzschea­ na della generosità, e sulla sua prassi, dovrebbe occuparsi anche - se non innanzitutto - della «megalomania» di Nietzsche, ammesso che questo sia un titolo adeguato per il suo straordinario talento nel par­ lare con toni supremi di se stesso, della sua missione e dei suoi scrit­ ti. Potrebbe essere che siamo in presenza di qualcosa per cui risulta di nuovo appropriata l’espressione estratta dalla «buona notizia» all’editore: «qualcosa per cui non esiste ancora una definizione». Ma anche le due denominazioni alternative, «composizione poetica» e «Vangelo», usate per circoscrivere lo status letterario-tipologico del­ le prime parti di Così parlò Zarathustra, andrebbero tenute di riser­ va per la qualificazione delle megalomani esternazioni di Nietzsche. Quindi megalomania, o composizione poetica, o qualcosa per cui non esiste ancora una definizione: si consiglia di cominciare da ciò che segue per farsi una scorta di espressioni alternative, in modo tale da non rimanere bloccati nel primo riflesso di designazione dispo­ nibile. 1 valori di esposizione1 delle più aperte auto-affermazioni di Nietzsche, sono così eccessivi, che anche i lettori più favorevoli, dallo spirito più libero, addirittura i più consenzienti a venir frastor­ nati, distoglierebbero lo sguardo da questi passaggi, come se vo­ lessero non aver intuito, e non aver controfirmato, ciò che è stato affidato alla carta e alla stampa. Non si può guardare ininterrotta­ mente il sole, e lo stesso vale per l’auto-elogio di un folle - perciò leggiamo questo insopportabile impeto di fiera autoconsapevolezza munendoci di occhiali da auto-elogio protettivi. Oscuriamo ciò che non potrebbe mai pervadere gli occhi del lettore senza essere filtrato, I

NdT: Lichtwert, termine tecnico del linguaggio fotografico: valore di esposizione, valore esposi metrico.

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perché altrimenti costringerebbe a guardare altrove, dalla vergogna di trovarsi di fronte allo sfrenato Altro, oppure dal senso della mi­ sura, che suggerisce ili non usare contro un alterato le sue parole auto-compromettenli. I ra gli amanti di Nietzsche è forse una forma di decoro, il non includerle direttamente e il non citare nulla di si­ mile? Comunque sia, noi oggi dobbiamo deviare dalla norma degli amatori. Che nei miei scritti parli uno psicologo senza pari, questa è forse la prima conclusione a cui arriva un buon lettore - un lettore come lo merito, che mi legga come i buoni filologi di una volta leggevano il loro Orazio.2 C ’è qualcuno che, alla fine del secolo X IX , abbia un concetto chiaro di ciò che i poeti delle epoche forti chiamavano ispirazione ? Altrimenti lo spiegherò io [_|. Q uestaè la mia esperienza [...]; non dubito che si debba tornare indietro di millenni per trovare qualcuno che possa dirmi «è anche la mia».3 Fra i miei scritti, il mio Zarathustra sta a sé. Donandolo all’umanità, le ho fatto il più grande regalo che essa abbia mai avuto.4 Lasciamo da parte i poeti: forse non è mai stato fatto nulla, in genere, con una tale sovrabbondanza di forza. II mio concetto di «dionisiaco» è diventato qui azione suprema-, commisurato a essa tutto il resto dell’agire umano appare povero e condizionato. Dire che un Goethe, uno Shakespeare non potrebbero respirare un momento in mezzo a questa enorme passione, a questa altezza | ...| tutto questo è il meno che si pos­ sa dire e non dà nessuna idea della distanza, della azzurra solitudine, in cui quest’opera vive [...]. Si sommino in una volta sola lo spirito e la bontà di tutte le grandi anime: tutte insieme non sarebbero in grado di produrre un discorso di Zarathustra.5 Mi ha appena scritto una vecchia amica per dirmi che ora ride di me... E questo in un momento in cui pesa su di me una indicibile re­ sponsabilità, ora che nessuna parola può essere sufficientemente tenera,

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F. Nietzsche, Ecce homo. Wie man wird, was man ist, tr. it. a cura di Ro­ berto Calasso, Ecce homo. Come si diventa ciò che si è, Adelphi, Milano 2000, p. 62. Ivi, pp. 98, 100. Ivi. p. 13. Ivi, pp. 102-103.

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nessuno sguardo sufficientemente rispettoso verso di me. Perché io por­ to sulle spalle il destino deH’ umanità.6 Se misuro ciò che io posso | ...| trovo che più di ogni altro mortale io posso pretendere alla parola grandezza.7 Vuole la mia sorte che io debba essere il primo uomo decente, che sappia oppormi a una falsità che dura da millenni [,..|. Io sono un lieto messaggero, quale mai si è visto [...). Solo a partire da ma ci sarà sulla terra grande politica ,8

Vorrei proporre di tollerare un poco più a lungo queste frasi in­ sopportabili e di togliere lentamente gli occhiali protettivi che per un secolo hanno risparmiato il lettore dal mettersi in relazione con la prorompente e oscena abbondanza dell’auto-elogio e con l ’autooggettivazione. Faccio questa proposta in base all’assunto che non ci troviamo di fronte a quella che viene comunemente intesa come una disinibizione soggettiva, o ad un morboso lasciarsi andare, e nemmeno a tracce di puerilità, invece rilevate in Nietzsche da com­ mentatori come Thomas Mann e Karl Jaspers. Sullo sfondo della fi­ losofia del linguaggio sopra esposto, appare plausibile ipotizzare che qui, all’internó di un singolo individuo, sia ceduta la diga dietro cui si erano ammassate, nel corso delle precedenti culture più avanzate, le energie auto-eulogistiche del discorso. Oggi, noi approfittiamo di una distanza di sicurezza di cento anni, che ci consente di osservare questa detonazione di autoconsapevolezza da un’adeguata lontanan­ za. Per di più, ci torna utile l’ampia svolta di mentalità che attraversa tutto il X X secolo, una svolta verso una maggiore permissività nei confronti delle dimostrazioni di affetto narcisistico. E infine, Nietz­ sche, con la sua auto-descrizione di «buffone» contenuta in Ecce homo, ci suggerisce di considerare le sue esagerazioni dionisiache sotto l’aspetto di una ridicolaggine volontaria. Tutto ciò rende più facile mettere il disagio tra parentesi e mostrare un po’ più di corag­ gio di fronte all’euforia.

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Ivi, pp. 125-126. Ivi, p. 53. Ivi, pp. 127-128.

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Vorrei anche avanzare l’ipotesi che il «narcisismo» di Nietzsche sia meno rilevante come fenomeno psicologico-individuale di quan­ to non lo sia se considerato come una spaccatura che ha segnato la storia linguistica della vecchia Europa. Fondamentalmente, ciò significherebbe la dischiusura sia della natura del discorso lettera­ rio che di quella autoriale. L’evento discorsivo che porta il nome Nietzsche, è connotato dal fatto che in esso viene intaccata la distin­ zione, propria delle culture avanzate, tra la Buona Notizia e l’autocelebrazione - e, per questo, svela improvvisamente ciò che fa un autore moderno: compone il testo per se stesso. In tal modo vengono messe in discussione simultaneamente sia l’economia del discorso eulogistico e misologico che la sua fondazione nel tabù dell’autoelogio. La legittimazione di questo cambiamento repentino si può ricavare dalla critica di Nietzsche alla morale e alla metafisica, dove diventa totalmente trasparente l’ordine delle menzogne su cui è ba­ sata l’eulogia indiretta - i meccanismi di distorsione che si sono materializzati in frasi come «chi si umilia, sarà esaltato» oppure «se rv ir et d ìsp a ra ìtr e » . Se è vero che la distinzione della lode dal sé non è altro che un rinvio provocato dal risentimento, un perpe­ tuo differimento dell’istante in cui un parlante potrebbe dire alla propria esistenza, «rimani ancora, così che io possa lodarti», allo­ ra ci è concesso comprendere l’attentato-Nietzsche alla discrezione come un insieme di atti di revisione, che contraddicono la traman­ data morale deH’annullamento di sé (Entselbstung ) in modo quasi furioso. Si deve tornare alla mistica tardo-medievale per imbattersi, perlomeno da lontano, in fenomeni paragonabili. Così spettacolari e imbarazzanti da ripristinare la possibilità di tracciare il più diretto collegamento tra il sé e la lode. Ciò che Nietzsche ha in mente, non è lo scriteriato giubilo per se stesso in qualità di mero essere: lui si aggrappa con tutte le sue forze all’idea che 1’esistenza debba meri­ tarsi il proprio giubilo o, per meglio dire, che 1’esistenza si sviluppi all’interno del proprio giubilo. Come nessun altro autore moderno, Nietzsche sposa la causa dell’ ad aeq u atio iubilationis et intellectus. Se fosse possibile una corrispondenza tra la propria esistenza e una buona nomea, allora dovrebbe essere cresciuta una tale esistenza, da doverne dire il meglio. Il fatto di esistere è certamente un’occasione di auto-celebrazione a p r io r i , invece i discorsi auto-eulogistici, ad

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un livello culturale, vengono legittimati solo a posteriori. Il tramite tra l’occasione e la sua realizzazione è Γ «egocentrismo» - questa dimensione a lungo denigrata, in cui si sono conservate in incogni­ to le migliori possibilità deH’umanità. Sono gli impulsi egoistici, in quanto opera-dipendenti, ad ottenere da Nietzsche la consacrazione filosofica. L’auto-elogio tardivo riunisce i presentimenti sul proprio divenire e la consumazione dell’egocentrismo in un'immagine di sé: come si diventa ciò che si è, afferrando la casualità dell’essere «io». La «piena» immagine di sé si «realizza», forse, nel momento in cui vengono confermate, tramite una retrospettiva sulla vita vissuta, le più pretenziose anticipazioni delle proprie capacità di divenire. In un foglio sfuso, e inserito tra le pagine iniziali di Ecce homo, si accenna ad un istante di tal genere: In questo giorno perfetto, in cui tutto matura, e il colore dell’ uva, e di altro ancora, si fa più scuro, un raggio di sole si è appena posato sulla mia vita, mi sono guardato indietro, ho guardato avanti, mai ho visto tante cose, e così buone, in una volta sola. 1...| Come potrei non essere grato alla mia vita tutta!9

Nel momento in cui aumentano le possibilità elevate della vita, I’elogio-del-proprio può, analogamente, dispiegarsi: ancora una vol­ ta l’opera loda il maestro, il quale è ormai sul punto di scomparire all’interno di essa. Lo scandalo è appunto questa corrispondenza questo smisurato parlar bene di un patrimonio manifesto e dilapida­ to, questa giubilante auto-recensione successiva al fatto compiuto, questa completa dissoluzione della vita in postulati folgoranti che perdurano in qualità di opera linguistica: essi costituiscono il contro­ scandalo rispetto a ciò che da Paolo fu dichiarato lo «scandalo della croce», con cui venne consolidato l’ostruzionismo al collegamento tra il sé e la lode. Che Nietzsche valuti adeguatamente le implicazioni della sua tardiva indole imbarazzante per la politica del linguaggio, e che le interpreti in grande stile storico, si evince dal fatto che è venuta allo scoperto, nel lessico degli ultimi scritti, l’espressione «cinismo». Nietzsche, il filologo, aveva ben presente, che il suo grido di batta­ 9

Iv i, p. 16.

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glia filosofico «trasvalutazione eli tutti i valori» derivava dal fram­ mento kinico che descriveva la strategia di protesta di Diogene di Sinope: «riconiare la moneta»; era consapevole che le sue sortite, presenti negli scritti dell’anno 1888, sarebbero state da apprezzare in qualità di riapparizioni del «Socrate pazzo». Proprio di questo si trattava: lui perseguì la trasvalutazione di tutti i valori imbarazzanti, la revisione delle maniere misologiche, l’abolizione del confine che era stato segnato, lungo un’epoca intera, tra la vita creativa e la sua forza auto-eulogistica. Così, il 20 novembre 1888, Nietzsche potè scrivere al critico danese Brandes: Con un cinismo che passerà alla storia, ora ho raccontato me stesso: Il fibrosi intitola Ecce homo [...].101

A ll’interno di tale opera, nella sezione Perché scrivo libri così buoni Nietzsche fa delle osservazioni sui suoi scritti: In certi punti questi libri raggiungono ciò che di supremo si può rag­ giungere sulla terra, il cinismo."

Il termine «cinismo», presente in questi passaggi, indica due di­ rezioni: una, rivolta all’elevazione delle questioni di dieta e salute ad un livello quasi evangelico - una svolta che, oltre a riassumere buona parte dei secoli XIX e X X , traccia prontamente la direzio­ ne per tutto il XXI; l’altra, verso la fusione tra la Buona Notizia e le energie auto-eulogistiche. Perciò d ’ora in poi, le parole «cinico» ed «evangelico» significano, nello specifico, la stessa cosa. Dove i loro significati si intersecano, definiscono proprio ciò che fa un autore moderno: mostrarsi, tramutarsi nello scritto, farsi irrealizza­ bile. Nietzsche: «Non ho mai fatto un passo in pubblico che non

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F. Nietzsche, Sämtliche Briefe, ed. it. condotta sul testo critico stabilito da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Epistolario 1885-1889, voi. V, Adelphi, Milano 2011, p. 797. F. Nietzsche, Ecce homo. Wie man wird, was man ist, tr. it. a cura di Roberto Calasso, Ecce homo. Come si diventa ciò che si è, Adelphi, Milano 2000, p. 60.

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mi compromettesse: questo è il mio criterio del giusto agire».12 L’elogiare-se-stessi proprio di una vita che si realizza e si afferma in quanto composizione artistica, è visto come l’ unica autentica forma di discorso che ancora merita il predicato evangelico. Come novella è buona per antonomasia solo se, e quando, rappresenta l’annunciodi-sé dell’uomo di successo - e simpatizza con lui; parla la lingua di una vita, che non ha solo il diritto di promettere, ma anche di approvare - e maggiore è la resistenza provocata daH’aftermazione, più autentica è la sua occorrenza. Le tracce linguistiche di una tale vita possono essere definite spinoziste, dato che sono «espressioni», nel senso che servono ad annunciare la forza di essere. Sfondano le costrizioni della tradizionale logica bivalente, che obbliga sempre il parlante a scegliere tra una delle due valenze - il garantire per Dio, che è inesorabilmente collegato al rifiuto dell’odioso Io, oppure il garantire per l'Io, che tradizionalmente potrebbe essere inteso solo come satanica rinuncia a Dio. Nella nuova posizione linguistica, Nietzsche non si presenta come redentore poetico, ma piuttosto come colui che introduce una nuova forma di arricchimento. Si potrebbe definire Nietzsche come il pri­ mo autentico sponsor, purché ci si dedichi a spiegare la sua arte di elargire doni in un modo che vada oltre il solito discorso di doni e veleni. La sponsorizzazione dell’umanità da parte di Nietzsche deri­ va dall’assunto secondo cui, dando doni ordinari, si coinvolgono gli individui in una vile economia, in cui l’innalzamento del donatore e il declassamento del ricevente vanno inevitabilmente di pari passo. Chi intendesse fare un regalo più nobile, lo potrebbe fare solamente recando in dono qualcosa di non contraccambiabile, in modo che l’altro non ne sia in debito. Ora, l’unico dono che soddisfa questo requisito è il conferimento di un titolo nobiliare, che solleva il nuovo portatore dal dovere di fare riferimento al conferitore. A questo sco­ po, Nietzsche inventò una sorta di doni take-and-run, che distribuì in forma di aforismi, poemi e argomentazioni. Dopo Nietzsche, può farsi nobile chiunque accetti la sfida di diventare all’altezza dello sponsor. Però il discorso dei titoli nobiliari è in sé provocatorio; ciò 12

Ivi, p. 2 9 .

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che lo sponsor conferisce è il contrario di un titolo che si potreb­ be «portare». La nobiltà qui in questione non può essere rilevata in nessuna forma storica di aristocrazia. Questo è il postulato cruciale di Nietzsche, secondo cui non c ’è ancora stata nessuna vera nobiltà nella storia deH’umanità - salvo, forse, il mite idiotismo della figura di Gesù e l ’igiene sovrana di Buddha. Eppure, ai suoi occhi, entram­ bi incarnano forme di generosità carenti, perché sono ancorati alla ritirata dalla vita activa. Sono in attesa di essere superati da quegli atteggiamenti di vita che sono creativi e affermativi del mondo13- da cui scaturisce il mandato etico dell’arte, per l’intera dimensione del­ la storia futura. Tanto più che la nobiltà storica non possiede quasi nessun valore orientativo, infatti, ciò che nell’epoca feudale veniva definito nobile, era poco più di una meschinità protetta dal potere. «Plebe in alto, plebe in basso» - dalla'quarta parte di Zarathustra , le parole del mendicante volontario sui ricchi e potenti del presente, si estendono retroattivamente sull’evidenza storica. La qualifica di «nobile» non può più essere difesa a lungo attraverso le convenzio­ ni, la qualifica di nobile dovrebbe essere il titolo dell’ascendenza di un’azione, o di un pensiero, da una forza non risentita, che mira lontano. Nobiltà è una posizione verso il futuro. L’innovativo dono di Nietzsche consiste nella provocazione ad abbracciare un modo di essere in cui è chi riceve ad innescare a sua volta la propria for­ za attiva di sponsor, ovvero, nell’abilità di rendere accessibili futuri più ricchi. Nietzsche è un maestro di generosità nel senso che chi riceve il suo regalo viene contagiato dalla sua idea di ricchezza: non conviene entrarne in possesso, a meno che non si abbia in vista la possibilità di sperperarla. Chi dona la provocazione deH’offrire agli altri, ha il diritto di es­ sere considerato all’inizio di una nuova catena morale funzionale. Per questa ragione, il tempo viene reinterpretato in modo del tut­ to nuovo: in qualità di dilazione per la futura proliferazione della generosità, la «storia» acquisisce un contenuto in eccesso rispetto alla propria causalità, che ha regnato fino a quel momento. 11 futuro dell’umanità è un test per capire se è possibile rimuovere il risenti13

Cfr. B. Groys, Unter Verdacht. Eine Phänomenologie der Medien, München-Wien 2000, pp. 127-129.

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mento dal ruolo di prima forza storica. Nella linea ascendente delle virtù donate, la vita stessa si loda in quanto imprevedibile molti­ plicazione delle possibilità di dare. Partecipando al verificarsi della generosità, essa trova un fondamento per il suo grato auto-elogio. La storia si scinde, nel tempo dell’economia del debito, e nel tempo della generosità. Mentre il primo pensa sempre al rimborso e alla ritorsione, l’altro si interessa solamente di un donare-proteso. In fu­ turo, ogni vita si daterà, consapevolmente o meno, secondo questo criterio. «Si può vivere prima di lui o dopo di lui...»14 Vale la pena di dare uno sguardo più da vicino all’azione origina­ le ( Urhandlung) della catena di generosità inaugurata da Nietzsche, giacché in essa si possono rilevare le condizioni del collegamento - dalle quali possiamo derivare l’unico criterio valido per separare i riferimenti a Nietzsche che sono legittimi da quelli che invece sono illegittimi. E decisivo che la nuova catena «sfusa» inizi con un gesto incondizionato di sperpero, perché chi dona può spezzare il circolo del risparmio-assennato solo attraverso un puro esborso-di-sé. Solo l’esborso non conteggiato possiede abbastanza spontaneità e forza centrifuga da# sfuggire al campo gravitazionale dell’avarizia e dai suoi calcoli. Lo sponsor trova in questo la sua soddisfazione e non ha alcuna considerazione per i «ricavi»; invece il risparmiatore e il capitalista si aspettano sempre di recuperare qualcosa di più rispet­ to a quanto impiegato. Questo vale sia per le frasi che per i doni. Ciò che Nietzsche chiama innocenza del divenire, è essenzialmente l’innocenza dello sperpero ed eo ipso l’innocenza dell’arricchimen­ to, che viene cercata per amor della possibilità di spendere. Il salto nella generosità avviene attraverso l’affermazione della ricchezza propria e altrui, poiché essa è la premessa necessaria alla generosità. Se ci fosse un salto originale ( Ur-Sprung) nella generosità, allora si configurerebbe come sfida della generosità manifesta alla generosi­ tà celata. L’idea di Nietzsche in merito all’arte del donare prevede che chi dona - quando non può proprio rimanere celato, e questo è impossibile a priori per un autore - non dovrebbe presentarsi in una 14 F. Nietzsche, Ecce homo. Wie man wird, was man ist, tr. it. a cura di Ro­ berto Calasso, Ecce homo. Come si diventa ciò che si è, Adelphi, Milano 2000, p. 136.

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falsa perfezione, perché in tal modo mentirebbe al mondo e ingan­ nerebbe ancora di più chi riceve, cosa che equivarrebbe ad un’umi­ liazione. Piuttosto, se incoraggiasse chi riceve ad accettare il dono, dovrebbe anche confidargli le proprie fragilità e idiosincrasie, senza però smentire il pregio del regalo. Soltanto da questo può risultare la «suprema arte della bontà»15. Deve entrare in gioco un po’ di vanità, bisogna roteare un po’ nel circolo narcisistico. L’auto-affermazione integrale di sé circonda l’ordinarietà, che è stata minimizzata dal re­ gime della misologia metafìsica, e si stabilisce nella gratitudine per il dono ricevuto da coloro che hanno la capacità di dare. In questo esercizio, Nietzsche, l’illuminista, può mantenere la consuetudine, propria del XIX secolo, di spiegare gli autori sulla base del loro mi­ lieu. Se l’autore è immortale, lo saranno anche i suoi tic. Quando Zarathustra entra in scena con il suo linguaggio di affermazione di sé e del mondo, vuole trasmettere la pressione della provocazione e lo fa attraverso tale forma linguistica, radicalmente auto-eulogistica e «spudorata». L’ impatto con i giudizi e le frecciate di Nietzsche, nella loro forma di puri dettami, funziona per il lettore provocabile da in­ sulto terapeutico, che suscita una reazione immunitaria. Ciò equiva­ le ad una procedura di vaccinazione sul livello morale. Chi fosse già diventato sponsor con altri mezzi, forse noterà, che la cosa funziona anche senza Nietzsche. Chi non lo fosse ancora, potrebbe comunque fare esperienza di come egli riesca a contagiare con la memoria della possibilità di una generosità - una memoria, che chi riceve non può lasciare depositare, ammesso che sia pronto e capace di accedere al nobile spazio di risonanza. Che chi non riceve persegua altri affari, va sicuramente bene ad un livello diverso. Dal tema della «virtù che dona», erompe una sorgente di plurali­ smo che conduce oltre tutte le aspettative di unitarietà. La generosità provocatoria, per sua natura, non può essere sola e tanto meno vuole essere sola. La generosità dello sponsor è di per sé orientata alla generazione di dissenso, cioè alla competizione. Si considererebbe fallita, se di lei si dicesse che ha ottenuto il monopolio. Per essere ciò 15

F. Nietzsche, Also sprach Zarathustra: Ein Buch für Alle und Keinen, ed. it. diretta da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Così parlò Zarathustra: Un libro per tutti e per nessimo, Adelphi, Milano 2000, p. 313.

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che vorrebbe essere, deve postulare una concorrenza. Si metterebbe preferibilmente a disposizione del rifiuto piuttosto che di subordi­ nate imitazioni. In tal modo, i generosi si pongono in antitesi rispet­ to ai buoni, che Nietzsche giustamente chiama décadents, perché - come sappiamo fin dalla Genealogia della Morale - inseguono il sogno di monopolizzare soltanto le buone intenzioni. Per loro è male qualunque cosa che pretenda da loro una dimostrazione di bontà, ma gli sembra addirittura diabolico ciò che assale il loro consenso con questioni insistenti e ciò che abbandona il loro circolo estorsivo. Con decadenza, Nietzsche intende la quintessenza delle condizioni che garantiscono al risentimento di andare costantemente incontro al suo ideale di situazione linguistica. Dalla decadenza si generano le circostanze grazie a cui - nella formulazione di Nietzsche - «domina il baciapile». I buoni sono così buoni solo fante de mieux. L’ideale della decadenza si mantiene al potere soltanto finché e «perché non aveva concorrenti»16. Perciò, chi volesse contrapporre il migliore al buono in materia evangelica, dovrebbe risolversi a contare fino a cinque.

16

F. Nietzsche, Ecce homo. Wie man wird, was man ist, tr. it. a cura di Roberto Calasso, Ecce homo. Come si diventa ciò che si è, Adelphi, Milano 2000, p. 114.

4.

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Se al giorno di oggi, cento anni dopo la morte di Nietzsche, guardassimo indietro verso questo autore per autori e non-autori, e afferrassimo la sua posizione ai suoi tempi, allora diverremmo consapevoli che Nietzsche - con tutte le sue pretese di originalità e malgrado il suo orgoglio di essere il migliore nelle cose più es­ senziali - sotto molti aspetti è stato solo un medium privilegiato per l’esecuzione di tendenze che in un modo o nell’altro, si sareb­ bero aperte la strada anche senza di lui. La sua impresa consistè nel saper trasformare l ’accidente di nome Friedrich Nietzsche in un evento dallo stesso nome, ammesso che per evento s ’ intenda il potenziamento dell’accidentale nell’ineluttabile. Si può parlare di destino quando qualcosa, che succederebbe in ogni caso, viene raccolto da un ideatore, che si adopera per promuoverlo e che infine lo conia col proprio nome. È in questo senso che Nietzsche è un destino - o, come si direbbe oggi, un trend-designer. 11 trend che incorporò e a cui diede forma fu l ’ondata individualistica che, fin dalla rivoluzione industriale e dalle sue proiezioni culturali nel romanticismo, passa inesorabilmente attraverso la moderna società civile, e ancora non ha smesso di attraversarla - l’ indivi­ dualismo allora non è da intendere come una corrente accidentale ed evitabile nella storia della mentalità, ma piuttosto come una spaccatura antropologica, dopo la quale potè emergere solamente un tipo di essere umano, cioè quello che è in grado di individua­ lizzarsi contro i propri «presupposti sociali» perché circondato da abbastanza media e mezzi di esenzione. NeH’individualismo, si è articolata la terza insulazione post-storica degli «esseri umani» - successiva alla prima, preistorica, tesa all’emancipazione dalla natura, e alla seconda, storica, tesa al «dominio degli uomini sugli

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uom ini»1. L’individualismo stringe continuamente alleanze mutevoli con tutto ciò che compone il mondo moderno: con progresso e reazione, con programmi politici di sinistra e di destra, con motivi nazionali e transnazionali, con progetti maschilisti, femministi e infantilisti, con atteggiamenti tecnofìli e tecnofobi, con la morale ascetica e con quella edonistica, con concetti artistici avanguardistici o conservativi, con terapie analitiche e catartiche, con stili di vita sportivi e non sportivi, con la propensione alla performance o con il rifiuto della stessa, con il credere nel successo come con il miscredervi, con forme di vita ancora-cristiane come con quelle non-più-cristiane, con aperture ecumeniche come con chiusure lo­ cali, con un’etica umanistica come con una post-umanistica, con l'Io che deve essere in grado di accompagnare tutte le mie rappre­ sentazioni, come con il sé disfatto, che esiste soltanto come sala degli specchi per le proprie maschere. L’ individualismo è capace di allearsi con tutte le parti, e Nietzsche è il suo designer, il suo profeta. La pretesa di Nietzsche di essere un artista, e molto più di un arti­ sta, ha origine dal suo concetto radical-modemo di successo: il suo interesse non è solo di lanciare prodotti sul mercato odierno, bensì di creare personalmente l’onda di mercato che porterà poi il prodotto al successo. In questo modo anticipa le strategie d ’avanguardia che Boris Groys ha descritto nel suo libro, ormai diventato un classico, Lo stalinismo ovvero l'opera d ’arte totale. Chi vuole diventare lea­ der del mercato, deve prima operare da artefice del mercato, e per costruire un mercato di successo, bisogna anticipare e promuovere ciò che i molti sceglieranno quando verranno a sapere che il volere è lecito. Nietzsche aveva capito che l’irresistibile fenomeno condutto­ re in arrivo nella cultura di domani, sarebbe stata l’esigenza di di­ stinguersi dalla massa. Aveva presente fin dal principio che la so­ stanza di cui si sarebbe composto il futuro poteva essere trovata nella richiesta dei singoli di essere diversi e migliori rispetto agli altri e, proprio in questo, tutti uguali. Il tema del X X secolo è l’auto1

Sul concetto di insulazione come meccanismo antropogonico cfr. D. Claessens, Das Konkrete und das Abstrakte. Soziologische Skizzen zur Anthropologie, Frankfurt 1980, pp. 60-92.

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referenzialità, sia in senso sistemico che psicologico. Soltanto che: i sistemi autoreferenziali sono anche sistemi autoioghi e auto-eulogistici - ed è grazie a questa cognizione che l’autore Nietzsche tuttora precede le teorie contemporanee. Per tutta la sua vita, generò da tale convinzione, o meglio, da tale intuizione, le condizioni per il suo doppio successo postumo: inserì il suo nome nella lista dei classici, che viene tramandata su scala culturale come punto di riferimento per il consenso e la critica - questo è ciò che descrive come il suo soddisfatto bisogno di immortalità; inoltre però, e passando soprat­ tutto per i suoi primi interpreti e intermediari, impostò il proprio nome come nome-marchio per un prodotto immateriale di successo, per uno stile di vita che è droga letteraria o per un elevato way oflife, cioè il design nietzscheano dell’individualismo: noi spiriti liberi! Noi, che viviamo pericolosamente! Quando l'autore si identifica come autore, nasce la melodia auto-eulogistica; quando l’artefice dei mercato lancia il mercato, nasce la réclame. Nietzsche ha liberato il linguaggio moderno, collegando l’eulogia alla pubblicità. Solo paz­ zo, solo poeta, solo copywriter. Solo attraverso questo legame si può capire come fu possibile che il risoluto paladino della cultura più elevata abbia a^uto degli effetti sulla cultura di massa. È innegabile che il secondo successo di Nietzsche, cioè la sua seduttività come marchio o come ethos e l’attitudine in campo individualistico, rap­ presenti il suo più grande effetto - racchiude in sé anche le sue più lontane possibilità future. E dal momento che il marchio-lifestyle di Nietzsche, molto più del nome dell’autore, irradia un’attrazione qua­ si irresistibile, nell’ultimo terzo del X X secolo ha potuto riprendersi dalle irruzioni subite a causa delle copie dei redattori fascisti, grazie alla costituzione di un’evidente congiuntura individualistica nel post-maggio del ’68. Non c ’è dubbio che l ’autore Nietzsche, mal­ grado l’allora fatale posizione dell’edizione, era inconcepibile per il collettivismo nazional-socialistico e che soltanto il brand Nietzsche - e solo in rari e singoli aspetti - poteva offrirsi per essere riprodotto nella cultura pop nazionale. Per comprendere questo, si deve pren­ dere in considerazione che il fascism o , proceduralmente, non è altro che l’irruzione di procedure pop e kitsch nella politica. Come mo­ strato da Clement Greenberg già nel 1939 - alla luce del grave caso - kitsch è il linguaggio mondiale della cultura di massa trionfante; si

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basa sulla contraffazione meccanica del successo. Pop e kitsch sono, sia culturalmente che politicamente, delle procedure-scorciatoia per imboccare la strada verso il gusto manifesto della massa. Si accon­ tentano di copiare il successo e di trionfare, ancora una volta, grazie alle copie di ciò che è vincente. La strategia di successo di Hitler, come politico pop e kitsch, consiste nel collegare a tal punto il popnazionalismo e l’evento del militarismo, da portare i narcisismi di massa sulla via più agevole per infuocarsi. Così facendo, e a cielo aperto, tecniche di registrazione radiofonica e liturgie para-militari giocano un ruolo chiave. Da entrambe, la popolazione apprende che cosa dovrebbe essere un popolo e quel che dovrebbe ascoltare dalla voce sobillante del suo sé proiettato. In questo senso tutto il fascismo è un effetto delle redazioni; è deutero-fascista fin dall’inizio, perché non ne esiste un originale; il subordinato potrebbe essere ribelle solo attraverso la rivolta delle forbici, che sanno cosa, dove e come devo­ no tagliare. Sotto un profilo energetico , il fascismo è la cultura-even­ to del risentimento - una definizione, peraltro, grazie a cui diventa comprensibile l’indecente convertibilità delle emozioni di sinistra in quelle di destra, e viceversa. Finché il pubblico funge da regia teatra­ le del risentimento, è necessaria sia la brutalizzazione dei testi che la seduzione del pubblico in quanto «m assa». A tal proposito, il mar­ chio Nietzsche potè giocare un ruolo nella campagna pubblicitaria semantica del movimento-NS quando nelle sue imitazioni vennero omesse le valutazioni di base, implacabilmente individualistiche e avanguardiste, e furono mantenuti solo gli atteggiamenti arrivisti, unitamente ai dettami marziali del decoro. La consorteria di Hitler ha rielaborato Nietzsche con le forbici e lo ha incollato in un vange­ lo collettivistico - e questo dopo che il marchio Nietzsche venisse precedentemente confezionato dalle forbici della sorella in una ver­ sione pronta all’uso. Va notato, per la vergogna della filosofia uni­ versitaria tedesca successiva al 1933, che essa ha fatto altrettanto al proprio livello, parimenti agli anti-nietzscheani che tuttora non fan­ no altro che comporre dossier incriminanti, incollandoli di persona - ma quanto bisogna tornare indietro per trovare una filosofia uni­ versitaria che non si dedichi alla filosofia con le forbici? I nazional­ socialisti, risoluti rielaboratori di tutto ciò che garantisce il successo sociale e nazionale, poterono trattenere molto meno dell’autore

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Nietzsche, di quanto non fece Jefferson con Gesù - il grosso dei suoi scritti era troppo inadeguato per il loro sistema del kitsch, troppo anti-nazionalistico, troppo anti-tedesco, troppo anti-filisteistico, troppo anti-revanscistico, troppo anti-collettivistico, troppo anti-militaristico, troppo anti-antirazionalistico, troppo anti-antisemitico, troppo sprezzante verso ogni concreto «egoismo-dei-popoli»2 e in conclusione, per menzionare la barriera decisiva, troppo incompati­ bile con ogni politica del risentimento, indifferentemente dal fatto che si presenti come nazionalista, socialista o come una forma poli­ funzionale di politica della vendetta: nazional/socialista. Tutti coloro che sono venuti a contatto con i suoi scritti dovrebbero sapere che nessuna strada conduce da Nietzsche aH’atteggiamento da padroni dei tedeschi - era troppo tagliente la visione di Nietzsche secondo cui la tentazione dei tedeschi, laureati e non laureati, è di non sentir­ si bene se non è possibile sminuire gli altri - ma cos’è Vernare moral-filosofica di Nietzsche se non un unico esercizio di superamento del bisogno di sminuire? La politica nazionalista si basa sulla pateti­ ca propensione alTumiliazione degli stranieri - chi ha descritto que­ sto concetto più nitidamente di Nietzsche che, già nel wilhelminismo, avvertì un*sentore di hooliganismo? Nietzsche è certamente un anti-egualitarista, ma non per fare una causa congiunta con i populi­ sti vendicativi - come i vecchi e lungimiranti filosofi morali tede­ schi, le cui distinzioni non impressionano più nessuno, continuano avidamente ad affermare nella saggezza dei loro anni - ma piuttosto per tutelare la libertà defl’auto-valorizzazione dal consumismo sen­ za futuro proprio dell’umanità recente. Solo in un senso si può fare una concessione a chi sminuisce Nietzsche e a chi ammonisce di evitare la sua influenza - è giusto affermare che Nietzsche, in quanto designer di un marchio del «destino», avrebbe dovuto chiedersi se il suo prodotto non andasse munito di una migliore protezione contro le copie e se la nascita del marchio accanto al nome defl’autore non fosse del tutto da evitare. Non poteva proprio sapere che la gentaglia che respingeva sarebbe risultata la sua più tenace clientela? A dimo­ 2

F. Nietzsche, Der Antichrist: Fluch au f das Christentum, ed. it. diretta da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, L ’Anticristo: Maledizione del cristianesimo, Adelphi, Milano 1988, Prefazione.

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strazione che queste domande non sono sfuggite alle considerazioni di Nietzsche, accanto al verbo profetico e quasi critico-ecclesiastico di Zarathustra sui parassiti dell’anima più elevata3, ci sono certi ap­ punti di lavoro e lettere in cui ha considerato di recedere dalla sua autorialità, per timore della mostruosità delle sue intuizioni. Tuttavia se l’avesse fatto, sarebbe diventato inevitabile rivelare il motivo del­ la rinuncia ad essere un autore - e il risultato sarebbe stato pressap­ poco lo stesso. Forse, per tale scrupolo, come per quasi tutti gli altri, Nietzsche conosceva già in anticipo la risposta: «Io non sto all’erta contro i frodatori, io devo essere senza cautela: così vuole la mia sorte».4 Per valutare cosa ci fosse di particolare nel gran colpo fatto da Nietzsche come trend-designer delFindividualismo, lo si deve porre a confronto con i vicini progetti alternativi. Ci sono solamente poche versioni forti per gli standard dell’epoca del «diventa ciò che sei» e la corrispondente «fai quello che vuoi». Fondamentalmente, soltan­ to il lavoro di un autore rappresenta un rivale e una contro-cornice per il progetto di Nietzsche; «una magnifica, grande natura», così lo chiama lo scrittore de La Gaia Scienza, non senza aggiungere che il più ingegnoso scrittore filosofico del XIX secolo era un americano, Ralph Waldo Emerson. Mentre il design nietzscheano della vita in individualità auto-creante viene presentato sotto il titolo di «Spirito Libero», Emerson porta il proprio prodotto sul mercato con il mar­ chio di «Non-conformismo». Ad esso è dedicato il più grandioso dei primi saggi di Emerson - il faro, che porta la filosofìa americana ad essere il primo attonito testimone della prova della propria esisten­ za: non a caso, aveva il titolo Self-Reliance, un pezzo di prosa di a malapena trenta pagine, impareggiabile nella sua a-metodica densi­ tà, la dichiarazione d’ indipendenza della saggistica americana e la revocazione della servitù americana nei confronti dei canoni europei e di ogni altro canone. Prende la forma di un programma anti-umiltà che, nei successivi centocinquanta anni, si sarebbe rivelato essere lo

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F. Nietzsche, Also sprach Zarathustra: Ein Buch für Alle und Keinen, ed. it. diretta da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Così parlò Zarathustra: Un libro per tutti e per nessuno, Adelphi, Milano 2000, p. 245. Ivi, p. 296.

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specifico timbro di voce della libertà americana - una voce domi­ nante fino agli anni ’70 del nostro secolo, prima che l’accademia-US si dedicasse all’importazione di maso-teorie europee. Ma nell’anno 1841, l’ inondazione della criticai theory era ancora lontana: Credere nel proprio pensiero, credere che ciò che è vero per te nell'intimo del tuo animo è vero per tutti gli uomini: questo è il genio. Esprimi la tua recondita convinzione, ed essa assumerà un significato universale; giacché ciò che è intimo a tempo debito diverrà di tutti, e il nostro primo pensiero ci sarà restituito dalle trombe del Giudizio Fina­ le. | ... | Le grandi opere d’arte non hanno per noi lezione più preziosa di questa: esse ci insegnano ad attenerci alla nostra spontanea impressione con tanto maggiore e serena inflessibilità quanto più l’intero coro delle voci è sulla sponda opposta, per non correre il rischio che domani un altro dica con magistrale buon senso precisamente quello che noi abbia­ mo intuito e pensato per tutto il tempo, costretti poi ad accogliere da un altro, con somma vergogna, la nostra stessa opinione. Ma Dio non vorrà che la sua opera sia resa manifesta da un codardo. | ... | Abbi fiducia in te stesso: ogni cuore vibra a questa corda ferrea. Ovunque la società è in perenne conflitto contro la maturità spirituale di ciascuno dei suoi membri. E ssa non è altro che una società per azioni, nella quale ciascun membro acconsente, per meglio assicurare il pane a ogni azionista, a rinunciare alla libertà e alla cultura del singolo consu­ matore di tale pane. La virtù che più si ricerca è il conformismo, di cui la fiducia in se stessi è l’opposto: esso non ama vere realtà e autentici creatori, ma soltanto nomi e consuetudini. Chiunque voglia essere un uomo, deve essere un anticonformista. Chiunque voglia raccogliere palme immortali non deve lasciarsi tratte­ nere dal nome della bontà, ma deve prima sincerarsi che si tratti di vera bontà. In definitiva nulla v’è di sacro se non l’integrità della tua mente. Assolviti innanzi a te stesso, e avrai l’approvazione di tutto il mondo. La tua bontà deve avere un limite, altrimenti è come se non esistesse. La dottrina dell’odio va predicata, in contrapposizione a quella dell’a­ more, quando quella si riduce a un piagnisteo. [... J Sull’architrave della porta d ’ingresso vorrei scrivere la parola «capriccio» |...| non possia­ mo perdere la giornata in spiegazioni. Lascia la tua teoria, così come Giuseppe lasciò la sua veste nelle mani della prostituta, e fuggì via. Essere grandi è essere fraintesi. |...| Il tuo conformismo non spiega nulla. Agisci da solo, e ciò che hai già fatto da solo giustificherà i tuoi atti presenti.

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I secoli sono dei cospiratori che attentano all’ integrità e all’autorità dell’anima. | ... | La storia sarebbe solo un’impertinente offesa se doves­ se essere qualcosa di più di un piacevole apologo, una parabola del mio essere e del mio divenire. «Al mortale perseverante», ha detto Zoroastro «i beati immortali mo­ strano un volto benigno».5

Emerson possiede un vantaggio temporale su Nietzsche, a cui se ne aggiunge anche uno psico-politico. Infatti, mentre il non-conformismo di Emerson era prodotto in modo tale da svolgere una qual­ che resistenza contro un narcisismo di massa ambivalente, nonché in fin dei conti bilanciato democraticamente, il marchio «Spirito Libe­ ro» di Nietzsche era più a rischio di venir imitato da un movimento di perdenti famelici di successo. Quindi i fascismi passati e futuri, politicamente, non sono mai stati altro che insurrezioni di perdenti carichi di energie, che cambiano le regole per mettersi in mostra, entro un periodo di deroga temporanea, come vincenti. Il marchio Nietzsche venne recuperato dai perdenti e dai redattori-perdenti, perché prometteva di essere il marchio dei vincenti. Come se que­ sta terribile situazione non bastasse, e mai sarebbe potuta bastare, il progetto di Emerson ha strappato a Nietzsche la vittoria sul versante dei brand. Ecco perché oggi le persone sono per la maggior parte non-conformiste, e non spiriti liberi. I nostri pensieri e sentimenti mediocri sono tutti made in USA, non made in Sils-Maria. Per avere delle informazioni sul significato di questa differenza, si deve tornare, ancora una volta, da Nietzsche, l’autore. Dopo aver sperimentato il più radicale cortocircuito tra discorsi auto-eulogisiici ed evangelici durante la produzione euforica delle prime tre parti di Così parlò Zarathustra, il compositore sentenziò che il concet­ to «dionisiaco» era diventato «azione suprema». In questo vivace episodio di scrittura, Nietzsche ha corretto l’utilizzo del linguaggio come mai prima, né dopo, esprimendo un discorso che fosse un pura auto-dichiarazione di estasi generativa. Ciò nonostante, Nietzsche non aveva pienamente ragione nel riservare la nomina di «azione 5

R.W. Emerson, Self Reliance, tr. it. a cura di Piero Pignata, Self Reliance: La fiducia in se stessi , Ibis, Como-Pavia 2003, pp. 23-25, 27,33, 35, 3739,51,51-54,71,99.

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suprema» solamente al predicato «dionisiaco». Nell’eruzione dell'e­ spressione, ciò che viene di più alla luce sono le irradiazioni apolli­ nee, che sembrano sopraffare lo smembramento dionisiaco. Non è un caso che, nel vangelo di Zarathustra, il sole, l’astro di Apollo, giochi il ruolo di ente esemplare e che per il nuovo profeta sia importante perfezionarsi imitando il sole. «Tutto ciò che tocco diventa luce» solo il sole potrebbe parlare così di sé. Questo vale soprattutto per le sue gesta e i suoi talenti più importanti - la propensione a prodigare incondizionatamente e la capacità di tramontare senza rimpianti. In entrambi i casi, l’insegnamento del tardo Nietzsche mira ad una imi­ tano solis. Solo il sole è eroico fino al tramonto e generoso fino alla dissoluzione. In un’occasione, l’aiitore aveva fatto notare alla sua giovane amica russa che « l’eroismo è la buona volontà del proprio tramonto assoluto». Soltanto i soli possono essere tanto dissipatori da venir interdetti dagli eredi giudiziosi, sempre che siano le idee economiche di questi ultimi a prevalere. Soltanto il sole possiede come prima natura la virtù che dona, soltanto ai soli non impor­ ta niente della simmetria tra dare e avere, soltanto i soli splendono sovrani sui proponenti e gli opponenti. Soltanto i soli non leggono le recensioni. Riguardo a questo ultimo punto, l’autore Nietzsche non è del tutto riuscito nel suo intento di divenire-un-sole, e anche qualcos’altro dà ragione di sospettare che il sole-Nietzsche partecipi alTUmano più di quanto la metafora non voglia rivelare. A comin­ ciare con la prima volta in cui Zarathustra si rivolge al sole: «Astro possente! Che sarebbe la tua felicità, se non avessi coloro ai quali tu risplendi! (... | Noi però ti abbiamo atteso ogni mattino e liberato del tuo superfluo; di ciò ti abbiamo benedetto».6 E culmina nella preghiera di Zarathustra alla sua volontà: - Perché io sia, un giorno, pronto e maturo nel grande meriggio |. .. l

[... | - pronto per me stesso e per la mia volontà più occulta: un arco anelante al suo dardo, un dardo anelante alla sua stella: -

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F. Nietzsche, Also sprach Zarathustra: Ein Buch für Alle und Keinen, ed. it. diretta da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Così parlò Zarathustra: Un libro per tutti e per nessuno, Adelphi, Milano 2000, p. 3.

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- una stella pronta e matura nel suo meriggio, incandescente, trafitta, resa beata da distruttori dardi del sole: - un sole e una inesorabile volontà solare [...J7

In queste frasi si riconosce che l’autore non simpatizza né con Γ al luci nazione filosofica, che in nome del «soggetto» proclama la fuga nell’identità, né con la filosofia del dialogo, in cui i soggetti si affrontano faccia a faccia oppure si incolpano di aver ritirato la faccia dal confronto. Gli interessi di Nietzsche sono rivolti ad una teoria del penetrato-penetrare, un’etica dello straripamento e dell’immissione nell’altro, una logica dell’assorbimento e della nuova-irradiazione. Non conosce la conversazione simmetrica, la negoziazione del valo­ re medio in mezzo alle banalità, bensì i rapporti inter-solari, lo scam­ bio di raggi da stella a stella, il pervadere di viscere in viscere, l’es­ sere gravidi o il rendere gravidi. «Nel ventre della balena, divento araldo di vita»8. Lui non si interessa di opinioni, ma di emanazioni. Su un piano intellettuale, è radicalmente bisessuale, una stella che brama di essere trafitta, e un sole, che trafigge e «vince», lo vengo penetrato, quindi sono, io ti irradio, quindi tu sei. Sessualizzando il suo sole, inverte la direzione dell’imitazione e costringe il sole a diventare imitatore degli uomini, purché l’ uomo sia un autore - un individuo penetrato dal linguaggio, dalla musica, una voce che cerca l’ascolto e che lo crea. Da questo punto, è possibile dare un altro giro di vite all’inter­ pretazione critico-linguistica del lavoro di Nietzsche. Quando l’ope­ razione evangelica di Nietzsche libera l ’auto-elogio, il sé di questo elogio risalta in una luce del tutto diversa. Nel constatare che la poe­ tica di Nietzsche ha annullato le regole dell'eulogia indiretta e reso possibile sostituire l’elogio dell’estraneo con l’auto-elogio, siamo di fronte soltanto al livello più esterno, quello del capovolgimento. A un livello più profondo, la lingua affermativa di Nietzsche è co­ stretta a lodare l’estraneo - loda proprio il non-sé, come mai è stato celebrato. Eppure, si dedica ad un'estraneità, che è di più dell’alterità dell’altra persona. Si espone ad un’estraneità che attraversa

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Ivi, p. 252. F. Nietzsche, Nachgelassene Schriften, KSA 10, p. 428.

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il parlante come se passasse attraverso un corridoio ri echeggiante, l’estraneità che lo penetra e lo rende possibile - con la sua cultura, la sua lingua, i suoi educatori, la sua malattia, i suoi avvelenamen­ ti, le sue tentazioni, i suoi amici, persino con il suo sé, che colloca le proprie parentesi ostensibilmente peculiari attorno ai fenomeni. Celebra dentro di sé una pienezza di estraneità, chiamata mondo. Qualsiasi cosa Nietzsche affermi a proposito di queste grandezze, si trasforma nell’elogio dell’estraneo in se stesso. « [...] come mio padre sono già morto, come mia madre vivo ancora [,..]».9 Quindi l’altruismo di Nietzsche va cercato sotto ai livelli manifesti d ’autoelogio - nella sua apertura all’estraneità interiore, nella sua eccessi­ va medialità, nella sua indulgente curiosità, nella sua mai totalmente compensata imbecillità. Perciò l’autore non è un semplice sole, ma piuttosto un corpo di risonanza. In quanto mia madre parlo ancora, in quanto miei futuri amici sono ancora da ascoltare. Si potrebbe descrivere Nietzsche come colui che ha scoperto l’etero-narcisismo: ciò che alla fine afferma in se stesso, sono le alterità che in lui e a lui si uniscono come in una composizione, che lo pervade, lo delizia, lo tortura e lo sorprende. Senza la sorpresa, la vita sarebbe un errore. Dev’esserci qualcosa al mondo che è più rapido delle cause. Ciò che veniva discusso sotto il titolo di «volontà di potenza», era il preludio ad una dottrina della composizione in quanto teoria del puro porsi. La teoria della volontà era una deviazione per la non scritta e più completa dottrina della critica alla ragione elogiativa, che descrive il mondo in termini di obiezione e suo superamento. Forse potremmo concederci di fare un’osservazione sul fatto che Nietzsche, come autore di lingua tedesca e di sintassi europea, ha raggiunto la cima. Nella sua culminazione come pensatore-cantante, potè sentirsi come un organon dell'universo, che si crea dei luoghi di auto-affermazione all’interno degli individui. Come filosofo avrebbe gioito troppo presto, avrebbe connesso lui stesso i bozzetti della teo­ ria della volontà in un’opera, per poi pubblicarli. Ma noi sappiamo che lo sfruttatore, il riciclatore e l’acceleratore lo hanno fatto in sua 9

F. Nietzsche, Ecce homo. Wie man wird, was man ist, tr. it. a cura di Roberto Calasso, Ecce homo. Come si diventa ciò che si è, Adelphi, Milano 2000. p. 17.

Il quinto «Vangelo» di Nietzsche

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vece, adoperando il suo nome per il marchio - e certamente contro la consapevolezza dell’autore, che nei suoi studi arriva abbastanza spesso al punto in cui annulla il presunto sistema, la dottrina ritenuta fondamentale: non c ’è nessuna volontà e di conseguenza nessuna volontà di potenza, volontà è solo un modo di dire, c ’è solo una pluralità di forze, di discorsi, di gesti, che ad essa Si-Compongono, sotto la regia di un lo, che si afferma, si smarrisce e si trasforma. E esattamente in questo che l’autore contraddice il proprio marchio, e le sue affermazioni a riguardo sono esplicite. Nel centesimo anni­ versario della sua morte, il meglio che possiamo fare è forse ripetere queste affermazioni, nella speranza che nessuna redazione futura le possa tagliare via: Bisogna che tutta la superficie della coscienza - la coscienza è una superficie - sia mantenuta pura da qualsiasi grande imperativo. E atten­ zione anche alle grandi parole, ai grandi atteggiamenti! [...] Non riesco a ricordare di essermi mai sforzato - nella mia vita non si rintracciano segni di lotta, io sono l’opposto di una natura eroica. «Volere» qual­ cosa, «aspirare» a qualcosa, avere in vista un «fine», un «desiderio» - tutto ciò io non lo conosco per esperienza. Anche in questo momento io guardo al mio futuro - un vasto futuro! - come a un mare liscio; nessun desiderio lo increspa. Non voglio in nessun modo che qualcosa sia diverso da come è; io stesso non voglio diventare diverso... Ma così ho sempre vissuto.10

Questo idillio dell’autore risponde ancora una volta aH’idillio-Zarathustra del meriggio, un’ovazione giacente sulla terra perfetta. Qui sembra che la terra risponda in anticipo alla domanda per la quale si ferma: Come una simile stanca nave nella più immota delle baie: così anche io riposo, ormai vicino, fedele, familiare alla terra, ad essa legato dal più tenue dei fili. Felicità! Felicità! Vuoi forse cantare, anima mia? Tu giaci nell’erba. Ma questa è l’ora segreta solenne, in cui nessun pastore soffia nel flauto.

IO Ivi, pp. 50-51.

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Guàrdatene! L’ardente meriggio dorme sui campi. Non cantare! Zit­ ta! Il mondo è perfetto."

Qui l’autore è chiamato da se stesso a smettere di essere un autore. Dove il mondo diventa tutto ciò che non si può risvegliare, non c ’è più nessuno scrittore. Lasciamolo nel suo vecchio meriggio. Dob­ biamo figurarci l ’autore che ha smesso, come un uomo felice.

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F. Nietzsche, Also sprach Zarathustra: Ein Buch für Alle und Keinen, ed. it. diretta da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Così parlò Zarathustra: Un libro per tutti e per nessuno, Adelphi, Milano 2000, p. 321.

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