Il problema Occidente. Mito, sacrificio, comunità nel pensiero di Jean-Luc Nancy

Mito, sacrificio, comunità, sono termini che hanno costantemente inquietato il pensiero di Jean-Luc Nancy lungo tutto il

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Mito

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La destituzione del senso dato

Anche la storia della luna e dei falò la sapevo. Soltanto, m'ero accorto, che non sapevo più di saperla. (Cesare Pavese, La luna e i fal,ò)

1 Come il torero il narratore di miti compie sempre un passo indietro, dice Kerényi 1• Al contrario del fìlosofo che impone la sua presenza indiscreta, che allunga l"ombra della sua mano e della sua voce nel «dire ciò che «veramente è''», il narratore di miti lascia erompere l"evento fondativo, «si volge verso i tempi primordiali per raccontare che cosa ''originalmente era". Originarietà, per lui, equivale a verità»2• In sorprendente sintonia con questi passi, Nancy dipinge minuziosamente la figura e }"azione del narratore di miti nella suggestiva apertura del secondo capitolo de La comunità inoperosa significativamente intitolato Il mito interrotto: Conosciamo la scena: alcuni uomini sono riuniti e qualcuno racconta. Non si sa ancora se costoro formino un'assemblea, se siano un'orda o una tribù. Ma li chiamiamo 'fratelli" per-

1 K. Kerényi, Introduzione. Origine e fondazione nella mito'logia, in C.G. Jung - K. Kerényi, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, tr. it. di A. Brelich, Bollati Boringhieri, Torino 2018, p. 22. 2 Ibidem.

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ché sono riuniti e perché sono riuniti e perché ascoltano il medesimo racconto. Non si sa ancora se quello che racconta sia uno di loro o uno straniero. Lo chiamano uno di loro, ma diverso da loro, perché ha il dono, o semplicemente il diritto - a meno che non si tratti del dovere - di raccontare. Non erano riuniti prima del racconto, è la narrazione che li riunisce. Prima, erano separati (questo è almeno quel che il racconto talvolta narra) e se ne stavano gli uni a fianco agli altri, cooperando e affrontandosi senza riconoscersi. Ma un giorno uno di loro si è ritirato, o forse è venuto, come se ritornasse dopo una lunga assen7.a o da un esilio misterioso. [ ... ] Racconta la loro storia o la sua, una storia che tutti conoscono, ma che lui ha solo il dono, il diritto o il dovere di raccontare. È la storia della loro origine: da dove vengano o come provengano dalr'Origine stessa [ ... ]. Egli parla, recita, a volte canta, mima [ ... ] . In questa parola del narratore per la prima volta la loro lingua non serve a nienfaltro che a mettere insieme e a esporre il racconto. Non è più la lingua dello scambio tra di loro, ma quella della loro riunione - la lingua sacra di una fondazione e di un giuramento. Il narratore la spartisce loro.3

L'immagine di questa scena, che Nancy riporta ricalcando lo stile e la cadenza tipica della sceneggiatura cinematografìca, è l"evocazione di un" origine. Vi troviamo tutti gli ingredienti: il fuoco, le ombre, la voce narrante e gli uomini raccolti in assemblea4. Scena primordiale, il mondo evocato dal narratore 3 J.-L. Nancy, I.A comunità inoperosa, tr. it. di A. Moscati, Cronopio, Napoli 2003, pp. 95-96. 4 Nel saggio del 1986 Nancy elabora un discorso sul mito riconducendolo alridea prettamente romantica di inaugurazione di una "nuova mitologia". Una sorta di volontà di poten7.a alla ricerca di un'Origine: «In realtà questa formula definisce, al di là del romanticismo e anche al di là della sua forma nietzscheana, tutta una modernità: tutta quelia modernità estremamente larga che abbraccia, in un'allean7.a strana e contorta, la nostalgia poeticoetnologica di una prima umanità mi tante e la volontà di rigenerare la vecchia umanità europea mediante la resurre-zione dei sui miti più antichi e la loro ardente messa in scena: intendo evidentemente il mito nazista» (ivi, pp. 99-

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dell'origine è il mondo raccolto in un senso atemporalmente presente e la cui presenza pretende di sporgere da ogni accelerazione storico-temporale. Il mondo che vibra della presenza degli Dei predispone un'esistenza regolata intorno a un chiaro onÙJ cosmologico. Il mondo del senso dato - immediato in quanto precede ogni esigenza interrogante - è avvertibile nella presenza di potenze regolate intorno a una struttura gerarchica in cui il divino interagisce con l'umano. È il regime della con-siderazione: un ordine astrale che non prevede erranza, abisso, che non si scioglie in un tempo storico, una comunione essenziale di abitatori presso un'origine. Quando un buco nero ghermirà questo mondo di forze, potenze, presenze, gerarchie, stagioni assemblate in un cosmos -1'ordine immutabile delle certezze affidate alla poesia e al canto-, la narrazione di eventi e figure incorniciati nei versi memorabili di quelli che Vico, mirabilmente, chiamò poeti-teologi5 diventerà piuttosto il lamento di una perdita. Le immagini di una fine annunciata che troviamo nei racconti di carattere mitologico vengono solitamente fissate o su quelle ferree e sanguinarie di un crepuscolo oppure su quelle più compassate e malinconiche di una partenza, di un esilio: l'abbandono degli Dei. Nancy nella figura della costellazione, disegna questo passaggio "traumatico". Il senso come eterno "dono" delle stelle si è disintegrato, non è più nella purezza immediata dell'integrità. Quell'erranza che caratterizza il movimento di alcuni astri - la percezione della quale, durante le solitudini notturne, si consigliava di non curarsene troppo oppure a impegnarsi, per ]'occasione, al]'esorcizzazione tramite un sistema di scongiuri -, è

100). Vinvenzione del mito in una società che sostanzialmente votata airassenza di mitoèrindice di una volontà nostalgica di unacomunioneperduta. 5 Cfr. G.B. Vico, Principi di scienza nuova (1744), in Id., Opere, 2 voli., a cura di A. Battistini, Mondadori, Milano 2001, voi. I, p. 559.

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ormai aberrazione, dominio di uno sviamento e di una frantumazione siderale: costellazione. Il senso è precipitato in un abisso. La costellazione apparirà non più come un cosmos ordinato ma come un agglomerato di stelle gettato in una qualche voragine siderale, sparso come un pugno di sabbia scagliata a caso, ogni astro col suo moto, ogni astro con la sua particolare orbita. Scrive Nancy:

r

A questo punto - ed è evento di tutta quesf epoca -

reven-

to occidentale per eccellenza - ha fine la considerazione, cioè l"osservazione e rosservanza dell'ordine siderale.6

Non considerazione ma de-siderazione: destituzione di un rapporto di garanzia col cosmo, con le stelle; uno sguardo de-siderato è lo sguardo del naufrago di un mondo cosmologicamente ordinato. E ancora: Desiderium: la desiderazione comporta il desiderio. Con il motivo del desiderio, la filosofia - fino alla psicanalisi - ha per la maggior parte, e manifestamente, intrapreso il motivo della privazione. Desiderio è la parola che noi usiamo per una perdita infinita del senso.7

Lo svanire di questo senso presente, che compromette le comunità nel suo accoglimento ingenuo, è lo svanire di una vita piena e priva di fughe, priva di tensioni. All"apparire del desiderio fa da controcanto }"avanzare di una mancanza, }"esacerbazione per il ripristino di condizioni di un passato che ora è diventato mito, owero nostalgia per una stabilità ormai schizzata verso un movimento aberrante, deviata rispetto a una consuetudine che assicurava ogni movimento circoscritto nei recinti della con-siderazione. Autunno del mito e alba 6 J.-L. Nancy, Il senso del mondo, tr. it., a cura di F. Ferrari, Lanfranchi, Milano 2009, p. 58.

7 lvi, p. 59.

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del desiderio: duplice movimento in cui un'apertura inedita è sempre lavorata ai fianchi da una volontà di ripristino di un mondo perduto. Un doppio movimento che per Nancy ha sempre esteso un fascino sinistro su tutta la storia occidentale. Per Nancy, rifuggendo anche da alcuni semplicismi di marca illuministica (l'epoca del rischiaramento del mondo, già awolto da oscure e impenetrabili nubi, la fioritura di una primavera che succede a un inverno della ragione), la formula miracolo greco è l7insegna di un nuovo paradigma. Scrive a riguardo: La costituzione della metafisica non deriva da un"autocostituzione del "miracolo greco". Essa è nata da una trasformazione dell'intero ordine dei "legami con l"inaceessibile"'. L'Occidente [ ... ] si è formato in una metamorfosi del rapporto generale con il mondo, nella quale ''l"inaccessibile" assumeva forma e funzione in quanto tale nel pensiero, nel sapere e nella condotta. 8

Il mito che si sgretola nella sua enunciazione nostalgica ormai priva di effetto, nella sua trasposizione in racconto, è già precipitato in una sostanziale svalutazione, una riduzione a fabula, chiacchiera, gran parlare. L'implicito visibile che modella l'esistenza è umiliato a finzione, nuovi saperi si costituiscono nella metamorfosi di un mondo nella sua relazione con l'inaccessibile. Nancy chiama «inaccessibile», «incommensurabile», «alogon»9 ciò che sorge da un movimento di esplicitazione verso una "ragione" che prima non era sottoposta a domanda. L'interrogazione angosciosa verso ciò che assume le vesti di incommensurabile modinca il rapporto col mondo, ne cambia il paradigma e la visione, che è ormai quella di uno sguardo verso un cielo che sfugge, verso una costellazione di pianeti erranti (è forse in questo momento che emerge l'angoscia come sentimento esistenzia-

8 J.-L. Nancy, La dischiusura. Decostruzione del cristianesinw 1, tr. it. di R. Deval e A. Moscati, Cronopio, Napoli 2007, pp. 15-16.

9 lvi, p. 16.

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le?). Mancante dell"oriente e interrogante quell"incommensurabile che prima palpitava implicitamente nell"aria tersa e aurea delle potenze presenti, ]"uomo è ora gettato in un fondo abissale e fa richiesta di salvazione a quello che si configura come principio. Una storia (nuova) si afferma intorno all"interrogazione sui principi (e dunque, sui fìni): la civiltà della filosofia. Che questa rivoluzione abbia avuto luogo in un punto preciso della Storia, che sia stata il culmine di un"onda lunga partita da un lontano passato, la stazione finale - che coincide sostanzialmente con quello che Jaspers chiamò ''periodo assiale", in cui > (C. Schmitt, Romanticismo politico, tr. it., a cura di C. Galli, Giuffrè, Milano 1981, p. 102).

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no di quell"Herder che già dal breve saggio Ober den F"leiss in mehreren gelehrten Sprachen del 1764 proclamava che la piena comprensione di una lingua è esclusiva di chi è partecipe del suo vissuto24. Da qui ad affermare che la capacità di ascolto della voce degli Antichi, la comprensione di tutto il loro bagaglio mitico e delle loro espressioni di rigogliosa immaginazione,. sarebbe stata preclusa a chi fosse stato estraneo al loro linguaggio, è un passo. Se la mitologia è l"espressione più genuina della sapienza poetica enunciata in una determinata lingua, solo il gruppo umano che si sente erede diretto della lingua che l"ha espressa, in quanto parlante, può comprenderla. In questo passaggio che conclude il Programma, nella proclamata osmosi tra filosofia e mitologia in nome di un nuovo culto di cui il popolo è il destinatario, Nancy e Lacoue-Labarthe vi hanno visto i primi vagiti di quella individualità collettiva,. il soggetto-popolo, che si affermerà nel XIX secolo: mais il faut encore que, par r échange du mythologique et du philosophique, le Idées puissent redevenir accessibles au peuple. C"est que r effectivité-efficacité de la philosophie suppose rhumanité-sujet elle-m@me pensée comme peuple (com me lieu privilégie du mythologique, lui-m@me conçu comme la possibilité d"une exemplarité et d"une fìgurabilité, d"une force formatrice, à m@me une langue déterminée), par

24 J.G. Herder, Ober den Fleiss in rnehreren gelehrten Sprachen, in Id., Siimmtliche Werlce, Weidmannsche Buchhandlung, Berlin 1877, pp. 1-7. Riportiamo a mò di esempio questo passo: «Hat also eine jede Sprache ihren bestimmten Nationalcharakter,. so scheint uns die Natur bloB zu unsrer M uttersprache eine Verbindlichkeit aufzulegen,. da diese vielleicht unseren Charakter angemessener ist, und unsre Denkungsart ausfiillet. Fremden Nationen werde ich vielleicht ihre Sprache nachlallen konnen, ohne bis auf den Kem ihrer Eigenheit zu dringen. Gestorbne Sprachen werde ich vielleicht den Worten nach aus ihren Denkmalem mit vielem Schweisse erlernen, aberihr Geist verschwand mir>> (ivi, p. 2).

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où le Sujet lui-m@me, dans son propre savoir et sa certitude de soi, laconscience de soi camme telle puisse enfìn advenir.25

Lo sforzo degli autori del Programma ebbe come punto di partenza quello di ridicolizzare la fìgura dell'intellettuale illuminista, l'altezzoso che dalla torre d'avorio del suo sapere dispensa ricette e pretende di educare il popolo opponendo a quest'ultimo una distanza invalicabile in modo da tenerlo in condizione di subalternità. Ripudiare la boria del phuosophe e farsi organico al popolo, solo in questo modo è possibile quella «eguaglianza degli spiriti»2.6 che sarà alla base della nuova società e alla quale gli autori del Programma anelavano. Se il vincolo che unisce filosofia e mitologia dovrà obbligatoriamente pianifìcare lo schema di un'educazione estetica che abbia come fineun popolo autocosciente, il compito del filosofo sarà quello di incanalare la mitologia sotto forme razionali, utilizzare dunque le categorie della filosofia affinché le ''immagini parlanti", i miti, siano il permanente orizzonte educativo in cui il popolo riconoscerà se stesso. Solo così sarà possibile eliminare il "diaframma culturale" che oppone filosofo e popolo. Ciò che schiude alla partecipazione del popolo, ciò mediante cui è possibile una nuova configurazione comunitaria («Allora regnerà eterna unità fra noi»21) - in fondo una rinnovata immagine del popolo, un popolo che deve essere "formato esteticamente" -, è, dunque, la mitologia, della quale il popolo è l'indubitabile depositario, il luogo privilegiato che custodisce il linguaggio narrante ed evocativo.

Nancy e Lacoue-Labarthe hanno scorto nelle teorie romantiche di Jena una riattualizzazione di un certo platonismo, più precisamente: «l'ultime répétition de l'eidétique occidenta-

25 P. Lacoue-Labarthe - J.-L. Nancy, V'absolu littéraire, cit., p. 52. 26 Il più antico progmmma, cit., p. 27. 27 Ibidem.

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le dans l'élément de la sujectivité»28 • Un platonismo filtrato e riletto dalle categorie moderne del soggetto dopo la riforma kantiana, dove la potenza estetica che ha innervato il sapere di un filosofo onnai più prossimo al poeta, secondo gli estensori del Programma, non è pura contemplazione dell''idea di Bellezza - l''idea suprema, quella che compendia tutte le altre-, ma dovrà compiersi realizzandosi nell'opera d'arte: «Ora io sono convinto che l'atto supremo della ragione, quella col quale essa abbraccia tutte le idee, è un atto estetico»29 • Nell'opera d'arte, nell'elaborazione artistica riluce l'essereidea della Bellezza, non come oggetto indipendente in-sé, ma come creazione di un soggetto, espressione della sua volontà, compimento della speculazione estetica: Une telle éidesthétique-si l"on nouspardonne ce "concept-valise" - est de fait ce qui trace, dans le paysage de l"idéalisme en général, l"horizon propre du romantisme. L'horizon philosophique du romantisme.30

In questa immanentizzazione estetica dell'Idea platonica vagliata dalle trame del soggetto moderno operata dai romantici, ciò che si può definire come il "bagaglio della mitologia", il complesso delle narrazioni mitologiche, diventa decisivo in vista del processo di fìgurabilità. Se il fìlosofo deve possedere un potere estetico altrettanto potere estetico quanto il poeta, significa che il filosofo deve eguagliare il potenziale evocativo che è proprio della poesia. Filosofia poetante: in altre parole, poiché l'idea di bellezza è l'idealità stessa dell'Idea, l'Estetica speculativa in cui culmina il Sistema-soggetto deve necessariamente capovolgersi in speculazione estetica; la filosofia deve presentarsi, esporsi, realizzarsi in un'opera d'arte. L"arte 28 P. Lacoue-Labarthe - J.-L. Nancy, L>absolu littéraire, cit., p. 52. 29 Il più antico programma, cit., p. 23. 30 P. Lacoue-Labarthe - J.-L. Nancy, L>absolu littéraire, cit., p. 52.

52 è il dispositivo speculativo per eccellenza. Allo stesso modo il

filosofo-pedagogo deve saper rendere accessibili le figure simboliche necessarie per la formazione del popolo. La raffigurazione (Darstellung) dell"immagine mitica evocata - il rendere estetico il mito - è necessaria aU'edificazione di un popolo determinato. È la bilàende Kraft come iisthetische Kraft: la potenza formativa è potenza estetica. L'impellente necessità dei pensatori romantici di dare uno statuto educativo al popolo, mentre rivelava la consapevolezza tutta moderna del suo essere immersa nei vortici di un accento "nostalgico" - ciò che contraddistingue il senso fuggente che caratterizza ogni desiderio-, attivava uno speciale movimento del desiderio che aspirava a ripristinare la verità del senso dato, della presenza come garanzia dell'essente, l'auspicio di un rinnovato incontro tra il desiderato e il dato (ciò che Nancy chiama onto-teo-erotologia31 ), che avrebbe riempito la mancanza, l'esaurimento del senso, in una modalità che ha visto l'inaugurazione dell'ermeneutica moderna. La volontà desiderante del soggetto di riacquistare quella immediatezza del senso, nel suo indirizzarsi a ciò che è irrimediabilmente perduto, alla decifrazione del suo mistero, proprio cosl annulla le distanze attraverso il suo sguardo interpretativo. La riconquista mediata dell'origine, provocata dal circolo ermeneutico di cui notoriamente Schleiermacher12 fu uno degli scopritori, rende dunque l'interprete non un estraneo bensl uno stretto partecipante, un adepto a quel senso che è stato riesumato dal suo sepolcro: Nel suo atto di nascita, l"enneneutica moderna è l"operazione - mediati7.7.ata da una storia e come storia - del rilevamento o della riappropriazione di un soggetto, di un soggetto

31 J.-L. Nancy, Il senso del mondo, cit., pp. 68-69. 32 J.-L. Nancy, La partizione delle voci, cit., p. 23.

53 del senso e del senso di un soggetto. Utilizzando i due grandi versanti tradizionali dell"interpretazione cristiana (che sono a loro volta ripresi, trasformati e rilevati nell"ermeneutica moderna), potremmo dire: nell"interpretazione allegorica del senso dà sempre il soggetto, e l"interpretazione grammaticale del soggetto dà sempre il senso [ ... ] . Il circolo ermeneutico è il processo di questa doppia interpretazione, la cui condizione è dunque costituita dalla presupposizione del senso, o da quella del soggetto, a seconda del versante o del momento che si intenda privilegiare. La credenza ermeneutica in generale non è nient"altro che questa presupposizione, che può assumere alternativamente - o, del resto, simultaneamente la figura filosofica della coppia del senso e del soggetto, la figura religiosa del dono della rivelazione nel simbolo, la figura estetica dell"opera originale e della sua tradizione.a.,

Caduto l'oblio sull'essere che si dava come foresta di simboli, la quale invitava alla decifrazione mediante corpi ermetici, nella modernità l'elemento di rilievo dell'interpretazione soggettiva è l'adesione a un senso non-evidente e non-dimostrabile, una pre-comprensione che suscita l'operatività di strumenti critici in grado di concludere il processo ermeneutico. Questo tentativo di riappropriazione del mito è pur sempre una tecnica moderna di evocazione razionale: un soggetto, posto a una distanza incolmabile da un passato immemorabile - quel passato immemorabile in cui la potenza del mito orientava le esistenze -, nel suo tentativo di catturarlo e riportarlo in vita nella sua presunta genuinità, mira a renderlo disponibile sotto forma di immagini simboliche, al fìne di assolvere a un ben determinato utilii..zo, owero portare a compimento il processo di identifìcazione di un soggetto-popolo. La chiave che consente ]'accesso alla porta del mito è fornita dal moderno sapere estetico, l'autocoscienza di un popolo determinato si esprime come opera d'arte. 33 lvi, pp. 24-25.

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2 Nancy e Lacoue-Labarthe attribuiscono ai cenacoli intellettuali di Jena, dai quali scaturirono il movimento romantico prima e, successivamente, l'idealismo speculativo tedesco, l'aver scoperto: «l'esistenza di due facce nella cultura greca: una Grecia della misura e della chiarezza [ ... ], della città, della luce; e una Grecia sotterranea, notturna, oscura, vale a dire la Grecia arcaica e selvaggia dei rituali unanimisti, dei sacrifìci cruenti e delle ebbrezze collettive, del culto dei morti e della madre-terra - in breve una Grecia mistica»34 • Una polarità su cui, a sua volta, Nietzsche imprimerà un sigillo indelebile introducendo le categorie di apollineo e dionisiaco, le due sponde bagnate dallo stesso mare greco, delle quali una, quella mistica, si distanzia notevolmente dalle classiche pagine winckelmanniane che esaltano il luminoso e delicato sentimento della pura bellezza connaturato allo spirito greco, profonda ragione, secondo Winckelmann, della sua superiorità rispetto agli altri popoli. Una Grecia ctonia e notturna, scarsamente presa in considerazione dai cultori di estetica, che trova l'occasione di suscitare l"interesse di Nancy e Lacoue-Labarthe nel tentativo di delimitare quel nebuloso nucleo mitico da cui il nazismo avrebbe tratto utili materiali per l'edifìcazione del suo apparato ideologico. L'inclinazione dei tedeschi per questa componente, che per compiti di semplifìcazione chiameremo dionisiaca, della civiltà greca, secondo Nancy e Lacoue-Labarthe, si spiegherebbe con la febbrile ricerca di un'alternativa a quella Grecia che, nelle sue sfolgoranti vesti solari-olimpiche, funse costantemente da musa ispiratrice nei processi di identificazione dei popoli che abitano i litorali del Mediterraneo e che storicamente hanno

34 P. Lacoue-Labarthe - J.-L. Nancy, Il mito nazi, tr. it. di C. Angelino, Il melangolo, Genova 1992, p. 40.

55 maggiore dimestichezza e vicinanza con il mondo classico, in particolar modo Italia e Francia35 • Lo sguardo sempre più interessato che lo spirito tedesco di fine Settecento - impegnato nell'elaborazione di categorie proprie che supportassero l'agognata riunificazione delle frammentate terre germaniche in un'unica compagine statale come sigillo dell'indipenden7~ nazionale - rivolse al]'altra Grecia, fu la risposta dettata da una perdurante condizione di sentita inferiorità culturale nei confronti dei popoli confinanti, verso cui porre solidi argini per evitare ogni tentativo di assimilazione che li riducesse a essere membri del medesimo ambito parentale, una risposta che li indusse a pensare meccanismi di differenziazione nei quali riconoscersi come piena individualità. Una dinamica che, come abbiamo visto in precedenza, aveva investito diversi settori culturali della Germania del XVIII secolo e in cui il magistero di Herder, il discepolo dell'allucinato anti-illuminista Hamann, avrebbe fatalmente intersecato i momenti di tensione politici dell'epoca, culminati nella strenua lotta contro l'egemonia napoleonica nel suolo germanico. Alla più volte sottolineata, da Nancy e Lacoue-Labarthe, importanza che i cenacoli jenesi ebbero nel processo di identificazione dei tedeschi con l'auspicare l'awento di una nuova "religione sensibile", fa da contraltare un assoluto silenzio, da parte dei due filosofi francesi, sul ruolo decisivo che nell'investigazione del mito rivestl nel medesimo periodo una robusta schiera di esponenti romantici che operarono nella cittadella universitaria di Heidelberg16 • Una lettura completa del movimento romantico tedesco non può infatti prescindere dall'e-

35 lvi, p. 41. 36 Sul cosiddetto "romanticismo di Heidelberg" si veda l'utilissimo volume di G. Moretti, Heidelberg romantica. Romanticismo tedesco e nichilismo europeo, Morcelliana, Brescia 2013.

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videnziare la presenza al suo interno di un polo alternativo ai cenacoli di Jena, in grado di elaborare un indirizzo originale rispetto alla sede che fu la patria degli Schlegel, di Hegel, di Holderlin, di tutti coloro che vengono indicati come gli estensori del Più antico programma. Uno dei più convinti assertori delt'esistenza del polo di Heidelberg, probabilmente il primo che traccio i lineamenti di questa particolare articolazione del movimento romantico tedesco, fu un pensatore votatosi negli anni Trenta del secolo scorso alla causa del nazionalsocialismo: Alfred Baeumler37. Cosl come nel voluminoso L:,absolu littéraire non si fa il minimo cenno aWesistenza di una "scuola romantica di Heidelberg" accanto a quella di Jena, il nome di Baeumler - figura di un certo rilievo del mondo accademico tedesco negli anni tra le due guerre mondiali, del quale non possono essere taciuti gli studi sulla dialettica storia-mito-18 e }>interpretazione di Niet7sche che spalancò ropera dell:,autore de La nascita della tragedia alruso politico nazista19 - è totalmente ignorato da Nancy e Lacoue-Labarthe40 nel denso libello sul mito nazi.

37 Per un profilo di Baeumler si veda G. Moretti, Alfred Baeumler, in «Filosofia oggi», n. 3, 1987, pp. 393-407. 38 Il testo di riferimento è Vom Winckelmann zu Bachofen del 1926, parte centrale di una lunga introduzione a un testo antologico di Bachofen, Der Mythus oon Orient und Occident. La traduzione italiana di Giampiero Moretti è contenuta nel volume curato dallo stesso Moretti: A. Baeumler - F. Creuzer- J.J. Bachofen, Dal, simbolo al, mito, Spirali, Milano 1983, voi. I, pp. 85-190. 39 Cfr. A. Baeumler, Nietzschefilosofo e politico, tr. it. di A. Terzuolo, Edizioni di Ar, Padova 2007. Sulle implicazioni politiche di marca nazista del pensiero di Nietzsche si veda G. Penzo, Il superamento di lilrathustra. Nietzsche e il nazionalsocialismo, Armando, Roma 1987. 40 P. Lacoue-Labarthe accenna a Baeumler nel saggio Lo spinto del nazionalsocial,isnw e il suo destino, in F. Fistetti (a cura di), La Germania segreta di Heidegger, Dedalo, Bari 2001, pp. 11-22, uno scritto dove i rapporti tra

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Baeumler, i cui scritti attirarono l'interesse di Heidegger e col quale ci furono scambi continui saldati da un rapporto di stima reciproca41 , si fece latore, nella krisis del primo dopoguerra, di una rilettura del movimento romantico tedesco alla luce dell'opera di Bachofen. Attraverso gli studi sul ""mondo delle madri" dello svizzero, Baeumler individuò una linea alternativa rispetto a Jena in cui la posta in gioco fu la cruciale tematica del mito. La genuinità della ricezione del mito e, dunque, il suo rapporto critico con la storia, è il punto di divaricazione tra le due scuole. Baeumler, infatti, sulla scorta di Bachofen, vide nella strutturazione comunitaria dell'epoca mi-

Heidegger e il nazismo sono letti dal filosofo francese in chiave filosofica: «Heidegger [ ... ] non è qui considerato come un pensatore nazista (lo fu anche seppur per breve tempo), ma come il pensatore del nazionalsocialismo, cosa che egli ha al tempo stesso confessato e dissimulato. La proposizione "Heidegger è il pensatore del nazionalsocialismo" significa che Heidegger ha cercato di pensare - e in questo caso è stato probabilmente il solo - rimpensato del nazionalsocialismo» (ivi, p. 11). Sulle affinità tra Baeumler e Heidegger durante il periodo nazista, Lacoue-Labarthe esprime questo giudizio liquidatorio: «il pensiero di Heidegger è almeno più sottile e scaltro di quello del romanticismo generali7.7.ato. Egli lascia ai "pensatori" del Partito (Bertram, Krieck, Baeumler) la cura di opporre ingenuamente il mythos e il logos; e a Rosenberg di definire in risposta al nichilismo e al declino spengleriano, "il mito del XX secolo"» (ivi, pp. 17-18). Dense pagine sul rapporto Baeumler-Heidegger sono quelle del saggio- successivo a quello di Lacoue-Labarthe -di F. Fistetti, Heidegger e la rivoluzione nazionalsocialista, ivi, pp. 23-104. 41 Lettera di M. Heideggerad AffredBaeumlerdel19agosto 1932, in «Mar-

gini. Letture e riletture»,XI.JV, 2003, p. 5. A proposito del lavoro di Baeumler su Nietzsche, Heidegger scrive: «Vaccostamento fra grecità e "antichità classica" mi sembra particolarmente riuscito-valuto altresì positivamente l'intero Suo volumetto Reclam - giacché vi compare l'opera "oggettiva" di Nietzsche. Quando Lei, però, vuol interpretare non certo la "psicologia" di Nietzsche, ma ciò che viene chiamato r"esistenziale", non posso scorgervi quello che oggi è il maggior pericolo; giacché l'esistenziale in filosofia ha diritto e valen~ solo là dove esso venga concretato dalropera e sia al contempo l'opera-manufatto nel suo senso proprio originario» (ibidem).

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tica il trionfo del matriarcato, antecedente quindi all'instaurazione di quelle società "olimpiche" sorte dalla frattura traumatica che aveva deposto l'epoca mitica inaugurando quella storica. Il nodo della questione è, dunque, sempre l'intetpretazione delle società arcaiche operata da Winckelmann in chiave estetica, e quindi quella grecità ''solare" tanto esaltata, che Baeumler leggeva come i primi germogli del pensiero razionale in Occidente: «Winckelmann ha in effetti reciso alla radice la "pianta" dell'arte greca. Egli l'ha considerata solo fìnché visse alla luce; la radice, confìccata nell'oscuro e materno suolo del mito, non la vide» 42• La scuola di Jena, in fondo, secondo la critica baeumleriana, non fece che ricalcare i sentieri già percorsi da Winckelmann - Baeumler non risparmia giudizi salaci sull'ascendenza winckelmanniana degli Jenesi: «Finché fu un ammiratore dei Greci, Friedrich Schlegel rimase l'allievo di Winckelmann»43, e ancora: «F. Schlegel non ebbe alcun senso del mito. Il suo libro è divenuto signifìcativo per l'approccio scientifìco con il linguaggio e la letteratura indiane; esso non ha alcun ruolo nella storia della coscienza mitologica del Romanticismo»44 - , mancando l'obiettivo di rievocazione genuina del mito proprio perché ingombra di categorie estetiche, di sapere soggettivo, le quali sarebbero state poi le responsabili dello schiudersi ai loro occhi di una visuale del rapporto tra storia e mito dettata da una temporalità a carattere "progressista". È questa di Jena una concezione del mondo mitico tutta interna alle categorie storiche, mitolngia, owero creazione della più infantile e sfrenata fantasia, che può risolversi unicamente come strumento dell'istanza soggettiva, il mito come oggetto manipolabile nelle mani del soggetto estetico.

42 A. Baeumler, Da Winckelmann a Bachofen, in A. Baeumler - F. CreuzerJ.J. Bachofen, Dal, simbolo al, mito, cit., p. 94. 43 Ibidem.

44 lvi, p. 97.

59 Al contrario a Heidelberg, in virtù di un"indagine storica maturata grazie a un più spiccato retroterra religioso, ]"investigazione sul mito subl una torsione particolare dove una minore preparazione fìloso6.ca venne compensata dalle ricerche sulla natura del simbolo, sui costumi e i canti aviti. Nel tracciare un percorso che da Gorres porta a Bachofen, passando per Creuzer e i fratelli Grimm, Baeumler stende un filo unitario che sta alla base della produzione saggistica degli studiosi elencati, concernente un"attenzione particolare per l"Oriente, visto come contenitore di esuberanza vitale contrapposto a un Occidente appesantito da una ragione dimostrativa, impegnata a esorcizzare tutto ciò che potesse esondare dalle proprie maglie. Un Oriente che sarebbe rimasto immune da quella deriva razionalista che si affermò a un certo punto in Occidente, mostrando per questo maggiore fedeltà a quel mondo dominato dell'elemento materno descritto da Bachofen. La fascinazione per ]"Oriente è dunque un argomento che Baeumler utilizza per dare corpo alla sua tesi (corroborata da alcuni passi di Schelling - il quale fu, però, estraneo alle discussioni che animavano i circoli di Heidelberg -, della sua Fflosofia della mitologia, passi che nel complesso dell'opera appaiono alcune fo17..ature interpretative)45, per la quale I"epoca mitica non sa-

45 Cfr. F.W.J. Schelling, Filosofia della mitologia, tr. it. di L. Procesi, Mursia, Milano 1999. Utilissimo nel rilevare le contraddizioni dellaletturaschellinghiana di Baeumler è il contributo di Giampiero Moretti: «Ed è invece proprio dalrottava lezione dell'Introduzione alla Filosofia della mitologia, e dalla decima, che Baeumler deriva il principio della separazione fra tempo storico e tempo preistorico, facendone subito la linea portante di questo Da Winckelmann a Bachofen. Quel che però Baeumler non dice è, in primo luogo, che per Schelling il problema mitologico è un problema teologico, e precisamente di teologia cristiana, da vedersi nel suo rapporto con la Rivelazione; in secondo luogo, che il principio di un tempo preistorico occorre a Schelling per dimostrare che il politeismo non ha un inizio storico preciso (il contrario è invece per la Rivelazione cristiana). [ ... ] Ancora deve essere osservato che per Schelling è necessario che esista già un'umanità provvista

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rebbe l'inevitabile preludio ali'epoca storica, come vorrebbero tutti coloro che subiscono l'attrazione della signincatività delle immagini simboliche ma le riducono a oggetto di apprez7.amento estetico, bensl la civiltà mitica e la temporalità che la sorregge sarebbero incommensurabili allo spazio-tempo storico. Per Baeumler la ricezione del mito, se non si procede verso una demarcazione netta tra esso e la storia, rischia inevitabilmente di essere passato in rassegna dall'investigazione razionale e, dunque, di perdere il suo aspetto più genuino per essere costretto entro recinti di liquidazione fantastica come quella grecità, cosl limpidamente esemplincata da Winckelmann, buona come oggetto di godimento estetico; operare dunque la separazione tra storia e mito, liberare quest'ultimo dal filtraggio delle categorie razionali, consentirebbe di riportare ali'attenzione quelle forme d'espressione irrazional,i che ancora sopravvivono in determinati ambiti del folklore popolare, e che ancora pulsano di energia mitica, affinché si ripristini quella stabilità genealogica che affonda le radici nel territorio materno. Se Alfred Baeumler (un Baeumler, ricordiamolo, ancora lontano dall'approdare nei lidi nietzschiani e operare quella nefasta intetpretazione politica della Wille zur Macht) è una figura estranea al Nancy che esplora il "mito nazi" - il quale ne avrebbe guadagnato assai nel capire per quale concatenazione di autori l'evocazione della potenza del Boden ebbe origine dalla scoperta e dal recupero dell'al,tra Grecia, quella ctonia e notturna-, non si può ritenere però totalmente fuorviante la sua circumnavigazione intorno al periplo dell'ideologia nazista. Nancy e Lacoue-Labarthe introducono infatti un personaggio, certamente intellettualmente e filosoficamente meno dotato di Baeumler, ma non per questo, tirando le somme, meno impor-

di coscienza affinché possa darsi qualcosa come la mitologia>> (G. Moretti, Introduzione, in A. Baeumler, Da Winckelmann a Bachofen, ivi, pp. 30-31).

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tante rispetto al commentatore di Bachofen. Un personaggio che risponde al nome di Alfred Rosenberg. In un possibile confronto fra i due, in cui è necessario sempre segnalare l'adesione di entrambi al nazionalsocialismo- precisando però che mentre Rosenberg fu tra i fon datori del Partito Nazista (e fu membro di quel brodo di coltura dal quale si formò il partito, la Società Thule del commediografo antisemita Diettich Eckart) e successivamente s'impegnò a sistemati72are l'ideologia nazista nel suo Der Mythus des 20. Jahrhunderts, Baeumler aveva da tempo una solida carriera accademica prima di aderire al nazismo trionfante al potere-, Baeumler sembra più un raffinato (e nostalgico) cultore di quelle forze primigenie che effondono i miti e che gli possono permettere di stilare, attraverso una ripresa delle intuizioni romantiche, una nuova pedagogia politica per il popolo tedesco dopo il disastro bellico, mentre Rosenberg - e questo mostra tutta la validità della lettura di Nancy e Lacoue-Labarthe -, più che confidare nella "Germania segreta", dà un taglio decisivo ai fini di questa costruzione ideologica, in cui gli apporti moderni si rivelano fondamentali e senza i quali sarebbe impossibile capire il nazionalsocialismo. Questa lettura del fenomeno evita loro quella semplicistica tendenza che vuole una condanna in toto della cultura tedesca nelle vesti di indiscutibile matrice del nazismo: Fra una tradizione di pensiero e rideologia che successivamente, sempre in modo abusivo, pretende di derivarne, c'è un abisso. Il nazismo non si ritrova né in Kant, né in Fichte, né in Holderlin o in Nietzsche (tutti pensatori chiamati in causa con insisten7.a dal nazismo) - neppure, al limite, si trova nel musicista Wagner [ ... ]. Si deve condannare solo il pensiero che si mette consapevolmente al servizio di un'ideologia, e si pone al riparo o cerca di approfittare della sua fo17.a: Heidegger durante i primi dieci mesi del nazismo.◄6

46 P. Lacoue-Labarthe - J.-L. Nancy, Il mito nazi, cit., p. 32.

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Questa precisazione è utile per capire come la delimitazione di un'ideologia preveda la constatazione che le sue frontiere funzionano come la carta assorbente nei confronti di una tradizione di pensiero: per darsi una fisionomia esse devono succhiarne la linfa vitale distendendola nei loro corrugamenti. Un'ideologia priva di una tradizione di pensiero alla quale riferirsi è come un terreno arido e infecondo, rinsecchitosi troppo presto al sole della Storia. Rosenberg, consapevole di ciò, da buon ideologo moderno impegnato nel fornire una legittimazione teorica all'azione del suo partito, nella sua opera principale confeziona una serie di precursori del nazismo all'interno della 6liera del pensiero tedesco degli ultimi secoli. E la logica con la quale compila queste liste è ascrivibile a geometrie riferibili alla metafisica del soggetto. La costruzione di un mito (impresa moderna) del nazionalsocialismo, ci suggerisce Nancy, è in tutto e per tutto un"operazione di consolidamento del soggetto nazista, in cui diventa obbligatorio impadronirsi dei mezzi di identificazione: tradizioni, miti, ballate, tutto ciò che concerne riflessioni etnologiche e patrimoni folkloristici saranno utili strumenti per l"edificazione di un soggetto che opera nella Storia. Ma in quest'affastellarsi di miti che incitavano le corde sentimentali degli esponenti romantici, Rosenberg vede nient"altro che la forza straordinaria che emanano immagini simboliche capaci di una forte carica mimetica47, figure parlanti in grado di orientare e condizionare la credenza delle masse. Siamo certamente nei pressi di quella che Kerényi chiamò "tecnicizzazione del mito", entro cui innestare gli studi d'avanguardia sulla psicologia delle folle di Le Bon. Per quanto i miti abbiano esercitato un"incredibile funzione mimetica, per quanto i toni del Fiihrer possano aver penetrato i recessi dell'animo tedesco risuscitando dal suo in-

47 lvi, pp. 34-44.

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conscio collettivo l"archetipo del dio-sciamano Odino, affinché gli strumenti di persuasione del mito nazista da offrire alle masse potessero aver successo, il soggetto nazista per riconoscer-si (per ammantare di senso il suo stare-insieme) dovette passare per la cruna della logica dimostrativa moderna e darsi una legge, la cui indubitabilità rispondeva alla capacità di mettere in relazione i fenomeni ossetvati. Tutto l"immaginario mitico propagandato dal nazismo passa dunque in subordine rispetto alla legge che lo ordina, che è di matrice scientista di stampo datwiniano: la legge della razza. Tutta l"opera di Rosenberg, depurata degli elementi culturali (che si rivelano essere, in fìn dei conti, degli orpelli), si può leggere quindi come un compendio di teorie positiviste, in cui si esalta un unico elemento, un elemento che, in tutti i suoi risvolti di carattere biologico, ha la sua genesi nella scienza moderna: la razza. Non la lingua48 dove, nella molteplicità dei segni e delle immagini, risuona la differenza dei popoli, come scriveva entusiasticamente Herder, ma è la razza che dà voce all"anima - «Seele aber bedeutet Rasse von innen gesehen. Und umgekehrt ist Rasse die Aussenseite einer Seele»49 - , i focolari da cui s"innalzavano i canti delle saghe germaniche per chi era venuto alla terra si trasformano nelle cattedrali di luce che riuniscono quella massa compatta nel tormentato desiderio di coesione assoluta50, l"essere fìnito costretto in una totalità immanente, «Soggetto assoluto, che crea se stesso, un soggetto che non si fregia soltanto di un potere conoscitivo (come in Cartesio), o

48 «[ ... ] la 1"3Z7.a, il popolo dipende clal sangue, e non dalla lingua. Questa affermazione è ripetuta ad ogni piè sospinto da Rosenberg e da Hitler» (ivi,

p.51). 49 A. Rosenberg, Der Mythus des 20. Jahrhunderts, Hoheneichen-Verlag, Miinchen 1939, p. 2. 50 Cfr. M. Abensour, Della compattezza. Architetture e totalitarismi, tr. it. di G. Raccis, Jaca Book, Milano 2012, p. 59.

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spirituale (Eckhart), o speculativo (Hege]), ma che riunirebbe o trascenderebbe tutte queste determinazioni in una posizione immediatamente e assolutamente "naturale": nel sangue e nella razza. La razza ariana è, in questa prospettiva, il, Soggetto»51 • L"ossessione claustrofobica tutta scientista della lotta per l"e-

sistenza, nel piano di competizione vitale in cui le razze si combattono alla stregua delle altre specie animali, ghermisce l"immemorabile del mito pervertendone e manipolandone i significati in figure sempre disponibili che annunciano il sogno di volontà di potenza della razza.

3 La primogenitura e la successiva appropriazione che i roman-

tici rivendicarono su quell"aspetto della grecità scarsamente esplorato e non requisito, come quello ''classico"", da altri popoli, che doveva dare fondamento alle aspirazioni per un progetto di rinnovata edificazione mitica in vista della realiz7azione del programma di educazione estetica per il popolo, non si sarebbe limitata alla pura e semplice imitazione degli Antichi ma, nella raffigurazione del mito, nell"evocazione della sua voce, ]"apice di questo processo avrebbe portato a una sorta di partecipazione mistica in cui tutte le generazioni di un popolo determinato si sarebbero fuse in un"unità atemporale52, sciolte dalla costrizione di un divenire considerato nella sua inesorabilità.

51 P. Lacoue-Labarthe - J.-L. Nancy, Il mito nazi, cit., p. 54. 52 «Il singolo sta inevitabilmente nel flusso; lo stesso fluire scorre in ogni singolo dalle lontananze del tempo, e reclama ascolto per il proprio scrosciare. I morti vogliono essere presenti se i vivi prendono decisioni. Essi non sono morti una volta per tutte e scomparsi dalla terra: gli antenati sono,

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Proprio per questo l'opera d'arte non fu per costoro qualcosa che doveva rispondere a criteri estetici astratti, a criteri del bello indipendenti dall'epoca in cui era stata realizzata; essa era una porta aperta che avrebbe messo in comunicazione mondi affini, ricongiungendoli. Un'opera d'arte, secondo queste indicazioni, non poteva mai essere avulsa dal contesto da cui era sorta, dalle radici dalle quali era germogliata. Su questa nozione di affinità - sulla supposta omogeneità espressiva che stringerebbe in un legame temporale le generazioni del passato con quelle del presente - si possono scorgere quei precedenti su cui molti autori, nell'800 e nel '900, insisteranno in modo particolare. In realtà questo ponte steso tra Moderni e Antichi è, per Nancy, il più valido certificato dell'illusione di chi si dimena nella costruzione di affascinanti apparecchi acustici i cui echi non sono le voci catturate da remoto bensì lo strazio della propria voce che rimbal7.a sulla parete: un effetto auto-acustico. Per quanto il desiderio sospinga l'anima anelante a credere di attraversare un ponte gettato nella noncuranza per i secoli trascorsi, la realtà è quella di un fossato invalicabile che divide due sponde la cui opposizione invita a detergere gli occhi trasognati e a guardare lucidamente il mito una volta dissoltosi l'alone mistico che lo circonfonde. Fronte~are da una sponda opposta il mito è riconoscerlo per quello che è: un mito, una finzione. Certamente non sappiamo che ne è stato e che ne è della verità mitica degli uomini che vivono in seno a ciò che chiamiamo "i miti,,. Ma sappiamo che noi - la nostra comunità, ammesso che sia tale, la nostra umanità moderna e post-moderna- non abbiamo rapporti col mito di cui parliamo, anche quando lo compiamo o vogliamo compierlo. In un certo senso del mito ci restano soltanto il suo compimento o la sua volontà. Noi

e continuano ad agire e a consigliare nella "comunità" dei discendenti» (A. Baeumler, Da Winckelmann a Bachofen, cit., p. 117).

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non siamo né nella vita, né nell'invenzione, né nella parola mitica. Non appena parliamo di "mito", di "mitologia", significhiamo forse più questa negazione che non l'affermazione di qualcosa. È per questo che la nostra scena e il nostro discorso del mito, tutto il nostro pensiero mitologico sono un mito: parlare del mito è stato parlare della sua assenza. La parola "mito" indica anche l"assenza di quel che nomina.s.1

Per Nancy, il Romanticismo, proprio nel suo frenetico investimento mitico, rivelava essere il punto di estremo chiarore in cui la consapevolezza di aver a che fare con una finzione sollecitava l'artista a dipingere quelle brume per dare profondità all'ispirazione letteraria. La strenua volontà dei romantici di sopprimere lo iato che separa Antichi e Moderni, di oltrepassare il fiume Lete che divide le due sponde attraverso il proferimento della parola magica ''mitd', proprio in quel momento, nell'istante in cui veniva proferita, essa segnalava al mondo di allora, alla contemporaneità, l'inesauribile potenza di qualcosa di sconosciuto, il quale, allo stesso tempo, poteva essere ben compreso come finzione dalle mille risorse. La costruzione del mito nazionalsocialista, Lacoue-Labarthe e Nancy Io sottolineano nel loro saggio54 , si basò su pilastri che andavano oltre i tanto celebrati fenomeni esteriori, al di là delle famose processioni di paramenti medievali così in voga durante gli anni del Terzn Reich. Anche per Rosenberg gli "antichi dei sono fuggiti per sempre", non si tratta certo di ripristinare il culto dei vari Odhinn, Thor e Freyr, quanto di indurre i tedeschi a sognare le loro divinità arcaiche e far emergere i loro rimossi archetipici così da continuare a suggestionare e a sollecitare i loro istinti. Gli Dei che il cristianesimo si illudeva di aver sconfitto una volta per tutte e che riaffioravano nei

53 J.-L. Nancy, La comunità inoperosa, cit., p. 112. 54 P. Lacoue-Labarthe - J.-L. Nancy, Il mito nazi, cit., pp. 46-47.

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pertugi del subliminale potevano essere sorgente di significato, rivestiti di nuova vitalità come punto di riferimento mimetico, solo agli occhi affascinati che bramavano l"awento di una nuova aurora. In questo senso la rievocazione mitica operò nelle vesti di stimola7jone onirica, manipolazione del mito nei grovigli del sub-conscio, in un'epoca in cui gli studi sulla psiche e sul subliminale :riscuotevano enorme successo in tutta Europa e nell'area germanica in particolare. Il mito fu dunque l'ingrediente necessario al nazionalsocialismo affinché una coscienza, risvegliatasi dallo sprofondamento nel sogno mitico, potesse procedere a plasmare l'opera, l'edificio a compimento della Weltanschauung verso cui guadagnare la sua libertà. L'ambiguità di fondo del Romanticismo che Lacoue-Labarthe e Nancy rilevarono nei tentativi dei suoi esponenti di svincolarsi dalle spire del Cogito cartesiano e dal suo dispotismo che soffocava il secolo fu la sostanziale eterogenesi dei fini che costoro si erano proposti. Le fiammanti insofferenze contro il cupo razionalismo non fecero altro che rifornire di inedito carburante la fiamma del Soggetto moderno. All'origine di questo capovolgimento degli effetti sperati c'è l'indagine, tutta moderna dei romantici, sull'essenza della poesia; non sulla poesia come oggetto, come componimento, ma sulla sua radice etimologica greca: poiesis, produzione. L'epoca romantica inaugurava quel tratto caratteristico della tarda modernità in cui la creazione poetica diventa imprescindibile dalla sua riflessione. Nell'auspicare un approccio genuino e sgombro di implicazioni razionali all'ispirazione poetica, il romanticismo si inerpicava, al contrario, in una disperata ricerca per afferrarne il mistero: l'opera come fattore conoscitivo, ]'opera che produce in sé la verità della poiesis, l'opera che produce da se la propria verità: auto-poiesis: Et s'il est vrai (Hegel I'établira bient6t, tout contre le romantisme) que I'auto-production forme l'instance ultime et la cl6ture de I'absolu spéculatif, il faut reconnaitre dans le pensée

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romantique non seulement l' absolu de la littérature, mais la littérature en tant que l'absolu. Le romantisme c'est l'inauguration de l'absolu littéraire .55

I.:assoluto ktterario, il dispositivo con il quale i romantici credettero di combattere l'arido soggettivismo, catalizzò tutte quelle forze che, secondo Lacoue-Labarthe e Nancy, confluirono in modo decisivo per la radicalizzazione del pensiero della totalità e del Soggettd>6. Inconsapevolmente i romantici diedero quindi un contributo significativo affinché i secoli successivi si consegnassero senza colpo ferire al dominio della "teoria'', all'autorità indiscutibile del soggetto prospettico, a cui fornirono un formidabile armamentario. L'impegno romantico nel voler orientare la ragione verso la stella polare della Bellezza, sfrondandola di tutti i motivi razionalisti che la imprigionavano, non può essere letto in tutta la sua complessità disgiungendolo, secondo Lacoue-Labarthe e Nancy'>T, dalla stretta connessione con quella "logica produttiva'' che inizia ad affermarsi nell'ambito letterario della tarda modernità. L'affermazione progressiva del letterato come professione, del lavoro intellettuale che ha come fine il prodotto di una poiesis. L'opera diventa la finestra da cui l'autore può guardare il mondo.

Ecco perché tutte quelle "immagini del mondo", i Weltbùdern, di cui grondano le pareti degli edifici fumanti del XIX e del XX secolo, testimoniano la terribile capacità di preveggenza dello scritto heideggeriano edito nelle Holzwegé'8. La data di composizione è il 1938, un anno prima della guerra

55 P. Lacoue-Labarthe - J.-L. Nancy, L'absolu littéraire, cit., p. 21. 56 lvi, p. 26. 57 lvi, p. 51. 58 Cfr. M. Heidegger, L"epoaz delle immagini del mondo, in Id., Holzwege. Sentieri erranti nella selva, tr. it. di V. acero, Bompiani, Milano 2002, PP· 90-136.

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mondiale scatenata dal Terzo Reich, ma esattamente cinque anni dalla funesta ascesa al potere di Hitler e dalla famosa prolusione L'affermazione dell'università tedesca - discorso d'insediamento alla carica di rettore dell"U niversità di Friburgo, prova inconfutabile dell"adesione di Heidegger al regime nazionalsocialista. Uno scritto questo, che lo stesso Nancy adduce come prova per scagionare il pensatore di Messkirch, non tanto da un"accusa che mostra tracce di colpevolez7.a indelebili, quanto da quella, ben più infamante, formulata dal suo deuteragonista Lacoue-Labarthe di aver «cercato di pensare [ ... ] ]"impensato del nazionalsocialismo»00 • Secondo Nancy: La Weltanschauung nazista intendeva colmare l'assenza di un cosmotheoros. Ed è per questo che Heidegger nel 1938, ribellandosi al nazismo, annunciò la fine dei Weltbildem - delle immagini del mondo o dei quadri del mondo. 60

Questasorta di richiesta di assoluzioneavan7.ata da Nancy, formulata nel 2002, ha subito ovviamente un ripensamento alla luce del rinvenimento in tempi recenti dei controversi Quademi neri61. Una tematica, quella dei rapporti tra Heideggere il nazismo che, grazie a questo ritrovamento, ha ripreso vigore dopo anni. Ciò dà maggiore rilievo allo scritto preso in esame da Nancy in cui Heidegger concepisce l"Età Moderna come fase epigonale della Metafisica in virtù del concorso di due 59 P. Lacoue-Labarthe, Lo spirito del nazionalsocial,isnw, cit., p. 11. 60 J.-L. Nancy, La creazione del mondo, cit., p. 22. 61 Cfr. soprattutto M. Heidegger, Quaderni neri 1942-1948. Note I-V, tr. it. di A. Iadicicco, Bompiani, Milano 2018. La pubblicazione di questi taccuini (la prima serie awenne nel marzo del 2014) ha provocato sin da subito una notevole discussione, a cui è seguita una copiosa letteratura. Tra i volumi sulrargomento si segnalano: A. Fabris (a cura di), Metafisica e antisemitisnw. I Quaderni neri di Heidegger tra filosofia e politica, ETS, Pisa 2014; D. Di Cesare (a cura di), I Quaderni neri di Heidegger, Mimesis, MilanoUdine 2016; F.-W. Von Hennann - F. Alfieri, Martin Heidegger. La verità sui Quaderni neri, Morcelliana, Brescia 2016.

70 processi: il mondo che diviene immagine e l'uomo che diviene sulJjectum62• L"epoca del soggettivismo, epoca nel quale l'uomo riduce ]"essente a fenomeno di rappresentazione, costantemente a propria disposizione è per Heidegger un capitolo della storia dell"Essere, che si caratteri72a come un pensiero che riduce il mondo a immagine: la Weltbilde, intesa in senso essenziale: significa perciò non una immagine raffigurante il mondo, ma il mondo concepito come immagine. L'essente nella sua interezza viene ora visto in modo tale che esso è essente solo e unicamente in quanto è posto dall'uomo pro-ponente e dis-ponente, rappresentante e producente. La dove si giunge all'immagine del mondo, si compie una decisione essenziale riguardo all'essente nella sua interezza. L'essere dell'essente viene cercato e trovato nella rappresentateZ7.a dell"essente.6.1

Quando il mondo inizia a diventare oggetto di visione da parte di uno sguardo privilegiato, a esser considerato come mero luogo dell"agire dell"uomo, proprio in quel momento la differenza ontologica viene espropriata della sua capacità di tenere la polarità tra "essere" ed "ente". La metafisica ha già iniziato la sua presa sulla verità originaria. Se il destino (Verhiingnis) dell"Occidente, da pensare entro la storia dell"essere (seinsgeschichtlich), è la metafisica, questa destinal,ità apparirà al Nancy del 2014, al lettore dei Quaderni neri, quasi alla stregua di un"immagine del mondo64 , frutto di una visione "onta-storica" che inibl Heidegger dal prendere atto che }"antisemitismo non era un aspetto secondario della

62 Cfr. M. Heidegger, D'epoca delle immagini del mondo, cit., p. 112. 63 lvi, p. 108. 64 J.-L. Nancy, Nota 2014, in J. Derrida- H.-G. Gadamer - P. LacoueLabarthe, Il caso Heidegger. Una filosofia nazista?, tr. it., a cura di S. Facioni,. Mimesis, Milano-Udine 2015, pp. 9-11.

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Storia occidentale. Questa negazione affondava le sue profonde motivazioni nella fedeltà del pensatore di Messkirch a una Storia che avendo la grecità come origine, tutto ciò che straripava da essa era ridotta a pericolosa dissonanza65 • Ciò che compare un anno dopo in Banal,ità di Heidegger è un ulteriore chiarimento riguardo questa destinal,ità dell"Occidente. Se il greco è stato il tipo, la fìgura delrinizio, dell"apertura, della possibilità di inizio, la liberazione del prigioniero da parte dell>anonimo che sopraggiunge, sembrerebbe coincidere con la fine, con l,intetvento decisivo di un liberatore, con la variante, rispetto all,inizio, della sua uccisione. Il mito sembra avere una struttura circolare, I,epilogo sembra ripetere la situazione iniziale, fino, però, alla tragica morte del liberatore per mano degli ex-compagni di prigionia. Il liberatore che presiede ],inizio della scena del mito, pur nell,indeterminatezza dei suoi tratti, sarebbe ],archetipo di quel liberatore che compare nelle fasi finali, a cui viene sottratto il tragico destino dell>ultimo liberatore. Chi sarebbe questo liberatore, che con circospezione compie quell>atto di affrancamento che il prigioniero prenderà a modello per la sua azione durante la parte finale del mito? Il prigioniero liberato sembra ricalcare i tratti, ripetere i gesti, del primo liberatore. In un passo del commento di Heidegger al mito della caverna, testo che Nancy utilizza come punto di riferimento nella sua analisi del ''regime di potere occidentale,,, un passo che Heidegger recupera dal Platone del Sofista, troviamo una descrizione che sembra rendere giustizia all,identità del liberatore, colui che è uscito dalla caverna e ha contemplato le idee, è il filosofo, «colui al quale sta a cuore scorgere ],essere

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dell'ente» 18• Filosofo è colui che, a differenza degli abitatori della caverna che vivono, in condizione di schiavitù, nella verità della realtà della caverna, ha contemplato il mondo delle idee ed è quindi libero. Se ne può dedurre dunque che, in questo quadro, "libertà" è affrancamento da una visione della realtà errata e fuorviante, dall'ignoranza del mondo delle idee. Solo chi riesce a contemplare il mondo delle idee è libero e può liberare, solo chi è in possesso di questa visione ideale ha la forza per costringere i prigionieri a raggiungerlo nel mondo "libero" della visione delle idee. Solo la luce che permette la visione delle idee rende liberi. La libertà è dunque rapportarsi a questa luce, vincolarsi in modo da prendere possesso della visione. Vincolarsi a questa verità, alla verità ideale, è rendersi liberi e "acquistare potere" grazie a essa. O meglio prendere potere attraverso di essa 19 • La brevissima inchiesta sul liberatore del mito platonico della caverna consente a Nancy, sulla scorta di Heidegger, di ribadire l'essenza della verità che ha segnato il concetto di sapere occidentale, e di porre all'attenzione il binomio sapere-potere che necessita del passaggio catartico della morte violenta (l'uccisione del filosofo) per essere verità. Il tentativo di N ancy di decostruire il "sistema di potere" occidentale che si fonda sulla verità, l'unica possibile di questa Stona, scaturita dal rivolgimento onto-teologico, non passa per l'edificazione di un'alternativa che proclama con ardore la sua ribellione allo statuto imperiale di una verità al solo scopo di sostituirsi a essa, quanto nell'attraversare questa verità sovrana per strappare ad essa quel nucleo immune dalla tentazione del circuito di potere. Il deciso rifiuto di Nancy di abbandonarsi a 18 M. Heidegger, Vessenza della oerità, tr. it., a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1997, p. 108. 19 lvi, p. 85.

95 semplicistiche forme contestative è dettato dalla consapevolezza che a questa verità non si sfugge: «la verità occidentale non è dunque «la sola di cui disponiamo»: essa è la verità stessa, nel suo unico luogo»20 • La missione decostruttiva di Nancy ha come scopo quella di minare la struttura sulla quale si fonda lo statuto imperiale dell'Occidente, nell'impegno inderogabile di stra'PPare ciò che rimane immune dalla fascinazione del potere di questa verità. L'Occidente stesso è questa verità, nel debito che ha contratto con la verità ideale di Platone. Il particolare privilegio che il greco accorda alla visione dell'ente-manifesto, presupposto imprescindibile, criterio necessario della verità, preliminare dell'incontro tra il dato e la conoscenza è il perno della verità dell'Occidente e il presupposto stesso dell'identità occidentale. Ma per Nancy la verità derivata da questo peculiare statuto della visione2 1, la verità della theoria, è sottoposta sin dalle origini alle anni insidiose dello scetticismo, alla skepsis. Lo "sguardo dell'occhio scettico" «costituisce in realtà il risvolto di qualsiasi posizione fìlosofìca della verità e dunque di qualsiasi enunciato del vero sul vero» 22 • Per Nancy dunque la verità, in tutte le manifestazioni della storia occidentale, si è determinata in una continua contesa alla quale è stata obbligata dall'argomentazione scettica. D'altronde parlano chiaro alcuni passi del Teeteto, dove Platone si impone rispondendo al relativismo scettico di Protagora: «Lo 20 J.-L. Nancy, Vimperativocategorico, cit., p. 102. 21 Il verbo vedere in greco è opao. Heidegger scrive: «Sappiamo che Platone, come in generale i Greci, concepisce il conoscere come un vedere, "SCt>psiv (composto di "sa. e opciv). E invero r autentico conoscere r ente nel suo essere viene simboleggiato appunto dal vedere sensibile, dal vedere con gli occhi» (M. Heidegger, V'essema della verità, cit., p. 132). 22 J.-L. Nancy, L~imperativocategorico, cit., p. 101.

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scetticismo nel senso più forte, o la skepsis, è dunque inerente, conffittualmente inerente, alla determinazione teorica della verità. Ne conferma la presupposizione e ne distrugge la posizione»2.1 . Le continue sollecitazioni della skepsis in più di due millenni di storia occidentale orienterebbero la verità teoretica. La quiete di quest"ultima vacillerebbe in quanto sarebbe costantemente impegnata a respingere e a riposizionarsi facendo appello a tutte le sue fo17.e di fronte a un argomento decisivo: l"impossibilità di enunciare una verità, il non poter dire il vero sul vero, la destituzione di ogni affermazione riguardo la verità. Questo estenuante inseguimento tra theoria e skepsis è il circuito dal quale emergono tutti i passaggi che contraddistinguono la curva del giorno dell"Occidente e Nancy, nello spazio di poche pagine, ne riporta alcuni awenimenti cruciali ai quali è bene dedicare qualche riga. L"idea che ]"Occidente ha manifestato della verità, e che ha avuto nel motto adaequatio rei et intellectus una formidabile sintesi, celebra la verità come corrispondenza tra la conoscenza e la cosa. Ma è proprio la problematica inerente a questa assegnazione preliminare, questo presupposto che si vuole alla base dell"incontro tra la conoscenza e la cosa, che fa saltare l"ingenuità di un certo "realismo". Difatti il suo crepuscolo si manifesta quando la fo17_a argomentativa della skepsis colpisce con straordinaria intensità: i primi vagiti della civiltà post-medioevale. Quando si manifestano i primi reclami, le prime recriminazioni nei riguardi di una "demoniaca"" sospensione del dato reale, nel movimento digradante di una veritas essendi mutata in veritas cognoscendi, il passo cruciale verso gli esiti estremi

23 lvi, p. 102.

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della verità occidentale è già stato compiuto. L'argomentazione scettica sarebbe dunque decisiva nel determinare l'apogeo della theoria, l"essenza teorica della verità. Nel passaggio alla veritas cognoscendi di Cartesio, di una realtà sospesa di tutto ciò che non è ego sum-res cogitans, e al Kant che sottomette la realtà fenomenica alle condizioni e ai limiti dell'esperienza possibile a priori si manifesta l'azione di una skepsis che si "converte in theoria", chesi propone come verità prospettando l'accantonamento della verità come corrispondenza, che Cartesio ha definitivamente espropriato e che Kant ha umiliato a definizione nominale. Ma questo non è il limite ultimo. L'apogeo, il pieno dispiegamento della forza della theoria, che mette in catene la skepsis, si avrà con Hegel, che radicaliz7.a tutti i termini: «Hegel può, contro Kant, anche riabilitare la verità come adeguazione, corrispondenza: questa adeguazione è quello dell'autopresentazione della cosa»24 • Da una veritas essendi, la verità come corrispondenza che si basava sulla conoscen7.a della cosa fondata su un'assegnazione preliminare dell'essere, sgretolatasi nella modernità col passaggio verso una veritas cognoscendi, che contempla la perdita della verità come corrispondenza e il divenire "verificazione" (costruibilità dell'oggetto, dimostrabilità del giudizio e verificabilità dell'enunciato), la verità occidentale si installa definitivamente con Hegel, recuperando la verità come corrispondenza, rovesciandola in autocostituzione. Autocostituzione come verificazione dell'essere-manifesto: l'essere-visto, l'essere-manifesto è nella presa di uno sguardo che ha già catturato "idealmente" una presenza e portata al rango di rappresentazione.

24 lvi, p. 107.

98 Il compimento della metafisica occidentale nella verità come rappresentazione sarebbe il frutto del definitivo trionfo della theoria sulla skepsis, quest'ultima ridotta al rango servile. La verità come corrispondenza sottoposta all'appello della verificazione, si costituisce come verificazione di se stessa nel presupposto dell'evidenza dell'essere-manifesto:

r

l'idea-lismo, eidetico, l'essere-presente come essere-evidente si rivela dunque come quel processo attraverso cui qualcosa si presenta e si Ti-presenta, e cosl si accorda a sé. In un tale processo ogni cosa è in primo luogo se stessa in quanto essa è quel sé a cui si rapporta la sua (ri)presentazione. Ogni cosa presuppone questo sé e la Cosa si presuppone come il Sè. [ ... ] L'essenza della verità come autoverifìcazione è il dispiegamento e la radicalizzazione della corrisponden7.a, della rettitudine adeguata allo sguardo: questa presupponeva «che io conosca oggetto», quella esibisce la presupposizione come sua stessa verità, nell'assoluta presupposizione del Sé.25

r

Il viaggio platonico che ha inizio nella verità eidetica, nello stabilire il primato della comprensione dell'ente alla visione, e quindi dell'ente nella sua presenza, nella sua manifestazione, ha il suo compimento nell'essente che si rivela all'interno della logica del riconoscimento, nella dialettica. La veritas essendi è dunque quella del concetto, entro il quale si presenta la cosa, e l'adaequatio prende la forma compiuta del rapporto soggetto-oggetto. In Nancy questo compimento mostra il definitivo trionfo del soggetto teorico, del "soggetto-verità'', del dominio della conoscenza sulla cosa, intesa come identità, concetto, sottoposta a verifica (e ad auto-verifica), a controllo, alla padronanza del soggetto. La dimostrazione che la verità occidentale nel rivelarsi come potestà, pone nel medesimo piano, come un legame indissolubile, il discorso politico e quello teorico: 25 lvi, p. 108.

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A questo punto, eccola la verità che fa potere, che è potere. In qualunque senso si voglia intendere «potere». Perché, come vorrei cercare di mostrare, la Verità - questa verità che è la Verità - esibisce al meglio la struttura nuda di ciò che riunirebbe le due figure antinomiche di tutte le interrogazioni della filosofia politica: il potere come forza o poten7.a bruta e il potere come autorità legittima. La Verità-Soggetto è ciò che si legittima dalla sua propria poten7.a di presentare sé e di verificare sé, ed essa è ciò che ha la for7.a di legittimarsi, di farsi vero [ ... ]. La Verità è la presupposizione del Potere stesso, almeno se il potere è pensato come la legittimità di una for7.a e se questa legittimità presuppone in ultima istan7.a (monarchica, democratica o come si vorrà) la sua autolegittimazione. 26

4 Abbiamo visto precedentemente i tratti che accomunano i due liberatori: la proprietà del sapere per il tramite della visione della realtà delle idee e l''uso della forza nella liberazione dei prigionieri. Ma abbiamo pure notato che i comportamenti dei due liberatori, i movimenti all'interno della scena del mito, subiscono una variazione di fondamentale importanza nella sequenza finale che vede l'uccisione del secondo liberatore. Quest'ultimo, sciolto dalle catene, è il prigioniero liberato che volge verso il suo luogo d'origine, ritorna all'interno della caverna, per adempiere alla missione di liberare il resto dei compagni incatenati, i quali sordi alle sue proposte lo catturano e Io uccidono. La chiusura di questo circolo si delinea dunque in modo tragico e per Nancy, proprio questo sanguinoso episodio, è il punto nel quale la violenza che aleggia in tutto il racconto, da quella del primo liberatore che costringe con successo il prigionie-

26 lvi, p. 109.

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ro all"uscita dalla caverna, a quella di quest'ultimo, il nuovo liberatore, che si adopera nel persuadere i suoi ex-compagni, trova una sua compiuta giustificazione: questo omicidio è il garante della violenza iniziale. Ciò che Platone vuole stabilire come il martirologio della filosofia è in realtà il circolo della presupposizione violenta della verità e della presupposizione (o prelegittimazione) del potere nel vero. tz1

Il giorno dell"Occidente si compie, si invera in una sorta di sacrificio finale nel quale probabilmente si avrà l"indizio fondamentale sull"identità del primo liberatore. La proprietà del sapere predispone, invita, all"uso della fot7a. La contemplazione della realtà, della vera realtà, il raggiungimento del sapere, la conoscen7a, presuppone una violen7a necessaria affinché la quieta passività del quotidiano, così come nel mito appare la scena della caverna, venga scossa. La verità occidentale che presuppone l"evidenza, lo sguardo verso l"ente-manifesto, cela nell"intimo una "struttura di potere"", che al fondo della visione dell"idea, del vedere ideale, è circoscritta, è caratterizzata come un mirare nella giusta direzione: Tutto il teorico è sospeso a questo: al suo colpo di mano, al suo colpo di Stato, che è e fa la sua veri-ncazione. I.:orthotés in vista dell"idea,. vale a dire la pre-visione della visione implica una ortopedia che la istituisce: un"educazione, un addestramento alla giusta direzione, al buon orientamento teorico - orientamento occidentale - e questa correzione istitutrice richiede la forza e il potere dell"istitutore. La struttura della Verità è la circolarità o l"antecedenza reciproca e infinita del teorico e del politico. 28

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La connessione originaria che legherebbe il teorico e il politico è che questa visione della presenza sarebbe già da sem-

27 lvi, p. llO. 28 lvi, p. lll.

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pre accompagnata da una volontà di imposizione. Lo sguardo dell>Occidente, la verità occidentale, la presa del reale da parte della conoscenza come volontà di significazione velerebbe una pretesa di disposizione che legittima il proprio atto. La violenza è necessaria in questo schema di potere. Non c'è compimento, non c'è alba di un nuovo circolo senza questo sacrificio che è garanzia di riuscita e verifìca della propria legittimità. Senza il sacrificio capiremmo poco dell'identità del primo liberatore. Nancy, a un certo punto, spende su di lui queste parole eloquenti: è proprio con il Soggetto che si comincia, con un Soggetto morto-vivente che torna prima di essere partito e che si manifesta - come per il più imprevedibile ma anche il più prevedibile colpo di scena (è in ogni caso il colpo deIIa pre-veggen7.a) - in una pura violen7.a, neIIa brutalità di una liberazione fo17J1ta. 29

Il primo liberatore è morto anch'esso, o meglio, si è appropriato della morte, della finitezza e superandola ha subito un processo di trasfìgurazione. Il circolo della verità dell'Occidente, della fìlosofìa, deve passare necessariamente per il sacrifìcio per verifìcarsi; il liberatore affinché il suo sapere non sia vano, affinché il suo sapere possa elevarsi a verità, deve passare attraverso il suo morire.

5 In un college di Cambridge fa bella fìgura una coppa attica risalente ali'epoca della guerra peloponnesiaca30 • Sono raffigurati un giovane seduto che scrive su una tavoletta, concen29 Ibidem. 30 La descrizione della scena è di Roberto Calasso nel suo La letteratura e gli dèi, Adelphi, Milano 2001, pp. 158-159.

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trato, assorto, nella scrittura; una testa mozzata con lo sguardo rivolto verso il giovane, Apollo in piedi che con la mano sinistra tiene un ramo d"alloro e con il braccio destra indica il giovane. Per Calasso: «è la scena primordiale della letteratura, composta dei suoi elementi irriducibili [ ... ] Il loro aspetto non è molto diverso: tutti e tre giovani, dalla capigliatura folta e serpentina»31 • La testa mozzata si frappone tra lo scrivente e il Dio; lo scrivente chino sulla tavoletta non vede né il Dio e né la testa moz7.ata. Il suo raccoglimento interiore è proprio dell"ispirato, di colui che pascola i pensieri battendo sentieri che si rischiarano al passaggio. Ma l"immagine sembra dire che, sen7.a sacrificio, sen7.a quella testa recisa, il dono divino non è possibile. Talete il sapiente, colui che la storiografia filosofica considera come il primo indagatore del Principio, racconta Diogene Laerzio, dopo una scoperta di carattere geometrico, immolò unbove-12. Non agli Dei, non alla comunità, ma al sacrificio per la conoscen7.a, per il sapere la nascente filosofia che il sacrincio aveva rinnegato spalancava le porte.

31 lvi, p. 158. 32 J.-L. Nancy, L'insacrificabile, cit., pp. 213-216.

III

Comunità

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Immagini di città

Paris change! Mais rien dans ma mélancolie n>a bougé! Palais neufs, échafaudages, blocs, vieux faubourgs, tout pour moi devient allégorie, et mes chers souvenirs sont plus lourds que des rocs. (C. Baudelaire, Le Cygne)

1 Se c'è un luogo fìsico nel quale l'Occidente si inaugura è la città. La città come sito in cui stabilirsi, chiedere riparo e garanzia dopo una fuga, un luogo in cui poter ricominciare una nuova vitae cancellare un passato che opprime dopo tante peregrinazioni, è un topos che nella storia occidentale, nell'immaginario che l'ha contraddistinta, richiama profondamente il concetto di libertà come autonomia dai vincoli. La Mileto nella fu Asia Minore, città commerciale costiera re-

sistente all'Impero persiano, patria dei primi investigatori del Principio, sembra riconoscersi su una duplice frattura: il distacco fìsico dalla madrepatria e la contrapposizione politica con l'Impero Persiano. Esilio, desiderio d'awentura, ricerca di una condizione appagante, fuga dalle costrizioni gerarchiche compongono il complesso fascio della condizione spirituale di un colono che nella vastità del mare prospiciente scorge quella visione della Totalità come effetto di una perdita di familiarità con la stessa Totalità. Allo stesso tempo è colto da un moto d'orrore nell'incontro con gli immensi ordinamenti asiatici: «le descrizioni greche

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dell"Asia esprimono sempre il senso dell"illimite: illimitate terre, illimitati eserciti, illimitato potere del Re - oppure il senso del confuso, dell"infonne, di ciò che, insomma, non ha ancora 'incontrato" la potenza del limitante» 1, un orrore di fronte a un qualcosa che esonda dal regime del MÉ'tpcp, XP4l, dalla possibilità di una misurazione. Questo sentimento di sbigottimento di fronte all"illimitato non sarebbe altro che il contraccolpo di una ragione nascente che ha fatto di una misura, una proporzione che esprime l"equilibrio di forze contrarie, la condizione d"umanità. La filosofia, il pensiero d"Occidente nasce nelle città commerciali costiere dell"Asia Minore, infuga dalla "restrizione" comunitaria della madrepatria, in polemica con l"ombra imperiale: la filosofia comincia con e nella co-esistenza «concittadina» in quanto tale. 2

Il nesso tra città e filosofia è dunque originario. Ma da un rapporto che si vuole originario sono scaturite, secondo Nancy, alcune intetpretazioni che individuano questo nesso come un rapporto di subalternità che coinvolgerebbe a parti inverse città e filosofia: La tradizione ci ha dato diverse versioni del rapporto che ci sarebbe stato (o che avrebbe dovuto esserci, o che dovrebbe esserci) tra la filosofia e la città, ma di solito lo si vede come un rapporto di sudditan7.a. La filosofia, intesa quale articolazione del 'logos, sarebbe suddita della città, intesa quale spazio di questa articolazione; mentre la città, intesa quale insieme dei logikoi, sarebbe suddita della filosofia, intesa quale produzione del loro 'logos comune. L'essew.a stessa del logos, o il suo senso, risiederebbe in questa reciprocità: il 'logos sarebbe

I M. Cacciati, Geojùosofia de.O/Europa, Adelphi, Milano 1994, p. 19.

2

J.-L. Nancy, &sere singolare plurale, cit., p. 46.

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il fondamento comune della comunità e la comunità stessa come fondamento dell'essere. 3

Questo rapporto di reciprocità descritto da Nancy- il quale parla esplicitamente di sudditanza-, e che stringe in un nesso originario città e fìlosofìa, è la genesi dell'apertura politica dell'Occidente4 • In queste fasi iniziali, da cui muoverà i primi passi la nozione formulata successivamente da Aristotele di zoon politikon, la spinta alla costruzione di un inedito concetto di umanità grazie alla fìlosofìa, all'edifìcazione di un discorso nel quale l'ambito politico è il luogo di emancipazione dell'individuo dall'areté eroica, la città rappresenterà il campo di contesa su cui si confronteranno le varie proposte fìlosofìche. Vernant' ha insistito su questo aspetto, sullo spazio urbano dell'agorà, come fondativo di una condotta cittadina che nell'espressione del pensiero privo di precauzioni gerarchiche ha represso il regolamento di conti privato come giustincazione della vendetta. Se prendiamo per valida questa connessione originaria tra fìlosofìa e politica che nel contesto urbano trova lo spazio espositivo per eccellenza, formulata da Nancy, dobbiamo necessariamente evidenziare come il legame che ha stretto questi due saperi sorti dal collasso delle architetture mitico-religiose, ha subito sin da subito una divaricazione immettendosi su un doppio binario: da un lato, la dinamica incessante della questione della physis disegnava un progressivo spazio ontologico omogeneo privo di fratture ierofaniche, di picchi qualitativi, dall"altro, la tensione polemica insita nella fìlosofìa si canali72ava nella pretesa di ciascuna theoria di comprendere

3 lvi, p. 34. 4 Cfr. C. Meier, La nascita della categoria del politiro in Grecia, tr. it. di C. De Pascale, il Mulino, Bologna 1988. 5 J.-P. Vemant, Le origini del pensiero grero, cit., pp. 54-82.

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la Totalità. Il piano politico sarebbe dunque teso tra due polarità, a un'estremità l'apertura del logos che si traduce nella promozione dell'istanza egualitaria, ali'altra la pretesa del pensiero di conquistare l'ambito sociale affinché esso soddisfì nella pratica la sua potenza. Nancy in quest'ultima polarità ispirata alla fìlosofìa eraclitea vi ha decifrato una costante del pensiero che nel radicamento a un fondamento, nel continuo richiamo a un'origine, occlude l'apertura ali'essere-comune. In questa volontà di conquista, con la città trasformata nientemeno che in un campo di battaglia tra W eltanschauungen, tra visioni del mondo, nel confronto tra ideologie (a cui, secondo Nancy, si ridurrebbe la fìlosofìa), vi ha ravvisato l'inizio del connubio tra fìlosofìa e politica, l'inizio di una speciale confìdenza in cui l'individuazione di una specifìca causa lavora per la realizzazione di nni determinati: Il risultato è che, altrettanto regolarmente la dis-posizione viene rovesciata in esclusione, e ogni politica fìlosofìca è una politica dell'esclusività e della correlativa esclusione - di una classe, di un ordine, di una «comunità» qualsiasi, e infine, sempre, di un «popolo» nel senso «piatto» del termine. 6

Per Nancy una causa che opera nell'interesse proprio, secondo le fìnalità che si è preposta è la cartina di tornasole di una fìlosofìa politica escludente. Il suo costante riferirsi alle origini predispone a una visione predatoria e totalizzante del mondo, una metafìsica nella quale la causa di un soggetto (un singolo, un gruppo, un popolo) si dovrà compiere, si dovrà realizzare secondo un'economia di tipo sacrifìcale. Il sacrificio, in questo caso, sarà sempre la procedura essenziale di ogni fìlosofìa politica. Politica della causa, politica che costringe il senso a inverarsi, a compiersi.

6 lvi, p. 36.

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Nelle premesse e nell,economia della filosofia politica veicolata secondo questi criteri, c,è, secondo Nancy, quell7aporia profonda che, come abbiamo segnalato, scorre in un binario parallelo. Essa insidia la filosofia politica della causa, trovando nella connessione che lega i termini della città e della filosofia, una presa per decostruire questo paradigma. La disarticolazione del rapporto tra città e filosofia come sudditanza che regolerebbe lo spazio pubblico nella veste di scenario della contesa filosofica, dell,operazione di conquista e di realiz7.azione dei vari wgikoi, che ambiscono alla verità della propria causa, per Nancy, troverà un elemento di resistenza nell,istanza egualitaria e simmetrica che sorge dall7esserecomune e che precederebbe la volontà di potenza del pensiero. Se le città commerciali elleniche nell,Asia Minore, solitamente identificate come il luogo di nascita della filosofia, sono il risultato di una dislocazione al di fuori dei confini della comunità d,origine, in esse è possibile verificare I,avvento di una nuova comunità che decostruisce la comunità fondata sullo spazio concluso o sulla trascendenza come misura gerarchica. Se la filosofia comincia con la città, e, allo stesso tempo, rappresenta un nuovo sito di condivisione sulle ceneri dello sconquasso mitico, essa sarà dunque: la «comunità» senza un:,origine comune. 7

Se la filosofia è costantemente inquietata dalla ricerca dell7origine, la città non farà che portare in superficie quell,aporia fondamentale che si insinua nella visione della sudditanza dello spazio pubblico: r esibizione del Mit-sein come dis-posizione (come dispersione e disparità) di una comunità d, essenza, che si presenta come fondata sull7interiorità e sulla trascendenza. Per Nancy, il senso essenziale della polis:

7 lvi:,P• 35.

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non intesa come somma combinatoria di tutte le attività e le funzioni umane, ma come il luogo della comparizione, ovvero delressere-in-comune. [... ] L'essere-in-comune non ha rappresentazioni; esso rappresenta piuttosto r assenza della rappresentazione. 8

La città non sarebbe altro che l'esposizione di questo esserein-comune irrapresentabile, Mit-sein, e l'energheia della filosofia avrebbe nella decostruzione dell'essere come verità, di un essere che si vuole come identità conclusa, il suo oriente. La filosofia come pensiero del Mit-sein che costantemente rifiuta di subordinarsi a una supposta identità. L'essere coincide con se stesso nella misura in cui questa identità è già scartata. Uno scarto impossibile da contemplare per la filosofia politica della causa presa dal compimento di un principio che non può che configurarsi come identità assoluta.

2 Se la città è un tema che fa da sfondo ad alcune delle pagine più interessanti dei più grandi scrittori del XIX e del XX secolo, il pensatore che potremmo definire come l'investigatore più acuto della città moderna, colui che ha ritratto con sublime lucidità sfondi e figure della metropoli contemporanea nella sua fase aurorale è sicuramente Walter Benjamin. La Parigi del XIX secolo, che Benjamin guarda con gli occhi di Baudelaire, è la città nella quale il capitalismo si afferma come nuovo modo di produzione seriale. In un contesto labirintico quale appare la città moderna, con i suoi viali, i suoi vicoli, le famose gallerie al coperto parigine - i celebri passages -, la

8 D. Calabrò, Dis~gamenti, cit., p. 104.

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merce seriale pallidamente si trasfigura e l'intenzione allegorica ne spezza la connessione al valore determinato che il capitale gli ha consegnato. La merce è senza valore, fuori da ogni valutazione d"uso e di scambio, nuda, esposta. L"incarnazione più evidente di questa speculazione, di questa espropriazione dell"essenza direbbe Nancy («la merce cerca di guardarsi in faccia», scrive il pensatore berlinese), è dunque, per Benjamin, da ricercarsi nella figura della prostituta. Nella grande città, nel mercato per eccellenza della produzione industriale, la prostituzione diventa un articolo di consumo di massa. Ma nell"affermazione che Benjamin fa della prostituzione come inaugurante una comunione mistica con la massa, Nancy direbbe (rilevando comunque in questo l'esatta intenzione di Benjamin a riguardo) che c"è poco di mitico e di mistico in questa forma comunionale. Il rapporto della massa con la prostituta non fa intimità, non fa esperienza, è una comunità dispersa negli innumerevoli labirinti nei quali si inabissa la città. La città, come la prostituta, non ha un"essenza se non nell"esposizione costante della propria merce in superficie. Questo sfondo, dice Benjamin, è una superficie senza un secondo piano, un "senza fondo" come può esserlo solamente la strada, piuttosto che le secrete stanze di un bordello. La città è la spaziatura delle singolarità in atto. Il "sempre nuo-

vo"" della merce, che altera continuamente i valori di uso e di scambio (pensare un sistema di cambi fissi in una città è praticamente qualcosa che tocca il limite dell"assurdità), inibisce l'esperienza9: in Baudelaire, riporta Benjamin citando Leiris, la parola f amilier è piena di mistero e inquietudine.

9 Sull'incapacità dell'uomo contemporaneo di fare esperien~, si veda G. Agamben, Infanzia e storia. Distruzione dell'esperienza e origine della storia, Einaudi, Torino 2001.

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La città non consente una privatizzazione dell'esistenza, un ripiegamento nell'interiorità, una vita intima. La vita è scaraventata nella pubblica piazza. L'esempio più acuto è la descrizione che Benjamin fa della città di Napoli. Quella Napoli che quasi mezzo secolo appariva ancora «l'ultima metropoli plebea, l'ultimo grande villaggio»10 • L'occasione per presenziare a un convegno di fìlosofìa aveva portato Benjamin a violare involontariamente la sacralità dell'evento, a essere risucchiato nelle spire di un luogo dove non era possibile uno spazio privato. La descrizione dei luoghi, delle chiese che perdono ogni aura di religiosità, dei volti miseramente variopinti e perfino dei dolori degli stotpi e dei mendicanti che gioiscono dello sgomento dei trasognati passanti alla loro vista non era lo sfondo che custodiva lo spazio interiore degli abitanti, quanto il fondale di un teatro nel quale ogni abitante dava luogo alla sua esibizione: Balcone, ingresso, finestra, passo carraio, scala e tetto fanno contemporaneamente da palco e da scena. Anche la più misera delle esistenze è sovrana nella sua oscura consapevolezza di essere parte.11

Nancy direbbe che questa esistenza teatrale, che caratterizza il popolo napoletano, questa esistenza perennemente in atto, non dà alla città la definizione di una identità compiuta che sussume tutte le singole esistenze. Al contrario, la consapevolezza di ciascuna singolarità di essere parte è esserlo nella misura di una irriducibilità a qualunque senso ''superiore" che ne totalizzi le possibilità. La parte è sovrana in quanto non relegabile, originariamente spartita, continuamente in atto, esposta:

10 P.P. Pasolini, Lettere I.Alterane (1975), in Id., Saggi sulla politica e sulla società, Mondadori, Milano 2001, p. 553. 11 W. Benjamin, Napoli, in Id., Opere complete. Il. Scritti 1923-1927, ed. it. a cura di E. Ganni, Einaudi, Torino 2001, p. 40.

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«Con» è la spartizione dello spazio-tempo, è un allo-stessotempo-nello-stesso-luogo in quanto esso stesso, in se stesso, scartato. È un principio di identità istantaneamente demoltiplicato: essere è allo stesso tempo nello stesso luogo, nella spaziatura di una pluralità indefinita di singolarità. 12

r

Vicoli sudici, cantine che fungono insieme da alloggio per la notte e da deposito merci, commercianti che vendono a prezzo fisso moz7jconi di sigarette raccolti dopo la chiusura del caffè, schiamazzi festivi infrasettimanali che evidenziano quanto un granello di domenica ravvivi ogni giorno della settimana, parrocchie che soddisfano la propria ambizione nel superare la parrocchia vicina con un'esibizione di vivacità luminosa sono la superfìcie nella quale l'esibizione, la platealità svilisce ai minimi termini la familiarità e l'intimità domestica: «cosl la casa non è tanto il rifugio in cui gli uomini si ritirano, quanto l'inesauribile serbatoio da cui escono a fiotti» 13• Le azioni e i comportamenti privati non trovano occasione per farsi essenziali, non riescono a capitalizzarsi come immagini interiori, poiché continuamente inondati da Hussi di vita comunitaria; ogni questione privata diventa una questione collettiva: «la vita privata del napoletano è lo sbocco bizzarro di una vita pubblica spinta all'eccesso» 14• C'è, per Benjamin, una legge (se è lecito chiamarla cosl) che, più che regolare, spiega questo aggrovigliarsi di esistenze: è la porosità 15 •

Questa interconnessione particolare che Benjamin rileva dal]'osservazione del materiale edilizio sul quale è fabbricata la città di Napoli e la peculiare esistenza che affiora dal popolo 12 J.-L. Nancy. &sere si,ngolareplural,e., cit., p. 50.

13 W. Benjamin, Napoli., cit., p. 44. 14 lvi,p.40. 15 lvi, p. 41.

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napoletano, è il medesimo che lo portò a identificare la Parigi, capitale del secolo XIX, con i famosi passages. La porosità assicura la comunicazione, la friabilità del definitivo e il continuo riassemblaggio del materiale. Essa consente: «aperture, varchi, accessi, porte - in una f onna urbis che non si sviluppa mai per programmi, per a priori, dove nulla procede, o avanza, o si fa strada secondo linee rette, per interruzioni e rotture» 16• La città non si sviluppa secondo direzioni pre-ordinate, pia-

nificazioni che si risolverebbero in compiutezza; la porosità è passaggio, fluidifica una serie di legami e di nodi che rifuggono dalla definitività. La città non può che compendiare: una politica del legame come tale, piuttosto che del suo scioglimento in uno spazio o in una sostanza. 17

Il legame politico come nodo che prevede costantemente il suo scioglimento, pone le parti che ambiscono al potere, costantemente sotto la scure di una loro possibile consunzione. Una politica della autosufficienza - anche un partito rigido di quadri-, in un contesto cittadino sarà sempre a rischio 18•

16 L. Saviani, Poros. Idee di Napoli, in Id. (a cura di), Poros. Idee di Napoli e -variazioni sul tema del Mediterraneo, Marcovalerio, Torino 2002, p. 73.

17 J.-L. Nancy, Il senso del mondo, cit., p. 142. 18 Le decomposizioni delle grandi Narrazioni nella tarda modernità di fine Novecento- il partito, lo Stato-nazione, le istituzioni e tradizioni storiche sono alcuni dei passaggi centrali de La condizione post-r,wderna di JeanFrançois Lyotard. Il rapporto tra azione politica e contesto metropolitano è stato oggetto di interessanti elucubrazioni provenienti dall'area politica dell'estrema sinistra italiana, nelle quali ci fu un tentativo di distacco da una certa ipoteca del leninismo, della progettualità politica in favore di uno spontaneismo da ritrovare nell'elemento del "partito in atto", una sorta di «processo di partito come base di una dialettica ricostruttiva che non è in nessun caso di prefigurazione» (A. Negri, La Fomza-Stato. Per la critica della costituzione materiale, Feltrinelli, Milano 1977, p. 237). La volontà dei movimenti di inserirsi nelle trasformazioni dei contesti metropolitani è stata sintetizzata da Franco Berardi Bifo: «Ma che senso può avere il lenini-

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Questa insofferenza per la rappresentazione definitiva del suo spazio vitale, che sembra caratterizzare la città -la Storia ci ha, in effetti, fornito molteplici esempi: dalla Parigi di Robespierre, passando per la Ginevra di Calvino-, sarebbe dunque da attribuirsi, alla tragedia e all,orrore verificatesi nel momento in cui una politica esclusiva tenta di costringerla. L,immagine della città, questa Stadtbild, si sarebbe sedimentata dalle visioni di innumerevoli figure (dal legislatore al profeta al capo di partito) che hanno cercato di obbligarla alle diverse forme d,identificazione; per Nancy in essa riposa la violenza verso il con delressere, la costrizione, la forzatura verso J>unità, verso una figurazione delJ>essere che mette in subordine la sua originarietà spartita. Prendere partito in città, direbbe Nancy, è un esercizio di potere (malgrado esso, malgrado J>esercizio obbligatorio) che deve fuggire dalla tentazione di una riduzione della parte a soggettività politica, a un soggetto che sarebbe costantemente spinto a ridurre la spaziatura a sé, al proprio interesse.

3 Per Nancy, non è più il tempo in cui una città possa segnare un,epoca, come la Roma antica o la Parigi benjaminiana capitale del XIX. I;urbe ha dilatato i suoi confìni abbracciando tutto !>orbe, il mondo. Questa osmosi, questa confusione tra urbe e orbe, questo accavallarsi di città, villaggi, masse, popolazioni, edifici, questa conurbazione, Nancy la definisce, con

smo nella metropoli? Che senso può mai avere ridea di un partito di quadri quando il lavoro mentale diviene un continuum superindividuale che connette e globali:723. innumerevoli cervelli?» (F. Berardi Bifo, La nefasta utopia di Potere operaio, Castelvecchi, Roma 1998, p. 69).

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un termine che, richiamando una certa vischiosità, ne esalta l'illimitato abuso dell'agglomerazione, come glomus: L"agglomerazione erode e sciupa quel che sembrava un globo e che si riduce ormai al suo sosia, a un glomus. In questo glomus si assiste simultaneamente alla crescita indefinita della tecnoscienza, alla crescita correlativa ed esponenziale della popolazione, alraggravamento delle ineguaglianze cli ogni tipo - economico, biologico, culturale - e allo smarrimento cli quelle certezze, cli quelle immagini, cli quelle identità che una volta componevano il nostro mondo e la nostra umanità. 19

La descrizione che Nancy fa del mondo contemporaneo è simile alla descrizione che ciascuno può fare di una bolgia, di un quadro a tinte forti come nelle peggiori fantasie oniriche di Bosch. Al capolinea di ogni fìloso6a della Storia, al termine di ogni immagine del mondo, con l'interconnessione globale di tutti gli abitanti del pianeta, il Mondo appare questo immenso campionario di orrori. Che cosa intende Nancy per agglnmerazione? Prendendo alla lettera il termine, potremmo dire che esso è un movimento di coagulazione causato da un principio attivo che fa precipitare il mondo in una massa informe e omogenea, pronta a essere "lavorata". Qual è questo principio attivo? Se la città, come spesso si è detto è contemporanea della fìloso6a, ne condivide i medesimi inizi, essa, presa da un orizzonte di misurazioni, svilupperà progressivamente, nei secoli, a regolamentare i vari tipi di scambio, sociali ed economici, su proporzioni non più determinate da valori eroici. Secondo Nancy, l'Occidente intrattiene, 6n dai suoi esordi, uno stretto rapporto col capitale e col principio-guida dell'equiva-

19 J.-L. Nancy, La creazione del mondo, cit., p. 6.

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lenza generale, owero la riduzione di tutto a oggetto di valore misurabile. Nancy segue sostanzialmente le direttive di ciò che Marx intendeva come "prestazione storica" del capitale ma nell"interpretazione che ne dà Nancy, essa suonerebbe seguendo questo spartito: il capitale è il destino dell"Occidente in una biforcazione in cui alle estremità si trovano il dominio e l"apertura; occidentale in quanto preso dalla forza eversiva della decostruzione tipica dell"Occidente, come dominio perché estorce il senza-valore dell"apertura verso ]"appropriazione, l"accumulazione e lo sfruttamento. Il capitale è certamente forza che espropria i fondamenti nelle sue garanzie, verso i connotati del sacro, ma lo fa in vista di un"appropriazione esclusiva del valore secondo il metro che le porta in dono }"equivalenza generale: tutto è misurabile, tutto è mercificabile: È la lotta dell,Occidente contro se stesso, o del capitale contro se stesso. È la lotta tra due infiniti, rin finito delrestorsione e rin finito delresposizione. 20

L"Occidente ha dunque una struttura binda. Il capitale porta agli estremi la connessione tra gli abitanti di un mondo - la comunicazione, l"esser-comune che precede ogni istanza riconoscitiva -, espropria il mondo di qualsiasi concezione che vorrebbe ridurlo a immagine da un osservatorio privilegiato e fa emergere la sostanziale assenza di causa, di ragione fondativa. Il capitale compie la sostanza nichilistica dell"Occidente. Ma proprio in questo punto il capitale subisce un arresto: se il capitale non riesce a riassorbire integralmente nella merce questa risonanza senza ragione, ciò significa che il capitale non si basa soltanto sulla merce: qualcosa precede il capitale,

20 lvi, p. 38.

118

e questo qualcosa è la ricchezza come sfarzo, la ricchezza che non produce nuova ricche7.za ma produce il suo stesso splendore, la sua stessa opulenza, come irradiazione di un senso da cui il mondo è sempre già avvolto. 21

C'è una ricchezza che precede il capitale e che sfugge nel

rapporto con quest'ultimo alla mercificazione. L'eccesso della ricchezza, la possibilità che essa possa configurarsi è qualcosa che è ostile all'accumulazione, all'azione del capitale. Anzi, la volontà di sottomettere quest'eccesso, di capitalizzare questo incommensurabile conduce a quel ''cattivo infinito", all'infinito dell'estorsione che sfocia inevitabilmente nella disperazione di un immanentismo assoluto. La faglia che questo eccesso apre nella carne del capitale è la possibilità di uno sfarzo, una magnificenza, una grandezza non misurabile. È il capitale che si confronta con il senza-ragione del mondo: l'irruzione non definibile di un evento come l'infinito in atto.

21 lvi, p. 29.

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L'esigenza comunista

Myravnye. Tovari~j v rabocej masse. Proletarii tela i ducha.

Li~" vmeste vselennuju my razukrasim i mar~ami pustim uchat". Otgoroclimsja ot bur" slovesnych molom. K delu! Rabota :1Jva i nova. (V. Majakovskij, Poet rabodj)

1 La forza eversiva dell'ateismo, nello scardinamento degli edifìci religiosi, ha pensato presuntuosamente che l'espulsione di quello che defìniva "orizzonte religioso" fosse sufficiente per l'apertura di quello spazio laico posto come fondamento di una rinnovata dimensione della politica. È stata la motivazione che ha caratteli72ato alcune fasi della stona occidentale e che ha segnato quell'epoca che conosciamo come Modernità. Quando Nancy parla delle religioni civili come in un rapporto di successione e di supplenza nei confronti delle religioni precedenti, non fa che sottolineare come la causa del loro fallimento sia da ricercarsi nell'aver sostanzialmente ricalcato il ruolo svolto da queste ultime.

Le religioni civili hanno in tutto e per tutto assunto come loro schema quello dell'economia saclifìcale. E termini come "lotta di classe" e "liberazione dell'umanità" in senso marxiano, sa-

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rebbero nient"altro che esempi classifìcabili all'interno di una logica di tipo salvifico. È questo l'impasse entro il quale si sarebbe arenato tanto Marx quanto, soprattutto, molti dei suoi interpreti successivi.

Non è un caso che le parole comunismo e socialismo hanno con prepotenza negli ultimi due secoli rappresentato perentoriamente la possibilità di religione civile e non è un caso che l'emblema della perdita della comunità nell'era moderna sia stato incarnato dalla parola comunismo. Si è detto in preceden7.a che, per Nancy, voler distillare il comunismo per ritrovarne un senso - nella versione originaria di Karl Marx-, depurato dalle sue perversioni storiche, da una certa distorsione awenuta nelle applicazioni pratiche che si sono avvicendate nel corso della Storia, è un esercizio ingenuo 1• Anche concentrare tutto sulla protesta dello stesso Marx contro le cosiddette «totalità fagocitanti" come lo Stato politico hegeliano nell'intento di preservare quella declinazione della comunità che è la società civile è un'errata interpretazione di molti suoi esegeti che non tiene conto della antropologia filosofica di Marx: ruomo definito come produttore (ma si potrebbe dire ruomo definito), e fondamentalmente come produttore della sua propria essenza nella forma del suo lavoro e delle sue opere. 2

Il perno sul quale poggerebbe il progetto comunista di liberazione è nient'altro che l'homo faber, owero l'uomo come produttore della sua essen7.a, della sua libertà, che realizza la comunità umana come opera propri.a, attraverso la forma del lavoro. Le argomentazioni che scaturiscono dalla sfrenata ricerca di un presunto ''tradimento" sul quale verrebbero giustificati tutti i modelli che si pongono come lettura radicalmente

I

J.-L. Nancy, La comunità inoperosa, cit., pp. 19-20.

2 lvi, p. 20.

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alternativa alle forme di comunismo realizzato, di ''comunismo reale", cadrebbero, dunque, su questo pilastro individuato da Nancy. L'uomo dell'umanesimo, l'essere immanente che attraverso il lavoro realizza la sua essenza, è un presupposto che, in una prospettiva teleologica, conduce al compimento di una comunità immanente di individui. Il programma umanistico definisce tutto il pensiero della modernità occidentale fissandolo su un idealtipo, l'individuo emancipato, il metro da cui ogni impresa politica, ogni raggruppamento umano istituito in un ordinamento, non può sfuggire. Un metro che deve la sua nascita all'investimento che una te(le )ologia laica fece su uno spazio lasciato vuoto dal progressivo esaurirsi del senso collettivo dell'esisten7.a: Egli è un" altra, simmetrica, figura dell'immanen7.a: il per sé assolutamente distaccato, preso come origine e come certeZ7.a. 3

L'affermazione dell''individuo nell'epoca contemporanea ha aperto la perdurante faglia del problema della comunità. L'autodeterminazione dell''individualità, la pretesa dell''individuo- la sua etimologia è abbastanza esplicita - di "bastare a se stesso"' e dunque di essere esso stesso la propria origine e la propria certeZ7.a, è, per Nancy, l'allucinazione che offusca l'intera modernità occidentale. Più questa pretesa, sostanziata da una straordinaria volontà di autosufficienza, insiste nel suo ruolo autarchico, più l'ombra sotto cui si vuole celare il problema di un mondotutto ciò che è esterno all'individuo - inizia a dissolversi. L'individualismo, il pensiero dell'unicità dell'individuo, deve obliare, per affermarsi, l'irriducibilità di un mondo che si sottrae alla sua visione. La costruzione dell'individualità (entro cui dovremmo includere le "grandi individualità" del Politico moderno, come gli Stati) ha il suo punto d'avvio in un pensiero in

3 lvi,.p. 23.

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cui le risorse dell'interiorità sono il sufficiente carburante che predispone una visione dell"esterno, dal quale è necessariamente chiuso, privo di rapporto, quand'anche il "valore"' di questa chiusura derivi dal confine, che lo determina. È il motivo per cui nella metafisica del soggetto moderno (del per-sé assoluto) la comunità non compare. Sapersi soli essendo soli, questa è l"assurdità di una logicadell"Assoluto autosufficiente che si pensa senza rapporto. Ma più un soggetto-Assoluto si pensa sen7a rapporto più il pensiero della comunità ritorna prepotentemente a scalfirlo: il rapporto-con-I"Altro Oa "comunità"") è la costante minaccia di un Assoluto autarchico che si pensa senza Mondo. Questa problematica Nancy la affronta riportando le note critiche che, ne L"e~erienza interi.ore, Bataille mosse al Sapere Assoluto hegeliano (nella nota ''mimesi" del Sapere Assoluto, tel7.a stazione della "nuova teologia mistica" batailliana4). Bataille, secondo Nancy, capl che l'ascesa graduale della coscienza al divenire-Tutto come raggiungimento dell"Assoluto, la necessità della conoscen7a del Tutto come auspicato raggiungimento dell" estrema libertà, era la raffigurazione di una immanentizzazione assoluta, la totalità dell"essere intesa come totalità degli enti. Che la Destruktion heideggeriana aveva privato di ogni credibilità. Bataille aveva infranto questa logica circolare, operando una lacerazione nel tessuto della logica hegeliana con il concetto di estasi, dell"essere estatico, aperto, in-relazione che conduce all'impossibilità dell"immanen7.a assoluta. Pensare la necessità dell"esistenza di ciò che si sa, owero pensare che ci si guadagni la piena libertà nella conoscen7.a di tutto ciò che c'è da sapere, è il folle disegno che ha sollecitato Bataille a definire l"estasi come impossibilità dell"immanen-

4 Cfr. G. Bataille, L>esperienza interiore, tr. it. di C Morena, Dedalo, Bari 1978, pp. 173-174. Il testo è ripreso da Nancy in La comunità inoperosa, cit., pp. 26-27.

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za assoluta. Il comunismo marxiano impostato sull'homo faber non potrà che seguire il destino della metafisica dell'individuo, del soggetto moderno, col quale condivide il pensiero che la libertà si guadagni con la conoscenza del Tutto. Ambedue sono: solidali nel diniego dell'estasi. E la questione della comunità è ormai inseparabile, per noi, dalla questione dell"estasi: come si comincia a capire, infatti, essa è inseparabile da una questione dell"essere considerato come una cosa diversa dall'assolutezza della totalità degli enti.5

Allo scacco del pensiero del Sapere Assoluto, all'impossibilità dell'assolutezza dell'Assoluto o all'impossibilità assoluta dell'immanenza compiuta, dice Bataille, solo il silenzio dell'estasi è in grado di rispondere. Un'esigenza che sollecita l'abbandono dell'immanenza e dell'umanesimo, l'esigenza di una comunità irriducibile alla necessità dell'opera, irriducibile al ciclo riproduttivo della sua essenza.

2 Il comunismo è, per Nancy, il nome che defìnisce il desiderio di comunità, che, in fondo, è consegnato sempre a un affiato di nostalgia, al sentimento di una coscienza retrospettiva che sembra accompagnare l'Occidente fìn dal principio. In Marx se vi è una virtù nel capitalismo, è quella di essere un movimento che porta alla connessione globale, che esige la comunicazione tra gli uomini, preparatore di quel momento culminante, il rovesciamento violento, che porterà all'awento della società comunista. Il capitale avrebbe nella sua fo17..a motrice la capacità e la volontà di porre in comunicazione gli essenti. La necessità del capitale è quella di condurre a una moltiplicazione delle 5 J.-L. Nancy,. La romanità inoperosa, cit., p. 28.

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relazioni tra gli individui. Lo sguardo del comunista scorgerà, in un punto ben preciso di questo movimento, il senso reale delle cose come connessione dei rapporti tra le diverse esistenze, scoprendo la verità del valore, il senso del valore come produzione di rapporti tra individui. Il valore (della merce) si misurerà nella connessione, nello scambio tra gli essenti: Di conseguenza la «rivoluzione comunista» non è altro che la presa di coscienza di questa connessione mondiale e la relativa liberazione del valore come valore reale della nostra produzione in comune. 6

Per Nancy quella di Marx è una vera e propria onto-teologia rovesciata, una te(le )ologia della materia, nella quale il movimento di rottura chiamato "rivoluzione" è la rivelazione, la presa di coscienza delle relazioni di produzione che coinvolgono gli essenti, di contro alle mistificazioni evocate del capitale e alla distorsione che esso opera del valore, facendone un principio di sfruttamento. La rivoluzione è perciò la liberazione di un valore che deve essere riportato alla sua dimensione reale, alla produzione libera e comunicativa degli essenti. Nonostante in Marx si esalti la teologia dell"homo faber, l'operatore della propria essenza, Nancy vede un elemento ""dissonante" nella teoria marxista. Un elemento che sottrarrebbe lo stesso Marx a un prematuro accantonamento della sua proposta filosofica e a una sua lettura unicamente rifacentisi alla scontata dialettica struttura-sovrastruttura, a una visuale esclusivamente schiacciata sui riflessi di una causa da ricercarsi molto banalmente sui rapporti economici7. Se si analizza infatti il concetto di valore in Marx, di valore-in-sé- l'umanità che produce la sua

6 J.-L. Nancy, La creazione del mondo, cit., p. 11. 7 «Marx, insomma, non vuole affatto ribaltare la presunta visione «hegeliana» della storia, passando da una sua determinazione ideale a una determinazione materiale: semplicemente vuole abolire ogni determinazione che

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libertà attraverso il lavoro - si scopre un nucleo che va al di là di ogni fìnalità, un senza-ragione esentato da ogni giustifìcazione: è quello che Nancy rende prossimo alla parola "dignità", un nucleo verso il quale ogni potenza non si esaurisce nel ciclo produttivo, ma si defìnisce nell"atto, nell"esposizione attualizzante8 • Questa diversa inteipretazione di Nancy vuole portare al limite estremo la tesi di Marx circa l'umanità liberata che si compie nella produzione. Questo regno della libertà in cui l'umanità godrebbe finalmente della produzione liberata dallo sfruttamento del capitale, sarebbe, dice Nancy, non un vero fìne, non un telos. Il godimento comunista della libera produzione mondiale, per Nancy, sarebbe un eccesso della produzione stessa che espropria, umilia la logica del possesso e dell"appropriazione, in quanto godimento condiviso che scioglie il valore dalle catene di ogni fìnalità e di ogni ragione:

r

Mentre estorsione del plus-valore trae profitto dal valore creato dal lavoro, per riversarlo sul conto dell'accumulazione regolata dall'equivalen7.a generale [ ... ] il godimento invece si profila come appropriazione condivisa - o la condivisione appropriante - dell'inaccumulabile e dell'inequivalente, vale a dire del valore stesso (o del senso) nella singolarità della sua creazione. 0

r

La ratio del capitale è diretta alla conversione in merce di ogni

prodotto umano secondo il metro di un'equivalenza, un regime del valore, che è inserito, fin da principio, in una logica dello sfruttamento, in una valutazione mistifìcante della produzione. La rilettura nancyana di Marx, piuttosto che insistere sul rovesciamento dei rapporti, che implicano nient'altro che

prescinda dalla produzione dell'uomo da parte dell'uomo, determinazione che per l'appunto non è determinata da nulla» (ivi, p. 31). 8 Cfr. ivi, pp. 26-27. 9 Ibidem.

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la replica di segno opposto di una logica della produzione, si insinua in ciò che, della produzione, sfugge alla legge del valore, in ciò che sfugge alla produzione stessa come produzione in vista di un fìne, che è appunto il valore stesso privo di ogni ragione fondativa e fìnale, ciò che non può essere ridotto a merce, ciò che apre alla condivisione: l'essere nella sua singolarità come creazione infìnita. Il godimento senza-ragione in Marx apre alla possibilità del Mit-sein.

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Sovranità senw soggetto

La souveraineté dont je parie a peu de choses à voir avec celle des Etats, que défìnit le droit international. Je parie en général d"un aspect opposé, dans la vie humaine, à aspect servile ou subordonné.

r

(C. Bataille, La souveraineté)

1 Ex nihilo summnm è il titolo di una relazione a una conferen7.a.

che Nancytennenel 2001 e che appare come breve saggio nel suo volume sulla mondializzazione 1• A partire da questa signifìcativa locuzione latina - che consta di un sostantivo neutro che funge da soggetto e di un moto da luogo - Nancy si propone di esplorare non solo ciò che nella cultura occidentale defìnisce la sovranità, ma pure come lo stesso surnmum abbia spesso incrociato nozioni come dominio, potere, comunità. Già il termine «sovranità», condotto alla purezza delretimo2, rimanda obbligatoriamente alle altitudini, alle vette, al senso di elevazione nei confronti di una spazialità (che auspica sempre una distinzione, una gerarchia), al dominio su un'orizzontalità in cui giacciono «le cose schiacciate l"una contro l"altra, inca-

1 J.-L. Nancy,. Ex nihilo summum (Della sovranità), in Id., La creazione del mondo, cit., pp. 94-113. Come specifica rautore in una nota, trattasi, nella prima stesura, di un saggio presentato a un convegno svoltosi a Chateau des Castries nel luglio del 2001 sul tema de La Souveraineté. 2 lvi, p. 94.

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stonate nelle loro mutue azioni e reazioni»3 ; sigilli che, nell'incarnazione della persona del sovrano, rappresentano le figure archetipiche della detenzione e dell'esercizio del Potere. Storicamente il Signore è la figura sovrana dell'epoca feudale, a cui succede, dopo il passaggio all'epoca '"borghese" post-medioevale, il Proprietario. Nancy ha qui l'occasione per mostrare una certa prossimità con le posizioni di Hans Blumenberg': la Modernità rivendica una propria legittimità nel presupposto a-teologico dell'espunzione del concetto di creatura. Il vincolo che tiene la diade creatura/Creatore, il rapporto di fede, ha in passato plasmato i rapporti di fiducia che reggevano l'esercizio del potere da parte del Signore medioevale: la modalità con cui si articola la relazione di vassallaggio verso un feudatario è il medesimo che vincola la creatura a un Creatore esterno al Mondo. La Figura del Proprietario subentra dunque quando cede il particolare schema medioevale della sovranità, fondato sul rinvio a un Signore come ultimo riferimento (che legittima potestas e auctoritas nel creato, autorità spirituale e potere temporale ), ]'Onnipotente Creatore e ordinatore del Mondo. Data questa successione delle "forme del superiore" che hanno compendiato intere epoche, la questione della sovranità per Nancy è, comunque, una questione eminentemente moderna. Principalmente perché è proprio della sovranità quella di

3 lvi, p. 95. 4 Cfr. H. Blumenberg, La legittimità dell"età moderna, tr. it. di C. Marelli, Marietti, Genova 1992. A proposito: «la legittimità delretà moderna, quale io la intendo, è una categoria storica. Proprio per questo la razionalità dell'epoca è concepita come autoaffermazione e non come autodelega di pieni poteri» (ivi, p. 102). La critica schmittianaalla legittimità dell'epoca moderna, alrabuso che Blumenberg fa del termine "legittimità", è in C. Schmitt, Teo'fogia politica Il. La leggenda della liquidazione di ogni teologia politica, tr. it., a cura di A. Caracciolo, Giuffrè, Milano 1992, pp. 89-103.

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ruotare esclusivamente nell'orbita di un linguaggio nel quale l'orizzonte del religioso volge al tramonto. L'assunto a-teologico della modernità è il suo terreno di fioritura. Nancy, in questo senso, ricalibra le conclusioni di Cari Schmitt: parlare di "secolarizzazione del teologico" è un'assurdità poiché pretendere una soluzione di continuità tra le sfere del divino e dell'immanente è qualcosa di impossibile; al contrario, l'individuazione della dislocazione della sovranità nei luoghi del monoteismo conduce inevitabilmente allo svelamento del segreto entro cui è racchiuso il concetto medesimo. L'emersione della sovranità nell'epoca moderna, la possibilità della sua esistenza, ha origine dal dinamismo di quel vortice che sgretola gli '"edifici religiosi": il «tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello Stato sono concetti teologici secolariZ7.ati»5 dovrebbe leggersi: la mondanizzazione degli attributi sovrani è il risultato dell'azione eversiva dell'ateismo teologico occidentale.

Lauto-nomìa, la luce che svela il punto sorgivo dello Stato moderno, accade dunque quando il monoteismo (cristiano) decostruisce al suo interno le venature del religioso (il rinvio a un ordine dato, il diritto divino, il vincolo fondato sul religioso). La teàlogia atea del cristianesimo depone queste ultime avvisaglie rendendo possibile r auto-posizione, la sovranità che deve fondare se stessa. Porsi in auto-nomìa signifìca dunque istituirsi, darsi da sé la propria legge; in questo punto emerge tutta l'ambiguità del soggetto moderno, attore e suddito al medesimo tempo della sua legge, con tutto il carico conflittuale che lo caratterizza intimamente: il rapporto costitutivo con sé, che lo costringe a estenuarsi in una sequenza infinita

5 C. Schmitt, Teologia politica, in Id., Le categorie del 'politico\ tr. it., a cura di G. Miglio e P. Schiera, il Mulino, Bologna 1972, p. 61. Sui rapporti tra Nancy e Cari Schmitt si veda M.L. Saidel, Vis-chiusura della sovranità teologico-politica in Jean-Luc Nancy. Verso la sovranità del "con", in U. Perone (a cura di), Intorno a Jean-LAlc Nancy, cit., pp. 35-40.

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nell'ansia febbrile di situarsi intorno a un fondamento stabile, nella pretesa di dare un'identità a qualcosa che, per sua natura, non può che sfuggirgli6 • In quel gioco di specchi che è il Politico della modernità, sollecitato dall'interrogativo circa la natura di quella sommità che è la sovranità, Nancy mostra l'evidente dualismo che la contraddistingue: da un lato la sovranità che brilla come superlativo assoluto, dall'altro essa si piega a essere il termine apicale di un sistema di assi ortogonali che si incontrano in un punto. In quest'ultimo caso la sommità «entra in un rapporto per lei essenziale con un fondo, che è sempre un latifondo; un'assise, un piano, un vassoio, una garanzia che costituisce una risorsa e un capitale d'autorità, di legittimità e di potere esecutivo» 7• Questa configurazione è, per Nancy, la base su cui si è edificato lo Stato moderno, l'istituzione politica di una figura come il soggetto che tenta di suturare entro confini certi la sua privazione. Ecco, dunque, la necessità di una «circoscrizione che consente l'inscrizione di una sommità»8 regolata attraverso un criterio: quello dell'equivalenza. La sovranità si erge come una scala di misurazione che poggia su un fondo, nel quale riporre il profitto accumulato. Lo Stato moderno interseca l'awentura di un capitalismo senza più l'inibizione (medioevale) riguardo la convertibilità di ogni parte del creato in valutazione terrena, al signore che detiene il potere in grazia di un diritto dato, che riceve in appalto, succede colui che si pone come compito quello di approfittare di uno spazio del quale si è autoproclamato proprietario, «ecco quindi la ragione dell'accoppiamento tra lo stato moderno e il capitale: l'autofinalità che

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6 «Il soggetto è prima di tutto sé, cioè ansa attraverso la quale un uno porta la propria unicità alla poten7.a delrunità [ ... ], il soggetto è delrordine deU'unità identificante» (J.-L. Nancy, Il senso del mondo, cit., p. 130).

7 J.-L. Nancy, b nihilo, cit., p. 105. 8 lvi, p. 107.

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si configura come finalità senza fine, o l'autoprincipato che si conferisce da solo l'investitura»0 • L"istituzione di un piano per l'accumulazione è }"ideale terreno di contesa per quelle figure hegeliane riunite nella diade signore/servo, ma è proprio all'interno di questa dialettica che Nancy fa emergere la contraddizione di una sovranità sottomessa alla sua stessa sottomissione, al progetto che incarna, al lavoro servile che utilizza per il proprio fine. Può una sovranità essere vincolata? Può essere compresa in un meccanismo servile? Questo smarcamento, il passaggio oltre questa economia, è riassunta dal filosofo francese con un celebre prestito tratto dal pensiero di Bataille (il contenuto, la verità, la lezione ultima della sua "esperienza interiore"" 10): «la sovranità non è NIENTE» 11 • La sovranità come superlativo assoluto si erge all"altezza di questo NIENTE poiché sfugge, per sua costituzione, a ogni torsione che la ripieghi a un fondo che ne faccia misura dell"esistente (il "valore""), e dunque vi è sovranità se non fuori da ogni continuum teleologico, che ne segnali i passi e ne assicuri i momenti. Questo salto al di là del circuito della sovranità moderna è possibile nella pienezza delle determinazioni della metafisica del soggetto, nella maturità che segnala il suo disfacimento, snodo epocale sul quale la verve polemica di Nancy nei confronti di Schmitt raggiunge toni abbastanza decisi: }"accusa mossa al pensatore tedesco è quella di non aver saputo declinare la sua definizione di sovranità all"altezza della meta.fisica che si annunciava 12• La «resa della sovranità all"esi-

9 lvi, p. 100. 10 J.-L. Nancy, La comunità inoperosa, cit., p. 49. 11 G. Bataille, La sovranità, tr. it. di L. Gabellone, SE, Milano 2009, p. 23. 12 «Cari Schmitt [ ... ] non era in grado di appreZ7.are la metafisica della nostra epoca, cioè delrinizio del XXI secolo - almeno se ci arriveremo sen7.a

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stenza» 13 è lo schema stesso della sovranità, non l'estorsione della sua purezza inattingibile da parte di un signore (o di un fondatore) che accampa diritti di proprietà per il suo atto, movimenti del soggetto che desidera costantemente la meta dell"incommensurabile, quanto la pura (e mai convertibile) apertura sovrana ali" esistenza, ali"esistente-in-atto non definibile. La sovranità è dunque una faglia aperta, costantemente esposta agli agguati mossi dall'ambizione di occultarne ]"irriducibilità e di mutarla in un "sacro suolo"', laddove quel "sacro"" è un solco che manifesta la volontà di signoreggiare la sovranità e di definirla in un significato. L'epoca della decostruzione della metafisica del soggetto, vede tramontare le figure dell'auto-nomìa, e di conseguenza l'estrema debolezza degli attributi sovrani a cui da tempo va incontro la forma-Stato mostra come superati i presupposti del secolare rapporto col capitalismo, unico attore trionfante nell'epoca della mondial,izwzione (lo spa7lo privo di riferimenti esteriori, punto d'arrivo della decostruzione dei retro-mondi).

2 Negli anni che precedono la stesura de La comunità inoperosa, Nancy accetta la sfida-invito di Jacques Derrida per la creazione di un "Centre de recherches philosophique sur la politique" che ha come obiettivo dichiarato quello dell'indagine rigorosa sulla «co-appartenance essentielle (et non accidentelle ou simplement historique) du philosophique et du

ritornare agli "anni '30" - [ ... ] quella che si può chiamare la metafisiai della decostruzione dell'essenza, e deli>esistenza in quanto senso» (J.-L. Nancy, Il senso del mondo, cit., p. 116). 13 lvi, p. 117.

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politique»14 • L'iniziativa non dura lo spazio temporale di un lustro ma ci consegna due pubblicazioni collettanee, nelle quali si nota, oltre la partecipazione, tra gli altri, di esponenti già affermati come Luc Feny, Jean-François Lyotard, Étienne Balibar, quella del deuteragonista dello stesso Nancy, Philippe Lacoue-Labarthe, coppia che si distinse come il vero motore e la più convinta animatrice del Centro 15 • Nel passaggio che abbiamo appena riportato (e che campeggia nell'Ouverture come un'insegna, accompagnando alla stregua di un manifesto d'intenti la proposta di questo Centro) è piuttosto esplicita l'ambizione di riportare in superficie quello che N ancy indica come l'elemento originario sul quale poggia l'intero edificio del Politico occidentale: la coppia sapere-potere che segna, nella modalità di una formula, quel connubio che, dai primordi dell'Occidente, lega essenzialmente il filosofico e il politico. Una chiarificazione di questo intreccio epocale apriva le pagine del primo resoconto delle attività del Centro: Cette implication réciproque du philosophique et du politique (le politique n"est pas plus extérieur ou antérieur au philosophique que le philosophique, en général, n"est indépendant du politique), cette implication réciproque ne réfère seulement pour nous, méme sur le mode de «historialité», à

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14 P. Lacoue-Labarthe- J.-L. Nancy,Ouverture,in Iid. (acuradi), Rejouer la politique, Galilée, Paris 1981, p. 14. Cfr. pure A. Esposito, Variazioni sul politiro in Jean-Luc Nancy, in U. Perone (a cura di), Intorno a Jean-Luc Nancy, cit., pp. 29-34. 15 I lavori del Centro sono concentrati in due quaderni pubblicati a distan7.a di un paio d"anni: P. Lacoue-Labarthe - J.-L. Nancy (a cura di), Rejouer la politique, cit., e lid. (a cura di),. Le retrait du politique, Galilée, Paris 1983. I contributi presenti nei due volumi (oltre a Jean-Luc Nancy e Philippe Lacoue-Labarthe) portano la firma di Luc Feny, Jean-François Lyotard, Étienne Balibar, Denis Kambouchner, Claude Lefort, Jacques Rancière, Philippe Soulez, Jacob Ragozinski.

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rorigine grecque - soit d"un raccourci,. à la polis sophistique et à son répondant, ranthropos logikos. C"est en réalité notre situation ou notre état [ ... ]. L"interrogation sur le politique ou sur ressence du politique, e"est au contrai re ce qui doit pour nous faire retour jusqu"au présupposé politique lui-m@me de la philosophie (ou si l'on préfère: de la métaphysique), c'est à dire jusqu"à une détermination politique de essence. Mais cette détermination ne fait pas une position politique; e"est la position m@me du politique, de la polis grecque à ce qui s'est déployé dans rage moderne comme la qualifìcation du politique par le sujet (et du sujet par le politique). 16

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Sin dalle sue origini la fìlosofìa, come pensiero dell'Occidente, coltiverebbe un"ambizione politica. Il lascito più signifìcativo del "Politico"' greco, il punto di riferimento della successiva storia politica occidentale, la polis, luogo d"esposizione dell" essere-in-comune senza un'origine comune (espressione urbana che si lascia alle spalle le rovine della civiltà palaziale micenea), sin dagli inizi sarebbe caratterizzata da uno spasmo, da una contrazione che da spazio di "esposizione del comune" muterebbe a teatro di scontro delle diverse idee per il governo. Come se }"assenza di fondamento, di un"origine comune fosse un continuo stimolo per un logos politico interessato a comporre (e a imporre) condizioni e motivazioni di questa unione di esseri fìniti che è la città. La città, la polis, l'esposizione della spaziatura, sarebbe da sempre alla mercé dell'irrequietezza di un logos incapace di rassegnarsi a una comunità come apertura, come esposizione della presenza dell'esser-fìnito. Questa tendenza alla chiusura sarebbe il presupposto che animerebbe ogni impresa della storia politica occidentale. L"esposizione dell'essere-comune solleticherebbe l'appetito di una theoria per defìnizione orientata al predominio cittadino.

16 P. Lacoue-Labarthe- J.-L. Nancy, Ouverture,. cit., pp. 14-15.

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A ciò non sarebbe estranea una delle definizioni più storica-

mente rilevanti del "Politico'' della civiltà occidentale, l'aristotelico zoon politikon, che sarebbe niente di più che l'espressione sicuramente più felice di una "metafìsica del politico": un'individualità politica che ha come obiettivo la realizzazione della sua supposta essenza, verso la quale, per compiersi, deve soddisfare i propri bisogni, interessi, diritti. La città perderebbe cosl lo status di comunità disgiunta, priva di ogni legame dato come esposizione degli esseri finiti senza un'origine che li comprenda e li definisca, diventando lo spazio pubblico di proiezione di un logos politikos in grado di dettare e giustificare le condizioni per edifìcare la sua circoscrizione. L'interesse di Nancy è rivolto a individuare un elemento che possa insidiare quel sistema che, segnato dalla coppia saperepotere, definisce ab origine l'intreccio epocale che lega il filosofico al politico. La traccia che invita alla presa decostruttiva è un punto-limite che attraversa discretamente e sottotraccia la civiltà occidentale: «dans le Politique de Platon, par exemple, dans le Souverain de Hobbes ou dans celui de Rousseau, et qu'il reconduit ses problèmes dans la "souveraineté" de Bataille» 17, Nancy la ritrova proprio negli anfratti di un pensiero, come quello hegeliano, che rappresenta l'apogeo del soggetto teorico. La ricognizione che Nancy compie di alcuni testi di Hegel (in particolare i Lineamenti di filosofia del diritto e l'Enciclopedia) lo porta a individuare «le lieu d'une singulière complication dans le théorie hégélienne elle-meme»18• Questa complicazione non deve essere vista come una sfilacciatura all'interno delle maglie del pensiero hegeliano, una crepa all'interno di un

17 J.-L. Nancy, Lajuridiction du rrwnarque hége'lien, in P. Lacoue-Labarthe J.-L. Nancy (a cura di}, Rejouer lapolitique, cit., p. 52. 18 lvi, p. 55.

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sistema, che darebbe ragione e conferma a tutte quelle interpretazioni di un Hegel teorico dello Stato totale, della totalità sociale come organismo (per il fìlosofo francese ciò sarebbe la rappresentazione di un Hegel distorto, frutto di una lettura piuttosto superficiale), al contrario segnalerebbe l'esistenza di un punto-limite, un'ombra carica di straordinarie precauzioni, che seguirebbe costantemente l'elaborazione del Politico nel pensiero occidentale. Nancy è attirato dalla nozione di «unione come tale" («die Vereingung als solche» ), owero la verità soggettiva dello Stato come compimento della relazione. Ma questa soggettività come compimento della relazione tra i membri dello Stato è qualcosa che trascende l'organizzazione come somma dei membri stessi. È un eccesso che eccede lo Stato, sia come organismo tecnico regolatore degli interessi dei singoli, lo Stato-Tecnica conforme ai desiderata della società civile, sia allo stesso Stato-Soggetto come organi72azione sociale ispirato dalla Totale Sittlichkeit, in cui le relazioni sono sostanziate eticamente. Per Nancy queste due configurazioni sono due facce della stessa medaglia, in quanto ad ambedue sfuggirebbe lo specifico del politico, l'eccesso 19 • Se l'unione com.e tak, la verità soggettiva dello Stato come compimento della relazione, è qualcosa che eccede l'organismo statale, di che natura sarebbe questo eccesso come tratto «esorbitante" della teoria hegeliana? Cette complication est elle de la théorie du monarque. Et elle r est, tout d"abord, pour une raison formellement aussi simple, qu" apodictique: si rÉtat est la vérité, la vérité de cette vérité est le monarque. m

19 J.-L. Nancy, La sovranità persona, in V. Conti (a cura di), Sapere e potere, Atti del Convegno internazionale di Genova, 27-30 novembre 1980, Multhipla, Milano 1984, voi. I, p. 31. 20 J.-L. Nancy, La juridiction du monarque hége1ien, cit., p. 55.

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Che per 'Verità dello Stato"" si intenda il monarca può ovviamente generare una miriade di equivoci, a partire dalla nutrita schiera di interpreti di Hegel, i quali hanno intravisto nella figura del monarca le prove di una sua vicinanza a un controverso decisionismo monarchico. Abbaglio al quale, Nancy lo rileva, è andato incontro il Marx della Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico21 • Se cosl fosse, il monarca potrebbe rivendicare il suo ruolo in virtù di un dato, di un fondamento (il "diritto divino"" o il "diritto del più forte""), e la comunità, lo Stato sarebbe il luogo di disposizione dell"esercizio di un dominio. Più che di lettura distorta di Hegel, si tratterebbe di un totale fraintendimento della sua filosofia. Per Nancv, infatti, il monarca hegeliano è "l"unione come tale'" e dunque il compimento della relazione, l"eccedente che trascende la relazione stessa, l" esposto della comunità. Ma Nancy è consapevole che questo trascendimento, questa immediatezza del monarca, questa certezza sensibile della relazione, rischia da subito il coinvolgimento in quel processo che nella filosofia hegeliana è la "lotta per il riconoscimento", che per primo pone la questione del rapporto.

21 J.-L. Nancy, La sovranità persona, cit., p. 27. Alrindividualità hegeliana dello Stato raffigurata nel monarca, Marx dedica molte pagine della sua Critica. Il capovolgimento operato dal filosofo di Treviri può essere così sintetizzato: «La sovranità esiste soltanto come autodeterminazione astratta, perché sen:za fondamento, della volontà, nella quale autodeterminazione si trova r estremo della decisione. È questa rindividualità dello Stato in quanto tale, che, esso medesimo, soltanto in ciò è uno (e nella costituzione sviluppata a razionalità reale ciascuno dei tre momenti del concetto ha il suo per sé reale separato aspetto). Perciò questo momento assolutamente decisivo della totalità non è rindividualità in generale, ma un individuo, il monarca» (K. Marx, Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, in Id., Opere fil,osofiche giovanili, tr. it. di G. Galvano della Volpe, Editori Riuniti, Roma 1977, p. 34).

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Nancy lavora sui passi di alcuni testi hegeliani, nei quali la questione sarebbe stata affrontata dal filosofo tedesco con estrema prudenza: Nous serions donc fondés à chercher, au lieu m@me du rapport non encore stabilisé dans la domination e le besoin, e'està-dire au lieu de la lutte m@me, le principe de rÉtat. 22

Nella lotta per il riconoscimento, quando affiora per la prima volta la questione della comunità, del comune tra autocoscienze, l'incontro tra esseri fìniti è già da subito viziato, secondo Nancy, dal bisogno e dalla cura dell'appagamento del desiderio che anima la coscienza. In questo rapporto, dunque, non matura la co-presenza tra esseri liberi, bensì la risoluzione di questo incontro è nelle prospettive di soddisfacimento della soggettività. La tenace insistenza di Nancy su questo punto, accompagnato da alcune incursioni in particolar modo del § 433 dell'Enciclopedia, ha come scopo quello di chiarire che Io stesso Hegel concede alla ''lotta per il riconoscimento" soltanto un aspetto esteriore, "fenomenico", non sostanziale. Il principio sostanziale dello Stato non può declinarsi come "lotta per il riconoscimento": questa lotta è la manifestazione che certifìca il passaggio all'autocoscienza come atto di fondazione di uno Stato. Una lotta anche di puro prestigio, che esibisce il lato desiderante della singolarità non può essere un principio sostanziale, bensì un fenomeno di questo principio. Questo "eccesso di prudenza" di Hegel è rilevata da Nancy quando quest'ultimo si spinge a pensare che la "lotta per il riconoscimento" intercetta una domanda essenziale: quella della relazione che precede il suo assorbimento nella dialettica. La relazione, l'esser-comune è un orizzonte già da semprepresente, che precede la lotta quale incontro tra gli essenti: «Il

22 J.-L. Nancy, La juridiction du monarque hége1ien, cit., p. 66.

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problema del rapporto- o dell'essere - uno sui generis della socialità - vi è risolto anticipatamente»2.1. Ma in Nancy questa ontologia della relazione è incessantemente sotto la pressione di una curvatura metafisica che tende a condurla sull'orlo di un precipizio: la comunità già da sempre accaduta è, per il filosofo francese, nella versione occidentale, da sempre esposta al rischio delle insidie della "metafisica del politico". Negli edifici politici della civiltà dell'onto-teo-logia, il '"monarca hegeliano" è una figura sfuggente, che eccede i suoi istituti. Non è un "funzionario" al servizio dello Stato, seppur di grado superiore, e in quanto non assegnabile ad alcun istituto di rappresentanza, non permette alcun rinvio a qualcosa che ha a che fare con una raffigurazione puramente astratta, qualcosa che ha a che fare col simbolico. Quell'unione come tale che è il ''monarca", sfugge alle definizioni della "metafisica del politico", poiché è con lui che si assiste a un trapasso: «Le monarque effectue donc l'Umschlagen de l'État dans l'existence, la conversion de l'union comme telle dans l'unité d'une personne réelle» 24• Il "monarca" non è un astratto, è un qualcosa di reale, esistente, intuizione della comunità; una presenza concreta che non viene catturata dai concetti e dai significati che precipitano nelle geometrie dello zoon politikon: esso non ha ruolo alcuno, che il luogo del suo eventuale esercizio sia la società civile o la variante protesica del Leviathan hobbesiano. In questo senso il monarca non è un soggetto e non si piega alla sua legge. Se il monarca fosse un essere coinvolto in questa lotta sarebbe nient'altro che la cima di un organismo comunque ordinato gerarchicamente, soffocato nelle spire di una propensione dialettica, in competizione con la coscienza ser-

23 J.-L. Nancy, La sovranità persona, cit., p. 32. 24 J.-L. Nancy, La juridiction du monarque hége1ien, cit., p. 60.

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vile, ricompreso pertanto nella totalità delle relazioni tra i vari individui deIIo Stato. Esso è '"presenza" non estorta in identità, non convertita in soggetto e in quanto "intuizione della comunità" in perenne sottrazione alle rappresentazioni della totalità organica dello Stato. Il monarca espone la comunità, è l'esistenza concreta della comunità. È quelI'assoluto del popolo come persona esistente che non partecipa allo Stato, non è parte dello Stato, ma paradossalmente ne è il compimento come unità, in una modalità differente dalla somma, seppur organizzata in modo gerarchico, degli individui: est donc ainsi le tout de l"État [ ... ], un homme en plus. Qui ne pas nombre avec les autres individus, mais qui fait, au contraire exister Ieur union com me unité. Le monarque est accomplissement du rapport. z;

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Il monarca che espone la comunità ma si sottrae all'esercizio delle sue funzioni è la cifra che riassume quel "senso ontologico del politico" che coIIoca il "monarca" al di là dell'incrocio fatale tra il fìlosofìco e il politico, owero di un sapere che si "vuole" totalmente potente. Il non essere sotto il giogo deIIe ambizioni del teorico fanno del monarca non soltanto un "impotente" quanto Io rendono indifferente alla seduzione del sapere. Quando Nancy pone la domanda: «che cosa devono sapere coloro che devono regnare?»26 , Io stesso filosofo francese poche righe prima, anticipava la risposta: «il sapere implica contemporaneamente la padronanza dell'oggetto e quella del suo stesso processo»27• Tutta la storia dei fìlosofì-re, della fìlosofìa politica occidentale, nasconde la lunga ombra di un de-

25 lvi, p. 58. 26 J.-L. Nancy, La sovranità persona, cit., p. 30. 27 lvi, pp. 29-30.

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siderio di asservimento alla volontà di conoscen7~. Il monarca non è figura del Sapere: non è una competenza, né una poten7.a [ ... ], firma per il popolo [ ... ], è un"esistenza e una prestazione. È una persona insomma, non è un nessuno, colui che firma con il suo nome è l"anonimo di un"esistenza naturale. 28

Cosa firma il monarca? Quale decisione per il monarca? Il monarca «firma» il popolo che espone, non facendo ombra con la sua mano e non facendo ombra nell"atto del suo ritiro. Questa esposizione e il suo simultaneo ritiro preservano il monarca dal fascino di uno sguardo "puntato" verso la comunità. Lo sporgersi in avanti è la vertigine di una sovranità che rischia di mutarsi in signoria e, conseguentemente di costringere la comunità in una comunità d'essenza, in una comunione. Il monarca, dunque, deve essere separato dal suo esercizio poiché qualora superasse questa inibizione sarebbe l'ipostasi di una figura, di un significato. Ecco perché l'atto politico che istituisce il diritto, la giuris-dizione, è un enunciato che non fa tema, è tanto poco un'operazione che un voler-dire sen7~ oggetto. Il «senso ontologico del politico» preserva l'esser-comune dalla caduta in un significato metafisico, custodisce la comunità, come con-divisione di un qualcosa che esorbita, che è inequivalente a tutte le definizioni di una totalità immanente compiuta. La traccia di questo eccesso irriducibile è il monarca.

28 lvi,. pp. 36-37.

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Derrwcrazia inoperosa

Oort, wo der Staat aufhort - so seht mir doch hin, meine Briider! (F. Nietzsche, Also sprach Zarathustra)

Lo schema della sovranità in Nancy, la salvaguardia del NIENTE che apre alla comunità (lo statuto della quale passa sempre, è bene non scordarlo, per la riforma dell'ontologia operata nei confronti di Heidegger), raccoglie la sfìda del capitalismo espiantatore principe della sovranità moderna, ormai teso a filtrare tutto ]'esistente attraverso la legge dell'equivalenza, attraverso il recupero della memoria di una nozione impigliata, negli ultimi tempi, da una rete di equivoci: denwcrazia.

È questo l'ultimo Nancy: il pensatore che aveva assistito al crollo dell'ultima manifestazione di una volontà perennemente dispiegata nel circoscrivere l'essere in un senso compiuto e che assiste al trionfo globale del capitalismo. Democrazia non sarà allora il nome, passato a lucido, di un nuovo regime politico o il ripristino di ciò che rimane di una concezione della sovranità ormai frantumata. È il passaggio della politica all'inoperosità, il luogo in cui non è più ammissibile l'ambizione di "una visione" che vorrebbe ricondurre Io spazio della comunità al proprium, all'interesse privato; è la riconversione del paradigma dell'equivalenza che mira alla presetvazione dell'incalcolabile, del sen7.a-valore, alla possibilità di un senso non misurato in anticipo; è la memoria storica

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della particella anarchica del dernos, il cui potere sarà sempre quello di insidiare, di opporsi, di mettere in scacco la volontà di dominio di un Principio, cosl da farsi carico, per tutti e per ciascuno, dell'apertura innnita 1• Nancy è consapevole che la democrazia è espressione del medesimo contesto dal quale anche il capitalismo ha avuto origine2. Democrazia e capitalismo dunque si toccano, si affrontano, spesso si confondono, si contrastano nella ''spa7jatura cittadina'' fln dagli inizi. Parlare del capitalismo come di un qualcosa di connaturato all'Occidente delle origini, è un discorso appropriato, pienamente sottoscrivibile anche nei riguardi della democrazia. La sua co-appartenenza all'origine occidentale la obbliga a condividerne interamente il destino (e gli eventi). Nel2008 Nancy diede alle stampe un agile volumetto, una sorta di pamphlet, dal titolo Verità della democrazia. Dal titolo sembrerebbe il tentativo di fìssare un'identità al termine democrazia, un'esposizione circostanziata sul tema, una digressione storica, quanto può contenere lo spazio di un pamphlet. Ma l'occasione che portò alla scrittura di questo piccolo volume è di tutt'altro tenore. Un ricordo, contornato dalla scadenza (i 40 anni del '68) di un avvenimento, che nella scrittura di Nancy affiora con particolare evidenza come non-concluso. Un accadimento storico, un punto della Storia, che ancora contiene la possibilità di "fare evento''. Un'interrogazione sulla verità della democrazia: 68 non è stato né una rivoluzione, né un movimento di riforme

(benché ne siano derivate tutta una serie), né una contestazione, né una ribellione, né una rivolta, né una insurrezione,

I J.-L. Nancy, Verità della democrazia, tr. it. di R. Borghesi e A. Moscati, Cronopio, Napoli 2009, p. 64. 2 lvi, p. 47.

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benché sia possibile rintracciare in esso i tratti di tutte queste posture, postulazioni e ambizioni e attese. La caratteristica più propria e singolare del 68, che gli ha conferito quasi naturalmente il diritto di portare a guisa di patronimico il suo monogramma calendariale - come prima di lui 89, 48 o 17 - può essere individuata solo abbandonando, almeno parzialmente o relativamente, tutte queste categorie. 3

Il primo obiettivo di Nancy è, dunque, quello di contestare la facile lettura che del "68 si è data e che è diventata senso comune, ciò che nella narrazione dei fatti propagandati dall"informazione è ormai un dato massimamente condiviso. La verità del "68, l"apertura successiva all"emergere della contraffazione messa in atto dallo pseudo-"68, la si può raggiungere soltanto con l'abbandono delle devianti categorie universalmente accettate. Per N ancy le de6nizioni di comodo, giornalistiche, pretestuosamente ridicole, occultano ciò che è stato realmente il "68: un "tempo di pensiero" nel quale è stato possibile, per alcuni attimi, intravedere un awenire e comprendere la 6ne di un"epoca. La frammentazione di questa "visione"" ha segnato molti degli aspetti relativi al '68 come contraddittori. Innanzitutto, con ciò che lo precedeva, con l"anelito democratico successivo dalla fìne della Seconda guerra mondiale, che aveva creato le condizioni di possibilità del "68. Se, infatti, le forme del tempo in cui si sarebbe articolato questo pensiero erano quelle relative all"esaurimento di un pensiero della Storia, alla 6ne dell'epoca delle immagini del mondo, il movimento democratico che precedette il '68 non lo capl affatto, preferendo porre come problema principale quello di pensare ancora un soggetto della Storia, una nuova politica pianificata. Il problema della distorsione della democrazia non fu preso in considerazione. Di fronte a una critica di stampo totalitaristico, il problema "democratico"' non poteva che rimanere relegato a 3 lvi, p. 11.

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residuo di un mondo al tramonto, sopportato tutt'al più come male minore, in fondo caratterizzante una fase transitoria di fronte all'inarrestabile avanzata del sol dell'awenire. Ciò che cercava l'Europa post-bellica (un nuovo soggetto storico, una nuova organizzazione, un nuovo progetto) era dunque in contrasto con ciò che annunciava la nuova epoca, la fine de "l'epoca delle immagini del mondo". Da questa frattura col passato più prossimo, scarsamente presa in considerazione, secondo Nancy sorse un equivoco. Il pensiero della democrazia del '68 più che di continuità col movimento democratico dei decenni precedenti, si fondava sul sentimento di disillusione per quel ritorno alla democrazia avvenuto più di vent'anni prima, il quale veniva accusato di aver tradito le premesse e le promesse e del quale si sanciva il fallimento degli obiettivi che si era preposto dalla fine del secondo conflitto mondiale. Il tentativo di ovviare a questo fallimento, si concentrò nel porre alla ribalta i focolai delle lotte di liberazione dei popoli oppressi dal colonialismo. Alla dimensione "borghese" che aveva assunto la democrazia, si rispose con il modello umanistico di emancipazione, nella sua versione di ""decolonizzazione''. L'appoggio che questi movimenti ricevettero da quella che un tempo si usava definire come "la guida del movimento operaio internazionale" fu la conferma, per Nancy, che dietro la nozione di democrazia aleggiava ancora un soggetto storico che si era attribuito il compito di faro del comunismo internazionale: In vari modi, i Consigli o le Autogestioni, le Democrazie dirette o le Rivoluzioni permanenti, occupavano un orizzonte che restava quello della possibilità di un,azione organizzata, ossia organica, e di una pianificazione o di una prospettiva il cui schema formale si era introdotto perfino nella concezione dello Stato.,.

4 lvi, p. 14.

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I piani quinquennali o le visioni totalizzanti delle dittature popolari sono la testimonianza di come la risposta comunista al totalitarismo dell'orrore del nazionalsocialismo - che il ripristino della democrazia nel dopoguerra pensava aver posto a tacere per sempre - finl per realizzare un vero e proprio cortocircuito del pensiero, alle cui spalle ricomparivano prepotentemente, accompagnate da una loro tenace riproposizione, le "immagini del mondo". La stessa democrazia finiva sotto i colpi di una '"visione del mondo" che la rifiutava come frutto immaturo della dinamica di emancipazione e liberazione dell'umanità, un residuo ''borghese", totalmente superato dall'ascesa del movimento operaio. Questo presunto "tradimento" della democrazia è una formula che nasce in relazione a una sua totale identificazione con la democrazia liberale borghese e quindi a un suo appiattimento verso le forme di produzione tipiche del capitalismo. Una critica a senso unico quest'ultima che, per Nancy, fu la spia di una mancata riflessione sull'inadeguatezza della democrazia nei confronti della sua stessa idea, che già nella prima metà del Novecento, tra le due guerre, aveva prodotto l'opzione totalitaria. Un'inadeguatezza che nascondeva quello che uno dei nodi centrali dell'argomentazione di Nancy, l'incomunicabilità, la sospettosità, l'estrema divaricazione in quegli anni tra l'esigenza comunista e la nozione di democrazia: abbiamo visto la democrazia attaccata, ma non abbiamo visto che essa stessa si era esposta agli attacchi e chiedeva di essere reinventata, e non solo difesa cosl com"era. 68 è stato il primo insorgere dell"esigenza di una tale invenzione. 5

Alle molteplici indicazioni equivoche che si sono susseguite a partire dal secondo dopoguerra, il '68 auspicava una reinvenzione della democrazia. Piuttosto che un rinnovato soggetto

5 lvi, p. 18.

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della concezione, ormai avviatosi verso il rnailstrom del nichilismo, il "68 poneva l"esigenza di un suo superamento, di una "trasvalutazione dei valori"" in senso nietzschiano. Reinventare la democrazia alla luce dell"esaurimento del pensiero della Storia era un riferimento, consapevole o meno, a quell'uscita dal nichilismo cosl come l'aveva concepita Nietzsche. Una nuova tavola di valori come approdo dal distacco del paradigma della visione e da una teoria "totalizzante"" che ancora prefigurava e progettava orizzonti. A quest'esigenza il "68 rispose, in modo piuttosto confuso e

frammentario, ma allo stesso tempo con tratti originali per quel tempo, con tutta una serie di condotte, comportamenti, atteggiamenti, cotpi di pensiero. Quella che per Nancy fu una caotica esplosione d'immaginazione non priva di fascino fa da sfondo a una meditata sezione della sua opera più conosciuta, I.a comunità inoperosa, in quel capitolo emblematicamente intitolato Il comunismo ktterario. Come abbiamo accennato in precedenza, questo titolo provocatorio, non è un omaggio né al comunismo come forma politica realizzata né al sistema letterario generale; piuttosto è l"aver luogo di una comunità articolata nella forma di un"opera esposta, opera aperta, che non si esaurisce in se stessa, non è conclusa ma offerta, nella sua costante esposizione, alla comunicazione infinita: L'inoperosità è offerta, infatti, dove la scrittura non porta a termine una figura o una figurazione, e quindi non ne propone o non ne impone il contenuto o il messaggio esemplare (il che vuol dire immediatamente leggendario: mitico).6

Per Nancy, il contenuto di questo passaggio, nel "68, ha mostrato una certa vitalità in situazioni piuttosto marginali, caratteri-

6

J.-L. Nancy, La comunità inoperosa, cit., p. 160.

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stiche di chi rifiutava una visione della politica come messa in opera. Movimenti che hanno cercato di immaginare il politiro entro fonne artistiche, secondo modalità e canali che, però, sono estranei a tutto ciò che usiamo definire come "politicizzazione dell"arte'"', dimostrazione palese di subordinazione, di fiancheggiamento dell"opera nei confronti dell"operazione politica (che ha mostrato spesso la rapace volontà di appropriazione da parte delle organizzazioni sia partitiche che sindacali), quanto al contributo dell'arte come apertura di politiche di condivisione: La scena del letterario e, quindi, siamo legittimati a dire, la scena dell'opera d'arte, gli appare come evento di interruzione, di sospensione del mito o del logos. [ ... ] Nel letterario quindi avremmo a che fare con una sospensione, con un venir meno [ ... ] in una ritrazione senza traccia, apre una comunità che non si conclude né in una comunione e neppure in una semplice indifferenza numerica. Nancy arriva persino a sostenere che la scena del letterario mostrerebbe in un modo speciale l'inoperatività o la non operatività della messa in opera in cui una comunità potrebbe sottrarsi a quell"umanesimo in cui i comunismi del Novecento avrebbero preteso di produrre essenzialmente la propria essenza. 7

Proprio il tentativo di sussumere ogni esistenza alla pratica politica, computarne le possibilità intorno a un progetto, concludere quell"inoperosità che assicurava il letterario, awerte Nancy, è }"errore che ha condizionato il "68 nel fare proprio lo slogan "tutto è politico". Non si trattava di presetvare un aspetto privatistico (ridicolizzato come borghese) di contro a un aspetto comunistico-comunitario che, come istanza alternativa alla privatizzazione borghese, avrebbe dovuto impregnare tutte le sfere dell"esistenza. Il "tutto è politica":

7 C. Meaz7.a, La comunità s-velata, cit., pp. 19-20. Si veda pure il recente volume di M. Villani, Arte della fuga. Estetica e democrazia nel pensiero di Jean-Luc Nancy, Mimesis, Milano-Udine 2020.

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contro ogni apparenza, è una massima perfettamente neoteologica. 8

Proprio da uno degli slogan più in voga del "68, viene a galla dunque uno degli aspetti più distintivi della democrazia rispetto alle configurazioni reali socialiste e comuniste. Se per queste ultime la politica doveva circonfondere ogni momento del quotidiano, per Nancy, in tutto ciò è già in attività una volontà di veicolare l"esistente -1"essere-in-comune - in un"identità, di segnarlo secondo una ipostasi, una figura totalitaria. Proprio in questa prevenzione dall''ipostatizzazione avanzata da Nancy è possibile «tracciare il contorno democratico della politica»9 • Distinguere la politica 10. Far emergere il suo specifico perimetro aiuterebbe a comprendere la natura del potere politico, la sua specificità, dal riduzionismo antagonista che tenta costantemente di esorcizzare il potere (e, di conseguenza, il politico tout court) identificandolo nel puro dominio11; lasciare alla politica la possibilità di distinguere di fronte all"indistinto che propugna il capitalismo secondo i canoni della legge dell"equivalenza: Ciò che ha determinato la critica nietzschiana dei