Il Pentateuco sapienziale. Proverbi, Giobbe, Qohelet, Siracide, Sapienza. Caratteristiche letterarie e temi teologici 8810206649, 9788810206645

Frutto di un collaudato corso sui libri sapienziali, il volume costituisce una introduzione alla letteratura sapienziale

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Il Pentateuco sapienziale. Proverbi, Giobbe, Qohelet, Siracide, Sapienza. Caratteristiche letterarie e temi teologici
 8810206649, 9788810206645

Table of contents :
Prefazione
Elenco delle principali abbreviazioni utilizzate
Introduzione generale alla letteratura sapienziale
Premessa
1. All'inizio del cammino
2. Le origini della sapienza biblica (I): la sapienza al di fuori d'Israele
3. Le origini della sapienza biblica (II): l'ambiente storico-culturale della sapienza biblica
4. Le forme letterarie della letteratura sapienziale
5. Che cos'è la sapienza?
6. Caratteri e teologia della sapienza israelita
Il libro dei Proverbi
1. Contenuto e struttura del libro
2. Testo e posizione nel canone
3. La datazione del libro dei Proverbi
4. Lo stile dei Proverbi
5. Temi teologici dei Proverbi
6. La figura della sapienza personificata in Pr 1–9
7. Il libro dei Proverbi: problemi aperti
8. Il Nuovo Testamento, la tradizione cristiana antica e la liturgia
Il libro di Giobbe
1. Problemi letterari
2. Giobbe e la letteratura extrabiblica
3. Cenni sulla storia dell'interpretazione
4. Tracce per una lettura esegetica e teologica del libro di Giobbe
5. Quadro teologico del libro: una possibile chiave di lettura
6. Giobbe e il Nuovo Testamento: tracce per una lettura cristiana
Il libro del Qohelet
1. L'enigma del libro e dell'autore
2. Problemi letterari
3. L'ambiente storico del Qohelet
4, Un'interpretazione difficile: breve storia dell'ermeneutica del Qohelet
5. Temi e teologia del Qohelet
6. Qohelet nel contesto della rivelazione
Il libro del Siracide (o Ben Sira)
1. Autore e datazione
2. Il problema testuale
3. Caratteristiche letterarie del Siracide
4. L'insegnamento di Ben Sira
Il libro della Sapienza o la Sapienza di Salomone
1. Testo e versioni
2. Problemi letterari
3. Il libro della Sapienza nel suo contesto storico
4. Il libro della Sapienza nella tradizione; la canonicità
5. Il messaggio del libro della Sapienza
La sapienza biblica: sviluppi e prospettive
1. Il valore dell'esperienza
2. L'epistemologia dei saggi: sapienza personificata, creazione e accessibilità di Dio
3. Il mistero del male, la creazione e la sapienza della croce
4. La sapienza e Gesù Cristo
5. Un progetto educativo: l'etica sapienziale
6. La rivelazione dell'umano: in dialogo con altre culture
Indice

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Il Pentateuco sapienziale PROVERBI GIOBBE QOHELET SIRACIDE SAPIENZA Caratteristiche letterarie e temi teologici

Luca Mazzinghi

Il Pentateuco sapienziale PROVERBI GIOBBE QOHELET SIRACIDE SAPIENZA Caratteristiche lettera rie e temi teologici

EDIZJON I DEHON IANE BOLOGNA

Realizzazione editoriale: Prohemio editoriale

e 2012 Centro editoriale dehoniano via Nosadella, 6 - 40123 Bologna www.dehoniane.it

EDB® ISBN 978-88-10-20664-5 Stampa: Tipografia Giammarioli, Frascati (RM) 2012

PREFAZIONE

La letteratura sapienziale presente nelle sacre Scritture non è più la Cenerentola degli studi biblici; i cinque libri dei Proverbi, Giobbe, Qohelet, Siracide e Sapienza h anno cessato di essere illustri sconosciuti né si possono più considerare come ospiti imprevisti, e persino fuori luogo, all'interno del corpo di quegli scritti che in molti consideriamo ispirati. In questo libro ho ritenuto di poter offrire ciò che dal 1989 insegno a Firenze presso la Facoltà teologìca dell'Italia centrale, ovvero un corso completo sui libri sapienziali (ai quali aggiungo il libro dei Salmi e il Cantico dei cantici, che non hanno tuttavia bisogno di ulteriori introduzioni e che qui non sono presentati). Il lettore ttoverà qui le mie dispense, sistemate in forma di manuale. Ho dunque pensato, prima di tutto, a un pubblico costituito da studenti del primo ciclo teologico che affrontano, per la prima volta, lo studio di questi libri; insieme a loro, ho pensato anche agli studenti degli Is tituti di scienze religiose e, più in generale, a quanti vogliono intraprendere un primo lavoro dì approfondimento su questi testi biblici così appassionanti. Ho in me11te, per lo più, lettori cristiani, e in maggioranza cattolici - senza per questo escludere assolutamente ogni altro lettore; è per questa ragione che ho inserito diversi accenni alle riletture neotestamentarie, patristiche e liturgiche della sapienza d'Israele. TI taglio è dunque quello di un testo mito per lo studio universitario, che tuttavia ho cercato di rendere, per quanto mi è stato possibile, il meno noioso possibile. Ho ritenuto opportuno evitare due estremi: da un lato, il rischio di offrire un testo troppo voluminoso ed eccessivamente impegnativo che, come so bene per esperienza diretta, difficilmente gli studenti accetterebbero poi cli leggere, se non obtorto collo. Così, ho scelto di evitare l'ebraico, in genere (purtroppo) poco stud iato all'interno del primo ciclo teologico, limitandomi a traslitterare i vocaboli più importanti, quando necessario; ho cercato anche di non abbondare troppo con il greco (e il latino, in aJcune occasioni), che pure, almeno a livello di primo ciclo, gli studenti dovrebbero conoscere; ho fatto appena un'eccezione per il libro della Sapienza. Allo stesso tempo, la bibliografia offerta privilegia testi in italiano; quando si tratta di opere davvero importanti ho fatto riferimento anche a testi in altre lingue (principalmente in inglese e in francese). Ho evitato cos1 aride liste bibliografiche (reperibiJi altrove, per gli studenti del secondo e terzo ciclo), preferendo una bibliografia più sintetica e ragionata. D'altra parte, ho voluto evitare anche il rischio di offrire un manuale troppo semplice, di livello più basso, che rinunci ad affrontare problematiche complesse e aspetti esegetici che richiedono uno studio più approfondito.

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Per ognuno dei cinque libri biblici presentati ho seguito un approccio comune: mi sono occupato dei problemi letterari, del contesto storico e di eventuali rapporti con altre letterature, e infine dell'aspetto teologico. Per quest'ultimo punto, per i Proverbi e per Ben Sira ho scelto un criterio tematico e, così, con alcuni aggiustamenti sui problemi causati dalla sua difficile ermeneutica, ho fatto per il Qohelet; per Giobbe e per la Sapienza ho proposto invece una presentazione che segue più da vicino il libro nel suo sviluppo, capitolo per capitolo. Non sono mai entrato nei dettagli dell'esegesi di singoli testi, se non in rare occasioni (Pr 8 e 9,1-6; Sir 24; Sap 9; 13,1-9), perché ciò avrebbe comportato un volume di dimensioni ben più ampie; ma anche perché esistono gli insegnanti che possono scegliere quei testi che a loro sembrano più significativi., ed esistono altresì i commentari che gli stessi insegnanti possono affidare agli studenti per approfondire personalmente i testi prescelti. Non avrebbe infatti alcun senso un'introduzione che non conducesse a un contatto diretto con i testi biblici i suoi lettori Per quanto riguarda le traduzioni dei testi biblici utilizzati in questo libro, mi sono molto spesso servito di traduzioni personali; negli altTi casi, ho generalmente seguito il testo della Bibbia CEI 2008, senza dover tuttavia indicare ogni volta l'una o 1'altra scelta da me fatta, per non appesantire il testo oltre misura~ il lettore se ne accorgerà da solo. E infine: il lettore accorto vedrà anche come molte delle cose qui scritte sono state tratte da testi già da me pubblicati altrove; trattandosi di un manuale, è qualcosa che ci si aspetta, ed è persino inevitabile. Così, ad esempio, l'introduzione al libro del Qohelet è una sintesi di quella già da me offerta n el mio libro Ho cercato e ho esplorato; l'introduzione a Giobbe, al contrario, è un ampliamento delle schede preparate per la catechesi biblica tenuta fino al 2008 nella mia diocesi di Firenze. Ma, volta per volta, ho sempre indicato i testi già pubblicati ai quali faccio riferimento. Allo stesso tempo, mi sono ispirato ad alcuni autori i cui studi sono a mio parere fondamentali: G. von Rad, prima di tutto, ma anche L. Alonso Schokel, J.J. Collins, J.L. Crenshaw, M. Gilbert (il mio primo maestro in questo campo), R.E. Murphy, L.G. Perdue, J. Vilchez Lindez, per ricordare i più significativi. Mi auguro che queste pagine possano essere in qualche modo utili ai loro destinatari. Ringrazio le Edizioni Dehoniane di Bologna che le hanno accolte; ringrazio poi, in modo particolare, Ludwig Monti della Comunità di Bose per il concreto aiuto prestatomi nella revisione del testo. Dedico questo libro ai tanti studenti e alle studentesse che ho avuto nel corso di questi anni, augurando a ciascuna/o che il loro studio attento della parola di Dio (cf. DV 8: EV 1/882ss) - condotto nello spirito del concilio Vaticano II, in occasione del cinquantesimo anno dal suo inizio - possa far crescere la fede e rinnovare la vita di una Chiesa che in questo momento storico sembra averne un urgente bisogno. Ma dedico allo stesso tempo quest'opera anche ai miei amatissimi parrocchiani di San Romolo a Bivigliano, piccolissima, ma splendida porzione di quel popolo di Dio che è la Chiesa. Per questo popolo, l'esperienza viva delle Scritture diviene ogni giorno fonte di un più profondo rapporto con il suo Signore, e sorgente di vita nuova. Bivigliano (FI), 3 luglio 2012, festa di s. Tommaso

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ELENCO DELLE PRINCIPALI ABBREVIAZIONI UTILIZZATE

AnBib ANET BBB BCei BEThL Bib BKAT BJ

CBQ

CCL DS DTAT EstBib

ETL

EV GLAT .TANES JBL JSJS JSOT

LD LoB

NRT OBO 01-LovAn OTL PdV PO

PL PSV

RB RevBib

Analecta biblica J.B. PRITCHARD, Ancient Near Easlern Texts Relating to the Old Testament, Princeton Un.iv. Press, Princeton (NJ) 1969 Banner biblische Beitrage Testo della Bibbia CEI ed. 2008 Bibliotheca ephemeridum theologicarum lovaniensium Biblica Biblische Kommentar, AJtes Testament Bible de Jérusalem (ed. francese, Paris 1998); con la dizione «cf. nota BJ» si rimanda alle note contenute nelredizione italiana (La Bibbia di Gerusalemme, EDB, Bologna 2009). Catholic Biblica[ Quarterly Corpus christianorum. Series latina H. DENZlNGER - A. ScHbNMBTZER, Enchiridion Sym.bolorum E. JENNI - C. WESTERlv1ANN, Diz ionario teologico dell'Antico Testamento, ed. it., Marietti, Torino 1978, I-II Estudios Biblicos Ephemerides Theologicae Lovanienses Enchiridion Vaticanum G.J. BOITERWECK - H. RlNGRENN (edd.), Grande lessico dell'Antico Testamento, ed. it., Paideia, Brescia 1988Journal o.f the Ancienl Near Eastern Society Journal o.f Biblica/ Literature Journal for the Study of Judaism,. Supplement Journal for the Study o.f the Old Testament Lectio divina Leggere la Bibbia oggi Nouvelle Révue Th.éologique Orbis biblicus et orientalis Orientalia Lovaniensia Analecta Old Testament Library Parole di Vita J.-P. MIGNE (ed.), Patrologia graeca, 162 voli., Parisiis 1857-1886 J.-P. MJGNE (ed.), Patrologia latina, 217 voli. , Parisiis 1844-1864 Parola Spirito e Vita Révue Biblique Revista Biblica 7

RivBiblt RStB RTL

SBT

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SVF

Vivi-lo VT WBC WMANT ZAW ZTK

Rivista Biblica Italiana Ricerche Storico Bibliche Révue Theologique de Louvain Studies in Biblica} Theology Sources Chrétiennes H. von ARNIM (ed.), Stoicorum Veterum Fragmenta, Leipzig ]905 (citati nell'edizione curata da R. RADICE, Stoici antichi. Tutti i frammenti raccolti da H. von Arnim, Rusconi, Milano 1999) Vivens Honw Vetus Testamentum Word Biblica] Commentary Wissenschftliche Monographien zum AJten und Neuen Testament Zeitschr~ft far die alttestamentliche Wissenschaft Zeitschrift fiir Theologie und Kirche

L'ebraico è stato traslitterato seguendo il modo suggerito da «lnstructions for Contributors», in Biblica 70(1989), 579-580, semplificando però notevolmente le vocali, distinguendo solo le vocali lunghe: a (come in :i:;i), e, 1, O, fl; lo sewa semplice è posto in apice (be); la lettera ::> è traslitterata con «f», mentre ti con «p». Cf. alcune note di metodo più generali offerte da S. B AZYLINSKI, Guida alla ricerca biblica. Note introduttive, Pontificio istituto biblico, Roma 2004 (anche per le altre abbreviazioni utilizzate in questo libro e sopra non elencate); cf. anche, per il lessico e la metodologia utilizzati, J.-N. ALEIT( - M. GILBERT - J.-L. SKA - S. DE VULPTLLIÈRES, Lessico ragionato dell'esegesi biblica. Le parole, gli approcci, gli autor;, trad. it., Queriniana, Brescia 2006 e ancora M. BAUKS - C. NtHAN, Manuale di esegesi dell'Antico Testamento, EDB, Bologna 2010. I

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INTRODUZIONE GENERALE ALLA LETTERATURA SAPIENZIALE

flai visto un uomo che si crede saggio?

È meglio sperare in uno stolto piuttosto che in lui/ (Pr 26,12)

Premessa Questa introduzione generale alla letteratura sapienziale, se anche può sembrare un po' lunga, è tuttavia necessaria: prima di tutto, perché la letteratura sapienziale biblica è in genere poco conosciuta ed è pertanto utile avere una prima panoramica di ordine generale, che pennetta, a chi ne viene a contatto per la prima volta, di comprendere meglio i singoli libri che si troverà ad affrontare. In secondo luogo, perché ci rende possibile fissare la nostra attenzione su alcuni aspetti che saranno poi molto importanti per comprendere a fondo i diversi libri sapienziali: in modo particolare~ per quanto riguarda il rapporto che essi hanno con la sapienza dei popoli vicini, la dimensione letteraria dei testi sapienziali, il loro inserimento all'interno della storia d 'Israele e, infine, la loro dimensione teologica, con particolare attenzione alla profonda relazione che i libri sapienziali mostrano di avere con il resto delle Scritture. Ma iniziamo subilo ad addentTarci in questo lerritorio, che per molti è davvero ancora inesplorato; il percorrerlo ci riserverà molte e liete sorprese e ci spingerà a percorrerlo ancora più a fondo.

1. All'inizio del cammino 1.1. Un territorio ancora da esplorare I libri sapienziali formano senza dubbio un quintetto davvero poco conosciuto: il libro dei Proverbi e queJlo del Siracide non vengono in genere molto letti~ si conosce un po' di più il libro della Sapienza. relativamente frequente anche nella liturgia cattolica, ma l'ultima parte del libro (Sap 10-19) è ancora per molti del tutto ignota. Giobbe e Qohelet sono senz'altro testi ben più conosciuti, ma spesso rappresentano i grandi incompresi delle Scrilture. Se oggi, infatti, s'inizia a capire che il G iobbe del libro omonimo non è certo famoso per la sua pazienza passata in proverbio («ci vuole la pazie nza di Giobbe»), del Qohelet sj continua a ritenere, come sintesi di tutto il suo messaggio, quel celebre ritornello, «vanità delle vanità», che in realtà, come tale. il Qohelet non ha mai scritto~ oppure quel testo conclusivo nel 9

quale il Qohelet ammonisce lo studente di ogni tempo: «Si scrivono molti libri e non si finisce mai; ma il troppo studio affatica il corpo!» (Qo 12,12). Con i libri sapienziali entriamo davvero all'interno cli un tenitorio nuovo, anche per chi conosce già piuttosto bene le Scritture. Non troviamo, infattj, in queste opere testi di carattere legale, quali siamo abituati a leggere all'interno del Pentateuco: il saggio non prescrive, non ha comandi da dare, ma piuttosto suggerisce e consiglia. Non vi troviamo testi di carattere narrativo (con l'eccezione del prologo e delJ>eplJogo del libro di Giobbe), quali ben conosciamo sia dal Pentateuco sia dai tanti racconti della cosiddetta «storia deuteronomista» e da molti altri racconti presenti nel1e Scritture. Nei testi sapienziali si trovano qua e là a lcune preghiere (basti pensare alla preghiera per ottenere la sapienza in Sap 9, ben nota alla liturgia cattolica), ma siamo comunque in un clima ben diverso da quello dei Salmi: lepreghiere sono comunque rare, in bocca ai saggi. Ci troviamo, inoltre, in un terreno molto diverso da quello dci pTofeti; i saggi, infatti, non parlano a nome del Signore, come fanno appunto i profeti; parlano piuttosto in nome della propria personale esperienza (cL in particolare Pautore del Qohelet e del libro del Siracide) e non hanno una parola diretta di Dio da propone ai loro ascoltatori. L"n terreno nuovo, dunque, ma come vedremo davvero appassionante. Eppure è un terreno non del tutto -ignoto a chi ne affronta la lettura alla luce di ciò che già conosce dell'Antico Testamento. 1 Testi di matrice sapienziale, infatti, si trovano un po' ovunque nell'Antico Testamento; oltre alla letteratura sapienziale propriamente detta (cf. sotto), possiamo perciò parlare di una vera e propria tradizione sapienziale. Menzioniamo alcuni salmi di carattere sapienziale (cf. i Salrm 37 e 73, wa anche il 90 e lo stesso Salmo t che apre il salterio), ovvero salmi che si occupano di rnctlere in luce ~spetti che concernono l'educazione dell' uomo, oppure rìflessioru relative al senso della vita. Nei libri profetici, Isaia e Geremia criticano la sapienza di corte alJo stesso modo in cui il libro dci Proverbi critica chi confida solo nella propria saggezza (cf. Ts I0,13; 19,1115 ~ 29.l4; Oer 9,22-23); il re atteso da Isaia per i tempi messianici (ls ll , 1-5) sarà tuttavia un re saggio. 1 testi di 2Sam 14,1-20 e 20.14-22 sono due bei passi relatjvì alla sapienza delle donne (cf. anche LSam 25): il giovane re Salomone prega per ottenere la sapienza che lo metta in grado di governare il suo popolo (cf. l Re 3), una sapienza superiore a qualunque altra, che tuttavia -nel caso di Salomone -fallisce, almeno in parte, il suo scopo ( cf. lRc lJ , 1-8). All' interno della leologia deuteronomistka, l'idea di sapienza appare strettamente legata all 'osservanza della Torah ( cf. Dt 4,5-6), un accostamento che ritroveremo nel libro di Ben Sira. Nel Pentateuco, testi a sfondo Sé\f'Ìenziale sono certamente il celebre racconto delle origini dì Gcn 2-3 e Gen 37-50 (la storia di Giuseppe): nella sto1ia ambienlata nel giardino, in Eden, si critica implicitamente un tipo di sapien7.a regale che prelende di essere autonoma e cbe non sa accogliere l' insegnamento dei saggi. incarnati invece dalla figura di Giuseppe che ha successo alla corte del faraone.

l Usiamo, d'ora in poi, per semplicità, il termine «Antico Testamento» nel senso in cui a esso ci si riferisce in relazione al canone cattolico delle Scritture; quando parliamo di «Bibbia ebraica» ci riferiamo al solo Testo masorelìco delle Scritture; con «Bibbia greca», invece, intendiamo la versione greca dci LX'X con lullì gli scriui in essa contenuti (dunque anche quei testi che non sono stati accolti nel canone cattolico dell'Antico Testamento).

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I libri di Rut, Giona, Ester presentano aspellì sapienziali, in ptimo luogo a causa del loro carattere didattico; si aggiungano; nella Bibbia greca, i libri di Ester (greco), dì Giuditta e di Tobia in modo particolare. Nella Bibbia greca ricordiamo ancora il poema sulla sapienza contenuto in Bar 3,9-4,4, nel quale la sapienza è legata alla L egge; ricordiamo anchè il racconto a sfondo sapienziale relativo alla storia di Susanna (Dn 13). Tutti i testi qui ricordati o parlano direttamente di sapienza oppure affrontano temi tipici della letteratura sapienziale, o ancora hanno uno sfondo chiaramente didattico. .Ma tutti differiscono dai testi sapienziali propriamente detti per il genere letterario utilizzato (cf. sotto) e, per questa ragione, non vengono considerati parte del corpo sapienziale.2

1.2. Esiste una letteratura sapienziale? A questo punto, abbiamo dato un po' troppo per scontato che esista, nella

Bibbia>una letteratura che noi chiamiamo «sapienziale»; :in realtà, né la Bibb1a ebraica né quelJa greca conoscono di per sé un vero e proprio corpus sapienziale dai contorni ben definiti come lo sono, ad esempiot la Torah/Pentateuco o i libri dei profeti. Esistono, tuttavia, alcuni indizi al riguardo: il libro dei Proverbi) che come vedremo è almeno in parte il testo sapienziale più antico, si presenta come una raccolta di de-lti dei saggi scritti in epoche diverse e r accolti in seguito, forse intorno al V sec. a.C.11 libro di Giobbe, di epoca più incerta, e quello del Qohelet (metà del III sec. a.C.), apparentemente così lontani dai Proverbi per il contenuto, 1nosttano tuttavia di essere il frutto di uno stesso gruppo di «saggi» che ne usavano le stesse forme letterarie e che si ponevano le stesse problematiche degli autori dei Proverbi1condividendone l'approccio alla realtà di carattere tipicamente esperienziale. Se poi estendiamo la nostra indagine alla Bibbia greca, notiamo come il libro del Siracide (inizi del II sec. a.C.) e, in seguito, que llo della Sapienza (fine del l sec. a.C.) mostrano di nascere all 'interno dello stesso filone che aveva già portalo a scli,vere i Proverbi, Giobbe e il Qohelet. Pur se il SU-acide e la Sapienza non sono stati accolti nel canone ebraico delle Sc1itture (e neppure in quello delle Chjese della Riforma), essi attestano, in ogni caso, ]'esistenza di un quintetto di test1 legati assieme dall 'idea di una sapienza che è arte del vivere, dal ricorso al genere letterario del «proverbio» (v. oltre; il caso di Sapienza, scritto direttamente in greco, è particolare), dal fatto di essere stati composti da un gruppo di autori - i saggi, appunto - che, come vedremo, hanno un loro preciso riferimento storico e culturale. Se, dunque, resta vero che parlare di «letteratura sapienziale» è certamente il frutto di una visione moderna di questi testi, è altrettanto vero che essi costituiscono un gruppo di libri che, alJ 'interno deUe Scritture ebraiche e greche, mostrano di avere una comune identità e un'omogeneità che ci permette di trattarli assieme e giustifica pertanto questa introduzione.

2 Cf. per questo tipo di c1iteri l'articolo fondamentale di J.L. CRENSllAW, «Metbod inDetermining Wisdom Tnlluence Upon "Historical" Literalure», io JBL 88(1969), 129-142 (J.L. CRENSHAW [ed.], Studies in Ancierit Israelite Wisdom, Ktav, New York 1976, 481-494). Un celebre e pionieristico studio che sottolinea il carattere sapienziale di Gen 2- 3 è quello di L. ALoNso SCHOKEL, «Motivos sapienciales y de alianza en Gn 2-3>), in Bib 43(1962), 295-314. 11

1.3. La riscoperta dei testi sapienziali Un tenitorio nuovo, lo ripetiamo ancora: anche Io studio esegetico relativo ai lesti sapienziaLi è una realtà piuttosto recente. T padri della C hiesa commentavano mollo poco questi testi, a lmeno in proporzione al resto dell'Anlico Testamento; fino a tutto il XIX secolo, i libri sapienziali non suscitarono mai grandi entusiasmi negli esegeti. Venivano per di più letti in chiave morale, infatti. ignorandone in gran parle lo spessore teologico. La scoperta, proprio nel corso del XIX secolo. delle letterature sapienziali extra-bibliche (Egitto e Mesopotamia in modo particolare) dimostrò come la sapienza biblica affondasse le sue raruci in una sapienza umana molto più antica, con .risvolti educativi, sociali, politici e religiosi molto importanti che erano stati troppo a lungo trascurati. Questo rinnovato interesse verso la letteratura sapienziale si tradusse, ormai alle soglie degli anni '70, nel celebre lavoro di G. von Rad, La sapienza in Israele (Die Weisheit in Israel, J 970), un classico chf:! aprl le porte alla scoperta di una djmensione, insieme profondamente umana e teologica, della sapienza biblica, non più confinata ai margini degli studi biblici; da questo momento in poi si comincia, ad esempio, a comprendere che l'idea di creazione offerta dai saggj non ha minor valore della teologia esodica, che per lungo tempo è stata considerata il cuore dell'Antico Testamento. Negli ultimi quarant'anni. in parallelo con le nuove scoperte (si pensi soltanto ai manoscritti di Qumran, noti a partire dal 1948), gli studi sulla sapienza biblica si sono moltiplicati e, insieme, come vedremo libro per li bro, è stata sempre p iù approfondita la comprensione del grande spessore leologico di una sapienza della quale, allo stesso tempo, viene messo sempre più in luce il profondo radicamento nella storia d'lsraele.3 1.4. Che cosa non è la sapienza biblica Prima di entrare nel vivo dcl nostro studio è senz'altro lltile sgombrare jJ lerreno da a lmeno un presupposto errato circa l'idea di «sapienza». Per i saggi d'Tsraele la sapienza non è, di per sé, un sinonimo di conoscenza, cli sapere intellettuale; il sapiente biblico, infatti, è anche colui che sa (si veda la presenlazione del re Salomone in 1Re 5,13), ma non è questo sapere che, in primo luogo\ lo caratterizza come saggio. La sapienza biblica non coincide così. almeno in un primo momento, con quel tipo di conoscenza teoretica che caratterizza il filosofo greco, ma si trova, piuttosto, sul versante dell'esperienza. Come poj vedremo più avanti, la sapienza biblica è certamente connessa con l'et1ca, ma non s'identifica pnn1ariarnente con essa; in altre parole, iJ saggio è anche colui che si comporta bene, ma è qualcosa di più e insieme di diverso.

3 Cf.

un breve srams q11nes1iunis in L. MA/-L.INr.111, «L (Pseudò Platone, De.f 414b; cf. anche Fedro 247de: «scienza di ciò che veramente è»). La dimensi01ìe teoretica della aotjl[a sj sviluppa ancor cli più con ArLslolele, per poi recuperare, con Pi deale etico proprio dello stoicismo, una parte della sua prirniUva dimensione pratica; la sapienza è, pertanto, «conoscen za delle cose divine e umane» (è questa una definizione classica; cf. Cicerone. De officiis TI, 2,5; Seneca, Epi.st. ad Luc. 895 che ricorda una possibile definizione della sapienza come un conoscere «dlvina et humana et horum causas»; Filone, De congressu erudirioni,., grafia 79: «La filosofia è Ticerca della sapienza e la sapienza è scienza delle cose divine e umane e delle loTo cause)>). ma è anche, nella prospettiva dello stoicismo, 11na vita condotta secondo la virtù (cf., ad esempio, SVF. lll, 148, frg. 557 =RADICE, 1264).

2. Le origini della sapienza biblica (I): la sapienza al di fuori d'Israele La sapienza d'Israele affonda le sue prime radici in quella già propria dei popoli del Vicino oriente antico, dell'Egjtto e della Mesopotamia. In tali contesti, parlare di sapienza significa parlare di qualcosa che nasce dall'esperienza e che è collegato, prima di tutto, con l'arte del saper ben condurre la propria vita. La sapienza del Vicino oriente antico nasce) infatti, da una capacità di ascoltare, osservare, discernere la realtà, in vista di un comportamento sociale giusto e fruttuoso; la sapienza è collegata poi con un preciso cammino educativo. Un ul tenore elemento caratterizzante la sapienza del Vicino oriente antico è l'insistenza sulla tradizione che i saggi hanno ricevuto e che permette di trasmettere ai propri discepoli la sapienza acquisita e cti arricchire così la propria esperienza di vita. Cerchiamo in queste pagine di delineare, molto sinteticamente, le caratteristiche più significative della sapienza egiziana e di quella mesopotamica; esse ci permelteranno di comprendere meglio la sapienza biblica.

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2.1. La sapienza egiziana

Le istruzioni sapienziali Tra i testi più antichi ricordiamo le istruzioni di Prahhotep, risaJentj aJJa VI dinastia, durante l'Antico R egno (2494-2324 a.C. cìrca).4 U n anziano funzionalio istruisce il figlio sulle virtù da coltivare, la prima delle quali è la fedeltà al re; tale virtù serviTà anche a garantire un'adeguata ricompensa ne ll'aldilà. Il giovane deve anche apprendere l'autocontrollo, il sapersi comportare bene in pubblico, la pazienza.l'ubbidienza e, insieme, la generosità e l'onestà. Spunta in quest'opera Pidea tipicamente egiziana di ma'al, un termine con il quale si rimanda alla verità, a!Ja giustizia, alla re ttitudine. Con ma 'at s'intende anche una divinità femminile che incarna l' ordine del mondo, una dea garante della stabilità dell'Egitto, maestra di saggezza; si tratta di una figura che ha molto probabilmente influenzrito alc1mi aspe tti della sapienza personificata presentata in Pr 8 e 9,1-6. Un atteggiamento nuovo sembra nascere nel corso del Medio Regno (22601720 a.e. ca.). quando l'ascesa delle classi medie e il crollo deUa precedente monarchia mettono in crisi le certezze tradizionali. Nelle Istru zioni per Merikare5 (XXII sec. a.e. ca.), la morale viene approfondita~ s,iniziano a proporre ai giovani princìpi come i 'amicizia, la bontà, la giustizia, la benevolenza verso le al tre classi sociali, senza mai d imenticare il culto divino che entra decisamente a far parte dell'etica sapienziale; il testo di Merikare contiene infatti anche un inno al Creatore. 11 Nuovo Regno (1580-332 a.C.) offre paralleli molto più vicini con la sapienza biblica: ricordiamo gli Insegnamenti di Ani (XVI-XJil sec. a.C. ?), trenta massime inquadrate da un prologo e da un epilogo; un padre discute con il proprio figlio, invitandolo a essere fedele al dio Sole. Ancor più interessanti per lo studioso della Bibbia sono gli lnsegnanienti di Arnenenope (Xlll sec. a.e. ca.), altre trenta massime che stanno certamente alla base della collezione contenuta in Pr 22,17-23,14. 6 TI punto centrale di Amenenope è l'approfomlimcnto del rapporto esistente tra moralità e religione; solo l' uomo fedele a Dio può essere anche giusto e, viceversa, il giusto e il saggio sono tali solo nella misura della loro pietà religiosa; >): Quando giungerai a1l'Occidente, dopo che iJ tuo corpo si s.arà unito alla terra, poserò, quando sarai stanco e al lora abiteremo insìemeo.

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Qui cogliamo la profonda differenza esistente tra questo scritto e i testi di Giobbe e del Qohelet: anche in questi libri biblici il lamento sui mali del vivere è costante, come pure, nel libro di Giobbe, è continuamente presente l'accusa rivolta a Dio dal sofferente, oltre alla menzione deHa morte come possibile ultima liberazione dell'uomo (si pensi già al monologo iniziale, in Gb 3, specialmente Gb 3,U ). Eppure, né Giobbe né il Qohelet vogliono realmente morire o s'illudono che la morte sia una soluzione, né prospettano mai il suicidio; persino in testi come Qo 4,2-3, dove sembra che la morte sia migliore della vita. La vita resta 1 comunque. preferibile alla morte, anche se la vita può apparire priva di senso (cf. Qo 9,4).

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Nei libri di Giobbe e del Qohelet il problema del dolore e della morte non viene risolto, abbandonando Ja fede in Dio, oppure rifugiandosi in un illusorio aldilà ehe. in pmticolar modo per il Qohelet, non esiste (cf. Qo 3,18-21). Al problema della morte e~ più in generale, del male del vivere, si sfugge soltanto scoprendo un nuovo rapporto con il Dio d 'Israele, Dio misterioso. eppure sempre presente, quel rapporto personale cli cui parla il finale del libro di Giobbe (Gb 42.5) e che il Qohelet descriverà con l'espressione «temere Dim>. Il cosiddetto Canto degli arpisti è un breve testo poetico giwito a noi su un papiro di età ramesside (intorno al ·1300 a.C.), oggi conservato al British Museum di Londra.9 NelJe tombe egiziane non è rara la raffigurazione di un arpista che suona e canta invitando gJì uomini a goden~ dell a loro vita, di fronte alla prospettiva di una morte triste e inevitabile; il Canto degli arpisti, «che si trova n ella tomba di Antef e che sta davanti alrarpista», come dice la breve introduzione, iiprende così Lemie motivi propri non solo dell'Egitto, ma di molte altre culture. Ascoltiamone l'inizio: Periscono Le generazioni e passano1 altre stanno al loro posto, dal tempo degli antenati: i re che esistettero un tempo riposano nelle loro piramìcli, sono seppelliti nelle. loro tombe, i nobili e ì glorificati ugualmente. Q uelli che hanno costruito edifici di cui le sedi più non esistono; cosa è avvenulo di l-0To? Ho udito le parole 'di Imhotep e di Hergedef, che moltissimi sono citati nei loro detti: cbe cosa sono divenute le loro sedi? I loro muri sono caduti, Je loro sedi non ci sono più, come se mai fossero esistite. Nessuno viene di Là, che ci dica la loro condii.ione, che ci riferisca i loro bisogni 1 che tranquillizzi il nostro cuore, finché giungiamo a quel luogo~ dove sono andati essi.

La morte segna la fine inevitabile della vita umana~ nessuno torna indietro dal mondo dei morti a raccontare ai vivi che cosa vi sia cli là; inoltre, dopo la morte, svanisce ben presto anche il ricordo dei defunti. Il testo prende spunto da due celebri archìtetti di un lontano passato, Imhotep, il mitico costruttore della piramide a gradoni di Saqqara, e Hergedef.. entrambJ considerati saggi, dei quali ancora si conservano i detti; eppurej anche le· loro opere sono scomparse, nessuno pjù se n~ ricorda. Che cosa può fare l'uomo, di fronte a una lale prospettiva? La soluzione proposta da questo testo egiziano è semplice, ma anche molto amara, in fondo: si tratta di godersi la vita. perché la morte segnerà la fine di ogni felicità. Si tratta di vivere come se fossimo sempre in festa. perché poi dobbiamo morire. Rallegra il tuo cuore, ti è salutare Poblio.

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Cf. BRESC1AN1, Letteratura e poesia, 206-207; ANET. 467.

Segui il tuo cuore, fintanto elle vivi! Metti mirra sul LUo capo, vèsliti di lino fine, profumato dt vere meraviglie che fan parte dell 'offerta divina. Aumenta la tua f elìcità, che 11011 languisca il tuo cuore. Segui il tuo cuore e la tua felicità, compi il tuo destino stilla terra. Non affanna re il tuo cuore, rinché noa venga per te quel giorno della tua Iameni azione. Ma non ode la lamentazione colui che ha il cuore stanco; i loro pianti, non salva.ho nessuno dalla tomba. TI testo egiziano non pensa in realtà a una viLa vissuta nell'ottica di un godimento immorale, senza freni; si tratta piuttosto di viveTe una felicità moderata, una vita tranquilla e senza eccessi, di cogliere con semplicità le gioie quotidiane, perché, tanto, dalla morte non si torna indietro: ascoltiamo così la splendjda conclusione del canto:

Pensaci, passa un giorno felice e non te ne stancare. Vedi, non c'è chi porta con sé i propri beru, vedi, non torna chi se n 'è andato. Nel libro del Qohelel si trovano interessanti punti di contatto con quesro testo egìziano, che senza dubbio rispecchia una tradizione della quaJe il Qohelet potrebbe anche essere venuto a conoscenza; eppure, come vedTemo, il Qohelet offre una soluzione diversa aJ male del vivere.

2.2. La sapienza mesopotamica

Una caratteristica peculiare della sapienza mesopotamica (specialmente nella cultura sumero-accadica) è il fatto che, a lato della sapienza intesa come educazione alla vita e, in modo particolare, alla vita politica, troviamo anche una sapienza connessa con la divinazione e con la magia, una diversa forma di sapienza connessa con un tipo di conoscenza esoterica, relativa alle realtà divine. Così, oltre ad avere anche in Mesopotamia una forte valenza educativa, la sapienza diviene anche la ricerca di una conoscenza delrordine del mondo e della società, la ricerca di un'armonia che abbracci sia l'umano che il divino. A lato delle istruzioni sapienziali, presenti anche in Mesopotamia, pur se in numero minore rispetlo all'Egitto_, troviamo più frequentemente dispute e dialoghi, talora anche lamenti. La forma letteraria più usata è quella del proverbio, che nasce da una semplice osservazione della natura e della società e invita lo studente a riflettere sulla realtà che gli sta di fronte.

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Un importante poema è la cosiddetta Teodicea babtlom?se: pubblicalo pe1· la prima volta soltanto nel 1924, è scritto in lingua accadica. e risnle a un periodo difficile da slabili1 c. oscillante tra il 1400 e r800 a.C. Il poema consta di 297 linee i11 27 strofe di I I versi l'u0 nella miseria e nella malauia. All'amico che risponde richiamandolo all'accettazione del volere degli dèi. il sofferente obiclla affennando che i fatli della vita e del moudo sembrano mettere in luce l'assolula inc.lirferenza degli dèi nei confronti degli uomini. Siamo così e.l i fronte allo slesso problema del libro cli Giobbe: l'uomo soffre, non ne comprende il perché e, di fronle aJla sofferenza ritenuta ingiusta, l'agire di Dio sembra realmentt! incomprensi bile. Nella setti ma strofa il sofferente mette a nudo proprio questo proble ma: Una parolina soln vorrei mettertJ davanli: chi non si cura del suo elio va per la via della fortuna; chi invece (invoca) la dea è rovescialo e impoverito. Nl'lln mia gioventù ho ricercato 1 operato degli dèi; in prostrazione t: preghiera mi rivolsi alla mia de(l. Portai il giogo tli una corvée senza profitto. (Poiché) il elio stt1bi11, invece di riccbezza, povertà. Uno slorµio è sopni dì me, un povero di cervello davanti a me; un farabutto mi è stato preferito, mentre io fui retrocesso. L'esperienza della vita dimostra che ln fedeltà agli dèi non paga (ci Gb 21J4-15). L'amico, coml! gli amici

  • uomo e, in cJefìnitiva , i p1 imi responsabili della sua triste situazione esistenziale; gli dèi non sono pcrfetlt. e possono sbagliare! La strofa finale vede un uJteriore e sorprend~nte ribaltamento della siluazione: il sofferente, dopo Lante proteste, si affida al volere degli dèi, dei quali no11 comprende il comportamento~ non rcsla altro cla fare. La Teorlicen babi/onr'se presenta i11dubbi contatti, letterari e tematici, co11 il libro di Giobbe, m~ molto diversa ne è la prospettiva; Giobbe, come ogni Hltro saggio d' Israele (cf. il Qohelet), non ritiene possibile allribuire a Dio il male e la sofferenza degli umnini; il Dio descntto in Giobbe 9 è in realtà un moslro che non può veramente esistere. Non è possibile, infatti, né per Giobbe né per Qohclet, ingabbiare Dio aU'inlemo dell'ideél deUa relribuzione (il buono è premiato e il malvflgio è punito). Non è neppure sufficiente. come vorrebbero gli arwci. affidarsi ciecCJrncDte ~1 un Dio il cui operalo uon

    111

    11 leslo completo, in Lraduziooe italiana, è reperibile cadici. UTET, Torino 1977. 493-500; cf. ANET, 601-604.

    20

    in

    G.R. CASTELLINO, Testi sumerici e ac-

    si riesce a comprendere. Giobbe vuole piuttosto capire e, 11ella sua os1inala ricerca, giunge a inco.atrMc un Dio libero. sovrano, provvidente, ben diverso dagli dèi lontani e quasi nemici dell'uomo messo in rilievo dalla Teodicea hahilonese; il libro di Giobbe si concluderà co11 l'incontro del pTotagonista con Dio stesso: «lo ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi Li vedono» (Gb 42,5). Dì graude interesse è anche il poema chiamato Lodt!rò if sigllore della sapienza. spesso c:itaro con il suo titolo m lingua accadica. L11d-l11/ l>el 11e111eqi. U poema è giunto a noi in 26 diveJsi frammenti per un totale di circa 500 linee. 11 Si tratta di un testo anch 'esso di provenienza babilonese, da tempo considerato uno dei poemi pili illuminanti per w1a migliore comprensione dellibro di Giobbe. li poema si presenta come un lungo m on ologo ael quale un sofferente, im ricco propriettirio terrie10, si rivolge al }) perché lo libe1 i dalle sue sofferenze. Mtircluk appare, fin dall'inizio, come un dio a due facce, com'è dcl resto il Signore Dio d'Israele. un Dio capace di collera, ma anche cLi cletncnza (cL Es 34,5-7): La sua lra 11or1 l1 a 1ivaJe, il suo rurore è uragano~ il i:iuo animo può però ravvedersi, il c uore voltarsi benigno (I. 7-8).

    È Ja co11crn di Marduk e degli altri dèì. dunque, che il sofferente ha sperimentato:

    li mio dio mi ha abbandonato. ed è scomparso; la mia dea si è d isinteressata di mc, c se ne sla in dtSfHlrte. L- .. J Invocai il dio. non diede segno di avvertire~ pregai la mia dea, non levò il capo (T, 43-44; U, 4-5). La sofferenia è causata dagli dèi; La descri:zi.one della miseria e della malallia che ha colpito il protagouista di questo poema ricorda da vicino la sofferenza dì Giobbe (cf., ad esempio, Gb 2); la sofferenza è accresciuta poi llal fatto che chi soffre non può saperne il perché, che resla nascosto nelrimpcrscrulabile volon tà degli dèi del cielo:

    Chi mai può sapere il pensiero degli dèi uel cielo? 11 consiglio dell'Oceano abissale, chi può penetrarlo? Dove 01(\i hanno appreso i mortali il comportamento tlegli dèi? (TI , 36-38). Nonostante tutto. di fronte aWimpressione di essere staio abbandonato dagli dèi e gettalo nella soffcrenla, la soluzione che il sofferente sperimenta è alla fine del tutto positiva. egli è certo che il suo dio, Marduk, avrà pietà di lui e lo salverà e. dopo averne spe1imental»in Restoration Qual'ter/y 47(2005), 161-177. Sulla dimensione pedagogica propria della sapienza biblica è moJlo raccomandata la lettura di M. GILBERf. «L a pedagogia dei saggi nell' antico Israele», in La Civiltà CnlloUca 155(2004)3, 345-358.

    Per quauto riguarda iJ contesto storico del1a sapienza biblica cL tutto il volume dì L.G. PERDUE, The Sword m1d the Sty!us. An l 1Tlrod11ctio11 to Wisdom in lhe Age o.f Empfres. Eerdmans. Gran Rapids-Cambridge 2008, e.per la sapienza in epoca ellenistica. que.llo di J.J. COLLTNS, .lewislt Wisdom in Hel/enistic Age, OTL. Westrninster John Knox,Louisville

    1997.

    4. Le forme letterarie della letteratura sapienziale D obbiamo occuparci adesso delle forme letterarie fondamentali con le quali si esprimono i saggi; restringiamo la nostra indagine ai cinque libri sapienziali propriamente dettj. La forma letteraria per eccellenza della sapienza d>Jsraele è quella del masal, un termine ebraico in genere tradotto nelle nostre ljngue con «proverbio»; il titolo e braico del libro dei Proverbi (sefer mesa!fm) vi rimanda espressamente. L'etimologia della radice msl è ancora discussa: il verbo corrispondente (masaI') significa, allo stesso tempo, «essere simile», ma anche «governare».20 Su questa base, sarebbe possibile intendere il masal come una sorta di parabola, di similitudine che serve a dirigere la propria vita. Il masal biblico è sempre espresso in forma poetica; si tratta di un fatto non adeguatamente notato dagli studiosi: la sapienza d 'Israele non si esprime in forme concettuali simili a quelle della sapienza greca, ma appunto attraverso la poesia, con la quale si è in grado di esprimere realtà altrimenti non esprimibili. Il masal è composto sempre da due o, più raramente, da tre stichi, secondo la ben nota Legge dcl parallelismo che regola l'intera poesia ebraica.

    ID., «Wisdoru 19,13-17 and the Civil Rights or Lhe Jews uf A l~xanchia», in G. B ELLI/\ - A. PASSARO (edd.), Yearbook 2005. The B ook o[ Wisdom in Modem Research. Studies 0 11 Tradition, Redaction, Theology, Deuterocannniwl and Cognate Literature, W De Gruyter, Berlin-New York 2005, 53-82. Cf. una

    visione insieme opposta e complementare in F.M. BASLEZ, «L'autore della Sapienza e l'ambiente colto di Alessandria», in B ELLIA- P ASSARO (edd.), li libro della Sapienza, 47-66. 20 Cf. K.-M. B nYSE. )); Gb 28 (tutto il poema è sul tema della ricerca della sapienza); Qo 1,13-18 (il punto di partenza del Qohelet: cercare ed esplorare); Sir 14,20-27; Sap 6,12.14.16; 8,2.18.21. IJ Qohelet, in particolare, enfatizzerà questa dimensione di ricerca, sino ad affermare che, pur cercando ed esplorando, anche il più grande dei saggi non giungerà mai al termine della sua ricerca (cf. Qo 8,16-17; v. sotto). Ma anche nel caso del Qohelet, cercare la sapienza non significa mai cadere nello scetticismo o nel relativismo: la sapjenza. infatti, prop1io perché frutto di un'esperienza umana mai conclusa, e, insieme, do~ no di un Dio mai realmente raggiunto appieno (cf. Sir 43,28-33), nasce sul terreno della iicerca, non tanto su quello di un possesso acquisito una volta per tutte: «Se tu non cerchi, non troverai!» (Sir 11,10 testo ebraico). Un tale ottimismo epistemologico dei saggi si scontra tuttavia con la consapevolezza del limite proprio di ogni sapienza umana, un limite che è prima di tutto rappresentato da Dio stesso. Già nella fase più antica della sapienza d'Israele, il saggio è ben consapevole dei limiti dell'esperienza umana: cf., ad esempio, i testi di Pr 16,1-3.9; 19i21; 20,24; 21,30 (la vera sapienza sta nel negare se stessa). Considerarsi saggio è segno sicw·o di stoltezza: Pr 26,12 (cf. anche Pr 3,5.7). Non si tratta, com'è facile comprendere, di una limitazione di carattere quantitativo; ci 1.loviamo di fronte, in realtà, a un apparente dualismo: se da un lato è presente, infatti, nei saggi un forte ottimismo epistemologico, d,altra parte essi sono pien amente consapevoli che in Dio ogni sapienza trova il suo limite. Quest'ultimo aspetto è sviluppato in modo molto marcato dalla peculiare epistemologia del Qohelet, che può essere ben definita come una vera e propria teologia dell'esperienza e dei suoi limiti; si veda ancora il testo emblematico di Qo 8,16-17.30

    Cf. L. MAZZINGHl, Ho cercato e ho esplorato. Studi sz1/ Qohelet, EDB, Bologna 22009, 176-188. Per uno studio dettagliato dell'epistemologia del Qobelel cf. A. SCHELLENUERG, Erkenntnis a/s Problem. Qohelet und die a/11es1amentliche Diskussion um das menschliche Erkennen (OBO 188), Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingcn 2002 e, più avanti,pp. 153-156 JO

    36

    A11a luce di quesle considera1ioni vengono cos1 a cadere ipotesi relative a una sapienza piu antica che avrebbe un carattere più marcatamente «profano», opposta a una sapienza recente che sarebbe senz'altro più «religiosa»;31 la sapienza biblica è sempre stata, invece, una sapienza «credente» e questo proprio a causa del· la sua apparente «mondanità». È pur vero che la sapienza più anlica è stata dominata, prima di tutto, da un marcato interesse cosmologico e dalla ricerca dell'ordine del mondo; già in Pr 10-15 sì trovano, tuttavia, le tracce di un reale interesse antropologko e quindi anche etico; in Pr 1-91 la parte più recente del libro, l'interesse teologico è certamente al culmine. II punto è tuttavia il riconoscere che già la sapienza più antica ha una reale dimensione teologica, mentre, da parte sua, la sapienza espressa in Pr 1-9 non perde affatto l'aggancio cosmologico e antropologico; basti pensare a l discorso della sapìenza personificata in Pr 8. Detto in altri termini, validi per l'intera letteratura sapienziale biblica, il saggio è fedele a Dio proprio perché è prima di tutto fedele al creato e dunque è fedele agli uomini. La fede dei saggi nasce proprio dalla loro mondanità e dalia loro apparente profanità. 6.2. La crisi dell'ottimismo dei saggi: l'esperienza mette in dubbio la fede

    Dietro ai racconti di Gen 2-3 o sullo sfondo della storia del peccato del re David (2Sam 9-lRe 2) si scorge già il fallimento di quella pretesa sapienza regale ch e accomunava Israele alla sapienza degli altii popoli. L'esperienza dell'esilio, preceduta dalla riflessione profetica (in particolare di Isaia e di Geremia), ha contribuito a mettere in crisi l'ottimismo epistemologico proprio della sapienza più antica. Nel libro di Giobbe, forse il primo prodotto della sapienza del post-esilio, ia crisi dell'ottimismo dei saggi nasce proprio quando Perdine e il senso della realtà che il saggio va cercando non è più riconoscibile. ovvero, quando l'esperienza entra in conflitto con la fede. Nel Qohelet, in modo ben più radicale, tale ordine è visto addirittura come inconoscibile (di nuovo Qo 8,16-17)~ sembra qua~i che ogni s~­ pienza sia divenuta impossibile (cf. Qo 7,23). Se ci fermassimo a questo p unto, avremmo l'impressione che il cammino della sapienza in Israele si sia rivelato in Tealtà un vicolo cieco. Le possibilità della conoscenza umana si sono scontrate, infatti, attraverso il problema del male (Giobbe) e de Ua morte (Qohelet), con il muro deWimpenetrabile sapienza divina (cf. il poema di Gb 28 sull'inaccessibilità della sapienza), un Dio che sembra addiiittura essere diventato ingiusto, come può sembnue in Giobbe (cf. il durissimo passo cli Gb 9,22-23), o persino indifferente ai casi umani, come può sembrare a una prima lettura del libro del Qohelet. Si comprende bene, in questi casi, come il problema epistemologico s'incroci con un altro grande tema che accomuna la sapienza biblica con quella degli altri popoli: la teodicea, e, dunque, il grande problema del male, sul quale dovremo ancora ritornare. È importante tuttavia notare come già in Giobbe e nel Qohelet la conoscenza e L'esperienza giochino ancora un ruolo vitale~ entrambi i libri, infatti, basano le

    31 Cf. la lesi di H .H . SCIDJ[ID, Wesen und Geschichte der Weisheit: eine Unter.wchung wr Altorientnlischen Weisheils/iteratur (BZAW 101 ), De Gruyter, Berlin 1966. Altri autori. come N. Whyhray, han~ no ipotizzato una rileLLura yahwista di Pr 10,1-22.16 alla luce del nuovo modello di sapienza l/(I 11it11, 169.

    to si fonda sulJ 'idea di creazione. Una creazione letta nella sua universalità, nella sua mondanità, nella sua quotidianità, mai però senza Dio, proprio perché «creazione». La riflessione dci saggi d'Israele sulla creazione ha conseguenze evidenti per la teologia cristiana, non ancora sufficientemente esplorate. La creazione diviene per i saggi il luogo primatio ove Dìo si rivela e, allo stesso tempo, si nasconde. Allo stupore di fronte aJ creato, il saggio unisce un profondo senso del limite e del mistero: oltre ai già dcordati discorsi di Djo che concludono il libro di Giobbe, si aggiunga il testo di Sfr 43,27-33; si pensi a Sap 13,1-9, dove, con una riflessione arditamente filosofica, la dimensione creazionale si collega strettamente alla storia de1la salvezza: 11 Dio che si rivela nella creazione - accessibi1e alla ragione umana non è altri che quel «Colui che è» apparso a Mosè nel roveto (Es 3,14). La riflessione teologica dovrà cercare un punto d'incontro tra Pidea di creazione intesa come luogo rivelatore della presenza di Dio accanto alla storia e la dimensione enigmatica propria di ogni realtà creata. La creazione, inoltre, non è vista dai saggi solo in funzione dell' alleanza , né soltanto in relazione agli interventj storico-salvifici di Dio~ ne] libro della Sapienza, l'anonimo saggio giudeo-alessandrino ha tentato una sintesi feconda dei due temi, creazione e salvezza, ma senza mai subordinare la pii.ma alla seconda. Va pertanto sradicato il pregiudizio, sopra accennato, che la teologia della creazione sia come l'ancella della storia della salvezza e che Israele abbia vissuto l'esperienza della salvezza (l'esodo) prima di quella della creazione. 11 teologo dovrà poi riflettere se Ja teologia cristiana della creazione debba ampliare i due modelli più usua~ li nei quali è stata presentata: la creazione come inizio di tutto e la creazione come alleanza con Dio finalizzata alla grazia. La riflessione sapienziale d'Israele offie un modello senz~altro diverso: il Dio che creu è anche quello elle salva. Per proseguire lo studio

    Un'ottima introduzione a questa tematica è contenuta in M. G11 BBRT, «L'uomo nella teologia sapie11ziaJe della creazione. Confronto cou Gen 1- J 1», in E. J\llAN1cARDJ - L. MAZZING!-fr, «Gen 1-11 e le sue inlerpretazioni canonjche: un caso d1 teologia biblica» in RStB 23(20"! 2)1-2 I 01-118, studio al quale- faccio qui 1iferimenlo e al quale allresì limando pe1· una bibliografo1 più completa. Un lavoro pionieristico è stato quello cli W. ZtrvtMERLl. nrrim10 'l, Mcssaggern Padova 1992 143-186. Sul 1apporto tra creazione e salvezza con pari i colare attenzione alla letteratura ~apien­ zialc. cf. alcuni lavori dùave: H.B. ScHtMn, •24). Ma pe1· innamorarsi di Dio e della sua sapienza, e quindi per innamorarsi dell'uomo, c'è una sola strada da percorrere, ed è la passione per la vita stessa; è nella vita, infatti, che Dio si fa incontro all'uomo: «Chi ama me1 ama la vita», come si esprime donna sapienza in Pr 8,35. Per proseguire lo studio Una buona sintesi della tematica si trova in M. CllviOSA, «Educazione e insegnamento nei libri sapienziali», in A. BONORA (ed.), Libri sapie11àali e altri scrifli (Logos). EUeDiCi, Leumann 1997. 399-411; cf. anche L. MAZZlNGHJ. «La sfida educativa nella tradizione sapienziale d'Israele», in G. or PALMA (ed.), Una saggia educazione, Pontificia facoltà teologica dell'Italia meridionale, Napoli 2011. L1-38. Più in dettaglio, cf. l'opera di R.N. WHYBRAY, The lnre/lectual Tradition in Old Testament (BZAW 135). Berlin 1974 e quella di J.L CRENSHAW, Education in A11cùmt lsrael, Doubleday, New York 1998, olt re a D.J. Es'l'ES, Heai; My Son. Teaching and Leurnù1g in Proverbs 1-9, Grand Rapids L999; un bell'articolo di carattere sintetico. ma profondo, è quello di M. GLLBERT. «A l'école de la sagesse. La pédagogie des sages dans l'ancien lsraeh>, in Gregorianum 85(2004)1, 20-42. Per quanto riguarda la dimensione educativa propria di Pr 1-9, cf. S. PrNTO, «Ascolta} fi glio». Autorità e antropologia dell'insegnamento in Proverbi 1-9, Città Nuova, Romtt 2006; M. SlGNORBITO, Metafora e didattica in Proverbi 1-9; Cittadella, Assisi 2006.

    6.7. Sapienza, escatologia e apocalittica45

    Per quanto riguarda l'atteggiamento nei confronti di una vita futura, i pdmi saggi d'Israele condividono la prospe ttiva tipica deJJ 1Tsraele del tempo: tutti gli esseri umani, giusti e ingiusti, buoni e cattivi, dopo la morte se ne vanno verso un unico luogo: lo she 'o/, gli inferi, il luogo dove dimorano tutti i defun ti. Il duro testo di Qo 3,18-21 si fonda, in realtà, su posizioni molto tradizionali: tutti vanno alla polvere, tutti finiscono nello stesso luogo; cf. anche Pr 1,12; 15,24; 27,20; ecc. Anche in epoca e llenistica la sapienza biblica resta sulle medesime posizioni, come testimo-

    .is Cf. COLLINS, «Cosmos and Salvation». 121-142. 47

    nia il testo ebraico di Ben Sira, dal quale resta ancora assente la prospe ttiva di una vita dopo la morte (cf. !;introduzione, pp. 202-203). Sarà soltanto con il libro della Sapienza che si potrà parlare della nascita di una vera e propria escatologia sapienziale; nel caso della Sapienza, tale escatologia sembra sfociare ormai nella fede nella vita eterna (cf. Sap 3 1-9) la quale, come vedremo, è in rea1tà fede nella risurrezione dei corpi. Un capitolo diverso è quello che riguarda il rapporto tra sapienza e apocalittica; a partire dagli studi di G. von Rad, è divenuta classica la tesi che la sapienza sia alla base deWapocalittica, in particolare di quella tradizione che si esprime nel grande e complesso Libro di Enoch. 46 Il punto di contatto maggiore Lra sapienza e apocalittica starebbe nell' importanza data da entrambe le tradizioni al ruolo del cosmo; il determinismo apocalittico nascerebbe, così. dalPìdea che il corso degli eventi è costruito all'interno deJia struttura del cosmo: comprendere la struttura del cosmo - che è la metodologia tipica dei saggi - è così la via per la salvezza; la stessa idea ritorna nel libro della Sapienza, in particolare nella terza parte (Sap 10-19). In questo caso, il libro della Sapienza ha certamente in comune con l'apocalittica il fatto che l'escatologia non può che fondarsi su una cosmologia. Ma l'apporto peculiare del libro della Sapienza sta nel fatto che escatologia e cosmologia devono a loro volta tener conto della storia; questa è in realtà la dillerenza più notevole tra sapienza e apocalittica. La pubblicazione delle cosiddette Istruzioni sapienz iali di Qumran ci ha rivelato l'esistenza di una forma di sapienza che già agli inizi del II sec. a.C. appare legata a temi apocalittici. 47 Grazie al rinnovato interesse verso la letteratura enochica, espresso daJle pubblicazioni dell'Jfenoch Seminar apparse negli ultimi dieci anni,48 il rapporto tra sapienza e apocalittica ci appare in una prospettiva senz'altro un po' diversa. Alla luce di queste scoperte, la vecchia tesi di G. von Rad relativa all'apocalittica figlia della sapienza non sembra più poter reggere; esiste certamenle una sapienza di stampo apocalittico, attestata a QumTan e nella tradizione enochica, una forma cli sapienza che utilizza la sapienza tradizionale d'Israele e, insieme, la profezia biblica, come sue ronti, ma, allo stesso tempo, se ne distacca per il suo contenuto chiaramente esoterico e fortemente determinista, due aspetti senz'altro estranei alla tradizione sapienziale biblica.49 Già il libro del Qohelet, verso la metà del llI sec. a.C., si mostra chiaramente polemico nei confronti della nascente tradizione enochica, con la quale pure condivide l 'interesse verso il pl'oblema del male; polemici saranno anche Ben Sira e, in segufro, la Sapienza. Ma rapporto peculiare de] libro della Sapienza sta nel fatto che escatologia e cosmologia devono a loro volta tener conto della storia; questa è la differenza più notevole tra sapienza e apocalittica. Anche alla luce dei testi paolini è possibile pensare a un 'escatologia sapienziale che riesca a conciliare la presentazione di una prospettiva 1

    46

    n Libro dì Enoch è in realtà una raccolta di cinque libri diversi (Libro dei vigilanti, Libro del-

    /'as1ro11om;a, Libro dei sogni, Epistola di Enoc, Libro delle parabole) composti in un arco di tempo che dal IV sec. a.e. giunge sino all'epoca cristiana. 41 Cf. un'ampia raccolta di sludi in F. GARcfA MARTfNEz (ed.), Wisdom and Apocalypticism i11 tlte Dead Sea Scrolls ami in rhe Biblica/ Tradition (BEThL 168), Peeters, Leuven 2003. 48 Ct, ad esempio. l'ultimo volume pubblicato: G. BoCCACCINl- G. lBDA (edd.), Enoch ami the Mn.mrc Torah. The Evidence of.!11hilees, Eerdmaos, Grand Rapids-Cambridge 2009. 49 Cf. una sintesi aggiornata ùel problema in PERDUE, The Sword tmd 1'1e S()ilus, 356-371.

    48

    apocalittica non disgiunta da una solida teologia della creazione e dalla storia della salvezza. Mi sono accorto che il vantaggio della sapienza sulla stoltezza è come il vantaggio della luce sulle tenebre: il saggio ha gli occhi in fronte) mentre lo stolto cammina al buio. (Qo 2,13-14)

    Per proseguire lo studio Suggeriamo prinia di lutto alcune introduzioni in lingua italiana molto utili per una visione d'insieme e per UJ'\ primo appl'occio allo studLo della J eH~rn luni sapienziale, l ulle di taglio medio-allo: M. GILBERT, «Sapienza», in Niwvo dizionario di teologia biblica, San Paolo, Cinisello Balsamo 1998, 1427-1442 (un'ottima sintesi con interessanti aperture leologiche); L. MAZZfNGHT, «Sapienza», in TeologiJI. Dizionari Son Paolo, a cura di G. BARBAGUO - G. BoF- S. DlANICH, San Pélofo. Cinisello Balsamo 2002, 1473-1491; da questa voce riprendo molti dei temi affronlnti in questo capitolo. Cf. ancora N. CALDUCH-BENAGES, «Sapienziali, libri», in R. PENNA - G. PEREGO - G. RAVASl (edd.), Temi teologici della Bibbia, San Paolo, Cinisello Balsamo 20101 1250-1267j una buona sintesi, molto aggiornata. T1 testo fondamentale per affrontare lo studio dei libri sapienziali è senza dubbio il già più volte citato volume di G. voN RAD, La sapienza in Israele, Marielti, Torino 1975~ si tratta di un classico che ha aperto nuove prospettive sulla letteratura sapienziale. Di alto livello esegetico, e in ordine cronologico. segnaliamo le introduzioni di N. WHYBRAY, The lntellectua/ Tmclition the Old Testamene (BZAW 135), De Gruyter, BerlinNew York 1974, importante (pur se discusso) studio sulla terminologia della sapienza nell'AT, J.L. CR.ENSHAW (ed.), Studies in Ancient lsmelire Wisdom, Ktav, New York 1976 è una raccolta dci migliori articoli pubblicati. a giudizio del curatore (che offre anche un'interessante introduzione), sino a l 1975, intorno alla letteratura sapienziale; l. ALONSO Sctt6KEL- L. STCRE DIAZ, Proverbi, Borla, Roma 1986 (or. spagnolo 1984). i due capitoti introduttivi presentano un'interessante panoramica generale sulla sapienza d'Israele: J.G. GAMMIE - L.G. PERO UE, The Sage in Tsrael and ;n Ancient Near East, Eisenbrauns, Wìnona Lake 1990, un 'ampia opera collettiva indispensabile per comprendere la realtà del la figura dei saggi in lsraele e nel Vicino oriente antico; M. Gn.BERT (ed.). La sagesse de /';lncien Testament (BEThL 51). Peeters, Louvain 21990,_raccolta di stucti di diversi aut01i che offre una buona idea della mole di lavoro nata, a partire dagli anni '70, sui sapi enziali~ J.J. COLLlNS,.fewish Wisdom i11 Hel/en;stic A.ge (OTL), Westminster John Knox, Louisville 1997, un 1ìnformata e importante introduzione alla sapienza biblica ed extrabiblka in epoca ellenistica; J.L. CRENSaAW, Ed11c>. in Introduzione all'Antzco Testamento. Querìniana, Brescia 2005, 495-630; A. ROFÉ. lntroduzione olla letteratura della Bibbia ebraica. Profeti, Salmi e Sapie11:.ia/i, Paideia.. Brescia 20 11 (or. ebraico 2011).455-538. interessante e sintetica introduzione, opera di un celebre studioso ebraico. Segnaliamo, infine, alcun ~ introduzioni pili semplici, di taglio spirituale, pastorale o catechetico: E. BEAUC'AMP. I sapienti d'Israele o il problema dell'impegno. San Paolo, Cinisello Balsamo 199 l , R. SANTI. A confronto co11 In sapienza biblica (EspeJienza di preghiera per giovani), Centro eucaristico, Ponteranica 1992: G. DE CARl o, «Ti indico la via». la ricerrn della rnpienza come i1i11erano jormnth•o. EDB, Bologna 2003; S. PTNTo. Dove abita la supie11w? La ricerca dei sngg; per la iiita dell'uomo. San Paolo, Cinisello Balsamo 2008. Ricordiamo, infine, che l'intera annata 2003 della rivista dcll1Associnzione biblica itali (e ancbe gli «stolti» che lo rillutano). costituisce unn delle ch iavi interpretalive di tutto il libro.1

    TI titolo italiano del libro (Proverbi) deriva direttamente dalla versione latina (Pro11erbia); cf. il titolo dei LXX: ncxpoLµtaL; il titolo ebraico è, piuttosto, sefer mesafim. ovvero «libro dei mesalfn1», un termine che compare proprio nel versetto iniziale del libro: «mesalnn di Salomone, figlio di David, re d'Israele»; nell'introduzione ci siamo già occupati del senso di questo termine che, pur con una certa approssimazione, possiamo continuare a tradurre con «proverbio». 2 Scorrendo il libro - basta avere davanti la suddivisione offertaci con molta chiarezza dalla Bibbia di Gerusalemme - ci accorgiamo facilmente come esso consti dj sette diverse collezioni di mesallm, precedute da un'ampia introduzione e seguite da wrn conclusione secondo i1 semplice schema che segue: 1

    .Introduzione (1,1-9,18): dieci istruzioni offerte dal maestro al discepolo e tre discorsi deUa sapienza personificata (1,20-33; 8, 1-36; 9,1-6). Prima coll ezione (10,1-22,16): i «proverbi di Salomone>). Seconda collezione (22,17-24,22): le «parole dei saggi». Terza collezioni;; (24,23-34): nuove «parole dei saggi)>. Q uarta collezione (25-29): seconda raccolta salomonic, 152-155) e: «Agisci sempre in funzione di ciò che conosci, e se non lo sai, impara>> (wi, 155-J 58) .

    66

    Nella decima istruzione sapienziale (Pr 7), che è poi l' ultimo ammonimento contenuto in PT 1-9, rivolto ai giovani perché non seguano la donna straniera (cf. oltre), la questione di fondo è proprio questa: vivere o morire; detto in termini esistenziali, si tratta di realizzare la propria vita, oppure rischiare di perderla completamente. Il testo di Pr 3,17 ci ricorda che le vie della sapienza sono deliziose e che i suoi sentieri conducono a1 benessere. Seguire i saggi, dunque, è trovare la fe]icìtà; il giovane è chiamato a scoprire personalmente e fare, così, proprie, le motivazioni che stanno alla base degli ammonimenti del maestro. Valorizzazione dell'esperienza e ricerca della felicità sono due cardini de1 metodo dei saggi, che non sarebbero completi senza un terzo e fondamentale aspetto: il ruolo di Dio nel processo educativo. Abbiamo già ricordato la fiducia che per i saggi le esperienze della vita hanno un senso perché inserite nel quadro di una creazione nella quale Dio è presente e abbiamo anche messo in luce l'importanza della figura di Dio nel libro dei Proverbi. Ecco perché quando Pr 1,7 (cf. la ripresa del tema al termine dell'introduzione, in Pr 9,10) propone c01ne cardine del progetto educativo dei saggi il fatto che «il timore del Signore è pTincipio della conosce11Za», i saggi intendono insegnarci che ogni esperienza umana ha senso proprio perché garantita da Dio. Val la pena èli ricordare anche il testo di Pr 2.l-6 per comprendere meglio quest'aspetto: l'educazione nasce dallo sforzo combinato degli educatmi, dei figli di Dio; l 'educazione è ricerca umana e dono d:i Dio inst-e me:

    LFiglio mio, se tu accoglierai le mie parole e custoclirai mte i miei precetti, 2 tendendo il

    tuo orecchio alla sapienza, inclinando il tuo cuore alla prudenza, 3se appunto invocherai l'intelligenza e all'intelligenza rivolgerai la tua voce, 4se la ricercheTai come J'argento e per essa scaverai come per i Lesori, 5aUora comprenderai iJ timore del Signore e troverai la conoscenza di Dio, 6 perché il Signore dà la sapienza, dalia sua bocca conoscenza e inteUigenza. lo questo testo, la sapienza appare come uno dei beni più preziosi cbe il giovane deve ricercare (cf. Pr 3,4; 8.19; 16, L6) ~ i vv. 1~4 scmo dedicati alla rìcerca della sapienza che nasce dall'accoglienza delle parole del maestro (v. l) e si sviluppa in una iicerca personale ed espe1ienziale (vv. 3:4; verbo «Cercare)>). Il v. 5 sottolinea come il timore del Signore e la conoscenza di Dio ( cf. Os 4,1; 6~6) sono il risultalo della ricerca della sapienza che, al '.I. 6, è descritta allo stesso tempo come dono di Dio. TI v. 6 potrebbe essere una correzione teologica che di fatto si oppone a quanto detto in Pr 2,1-5: qui la sapienza è frutto degli sforzi delJ 'uomo; in Pr 2,6 è piuttosto presentata come dono di Dio; il ~ che apre il v. 6 ha un valore molto f011e:Je p;irole del saggio sono parole di Dio! ln ogni caso, il v. 6 presenta una prospettiva diversa da quella di Pr 2,1-5~ se il v. 6 non è invece~ emme alcuni pensano, una glossa te-0logica, esso crea una bella connessione con il tema di Pr 2,1-5: la sapienza è allo stesso tempo frutto della ricerca umana, ma anche dono di Dio. Cercare la s_apienza significa cercare Dio e trovare Dio significa trovare la sapienza: la vita dell'uomo è così continua ricerca e non tanto presunzione di aver trovato, perché la sapienza è piuttosto nell'ambito del dono riéevuto. 67

    E infine: aprire gli occhi ai suoi discepoli, questo è il primo compito che si prefigge il maestro; educare la libertà del discepolo e scomn1ettere su di essa, il padre/maestro attende il discepolo e allo stesso te1npo sa anche prenderne le distanze: Vi è dunque nell'atteggiamento dei saggi un continuo chiamar in causa «la ragione dell'aJlievo come alleata per pe.rsuaderlo che fa bene a non distruggersi da sé, a mettere la sua fiducia nella potenza del bene e a guardarsi dal disordine [...]. È un liberalismo che si rivolge allo spirito di chi riceve l'insegnamenlo e non può e non vuole togliergli l'autonomia della decisione. Anche nell'invito più pressante, vi è sempre uno spazio che il rnaestTo si guardava bene dall'occupare e che lasciava libero all'opinione personale dell'allievo.20

    Come ben si esprime il testo di Pr 4,25, «i tuoi occhi guardino sempre in avanti e le tue pupille mirino diitlo davanti a te». Il saggio ha ben compreso che l'educazione è, innanzitutto, una questione di hbertil: un cannnino che presuppone la libertà del discepolo e allo stesso tempo sa educarla. Il saggio è capace di proporre il valore di una tradizione della quale egli stesso sa, tuttavia, essere sanamente critico; sa usare la propria autorità (meglio: sa essere autorevole) non per bloccare la libertà del discepolo o peggio per occuparne astutamente gli spazi, ma per render]a ancora più grande e più vera. 5.6. Atteggiamenti umani

    Il progetto educativo dei saggi ant01i dei Proverbi e la loro grande attenzione aJl 'uomo comporta una grande importanza data dai saggi alle virtù umane. La scoperta che esiste un ordine del mondo e che il saggio è in grado di comprenderlo e di conformarsi a esso si riflelle nella vita quotidiana cli ogni uomo e negli atteggiamenti che eg1i è chiamato a vivere. TI saggio è consapevole che per vivere in questo mondo è necessario seguire regole che rispettino l'ordine della creazione; la sapienza proposta dai Proverbi è pertanto una sapienza di carattere essenzialmente p.ratico - ma non pragmatico, come abbiamo detto-, guida verso una vita felice, armonicamente inserita nel creato e nella società. L'uomo è invitato a inserirsi nell'ordine cosmico e sociale e, allo stesso te1npo, è spinto a collaborare, con il suo comportamento «giusto», al mantenìmenlo e alla crescita di quest'ordine; in ciò consiste la «giustizia» di cui spesso si sente parlare nei diversi proverbi. Questa è la finalità delle esortazioni di carattere etico sparse un po' in tutto il libro; i diversi atteggiamenti umani sono considerati negativi o positivi proprio in relazione a una tale idea di «ordine»; positivo è tutto ciò che fa crescere la società e mantiene intatto l'ordine della creazione. Per non appesantire quest'introduzione ci limitiamo qui a suggerire un sintetico elenco delle principali virtLL umane (e, al contrario, dei principali vizi) messe in luce dal libro dei Proverbi.21

    20 21

    G. YON RAD, La sapienza in Israele, Mmietti, Torino 1975 (or. ted. 1970), 273-274. U1rn presentazione più ampia si ha in D. BERNINI, Il libro dei Proverbi. Nuovissima versione della Bibbia. San Paolo. Roma 1978, 59-87.

    68

    Custodia della lingua; il saggio dà molta importanza al saper parlare a tempo debilo; la custodia della lingua è Lma delle sue prime virtù: cl., ad esempio. Pr 10,11.13.14. 19.20; 18,21 ecc, Sulla dolcezza de] linguaggio si vedano Pr 12,25; l5J-2: 25,15; sul silenzio: Pr 11,12; 17,28 («anche lo stolto, se tace, passa per saggio»!); L'uomo saggio sa tacere e ascoltare prima cli parlare (cf. Pr 18,13); per l'atteggiamento contrario, cf. Pr 10,19; 18,67. Quest'insistenza sulla lingua, sul retto uso della parola, è già presente nella sapienza egiziana, ma assume nei Proverbi un n10lo cli p1imo piano. La parola umana è «acqua profonda, ruscello fluente., fonte di sapienza» (Pr 18,4). Ira e moderazione: l'fracondo verrà abbandonato da tutti (Pr 19,19: 22,24-15; 27,3A; 29,11), mentre l'ideale è l'uomo paziente (Pr 15,18; J 6,32~ 17,27: 29,23). Il testo diPr 4,23 fa nascere dalla «custodia del cuore» quest'atteggfarnenlo di moderazione e di pazienza1 dove per «cuore» occorre intendere ciò che per noi è la «coscienza». Anche ln questo caso i saggi israeliti riprendono temi già presenti nella sapienza dei popoli vicini. Umiltà e orgoglio: l'orgoglio è radice di ogni male (Pr J6,18), mentre il rimedio sta nell'umiltà, più volte ricordata (Pr 11,2; 18,12; 25,6-7; cf., per quesCullimo testo, Le 14,7-11). Si veda, nel difficile testo di Pr 30,1-6, l'~spressione della consapevolezza di non poter comprendere appieno la sapienza e la volontà di Dfo (cf., in partjcolare, i vv, 2-3). L'umiltà ha la sua radice nel «timore del Signore»: >, in Liher Amww: 31(1981), 29-58 e, dello stesso autore; «Ma la

    1 •

    sapienza, da dove giunge?», in Logos, ElleDiCi, Leumann (TO) 1997, IY, 281-287.

    112

    In realtà, l'affermazione del v. 28 giunge al termine di un poema nel quale il problema sembra essere l'inaccessibilità della sapienza: essa è infatti introvabile per l'uomo, nonostante tutta la sua abilità tecnica (prima strofa) e nonostante le sue ricchezze e la sua attività (seconda strofa). La sapienza non è, perciò. n ell' ordine dell'avere, ma del credere («temere Dio») e, insieme, dell'essere ( «astenersj dal male»). In questo modo, il poema appare più una critica alle posizioni degli amici che non a quelle di Giobbe; il poema attacca implicitamente la pretesa degli amici di possedere una sapienza con la quale poter valutare sia il comportamento umano sia quello di Dio. Nessuno può dire di aver trovato la sapienza, che è piuttosto un dono di Dio. Chi pronuncia, dunque, il poema del capitolo 28? Di per sé, i1 titolo posto in 27 ,1 porrebbe anche il capitolo 28 ail,interno dell'ultima risposta di Giobbe (cf. sopra, pp. 93-94). Nonostante la varietà delle opinioni dei tanti commentatori di Giobbe, forse è preferibile pensare a una sorta d'astrologia. Gb 38,35-38: Chi scatena l'uragano? Con quesla immagine di potenza si chiude la descrizione de1le forze della natura evocate da Dio.

    A questo punto si apre la seconda parte del discorso, centrata sugli animali, una sorta cli filmato sulle bestie del deserto. Il testo diviene ancor più poetico ed evocativo, come, in particolare, nelle due strofe finali del cavallo e dell'aquila. Clù nutre le bestie selvatiche (Gb 38,39-41)? Chi le fa partorire (Gb 39,1-4)? Gli animali svelano all'uomo il mistero della vita. Chi dà all'asino selvatico la libertà (Gb 39,5-8)? Chi controlla la forza del bufalo (Gb 39,9-12)? Chi dà rapidità allo struzzo (Gb 39,13-18)? Chi dà la forza al cavallo rendendolo l'animale che guida l'uomo in battaglia (Gb 39,19-25)? Chi dà la forza all'aquila (Gb 39,26-30)? La prima parte del discorso di Dio ci rivela l'esistenza di un mondo dinamico e costantemente curato da Dio, il quale esercita la sua provvidenza anche sulle parti più aride e selvagge, con una libertà assoluta che l'uomo non può arrivare a comprendere. Giobbe è invitato a un itinerario ideale e impossihile che si estende dal tempo (il momento della creazione) allo spazio, dal cielo fino al mondo degli inferi, un percorso fantastico e meraviglioso che alla fine, tuttavia, riporta l'uomo in se stesso e lo aiuta a collocarsi in modo giusto davanti alla realtà. Il cosmo non è un ammasso di «cose», ma è «creazione», un mondo dal quale Dio non è estraneo e nel quale, anzi, egli esercita la sua provvidenza. Nella seconda parte del discorso di Dio, quella dedicata agli animali, dobbiamo superare l'impressione di trovarci di fronte a una sorta dj trattato di zoologia. Il poeta ci offre uno spaccato dell'ambiente del deserto, straordinario e inquietante. Anche gli ani1nali per noi nocivi o pericolosi hanno un posto nel piano di Dio, persino quelli stupidi come lo struzzo. Non sarà questa una risposta indiretta ai dubbi di Giobbe che si chiedeva perché Dio non elimina i malvagi? L' uomo ragiona con la logica dell'antitesi: buono/cattivo, amico/nemico, giusto/ingiusto, utile/inutile, e vorrebbe applicare anche al creato questa logica. Dio, invece, utilizza la logica dell'essere, del crescere, del divenire: egli è un Dio che cura la vita in tutti i suoi aspetti, anche in quelli ch e a noi paiono inutili o persino dannosi. Il ricorso agli esempi tratti dal mondo animale è comune nel libro di Giobbe. Ma in questo modo il poeta ci aiuta a uscire da una visione esclusivamente antropocentrica della creazione, una visione cioè che giudica il cosmo solo a partire dall 'uomo; il creatore, in realtà, ama ogni vita; vi è nel cosmo un intero mondo che sfugge al controllo dell'uomo, che pure sul cosmo intenderebbe esercitare il suo dominio. Il discorso di Dio si chiude in Gb 40,1-2: Giobbe vorrebbe ancora giuclicare Dio, continuare questa sorta di processo iniziato contro di lui? Il ritorno del lin120

    guaggio giuridico è qui una spia importante: Dio non può essere giudicato con i criteri umani della pura giustizia; Giobbe deve imparare ad andare oltre tali criteri. Giobbe deve inserire il proprio caso nel quadro dell'ordine della creazione. Dio evita risposte semplicistiche e meccaniche. Con molta ironia, Dio svela a Giobbe un mondo nel quale domina il mistero e nel quale l'uomo non può trovare unarisposta univoca, benché la vorrebbe. Dov'è finita adesso tutta la sapienza umana? Incontrandosi con Dio, Giobbe ha compreso i suoi limiti, limiti nel tempo (Gb 38,4) e nella conoscenza (Gb 38,4-5; 39,26) e, quindi, limiti nel potere, che Giobbe non può avere sulla creazione; l'uomo conosce soltanto i margini del mistero. Tuttavia, la serie di domande e di imperativi con ì quali Dio incalza Giobbe non è stata inutile: scoprendo il volto di Dio attraverso il creato, l'uomo scopre se stesso alla luce dell'opera di Dio. Questo percorso è molto interessante: la conoscenza del creato (oggi diremmo piuttosto: la conoscenza scientifica del mondo), che pure è disponibile all'uomo, sfocia qui nell'ammirazione per le opere meravigliose di Dio. Così, il senso del cosmo non è indisponibile agli uomini, ma resta loro inconoscibile nella sua reale profondità. L'uomo scopre così. che quando intende parlare della grandezza o della giustizia di Dio deve porsi in un atteggiamento di meraviglia e cli adorazione che nasce dalla consapevolezza del proprio Jimjte. In tal modo, comprendiamo ancora una volta che il problema del libro di Giobbe non è iJ dolore, ma la scoperta del vero volto di Dio. Attraverso la creazione riusciamo a coglierne un aspetto e, a questa luce, possiamo meglio capire noi stessi. Tutti gli esegeti pensano che il discorso di Dio è estremamente urtante perché tralascia assolutamente la richiesta specifica di Giobbe e Jahvè non si abbassa in alcun modo a daJe una interpretazione di se stesso.[ ...] Dio rinuncia a dire qualcosa che spieghi i suoi «decreti» nell'intenzione di scartare gli equjvoci. Egli risponde piuttosto con domande che riguaTdano la creazione, il suo ordine e la sua conservazione. Non si parla quindi di teoria, di qualche principio di azione divina o di qualche cosa di simile, ma di fatti, di ciò che avviene quoticlianamenle. È la creazione che fornisce a Dio la possibilità di rendersi testimonianza. Una volta ancora giung1amo all 'idea che la creazione ha qualcosa da dire che l'uomo può intendere. Giobbe è rimandato a questa dichiarazione ... Dio lascia che la creazione, cioè qualcun altro, parli aJ suo posto.49

    4.15. La prima risposta di Giobbe (40,3-5)

    Nella sua prima1 brevissima risposta, Giobbe dice sostanzialmente tre cose: prima cli tutto, ammette la sua piccolezza: «sono di poco peso» («non conto niente», BCei). Giobbe riconosce, prilna di tutto, di non avere più argomenti consistenti da contrapporre davanti a Dio. Ma un tale riconoscimento non nasce da una sorta cli resa di fronte a un Dio che lo schiaccia. Al c011trano, Giobbe «si mette la mano sulla bocca»~ questo gesto, alla 1uce cli ciò che Giobbe chiedeva ag1i amici, va inteso nel senso di «rimanere a bocca aperta>>" (cf. Gb 21,5). Giobbe riconosce ammirato l'agire di Dio nel mondo. Infine, Giobbe afferma di non voler più parlare; ha assunto l'atteggiamento della meraviglia e ha abbandonato la strada della protesta; ha iniziato a conoscere

    49

    G. VON RA o, La sapienza in [sraefe, Marietti, Torino 1975 (or. ted. 1970), 203-204. 121

    un diverso volto di Dio. Resta, in ogni caso, una vena di ambiguità: Giobbe potrebbe non voler più parlare perché di fronte a un Dio simile non è possibile aver ragione (cf. Gb 9,13ss). Per questo motivo, Dio dovrà parlare ancora, per dissipare ogni dubbio residuo. 4.16. Il secondo discorso di Dio (40,6-41,26)

    È soprattutto nella prima parte del discorso (Gb 40,6-14) che Dio mette a nudo il cuore del problema. Dopo un inizio identico al precedente (vv. 6-7), il v. 8 costituisce la chiave di volta di questo nuovo discorso divino. Giobbe vorrebbe condannare Dio per giustificare se stesso; si veda ciò che Bildad aveva negato in Gb 8,2 (Dio non può essere ingiusto) e ciò che Giobbe aveva invece affermato in Gb 27,2 (Dio agisce senza giustizia). Qui Dio invita Giobbe a uscire da questa logica tutta razionale legata alla pura giustizia retributiva. L'uomo non può pretendere di giudicare Dio con criteri umani e ciò vale sia per i tre amici che per Giobbe stesso. Alttimenti si ritorna al punto di partenza: se Giobbe è innocente, Dio è colpevole, e viceversa; non ci sarebbe pjù alcuna via d'uscita. Nei versetti successivi (Gb 40,9-14), Dio mette in luce Fassurdità della pretesa umana di giudicare Dio con i propri criteri. Il problema di Giobbe è , tra gli altri, l'esistenza dei malvagi e l'apparente assenza di una retribuzione divina. Bene, dice adesso Dio a Giobbe, vediamo se egli è capace di eliminare tutti i malvagi e di schiacciarli. Se Giobbe riuscirà a far questo, allora Dio lo loderà, «perché hai trionfato con la tua destra». Qui l'ironia raggiunge il culmine; utilizzando una frase tratta dai salmi (cf. Sai 98,1), D io afferma che se Giobbe sarà davvero capace di far sparire il male dal mondo, ebbene, Dio potrà cantargli un salmo, rovesciando così le parti e prendendo lui il posto dell' uomo! Emerge qui una chiara allusione al «braccio» di Dio (v. 9), con il quale Giobbe pretenderebbe di agire, come il Dio dell'Esodo che punisce gli egiziani (Es 6,6; 15,6): in realtà, proprio l'ironia contenuta in questi versetti ci aiuta a comprendere come i c1iteri dell'agire di Dio siano ben altri: il Dio che si rivela in Giobbe sa bene dell'esistenza del male, ma si rifiuta di agire ctistruggendolo, come vorrebbe Giobbe. Se dunque Giobbe vuole combattere l'ingiustizia, egli scopre che Dio è il prin10 a volerlo fare e che il Dio con il quale egli ha polemizzato è in realtà quel Dio che adesso si ribella anch'egli al male e, come vediamo nel difficile discorso su Behemot e Leviatan (Gb 40,15-41,26), è in grado di controllarlo. Un passo df:ffìcile: il discorso sll Behemot e Leviatan (Cb 40, 15-41,26) Il secondo discotso di Dio è completato da un lungo passaggio nel quale Dio mette in campo due stranissimi animali, che nel testo ebraico portano i nomi di Behernot e Leviatan. Questo passo ha sempre incuriosito i lettori cli Giobbe e ha provocato accese discussioni sul suo significato. Alcuni autori lo considerano, come già si è detto, un'aggiunta secondaria. Il poeta mette sulla scena due animali la cui descrizione ricorda molto da vicino l'ippopotamo e il coccodrillo, pur senza nominarli esplicitamen te. Entriamo così in un testo tanlo straordinario quanto difficile, che ha ispirato tanti artistj e studiosi~ si ricordi tra i tanli echi letterari la descrizione del celebre cetaceo Moby Dick nel romanzo cli Melville. Un primo significato del poema va visto proprio nel suo aspetto «zoologico»; se questi due animali sono veramente l'ippopotamo e il coccodrillo, come sembra a prima vista, animali potenti e pericolosi tipici dell'ambiente egìziano (in lsraeJe. infatti, non esistono), il poe122

    ta vuol mostrare eome Dio gioca come fossero animali domestici con bestie che fuorno non può sperare di sottomettere. Da questo punto di vista, ritorna l'argomento degli animali già visto nel discorso precedente: Dio g0vema un mondo che sfugge al conu·ollo dell'uomo ma che è pur pieno di meraviglie e che in nessun caso sfugge alla cura divina. Il poeta, tuttavìa, non parla esplicitamente di ippopotami e coccodrilli; il nome di «Leviatan~>, ad esempio, ritorna in altri testi biblici con valore simbolico; si tratta di due mostri acquatici che simboleggiano il caos primoi-diale nemico di Dio (cf, per il Leviata~ Sal 74,13-14). Se così è, in questo poema èi viene detto che Dio è in grado di controllare le forze del rnàle, pur senza distruggerle come vorrebbe l'uomo. Questa, allora, è una risposta aUe domande di Giobbe, obe ancora una volta è invitato a uscire dalla sua logica umana. Inoltre, il testo contiene anche ironiche allusioni alla religione egiziana; vi sono testi e iscrizio11i che ricordano come il faraone o il dio Horus dominano su potenze malefiche rappresenLate da ippopotami o coccodrilli. Sono possibili anche alcune allusioni politiche; il coccodrillo, infatti, potrebbe essere simbùlo dell'EgiUo e l'ippopotamo di Babilonia, i due grandi nemici d' Israele. «li Dio che s'indirizza a Giobbe dalla tempesta gli mostra Behemot e Leviatan, le vestigia del caos vinto, divenute figute di una brutalità dominata e misurata dall'alto creatore; attraverso i simboli gli lascia capire che lullo è in online, misura e bellezza [.. .]. La sofferenza non è spiegata né eticamente né altrimenti; ma la contemplazione del lutlo abbozza un movimento che deve essere completato con l'abbandono di una pretesa: col sacrificio dell 'esigenza che era all'origine della recriminazione, cioè la pretesa di formare solo per sé un isolotto di senso nell'universo, un impero in un impero».so

    4.17. La seconda risposta di Giobbe (42, 1-6)

    La seconda risposta di Giobbe a Dio è anche l'ultjmo intervento che egli fa prima che il libro si chiuda. Se gli amici parlavano credendo di sapere, Giobbe parlava perché voleva sapere. Offriamo qui una traduzione dei vv. 1-6 il più possibile attenta a] testo ebraico: 51 1 Giobbe

    rispose al Signore: 2«Riconosco che tu puoi tutto e nessun progetto è irrealizzabile per te. 3 Sì: "Chi è colui che oscura il (mio) piano, ma senza intelligenza?". È certo, ho parlato senza capire, cose meravigliose, che superano la mia comprensione. 4 "Ascoltarni, sto per parlare, ti interrogherò e lumi risponderai". 5 Avevo udito di te solo per sentito dire,52 ma ora i miei occhi ti vedono 6e per questo detesto polvere e cenere 1 ma ne sono consolato».

    Si osservi come il v. 3a riprenda le stesse parole pronm1ciaLe da Dio a Giobbe in Gb 38,2, mentre il v. 4 riecheggi l'eco di quelle dì Elihfi in Gb 33,31. Nel pri-

    50

    P. RI COEUR, La symbolique da rrllll,AubieJ',Pafis 1968, 298. Sulle figure dl Behcmòt e Levìatan cL un buon punto della situazione in BoRGONOVO, La notte e il suo sole, 316-319. 5 1 Cf. BORGONOVO, La notte e il suo sole, 82-83. 52 È possibile anche lTadurre «finalmente ti ho ascoltato con i mie.i orecchi)); in questo modo la conoscenza personale di Dio passa attraverso gli mecchi e gli occhi; per questa lettura cf. F. MIES, L'é~perance de .lob (BEThL 193), Leuven Univ. Press, Leuvcn 2006, 409-411.

    123

    mo caso, Giobbe cita il discorso precedente di Dio riconoscendone la fondatezza e, nel secondo caso, critica l' intervento di Elihu. La risposta di Giobbe si apre, al v. 2, con il riconoscimento dell'onnipotenza di Dio e soprattutto del suo «piano» o «progetto» (mezimmah), un termine che appare solo nel libro di Geremia (Ger 23,20; 30,24; 51Jl) e che indica il progetto di Dio contro il male. Giobbe sembra così riconoscere che Dio ha un «piano» sul mondo, come Dio stesso aveva affermato in Gb 38,2. Riconosce anche (v. 3a) che Dio aveva ragione quando poneva Giobbe di fronte alla limitatezza della propria conoscenza umana. Giobbe ha capito (v. 3b) che Dio opera soltanto meraviglie (Giobbe qui riprende un tema tipico dei salmi, cf Sal 131,l; 139,6). Con i vv. 5-6 ci troviamo al cuore del libro; Giobbe riprende qui la sua speranza espressa nel testo di Gb 19,23-27. Giobbe è passato da una conoscenza esteriore e per sentito dire a un incontro personale, faccia a faccia, con Dio. Per Giobbe, infatti, Dio non è mai stato un oggetto di cui discutere, ma una persona da incontrare; e ora l'ha incontrato. Dobbiamo probabilmente scartare la traduzione del v. 6 offerta da BCei, «perciò mi iicredo mi pento sopra polvere e cenere», che presuppone un pentimento di Giobbe, il quale abbandonerebbe ormai definitivamente il suo atteggiamento di protesta per entrare in una dimensione di pura fede, pentendosi della protesta precedente. Ma se -Giobbe si pentisse adesso, allora tutta la sua precedente protesta risulterebbe inutile e si i-itornerebbe al punto di partenza: Giobbe dovrebbe accettare passivamente l'agire di Dio, così come in realtà ha già fatto nel prologo. Secondo altri autori, 11 testo sarebbe invece ferocemente ironico: «Perciò io provo disprezzo [verso di te, Dio] e mi scuso per la fragilità umana». Giobbe non soltant o non si pentirebbe, ma rifiuterebbe del tutto i discorsi di Dio e le non-spiegazioni che Dio avrebbe dato.53 Possiamo offrire un'altra possibilità di lettura di un versetto che forse il nopoeta vuole lasciare volutamente nell'ambiguità: Giobbe continua a «detestastro re polvere e cenere», ovvero continua a restare totalmente immerso in una condizione umana di assoluta fragilità, ma nonostante tutto ciò, egli s i sente «curnmlalo», perché finalmente ha incontrato Dio e ha compreso che egli è libertà che crea, l'onnipotente mite, e non il giudice violento che egli temeva. Nel momento in cui Giobbe avrebbe dovuto riconoscersi sconfitto, egli trova la sua piena vittoria. Non ostante 11 perdurante «perché?» di fronte ai1a fragilità dell'esistenza umana ( «polvere e cenere») che egli «detesta», Giobbe può abbandonarsi a Dio. 54 La risposta di Giobbe può certam ente sorprendere, perché Giobbe non affronta più i temi oggetto di tutto 11 dibattito precedente; come può Giobbe dire, infatti, di «aver conosciuto Dio solo per sentito dire», se ne] prologo era stato presentato come modello di pietà? In realtà, riappare qui l'interrogativo di Gb 1,9: Giobbe è davvero religioso? Oppure la sua era una religiosità interessata, perché gli garantiva una vita felice? I discorsi di Dio hanno distr utto ogni possibile lettu-

    53 Cf. per

    una serie di diverse interpretazioni di Gb 42,6: L.J. KAPLAN, «Maimonides, Dale Patrick and Job XLII,6», in VT 28(1978), 356-358; J.B CURTIS, «On Job's Rcsponse to Yahweh», in JBL 98(1979), 497-511; W. MORROW, «Consola tion, Rejection and R epentance in Job 42,6>>, in JBL 105( 1985), 211-225; T.F. D AILEY, «And Yet H e Repents. On Job 42,6», in ZAW 105(1993), 205-209; E .J. VAN WOLDE, «Job 42,1-6: tbe Revcrsal of Job», in W.A.M. BEUKEN (ed.), The Book oflob (BEì11L ll4). Peeters, Leuvcn 1994. 223-250. 54 Per quesle conclusioni cf. lo studio cli VtGNOLO, (» ovvero l'uso costante della prima persona singolare; per ben ventinove volte appare il pronome personale «ÌO», che non è di uso così comune nella Bibbia ebraica; sj tratta di un «io» fittizio, l'io de l Qohelet/Salomone; ma è singolare proprio il fatto che il protagonista del libro non parli né a nome di Dio né a nome cli una tradizione ricevuta, quanto piuttosto aHa luce della propria esperienza. TI QoheJet utilizza poi la tecnica della ripetizione, più esattamente qualcosa che potremmo chiamare imitatio sui, la ripresa cioè di espressioni già utilizzate e il ricorso a veri e propri ritornelli. come il celebre «tutto è un soffio I un inseguire il vento» ( cf. oltre). In Qo 12,9-11 l'epiloghista afferma che il Qohelet scrisse molti mesalfm, utilizzò cioè nella sua opera la forma letteraria tipica della letteratura sapienziale.

    Non è dunque slrano trovare nel nostro autore m1a sede di ricorsi stilistici ben noti al le ttore dei Proverbi, come il parallelismo o l'uso di ~ecniche poetiche come la paronomasia ( Qo 7, I a: 8em-se1J1en; nome-olio; 7,5b.6a: sìr·,~lrfrn-sfr; canto, pruni e pentola) o il doppio senso; si vedano Qo 2,15 (doppio senso dj yoter, come sostantivo ), posta (cf sotto) per otto volte nella p1imaparte del libro. Non luUo, allora, è negativo per il Qohe1et e c'è comunque sempre un «meglio» p er l'uomo elle l'uomo può accogliere e vivere. Così, in un mondo nel quale ognuno sembra essere cont1·0 l'altro, c'è un meglio per l'uomo ncll'amici?:ia e n ell'amore: >. Vambiguità appare un ricorso stilistico caratteristico del nostro autore, tenendo conto del quale potranno essere risolti molti apparenti problemi del testo~ essa può essere considerata espressione, a livello letterario, del procedimento di carattere dialettico utilizzalo dal nostro saggio, che potrebbe voler riflettere Ja struttura ambigua della realtà stessa che egli ha scoperto. Oltre all1ambiguità, il Qohelet ricorre molto spesso all'ironia,27 già nota ai saggi d 1 Israele, ma certamente ben più usata dalla filosofia di epoca ellenistica. ln primo luogo}esiste nel libro un evidente atteggiamento ironico n ei confronti della socie tà del tempo e della corsa verso 1a ricchezza (Qo 5,7-8; 5,14; 8,9-1 ; 10,5-7); qui l'ironia sconfina nel sarcasmo. L,ironia può situarsi poi al li vello dello stile usato dall'autore o può essere un'ironia di carattere allusivo, meglio ancora un'ironia di carattere linguistico: il Qohelet cita cioè enunciati tradizionali rovesciandone il significato. Così avviene in Qo 3,2-8, dove il Qohelet sembra voler utilizzare un poema sapienziale sui «momenti opportuni», utilizzandolo però al contrario. La scoperta di una tale portata ironica nel libro del Qohelet potrebbe essere un'ulteriore conferma della teoria delle citazioni; molte allusioni ch e il nostro saggio fa a temi e testi propri della sapienza tradizionale sono così di carattere ironico. L'ironia può assumere nel libro una portata più vasta, come avviene nell'intera finzione regale (Qo 1,12-3,15) dove l'identificazione dell 'autore con il re «Salomone» assume un aspetto senz'altro ironico: il più saggio e il pitL ricco re che Israele abbia mai avuto non è stato capace di godersi la vita. Da questo punto di vista l'intero libro, posto sotto la finzione salomonica, acquista il carattere di una parodia di una vera e propria sindrome regale,28 l'atteggiamento dj «Salomone» che vorrebbe avere tutto e capire tutto. In sintesi, l'uso dell'ironia serve al Qohelet per una vasta serie di scopi: prima d i tutto, con l'ironia egli riesce a criticare le pretese della sapienza tradizionale (cf. di nuovo Qo 3,2-8, ma anche Qo 9,2-3). In secondo luogo, l'ironia serve al nostro saggio per stigmatìzzare il tentativo dell'uomo del suo tempo di imitare «Salomone» credendo di trovare da solo la propria felicità; verso questo stile di vita di pretesa autosufficienza, l'ironia de1 Qohelet diviene feroce. L'ironia, in terzo luogo, non ha soltanto lo scopo di colpire e di ferire l'interlocutore; combinata con l'uso retorico della domanda, essa acquista un reale valore episte mologico, spingendo L'uomo a riflettere sulla realtà e a non dare nulla per scontato; così avviene, in modo particolare, nella costante ripetizione che «tutto è soffio»; sotto i colpi del Qohelet l'intera vita dell' uomo viene posta in discussione: l'ironia va di pari passo con lo sviluppo del senso critico. È molto importa nte notare, a questo punto, che l'uso del-

    27

    R. VIGNOLO, «La poetica ironica di Qohelel. Contributo allo sviluppo di un orientamento critico», ìn Teologia 25(2000). 217-240. 2R Ci VIGNOLO, tl.a poetica ironica di QoheJeh>. 237. 143

    l1ironia da parte del nostro saggio appare assente in tre casi: quando il Qohelet parla della figura di Dio e del suo agire, quando parla del temere Dio e della gioia da lui concessa all'uomo; l'ironia del Qohelet, pertanto, non è un 1ironia corrosiva e distruttrice1 ma è uno strumento epistemologico che serve a vagliare e dare fondamento alle sole realtà che abbiano un senso nella vita: Dio e le due cose che l1 uomo può vivere in relazione a questo Dio, il timore e la gioia. Importante è ne] Qohelet il ricorso alla negazione e, insieme. alla domanda.29 Per quanto riguarda 1a negazione, in molti casi il Qohelet si pone in rapporto critico con la tradizione d'Israele; si vedano i testi cli Qo 1,9, in relazione alla tradizione profetica; Qo Lll; 5,19; 9,15, in relazione alla possibilità del ricordo; Qo 9,11, in relazione alla dottrina della retribuzione. In altri testi, come Qo 3,11; 4,17; 8,9.17; 9,1.5.12; 10.14; 11,5.6, il Qohelet reagisce contro quello che è stato definito l'ottimismo epistemologico dei saggi, contro una concezjone troppo ottimistica di un sapere che non riesce a cogliere i propri limiti. Un' ulteriore sfera nella quale il nostro saggio usa la negazione è quella delPagire umano, che non riesce a cambiare la realtà delle cose e si scontra con limiti invalicabili (cf. Qo 1,15; 2,11; 10,8-11). Il carattere diale1tico dell'opera si riflette anche nel costante ricorso all' interrogazione. La maggior paiie delle domande presenti nel libro si concentrano nei capitoll 2-3 e 7- 8 e si possono riassumere in due questioni centrali: quale profitto? Chi può conoscere? La prima domanda ricorre in modo esplicito per ben otto volte (Qo 1,3; 2,22; 3,9: 5,10.15; 6,8ab. Il) ed è posta su due livelli: da un lato, la risposta più ovvia è che «non c'è nessun profitto per l'uomo, nel suo lavoro»; dall'altro, il Qohelet spinge i suoi interlocutori a chiedersi dove stia, allora, il «profittm> che l' uomo va cercando e se vi sia davvero qualche profitto. Qual è allora il senso dell'agire umano? La seconda domanda, relativa alla conoscenza, ricorre esplicitamente in Qo 2,19; 3,21; 6,12: 8,1 nella forma mi-y6dea ·,«chi sa?»; alla luce dei testi di Qo 1,13 e 3,11 e dell'intera epistemologia del Qohelet, la domanda rivela un reale desiderio di conoscere. 2.5. Il testo e la lingua del Qohelet IL Testo masoretico del Qohelet, quale d è preservato dal Codice di Leningrado ed edjto adesso nella nuova edizione della Biblia hebraica Stuttgartensia (Stuttgarl 52004), è senz'altro ben conservato. Esistono anche due manoscritti di Qumran che riportano alcune porzioni del testo del Qohelet (4QQoha [metà del li sec. a.C.] = Qo 5,13-17~ 6J(?).3-8.12~ 7,1-10.19-20 e 4QQohb = Qo 1, 10-16), ma nessuna de lle varianti attestate a Qumran sembra realmente imporsi sul Testo masoretico. Di un certo interesse, per la critica testuale, è la versione greca del Qohclet che, tuttavia, è tardiva (ll sec. d.C), e presenta qualche correzione di carattere teologico. La versione latina (Vulgata) è affrontata da Girolamo nel 398 dopo aver già pubblicato la versione oITerta nel Commentario all'intero libro, scrjtta verso il 389. Girolamo sottopone il testo a una rilettura allo stesso tempo escatologica e cristologica: Ecclesiastes noster est Chrisrits. 30

    Cf. D 'ALARIO, Il lihm del Qohelet, 186-192; 199-202~ 214--218. 3o GmOLAMO, Comm. in Ecci.: PL 23,1013. 29

    144

    U11a questione a 1ungo studiata è stata quella relativa alla lingua utilizzata dal Qohelet; essa appare come un ebraico popolare, specchio della lingaa parlata intorno al IIl secolo (da qui l' abbondanza di aramaismi), un ebraico che segna il passaggio dall'ebraico biblico a quello della Mishna. 31

    3 .. l'ambiente storico del Qohelet 3.1. Epoca e datazione

    La tradizione giudaica mitica attribuiva il Qohelel a un re Salomone ormai invecchiato, che aveva già scritto in gioventù il Cantico dei cantici e da adulto il libro dei Proverbi (cf. p. 54). Fu soltanto in epoca moqerna che l'attribuzione tradizionale entrò in crisi. L'epoca di composizione più probabile è oggi vista nel III sec. a.C., probabilincnte verso la metà del secolo; si lralta di una datazione che s,impone per ragioni sia di linguaggio che di contenuto. TI III sec. a.e. vede, in seguito alla conquista di Alessandro Magno, lo stabilirsi de1 dominio dei Tolomei anche nella regione della Giudea; si tratta di un tempo di relativa pace e di un certo crescente sviluppo economico; nasce nella Giudea un 1aristocrazia terriera e si diffonde altresì l'uso del denaro come mezzo corrente di pagamento. Una nuova classe di burocrati fa capo a11a monarchia tolemaica di Alessandria (cf. 11 testo ironico di Qo 5,7-10). l cosiddetti papiri di Zenone, funzionario del fisco tolemaico che ci ha lasciato la documentazione della sua visita nella regione siro-palestinese, attestano proprio verso la metà del III secolo la realtà economica e fiscale di quest'area geografica. Questi resoconti di natura fiscale evidenziano l'esistenza di classi ricche, aperte ai commerci internazionali. Non è un caso che il termine «profitto» (in ebraico yitron). un termine prettamente commerciale} sia al centro delle domande del Qohelet «Quale profitto c'è per l'uomo?» (cf. Qo 1,3; 3,9). Su questo sfondo economico-sociale è possibile comprendere testi ironici come Qo 10,4-7, ma anche più tragici come Qo 4,1-2 (le ingiustizie dei potenti). Come ben conclude P. Sacchi, «Se la fisionomia del IlI secolo a.e. non è sufficiente da sola a indicare questa data per il libro del Qohelet, è certo che su questo sfondo il suo pensiero si comprende benissimo».32

    3.2. Le fonti del Qohelet Esaminiamo adesso, brevemente, quali sono i rapporti che il Qohelet mostra di avere con farnhiente culturale nel quale è nato. Secondo alcuni autori, nel Qohelet sarebbe evidente l'influsso della letteratura sapienziale babilonese. Sono stati studiati, in particolare, i possibili contatti che 11 Qobelet dimostrerebbe di avere con

    31 Cl'. adesso i due fondamentali volumi di A. ScrIOORS, The Preacher Sought to Find Pleasin.g Words; a Study of rhe Language of Qoheleth (OrLovAnal 41; 143), 2 voli., Peelers, Louvain 1992-2004. 32 P. SACCHI. Qohelet, Ed. Paoline, Roma 1971, 22. Una sintetica panoramica relativa alla situazioue delfa Giudea nel TII sec. è oCferla da Vilchez Llndez in due appendici, alle quali rinvio per un primo approccio al problema e per ulteriori informazioni bibliografiche (cf. YfLCIInz LfNDEZ, Qoèlet, 483-504).

    145

    il celebre poema di Ghilgamesh.33 È possibile che il nostro saggio abbia potuto conoscere un poema del resto cosi noto; si veda, ad esempio, il con cetto della vita intesa come «soffio», unito a una visione almeno apparentemente pessimista deJl'esistenza; si veda anche il grande tema della giustizia di D io. Ma questi contatti non paiono decisivi; più interessante, invece, è la pista aperta da un possibile confronto con il mondo ellenistico ch e aveva iniziato a fare la sua comparsa anche in Giudea. Utilizzo qui il termine «ellenismo» nel senso più ampio e generico possibile, in riferimento al periodo storico-culturale che tradizionalmente si apre con la morte di Alessandro Magno (323 a.C.) e che si estende sino agli inizi dell'impero romano. Per ciò che concerne il rapporto del Qohclet con l'ellenismo va prima di tutto riconosciuta, ancora una volta, la mancanza di un accordo tra gli studiosi: la situazione è tuttora ben riflessa nelle parole di R.E. Murphy: «Per il momento, il verdetto su Qohelet e l'Ellenismo non è ancora possibile. Il giudizio generale è che questi fosse un saggio giudaico influenzato dallo spirito ellenistico del suo tempo, ma è difficile stabilire i dettagli precisi a favore cli questa posizìone».34 E, tuttavia, un certo influsso dell'ellenismo sul Qohelet appare innegabile; il problema di fondo del libro, in particolare, è quello di rispondere da ebreo alla domanda tipicamente greca sull'essere dell'uomo all'inte rno di un universo ormai troppo vasto: «Che cosa è bene-per l'uomo?» (cf. Qo 6,12).35 A questa domanda, il Qohelet offre una risposta tipicamente giudaica: per sette volte ( cf. sotto) proclamerà la possibilità di una gioia intesa come dono di Dio. Di sapore greco sono anche La domanda sul valore della sapienza, una visione disincantata e per molti scettica della realtà, il problema della connessione tra felicità e piacere materiale, la critica sociale, una posizione moderata e persino critica nei confronti della teologia e de l culto. Il Qohelet presenta senz'altro alcuni punti di contatto con i filosofi itineranti del suo tempo, in particolare con quelli di ambiente cinico-stoico; la sua affermazione di fondo, «tutto è soffio», non è poi molto diversa dallo slogan scettico «tutto è fumo». La contestazione dei valori tradizionali e la critica di ciò che gli altri c.;un:si); la traduzione più ovvia di hebel è quella di «soffio». Si osservi di passaggio come la nuova Bibbia CEJ 2008 abbia perso un'occasione, insistendo con il tradizionale «vanità».

    Nella maggior parte dei testi biblici in cui ricorre, hebel è usalo per 1o più in chiave metaforica: cosl avviene in relazione all'uomo e ai suoi giorni.~ anche in questo caso prevale il senso di «Soffio» che 1invia alla fugacità della vita umana; cf. Gb 7.16; v. ancora Pr 21,6; Sai 39,6-7; 78,33; Sir4l,11: cf. Sa1 62,10, in parallelo con la menzogna; hebel può essere usato in relazione a1J'attività umana (ls 49,4; Gb 9,29; Sai 94.11); io tutli questi casi, il senso di hebel è comunque quello cli qualcosa di effimero, di transitorio, qualcosa ch1.· passfl via velocemente perché fugace o inconsistente, come lo è, appunto, un soffio. Usalo avverbialmente, hebel indica una realtà vuo1a, inefficace (et Gb 21,34; Ts 30,7; Lam 4,17; Zc 10,2;Pr 3l,30);spesso il termine hebel è usato in ti ferimento agU idoli. che sono perciò da ritenersi come inefficad. effimeri, vuoti c. alla fine, inutili e falsi: si vedano i testi e.li Dt 32,21; Ger 2,5: 14,22; Gn 2,9; Sir 49,2b. Non sempre, infine, ci si ricorda che hebe/, neJJa Bibbia ebraica, è anche un nome proprio, è l'Abele di Gen 4; si tratta di un'osservazione non priva davanti a Dio.

    N eil 'uso di 1apfopoç appare un chiaro contatto con iJ niondo ùe ì misteri; con ques1 o Ler mine sj definiva Iside. «paredra» del dio egiziano Ra. Al v. 6 appare anche una punta po lemica antistoica: la SapienzR usa l'aggettivo r.€'1.uoç, «completo», «perfetto», che è l'ideale che ogni saggio dovrebbe poter raggiungere sernndo gli stoici - la perfezione della virtù ! Per il nostro aulore ciò è impossibile senza la grazia di Dio. ovvero senza il dono della sapienza.

    237

    Seconda strofa (9,7-12) 7Tu

    mi hai prescelto come re del tuo popolo e giudice dei tuoi figli e delle Lue figlie: 8hai detto di costruire un tempio sulla tua santa montagna e on altare nella città dove tu risiedi, immagjne della tenda santa, che hai preparato dall'origine. 9 Con te è la sapienza, che conosce le tue opere, che era presente quando creavi il mondo e sa ciò c he è gradito ai tuoi occhi e retto secondo i tuoi comandamenti. Wfuviala dai cieli santi e da l trono della tua gloria mandala! Perché presente con me si affatichi cd io sappia che cosa ti è gradito; 11 essa infatti conosce e comprende tutto e mi guiderà con prudenza nelle mie azioni e mi proteggerà con la sua gloria. 12Allora saranno ben accette le mie opere e giudicherò il tuo popolo con giustizia e sarò degno del trono di mio padre.

    Nei vv. 7-9 il dono della sapienza è in ordine a una missione~ nel caso di Salomone, il buon governo. La sapienza ha anche una valenza politica e, pur essendo presente «con te» (9a), si rende disponibile all'uomo. n v. 9 ritonrn, come già faceva Sir 24, sul ruolo liturgico della sapienza, connettendone il dono con l 'opera intrapresa da Salomone, la costruzione del tempio. li buon governo è posto in stre tta relazione con il culto divino. La «tenda santa, che hai prepara to all'origine» è forse un riferimento a Es 26,30. Tl v. 10 costituisce il centro letterario deU'intero capitolo, ancora sulla richiesta di ottenere la sapienza. «Inviala»: qui il greco usa il verbo Èça.TiootÉÀÀw, lo stesso verbo che Le 24,49 e lGv 4,6 usano a proposito della missione dello Spirito e lOv 4,4 a proposito della missione del Figlio. La sapienza scende dal cielo ma si pone accanto all'uomo: il v. 10 usa il verbo l acc~nto a Dio e accanto agli uomini (Sap 9.9.10) ba infine chiare risonanze isìache; uno ùegli scopi è certamente polemico e apologetico: il libro della Sapienza intende rafforzare i giudei di Alessandria contro la tentazione di seguire una delle figure pili seducenli che essi avevano di fronte: Iside, la dea «presente», che assiste l'uomo in ogni sua difficoltà. L'aggancio di Sap 9 con il tema della creazione e con quello della storia d 'Israele è espressione di una precisa presa di posizione u d1 una grande chiarezza suUa propria identità all'interno di un contesto culturale ostile. Resta il fatto cb e la ripresa di temi isiaci avviene con tutta naturalezza, né l'autore mostrn di avere problemi nel proporre linguaggio, immagini e motivi che i suoi destinatari

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    potevano correr, tipica del genere esortativo. 11 contatto con il mondo greco è così. anche all'interno di questa terza parte, molto profondo e dovrà essere costantemente tenuto presente.

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    Offriamo qui tre sintetici esempi. relativi al quarto, al qu1nto e al sesto dittico.

    (1) 1n Sap 16,15-29, dittico che conlrappone la manna alla grandine piovuta s ugli egjziani, il nostro autore non si lascia trascinare a seguire un determinato sistema nlosofico, come invece accade negli scritti di Filone, che coslanlcmente fa della manna un 'allegoria del Logos divino e delle leggi che regolano il cosmo. Per iJ libro della Sapienza, invece, la manua non è mai un 'allegoria. ma piuttosto tm simbolo, un seguo, come, nel precedente dillico (Sap 16.5-14), lo era il serpente di bronzo. Lo scopo delle a11tiLesi di Sap I0-19 è infatti quello

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    Per proseguire l o studio ..................................................................

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    1. Contenuto e struttura del libro ................................................. .

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    2. Testo e posizione nel canone .................................................... ..

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    IL LIBRO DEI PROVERBI

    3. La datazione del libro dei Proverbi .......................................... .. 3.1. Una raccolta di raccolte ........................................................ 3.2. L'ambiente vitale del libro dei Proverbi ........................... . 4. Lo stile dei Proverbi .................................................................... Per proseguire lo studio .............................................................. 5. Temi teologici dei Proverbi. ........................................................ . 5.1. La i;;ap1 e nz~. il saggio e lo stolto ........................................ .. 5.2. Visione della realtà e fondamenti dell'etica dei saggi ..... . 5.3. La figura di Dio ................................................................... . 5.4. Il problema della cosiddetta «retribuzione» ...................... 5.5. L'etica dei Proverbi ................................................... ......... .. 5.6. Atteggiamenti umani ........................................................... . 5.7. L'uomo nella società .......................................................... .. Per proseguire lo studio ............................................................. .

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    7.11 libro dei Proverbi: probJemi aperti ........................................

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    Per proseguire lo studio ................................................................. .

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    6. La figura della sapienza personificata in Pr 1- 9 .................... .. 6.1. La donna straniera .............................................................. .. 6.2. La donna sapienza ............................................................... . Per proseguire lo studio ............................................................ .. 8. li Nuovo Testamento, la tradizione cristiana antica e la liturgia ................................. .

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    IL LIBRO DI GIOBBE J. Problemi letterari. ....................................................................... .. 1.1. La questione di fondo: un libro unitario? ........................ .. 1.2. Epoca di composizione e unità del libro ............................ 1.3. Struttura generale del libro ........................... ,.................... .. 1.4. Genere letterario e testo ...................................................... 2. Giobbe e la letteratura extrabiblica ........................................ .. 2.1. Giobbe e l'Egitto ......................................................... ........ . 2.2. Giobbe e la Mesopotamia .................................................. .. 2.3. Conclusioni ........................................................................... . 3. Cenni sulla storia dell'interpretazione .................................... .. 3.1. Giobbe nella tradizione biblica ., ...................................... .. 3.2. U iobbe e i 1'ad1i .................................................................. .. 3.3. Giobbe in alcune interpre tazioni moderne e contemporanee: Kierkegaard e Bloch ........................... . 4. TTacce per una leltura esegetica e teologica del libro di Giobbe ...................................................................... 4.1. Gb 1-2: il prologo ................................................................. . 4.2. Il monologo iniziale: Gb 3 ................................................... . 4.3. Gb 4-27: i tre dcli di discorsi ............................................. . 4.4. Gli argomentj dei tre amici: la forza della tradizione ..... . 4.5. Le risposte di Giobbe ......................................................... . 4.6. I lamenti di Giobbe su Dio (i lamenti «Lui») .................. .. 4.7. Giobbe interpella Dio (i lamenti «Tu») .............................. 4.8. Le dossologie ....................................................................... . 4.9. La speranza d i G iobbe ......................................................... . 4.10. La sapienza misteriosa (Gb 28) ...................................... .. 4.11. Il monologo fìnale ùi Giobbe (Gb 29-31) ....................... . 4.12. I discorsi di ElihG. (Gb 32-37) ........................................... . 4.13. La Leofania (Gb 38J-42,6) ............................................... . 4.14. Il primo discorso cli Dio (Gb 38,1-40,2) ........................ .. 4.15. La prima risposta di Giobbe (40,3-5) ............................... . 4.16. TI secondo discorso di Dio ( 40,6-41,26) ........................... . 4.17. La seconda risposta di Giobbe (42,1-6) ........................... . Per proseguire lo studio ............................................................. . 4.18. L'epilogo (42,7-17) ............................................................. .

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    5. Quadro teologico del libro: una possibile chiave cH lettura ................................................... . 5.1. Il volto di Dio .... ........................................ ........................... . 5.2. Il volto del dolore ............... .................................................. . 5.3. Una crisi risolta ....................................................................

    127 » l27 » 129 » 130

    6. Giobbe e il Nuovo Testamento: tracce per una lettura cristiana .................................................. ..

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    Per proseguire lo studio ................................................................. .

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    IL LIBRO DEL QOHELET 1. L'enigma del libro e dell'autore ................................................. . 1.1. U n libro misterioso ...................................................... ....... . 1.2. L'epilogo (Qo 12,9-14) ......................................................... . 1.3. Chi è il Qohelet? ................................................................. . 1.4. Qohelet come libro sacro; la voce della tradizione e della liturgia ............................. .

    )) 135 » 135

    2. Problemi letterari ........ .................................................................. 2.1. Unità del libro ..................................................................... . , d. . . . . . ................................................ .. 2.2. L uso 1 c1taz1oru lmpli c1te 2.3. Struttura e genere le tterario ............................................... . 2.4. Lo stile del Qohelet ............................................................ .. 2.5. Il testo e la lingua del Qohelet ............................. .............. .

    » 139

    3. L'ambiente storico del Q ohelet .................................................. 3.1. Epoca e datazione .............. ........... .. .................................... . 3.2. Le fonti del Qobelet ............. ................................................ . 3.3. 11 Qohelet e la tradizione biblica ................. ...................... . 3.4. Il Qohelet e la critica alla tradizione apocalittica .. ..........

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    4. Un'interpretazione difficile:

    breve storia dell'ermene utica del Qohelet ............................... . 4.1. L'esegesi dei Padri ............................................................... . 4.2. Qohelet scettico, pessimista e a leo ..................................... . 4.3. Qohelet ovvero la gioia (e la fatica) del vivere ............... .

    5. Temi e teologia del Qobelet ....................................................... . 5.1. L'epistemologia del Qohelet ................................................ 5.2. Hebel habalfm: tutto è un soffio ......................................... . 5.3. La gioia come dono di Dio ................................................. . 5.4. Il Dio del Qohelet ................................................................

    153 )) 153 » 156 » 159 » 163

    6. Qohelet nel contesto della rivelazione ............................. ........ . 6.1. Continuità e rottura con la tradizione bibJica ..................

    167 » l67

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    6.2. Per una lettura cristiana del Qobelet ................................. . 6.3. Attualità del Qohelet ....................................................... ... ..

    » 168

    Per proseguire lo studio ................................................................. .

    » 170

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    ] 68

    IL LIBRO DEL SIRACIDE (O BEN SIRA) 1. Autore e datazione ..................................................................... . 1.1 . L'autore .......................................................................... ....... . 1.2. La data di composizione e l'epoca di Ben Sira ........ ....... . 1.3. Ben Sira tra giudaismo e d ellenismo ................................ .. Per proseguire lo studio ........................... .................................. .

    )) 174 » 174 » 175 » 177

    2. LI problema testuale ....... .............................................................. . 2.1. L'intricato problema testuale ............................................. . 2.2. Quale versione d1 Siracide?

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    Il problema della canonicità ............................................... . 270

    )) 180

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    182

    3. Caratteristiche letterarie del Siracide ....................................... . 3. L Forme letterarie e usi stilistici............................................. . 3.2. Struttura letteraria ............................................................... .

    » J 84

    4. L'insegnamento di Ben Sira ....................................................... . 4.1 . La sapienza ...................................... ···· ····· ·.......... ·· ·····...... ·· ··· 4.2. TI timore del Signore ........................................................... . 4.3. Sapienza e Legge ................................................................. . 4.4. Il culto e la preghiera .......................... ,. .............................. .. 4.5. La teodicea ........... ................................................................ . Per proseguire lo studio ............................................................. . 4.6. L'antropologia di Ben Sira ................................................. . 4.7. L'elogio dei Padri: Ben Sira e la storia (Sir 44-50) ......... . Per proseguire lo studio ............................................................. . 4.8. L'escatologia e il messianismo d i Ben Sira ..................... ... 4.9. L'etica di Ben Sira .............................................................. ..

    )) 186 » 186 » 188 » 189 » 194

    Per proseguire lo studio ................................................................. .

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    IL LIBRO DELLA SAPIENZA O LA SAPIENZA DI SALOMONE

    1. Testo e versioni ..............................................................................

    p. 211

    2. Problemi letterari......................................................................... . 2.1. Struttura letteraria ............................................................... . 2.2. ll problema dell'unità di composizione ............................. . 2.3. Lo stile ................................................................................... . 2.4. li genere letterario .............................................................. ..

    » 212 » 212 » 218

    3. Il libro della Sapienza nel suo contesto storico ....................... . 3.1. Datazione ........... ................................................................... 3.2. TI 1ibru ùdla Sapienza in dialogo con il mondo ellenistico ................................... . 3.3. Il libro della Sapienza e la tradizione biblica ................... . Per proseguire lo studio ............................................................. .

    » 221

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    4. Il libro della Sapienza nella tradizione; la canonicità ............. . 4.1. I rapporti con il Nuovo Testamento .................................. .. 4.2. ll problema della canonicità; l'uso del libro nella tradizione cristiana ........................... .

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    5. Il messaggio del libro della Sapienza ....................................... . 5.1. I destinatari del libro: i governanti? (Sap 1 e 6) .............. .. 5.2. Creazione e immortalità (Sap 1,13-15 e 2,23-24) ............ .. Per proseguire lo studio ............................................................. . 5.3. La figura degli empi (Sap 1,16-2.24 e Sap 5) ................... . 5.4. La vita eterna del giusto e la triste sorte dell'empio (Sap 3-4) ................................. . 5.5. La figura della sapienza: la seconda parte deJ libro (Sap 7-10) ............................... . 5.6. La preghiera per ottenere la sapienza (Sap 9) ................. . Per proseguire lo studio ............................................................. .

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    5.7. Sap 11,15-12,27: prima digressione; la filantropia di Dio ................. ;........................................... . 5 .8. Sap 13-15: seconda digressione; l'idolatria ....................... . 5.9. Sap 13,1-9: la xeligione dei filosofi ..................................... . 5.10. Le sette antitesi (Sap 11,1-15 e 16-19): l'anan111esi dell'esodo .............. .......................................... .. Per proseguire lo studjo ................................................................. .

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    LA SAPIENZA BIBLICA: SVILUPPI E PROSPEITIVE

    272

    1. Il valore delr esperienza ...................................... ....................... .

    » 254

    2. L'epistemologia dei saggi: sapienza personificata, creazione e accessibilità di Dio ........ ..

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    3. TI mistero del male, la creazione e Ja sapienza della croce .... ..

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    4. La sapienza e Gesù Cristo ...................................... .................. ..

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    5. Un progetto educativo: l'etica sapienziale ................................

    )) 261

    6. La rivalutazione dell'umano: in dialogo con altre culture ......

    » 263

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    T' . .1..1 approfondimento unitario del «Pentateuco sapienziale» - composto da Proverbi , Giobbe, Qohelet, Siracide e Sapienza - consente di fare emergere una ricchezza teologica che illumina il pensiero ebraico e l 'identità di Israele. Il volume descrive le caratteiistiche letterarie e storiche proprie di ognuno dei libri esaminati, e focalizza i temi teologici che emergono con chiarezza dalla rifiessione di Israele: la dimensione esperienziale propria di una sapienza intesa come «arte del vivere»; la prospettiva pedagogica ed etico-sociale con la quale essa viene proposta all'interno di un preciso progetto educativo; il ruolo di Dio nella vita dell' uomo; il problema del male; la figura della Sapienza personificata; la teologia della cr~azione come vero cuore della teologia dei saggi. Il volume si configura come un ' introduzione alla letteratura sapienziale biblica e si rivolge soprattutto a studenti e a persone interessate a intraprendere un percorso di approfondimento. «Ho ritenuto oppo1tuno - scrive l'autore - evitare due estremi: da un lato, il rischio di propone un testo voluminoso ed eccessivamente impegnativo; d'altra parte, ho voluto evitare anche il rischio di offrire un manuale troppo semplice, di livello più basso, che rinunci ad affrontare problematiche complesse e aspetti esegetici che richiedono uno studio più approfondito».

    LUCA MAZZINGHI, docente di Antico Testamento a lla Facoltà teologica dell'Italia cen-

    trale (Firenze) e al Pontificio Istituto Biblico di Roma, è presidente dell'Associazione Biblica Italiana. Ha pubblicato Notte di paura e di luce. Esegesi di Sapienza 17, 1- 18,4, Roma 1995; per EDB: «Ho cercato e ho esplorato». Studi sul Oohelet, 2 2009; Storia

    d'Israele dalle origini al periodo romano, 3 20 11; tre quaderni di formazione biblica con S. Tarocchi: Matteo il Vangelo del Regno dei cieli, 2 2004; Marco. Il primo Vangelo, 1999; Luca. Il Vangelo della salvezza, 2000; ha inoltre curato Il potere politico: bisogno e rifìuto dell'autorità. XXXVIII Settimana Biblica Nazionale, 2006 (con E. Manicardi) e La violenza nella Bibbia. XXXIX Settimana Biblica Nazionale, 2008.

    ISBN 978- 88-10-20664- 5

    9

    111111 111111111111111111111111 7888 10 206645

    € 26,00 (IVA compresa)