Il mondo animale nella poesia lucreziana

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Il mondo animale nella poesia lucreziana

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TESTI E M A NUALI PER L'INSEGNAMENTO UNIVERSITARIO DEL L ATINO Collana diretta da ALFONSO TRAINA Nuova Serie condirettore IVANO DI ONIGI

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DANIELA CAMARDESE

IL MONDO ANIMALE NELLA POESIA LUCREZIANA TRA TOPOS E OSSERVAZIONE REALISTICA

PÀTRON EDITORE BOLOGNA 20 1 0

Copyright© 2010 by Pàtron editore- Quarto Inferiore- Bologna I diritti di traduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo sono riservati per tutti i Paesi. È inoltre vietata la riproduzione, anche parziale, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata. Prima edizione, luglio 20 1 0 Ristampa

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In copertina: Mosaico bizantino ( 1 300) - Abbazia di Pomposa (Ferrara)

Opera pubblicata con il contributo dell'Università degli studi di Bologna, dell'Uni­ versità degli studi di Pisa e dell'Università degli Studi della Basilicata.

PÀTRON EDIT ORE - Via Badini, 1 2 40057 Quarto Inferiore (BO) Tel. 05 1 .767003 Fax 05 1 . 768252 E-mail: [email protected] Sito: www.patroneditore.com Il catalogo generale è visibile nel nostro sito web. Sono possibili ricerche per: autore, titolo, materia e collana. Per ogni volume è presente il sommario e per le novità la copertina dell'opera e una sua breve descrizione. Impaginazione e impianti: Omega Graphics Snc - Bologna. Stampa: LI.PE. Litografia Persicetana, San Giovanni in Persiceto, Bologna per conto della Pàtron editore.

A mio padre,

mia radice e mio orizzonte

INDICE

Prefazione

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INTRODUZIONE ................................

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Una lezione di complessità ....................

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Le ragioni di una ricerca 'parziale' ..............

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CAPITOLO I .....................................

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Modelli poetici e intenti lucreziani a proposito di mondo animale ................................

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1 . 1 . Alcune puntualizzazioni sui precedenti del genere ............................... 1.2.Approcci molteplici,

status quaestionis

e nuove prospettive ........................ CAPITOLO I I ....................................

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Il ciclo naturale e le dimostrazioni ..................

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2.1. Un'ipotesi di classificazione ................

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2 . 2. Un esempio di utile restitutio ad contextum . . . 2 . 3 . Gli specula naturae e l'istanza didascalica .... 2.4. L e dimostrazioni ......................... 2.5. Animali e (in Vidale 2000, p. 28, n. 36). un

Approfondimenti

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marcano l'assenza di 'certezza' intesa come osservanza di una legge o consuetudine imprescindibile343. Poiché si sta dimostrando nullam rem e nilo gigni divinitus344 um­ quam, il fulcro tematico di questi e dei versi successivi è insito nella per­ fetta e sistematica corrispondenza di genus e semen345 (dei due termini il secondo è presente ai w. 1 60, 1 69, 1 76, 1 85, 1 89, 206, 22 1 ; quanto al primo, si vedano i continui rinvii corradicali alla realtà della generazione: genus è ai w. 1 60, 1 62, 1 63, 1 90, 1 95 e 227346; genitalia corpora sono al v. 1 67; gigni al v. 1 72347 e gignundis al 204; genitali, significativamente evi­ denziato dall'enjambement che lo lega a concilio, al v. 1 82; generatim, in figura etimologica con genus , al v. 227 e poi subito dopo, in posizione iso­ metrica, al v. 229). I.:uno è impensabile senza l'altro e ciò che li rende tali è la regolarità con cui, di generazione in generazione, si associano da sempre reciprocamente. A questa costante rinvia l'aggettivo certus che implica un detemtinato e ricorrente coefficiente e connota la materies di ogni cosa come la sua matrice348: non si nega la casualità delle combina­ zioni atontiche, ma si nega la vaghezza del rapporto fra queste e le res. 343 S i badi che «anche questi adynata guadagnano i n pregnanza dal non essere intesi semplicemente come illustrazioni concrete, coloritura retorica del principio generale . . . in quanto gli eventi di cui costituiscono il rovescio sono appunto, nell'otti­ ca epicurea, la base dell'induzione scientifica che conclude all'enunciato di partenza» (sempre in Vìdale 2000, p. 29). 344 I.:importanza di questo avverbio è giustamente rimarcata in Giancotti 1 989, comm. ad loc. 345 Con chiaro anticipo, sul piano biologico (e forse anche figurativo), delle entità fisiche degli atomi che Lucrezio definirà appunto semina . Sul riferimento ai semi genitali a proposito della tesi del nulla dal nulla, cfr. Epic. ep. Hdt. 38: Jtéìv yàp h: Jtav ­ 'tòç tyive1:'1ìv O"!tEPIJ.c'ncov ye o'ÙOÈ:v !tpooi>E61J.EVOV che però crea una qualche difficoltà logica (vd. Vìdale 2000, p. 25). n legame fra i semi e la generazione dei viventi è anco­ ra più esplicito in Epic. ep. Hdt. 74: 'tà 'tOlUÙ'ta O'!tll>IJ.U'ta tç rov çq,a 'tE ICUÌ lp\l'tà ICUÌ 'tà ÀotJtà Jtc'xv1:a 6ecopol>!J.eva 0"\lVta'ta'tat. In sede biologica i semi rappresentano «a regulating factor in the maintenance of specific homogeneity» , come si legge in Rankin 1 968, p. 3 1 1 , soprattutto n. 4. 346 I.:occorrenza del v. 254 si inserisce nell'altro estremo del ciclo e se ne parlerà a suo tempo. 347 Per il caso del v. 264 c.s. 34 8 Nel materialismo epicureo c'è coincidenza fra i due concetti, tant'è che in Lucrezio leggiamo mater rebus consistere certa (v. 1 68) e quidque sua de materia gran­ descere alique (v. 1 9 1 ). Il ricercato rispecchiamento mater-materies è stato supposto con acume da Leonard-Smith 1 942, comm. ad loc. Sull'uso di certus in tale contesto rinvierei ancora a Vidale 2000, p. 28, n. 3 7 . Più in generale, sui rapporti di questo aggettivo con cerno e certo, vd. Conte-Canali-Dionigi 20002 ( 1 990), comm. a V 393.

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Coppie asimmetriche

Veniamo all'analisi dei versi: nella generale commistione dei di­ stinti binomi luoghi/viventi caratterizzanti, ammesso che potessero ex omnibus omnia gigni (v. 1 72), contro la legge enunciata al v. 1 73 (certis in rebus inest secreta facultas), nulla più si originerebbe lì dove è sistematico che confluiscano i costituenti minimi (perché sono sempre i semina e non il punto della loro concentrazione a determi­ nare le 'nascite'; cfr. i vv. 1 70 sg. : inde enascitur atque oras in luminis exit,/ materies ubi inest cuiusque et corpora prima), bensl al mare si assocerebbero gli uomini, alla terra i pesci, al cielo gli uccelli, ai luo­ ghi coltivati o desertici, indiscriminatamente, armenta atque aliae

pecudes, genus omne ferarum. Non vi è chi non scorga, in queste quattro coppie, una perfetta simmetria, sia pure nell'inversio , fra le prime due, quanto meno una stranezza nella terza (a prima vista plausibile dove invece ci aspetteremmo un àouva'tov) , infine, nella quarta, una certa varia­ fio sintattica e semantica: da un lato, infatti , non più espansioni indicanti origine (quali i precedenti e mare349 ed e terra350) , ma accusativi e un verbo decisamente 'statico' (tenerent) rispetto ai precedenti oriri ed erumpere ; dall'altro, non più una categoria di esseri e un riferimento spaziale, ma più insiemi - o sottoinsiemi ­ di viventi e, come foca , una coppia, peraltro non perfettamente antitetica (culta ac deserta35 1 ) , che sostanzialmente riporta alla terra la casistica in questione . La difficoltà rilevata ha indotto numerosi esegeti a suggerire una diversa interpunzione del passo o a rivedere quella divenuta canoni­ ca: Lambin e altri proposero infatti di apporre una pausa dopo volu­ cres , facendo dipendere anche questo soggetto, in à1tò Kotvoù (come l'iniziale homines), dal precedente posset oriri, concordando armenta atque aliae pecudes con erumpere (supponendo un enjambement fra il v. 1 63 e il consecutivo), mediante cioè un'operazione da cui emerge­ va la conseguente necessità di correggere in teneret il verbo del v. 1 64; 34 9 S u questo ablativo cfr. Munro 1 886, Menill 1 907, Emout-Robin 1 962 ( 1 928) e Bailey 1 947, comm. ad loc. 350 Si tratta di uno spondeo in IV sede, in ossequio alla tendenza della poesia arcaica di mantenere coincidenza fra «ictus» e •accent» : cfr. Bailey 1 947, Pro!. VI §4. 35 1 È pur vero che inculta sarebbe risultato cacofonico preceduto da culta ac, ma ai w. 208 sg. l'antinomia inculta!culta è pregnante.

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Wakefield si regolò piuttosto similarmente352 . Dobbiamo a Merrill una sintesi delle differenti «punctuations»353: l) Lambin e Havercamp: volucres;. . . armenta, . . . pecudes;. . . culta, . . . teneret 2) Wakefield: volucres;. . . armenta;. . . pecudes, genus omne, ferarum, incerto

partu, . . . tenerent 3 ) Lachmann354: volucres erumpere caelo; . . . pecudes, ecc. 4) Langen3ss: volucres, . . . pecudes, . . . tenerent Ma seguendo le ipotesi diverse da quella del Lachmann, si stra­ volgono alquanto gli evidenti cola del testo, a scapito anche della scansione metrica più lineare356; Bailey357 riteneva questi accorgi­ menti non necessari, vista la perspicuità del testo: da un lato, infatti, nella concezione lucreziana, benché volino in cielo, gli uccelli sareb­ bero nati sulla terra (cfr. V 80 1 sgg.), dall'altro, l'ultima stranezza o mirum improbabile deriverebbe dalla commistione di animali, dome­ stici e non, in luoghi desertici. Quanto a erumpere, lo si spiegava, a suo avviso, molto meglio per gli uccelli (come "schiudersi") che non per mucche e cavalli (armenta atque aliae pecudes) . Per quanto l a spiegazione d i Bailey sia argomentata a sufficienza, non escluderei che, nel complesso, le situazioni apparentemente intricate del testo lucreziano si possano spiegare con agilità in vista del nesso incerto partu35B (incipitario del v. 1 64), fortemente caratte­ rizzato dall'attributo che vi figura, nel senso della violazione dei foe­ dera naturai, ossia di quella corrispondenza regolarmente certa (fra semina-materies-mater e res) di cui si è detto: la necessità di rendere una piena confusione e irregolarità di combinazioni non potrebbe 35 2 Munro constata la conformità alla tesi del Wakefield nella prima redazione del­ l'edizione lucreziana di Lachmann: cfr. Munro 1 886, pp. 48 sg. 353 Cfr. Merrill 1 907, comm. ad loc. 354 Cfr. Lambin 1 563- 1 564, Havercamp 1 725, Wakefield 1 8 1 3 e Lachmann 1 8 7 1 4 ( 1 850), che fu seguito da Munro, Merrill, Bailey e tutti i recenti editori. 355 Come attesta Bockemiiller 1 873- 1 874. 35 6 Considerando volucres incastonato fra due cesure, pentemimere ed eftemime­ re (vd. n. 1 3 1 sul perno semantico connesso alla posizione della parola nel verso), ne guadagna, icasticamente, proprio il senso dell'improvvisa comparsa di cui sarebbero protagonisti questi esseri. 357 Bailey 1 94 7 , comm. ad loc. 35 8 Per Giussani, 1 896- 1 898, comm. ad loc., indicava essenzialmente nascite pro­ miscue (idea analoga è in Merrill 1 907, comm. ad loc. e in Brown 1 984, comm. ad loc.); per Bailey 1 947, comm. ad loc., invece, con Pasca! 1 904, nascite in posti incer­ ti (mucche e cavalli nel deserto e leoni e tigri nelle fattorie) : credo che il senso dell'e­ spressione sia tanto generico da prestarsi, volutamente, a molteplici interpretazioni.

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cioè essere meglio soddisfatta, nella presentazione d i una serie di esempi, da una 'mimetica' riproduzione di casuali omnia ex omnibus . Insomma, verrebbe da dire, con espressione di largo consumo, 'di tutto di più'. Del resto, credo che proprio l'apparentemente enigmatico volucres erumpere caelo possa suggerire un percorso esegetico più dettagliato; prima, però, vorrei soffermarmi da vicino sull'analisi della Vidale a riguardo: nell' « ampio ventaglio di conseguenze » false che si pro­ spettano a chi creda nell'assunto per cui qualcosa possa creari de nilo , s i assiste a una «descrizione "cinematografica" i n cui s i restringe pro­ gressivamente il campo . . . dapprima viene indicata la partizione del mondo nei luoghi in cui avverrebbero le nascite (terra mare cielo); mare e terra vedono scambiate le rispettive popolazioni, gli uccelli stanno invece nel cielo ma esso si squarcia all'improvviso (erumpere) per farli apparire. Ai luoghi solo terrestri sono dedicati i vv. 1 63- 1 64 : aree coltivate e non sarebbero occupate a caso d a animali domestici e selvatici, che nascerebbero ora qui ora là»3s9. Non mi convincono due aspetti: per un verso, l'interpretazione "cinematografica", perché non mi pare che, passando dal mare alla terra, e poi al cielo e poi di nuovo alla terra, lo spazio si restringa (sicuramente non dalla terra al cielo ! ) ; d'altro canto, l'idea di uno 'squarcio nel cielo'360, giacché mi sembra che erumpere caelo traduca ancora un movimento d'origine, richiamato dal prefisso del verbo3 6 1 . Analogamente manca forse di correttezza anche l'espressione i «luo­ ghi in cui avverrebbero le nascite» . Suggerirei piuttosto questa chiave d i lettura: rispetto ai primi due casi citati, si assiste, anche per l'esempio degli uccelli celesti, a un'analoga soppressione del «Vincolo generante-generato » 362; 35 9 Vidale 2000, p. 27. 360 Probabilmente l a studiosa intenderà che l o squarcio non sia direttamente reso dal verbo, ma che la violenza in esso implicita, e caratterizzante il movimento di fuo­ riuscita degli uccelli, induca a presupporlo. In ogni caso, però, la sua interpretazione risulta in parte equivoca. 3 61 Cfr. fere i.q. oriri in ThlL V 2 col. 842 38. In OLD, s. v. , si legge: ìcrt 911Peç àv'ta�ehvrov'tat vo�6v tvaA.tov, Kaì crq>tv 9a.A.acrcrT)ç itxéev'ta Ku�a'ta q>tA'tep''JÌ1tEipou )'ÉVTJ'tllt, 'tOÌOt �'lì< t> �uetv opoç Vi si dice che 'le bestie da terra si scambieranno la dimora marit­ tima coi delfini', ma il termine usato (vo�6v del v. 7) vuol dire pro­ priamente 'il luogo assegnato per il pascolo'392 ! Senza aggiungere che i passi latini (di Andronico e Pacuvio, da un lato, Lucilio e Plauto dall'altro), richiamati da Citti, e per lo più rife­ riti anche quelli ai delfini, come s'è detto, trasmettono proprio, in maniera più o meno ricercata, altisonante (in linea con contesti tra­ gici) o parodica (come si confà a satira e commedia), l'immagine del seguito mitico di Nereo l Nettuno393, in cui, con pecudes , si intende appunto, ma in senso figurato, 'bestiame d'allevamento'394. Che la metafora fosse topica già in greco mi pare comprovato da almeno un altro caso della lirica arcaica, probabile archetipo per i =

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392 Vd. LSJ, s.v. e, in particolare, Horn. Il. II 475, Od. IX 2 1 7 e Arat. 1 1 05 . 393 Richiamato con espressioni alle quali forse Lucrezio allude, sopprimendone, razionalisticamente, il portato mitologico. 394 Si veda a riguardo, soprattutto in Lucrezio, l'associazione pecudes-pabula (del resto motivata dalla catena alimentare di cui si parla nel poema, a proposito della tra­ sformazione del materiale atomico: feuerbachianamente, si è ciò che si mangia); que­ sta è accuratamente rimarcata in Betensky 1 972. Squamiger è attestato in unione a grex, come pecudes metaforico o catacretico, p. es. in Auson. Mos. 83; infine squamo­ si greges sono in Coluro. VIII 1 7 e Plin. IX 56.

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passi latini suddetti: i n a i vv 9 sg. del canto attribuito ad Arione (in Aelian. nat. anim. XII 4) si legge, ancora a proposito dei delfini, evaì..a 9pÉJlf.LU'ta l Koupav NTlpEI:�rov 9E , mentre «in Empedocle, più che procedimento logico, è scatto intuitivo che rivela per imaginem la natura intima delle cose>> (Conte 1 994, p. 2 1 ; cfr. anche Schrijvers 1 978, pp. 77- 1 1 4 e Schiesaro 1 990/I); nel caso specifico, benché la relazione fra i due loci sia innegabile, l'accostamento empedocleo risulta trasferito sul piano diacronico nel De rerum natura, con un importante effetto per gli intenti cognitivi del contesto. 404 Cfr. Conte-Canali-Dionigi 20002 ( 1 990), comm. ad I 1 50, divinitus .

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sione concettuale, giacché (vv. 763 sgg.), se tutto viene generato quat­ tuor e x rebus e tutto ritorna in eas, come si può essere certi che siano questi elementi e non le cose stesse corpi primordiali? Se unendosi mutano natura non sono più loro in quanto tali a costituire le cose, se unendosi mantengono la stessa natura, nulla tibi e x i I l i s poterit res

esse creata, non a n i m a n s , non exanimo eu m corpore, ut arbos. 2 ) In più di un frammento empedocleo, a proposito dell'azione delle radici, si ricorre alla topica associazione, nella tripartizione del mondo, di habitat-vivente, la quale è operante, o meglio, ripeto, presupposta e rovesciata, nell'Muva'tov di Lucr. I 1 6 1 sgg. Si veda, p. es. , Emp. 3 1 B 2 1 D.-K. 2 1 Gallavotti, vv. 9 sgg., dove sottoli­ nerei la posizione incipitaria (analoga in Lucrezio) dell'espansione di origine: tç rov Jtav't'ooa 't'�v ooa 't'ecrn ooa 't'ecr'tat ò1ticrcrco, OévopEa ùf3J.acr'tl1CSE Kaì àvtpEç 'JÌÒÈ yuvatKEç, 9fìpf.ç 't'oìcovot 'tE Kaì OOa'to9pÉ��ovEç ì x9Uç Kai 'tE 9wi ecc. 405 3) È vero che nel caso di Lucr. I 1 6 1 sgg. l'individuazione del 't6Jtoç sud­ detto è sufficiente a spiegare la presenza di mare, terra e cielo (e =

405 Questo frammento è tratto da Simpl. in Phys. 1 59, 1 3 , ed è presentato come continuazione del racconto della radici, ognuna riconoscibile in una forma familiare (fuoco-sole, aria-cielo, acqua-mare-pioggia, terra): quando le domina la forza della discordia, prendono le loro forme individuali in masse separate, mentre sotto l'azione dell'amore vengono a unità; se infine agiscono sia amore sia discordia ne risultano avrrca . La sua struttura a elenco ricorda moltissimo una prassi lucreziana nella pre­ sentazione dei viventi ed è molto studiata sul piano metrico-ritmico (vd. Bollack 1 965, p. 1 1 7 n. l, ma anche queste importanti osservazioni che segnalano un essen­ ziale scarto fra il testo del filosofo di Agrigento e il probabile archetipo di Hes. op. 277 sgg. : rispetto ad esso, l'inventario del mondo empedocleo modifica l'enumerazione, sicché « Chez Hésiode, les hommes ne sont pas soumis à la meme loi que les animarne Les végétaux sont associés aux humains, hommes et femmes, parce qu'ils représen­ tent les pòles de l'évolution sexuelle (mélange et différenciation). Les animaux pren­ nent la troisième piace, suivant l'ordre archarque, qui procède des termes extérieurs aux membres interméidiaires. Les dieux sont nommés en dernier lieu comme appar­ tenant à un règne supérieur» . Nella successiva (Emp. 3 1 B 23 D.-K. 2 1 Gallavotti, vv. 1 5 sgg.) illustrazione del ragionamento empedocleo, ove figura la celeberrima similitudine fra l'azione delle radici e la combinazione dei colori della tavolozza di un pittore, si ripresentano, verbum pro verbo, le medesime classi di viventi, perché in entrambi i loci Empedocle sta spiegando l'origine delle cose, per la quale la mesco­ lanza è garante del passaggio dal piccolo al grande numero (vd. Bollack 1 965, p. 1 20). Cfr. , per un riferimento ai viventi più conciso (ma analogamente articolato in una sin­ tetica struttura a elenco), Emp. 3 1 B 9 D. -K. 2 Gallavotti, vv. 5 sgg. Sono versi trat=

=

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l'esclusione del fuoco, la quarta radice empedoclea) e il mantenimento delle coppie isolate (non il fondersi empedocleo degli elementi) luogo­ popolazione, ma sarebbe dawero dissonante, in quest'ottica più owia, il lapidario volucres erumpere caelo, perché salterebbe la ricercata vio­ lazione del consolidato sincretismo, rispettato, a sproposito, in questo esempio; inoltre, laddove Lucrezio si limita a richiamare il locus classi­ cus, non è sottolineato quanto in I 1 6 1 sgg. (attraverso i complementi d'origine, la scelta di orior406 e partus) l'aspetto della generazione. Si veda m 784 sgg. (versi quasi del tutto coincidenti, s'è detto, con V 128 sgg.), a proposito dell'innegabile connessione fra anima e corpo:

Denique in aethere non arbor, non aequore in alto nubes esse queunt nec p i s c e s v i v e r e i n a r v i s nec cruor in lignis neque saxis sucus inesse . Ho evidenziato l'elemento in più immediato confronto con e terra pos­ set oriri l squamigerum genus di I 1 6 1 sg., per rimarcarne lo scarto rispet­ to ai verbi e alle espansioni usati (si noti peraltro l'insistita ripresa di in nel luogo del m libro, a sottolineare che lì la legge generale evocata riguarda effettivamente la localizzazione, non la provenienza dei vari soggetti: cer­ tum ac dispositumst ubi quicquid crescat et insit si legge infatti a m 787). Concludendo, Lucrezio, in I 1 6 1 sgg. , è focalizzato non tanto sulla riproposizione canonica di un 't61toç letterario o del suo, altrettanto solito (si pensi al già citato Archil. 74 D. 1 1 4 Tarditi407), rovescia­ mento, per quanto senz'altro vi alluda, ma è pienamente concentrato sulla presentazione della dottrina atomica, e, in particolare, su quel=

ti da Plut. adv. Col. 1 1 1 3a, in un passo in cui si respinge l'accusa che Colote aveva rivolto a Empedocle di aver abolito, con la generazione, la vita stessa. Ribatte infatti Plutarco che Empedocle non elimina le creature viventi, piuttosto relativizza i con­ cetti di nascita e morte: gli organismi si formano dal mescolarsi in un certo modo delle parti delle eterne radici e cessano di esistere quando si interrompe questa moda­ lità di combinazione. 406 Vd. l'uso di orior con e/ex in ThlL IX pars altera, col. 999 25 sgg., in riferimento alla generazione: con semen, parentes, loca patria e familia. 407 Ricordato, insieme ad altri testi riguardanti impossibilia , in un intervento che ha il merito di aver significativamente osteggiato le opinioni di quanti, appel­ landosi ad argomentazioni inconsistenti (quali la mancanza di situazioni emozio­ nali, altamente soggettive e connesse alla ricerca della « perpetuity » , nel poema di Lucrezio ) , hanno negato l'esistenza di àoilva'ta nel De rerum natu ra : mi riferisco a Rankin 1 96 8 , p. 309-3 1 3 , con la bibliografia ivi citata: il 'mordente' della sua suc­ cinta discussione è che l'àoilva'tov non è uno schema retorico e abbia una fluidità che consente di concentrarsi sui temi piuttosto che sulle forme che esso può assu­ mere .

Approfondimenti

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lo che ne è il caposaldo: m a t e r i e s . . . reddita c e rtast l g i g n u n d i s e q u a constat quid possit o r i r i (come si legge ai vv 203 sg. ) . Il riferi­ .

mento all'origine in I 1 6 1 sgg. tradisce la sua necessità di sconfessa­ re le ipotesi di materies improbabili (quali appunto le radici empedo­ clee), ma il 'canale' attraverso il quale fa passare le sue convinzioni è sempre la poesia, coi suoi loci codificati e il suo immaginario allet­ tante. Potrebbero sugellare tale procedimento alcune parole di Paratore con cui vorrei chiudere la presente nota di commento: «Lucrezio, lega­ to alle sue principali preoccupazioni di divulgatore del verbo epicureo, piega le espressioni topiche a valori semantici più pregnanti»40s.

A.3. I 2 54-26 1 :

NULLA SI DISTRUGGE

hinc alitur porro nostrum genus atque ferarum, hinc laetas urbis pueris florere videmus frondiferasque novis avibus canere undique si/vas; hinc fessae pecudes pingui per pabula laeta corpora deponunt et candens lacteus umor uberibus manat distentis; hinc nova pro/es artubus infìrmis teneras lasciva per herbas ludit lacte mero mentis perculsa nove/las.

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2 5 7 pingui teste /un. Philargyris: pinguis OQ

La rappresentazione del «natural cycle »

Inseriti in quella che è stata definita la «quarta prova» dell'argo­ mento nil ad nilum, volta a dimostrare che pCX lCEV EUpTI, il lapidario naribus inveniunt lucreziano si distingue per concisione, immediatezza e qualità risolutiva. Ma altrettanto pregnante è la condizione imprescindibile per il buon esito dell'indagine, a rappresentame, al di là della comparatio, l'orientamento 'razionale': cum semel institerunt vestigia certa viai. I cani cioè pervengono alla meta, per quanto apparentemente sembri difficile da decifrare (e in tal senso al sostantivo quietes potrebbe essere deputata una pointe molto ad hoc) , nel momento in cui per­ seguono la via giusta, così come al lettore è garantito che, sulla scorta delle indicazioni del maestro, insinuandosi in tutti i recessi, potrà inde cogliere il vero. Non solo, ma la 'certezza', delle tracce seguite, cioè la loro pertinenza all'oggetto del quaerere , è anche ciò che preserva, e Lucrezio lo dice a chiare lettere, prima della com­ paratia (ai vv. 3 98-402) né soltanto lì, da quelle tentazioni di inutili 'morosità'6oo che la 'minaccia', bonaria e suadente da un punto di vista pedagogico, si pigraris . . . usque adeo largos haustus e fontibu ' magnis l lingua meo suavis diti de pectore fundet ecc. (vv. 4 10 sgg.), si preoccupa di arginare6ot. Una riprova del fatto che Lucrezio stia soprattutto «reworking» 600 Circa questo aspetto contrario al la dispersione, può ritornare utile uno dei con­ testi in cui è attestato Emp. 31 B 101 D.-K. di cui ho parlato. 60t Su questo punto, credo che proprio il contesto protrettico, di richiamo al let­ tore, suggerisca che l'intento di Lucrezio sia operare, come sulla puerorum aetas improvido., perché decepta tuttavia non capiatur (cfr. I 939 sgg.). Il problema dei �J.É'ya vflmoç quale destinatario di opere didascaliche è molto complesso, pertanto mi limi­ to a rinv iare a Schiesaro-Mitsis-Strauss Clay 1993: il già menzionato saggio dedicato a Lucrezio che vi figura (Mitsis 1993) è incentrato molto originalmente s ulla connes­ sione fra la tattica 'coercitiva' del poema e la strategia retorica che induce il lettore ad assistere al confronto fra docente-medico e discente-malato, sviluppando una certa s impatia per il primo e cedendo alle lusinghe dell'elitismo. Questa impostazione pre­ vede tuttavia che il 'tu' cui è rivolta la voce autoriale coincida sempre con l'ideale figu­ ra del vil1ttoç (Memmio o ch i per lui) e che solo per via indiretta il lettore sia coinvol­ to nel procedimento didattico, sicché « in wi nking with the poet behind the bac k of the fool we ourselves may be s wallo wing more of the poet's medicine than we suspect» (p. 128). L'eccesso di una lettura for temente vincolata alle convenzioni reto­ riche mi pare risieda nell'oscurare l' 'a fflato' missionario che comunque anima tanta parte del poema: cfr. quanto osservato a pro posito dell' 'investitura' della ratio sagax, ma anche Clay 1983, p . 225 .

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Omero602, mi sembra risiedere proprio in quell' 'intarsio' formale fra metafora e similitudine, con cui ho esordito nel presente paragrafo, e che costituisce, pertanto, una sorta di 'cifra' stilistica: per quanto sia peculiare del nostro il ricorso alla comparatio quale «Strumento dimostrativo»603, è infatti innegabile che l'espediente di combinare metafora e similitudine fosse già omerico e p. es. occorresse, in un momento cruciale, quale la preparazione della strage dei proci, in Od. XX 1 3 sgg., laddove il figurato Kpa.�i.ll Bé oi Ev�ov uÀ.aK'tEt cono­ sceva una suggestiva estrinsecazione in una similitudine ancora rivolta al mondo animale e, in particolare, al cane. È questo infatti un

focus che Lucrezio ha sicuramente presente perché vi allude, sia pure per mediazione di un «ennianismo linguistico e stilistico»604, anche in II 1 7 . Concludendo: in I 404 sgg. Lucrezio ricorre all'esemplare venatico con intenti esplicativi ma anche particolarmente coinvolgenti sul piano emotivo e performativo. Parla di segugi tout court, realisticamente osservati nell'esercizio

di una propria attitudine e che, se di per sé (su un piano strettamen­ te referenziale) già rassicurano il lettore sull'accessibilità della ricer­ ca, tanto più risultano 'produttivi' sul piano euristico e metaletterario in quanto sostanziano l'applicazione del procedimento analogico. Ma allude anche al 'cane' tradizionalmente consacrato dal poema eroico, alla topica della caccia come succedaneo della realtà bellica 602 Sull'utilità di una ricerca operante in questa direzione si leggano le accorte osservazioni di Gale 2004, p. 557. Nel caso in questione, mi sembra particolarmente indicativo che a breve distanza, ai w. 464 sgg., parlando degli eventi accidentali dei capisaldi materia e vuoto, Lucrezio faccia seguire una dichiarata reductio del sogget­ to omerico. 603 Battisti 1976, p. 90. 604 Come è definito in Pasoli 1969, p. 261, con riferimento a Enn. ann. 481 Sk. In questo pregevole contributo vi sono alcune osservazioni sul confronto Lucrezio­ Ennio che ritengo possano adattarsi al rapporto che ho qui suggerito fra il nostro e l'epica america: Lucrezio spesso muta «un'immagine di solida tradizione epica ai fini di accrescere l'espressività e l'immediatezza del dettato epicureo» (p. 260) ; « ricorre alla dizione epica . . . non già come un ammiratore che separa il giudizio estetico, e la conseguente elaborazione formale dalla propria espressione poetica, dall'ideologia in cui crede, ma con l'intenzione di em ulare» (p. 264 ); modifica formule epiche « quan­ do ciò sia necessario perhé esse risultino utili all'intento di propagazione ideologica» (ivi). Vd. anche Holtsmark 1967 e Conte 1974, p. 73 n. 69 (che replica proprio a Pasoli 1969, p. 259). Mi sembra infine francamente awentato prospettare un'identificazione più generica nel De rerum natura Uomo-Cane sulla base proprio del ricorso metafo­ rico a latrare in II 17: cfr. a riguardo Schindler 2000, p. 13 1.

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(costituzionalmente frenetica e spesso irrazionalmente inconcluden­ te), per operarne un incisivo slittamento semantico diretto al piano della speculatio , incalzante, ma orientata in maniera 'certa' e in grado di superare qualsiasi obscuritas . In tal senso Lucrezio coinvolge i livelli fatico, conativo, emotivo e poetico della comunicazione in quanto riattiva il contatto col lettore, lo conquista a un metodo di indagine prefigurandone I'utilitas, Io affascina e rende partecipe, anzi protagonista, della ricerca stessa: lo appaia, infatti, come un eroe omerico, all'emblema del segugio, ma anche a se stesso, in quanto lo investe della propria ratio sagax; Io arricchisce inoltre di un'importante variatio sull'impiego in sede poe­ tica di un focus classicus e di un innovativo gioco di intarsio fra meta­ fora e similitudine, ma con la concisione di cui si professa fautore, concentra le vestigia a pochi, essenziali segnali, molto 'parlanti', soprattutto a fronte di un oggetto d'indagine particolarmente ostico. Tutto è condensato straordinariamente, come solo la grandezza di un poeta 'cosmico' può consentire, e la rappresentazione lucreziana dell'animale assurge, in passi come questo, a rivelare più di altri fat­ tori le componenti di tale complessità.

A.6. I 588-592 : LES. DEGLI UCCELLI COMPROVA LETERNITÀ DELLA MATERIA nec commutatur quicquam, qui n omnia constant usque adeo, variae volucres ut in ordine cunctae ostendant maculas generalis corpore inesse, immutabili' materiae quoque corpus habere debent nimirum.

590

588 comutatur Q1: commitatur OG: comitatur Q constant] constent Lachmann inmutabili' Lachmann: inmutabiles OQG: inmutabile l 31

La dimostrazione dell'esistenza del vuoto ha comportato un peri­ coloso inconveniente di cui Lucrezio si rivela ben conscio, quando sostiene (ai vv. 487 sgg.) che, sebbene difficile a credersi, quicquam l in rebus solido reperiri corpore posse. Per quanto l'acquisizione dell'i­

nane possa infatti suggerire, quale realtà più disponibile alla vista (vv. 497 sgg.), che in rebus solidi nil esse , tuttavia il poeta è in grado di illustrare (senza neanche ricorrere a molti versi), in virtù di vera ratio naturaque rerum (il binomio in endiadi del v. 498), che esistono corpi solidi ed eterni, definiti quali semina o primordia rerum (vv. 500 sg.).

Approfondimenti

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Questi, in quanto principi della materia, mancano di vuoto (vv.

5 10 e 538), ma l'accessus alle loro caratteristiche si trova già 'inscrit­ to', per così dire, nei ragionamenti che il I libro ha affrontato in pre­ cedenza, perché, da un lato, se è vero che esiste

l'inane ,

dal momen­

to che esso non occupa tutto lo spazio a disposizione, ne è corrobo­ rata la presenza di

corpora certa

(vv. 52 1 sgg.); d'altro canto, soprat­

tutto in vista dell'impossibilità che nulla nasca dal nulla né vi ritorni (vv. 540 sgg.),

esse immortali primordia corpore debent, perché, in caso reparatio che s'è

contrario, non vi sarebbe materia sufficiente alla detta necessaria6os.

La fitta concatenazione degli argomenti e l'esigenza di palesarla anche per facilitarne l'apprendimento costituiscono pertanto già una valida giustificazione del fatto che il ricorso al mondo animale, che ha confortato con vivaci esempi gli assunti precedenti, contro il nulla e in favore del vuoto, ritorni qui, a proposito dell'eternità e solidità atomica, attraverso il caso degli alati. Questi si presentano insomma quali porei

concilia che possono disvelare la natura degli altrettanto cor­ primordia (cfr. vv. 483 sg. ed Epic . ep. Hdt. 4 1) di cui si com­

pongono; tuttavia, rispetto ad altre realtà, ugualmente atomiche ma inanimate (quali p. es. le mura delle case, il ferro, i sassi, l'oro, il bronzo, l'argento che, invece, attestano molto più facilmente il di­ sperdersi di materia, il logorio, la permeabilità, facilitano cioè l'ammissione di quel vuoto che potrebbe però indurre a rinnegare qualsiasi

soliditas :

cfr. vv. 489 sgg.), sono prediletti per un aspetto

particolare che li contraddistingue, connettendoli idealmente alla

reparatio

e all'immutabilità degli atomi: la generazione, il propagarsi

della specie, l'attuarsi di un meccanismo di conservazione delle dif­ ferenze cui è sottesa la legge del nil ad nilum e che tanto più è in grado di 'illuminare' efficacemente l'eterna soliditas atomica. Il motivo di tale predilezione è non a caso suggerito proprio dal­ l'insistito ricorso all'avverbio generatim (ai vv. 563, 584, 593), in tre punti cruciali del ragionamento. La conservazione di materies , per cui

superare necessest corpora rebus,

è così richiamata dai vv. 549 sg .

ai vv. 578 sg., in una successione di considerazioni in cui proprio l'elemento del succedersi delle stirpi si presta ad anticipare su un piano più vasto (secondo un procedimento già riscontrato per i vv. 605 Anche in I 672 sgg. si osserva la seguente relazione: la necessità che perduri qualcosa di incolume, che mantenga sempre la medesima natura impedisce che res redeant ad nilum funditus omnes l de niloque renata vigescat copia rerum.

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3 72 sgg., ove però era i n causa i l moto) l a presenza di u n exemplum tratto dall'«animal kingdom» : ai w. 56 1 sgg. si legge infatti che non c'è da stupirsi se sussiste un limite alla dissoluzione, dal momento che

refìci rem quamque videmus l et fìnita simul generatim tempora rebus l stare, quibus possint aevi contingere florem, cioè «vediamo ricostituirsi tutte le cose e nel contempo definirsi (per esse) dei tempi in cui di generazione in generazione possano raggiungere la maturità» . I l rimando all'evidentia è ancorato insomma non alle res 'tout court', ma a quelle che si sviluppano generatim. Questa arcaica forma aw erbiale606 può insomma essere aw ertita come una 'spia' significa­ tiva ed eloquente sulla presenza di un riferimento al mondo animale, soprattutto in vista delle sue altre occorrenze nel poema (per casi in cui, a volte, è incluso l'uomo stesso): p. es. in I 20, 227 e 229 (in passi già trattati e posti in relazione alla legge del nil ad nilum); II 347, dove si discute della distantia che caratterizza le varie configurazioni atomiche e origina la possibilità di riconoscere non solo le varie spe­ cie di esseri animati, ma anche i singoli esemplari di ciascuna cate­ goria; II 666, a proposito, come nel caso in questione, del differen­ ziarsi delle specie e del conservarsi, in ognuna, della natura paren­ tum ; IV 646, circa la diversità di omnes quaecumque cibum capiunt animantes; VI 1 1 13, sulla corrispondenza fra le peculiarità di ogni razza umana e le rispettive malattie. Che con generatim Lucrezio alluda ai viventi e, in particolare, agli animalia è confermato ancor più significativamente ai w. 1077- 1089 del II libro, ove si apprende, riguardo alla legge dell'isonomia, che nulla è unico, ma tutto è inserito in un saeclum e in un genus nume­ roso, com'è il caso di fiere, uomini, pesci e alati; perciò similmente (corpi non viventi) cielo, terra, sole, luna, mare (e tutto il resto) non sono unici, ma rientrano in un numero considerevole, poiché dotati di vitae terminus e corpus nativum quanto genus omne quod hic

ge n e ra t i m s t rebus607 abundans . D'altra parte in I 563 sg. anche i 'tempi definiti' e il 'fiore dell'età' sug­ geriscono una peculiare afferenza al mondo dei viventi: c'è soprattutto il già discusso focus del V libro (w. 883 sgg.) in cui, per confutare l'esistenza di monstra quali i Centauri, proprio l'analoga connessione tra la fissità dei foedera naturai e i prestabiliti tempi di maturazione di ciascuna spe606

Vd. n. 196.

607 Sempre a proposito della propagazione della specie, res è riferito ai viventi p.

es. anche in V 849.

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cie risulta essenziale nell'asserire che circum tribus actis impiger annis l floret equus, puer haudquaquam; nam saepe etiam nunc l ubera mamma­ rum in somnis lactantia quaeret. l post ubi equum validae vires aetate senecta l membraque deficiunt fugienti languida vita, l tum demum pueri­ li aevo florente60B iuventas l occipit et molli vestit lanugine malas. Non sarà pertanto un caso che, nel passo oggetto del presente paragrafo, il concetto dei fìnita tempora, in cui gli esseri possono generatim, appunto, raggiungere 'il fiore'609, ritorna, in una forma più articolata, ai vv. 584 sgg. che introducono proprio l'exemplum degli uccelli: iam quoniam generatim reddita fìnis l crescendi rebus constat

vitamque tenendi, l et quid quaeque queant per foedera naturai, l quid porro nequeant, sancitum quandoquidem extat ecc. (cfr. V 923 sg. : res quaeque suo ritu procedit et omnes l foedere naturae certo discrimina servant). Le variae volucres esemplificano così quella 'certezza' che sussiste nella regolarità delle aggregazioni atomiche, nella immuta­ bile corrispondenza fra semina (ormai intesi nel senso di primordia), e genera . Come è stabilita l a materies delle res (cfr. I 2 0 3 sg.) che per­ mane invariata, così è costantemente perpetuo l'associarsi, diverso fra i vari genera ma identico di padre in figlio, di determinati carat­ teri, «al punto che di stirpe in stirpe i variegati uccelli mostrano nel corpo chiazze specifiche della propria famiglia, (sicché) devono anche avere naturalmente un corpo di materia immutabile» . L'ossequio alle norme di natura è rimarcato anche nei versi imme­ diatamente successivi (592 sgg.) che, nella forma dell'ennesima ipote­ si con conseguente falso, costituiscono, su un piano più astratto, una sorta di generalizzazione del succinto exemplum : se gli atomi fossero mutevoli (e non ci fossero i foedera naturai che attribuiscono ad ogni specie la propria configurazione e i propri caratteri tipici61 0) sarebbe 608 Cfr. l'ulteriore chiarimento sull'impossibilità che esistano certi monstra in V 895 sgg.: neque florescunt pariter ecc. Il traslato aetatis tangere florem è riferito ai viventi anche in V 847. In III 770, la stessa espressione riguarda i tempora riscontra­ bili nella medesima specie, a proposito delle caratteristiche dell'animus: cfr. III 764 (nec tam doctus equae p u llus quam fortis e q u i vis). Laccostamento diretto fra il flos aetatis e il congiungimento tra i sessi che prelude alla propagazione (si noti, in quel­ la sede, la perifrasi metaforica ut muliebria arva conserat) si coglie in IV 1105 sgg. 609 In Colum. V lO si ricorre all'avverbio generatim in riferimento ai diversi tipi di piante che si raccomanda di piantare a distanza perché, fra l'altro, hanno tempi di crescita differenti. 6 1 0 Cfr. II 300 sgg . : quae consuerint gigni gignentur eadem l condicione et erunt et crescent vique valebunt, l quantum cuique datum est per foedera naturai.

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incerto anche cosa possa o non possa nascere e i n che modo tutto abbia finita potestas e alte terminus haerens611 , né generatim le stirpi potrebbero riportare naturam mores victum motusque parentum612• Dalla negazione del nulla come inizio o fine dell'esistente all'im­ mutabilità (e quindi eternità) degli atomi, l'associazione con gli ani­ malia, in virtù del loro coefficiente generazionale, si delinea insom­ ma come un efficace ed accentrante Leitmotiv. In particolare, poi, i volatili si rivelano soggetti privilegiati per ren­ dere riconoscibili le complesse dinamiche della realtà atomica, in quanto assai vivacemente sollecitano e agevolano la comprensione dell'uditorio coinvolto, proprio in virtù della spiccata differenziazio­ ne in genera che li connota61 3 e che, nel passo in questione, è affidata al pregnante aggettivo variae (allitterante con volucres , come molte altre volte nel poema, al v. 589): il suo valore, in questo caso, piutto­ sto che «ambiguous »614 e implicante la necessità di rinunciare alla resa « painted» , mi sembra invece 'pieno' e riferito alla specie non meno che alle screziature del piumaggio, anzi sincretico della pecu­ liare e sistematica associazione fra l'una e le altre. Ambigua risulterebbe piuttosto un'interpretazione superficiale e generica di varius61 5 nel senso di 'diverso', in quanto originerebbe 61 1 La consapevolezza di queste forme di foedera naturai è talmente importante da essere richiamata fra le grandi conquiste nell'elogio di Epicuro (I 76 sg. ), ma anche in passi di polemica antireligiosa (V 89 sg. e VI 65 sg. ). 612 Cioè quella riproduzione dei caratteri che il caso degli uccelli definisce con le espressioni in ordine e generalis . 61 3 Anche l'aspetto del volo rende estremamente proficuo l'accostamento fra atomi e uccelli, ma di questo dirò meglio nel capitolo seguente. 61 4 Cfr. Merrill 1907, comm. ad loc. D'altro canto anche per l'espressione volucres variantibu' formis di V 825 , mi pare che l'idea del colore sia appropriata, ma che non escluda in ogni caso il riferimento alla specie. Cfr. l'ammissione di incertezza in Bailey 1947, comm. ad I 589. 61 5 Un aggettivo che originariamente pertiene proprio alla vasta gamma dei colo­ ri (Pigeaud 1983, pp. 131 sgg . ) . Nel De rerum natura è prevalentemente usato ( 15 volte almeno, senza contare anche alcune occorrenze del verbo variare accostabili a que­ ste) in riferimento ai sensi in generale, ma anche proprio a sensazioni specifiche (p. es., oltre ai sonitus e alle voces, sono spesso detti varii colores e odores): cfr. Wacht 1991, s. vv. varius, variare . La massima tematizzazione della varietas è riscontrabile nei versi del V libro relativi all'origine del linguaggio, ove il focus è proprio insito nella funzionale molteplicità delle espressioni foniche: cfr. Camardese 2002, p. 77 n. 2. In V 801 e 1078 l'espressione apparentemente ridondante genus alituum variaeque volu­ cres è stata da molti, a ragion veduta, interpretata come un'endiadi per 'la stirpe degli alati nelle varie specie di uccelli'.

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una contraddizione col precedente nec commutatur quicquam quin omnia constant616 (v. 588); è forse in ragione di quest'eventualità che il successivo in ordine cunctae l ostendant maculas generalis corpore inesse provvede a salvaguardare la 'sintonia' contestuale costituendo, rispetto a varius , una sorta di parafrasi coerente, per quanto compo­ sita sul piano linguistico e stilistico, perché in essa si saldano, in con­ formità a vera ratio naturaque rerum, l'osservazione comune e l'attività speculativa più profonda: da un lato, infatti, ostendant richiama ancora la disponibilità immediata del soggetto alla vista (del tutto appropriata in rapporto alla percezione del colore) e il nesso corpore inesse6!7 localizza puntualmente il referente materiale, dall'altro, il ricercato rimando alle maculae generales (ciascuno dei due hapax nel poema618) ha l'aspetto di un tecnicismo scientifico. La variazione (anche del colore) non è pertanto occasionale e imprevedibile, ma rientra in un orda preciso (una regolarità che accomuna i singoli esemplari: vd. cunctae al v. 589), nel quale si ripe­ tono determinate caratteristiche 'in successione', cioè in maniera ere­ ditaria, funzionale al riconoscimento di ciascuna famiglia619 all'inter­ no della vasta classe degli alati620. 616 Sull'opportunità di non accogliere la correzione di Lachmann constent, vd. l'approfondita discussione di Munro 1886, comm. ad loc. e la nota saliente per quan­ to breve di Merrill 1 907, comm. ad loc. 61 7 Per il quale vd. Merrill 1907, comm. ad III 634. 618 Di generalis (peraltro poco diffuso fino all'inferior Latinitas ) si riscontra, alme­ no da Cicerone in poi, un uso piuttosto specialistico soprattutto nel campo dell'ora­ toria. Vd. ThlL VI 2, col 1172 57 sgg. 61 9 La riconoscibilità di ciascun esemplare all'interno di una data specie sarà inve­ ce discussa nel II libro e implicherà la disposizione degli atomi in fìgurae sempre dif­ ferenti (cfr. III 314-3 1 8) . 620 Generatim è riferito i n tal senso agli uccelli anche in Varr. ling. Lat. V 1 1 e IX 2 1 . Cfr. , più in generale per animalia , Plin. XII l. La diversificazione fra le specie di alati si prestò a intenti didattici fin da Hes. op. 202 sgg., ove è contenuto il celebre apologo dello sparviero e dell'usignolo dal collo variopinto. D'altro canto, il portato espressivo derivante dall'associazione di categorie di volatili fortemente in contrasto (quali predatore e preda) aveva conosciuto la sua ben nota consacrazione poetica non solo nell'epica america (cfr. Il. XV 237 sg. e 690 sgg., XV1582 sg. , XVll 460 e 755 sgg., XXI 493 sgg., XXII 1 39 sgg. e Od. XXII 302 sgg.), ma anche nella lirica alcaica (vd. Alc. fr. 53 D.). In Lucrezio la variantia delle volucres (rappresentata al sommo grado in V 1 079 sgg., dove, a proposito del linguaggio, si ricordano, per le differenti voces che emettono in situazioni diverse, accipitres, ossifragae, mergi, cornices e corvi), oltre ad essere più volte richiamata direttamente, come qualità specifica degli alati, è ope­ rante, con molta efficacia sul piano comunicativo, soprattutto in spiccati raffronti

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La constatazione con cui si conclude (ai w. 5 9 0 sg.) l'exemplum degli uccelli, immutabili '62! materiae quoque corpus habere l debent nimirum, si rivela molto efficace sul piano cognitivo, in quanto, oltre a contenere il nesso concettualmente più importante dell'intero con­ testo (immutabili ' materiae), con l'enjambement che la connota, di­ spone in rilievo l'enfatico e risolutivo debent nimirum, ma consente che spicchi ancora un incisivo richiamo al corpus, in poliptoto col corpore nella medesima sede metrica al verso precedente622. Tornando alla variatio delle volucres, che sottende una combinazione di specie e colore facilmente accessibile, credo infine sia utile richiama­ re un passo del II libro, in cui, ai w. 822 sgg., viene presentato il caso improbabile di un'inversione delle tinte (nera e bianca) caratterizzanti (e distintive anche ll) del piumaggio di corvi e cigni, nell'eventualità in cui non si sostenesse una costante corrispondenza fra una determinata natura coloris e certae fìgurae, cioè specifiche configurazioni atomiche (dal momento che di per sé i semina sono sprovvisti di qualità seconda­ rie); in quella sede, addirittura, iperbolicamente, si suppongono, per assurdo, non solo cigni neri, ma anche alio quovis uno varioque colore, soggetti cioè a una variatio, in quel caso sì, del tutto desultoria. È pur vero che, nella fisica epicurea, il colore risulta vincolato sì alle configurazioni e agli urti generati nelle sensazioni dalle formae differenti, ma sempre in dipendenza dall'ictus della luce che lo rende visibile producendo particolari moti e disposizioni degli atomi623, tant'è che pochi versi prima, illustrando tale connessione, sempre allo scopo di negare qualità secondarie ai primordia , Lucrezio pren­ de ad esempio proprio la piuma columbarum624, per osservare (w. (riguardanti ora l'aspetto canoro ora quello predatorio), cui il testo demanda, in qual­ che caso, connotazioni molto importanti: p. es. fra cycni e hirundo, a proposito del rapporto col maestro, in III 6 sg. ; fra accipiter e columba, in relazione alla mortalità dell'anima comprovata dalla fissità dei suoi caratteri, in III 752 sg.; fra cycni e grues, per richiamare l'attenzione sulla poesia soave prima di trattare dei simulacri e della connessa teoria dei sogni, in IV 1 8 1 sg. e 9 1 0 sg.; fra generiche volucres e accipitres , in una rappresentazione ironica, se non grottesca, delle reazioni alle parvenze oniri­ che, in IV 1 007 sgg. 621 Dall'opportuna correzione inmutabili ' di Lachmann 1 87 1 4 ( 1 850) rispetto al tràdito inmutabiles . Altre letture in Merrill 1 907, comm. ad loc. e Ernout-Robin 1 962 ( 1 928), comm. ad loc. 622 Per quanto corpus sia parola prediletta in V sede nella poesia esametrica: cfr. Mastandrea 1 993, ad loc. 62 3 Cfr. II 795 sgg . : nequeunt sine luce colores l esse . 624 L"es. della colomba è in Epicuro 252 e 252bis Us.

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803 sgg.) che alias fìt uti clara sit rubra pyropo, l interdum quodam sensu fìt uti videatur l inter caeruleum viridis miscere zmaragdos e la cauda pavonis in quanto consimili mutat ratione obversa colores . Quest'ultimo caso (che comunque, insieme al precedente, confer­ ma il significativo e, per così dire, 'modulare' impiego lucreziano dei volatili per chiarire alcuni dettagli sulla realtà delle combinazioni atomiche) sembrerebbe in contraddizione con quanto osservato sulle maculae generales, ma Lucrezio è ben attento a relativizzare le due circostanze con le rispettive espressioni in sole (v. 80 1) e larga cum luce repleta est (v. 806)625, ma anche a limitare il locus del cambia­ mento, nel primo esempio, alle piume che contornano il collo delle colombe, nel secondo, alla coda del pavone; del resto rimane essen­ ziale ciò che figura tra le premesse dell'intero ragionamento sulla variatio dei colori (II 768 sgg . ) : quello che spesso vediamo nero può succedere che appaia bianco materies ubi permixta est illius et ordo l

principiis mutatus et addita demptaque quaedam . In altre parole, dal momento che proprio la sensazione del colore di uno stesso oggetto può non essere sempre univoca (in quanto vin­ colata a particolari condizioni di luce626) tant'è che, attribuendo il colore ai primordia , si corre il rischio che res redeant ad nilum fundi­ tus omnes (come si legge in II 756), l'immutabilità che Lucrezio intende presentare al lettore in I 5 8 8 sgg. risulterà tanto più dirom­ pente, se rapportata agli screziati uccelli, quanto più questi suggeri­ scano, in qualità di concilia e non di primordia, un'ordinata e funzio­ nale varietas . Le costanti e distintive maculae generales (per cui il nostro saggia gli uccelli, in vista dell'immediata evidenza corporea delle loro sere625 Cfr. in particolare sul senso della vista in rapporto alla luce IV 324 sgg. e 380 sgg. 626 Intendo 'per una certa impressione del momento' il tràdito quodam sensu di II 804 sulla cui autenticità si è in passato dubitato: cfr. le osservazioni di Bignone 1907, pp. l 00 sgg. Del resto Lucrezio si riferisce al fatto che le piume appaiono diversa­ mente colorate (cfr. videantur a v. 804 e videtur a v. 801) in un momento che non costi­ tuisce quella norma delle condizioni di illuminazione che consente, sia pure conven­ zionalmente, di attribuire determinate tinte alle cose. Sull'ineludibile connessione fra i colori e vestigia certa formarum cfr. IV 72-89 e 95-97. Proprio perché nel canone epi­ cureo i dati sensibili non ingannano, in II 801 sgg. il nostro si esprime come chi li ha adeguatamente interpretati ed è conscio delle possibilità di confusione che possono ingenerarsi in chi riconduca a fattori differenti dal moto atomico le fondamenta delle percezioni.

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ziature627, m a poi, più ampiamente, menziona l e analoghe m a meno superficiali caratteristiche degli animalia 'tout court': naturam mores victum motusque parentum) saranno quelle risultanti, in maniera ricorrente generatim, ma variegata da specie a specie, e perciò atte­ stanti l'immutabile aggregarsi di una particolare materia, certa quan­ to al numero, alla forma e alla dispositio dei suoi costituenti628.

A. 7. IL II

LffiRO DEL

FRA QUOTIDIANO

E

DE

RERUM NATURA

E

LA

TENSIONE

COSMICO

La profonda concatenazione esistente fra il I ed il II libro del poema è stata da tempo evidenziata dai critici629, pertanto su di essa non si insi­ sterà in questa sede: l'aspetto che preme invece sottolineare è che, alla

consuetudine con cui il II libro sviluppa (attraverso un «argument» piut­ tosto complicato630 ) deduzioni rispondenti ai principi illustrati nel primo, si combina una parallela evoluzione, anzi quasi un raffinamento della 'tecnica' di ricorso al mondo animale che si è fin qui esaminata. Il perseguito arricchimento cognitivo del pubblico, in sezioni ar­ gomentative e astratte, veicolato dalla concreta e rassicurante espe­ rienza quotidiana (implicita in riferimenti poco dettagliati e abitual­ mente accessibili nell'immediato), la riproduzione della dinamica ciclica del passaggio dalla nascita alla morte e della soggezione di tutti i viventi alle medesime leggi e al medesimo pattern atomico, si ritrovano in maniera massiccia e, anzi, ancor più sistematica, in que­ sta parte dell'opera. 627 Anche al di fuori del De rerum natura era del resto topico che, oltre al canto, di cui dirò in seguito, fosse enfatizzato proprio questo aspetto del piumaggio variegato nella rappresentazione degli alati: cfr. e. g. Alc. fr. 135 D., Sim. fr. 81 P., il già citato Hes. op . 203 e Ar. aves 1411. 62 8 Cfr. Epic. ep . Hdt. 54-55 passim, dov'è contenuto anche un rimando, sia pure generico, alle realtà esperienziali: ltOtÒ'tT)ç yò.p Jttlaa �tE't�Àì..Et· ai l:ìè c'i'to�tot oooèv �tE't�ÀÀouat v, EltEtl:ìl] ltEp l:ìEì 'tt UltO!!ÉVEt v t\v 'tatç l:ìtaÀ i>aEat 'tiiìv auyKpiaErov O'tEpEòv Kaì Ò.ÒUXÀU'tOV, o 'tÒ.ç 1!E'ta(3oì..ò. ç OÙIC Eiç 'tÒ l!lJ èìv ltOtlJOE'tat ooo' ElC 'tOÙ !!lÌ OV'toç, Ò.ÀÀÒ. lCa'tÒ. !!E'ta!loonç t\v 1toì..ì..oìç, 'ttviiìv l:ìè Kaì 1tpoa60ouç Kaì à.JCEt Éprolltòç òl;ù AEAl]Kci>ç) con Lucr. V 1 079 sgg. (ossifragae mergiljue marinis l fluctibus in salsa victum vitamque petentes l longe alias alia iaciunt in tempore voces) e Arat. 1 004 sg. (j!ty' Mp6a JCEKAi!yovtEç, [sci!. KÒpl;11 AaKÉpuça JCopci>vl].

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Il

mondo animale nella poesia lucreziana. . .

Infatti Epicuro s i era espresso polemicamente proprio contro la tradizione connessa ai pronostici in ep. Pyth. 1 15 sg. : Ai �· È7ttOTt ­ lla.oia.t a.i )'t VÒjlEVa.t È1tt 'ttOt çqxnç lCO.'ta OU)'lCUPTtllO. )'t VOV'ta.t 'tOU lCO.tpoU.

où ycl.p 'ta çéj}a. àva)'lCTtV nva 7tpoOq>ÉpE'tO.t 'tOU à7tO'tEÀ.E09flva.t XEtjlé.òva., oùM JCa9Tt'ta.i nç 9eia. cpi>otç 7ta.ptrov È/;60ouç 1Cli7tEt'tO. tàç È7ttOTtjlO.Ota.ç 'tO.U'ta.ç È1tt 'tEÀ.Et. l o'Ù5È yàp EÌç 'tÒ 'tUXÒV çti)ov lCÙV jltlCp{!) xa.ptÉO"'tEpov fì, il 'tOtO.U'tTt jl(l)pta. È1C1t000t, IllÌ O'tt Eiç 7tO.V ­ 'tEÀ.fl EÙ�O.tjlOVtO.V lCElC'tTtjlÉVOV. In Lucrezio è ancora più diretto l'attacco alle credenze della

superstitio tradizionale p. es. nel VI libro , a proposito del compor­ tamento dei volatili in prossimità dei luoghi Averni: ai vv. 7 5 1 sgg. infatti si chiarisce, con una nota di sarcasmo dissacratore dei miti ,

qua numquam pennis appellunt corpora raucae l cornices, non cum fumant altaria donis 7 1 2. l usque adeo fugitant non iras Palladis acris l pervigili causa, Graium ut cecinere poetae7 l 3, l sed natura foci opus efficit ipsa suapte. Tuttavia, tornando alla connessione fra gli alati e il sorgere del sole, poteva assumere un carattere inquietante un fenomeno7 1 4 verso il quale Lucrezio, forse perché comportava minori implicazioni religiose, manifesta un atteggiamento di mag­ giore conciliazione, ossia il fatto che i galli cantassero prima del­ l'aurora: altrove nel De rerum natura (in IV 7 1 0 sg.) il nostro ricor­ da infatti, sia pure fugacemente e come una notazione marginale (perché il focus del contesto verte sulla possibilità che alcune immagini non si adattino allo stesso modo a tutti coloro che le percepiscono) , che gallum, noctem explaudentibus alis l auroram clara consuetum voce vocare ecc . Il gallo7 1 5 vi appare 'pacificamente' connotato dall'annuncio della levata del sole, il che attesta in Lucrezio una compresenza di due atteggiamenti, l'uno più razionale e scientifico, l'altro più condiscen71 2 Poco dopo (ai vv. 756 sgg.) anzi rincarerà la 'dose' polemica descrivendo come in Siria vi sia un luogo in prossimità del quale i quadrupedes, solo a poggiarvi le zampe, sono indotti da una certa vis che agisce naturali ratione a cadere manibus ut

si sint divis mactata repente. m I l rimando è a l mito delle figlie d i Cecrope narrato nell'Beale d i Callimaco e per il quale vd. Roscher, s.v. 7 14 Opportunamente ricordato in Fowler 2002 ( 1 983), pp. 220 sg. , insieme al cenno sulla tesi di Democrito circa l'incidenza della digestione sul comportamento del gallo, come è attestato in Cic. div. II 57. 7 1 5 Cfr. D'Arcy-Thompson 1 936, pp. 3 8-40, Capponi 1 979, s. v. e Sauvage 1 97 5 , p p . 49 sg.

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Approfondimenti

dente verso l'osservazione comune, purché questa non sia in contra­ sto con la realtà fenomenica; un po' come lo stesso Epicuro, sempre nell'Epistola a Pitocle (al par. 98), aveva assunto un tono più modera­ to sui pronostici del tempo i quali ouvav'tat yivEcr9at Kaì Ka'tà cruy ­ KUpijcrEt> cfr. ivi, p. 1 53 . 746 Vd. n. 724. 747 Schiesaro 1 984, p. 1 54 passim . . 748 Cfr. West 1 969, p. 5 6 che suppone una ricercata connessione fra gli uomini e i cavalli; più incerto in proposito Saunders 1 984, n. 1 4, ma vd. anche Ernout-Meillet s. v. re{renare e usus lucreziano da Wacht (refrenat morsus in IV 1 084). Mechley 1 998, p. 91 combina ai suddetti echi del movimento equino anche l'espressione spatio depelle­ re a v. 2 1 9, forse un po' troppo distante dal riferimento solo successivo all'e9oç del cavallo (cfr. Enn. ann . 522 sg. Sk. : Sicuti fortis equos spatio qui saepe supremo l vicit

Olympia). 749 Correzione sicura, pe r il quorum dei codici p i ù autorevoli , figurante g i à nella

editio princeps (Brescia 1 473).

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(esterno al cavallo), mentre i w. 266-27 1 ne illustrano il corrispondente atomico (interno) da due punti di vista, per cosi dire, 'speculari': i due trittici 266-268 e 269-27 1 riferiscono infatti nella sostanza la stessa informazione (com'è evidenziato anche sul piano formale attraverso l'anafora con cambiamento di caso di omnis ai w. 266 e 268 e alcune riprese lessicali come conciri1so. . . concita al v. 267, totum per corpus a v. 266 e per totum corpus a 27 1 , artus a 267 e 27 1 ), ma il primo ripercorre il movimento a ritroso dal totum corpus alla sua origine nello studium mentis, il secondo presenta lo stesso passaggio ma nel corretto ordine cronologico (si noti la contrapposizione enfatizzata da certa ridondanza fra initum7s t . . . creari. . . procedere primum e inde . . . pon-o ai w. 269-27 1 ). La vivacità della sequenza, in cui il moto è essenzialmente tematiz­ zato dalle espressioni verbali (conciri, concita , sequatur e procedere ai w. 267 sg. e 270), ha anche il suo corrispettivo metrico-ritmico nel ricorso insistito all'enjambement ai w. 263, 264, 266 e 267, mentre sul piano fonico spicca l'accumulo di allitterazioni (cfr. copia conciri al v. 267, corde creari al 269, procedere primum al 270, porro per al 27 1 ) ; l'iperbato patefactis carceribus conferisce infine maggior risalto all a clausola tempore puncto che, oltre a segnalarsi come probabile 'licen­ za linguistica' rispetto al comune temporis puncto 752, si contrappone sottilmente, sul piano concettuale ma anche formale, alla successiva determinazione temporale de subito753 (v. 265). Al mancato sincroni750 Munro 1 907, comm. ad loc. opta (seguendo Lambin) per conquiri («i.e. be sought out and brought into communication one part with the other•), correzione in O e lezione di G. 75 1 Cfr. com'è descritto l'inizio del moto all'interno dell'animo, a partire dalla quar­ ta natura, in III 270-272. Per altri riscontri sull'espressione in itus motus vd. Fowler 2002 ( 1 983), comm. ad loc. 752 Nella lingua latina attestata l'espressione tempore puncto (anche in Lucr. II 456, 1 006 e IV 2 1 4; cfr. puncto . . . in tempore di VI 230), in luogo dei più comuni temporis puncto, tem­ poris in puncto (rispettivamente in Lucr. I 1 1 09 e IV 1 64 e 1 1 93; cfr. temporis .. punctum in Ter. Phorm. 1 84), è presente infatti solo in Lucrezio; non a caso la funzione grammaticale (participio, sostantivo o aggettivo?) e il significato ('marcato', 'atomizzato' o 'considerato come un punto'?) di puncto sono stati variamente interpretrati. Una cospicua trattazione del problema è in Emout-Robin 1 962 ( 1 928), comm. ad loc. e Fowler 2002 ( 1 983), comm. ad loc. Contro la lettura tempori ' puncto vd. l'accorta osservazione metrica sui casi di IV 2 1 4 e VI 230 di Bailey 1947, comm. ad loc. 753 Arcaismo (anche in m 643) continuato nella lingua parlata: cfr. Emout-Robin 1 962 ( 1 928), comm. ad loc. Si osserva in Fowler 2002 ( 1 983), comm. ad loc. , che con de subito «the language swiftly descends from the high-style equornm vim cupidam to the leve! of the punter waiting for his horse to start» . Cfr. più in generale, sulla lingua poetica latina, anche il contributo di Leumann in Lunelli 1 988, pp. 1 3 1 - 1 78.

Approfondimenti

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smo dei due istanti rappresentati (avvenuta apertura dei cancelli e par­ tenza dei cavalli) si riconnette infatti proprio l'impossibilità di calcola­ re tempi e spazi d'azione della volontà (e, indirettamente, la stessa imprevedibilità -nec tempore certo nec regione loci certa- del clinamen). In altre parole i cavalli, arrestati dalle sbarre del circo, sono già ben carichi di desiderio (nota vim cupilÙI.m a v. 265), e probabilmente scal­ pitano anche, ma la rimozione dell'ostacolo in un dato momento non origina necessariamente e in perfetta coincidenza spazio-temporale l'avvio del moto, come forse sarebbe anche preferibile per la mente (cfr. non [ . . . ] tam [ . . . ] quam mens avet ipsa754 ai vv. 264 sg.); partono sl ma non post hoc ergo propter hoc, in quanto la causa del moto è la voluntas che si sottrae a un ordo prestabilito7ss. Anzi, dal momento che il moto ha inizio non proprio appena si aprono i cancelli e quindi non in ossequio a un'interna necessità della mens, è puramente convenzio­ nale fissare l'istante comune del via perché, in ogni gara, sussistono fin dall'inizio differenze (sia pure infinitesimali) : ogni singolo cavallo sarà così più o meno pronto756 a trasmettere, per intervento della voluntas, all'anima e da questa al resto del corpo quel che desidera. n caso si rivela particolarmente ad hoc giacché, in una contesa per il primato per la velocità, l'inizio effettivo del moto verso la meta è piuttosto importante (al punto da poter condizionare l'esito della gara) : una pre­ cipua attenzione a questo tempus di fatto incertum è non solo nella 75 4 I versi successivi liberano da ambiguità l'espressione chiarendo che lo stu­ dium mentis di cui si parla è quello interno al cavallo. Quanto alla rapidità della mens si veda III 1 82 sgg . : nil adeo fìeri celeri ratione videtur, l quam sibi mens fìeri pro­ ponit et incohat ipsa. l ocius ergo animus quam res se perciet ulla . Su questo locus classicus cfr. Conte-Canali-Dionigi 20002 ( 1 990), p. 259; ai riferimenti ivi citati ag­ giungerei Horn. Il. XV 80-83. 755 Su questo particolare punto non concordo con Fowler 2002 ( 1 983), comm. ad mens avet ipsa (v. 265), in quanto vi si sostiene che il senso possa essere 1a mente da sé o persino la mente', in contrasto con il cavallo come un intero: questo è desidero­ so, persino la sua mente vuole andare ma non può iniziare a correre finché il clina­ men negli atomi dell'animus non dà l'avvio al moto. Il testo non autorizza però a sup­ porre ciò, se al v. 268 si legge che la materia segue lo studium mentis ed è quindi que­ sto ad innescare una catena di reazioni; se la mens del cavallo è in attesa di clinamen, pur svincolata da necessità rimane però soggetta al caso e anzi fra l'azione della volontà e il clinamen stesso si origina un rapporto di necessità. Nulla peraltro impe­ disce di pensare, come chiarirò meglio in seguito, che il clinamen possa influire anche ritardando certi moti. 756 Cfr. Horn. Od. III 369 sg. : Uç OÉ oi. ì:nnouç, l oì: 'tot ÈAaipp6'ta'tot 9€ietv Kaì Kclp'toç aptcr'tot. Anche lo stesso cavallo non è detto che percorra il tragitto sempre con la medesima velocità: sarà l'esercizio a rafforzare il suo potenziale.

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del cavallo che, non a caso, sogna i l cruciale istante successivo all'apertura dei cancelli in IV 990, ma è rintracciabile senz'altro anche nell'esperienza da spettatore di cui può aver fruito il lettore7s7. Può sembrare discutibile in senso realistico la qualità arbitraria della volontà per un animale sottomesso al controllo umano758 (per

me ns

757 Sull'impiego dei cavalli nelle manifestazioni circensi romane cfr. Hyland 1 990, pp. 2 0 1 -230; per lo stallaggio pp . 3 7 e 95. In Azzaroli 1 97 5 , p. 96, si osserva che, pur non essendo celebri per la cavalleria militare ( rov, vi si dice che ad essi 'scusiamo' moti psi­ chici e costituzione atomica in quanto fra loro coincidenti. 790 Vd. p. 242. 7 91 L'aggettivo liber prescelto da Lucrezio ne è un efficace corrispondente; il con­ notato ideologico di entrambi i termini è peraltro degno di nota in una società schia­ vistica come quella antica. 792 Cfr. Arrighetti 1 9732, pp. 630-634 .

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Insomma, stando a questi riferimenti, non sembrerebbe che la capacità di determinazione e di autodeterminazione e di aipecnç pas­ sibile di elogio o di rimprovero abbia una forte attinenza col mondo animale e legittimi, nell'epicureismo ortodosso, un'efficace sovrap­ posizione fra tò 1tap' ruuiç e tò 1tapà çq>a. In altre parole, sia perché, nei versi lucreziani riguardanti il clinamen, i casi umani potrebbero già da soli (e 'meglio') soddisfare la chiarezza dell'accostamento ana­ logico fra l'imprevedibilità dell'azione della volontà e quella dello 'scostamento' atomico, sia proprio perché il riferimento ai cavalli può addirittura incrementare quei dubbi793 sulla conformità della dottri­ na esposta dal nostro rispetto ai dettami del maestro, mi sembra quanto mai utile un approfondimento in tal senso. In passato il problematico raffronto fra esseri umani e animali selvatici proposto in nepì rov, ma di cavalli da corsa, cioè anima­ li addomesticati o addomesticabili, senz'altro moralmente 'più ver­ satili', che non sarebbero pertanto tali se non fossero dotati di quel­ la libera voluntas che deriva da una significativa deviazione di certi atomi dell'animo794. Se si riconnettono volontà, lode e biasimo alla corretta valutazio­ ne del 'giusto', può anche assumere una certa rilevanza il fatto che in una delle Ratae Sententiae (la XXXI I ) si sostenga l'inesistenza del oi.KatOv e dell'aotKov sia per ocra -céòv çQ>rov 'che non furono in grado di stringere patti per non recarsi né ricevere danno a vicenda', sia per téòv f:9véòv ocra 'che non poterono o non vollero' fare altrettanto795; questa menzione non solo è degna di nota perché pone sullo stesso 793 Vd. a) fra i principali rilievi critici precedentemente sintetizzati. 7 94 Cfr. Rist 1 978, p. 96 e Huby 1 969. 795 Cfr. i resoconti sull'evoluzione della vita civile che si leggono nel V libro del De rerum natura , circa i'utilitas che ispira la convivenza pacifica e addirittura nobilitata da tutela fra l'essere umano e alcune specie (non particolarmente feroci) di animali (vv. 855-877 che richiamerò a breve), circa il progressivo 'affrancarsi' degli uomini dalla vita more ferarum (v. 932) e circa i primi accordi (per quanto non omnimodis poterat concordia gigni) fra fìnitimi per inter se nec laedere nec violari (vv. 1 0 1 9- 1 027). Sui rapporti fra Epic. rat. sent. 32 e la 'teoria contrattuale' del nostro vd. n. 872 con la bibliografia ivi citata e, più in generale, Sorabji 1 993, pp. 1 6 1 sgg.

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piano l a sfera umana e quella animale, m a s e ha un carattere seletti­ vo796, ne giunge anche una conferma e non una smentita797 al fatto che probabilmente il rimando del Titpì cpootcoç in precedenza richia­ mato non alluda sineddoticamente a tutti i comportamenti degli ani­ mali. Si considerano insomma in quella sede atti che non possono presumersi come volontari se coincidono con l'originario e naturale assetto o pattern atomico e che pertanto sfuggono all'autocontrollo al punto da non essere passibili di valutazione morale: li possiamo cioè immaginare inevitabili, necessari (la lode o il biasimo potrebbe anche prodursi ma senza effetto; del resto l'éxvnyKll è detta éxvU1tti>eu ­ voç in Epic. ep. Men. 1 33 ) . Chi poi h a rapportato l a produttività del clinamen alla libertà di fare e non di volere e all'esecuzione non di tutti gli atti volontari798 ma di quelli implicanti particolare sforzo (in quanto connessi a nuove configurazioni dell'animo), ha comunque sostenuto nell'ottica epicurea più una differenza che una rassomiglianza fra esseri umani e animali: ha cioè attribuito ai secondi una minore capacità di apprendimento limitata peraltro dall'età e, per sanare l'apparente contraddizione fra l'exemplum lucreziano e Titpì cpucrtroc; [34, 25], ha inteso che gli animali nominati da Epicuro abbiano superato lo sta­ dio ricettivo legato alla nascita e alla prima crescita799 e pertanto non possano giovarsi della libera voluntas , coadiuvata dal clinamen , ai fini di un comportamento diretto a massimizzare i piaceri e mini­ mizzare i dolori. Non è questa la sede per entrare nel merito delle singole e com­ plesse ricostruzioni sui rapporti fra il clinamen che modifica un dato pattern atomico e l'insorgenza della volontà800 o la possibilità di que796 Vd. Shelton 1 996, p. 5 1 n. 8 e Long-Sedley 1 987, vol. I, p. 1 3 5 e vol. II, p. 1 29. 797 Ammesso pure che la considerazione sull'impossibilità di stringere accordi valga invece per tutti gli animali, non è detto comunque che la voluntas sia comple­ tamente negata agli animali: cfr. Huby 1 969, p. 1 9. 798 Potrebbero confortare siffatta interpretazione etiam al v. 263 e quoque al v. 2 8 1 , nel caso in cui evidenzino la 'parzialità' delle situazioni che introducono (oltre all 'in ­ terdum del v. 2 8 1 su cui invece si è più insistito); non è tuttavia chiarissimo a cosa si rapporti 'anche' nei casi in questione: all'azione della voluntas non sempre uguale o dotata di tempi diversi, a quella del clinamen occorrente a caso, alla combinazione di entrambi che sussiste solo in alcune circostanze? 799 Vd. Saunders 1 984, p. 53 e n. 5 3 . 800 In questo caso l e incoerenze interpretative sono opportunamente evidenziate ivi, p. 37 sgg. Cfr. anche Annas 1 992, pp. 1 82 sgg. Una trattazione specifica sull'argo­ mento è nel già citato Englert 1 987.

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st'ultima d i giungere a effetto801 ; resta i l fatto che Lucrezio attribui­ sce in primis (vv. 256 sgg.) agli animantes, senza specificare certe dif­ ferenze fra domestici e selvatici, fra piccoli e adulti, la libera voluntas di andare verso il piacere e di cambiare direzione non all'occorrenza (a tempo e luogo stabilito) , ma quando ipsa tulit mens (un'espressione non proprio palmare: l'aspetto più indubitabile risie­ de forse nel carattere resultativo del verbo) . C'è però u n testo epicureo ( i n llEpì asoz a mio avviso importante. Per quanto il senso della colonna in cui è contenuto tale rinvio non sia del tutto perspicuoso3, a proposito di certi moti e atteggiamenti del­ l'animo che avevano natura per giungere a effetto ma non vi arriva­ rono ot.' Éau'ta, vi si aggiunge ([34,2 1 ] 8 sgg.) che 'per quei (moti psi801 Secondo un'esegesi che, pur svincolando da necessità la riuscita di un'azione, forse eccede nell'affidarla alla casuale assistenza del clinamen . 802 A ulteriore conferma del fatto che anche Epicuro concepiva un'interazione fra etica, fenomeni psichici e meccanica atomica. Cfr. le osservazioni di Arrighetti 1 973 2 , p. 7 1 4, che sconfessano, a mio avviso, quanto sostenuto in Lucchetta 1 980, p. 30 1 . Cfr. anche la nota sul materialismo nella psicologia epicurea (circa il carattere 'psicoso­ matico' del resoconto su sensazione, sentimento e comportamento) di Rist 1 978, p. 98. 803 Cfr. l'esegesi di Arrighetti 1 973 2 , p. 63 1 che, pur ponendo in relazione il passo [2 1 ] col [25] che ho menzionato in precedenza, non fa caso al diverso riferimento, rispettivamente analogico prima (nota JCa9(utEp in [34, 2 1 ] 1 2), contrastivo poi (oùx IDoltEp in [34, 25 ] 24) al mondo animale. Sussistono peraltro differenti ricostruzioni e interpretazioni dei testi a seconda che la psicologia epicurea sia ricondotta o meno in toto alla concezione atomistica: si veda in proposito il dibattito insorto a motivo dell' 'antiriduzionismo' di Long-Sedley 1 987, vol. I. pp. 1 09 sgg. e Sedley 1 983, pp. 1 1 -5 1 , in base al quale Epicuro sosterrebbe che siamo agenti nel senso di « self-developers » , i n una maniera che trascende l'atomismo: OOtoÀoyi.a) che ha «il potere di moralizzare radicalmente >> l'uomo B 26; nel testo però è riconosciuta tanto alla prima quanto alla seconda la possibilità di modificare la natura animi di cui l'una lascerebbe vestigia prima, l'altra, vestigia parvula : si tratta in entrambi i casi di 'tracce', per cui forse non sarà il caso di insistere su un'antitesi così netta. Nulla vieta di ipotizzare che la considerazione sulla doctrina (vv. 307-309) sia piuttosto gene­ rica (cfr. del resto II 8 in cui l'espressione doctrina sapientum è con­ notata in senso del tutto positivo) e principalmente protesa a fonda­ re la lapidaria espressione del v. 307, sic hominum genus est, sugge­ rendo di intravvedere anche in coloro che si ritengono 'eruditi' le fat­ tezze, per quanto remote, di caratteri che l'uomo condivide coi buoi, i cervi e addirittura i saevi leones . Lucrezio, focalizzato sull'animo e forse consapevole della portata eversiva di un accostamento diretto, cioè razionalizzato e ontologico (non, per così dire, mediato da seco­ lari strumenti poetici di una certa carica espressiva quali la similitu­ dine) B 27 fra l'essere umano e certi animali 'portatori sani' di mala, per 8 2 5 La problematica concezione per cui l'uomo è senz'altro da considerarsi uno séflov, ma, poiché ha i suoi connotati specifici e poiché con séì>a si allude a « Un siste­ ma di differenze estremamente ricco, quasi inesauribile» (cfr. Gasti-Romano 2003, p. l O con la bibliografia ivi citata), non è detto che 'animale' identifichi necessariamen­ te l'uomo, potrebbe essere in parte riassunta con queste parole di Geli. V 1 8, 5: quod

est homo, id necessario animai esse; quod est animai, non id necesse est hominem esse . 82 6 Cfr. e. g. Conte-Canali-Dionigi 20002 ( 1 990), p. 268 sg. Vd. Cic. fin. I 7 1 : qui [scii. Epicurus] quod tibi parum videtur eruditus, ea causa est, quod nullam eruditionem esse duxit, nisi quae beatae vitae disciplinam iuvaret. Che la doctrina epicurea fosse peraltro tenuta in una certa considerazione soprattutto in vista delle pratiche quotidiane attua­ te e non solo professate è testimoniato da Sen. ep. ad Luc. 6, 6 (Metrodorum et Her­ marchum et Polyaenum magnos viros non schola Epicuri sed contubemium fecit) e da Cic fin. I 65 (de qua Epicurus quidem ita dicit, omnium rerum, quas ad beate vivendum

sapientia comparaverit, nihil esse maius amicitia, nihil uberius, nihil iucundius. nec vero hoc oratione salurn, sed multo magis vita et factis et moribus comprobavit).

82 7 Che da Omero fino ai miti platonici si era servito del paradigma animale per rappresentare le emozioni, le passioni impulsive e irrazionali dell'uomo: cfr. Dierauer 1 997, p. 4, ma anche Saylor 1 972.

268

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un verso rafforza l e ragioni d i tale parallelo a i vv. 3 1 1 sgg. (in cui si precisa la casistica presa in esame: l'uno è eccessivamente incline all'ira, l'altro si concede troppo in fretta alla paura, l'altro è più remissivo del dovuto) ; per altro verso ridimensiona l'accostamento precisando che le caratteristiche considerate non esauriscono la vasta gamma di reazioni possibili (vv. 3 1 4-3 1 8) , infine rassicura ad effetto il suo uditorio (si noti l'enfasi di video firmare potesse al v. 3 1 9) sull'esiguità delle imperfezioni che la ratio , cioè l'attività intel­ lettiva, certo applicata secondo i dettami della scuola, non possa depellere nobis (cfr. II 53 sg. , in cui il poeta domanda, nel caso in cui non abbiano più presa metus e curae sequaces , quid dubitas qui n

omni' sit haec rationi ' potestas, l omnis cum in tenebris praesertim vita laboret?). Che questo aspetto sia fondamentale garante di riuscita nella ricerca828 del sommo bene829 è attestato in svariate testimonianze sull'etica epicurea: si pensi a Epic. ep. Men. 1 3 2 in cui si dice che genera una vita felice vita839 per conseguire mediante il corretto USO della ratio lo stadio di çé!X>v acp8ap-tOV ICO.Ì. Jl0.1CclptOV840. 836 Basti pensare che, p. es. , Lucrezio insiste sulle differenti sensazioni, con­ nesse alle dissimiles fonnae , che non consentono di sovrapporre i gusti di certi animali con quelli dell'uomo: a riprova del fatto che ciò che è cibo per alcuni, per altri sia disgustoso in IV 640 sg. si legge nobis veratru m est acre venenum, l at capris adipes et cotornicibus auget. Cfr. V 899 sg. (qu ippe videre licet pinguescere saepe cicuta l barbigeras pecudes, homini quae est acre venenu m ) e soprattutto VI 970-9 7 8 , un passo volto a illustrare come le emanazioni materiali dei corpi non si adattino allo stesso modo a tutti i viventi: barbigeras oleaster eo iuvat usque capel­ las, l effluat ambrosia quasi vero et nectare tinctus; l qua nil est homini quod ama­ riu ' fronde vigescat. l denique amaracinum fugitat sus et ti me t omne l u nguentum; nam saetigeris subus acre venenu mst, l quod nos interdum tamquam recreare vide­ tur. l at contra nobis caenum taeterrima cum sit l spurcities, eadem subus haec iucunda videtur, l insatiabiliter toti ut volvantur ibidem. Cfr. infine, sulle diverse

percezioni, anche IV 684 sgg. e 7 1 0-7 1 7 . 8 3 7 Cfr. soprattutto Epic. ep. Men. 1 23, 1 35 e rat. sent. l . Si veda anche Philod. de signis (PHerc. 1 065), col. XXII 1 5 sgg. : a proposito del fatto che si possano produrre inferenze anche da elementi non identici, in quanto condividono la stessa comunan­ za Ò!!OlOJV > . 894 Cfr. Paluchowski 1 998, p. 232; Schrijvers 1 974ill , p. 357 e la bibliografia ivi citata. 895 È piuttosto importante sottolineare il senso del limite (sottintendendo l'idea di un metaforico percorso spaziale, di un processo con un succedersi di almeno due tappe; cfr. Pigeaud 1 983, p. 1 30) insito nell'espressione quoad possit abuti del v. 1 03 3 , perché, diversamente, attribuendo a quoad il significato d i «a qual fine» (cfr. e.g. Conte-Canali-Dionigi 20002 ( 1 990), Milanese-Narducci 1 992, ad loc. e l'equivalente «to what purpose» di Bailey 1 947, Rause - Smith 2002 ( 1 9822) e Costa 1 984, ad loc. ) si dovrà rilevare una certa contraddizione nel poema lucreziano fra questo passo e un'ampia sequenza antiteleologica di IV 823-857: si tratta di un'aporia di cui si accor­ se già Lachmann (che peraltro espunse, come pure Brieger e Diels, l'intera sezione del IV libro, per la sua sospetta digressività), ma che sfuggl p. es. a Bailey 1 947, comm. ad loc . , anche se le sue considerazioni su « sensation» e notities sembrano, da sole, annullare l'apparente 'distonia' fra questi passi: cfr. ivi, p . 52 e soprattutto 54). Del problema si sono occupati svariati critici: vd. p. es. Giussani 1 896- 1 898, pp. 2 8 1 sgg.,

29 1

Approfondimenti

non sono infinite e di esse non si può fare un uso indiscriminato, ma sono a disposizione (anche in maniera differenziata) di ciascun essere che, reagendo istintivamente a particolari bisogni (come è legge di natu­ ra), ricorre ai mezzi di cui è dotato e, sperimentandoli, raggiunge una Perelli 1 966- 1 967, pp. 2 1 1 sgg . , Schrijvers 1 974111 , p. 356 sgg. e Salvadore 1 990, p. 1 5 e n . 27. Nei

vv.

del

IV libro

si snoda infatti un'accesa polemica in cui Lucrezio distin­

gue alcuni oggetti fabbricati dall ' uomo, che possent

utendi cognita causa l credier (vv

.

8 5 1 sg.) da omnia quae prius ipsa l nata dedere suae post notitiam utilitatis. l quo gene­

re in primis sensus et membra videmus; l quare etiam atque etiam procul est ut credere possis l utilitatis ob offìcium potuisse creari (vv 853-857). Gli esempi addotti contrap­ .

pongono fra l'altro bisogni naturali e necessari ai mezzi più evoluti per soddisfarli:

vulnus vitare

precedette senz'altro lo scudo,

anteriore alle coltri e

sedare sitim

fessum corpus mandare quieti

fu assai

nacque prima dei calici. Limpiego ( «usus pris au

sens de "utilisation/pratique/expérience" • , come si legge in Schrijvers 1 974111 , p. 343) e la xp6Àl]ljltç (intesa quale nozione dell'utilità) furono entrambi successivi alla for­ mazione di tutte le realtà strettamente legate al corpo e alle sue naturali funzioni: in altre parole,

sensus

e

membra

(come si deduce dai

vv.

834-842) non sono stati predi­

sposti da una provvidenziale mente ordinatrice che abbia subordinato tutto al bene­ ficio umano (si veda a riguardo Ernout-Robin 1 962 [ 1 928], comm. ad loc. per i passi ivi citati, dall'antica �too alle convinzioni ciceroniane e senecane, riguardo al con­ cetto di una «nature providentielle et pénétrée de raison• ). Al contrario, per tutti gli utensili costruiti dall'uomo (dalle armi di offesa e difesa al letto e alle suppellettili domestiche) il rapporto fra xp6Àl]ljltç e elaborazione si inverte perché quelli sì sono stati concepiti e realizzati allo scopo di essere usati in un certo modo. In Lucrezio rovescia la finalità (cfr.

ut uti possemus

IV 834

sgg.

ob offìcium utilita­ quod natumst id procreat

che l'espressione

tis del v. 857 sicuramente richiama) in temporalità (cfr. usum al v. 835 e prius . . . post ai vv 853 sg. ) , e sulla successione temporale, non sugli scopi, insiste con ante (v. 836), prius quam ( vv 837, 839 sg. , 846 sg. e 850), longe prae­ cessit (v. 838), ante . . . quam (vv 84 1 e 845), antiquius . . . quam (v. 849), prius (v. 853) in contrapposizione a post (v. 854). Cronologicamente, pertanto, un organo si costitui­ .

.

.

sce prima dal punto di vista anatomico (quanto alla struttura e ai suoi componenti) e poi dal punto di vista fisiologico (quanto al suo compiuto funzionamento) , né si può confondere fra causa ed effetto. Allo stesso modo, in V 1 033- 1 040 siffatta temporali­

tà non è violata: nel primo caso, infatti, le corna del vitello, benché ancora parzial­ mente latenti, sono comunque già

nata

(in realtà le traduzioni lo omettono in quan­

to esplicitarlo appesantirebbe il discorso, ma per lo meno bisognerebbe rispettare il senso di azione resultativa dell'exstent - v. 1 034; cfr. ThlL, s.v. , fra gli esempi de iis, quae quomodocumque aequum, rectum, leve, planum excedunt ve[ supra elata sunt -, perché considerarlo presente indurrebbe all'esclusione di tutta l'azione - il fieri dello 'spuntare' -, mentre il senso è proprio che il processo di formazione delle corna è comunque iniziato; diversamente non ci si spiegherebbe

l'illis

di v. 1 035); nel secon­

do caso, i denti e gli artigli dei piccoli di pantera e leone, benché già

creati;

vix,

sono comunque

nel terzo caso, i piccoli di uccelli, benché non ancora in grado di levarsi in

volo, hanno già in vista alae e pinnae. Così in V l 033 si intende che la graduale messa in pratica di una

vis

e la sua maturazione procedono di pari passo.

292

Il mondo animale nella poesia lucreziana . . .

maturità896. La rappresentazione contenuta nei vv. l 034- 1 040 non si appunta infatti sull'esercizio compiuto di determinate funzioni, ma solo sui primi, limitati, addirittura parzialmente fallimentari, tentativi di impiego degli organi presi in esame. Ciò che qui interessa a Lucrezio è il fatto che la natura inneschi, attraverso l'istinto di autodifesa (che si palesa più di frequente in esseri appena nati), reazioni tali che, ripeten­ dosi all'occorrenza, 'istruiscano', per così dire, ogni vivente897.

È proprio quest'aspetto di incompiutezza e di processualità, che è ben presente nel contesto riguardante la storia della civiltà (nella seconda parte del V libro del poema) e in particolare connota, nell'ottica lucrezia­ na, l'evoluzione delle esperienze e la progressiva funzionalizzazione di certe risorse inizialmente fortuite o meccanicamente corrispondenti a neccessità, che impedisce di travisare in senso finalistico il breve reso­ conto sui meccanismi di autodifesa. Trattando infatti della primaria ed istintiva attivazione di tale facoltà, i vv. 1 033- 1 040 del V libro potrebbero essere sottoposti ad un'impropria assimilazione a una diffusa credenza coeva e di matrice stoica, che però connetteva proprio le condizioni di sicurezza degli animali alla natura provvidenziale del mondo: p. es. in Cic.

nat. deor. n 1 20 sg. e 1 27, all'interno di una serie di altri esempi 'terrestri', a riprova del fatto che non ci sia nulla in quo non naturae ratio intellegen­ tis appareat, vengono infatti ricordati membra e altre peculiarità animali in ragione della loro funzione 'salvifica': animantium vero quanta varietas est, quanta ad eam rem vis ut in suo quaeque genere permaneat. Quarum aliae coriis tectae sunt aliae villis vestitae aliae spinis hirsutae; piuma alias alias squama videmus obductas, alias esse cornibus armatas, alias habere effugia pinnarum .[ . . . ] Enumerare possum ad eum pastum capessendum 896 Non è insomma ipotizzabile nell'ottica epicurea, come giustamente rileva Schrijvers 1 974ill , pp. 356 sgg., 36 1 e n. 7 1 , • Un sentiment inné [ . . . ] de l'utilité des facultés naturelles [ . . . ] ce qui est instinctif et inné, c'est la réaction a cette expérience.[ . . . ] Cet apprentissage par l'expérience est commun à tous !es ètres [ . . . ] n est donc nature!. Dans son premier déve­ loppement, l'homme primitif et le jeune enfant sont présentés comme autodidactes» (e a ciò seguono chiarimenti assai utili sul lìt&ammv/docere). 897 Varrà anche per questi casi (sebbene non si possa attribuire agli animali, né nell'ot­ tica lucreziana né in quella epicurea più ampia, come si è visto, una vera e propria rifles­ sione) la legge osservata a proposito del linguaggio umano per cui •nature first showed the way and nature's lessons were then refined and improved upon through experience and retlection» (Dalzell 1 987, p. 26). Cfr. Pizzani 1 997, p. 1 25, cui aggiungerei che a condizio­ nare certe funzioni sia stato non solo il caso ma anche la necessità: •le strutture e le fun­ zioni organiche degli esseri animati si sono inizialmente costituite per puro caso ma una volta costituitesi hanno incominciato a funzionare e a trasmettere questo loro funziona­ mento alle generazioni successive» . ,

,

Approfondimenti

293

confìciendumque quae sit in fìguris animantium et quam sollers subtilisque descriptio partium quamque admirabilis fabrica membrorum. Omnia enim, quae quidem intus inclusa sunt, ita nata atque ila locata sunt, ut nihil eorum supen;acuaneum sit, nihil ad vitam retinendam non necessarium. [ . . . ] Iam il1a cernimus, ut contra vim et metum suis se armis quaeque defen­ dat: cornibus lauri, apri dentibus, cursu leones, aliae fuga se aliae occulta­ tione tutantur, atramenti effusione saepiae torpore torpedines, multae etiam insectantes odoris intolerabili foeditate depellunf898. La testimonianza ciceroniana prosegue con un passaggio in cui all'ar­ gomento dell'autodifesa si connette quello della conservazione delle razze che alimenta ulteriormente le convinzioni prowidenzialistiche: si legge infatti ai parr. 1 27 sg. ut vero perpetuus mundi esset ornatus, magna adhi­ bita cura est a providentia deorum, ut semper essent et bestiarum genera et arborum omniumque rerum quae a terra stirpibus continerentur e ut intel­ legamus nihil horum esse fortuitum et haec omnia esse opera providne sol­ lertisque naturae ecc. n contesto dei versi lucreziani pone invece sicuramente in luce (cfr. soprattutto V 1 028 sg.) come l'attivazione di certe facoltà sia vincolata sì alla natura (su cui senz'altro maggiormente si concentrano gli esempi dei vv. 1 034- 1 040), ma d'altro canto anche all'uso e alla connessa utilitas899, 898 Analogamente connotate in senso finalistico sono le considerazioni che figurano in Cic. fin. m 1 8 iam membrorum, id est partium corporis, alia videntur propter eorum usum a natura esse donata, ut manus, crura, pedes, ut ea, quae sunt intus in corpore, quorum utili­ las quanta sit a medicis etiam disputatur, alia autem nullam ob utilitatem quasi ad quendam ornatum, ut cauda pavoni, plumae versicolores columbis, viris mammae atque barba. Cfr. n. 895 per il diretto 'contraltare' lucreziano a certe opinioni su sensus e membra. 8 99 Cfr. il richiamo etimologico di abuti (al v. 1 03 3 ) e gli 'echi' ancor più evi­ denti nel passo del IV libro ricordato nella n. 8 9 5 : si veda l'impiego dei sostantivi usus (IV 8 3 1 , 8 3 5 e 84 1 ) e u tilitas (IV 8 5 4 e 8 5 7 ) e del verbo uti (IV 8 34, 842 e 8 5 1 ) . Sulla combinazione degli aspetti in questione cfr. l'esegesi di Costa 1 984, p. 1 2 1 , relativamente a V 1 02 8 sg. i n cui i fattori di natura e u tilitas vengono presentati quali responsabili, per l'origine dell h u mana loquella , rispettivamente di sonitus e nomina reru m : « Utilitas is hardly more than an instinctive feeling for the practical need to communicate» . Utilitas , un sostantivo in cui si nota la presenza non tra­ scurabile di un suffisso tipico degli astratti (Cfr. Palmer 1 97 7 , p. 290), significa quasi sempre nel De rerum natura (come si evince da Wacht 1 99 1 , s . v. ) semplice­ mente 'utilità/vantaggio/profitto', ma almeno in IV 8 5 7 sembra che u tilitas valga piuttosto come 'possibilità d'uso' cioè mostra una complessità che, per esempio, ben si può rendere impiegando un'espressione duplice, come il tedesco Nutzbarkeit und Nutzlichkeit (parafrasando Offennann 1 97 2 , p . 1 52 ) , cioè 'utiliz­ zabilità e utilità', o ricorrendo al termine inglese use che è sufficientemente poli­ semico, poiché indica tanto 'uso' quanto 'vantaggio'. Ma è pur vero che «le tenne '

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sottesi alla constatazione sull'uniformità di alcuni comportamenti ordi­ nati per una stessa specie e artefici di un certo perfezionamento. Una qualche vicinanza può essere forse rintracciata fra la realtà rappresentata dai vv. 1 033 sgg. del V libro e il concetto dell'oi.K:Eioxnç900, uno dei capisaldi dell'etica del 'Portico', che però, oltre a distinguersi dalle convinzioni epicuree proprio perché la 'coscienza di sé'901 si combina nell'ottica stoica alla 'lettura' provvidenzialistica dell'istinto di autodifesa902, ha il suo specifico nell'insistenza su una 'compiutez­ za' indipendente dall'usus9o3 . Per un verso, infatti, se gli stoici concepivano che non solo rispet­ to alle parti del corpo e ai mezzi di difesa, ma anche rispetto al loro impiego l'autopercezione si palesasse nel fatto che « dès la naissance, avant d'entrer en contact avec le monde extérieur, l'animai (ainsi que le jeune enfant) s'appréhende luimeme»904, in questa distanza dal mondo esterno, il quale invece è consustanziale alle reazioni descrit­ te da Lucrezio e al loro carattere sperimentale, si rivela una differen­ za a mio avviso non trascurabile. D'altro canto, per quanto poi anche l'oìxeirocrtç stoica non preveda [ . . ] désigne le plus souvent la qualité de ce qui ressortit directement à la nature : une chose foumie à l'homme par la nature est incontestablement utile » (come chiarisce Paluchowski 1 99 8 , p . 2 3 1 ) , e per questa implicazione con prerogative naturali (proprie prevalentemente dell'uomo o, p. e s . , di altri esseri con cui questi tratta usualmente ) , utilizzabili con un certo profitto, la profonda interazione fra utilitas e i concetti di 'possibilità d'uso' e di 'pratica' non avrebbe ragion d'essere prescindendo dalla natura (e neppure confondendosi troppo con la stessa, cui invece succede sul piano cronologico). 900 Testimoniato p. es. in SVF I 1 97 e III 1 78- 1 89. 90 1 I n D . L. VII 85 è infatti attribuita a Crisippo la convinzione che per ogni viven­ te 1tpéiì'tOV oiKEtOV sia Ì1 ClU'tOÙ CJ'UmOÀ.Oyl]'tOOV,

a').),,' ÒJç 'tÒ. cpatvOjlEva ElCICUÀ.Eltat· l ou yèx p illìll aÀOyiaç ICUÌ ICEvf)ç /ì6çl]ç ò�ioç 'Ì]jlé.òv EXEt ):pttUV, W..'A.ò. toU a6op'(Jikoç 'Ì]jlK ÈO"OJlEVOV. Questo passaggio della Lettera a Meneceo (che precede significativamente la distinzione fra i desideri la cui àttÀavi]ç 9Eropia sa ricondurre ogni scelta o fuga alla salute del corpo e all'impertur­ babilità dell'anima) collima cioè in pieno con la conclusione di Lucr. II 289 sgg. : ne mens ipsa necessum l intestinum habeat cunctis in

rebus agendis l et devicta quasi cogatur ferre patique .

930 Occorre cioè tener presente che nel moto il clinamen non rivoluziona tutto; incide sl, ma di certo in maniera ben più incostante rispetto al peso e agli urti. La let­ tura 'metafisica' e 'antiriduzionista' cui accennavo alla n. 803 ha invece insistito sullo spessore 'trascendente' della volontà anche in rapporto al clinamen (considerato in ogni caso condizione necessaria per l'autonomia animale) : quest'esegesi in parte sug­ gestiva, ma non del tutto consentanea ai testi fin qui esaminati compare infatti in Long-Sedley 1 987, vol. I, pp. 1 1 O sg. in cui si dice che «psychological causation actually operates on our component atoms >> e che > 8, 1 979, 237-25 1 . Flores 1 980 - E . Flores, Le scoperte di Poggio e il testo di Lucrezio , Napoli, 1 980. Fowler 1 983 - D. Fowler, Lucretius on the Clinamen and 'Free Will' (II 251 - 93) , in Syzetesis , I, 329-352. Fowler 200011 - D . Fowler, The Didactic Plot, in Depew-Obbink 2000, 205-2 1 9. Fowler 2000111 - D. Fowler, Philosophy and Literature in Lucretian Intertextuality , in Id . , Roman Constructions. Readings in Postmodern Latin , Oxford, 2000, 1 38- 1 55 . Fowler-Hinds 1 997 - Memoria, arte allusiva, intertestualità , a c. d i D. Fowler - S. Hinds, «MD» 39, 1 997. Fraenkel 1 990 - E. Fraenkel, Some Aspects of the Structure of Aeneid 7, ora in Oxford readings in Vergil' Aeneid, ed. by S. J. Harrison, Oxford - New York, 1 990. Franco 200311 - C. Franco, Senza ritegno. Il cane e la donna nell'im­ maginario della Grecia antica, Bologna, 2003. Franco 2003/11 - C. Franco, Animali e analisi culturale, in Gasti Romano 2003, 63-8 1 .

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