Il disegno armato. Cinema di animazione e propaganda bellica in nord America e Gran Bretagna (1914-1945)
 8849116489, 9788849116489

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Ringraziamenti

Questo libro è il frutto di una ricerca condotta in numerosi archivi, in Canada, Stati Uniti, Inghilterra e Italia. Vorrei ringraziare tutti coloro - persone fisiche e istituzioni - che mi hanno aiutato nel corso del lavoro. In primo luogo la mia riconoscenza va all’International Council for Canadian Studies, la cui generosità mi ha permesso di trascorrere il primo anno del Dotto­ rato presso la Cinémathèque québécoise. Il personale della Cinémathèque, a par­ tire dal suo direttore Robert Daudelin, è stato di grande cortesia e disponibilità, assistendomi in ogni modo. In particolare, la compianta Louise Beaudet, respon­ sabile della sezione animazione della Cinémathèque, mi ha seguito e incoraggia­ to durante tutta la mia permanenza a Montréal. Ringrazio la Brown University di Providence (Rhode Island, U.S.A.), la cui borsa di studio mi ha permesso di com­ pletare la ricerca, e in particolare il professor Robert Scholes del Department of Modern Culture and Media. Ringrazio inoltre i seguenti archivi, che mi hanno concesso di esaminare i film da loro conservati: Archivio Nazionale Cinemato­ grafico della Resistenza (Torino), Cineteca Griffith (Genova), Imperial War Museum (Londra), Library of Congress (Washington, D.C.), Museo Nazionale del Cinema (Torino), Museum of Modern Art (New York), National Archives (Washington, D.C.), National Film and Television Archive (Londra), National Film Board of Canada (Montréal). Last but not least, ringrazio Peter Adamakos, il quale ha avuto la gentilezza di organizzare per me proiezioni private delle pel­ licole della sua splendida collezione di cartoons.

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Avvertenza

Nelle note i testi sono indicati nell’edizione che ho materialmente utilizzato (si tratti della prima edizione o di ristampe), mentre nella bibliografia è citata l’edi­ zione originale del libro, più l’eventuale traduzione italiana. Fanno eccezione al­ cuni volumi pubblicati prima della Seconda guerra mondiale, di cui nelle note ho preferito indicare, tra parentesi quadra, anche l’anno dell’edizione originale, per non generare fraintendimenti. Con l’esclusione di alcuni classici del cinema russo, di cui ho utilizzato il ti­ tolo della versione italiana, per tutti gli altri film ho citato i titoli nella loro lin­ gua originale, in quanto la stragrande maggioranza dei film da me esaminati non è mai stata distribuita in Italia. Nel caso di lingue poco frequentate nel nostro paese, come il giapponese o il ceco, ho fornito la traduzione letterale del titolo, cosa che non ho ritenuto necessaria per i film in inglese o francese. Poiché la maggior parte dei film presi in esame in questa sede sono sostan­ zialmente sconosciuti, per rendere più semplice la lettura ho indicato tra paren­ tesi l’anno di edizione a ogni sua prima occorrenza in un capitolo, anche se la pellicola era già stata citata in capitoli precedenti.

Capitolo I

Gran Bretagna 1914-1918

1. La propaganda bellica in Gran Bretagna durante la Grande Guerra

Il primo atto di guerra della Gran Bretagna contro la Germania all’indomani del­ lo scoppio della Grande Guerra fu il taglio dei cavi oceanici.1 Il 5 agosto 1914 la Royal Navy trancia i cavi sottomarini che collegano la Germania al Nord Ame­ rica, senza i quali l’agenzia di informazioni tedesca Wolff - avversaria della bri­ tannica Reuters - non può comunicare oltremare. Questa azione della marina in­ glese limitò in misura considerevole le possibilità degli Imperi Centrali di pre­ sentare il loro punto di vista sulla guerra all’opinione pubblica del più potente tra i paesi neutrali. Le informazioni sulla guerra che arrivavano negli Stati Uniti, dunque, erano in buona parte di fonte inglese, e i propagandisti britannici non si fecero scrupolo di utilizzare storie - molto diffuse, ma sulla cui fondatezza non veniva mai effettuata alcuna verifica - di atrocità commesse dai soldati tedeschi nel Belgio occupato. L’attività della propaganda inglese non fu la ragione princi­ pale dell’ingresso in guerra degli Stati Uniti: da un lato le effettive atrocità, co­ me l’affondamento delle navi passeggeri da parte degli U-Boot tedeschi, ma dal­ l’altra precisi interessi economici e geopolitici spingevano il presidente Wilson a intervenire in Europa. Ma è comunque indubitabile che il loro accorto utilizzo delle informazioni - sia di quelle vere che di quelle false - abbia aiutato gli in­ glesi a vincere la resistenza degli isolazionisti americani. La priorità attribuita dall’Admiralty, il Ministero della marina militare, al ta­ glio dei cavi oceanici è certo segno dell’importanza che la propaganda rivestì nel­ l’ambito della Grande Guerra, la prima “guerra totale”, ma sarebbe fuorviarne credere che il governo e lo stato maggiore inglesi nel 1914 fossero pienamente consapevoli della natura di un conflitto moderno. In realtà, all’inizio delle ostili­ tà tutti si aspettavano una guerra di manovra di breve durata. Scrive lo storico in­ glese A.J.P. Taylor: Even the ministers most responsible assumed that Great Britain would wage the war with the armed forces which she possessed at the outset. The British navy would fight a great engagement with the German high seas fleet in the North Sea, while the armies of the continental Allies defeated Germany on land. All would be over in a few months, if not in a few weeks. The ordinary citizen would! be little affected. [...] No preparations had

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been made for changing civilian life - no register of manpower or survey of industrial re­ sources, no accumulation of raw materials nor even consideration of what raw materials would be needed.2

L’opinione che la guerra non sarebbe durata a lungo era peraltro diffusa pres­ so tutti i belligeranti. Il piano Schlieffen, che costituiva il perno della strategia te­ desca, si basava sul presupposto che fosse possibile battere la Francia in poche settimane, ripetendo la folgorante vittoria del 1870, per poi rivolgere le forze contro la Russia, paese a mobilitazione più lunga della Francia.3 Benché la Pri­ ma guerra mondiale sia poi passata alla storia come una guerra di trincea, nell’a­ gosto del 1914 nessun generale aveva previsto un tale esito. Sul fronte orientale e su scacchieri secondari quali il Medio Oriente e la Me­ sopotamia, le operazioni militari furono fluide; ma sul fronte occidentale, lo sce­ nario principale del conflitto, dopo le prime settimane segnate dall’avanzata te­ desca, lo scontro si trasformò in una sanguinosa battaglia di attrito, combattuta lungo una linea di trincee (più o meno la stessa dall’autunno del 1914 alla pri­ mavera del 1918) che correva senza soluzione di continuità dalla frontiera sviz­ zera sino al canale della Manica.4 Alla fine l’elemento decisivo si rivelò essere la Materialschlacht (letteralmente: “battaglia dei materiali”), ovvero il confronto tra i diversi apparati industriali. La vittoria sarebbe andata alla coalizione in gra­ do di sopportare più a lungo il terribile peso - in termini di costi economici e umani - provocato da un lungo scontro di logoramento. Gli Imperi Centrali non subirono mai una netta sconfitta sul campo di battaglia: essi dovettero arrender­ si perché nell’ottobre del 1918 le truppe e la popolazione civile, ridotta alla fame dal blocco navale inglese, si rifiutarono di continuare la guerra. Con il prolungarsi del conflitto, la natura della guerra totale impose inevita­ bilmente di abbandonare il dogma del laissez faire, per porre le principali attivi­ tà economiche sotto il diretto controllo dello Stato. E piuttosto facile immagina­ re come un cambiamento di tale portata sia stato arduo - sul piano culturale, ol­ tre che pratico - per la Gran Bretagna, patria di Adam Smith e culla del liberi­ smo. Nell’estate del 1914 il primo ministro di Sua Maestà era Herbert Henry Asquith, capo del Partito liberale. Asquith era intenzionato a mantenersi fedele all’ideologia ottocentesca del minor coinvolgimento possibile del governo nella sfera economica. Ma nel corso dei primi due anni di guerra, mentre scema pro­ gressivamente l’illusione di una vittoria rapida, da più parti si inizia a chiedere un’azione più energica del governo e l’instaurazione del così detto war social­ ism: ripudio del laissez faire e gestione statale dell’economia. L’opposizione ad Asquith si raccoglie attorno a David Lloyd George, già ministro delle munizioni e segretario della guerra, uno dei pochi politici inglesi consapevoli della necessi­ tà di una pianificazione governativa delle principali attività economiche del pae­ se. Lloyd George diventa primo ministro nel dicembre del 1916, e sotto la sua guida la Gran Bretagna passa, seppure in maniera caotica, dal liberismo al war socialism. Il gabinetto di Lloyd George introduce misure decisive, come il con­ 30

trollo dei prezzi e la nazionalizzazione delle miniere di carbone per la durata del­ la guerra. Vengono creati nuovi ministeri, come quello del lavoro, per gestire le nuove competenze governative in materia economica. La leva obbligatoria, sco­ nosciuta in Gran Bretagna, era già stata varata nel marzo del 1916 (fino a quel momento il flusso dei volontari era stato sufficiente). In realtà la coscrizione ser­ viva non tanto ad aumentare gli organici delle forze armate, quanto a evitare la partenza per il fronte di minatori e operai delle industrie belliche: sino al marzo 1916, infatti, non poteva essere impedito a questi lavoratori di arruolarsi, mentre con la leva le autorità militari ebbero l’obbligo di respingerli. Quest’ultimo dato è particolarmente illuminante circa l’importanza che il fronte interno e i proble­ mi di ordine economico giocano nell’ambito della guerra totale: è perfettamente inutile costruire un enorme esercito, se poi non si dispone di un’industria in gra­ do di foraggiarlo, vestirlo e armarlo in maniera adeguata.5 Nell’agosto del 1914 la Gran Bretagna - come tutti gli altri paesi belligeran­ ti - fu attraversata da una vera e propria war hysteria. Nei primi mesi, la guerra era così popolare che il governo non aveva alcun bisogno di alimentare lo spiri­ to patriottico. Non solo il conflitto riscuoteva un’adesione spontanea ed entusia­ stica, ma un’efficace (e feroce) attività di propaganda anti-tedesca, basata larga­ mente sulle storie delle atrocità dei soldati del Kaiser in Belgio, era svolta da isti­ tuzioni private, quali giornali e organizzazioni patriottiche (la più nota era il Central Committee for National Patriotic Organisations). Quando, il 6 agosto 1914, il segretario alla guerra lord Kitchener lanciò la prima campagna di ar­ ruolamento volontario, gli uffici leva vennero letteralmente presi d’assalto: alla fine del settembre 1914 si erano presentati 750.000 volontari. Fino al 1916 la propaganda ufficiale era rivolta essenzialmente verso i dominions e i paesi neu­ trali, in primis gli Stati Uniti, dove la propaganda tedesca era iniziata molto pre­ sto. Questa attività non era gestita da una struttura unica, bensì - in maniera po­ co razionale - da diversi dipartimenti di vari ministeri (War Office, Admiralty, Foreign Office), in perenne lotta tra loro. Con il prolungarsi della guerra, però, si impose la necessità dell’intervento del governo anche nel campo della domestic propaganda. Infatti, la mobilitazione della società inglese - leva obbligatoria, lavoro femminile, prestito di guerra, ecc. - e la crescente disaffezione verso una guerra di cui non si intravedeva la fi­ ne, richiedevano un’azione decisa per rafforzare la compattezza del fronte inter­ no. Nel febbraio 1917 viene fondato il Department of Information, con compe­ tenze sia interne che estere, e nel giugno seguente nasce il National War Aims Committee, con il compito specifico di combattere la propaganda pacifista in Gran Bretagna. Il 1917 fu l’anno più difficile per i civili. La nuova gestione eco­ nomica di Lloyd George non dava ancora i suoi frutti, e si verificarono gravi ca­ renze negli approvvigionamenti alimentari e di carburante. Inoltre, nulla faceva sperare che si potesse vincere la guerra: la Russia era uscita dal conflitto (e il mo­ dello della rivoluzione d’Ottobre faceva presa su alcuni settori della classe ope­ raia); le truppe francesi erano in rivolta (in maggio si erano verificati episodi di 31

“indisciplina collettiva” in 54 delle 100 divisioni schierate sul fronte occidenta­ le); l’offensiva inglese a Ypres era fallita; e ancora non si vedevano segni tangi­ bili dell’intervento americano. La risposta del gabinetto di Lloyd George al crollo del morale del fronte in­ terno, nel corso del 1917, fu l’intensificazione della propaganda. Il Department of Information e il National War Aims Committee vennero incorporati nel nuo­ vo Ministry of Information, fondato nel febbraio 1918, l’ultimo dei nuovi mini­ steri di Lloyd George. Il Ministry of Information, che rappresentò il punto di ar­ rivo di un lungo processo di espansione e razionalizzazione della propaganda ufficiale, era guidato da lord Beaverbrook, un potente parlamentare di origine canadese. Il dipartimento che si occupava della propaganda verso gli Stati Uni­ ti e gli altri paesi alleati era diretto da Rudyard Kipling, mentre alla testa della propaganda rivolta al nemico era lord Northcliffe, grande magnate dell’editoria, il quale agiva in sostanziale autonomia rispetto a Beaverbrook. Durante gli ulti­ mi mesi di guerra gli uomini di Northcliffe sommergeranno le trincee tedesche di milioni di volantini con informazioni sulle vittorie alleate e di certificati che promettevano un buon trattamento a coloro che si fossero arresi. Il Ministry of Information sarà sciolto subito dopo la resa della Germania, nonostante le pro­ teste di Beaverbrook, che avrebbe voluto tenerlo in vita almeno per la durata delle trattative di pace, sul cui andamento il ministero avrebbe dovuto tenere in­ formata l’opinione pubblica.6 Dopo il 1918 - vi abbiamo già accennato nell’introduzione - la destra tede­ sca cercherà di dimostrare che il crollo degli Imperi Centrali fosse stato deter­ minato unicamente dal lavoro di Northcliffe.7 L’azione del Ministry of Informa­ tion indubbiamente contribuì alla disgregazione del morale del nemico, in par­ ticolare di quello dell’Austria-Ungheria, dove alimentò le tensioni etniche in­ terne all’impero asburgico. Ma la sconfìtta degli Imperi Centrali si sarebbe ve­ rificata comunque, anche se forse più lentamente. Inoltre, le campagne propa­ gandistiche del periodo 1914-’ 18, benché efficaci nell’immediato, si riveleran­ no poi controproducenti sui tempi lunghi. La propaganda non ufficiale (ma a volte anche quella ufficiale) inventò, o ingigantì, storie di orrori commessi dai tedeschi, presentando il conflitto come una crociata contro la barbarie, incarna­ ta dalla figura dell’Unno stupratore e assetato di sangue. La scoperta, a guerra finita, che la maggior parte di queste notizie erano false, provocò un vasto mo­ to di sdegno nell’opinione pubblica, sia in Gran Bretagna che all’estero, e la ri­ costituzione del Ministry of Information nel 1939 fu accolta da una notevole dif­ fidenza. Un altro effetto di lungo termine della hate propaganda della Grande Guerra fu che durante la Seconda guerra mondiale le notizie sullo sterminio ebraico, benché autentiche, non vennero diffuse, anche perché sarebbero appar­ se come una riproposizione delle - fìnte - atrocità degli Unni ai danni di suore e neonati belgi. Bisogna comunque notare che, se il comportamento dei soldati tedeschi in Belgio non fu inumano come lo dipinse la propaganda alleata, esso fu certo mol32

to duro: i tedeschi non si peritarono di fucilare ostaggi civili e di distruggere la città di Lovanio, compresa la sua preziosa biblioteca, fondata nel 1426. Nella na­ scita della guerra totale - un tipo di guerra in cui cade la distinzione tra combat­ tenti e non-combattenti, e in cui anche le azioni più efferate sono legittime, se funzionali alla vittoria - la Germania svolse effettivamente un ruolo di avan­ guardia, facendo ricorso per prima a nuove tecniche (il gas, i bombardamenti de­ gli Zeppelin sulle città, il lanciafiamme, la guerra sottomarina), che contravveni­ vano alle norme di civiltà del XIX secolo. Per i tedeschi la Grande Guerra fu un’esplosione vitalistica per liberare il mondo dal conservatorismo e dalla sta­ gnazione della civiltà franco-britannica, un’affermazione del desiderio dell’io di espandersi al di là dei confini della morale borghese dell’ottocento. Sulla scorta di questa visione schiettamente nietzscheana della guerra, i tedeschi bollarono come ipocrite le regole umanitarie teorizzate dai loro avversari; d’altra parte, gli inglesi non avevano forse rinchiuso donne e bambini nei campi di concentra­ mento, durante la guerra dei Boeri? In nome dell’onestà intellettuale propria del­ la volontà di potenza, i tedeschi furono i primi a rifiutare ogni vincolo etico nel­ la condotta del conflitto: se i civili si oppongono alle forze di occupazione, è giu­ sto fucilarli; se il nemico usa il campanile della cattedrale di Reims come osser­ vatorio, è giusto distruggere la cattedrale. E se per i tedeschi la Grande Guerra fu una guerra per il futuro, per costruire un nuovo ordine, culturale prima ancora che geopolitico, per gli inglesi, invece, essa fu una guerra in difesa del passato, del mito dell’Inghilterra bucolica, un rifiuto del vitalismo irrazionalistico della Kultur, in nome dell’equilibrio - diplomatico e psicologico a un tempo - della pax britannica e del razionalismo liberal-borghese.8 La propaganda ufficiale tendenzialmente non usò le menzogne e i toni fero­ cemente anti-tedeschi dei giornali e dei demagoghi che parlavano ai recruiting meetings, anche se a volte - soprattutto quella del Ministry of Information - vi si avvicinò molto. Il limite della propaganda governativa fu piuttosto il fatto di aver creato aspettative eccessive circa il mondo post-bellico. In base agli obiettivi enunciati da Lloyd George - i cosiddetti “war aims”, ripetuti in maniera martel­ lante dai propagandisti - la Grande Guerra doveva essere, secondo la formula co­ niata da H.G. Wells, «the war that will end war». Quando, negli anni immediata­ mente successivi alla fine del conflitto, apparve chiaro che l’assetto politico in­ ternazionale era ben lungi dall’essere stabile e che la società post-bellica non era affatto il paradiso di felicità e abbondami che era stato promesso, l’enorme prez­ zo di sangue pagato parve assurdo. Secondo la suggestiva interpretazione di Eric Hobsbawm, il Novecento - il “se­ colo breve” - inizia nel 1914.9 La Grande Guerra si configura (anche) come lo spartiacque tra la società oligarchico-borghese del XIX secolo e la società di massa del XX. All’inizio della Grande Guerra il principale strumento di propa­ ganda era la parola, scritta o orale; e questo predominio rimarrà incontrastato per tutta la durata del conflitto. Non è certo un caso che, al momento della forma33

zione del Ministry of Information, Beaverbrook, padrone di giornali egli stesso, vi abbia cooptato tanti uomini della stampa, Northcliffe in testa.10 Ciò nonostan­ te, tra il 1914 e il 1918 prese il via un profondo rivolgimento nel campo dei mez­ zi di comunicazione, un rivolgimento che avrebbe portato al declino del potere delle parola scritta nei decenni successivi. Charles Masterman, capo del Secret War Propaganda Bureau di Wellington House, era sostenitore di una strategia marcatamente elitaria. Secondo Masterman, il compito dei propagandisti non era quello di rivolgersi all’opinione pub­ blica nel suo complesso, bensì agli opinion leaders, i quali avrebbero poi in­ fluenzato le loro comunità. A partire dalla metà del 1915 13.000 key individuals negli Stati Uniti ricevevano pubblicazioni di propaganda inglese. Lo stesso sche­ ma veniva applicato per il fronte interno: si stampavano opuscoli per i membri più istruiti della classe operaia. E chiaro^ che questo tipo di approccio è ancorato alla cultura ottocentesca: il pubblico cui si deve fare riferimento è rappresentato esclusivamente da piccoli gruppi, colti e influenti, mentre la maggioranza dei cit­ tadini viene del tutto ignorata.11 Ma nel momento in cui la guerra coinvolge la totalità della popolazione, cam­ bia anche la natura della propaganda. A partire dal 1916 il governo britannico av­ via la propaganda visiva: fotografie, giornali illustrati e, naturalmente, film. La creazione del Ministry of Information segnò il definitivo abbandono dell’idea dei key individuals, a favore della propaganda di massa: meno pamphlets indirizzati ai notabili, più poster e film per spingere gli operai delle industrie belliche ad au­ mentare la produttività. Durante la Grande Guerra la stampa raggiunse un’enor­ me influenza,12 ma è proprio in questi anni che trova impulso lo sviluppo di quei mezzi di comunicazione visiva, che, insieme alla radio, ne abbatteranno il pri­ mato nel periodo tra le due guerre mondiali. Scrive Modris Eksteins: The Great War accelerated strikingly the actual trend to visual culture. That war under­ mined conceptualization and encouraged dramatization; it emphasized acts, not words. Language was in fact devalued. Both the politics and the art of the interwar era followed this lead. [...] Film had an impact similar to that of the Great War. Both wreaked havoc on a world of tradition.13

Nel 1914 lo Stato Maggiore britannico non disponeva di un servizio cinema­ tografico, né pensò di crearne uno per documentare le azioni del British Expedi­ tionary Force in Francia. Inoltre, inizialmente venne vietato l’accesso al fronte agli operatori dei cinegiornali, per paura che i newsreels potessero fornire infor­ mazioni al nemico. Il risultato delle cautele dei generali inglesi è che praticamente non esistono testimonianze cinematografiche dell’esercito britannico in Francia nei primi diciotto mesi di guerra. I successi riscossi dai film di propa­ ganda dei tedeschi, i quali per primi permisero ai corrispondenti di guerra (anche neutrali) di recarsi al fronte, e le pressioni dell’industria, che voleva sfruttare la grande popolarità della guerra, costrinsero le autorità inglesi a rivedere la loro politica di stretta censura. 34

Nell’agosto del 1915 il Foreign Office dà vita al Wellington House Cinema Committee, che sarà responsabile della realizzazione del primo importante film di propaganda inglese, Britain Prepared, uscito nel dicembre del 1915 e distri­ buito negli Stati Uniti, dove ebbe ampia circolazione, con il titolo How England Prepared. Nell’ottobre del 1915 il War Office crea il British Topical Committee for War Films (War Office Cinema Committee a partire dal dicembre 1916), in associazione con le più importanti società di produzione inglesi. La struttura del War Office fu autorizzata a inviare alcuni operatori al fronte. La produzione ci­ nematografica governativa aumentò in maniera costante nel corso di tutta la guerra (sino a preoccupare seriamente l’industria privata), così come la capaci­ tà di far circolare le pellicole: il Department of Information istituì delle mobile film projection units, per proiettare i film nelle zone del paese sprovviste di sa­ le. Ma l’espansione dell’attività cinematografica avvenne in maniera piuttosto caotica, a causa del moltiplicarsi degli enti preposti alla sua gestione. Nel 1918 si cercò di razionalizzare il quadro complessivo, conferendo al Ministry of In­ formation Cinematographic Department tutte le competenze prima divise tra le varie agenzie.14 Le strutture pubbliche agirono per lo più in stretto contatto con l’industria pri­ vata, che diede spesso prova di spirito patriottico, lavorando senza richiedere al­ cun compenso. La sezione cinematografica del Department of Information e, in misura maggiore, quella del Ministry of Information, erano in grado di realizza­ re parte dei film con mezzi propri, ma molte pellicole venivano commissionate all’esterno. Altri ministeri e agenzie - Admiralty, Parliamentary Recruiting Com­ mittee, National War Savings Committee - dovevano invece affidarsi compietamente ai privati. Ovviamente, oltre a collaborare con il governo, l’industria pri­ vata si mosse anche in maniera autonoma, per sfruttare la popolarità della guer­ ra (almeno nei primi due anni). Durante il conflitto riscossero grande successo film di spionaggio, in cui il servizio segreto di Sua Maestà sventa i piani dei dia­ bolici agenti tedeschi, e drammi storico-militari, come Nelson (1918). Oltre a crescere in termini quantitativi, nel corso della guerra la produzione cinematografica del governo inglese subì anche una notevole diversificazione. Dalla metà del 1916 il War Office realizzò una serie di ampi documentari sulle offensive inglesi: The Battle of the Somme (1916), The Battle of the Ancre and the Advance of the Tanks (1917), The German Retreat and the Battle of Arras (1917). Nella primavera del 1917 ci si rese conto che il genere del documentario sulla grande battaglia aveva ormai stancato il pubblico, anche perché questi mas­ sicci attacchi contro le linee tedesche si rivelavano puntualmente fallimentari. La risposta al calo di interesse verso i docu mentari fu la creazione di un cinegiorna­ le di guerra: nel maggio del 1917 il War Office Cinema Committee si accordò con la Topical Film Company (di cui acquisirà il pacchetto di maggioranza nel settembre dello stesso anno) per realizzare il “War Office Official Topical Bud­ get”, con scadenza bi-settimanale. Il cinegiornale verrà ribattezzato “Pictorial News (Officiai)” nel febbraio 1918, quando il Ministry of Information assunse il 35

controllo di tutte le attività cinematografiche. Il governo britannico stipulò anche un’intesa con quello di Parigi per scambiare i numeri del proprio newsreel con il suo corrispettivo francese, gli “Annales de la guerre”. Benché la maggior parte della produzione ufficiale sia rappresentata da factual films (documentari e cinegiornali), negli ultimi due anni del conflitto è reperibi­ le anche una presenza non irrilevante di film di finzione. David Wark Griffith - è cosa ben nota - venne ingaggiato dagli inglesi, per girare un lungometraggio di propaganda: Hearts of the World (1918). Un altro lungometraggio, The National Film, venne messo in cantiere nell’ottobre del 1917. Il film, che raccontava di un’invasione tedesca dell’Inghilterra, ebbe una lavorazione lunga e difficile e fu completato solo a guerra finita. Inoltre, a partire dal 1916, ma soprattutto nel biennio 1917-’ 18, vennero realizzati anche dei cortometraggi, che - contraria­ mente al film di Griffith e ai documentari - non presentavano un generico conte­ nuto patriottico, bensì un messaggio preciso. Attraverso una storia paradigmati­ ca, il pubblico veniva invitato ad acquistare buoni di guerra, a coltivare patate nel proprio giardino o a risparmiare il carbone. Alcuni - ifilm tags del Ministry of Information, spot di un paio di minuti - erano molto brevi, altri erano invece più lunghi e raggiungevano la durata di mezz’ora. Il più famoso dei film tags è The Leopard’s Spots (1918), caratterizzato da un odio feroce nei confronti dei tedeschi. Come si è già accennato, la propaganda unofficial aveva la tendenza a dipingere il nemico come una belva assetata di sangue, mentre i propagandisti governativi - fino al 1917 - per lo più evitavano di usare toni così virulenti. Ma nel 1918, quando la vittoria dell’Intesa sembrava sempre più difficile (in giugno i tedeschi erano a 40 chilometri da Parigi), anche il Ministry of Information iniziò a fare ricorso alla hate propaganda. The Leop­ ard’s Spots, della durata di due minuti e mezzo, si apre su due soldati tedeschi, i quali, in un villaggio occupato, strappano un bambino dal seno della madre e lo scagliano a terra. Subito dopo vediamo gli stessi uomini in abiti civili, che, a guerra finita, si aggirano per un paesino inglese cercando di vendere pentole fab­ bricate in Germania; entrano in un negozio e il proprietario inizialmente è inte­ ressato alla merce, ma quando la moglie vede la scritta “Made in Germany” i commercianti sdegnati cacciano i due commessi viaggiatori dal loro negozio. La didascalia recita: «They will be the same beasts then as they are now. A leopard cannot change his spots».15 The Leopard’s Spots non invita a odiare il nemico soltanto per la durata delle ostilità, ma spiega che, una volta terminato il conflitto, bisognerà boicottare l’e­ conomia tedesca. Sotto questo punto di vista il film è doppiamente anomalo. Non solo si tratta di un caso di officiai propaganda che ricorre allo stereotipo dell’Unno massacratore di bambini, ma l’atteggiamento di estrema durezza nei con­ fronti della Germania post-bellica era in contrasto con la posizione dello stesso Primo Ministro britannico, che pensava a un trattamento generoso del nemico vinto. In effetti, in alcune occasioni il Mfinistry of Information dimostrò spiccate tendenze ad agire in maniera autonoma rispetto alla linea ufficiale del governo. 36

In ogni caso, alla fine del 1918, sui miti consigli di Lloyd George prevarrà l’ol­ tranzismo dei conservatori e dei giornali di Northcliffe («La Germania deve pa­ gare!»), che incontravano il sostegno entusiastico di un’opinione pubblica edu­ cata all’odio verso i tedeschi da quattro anni di martellante propaganda. Com’è noto, questa politica punitiva verso la Germania pregiudicò gravemente la ripre­ sa dell’economia europea, che dipendeva in buona misura dalla rinascita dell’in­ dustria tedesca.

2. Dai lightning sketches agli animated cartoons'. la costruzione di un nuovo linguaggio Se ci siamo soffermati sui cortometraggi governativi è perché molti di essi erano film di animazione. Fu soprattutto il National War Savings Committee a utiliz­ zare i cartoons per chiedere al pubblico di finanziare lo sforzo bellico. Ma in Gran Bretagna l’uso del disegno animato come strumento di propaganda risale ai primi mesi del conflitto, cioè ben prima che le strutture pubbliche si interessas­ sero al cinema. Come abbiamo visto, al momento del suo scoppio la guerra era estremamente popolare, e le case di produzione - presumibilmente unendo pa­ triottismo e calcolo economico - si adattarono prontamente alla war hysteria che pervadeva l’opinione pubblica. Denis Gifford, nella sua filmografia dell’animazione britannica, cita 124 car­ toons (più 15 numeri della serie “Kineto War Maps”, che però prenderemo in considerazione più avanti, in quanto si tratta di film di natura molto diversa dai disegni animati) realizzati tra l’agosto 1914 e il novembre 1918.16 La maggior parte di questi film - un centinaio circa - presenta legami più o meno diretti con la guerra. Ovviamente risulta estremamente arduo fornire dati precisi su un cor­ pus di opere che in buona parte sono perdute. Di alcune pellicole Gifford riporta soltanto il titolo e i credits, per cui è difficile stabilire con certezza se si trattasse di film a contenuto patriottico o meno. Inoltre, il catalogo compilato da Gifford è sicuramente incompleto, in quanto non vi compaiono alcuni film in possesso dell’archivio cinematografico dell’Imperial War Museum di Londra. In base agli elementi di cui disponiamo, si può avanzare l’ipotesi di 125-130 cortometraggi di animazione realizzati in Gran Bretagna durante la Grande Guerra, di cui un centinaio legati alle vicende politico-militari.17 Il British Film Institute e l’Imperial War Museum conservano 28 di questi film (cui bisogna aggiungere 6 mappe animate, delle quali - come già detto tratteremo più avanti). Per la precisione, 16 sono conservati al British Film In­ stitute e 12 aU’Imperial War Museum. Ovviamente, può darsi che qualche cine­ teca non inglese oppure un collezionista privato abbiano delle pellicole che gli archivi londinesi non posseggono, ma si tratta di un’ipotesi tutta da verificare. I film ancora esistenti si distribuiscono lungo l’arco di tempo che va dal 1914 al 1918 come mostrato dalla tabella alla pagina seguente.18 37

Film prodotti da privati

1914 1915 1916 1917-’18

Film prodotti dal governo

6 7 1

Totale

06 0 7 0 1 10 14

4

Questi dati rispecchiano abbastanza fedelmente l’andamento della produzio­ ne che si può ricavare dalla filmografia di Gifford - che comunque, lo ripetiamo, va presa con beneficio d’inventario -, nella quale si nota una forte produzione nel primo biennio (23 film nel 1914 e 28 nel 1915), un calo ( 18 titoli) nel 1916, e una ripresa, sostenuta dall’intervento delle agenzie pubbliche, negli ultimi due anni (19 film nel 1917 e 15 nel 1918).19 Bisogna notare che il dato del 1914 si riferi­ sce esclusivamente ai cinque mesi successivi all’ingresso in guerra della Gran Bretagna, avvenuto il 4 agosto. Dunque, in proporzione, nel 1914 venne girato circa il doppio dei film realizzati in ciascuno degli anni successivi. Analizzando il corpus dei film superstiti emergono con chiarezza due ele­ menti di fondo. Da un lato si osserva un netto sviluppo tecnico-espressivo nel corso dei quattro anni di guerra. I film del 1914 sono estremamente primitivi, po­ co più di una versione cinematografica delle vignette giornalistiche, mentre quel­ li del periodo 1917-’ 18 risultano molto più complessi e articolati. In secondo luo­ go, il biennio 1917-’ 18 vede la presenza dei cartoons del Ministry of Informa­ tion e del National War Savings Committee, piuttosto diversi da quelli prodotti dalle compagnie private. Alle soglie della Grande Guerra, l’animazione britannica era caratterizzata da una tecnica notevolmente arretrata rispetto alla Francia e agli Stati Uniti, dove si realizzavano disegni animati già dagli anni 1908-’10.20 Buona parte dell’anima­ zione inglese tra l’inizio del secolo e il 1914 è costituita dalla tabletop animation (l’animazione di oggetti), la forma più primitiva di animazione, mentre il disegno animato denuncia ancora una pesante influenza della tradizione dei lightning sketches. Il lightning sketch era una forma di spettacolo tardo-ottocentesca, svi­ luppatasi, in Gran Bretagna e in America, all’interno del teatro di varietà, in cui un disegnatore schizzava una vignetta con grande rapidità. In base agli studi di Crafton, il passaggio del lightning sketch dal teatro al cinema si verificò ad ope­ ra di Tom Merry, un caricaturista inglese.21 Il British Film Institute conserva un frammento (di appena quattro metri) del suo primo film: Tom Merry, Lightning Cartoonist: Kaiser Wilhelm (1895). Nel brevissimo filmato si vede un grande fo­ glio di carta, poggiato su un cavalletto, sul quale è tracciato un ritratto del Kaiser. Accanto al cavalletto si trova Merry in frac, insieme a quello che presumibil­ mente è il suo assistente. Merry, che ha appena terminato il disegno, si inchina verso il pubblico ed esce di campo. Il film di Merry è una semplice registrazione su pellicola di un’esibizione da vaudeville. Ben presto il lightning sketch cinematografico iniziò a utilizzare le risorse proprie del film: diminuendo la velocità di ripresa era possibile far sem­ 38

brare che il disegnatore lavorasse a rapidità prodigiosa. Questa trucco veniva uti­ lizzata da Méliès già nel 1896. Il passaggio al disegno animato vero e proprio si verificò con l’adozione della tecnica del “passo uno”, per mezzo della quale si può simulare che il disegno si formi da solo: il lightning sketcher traccia la fi­ gura nelle pause tra uno scatto e l’altro, in modo tale che egli non compaia sul­ lo schermo e la sua creatura sembri comporsi da sé. In questi film - ad esempio The Magic Fountain Pen (1909) di Blackton - la parte animata è preceduta da un prologo dal vero: vediamo il disegnatore al suo tavolo da lavoro, o anche soltan­ to la sua mano che regge la penna e abbozza il disegno; dopo di che, l’uomo scompare dal campo e rimane esclusivamente la superficie bianca del foglio, su cui si muovono le figurine che l’autore aveva iniziato a disegnare nella sequen­ za di apertura. Uno dei soggetti più di moda tra i lightning sketchers era la cari­ catura politica. Tom Merry inizia la sua carriera cinematografica proprio con un ritratto del Kaiser, il quale compare anche in The Magic Fountain Pen. I quattro lightning sketches realizzati da Méliès nel 1896 sono tutti dedicati a personali­ tà storico-politiche: rispettivamente Thiers, Chamberlain, la regina Vittoria e Bismarck.22 E la “caricatura cinematografica”, inevitabilmente, sarà una formu­ la molto popolare durante la guerra. Il passaggio dal lightning sketch al disegno animato vero e proprio segna lo spostamento del centro focale dello spettacolo dal disegnatore al disegno. Per dirla con Crafton, la magia della macchina da presa prende il posto della magia del palcoscenico.23 Nei film di Merry e di Méliès il protagonista incontrastato è il cartoonist, il quale rimane in campo per tutta la durata della proiezione. Il lightning sketcher si presenta come un illusionista, che stupisce il pubblico con un gioco di prestigio. In Tom Merry, Lightning Cartoonist: Kaiser Wilhelm, Merry, come ogni mago che si rispetti, indossa un frac, ha accanto un compito assistente e, alla fine della performance, si inchina per ringraziare gli spettatori. Un caso estremo di “protagonismo del disegnatore” è Cartoons by Hy-Mayer (1913). dove il cartoonist, che sta disegnando una caricatura della regina Vitto­ ria, fa egli stesso un’imitazione della sovrana inglese. La nascita del disegno ani­ mato provoca la scomparsa della figura del disegnatore-entertainer. Quello che Crafton ha battezzato il motivo della “mano dell’artista” è fortemente radicato nella storia del cinema di animazione: ancora nella metà degli anni Venti, nella serie “Out of the Inkwell” dei Fleischer, vediamo il personaggio di KoKo the Clown saltar fuori dalla penna del suo creatore. Ma nel momento in cui Vani­ mated cartoon prende il sopravvento sul lightning sketch questa iconografia so­ pravvive come un semplice elemento di supporto. I primi film d’animazione anti-tedeschi realizzati in Inghilterra hanno una tecnica ancora fortemente legata al lightning sketch. Peace and War Pencillings by Harry Furniss (1914), uscito qualche settimana dopo lo scoppio della guerra, consta appunto di tre sketches, disegnati da Furniss, uno dei più noti caricaturi­ sti dell’epoca, appena tornato dagli Stati Uniti, dove aveva lavorato per Edison. Furniss, inquadrato in piano americano, schizza rapidamente un disegno e scrive 39

una battuta: la vignetta inizialmente sembra prendere di mira la Gran Bretagna, ma poi l’autore la corregge e l’ironia ricade sui tedeschi. Nel primo sketch ve­ diamo il Kaiser di fronte a un canguro. «Ha, ha! Dat is a vunny ting to vight me!», dice Guglielmo II, il quale parla un inglese maccheronico, che anticipa quello dei nazisti dei film hollywoodiani.24 Furniss interviene: il Kaiser sparisce e ricompare, con il volto terrorizzato, nel marsupio dell’animale, sulla cui coda ritta sventola una bandiera su cui è scritto: «Advance Australia!». Dopo aver ter­ minato il lavoro, Furniss firma il disegno. Il canguro - simbolo dell’Australia, uno dei dominions dell’impero britannico - è presente anche nel terzo quadro, in­ titolato The Boxing Kangaroo. Il canguro, che indossa il cappello a larghe falde della fanteria australiana, prende a pugni dei soldati tedeschi. I riferimenti alle truppe delle varie regioni dell’impero, che combattono accanto agli inglesi, sono numerosi nel cinema di propaganda britannica - di animazione e non - della Grande Guerra. Da un alto si vuole dare un riconoscimento ai fedeli sudditi d’oltre mare, dall’altro si cerca di rassicurare il pubblico della madre patria sul fatto che la Gran Bretagna, nonostante la sua netta inferiorità demografica rispetto al­ la Germania, può contare sui popoli del suo enorme impero. Il secondo sketch si apre sulla scritta: «The English as seen by German Artists». Vediamo un soldato scozzese in kilt, apertamente inoffensivo; ma Fumiss modifica il disegno: ora il fante ha la testa del Kaiser infilzata nella baionetta. La truculenza del cartoon non è affatto un’ eccezione: per tutta la durata della guer­ ra, nei film e nei poster inglesi e americani, si farà spesso ricorso a immagini di una violenza cruda. Tra i film d’animazione abbiamo, ad esempio, John Bull’s Animated Sketch Book No. 4 (1915), in cui si vede il Kaiser impiccato a una cor­ da, che strabuzza gli occhi. Lo schema di Furniss - partire dalle insinuazioni dei tedeschi sulla debolezza dell’esercito inglese, per poi ribaltarle - sarà utilizzato anche da altri cartoonists. In termini di strategia retorica, si tratta di una tecnica di scarsa efficacia: è ben noto che la propaganda deve sempre essere in positivo, affermare un concetto, anziché cercare di negarne uno espresso dell’avversario. Infatti, il tentativo di confutare le affermazioni del nemico potrebbe suscitare l’impressione che queste siano fondate, altrimenti non ci sarebbe bisogno di con­ trobatterle. D’altra parte, il film di Furniss è del 1914: l’organizzazione scientifi­ ca della propaganda di Beaverbrook e Northcliffe è di là da venire. Peace and War Pencillings by Harry Furniss è un lightning sketch: i disegni non sono animati, ma semplicemente schizzati a gran velocità dall’autore, che. una volta terminata l’opera, la firma. Tra il 1914 e il 1915 troviamo altri lightning sketches. La serie “Wireless from the War”, di cui uscirono cinque numeri tra l’ottobre e il novembre del 1914, era costituita da film di un paio di minuti con alcune vignette umoristiche. Il British Film Institute conserva il quinto episodio, composto da tre lightning sketches. Primo sketch: lo Zio Sam rifiuta le avances di una grassa massaia tedesca con l’elmo chiodato (il riferimento è ai sentimenti filo-britannici degli Stati Uniti che, benché neutrali, condannavano l’aggressione tedesca del Belgio). Secondo sketch: un soldato russo, a uno sportello ferrovia­ 40

rio, chiede otto milioni di biglietti di sola andata per Berlino (in Gran Bretagna c’era una grande fiducia - mal riposta - nella forza dell’esercito russo). Terzo sketch: alcuni soldati tedeschi sono seduti in cima a un albero e sul tetto di una casa, per sfuggire alle inondazioni provocate dall’esercito belga per rallentare gli invasori. La donna tedesca del primo episodio è lo stereotipo della birraia bava­ rese: fianchi enormi, ampio vestito con grembiule che lascia scoperte le braccia corpulente, calzettoni a righe orizzontali. La figura della “valchiria obesa” avrà grande successo nella propaganda anti-tedesca in entrambe le guerre mondiali, tanto che la ritroviamo trent’anni dopo in Education for Death (1943) della Dis­ ney, in cui Hitler, nelle vesti di un cavaliere medievale, va a svegliare la bella ad­ dormentata nel bosco, la principessa Germany, la quale è appunto una fanciulla enorme, che il Fiihrer fatica notevolmente a issare sul suo cavallo. Wireless from the War n. 5 (1914) è un film assolutamente elementare, anco­ ra più semplice di Peace and War Pencillings by Harry Furniss, in cui quanto me­ no c’è il gioco di Furniss che corregge il cartoon e ne capovolge il significato di partenza. Qui invece abbiamo semplicemente la mano dell’artista che schizza il disegno e scrive la battuta, realizzando così nulla di più di una versione cinema­ tografica di una vignetta giornalistica. Nel 1914-’ 15 troviamo molti film di que­ sto tipo. E il caso della serie “Studdy’s War Studies”, del popolare disegnatore George E. Studdy (che dopo la guerra darà vita al personaggio del cane Bonzo, protagonista della prima serie inglese di disegni animati), che compariva nel “Gaumont Graphic”. Si noti che nella produzione britannica degli anni Dieci la nozione di serie ha un’accezione diversa rispetto agli Stati Uniti. In Inghilterra, sia nei lightning sketches sia nei cartoons veri e propri, la parola “series" non implica affatto una continuità di personaggi o di temi (se non quello generale del­ la guerra): l’unico elemento che collega un episodio all’altro è costituito dal no­ me dell’autore, oppure da una figura - come il John Bull della serie “John Bull’s Animated Sketch Book” - che compare (e neppure in tutti gli episodi) nella cor­ nice che introduce i diversi sketches. Ma se troviamo dei lightning sketches ancora nel 1915, bisogna osservare che già nei primi mesi di guerra vennero fatti dei tentativi per superare quella tradi­ zione. II primo disegnatore britannico a muoversi in questa direzione fu Lancelot Speed, considerato il padre del cinema di animazione inglese. Speed, nella serie “Bully Boy”, prodotta dalla Neptune Films e composta da otto episodi, usciti tra l’ottobre del 1914 e il giugno del 1915 (di cui ci sono pervenuti solo i primi quat­ tro), iniziò a combinare il lightning sketch con la tecnica dei cut-outs. I cut-outs sono figurine bidimensionali, che hanno parti del corpo (testa, braccia, gambe) articolabili. I cut-outs vengono mossi tra uno scatto e l’altro, in modo da dare l’il­ lusione del movimento. La tecnica del disegno animato americano, basata su fo­ gli di celluloide trasparenti, chiamati in inglese “cels”, era estremamente rara in Europa prima degli anni Trenta.25 Il primo episodio della serie “Bully Boy” uscì nell’ottobre del 1914. Il film, della durata di quattro minuti, inizia con Speed che disegna il Kaiser; terminato 41

il disegno, si passa a un secondo quadro: vediamo una cattedrale gotica, sor­ montata dalla scritta: «The world’s greatest gothic work»; poi torniamo a Speed, che inizia un terzo disegno: un cannone, con sopra scritto: «The work of the world’s greatest Goth». A questo punto inizia l’animazione, realizzata con i cut­ outs: vediamo la cattedrale sotto un intenso bombardamento di artiglieria, parti dell’edificio crollano a terra, nuvole di fumo circondano la chiesa. La cattedrale in questione è quella di Reims, il cui bombardamento da parte dei tedeschi ven­ ne additato dalla propaganda anglo-francese come esempio della barbarie dei “nuovi Unni”. Nella parte finale del film assistiamo a una serie di trasformazio­ ni del volto del Kaiser, il quale alla fine diventa una salsiccia fumante, dietro la quale compare il generale Kitchener, Ministro della difesa inglese, che si tra­ sforma in un bulldog, simbolo della Gran Bretagna, e divora la salsiccia. Al ter­ mine Speed appone la sua firma su una lavagna. Se da un lato il film risente ancora molto dell’influenza del lightning sketch (l’animazione vera e propria è abbastanza limitata; l’autore è molto spesso in cam­ po), dall’altra si nota l’emergere di una struttura narrativa, benché ancora minima. Quella del lightning sketch è una forma non-narrativa: ci vengono mostrati una se­ rie di sketches, del tutto slegati tra loro. Qui invece, i primi tre quadri rappresen­ tano tre elementi - il Kaiser, la cattedral e, il cannone - che vengono fatti intera­ gire nel quarto: l’artiglieria tedesca bombarda la cattedrale per ordine del Kaiser. In Bully Boy No. 1 (1914) si nota il gusto per il calembour (il gioco su «The world’s greatest gothic work» / «The work of the world’s greatest Goth»), che ri­ troviamo in molti cartoons inglesi della Grande Guerra. Nella seconda parte, inoltre, compaiono il British Bulldog e il volto del generale Kitchener. I simboli nazionali - il Bulldog, Britannia, John Bull - e i generali e gli ammiragli inglesi (molto meno i leader politici) ricorrono spesso nei film di animazione della Gran­ de Guerra. I condottieri britannici per lo più sono presentati all’interno di un ova­ le, come in un ritratto, e hanno un’aria ieratica, che si contrappone diametral­ mente al viso sconvolto del Kaiser, in assoluto il personaggio politico più dise­ gnato del nostro corpus di testi, oggetto continuo di lazzi e accuse di ogni tipo. Una delle metafore più diffuse è quella di Guglielmo II come essere infernale: in Bully Boy No. 1 l’aquila sull’elmo del Kaiser diventa un diavolo. In His Birthday Present (1915), un disegno animato della “Pathé Gazette” dalla grafica piuttosto raffinata, il volto del Kaiser si trasforma in un teschio. Si ritrovano immagini ana­ loghe anche nel cinema dal vero: in To Hell with the Kaiser, un lungometraggio americano del 1918, l’imperatore tedesco stringe un patto con il Diavolo in per­ sona. In Bully Boy No. 1, all’opposizione tra Kitchener e il Kaiser si accompagna quella tra il simbolo nazionale inglese - il forte bulldog - e quello del nemico: la salsiccia, specialità gastronomica tedesca. Peraltro, la metafora culinaria come strumento per dileggiare l’avversano viene utilizza anche in altri film, soprattut­ to in relazione alla Turchia. Sfruttando ili doppio significato della parola “turkey” - “Turchia” e “tacchino” - la Turchia, alleata della Germania, viene cucinata dai soldati inglesi. 42

In un numero dell’ottobre 1914 della rivista “The Bioscope”, in cui com­ paiono sia una recensione sia un annuncio pubblicitario di Bully Boy No. /, per definire il film vengono utilizzate indifferentemente le espressioni ‘'‘'lightning sketch” e "'animated cartoon”.26 Bully Boy No. 1 è un ibrido tra queste due for­ me, e la dimensione del lightning sketch risulta ancora molto forte: il movimen­ to delle figure è piuttosto limitato, il legame narrativo tra i diversi quadri è mini­ mo. Negli episodi successivi della serie si nota un certo ampliamento delle pos­ sibilità espressive del cinema di animazione. La tecnica è sempre quella mista di lightning sketch e cut-out: vediamo Speed disegnare una figura, che poi si anima (è un cut-out, che è stato sovrapposto al disegno composto da Speed). Ma la struttura narrativa dei film (tutti comunque molto brevi: intorno ai quattro minu­ ti) è più elaborata, così come l’animazione. In Sleepless (1914) e Sea Dreams (1914) - rispettivamente il terzo e il quarto episodio - tutti gli sketches sono incentrati su uno stesso tema. Non si può anco­ ra parlare di racconto in senso pieno, ma c’è comunque un tentativo di superare la frammentarietà propria del lightning sketch. In Sleepless il Kaiser non riesce a dormire, perché è tormentato dalle anime di coloro che ha fatto massacrare. Il film si apre e si chiude sulla medesima battuta del Kaiser: «Stili not a wink!» (una frase difficile da tradurre letteralmente, ma il cui senso è: “Non ho dormito neppure un istante”). L’insonnia dell’Imperatore è descritta da un narratore (un medico di corte? una spia?), attraverso didascalie che simulano un racconto in prima persona. Dunque, benché la narrazione sia ancora debole, abbiamo tanto una struttura ad anello (il film inizia e finisce con la stessa battuta), cioè un tipi­ co artificio narrativo, quanto una figura di narratore intradiegetico. I vari sketches che compongono il film mostrano “scene di vita quotidiana” di Guglielmo IL II Kaiser, in una serie di vorticose trasformazioni, indossa uniformi diverse e di­ venta un guerriero unno, un ussaro (con il teschio sul colbacco nero), un grana­ tiere prussiano, una crocerossina. In questa breve sequenza compaio alcuni dei principali stereotipi utilizzati dalla propaganda inglese: l’idea dei tedeschi come “nuovi Unni”: la condanna della tradizione militare prussiana, considerata causa dello scoppio della guerra: la polemica contro la Croce Rossa, che secondo gli inglesi maltrattava i prigionieri britannici in Germania.27 La serie “John Bull’s Animated Sketch Book”, iniziata nell’aprile del 1915 e terminata nell’autunno dell’anno successivo,28 realizzata da Dudley Buxton e Anson Dyer (che diventerà uno dei nomi principali del cinema di animazione in­ glese tra le due guerre mondiali), segna un netto passo in avanti verso il supera­ mento della tradizione del lightning sketch. Ognuno dei due disegnatori lavorava individualmente a un episodio, che impiegava otto settimane a terminare, in mo­ do tale che uscisse un numero al mese. I film di questa serie utilizzano la tecni­ ca dei cut-outs inaugurata da Speed, ma in modo più raffinato: le sequenze ani­ mate sono nettamente preponderanti rispetto alle parti di “disegno rapido”: l’a­ nimazione è più complessa; c’è sempre la “mano dell’artista”, ma la sua presen­ za è decisamente più discreta. Ogni puntata della serie è divisa in diversi sketches 43

e qualcuno di essi presenta una storia relativamente complessa (per quanto bre­ ve). come ad esempio i cartoons con Chariot, prodotti da Buxton (peraltro senza alcuna autorizzazione da parte di Chaplin).29 In John Bull’s Animated Sketch Book No. 4, Charlie - un cut-out piuttosto elaborato - è alle prese con una mo­ sca (lo sketch non ha soggetto bellico), mentre in John Bull’s Animated Sketch Book No. 15 (1916) abbatte uno Zeppelin tedesco. Il disegno animato di Charlie Chaplin, realizzato appunto con la tecnica dei cut-outs, che compare in Le Ballet mécanique (1924) di Femand Léger, ricorda il personaggio ideato da Buxton du­ rante la guerra. Peraltro, nel secondo episodio della serie “Dicky Dee’s Cartoons” (1915), an­ che Anson Dyer aveva disegnato Charlie Chaplin, ma soltanto per trasformarlo in Lloyd George. Il film non ci è pervenuto: ci basiamo su una recensione del­ l’epoca, citata da Gifford.30 Invece è disponibile il terzo - e ultimo - numero del­ la serie, sempre del 1915, in cui si trovano due brevi sketches, il primo dei qua­ li, intitolato The Dream Man, presenta una storia truculenta, ma piuttosto inte­ ressante. La mano dell’artista schizza rapidamente un bambino a letto, ma subi­ to il disegno si anima: il bambino si addormenta e arriva l’uomo dei sogni, il ma­ resciallo von Hindenburg, uno dei comandanti delle forze armate tedesche. I due parlano con i balloons, tecnica comune nel disegno animato americano degli an­ ni Dieci, ma rara in quello britannico (Hindenburg si esprime con il solito ingle­ se maccheronico). Il maresciallo prende il bambino per i capelli, lo butta fuori dal letto e lo costringe a mangiare una bomba, facendo così esplodere il ragazzino. Lo sketch termina con il bambino che si sveglia in lacrime. Il retaggio di questo breve cartoon (di circa due minuti) è chiaramente la letteratura fantastica dell’Ottocento: Hindenburg è l’uomo della sabbia, che «che va dai bambini che non vogliono andare a letto e butta loro negl i occhi manciate di sabbia sino a farglie­ li schizzare sanguinanti fuori dal capo».31 Inoltre, l’immagine del cattivissimo Hindenburg che afferra il bambino per i capelli ricorda le illustrazioni di Pierino Porcospino di Heinrich Hoffmann. L’utilizzo di modelli letterari, così come il ri­ corso allo stilema narrativo del sogno, marcano una chiara volontà di Dyer di su­ perare la staticità del lightning sketch e di costruire un racconto.

Dunque, la produzione del periodo 1914-’ 16 si emancipa soltanto con notevole lentezza dal retaggio del lightning sketch e, più in generale, delle illustrazioni dei giornali degli anni Dieci. Se infatti qua e là compaiono alcuni degli elementi pro­ pri del racconto cinematografico - la struttura ad anello e il narratore intradiegetico in Sleepless, il meccanismo narrativo del sogno in Dicky Dee’s Cartoons No. 3 -, è pur vero che gli schemi derivati della satira giornalistica costituiscono la dimensione dominante. D’altra parte, buona parte degli autori dei primi film di animazione veniva proprio dal mondo della stampa. In questi brevi cartoons, molti dei quali non sono che una compilation di vignette, ritroviamo tutti i cli­ ches delle caricature dei quotidiani e delle riviste come “The Punch”: il calem­ bour, le figure allegoriche, quali John Bull e Britannia; i grandi condottieri na­ 44

zionali; il nemico dipinto come un mostro spaventoso (il Kaiser nelle vesti della Morte), oppure ridicolo (Hindenburg declassato al livello di orco delle fiabe). Inoltre, la forma dominate è quella della metamorfosi: il Kaiser che diventa una crocerossina, lord Kitchener che diventa il British Bulldog, ecc. Si tratta - lo ab­ biamo visto - della formula di base utilizzata in film primitivi come The Magie Fountain Pen. Il salto di qualità si verifica nel 1917.1 film di Buxton e Dyer degli anni 1915’16, che pure rappresentano la parte più avanzata della produzione, anche quan­ do avevano una durata ragguardevole {John Bull ’s Animated Sketch Book No. 15, ad esempio, dura 8 minuti, contro la media di 3-4 minuti della “Bully Boy Se­ ries”), erano sempre divisi in diversi sketches: non si usava mai tutta la pellicola per raccontare un’unica storia. A partire dal 1917, invece, accanto a film analo­ ghi a quelli del periodo precedente, vengono realizzati anche alcuni cartoons, de­ cisamente più lunghi rispetto a quelli degli anni 1914-’ 15, che raccontano una so­ la vicenda. The U-Tube (1917) di Lancelot Speed, ad esempio, dura ben 12 mi­ nuti e narra di un tentativo dei tedeschi - ovviamente fallimentare - di invadere la Gran Bretagna attraverso la metropolitana. Il Kaiser, insieme a Hindenburg e al Principe ereditario (spesso dileggiato nella satira inglese come un giovane inetto), decidono di costruire un tunnel da Berlino a Birmingham, ma vanno fuo­ ri rotta ed emergono al Polo Nord. Le gag e i calembours, così come la tecnica dei cut-outs, non sono diversi rispetto a quelli della “Bully Boy Series”; ma qui, anziché una serie di brevi episodi legati tra loro da un tenue legame tematico, ab­ biamo una storia in senso pieno. Nei film degli anni 1914-’ 15, proprio perché per lo più si tratta semplicemente di una serie di vignette, il montaggio è utilizzato nel modo più elementa­ re: esso serve unicamente per accostare tra loro inquadrature sostanzialmente autosufficienti. E chiaro che in un contesto di questo tipo il problema dei rac­ cordi non si pone neppure. Soltanto ini uno degli sketches di John Bull’s An­ imated Sketch Book No. 4 troviamo un raccordo di direzione: l’auto del Kaiser esce da sinistra e, nell’inquadratura successiva, entra da destra, per andare a schiantarsi contro un enorme leone, simbolo della Gran Bretagna. Invece nei film del periodo 1917-’ 18, che presentano un maggior spessore narrativo, l’uso del raccordo diviene più frequente. II primo sketch di Agitated Adverts ( 1918)32 di Anson Dyer, per quanto breve (tre minuti), presenta una storia che implica inevitabilmente un attento lavoro di montaggio. Il maresciallo von Hindenburg scambia il suo elmo chiodato con un monopattino, per sfuggire all’offensiva bri­ tannica. Tutto il cartoon è costruito su Hindenburg, continuamente incalzato da­ gli inglesi, che esce ed entra di campo, rispettando la regola del raccordo di di­ rezione. Il passaggio da un’inquadratura all’altra segna anche diversi cambia­ menti di fondale, poiché Hindenburg fugge dalla linea del fronte sino a Berlino. Inoltre, nella parte finale, c’è anche un raccordo in avanti: una soluzione di mon­ taggio sconosciuta nei cartoons inglesi precedenti, almeno in quelli ancora esi­ stenti. In questo film, dunque, si delinea uno spazio fisico concreto, in netta op­ 45

posizione allo spazio astratto proprio dei lightning sketches. E la costruzione di uno spazio dalle coordinate coerenti è proprio uno dei momenti fondativi della narrazione cinematografica. Il testo più interessante di questa seconda fase del cinema di animazione in­ glese della Grande Guerra è Ever Been Had? (1917) di Dudley Buxton. L’inizio è quello che ormai conosciamo: una mano abbozza, rapida, un disegno, che poi si anima. Nella prima scena vediamo la Luna in prima piano e la Terra sullo sfon­ do. Nella Luna si apre un portello e ne esce un buffo personaggio, che indossa una sorta di vestito da greco antico. Dall’ interno della Luna sbuca anche una don­ na, una specie di Tordella (la moglie, presumibilmente), che urla contro l’uomo e gli lancia pentole e piatti. L’uomo della Luna, a causa di uno dei colpi che ri­ ceve, cade e finisce sul nostro pianeta. Atterra accanto a un vecchio con una lun­ ga barba bianca, dall’aria affranta, seduto al centro di un paesaggio devastato, su cui incombono nubi nere. L’uomo della Luna domanda al vecchio (parla con bal­ loons)'. «Why are you not in the army?». Il vecchio gli spiega che non c’è più al­ cun esercito: lui è l’ultimo inglese rimasto vivo. Il vecchio racconta che cinquant’anni prima l’Inghilterra ha accettato una “pace prematura”, e descrive le delizie della pace, facendo dell’ironia sulla mancanza di beni di consumo del tempo di guerra («War-bread was once more used for building purposes»). Le di­ dascalie con il racconto del vecchio sono accompagnate dall’immagine di un paesaggio bucolico, con fanciulle in abiti classici sdraiate su covoni di grano. Mai poi la Germania invade l’Inghilterra con nuove terribili armi. Si vede la pri­ ma pagina di un giornale, che titola: «Strange rumors from Germany. Vast un­ derground workshops». Enormi carri armati anfibi appaiono sulla costa. I canno­ ni giganteschi di queste macchine distruggono la flotta britannica e annichilisco­ no le aeronavi inglesi con electric rays. Vediamo i tanks tedeschi avanzare tra le macerie di Londra, con la cattedrale di St. Paul semidistrutta sullo sfondo. Si tor­ na ai due personaggi: l’uomo della Luna è in lacrime. Ma arrivano un regista ci­ nematografico e un operatore, che regge una macchina da presa, i quali chiama­ no il vecchio: «I want you for scene 74 in Last Days of Pompeii». «What about the Germans?», chiede stupito l’uomo della Luna: «Germans? Haig [il coman­ dante supremo delle forze inglesi in Francia tra il 1915 e il 1919] only left one small one: and he’s in the zoo!», risponde il regista. Il vecchio si toglie la barba e rivela di essere un giovane; l’uomo della Luna crolla a terra svenuto. Ever Been Had? è interessante per diverse ragioni. In primo luogo, sul piano dell’organizzazione discorsiva, è il film più complesso tra quelli esaminati. Il te­ sto, infatti, presenta un lungo flashback centrale, che l’agnizione finale rivela es­ sere falso. Flashback e agnizione sono meccanismi narrativi raffinati, di deriva­ zione letteraria. E infatti Ever Been Had? attinge apertamente alla tradizione del­ la letteratura fantascientifica inglese tra tardo Ottocento e inizio Novecento. A par­ tire da The Battle of Dorking ( 1871 ) di George T. Chesney per arrivare a Danger! (1914) di Arthur Conan Doyle, passando attraverso The War in the Air (1908) di H.G. Wells, esiste un ampio filone di fanta-politica che immagina l’invasione del­ 46

l’Inghilterra da parte di una potenza straniera.33 Peraltro, alcuni romanzi di que­ sto copioso genere presentano il tema dell’“invasione attraverso il tunnel”, che viene parodiato in The U-Tube. Il sottotitolo di The Battle of Dorking recita: Reminescences of a Volunteer. Il romanzo di Chesney è narrato in prima perso­ na da un reduce, che - come il vecchio del film di Dyer - ricorda, a distanza di decenni, la conquista tedesca dell’Inghilterra.34 La differenza rispetto al libro di Chesney consiste nel fatto che alla fine si scopre che il racconto del vecchio è falso e che in realtà la Gran Bretagna ha trionfato sulla Germania: il pubblico de­ ve uscire dalla sala con la sicurezza del prossima sconfitta dei tedeschi. In Ever Been Had? si trova anche una chiara eco di The War of the Worlds (1898) di Wells, in cui l’invasore non è l’armata di una potenza terrestre, bensì una razza aliena. La scena in cui i mezzi corazzati tedeschi avanzano tra le ma­ cerie di Londra rimanda apertamente alle pagine di The War of the Worlds, così come le aeronavi inglesi disegnate da Dyer ricordano quelle descritte da Wells in The War in thè Air. La tecnica dei cut-outs, che conferisce alle figure umane un’innaturale andatura a scatti, è invece particolarmente adatta a riprodurre il movimento delle macchine: il lento avanzare dei giganteschi carri armati è real­ mente impressionante. Un altro passaggio di sapore wellsiano è l’immagine del paesaggio bucolico del tempo di pace, su cui incombe la minaccia sotterranea dei tedeschi, che ricorda la descrizione dell’idilliaco mondo di superficie degli eloi, sotto il quale si celano i perfidi morloc, in The Time Machine (1895). The Battle of Dorking, come la maggior parte degli altri romanzi su un’inva­ sione futuribile dell’Inghilterra, aveva espliciti intenti politici: Chesney, un uffi­ ciale dell’esercito, scrive aH’indomani della fulminea vittoria prussiana sulla Francia e vuole mettere in guardia il governo di Londra sulla necessità di un am­ modernamento delle forze armate. E anche il film di Dyer è un apologo. Ever Been Had? venne realizzato nel 1917, quando parte dell’opinione pubblica ini­ ziava a essere favorevole ad una pace negoziale con gli Imperi Centrali. Il mes­ saggio del film è chiarissimo: una pace prematura porterebbe alla vittoria della Germania. Ai pericoli di una “pace tedesca”, si contrappone la certezza della vit­ toria finale: rimarrà un unico tedesco superstite, che verrà rinchiuso nello zoo.

Dunque, tra il 1914 e il 1918, nell’animazione inglese è reperibile un netto mu­ tamento sul piano tecnico-espressivo, costituito in primo luogo dall’elaborazione di strutture narrative, un mutamento che avviene anche attraverso l’assimilazio­ ne di meccanismi letterari, mutuati però non tanto dalla letteratura alta, quanto piuttosto da generi ritenuti minori, come i romanzi per l’infanzia e la fantascien­ za. Ma bisogna osservare che il passaggio dal lightning sketch all’animated car­ toon non si traduce affatto in un cambiamento delle forme di rappresentazione della guerra.35 Nei cartoons del 1917-’ 18 - con l’unica eccezione di Ever Been Had? - troviamo gli stessi temi e gli stessi giochi di parole dei lightning sketches del 1914. Si tratta di formule già sperimentate dalla satira giornalistica nei de­ cenni precedenti il primo conflitto mondiale. Gli animatori inglesi della Grande 47

Guerra, per dileggiare i tedeschi, usano tecniche retoriche non molto diverse da quelle impiegate dai disegnatori della stampa britannica dell’inizio del secolo per mettere alla berlina i boeri. Gian Piero Brunetta ha osservato che i cineasti della Grande Guerra inizial­ mente si avvalgono degli stereotipi del XIX secolo per illustrare la guerra, e che solo in un secondo tempo riescono a elaborare un nuovo immaginario bellico. Scrive Brunetta: Si parte dalla percezione e rappresentazione di una guerra di tipo ottocentesco per ap­ prodare alla visione di un evento che celebra, nel modo più grandioso, la modernità e i processi di industrializzazione in atto nei vari paesi che partecipano al conflitto. Pochi operatori percepiscono in un primo tempo le potenzialità e la novità rappresentativa insi­ te nel nuovo mezzo. Si attinge a moduli visivi e narrativi della storia appena passata. E anche anni dopo un regista come Griffith, che pure ha visitato il fronte francese, non ri­ esce a cogliere la modernità di questa guerra rispetto a quella di Secessione. La guerra del 1915, per i registi italiani che tentano di raccontare le prime storie, non differisce troppo da quelle del Risorgimento.36

Peraltro, l’incapacità iniziale di capire la specificità della Grande Guerra non è propria solo del cinema: furono gli stessi capi militari e politici a essere colti impreparati. Tutti i comandi, dell’Intesa e degli Imperi Centrali, si aspettavano una breve guerra di movimento, mentre si ritrovarono a combattere un lungo ed estenuante scontro di attrito. Se Griffith rimase deluso dalla sua visita al fronte francese, per la preparazione di Hearts of the World, la reazione di lord Kitchen­ er di fronte alla guerra di trincea fu: «I don’t know what is to be done; this isn’t war».37 Nel cinema di animazione inglese della Grande Guerra, la consapevolez­ za della modernità di quel conflitto è riscontrabile non nei film realizzati dalle compagnie private, che abbiamo esaminati sin qui, bensì dai cartoons prodotti dalle strutture pubbliche nel biennio 1917-’ 18. Non è certo un caso che i corto­ metraggi animati del governo si concentrino proprio nell’ultima fase della guer­ ra. Come abbiamo visto, è proprio nel periodo 1917-’ 18 che la propaganda uffi­ ciale intensifica al massimo i propri sforzi e fa ricorso a tutti i mezzi disponibili per sostenere il morale del fronte interno. Nei film d’animazione del governo la satira del nemico è realizzata attraver­ so formule analoghe a quelle dei cartoons dell’industria privata. La differenza consiste nella natura del messaggio contenuto nel testo: mentre le serie “Bully Boy” e “John Bull’s Animated Sketch Book” presentano un generico appello pa­ triottico, i cortometraggi del National War Savings Committee o del Ministry of Information formulano richieste precise al pubblico, come ad esempio acquista­ re i buoni di guerra. E per ottenere tale scopo, questi cortometraggi utilizzano un complesso arsenale di strategie retoriche, molte delle quali ritroveremo poi nei film della Seconda guerra mondiale. Il Ministry of Information commissionò a Lancelot Speed un film per spiega­ re la crescita esponenziale dello sforzo economico-finanziario britannico dal 1914 al 1917. In Britain’s Effort (1918), Speed usa la tecnica dei cut-outs della 48

“Bully Boy Series”, ma il risultato è molto diverso. Il film infatti consiste nella visualizzazione di una serie di dati statistici. Ad esempio vediamo un piccolo cannone da campagna, che rappresenta il numero di cannoni a disposizione del­ l’esercito inglese nel 1914, accanto a un enorme obice, che simboleggia il parco di artiglieria del 1917. La crescita della manodopera femminile è rappresentata attraverso l’accostamento tra la piccolissima figura del 1914 e la gigantesca ope­ raia del 1917. Britain’s Effort esamina i principali problemi demografici ed economico-finanziari della guerra: l’aumento del numero di uomini sotto le armi, il contributo di dominions e colonie, l’ampliamento della produzione di armi e di navi mercantili. In General French’s Contemptible Little Army (1914), il secon­ do episodio di “Bully Boy”, Speed aveva già utilizzato questa tecnica. Per mo­ strare la crescita dell’esercito inglese, grazie all’arrivo delle forze dell’impero, aveva disegnato tre piccoli soldati - un sudafricano, un indiano e un canadese che si sovrappongono a un fante britannico, altrettanto esile, che cresce di statu­ ra e diventa enorme. In Britain’s Effort, che dura ben 17 minuti, questa tecnica è usata sistematicamente. Nel breve commento su Britain’s Effort contenuto nell’Imperial War Museum Film Catalogue, si dice che questo tipo di rappresentazione delle statistiche è rozzo e metodologicamente scorretto.38 Ma il punto non è la validità scientifica del film di Speed. Britain’s Effort è un’opera di propaganda che, con grande in­ telligenza, utilizza dati oggettivi - o presunti tali - per spiegare al pubblico che la vittoria è certa. Non si tratta di un’operazione di tipo scientifico, bensì retori­ co: Britain’s Effort non deve essere vero, ma persuasivo. Il film si conclude con un appello a rifiutare la “pace tedesca”, rappresentata dall’immagine di John Bull in catene. L’alternativa è la vittoria sulla Germania, che porterà un mondo di ric­ chezza e benessere: vediamo i cannoni trasformarsi in fabbriche per la produzio­ ne civile e Britannia, vittoriosa, vegliare su una felice famiglia inglese. Britain’s Effort presenta una visione del futuro post-bellico, elemento del tutto assente nei film realizzati dai privati. Britain’s Effort è stato prodotto dal governo, che per convincere il fronte interno ad accettare i durissimi sacrifici del tempo di guerra doveva prospettare al pubblico le delizie del tempo di pace, rappresentate dai co­ siddetti “war aims": sicurezza collettiva e autodeterminazione dei popoli in poli­ tica estera, prosperità economica in politica interna. Peraltro, nel film compare anche Lloyd George - l’unico uomo politico a essere raffigurato in un film di ani­ mazione39 -, che dei war aims fu proprio l’artefice. In due film, solo in parte animati, realizzati da Kinsella e Morgan, emerge uno dei problemi fondamentali della guerra: la produzione dei cantieri navali. Si trat­ ta di Shipyard Activity (1918) dell’Admiralty, e Lord Pirrie’s Appeal to Shipyard Workers (1918), prodotto dalla Pathé, presumibilmente su commissione di lord Pirrie, Controller of Shipbuilding. Il primo è un appello agli operai per una mag­ giore produttività (forse il film veniva proiettato nelle fabbriche). Invece il se­ condo invita gli uomini validi ad andare a lavorare nei cantieri, ed è di notevole interesse. Infatti, qui troviamo un riferimento alla famiglia (come in Britain’s 49

Effort), un elemento relativamente raro nella propaganda britannica rispetto, ad esempio, a quella italiana. Probabilmente due ordini di fattori spiegano l’utilizzo limitato del tema della famiglia nella propaganda inglese. Da un lato la Gran Bre­ tagna è un paese dalla forte identità nazionale, in cui l'appello patriottico ha si­ cura efficacia; al contrario, in Italia, paese cattolico e di recente unificazione, la famiglia si presentava come un’istituzione più forte dello Stato, almeno tra le classi popolari, e dunque particolarmente utile come mezzo di mobilitazione del­ le masse. In secondo luogo, bisogna notare che l’Inghilterra non stava combat­ tendo sul proprio territorio nazionale. Il tema della famiglia - il topos della guer­ ra come difesa del focolare domestico - viene utilizzato dalla propaganda so­ prattutto quando, come nel caso dell’Italia, la linea del fronte coincide con i “sa­ cri confini della Patria”. In Lord Pirrie 's Appeal to Shipyard Workers vediamo una famiglia inglese ri­ unita per il pranzo. La Morte, con l’elmo chiodato, dopo aver affondato una na­ ve mercantile, ruba la carne dal tavolo. «We must have ships to bring us food», dice la didascalia. Poi c’è l’appello a tutti gli uomini disponibili perché vadano a lavorare nei cantieri: si garantisce un ottimo stipendio e un bonus per coloro che dovranno andare lontano da casa. L’ultima didascalia dice che le informazioni sulla presentazione della domanda di assunzione sono disponibili negli uffici po­ stali. Nella prima metà del 1917 gli attacchi dei sommergibili tedeschi ai mer­ cantili che portavano rifornimenti dagli Stati Uniti e dall’impero avevano quasi provocato il collasso della Gran Bretagna, per cui la costruzione di nuove navi era un’attività vitale. La presenza del topos della famiglia si spiega proprio con il fatto che le azioni degli U-Boot colpivano direttamente la popolazione civile: per gli operai costruire navi è un modo di difendere i propri cari. Nel 1918 sia­ mo nel pieno della guerra totale: il conflitto con la Germania è ormai una lotta per la sopravvivenza, una lotta in cui la distinzione tra militari e civili è caduta e nella quale deve essere impiegato ogni uomo disponibile. Il secondo motivo di interesse del film consiste nella figura di Britannia. Nel­ l’ultima sequenza, la dea in toga classica e tridente, simbolo della potenza ingle­ se, punta il dito verso lo spettatore, per incitarlo alla lotta: «Britannia needs YOU now!». L’interpellazione è probabilmente la figura retorica più utilizzata nei po­ ster della Grande Guerra (e non solo in quelli inglesi), a partire dal famoso ma­ nifesto con lord Kitchener che punta il diito verso il lettore, stampato nel 1914 per incentivare l’arruolamento.40 Nel nostro corpus di testi, soltanto i film del gover­ no presentano il “gesto di Kitchener”. Lord Pirrie ’s Appeal to Shipyard Workers è un film che aggredisce lo spettatore, il quale riceve un doppio stimolo: quello patriottico di Britannia e quello economico del buon livello salariale dei cantie­ ri. Nei cartoons prodotti dai privati non c’è l’interpellazione, perché l’autore non vuole indurre il pubblico a compiere un’azione specifica, ma cerca semplicemente di trasmettergli un generico odio per i tedeschi. La struttura pubblica che fece l’uso più ampio del cinema di animazione fu il National War Savings Committee, che realizzò diversi cartoons per convincere i 50

cittadini a finanziare lo sforzo bellico e acquistare war savings certificates e war bonds. L’Imperial War Museum conserva sei di questi film. In alcuni di essi tro­ viamo lo stilema della cedola del prestito di guerra che si trasforma in un proiet­ tile. Si tratta di una formula, diffusissima nei cartoons della Seconda guerra mondiale, che esemplifica perfettamente le potenzialità dell’animazione come mezzo di propaganda. L’animazione, infatti, può unire facilmente, all’interno della stessa inquadratura, oggetti reali - i buoni di guerra - con figure simboli­ che come Britannia, veicolando così un messaggio estremamente semplice e chiaro. In Stand by the Men Who Have Stood by You (1917), ad esempio, c’è un war bond certificate che diventa un proiettile e che viene sparato contro il Kai­ ser, per poi trasformarsi in un soldato inglese, il quale chiude l’imperatore tede­ sco in una gabbia. Anche nella produzione del National War Savings Committee, come in Britain’s Effort, troviamo riferimenti al mondo post-bellico. In Old Father William ( 1917-’ 18) il nonno narra ai nipoti di come lui e la moglie durante la guerra ab­ biano lavorato in una fabbrica di munizioni e abbiano investito i loro risparmi in buoni governativi, assicurandosi così un futuro prospero. Prima del conflitto - spiega il vecchio - metà dei beni consumati in Inghilterra venivano importati dail’estero: sullo schermo appare la sospetta figura del mercante straniero, che è lo stereotipo del tedesco grasso, con collo taurino e due grandi baffi. Dopo la vit­ toria, invece, l’industria bellica sarà riconvertita per fabbricare i prodotti prima acquistati in Germania. Il film si chiude su un grande complesso industriale, con accanto John Bull sorridente: vincere la guerra significa garantire la crescita eco­ nomica al paese. Lo stesso tema è presente anche in There Was a Little Man and He Had a Little Gun (1918), che termina con John Bull che punta il dito verso lo spetta­ tore per invitarlo a finanziare l’opera di ricostruzione (il film è stato realizzato dopo la fine della guerra). Nella prima parte del cartoon c’è una scena partico­ larmente violenta, in cui il volto del Kaiser viene letteralmente fatto a brandelli da un fante inglese. Come abbiamo visto, nel 1918 i metodi della hate propa­ ganda, prima utilizzata soltanto da giornali e organizzazioni private, si diffuse­ ro anche tra i civil servants. In Stand by the Men Who Have Stood by You, ad esempio, c’è un prologo dal vero, dove il Kaiser passa da parte a parte una don­ na belga con la sciabola. Old Father William e There Was a Little Man and He Had a Little Gun veicolano un messaggio analogo a quello di The Leopard’s Spots: dopo la guerra non si dovrà commerciare con gli Unni, la cui economia andrà invece boicottata. I film d’animazione prodotti dal governo, sul piano tecnico, sono sostanzial­ mente analoghi a quelli delle compagnie private, anche perché in alcuni casi i di­ segnatori sono gli stessi. Anzi, talvolta i cartoons governativi risultano anche più rozzi. In Simple Simon (1917-’18) di Kinsella e Morgan compare il disegnatore al suo tavolo di lavoro, il quale si rivolge direttamente al pubblico. Come abbia­ mo visto, Buxton e Dyer, nel 1917, avevano già largamente superato il lightning 51

sketch, l’ultima traccia del quale, nei loro film, è rappresentata dalla presenza, or­ mai del tutto marginale, della “mano dell’artista”. In Simple Simon, invece, ve­ diamo il cartoonist abbastanza a lungo, all’inizio e alla fine del film. Ma qui l’ar­ tista non è un semplice entertainer, bensì un propagandista: egli infatti guarda in macchina e, con una didascalia, invita il pubblico a comprare buoni di guerra per “liberare il mondo dagli Unni”. Nei film prodotti dal governo, insomma, entra in scena un elemento che nel resto del corpus è completamente assente: il fronte interno. In questi cartoons, il vero eroe è l’operaio, che con il suo lavoro sconfigge il nemico. In Lord Pirrie 's Appeal to Shipyard Workers un braccio muscoloso, su cui è scritto '"shipyard worker", serra con violenza la gola del Kaiser. Se nelle serie “Bully Boy” e “John Bull’s Animated Sketch Book” troviamo soltanto generali e ammiragli, nei di­ segni animati governativi si esalta il ruolio della manodopera femminile e si spie­ ga ai civili che, se i soldati possono combattere, è solo grazie al loro sostegno finanziario (l’immagine del war bond certificate che si trasforma in proiettile). In questa produzione, insomma, emerge a pieno la natura di guerra totale pro­ pria del primo conflitto mondiale. I cartoons delle strutture pubbliche sono del biennio 1917-’ 18, cioè proprio della fase di massima mobilitazione della socie­ tà inglese. E, per rivolgersi ai lavoratori e ai civili in genere, i film di animazio­ ne del governo elaborano nuove formule. Il loro apparato retorico, infatti, coin­ cide solo in parte con quello degli altri cartoons, e comprende figure nuove per il cinema di animazione, come “il gesto di Kitchener” e l’immagine del war bond certificate che si trasforma in proiettile.

3. The war as a boardgame: le mappe animate

Come si è visto nell’introduzione, l’idea di usare l’animazione per illustrare le fa­ si di una battaglia risale ai primi anni dell’animazione: il film di Emile Cohl su Austerlitz è infatti del 1909. Quello di Cohl è un caso isolato prima della Gran­ de Guerra, ma a partire dal 1914 l’uso delle mappe animate diventa più frequen­ te, proprio per l’esigenza di spiegare al pubblico l’evolvere della situazione mi­ litare. In Inghilterra le mappe animate vennero usate sia da sole, secondo il mo­ dello di Cohl, sia unitamente a materiale dal vero, anticipando lo schema dei ci­ negiornali della Seconda guerra mondiale. L’esempio più significativo di questo genere di cortometraggi di animazione è costituito dalla serie “Kineto War Maps”: una quindicina di mappe animate (senza immagini documentarie), della durata di circa sei minuti ciascuna. Il pro­ duttore dei film era Charles Urban, mentre il regista non è certo: Crafton parla di Walter R. Booth, mentre Gifford cita Percy Smith.41 Il British Film Institute con­ serva tre dei film della serie: il quarto - General View of the Dardanelles (1915) -, il sesto - How the Canadians Saved the Day at Ypres (1915) -, e il se­ dicesimo - The Russo-Rumanian Advance ( 1916).42 Ogni episodio esamina il 52

corso delle operazioni in uno dei teatri di guerra (la penisola di Gallipoli nel n. 4, il fronte balcanico nel n. 16) o anche una singola battaglia (la prima battaglia di Ypres nel n. 6). Si tratta di analisi molto efficaci e dettagliate, che, grazie all’u­ so di mappe di scale differenti, prendono in considerazione sia i problemi di or­ dine strategico, sia quelli tattici. Una serie di didascalie esplicative - che danno informazioni sulle forze in campo e sulle loro manovre - integra le diverse map­ pe su cui seguiamo gli spostamenti delle unità militari. La qualità tecnica di que­ sti brevi film è decisamente alta, tanto che possono reggere il confronto anche con molte mappe animate degli anni Quaranta. Ovviamente le animazioni realiz­ zate della Disney per “Why We Fight” o quelle dei cinegiornali canadesi sono tutt’altra cosa, ma in produzioni più povere - ad esempio Cesta K Barikadam (“La via delle barricate”, 1946), un documentario di Otakar Vàvra sulla libera­ zione di Praga, oppure Desert Victory (1943) di Roy Boulting - troviamo delle mappe animate del tutto simili a quelle della Kineto Films di trent’anni prima. La Kineto Films era un satellite della Urban Company, una delle principali compagnie inglesi degli anni Dieci, specializzata, tra le altre cose, in film didat­ tici. In un breve pamphlet del 1906, Charles Urban teorizza le potenzialità del ci­ nema come strumento educativo, e analizza anche le possibilità di un impiego militare del film.43 Non è dunque un caso se Urban ricoprì un ruolo di primo pia­ no nella propaganda inglese della Grande Guerra: egli infatti fu il produttore di Britain Prepared, il primo film di propaganda ufficiale inglese, di cui curò anche la distribuzione negli Stati Uniti (Urban era americano). Le mappe animate della Kineto sono estremamente dettagliate, nella miglio­ re tradizione della storiografia militare britannica. In General View of the Dard­ anelles, ad esempio, si seguono con pignoleria tutte le fasi dell’operazione: il bombardamento costiero da parte della flotta anglo-francese, Io sbarco delle trup­ pe nelle diverse aree di invasione, il consolidamento della testa di ponte. Un di­ segno in sezione (con scritte in inglese e francese: presumibilmente gli episodi della serie venivano esportati in Francia) spiega anche le modalità tecniche del ti­ ro indiretto effettuato da una corazzata inglese al di là di un promontorio. Ma ac­ canto a questa puntigliosità, apparentemente asettica e oggettiva, compare spes­ so un preciso intento propagandistico. Infatti, le sconfitte dell’Intesa vengono si­ stematicamente occultate. In The Russo-Rumanian Advance, ad esempio, si esa­ mina prima lo sviluppo della guerra in tutta Europa dal 1914 alla metà del 1916, poi si analizza più in particolare la situazione balcanica. Però non si parla del crollo della Serbia, avvenuto alla fine del 1915, che fu uno degli eventi fonda­ mentali dello scacchiere balcanico. In How the Canadians Saved the Days at Ypres le didascalie tentano continuamente di giustificare il cedimento delle linee anglo-francesi, dicendo che i tedeschi hanno usato il gas - un’arma sleale - op­ pure insistendo sullo svantaggio numerico degli alleati. Una didascalia di How the Canadians Saved the Days at Ypres dice: «The 2nd Brigade hold the gap, with their trenches absolutely obliterated by gunfire». Si tratta di un’immagine molto forte, che trasmette la realtà della violenza dei com­ 53

battimenti. Il film della Kineto può alludere a “trincee completamente obliterate dal fuoco di artiglieria” perché è solo una mappa: la censura, generalmente, evi­ tava che i documentari mostrassero gli aspetti più devastanti della guerra moder­ na, come il gas e gli interminabili bombardamenti. Ma se da un lato How the Canadians Saved the Days at Ypres descrive la battaglia di Ypres in termini rea­ listici, è anche vero che la serie “Kineto» War Maps”, spiegando al pubblico pia­ ni strategici fatti di folgoranti avanzate e precipitose ritirate, finiva con il camuf­ fare la natura fondamentalmente statica del conflitto. La stagnazione della guer­ ra di trincea non emerge da questi film. Forse non è un caso che la serie terminò - presumibilmente - nella seconda metà del 1916. Dopo due anni di guerra il fronte occidentale, il principale teatro di operazioni, era ancora immobile sulla linea del settembre del 1914, e nessun film di animazione, per quanto elaborato, avrebbe potuto nascondere questa realtà.

4. La guerra ed il sogno di Monti', un film per il mercato inglese? La propaganda cinematografica italiana, benché ricca, non presenta che un uni­ co film animato, peraltro considerato anche come il primo film d’animazione ita­ liano tout court. Il film in questione è La guerra ed il sogno di Monti (1917), rea­ lizzato da Segundo de Chomón, geniale inventore di trucchi e operatore di Pastrone.44 Si tratta di un mediometraggio in parte dal vero e in parte di animazio­ ne, in cui un bambino, dopo aver ascoltato il nonno leggere una lettera del padre che si trova al fronte, si addormenta e sogna una battaglia combattuta da schiere di soldatini.45 Brunetta individua nella fine del 1917 il momento di passaggio, in Italia, dalla rappresentazione ottocentesca della guerra a quella moderna * La guerra ed il sogno di Monti, la cui prima ebbe luogo il 15 aprile 1917. si presen­ ta come un ibrido tra i due modelli. Il corpo del testo è attraversato da una frat­ tura netta, uno iato che divide la parte dal vero, impregnata di cultura tardo-otto­ centesca, e quella di animazione, in cui invece si pone l’accento sulla natura no­ vecentesca della guerra in corso. Il film inizia con la famiglia di Monai - presumibilmente di estrazione alto­ borghese o aristocratica (abitano in una villa con giardino) - che attende preoc­ cupata notizie da parte dell’«assente adorato»; un servitore arriva con una lette­ ra dal fronte. Il nonno, la madre e Momi leggono insieme la missiva del padre: «Il morale e la salute sono eccellenti. Ora vi voglio narrare come anche fra gli or­ rori quotidiani di questa guerra mi fu po»ssibile compiere un’opera buona. M’ero fatto un amico: Berto, un piccolo e animoso montanaro». Vediamo il padre di Momi, in un accampamento militare, che consegna al piccolo Berto parte delle sue razioni alimentari. Il ragazzino torna a casa con il cibo e cena insieme alla madre, una umile contadina. Poco dopo iti nemico attacca la casa di Berto, un pic­ colo casolare isolato, per usarlo come osservatorio. Il bambino riesce a fuggire, mentre i perfidi invasori si dedicano - secondo il ben noto cliché - allo stupro 54

della madre. Berto avverte il padre di Momi, il quale, alla testa dei soldati, corre al salvataggio. Dopo una breve scaramuccia, il nemico viene messo in fuga. Il racconto si conclude con i valorosi fanti che riparano la casetta di Berto, semidi­ strutta da un incendio divampato durante lo scontro, ed il padre di Momi che re­ gala del denaro alla madre di Berto. La vicenda del padre di Momi presenta tutti gli elementi della retorica pa­ triottica a cavallo tra Ottocento e Novecento: la perfidia del nemico, il coraggio dei nostri soldati, la guerra come difesa del focolare domestico, la generosità del­ l’ufficiale aristocratico verso i membri delle classi subalterne. La figura di Ber­ to, d’altra parte, non è altro che una riedizione del personaggio della piccola ve­ detta lombarda. E di matrice ottocentesca è anche la descrizione della guerra, presentata in maniera fuorviante e mistificatrice. La battaglia cui assistiamo sem­ bra tratta da una novella di ambiente risorgimentale. Non ci sono né reticolati, né mitragliatrici, né gas: le uniche armi che vengono utilizzate sono i moschetti e un cannone di medio calibro, i cui colpi sporadici non hanno nulla a che vedere con il micidiale fuoco di sbarramento proprio della dottrina tattica della Grande Guerra. Il padre di Momi brandisce addirittura una sciabola, oggetto del tutto inutile in uno scontro moderno, che infatti gli ufficiali della Prima guerra mon­ diale non portavano in azione. Il film, iinsomma, come altre decine di pellicole dell’epoca, opera una totale distorsione della realtà del conflitto in corso: questi soldati del 1917 sono indistinguibili da quelli di Solferino. E il ricorso ai cliches del passato, più che una esplicita volontà censoria, esprime il tentativo di avva­ lersi di una tradizione consolidata, in una fase in cui la novità della Grande Guer­ ra risulta ancora di difficile lettura. Ma il sostanziale anacronismo della prima parte dell’opera viene ribaltato nel­ la seconda. Dopo che il nonno ha terminato di leggere la lettera. Momi va a gio­ care con i suoi pupazzi Trik e Trak. Dopo poco il bambino si addormenta e i fan­ tocci prendono vita. Inizialmente Trik e Trak si affrontano da soli, ma ben presto vengono affiancati da schiere di altre marionette, del tutto simili a loro. Tanto la guerra del padre di Momi è arcaica, quanto quella dei pupazzi è tecnologica: i Trik e i Trak si danno battaglia con mitragliatrici, gas asfissianti, aeroplani, diri­ gibili. «Il cannone ... Kolossal! ... Tutto a macchina!», dice una didascalia: ve­ diamo un cannone enorme, piazzato su una piattaforma girevole munita di bina­ ri. all’interno di una posizione trincerata. Assistiamo alla complessa procedura del caricamento del pezzo, con una decina di serventi all’opera e un montacari­ chi che introduce il proiettile nella culatta. Nella ricchezza di dettagli del model­ lino e nella raffinatezza dell’animazione, che riproduce le fasi di caricamento, puntamento e fuoco, possiamo quasi intravedere l’esaltazione futurista del mac­ chinismo bellico. I Trik respingono una carica di cavalieri con una mitragliatri­ ce: quella dei pupazzi è la guerra del XX secolo, in cui la cavalleria è ormai uno strumento antiquato (fu proprio la Grande Guerra a segnare la sua scomparsa). Il grande plastico su cui si affrontano i due eserciti riproduce un paesaggio tipico della Prima guerra mondiale, con linee di trincee e bunker irti di bocche da fuo­ 55

co. Vediamo il dirigibile dei Trak bombardare un villaggio (il paese di Lilliput), le cui case prendono fuoco, facendo immediatamente accorrere una squadra di pompieri, che tenta di domare l’incendio con un sifone da selz. La seconda parte della Guerra ed il sogno di Marni, insomma, benché i pro­ tagonisti siano dei pupazzi animati, ci dà una rappresentazione molto più effica­ ce della Grande Guerra di quanto non faccia la scena dello scontro attorno alla casa di Berto. Ciò che al cinema dal vero è vietato, a causa del “realismo onto­ logico” dell’immagine fotografica, è possibile al cinema di animazione che, per sua natura, presenta uno scarto rispetto al reale. La censura impediva ai cineope­ ratori di illustrare la distruzione di massa provocata dalla guerra tecnologica, per non spaventare i civili e affievolirne l’ardore patriottico. Invece nella “Verdun in miniatura” della Guerra ed il sogno di Monti si può mostrare tutto, perché a mo­ rire sono solo dei fantocci. Ed è particolarmente sintomatica la presenza del gas. Infatti, questo elemento - considerato inumano, benché non più terribile di altre armi47 - fu sistematicamente bandito, tanto dal cinema di finzione quanto da do­ cumentari e cinegiornali.48 Ma il film di Chomón è solo un gioco per bambini, e dunque è possibile rappresentare l’uso del gas. Non è un caso che un altro film (andato perduto) in cui è presente il tema del gas sia un film comico: Kri Kri con­ tro i gas asfissianti (1916), prodotto dalla Cines. Il gas è un argomento così scot­ tante da non poter essere trattato in maniera seria, l’unica forma di rappresenta­ zione possibile è quella comica. I Trak lanciano il gas, ma i Trik lo aspirano con un soffietto da camino: un terribile strumento di morte è trasformato in gag in­ nocua. Per Chomón, dunque, l’animazione diventa un modo per mostrare l’immostrabile, per raffigurare la natura devastante delle armi di distruzione di massa del Novecento. La guerra moderna è una guerra combattuta dalle macchine e da una folla anonima di soldati, in cui l’eroismo individuale ha scarso peso. In questo senso la tecnica dell’animazione, che si basa su un movimento artificiale, dà con­ to della natura tecnologica della Grande Guerra e della riduzione dell’uomo ad automa. I Trik e i Trak si muovono in maniera meccanica, come i loro cannoni, di cui non sono che un’appendice; i pupazzi sono tutti uguali, indistinguibili l’u­ no dall’altro, esattamente come gli uomini che combattono e muoiono nelle trin­ cee. Il sogno di Momi, nel quale i piccoli fantocci si massacrano vicendevol­ mente, è una metafora del delirio di onnipotenza dei generali che lanciavano le loro truppe in sanguinosi e inefficaci assalti frontali per conquistare qualche cen­ tinaio di metri di terreno. Ma il film di Chomón, oltre che per la sua sorprendente capacità di cogliere la vera natura della Grande Guerra, è interessante anche per un’altra ragione. La guerra ed il sogno di Momi esce in un periodo in cui gli spettatori, dopo una pri­ ma fase di grande popolarità dei film a soggetto patriottico, erano ormai stanchi di pellicole di propaganda. Scrive Vittorio Martinelli: Questa tumultuosa ondata si placò quasi per incanto, dopo aver inondato la stagione ci­ nematografica 1915/16 con oltre 130 flutti che si dissolsero nel limaccio, senza lasciare

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alcuna traccia, tranne la ripulsa del pubblico verso i film di guerra. Nella stagione suc­ cessiva frac ed abiti da sera sostituirono le uniformi militari e le divise da crocerossina, che i nostri attori avevano indossato con indubbia goffaggine.49

Con La guerra ed il sogno di Momi, la Itala Film gioca abilmente su due ta­ voli: il richiamo all’attualità politica da un lato, la favola con i pupazzi animati dall’altro. «Una curiosità pei grandi. Una delizia per i piccini», recitava una pub­ blicità del film sulle pagine della “Vita cinematografica’’. Durante la guerra, quando parte della popolazione maschile si trovava al fronte, il peso del pubbli­ co femminile e infantile crebbe in maniera considerevole. Da qui la scelta del­ l’itala di realizzare una grande produzione rivolta innanzi tutto ai bambini. La guerra ed il sogno di Momi, oltre a vedere nei credits due dei nomi più illustri del cinema italiano dell’epoca, Chomón e Pastrone, è un film dall’alto livello tecnico e dalla durata ampia per un’opera d’animazione (il confronto è ovvia­ mente con le pellicole estere, visto che in Italia non c’è traccia di animazione pri­ ma del 1917). Infatti, la parte animata della Guerra ed il sogno di Momi dura - nella copia di cui disponiamo attualmente - 12 minuti, là dove negli anni Die­ ci i film di animazione che superano gli 8-10 minuti sono una rarità. Non a caso il film, a Torino, debuttò al Ghersi, una delle sale cinematografiche più eleganti della città. E non ci si deve stupire dell’argomento bellico di un’opera pensata in primo luogo per i bambini: durante la Grande Guerra, anche le forme di intrattenimen­ to per l’infanzia furono pervase dallo spirito nazionalistico dominante nei mezzi di informazione.50 Non per nulla, la formula del “sogno patriottico” del bambino era già stata sperimentata da altri due film, entrambi della Cines: Il sogno del bimbo d’Italia (1915) di Riccardo Cassano e // sogno patriottico di Cinessino (1915) di Gennaro Righelli. Si tratta peraltro di uno stilema non esclusivamente cinematografico: sul “Corriere dei Piccoli” compare Schizzo, personaggio crea­ to sul modello di Little Nemo di Winsor McCay, «un ragazzino che la notte fa sogni d’avventure patriottiche e si sveglia gridando».51 Quello del sogno come mezzo per giustificare sul piano diegetico l’anima­ zione dei giocattoli è un espediente presente in molti film inglesi e americani, dall’inizio del secolo alle soglie della Grande Guerra.52 Sfogliando il catalogo dell’animazione britannica compilato da Gifford, tra il 1901 e il 1913 si incon­ trano una ventina di film che usano animated toys, di cui almeno sette presen­ tano il tema del sogno. Si tratta di opere quasi tutte perdute: il British Film In­ stitute infatti ne conserva soltanto una: Dreams of Toyland (1908), noto anche come In The Land of Nod. di Arthur Melbourne Cooper.53 Nel film un bambino va a comprare dei giocattoli insieme alila madre e poi sogna che questi prenda­ no vita. L’animazione è piuttosto elegante, ma non c’è praticamente storia (pe­ raltro la pellicola è anche breve: dura poco più di tre minuti): vediamo sempli­ cemente i vari giocattoli muoversi sullo schermo. Un esempio più elaborato di film di animazione incentrato sul tema del toys dream è Tragedy in Toyland 57

(1911) realizzato (presumibilmente) dalli’americano Fred E. Dobson, conserva­ to sempre al British Film Institute.54 Dunque, quando realizza La guerra ed il sogno di Momi, Chomón si rifa ad una tradizione consolidata. E il fatto che si tratti di un modello fortemente pre­ sente nella cinematografia britannica è un elemento degno di attenzione, su cui torneremo tra breve. La guerra ed il sogno di Momi - lo abbiamo detto - punta ad attirare il pubblico più ampio possibiile: da un lato c’è la fantasmagoria per i bambini, dall’altro l’attualità politica per gli adulti che accompagnano al cinema i piccoli spettatori. E non è certo un caso che la vicenda, accanto alle gesta del­ l’eroico ufficiale, presenti la famiglia in trepidante attesa della lettera dal fronte: il pubblico adulto era formato proprio da mogli e genitori di soldati. La didasca­ lia finale, che accompagna le immagini della famiglia di Momi, dice: «Il sacro voto di quelli che attendono!». Si tratta di una tendenza molto diffusa nel cine­ ma italiano dell’epoca. Scrive in proposito Brunetta: La guerra è sempre e comunque un luogo rappresentato dal punto di vista e in funzione del punto di vista di chi sta a casa, di chi vuol viverla come esperienza sentimentale e cul­ turale e preferisce che l’esperienza reale resti al di fuori dei suoi orizzonti conoscitivi.55

La guerra ed il sogno di Momi presenta tutti gli stereotipi della propaganda della Grande Guerra (reperibili in entrambi gli schieramenti): la brutalità del ne­ mico stupratore, la guerra proposta come guerra difensiva, la solidarietà inter­ classista in funzione della lotta contro lo straniero, il vincolo che unisce il fron­ te interno con le truppe combattenti. Una didascalia descrive Trak, il burattino cattivo, come «goffo, ottuso, feroce». Sono gli aggettivi con cui la retorica del­ l’Intesa descriveva gli Unni. Non a caso un recensore accostò Trak al Kaiser.56 Martinelli ha sottolineato che la censurai impose che la scritta '"Pax" del cartello che chiudeva il film (assente nella copia attualmente disponibile), venisse muta­ ta in “'Pax vittoriosa".57 II film, infatti, è della metà del 1917: dopo due anni di combattimenti sanguinosi e senza risultati rilevanti, la popolazione è stanca e le ipotesi di una trattativa con il nemico per porre fine al conflitto iniziano a trova­ re un certo ascolto. Ma per il governo l’unica pace possibile è quella che passa attraverso l’annientamento dell’avversario. Ciò che però stupisce nella Guerra ed il sogno di Momi è che, pur trattando­ si di un’opera apertamente patriottica, il nome di questa Patria non venga men­ zionato. Nelle didascalie non compaiono mai né la parola “Italia”, né altre espressioni - ad esempio “Savoia” - che possano rimandare all’Italia. I nemici non vengono definiti in maniera esplicita come tedeschi o austriaci: essi sono ge­ nericamente “il nemico”. Peraltro i soldati avversari si vedono soltanto in un paio di brevi inquadrature. Non ci sono bandiere di nessuno dei paesi belligeranti. Neanche le uniformi servono a denotare uno specifico contesto nazionale: le di­ vise indossate dal padre di Momi e dai suoi uomini, come anche quelle del ne­ mico, sono astratte, non appartengono a nessuno degli eserciti della Grande Guerra. Al limite, l’uniforme del padre di Momi potrebbe ricordare quella ingle58

se: il cappello che indossa assomiglia al cappello di ordinanza dell’esercito bri­ tannico, mentre non ha nulla a che vedere con il kepi in dotazione alle truppe ita­ liane.58 Allo stesso modo, la casa di Momi è un interno borghese che potrebbe tro­ varsi in qualunque paese europeo; e Momi indossa un vestito alla marinara, la di­ visa internazionale dei bambini ricchi. L’unico elemento che potrebbe farci pen­ sare all’Italia è l’ambientazione montana della battaglia. Infatti, con l’eccezione dell’area balcanica, soltanto il fronte italiano era caratterizzato da un terreno montagnoso. Un discorso analogo vale per la parte animata. Un breve articolo inglese sul­ la Guerra ed il sogno di Momi, parlando delle due armate di pupazzi, le defini­ sce italiane e austriache.59 Né il British Film Institute, né l’archivio cinemato­ grafico dell’Imperial War Museum dispongono di una copia inglese del film, per cui non sappiamo come fossero le didascalie della copia circolata in Gran Breta­ gna, ma, stando alla versione italiana, sono davvero pochi gli indizi che ci porta­ no a definire “austriaci” i Trak. Per affrontare i Trak, l’armata dei Trik scala un pendio che conduce ad un al­ topiano, che potrebbe rimandare al teatro di operazioni italiano. L’elmo dei Trak ricorda quello indossato dalle fanterie austriache durante le guerre napoleoniche, ma non certo quello del 1914-’ 18. Per il resto, le sequenze di animazione sem­ brano alludere alla Germania, più che all’Austria-Ungheria. All’apertura delle ostilità, Trak promette ai suoi uomini la Croce di Ferro, una delle più alte onori­ ficenze militari tedesche. L’episodio deill’attacco col gas è preceduto da una di­ dascalia che dice: «Trak - sfumate le sue speranze di fulminea vittoria - chiede un’idea geniale alla ... Kultur!». Vediamo Trak sfogliare alcuni libri voluminosi - la Kultur - e bere da una bottiglia. L’idea geniale è appunto quella della guer­ ra chimica. La polemica verso la Kultur era una caratteristica della propaganda inglese - e poi anche americana - contro i tedeschi, presentati come Unni ubria­ coni e selvaggi, che si vantavano di possedere una cultura superiore, la quale in realtà consisteva soltanto in un militarismo feroce. Le fasi della guerra dei pu­ pazzi riproducono il corso degli avvenimenti sul fronte occidentale. L’uso del gas fu introdotto dai tedeschi nel tentativo di rompere lo stallo della guerra di trincea, dovuto al fallimento del piano Schlieffen (la mancata «fulminea vittoria» dei Trak). Da ultimo, il bombardamento del villaggio di Lilliput da parte del dirigi­ bile dei Trak rinvia esplicitamente agli attacchi degli Zeppelin tedeschi contro Londra. Il vero nemico dell’Italia era l’Austria, tanto che il nostro paese dichiarò guer­ ra alla Germania soltanto nell’agosto del 1916. L’ambiguità delle relazioni italotedesche era tale che nel giugno del 1915 l’Alpenkorps tedesco, inviato ad af­ fiancare gli austriaci contro gli italiani, ricevette l’ordine di non impegnarsi in azioni offensive, in quanto formalmente Italia e Germania non erano in guerra.60 Uno degli elementi portanti della propaganda italiana degli anni 1915-' 18 era l’i­ dea che la guerra in corso fosse il completamento dell’opera risorgimentale. Ma questa dimensione è totalmente assente nel film di Chomón, che invece, cancel59

landò qualunque riferimento esplicito a uno specifico contesto nazionale, sembra costruito con l’intento precipuo di andare incontro ai gusti sia del pubblico ita­ liano che di quello estero. Si tratta, insomma, di un’opera programmaticamente internazionale. La volontà di raggiungere comunque il mercato estero, a prescindere dalla congiuntura bellica, è presente anche in altri film di propaganda italiani del pe­ riodo. Mariute (1918) di Eduardo Benci venga, ad esempio, presenta la stessa astrattezza del film di Chomón. I perfidi soldati che violentano Francesca Berti­ ni, infatti, sono genericamente dei “barbari invasori”, che non vengono identifi­ cati esplicitamente come austriaci. Il film di Bencivenga, peraltro, ha un’orga­ nizzazione narrativa simile a quella di La guerra ed il sogno di Momi: anche qui abbiamo un racconto onirico (la Bertini sogna di essere una contadina in una zo­ na occupata dall’esercito avversario), che si inserisce all’interno di una cornice realistica (la Bertini, nei panni di se stessa, che gira un film e si commuove ascol­ tando il racconto di un reduce dal fronte, giunto sul set). La guerra ed il sogno di Momi venne esportato in Gran Bretagna (dove cir­ colò con il titolo Jackie in Wonderland) e in Spagna {La guerra y el sueno de Mo­ mi). Non abbiamo invece notizie certe di una sua presenza in Francia. Nell’in­ serto in lingua francese di un numero dell’“Arte muta” si parla del film, ma non è chiaro se gli articoli che costituiscono la rubrica intitolata “La Production italienne”, in cui appunto si fa riferimento alla Guerra ed il sogno di Momi, siano recensioni dei film italiani usciti in Francia, oppure note informative per il pub­ blico francese sul cinema italiano, a prescindere dalla effettiva distribuzione del­ le pellicole olir’Alpe.61 Dunque, se la circolazione della Guerra ed il sogno di Momi in Gran Bretagna è cosa certa, bisogna osservare che il film impiegava in­ tenzionalmente alcune formule, sia narrative sia ideologiche, che facevano parte della cultura - cinematografica e politica - del pubblico britannico. Infatti, da un lato Chomón utilizza un modello espressivo - quello degli animated toys - ben noto agli spettatori inglesi, dall’altra egli fa ricorso ad alcuni dei clichés caratte­ ristici della propaganda anti-tedesca nel mondo anglosassone: polemica contro la Kultur e accusa di impiegare mezzi sleali, come gli Zeppelin. Chomón, in defi­ nitiva, tenta non solo di conciliare le esigenze del pubblico adulto e di quello in­ fantile, ma anche di realizzare una difficile sintesi tra il nazionalismo della pro­ paganda di guerra e l’internazionalismo del mercato. Il risultato è un testo affa­ scinante, permeato da un paradossale “patriottismo apolide”.

Note 1 Circa gli aspetti politico-militari del primo conflitto mondiale, ho fatto riferimento soprattut­ to a due dei principali storici militari britannici: Liddell Hart e John Keegan. Cfr.: B.H. Liddell Hart, Strategy, New York, Meridian, 1991; Liddell Hart, History of the First World War, London, Papermac, 1992; John Keegan, The Face of Battle, Harmondsworth, Penguin, 1978; John Keegan, The Price of Admiralty. The Evolution of Naval Warfare, Harmondsworth, Penguin, 1990. Inoltre,

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ho utilizzato anche tre testi chiave sulla dimensione culturale della Grande Guerra: Paul Fussell, The Great War and Modern Memory, Oxford, Oxford University Press, 1975; Eric J. Leed, Terra di nessuno. Esperienza bellica e identità personale nella prima guerra mondiale, tr. it., Bologna, Il Mulino, 1985; Modris Eksteins, Rites of Spring. The Great War and the Birth of the Modern Age, New York, Doubleday, 1989. 2 A.J.P. Taylor, English History 1914-1945, Oxford, Oxford University Press, 1992, p. 4. 3 Cfr. B.H. Liddell Hart, Strategy, cit., pp. 151-163. 4 Per un’analisi della guerra di trincea sul fronte occidentale cfr. John Keegan, The Face of Battle, cit., pp. 207-289. 5 Sulla Gran Bretagna durante la Prima guerra mondiale cfr. A.J.P. Taylor, English History 1914-1945, cit., pp. 1-119. In particolare sull’esperienza dei soldati inglesi sul fronte occidentale cfr. Paul Fussell, The Great War and Modern Memory, cit. 6 Sulla propaganda inglese durante la Grande Guerra cfr.: James Duane Squires, British Pro­ paganda at Home and in the United States from 1914 to 1917, Cambridge, Harvard University Press, 1935 (critico verso la propaganda in quanto tale); H.C. Peterson, Propaganda for War. The Campaign against American Neutrality, 1914-1917, Norman, University of Oklahoma Press, 1939 (pamphlet isolazionista e anti-inglese); Cate Haste, Keep the Home Fires Burning. Propaganda in First World War, London, Allan Lane, 1977 (sulla domestic propaganda); Philip Taylor e M.L. Sanders, British Propaganda in First World War, London, MacMillan Press, 1982 (sulla pro­ paganda nei paesi neutrali e avversari); Gary S. Messinger, British Propaganda and the State in the First World War, Manchester, Manchester University Press, 1992 (una serie di profili dei maggiori responsabili della propaganda ufficiale inglese). 7 Oltre a Hitler, cui si è fatto riferimento nell’introduzione, anche il maresciallo Ludendorff, comandante supremo - insieme a Hindenburg - delle forze tedesche, nelle sue memorie attribuisce la sconfitta all’azione della propaganda inglese. Cfr. Erich Ludendorff, Ludendorff's Own Story. August 1914 - November 1918, 2 vol!., New York, Harper and Brothers Publishers, 1919. Per altre analisi della sconfitta tedesca proposte nell’intervallo tra le due guerre, cfr.: Hans Thimme, Weltkrieg oline Waffen. Die Propaganda der Westmachte gegen Deutschland, Hire Wirkung und ih re Abwehr, Stuttgart/Berlin, Cotta, 1932; George G. Bruntz, Allied Propaganda and the Collapse of the German Empire in 1918, Stanford, Stanford University Press, 1938. 8 Cfr. Modris Eksteins, Rites of Spring, cit., capp. 2-4. 9 Cfr. Eric Hobsbawm, Il secolo breve, tr. it... Milano, Rizzoli, 1995. 10 In realtà, al di là dell’alta considerazione in cui era tenuta la parola scritta, Beaverbrook re­ clutò molti giornalisti anche per smorzare i continui attacchi che i giornali portavano al governo, accusato di una debole gestione della guerra. 11 Si noti che, per quello che riguarda la propaganda negli Stati Uniti, la scelta di seguire una strategia elitaria fu dovuta anche a ragioni diplomatiche. Rivolgersi apertamente all’opinione pub­ blica americana sarebbe parsa un’indebita ingerenza negli affari di un altro paese, mentre agire at­ traverso contatti personali - secondo una vecchia abitudine aristocratica della politica estera bri­ tannica - costituiva certamente una modalità di approccio più discreta. 12 «The press reached perhaps its highest point of influence during the first World war. Radio was in the future. Newspapers were the only source of news, and their circulation rose still more when casualty lists began to appear» (A.J.P. Taylor, English History 1914-1945, cit., p. 26). 13 Modris Eksteins, The Cultural Impact of the Great War, in Karel Dibbets e Bert Hogenkamp (a cura di), Film and the First World War, Amsterdam, Amsterdam University Press, 1995, p. 210. 14 II principale studio sulla propaganda cinematografica inglese durante la Grande Guerra è quello di Nicholas Reeves: Official British Film Propaganda during the First World War, London, Croom Helm, 1986. Inoltre, cfr.: “Historical Journal of Film, Radio and Television”, n. 2, 1993 (nu­ mero monografico dedicato all’argomento); Ian Stewart e Susan L. Carruthers (a cura di), War, Culture and the Media: Representations of the Military in 20th Century Britain, Trowbridge, Flicks Books, 1996. Sull’esperienza dei cineoperatori al fronte cfr. Geoffrey H. Malins, How I Filmed the War, London, Imperial War Museum, 1993 [I ed. : 1920]. Si veda anche Roger Smither (a cura di), Imperial War Museum Film Catalogue, vol. I: The First World War Archive, Trowbridge, Flicks Books, 1994; il bellissimo catalogo dellTmperial War Museum presenta una introduzione di Ste-

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phen Badsey, di cui si può trovare la traduzione italiana in Renzo Renzi (a cura di), 11 cinemato­ grafo al campo. L'arma nuova nel primo conflitto mondiale, Ancona, Transeuropa, 1993, pp. 7686. Nel volume di Renzi, peraltro, compaiono anche altri due saggi sul cinema inglese: Nicholas Hiley, “Come filmai la guerra ”, Gli sconosciuti eroi del War Office inglese per gli scoop del 1916 (pp. 52-66); Roger Smither, “Una meravigliosa idea del combattere”. Il problema dei falsi in “The Battle of the Somme” (pp. 76-86). 15 II film è noto anche come Once a German, always a German (che corrisponde alla prima di­ dascalia del film), oppure Once a Hun, always a Hun. Per una più dettagliata analisi del film cfr. Nicholas Reeves, Officiai British Film Propaganda during the First World War, cit., pp. 203-205. 16 Cfr. Denis Gifford, British Animated Films, 1895-1985. A Filmography, Jefferson (North Carolina), McFarland, 1987, pp. 26-56. Oltre alla serie “Kineto War Maps”, abbiamo escluso dal calcolo anche i 52 episodi della serie “John Bull Cartoons”, apparsi nel “Pathé Gazette” tra l'apri­ le 1918 e il maggio 1919. A proposito di questi ultimi Gifford è assolutamente criptico: non spie­ ga di che cosa si tratti, né dice quanti numeri della serie siano usciti durante la guerra. 17 Sull’animazione britannica durante la Grande Guerra, oltre al testo di Gifford, cfr.: Rachael Low, The History’ of the British Film, vol. II, London, George Allen and Unwin, 1948, pp. 169-174; Gianni Rondolino, Storia del cinema d’animazione, Torino, Einaudi, 1974, pp. 44-46; Donald Crafton, Before Mickey’. The Animated Film 1898-1928, Chicago, University of Chicago Press, 1993, pp. 225-228; Giannalberto Bendazzi, Cartoons. Cento anni di cinema di animazione, Vene­ zia, Marsilio, 1992, pp. 64-66. 18 Abbiamo unificato l’annata del 1917 e quella del 1918 perché alcune pellicole conservate al1’Imperial War Museum hanno una datazione incerta e potrebbero essere state realizzate nel 1917 o nel 1918. D’altra parte, unificare i due anni non è scorretto, perché il biennio 1917-’ 18 si con­ trappone nettamente al triennio precedente, in quanto vede la nascita della produzione cinemato­ grafica governativa. 19 Si noti che qui, dei titoli citati da Gifford, prendiamo in considerazione soltanto i cartoons relativi alla guerra e non i film di animazione nel loro complesso. 20 Non è nostra intenzione affrontare l’intricata questione del primo film di animazione. I film con oggetti animati iniziano a essere realizzati nei primissimi anni della storia del cinema. Più in generale, l’animazione è parte integrante del bagaglio di trucchi del cinema delle origini. Matches Appeal (1899), da noi esaminato nell’introduzione, è uno dei primi esempi di animazione (Ben­ dazzi Io considera addirittura come il primo film di animazione tout court). Il disegno animato na­ sce più tardi: generalmente si indica in Fantasmagorie (1908) di Emile Cohl il primo film a dise­ gni animati. Sulla querelle attorno al primo film di animazione cfr.: Robert Vrielynck, Le Cinéma d’animation avant et après Walt Disney. Un panorama historique et artistique, Bruxelles, Meddens, 1981, pp. 25-26; Giannalberto Bendazzi, Cartoons, cit., pp. 8-11. 21 Sul lightning sketch e il suo rapporto con il cinema di animazione cfr. Donald Crafton, Be­ fore Mickey, cit., pp. 48-57. 22 Cfr. Antonio Costa, La morale del giocattolo. Saggio su Georges Méliès, Bologna, CLUEB, 1989, pp. 163-164. 23 Cfr. Donald Crafton, Animation Iconography: The “Hand of the Artist”, “Quarterly Review of Film Studies”, autunno 1979, pp. 409-428. 24 Nonostante l’assenza del sonoro, il cinema muto in alcuni casi cercò di giocare sugli errori di pronuncia, propri di certi gruppi etnici, dandone una traduzione ortografica nelle didascalie. In The Birth afa Nation (1915), ad esempio, i neri parlano un inglese ridicolo, che anticipa quello di Mammy in Gone with the Wind (1939). 25 II processo, messo a punto da John Randolph Bray e Earl Hurd nella metà degli anni Dieci, e divenuto la tecnica standard del disegno animato americano, si fonda sull’uso di «fogli di cellu­ loide trasparenti (rodovetri) che permettono, per trasparenza, di ricalcare un disegno sul preceden­ te, in modo da farne combaciare i contorni e le parti del disegno che devono rimanere fisse per un certo tempo; e successivamente disegnare le varianti del disegno stesso, le quali, in fase di proie­ zione del film, producono il movimento, avendo sempre come riferimento grafico il disegno pre­ cedente. Gli sfondi, le scenografie, sono di regola disegnati o dipinti su un foglio di base, non tra­ sparente» (Gianni Rondolino, Storia del cinema d’animazione, cit., p. XVIII). Sulla tecnica del ci­

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nema di animazione cfr.: Roy P. Madsen, Animated Film: Concepts, Methods, Uses, New York, Interiand Publishing, 1969; John Halas e Roger Manveil, The Tecnique of Film Animation, London, Focal Press, 1976. 26 Cfr. “The Bioscope”, n. 417, 8 ottobre 1914. 27 Su questo tema c’è un poster britannico, in cui si vede un soldato inglese ferito che chiede da bere: una perfida infermiera della Croce Rossa versa l’acqua per terra, mentre alle sue spalle due ufficiali tedeschi sorridono compiaciuti. «Red Cross or Iron Cross?», domanda il manifesto, che al­ lude alla Croce di Ferro, una delle più alte decorazioni militari tedesche. Cfr. Peter Paret, Beth Irwin Lewis, Paul Paret, Persuasive Images. Posters of War and Revolution, Princeton, Princeton University Press, 1992, p. 22. 28 Sia la Low che Gifford affermano che la serie ebbe termine in settembre, per un totale di 19 episodi, mentre la World Encyclopedia of Cartoons indica novembre come data di fine della serie, la quale sarebbe stata costituita da 21 puntate. Cfr. Maurice Horn (a cura di), The World Encyclo­ pedia of Cartoons, New York / London, Gale Research Company / Chelsea House Publishers, 1980, vol. I, p. 151. 29 In Europa e negli Stati Uniti vennero realizzati diversi cartoons con Chariot come protago­ nista, per lo più senza l’autorizzazione di Chaplin (cfr. Donald Crafton, Before Mickey, cit.. p. 219). La serie più nota (per la quale invece era stato stipulato un regolare contratto con Chaplin per lo sfruttamento del suo personaggio) è quella di Otto Messmer, il creatore di Felix the Cat, dove tra­ viamo anche un film anti-tedesco: How Charlie Captured the Kaiser (1918). 30 Cfr. Denis Gifford, British Animated Films, 1895-1985, cit., p. 118. 31 E.T.A. Hoffmann, L’uomo della sabbia e altri racconti, tr. it., Milano, Mondadori, 1987, p. 27. 32 Gifford afferma che il film sia uscito nel dicembre del 1917, mentre il catalogo del British Film Institute lo colloca nel 1918. Noi seguiamo le indicazioni del British Film Institute, dove ab­ biamo lavorato, ma è anche possibile che Gifford abbia ragione. Nel film infatti si fa riferimento alla battaglia di Passchendaele, svoltasi tra l’agosto e il dicembre del 1917. Poiché nel film si par­ la di Passchendaele come di un’offensiva vittoriosa, mentre invece si trattò di un disastro, è presu­ mibile che il cartoon sia stato realizzato quando l’opinione pubblica sperava ancora in un esito po­ sitivo dello scontro, ovvero prima del mese di dicembre. Ovviamente, il film può anche essere sta­ to girato nell’estate-autunno del 1917 ed essere uscito nelle sale agli inizi del 1918. 33 Cfr. I.F. Clarke, Voices Prophesying War. Future Wars 1763-3749, Oxford, Oxford Universi­ ty Press, 1992, pp. 27-130. 34 Cfr. George T. Chesney, La battaglia di Dorking, tr. it., Milano, Editrice Nord, 1985. Il vo­ lume - che è un’edizione bilingue con testo a fronte - si avvale anche di una bella introduzione di Carlo Pagetti. 35 È chiaro che la lettura da noi proposta risponde a una logica storiografica di tipo lineare-progressivo. Si potrebbe controbattere - usando le categorie di Noèl Burch - che il lightning sketch non è primitivo, ma soltanto estraneo al Modo di Rappresentazione Istituzionale. A quanto ci con­ sta, non è stata avviata alcuna riflessione teorica sul problema del rapporto tra cinema primitivo e cinema istituzionale nell’ambito dell’animazione. 36 Gian Piero Brunetta, La guerra vicina, in Renzo Renzi (a cura di), // cinematografo al cam­ po, cit., p. 16. 37 A.J.P. Taylor, English History’ 1914-1945, p. 20, nota 1. 38 Cfr. Roger Smither (a cura di), Imperial War Museum Film Catalogue, cit., pp. 243-244. 39 Un altro cartoon, andato perduto, si intitolava proprio The Romance of Lloyd-George (1917). 40 Cfr. Ine van Dooren e Peter Kramer, The Politics of Direct Address, in Karel Dibbets e Bert Hogenkamp (a cura di), Film and the First World War, cit., pp. 97-107. 41 Cfr.: Donald Crafton, Before Mickey, cit., p. 364, nota 7; Denis Gifford, British Animated Films, 1895-1985, cit., pp. 30-31. 42 II numero totale dei film della serie non è certo. Gifford cita 15 numeri, usciti tra il 22 otto­ bre 1914 e il 7 settembre 1916. Il fatto che presso il British Film Institute esista il numero 16 indi­ ca che la serie proseguì oltre al limite fissato da Gifford, anche se presumibilmente non per molto.

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43 Cfr. Charles Urban, The Cinematograph in Science, Education and Matters of State, Lon­ don, Charles Urban Trading Company, 1906. 44 Per lungo tempo il film è stato attribuito a Pastrone, che invece è autore unicamente del sog­ getto e della sceneggiatura. Su Chomón cfr.: Louise Beaudet, A la recherche de Segundo de Cho­ món, Annecy, JICA Diffusion, 1985; Juan Gabriel Tharrats, Los 500films de Segundo de Chomón, Zaragoza, Universidad de Zaragoza, 1988. 45 La copia restaurata dal Museo Nazionale del Cinema di Torino, in collaborazione con la Ci­ neteca Italiana, è di 750 metri (che equivalgono a 36'25", con una velocità di proiezione di 18 fo­ togrammi al secondo) ed è più breve di circa 80 metri rispetto alla versione originale. Sul restauro della pellicola cfr. Claudia Gianetto, Reconstruct ion y colorendo de “Il fuoco ” y “La guerra ed il sogno di Momi”, “Archivos de la Filmoteca”, n. 20, giugno 1995, pp. 99-104. 46 Cfr. Gian Piero Brunetta, La guerra vicina, cit., p. 22. 47 Cfr. Liddell Hart, History of the First World War, cit., pp. 144-145. 48 Cfr. Gian Luca Farinelli e Nicola Mazzanti, Una propaganda impossibile, in Renzo Renzi (a cura di), Il cinematografo al campo, cit., p. 135. 49 Vittorio Martinelli, I sogni di Momi. Il cinema italiano e la Grande Guerra, “Cinegrafie”, n. 4, 1991, p. 133. 50 Cfr. Eleonora Chiti Lucchesi, Donne, bimbe e bambole nell’immaginario di guerra, in Die­ go Leoni e Camillo Zadra (a cura di), La Grande Guerra. Esperienza, memoria, immagini, Bolo­ gna, Il Mulino, 1986, pp. 405-425; Antonio Faeti, La guerra di Arcipiombo, in Renzo Renzi (a cu­ ra di), Il cinematografo al campo, cit., pp. 117-121. 51 Eleonora Chiti Lucchesi, Donne, bimbe e bambole nell’immaginario di guerra, cit., p. 421. 52 Più in generale, il sogno come cornice della storia principale è una formula narrativa diffu­ sissima nel cinema di animazione. Cfr. Donald Crafton, Before Mickey, cit., p. 342. 53 L’archivio del British Film Institute dispone anche di un altro film, Wooden Athletes ( 1912), peraltro molto rozzo, che però non presenta il tema onirico, ma semplicemente gli animated toys. 54 II tema del giocattolo animato è diffusissimo in tutta la storia dell’animazione, anche dopo gli anni Dieci. Limitandoci ad una ricognizione superficiale, in Gran Bretagna, nel periodo tra le due guerre mondiali, si trovano due film: Toyland Topics (1928) e Oh Whiskers! (1939). In Ce­ coslovacchia, nel 1946, Hermine Tyrlova realizza Vzpoura Hracek (La rivolta dei giocattoli), in cui un gruppo di giocattoli mette in fuga un ufficiale nazista. Grant Munro, uno dei principali anima­ tori del National Film Board of Canada, è autore di Toys (1966), in cui la battaglia tra i giocattoli veicola un messaggio pacifista. Il tema del giocattolo che prende vita ritorna anche in Toy Story (1995) della Disney e in Small Soldiers (1998) di Joe Dante. 55 Gian Piero Brunetta, Storia del cinema italiano, vol. I: Il cinema muto 1895-1929, Roma, Editori Riuniti, 1993, p. 222. 56 Cfr. “La vita cinematografica”, n. 3-4, 22-30 gennaio 1917, p. 115. 57 Cfr. Cfr. Vittorio Martinelli, 11 cinema muto italiano 1917, Torino, Nuova ERI, 1991, p. 141. 58 Cfr. D.S.V. Fosten, R.J. Marrion, G.A. Embleton, The British Army 1914-18, London, Osprey, 1978. 59 Cfr. “The Bioscope”, 18 ottobre 1917, p. 52. 60 Cfr. Piero Pieri, L’Italia nella prima guerra mondiale (1915-1918), Torino, Einaudi, 1965, p. 82. 61 Cfr. “L’arte muta. Revue Internationale de la vie cinématographique. Supplement frangais”, n. 3-4, 31 marzo 1917. p. 15. Il supplemento compare in “L’arte muta”, n. 8-9, 30 marzo - 30 apri­ le 1917.

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Capitolo II

Stati Uniti 1914-1918

1. Gli Stati Uniti dalla neutralità alla belligeranza In The Beautiful and Damned, Francis Scott Fitzgerald, a proposito della parteci­ pazione americana alla Grande Guerra, scrive: «The great rich nation had made triumphant war, suffered enough for poignancy but not enough for bitterness - hence the carnival, the feasting, the triumph».1 Il coinvolgimento degli Stati Uniti nel primo conflitto mondiale, se paragonato con quello dei loro alleati, fu estremamente limitato, sia in termini di tempo che di sofferenze umane. I 100.000 caduti americani della Grande Guerra sono un’inezia, a confronto con le perdite subite dalla Francia e dallTmpero britannico (rispettivamente 1.350.000 e 950.000 morti). Gli Stati Uniti dichiararono guerra alla Germania il 6 aprile del 1917, ma i pri­ mi reparti americani iniziarono a combattere solo nel maggio dell’anno succes­ sivo; inoltre, l’American Expeditionary Force, guidata dal generale Pershing, eb­ be la consistenza numerica sufficiente da poter creare un’armata autonoma (pur dovendo sempre dipendere dall’assistenza anglo-francese circa l’aviazione e l’ar­ tiglieria) soltanto a partire dalla fine dell’estate, cioè pochi mesi prima della resa degli Imperi Centrali. Armare, addestrare e inviare in Francia due milioni di uo­ mini fu, ovviamente, un’operazione lunga e complessa; ma, per quanto tardivo, l’arrivo delle truppe americane si rivelò decisivo (anche dal punto di vista psico­ logico) per modificare a favore dell’Intesa i rapporti di forza sul fronte occiden­ tale. Inoltre, gli Stati Uniti ebbero un ruolo essenziale sul piano economico e nel­ la guerra navale. Senza l’assistenza finanziaria di Washington agli alleati e senza la partecipazione statunitense al blocco navale contro la Germania, l’Intesa non avrebbe potuto vincere la Materialschlacht.2 Ma l’ingresso in guerra degli Stati Uniti fu un evento tutt’altro che scontato. In primo luogo, in America vi erano alcune minoranze, etniche e politiche, for­ temente contrarie all’intervento. I German-Americans, per lealtà verso la loro patria di origine, nel 1914 si schierarono apertamente dalla parte degli Imperi Centrali; mentre gli Irish-Americans non volevano partecipare a una guerra in sostegno degli inglesi, che opprimevano da secoli l’Irlanda. La comunità di ori­ gine tedesca pagherà duramente la sua devozione alla Germania: dopo l’aprile 65

del 1917 negli Stati Uniti si scatenerà una vera crociata anti-tedesca, che porte­ rà, nel giro di pochi anni, alla distruzione dei German-Americans (fino ad allo­ ra, una delle componenti più numerose e rispettate nella variegata galassia dei non-WASP) come entità culturale. I giornali in tedesco vennero chiusi, così co­ me le associazioni per l’insegnamento, mentre le città con nomi di origine tede­ sca furono ribattezzate (nell’lowa, ad esempio, la cittadina di Berlin divenne Lincoln).3 Una ventata di furore lessicale anti-teutonico investì tutti gli ambiti della vita sociale, anche i più innocui: il sauerkraut diventò liberty cabbage, lo hamburger si mutò in liberty stake, mentre la serie di fumetti “The Katzenjammer Kids” (in Italia: “Bibì e Bibò”; creata nel 1897), che aveva per protagonisti una famiglia di origine tedesca, perse il nome esplicitamente germanico e diven­ ne “The Shenanigan Kids”, così come la sua versione a disegni animati, nata nel 1917, venne chiamata “The Captain”.4 Inoltre, alcuni settori del movimento ope­ raio - socialisti, anarchici, il piccolo sindacato radicale IWW - erano contrari al­ la guerra in nome dell’internazionalismo proletario. La principale forza di oppo­ sizione alla guerra fu l’American Socialist Party, tra le cui fila erano particolar­ mente numerosi i German-Americans, che in questo modo erano doppiamente sospetti agli occhi delle autorità.5 Al di là di questi gruppi minoritari, la maggioranza degli americani era schie­ rata dalla parte dell’Intesa, sia per i vincoli storici che univano gli Stati Uniti al­ la Gran Bretagna, sia per una naturale diffidenza verso il militarismo aggressivo dagli Imperi Centrali (in particolare, la violazione della neutralità del piccolo Belgio era stata considerata un atto inaccettabile). Ma questa generica solidarie­ tà nei confronti della causa alleata non impediva agli americani di essere decisa­ mente contrari a un loro ingresso in guerra. Il desiderio di rimanere neutrali na­ sceva sia dal tradizionale isolazionismo americano, sia dal lascito della guerra ci­ vile. L’entusiasmo che accompagnò lo scoppio del conflitto, in tutti paesi coin­ volti, si spiega anche con l’assenza della memoria di una grande guerra conti­ nentale: nel 1914, per trovare un evento di tali proporzioni nella storia europea, bisognava risalire fino a Napoleone. La guerra di Secessione, invece, era termi­ nata da meno di cinquant’anni, e il suo ricordo terribile era ancora molto vivo nella società americana. Scrive in proposito John Keegan: By April 1865, when the North’s strangulation of the South at last achieved its result, 620.000 Americans had died as a direct result of the war, more than the total number killed in the two world wars, Korea and Vietnam. The emotional aftermath of the war in­ oculated several generations of Americans against the false romanticism of uniforms and training camps.6

Nel 1916, Wilson era stato eletto per un secondo mandato con lo slogan: «He kept us out of war!». Il neutralismo wilsoniano non era affatto un espediente elet­ torale: Wilson era contrario alla guerra e aveva cercato di mediare tra i conten­ denti sin dal 1914. Il Presidente si trovò costretto a coinvolgere l’America nel conflitto contro gli Imperi Centrali a causa della guerra sottomarina tedesca, che 66

ostacolava i collegamenti transatlantici e minacciava gli interessi economici de­ gli Stati Uniti (dal 1° febbraio 1917, gli U-Boot attaccavano ogni nave, anche neutrale, che portasse rifornimenti all’Inghilterra). In secondo luogo, l’eventua­ lità di una vittoria della Germania sulle due principali democrazie europee non poteva che preoccupare Wilson, un democratico idealista (con una componente donchisciottesca, come dimostrerà la tragica vicenda della Lega delle Nazioni). Nella dottrina strategica americana, la forza della flotta britannica era sempre sta­ ta considerata una delle garanzie della sicurezza degli Stati Uniti: un’Inghilterra umiliata e un’Europa continentale dominata da una potenza ostile, sui tempi lun­ ghi, avrebbero avuto una ricaduta negativa sulla politica estera americana. Da ul­ timo, la sconfitta di Francia e Gran Bretagna, largamente indebitate verso gli Sta­ ti Uniti a causa delle spese indotte dallo sforzo bellico, avrebbe danneggiato l’e­ conomia americana. Se Wilson potè chiedere al Congresso la dichiarazione dello stato di guerra, senza incontrare grandi opposizioni, fu perché, tra l’agosto del 1914 e l’aprile del 1917, l’opinione pubblica statunitense si era progressivamente spostata a favore dell’intervento a fianco dell’Intesa. In questo processo - lo abbiamo vi­ sto - la propaganda britannica ebbe un ruolo di rilievo. Ma vi furono anche una serie di fatti indipendenti dall’azione degli inglesi a spingere la maggioranza degli americani a optare per la guerra. Gli attacchi indiscriminati a navi mer­ cantili e passeggeri da parte dei sottomarini tedeschi (che causarono la morte anche di cittadini americani, come nel caso dell’affondamento del Lusitania), gli atti di sabotaggio, realizzati da membri della comunità German-American e da agenti tedeschi, alle ditte statunitensi che fornivano materiale bellico all’In­ tesa, oltre all’episodio del telegramma Zimmermann,7 convinsero molti ameri­ cani che la Germania rappresentava un reale pericolo per gli interessi naziona­ li degli Stati Uniti.

2. Il cinema americano durante la Grande Guerra

Tra l’agosto del 1914 e l’aprile del 1917, gli Stati Uniti furono terreno di scon­ tro tra la propaganda inglese e quella tedesca.8 In questa battaglia, il cinema gio­ cò un ruolo tutt’altro che secondario. Uno dei veicoli attraverso i quali i tedeschi, a partire dai primi mesi di guerra, cercarono di influenzare l’opinione pubblica americana, furono proprio i documentari. Oltre a distribuire in America le pro­ prie pellicole (che circolavano soprattutto nel Midwest, dove le comunità di ori­ gine tedesca erano particolarmente numerose), i tedeschi autorizzarono anche al­ cuni cineasti americani a filmare le truppe del Reich. La Germania - lo abbiamo già detto - fu il primo paese a permettere ai cineoperatori l’accesso al fronte. Pe­ raltro, i documentaristi americani che si erano recati in Europa a lavorare con i tedeschi, al momento dell’entrata in guerra degli Stati Uniti ebbero molti proble­ mi con le autorità del loro paese (alcuni di essi vennero persino incarcerati).9 67

Come si è visto nel precedente capitolo, il governo inglese iniziò a svolgere un’attività di propaganda bellica proprio per rispondere all’azione dei tedeschi in America. Il primo film realizzato da strutture ufficiali britanniche, Britain Pre­ pared (1915), venne fatto largamente circolare negli Stati Uniti. Al di là della lo­ ro inferiorità tecnologica rispetto agli avversari, i quali detenevano il controllo dei cavi oceanici, i tedeschi saranno di fatto costretti al silenzio dopo l’episodio del Lusitania (7 maggio 1915), che provocò un moto di orrore e di odio anti-tedesco in tutti gli Stati Uniti. Inoltre, per quanto riguarda specificamente il cine­ ma, il blocco navale inglese rese ben presto quasi impossibile l’importazione di pellicole dalla Germania in America. Parallelamente al duello tra i propagandisti inglesi e quelli tedeschi, in seno all’opinione pubblica americana si verificò il confronto tra i sostenitori della pre­ paredness (la richiesta di un ampio programma di riarmo, in vista di un eventua­ le intervento) da un lato, e gli isolazionisti e i pacifisti dall’altro. E nella produ­ zione cinematografica americana degli anni 1914-’ 17 troviamo numerose tracce di questo dibattito. Il preparedness film di maggior successo fu The Battle Cry of Peace (1915) di Stuart Blackton, in cui gli Stati Uniti - incapaci di difendersi a causa dell’ignavia dei pacifisti - vengono invasi da una potenza straniera, chiara­ mente identificabile con la Germania. Il film di Blackton era ispirato a Defence­ less America, un pamphlet di Hudson Maxim, produttore di armi e inventore del­ la polvere da sparo senza fumo. The Battle Cry of Peace venne denunciato come guerrafondaio dal magnate dell’industria automobilistica Henry Ford, impegna­ to in una campagna pacifista, culminata nel suo viaggio in Europa sulla Peace Ship, alla fine del 1915, per convincere Intesa e Imperi Centrali a cessare le osti­ lità. Civilization (1916) di Thomas Ince utilizza la medesima formula dell’apo­ logo fantapolitico cui fa ricorso Blacktoin, ma sotto il segno opposto. In Civiliza­ tion la vicenda dello scontro tra nazioni immaginarie - che alludono apertamen­ te ai belligeranti del conflitto in corso - è funzionale alla condanna della guerra e del militarismo, nella prospettiva di un pacifismo cristiano. Our American Boys in the European War (1916), prodotto dalla Triangle con il sostegno delle autori­ tà militari francesi, inneggiava alle imprese dei volontari americani che prestava­ no servizio in Francia (nell’American Volunteer Motor Ambulance Corps e nell’Escadrille Lafayette).10 L’entrata in guerra degli Stati Uniti pose fine ai film di tendenza isolazioni­ sta. Patria (1917), un serial fantapolitico in quindici puntate prodotto da Hearst (notoriamente filo-tedesco), subì pesanti tagli, in quanto raccontava di un’al­ leanza anti-americana tra Messico e Giappone (quest’ultimo era alleato dell’In­ tesa). Allo stesso modo, The Spirit of '76 (1917) di Robert Goldstein, un film sulla guerra di Indipendenza dai violenti toni anti-inglesi, incorse nelle maglie della censura. Come sempre in sintonia con la tendenza politica dominante, Hollywood iniziò a sfornare film che denunciavano le atrocità degli Unni. I ti­ toli di alcune di queste pellicole sono sufficientemente eloquenti circa il loro contenuto: The Kaiser, the Beast of Berlin (1918), To Hell with the Kaiser 68

(1918). Si tratta di opere in cui la natura demoniaca e barbarica del nemico vie­ ne illustrata secondo gli stereotipi classici della hate propaganda, collaudata da­ gli inglesi a partire dal 1914. In The Heart of Humanity (1918), ad esempio, Erich von Stroheim, nei panni di un perfido ufficiale tedesco, scaglia un bambi­ no fuori dalla finestra, poiché lo disturba mentre sta cercando di stuprarne la ma­ dre. Al di là dei war movies in senso stretto, quantitativamente minoritari, in molti generi hollywoodiani - il dramma sentimentale, il film d’azione, il giallo i cattivi canonici vennero sostituiti da nuovi cattivi, legati all’attualità: spie te­ desche, German-Americans al soldo del nemico, pacifisti, madri che non vo­ gliono far partire i figli per il fronte. Ma accanto alla produzione di film di finzione, Hollywood si mobilitò anche in maniera più pragmatica per sostenere lo sforzo bellico della nazione. Alcune delle grandi star - Charles Chaplin, William S. Hart, Mary Pickford, Douglas Fairbanks, Sessue Hayakawa - recitarono in molti cortometraggi di propaganda per il liberty loan (il prestito di guerra) e percorsero gli Stati Uniti da una costa all’altra, partecipando ai raduni di massa in cui venivano venduti i war bonds. In 100% American (1918), prodotto dalla Famous Players-Lasky, ad esempio, Mary Pickford illustra la condotta di vita della brava ragazza americana, che non spre­ ca il denaro in acquisti frivoli, ma investe in liberty bonds e atterra il Kaiser sca­ gliandogli in testa una palla da baseball, su cui è scritto «4th Liberty Loan». Il cortometraggio termina con la Pickford che guarda in macchina e invita il pub­ blico a finanziare lo sforzo bellico. Ritroviamo il medesimo schema in The Bond (1918), dove Chaplin picchia il Kaiser con un grande martello su cui è scritto «Liberty Bonds»." Inoltre, le Majors cooperarono alacremente con il Committee on Public Information, l’agenzia federale che si occupava della propaganda di guerra, mettendo a disposizione le proprie sale per la distribuzione delle pellico­ le del governo. Il Committee on Public Information,, presieduto da George Creel, un giorna­ lista democratico, venne creato il 13 aprile 1917 (una settimana dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti). Il CPI - diviso in due grandi sezioni: domestic e for­ eign - agiva da agenzia di informazione delle strutture pubbliche (Casa Bianca compresa) e gestiva tutti gli aspetti della propaganda: libri, opuscoli, riviste, parate, affiches, fotografìe, film. Inoltre, il CPI si occupava della censura delle notizie relative alla guerra. Come in Gran Bretagna, mentre gli scrittori e gli ora­ tori delle organizzazioni private (giornali, chiese, partiti politici) usavano spesso la hate propaganda, il CPI fece ricorso soprattutto a una propaganda in positivo. Il principale obiettivo di Creel non era quello di diffamare i tedeschi e di bollar­ li come barbari stupratori (cose che comunque fece), quanto quello di promuo­ vere la visione wilsoniana della Grande Guerra, considerata come una crociata per difendere la democrazia («Make the world safe for democracy», recitava uno degli slogan più noti) e l’autodeterminazione dei popoli, nonché, una volta ter­ minato il conflitto, per porre fine alle guerre, attraverso l’istituzione della Lega delle Nazioni, un organismo internazionale incaricato di gestire le dispute tra gli 69

Stati. Nelle linee di fondo, il CPI perseguiva i medesimi obiettivi del Ministry of Information inglese: in patria, mobilitare la società per sostenere lo sforzo belli­ co (anche se la brevità della partecipazione americana al conflitto fece sì che, ne­ gli Stati Uniti, la guerra non divenisse realmente totale)', all’estero, rinsaldare i rapporti con gli alleati, demoralizzare il nemico, attirare i paesi neutrali nella pro­ pria orbita.12 Il CPI, ovviamente, utilizzava anche il cinema, anche se la Film Division ven­ ne creata soltanto nel settembre del 1917. Inizialmente, infatti, si riteneva che, per gestire la propaganda cinematografica, fosse sufficiente il War Cooperation Committee of the Motion Picture Industry (diretto da William Brady, presidente della National Association of the Motion Picture Industry), una struttura creata dalle Majors per coordinare i propri sforzi con quelli del governo. Il WCCMPI produsse e distribuì una serie di cortometraggi sul risparmio del cibo e per la pro­ mozione dell’arruolamento. Ma uno dei principali contributi fomiti da Holly­ wood al CPI consistette nell’uso delle opere di puro intrattenimento come stru­ mento di pressione, per eliminare i film di provenienza tedesca dagli schermi dei paesi neutrali. Il CPI, che controllava l’esportazione delle pellicole americane, minacciò esercenti e distributori stranieri di non rifornirli più di film americani (i più richiesti dal pubblico) se avessero continuato a proiettare quelli tedeschi o se si fossero rifiutati di mostrare le produzioni del CPI, che venivano abbinate ai film delle case hollywoodiane. In questo modo, la presenza del cinema tedesco venne di fatto eliminata da Svezia e Norvegia, e fortemente ridimensionata in Olanda e Svizzera. La Film Division del CPI, diretta da Charles S. Hart, riuscì a realizzare una sessantina di titoli, tra documentari e cinegiornali. Molti di questi film ebbero scarso effetto, in quanto vennero terminati quando la guerra era praticamente fi­ nita. Il primo film, Pershing’s Crusaders, fu pronto solo nel maggio del 1918, sette mesi prima della resa degli Imperi Centrali. Il primo numero del cinegior­ nale settimanale, 1’“Official War Review”, apparve il 1° luglio del 1918. Per le riprese al fronte, il CPI si appoggiava al Signal Corps, il corpo di comunicazioni dell’esercito americano, cui era stata attribuita competenza sulla fotografia e il ci­ nema (anche se la Marina e i marines disponevano di sezioni cinematografiche autonome). Il Signal Corps (che arruolò anche alcuni cineasti civili, tra cui Lewis Milestone, Joseph von Sternberg, George Marshall), oltre a occuparsi della foto­ grafia aerea per il tiro di artiglieria, realizzava training films e documentava le azioni delle truppe americane. La Film Division del CPI montava il materiale fil­ mato dagli operatori del Signal Corps, integrandolo anche con pellicole prove­ nienti da paesi alleati. Per la circolazione dei propri film, la Film Division si av­ valse della rete distributiva delle Majors, senza la quale sarebbe stato praticamente impossibile mostrare i film. Come ha sottolineato Larry Wayne Ward, durante la guerra i grandi produt­ tori fornirono un aiuto generoso alle strutture pubbliche sia per patriottismo, sia per far crescere, soprattutto presso i membri dell’establishment, la reputazione 70

del cinema, fino ad allora guardato con sospetto, in quanto intrattenimento po­ polare, per di più gestito largamente da persone non di origine WASP. Realizza­ re film di propaganda significava mostrare che il cinema poteva essere uno stru­ mento educativo, oltre che una semplice forma di spettacolo. In questo modo, al­ la fine della guerra, il cinema si era guadagnato la patente di industria rispetta­ bile. Ma una volta terminato il conflitto, Hollywood chiese a gran voce lo sman­ tellamento della Film Division del CPI, non tanto per paura della concorrenza, quanto per timore di un’eccessiva regolamentazione da parte dello Stato delle at­ tività delle Majors. Il CPI - Film Division compresa - venne sciolto dal Congresso il 30 giugno del 1919. La fine del CPI coincise con ili crollo degli ideali wilsoniani, che Creel (il quale si era recato in Europa insieme; a Wilson, per le trattative di pace) ave­ va diffuso nel mondo. Il dopo-guerra vide, sulla scena politica americana, un net­ to ritorno all’isolazionismo: nel 1919 il Senato bocciò il Trattato di Versailles; nel 1923 il presidente Harding rifiutò l’adesione degli Stati Uniti alla Lega delle Na­ zioni, che senza l’America, la principale potenza economica mondiale, finì con il configurarsi come un’istituzione priva di reale potere.

3. I disegni animati della neutralità Il periodo della Grande Guerra coincide con la nascita dei primi studios di ani­ mazione americani (tutti localizzati a New York: l’affermazione della California come principale centro produttivo avverrà soltanto nei tardi anni Venti). Raoul Barre (di origine canadese) fonda il suo studio nel 1914, così come John Ran­ dolph Bray; nel 1916, nasce l’International Film Service di Hearst, sotto la gui­ da di Gregory LaCava (quest’ultimo studio avrà vita breve: sparirà nel 1918). L’inizio della realizzazione industriale dei film di animazione provoca una cre­ scita esponenziale del numero di pellicole prodotte e, al contempo, un calo ver­ ticale della qualità dei film. In termini di cura formale, c’è un abisso tra i car­ toons di Bray - che Donald Crafton ha definito lo «Henry Ford dell’animazio­ ne» - e le prime opere di Winsor McCay, il quale, lavorando con metodo arti­ gianale, aveva dato inizio alla storia dell’animazione americana, realizzando al­ cuni piccoli capolavori: Little Nemo (1911), The Story of a Mosquito (1912), Gertie the Dinosaur ( 1914).13 La coincidenza tra la guerra e la crescita - quantitativa, se non qualitativa del cinema di animazione americano fa sì che vi sia un numero molto alto di car­ toons legati, più o meno direttamente, al tema del conflitto, soprattutto nel bien­ nio 1917-’ 18, che vede l’intervento militare degli Stati Uniti in Europa. Nella lo­ ro filmografia, Shull e Wilt indicano 69 «war-related commercial animated shorts», realizzati tra il 1915 e il 1918.14 Detta filmografia esclude sia la produ­ zione governativa, di cui non esiste un elenco completo, sia i lightning sketches. La «List of World War I Signal Corps Films», consultabile presso i National 71

Archives di Washington, presenta alcuni cartoons fatti dal Signal Corps nei suoi laboratori di Vincennes, ma si tratta quasi certamente di una filmografia lacuno­ sa. La filmografia di Gifford segnala 40 titoli legati al tema della Grande Guer­ ra, che non compaiono in quella di Shull e Wilt.15 Il testo di Gifford è scarsamente dettagliato, per cui in molti casi non è possibile capire se i titoli che cita si rife­ riscano a lightning sketches oppure a cartoons veri e propri. Nel complesso, rite­ niamo che il numero di film di animazione (cartoons e lightning sketches) ame­ ricani relativi alla Grande Guerra si aggiri intorno ai centoventi titoli. Se la cifra di centoventi film è esatta - ma si tratta di una stima assolutamen­ te approssimativa - la produzione americana, in termini quantitativi, risulta so­ stanzialmente analoga a quella inglese. La differenza fondamentale tra il corpus britannico e quello americano consiste nel fatto che, nel secondo caso, i film so­ pravvissuti sono molti di meno. Nel secondo capitolo del loro libro, dedicato al­ la Grande Guerra, Shull e Wilt descrivono un discreto numero di film, ma non è chiaro se essi si basino su una conoscenza diretta delle copie, oppure esclusivamente su fonti secondarie.16 Infatti, alcuni dei film da loro presi in esame risulta­ no indisponibili presso le cineteche americane. Che il lavoro di Shull e Wilt sui cartoons della Grande Guerra sia stato condotto, in parte, su fonti secondarie è provato dal fatto che essi considerano il cortometraggio patriottico della Edison Your Flag and My Flag (1917) come un film parzialmente animato, sulla scorta di un articolo dell’epoca, là dove la copia del film da noi visionata presso la Library of Congress non reca traccia alcuna di sequenze animate. Nel corso della nostra ricerca siamo riusciti a esaminare sei cartoons e sei lightning sketches americani della Grande Guerra, conservati presso la Cinémathèque québécoise di Montréal, il MOMA di New York, la Library of Congress e i National Archives di Washington. La George Eastman House dispone di tre cartoons - Bobby Bump’s Tank (1917), Soldiering for Fair (1917) e Stung!! (1917) - su supporto 28 mm., non visionabili. Da ultimo, il Neederlands Film­ museum possiede Mutt and Jeff in the Movies (1916), mentre il MOMA ha an­ che Colonel Heeza Liar Wins the Pennant (1916), che non era disponibile al momento del nostro viaggio a New York. Quindi, il numero dei film di anima­ zione americani sopravvissuti è di diciassette titoli, circa la metà di quelli bri­ tannici. Per quanto le pellicole americane da noi visionate siano decisamente meno di quelle inglesi, fortunatamente si tratta di un corpus eterogeneo, che rende conto delle diverse forme assunte dal cinema dii animazione negli Stati Uniti tra il 1914 e il 1918. Infatti, abbiamo tre cartoons del periodo della neutralità (Pa McGinis Gets the Boys Out of the Trenches, 1915; Colonel Heeza Liar, War-Dog, 1915; Mutt and Jeff in the Outposts, 1916), due cartoons del periodo della belligeran­ za prodotti da privati (Doing His Bit, 1918; The Sinking of the Lusitania, 1918) e uno prodotto dal governo (A.W.O.L., 1918), nonché sei lightning sketches, ri­ spettivamente due del cinegiornale della Universal e quattro di quello della Ford Motor Company. 72

I tre film degli anni 1915-’ 16 esprimono molto bene le diverse tendenze in cui si articolava l’opinione pubblica americana dell’epoca, divisa tra pacifismo e pre­ paredness. Pa McGinis Gets the Boys Out of the Trenches - della serie “Keeping Up with the Joneses’’ di Harry S. Palmer17 - è una parodia del viaggio di Henry Ford sulla Peace Ship.' * Il film inizia con Pa McGinis seduto in poltrona, che fu­ ma il sigaro e legge un giornale in cui si parla del tentativo di Ford di mediare tra i belligeranti (il titolo recita: «Peace Ship sails»). Il personaggio si addormenta e il fumo del sigaro si trasforma in un grande balloon, in cui vediamo il sogno di Pa McGinis, il quale, appunto, vuole porre termine alla guerra: «Sure! I’m goin’ to get the boys out o’ the trenches».19 Pa McGinis fa uscire dalle trincee i soldati dei due schieramenti e viene decorato dai governanti dei diversi paesi in guerra (si ve­ dono lo Zar, il Kaiser, il Re d’Inghilterra, il Presidente francese e il Sultano tur­ co). Come osservano Shull e Wilt, questo è uno dei rarissimi film americani in cui troviamo una rappresentazione neutra del Kaiser: l’atteggiamento di Pa McGinis è di perfetta equidistanza tra l’Intesa e gli Imperi Centrali. Inoltre, il messaggio isolazionista del cartoon è rafforzato diai diversi servizi del cinegiornale della Mutual, all’interno del quale è inserito. Infatti, nella parte inferiore delle didasca­ lie del newsreel, che illustra le bellezze di Chicago, compare la scritta: «See Ame­ rica First». “America First” è uno degli slogan tradizionali degli isolazionisti. Mutt and Jeff in the Outposts e Colonel Heeza Liar, War-Dog, invece, espri­ mono una certa simpatia per l’Intesa. In Mutt and Jeff in the Outposts, diretto da Charles Bowers, i due personaggi (protagonisti di una striscia molto popolare, creata da Bud Fisher nel 1909, e divenuta un disegno animato nel 1916) decido­ no di arruolarsi. Dopo essere stati respinti dall’ufficio di leva inglese, riescono a entrare nell’esercito francese. Annoiati dalla monotonia della guerra di trincea, i due tentano una sortita solitaria contro le linee tedesche, ma vengono messi in rotta. Il film, in qualche modo, è pro-Initesa, in quanto Mutt e Jeff vestono la di­ visa francese, ma è del tutto privo di sentimenti anti-tedeschi: il cartoon è una semplice comica di ambiente militare, in cui il nemico non viene né vilipeso, né demonizzato. Inoltre, la storia si conclude con la fuga vergognosa degli eroi, in­ seguiti dai soldati tedeschi: un finale di questo tipo sarebbe stato impensabile do­ po l’ingresso in guerra degli Stati Uniti. Da ultimo, bisogna notare che il breve cartoon di Bowers rovescia l’assunto di fondo di tutti i film bellici della Grande Guerra: l’idea che un’ardita azione individuale possa porre fine allo stallo della battaglia di posizione. Come si è visto nel capitolo precedente, durante il primo conflitto mondiale il cinema usa, in maniera del tutto anacronistica, gli stereoti­ pi narrativi delle guerre ottocentesche (ad esempio, il topos dell’eroe solitario che ribalta l’esito dello scontro) per raccontare una guerra in cui in realtà il co­ raggio personale conta molto poco. Mutt e Jeff sono stufi della guerra di trincea («This trench warfare makes me sick»), ma il loro tentativo di risolvere la situa­ zione con un colpo di mano è assolutamente fallimentare. E chiaro che la libertà con cui Bowers ironizza sulla guerra e, al contempo, sulla sua rappresentazione cinematografica, era possibile soltanto in un paese ancora neutrale. 73

La vicenda di Colonel Heeza Liar, War-Dog di John R. Bray è piuttosto simi­ le a quella di Mutt and Jeff in the Outposts: anche qui abbiamo un americano, il colonnello Heeza Liar, che combatte con gli Alleati. Il film consiste in una serie di brevi sketches, del tutto slegati l’uno diali’altro; l’unico elemento che unisce tra loro i diversi episodi è la presenza del colonnello stesso. Il cartoon inizia con il colonnello seduto in un accampamento militare, insieme a un ufficiale inglese e a uno francese. La didascalia, in rima baciata, dice: «The Colonel and his doughty mates / Design their dread opponents’ fates / They think they’re safe from prying eyes, / But they’ve not reckoned on the spies». I segreti del piano di battaglia che i tre personaggi stanno mettendo a punto vengono carpiti da due spie: una salsiccia e una pannocchia con fattezze antropomorfe. La seconda di­ dascalia recita: «What can they do to drown their fears / When even stalks of corn have ears?». Nelle sequenze successive, il colonnello affronta le nuove, terribili, armi della guerra moderna: affonda una nave cavalcando un siluro, cattura un sommergibile con una canna da pesca, abbatte un aeroplano volando dentro il becco di un pellicano. Nell’ultimo sketch il colonnello viene inseguito da uno Zeppelin, che lo bombarda senza tregua. Il film termina con il protagonista ap­ peso a un palo, che inveisce contro l’aeromobile tedesco. In Colonel Heeza Liar, War-Dog, insomma, troviamo quegli aspetti della Grande Guerra che maggiormente affascinavano il pubblico cinematografico e i lettori della stampa popolare: il tema dello spionaggio e le novità tecnologi­ che del conflitto. Anche qui, come in Mutt and Jeff in the Outposts, benché il colonnello combatta dalla parte dellTnitesa, non vi sono sentimenti anti-tedeschi. Anzi, alla fine c’è un’implicita esaltazione della potenza militare della Germania, attraverso la scena dello Zeppelin che non dà requie al colonnello. Donald Crafton ipotizza che l’assenza di una componente anti-tedesca nei car­ toons di Colonel Heeza Liar fosse legata al fatto che la moglie di Bray - un per­ sonaggio estremamente volitivo, che aveva un grande peso all’interno dello stu­ dio - era German-American.20 Forse Bray, quando realizzava le avventure guer­ resche del colonnello, si lasciava influenzare dalle opinioni politiche della mo­ glie, ma - come abbiamo visto - anche negli altri cartoons del periodo della neutralità americana è assente una forte presa di posizione a favore dell’Intesa. Negli anni 1914-’ 16, gli eroi dei cartoons americani seguono la politica di Wilson: sono tendenzialmente a favore degli Alleati, ma non apertamente con­ tro gli Imperi Centrali.

4. I disegni animati della belligeranza L’ingresso in guerra degli Stati Uniti, ovviamente, modifica la rappresentazione del conflitto nel cinema, anche in un settore sostanzialmente marginale quale l’a­ nimazione. Se nel 1916 Charles Bowers poteva mostrare Mutt e Jeff fuggire ver­ gognosamente di fronte ai tedeschi, due anni dopo, Frank Moser non può non fa­ 74

re altrettanto con Happy Hooligan (storico personaggio dei fumetti, inventato nel 1899 da Frederick Opper, passato sullo schermo nel 1916), il quale invece deve inevitabilmente trionfare sul nemico. In Doing His Bit Happy Hooligan si arruo­ la nel servizio segreto e va in Germania;, viene catturato, ma riesce a fuggire, ap­ profittando del fatto che il soldato di guardia è intento a scambiarsi effusioni con una fanciulla in abito tradizionale (è il solito stereotipo della “birraia bavarese”, che abbiamo già incontrato nei disegni animati britannici). Happy Hooligan si aggira per la città e incontra il Kaiser, ili quale sta consegnando i piani di guerra a Hindenburg (i due - che conversano con dei balloons - si chiamano confiden­ zialmente Hindie e Bill, il diminutivo americano di William). Happy Hooligan ruba le preziose carte del Kaiser e si dà alla fuga; nascostosi nella canna di un grande cannone, il protagonista viene sparato dai tedeschi verso le linee alleate: Happy Hooligan atterra proprio sul quartier generale dell’Intesa, dove viene sa­ lutato come un eroe. Dunque, mentre i protagonisti di Mutt and Jeff in the Outposts e Colonel Heeza Liar, War-Dog venivano ignominiosamente messi in fuga dai tedeschi, Happy Hooligan riesce a beffare il Kaiser in persona. Alla vittoria dell’eroe si ac­ compagna l’irrisione dell’avversario: il Kaiser e Hindenburg che parlano in slang americano; la guardia che amoreggia con la ragazza, a simboleggiare la prover­ biale - secondo la propaganda dell’Intesa - lascivia degli Unni (ma si tratta, in realtà, di uno stereotipo della propaganda di tutti i paesi: il nemico è sempre un libidinoso). I tedeschi di Doing His Bit, però, sono personaggi inoffensivi, lonta­ nissimi dai barbari assetati di sangue di molti lungometraggi americani dell’epo­ ca. Il cartoon di Moser è più vicino a Shoulder Arms (1918) di Chaplin, dove Chariot cattura il Kaiser, i cui soldati altro non sono che una versione prussiana dei Keystone cops.21 I lightning sketches del “Ford Educational Weekly”, il cinegiornale della Ford Motor Company, sono invece molto più aggressivi. Dei quattro lightning sketch­ es (tutti del 1917) che abbiamo visionato presso i National Archives, tre sono in­ centrati sul tema della necessità di uno sforzo comune degli americani per vin­ cere il conflitto, cui si accompagna un disprezzo virulento per coloro che osteg­ giano la guerra. In uno di essi vediamo Uncle Sam, con a destra un soldato e a sinistra un marinaio, avvolti dalle spire di due serpenti, in una postura simile al gruppo scultoreo del Laocoonte. Sul corpo dei due rettili sono scritti i nomi dei “nemici della patria”: “strike”, “food speculator”, “pro-german press”. In un al­ tro lightning sketch vediamo in primo piano una donna in toga (la solita figura al­ legorica di derivazione classica: in questo caso si tratta di Columbia, la versione americana di Britannia), che regge un sacco colmo di semi per coltivare, su cui è scritto “Victory”, minacciata da un lupo, sul cui corpo si legge la scritta “Famine”-, sullo sfondo Uncle Sam ammonisce: «Are you ready to do your bit? Buy a liberty Bond!». Alla fine, compare una mano che firma il disegno con il nome di Henry Ford, come se l’autore fosse il magnate in persona. Non è certo casuale che il cinegiornale della Ford avesse toni così accesi verso i disfattisti: il 75

grande industriale aveva bisogno di far dimenticare le sue idee pacifiste, nel mo­ mento in cui la nazione era entrata in guerra. I National Archives dispongono di un unico lightning sketch della Ford dal contenuto anti-tedesco. In questo breve film vediamo Gesù Cristo sulle nuvole, con accanto una folla di bambini; poi compare il Kaiser con la sciabola grondante di sangue, che massacra dei fanciulli indifesi. In alto è scritto (in caratteri goti­ ci): «Suffer little children, and forbid them not to come unto me; for of such is the Kingdom of Heaven». Alla base dello schermo, invece, c’è scritto: “Prussianism!”. La presenza della figura di Cristo non è affatto rara nella propaganda degli Stati Uniti: il soldato americano è molto spesso rappresentato come un di­ fensore della fede, che si batte contro la barbarie pagana degli Unni. Certamen­ te, l’idea della lotta contro la Germania come di una guerra in nome della cri­ stianità è uno stereotipo diffuso in tutti i paesi dell’Intesa, ma negli Stati Uniti è particolarmente forte, in quanto nella cultura politica americana la componente religiosa è estremamente radicata. In alcuni poster statunitensi si vede addirittu­ ra Cristo che indossa l’uniforme americana e invita ciascuno a fare la propria par­ te, per Dio e per la Patria.22

Come abbiamo già osservato, la tecnica dell’animazione iniziò a essere utilizza­ ta per scopi militari nel corso della Grande Guerra. Nel 1916 John R. Bray rea­ lizzò sei film didattici come campione dimostrativo, che fece vedere a un grup­ po di ufficiali di West Point, i quali ne rimasero entusiasti e incaricarono il regi­ sta di realizzare altre pellicole analoghe. Bray inviò i suoi uomini migliori, tra cui Max Fleischer (negli anni Trenta creatore, insieme al fratello Dave, di personag­ gi leggendari del cartoon americano, quali Popeye the Sailor e Betty Boop) a Fort Sili, nell’Oklahoma, a girare training films. La riuscita dei film per l’eserci­ to dipese in buona parte dall’uso del rotoscope, ideato nel 1915 da Max e Dave Fleischer (quest’ultimo durante la guerra fece il montatore presso il War Depart­ ment).23 Il rotoscope è uno strumento che permette di proiettare immagini cine­ matografiche, un fotogramma alla volta, sul tavolo da lavoro dell’animatore, il quale può ricalcare le figure del film sulle cels e ottenere così disegni molto pre­ cisi.24 È evidente che grazie al rotoscope si possono realizzare film dalla grafica estremamente chiara, cosa essenziale se si deve illustrare il funzionamento di una maschera anti-gas o il metodo di caricamento di un pezzo di artiglieria. Il suc­ cesso dei training films degli anni 1916-’ 18 convinse Bray delle potenzialità del­ l’animazione come strumento educativo (anche in campo civile, oltre che milita­ re) e, dopo la fine delle ostilità, egli orientò buona parte della produzione del suo studio verso questo settore, occupando a lungo una posizione di prestigio nel campo, tanto che i Bray Studios realizzavano training films ancora durante la Se­ conda guerra mondiale. Alla fine del 1919 il War Department americano disponeva di una cineteca di 62 training films, sugli argomenti più diversi (alcuni titoli: Physical Drill, Gas and Gas Masks, Care of the Horse, Vickers Machine Gun, Elements of Map 76

Reading) che utilizzava per l’addestramento delle truppe.25 I film di istruzione esulano dall’argomento di questo studio, ma tra le pellicole prodotte dalle forze armate americane durante la Grande Guerra troviamo un cartoon estremamente interessante, che, benché pensato esclusivamente per un pubblico militare, non può essere considerato strettamente un training film, in quanto non ha un conte­ nuto tecnico, bensì genericamente pedagogico-comportamentale. Il film in que­ stione è A. W.O.L. (1918), realizzato da Charles Bowers per il Signal Corps (pre­ sumibilmente). Bowers è stato per molto tempo un personaggio quasi sconosciu­ to della storia del cinema di animazione, nonostante l’importanza del lavoro da lui svolto negli anni Dieci e Venti. La figura di Bowers è stata riscoperta, insie­ me a molti dei suoi film (tra cui A.W.O.L.), grazie alle ricerche di Raymond Bor­ de e Louise Beaudet, rispettivamente della Cinémathèque de Toulouse e della Ci­ némathèque québécoise.26 “A.W.O.L.” è una sigla che sta per «Absent Without Official Leave» (in so­ stanza: “disertore”). Il cartoon inizia con un gruppo di soldati americani in una caserma; alcuni di loro si lamentano di non essere stati ancora rimpatriati, ben­ ché la guerra sia ormai terminata, ma un commilitone risponde che l’esercito del­ lo Zio Sam è molto grande e che bisogna avere pazienza. La maggior parte degli uomini dell’AEF tornò in America tra l’estate e l’autunno del 1919, e la lentez­ za del ritorno a casa creò inevitabilmente molti problemi di disciplina.27 Lo sco­ po del film di Bowers consiste proprio nel convincere i soldati americani di stan­ za in Francia dopo l’armistizio ad attendere quietamente la partenza per gli Sta­ ti Uniti e a rispettare gli ordini dei loro superiori. Dopo il dialogo iniziale tra i soldati (che parlano con dei balloons), al campo arriva una fanciulla tentatrice. Miss A.W.O.L., la quale convince uno dei G.I. a uscire dalla caserma senza per­ messo. Miss A.W.O.L. conduce il malcapitato in un lungo joy-ride (la parola “joy” è scritta sulla fiancata dell’automobile della ragazza), un viaggio in mac­ china a velocità sfrenata. Il joy-ride è costellato da alcuni incidenti disastrosi; inoltre, i due vengono fermati dalla polizia e il giudice Gloom condanna il sol­ dato a pagare una forte multa. Alla fine, il protagonista rientra all’accampamen­ to soltanto per essere incarcerato, mentre in suoi commilitoni, che sono rimasti diligentemente in caserma, partono per gli Stati Uniti. Nell’ultima inquadratura, vediamo il soldato dietro le sbarre della cella, che si trasformano nella scritta “AWOL”. È evidente che il film venne realizzato appositamente per le truppe america­ ne dislocate in Francia, e dunque commissionato da una struttura militare. Larry Wayne Ward definisce A. W.O.L. come «animated Signal Corps film».28 In realtà, nella «List of World War I Signal Corps Films» dei National Archives il film di Bowers non compare, ma - lo abbiamo detto - si tratta di un elenco presumibil­ mente incompleto. Inoltre, la filmografia di Bowers redatta da Louise Beaudet e Raymond Borde considera il film parte della serie “Joy and Gloom”, il che è piuttosto strano, in quanto non è chiaro come una pellicola realizzata ad hoc per i soldati di stanza oltre mare potesse essere inserita all’interno di una serie per le 77

sale commerciali.29 Presumibilmente, A.W.O.L. venne fatto per i militari (e, con tutta probabilità, fu richiesto dal Signal Corps) e poi riutilizzato da Bowers per il pubblico civile. L’inserimento delle parole “joy” (sulla macchina di Miss A.W.O.L.) e “gloom” (la scritta ‘'‘'Judge Gloom” che campeggia nel tribunale do­ ve il soldato viene multato) serve proprio a omologare il film agli altri episodi della serie. La coppia oppositiva “joy”/“gloom” era utilizzata anche nei cartoons degli anni 1915-’16 di Raoul Barre, che lavorò con Bowers tra il 1916 e il 1919.30 Nei film di Barré, quando il protagonista è felice, nella parte inferiore dello schermo compaiono dei piccoli personaggi sorridenti (una sorta di folletti), i quali reggo­ no un cartello su cui è scritto “joy”; quando invece il protagonista della storia si trova in una situazione spiacevole, arrivano degli altri omini, daH’aria tetra, con un cartello su cui è scritto “gloom”. E l’aspetto più interessante di A.W.O.L. è rappresentato proprio dall’uso della parola scritta. Il film inizia con le lettere del titolo, disposte orizzontalmente, che si allineano in verticale e si trasformano nel­ la frase “All Wrong Old Laddiebuck”, espressione gergale che significa, grosso modo, “tutto sbagliato, vecchio mio”. Come si è detto, nel corso del film, com­ paiono varie scritte; oltre a “A.W.O.L.”, “joy” e “gloom”, troviamo anche la sigla “S.O.L.”. Quando il soldato viene sbalzato fuori dall’automobile, in seguito al­ l’incidente, attorno alla testa del protagonista vediamo girare delle stelline, in­ sieme alle lettere “S.O.L.”, che nel linguaggio dei G.I. indicavano una condizio­ ne di particolare sfortuna: “shit out of luck”. “A.W.O.L”, “S.O.L.”, “joy-ride”, so­ no espressioni dello slang militare americano (“joy-ride” indicava l’uso indebito di automezzi militari a scopi privati).31 Nelle pagine di Three Soldiers, ad esem­ pio, un romanzo di Dos Passos del 1921, in cui l’autore ricrea la parlata dei sol­ dati americani della Grande Guerra, queste parole ritornano piuttosto di frequen­ te. Ci limitiamo solo a un paio di citazioni dalle pagine di Dos Passos: Good kid! We all had dinner and Bill Rees says, «Let’s go for a joy-ride».

«If any man knows anything about the whereabouts of Private Ist-class William Grey, re­ port at once, as otherwise we shall have to put him down A.W.O.L. You know what that means?» The lieutenant spoke in short shrill periods, chopping off the ends of his words as if with hatchet. No one said anything. «I guess he’s a S.O.L.»; this from someone behind Fuselli.32

È evidente che utilizzare il gergo del pubblico cui il film si rivolge è un mo­ do per catturarne l’attenzione e instaurare una comunicazione immediata. A. W.O.L. è un cartoon didattico, che deve convincere i suoi spettatori a tenere un determinato comportamento, e per ottenere questo scopo il testo si appropria del lessico del fruitore, per blandirlo e, al contempo, rendere il messaggio assolutamente chiaro. E nel finale il film si fa veramente didascalico: le sbarre della pri­ gione si trasformano nella scritta “A.W.O.L”. Bowers non potrebbe essere più 78

esplicito: trasgredire gli ordini e lasciare l’accampamento senza permesso signi­ fica subire una dura punizione. È proprio in questo uso della parola scritta che risiede la differenza fonda­ mentale tra A. W.O.L. e gli altri cartoons esaminati finora. In Mutt and Jeff in the Outposts - per citare un film dello stesso Bowers - l’autore vuole semplicemen­ te raccontarci una storia di ambiente militare; anche in Doing His Bit l’intento propagandistico è piuttosto generico, non c’è un messaggio specifico, al di fuori deH’irrisione del nemico e delle glorificazione dei nostri soldati. Ma in A.W.O.L. il regista racconta una parabola, attraverso la quale tenta di spingere il suo pub­ blico a compiere un’azione precisa. E proprio per questo in A.W.O.L. - contra­ riamente agli altri cartoons - vengono sfruttate le potenzialità intellettuali del ci­ nema di animazione, attraverso la fusione di disegno e scrittura, che permette di esprimere un significato chiaro e netto, con un’unica, breve, inquadratura (l’im­ magine delle sbarre che si trasformano nella sigla “AWOL”). D’altra parte, nel ci­ nema di animazione muto americano questa ibridazione tra la dimensione rap­ presentativa del disegno e quella simbolica della scrittura è presente anche al di là dei confini della propaganda bellica. Basti pensare alla coda di Felix che di­ venta un punto interrogativo, un’immagine continuamente iterata nei disegni ani­ mati di Felix the Cat, in cui il corpo del gatto letteralmente “si fa scrittura”.

5. Lest we forget: The Sinking of the Lusitania Abbiamo scelto di esaminare a parte The Sinking of the Lusitania in virtù del­ l’eccentricità di questo film rispetto alle pellicole coeve. Infatti, The Sinking of the Lusitania non solo è il testo più ricco e complesso tra i cartoons di propa­ ganda americani della Grande Guerra, rna, più in generale, è uno dei capolavori della storia del cinema di animazione, un’opera di grande raffinatezza visiva, che può tranquillamente reggere il confronto con le migliori produzioni dell’epoca sonora. I titoli di testa di The Sinking of the Lusitania definiscono Winsor McCay come «inventor of Animated Cartoons». Se questa affermazione è certamente inesatta dal punto di vista storiografico (Blackton aveva realizzato degli anima­ ted cartoons prima di McCay), è certo che McCay è il primo grande nome del­ l’animazione americana e, insieme a Emile Cohl. del disegno animato mondiale. Oltre a essere, di fatto, il padre del cinema di animazione americano, Winsor McCay è anche uno degli inventori del fumetto: le sue magnifiche tavole di Lit­ tle Nemo in Slumberland, che iniziano ad apparire nel 1905 sulle pagine del “New York Herald”, rappresentano una delle tappe fondamentali dello sviluppo dei comic strips. Ma, paradossalmente, nel quadro complessivo della sua carrie­ ra, il rapporto di McCay con il cinema e con il fumetto è fortemente discontinuo. Infatti, nel momento in cui McCay - all’apice della sua popolarità - inizia a col­ laborare con i giornali di Randolph Hearst, nel 1911, il nuovo datore di lavoro gli impone di abbandonare sia i fumetti, sia la sua fortunata attività di artista di vau­ 79

deville, per concentrarsi esclusivamente sull’attività di cartoonist. Quando di­ venta uno Hearst’s man. McCay cessa di disegnare Little Nemo (che riprenderà nel 1924, per un breve periodo), dedicandosi soltanto alla realizzazione delle raf­ finate illustrazioni che accompagnavano gli editoriali di Arthur Brisbane, nell’e­ dizione domenicale delle testate di Hearst. Parimenti, tutti i film di McCay furo­ no sempre realizzati in forma assolutamente artigianale, quasi clandestina, senza uno studio di animazione e al di fuori di una logica produttiva di tipo industria­ le. Da qui nasce la grande cura formale delle opere di McCay, realizzate in mesi - o anni - di paziente lavoro solitario, enormemente superiori, sul piano qualita­ tivo, ai cartoons di Bray o di Bowers, prodotti in serie (ne usciva uno alla setti­ mana, con tempi di lavorazione di un mese).33 II complesso rapporto di McCay con Hearst ha importanti risvolti politici, che riguardano da vicino The Sinking of the Lusitania. Hearst, isolazionista e filo-te­ desco, impiegava i potenti mezzi di informazione di cui disponeva per combat­ tere il preparedness movement e gli interventisti. II cinegiornale di Hearst, lo “Hearst-Seling News Pictorial”, utilizzava materiale di provenienza tedesca, mentre i suoi giornali, molto letti nelle comunità Irish-American e GermanAmerican, non perdevano occasione per denunciare il complotto ordito daW élite filo-britannica della costa Est (gli intellettuali della Ivy League sono, da sempre, il nemico per antonomasia della destra populista americana) per portare gli Stati Uniti in guerra a fianco dell’Intesa. In particolare, gli editoriali di Brisbane, illu­ strati da McCay (il quale disegnò alcuni cartoons anti-Wilson, accusato di esse­ re pro-Intesa), erano particolarmente anglofobi. Dopo l’affondamento del Lusi­ tania, Brisbane scrisse che l’attacco dell’U-Boot al piroscafo era stato un atto di guerra lecito, in quanto la nave trasportava armi per gli inglesi, e che l’America non aveva il diritto di chiedere alla Germania una limitazione della guerra sotto­ marina.34 Nel 1916 la linea filo-tedesca delle testate di Hearst ne provocò il bando (animated cartoons compresi) in Francia, Canada e Gran Bretagna. L’anno suc­ cessivo, l’International News Service, l’agenzia di informazione di Hearst, fu investita da un grave scandalo, a causa di un furto di notizie alla concorrente Associated Press. Ma i problemi maggiori, per il grande magnate dell’editoria, arrivarono con l’ingresso in guerra degli Stati Uniti. Dopo l’aprile del 1917, in­ fatti, la stampa di Hearst venne violentemente accusata di essere filo-tedesca e anti-patriottica. McCay scrisse un articolo in cui, oltre ad affermare di non aver mai fatto delle vignette a favore degli Imperi Centrali, difendeva Hearst dal­ l’accusa di essere un-American. McCay iniziò a lavorare a The Sinking of the Lusitania intorno alla metà del 1916, cioè ben prima della dichiarazione di guer­ ra degli Stati Uniti alla Germania, per cui sarebbe sbagliato vedere il film come un tentativo di McCay di rifarsi una verginità politica. McCay decise di realiz­ zare The Sinking of the Lusitania perché sinceramente colpito dall’affondamen­ to della nave; ma è comunque evidente che c’è una forte contraddizione tra il contenuto apertamente anti-tedesco del film e le posizioni dei giornali di Hearst 80

per cui egli lavorava, e in particolare degli editoriali di Brisbane, che facevano coppia con i disegni di McCay. L’affondamento del Lusitania - insieme alla violazione della neutralità del Belgio - fu il principale argomento utilizzato dagli interventisti americani, per chiedere l’ingresso in guerra degli Stati Uniti accanto a Francia e Gran Bretagna. Ovviamente, anche la propaganda inglese attinse a piene mani a questo sogget­ to. Per rendersi conto della longevità del tema del Lusitania, nella propaganda inglese, basta osservare che ancora nel 1918 troviamo un cortometraggio del Ministry of Information, intitolato Lest We Forget (ovvero: “Perché non si di­ mentichi”), in cui si ricorda l’episodio, presentato come simbolo della barbarie tedesca.’5 In realtà, in termini di diritto di guerra, la Germania - la cui ambascia­ ta di Washington, peraltro, aveva fatto mettere inserzioni sui giornali per infor­ mare gli americani del pericolo di un viaggio sui piroscafi britannici, bersagli de­ gli U-Boot - non aveva torto. Infatti gli inglesi utilizzavano il Lusitania per tra­ sportare materiale bellico dagli Stati Uniti, e questo all’insaputa dei passeggeri e in maniera illegale, in quanto il Lusitania (costruito nel 1904 con un finanzia­ mento della marina militare) era una nave da crociera e non un mercantile. L’ac­ cusa dei tedeschi e degli isolazionisti, secondo la quale 1’Admiralty usava civili ignari - e per di più di un paese neutrale - come scudi umani per condrabbandare armi, non era per nulla infondata. Venne addirittura avanzata l’ipotesi che gli inglesi avessero deliberatamente sacrificato il Lusitania, nella speranza che la morte di cittadini americani (su 1.198 morti 128 erano americani) convincesse Wilson a entrare in guerra.’6 The Sinking of the Lusitania uscì il 20 luglio del 1918, e dunque non ebbe al­ cun ruolo all’interno del dibattito tra isolazionisti e interventisti. Ma il Lusita­ nia è presente anche in altri film americani del periodo. L’affondamento, da par­ te di un sommergibile, della nave Propatria in Civilization e quello del pirosca­ fo Veritania in The Little American (1917) sono chiare allusioni all’episodio del Lusitania, che invece è presente in forma esplicita in The Kaiser, the Beast of Berlin e in Lest We Forget (1918). In quest’ultimo film (da non confondere con l’omonimo cortometraggio inglese citato poco sopra), diretto da Leonce Perret, recita l’attrice francese Rita Jolivet, uno dei sopravvissuti del Lusitania, che reinterpreta per lo schermo la tragedia di cui era stata testimone diretta.’7 Inol­ tre, la vicenda del Lusitania era già stata raccontata anche da un animatore in­ glese, benché con risultati nettamente inferiori, sul piano estetico, rispetto a quelli di McCay. Il secondo sketch di John Bull’s Animated Sketch Book No. 4 (1915) di Dudley Buxton è intitolato The Crowning Act of Piracy. Si tratta di un breve cartoon di poco più di due minuti, in cui vediamo il Lusitania che viene silurato da un U-Boot, per poi sparire tra i flutti; lo sketch si conclude con il vi­ so di von Tirpitz (il comandante della flotta tedesca), sullo sfondo di una gran­ de Croce di Ferro, che si trasforma nel teschio di un vessillo pirata. La grafica e l’animazione del cartoon di Buxton, che utilizza la tecnica dei cut-outs, sono molto più semplici di quelle del film dii McCay: i movimenti sono poco fluidi, 81

mentre alcuni degli elementi del quadro (il mare, il fumo delle caldaie del piro­ scafo) sono pressoché statici. Dunque, benché la realizzazione di The Sinking of the Lusitania sia il frutto di una decisione personale di McCay, anziché della richiesta di un’organizzazio­ ne propagandistica, il film si inserisce di fatto all’interno di un’ampia e variega­ ta campagna anti-tedesca, fatta di film, poster e pamphlets, in cui l’attacco alla nave inglese viene utilizzato come esempio della natura demoniaca degli Unni. Ed è proprio grazie al fatto che McCay potè lavorare in piena libertà, senza do­ ver rispettare una data di consegna imposta dal committente, che The Sinking of the Lusitania risulta essere un’opera così ricca e raffinata sul piano formale. Il film, infatti, venne realizzato in 22 mesi, un tempo di lavorazione eccezional­ mente lungo per il cinema di animazione, che proprio in quegli anni, almeno in America, si era ormai trasformato in una vera e propria industria, in cui i car­ toons venivano sfornati con ritmi da catena di montaggio. Oltre a essere caratterizzato da una grande cura grafica, The Sinking of the Lusitania è anche un testo molto complesso sul piano discorsivo, in cui sono re­ peribili tre distinti livelli: uno autoriflessivo, uno narrativo e uno propagandisti­ co. Nella prima parte del film McCay “mostra il trucco”, fa vedere alcune fasi della realizzazione del film stesso. In tutti i film di McCay degli anni Dieci, con la sola eccezione di The Story of a Mosquito, è presente un prologo dal vero, in cui compare l’autore all’opera, chiaro lascito della tradizione del lightning sketch. Ma queste sequenze introduttive, in realtà, non sono mai una semplice registrazione del lavoro dell’animatore, bensì una sua esplicita messinscena. Il film si apre con una didascalia che dice: «Winsor McCay, originator and in­ ventor of Animated Cartoons, decides to draw a historical record of the crime that shocked Humanity»; subito dopo compare McCay al tavolo da disegno, in posa ispirata. Poi vengono illustrate le varie fasi del lavoro, insistendo sulla grandiosità dell’impresa: «25.000 drawings had to be made and photographed one at a time», recita la didascalia. Prima vediamo McCay insieme a un esper­ to, Mr. Beach, il quale, di fronte a un quadro che riproduce il Lusitania in navi­ gazione, spiega i dettagli tecnici dell’affondamento del piroscafo; poi McCay viene ritratto in compagnia di cinque disegnatori, cui impartisce istruzioni. In verità, McCay ebbe soltanto due assistenti, John A. Fitzsimmons e Apthorp Adams (rispettivamente un vicino di casa e un amico di McCay), nessuno dei quali è presente nella scena. Si tratta insomma di un’operazione promozionale, tesa a enfatizzare i “potenti mezzi” di McCay. Ma oltre ad avere un chiaro in­ tento autocelebrativo, a cominciare dalla definizione di McCay come «origina­ tor and inventor of Animated Cartoons», il prologo serve anche a fornire allo spettatore l’idea che il film sia stato realizzato con metodo scientifico, che si tratti di una ricostruzione fedele dei fatti, basata su un’attenta ricerca prelimi­ nare e su un complesso lavoro di équipe (laddove la lavorazione fu molto più ar­ tigianale. anche se segnata da un forte salto tecnologico, in quanto si tratta del primo film in cui McCay utilizza le cels). 82

Il passaggio dall'incipit alla storia vera e propria avviene in maniera morbi­ da. La didascalia dice: «The first work done was the moving sea»; subito vedia­ mo il mare, magnificamente animato, con le onde che si susseguono una dopo l’altra, sotto la luce lunare. Ma questo paesaggio suggestivo è turbato dalla pre­ senza minacciosa di un periscopio nero, che emerge dai flutti e attraversa il qua­ dro da destra a sinistra, annunciando la tragedia imminente. La didascalia suc­ cessiva recita: «From here on you are looking at the first record of the sinking of the Lusitania». La parola chiave è '“record"-, benché si tratti di un disegno ani­ mato, e dunque inevitabilmente di un’opera di fantasia, il film è concepito come un documentario. Il realismo dello stile grafico; il montaggio da cinegiornale, con l’alternanza di inquadrature delle diverse parti della nave, durante la sua len­ ta agonia; l’uso di campi lunghi, come se si trattasse di immagini riprese da un’altra nave, che assiste all’affondamento del Lusitania: tutto coopera a confe­ rire il senso della registrazione fedele di un evento reale. Scrive in proposito Donald Crafton: «The animated sequences were conceived as alternating shots to simulate the editing style of the newsreel subjects typical of the “Universal Weekly”, in which the film was included».38 Per aumentare l’impressione di real­ tà, McCay ha inserito anche le fotografie di alcuni illustri passeggeri americani - tra cui Alfred G. Vanderbilt - morti durante il disastro. Le didascalie, che spie­ gano la dinamica dell’incidente, con ricchezza di dettagli tecnici (data della par­ tenza da New York, data dell’affondamento, i minuti impiegati per affondare, ecc.), rafforzano ulteriormente l’idea di trovarsi di fronte a un documentario. Ma è proprio in questa attenzione ai particolari che emerge la natura propa­ gandistica, tutt’altro che oggettiva, del testo. Infatti, tra le molte informazioni che fornisce sul transatlantico e i suoi passeggeri, McCay tace un elemento fonda­ mentale: il fatto che la nave fosse carica di armi destinate agli inglesi. Ometten­ do il fatto che il Lusitania fosse - come alcuni scrissero all’epoca - un “arsena­ le viaggiante”, McCay fa opera di disinformazione, impedisce al pubblico di giu­ dicare autonomamente l’accaduto, fornendogli una versione fortemente parziale. Inoltre. McCay sposa la tesi dell’Admiralty, secondo la quale l’U-Boot 39 lanciò due siluri; mentre i tedeschi sostennero di aver lanciato un solo siluro e che la se­ conda conflagrazione, che affondò la nave (molto moderna e ritenuta inaffonda­ bile). fu causata dall’esplosivo contenuto nella stiva (ma mentre la presenza di fucili è cosa sicura, sulla presenza di esplosivo a bordo non c’è affatto certezza). E il messaggio anti-tedesco è tanto più forte, quanto è mascherato da registra­ zione documentaristica degli avvenimenti. Ma se le immagini del film potrebbe­ ro apparire come un newsreel asettico, iil lessico utilizzato da McCay invece in­ vita apertamente gli spettatori a odiare i tedeschi, in quanto esseri mostruosi, ca­ paci di ogni malvagità, a partire dalla prima didascalia in cui si parla di «crime that shocked Humanity». Nel corso del film si incontrano frasi come: «Germany, which had already benumbed the world with its wholesale killing, then sent its instrument of crime to perform a more treacherous and cowardly offense»; «the most violent cruelty that was ever perpetrated upon an unsuspecting and innocent 83

people»; «no warning was given - no mercy was shown». L’ instrument of crime è, ovviamente, il sommergibile, che McCay, in perfetta sintonia con la propa­ ganda dell’Intesa, considera uno strumento di guerra illecito. Tutto il film è concepito per suscitare orrore per l’attacco dell’U-Boot 39 al Lusitania. L’inquadratura iniziale del periscopio, così come quella della torretta del sommergibile, che emerge dai flutti., per poi reimmergersi immediatamente, mentre avanza minacciosa verso la platea, danno l’idea di un nemico vile, che si nasconde nel profondo del mare e che colpisce all’improvviso. Nella lunga se­ quenza finale (sette minuti, su un totale di 11'30"), si assiste all’agonia del piro­ scafo: la nave, avvolta da volute di fumo di diverse sfumature di nero-grigiobianco (una delle parti in cui l’animazione del film è più affascinante), affonda lentamente; i battelli di salvataggio, traboccanti di passeggeri, vengono calati in acqua, ma alcuni si rovesciano, a causa del secondo siluro lanciato dai tedeschi; dai parapetti del transatlantico piccole figure umane si buttano in mare, nel di­ sperato tentativo di sopravvivere; i superstiti nuotano, oppure si stringono nelle scialuppe, in balia delle onde dell’oceano. Si tratta di una sequenza di grande im­ patto visivo, che trasmette un forte senso di angoscia. Se per lo più lo stile grafico di The Sinking of the Lusitania è caratterizzato da un forte realismo, in alcuni casi il disegno assume esplicite valenze simboliche. Le didascalie del film sono illustrate: attorno alla scritta, c’è sempre un disegno, che ribadisce il senso delle parole. Le didascalie del prologo presentano figure non molto chiare, che sembrano simboleggiare il lavoro del disegnatore o, più in generale, le arti liberali (ci sono delle squadrette da disegno e una sorta di chia­ ve di violino). Nelle didascalie finali c’è una bandiera che ricorda quella della marina da guerra tedesca, anche se il simbolo con l’aquila a due teste e la croce di Sant’Andrea farebbero pensare più alla Russia (in maniera del tutto incon­ gruente) che alla Germania. Nelle didascalie della parte centrale del film trovia­ mo immagini del Lusitania nelle diverse fasi della vicenda: il piroscafo in navi­ gazione, l’esplosione, la nave che affonda; in alcune si vede il Lusitania che sol­ ca l’oceano, sullo sfondo di una grande nuvola nera, che ha la forma di un’aqui­ la bicipite. L’aquila simboleggia, ovviamente, il destino terribile che incombe sul transatlantico, un destino segnato dalla malvagità della Germania imperiale. An­ che qui, come nel caso della bandiera, McCay dimostra di avere nozioni piutto­ sto approssimative in fatto di araldica: l’aquila prussiana, infatti, ha una sola te­ sta, contrariamente a quella asburgica e a quella russa. Ma il pubblico di McCay non prestava certo attenzione a questi dettagli: per lo spettatore medio america­ no del 1918 un’aquila bicipite può tranquillamente rappresentare l’aristocrazia militarista tedesca. Insomma, in The Sinking of the Lusitania tutto porta a farci credere che i te­ deschi sono dei barbari e che la sopravvivenza della civiltà dipende dalla loro di­ struzione. E il film si chiude con un appello esplicito in tal senso. L’ultima im­ magine è quella di una donna che stringe al seno un bambino, mentre viene ri­ succhiata nelle profondità del mare. Le due figure sono mostrate al centro di un 84

mascherino, come se venissero osservate dal periscopio di un sommergibile. Questa inquadratura di The Sinking of the Lusitania - lo si è scritto spesso - ri­ prende l’iconografia di un poster americano del 1915, realizzato da Fred Spear, in cui è raffigurata una madre con un bimbo in braccio, la quale sprofonda nelle acque scure dell’oceano; alla base del disegno è scritto solo: «Enlist».39 Il fatto che McCay, per concludere il suo film, si sia ispirato apertamente a un noto ma­ nifesto di propaganda è piuttosto indicativo circa la natura dell’opera, pensata co­ me vero pamphlet anti-tedesco. La didascalia con cui si chiude The Sinking of the Lusitania, subito dopo l’immagine della madre, è chiarissima: «The man who fired the shot was decorated for it by the Kaiser! - AND YET THEY TELL us NOT TO HATE THE HUN».

Note 1 Francis Scott Fitzgerald, The Beautiful and Damned, Harmondsworth, Penguin, 1966 [I ed.: 1922], p. 289. 2 Sulla partecipazione degli Stati Uniti alla Girande Guerra cfr.: David M. Kennedy, Over Here: The First World War and American Society, Oxford, Oxford University Press, 1980; William J. Breen, Uncle Sam at Home. Civilian Mobilization, Wartime Federalism, and the Council of Na­ tional Defense, 1917-1919, Westport (Connecticut), Greenwood Press, 1984; David F. Trask, The AEF and Coalition Warmaking, 1917-1918, Lawrence (Kansas), University Press of Kansas, 1993. Sulla Grande Guerra in generale rimandiamo alla nota 1 del capitolo I. 3 Sulla comunità tedesca in America cfr.: Frederick C. Luebcke, Bonds of Loyalty. GermanAmericans and World War I, Dekalb, Northern Illinois University Press, 1974; Jorg Nagler, Victims of the Home Front: Enemy Aliens in the United States during the First World War, in Panikos Panayi (a cura di), Minorities in Wartime. National and Racial Groupings in Europe, North America and Australia during the Two World Wars, Providence (Rhode Island), Berg, 1993, pp. 191-215. Sulla rappresentazione dei German-Americans nei film cfr. Daniel J. Leab, Deutschland, USA: German Images in American Film, in Randal M. Miller (a cura di), The Kaleidoscopic Lens. How Hollywood Views Ethnic Groups, Englewood (New Jersey), Jerome S. Ozer Publisher, 1980, pp. Ì56-181. 4 Cfr. Donald Crafton, Before Mickey. The Animated Film 1898-1928, Chicago, University of Chicago Press, 1993, p. 182. 5 Sull’opposizione dei socialisti americani alla guerra cfr. H.C. Peterson e Gilbert C. Fite, Opponen ts of War, 1917-1918, Madison, University of Wisconsin Press, 1957. 6 John Keegan, A History of Warfare. New York, Vintage, 1994, p. 356. 7 L’incidente del telegramma Zimmermann prende il nome dal ministro degli esteri tedesco che, il 16 gennaio del 1917, in vista della possibile entrata in guerra degli Stati Uniti, inviò un dispac­ cio all’ambasciata del Reich a Città del Messico, cui chiedeva di contattare il governo messicano per un’eventuale alleanza con gli Imperi Centrali. La Germania prometteva al Messico aiuti eco­ nomici, nonché, in caso di vittoria, quella parte del territorio americano (Texas, Arizona e New Mexico), che gli Stati Uniti avevano conquistato al Messico nell’ottocento. II messaggio cifrato fu decodificato dagli inglesi, che lo passarono prontamente agli americani. Quando la notizia venne pubblicata dalla stampa, il 1° marzo 1917, suscitò ovviamente violente reazioni anti-tedesche nel­ l’opinione pubblica statunitense. 8 Sull’attività dei propagandisti inglesi e tedeschi in America, durante la neutralità degli Stati Uniti, cfr.: James Duane Squires, British Propaganda at Home and in the United States from 1914 to 1917, Cambridge, Harvard University Press, 1935; H.C. Peterson, Propaganda for War. The Campaign against American Neutrality, 1914-1917. Norman, University of Oklahoma Press, 1939;

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Philip Taylor e M.L. Sanders, British Propaganda in First World War, London, MacMillan Press, 1982; Gary S. Messinger, British Propaganda and the State in the First World War, Manchester, Manchester University Press, 1992. 9 Cfr. Kevin Brownlow, The War, the West and the Wilderness, New York, Alfred A. Knopf, 1979, p. 23. 10 Sul cinema americano durante la Grande Guerra cfr.: Kevin Brownlow, The War, the West and the Wilderness, cit. (sui documentari e i film di finzione); Michael T. Isenberg, War on Film. The American Cinema and World War I, 1914-1941, London, Associated University Presses, 1981 (la Grande Guerra nel cinema americano durante e dopo il conflitto); David H. Mould, American Newsfilm, 1914-1919: The Underexposed War. New York, Garland Publishing, 1983 (breve, ma ricca, storia dei cinegiornali); Craig W. Campbell, Reel America and World War I. A Comprehen­ sive Filmography and History of Motion Pictures in the United States, 1914-1920, Jefferson (North Carolina), McFarland, 1985 (si occupa sia della produzione di Hollywood che di quella governati­ va); Larry Wayne Ward, The Motion Picture Goes to War. The U.S. Government Film Effort during World War I, Ann Arbour (Michigan), UMI Research Press, 1985 (solo sulla produzione governa­ tiva); Richard Wood (a cura di), Film and Propaganda in America. A Documentary History’, vol. I: World War I, New York, Greenwood Press, 1990 (raccolta di documenti dell’epoca); James E. Combs e Sara T. Combs, Film Propaganda and American Politics. An Analysis and Filmogra­ phy, New York, Garland Publishing, 1994; Karel Dibbets e Bert Hogenkamp (a cura di), Film and the First World War, Amsterdam, Amsterdam University Press, 1995; Leslie Midkiff DeBauche, Reel Patriotism. The Movies and World War I, Madison (Wisconsin), University of Wisconsin Press, 1997. 11 Entrambi i film sono conservati presso la Library of Congress di Washington. Per una fil­ mografia dei cortometraggi realizzati per la Fourth Liberty Loan Campaign (settembre-ottobre 1918) cfr. Craig W. Campbell, Reel America and World War 1, cit., pp. 255-259. 12 Sulla propaganda bellica americana durante la Grande Guerra cfr.: George Creel, How We Advertised America, New York, Harper and Brothers, 1920 (le memorie del capo del CPI); James R. Mock e Cedric Larson, Words That Won the War. The Story of the Committee on Public Infor­ mation 1917-1919, Princeton, Princeton University Press, 1939 (pubblicato alla vigilia dell'in­ gresso degli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale, dai toni fortemente interventisti); George T. Blakey, Historians on the Homefront. American Propagandists for the Great War, Lexington, Kentucky, University Press of Kentucky, 1970; Stephen Vaughn, Holding Fast the Inner Lines: Democracy, Nationalism and the Committee on Public Information, Chapel Hill, University of North Carolina Press, 1980. 13 Sull’animazione americana degli anni Dieci cfr.: Charles Solomon, Enchanted Drawings. The History of Animation, New York, Alfred A. Knopf, 1989; Denis Gifford, American Animated Films: The Silent Era, 1989-1929, Jefferson (North Carolina), McFarland, 1990; Donald Crafton, Before Mickey, cit.; Charles Solomon, Les Pionniers du dessin anime américain, Paris, Dreamland, 1996. 14 Cfr. Michael S. Shull e David E. Wilt, Doing His Bit. Wartime American Animated Short Films, 1939-1945, Jefferson (North Carolina), McFarland and Company Publishers, 1987, pp. 170171. 15 Cfr. Denis Gifford, American Animated Films, cit., pp. 1-85. 16 Cfr. Michael S. Shull e David E. Wilt, Doing His Bit, cit, pp. 11-20. 17 Sulla serie, che fu al centro di una battaglia legale tra Bray (che tentava di controllare tutti i brevetti relativi all’animazione) e Palmer, cfr. Donald Crafton, Before Mickey, cit., pp. 155-156, 268-269. 18 Sull’impresa di Ford cfr. Barbara S. Kraft, The Peace Ship. Henry Ford's Pacifist Adventure in the First World War, New York, MacMillan Press, 1978. 19 Come si è visto nel capitolo precedente, l’artificio narrativo del sogno è molto diffuso nel ci­ nema di animazione. Ovviamente, l’uso del balloon come cornice, al cui interno viene visualizza­ to il racconto onirico, è una formula particolarmente adatta ai cartoons, ma nel cinema delle origi­ ni ritroviamo questo stilema anche in diversi film dal vero (ad esempio The Life of an American Fireman (1902) di Porter), che a loro volta si rifanno a un’iconografia diffusa nelle illustrazioni po­

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polari dell’ottocento. Sull’argomento cfr.: John L. Fell, Film and the Narrative Tradition, Norman, University of Oklahoma Press, 1974, pp. 109-113; Noél Burch, Life to Those Shadows, Berkeley, University of California Press, 1990, pp. 187, 230 nota 2. 20 Cfr. Donald Crafton, Before Mickey, cit., p. 273. 21 Esiste anche un cartoon sullo stesso tema, intitolato appunto How Charlie Captured the Kaiser (1918). Cfr. Michael S. Shull e David E. Wilt, Doing His Bit, cit, pp. 16-17. Sui disegni animati ispirati a Charlie Chaplin rinviamo al capitolo precedente. 22 Cfr. Walton Rawls, Wake Up, America! World War I and thè American Poster, New York, Abbeville Press, 1988. 23 Cfr.: Leslie Cabarga, The Fleischer Story’, New York, Da Capo Press, 1988, p. 24; Charles Solomon, Enchanted Drawings, cit., p. 30; Donald Crafton, Before Mickey’, cit., p. 158. 24 Cfr.: Roy P. Madsen, Animated Film: Concepts, Methods, Uses, New York, Interiand Pub­ lishing, 1969, p. 202; Donald Crafton, Before Mickey, cit., pp. 158, 169-172. 25 Cfr. Richard Wood (a cura di), Film and Propaganda in America, cit., pp. 456-464. 26 Su Bowers e sulla riscoperta della sua opera cfr.: Louise Beaudet e Raymond Borde, Charles R. Bowers, ou le manage du slapstick et de Fanimation, “Les Dossiers de la Cinémathèque”, n. 8, Montréal, La Cinémathèque de Toulouse / La Cinémathèque québécoise - Musée du cinéma, 1980; Louise Beaudet e Raymond Borde, Du nouveau sur Charley Bowers, “Archives”, n. 3, Institut Jean Vigo / Cinémathèque de Toulouse, gennaio-febbraio 1987. 27 Cfr. Robert H. Ferrell, Woodrow Wilson and World War I. 1917-1921, New York, Harper and Row Publishers, 1985, pp. 178-183. 28 Cfr. Larry Wayne Ward, The Motion Picture Goes to War, cit., p. 111. 29 Cfr. Louise Beaudet e Raymond Borde, Charles R. Bowers, cit., p. 45. 30 Sullo sfortunato sodalizio tra Barre e Bowers cfr. Donald Crafton, Before Mickey, cit., pp. 192-200. 31 Cfr. Paul Dickson, War Slang. American Fighting Worlds and Phrases from the Civil War to the Gulf War, New York, Pocket Books, 1994, pp. 39, 73, 97-98. 32 John Dos Passos, Three Soldiers, London, Penguin, 1990 [I ed.: 1921], pp. 67, 86. 33 Sull’opera di Winsor McCay cfr.: John L. Fell, Film and the Narrative Tradition, cit., pp. 89121, 248-252; John Canemaker, The Birth of Animation. Reminiscing with John A. Fitzsimmons, Assistant to Winsor McCay, “Millimeter”, aprile 1975, pp. 14-16; John Canemaker, Winsor McCay. His Life and Art, New York, Abbeville Press, 1987; Donald Crafton, Before Mickey, cit., pp. 89-135. 34 Sulla figura di Hearst cfr. William A. Swanberg, Citizen Hearst. A Biography ofWdliam Ran­ dolph Hearst, New York, Scribner, 1970. 35 Per una breve descrizione del film cfr. Roger Smither (a cura di), Imperial War Museum Film Catalogue, vol. I: The First World War Archive, Trowbridge, Flicks Books. 1994, pp. 302-303. 36 Sull’affondamento del Lusitania cfr.: Colin Simpson, The Lusitania, Boston, Little, Brown and Company, 1972; Thomas A. Bailey e Paul B. Ryan, The Lusitania Disaster. An Episode in Modern Warfare and Diplomacy, New York, The Free Press, 1975. 37 Sui film sul Lusitania cfr. Kevin Brownlow, The War, the West and the Wilderness, cit., pp. 24-30. 38 Donald Crafton, Before Mickey, cit., p. 116. 39 Cfr. Peter Paret, Beth Irwin Lewis, Paul Paret, Persuasive Images. Posters of War and Rev­ olution, Princeton (New Jersey), Princeton University Press, 1992, p. 27. Il fatto che il poster sia del 1915 fa supporre che si trattasse di vin'affìche per promuovere l’arruolamento di volontari ame­ ricani negli eserciti dell’Intesa.

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Capitolo III

La guerra civile europea 1917-1939

1. Il dibattito sulla propaganda dopo la Grande Guerra

La Grande Guerra, in base agli slogan degli Alleati, avrebbe dovuto essere the war to end war. Ma il panorama post-bellico era ben lontano da quel mondo di pace e prosperità promesso dai vari governi nel corso del conflitto, per giustifi­ care lo sforzo immane della Materialschlacht e il sacrifico di milioni di vite. Do­ po il novembre del 1918, il quadro complessivo della politica internazionale era tutt’altro che rassicurante: le truppe dell’Intesa combattevano in Russia per aiu­ tare gli eserciti bianchi ad abbattere i bolscevichi, l’Europa centro-orientale era in preda allo scontro tra rivoluzione e contro-rivoluzione, le nazioni vinte erano sull’orlo della bancarotta. Dallo squilibrio tra l’altissimo prezzo di sangue che era stato pagato e l’esiguità dei risultati ottenuti nacque il profondo senso di di­ singanno verso la guerra, che attraverserà tutti gli anni Venti e Trenta. Scrive in proposito Modris Eksteins: Since the tangible results of the war could never justify its cost, especially its emotional toll, disillusionment was inevitable. [...] For many the war became absurd in retrospect, not because of the war experience in itself but because of the failure of the postwar ex­ perience to justify the war.1

All’interno dell’ampio dibattito che si aprì dopo il 1918, sulle cause e la natu­ ra di quella guerra disastrosa, che aveva letteralmente falciato un’intera genera­ zione, il problema della propaganda occupò un ruolo di primo piano. Come ab­ biamo già osservato, la scoperta della falsità delle storie sulle atrocità commesse dai tedeschi aumentò il rancore e la disillusione dei reduci, i quali avevano cre­ duto di combattere per difendere la civiltà da un nemico barbaro e mostruoso. Nel mondo anglosassone si verificò una vera fioritura di saggi, articoli e pamphlets che esaminavano il ruolo giocato dalla propaganda inglese per battere la Germa­ nia e mettevano in guardia contro i pericoli della “persuasione occulta”.2 Il libro di sir Campbell Stuart Secrets of Crewe House, in particolare, contribuì larga­ mente a creare il mito secondo cui il principale artefice della sconfitta degli Im­ peri Centrali sarebbe stato Northcliffe (cui, non a caso, è dedicato il volume).3 Questa pubblicistica aveva la tendenza a sopravvalutare la forza della propagan­ 89

da, che veniva considerata non solo come uno strumento illecito, impiegato da piccole elites per condizionare le scelte delle masse, ma anche come un’arma im­ battibile, capace da sola di vincere una guerra o di conquistare la mente di un in­ tero popolo. All’interno della comunità scientifica alcune voci autorevoli - in pri­ mo luogo quella di Harold Lasswell, il principale studioso americano della mate­ ria4 - proposero un approccio più meditato al problema, ma nell’immaginario col­ lettivo, sia in Gran Bretagna che negli Stati Uniti, si verificò una demonizzazio­ ne della propaganda, la quale - in un’ottica decisamente paranoica - assunse i connotati di una potente dottrina esoterica in mano a diplomatici intriganti, pron­ ti a scagliare l’umanità nel baratro della guerra mondiale. La parola “propagan­ da”, insomma, divenne sinonimo di “menzogna” e di “subdolo condizionamento delle opinioni del cittadino”: del tutto inaccettabile in una società democratica.5 In Inghilterra, il discredito in cui cadde la propaganda dopo il 1918 si tradus­ se in una forte limitazione dell’azione dello Stato in questo campo. Inoltre, lo smantellamento della macchina del Ministry of Information rientrava nel quadro più ampio della generale richiesta di disarmo (abolizione delle armi chimiche, delle dreadnoughts, dell’esercito di leva), che seguì il bagno di sangue della Grande Guerra. Il MOI venne sciolto subito dopo la fine del conflitto; e i piani per la sua ricostruzione, a partire dal 1935, in vista di un possibile scontro con la Germania nazista, vennero tenuti rigorosamente segreti, per non irritare l’opinio­ ne pubblica. A paragone con l’azione di Beaverbrook e di Northcliffe, la propa­ ganda politica - coordinata dal Foreign Office - che il governo inglese svolse ne­ gli anni Venti (contro la Russia sovietica e il comuniSmo in genere) e Trenta (so­ prattutto contro il fascismo) fu molto limitata. Certamente, sul piano strettamente militare nell’intervallo tra le due guerre mondiali non si pose mai la necessità di un’ampia campagna per l’organizzazio­ ne del consenso. Tra il 1919 e il 1939 ile forze armate britanniche vennero im­ piegante in numerose operazioni militari: l’intervento nella guerra civile in Rus­ sia, la repressione di rivolte in varie parti dellTmpero (Irlanda, Iraq, Palestina), la difesa della North-West Frontier dalle incursioni delle tribù afghane. Si trattò però di conflitti “a bassa intensità”, magari estremamente cruenti (come nel caso dell’Irlanda), ma che non necessitavano certo del dispiegamento della massa di uomini e mezzi del periodo 1914-’18.6 Ma se dal livello militare allarghiamo lo sguardo al più vasto panorama delle relazioni politico-diplomatiche degli anni Venti e Trenta, risulta chiaro che la timidezza nell’usare l’arma della propagan­ da danneggiò molto i paesi democratici nella lotta contro i regimi totalitari, i qua­ li avevano fatto tesoro dell’esperienza del MOI. In the inter-war years, increasingly anti-liberal propaganda was being spread through the world by the large ministries established for such purposes in Fascist and Communist states. The British and their friends in other countries were somewhat able to counteract this ideological assault by publicity channeled through existing governmental depart­ ments and through non-governmental sectors of society, particularly the news media and commercial advertising. But the foes of dictatorship would have scored more points in

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international debate between the two World Wars if the British had possessed, at that time, some agency like the Wellington House of 1914-1917 or the Department/Ministry of Information of 1917-1918.7

Una prova dalla diffusa diffidenza verso la propaganda, presente nella socie­ tà britannica tra le due guerre mondiali, è rappresentata dal fatto che la BBC fu l’ultima delle grandi stazioni radiofoniche ad avviare delle trasmissioni in lingua straniera, le quali avevano ovviamente scopi squisitamente propagandistici. Nel marzo del 1934, ad esempio, l’emittente italiana di Radio Bari attivò programmi in arabo, diretti verso l’Egitto e il Medio-Oriente. A partire dal settembre del 1935, in seguito alle sanzioni imposte all’Italia per l’aggressione all’Etiopia, Ra­ dio Bari iniziò ad assumere toni ferocemente anti-inglesi e a fomentare il nazio­ nalismo arabo. La BBC istituì un Arabie Service soltanto nel 1937. La resisten­ za dei vertici della radio di Stato inglese a replicare all’azione di Radio Bari si spiega proprio con la paura di perdere la propria autonomia rispetto al governo e di macchiare il buon nome della BBC con una parola sporca come “propaganda” (alla quale in Inghilterra si preferivano eufemismi quali “national projection” o “national self-advertisement”)* Nel periodo tra le due guerre mondiali, i propagandisti inglesi si dedicarono essenzialmente a settori non-politici: economia, turismo, cultura. L’Empire Mar­ keting Board - diretto, tra il 1928 e il 1934, da sir Stephen Tallents, uno dei mag­ giori esperti inglesi in fatto di propaganda - aveva il compito di rafforzare il sen­ so dell’unità imperiale e di incrementare gli scambi commerciali all’interno del­ l’impero, con l’obiettivo di creare un mercato chiuso, che attenuasse gli effetti devastanti della Grande Depressione. Il British Council, fondato nel 1934, fu la prima risposta inglese alla crescente propaganda anti-britannica di Germania e Italia, ma si trattava di una risposta morbida. Il British Council, infatti, non svol­ geva alcuna attività esplicitamente anti-fascista, limitandosi a promuovere la cul­ tura inglese nel mondo.9 Nella strategia di queste agenzie, il cinema giocò un ruolo di primaria impor­ tanza. Per il British Council, il cinema inglese “di qualità”, rappresentato da film come The Private Life of Henry V/// (1933) di Alexander Korda, costituiva un ot­ timo esempio della tradizione culturale britannica. Ma furono l’Empire Marketing Board e, successivamente, il General Post Office ad accordare particolare atten­ zione al cinema. Nel 1929 l’EMB produsse il suo primo documentario, Drifters, sui pescatori di aringhe del Mare del Nord, diretto da John Grierson (di cui parle­ remo più diffusamente nel quinto capitolo). Drifters rappresentò l’unica esperien­ za di regia della lunga carriera di Grierson. Scrive Erik Bamouw: The success of Drifters meant a new career for Grierson. Instead of directing further films, he became creative organizer; at the Empire Marketing Board he assembled un­ trained recruits and proceeded to turn them into a bustling EMB Film Unit, finding funds for them to function, goading them, teaching them - and meanwhile shielding them fa­ natically from bureaucratic interference.10

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Com’è noto, è presso la Film Unit dell’EMB che nacque il documentary move­ ment inglese. Nel 1934, allo scioglimento dell’EMB, la Film Unit - sempre sot­ to la guida di Grierson - si trasferì all’interno del General Post Office, conti­ nuando a realizzare documentari di argomento sociale e di promozione di varie at­ tività economiche (la Film Unit, oltre che per il GPO, fece film anche per British Petroleum, British Commercial Gas Association e Imperiai Airways)." Non è certo questa la sede adatta per illustrare la storia del documentary movement, ma dobbiamo porre l’accento su due aspetti del movimento fondato da Grierson, che toccano da vicino il nostro discorso. In primo luogo, bisogna sottolineare l’im­ portanza del documentary movement per la propaganda bellica inglese della Se­ conda guerra mondiale. Grazie al lavoro svolto dall’EMP e dal GPO negli anni Trenta, allo scoppio del conflitto la Gran Bretagna disponeva di un gruppo di ot­ timi documentaristi (Alberto Cavalcanti, Paul Rotha, Harry Watt, solo per citare i nomi principali), che vennero utilizzati per realizzare film di propaganda. In se­ condo luogo, tra il 1936 e il 1938 la Film Unit del GPO produsse anche diversi cortometraggi animati, diretti da alcuni dei nomi più importanti del cinema di animazione di avanguardia: Norman McLaren, Len Lye e Lotte Reiniger. Duran­ te la Seconda guerra mondiale, sia McLaren che Lye presteranno servizio come “cineasti di propaganda”, rispettivamente in Canada e in Gran Bretagna. Negli Stati Uniti il tramonto politico di Wilson e il successivo predominio re­ pubblicano per tre mandati presidenzialii consecutivi (dal 1920 al 1932), sul pia­ no diplomatico, significarono un ritorno all’isolazionismo più duro. Dopo che, nel 1919, il Congresso rifiutò di ratificare il Trattato di Versailles, affossando co­ sì la linea internazionalista di Wilson, venne avviata un’inchiesta ufficiale sulle ragioni dell’entrata in guerra degli Stati Uniti, ed emersero i dettagli della cam­ pagna propagandistica che gli inglesi avevano condotto in America, tra il 1914 e il 1917. Uno degli effetti di queste rivelazioni fu il rigetto totale della propagan­ da, considerata come un fenomeno eminentemente un-American, tanto dalla classe politica, quanto dall’opinione pubblica.12 Le amministrazioni repubblicane degli anni Venti, isolazioniste e liberiste, non avevano alcun interesse a creare un’agenzia di informazione governativa; ma neppure Roosevelt, nel decennio successivo, nonostante l’importanza che la di­ mensione simbolico-comunicativa rivestiva all’interno del New Deal,13 costituì mai - almeno fino allo scoppio della guerra - una struttura preposta all’organiz­ zazione del consenso. Scrive Richard W. Steele: The government’s image was shaped by neither a centralized propaganda bureau nor by government operated communications outlets (both of which were suggested), but by the President and his staff skillfully managing the tenuous and largely informal set of “al­ liances” and understandings he cultivated.14

Per ciò che riguarda in particolare il cinema, con l’unica eccezione dei (po­ chi) documentari di Pare Lorentz, il New Deal non realizzò alcunché di simile al 92

documentary movement inglese. I New Dealers fecero un ricorso piuttosto spo­ radico ai lungometraggi - documentari o di finzione - come strumento di propa­ ganda. L’amministrazione Roosevelt si concentrò essenzialmente sul manteni­ mento di buoni rapporti con i principali cinegiornali. D’altra parte, non sarebbe potuto essere diversamente. Tanto il Congresso (dominato da una maggioranza anti - New Deal) quanto le Majors hollywoodiane osteggiarono duramente la creazione di un’agenzia cinematografica pubblica, come dimostra la brevissima esperienza dello United States Film Service, creato nel 1938 - sotto la guida di Lorentz - e sciolto solo due anni dopo, a causa del taglio dei fondi al progetto da parte del Congresso.15 Ha scritto in proposito David Culbert: It is a fact that in America between 1920 and 1940, aside from the work of Pare Lorentz, whose New Deal documentaries have been carefully analyzed, the federal government played a small role in the area of film propaganda. 16

2. Agit-prop e cartoon', rivoluzione e anti-comunismo nel cinema di animazione tra le due guerre Se il periodo tra le due guerre mondiali vide la sostanziale scomparsa della pro­ paganda governativa negli Stati Uniti, e la sua limitazione all’ambito economicoculturale in Gran Bretagna, ciò non significa affatto che l’esperienza di Beaver­ brook e Northcliffe fosse stata dimenticata. I paesi totalitari costruirono potenti apparati propagandistici, che impiegarono in quella che alcuni storici hanno de­ finito la “guerra civile europea” (lo scontro tra liberal-democrazia, comuniSmo e fascismo negli anni Venti e Trenta, che culminerà nella Seconda guerra mondia­ le). Come abbiamo già osservato, Hitler e Goebbels ebbero sempre in mente il modello del Ministry of Information inglese. Parimenti, nelle democrazie anglo­ sassoni, il pubblico discredito verso la propaganda e la scomparsa (o la riduzio­ ne) delle agenzie pubbliche preposte all’organizzazione del consenso non impe­ dirono certo ai partiti di utilizzare, nell’agone politico, i metodi di persuasione delle masse elaborati durante la Grande Guerra. Nel contesto dei violenti scontri ideologici che imperversarono nell’interval­ lo tra i due conflitti mondiali, il cinema - insieme alla radio - si rivelò il mezzo di comunicazione più potente. La guerra di Spagna, uno degli episodi più fero­ ci della guerra civile europea, ad esempio, oltre che con i carri armati e gli ae­ roplani, fu combattuta anche con i film, utilizzati per mobilitare l’opinione pub­ blica mondiale a favore dell’una o dell’altra fazione.17 Quella del cinema di pro­ paganda degli anni Venti e Trenta è una storia ricca e complessa, in cui trovia­ mo opere di alto valore estetico, oltre che semplici pamphlets. Ma accanto a questa storia maggiore, che ha per protagonisti alcuni dei grandi nomi della set­ tima arte, da Sergei Ejzenstejn a Leni Riefenstahl, da Joris Ivens a Dziga Vertov, esiste anche una storia minore, rappresentata dai film di animazione. Nell’arse93

naie retorico di rivoluzionari e contro-rivoluzionari di professione, infatti, tro­ viamo anche i disegni animati. Si tratta di un corpus estremamente disomogeneo, in cui compaiono le opere più diverse, tanto sul piano del contenuto politico, quanto su quello della qualità artistica e delle modalità produttive. Infatti, si va da Dem Deutschen Volke (1930), cartoon di propaganda del Partito comunista tedesco,18 alla Vita di Mus­ solini di Guido Presepi, un lungometraggio (di cui si sono perse le tracce) ini­ ziato alla fine degli anni Venti e mai portato a termine;19 si passa dai rozzi car­ toons anti-bolscevichi della Ford Film Unit, a quel piccolo capolavoro, realizza­ to in forma completamente artigianale, che è L’Idée (1932) di Berthold Bartosch. Se nei paesi occidentali la produzione fu sporadica e discontinua, in Unione Sovietica il cinema di animazione venne utilizzato sistematicamente nella lotta politica, a partire dal 1924-’25, anche per impulso di Dziga Vertov, che supervisionò alcuni dei primi cartoons sovietici , quali Jumoreski (Humoresques, 1924) e Sovèstskije igruski (Giocattoli sovietici, 1924). La Cinémathèque québécoise di Montréal conserva due disegni animati russi di propaganda: Mazplanètnaja revoljutsija (Rivoluzione interplanetaria, 1924) di Zenon Komissarenko e Jurij Mer­ kulov, e Black and White (1932) di Ivan Ivanov-Vano. Mazplanètnaja revoljutsija racconta una vicenda fantascientifica, in cui i rappresentanti della reazione (bor­ ghesi, preti, generali), sconfitti dalle forze comuniste, fuggono nello spazio, a bor­ do di una grande soprascarpa (il sottotitolo del film è: Come i borghesucci vola­ rono in una soprascarpa sulla Luna), ma vengono inghiottiti dal Sole. Un operaio e un militante comunista, che si erano lanciati all’inseguimento del nemico con un’astronave, continuano il loro viaggio interplanetario e atterrano su un pianeta dominato da un sistema dittatoriale. I due protagonisti capeggiano la rivolta delle masse del pianeta, che rovesciano la tirannide, facendo così trionfare la rivoluzio­ ne socialista nel cosmo. Come in molti hanno notato, la storia di Mazplanètnaja revoljutsija presenta una chiara influenza di Aelita (1924) di Protazanov. Black and White (che è sonoro) si rifà a un testo di Majakovskij e narra della dura vita dei contadini neri dell’isola di Cuba, sfruttati da latifondisti americani, alleati con il clero locale.20 Un tentativo di insurrezione viene stroncato nel sangue, ma l’ul­ tima sequenza del film mostra il faro che continuerà a guidare la lotta degli op­ pressi di tutto il mondo: il mausoleo di Lenin sulla piazza Rossa.21 La storia dell’uso del cinema di animazione come strumento di propaganda politica tra le due guerre mondiali, in America e - soprattutto - in Europa, è an­ cora tutta da scrivere. Non esiste una mappa precisa dei film, i quali sono dispersi - e forse in parte dimenticati - in molte cineteche nel Nuovo e del Vecchio Con­ tinente. Ma, nel complesso, il problema del rapporto tra il cinema di animazione e i conflitti ideologici degli anni Venti e Trenta tocca solo tangenzialmente la no­ stra ricerca, in quanto si tratta di un fenomeno largamente minoritario all’interno dell’area culturale anglosassone. Nel presente capitolo ci limiteremo a una rico­ gnizione parziale di tale corpus, prendendo in esame esclusivamente i film in­ glesi e americani. L’unico film dell’Europa continentale che analizzeremo è 94

L’Idée di Bartosch, un testo che ci pare particolarmente significativo per lo svi­ luppo del cinema di animazione come strumento di propaganda.

Negli Stati Uniti, il periodo immediatamente successivo la fine della Grande Guer­ ra vide una violenta ondata di isteria anti-comunista e, più in generale, di rigetto di qualunque idea o attività ritenute un-American. Il red scare del 1919-’21 co­ niugava la xenofobia alimentata dalla propaganda del periodo bellico con la paura per la vittoria dei bolscevichi in Russia. Il 1° maggio 1919, a Boston, Cleveland e New York, si verificarono assalti a raduni socialisti da parte di folle di patrioti, composte in parte da militari smobilitati. L’intolleranza delle forze conservatrici venne incrementata da una serie di azioni, tanto clamorose quanto politicamente assurde, di piccoli gruppi radicai. Il 2 giugno del 1919, ad esempio, in varie città esplosero una serie di bombe, una delle quali demolì parzialmente la residenza dell’Attorney General (il Ministro della Giustizia) Mitchell Palmer, il principale re­ sponsabile della “caccia ai rossi”. Tra il 11919 e il 1920, la polizia procedette a una lunga serie di arresti e violenze - i famigerati Palmer’s raids - contro i militanti dei due partiti comunisti (Communist Party e Communist Labor Party) e del sin­ dacato radicale Industrial Workers of the World; molti stranieri, ritenuti pericolosi sovversivi, vennero deportati; «l’assemblea legislativa dello Stato di New York espulse i cinque rappresentanti socialisti eletti al suo interno, nonostante il partito socialista fosse un’organizzazione perfettamente legale».22 L’isteria anti-comunista iniziò a diminuire nella primavera del 1921, ma ancora nel 1927 gli anarchici Sac­ co e Vanzetti, arrestati nel 1920 con un’accusa di omicidio, venivano giustiziati a causa del loro credo politico, anziché per una chiara prova di colpevolezza. Si trova traccia del clima paranoico del red scare dell’immediato dopo-guer­ ra in due cartoons del periodo, conservati rispettivamente presso i National Archives e la Library of Congress di Washington. Il primo è un brevissimo cor­ tometraggio della Ford Film Unit del 1919, che era presumibilmente inserito nel cinegiornale della Ford Motor Company; il film è senza titolo, come i lightning sketches della Prima guerra mondiale di cui abbiamo parlato nel capitolo prece­ dente (il titolo Anti-I.W.W. Cartoon, con il quale è catalogato presso i National Archives, è un ledger title, un titolo convenzionale attribuitogli dai conservatori). Sul piano stilistico, il film è più elaborato rispetto alle animazioni della Ford del­ la Grande Guerra: non si tratta di un semplice lightning sketch, ma di un cartoon vero e proprio, per quanto abbastanza rozzo. Il tono virulento però è il medesimo, anche se è cambiato il nemico (i comunisti al posto di tedeschi e pacifisti). Il breve cartoon della Ford si apre con l’immagine di Uncle Sam, vestito da contadino, all’interno di un granaio; accanto all’uomo c’è a una pila di sacchi di granaglie su cui è scritto «American Institutions». Sam, indicando i sacchi e un mucchio di pannocchie davanti a sé, dice: «The fine results of our labour!». Da un buco nel muro esce un grosso topo su cui è scritto: «Bolsheviki (I.W.W.)». Il topo addenta una pannocchia, ma Uncle Sam lo uccide con un colpo di vanga e lo getta via. Il commento finale di Uncle Sam è: «Bolshevists are the rats of 95

civilization». Se, come abbiamo visto, tra il 1914 e il 1917 Ford era passato, con estrema nonchalance, da posizioni isolazioniste e pacifiste a un acceso bellici­ smo, anche nel caso delle sue idee sul comuniSmo si nota una decisa ambivalen­ za. Infatti, nel 1919 il cinegiornale di Ford fa propaganda anti-comunista, ma ne­ gli anni Trenta il grande magnate americano supervisiona la costruzione del com­ plesso industriale di Nizhni-Novgorod, Ila “Detroit sovietica”.23 È interessante notare che gli animatori della Ford hanno dato un’ambientazione agraria a questo spot anti-comuniista e anti-sindacale. Benché il commit­ tente del cortometraggio sia una grande fabbrica (anzi, la grande fabbrica per an­ tonomasia, il luogo in cui è nata la catena di montaggio), per rappresentare lo ste­ reotipo del lavoratore americano, che sii identifica tout court con Uncle Sam, è stato scelto un farmer, anziché un blue-collar. Le istituzioni americane vengono fatte coincidere con il lavoro della terra, e non con quello delle officine, anche se la ricchezza degli Stati Uniti proveniva in primo luogo dal suo apparato indu­ striale. L’idealizzazione della vita rurale e l’opposizione tra il sano lavoro dei campi e il lavoro della fabbrica, dove serpeggiano idee sovversive, è un topos di tutta la propaganda conservatrice e anti-comunista. E anche la scelta di utilizzare proprio il granturco come simbolo delle istitu­ zioni americane, minacciate dal topo bolscevico, non è casuale. Il mais, infatti, è una coltivazione originaria del Nuovo Mondo, non importata dal Vecchio Conti­ nente. La pannocchia, insieme al tacchino, animale squisitamente americano, fa parte del menù del Thanksgiving, la festività che ricorda il primo raccolto fatto dai padri pellegrini, i quali avevano imparato dagli indiani a coltivare il mais. In un cartoon della Disney della Seconda guerra mondiale, The Grain That Built a Hemisphere (1943), commissionato dal governo per migliorare i rapporti con i paesi deH’America Latina, per fare fronte comune contro le potenze dell’Asse (esamineremo più a fondo la questione nel sesto capitolo), il mais assurge a sim­ bolo del continente americano. The Grain That Built a Hemisphere è un docu­ mentario a disegni animati sul mais, in cui vengono illustrati il ruolo del grantur­ co nell’economia delle civiltà pre-colombiane, le tecniche di coltivazione moder­ ne, i suoi vari utilizzi sia in campo alimentare che in altri settori, non ultimo l’in­ dustria bellica, che lo usa nella costruzione di paracadute ed esplosivi. Il film ini­ zia con un’immagine dell’emisfero occidentale, in cui il continente appare come un enorme campo di granturco. L'incipit del commento off è: «Corn is the symbol of the spirit that links the Americas in a common bond of union and solidarity». In quella che George Mosse ha chiamato la “religione civile” degli anni Tren­ ta, ossia la complessa liturgia politica che si sviluppa in Europa e in America tra le due guerre (di cui le parate e le cerimonie naziste sono la rappresentazione più eclatante), il mito della campagna e della natura come simboli della Nazione so­ no estremamente diffusi, tanto a destra quanto a sinistra.24 Se nella retorica rea­ zionaria, su entrambe le sponde dell’Atlantico, troviamo una forte (e intimamen­ te contraddittoria) idealizzazione del mondo rurale, anche nell’immaginario del New Deal gli agricoltori giocano un ruolo di primo piano. Ma nella propaganda 96

dei New Dealers, accanto ai farmers compaiono i blue-collars. Nel cartoon del­ la Ford il baluardo contro il comuniSmo è rappresentato da un contadino, mentre in un disegno animato pro-Roosevelt degli anni Quaranta, Hell-Bent for Election (1944), l’eroe è un operaio. Hell-Bent for Election fu prodotto dallo United Auto Workers per le elezioni presidenziali del 1944. Lo UAW faceva parte del Congress of Industrial Organi­ zations, il sindacato rooseveltiano sorto durante il New Deal, anche con l’apporto dei militanti comunisti, schierato su posizioni più battagliere rispetto alla vecchia American Federation of Labor.25 Hell-Bent for Election venne diretto da Chuck Jones, uno dei padri di Bugs Bunny, e il suo produttore esecutivo fu Steve Bosustow, futuro fondatore della United Productions of America, la casa che rivoluzio­ nerà lo stile dell’animazione americana degli anni Cinquanta. Il protagonista di Hell-Bent for Election è un operaio, Joe: il lavoratore americano per antonoma­ sia. Joe - un robusto ragazzo biondo, in tuta di jeans - carica materiale bellico su un treno, in una piccola stazione. Uncle Sam, nei panni del telegrafista della sta­ zione, avverte Joe che stanno arrivando due convogli diretti a Washington: uno è il Win the War Special, un treno moderno e veloce, carico di armi, la cui loco­ motiva ha il volto di Franklin Delano Roosevelt; il secondo treno, vecchio e len­ to, con il viso dello sfidante repubblicano Thomas E. Dewey, si chiama Defeatist Limited. Uncle Sam avvisa Joe che deve attivare lo scambio per far passare per primo il Win the War Special, e lo ammonisce di non addormentarsi come nel 1942 (il riferimento è alle elezioni di mid-term vinte dai repubblicani). I vagoni del Defeatist Limited rappresentano i punti di fondo del programma repubblicano (al­ meno nella visione che ne vogliono dare i democratici). Le varie carrozze sfilano una dopo l’altra, con una scritta esplicativa, come fossero carri allegorici. «Tax program»: un operaio schiacciato dal peso di un enorme sacco che rappresenta le spese di guerra, con accanto un capitalista che regge un sacchetto minuscolo; «Social security»: un senza tetto che dorme su una panchina; «Jim Crow car»: una prigione con sopra una mitragliatrice (Jim Crow era il nomignolo spregiativo usa­ to per indicare i neri). Nonostante i tentativi di far addormentare Joe da parte del perfido Dewey, il quale a un certo punto si trasforma addirittura in Adolf Hitler, l’operaio riesce ad attivare lo scambio e a far passare il treno del Presidente. Ciò che stiamo cercando di sottolineare è che in film di propaganda america­ ni di epoche e fazioni politiche diverse ritornano le stesse figure retoriche, ma con significati differenti. Nel cartoon della Ford Uncle Sam difende l’America, rappresentata dal granturco, dalla sovversione comunista e dai sindacati. Invece, in The Grain That Built a Hemisphere ill mais è metafora della solidarietà di tut­ to il continente americano nella lotta contro il fascismo; mentre in Hell-Bent for Election, commissionato da un sindacato cui aderivano anche i comunisti, i ne­ mici di Uncle Sam sono il fascismo, il razzismo e la voracità del grande capita­ le. L’americanismo costituisce il retroterra simbolico tanto della propaganda con­ servatrice della Ford, quanto di quella progressista dei New Dealers. La diffe­ renza tra il film della Ford e Hell-Bent for Election sta nel fatto che i due testi 97

identificano come un-American dei fenomeni diversi: il comuniSmo nel primo caso, il fascismo, il razzismo e il liberismo selvaggio nel secondo. Gli Stati Uni­ ti sono un paese dotato di una cultura nazionale forte e unitaria, condivisa - nel­ le linee di fondo - da tutte le forze politiche; non c’è dunque da stupirsi se le im­ magini-feticcio utilizzate nella propaganda di conservatives e liberals, benché caricate di valenza politica opposta, siano le medesime. Il secondo cartoon dell’epoca del red scare è San Francisco’s Future, un film anonimo, dalla datazione incerta, sicuramente opera di un piccolo studio, vista la natura piuttosto rozza di disegni e animazione. La scheda di San Francisco ’s Fu­ ture del catalogo della Library of Congress è contraddittoria: si parla di «patriotic film that is intended to convince young men to join the armed forces during World War I», ma la data presente accanto al titolo è il 1928, dieci anni dopo la fine del­ la guerra per la quale il film avrebbe dovuto stimolare il reclutamento. È abba­ stanza chiaro come ci sia stato un errore e che l’autore della scheda volesse scri­ vere 1918. Ma in realtà, San Francisco’s Future non fa alcun riferimento all’ar­ ruolamento nelle forze armate, se non in maniera obliqua, attraverso un accenno al preparedness movement. Il film sembrerebbe piuttosto uno spot politico-eletto­ rale, realizzato presumibilmente tra la fine degli anni Dieci e i primi anni Venti. Il film si apre con un campo lungo della città di San Francisco. Una didasca­ lia recita: «Shall we have this»; vediamo l’enorme figura di una dea dell’abbon­ danza - una donna in tunica, con una corona di fiori in stile Liberty, su cui cam­ peggia la scritta “Prosperity” - che sovrasta la metropoli e vi versa sopra una pioggia di monete. La seconda didascalia dice: «Or shall it be this»; la dea è sta­ ta sostituita da un’enorme nuvola nera - al cui interno sono scritte le parole “Anarchy”, "Sedition”, “Lawlesness” - che incombe minacciosamente su San Francisco. Per dissolvenza incrociata si passa al quartier generale dell’IWW. In una stanza squallida, alcuni uomini dall’aria losca sono seduti intorno a un tavo­ lo, sul quale sono poggiati una bottiglia (i sindacalisti sono tutti alcolizzati), una pistola e una bomba. Alcuni dei partecipanti alla riunione hanno folti baffi neri e i tratti somatici degli europei mediterranei o slavi (persone naturalmente sospet­ te nell’America WASP degli anni Dieci-Venti). Il capo del gruppo tiene un acce­ so discorso, battendo il pugno sul tavolo, e poi afferra la bomba. Dissolvenza in­ crociata: la bomba esplode davanti alla Hall of Justice, distruggendola. Dissol­ venza incrociata: nella parte sinistra dello schermo vediamo la dea della Giusti­ zia; a destra compare un “sovversivo”, con in piedi immersi in una pozza di san­ gue, e accanto un giornale che titola «Blast»; in mezzo ai due campeggia la scrit­ ta «Choose!». Da qui in avanti la pellicola è dal vero. La didascalia dice: «The warning signal sounded at Preparedness Day Parade, july 22, 1916». Sfilano im­ magini documentarie (tratte, come ci informa il film, da un cinegiornale Hearst) di una parata del preparedness movement. In prima fila compare un signore, che viene ripreso insistentemente e che ammicca verso la macchina da presa (è il committente - sindaco o deputato - di San Francisco ’s Future?). Poi vengono mostrati i morti e i feriti, causati da un ordigno esploso tra la folla. La didascalia 98

finale invita il pubblico a combattere la “sovversione”: «Citizens of San Franci­ sco: save our fair city from further disgrace». San Francisco’s Future presenta tutti gli elementi canonici della propaganda anti-comunista degli anni della Grande Guerra e del red scare: demonizzazione dell’attività sindacale, identificata tout court con il terrorismo; odio verso gli im­ migrati; contrapposizione netta tra barbarie e civiltà, tra i rossi, portatori di mor­ te e disordine sociale, e [’American way of life, che garantisce benessere mate­ riale, legge e ordine; rappresentazione di tipo lombrosiano del nemico, mostrato come un essere abietto, dedito all’alcool e all’assassinio. Abbiamo, insomma, un perfetto esempio di hate propaganda, del tutto analoga ai film tags del Ministry of Information inglese: le formule retoriche sono identiche, l’unica differenza consiste nel fatto che la parola “Prussianism” è stata sostituita da “Communism”. Benché San Francisco ’s Future non contenga riferimenti espliciti a partiti (ma forse il signore della parte in live-action era un uomo politico perfettamente no­ to al pubblico dell’epoca, tanto che non è necessario citarne il nome), è presu­ mibile che il film fosse uno spot utilizzato nel corso di una campagna elettorale. In primo luogo, anche se non vengono promossi né un candidato né una lista spe­ cifici, lo spettatore viene invitato apertamente a scegliere tra due modelli antite­ tici: l’anarchia o l’americanismo. In secondo luogo, l’ipotesi dello spot elettora­ le è avvalorata dal fatto che il film, già a partire dal titolo, abbia un carattere squi­ sitamente locale: si tratta di un cortometraggio pensato esclusivamente per la cit­ tadinanza di San Francisco, e dunque - presumibilmente - prodotto da una qual­ che organizzazione politica della città. Bisognerà attendere i cartoons anti-giapponesi e anti-tedeschi della Seconda guerra mondiale per trovare, nel cinema di animazione americano, un testo viru­ lento come San Francisco ’s Future. Infatti, gli scarsi riferimenti al mondo politi­ co che si posso trovare nei cartoons americani degli anni Venti e Trenta sono as­ solutamente pacifici. La compilation della Library of Congress intitolata Politi­ cai Cartoons (192?) presenta una serie di brevi sketches su topical topics (l’im­ migrazione, il potere del Trust del carbone, un’audizione di Rockefeller di fron­ te a una commissione di inchiesta): si tratta di vignette satiriche, del tutto inno­ cue. In Great Caesar’s Ghost (1926), prodotto da un piccolo studio (B.M. Powell Inc.), si narrano le avventure di un marinaio americano e del suo cane in Italia. Una didascalia dice: «Once Caesar ruled this land supremely, but now the boss is Mussolini»; in un’inquadratura dal vero vediamo il Duce, insieme a Vittorio Emanuele III e Italo Balbo. Ma il cartoon è del tutto privo di un contenuto poli­ tico, l’ambientazione italiana serve soltanto a fornire un carattere esotico alla vi­ cenda, in cui il protagonista si imbatte in tutti gli stereotipi del “folclore italia­ no”: gli spaghetti, la torre di Pisa, le gondole, il Vesuvio. Passando alla produzione sonora, la situazione non cambia. In Scrappy’s Party (1933) di Charles Mintz, ad esempio, alla festa di Scrappy partecipano una serie di stelle del cinema e altre celebrità, tra cui il Mahatma Gandhi e Adolf Hitler. Scrappy’s Party non è affatto un cartoon politico: la presenza di Gandhi e 99

Hitler rientra nel quadro della grande passione degli animatori americani per la caricatura di personaggi famosi, attori e registi hollywoodiani in primo luogo (in Hollywood Steps Out, 1941, Tex Avery addirittura disegna il proprio produttore esecutivo, Leon Schlesinger). L’unica eccezione è rappresentata da Confidence (1933) di Walter Lantz. In Confidence, la Depressione si abbatte, con risultati disastrosi, sulla fattoria di Oswald the Rabbit (un personaggio creato da Walt Disney nel 1927 e rubatogli da Mintz, allora suo socio in affari, l’anno successi­ vo).26 Oswald chiede una cura al Dottor Pili, il quale gli consiglia di rivolgersi a Roosevelt (che era entrato in carica proprio quell’anno). Oswald si reca a Wash­ ington, dove il Presidente gli comunica la parola magica per uscire dalla crisi: “confidence”. Oswald torna a casa, dove, con una siringa, inietta massicce dosi di fiducia a uomini e animali, i quali si riprendono immediatamente dallo stato di prostrazione in cui erano caduti. Benché Leonard Maltin, uno degli studiosi più attenti del cinema di animazione americano, sottolinei la mediocrità di Con­ fidence sul piano tecnico («the animation itself is unispired, and the timing lacks vigor and precision»)27, questo cartoon è molto interessante, non solo perché te­ stimonia delle grandi speranze accese dal primo New Deal, ma anche perché rap­ presenta un caso abbastanza unico di esplicita propaganda politica da parte di una Major (i cartoons di Lantz erano distribuiti dalla Universal Pictures), in un’epo­ ca in cui i film hollywoodiani - di animazione o meno - si tenevano a debita di­ stanza da scottanti problemi del momento.

In Inghilterra, tra le due guerre mondiali, l’utilizzo del cinema di animazione co­ me strumento di propaganda fu ancora più raro che negli Stati Uniti. Nonostante gli sforzi di Paul Rotha, che cercò di attirare l’attenzione dei dirigenti laburisti sul­ l’impiego del film come mezzo di diffusione delle idee, l’interesse del Labour Party verso il cinema fu sempre piuttosto timido, almeno fino al 1937-’38, quan­ do il partito fondò una casa di produzione e distribuzione, la Workers’ Film Associ­ ation. Accanto alla miopia della leadership del Labour, altri due fattori spiegano l’incapacità delle forze del movimento operaio inglese di appropriarsi del mezzo cinematografico. In primo luogo vi è resistenza, in Gran Bretagna, di un cinema sociale istituzionale, rappresentato dal documentary movement di Grierson e Rotha. che - almeno in parte - occupava lo spazio naturale di una produzione mi­ litante. In secondo luogo, pesò l’assenza di un Fronte Popolare (il Labour rifiutò sempre le offerte di alleanza del Communist Party of Great Britain, peraltro mol­ to piccolo), capace di promuovere una politica culturale unitaria e di vasto respi­ ro, che in Francia favorì il sorgere del realismo poetico degli anni Trenta. In Inghilterra, contrariamente al loro nome, i veri innovatori nell’uso politico dei mezzi di comunicazione di massa furono i conservatori, i quali, a partire dal 1925, iniziarono a servirsi del cinema come mezzo di propaganda elettorale. La Conservative and Unionist Films Association produsse circa una ventina di film, tra cui alcuni cartoons. Rachael Low, nella sua storia del cinema britannico, cita due di questi film di animazione: The Right Spirit (1931) e Red Tape Farm 100

(1931 ).28 In The Right Spirit si vede uno dei leader del Partito conservatore, Stanley Baldwin, mettere in moto la macchina di John Bull, mentre Ramsay MacDonald, segretario del Labour, dorme. Red Tape Farm, invece, è un apologo contro la pianificazione socialista nell’economia agricola. I tories disponevano anche di una piccola flotta di furgoni dotati di proiettore, per mostrare i film su tutto il territorio nazionale. I cinema vans erano già stati sperimentati con suc­ cesso durante la Grande Guerra: i conservatori, al contrario dei laburisti, seppe­ ro mettere a frutto l’esperienza del Ministry of Information nell’età post-bellica.29 Considerando la chiusura del Labour nei confronti del cinema, non è casuale che l’unico film di animazione di propaganda di sinistra realizzato in Gran Bre­ tagna tra le due guerre sia stato prodotto per iniziativa personale di un giovane filmmaker del Partito comunista, Norman McLaren, anziché su istanza di una struttura partitica o sindacale. Il film in questione è Hell Unlimited (1936), che McLaren, allora studente presso la Glasgow School of Art, girò con mezzi pove­ rissimi (il film è muto, in 16 mm.) insieme alla compagna di corso e di partito Helen Biggar. Hell Unlimited fu distribuito da Kino, una compagnia che diffon­ deva i film di sinistra in Gran Bretagna attraverso un circuito non istituzionale, svolgendo anche opera di importazione, soprattutto delle pellicole sovietiche (tra gli altri titoli, portò in Inghilterra La corazzata Potemkin).30 Hell Unlimited non è integralmente di animazione, ma utilizza una tecnica mista, in cui interagiscono animazione di oggetti, diagrammi, mappe animate, fo­ tografie, sequenze documentarie e di finizione. Il film è un violento atto di accu­ sa contro la politica di riarmo perseguita dal governo inglese. Dopo un prologo in cui vengono illustrate le conseguenze disastrose del primo conflitto mondiale. Hell Unlimited racconta le avventure di Mr. Hell, un astuto mercante d’armi, che vende i suoi prodotti ai capi di Stato europei, aumentando così la possibilità del­ lo scoppio di una nuova guerra. Nella parte finale del film. McLaren e la Biggar invitano il pubblico a boicottare il riarmo, attraverso forme di disobbedienza ci­ vile: «Mass resistance is better than mass murder: strike», recita una didascalia.31 Hell Unlimited utilizza immagini molto forti, piuttosto inconsuete per il cine­ ma dell’epoca: case distrutte dai bombardamenti, civili morti con i volti sfigurati, tra cui alcuni bambini (non mostrare i cadaveri era uno degli imperativi categori­ ci dei documentari e dei cinegiornali di entrambe le guerre mondiali). Ma, accan­ to a sequenze di grande impatto emotivo, il film tenta anche di organizzare un ra­ gionamento razionale. Hell Unlimited si apre con una serie di didascalie che indi­ cano i costi economici e umani della Grande Guerra («1914-’ 18 cost you ... »); poi, attraverso diagrammi e animazioni di oggetti, vengono illustrate le cifre della corsa agli armamenti e la ricaduta che quest’ultima ha sulle spese sociali. Una se­ rie di omini rappresenta i contribuenti, che hanno accanto delle pile di monete (le tasse). Le monete si trasformano in tanti cannoni e in poche, piccole, casette (i fi­ nanziamenti per l’edilizia popolare). Questa raffigurazione - estremamente gros­ solana, ma efficace sul piano visivo - della proporzione tra gli investimenti per la guerra e quelli per il welfare state ricalca la tecnica di Britain’s Effort (1918), in 101

cui Lancelot Speed aveva visualizzato, con dei cut-outs, una serie di dati statistici relativi alla crescita del potenziale militare inglese?2 L’impiego, in un film contro la guerra, di uno stilema itilizzato in un testo di propaganda bellicista, quale Britain’s Effort, non deve stupire. Come abbiamo già avuto modo di osservare, l’apparato retorico elaborato dai propagandisti inglesi negli anni 1914-’ 18 costitui­ rà una risorsa preziosa, per i militanti delle cause più diverse, almeno fino al 1945. Ma il tentativo di Hell Unlimited di convincere il pubblico con un’argomenta­ zione fondata su dati economici, anziché limitarsi a spaventarlo attraverso la visio­ ne degli orrori della guerra, più che un lascito di Britain’s Effort o di altri film del MOI (che, comunque, pare difficile che McLaren e la Biggar conoscessero), deriva soprattutto dal retroterra ideologico del testo. Il montaggio di Hell Unlimited pre­ senta una chiara influenza dell’avanguardia sovietica, le cui teorie i due giovani au­ tori mutuano in maniera piuttosto scolastica: l’inquadratura dei civili morti, seguita da quella di un tritacarne, e poi Mr. Hell seduto a tavola, che banchetta; oppure, la testa del mercante d’armi che si trasforma in una bomba a mano, e successivamen­ te nel simbolo della sterlina. Più in generale, la presenza di una componente razio­ nale all’interno del discorso propagandistico di McLaren e della Biggar proviene dalla tradizione socialista. Come ha ampiamente dimostrato George Mosse, la poli­ tica dei grandi movimenti di massa del XX secolo ha visto la vittoria della sugge­ stione emotiva sull’argomentazione logica, propria della cultura parlamentare e po­ sitivistica dell’ottocento.33 Ma mentre la propaganda fascista si affida unicamente ai simboli, cercando di eccitare le pulsioni più elementari dell’uomo, saltando com­ pletamente la dimensione della ragione (in questo senso, Goebbels diceva che la propaganda verso gli intellettuali è inefficace: gli intellettuali sono troppo abituati a pensare), nella propaganda comunista permane una componente loica - anche solo strumentalmente -, che nasce dalla vocazione scientifica del marxismo. A questo proposito è interessante confrontare Hell Unlimited e San Francis­ co’s Future. Per trasmettere il suo messaggio anti-comunista, l’ignoto autore del cartoon americano utilizza soltanto immagini forti, che suscitano immediata­ mente paura e odio. San Francisco ’s Future non ci comunica alcuna informazio­ ne dettagliata sull’attività dell’IWW, ma si limita a mostrarci la brutalità bestia­ le dei suoi membri. Hell Unlimited, invece, oltre a demonizzare il nemico in ter­ mini analoghi a San Francisco’s Future (il capitalista sanguinario anziché il sov­ versivo sanguinario), fornisce anche dei dati economici, per quanto certo discu­ tibili, come l’idea che la causa della Depressione sia la Grande Guerra. Hell Un­ limited. insomma, fa appello alla mente., oltre che ai sentimenti del pubblico. In una lunga intervista rilasciata alla rivista canadese “Séquences”, McLaren af­ ferma che Hell Unlimited non rispecchia il punto di vista dell’epoca del Partito co­ munista sulla guerra, benché egli fosse un militante di quel partito.34 Ma, al di là della posizione specifica del Partito comunista britannico, è indubbio che Hell Un­ limited esprima perfettamente la contraddizione di fondo della sinistra inglese de­ gli anni Trenta, stretta tra un pacifismo ol tranzista, dettato dal ricordo del bagno di sangue della Grande Guerra (ben presente nel film di McLaren), e la volontà di op­ 102

porsi al fascismo, che però, rifiutando ogni ipotesi di riarmo, si traduceva soltanto in inutili dichiarazioni di principio. McLaren è la rappresentazione vivente di que­ sta contraddizione. Egli infatti dirige Hell Unlimited, un film pacifista, e, lo stesso anno, va in Spagna (in qualità di operatore) insieme a Ivor Montagu, cineasta di punta del CPGB, a girare Defence of Madrid (1936), un documentario in sostegno della lotta della Repubblica spagnola. Per il McLaren degli anni Trenta, mandare armi ai repubblicani spagnoli è un’azione nobile, ma rafforzare l’aviazione inglese in vista di una probabile guerra con la Germania nazista è un attentato alla pace. Se durante le due guerre mondiali gli animatori inglesi e americani sono indub­ biamente in prima linea nella sperimentazione dell’uso del disegno animato co­ me strumento di diffusione delle idee, il periodo inter-bellico registra, nel mon­ do anglosassone, un calo verticale dell’interesse verso questo settore dell’animazione. Come si è visto, la produzione di cartoons di propaganda politica in Gran Bretagna e Stati Uniti, negli anni Venti e Trenta, risulta discontinua e piuttosto povera sul piano tecnico-espressivo. Il grande film di animazione di propaganda della guerra civile europea fu invece girato in Francia, da un artista cecoslovac­ co che aveva appreso la lezione del cinema tedesco e sovietico degli anni Venti. L'Idée di Berthold Bartosch, oltre a essere uno dei testi più significativi della sto­ ria del cinema di animazione, si presenta anche come un esempio canonico di “film di agitazione”, sintesi riuscita tra arte militante e sperimentazione formale, rielaborazione a disegni animati del patrimonio di tensione rivoluzionaria e in­ novazione estetica della stagione delle avanguardie storiche. L'Idée, insomma, è un testo intimamente continentale (quello delle avanguardie - almeno in ambito cinematografico - è un fenomeno che si dispiega tra Francia, Mitteleuropa e Unione Sovietica, sfiorando appena i paesi di lingua inglese), che riassume le in­ quietudini politiche e artistiche dell’Europa dei primi anni Trenta. Berthold Bartosch iniziò a sperimentare le potenzialità eidetiche dell’anima­ zione sin dal suo primo incontro con il cinema, avvenuto a Vienna (dove studiò architettura e pittura tra il 1913 e il 1917) nel 1918. Bartosch realizzò una serie di documentari geografici per ITnstitut fur Kulturforschung, diretto dall’econo­ mista Hanslik, sostenitore dell’uso educativo dei film, e alcune pellicole che illu­ stravano le idee sociali di Thomas Masarik. pensatore liberal-socialista e - tra il 1918 e il 1935 - primo presidente della repubblica cecoslovacca. Nel 1920 Bartosch si spostò a Berlino, presso la sede tedesca dell’istituto di Hanslik. con­ tinuando a dirigere opere didattiche di vario argomento. Di questi primi film di Bartosch. di cui abbiamo soltanto qualche titolo - Der Kommunismus (1918). Die Menschheit (1919) -, non sembra esservi più traccia. Peraltro, risulta irrimedia­ bilmente scomparsa anche l’ultima opera di Bartosch, un film contro la guerra cui lavorò tra il 1935 e il 1939, andato perduto durante l’occupazione tedesca di Pa­ rigi (il film, rimasto incompiuto, aveva il titolo provvisorio di San Francesco).35 In L'Idée si ritrovano sia l’aspirazione pedagogica, sia l’ideologia socialista degli anni di apprendistato di Bartosch. L'origine del film è costituita dalle inci­ 103

sioni del pittore fiammingo Franz Masereel, pubblicate in un volume del 1920. intitolato appunto L’Idée (si tratta di un libro senza parole, fatto solo di immagi­ ni). Inizialmente Masereel fu coinvolto nel progetto, ma dopo poco egli si stan­ cò dei ritmi lenti del cinema di animazione, e l’opera venne portata a termine dal solo Bartosch, il quale vi lavorò tra il 1929 e il 1932. Bartosch compì un’impre­ sa veramente eccezionale, realizzando da sé, senza alcun aiuto (se si esclude la musica, composta da Arthur Honegger), un film di 25 minuti, di estrema com­ plessità e ricchezza visiva. La natura del tutto artigianale del lavoro di Bartosch si coniuga con una continua innovazione tecnologica. La lavorazione di L’Idée, infatti, vide una serie di invenzioni da parte dell’autore, la più eclatante delle qua­ li è la multiplane camera, che - come sottolinea Rondolino - anticipa «di parec­ chi anni l’analoga invenzione dei tecnici di Walt Disney».36 La multiplane camera è una macchina da presa montata in verticale, sotto la quale vengono disposti più piani di vetro, su cui si collocano le figure (Bartosch, per animare le xilografie di Masereel, utilizza dei cut-outs) e gli elementi scenografici, in modo da ottenere complessi giochi di luce e un effetto di profondità di campo. L’Idée si apre con una serie di cartelli, che spiegano la natura invincibile ed eterna dell’idea: «Gli uomini vivono e muoiono per un’idea, ma l’idea è im­ mortale. [...] Colui in cui essa penetra non si sente più solo, perché l’idea è al di sopra di tutto». Un uomo, seduto accanto alla finestra, contempla il cielo stella­ to; sul viso dell’uomo - il “padre dell’idea” - compare una massa informe di lu­ ce, da cui emerge la piccola figura di una donna nuda: l’idea. L’uomo ammira la propria creatura, la abbraccia e la mette in una busta. L’Idea viene spedita in cit­ tà, dove scandalizza i borghesi, a causa della sua nudità. I giudici della città co­ stringono l’idea a vestirsi. Lei vaga desolata per le vie della metropoli, finché in­ contra un giovane operaio che, ispirato dalla potenza dell’idea, tiene un acceso discorso ai suoi confratelli. Il giovane viene arrestato e fucilato. Per le strade del­ lo squallido quartiere operaio si snoda il corteo muto dei lavoratori, che seppel­ liscono il loro martire. Nel mentre, i borghesi dormono sonni tranquilli, oppure si divertono in un nightclub. L’Idea, nuovamente nuda, continua il suo pellegri­ naggio per la città, la cui notte è illuminata dai fari delie automobili e dalle luci brillanti delle insegne pubblicitarie. La donna entra in una copisteria e stampa migliaia di immagini di se stessa, che si diffondo per tutta la metropoli. L’Idea incontra il Capitalista, che le spiega che il suo dio è il Denaro: compare una mo­ neta lucente, attorno alla quale gravita la Terra (a parte i cartelli iniziali, nel film non ci sono didascalie); poi vediamo un gruppo di operai stretti da un enorme pugno, da cui cade una pioggia di monete. A questo punto si apre la sequenza fi­ nale: un corteo di operai si scontra con i soldati al soldo del capitale; le truppe aprono il fuoco sulla folla, compiendo un massacro. L’immagine dell’idea, ac­ canto ai cadaveri dei lavoratori morti, si dissolve nella massa di luce da cui la donna era scaturita. L’influenza del cinema tedesco degli anni Venti sul film di Bartosch è evi­ dente. Se le case storte e i giochi di luce e ombra rimandano all’espressionismo, 104

la massa scura, a capo chino, degli operai che escono dalla fabbrica ricorda gli uomini-automa di Metropolis (1926), là dove la descrizione dei diversi ambienti metropolitani - il grigio quartiere operaio, i locali notturni, le vie del centro - ri­ mandano alla tradizione dei “film della strada”. Ma accanto al retaggio di Das Cabinet des Dr. Caligari (1920) e di Die freudlose Gasse (1925), in L'Idée c’è anche il lascito di Ejzenstejn e Pudovkin. Le ciminiere e la sirena, con il getto di vapore che si leva verso l’alto, nelle sequenze del quartiere operaio, sono un’im­ magine feticcio di tutta la tradizione sovietica, mentre il rapido montaggio alter­ nato della scena di chiusura, organizzato su un preciso schema ritmico (gli ope­ rai che marciano verso sinistra, i soldati che vanno verso destra e poi sparano), rinvia abbastanza apertamente al finale di Sciopero (1924). Ma L'Idée non è una semplice rivisitazione dello stile dei cineasti tedeschi e sovietici del decennio precedente. Oltre a confrontarsi con la tradizione del cine­ ma maggiore, Bartosch esalta l’autonomia espressiva dell’animazione, lavorando attorno all’ipotesi del disegno animato come “pensiero visivo”. L’immagine del pugno che spreme le monete dai corpi stritolati degli operai non è nient’altro che una traduzione, in termini iconici, della teoria del plusvalore. La scena in cui l’i­ dea diffonde delle copie della propria immagine è una rappresentazione - dalla chiara valenza autoriflessiva - del potere della propaganda. E L'Idée è appunto, in primo luogo, un film di propaganda, un film in cui si fronteggiano due princi­ pi contrapposti: l’idea, che incarna la speranza di libertà del proletariato oppres­ so, e il Denaro, che guida le azioni dei borghesi e dei soldati, a loro asserviti. Le due masse umane che si scontrano alla fine hanno in sovrimpressione l’immagi­ ne delle rispettive guide spirituali: l’idea e il Capitalista, il quale ha due monete al posto degli occhi. Ben lungi dall’essere un sogno utopico, l’idea è una forza concreta che agisce nella Storia, che spinge le masse alla rivolta. Ed è proprio in questa aspirazione a un cinema eidetico che risiede il legame più stretto tra Ejzenstejn e Bartosch. Il sogno dell’autore della Corazzata Potémkin era quello di realizzare un film tratto dal Capitale, di trasformare il lin­ guaggio cinematografico in discorso scientifico-filosofico. Bartosch, grazie alla naturale stilizzazione dell’animazione, che permette di far convivere immagini rappresentative e simboli astratti, mette in scena dei concetti. L'Idée, più che un dramma sociale, è un saggio di teoria economica e politica. Le figure del film non hanno nomi propri, perché non sono personaggi, dotati di una caratterizzazione psicologica, ma principi ideologici: così come la donna la cui nudità scandalizza i borghesi non è una donna, bensì l’idea, il capitalista che le si contrappone non è un uomo, ma il Capitale in quanto tale. Un film dal vero, a causa del “realismo ontologico” dell’immagine fotografica, ha bisogno di ricorrere alla metonimia (questo operaio, con una specifica storia personale, rappresenta la classe ope­ raia), ma un film di animazione può permettersi di rinunciare completamente al verosimile e alla psicologia, attribuendo consistenza drammaturgica direttamen­ te alle forze che animano il conflitto di classe. L’esito più rigoroso della teoria ejzenstejniana è il film di animazione. 105

Scrive Ejzenstejn in un saggio del 1928: È ora che il cinema cominci a operare con la parola astratta ridotta a concetto concreto.

[...] La sfera della nuova retorica cinematografica, come si vede risulta la sfera in cui non si rappresenta visivamente un fatto e neppure si offre una descrizione sociale, ma si ren­ de possibile un astratto giudizio sociale.31

«Concetti concreti»: un’ottima definizione per le figure che popolano L’Idée.

3. Medici e postini: l’uso dell’animazione come strumento educativo e pubblicitario

La Grande Guerra aveva dimostrato le potenzialità didattiche del cinema e, in particolare, dell’animazione. Dopo la fine del conflitto, le forze armate di tutte le principali potenze continuarono (o iniziarono) a utilizzare il film come strumen­ to di addestramento delle truppe. Il Film Archive dell’Imperial War Museum di­ spone di diversi training films inglesi del periodo inter-bellico: due film del War Office dei primi anni Venti - Combined Platoon Training on Ash Range (1920) e Anti-Aircraft [ledger title] (1921) - presentano sequenze animate, così come al­ cune pellicole della RAF del decennio successivo. Nel 1919, il War Department americano - lo abbiamo già visto nel capitolo precedente - poteva contare su una cineteca composta di 62 training films. In Francia, nel 1920, viene fondata la Section de l’Einsegnement par 1’Image, presso il Service Géographique de l’Armée, che inizia a fare film di istruzione nel 1923.38 Ma accanto ai film didattici a carattere militare, tra le due guerre mondiali si sviluppa anche una produzione pedagogica di pace, incentrata su argomenti relativi alla salute pubblica. Negli anni Venti e Trenta, quello del cartoon pubblicitario è un genere in pie­ na espansione; anzi, in alcune nazioni europee, come la Gran Bretagna, è prati­ camente l’unico tipo di cinema di animazione esistente, in quanto i disegni ani­ mati di intrattenimento vengono quasi completamente spazzati via dalla concor­ renza americana. Il paese in cui l’animazione pubblicitaria si sviluppa maggior­ mente, dando vita a una produzione quantitativamente ampia e spesso di alto li­ vello estetico, è la Germania. Qui, il nome più noto è quello di Julius Pinschewer, che si specializza nel settore già a partire dagli anni Dieci, ma anche molti cineasti d’avanguardia si dedicano occasionalmente ai film pubblicitari. Oskar Fischinger, ad esempio, realizza degli eleganti spot per le sigarette Muratti: Murarti greift ein (1934) e Muratti Private (1934?).3’ La presa del potere del na­ zismo e la conseguente fuga all’estero di molti animatori saranno un duro colpo per l’animazione pubblicitaria tedesca (Pinschewer e Fischinger riparano, rispet­ tivamente, in Svizzera e negli Stati Uniti).40 Dunque, considerato il peso rilevan­ te occupato dall’animazione nel mondo dei commercials, è abbastanza naturale che molti dei cortometraggi educativi prodotti dalle autorità sanitarie siano inte­ ramente o parzialmente animati. 106

La Library of Congress conserva Tommy’s Troubles (1926), prodotto dallo State Department of Public Health insieme alla Tennessee State Dental Associa­ tion: una fata, per mezzo di una parabola che ha per protagonista uno gnomo, spie­ ga al piccolo Tommy l’importanza dell’igiene orale e di una sana alimentazione per evitare le carie. In Francia, nel 1919, O’Galop (pseudonimo di Marius Rossillon) realizza quattro disegni animati educativi: due sui pericoli dell’alcolismo e due sulla prevenzione della tubercolosi.41 Il tema dell’etilismo è trattato in base agli stereotipi della criminologia ottocentesca: il destino che attende inevitabil­ mente gli alcolisti è composto dal manicomio, dalla prigione, dalla ghigliottina e da una prole dal fisico macilento e dedita alla criminalità. In uno dei film sulla tu­ bercolosi c’è invece un rimando esplicito alla guerra appena terminata. Il disegno animato si apre con l’immagine di un’aquila (il simbolo della Prussia) infilzata da una baionetta, sotto la quale si legge: «L’aigle boche est vaincue». Poi il film spie­ ga che ora il nuovo nemico è costituito dai germi della tubercolosi. Un medico af­ fronta il problema con un cannone, sul cui affusto è scritto “hygiène”, mentre lo scheletro che rappresenta la tubercolosi chiede inutilmente pietà, urlando “Kamarad\ Il senso del paragone tra la malattia e i tedeschi (les boches) è chiaro: il dif­ fondersi del morbo è un’emergenza nazionale, grave quanto l’invasione straniera. Il British Film Institute conserva cinque film di animazione prodotti dallo Health and Cleanliness Council, che illustrano l’importanza dell’igiene nella pre­ venzione delle malattie: Ten Little Dirty Boys (1929), Dirty Bertie (1935) e tre dei quattro episodi della serie “Giro the Germ” ( 1934).421 primi due cartoons, ca­ ratterizzati da uno stile decisamente grezzo, sono indirizzati specificamente ai ra­ gazzi, mentre i cortometraggi di Giro the Germ si rivolgono a tutta la popolazio­ ne. In Giro the Germ No. 4 (che è il più curato sul piano formale, ma, come gli altri, è muto: siamo nella metà degli anni Trenta!), si insiste sul nesso tra pulizia, salute e modernità. Due didascalie recitano: «Be modem and keen. Wash well and wash often - be perfectly clean», «We earn good health in the sound modern way». I nemici del terribile Giro sono rappresentati, oltre che dal medico e da sa­ ponette antropomorfe, anche da agguerrite lampadine, simbolo dell’elettricità, che attiva l’aspirapolvere e la lavapanni. strumenti indispensabili - ci viene det­ to - per sconfiggere le malattie. La realizzazione di questi cortometraggi prose­ gue fino alla soglie della Seconda guerra mondiale. Il BFI, infatti, possiede an­ che Oh Whiskers! (1939), un film a pupazzi animati, prodotto dalla GPO Film Unit per il Ministry of Health, sull’importanza dell’igiene personale e di una cor­ retta alimentazione, in particolare per i bambini. The Road to Health (1936), diretto da Brian Salt e commissionato dal British Social Hygiene Council, è invece dedicato al tema della vita sessuale. Il film ini­ zia in live-action, con un medico che spiega che le malattie veneree sono un ter­ ribile flagello per il paese. Osserviamo i microbi della diverse malattie attraver­ so le lenti di un microscopio (l’inquadratura della piastrina del microscopio è un topos dei film scientifici e didattico-sanitari). Poi inizia il disegno animato, in cui si vede un paesaggio bucolico, attraversato da un’ampia strada bianca, su cui è 107

scritto "health". Dalla “retta via” si dipartano dei piccoli viottoli sinuosi - pros­ titution, immorality, delinquency, drink - che conducono a venereal disease. Il film invita a rivolgersi alle strutture sanitarie per cure e consigli, e indica i mez­ zi principali per evitare le malattie veneree: stable family, early marriage, emo­ tional control, knowledge of life sciences. The Road to Health, nonostante il suo rigido moralismo e la pruderie di espressioni vaghe ed eufemistiche quali "knowledge of life sciences" (si intendo­ no i metodi di contraccezione?), ha certamente il merito di tentare di aprire il di­ battito sull’igiene sessuale, all’interno di una società ancora pesantemente domi­ nata dal puritanesimo vittoriano. Già durante il primo conflitto mondiale, gli esponenti più illuminati degli alti comandi avevano cercato di diffondere fra le truppe l’uso del profilattico, rendendosi conto, seppure con riluttanza, che la si­ filide non era un nemico meno temibile dei tedeschi. Alla conclusione della guer­ ra, nell’esercito britannico un uomo su cinque soffriva di malattie veneree.43 Du­ rante il secondo conflitto mondiale, l’educazione sessuale ricoprirà un’importan­ za maggiore agli occhi dei generali. Ne è prova un film come Sex Hygiene (1941), diretto da John Ford per conto delle forze armate americane, un medio­ metraggio che spiega, con chiarezza e rigore scientifico, le caratteristiche delle diverse malattie veneree e il modo per combatterle (peraltro, alcune delle se­ quenze del film sono animate). Ma il terna della sifilide è presente già in un car­ toon italiano (presumibilmente) degli anni Venti, conservato presso l’istituto LUCE, in cui - seppure in termini ben più rozzi rispetto al training film di Ford si mettono in guardia i soldati contro il pericolo dei rapporti con le prostitute.44 Nel complesso, i disegni animati prodotti dallo Health and Cleanliness Council e dal British Social Hygiene Council, sul piano qualitativo, risultano piuttosto po­ veri: il disegno è - spesso, ma non sempre - poco curato e l’animazione è ele­ mentare. Ma se dall’ambito pedagogico- sanitario ci spostiamo a quello pubblici­ tario scopriamo notevoli differenze. Fino alla prima metà degli anni Trenta, gli spot realizzati da strutture pubbliche presentano le stesse carenze delle pellicole didattiche sopra citate. Ad esempio, John the Bull (1930), che, per sostenere gli allevatori nazionali, consiglia ai consumatori di preferire la carne inglese a quel­ la di importazione, è un mediocre cartoon, che imita senza alcuna fantasia lo sti­ le degli americani. Anche in Australian Wines (1931), prodotto dall’Empire Mar­ keting Board, spot in parte animato e in parte in live-action, non si va al di là del riciclaggio di formule già note (in questo caso, una banalizzazione del montag­ gio sovietico). La svolta si verificò con la creazione della Film Unit del GPO, av­ venuta, come si è visto, nel 1934. La Film Unit, infatti, ingaggiò tre grandi personaggi del cinema di anima­ zione di avanguardia: Norman McLaren, Len Lye e Lotte Reiniger. Il primo fu “scoperto” da Grierson, che incontrò il giovane artista nel 1935, allo Scottish Amateur Film Festival (i due erano entrambi scozzesi, originari della cittadina di Stirling). Dopo l’esperienza spagnola, McLaren andò a lavorare al GPO, dove, 108

tra il 1936 e il 1939, realizzò quattro cortometraggi, in uno dei quali - Love On the Wing (1939), sul servizio di posta aerea - egli iniziò a sperimentare la tecni­ ca del cinema without camera (film di animazione dipinti sulla pellicola), intro­ dotta qualche anno prima da Len Lye, e nella quale McLaren si specializzerà in Canada, a partire dagli inizi degli anni Quaranta. Lye avviò la sua collaborazione con il GPO nel 1935, quando l’ente acquistò i diritti del suo Colour Box (1935) per farne uno spot promozionale. Colour Box, generalmente considerato il primo film dipinto su pellicola, è un’opera astratta, in cui forme e colori si muovono sul ritmo di un’aria caraibica. Lye aveva realiz­ zato l’opera in totale indipendenza, e solo dopo l’intervento di Grierson nella parte finale della pellicola vennero aggiunte scritte pubblicitarie del GPO. Negli anni successivi, grazie alla sponsorizzazione della Film Unit di Grierson, Lye po­ tè continuare la sua ricerca, firmando altri due film sperimentali: Rainbow Dance (1936) e Trade Tattoo (1937). I due film (ma Lye ne realizzò anche altri, al di fuo­ ri dell’egida del GPO) utilizzano una tecnica mista: figure astratte dipinte sulla pellicola, disegni rappresentativi e immagini fotografiche rielaborate in diversi modi. Rainbow Dance è uno spot per il Post Office Savings Bank, mentre Trade Tattoo spiega come il commercio sia alimentato dalla posta: «The rhythm of tra­ de is maintained by the mails».45 Lotte Reiniger si stabilì in Gran Bretagna nel 1936, e quasi subito venne in­ vitata a dirigere due commercials per conto del GPO: The HPO (1938) e The Tocher (1938), entrambi realizzati con la tecnica delle silhouettes animate, che avevano reso celebre l’autrice tedesca già negli anni Venti, in particolare con il lungometraggio (il film dura 62 minuti, un’enormità per il cinema di animazio­ ne dell’epoca) Die Abenteuer des Prinzen Achmed (1926), cui collaborarono an­ che Bartosch e Ruttmann. The HPO è una favola moderna, in cui degli angiolet­ ti - la sigla sta per: Heavenly Post Office - consegnano telegrammi di auguri a diversi personaggi: la volpe che ha seminato i cacciatori, i fidanzati che decido­ no di sposarsi, la bambina che compie gli anni. The Tocher è più vicino allo sti­ le di Achmed e racconta di un giovane innamorato, il quale si dispera perché il padre della sua bella vuole dare la figlia in sposa a un vecchio riccone; ma quan­ do il protagonista mostra al padre di possedere un Post Office Savings Bank Book (donatogli dalle fate del bosco), questi fa salti di gioia e acconsente imme­ diatamente al matrimonio tra i due ragazzi.46 Il cinema pubblicitario è sempre stato una fonte di sostentamento per gli ani­ matori di avanguardia (persino un idealista come Bartosch si piegò a realizzare spot); ma mentre lavorare per un committente privato significa dover soddisfare precise richieste. John Grierson lasciava ampia libertà ai suoi animatori. E infat­ ti molto difficile pensare che una ditta avrebbe accettato di produrre i film astrat­ ti di Len Lye, commercials troppo raffinati per lo spettatore medio. Il vero e pro­ prio mecenatismo di Stato realizzato da Grierson (che - lo vedremo - in Canada procederà sulla medesima strada), da un lato permise ad alcuni artisti di conti­ nuare a lavorare in condizione di sostanziale autonomia espressiva, dall’altro 109

elevò enormemente il livello qualitativo dei film di animazione prodotti dal go­ verno inglese. In definitiva, se, negli anni Venti e Trenta, in Gran Bretagna non esiste una produzione ufficiale di disegni animati di propaganda politica, l’atti­ vità della Film Unit del GPO pose le basi per i cartoons di propaganda bellica del decennio successivo. La Film Unit, grazie all’intelligenza della gestione di Grierson, funse da vero e proprio laboratorio creativo, in cui si svilupparono le personalità autoriali di Lye e McLaren, che nel corso della Seconda guerra mon­ diale metteranno le loro capacità al servizio, rispettivamente, del governo ingle­ se (che però - lo vedremo - le utilizzò poco e male) e di quello canadese.

Note 1 Modris Eksteins, Rites of Spring. The Great War and the Birth of the Modern Age, New York, Doubleday, 1989, pp. 292, 297. 2 Cfr.: Arthur Ponsoby, Falsehood in Wartime, London, G. Allen and Unwin, 1928; George S. Viereck, Spreading Germs of Hate, London, Duckworth, 1931; James Duane Squires, British Pro­ paganda at Home and in the United Statesfrom 1914 to 1917, Cambridge, Harvard University Press, 1935; H.C. Peterson, Propaganda for War. The Campaign against American Neutrality, 1914-1917, Norman, University of Oklahoma Press, 1939; AA.VV.. La propaganda, Torino, Bollati Boringhieri, 1995 (il volume raccoglie i saggi di diversi psicanalisti e psicologi, alcuni dei quali, scritti negli anni Trenta, testimoniano del dibattito sulla propaganda innescato dalla Grande Guerra). 3 Cfr. sir Campbell Stuart, Secrets of Crewe House: The Story of a Famous Campaign, London, Hodder and Stoughton, 1920. 4 Cfr. Harold D. Lasswell, Propaganda Technique in the World War, New York, Garland Pub­ lishing, 1972 [I ed.: 1927], 5 Peraltro, l’esagerazione del potere della propaganda non è un fenomeno esclusivo degli anni Venti e Trenta, legato al trauma della Grande Guerra. Nei decenni successivi, la pubblicistica sul “grande complotto”, ordito da piccoli gruppi di tecnocrati ai danni del cittadino comune, ha conti­ nuato a fiorire. Il pensiero radicai americano - da Marcuse a Chomsky - si diletta ampiamente con queste teorie, spesso realizzando sorprendenti convergenze con la destra radicale anti-statalista. 6 Cfr. Brian Bond, British Military Policy between the Two World Wars, Oxford, Clarendon Press, 1980. In particolare, sugli aspetti squisitamente tattici dei conflitti a “bassa intensità” tra le due guerre mondiali cfr. T.R. Moreman, “Small Wars” and “Imperiai Policing”: The British Army and the Theory and Practice of Colonial Warfare in the British Empire, 1919-1939, “The Journal of Strategic Studies”, dicembre 1996, pp. 105-131. 7 Gary S. Messinger, An Inheritance Worth Remembering: The British Approach to Official Propaganda during the First World War, “Historical Journal of Film, Radio and Television”, n. 2, 1993, p. 125. 8 Cfr. Callum A. MacDonald, Radio Bari: Italian Wireless Propaganda in the Middle East and British Countermeasures 1934-38, “Middle Eastern Studies”, maggio 1977, pp. 195-207. 9 Sulla propaganda britannica tra le due guerre cfr.: Philip M. Taylor, The Projection of Britain. British Overseas Publicity and Propaganda 1919-1939, Cambridge, Cambridge University Press, 1981; Nicholas Pronay e D.W. Spring (a cura di), Propaganda, Politics and Film, 1918-45, Lon­ don, MacMillan Press, 1982; John M. MacKenzie, Propaganda and Empire. The Manipulation of British Public Opinion, 1880-1960, Manchester, Manchester University Press, 1984. 10 Erik Barnouw, Documentary’. A History of Non-Fiction Film, Oxford, Oxford University Press, 1983, p. 89. 11 Sul documentary movement cfr.: Paul Rotha, Documentary Film, New York, Communication Arts Books, 1952; Elizabeth Sussex, The Rise and Fall of British Documentary. The Story of the Film Movement Founded by John Grierson, Berkeley, University of California Press, 1975; Paul

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Swann, The British Documentary Film Movement, 1926-1946, Cambridge, Cambridge University Press, 1989. Per una bibliografia dettagliata sulla figura di John Grierson rimandiamo al capitolo V. 12 Cfr. Daria Frezza, Informazione o propaganda: il dibattito americano tra le due guerre, in Maurizio Vaudagna (a cura di), L'estetica della politica. Europa e America negli anni Trenta, Roma/Bari, Laterza, 1989, pp. 103-128. 13 Cfr. Maurizio Vaudagna, «Drammatizzare l'America!»: i simboli politici del New Deal, in Maurizio Vaudagna (a cura di), L'estetica della politica, cit., pp. 77-102. 14 Richard W. Steele, Propaganda in an Open Society: The Roosevelt Administration and thè Media, 1933-1941, Westport (Connecticut), Greenwood Press, 1985, p. X. 15 Cfr.: Richard Dyer MacCann, The People's Films. A Political History of U.S. Governement Motion Pictures, New York, Hastings House, 1973; Giuliana Muscio, La Casa Bianca e le sette ma­ jors. Cinema e mass media negli anni del new deal, Padova, Il Poligrafo, 1990. 16 David Culbert, prefazione a Richard Wood (a cura di), Film and Propaganda in America. A Documentary History, vol. I: World War 1, Westport (Connecticut), Greenwood Press, 1990, p. IX. 17 Cfr.: Anthony Aidgate, Cinema and History’. British Newsreels and the Spanish Civil War, London, Scolar Press, 1979; Marjorie A. Valleau, The Spanish Civil War in American and Euro­ pean Films, Ann Arbor (Michigan), UMI Research Press, 1982. 18 Cfr. AA.VV, Cine de propaganda politica de la Republica de Weimar, Madrid, Filmoteca Nacional de Espana, 1977. Si tratta di un piccolo opuscolo su una rassegna organizzata dalla Fil­ moteca. Presumibilmente il disegno animato in questione è conservato in una cineteca tedesca. 19 Cfr. Gianni Rondolino, Storia del cinema d’animazione, Torino, Einaudi, 1974. p. 50. 20 Per l’omonimo testo di Majakovskij cfr. Vladimir Majakovskij, Opere, vol. II, tr. it., Roma, Editori Riuniti, 1972, pp. 307-311. 21 La bibliografia sull’animazione sovietica in lingue diverse dal russo è decisamente scarsa. Sui disegni animati di propaganda russi tra le due guerre cfr.: Nikolaj Lébedev, Il cinema muto so­ vietico, tr. it., Torino, Einaudi, 1962 (nel corso dell’esposizione l'autore non dice quasi nulla sul­ l’animazione, ma il volume comprende una filmografia abbastanza dettagliata, in cui sono presen­ ti anche i disegni animati); Ralph Stephenson, The Animated Film, London / New York, Tantivy Press / A.S. Barnes, 1973, pp. 156-157; Gianni Rondolino, Storia del cinema d’animazione, cit., pp. 170-176 (decisamente la fonte più ricca); Jay Leyda, Kino. A History of the Russian and Soviet Film, London, George Allen and Unwin, 1983, pp. 274-275; Donald Crafton, Before Mickey. The Animated Film 1898-1928, Chicago, University of Chicago Press, 1993, pp. 235-237. 22 Peter N. Carroll e David W. Noble, Storia sociale degli Stati Uniti, tr. it., Roma, Editori Riu­ niti, 1985, p. 361. 23 Cfr. Marcello Flores, // mito dell’URSS negli anni Trenta, in Maurizio Vaudagna (a cura di), L'estetica della politica, cit., p. 132. 24 Cfr. George L. Mosse, L’autorappresentazione nazionale negli anni Trenta negli Stati Uniti e in Europa, in Maurizio Vaudagna (a cura di), L’estetica della politica, cit., pp. 3-23. 25 Cfr. James Weinstein, Storia della sinistra in America, tr. it, Bologna, Il Mulino, 1978, pp. 103-128. 26 La vicenda è riportata in tutte le storie del cinema di animazione; qui ci limitiamo a citare i due volumi più importanti sul cartoon americano: Leonard Maltin, Of Mice and Magic. A History’ of American Animated Cartoons, New York, Plume, 1987, pp. 33-34; Donald Crafton. Before Mickey, cit., pp. 209-210. 27 Leonard Maltin, Of Mice and Magic, cit., p. 165. 28 Cfr. Rachael Low, The History’ of the British Film 1929-1939: Films of Comment and Per­ suasion of the 1930s, London, George Allen and Unwin, 1979. Per ulteriori informazioni sui due cartoons vedi anche Denis Gifford, British Animated Films, 1895-1985. A Filmography, Jefferson (North Carolina), McFarland, 1987, p. 92. 29 Sull’uso del cinema come strumento di propaganda politica in Inghilterra tra Ie due guerre mondiali, cfr.: Don Macpherson (a cura di), Traditions of Independence. British Cinema in the Thirties, London, British Film Institute, 1980; T.J. Hollins, The Conservative Party and Film Pro­ paganda between the Wars, “The English Historical Review”, n. 379, aprile 1981, pp. 359-369; Bert Hogenkamp, Deadly Parallels. Film and the Left in Britain, 1929-39, London, Lawrence and

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Wishart, 1986. Per un’introduzione alla storia politica britannica tra le due guerre cfr. A.J.P. Taylor, English History’ 1914-1945, Oxford, Oxford University Press, 1992, pp. 120-438. 30 Fino al 1933 la città attraverso la quale le pellicole russe passavano in Occidente era Berli­ no; dopo la presa del potere dei nazisti, il principale centro di diffusione dei film russi divenne Pa­ rigi. Ma già nel 1931, con il fallimento della Prometheus, la casa di produzione e distribuzione del Partito comunista tedesco, l’importanza di Berlino aveva iniziato a diminuire. 31 Su Hell Unlimited cfr.: Rachael Low, The History of the British Film 1929-1939: Films of Comment and Persuasion of the 1930s, cit., pp. 183-185; Bert Hogenkamp, Deadly Parallels, cit., pp. 150-151. Per la bibliografia su McLaren rimandiamo al capitolo V. 32 Su Britain's Effort cfr. il capitolo I. 33 II testo di Mosse più significativo sull’argomento è La nazionalizzazione delle masse. Sim­ bolismo politico e movimenti di massa in Germania ( 1815-1933), tr. it., Bologna, Il Mulino, 1975. Inoltre, cfr.: George L. Mosse, Le origini culturali del Terzo Reich, tr. it., Milano, Il Saggiatore, 1984; George L. Mosse, Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, tr. it., Roma/Bari, Laterza, 1990. 34 Cfr. “Séquences”. n. 82, ottobre 1975, p. 16. 35 Su Bartosch cfr.: Gianni Rondolino, Storia del cinema d’animazione, cit., pp. 124-127; Ro­ bert Russett e Cecile Star, Experimental Animation. An Illustrated Anthology, New York, Van No­ strand Reinhold Company, 1976. pp. 83-89. 36 Gianni Rondolino, Storia del cinema d’animazione, cit., p. 125. 37 Sergej M. Ejzenstejn. // nostro “Ottobre”. Al di là del film a soggetto e del film non a sog­ getto, in Paolo Bertetto (a cura di), Ejzenstejn, FEKS, Vertov. Teoria del cinema rivoluzionario. Gli anni Venti in URSS, tr. it., Milano, Feltrinelli, 1975, p. 186. 38 Sui training films francesi cfr. André-Charles Darret, Le Cinema au service de l’Armée, 19151962, “Revue historique de l’Armée”, maggio 1962, pp. 121-131. 39 Muratti Private è il titolo inglese del film (la copia da noi visionata è quella della Cinémathèque québécoise). Non sappiamo quale fosse il titolo originale. 40 Sull’animazione pubblicitaria della Repubblica di Weimar cfr.: Julius Pinschewer, Reklamefilm, in E. Beyfuss e A. Kossowsky (a cura di), Das Kulturfilmbuch, Berlin, Carl P. Chryselius’scher Verlag, 1924, p. 204: Roland Cosandey, Julius Pinschewer. Cinquante ans de cinéma d'animation - Essai de filmographie, Annecy, Festival international du cinéma d’animation / JICA Diffusion, 1989; Maria Maderna, Trickspezialisten. Pubblicità animata in Germania dagli anni Dieci agli an­ ni Trenta, in Giannalberto Bendazzi e Guido Michelone (a cura di), // movimento creato. Studi e documenti di ventisei saggisti sul cinema di animazione, Torino, Pluriverso, 1993, pp. 173-178; Donald Crafton. Before Mickey, cit., pp. 231-235. 41 Su O’Galop e l’animazione pubblicitaria francese cfr.: Giuseppe Lo Duca, Le Dessin animé. Histoire, esthéthique, tecnique, Paris, Edition d’aujourd’hui, 1982 [I ed.: 1948]. pp. 37-38; Donald Crafton, Before Mickey, cit., pp. 228-231. I quattro film in questione sono conservati presso la Lobster Film, una collezione privata parigina, diretta da Serge Bromberg. I cortometraggi non han­ no titolo; all’edizione del 1995 del Festival international du court métrage di Montréal (dove li ab­ biamo veduti) sono stati presentati sotto il titolo collettivo di Petites causes ... grands effets, che forse era il titolo di uno dei quattro film. 42 La datazione di “Giro the Germ” non è sicura. Il catalogo del BFI indica il 1934 per tutti e quattro i film, ma il quarto cortometraggio si apre con un cartello che dice che il primo episodio del­ la serie venne realizzato nel 1927. Effettivamente, la differenza stilistica tra i primi due e il quarto cortometraggio è notevole, per cui è possibile che tra di essi vi sia una discreta distanza temporale. 43 Cfr. A.J.P. Taylor, English History 1914-1945, cit., p. 121. 44 II film, distribuito dal LUCE su supporto magnetico, è privo di titolo e credits. 45 Sul rapporto tra Len Lye e il GPO cfr. Rachael Low, The History’ of the British Film 19291939: Films of Comment and Persuasion of the 1930s, cit., pp. 103-107. Per ulteriore bibliografia su Lye rimandiamo al capitolo IV. 46 Su Lotte Reiniger cfr.: Lotte Reiniger, Shadow Theatres and Shadow Films, London / New York, B.T. Batsford / Watson, 1970; Alfio Bastiancich (a cura di), Lotte Reiniger, Torino, Assem­ blea Teatro / Compagnia del Bagatto, 1982.

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Capitolo IV

Gran Bretagna 1939-1945

1. The people’s wan la Gran Bretagna durante la Seconda guerra mondiale e il nuovo Ministry of Information

All’alba del 1° settembre 1939 le colonne corazzate tedesche iniziavano ad at­ traversare il confine polacco; in meno di un mese sarebbero entrate a Varsavia. Il 3 settembre i governi di Francia e Gran Bretagna dichiaravano guerra alla Ger­ mania: era l’inizio della Seconda guerra mondiale. Entro l’aprile del 1940 era stato completato il trasferimento del British Expeditionary Force, che attraversa­ va lo stretto della Manica per la seconda volta in 25 anni. I figli e i fratelli mino­ ri dei combattenti di Ypres e della Somme erano nuovamente sul Continente per fronteggiare un’aggressione tedesca: ne sarebbe stati cacciati con ignominia l’an­ no successivo, a Dunkerque, e vi sarebbero ritornati quattro anni dopo, con gli al­ leati americani, per porre fine al “Reich dei mille anni”. Non è certo questa la se­ de per ripercorre la storia della Seconda guerra mondiale, anche solo relativa­ mente al ruolo che in essa ebbe il Regno Unito. Tuttavia, è necessario esaminare brevemente alcuni aspetti dell’esperienza inglese nel conflitto, che risultano de­ terminati per la nostra analisi.1 Gli anni 1939-’45 furono anni di forte cambiamento per l’Inghilterra; lo scon­ tro con la Germania e il Giappone modificò in maniera profonda tanto la posi­ zione della Gran Bretagna nel mondo, quanto il corso della sua politica interna. La Gran Bretagna entrò in guerra come una potenza mondiale, dotata di vastissi­ mi domini coloniali, e ne uscì in qualità di partner minore degli Stati Uniti, con un impero sul punto di dissolversi. La condivisione del terrore causato dai bom­ bardamenti tedeschi da parte dei membri di tutti i ceti e la migrazione di settori della popolazione urbana verso le campagne indebolirono in maniera significati­ va la rigida divisione in classi che caratterizzava la società britannica. E il clima politico-culturale genericamente progressista creatosi durante il conflitto, che gravitava attorno all’idea della Seconda guerra mondiale come people’s war, è una delle ragioni che spiegano la stagione di riforme sociali apertasi in Inghilter­ ra nell’immediato dopo-guerra. Scrive in proposito A.J.P. Taylor: Country people, and to a certain extent even the wealthy, learnt for the first time how the city poor lived. English people become more mixed up than before. When air raids pro­

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duced a second evacuation, this time unplanned, there followed also a social revolution. The Luftwaffe was a powerful missionary for the welfare state.2

Lo scoppio del conflitto - in Inghilterra, come negli altri paesi belligeranti non fu accompagnato dall’isteria bellicista dell’agosto del 1914: il ricordo della Grande Guerra era troppo vivo perché qualcuno potesse gioire per un tale avve­ nimento. Ma, pur senza entusiasmo, il popolo inglese accettò con determinazione il confronto con la Germania, avendo piena consapevolezza del fatto che non vi era alcuna alternativa alla vittoria completa sul nazismo, che era la stessa soprav­ vivenza della civiltà britannica a essere in gioco. La popolazione dimostrò sem­ pre fiducia nella propria leadership, tanto sotto la guida di Chamberlain, quanto sotto quella di Churchill (divenuto Primo Ministro nel maggio del 1940, a capo di un governo di coalizione con laburisti e liberali). Il morale del fronte interno fu sempre piuttosto alto, anche nei momenti peggiori dei bombardamenti del 1940. Paradossalmente, la fase in cui l’opinione pubblica inglese fu maggiormente scontenta e perplessa è rappresentata dai mesi iniziali della guerra (la cosiddetta phoney war), durante i quali neppure un aereo tedesco sorvolò l’Inghilterra, e gli eserciti alleati erano incredibilmente inattivi, mentre Hitler conquistava la Polonia e la Scandinavia.3 Se già la Prima guerra mondiale aveva visto una massiccia mo­ bilitazione dello home front inglese, durante la Seconda il coinvolgimento della società nello sforzo bellico fu realmente totale. L’esperienza accumulata durante gli anni 1916-’ 18 fu applicata in maniera più razionale e su maggiore scala. Il go­ verno di Lloyd George - spesso in modo improvvisato e caotico - aveva impie­ gato anni per creare il complesso apparato amministrativo necessario per la ge­ stione dell’economia di guerra, che invece nel settembre del 1939 era già a punto (almeno sulla carta). L’introduzione del war socialism fu molto più rapida e più radicale che nella Grande Guerra: quella inglese divenne l’economia più centra­ lizzata tra tutte le potenze belligeranti, con l’esclusione dell’Unione Sovietica. Mentre i tedeschi vararono la guerra totale soltanto a partire dal 1943 (la speran­ za in una rapida vittoria aveva fatto credere che fosse possibile evitare una restri­ zione dei consumi civili), le attività economiche e la vita quotidiana degli inglesi vennero completamente organizzate in funzione dello sforzo bellico a partire dal 1940. Inoltre, la guerra divenne subito totale anche perché i massicci bombardamenti tedeschi facevano di fatto cadere la distinzione tra militari e civili: tutti i cit­ tadini erano in prima linea, indossassero l’uniforme o meno, si trovassero essi nei deserti africani, sulle acque dell’Atlantico o per le vie di Londra. Ma negli anni Quaranta, i ceti dirigenti inglesi non potevano più contare esclusivamente sul patriottismo dei sudditi di Sua Maestà per far loro accettare la durezza della guerra moderna. Se durante la Prima guerra mondiale gli operai avevano obbedito disciplinatamente alle parole d’ordine “King and Country", questa volta essi si attendevano una ricompensa concreta per il loro sacrificio (al fronte o nelle officine). Churchill, memore dell’effetto boomerang causato dalle eccessive promesse fatte durante la Grande Guerra (rappresentate da slogan co114

me: “Homes for heroes", “A land fit for heroes to live in"), si rifiutò sempre di indicare i war aims: per Churchill l’unico obiettivo dichiarato era la distruzione della Germania nazista. Inoltre, Churchill era un accanito conservatore, per il quale i valori tradizionali, classisti e imperialisti, della vecchia Inghilterra non potevano essere messi in discussione (ili colonialismo inglese fu uno dei princi­ pali motivi di scontro tra Churchill e gli americani per tutta la durata del conflit­ to). La guerra di Churchill era in difesa dell’Inghilterra del passato, non per l’e­ dificazione di quella del futuro. Ma ampi settori della classe politica britannica erano di tutt’altro avviso. Nel 1943, il “Beveridge pian” (dal nome del suo idea­ tore, sir William Beveridge, esponente del partito liberale), poneva le basi teori­ che per il welfare state inglese. I laburisti, che nel governo di coalizione control­ lavano i ministeri economici (Churchill si era concentrato sulla gestione delle operazioni militari), predicavano la necessità di preservare, a guerra finita, la pie­ na occupazione creata dalla congiuntura bellica, e di dare vita a un sistema sani­ tario nazionale e a un ampio programma di sicurezza sociale. La dura sconfitta subita nelle elezioni del luglio del 1945 dai conservatori, guidati dal pur popola­ rissimo Churchill, deriva proprio dall’impegno esplicito dei laburisti per il wel­ fare state. In maggio la Germania si era arresa e la vittoria sul Giappone era or­ mai solo più questione di tempo, dunque il “grande condottiero” poteva anche es­ sere sostituito da un altro Primo Ministro, poiché gli inglesi erano più interessa­ ti alla tutela del posto di lavoro, che alla gloria imperiale. I preparativi per l’edificazione di uni nuovo Ministry of Information, nell’e­ ventualità di una guerra con la Germania nazista, erano iniziati già nel 1935, sot­ to la guida di sir Stephen Tallents, uno dei maggiori esperti inglesi in fatto di pro­ paganda (come si è visto nel capitolo precedente, Tallents era stato a capo dell’Empire Marketing Board, dove aveva creato la Film Unit diretta da Grierson). Ma nonostante la precocità dei piani per la ricostruzione del MOI, l’azione del ministero nei primi due anni di guerra risultò sostanzialmente inefficace. Tallents, director generai designate, si era dimesso prima dello scoppio del con­ flitto, a causa di forti tensioni con esponenti del governo. Tra il settembre del 1939 e il luglio del 1941 ai vertici del MIOI si alternarono ben quattro ministri. Il continuo ricambio di ministri e relativi direttori generali aggravò il caos organiz­ zativo di una macchina burocratica ancora da mettere a punto. A ciò si aggiunge che i gravi scacchi militari subiti dagli Alleati nella fase iniziale della guerra ren­ devano oggettivamente difficile il lavoro dei propagandisti. Fu soltanto con l’ar­ rivo di Brendan Bracken (quarto e ultimo ministro del MOI), un ottimo organiz­ zatore, con buoni rapporti con la stampa e intimo di Churchill, che il MOI iniziò a diventare una struttura efficiente.4 Molti storici concepiscono le due guerre mondiali come due fasi di un unico conflitto. Paul Fussell, ad esempio, parla di un «dominio» esercitato dalla Prima guerra mondiale sulla Seconda. Scrive lo studioso inglese: The way the data and usages of the Second War behave as if “thinking in terms of’ the First is enough almost to make one believe in a single continuing Great War running

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through the whole middle of the twentieth century. Churchill and the Nazi Alfred Rosen­ berg had their differences, but both found it easy to conceive of the events running from 1914 to 1945 as another Thirty Years’ War and the two world wars as virtually a single historical episode.5

Se il ricordo della Grande Guerra ebbe un ruolo centrale per coloro che com­ batterono la Seconda guerra mondiale, questo è particolarmente vero per quanto riguarda la propaganda. Durante la Seconda guerra mondiale, il modello - da emulare o rifiutare - dei propagandisti degli opposti schieramenti fu sempre il Ministry of Information inglese del 1918. Abbiamo già osservato come i nazisti fecero tesoro dell’esperienza di Beaverbrook, che essi mutuarono in maniera più o meno acritica. Il MOI degli anni Quaranta, invece, intesseva un complesso rap­ porto di continuità e rottura con il suo omologo della Prima guerra mondiale. La distinzione di base tra enemy propaganda (gestita dal Political Warfare Execu­ tive, sotto il controllo congiunto di Foreign Office, MOI e militari)6 e la home propaganda (di competenza esclusiva del MOI), ricalcava il dualismo Northcliffe/Beaverbrook del 1918. Quanto a struttura organizzativa, divisione delle competenze dei vari dipartimenti, modalità operative, il MOI del 1939 era molto simile a quello della Grande Guerra, al di là di ovvie differenze imposte dal mu­ tamento dei tempi, in primis l’emergere della radio come mezzo di comunica­ zione di massa. Ma la filosofia che ispirava l’azione del nuovo MOI era molto diversa da quel­ la del vecchio. Come abbiamo visto nel capitolo precedente, nel periodo post­ bellico i dirigenti politici inglesi si erano resi conto della pericolosità, sui tempi lunghi, della hate propaganda. Durante la Seconda guerra mondiale il MOI cer­ cò sempre di evitare i toni isterici e le menzogne spudorate della Prima. Il motto del MOI degli anni Quaranta fu: “propaganda with truth". Il tentativo, in buona parte coronato dal successo, dei propagandisti inglesi della Seconda guerra mon­ diale fu quello di sostenere il morale del fronte interno, senza venire meno - per quanto possibile - ai principi dell’informazione pluralista propri delle società de­ mocratiche. La BBC, in particolare, venne sempre considerata una fonte degna di fede, tanto in Gran Bretagna, quanto nell’Europa continentale (nei paesi oc­ cupati, come in quelli neutrali). La campagna anti-isolazionista lanciata dagli in­ glesi negli Stati Uniti, nel 1939-’41, fu radicalmente diversa da quella del 1914’17: non più truculenti racconti di atrocità commesse dai tedeschi, ma la descri­ zione pacata della forza morale della popolazione inglese, che affrontava con co­ raggio i bombardamenti della Luftwaffe. Il paradosso provocato dalla cattiva co­ scienza della Prima guerra mondiale è che le notizie sui campi di sterminio na­ zisti non vennero diffuse perché si temeva che non sarebbero state credute (ma un’altra ragione del disinteresse verso la sorte degli ebrei fu anche l’anti-semitismo, piuttosto diffuso in Gran Bretagna). Se Churchill non enunciò mai i war aims, di fatto i funzionari del MOI sca­ valcarono il Premier, dando precise indicazioni sugli obiettivi politici della guer­ 116

ra, al di là della sconfitta militare delle potenze dell’Asse. Poiché la guerra in cor­ so - dicevano più o meno apertamente gli uomini del MOI, molti dei quali erano vicini al Labour - era una people’s war, una guerra in cui tutti i cittadini erano in prima linea, allora il principale obiettivo per la pace non era tanto il trionfo dell’impero britannico, quanto una democratizzazione della società inglese, il miglioramento delle condizioni di vita degli uomini e delle donne che avevano reso possibile la vittoria sul nazismo. E le attese suscitate dal MOI nel corso del conflitto non furono certo estranee alla vittoria elettorale dei laburisti nel 1945.

2. Il cinema inglese durante la Seconda guerra mondiale La storia della Films Division del MOI rispecchia molto da vicino quella del mi­ nistero nel suo complesso. La prima fase dell’attività della Films Division, infat­ ti, fu segnata da disfunzioni organizzative ed errori politici, che iniziarono a es­ sere superati a partire dalla seconda metà del 1940. Nell’elaborazione dei piani per il MOI, negli anni precedenti il conflitto, l’attenzione principale era stata de­ dicata alla radio, mentre l’uso del cinema era stato trascurato. Questo perché si pensava che le città inglesi si sarebbero trovate sotto pesanti bombardamenti sin dai primi giorni di guerra e che i cinema - in quanto luoghi di assembramento di masse umane - sarebbero stati chiusi.7 In effetti, all’inizio della guerra il gover­ no inglese chiuse le sale cinematografiche, che però, in assenza di bombardamenti, riaprirono tutte tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre (e anche du­ rante il Blitz non saranno mai totalmente chiuse). Il risultato fu che la Films Divi­ sion si trovò con un vasto pubblico potenziale, ma senza una precisa linea di azione. In più, il MOI all’epoca non disponeva di una propria film unit, ma si af­ fidava - seguendo l’esperienza della Grande Guerra - a commesse private. Il ri­ sultato fu deludente: la maggior parte delle pellicole realizzate dalle compagnie appaltatrici risultarono inadatte alle esigenze del ministero, per cui pochissimi film del MOI arrivarono sugli schermi prima del maggio-giugno 1940. Accanto ai problemi di ordine organizzativo, ve ne era anche uno di natura politica. Il di­ rettore della Films Division, sir Joseph Ball, per quanto qualificato per il posto che ricopriva, era una figura invisa ai laburisti e alle elites intellettuali. Infatti, negli anni Trenta Ball era stato l’organizzatore della propaganda cinematografi­ ca del Partito conservatore. E chiaro che la nomina di un personaggio aperta­ mente schierato con i conservatori per un posto delicato, quale la guida di uno dei dipartimenti principali del Ministero dellTnformazione, non poteva non irri­ tare l’opposizione laburista. Inoltre, Fanti-intellettualismo di Ball, e il suo rifiu­ to di avvalersi degli uomini del documentary movement (neppure di quelli che la­ voravano presso la GPO Film Unit, cioè una struttura pubblica), il principale gruppo di documentaristi britannici, gli valse gli attacchi di accademici e artisti, che lanciarono una dura campagna contro di lui, dalle colonne di riviste e gior­ nali influenti. La presa d’atto, da parte dei conservatori, della necessità di in­ 117

staurare buoni rapporti con il Labour (presa d’atto che condurrà al governo di co­ alizione), per meglio gestire l’emergenza bellica, portò alla rimozione di Ball, so­ stituito prima da sir Kenneth Clark, poi da Jack Beddington (che rimarrà alla gui­ da della Films Division sino alla fine della guerra). Beddington era l’uomo idea­ le per accontentare sia i laburisti che i documentary boys. Beddington, infatti, non era connotato politicamente, ed era stato direttore della pubblicità del grup­ po Shell, la cui Film Unit era stata uno dei principali centri propulsivi del docu­ mentary movement. La defenestrazione di Ball portò alla cooptazione all’interno del MOI della GPO Film Unit (primavera 1940), ribattezzata Crown Film Unit, e all’avvio di stretti legami tra il ministero e documentaristi come Rotha, che si muovevano al di fuori del GPO.8 Buona parte della produzione cinematografica del MOI - 1.887 titoli com­ plessivamente, secondo Philip M. Taylor (Thorpe e Pronay citano poco più di mille film, ma la loro filmografia non tiene conto dei cinegiornali)9 - era costi­ tuita da spot di cinque minuti, che le sale commerciali erano obbligate a proiet­ tare. Questi cortometraggi erano incentrati sui temi che già abbiamo visto per la Grande Guerra: risparmio delle materie prime, careless talk, ecc. Si tratta di una ripresa della formula dei film tags, anche se quelli della Seconda guerra mondia­ le sono privi del feroce odio anti-tedesco che caratterizza quelli della Prima. Un altro genere che venne recuperato dall’esperienza del 1916-’ 18 è il documenta­ rio sulla “grande battaglia”: Desert Victory (1943) di Roy Boulting (prodotto dall’Army Film and Photographic Unit), su El Alamein, deriva dal modello di The Battle of the Somme (1916), anche se racconta di una vittoria vera, e non di uno scacco clamoroso - quale fu l’offensiva sulla Somme - camuffata da vittoria. Al di là dei contenuti specifici (lo slogan ‘‘‘'Make Germany Pay" di The Leopard’s Spots era stato sostituito da una nuova parola d’ordine: “welfare state"), anche i film che davano indicazioni circa il futuro post-bellico avevano un antecedente preciso nella produzione della Prima guerra mondiale. La tendenza dei propa­ gandisti inglesi a enunciare gli obiettivi politici della guerra, a prescindere dalle direttive di Churchill in materia, contagiò anche i cineasti, anzi soprattutto i ci­ neasti. Poiché la maggior parte dei film prodotti dal MOI fu scritto e/o diretto da documentary boys, i quali erano tutti di sinistra, inevitabilmente il messaggio che emergeva dagli official films era spesso affine alle idee riformiste del Labour e, in politica estera, all’internazionalismo idealista rooseveltiano. Un esempio chia­ ro in tal senso è World of Plenty (1943), realizzato da Paul Rotha con un finan­ ziamento del MOI. Il film illustra, con l’ausilio di isotype charts (di cui riparle­ remo più avanti), il legame tra alimentazione e malattie, e sostiene la necessità di ridistribuire, a guerra finita, le risorse alimentari tra paesi poveri e paesi ricchi, in base a uno spirito vicino a quello del New Deal (il soggetto del film era di Eric Knight, giornalista di origine inglese, emigrato in America prima della Grande Guerra, che aveva lavorato come sceneggiatore di “Why We Fight”). Ma accanto alla ripresa di formule già sperimentate durante la Grande Guer­ ra, come ifìlm tags e i lunghi documentari sulle campagne vittoriose (dopo il suc­ 118

cesso di Desert Victory, Boulting fece Tunisian Victory nel 1944 e Burma Victory l’anno successivo), nel lavoro dei cineasti inglesi della Seconda guerra mondiale vi sono anche notevoli differenze rispetto ai film della Grande Guerra. Uno dei primi successi del MOI fu London Can Take It (1940), diretto da Humphrey Jennings (la compagnia di produzione è ancora la GPO Film Unit: il film è della prima metà del 1940), della durata di 10 minuti. London Can Take It venne fatto appositamente per il mercato americano (in Inghilterra ne circolò una versione più breve, intitolata Britain Can Take It). Il film - con il commento off di un gior­ nalista americano, presumibilmente Ed Murrow, che si dichiara un osservatore imparziale («I am a neutral observer») — illustra la vita dei londinesi sotto i bom­ bardamenti, esaltando l’eroismo della gente comune. In London Can Take It tro­ viamo due degli elementi centrali della propaganda inglese della Seconda guerra mondiale: da un lato un discorso oggettivo (o, quanto meno non apertamente fa­ zioso), condotto in termini pacati, dall’altro l’esaltazione dell’uomo comune, del cittadino medio delle società democratiche, contrapposto al superuomo nazista. Un altro elemento distintivo della propaganda inglese della Seconda guerra mon­ diale, largamente assente in quella della Prima, è l’ironia.10 In Yellow Caesar (1940) di Alberto Cavalcanti e Germany Calling (1941) di Charles Ridley, ad esempio, il materiale documentario di provenienza fascista viene rimontato con effetti comici; Ridley utilizza niente meno che Triumph des Widens (1935) della Riefenstahl: vediamo i nazisti eseguire il passo dell’oca avanti e indietro, come ridicoli automi, sulle note di Lambeth Walk, un popolare motivo dell’epoca." In questi film non c’è violenza, il nemico non viene rappresentato come un mostro, ma al massimo come uno stupido: si vuole che il pubblico rida dei tedeschi, non che ne abbia paura. Dopo le campagne terroristiche condotte dal MOI durante la Grande Guerra, si tratta indubbiamente di un cambiamento notevole. Ovviamente, non tutto il cinema inglese degli anni 1939-’45 era cinema di propaganda. L’industria privata, che pure collaborò strettamente con il MOI, continuò a produrre largamente film di puro intrattenimento. Henry V (1945) di Laurence Olivier è dedicato ai commandos britannici e, in qualche modo, con­ tiene un messaggio politico (la grandezza passata dell’Inghilterra è premessa del­ la vittoria sul nazismo), ma è indubbio che Henry V sia, prima di tutto, una tra­ sposizione shakespeariana, priva di un liegame forte ed esplicito con il contesto bellico. Non solo, ma alcuni registi inglesi si comportavano addirittura come se la guerra non ci fosse neppure. The Life and Death of Colonel Blimp (1943) di Michael Powell ed Emeric Pressburger - che pure avevano diretto opere di pro­ paganda quali The Lion Has Wings (1939), 49th Parallel (1941), One of Our Air­ crafts is Missing (1942) - è un’esplicita satira dell’ottusità della mentalità mili­ tare, che non a caso Churchill cercò, invano, di bloccare. Ma come già era acca­ duto durante la Grande Guerra, un contributo fondamentale fornito dall’industria privata alla Films Division del MOI consistette nella possibilità per gli officiai films di circolare attraverso la rete distributiva commerciale: se gli spot del go­ verno erano inseriti in un normale programma di intrattenimento, prima di un 119

film con Laurence Olivier o Leslie Howard, il pubblico era costretto a vederli. In­ fatti, la circolazione non-theatrical - sostenuta dagli esponenti del documentary movement, che seguivano il motto di Grierson, secondo il quale «ci sono più spet­ tatori fuori dai cinema, che dentro» - non era in grado di competere seriamente con gli esercenti privati. Nella stagione 1943-’44, ad esempio, il tessuto nontheatrical (costituito da proiezioni, organizzate da équipes del MOI, nelle scuo­ le, nelle fabbriche, nelle chiese) aveva un pubblico di circa 350.000 persone alla settimana, là dove le sale commerciali avevano 24 milioni di spettatori.

3. I cartoons', humour e buoni consigli Come abbiamo avuto modo di osservare nel primo capitolo, la Grande Guerra aveva aperto una fase di espansione del cinema di animazione inglese: il conflit­ to era stato la causa principale della crescita esponenziale della produzione e del passaggio dai primitivi lightning sketches agli animated cartoons. Tra il 1914 e il 1918 è osservabile una chiara evoluzione della qualità grafica e della comples­ sità narrativa dei film di animazione britannici, i cui autori elaborano un lin­ guaggio nuovo, funzionale alle esigenze della propaganda bellica, nonché netta­ mente distinto dallo stile dei coevi cartoons americani. Nell’animazione britan­ nica della Seconda guerra mondiale non si ritrovano né lo spirito pionieristico, né l’autonomia dal modello statunitense, propri di Lancelot Speed e di Dudley Buxton. Il cinema di animazione inglese alle soglie degli anni Quaranta si trova in una condizione desolante, ridotto ai minimi termini dalla concorrenza ameri­ cana, che - lo abbiamo visto - nel periodo inter-bellico aveva obliterato quasi ogni forma di cinema di animazione europeo. Non solo i film di animazione in­ glesi della Seconda guerra mondiale mancano totalmente di un progetto comune e di volontà di sperimentazione (tranne alcune opere eccentriche che esaminere­ mo nel prossimo paragrafo), ma, con l’eccezione dei cartoons di Halas & Batchelor, presentano anche una scarsa cura formale, che a volte scade in una sciatteria sconfortante. Tali carenze sono ancora più evidenti se si pensa alle po­ tenzialità del gruppo di animatori d’avanguardia che Grierson aveva chiamato a collaborare con la GPO Film Unit, alla fine degli anni Trenta. Certamente la par­ tenza di Grierson per il Canada, e la conseguente dispersione del patrimonio di esperienze realizzate nel campo dell’uso informativo e pubblicitario dell’anima­ zione all’interno della GPO Film Unit, spiegano almeno in parte la povertà dei film di animazione di propaganda inglesi del 1940-’45.12 La differenza rispetto alla Grande Guerra è evidente anche sul piano mera­ mente numerico: il corpus del primo conflitto è di quantità doppia rispetto a quel­ lo del secondo. Infatti, stando alla filmografia di Gifford, tra il 1940 (nel 1939 non escono film di animazione di propaganda) e il 1945 in Gran Bretagna ven­ nero realizzati 59 film di animazione, di cui 48 a carattere propagandistico, con­ tro i circa cento del 1914-’ 18.13 Il testo di Gifford, lo ripetiamo ancora una volta, 120

va preso con beneficio d’inventario; 1’Imperial War Museum, ad esempio, dispo­ ne di un paio di film che Gifford non cita. Ma nel complesso, la cifra di una cin­ quantina di titoli ci pare attendibile, considerate le limitate possibilità degli ani­ matori inglesi degli anni Quaranta, nonché la scarsa attenzione dedicata dai ver­ tici del MOI all’animazione. Ci sembra invece poco credibile l’affermazione di John Halas, secondo cui il suo studio durante la guerra avrebbe realizzato più di settanta film per il MOI.14 Gifford cita 23 film prodotti da Halas & Batchelor tra il 1941 e il 1945. Non solo la differenza tra i 23 titoli di Gifford e i 70 di Halas è troppo ampia per essere frutto esclusivamente della disattenzione del primo, ma i cartoons presenti nell’elenco stilato da Gifford sono quelli che compaiono an­ che nelle altre fonti, che invece non citano mai altri eventuali cartoons non ri­ portati da Gifford (Halas invece non cita alcun titolo). Molto difficilmente un gruppo di quaranta film, di epoca sonora, scompare senza lasciare alcuna traccia. Senza considerare, poi, che 70 cartoons in quattro anni rappresentano una mole di lavoro eccessiva per un piccolo studio come Halas & Batchelor; si pensi sol­ tanto che, nello stesso periodo, ^animation department della MGM, uno dei principali studi di animazione americani, con mezzi ben superiori a Halas & Batchelor, realizzò 66 film.15 Il volume di Manvell su Halas & Batchelor non è di aiuto, in quanto presenta una filmografia incompleta; mentre non abbiamo potu­ to accedere all’archivio dello studio Hallas & Batchelor, per risolvere la questio­ ne, in quanto, durante il nostro soggiorno in Inghilterra, tale collezione era in fa­ se di risistemazione presso l’Università di Southampton, cui lo studio ha donato l’intero fondo, e dunque inaccessibile. Dei cinquanta film di animazione war related che risultano essere stati girati in Gran Bretagna tra il 1940 e il 1945,1’Imperial War Museum e il British Film Institute ne possiedono quindici. La produzione si articola secondo la seguente tabella, che abbiamo elaborato integrando la filmografia di Gifford con i dati rac­ colti all’Imperial War Museum e al BFI. Abbiamo indicato tra parentesi quadra il numero di film disponibili presso le due cineteche londinesi; abbiamo eviden­ ziato la produzione di Halas & Batchelor perché questa rappresenta quasi la me­ tà del totale, oltre a configurarsi come la componente di gran lunga più elabora­ ta sul piano formale. Produzione complessiva

Film di propaganda

[3] IH [3] [3] [3] [2]

1940 1941 1942 1943 1944 1945

5 4 6 15 18 12

3 1 5 14 18 9

Totale

60

50 [15]

Film di Halas & Batchelor *

0 3[0] 3 [2] 6[0] 7[1] 4[1] 23 [4]

(*) Questa colonna isola i film di Halas e Batchelor, che sono però compresi anche nelle altre due. Tutti i film di Halas & Batchelor sono di propaganda, tranne i tre del 1941 e uno del 1945.

121

L’esiguità della produzione di cartoons di propaganda nei primi anni di guer­ ra, che risulta chiaramente dalla tabella, ci sembra spiegabile con due ordini di motivi. In primo luogo, l’animazione risentì, come gli altri settori, della genera­ le disorganizzazione del MOI durante la fase iniziale del conflitto. In secondo luogo, pesò l’assenza, fino al 1942, di uno studio di animazione di una qualche consistenza. John Halas e Joy Batchelor avevano fondato il loro studio nel 1940, ma è soltanto a partire dal 1942-’43 che Halas & Batchelor si impone come il principale centro produttivo britannico, segnando un enorme salto di qualità sul piano dell’organizzazione produttiva, all’interno del panorama del cinema di ani­ mazione inglese. Scrive in proposito Gianni Rondolino: Halas fu invece il primo vero creatore dell’industria del disegno animato britannico e a lui si deve, in buona misura, la formazione di quadri tecnici e di strutture industriali e commerciali che costituiranno le basi di quel risveglio dell’animazione inglese che si avrà verso la fine degli anni cinquanta e per tutti gli anni sessanta.16

L’emergere di Halas & Batchelor fece sì che i responsabili della Films Divi­ sion del MOI, che tra il 1942 e il 1945 co-produsse tutti i film di propaganda del­ lo studio, anche quelli fatti per altri ministeri (tra cui Ministry of Fuel and Power, Ministry of Agriculture and Fisheries, Ministry of Supply, War Office), avessero un interlocutore forte e credibile. Ma al di là delle disfunzioni organizzative della propaganda inglese nel pe­ riodo 1939-’41, e della oggettiva fragilità dell’industria britannica del cartoon, contro un uso massiccio del cinema di animazione come strumento di informa­ zione giocò anche lo scarso interesse dei vertici della Films Division verso que­ sto strumento. Come abbiamo già accennato, dopo la partenza di Grierson per il Canada, la GPO Film Unit, e poi la sua erede Crown Film Unit, rinunciarono quasi completamente all’animazione. Piasti pensare che, dei numerosi film di propaganda girati da Len Lye durante la guerra, soltanto uno - di cui parleremo nel prossimo paragrafo - è un film di animazione. Anche se Lye era uno dei prin­ cipali animatori europei, il MOI lo utilizzò per realizzare dei documentari, là do­ ve McLaren, trasferitosi al National Film Board of Canada, potè continuare i suoi esperimenti sul “cinema senza macchina da presa”. Insomma, mentre i propa­ gandisti americani e canadesi - seppure con modalità diverse - accordarono no­ tevole importanza all’uso del cinema di animazione, quelli inglesi ritennero che il cartoon fosse un mezzo di poca utilità, sul quale non conveniva investire. Ba­ sti dire che mentre in Canada, durante la Seconda guerra mondiale, i disegni ani­ mati rappresentano più del 10% della complessiva produzione cinematografica di Stato (circa 70 disegni animati, su un totale di 600 pellicole), in Gran Bretagna essi sono meno del 3% (50 film su 1.887).

Non solo i cartoons inglesi della Seconda guerra mondiale sono pochi rispetto a quelli della Prima o alla coeva produzione americana e canadese, ma, alcuni di essi presentano un uso così limitato dell’animazione che è quasi improprio defi­ 122

nirli disegni animati, in quanto sono per lo più immobili. Film come Bob in the Pound (1943), Contraries (1943), Summer Travelling (1945) sono brevissimi spot (dedicati rispettivamente al credito di guerra, al riciclaggio della carta e a co­ me viaggiare senza danneggiare lo sforzo bellico), composti da disegni larga­ mente statici, con una voce off che ripete le parole d’ordine del governo. Ma an­ che quando c’è il movimento, l’esito non è necessariamente superiore. Ad esem­ pio, Little Annie’s Rag Book (1942), sulla raccolta dei vestiti vecchi per farne te­ loni mimetici per le forze armate, usa la tecnica dei pupazzi animati (tecnica so­ stanzialmente analoga alla tabletop animation degli anni Dieci, di cui si è detto nel primo capitolo), con risultati del tutto banali. Di certo esistono anche film più elaborati rispetto a quelli appena citati. Ad esempio, Adolf’s Busy Day (1940), uno dei primi disegni di propaganda del con­ flitto, è un cartoon nel senso pieno del termine (anche nella durata: i canonici set­ te minuti), per quanto di qualità decisamente inferiore a quelli americani. Adolf’s Busy Day inizia sull’immagine di una statua che rappresenta Britannia (la solita figura classicheggiante con elmo e tridente, che abbiamo già incontrato nella pro­ duzione della Grande Guerra); sul piedistallo del monumento è scritto «AngloAmerican Film-Corporation-Ltd», e ai lati sventolano una bandiera britannica ed una americana. L’obiettivo è evidente: si vuole rassicurare il pubblico sull’ami­ cizia anglo-americana, sul fatto che, anche se sono ancora in pace, comunque gli Stati Uniti sostengono la Gran Bretagna (lo slogan rooseveltiano dell’America come «arsenale delle democrazie»). Il film è una satira della giornata tipo di Hitler. Il Fùhrer si alza e dà vita ad alcune gag: spara sulla sveglia che suona, si pavoneggia davanti allo specchio, si fa cadere il lampadario in testa. Ovviamen­ te, il palazzo del dittatore è tappezzato di svastiche e affollato di miliziani delle SA dallo sguardo ottuso, che fanno continuamente il saluto nazista. Goebbels (la caricatura è molto approssimativa, si stenta a riconosce il ministro della propa­ ganda del Reich) colloca un manichino di Hitler sul balcone: il manichino tira su e giù il braccio e la folla applaude, ma in realtà la gente è costretta ad esultare perché sotto il tiro delle mitragliatrici degli sgherri di Goebbels, il quale, quando una raffica di sassate colpisce il fantoccio, rimane sconcertato. Sulla porta di Goebbels è scritto: «Propagandaminister - German Truth is the Best Truth» (chiaramente, quella inglese non è propaganda, bensì informazione). Hitler e Goering collaudano l’arma segreta, un carro armato volante, che però va in pez­ zi: un calco esplicito della scena della parata di The Great Dictator (1940) di Chaplin. Hitler sfila per le vie di Berlino a bordo di un’auto blindata e indossan­ do una corazza, mentre due SA costringono un omino triste, per nulla esaltato dal passaggio del Fùhrer, a fare il saluto nazista. Una donna (il solito stereotipo del­ la “birraia bavarese”: trecce bionde, faccione e seno enorme) tira un vaso da fio­ ri in testa a Hitler. Tutti salutano, compresi cani, uccelli e alcune giacche esposte nella vetrina di un negozio («Pure Aryan Suitings», dice l’insegna). I cartellini nella vetrina dei vestiti ironizzano sulla scarsità di generi di consumo in Germa­ nia: «Slightly ersatz - Wears for weeks - Potato cloth» (un’idea che ritroveremo 123

in Der Fuehrer’s Face, 1943, della Disney). Hitler battezza una nave, che va su­ bito a fondo: si infuria e per la rabbia salta così tanto (con il sottofondo della mu­ sichetta di Popeye) che sfonda il pavimento del palco e finisce in acqua. Il film termina sull’immagine di Hitler che viene sommerso dai flutti, sulle note di Rule, Britannia. In Adolf’s Busy Day ci sono tre elementi degni di interesse. In primo luogo, bisogna sottolineare il tentativo di accreditare 1’esistenza di un’opposizione or­ ganizzata al nazismo (la paura degli attentati da parte di Hitler, che indossa un’armatura), nonché l’idea che il regime non avesse il consenso di ampi setto­ ri della popolazione (la folla costretta ad applaudire). Entrambe le ipotesi, so­ prattutto nel 1940, erano sostanzialmente infondate, ma la volontà di distingue­ re tra il Partito nazionalsocialista, responsabile della guerra, e il popolo tedesco, vittima (almeno in parte) della dittatura, è presente in molti testi (cinematogra­ fici e non) della propaganda inglese e americana della Seconda guerra mondia­ le. La distanza rispetto alla Grande Guerra, quando l’unico tedesco buono era quello morto, è palese. A questa visione equilibrata del nemico fa da corollario la satira di Hitler e dei gerarchi, rappresentati come personaggi ridicoli. Di nuo­ vo, la differenza tra gli Unni assassini di The Sinking of the Lusitania (1918) o della “Bully Boy Series” e i nazisti di Adolf's Busy Day, idioti e sostanzial­ mente inoffensivi (la frenesia ipercinetica di Hitler ha sempre un esito autole­ sionista: egli non può nuocere a nessuno, al di fuori di se stesso), è chiara. Il terzo aspetto di Adolf’s Busy Day che ci sembra rilevante è l’idea che in Ger­ mania vi fosse scarsità di beni di consumo (l’abito di patate esposto nella vetri­ na). In realtà, la vita del fronte interno tedesco, nel 1940, non era molto diver­ sa dal tempo di pace: come si è già accennato, è soltanto a partire dal 1943 che l’economia tedesca si converte totalmente in un’economia di guerra, con l’ine­ vitabile ricaduta sulla vita civile. Questa trovata propagandistica di Adolf’s Busy Day denuncia un lascito della Grande Guerra. Nel 1918 la Germania si era arresa perché il morale del fronte interno era crollato, a causa del blocco nava­ le britannico. In Adolf’s Busy Day la memoria della vittoria passata si riflette sul conflitto presente: il film cerca di convincere il pubblico che la Germania sarà nuovamente messa in ginocchio dalla Royal Navy ; non per nulla il cartoon si chiude sull’immagine di Hitler che scompare tra i flutti, sulle note di una can­ zone che dice «Britannia rules the waves». Insomma, Adolf’s Busy Day è rive­ latore dell’atteggiamento dei propagandisti inglesi della Seconda guerra mon­ diale verso il retaggio della Prima: da un lato c’è il tentativo di prendere netta­ mente le distanza da quell’esperienza (il rifiuto della hate propaganda, la pre­ valenza del registro comico), dall’altro sussiste l’impossibilità di cancellare la memoria della Grande Guerra, memoria che - per usare le parole di Fussell - è ormai divenuta la “memoria moderna”, il paradigma con cui raffrontare ogni conflitto successivo. Altri due disegni animati abbastanza interessanti sono A Cautionary Tale (1943) e The Grenade (1944), entrambi opera di Carl Giles, ed entrambi inseriti 124

nel cinegiornale “Worker and Work-Front” (rispettivamente nei numeri 8 e 11). Questo newsreel. prodotto dal MOI, era indirizzato agli operai, e cercava di spie­ gare ai lavoratori (in particolare quelli delle industrie belliche) quanto il loro con­ tributo fosse importante. Nel numero 11, ad esempio, c’è un servizio sulla co­ struzione del mine detector: il montaggio alternato delle immagini dei soldati al fronte che usano questo strumento e quelle delle operaie che ne assemblano i pezzi nelle officine esprime chiaramente l’idea che i due gruppi stanno combat­ tendo la stessa battaglia, che gli operai sono essenziali per i soldati, i quali non potrebbero battersi senza coloro che gli forniscono le armi. I numeri del cine­ giornale si chiudevano con l’inquadratura di una folla di operai che escono da una fabbrica, sulle note iniziali della V di Beethoven. La V di Beethoven era un simbolo sonoro di vittoria. Infatti, la lettera “V” - che i resistenti di tutta Euro­ pa, su indicazione della BBC, scrivevano sui muri, per sfidare gli occupanti te­ deschi - nel codice Morse corrisponde a tre punti e una linea, così come la V sin­ fonia si apre con una battuta di tre brevi e una lunga.17 L’immagine dei lavorato­ ri con il contrappunto della V sinfonia di Beethoven veicola un messaggio chia­ rissimo: la chiave della vittoria è nelle mani degli operai. A Cautionary Tale è un breve cartoon (della durata di due minuti) sugli in­ fortuni sul lavoro e i modi per prevenirli. Il protagonista è un grasso operaio dal­ la faccia simpatica, Thomas Cobb. Tom si ferisce sul lavoro e - dice la voce off bestemmia: sulla figura di Tom compare la scritta "censored". Thomas, non­ ostante le raccomandazioni del suo compagno saggio, trascura il piccolo taglio che si è procurato; la ferita si infetta e Thomas muore. I germi sono rappresenta­ ti da mostriciattoli cornuti, del tipo di quelli della serie di Giro the Germ. Dopo la morte di Tom, vediamo i mostriciattoli abbattere un operaio fortissimo: il commento off insiste che tutti devono fare attenzione, anche coloro che hanno un fisico possente. Poi rivediamo Tom, con il dito fasciato, che beve un meritato boccale di birra. È chiaro che il retaggio di A Cautionary Tale è rappresentato dai disegni animati a soggetto sanitario degli anni Venti e Trenta, che abbiamo esa­ minato nel terzo capitolo. Allo spirito dei film dello Health and Cleanliness Council. A Cautionary Tale aggiunge uno humour più audace di quello normal­ mente utilizzato nei disegni animati. Questo cartoon, infatti, è pensato in primo luogo per gli operai, per cui (come accade anche nei cartoons americani di Snafu, fatti per i soldati, in cui vi sono gag sessuali molto esplicite) si fa riferimento a cose come la bestemmia e il piacere dell’alcool, che erano parte integrante della cultura operaia, ma che la morale borghese stigmatizzava, e pertanto compariva­ no raramente nei film. The Grenade è più lungo di A Cautionary Tale (sei minuti) ed è senza parole: la colonna sonora è composta unicamente da musica. Il film, presentato nei tito­ li di testa come «a fable with a morale», racconta la storia di una bomba a mano. Un gruppo di boy scouts raccoglie ferraglia e la porta in una fabbrica d’armi, do­ ve il metallo viene nuovamente fuso. Dalla fusione nasce una bomba a mano, con braccia, naso, bocca e occhi. Appena nata la bomba butta via il ciuccio che ha in 125

bocca e mostra i muscoli delle braccia; quando gonfia i muscoli si sente l’inizio della V di Beethoven. La bomba si aggira per la fabbrica e si imbatte in enormi aerei, mine, bombe gigantesche, siluri, tutti con fattezze umane o animali, che in­ cutono soggezione alla piccola bomba, la quale si sente inutile al loro confronto. La bomba, umiliata, fugge dalla fabbrica e si imbarca su un treno carico di armi diretto al fronte. Quando il treno parte, la sirena fischia l’inizio della V di Beethoven. La granata finisce nella giberna di un soldato, con cui fa amicizia. La granata è fedele amica del soldato durante la battaglia: lui la scaglia contro una batteria tedesca, che viene annichilita. I soldati tedeschi hanno, ovviamente, visi ottusi, mentre il soldato inglese è un ometto grasso e simpatico, molto simile al­ l’operaio di A Cautionary Tale. Dopo il suo primo successo, la granata continua nella sua opera di annientamento, facendo esplodere nell’ordine: Goering (che mangia un gelato e rutta), Goebbels (che sta parlando con un megafono), Hitler (dopo l’esplosione, di lui rimane solo un mucchio di pennelli, dei rotoli di tap­ pezzeria e una scala da imbianchino). Infine, la granata arriva nei pressi di un’e­ norme aquila nera, con una svastica sul petto, attorniata da forche da cui pendo­ no dei cadaveri e da mucchi di teschi. La granata si scaglia contro la bestia, e, do­ po un’immane esplosione, dalla nube di fumo emerge la granata, la quale regge un vassoio con sopra l’uccello cotto al forno (una figura già usata durante la Grande Guerra, con il calembour sulla doppia accezione di “Turkey”). Il film si chiude con la piccola granata che mostra ancora una volta i muscoli, sulle note della V di Beethoven. Mentre A Cautionary Tale aveva un intento didattico, The Grenade è puro in­ trattenimento. Certo, la parte iniziale del film è un invito a riciclare il metallo, ma l’obiettivo del cartoon è essenzialmente ridere del nemico, di cui peraltro non si dà solo una rappresentazione ridicola (Hitler, Goering e Goebbels), ma anche spaventosa (l’aquila). Benché la qualità dell’animazione sia povera, il film è ab­ bastanza intelligente. La “caratterizzazione psicologica” delle armi - i siluri co­ me donne eleganti, le bombe d’aereo come aristocratici snob - è divertente, co­ sì come la gag sulle velleità artistiche di Hitler. La scelta di raffigurare il solda­ to inglese come un uomo ordinario, un personaggio con cui lo spettatore medio può identificarsi, anziché come un eroe statuario, è funzionale alla strategia del­ la propaganda inglese di affermare i valori democratici, che hanno al centro il co­ mune cittadino, contro il superomismo nazista. Il raccordo audio-visivo è com­ plesso (si passa dalla musica classica - non solo Beethoven - al jazz e vicever­ sa), e l’uso della V sinfonia, segno sonoro della vittoria sulla Germania, è effica­ ce. Ma, nel complesso, la qualità tecnica di Adolf’s Busy Day, A Cautionary Tale e The Grenade non è molto alta: spesso l’animazione è limitata all’elemento principale dell’azione, mentre lo sfondo o gli elementi secondari rimangono im­ mobili. Il modello è chiaramente costituito dai disegni animati americani (Disney in particolare), ma si tratta di un tentativo fallito in partenza, sia per mancanza di estro creativo, sia per la povertà dei mezzi a disposizione. Infatti, bifidi anima­ tion degli americani richiedeva tempi di lavorazione molto lunghi ed équipes nu­ 126

merose: limitare il movimento ad alcune figure, o a parti di esse, è una delle prin­ cipali forme di risparmio nel campo del cinema di animazione (si pensi ai dise­ gni animati televisivi, realizzati per lo più in massima economia). I soli animatori britannici che, negli anni Quaranta, sono riusciti a realizzare dei prodotti che - almeno sul piano squisitamente tecnico - possono reggere il con­ fronto con i cartoons della Disney o della Warner Brothers, sono Halas e Batchelor. Gli archivi del BFI e dell'Imperial War Museum conservano quattro film della produzione di epoca bellica di questo studio: Filling the Gap (1942), Dustbin Parade (1942), Abu Builds a Dam (1944), Handling Ships (1945). L’ul­ timo non è un cartoon di propaganda, bensì un training film, commissionato dal1’Admiralty. In quanto film di istruzione, questa pellicola non rientra nel corpus da noi preso in esame; bisogna però segnalare che si tratta di un film di istruzio­ ne del tutto particolare: Handling Ships, infatti, è il primo lungometraggio ani­ mato realizzato in Gran Bretagna (e per questa ragione lo abbiamo comunque in­ serito nella tabella riassuntiva).18 Filling the Gap e Dustbin Parade, invece, sono due tipici cartoons per la mobilitazione dei civili. Il primo è uno spot per i victory gardens: fino al 1939 - spiega la voce off - la Gran Bretagna importava parte del suo fabbisogno alimentare, ma ora le navi servono a trasportare armi, per cui tut­ ti i cittadini devono coltivare un piccolo orto, per supplire le carenze di approv­ vigionamento, come indica il titolo (che significa proprio “riempire il vuoto”). Nella prima parte del cartoon si vede una mappa che illustra le linee commerciali dell’età pre-bellica, e il loro mutamento a causa del conflitto; nella seconda par­ te un gruppo di verdure antropomorfe, guidate da un ragazzino, marcia verso la vittoria: «Dig for Victory - Next Winter may be a matter of life or death», recita la scritta finale. Dustin Parade è più complesso di Filling the Gap. e presenta alcune delle fi­ gure canoniche dei film per il fronte interno. Il cartoon si apre su un gatto nero, che si aggira di notte per una strada deserta. Il gatto miagola, svegliando il vici­ nato, e da fuori campo gli piovono addosso diversi oggetti. Il gatto fugge, e gli oggetti - una scatola di latta, una bambolina, un osso e un tubetto di dentifricio usato - si animano. Gli oggetti sono avviliti per essere stati buttati via: «That’s no way to treat us, in wartime too». I quattro personaggi vanno in un recruiting center, dove si raccolgono i materiali di scarto; qui sono sottoposti a una “visita di leva”, sotto l’occhio vigile di una borsa dell’acqua calda, che funge da uffi­ ciale medico, al quale i quattro protagonisti dichiarano: «We want to be a shell». Dopo di che, vengono mandati in una fabbrica in cui avviene il riciclaggio: vari oggetti antropomorfi si trasformano in bombe e componenti meccaniche. Per dissolvenza incrociata, una cassa di munizioni passa dal nastro trasportatore del­ l’officina al campo di battaglia. Il proiettile in cui si sono trasformati i quattro personaggi viene sparato contro un’enorme svastica nera, che esplode. Dalla nu­ be provocata dall’esplosione emerge la scritta "'Mobilise your scrap", su cui si chiude il film. 127

Nella scena della fabbrica vediamo le lattine buttarsi in un calderone, da cui viene fatto colare il metallo fuso, che poi si solidifica in tante bombe. L’immagi­ ne di un oggetto che si trasforma in un ordigno è uno dei topoi dei disegni ani­ mati di propaganda di entrambe le guerre: troviamo il war bond certificate che si muta in un proiettile nei film inglesi della Prima guerra mondiale, così come in quelli americani e canadesi della Seconda. Gli oggetti inanimati che prendono vi­ ta e la trasformazione di una figura in un’altra sono due stilemi chiave del cine­ ma di animazione nel suo complesso, non solo di quello di propaganda. Erwin Panofsky individua nel primo di questi due moduli addirittura la quintessenza dell’animazione: «The very virtue of the animated cartoon is to animate, that is to say endow lifeless things with life, or living things with a different kind of life».19 Come abbiamo già avuto modo di osservare, è qui che risiedono le mag­ giori potenzialità dell’animazione come strumento di trasmissione delle idee. La lattina che si trasforma in una bomba - un’immagine che il cinema dal vero può rendere solo in maniera goffa e macchinosa, e che invece in un film di anima­ zione è del tutto naturale - trasmette allo spettatore un messaggio estremamente chiaro: i vostri rifiuti possono trasformarsi in un’arma contro il nemico. In Dustbin Parade, l’efficacia di questa immagine è rafforzata dalla soluzione di montaggio che fa passare la cassa di munizioni direttamente dalla fabbrica alla prima linea. Qui, il destinatario del testo sono in particolare gli operai delle in­ dustrie belliche, cui si ripete che il loro sforzo è imprescindibile per i soldati. Se in Dustbin Parade troviamo uno dei principali stereotipi dei disegni ani­ mati di propaganda, il tema della “metamorfosi in ordigno”, Abu Builds a Dam presenta invece un’altra caratteristica di questa produzione (come del cinema di animazione in generale, del resto): la serialità. Questo film, infatti, è l’ultimo episodio di una serie di quattro cartoons realizzati per il pubblico persiano (e pertanto mai proiettati in Gran Bretagna). Gli altri tre sono: Abu’s Dungeon (1943). Abu’s Poisoned Well (1943), Abu’s Harvest (1944). La Persia era stata occupata militarmente da una forza anglo-russa alla fine dell’estate del 1941 (le truppe sovietiche e britanniche si erano incontrate a Teheran il 17 settembre), per creare una linea di collegamento tra i porti del Golfo Persico e il Caucaso, in modo da disporre di una seconda via, oltre a quella - più breve, ma più peri­ colosa - del Mare del Nord, per inviare rifornimenti in Russia. Inoltre, l’occu­ pazione della Persia serviva anche a prevenire i tentativi tedeschi di alimentare i sentimenti anti-britannici nell’area. Il 3 aprile, infatti, in Irak un colpo di Sta­ to del generale Rashid Ali al-Gailànl aveva rovesciato il reggente pro-inglese (l’Irak era divenuto un mandato britannico dopo la Prima guerra mondiale). Abd al-Ilah, instaurando un regime filo-Asse. L’esercito iracheno, con l’ausilio di aerei forniti dalla Germania attraverso la Siria (formalmente neutrale, in quanto colonia della Francia di Vichy, ma usata dai tedeschi come base d’ope­ razioni) aveva tentato di cacciare le truppe inglesi che stazionavano nel paese, ma senza successo: il 31 maggio gli inglesi entravano a Baghdad e restauravano il potere del reggente.20 128

Nonostante la debolezza militare dei movimenti anti-inglesi in Egitto e Medio Oriente, e la sostanziale impraticabilità di un attacco italo-tedesco a est del Cana­ le di Suez (a meno che la Wehrmacht non fosse riuscita a sfondare la parte meri­ dionale del fronte russo e occupare il Caucaso), le forze dell’Asse svolsero un’in­ tensa attività di propaganda anti-britannica nella regione. Tale azione, paradossal­ mente, si fondava su argomentazioni di tipo anti-colonialista. E questo “anti-imperialismo fascista” non era soltanto a uso e consumo delle popolazioni soggette al dominio inglese. Restando nel campo del cinema di animazione, troviamo II Dottor Churkill (1942) di Liberio Pensuti, una satira a disegni animati del Primo Ministro inglese, fatta per il pubblico italiano, in cui il messaggio anti-colonialista è esplicito. Il film è una parodia di The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde di Stevenson, in cui Churchill è presentato come un mostro avido, che accumula im­ mense fortune sfruttando il lavoro altrui (all’anti-colonialismo si unisce anche una componente anti-capitalista), il quale, per comparire tra gli uomini, beve una po­ zione denominata “democrazia” («miscuglio dei più allettanti, ma pericolosi in­ gredienti»), grazie alla quale si trasforma in un essere umano. La voce off, con il tono ispirato dei cinegiornali LUCE, dice a proposito delle ricchezze del mostro: Egli, nella sua cupa solitudine, ammassava in capaci forzieri tutto l’oro della Terra, che le sue mani adunche andavano arraffando dappertutto con bestiale egoismo. [...] Nell’accingersi alle sue losche imprese, egli amava contemplare beatamente i suoi vasti do­ mini, nei quali uomini di tutte le razze vivevano nel più duro selvaggio.

Su queste parole, vediamo una mappa dell’Africa su cui sventola un’enorme bandiera inglese, che sarà spazzata via alla fine, quando i bombardieri tedeschi distruggono la tana del mostro, a Londra, e uno stormo di rondini e colombe si leva a salutare la vittoria dell’Asse. Questo generico anti-colonialismo assume poi una forma specificamente filo-araba, quando si tocca la questione di Suez. «Autentica miniera era per lui un certo canale, opera dell’intelligenza e del lavo­ ro altrui, da lui accaparrata»: il terribile dottor Churkill, a bordo di un aeroplano, atterra a Suez, dove gli indigeni sono costretti a lavorare duramente per lui.21 La serie di Abu aveva proprio il compito di combattere la propaganda filo-fa­ scista e anti-inglese in Medio Oriente. Abu Builds a Dam ha un commento off in farsi (la lingua parlata in Persia), ma non è da escludere che esistesse anche una versione in arabo, da distribuire in Egitto e Palestina, obiettivi prediletti dell’a­ zione dei propagandisti dell’Asse (in Palestina, a causa dei primi insediamenti ebraici avviati dai sionisti, l’anti-semitismo nazista trovava una discreta acco­ glienza). Il fatto che del terzo episodio si conosca un secondo titolo, Khalil Builds a Reservoir, in cui il protagonista ha un nome diverso, sembrerebbe con­ fermare l’ipotesi che la serie sia stata adattata per il pubblico di diversi paesi.22 Non abbiamo reperito, né al BFI né all’Imperial War Museum, una traduzione del testo del commento off (unica voce del film: i personaggi non parlano), ma le immagini del cartoon sono sufficientemente chiare. I protagonisti sono Abu, un ragazzino dalla pelle scura con una tunica bianca, e il suo asinelio. I due vo­ 129

gliono costruire una diga, ma il loro lavoro è boicottato da un perfido serpente, con una svastica sul dorso e i baffetti alla Hitler. Sopraggiunge una ruspa, con le solite fattezze antropomorfe, la quale fa saltare una parete di roccia con la dina­ mite, e con i massi così ricavati inizia a ricostruire, insieme ad Abu, la diga che il serpente aveva distrutto. II rettile tenta nuovamente di fermare la costruzione, ma la ruspa lo elimina con la dinamite. La diga viene finalmente terminata, l’ac­ qua inizia a scorrere, facendo spuntare come per magia alberi e piante. Alla fine, Abu e l’asinelio ringraziano la ruspa, che riparte. Abu Builds a Dam è un caso unico (almeno per quanto riguarda il corpus da noi preso in esame) di disegno animato di propaganda realizzato per un pubblico straniero, anziché per quello del fronte interno. E infatti, se il film ha toni aperta­ mente anti-tedeschi, il messaggio filo-britannico è molto meno esplicito, in quan­ to gli spettatori non erano certo pregiudizialmente a favore dell’Inghilterra. L’u­ nico simbolo presente nel cartoon è la svastica, abbinata a un animale pericolo­ so, che cerca di ostacolare in tutti i modi il piccolo Abu, con cui il pubblico è chia­ mato a identificarsi. Invece, non ci sono bandiere inglesi, né di altri paesi alleati. La presenza britannica in Persia è presentata nella forma benefica dell’importa­ zione della tecnologia occidentale - la ruspa, la dinamite, le conoscenze di inge­ gneria idraulica - per il bene delle popolazioni locali. E il fatto che Abu fosse il protagonista di una serie non è irrilevante: significa che le autorità inglesi attri­ buivano importanza all’uso del disegno animato nella campagna propagandistica anti-tedesca in Medio Oriente. Una serie, infatti, permette di utilizzare formule consolidate e personaggi che il pubblico ha imparato a conoscere, potendo così organizzare un discorso di ampio respiro che si sviluppa da una puntata all’altra. Quella di Abu è l’unica serie realizzata dagli animatori inglesi durante la Secon­ da guerra mondiale, e non fu mai proiettata in Gran Bretagna. Di contro, la serie - che già a partire dagli anni Dieci era la struttura portante dell’industria ameri­ cana del cartoon - è una formula largamente utilizzata nei disegni animati di pro­ paganda sia in Canada che negli Stati Uniti. Il pubblico inglese conoscerà una se­ rie di disegni animati di propaganda soltanto dopo la fine della guerra. Tra il 1948 e il 1949 Halas & Batchelor realizzano, su commissione del Central Office of Information (erede del MOI, ma largamente ridimensionato per scopi e capacità operative), la serie di Charley (di almeno sei episodi), per spiegare i fondamenti della politica del governo laburista. In ogni puntata, Charley, l’inglese medio, si confronta con un aspetto della società post-bellica: il National Insurance Act, uno dei fondamenti del welfare state (Charley’s March of Time, n. 3, 1948); i mecca­ nismi del commercio con l’estero (Robinson Charley, n. 4, 1948); l’economia agricola (Farmer Charley, n. 6, 1949). I cartoons di Charley sono un prodotto estremamente raffinato: la grafica e l’animazione sono eleganti, e in più si tratta di film a colori, là dove tutti quelli del periodo bellico - di Halas & Batchelor o meno - erano in bianco e nero. Inoltre., i tre film sopra citati sono di una lun­ ghezza variabile tra gli 850 e i 950 piedi (9-10 minuti di proiezione), cioè circa il doppio della durata della maggior parte dei cartoons della guerra.23 130

Insomma, in Inghilterra il disegno animato diventa uno strumento di propa­ ganda serio soltanto dopo la fine del conflitto. Al di là delle carenze tecniche che caratterizzano molti cartoons, ciò che manca nei film d’animazione britannici della Seconda guerra mondiale è l’idea che l’animazione possa essere un medium adatto a parlare di politica. Certo, la ricchezza formale della serie di Charley si spiega anche con la maggiore disponibil ita di tempo e di denaro del periodo post­ bellico, ma i disegni animati canadesi della Seconda guerra mondiale, pur essen­ do altrettanto poveri (se non di più) di quelli inglesi, sono molto più ambiziosi. I film canadesi, infatti, affrontano questioni economiche e geopolitiche, là dove quelli inglesi si accontentano di fornire qualche buon consiglio pratico - «ri­ sparmiate le vostre lattine», «coltivate le rape in giardino» - e un po’ di buon umore, senza mai tentare di organizzare un discorso complesso sulla guerra e sui suoi obiettivi. Non solo i responsabili politici inglesi (contrariamente ai loro omologhi americani e canadesi) attribuivano pochissima importanza all’anima­ zione, cui venivano riservati compiti del tutto marginali, ma sembra quasi che gli stessi animatori non credessero nell’importanza del loro lavoro, accettando supi­ namente di rappresentare un aspetto del tutto secondario nella strategia comples­ siva del cinema di propaganda. Nei cartoons britannici non ci sono delle serie (tranne quella di Abu, però non destinata al pubblico inglese), né figure ricorrenti, per cui era impossibile artico­ lare un piano a vasto raggio: ogni testo operava in perfetta solitudine, senza co­ ordinare i propri sforzi con altri. Non ci sono neppure elementi simbolici: nei di­ segni animati americani e canadesi l’iconografia nazionale (lo Zio Sam, la foglia d’acero, le bandiere) torna continuamente, insieme alla lettera “V”, uno dei se­ gni più potenti della propaganda della Seconda guerra mondiale, diffuso proprio dalla radio inglese, ma di cui gli animatori britannici (con l’eccezione di Cari Giles in The Grenade) non fanno assolutamente uso. Persino la Union Jack è spesso assente in questi film. La mancanza della simbologia nazionale è la più chiara dimostrazione del fatto che i disegni animati non erano reputati adatti a un discorso alto. E questa scarsa considerazione verso il cinema di animazione na­ sce forse dai fondamenti teorici del documentary movement, la cui cultura era fortemente radicata presso la Films Division del MOI. Infatti, se si parte dal pre­ supposto che, in campo cinematografico, il miglior strumento per trasmettere le idee politiche è il documentario, in virtù della sua capacità di preservare l’inte­ grità del reale, di non tradire la realtà, come invece fanno i film di finzione, è chiaro che il disegno animato - la più anti-naturalistica forma di cinema - non può venire considerato seriamente come veicolo per la propaganda.

4. Neopositivismo logico e sperimentazione visiva Dunque, il quadro generale dei film di animazione inglesi della Seconda guerra mondiale è piuttosto sconfortante. Si tratta di un corpus composto da testi forte131

mente disegnali, con un livello tecnico spesso molto basso, ma che anche nei ca­ si migliori - come i film di Halas & Batchelor - mancano di qualunque innova­ zione linguistica, dimostrando una pesante subalternità verso il modello ameri­ cano, e in particolare verso Disney, che a partire dagli anni Trenta si era imposto in tutto il mondo come il tipo ideale di cinema di animazione. Ma mentre molti dei disegni animati di propaganda della Disney - lo vedremo - presentano com­ plesse analisi della situazione bellica, le loro imitazioni inglesi sono prive di un reale spessore politico. Non è quindi un caso che i pochi film d’animazione di propaganda realmente interessanti, sotto il profilo estetico come sotto quello po­ litico, realizzati in Inghilterra durante la Seconda guerra mondiale, si collochino totalmente al di fuori della tradizione degli animated cartoons. Una via per utilizzare l’animazione come medium serio era rappresentata da­ gli isotype charts, elaborati dall’Isotype Institute, diretto dal filosofo Otto Neurath e da sua moglie (la quale era designer). Gli isotypes sono figure rappresen­ tative stilizzate (si pensi, ad esempio, alFomino sulla sedia a rotelle, che indica i luoghi riservati agli invalidi), il cui significato dovrebbe essere percepito in ma­ niera chiara e immediata a chiunque. Tali figure servivano a rappresentare grafi­ camente i dati statistici, o altre informazioni di natura socio-economica, in film educativi. È evidente che l’immediatezza degli isotype charts si fonda su una con­ venzione, anche se si tratta di un codice molto semplice. Infatti, non solo gli isotype charts sono simboli elaborati a partire dall’esperienza della cultura occi­ dentale, e pertanto non hanno carattere universale, né tantomeno naturale, ma tal­ volta la loro interpretazione non dà adito a dubbi soltanto perché sono inseriti al­ l’interno di un film, in cui il commento off fornisce allo spettatore gli elementi necessari per una lettura corretta. Ma, pur con questa premessa, è comunque in­ negabile che la grande semplicità grafica degli isotype charts ne faccia degli stru­ menti comunicativi duttili, un sistema di simboli al contempo univoci e utilizza­ bili in contesti diversi (economia, sociologia, sanità pubblica). Ad esempio, la sil­ houette nera dell’omino, che ritorna in tutti i film con gli isotype charts, è una fi­ gura che conserva sufficienti tratti antropomorfi per essere identificata con il si­ gnificato “uomo”, ma che grazie all’astrattezza della forma può indicare, a se­ conda del contesto e con piccole variazioni grafiche: un operaio, un contribuen­ te, un funzionario pubblico, un soldato. E il fatto che un tale lessico iconico per i film di animazione educativi sia stato ideato da un neopositivista non è certo ca­ suale. Infatti, questo uso di segni iconici stilizzati per trasmettere idee astratte in ambiti disciplinari disparati è congruente con il progetto del Circolo di Vienna, di cui Neurath era uno dei massimi esponenti, di realizzare un'unificazione del­ le scienze - non solo di quelle naturali ma anche della sociologia e dell’econo­ mia - attraverso la costruzione di un linguaggio unico, che permettesse di espri­ mere ogni proposizione scientifica (espellendo così la filosofia continentale dal terreno del pensiero razionale). L’analisi della natura codicale degli isotype charts ci porterebbe troppo lon­ tano, per cui la tralasciamo,24 così come tralasciamo il problema del rapporto tra 132

isotype charts e Circolo di Vienna.25 Ciò che qui ci interessa sottolineare è che gli isotype charts rappresentano una forma estremamente efficace, benché mol­ to povera sul piano estetico, di uso didattico del cinema di animazione. In que­ sto senso, il fatto che Neurath avesse partecipato, a Monaco, alla rivoluzione spartachista non è privo di interesse. I film realizzati con l’assistenza dell’Isotype Institute sono figli della stessa cultura socialista mitteleuropea - im­ pregnata di spirito pedagogico positivista - da cui erano scaturiti, negli anni Venti, i film di Bartosch per l’Institut fur Kulturforschung, di cui si è parlato nel capitolo precedente. In Inghilterra, abbiamo trovato traccia di due cortometraggi con gli isotype charts, entrambi prodotti da Paul Rotha per il MOI. Uno è World of Plenty, cui si è già fatto riferimento; l’altro è A Few Ounces a Day (1941), un film di sei minuti, conservato presso l’Imperial War Museum. A Few Ounces a Day - la cui grafica fu realizzata dall’Isotype Institute - spiega, con l’ausilio di una se­ rie di grafici, l’incidenza degli attacchi dei sommergibili tedeschi sulle impor­ tazioni di materie prime, e il dovere per le famiglie inglesi di riciclare i mate­ riali di scarto. Le piccole silhouettes nere che si muovono sullo schermo, e che rappresentano fabbriche, navi mercantili, merci, quote di popolazione, visualiz­ zano in maniera efficace le cifre indicate dalla voce off sul contributo che il ri­ ciclaggio può fornire alla produzione bellica. Ma, a riconferma dello scarso in­ teresse del MOI verso l’animazione, nonostante si trattasse di una tecnica estre­ mamente economica e dai buoni risultati didattici, gli isotype charts vennero impiegati sporadicamente in Gran Bretagna, mentre il National Film Board of Canada ne fece un uso massiccio (e pertanto ne riparleremo più diffusamente nel prossimo capitolo). In alternativa agli isotype charts, l’altra via di fuga dalla piattezza degli animat­ ed cartoons inglesi, era il cinema sperimentale, una prospettiva certamente più stimolante per dei cineasti, rispetto alla povertà formale delle silhouettes nere di Otto Neurath. In Inghilterra, durante il secondo conflitto mondiale, vennero rea­ lizzati due film d’avanguardia di propaganda: Musical Poster no. 1 (1940) di Len Lye e Calling Mr. Smith (1944) di Stefan e Franciszka Themerson. Len Lye - vi abbiamo già accennato - pur avendo maturato, negli anni Trenta, un’ampia espe­ rienza nell’uso dell’animazione come strumento informativo, nel corso della guerra realizzò quasi soltanto film dal vero, lavorando sia per il MOI, sia per “The March of Time”. Della sua produzione del periodo bellico, il titolo più no­ to è Kill or Be Killed (1942), un cortometraggio di finzione molto realistico (e violento, almeno per l’epoca), su come uccidere un cecchino nemico; mentre Cameramen at War (1943) è un’interessante riflessione sulla figura dell’operato­ re di guerra. Alcuni dei film di propaganda di Lye presentano tecniche di tipo sperimentale, come l’uso di fotografie statiche in Newspaper Train (1941), sulla distribuzione dei giornali sotto i bombardamenti tedeschi, o la fusione di disegni (non animati), mappe e oggetti tridimensionali in Collapsible Metal Tubes 133

(1942), uno spot per promuovere il riciclaggio del metallo, con virulenti toni anti-giapponesi (una rarità nel cinema britannico: per gli inglesi, infatti, il vero ne­ mico era la Germania, mentre lo scacchiere asiatico del conflitto era sostanzial­ mente sconosciuto all’opinione pubblica). Ma in nessuno di questi film - tranne Musical Poster no. 1 - si ritrovano legami con gli esperimenti del decennio pre­ cedente sul “cinema senza macchina da presa”.26 Musical Poster no. 7, dipinto su pellicola, è strutturato in maniera analoga a Colour Box: una prima parte esclusivamente astratta è seguita da una secon­ da in cui scorrono le scritte che compongono il messaggio governativo. Non è un caso che il film sia stato prodotto dalla Crown Film Unit quando questa ave­ va appena preso il posto della GPO Film Unit. In Musical Poster no. /, infatti, sopravvive la cultura mecenatistica che permeava i film di animazione del GPO: Lye utilizza i finanziamenti pubblici per proseguire nel suo lavoro di spe­ rimentazione e, per soddisfare i committenti, aggiunge alla fine delle scritte propagandistiche. Ma mentre nei film degli anni Trenta la parte pubblicitaria poteva essere limitata, in questo caso la gravità della contingenza bellica im­ pone che il messaggio sia ripetuto in maniera martellante. Da qui nasce la dis­ omogeneità interna del testo, diviso in due blocchi nettamente distinti. Il film si apre sull’immagine in negativo di un attacchino che affigge un poster - il musical poster, appunto - al cui interno compare il titolo (Lye aveva già utiliz­ zato immagini polarizzate in Rainbow Dance). I titoli di testa sono accompa­ gnati da uno squillo di tromba e una marcia militare, che poi sfumano in un jazz scatenato, sulle cui note si agitano vorticosamente colori brillanti e forme astratte in perpetuo mutamento. Questa prima parte del film (che dura appros­ simativamente 55", dopo i 30" del titolo) rappresenta - credo - uno dei mo­ menti più alti della carriera di Len Lye. Qui l’autore applica nel modo più com­ piuto la tecnica utilizzata in Colour Box e Rainbow Dance, sfruttando al mas­ simo le potenzialità fascinative del cinema senza macchina da presa: le mac­ chie colorate si inseguono e si fondono le une con le altre, sul ritmo incalzan­ te della musica afro-americana. Questo flusso audiovisivo policromo è un vero e proprio “piacere degli occhi”, davanti al quale lo spettatore non può che ri­ manere incantato, un esempio eccellente della meravigliosa ineffabilità dell’ar­ te astratta. È chiaro che un testo di questo tipo ha difficoltà a convivere in maniera ar­ moniosa sia con un messaggio, sia con elementi rappresentativi. E infatti la com­ parsa della prima parola, “crzre” (che andrà a formare la prima frase: «Careful! The enemy is listening to you»), provoca uno iato nell’economia del testo. Nel­ la seconda parte del film, a muoversi non sono più forme astratte, ma una serie di scritte che invitano a non fornire informazioni al nemico; compaiono anche delle figure, immobili, legate al tema del careless talk: una bocca e un orecchio. Questa porzione dell’opera è decisamente più statica della prima (le lettere si al­ largano e si restringono, ma non c’è più il movimento frenetico precedente), e meno colorata (gli sfondi su cui campeggiano le scritte sono in parte monocro134

mi). Il seguente schema offre un’idea chiara della differenza polare tra le due se­ zioni di Musical Poster no. 1. Prima parte

Seconda parte

Movimento

Stasi

Immagini astratte

Immagini rappresentative

Immagini policrome

Immagini monocrome

Puro piacere degli occhi, senza significato alcuno

Messaggio politico preciso e iterato

La comparsa delle scritte è un vero e proprio shock: l’aggressione audiovisi­ va della prima parte, in cui lo spettatore era letteralmente sommerso dal movi­ mento e dalle esplosioni di colore, viene brutalmente sostituita dall’aggressione, ben più greve, dell’agit-prop. Il legame tra la prima e la seconda parte (peraltro più breve della prima: circa 40") è costituito dal fugace ritorno delle forme astratte, tra una scritta e l’altra, dalla presenza dello stesso tema musicale per tut­ to il film e dal fatto che il fondo viola su cui compaiono le parole richiami uno dei colori dell’inizio. Il film si apre con un marcia militare, una voce stentorea che impartisce ordini - «On the left! Quick, march!» - e macchie di colore che si allineano, come soldati in parata; ma subito la marcia si muta in jazz e le mac­ chie abbandonano la distribuzione geometrica per un’allegra entropia. Dunque, non solo la prima parte di Musical Poster no. 1, in virtù della sua forma astrat­ ta, rifiuta la trasmissione di qualunque tipo di contenuto, ma fa anche della ve­ lata ironia sull’istituzione militare. Nulla di più lontano, insomma, da un film di propaganda bellica. Sembra quasi che Lye si ritagli uno spazio personale all’in­ terno di un film su commissione, al termine del quale è costretto a inserire ciò che il committente gli richiede. Peraltro la permanenza di una musica allegra e di un certo movimento, nella seconda parte, alleggerisce notevolmente il tono terroristico delle scritte che compaiono sullo schermo: «He’s listening to every­ thing you say», «He’s hoping you’ll give the game away», «Don’t tell him what you know». A proposito di questa discrasia presente nel tessuto dell’opera di Lye, è inte­ ressante un confronto tra Musical Poster no. 1 e i film canadesi di McLaren. Nei quattro film di propaganda dipinti su pellicola, realizzati da McLaren per il Na­ tional Film Board of Canada, non c’è mai la frattura tra arte astratta e messaggio concreto che caratterizza Musical Poster no. P. McLaren cerca di far scaturire il messaggio in maniera naturale dalle forme, senza dover attaccare in coda una scritta che trasmetta una parola d'ordine che la prima parte del film non veicola­ va. Ma questo non significa affatto che McLaren fosse un propagandista più di­ ligente di Lye. Come vedremo nel prossimo capitolo, McLaren aveva un atteg­ giamento estremamente contraddittorio verso la guerra, e la sua collaborazione alle campagne governative era tutf altro che spontanea e priva di perplessità. 135

McLaren, in fondo, rimase sempre un pacifista, anche durante ia Seconda guer­ ra mondiale. Al contrario, Len Lye, che pure in Musical Poster no. 1 sembra ignorare i doveri imposti dal cinema di propaganda, nel corso del conflitto pre­ sterà servizio come “cineasta organico”, lavorando ai cortometraggi del MOI e agli episodi di “The March of Time”, senza cercare di sfuggire alla terribile real­ tà che lo circondava, come al contrario fece McLaren, emigrato in America nel 1939 proprio per trovare riparo dalla guerra.

Calling Mn Smith è un film molto diverso da Musical Poster no. 1, oltre ad es­ sere un caso del tutto anomalo nel panorama della propaganda cinematografica inglese della Seconda guerra mondiale. Il film, realizzato da due artisti polacchi e prodotto dalla Polish Film Unit (il governo polacco in esilio aveva sede a Lon­ dra), vuole sensibilizzare l’opinione pubblica britannica - Mr. Smith è appunto l’inglese medio - circa le atrocità commesse dai tedeschi in Europa, e in parti­ colare in Polonia.27 Il film ha uno stile composito e affascinante. Si alternano im­ magini live-action rielaborate in modi diversi (virate, sovrimpresse, in negativo, sovraesposte, distorte), fotografie statiche dinamizzate attraverso il movimento della macchina da presa, e tecniche proprie del cinema d’animazione: cut-outs e animazione di oggetti. Il film si apre con una voce off femminile - cosa estre­ mamente rara nel cinema di propaganda - che legge una pagina deìVEnciclope­ dia britannica: nel corso della storia, ci viene detto, ogni popolo ha brillato in una particolare arte. Si passano in rassegna, con una serie di dissolvenze, vari esempi: la Vittoria di Samotracia, il Colosseo (entrambi dei cut-outs), poi la Gio­ conda e un volume di Shakespeare (il quadro è una riproduzione fotografica, mentre il libro è un disegno). La macchina da presa scivola sui vari soggetti con carrellate laterali e verticali. Si passa poi a un esempio tedesco: sulle note della Toccata e fuga n. 565 di Bach, vediamo un organo e una cattedrale gotica. A que­ sto punto compare una svastica e la voce off commenta: «German culture in the XX Century». Si passa a immagini dal vero: soldati tedeschi effettuano un ra­ strellamento; vi sono donne in lacrime, bambini affamati e trucidati. Il com­ mento off, sempre con il sottofondo di Bach, parla di «murder, starvation, atro­ city, the massacre of nations». Le immagini fotografiche sono state fortemente rielaborate, attraverso il viraggio e la so'Vrimpressione di fotogrammi polarizza­ ti agli stessi fotogrammi positivi, in modo tale che ogni figura umana del quadro abbia alle spalle un doppio luminescente, una sorta di fantasma. Quando si arri­ va all’immagine virata in rosso di un bambino morto, con un foro di proiettile nel cranio, una voce maschile grida: «Oh, stop iti». Il film si ferma e la pellico­ la salta: la musica di Bach si interrompe bruscamente, l’immagine ondeggia, poi vediamo la pellicola (con i fotogrammi col bambino) su fondo bianco. La voce maschile si presenta come Mr. Smith e dice che non ne vuole più sapere di sto­ rie di massacri; ma la voce femminile - che si definisce «a woman of tortured Europe» - lo invita a vedere e capire, a rendersi conto della degenerazione della cultura tedesca. Immagini documentaristiche continuano a mostrare la bestiale 136

follia dei tedeschi: folle plaudenti che sventolano bandiere naziste. reparti di SA in marcia, i giovani della Hitlerjugend («boys educated to be killers, torturers, sadists»), città in fiamme, civili impiccati. La voce off dice che i nazisti stanno distruggendo la civiltà e che in Polonia stanno attuando un piano per rendere la popolazione illetterata. La seconda parte del film è dedicata a illustrare questa strategia: chiusura delle università, divieto di suonare musica di compositori po­ lacchi, divieto di leggere o scrivere letteratura polacca. Anche qui vi sono una se­ rie di interessanti invenzioni visive: interazione tra animazione e live-action, so­ vrimpressioni polarizzate, viraggi, sovraesposizioni. Il film termina con una se­ rie di immagini del viso di una bambina avvolta dal buio. Le ultime parole della voce off sono: «Europe is calling you, Mr. Smith». Calling Mr. Smith è un’opera di straordinaria ricchezza estetica, un film che per molti versi anticipa la neo-avanguardia degli anni Sessanta. Accanto a un grande fascino sul piano visivo, Calling Mr. Smith presenta anche un notevole in­ teresse sotto il profilo storico. In primo luogo, si tratta dell’unico film di anima­ zione (e uno dei pochi di qualunque genere) prodotto in Inghilterra, durante la Seconda guerra mondiale, che denunci apertamente i crimini dei tedeschi. Call­ ing Mr. Smith utilizza tutti gli stereotipi di quella hate propaganda che gli uomi­ ni del MOI cercavano di archiviare, e che ne fanno un testo più vicino alla cul­ tura della Prima guerra mondiale che a quella della Seconda. Non a caso si trat­ ta di un film realizzato da cittadini di una nazione in cui l’occupazione tedesca assunse forme feroci. E forse non è neppure un caso che il film non faccia riferi­ mento agli ebrei (Calling Mr. Smith fu iniziato nel 1943, quando informazioni, seppure parziali, sui campi di sterminio erano disponibili nei paesi alleati): la sor­ te degli ebrei trovava scarsa pietà in Polonia, paese dalla lunga tradizione anti-semita, dove molti cooperarono attivamente con i tedeschi alla deportazione. Ma oltre a denunciare i massacri perpetrati dai tedeschi, con immagini che risultano molto forti ancora oggi, Calling Mr. Smith insiste anche sul dato culturale: la Germania, che un tempo ha prodotto l’architettura gotica e la musica di Bach, ora è divenuta una nazione di barbari, che distruggono le opere d’arte. Questa guer­ ra, quindi, è una guerra per la cultura, una guerra in difesa della civiltà. Di nuo­ vo, ci troviamo di fronte a uno stereotipo tipico della Grande Guerra: l’Unno non era solo uno stupratore assassino, ma anche il responsabile della distruzione del­ la biblioteca di Lovanio e della cattedrale di Reims. Calling Mr. Smith, insomma, è l’unico film d’animazione inglese della Se­ conda guerra mondiale che affronti un argomento di vasta portata politico-ideo­ logica, e che inoltre lo faccia attraverso una complessa elaborazione stilistica. In nessun altro film d’animazione britannico troviamo un’analisi complessiva del significato etico della guerra contro la Germania, così come in nessun altro film - ad eccezione di Musical Poster no. 1 - troviamo traccia di sperimentazione lin­ guistica. Non per nulla, Calling Mr. Smith non è opera della Films Division del MOI; e d’altra parte si tratta di un film inglese soltanto sul piano formale, in quanto è stato sì realizzato in Inghilterra, ma da artisti polacchi. 137

Note 1 Per la storia della Seconda guerra mondiale in generale abbiamo utilizzato principalmente: John Keegan, The Price of Admiralty’. The Evolution of Naval Warfare, Harmondsworth, Penguin, 1988; John Keegan, The Second World War, Harmondsworth, Penguin, 1989; Andreas Hillgruber, La distruzione dell’Europa. La Germania e l’epoca delle guerre mondiali (1914-1945), tr. it, Bo­ logna, Il Mulino, 1991; Jeremy Noakes (a cura di ), The Civilian in War. The Home Front in Europe, Japan and the USA in World War 11. Exeter, University of Exeter Press, 1992. Sulla Gran Bretagna in particolare cfr. A.J.P. Taylor, English History, 1914-1945, Oxford, Oxford University Press, 1992, pp. 439-601. Per una guida bibliografica al la storia della Seconda guerra mondiale cfr. John Keegan, The Battle for History’. Re-Fighting World War Two, Toronto, Vintage, 1995. 2 A.J.P. Taylor, English History, cit., p. 445. 3 Sul fronte interno inglese durante la Seconda guerra mondiale cfr. Andrew Thorpe, Britain, in Jeremy Noakes (a cura di), The Civilian in War, cit., pp. 14-34. 4 Sulla propaganda inglese durante la Seconda guerra mondiale cfr.: Ian McLaine, Ministry of Morale. Home Front Morale and the Ministry of Information in World War II, London, George Allen and Unwin, 1979; Michael Balfour, Propaganda in War, 1939-1945. Organisations, Policies and Publics in Britain and Germany, London, Routledge and Keagan Paul, 1979; Robert Cole, Britain and the War of Words in Neutral Europe, 1939-45: The Art of the Possible, New York, St. Martin’s Press, 1990; Nicholas John Cull, Selling War. The British Propaganda Campaign against American '‘Neutrality’” in World War 11, Oxford, Oxford University Press, 1995. 5 Paul Fussell, The Great War and Modern Memory, Oxford, Oxford University Press, 1977, pp. 317-318. 6 II PWE venne creato nel 1943. Prima c’era lo Special Operations Executive, dipendente dal Ministry of Economie Warfare. Il SOE era diviso in due sezioni: SOE1 (propaganda pulita, svolta in territorio nemico od occupato), SOE2 (black propaganda: operazioni clandestine, condotte con l’uso di notizie false). Il PWE nacque da una riorganizzazione del SOE1. 71 responsabili politici e militari britannici degli anni Trenta tendevano a sovrastimare le po­ tenzialità distruttive dei bombardamenti sui centri urbani. L’incondizionata fiducia nella capacità del bombardamento strategico di piegare la volontà di combattere di una nazione è alla base della campagna aerea lanciata dell’aviazione anglo-americana contro la Germania, una campagna alta­ mente sanguinosa, ma che non raggiunse l’obiettivo sperato, ossia la resa del nemico senza che fos­ se necessaria la conquista del suo territorio. Sulla rappresentazione cinematografica della potenza aerea britannica cfr. K.R.M. Short, Screening the Propaganda of British Air Power. From “R.A.F.” (1935) to “The Lion Has Wings” (1939), Trowbridge, Flicks Books, 1997. 8 Sulla propaganda cinematografica inglese nella Seconda guerra mondiale cfr.: Frances Thorpe e Nicholas Pronay, British Officiai Films in the Second World War. A Descriptive Catalogue, Ox­ ford, Clio Press, 1980; Nicholas Pronay e D.W. Spring (a cura di), Propaganda, Politics and Film, 1918-1945, London, MacMillan Press, 1982; Ann Lloyd e David Robinson (a cura di), Movies of the Forties, London, Orbis Publishing, 1982; K.R.M. Short (a cura di). Film and Radio Propa­ ganda in World War 11, Knoxville, University of Tennessee Press, 1983; Anthony Aidgate e Jeffrey Richards, “Britain Can Take It”. The British Cinema in the Second World War, Oxford, Basil Blackwell, 1986; Gianfranco Casadio, Immagini di guerra in Emilia Romagna. I servizi cinemato­ grafici del War Office, Ravenna, Longo Editore, 1987; Philip M. Taylor (a cura di), Britain and thè Cinema in the Second World War, New York, St. Martin’s Press, 1988; Clive Coultass, Images for Battle. British Film and the Second World War 1939-1945, London/Toronto, Associated University Press, 1989; James Chapman, The British at War. Cinema, State and Propaganda, 1939-1945, Lon­ don, I.B. Tauris, 1998. 9 Cfr. Philip M. Taylor (a cura di), Britain and the Cinema in the Second World War. cit. Il vo­ lume di Thorpe e Pronay, pur escludendo i newsreels, è una fonte molto ricca e preziosa, ma spes­ so di non semplice consultazione. 10 Per quanto riguarda i manifesti, oltre ai soliti soggetti patriottici e al “gesto di Kitchener”, troviamo anche alcuni disegni ironici. Vi è, ad esempio, una serie di poster molto divertenti sul te­ ma del careless talk, in cui si vede Hitler - travestito da boccale di birra o da quadro - intento a 138

spiare le conversazioni di ignari cittadini britannici. Cfr. Anthony Rhodes, Propaganda: The Art of Persuasion: World War II. An Allied and Axis Visual Record, 1933-1945. New York, Chelsea House Publishers, 1976, p. 125. " Germany Calling, noto anche come The Panzer Ballet, viene talvolta confuso con Swinging the Lambeth Walk (1939) di Len Lye, che utilizza la stessa musica. Quello di Lye è un film astrat­ to, senza alcun nesso con la guerra. 12 La bibliografia sull’animazione inglese degli anni Quaranta (come sull’animazione inglese in genere, del resto) è quasi inesistente. Le uniche fonti di una qualche consistenza sono: Roger Manvell, Art & Animation. The Story’ of Halas & Batchelor Animation Studio 1940/1980, London, Halas & Batchelor, 1980; Denis Gifford, British Animated Films, 1895-1985. A Filmography, Jef­ ferson (North Carolina), McFarland, 1987. 13 Abbiamo escluso dal calcolo sei bouncing ball shorts del 1940, citati da Gifford, in quanto si tratta di film che fanno un uso limitatissimo dell’animazione, oltre a non avere nulla in comune con l’universo dei cartoons. 14 Cfr. John Halas, Masters of Animation, London, BBC Books, 1987, p. 30. 15 Cfr. Leonard Maltin, Of Mice and Magic. A History of American Animated Cartoons, New York, Plume, 1987, pp. 442-443. 16 Gianni Rondolino, Storia del cinema d'animazione, Torino, Einaudi, 1974, p. 285. 17 Cfr. Anthony Rhodes, Propaganda: The Ait of Persuasion, cit., p. 186. 18 Lo studio Halas & Batchelor fece anche due film di “intrattenimento educativo” per il War Office, sul modello della serie di Snafu: Tommy ’s Double Trouble (1945) e Six Little Jungle Boys (1945). I due cortometraggi servivano a istruire i soldati che combattevano in Estremo Oriente sui pericoli della giungla (serpenti, malaria) e sulle malattie veneree. Purtroppo gli archivi londinesi non conservano copie di questi due film. 19 Erwin Panofsky, Style and Medium in the Motion Pictures, in Daniel Talbot (a cura di), Film: An Anthology, Berkeley, University of California Press, 1959, p. 23, nota 1. Il saggio, originaria­ mente il testo di una conferenza tenuta da Panofsky alla Princeton University nel 1934, era già ap­ parso in “Critique”, gennaio-febbraio 1947. 20 Cfr. John Keegan, The Second World War, cit., pp. 325-327, 330. 21 II film, prodotto dalla Incom, è conservato presso l’istituto LUCE, che lo ha anche distribui­ to su supporto magnetico. 22 Cfr. Denis Gifford, British Animated Films, 1895-1985, cit., p. 122. 231 tre film sono conservati presso il BFI. 24 Per un’introduzione al problema della convenzionalità dei segni iconici cfr. Umberto Eco, La struttura assente, Milano, Bompiani, 1989, pp. 107-121. 25 Sull’approccio proposto da Neurath al progetto della Unified Science, cfr. i due saggi del fi­ losofo - Protocol Sentences e Sociology and Physicalism, scritti nei primi anni Trenta - raccolti in Alfred J. Ayer (a cura di), Logical Positivism, New York, Free Press, 1959, pp. 199-208, 282-317. Sul neopositivismo in generale ci siamo basati sul classico Alfred J. Ayer, Linguaggio, verità e lo­ gica, tr. it., Milano, Feltrinelli, 1987 [I ed.: 1936]. 26 Su Len Lye cfr.: “Film Culture”, n. 29, estate 1963, pp. 38-45 (comprende un articolo firma­ to da Lye e un’intervista al regista); Len Lye, Figures of Motion. Selected Writings (a cura di Wystan Curnow e Roger Horrocks), Auckland, Auckland University Press, 1984. Vedi anche Jonathan Dennis e Sergio Toffetti (a cura di), Te Ao Marama - Il mondo della luce. Il cinema del­ la Nuova Zelanda, Torino, Le Nuove Muse, 1989. 27 L’unica indicazione bibliografica che abbiamo reperito su Stefan e Franciszka Themerson è: Jo Cornino, The Urge to Create Visions, “Monthly Film Bulletin”, n. 594, luglio 1983, p. 200.

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Capitolo V

Canada 1939-1945

1. Il Canada durante la Seconda guerra mondiale

Il Canada dichiarò guerra alla Germania il 10 settembre 1939, sette giorni dopo la Gran Bretagna. Il governo di Ottawa si schierò immediatamente a fianco dell’In­ ghilterra nella lotta contro il nazismo, continuando così a seguire la linea che ave­ va caratterizzato la politica estera del Canada a partire dalle origini. Infatti, dal 1867, anno di fondazione della federazione canadese, sino alla guerra di Corea, il Canada ha partecipato a tutti i principali conflitti in cui è stata coinvolta la Gran Bretagna. I canadesi, memori dell’alto prezzo di sangue pagato nella Grande Guerra, accolsero il coinvolgimento nel conflitto europeo senza l’entusiasmo del 1914, ma era impensabile che il Canada rimanesse neutrale mentre la Gran Breta­ gna correva un rischio mortale. Negli anni Quaranta, il senso della solidarietà im­ periale e il legame ideale con l’Inghilterra erano sentimenti molto forti nei domin­ ions britannici, che sostennero tutti la madre patria sin dall’inizio delle ostilità. Il Canada svolse una funzione chiave nello sforzo bellico inglese, soprattutto nei primi anni di guerra, quando l’Inghilterra si trovò sola contro la Germania. I canadesi, le cui fabbriche erano al riparo dai bombardamenti tedeschi, riforni­ vano la Gran Bretagna di materie prime, cibo, armi. Le forze aereo-navali cana­ desi erano in prima linea nella battaglia dell’Atlantico, in cui gli U-Boot tedeschi cercavano di tagliare i rifornimenti che arrivano in Inghilterra dagli Stati Uniti e dai vari territori dell’impero. Fino al 1943 le unità di terra canadesi ebbero un’importanza marginale: mentre australiani, neozelandesi, sudafricani e indiani combattevano in Africa e in Asia, i canadesi svolgevano quasi esclusivamente compiti di guarnigione in Gran Bretagna. L’unica azione militare che vide una massiccia presenza dei soldati canadesi fu il disastroso raid di Dieppe dell’ago­ sto del 1942. A partire dal 1943 il livello di partecipazione dell’esercito canade­ se crebbe enormemente: la presenza dei canadesi nella campagna d’Italia fu piut­ tosto rilevante, le divisioni canadesi ebbero un ruolo di primo piano nello sbarco in Normandia e nella successiva campagna che portò alla liberazione dell’Euro­ pa occidentale. La scelta presa dal governo di Mackenzie King di appoggiare la Gran Breta­ gna non fu priva di ostacoli. In primo luogo i sentimenti di solidarietà imperiale 141

cui si è fatto riferimento riguardavano solo la popolazione di lingua inglese: la minoranza francofona, da sempre esclusa dalla gestione della politica nazionale, era decisamente restia a partecipare alla guerra. Al di là della presenza rumoro­ sa, ma numericamente esigua, del Parti National Social Chrétien, di tendenze apertamente fasciste, i franco-canadesi, che rappresentavano il 30% della popo­ lazione del paese, non erano filo-tedeschi, ma comunque rifiutavano l’idea di es­ sere costretti a combattere quella che in molti vedevano come una “guerra ingle­ se”. Nel 1917 in Québec l’introduzione della coscrizione obbligatoria aveva pro­ vocato tumulti di piazza e diserzioni di massa. Durante la Seconda guerra mon­ diale quella della leva si propose nuovamente come una questione politica scot­ tante. La coscrizione venne introdotta nel 1942, ma fu applicata per il servizio ol­ tremare soltanto nel 1944 - per colmare i vuoti causati dalle pesanti perdite su­ bite dall’esercito canadese in Francia - e questo provocò una nuova conscription crisis, benché di intensità minore rispetto a quella del 1917. Al di là della presenza di sentimenti isolazionisti o anti-britannici, il Québec degli anni Trenta-Quaranta era una società fortemente conservatrice, dominata da una Chiesa e da un'élite politico-culturale che non facevano mistero delle loro simpatie per il Portogallo di Salazar, nonché - fino al 1940 - per l’Italia di Mus­ solini. Durante la guerra civile spagnola l’opinione pubblica franco-canadese era stata in maniera preponderante a favore di Franco, e l’antisemitismo - seppure mai virulento - era un fenomeno piuttosto diffuso, ben al di là dei ristretti circo­ li filo-fascisti. La Chiesa, la più potente istituzione del Québec, non boicottò lo sforzo bellico, anzi appoggiò la coscrizione obbligatoria, ma certamente la cul­ tura cattolico-tradizionalista della maggior parte dei franco-canadesi non ne fa­ ceva dei combattenti ideali della causa anti-fascista. Se il Québec era la provincia più avversa alla guerra, bisogna osservare che anche nel Canada anglofono tra il 1933 e il 1939 soltanto una minoranza della società, rappresentata dai (piccoli) partiti di sinistra e da settori della chiesa pro­ testante, prese apertamente posizione contro il nazismo. Il grosso dell’opinione pubblica appoggiava la politica estera di Mackenzie King, che - in perfetta sin­ tonia con Chamberlain - predicava l'appeasement con la Germania. Inoltre le persecuzioni razziali del regime hitleriano, benché trovassero un consenso espli­ cito molto limitato, non incontravano particolare ostilità neppure nel Canada an­ glofono, in cui l’anti-semitismo era abbastanza diffuso, anche se in forma mino­ re rispetto al Québec. Negli anni Trenta il governo canadese - sostenuto dalla maggioranza dell’opinione pubblica - rifiutò il visto di ingresso a migliaia di ebrei in fuga dall’Europa centrale.1 Dopo l’entrata in guerra del Giappone, altri territori dell’impero britannico - India e Australia in primo luogo - si trovarono sotto il pericolo di un attacco diretto da parte delle forze dell’Asse, cosa che il Canada (se si esclude l’attività dei sottomarini tedeschi al largo della costa atlantica) non sperimentò mai. Que­ sto non portò alla diffusione di idee isolazioniste: il legame storico tra Canada e Gran Bretagna era troppo forte perché nascesse un movimento analogo all’Ame­ 142

rica First, che negli Stati Uniti, fino al 11941, combattè duramente la politica in­ terventista di Roosevelt. In sostanza, in assenza di una concreta minaccia alla si­ curezza nazionale e di una robusta tradizione anti-fascista, l’unico fattore che spingeva i canadesi a battersi contro la Germania era la lealtà verso l’Inghilterra. Progressivamente, però, il conflitto si trasformerà da una guerra “per l’In­ ghilterra” in una guerra “canadese”, una guerra per la democrazia e per la co­ struzione di un futuro di pace e prosperità, sulla falsariga del programma rooseveltiano. Come negli Stati Uniti, in Canada gli anni 1940-’45 videro una forte crescita economica, che chiuse il decennio di miseria e disoccupazione provoca­ te dalla Depressione. La guerra acquistò così un nuovo valore: l’obiettivo non era semplicemente la sconfitta del nemico, bensì anche la preservazione di questo nuovo benessere dopo la resa delle potenze dell’Asse. Ma nel 1939 la guerra è ancora esclusivamente una guerra in sostegno dell’Inghilterra. Ed è evidente che in un contesto socio-politico di questo tipo si pose immediatamente il problema dell’organizzazione del consenso. Per creare un fronte interno compatto e deter­ minato, per fare accettare alla popolazione i sacrifici della guerra totale era ne­ cessario spiegare ai canadesi i motivi, sia pratici che ideali, della partecipazione ad un conflitto così lontano dal punto di vista geografico. Il governo di Mac­ kenzie King ebbe la fortuna di avere a disposizione un uomo dalle doti eccezio­ nali come John Grierson, che nel giro di pochi anni riuscì a creare una delle più efficaci strutture propagandistiche della Seconda guerra mondiale.2

2. John Grierson e il National Film Board of Canada Grierson era stato invitato in Canada nel 1938, per stilare una relazione sulle mo­ dalità di rilancio della produzione cinematografica governativa. Alla fine degli anni Trenta, in Canada la situazione dell’industria cinematografica, sia privata che pubblica, era disastrosa. L’introduzione del sonoro e la crisi del 1929 si era­ no sommate ai due problemi storici della produzione canadese: la vicinanza de­ gli Stati Uniti e la naturale precarietà del mercato cinematografico del Canada, costituito da una popolazione ridotta, sparsa su un territorio enorme, e che inol­ tre parlava due lingue diverse. Nel periodo immediatamente successivo alla Pri­ ma guerra mondiale, le piccole compagnie canadesi erano state quasi totalmente eliminate dalla concorrenza hollywoodiana. Nel British Columbia si giravano molti film, ma si trattava di quota quickies, pellicole formalmente canadesi pro­ dotte dalle Majors americane per aggirare le leggi inglesi sulle quote.3 Sia il governo federale che quelli provinciali avevano iniziato molto presto a interessarsi al cinema: già negli anni Dieci venivano realizzati film per promuo­ vere le esportazioni canadesi e per attirare coloni dall’estero. Nel 1924 viene creato il Canadian Government Motion Picture Bureau, con lo scopo di produr­ re film informativi e pubblicitari. Nel corso degli anni Venti il Bureau raggiunge livelli qualitativi molto elevati nel campo del cinema educativo. L’avvento del 143

sonoro, però, crea una situazione di grave ritardo tecnico, difficilmente colmabi­ le nel contesto della Depressione, che impone tagli pesantissimi al bilancio del Bureau, il quale continua a fare film muti fino al 1935. Quando Grierson arriva in Canada, il Bureau ha ormai un’attività molto limitata.4 In seguito alla presentazione della relazione di Grierson, nel maggio del 1939 viene istituito il National Film Board of Canada, che originariamente doveva es­ sere solo una struttura di consulenza e coordinamento, avente come braccio pro­ duttivo il Motion Picture Bureau.5 Lo scoppio della guerra accelera lo sviluppo del NFB e impone una revisione complessiva dei piani originari, che puntavano essenzialmente ad un’azione di promozione economico-commerciale: la propa­ ganda bellica diventa ovviamente l’attività principale (anche se mai esclusiva). In assenza di un candidato canadese all’altezza del compito, nell’ottobre del 1939 Grierson viene nominato commissario temporaneo per sei mesi (manterrà poi la carica fino alla fine del conflitto). All’inizio il NFB ha un’esistenza piut­ tosto difficile: i mezzi e il personale sono ridotti, la convivenza con il Motion Picture Bureau è fonte di rivalità e disfunzioni. Nel giugno del 1941 il Motion Picture Bureau viene assorbito dal National Film Board, che si pone come l’uni­ ca struttura cinematografica pubblica, alle dirette dipendenze del Ministry of National War Services. A partire da questo momento il Board diventa pienamen­ te operativo e il suo staff cresce progressivamente dai 40 impiegati del 1941 ai più di 700 del 1945.6 Dopo il difficile rodaggio del periodo 1939-’4O, il NFB. sotto la guida auto­ cratica di Grierson, divenne una delle migliori agenzie cinematografiche pubbli­ che della guerra, con standard qualitativi molto alti, riconosciuti anche da Holly­ wood, che certo praticava un genere di c inema del tutto diverso. Non per nulla il documentario canadese Churchill’s Island (1941), sulla battaglia d’Inghilterra, ottenne un Oscar. Gli sforzi del Board vanno in due direzioni principali: da un la­ to informare il pubblico canadese sulla natura del nemico, sulla guerra e sul ruo­ lo che in essa ha il Canada, dall’altro promuovere specifici comportamenti col­ lettivi (acquistare i buoni di guerra, risparmiare certi materiali, non diffondere notizie di carattere militare, ecc.). Il NFB realizza due grandi cinegiornali men­ sili: “Canada Carries On”, incentrato sui problemi canadesi, e “The World in Ac­ tion”. di respiro internazionale e distribuito negli Stati Uniti, in America Latina e nei vari paesi dell’Impero britannico. Il Québec ha un suo cinegiornale, “Les reportages”, varato dopo che risultò chiaro che il pubblico francofono non si ri­ conosceva nei newsreels anglo-canadesi doppiati in francese. Vengono prodotti anche alcuni cinegiornali minori, indirizzati a particolari categorie sociali, come gli operai delle industrie belliche o i soldati al fronte. Se i cinegiornali rappre­ sentano la dimensione informativa dell’attività del Board, quella più schietta­ mente propagandistica è costituita da una grande quantità di cortometraggi, mol­ ti dei quali di animazione, che trasmettono le parole d’ordine del governo. Cinegiornali e cortometraggi di propaganda costituiscono il grosso della pro­ duzione del periodo bellico, ma il Board realizza anche altri generi di film: train144

ing films per le forze armate,7 film per il ministero dell’agricoltura o per quello della sanità, documentari per le scuole, animazione di intrattenimento. Grierson insisteva spesso sul fatto che il lavoro del NFB sarebbe continuato anche dopo la guerra, e dunque molti film - soprattutto a partire dal 1944, quando la vittoria sembra ormai certa - non hanno soggetto bellico, ma guardano già alla pace che verrà. D’altra parte, il Board, che era nato ufficialmente prima dello scoppio del conflitto, in origine aveva compiti civili: per molti versi la guerra non è che una parentesi nella sua storia. Non a caso, mentre in Gran Bretagna e negli Stati Uni­ ti le strutture che svolsero i compiti assolti in Canada dal Board vennero sciolte dopo il 1945, proprio perché legate alla contingenza bellica, il NFB ha continua­ to a operare sino a oggi, ponendosi come un modello insuperato di produzione cinematografica pubblica. I film del Bioard venivano distribuiti sia nelle sale commerciali, sia attraverso un’ampia rete non-theatrical, fatta di proiezioni or­ ganizzate nelle chiese, nelle fabbriche, nei villaggi, dove arrivavano i proiezioni­ sti viaggianti - circa 170 - che portavano il cinema negli angoli più remoti del­ l’immenso territorio canadese. Per molte persone in Canada le proiezioni itine­ ranti del NFB rappresenteranno la prima occasione per vedere un film sonoro, se non addirittura un film tout court. Si noti che mentre in Gran Bretagna i film del Ministry of Information erano distribuiti gratuitamente, gli esercenti pagavano per proiettare “Canada Carries On” e “The World in Action”, segno chiarissimo della popolarità di questi cinegiornali. La nomina di Grierson, cittadino britannico, a commissario del NFB fu molto gradita al governo di Sua Maestà, che vedeva nel Canada una piattaforma da cui lanciare una campagna anti-isolazionista negli Stati Uniti. In effetti, sin dall’ini­ zio i due obiettivi di fondo di Grierson (che fino al 1941 continua a lavorare an­ che per 1’Imperial Relations Trust inglese) furono da un lato la mobilitazione del popolo canadese, dall’altro la crescita di sentimenti interventisti e favorevoli alla causa britannica negli Stati Uniti. L’amministrazione Roosevelt avvisò subito sia gli inglesi che i canadesi di non utilizzare i metodi applicati durante la Prima guer­ ra mondiale, che sarebbero stati sicuramente controproducenti. “The World in Ac­ tion” riscosse grande successo negli Stati Uniti, e a volte fu addirittura considera­ to superiore a “The March of Time” (il cinegiornale per antonomasia), oltre che per la sua alta qualità tecnica, proprio per l’assenza di campanilismo. I film del Board mostravano il punto di vista canadese sulla guerra, ma senza demonizzare il nemico, né nascondere le difficoltà in cui si trovavano le forze alleate. Tra il 1943 e il 1944 Grierson fu anche al vertice del Wartime Information Board, l’agenzia governativa preposta alla propaganda di guerra, riuscendo così ad avere il totale controllo della propaganda bellica canadese. L’esperienza nord­ americana di Grierson è per molti versi la realizzazione di idee e progetti da lui elaborati in Gran Bretagna nel decennio precedente, quando non ebbe mai né il potere né il pubblico di cui disporrà in Canada. La parola “propaganda” è uno dei termini chiave del lavoro di Grierson già negli anni Trenta e la guerra gli offre la 145

possibilità di sperimentare tutte le potenzialità del cinema come strumento di per­ suasione e informazione. La lunga attività di Grierson come “propagandista cine­ matografico”. prima in Gran Bretagna e poi in Canada, è stata oggetto di molte analisi. Soprattutto le idee politiche del fondatore, nonché - insieme a Paul Rotha - massimo teorico, del documentary movement, sono state al centro di in­ terpretazioni spesso contrastanti. Gary Evans, che ha studiato con molta attenzio­ ne la storia del National Film Board of Canada durante la Seconda guerra mon­ diale, vede in Grierson un liberal} Peter Morris, uno dei principali storici del ci­ nema canadese, e Joyce Nelson, invece, definiscono Grierson un neo-conservatore, sollevando addirittura l’accusa di filo-nazismo.9 Non è nostro compito analiz­ zare in dettaglio la figura di Grierson, né dare conto delle molteplici letture che questa ha suscitato; è però necessario illustrare in breve la concezione griersoniana della propaganda, in quanto la personalità di Grierson permeò in maniera for­ tissima tutta la produzione del NFB negli anni della Seconda guerra mondiale.10 L’idea di fondo attorno a cui ruotano il pensiero e l’attività di Grierson è la consapevolezza che il liberalismo ottocentesco non sia uno strumento adeguato ad affrontare i problemi della società di massa, e che soprattutto non possa reg­ gere il confronto con i sistemi dittatoriali sorti in Europa dopo la Prima guerra mondiale. Grierson ha la chiara percezione che, per usare una nota espressione di Walter Benjamin, l’“estetizzazione della politica” attuata dal nazismo debba trovare una risposta innovativa nel campo democratico, una risposta che vada al di là del parlamentarismo ereditato dal XIX secolo." In un mondo sempre più complesso, in cui non solo le masse, ma anche i dirigenti politici spesso non di­ spongono delle informazioni necessarie per esprimere un giudizio, la circolazio­ ne del sapere, delle notizie (Grierson parla di educazione), diventa un momento centrale nel coinvolgimento dei cittadini nella vita nazionale in tempo di pace, nonché nella loro mobilitazione in modo consapevole e volontario durante la guerra. Secondo Grierson lo strumento principe per la diffusione delle notizie è l’arte del XX secolo: il cinema. Morris afferma a più riprese che il modello di Grierson sarebbe quello totali­ tario dell’adesione fideistica delle masse agli slogan lanciati dal vertice, ma se analizziamo la produzione del Board degli anni 1941-’45 ci accorgiamo di come questa sia caratterizzata dalla netta volontà di operare sia sul piano emotivo, sia su quello razionale. Grierson ha compreso la natura delle dittature fasciste, che veicolano i propri messaggi attraverso un apparato retorico di grande suggestio­ ne, che trascura del tutto - e anzi disprezza - le capacità intellettuali del destina­ tario. Ma se Grierson è consapevole che il discorso razionale di matrice positivi­ sta non è sufficiente a combattere quella che Mosse chiama la “nuova politica”,12 questo non significa che egli sposi completamente le tesi del dottor Goebbels; l’obiettivo è piuttosto una difficile sintesi tra suggestione emotiva e persuasione razionale, tra efficienza tecnocratica e processo democratico. Grierson non ha paura della parola “propaganda”: per lui le democrazie, che mancano di stru­ menti coercitivi, hanno ancora più bisogno di propaganda di quanto ne abbiano 146

le dittature, perché per le democrazie la propaganda è l’unico mezzo per convin­ cere i cittadini, di cui i governi devono avere la totale collaborazione se voglio­ no vincere la guerra. Questa “via nuova” alla democrazia ipotizzata da Grierson presenta alcune af­ finità con il New Deal, in cui è reperibile proprio il tentativo di adattare la filo­ sofia liberal-democratica, di origine sette-ottocentesca, alla realtà della società di massa del Novecento. Nella politica americana degli anni Trenta ritroviamo la convivenza di emozione e ragione di cui abbiamo parlato a proposito delle ela­ borazioni griersoniane: le “chiacchiere accanto al caminetto” di Roosevelt sono la risposta liberale all’oratoria hitleriana.13 Non a caso, il programma del New Deal è per molti versi il modello di Grierson: economia di mercato con forme di regolamentazione governativa in politica interna, internazionalismo democratico in politica estera. Il Board fece proprio il discorso delle “quattro libertà” di Roo­ sevelt: il mondo del dopo-guerra ipotizzato dai cinegiornali canadesi è un mon­ do in pace e prosperità, fondato sul principio della sicurezza collettiva, senza bar­ riere né per gli uomini, né per le merci. Definire Grierson un conservatore, come fanno Morris e Nelson (la seconda rielaborando ed esasperando le tesi del primo), mi sembra molto discutibile. L’a­ nalisi di Morris è estremamente ricca, ma si basa più sugli scritti di Grierson che sui film; inoltre, vagliando il retrotenra culturale di Grierson, Morris opera un’equazione piuttosto discutibile: Walter Lippmann era una neo-conservatore, Grierson è stato allievo di Lippmann, ergo Grierson è un neo-conservatore. Il saggio della Nelson, invece, è viziato dalla capziosità e dalla totale assenza di prospettiva storica che sono proprie della moda nord-americana del politically correct', analizzando la produzione del Board avremo modo di confutare alcune delle tesi della Nelson. In ogni caso, al di là dell’esegesi più attenta degli scritti di Grierson o dei film da lui prodotti, ci sono una serie di fatti della storia del NFB che sono sufficientemente eloquenti. Lo staff del Board abbondava di rad­ icals di varia matrice, tutti assunti da Grierson, tanto che il NFB negli ambienti conservatori fu sempre guardato con diffidenza come un “covo di comunisti”. Gli unici casi di censura governativa nei confronti dei film del Board riguarda­ rono documentari considerati troppo filo-sovietici o anti-britannici (per la politi­ ca schiettamente imperialista di Churchill nell’area balcanica). Grierson - su cui l’FBI di J. Edgar Hoover aveva aperto un fascicolo già nel 1942 - a guerra fini­ ta dovette abbandonare il Canada in seguito all’accusa di essere comunista, ac­ cusa che nei clima paranoico della guerra fredda gli impedì di tornare a lavorare in Nord America fino al 1969, quando venne chiamato a tenere un corso alla McGill University di Montréal. La creazione del NFB è un punto di svolta nella storia del cinema canadese: per la prima volta si crea in Canada un forte centro produttivo, autonomo - sia sul piano economico che su quello culturale - rispetto agli Stati Uniti. Per ciò che ri­ guarda il cinema di animazione in particolare, la sua nascita in Canada coincide 147

largamente con quella del Board. Prima del 1939 erano stati realizzati alcuni film di animazione, ma si tratta di opere di art isti isolati, incapaci di dar vita a una pro­ duzione men che episodica. Scrive in proposito Louise Beaudet, una delle mas­ sime conoscitrici dell’animazione canadese: Officiellement, la naissance de 1’animation au Canada coincide avec la création du stu­ dio d’animation de l’Office National du Film. On lui en concède volontiers le berceau. Néanmoins, pour satisfaire entièrement à la vérité, il importe de dévoiler que dès avant 1920, Walter Swaffield et Harold Peberdy à Toronto, Loucks et Norling à Winnipeg, Bert Cob, produisaient des films image par image. Ces premiers travaux, évidemment, n’ont constitué que des cas isolés et ces faits ne sont connus que depuis peu.14

Raoul Barre, uno dei pionieri del cinema di animazione, era nato a Montréal, ma si trasferì a New York nel 1913, e tutta la sua camera si svolse negli Stati Uni­ ti. In questo senso è corretto affermare che l’istituzione del NFB e il successivo arrivo di Norman McLaren a Ottawa segnarono, di fatto, la genesi dell’anima­ zione canadese.15 Come abbiamo avuto modo di vedere nel terzo capitolo, McLaren era una vecchia conoscenza di Grierson, che nel 1936 lo aveva assunto presso la Film Unit del General Post Office, dove il giovane artista scozzese lavorò fino al 1939, anno in cui lasciò la Gran Bretagna per gli Stati Uniti. Nel 1941 McLaren si tro­ vava a New York, dove aveva realizzato alcuni film per il Guggenheim Museum, quando ricevette l’offerta di Grierson di occuparsi dell’animazione del Board. Per supplire alla carenza di personale canadese preparato, Grierson portò al NFB diversi cineasti inglesi che avevano lavorato con lui negli anni Trenta. Oltre a McLaren, Grierson assunse Stuart Legg, un veterano del General Post Office, il quale divenne responsabile di “Canada Carries On” e di “The World in Action”. Uno dei compiti di Legg e McLaren era proprio quello di addestrare giovani cana­ desi, che spesso non avevano alcuna esperienza cinematografica. Buona parte del­ la prima generazione di animatori canadesi - Evelyn Lambart, George Dunning, Grant Munro, Jim MacKay, René Jodoin, Jean-Paul Ladouceur - si è formata sot­ to il magistero di McLaren.16 L’Animation Department nacque soltanto nel 1943, ma il Board iniziò a pro­ durre animazione già a partire dal 1941, quando divenne una struttura pienamen­ te operativa. Nel corso della Seconda guerra mondiale gli animatori del NFB rea­ lizzarono una settantina di film, oltre ai titoli e alle mappe animate per i cine­ giornali. Non è possibile fornire il numero preciso dei film realizzati, perché i due cataloghi del NFB (uno in volume cartaceo e l’altro su CD-Rom) sono talvolta lacunosi e contraddittori circa la produzione dei primi anni.17 Inoltre, gli archivi del Board - che è un ente preposto in primo luogo alla produzione e non alla con­ servazione - non dispongono di tutti i film del periodo 1939-’45 citati nel cata­ logo: le pellicole che mancano potrebbero essere andate perdute nei meandri dei ministeri che le commissionarono, oppure distrutte nell’incendio che divampò nel 1967 in uno dei magazzini del Board. Lavorando sia sul catalogo cartaceo, sia 148

sulla versione in CD-Rom (i due cataloghi presentano alcune differenze tra loro), abbiamo raggiunto il numero indicativo di 70 film di animazione realizzati du­ rante la Seconda guerra mondiale.18 Poiché il totale dei film realizzati dal Board tra il 1939 e il 1945 si aggira attorno ai 600 titoli, l’animazione rappresenta più del 10% della filmografia complessiva. Nell’arco degli anni 1941-’45 la produ­ zione di film di animazione si distribuisce in base alla seguente tabella. Produzione complessiva

Film di propaganda

1941 1942 1943 1944 1945

4 15 16 26 9

3 14 16 17 5

Totale

70

55

Come si può osservare, fino al 1943 la quasi totalità dei film è rivolta allo sforzo bellico. Gli unici due film non legati alla guerra sono Mail Early (1941) di McLaren e Marching the Colours (1942) di Guy Glover. Mail Early, il primo film realizzato da McLaren al NFB, è uno spot per le Poste. Marching the Colours è un film astratto, realizzato senza macchina da presa, dipingendo diret­ tamente sulla pellicola. La netta crescita dei film non legati alla guerra nel bien­ nio 1944-’45 è dovuta al lancio delle due serie “Chants populaires’’ e “Let’s All Sing Together”, supervisionate da McLaren, che è anche autore di due film (C’est l’Aviron e Là-haut sur ces montagnes, entrambi del 1945). Come si evince dai ti­ toli, si tratta di film ispirati a canzoni della tradizione folclorica del Québec e del Canada anglofono. Questi film, che risultarono estremamente popolari, rientra­ vano nella politica di Grierson di stimolare anche una produzione “di pace”, so­ prattutto negli anni 1944-’45, quando la vittoria appariva ormai certa.

3. Walt Disney e il National Film Board of Canada Benché gli anni della guerra vedano la nascita dell’animazione canadese, che do­ po la fine del conflitto si imporrà nel panorama internazionale come una delle scuole più innovative, tra i primi film di animazione prodotti dal Board troviamo cortometraggi realizzati non a Ottawa, bensì in California. Agli inizi del 1941 la Gran Bretagna e i suoi alleati si trovavano soli contro la Germania, che sembra­ va a un passo dal vincere la guerra; Grierson aveva bisogno di materiale propa­ gandistico efficace e disponibile in tempi brevi. Dunque, non c’è da stupirsi se il commissario del NFB si rivolse al più importante studio di animazione del con­ tinente nord-americano: i Walt Disney Studios di Burbank. 149

Joyce Nelson dà di questo episodio * un’interpretazione così “politicamente corretta” da sfiorare il ridicolo. Secondo la Nelson, chiedendo alla Disney di rea­ lizzare quattro cartoons di promozione per i war savings certificates e un train­ ing film per l’esercito (che peraltro non menziona), Grierson avrebbe agito in ma­ niera anti-nazionale, filo-fascista e anti-sindacale; inoltre, per la Nelson il sem­ plice fatto di realizzare una co-produzione con Hollywood è di per sé un atto estremamente grave. Scrive la studiosa canadese: According to Hardy, «In July 1941 he [Grierson] was on his way to Hollywood to arrange for Walt Disney to produce four films persuading Canadians to hold on to their War Sav­ ings Certificates.» Perhaps Grierson felt that Canadian filmmakers were not skilled enough for such a task. Walt Disney’s right-wing proclivities had begun to reveal themselves by at least 1939, when Leni Riefenstahl, «the leading propagandist for the Third Reich», visited Holly­ wood as Disney’s guest. [...] By a simple twist of fate, Grierson was also a friend of Riefenstahl, «from whose shoe he is said to have once drunk champagne at a party at the French Club in London». By 1940, Disney was adamant about keeping trade unionism out of his sizable stu­ dios. [...] The situation at the Disney Studios became increasingly untenable, and a strike was called on May 29, 1941. [...] The dates of the strike indicate that Grierson’s July vis­ it to arrange four Disney-NFB coproductions occurred in the middle of the standoff. Ap­ parently, not only Grierson feel untroubled about using NFB funding to finance Holly­ wood coproductions, but he was quite willing to cross the picket line to do so.'9 [corsivo nostro]

L’idea che Grierson, rivolgendosi alla Disney, abbia implicitamente umiliato gli animatori canadesi è assolutamente infondata, per la semplice ragione che nel 1941 c’erano ben pochi animatori canadesi da umiliare. Come si è visto, l’ani­ mazione canadese nasce con l’arrivo a Ottawa di Norman McLaren, nella metà del 1941. Grierson metterà immediatamente McLaren a lavorare su soggetti di propaganda e lo incoraggerà a formare la prima generazione di animatori cana­ desi. Se il NFB è diventato uno dei più importanti centri di produzione di film di animazione nel mondo, lo si deve non solo alla genialità di McLaren, ma anche alia lungimiranza di Grierson, che diede mano libera al giovane artista scozzese. Grierson ricorse all’aiuto della Disney perché all’epoca il NFB non aveva anco­ ra un Animation Department. La seconda accusa - quella di filo-nazismo - si fonda su un’argomentazio­ ne assai discutibile tanto sul piano logico, quanto su quello storiografico. Le tendenze politiche di destra di Walt Disney sono fuori dubbio, ma questo non significa che egli fosse un simpatizzante del nazismo.20 Disney fu uno dei pochi membri della comunità hollywoodiana a ricevere la Riefenstahl, ma non biso­ gna dimenticare che il viaggio americano della grande documentarista tedesca avvenne prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, nel novembre-di­ cembre 1938 (e non nel 1939, come scrive la Nelson).21 Durante il conflitto - e anche quando gli Stati Uniti erano ancora neutrali: lo attestano proprio i film 150

per il Board - la Disney dimostrò sempre un forte impegno anti-fascista. Anzi - lo si vedrà nel capitolo successivo - lo studio Disney sarà quello che tratterà il pericolo del nazismo in maniera più consapevole e articolata. Nel 1930 Disney si incontrò con Sergej M. Ejzenstejn, uno dei suoi più grandi ammiratori, ma que­ sto non significa certo che il padre di Mickey Mouse fosse marxista. Accostare il nome di Disney a quello della Riefenstahl è solo un modo per fare di Disney un intoccabile, un personaggio ambiguo' con cui nessun sincero democratico do­ vrebbe collaborare. Per completare il quadro delle relazioni pericolose, la Nel­ son afferma che lo stesso Grierson fosse in buoni rapporti con la Riefenstahl; ma usare frasi come «si dice che Grierson abbia bevuto champagne dalla scarpa del­ la Riefenstahl» significa fare la storia con i pettegolezzi, anziché con i docu­ menti. Da ultimo, la Nelson cita il famoso sciopero dei disegnatori della Disney. In primo luogo ritrarre Grierson come un crumiro è una palese forzatura: non solo egli era un produttore cinematografico di un’altra nazione, senza vincoli di soli­ darietà con i lavoratori della Disney, ma la sua offerta di co-produzione non ave­ va rapporto alcuno con la vertenza sindacale. In secondo luogo, l’affermazione della Nelson esemplifica perfettamente la totale mancanza di prospettiva storica propria di quella che Robert Hughes chiama la “cultura del piagnisteo”.22 Non si può giudicare un avvenimento del passato esclusivamente in base ai valori del presente, a prescindere dal contesto storico in cui l’avvenimento in questione si verificò. Nel luglio del 1941 Grierson aveva ben altri problemi che lo sciopero dello studio Disney. All’epoca - lo ripetiamo - la Germania era all’offensiva su tutti i fronti, le città britanniche erano state devastate dai bombardamenti tede­ schi, le linee di collegamento che portavano rifornimenti in Inghilterra erano sot­ to continuo attacco, e il governo canadese aveva un bisogno disperato di stru­ menti con cui rafforzare il morale del fronte interno. Disney era in grado di for­ nire film di propaganda di alto livello e i n tempi rapidi: per questa ragione il NFB si rivolse a lui.

Come segnala Richard Shale, l’origine della collaborazione tra Walt Disney e il Board va ricercata in un film di istruzione che lo studio di Burbank aveva rea­ lizzato per gli impiegati della Lockheed Aircraft Corporation, Four Methods of Flush Riveting (1941).23 Il film non venne prodotto su richiesta della Lockheed, ma su iniziativa di Disney, che cercava di dimostrare le potenzialità didattiche dell’animazione. Il 3 aprile 1941 Disney organizzò un incontro con personalità politiche e dirigenti dell’industria aeronautica, nel corso del quale vennero proiettate parti di alcuni film di intrattenimento e Four Methods of Flush Rivet­ ing. Alla conferenza prese parte anche John Grierson, che apprezzò molto la ca­ pacità del film di animazione di presentare in maniera semplice ed efficace i problemi di natura tecnica. Shale nota giustamente che Grierson fu il più entu­ siasta tra i partecipanti alla riunione in quanto rappresentante di un paese in guerra: il governo degli Stati Uniti si rivolgerà a Disney solo dopo Pearl Harbor. 151

L’esito finale dell’incontro fu una commessa per la Disney, cui Grierson chiese di realizzare quattro spot di promozione per il credito di guerra canadese e un training film su un fucile anti-carro di produzione inglese in dotazione all’eser­ cito canadese. Tra il novembre del 1941 e il gennaio del 1942 la Disney consegnò i cartoons: The Thrifty Pigs (1941), The Seven Wise Dwarfs (1941), All Together (1942) e Donald's Decision (1942). Il film di istruzione, Stop That Tank! (1942), molto più lungo (21' contro i 3'-4' dei cartoons) venne terminato nella primavera del 1942.24 Per risparmiare tempo e denaro, in tre dei quattro cartoons alcune se­ quenze furono realizzate riutilizzando parti di altri film della Disney, ritoccando i disegni per adattarli agli scopi del governo canadese. The Thrifty Pigs ricicla porzioni di The Three Little Pigs (1933): sul prato del maialino saggio è stata ag­ giunta una bandiera britannica,25 mentre il Lupo Cattivo si è guadagnato una fa­ scia del Partito nazionalsocialista e un berretto con la svastica. The Seven Wise Dwarfs recupera la scena della miniera di Snow White and the Seven Dwatfs (1937): i Sette Nani usano le gemme appena estratte per acquistare war bonds. Donald’s Decision usa materiale di Donald’s Better Self (1938): un diavolo na­ zista cerca di spingere Donald Duck a sperperare i suoi soldi, ma un angelo lo convince a investire in buoni di guerra. I quattro spot hanno una struttura analo­ ga: una prima parte di intrattenimento, con i personaggi Disney, è seguita da una seconda più apertamente di propaganda., con gli slogan del governo. Il più lungo (3'58"), e per molti versi il più interessante, dei quattro cortome­ traggi è The Thrifty Pigs. I titoli di testa hanno per sfondo una foglia d’acero di colore rosso e affermano che il film è prodotto dal «National Film Board in con­ nection with your local savings committee». La scelta dell’aggettivo “your”, uni­ tamente al simbolo nazionale, rivela subito la volontà del testo di fare appello al­ lo spirito patriottico del pubblico. Il messaggio rivolto allo spettatore è chiaro: questo è un film del tuo comitato, che raccoglie fondi per la tua guerra. Il cartoon si apre con i due maialini negligenti che canzonano quello saggio, il quale sta co­ struendo la sua casa con mattoni fatti di war bond certificates. Il Lupo Cattivo, vestito da nazista, distrugge le prime due casette, ma non può nulla contro la ter­ za, dove il maialino saggio ha dato rifugio ai fratelli. I Tre Porcellini bombarda­ no il lupo con i mattoni-war bonds, mettendolo in fuga. Oltre alle immagini del film del 1933. viene riutilizzata anche la famosa canzoncina, i cui versi sono sta­ ti adattati alla congiuntura bellica: «Who’s afraid of the Big Bad Wolf? / The Union Jack’s still waving. / We’ll be safe from the Big Bad Wolf / If you lend your savings». La seconda parte del cartoon illustra il modo in cui il governo intende spendere il denaro che chiede ai contribuenti. Vediamo un aereo tedesco precipi­ tare in fiamme, abbattuto da caccia alleati; tre lunghe file di war bond certificates si trasformano in altrettante teorie di aerei, navi e carri armati, come disposti sui nastri trasportatori di un’ideale catena di montaggio. Varie scritte sottolineano ul­ teriormente il senso delle immagini: «Five for Four» (ossia: per quattro dollari prestati ora, a guerra finita se ne otterranno cinque), «To win this war», «To do 152

your part». Il film si chiude sull’immagine di diversi aerei che sparano verso la platea: i proiettili, esplodendo, compongono la scritta «Invest in Victory». La struttura del testo è quella tipica dei disegni animati pubblicitari: una bre­ ve storia, seguita dal messaggio promozionale. E, ad esempio, lo schema di The Tocher (1938) di Lotte Reiniger, che abbiamo esaminato nel terzo capitolo. Men­ tre nei commercials la prima parte è però, di solito, di puro intrattenimento, e il messaggio pubblicitario si limita alla scritta finale, nella propaganda bellica la “promozione della guerra” inizia subito: quella dei Tre Porcellini è sì una storia di intrattenimento, ma contiene già un’esplicita componente propagandistica (i mattoni fatti con i war bonds, il lupo nazista). E la seconda parte, ben lungi dal­ l’avere la discrezione delle scritte pubblicitarie dei film della Reiniger o di Len Lye degli anni Trenta, presenta slogan roboanti, accompagnati da immagini al­ trettanto forti. The Seven Wise Dwarfs ha lo stesso finale di The Thrifty Pigs (un aereo che mitraglia il pubblico), mentre Donald’s Decision e All Together si chiu­ dono su una nave da guerra che solca il mare sotto un cielo coperto da un’im­ mensa bandiera britannica. In The Seven Wise Dwarfs ritroviamo anche uno de­ gli stereotipi canonici della propaganda bellica: la figura del war bond certificate che si trasforma in un proiettile, che abbiamo già incontrato in diversi cartoons inglesi della Prima e della Seconda guerra mondiale. Il riutilizzo di materiali di precedenti film della Disney, in The Thrifty Pigs come negli altri cartoons per il NFB, non è indicativo soltanto della necessità di consegnare i cortometraggi in tempi rapidi, ma è anche funzionale a una preci­ sa strategia di marketing. Per vendere la guerra al pubblico canadese (così come farà con il pubblico americano, dopo Pearl Harbor), Disney ricorre a testimo­ nials illustri, mette in scena non personaggi nuovi, inventati ad hoc, bensì figu­ re estremamente conosciute e amate. In questi quattro film per il Board trovia­ mo sequenze tratte da due dei film di maggior successo della Disney, The Three Little Pigs e Snow White and the Seven Dwarfs, e Donald Duck, di gran lunga il personaggio Disney più popolare del periodo (negli anni Quaranta la sua fa­ ma aveva ormai oscurato quella di Mickey Mouse, che pure rimaneva il simbo­ lo della casa di produzione). All Together non ha neppure una storia, ma pre­ senta semplicemente una sfilata di “celebrità Disney”, che marciano davanti al parlamento di Ottawa, reggendo dei cartelli che invitano a finanziare il prestito di guerra. Nell’ordine, vediamo sfilare: Geppetto e Pinocchio, Donald Duck e i nipotini (che indossano la giubba rossa e il cappello della Royal Canadian Mounted Police), Mickey Mouse (che guida un’orchestra analoga a quella di The Band Concert, famosissimo cartoon del 1935, il primo film a colori con Mickey Mouse) e i Sette Nani. Negli anni Trenta e Quaranta la popolarità dei personaggi Disney era immensa (presso gli adulti come presso i bambini), una popolarità analoga a quella delle grandi star umane. Usare Donald Duck per promuovere la vendita dei war bonds era un’operazione del tutto analoga al co­ involgimento di Chaplin e Mary Pickford nelle manifestazioni per il war loan durante la Grande Guerra. 1:53

In particolare, l’impiego di sequenze di The Three Little Pigs ha risvolti inte­ ressanti. Secondo un’interpretazione largamente condivisa dagli storici, l’im­ menso successo del film (che vinse anche un Academy Award), uscito l’anno in cui Franklin D. Roosevelt si installa alla Casa Bianca, si spiega anche con il de­ siderio del pubblico americano di esorcizzare la paura della disoccupazione e della povertà.26 Il Lupo Cattivo di The Three Little Pigs, infatti, divenne il sim­ bolo della Depressione, e la canzoncina Who’s Afraid of the Big Bad Wolf una li­ tania magica per scacciarne lo spettro. Dunque non è un caso che, per raffigura­ re i nazisti, Disney ricorra proprio al Lupo Cattivo, sul cui braccio viene dise­ gnata la fascia rossa con la svastica, portata dai militanti del Partito nazionalso­ cialista: il fascismo, dopo la Depressione, è il nuovo mortale nemico delle de­ mocrazie nord-americane. E la canzoncina di The Three Little Pigs era così po­ polare che, oltre che in The Thrifty Pigs, viene utilizzata anche negli altri film per il NFB, compreso Stop That Tank!: il motivetto diventa un segnale sonoro per in­ dicare la prossima vittoria sulla Germania. Peraltro, la centralità di The Three Little Pigs nella storia del cinema di ani­ mazione americano è ribadita anche dal fatto che di questo film esistono diverse parodie, la più famosa delle quali è proprio un cartoon di propaganda: The Blitz Wolf (1942) di Tex Avery. Rielaborando in chiave bellica il film del 1933, Avery - che come sempre si muove sotto il segno dell’iperbole - finisce per realizzare una sorta di “versione all’idrogeno” del film di Disney per il NFB. Se in The Thrifty Pigs il lupo si limitava a soffiare contro la casa, in The Blitz Wolf il lupoHitler ha una macchina per soffiare montata su cingoli, denominata «der mecha­ nized huffer and puffer»; allo stesso modo, mentre nel film del 1941 i Tre Por­ cellini mettevano in fuga il lupo semplicemente lanciandogli dei mattoni, nel car­ toon di Avery essi gli sparano con un’enorme batteria contraerea irta di bocche da fuoco, spedendolo all’Inferno. Questi quattro cartoons realizzati dalla Disney per il NFB sono indubbia­ mente tra gli esempi più compiuti di spot animati di propaganda. In questi film troviamo un’eccellente qualità tecnica: colori brillanti, figure molto curate, che si muovono con movimenti fluidi, e una perfetta sicronizzazione tra immagini e musica. A ciò si aggiunge la presenza di icone della Disney, come Donald Duck oppure la musichetta di The Three Little Pigs, che rappresentano una garanzia per il successo del film. L’intelligenza dell’operazione consiste proprio nella capaci­ tà di conciliare lo stile Disney, noto e amato dallo spettatore, con il messaggio politico: la parte iniziale, di intrattenimento, cattura l’attenzione del pubblico e lo dispone favorevolmente, poi arrivano gli slogan. E nella seconda porzione tro­ viamo tutti i topoi della propaganda bellica dell’epoca della guerra totale: la cen­ tralità della produzione industriale (la catena di montaggio con i war bonds che diventano armi), la necessità che i civili facciano il loro dovere, l’orgoglio pa­ triottico (le bandiere e i simboli nazionali). Ma, in realtà, già nelle sequenze di apertura, insieme alle gag, era presente una componente didattica: attraverso le vicissitudini di Donald Duck e dei Sette Nani, apprendiamo che i war bonds si 154

comprano all’ufficio postale oppure in banca. Questi quattro cortometraggi, in­ somma, si presentano come una vera e propria sintesi dell’apparato retorico ela­ borato dal cinema di animazione nel campo della pubblicità e della propaganda dal 1914 in poi. Ma se da un lato gli animatori della Disney fanno tesoro della tradizione che hanno alle spalle, dall’altro essi cercano anche di muoversi in nuove direzioni, di non commettere gli errori del passato. In Donald ’s Decision il tema della propa­ ganda diventa parte integrante della trama stessa. Donald Duck, infatti, viene sve­ gliato dalla radio - l’altro grande mezzo di comunicazione di massa della Se­ conda guerra mondiale, insieme al cinema - che gli si rivolge direttamente, invi­ tandolo a investire in war bonds; poi, mentre Donald si incammina verso l’uffi­ cio postale per comprare i buoni governativi, sui muri della città vediamo una se­ rie di poster di propaganda. Il testo, insomma, esplicita apertamente il proprio obiettivo: Donald è sottoposto a una campagna martellante - da parte della radio, dei manifesti e dell’angelo - esattamente come il pubblico in sala. Lo spettatore viene avvertito chiaramente di essere il destinatario di un tentativo di persuasio­ ne, poiché tale azione ha luogo nel contesto di una società democratica, in cui il cittadino non è coercito o convinto surrettiziamente, bensì invitato a partecipare volontariamente e consapevolmente allo sforzo bellico. Ed è proprio nel rifiuto della persuasione occulta, oltre che nella totale assenza di hate propaganda, che risiede la principale differenza tra questi cartoons della Disney e i film della Pri­ ma guerra mondiale.

Stop That Tank! - lo abbiamo detto - è un film di istruzione sull’uso del fucile contro-carro Boys Mk I, di fabbricazione inglese. La parte iniziale del cortome­ traggio (tre minuti circa) consiste in un cartoon vero e proprio, in cui i soldati ca­ nadesi, grazie alla loro arma controcarro, sbaragliano i panzer tedeschi e spedi­ scono Hitler all’inferno, dove il dittatore tiene un discorso isterico in un tedesco maccheronico (si tratta della prima caricatura di Hitler realizzata dalla Disney), il cui senso viene tradotto per il pubblico dal Diavolo: «Der Fiihrer says against your anti-tank rifles he simply can’t win». Nella seconda parte abbiamo il train­ ingfilm vero e proprio, in cui. accanto a immagini live-action, sono presenti mol­ te sequenze animate, soprattutto per mostrare i meccanismi interni del fucile (quella che gli americani chiamano X-ray animation), e anche un paio di brevi scene di cartoon, con alcune gag che hanno per protagonista un goffo soldato (ab­ bastanza simile al futuro Snafu) alle prese con il Boys Mk I. Stop That Tank!, di­ retto niente meno che da Ub Iwerks, il primo disegnatore e animatore di Mickey Mouse, è un raro caso di film di istruzione con una parte a disegni animati, squi­ sitamente di intrattenimento. Quando gli Stati Uniti entreranno in guerra, la Disney inizialmente userà questo modello anche per le nuove commesse del governo americano, ma dovrà presto abbandonarlo perché troppo lungo e dispendioso. Ma Stop That Tank! non è semplicemente un training film. Questo cortome­ traggio è anche - e questa volta sì, in maniera completamente surrettizia - un’o­ 155

pera di propaganda. Infatti, oltre a voler spiegare come funziona il fucile, il te­ sto cerca anche di infondere fiducia nei soldati circa l’efficacia di tale arma. Come era già noto all’epoca della realizzazione della pellicola, il Boys Mk I aveva dato pessima prova in Francia, nel 1940.27 Si trattava di un’arma poco ma­ neggevole, che appariva arretrata già al momento della sua adozione da parte dell’esercito inglese nel 1939, e che pertanto nel corso del conflitto sarà sosti­ tuita dal più avanzato lanciabombe PIAT.28 Il Boys Mk I era efficace soltanto contro i carri leggeri, ma la voce off afferma che può essere utilizzato anche contro i carri medi e pesanti. Però, nella sequenza animata in cui si illustra il procedimento di puntamento, il bersaglio è rappresentato da un carro armato che ricorda il PKW.I (è molto simile, pur essendo un disegno di fantasia), ossia un carro leggero, anzi il modello più arretrato tra i carri armati tedeschi, del tutto superato già nel 1939. Dunque, si sceglie deliberatamente di mostrare uno dei mezzi corazzati del nemico più vulnerabili e antiquati, per non intimorire il pub­ blico delle reclute, benché il film sia stato girato tra il 1941 e il 1942, quando gli inglesi, in Africa, dovevano affrontare carri ben più potenti del PKW.I.29 La visione della mole massiccia di un PKW.IV avrebbe potuto dare adito a dubbi circa le possibilità del Boys Mk I di fermare tale carro armato. Sotto questo pun­ to di vista, la presenza del cartoon nell’inizio del film non è un lusso, ma un ele­ mento centrale della strategia messa in opera dal testo. Stop That Tank!, oltre a informare, vuole anche tranquillizzare il pubblico, e dunque il cartoon - dove vediamo “i nostri ragazzi” fare a pezzi i panzer - serve proprio a creare un cli­ ma disteso tra i soldati che assistono alila proiezione, a fornire l’illusione che il Boys Mk I sia un’arma realmente efficace. Insomma, se Stop That Tank! fosse un spot per reclamizzare un’automobile o un frullatore, lo definiremmo come “pubblicità ingannevole”.

4. Norman McLaren: the artist as a civil servant

Uno degli slogan che compaiono nei cartoons di Disney per il NFB è «Five for Four», che è anche il titolo di uno dei cortometraggi di Norman McLaren. Uno degli aspetti più affascinanti della produzione animata del Board del periodo bel­ lico è che in essa troviamo film che si aliimentano allo stesso universo simbolico (la Union Jack, la foglia d’acero) e trasmettono gli stessi messaggi, ma attraver­ so forme e stili completamente diversi. Walt Disney e Norman McLaren rappre­ sentano due modelli diametralmente opposti di cinema di animazione: da un la­ to abbiamo film narrativi realizzati con metodi industriali, dall’altro opere astrat­ te - o comunque fortemente stilizzate - create in maniera artigianale. La tecnica del film dipinto su pellicola (come anche tutte le altre tecniche sperimentate da McLaren dopo il conflitto), oltre a essere molto economica, non necessita affat­ to della schiera di cartoonists normalmente utilizzati negli studi americani. Per gli spot da lui realizzati per i war bonds canadesi, McLaren lavorò sostanzial156

mente da solo, ricorrendo ad altri soltanto per le colonne sonore (ma anche nei decenni post-bellici McLaren si avvalse sempre soltanto dell’aiuto di uno o due assistenti per film, in particolare di Evelyn Lambart, con la quale iniziò a colla­ borare proprio durante la guerra).30 Tra il 1941 e il 1944, McLaren realizzò cinque cortometraggi di propaganda: V far Victory (1941), Five for Four (1942), Hen Hop (1942), Dollar Dance (1943), Keep Your Mouth Shut (1944). I primi quattro sono film dipinti su pelli­ cola, mentre l’ultimo è una combinazione di tabletop animation e cinema dal ve­ ro. Keep Your Mouth Shut è sicuramente quello meno interessante sotto il profilo estetico: il film è costruito sull’alternanza tra le inquadrature di un teschio (ani­ mato) su fondo nero, che ascolta le conversazioni fuori campo di persone che dif­ fondono notizie di carattere militare (date di partenza di convogli per l’Inghil­ terra, spostamenti di truppe), con inquadrature live-action di navi affondate e cit­ tà bombardate. Alla fine, il teschio ringrazia, a nome dell’Asse, tutti i gossipers, che hanno reso pubbliche informazioni che avrebbero dovuto restare riservate. Il film si chiude sulla scritta «Keep Your Mouth Shut». Questa è l’unica opera di McLaren caratterizzata dal tono cupo tipico della hate propaganda: il teschio, la prevalenza del nero, le immagini documentarie che illustrano scene di distruzio­ ne, contribuiscono a creare un clima di paura e intimidazione. La lotta contro il careless talk è un topos della propaganda bellica, ma, in Canada come negli altri paesi, queste campagne terroristiche derivavano più dalla paranoia indotta dalla guerra che da dati oggettivi: non è mai stato dimostrato che nei paesi alleati esi­ stesse una rete di informatori che carpivano segreti militari ascoltando i dialoghi dei cittadini comuni o dei soldati in licenza. Di questo clima paranoico, Keep Your Mouth Shut rende perfettamente conto, ponendosi di fatto come il più an­ gosciante non solo tra i film di McLaren , ma tra i film di propaganda canadesi in generale. E l’affinità formale tra questo film e Hell Unlimited (1936), costituita dalla presenza di crude immagini di morte e dall’interazione tra animazione e live-action, non è casuale: in Keep Your Mouth Shut McLaren recupera la men­ talità manichea degli anni della sua militanza comunista. Paradossalmente, nella sua denuncia dei gossipers, di coloro che boicottano lo sforzo bellico della na­ zione, McLaren fa ricorso allo stile che, dieci anni prima, aveva utilizzato per de­ nunciare i capitalisti guerrafondai. In netta contrapposizione con il lugubre bianco e nero di Keep Your Mouth Shut, gli altri film di McLaren sono caratterizzati da colori brillanti, che ben si accordano con l’allegria - nonostante la gravità degli argomenti di cui trattano che permea questi cortometraggi. V far Victory è un breve film (2') che ha per protagonista un omino di colore rosa che cammina sullo sfondo di un cielo blu, solcato dalle tipiche nuvolette di Norman McLaren. Sulle note di una marcetta di Sousa (il compositore americano di cui McLaren aveva utilizzato la famosa Stars and Stripes, in un film omonimo del 1939, una fantasia astratta sui colori della bandiera degli Stati Uniti),31 l’omino si trasforma nella lettera “V” e nel suo cor­ rispettivo nel codice Morse, poi si muta nella scritta «Buy V Bonds», che vola 157

leggera nell’aria. Il movimento e le frenetiche trasformazioni dell’omino sono seguite dalla macchina da presa con “carrellate” laterali e verticali.32 Il film si chiude con il cartello: «Come On Canada: Buy Victory Bonds». Vfor Victory, pur essendo un film di propaganda è molto divertente: il suo messaggio è chiaro, ma non ossessivo. McLaren fa un uso creativo dei simboli (la “V”) e delle parole d’ordine della propaganda di guerra, che sono integrati in maniera armoniosa al­ l’interno di un’opera sperimentale, costituita su un flusso musicale e cromatico, in cui ha un ruolo centrale il rosa, un colore ben poco marziale. V for Victory chiede al pubblico di finanziare la guerra, ma lo fa in maniera lieve; la marcia dell’omino è una gioiosa passeggiata verso la vittoria: niente di più lontano dal terrorismo psicologico dei poster con “il gesto di Kitchener”. Hen Hop (un po’ più lungo del precedente: 3'41") ha una struttura molto simile a Vfor Victory. Si tratta di uno spot per invitare le popolazioni rurali (la pellicola veniva mostrata nelle campagne dai proiezionisti viaggianti del Board) a investire nel credito di guerra, in cui una gallina stilizzata (ricorrente nel cinema di McLaren) si muove al ritmo di una giga québécoiset la gallina danza e, via via, si trasforma in un uo­ vo con le zampe, nella scritta «Save», nella lettera “V” e in una foglia d’acero.33 In Hen Hop, i simboli dell’iconografia patriottica sono fusi all’interno di una di­ vertente metamorfosi di forme, che ha per protagonista un animale goffo e per nulla eroico o fiero, come sembrerebbe dover richiedere la retorica della propa­ ganda (l’aquila americana, il leone inglese, ecc.). Insomma, tanto Keep Yours Mouth Shut è tetro, quanto Vfor Victory e Hen Hop riescono a coniugare - in ma­ niera veramente geniale - un tono leggero con la serietà dello slogan governati­ vo che veicolano. Five for Four e Dollar Dance, oltre a essere un po’ più lunghi (rispettiva­ mente: 4' e 5'), sono anche più complessi rispetto a Vfor Victory e Hen Hop. In­ fatti, questi due film, non solo invitano il pubblico a comprare i victory bonds, ma spiegano anche i meccanismi dell’economia di guerra. Five for Four, il cui sottotitolo è An Exercise in National ’Rythmetic (gioco di parole su “ritmo” e “aritmetica”), è costruito su una lunga carrellata laterale, in cui quattro bancono­ te volano sullo sfondo di un paesaggio costellato di edifici, che rappresentano l’intera società canadese: fabbriche, case, chiese, fattorie. Le immagini del fon­ dale. disegnate in stile naturalistico, sono disposte su diversi livelli, per dare il senso della profondità, mentre quelle in primo piano sono le tipiche figure sti­ lizzate di McLaren. Come in V for Victory e Hen Hop, anche qui dominano co­ lori brillanti e un’allegra colonna sonora jazz. Dalla casetta delle lettere del si­ gnor John Canuck (il “canadese tipo”), esce il numero 4. che inizia a volteggia­ re nell’aria, muovendosi al ritmo della musica. Il segno aritmetico si trasforma in quattro banconote da un dollaro, nella foglia d’acero e nel simbolo del dolla­ ro. Le banconote si infilano in un ufficio postale e ne escono come war savings certificate. A questo punto inizia una carrellata in senso opposto, per tornare al­ la casa di Canuck. Durante il viaggio, il certificate si divide in cinque parti: quat­ tro banconote da un dollaro e un ultimo pezzo, che, con il passare degli anni (ve­ 158

diamo scorrere le date dal 1942 al 1949), diventa anch’esso una banconota da un dollaro. Al termine della carrellata, la nuova banconota da cinque dollari si infi­ la nella casa da cui erano usciti i quattro dollari. Il cartello finale annuncia, con ironia surrealista, che: 2 + 2 = 5. Five for Four, dunque, concilia il cartoon ca­ nonico (il fondale) con il cinema d’avanguardia (le figure in primo piano). Ma l’aspetto più affascinante del film è che tutto è affidato all’immagine: non ci so­ no parole, ma soltanto musica, colori e forme in movimento. Per mostrare i van­ taggi di investire nel prestito di guerra, McLaren impiega simboli economici (il dollaro), politici (la foglia d’acero) e matematici (i numeri), in perpetua meta­ morfosi, realizzando così un ottimo esempio di “pensiero visivo”. Il sottotitolo del film non è soltanto un calembour. Five four Four è realmente un film in cui contabilità e musica, economia e sperimentazione visiva, si fondono. Dollar Dance combina, come Five for Four, figure stilizzate dipinte sulla pel­ licola e un fondale in movimento. Il film spiega - attraverso una filastrocca in ri­ ma baciata (scritta da McLaren insieme a Guy Glover, uno dei giovani animato­ ri del Board) - come, in periodo di guerra, possa scatenarsi una spirale inflativa, che incenerisce il valore del denaro. Il cortometraggio inizia con l’immagine del simbolo del dollaro, che, sullo sfondo di un cielo giallo con le solite nuvolette, avanza verso la platea: «I’m your money, I’m your friend / Yours to save, or yours to spend». Il dollaro saltella allegramente, sulle note della musichetta di Louis Applebaum, trasformandosi negli oggetti che la canzone dice si possono com­ prare. «I worked OK in times of peace, but when it comes to war, I may or may not be a friend»: il dollaro arriva a un bivio, che indica ruin a sinistra e security a destra; ai due lati dello schermo compaiono rispettivamente un diavolo e un an­ gelo (una simbologia già usata da Disney in Donald’s Decision). Il dollaro si but­ ta subito verso sinistra, la via deiV uncontrolled inflation. Su uno schermo rosso fuoco, vediamo il simbolo verde moltiplicarsi e, al contempo, perdere di valore: attraverso una serie di veloci metamorfosi compaiono varie merci, il cui costo è divenuto altissimo. Il film spiega che la crescita degli stipendi non è in grado di tenere il passo con la crescita dei prezzi, mentre risparmi e pensioni vengono obliterati: la scritta “savings” di riduce sino a divenire una linea orizzontale, mentre la parola “pensions” si disperde nell’aria. A questo punto, con una velo­ ce carrellata, il dollaro toma al bivio e imbocca la “retta via”: la rinuncia ai beni superflui, l’investimento nel prestito di guerra e il controllo dei prezzi permetto­ no di evitare l’inflazione. Si torna all’inquadratura dell’inizio. Il dollaro rico­ mincia a correre verso il pubblico, canticchiando: «I'm your money. I’m your friend / If you save, if you lend / Save me now, save me often / Put the Axis in it’s coffin / You can spend me later on / I’ll be good when Hitler’s gone». Il dol­ laro lancia una svastica dentro una bara e vi balla sopra. Il film si chiude sulla scritta «The End» che si trasforma nella lettera “V” in codice Morse. Dollar Dance è una vera e propria lezione di politica monetaria svolta con musica e immagini, che visualizzano le parole della canzone. Questo spot non chiede di comprare i war bonds semplicemente per un’adesione fideistica alle di159

rettive del governo, ma spiega quali sono le ragioni economiche per cui si deve risparmiare e investire nei bonds. La differenza rispetto a Keep Your Mouth Shut è palese: là c’erano immagini terrorizzanti che spingevano a obbedire sulla base del puro istinto, qui c’è un ragionamento razionale. Inoltre, in Dollar Dance, ac­ canto al tono allegro e ai colori vivaci, che già avevamo riscontrato negli altri film dipinti su pellicola, è presente anche un chiaro riferimento al futuro post­ bellico: il messaggio del film è che conviene comprare i war bonds, perché que­ sti sopravviveranno alla caduta del nazismo. In maniera ancora più esplicita che in Five four Four, la guerra viene presentata come “un buon investimento”: se prestate soldi al governo, a guerra finita sarete più ricchi (cosa che peraltro si ve­ rificò, sia in Canada che negli Stati Uniti). Dunque, mentre Keep Your Mouth Shut risente della cultura della hate propaganda tipica della Grande Guerra (e della propaganda politica degli anni Venti e Trenta), gli altri quattro film di McLaren propongono un modello alternativo di propaganda, in cui non si invita sic et simpliciter a odiare il nemico, ma si spiegano le ragioni per la quali si de­ ve sostenere il proprio governo.

McLaren aveva iniziato a sperimentare la tecnica della pittura su pellicola alla fi­ ne degli anni Trenta, presso la GPO Film Unit. Le figurine stilizzate che si muo­ vono su uno sfondo vario e complesso, che compaiono negli spot per i war bonds canadesi, erano già presenti in Love on the Wing (1939), il penultimo film di McLaren per il GPO. In questo cortometraggio per la promozione del servizio di posta aerea, Ie silhouettes di due innamorati, che si trasformano continuamente in vari oggetti, tra cui una busta da lettera, veicolo del loro amore, corrono di fronte a una ricca scenografia policroma fatta di nubi e di diversi edifici (un uf­ ficio postale, un grattacielo, un tempio greco) disegnati in stile naturalistico, di­ sposti su piani diversi, in modo da creare l’illusione della profondità di campo. Dopo che le due figure si sono finalmente incontrate, al termine di due carrella­ te laterali, si passa a una carrellata a precedere: i due innamorati corrono verso la platea, volando tra le nubi. La struttura, insomma, è la stessa dei film del Board: molti colori, fondali in movimento, continue metamorfosi in cui riemerge sem­ pre uno specifico simbolo (qui la busta da lettera, là la lettera “V”). L’unica dif­ ferenza è che in Love on the Wing il messaggio è ripetuto in maniera meno insi­ stita, e McLaren può permettersi qualche “divagazione”, mentre in Vfar Victory, Five far Four e Dollar Dance, le trasformazioni sono tutte rigidamente funzio­ nali alla trasmissione dello slogan (Hen Hop è un po’ più simile a Love on the Wing\ non per nulla è l’unico dei suoi film di propaganda che McLaren riutiliz­ zò dopo la guerra). Dunque, nell’opera di McLaren è reperibile una forte continuità stilistica tra il periodo inglese e quello canadese. Dove invece esistono forti contraddizioni è nell’atteggiamento dell’autore verso la guerra. McLaren - lo abbiamo visto - nel 1936 aveva realizzato un film pacifista, Hell Unlimited. Nell’ottobre del 1939 aveva lasciato l’Europa per l’America, perché, dopo la traumatica esperienza 1(50

della guerra di Spagna, che aveva veduto di persona, lavorando come operatore di Montagu, non era psicologicamente in grado di sopportare un’altra guerra.34 Quando Grierson lo aveva assunto al NFB, McLaren aveva chiesto che non gli venisse affidata la realizzazione di film di propaganda, che invece poi dovette fa­ re. E se i quattro cortometraggi per i war bonds sono certamente un esempio di propaganda non aggressiva e razionale, più degli spot pubblicitari che dei film di propaganda in senso stretto, Keep Your Mouth Shut si presenta come un testo dal­ le forme e dai contenuti terroristici. Ma, pur partecipando allo sforzo bellico ca­ nadese, McLaren continuò a rimanere un pacifista: in un volume che raccoglie alcuni sui disegni, ve n’è uno del 1943, intitolato Liberty arms herself, in cui si vede un mostro che regge il simbolo del dollaro e una bomba, il cui volto, rifles­ so nello specchio, è quello della Statua della Libertà, mentre sullo sfondo uno stormo di bombardieri lascia cadere il proprio carico di morte.35 Insomma, anche nel pieno della Seconda guerra mondiale, McLaren si mantiene sulle posizioni del pacifismo utopista degli anni Trenta: detesta il fascismo, ma condanna i mez­ zi necessari per distruggerlo.

5. La produzione minore: i giovani animatori canadesi, Philip Ragan Poiché nella produzione del NFB della Seconda guerra mondiale si trovano film di Walt Disney e di Norman McLaren, due maestri incontrastati del cinema di animazione (ancorché completamente diversi sul piano estetico), è chiaro che il resto della filmografia del periodo tende inevitabilmente a passare in secondo piano, se non decisamente sotto silenzio. Queste opere, infatti, hanno impor­ tanza soprattutto sotto il profilo storico, in quanto rappresentano l’atto di na­ scita dell’animazione canadese. Come si è già accennato, la prima generazione degli animatori canadesi si forma, sotto la guida di McLaren, proprio nel pe­ riodo bellico. Tra il 1943 (quando viene fondato - lo ricordiamo - T Animation Department del NFB) e il 1945, i giovani animatori del Board - tra cui Jim MacKay. George Dunning, Laurence Hyde, tutti reclutati all’Ontario College of Art - girano dieci brevi spot (di cui l’archivio del Board, a Montréal, ne conserva sei)36 per il fron­ te interno. Si tratta di film che si possono definire genericamente “educativi”. Stitch and Save (1943) di MacKay spiega come risparmiare, rammendando i ve­ stiti vecchi; Get Your Vitamins (1943) di Philip Jenner illustra l’importanza di una dieta ricca di vitamine, in quanto lo sforzo bellico ha bisogno di cittadini sa­ ni e forti: «Eat right, feel right. Canada needs you strong»; mentre Grim Pastures (1944) di Dunning invita i contadini a produrre più foraggio per gli animali, per­ ché «Forage is vital for victory». Alcuni di questi film, ad esempio Bid It Up Sucker (1944) di MacKay, sui pericoli dell’inflazione, hanno lo stile canonico dei cartoons americani e sono decisamente rozzi, ma per lo più è riscontrabile una chiara influenza di McLaren, sia nella scelta di soggetti leggeri, in cui la com161

ponente fantastica è dominante, sia nella grafica fortemente stilizzata. Questo è particolarmente vero per Stitch and Save, che la Nelson, ridicolmente ossessio­ nata dal “complotto tecnocratico”, vede come un tentativo di omologare i gusti e le azioni della popolazione: «The real message: conformity to the dictates of modern science as dispensed by central authority. In this case, it is the science of home economics, or domestic science as it was called at the time».37 Nonostante gli allarmismi paranoici del “politicamente corretto”, Stitch and Save è un corto­ metraggio del tutto innocuo, in cui un vestito da donna e uno da uomo volano tra­ sportati dal vento, sulle note di un’orchestra jazz: il film ha un disegno molto semplice e un’animazione raffinata, incentrata sul continuo movimento delle li­ nee (l’ondeggiare fluido dei due abiti che volteggiano), segno del magistero di McLaren. Tra questi giovani animatori, quello che diverrà più famoso è certa­ mente George Dunning, il quale, oltre a lavorare, tra il 1955 e il 1956, alla serie di Gerald McBoing Boing della UPA (i cui disegnatori, non a caso, non hanno mai nascosto il loro debito verso lo stile dei canadesi, soprattutto per la sua es­ senzialità), è l’autore di Yellow Submarine (1968), il famoso lungometraggio ani­ mato sui Beatles.38

In realtà, nonostante l’importanza del lavoro svolto da McLaren e dai suoi di­ scepoli, l’autore che durante gli anni di guerra firmò più film d’animazione per il Board è Philip Ragan, un animatore americano, che (presumibilmente) risie­ deva a Philadelphia, dove gestiva una piccola compagnia di produzione (il fatto che non facesse parte dello staff del Board, né risiedesse a Ottawa, spiega perché non sia mai citato nelle storie del NFB). Tra il 1942 e il 1945 Ragan realizzò per il NFB 31 cortometraggi di propaganda (di cui 24 sono disponibili presso l’ar­ chivio del Board). I film di Ragan, caratterizzati da una forte omogeneità stilisti­ ca e tematica, utilizzano gli isotype charts per spiegare al pubblico le caratteri­ stiche dell’economia di guerra, e convincerlo a risparmiare e acquistare i war bonds. In particolare, Ragan fece la serie “Plugger”, composta da 12 episodi (in­ seriti in buona parte nel cinegiornale “Workers at War”, indirizzato agli operai), che aveva per protagonisti l’omonima famiglia Plugger, la “famiglia tipo cana­ dese”: padre, madre, una figlia, un figlio piccolo e uno più grande sotto le armi. La grafica di “Plugger” è elementare: si tratta soltanto di silhouettes nere, che si muovono su sfondi estremamente stilizzati, di varie sfumature di grigio. Della casa dei Plugger, ad esempio, vediamo sempre soltanto alcuni elementi - la por­ ta, la finestra, una poltrona - che si stagliano sullo schermo bianco, mentre il re­ sto è lasciato all’immaginazione dello spettatore. In questo, i film di Ragan anti­ cipano le scenografie scarne dei cartoons della UPA. I personaggi non parlano, ma i loro pensieri vengono illustrati da una voce fuori campo. In ogni puntata i Plugger si trovano ad affrontare i vari problemi della vita dello home front: la scarsità dei prodotti alimentari e di altre merci, la necessità di investire in bonds e risparmiare per evitare l’inflazione e sostenere lo sforzo bellico, il bisogno di non sprecare carburante ed energia elettrica. Puntualmente, il signor Plugger ca­ 162

de in tentazione (incassare subito i bonds, comprare beni superflui, ecc.), ma al­ ia fine capisce sempre qual è il suo dovere di “combattente del fronte interno”, e torna «on the road to Victory». Pur nella loro semplicità formale, alcuni episodi di “Plugger” hanno una co­ struzione narrativa abbastanza elaborata. In Price Shock (1943) i Plugger entra­ no in un negozio di alimentari, i cui articoli sono troppo cari per le loro tasche; poi il bambino nota sulla parete del locale un poster di propaganda anti-tedesca della Grande Guerra (il manifesto presenta l’inconfondibile elmetto chiodato de­ gli Unni): il commento off spiega che sii tratta di una simulazione di un negozio della Prima guerra mondiale, quando non era stato introdotto il controllo dei prezzi. A questo punto i Plugger entrano in un secondo negozio, sulla cui porta campeggia un cartello che reca la data “1943”, dove invece i prezzi sono ragio­ nevoli, grazie all’accorta politica economica del governo. Due grafici illustrano la differenza tra la crescita dei prezzi durante il primo e il secondo conflitto mon­ diale. Price Shock, per conquistare l’attenzione del pubblico, utilizza il meccani­ smo della suspense, creando una situazione di tensione iniziale, che viene sciol­ ta dalla scoperta del bambino. Ma l’aspetto più interessante è che, in questo bre­ vissimo disegno animato di un minuto, c’è una forte componente metalinguisti­ ca, rappresentata dallo scherzo che - volendo usare il lessico narratologico - l’i­ stanza narrante gioca ai personaggi: i Plugger sono ostaggio del testo, che li fa viaggiare attraverso il tempo, per spiegare allo spettatore quanto sia saggia la scelta del governo di imporre il controllo dei prezzi. Nella serie “Plugger”, benché compaiano alcune caricature di Hitler e Mus­ solini (No More Kitchen Sopranos, 1942; Bits and Pieces Blues, 1943), i rife­ rimenti al nemico, e al pericolo che questi può rappresentare, sono piuttosto sporadici. Ragan cerca soprattutto di convincere il pubblico con delle argo­ mentazioni razionali, basate su dati economici, facendo appello - come anche McLaren - all’interesse personale dello spettatore. In Buying Fever (1943), ad esempio, i vari componenti delia famiglia abbandonano l’insano progetto di in­ cassare subito i bonds, perché capiscono che a guerra finita i buoni varranno di più e che con essi potranno garantirsi un futuro prospero (una casa per la figlia, la retta dell’università per il figlio). La linea politica dei film di Ragan, insom­ ma, è quella rooseveltiana; si invoca la necessità di mantenere, nel dopo-guerra, la piena occupazione e il benessere conquistati grazie alla ripresa indotta dalla produzione bellica. Sempre in sintonia con l’internazionalismo rooseveltiano, Ragan spera che il consolidamento delle economie occidentali sarà favorito da rapporti internazionali distesi, che permettano la libera circolazione delle merci. E negli altri film Ragan si dedica unicamente alla spiegazione della situazione economica. La serie “Wartime Economics” non possiede neppure la fragile im­ palcatura narrativa che caratterizza “Plugger”: qui abbiamo unicamente l’illu­ strazione dei principali problemi economici posti dal conflitto, per mezzo di gra­ fici e mappe, popolate da piccole figure nere che rappresentano fabbriche e ma­ terie prime. In questa opera di divulgazione, Ragan utilizza i simboli e gli stile­ 163

mi tipici dei cartoons di propaganda - l’immagine del war bond certificate che si trasforma in una bomba, la lettera “V”, la foglia d’acero - che vengono inte­ grati con gli isotype charts. Voluntary vs. Involuntary Savings (1943) inizia con la frase «War costs money»: vediamo degli aerei (le solite silhouettes nere) vola­ re sulla mappa della Germania, su cui sganciano simboli del dollaro che esplo­ dono. Si è verificata, cioè, una fusione tra simboli astratti e figure rappresentati­ ve, che si muovono sullo sfondo di una carta geografica, per visualizzare - in ma­ niera assolutamente letterale: “i dollari sono bombe” - le parole della voce off. Dunque, nei film di animazione di propaganda canadesi della Seconda guer­ ra mondiale sono reperibili modelli estetici molto diversi tra loro - i cartoons della Disney, i cortometraggi d’avanguardia di McLaren, gli isotype charts di Ragan - che però presentano lo stesso bagaglio di formule retoriche, benché uti­ lizzate in modi differenti, lo stesso rifiuto per la hate propaganda della Grande Guerra, nonché la stessa ideologia di matrice rooseveltiana.

6. Animazione e geopolitica: le mappe animate L’internazionalismo rooseveltiano, che si affaccia in alcuni dei cortometraggi animati del Board, permea profondamente “The World in Action”, per molti ver­ si la più ambiziosa e riuscita produzione del NFB durante la guerra. E nei vari episodi di “The World in Action” - che, contrariamente al modello tradizionale del cinegiornale, hanno carattere monografico - l’animazione svolge un ruolo di primaria importanza. Le mappe animate di “The World in Action”, realizzate in buona parte da Evelyn Lambart (ma vi lavorarono anche altri, come Grant Munro e René Jodoin, uno dei primi animatori francofoni del Board), sono estremamente raffinate, assolutamente superiori alle mappe dei newsreels e dei docu­ mentari di propaganda europei.39 Solo le mappe create da Disney per “Why We Fight” (1942-’45) di Capra reggono il confronto con quello del Board. Le tecni­ che impiegate dalla Lambart si basano, per lo più, sulla sovrapposi zi one di di­ verse lastre di vetro sulla cartina, in modo tale che le linee che indicano i movi­ menti delle armate - tracciate con pastelli, cut-outs o gesso - possano procedere su piani differenti. Queste mappe, solitamente, hanno un aspetto sferico - là do­ ve quello europee sono piatte - e le linee che marcano le offensive, lungi dal­ l’essere semplici righe, sono frecce tridimensionali, che si muovono con elegan­ za sui rilievi montuosi e sulle pianure. Ed è soprattutto la predominanza della for­ ma sferica ad accomunare le mappe di “The World in Action” a quelle di “Why We Fight”, o a quelle - anch’esse di Disney - di Two Down, One to Go (1945) sempre di Capra. Global Air Routes (1944), dedicato al tema delle comunicazio­ ni aeree e al loro prossimo sviluppo dopo la cessazione delle ostilità, rappresen­ ta probabilmente il più alto risultato raggiunto dalla Lambart (che, forse, qui si avvalse anche della consulenza di McLaren). In questo film troviamo sequenze animate veramente sorprendenti, come quella in cui un planisfero si divide in 1(54

spicchi e si trasforma in un mappamondo; oppure quelle in cui vediamo le linee aeree muoversi da un emisfero all’altro, attraverso banchi di nubi. Le puntate di “The World in Action” analizzano quasi sempre grandi proble­ mi strategici, per cui risulta molto utile l’uso di mappe sferiche, attraverso le quali è possibile mostrare interi continenti, visualizzando i legami tra le diverse aree della Terra. In Geopolitik - Hitler’s Plan for Empire (1942), dedicato alle teorie di Karl Haushofer (personaggio centrale della geopolitica tedesca, arre­ stato dagli Alleati dopo la resa della Germania, in quanto ideologo dello “spazio vitale”), la presenza di una mappa sferica del Medio Oriente è decisiva per la comprensione della strategia tedesca. Ili film, benché uscito dopo Pearl Harbor (la data di release è maggio 1942, ma sembrerebbe quasi che il film sia stato completato prima del dicembre 1941, in quanto non si fa mai riferimento alla partecipazione attiva degli americani al conflitto), risente ancora del clima del periodo in cui l’America era neutrale, poiché cerca di motivare la necessità per gli Stati Uniti di evitare la caduta dell’Egitto, aiutando gli inglesi: la conquista del Nord Africa, infatti, fornirebbe ai tedeschi basi aeree per sferrare un attacco contro il Canale di Panama. “The World in Action”, ampiamente distribuito ne­ gli Stati Uniti, era pensato per il pubblico americano, oltre che per quello cana­ dese, e negli episodi girati prima di Pearl Harbor è reperibile una sottile polemi­ ca contro gli isolazionisti. Il riferimento alla geopolitica, la disciplina che studia i rapporti tra lo spazio e i fenomeni politico-militari, ci è utile per comprendere la natura delle anima­ zioni di “The World in Action”.40 In una prospettiva geopolitica, infatti, il ricorso alle mappe sferiche (ma il tema del globo è inscritto in “The World in Action” sin dal suo titolo) è un segno del mondialismo nord-americano, opposto alla visione eurocentrica, e dunque esclusivamente continentale, piatta, propria dei tedeschi. Il fatto che nei cinegiornali e nei documentari tedeschi e inglesi le mappe siano piatte, ma sferiche in quelli canadesi e americani, non è casuale: le potenze eu­ ropee stanno ancora combattendo la Grande Guerra, una guerra per il controllo dell’Europa, ma l’America è già lanciata verso una prospettiva più ampia, glo­ bale, per cui i suoi cinegiornali devono raffigurare il respiro planetario che carat­ terizza la sua azione diplomatico-militare. Non per nulla, gli Stati Uniti furono l’unico dei belligeranti a combattere con pari intensità sui due scacchieri della guerra, quello asiatico e quello europeo-mediterraneo. L’importanza che le mappe animate rappresentavano per Stuart Legg, il re­ sponsabile di “The World in Action”, è sottolineata dall’episodio Maps in Action (1945), dedicato interamente a illustrare le varie tecniche di animazione. Maps in Action è un’antologia delle migliori sequenza animate di “The World in Action”: prima di ogni scena, compare un cartello che spiega la tecnica impiegata nel ca­ so specifico. Stuart Legg aveva già realizzato una puntata autoriflessiva, The War for Men’s Minds (1943), dedicata al tema della propaganda di guerra: il film il­ lustra i vari metodi usati dai tedeschi, e le contromisure adottate dagli alleati. Maps in Action rappresenta il corrispettivo animato di The War for Men’s Minds, 165

attestando così il ruolo centrale giocato dall’animazione all’interno di “The World in Action”, la serie che costituiva la punta di diamante dell’azione propa­ gandistica del Board.

Note 1 Sull’estrema destra canadese e sulla presenza di sentimenti anti-semiti in Canada tra le due guerre mondiali cfr.: Lita-Rose Betcherman, The Swastika and the Meaple Leaf. Fascist Move­ ments in Canada in the Thirties, Toronto, Fitzhenry and Whiteside, 1975; Martin Robin, Shades of Right. Nativist and Fascist Politics in Canada, 1'920-1940, Toronto, University of Toronto Press, 1992. 2 Sul Canada durante la Seconda guerra mondiale cfr.: Charles P. Stacey, The Canadian Army, 1939-1945. An Official Historical Summary, Ottawa, Ministry of National Defence, 1948; Charles P. Stacey, Arms, Men and Governments. The War Policies of Canada, 1939-1945, Ottawa, Ministry of National Defence, 1970; J.L. Granatstein, Canada’s War. The Politics of the Mackenzie King Government, 1939-1945, Toronto, University of Toronto Press, 1990. Vedi anche Luca Codignola e Luigi Bruti Liberati, Storia del Canada, Milano, Bompiani, 1999. Per la bibliografia sulla Se­ conda guerra mondiale in generale rimandiamo alla nota 1 del capitolo IV. 3 Una legge del 1927 imponeva che le sale inglesi proiettassero almeno il 7,5% di film britan­ nici, ovvero provenienti da qualunque territorio dellTmpero. I canadesi, invece di sfruttare l’occa­ sione per sviluppare una loro industria del cinema, lasciarono che questa produzione fosse con­ trollata dagli americani, che realizzavano film canadesi per penetrare nel mercato britannico. I quota films del British Columbia saranno eliminati da una nuova legge inglese nel 1938, molto più restrittiva della precedente. 4 Sul cinema canadese cfr.: Seth Feldman e Joyce Nelson (a cura di), Canadian Film Reader, Toronto, Peter Martin Associates Limited, 1977; Pierre Véronneau (a cura di), Les Cinémas canadiens, Paris, Lherminier / La Cinémathèque québécoise, 1978; Peter Morris, Embattled Shadows. A History^ of Canadian Cinema, 1895-1939, Montreal. McGill-Queen’s University Press, 1978; Peter Morris, The Film Companion. A Comprehensive Guide to More than 650 Canadian Films and Filmmakers, Toronto, Irwin Publishing, 1984; David Clanfield, Canadian Film, Oxford, Ox­ ford University Press, 1987; Sylvain Garel e André Paquet (a cura di), Les Cinemas du Canada, Paris, Centre Georges Pompidou, 1992; Ted Magder, Canada’s Hollywood: The Canadian State and Feature Films, Toronto, University of Toronto Press, 1993; Yves Lever, Histoire générale du cinéma au Québec, Québec, Boreal, 1995. 5 Per il testo della relazione di Grierson cfr. C. Rodney James, Film as a National Art: NFB of Canada and the Film Board Idea, New York, Amo Press, 1977, pp. 671-692. Si veda inoltre John Grierson, Rapport sur les activités cinématographiques du gouvernement canadien (juin 1938), “Les Dossiers de la Cinémathèque”, n. 1, Montréal, Cinémathèque québécoise / Musée du cinéma, 1978; questo volume comprende, oltre alla traduzione francese della relazione di Grierson, un’uti­ le introduzione di Pierre Véronneau sul contesto storico in cui si colloca il documento. 6 II volume più accurato sul periodo canadese della carriera di Grierson e sul National Film Board durante la Seconda guerra mondiale è: Gary Evans, John Grierson and the National Film Board. The Politics of Wartime Propaganda, Toronto, University of Toronto Press, 1984. Inoltre cfr.: Maijorie McKay, History’ of the National Film Board of Canada, Montreal, National Film Board of Canada, 1964; Peter Morris (a cura di), The National Film Board of Canada: The War Years. A Col­ lection of Contemporary Articles and Selected Index of Productions, Ottawa, Canadian Film Insti­ tute, 1965; Forsyth Hardy, John Grierson. A Documentary Biography, London, Faber and Faber, 1979; David Barker Jones, Movies and Memoranda: An Interpretative History of the National Film Board of Canada, Ottawa, Canadian Film Institute / Deneau Publishers, 1981; C. Rodney James, Film as a National Art, cit.; AA.VV, John Grierson and the NFB, Toronto, ECW Press, 1984; Joyce Nelson, The Colonized Eye. Rethinking the Grierson Legend, Toronto, Between the Lines, 1988. 166

7 Tra il 1942 e il 1945 il NFB realizzò una quindicina di training films per le forze armate ca­ nadesi. Stando al catalogo del Board, in nessuno di essi c’è un impiego particolarmente significa­ tivo dell’animazione. 8 Cfr. Gary Evans, John Grierson and the National Film Board, cit. 9 Cfr. Peter Morris, Re-thinking Grierson: The Ideology of John Grierson, in Pierre Véronneau, Michael Dorland, Seth Feldman (a cura di), Dialogue. Cinéma canadien et québécois - Canadian and Quebec Cinema, Montréal, La Cinémathèque québécoise, 1986, pp. 21-56; Joyce Nelson, The Colonized Eye, cit. 10 La principale raccolta degli scritti di Grierson è: Forsyth Hardy (a cura di), Grierson on Doc­ umentary, London, Collins, 1946. Si veda anche: John Grierson, Eyes of Democracy, Stirling, The John Grierson Archive / University of Stirling, 1990. 11 Cfr. Walter Benjamin, L'opera d'arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, tr. it., To­ rino, Einaudi, 1966. 12 Cfr. George L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1815-1933), tr. it.. Bologna, Il Mulino, 1975. 13 Cfr. Maurizio Vaudagna, «Drammatizzare l’America!»: i simboli politici del New Deal, in Id. (a cura di), L’estetica della politica. Europa e America negli anni Trenta, Roma/Bari, Laterza, 1989, pp. 77-102. 14 Louise Beaudet, L’Animation, in Pierre Véronneau (a cura di). Les Cinemas canadiens, cit., p. 71. 15 Sull’animazione canadese cfr.: C. Rodney James, Film as a National Art, cit., pp. 439-476; “Séquences”, n. 91, gennaio 1978 (numero interamente dedicato all’animazione al National Film Board); Alfio Bastiancich (a cura di), Immagine per immagine. Cinema di animazione al Nation­ al Film Board of Canada, Milano, Azzurra Editrice, 1989; Louise Beaudet, L’Animation, cit., pp. 71-86; David Clanfield, Canadian Film, cit., pp. 112-128; Louise Beaudet, Traverses. Le ci­ néma image par image, in Sylvain Garel e André Paquet (a cura di), Les Cinémas du Canada, cit., pp. 243-255. 16 Sull’influenza di Norman McLaren sull’animazione del National Film Board cfr. Cecile Star, Conversations with Grant Munro and Ishu Patel: The Influence of Norman McLaren and the Na­ tional Film Board of Canada, “Animation Journal”, primavera 1995, pp. 44-61. 17 II catalogo del Board si compone di due volumi, uno della produzione in inglese e l’altro di quella in francese. Cfr. Donald W. Bidd (a cura di), The NFB Film Guide. The Productions of the National Film Board of Canada from 1939 to 1989, Montreal, National Film Board of Canada, 1991; Donald W. Bidd (a cura di), Le répertoire des films de I'ONE La production de I’Office Na­ tional du Film du Canada de 1939 à 1989, Montréal, Office National du Film du Canada, 1991. Il National Film Board, insieme alla National Library of Canada e ai National Archives of Canada, ha realizzato il CD-Rom Film I Video Canadiana (OPTIM), che raccoglie i dati - aggiornati ogni anno - sulla produzione del Board (dal 1939 in avanti) e sulla restante produzione cinematografi­ ca canadese (a partire dal 1980). 18 Questo calcolo considera i vari episodi delle due serie “Let’s All Sing Together” e “Chants populaires”, girati negli anni 1944-’45, come un solo film, seguendo il criterio adottato dal catalo­ go del Board. In realtà ogni episodio è fatto di diversi cortometraggi (da 2 a 5), del tutto autonomi l’uno dall’altro e talvolta opera di autori diversi. Se volessimo considerare le varie parti degli epi­ sodi di “Let’s All Sing Together” e “Chants populaires” come singoli film, il numero complessivo delle pellicole di animazione prodotte durante la Seconda guerra mondiale dal National Film Board salirebbe a 87. 19 Joyce Nelson, The Colonized Eye, cit., p. 88. 20 Per la bibliografia su Walt Disney - tanto sui suoi film, quanto sui risvolti politici del perso­ naggio - rimandiamo al capitolo VI. 21 Cfr. Leonardo Quaresima, Leni Riefenstahl, Firenze, La Nuova Italia, 1984, p. 92. 22 Cfr. Robert Hughes, La cultura del piagnisteo. La saga del politicamente corretto, tr. it., Mi­ lano. Adelphi, 1994. 23 Cfr. Richard Shale, Donald Duck Joins Up. The Walt Disney Studio during World War 11, Ann Arbor (Michigan), UMI Research Press, 1982, pp. 15-16. 167

24 Per le date di questi film abbiamo seguito la filmografia di Shale, che riporta la data di re­ lease americana, e non il catalogo del NFB, che -- presumibilmente - riporta la data di consegna ai canadesi. Visto che il catalogo cartaceo del NFB! non cita All Together, di cui pure l’archivio del Board dispone, ci permettiamo di dubitare della sua totale affidabilità. 25 Durante la Seconda guerra mondiale la bandiera canadese comprendeva al proprio interno la bandiera britannica: un campo rosso con al centro una foglia d’acero e la Union Jack in un angolo (una struttura analoga a quella delle bandiere australiana e neozelandese). La bandiera bianca e ros­ sa, con le tre bande verticali e la foglia d’acero, venne introdotta solo nel 1965. 26 Circa le diverse letture ideologiche di The Three Little Pigs cfr. Robert Sklar, Cinetnamerica. Una storia sociale del cinema americano, tr. it., Milano, Feltrinelli, 1982, p. 237. 27 Cfr. “Life”, 31 agosto 1942, p. 62 (si tratta di un ampio articolo - pp. 61-69 - sull’attività dello studio Disney durante la guerra). 28 Cfr. A.J. Barker, Armi delle fanterie inglese e americana nella seconda guerra mondiale, tr. it., Parma, Ermanno Albertelli editore, 1972, pp. 13, 53. 29 Cfr. Valerio Naglieri, Carri armati nel deserto, Parma, Ermanno Albertelli editore, 1972. 30 Su Norman McLaren cfr.: André Martin, z x i = ... ou le cinema de deux mains, “Cahiers du cinéma”, n. 79, gennaio 1958 (pp. 5-19), n. 80, febbraio 1958 (pp. 27-41), n. 81, marzo 1958 (pp. 41-46), n. 82, aprile 1958 (pp. 34-47); Roy P. Madsen, Animated Film: Concepts, Methods, Uses, New York, Interiand Publishing, 1969, pp. 181-187 (un’illustrazione molto chiara delle di­ verse tecniche utilizzate da McLaren); “Séquences”, n. 82. ottobre 1975 (numero monografico su McLaren); Maynard Collins, Norman McLaren,. Ottawa, Canadian Film Institute, 1976; Robert Russett e Cecile Star, Experimental Animation. An Illustrated Anthology, New York, Van Nostrand Reinhold Company, 1976, cap. 5; William Gallant, Andre Petrowski, Guy Glover, McLaren, Mon­ treal, National Film Board of Canada, 1980; Alfio Bastiancich, L’opera di Norman McLaren, To­ rino, Giappichelli Editore, 1981 ; Valliere T. Richard, Norman McLaren, Manipulator of Movement. The National Film Board Years, 1947-1967, Toronto, Ontario Film Institute, 1982; Roger Odin, Norman Mac Laren [sic], une esthétique amateur, “Conferences du collège d’histoire de 1’art cinématographique”, n. 6, inverno 1994, pp. 155-166. 31 Stars and Stripes fu prodotto dalla Guggenheim Foundation, la quale commissionò un film analogo a Oskar Fischinger, An American March, nel quadro di un progetto di borse di studio per artisti europei in fuga dall’Europa. 32 Ovviamente, trattandosi di un film dipinto direttamente sulla pellicola, il termine “carrella­ ta” ha un valore puramente metaforico, in quanto la sequenza non è mai stata ripresa da una cine­ camera. D’altra parte, anche nel convenzionale disegno animato, i movimenti di macchina vengo­ no realizzati facendo scorrere il disegno sotto la macchina da presa (posta in verticale rispetto al piano dove sono disposte le cels), che rimane immobile. 33 Esiste una seconda versione del film, realizzata dopo la guerra, in cui la parte finale, con il messaggio patriottico, è stata tagliata. 34 Cfr. William Gallant, André Petrowski, Guy Glover, McLaren, cit., p. 8. 35 Cfr. Michael White (a cura di), The Drawings of Norman McLaren / Les dessins de Norman McLaren, Montréal, Tundra Books / Les Livres Toundra, 1975, p. 17. 36 Originariamente il NFB aveva sede a Ottawa; venne spostato a Montréal negli anni Cin­ quanta. 37 Joyce Nelson, The Colonized Eye, cit., pp. 135-136. 38 Su George Dunning cfr. AA.VV, George Dunning, cinéaste dessinateur, Annecy, Festival d’Annecy, 1983. 39 Su Evelyn Lambart cfr.: “ASIFA - Canada”, gennaio 1988 (numero monografico sulla Lambart); Jayne Pilling, Women and Animation. A Compendium, London, British Film Institute, 1992, pp. 30-32. 40 Cfr. Philippe Moreau Defarges, Introduzione alla geopolitica, tr. it., Bologna, Il Mulino, 1996.

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Capitolo VI

Stati Uniti 1941-1945

Come si è già accennato nell’introduzione, l’analisi dei cartoons americani del­ la Seconda guerra mondiale avverrà in base a uno schema diverso da quello se­ guito fin qui. Infatti, poiché la produzione inglese e americana del primo conflit­ to mondiale, così come quella anglo-canadese del secondo, sono largamente sco­ nosciute, anche agli specialisti del cinema di animazione, era necessaria un’ope­ ra preliminare di descrizione del corpus in questione; non essendoci mai più di 30-40 titoli per ogni capitolo, tale corpus poteva essere illustrato in maniera ab­ bastanza dettagliata. Il caso dei film di animazione statunitensi degli anni 1941’45 è invece totalmente diverso. Qui, infatti, ci troviamo di fronte a una filmo­ grafia enorme, che conta circa 300 pellicole, sulla quale sono già state realizzate ricerche approfondite. Inoltre, questi film sono relativamente noti anche in Italia. Per queste ragioni abbiamo scelto di dare per scontata la conoscenza di base del corpus, per concentrarci su due questioni particolarmente rilevanti (e dibattute dagli studiosi americani, essenzialmente nella prospettiva teorica dei cultural studies): la rappresentazione del nemico da un lato, e il ruolo di Disney come educatore-propagandista dall’altro. Inoltre, abbiamo scelto di chiudere il capito­ lo con un’analisi di Victory through Air Power (1943) della Disney, uno degli esempi più affascinanti di uso militare dell’animazione, ma molto poco cono­ sciuto, anche tra gli addetti ai lavori, a causa della difficoltà materiale di vedere questo film, che, dopo il 1945, la Disney non ha più messo in circolazione, né ha permesso che venisse proiettato a festival o altre manifestazioni culturali, per l’evidente disomogeneità di un lungometraggio che esalta il bombardamento strategico rispetto al modello dello “spettacolo per la famiglia” praticato dalla casa di produzione. Per ragioni analoghe a quelle relative ai cartoons, nell’introduzione storica del presente capitolo, abbiamo evitato di riassumere il ruolo avuto da Hollywood nella propaganda bellica americana, in quanto si tratta di materia largamente no­ ta anche in Italia, di cui era superflua una descrizione sommaria (mentre una trat­ tazione più ampia dell’argomento ci avrebbe condotti troppo lontano).

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1. La propaganda americana durante la Seconda guerra mondiale

L’attacco giapponese a Pearl Harbor, il 7 dicembre 1941, pose fine all’acceso di­ battito tra isolazionisti e internazionalisti, che imperversava in America dal set­ tembre del 1939. A causa dell’esperienza della Grande Guerra, le opinioni isolazioniste - sostenute da organizzazioni come America First Committee e Make Europe Pay War Debts Committee - erano molto popolari all’inizio, e potevano contare su testimonials illustri quali l’aviatore Charles Lindberg. Le associazio­ ni internazionaliste (Committee to Defend America by Aiding the Allies, Fight for Freedom Committee), radicate soprattutto nei ceti medio-alti degli Stati del Nord-Est, tradizionalmente liberal, guadagnarono molto terreno sui loro avver­ sari, nei due anni che intercorsero tra l’invasione della Polonia e il coinvolgi­ mento degli Stati Uniti nel conflitto. Nella loro azione filo-britannica e anti-fa­ scista, gli internazionalisti potevano contare anche sul sostegno - benché mai esplicito, a causa dell’opposizione del Congresso a una politica interventista - di Franklin D. Roosevelt. Il Presidente, infatti, era determinato a evitare che il con­ tinente europeo cadesse sotto il controllo di Hitler, e già a partire dalla primave­ ra del 1941 aveva impegnato gli Stati Uniti in una guerra non dichiarata contro la Germania (dal mese di aprile, la marina americana attaccava i sommergibili te­ deschi che cercavano di affondare i convogli diretti in Inghilterra). Alla fine del 1941, la maggioranza degli americani era consapevole del pericolo che un vitto­ ria tedesca in Europa rappresentava per l’America ed era sostanzialmente favo­ revole a un ingresso in guerra del paese..1 Come molti americani della sua generazione, il Presidente diffidava della propaganda bellica. Roosevelt aveva fatto parte dell’amministrazione Wilson e ricordava i danni generati dalla retorica del Committee on Public Information. Benché le sue idee per il dopo-guerra non fossero molto diverse da quelle di Wilson (la differenza sostanziale tra i due presidenti - entrambi convinti interna­ zionalisti - era costituita soprattutto dal pragmatismo rooseveltiano, nettamente contrapposto alla mancanza di flessibilità di Wilson), Roosevelt non voleva enunciare war aims o impegnarsi in promesse che lo vincolassero nella condotta della guerra. Per tutta la durata del conflitto, l’unico obiettivo dichiarato dagli Stati Uniti fu la resa incondizionata delle potenze dell’Asse, enunciato ufficial­ mente alla conferenza di Casablanca del gennaio del 1943. Lo scopo principale di Roosevelt era ottenere la vittoria nel più breve tempo possibile, con il minor spargimento di sangue americano, anche a costo di realizzare dei compromessi con ex-alleati di Hitler (come l’accordo con l’ammiraglio Darlan in Nord Africa nel 1942, o quello con Badoglio e i Savoia nel 1943), in aperta contraddizione con l’idealismo democratico dei New Dealers. Ma nonostante l’avversione di Roosevelt verso la propaganda, il governo americano dovette comunque orga­ nizzare tale attività, che - lo abbiamo visto - è un tassello essenziale della guer­ ra totale. In particolare, la propaganda si presentava come uno strumento parti­ colarmente importante, per rafforzare il morale del fronte interno e delle truppe 170

combattenti, nella prima fase del conflitto, quando le forze americane venivano umiliate in una serie di clamorose sconfitte nel Pacifico, mentre lo scacchiere eu­ ropeo-mediterraneo era caratterizzato da una sostanziale inattività dell’America. Fino al giugno del 1942 la propaganda degli Stati Uniti era frantumata tra di­ verse strutture, ereditate dal periodo della neutralità: Office of the Coordinator of Information, Office of the Coordinator of Inter-American Affairs, Office of Facts and Figures, Division of Information for the Office of Emergency Management. L’amministrazione Roosevelt esitò a lungo prima di fondere le varie agenzie in una sola, per paura di creare un’organizzazione dotata di eccessivi poteri, come il CPI della Grande Guerra. Il compromesso tra la necessità di razionalizzare il settore e la volontà di non centralizzare in maniera eccessiva la propaganda, si espresse attraverso la creazione dell’Office of War Information, sotto la guida di Elmer Davis, giornalista e commentatore radiofonico, che gestiva la white pro­ paganda (sia in patria che all’estero), cui si affiancava l’Office of Strategie Ser­ vices (l’antesignano della CIA, creata nel 1947)2 di “Wild” Bill Donovan, inca­ ricata delle operazioni segrete. L’unica delle vecchie agenzie a sopravvivere alla ristrutturazione fu I’Office of the Coordinator of Inter-American Affairs di Nel­ son Rockefeller, che curava i rapporti con 1’America Latina, un settore partico­ larmente delicato, vista la tendenza apertamente filo-tedesca di alcuni paesi del­ l’area, in particolare dell’Argentina. Sin dalla sua creazione, la leadership dell’OWI era divisa in due fazioni: da un lato gli intellettuali liberal, che vedevano nella guerra una crociata anti-fascista per esportare il New Deal in tutto il mon­ do, dall’altro i conservatori, che rifiutavano una lettura eccessivamente ideologi­ ca del conflitto e consideravano il loro lavoro come una semplice appendice del­ lo sforzo militare della nazione. La componente di sinistra dell’OWI faceva ca­ po al direttore dell’Overseas Branch, Robert Sherwood, giornalista e autore di molti discorsi di Roosevelt. Per Sherwood e gli altri liberals, il fondamento teo­ rico della propaganda americana dovevano essere le “quattro libertà” (di parola, di culto, dal bisogno e dalla paura, enunciate da Roosevelt in un discorso del gen­ naio del 1941) e il principio di autodeterminazione dei popoli, così come deli­ neato dall’Atlantic Charter (risultato dell’incontro tra Churchill e Roosevelt a Placentia Bay, nell’agosto del 1941). L’ala moderata dell’OWI, così come Donovan e l’OSS, avevano invece una visione decisamente meno idealistica del­ la guerra: per loro la propaganda non era un mezzo per diffondere il verbo della democrazia nel mondo, ma soltanto uno strumento ai servizio della politica este­ ra americana. I liberals dell’OWI entrarono presto in aperto contrasto non solo con l’OSS, ma anche con i vertici delle forze armate. Essi infatti non accettava­ no né la politica di conciliazione con personaggi discutibili come Darlan e Ba­ doglio, né il silenzio circa il colonialismo britannico (ufficialmente l’Atlantic Charter impegnava gli inglesi a garantire l’indipendenza alle sue colonie, ma il governo americano spesso taceva su questo argomento, per evitare frizioni con i suoi più stretti alleati). Durante il 1944, i progressisti dell’OWI vennero defene­ strati (Sherwood si dimise in settembre) e sostituiti non tanto da conservatori,

quanto da dirigenti pragmatici, che - in sintonia con Roosevelt, che pure, in pri­ vato, condivideva molte delle opinioni dei liberals - ritenevano che la vittoria Sull’Asse fosse l’obiettivo prioritario. La partenza di Sherwood, ovviamente, fe­ ce migliorare notevolmente i rapporti dell’Overseas Branch dell’OWI - la cui at­ tività principale era la gestione della radio The Voice of America - con l’OSS, i generali e il Department of State.23 L’OWI si occupava di tutti i settori della domestic propaganda (radio, cine­ ma, pamphlets, riviste, manifesti), sul modello del CPI, anche se godeva di pote­ ri più limitati rispetto al suo omologo della Prima guerra mondiale. Il Bureau of Motion Pictures dell’OWI, diretto da Lowell Mellett, operava da punto di con­ tatto tra Hollywood e il governo, oltre a produrre direttamente film di propagan­ da e a fungere da distributore delle pellicole realizzate dalle diverse agenzie fe­ derali. L’atteggiamento dell’industria del cinema verso l’OWI fu duplice. Da un lato, Hollywood, come già aveva fatto nel 1917, partecipò con slancio allo sfor­ zo bellico: le sue star girarono l’America a promuovere la vendita dei war bonds, mentre alcuni dei suoi più illustri registi andarono a dirigere film di propaganda (il caso più eclatante è quello Frank Capra, che realizzò la serie “Why We Fight”, 1942-’45, e altri documentari, per il War Department). Dall’altro lato, le Majors dimostrarono la solita riluttanza ad accettare forme di controllo pubblico sulle lo­ ro attività. Il War Activities Committee, creato dalle principali compagnie, dove­ va servire proprio come struttura di coordinamento interna all’industria, che te­ nesse il più lontano possibile l’OWI, spesso critico verso il loro approccio al te­ ma della guerra. Dal punto di vista deglli intellettuali dell’OWI, infatti, i film di Hollywood tendevano a privilegiare in maniera eccessiva la dimensione spetta­ colare del conflitto, trascurando di illustrare gli alti ideali per i quali l’America stava combattendo. Film d’avventura come Tarzan Triumphs (1943), in cui l’uo­ mo scimmia sbaraglia i nazisti, oppure musical quali Star Spangled Rhythm (1942), infastidivano notevolmente l’OWI, che desiderava una presentazione se­ ria degli eventi politico-militari in corso.4

2. Not politically correct*, la rappresentazione del nemico

La filmografia stilata da Shull e Wilt conta 271 «wartime American animated short films», realizzati tra il 1939 e il 1945.5 Al numero indicato dai due studio­ si bisogna aggiungere i 26 episodi della serie “Private Snafu”, realizzati tra il 1943 e il 1945 dagli animatori della Warner Brothers per l’“Army-Navy Screen Magazine” (ma alcune puntate di Snafu comparvero anche nel newsreel canade­ se “Canada communiqué”), il cinegiornale delle forze armate, ideato da Frank Capra.6 Dunque, il numero complessivo dei cartoons americani legati al tema della guerra sarebbe di poco inferiore a 300. In realtà, più della metà di questi di­ segni animati (soprattutto quelli usciti tra il 1939 e il 1941, quando gli Stati Uni­ ti erano ancora neutrali) contengono riferimenti sostanzialmente marginali al 172

conflitto: si tratta di topical humour, ossia gag sulla guerra, inserite all’interno di un film la cui storia è priva di un contenuto ideologico-politico. Un esempio ca­ nonico di questo tipo di cartoon è Red Hot Riding Hood (1943) di Tex Avery, una geniale rielaborazione della favola di Cappuccetto Rosso, in cui la tenera fan­ ciulla è divenuta una provocante pin-up, mentre la nonna è un’erotomane che ten­ ta di conquistare il Lupo Cattivo, il quale indossa un elegante frac e sfoggia dei baffetti alla Clark Gable. Il Lupo, quando cerca di sedurre l’avvenente Cappuc­ cetto Rosso, le offre un viaggio in Riviera, dei diamanti e un set di pneumatici nuovi: un riferimento al razionamento della gomma, che gli Stati Uniti importa­ vano dall’Asia. Lo stesso accade in Swing Shift Cinderella (1945), sempre di Tex Avery, un’altra satira di una favola: Cenerentola è una cantante di night club tut­ ta curve, mentre la Fatina Buona è un’anziana “infoiata” che vuole conquistare il Lupo (un personaggio che compare in molti film di Avery, senza però avere un nome). Alla fine del cartoon, scoccata la mezzanotte, Cenerentola lascia precipi­ tosamente il locale dove si esibisce, perché deve correre alle officine Lockweed (chiaro rimando alla Lockheed, una delle principali ditte costruttrici di aerei mi­ litari), dove lavora come operaia. Questi film di Avery erano molto popolari pres­ so il pubblico militare, in virtù dell’erotismo e della violenza iperbolica che li ca­ ratterizza (lo Hays Office impose dei tagli a Red Hot Riding Hood, ma una ver­ sione integrale del film venne distribuita nelle sale per le truppe al fronte), ma il loro rapporto con la guerra è minimo: se in Swing Shift Cinderella si eliminasse il riferimento all’impiego di manodopera femminile nell’industria bellica, l’eco­ nomia del testo non ne risulterebbe minimamente alterata.7 Dunque, non tutti i circa 300 cartoons da cui eravamo partiti hanno come te­ ma centrale la guerra. Shull e Wilt indicano in 107 i cortometraggi animati «di­ rectly dealing with World War II» usciti tra il 1942 e il 1945 (ma in realtà anche alcuni del 1941 sono decisamente di propaganda).8 Se a questa cifra aggiungia­ mo i 26 episodi di Snafu, arriviamo al totale di 133 cartoons di propaganda ame­ ricani prodotti durante la Seconda guerra mondiale. All’interno di questo ampio corpus, troviamo essenzialmente due modelli. Da un lato abbiamo i film di Disney, che - anche se non tutti - si prefiggono in primo luogo un compito edu­ cativo, e cercano di raggiungere questo scopo attraverso l’elaborazione di un nuovo linguaggio che cerchi di rispondere alle esigenze politico-militari del mo­ mento. Dall’altro lato, troviamo i film della Warner Brothers, della MGM, dei Fleischer, di Paul Terry, in cui lo schema canonico del cartoon pre-bellico rima­ ne sostanzialmente inalterato e l’unico cambiamento è costituito dalla presenza di un nuovo antagonista dell’eroe: Popeye si batte con i giapponesi anziché con Bluto, Superman sventa i complotti delle spie naziste invece che dei gangster, Bugs Bunny e Daffy Duck si accaniscono contro Hitler e Goering invece che contro Elmer Fudd. Con l’eccezione di Snafu e di Any Bonds Today? (1941), un breve spot per i war bonds con Bugs Bunny come testimonial, i cartoons di que­ ste case non erano commissionati dal governo, che si rivolgeva principalmente a Disney, in quanto principale studio di animazione (inizialmente anche Snafu do­ 173

veva essere fatto dalla Disney, ma il preventivo molto più basso presentato dalla Warner fece cambiare idea ai responsabili militari). In molti dei film del secondo gruppo troviamo gli stilemi caratteristici degli officiai films che abbiamo ormai imparato a conoscere. In The Blitz Wolf (1942) di Avery i proiettili che i Tre Porcellini sparano contro il bombardiere pilotato dal Lupo Cattivo si trasformano, per un momento, in defense bonds. In You’re a Sap, Mr. Jap (1942) Popeye, prima di avventarsi contro i giapponesi, ingoia gli spina­ ci e il suo braccio destro si trasforma nella lettera “V”, mentre in Spinach fer Briatain (1943) fischietta la V sinfonia di Beethoven dopo aver affondato i som­ mergibili tedeschi che cercano di impedirgli di portare il suo carico di spinaci in Inghilterra. Ma nonostante la presenza di alcuni topoi dell’officiai propaganda, i cartoons di Popeye, di Superman e Bugs Bunny mantengono la struttura narrati­ va classica: Popeye ricorre sempre agli spinaci per avere la meglio sul suo av­ versario, Clark Kent si infila nella cabina telefonica, Bugs sbuca improvvisa­ mente dal terreno, sgranocchiando una carota. L’unica differenza rispetto ai film degli anni precedenti consiste nel fatto che ora il movimento frenetico di Bugs e Popeye ha uno scopo patriottico. Anche per quanto riguarda i film di Private Snafu (acronimo che sta per “Sit­ uation Normal All Fucked Up"), benché si trattasse di cartoons didattici, anziché genericamente morale boasting, gli animatori della Warner (vi lavorarono tutti i grandi registi dello studio: Frank Tashlin, Chuck Jones, Bob Clampett, Friz Freleng) non si allontanarono in maniera sostanziale dal loro stile abituale.9 Lo sco­ po della serie - i cui primi tre episodi furono scritti da Ted Geisel (meglio noto come Dr. Seuss, l’autore della popolarissimo The Cat in the Hat), che supervisionò le puntate successive - era insegnare ai giovani americani in uniforme co­ me comportarsi in determinate situazioni belliche. In ogni cartoon, Snafu, il sol­ dato tipico, fa l’opposto di ciò che sarebbe consigliabile: confida a chiunque in­ formazioni riservate, spende tutta la sua paga in donne e vino, non adotta le mi­ sure sanitarie anti-malaria, ecc. La trascuratezza di Snafu ha, puntualmente, un esito disastroso, che dovrebbe convincere lo spettatore a tenere una condotta dif­ ferente da quella del protagonista. Nonostante nasca come commessa governati­ va, Snafu è un personaggio Warner a tutti gli effetti; anche la colonna sonora ha il “marchio Warner”: Snafu era doppiato da Mel Blanc, che faceva quasi tutte le voci dei cartoons della casa, e la musica era di Carl Stalling, il musicista dei film con Daffy Duck e Bugs Bunny (che, peraltro, fa anche un carneo in Gas, 1944). Lo schema drammaturgico-narrativo è quello classico dei cartoons Warner (ma anche di quelli dei Fleischer e di Avery), incentrato sull’inseguimento, la gag, l’i­ perbole. Il veicolo attraverso il quale gli autori riuscirono a conquistare il pub­ blico, che amava enormemente la serie, fu l’enfatizzazione della violenza ipercinetica e dell’erotismo propri dello stile della Warner. Il fatto che si trattasse di un prodotto ad esclusivo consumo dei militari, infatti, permetteva una comicità più ardita rispetto a quella che lo Hays Office avrebbe accettato per una platea civi­ le. In Booby Traps (1944), ad esempio, Snafu si diletta in un harem pieno di pro­ 174

caci odalische, dove fuma un narghilè e accarezza le natiche di una fanciulla lo­ cale, che però è un manichino, che, nascoste proprie nelle rotondità femminili, cela delle bombe. A Lecture on Camouflage ( 1944) è molto tecnico: il “padrino” di Snafu, Technical Fairy First Class, un inquietante ibrido tra John Wayne e Campanellino (è un piccolo folletto in uniforme, con le ali, il sigaro in bocca e la voce stentorea del sergente istruttore), spiega, attraverso le solite gag di Snafu, alcuni accorgimenti necessari per la mimetizzazione. Ma, per “ricompensare” i soldati di aver prestato attenzione alla lezione, il film si chiude sull’immagine di due sirene a seno scoperto, con tanto di capezzoli in mostra, cosa davvero inusi­ tata per l’epoca. Così come in Censored (1944), dedicato al tema della censura della posta dei soldati, vediamo la ragazza di Snafu con addosso soltanto un paio di calze e delle provocanti mutandine nere. Ai tempi dell’entrata in vigore del Production Code, la povera Betty Boop era stata accusata di indecenza per mol­ to meno.10 Nel 1995 la Warner Brothers, in seguito alle pressioni dell’ambasciata giappone­ se, dovette ritirare dal mercato il settimo volume della serie di videocassette “Golden Age of Looney Tunes”, poiché conteneva Bugs Bunny Nips the Nips (1944), in cui Bugs distribuisce gelati esplosivi ai soldati nipponici, dicendo: «For you, monkey face». Bugs Bunny Nips the Nips è soltanto uno degli esempi più eclatanti di come i disegni animati del periodo bellico rappresentassero i giapponesi in termini decisamente razzisti. Si è spesso scritto che nella propa­ ganda americana, se da un lato c’è il tentativo - almeno parziale - di distingue­ re tra i nazisti e alcuni tedeschi buoni, dall’altro i giapponesi vengono condan­ nati in blocco, in base a un criterio etnico, anziché politico: ogni giapponese è un mostro, là dove qualche tedesco - forse - è un democratico vittima della dittatu­ ra (gli italiani erano un nemico di secondo piano, sulla cui natura ideologica non valeva neppure la pena interrogarsi). E questa impostazione è particolarmente evidente nei disegni animati. In Bugs Bunny Nips the Nips, così come in Tokio Jokio (1943), o nei cartoons con Popeye, i giapponesi hanno fattezze grottesche: dentoni da topo, occhiali enormi, occhi esageratamente a mandorla. Anche nei film con Superman, ad esempio The Eleventh Hour (1942) di Dan Gordon, dove pure prevale uno stile realistico, i giapponesi sono esseri dall’aspetto lombrosiano. Addirittura, in Scrap the Japs (1942) alla fine del film i giapponesi, che han­ no la coda, vengono rinchiusi da Popeye in una grande gabbia, in cui fanno ver­ si da topo. Nell’introduzione abbiamo notato come la riduzione del nemico a creatura non-umana sia una delle caratteristiche di fondo della propaganda, che in questo modo giustifica sul piano morale la violenza contro l’avversario. Complessivamente, a tedeschi e italiani fu riservato un trattamento più mite. In Daffy - The Commando (1943), Daffy Duck si batte contro un perfido ufficia­ le tedesco con il monocolo, il quale passa il tempo a picchiare, con vero sadismo, il suo attendente nano. Ma in questo cortometraggio, più che una rappresenta­ zione dei tedeschi come una razza sub-umana, c’è un recupero di due figure ca­ 175

noniche dell’immaginario hollywoodiano: l’ufficiale prussiano malvagio e de­ pravato (il monocolo è quello di Stroheim), e il servo del dottor Frankenstein. In generale, i tedeschi appaiono sempre come schiavi ottusi e obbedienti, ma su di essi non si riversa mai l’odio e il disprezzo riservati ai nips; inoltre, più che il po­ polo tedesco nel suo complesso, la satira anti-nazista riguarda soprattutto Hitler e i gerarchi del regime. In Herr Meets Hare (1945) Bugs Bunny, sulla via di Las Vegas, si sbaglia e scava sino in Germania, sbucando nella Foresta Nera, dove in­ contra Goering che sta andando a caccia in costume bavarese. Bugs chiede a Goering: «Pardon me, doc, can I ask you the road to Las Vegas?», lasciando al­ libito il comandante della Luftwaffe. Poi, sulle note di un’aria wagneriana, Bugs compare su un cavallo bianco, travestito da valchiria, facendo eccitare Goering, il quale con un costume “da Sigfrido” (ha addosso una pelle di animale e un el­ mo vichingo) balla un valzer di Strauss. Alla fine Goering cattura Bugs, lo met­ te in un sacco e lo porta da Hitler, il quale urla: «Heil, me!». Bugs esce dal sac­ co travestito da Stalin, provocando così la fuga precipitosa di Hitler e Goering. I cartoons della Warner abbondano di caricature di Hitler, da The Ducktators (1942) di Norman McCabe, al divertentissimo Russian Rhapsody (1944) di Bob Clampett, in cui un gruppo di folletti sovietici tormenta il Fùhrer, cantando «We are gremlins from the Kremlin» sull’aria di Oddo mia, passando per Daffy - The Commando, che si chiude con Daffy Duck che tira una martellata in testa a Hitler. Ma anche quando la caricatura dei dittatori di Germania e Italia è feroce, come in The Last Round-Up (1943) di Paul Terry, dove Hitler è raffigurato come un maiale che lancia noccioline a un Mussolini-scimmia, la satira è pur sempre diretta soltanto contro il Fùhrer e il Duce. Molti sostenitori del politically correct hanno visto in questa diversa rappre­ sentazione dei giapponesi, rispetto a tedeschi e italiani, un segno del razzismo de­ gli americani, che non per nulla, durante la guerra, rinchiusero buona parte dei cittadini statunitensi di origine nipponica in campi di prigionia, perché sospetta­ ti di collaborare col nemico, là dove nulla del genere fu fatto contro gli italo-americani (mentre la comunità German-American, da tempo americanizzata, aveva perso una forte visibilità culturale, per cui non era percepita come una potenzia­ le quinta colonna).11 Nel diverso approccio dei propagandisti - e dei politici - sta­ tunitensi ai due principali avversari, insomma, sarebbe implicita l’idea che men­ tre i tedeschi, in quanto europei, sono forse recuperabili alla democrazia, una vol­ ta estirpati il nazismo e il militarismo prussiano, i giapponesi invece sono irri­ mediabilmente ostaggio del dispotismo orientale: i sudditi dellTmperatore-Dio sarebbero schiavi privi di una personalità individuale, incapaci di assimilare i va­ lori liberali, e dunque meritano di essere distrutti. Questa teoria, pur contenendo forti elementi di verità, presenta anche alcune falle. Intanto, non è poi così vero che i propagandisti americani credessero nella possibilità di rieducare il popolo tedesco. Your Job in Germany (1945), ad esempio, un film diretto da Frank Capra per le truppe di occupazione in Europa, spiega ai militari americani che tutti i te­ deschi sono nazisti, e che quindi non devono né fidarsi né fraternizzare con la po176

polazione. In secondo luogo, se certamente è vero che negli Stati Uniti (soprat­ tutto in California) esisteva una diffusa avversione per gli asiatici (il “pericolo giallo” di inizio secolo), tale avversione non fu mai cieca. Basti pensare che, du­ rante la Prima guerra mondiale, gli americani compravano i liberty bonds da Sessue Hayakawa, una star di Hollywood di origine giapponese, che presenziava ai raduni patriottici e che, indossando la divisa dell’esercito statunitense, recitò nel cortometraggio Banzai! (1918), uno spot per promuoveva il prestito di guer­ ra (durante la Grande Guerra il Giappone era alleato deH’America).12 Se è vero che la rappresentazione dei giapponesi nei cartoons americani del­ la Seconda guerra mondiale assume connotazioni razziste, bisogna notare che vi sono anche alcuni elementi specifici della guerra del Pacifico che spiegano, e giustificano, la violenza degli animatori verso i japs. In primo luogo, il Giappo­ ne attaccò gli Stati Uniti senza una preventiva dichiarazione di guerra, con un’a­ zione a sorpresa che distrusse la quasi totalità della flotta del Pacifico e umiliò profondamente l’America. AI contrario, Germania e Italia presentarono una for­ male dichiarazione di guerra alle autorità statunitensi. E chiaro, quindi, che agli occhi degli americani il nemico di gran lunga più infingardo e pericoloso era l’impero del Sol Levante. In secondo luogo, la guerra sullo scacchiere asiaticopacifico fu caratterizzata da una ferocia che gli americani non sperimentarono in Europa (i tedeschi non applicarono al fronte occidentale e agli anglo-americani i metodi selvaggi che adottarono a Oriente); da ultimo, la condotta delle forze giapponesi nei confronti dei civili e dei prigionieri di guerra fu assolutamente spietata. Inoltre, anche la propaganda nipponica utilizzava argomentazioni raz­ ziste, incentrate sull’idea della superiorità etnica dei giapponesi, non solo ri­ spetto agli occidentali, ma anche nei confronti delle altre popolazioni asiatiche, che pure ufficialmente il Giappone si prefiggeva di liberare dal giogo del colo­ nialismo. Nei manifesti giapponesi, spesso gli inglesi e gli americani erano raf­ figurati come esseri inferiori, talvolta anche con l’aggiunta di una componente anti-semita.13 Bugs Bunny Nips the Nips, insomma, va collocato nel contesto di un conflitto sanguinoso, caratterizzato da una terribile spietatezza da ambo le parti. Rispetto a massacri, stupri di massa, due esplosioni atomiche, la “cattive­ ria di celluloide” di Bugs Bunny sembra davvero poca cosa. Inoltre, se i cartoons sulla Germania sono incentrati soprattutto sulla triade Hitler-Goering-Goebbels, e non presentano una condanna dei tedeschi tout court, ciò non è non solo indi­ ce di un maggior rispetto per i tedeschi in quanto bianchi, ma anche del fatto che la liturgia nazista, così lontana dalla cultura politica americana, era un bersaglio ideale per i cartoonists. Il Giappone non disponeva di figure folcloristiche come Goering, né di rituali ridicoli - almeno per gli americani - come i raduni di Norinberga. Insomma, credo che sia stata anche la natura della dittatura nazista, in cui la dimensione estetico-spettacolare giocava un ruolo centrale, a fare in mo­ do che la satira si concentrasse soprattutto sul Partito e i suoi capi, cosa impos­ sibile per il Giappone, il cui regime tradizionalista aveva caratteristiche molto più dimesse. 177

Restando nel campo del cinema di animazione, bisogna anche osservare che nei disegni animati di propaganda giapponese troviamo gli stessi stereotipi raz­ ziali dei cartoons della Warner Brothers. Momotaro no umivashi (1943) - che il catalogo della Library of Congress, dov’è conservato, traduce col titolo Momo­ taro’s Naval Airplane - narra la vicenda del giovane Momotaro, eroe della tradi­ zione folclorica giapponese, che, alla guida di una portaerei con un equipaggio composto interamente di animali antropomorfi, fa strage di americani.14 Quella di Momotaro è una delle più note fiabe giapponesi, in cui un bambino-guerriero, al­ leato con gli animali, sconfigge i demoni. La figura di Momotaro venne larga­ mente utilizzata dalla propaganda nipponica, che, ovviamente, trasformò i de­ moni in soldati statunitensi. In Momotaro no umivashi l’isola dei demoni della leggenda diventano le isole Hawaii, sede della flotta americana del Pacifico. Gli animali al comando di Momotaro distruggono, senza colpo ferire, tutte le navi nemiche, mentre i marinai americani (che hanno l’aspetto di Bluto e Popeye) ubriachi, corrono terrorizzati sul ponte delle loro corazzate, assolutamente inca­ paci di affrontare la situazione. La superiorità morale della figura di Momotaro sui suoi avversari, vigliacchi e alcolizzati, è schiacciante. Ma il razzismo dei cartoons americani della Seconda guerra mondiale non de­ riva soltanto dalla violenza della congiuntura bellica. Sin dalle sue origini, il ci­ nema di animazione americano ha sempre presentato molte gag - più o meno of­ fensive - a contenuto etnico: in Lightning Sketches (1907) di Blackton, l’autore disegna la caricatura di un nero e di un ebreo.15 Dopo Blackton i cartoons ameri­ cani hanno continuato (almeno fino agli anni Quaranta) a ridere dei neri e delle altre minoranze; anche se talvolta era la minoranza a impadronirsi del medium: i disegni animati di Max e Dave Fleischer, ebrei newyorkesi figli di immigrati, ab­ bondano di ethnic jokes.'6 Un esempio di cartoon “non politicamente corretto” del periodo bellico è The Boogie Woogie Bugie Boy of Company B (1941) di Walter Lantz, i cui personaggi sono tutti neri, con i tradizionali stereotipi fisico­ comportamentali: labbroni, accento del Sud, passione per la musica. La storia si svolge in un reparto nero della fanteria (fino alla guerra di Corea, nell’esercito americano vigeva la segregazione razziale) e mostra una scena inusitata per l’e­ poca, una scena che la maggior parte dei bianchi non avrebbe accettato se si fos­ se trattato di un film dal vero: soldati neri che ballano con ragazze bianche! Un altro all black cartoon dell’epoca è il divertentissimo Coal Black and de Sebben Dwarfs (1943) di Bob Ciampett, una satira, con ambientazione militare, di Snow White and the Seven Dwarfs (1937) di Disney (gli animatori della Warner face­ vano la guerra a Disney, oltre che a tedeschi e giapponesi): So White - una pro­ sperosa fanciulla, che non fa nulla per nascondere le sue grazie - fugge dalla re­ gina cattiva, e si nasconde nel bosco, dove trova i Sette Nani, che indossano l’u­ niforme dell’esercito degli Stati Uniti. So White diviene la vivandiera dell’ac­ campamento militare dei nani, e viene risvegliata dal sonno indotto dalla mela, non dal principe, il cui speciale bacio “Rosebud” non può nulla, bensì dal picco­ lo Dopey, il cui bacio è così intenso che alla ragazza si drizzano le trecce, su cui 178

compaiono due bandierine americane. La rappresentazione caricaturale dei neri di The Boogie Woogie Bugie Boy of Company B e Coal Black and de Sebben Dwarfs può certamente risultare offensiva, ma questi due film hanno l’indubbio merito di parlare di un fenomeno - la segregazione razziale nelle forze armate sistematicamente rimosso dal cinema di quegli anni.17

3. The Great Teachers Walt Disney e Ila propaganda bellica

Un articolo del 1942 della rivista “Fortune”, dedicato ai cartoons di propaganda della Disney, è intitolato significativamente Walt Disney: Great Teacher.18II gior­ nalista esalta le doti pedagogiche di Disney, i cui metodi innovativi - scrive stanno rivoluzionando le finalità, oltre che la tecnica, del cinema di animazione. Disney sarebbe un grande educatore perché i suoi film sono chiari e semplici, in netta contrapposizione con l’oscurità iniziatica del sistema accademico america­ no, mutuato dal modello universitario tedesco dell’ottocento (è implicito, nelle parole dell’autore, che tutto ciò che proviene dalla Germania è naturalmente de­ leterio). E proprio grazie al lavoro di propaganda della causa anti-fascista, svol­ to durante la Seconda guerra mondiale, che Disney iniziò a sviluppare quella pas­ sione per l’educazione di massa, accanto all’intrattenimento, che esploderà negli anni Cinquanta. Quello di Disney è un modello educativo dichiaratamente popu­ lista e anti-intellettualistico, analogo alla linea del “Reader’s Digest”. Scrive in proposito Eric Smoodin: By the late 1950s, perhaps Disney’s apotheosis as a national icon (he appeared in mil­ lions of homes each week on his television program), National Geographic could hail his global scope by discussing his “Magic Worlds”. In the Geographic article Robert De Roos points out the important relationship between the magazine and Disney, whose artists and writers used the periodical for research purposes. In this mutual admiration so­ ciety. we can see a particular kind of endorsement of a world constructed (at least for the consumption of a TV-watching, magazine-reading public) and commercially controlled by the United States. Disney’s re-creation of various historical epochs and geographical regions in his theme parks, and his saturation of world markets with his various products, were hardly different from National Geographic’s monthly production of the world in the space of three hundred pages. Rather than standing for an overt ideological position, as in the 1940s when Disney clearly worked to advance the Allied cause, this new Disney (and the Geographic, too) indicate a committment to the benefits of mass education, ob­ jective knowledge, and honest fun.1’

Non tutta la produzione Disney del periodo bellico è votata alla propagandaeducazione. Vi sono alcuni film che presentano del semplice topical humour, vei­ colato attraverso le formule del cartoon pre-bellico. Donald’s Tire Troble (1943), in cui Donald Duck è alle prese con dei pneumatici logori (il riferimento è al ra­ zionamento della gomma per il consumo civile, di cui già si è già detto a propo­ sito di Red Hot Riding Hood), e Home Defense (1943), dove Donald e i nipotini 179

stazionano sulla costa con una macchina per captare il rumore degli aerei nemi­ ci in avvicinamento, ironizzano su aspetti della vita del fronte interno secondo gli stilemi dei cartoons di Donald Duck del decennio precedente. Lo stesso si può dire per Donald Gets Drafted (1942), The Vanishing Private (1942), Sky Trooper (1942), Fall Out - Fall In (1943), The Old Army Game (1943), tutte commedie di ambiente militare, che potrebbero essere state prodotte indifferentemente pri­ ma o dopo la guerra, in quanto non si vede mai il nemico: l’unico antagonista di Donald è Sergeant Pete (ossia Gambadilegno).20 Invece, i film in cui è reperibile una forte innovazione sul piano formale sono quelli schiettamente di propaganda, la maggior parte dei quali furono finanziati (interamente o parzialmente) da strutture governative. Tra il 1942 e il 1945 la Disney realizzò training films per l’esercito (circa 150 titoli), spot per il Treasury Department, film per il mercato latino-americano commissionati dall’Office of the Coordinator of Inter-American Affaiirs. E qui che, con modalità diverse da un’opera all’altra, troviamo la volontà di creare un nuovo linguaggio, di infon­ dere un nuovo spirito pedagogico nell’estetica del cartoon. Tra i primi dirigenti politici a rivolgersi a Disney, subito dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor, ci fu Henry Morgenthau, il Segretario al Tesoro, che aveva già commissionato uno spot alla Warner, Any Bonds Today?, poco prima dello scoppio del conflitto (nel­ l’ultima fase della neutralità, l’amministrazione aveva lanciato un piano di riar­ mo e mobilitazione, in vista della probabile entrata in guerra). Disney produsse due cortometraggi per il Treasury Department, The New Spir­ it (1942) e The Spirit of '43 (1943), in cui troviamo una struttura analoga a quel­ la dei film per il National Film Board of Canada. The New Spirit il più com­ plesso dei due, inizia con una canzone patriottica. Yankee Doodle Dandy, e Don­ ald Duck che balla; i titoli di testa scorrono su una mappa degli Stati Uniti; il con­ tenuto propagandistico del testo è esplicito sin dall’inizio. La musica si fa intradiegetica: la canzone è parte di un programma radiofonico. Donald Duck si av­ vicina all’apparecchio e, infiammato di orgoglio nazionale, nelle orbite dei suoi occhi compaiono due bandiere a stelle e strisce. La radio dice; «Your whole co­ untry is mobilizing for total war. Your country needs you» (come ne\V incipit di Donald’s Decision, 1942). A queste parole, Donald si eccita e si arma, pronto al­ ia battaglia, ma appena sente parlare di income tax si deprime. Il meccanismo di climax-anticlimax è molto divertente; la radio, che funge da spalla del protago­ nista, prima lo mette in fibrillazione (Donald si arrampica sull’apparecchio, pre­ gandolo di dirgli cosa mai lui possa fare per il suo paese) e poi lo abbatte. E chia­ ro il tentativo di innescare un processo di identificazione con il pubblico, perché nessuno ha voglia di pagare le tasse, anche se si tratta di «Taxes for democracy, taxes to beat the Axis». La scena successiva, invece, è tutta didattica; la radio spiega come si riempie il modulo per il pagamento delle imposte. Le tasse di guerra crearono milioni di nuovi contribuenti, prima risparmiati dal fisco: The New Spirit venne fatto principalmente per costoro. Gli oggetti necessari all’ope­ razione - penna, calamaio, tampone - invitano Donald a mettersi al lavoro, mo180

strandogli quanto ciò sia semplice. Dunque, le affinità tra The New Spirit e i film canadesi sono molteplici, sia nella centralità della radio (il principale mezzo di propaganda della Seconda guerra mondiale, insieme al cinema), sia nell’obietti­ vo di fondo: spiegare ai civili in che modo possano contribuire allo sforzo belli­ co. E come nei cortometraggi per il Board, la seconda parte è l’illustrazione di che cosa lo Stato intenda fare con il finanziamento che chiede ai contribuenti. Ve­ diamo prima il denaro delle tasse, poi le fabbriche che costruiscono fucili e can­ noni, che si mettono a sparare contro una nave giapponese, affondandola, sulle note - ovviamente - della V sinfonia di Beethoven. Aerei americani in costru­ zione, poi un caccia tedesco in fiamme che si schianta al suolo (si tratta della stessa inquadratura dei film canadesi): «Taxes to keep them flying». Un’enorme macchina da guerra nera, simbolo delle potenze dell’Asse, viene distrutta, sem­ pre con il sottofondo musicale di Beethoven. Il film si chiude con file di carri ar­ mati che si muovono sull’orizzonte, mentre degli aerei solcano il cielo, su cui si staglia un’immensa bandiera americana. Sentiamo God Bless America e la voce off che cita le “quattro libertà” del Presidente Roosevelt. Dunque, in The New Spirit troviamo molti degli stereotipi dei disegni anima­ ti di propaganda che abbiamo fin qui incontrato: il ricorso alla simbologia nazio­ nale (la bandiera, Yankee Doodle Dandy, God Bless America); la V sinfonia di Beethoven; i soldi dei cittadini che divengono armi contro il nemico; l’interazio­ ne tra una parte comica - per catturare l’attenzione delle spettatore - e una più strettamente informativa. Anche in Out of the Frying Pan into the Firing Line ( 1942). ritroviamo uno dei topoi dei cartoons di propaganda bellica. In questo film, realizzato per il War Production Board. Minnie, dopo aver cucinato le uova con il bacon, sta per dare il grasso a Pluto, ma la radio (come in The New Spirit, è di nuovo la radio a impartire gli ordini) la ferma, perché - spiega - il grasso serve a produrre la glicerina, con cui si fanno le bombe. Vediamo le gocce di grasso trasformarsi in proiettili, che affondano le navi tedesche, con l’accompa­ gnamento della V sinfonia di Beethoven. Come in tanti altri film che abbiamo analizzato, anche in questo spot di Disney è presente l’immagine di un elemento innocuo - qui il grasso della frittura, anziché il war bond certificate - che si tra­ sforma in un ordigno e annichilisce il nemico. Se The New Spirit, The Spirit of '43 e Out of the Frying Pan into the Firing Line non aggiungono nulla all’apparato retorico che il cinema di animazione ave­ va elaborato, dal 1914 al 1941. nel campo della propaganda e della pubblicità, i film realizzati da Disney per l’Office of the Coordinator of Inter-American Af­ fairs rappresentano un vero salto di qualità nell’uso del disegno animato come strumento ideologico. Il CIAA era stato creato da Roosevelt nell’ottobre del 1940, per combattere la propaganda tedesca in America Latina e promuovere la “Good Neighbour Policy”, ossia la politica di amicizia e cooperazione - sotto la guida degli Stati Uniti - tra i vari paesi del continente americano. Dopo Pearl Harbor, i buoni rapporti con l’America Latina, in cui diversi governi, in primo luogo quello argentino, erano decisamente filo-Asse, divennero ancora più im­ 181

portanti. Il Sud Atlantico, infatti, era un’area vitale per i collegamenti marittimi tra l’America e il teatro di operazioni europeo-mediterraneo, per cui gli Stati del­ la regione - in particolar modo il Brasile, le cui basi aeronavali vennero integra­ te nel dispositivo militare statunitense — dovevano essere schierati al fianco di Washington.21 Il cinema fu uno dei principali campi di intervento del CIAA. Nel­ son Rockefeller e John Hay Whitney, il direttore della Motion Picture Division del CIAA, fecero pressione su Hollywood perché prestasse maggiore attenzione aH’America Latina, attraverso coproduzioni con compagnie locali, l’aumento di storie e attori sudamericani nei film statunitensi, l’eliminazione degli stereotipi negativi sui latino-americani (ad esempio il bandito messicano dei western). Gli sforzi di Rockefeller e Whitney furono' largamente coronati dal successo (l’e­ mergere di una star come Carmen Miranda, che debutta proprio nel 1940, con Down Argentine Way, non è forse casuale), anche perché le Majors, cui l’avan­ zata delle armate dell’Asse aveva sottratto quasi tutti i mercati esteri, avevano tut­ to l’interesse ad aumentare la loro presenza nei mercati latino-americani.22 Una delle “offensive diplomatiche” più eclatanti di Rockefeller e Whitney fu il viaggio di Disney in America Latina, organizzato dal CIAA, tra l’agosto e l’ot­ tobre del 1941 (ossia nel pieno del famoso sciopero allo studio di Burbank: uno dei motivi per cui Disney partì fu proprio che, a causa della forte personalizza­ zione dello scontro tra il produttore e i sindacalisti, la sua assenza avrebbe aiuta­ to a chiudere la vertenza). Disney, insieme a un gruppo di suoi stretti collabora­ tori, venne inviato a sud del Rio Grande come rappresentante degli Stati Uniti. Il lungo tour aveva lo scopo di raccogliere suggestioni e materiali per alcuni film sulla realtà latino-americana, dimostrando così l’attenzione che l’America del Nord, nella persona di una delle figure di maggior spicco della sua industria cul­ turale, dimostrava verso i suoi vicini meridionali. Del viaggio venne realizzato un resoconto filmato, South of the Border with Disney ( 1942), un mediometrag­ gio Uve-action in cui vediamo le varie tappe del pellegrinaggio di Disney dal Bra­ sile al Messico, durante il quale i visitatori incontrano artisti e musicisti locali, e fanno disegni e fotografie della fauna, della flora e delle usanze dei diversi pae­ si. La parola chiave di South of the Border with Disney è “pittoresco”: le varie zo­ ne dell’America Latina appaiono come splendidi paradisi naturali, popolati da fe­ lici contadini indios e da gauchos. Questa esperienza venne messa a frutto in una serie di disegni animati: il cortometraggio Pluto and the Armadillo (1943). il me­ diometraggio Saludos Amigos ( 1943) e il lungometraggio The Three Caballeros (1945). Quest’ultimo, che riprende e amplia la formula di Saludos Amigos (di­ versi episodi a disegni animati, intervallati da sequenze dal vero), è indubbia­ mente il film più complesso e interessante di questo gruppo di opere. The Three Caballeros racconta di un viaggio di Donald Duck in America La­ tina, durante il quale il papero yankee fa la conoscenza di due nuovi amici: il pap­ pagallo brasiliano Joe Carioca e il gallo messicano Panchito. Il sottotesto politi­ co del film, benché certamente sfugga al pubblico di oggi, all’epoca era assolu­ tamente chiaro. Il Brasile e il Messico erano i due principali alleati degli Stati 182

Uniti in America Latina; il finale, con i tre amici che cantano «Through fair or stormy weather / We stand close together», sullo sfondo dei colori delle rispetti­ ve bandiere nazionali dei tre paesi, è una perfetta visualizzazione della hemi­ spheric solidarity teorizzata dalla diplomazia statunitense. Ma l’aspetto più inte­ ressante di The Three Caballeros, accanto alla forte componente erotica, piutto­ sto inusitata per una produzione Disney (Donald Duck si eccita violentemente al­ la vista delle bellezze locali, in particolare di fronte ad Aurora Miranda, sorella di Carmen), è certamente la volontà di sperimentazione formale reperibile nel te­ sto. The Three Caballeros è un film composito, in cui sono presenti stili molto differenti: cartoon tradizionale, interazione tra cartoon e immagini dal vero, di­ segni animati fortemente stilizzati, al limite dell’astrazione (la sequenza del tre­ no e quella del sogno di Donald, dopo che è stato baciato da Aurora Miranda). In The Three Caballeros, ingiustamente considerato un film minore, si trova una ricchezza espressiva assente nei lungometraggi pre-bellici della Disney, ad ecce­ zione di Fantasia (1940), che però, contrariamente all’immediatezza e alla levi­ tà di The Three Caballeros, si presenta programmaticamente, e pesantemente, co­ me “opera d’arte”. The Three Caballeros, così come South of the Border with Disney e Saludos Amigos, vogliono avvicinare il pubblico nord-americano alle varie culture del­ l’America del Sud, e, collocandosi a metà strada tra il cartoon e il documentario etnografico, descrivono usi e costumi delle popolazioni rurali, così come la vita “moderna” delle grandi città del Messico e del Brasile. Nel compiere tale opera­ zione, il testo cerca sistematicamente dii omologare la diversità dell’oggetto os­ servato al soggetto osservante. In questi film troviamo uno sforzo costante di di­ mostrare che l’America del Nord e l’America del Sud sono profondamente affi­ ni, attraverso argomentazioni quali: “i gauchos sono i cowboys dell’Argentina”. Per dirla con Todorov, nei film di Disney - nella miglior tradizione dei coloniz­ zatori bianchi - l’unico modo per concepire l’altro è di assimilarlo a sé; là dove, la seconda possibilità individuata dal critico strutturalista, ossia proiettare sull’altro tutti i mali possibili, è riservata - in altri film - a tedeschi e giapponesi.23 Ma altre opere realizzate sotto gli auspici di Nelson Rockefeller erano invece ri­ volte agli spettatori latino-americani. Il CIAA commissionò alla Disney dieci cortometraggi educativi, sulle tecniche agricole e le malattie infettive, da mo­ strare ai contadini e agli abitanti delle periferie urbane del Sud America. Uno era The Grain That Built a Hemisphere (1943), di cui abbiamo parlato nel terzo ca­ pitolo. Altri titoli sono: Water, Friend or Enemy (1943), sui modi di depurare l’acqua; Defense against Invasion (1943), sulla necessità della vaccinazione; The Winged Scourge (1943), probabilmente il più noto, in cui i Sette Nani spiegano come si combatte la malaria. Accanto a questi training films a soggetto tecnico-sanitario, il CIAA finanziò (seppure solo in maniera parziale) anche altri cortometraggi, a contenuto squisi­ tamente ideologico, da distribuire in America Latina, ma anche negli Stati Uniti e in altri paesi stranieri. Si tratta di Der Fuehrer’s Face (1943), Chicken Little 183

(1943), Reason and Emotion (1943) e Education for Death (1943). Der Fuehrer’s Face è una satira del nazismo, ma, contrariamente a The Blitz Wolf o Herr Meets Hare, qui non abbiamo soltanto i classici personaggi dei disegni animati con rag­ giunta dei balletti e dalla fascia con la svastica. La prima parte di Der Fuehrer’s Face opera in base allo schema canonico dei film di Donald Duck: la banda che suona la marcetta che dà titolo al film, le varie gag con Donald che non vuole al­ zarsi dal letto. Ma la seconda parte del cortometraggio, in cui Donald, cittadino­ schiavo del III Reich lavora in una fabbrica di armi, si muove su tutt’altro terre­ no. L’enorme massa nera dello stabilimento industriale sembra uscita dalle sce­ nografie di Metropolis ( 1926), così come la netta contrapposizione tra luce e om­ bra che prevale nell’interno dell’officina è di sapore espressionista. Il progressi­ vo crollo psichico di Donald, sfiancato dai ritmi frenetici della catena di mon­ taggio, deriva direttamente da Modem Times (1936), mentre l’incubo finale, suc­ cessivo al collasso del protagonista, in cui vediamo un balletto policromo di bombe antropomorfe e ritratti di Hitler, è quasi surrealista, anche se si tratta cer­ to del surrealismo “addomesticato” di Hollywood (si pensi alle sequenze oniri­ che di Spellbound, 1945, di Hitchcock). Questi richiami all’avanguardia e l’ambientazione operaia di Der Fuehrer’s Face segnano una rottura netta con il piat­ to stile naturalistico e le fiabe lacrimevoli, che si erano affermati nella produzio­ ne della casa dalla seconda metà degli anni Trenta in poi. Nonostante il notorio anti-comunismo e anti-sindacalismo di Disney, Der Fuehrer’s Face si configura come un violento atto d’accusa contro l’oppressione della classe operaia in uno Stato fascista, che qualunque dirigente della III Internazionale avrebbe sotto­ scritto pienamente. Chicken Little è una parabola sui metodi nazisti per la presa del potere, in cui la volpe, grazie a un’attenta applicazione delle teorie del Dr. Goebbels («Non di­ re una bugia piccola, dinne una grossa», «Per influenzare le masse, punta ai me­ no intelligenti», «Minare la fiducia delle masse nei loro capi», ecc.) riesce a fare uscire i polli e le galline dal pollaio, per poi sbranarli. Mentre Chicken Little uti­ lizza lo schema della favola di Esopo, con gli animali antropomorfi che simbo­ leggiano vizi e virtù umane. Reason and Emotion adotta il modello del docu­ mentario scientifico. Il film spiega i meccanismi della mente umana: si inizia con il bambino, guidato unicamente dalle sue emozioni. All’interno della testa del pargolo si muovono due figure: un bambino in abiti da Età della pietra. Emotion, e un altro, dall’aspetto urbano: Reason. Qui, Reason ha la peggio, ma quando av­ viene la crescita, i ruoli si invertono: come in una cabina di pilotaggio, nella te­ sta dell’uomo vediamo alla guida Reason, un signore distinto, mentre Emotion, un cavernicolo, è nel sedile posteriore. L’uomo cammina per la strada e incontra una bella ragazza. Reason ed Emotion litigano sul da farsi: Emotion vuole “pro­ varci” («They love the rough stuff»), mentre Reason è contrario («Now, now, we must have proper respect for womanhood»). Emotion ha la meglio e l’uomo si prende uno schiaffo. Nella testa della ragazza avviene il medesimo duello: Reason, una signorina con gli occhiali e un vestito abbottonato sino al collo, è al­ 184

la guida, mentre Emotion, una cavernicola grassottella, è dietro. Emotion si la­ menta per lo schiaffo: lei avrebbe accettato Vavance. La voce off spiega che so­ prattutto in guerra la emozioni incontrollate sono pericolose: bisogna essere cal­ mi e riflessivi, e non credere immediatamente a tutto ciò che si sente. Il film pro­ segue, spiegando che Hitler ha messo al potere l’irrazionalità. Vediamo un radu­ no nazista, con un discorso del Fiihrer. Nella testa dei militanti nazisti ritroviamo Emotion e Reason, ma qui è il primo a essere al comando, mentre il secondo è in un campo di prigionia. Hitler tiene il suo discorso, e, con una serie di scritte nel­ la parte inferiore delle schermo, ne vengono evidenziati gli strumenti retorici: fear, simpathy, pride, hate. Nella testa dei piloti alleati, invece, Reason ed Emo­ tion collaborano. La voce off dice: «We will set out to do the job we have to do, and we’ll do it right». Su queste parole si vedono i bombardieri americani che si stagliano contro il cielo, su cui si chiude il film. Non ha torto Richard Shale, quando afferma che la caratterizzazione fredda della Ragione (accento inglese, occhiali da intellettuale, abiti scuri e castigati) ne fanno un personaggio sostanzialmente antipatico, con cui il pubblico non è cer­ to invogliato a identificarsi, mentre Emotion diventa odioso soltanto quando vie­ ne apertamente legato al nazismo.24 Ma al di là di questa incongruità di fondo, che effettivamente indebolisce il testo, è interessante il tentativo compiuto da Disney di spiegare i meccanismi psicologici su cui si reggono i regimi totalitari. Reason and Emotion è un vero documentario a disegni animati sul rapporto, per usare la nota espressione di Canetti, tra massa e potere. Insomma, qui siamo lon­ tanissimo dalla satira, divertente ma priva di spessore politico, di Tex Avery o Chuck Jones. Education for Death si muove nella stessa direzione di Reason and Emotion. Il film è ispirato al libro omonimo di Gregor Ziemer (da cui, nello stesso anno, fu tratto anche un lungometraggio dal vero, intitolato Hitler’s Children), che era stato direttore della scuola americana di Berlino, prima della guerra, e aveva stu­ diato il sistema educativo tedesco.25 Si tratta di un resoconto divulgativo - e tal­ volta decisamente romanzato - del sistema di indottrinamento della gioventù te­ desca. dall’asilo all’università. Il cartoon, che si apre sulla copertina del volume di Ziemer. inizia con la nascita di un bambino - il futuro nazista - che i genitori portano a registrare all’anagrafe. La scena è molto cupa: un grosso ufficiale na­ zista, avvolto dall’ombra, siede a una scrivania, posta su un palco di colore nero, su uno sfondo rosso. Alla base del palco, molto più in basso dell’ufficiale, i due genitori intimoriti dicono il nome che hanno scelto - Hans - e l’ufficiale con­ trolla la lista dei nomi proibiti (tutti ebraici). A scuola, il maestro, un grasso na­ zista dalla faccia ottusa e i capelli a spazzola, disegna alla lavagna una volpe e un coniglio: i disegni si animano (è un “meta-cartone animato”) e la volpe man­ gia il coniglio. Su tutta la classe, solo Hans ha pietà per il destino del coniglio, e per questo viene messo in castigo. Dopo questa lezione, il carattere di Hans ini­ zia a indurirsi. Vediamo un raduno notturno delle SA, che marciano alla luce del­ le torce, innalzando le loro bandiere (la sequenza è molto realistica e impressio­ 185

nante). Bruciano una pila di libri, tra cui le opere di Voltaire, Einstein, Mann. Le vetrate di una chiesa vengono infrante a sassate. La Bibbia si trasforma in Mein Kampfe la croce appesa al muro in una spada nazista. Hans è ormai un buon na­ zista, che marcia orgoglioso con gli altri militanti della NSDAP. Dalla sfilata del­ le SA si passa a quella dei soldati (prima la rivoluzione nazionalsocialista, poi la guerra per la conquista del mondo): i solidali marciano disciplinatamente verso il fronte e si trasformano progressivamente in un’enorme distesa di croci bianche con sopra un elmetto. Education for Death unisce un forte realismo a un uso simbolico della luce e del colore, con una netta prevalenza del nero e del rosso cupo. Come in Reason and Emotion, si tenta un’analisi dello Stato nazista, fondato su odio e obbedien­ za cieca. L’idea di fondo è che la prima vittima di tale Stato sia lo stesso popolo tedesco, rappresentato dalla madre buona (che accudisce Hans quando è malato, mentre il dirigente del Partito urla che nel III Reich non c’è posto per bambini deboli) e dai soldati-schiavi che marciano verso la morte. C’è, insomma, un ten­ tativo di ragionare sul fenomeno del nazismo, di andare al di là dello sberleffo (per quanto geniale) di Herr Meets Hare, di trasformare il cinema di animazione in uno strumento didattico. In questo tentativo di fare del cartoon un medium serio, c’è forse un sottote­ sto freudiano: il protagonista del film è “il piccolo Hans”, che ha paura del lupo (anche se, in verità, si tratta di una volpe). Nella scena del rogo dei libri le opere di Freud non ci sono, ma potrebbero esserci. Ci rendiamo conto che si tratta di un’interpretazione forzata e capziosa, anche se suggestiva. Walt Disney non avrebbe mai messo Freud in un suo film, perché lo “zio Walt” è un grande di­ vulgatore, non un professore universitario dal lessico oscuro. I cartoons di pro­ paganda della Disney, lo dicevamo all’inizio, sono la versione a disegni animati del “Reader’s Digest”. Non per nulla, per realizzare il suo film sul nazismo, Disney non si ispira a un saggio scientifico, ma a un best-seller, di cui venne pub­ blicata una versione condensata sul “Reader’s Digest” del febbraio 1943.26 Disney vuole spiegare gli avvenimenti politici al suo pubblico, ma senza intimo­ rirlo con termini troppo difficili.27

4. Victory through Air Power: the ultimate propaganda cartoon

La fase più ambiziosa del grande progetto di educazione di massa, messo in atto da Disney durante la guerra, fu certamente la trasposizione cinematografica del libro di Alexander P. De Seversky Victory through Air Power.28 Come nel caso del volume di Ziemer, anche qui si tratta di un best-seller, di un’opera che parla di un argomento complesso, ma con taglio divulgativo. Victory through Air Power, pubblicato nel 1942, è un violento atto d’accusa contro la scarsa atten­ zione che - secondo Seversky - i vertici militari e politici americani dedicano al­ l’aviazione, il cui impiego massiccio potrebbe accorciare notevolmente la dura186

ta della guerra.29 Seversky, un ufficiale dell’aviazione russa, dopo la Rivoluzione d’Ottobre emigrò negli Stati Uniti, dove divenne un ingegnere aeronautico delle forze armate americane, oltre che uno dei consiglieri del generale Mitchell, teo­ rico dell’rzzr power, processato da una corte marziale nel 1926 per le sue critiche all’arretratezza degli alti comandi. Mitchell, morto nel 1936, fu riabilitato e di­ venne un eroe nazionale durante la guerra, in quanto aveva predetto l’attacco ae­ reo giapponese contro gli Stati Uniti. Il libro è dedicato alla memoria di Mitchell; e nelle pagine del volume, V air power acquista via via lo statuto di una dottrina religiosa, di una fede, di cui Seversky, apostolo di Mitchell, vuole annunciare il verbo. La prima parte del libro analizza la centralità della superiorità aerea nei primi due anni di guerra, mentre la seconda parte è dedicata alla descrizione del­ la teoria strategica di Seversky, incentrata sulla costruzione di un super-bombar­ diere, capace di raggiungere direttamente il cuore dell’impero nemico, senza bi­ sogno di una lenta e sanguinosa avanzata all’interno del suo territorio. Victory through Air Power è un pamphlet che, per cercare di dimostrare la propria tesi, ignora deliberatamente una lunga serie di elementi. Innanzi tutto, l’i­ dea di una guerra inter-emisferica, condotta solo dall’aviazione, era un’utopia ne­ gli anni Quaranta; tutto il teorema di Seversky si fonda su un aeroplano che al­ l’epoca non esisteva. In secondo luogo, Seversky sopravvaluta le potenzialità del bombardamento strategico: l’aviazione non era in grado di vincere da sola la guerra. La campagna aerea contro la Germania fu massiccia e sistematica, ma i tedeschi continuarono a combattere fino alla fine: Vair power non faceva deca­ dere la necessità del controllo del territorio. Seversky insiste, in maniera stupe­ facente, nel negare qualunque importanza alle forze navali e terrestri. Anche l’of­ fensiva aerea contro il Giappone - che, contrariamente a quella contro la Ger­ mania, riuscì largamente a bloccare la produzione industriale - fu resa possibile solo da una serie di azioni navali e anfibie, che permisero all’aviazione di dispor­ re di basi da cui condurre i propri attacchi. Critica l’uso delle portaerei, che però rappresentavano l’unico modo di condurre la guerra in un ampio teatro di opera­ zioni marittimo, e infatti risultarono proprio l’elemento decisivo nella campagna del Pacifico.30 Il film segue il libro in maniera piuttosto fedele, alternando sequenze anima­ te e sequenze Uve-action, con Seversky che spiega i passi centrali della sua teo­ ria. Il lungometraggio si apre con un lungo cartello, in cui si sposa la tesi mes­ sianica di Seversky, il quale presenta Mitchell come un profeta inascoltato, le cui predizioni si sono avverate. Attraverso questo riferimento all’autorevole opinio­ ne di Mitchell, il testo cerca di rafforzare le proprie argomentazioni. Recita un lungo cartello iniziale:

Our country in the past, has struggled through many storms of anguish, difficulty and doubt. But we have always been saved by men of vision and courage, who opened our minds and showed us the way out of confusion. One of the men who foresaw the present mortal conflict, who tried desperately to awaken and prepare us for the issue, but who was ignored and ridiculed, was General Billy Mitchell. 187

La prima parte è un’introduzione sulla storia dell’aviazione, condotta secon­ do la tecnica tradizionale del cartoon, con una discreta dose di humour, che si conclude con l’impiego dell’aeroplano nella Grande Guerra. Come in Education for Death, sullo schermo compare il libro di Seversky, del quale il film traccia una breve biografia, in cui questi viene esaltato come «pilota, ingegnere e strate­ ga». Questo preludio serve chiaramente a rafforzare la credibilità di Seversky, che in questo modo è abilitato a parlare in qualità di esperto. Seversky espone la teoria deH’rzzr power, che, distruggendo il complesso industriale nemico, ne para­ lizza le forze armate e la possibilità di combattere. Seversky passa poi ad attac­ care il conservatorismo dei vertici militari americani, che utilizzano l’aeroplano solo come strumento secondario, nel quadro della loro antiquata strategia incen­ trata sul controllo del territorio e dei mari. Da questo punto in poi, le scene dal vero con Seversky si alternano con le sequenze animate, che illustrano le sue pa­ role. Si comincia con un’analisi delle fasi iniziali della guerra in corso. Vediamo le fortificazioni della Linea Maginot dall’esterno, e poi un loro schema in sezio­ ne. Ma mentre i francesi si trincerano, Hitler sta preparando la guerra lampo: compaiono i carri armati velocissimi, e Ilo Stuka, che si trasforma in una freccia, che annichilisce le costruzioni della Maginot. C’è una forte contrapposizione visivo-cinetica tra la staticità delle inquadrature della Maginot e la rapidità delle macchine da guerra tedesche, una contrapposizione che esprime perfettamente la natura fulminea del Blitzkrieg e l’incapacità dei francesi di opporvisi. Questa raf­ figurazione iconica della guerra-lampo è efficace anche perché, all’interno di un’unica inquadratura, interagiscono una componente simbolica (le frecce) e una raffigurativa (le fortificazioni), in modo tale che la scena risulta didatticamente chiara e, al contempo, suggestiva sul piano visivo. Un grande cannone, montato su un vagone ferroviario, si trasforma in uno Stuka: «His [di Hitler] long rage ar­ tillery toke wings». La trasformazione raffigura uno dei postulati del Blitzkrieg: l’uso dell’aviazione come “artiglieria volante”. Dopo l’umiliazione del land power francese, si passa al sea power britannico. Appare una bellissima cartina sferica, con effetti tridimensionali (montagne in ri­ lievo, con banchi di nubi in movimento ), della Danimarca e della Norvegia me­ ridionale, simile alle mappe animate di “Why We Fight”, di cui si è detto nel ca­ pitolo precedente. La voce off (di Seversky) espone il piano inglese: tagliare le linee di rifornimento tedesche con la flotta e isolare il corpo di spedizione ger­ manico in Norvegia. Ma la Royal Navy ha sottovalutato la potenza dell’tzzr power: una serie di svastiche, ognuna all’interno di un cerchio bianco, iniziano a girare, trasformandosi in eliche in movimento (di nuovo, compresenza di simbo­ lico e rappresentativo). La marina inglese può salvarsi dalla Luftwaffe, e ritirar­ si dalla Norvegia, solo grazie alla copertura della RAF. Questa immagine è mol­ to elaborata: l’ombrello protettivo della RAF, sotto il quale si muovono le navi, si proietta come un’ombra sulla mappa del Mare del Nord. Ancora una volta, al­ l’interno della stessa inquadratura convivono una componente astratta (la mappa con le linee dei meridiani e dei paralleli) e una concreta (gli aerei e le navi). 188

Il film prosegue, analizzando altri episodi decisivi della guerra. Il ruolo cen­ trale svolto dall’aviazione a Dunkerque è rappresentato attraverso l’immagine degli stormi di aerei, sotto cui operano le navi, che si trasforma in un grande ar­ co di acciaio, contro il quale si infrangono le frecce dell’offensiva tedesca. Poi vediamo la battaglia d’Inghilterra, in cui vengono utilizzati gli stilemi narrativi classici dei war movies: campi lunghi con le formazioni di Spitfire e Stuka, la soggettiva del pilota che inquadra l’aereo nemico nel mirino, il sibilo del bom­ bardiere in picchiata, aerei in fiamme, dettagli dei buchi di proiettile sulla fuso­ liera. Con altre, bellissime, mappe animate, Seversky racconta la battaglia di Cre­ ta, espugnata dai paracadutisti tedeschi: Creta è il primo territorio che sia stato conquistato interamente dell’trirpower. Sull’isola vediamo abbattersi un enorme maglio di acciaio, che stringe un timbro: quando la mano si ritira, l’isola è tutta nera e al centro c’è la svastica nel cerchio bianco. Questa soluzione figurativa il­ lustra in maniera eccellente l’idea di “conquista dal cielo”; ma, nella sua esalta­ zione dell’rzzr power, Seversky non dice che il corpo dei paracadutisti tedesco subì delle perdite così ingenti, durante gli scontri di Creta, da non essere più in grado di operare per il resto del conflitto. Arriviamo a Pearl Harbor: Seversky spiega l’impreparazione americana; gli aerei giapponesi attaccano le indifese na­ vi statunitensi; il ghigno satanico del pilota nipponico (è l’unico accenno razzi­ sta ai dirty japs in tutta la filmografia di Disney). Su una mappa del Pacifico e dell’Asia orientale, le frecce che simboleggiano le offensive giapponesi saltano da un punto all’altro: Corea, Filippine, Singapore. Seversky si trova davanti alla grande mappa che mostra le conquiste nemiche. È finalmente arrivato il momento per illustrare la sua rivoluzionaria teoria. Seversky dice che negli Stati Uniti si è capita l’importanza degli aerei, ma solo per conquistare il dominio deH’aria in funzione delle operazioni terrestri e nava­ li: la strada scelta dagli americani è quella di costruire armate analoghe a quelle nemiche, solo più grandi; in questo senso la vittoria dipende dalla capacità di mantenere le linee di collegamento tra le fonti di rifornimento e i molteplici fron­ ti sparsi sul globo. L’America è rappresentata come un’immensa fabbrica, su cui vengono tracciate le linee di crescita della produzione bellica, come sul dia­ gramma di un capitano di industria. Un treno carico di materiale militare attra­ versa il continente, «but finally jams up in the bottle made by shipping»: vedia­ mo un’enorme bottiglia, piena di treni militari, dal cui collo escono lentamente e con molta fatica delle navi. Ancora una volta, il disegno rappresentativo si fonde col simbolo: qui abbiamo la visualizzazione letterale della metafora verbale del­ l’imbottigliamento (peraltro, questo meccanismo è uno degli stilemi centrali del disegno animato in generale). Le mappe animate mostrano la lunghezza delle li­ nee di collegamento alleate, che devono passare intorno alle aree controllate dal nemico, il quale invece opera per linee interne. La macchina bellica tedesca è raf­ figurata come una ruota, il cui centro sono le fabbriche, mentre i raggi sono le li­ nee di comunicazione che portano al cerchio esterno, il fronte, saldamente tenu­ to dalla Wehrmacht. L’attuale strategia alleata è di colpire il cerchio esterno, dan­ 189

do così vita a una sanguinosa battaglia di attrito. Finché il centro industriale è in­ tatto, la Germania potrà sempre reagire. Ma V air power può attaccare l’avversa­ rio al cuore, immobilizzandolo: una grande freccia, con sopra un aereo, piove sulla svastica al centro della ruota, che si sfalda miseramente. Se - spiega Seversky - per attaccare la Germania con gli attuali aeroplani gli Alleati dispon­ gono di basi sufficientemente vicine, ciò non accade con il Giappone. Seversky illustra varie possibilità su come bombardare il Giappone: dalla Cina, dalla Si­ beria, con le portaerei, conquistando un’isola dopo l’altra (è l’opzione per lui me­ no consigliabile, ma che pure venne adottata dai comandi americani). Seversky le scarta tutte, e sostiene che l’unico modo di colpire la testa della piovra (il Giap­ pone), i cui tentacoli si allungano sulla mappa del Pacifico, è usare dei bombar­ dieri a lungo raggio che partano dall’Alaska. Vengono mostrati disegni e diagrammi dell’aereo ideato da Seversky, il «long rage combat fighter», di cui si illustrano le caratteristiche tecniche. Vediamo que­ sti potenti bombardieri sconfiggere gli intercettori, in virtù del loro armamento superiore (possiedono undici torrette e due cannoni, uno sul muso e uno in co­ da); i bombardieri prima annichiliscono gli aeroporti e le forze aeree nemiche, poi attaccano le fabbriche. Una sequenza illustra, con un disegno in sezione, co­ me si distrugge una diga con una bomba da 12 tonnellate. Una nuova bomba-raz­ zo (con una propulsione maggiore e dunque maggior capacità di penetrazione), ideata da Seversky, può distruggere le basi degli U-Boot, protette da mura in gra­ do di reggere ai bombardamenti convenzionali. In un crescente delirio di bellici­ smo fantascientifico, Seversky propone anche una bomba che causi i terremoti. Si torna nello studio dell’esperto: gli Stati Uniti devono trattenere i giapponesi, ottenendo il controllo del cielo su tutti i fronti, e concentrarsi sulla costruzione di questa flotta di bombardieri. Sulle parole esaltate di Seversky «To bring total destruction on the enemy», vediamo gli enormi aerei decollare dalle basi artiche e obliterare le città nemiche. Un’aquila piove dal cielo, a colpire la testa di una piovra nera, che rilassa i tentacoli e abbandona le baionette con la bandiera giapponese, piantate nelle di­ verse isole; l’orribile mostro nero, progressivamente, scompare dalla grande mappa dell’Oceano pacifico. La scena è molto interessante, in quanto in essa convivono varie forme di rappresentazione: un racconto con dei personaggi (il duello aquila-piovra: le due fiere sono disegnate con uno stile realistico, potreb­ be trattarsi di uno dei tanti film di Disney che hanno per protagonisti degli ani­ mali). la mappa, i simboli (le baionette con la bandiera giapponese, ma anche l’a­ quila e la piovra, che rappresentano i due paesi in lotta). L’aquila vola libera, si posa sul globo terrestre e diventa l’aquila di metallo in cima alla bandiera statu­ nitense, che garrisce al vento. Sull’immagine della bandiera a stelle e strisce si chiude Victory through Air Power. Ci rendiamo conto di aver fatto un riassunto lungo, e forse anche noioso, di Victory through Air Power, ma era l’unico modo di dare conto della ricchezza di un film molto poco noto, perché estremamente difficile da vedere. Dopo la fi190

ne della guerra, infatti. Victory through Air Power non è mai più stato proietta­ to in pubblico (solo la parte iniziale, la storia dell’aviazione, venne riutilizzata in un film didattico); oltre agli archivi di Burbank, ne possiedono una copia la Library of Congress (quella su cui abbiamo lavorato, che però purtroppo è una copia in bianco e nero, mentre il film era a colori) e una 1’Imperial War Museum. E evidente che un’opera che esalta la guerra, il bombardamento strategico e l’annientamento del nemico, ha poco in comune con Bambi (1942): Victory through Air Power è stato rimosso dall’immaginario degli spettatori cinemato­ grafici perché non omogeneo rispetto all’estetica e all’etica ufficiali della Walt Disney Productions. Il film non ebbe una buona accoglienza: molti critici, tra cui James Agee, lo accusarono di essere guerrafondaio, mentre i generali si sentirono offesi, perché un produttore cinematografico si permetteva di insegnare loro come dovevano condurre il conflitto. Anche la risposta del pubblico fu piuttosto tiepida, vista la natura molto particolare dell’opera, che nulla aveva a che spartire con la tradi­ zionale produzione Disney.31 Victory through Air Power fu l’unico grande pro­ getto del periodo bellico realizzato da Disney senza alcun sostegno finanziario pubblico, e il suo esito commerciale fu decisamente negativo. Ma dal nostro punto di vista, il successo del film, o la correttezza delle teorie di Seversky, di certo largamente inattendibili (a queste teorie, peraltro, egli stes­ so non rende un buon servizio, perché le illustra con un tono fastidioso, a metà tra il profetico e il saccente), sono fattori trascurabili. Ciò che conta è che Victory through Air Power è il primo (e unico) lungometraggio animato di propaganda bellica.32 Non solo, ma questo film si ispira a un testo di teoria militare (per quan­ to di taglio divulgativo), ed è tutto teso nello sforzo di visualizzare nozioni tattico-strategiche, idee complesse e non rappresentabili in termini drammaturgici, quali “dominio dei cieli”, “linee di ri forni mento”, “produzione bellica”, “guerra­ lampo”. Le scene di battaglia, che mutuano molti degli stilemi dai documentari e dai film di finzione, sono estremamente raffinate nel disegno e nell’animazio­ ne, oltre che accurate nei dettagli tecnicii. Ma la componente più affascinante del testo è rappresentata dalle sequenze di “pensiero visivo”: quelle scene in cui, per illustrare concetti come quello di “copertura aerea” (l’episodio di Dunkerque) o di “linee interne” (la ruota che rappresenta la macchina da guerra tedesca), inte­ ragiscono tra loro elementi rappresentativi ed elementi simbolici. La fusione di questi due ordini di figure è, al contempo, elegante ed efficace: il pugno che si abbatte su Creta esprime, con una sola inquadratura, ciò che un cinegiornale avrebbe impiegato venti minuti di proiezione a spiegare. Victory through Air Power, insomma, è uno dei migliori esempi delle potenzialità eidetiche del cine­ ma di animazione. Senza voler assumere una prospettiva piattamente teleologi­ ca, mi pare comunque indubbio che quest’opera, sul piano dell’elaborazione linguistico-formale, si presenti come il punto di arrivo di un lungo percorso inizia­ to nel 1914. Il libro di Seversky è certamente “teoria militare per il ‘Reader’s Digest’”, ma non di meno si tratta di un saggio. Trarre il soggetto di un lungo­ ni

metraggio da un testo teorico, anziché da un romanzo (come per molti versi era Reason and Emotion di Ziemer) è una scelta ambiziosa e audace, segno della vo­ lontà di trasformare il cinema di animazione, da semplice strumento di intratte­ nimento, in mezzo di informazione e propaganda. Victory through Air Power è la realizzazione del sogno di Ejzenstejn - che voleva trarre un film dal Capitale di Marx - di dare vita a un cinema che veic olasse concetti astratti anziché storie, un cinema che si staccasse dalla dimensione poetico-letteraria, per avvicinarsi alla scienza e alla filosofia.

Note 1 Sulla Seconda guerra mondiale in generale cfr. la nota 1 del capitolo IV. Sugli Stati Uniti in particolare abbiamo fatto riferimento soprattutto a: John Morton Blum, V Was for Victory. Politics and American Culture during World War II, San Diego, Harcourt Brace & Company, 1976; George H. Roeder, Jr., The Censored War American Visual Experience during World War Two, New Haven, Yale University Press, 1993. 2 Contrariamente alle altre grandi potenze, prima della Seconda guerra mondiale gli Stati Uni­ ti non disponevano di un servizio segreto: era l’FBI a svolgere compiti di intelligence. 3 Sulla propaganda americana della Seconda guerra mondiale cfr.: Allan M. Winkler, The Politics of Propaganda. The Office of War Information, 1942-1945, New Haven, Yale University Press, 1978; Leila J. Rupp, Mobilizing Women for War. German and American Propaganda, 19391945, Princeton (New Jersey), Princeton University Press, 1978; Lawrence C. Soley, Radio Warfare. OSS and CIA Subversive Propaganda, New York, Praeger, 1989; Holly Cowan Shulman, The Voice of America. Propaganda and Democracy, 1941-1945, Madison (Wisconsin), University of Wisconsin Press, 1990; Clayton D. Laurie, The Propaganda Warriors. America's Crusade against Nazi Germany, Lawrence (Kansas), University Press of Kansas, 1996. 4 Sulla propaganda cinematografica americana e il rapporto tra Hollywood e la guerra cfr.: Colin Shindler, Hollywood Goes to War. Films and American Society 1939-1952, London, Rout­ ledge & Kegan Paul, 1979; Larry Ceplair e Steven Englund, Inquisizione a Hollywood. Storia po­ litica del cinema americano, 1930-1960, tr. it., Roma, Editori Riuniti, 1981; Clayton R. Koppes e Gregory D. Black, La guerra di Hollywood. Politica, interessi e pubblicità nei film della seconda guerra mondiale, tr. it., Milano, Editrice il Mandarino, 1988; Thomas Doherty, Projections of War. Hollywood, American Culture and World War II, New York, Columbia University Press, 1993; Robert Fyne, The Hollywood Propaganda of World War II, Metuchen (New Jersey), Scarecrow Press, 1994. 5 Cfr. Michael S. Shull e David E. Wilt, Doing Their Bit. Wartime American Animated Short Films, 1939-1945, Jefferson (North Carolina), McFarland, 1987, pp. 71-160. 6 Per un elenco dettagliato dei cartoons di Snafu cfr.: Jerry Beck e Will Friedwald, Looney Tunes and Merrie Melodies. A Complete Illustrated Guide to the Warner Bros. Cartoons, New York, Henry Holt and Company, 1989, pp. 379-380. 7 Sui cartoons americani della Seconda guerra mondiale, oltre al libro di Shull e Wilt (di gran lunga il testo più completo sul l’argomento) e a quello di Beck e Friedwald, cfr.: Writers' Congress. The Proceedings of the Conference Held in October 1943 under the Sponsorship of the Hollywood Writers' Mobilization and the University of California, Berkeley, University of California Press, 1944, pp. 105-137 (un ampio volume che raccoglie gli interventi di un convegno sulla propaganda bellica cui parteciparono cineasti e intellettuali di primo piano, tra cui vi sono alcuni saggi molto interessanti sull’animazione); Donald Heraldson, Creators of Life. A History' of Animation, New York, Drake Publishers, 1975; Joe Adamson, Tex Avery: King of Cartoons, New York, Popular Library, 1975; Gerald Peary e Danny Peary (a cura di), The American Animated Cartoon. A Criti­ cal Anthology, New York, E.P. Dutton, 1980; Jeff Lenburg, The Great Cartoon Directors, Jeffer­

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son (North Carolina), McFarland, 1983; Joe Adamson, The Walter Lantz Story, New York, G.P. Putnam’s Sons, 1985; Leonard Maltin, Of Mice and Magic. A History of American Animated Cartoons, New York, Plume, 1987; Steve Schneider, That’s All Folks! The Art of Warner Bros. An­ imation, New York, Henry Holt and Company, 1988; Leslie Cabarga, The Fleischer Story, New York, Da Capo Press, 1988; Charles Solomon, Enchanted Drawings. The History of Animation, New York, Alfred A. Knopf, 1989; Joe Adamson, Bugs Bunny. Fifty Years and Only One Grey Hare, New York, Henry Holt and Company, 1990; James G. Petropoulos, Animation as a Military and Propaganda Tool, “Anymator - ASIFA East”, ottobre 1993 (pp. 6-9), novembre 1993 (pp. 611), dicembre 1993 (pp. 3-5); Patricia-Ann Goodnow Knapp, Rhetoric, Animation, and the Iconic Image: Ultimate Persuasion by Bugs Bunny and Donald Duck in Government-Sponsored World War II Animation, tesi di Dottorato non pubblicata (distribuita attraverso 1’UMI Dissertation Ser­ vices), University of Pittsburgh, 1993; Norman M. Klein, Seven Minutes. The Life and Death of the American Cartoon, London, Verso, 1993; Hugh Kenner, Chuck Jones. A Flurry of Drawings, Berkeley, University of California Press, 1994; “In Toon!”, primavera 1995; Stefan Kanfer, Serious Business. The Art and Commerce of Animation in America from Betty Boop to “Toy Story’”, New York. Scribner, 1997: Kevin S. Sandler, Reading the Rabbit. Explorations in Warner Bros. An­ imation, New Brunswick, Rutgers University Press. 1998. 8 Michael S. Shull e David E. Wilt, Doing Their Bit, cit., p. 163. 9 Su Snafu cfr. Eric Smoodin, Animating Culture. Hollywood Cartoons from the Sound Era, New Brunswick (New Jersey), Rutgers University Press, 1993, cap. 3. 10 Sulla ridefinizione del personaggio di Betty Boop, imposta dallo Hays Office ai Fleischer, cfr. Leonard Maltin, Of Mice and Magic, cit., pp. 105-106. 11 Per un esempio di lettura “politicamente corretta” dei cartoons americani della Seconda guerra mondiale cfr.: Eric Smoodin, Animating Culture, cit.; Eric Smoodin (a cura di), Disney Dis­ course. Producing the Magic Kingdom, New York, Routledge, 1994. Entrambi i libri, anche se mol­ to ricchi di informazioni, presentano i peggiori difetti dei cultural studies: assenza di prospettiva storica, prevalenza della dimensione militante su quella scientifica, paranoia anti-scientista e anti­ liberale. 12 Cfr.: Larry Wayne Ward, The Motion Pictures Goes to War. The U.S. Government Film Effort during World War I, Ann Arbor (Michigan), UMI Research Press, 1985, p. 137; Craig W. Camp­ bell, Reel America and World War I. A Comprehensive Filmography and History of Motion Pictu­ res in the Unites States, 1914-1920, Jefferson (North Carolina), McFarland, 1985, p. 258. 13 Sul tema della rappresentazione del nemico, da ambo le parti, nella guerra del Pacifico, cfr. John W. Dower, War without Mercy. Race and Power in the Pacific War, New York, Pantheon Books 1986. 14 Sui film di animazione giapponesi di propaganda della Seconda guerra mondiale cfr. Edward Stuart Small, Japanese Animated Film: A Study of Narrative, Intellectual Montage and Metamor­ phosis Structures for Semiotic Unit Sequenceing, University of Iowa, 1972, tesi di Dottorato non pubblicata. La tesi è essenzialmente sul cinema dii animazione del dopo-guerra, ma contiene detta­ gliate descrizioni di molti cartoons di propaganda (pp. 260-287). Inoltre, vedi anche: Scott Nygren, The Pacific War: Reading, Contradiction & Denial, “Wide Angle”, n. 2, 1987, pp. 60-71; AA.VV., Media Wars. Then & Now, Tokyo, Yamagata International Documentary Film Festival, 1991. 15 Cfr. Donald Crafton, Before Mickey’. The Animated Film 1898-1928, Chicago, University of Chicago Press, 1993, pp. 55-56. 16 Cfr. Leonard Maltin, Of Mice and Magic, cit., p. 98. 17 Sulla rappresentazione dei neri nei cartoons cfr. Thomas Cripps, Slow Fade to Black. The Ne­ gro in American Film, 1900-1942, Oxford, Oxford University Press, 1977, pp. 229-230. 18 Cfr. “Fortune”, agosto 1942, pp. 90-95. 19 Eric Smoodin, Introduction: How to Read Walt Disney’, in Id. (a cura di), Disney Discourse, cit., p. 7. 20 La bibliografia su Walt Disney è enorme; qui ci limitiamo a indicare alcuni volumi di carat­ tere generale particolarmente significativi: Leonard Maltin, The Disney Films, New York, Crown Publishers, 1984; Edoardo Bruno ed Enrico Ghezzi (a cura di), Walt Disney, Venezia, Edizioni La Biennale di Venezia, 1895; Richard Holliss e Brian Sibley, The Disney Studio Story, New York,

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Crown Publishers, 1988. A proposito dei risvolti politici della figura di Disney e dei suoi film di propaganda cfr.: Gerald Peary e Danny Peary (a cura di), The American Animated Cartoon, cit., pp. 92-98 (il verbale della deposizione di Disney, testimone amichevole, di fronte al House Com­ mittee on Un-American Activities, nel 1947); Richard Shale, Donald Duck Joins Up. The Walt Dis­ ney Studio during World War II, Ann Arbor (Michigan), UMI Research Press, 1982; Patricia-Ann Goodnow Knapp, Rhetoric, Animation, and the Iconic Image, cit.; Marc Eliot, Walt Disney. Holly­ wood’s Dark Prince, New York, Harper, 1993 (di taglio scandalistico); Eric Smoodin, Animating Culture, cit., capp. 4-5; Eric Smoodin (a cura di), Disney Discourse, cit.; Karl Cohen, The Impor­ tance of the FBI's ‘‘Walt Disney File" to Animation Scholars, “Animation Journal”, estate 1995, pp. 67-77; Steven Watts, Walt Disney: Art and Politics in the American Century, “The Journal of American History”, giugno 1995, pp. 84-108. Da ultimo, vedi anche Walton Rawls, The Best of Disney Military’ Insignia from World War II, New York, Abbeville Publishing Group, 1992 (sui di­ stintivi e le insegne militari disegnati dalla Disney per le forze armate americane). 21 Cfr.: Frank D. McCann, Jr., The Brazilian-American Alliance, 1937-1945, Princeton (New Jersey), Princeton University Press, 1973; Bryce Wood, The Dismantling of the Good Neighbor Policy, Austin, University of Texas Press, 1985. 22 Cfr. Gaizka S. de Usabel, The High Noon of American Films in Latin America, Ann Arbor (Michigan), UMI Research Press, 1982. 25 Cfr. Tzvetan Todorov, La Conquéte de TAmérique. La Question de I’autre, Paris, Editions du Seuil, 1982. 24 Cfr. Richard Shale, Donald Duck Joins Up, cit., p. 64. 25 Cfr. Gregor Ziemer, Education for Death. The Making of the Nazi, Oxford, Oxford Univer­ sity Press, 1941. 26 Cfr. Richard Shale, Donald Duck Joins Up, cit., p. 63. 27 Tranne The Three Caballeros, nessuno dei film di propaganda della Disney è stato distribui­ to su supporto magnetico. I film si possono vedere, ovviamente, all’archivio Disney di Burbank, oltre che nelle varie cineteche americane. Le copie da noi visionate, per la stesura di questo para­ grafo, appartengono alla Library of Congress e ai National Archives di Washington, e all’impareg­ giabile collezione privata di Peter Adamakos. 28 Cfr. Alexander P. De Seversky. Victory through Air Power, New York, Simon and Schuster, 1942. 29 Sulla figura di De Seversky e le sue teorie cfr. John Sherwood, The Theory and Influence of Alexander De Seversky, in AA.VV., Le stelle e le strisce. Studi americani e militari in onore di Rai­ mondo Luraghi, Milano, Bompiani, 1998, vol. II, pp. 315-328. 30 Sull’efficacia del bombardamento strategico cfr. John Keegan, A History of Warfare, New York, Vintage, 1993, pp. 366-379. Sul ruolo delle portaerei cfr. John Keegan, The Price of Admi­ ralty. The Evolution of Naval Warfare, Harmondsworth, Penguin, 1990, pp. 183-250. 31 Sulle reazioni di critica e pubblico cfr. Richard Shale, Donald Duck Joins Up, pp. 75-77. 32 Un film che, forse, doveva avere qualcosa in comune con Victory through Air Power è Make America First in the Air (1926?) di Bray, che però era un cortometraggio. Dai documenti conser­ vati presso il MOMA di New York - che purtroppo non possiede una copia visionabile della pelli­ cola - sembrerebbe trattarsi di un film dal vero sulla storia dell’aviazione, ma con alcune sequen­ ze animate. Un fotogramma del film, in cui si vedono degli aerei (disegnati) bombardare la città di New York, è riportata in Donald Heraldson, Creators of Life, cit., 1975, p. 209.

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Premessa metodologica e avvertenze

In questa sezione abbiamo raccolto le schede di visione relative a una parte del corpus preso in esame. Abbiamo inserito i film della Prima guerra mondiale e quelli inglesi e canadesi della Seconda, mentre abbiamo escluso i cartoons ame­ ricani degli anni 1941-’45, perché il libro di Shull e Wilt presenta un’ampia e det­ tagliata filmografia di questa produzione (cfr. Michael S. Shull e David E. Wilt, Doing Their Bit. Wartime American Animated Short Films, 1939-1945, Jefferson, North Carolina, McFarland, 1987, pp. 69-169), per cui ci è parso inutile fare la copia di un catalogo già esistente e consultabile. Le schede sono ordinate in base alla data e al titolo del film. Ogni scheda pre­ senta i credits (quando reperibili: trattandosi di produzioni minori, talvolta anche i dati tecnici più elementari non sono disponibili), una breve sinossi e, se neces­ sario, alcune osservazioni di natura filologica o storica. Poiché i film sono già de­ scritti in maniera piuttosto dettagliata nel corpo del libro, non abbiamo ritenuto opportuno presentarne lunghi riassunti. Il presente apparato filmografico vuole essere uno strumento agile, che da un lato dia conto dello stato di conservazione e dell’ubicazione delle pellicole, e dall’altro fornisca un supporto integrativo al­ la lettura dei singoli capitoli. Abbiamo utilizzato la parola “animatore” per indicare, con un’unica espres­ sione, le funzioni principali del ciclo produttivo di un film di animazione, in quanto la maggior parte di questi film sono stati realizzati da singoli individui o da piccole équipes, guidate da un’unica figura. In casi sporadici abbiamo invece dovuto distinguere i diversi ruoli di regista, disegnatore, animatore. Allo stesso modo, abbiamo raccolto sotto la generica dizione di “assistente” differenti man­ sioni secondarie del cinema di animazione, quali “in-betweener” o “inker”. Nessuno dei film muti da noi esaminati presenta forme di colorazione, per cui, nelle schede relative alla Grande Guerra, è implicito che tutti i film sono in bian­ co e nero. I film degli anni Quaranta vanno sempre considerati in bianco e nero, a meno che non sia indicato esplicitamente che si tratta di una pellicola a colori. La lingua in cui i film sono parlati (o in cui sono scritte le didascalie) è sempre l’inglese. La lunghezza dei film è indicata in piedi, tranne nel caso delle pellico­ le canadesi, di cui abbiamo fornito la durata in minuti, basandoci sui dati del ca­ talogo del National Film Board of Canada.

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Per brevità, ci siamo limitati a indicare le cineteche inglesi e americane con il nome dell’istituzione di cui fanno parte. Allo stesso modo, non abbiamo segna­ lato le città dove hanno sede gli archivi cinematografici che conservano le pelli­ cole. I nomi completi e le relative città in cui si trovano i film descritti nelle sche­ de sono i seguenti: — Cinémathèque québécoise - Montréal; — Imperial War Museum / Department of Film - London; — Library of Congress / Motion Picture, Broadcasting and Recorded Sound Division - Washington, D.C.; — Museum of Modern Art / Department of Film - New York; — National Archives / Motion Picture, Sound and Video Branch - Washington, D.C.; — National Film and Television Archive - London (l’archivio è parte integrante del British Film Institute); — National Film Board of Canada / Office national du film - Montréal.

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La produzione inglese della Prima guerra mondiale

Bully Boy No. 1 (1914) Animatore: Lancelot Speed; operatore: C.L. McDonnell; serie: “Bully Boy Cartoons” - n. 1 ; prod.: Neptune Films. Lunghezza: 400 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute.

Argomento Una serie di brevi sketches sul Kaiser e le sue truppe, dipinti come un’orda

di mostri, nemici della religione e della civiltà (si fa riferimento alla distruzione della cat­ tedrale di Reims da parte dei tedeschi).

General French’s Contemptible Little Army (1914) Animatore: Lancelot Speed; operatore: C.L. McDonnell; serie: “Bully Boy Cartoons” - n. 2; prod.: Neptune Films. Lunghezza: 371 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute.

Argomento Satira del militarismo prussiano e dell’arrogante pretesa del Kaiser di obli­

terare l’esercito inglese, che egli ritiene di proporzioni risibili. Il piccolo Tiny Tommy, che rappresenta le forze britanniche, affronta un enorme soldato tedesco dalle fattezze mostruose. Grazie all’arrivo di rinforzi dai dominions, Tiny Tommy cresce di statura e mette in fuga l’Unno. Osservazioni II titolo fa riferimento a una frase del Kaiser, il quale si diceva avesse de­

finito l’esercito inglese una "contemptible little army" (il generale French era il coman­ dante del British Expeditionary Force nel 1914). In realtà, tale definizione era stata in­ ventata dai propagandisti inglesi, che l’avevano attribuita all’imperatore tedesco per rav­ vivare l’orgoglio e lo spirito combattivo delle truppe, duramente provate dalla ritirata di Mons (cfr. Paul Fussell, The Great War and Modern Memory, Oxford, Oxford University Press, 1977, p. 116).

Peace and War Pencillings

by

Harry Furniss (1914)

Animatore: Harry Fumiss. Lunghezza: 263 ft. Copia visionata: copia video - British Film Institute.

199

Argomento Brevi lightning sketches: il Kaiser viene catturato da un canguro, che rap­

presenta le forze australiane, le quali combattevano accanto agli inglesi; un soldato scoz­ zese marcia con la testa del Kaiser infilzata nella baionetta; un canguro, con in testa il cappello della fanteria australiana, prende a pugni alcuni soldati tedeschi. Osservazioni Uno dei primi film di animazione di propaganda inglesi e uno dei più pri­

mitivi sul piano stilistico.

Sea Dreams (1914) Animatore: Lancelot Speed; operatore: C.L. McDonnell; serie: “Bully Boy Cartoons” - n. 4; prod.: Neptune Films. Lunghezza: 125 ft. Copia visionata: 16 mm. - British Film Institute.

Argomento La volontà del Kaiser di conquistare il mondo è destinata a infrangersi con­

tro la potenza della flotta britannica. Gli ammiragli inglesi della Grande Guerra sono paragonati agli uomini che in passato hanno guidato alla vittoria la Royal Navy (vedia­ mo i ritratti di Drake e Nelson), il cui ricordo è di buon auspicio per la prossima distru­ zione della marina tedesca. Osservazioni Presumibilmente è l’ultimo della serie. È più breve degli altri, ma possie­ de un maggior spessore narrativo: qui abbiamo un tema unico - l’invincibilità della flot­ ta di Sua Maestà - svolto in una serie di quadri, mentre nelle prime tre parti della “Bully Boy Series” i vari sketches che compongono i film sono più slegati l’uno dall’altro.

Sleepless(1914) Animatore: Lancelot Speed; operatore: C.L. McDonnell; serie: “Bully Boy Cartoons” - n. 3; prod.: Neptune Films. Lunghezza: 370 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute.

Argomento Satira del Kaiser e del suo delirio di onnipotenza. Guglielmo II non riesce a

dormire, perché tormentato dalle anime delle sue vittime e dalle sue velleità di conqui­ stare il mondo.

Wireless from the War No. 5 (1914) Lunghezza: 220 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute.

Argomento Tre brevi lightning sketches: Uncle Sam rifiuta le profferte di una grassa

massaia tedesca (allusione all’ostilità degli Stati Uniti, benché neutrali, verso la Germa­ nia); un soldato russo, alla biglietteria di una stazione ferroviaria, chiede 8.000.000 di bi­ glietti per Berlino (all’inizio della guerra gli inglesi riponevano grandi speranze nella for­ za numerica delle armate dello Zar); soldati tedeschi si rifugiano sulla cima di un albero e sul tetto di una casa, per sfuggire alle inondazioni provocate dall’esercito belga. 200

Osservazioni Film estremamente primitivo. Presumibilmente faceva parte di una serie di

cinque episodi, usciti tra l’ottobre e il novembre del 1914 (cfr. Denis Gifford, British Ani­ mated Films, 1895-1985. A Filmography, Jefferson, North Carolina, McFarland, 1987, p. 30).

Anti-German U-Boat Cartoon (1915) Animatore: George E. Studdy; serie: “Studdy’s War Studies” - n. 4; prod.: Gaumont. Titolo alternativo: His Winning Ways. Lunghezza: 88 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute.

Argomento II lightning sketch raffigura il Kaiser come un U-Boot che prende a pugni

delle navi, che hanno l’aspetto di indifese signorine. La scritta recita: «The hooligan: ‘Gad, I’m great at knocking down girls!’». Osservazioni II film, inserito nel n. 427 del “Gaumont Graphic” (cfr. Denis Gifford, Bri­

tish Animated Films, 1895-1985. A Filmography, Jefferson, North Carolina, McFarland, 1987, p. 37), fa riferimento agli attacchi dei sommergibili tedeschi alle navi mercantili e passeggeri. Il titolo è un ledger title.

“A Pencil” and Alick P.F. Ritchie (1915) Animatore: Alick Ritchie; prod.: Favourite Films Ltd. Lunghezza: 438 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute.

Argomento Una serie di lightning sketches, in cui si ironizza sulla Turchia (gioco di pa­

role sul doppio senso di “Turkey”: “Turchia” e “tacchino”), sulla Kultur tedesca, sugli Zeppelin. Osservazioni Un lightning sketch molto primitivo, in cui il disegnatore in carne e ossa in­

troduce lo spettacolo, come un prestigiatore sul palcoscenico, dando vita a una breve gag con la matita, che gli sfugge di mano (da qui il titolo). Quella del lightning sketch con il disegnatore che assume il ruolo di entertainer è una formula presente già nei primi film di Tom Merry del 1895; questo modello scomparì proprio nel corso della Grande Guerra, a favore del cortometraggio interamente animato, senza un prologo in live-action. Dicky Dee’s Cartoons No. 3 (1915) Animatore: Anson Dyer; serie: “Dicky Dee’s Cartoons”; prod.: British & Colonial; distr.: Davison. Lunghezza: 344 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute.

Argomento Un bambino si addormenta e sogna il maresciallo von Hindenburg, il quale

costringe il ragazzo a mangiare un bomba, facendolo esplodere. Un secondo sketch esal­ ta il valore dei generali inglesi. 201

Gaumont Graphic No. 421 (1915) Animatore: George E. Studdy; serie: “Studdy’s War Studies”; prod.: Gaumont. Titolo alternativo: The Emigrant. Lunghezza: 78 ft. Copia visionata: 35 mm. - Imperial War Museum. Argomento Satira della Turchia (alleata della Germania), rappresentata come un uomo

in costume tradizionale turco, scagliato verso il Sole, che si chiede: «Is this what William [il Kaiser] meant by a place in the sun?». Osservazioni Come indica il titolo, questo lightning sketch era parte del numero 421 del

cinegiornale Gaumont.

General View

of the

Dardanelles (1915)

Animatore: Percy Smith; serie: “Kineto War Maps”, - n. 4; prod.: Kineto Films. Titolo alternativo: Dardanelles. Lunghezza: 579 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute. Argomento Attraverso una serie di mappe animate, il film illustra lo sbarco alleato nel­

la penisola di Gallipoli. Osservazioni Poiché il diagramma che spiega la tecnica del fuoco indiretto ha note espli­

cative in inglese e in francese, presumibilmente la serie (o, quanto meno, questo episo­ dio) era distribuita in Francia (a meno che non si tratti di una copia bi-lingue per il Ca­ nada).

His Birthday Present (1915) Lunghezza: 76 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute.

Argomento Breve satira del Kaiser, in cui il volto dell’Imperatore tedesco si trasforma

in un teschio. Osservazioni II film era inserito in un numero del “Pathé’s Animated Gazette”.

How the Canadians Saved the Day at Ypres (1915) Animatore: Percy Smith; serie: “Kineto War Maps”, - n. 6; prod.: Kineto Films. Lunghezza: 360 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute [copia mutila: vi sono dei vuoti nel cor­

po del testo e manca il finale]. Argomento Attraverso una serie di mappe animate, il film illustra la seconda battaglia di

Ypres (22 aprile - 25 maggio 1915). 202

John Bull’s Animated Sketch Book No. 1 [?] (1915) Animatore: Dudley Buxton; serie: “John Bull’s Animated Sketch Book”; prod.: Car­

toon Film Company. Lunghezza: 314 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute. Argomento Confronto tra il tipo di guerra condotta dalla marina inglese e da quella te­

desca: mentre gli inglesi affrontano le navi avversarie in un combattimento leale, i tede­ schi, vigliaccamente, bombardano gli indifesi villaggi della costa britannica. Osservazioni II film presumibilmente fa riferimento alle due incursioni condotte dalla

flotta tedesca, nei primi mesi del conflitto, contro la costa inglese, a Bridlington e Scar­ borough (cfr. A.J.P. Taylor, English History 1914-1945, Oxford, Oxford University Press, 1992, p. 13).

John Bull’s Animated Sketch Book No. 4 [No. 14?] (1915) Animatore: Dudley Buxton; serie: “John Bull’s Animated Sketch Book” - n. 4; prod.:

Cartoon Film Company. Lunghezza: 683 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute. Argomento Diversi quadri, slegati l’uno dall’altro: il Kaiser viene impiccato; l’affonda­

mento del Lusitania; il Kaiser ha un incidente automobilistico; Chariot è alle prese con una mosca. Osservazioni La tecnica mista di lightning sketch (per abbozzare il disegno) e anima­

zione vera e propria, con l’uso dei cut-outs, caratteristica dell’animazione inglese della Grande Guerra, è già ampiamente sviluppata: il lightning sketch serve soltanto come meccanismo introduttivo, mentre il cuore dell’azione vede l’impiego dei cut-outs.

John Bull’s Animated Sketch Book No. 15 (1916) Animatore: Dudley Buxton (oppure Anson Dyer); serie: “John Bull’s Animated Sketch Book” - n. 15; prod.: Cartoon Film Company. Lunghezza: 465 ft. Copia visionata: 35 mm. - Imperial War Museum.

Argomento Una serie di brevi gag, slegate l’una dall’altra, tra cui: il Kaiser esibisce dei

prigionieri, che si scopre essere solo dei fantocci; la flotta germanica è in procinto di prendere il mare per affrontare la Royal Navy, ma quelli che sembravano i fumaioli del­ le navi sono in realtà comignoli (riferimento al rifiuto della flotta tedesca, dopo la batta­ glia dello Jutland, di lasciare le proprie basi e dare battaglia); Chariot abbatte uno Zep­ pelin.

203

The Russo-Rumanian Advance (1916) Animatore: Percy Smith; serie: “Kineto War Maps”, - n. 16; prod.: Kineto Films. Lunghezza: 573 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute.

Argomento Attraverso una serie di mappe animate, il film illustra l’offensiva russo-ru­

mena nei Balcani.

Ever Been Had? (1917) Animatore: Dudley Buxton; prod.: Kine Komedy Kartoons; distr.: Broadwest. Lunghezza: 641 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute.

Argomento L’Uomo della Luna piove sulla Terra e incontra un vecchio con la barba,

l’ultimo inglese sopravvissuto alla Grande Guerra. Il vecchio racconta di come l’Inghil­ terra abbia incautamente accettato le offerte di pace del Kaiser, che servivano solo a da­ re tempo ai tedeschi per preparare nuove terribili armi. Dopo l’armistizio, i tedeschi in­ vadono la Gran Bretagna, con enormi carri armati anfibi, grazie ai quali riescono a met­ tere in rotta le forze britanniche. L’Uomo della Luna si commuove al racconto, che però si scopre essere una menzogna: il vecchio è soltanto una giovane comparsa per un film in costume e la Germania in realtà ha perso la guerra. Osservazioni II sottotitolo del film è A Fantasy. Il film uscì in un periodo in cui parte

dell’opinione pubblica, stanca della guerra, iiniziava a prendere in considerazione l’even­ tualità di una pace negoziata. Il film cerca proprio di inculcare nel pubblico l’idea che un accordo con il nemico porterebbe soltanto a una “pace tedesca”. L’uso del modello del romanzo di fantascienza (il richiamo a Wells è esplicito), nonché la presenza del “rac­ conto nel racconto” e dell’agnizione finale, ne fanno il testo più complesso, sul piano nar­ rativo, dell’intero corpus inglese della Grande Guerra.

Stand

by the

Men Who Have Stood

by

You (1917?)

Serie: “Kincartoons”; prod.: Kinsella & Morgan, per il National War Savings Commit­

tee. Lunghezza: 299 ft. Copia visionata: 35 mm. - Imperial War Museum.

Argomento II film inizia dal vero: un’attrice che interpreta Britannia scosta una tenda e

mostra immagini documentarie di profughi belgi, seguite da una scena di finzione in cui il Kaiser uccide una donna. La seconda parte del cortometraggio è un cartoon, in cui un uomo compra un war loan certificate, che si trasforma prima in un proiettile, poi in un soldato inglese, che chiude il Kaiser in una gabbia. Il film termina con l’invito a finan­ ziare il prestito di guerra britannico. Osservazioni Uno degli esempi di hate propaganda più virulenta tra i film di animazio­

ne inglesi della Grande Guerra. 204

The U-Tube (1917) Animatore: Lancelot Speed; prod.: Speed Cartoons. Lunghezza: 678 ft. Copia visionata: 35 mm. - Imperial War Museum.

Argomento Una forza di invasione tedesca, guidata dal Kaiser in persona, tenta di rag­

giungere l’Inghilterra attraverso un tunnel sotterraneo, ma emerge al Polo Nord.

Vimy Ridge (1917) Operatore: Oscar Bovill; prod.: War Office Cinema Committee, per il Canadian War

Records Office. Lunghezza: 917 ft. Copia visionata: 35 mm. - Imperial War Museum [copia mutila: la parte dal vero è la­ cunosa]. Argomento Mappe animate che illustrano l’offensiva canadese nella battaglia di Vimy

Ridge (9-12 aprile 1917), seguite da alcune sequenze dal vero, che mostrano le retrovie delle divisioni canadesi. Osservazioni II livello tecnico della grafica e dell’animazione è piuttosto alto, in netto contrasto con la povertà della seconda parte del film. Non per nulla, la scarsa qualità del­ le riprese dal vero portò al licenziamento di Bovili come operatore ufficiale del corpo di spedizione canadese; cfr. Roger Smither (a cura di), Imperial War Museum Film Catalo­ gue. vol. I: The First World War Archive, Trowbridge, Flicks Books, 1994, p. 179.

Jack and Jill (1917-’18) Serie: “Kincartoons”; prod.: Kinsella & Morgan, per il National War Savings Commit­

tee. Lunghezza: 299 ft. Copia visionata: 35 mm. - Imperial War Museum.

Argomento Attraverso la storia paradigmatica di Jack e Jill, che si assicurano la prospe­

rità post-bellica investendo in war bonds, il film invita a finanziare il prestito di guerra. La morale è che acquistare war bonds è un’azione sia patriottica («Money saved spells victory and the end of Kaiser Bill»), sia conveniente sul piano economico («secure your happiness now»).

Old Father William (1917-’18) Serie: “Kincartoons”; prod.: Kinsella & Morgan, per il National War Savings Commit­

tee. Lunghezza: 356 ft. Copia visionata: 35 mm. - Imperial War Museum. 205

Argomento II nonno racconta ai nipotini che, investendo in war bonds durante la guer­

ra, si è garantito la sicurezza economica per la vecchiaia. Il film termina con un appello a boicottare, a guerra finita, i prodotti tedeschi a favore della produzione nazionale, la quale risentirà positivamente della conversione dell’industria bellica alla produzione di beni di consumo. Osservazioni L’idea che dopo la fine delle ostilità non si dovrà commerciare con la Ger­

mania è molto forte nella propaganda inglese degli ultimi due anni del conflitto, quando una vittoria degli Imperi Centrali sembra possibile ed è quindi necessario alimentare un odio feroce verso il nemico.

Simple Simon (1917-’18) Prod.: Kinsella & Morgan, per il National War Savings Committee. Lunghezza: 262 ft. Copia visionata: 35 mm. - Imperial War Museum. Argomento II film inizia e finisce con una parte dal vero, in cui un attore, George Robey,

seduto a un tavolo da disegnatore, invita il pubblico a comprare i war bonds. Nella por­ zione centrale c’è il cartoon: Simple Simon va all’ufficio postale e compra war bonds1 , con i soldi ricavati dall’investimento, egli è in grado di avviare un piccolo commercio.

Agitated Adverts (1918) Animatore: Anson Dyer; prod.: Kine Komedy Kartoons; distr.: Walturdaw. Lunghezza: 590 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute. Argomento II maresciallo von Hindenburg scambia il suo elmetto chiodato con un mo­

nopattino e si allontana dal campo di battaglia. Durante la fuga, Hindenburg è continuamente bersagliato dall’artiglieria inglese. Alla fine, Hindenburg arriva in Germania, do­ ve va a sbattere contro il Kaiser. Osservazioni Contrariamente al catalogo del BFI, Gifford sostiene che il film sia del

1917 (cfr. Denis Gifford, British Animated Films, 1895-1985. A Filmography, Jefferson, North Carolina, McFarland, 1987, p. 51).

A ’Plane Tale (1918) Animatore: Anson Dyer; prod.: Anson Dyer, per il Ministry of Information. Lunghezza: 173 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute [copia mutila (manca l’inizio) e in cat­

tivo stato]. Argomento Cartoon contro le incursioni degli Zeppelin. Il cattivo stato della copia ren­

de molto difficile capire bene cosa accada: il film è costituito da una serie di gag (dal con­ tenuto non troppo chiaro) sui bombardamenti aerei tedeschi. Il film si chiude sull’imma­ gine di un aeroplano inglese che ne abbatte uno tedesco. 206

Britain’s Effort (1918) Animatore: Lancelot Speed; prod.: Speed Cartoons per il Ministry of Information. Lunghezza: 1002 ft. Copia visionata: 35 mm. - Imperial War Museum.

Argomento Attraverso l’uso di diagrammi e cut-outs, il film illustra la crescita dell’im­

pegno inglese nella guerra, dal 1914 al 1918. Figure di taglie diverse visualizzano l’au­ mento numerico degli effettivi (anche grazie al contributo di colonie e dominions) e del parco d’artiglieria dell’esercito, così come degli operai impiegati nell’industria bellica. Il film si chiude sul confronto tra la “pace tedesca”, con John Bull in catene, e la “pace bri­ tannica”, grazie alla quale le fabbriche belliche si trasformano in officine per l’economia di pace, garantendo la ricchezza dell’Inghilterra alla fine del conflitto. Osservazioni È il più complesso esempio dii “propaganda razionale”, che all’appello pa­

triottico unisce l’esibizione di dati economici e statistici.

First World War Maps 1 (1918) Prod.: Topical Film Company (?). Lunghezza: 541 ft. Copia consultata: 35 mm. - Imperial War Museum.

Argomento Mappe animate delle principali fasi della guerra sul fronte occidentale.

Osservazioni II titolo non è quello originale, bensì soltanto un titolo attribuito al film da­ gli archivisti. Le mappe sono elaborate sul piano grafico, ma l’animazione è molto scar­ sa (il dinamismo è indotto soprattutto dai movimenti di macchina, che isolano certe por­ zioni delle mappe). In assenza di movimento, e di didascalie, l’effetto finale è piuttosto noioso. Le mappe animate della serie “Kineto War Maps” sono di qualità decisamente su­ periore.

First World War Maps 2 (1918) Prod.: Topical Film Company (?). Lunghezza: 257 ft. Copia consultata: 35 mm. - Imperial War Museum.

Argomento Mappe animate delle principali fasi della guerra sul fronte occidentale. Osservazioni II titolo non è quello originale, bensì soltanto un titolo attribuito al film da­ gli archivisti. Le mappe sono elaborate sul piano grafico, ma l’animazione è molto scarsa (il dinamismo è indotto soprattutto dai movimenti di macchina, che isolano certe porzio­ ni delle mappe). In assenza di movimento, e di didascalie, l’effetto finale è piuttosto noio­ so. Le mappe animate della serie “Kineto War Maps” sono di qualità decisamente supe­ riore. La mappa dell’area della Somme è quella utilizzata nel celebre documentario The Battle of the Somme (1916); cfr. Roger Smither (a cura di), Imperial War Museum Film Catalogue, vol. I: The First World War Archive, Trowbridge, Flicks Books, 1994, p. 359. 207

Lord Pirrie’s Appeal to Shipyard Workers (1918) Animatori: Horace Morgan e E.P Kinsella; serie: “Kincartoons”; prod.: Pathé. Titolo alternativo: A Patriotic Message. Lunghezza: 480 ft. Copia visionata: 35 mm. - Imperial War Museum.

Argomento II film si apre con un ritratto di lord Pirrie, Controller of Shipbuilding, e un car­

tello che riporta una sua frase sulla necessità eli incrementare la costruzione di navi, per rim­ piazzare le perdite causate dai sottomarini tedeschi tra le fila della marina mercantile. Poi inizia la parte animata. Un'enorme mano, su cui è scritto "shipyard worker", serra il Kai­ ser alla gola. La Morte, che indossa l’elmetto chiodato dell’esercito tedesco, affonda un car­ go e ruba il cibo dalla tavola di una famiglia inglese: «We must have ships to bring us food». Il film si chiude sulla richiesta di un aumento di mano d’opera nei cantieri navali.

Peter’s Picture Poems (1918) Animatore: Anson Dyer; prod.: Kine Komedy Kartoons; distr.: Broadwest. Lunghezza: 153 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute.

Argomento Una breve gag, in cui il Kaiser viene atterrato da un pugno di Uncle Sam. Osservazioni Contrariamente al catalogo del BFI, Gifford sostiene che il film sia del

1917 (cfr. Denis Gifford, British Animated Films, 1895-1985. A Filmography, Jefferson, North Carolina, McFarland, 1987, p. 50). Shipyard Activity (1918?) Prod.: Kinsella & Morgan, per 1’Admiralty (?). Lunghezza: 230 ft. Copia visionata: 35 mm. - Imperial War Museum.

Argomento Spot per 1’incremento della produttività nei cantieri navali. Una prima parte

dal vero, con immagini di un cantiere navale, poi un cartoon in cui la testa di un enorme soldato tedesco emerge dall’acqua, ma è ricacciata in fondo al mare da una serie di navi che escono dai docks.

There Was a Little Man and He Had a Little Gun (1918?) Serie: “Kincartoons”; prod.: Kinsella & Morgan, per il National War Savings Commit­

tee. Lunghezza: 248 ft. Copia visionata: 35 mm. - Imperial War Museum.

Argomento Spot per i war bonds. Un soldato inglese spara al volto del Kaiser, in cui si

aprono dei buchi, come si trattasse di un bersaglio di cartone. In un rifugio sotterraneo, 208

il Kaiser e il maresciallo von Hindenburg si riparano da un bombardamento di “wnr bond bombs”, che alla fine fa esplodere il bunker. Il film, realizzato subito dopo la fine della guerra, si conclude con un appello a finanziare ancora lo Stato, per favorire la ripresa in­ dustriale. The Story

of the

Camel and

the:

Straw - New

version

(1918)

Serie: “Kincartoons”; prod.: Kinsella & Morgan, per il National War Savings Commit­

tee. Lunghezza: 276 ft. Copia visionata: 35 mm. - Imperial War Museum.

Argomento Una bilancia, su cui è scritto "Victory". con il Kaiser da un lato e John Bull

dall’altro. I due piatti, su cui sono ammassati i soldi versati dai cittadini dei due paesi, si equivalgono; ma il contributo di un operaio inglese fa pendere la bilancia a favore di John Bull, che stringe la mano all’uomo. Un appello finale incoraggia i bambini a investire nel prestito di guerra.

209

La produzione americana della Prima guerra mondiale

Colonel Heeza Liar, War-Dog (1915) Animatore: John R. Bray; serie: “Colonel Heeza Liar”; prod.: Bray Studios; distr.: Pa-

thé. Lunghezza: 256 ft. Copia visionata: 16 mm. - Museum of Modem Art of New York.

Argomento Una serie di sketches a soggetto bellico, slegati l’uno dall’altro. Il colonnel­

lo Heeza Liar, che combatte con l’Intesa, affronta le spie tedesche, distrugge una nave e un aereo nemici, cattura un U-Boot, e alla fine viene inseguito da uno Zeppelin, che lo bersaglia con delle bombe. Osservazioni II cartoon era inserito in un numero dell’edizione americana del cinegior­

nale della Pathé.

Pa McGinis Gets

the

Boys Out of the Trenches (1915)

Animatore: Harry S. Palmer; serie: “Keeping Up with the Joneses”; prod.; Gaumont; distr.: Mutual. Lunghezza: 228 ft. Titoli alternativi: Pa McGinnis Ends Trench Warfare-, Keeping Up with the Joneses. Copia visionata: 35 mm. - Library of Congress, Washington, D.C. [copia mutila: man­

ca il finale]. Argomento Pa McGinis, dopo aver letto un giornale in cui si parla del tentativo di Henry

Ford di mediare tra i belligeranti, sogna di porre termine alla guerra e, per questo, di ve­ nire decorato dai vari capi di Stato europei. Osservazioni L’ultima didascalia recita «Fire!», ma manca la fine; presumibilmente Pa

McGinis si risvegliava dal suo sogno scoprendo di aver dato fuoco a qualcosa con il si­ garo che fumava prima di addormentarsi. Il cartoon era inserito nel n. 16 di “See Ame­ rica First”, cinegiornale (ma l’espressione è impropria, si tratta più di una sorta di trave­ logue collection) della Mutual; il numero è del mese di dicembre, proprio quando Ford salpò per l’Europa. Il titolo della serie (con cui talvolta il cartoon viene identificato tout court) deriva da un’espressione idiomatica, che indica la volontà di qualcuno di affer­ mare la propria parità di status sociale con i vicini di casa. Non per nulla, dopo essere sta­ to decorato Pa McGinis afferma trionfante che i Joneses saranno molto invidiosi. 211

Mutt and Jeff

in the

Outposts (1916)

Animatore: Charles Bowers; serie: “Mutt and Jeff’; prod.: Bray Studios. Lunghezza: 3' (la Cinémathèque non dispone del metraggio del film). Copia visionata: 16 mm. - Cinémathèque québécoise.

Argomento Mutt e Jeff si arruolano nell’esercito francese. Stanchi dell’inattività della

guerra di trincea, tentano una sortita contro le linee tedesche, ma vengono messi in fuga dal nemico. Patriotic Cartoons (1917) Prod.: Ford Film Unit. Lunghezza: 96 ft. Copia visionata: copia video (da una pellicola 35 mm.) - National Archives.

Argomento Due lightning sketches aventi per soggetto, rispettivamente, il Kaiser che

massacra una folla di bambini indifesi, e Uncle Sam attaccato da due serpenti, che rap­ presentano le forze “disfattiste’’. Osservazioni I due lightning sketches, entrambi anonimi, erano inseriti in due diversi nu­

meri del “Ford Educational Weekly’’, dedicati rispettivamente alla città di Seattle e alla Columbia River Highway. Il titolo Patriotic Cartoons è stato, ovviamente, attribuito da­ gli archivisti, in quanto i lightning sketches non possedevano titolo, a causa della loro bre­ vità e della loro natura di “vignette filmate”.

World War I Patriotic Cartoons (1917) Prod.: Ford Film Unit. Lunghezza: 100 ft. Copia visionata: copia video (da una pellicola 35 mm.) - National Archives. Argomento Due lightning sketches aventi per soggetto la promozione dei liberty bonds

e l’aumento della produzione agricola per lo sforzo bellico. Osservazioni I due lightning sketches erano inseriti al fondo di un numero del “Ford

Educational Weekly” avente come argomenti il surf alle Hawaii e Atlantic City. Come nel caso dei due film precedenti, anche qui il titolo è stato attribuito dagli archivisti.

A.W.O.L. (1918) Animatore: Charles Bowers; serie: “Joy and Gloom”; prod.: International Film Servi­

ces (per il Signal Corps?). Lunghezza: 59 metri. Copia visionata: 16 mm. - Cinémathèque québécoise [la Library of Congress ne possie­ de una copia tinta e in 35 mm.]. Argomento Film “educativo” per le truppe americane di stanza in Francia dopo l’armi­

stizio. Le tragiche disavventure del protagonista, un soldato che viene indotto dalla ten-

tatrice Miss AWOL (acronimo che sta per “Absent Without Official Leave", ossia “diser­ tore”) a lasciare l’accampamento senza permesso, dovrebbero convincere i soldati ame­ ricani, smaniosi di essere rimpatriati, a non perdere la pazienza, obbedire agli ordini dei loro ufficiali e rimanere nelle caserme. Osservazioni Louise Beaudet e Raymond Borde, che hanno riscoperto l’opera di Bowers e ne hanno ricostruito la filmografia, indicano per A.W.O.L. la data del 1918 (cfr. Louise Beaudet e Raymond Borde Charles R. Bowers, ou le mariage du slapstick et de I’ani­ mation, “Les Dossiers de la Cinémathèque”, n. 8, Montréal, La Cinémathèque de Tou­ louse / La Cinémathèque québécoise - Musée du cinéma, 1980, p. 45). Il catalogo della Library of Congress, invece, afferma che il film è del 1919. Questa seconda datazione è, forse, più attendibile. Infatti la guerra si concluse nel novembre del 1918, per cui il mal­ contento dei soldati americani per la lentezza del loro ritorno a casa, che è alla base del­ la produzione di questo cartoon, divenne grave soltanto nel 1919.

Doing His Bit (1918) Animatore: Frank Moser; serie: “Happy Hooligan”; prod.: International Film Service; distr.: Educational Film Corporation of America. Lunghezza: 109 ft. Copia visionata: 16 mm. - Library of Congress [la copia è mutila: manca una parte di

una delle prime scene; la Cinémathèque québécoise ne possiede una copia identica]. Argomento Happy Hoolingan racconta le sue avventure nel servizio segreto alleato:

riesce a rubare i piani di guerra tedeschi, strappandoli dalle mani del Kaiser in persona, e li consegna ai generali dell’Intesa, che lo acclamano come un eroe. Osservazioni La scena mutila è la seconda, quando inizia la visualizzazione del raccon­

to di Happy Hooligan: la nave che porta il protagonista in Europa viene silurata da un U-Boot, ma non si capisce come egli riesca a raggiungere la Germania. The Sinking

of the

Lusitania (1918)

Animatore: Winsor McCay; assistenti: John A. Fitzsimmons, Apthorp Adams; distr.:

Jewel Productions - Universal Films. Lunghezza: 715 ft. Copia visionata: 35 mm. - Cinémathèque québécoise [la Library of Congress ne possie­ de una copia - presumibilmente identica - in 16 mm.]. Argomento Ricostruzione, in stile documentaristico, dell’affondamento della nave da

crociera inglese Lusitania, da parte di un sommergibile tedesco, il 7 maggio del 1915. Osservazioni II sottotitolo del film è An Amazing Moving Pen Picture by Winsor McCay.

Il film era incluso in un numero del cinegiornale “Universal Weekly”.

Universal Animated Weekly No. 8 (1918) Lunghezza: 686 ft. Copia visionata: 35 mm. - Library of Congress. 213

Argomento II cinegiornale è composto da 11 servizi, con i soggetti più disparati, dalla

mano d’opera femminile nelle fabbriche automobilistiche all’addestramento delle trup­ pe, ai poliziotti di New York che si arruolano nei marines. L'ultimo servizio è composto da due brevissimi lightning sketches di Hy Mayer, che hanno per soggetto, rispettiva­ mente, la resa della Russia (un grande orso bianco si avventa su un pezzo di carne su cui è scritto “peace”, che però è legato a un filo sospeso nel vuoto) e la guerra aerea (un uc­ cello tumefatto si lamenta del traffico tra i cieli).

214

La produzione inglese della Seconda guerra mondiale

Adolf’s Busy Day (1940) Animatore: Lance White; prod.: Anglo-American Film Corporation. Lunghezza: 700 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute.

Argomento Satira della “giornata tipo” di Hitler, passata tra discorsi e parate militari. Il

cartoon mette in ridicolo il dittatore, Goering, Goebbels, e i nazisti in generale.

Local Boy Makes Good (1940) Prod.: Royal Air Force. Lunghezza: 283 ft. Copia visionata: 35 mm. - Imperial War Museum.

Argomento Cartoon di istruzione della RAF, per spiegare ai piloti l’importanza di in­

dossare la maschera ad ossigeno durante i voli ad alta quota.

Musical Poster No. 1 (1940) Animatore: Len Lye; musica: Ernst H. Meyer; prod.: Crown Film Unit. Lunghezza: 204 ft. Copia visionata: 35 mm. (colore) - British Film Institute.

Argomento Film astratto contro il "careless talk's

Osservazioni Realizzato con la tecnica della pittura su pellicola.

A Few Ounces

a

Day (1941)

Prod.: Paul Rotha, per il Ministry of Information; design: Isotype Institute; animazio­ ne: Science Films; musica: Ernst H. Meyer. Lunghezza: 600 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute [1’Imperial War Museum ne possiede

una copia in 35 mm., della lunghezza di 560 ft.]. 215

Argomento Attraverso l’uso di isotype charts, il film spiega l’importanza di riciclare i

materiale di scarto (carta, tubetti di dentifricio, lampadine), per far fronte alla carenza di materie prime, causata dagli attacchi degli U-Boot alle rotte mercantili. Dustbin Parade (1942) Animatori: John Halas e Joy Batchelor; assistenti: Vera Linnecar, Wally Crook, Kath­ leen Murphy; musica: Ernst H. Meyer; prod.: Realist Films / Ministry of Information. Lunghezza: 496 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute [1’Imperial War Museum ne possiede

una copia in 35 mm., della lunghezza di 485 ft.]. Argomento Spot per il riciclaggio dei materiali di scarto. Un osso, una scatola di latta

vuota, un tubetto di dentifricio usato e una bambolina rotta, si “arruolano” e vengono tra­ sformati in una bomba, che distrugge una grande svastica nera.

Filling the Gap (1942) Animatori: John Halas e Joy Batchelor; assistenti: Vera Linnecar, Wally Crook; musi­ ca: Ernst H. Meyer; prod.: Realist Films / Ministry of Information (per il Ministry of

Agriculture and Fisheries). Lunghezza: 464 ft. Copia visionata: 35 mm. - Imperial War Museum.

Argomento Spot per spingere i civili a coltivare “orti di guerra” in giardino. Un gruppo

di verdure antropomorfe marcia orgogliosamente verso la vittoria: «Dig for Victory».

Little Annie’s Rag Book (1942) Animatore: L. Bradshaw; prod.: Rotha Productions / Ministry of Information (per il

Ministry of Supply). Lunghezza: 123 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute. Argomento Film a pupazzi animati sul riciclaggio della stoffa, usata per confezionare

bende e tende per l’esercito.

A Cautionary Tale (1943) Animatore: Carl Giles; sceneggiatura: ELC. Bentley; voce off: Stanley Holloway; prod.: Rotha Productions / Ministry of Information (per il Ministry of Health). Lunghezza: 215 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute [ne possiede una copia anche l’Impe­

riai War Museum]. Argomento Spot sulla sicurezza in fabbrica. Un operaio si ferisce leggermente durante

il lavoro, trascura la cosa e muore di setticemia. 216

Osservazioni II cartoon era inserito nel numero 8 del cinegiornale “Worker and War-

Front” (della lunghezza complessiva di 973 ft.).

Bob in

the

Pound (1943)

Prod.: G.B. Screen Service. Lunghezza: 208 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute.

Argomento Uno spot per il National Savings Committee per incentivare il credito di

guerra. Osservazioni Si tratta di un "bouncing bai cartoon": le parole della canzone scorrono

sullo schermo e una pallina salta da una all'altra, per aiutare il pubblico a tenere il ritmo.

Contraries (1943) Animatori: Roger MacDougall e Alexander Mackendrick; prod.: MacDougall & Mac­

kendrick / Ministry of Information (per il Mlinistry of Supply). Lunghezza: 129 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute.

Argomento Spot per il riciclaggio della carta.

Osservazioni Inserito nel numero del 1° luglio del “Pathé Gazette”.

Abu Builds a Dam (1944) Animatori: John Halas e Joy Batchelor; assistenti: Vera Linnecar, Wally Crook, Kath­ leen Huston; sceneggiatura: Alexander Mackendrick; musica: Matyas Seiber; serie: “Abu” - n. 4; prod.: Halas & Batchelor / Ministry of Information. Titolo alternativo: Middle East Cartoon No. 4. Lunghezza: 670 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute.

Argomento Cartoon di propaganda pro-inglese per le popolazioni del Medio-Oriente. Il

piccolo Abu, insieme al suo asinelio, cerca di costruire una diga, ma è ostacolato da un serpente, con i baffetti da Hitler e una svastica sul dorso. Abu viene aiutato da una ruspa, che rappresenta la tecnologia occidentale (portata dalle truppe di occupazione inglesi che stazionano nella regione). Osservazioni II commento off del film è in persiano.

Calling Mr. Smith (1944) Animatori: Franciszka e Stefan Themerson; dialoghi: Bruce Graeme; prod.: Polish

Film Unit. Lunghezza: 788 ft. 217

Copia visionata: 35 mm. (b/n e colore) - British Film Institute.

Argomento Film di stile sperimentale, sulle atrocità commesse dai tedeschi nell’Europa

occupata, e in particolare in Polonia. Osservazioni Alcune inquadrature del film sono a colori; per lo più si tratta di viraggio

(rosso, verde e seppia). Benché il film parli delle atrocità naziste, non si fa riferimento al­ la sorte degli ebrei. Summer Travelling (1945) Regia: William Larkins; animatore: Denis Gilpin; disegni: Peter Sachs; prod.: Larkins

/ Ministry of Information (per il Ministry of War Transport). Lunghezza: 131 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute. Argomento Spot per indurre i civili a un uso razionale dei mezzi pubblici, in modo da

non danneggiare i trasporti militari. Osservazioni II film (quasi completamente privo di animazione) era inserito nel numero

del 6 luglio del “Pathé Gazette”.

The Grenade (1944) Regia: Carl Giles; prod.: Giles & Laurence / Ministry of Information. Durata: 515 ft. Copia visionata: 35 mm. - British Film Institute. Argomento È la storia di una bomba a mano, nata dalla ferraglia diligentemente raccol­

ta da alcuni boy scouts, che portano il materiale di scarto in una fabbrica dove viene ri­ ciclato. L’ordigno diventa fedele compagno di un soldato e fa strage delle forze tedesche, compresi Hitler. Goebbels e Goering. Osservazioni II cartoon era inserito nel n. 11 del cinegiornale “Worker and Work-Front

Magazine” (della lunghezza totale di 975 ft.).

218

La produzione canadese della Seconda guerra mondiale

The Seven Wise Dwarfs (1941) Regia: Ford Beebe e Dick Lyford; prod.: Walt Disney per il National Film Board. Durata: 3’42". Copia visionata: 16 mm. (colore) - Cinémathèque québécoise.

Argomento Spot per la promozione dei war bonds. I Sette Nani investono le gemme ap­

pena estratte dalla miniera in war bonds. The Thrifty Pigs (1941) Prod.: Walt Disney per il National Film Board. Durata: 3'58". Copia visionata: 16 mm. (colore) - Cinémathèque québécoise.

Argomento Spot per la promozione dei war bonds. I Tre Porcellini mettono in fuga il

Lupo Cattivo, in divisa nazista, lanciandogli dei mattoni fatti con i war bonds.

V

for

Victory (1941)

Animatore: Norman McLaren; prod.: National Film Board. Durata: 2'. Copia visionata: 16 mm. (colore) - Cinémathèque québécoise.

Argomento Spot per la promozione dei war bonds. Un omino stilizzato marcia verso la

vittoria. Osservazioni Realizzato con la tecnica della pittura su pellicola.

All Together (1942) Prod.: Walt Disney per il National Film Board. Durata: 3'30". Copia visionata: 16 mm. (colore) - National Film Board. 219

Argomento Spot per la promozione dei war bonds. I più noti personaggi della Disney

sfilano di fronte al parlamento canadese con cartelli che invitano a finanziare il prestito di guerra.

Donald’s Decision (1942) Prod.: Walt Disney per il National Film Board. Durata: 3'32". Copia visionata: 16 mm. (colore) - Cinémathèque québécoise. Argomento Spot per la promozione dei war bonds. Dopo un conflitto con la sua co­

scienza (c’è un diavoletto che gli consiglia di speiperare il denaro), Donald Duck decide di investire i suoi risparmi in war bonds. Five for Four (1942) Animatore: Norman McLaren; prod.: National Film Board. Durata: 3'. Copia visionata: 35 mm. (colore) - Cinémathèque québécoise.

Argomento Spot per la promozione dei war bonds. Quattro banconote da un dollaro, in­

vestite in war bonds, con il passare degli anni si trasformano in un biglietto da cinque. Osservazioni Realizzato con la tecnica della, pittura su pellicola. La musica che fa da sot­

tofondo al film è Pinetop Boogie, eseguito da Albert Ammons. Hen Hop (1942) Animatore: Norman McLaren; prod.: National Film Board. Durata: 3'41". Copia visionata: 16 mm. (colore) - Cinémathèque québécoise.

Argomento Spot per la promozione dei war bonds per le popolazioni rurali. Una gallina

balla al ritmo di una giga québécoise. Osservazioni Realizzato con la tecnica della pittura su pellicola. È l’unico dei film di propaganda di McLaren che venne distribuito anche dopo la fine della guerra. L’opera fu riutilizzata nel 1949, con un titolo multilingue, e senza la parte finale, dove si trovano le didascalie propagandistiche. If (1942) Animatore: Philip Ragan; serie: “Wartime Economics”; prod.: National Film Board. Durata: 3'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Spiega il meccanismo dell’inflazione e l’utilità del controllo dei prezzi, in

tempo di guerra, per bloccare tale processo. Osservazioni II sottotitolo è A Two Minute Tragedy in Three Acts + a Morale. 220

National Income (1942) Animatore: Philip Ragan; serie: “Wartime Economics”; prod.: National Film Board. Durata: 2'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Spiega come si crea la ricchezza nazionale e invita il pubblico a investire i

risparmi in buoni di guerra.

No More Kitchen Sopranos (1942) Animatore: Philip Ragan; serie: “Plugger”; prod.: National Film Board. Durata: 2'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Mr. Plugger si diverte a far fischiare il bollitore, ma la moglie lo sgrida, spie­

gandogli che non bisogna sprecare l’energia elettrica. Plugger va a lavorare in fabbrica e illustra ai colleghi l’importanza del risparmilo energetico. Osservazioni II sottotitolo del film è A Wartime Short-Short. Uno dei pochi film di

Ragan in cui compare una caricatura di Hitler (si vede il volto del dittatore quando la vo­ ce off dice che l’energia risparmiata aiuta a sconfiggere l’Asse). Prices

in

Wartime (1942)

Animatore: Philip Ragan; prod.: National Film Board. Durata: 10'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento La maggior massa monetaria in circolazione, creata dalla piena occupazio­

ne del tempo di guerra, può generare una spirale inflativa: il governo interviene con il ra­ zionamento e il controllo dei prezzi. Osservazioni Come spesso nei film di Ragan, si fa un confronto con l’esperienza del­

la Grande Guerra, quando il governo non seppe difendere i salari e i risparmi dall’in­ flazione.

Stop That Tank! (1942) Regia: Ub Iwerks; prod.: Walt Disney per il National Film Board. Durata: 21'10". Copia visionata: 16 mm. (colore) - Cinémathèque québécoise. Argomento Training film sull’uso del fucile anti-carro Boys Mk I. La prima parte del

film (3' circa) è composta da un cartoon di puro intrattenimento, in cui i soldati canade­ si, con l’ausilio delle loro armi contro-carro, spediscono Hitler all’inferno. Nella secon­ da parte - in cui si alternano sequenze animate e del vero - c’è la spiegazione del fun­ zionamento del fucile. 221

Story of Wartime Shortages (1942) Animatore: Philip Ragan; serie: “Wartime Economics”; prod.: National Film Board. Durata: 2'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Sui pericoli dell’inflazione e la necessità di risparmiare.

Bits and Pieces Blues (1943) Animatore: Philip Ragan; serie: “Plugger”; prod.: National Film Board. Durata: 6'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Spiega quanto l’acquisto di war bonds sia importante per la vittoria sulle

forze dell’Asse.

Buying Fever (1943) Animatore: Philip Ragan; serie: “Plugger” ; prod.: National Film Board. Durata: 3'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento I membri della famiglia Plugger riescono a resistere alla tentazione di in­

cassare i loro buoni di guerra prima della fine del conflitto, ritrovandosi «again on the road to victory».

Curtailment

of

Civilian Industries (1943)

Animatore: Philip Ragan; serie: “Wartime Economics”; prod.: National Film Board. Durata: 2'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Spiega il bisogno, da parte del governo, di ridurre la produzione di beni di

consumo, per non danneggiare la produzione bellica. Dollar Dance (1943) Animatore: Norman McLaren; assistente ( per il testo della canzone): Guy Glover; mu­ sica: Louis Applebaum; prod.: National Film Board. Durata: 4'. Copia visionata: 16 mm. (colore) - Cinémathèque québécoise.

Argomento Sulla necessità di investire il denaro nei buoni di guerra e di non spendere

troppo, per non creare una spirale inflativa. Osservazioni Realizzato con la tecnica della pittura su pellicola. 222

Get Your Vitamins (1943) Animatore: Philip Jenner; serie: “Do It Now’’; prod.: National Film Board. Durata: 4'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Spiega quali vitamine si trovino in quali cibi, e l’importanza di una dieta

equilibrata. He Plants

for

Victory (1943)

Animatore: Philip Ragan; serie: “Plugger’’; prod.: National Film Board. Durata: 2'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Spot per i "victory gardens". Mr. Plugger organizza un grande orto insieme

ai suoi vicini di casa.

Price Shock (1943) Animatore: Philip Ragan; serie: “Plugger’’; prod.: National Film Board. Durata: 1'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Spiega i motivi per cui il governo ha introdotto il controllo dei prezzi. Osservazioni Come in molti film di Ragan, c’è un confronto con l’esperienza dalla Gran­

de Guerra, quando il governo non seppe difendere salari e pensioni dall’inflazione. Al di là della questione specifica dell’inflazione, questa sottolineatura del diverso modo di con­ durre la guerra, rispetto al 1914-1918, è intesa a prendere le distanze da un conflitto che per i cittadini rappresentava un ricordo terribile e un modello negativo.

Rationing (1943) Animatore: Philip Ragan; serie: “Wartime Economics”; prod.: National Film Board. Durata: 2'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Spiega la necessità del razionamento, per evitare l’accaparramento.

Stitch and Save (1943) Animatore: Jim MacKay; serie: “Do It Now”; prod.: National Film Board. Durata: 3'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Spot per il riutilizzo degli abiti vecchi, che devono essere rimodellati, anzi­

ché buttati via. 223

The Missus Beats Him to It (1943) Animatore: Philip Ragan; serie: “Plugger”; prod.: National Film Board. Durata: 2'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Spot per incoraggiare il riutilizz^o dei vestiti vecchi, in modo da evitare l’ac­ quisto di nuovi abiti.

Voluntary

vs.

Involuntary Savings (1943)

Animatore: Philip Ragan; serie: “Wartime Economics”; prod.: National Film Board. Durata: 3'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Le famiglie con maggiori disponibilità economiche devono risparmiare di più di quelle povere o di quelle che hanno dovuto affrontare spese impreviste, come la malattia di uno dei suoi membri. «This is the way of democracy», spiega la voce off.

What, No Beef? (1943) Animatore: Philip Ragan; serie: “Plugger”; prod.: National Film Board. Durata: 1'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Mr. Plugger è seccato per la mancanza di carne rossa, ma la moglie gli spie­ ga che la carne migliore è per i soldati: Mr. Plugger, rilassato e patriottico, va a compra­ re un pollo.

A Rainy Day (1944) Animatore: Philip Ragan; prod.: National Film Board, per il National War Finance Committee. Durata: 1'.

Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Uno spot che invita a non incassare i war bonds in anticipo.

Bid It Up Sucker (1944) Animatore: Jim MacKay; prod.: National Film Board. Durata: 3'5". Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Una breve comica sui pericoli dell’inflazione: un profittatore vende all’asta dei beni rari, una donna ricca li compra tutti, ma poi si rende conto di aver speso una ci­ fra smodata.

224

Osservazioni Un cartoon dallo stile “realistico”, estremamente povero. L’animazione del National Film Board è efficace quando utilizza formule diverse dai cartoons americani (le figure stilizzate di McLaren, gli isotypes di Ragan), ma quando cerca di imitarli il ri­ sultato è fallimentare.

Grim Pastures (1944) Animatore: George Dunning; serie: “Do It Now”; prod.: National Film Board. Durata: 3'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Spot per invitare i contadini a produrre più foraggio per gli animali. Un ca­ vallo e una mucca si contendono un ciuffo d’erba; poi si presentano al pubblico con dei cartelli che dicono: «Forage is vital for victory».

Osservazioni II sottotitolo è: Or, the Fight for Fodder.

How Prices Could Rise (1944) Animatore: Philip Ragan; serie: “Plugger”; prod.: National Film Board. Durata: 2'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Sulla necessità del controllo dei prezzi in tempo di guerra.

Keep Your Mouth Shut (1944) Animatore: Norman McLaren; prod.: National Film Board. Durata: 2'18". Copia visionata: 16 mm. - Cinémathèque québécoise.

Argomento Spot contro il “careless talk". Un teschio (tabletop animation), che ascolta le conversazioni di persone che diffondono notizie militari, ringrazia a nome dell’Asse. In montaggio alternato, vediamo immagini (live-action) di città bombardate e navi che affondano.

Osservazioni Tra tutti i film di animazione di propaganda canadesi, si tratta dell’unico caso di esplicita hate propaganda.

Murder

in the

Milk Can (1944)

Animatore: Laurence Hyde; serie: “Do It Now”; prod.: National Film Board. Durata: 4'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Spot che invita i contadini a sterilizzare gli strumenti per la mungitura e a te­ nere puliti i loro animali.

225

Mutual Aid (1944) Animatore: Philip Ragan; prod.: National Film Board. Durata: 5'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento II film spiega 1’origine della guerra (l’espansionismo dell’Asse), la sua rica­ duta sul commercio mondiale, e il ruolo che il Canada ha nel conflitto. Poiché il Canada è al riparo dai bombardamenti nemici, i canadesi devono produrre per i loro alleati, le cui fabbriche sono attaccate dall’aviazione avversaria.

Osservazioni Si insiste sulla vastità della coalizione anti-fascista (si vedono le bandiere di tutti gli Stati che ne fanno parte) e sui valori dell’internazionalismo democratico. Inol­ tre, si usa come slogan il principio della “resa incondizionata” delle potenze dell’Asse, enunciato nel 1943 alla conferenza di Casablanca (un principio che danneggiò molto l’a­ zione dei propagandisti alleati nei paesi nemici).

Providing Goods for You (1944) Animatore: Philip Ragan; serie: “Plugger”; prod.: National Film Board. Durata: 5'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Spiega la politica economica del governo canadese in tempo di guerra.

Seaforth Cummings (1944) Animatore: Philip Ragan; prod.: National Film Board. Durata: 1'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento II film spiega come i war bonds siano un buon investimento per il futuro post-bellico.

She Speeds

the

Victory (1944)

Animatore: Philip Ragan; prod.: National Film Board, per il Department of Munitions and Supply. Durata: 1'.

Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Spiega come le donne possano sostituire gli uomini in funzioni non-combattenti all’interno delle forze armate.

Osservazioni Un caso unico - almeno tra i disegni animati - di film che inciti le donne ad arruolarsi. Non solo in Canada, ma anche in Inghilterra e negli Stati Uniti, di solito i cartoons vedono il lavoro nell’industria bellica come il solo ruolo attivo delle donne nel­ lo sforzo bellico.

226

Speed

the

Victory (1944)

Animatore: Philip Ragan; prod.: National Film Board, per il Department of Munitions and Supply.

Durata: 3'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Spiega l’importanza dei war bonds nello sforzo bellico canadese. I bonds si trasformano in bombe e vanno a distruggere la bandiera giapponese e quella tedesca.

Osservazioni Uno dei pochi film di Ragan in cui compaiano i simboli del nemico. Per lo più i suoi film usano unicamente argomentazioni di natura socio-economica per convin­ cere il pubblico a tenere un determinato comportamento, mentre il pericolo rappresenta­ to dalle potenze dell’Asse viene evocato molto di rado.

The Rug (1944) Animatore: Philip Ragan; serie: “Plugger”:; prod.: National Film Board, per il National War Finance Committee. Durata: 3'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Un invito a non incassare prematuramente i bonds. I Plugger rivendono al­ cuni buoni di guerra per comprare un tappeto nuovo, ma subito si pentono e riportano l’oggetto al negozio.

Maps in Action (1945) Regia: Stuart Legg; animatore: Evelyn Lambart (e altri); serie: “The World in Action”; prod.: National Film Board. Durata: 20'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Una puntata di “The World in Action” interamente dedicata aH’efficacia di­ dattica delle mappe animate. Il film è un collage delle sequenze animate più riuscite dei numeri precedenti del cinegiornale. Gli esempi sono tratti da: Fortress Japan (1944), When Asia Speaks (1944), Global Air Routes (1944), Our Northern Neighbour (1944), Balkan Powder Keg (1944).

Money, Goods and Prices (1945) Animatore: Philip Ragan; serie: “Plugger” e “Eyes Front”; prod.: National Film Board. Durata: 14'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board. Argomento Spiega i pericoli dell’inflazione e gli sforzi del governo canadese per evitar­ li. La guerra è presentata come una parentesi, una condizione eccezionale che presto pas­ serà, così che il commercio mondiale potrà tornare a prosperare.

227

Osservazioni La prospettiva per il futuro post-bellico è quella rooseveltiana, incentrata sull’idea di una comunità intemazionale armonica, senza barriere per le merci o per gli uomini.

Price Control and Rationing (1945) Animatore: Philip Ragan; prod.: National Film Board. Durata: 9'. Copia visionata: 16 mm. - National Film Board.

Argomento Ora che la guerra è finita, è tempo di avviare la riconversione dell’industria bellica. In questo quadro, il controllo dei prezzi e il razionamento continuano a essere ne­ cessari.

228

Abbiamo diviso la bibliografia in due parti: il contesto storico da un lato, il cinema di ani­ mazione dall’altro. Nella prima sezione abbiamo inserito, in ordine cronologico, i volu­ mi e gli articoli che si occupano della propaganda e del cinema nell’epoca della guerra totale, in Gran Bretagna, Canada e Stati Uniti, dal 1895 al 1945; inoltre, abbiamo indi­ cato anche alcuni titoli relativi alla storia politica, militare e culturale dei due conflitti mondiali. Per ulteriori indicazioni sul tema, della propaganda bellica, una delle biblio­ grafie più esaurienti è quella di Gary S. Messinger: British Propaganda and thè State in the First World War, Manchester, Manchester University Press, 1992, pp. 273-285. Spe­ cificamente sul cinema, cfr. Stephen J. Curley e Frank J. Wetta, War Film Bibliography, “Journal of Popular Film and Television”, estate 1990, pp. 72-79. Nella seconda parte della bibliografia, accanto alle poche pubblicazioni dedicate inte­ ramente al tema del disegno animato di propaganda, sono presenti i libri e i saggi che con­ tengono analisi di una certa consistenza di film di animazione di propaganda, oppure che parlano genericamente di autori che hanno realizzato tali opere. Contrariamente alla pri­ ma sezione, incentrata quasi esclusivamente sul mondo di lingua inglese, in questa parte della bibliografia abbiamo inserito voci che riguardano anche altre cinematografie, oltre a quelle inglese, americana e canadese, in quanto nel corso dell’analisi abbiamo esaminato - seppure tangenzialmente - anche film provenienti da altri paesi. Per una bibliografia sul cinema di animazione in generale cfr. Giannalberto Bendazzi, Cartoons. Cento anni di ci­ nema di animazione, Venezia, Marsilio, 1992, pp. 617-629. Inoltre, cfr. la poderosa bi­ bliografia compilata da John A. Lent: Animation, Caricature, and Gag and Political Car­ toons in the United States and Canada. An international Bibliography, Westport, Green­ wood Press, 1994; Comic Art of Europe. An International Comprehensive Bibliography, Westport, Greenwood Press, 1994; Comic Art in Africa, Asia, Australia and Latin Ameri­ ca. A Comprehensive, International Bibliography, Westport, Greenwood Press, 1996.

Il contesto

storico

George Creel, How We Advertised America, New York, Harper and Brothers, 1920. Le memorie del capo della propaganda americana durante la Grande Guerra.

sir Campbell Stuart, Secrets of Crewe House: The Story of a Famous Campaign, London, Hodder and Stoughton, 1920. Una delle principali fonti del mito secondo cui la resa degli Imperi Centrali sarebbe stata causata dalla propaganda inglese.

231

Harold D. Lasswell, Propaganda Technique in the World War, New York, Alfred A. Knopf, 1927 [riedito: New York, Garland Publishing, 1972]. Il testo principale del dibattito sulla propaganda tra le due guerra mondiali.

Arthur Ponsoby, Falsehood in Wartime, London, G. Allen and Unwin, 1928.

George S. Viereck, Spreading Germs of Hate, London, Duckworth, 1931.

James Duane Squires, British Propaganda at Home and in the United States from 1914 to 1917, Cambridge, Harvard University Press, 1935. George G. Bruntz, Allied Propaganda and the Collapse of the German Empire in 1918, Stanford, Stanford University Press, 1938.

H.C. Peterson, Propaganda for War. The Campaign against American Neutrality, 19141917, Norman, University of Oklahoma Press, 1939. James R. Mock e Cedric Larson, Words That Won the War. The Story of the Committee on Public Information 1917-1919, Princeton, Princeton University Press, 1939. Robert K. Merton, Mass Persuasion. The Social Psychology of a War Bond Drive, New York, Harper & Brothers, 1946. L’analisi dettagliata di una campagna di promozione dei war bonds realizzata da una stazione radiofonica americana nel 1943.

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Diego Leoni e Camillo Zadra (a cura di), La Grande Guerra. Esperienza, memoria, im­ magini, Bologna, Il Mulino, 1986. Un ampio e ricco volume sull’esperienza italiana nella Grande Guerra, con saggi su­ gli argomenti più diversi, dai diari dei soldati ai fumetti di propaganda. Bert Hogenkamp, Deadly Parallels. Film and the Left in Britain, 1929-39, London, Lawrence and Wishart, 1986.

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Modris Eksteins, Rites of Spring. The Great War and the Birth of the Modem Age, New York, Doubleday, 1989. Maurizio Vaudagna (a cura di). L'estetica della politica. Europa e America negli anni Trenta, Roma/Bari, Laterza, 1989.

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Walter Alberti, Il cinema di animazione. 1832-1956, Torino, ERI, 1957.

André Martin, i x i = ... ou le cinéma de deux mains, “Cahiers du cinéma”, nn. 79 (gen­ naio 1958, pp. 5-19), 80 (febbraio 1958, pp. 27-41), 81 (marzo 1958, pp. 41-46), 82 (aprile 1958, pp. 34-47). Uno dei primi studi sull’opera di Norman McLaren.

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Jay Leyda, Kino. A History of the Russian and Soviet Film, London, George Allen and Unwin, 1960. Alcune, sporadiche, indicazioni sui disegni animati. Nikolaj Lébedev, Il cinema muto sovietico, tr. it., Torino, Einaudi, 1962. Utili informazioni filmografiche sui disegni animati di propaganda russi.

“Film Culture”, n. 29, estate 1963, pp. 38-54. Il numero comprende un articolo firmato da Lye e un’intervista al regista neo-zelan­ dese, oltre a un articolo di Willard Maas, autore d’avanguardia americano, il quale so­ stiene di aver realizzato per il Signal Corps film di animazione simili a quelli di McLaren. Roy P. Madsen, Animated Film: Concepts, Methods, Uses, New York, Interiand Publish­ ing, 1969.

Lotte Reiniger, Shadow Theatres and Shadow Films, London / New York, B.T. Batsford /Watson, 1970. Edward Stuart Small, Japanese Animated Film: A Study of Narrative, Intellectual Mon­ tage and Metamorphosis Structures for Semiotic Unit Sequenceing, University of Iowa, 1972, tesi di Dottorato non pubblicata. La tesi è essenzialmente sul cinema di animazione del dopo-guerra, ma contiene det­ tagliate descrizioni di molti cartoons di propaganda (pp. 260-287). Ralph Stephenson, The Animated Film, London / New York, Tantivy Press / A.S. Barnes, 1973.

Piero Zanotto e Fiorello Zangrando, L’Italia di cartone, Padova, Liviana Editrice, 1973. Gianni Rondolino, Storia del cinema d’animazione, Torino, Einaudi, 1974. Una delle storie generali più complete, con alcune indicazioni utili sui disegni animati di propaganda.

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AA.VV., George Dunning, cinéaste dessinateur, Annecy, Festival d’Annecy, 1983. Richard Shale, Donald Duck Joins Up. The Walt Disney Studio during World War II, Ann Arbor (Michigan), UMI Research Press, 11982. [tr. it. compresa in Edoardo Bruno e En­ rico Ghezzi (a cura di), Walt Disney, Venezia, Edizioni La Biennale di Venezia, 1985] Alfio Bastiancich (a cura di), Lotte Reiniger, Torino, Assemblea Teatro / Compagnia del Bagatto, 1982.

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Giuseppe Lo Duca, Le Dessin animé. Histoire, esthéthique, tecnique, Paris, Edition d’aujourd’hui, 1982 [I ed.: 1948], Uno dei primi libri importanti usciti sul cinema di animazione; con alcune - vaghe informazioni sui cartoons di propaganda.

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Jo Cornino, The Urge to Create Visions, “Monthly Film Bulletin”, n. 594, luglio 1983, p. 200. Un breve articolo su Stefan e Franciszka Themerson. Wystan Curnow e Roger Horrocks (a cura di ), Figures of Motion - Len Lye, Selected Writ­ ings, Auckland, Auckland University Press, 1984.

Leonard Maltin, The Disney Films, New York, Crown Publishers, 1984. Louise Beaudet, A la recherche de Segundo de Chomon, pionnier du cinéma, Annecy, JICA Diffusion, 1985.

Edoardo Bruno e Enrico Ghezzi (a cura di), Walt Disney, Venezia, Edizioni La Biennale di Venezia, 1985. Uno dei migliori volumi sull’argomento. Contiene la traduzione del libro di Shale, Donald Duck Joins Up, e gli scritti di Ejzenstejn su Disney.

Joe Adamson, The Walter Lantz Story, New York, G.P. Putnam’s Sons, 1985. Michael S. Shull e David E. Wilt, Doing His Bit. Wartime American Animated Short Films, 1939-1945, Jefferson (North Carolina), McFarland and Company Publishers, 1987. Lo studio più ampio sul cartoon americano di propaganda della Seconda guerra mon­ diale. Presenta un’ottima filmografia, con breve riassunto di ogni film; inoltre sono presenti anche un breve capitolo sul periodo 1914-1918 e una filmografia (con alcu­ ne lacune) della produzione della Grande Guerra. John Halas, Masters of Animation, London, BBC Books, 1987. Louise Beaudet e Raymond Borde, Du nouveau sur Charley Bowers, “Archives”, n. 3, Institut Jean Vigo / Cinémathèque de Toulouse, gennaio-febbraio 1987. David Clanfield, Canadian Film, Toronto, Oxford University Press, 1987. Contiene un sintetico capitolo (pp. 112-1128) sull'animazione.

Leonard Maltin, Of Mice and Magic. A History of American Animated Cartoons, New York, Plume. 19872. La più completa storia del cartoon americano. Poiché la narrazione è strutturata per case di produzione, le osservazioni sulla produzione del periodo bellico sono sparpa­ gliate lungo tutto il libro. Denis Gifford, British Animated Films, 1895-1985. A Filmography, Jefferson (North Carolina), McFarland, 1987.

Scott Nygren, The Pacific War: Reading, Contradiction & Denial, “Wide Angle”, vol. 9,

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2^14

John Canemaker, Winsor McCay. His Life and Art, New York, Abbeville Press, 1987. Roland Cosandey, Langages et imaginerie dans le cinéma suisse d’animation, Genève, Groupement suisse du film d’animation, 1988. Contiene alcune indicazioni su un disegno animato di propaganda, Scènes de notre hi­ stoire (1939), realizzato nel quadro della mobilitazione generale scattata in Svizzera nel settembre del 1939.

Steve Schneider. That’s All, Folks! The Art of Warner Bros. Animation, New York, Hen­ ry Holt and Company, 1988. Juan Gabriel Tharrats, Los 500films de Segundo de Chomon, Zaragoza, Universidad de Zaragoza, 1988.

Leslie Cabarga, The Fleischer Story, New York, DaCapo Press, 1988. “ASIFA - Canada”, vol. 15, n. 3, gennaio 1988. Numero monografico su Evelyn Lambait.

Richard Holliss e Brian Sibley, The Disney Studio Story, New York, Crown Publishers, 1988.

Charles Solomon, Enchanted Drawings. The History of Animation, New York, Alfred A. Knopf, 1989. Un’ottima storia del cartoon americano, con un capitolo piuttosto ampio sulla Se­ conda guerra mondiale. Alfio Bastiancich (a cura di), Immagine per immagine. Cinema di animazione al Nation­ al Film Board of Canada, Milano, Azzu rra Editrice, 1989.

Jonathan Dennis e Sergio Toffetti (a cura di), Te Ao Marama - Il mondo della luce. Il ci­ nema della Nuova Zelanda, Torino, Le Nuove Muse, 1989. Contiene vari saggi su Len Lye. Jerry Beck e Will Friedwald, Looney Tunes and Merrie Melodies. A Complete Illustrat­ ed Guide to the Warner Bros. Cartoons, New York, Henry Holt and Company, 1989. Un volume molto ricco di informazioni, con i credits e una breve sinossi di tutti i car­ toons della Warner, compresi i 26 episodi della serie di Private Snafu.

Roland Cosandey, Julius Pinschewer. Cinquante ans de cinéma d’animation, essai de filmographie, Annecy, Festival International du Cinéma d'Animation / JICA Diffusion, 1989.

Joe Adamson, Bugs Bunny. Fifty Years and Only One Grey Hare, New York, Henry Holt and Company, 1990. Denis Gifford, American Animated Films: The Silent Era, 1989-1929, Jefferson (North Carolina), McFarland, 1990.

Alan Cholodenko (a cura di), The Illusion of Life. Essays on Animation, Sydney, Power Publications / Australian Film Commission, 1991. Una raccolta di saggi teorici di taglio post-strutturalista sull’animazione; inoltre il vo­ lume comprende un lungo ed interessante intervento di Chuck Jones.

Donald W. Bidd (a cura di), The NFB Film Guide. The Productions of the National Film Board of Canada from 1939 to 1989, Montreal, National Film Board of Canada, 1991.

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Vittorio Martinelli, // cinema muto italiano 1917, Torino, Nuova ERI, 1991, pp. 141-142. Su La guerra ed il sogno di Momi.

Louise Beaudet, Traverses. Le Cinéma image par image, in Sylvain Garel e Andre Pa­ quet (a cura di), Les Cinémas du Canada, Paris, Centre Georges Pompidou, 1992, pp. 243-255. Giannalberto Bendazzi, Cartoons. Cento anni di cinema di animazione, Venezia, Marsi­ lio, 1992.

Egbert Barten, Entertainment and Propaganda in the Hague. Animated Films 1941-1944, “Holland Animation Film Festival”, 1992, pp. 32-39. Su cartoons anti-semiti realizzati in Olanda durante l’occupazione tedesca. William Moritz, Resistance and Subversion in Animated Films of the Nazi Era: The Case of Hans Fischerkoesen, “Animation Journal”, autunno 1992, pp. 13-33.

Jayne Pilling, Women and Animation. A Compendium, London, British Film Institute, 1992. Alcune pagine (30-32) dedicate a Evelyn Lambart. Walton Rawls, The Best of Disney Military Insignia from World War II, New York, Abbeville Publishing Group, 1992. Sulle insegne disegnate dallo studio Disney per le forze armate americane e di paesi alleati. James G. Petropoulos, Animation as a Military and Propaganda Tool, “Anymator ASIFA East”, ottobre 1993 (pp. 6-9), novembre 1993 (pp. 6-11), dicembre 1993 (PP- 3-5). Brevi articoli ricchi di informazioni, dedicati in particolare al cinema americano, ma anche con riferimenti a produzioni europee. Marc Eliot, Walt Disney. Hollywood's Dark Prince, New York, Harper, 1993. Di taglio decisamente scandalistico.

Maria Maderna, Trickspezialisten. Pubblicità animata in Germania dagli anni Dieci agli anni Trenta, in Giannalberto Bendazzi e Guido Michelone (a cura di), Il movimento creato. Studi e documenti di ventisei saggisti sul cinema di animazione, Torino, Pluriverso, 1993, pp. 173-178.

Eric Smoodin, Animating Culture. Hollywood Cartoons from the Sound Era, New Brunswick (New Jersey), Rutgers University Press, 1993. Un volume di taglio cultural studies, con un capitolo dedicato a Snafu e due ai car­ toons di propaganda della Disney e, più in generale, alla dimensione politica della fi­ gura di Disney.

Patricia-Ann Goodnow Knapp, Rhetoric, Animation, and the Iconic Image: Ultimate Per­ suasion by Bugs Bunny and Donald Duck in Government-sponsored World War II An­ imation, University of Pittsburgh, 1993, tesi di Dottorato non pubblicata. Norman M. Klein, Seven Minutes. The Life and Death of the American Cartoon, London, Verso, 1993. Un’ottima storia del cartoon americano.

Donald Crafton, Before Mickey. The Animated Film 1898-1928, Chicago, University of Chicago Press, 19932.

246

La più completa storia del cinema di animazione americano (ma con alcune parti de­ dicate anche alla produzione europea) del muto. Uno dei libri fondamentali sull’animazione. Roger Odin, Norman Mac Laren [mc], une esthétique amateur, “Conférences du collège d’histoire de Kart cinématographique”, n. 6, inverno 1994, pp. 155-166. Hugh Kenner, Chuck Jones. A Flurry of Drawings, Berkeley, University of California Press, 1994.

Eric Smoodin, Disney Discourse. Producing the Magic Kingdom, New York, Routledge, 1994. Contiene alcuni saggi sui film di propaganda della Disney per l’America Latina; l’ap­ proccio teorico è quello dei cultural studies. “In Toon!”, primavera 1995. Numero con diversi articoli (abbastanza superficiali) sul cartoon americano della Se­ conda guerra mondiale. Karl Cohen, The Importance of the FBI’s “Walt Disney File” to Animation Scholars, “Animation Journal”, estate 1995, pp. 67-77.

Claudia Gianetto, Reconstruccion y coloreado de “Ilfuoco” y “La guerra ed il sogno di Momi”, “Archives de la Filmoteca”, n. 20, giugno 1995, pp. 99-104.

Elizabeth Bell, Lynda Haas e Laura Sells (a cura di), From Mouse to Mermaid. The Pol­ itics of Film, Gender, and Culture, Bloomington, Indiana University Press, 1995. Analisi dei film Disney con taglio cultural studies.

Cecile Starr, Conversations with Grant Munro and Ishu Patel: The Influence of Norman McLaren and the National Film Board of Canada, “Animation Journal”, primavera 1995, pp. 44-61. Steven Watts, Walt Disney: Art and Politics in the American Century, “The Journal of American History”, giugno 1995, pp. 84-108. Charles Solomon, Les Pionniers du dessin animé américain, Paris, Dreamland, 1996.

Stefan Kanfer, Serious Business. The Art and Commerce of Animation in America from Betty Boop to “Toy Story”, New York, Scribner, 1997. Il capitolo sulla produzione della Seconda guerra mondiale non aggiunge nulla di nuovo alla bibliografia precedente. Michele Fadda e Fabrizio Liberti (a cura di). What’s up, Tex? Il cinema di Tex Avery, To­ rino, Lindau, 1998.

Kevin S. Sandler, Reading the Rabbit. Explorations in Warner Bros. Animation, New Brunswick, Rutgers University Press, 1998. Una bella raccolta di saggi, tra cui uno di Donald Crafton (ma nessuno di essi parla specificamente dei cartoons del periodo bellico).

Paul Wells, Understanding Animation, London, Routledge, 1998. Uno dei rari libri che tentano di affrontare il cinema d’animazione con un taglio teo­ rico.

247

Indice dei film *

Band Concert, The (1935) 153 Banzai! (1918) 177 Battle Cry of Peace, The (1915) 68 Battle of the Ancre and the Advance of the Tanks, The (1917) 35 Battle of the Somme, The ( 1916) 35, 118, 207 Bessemer Process, The (1917) 26n Bid It Up Sucker ( 1944) 161,224 Birth of a Nation, The (1915) 62n Bits and Pieces Blues (1943) 163, 222 Black and White (1932) 94 Blitz Wolf, The ( 1942) 155, 174, 184 Bob in the Pound ( 1943) 123, 217 Bobby Bump’s Tank (1917) 72 Bond, 77/e(19l8) 69 Booby Traps ( 1944) 174 Boogie Woogie Bugle Boy of Company B, The (1941) 178-179 Britain Can Take It, vedi London Can Take It Britain Prepared (1915) 35,52,68 Britain's Effort (1918) 48-49, 51, 101102, 112n, 207 Bugs Bunny Nips the Nips (1944) 12, 175,177 “Bully Boy Cartoons” 41, 45, 48-49, 52, 124, 199-200 Bully Boy No. 1 (1914) 41-43,199 Burma Victory ( 1945) 119 Buying Fever ( 1943) 163, 222 C’est I’Aviron (1945) 149 Cabiria (1914) 19

Abenteuer des Prinzen Achmed, Die (1926) 109 Abu Builds a Dam (titolo alternativo: Mid­ dle East Cartoon No. 4) (1944) 127130,217

“Abu” 128-131,217 Abu's Dungeon ( 1943) 128 Abu’s Harvest (titolo alternativo: Khalil Builds a Reservoir) ( 1944) 128 Abus Poisoned Well (1943) 128 Adolf’s Busy Day ( 1940) 123-124, 126, 215 Aelita (1924) 94 Agitated Adverts (1918) 45, 208 All Together ( 1942) 152-153, 168n, 219 Animated Hair Cartoon, An (192?) 7, 24n “Animated Hair” 25n “Annales de la guerre” 36 Anti-Aircraft (ledger title) (1921) 106 Anti-German U-Boat Cartoon (ledger title; titolo alternativo: His Winning Wav.s) (1915) 201 Anti-I.W.W. Cartoon (ledger title) (1919) 95 Any Bonds Today? (1941) 173, 180 “Army-Navy Screen Magazine” 172 Australian Wines (1931) 108 A. W.O.L. (1918) 72, 77-79,212-213 Balkan Powder Keg ( 1944) 227 Ballet mécanique, Le ( 1924) 44 &wnW(1942) 3,191

* Oltre ai titoli di film in senso stretto (in corsivo), sono stati indicizzati le serie di disegni ani­ mati (in tondo neretto) e i cinegiornali (in tondo chiaro). Il numero della pagina in cui compare la scheda fil olografica è stato evidenziato (in corsivo neretto). 251

Calling Mr. Smith (1944) 133, 136-137, 217 Cameramen at War ( 1943) 133 ’’Canada Carries On” 144-145,148 ’’Canada communique” 172

“Dicky Dee’s Cartoons” 44, 201 Dicky Dee’s Cartoons No. 2 (1915) Dicky Dee’s Cartoons No. 3 (1915) 201 Dirty Bertie ( 1935) 107

“Captain, The”

“Do It Now” 223, 225 Doing His Bit (1918) 72, 75, 79,213 Dollar Dance ( 1943) 157-160, 222 Donald Gets Drafted (1942) 180 Donald’s Better Self (1938) 152 Donald's Decision (1942) 152-153, 155, 159, 180,220 Donald’s Tire Troble (1943) 179 Dottor Churkill, Il (1942) 129 Down Argentine Way ( 1940) 182 Dreams of Toy land (noto anche come In the Land of Nod) (1908) 57 Drifters ( 1929) 91 Ducktators, The (1942) 176 Dustbin Parade ( 1942) 127-128, 216 Education for Death (1943) 41, 184186, 188 Elements of Map Reading (—) 76 Eleventh Hour, The ( 1942) 175 Emigrant, The, vedi Gaumont Graphic No. 421 Ever Been Had? (sottotitolo: A Fantasy) (1917) 46-47,204 Evolution (data incerta, non precedente agli anni Trenta) 26n

66 Care of the Horse (—) 76 Cartoon of Theodore Roosevelt’s arrival in Africa (data presunta: 1910) 8 Cartoon of Theodore Roosevelt’s reception by crowned heads of Europe (data pre­ sunta: 1910) 8 Cartoons by Hy-Mayer (1913) 39 Cautionary Tale, A (1943) 124-126, 216 Censored (1944) 175 Cesta K Barikadam (“La via delle barrica­ te”) (1946) 53

“Chants populaires” “Charley” 130-131

149, 167n

Charley’s March of Time (1948) 130 Chicken Little ( 1943) 3, 183-184 Churchill’s Island (1941) 144 Civilization (1916) 68,81 Coal Black and de Sebben Dwarfs (1943) 178-179 Collapsible Metal Tubes ( 1942) 133 Colonel Heeza Liar Wins the Pennant (1916) 72

“Colonel Heeza Liar”

8, 211 Colonel Heeza Liar, War-Dog (1915) 72-75,211 Colour Box (1935) 109,134 Combined Platoon Training on Ash Range (1920) 106 Confidence (1933) 100 Contraries (1943) 123,217 Corazzata Potemkin, La (1925) 101, 105 Curtailment of Civilian Industries (1943) 222 Daffy - The Commando (1943) 175-176 Dardanelles, vedi General View of the Dar­ danelles Das Cabinet des Dr. Caligari (1920) 105 Defence of Madrid (1936) 103 Defense against Invasion ( 1943) 183 Dem Deutschen Volke (1930) 94 Desert Victory (1943) 53, 118-119

44 44,

“Eyes Front” 227 Fall Out - Fall In (1943) 180 Fantasia ( 1940) 183 Fantasmagorie (1908) 62n Farmer Charley (1949) 130 Felix in Hollywood (1923) 8 Feuertaufe (1940) 11 Few Ounces a Day, A (1941) 133, 215 Filling the Gap ( 1942) 127,216 First World War Maps 7(1918) 207 First World War Maps 2(1918) 207 Five for Four (sottotitolo: An Exercise in National ’Rythmetic) (1942) 157160, 220 “Ford Educational Weekly” 75, 212 Fortress Japan (1944) 227 49th Parallel (1941) 119 Four Methods of Flush Riveting (1941) 151 252

Hell-Bent for Election (1944) 97 Hen Hop ( 1942) 157-158, 160,220 Henry V (1945) 119 Herr Meets Hare (1945) 176, 184, 186 His Birthday Present (1915) 42,202 His Winning Wavs, vedi Anti-German U-Boat Cartoon Hitler’s Children! 1943) 185 Hollywood Steps Out (1941) 8, 100 Home Defense ( 1943) 179 How Charlie Captured the Kaiser (1918) 63n, 87n How England Prepared, vedi How Britain Prepared How Prices Could Rise (1944) 225 How the Canadians Saved the Day at Ypres (1915)52-54,202 HPO, The (1938) 109 Idée, L’ ( 1932) 94-95, 103-106 If (sottotitolo: A Two Minute Tragedy in Three Acts + a Morale) ( 1942) 220 In the Land of Nod, vedi Dreams of Toy land Jack and Jill (1917-’18) 205 Jackie in Wonderland vedi La guerra ed il sogno di Momi

Freudlose Gasse, Dìe ( 1925) 105 Fuherer ’s Face, Der ( 1943) 124, 183-184 Gas(1944) 174 Gas and Gas Masks (—) 76 “Gaumont Actualités” 8 Gaumont Graphic No. 421 (titolo alternati­ vo: The Emigrant) (1915) 202 Gaumont Graphic No. 427 (1915) 201 “Gaumont Graphic” 41, 201, 202 General French’s Contemptible Little Army (1914)49,199 General View of the Dardanelles (titolo al­ ternativo: Dardanelles) (1915) 5253,202 Geopolitik - Hitler’s Plan for Empire (1942) 165 German Retreat and the Battle of Arras, The (Ì9Ì1) 35 Germany Calling (noto anche come The Panzer Ballet) (1941) 119, 139n Gertie the Dinosaur (1914) 71 Get Your Vitamins (1943) 161,223 Giro the Germ No. 4 ( 1934) 107, 112

“Giro the Germ”

107, 112, 125 Global Air Routes ( 1944) 164, 227 Gone with the Wind (1939) 62 Grain That Built a Hemisphere, The (1943) 96-97, 183 Great Caesar’s Ghost ( 1926) 99 Great Dictator, The (1940) 123 Grenade, The ( 1944) 124-126, 131,218 Grim Pastures (sottotitolo: Or, the Fight for Fodder) (Ì944) 161,225 Guerra ed il sogno di Momi, La (in Gran Bretagna circolò con il titolo Jackie in Wonderland, e in Spagna come La guer­ ra y el sueno de Momi) (1917) 19, 54-60, 64n Guerra y el sueno de Momi, La vedi La guerra ed il sogno di Momi Guerre de Turquie, La (1913) 9 Handling Ships (1945) 127 “Happy Hooligan” 75, 213 He Plants for Victory ( 1943) 223 “Hearst-Seling News Pictorial” 80 Heart of Humanity, The (1918) 69 Hearts of the World (1918) 36, 48 Hell Unlimited (1936) 101-103, 112n, 157, 160

“John Bull Cartoons” 62n “John Bull’s Animated Sketch Book” 41,43, 48, 52, 203 John Bull's Animated Sketch Book No. 1 [?] (1915) 203 John Bull’s Animated Sketch Book No. 4 [no. 14?] (1915) 40, 44, 45, 81,203 John Bull’s Animated Sketchbook No. 15 (1916) 44,45,203 John the Bull (1930) 108 “Joy & Gloom” 77,212 Joyeux microbes, Les ( 1909) 6 Jumoreski (Humoresques) (1924) 94 Kaiser, the Beast of Berlin, The (1918) 68,81 Keep Your Mouth Shut ( 1944) 157-158, 160-161,225 “Keeping Up with the Joneses” 73, 211 Keeping Up with the Joneses, vedi Pa McGinis Gets the Boys out of the Trenches Khalil Builds a Reservoir, vedi Abu’s Har­ vest

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Kill or Be Killed (1942)

Menschheit, Die (1919) 103 Metropolis ( 1926) 105, 184 Mickey's Gala Premiere (1933) 8 Middle East Cartoon No. 4, vedi Abu Builds a Dam Missus Beats Him to It, The (1943) 224 Modem Dimes ( 1936) 184 Momotaro no umivashi (Momotaro’s Naval Airplane) ( 1943) 178 Money, Goods and Prices (1945) 227 Muratti greift ein ( 1934) 106 Muratti Private (titolo inglese con il quale il film è archiviato presso la Cinémathè­ que québécoise) (1934?) 106, 112n Murder in the Milk Can ( 1944) 225 Musical Poster no. 1 (1940) 133-137,

133

“Kincartoons” 204-205,208-209 “Kineto War Maps” 37, 52, 54, 62n, 202, 204, 207 Kommunismus, Der( 1918) 103 Kri Kri contro i gas asfissianti (1916) 56 Là-haut sur ces montagnes ( 1945) 149 Last Round-Up, The (1943) 176 Lecture on Camouflage, A (1944) 175 Leopard’s Spots, The (1918) 36, 51, 118 Lest We Forget (cortometraggio inglese del Ministry of Information) (1918) 81 Lest We Forget (di Leonce Perret, da non confondere con l’omonimo cortome­ traggio inglese) (1918)81 “Let’s All Sing Together” 149, 167n Life and Death of Colonel Blimp, The (1943) 119 Life of an American Fireman, The ( 1902) 86n Lightning Sketches ( 1907) 178 Lion Has Wings, The ( 1939) 119 Little American, The (1917) 81 Little Annie’s Rag Book ( 1942) 123,216 Little Nemo (1911) 71 Local Boy Makes Good ( 1940) 215 London Can Take It (in Inghilterra ne circo­ lò una versione più breve, Britain Can Take It) (1940) 119 Lord Pirrie’s Appeal to Shipyard Workers (titolo alternativo: A Patriotic Message) (1918) 49-50,52,205 Love on the Wing ( 1939) 109, 160 Magic Fountain Pen, The (1909) 7, 39, 45 Mail Early (1941) 149 Make America First in the Air (1926?) 194n Man Who Learned, The (1910) 26n Maps in Action ( 1945) 165, 227 “March of Time, The” 133, 136, 145 Marching the Colours (1942) 149 Mariute (1918) 60 Matches Appeal ( 1899) 9-11, 25n, 62n Matches: An Appeal, vedi Matches Appeal Mazplanètnaja revoljutsija (Rivoluzione in­ terplanetaria; sottotitolo: Come i bor­ ghesumi volarono in una soprascarpa sulla Luna) ( 1924)94

275 Mutt and Jeff in the Movies (1916) Mutt and Jeff in the Outposts (1916)

72 72-

75, 79,272

“Mutt and Jeff” 8,212 Mutual Aid (Ì944) 226 National Film, The (iniziato nel 1917, ma terminato solo a guerra finita) 36 National Income (1942) 227 Nelson (1918) 35 New Spirit, The ( 1942) 3, 180-181 “Newlyweds, The” 25n Newspaper Train (1941) 133 Nimbus liberé (1944) 27n No More Kitchen Sopranos (sottotitolo: A Wartime Short-Short) (1942) 163, 227 “Official War Review” 70 Oh Whiskers! ( 1939) 64n, 107 Old Army Game, The (1943) 180 Old Father William ( 1917-’ 18) 51,205 Once a German, always a German, vedi Leopard’s Spots Once a Hun, always a Hun, vedi Leopard’s Spots 100% American (1918) 69 One of Our Aircrafts is Missing (1942) 119 Our American Boys in the European War (1916)68 Our Northern Neighbour ( 1944) 227 Out of the Frying Pan into the Firing Line (1942) 181

254

Red Hot Riding Hood (1943) 173, 179 Red Tape Farm (1931) 100-101 “Reportages, Les” 144 Right Spirit, The (1931) 100-101 Road to Health, The (1936) 107-108 Robinson Charley (1948) 130 Rockefeller (1913) 9 Romance of Lloyd-George (1917) 63 n Rug, The ( 1944) 227 Russian Rhapsody (1944) 176 Russo-Rumanian Advance, The (1916) 52-53,204 Saludos Amigos ( 1943) 182-183 San Francisco’s Future (data incerta) 98-99, 102 Scènes de notre histoire ( 1939) 245 Sciopero ( 1924) 105 Scrap the Japs (1942) 175 Scrappy’s Party (1933) 99 Sea Dreams (1914) 43, 200 Seaforth Cummings ( 1944) 226 “See America First” 211 Seven Wise Dwarfs, The (1941) 152-153, 219 Sex Hygiene (1941) 108 She Speeds the Victory ( 1944) 226 Shipyard Activity (1918?) 49, 208 Shoulder Arms (1918) 75 Simple Simon ( 1917-’ 18) 51 -52,206 Sinking of the Lusitania, The (sottotitolo: An Amazing Moving Pen Picture by Winsor McCay) (1918) 5, 12-13, 72, 79-85, 124,273 Six Little Jungle Boys (1945) 139n Sky Trooper(1942) 180 Sleepless (1914) 43-44, 200 Small Soldiers (1998) 64n Snow White and the Seven Dwarfs (1937) 152-153, 178 Sogno del bimbo d’Italia, 7/(1915) 57 Sogno patriottico di Cinessino, Il (1915) 57 Soldiering for Fair (1917) 72 South of the Border with Disney (1942) 182-183 Sovèstskije igruski (Giocattoli sovietici) (1924) 94 Speed the Victory (1944) 227 Spellbound (1945) 184

“Out of the Inkwell”

39 Pa McGinis Gets the Boys Out of the Trenches (titoli alternativi: Pa McGinnis Ends Trench Warfare; Keeping Up with the Joneses) (1915) 72-73, 211 Pa McGinnis Ends Trench Warfare, vedi Pa McGinis Gets the Boys Out of the Trenches Panzer Ballet, The, vedi Germany Calling “Pathé Journal” 8 “Pathé’s Animated Gazette” 8, 42, 62n, 202,217-218 “Pathé’s Weekly” 8 Patna (1917) 68 Patriotic Cartoons (ledger title) (1917) 212 Patriotic Message, A, vedi Lord Pirrie’s Ap­ peal to Shipyard Workers Peace and War Penci Hings by Harry Fur­ niss (1914) 39-41,799 Pencil and Alick P.F. Ritchie, A (1915) 201 Pershing's Crusaders (1918) 70 Peter’s Picture Poems (1918) 208 Petites causes ... grands effets (titolo collet­ tivo di 4 cortomentraggi senza titolo) (1919) 112n Physical Drill (—) 76 “Pictorial News (Official)”, vedi “War Of­ fice Official Topical Budget” ’Plane Tale, A ()9\8) 206 “Plugger” 162-163,221-227 Pluto and the Armadillo ( 1943) 182 Political Cartoon ( 1897) 7 Political Cartoons (compilation della Li­ brary of Congress) (192?)24n, 9 Price Control and Rationing ( 1945 ) 228 Price Shock ( 1943) 163,223 Prices in Wartime (1942) 221 Private Life of Henry Vili, The (1933) 91

“Private Snafu”

13, 15, 18, 172, 174, 245 Providing Goods for You (1944) 226 Rainbow Dance ( 1936) 109, 134 Rainy Day, A ( 1944) 224 Rationing ( 1943) 223 Reason and Emotion (1943) 184-186, 192

255

Universal Animated Weekly No. 8 (1918) 213 “Universal Animated Weekly” 8, 25, 72, 83 Vfor Victory (1941) 157-158,160,219 Vanishing Private, The ( 1942) 180 Vickers Machine Gun (—) 76 Victory through Air Power (1943) 3, 169, 186-187, 190-192, 194n Vimy Ridge (1917) 205 Vita di Mussolini (iniziato alla fine degli an­ ni Venti e mai portato a termine) 94 Voluntary vs. Involuntary Savings (1943) 164, 224 Vzpoura Hracek (La rivolta dei giocattoli) (1946) 64n War for Men's Minds, The ( 1943) 165 “War Office Official Topical Budget”, ribat­ tezzato nel febbraio 1918 “Pictorial News (Official)” 35 “Wartime Economics” 163, 220-224 Water, Friend or Enemy ( 1943) 183 What, No Beef? ( 1943) 224 When Asia Speaks ( 1944) 227 Wilson et le baiai (1913) 9 Wilson et les chapeaux (1913) 9 Wilson et les tarifs (1913) 9 Wilson Row Row (1913) 9 Winged Scourge, The ( 1943) 3, 183 Wiping Something off the Slate (data incer­ ta, 1900-1902) 10 Wireless from the War n. 5 (1914) 41, 200 “Wireless from the War” 40 Wooden Athletes (1912) 64n “Worker and Work-Front Magazine” 125,218 “Workers at War” 162 “World in Action, The” 144-145, 148, 164-166, 227 World of Plenty ( 1943) 118,133 World War I Patriotic Cartoons (ledger tit­ le) (1917) 212 Yellow Caesar (1940) 119 Yellow Submarine ( 1968) 162 You ’re a Sap, Mr. Jap ( 1942) 174 Your Flag and My Flag (1917) 72 Your Job in Germany ( 1945) 176

Spinach fer Briatain ( 1943) 174 Spirit of '43, The ( 1943) 180-181 Spirit of’76, The (1917) 68 Stand by the Men Who Have Stood by You (1917?)51,204 Star Spangled Rhythm ( 1942) 172 Stars and Stripes (1939) 157, 168n Stitch and Save ( 1943) 161-162, 223 Stop That Tank! (1942) 14, 152, 154,

156,22/ Story of a Mosquito, 77ie ( 1912 ) 71,82 Story of the Camel and the Straw, The - New Version (1918) 209

Story of Wartime Shortages ( 1942) 222 “Studdy’s War Studies” 41, 201 -202 Stung!! (1917) 72 Summer Travelling ( 1945) 123,218 Swing Shift Cinderella ( 1945) 173 Swinging the Lambeth Walk (1939) 139n Tarzan Triumphs (1943) 172 Ten Little Dirty Boys ( 1929) 107 There Was a Little Man and He Had a Lit­ tle Gun (1918?) 51,208 Three Caballeros, The (1945) 182-183, 194n Three Little Pigs, The (1933) 152-154, 168n Thrifty Pigs, The ( 1941 ) 152-154,219 To Hell with the Kaiser (1918) 42, 68 Tocher, The (1938) 109,153 Tokio Jokio (\943) 175 Tom Merry, Lightning Cartoonist: Kaiser Wilhelm (titolo alternativo: Tom Merry: Cartoon of Kaiser Wilhelm) (1895) 7, 38-39 Tom Merry, Lightning Cartoonist: Bismarck (1895) 7 Tommy's Double Trouble ( 1945) 139n Tommy's Troubles ( 1926) 107 Toy Story ( 1995) 64n Toyland Topics ( 1928) 64 n Toys (1966) 64 n Trade Tattoo ( 1937) 109 Tragedy in Toyland (1911) 57 Triumph des Willens (1935) 119 Tunisian Victory ( 1944) 119 Two Down, One to Go (1945) 164 U-Tube, The (1917) 45, 47,205

256

Indice dei nomi *

Bastiancich, Alfio 112n, 167-168n, 243244 Batchelor, Joy 5, 120-122, 127, 130, 132, 139n, 216-217 Beaudet, Louise 64n, 77, 87n, 148, 167n, 213, 243-244, 246 Beaverbrook, lord William Maxwell Aitken 32, 34, 40, 6In, 90, 93, 116 Beck, Jerry 192n, 245 Beddington, Jack 118 Beebe, Ford 219 Beethoven, Ludwig van 125-126, 174, 181 Bell, Elizabeth 27n, 247 Bencivenga, Eduardo 60 Bendazzi, Giannalberto 25n, 62n, 112n, 231,246 Benjamin, Walter 146, 167n Bentley, E.C. 216 Bertetto, Paolo 112n Bertini, Francesca 60 Betcherman, Lita-Rose 166n Beveridge, James 233 Beveridge, sir William 115 Beyfuss, E. 112n Bidd, Donald W 167n, 245 Biggar, Helen 101-102 Bismarck-Schònhausen, Otto, principe di 39 Black, Gregory D. 192n, 237 Blackton, James Stuart 6-7, 39, 68, 79, 178, Blakey, George T. 86n, 232 Blanc, Mei 174 Blum, John Morton 192n, 233

Abd al-Ilah 128 Adamakos, Peter 194 Adams, Apthorp 82, 213 Adamson, Joe 192-193n, 242, 244-245 Agee, James 191 Alberti, Walter 241 Aidgate, Anthony 11 In, 138n, 234, 236 Ammons, Albert 220 Applebaum, Louis 159, 222 Argentieri, Mino 241 Asburgo, Francesco Ferdinando d’, arcidu­ ca ereditario d’Austria-Ungheria 5 Asquith, lord Herbert Henry I, conte di Ox­ ford e di 30 Avery, Fred “Tex” 8, 19, 100, 154, 173174, 185 Ayer, Alfred J. 139n Bach, Johann Sebastian 136-137 Bachtin, Michail Michajlovic 23 Badoglio, Pietro 170-171 Badsey, Stephen 61n Bailey, Thomas A. 87n, 233 Balbo, Italo 99 Baldwin, Stanley 101 Balfour, Michael 138n, 234 Ball, sir Joseph 117-118 Barker Jones, David 166n, 234 Barker, A.J. 168n Barnes, John 6, 24n, 238 Barnouw, Erik 91,1 lOn, 235 Barre, Raoul 70, 78, 87n, 148 Barten, Egbert 27n, 246 Bartosch, Berthold 94, 95, 103-105, 108, 112n, 133 Basinger, Jeanine 236 *

Sono stati indicizzati i nomi propri dei personaggi menzionati, eclusi quelli di finzione.

257

Bolen, Francis 26n Bond, Brian 1 lOn, 234 Booth, Walter R. 52 Borde, Raymond 77, 87n, 213, 243-244 Borg, Ed 237 Bosustow, Steve 97 Bottomore, Stephen 24n Boulting, Roy 53,119-120 Bovill, Oscar 205 Bowers, Thomas “Charles” 73-74, 7780, 87n, 212-213 Bracken, Brendan 115 Bradshaw, L. 216 Brady, William 70 Bray, John Randolph 7-8, 62n, 71, 74, 76, 80, 86n, 194n, 211-212 Breen, William J. 85n, 236 Brisbane, Arthur 80-81 Bromberg, Serge 112n Brown, James A.C. 25n Brown, Richard 25n Brownlow, Kevin 24n, 86-87n, 234 Brunetta, Gian Piero 24n, 48, 54, 58, 6364n, 236, 238, 241 Bruno, Edoardo 193n, 243-244 Bruntz, George G. 6In, 232 Bruti Liberati, Luigi 166n, 241 Burch, Noel 63n, 87n Buxton, Dudley 7, 43-46, 51, 81, 120, 203-204 Cabarga, Leslie 87n, 193n, 245 Campbell Stuart, sir 89, 1 lOn, 231 Campbell, Craig W. 86n, 193n, 236 Canemaker, John 87n, 242, 245 Canetti, Elias 185 Capra, Frank 164,172,176 Carroll, Peter N. 11 In Carruthers, Susan L. 6In, 240 Casadio, Gianfranco 138n, 237 Cassano, Riccardo 57 Cavalcanti, Alberto 92, 119 Ceplair, Larry 192n, 234 Cesare, Gaio Giulio 99 Chamberlain, Arthur Neville 39, 114, 142 Chaplin, Charles 44, 63n, 69, 75, 87n, 123,153 Chapman, James 138n, 241 Chesney, George T. 46-47, 63n

Chiti Lucchesi, Eleonora 64n Cholodenko, Alan 245 Chomón, Segundo de 19, 54, 56-60, 62n Chomsky, Noam 11 On, 241 Churchill, sir Winston 3, 114-116, 118119, 129, 147, 171 Clampett, Bob 13, 174, 176, 178 Clanfield, David 166-167n, 244 Clark, sir Kenneth 118 Clarke, LE 63n, 239 Cob, Bert 148 Codignola, Luca 166n, 241 Cohen, Karl 194n, 247 Cohl, Emile 7-8, 10, 14, 19, 25n, 52, 62n, 79 Cole, Robert 138n, 238 Collins, Maynard 168n, 243 Combs, James E. 86n, 239 Combs, Sara T. 86n, 239 Cornino, Jo 139n, 244 Cooper, Arthur Melbourne 9-10, 57 Cosandey, Roland 27n, 112n, 245 Costa, Antonio 24n, 62n Coultass, Clive 138n, 237 Cowan Shulman, Holly 192n, 238 Crafton, Donald 9-10, 25n, 38-39, 52, 62-64n, 71, 74, 83, 85-87n, 111-112n, 193n, 246-247 Creel, George 69, 71, 86n, 231 Cripps, Thomas 193n Crook, Wally 216-217 Culbert, David H. 22-23, 27n, 93, 111 n, 237, 240, 242-243 Cull, Nicholas John 138n, 240 Curley, Stephen J. 24n, 231,238 Curnow, Wystan 139n, 244 Dallet, Sylvie 236 Dante, Joe 64n Darlan, Jean Louis Xavier Francois 170171 Darret, André-Charles 27n, 112n Darwin, Charles R. 26n Davis, Elmer 171 DeBauche, Leslie Midkiff 86n, 240 Deleuze, Gilles 23 De Luna, Giovanni 27n, 239 de Meredieu, Florence 25n, 236 De Mille, Cecil B. 8 Dennis, Jonathan 139n, 245

258

Faeti, Antonio 64n Fairbanks, Douglas 69 Farinelli, Gian Luca 64n Feldman, Seth 166- 167n, 237 Fell, John L. 25n, 87n, 235, 242 Ferrell, Robert H. 87n Ferro, Marc 27n, 239 Fielding, Raymond 24n, 232-233 Fischinger, Oskar 106, 168n Fisher, Bud 73 Fite, Gilbert C. 85n Fitzgerald, Francis Scott 65, 85n Fitzsimmons, John A. 82, 213 Fleischer, fratelli (Max e Dave) 26, 39, 76, 173-174, 178, 193n Flores, Marcello 111 n Ford, John 108 Ford, Henry 68, 71, 73, 75, 86n, 96, 211 ; la Film Unit delle industrie Ford: 26n, 72, 75-76, 94-97, 212 Fosten, D.S.V. 64n Foucault, Michel 23 Francesco Giuseppe I d’Asburgo Lorena, imperatore d’Austria e re d’Ungheria 8 Freleng, Isadore “Friz” 174 French, sir John 199 Freud, Sigmund 186, 240 Frezza, Daria 111 n Friedwald, Will 192n, 245 Fuller, J.G. 26n, 238 Furniss, Harry 13,39-41,199 Fussell, Paul 23, 27n, 61n, 115, 124, 138n, 199, 232,234 Fyne, Robert 192n, 239 Gable, Clark 173 Gallant, William 168n, 243 Gallo, Max 232 Gandhi, Mohandas Karamchand, detto “Mahatma” 99 Garel, Sylvain 166n, 246 Geisei, Ted, vedi Dr. Seuss Gershwin, George 23 Ghezzi, Enrico 193n, 243-244 Gianetto, Claudia 64n, 247 Gifford, Denis 9, 24-25n, 37-38, 44, 52, 57, 62-63n, 72, 86n, 11 In, 120-121, 139n, 201, 206, 208, 244-245 Giles, Carl 124,131,216,218

De Roos, Robert 179 Derrida, Jacques 23 De Seversky, Alexander P. 186-191, 194n de Usabel, Gaizka S. 194n, 235 Dewey, Thomas E. 97 Dibbets, Karel 6In, 63n, 86n, 240 Dickson, Paul 87n Dickson, W.K.-L. 25n, 240 Disney, Walt 3-4, 8, 20-21, 100, 104, 149-156, 159, 161, 164, 167n, 169, 173, 178-179, 182-186, 189-191, 193-194n, 235, 244, 246; lo studio Disney: 4, 1314, 20-21,23, 24n, 26n, 41,53,64n, 96, 124, 126-127, 132, 149-156, 164, 168n, 169, 173-174, 179-181, 183, 186, 191, 194n, 219-221, 242-243; 245-247 Dobson, Alan P. 27n, 240 Dobson, Fred E. 58 Doherty, Thomas 192, 239 Donovan, Bill “Wild” 171 Dooren, Ine van 63n Dorland, Michael 167n, 237 Dos Passos, John 78, 87n Dower, John W. 193n, 236 Doyle, Arthur Conan 46 Dr. Seuss, pseudonimo di Ted Geisei 174 Drake, sir Francis 200 Dunning, George 148, 161-162, 168n, 225 Dyer, Anson 43-45, 47, 51, 201, 203, 206, 208 Eco, Umberto 14, 26n, 139n Edison, Thomas Alva 25-26n, 39; la Edison: 72 Edoardo VII, re d’Inghilterra 8 Einstein, Albert 26n, 186 Ejzenstejn, Sergej M. 93, 105-106, 112n, 151, 192,244 Eksteins, Modris 23, 27n, 34, 6In, 89, 11 On, 237 Eliot, Marc 194, 246 Elull, Jacques 25n Embleton, G.A. 64n Englund, Steven 192n, 234 Esopo 184 Evans, Gary 146, 166-167n, 235 Fadda, Michele 247

259

Gili, Jean 238 Gilpin, Denis 218 Giorgio V, re d’Inghilterra 73 Glover, Guy 149, 159, 168n, 222, 243 Goebbels, Joseph 11, 17-18, 93, 102, 123, 126, 146, 177, 184,215,218 Goering, Hermann 123, 126, 173, 176177,215, 218 Goldstein, Robert 68 Goodnow Knapp, Patricia-Ann 193194n, 246 Gordon, Dan 175 Gor’kij, Maksim 7 Graeme, Bruce 217 Gramsci, Antonio 23 Granatstein, J.L. 166n, 238 Gregorio XIII, papa 15 Gregorio XV, papa 15 Grierson, John 3, 21, 91-92, 100, 108110, 11 In, 115, 120, 122, 143-152, 161, 166-167n Griffith, David Wark 36, 48 Grottie Strebel, Elizabeth 10, 25n, 235 Guglielmo II, imperatore di Germania e re di Prussia 7-8, 31, 38-43, 45, 51 -52, 58, 69, 73, 75-76, 85, 199-206, 208209,212-213 Haas, Lynda 27n, 247 Haig, Douglas, conte 46 Halas, John 5, 63n, 120-122, 127, 130, 132, 139n, 216-217, 243-244 Hanslik 103 Harding, Warren Gamaliel 71 Hardy, Forsyth 150, 166-167n, 232, 234 Harrisson, Tom 17, 26n, 235 Hart, Charles S. 70 Hart, William S 8, 69 Haste, Cate 6In, 233 Haushofer, Karl 165 Hayakawa, Sessue 69, 177 Hays, William 8; Hays Office: 173-174, 193n Hearst, William Randolph 68, 79-80, 87n, 98; 1’International Film Service di Hearst: 71 Heidegger, Martin 23 Heraldson, Donald 192n, 194n, 242 Herman, Lewis 26n Herzstein, Robert Edwin 17, 26n

Hiley, Nicholas 62n Hillgruber, Andreas 18, 26n, 138n Hindenburg, Paul Ludwig von Beneckendorffevon 44-45, 6In, 75, 201,206, 209 Hirohito, imperatore del Giappone 176 Hitler, Adolf 14, 16, 23, 26n, 41, 6In, 93,97,99-100, 114, 123-124, 126, 130, 138n, 142, 147,154-155, 159,163,170, 173, 176-177, 184-185, 188, 215, 217218, 221 Hobsbawm, Eric 33, 6In, 239 Hoffmann, Ernst Theodor Amadeus 63n Hoffmann, Heinrich 44 Hogenkamp, Bert 6In, 63n, 86n, 236, 240 Hollins, T.J. 11 In, 234 Holliss, Richard 193n, 245 Holloway, Stanley 216 Honegger, Arthur 104 Hoover, J. Edgar 147 Horn, Maurice 63n, 243 Horrocks, Roger 139n, 244 Hovland, C.I. 26n Howard, Leslie 120 Hughes, Robert 151, 167n Hurd, Earl 62n Huret, Marcel 24n, 236 Huston, Kathleen 217 Hyde, Laurence 161, 225 Ince, Thomas 68 Irwin Lewis, Beth 63n, 87n, 238 Isenberg, Michael T. 86n, 235 Isnenghi, Mario 233 Ivanov-Vano,Ivan 94 Ivens, Joris 93,241 Iwerks, Ub 155,221 James, C. Rodney 16-167n Jeannin, Raymond 27n Jenner, Philip 161, 223 Jennings, Humphrey 119 Jodoin, René 148, 164 Jolivet, Rita 81 Jones, Charles “Chuck” 13, 97, 174, 185,245 Kanfer, Stefan 193n, 247 Keegan, John 60-6In, 66, 85n, 138139n, 194n, 233, 237, 239-240 Kennedy, David M. 85n, 234

2(50

Kenner, Hugh 193, 247 King, William Mackenzie 141-143 Kinsella, E.P. 49, 51, 204-206, 208-209 Kipling, Rudyard 32 Kitchener, lord Horatio Herbert 31, 42, 45,48, 50, 52, 138, 158 Klein, Norman M. 193n, 246 Knight, Eric 118 Komissarenko, Zenon 94 Koppes, Clayton R. 192n, 237 Korda, Alexander 91 Kossowsky, A. 112n Kraft, Barbara S. 86n Kramer, Peter 63n LaCava, Gregory 71 Ladouceur, Jean-Paul 148 Lambart, Evelyn 148, 157, 164, 168n, 227, 245-246 Landy, Marcia 27n, 240 Langman, Larry 237 Lantz, Walter 100,178 Larkins, William 218 Larson, Cedric 86n, 232 Lasswell, Harold D. 25n, 90, 1 lOn, 232 Laurie, Clayton D. 192, 240 Leab, Daniel J. 85n Lebedev, Nikolaj llln, 242 Leed, Eric J. 12, 23, 26-27n, 61 n, 234 Léger, Fernand 44 Legg, Stuart 148, 165, 227 Lenburg, Jeff 192n, 244 Lenin, Nikolaj 94 Lent, John A. 231 Leoni, Diego 64n, 236 Lever, Yves 166n Leyda, Jay llln, 242 Liberti, Fabrizi 247 Liddell Hart, Basil H. 60-61 n, 64n, 238 Lindberg, Charles Augustus 170 Linnecar, Vera 216-217 Lippmann, Walter 22n, 147 Lloyd, Ann 138n, 235 Lloyd George, David 30-33, 37, 44, 49, 114 Lo Duca, Giuseppe 112n, 244 Lorentz, Pare 92-93 Loucks 148 Low, Rachael 62-63n, 100, 111-112n, 243

Ludendorff, Erich 61 n Luebcke, Frederick C. 85n Lumière, fratelli (Auguste e Louis) 9 Lumsdaine, A.A. 26n Lye, Len 14, 19,92, 108-110, 112n, 122, 133-136, 139n, 153, 215, 242, 244-245 Lyford, Dick 219 Maas, Willard 242 McCabe, Norman 176 McCann, Frank D. Jr. 194n, 233 MacCann, Richard Dyer llln, 232 McCay, Winsor 5, 7, 13-14, 19, 57, 71, 79-85, 87n, 213, 242 MacDonald, Callum A. 1 lOn, 233 MacDonald, Ramsay 101 McDonnell, C.L. 199-200 MacDougall, Roger 217 MacKay, Jim 148, 161, 223-224 McKay, Marjorie 166n, 232 Mackendrick, Alexander 217 MacKenzie, John M. 1 lOn, 236 McKernan, Luke 239 McLaine, Ian 138n, 234 McLaren, Norman 5, 15, 19, 21, 92, 101-103, 108, HOn, 122, 135-136, 148150, 156-164, 167-168n, 219-220, 222, 225, 241-243 Macpherson, Don llln, 234 Maderna, Maria 25n, 112n, 246 Madsen, Roy P. 63n, 87n, 168n, 242 Maelstaf, R. 26n Magder, Ted 166n Majakovskij, Vladimir 94, llln Malins, Geoffrey H. 6In, 239 Maltin, Leonard 25n, 100, llln, 139n, 193n, 244 Mann, Thomas 186, 241 Manveil, Roger 63n, 121, 137n, 243 Maometto V, sultano di Turchia 73 Marcus 7 Marcuse, Herbert 1 lOn Marrion, R.J. 64n Marshall, George 70 Martin, André I68n, 241 Martinelli, Vittorio 56, 58, 64n, 238, 246 Marx, Karl 7, 192 Masarik, Thomas 103 Masereel, Franz 104 Masterman, Charles 34

261

Nietzsche, Friedrich Wilhelm 23 Noakes, Jeremy 18, 26n, 138n, 238 Noble, David W 11 In Norling 148 Northcliffe, Alfred Charles William Harmsworth, visconte 32, 34, 37,40, 89-90, 93, 116 Nygren, Scott 193n, 244 O’Galop (pseudonimo di Marius Rossillon) 107, 112n Odin, Roger 168n, 247 Olivier, Laurence 119-120 Opper, Frederick 75 Ortoleva, Peppino 27n, 238, 240 Ottaviano, Chiara 240 Pagetti, Carlo 63n Palmer, Harry S. 73, 86n, 211 Palmer, Mitchell 95 Panayi, Panikos 85n Panofsky, Erwin 128, I39n Paquet, Andre 166-167n, 246 Paret, Paul 63n, 87n, 238 Paret, Peter 63n, 87n, 238 Pastrone, Giovanni 54, 57, 64n Peary, Danny 192n, 194n, 243 Peary, Gerald 192n, 194n, 243 Peberdy, Harold 148 Pensuti, Liberio 129 Perret, Leonce 81 Pershing, John Joseph 65 Peterson, H.C. 26n, 6In, 85n, 1 lOn, 232 Petropoulos, James G. 24n, 193n, 246 Petrowski, André 168n, 243 Pickford, Mary 69, 153 Pieri, Piero 64n Pirrie, lord 49, 208 Pilling, Jayne 168n, 246 Pinschewer, Julius 9, 19, 106, 112n Pithon, Rémy 27n Poincare, Raymond 73 Ponsoby, Arthur 1 lOn, 232 Porter, Edwin S. 86n Powell, Michael 119 Powers, Richard 3-4, 24n Presepi, Guido 94 Pressburger, Emeric 119 Pronay, Nicholas 26n, 11 On, 118, 138n, 234-235 Protazanov, Jakov 94

Maxim, Hudson 68 Mayer, Henry “Hy” 39,214 Mazzanti, Nicola 64n Méliès, Georges 6, 39 Mellett, Lowell 172 Merkulov, Jurij 94 Merry, Tom 7,38-39,201 Merton, Robert K. 232 Messinger, Gary S. 10, 25n, 6In, 86n, HOn, 231,238 Messmer, Otto 8, 63 Meyer, Ernst H. 215-216 Michelone, Guido 25n, 112n, 246 Milestone, Lewis 70 Miller, Randal M. 85n Mintz, Charles 99-100 Miranda, Aurora 183 Miranda, Carmen 182 Miro Gori, Gianfranco 27n, 239 Mitchell, Bill 187 Mock, James R. 86n, 232 Montagu, Ivor 103, 161 Moreau Defarges, Philippe 168n Moreman, T.R. 1 lOn Morgan, Horace 49, 51, 204-206, 208209 Morgenthau, Henry 180 Moritz, William 27n, 246 Morris, Peter 146-147, 166-167n, 232, 237 Moser, Frank 74-75,213 Mosse, George L. 23, 27n, 96, 102, 111112n, 146, 167n, 233, 238 Mould, David H. 24n, 86n, 235 Munro, Grant 64n, 148, 164 Murphy, Kathleen 216 Murrow, Ed 119 Muscio, Giuliana 11 In, 238 Mussolini, Benito 99, 143, 163, 176 Nagler, Jorg 85n Naglieri, Valerio 168n Napoleone I Bonaparte, imperatore dei Francesi 7,66 Nelson, Horatio, visconte 200 Nelson, Joyce 166-147, 150-151, 162, 166-168 n, 237 Neurath, Otto 132-133, 139n Nicola II Romanov, zar di Russia 7-8, 73, 200

262

Serene, Frank H. 240 Shale, Richard 4, 21, 151, 167n, 185, 194n, 243 Sheffield, F.D. 26n Sherwood, John 194n, 241 Sherwood, Robert 171-172 Shindler, Colin 192n, 234 Short, K.R.M. 26-27n, 138n, 235, 241 Shull, Michael S. 4. 19-20. 26n, 71-73, 86-87n, 172-173, 192-193n, 197,244 Sibley, Brian 193n, 245 Simpson, Colin 87n, 232 Sklar, Robert 168n Smith, Adam 30 Smith, Albert E. 24n Smith, Percy 52, 202, 204 Smither, Roger 61-63n, 87n, 205, 207, 239 Smoodin, Eric 24n, 179, 193-194n, 246247 Soley, Lawrence C. 192n, 237 Solomon, Charles 86-87n, 193n, 245, 247 Sorlin, Pierre 27n, 234 Sousa 157 Spear, Fred 85 Speed, Lancelot 13, 41-44, 48-49. 102, 120, 199-200, 205, 207 Spring, D.W. 26n, 1 lOn, 138n, 235 Squires, James Duane 6In, 85n, 11 On, 232 Stacey, Charles P. 166n, 232 Stalin, Josif Vissarionovic 176 Stalling, Carl W 174 Star, Cecile 112n, 167-168n, 243, 247 Steele, Richard W 92, llln, 236 Stephenson, Ralph llln, 242 Sternberg, Joseph von 70 Stevenson, Robert Louis 129 Stewart, Ian 6In, 240 Stimson, Henry L. 3 Stites, Richard 241 Strauss, Johann 176 Stroheim, Erich von 69, 176 Stuart Small, Edward 193n. 242 Studdy, George E. 41,201-202 Sullivan, Pat 8 Sussex, Elizabeth 1 lOn, 233 Swaffield, Walter 148

Pudovkin, Vsevolod 105 Quaresima, Leonardo 167n Ragan, Philip 161-164, 220-228 Rashid’ AIT al-Gailànl 128 Rawls, Walton 87n, 194n, 237, 246 Reeves, Nicholas 26n, 61-62n, 236, 241 Reiniger, Lotte 92, 108-109, 112n, 153, 242 Renzi, Renzo 24n, 62-64n, 239 Rhodes, Anthony 139n, 233 Richard, Valliere T. 168n, 243 Richards, Jeffrey 138n, 235-236 Ridley, Charles 119 Riefenstahl, Leni 93, 119, 150-151 Righelli, Gennaro 57 Ritchie, Alick 201 Robertson, James C. 236 Robey, George 206 Robin, Martin 166n Robinson, David 138n, 235 Rockefeller, John Davison 9, 99 Rockefeller, Nelson 171, 182-183 Roeder, George H. Jr. 192n, 239 Rondolino, Gianni 62n, 104, 111-112n, 122, 139n, 242 Roosevelt, Frankin Delano 3, 26n, 9293, 97, 100, 118, 123, 143, 145, 147, 154, 163-164, 170-172, 181,228 Roosevelt, Theodore 8 Rosenberg, Alfred 116 Roshwald, Aviel 241 Rossillon, Marius, vedi O’Galop Rotha, Paul 92, 100, HOn, 118, 133, 146,215-216, 232 Rupp, Leila J. 192n, 233 Russett, Robert 112n, 168n, 243 Ruttmann, Walter 109 Ryan, Paul B. 87n, 233 Sacco, Nicola, e Vanzetti, Bartolomeo 95 Sachs, Peter 218 Salazar, Antonio de Oliveira 142 Salt, Brian 107 Sanders, M.L. 6In, 86n, 235 Sandler, Kevin S. 193n, 247 Schlesinger, Leon 100 Schneider, Steve 193n, 245 Seiber, Matyas 217 Sells, Laura 27n, 247

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Swanberg, William A. 87n Swann, Paul 1 lOn, 237 Swanson, Gloria 8 Talbot, Daniel 139n Tallents, sir Stephen 91, 115 Tashlin, Frank 174 Taylor, A.J.P. 29, 61n, 63n, 111-112n, 113, 138n, 203,232 Taylor, Philip M. 15, 25-26n, 6In, 86n, 11 On, 118, 138n, 235,237, 240 Terry, Paul 173,176 Tharrats, Juan Gabriel 64n, 245 Themerson, Franciszka e Stefan 133, 139n, 217, 244 Thiers, Marie Joseph Louis Adolphe 39 Thimme, Hans 6In Thompson Klein, Julie 22, 27n Thorpe, Andrew 17, 26n, 138n Thorpe, Frances 118, 138n, 234 Tirpitz, Alfred von 81 Todorov, Tzvetan 183, 194n Toffetti, Sergio 139n, 245 Trask, David F. 85n,239 Tyrlova, Hermine 64n Urban, Charles 52-53, 64n Valleau, Marjorie A. llln, 235 Vanderbilt, Alfred G. 83 Vaudagna, Maurizio llln,167n,237 Vaughn, Stephen 86n, 234 Vàvra, Otakar 53 Véronneau, Pierre 166-167n, 233, 237, 243 Vertov, Dziga 93-94 Viereck, George S. 1 lOn, 232

Virilio, Paul 22, 27n, 238 Vittoria, regina del Regno Unito e impera­ trice delle Indie 39 Vittorio Emanuele III di Savoia, re d’Italia 8,99 Voltaire 186 Vrielynck, Robert 62n Ward, Larry Wayne 5, 24n, 70, 77, 8687n, 193n,236 Washington, George 7, 182 Watt, Harry 92 Watts, Steven 194n, 247 Wayne, John 175 Weinstein, James llln Wells, Herbert George 33, 46-47, 204 Wells, Paul 247 Wetta, Frank J. 24n, 231,238 White, Lance 215 White, Michael 168n, 242 Whiteclay Chambers II, John 240 Whitney, John Hay 182 Wilson, Thomas Woodrow 9, 29, 66-67, 71,74, 80-81, 86n, 92, 170 Wilt, David E. 4, 19-20, 26n, 71-73, 8687n, 172-173, 192-193n, 197,244 Winkler, Allan M. 192n, 233 Wood, Bryce 194n, 236 Wood, Richard 86-87n, llln Zadra, Camillo 64n, 236 Zangrando, Fiorello 242 Zanotto, Piero 242 Zanuck, Darryl Francis 241 Ziemer, Gregor 185-186, 192, 194n Zimmermann, Arthur 67, 85n

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THE ARMED CARTOON Animated films and war propaganda in North America and Great Britain (1914-1945)

The topic of this book is the use of animated cartoons as a medium of war propaganda in Great Britain, Canada and the United States., during World War One and World War Two. Especially during the Second World War almost every major belligerent power produced some cartoons to boast the morale of the home front and help the war effort. The British, American and Canadian propagandists were the keenest in using cartoons as a way to spread ideas and slogans. During the First World War, when the art of animation was still in its infancy, the English cartoonists - at that time largely the most active in Europe developed a brand new style, based on cut-outs, completely different from the cel ani­ mation of the American, which will become the standard technique of animated cartoons from the Twenties on. In the United States, while a growing movie industry of animated films was showing his patriotism producing a lot of shorts mocking the Kaiser and his soldiers, a solitary genius, father of American animation, Winsor McCay, spent almost two years drawing and shooting The Sinking of the Lusitania (1918). a masterpiece that matches the best films of the sound era. During the Second World War Hollywood had the largest animation studios in the world and used them widely to support the American war effort. Between 1941 and 1945, the American movie companies produced something like 300 war related short animated films. On the other side of the border, the National Film Board of Canada, the film agency of the Canadian government leaded by John Gri­ erson, produced a great deal of propaganda cartoons, very different from the aesthetic point of view from their American counterparts, especially those shot by avant-garde filmmaker Norman McLaren. Some of these films use the war just as an excuse to make typical cartoon gags (Bugs Bunny that beats Japanese soldiers instead of his usual opponents like Daffy Duck or Porky Pig); but others were part of larger propaganda campaigns, carried out with dif­ ferent media (live-action movies, posters, photographs, pamphlets), intended to sell war bonds, to stop “careless talk”, to promote enlistment into the Armed Forces and to invite citizens to save raw materials or food (the “meatless Tuesdays” of the American families fighting the Nazis from their kitchens). And in this huge corpus - rarely examined by film scholars, besides the American production of World War Two - we find some works far more complex and longer than the standard seven minute short animated film, like The Sinking of the Lusitania or Disney’s Victory through Air Power (1943). The later is a fea­ ture-length film which, with sequences marvellously animated, praises the use of long rage bombing to annihilate the enemy (of course the film was not distributed after the end of the war, because it did not fit into the scheme of “family entertainment” promoted by Disney). The main issue of this research is the idea that animation is a medium particu­ larly suitable for propaganda purposes, which can achieve results impossible to live-ac­ tion movies. Thanks to the abstract nature of drawings and the infinite possibilities of transformations of one image into another, animated films can illustrate concepts very fast and clearly. A one minute frame with a war bond certificate that becomes a shell - the more spreaded image of the war animation iconography - is a simple and effective way to portray the idea that investing money in the war loan means fighting the enemy. In this perspective animated films are the realisation of Ejzenstejn’s theories about intellectual cinema, that conveys abstract meanings instead of narrative plots.

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This research, which has been conducted with the support of grants from the Interna­ tional Council for Canadian Studies and the Brown University, has a strong interdiscipli­ nary approach: problems of fdm history and the study of different animation techniques are always linked to the political and military background that caused the production of these cartoons. From this point of view this book is deeply indebted to the work of cul­ tural historians of the World Wars such as Paul Fussell, Eric Leed, George Mosse and Modris Eksteins. The first two chapters of the book are focused on British and American cartoons of World War One, the third deals with the use of animation in political propa­ ganda during the inter-wars period, while the last three chapters are dedicated respec­ tively to British, Canadian and American cartoons of the Second World War. The work is completed with a filmographical appendix, which contains a description of the movies, which have been viewed in American, Canadian, British and Italian film archives.

Giaime Alonge, bom in Turin in 1968, has attended his Ph.D. program at the Universi­ ty of Bologna, defending his thesis in 1998. Currently he teaches Film History at the University of Turin. Besides several articles, mainly focused on American cinema and the relationship between film and history, he has published two monographs, one on Apoca­ lypse Now by Francis Coppola (1993), the other on Bicycle Thieves by Vittorio De Sica (1997).

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