Ettore Scola. Il cinema e io

Table of contents :
Scolabok0001_1L
Scolabok0001_2R
Scolabok0002_1L
Scolabok0002_2R
Scolabok0003_1L
Scolabok0003_2R
Scolabok0004_1L
Scolabok0004_2R
Scolabok0005_1L
Scolabok0005_2R
Scolabok0006_1L
Scolabok0006_2R
Scolabok0007_1L
Scolabok0007_2R
Scolabok0008_1L
Scolabok0008_2R
Scolabok0009_1L
Scolabok0009_2R
Scolabok0010_1L
Scolabok0010_2R
Scolabok0011_1L
Scolabok0011_2R
Scolabok0012_1L
Scolabok0012_2R
Scolabok0013_1L
Scolabok0013_2R
Scolabok0014_1L
Scolabok0014_2R
Scolabok0015_1L
Scolabok0015_2R
Scolabok0016_1L
Scolabok0016_2R
Scolabok0017_1L
Scolabok0017_2R
Scolabok0018_1L
Scolabok0018_2R
Scolabok0019_1L
Scolabok0019_2R
Scolabok0020_1L
Scolabok0020_2R
Scolabok0021_1L
Scolabok0021_2R
Scolabok0022_1L
Scolabok0022_2R
Scolabok0023_1L
Scolabok0023_2R
Scolabok0024_1L
Scolabok0024_2R
Scolabok0025_1L
Scolabok0025_2R
Scolabok0026_1L
Scolabok0026_2R
Scolabok0027_1L
Scolabok0027_2R
Scolabok0028_1L
Scolabok0028_2R
Scolabok0029_1L
Scolabok0029_2R
Scolabok0030_1L
Scolabok0030_2R
Scolabok0031_1L
Scolabok0031_2R
Scolabok0032_1L
Scolabok0032_2R
Scolabok0033_1L
Scolabok0033_2R
Scolabok0034_1L
Scolabok0034_2R
Scolabok0035_1L
Scolabok0035_2R
Scolabok0036_1L
Scolabok0036_2R
Scolabok0037_1L
Scolabok0037_2R
Scolabok0038_1L
Scolabok0038_2R
Scolabok0039_1L
Scolabok0039_2R
Scolabok0040_1L
Scolabok0040_2R
Scolabok0041_1L
Scolabok0041_2R
Scolabok0042_1L
Scolabok0042_2R
Scolabok0043_1L
Scolabok0043_2R
Scolabok0044_1L
Scolabok0044_2R
Scolabok0045_1L
Scolabok0045_2R
Scolabok0046_1L
Scolabok0046_2R
Scolabok0047_1L
Scolabok0047_2R
Scolabok0048_1L
Scolabok0048_2R
Scolabok0049_1L
Scolabok0049_2R
Scolabok0050_1L
Scolabok0050_2R
Scolabok0051_1L
Scolabok0051_2R
Scolabok0052_1L
Scolabok0052_2R
Scolabok0053_1L
Scolabok0053_2R
Scolabok0054_1L
Scolabok0054_2R
Scolabok0055_1L
Scolabok0055_2R
Scolabok0056_1L
Scolabok0056_2R
Scolabok0057_1L
Scolabok0057_2R
Scolabok0058_1L
Scolabok0058_2R
Scolabok0059_1L
Scolabok0059_2R
Scolabok0060_1L
Scolabok0060_2R
Scolabok0061_1L
Scolabok0061_2R
Scolabok0062_1L
Scolabok0062_2R
Scolabok0063_1L
Scolabok0063_2R
Scolabok0064_1L
Scolabok0064_2R
Scolabok0065_1L
Scolabok0065_2R
Scolabok0066_1L
Scolabok0066_2R
Scolabok0067_1L
Scolabok0067_2R
Scolabok0068_1L
Scolabok0068_2R
Scolabok0069_1L
Scolabok0069_2R
Scolabok0070_1L
Scolabok0070_2R
Scolabok0071_1L
Scolabok0071_2R
Scolabok0072_1L
Scolabok0072_2R
Scolabok0073_1L
Scolabok0073_2R
Scolabok0074_1L
Scolabok0074_2R
Scolabok0075_1L
Scolabok0075_2R
Scolabok0076_1L
Scolabok0076_2R
Scolabok0077_1L
Scolabok0077_2R
Scolabok0078_1L
Scolabok0078_2R
Scolabok0079_1L
Scolabok0079_2R
Scolabok0080_1L
Scolabok0080_2R
Scolabok0081_1L
Scolabok0081_2R
Scolabok0082_1L
Scolabok0082_2R
Scolabok0083_1L
Scolabok0083_2R
Scolabok0084_1L
Scolabok0084_2R
Scolabok0085_1L
Scolabok0085_2R
Scolabok0086_1L
Scolabok0086_2R
Scolabok0087_1L
Scolabok0087_2R
Scolabok0088_1L
Scolabok0088_2R
Scolabok0089_1L
Scolabok0089_2R
Scolabok0090_1L
Scolabok0090_2R
Scolabok0091_1L
Scolabok0091_2R
Scolabok0092_1L
Scolabok0092_2R
Scolabok0093_1L
Scolabok0093_2R
Scolabok0094_1L
Scolabok0094_2R
Scolabok0095_1L
Scolabok0095_2R
Scolabok0096_1L
Scolabok0096_2R
Scolabok0097_1L
Scolabok0097_2R
Scolabok0098_1L
Scolabok0098_2R
Scolabok0099_1L
Scolabok0099_2R
Scolabok0100_1L
Scolabok0100_2R
Scolabok0101_1L
Scolabok0101_2R
Scolabok0102_1L
Scolabok0102_2R
Scolabok0103_1L
Scolabok0103_2R
Scolabok0104_1L
Scolabok0104_2R
Scolabok0105_1L
Scolabok0105_2R
Scolabok0106_1L
Scolabok0106_2R
Scolabok0107_1L
Scolabok0107_2R
Scolabok0108_1L
Scolabok0108_2R
Scolabok0109_1L
Scolabok0109_2R

Citation preview

PANFOCUS collana diretta da Antonio Bertini l.



Ettore Scola Il cinema e io Conversazione con Antonio Bertini

rJ?�a, { qq0 �

Offic a Edizioni Cinecittà International. Divisione Ente Cinema

© 1996 Officina Edizioni, Roma C.inecittà Tnternational. Divisione Ente Cinema SoA

Indice

p.

7 19

Premessa Capitolo primo

Infanzia Adolescenza Giovinezza 35

Capitolo secondo

Disegnatore e umorista 43

Capitolo terzo

"Negro" e sceneggiatore 59

Capitolo quarto

Regista 61 68 75 77 83

Se pennettete parliamo di donne, 1964 La congiuntura, 1964 Il vittimista (Episodio di Thrilling), 1965 L 'arcidiavolo, 1966 Riusciranno i nostri eroi a rit{ovare l'amico misteriosamente scomparso in Africa?, 1968

90 96 102 107 114 121 128 135 137 139 147 150 157 159 164 169 175

Il commissario Pepe, 1969 Dramma della gelosia: tutti i particolari in cronaca, 1970 Pennette? Rocco Papaleo, 1971 La più bella serata della mia vita, 1972 Trevico-Torino: viaggio nel Fiat-Nam, 1973 C'eravamo tanto amati, 1974 Brutti, sporchi e cattivi, 1976 Le borgate di Pasolini, 1976 Signore e signori buonanotte, 1976 Una giornata particolare, 1977

I nuovi mostri, 1977 La terrazza, 1980 Vorrei che volo, 1980 Passione d'amore, 1981 Il mondo nuovo, 1982 Ballando, ballando, 1983 Maccheroni, 1984

1 RO 185 189 192 197 201

La famiglia, 1987 Splemlor, 1988 Che ora è, 1988

Capitm1

fracassa, 1989

Mario. ,\!aria c Mario, 1992

Diario di 1111 gioVi/Ile pol'cm, 1 9'))

209

Epilogo

21)

Indice

dei

nomi

Premessa

Al primo incontro mi di sse: . Cercai di non allarmar­ lo troppo, ma s apevo (gl ielo d i s s i solo molto tempo dopo) che lo storico francese Miche! Ciment aveva impiegato quattro anni per portare a termine la sua intervista al regi sta Joseph Losey. Per questo libro le cose sono andate megl io. La prima conversa­ zione porta la data del 7 aprile 1994; l'ultima, rea l i zzata accan­ to alla movio la dove stava apportando alcuni ritocchi al film

Diario di 1111 giovai/C poz•ero, del 21 settembre 1995. La crisi del cinema, in questo caso, è stata provvidenzi a le. Sco la era forzatamente inattivo. L'ultimo film, già scritto e in preparazione, stentava a partire; e questo g l i ha permesso di concedermi per pii1 di un anno la possibilità d i r.egistrare i s u o i ricordi, le sue scelte di lavoro e d i vita, le riflessioni sui suoi f i lm, le considerazioni e le ansie circa un presente civile e arti­ stico pieno di incertezze e di incognite. Ma l a sua disponibilità e cortesia per un lavoro di cui forse, inizialmente, non gli erano del tutto chiari i contorni, la compl essità (c la durata') è and ata ben oltre la semplice «chiacchierata>>. l la messo

a

dispos i zione

videocassette dei suoi f i lm, libri, articoli, saggi, ita l i ani

e

stra­

nieri, tesi di laurea, fotografie e suoi disegni, alcuni espressa­ mente fatti per i llustrare la prima parte del volume. Ritengo che un libro-intervista possa presentare motivi di interesse si. E azzardano, rifacendosi allo stile e alle te­ matiche, alcune attribuzioni, individuando la mano di Scola in Come una reRilta, L'uccellino della Val Padana e L'eloRio funebre.

Scola nella sua intervista lo conferma, ma vi aggiunge (c questa è un'attribuzione ) anche lJostaria, che è il quarto epi­ sodio del film, spesso incertamente classificato. Caso più com­ plesso è quello del film Siwwre e siRnori, buonanotte del 1976, firmato da Comencini, Loy, Magni, Monicelli e Scola. Infatti i cinque registi vi hanno lavorato alternandosi, secondo le di­ sponibilità di tempo, proseguendo là dove il precedente aveva interrotto. «Ci fu un modo di girare da bottega rinascimentale» dice Scola. E poi chiarisce inequivocabilmente il suo contributo al film. . Un secondo aspetto rilevante filmologicamente è apprendere dallo stesso autore manomissioni arbitrarie che la sua opera ha subìto, da parte di produttori o distributori, per motivi diversi. Guasti che è auspicabile vengano in futuro rimediati nel nome del rispetto artistico dell'integrità del film e di un corretto re­ stauro della sua forma c struttura ideativa e realizzativa. Esem­ plare, a questo riguardo, mi sembra il caso de Il mondo nuovo. Gli ho chiesto che finale avesse immaginato per questo film. E la sua risposta mi rivelò un clamoroso caso di manomissione. (e non al «Marc'Aurelio», che aveva interrotto le pubblicazioni dal ' 4 1 ) . Il «Travaso» mi pubblicò la vignetta su una colonna: raffigurava uno scultore su una scaletta, di fronte a un enorme blocco di marmo . D i lato c'è una modella nuda, in posa, e lui con lo scalpello in mano la guarda e le dice : " Sorrida " .

Che reazioni c i furono i n famiglia? Mio padre non ha mai preso molto sul serio il mio "lavoro " di disegnatore. Voleva che io facessi il medico , come lui e come mio fratello , quindi non vedeva di buon occhio quelle distrazio­ ni. Le accettava come uno strano hobby e quando arrivava il giornale con un mio disegno, glielo davo e lui lo guardava diver­ tito . Dopo quella mia prima vignetta, ho cominciato a fare il gi­ ro delle redazioni . Sono andato da Guasta, che era il direttore del «Travaso» poi alla «Tribuna Illustrata», che aveva un intero paginone di disegni, poi al . Leggevo un giudizio che affermat : "l'assenza di stile di questo film diventa il suo stile ". Più t e dall' assenza di stile, il film è caratterizzato dalla presenza 1. tanti stili . Vi hanno preso parte Monicelli, Comen­ cini, Loy, 'viagni e ognuno di noi vi lasciava la sua impronta. Lo stesso t ;corso vale per gli scrittori : Age, Scarpelli, Zapponi, Pirro, Bem nuti, De Bernardi, Guerra. Erano mani amiche, ma assai diverst ma dall' altra. È una sorta di mosaico. Figure e co­ lori diversi, nche inavvicinabili tra loro, che, messi insieme, contribuivam a dare una caotica, sciagurata, impressionistica visione della �altà.

138

UNA GIORNA TA PARTICOLARE 1 9 77

Una giornata particolare è forse il tuo film migliore. Rivela un cambiamento e una maturazione nei tuoi modi poetici e espressivi. Puoi spiegar/o? La grande utopia del '68 proponeva ai giovani di fare i conti con il futuro, ma ha messo tutti di fronte al problema di fare i ct •ti con il proprio passato . Per quanto mi riguarda sentivo l'esi, �nza di capire meglio me stesso, il mio lavoro, il mio rap­ portt con le nuove istanze poste dai giovani . C'eravamo tanto amati icuramente è nato dal bisogno di spiegarsi, di parlare, di riporh �i a quando si aveva l'età dei protagonisti del ' 6 8 , (di­ ciotto, ·enti anni) , all'età delle speranze e dei progetti. Anche per Un, giornata particolare, pur evitando direttamente l ' auto­ biografh mi ricordai della giornata in cui, da Figlio della Lupa, andai in "ia dell' Impero per la sfilata fascista. Anche questo è un film cl nasce dalla esigenza di scovare nel proprio passato, piccole eh vi di comprensione di quello che ci accade nel presente. ·

·

Mi pare che � genesi del soggetto prevedeva uno svolgimento della storia diverso, wn è vero? Tra i men, privilegiati i sacrificati, tutti coloro che non prendono parte alle grandi decisioni, "le comparse della S to­ ria " , sicurament ci sono le donne. Volevo fare un film su una di ques'te "esclm ", una donna modesta, senza alcun bagaglio culturale, rassegnata ad essere vittima. In un primo momento, pensai che il film potesse concentrarsi in "una giornata partico­ lare" dei nostri giorni . Una domenica qualunque in cui tutti i maschi della famiglia, vanno allo stadio e lasciano a casa la loro donna, sola, cenerentola stanca, non invitata alla festa colletti­ va. Poi discutendo con Maccari e Costanzo, ci sembrò che un film sulla condizione della donna poteva diventare più .emble­ matico se fosse stato ambientato in un preciso. momento storico, 1 40

durante il fascismo, quando certe convinzioni prendevano il va­ lore di legge: la donna doveva soltanto procreare, l 'omosessuale doveva andare in esilio a C arbonia. Quanti comportamenti ma­ schili con le donne, con gli omosessuali, con i diversi, per razza, colore o natura, sono ancora oggi altrettanti momenti di fasci­ smo? In ognuno di noi, forse, c'è un minuto di fascismo ogni giorno . H anno scritto, riguardo a Una giornata particolare, che riflette atteggiamenti del passato . Magari fossero passati !

Quindi, riepilogando tu hai fatto questo tipo di operazione per tre motivi: uno di tipo ideologico, uno di tipo autobiografico e l'altro proprio per rimeditare il '68 attraverso il passato. Veniamo ora alla scelta dei protagonìsti. Come spesso accade nei tuoi film, hai negato l'immagine divistica della Loren e di Mastroianni. Avevo appena realizzato Brutti, sporchi e cattivi, un film dif­ ficile che Ponti accettò di produrre quasi per sfida dopo il rifiu­ to di molti altri produttori. Successivamente mi chiese di scrive­ re un soggetto per Sofia Loren, sua moglie, con Marcello Ma­ stroianni. La Loren come simbolo erotico e Mastroianni come latin lover non mi interessavano: invece, mettere in luce certe loro qualità inedite, mi stimolava. Un attore intelligente e dota­ to deve confrontarsi con ruoli che non ha fatto. Marcello non aveva mai interpretato un omosessuale, eppure io intuivo che con lui sarei riuscito a rappresentare la natura omosessuale del personaggio in modo che non fosse evidente e dichiarata, ma so­ lo intuita, per piccolissimi accenni, per gesti trattenuti, per tre­ mori appena percettibili. Anche a Sofia volevo affidare il ruolo di una donna diversa dai suoi abituali cliché, una moglie quasi priva di ogni seduzione fisica, di ogni risorsa dialettica, ma che dentro di sé patisce per la sua ignoranza (non ha letto nemmeno Finocchio), per l'indecisione, per l'umiliazione della sua vita. Nel personaggio di Antonietta, Sofia ha saputo far vibrare le corde della spaurita e stupefatta scoperta di qualcosa, anche se alla · fine nulla cambia nella sua condizione .

Come ha reagito la Loren a questa metamorfosi? La prima settimana fu tragica: Sofia aveva uno stuolo di truccatori e sarti che lavoravano sempre con lei, ma le dissi, fin 141

dal primo giorno, che non avevo bisogno di loro . Ci furono di­ scussioni e crisi di pianto, anche Ponti venne sul set a lamentar­ si, ma convinsi - prima lui, poi lei - delle mie ragioni. Che erano le ragioni del film.

Mastroianni ha accettato di buon grado il suo ruolo? Con Marcello eravamo già amici e la fiducia era completa. Anche Marcello forse ha studiato poco, forse legge poco, ma ha un grande intuito e una sua sottile, naturale cultura.

Lui dà proprio la sensazione di un omosessuale molto autocontrol­ lato che si libera soltanto quando è solo, quando può affermare la sua natur, Uno molto sorvegliato nel sociale.

È anch un dato storico : gli omosessuali, durante il fasci­ smo , non l" ·evano esercitare professioni, non potevano avere impieghi pub 1ici. Il povero Nunzio Filogamo, il grande annun­ ciatore radiof, 1ico, girava con un certificato in cui era scritto: "Il signor Filo�; ono Nunzio è nel pieno delle sue facoltà virili e non ha nessuna tendenza all'anormalità . . . " . Solo cosl riuscl a

mantenere il pos , all' Eiar. Non si sa come avesse fatto ad otte­ nere quel certific ·o. •

Studiando l'evoluzio. dei personaggi sembra evidente che tu abbia prestato maggiore attt ·:zione alla figura femminile, al personaggio della donna piuttosto �e a quella dell'omosessuale. Lei è il motore delh ltoria. Una donna che a parte le due-tre parole per il caffè al m ·ito e per i vestiti dei figli, comunica soltanto con un uccellett. E con lui ha il dialogo più fitto della giornata. È ancora allo SI to infantile, e legge come fosse una bambina di otto anni, alm 10 come livello intellettuale e come possibilità di conoscenza. Poi è sempre presente una terza pro­ tagonista, la radio che fa la cronaca della sfilata, al limite della comprensione, per la retorica di cui è infarcita.

Fin dall'inizio lei è attratta da quest'uomo: lo osserva, lo spia dalla finestra, comincia ad interrogarsi sulle sue telefonate. Tutto somma1 42

to è incuriosita e l'idea di un 'avventura, a un certo punto, comin­ cia a balenarle. La fuga dell'uccelletto le rivela la presenza dell' uomo solo nell' appartamento di fronte, che sicuramente non ha mai notato prima. Credo che, più che attrazione ci sia l 'interesse per uno sconosciuto, per un mistero . È come se entrasse in una stanza la cui porta è stata sempre chiusa : " Strano, quel tipo solo in ca­ sa. . . oggi che tutti gli uomini sono fuori" . È incuriosita da un' umanità " altra " , "diversa", di cui lei ignora l'esistenza.

Quando lui l'abbraccia sul terrazzo, lei gli dice: "Eh, lo so che è da stamattina che tu cerchi. . . . "

Certo, crede che gli uomini siano tutti come suo marito, fre­ quentatore di "casini" , amante di maestre elementari (lei gli ha trovato in tasca la lettera di una " istruita " ) . Non ha strumenti di confronto, perché i suoi rapporti si limitano agli sporadici in­ contri con la portiera, per la chiave del terrazzo . E con quell'e­ straneo non sa che atteggiamento tenere, è goffa: "Certo, il caf­ fè ve lo faccio . . . ma un estraneo in casa. Che dirà la portiera? Vi avrà visto?" .

Qualcosa, però, in lei scatta dopo il litigio, perché si è sentita presa in giro. Riflette e comincia ad analizzare il suo comportamento . "Ma come" pensa "l'ho schiaffeggiato soltanto perché mi ha detto che non era attratto da me?" . Prende coscienza di una realtà che ignorava: l 'omosessualità, che non era una condizione umana e sociale largamente conosciuta. Credo che anche mia madre non sapesse dell'esistenza degli omosessuali.

Ma poi perché lo seduce? Superato il dovere di agire in un certo modo, di schiaffeg­ giarlo in terrazzo, perché quello è il comportamento che la sua educazione e la sua ignoranza esigono, quando si ritrova sola con lui è spinta da curiosità ma anche da oscure sensazioni, che la spingono a interrogarsi : per la prima volta, parla di suo marito 143

e di se stessa. Più che la voglia di un'avventura, la sua è una ricerca di tenerezza, un bisogno di affetto per la bambina che è dentro di lei . In quel momento ha più bisogno di carezze che di un rapporto sessuale.

Perché la scena madre del film la fai svolgere sulla terrazza? Questo "esplicitarsi " dell'omosessuale non sarebbe stato meglio farlo svolge­ re a casa di lui? Il litigio e tutto il resto, la sua confessione, avviene tra la te"azza e le scale. È un fatto puramente dovuto alla necessità di movimentare l'andamento della sceneggiatura, oppure. . . ? Non credo che le vicende siano più noiose o più divertenti se si svolgono in un luogo invece che in un altro . Certo la con­ fessione di lui poteva accadere anche in casa, ma forse Il, all' a­ perto , trova meglio il coraggio di gridarle la verità. E anche lei si sente più libera, sul terrazzo, mentre lui l' aiuta a piegare il lenzuolo, di parlargl i, di baciarla. Gli dice: "È la prima volta nella mia vita che mi ca ita . . . dimmi qualcosa, è importante, perché non l ' ho mai fatto Credo che in casa sua non avrebbe baciato un uomo , tra la ct ina e la camera da letto .

Nel finale lei lo accetta. Le pia •rebbe mantenere in vita un affetto anche con un omosessuale. Ha scoperto che esistono a1 ·he altri tipi di uomini che il marito e il Duce (che lei idolatn '! che poi è lo stesso modello del marito) non sono gli unici est lplari di uomini esistenti. È emozionata perché pensa che quale �a sia cambiato per lei, per­ ché c'è qualcuno con cui può avere , l' intesa di sguardi , qualcu­ no a cui fare da oggi riferimento, f . 'ri dalla propria finestra. Quando poi vede che lo portano via, c. 'Jisce che la sua vita con­ tinuerà ad essere esattamente come p. 111 a : l'unica eredità che quell 'estraneo le ha lasciato è forse il ph ere di leggere un libro .

Il personaggio di Mastroianni passa attravers, stati d'animo diversi. All'inizio c 'è la depressione, al punto che vu 'e suicidarsi, poi, pe­ rò, ha degli improvvisi sbalzi di umore, de/l, improvvise euforie, e nel finale dice la frase "Non cambia niente ". Anche lui è in una condizione di spirito particolare quel giorno . Sa che verranno a portarlo via e si aggrappa a lei che

144

gli capita in casa. È in qualche modo grato dell' imprevista visita che gli impedisce di fare una sciocchezza , di uccidersi in un mo­ mento di grande depressione . È al limite della follia. La rumba, il cioccolatino, il monopattino, fanno parte della disperazione di questa giornata, alla quale reagisce con un'euforia anche esage­ rata. Le porta un libro per ringraziarla, fa anche l' amore con lei, ma come ogni omosessuale sa che la sua natura non può cambia­ re . Ho faticato non poco per spiegare a Ponti che la storia non si poteva concludere diversamente, che quell' atto d ' amore non cambiava niente e che non c'era proprio nessuno da miracolare, perché lui è omosessuale, non uno storpio da guarire .

Ora ti devo fare, invece, tre domande di tipo stilistico e tecnico. Prima di tutto il piano-sequenza iniziale. Tu passi dall'esterno del cortile all'interno dell'appartamento, senza soluzioni di continuità.

È una combinazione di diverse tecniche: un dolly, un ascen­ sore, un carrello, uno zoom; la macchina da presa parte dal cor­ tile vero di viale XXI Aprile e si solleva con un ascensore ester­ no. Poi c'è un fermo di macchina. In teatro, l' inquadratura ri­ parte dall'esterno ricostruito dell' appartamento, il carrello va avanti fino alla finestra, il davanzale si apre per lasciar passare la macchina da presa, che entra dentro l' appartamento e segue la Loren per tutte le stanze, mentre sveglia i figli e il marito. Non fai mai queste cose gratuitamente; devo pensare che in questo caso c '.è una precisa ragione espressiva. Sl, di pedinare la donna nei suoi gesti, nei suoi percorsi ca­ salinghi di ogni mattina. Era mia intenzione descrivere con un unico piano-sequenza la sua vita familiare, il marito e tutti suoi sei figli , ammucchiati in quel modesto accampamento .

La seconda domanda di tipo tecnico riguarda il colore. Fui indeciso se girare il film a colori o in bianco e nero. I nostri ricordi di quell'epoca sono in bianco e nero , non esisteva­ no giornali a colori , non esisteva il cinema a colori. Ricordo che la visita di Hitler a Roma si svolse in una giornata piovosa, piuttosto grigia: rappresentare a colori la cappa plumbea di

145

quella giornata sarebbe stato un po ' difficile. Decidemmo con Pasqualino De Santis , l 'operatore, di fare delle prove per vedere quali colori potevano contribuire a renderei meglio il grigio ri­ tratto che volevo dare di quello stabile , di quella giornata. Ab­ biamo girato delle scene di prova, sottraendo via via i colori: prima il rosso, poi il verde . . .

In fase di ripresa o di stampa? Prima delle riprese del film , con esperimenti progressivi: il costumista, Enrico Sabatini, lavò e stinse la vestaglia della Lo­ ren fi nché i colori dei fiori sbiadirono e trattò il pullover ama­ ranto di Mastroianni per renderlo opaco . Con lo scenografo Lu­ ciano Ricceri , si studiò il colore delle pareti : tutta la casa è bei­ ge e sono stati tolti tutti gli oggetti troppo colorati , per raggiun­ gere una tonalità u niforme . Filtri neutri davanti agli obiettivi hanno assorbito ulteriormente i colori , durante le riprese. Quin­ di, in stampa fu fatto molto poco .

La terza domanda riguarda il suono. La colonna sonora ha un ruo­ fondamentale in questo film.

lo

La radio , sempre accesa, trasmette sia la autentica radiocro­ naca di Guido Notari , sia le marce militari di quella giornata. Per l'incontro tra due personaggi così umili , quella enfasi e que­ gli inni erano il giusto contrappunto . Anche mentre fanno l'a­ more, la voce di Hitler mi sembrò il commento più rude , più a contrasto con il bisogno di tenerezza dei due piccoli protago­ nisti. Il problema si poneva per il finale, quando tutto tace, an­ che la radio, sull ' arresto dell 'omosessuale e il ritorno di Anto­ nietta alla sua vit a di tutte le sere . Con Trovajoli pensammo a un intervento musicale tenue, appena percettibile , dopo tutto quel chiasso e quelle fanfare : un solo pianoforte che ricorda le note della " rumba degli aranci" che lei ha ballato con il vicino: un momento di follia, di evasione, di scoperta dei sentiment; che dissolve nelle note dell ' alza-bandiera tedesco, già sentito la radio. Su queste note e su Antonietta che spegne la luce sul suo comodino si conclude quella giornata particolare .

1 46

I NUO VI MOSTRI 1 9 77

Come nasce l'idea dei Nuovi mostri? I mostri di Dino , Risi era un film che aveva ottenuto un buon successo; si pensò di dargli un seguito con I nuovi mostri, però questa volta i registi sarebbero stati tre : Monicelli, Risi e io. Avevamo preso l ' impegno di non rivelare l' autore di ciascun episodio ma siamo stati ugualmente identificati. lo ho girato Come una regina, con Sordi , Hostaria, con Tognazzi e Gassman, L 'elogio funebre, sempre con Sordi, e L 'uccellino della Val Pada­ na, con Tognazzi e Orietta Berti. Il film intendeva rappresenta­ re le nostre mostruosità quotidiane , sociali, personali o familia­ ri. l 1'la vecchia suocera in casa, ad esempio , non contribuisce all' . monia della famiglia e, se non muore (certi vecchi hanno il .ffetto di essere immortali) va comunque allontanata: dal deAerio di pace familiare e nasce un disumano comportamento . Nell'episodio Come una regina c 'è una grande interpretazione di Alberto Sordi. Nel personaggio del figlio c'è una pluralità di sentimenti contrastanti e Sordi riesce ad esprimere l' insofferenza, la catti­ veria, ma anche il rimorso e il dolore di lasciare all 'ospizio sua madre .

In un altro episodio da te diretto, mostri, in chiave grottesca, quan­ ta mostruosità si celi nella cucina di una tranquilla trattoria. Ho­ staria è un rifacimento alla romana delle torte in faccia all'ame­ ricana? Sl, doveva essere la comica finale, anche se poi, è stata mon­ tata come quarto episodio . Lo spunto nasceva dall'osservazione di certi camerieri che, specialmente a Roma, hanno nei confron­ ti del cliente un atteggiamento del tutto informale, anzi contro ogni forma, che li autorizza a dare del " tu " al cliente, a mollar147

gli la "pacca" sulla spalla, a trattarlo male. Anche nelle cucine di certe trattorie c'è una violenza primitiva, elementare, tra in­ servienti abbrutiti dal calore e cuochi rissosi , lanciatori di tutto ciò che gli capita tra le mani . Ricordo che in un ristorante ave­ vo chiesto delle triglie fritte: vedevo che il cameriere esitava, ma non capivo perché e insistetti. Il poveretto andò in cucina e quando tornò, aveva sulla giacca bianca l' impronta rosa di una triglia che il cuoco gli aveva lanciato, indispettito dalla scomoda "comanda" .

È stato complicato girare questo episodio? Sl , perché le riprese si sono svolte nella cucina di un risto­ rante vero, e poi era necessario coordinare ad uno ad uno tutti i movimenti della battaglia , concertare con gli attori ogni gesto, ogni minima traiettoria, perché l' azione doveva essere estrema­ mente precisa e veloce.

Qualcuno della troupe doveva forse lanciare gli oggetti da fuori campo? No, l' ambiente era molto piccolo e gli attori erano sempre in campo: dovevano esercitarsi per fare lanci ben precisi e diret­ ti. Giravamo tutti in camice bia n co: regista, operatore, macchi­ nisti . . . Un turbinlo di farina, piatti e derrate di ogni genere che volavano da Tognazzi cuoco a Gassman cameriere, in una se­ quenza unica : durava il tempo che un cameriere impiega a en­ trare in cucina, prendere i piatti pronti e tornare in sala a servire .

Ma nel finale, poi, cuoco e cameriere si vogliono bene. Sono anche teneri tra loro , perché sono fragili e affettuosi. un'omosessualità latente, la loro , espressa solo attraverso ma­ lumori , ripicche, gelosie infantili .

È

· L a mostruosità dove la vedevi i n questo caso?

È di

una mostruosità elementare, primaria, un po' come quella

Brutti, sporchi e cattivi, sintomo di una condizione sociale e

148

culturale nella quale l'uomo perde intelligenza e dignità e si av­ vicina al mostro o al bambino . L'elogio funebre

ricorda un po ' il finale di Otto e mezzo.

È un episodio grottesco, venato di umorismo dell ' assurdo . Un piccolo comico di secondo ordine, dopo mille umiliazioni ri­ cevute in scena al servizio del capocomico , trova finalmente il suo momento di grandezza: il giorno in cui il capocomico muore ed esce di scena, è lui, la spalla, a pronunciare l'elogio funebre, facendo piangere e ridere, per la prima volta, in prima persona. Ora è lui capocomico. Intorno alla bara, esplode una passerella finale in onore del morto, che invece è la celebrazione del nuo­ vo astro che nasce. Il film si chiude con questa metafora della invidia e del potere che cambiano gli uomini in " mostri " .

149

LA TERRAZZA 1 980

La terrazza è il tuo film più complesso. Ci sono dentro importanti temi della tua biografia e della tua poetica: il cinema, il mestiere dello sceneggiatore, i rapporti con la televisione, i legami tra politi­ co e privato, il lavoro giornalistico. Ho l'impressione che tu abbia voluto fare un po ' i conti con la tua vita. Un consuntivo e un com­ miato dalla commedia all'italiana. Come è nato questo film? Non è mai facile dire come nascono i film. Penso che in America sia più facile rispondere a queste domande, perché per il 90% i loro film sono tratti da libri di successo . Invece noi dobbiamo inventare il romanzo, prima di pensare alla sceneggia­ tura. L' idea che venne a me, a Age e a Scarpelli riguardava l ' ambiente, specialmente romano (il primo titolo provvisorio era Che si dice a Roma) , dei gloriosi caffè dove gli intellettuali si davano convegno . Il più famoso era Rosati, un vero e proprio salotto all' aperto, a via Veneto, dove ogni sera sedevano ai ta­ volini Flaiano, De Feo, Gassman, Germi , Saragat, Pannunzio . . . Finito il tempo di questi luoghi pubblici , gli incontri avveniva­ no nei salotti romani che, si sono in seguito definiti politica­ mente come salotti socialisti . Borghesi, intellettuali, si riuniva­ no non proprio per fare dei bilanci, ma certamente per confron­ tare, sia pure in modo mondano, le loro idee, tematiche, deside­ ri, fantasie, anche erotiche; fantasmi di tutte le avventure non compiute nella vita . Volevamo raccontare uno di questi salotti, e naturalmente, ci siamo riferiti anche alle nostre esperienze personali . Ci chiedemmo come far agire questi personaggi. " Hanno una serie di incontri o tutto si svolge in un'unica sera­ ta? " . Ci piacque di più quest'ultima soluzione e invece di nar­ rarla tradizionalmente, abbiamo scelto una struttura più com­ plessa: la stessa serata, è vista da cinque angoli visuali diversi, secondo il personaggio scelto a protagonista per quella franche di racconto .

151

Per quanto riguarda i personaggi, li vedo molto in chiave autobio­ grafica. Per esempio, lo sceneggiatore Trintignant. Tu hai subito l'ossessione di far ridere? Sì , l'ossessione di far ridere era un " pallino" dei produttori che identificavano il film comico con il successo . La domanda: "Ma fa ridere? " , formulata prima di leggere qualunque copione, era di prammatica. Era un'ossessione , un imperativo assoluto .

Finiva per diventare ùna nevrosi. Sì . Il personaggio di Trintignant arriva al punto di tagliarsi un dito per punire se stesso , per amputare l'ossessione di far ridere.

Per la figura del produttore ti sei ispirato a qualcuno? Non a un nome preciso, ma a tanti produttori che avevamo conosciuti Age, Scarpelli ed io, negli anni C inquanta-Sessanta, forse il periodo più caotico e avventuroso del cinema italiano. C ' era in questi personaggi comunque una autentica passione: non ti pagavano, davano solo cambiali, assegni a vuoto ma ama­ vano il loro mestiere , volevano fare cinema, si impegnavano . Erano produttori di pochissimi studi ma animati da una fanciul­ lesca euforia di cinema. E alcuni di loro hanno davvero perso tutto quello che avevano in progetti sconsiderati . Adesso quel malcostume è finito, però è anche sparita la figura del produtto­ re . Oggi è un signore con il diploma di ragioneria, che cerca di avere i rapporti giusti per ottenere un finanziamento televisivo o una coproduzione, e mettere in piedi operazioni che, in qual­ che modo, lo garantiscano in partenza: deve, prima di tutto, realizzare il suo utile e poi si farà il film .

Nel tuo film il produttore in crisi si salva cambiando genere. C'è un po ' di nostalgia per la fine della commedia all'italiana? Sicuramente c ' è anche questo, ma le colpe non sono state soltanto dei produttori . Quanti film senza ispirazione, senza tradizione , senza cultura, sono stati fatti? Film che spesso non avevano nemmeno lo scopo di far ridere, ma solo intenti auto1 52

biografici, esibizionistici. Decine e decine di film che hanno contribuito a fare perdere al cinema l 'identità che aveva acqui­ stato con il neorealismo; e anche con la commedia italiana, per lo meno con quella più accorta.

Il personaggio di Garriba e cioè il giovane regista in polemica con la sua troupe, è un po ' un 'ironica parodia di Dario Argento? Il discorso sulle troupes romane somiglia un po' a quello che si faceva per i produttori. Macchinisti e elettricisti forse un po' infingardi, motteggiatori, dediti allo sberleffo, però con una pas­ sione vera per quello che fanno. Ne La terrazza è rievocata que­ sta atmosfera casareccia e caciarona: e il giovane regista, che ha come modelli Ferreri ma anche Polanski o Corman, mal sopporta la sua troupe, e lo dice: "Odio l'umorismo delle troupes romane" .

A proposito del tuo rapporto con la critica cinematografica, c 'è il personaggio interpretato da Stefano Satta Flores che è un critico molto ideologizzato, molto arrabbiato. Insomma, mi pare, che sia limitato, non capisce e non sa neppure affrontare la complessità di certi discorsi intorno al cinema. È un po ' con i paraocchi. Perché gli dai sempre queste connotazioni, per molti versi simili a quelle del personaggio di C ' eravamo tanto amati? Ll era diverso: era un critico velleitario, frustrato che però nutriva un grande amore per il neorealismo . Invece il critico de La terrazza appartiene alla generazione successiva dei critici post-sessantottini, che si sentivano comunque superiori a quello che giudicavano . Tendenza critica che ha trovato espressione compiuta nel libro Servi e padroni di Fofi ; critici feroci , sia nel­ l'amore per certi autori che nella distruzione di altri. Sono i pa­ dri di quelli che oggi amano solo il cinema spazzatura. Meglio Paperino che Thomas Mann, meglio l ' ultimo horror con gli ef. fetti speciali che Ladri di biciclette.

Insomma, mi sembra che il tuo rapporto con la critica sia, almeno nel film, molto conflittuale. Nel film è narrato l' avvento della generazione che ha comin­ ciato ad integrarsi - specialmente a Roma - nella televisione, 153

nel cinema, nel giornalismo, ostentando disprezzo per tutto quello che li aveva preceduti e accampando diritti che prescin­ devano da qualità personali , e creativit à .

La morte del funzionario Rai è l'annullamento dell'intellettuale. Viene ucciso dalla burocrazia e dai trafficoni che gravitano attorno al mondo dei media. Non c 'è un riferimento a qualche personaggio del mondo televisivo? Nessuno si è suicidato, però gli intellettuali che erano entra­ ti in Rai per meriti letterari, validi scrittori come Rosso, D'Aga­ ta, La Capria, sono stati a poco a poco schiacciati dalla macchi­ na aziendale. La loro creatività o si è consunta o si è svolta al di fuori dell' azienda. Loro non hanno contribuito alla crescita della Rai, mentre la Rai ha contribuito alla loro decadenza.

Poi c 'è la figura dell'onorevole che, a parte essere una delle migliori interpretazioni di Vittorio Gassman, riporta sempre in gioco il tuo rapporto tra politico e privato. Anche nel partito comunista stava avvenendo un ricambio generazionale e i più anziani si sentivano , a poco a poco, messi da parte. Nel film, M ario, è un senatore comunista che avverte questo distacco dal partito, e soffre in termini umani , della in­ differenza generale per la sua vicenda personale. È innamorato di una giovane, ma rispetta e ama sua moglie: visto che il suo è un partito di partecipazione e di grandi e calde assemblee ope­ raie, vorrebbe parlare con i compagni anche della sua passione senile . Lo confessa, anzi lo grida, pubblicamente, durante un congresso del Partito, in una sorta di allucinazione. Anche il suo è un dramma della solitudine .

Parliamo delle figure femminili. Hai mostrato delle donne in car­ riera e delle donne materne. La Sandrelli è un esempio di moglie protettiva, mentre la Colli e la Gravina sono personaggi in cui si avverte un latente femminismo. Se una donna ripercorre gli stessi itinerari maschili , se tratta gli stessi servilismi (lei si inchina al direttore della Rai) e non è in grado di creare armonia tra la sua vita privata e il suo lavo154

ro, sarà solo un altro ometto in carriera: come la Gravina, che è spinta più da arrivismo giornalistico che da seria professionali­

tà, o la Colli che fa la produttrice per mondanità e intellettuali­ smo. Ma ci sono altri tipi di donne nel film. Non solo la San­ drelli; ma anche la moglie del deputato comunista: una compa­ gna che ha seguito il marito, non solo nella vita, ma anche nella sua maturazione intellettuale, una donna che lo ha aiutato a cre­ scere. Il finale, con i maschi del branco che litigano tra loro sot­ to lo sguardo delle loro donne, è quasi un consuntivo tra i due sessi , un confronto del quale, apparentemente, la donna paga di più, perché perde la bellezza e la gioventù, ma i veri perdenti sono gli uomini, per la loro fragilità, le loro debolezze, per i lo­ ro compromessi : sono più disperati gli uomini delle donne.

Ci sono anche intermezzi comici, però il film è piuttosto urlato. Gli intellettuali che dovrebbero essere coloro che hanno ac­ quistato con gli studi, con gli strumenti della cultura, saggezza e decoro sono invece quelli che più spesso perdono ogni dignità e trascendono . Ho assistito a molte liti nei giornali in cui ho la­ vorato. C redo di aver collaborato in due-tre anni a una trentina di giornali che avevano vita breve: duravano lo spazio di tre­ quattro settimane, poi morivano . Anche nel mondo del cinema si avvertiva a volte questo clima di aggressività: se la forza delle idee non bastava, interveniva la forza delle voce.

La struttura del film è molto interessante. Alcuni personaggi li ac­ compagni nel futuro, per poi tornare sempre a questa serata, a que­ sta terrazza, simbolo e palcoscenico di esistenze in crisi. Li proietti in un avvenire che ha le stesse cadenze del presente. Tradizionalmente si sarebbe dovuta raccontare una serata tra amici, nella quale avremmo fatto la conoscenza di tutti i per­ sonaggi e poi avremmo seguito ciascuno nella sua vita futura, dopo quella cena, con una tecnica simile a quella dei film a epi­ sodi. Tornare alla stessa serata, ripartendo sempre da zero, ri­ corda la tecnica di Kubrick in Rapina a mano armata: una rapina in un ippodromo dove la vicenda viene continuamente interrot­ ta per tornare sempre all' attimo in cui lo starter dà il via alla 155

corsa dei cavalli : sempre la stessa. Questo modo di strutturare il racconto mi affascinava, non per formalismo, ma perché l'es­ senza della storia - ogni volta ripresa dal nastro di partenza, da un diverso punto di osservazione - viene maggiormente ri­ velata. Del resto, nella nostra vita quotidiana, i ricordi o le im­ maginazioni si ripresentano sempre in ordine cronologico? La terrazza

è un film della solitudine.

Tutti i personaggi , dallo sceneggiatore, al produttore, al de­ putato, sono soli . Quel loro modo di ritrovarsi e di parlare su­ perficialmente, o spiritosamente, alla Flaiano, con leggerezza, è una maniera di stare insieme, ma non di comunicare. E poi è lì la nuova generazione che li fa sentire come oggetti, se non in estinzione, certamente obsoleti . Fuori da quella terrazza il tempo è dei giovani con i loro vizi, le loro presunzioni, ma con la forza della giovinezza, che non soffre di solitudine.

1 56

VORR EI CHE VOLO 1 980

Nello stesso anno de La terrazza, 1 980, hai realizzato un altro film politico, affiancando, ancora una volta, opere d'autore a opere su commissione. Vorrei che volo è figlio dell'esperienza di Trevico-Torino, e Io feci qualche anno dopo, quando il mio ex-sceneggiatore di quel film, Diego Novelli , era ormai diventato sindaco di Tori­ no. Protagonista era un bambino, che feci uscire dal carcere dei minori; assumendomene la responsabilità, ottenni una dichiara­ zione di affidamento per tutto il tempo delle riprese. Era un Ia­ druncolo, che aveva rubato nei mercati, nei negozi, sui tram . Me lo portai in giro alla scoperta di una città nella quale avveni­ vano dei cambiamenti, grazie alla nuova amministrazione di Novelli, il quale godeva di una grande popolarità e era accolto dalla gente come una specie di Don Bosco : veniva anche preso in giro per il suo ecumenismo comunista. Nel film i quartieri e le strade della città venivano percorsi da questo ragazzino al quale avevamo raccomandato di non rubare, ma aggiungendo che , comunque, lui era libero . Prima di iniziare le riprese avver­ tivamo i vari negozianti e gli ambulanti: "Nel caso un bambino venisse a rubare qualcosa fingete di non accorgervene: sarete ri­ sarciti o vi verrà restituita la roba" . Quindi seguivamo il bambi­ no con la macchina da presa . Un po' si tratteneva, un po' rubac­ chiava qua e là. E portò via un sacco di cose, che venivano pa­ gate ai proprietari. Una specie di canagliesca "educazione senti­ mentale" di un bambino in una grande città ostile, che si con­ cludeva in un parco-giochi, dove il piccolo sentiva finalmente sua, la città. Sono poi andato insieme al bambino a visitare la sua famiglia: naturalmente di ladri, in una casa piena di coper­ toni e radioline; una tradizione familiare di furto, forte, radica­ ta. La storiella prevedeva un finale in funzione della campagna elettorale di Novelli; il bambino invece, improvvisando sponta­ neamente, ci suggerl un altro finale: a conclusione del suo giro cominciò a correre con gli occhi al cielo, a seguire un aeroplano 157

gridando : "Vorrei che volo " . Ho mantenuto questo finale questo titolo .

e

Un cinema d'impegno il tuo che comincia dal '71 fino, mi pare, alle elezioni più recenti. Nel ' 7 1 seguii Enrico Berlinguer durante una sua giornata al Festival Nazionale dell'Unità, a Roma. E in altre occasioni, fino al giorno dei suoi funerali, insieme con tanti altri colleghi. E anche dopo, nei momenti di scioperi, di manifestazioni, di elezioni . Ma è un' impegno - come dici tu - che non ho mai sentito, come una attività diversa: posso girare Trevico-Torino, Vorrei che volo, la campagna elettorale di Sassolino oppure Ca­ pitan Fracassa, Che ora è, in assoluta coerenza con me s tesso. Perché in nessun caso, qualunque film io stia girando, perdo di vista l'opportunità di esprimere le mie idee politiche: anche nei film apparentemente più innocui e più neutri .

In questi anni purtroppo nel cinema italiano si nota una caduta di tensione, anche morale, civile. Il cinema cosiddetto politico credo sia finito, ed è un bene; spesso era inteso in modo sbagliato, se non dannoso, era un ci­ nema molto ideologizzato. Non credo che serva, né ormai che ci sia più un pubblico disposto ad accettarlo . Quello che abbia­ mo fatto in quegli anni con I'Unitelefilm, con Bertolucci , con Petri, con Pirro, con Volonté, con Giraldi, con la C avani, con Perelli , era un lavoro di controinformazione. Era l'interpreta­ zione di alcuni autori che, con stili diversi (grottesco o tragico, personale o freddo) , prospettavano delle ipotesi su alcuni miste­ ri italiani, davano il loro contributo a un dibattito, a una discus­ sione , alla conoscenza maggiore di un problema : il " suicidio" dell ' anarchico Pinelli , il delitto C alabresi, i gruppi di estrema si­ nistra, la morte di Pier Paolo Pasolini . . .

158

P A SSIO N

E D ' AM 1 98 1

ORE

Il film è diventato un musical negli Stati Uniti. Non capita spesso che gli americani riprendano un 'opera di un autore europeo. Che accoglienza ha avuto? Il critico del «New York Times», Vincent C an by, era stato quasi imbarazzante per quello che aveva scritto sul film Passione d 'amore, sulle sue risonanze con i grandi classici non solo del ci­ nema, ma anche della letteratura . Infatti nella hall del teatro di Broadway dove hanno rappresentato il musical c'è la giganto­ grafia della critica di Vincent Canby al fil m . In questa trasposi­ zione musicale il testo originale ha ritrovato la sua vocazione di melodramma. lo avevo qualche timore, mi chiedevo come gli americani avrebbero , per esempio , rappresentato una guarnigio­ ne torinese del 1 860. Invece hanno riprodotto tutto esattamen­ te come era nel film. Hanno mantenuto le divise disegnate da Gabriella Pescucci e gli altri abiti color cenere della protagoni­ sta. Bellissime le musiche. Bravissima l'attrice "brutta" ; anche le Alpi, con i giochi di veli e di neve sui fondali, hanno fatto bella figura: tutto molto corretto, molto credibile e anche molto suggestivo . Uno spettacolo di grande professionalità.

Quali numeri musicali hanno inserito? Tutto è recitato, con i dialoghi del film , poi parte la musica e i protagonisti cantano in duetto come nei film musicali ameri­ cani di una volta.

Rispettando il testo originario anche nei brani cantati? Rispettando lo sviluppo psicologico dei personaggi: il dolore di lei, le sue angosce , le sue implorazioni d ' amore che corrispon­ dono ad altrettante romanze (la romanza del dolore, la romanza dell 'umiliazione, quella della morte) . Lo spettacolo è piuttosto insolito per Broadway che credo abbia regole piuttosto ferree: 160

belle donne, balletto, lieto fine. Qui non ci sono belle donne e il triplo finale è tragico : morte dello zio in duello, morte di Fo­ sca e destino del protagonista, che vivrà ombra di se stesso, svuotato da quell'orrido amore . Uno spettacolo molto pericolo­ so e i due autori americani erano molto preoccupati, perché non sapevano come avrebbe risposto Broadway : invece c'è stata un' adesione totale da parte del pubblico che, forse, si è sentito coinvolto proprio perché lo spettacolo era insolito, non aveva nulla a che fare con la rivista erotica, divertente e luccicante al­ Ia quale è abituato .

Questo successo americano fa pensare che tu abbia anticipato di dieci anni circa il problema del ruolo della donna brutta nella so­ cietà moderna. Sicuramente per la donna americana, più ancora che per l'europea, l 'immagine, la bellezza, il modo di presentarsi, il fa­ scino sono strumenti importantissimi per la sua affermazione. È un problema che coinvolge la dignità della donna e il suo rap­ porto con l ' uomo . La bruttezza non ha diritti : il film nasceva da questa intuizione di Tarchetti. La solitudine e l' esclusione della donna priva di possibilità di seduzione , sono sicuramente maggiori della solitudine e dell 'infelicità di un uomo brutto . Un uomo brutto, se è stupido, certo , resta tale; ma se ha intelligen­ za e virtù da affermare, viene accolto e accettato dalla società . Una donna brutta, sia stupida sia intelligente, difficilmente sfugge al suo destino . I canoni estetici dettati dall'uomo, hanno stabilito leggi ferree .

Questo lo fai dire nel finale dal nano. Sl, se ne va sentenziando: "È una storia incredibile. Non ci si innamora delle brutte. Se aveste raccontato la storia di una bella donna che si innamora di un uomo brutto, questa sl, era credibile" .

Però tu questi canoni li hai ribaltati, hai raccontato un 'altra storia. Hai riaffermato il diritto di ogni essere umano ad amare; ma anche una specie di obbligo a essere ricambiato. Fosca è una donna brutta, con un grande carattere; sa di avere gli stessi diritti di una donna bella: se non di essere ama-

161

ta, certamente di amare . E lo dichiara, contravvenendo tutte le regole di decoro, di opportunità, di rispetto . . . all'interno di un ambiente chiuso di ufficiali, dove vige il massimo del maschili­ smo, del cameratismo, del casermismo, dove si intrecciano sol­ tanto racconti di cavalli e di conquiste femminili. Fosca, sola e isolata, ha il coraggio di confessare non solo all 'oggetto amato, ma a tutti , che lei è innamorata del bellissimo tenente . Ed è proprio questo coraggio , questo scandalo , questa trasgressione che fa breccia nel cuore di lui: la volontà di Fosca vince, anche lui amerà lei, contagiato da una sorta di Aids dei sentimenti.

Quindi il libro di Tarchetti ti ha colpito proprio per la sua tematica? Per la inusualità del tema e della sua impostazione. La scapi­ gliatura è una stagione assai particolare della letteratura italia­ na. Per Tarchetti, ma per tutti gli scapigliati milanesi, Alessan­ dro Manzoni era il nume tutelare, al quale riconoscevano la sua grandezza; ma ne prendevano le distanze . La stessa reazione contro il romanticismo c'è stata in Francia, dove Gautier e gli altri giovani post-romantici contestarono il loro maestro Vietar Hugo . C ' è una bellissima poesia di Tarchetti che io ho citato nel finale del film: nell 'osteria, mentre il nano se ne va, un ubriaco canta una canzonaccia con i versi di Tarchetti: "Mia

adorata io ti bacio, ma mentre ti bacio vedo le orbite dei tuoi oc­ chi e nelle orbite i vermi che si nutrono di te danno vita alla terra. E vedo le ossa del tuo scheletro sotto i tuoi bei seni, mia adora­ ta " . Versi che avrebbero fatto inorridire il povero Manzoni . . . .

Sei stato fedele al romanzo? Sl. Quanto, secondo me, bisogna esserlo quando si fa un film ispirato a un'opera letteraria. Credo che il massimo della fedeltà sia nel cambiare . Importante è rispettare quello che l'au­ tore voleva trasmettere ai suoi contemporanei, quindi cercare le corrispondenze, la traduzione in un altro linguaggio, di un' altra epoca. Nel romanzo di Tarchetti ci sono cose che sarebbero ri­ sultate datate nei comportamenti di Fosca. lo l'ho resa più asciutta, severa , meno patetica. Erano passati più di cento anni 1 62

da quando Tarchetti aveva scritto il romanzo e il pianeta d