Egidio D'aquino: Liber Avium Viventium De Rapina
 9782503529271, 2503529275

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TEXTES VERNACULAIRES DU MOYEN ÂGE

Volume 7

TEXTES VERNACULAIRES DU MOYEN AGE Collection dirigée par Stephen Morrison À une époque où les médiévistes, toutes disciplines confondues, se tournent de plus en plus vers les sources en langues vernaculaires, Brepols publie une nouvelle série TEXTES VERNACULAIRES DU MOYEN AGE, destinée à répondre aux besoins des chercheurs, confirmés ou débutants dans ce domaine. Le principal but (mais non le seul) de sa création est la publication de textes qui, jusqu’ici, n’ont jamais bénéficié d’un traitement éditorial et qui, par conséquent demeurent inconnus ou mal connus de la communauté scientifique. Parmi les premiers volumes figurent des vies des saints en ancien et moyen-français ainsi que des textes scientifiques en français et en anglais. D’autres volumes sont en préparation active. At a time when medievalists of all disciplines are increasingly recognising the importance of source material written in the major European vernaculars, Brepols publishes a new series TEXTES VER-NACULAIRES DU MOYEN AGE, designed to meet the needs of a wide range of researchers working in this field. Central to its conception, though not exclusively so, is the place given to the publication of texts which have never hitherto benefited from editorial activity, and which remain unknown or imperfectly known to the academic community. The inaugural volumes include lives of saints in old and middle French, as well as scientific treatises in both French and English. Further volumes are in active preparation. Collection dirigée par / General editor: Stephen Morrison (Centre d’Etudes Supérieures de Civili- sation Médiévale, Université de Poitiers)

Comité scientifique / Advisory Board Alexandra Barratt (Université de Waikato, Nouvelle Zélande), Daron Burrows (Université de Manchester, Royaume-Uni), Vittoria Corazza (Université de Turin, Italie), Irma Taavitsainen (Université de Helsinki, Finlande), Alessandro Vitale-Brovarone (Université de Turin, Italie)

Egidio d’Aquino Liber avium viventium de rapina

Introduzione ed edizione critica a cura di

Francesco CAPACCIONI

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© 2012, Brepols Publishers n.v., Turnhout, Belgium. All rights reserved. No part of this publication may be reproduced stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means, electronic, mechanical, photocopying, recording, or otherwise, without the prior permission of the publisher. ISBN 978-2-503-52927-1 D/2012/0095/94 Printed on acid-free paper

INDICE Premessa p. 7 Introduzione p. 11 Capitolo I: Il Liber avium viventium de rapina: La tradizione latina p. 21 Capitolo II: I due volgarizzamenti italiani p. 27 Capitolo III: Valutazione della varia lectio di , p. 73 Capitolo IV: La tradizione latina e i suoi volgarizzamenti, p. 83 Capitolo V: L’ edizione p. 93 Il testo, p. 107 Bibliografia, p. 187 Repertorio e glossario, p. 195

Premessa Per quanto tu ragioni, c’è sempre un topo (…) a scombinare la logica. Giorgio Caproni

Chiunque leggerà queste pagine si renderà conto che la parte essenziale del presente lavoro, diciamo le fondamenta su cui si basa la sua struttura portante, si regge, in realtà, su di un topo e una seppia1.Quando ho cominciato ad occuparmi del testo oggetto della mia tesi, avevo già ben chiare le operazioni che avrei dovuto svolgere e gli obiettivi da raggiungere: il primo dei quali era quello di stabilire lo stemma. Realizzare uno stemma è una cosa relativamente semplice: è sufficiente trovare degli errori (Leitfehler o errori-guida) che attestino parentele tra due o più manoscritti. Ma piuttosto che filologo «sciamano» visitato dagli errori-guida, ero più propenso a identificarmi con la figura del detective che, raccolti gli indizi, inchioda il colpevole con feroce abilità deduttiva. In effetti, procedendo con il lavoro mi sono reso conto che, in fondo, filologo e detective hanno più di qualcosa in comune, anche se ho ben presto cominciato a pensare che il modello con cui mi sarei dovuto confrontare non sarebbe stato quello dei grandi investigatori della letteratura, non dico Sherlock Holmes, ma nemmeno l’Eugène Valmont della Compagnia dei distratti di Robert Barr, altrettanto abile nella lettura degli indizi e nel farsi sfuggire i colpevoli. Il modello che si stava delineando per me era piuttosto quello del questurino: costretto a sentire per l’ennesima volta la stessa versione dello stesso miserabile fatto, costretto a confrontarsi con testimoni brutti, sporchi e, neanche tanto, cattivi,; obbligato a stilare stanchi verbali. Era questo, dunque, il lavoro che mi aspettava? No, come mi sono quasi subito reso conto. Infatti, se la filologia è una investigazione - e in un certo senso lo è –, il «giallo» che al filologo tocca di svelare non contempla un colpevole. Ora, tra i tanti investigatori partoriti dalla fantasia umana, ce n’è uno che ha l’indiscutibile pregio di svelare misteri dove non compaiono delitti di alcun genere, né tanto meno colpevoli. Questo personaggio, nato dalla fantasia di G.K. Chesterton, è Basil Grant. Quest’uomo eccentrico è un investigatore dilettante, o per meglio dire casuale: non ha in nessun modo il sacro fuoco della giustizia, anzi, è stato un giudice temuto e rispettato, ma si è dimesso all’apice della carriera, 1

Il topo e la seppia (o meglio la sua corruzione ‘pepia’) sono rispettivamente la marca che mi permette di affermare che la versione toscana del mio trattato è anteriore a quella settentrionale (‘topo’ infatti è parola toscana), e l’errore congiuntivo che mi permette di postulare l’esistenza di un archetipo che unisce i cinque manoscritti che riportano per intero il testo del trattato di Egidio.

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scomparendo dalla vita pubblica e rinchiudendosi in una soffitta di uno squallido quartiere di Londra. Certo, è il Presidente del Club dei Mestieri Stravaganti, ma questo non basta a spiegare la sua natura. Ciò che colpisce del metodo «investigativo» di Basil Grant è che non ha un metodo investigativo: ha piuttosto uno sguardo sul mondo, basato sull’antica consapevolezza che la realtà è molto più misteriosa di quanto molti vorrebbero farci credere, e l’unico modo per venirne a capo è chiedersi il perché di quanto accade e non di quanto dovrebbe o sarebbe dovuto accadere. Solo così si sfugge all’ideologia delle mille congetture e alla tirannia dei fatti. In uno dei racconti scritti da Chesterton, Basil spiega ai suoi sconcertati interlocutori: «i fatti come fatti nascondono la verità. […] Ogni particolare ci conduce a qualcosa, certo, ma quasi sempre ci conduce alla cosa sbagliata». Se si sostituisse la parola ‘fatti’ con ‘errori’, non penso che si andrebbe troppo lontano da quella che è l’esperienza concreta di chi affronta la stravagante impresa di realizzare l’edizione di un testo antico. Quando ci si trova a confrontarsi con uno o più manoscritti, e dunque con una notevole mole di dati, la tentazione più grande è quella di utilizzare tutti questi dati per dimostrare un’idea che ci si è fatti. In sostanza, per dare ragione di uno schema mentale prestabilito. E quando questo schema non è più sostenibile, se ne costruisce uno più nuovo e più grande, ma, non per questo, meno sbagliato. Sarebbe molto più facile prendere atto di quanto si ha tra le mani; in fin dei conti, tutte le regole che la filologia si è data nel corso dei secoli sono volte a facilitare proprio l’attuazione di questo semplice assunto. Insomma, è già abbastanza miracoloso che qualcuno abbia deciso di scrivere un’opera, che un altro si sia preso la briga di copiarla e che, per un periodo di tempo veramente considerevole, il frutto della loro fatica sia stato conservato, magari girovagando da un capo all’altro d’Europa, fino ai giorni nostri, senza che ci si senta in dovere di elaborare qualche bizzarra teoria in merito. Dietro a questa certezza se ne va il filologo, lettore curioso, stupito e felice di stare davanti al Mistero - quella parte minuscola che gli è data di volta in volta -, che non è la forma del manoscritto né il contenuto dell’opera, ma quell’esercizio sempre vigile di confronto con la realtà, unico luogo capace di rispondere alle sue domande. Siamo seri: «le cose più semplici sono quelle che sembrano più fantastiche». Ecco perché questo studio si basa su un topo e una seppia.

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Questo lavoro è il risultato finale di alcuni anni di ricerca e di una serie di incontri fortunati, grazie ai quali ho potuto imparare molto per quanto riguarda la mia materia di studio, ma soprattutto ho potuto vivere un’esperienza di intensa umanità. Sono numerose le persone cui devo molto: Baudouin van den Abeele, il quale mi ha fornito l’argomento e gran parte del materiale necessario per il compimento di questa edizione; a lui devo molto come studioso e come uomo. Alessandro Vitale Brovarone ha letto, consigliato, corretto, aiutandomi a trasformare una tesi di dottorato in un testo degno di pubblicazione. E questa è solo una delle cose per cui gli sono grato. Corrado Bologna mi ha seguito con generosità e curiosità durante il dottorato, guidandomi con quella competenza che non spetta certo a me scoprire. Desidero ringraziare anche Josè Manuel Fradejas Rueda, An Smets, Martina Giese, Arianna Punzi e Raffaele Marciano per i suggerimenti e per l'aiuto fattivo che mi hanno dato nel corso del mio lavoro e Stephen Morrison per aver accolto questo studio nella collana "Textes vernaculaires du moyen âge". Grazie al dott. Gabriele Deveris della Biblioteca Augusta di Perugia, il quale ha trascorso un parte consistente del suo tempo ad ordinare microfilm di manoscritti in giro per il mondo e alla Dott. Gabriella Grilli, del Servizio di Orientamento Bibliografico dell’Università degli Stranieri di Perugia. Ora non dovranno più nascondersi quando mi incontreranno. A tutte queste persone devo il buono contenuto in questo testo, gli errori e le inesattezze, naturalmente, sono tutte autoriali. Vorrei dedicare questo lavoro a Elena e ad Annalisa. … and [it was as if I] could see/ How riskily we fared into the morning,/ And loved in vain our bare, bowed, numbered heads. Seamus Heaney, Seeing things

Introduzione La falconeria nel medioevo. Forzando un po’ la storia, potremmo dire che la falconeria come noi la intendiamo oggi è stata “inventata” nel corso del medioevo. In realtà, l’origine di questa pratica, per quel poco che ne sappiamo, deve collocarsi nelle grandi pianure dell’Asia, dove i popoli abitatori delle steppe, nomadi e cacciatori, trovavano spazî e occasioni per dedicarsi a questa attività, a partire almeno da duemila anni prima della nascita di Cristo. Di certo la civiltà romana non praticava la falconeria: gli uccelli rapaci (soprattutto quelli notturni, ma anche quelli diurni) erano spesso utilizzati come zimbelli per attrarre altri uccelli, oppure come spauracchi per costringere le prede a cadere nelle reti tese appositamente. Con ogni probabilità la falconeria è penetrata in Europa nei primi secoli della nostra era, introdotta dai popoli germanici, i quali, in virtù dei loro rapporti con alcune tribù asiatiche, avevano avuto modo di conoscere questa pratica.1 Se un’ipotesi del genere appare abbastanza soddisfacente per spiegare l’arrivo in Europa di questa attività, essa non esaurisce le domande sulle origini della falconeria in Europa, soprattutto perché non tiene conto dell’influenza esercitata dall’impero bizantino, luogo privilegiato dei contatti tra Occidente e Asia. Delle più antiche attestazioni occidentali sulla caccia coi rapaci, sia iconografiche sia letterarie, due, testimoniate da accenni presenti nelle opere di Sidonio Apollinare e Paolino di Pella, ci conducono al cuore dell’Europa (entrambi gli scrittori vissero in Gallia nel V secolo; Paolino, però, era originario della Macedonia); ma una terza, rappresentata dai mosaici della Villa del Falconiere di Argos, ci porta direttamente a Bisanzio.2 Un trattato di falconeria arabo, il Kitab dawari at-tayr (“Il trattato sugli uccelli da caccia”) attributo al siriano Al-Gitrif ibn Qudama al-Gassani, forse il più antico trattato di questo genere del mondo islamico (si può datare alla fine dell’ottavo secolo), attribuisce in più di una occasione l’origine della falconeria ai bizantini e, addirittura, identifica nel grande imperatore Costantino l’inventore, se così si può dire, della caccia col falco pellegrino. Il mondo islamico, dunque, almeno all’inizio - in seguito le cose cambieranno e l’orgoglio “nazionale” prenderà il sopravvento - percepì la falconeria come una pratica di provenienza bizantina. Ed è evidente che, se l’impero bizantino ha esercitato il suo influsso sul mondo arabo, può, a maggior ragione, averlo esercitato su 1

Cfr. B. Van den Abeele, La fauconnerie au Moyen Âge. Connaissance, affaitage et médicine des oiseaux de chasse d’après les traités latins, Paris 1994 (Collection Sapience, 10), p. 20. 2 Ibid.

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quello occidentale, attraverso la propria indiscutibile autorità culturale e politica. Non è da escludere, quindi, che ci siano state più vie attraverso le quali la falconeria si sia diffusa in Europa. Ma se la questione delle origini rimane, per il momento, irrisolta, resta il fatto che, nel corso del Medioevo, questa pratica ebbe una diffusione rapida e intensa sia nel mondo cristiano sia in quello musulmano. Non solo conobbe una continua crescita ed evoluzione materiale - si pensi al cappuccio di cuoio per impedire la vista al rapace (invenzione araba, introdotta in Europa da Federico II), all’utilizzo di soluzioni tecniche sempre più raffinate e al miglioramento dei metodi di addestramento -, ma penetrò in profondità nell’immaginario collettivo. Quando l’uomo medievale - intendendo con questo termine l’uomo vissuto grosso modo tra il V e il XV secolo dopo Cristo - deve raffigurare la propria società (e dunque auto-rappresentarsi), non manca quasi mai di inserire scene di caccia col falcone. Un esempio estremamente significativo è dato dai Calendari e dai Cicli dei Mesi. Questo genere di rappresentazioni, per sua stessa natura, è un’ottima testimonianza delle pratiche quotidiane sia della nobiltà sia del popolo. Non stupisce dunque che in esse compaiano frequentemente personaggi (uomini e donne) intenti a cacciare con l’ausilio degli uccelli rapaci. Il racconto medievale della falconeria segue due strade differenti: l’una, che rappresenta scene di caccia reali, ambientate e, nel caso dei calendari e cicli dei mesi già citati, collocate nella giusta stagione, mentre l’altra ne propone una raffigurazione immaginaria, anzi, più correttamente, stilizzata. Per fare degli esempi concreti, la caccia col falcone diviene quasi una delle marche identificative del mese di Settembre (mese in cui effettivamente veniva praticata questa disciplina); si pensi ai Sonetti dei Mesi di Folgore da S. Gimignano oppure agli affreschi della Torre Aquila di Trento, (dove compaiono riferimenti alla falconeria anche nei mesi di Luglio e Agosto). Altrettanto spesso, però, la falconeria è riferita ai mesi di Aprile e Maggio. Assistiamo così a raffigurazioni di cavalieri, o dame, che si avviano a cacciare con il falco in un periodo in cui non è possibile cacciare, poiché i rapaci sono nella delicata fase della muta (che può durare alcuni mesi), durante la quale, rinnovando l’intero piumaggio, non sono in grado di volare. Nella formella del mese di Maggio della Fontana Maggiore di Perugia, vediamo una donna a cavallo che impugna un falchetto, affiancata, nella formella gemella, da un uomo, sempre a cavallo, con un mazzo di fiori. Con pochi tratti, e il falco è chiaramente uno di questi, viene rappresentato un intero mondo, quello cortese. Del resto come intendere, se non come una sorta di “riflesso condizionato”, quello che pone sul pugno di Romolo e Remo, sempre nella fontana perugina, due grossi rapaci, rappresentazione, certamente antistorica, ma chiaramente percepibile al grande pubblico della nobiltà dei due personaggi?

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I rapaci impiegati e le loro caratteristiche La falconeria, però, è innanzitutto una pratica concreta, non sarà dunque inutile dare qualche informazione ornitologica. Gli uccelli rapaci utilizzati per la caccia appartengono a due famiglie diverse: i falconidi e gli accipitridi. Del primo gruppo fanno parte il falco pellegrino, il laniere, il sacro, il girfalco e lo smeriglio; il secondo gruppo è costituito dall’astore e dallo sparviere. I falconi sono caratterizzati da una figura slanciata, dalle ali strette e appuntite e dalla coda corta; gli accipitridi, invece, sono di aspetto massiccio, con ali grandi e arrotondate e la coda più lunga. Altri particolari che distinguono le due famiglie sono l’iride nera nei falconi, gialla (negli esemplari molto vecchi anche rossa) negli accipitridi; i falconiformi inoltre sono riconoscibili per la presenza di un evidente “mustacchio” nero sulle guance, assente negli astori e negli sparvieri. A questa distinzione morfologica se ne sovrappone un’altra che tiene conto delle caratteristiche di caccia di questi rapaci. I falconiformi, infatti, sono soliti prendere quota fino a raggiungere altezze ragguardevoli, onde poter meglio controllare il territorio sottostante. Individuato l’obiettivo da colpire, scendono immediatamente e percuotono la preda con gli artigli dopo una picchiata fulminea. Di contro, astore e sparviere inseguono la preda con un volo potente e, allo stesso tempo, agile, prediligendo una traiettoria orizzontale. L’astore in particolare, abilissimo nella caccia all’interno della foresta, compie evoluzioni e cambi di direzione che gli permettono di raggiungere la preda anche nell’intrico dei rami.3 Oltre alle differenze che concernono le particolari tecniche utilizzate per procurarsi la preda, esiste ancora un altro modo per distinguere gli uccelli impiegati nella caccia, modo che appartiene per intero alla sfera della tecnica venatoria. I rapaci si suddividono in uccelli de poing, cioè che, una volta terminata l’azione di caccia, tornano direttamente sul guanto del falconiere, oppure volant “a tour”, cioè che devono esser richiamati a terra per mezzo del logoro, una sorta di «simulacro» di un uccello il quale, agitato in aria, richiama l’attenzione del rapace sul falconiere.4

Il vocabolario francese adotta due termini specifici per indicare gli uccelli che praticano le due diverse tecniche di caccia : oiseaux de haut vol e oiseaux de bas vol. La terminologia, anche questa volta in francese, è desunta dal Livre du Roy Modus et de la Royne Ratio scritto da Henri Ferrières intorno agli anni sessanta del Trecento. Per ulteriori, e più dettagliate, informazioni sulle tecniche di caccia vd. J.-O. Benoist, La chasse au vol. Techniques de chasse et valeur symbolique de la volerie, in La Chasse au Moyen Âge. Actes du Colloque de Nice (22-24 juin 1979), Paris 1980, p. 117-130.

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La letteratura cinegetica latina5 I trattati di falconeria ebbero una notevole diffusione lungo tutto il medioevo, anche se c’è da segnalare la grande distanza in termini di tempo che separa le prime attestazioni letterarie e artistiche che testimoniano la conoscenza di questa pratica venatoria in Europa dal primo trattato dedicato interamente a questa disciplina. Infatti il più antico testo tecnico riguardante la falconeria è una breve raccolta, peraltro mutila, di trentatré ricette per la cura dei rapaci, conservata nei fogli di guardia di un manoscritto della Biblioteca Capitolare di Vercelli e databile alla metà del X secolo (dunque di gran lunga posteriore alle testimonianze di Sidonio Apollinare e Paolino di Pella)6. In realtà, sia il trattato di Vercelli, sia il trattato cronologicamente ad esso più vicino - il Liber accipitrum attribuito a Grimaldus, probabilmente il potente abate di San Gallo, personaggio di spicco della corte di Ludovico II il Germanico (IX sec.)7 -, pur essendo entrambi tramandati da manoscritti unici databili ai secoli X-XI, sono «vraisemblament plus anciens que leur manuscrit unique».8 Questo, oltre che la struttura già ben definita - troppo per pensare ad un genere nato solo intorno all’anno mille -, fanno pensare all’esistenza di una tradizione ben più risalente di quello che i testimoni in nostro possesso affermano. La produzione di trattati di falconeria conosce una vera e propria esplosione nel corso del XII secolo. Intorno al 1130 Adelardo di Bath scrive il De avibus tractatus, concepito come un dialogo tra maestro e allievo sull’arte di cacciare con gli uccelli rapaci. Negli stessi anni compare il Dancus rex, attribuito al mitico fondatore della falconeria - quel Danco, re orientale, che non manca mai di comparire come autorità nella stragrande maggioranza dei trattati -; ad esso, nella tradizione manoscritta, si accompagnano quasi sempre il Guillelmus falconarius e il Gerardus falconarius. I tre testi appartengono alla medesima area di produzione (sebbene qualche dubbio sorga sul Gerardus): molto probabilmente la corte normanna di Sicilia, luogo di sintesi dei diversi elementi, arabi e germanici, che hanno formato la falconeria occidentale. Alla produzione del dodicesimo secolo appartengono anche il Grisofus medicus e l’Alexander medicus, i due più brevi trattati della tradizione latina. Sempre nello stesso secolo vedono

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Un panorama completo dei trattati di falconeria latini è offerto da Baudouin Van den Abeele in La fauconnerie..., p. 15-37. Mentre, per quanto riguarda la produzione in volgare, di cui ci occuperemo nel prossimo paragrafo, si veda il prezioso strumento redatto dallo stesso studioso: La littérature cygénétique, Turnhout 1996 (Typologie des sources du Moyen Âge occidental, 75). 6 B. Bischoff, Die älteste europäische Falkenmedizin (Mitte des zehnten Jhs.), in Id., Anecdota novissima, Stuttgart 1984, p. 171-182. 7 L’interessante ipotesi sull’identità di Grimaldus è proposta da An Smets nella sua edizione del trattato carolingio: Le «Liber accipitrum» de Grimaldus: un traité d’autourserie du haut Moyen Âge, Texte édité, traduit et annoté par A. Smets, Nogent-Le-Roi 1999, p. 35-40. 8 B. Van den Abeele, La fauconnerie..., p. 21.

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la luce la Practica avium attribuita a Ippocrate9 e l’anonima Epistola Aquile, Symachi et Theodotionis ad Ptolomeum. Quest’ultimo testo ebbe una larga diffusione e un notevole successo, tanto da confluire quasi per intero nelle grandi enciclopedie di Thomas di Cantimpré e, tramite lui, di Vincent de Beauvais.10 Il secolo successivo conosce l’opera monumentale di Federico II, nonché il De falconibus di Alberto Magno, nato come opera indipendente e, in seguito, inserito dall’autore stesso nel monumentale De animalibus. A questi testi capitali si affiancano l’opera di traduzione, svolta nell’ambito della corte federiciana, di alcuni trattati arabi, il Moamin e il Ghitrif, nonché una lunga lista di opere compilatorie. Non mancano anche opere originali, se non altro per la struttura, come il Liber falchonum di Archibernardus, in 371 esametri.11 La letteratura cinegetica in lingua volgare. La trattatistica falconaria si sviluppa e viene veicolata per lungo tempo in lingua latina; solo in un secondo tempo si assiste alla nascita di una letteratura in lingua volgare, la quale conosce due fasi: una iniziale (sec. XIII), caratterizzata dalla produzione di compilazioni e traduzioni, e una successiva (secc. XIV-XV), nella quale vedono la luce le prime opere originali. Emblematico il caso della penisola iberica. Le prime opere infatti sono compilazioni, traduzioni di trattati arabi, come il castigliano Liber de los animales que cazan, che traduce una versione del Moamin differente da quella utilizzata per la traduzione latina, o di trattati latini come il Dancus rex e l’Epistola (primo La consuetudine di attribuire la paternità dei trattati a personaggi famosi e autorevoli è estremamente diffusa nella trattatistica cinegetica medioevale. Cfr. J.M. Fradejas Rueda, La originalidad en la literatura cinegética, in "Epos" 2 (1986), p. 75-88. 10 Il De avibus tractatus di Adelardo di Bath è edito da Baudouin Van den Abeele in Ch. Burnett, Adelard of Bath, Conversations with his Nephew. On the Same and the Different, Questions on Natural Science, and On Birds, with the collaboration of I. Ronca, P. Mantas España and B. Van den Abeele, Cambridge 1998; così come la Practica avium e l’Epistola (B. Van den Abeele, Les traités de fauconnerie latins du Moyen Âge, Thèse ms., Université catholique de Louvain, 1991). Il Dancus, Guillelmus, Gerardus, Grisofus e Alexander sono tutti editi da Gunnar Tilander, rispettivamente in: Dancus rex, Guillelmus falconarius, Gerardus falconarius. Les plus ancien s traités de fauconnerie de l’occident, Lund 1963 e Sources inédites des Auzels Cassadors de Daude de Pradas, Grisofus medicus, Alexander medicus. Deux traités latins de fauconnerie du XIIe s., Lund 1964 (per la necessità di una nuova edizione dell’Alexander, in seguito al ritrovamento di nuovi manoscritti, si veda B. Van den Abeele, Les Traités de fauconnerie latins du XIIe siécle. Manuscrits et perspectives, in “Scriptorium”, XLIV, 2 (1990), p. 276-286). Per i rapporti tra l’Epistola ad Ptolomeum e le enciclopedie medievali vd. B. Van den Abeele, Encyclopédies médiévales et savoir technique: le cas des informations cynégétiques, in R.Halleux et A.C.Bernès (ed.), Nouvelles tendances en histoire et philosophie des sciences. Colloque national, 15-16.10.1992, Bruxelles 1993, p. 103-121, in particolare p. 104-113. 11 Del De arte venandi, oltre a quella storica del Willemsen (Friderici Romanorum Imperatoris Secundi De arte venandi cum avibus, Leipzig 1942), esiste anche una recentissima edizione di Anna Laura Trombetti Budriesi (Federico II di Svevia, De arte venandi cum avibus. L’arte di cacciare con gli uccelli, Edizione e traduzione italiana del ms. lat. 717 della Biblioteca Universitaria di Bologna collazionato con il ms. Pal. Lat. 1071 della Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura di Anna Laura Trombetti Budriesi, RomaBari 2000). Alberto Magno è edito da: H. Stadler, Albertus Magnus. De Animalibus Libri XXVI. Nach der Kölner Urschrift. Zweiter Band, Buch XIII-XXVI enthaltend. Münster i. W. 1920 (Beiträge zur Geschichte der Philosophie des Mittelalters. Texte und Untersuchungen, 16). 9

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testo in catalano, traduzione anonima probabilmente del XII secolo).12 Col secolo successivo, invece, compaiono le prime opere originali, su tutte il Libro della caza di Juan Manuel e l’opera, dal medesimo titolo, di Pero López de Ayala scritta tra il 1385 e il 1386.13 Degli stessi anni è anche la principale opera di falconeria in portoghese: il Livro de falcoaría redatto da Pero Menino. Se la letteratura cinegetica volgare castigliana e catalana risulta essere tra le più precoci, la produzione in lingua francese, per rimanere nell’ambito romanzo, risulta di gran lunga la più ricca, con i suoi 173 codici recensiti, per un totale di 45 opere.14 Come nel caso spagnolo anche i testi francesi possono essere suddivisi tra compilazioni (e traduzioni) e opere originali. Alla prima categoria va anche riferito l’unico trattato di falconeria finora conosciuto in provenzale: il Romans dels auzels cassadors scritto da Daude de Pradas, sulla base di numerose fonti, intorno alla metà del XIII secolo.15 Tra le opere originali segnaliamo i Livres du roy Modus et de la royne Ratio di Henri de Ferrières (composto tra il 1354 e il 1376) e il Roman des deduis di Gace de la Buigne, scritto, in versi, negli stessi anni. In Italia la situazione è sensibilmente differente: infatti, rispetto a quanto accade negli altri paesi europei, non esiste una produzione originale in volgare altrettanto vivace. L’uso di volgarizzare i trattati prosegue ben oltre i “secoli d’oro” della trattatistica cinegetica: ancora sul finire del XV secolo, un anonimo dell’Italia settentrionale, metteva in versi, volgendoli in italiano, i capitoli crescenziani dedicati ai rapaci.16 Il primo testo originale ascrivibile all’ambiente italiano è il trattato di Petrus de l’Astore, personaggio altrimenti sconosciuto. Questa breve opera trecentesca consiste in un ricettario preceduto da alcuni capitoli dedicati all’addestramento dei rapaci, ed è scritta con un impasto linguistico composito «a base provenzale, con numerosi elementi italiani d’area settentrionale e qualche altro meridionale».17 Per trovare un altro testo originale occorrerà attendere fino al XV secolo, quando Napoli diverrà un formidabile 12 J.M. Fradejas Rueda, Literatura cetrera de la edad media y el renacimiento español, London 1998 (Papers of the Medieval Hispanic Research Seminar, 13), p. 22-23. 13 Per un panorama completo della letteratura cinegetica iberica si rimanda a Fradejas Rueda, Literatura cetrera …. 14 Cfr. A. Smets - B. Van den Abeele, Manuscrits et traités de chasse français du moyen âge. Recensement et perspectives de recherche, in “Romania”, 116 (1998), p. 316-367, in particolare p. 359 sgg. 15 Per l’opera di Daude si dispone di una solida data ante quem rappresentata dal Tresor di Brunetto Latini, scritto intorno alla metà degli anni Sessanta del secolo tredicesimo, nel quale il Romans è largamente citato. Cfr. F. Capaccioni, La nature des animaus nel Tresor di Brunetto Latini. Indagine sulle fonti, in Bestiaires médiévaux. Nouvelles perspectives sur les manuscrits et les traditions textuelles, ed. B. Van den Abeele, Louvain-la-Neuve 2005 (Textes, Etudes Congrés, 21), 31-47. 16 Il poemetto è edito da Francisco Javier Santa Eugenia, Ottave quattrocentesche sugli uccelli da caccia in «Studi di Filologia italiana», 54 (1996), p. 221-260. 17 Petrus de l’Astore, Edizione critica del trattato mistilingue con una traduzione in antico francese dal ms. BN 2004, a cura di A. Lupis, Bari 1979 (Quaderni degli Annali della Facolta di Lingue e Letterature straniere 2), p. 38.

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centro di produzione. La corte aragonese si fa promotrice di una rinascita della trattatistica cinegetica. Vedono così la luce le opere di Giacomello Vitturi e Ynnico d’Avalos, e la Practica de citraria di Mattia Mercader. 18 La struttura 19 Molti dei trattati latini di falconeria sono essenzialmente dei ricettari; si limitano, cioè, a elencare un numero di rimedi, più o meno esteso, per le malattie che colpiscono gli uccelli rapaci. La casistica è varia e, talvolta, sorprendente, ma vi sono alcune malattie che ricorrono più spesso e riguardano probabilmente le principali affezioni che colpiscono un falco o, per meglio dire, tra le principali patologie che un falconiere medievale potesse sperare di curare con profitto. Osservando l’elenco che di queste malattie ricorrenti nei principali trattati di falconeria ha stilato Baudouin Van den Abeele,20 si possono individuare tre ambiti principali: l’apparato digerente (lumbrici, fastidium, lapis e vomitum), le articolazioni (podagra e gutta) e il piumaggio (tinea, pediculi e ciò che Van den Abeele chiama genericamente «recettes pour la mue»). In effetti, una particolare attenzione a queste tre sfere specifiche dell’anatomia degli uccelli rapaci è facilmente spiegabile, soprattutto tenendo conto delle differenti condizioni di vita che un falco in cattività affronta rispetto a un falco in natura. Ne consegue che l’altro argomento trattato con più frequenza nei testi di falconeria – sebbene lo spazio dedicatogli sia di gran lunga inferiore rispetto a quello per le ricette veterinarie - è quello che riguarda un certo numero di regole alimentari e sanitarie, necessarie per regolare la vita in cattività dei rapaci, animali dalla salute estremamente delicata. Un rischio frequente riguarda la stabulazione in gabbie mal areate, piccole o sporche, che può causare infezioni e infiammazioni alle articolazioni o la perdita delle piume.21 Ma tra i maggiori pericoli che un falconiere deve affrontare, c’è sicuramente la cattiva alimentazione, dovuta all’inadeguatezza o scarsa freschezza dei cibi forniti, che può causare infezioni intestinali, generate da parassiti, sia endogeni che esogeni. Adelardo di Bath, per esempio, è estremante chiaro nell’elencare i tipi di carne da utilizzare: Victus eorum sint volucres parve, et pre ceteris passeres, deinde gallinarum caro, vel etiam vervecum corda.

B. Van den Abeele, La littérature …, p. 50-51. Su questo argomento si veda anche F. Capaccioni, Il Liber avium viventium de rapina di Egidius de Aquino, in Los libros de caza en la Edad Media, J.M. Fradejas Rueda (ed.), Tordesillas 2005, p. 31-33. 20 B. Van den Abeele, La fauconnerie…, p. 183. 21 A maggior ragione durante la muda, periodo delicatissimo per la salute del rapace, il combinarsi di tutte queste situazioni negative potrebbe essere letale. 18 19

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Egidio d’Aquino, Liber avium viventium de rapina

E quella da evitare: Cavendum est autem dum infirmi sunt ne vervicina caro frequenter eis detur.22 Alberto Magno consiglia di non dare al rapace carne troppo vecchia, la quale rischierebbe di infettarsi e infettare, a sua volta, l’uccello che dovesse nutrirsene.23 Lo stesso Egidio avverte che non si devono nutrire gli sparvieri con piccoli polli, onde evitare che contraggano l’«ectica», una sorta di tubercolosi che colpisce gli uccelli. Il segreto per nutrire i falchi, è sempre Alberto Magno a parlare, è quello di alimentarli con ciò che mangiano abitualmente quando si trova allo stato libero.24 In generale - su questo i trattati sono concordi - il falco deve essere mantenuto né troppo grasso né troppo magro. Le regole, però, non si limitano a stabilire ciò che un uccello deve o non deve mangiare, ma si occupano persino dei costumi del falconiere. Ne viene fuori il ritratto di un uomo che, almeno in teoria, dovrebbe possedere qualità morali ineccepibili e costumi integerrimi. Alla domanda su come debbano essere gli uomini che vogliono intraprendere questa attività, Adelardo risponde: «Sobrios, patientes, castos, bene anhelantes, necessitatibus expeditos» argomentando poi il suo elenco: Ebrietas enim est mater oblivionis, ira lesiones generat, meretricum frequentatio tineosos ex contactu accipitres facit, fetidus vero anhelitus eos osores hominum reddit et egro aere implet unde reumatici efficiuntur. Necessitas demum, quando legem non habet, id efficit ut vel per turbines ferantur, vel nimis vexentur vel parum teneantur. Ideoque huismodi artifice a necessitatibus expeditos esse convenit.25 Alle caratteristiche morali si aggiungono quelle fisiche: intelligenza, vista acuta, udito fine e voce possente, nessuna sonnolenza né sonno pesante, ma agilità e buone capacità natatorie. Il falconiere, inoltre, deve avere buona memoria, non deve essere troppo giovane e neppure troppo alto.26 Paradossalmente l’argomento meno sviluppato dai trattati di falconeri latina riguarda le pratiche di addestramento. Nessun trattato di falconeria, eccetto il De arte venandi cum avibus e il Liber avium viventium de rapina di Egidius de

Ch. Burnett, Adelard of Bath…, cap. 4, p. 242. Citato in B. Van den Abeele, La fauconnerie…, p. 153. 24 «Studere enim debet sapiens falconarius ut in arte cibandi sequatur naturam quantum potest». Stadler, Albertus Magnus…, p. 1459, ll.36-37. 25 Burnett, Adelard of Bath…, cap. 2, p. 240. 26 Queste caratteristiche sono elencate da Federico II nel secondo libro del De arte venandi (cap. 63-78). 22 23

Il Liber avium e la tradizione cinegetica

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Aquino, oggetto di questo lavoro, dedicano spazio a una questione di così grande interesse. La situazione sembra cambiare sensibilmente a partire dalla fine del tredicesimo secolo, proprio con l’apparizione sulla scena del De arte venandi, opera capitale che ha sicuramente avuto un’influenza importante, se non sui testi27 sul modo di intendere questo genere di opere28. Con il crescente uso delle diverse lingue volgari nella composizione dei trattati, si assiste a un ulteriore distacco rispetto al passato. Il nuovo mezzo espressivo porta con sé anche un’evoluzione sensibile del genere trattatistico cinegetico. In certi casi i trattati assumono una veste letteraria di tutto rispetto, come testimoniano le opere di Henri de Ferrières e di Gace de la Buigne. Le opere precedenti, pur restando fondamentali nell’economia dei nuovi trattati, vengono inserite in strutture più ampie, che comprendono aspetti prima quasi negletti, come la descrizione fisica degli uccelli rapaci e la descrizione delle pratiche di caccia.29 Il Liber avium viventium de rapina Il Liber avium viventium de rapina è tramandato da una versione latina e una italiana.30 Il nome dell’autore - Egidius de Aquino, altrimenti sconosciuto -, compare in uno solo dei manoscritti, sia latini sia italiani, che contengono l’opera. 31 In generale questo breve trattato rappresenta sicuramente un’opera di notevole interesse, se non altro per la sua insistenza sulle tecniche di addestramento, argomento, come abbiamo visto, poco sviluppato nella trattatistica cinegetica. A questo aspetto va aggiunto l’interesse per le varie specie di uccelli usati per la caccia, che vengono, seppur sommariamente, distinte tra loro e descritte. La «sistematica egidiana», essenziale certo, ma tuttaltro che rozza, prevede quattro tipi principali di rapaci: falchi, sparvieri, astori e smerigli. Ogni categoria è sua sua volta suddivisa in varie sottospecie (il numero è variabile). Tra i falchi Egidio distingue dieci varietà: gerfalchi, falchi meleoni, falchi pel27 Kurt Lindner ha parlato di «tragedia della monumentalità», riferendosi al destino del De arte venandi cum avibus, capolavoro nel suo genere, dotato di un libro introduttivo dove si susseguono osservazioni di anatomia e di etologia ancora insuperate, ma che non ha avuto un’influenza diretta sui testi posteriori. 28 J.M. Fradejas Rueda, Literatura …, p. 7. 29 Fradejas Rueda indica 5 argomenti principali sviluppati nei trattati di falconeria: «informaciones ornitológicas, informaciones cinegéticas, régimen higiénico, información veterinaria, información miscelánea» (Fradejas Rueda, Literatura cetrera…, p. 7). 30 Il primo a segnalare questo trattato è stato Hermann Werth (Altfranzösische Jagdlehrbücher nebst Handschriftenbibliographie der abendländische jagdlitteratur überhaupt, in “Zeitschrift für romanische Philologie”, 13 (1889), p. 32). Dopo un lungo periodo di oblio, Charles Homer Haskins, quasi quarant’anni dopo la segnalazione del Werth, dedicherà al Liber un breve paragrafo in un articolo sui trattati di falconeria (Some Early Treatises on Falconry, in "Romanic Review", 13(1922), p. 18-27, ora in Id., Studies in the History of Mediaeval Science, Cambridge (Mass.) 1924, in particolare p. 353). Solo recentemente, però, possiamo usufruire di un’edizione del testo latino di Egidio (B. Van den abeele, Les traités de fauconnerie …, p. 213-223). Si veda anche F. Capaccioni, Il Liber…, p. 31 «Explicit liber de naturis, morbis et generationibus omnium avium viventium de rapina. Compositus est a fratre Egidio de Aquino», Oxford, Corpus Christi College, 287, c. 78v.

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Egidio d’Aquino, Liber avium viventium de rapina

legrini, falchi di Sardegna e Corsica, falchi gentili, falchi montanari, falchi sacri, falchi rubatori, falchi marinari, falchi schiavi e falchi lanieri. Tra questi, solo alcuni sono veramente adatti per la caccia e, in particolare, i migliori sono i falchi pellegrini e quelli montanari, mentre la palma di peggiori in assoluto se la contendono i rubatori e i marinari. Gli astori sono suddivisi in cinque varietà: astori armeniaci, schiavi, sardi, calavresi e alpigiani. Per quanto riguarda gli smerigli, Egidio si limita a descrivere il «buono ismerletto», aggiungendo, però, che di questi piccoli falconidi esistono più varietà, proprio «sicome degli altri falconi». Le varietà degli sparvieri sono otto (due in meno dei falchi), ma l’attenzione ai particolari denota, a mio avviso, un particolare interesse nei riguardi di questi rapaci. Egidio nomina gli sparvieri di Ventimiglia, di Schiavonia, calavresi, d’Istria, di Sardegna e Corsica, di Alamagna, parte falconi parte sparvieri e alpigiani. In generale, il Liber si struttura con un ricettario iniziale, contenente dodici rimedi per altrettante malattie dei rapaci più un’indicazione su come tenere il falcone durante il tempo dell’amore, e, di seguito, quattro sezioni, corrispondenti a ciascun tipo di rapace sopra elencato. Le quattro sezioni sono, a loro volta, composte da due parti ciascuna: la prima, dove trovano spazio le descrizioni delle varie “sottospecie”, la seconda in cui viene dato ampio spazio alle pratiche di addestramento.

Capitolo I Il Liber avium viventium de rapina. La tradizione latina I.0 Premessa. Per quanto riguarda la tradizione latina, il Liber è trasmesso per intero da un solo manoscritto - Oxford, Corpus Christi College, 287 (OLat) -, mentre due altri manoscritti - Parigi, BNF, lat. 7020 (PLat) e New Haven, Yale University Library, Beinecke 446 (T) - ne riportano solamente alcuni frammenti. La tradizione latina del trattato di Egidio non è oggetto di questo studio, il quale si concentra piuttosto sui suoi volgarizzamenti italiani. Per questa ragione è parso opportuno premettere un breve capitolo che, senza alcuna pretesa di completezza, offrisse le principali informazioni riguardanti la tradizione latina per introdurre più agevolmente l'argomento principale. Questo capitolo, dunque, si limita a fornire una rapida descrizione dei manoscritti latini, seguita da un confronto tra il testo fornito da OLat da una parte e T e PLat dall'altra. I.1 I manoscritti. I.1.1 OLat OLat = Oxford, Corpus Christi College, 287 Cart., I + 84 + III , 285 x 212 mm, XV sec. (1448). - cc. 3r-44v : Laurentius Ruzius, Liber marescalcie - cc. 45r - 72v : Trattato di Moamin in 5 libri - cc. 72v-3v : formule magiche per la cura dei cavalli, inc. Quando percipis equum asmam habere ; termina con tre ricette per i cani - c. 74r : 18 disegni di morsi di cavallo, con legenda - cc. 74v-78v : Egidius de Aquino, Liber avium viventium de rapina - cc. 78vS7-80v : Liber de ancipitribus et falconibus et curis eorum - cc. 80v : alcuni paragrafi acefali sui cani - cc. 81r-82r: Dancus rex - cc. 82v-84r : Guillelmus falconarius1 1

La descrizione di questo ms. è tratta da B. Van den Abeele, Les traités de fauconnerie …, vol. I, p. 20-

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Egidio d’Aquino, Liber avium viventium de rapina

Per quanto riguarda il trattato di Egidio, c'e solo da segnalare che un'altra mano sembra intervenuta sulle prime due ricette (c. 74v), correggendo in interlinea (con interventi spesso illeggibili) oppure riempiendo alcuni spazi lasciati vuoti nel testo dal copista:2 1. Ad infirmitatem que vocatur asma (2) Primo ergo scire debes quod sunt alique aves viventes ex rapina que patiuntur infirmitatem vocatam asmam sive spasimum, quibus est naturaliter succurrendum. (3) Cura : debes ponere avem de mane tempestive in loco obscuro, et ibidem permanere usque ad nonam. (4) Postea debes habere caudam unius lacerte longam per duos digitos, et da illam eidem comedere, reponendo eundem iterum ad locum obscurum usque ad horam vespertinam, et tunc invenies quod egesserit caudam illam. (5) Tunc immediate habeas lac caprinum mixtum cum sanguine columbino et da sibi ad bibendum illud, et immediate erit sanus ab illa infirmitate. 2. Quando patitur podagram. (2) Falcho qui patitur podagram curatur hoc modo:3 r lac cuiusdam herbe vocate torto maglion pingudi [sic] carnis porcine salse et misce cum lacte predicte herbe, (3) postea habeas pannum inunctum cum predicta commixtione et pone pannum supra lignum4 vel perticam \vel lapidem/ ubi stat falcho, ibi superius posito falchone manendo sic per duos dies. (4) Tertia die accipe falchonem, et lava sive balniabis perticam forti aceto, et dimittas manere eum in predicto panno etiam per alios duos dies, et invenies ipsum liberatum. I.2.2 T e PLat T = New Haven, Yale University Library, Beinecke 446, XV sec.; PLat = Paris, BN, lat. 7020, XV sec. 5 T e PLat contengono tre opere cinegetiche (Moamin, Dancus, Guillelmus). Il Moamin è una traduzione, operata in ambiente federiciano da Teodoro di 21, a cui si rimanda anche per la relativa bibliografia. 2 Il testo è edito da B. Van den Abeele in Les traités de fauconnerie …, pp. 213-222. Con i caratteri più piccoli sono segnalati gli interventi che non appartengono alla mano del copista. 3 Dopo modo: una parola in interlinea indistinta. Sembra scritta da altra mano. 4 Sopra lignum: due parole indistinte. 5 In M.-D. Glessgen, Die Falkenheilkunde des 'Moamin' im Spiegel ihrer volgarizzamenti. Studien zur Romania Arabica, Tübingen 1996, questo ms. viene indicato con la sigla B.

Il Liber avium: la tradizione latina

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Antiochia, di una compilazione araba di più trattati di falconeria tra cui il famoso trattato di Gitrif (il quale, poi, avrà anche una sua tradizione indipendente, spesso accompagnandosi proprio al Moamin). Il Moamin è testimoniato da 27 mss. nella versione latina, più le traduzioni vernacolari (francoitaliana, italiana e spagnola, in tutto 7 mss.). La tradizione latina si divide in due famiglie, che grosso modo corrispondono a due versioni differenti: una "lunga" (a) (cinque libri in tutto, tre dedicati ai rapaci, due ai cani), e una "breve"(b) (priva dei libri dedicati ai cani), diversificate da errori e lacune. Inoltre, come abbiamo già accennato, «il est régulièrement suivi d'autres traités de fauconnerie dits de Ghatrif, Dancus et Guillelmus»6. Le parti egidiane si riducono a pochi frammenti (corrispondenti in tutto a dieci capitoli: cinque del Ricettario, cinque della sezione dedicata ai falchi), aggiunti in calce ad alcune ricette presenti nel Moamin o nel Dancus, senza alcuna citazione della fonte di provenienza. Quattro dei cinque capitoli sulle specie di falchi sono inseriti alla fine del Guillelmus, mescolati insieme ad altri capitoli di varia provenienza, estranei sia al trattato di Egidio, sia alla traduzione dello stesso Guillelmus.

I.3 Relazioni tra OLat e T Il confronto diretto dei pochi passi in comune mostra come il dettato dei due manoscritti sia sensibilmente differente:

OLat et da ei bibere in aliquo vase si velit et si non Postea pone eum in loco obscuro quando vadis dormitum, et ibi permittas manere Et in mane pascas eum pastu recenti, et erit liberatus et immediate ubi aperies cum acu ungas cum balsamo 6

T7 et pone ante avem in aliquo vase ut possit bibere si vult; et si non vult ipsam, coge ad bibendum postea ipsum pone in obscuro et ipsum dimittas usque ad noctem deinde interciis pasce ipsum recenti et liberabitur et subito unge cum balsamo

M.-D. Glessgen, Traduction et collation de textes scientifiques: l'exemple de Iammarco Cinico, in "Actes do XIX Congreso Internacional de Lingüística e Filoloxía Románicas (Universidad de Santiago de Compostela, 1989)", a cura di Ramón Lorenzo, vol. VII, A Coruña 1994, p. 161. 7 Riproduciamo il testo pubblicato da M.-D. Glessgen: Die Falkenheilkunde des 'Moamin'…, passim.

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Egidio d’Aquino, Liber avium viventium de rapina

et da ei ad comedendum bis, quando ponis eum ad dormiendum, et sic liberabitur Tene eum ad serenum pluviam et ad ventum et accipe de pulvere de pepia, et des ei omni die post pastum ad pondus duorum denariorum

et da ei comedere quanto potus ipsam avem ad dormiendum, et sic fatiendo bis vel ter sanabitur pone ipsam ad serenum ita quod pluat super eam et ventus percutiat et accipe de pulvere sepie ut dictum est omni die post pastum

Avviene anche che i due mss. interpretino diversamente il medesimo passo (o parola): OLat commorantes in partibus de nerluc in longinquis terris Pedes vero neque pallidi neque glauci sunt, sed albi et magi [sic] et sunt parvi et in pectore rubei, desuper vero nigri osse pedis pulverem sepie pulvere de pepia Supercilia

T qui conversantur in Norvech, idest in Norgia, in locis terrenis pedes habent pallidos neque albos neque zallos et macros et sunt parvi et rubei in pectore suo et in spatulis suis et sunt nigri os sepe pulverem sepie pulvere sepie palpebras

Talvolta OLat contiene parti (solitamente brevissime, spesso una parola), assenti in T e viceversa (corsivo mio): OLat et detur eidem ad deglutiendum et liberabitur Caput vero et occulos habent grossos multum et cavatos similes yrundinibus in volando et cave ne des ei de pulvere illo quando est mutatus neque facile separantur a preda quam capiunt

T Inde postea da avi ad comedendum …/… et pone avem in obscuro et liberabitur et rostrum habet valde crossum om. et cave ne des ei de pulvere postquam mutavit quia prohiceret pennas et sunt multum superbi et de facili non recedunt a preda quam fatiunt et sunt boni ardimenti

Il Liber avium: la tradizione latina

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Inoltre, dal punto di vista lessicale, T sembra avere una coloritura volgare molto più accentuata rispetto a OLat: sanguine pipionis (OLat sanguine columbis), suffla (OLat flando), zallos (OLat glaucus), largum (OLat amplum et latum), sabione (OLat arena fluminis). In sostanza, sembrerebbe che i manoscritti latini tramandino due versioni differenti dell'opera egidiana, distinguibili per via di alcune considerevoli divergenze nel dettato.

Capitolo II I due volgarizzamenti italiani:  e . II.0 Premessa. Il progetto di questo lavoro, inizialmente, prevedeva di fornire un lessico italiano della falconeria; il nucleo centrale sarebbe stato un trattato del tredicesimo secolo, o, meglio, la sua versione italiana, esistendone anche una latina, come si è visto: opera breve ma densa di informazioni interessanti ed originali. Già all’inizio dell’intrapresa, però, è parso evidente che, prima di poter lavorare sul lessico, sarebbe stato necessario stabilire il testo di questo trattato, senza il quale non si sarebbe potuto procedere a nessuno spoglio linguistico soddisfacente. In corso d’opera, dunque, il progetto ha cambiato il suo obiettivo, che è divenuto quello di fornire un’edizione, per fare questo si è reso necessario innanzitutto mettere ordine nell’intrico dei dati. La tradizione italiana del Liber è rappresentata da 12 manoscritti, B = Berlin, Kupferstichkabinett, 78 C 15 b = Firenze, Bibl. Laurenz., Ashb. 1249 D = Dresden, Sachsische LB, OB 21 F = Firenze, Bibl. Nazionale Centrale, Pal. 656 Fe= Ferrara, Bibl. Ariostea, Classe II 152 J= Jena, Thüringer Universitäts- und Landesbibliothek, Ms. G.B. o. 7 L = London, British Lib., Egerton 2347 O1 = Oxford, Bodleian Lib., Canon.ital.21 O2 = Oxford, Bodleian Lib., Rawl. D 483. P= Paris, BNF, italien 2151 Pr = Parma, Archivio di Stato, Racc. Mss 65 S = Sevilla, Biblioteca Colombina, 5-2-22 corrispondenti a due redazioni differenti e autonome, che chiameremo  e . La redazione  è testimoniata da 11 manoscritti: O1, L, B, P, F, S, Pr, Fe, J, D e O2. O1, L, B, P, F, S trasmettono il trattato per intero. Fe contiene il ricettario (due volte) e la sezione sugli sparvieri. J riporta prima il ricettario poi la sezione sugli sparvieri. Pr riporta prima la sezione sugli sparvieri poi il ricettario. D riporta il solo ricettario. O2 contiene, in calce al De falconibus di Alberto Magno, la sola descrizione degli sparvieri (senza la parte relativa all’addestramento).

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Egidio d’Aquino, Liber avium viventium de rapina

La redazione  è tramandata dal solo manoscritto b, una traduzione tardo quattrocentesca che contiene solo alcuni capitoli del Liber di Egidio. In questo capitolo si intendono riportare i dati dei manoscritti di entrambe le redazioni, con particolare attenzione ai cinque manoscritti che danno l’intero testo, dei quali si è fornita una descrizione dell’aspetto materiale e del contenuto, un’analisi testuale, rivolta a comprendere meglio il comportamento del copista, e una linguistica (con particolare attenzione alla grafia). Per gli altri manoscritti ci si è limitati a fornire le informazioni principali.

II.1 Il volgarizzamento  . II.1.1 Descrizione dei manoscritti toscani1. O1 = Oxford, Bodleian Library, Canon.ital.21 Aspetto materiale e contenuto. Membr., sec. XIV, 199 x 134 mm, cc. 16, illustrato (cc. 1r-6v; 8r). Il mss. ha tre tipi di numerazione. Le prime sette carte hanno sia la numerazione più antica del ms. (che parte da 43r, si tratta quindi di un codice incompleto) sia una più moderna che rinumera le carte a partire dalla prima (1r-7v)2. Tra 7v e 8r vi è una paginetta aggiunta, molto più piccola delle altre, sulla quale è ricalcato, piuttosto rozzamente, il disegno della carta 1v e nient’altro. La paginetta è numerata come carta 8r da mano diversa rispetto alle precedenti. La carta seguente ha, dunque, tre numerazioni: la prima, che possiamo definire quella originale, in basso al centro riporta il numero 50; la seconda, in alto a destra, che rinumera le carte del codice a partire da 1, ha un 8; infine, la terza, sempre in alto a destra, che, aumentando di uno il computo delle carte rispetto alla seconda numerazione, segna un 9. Va aggiunto che la c. 9r e le cc. 11r-16r hanno solo la prima e la terza numerazione. 1

In questa sezione è compreso anche J, unico codice della redazione  a non essere né toscano né settentrionale. Per non introdurre un'altra sezione specifica formata da un solo codice, per giunta di minore interesse, si è pensato, dato l'aspetto linguistico centro-meridionale, di accorparlo ai testi toscani, operando una semplificazione di carattere geografico, ma non, naturalmente, linguistico. 2 Per ogni riferimento al ms. si indicherà sempre quest'ultima numerazione.

Il Liber avium: i due volgarizzamenti italiani

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Attualmente il manoscritto in alcune sue parti appare danneggiato, con macchie di umidità che ne rendono disagevole la lettura. Successivamente all’opera del copista sono intervenute altre tre mani. La prima, nella prima carta (recto), aggiunge dei consigli o dei chiarimenti (purtroppo è estremamente difficile distinguere il testo, si può a mala pena riconoscere la mano). Nella carta 2v aggiunge una piccola chiosa (agresto e buono chi sa fare) a una ricetta. Alla carta 4v la stessa mano scrive in interlinea una chiosa pressoché illegibile, mentre un’altra mano inserisce a lato del testo un richiamo teso a correggere un evidente errore del dettato3. Alla carta 6v una mano, probabilmente simile a quella delle carte 2v e 4v (in interlinea), aggiunge una piccola ricetta (purtroppo anch’essa poco leggibile)4. Questa mano sembra limitarsi ad intervenire nel ricettario. La seconda mano, a partire dalla carta 7r fino alla carta 12r, redige (nel margine inferiore) una sorta di prontuario religioso in volgare, da adoperarsi per la Settimana Santa, come preparazione per la Pasqua5. La stessa mano ricompare 3

Le due parole erronee (dele tingnuole) sono cancellate con una riga e sopra ad esse sono riportate alcune parole indistinguibili (achi ritie... to). 4 Al falchone che ritiene la p…mata da… …/ …bechelpasto ..aie nonabia per …./ … da … … //. 5 questa sie el modo deorare ela forma/ di dire elpatri nostro. ela ave maria/ ynla settemana sa(nct)a.ynfina.al di/ depasqua.edia. ess(er)e. ben cho(n)fesso/ e ben(e soprascritta). cho(n)trito de suoi pecchati// la domenecha doliuo ina(n)çi chetumagni.sta(n)do. de/ritto ina(n)çi lo crucifisso (con) le mani gio(n)te e leuate/ y(n) su. ghuarda(n)do nela faccia(prima c scritta in interln.) de (Christo). di .xxx. pater no/stry e .xxx. ave marie si chomo (Christo) stette in que(?)/sto mo(n)do .xxx. a(n)nj. che çaschadano anno toche uno/ pater nostro. e poj si de sichomo. uera mente/ tu ma(n)dassi. lagnelo da cielo an(n)uçia..// lauergine maria ela ueni(?)merito(?)tuo. chosi./ mandame. lagnolo. che me guarde. e chemerdara(?)/ la graçia. laquale edomande| elunedi. ynançj/ chetu ... gu stando . i(n)pie. ina(n)çi. el crucifisso. chol/ chapo chino ten(n)edo lemani suso i(n) gino chionj/ di .xv. pater nostri . eave marie. sichome/ la chorona de (Christo). fo .xv. spine. laquale e(n)tro y(n) fina// el el (cancellato) ceruello. epoi. sidi. chomo tu i(n)choronarti./ la uergine. maria. madre tua. de gloria./ edeonore. chosi dame la graçia la quale/ edoma(n)do.| El martedi. i(n)ançi chetu ma(n)gi. sta(n)do/ apresso el crucifisso. sichome fe la madalena; qua(n)/do. lauaua chonla sua lagrema. ipie. de (Christo)/ di .xl. paternostri. sichome. (Christo) stette .xl./ di. e .xl. nottj y(n)lo dis(er)to. epoi. sidi. chome ../y donasti. ala madalena. isuoi. pechati. chosi./ dame la graçia. laquale. edo/mando| El merchole di/ yna(n)çi chetu.ma(n)gi. estando/ y(n)ançi elcrucifisso. metti(?)/ .iij. volte. i(n)terra.// eluolto. sichome fe.(Christo). qua(n)do. elglera nelorto(toscritto in interln.)/ edi chosi .xxx. paternostri; sichome .(Christo). y(n) que/sto di. fo ue(n)duto .xxx. denari. e poi. le ua/ la facia. y(n) susso. edi sichome tu. rachoma(n)dasti/ la madre tua. asa(n)giouannj eua(n)gelista. chosi/ rachoma(n)da lanema. mia.. el chorpo mio// al padre tuo. acio chel medagha la graçia. laqua/le. edoma(n)de| El giuouedi. y(n)ncçi che tu mangj/ stando cho. i ginochi. i(n)terra. chome fe .(Christo). quan/do. laua i piedi agliapostoli. edidodeci pater/ nostri. sichome. laua. ipiedi. adodeci. apostoli// epoi. sidise chome uerame(n)te. tude la charne/ tua. elsanghue tuo. aituoi. apostolj. chosi./ dame la graçia. laquale. ete. domando|/El uenerdi. y(n)ançi che tu ma(n)gi. sta(n)do. deritto./ y(n)ançi elcrucifisso. aperte. lemani. amodo. de crocie chome lemanj de s(anc)te (?) de .(Christo). y(n) su// parole cancellate la crocie. edi .v. paternostri./ p(er) le .v. piage(sic). de(Christo). y(n)fine del paternostro./ primo . baxa. la piaga. dela ma(n) destra. y(n) fine/ delsecho(n)do. baxa. la piaga. dela ma(n) sinestra./ y(n)fine del terço. baxa. la piagha. del pie. destro// y(n) fine. del quarto. baxa. la piaga. del pie./ sinestro. Y(n) fine. del quinto. baxa. la piaga./ del chostato. epoi si. (com) tu pregasse. p(er) chi te/ crucificha. chosi. p(er)me. priega. elpadre. tuo./ edame la graçia. laquale. ete. doma(n)do// El sabato. sancto. y(n)naçi. chetuma(n)gi. aginochi(chi scritti in interln.)/ gniudi. i(n)terra. tieni. una. cha(n)dela. morta. y(n)/ mano. i(n) segno. che

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Egidio d’Aquino, Liber avium viventium de rapina

alla carta 15v con un breve testo in latino, probabilmente una sorta di preghiera, affiancata dal quadrato magico SATOR 6. Infine una terza mano (c. 16 v) aggiunge alcuni brevi racconti di carattere misogino sul rapporto tra uomini e donne. cc. 1r-6v Ricettario (Egidio 1-13) cc. 7r-15r Trattato di falconeria (Egidio 14-47) cc. 15v-16r Ricette per i falconi c. 16v Scritture varie. Nel margine basso delle carte 7r-12r e 15v un’altra mano ha aggiunto scritti di carattere religioso. Il testo. O1 in alcuni luoghi si discosta dal resto della tradizione: O1

ceteri 7

bene volontarese (c.14) abbie d’unaltra (c. 14v)

bene volontaroso con traime (J bene voluntaroso de piglyare) abbie el traime (J om. el traime)

e se ue ne alcuna mostrala (c. 15r)

e se ne vedi alcuna mostrala

e quando chiamerai l’astore col pasto, chiamerai similliantemente il cane; e avrai del cascio e daragli manicare co l’astore; e questo farai molti dì. Et quando si darà a l’astore il pasto dà anche manicare al cane in sul detto traime et vuolsi fare spesse volte (c. 12)

E quando tu clamarai lastore cum lo pasto clamarai simiglantemente el cane, et haverai del caxo e daragelo menegare cum l’astore; e questo farai molti dì. E quando se darà a l’astore el traime da anche manegare al cane in su el dicto traime. e volse fare spesse volte (testo di P; B lacuna; J, Pr, Fe, O2 manca)

(Christo). lucie delmo(n)do. giace/ morto. i(n)taldi. cancellatura edi .xlii. paternostrj/ sichome .(Christo). stette .xlii. ore nel monime(n)/to. epoi. sidi. (com)tu. donasti. paradiso. aladrone // 6 memor (?) este d(omi)ne Filioru(m) indie qui dichunt/ exinanite(??) elibeth peperit maria(m)(cancellato) maria(cancellato)/ peperit(cancellato): yohannem anna peperit maria(m)/ maria peperit saluatore(m) mundi(?) dominu(m)/ nostrum. (Iesum) (Christum) + omnifans: siue uiuus/ siue. mortuus ueni foras. (Christus) d(omi)n(u)s te uo/chat. ut uideas sple(n)dore(m) s ochuli + panditi/ interra manus domus o(mn)ipotentis ainphi(??)./pone d(omi)ne christo deamori/ meo et hostium circhu(m) s ba/çie (??) labris meis no(n) deolines(?) / chor meum inuerba maliçie/ ad exchusandas exchusatio/ nost(ra) nos(?) inpechatis. // 7 Testo di B, tranne l'ultimo esempio.

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O1 contiene un errore evidente: et poi uimetti dellolio in quel/la quantita che dissi dele tingnuole (c. 4v)8 In generale, il testo non presenta lacune o omissioni particolari. Il copista commette pochi errori, per di più piuttosto banali (smerbo per smerlo (c. 12v), is/sparviere (c. 2v)); in alcuni casi si corregge espungendo l’errore. La grafia. - Occlusiva velare sorda davanti a a, o, u. c, ch (12 occorrenze) - Occlusiva velare sonora davanti a a, o, u. g, gh (8 occorrenze). - Occlusiva velare sorda davanti a e, i. ch - Occlusiva velare sonora davanti a e, i. gh - Affricata palatale. davanti a a,o,u ci, gi. davanti a e, i c, g - Sibilante palatale + vocale sci (cascio, cusciono, cuscile, diruscirai), sgi (solo nell’occorrenza alpisgiani, due volte) - Nasale palatale. gn, ngn (in netta minoranza, solo 12 occorrenze) - Laterale palatale. gli, lli, lgli (solo due volte: volglisene, volgliono). - Affricata dentale (sorda e sonora). ç, ti (-tio compare praticamente solo nella parola generationi/e, 13 volte, e una volta nella parola indignatione; -tia compare solo due volte: potentia, spetialmente)

8

Il rimando è errato, poiché non è il capitolo sul male delle tignole a contenere le informazioni richieste ma il capitolo sul male «della pietra». B commette lo stesso errore e, inoltre, inverte la posizione di due frasi rispetto a O1 (oltre che aggiungere una cura). L segue, in parte, l'ordine di O1, non menziona il capitolo sulle tignole, né nessun altro, ma indica direttamente la quantità di olio necessaria per la cura. J omette gran parte della frase e immette, ex abrupto, la quantità di olio. PFPr rimandano al capitolo giusto (male de la pietra). Fe1 e Fe2 fanno riferimento non alla quantità di olio, ma alla lunghezza del budello.

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- Il sistema delle doppie risulta abbastanza stabile, le scempie sono in netta minoranza. Unica corposa eccezione, il costante scempiamento della consonante che segue il prefisso a- (amaestrare, apreso, avegna, s’apressi, ecc.). - Scarsa presenza di scrizioni latineggianti: plumate (2 occorrenze), lacte (una volta, ma latte 3 volte), nocte (una occorrenza, contro 2 di notte). La lingua.9 O1 soddisfa i criteri stabiliti da Arrigo Castellani per connotare un testo toscano10. Il principale fenomeno caratterizzante il toscano è innanzitutto l’anafonesi, diffusa a Firenze, Prato, Pistoia, Lucca, Pisa, Volterra e saltuariamente a Siena, e largamente presente nel nostro testo11. Gli altri fenomeni sono: il dittongamento di e aperta tonica in sillaba aperta e di o aperta tonica in sillaba aperta rispettivamente in ie e uo12, l’evoluzione di e atona a i13 e l’esito i semivocalico dalla desinenza -ARIUM (danaio). A questi tratti ne va aggiunto uno negativo, cioè l’assenza di metafonesi. Alcuni fenomeni connotano più precisamente il testo in questione come fiorentino. In particolare il passaggio di en protonico> an nelle parole danaio, incontanente e sanza14; la conservazione della e tonica in iato nel congiuntivo di dare (deaglisene, deagline, dee, tre occorrenze)15, la desinenza -i dell’imperativo della 2° e 3° coniugazione (mentre la desinenza comune a tutta la Toscana è -e)16; la desinenza in -ero nell’unico caso rilevabile di terza persona plurale del perfetto indicativo (dissero)17 e il passaggio di ar atono a er nel futuro (e nel condizionale) dei verbi della prima coniugazione18. Oltre a ciò, altri tratti che segnalano l’origine fiorentina di O1 sono l’assenza di epitesi di ne a parole tronche o a monosillabi,

9

La breve analisi linguistica che intendiamo proporre per i principali manoscritti non ha alcuna pretesa di completezza, ma si prefigge esclusivamente di segnalare i tratti principali attraverso i quali sia possibile localizzare, nel panorama dei dialetti italiani medievali, la lingua di ciascun manoscritto. 10 Nuovi testi fiorentini del Dugento, con introduzione, trattazione linguistica e glossario a cura di A. Castellani, Firenze 1952, t. I, pp. 21-22 (d'ora in poi NTF). 11 e chiusa tonica diventa i davanti a n palatale (< lat. -NI-), l palatale e n + velare, mentre o chiusa tonica diventa u davanti a n+g. O1: Sardigna, indignatione, tignuole, somigliano, simiglianza, lunga, lunghi, lungo, unghie, unghioni 12 O1: non dittongano bene, lei, poi e leva (8 occorrenze, contro una sola di lieva). Notevole: rota. Per leva si veda quanto dice Polidori Castellani: «a Firenze si oscillava, già all'epoca di Dante, fra lieva e leva. Tale oscillazione (..) mi pare non si possa attribuire altro che all'influsso delle forme arizotoniche di levare» cfr. O. Pollidori-Castellani, Lieva-leva, in "Studi linguistici italiani", II (1961), pp. 167-168 (p.168). 13 O1: dinanzi, dinari, gittato, innanzi, insieme, intendiamo, intorno, ricente, rimettere, riponi, ritengono ardimento, rondine, ordine. 14 NTF, pp. 53-57. 15 NTF, p. 72. 16 NTF, p. 41. 17 NTF, p. 41. 18 Comune a tutta la Toscana occidentale, cfr. NTF pp. 25-26.

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l’uso costante di onde, ove, dove (quando nel resto della Toscana è nettamente maggioritaria la forma unde, uve, duve) e la comparsa di n palatale da NG+ e,i19. Le precedenti edizioni. Scritture antiche di falconeria ed alcuni capitoli nell’originale francese del Tesoro di Brunetto Latini sopra la stessa materia, con annotazioni del Conte Alessandro Mortara, Prato 1851. Il testo, in generale, è riportato fedelmente. L’editore ha optato per una normalizzazione grafica con vari interventi: raddoppiamento delle scempie secondo l’uso dell’italiano moderno (dele, nele> delle, nelle); sostituzione di -ll- con -gli- (pilliano> pigliano, ellino> eglino); aggiunta di h- davanti alla terza persona plurale del verbo avere; Sostituzione di ç con z (ançi> anzi). Le principali scorrettezze si concentrano nel ricettario, dove l’editore legge «mezzale» per moççale (c. 1r); «e largalui infino a vespero, e troverai…» in luogo di e largalui infino a uespero e nel uespero trouarai…(c. 1r); «e la mascella del porco salata» in luogo di e la medolla dela mascella del porco salata (c. 1v). Inoltre, il Mortara divide in capitoli le principali sezioni del trattato aggiungendo per ciascuno dei titoli assenti nel manoscritto. A livello strutturale, l’editore inserisce il ricettario alla fine dell’intero trattato (quando, nel manoscritto, si trova all’inizio) e gli impone il seguente titolo: «Frammento di un trattato della cura delle malattie degli uccelli di ratto che l’uomo tiene per diletto».

B = Berlin, Kupferstichkabinett, 78 C 15

Aspetto materiale e contenuto. Codice composito, membr., sec. XIV, 216x159 mm., cc. 65, illustrato. 1. cc. 1r-48v Libro di mascalcia di Giordano Ruffo di Calabria 19 Per il primo fenomeno cfr. NTF, p. 41; per il secondo cfr. A. Castellani, Il più antico statuto dell'arte degli oliandoli di Firenze, in "Studi linguistici italiani" IV (1963-64), p. 76. O1: ugnilo, ugni, vegno[n]o, avegna. Cfr. anche veghiare.

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2. c. 49r ricetta 3. c. 49v bianca 4. cc. 50r-65v Trattato di falconeria; in particolare: cc. 50r-51r Egidio-falconi (descrizione) cc. 51 r-v Tesoro volg.-falconi cc. 51v- 52v Egidio-falconi (addestramento) cc. 53r-54r Egidio-astori (decrizione e addestramento) cc. 54r-v Egidio+Tesoro volg.-smerigli cc. 54v-55r Egidio-sparvieri (descrizione) cc. 55v-56r Tesoro volg.-sparvieri cc. 56 r-v Egidio-sparvieri (addestramento) cc. 57-r-v Versione parziale del trattato di falconeria di Grisofus medicus (capp. 1, 2, 7, 8, 10, 11, 15, 20) cc. 57v-59r Tesoro volg.-astori c. 59v bianca cc. 60r-65v Egidio-ricettario Il ms. (cc. 50r-65v) offre l’intero testo di Egidio interpolato con la versione italiana del Trésor di Brunetto. L’aspetto del testo, scritto in gotica libraria, è ordinato e regolare. Compaiono tre nomi propri: Antonio Benistanti (una mano diversa da quella del copista, che mi pare molto più tarda, scrive: Opera fata dal mio sig(no)re Antonio Benistanti) (c. 59r), Nanes Lupparus (NANES LUPPARUS ff c. 62v) e Antonia Iacobus. Delle macchie di umidità rendono difficoltosa la lettura di alcuni passaggi. Titoli e maiuscole sono presenti solo fino a carta 53r. Il testo. Per quanto riguarda in particolare il testo di Egidio, alcuni particolari denotano una scarsa attenzione da parte del copista. Tra questi segnaliamo: una serie di piccoli errori (occcho (c. 62v) per ‘beccho’; soleuemente (c. 56r) per ‘solen(n)emente’; uegga per ‘regga’ cong. presente (c. 52r); l’omissione di un non che non dà senso alla frase che ne consegue); alcune sviste (lo stesso periodo di tre righe è ricopiato due volte di seguito) e, infine, il numero delle lacune, almeno 6: tante per un testo relativamente breve come quello egidiano. Inoltre, alcune ricette supplementari, assenti nel resto dei manoscritti della tradizione italiana, sono aggiunte in calce a quelle egidiane. La grafia. - Occlusiva velare sorda davanti a a, o, u. c, ch - Occlusiva velare sonora davanti a a, o, u. g, gh

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- Occlusiva velare sorda davanti a e, i. ch c: ciasceuno (c. 52v) e probabilmente anche sciavi (c. 53r), Sciauonia (c. 53r) - Occlusiva velare sonora davanti a e, i. gh g: lunge ‘lunghe’ (c. 51r) - Affricata palatale. davanti a a,o,u ci 20 gi davanti a e, i c g, gi - Sibilante palatale + vocale. sc: cascio c. 53v, cusci c. 56r, sdruscirai c. 56r, cusciono c. 56v, gi - Nasale palatale. gn, ngn - Laterale palatale. gli, lli, lgli, gl - Affricata dentale (sorda e sonora). ç, ti - Il sistema delle doppie è stabile, endemica presenza di parole scempie. Costante scempiamento della consonante che segue il prefisso a- (amaestrare, avegna, aventura, apressare, ecc.). - Principali scrizioni latineggianti: pl: plumada (una volta), platta (una volta, nesso non etimologico). pt:coruptione, optimi (tre volte), septimi, sopracripta. ct: rimectere (non etimologico), pecto, nocte, octo, tractare, perfecta, lacte, predecta, confecta, decta (la scrizione -tt- è, però, di gran lunga più diffusa). x: -ss- in aproxima e dixero La lingua. Testo sicuramente toscano. Sono presenti i fenomeni dell’anafonesi, del dittongamento di e e o aperte toniche in sillaba aperta in ie e uo 21 e dell’evoluzione di e atona a i. Più difficile identificare con precisione a quale zona della Toscana risalga. Alcuni tratti appartengono al dialetto fiorentino: l’imperativo in -i, l’uso di onde, ove in luogo di unde e uve, mentre dove e duve si equivalgono. Di contro si riscontra una forte instabilità dell’esito di en 20 21

Una sola volta c: caccatori (c. 59r). B: non dittongano bene, lei, poi, leva, rota.

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protonico> an 22, mentre, nei futuri e nei condizionali di prima coniugazione, si assiste all’oscillazione tra il mantenimento dell’ -ar- protonico e l’esito ar protonico > er23 e lo sporadico passaggio di -er- postonico a -ar- in combattare, prendare (ma prendere, 5 occorrenze contro le 8 della forma in -are), essar(e) (due occorrenze), eleggiare. Questo genere di instabilità (vedi anche la variazione fuori/fuore, 4 occorrenze contro 2), può far pensare ad un testo originariamente fiorentino e trascritto in Toscana orientale, come sembrerebbe confermato dalla mancata sonorizzazione di aco, fenomeno che Arrigo Castellani considera comune al senese e all’aretino-cortonese. Le precedenti edizioni. M. KOLLOFRATH, Ein heilkundlicher Traktat über Beizvögel im MS. 78 C 15 des Kuperstichkabinetts Berlin, PMSK , München 1993 Edizione del solo ricettario (cc.60-65v). Si tratta in realtà di una dissertazione per il conseguimento della laurea in Veterinaria presso l’Università di Monaco («Inaugural-Dissertation zur Erlangung der tiermedizinischen Doctorwürde der Tierärztlichen Fakultät der Ludwig-Maximilians-Universität München»). A dispetto della sede in cui è stata tenuta, la dissertazione dedica più spazio all’aspetto filologico (aspetto materiale, trascrizione, indagine sulle fonti) che a quello medico veterinario. Purtroppo l’edizione del testo - accompagnata dalla traduzione in tedesco – denota alcune inesattezze: l’editore non scioglie mai le abbreviazioni, confonde regolarmente la nota tironiana che indica et con j e incorre in alcuni errori di lettura (olio duliua diventa olio di lina). Bibliografia B. Degenhart-A. Schmitt, Corpus der italienischen Zeichnungen 1300-1500, I 1 (1968), pp. 163-168. K.D. Fischer, Zum Codex 78 C 15 des Berliner Kupferstichkabinetts, in "Mittellateinisches Jahrbuch", 15 (1980), pp. 155-161 A. von en Driesch-Th. Hiepe, Das Buch über die Stallmeisterei der Pferde von Jordanus Ruffus (13. Jh.) im Ms 78 C 15 des Kupferstichkabinetts in Berlin, in "Berliner und Münchener Tierärztliche Wochenschrift", 104 (1991), pp. 133-139 (134). B. van den Abeele, Encyclopédies médiévales et savoir technique : le cas des informations cynégétiques, in Nouvelles tendances en histoire et philosophie des

22 B: incontanente (incontenente, una occorrenza), ma denaio, denari. Leggera prevalenza nell'uso di sença (quattro occorrenze) rispetto a sança (tre). 23 B: avarae, levarae, levarà, mostrarai, trameçarai, scusarebbe contro muderà, guarderà, agiterai, troverai.

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sciences. Colloque national, 15-16.10.1992), éd. R.Halleux et A.C.Bernès, Bruxelles, 1993, p. 103-121, in part. pp. 116-119. L. Brunori Cianti-L. Cianti, La Pratica della veterinaria nei codici medievali di mascalcia, Bologna 1993, pp. 237-243 (237). R. Benedetti - F. Cigni, Giordano Ruffo di Calabria, «Libro delle mariscalcie dei cavalli» (versione pisana), in Pisa e il Mediterrano. Uomini, merci, idee dagli Etruschi ai Medici, a cura di M. Tangheroni, Ginevra-Milano 2003, scheda 281, p. 457 (a questa scheda si rimanda per la bibliografia riguardante il manoscritto).

L= London, British Library, Egerton 2347

Aspetto materiale e contenuto Membr., sec. XIV, 183x130 mm, cc. II+ 16., illustrato. cc. 1r-5r Ricettario (Egidio 1-13) cc. 5r-15v Trattato di falconeria (Egidio 14-56). Cc. I2-13 contengono disegni di scene di falconeria. c. 16r Ricette varie cc. 16v-17v carte bianche Una seconda mano, probabilmente più tarda (può essere la stessa che scrive la data 1444 in cima alla prima carta), agisce, se non erro, solamente sulla prima carta del manoscritto. Questa seconda mano interviene, con una penna più scura su due punti poco leggibili nel testo, sovrapponendovi la propria scrittura (dallja beccare; l’usuale poscia di L diviene possja), e, più in basso, esternamente al testo, riporta uno degli ingredienti della ricetta (luserta uiua, L lucerta uiua). Dalla grafia degli interventi si può supporre che l’anonimo estensore di queste correzioni sia di provenienza settentrionale. La carta 17 riporta sul recto due ricette di difficile lettura, che Francesco Zambrini, editore del ms. nel 1874, ritiene scritte «in dialetto veneziano» (se non veneziane sono sicuramente di veste settentrionale e di mano differente da quella del testo del trattato). Carta 18 riporta le stesse ricette notevolmente rimaneggiate (si potrebbe dire compendiate) e scritte da una mano molto più recente24.

24 Cfr. F. Zambrini, Libro delle nature degli ucelli fatto per lo re Danchi. Testo antico toscano, Bologna 1874 (rist. anast. Bologna 1985), pp. XV-XVII.

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Il testo . Ciò che noi percepiamo come l’eccentricità di L nei confronti degli altri codici non è altro, mi pare, che il risultato di una scrittura più distesa e curata rispetto a un modello - ma in questo incide anche l’argomento trattato - piuttosto povero e conciso. Osservando la serie d’interventi di L è dunque possibile rendersi conto dello sforzo attuato proprio in questa direzione e, nel medesimo tempo, vedere che l’apparente eccentricità di questo manoscritto è essenzialmente formale, non sostanziale. Il caso di L, come vedremo più avanti, è l’unico tra quelli della redazione A in cui si può parlare di una riscrittura del testo. Tale operazione è attuata attraverso una serie di interventi che vanno dallo scioglimento dei gerundi e dei participi, fino a vere e proprie inserzioni e aggiunte volte a rendere più piano un dettato certamente molto essenziale. E allora incontanente abbie il latte de la capra apresso (P F enpreso) O1 E alotta tolle lo latte della cavra e fallo strignere L (c. 1r) E mettaglie nel becco o vollia o no O1 E dallo a l’astore e se non lo vuole ricevere, apre lo becco e fallo piglare L (c. 3v) è da provare se sente alcuna cosa in questo modo O1 coninça provare s’elli sente alcuna cosa e provalo in questo modo L (c. 9r) Interventi e aggiunte - Sempre, quando vuoli andare ad uccellare, de guardare se’l falcone è di buona volontà, ciò è se leva le penne e mena l’ale, mostrando volontà di pilliare, che se no’l facesse, non v’è da andare. E quando aviene che non levi le penne e che non batte l’ale... O1 Sempre che tu voli andare a uccellare dea guardare lo falcone s’è de buona volontade o no et cognoscesi in questo modo: se’l falcone leva le penne et mena l’ali sapi che mossa volontade de pigliare e se no no. E quando tu lo vedi stare sì ke non chura de niuna cosa et non leva le penne e non mena l’ali... L [corsivo mio] (c. 10r) - e perchè non si può fare più força che conceda la lor natura perchè naturalmente sono usati di pilliare i piccoli uccelli ma per isforço e per ingegno li fanno li uomini pigliare i grandi uccelli O1 et questo ch’ài a vedere che tu non lo puoi più forçare che la natura li conceda cioè a dire che ke la natura li concede di pillaire uccelli piccoli ma per ingegno li fa l’omo pigliare gli grandi. L [corsivo mio] (c. 11r) - manca O1

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- Moltre altre generationi di falconi si trovano che non si sanno le loro nature ma bastino queste ke dette sono et diremo come si debiano dimesticare ciascuno di quelli che detti sono et come se debiano tenere et incorrere et in quanto tenpo et che vole et che può giovare ad amaestrargli bene e qual pasto e quello che dà loro buono ardimento e’l modo de vocare ke se dea tenere al principio quando tu lassi lo falcone ate per richiamare ate et regga tosto acciò che tu congnoscha s’el falcone coninça a sentire alcuna cosa per qualche sembiante. Et acciò che tu lo ‘ntendi melglio mostraremolo per figure dipinte. L (c. 6v) [Questo lungo brano è assente negli altri mss. Si tratta, però, di una sorta di prologo che presenta gli argomenti che in effetti verranno trattati nel lungo capitolo egidiano sull’addestramento dei falconi. Le citate figure dipinte (cc. 7r8r), infatti, raffigurano proprio le attività descritte nel capitolo seguente]. il latte della capra mescolato col sangue del colombo O1 del latte caprino et sterco e stretto e mescolato col sangue dell (sic) pipione L [corsivo mio] (c. 3v) li dà bere se vuole et se non no O1 li dea dell’acqua a bere nell’ora della terça e se ne vuole bere si ne bea et se no faline força L [corsivo mio] (c. 4v) Se a le mani d’alcuno pervenisse alcuno astore che sono d’una generatione ch’anno la persona grossa e corta e piedi e’ l capo grossi O1 Se te ne venisse a mano una generatione d’astori k’ànno lo capo grosso e li piedi grossi et piccoli, e la persona grossa et corta L (c. 11v) e talor solliono esser buoni seguitando il modo e la maniera ch’è lor data O1 e quando vengono d’altrui alcuna volta solliono essere buoni enperciò ke tengono lo modo ke tu dai loro L [corsivo mio] (c. 6r) manca O1 et sono di pennina bruna molto per la parte dipe di sopra L (c. 6r) manca O1 Et quest’illi k’escono del nido rade volte sono buoni perciò che non sono dotti a volare ma salvatichi quando se pigliano solglino essere miglori tenendoli e amaestrandoli col tragime et etiandio con grande invenimento L (c. 10v-11r) Semplificazioni Se a le mani d’alcuno pervenisse alcuno astore che sono d’una generatione ch’anno (...) O1

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Se te ne venisse a mano una generatione d’astori k’anno (...) L (c. 11r) Se adiuenisse che per alcuna mala uollia lastore non fosse dibuono ardire onon si sentisse bene (...) O1 E se auenisse che per mala uolontade o per malardimento non si sentisse bene(...) L (c. 12v) Impercio che le generationi de falconi sono molte et isvariate di tutte per ordine è da vedere O1 Molte sono le generationi deli falconi L (c. 5r) Inoltre, L, nonostante la brevità del testo, è caratterizzato da numerose scorrettezze. In particolare è notevole la quantità di parole ripetute, più quelle in cui il copista si è accorto dell’errore e lo ha corretto25. Il copista è costretto a correggersi svariate volte: si notano delle aggiunte in interlinea ad opera della stessa mano del testo 26. In due casi si assiste alla reintroduzione a piè di pagina di due brevi brani omessi, segnalati tramite un rimando nel corpo del testo27. Si susseguono parole (scritte per intero o appena iniziate) cancellate con tratto di penna28, omissioni dei segni di abbreviatura29 e cattive letture (canuti per ‘cavati’ e geutili per ‘gentili’, entrambi c. 5v). Nel complesso l’opera del copista dal punto di vista formale appare abbastanza trascurata. Grafia - Occlusiva velare sorda davanti a a, o, u. c, ch - Occlusiva velare sonora davanti a a, o, u. g, gh - Occlusiva velare sorda davanti a e, i. 25

salie sal (c. 14r); dandoli dandoli (c. 15v); E puoi tolle un logrosso (lo aggiunto in interln.) d'ale (…) (c. 9r); tenendolo sottilmente, pillia (scritto in interlin., quasi impercettibilmente) le (c. 14r). 27 Si tratta con ogni probabilita di lacune per omoteleuto: luna si e p(er)chelli poterebbe indengnare **con teco p(er) la sua sup(er)bia chè tanta. Laltra si è inp(er)cio/ kelli è molto uolontaroso a uolare. La t(er)tia si è/ enpercio ke si dimestica piu tosto molto/ uolontaroso a uolare. Laltra si è enpercio chelli/ è piu tosto. (c. 9r) [Da con teco a tosto il periodo è scritto alla fine della carta dalla stessa mano ed è inserito con un segno dopo indengnare]. ua collo colo sparuieri presso *si che la pigli e allotta abbi immantenente il pasto caldo et ricente* si ke non se ne auegia e pascilo solennemente. (c. 15r) [Da si che a ricente inserito con una nota e scritto a pié di pagina] 28 la parte dipe di sopra (c. 6r); E fassi lli molto demestico (c. 13v); Sono altri astori abi apellati (c. 10v); et poni la gaça in fra terra (c. 15r); Lunghi e non anno corti; abbia ui uno guanto (c. 9r); tu lassi lo falcone ate per richiamare a te (c. 6v). 29 denao, e, coniça, senpe, alta, eperciò, pouare, scusa, i . 26

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ch30 - Occlusiva velare sonora davanti a e, i. gh - Affricata palatale. davanti a a,o,u ci gi. davanti a e, i c g - Sibilante palatale + vocale. sci: coscili c. 14v; alpesciani c. 15. gi - Nasale palatale. gn, ngn, ngni (una occorrenza: tingniuole) - Laterale palatale. -gli-, -gl-, -lli-, -lgli-, -li- (una occorrenza: qualie) - Affricata dentale. ç, ti - Il sistema delle doppie è stabile, normale presenza di scempie. Costante scempiamento della consonante che segue il prefisso a- (avenisse, avegia, amaestramento, ecc.). - Presenza minima di scrizioni latineggianti: plumate (due volte), plunbato, dixero (una volta). Lingua La presenza dell’anafonesi, del dittongamento di e aperta tonica in sillaba aperta e di o aperta tonica in sillaba aperta rispettivamente in ie e uo31 e dell’evoluzione di e atona a i, identifica come toscana la lingua di L. La tendenza all’ epentesi di -ne nei monosillabi o nelle parole ossitone32, l’ oscillazione tra mantenimento di ar protonico >er nei futuri e nei condizionali di prima coniugazione, la presenza di fuore in luogo di fuori, nonché l’imperativo della II e III coniugazione in -e33, porta ad escludere che si tratti di fiorentino 34. Di contro è comune l’uso di onde (una occorrenza, come unde), ove, dove e la forma dea per il presente congiuntivo

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Raramente k (solamente in ke ‘che’) e rarissimamente c (solo in sciavi, due volte, carte 10v e 11r). L: non dittongano bene, lei, rota leva, levati (ma lievati, un'occorrenza). Poi accanto a puoi (con prevalenza del primo). Non dittongano quando sono precedute da consonante + r: trovano, preda. 32 L: none, ene, gurdarane, impercione. 33 L: pone, despone, ungnelo, tolle (ma sporadicamente tolli), apre. 34 NTF, p. 41. 31

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di dare, considerati fenomeni prettamente fiorentini35. Anche in questo caso, come in quello di B, si può pensare ad un testo originariamente fiorentino transitato nella Toscana orientale (notevole l’uso di dea in luogo di de ‘deve (c. 8v, 9r, 11r, 13r)’36. Le precedenti edizioni. Libro delle nature degli uccelli fatto per lo re Danchi, Testo antico toscano messo in luce da Francesco Zambrini, Bologna 1874. Francesco Zambrini riproduce fedelmente il testo del trattato, senza intervenire se non nella grafia e nella punteggiatura, come, del resto, annuncia nell’Introduzione. Da notare che l’editore non menziona la collocazione del manoscritto, localizzato, solo più di cento anni dopo, da Baudouin van den Abeele37. O2 = Oxford, Bodleian Library, Rawl. D 483

Aspetto materiale e contenuto. Membr., sec. XV in., 192 x 130 mm., II + 48 + II38. cc.1r – 47r : Alberto Magno, De falconibus cc. 47v- 48v : Sono le generationi di sparvieri (=Egidio capp. 38-46) La grafia. - Occlusiva velare sorda davanti a a, o, u. c, ch - Occlusiva velare sonora davanti a a, o, u. g, - Occlusiva velare sorda davanti a e, i. ch - Occlusiva velare sonora davanti a e, i. gh - Affricata palatale. davanti a a,o,u ci, gi. 35

NTF, p. 41 e p. 72. NTF, p. 47. 37 B. van den Abeele, Les traités de fauconnerie …, vol. I, p. 19. 38 Descrizione completa in B. van den Abeele, Les traités de fauconnerie…, vol. I, pp. 19-20. 36

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davanti a e, i c, g - Nasale palatale. gn(i) - Laterale palatale. lgli, gli (solo in: gli). La lingua Presenza del dittongamento di e e o aperte toniche in sillaba aperta (piedi, passim; uomo c.48; buoni c. 47v)39. Avviene con regolarità il passaggio e chiusa tonica> i seguita da nasale e laterale palatale40, mentre l’evoluzione o chiusa tonica> u dopo nasale + occlusiva velare sonora avviene solo in un caso su tre41. Passaggio da er postonico a ar in conosciare (c. 48, due volte).

J= Jena, Thüringer Universitäts- und Landesbibliothek, Ms. G.B. o. 7

Aspetto materiale e contenuto. Cart., sec. XV, 195x145 mm, cc. 155. Scrittura corsiva con capitali umanistiche. Contenuto cc.1r-60v Giornado Ruffo, Liber Marescalciae seu de curis equorum cc. 61r-65r Excerpta de Equis cc. 65r-66v Incantamenti c. 67r Ricette veterinarie c. 67v carta bianca cc. 68r-73v tavola dei capitoli dei trattati che seguiranno cc. 74r-75v carte bianche cc. 76r-86r Pseudo Ippocrate, De curis equorum cc. 87r-116r Hierocles Alexandrinus, De curatione equorum cc. 116r-119r Incantamenti cc. 119r-120r Ricette contro le malattie dei cavalli cc. 120r-141v Liber marescalciae equorum cc. 142r-v carte bianche cc. 143r-147r Dancus (capp. 1-15, 19-20, 23, 16-18) cc. 147v-152r Egidio ( 1-13, 47-56) cc. 152v-153r carte bianche 39

Non dittongano: poi e bene. Sardigna c. 48; somilgliano e somilglio c. 48v. 41 lungo c. 47v contro longhi c. 47v e longo c. 48). 40

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cc. 153v Inscriptio domus comitis Ursi Ali in Nola Il testo. J offre una "scelta" del trattato di Egidio, come testimonia l’affermazione contenuta nella carta 149v: Dapo’ che havimo qui pretermisso de omne generatione de’ falcunj/ asturj, smerlecti, et de loro generatione, admaestr/mentj et como se debiano tenere, è da dire de la natura de lj sparverj et de lor gentilezza. In generale il testo è piuttosto scorretto, con lacune e cattive letture. La grafia. - Occlusiva velare sorda davanti a a, o, u. c, ch - Occlusiva velare sonora davanti a a, o, u. g - Occlusiva velare sorda davanti a e, i. ch42 - Occlusiva velare sonora davanti a e, i. gh - Affricata palatale. davanti a a,o,u ci, gi. davanti a e, i c, g - Nasale palatale. gn - Laterale palatale. gli La lingua Pur nel quadro di un testo fortemente toscanizzato, alcuni elementi linguistici conducono verso un’area sicuramente non toscana. L’assenza di anafonesi43 e di fenomeni di dittongamento da e e o aperte toniche sono tra gli elementi maggiormente significativi. La metafonesi è ampiamente attestata, anche se affiancata da forme non metafonetiche. Difficile specificare l’origine di questa scrittura; in favore di una provenienza meridionale del manoscritto, va segnalata anche la trascrizione di una iscrizione presente sulla facciata del Palazzo Orsini di Nola presente nel foglio 153v. 42

In un solo caso c: scifansi c. 150r. Tranne che in lungo (c. 151r), ungine (c. 147v), mittiglilo (c. 148v), assottiglyara (c. 151r), tignole e sardigna (c. 150r).

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II.1.2 Descrizione dei manoscritti settentrionali. P = Paris, BNF, italien 2151 Aspetto materiale e contenuto. Membr., sec. XIV, 230 x 157 mm., carte 40. Contenuto: cc. 1r-10r Dancus, Gerardus, Guillelmus cc. 10r-12v Descrizione falconi (Egidio 14-25) cc. 12v-13r Smerigli (Egidio 36) cc. 13r-25v Ricettario astori (67 capp.) cc. 25v- 27r Descrizione astori (Egidio 26-35) cc. 27r-29r Descrizione sparvieri (Egidio 37-47) cc. 29r-40r Ricettario: cc. 29r-34r Ricettario sparvieri cc. 34v-36v Ricettario composito (cc. 35- 36v = Egidio 1-13) cc. 36v-40r Ricettario composito Il testo. Talvolta P interviene sul testo in luoghi considerati erronei: i quali [Astori calabresi] enno de grande persona e no enno corti ma longhi P i quali [Astori calabresi] sono di grande persona e non sono lunghi ma corti O1 i quali [Astori calabresi] sono di grande persona et non sono lunghi ma corti B e questi [Astori calabresi] sono di grande persona ma non sono longhi ançi corti L Sunt adhuc alii austures vocati Calavresi, qui sunt magne persone, et non sunt longi sed curti OLat (c 76v) nell’esempio mostrato, P si trova di fronte a un’apparente incongruenza: gli astori calabresi sono detti grandi ma non lunghi, bensì corti. P ha buon gioco a invertire i due aggettivi dando un senso più immediato alla frase. In realtà la correzione sembra essere una banalizzazione. Il fatto che questi astori siano, al tempo stesso, grandi e corti non è in contraddizione: ‘corto’ in questo caso è utilizzato nel senso di ‘tozzo, massiccio’. Tale accezione sembra trovare conferma se si confronta questa descrizione con quella che, nello stesso trattato, viene fatta degli astori schiavi: di gran persona né grossi né corti, ma lunghi e sottili [il corsivo è mio] nella quale ‘corto’ è di nuovo accostato a ‘grande, grosso’ ed è contrapposto al termine ‘sottile’.

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Altro esempio degli interventi di P può essere: Lo smerlo pigla le quaglie e pigla a le seve le merle e li tordi. P Lo smerbo (sic) prende a le siepi le quallie, le merle e tordi O1 Lo smerlo prende a le siepi le quaglie e i tordi B Piglia lo smeriglo le qualgle, li merli, li tordi a le siepi. L Preterea si ismerllus est assuetus ad sepes capit merlas et turdos et quailas sive qualias si ad eas est doctus. Olat (c 77r) il testo di O1 e B dà adito ad un possibile equivoco (parzialmente risolto da L): infatti sembrerebbe che lo smeriglio, il piccolo falco di cui il testo si sta occupando, cacci tordi, merli e quaglie presso le siepi. In realtà solo tordi e merli vivono nelle siepi, mentre le quaglie sono uccelli terricoli che popolano ambienti aperti (coltivi e praterie) con vegetazione bassa. La cosa non sfugge al copista di P che riconsegna ogni uccello al suo giusto ambiente. Del resto, la versione latina sembra proprio confermare questa differenza, distinguendo una caccia da effettuarsi presso le siepi (assuetus ad sepes) da una, specifica, per le quaglie (doctus ad qualias). In un altro caso, correzione di portata assai inferiore, P interviene modificando l’aggettivo grassi riferito al tipo di uccelli predati dai falconi schiavi, con un più consueto grossi. In effetti l’aggettivo ‘grasso’ non è mai utilizzato in riferimento alle prede dei rapaci, mentre sono due (quattro in L) le occorrenze di "grosso" riferito agli uccelli cacciati. Si può certo pensare ad un hapax, una sorta di variatio, ma in un contesto così essenziale e, per certi versi, ripetitivo come è quello di un trattato di falconeria, l’ipotesi non sembra molto economica. Al di là, però, di questi brevi correzioni, che si limitano in fondo al cambiamento della posizione di qualche parola nell’ordine della frase, P riporta un testo estremamente simile a quello di O1, senza errori o lacune evidenti, e senza quelle piccole innovazioni che caratterizzano proprio O1 44. La grafia - Occlusiva velare sorda davanti a a, o, u. c, ch - Occlusiva velare sonora davanti a a, o, u. g - Occlusiva velare sorda davanti a e, i. ch - Occlusiva velare sonora davanti a e, i. gh 44

Per un'analisi più dettagliata si rimanda al paragrafo II.1.3.1.

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- Sibilante dentale (sorda e sonora). x: peloxi c. 11r, mexe c. 11v, vaxo c. 36r, pexo c. 36r, etc. s: usano passim, volontarosi passim, pelosi c. 11v, ss: cossi ‘così’ passim, cossa ‘cosa’ passim. - Nasale palatale. gn - Laterale palatale. gl(i)