Il metodo di Descartes
 8874621876, 9788874621873

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Q!Iodlibet Studio Discipline filosofiche

Daniele Cozzali Il metodo di Descartes

Q!lodlibet

Prima edizione: luglio 2008 2008 Quodlibet Via Santa Maria della Porta, 43 - 62100 Macerata www. quodlibet.it Stampa: Grafica Editrice Romana s.r.l., Roma ISBN 978-88-7462- 1 87-3 ©

Discipline filosofiche Collana fondata da Enzo Melandri Direttore: Stefano Besoli

Indice

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Introduzione

Capitolo primo Il dibattito sul metodo nel XVI e nel XVII secolo 25

1 . 1 Il metodo nel Rinascimento

31

1 .2 L'analisi e la sintesi degli antichi geometri

36

1 .3 Analisi, sintesi, reso lutio e compositio

44

1 .4 Descartes e l'algebra dei moderni

46

1 . 5 L a certezza della matematica

Capitolo secondo Il metodo delle Regulae 51

2 . 1 Il giovane Descartes e l'idea di un metodo universale

58

2 . 2 Le Regulae a d directionem ingenii

60

2 . 3 I l metodo secondo Descartes

62

2.4 Il metodo delle Regulae

63

2.5 Le facoltà della conoscenza umana: l'intelletto e le sue azioni: l'intuitus mentis e la deductio

67

2 . 6 L'induzione

70

2 . 7 Aristotele, Bacon, Descartes e il problema dell'induzione

72

2 . 8 L'immaginazione, l'analogia e le ipotesi

74

2 . 9 Le teorie dell'immaginazione all'epoca di Descartes

79 2 . 1 0 Il nucleo del metodo: ridurre ed ordinare

6

INDICE

83

2 . 1 1 La regola VIII

86 2 . 1 2 Le regole algebriche 88

2 . 1 3 La mathesis universalis

Capitolo terzo La fisica immaginaria di Descartes 93

3 . 1 La formazione della fisica di Descartes

95

3 .2 Le Monde e l'immaginazione

98

3 . 3 Le analogie della D ioptriqu e

1 00

3 .4 La spiegazione della legge di rifrazione

1 02

3 . 5 La questione della rifrazione nell'ottica del Seicento

1 03

3 . 6 La struttura argomentativa dei trattati di ottica del Seicento

1 05

3 . 7 La Diop trique e i suoi critici

1 08

3 . 8 La polemica con Fermat sulla dimostrazione della legge di rifrazione

111

3 . 9 La concezione della dimostrazione nella Diop trique e nelle Météores

Capitolo quarto Il metodo e la Géométrie 1 17

4 . 1 Il metodo e la Géométrie

120

4.2 L a struttura delle dimostrazioni della Géométrie

125

4.3 L'ordine e l'analisi

127

4.4 La sintesi e l'analisi nelle Meditationes

129

4.5 L'analisi e il Discours d e la méthode

130

4.6 L a classificazione delle curve e l a distinzione fra immaginare e concepire

133

4.7 L'immaginazione e la G éom étrie

1 34

4 . 8 Le ipotesi e la Géométrie

7

INDICE

Capitolo quinto L'ideale di scienza di Descartes 137

5 . 1 I l metodo e l a metafisica

138

5.2 La distinzione fra immaginare e concepire

139

5 . 3 I l metodo e i Principia

1 44

5.4 Le ipotesi e i Principia

1 46

5 . 5 L'ideale d i scienza d i Descartes

151

Bibliografia

1 73

Indice dei nomi

Questo libro è dedicato alla memoria di mio padre Um berto

sapete, a parte leggere l'italiano, non ho compe­ tenze specifiche nella ricerca della verità. Ho sol­ tanto il mio buon senso, che certamente non è la cosa meglio distribuita del mondo Jacques Bonnet, La qu estione del metodo

Introduzione

Questo libro riguarda il metodo di Descartes. Nelle Regulae ad directionem ingenii, Descartes sviluppa un progetto estrema­ mente ambizioso: la ricerca di un metodo universale in grado di scoprire e di giustificare, a un tempo, tutto ciò che appartiene al dominio della conoscenza umana . Non diversamente da Aristo­ tele, Descartes ritiene che la certezza sia la caratteristica princi­ pale della conoscenza. Il giovane Descartes, attraverso il metodo, vorrebbe conferire la stessa certezza delle dimostrazioni dell'arit­ metica e della geometria a tutto ciò che aspira a far parte della conoscenza umana. Descartes ricerca uno strumento universale per l'acquisizione delle conoscenze, contrariamente ad Aristote­ le , secondo il quale ogni scienza tratta di un particolare genere dell'essere, e di conseguenza ogni indagine ha strumenti diversi. Il progetto di Descartes è, naturalmente, destinato al fallimen­ to. L'immagine della scienza che la Rivoluzione Scientifica del Sei­ cento ci ha tramandato è, infatti, profondamente diversa da quel­ la che Descartes ha in mente. Verso la fine del XVII secolo, John Locke, nell' Essay Concerning Human Understanding, propone una visione della conoscenza umana basata su differenti gradi di certezza. Nel regno della conoscenza, accanto alla certezza di una dimostrazione matematica, vi è, allora, spazio per la probabilità, e accanto ai procedimenti deduttivi della geometria e dell'aritme­ tica, trovano spazio procedure di validazione, proprie delle scien­ ze naturali, basate su ragionamenti induttivi e sulla funzione chia­ ve degli esperimenti. Una visione assai più consona a come New­ ton concepisce la ricerca scientifica . L a visione dell'attività scientifica c h e emerge nella filosofia della scienza contemporanea è, certamente, più vicina a quella di Locke che a quella di Descartes. La filosofia della scienza attua-

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le vede, pur nei suoi molteplici orientamenti, la scienza come qualcosa in continua crescita e correzione. I filosofi della scienza ritengono la verità scientifica qualcosa alla quale tendere indefi­ nitamente senza mai avere la certezza di poterla raggiungere una volta per tutte, e le leggi scientifiche come sempre provvisorie, probabili e mai completamente definitive. L'immagine della ricer­ ca scientifica maggiormente condivisa nella nostra cultura è, forse, quella della barca di Neurath. Otto Neurath paragona la conoscenza umana ad un vascello sul quale siamo in perenne navigazione. Siamo costretti a riparare o a modificare la nostra barca restando al largo, poichè non possiamo mai armeggiarla e tirarla in secco. Questo vuol dire che non possiamo mai mettere a distanza il nostro corpus di conoscenze accettate, non abbiamo mai la possibilità di eliminare qualcosa senza sostituirlo con qual­ cosa di nuovo o, addirittura, di avere una barca completamente nuova, una scienza del tutto nuova . Contrariamente all'idea di Descartes che la conoscenza debba essere certa, le teorie accettate oggigiorno considerano la cono­ scenza come qualcosa di modificabile, qualcosa che può, almeno in linea di principio, essere sempre messo in discussione. Una delle concezioni più interessanti, e, forse, anche quella maggior­ mente condivisa, è quella che, prendendo le mosse da un'idea avanzata, discussa e poi scartata già nel Teeteto da Platone, vede la conoscenza come credenza vera e giustificata 1 • Gli storici sono in disaccordo s ulla natura del nuovo metodo che Descartes sostiene di possedere . Descartes stesso, d'altronde, non rende agevole il loro lavoro . Egli, infatti, ci ha lasciato due opere nelle quali parla del suo metodo: un trattato giovanile incompiuto, al quale gli editori dell'editio princeps hanno dato il titolo di Regulae ad directionem ingenii, e il D is cours de la méthode, p ubblicato come introduzione a tre saggi scientifici nel 1 63 7. Scritti sui quali è necessario fare alcune considerazioni. In primo luogo, nelle Regulae Descartes delinea un articolato pro­ getto di metodo, mentre nel Discours, dove sceglie di parlare pubblicamente del metodo, prescrive alcuni brevi precetti che, 1

Per una discussione approfondita si può vedere Dancy ( 1 98 5 ) , pp. 23 e sgg.

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afferma, riassumono tutto il proprio metodo. In secondo luogo, ricordiamo che le Regulae rimangono inedite almeno fino al 1 6 84, ma vengono composte entro il 1 62 9 . Nel XVII secolo, il progetto di metodo delle Regulae è conosciuto da pochissime per­ sone . Vivente Descartes, non risulta, infatti, che le Regulae siano conosciute da nessuno, e, fino alla publicazione della loro editio p rinceps, nel 1 70 1 , sono conosciute da una cerchia limitata di persone . Descartes, inoltre, non sembra fino al 1 637, data in cui comunica a Mersenne di volere includere nella pubblicazione dei suoi Essais un discorso sul meto do, incline a parlare del suo metodo . Nella corrispondenza di Descartes a noi pervenuta, non si trova, infatti, alcun riferimento alle Regulae, mentre il primo riferimento al Discours de la méthode risale al 1 63 7. Nel Discours de la méth ode, Descartes, come ho già accenna­ to, fornisce quattro brevi precetti, che finiranno con l'attirargli le critiche ironiche di Leibniz. Dalle critiche dei suoi contempora­ nei, Descartes si difende dicendo di avere voluto solamente par­ lare del metodo, e non scriverne un trattato . Sostiene, nondime­ no, tanto nel D iscours, quanto nella sua corrispondenza s ucces­ siva, che i risultati scientifici espressi nella Dioptrique, nelle Météores e nella Géométrie altro non siano che il frutto di que­ sto metodo . La ricerca di che cosa esattamente sia il metodo di Descartes, e soprattutto in quali testi si trovi, è u na delle preoccupazioni degli immediati successori di Descartes . Lipstorp ritiene che il metodo vada cercato nella Géométrie, Gassendi nelle Meditatio­ nes, mentre Poisson privilegia il D iscours de la méthodel. La storiografia ha lungamente ricercato in che cosa esattamen­ te consistesse il metodo di D escartes , rintracciando uno o più metodi, in generale incollando insieme testi o parti di testi anche cronologicamente molto lontani fra di loro . Non diversamente dagli immediati successori di Descartes, gli storici scelgono un luogo privilegiato, un testo o un insieme di testi, dai quali emer­ ga che cosa esattamente sia il metodo di Descartes. Un primo gruppo di studiosi ricerca il metodo, soprattutto, 2 Per un' analisi dettagliata di questa problematica rimandiamo a Borghero ( 1 990 ) .

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all' interno delle Meditationes. Hamelin ritenendo il metodo di Descartes applicabile solo a casi particolari non suscettibili di un'organizzazione, lo ritiene una propedeutica alla filosofia che condivide con la metafisica la radice comune del cogito3• Martial Gueroult4 ha ricostruito il metodo di Descartes come un ordine delle ragioni, ascrivendo, sulla scia di Jean Laporte5, già alle Regulae quel dubbio metodico che Descartes dice di avere sviluppato pienamente solo dopo il 1 63 7. Seguendo una linea che tende, dunque, a privilegiare le Meditationes, alcuni studiosi hanno considerato il metodo di Descartes come un metodo del dubbio6 • Un secondo gruppo di studiosi privilegia, invece, le opere scientifiche di Descartes . Emily Grosholz7 rintraccia un metodo di riduzione del quale Descartes si serve nelle Regu lae, nella prima parte dei Principia e nella Géométrie. Alcuni vedono, nelle opere di fisica, in particolare la Diop trique e le Météo res, il luogo privilegiato di applicazione del metodo, ove il filosofo usa un metodo diverso da quello ufficiale, insistendo s ul ruolo dell'espe­ rienza e dell'osservazione in Descartes. lzydora Dambska rintraccia in Descartes due metodi distin­ ti. Il primo è il metodo delle Regulae e del Discours, ed è basato sulla deduzione a partire da principi intuiti con chiarezza e distin­ zione . Il secondo è un metodo di cui Descartes si serve nella Dioptrique, nelle Météores e nei Principia, e, all'interno del quale l'uso delle ipotesi è centrale . La Dambska ritiene che questa seconda metodologia permetta a Descartes di rendere conto della pluralità delle ipotesi e delle teorie cosmologiche . De scartes è, allora, vicino ai s uoi « avversari» scettici, ed è un prec ursore di Hume. La studiosa polacca ha avuto il merito di porre l'attenzio­ ne s ull'uso cartesiano delle ipotesi, tuttavia, non chiarisce le ragioni che spingono il filosofo ad un uso intensivo delle ipotesi e dell'immaginazione nei suoi scritti di fisica8• 3 Vedi Hamelin ( 1 92 1 ) e , in particolare, le pp. 90- 1 0 6 . 4 Vedi Gueroult ( 1 99 1 ) , p. 1 6 . 5 Vedi Laporte ( 1 95 0 ) , p . 1 4 . 6 Vedi Williams ( 1 9 90), Flage-Bonnan ( 1 99 9 ) e Broughton ( 2002 ) . 7 Vedi Grosholz ( 1 99 1 ) . 8 Vedi Dambska ( 1 95 7 ) , pp. 56-66.

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Charles Larmore9 insiste sulle differenze fra l a metodologia della Dioptrique e delle Météores e la deduzione a partire da prin­ cipi della quale Descartes parla, tanto nelle Regulae, quanto nel Discours. Larmore ritiene che, per Descartes, le due cose non siano incompatibili . Neppure Larmore, tuttavia, chiarisce le ragioni c he inducono Descartes a proporre una metodologia diversa per la Dioptrique e le Météores. Wickes e Crombie1 0, poi, sottolineano che la metodologia basata sul ruolo delle ipotesi è utilizzata da D escartes ne Le Monde e nella Dioptrique. Aldo G. Gargani, insistendo sul ruolo centrale dell'esperienza in Descartes, descrive la metodologia scientifica cartesiana come una costruzione di modelli di spiegazione scientifica correlati con i fenomeni particolari tramite delle comparazioni con esperienze della vita quotidiana, di cui il filosofo fa ampio uso soprattutto nella Diop trique e delle Météores 1 1 • L'affascinante interpretazio­ ne di Gargani, tuttavia, attribuisce nozioni troppo moderne a Descartes, il quale si limita ad esibire delle analogie, delle com­ parazioni con esperienze, che chiunque può fare nella vita quoti­ diana, e illustrare i concetti della sua fisica tramite queste com­ parazioni, ma non ha in mente una nozione di modello. Nel Discours de la méthode, Descartes chiarisce la funzione di que­ sta metodologia, da egli ritenuta in grado di arrivare alla stessa certezza di una dimostrazione matematica, poiché la deduzione a partire da primi principi si è rivelata impratica bile . Descartes considera questo modo di argomentare un ripiego, e non il fon­ damento della sua metodologia investigativa . Desmond Clarke 12 sostiene che Descartes sviluppa una meto­ dologia di indagine scientifica di stampo prettamente empirista, che emerge nella corrispondenza scientifica e nei lavori scientifici del filosofo . Come vedremo nel corso di questo libro, i testi di Descar­ tes, tuttavia, non sembrano confermare una tesi così estrema. Una terza cerchia di stu diosi, osservando la presunta presen­ za di osservazioni incompatibili fra loro nel testo delle Regulae, 9 Vedi Larmore ( 1 9 8 7 ) . Vedi Wickes e Crombie ( 1 99 8 ) . 11 Vedi Gargani ( 1 9 7 1 ), pp. 1 3-26. 12 Vedi Clarke ( 1 9 8 2 ) . 10

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ricerca più metodi all'interno delle Regulae, oppure sostiene che il metodo cartesiano sia da intendere come un insieme di osser­ vazioni frammentarie. Alla prima linea di pensiero, appartiene Weber, che ritiene di rintracciare varie stesure delle Regulae, nelle quali Descartes svilupperebbe metodi diversi ed incompatibili fra di loro 1 3 • Eugenio Garin14, invece, e, sulla sua scia, Ettore Loj a­ cono considerano il metodo di Descartes delle Regulae più che altro come un insieme di osservazioni non sempre talmente coe­ renti da dar vita ad una metodologia, ma che costituiscono quel­ lo che Loj acono ha chiamato uno spazio epistemico15• Daniel Garber, in un importantissimo s aggio s ulla fisica di Descartes, sostiene che Descartes abbandoni l'idea di sviluppare un metodo universale allorché sceglie di diventare un « costrutto­ re di sistemi » filosofici, e di dedurre la propria fisica dalle cause metafisiche . Secondo Garber, Descartes ritiene il metodo applica­ bile solo a questioni particolari. Così, Descartes, nonostante scri­ va nel Discours de la méthode di possedere un metodo universa­ le migliore di quello usuale, in realtà, ha già abbandonato questo progetto1 6 • La tesi di Garber ha un suo indubbio fascino, e for­ nisce una spiegazione al fatto che Descartes, pur affermando di avere presentato i propri ragionamenti delle Meditationes secon­ do la via analitica, non utilizzi il suo metodo nella stesura dei Principia. Credo, inoltre, che Garber abbia ragione nel conside­ rare il metodo di Descartes poco importante tanto per la sua fisi­ ca quanto per la s ua metafisica . L'interpretazione di Garber, tut­ tavia, lascia aperte alcune questioni. In primo luogo, non riesce a spiegare perché Descarte s scriva nelle Regulae di cercare un metodo universale se lo ritiene in realtà applica bile solo a que­ stioni particolari. In secondo luogo, non si comprende né perché Descartes sostiene pubblicamente di avere un metodo universale nel D iscours de la méthode, se, in realtà, ha già cambiato idea, né perché difende questa sua pretesa negli anni successivi.

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Vedi Weber ( 1 972). Vedi Garin ( 1 9 9 9 ) . Vedi Lojacono ( 1 9 9 6 ). Vedi Garber (200 1 ) .

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L a maggior parte degli studiosi1 7 s i trova, però, d'accordo nel considerare il cuore del metodo di Descartes come una procedu­ ra a due stadi: l'analisi e la sintesi, generalmente intesi come uno stadio di riduzione ed uno di costruzione, due momenti netta­ mente separati e successivi l'uno all'altro. La prima formulazione di questa interpretazione del metodo di Descartes nei termini di analisi e sintesi, è, probabilmente, di Nico­ las Poisson. Questi ritiene che Descartes a bbia preso il meglio, tanto dell'analisi quanto della sintesi, intese sia come le due nozio­ ni di dimostrazione della tradizione aristotelica la demonstratio quod est e la demonstratio p ropter quid, delle quali parlerò esten­ sivamente nel primo capitolo, sia come le due nozioni logiche di composizione e scomposizione, frequentemente identificate con le due parti della logica, l'invenzione e il giudizio. L'idea che l'attività scientifica proceda tramite una s uccessio­ ne di analisi e sintesi si rivela, in realtà, più consona all'immagi­ ne dell'attività scientifica che darà Sir lsaac Newton, una trenti­ na di anni dopo la pubblicazione del libro di Poisson 1 8 • Nella filosofia della scienza contemporanea, sono, soprattut­ to, i lavori di Imre Lakatos a influenzare tale visione del metodo di Descartes come una combinazione, un « circuito» nelle parole di Lakatos, di analisi e sintesi, derivato dal metodo dell'analisi e della sintesi di Pappo1 9 • Descartes è stato, p o i , visto d a Yvon Belava! e lan Hacking come un filosofo della matematica intuizionista, o come qualcu­ no assai vicino o simpatetico con le posizioni intuizioniste20• Secondo gli intuizionisti, una dimostrazione è una costruzione mentale la cui caratteristica essenziale è quella di non fare uso del principio del terzo escluso, ma solo di quello di non contraddizio­ ne . Nella formalizzazione della logica classica i due principi sono equivalenti, mentre nella formalizzazione della logica intuizioni­ sta, i due principi non sono più equivalenti, e il principio del terzo 17 «È uso generalmente accettato presso coloro che scrivono sulla filosofia carte­ siana decrivere la seconda regola del D iscours come la regola dell'analisi e la terza regola è allora descritta come la regola della sintesi>> Beck ( 1 952 ), p. 1 5 6 . 1s Vedi Poisson ( 1 670 ) . 19 Vedi Lakatos ( 1 97 8 ) . 20 Vedi Belava! ( 1 960) e Hacking ( 1 98 0 ) .

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escluso non è neanche dimostrabile, poiché, affermando che fra una proposizione e la sua negazione almeno una delle due è vera, non permette di sapere esattamente quale delle due proposizioni sia vera e quale falsa . Descartes non utilizza mai dimostrazioni per assurdo, e, poiché alcuni tipi di dimostrazione per assurdo fanno uso del principio del terzo escluso, Belaval e Hacking avvi­ cinano D escartes agli intuizionisti. In realtà, mi sembra storica­ mente poco accurato avvicinare Descartes all'intuizionismo. L'in­ tero dibattito sui fondamenti della matematica, svoltosi fra la fine del XIX secolo e i primi trenta anni del XX secolo, non solo è sco­ nosciuto a Descartes, ma gli sarebbe risultato incomprensibile. È vero che Descartes, non utilizza mai nella Géométrie dimostra­ zioni per assurdo, e si esprime più volte contro il loro uso, tutta­ via, non è in grado di rifiutarle, per il semplice fatto che non vede come se ne possa fare a meno. Ad esempio, Descartes afferma che il proprio metodo per determinare la tangente a una c urva è migliore di quello di Fermat anche perché è un metodo diretto e non come quello del suo avversario un ragionamento per assur­ do, senza, tuttavia, sostenere che la dimostrazione di Fermat debba essere tradotta in una dimostrazione diretta . Q uesta breve disamina della storiografia sul metodo cartesia­ no non può dimenticare l'importante lavoro di comprensione delle opere scientifiche di Descartes da parte degli storici della scienza. Oltre ai classici lavori di Alexandre Koyré e Etienne Gil­ son che hanno contribuito a gettare maggiore luce sul metodo di Descartes, sono gli storici della fisica2 1 , gli storici della matema­ tica22 e quelli dell' ottica23 a dare i contributi più significativi . Dove, da un lato, si dà un'immagine delle ricerche matematiche, meccaniche e ottiche di Descartes molto più accurata, e, dall'al­ tro si sfatano ampiamente una serie di lu oghi comuni sulla sua matematica. 21 Vedi in particolare Shea ( 1 99 1 ), Garber ( 1 99 9 ) e (200 1 ) e Gau kroger (200 1 ) . 2 2 Fra gli scritti più s ignificativi ricordiamo: Boyer ( 1 9 5 7 ) , Molland ( 1 9 7 6 ) , Lenoir ( 1 979), Bos ( 1 98 1 ), Gabe ( 1 98 3 ), Vuillemin ( 1 987), Bos ( 1 98 9 ) , Giusti ( 1 990), Serfati ( 1 994), Mancosu ( 1 996), Jullien ( 1 99 6 ) , Houzel ( 1 997), Rashed ( 1 99 7 ) , Isra­ el ( 1 99 8 ), Serfati (2000) e Bos (2001 ) . 2 3 I principali lavori nei quali, a vario titolo, s i tratta dell'ottica d i Descartes sono: Sabra ( 1 96 7 ) , Shapiro ( 1 9 74), Bernhard ( 1 979), Smith ( 1 98 7 ), Malet ( 1 990) e Dij k­ sterhuis F. J. (2004 ) .

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Nonostante siano numerosi lavori sul metodo d i Descartes, rimangono, ancora, alcune questioni aperte, alle quali cercherò di dare una risposta in questo libro. In primo luogo, la relazione fra il metodo di Descartes e il contesto delle riflessioni scientifi­ che cartesiane degli anni '20. In secondo luogo, la relazione del metodo di Descartes con la disc ussione sul metodo nel secolo XVII. In terzo luogo, la ragione per la quale Descartes decise di non pubblicare le Regulae e perché scelse di scrivere il Discou rs. Infine, il motivo per cui Descartes sembra utilizzare il metodo nelle Meditationes ma non nei Principia. In questo libro, cerco di dimostrare come Descartes non abbandona il progetto di metodo per persegu ire la fondazione metafisica della fisica, bensì perché è questo stesso progetto a fal­ lire . L'ideale di un metodo universale derivato dal giovanile inte­ resse cartesiano per la matematica, una volta applicato alle ricer­ che fisiche e filosofiche, mostra tutti i suoi limiti, tuttavia, Descar­ tes lo conserva sempre come suo ideale per la ricerca scientifica . L'interpretazione proposta in questo lavoro considera il metodo di Descartes come un progetto di ricerca concepito come una forma di metodo dell'analisi, ove le due azioni di ridurre ed ordi­ nare, descritte tanto nelle Regulae quanto nel Discours, non sono successive ma contemporanee . A tale scopo, fornisco una rico­ struzione del progetto metodico delle Regulae con una discussio­ ne approfondita del ruolo delle facoltà dell'intelletto e delle sue azioni dell'intuizione e della deduzione, nonché della facoltà del­ l'immaginazione e delle sue principali funzioni. Seguo, inoltre, lo sviluppo delle idee sul metodo nel corso degli anni, mostrando perché Descartes ritiene, nel 1 6 3 7, di non pubblicare le Regulae come prefazione ai suoi tre Essais scientifici, ma sceglie, invece, di pubblicare il Discou rs de la méthode; un discorso, appunto, e non un trattato sul metodo. Non mi occupo delle opere biologiche di Descartes, de l'Horn­ me, pubblicato postumo nel 1 6 64, in particolare, né di un'opera dalle molteplici sfaccettature come le Passions de tame ( 1 649), e neppure, se non marginalmente, dei Principia ph ilosophiae ( 1 644 ) . Per quanto riguarda le opere biologiche di Descartes,

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sono necessarie, però, alcune considerazioni. L'Homme costitui­ sce la seconda parte de Le Monde, le considerazioni metodologi­ che nella prima parte si applicano anche alla seconda, seb bene dalla lettura dell'Homme traspaia molto meno facilmente quel ruolo dell'immaginazione che, invece, salta immediatamente agli occhi dalla lettura de Le Monde. Bisogna rilevare, però, che Descartes non si preoccupa di precisare la collocazione rispetto al proprio metodo né de l'Homme né delle Passions de l'ame. Da un lato, Descartes, in queste due opere, sembra non avere avuto par­ ticolari preoccupazioni metodologiche. Dall'altro, nei suoi scritti dedicati direttamente al metodo, le Regulae e il Discou rs de la méth ode, non fa riferimenti significativi alle scienze della vita . Nelle Regulae non utilizza mai esempi tratti dalle scienze biologi­ che e mediche, ma solo dalle discipline matematiche, dalla mec­ canica, dall'ottica e dall'astronomia. Nel D iscours de la méth o­ de, riassumendo il percorso filosofico che lo ha portato a trovare il proprio metodo, cita la logica, l'analisi degli antichi geometri e l'algebra dei moderni, come fonti, a vario titolo, del suo metodo, ma non altre discipline . Epp ure esempi di influenze importanti delle opere del medico antico Galeno sulla metodologia scientifi­ ca dell'Aristotelismo rinascimentale certo non mancano. A parti­ re dal Conciliator ph ilosophorum di Pietro d'Abano, le osserva­ zioni metodologiche di Galeno sulla ricerca delle cause delle malattie sono, soprattutto all'interno della Scuola di Padova, ma non solo, spesso combinate con la teoria della dimostrazione di Aristotele, e, nell'ambito degli studi sulla retorica, sono utilizza­ te per spiegare, l'ordine e la disposizione degli argomenti24• Non sappiamo con certezza se e quanto Descartes conoscesse di questa tradizione, quello che è certo è che non la annovera fra le fonti delle proprie idee sul metodo . Per comprendere le ragioni p e r c u i l e opere biologiche di Descartes non sembrano essere rilevanti per il suo metodo, dob­ biamo prendere in considerazione alcuni fatti. Nella ricerca del proprio metodo, da un lato Descartes trae meno spunti dalle 2 4 Vedi Gilbert ( 1 96 3 ) . Ad esempio, nella parafrasi di Martino Acakia dell'Ars Parva di Galeno, le idee di Galeno sono interpretate alla luce della teoria della dimo­ strazione di Aristotele. Vedi Galeno ( 1 54 8 ), pp. 5- 1 2 .

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scienze che meno sono sviluppate alla s u a epoca, e che resteran­ no ai margini della Rivoluzione Scientifica. La biologia ha, infat­ ti, la sua « rivoluzione scientifica » solo nell'Ottocento . Da un altro, o forse proprio per questo, le scienze biologiche costitui­ scono per D escartes una fonte sicuramente minore non solo di suggestioni, ma anche di problemi per il suo progetto. Sì, anche una fonte minore di problemi, poiché, mentre le scienze fisiche pongono a Descartes dei problemi alla sua scelta di costruire un metodo unico per tutte le scienze, le osservazioni biologiche, le dissezioni di animali che Descartes fa negli anni '3 0, e delle quali scrive nella sua corrispondenza, non richiedono ancora quella nozione di esperimento che secondo Alexandre Koyré la scienza moderna sviluppa a partire dalla scuola di Galileo e che è una delle novità peculiari del Seicento . Così, sebbene Descartes scriva a Mersenne di sperare di trova­ re una medicina universale, e, ancora nell'ottobre del 1 645, comu­ nichi al Marchese di Newcastle che la conservazione della salute è stato il fine principale dei propri studi25, in realtà, non possediamo alcuna evidenza testuale che questo progetto sia mai realmente per­ seguito, o che raggiunga dei risultati. La conclusione della ricerca di una medicina che possa ambire ad allungare la vita è risolta da Descartes con un'aperta ammissione di fallimento e una sublima­ zione in chiave morale della questione : il 1 5 giugno del 1 646 Descartes scrive a Chanut di avere molto lavorato alla ricerca dei mezzi per conservare la vita, ma di averne trovato « Un altro ben più facile e sicuro » : cioè di non avere paura della morte26 • Questo lavoro consta di cinque capitoli. A maggiore agio del lettore ne riassumo brevemente il contenuto. Il capitolo 1 esami­ na il dibattito sul metodo nel XVI secolo, affrontando le princi­ pali questioni che Descartes si trova di fronte, sottolineando le distinzioni fra la teoria aristotelica della dimostrazione e l'anali­ si degli antichi geometri, e mostrando come queste due tradizio­ ni, a partire dalla fine del XVI secolo, da parte degli aristotelici e da parte di pensatori come Mersenne e Hobbes le cui relazioni

2s 26

A. T., vol. IV, p. 442. A. T., vol. IV, p. 442.

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con l'aristotelismo sono articolate e complesse, allorché l'analisi degli antichi geometri viene riscoperta, ma sono tenute distinte da Viète e dalla sua scuola . Nel capitolo 2, analizzo il tentativo cartesiano di dare un metodo universale nelle Regulae, esaminan­ do la centralità della distinzione fra concepire, l'attività dell'in­ telletto, e immaginare. Mostro, inoltre, come solo l'intelletto può farci giungere alla conoscenza certa tramite l'intuizione e la dedu­ zione, mentre all'immaginazione sono riservati i compiti di pre­ sentare all'intelletto gli oggetti sotto forma di figure e la capaci­ tà di formulare ipotesi. Qui fornisco una descrizione accurata del ruolo, importante ma circoscritto, svolto dalle ipotesi nel meto­ do delle Regulae, e della funzione dell'analogia, e analizzo il ruolo peculiare dell'induzione nel processo conoscitivo. Un'atten­ zione particolare, poi, riservo alle regole V e VI, che D escartes ritiene costituire il nucleo centrale del suo metodo. Mi soffermo anche sul concetto di ordine, espres so da Descartes nelle due regole sopra citate, e confuto l'idea diffusa che queste due rego­ le siano un metodo che combina l'analisi e la sintesi che Descar­ tes avre bbe ripreso da Pappo e, infine, sostengo la tesi che la mathesis universalis cui Descartes si riferisce nella regola IV, non sia niente di distinto dal suo metodo. Il capitolo 3 ripercorre la formazione della fisica di Descartes negli anni '30, ricostruisce i ragionamenti cartesiani ne le Monde, mostrando il ruolo preponderante dell'immaginazione, delle ipo­ tesi e dell'analogia in questo trattato, mostra come questo modo di ragionare sia analogo al modo di dimostrare tanto della Diop­ trique, quanto delle Météores, e sottolinea la giustificazione data nel D iscours de la méthode. Qui mostro come Descartes consi­ dera questo un metodo inferiore, ma compatibile con il suo idea­ le di scienza, e considero le critiche dei contemporanei a questo modo di dimostrare e l'affinità del metodo della fisica degli anni '3 0 di Descartes con la nozione di esperimento mentale . Nel capitolo 4 , analizzo l a struttura delle dimostrazioni della Géométrie, mostrando come si rintraccino qui molte idee già espresse nelle Regulae: la distinzione fra immaginare e concepi­ re, il ruolo dell'immaginazione come facoltà che presenta gli oggetti sotto forma di immagini all'intelletto, e la nozione di ordi­ ne come prodotto del vero metodo in opposizione all'ordine pro-

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dotto dal metodo assiomatico. Faccio, inoltre, vedere come non sia possibile identificare il secondo e il terzo dei precetti del meto­ do del Discou rs de la méthode con le nozioni di analisi e sintesi, come non sia possibile descrivere il meto do del D iscou rs come una combinazione di analisi e sintesi, un metodo diviso in due stadi, dove il primo stadio consisterebbe nella riduzione di pro­ posizioni complesse in semplici, e il secondo nell'attività di ordi­ nare le proposizioni una volta trovate. Mostro, invece, che Descartes ritiene il suo metodo una forma di metodo dell'analisi basato sulle due attività simultanee di ridurre ed ordinare . Il capitolo 5 fa vedere la ripresa nelle Meditationes e nei Prin­ cipia della distinzione fra immaginare e concepire, e mostra come l'ideale della scienza cartesiana sia quello espresso nelle Regulae. Si sofferma, inoltre, s ul ruolo delle ipotesi nei Principia, nonché sulle ragioni per le quali Descartes non si serve del suo metodo nei Principia. Questo libro è il risultato della rielaborazione della mia tesi di dottorato, alla quale ho lavorato all ' università di Roma « La Sapienza » negli anni compresi fra il 2000 e il 2003 , sotto la supervisione di Giorgio Israel, al quale va tutta la mia riconoscen­ za per le s ue acute osservazioni critiche e per le discussioni avute con lui. Ho avuto, anche, modo di collaborare con Jean Dhom­ bres all'Ecole cles Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, che ringrazio vivamente. Un ringraziamento speciale ad Antoni Malet, con il quale, durante questi ultimi tre anni, ho avuto modo di discutere innu­ merevoli questioni di storia della scienza, per le s ue osservazioni sempre stimolanti ed illuminanti. Per la redazione di questo libro ho avuto modo di consultare gli archivi della Dibner Library, Washington d . C . , grazie ad una borsa di studio concessami dalle Smithsonian Institution Libra­ ries, che desidero qui ringraziare per la loro generosità . Un rin­ graziamento particolare a Ron Brashear, all'epoca Head of Spe­ cial Collections della Dibner Library. Desidero, inoltre, ringraziare il Ministerio Educaci6n y Ciencia che mi ha generosamente concesso per gli anni 2005-2006 una borsa di studio, grazie alla quale, ho potuto collaborare all'attivi-

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tà del Grup de recerca in Historia de la Ciencia dell'Universitat Pompeu Fabra di Barcellona e per gli anni 2007- 1 0 un contratto come ricercatore del programma « ]uan de la Cierva». Alcune persone hanno avuto modo di leggere una versione precedente di questo lavoro, fra di esse, desidero ringraziare in particolar modo Mirella Capozzi per le sue preziose osservazio­ ni e critiche, Giulia Belgioioso per il suo incoraggiamento, Nun­ zio Allocca per i suoi suggerimenti e Carlo Borghero per le sue osservazioni critiche . Un ringraziamento speciale va a Maddale­ na Cerrato, sia per le sue s empre acute osservazioni, sia per l'amore con il quale mi ha aiutato a rendere l' esp osizione più chiara e più fluida . In questi ultimi anni ho avuto la possibilità di discutere le idee espresse in questo lavoro con varie persone, e di esporne alcune nelle seguenti circostanze : nel workshop su « Regole e ragioni nella filosofia moderna» organizzato da Tito Magri nel 200 1 presso l'università di Roma « La Sapienza», che qui ringrazio per l'opportunità datami, all'annuale meeting della British Society for the History of Science a York nel luglio 2 00 3 , a un atélier alla scuola estiva di Macea, Romania nel settembre 2003, organizza­ to da Vlad Alexandrescu, e alla conferenza biennale della Histo­ ry of Philosophy of Science Society a S. Francisco nel giugno del 2004. Ringrazio in particolare per le loro critiche ed osservazio­ ni: Mic hele Alessandrelli, Vla d Alexandrescu, Cesare Cozzo, Daniel Garber, Emanuele Levi-Mortera , Frank Linhard, Gian­ franco Pellegrino, Daniele Santoro, Michel Serfati, Ruggero Tara­ del e Stefano Vaselli. Desidero, inoltre, ringraziare Mario De Caro, senza il cui aiuto, questo libro, difficilmente, avrebbe visto luce in tempi brevi. Vorrei, infine, ringraziare Carlo Cellucci per i suoi preziosi insegnamenti nel campo della logica e della filoso­ fia della matematica, grazie ai quali debbo l'interesse per la filo­ sofia della scienza di Descartes . Naturalmente, l a responsabilità d i ogni affermazione conte­ nuta in questo libro è solamente mia. Barcellona, dicembre 2007

Capitolo primo Il dibattito sul metodo nel XVI e nel XVI I secolo

1 . 1 Il metodo nel Rinascimento Descartes non è certo il primo a scrivere sul metodo . Al con­ trario, nel secolo precedente, di metodo se ne parla fin troppo. Nel XVI secolo, la parola metodo ha tre accezioni principali. Nella prima accezione il metodo è un'arte per la ricerca degli argomenti, o un'arte per esporre le conoscenze, e ha, dunque, una funzione essenzialmente didattica. Questa concezione del metodo si sviluppa nell'ambito della ripresa umanistica dell'interesse per gli studi sulla retorica e sulla dialettica. n metodo è considerato una teoria, o un insieme di principi volti a presentare gli argomenti nella retorica, oppure a comunicare e trasmettere conoscenze acquisite in qualche altra maniera. È questa una visione congeniale a quegli intellettuali che vedono lo scopo principale degli studi nella forma­ zione e nell'educazione dell'uomo. Non a caso è una visione molto apprezzata negli ambienti universitari protestanti dove forte è il bisogno di possedere una chiara metodologia espositiva. n XVI secolo vede, infatti, il proliferare di manuali per l'insegnamento di singole discipline recanti nel titolo stesso la parola metodo. Bisogna, inoltre, ricordare che nel mondo protestante hanno vasta eco le idee di Pierre de la Ramée1 , considerato un martire della religione rifor­ mata, in seguito alla sua tragica morte nella notte di S. Bartolomeo. Pierre de La Ramée intende il metodo come una parte ben definita della dialettica, le sue idee si diffondono, soprattutto, al di là della Manica, dove si sviluppa, un importante dibattito intorno al rami­ smo2, che ha, anche, una certa influenza su Francis Bacon2. 1 Vedi Garin ( 1 9 8 7 ) . 2 Vedi Gilbert ( 1 960),

pp.

1 97-2 1 2 .

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Nella seconda accezione, il metodo è considerato utile alla ricerca scientifica. Questa seconda concezione si diffonde, in par­ ticolar modo, negli ambienti dell'Aristotelismo padovano, e, in particolare con le opere di Giacomo (o Jacopo ) Zabarella ( 1 5 3 3 1 5 8 9 ) . Nel Liber de regressu, Za barella combina insieme i due tipi di dimostrazione aristotelica, la demonstratio p ropter quid e la demonstratio quia, alle quali ci si riferisce oramai anche come dimostrazioni che vanno rispettivamente « dalle cause agli effet­ ti» e « dagli effetti alle cau se», in un unico metodo. Zabarella mantiene, però, distinte la metodologia per la ricerca scientifica, il metodo propriamente detto, e la teoria dell'insegnamento3 • La terza accezione si incontra nelle opere del grande medico antico Claudio Galeno ( 1 29- 1 99 ) . In particolare, nell' Ars parva, nell'esposizione dell' Ars medica da parte di Ali Ibn Ridwan, che viene tradotta in latino all'inizio del Quattordicesimo secolo, e nella Methodus medendi. Da queste opere gli autori rinascimen­ tali derivano una concezione del metodo come un insieme di prin­ cipi e tecniche di cura delle malattie. Non si deve pensare, tuttavia, che queste tre accezioni del metodo siano radicalmente separate . Al contrario, esse risultano spesso combinate fra di loro, nonostante siano state concepite per obiettivi diversi: la prima concezione riserva al metodo una fun­ zione meramente didattica, la seconda aspira a stabilire una metodologia per la ricerca nelle scienze, mentre la terza è un insieme di tecniche e di principi per la diagnosi e la cura delle malattie . Le ragioni di tale eclettismo sono tanto culturali quan­ to sociologiche. In primo luogo, bisogna tenere presente la vasti­ tà degli interessi di molti autori, e, in secondo luogo, il fatto che spesso gli stessi autori si trovano ad essere interessati tanto alla logica e all'eloquenza quanto alla medicina e, soprattutto in Ita­ lia, a tenere corsi universitari sia di logica che di medicina . Durante il Rinascimento, la logica e la filosofia naturale sono considerate propedeutiche alla medicina nella formulazione degli statuti di molte università, come, ad esempio, in quello promul­ gato a Bologna nel 1 405 . È necessario, inoltre, considerare che, come osserva Gilbert, l'esegesi stessa delle idee di Galeno sul 3 Vedi Zabarella ( 1 96 6 ) ,

pp.

1 3 8- 1 3 9 .

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metodo è piuttosto difficile, poiché sembra parlare, in alcuni casi di un metodo solo, in altri di più metodi, nonché sembra combi­ nare la dialettica di Platone con le teorie di Aristotele4• Naturalmente i differenti autori assumono posizioni diverse a seconda se il loro obiettivo sia quello di costruire una metodolo­ gia didattica o una metodologia di investigazione per le scienze . In alcuni casi si tende , inoltre , a mostrare la superiorità di un metodo concepito per fini didattici anche come metodologia per la ricerca scientifica . Johann Sturm, nelle sue Partitionum dialec­ ticarum libri quatuor, combina le due dimostrazioni di Aristote­ le, la demonstratio quod est e la demonstratio propter quid, con la tripartizione di Galeno in analisi, sintesi e definizione, al fine di esporre una disciplina per l'insegnamento e la trasmissione delle conoscenze5 • Sturm combina, cioè, tutte e tre le accezioni della parola metodo . Philipp Schwarzerd, meglio noto in italiano come Filippo Melantone , ( 1 497-1 5 6 0 ) , uno dei maggiori protagonisti della Riforma, nei suoi E rotemata dialecticae è, probabilmente, il primo a dedicare una sezione specifica al metodo. Melantone caratterizza il metodo come una teoria per esporre in maniera chiara gli argomenti, insistendo, al contempo, sulla sua funzione di strumento di acquisizione di nuove conoscenzé. È importante notare che Melantone sostiene la validità della sua concezione del metodo nel processo di scoperta scientifica, poiché mira a mostra­ re la superiorità delle proprie idee sulla tradizione aristotelica . Gli obiettivi di Melantone, però, sono meramente didattici. Come ho già ricordato, nel mondo protestante, l'opera di Pier­ re de la Ramée genera fra i suoi seguaci e i difensori di Aristote­ le un certo dibattito sul ruolo della logica . In Germania, le posi­ zioni di Pierre de la Ramée vengono avvicinate a quelle di Melan­ tone e Sturm dai cosidetti « Filippo-ramisti», i più importanti dei quali sono Bilstenius, autore della Dialectica in qua P. Rami, Ph . Melanchtoni p raecepta coniuguntur del 1 594 , e Libavius, che, nel 1 60 8 , scrive una Dialectica Ph ilippo-ramista7• 4 5 6 7

Vedi Vedi Vedi Vedi

Gilbert ( 1 9 6 0 ) , pp. 45-46. Sturm ( 1 54 8 ) . Melantone ( 1 55 2 ) . Bilstenius ( 1 594) e Libavius ( 1 60 8 ) .

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La concezione della dimostrazione Aristotelica è sovente com­ binata con le idee di Galeno . Il primo a operare una sintesi fra le tre dimostrazioni di Averroè e la metodologia tripartita di Gale­ no è, con ogni probabilità, Pietro d'Abano. Nell'ambito dello Stu­ dio Padovano, Marco Antonio Zimara ( 1 46 0 - 1 523 ) si esprime contro tale identificazione . Girolamo Capivacci, nel 1 5 62, com­ bina le due dimostrazioni di Aristotele con le idee di Galeno . Nel de D ifferentiis doctrinarum, Capivacci sostiene che le vie per ordinare e insegnare una disciplina scientifiche sono le tre vie di Galeno: analisi, composizione e definizione. Alessandro Piccolomini ( 1 50 8 - 1 5 7 8 ) riprende la ripartizione del metodo data da Proclo . Nell' Instrumento della filosofia, pub­ blicato a Roma nel 1 5 5 1 , unita mente alla Prima e alla seconda parte della filosofia naturale, che è, con ogni probabilità, il primo corso introduttivo di logica e di fisica in volgare , seguendo la ripartizione di Proclo8, si legge che le vie per ordinare il sa pere sono cinque : la via divisiva, la via resolutiva, la via compositiva, la via definitiva, ed infine la via dimostrativa9• Bisogna notare che, se bbene Piccolomini, seguendo la letteratura matematica, preferisca usare il termine via, il campo semantico del termine via non è, nella trattazione di Piccolomini, distinguibile da quello di metodo : anche Piccolomini, sulla scorta di Proclo, combina le idee di Aristotele con quelle di Galeno. Pietro Catena ( 1 50 1 - 1 5 76 ) che, pure, è avversario di Piccolo­ mini nella controversia sulla certitudine mathematicarum, utiliz­ za la stessa divisione del metodo in cinque parti di Piccolomini . Catena intende il metodo come una maniera di insegnare . Nella sua O ratio pro idea metodi ( 1 563 ), Catena, al contrario di Pic­ colomini, utilizza la parola metodo e ascrive la divisione diretta­ mente ad Aristotele e Galeno 10• L' umanista francese Guillaume Budé ( 1 46 7 - 1 540 ) , nel suo commento alle Pandette ( 1 5 3 5 ), citando, da un lato la tradizio­ ne della retorica di Cicerone e Quintiliano, e dall'altro la tradi­ zione medica di Galeno e lppocrate di Cos, definisce il metodo 8 Vedi Proclus ( 1 992), p . 35. 9 Vedi Piccolomini ( 1 5 5 1 ), p . 1 5 8 . to Vedi Catena ( 1 55 6 ) , pp. 5-6 .

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come via e ragione dell'insegnamento . Nel 1 55 3 , scrive la prefa­ zione alla traduzione della Methodus medendi di Galeno 1 1 • L'accezione di metodo come teoria dell'insegnamento la ritro­ viamo all'inizio del XVII secolo nel Lexicon di Rudolf Gockel ( Goclenius) ( 1 54 7- 1 62 8 ) , pubblicato nel 1 6 1 3 . Alla voce metodo leggiamo, infatti, che « per metodo comunemente si intende ogni dottrina di insegnamento » 12• Dalla spiegazione di Gockel si nota come le tre accezioni rinascimentali siano vive. Gockel distingue cinque possibili sensi della parola metodo, o espressioni che fanno uso della parola metodo. Secondo Gockel, in primo luogo il meto­ do può essere un processo illativo, o via intellettuale da ciò che è noto a ciò che è ignoto. Questa prima accezione si suddivide, a sua volta, in due: la via dimostrativa dalla causa all'effetto e la via analitica o secondaria dall'effetto alla causa. In secondo luogo, si parla di disciplina trasmessa con metodo . In terzo luogo, il meto­ do è inteso come via illativa e ordine di apprendimento. In quar­ to luogo, il metodo può essere un ordine di apprendimento, oppu­ re una collocazione dei precetti antecedenti rispetto a quelli con­ seguenti. Infine il metodo è un ordine e uristico. Sono state fatte varie ipotesi sulla possibile derivazione delle idee di Descartes sul metodo. Già nel 1 64 1 , Joachim Htibner e Theodore Haack scrivendo a Mersenne, avanzano l'idea di una possibile connessione fra il metodo analitico di Descartes e l'ope­ ra di Jacopo Aconcio ( 1 492- 1 5 6 6 ) , De methodo. Questa idea è ripresa successivamente da Adrien Baillet ( 1 649- 1 706 ) , autore della Vie de Monsieu r Descartes ( 1 6 9 1 ) , in due volumi, la più completa biografia di Descartes del XVII secolo 1 3 • Aconcio intende il metodo come un'arte, tanto per trovare le conoscenze quanto per esporle, combinando la demonstratio p ropter quid e la demonstratio quod est di Aristotele. Non pos­ siamo sapere se e quanto Descartes conoscesse di questa lettera11 Vedi Budé ( 1 5 3 5 ) e Galeno ( 1 5 5 3 ) . Su Budé vedi Garin ( 1 98 7) . 12 Gocleniu s ( 1 9 8 0 ) , p . 6 8 3 . 13 Vedi Mersenne ( 1 932-8 8 ) , vol. X , p . 729, Accontius ( 1 60 8 ) , Baillet ( 1 6 9 1 ), vol. II, p. 1 3 8 . L'idea è stata ripresa e discussa da De Vleeschauweer ( 1 9 3 2 ) e Bonicalzi ( 1 990 ) .

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tura sul metodo. È importante notare, però, che Descartes, nei suoi scritti, pubblicati e non, non mostra di essere implicato in questo dibattito . Descartes non si limita ad applicare la logica aristotelica al pro­ blema della scoperta scientifica, come facevano i fautori della cosi­ detta teoria del regressus. Nelle Regulae, dà una valutazione som­ maria e impietosa, tanto della dialettica, quanto della retorica e della logica, accomunate dall'essere ritenute sterili e inutili. Gli unici debiti Descartes li riconosce nei confronti della letteratura matematica . È, inoltre, importante notare che il nome di Pierre de la Ramée ricorre pochissime volte nella corrispondenza di Descar­ tes, e solo per indicare la cattedra di de la Ramée, mai le sue idee. Si possono sostenere varie ipotesi sui debiti non dichiarati di Descarte s . Bisogna considerare, tuttavia, che vi è qualcosa che Descartes introduce di nuovo. Nel 1 6 3 7, egli non presenta il pro­ prio metodo come una nozione meramente teorica . Non lo pre­ senta come una quarta parte di un manuale di logica, come, ad esempio, fa Gassendi ancora nel 1 6 5 8 . Negli Essais, il metodo non viene consegnato al lettore come una teoria dell'insegnamen­ to incorporata in un manuale, un compendio di risultati, in sostanza, già noti, né come una metodologia per l'insegnamento delle scienze propedeutica alle scienze stesse. Il D iscou rs de la méthode è stampato unitamente a tre saggi che presentano le sco­ perte scientifiche del filosofo e scienziato, scoperte che, qualora avessero tutta la portata che il loro autore gli attrib uisce, non sarebbero certo di poco conto. Descartes presenta, infatti, la solu­ zione del problema fondamentale dell'ottica del Seicento : la determinazione quantitativa del fenomeno della rifrazione. Descartes spiega il fenomeno della rifrazione a partire da una nuova fisica, non esposta poiché ritienuta indissolubilmente lega­ ta all'ipotesi copernicana, e tuttavia, lasciata intravedere nella Dioptrique e nelle Météores . Egli propone, inoltre, la soluzione di un problema matematico lasciato aperto dagli antichi: il cosi­ detto problema di Pappo . La soluzione di questo problema rive­ ste una funzione importantissima dato c he induce una nuova classificazione delle curve. Il filosofo ritiene, inoltre, di avere dato un metodo per risolvere qualsiasi problema di geometria si possa porre in futuro. Tutte queste scoperte, asserisce, sono il frutto del

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proprio metodo. Sono proprio questi risultati scientifici, secon­ do Descartes , a mostrare la superiorità del proprio metodo su tutta la tradizione precedente, sulle dispute dei dialettici e sui lun­ ghi e verbosi precetti dei logici. Quale degli autori rinascimenta­ li può vantarsi di simili risultati ? Naturalmente non tutto funzio­ na secondo le intenzioni di Descartes.

1 .2 L'analisi e la sintesi degli antichi geometri Le due fonti principali del metodo di Descartes sono l'analisi degli antichi e l'algebra dei moderni. Nelle Regulae, Descartes scrive di essere stato colpito dall'ana­ lisi degli antichi geometri, che la traduzione da parte di Comman­ dino della Collezione matematica di Pappo, pubblicata nel 1 5 8 8 da Guidobaldo del Monte, rende oramai accessibile, e dall'alge­ bra di Viète e dei sui successori, che egli vede come una ripresa del metodo dell'analisi degli antichi geometri14• La sintesi o mos geometricus è la maniera di dimostrare degli Elementi di Euclide. Date alcune definizioni preliminari, la sintesi assume alcune proposizioni primitive, assiomi logici e postulati (assiomi specifici per la data teoria ) , la cui verità si considera auto­ evidente. Una dimostrazione è, allora, una successione finita di pro­ posizioni, ognuna delle quali o è una proposizione primitiva o è dedotta dagli assiomi e dalle proposizioni dedotte dagli assiomi. Nel XVII secolo, il metodo assiomatico è considerato qualco­ sa di talmente chiaro che Blaise Pascal può scrivere, all'inizio de L'esp rit géométrique, che non vi è alcuna necessità di spiegare in cosa consista il modo di dimostrare della geometria e di scrivere un discorso preliminare ad un lavoro di geometria, poiché le dimostrazioni geometriche mostrano da sé la maniera corretta di dimostrare . Il riferimento polemico è, ovviamente, qualcuno che, poco più di venti anni prima, ha scritto un discorso preliminare ad un'opera di geometria, dove si è premunito di spiegarne il metodo, René Descartes 1 5 • 1 4 A.T., vol. X , p . 377. 15 Vedi Pasca! ( 1 96 3 ), p . 3 4 8 .

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Fra i filosofi del Seicento, la sintesi gode di una straordinaria fortuna. Spinoza, non solo riscrive in gioventù i Princip ia philo­ sophiae di Descartes in maniera rigidamente assiomatica, ma scrive anche la sua opera più importante ordinando le proposi­ zioni secondo il mos geometricus . Hobbes è notevolmente influenzato dal suo incontro con Euclide . Leibniz sostiene la superiorità della sintesi sull'analisi non solo come procedura di esposizione della conoscenza, come vuole Descartes, ma anche come metodo di scoperta . Nel XVII secolo, allora, il modo di dimostrare del mos geo­ metricus, la sintesi, è decisamente chiaro, poiché si può evincere chiaramente dalla struttura degli Elementi di Euclide. Dell'analisi, al contrario, Descartes e i suoi contemporanei sanno assai poco. Ce ne restano pochi esempi in Euclide e Apol­ lonio, nonché alcune dimostrazioni sulla quadratura delle lunu­ le ( la parte di piano racchiusa fra archi di circonferenza di raggio diverso ma aventi i medesimi estremi) che Simplicio, riportando un brano della perduta Storia della geometria di Eudemo da Rodi, attribuisce ad lppocrate di Chio16 (43 0 a. C. Circa ) . L'interpretazione più accreditata ritiene che l'analisi d i Ippo­ crate consista nell'assumere come risolto il problema, scompor­ lo in sottoproblemi, risalendo all'indietro fino ai principi da cui la dimostrazione dipende . Durante questo cammino, si dimostra­ no dei teoremi intermedi. Ad esempio, nel corso di una delle dimostrazioni della quadratura di una lunula, si dimostra il teo­ rema che stabilisce la proporzione fra i cerchi e i quadrati costrui­ ti sui loro diametri17• L'ipotesi più proba bile è che la stessa qua­ dratura delle lunule non sia altro che una riduzione del proble­ ma più generale della quadra tura del cerchio1 8 • 16 Vedi Proclus ( 1 87 3 ) . Una esposizione dettagliata delle dimostrazioni di lppo­ crate di Chio si trova in Heath ( 1 9 8 1 ), vol. I, pp. 1 8 3-20 1 . Per la problematica con­ nessa a queste dimostrazioni si veda Cellucci ( 1 99 8 ) , pp. 270-272 . Netz ha recente­ mente avanzato l'ipotesi che la dimostrazione della quadra tura delle lunu le fosse una interpolazione successiva dello storico