Il libro sigillato e il libro aperto
 9788810221242

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Collana BmuCA J.-L. SKA, Introduzione alla lettura del Pentateuco. Chiavi per l'interpretazione dei primi cinque libri della Bibbia ].-L. SKA, La strada e la casa. Itinerari biblici L. MAzzlNGHI, «Ho cercato e ho esplorato». Studi sul Qohelet

I volti di Giobbe.

Percorsi interdisciplinari, a cura di G. MARcoNI

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C. TERMINI

R. MEYNET, Morto e risorto secondo le Scritture ].-L. SKA, Abramo e i suoi ospiti. D patriarca e i credenti nel Dio unico

Chiesa e ministeri in Paolo a

cura di G. DE VIRGILIO

C. D'ANGELO, Il libro di Rut. La forza delle donne. Commento teologico e letterario E. BoRGHI , Giustizia e amore nelle Lettere di Paolo. Dall'esegesi alla cultura contemporanea

G. VANHOOMISSEN, Cominciando da Mosè. Dall'Egitto alla Terra Promessa

Il libro sigillato e il libro aperto R. MEYNET, Leggere la Bibbia.

J.-L. SKA,

Un'introduzione all'esegesi

Y. SIMOENS, Il libro della pienev;a. ll Cantico dei Cantici. Una lettura antropologica e teologica X. LÉON-DUFOUR, Un biblista cerca Dio J.-L. SKA, I volti insoliti di Dio. Meditazioni bibliche X. LÉON-DUFOUR, Dio si lascia cercare. Dialogo di un biblista conJean-Maurice de Montremy A. MARCHAOOUR, I personaggi del Vangelo di Giovanni. Specchio per una cristologia narrativa C . D'ANGELO, I.:amore del Trafitto. Discepolato e maturità cristiana F. Cocco, Sulla cattedra di Mosè. La legittimazione del potere nell'Israele post-esilico (Nm 1 1; 16) ].-L. SKA, Una goccia d'inchiostro. Finestre sul panorama biblico P. BOVATI , del lettore. Fra questi testi, tre sono più significativi: 2Re 22,1-23,3; Ger 36; Es 24,3-8. I.

IL ROTOLO TROVATO NEL TEMPIO (2RE 22, 1-23 ,3) n primo brano descrive la scoperta fortuita, almeno apparente­

mente, di un «libro>> o «rotolo>> durante una serie di lavori di restau­ ro nel tempio di Gerusalemme.4 Questo libro viene letto prima di fronte al re Giosia che si spaventa, si straccia le vesti, e chiede di an­ dare a consultare una profetessa chiamata Culda in merito a quanto egli ha appena sentito (2Re 22 , 10-12). La profetessa annunzia la fine del regno di Giuda, sempre sulla base delle parole contenute nel li-

3 La parola italiana «specchio» viene dal latino speculum, che ha lo stesso si· gnificato e dalla quale deriva anche la parola , perché il libro come tale è stato in­ ventato nd II secolo d.C. Parlo di «libro» per semplificare le cose.

Il racconto speculare bro (22,16). Allora il re Giosia decide di convocare nel tempio tutto il popolo di Gerusalemme e di Giuda per concludere un'alleanza da­ vanti al Signore. Lui stesso legge il contenuto del «libro dell'allean­ za», così come viene chiamato in 2Re 23,2, e si impegna davanti agli ufficiali del regno e al popolo a osservare tutte le prescrizioni dd li­ bro. Il popolo intero aderisce a questa «alleanza» (23 ,3). Un elemento di questo deve incuriosire il lettore: il testo in ef­ fetti non dice mai esattamente qual è il contenuto del ) della Bibbia con la «parola di Dio» nella sua globalità. e

l.

LA BmBIA SAREBBE SIMILE A UNA SFERA?

Per illustrare questa differenza sostanziale, vorrei proporre due immagini, quella della sfera e quella del bosco. La nostra rappresen­ tazione della verità biblica può in effetti corrispondere più o meno a queste due immagini. Per alcuni - e specialmente nelle letture fon­ damentalistiche - la verità della Bibbia è simile a una sfera. La forma perfetta, secondo gli antichi, era precisamente la sfera, poiché non vi è alcuna differenza fra i diversi punti della sua superficie. Ogni par­ te della sfera può sostituire un'altra. Ogni parte può stare in alto, in basso, dietro, davanti, a sinistra o a destra. Si può girare la sfera in tutti i sensi ed essa rimane sempre uguale a se stessa.2 Molte difficoltà nella nostra lettura della Bibbia provengono da una rappresentazione della verità che è simile a quella della sfera, perché vogliamo che la rivelazione divina sia perfetta in ogni «pun­ to» delle sacre Scritture. Per esempio, siamo scandalizzati quando la figura di Dio che appare in alcune parti dell'AT non corrisponde esattamente al volto del Padre rivelata da Gesù Cristo nei vangeli. Perché Dio, nel libro di Giosuè, chiede di massacrare tutti gli abitanti delle città conquistate, donne e bambini compresi?3 E perché Dio dà al suo popolo una terra già occupata da altre popolazioni che Israele deve sconfiggere e annientare per poter stabilirsi nel loro territorio?4 Avvertiamo un divario, anzi una contraddizione fra questa rappre­ sentazione di Dio e quella del Dio di misericordia e di perdono alla quale ci ha abituati il vangelo. Chi ammette invece un'evoluzione nel­ la rivelazione e rimette ogni testo nel suo proprio contesto storico e culturale farà meno fatica a risolvere il problema.

2 Per questa ragione, Origene assimilava la sfera alla perfezione e pensava ad­ dirittura che i corpi dei beati nel mondo futuro fossero sferici! 3 Si veda Gs 6,17·19; cf. Dt 7,1-2; 20,13· 14; 1Sam 15,3; a questo proposito, si veda anche alle pp. 24·27 di questo volume. 4 Si veda per esempio Gen 15,18·2 1 ; Es 3,8.17; 13,5; 23,23; 33,2; 34,11; Dt 7,16; Gs 3 , 10; 9,1; 1 1,3 ; 12,8; Gdc 3 ,5 ; IRe 9,20; d. Esd 9,1; Ne 9,8; 2Cr 8,7.

Orientamenti

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Molti lettori dell'AT sono anche sorpresi di vedere che tanti per­ sonaggi siano di una moralità piuttosto discutibile. Cito Sansone (Gdc 3-16), eroe picaresco e truculento, che può difficilmente esse­ re proposto come «modello» da imitare. Ma si può anche pensare ai patriarchi poco coraggiosi e bugiardi (Gen 12,10-20; 20,1-1 8 ) , persi­ no chiaramente disonesti (Gen 27, 1 -45 ), a Davide, re adultero e omi­ cida (2Sam 1 1) , a Salomone, il re idolatra ( 1 Re 1 1) ... Possiamo ag­ giungere a questi esempi i salmi che contengono maledizioni o grida di vendetta5 e i numerosi passi dell'AT che escludono la fede nella ri­ surrezione dei morti. 6 In questi casi, la difficoltà ha la stessa origine: non troviamo in tutte le parti della Bibbia una teologia o una morale uniformi e, soprattutto, siamo sorpresi di trovarne forme inadeguate o «imperfette». Si potrebbe dire lo stesso a proposito della «storicità» dei rac­ conti biblici. Non è necessario fare un elenco delle molte domande a proposito della storicità di alcuni eventi raccontati nella Bibbia, spe­ cialmente di eventi miracolosiJ Una volta ancora, vorremmo poter provare la storicità della Bibbia in ogni racconto o in ogni pagina. Ma la Bibbia non è «sferica» e quindi la sua «storicità» non è uniforme, ma può variare da una parte all'altra. 2.

ENTRARE NEL BOSCO DELLA BIBBIA

Queste brevi riflessioni mostrano a sufficienza che l'immagine della sfera non corrisponde a quella che è la «verità» della Bibbia. Bi­ sogna quindi cercarne un'altra, più adeguata: propongo quella del bosco o della foresta. 8

' Si vedano per esempio Sal 3,8; 10,15; 1 1 ,6; 18,48; 37,28; 52,7; 53,6; 58,7-12 ; 60,14; 68,23-24; 69,25-29; 71, 13; 79,10-12 .. 6 Si vedano in particolare il Sal 88 e i libri di Giobbe e di Qoelet. 7 Tratto di alcuni di questi problemi nd mio opuscolo ÙJ parola di Dio nei rac­ conti degli uomini, Cittadella, Assisi 2000. 8 Riprendo questa immagine da un'opera di U. Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, CDE, Milano 1994. Si potrebbe anche pensare all'immagine dd giardino o della città. .

Sacra Scrittura e parola di Dio

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Perché paragonare la Bibbia a un bosco e la lettura della Bibbia una serie di passeggiate in un fitto bosco? Le ragioni sono molte­ plici e mi limiterò a quelle che mi paiono più evidenti. lnnanzitutto la Bibbia offre mille volti diversi, esattamente come una foresta. Co­ me si sa, la parola Bibbia significa >. 3° Cf. a questo proposito la distinzione fra «meaning» e «Sigm/icance>> di E.D. HIRSCH, Valtdity in Interpretation, Yale University Press, New Haven (CTl 1967; u. it. Teoria dell'znterpretazione e critiCtJ letteraria, ll Mulino, Bologna 1967. •

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ne/intenzioni secondaria/secondarie. Le parabole evangeliche, ad esempio, hanno un significato diverso nella predicazione di Gesù, nella vita della Chiesa primitiva e nei vangeli canonici. La ponata di un oracolo profetico cambia quando è letto nel suo contesto origina­ rio (per quanto sia possibile ricostruirlo) o in una collezione di testi attribuiti a un profeta che ha come scopo di dimostrare a posteriori la validità delle sue opinioni.H Un altro problema, spesso discusso, ma raramente chiarito, è quello della relazione fra studi letterari e studi storici, fra sincronia e diacronia. L'opera letteraria è un monumento, dicono i proponitori dell'esegesi sincronica. Ed è vero. Se siamo fedeli all'immagine, pos­ siamo però aggiungere che il monumento può essere apprezzato se si conosce il suo stile, se si sa in quale epoca è stato costruito e per qua­ le motivo. Ogni tanto, solo la sua storia permette di capire la sua com­ plessità, specialmente quando si tratta di un monumento che è stato riutilizzato o costruito in diverse epoche. Lo stile ellenistico non è lo stile normanno, lo stile gotico non è lo stile barocco. I canoni sono di­ versi, e per apprezzare l'opera d'ane occorre sapere qualche cosa di questi canoni. La Bibbia è un monumento antico, molto antico, e il suo stile è molto diverso da quelli delle epoche più recenti. Per di più, il monumento è stato modificato, rirnaneggiato e rifatto più volte. Te­ sto e storia del testo sono ormai inestricabili e non si può visitare il monumento senza notare le cicatrici della sua travagliata storia. Vi so­ no perciò buone ragioni per affermare che, negli studi biblici, diacro­ nia e sincronia sono indissociabili perché il monumento è nello stesso tempo documento di una storia che fa pane della sua essenza. Non è augurabile, quindi, opporre studi diacronici e studi sincronici per quanto riguarda i testi antichi, specialmente i testi biblici. Aggiungiamo un ultimo elemento imponante a proposito del dialogo fra metodi.32 I testi biblici, come detto, portano nella loro stesura le tracce della loro genesi. Ma come scoprire questa genesi,

JI Si veda un bell'esempio di questo tipo di esegesi in M. V. Fox, The Redaction o/ the Books o/ Esther (SBLM.S 40), Scholars, Aùanta (GA) 1 99 1 , 142-154. 32 Cf. L. Al.oNSO ScHOKEL, (pp. 50-66); si veda an­ che dello stesso autore Sei passeggiate nei boschi na"ativi, Bompiani, Milano 1 994.

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A questo proposito, si è tentati di citare, con le dovute qualificazioni, la parola di Paolo: «La lettera uccide, lo spirito fa vivere» (2Cor 3 ,6). n testo vive solo se il lettore lo interpreta, vive nell'atto della lettura e dell'interpretazione perché il significato del testo sorge proprio in questo momento.36 n significato del testo non è «nascosto» nel testo e il compito del lettore non è di Aristotele, PoetiCJZ

I.l447a, 1448a. Cf. ABRAMS, The Mirror, 9-lO.

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pre la realtà, vale a dire il mondo esterno o, per usare il vocabolario della linguistica moderna, il >, in Deutsche Literatur­ z.eitung 27( 1 906), ristampato in Reden und Au/sitz.e, i Universitiitsverlag-Vandenhoeck

& Ruprecht, Freiburg Schweitz-Gottingen 1913, 2 1 -38, spec. 33. 78 H. GUNKEL, Generis ubersetzt und erkliirt, Universitiitsverlag-Vandenhoeck & Ruprecht, Freiburg Schweitz-Gottingen 1901, 21902, 3 1910. La frase serve da sot­ totitolo dell'introduzione (p. VII nell'edizione del 1910). 79 J. GRIMM - W. GPJMM , Kinder- und Hausmiirchen, Elwert, Marburg 1812-1815. 80 Cf. per esempio le ricerche di Joachim Jeremias.

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to come più recente e spesso giudicato come troppo teologico, trop­ po astratto e quasi gnostico, 81 ancora il disinteresse per gli ultimi scritti del NT, le lettere cattoliche e l'Apocalisse. I periodi più tardivi sono in effetti spesso visti dagli esegeti in­ fluenzati dal romanticismo come momenti di decadenza e di sfacelo. La religione diventa legalista, ritualista, si perdono la spontaneità e la natu­ ralezza dei tempi più antichi che sono sostituite da regole astratte ed im­ personali. Al carisma delle origini si sostituiscono l'organizzazione, le strutture rigide e le pesanti gerarchie delle epoche successive.82 n carisma muore soffocato dal sistema. Questo vale per l'epoca postesilica, per le riforme di Esdra e Neemia nell'AT e per la seconda generazione dei cri­ stiani, l'epoca delle lettere cattoliche e delle lettere pastorali di Paolo. Il romanticismo ha avuto un influsso duraturo nel mondo dell'e­ segesi. Come si è visto, molte tendenze del passato recente dell'ese­ gesi biblica sono riconducibili allo spirito romantico che, per altro, non è certamente morto. 3.

LA FINESTRA83

La terza metafora che incontriamo nel mondo della critica lette­ raria e nell'esegesi biblica è quella della finestra. È forse più difficile definirla perché è usata da critici ed esegeti di diverse tendenze, e non caratterizza una scuola in particolare come le immagini prece­ denti. Si parla ad esempio di «finestra» a proposito di studi di tipo storico o sociologico.84 D'altronde la polivalenza della metafora stes81 Già Herder attribuiva le differenze fra Giovanni e i sinottici alla data di composizione più tardiva del primo. Si veda REVENTI.OW, Epochen, 200. 82 Cf. per esempio le opinioni di Wellhausen sul racconto sacerdotale o sulla riforma di Esdra-Neemia nei Prolegomena, 3-4. Si veda SKA, Introduzione, 126-128. 83 Si veda l'opera del critico letterario statunitense M. KR!EGF.R, A Window to Cri­ ticism: Shakespeare's «Sonnets» and Modem Poetics, University Press, Princeton (NJ)­ Oxford 1964, 1%9. 84 !:immagine della finestra è spesso utilizzata da critici che preconizzano me­ todi storici o sociologici. Cf. V.PH. LoNG - D.W. BAKER - G.J. WENHAM (edd.), Win­

dows into 0/d Testament History: Evidence, Argument, and the Crisis o/ «Biblica/ Israel», Eerdmans, Grand Rapids (MI) 2002; W.J .C. WEREN, Windows on Jesus: Methods in Gospel Exegesis, SCM, London 1999; tr. it. Finestre su Gesù. Metodologia dell'esegesi dei Vangeli, Claudiana, Torino 200 l ; B.J. MALINA, Windows on the World o/Jesus: Time Travel toAncient Judea, Westminster John Knox, Louisville CKY) 1993.

Orientamenti

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spiega in gran parte il suo successo. Fondamentalmente, tuttavia, l'immagine traduce in termini visivi un elemento essenziale dd lin­ guaggio, vale a dire la natura di «segno». Su questo punto, gli spe­ cialisti sono in genere d'accordo: parole, frasi, opere letterarie «indi­ cano» qualche cosa che non è solo la parola, la frase o l'opera lette­ raria: un segno è aliquid quod stat pro aliquo.65 Anche gli esponenti della Nuova critica che vedono nell'opera letteraria solo riferimenti a se stessa escludono in pratica unicamente le interpretazioni che non si riferiscono al mondo letterario. Altrimenti, l'interpretazione si li­ miterebbe a una pura ripetizione parola per parola dell'opera scritta. Piuttosto di dare un elenco forse fastidioso di nomi e di teorie, preferisco prendere un esempio concreto e mostrare quali sono le potenzialità di una lettura che vede il testo come «finestra». L' esem­ pio che ho scelto è un testo molto breve che si trova in 2Re 4,1-7: sa

«1 Una donna, moglie di uno dei discepoli dei profeti, si rivolse a Eliseo e disse: "Mio marito, tuo servo, è morto, e tu sai che il tuo servo temeva il Signore. TI suo creditore è venuto per prendersi i miei due figli come schiavi" . 2Eliseo le disse: "Che posso fare per te? Dimmi, che cosa hai in casa?". La donna rispose: "La tua serva non ha nulla in casa, tranne un vasetto d'olio". 3Allora egli disse: "Va' fuori, chiedi in prestito a tutti i tuoi vicini dei vasi vuoti; e non ne chiedere pochi. 4Poi torna, chiudi la porta dietro di te e i tuoi figli, e versa olio in tutti quei vasi; e, man mano che saranno pieni, falli mettere da parte". 5La donna se ne andò e si chiu­ se in casa con i suoi figli; questi le portavano i vasi, e lei vi versava l'olio. 6Quando i vasi furono pieni, disse a suo figlio: "Portami ancora un va­ so". Egli le rispose: "Non ci sono più vasi". E l'olio si fermò. 7Allora lei andò e riferì tutto all'uomo di Dio, che le disse: "Va' a vender l' olio, e paga il tuo debito; e di quel che resta sostentati tu e i tuoi figli">>. a.

Una finestra classica

I commentari non dedicano molto spazio a questo breve rac­ conto.86 Si accontentano in genere di qualche annotazione sulla

� Su questo pWlto, si veda fra gli altri Eco, Sugli specchi, 22-24. 116

Si vedano per esempio i commentari classici di J.A. MoNTGOMERY, A Crit1�

ca! ami �xegetical Commentary on the Books o/ Kings, by H.S. GEHMAN (ICC),

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schiavitù per debiti. Si tratta quindi solo di informazioni sul testo, e non proprio di interpretazioni del racconto. La «finestra» si apre sul contesto letterario e giuridico del passo con rimandi ad alcuni testi biblici, ad esempio la legge di Es 2 1 , 1-7.8- 1 1 , una legge proprio sui figli «consegnati» o «acquistati» per saldare debiti. Altri testi alludono al fenomeno o lo illustrano, così come Is 50,1 ; Ne 5,1-13 (cf. in particolare 5,5) .87 Alcuni commentatori men­ zionano anche Am 2,6; 8,6, ma i testi del profeta si riferiscono meno chiaramente a questo tipo di schiavitù. Più palese è invece un testo extrabiblico che proviene da un antico codice mesopotamico, il co­ dice del re Hammurabi di Babilonia ( 1792-1750 a.C.), nel § 117: «Se un uomo libero ha contratto dei debiti e vende sua moglie, suo figlio o sua figlia [come schiavi], o se gli è stato imposto [a lui stesso] la schiavitù, dovranno lavorare nella casa dell'acquirente o del credito­ re per tre anni, e riotterranno la libertà il quarto anno». Gli autori no­ tano che nel codice mesopotamico lo schiavo ritrova la libertà nel quarto anno, mentre nei codici biblici si prevede la liberazione solo al settimo anno (Es 2 1 ,2; Dt 15,12). Questo tipo di lettura spiega solo un elemento del racconto, la vendita dei figli, perché si tratta evidentemente dell'elemento che più sorprende un lettore moderno. Per saperne di più, occorre rivolger­ si ad altre opere più specializzate sull'argomento, come alcuni studi sulla schiavitù per debiti in Israele e nel Medio Oriente antico. 88

T&T Clark, Edinburgh 1927, 21951 [1967]; J. GRAY, I & Il Kings: A Commentary. Second, /ully revised, edition (OTL), SCM, London 1970, 491 -492; cf. anche P. BVIs, Le livre des Rois (SB), Gabalda, Paris 1997; M. COGAN - H. TADMOR, II Kings: A New Translation with Introduction and Commentary (AB 11), Doubleday, New York 1988, 55-56.

87 Per più panicolari, si veda B. CHJLTON, «Debts», in Anchor Bible Dictionary II, by D . N . FREEDMAN, 6 voU., Doubleday, New York 1992, II, 1 14-1 16.

88 Si vedano soprattutto l. MENDELSOHN, Slavery in the Ancient Near East: A Comparative Study o/ Slavery in Babylonia, Assyria, Syria, and Palestine /rom the Middle o/ the Third Millennium to the end o/ the First Millennium, Oxford Uni·

versity Press, New York 1949; I. Ct.RDELUNI, Die biblischen «5klaven»·Gesetze im

Lichte des keilschri/tlichen Sklavenrechts. Ein Beitrag zur Tradition, Oberlie/erung un d Redaktion der alttestamentlichen Rechtstexte (BBB 55), P. Haustein, Bonn 1981; G.C. CHIRICHIGNO, Debt-Slavery in lsrael and the Ancient Near East (JSOT.S 141), Academic Press, Sheffidd 1993.

Orientamenti

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b.

La finestra

sociologica89

Diversi studi, sulla base delle osservazioni appena fatte, hanno sfruttato le possibilità del testo per aprire una «finestra» sulla condi· zione della donna, in particolare della vedova, nell'antico Israele. Fra le informazioni più rilevanti, gli autori notano per esempio che la ve­ dova appartiene alla categoria delle personae miserae alla pari degli or­ fani e degli stranieri.90 Le personae miserae sono tutte persone svantag­ giate giuridicamente, economicamente e socialmente. Spesso si trova­ no in condizioni disperate se non ottengono aiuto. La donna, per !imi­ tarci a questo caso, non ha in realtà «diritti» riconosciuti nella società biblica, come in molte altre società antiche. n suo statuto giuridico e sociale le è dato o dal padre, prima del matrimonio, o dal marito, do­ po il matrimonio. La società in effetti non riconosce alla donna uno sta­ tuto proprio all'infuori di queste due possibilità.91 Nel caso di 2Re 4,17, la vedova non ha alcuna «copertura» giuridica, benché diverse leggi cerchino di proteggere queste categorie svantaggiate.92 n testo eviden­ zia inoltre che la vedova non può risolvere il problema da sola. Né la sua famiglia, né il gruppo dei profeti sono in grado di fornirle aiuto, op­ pure non sono disposti a farlo per ragioni non esplicitate. Si può notare infine che la vedova non contesta il sistema nel quale si trova e non si ribella all'ingiustizia della sua condizione di donna o contro la discriminazione di cui è oggetto.9} Essa chiede aiu­ to, non giustizia, e si rivolge per questo addirittura a un uomo.

89 Cf. T. HOOVER RENTERIA, «The Elijah/Elisha Stories: A Socio·cultura! Analy· sis of Prophets and People in Nine-Century B.C.E. Israel», in Elijah and Elisha in Socioliterary Perspective (Semeia Studies) , by R.B. CooTE, Scholars, Atlanta (GA) 1992, 75·1 13. 90 Cf. per esempio Dt 10,18; 14,29; 1 6, 1 1.14; 24,19.20.21 ; 26,12.13; 27,19; Ger 7,6; 22,3; Ez 22,7; Zc 7,10; Mal 3,5. 91 Si veda R. KALMlN, . L'o­ lio è una delle merci più ordinarie e più comuni in quel tempo, e la donna ne dispone a casa. Non si tratta di un elemento straordinario e impossibile da trovare. L'unico elemento miracoloso è l'improvvisa abbondanza. In conclusione si deve dire che il miracolo giustappone elementi che evidenziano la condizione di inferiorità della donna con altri che invece mettono in risalto le sue risorse e le sue capacità di col­ laborare. n miracolo non si fa senza di lei, ed essa è !ungi dal ricevere passivamente un aiuto accordatole in modo patemalistico. ll

c.

La finestra storica, politica e teologica

Un lettore curioso potrebbe chiedersi perché si descrive la con­ dizione di una vedova costretta a vendere i propri figli proprio in un ciclo di storie che hanno come protagonista il profeta Eliseo. Il pro­ blema era forse più acuto in questo momento? Alcuni studi storici danno a questa domanda una risposta affermativa. In questo modo, il testo aprirebbe una su un periodo importante della sto­ ria d'Israele, quello della dinastia di Omri.94 n re più conosciuto di 94 I rappresentanti di questa casata sono Omri (885-874 a. C. ), Acab (874-853 a.C.), Acazia (853-852 a.C.) e Ieoram (852-84 1 a.C.). La dinastia fu rovesciata da leu (841-814 a.C. l. Cf. 2Re 9-10.

94

Orientamenti

questa dinastia è Acab, con sua moglie Gezabele, a causa dei nume­ rosi episodi nei quali sono opposti al profeta Elia. Gli appigli della lettura «storica» sono numerosi: testi biblici ed extrabiblici aiutano ad abbozzare un ritratto abbastanza preciso del­ le condizioni economiche e culturali di questa epoca di prosperità per il regno del Nord.95 D'altronde, l'arricchimento delle classi dirigenti ebbe come conseguenza l'impoverimento e l'asservimento dei più de­ boli. L'abuso di potere per l'acquisto di nuove terre è illustrato dal fa­ moso episodio della vigna di Nabot (IRe 2 1 ) ,96 e le conseguenze del­ l'indebitamento dei più poveri dall'episodio che abbiamo letto.97 TI brano, però, non dipinge solo una situazione comune nel Vi­ cino Oriente antico, probabilmente aggravata dalla politica degli Omridi, ma denuncia anche in modo sottile questa situazione di pa­ lese ingiustizia. Secondo le usanze del tempo, difatti, è il re che deve difendere i più deboli come afferma, per esempio, il salmo 72 quan­ do si augura che il re «renda giustizia ai più miseri del popolo, porti salvezza ai figli dei poveri e umiliazione ai loro oppressori» (72,4; cf. 72,12-14). Si è comportato in questo modo, ad esempio, il re Giosia secondo Ger 22,16: «Egli giudicava la causa del povero e del biso­ gnoso, e tutto gli andava bene». La vedova di 2Re 7,1 si rivolge invece non al re, bensì al profeta che interviene in suo favore. Quest'ultimo non si sostituisce al re e non pretende usurpare il suo potere, ma lascia pensare che esista un mondo diverso per «coloro che temono YHWH» ( I Re 4,1). Al sistema politico ed economico imposto dalla casata di Om­ ri si oppone il profetismo di Eliseo che viene in aiuto dei più mise­ ri, in questo caso della vedova che certo contava poco agli occhi del 91 Sulla dinastia di Omri, si vedano S. TrMM, Die Dynastie Omri (FRLANT 124), Universitatsverlag-Vandenhoeck & Ruprecht, Freiburg Schweitz-Gottingen 1981; M. LIVERANI, Oltre la Bibbia. Storia antica di Israele, Laterza, Roma-Bari 2003, 121-123, 140-142. 96 Si vedano F.I. ANDERSEN, «The Socio-Cultura! Background of the Naboth Incident>>, in JBL 85( 1 966), 46-57; TIMM, Die Dynastie Omri, 124-126 (con biblio­ grafia); LIVERANI, Oltre la Bibbia, 140-142. 'f7 D profeta Amos, che predica circa un secolo dopo, denunzierà con grande vigore l'ingiustizia sociale nel regno d'Israele. Su questo profeta, si veda fra gli altri H. SIMIAN-YOFRE, Amos. Nuova versione, introduzione e commento (l libri biblici. Primo Testamento 15), Paoline, Milano 2002.

La Bibbia,

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95

re.98 Il racconto offre quindi una possibilità di immaginare un mon­ do diverso da quello dominato dai re, un mondo alternativo, più so­ lidale e più «giusto», quello dei profeti.

d.

l..Jl finestra letteraria99

Un'ultima finestra può essere apena su questo breve passo, quel­ la dello studio letterario che intende soprattutto far entrare il lettore nell'officina del racconto, per utilizzare il linguaggio di Angelo Mar­ chese.100 Due autori in panicolare ci aiutano a vedere come lavorava l'autore di 2Re 4, 1-7: si tratta di Alexander Rofé 1 0 1 e Uriel Simon.I02 Rofé mostra che si tratta di una breve «leggenda» perché il rac­ conto dipinge una sola azione miracolosa; il brano è indipendente e non ha legami cronologici con i racconti che precedono e seguono; la trama è semplice e consta di due o tre momenti, non di più; gli at­ tori sono anonimi oppure non hanno tratti individuali ben precisi; lo scopo del racconto è di descrivere un'azione straordinaria compiuta da un personaggio che desta rispetto e arnmirazione.103 L'autore del racconto ha anche utilizzato uno schema a sua di­ sposizione e ben noto nel mondo biblico, come mostra Roben Cul­ ley.l04 Lo schema comporta tre momenti principali: l) una persona presenta al profeta un problema da risolvere; 2) il profeta pone una domanda di chiarimento, poi dà istruzioni per una risoluzione del problema; 3 ) assistiamo infine a un , in Elijah and Elùha in Socioliterary Perspective (Semeia Studies), by R.B. Coorr, Scholars, Adanta (GA) 1992, 127-137. 99 Si veda in proposito M. kvAPEZ BARREoo, Las narraciones sobre ElitJs y Eli­ seo en las libros de las Reyes, Espigas, Muccia 1996, 76-78. 100 A. MARCHESE, I.:officina del racconto. Semiotica della narrativltà (Studio 105), Mondadori, Milano 1983. 101 A . RoFÉ, Ston·e di profeti. La narrativa sui profeti della Bibbia ebraica: gene­ ri letterari e storia, Paideia, Brescia 1 991. 102 U . SIMON, Reading Prophetic Narratives (Indiana Studies in Biblica! Litera· ture), Indiana U niversity Press, Bloomington-Indianapolis (IN) 1997. Per un'analisi di IRe 4,1·7, cf. 256-258. IOJ RoFÉ, Storie, 2 1-3 1; cf. SJMON, Reading, 227. 104 R. C. CULLEY, Studies in the Structure of Hebrew Narrative (Semeia Studies), Scholars, Philadelphia (PA)-Missoula (MT) 1976, 91 -92.

Orientamenti

%

cosa fare in seguito per arrivare a una soluzione definitiva del proble­ ma.105 È anche stato evidenziato da molti commentatorP06 il paralleli­ smo fra il miracolo di Eliseo in 2Re 4,1-7 e il simile miracolo compiu­ to da Elia quando arriva dalla vedova di Sarepta O Re 17,7-16). Si tratta, grosso modo, di mostrare quali sono le tecniche, le con­ venzioni, o generi letterari, utilizzati dai narratori e autori biblici nel­ la composizione dei loro racconti. Esistono ormai diversi manuali sull'argomento e non è quindi necessario insistere di più su questa possibilità di lettura, solo una fra tante altre. 107 CONCLUSIONE Questo breve panorama dell'ermeneutica biblica recente e meno recente può lasciare il lettore alquanto stordito. Alcuni saranno for­ se addirittura presi da vertigini davanti a questa massa di proposte diverse e ogni tanto contraddittorie. L'impressione può essere quella di una persona che entra per la prima volta in un immenso super­ mercato dove trova di tutto, però non sa né come orientarsi né come trovare quello di cui ha realmente bisogno. L'impressione però è fai-

1 "' Gli altri esempi di questa struttura sono 2Re 2,19-22: Eliseo rende l'acqua di Gerico potabile; 2Re 4,38-4 1: Eliseo rende innocua una minestra avvelenata; Es 15,22-27: Mosè rende potabile le acque amare di Mara; 2Re 6,1-7: Eliseo ritrova l'a­ scia caduta nel Giordano; 1Re 17,17-24: Elia risuscita il figlio della vedova di Sarep­ ta. Si veda CuLLEY, Structure, 7 1 -96. 106 Si vedano per esempio CuLLEY, Structure, 63-64; SIMON Reading, 255-258. 107 Si vedano, fra gli altri, R. ALTER, L:arte della na"ativa biblica (Biblioteca biblica 4), Queriniana, Brescia 1990; Y. AMIT, Reading Bzblical Na"atives. Literary Cnticùm and the Hebrew Bible, Fonress, Minneapolis (MN) 2001; S. BAR-EFRAT, Na"ative Art in the Bible USOT.S 70), Academic Press, Sheffield 1989; A. BERLIN, Poetics and Interpretation o/ Btblical Na"ative (Bible and Literature Series), Almond Press, Sheffield 1983; ].P. FoKKELMAN, Reading Biblica! Na"ative. An Introductory Gutde, Westminster John Knox, Louisville (KY) 1999; D.M. GuNN - D.N. FEWELL, Narrative in the Hebrew Bible (OBS), Oxford University Press, New York 1993; D. MARGUERAT - Y. BoURQUIN - M . DuRRER, Per leggere i racconti biblici. La Bibbia si racconta. lniziazione all'analisi na"ativa, Boria, Roma 2001 (con bibliografia); J.L ,

SKA,

«Our Fathers Have Told Us». Introduction to the Analysis o/ Hebrew Narratives

(SubBib 13), PIB, Roma 1990, 22000 (con bibliografia); M. STERNBERG, The Poetics o/Biblica/ Narrative. Ideologica! Literature and the Drama o/ Reading (indiana Lite­ rary Biblica! Series), Indiana Universiry Press, Bloomington (IN) 1985.

La Bibbia,

un

libro aperto o un libro sigillato?

97

sa. L'ermeneutica biblica attuale fa piuttosto pensare a un'antica uni­ versità dove esistono più facoltà, ciascuna con un suo corpo docen­ te, le sue materie e i suoi metodi, ma anche con le sue tradizioni e le sue glorie passate. Per di più, chi entra in un'università di grande fa­ ma sa che vi troverà maestri che guideranno passo a passo lo studen­ te nel suo cammino e gli permetteranno di acquisire le conoscenze necessarie per poter in seguito esercitare un mestiere e mettersi al servizio dei suoi concittadini. L'ermeneutica biblica è simile a un'u­ niversità sotto un altro aspetto ancora: vi si crea uno spirito partico­ lare che unisce tutti coloro che vi insegnano e vi studiano. Questo spirito di famiglia è un elemento indispensabile nella formazione di ciascuno, perché da esso nascono entusiasmo per lo studio, curiosità per le ricerche nuove, solidarietà nei momenti difficili e legami dura­ turi per il futuro. Studenti che hanno fatto le stesse esperienze in un'università di questo tipo possono ritrovarsi dopo anni e ricono­ scersi subito perché parlano la stessa «lingua», condividono gli stes­ si interessi e hanno assimilato modi analoghi di pensare. Lo studio della Bibbia, che apre a poco a poco un libro sigillato, crea anch'es­ so questo spirito che unisce tutti quelli che si sono seduti ai piedi di quest'antica maestra di vita. È in ogni modo l'augurio che formulo al­ la fine di questo percorso attraverso l'ermeneutica biblica.

5. IL CANONE EBRAICO E IL CANONE CRISTIANO DELL'ANTICO TESTAMENTO

Le comuni presentazioni della storia della salvezza, dalle più po· polari alle più elaborate, dispongono gli avvenimenti su una linea continua che h a come punto di partenza la creazione, come centro la redenzione compiuta da Gesù Cristo e come ultima tappa la storia della Chiesa. ll punto finale di tale itinerario è la parusia. Questo va­ sto affresco storico è antico quanto i padri della Chiesa e ne trovia­ mo una formulazione classica nel De catechizandis rudibus di sant'A­ gostino. Per essere più precisi, il punto di partenza è duplice: crea­ zione e caduta. Dopo i due primi racconti della creazione (Gen l ,l-2,4a e 2,4b-25) interviene il primo elemento di tensione, vale a dire la colpa della prima coppia (Gen 3). Per i padri, come per l'in­ terpretazione tradizionale della Bibbia, Gen 3 è il momento in cui ap­ pare per la prima volta nel racconto il «problema» da risolvere. Se c'è un peccato, occorrono un'espiazione e una redenzione. A partire da Gen 3 , il lettore aspetta dunque la venuta di un redentore che è pro­ messo, sempre secondo questa medesima interpretazione, già in Gen 3,15 , quando Dio dice al serpente: «lo porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno!». 1 Questo testo contiene il «protoevange-

1 La traduzione del versetto è difficile. Secondo il testo ebraico sarà la discen­ denza della donna a schiacciare la testa al serpente. La LXX, che traduce con un ma­ schile, lascia supporre che la vittoria sarà opera di uno dei discendenti della donna. La Vulgata traduce con un femminile (ipsa) e apre la porta all'interpretazione ma­ riologica del versetto.

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Onentamenti

lo», ben noto ai padri. In tale prospettiva, tutto il resto dell'AT non è che una lunga attesa del Salvatore, che deve venire a «schiacciare la testa del serpente». I profeti, dal canto loro, hanno annunciato la ve· nuta di quel Salvatore e i sapienti ne hanno intravista la figura nella «sapienza» che essi ricercavano. Tornando al racconto biblico, non c'è dunque nessuna rottura tra il momento della caduta e la venuta del Salvatore. Progressiva­ mente la storia procede verso il punto focale che è l'incarnazione e la redenzione. Protesi in avanti, i personaggi ricevono la promessa del Salvatore, ne preparano la venuta o ne prefigurano il destino. Abele, Noè, Abramo, Mosè, Davide e Isaia svolgono in fin dei conti ruoli quasi identici. Ognuno al suo posto e a suo modo, essi segnano pun­ ti di riferimento su una strada che conduce a Gesù Cristo, nonostan­ te tutte le deviazioni e gli ostacoli. Questa visione tradizionale è cer­ tamente legittima, ma non è priva di problemi, perché tiene poco conto di alcuni dati scritturistici. Infatti ci si può chiedere se la Bib­ bia stessa si presenti in questa maniera, e ci sono buoni motivi per pensare che siano necessarie almeno alcune correzioni. n primo ele­ mento da esaminare è la struttura del canone.

l.

IL CANONE EBRAICO E IL CANONE CRISTIANO

L'AT si presenta in maniera diversa nel canone ebraico e in quello cristiano, contenuto nella LXX e nella Vulgata. Il canone ebraico si compone di tre parti: la Legge (Tora), i Profeti (N•bt'im) e gli Scritti (K•tubim). La Legge corrisponde al Pentateuco, i Profe­ ti comprendono i libri storici, da Giosuè al Secondo libro dei Re, e tutti i libri dei profeti, da Isaia a Malachia. Il canone ebraico distin­ gue i profeti anteriori (Gs-2Re) da quelli posteriori (Isaia, Geremia, Ezechiele e i dodici profeti minori). Negli Scritti, infine, il canone ebraico colloca libri disparati come i Salmi, Giobbe, i Proverbi, i «cinque rotoli» (Rut, Cantico dei cantici, Qoelet, Lamentazioni, Ester) , il profeta Daniele, i libri di Esdra e di Neemia e i due libri delle Cronache. n canone cristiano invece dispone i libri storici, dalla Genesi al Secondo libro dei Maccabei, in una lunga serie che si apre - la cosa

Il canone ebraico e il canone cristiano

101

ha una sua importanza - con il Pentateuco.2 Seguono i Sahni e i libri sapienziali e, infine, i libri profetici, da Isaia a Malachia. In tal modo il canone è orientato verso il futuro, cioè verso la venuta di Gesù Cri­ sto. Per convincersene, basta leggere gli ultimi versetti dell' AT nel ca­ none cristiano, Ml 3 ,23-24: «Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore, perché converta il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri; così che io venendo non colpisca il paese con lo sterminio». Questa profezia di Malachia è ripresa in buona parte da Luca all'inizio del suo van­ gelo ( 1 ,17), quando l'angelo Gabriele annuncia a Zaccaria la nascita di Giovanni Battista, il quale, secondo i sinottici, è Elia che doveva ritornare per preparare la venuta del Messia.3 Questo testo fa dun­ que da nesso tra l'AT e il NT ed è una delle ragioni per cui i profeti si trovano alla fine del canone cristiano.4 D canone ebraico invece termina con il Secondo libro delle Cro­ nache. Qui si tratta di una scelta voluta, poiché i libri di Esdra e di Neemia e i due libri delle Cronache - ultimi libri del canone ebraico - non si trovano in un ordine logico e cronologico.5 I due libri delle Cronache infatti riprendono tutta la storia del mondo dalla creazio­ ne sino all'editto di Ciro, che permette agli israeliti di fare ritorno a Gerusalemme. I libri di Esdra e di Neemia invece ne formano la con­ tinuazione del tutto naturale, poiché narrano il ritorno degli esiliati dopo l'editto di Ciro, la ricostruzione del tempio e l'organizzazione della comunità postesilica. L'editto di Ciro, che conclude i libri delle Cronache, è del resto ripreso in una forma un po' più lunga all'inizio del libro di Esdra ( 1 ,2-4). Nella Bibbia cristiana Esdra e Neemia se-

2 Prescindiamo dal fatto che il canone cristiano abbia integrato un ceno nu­ mero di libri mancanti nel canone ebraico, i libri deuterocanonici, presenti unica­ mente nella LXX e nella Vulgata, come ad esempio i libri dei Maccabei. J Mt 1 1 , 14; 17,10-13; Le 9,30. 4 Occorre aggiungere che Isaia, il primo dei libri profetici, contiene molti an­ nunci messianici: Is 7 ,13; 9,5-6; 1 1 ,1-9; 61,1-2 ; senza parlare dei quattro Canti del servo, che la tradizione cristiana interpreta come annunci della passione (ls 42,1-4; 49,1 -6; 50,4-9 e soprattutto 52,13-53,12). 5 Cf. E. ZENGER, Einleitung in das Alte Testament, Kohlhammer, Stuttgan 1995, 25.

102

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guono i libri delle Cronache.6 Se la Bibbia ebraica segue un ordine inverso, ci dev'essere una ragione importante. Molto probabilmente al tempo della formazione del canone si sono collocate volutamente come conclusione di tutta la Bibbia le parole dell'editto di Ciro: «Dice Ciro, re di Persia: Il Signore, Dio dei cieli, mi ha consegnato tut­ ti i regni della terra. Egli mi ha comandato di costruirgli un tempio in Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo po­ polo, il suo Dio sia con lui e salga» (2Cr 36,23 ).

Queste ultime parole sono servite a designare nel secolo scorso il movimento di ritorno degli ebrei verso la terra di Israele, poiché il termine 'alya significa «salita». Se il canone cristiano orienta l' AT ver­ so la venuta del Messia - e del suo precursore -, il canone ebraico è tutto orientato verso la salita o ritorno verso Gerusalemme. L'ordine dei libri traduce bene due modi diversi di leggere I'AT. . Tuttavia, per i cristiani come per gli ebrei, il Pentateuco occupa il medesimo posto. ll NT pone la Legge prima dei Pofeti.7 Un testo di Mt ( 1 1 , 13 ) a prima vista fa eccezione, ma il contesto lo spiega fa­ cilmente: «Tutti i profeti e la Legge hanno profetato sino a Giovan­ ni». Secondo queste parole di Gesù, Giovanni Battista è l'ultimo dei profeti, ed era dunque normale palare dei profeti prima di citare la Legge. Questo testo è tuttavia sintomatico per due ragioni: prima, perché interpreta tutto l' AT come «profezia», e poi, perché vede in questa profezia un annuncio e una preparazione della venuta del Messia. Anche in tale prospettiva, però, Mosè e la Legge conservano invariabilmente il primo posto. Troppi testi lo confermano. Gesù, quando spiega le Scritture ai discepoli di Emmaus, le spiega «comin­ ciando da Mosè» per scorrere poi tutti i profeti (Le 24,27). Quando Filippo incontra Natanaele, nel Vangelo di Giovanni, gli presenta Gesù come «colui del quale hanno scritto nella Legge Mosè e i pro-

6 In tal modo gli ultimi libri della Bibbia accostano il racconto della costruzio­ ne del tempio ad opera di Salomone (2Cr 2-7) a quello della sua ricostruzione sono Esdra (Esd 3..5-6). La Legge e il tempio sono i due pilastri sui quali si è ricostruito l'I­ sraele postesilico. Nel NT, gli attentati alla Legge e al tempio sono crimini molto gra­ vi. Cf. le accuse contro Stefano (At 6, 1 1-15) e contro Paolo (At 2 1 ,28). Anche Gesù è accusato di avere complottato contro il tempio (Mt 26,61 e par.; cf. Gv 1 1,48).

Il canone ebraico e il ctJnone cristiano

103

feti» (Gv 1 ,45). Prescindendo dal testo citato, anche il Vangelo di Matteo pone del tutto naturalmente la Legge prima dei Profeti (5, 17; 7 , 12; 22,40). Lo stesso fa Paolo nella Lettera ai Romani, quando si fonda sulla testimonianza della Legge e dei Profeti per affermare che la giustificazione è indipendente dalla Legge (Rm 3 ,2 1 ) . n NT è dun­ que unanime al riguardo. E l'AT? Il. LA MORTE DI MOSÈ E L'AUTORITÀ DEL PENTATEUCO

ll Pentateuco termina con la morte di Mosè (Dt 34, 1 - 1 1 ). n te­ sto contiene una serie di affermazioni fondamentali sul posto che Mosè occupa nella storia della rivelazione e, perciò, sul posto della Legge in rapporto agli altri libri biblici.8 Gli ultimi versetti sono si, gnificativi: «Non è più sorto in Israele un profeta come Mosè - con il quale il Si­ gnore parlava faccia a faccia - per tutti i segni e prodigi che il Signore lo aveva mandato a compiere nel paese di Egitto, contro il faraone, contro i suoi ministri e contro tutto il suo paese; e per la mano poten­ te e il terrore gran de messo in opera da Mosè davanti agli occhi di tut­ to Israele» (Dt 34,10-12).9

Questo testo contiene non solo l'elogio funebre di Mosè, ma an­ che alcune affermazioni fondamentali sul canone, in particolare sulla rivelazione che si conclude con la morte di Mosè. n testo è chiarissi-

7 Cf. Mt 5,17; 7,12; 22,40; Le 16,16; 24,27.44; Gv 1,45; At 13,15; 24,14; 28,23; Rm 3,2 1 . 8 L'importanza d i tale testo per la comprensione d el canone è stata messa in evidenza da CH. DoHMEN - M. 0EM!NG, Biblischer Kanon, warum und woxu?, Her­ der, Freiburg i.B. 1992, 54-68; cf. anche R. Lux, «Der Tod des Moses als " bespro­ chene und erziihlte Welt"», in ZTK 84(1987), 395-425; N. LoHFINK, «Moses Tod, die Tora und die alttestamentlische SonntagslesWJg», in Theologie und Philosophie 71( 1996), 481-494; ZENGER, Einleitung, 24. 9 Letteralmente il v. 12 si traduce cosl: .

Secondo tale testo, la Legge è stata affidata a Giosuè da Mosè e non da Dio stesso. Essa è la condizione di successo per tutte le impre­ se di Giosuè. Da notare, infine, che la Legge è «scritta»: si tratta di un > (v. 8). Questo testo di Gs 1 ,7-8 fornisce una chiave di inter­ pretazione per tutti i libri seguenti: Israele sarà felice se obbedirà alla Legge. Corre invece grandi pericoli non appena l'abbandona. n libro dei Giudici ne offre una dimostrazione ben nota. Sullo stesso princi­ pio si basa 2Re 17,7-23 per spiegare la fme della monarchia del nord. Non è esagerato dire che tutta la storia di Israele, da Giosuè sino all a fine della monarchia di Giuda e all'esilio, è misurata con tale metro. La vita di Giosuè offre una prima dimostrazione di questa tesi: l'eroe è riuscito a conquistare il paese perché ha applicato alla lette­ ra le consegne ricevute dal Signore all 'inizio della sua carriera. Prima di morire, Giosuè raccomanda al popolo di seguire il suo esempio. Le sue parole riecheggiano alcune frasi che egli aveva inteso appena dopo la morte di Mosè: «Siate forti nell'osservare ed eseguire quan­ to è scritto nel libro della legge di Mosè, senza deviare né a destra né a sinistra» (Gs 23,6). n «testamento spirituale» di Giosuè insiste di nuovo su una verità ormai ben nota: la legge di Mosè servirà come «regola di condotta>> per le generazioni future. In termini più mo­ derni, la legge di Mosè è la «Costituzione» di Israele. Questa Legge ne defmisce l'identità e fissa le grandi linee della sua «politica», sia che si tratti di religione, dei rapporti con le altre nazioni o dei diritti e doveri dei membri del popolo. Poco prima di morire, Davide farà a Salomone alcune racco­ mandazioni che offrono molte analogie con i testi già citati: «Sii forte e mostrati uomo. Osserva la legge del Signore tuo Dio, pro­ cedendo nelle sue vie ed eseguendo i suoi statuti, i suoi comandi , i suoi decreti e le sue prescrizioni, come sta scritto nella legge di Mosè, per­ ché tu riesca in ogni rua impresa e in ogni tuo progetto, perché il Si-

108

Orientamenti gnore attui la promessa che mi ha fatto quando ha detto: "Se i tuoi fi­ gli nella loro condotta si cureranno di camminare davanti a me con lealtà, con tutto il cuore e con tutta l'anima, sul trono d'Israele siederà sempre uno dei tuoi discendenti"» ( lRe 2,2b-4).15

Risulta chiaro da questo testo che la monarchia è subordinata al­ la legge di Mosè e che la soprawivenza della dinastia è legata all'os­ servanza della Legge. 16 Mosè precede Davide, nel tempo come nel­ l'ordine d'importanza, e, se Israele è esistito prima della monarchia, potrà anche soprawivere a essa. Tornando al nostro scopo principale, questi testi non presenta­ no il Pentateuco come l'inizio di una lunga storia, ma piuttosto come il fondamento su cui si costruisce il resto della storia. Il Pentateuco enuncia i grandi princìpi del diritto che costituiscono le basi essen­ ziali dell'esistenza di Israele, e la storia del popolo va letta in funzio­ ne della fedeltà a tali princìpi. La cosa non è diversa per ciò che concerne i profeti posteriori. Qui è illuminante la conclusione dell'ultimo libro. Alla fine del libro di Malachia, esattamente prima dell'oracolo che annuncia il ritorno di Elia, citato prima, un versetto ricorda la legge di Mosè: «Tenete a mente la legge del mio servo, Mosè, al quale ordinai sul monte Oreb statuti e norme per tutto Israele» (Ml 3 ,22). In questo finale, Mosè ed Elia si ritrovano fianco a fianco, come nella scena della trasfigurazio­ ne, e non certamente per caso. L'uno è la grande figura del passato, l'altro prepara l' awenire. 17 Relativamente a Mosè, il versetto invita a «tenere a mente». Ora, molti altri testi fanno, dei profeti, uomini «ri­ cordo)); più concretamente, uomini che hanno insistito a tempo e fuori tempo perché Israele rimanesse fedele alla legge di Mosè. Ne offre un esempio 2Re 17,13:

1 5 Tutti questi testi hanno un innegabile sapore deuteronomista. 1 6 Il principio trova la sua espressione giuridica neUa Legge, in Dt 17,14-20. Vi è prescritto, tra l'altro, che il re deve possedere una «copia della Legge>> e leggerla ogni giorno ( 17,18-19). L'espressione «copia deUa Legge» è stata tradotta in greco

con deuteronomion, termine che è passato in latino e che è all'origine del termine «Deuteronomio>>. 17 Cf. Mt 17,3; Mc 9,4; Le 9,30.

Il canone ebraico e il canone cristiano

109

«Eppure il Signore, per mezzo di rutti i suoi profeti e dei veggenti, ave­

va ordinato a Israele e a Giuda: Convertitevi dalle vostre vie malvagie e osservate i miei comandi e i miei decreti secondo ogni legge, che io ho imposto ai vostri padri e che ho fatto dire a voi per mezzo dei miei servi, i profeti». I profeti, secondo tale testo, sono anzitutto strumenti della Leg­ ge: per loro tramite YHWH la comunica al suo popolo ed essi ricor­ dano al popolo il dovere di fedeltà verso di essa. Altri testi, soprattutto nel libro di Geremia, interpretano il ruo­ lo dei profeti allo stesso modo (Ger 25,4; 26,5; 29,19; 35,15). YHWH non ha mai cessato di inviare profeti per esortare il suo po­ polo all a conversione, ma esso non ha voluto ascoltare. Pur non es­ sendo precisi come Ml 3 ,22, perché non parlano esplicitamente del­ la legge di Mosè, essi tuttavia non sono meno espliciti sul ruolo dei profeti. La loro prima funzione è di riportare Israele al suo Dio. Que­ sta immagine è anche quella che sì ritrova nel finale del libro di Ma­ lachia. Secondo tali testi, i profeti sono la «memoria vivente» di Israele. Essi sono rivolti più verso il passato che non verso l'avvenire e, piuttosto che tenere desta la speranza dei tempi messianici, hanno il compito di non perdere mai di vista l'eredità lasciàta da Mosè e di ricondurre a essa il popolo infedele. Un tale modo di vedere, certa­ mente non è l'unico, poiché esistono profezie messianiche e visioni escatologiche. L'attesa di un futuro migliore è ben presente nella pre­ dicazione profetica. Tuttavia bisogna constatare che il canone delle Scritture favorisce un'altra visione del profetismo, secondo la quale i profeti sono anzitutto custodi e interpreti della Legge. IV. LA LEGGE E I SAPIENTits Se i profeti sono al servizio della Legge, almeno secondo i testi che organizzano il canone ebraico, anche i sapienti lo sono e ciò non meraviglierà nessuno. Gli Scritti che formano la terza parte della Bib­ bia ebraica hanno ricevuto una «prefazione» il cui scopo è precisare

18

Cf. ZENGER, Einleitung,

25-26.

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1 10

il loro rapporto con la Legge. 1 9 È il salmo 1 : «Felice l'uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia sulla via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti; ma si compiace della legge del Si­ gnore, la sua legge medita giorno e notte» (Sal l,l-2 ) . Le prime parole della terza parte della Bibbia hanno più di un'a­ nalogia con il primo discorso di Dio a Giosuè che inaugura la serie dei libri profetici. Oltre all'espressione «meditare la legge giorno e notte» (cf. Gs 1 ,8), occorre anche segnalare al v. 3 : «riusciranno tut­ te le sue imprese» (Sal l ,3; Gs l ,7 .8). La riuscita del sapiente, come quella dei profeti, dipende dalla fedeltà alla Legge. Come Giosuè è invitato a «meditare» la Legge giorno e notte, così è del sapiente. Inoltre i libri contenuti in questa parte della Bibbia sono concepiti come un mezzo per «meditare la legge». Non aggiungono dunque nulla a essa, ma l'approfondiscono. Questo modo di vedere è con­ fermato da uno scritto che non fa parte del canone ebraico, il libro del Siracide. Al capitolo 24, quell'autore sapienziale identifica espli­ citamente la Sapienza con la Legge: «Tutto questo [cioè la Sapienza] è il libro dell'alleanza di Dio altissimo, la legge che ci ha imposto Mo­ sè, l'eredità delle assemblee di Giacobbe» (Sir 24,22). V.

LA STRUTTIJRA APERTA DELL'AT

Come comprendere allora che il NT possa presentarsi quale «concepimento» dell'AT (cf. Mt 5,22)? Bisogna cercarne la risposta nella «struttura aperta» dell'AT. La cosa inizia con lo stesso Penta­ teuco. Mosè muore fuori della terra promessa. Prima di morire, Dio conduce il più grande dei profeti sulla vetta del monte Nebo e «gli fa vedere» tutto il paese promesso ai patriarchi. Quello «sguardo» ha un valore giudirico: Mosè, in nome di Israele, prende giuridica­ mente possesso di tutto il territorio che YHWH gli mostra. Tale usanza è nota nel mondo antico come anche nel diritto romano.20 ll

19 Questa divisione tripanita trova un'eco parziale nel testo di Le 24,44, dove si narra che Gesù dice ai discepoli: «Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». 20 Cf. D. DAUBE, Studies in Biblica! uw, University Press, Cambridge 1947, 25-27.

Il canone ebraico e il canone cristiano

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racconto di Dt 34,1-4 ricorda senza alcun dubbio l'inizio della sto­ ria di Israele, quando YHWH dice ad Abramo: «Lascia il tuo paese [ ] e va' nel paese che io ti mostrerò» (Gen 12,1 ).21 Dal punto di vi­ sta canonico esiste certamente una parentela tra i due termini: il pae­ se che YHWH ha mostrato ad Abramo è quello stesso che mostra a Mosè appena prima che muoia. Abramo ha potuto «vedere» il pae­ se. Dio glielo ha fatto percorrere in lungo e in largo (Gen 13,14-17), ma egli non vi si è potuto fissare perché era soltanto un migrante, e non un «cittadino» e un «proprietario». Dopo numerose peripezie, il Pentateuco termina con una scena analoga, nella quale Mosè può contemplare da lontano il paese senza potervi entrare. Il Pentateuco termina dunque prima che Israele sia entrato concretamente in pos­ sesso della terra promessa. Dovrà aspettare che Giosuè gli faccia at­ traversare il Giordano. Tutta la conquista di Giosuè è lungi dall'es­ sere definitiva. Il libro dei Giudici mostrerà quanto sia fragile la fedeltà del popo­ lo e, di conseguenza, il possesso del paese. Alla fine del Secondo libro dei Re, il popolo si ritrova nella medesima situazione che alla fine del li­ bro del Deuteronomio. Si trova di nuovo lontano dal proprio paese e aspetta di potervi fare ritorno. Anche la conclusione dei libri profetici che annuncia il ritorno di Elia è una «conclusione aperta». Il profeta Elia deve fare ritorno per convertire i cuori e impedire che YHWH col­ pisca con anatema la «terra». La situazione è identica alla fine della Bib­ bia ebraica, quando risuona l'appello di Ciro a «salire» a Gerusalemme per partecipare alla ricostruzione del tempio (2Cr 36,23). I lettori sono invitati a volgere lo sguardo verso l'awenire alla fi­ ne di ognuna delle grandi parti della Bibbia: il Pentateuco, i libri pro­ ferici e gli Scritti. Ognuna di queste conclusioni orienta lo sguardo nella medesima direzione, cioè verso la terra: quella che YHWH mo­ stra a Mosè, quella che il ritorno di Elia deve salvare dalla distruzio­ ne e quella dove Ciro invita a ricostruire il tempio. L'AT è dunque una «sinfonia incompiuta». Quando il popolo farà ritorno nella pro­ pria terra? Quando il tempio sarà ricostruito? Qui può innestarsi la _ __

2 1 E. ZENGER, Ein/eitung, 36.

1 12

Orientamenti

vera speranza messianica. Per poter possedere la terra con certezza occorreva essere indipendenti. Ora, nel mondo antico, era difficile concepire l'indipendenza senza la struttura di una monarchia. Chi dice «monarchia» in Israele pensa immediatamente a Davide. Perciò la speranza di un futuro felice sulla terra si traduceva, per alcuni gruppi almeno, in una «speranza messianica», cioè in una restaura­ zione della monarchia davidica che doveva dunque condurre a ter­ mine l'opera di Mosè.

VI. ANTICO TESTAMENTO E NUOVO TESTAMENTO ll NT ha preso atto di tale speranza. Non si presenta dunque, benché lo si possa talvolta pensare, come un nuovo inizio. ll NT non prende il posto dell' AT e non si sostituisce a esso. Piuttosto si offre come un'interpretazione dell'AT che ha maggior valore delle altre, perché definitiva. Inoltre si presenta come compimento. In termini più concreti, offre una risposta definitiva alla speranza del­ la terra, che rimaneva all'orizzonte del Pentateuco e del resto della Bibbia ebraica. Questa «terra» promessa ai patriarchi è il «regno dei cieli» o il «regno di Dio». L'espressione è stata molto studiata e non tocca a noi fornirne uno studio completo. Tuttavia, alla luce di ciò che abbiamo appena detto, conviene ricollocare il termine nel suo contesto primitivo. Nella sua predicazione, Gesù promette al popolo di Israele che potrà entrare finalmente in possesso della «terra» promessa ai patriarchi. Egli reinterpreta in maniera radica­ le i dati veterotestamentari - è evidente -, ma è anche in continua­ zione con essi. Il linguaggio che adopera e i suoi parallelismi non possono essere percepiti se non da chi è sensibile a ciò che l'AT di­ ce della > (Gv 5,46); cf. J.L. SKA, «Dal Nuovo all'Antico Testamento», in La Civiltà Cattolica 2(1996), 20-23 (in questo volume al capitolo 8, pp. 187-191).

6. FORMAZIONE DEL CANONE DELLE SCRITTURE EBRAICHE E CRISTIANE

La formazione del canone biblico ha più di un punto in comune con la formazione dei canoni letterari antichi, nonostante le differen­ ze importanti che separano questi due mondi. Molti inoltre diranno che vi sono pochi punti di contatto fra le ricerche nel mondo della letteratura e quelle che si svolgono nel mondo dell'esegesi biblica. Negli ultimi decenni, però, non sono mancate pubblicazioni che di­ mostrano come la Bibbia abbia avuto un ruolo non indifferente nel­ la storia della letteratura occidentale. Basti ricordare l'opera ormai classica di Erich Auerbach, Mimesi. Il realismo nella letteratura occi­ dentale. 1 La sua tesi fondamentale, ormai ben nota, è che il realismo nella letteratura occidentale ha due radici: la letteratura classica gre­ co-latina e le narrazioni bibliche. Auerbach è stato criticato e corret­ to, ma la lettura del suo libro rimane sempre avvincente e istruttiva. Opere analoghe a quella di Auerbach esistono soprattutto nel mon­ do anglosassone, dove si insegna spesso la Bibbia nelle facoltà di let­ tere.2 ll libro più conosciuto è certamente quello di Northrop Frye,

1 E. AUERBACH, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale (Piccola Bi­ blioteca Einaudi 35,1-2) Einaudi, Torino 19�6; originale tedesco: Mimesis. Darge­ stellte Wirklichkeit in der abendliindischen Literatur, Francke, Bern 1946. 2 Si vedano, per esempio, D. ]ASPER - S. PluCKEIT (edd.), The Bible and Lit­ erature: A Reader, Blackwell, Oxford 1999; D. NoRTON, A History o/ the Bible as Li­ terature, University Press, Cambridge (UK) 1993; ID., A History o/ the English Bible as Literature, University Press, Cambridge (UK) 2000. Un'altra opera di questo tipo è quella di A.-M. I'ELLETIER, Lectures bibliques. Aux sources de la culture ocadentale, Le Cerf, Paris 1995, nouvelle édition 2001; tr. it. La Bibbia e l'Occidente. Letture bi­ bliche alle sorgenti della cultura occidentale, EDB, Bologna 1999.

Orientamenti

116

Il grande codice, il cui titolo è stato usato forse troppo spesso e di­ venta una specie di mot de passe.3 In Italia, la situazione è diversa per motivi complessi che non posso analizzare in questo breve articolo e che, inoltre, esulano dalla mia competenza. Il problema, in ogni mo­ do, è probabilmente più «politico» che propriamente letterario, per­ ché più legato alle relazioni fra mondo laico e Chiesa che non alla na­ tura della Bibbia come tale. D'altronde, il recente libro di Brunetto Salvarani, A scuola con la Bzhbia. Dal libro assente al libro ritrovato (EMI, Bologna 2001), tenta di riscoprire il ruolo essenziale espletato dalla Bibbia nella cultura italiana ed europea, specialmente nel mon­ do della letteratura e della pittura. L'autore di questo saggio condu­ ce la sua indagine in modo oggettivo e l'indole dd lavoro è laica e scientifica. Un'ultima riflessione, molto semplice, dovrebbe convin­ cerci che un contributo sulla Bibbia non sia fuori posto in questo convegno, ed è la seguente: in fin dei conti, la Bibbia come tale è an­ ch'essa un fenomeno letterario e come tale va studiato. Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli studi sulla «Bibbia come letteratura» e la mia indagine si colloca all'interno di questa tendenza. Il mio studio adotterà inoltre un taglio prettamente storico, perché la storia forni­ sce una delle migliori piattaforme per un dialogo interdisciplinare. Occorre, tuttavia, porre una domanda preliminare sulla natura della Bibbia prima di intavolare la discussione sulla formazione del cano­ ne biblico che sarà l'oggetto specifico del mio contributo. l.

INTRODUZIONE: QUALCHE NOZIONE DI BASE

l.

C HE cos'È LA BmaiA?

La Bibbia, in effetti, si presenta come un insieme di libri piutto­ sto che come un libro. La parola >, in The ]erome Biblica! Commentary, by RE. BaowN - ].A. FITZMYER - RE. MuRPHY, Prentice-HaU, Englewood Cliffs (NJ) 1968, 525-531 (il § 86, p. 53 1 , è di }.C. TURRo ): cf. lo stesso articolo, riveduto, in RE. BROWN - J .A. FITZMYER - RE. MuRPHY (edd.), The New ]erome Biblica! Commen­ tary, Prentice-HaU, Englewood Cliffs (NJ) 1990, 1043-105 1 (il § 86, p. 1051, è di RF. CoLLINS). Consulteremo anche H.Y. GAMBLE, >, 856·857. 6' Cf. R. M. GRANT, «From Tradition to Scripture and Bacio>, in Scripture and Tradition, by J.F. KELLEY, Fides, Notre Dame (IN) 1976, 18·36, spec. 14·15. 66 Cf. per esempio testi quali Mt 24,3; 1Cor 15,23; 1Ts 5, 1; Ap 22,17. 67 Marcione muore verso il 160. I suoi scritti sono tutti spariti e lo conosciamo solo grazie alle citazioni dei suoi awersari, soprattutto Tertulliano. Sull'influsso di Marcione, cf. MrrzGER, The Canon, 87-94.

Formazione del canone delle Scritture ebraiche e cristiane

15 1

(Ponte), sul Mar Nero, era un ricco armatore. Egli si accorse di pos­ sedere una collezione di scritti rilevanti per la sua comunità cristiana. Si trattava di una raccolta di lettere di Paolo e di una versione ab­ breviata del Vangelo di Luca, discepolo di Paolo. Lo scopo di Mar­ cione, però, era soprattutto di contrastare l'influsso ebraico sul mon­ do cristiano. Per Marcione, il Dio dell'AT è solo un demiurgo, un creatore del mondo, e occorre distinguerlo assolutamente dal Dio del NT, il Dio di Gesù Cristo. Nelle sue Antitesi offre un'interpretazio­ ne radicale di Paolo e accentua al massimo, sembra, le differenze fra AT e NT, fra il mondo della Legge e il mondo del puro amore e del­ la pura grazia. La conseguenza naturale di questa posizione è il ri­ getto di tutto l'AT. Per forza di cose, i cristiani furono obbligati, al­ meno in parte, a reagire e a definire meglio quali fossero le loro «Scritture».68 Quarto, a partire dal II secolo d.C., la necessità di possedere fon­ ti scritte diventò più acuta. n numero delle comunità awnentava, le distanze fra loro erano sempre più importanti, e l'esistenza di diverse tradizioni sul , 857. 71 Si pensa per esempio ad alcune lettere di Paolo rivolte all a comunità di Co­

rinto (cf. lCor 5,9; 2Cor 2,3·4.9). 7' Su questo punto, cf. P BALLA, «Evidence for an Early Christian Canon (Se· cond and Third Century)», in The Canon Debate, 372·385.

154

Orientamenti

fissato alla loro epoca (Il sec.). Inoltre, il Canone di Muratori, uno dei documenti spesso utilizzati per comprovare una data antica del­ l'esistenza di un canone neotestamentario,75 non risale alla fine del II secolo e non è stato scritto a Roma. Il documento è piuttosto di ori­ gine orientale e risale all'inizio del IV secolo.76 Terzo, la versione si­ riaca del NT, la cosiddetta Peshitta, è del V e non del II secolo. Do­ po questa breve inchiesta, sembra quindi necessario aspettare fino al IV secolo per assistere alla chiusura del canone, e ciò significa che questa chiusura coincide con l'epoca dell'imperatore Costantino, pri­ mo imperatore convertito al cristianesimo. Esistevano già prima di quest'epoca, tuttavia, diversi scritti autorevoli che circolavano nelle diverse comunità cristiane. Quali erano questi scritti? È la domanda che dobbiamo affrontare adesso.

b.

.

Prima raccolta: le lettere di Paolo77

Paolo è il primo «scrittore» del NT. Le sue lettere autentiche so­ no state tutte scritte fra il 52 e il 63 circa. Le prime citazioni testua­ li delle lettere di Paolo si trovano già in Clemente di Roma (fine I 75 ll cosiddetto «Canone di Muratori» fu scoperto da Ludovico Antonio Mura­ tori (1672-1750). Si tratta di una lista frammentaria degli scritti del NT rinvenuta per caso nel 1740 in un manoscritto dell'VIII secolo nella Biblioteca Ambrosiana di Mila­ no, poi in quattro manoscritti di Monte Cassino (XI e XII sec.). Il testo frammentario inizia in modo abrupto ed è costituito solo da 85 righe. Secondo lo stesso Muratori, il testo latino sarebbe una maldestra traduzione di un originale greco. La sua ipotesi è stata accettata da molti specialisti. La lista dei libri omette solo alcune delle cosiddet­ te «lettere cattoliche» (Giacomo, la Prima e la Seconda lettera di Pietro, e la Terza let­ tera di Giovanni), ma include la Sapienza di Salomone che farà parte del canone del­ l'AT, e l'Apocalisse di Pietro, uno dei primi esempi di questo genere letterario nel mondo cristiano, composto verso il 135 d.C., che sarà esclusa dal canone. Infine, il te· sto ammette che vi siano discussioni a proposito dell'Apocalisse di Giovanni e dell'A­ pocalisse di Pietro. Non menziona, invece, alcuna discussione a proposito della Let­ tera agli Ebrei, attribuita a Paolo. Per una breve presentazione, si veda G .A. ROBBINS, «Muratorian Fragment>>, in Anchor Bible Dictionary, IV, 928-929; cf. anche SANDERS, «New Testament Canon>>, 856; G.M. HAHNEMAN, >, 853-854.

Formazione del canone delle Scritture ebraiche e cristiane

155

sec.), poi in Ignazio di Antiochia (fme I sec.-inizio II sec.), martire a Roma sotto Traiano.78 Policarpo, discepolo dell'apostolo Giovan­ ni (v. 155), cita anch'egli Paolo, soprattutto la Lettera ai Colossesi. Tutti gli altri scrittori cristiani importanti fanno riferimento a Paolo. Clemente, per esempio, accorda a Paolo un'autorità simile a quella dell'AT. Possiamo quindi affermare con una certa sicurezza che le lettere di Paolo sono già conosciute alla fine del I secolo. La raccolta con­ tiene nove lettere: Romani, 1-2 Corinzi, Galati, Efesini, Colossesi, Fi­ lippesi, 1 -2 Tessalonicesi.79 Le lettere pastorali, attribuite a Paolo ( 1 2 Timoteo - Tito), impiegheranno più tempo prima di raggiungere lo stesso livello di autorevolezza, mentre la Lettera agli Ebrei sarà ac­ cettata nel canone sotto influsso della Chiesa di Alessandria (Egitto) solo nel IV secolo. Un fatto particolare conferma che Paolo occupa una situazione privilegiata nel primo cristianesimo: è l'unico autore di cui lo stesso NT cita le opere. La citazione si trova nella Seconda lettera di Pietro, 3,15, lettera attribuita a Pietro e scritta, secondo la maggioranza de­ gli specialisti, verso il 125. n testo recita: ..Perciò, carissimi, aspettando queste cose, fate in modo di essere tro­ vati da lui [Cristo] immacolati e irreprensibili, in pace. E ricordate che la pazienza del nostro Signore è in funzione della salvezza, come anche il nostro caro fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; e questo egli fa in tutte le sue epistole, in cui parla di queste cose. In esse vi sono alcune cose difficili da comprendere, che gli uo­ mini ignoranti e instabili storcono, come fanno con le altre Scritture, a loro propria perdizione».

La citazione dimostra che Paolo ha avuto un influsso decisivo sul cristianesimo del I secolo, in particolare perché «ha aperto la porta della fede ai pagani» (At 14,27). Inoltre, le lettere di Paolo - sebbe-

78 Le lettere di Ignazio di Antiochia furono raccolte nel 1 17 circa.

79 L'ordine nd quale sono presentate nelle diverse «liste» antiche può variare. D'altronde, molti autori antichi parlano di sette lettere perché 1-2 Corinzi e 1-2 Tes­ salonicesi contano per una sola lettera.

156

On'entamenti

ne non sappiamo a quali lettere il testo di 2Pt 3 , 14-16 alluda - sono già in circolazione nel primo quarto del II secolo, e sono oggetto di dibattito. Infine, le lettere paoline sono considerate al pari delle «al­ tre Scritture» e sono pertanto annoverate fra gli scritti .

158

Orientamenti

Trifone 103). Secondo quest'autore, i vangeli sono letti la domenica con i profeti (Apologia 1 ,66-67). Egli, tuttavia, cita anche vangeli non

canonici. Ireneo (fra il 170 e il 180) scrive un'accorata arringa a favore dei soli quattro vangeli «canonici», Matteo, Marco, Luca e Giovanni (Adversus Haereses 3 , 1 1 .8-9), in un ragionamento molto simbolico e più immaginativo che davvero convincente, perché afferma che i van­ geli devono essere quattro così come vi sono quattro punti cardinali e quattro venti. Nello stesso modo, i vangeli che si diffondono nel mondo intero devono essere quattro. L'influsso di Ireneo fu nondi­ meno considerevole nella formazione del canone. Diversi fattori hanno contribuito al successo dei quattro vangeli canonici. Uno dei più importanti, tuttavia, fu probabilmente la loro origine «apostolica», diretta per Matteo e Giovanni, o indiretta per Marco, discepolo di Pietro, e Luca, discepolo di Paolo. Altri fattori hanno tuttavia dovuto influire sulla scelta di questi vangeli, perché al­ cuni vangeli apocrifi ed esclusi dal canone sono anch'essi attribuiti ad apostoli, così come il Vangelo di Pietro e il Vangelo di Tommaso.86 Forse i quattro vangeli canonici potevano rivendicare una maggiore antichità, oppure sono stati più diffusi perché provenivano da comu­ nità più influenti: Matteo era il vangelo delle comunità di Siria, Mar­ co dei cristiani di Roma, Luca è spesso legato ad Antiochia o alla Grecia, e Giovanni a Efeso. Infine, non si può escludere un motivo più prosaico nella preferenza di questi quattro vangeli: sono proba­ bilmente più completi, contengono svariate tradizioni (discorsi, nar­ razioni, parabole, singoli detti, racconti completi sulla passione e la risurrezione) , sono scritti in uno stile semplice e accessibile, sono me­ no unilaterali di vangeli quali quello di Pietro o quello di Tommaso, o il protevangelio di Giacomo, ed erano quindi più adatti alle varie esigenze delle comunità cristiane. I quattro vangeli canonici sono cer-

86 Sugli apocrifi del NT, cf., fra gli altri, METZGER, Il canone, 142·166. Esisto· no due edizioni degli apocrifi del NT in italiano: M. ERBEITA, Gli Apocrifi del Nuo­ vo Testamento, 3 voli. in 4 tomi, Piemme, Casale Monferrato (Al) 1966-1981 (volu· mi più volte ristampati); L. MoRALDI (ed.), Apocrifi del Nuovo Testamento (Classici delle religioni. 5. Le altre confessioni cristiane), Unione Tipografico-Editrice Tori· nese, Torino 1971, 21994.

Formazione del canone delle Scritture ebraiche e cristiane

159

tamente anche quelli che erano i più diffusi e i più usati durante i pri­ mi secoli. A partire dalla fine del II secolo e nel corso del III, in ogni mo­ do, la collezione dei quattro vangeli s'impone rapidamente, prima in occidente, poi in oriente, in virtù di un compromesso fra la volontà di mantenere un solo vangelo e l'esistenza di una gran varietà di van­ geli per i bisogni delle diverse comunità cristiane. È interessante no­ tare, infine, che i vangeli hanno acquistato lo statuto canonico insie­ me, come gruppo di quattro, e non isolatamente. Esistevano, tuttavia, diversi modi di sistemarli. In occidente pre­ valeva un ordine di «autorevolezza» poiché Matteo e Giovanni pre­ cedevano Marco e Luca, quindi i due vangeli attribuiti a due aposto­ li precedevano i due vangeli attribuiti a due discepoli degli apostoli. In oriente, invece, prevaleva un ordine cronologico o, per lo meno, che si credeva essere tale e che è l'ordine odierno: Matteo, Marco, Luca e Giovanni. In realtà Matteo precede Marco perché Matteo è stato utilizzato molto di più nella catechesi a causa della presenza in esso di numerosi discorsi. L'ordine attuale risale alla scelta di Gero­ lamo nella sua traduzione latina, la Vulgata (400 ca.), in cui adotta l'ordine delle Chiese orientali.

d.

Gli Atti degli apostoli87

L'opinione comune è che Luca compose il suo vangelo e gli Atti degli apostoli come due pannelli di un'unica opera verso 1'80. Gli At­ ti hanno chiaramente come scopo di vedere nella predicazione degli apostoli, specialmente Pietro e Paolo, la continuazione dell'attività di Gesù Cristo. Inoltre, Luca vuoi dimostrare la continuità fra la predi­ cazione di Pietro, più centrata sul mondo ebraico, e quella di Paolo, aperta al mondo pagano. Gli Atti iniziano a diventare popolari dopo Marcione (verso il 150), che li esclude dal suo «canone», e acquistano uno statuto qua­ si canonico verso il 200. Esistevano però diverse opere simili, ad esempio gli Atti di Giovanni, di Tomrnaso, di Paolo. Molti di questi

87 Cf. BROWN, , 855.

Orientamenti

160

«Atti» sono apocrifi e dimostrano tendenze giudicate «eretiche». Per questa ragione saranno esclusi dal canone. Eusebio (Storia ecclesia­ stica 3 ,25,4) esclude esplicitamente dal suo canone gli Atti eli Paolo perché non autentici.

e.

Lettere cattoliche (indirizzate a tutta la Chiesa) o lettere «universali»88

Questa parte del canone neotestamentario conosce una storia molto simile a quella della terza parte dell' AT, gli Scritti, a causa della mancanza eli dati e eli informazioni precise. Si tratta anche eli una par­ te eli importanza minore in confronto ai vangeli e alle lettere di Paolo. Il termine «lettere cattoliche» è usato per la prima volta da Apol­ lonio (verso il 197). Papia, secondo Eusebio, avrebbe citato la Prima lettera di Giovanni e la Prima lettera di Pietro. Policarpo cita la Pri­ ma lettera di Pietro. Ireneo cita una volta la stessa Prima lettera di Pietro, mentre Tertulliano e Clemente eli Alessandria l'attribuiscono esplicitamente all'apostolo Pietro. Si può quindi dire che l'attribu­ zione a Pietro risale all'inizio del III secolo. Vi sono anche alcune ci­ tazioni sparse della Prima lettera di Giovanni che appare con la Pri· ma lettera di Pietro in tutte le liste del III secolo. Le altre lettere so­ no molto meno conosciute. Esse entreranno nell'uso delle comunità cristiane solo durante il III secolo e saranno accolte fra gli scritti ca­ nonici nel IV secolo. Eusebio (verso il 325) è, in effetti, il primo a par­ lare nella sua Storia ecclesiastica 2,23 ,25 di sette lettere cattoliche (una lettera di Giacomo, due lettere di Pietro, tre lettere di Giovanni e una lettera di Giuda), però non si pronuncia sulla loro canonicità, che è sancita dalle Chiese greche e latine solo alla fine del IV secolo.

f

Lettera agli Ebrei e Apocalisse89

ll libro dell'Apocalisse causò molte difficoltà perché diede luo­ go a interpretazioni fuorvianti. La Lettera agli Ebrei è l'altro scritto

88 Cf. BROWN, «Canonicity>>, in The New Jerome Biblica/ Commentary, 10491050; GAMBLE, «Canon. New Testament», 855. 89 Cf. BROWN, «Canonicity», in The New Jerome Biblica/ Commentary, 10481049; GAMBLE, «Canon. New Testament», 855.

Forma1.ione del canone delle Scritture ebraiche e cristi4ne

161

del NT che provocò lunghe discussioni perché era difficile attribuir­ la all'apostolo Paolo a causa di uno stile molto diverso dal suo, come nota per esempio Origene. Il libro dell'Apocalisse era forse conosciuto da Papia e da Erma. Giustino è tuttavia il primo a citarlo esplicitamente (Dial. 81). Pure lreneo lo cita, e inoltre l'attribuisce all'apostolo Giovanni. Fino a og­ gi, l'Apocalisse non ha mai avuto grande favore in Oriente perché contiene troppe critiche del «potere politico», più concretamente del­ l'impero romano, paragonato a Babilonia (Ap 18) o alla «grande be­ stia» (Ap 13 ). Ora, le Chiese orientali sono spesso state abbastanza le­ gate al potere politico, per esempio sotto l'impero bizantino. Questo «papocesarismo»90 spiega, per una buona parte, lo scarso entusiasmo delle Chiese orientali nei confronti dell'ultimo libro del NT. La Lettera agli Ebrei è citata nella Prima lettera di Clemente, for­ se nel Pastore d'Erma e in Papia. Origene incoraggia l'accettazione di questa lettera, ma aggiunge che solo Dio sa chi l'ha scritta. Eusebio (Storia ecclesiastica 3,3,5) ammette che la Chiesa di Roma ha i suoi dubbi sull'origine paolina di questa lettera. Sarà ciononostante elen­ cata fra le scritture canoniche da Cirillo di Gerusalemme (350), Ata­ nasio di Alessandria (367) e Gregorio di Nazianzo (400).

g.

Scritti non canonicz91

Diversi scritti sono citati nei primi due secoli, come per esempio l Clemente, il Pastore d'Erma, Papia, le lettere di Policarpo e di Igna­ zio di Antiochia, la Didachè, Barnaba, il Vangelo secondo gli ebrei e il Vangelo secondo gli egiziani, l'Apocalisse di Pietro, le Tradizioni di Matteo, gli Ani di Paolo ... Non saranno però accettati per diversi motivi, non sempre chiari. Alcuni scritti erano considerati pericolosi o eretici, altri troppo recenti, altri ancora non ebbero molta fortuna, o semplicemente si giudicò che non fossero indispensabili per defi­ nire l'identità cristiana. 90 Si parla di «cesaropapismo» quando il papato tende ad arrogarsi prerogati· ve proprie al potere politico dell'imperatore; si parla invece di «papocesarismo>> quando il potere politico controlla e nello stesso tempo appoggia fortemente il mon· do religioso con il beneplacito di quest'ultimo. 91 Cf. GAMBLE, «Canon. New Testament», 855.

Orientamenti

162

4.

CHIUSURA

DEL

CANONE92

Per quale ragione bisogna aspettare il IV secolo prima di assiste­ re alla chiusura del canone? Perché il processo di canonizzazione non poteva concludersi prima della fine delle persecuzioni? Questa ragio­ ne sembra ovvia, anche se non è il caso. In realtà, non si faceva alcu­ na differenza fra libri canonici e non canonici in merito ai libri che uno poteva cedere in caso di persecuzione. Sembra piuttosto che uno dei motivi più importanti sia stata la decisione di dare al cristianesimo uno statuto ufficiale nell'impero romano. La diffusione del cristiane­ simo e la necessità di avere testi per l'insegnamento e per la liturgia fu­ rono probabilmente elementi decisivi nell'elaborazione di un canone fisso del NT. Lo stesso imperatore Costantino chiede cinquanta copie della Bibbia cristiana per la Chiesa di Costantinopoli, la nuova città scelta come capitale dell'impero. Si può facilmente immaginare che vi furono altri esempi di richieste simili nell'impero, oppure che l'esem­ pio di Costantino fu seguito da molti altri. Infine, non bisogna di­ menticare che a partire da Costantino fu molto più facile per i cristia­ ni circolare liberamente attraverso tutto l'impero e stabilire comuni­ cazioni fra le diverse comunità. Questa fu un'ulteriore ragione per fis­ sare un canone comune per tutte le Chiese cristiane. I primi elenchi completi del canone appaiono quindi durante il IV secolo. TI primo vero elenco completo è quello di Eusebio di Ce­ sarea (verso il 325) nella sua Storia ecclesiastica (3 ,25),93 seguito da quelli di Cirillo di Gerusalemme (350), Atanasio di Alessandria (367), Gregorio di Nazianzo (400), Agostino (400), liste poi sancite dai concili di Ipponio (393) e di Cartagine (397). Bisogna aggiungere, però, che solo Atanasio di Alessandria forni­ sce una lista completa di ventisette libri senza avere alcuna esitazione a proposito dell'uno o dell'altro libro (Lettera festiva 39).94 Eusebio, per esempio, ha ancora problemi a proposito di sette scritti (la Lette-

92 Cf. BROWN, > e me­ no ancora condanna gli antenati d'Israele nel loro comportamento. La morale non è certamente assente, ma non è al primo posto, come ab­ biamo appena sottolineato. L'aspetto dell'elezione prevale su tutti gli altri. Dio ha scelto Abramo, !sacco e Giacobbe, e li sostiene in ogni cir­ costanza. Se Dio giudica e condann a più di una volta in Gen 1 , 1 - 1 1 , e giudicherà Israele ribelle nel deserto, il lettore ha come l'impressione che Dio sospenda il suo giudizio durante tutta la storia patriarcale. ll secondo aspetto è un corollario del primo. Nella storia pa­ triarcale l'alleanza è incondizionata e le esigenze della «Legge» sono minime. Dio non pone condizioni alla sua scelta dei patriarchi; solo più tardi, con Mosè, compaiono l'alleanza condizionata, la morale, la Legge e la possibilità di una maledizione per chi è infedele. Come spiegare tale fenomeno? La spiegazione più semplice è stata propo­ sta di recente da R. Albertz. La religione dei patriarchi non è neces­ sariamente una religione più antica, dell'epoca cioè in cui il popolo era formato da clan nomadi,!' poiché si ritrovano le stesse caratteri-

u Su tale punto, cf. soprattutto R. ALBERTZ, Personliche Frommigkeit und offi­ zietle Religion. Religzonsinterner Pluralismus in lsrael und &bylon, Calwer, Stuttgan 1978; ID., Religionsgeschichte lsraels in alttestamentlicher Zeit 1-2, Vandenhoeck & Ruprecht, Giittingen 1992, 45-68. 14 Cf. T.N.D. METTINGER, In Search o/ God: The Meaning and Mem1ge of the Everlasting Names, Fonress, Philadelphia (PA) 1988, 6). " R. ALBERTZ, Personliche Frommigkeit, 77-91; ID., Religionsgeschichte Israels, 53-68.

Orientamenti

170

stiche in altre parti della Bibbia. Si tratta piuttosto della pietà perso· naie e familiare: nel limitato universo della famiglia o del clan, vale a dire della famiglia allargata, Dio sostiene in maniera incondizionata coloro che ha scelto e rimane il Dio del clan in qualsiasi evenienza. I vincoli che uniscono Dio al clan sono ricalcati sul modello di quelli che uniscono i vari membri della famiglia; essi sono «dati» dalla na­ tura: ognuno nasce in una famiglia senza averla scelta. Quei legami di sangue non si possono sopprimere e bisogna commettere un atto molto grave per essere escluso dalla famiglia. Allo stesso modo, la re­ lazione con Dio è «data», fa parte dell'esistenza. Dio «fa vivere», è anzitutto il Dio creatore, il Dio della natura che dà la prosperità, di­ fende dai nemici, benedice i suoi, dona loro una numerosa discen­ denza e li sostiene in ogni loro impresa. La religione di Mosè, invece, non è più la religione di una fami­ glia, neppure allargata; è la religione di una nazione e d'ora in poi si parlerà di «religione ufficiale».16 Se in una famiglia i vincoli sono sta­ biliti dalla natura, in una nazione devono essere creati, e dunque sa­ ranno frutto della libertà. Ora chi dice «libertà» dice «responsabi­ lità», «scelta», «alleanza», «convenzioni», «legge». L'autorità non è più quella del pater/amilias o dei genitori, poiché chi può dirsi «pa­ dre di tutta la nazione»? Questa nuova situazione obbliga a compie­ re un salto di ordine giuridico e teologico. Sul piano giuridico, la vita in comune di un popolo che si orga­ nizza suppone che esso si dia delle istituzioni, una forma di governo, regole di vita comune e un'autorità giudiziaria che possa risolvere i conflitti che sorgono tra gli individui o tra le famiglie. Anche qui l'au­ torità familiare non basta più, poiché i conflitti implicano più fami­ glie o membri di diverse famiglie. Sul piano teologico, anche la figura di Dio assume un altro aspet­ to. Dio è sempre il creatore della vita e il Dio della natura, ma diven­ ta soprattutto l 'arbitro della storia. Egli impegna il suo popolo nel­ l'alleanza, gli dà una Legge e Io chiama alla responsabilità. È il Dio che libera il suo popolo ed esige da lui una risposta libera. La so-

1 6 Al.BERTZ, Personliche Frommigkeit, 92-96; Io., Religionsgeschichte Israels,

68-104.

Alcuni princz'pi essenziali

171

pravvivenza del popolo dipende dalla sua fedeltà al suo Dio e dal­ l'osservanza della Legge. Questa volta il sostegno di Dio è condizio­ nato dalla risposta del popolo. I due aspetti, religione privata e religione ufficiale, procedono paralleli senza annullarsi, poiché la nazione non sopprime gli indivi­ dui o le famiglie. L'equilibrio tra i due è però delicato, i conflitti o le confusioni inevitabili. I profeti, ad esempio, lotteranno molto per formare Israele a una «coscienza collettiva». I loro appelli possono essere interpretati come la v0lontà di far passare il popolo dalla sem­ plice religione privata a quella ufficiale e collettiva. Non è possibile applicare senza alcuna modifica gli assiomi della religione privata a quella ufficiale. li Dio d'Israele non è esattamente il Dio di una gran­ de famiglia, che sostiene il suo popolo senza mai «giudicare» il suo comportamento. Dio è fedele, ma è anche esigente.17 La sorte del popolo dipende da questa coscienza collettiva e se, in fin dei conti, i due regni d'Israele e di Giuda sono scomparsi in due catastrofi na­ zionali, è, secondo i profeti, perché quei due popoli sono stati inca­ paci di sviluppare una religione adulta, basata sulla giustizia e sul di­ ritto, e non soltanto sugli interessi privati o su quelli delle grandi fa­ miglie. Non è stato possibile creare un sentimento di solidarietà col­ lettiva e un senso della responsabilità di dimensioni nazionali. La mancanza di maturità teologica e umana è stata la causa principale dell'esilio.18

17 Tra i testi più chiari al riguardo, cf. Os 12, che contrappone Giacobbe a Mo­ sè. D popolo fa appello a Giacobbe, personaggio che per Osea si preoccupava uni­ camente della sua famiglia, e non a Mosè, il profeta preoccupato della sone dd suo popolo. Su questo testo cf. A. DE PuRY, «Osée 12 et ses implications pour le débat actuel sur le Pentateuque», in Le Pentateuque. Recherches et débats, Cerf, Paris 1992, 175-207; Io., «Las dos leyendas sobre el origen de lsrael (Jacob y Moisés) y la da­ boraci6n del Pentateuco», in Estudios Biblicos 52( 1994), 95-3 1 . 1 8 Anche qui i testi sono molto numerosi. Citiamo solamente Ger 5,1-6: a Ge­ rusalemme nessuno «clifende il diritto», perciò la città sarà distrutta. Durante l'esi­ lio, la stessa problematica ricompare in Ez 33,23-29. Gli abitanti di Gerusalemme in rovina invocano la figura di Abramo dicendo: «Abramo era uno solo ed ebbe in pos­ sesso il paese e noi siamo molti: a noi dunque è stato dato in possesso il paese». Eze­ chiele confuta le loro pretese accusandoli di aver compiuto numerosi delitti. Il pos­ sesso della terra non è unicamente legato alle promesse patriarcali, dipende dall 'os­ servanza di una legge morale.

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Orientamenti

Quando invece occorre ridare speranza al popolo scoraggiato, i profeti riprendono le immagini del Dio creatore e del Dio dei pa­ triarchi, il cui amore è incondizionato.19 Religione privata e religio­ ne ufficiale corrispondono così a due momenti dialettici della teo­ logia d'Israele: il fondamento, il «dato» o la «grazia», e la religione dei patriarchi o religione familiare. Su tale fondamento si costruisce la religione ufficiale, fatta di libertà, di moralità, di giustizia e di re­ sponsabilità individuale e collettiva.20 Quali sono i grandi princìpi di questa «religione» o «morale» ufficiale? È ora d'interrogarsi su tale punto. m. LE LEGGI DELL'AT E IL PRINCIPIO DI RESPONSABILITÀ Le culture del Vicino Oriente antico, della Mesopotamia e del­ l'impero ittita ci hanno tramandato diverse raccolte di leggi. Le leggi dell'AT, specialmente quelle della Bibbia, sono ugualmente ben no­ te.21 Tuttavia, se già l'AT è poco apprezzato, le leggi sono indubbia­ mente tra gli elementi meno considerati della Bibbia. Esse però con­ tribuiscono molto alla comprensione della mentalità biblica e soprat­ tutto a scoprire quali sono i princìpi fondamentali sui quali si è edi­ ficata la società d'Israele. Tale comprensione aiuterà ad affrontare al­ cuni punti importanti della teologia neotestamentaria, fra l'altro la ri­ surrezione di Gesù Cristo.

19 ll secondo Isaia (ls 40-55) parla spesso del Dio creatore e menziona espli­ citamente Abramo (4 1,8) o Abramo e Sara (5 1,2) per ridare speranza agli esiliati. 20 Nel NT Giovanni Battista è l'erede dei profeti quando dice: «Non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere fìgl.i di Abramo da queste pietre>> (Mt 3,9). A salvare il popolo non sarà l'ascenden­ za abramica, ma la conversione. San Paolo, invece, contrapporrà Abramo a Mosè, affennando che la fede ha preceduto la legge. Qui si trana di sapere qual è il primo fondamento della rdazione con Dio (cf. Rm 4). 2 1 Citeremo soprattutto i tre «codici>> del Pentateuco, il «codice dell'alleanza» (Es 2 1-23), la «legge della santità>> (Lv 17-26) e il «codice deuteronomico» (Dt 12-26); per la Mesopotamia, il famoso «codice di Hammurabi».

Alcuni principi euen�iali

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Un punto essenziale in cui il diritto del Vicino Oriente antico e il diritto biblico si discostano dal diritto occidentale contemporaneo è la nozione di «responsabilità», nozione d'altronde controversa.22 Nel diritto romano e occidentale la nozione di responsabilità è anzi­ tutto soggettiva e individuale. Questo diritto, infatti, distingue netta­ mente tra «colpa» e «danno». Una persona, quando è vittima di un danno, non ha automaticamente diritto a un «risarcimento» o a un «indennizzo». Perché ciò si verifichi, è necessario anzitutto provare chi sia «responsabile» del danno (responsabilità soggettiva). Se si di­ mostra che qualcuno è colpevole, questi soltanto porta la responsa­ bilità della pena e del risarcimento (responsabilità individuale). Nel diritto biblico e in quello del Vicino Oriente antico, le cose sono abbastanza diverse. La responsabilità è molto più «oggettiva» e «collettiva». «Oggettiva» perché si occupa in primo luogo dei danni causati alla vittima, vale a dire dell'«oggetto» del delitto. L'infrazione o il danno creano una situazione d'ingiustizia, vale a dire uno squili­ brio; bisogna allora con ogni mezzo «ristabilire la giustizia» e, quin­ di, «risarcire» la vittima.23 Si tratta di un diritto imprescrittibile. In altri termini, poco importa sapere se il danno sia stato causato inten­ zionalmente o no, bisogna anzitutto che la vittima ritrovi ciò che ha perduto e che ci sia restitutio in integrum. In tale senso si parla di «re­ sponsabilità oggettiva». Inoltre la prima responsabile della giustizia è la collettività e non l'individuo. Essa dunque dovrà incaricarsi d'in­ dennizzare le vittime. Certamente, potrà obbligare il «colpevole» ad assumersi le proprie responsabilità, ma è comunque chiaro che la vit­ tima dovrà ricevere un compenso per ciò che ha perduto. Se il col­ pevole non può essere identificato, la comunità dovrà farsi carico di tale compito. Vogliamo illustrare questo principio con alcuni esempi. n primo delitto di cui parla la Bibbia è l'omicidio di Abele (Gen 4). n rac­ conto si svolge secondo lo schema di un caso giudiziario. La prima

22 Cf. P. PAJARDI, Un giurista legge la Bibbia. Ricerche e meditazioni, IPSOA, Milano 1983. D nostro studio si basa soprattutto su P. MAHON, «Responsabilité», in DBS X, 357-365. 2' Cf. P. BovATI, Ristabilire la giustiz.iiJ. ProcedMre, vocabolario, orientllmenti, Pm, Roma 1986.

Orientamenti

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parte descrive il delitto (4 , 1 -8); in seguito, Dio conduce la sua in­ chiesta (4,9-10) e pronuncia la sentenza contro il colpevole (4 , 1 1 - 12). Quest'ultimo presenta una domanda di grazia (4, 13- 14) e Dio ag­ giunge una clausola alla sentenza per proteggerlo (4 ,15). Il racconto, a prima vista, si conclude nel v. 4,16, che menziona l'esilio di Caino. Ora, tale impressione è ingannevole, perché corrisponde esattamen­ te alla mentalità giuridica romano-occidentale descritta prima: il let­ tore è soddisfatto perché il colpevole è stato scoperto e punito. Giu­ stizia è dunque fatta. Il lettore occidentale non si pone la questione del «diritto oggettivo», del diritto delle vittime, che nel caso specifi. co sono i genitori di Abele. Ora, nel mondo biblico, bisogna assolu­ tamente che la giustizia sia ristabilita in loro favore. Come? Certa­ mente non è possibile risuscitare Abele. Ma la fine di Gen 4 permet­ te di scoprire l'elemento che ancora manca: «Adamo si unì di nuovo alla moglie, che partorì un figlio e lo chiamò Set. "Perché - disse Dio mi ha concesso un'altra discendenza al posto di Abele, poiché Caino l'ha ucciso"» (Gen 4,25) .24 ll testo non può essere più esplici­ to: Set prende il posto di Abele. Si tratta dunque veramente di una «compensazione» o di un «risarcimento», di cui s'incarica Dio stes­ so. Per la mentalità giuridica dell' AT, il racconto non può concluder­ si con il castigo del colpevole, che è un problema di diritto penale; è necessario risolvere il problema di diritto civile e trovare il modo di annullare, per quanto possibile, il danno subìto dalla vittima. Certa­ mente, il diritto biblico tiene conto dell'intenzione quando si tratta di stabilire la responsabilità del colpevole, ma il diritto della vittima rimane prioritario. Questa preoccupazione in favore della vittima risulta molto chia­ ramente nella legislazione, ad esempio in una serie di leggi sui risar­ cimenti (Es 21 ,33-22, 14). Ognuna di quelle leggi prevede quando e come il danno causato debba essere riparato. La legge non si preoc­ cupa quasi mai di sapere se il danno sia stato causato intenzional­ mente o no e pochissimo di sapere come occorra procedere per iden-

24 Si tratta forse di un'aggiunta tardiva. Noi cerchiamo d'interpretare il testo

così com'è e di comprendere lo scopo del versetto.

Alcuni principi essenziali

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tificare il colpevole. n suo intento è piuttosto di specificare se sia ne­ cessario compensare la vittima e come. Es 22,4-5 offre un chiaro esempio di tale mentalità: «Quando un uomo usa come pascolo un campo o una vigna e lascia che il suo bestiame vada a pascolare nel campo altrui, deve dare l'in­ dennizzo con il meglio del suo campo e con il meglio della sua vigna. Quando un fuoco si propaga e si attacca ai cespugli spinosi, se viene bruciato un mucchio di covoni o il grano in spiga o il grano in erba, co­ lui che ha provocato l'incendio darà l 'indennizzo».

La legge non dice chi debba sporgere querda, non si domanda se il danno sia stato causato intenzionalmente o per negligenza, o chi dovrà constatare i fatti e pronunciare la sentenza. La sola cosa che es­ sa specifica è l'indennizzo della vittima.25 n libro di Giobbe offre un altro esempio interessante di tale principio. Perché Dio risponde a Giobbe? Secondo molti autori, il Signore appare nella tempesta nel momento in cui Giobbe è anda­ to oltre i limiti. Egli si è mostrato presuntuoso e Dio gli dà una le­ zione d'umiltà. Ma questa interpretazione comporta alcune diffi­ coltà. Ci possiamo domandare, ad esempio, qual è qud Dio che ri­ mane in silenzio finché Giobbe implora un segno della sua presen­ za e che si fa vivo non appena il suo onore divino è in gioco. La pre­ sunzione di Giobbe riuscirebbe dunque a ottenere ciò che i suoi ap­ pelli alla giustizia non erano riusciti a strappare. È questo il caso? Nulla è meno certo. La nostra interpretazione si basa sul testo fina­ le. Ora, in questo racconto, Dio è lungi dal castigare Giobbe per una qualsiasi colpa commessa. Anzi, gli «restituisce» ciò che aveva perduto: «Dio ristabilì Giobbe nello stato di prima, avendo egli pregato per i suoi amici; accrebbe anzi dd doppio quanto Giobbe aveva posseduto» (Gb 42, 1 0) . Giobbe ritorna ricco (42 , 12) e ha di nuovo sette figli e tre figlie (42,13-15; cf. 1 ,2). Se è così Dio non sol­ tanto riconosce la «giustizia» di Giobbe, ma ripara il torto che gli è

2' Su questo punto, cf., tra gli altri, A. SCHENKER, Versohnung und Widerstand, Bibeltheologische Untersuchung zum Strafen Gottes und der Menschen, besonders im Lichte von Exodus 21-22, Katholisches Bibdwerk, Stuttgart 1990.

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Orientamenti

stato fatto. La presenza di tale epilogo, che può stupire, obbedisce dunque a una logica naturale nel mondo biblico: la vittima va rista­ bilita nel suo diritto.26 Se è così, bisogna trame un'altra conseguenza per l'interpreta­ zione di Giobbe. L'eroe del libro è dunque rimasto fedele al suo Dio, persino negli eccessi del suo lamento. Dio era con lui, Dio era presente quando Giobbe si ribellava e scagliava le sue invettive. Pur non potendo sviluppare questo punto, riteniamo che si debba giun­ gere ad affermare che, nella ribellione di Giobbe, sorge infine la ri­ bellione di Dio stesso contro l'ingiustizia. La descrizione dei due mostri che soltanto Dio riesce a dominare è un'immagine del com­ battimento che Dio conduce incessantemente contro le forze del caos_27 La lotta di Giobbe fa parte di tale combattimento ed è que­ sto che la giustifica. Nel NT tale principio permette di capire alcuni aspetti partico­ lari del mistero della risurrezione. Perché Dio ha risuscitato Gesù? Alcuni testi affermano chiaramente che bisognava «ristabilire la giu­ stizia» in favore dell'innocente che era stato ingiustamente condan­ nato. Se, per tale ingiustizia, egli ha perso la vita, è normale che la vit· tima innocente sia «risarcita». Ovviamente, la «restituzione», come nel caso di Giobbe, va molto al di là di ciò che si potesse immagina­ re e la risurrezione non è una semplice «rianimazione��- Tuttavia, bi­ sognava, secondo i princìpi della responsabilità oggettiva, attendersi che , in Yehez.kel K.au/mann ]ubilee Volume, Magnes - Hebrew University, Jerusalem 1 960, 5-28. Tale anicolo è stato criticato su alcuni punti particolari da B.S. }ACKSON, «Reflections on Biblical Criminal LaW», in ]ournal o/ ]ewish Studies 24(1973), 8-38; Io., Essays in Jewish and Comparative Legai History, Brill, Leiden 1975, 25-63. M. GREENBERG ha risposto in «More Re­ flections on Criminal LaW», in Studies in the Bible, by S. ]APHET, Magnes, Jerusalem 1986, 1 - 17.

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Orientamenti

in un'epoca in cui le greggi godevano di una grandissima libertà e in cui la maggioranza della popolazione si dedicava ai lavori agricoli e pastorali. H Nella Bibbia le leggi riguardanti il «bue che incarna» pre­ vedono la lapidazione del bue che ha ucciso una persona e la proibi­ zione di mangiare la carne dell'animale (Es 2 1 ,28).32 La vittima può essere un uomo o una donna (2 1 ,28), un figlio o una figlia (2 1 ,3 l ) , uno schiavo o una serva (2 1 ,32): i l bue dev'essere sempre lapidato;H così pure, poco importa che sia la prima volta o che abbia già in pre­ cedenza manifestato tale tendenza, dev'essere lapidato. Da parte sua, il diritto della Mesopotamia, che contiene parecchie somiglianze con quella legge, non prevede mai pena alcuna per l'animale. Ora la per­ dita di un bue era un danno considerevole all'epoca. Ad esempio, se qualcuno ruba un bue deve restituirne cinque (Es 2 1 ,37), ciò che mo­ stra bene il valore che si accordava a tale animale. Inoltre dev'essere lapidato anche il proprietario di un bue quan­ do sa che il proprio animale è solito «cozzare con le corna» e non prende precauzioni (Es 2 1 ,29). Egli può pagare un riscatto. Molto probabilmente, la sua possibilità di farlo è legata alle circostanze at­ tenuanti: il proprietario non ha commesso personalmente il delitto e la cosa è awenuta a sua insaputa; è soltanto colpevole di negligenza. Ciò non toglie che quelle leggi mostrino quanto forte sia la reazione in caso di morte violenta. Neppure la carne dell'animale può essere mangiata: esso è diventato «tabù» a causa del sangue versato.34 Questo principio della sacralità della vita comporta il livella­ mento delle differenze sociali. Esse non scompaiono, anzi. Stupisce piuttosto vedere come in molti casi le leggi bibliche utilizzino un lin31 Su queste leggi cf., tra gli altri, l'anicolo fondamentale di A. VAN SELMS, «The Goring Ox in Babylonian and Biblica! LaW», in Archiv /Ur Onent/orschung 18(1950), 321-330. 32 La versione «bue» è tradizionale, ma si tratta più probabilmente di un toro, più aggressivo del bue. In ebraico, esiste una sola parola per «toro» e «bue». 33 Sorprende soprattutto come la legge preveda lo stesso castigo nel caso in cui il bue incomi dei bambini. Cf. M. FISHBANE, B1blical lnterpretation in Ancient lsrt�e{, University Press, Oxford 1985, 210-213. Nel medesimo caso le leggi della Mesopo­ tamia prevedono un castigo sostirutivo: l'esecuzione eli un figlio o di una figlia del colpevole. 34 GREENBERG, «Some Postulates>>, 13-20.

Alcuni prindpi essenziali

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guaggio «inclusivo»: menzionano esplicitamente «il padre e la ma­ dre», «l'uomo e la donna», si ritrova pure in Gv 4,' alme­ no sostanzialmente: Gesù è in viaggio e deve attraversare una terra stra­ niera, la Samaria. Quando sopraggiunge la samaritana, egli le chiede dell'acqua. Dopo la conversazione, più lunga del solito - è vero -, lei se ne va lasciando la brocca (4,28). I samaritani invitano Gesù che si ferma due giorni con loro (4,40). Ma - ed è l'elemento più sorprendente per chi conosca la «scena tipica>> dell'incontro vicino al pozzo - l'episodio di Gv 4 termina con una confessione di fede e non con un matrimonio. La domanda che sorge allora è perché l'evangelista abbia cambiato in un punto essenziale uno schema narrativo ben noto ai suoi lettori. Un primissimo particolare indicherà la via della soluzione: «Era verso mezzogiorno» (4,6). Se è mezzogiorno, secondo le usanze del­ l'epoca, nessuno si recherà al pozzo, perché le donne e le ragazze vanno ad attingere l'acqua di solito la sera.6 TI servo di Abramo, ad

4 Su questo schema, cf. RC. CULLEY, Studies in the Structure o/ Hebrew Nar­ rative, Fortress Press-Scholars Press, Philadephia-Missoula 1 976, 41-43; ALTER, The Art, 47-62. ' Il termine «scena tipica» è stato coniato dagli specialisti di Omero e ripreso dai biblisti. Per Omero cf. W. ARENO, Die typischen Scenen bei Homer, Berlin 1933. Per la Bibbia d. ALTER, The Art, 47-62 («The Biblica! Type-Scenes and the Uses of Conventiom•); J.L. SKA, «Our Fathers Have Told Us». Introduction to the Analysis o/ Hebrew Narratives, PIB, Roma 1990, 36-38. 6 Cf. R.E. BROWN, Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, Cittadella , Assi­ si (PG) 21986, 22 1; FABrus, Giovanni, 295s.

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Orientamenti

esempio, fa inginocchiare i suoi cammelli vicino al pozzo «nell'ora della sera, quando le donne escono ad attingere>> (Gen 24, 1 1 ) . Gia­ cobbe incontra i pastori vicino al pozzo durante il giorno e se ne stu­ pisce (Gen 29,7). Bisogna infatti approfittare del giorno per far pa­ scolare le greggi e solo la sera i pastori si recano ai pozzi. n lettore im­ magina anche che il giorno stia calando quando Saul e il suo servo in­ contrano alcune donne che scendono ad attingere l'acqua ( l Sam 9, 1 1 ) . È ovvio dunque che la samaritana deve avere motivi particola­ ri per recarsi ad attingere acqua a mezzogiorno. Ella, infatti, va al pozzo nel momento in cui è quasi certa di non incontrarvi nessuno. Ma perché vuoi essere sola, perché vuoi evitare le altre donne di Si­ car? n racconto lo fa capire abbastanza presto. La conversazione tra Gesù e la samaritana compie un primo pas­ saggio brusco tra il v. 15 e il v. 16. Sino al v. 1 5 , l'argomento è quello dell'acqua viva (4,7-15).7 Al v. 16, in maniera del tutto imprevista, Gesù dice: «Va' a chiamare tuo marito e poi ritorna quh>. D curioso enigma si comprende meglio se si sa che, dall'inizio, la scena dell'in­ contro vicino al pozzo può sfociare in un matrimonio. Nei racconti dell'AT chi dà l'acqua (Gv 4,10. 14-15) è in effetti il futuro marito, co­ me nel caso di Giacobbe (Gen 29, 1 0) e di Mosè (Es 2,17. 19). La stes­ sa idea si ritrova in un altro testo veterotestamentario, pure molto uti­ le per la comprensione di Gv 4: Os 2,4-25. Si tratta di un lungo poe­ ma in cui Dio processa la propria sposa infedele, Israele, cioè il regno di Samaria, cosa non senza importanza. Al v. 7, il marito indignato ci­ ta una delle parole della propria sposa come prova della sua infe­ deltà: «Essa ha detto: "Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio pa­ ne e la mia acqua, la mia lana e il mio lino, il mio olio e le mie be­ vande">>. Per il testo di Osea - è chiaro - l'acqua non viene data da­ gli amanti, ma da YHWH, il Signore d'Israele. Questo testo mostra

7 Sul simbolismo dell'acqua in questa scena d. C.R KOESTER, Symbolism in the Fourth Gospel. Meaning, Mystery, Community, Fortress Press, Minneapolis 1995, 48·5 1 e 167-172; FABRIS, Giovanni, 298s. Nel mondo giudaico, il «dono di Dio» e !'«acqua viva>> sono due metafore per la Legge; l'acqua viva può essere simbolo del­ la rivelazione divina o dello spirito di Dio. Cf. anche BROWN, Giovanni, 234-236; M. GIRARD, Les symboles dans la Bible. Essai de théologie biblique enracinée dans l'expérience humaine universelle, Bellarmin-Cerf, Montréal-Paris 1991, 233-297.

Dal Nuovo all'Antico Testamento

18.5

chiaramente come possa esserci un intimo nesso tra il dono dell'ac­ qua e il matrimonio. Anzi, gli amanti di cui parla Os 2 sono dei baal (Os 2,10.15; cf. 2, 18). Ora in ebraico questo termine significa (>, in BJRL 5 1 ( 196869), 1 1 -26 (secondo il famoso studioso di Oxford, Gen l ha voluto correggere gli ec­ cessi della polemica del secondo Isaia [ls 40--55] contro il culto delle immagini; se non è permesso rappresentare Dio, esiste nondimeno una «immagine» di Dio, ed è la persona umana); J.F.A. SAWYER, «The Meaning of h'�elem 'elohim ("in the image of God ") in Genesis I-Xl», in JTS 25(1974), 418-426; D.J.A. CLINES, «The image of God in Man», in Tyndale Bu{letin 19(1968), 53-103. 14 In ebraico selem - C.,3. " In ebraico d•mut - nib"l. 16 Si veda soprattutto WENHAM, Genesis 1-15, 29- 32; cf. anche WESTERMANN, Genesis 1 - 1 1 , 218-220; V.P. HAMILTON, Genesis 1-17 (NICOT), Eerdmans, Grand Rapids (MI) 1990, 134-137; P.-E. DroN , «Ressemblance et image de Dieu», Diction­ naire de la Bible. Supplément, X, 55, 366-403 ; per una breve rassegna bibliografica, si veda W. GR08, «Die Gottebenbildlichkeit des Menschen nach Gen l ,26.27 in der Diskussion des letzten Jahrzehnts», in BN 68(1993 ), 35-48.

La creazione del mondo

217

l . Per i padri della Chiesa, specialmente Ireneo, vi è una diffe­

renza fondamentale fra «immagine» e «somiglianza». «Immagine» si riferisce alle qualità naturali che avvicinano la persona umana a Dio, ad esempio la ragione, la coscienza, la libertà, la personalità. La so­ miglianza, invece, corrisponde a qualità soprannaturali come la gra­ zia e la perfezione morale. Con il peccato, l'umanità ha perso la so­ miglianza, ma non l'immagine. Gesù Cristo, quando ha redento l'u­ manità, ha restaurato in essa la somiglianza che aveva perso con il peccato originale. La spiegazione dei padri ha certamente i suoi me­ riti, però mancano gli appoggi nel testo per suffragarla. In realtà, i due termini sono intercambiabili, come dimostra Gen 5 ,3.17

2. Molto spesso, specialmente nella catechesi e l'omiletica, im­ magine e somiglianza sono riferite a qualità umane mentali e spiri­ tuali che la persona umana condivide almeno parzialmente con Dio, ossia la coscienza, la ragione, l'intelligenza, la coscienza di sé, la vo­ lontà, la libertà, ecc.18 Questa spiegazione di tipo filosofico ha come la precedente pochi appoggi chiari nel testo. Non si può negarla, m a non si può neanche dimostrarla i n modo convincente poiché ben po­ chi testi descrivono in modo chiaro e palese in che cosa consiste l'im­ magine di Dio. 3 . ll

testo tratta di una rassomiglianza «fisica» fra Dio e l'uma­ nità. La proposta è stata suggerita da commentatori conosciuti come H. Gunkel, 19 G. von Rad20 e soprattutto P. Humbert.21 Per questi studiosi, il pensiero ebraico è concreto e quindi si pensava la somi­ glianza in modo molto concreto. La Bibbia parla spesso del volto di

17 WENHAM, Genesis 1-15, 30. 1 8 Si veda, per esempio, B. }ACOB, Das erste Buch der Tora. Genesis, Schocken, Berlin 1934, 58-59; cf. DION, «Ressemblance», 376-377. 19 H. GUNKEL, Genesis, Universitatsverlag-Vandenhoeck & Ruprecht, Frei­ burg Schweitz-Giittingen 31910, 1 1 1 - 1 12. Gunkd si appoggia su testi come Gen 9,6; Sal 8,6-7; Sir 17,2-4. 20 G. VON RAo, Das erste Buch des Mose. GenesiS, Universitiitsverlag-Vanden­ hoeck & Ruprecht, Freiburg Schweitz-Giittingen 1 01976; tr. it. Genesi, Paideia, Bre­ scia 1978. 2 1 P. HUMBERT, Études sur le récit du paradis et de la chute dans la Genèse, Se­ crétariat de l'Université, Neuchatel 1940, 153-163.

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Letture bibliche

Dio, dei suoi occhi, delle sue orecchie, delle sue mani, del suo brac­ cio ecc. Anche Ezechiele, quando parla di Dio, dice che è «come una somiglianza, come l'aspetto di un essere umano» (Ez 1 ,26). Ezechie­ le utilizza anch'egli la parola «somiglianza» come in Gen 1 ,26 (d•miìt - n1TY"!). Vi è quindi analogia fra Dio e la persona umana, persino nel suo aspetto corporeo, per esempio nella stazione verticale.22 Vi sono però forti obiezioni contro questa interpretazione:23 a) Per l'AT, Dio è invisibile e non può essere rappresentato in al­ cun modo perché non appartiene all a creazione, ossia al mondo ma­ teriale (Dt 4,15- 16). b) Per la fonte P, di epoca postesilica, quest'idea sarebbe molto difficile da accettare perché è proprio in questo momento che Israe­ le sviluppa un'idea più spirituale di Dio. Is 40,1 8, dice per esempio:24 «A chi paragonerete Dio? Quale immagine gli potete trovare?». Il testo ebraico di Is 40,18 utilizza in questo passo la parola «so­ miglianza» che troviamo in Gen 1 ,26. TI verbo «paragonare» utiliz­ zato nello stesso passo è della stessa radice. L'affermazione è forte e, per di più, il secondo Isaia e lo scrittore sacerdotale, autore di Gen l , sviluppano teologie molto simili e hanno scritto più o meno alla stessa epoca esilica e postesilica.25 Secondo questo testo di Isaia, si dovrebbe a ogni modo escludere una somiglianza troppo «materiale» fra Dio e l'essere umano. In realtà, il testo di Genesi l non parla af­ fatto dell'aspetto fisico dell'essere umano. Inoltre, il vocabolario ebraico per descrivere l'apparenza fisica è diverso da quello che tro­ viamo in Gen 1 ,26-27.26 c) La terminologia dell'immagine è ogni tanto adoperata in Meso­ potamia e in Egitto per parlare del re. Però, in queste due culture, il vo­ cabolario allude alla funzione del monarca e non al suo aspetto fisico. 22 L. KOHLER, «Die Grundstelle der lmago-Dei-Lehre, Genesis 1 ,26», in TZ 4(1948), 16-22. 2' Riprendo e sviluppo l'esegesi proposta da WENHAM, Genesi 1-15, 30; si vedano anche le forti obiezioni di JACOB, Genesis, 57-58. 24 Testo citato da WESTERMANN, Genesis, I, 217. 25 L'esilio è durato dal 586 a.C. fino al 538 a.C. 26 ]A COB , Genesis, 57-58. In ebraico, si parla di >J Ora, l'e­ spressione «divisamento del cuore» si ritrova solo in alcuni testi tar­ divi come 1Cr 28,9; 29,18. La parola «divisamento» riappare solo in testi anche tardivi come Dt 3 1 ,2 1 ; Is 26,3; Sal 103 , 14. La tematica del «divisamento malvagio» del cuore umano diventerà una tematica im­ portante nella letteratura rabbinica. Siamo dunque lontani dall'epo­ ca di Davide e Salomone. In Gen 6,7, testo «jahwista», ,.,,,.,, dice: «Voglio cancellare dalla faccia della terra l'uomo che ho creato».8 Questo verbo «creare» è caratteristico del racconto sacerdotale della creazione.9 D racconto jahwista, invece, utilizza altri verbi, come «fare» o «plasmare».10 Se il racconto della creazione di Gen 2,4-24 e la versione più an­ tica del racconto del diluvio appartengono alla stessa fonte jahwista, sarebbe normale ritrovare in ambedue i testi lo stesso vocabolario per parlare degli animali, come per esempio quello di Gen 2, 19.20. Ora, non è il caso. In realtà, le liste degli animali del racconto del di­ luvio attribuite allo jahwista, come quelle di 6,7 e 7 ,23, utilizzano un vocabolario analogo a quello del racconto sacerdotale in 6,20 e 8,17; d. 7,14.2 1 ; 8,18; 9,2. Fra l'altro, si ritrova in 6,7 e 7,23 una parola ti-

Traduzione di TE-5TA, Genesi, 1 03 - 1 04 . La parola ebraica è il4.'. 8 Traduzione di TE-5TA, Genesi, 104-105. 9 Cf. Gen 1 ,1 . 2 1 .27; 2,3.4a; 5 , 1 . TI verbo ebraico è M.,�. 1° Cf., per il verbo «fare» (ebraico l"lfql;l, Gen 2,4b (in contrasto con 2,4a, te­ sto sacerdotale, che utilizza il verbo «Creare», ebraico Mi:ll ) . Per il verbo «formare>>, 7

«plasmare» (ebraico i�:), d. 2,7.19.

·





238

Letture bibliche

piea del vocabolario sacerdotale, cioè «rettile» o, più letteralmente, «animale che striscia sul suolm> . 11 Sempre a proposito degli animali, la distinzione fra animali puri e impuri di Gen 7 ,l-3 sorprende in un racconto che non sembra partico­ larmente interessato a queste distinzioni di tipo culturale, mentre le ri­ troviamo in testi tardivi, come le prescrizioni alimentari di Dt 14 e Lv 1 1 . TI sacrificio di Noè è un elemento che si trova solo nel racconto jahwista (8,20) e corrisponde all'«alleanza» di Dio con Noè nel rac­ conto sacerdotale. Nello stesso racconto jahwista, in Gen 4, Caino e Abele hanno già offerto sacrifici (4,3-5). Tuttavia, questi due testi, che dovrebbero provenire dalla stessa mano, non utilizzano lo stesso vocabolario. Gen 8,20, fra l'altro, parla di «olocausto» e 8,2 1 di «soa­ ve fragranza» del sacrificio, tutte espressioni che sono assenti dal rac­ conto di Gen 4. Al momento del sacrificio, in Gen 8,20-2 1, si capi­ sce perché Noè ha dovuto prendere con sé sette coppie di animali puri: per sacrificare alcuni animali puri alla fine del diluvio. In ogni caso, questa preoccupazione per la purezza cultuale rimane comple­ tamente isolata nel racconto jahwista; in altre parole, nessun altro te­ sto jahwista accenna a questo problema. Invece, è una preoccupazio­ ne di molti testi sacerdotali tardivi. In conclusione, occorre riconoscere che la teoria classica lascia in­ soddisfatti. Perché il racconto jahwista, più antico, dovrebbe essere incompleto? Perché il suo vocabolario e le sue tematiche sono così vi­ cine a quelle dei testi sacerdotali e di altri testi tardivi, postesilici?

m. TENTATIVO DI SOLUZIONE'2 La datazione classica delle fonti è abbastanza recente. Solo a par­ tire dalla seconda metà del XIX secolo, gli esegeti hanno considera­ to che il racconto jahwista fosse più antico del racconto sacerdotale. Prima di Reuss, Kuenen, Graf e Wellhausen, era proprio il contrario:

1 1 In ebraico tDOrir; cf. per esempio Gen 1,24-25.

12 Questa spiegazione è stata proposta in passato da B.D. EERDMANS, Altte­ stamentliche Studien, l: Die Komposition der Genesis, Topelmann, Giessen 1908, 81-82; più recentemente, cf. G.]. WENHAM, Genesis 1-15 (WBC 1), Word Books ,

Il racconto biblico del diluvio

239

il racconto sacerdotale era considerato più antico del racconto jahwi­ sta.13 Si è realizzato in seguito che gran parte dei testi jahwisti erano più antichi dei testi sacerdotali. Però, in alcuni casi, occorre rivedere la teoria attuale, perché l'ipotesi anteriore era forse migliore. n rac­ conto del diluvio è uno di questi casi.l4 Un esame critico dei dati e dei testi conduce a rivedere su tre punti l'ipotesi classica.

l . L'ipotesi classica presentata sopra vuoi spiegare il testo attuale come il frutto di un lavoro redazionale che avrebbe combinato due racconti completi e anteriormente indipendenti. Per individuare quei due racconti, occorreva trovare per ogni elemento in un racconto quel­ lo parallelo nell'altro. Ora, questa impresa si è imbattuta in parecchie difficoltà insormontabili. Abbiamo già visto che manca, a ogni modo, un racconto jahwista della costruzione dell'arca e dell'uscita dall 'arca. Inoltre, si rivela molto difficile individuare con certezza un racconto prettamente jahwista dell'entrata nell'arca (7,7-9), dello stesso diluvio (7 ,17 - 18), della ftne del diluvio (8,2-39 e del prosciugamento della ter­ ra dopo il diluvio (8,13-14). In tutti questi brani, i criteri di divisione sono poco chiari, col rischio di distruggere un brano molto ben orga­ nizzato stilisticamente al solo scopo di trovare due fonti. La teoria di­ venta a poco a poco lo scopo dell'analisi, e non più la spiegazione del testo. Inoltre, un'analisi attenta dei procedimenti stilistici e narrativi del racconto sacerdotale conduce alla conclusione che alcune ripeti­ zioni non sono affatto segni della presenza di due versioni, ma una

Waco (TX) 1987, 167-169; J. BLENKJNSOPP, The Pentateuch. An Introduction to the First Five Books o/ the Bible, Doubleday, New York 1992, 77-78; Io., ,,p andJ in Ge­ nesis 1 : 1-1 1 :26: An Alternative Hypothesis», in Fortunate the Eyes That See, by A.B. BECK, Eerdrnans, Grand Rapids (MI) 1 996, 1 · 15, spec. 9-11. Per maggiori particola­ ri, si veda il nostro articolo «El relato del diluvio». 13 Per la storia della ricerca, d. fra l'altro S.E. McEVENUE, The Na"ative Style of the Priestly Writer (AnBib 50), PIB, Roma 1971, 1-8, e le introduzioni all 'Antico Testamento, come per esempio J .A. SOGGJ N, Introduzione all'Antico Testamento, Pai· deia, Brescia 41987; A.F. CAMPBELL - M. A. O'BRIEN, Sources o/ the Pentateuch. Texts, Introductions, Annolation, Fortress, Minneapolis (MN) 1993, 1-20; BLENKINSOPP, The Pentateuch, 1 -30. 14 Infatti, la datazione dello jahwista è stata molto discussa negli ultimi anni. Cf. A. DE PuRY - T. RoMER, «Le Pentateuque en question: position du problème e brève histoire de la recherche>>, in DE PuRY, Le Pentateuque en question, 9-80, spec. 57-62.

240

Letture bibliche

spiccata caratteristica di questa fonte.I5 Per esempio, la doppia narra­ zione dell'entrata nell'arca, 7,7-9 e 7,13-16a, può creare un'illusione. In realtà, si tratta di un testo interamente sacerdotale. n vocabolario e i procedimenti stilistici lo confermano. Quando l'autore sacerdotale racconta un evento importante, lo descrive due volte. Vi sono quattro esempi palesi di questa tecnica in P: il riposo divino nel settimo gior­ no della creazione (Gen 2,2-3 ); l'alleanza di Dio con Abramo (Gen 17 ,23-27; questo esempio è il più vicino al testo di Gen 7); la sepoltu­ ra di Sara nella grotta di Macpela (Gen 23,9. 1 1 ); la conclusione del racconto della costruzione della tenda (Es 30,32.42-43 ). Gen 7,8 non fa difficoltà. n vocabolario di questo versetto, che parla di animali pu­ ri e impuri, sembra riferirsi all'ordine divino di 7 ,2, che appartiene cer­ tamente al racconto jahwista. Però, questo versetto dice in realtà il contrario di quello che viene detto in 7,2, ove Dio ordina a Noè di prendere sette coppie di animali puri e una coppia di animali impuri. In 7,8, il testo non contiene nessuna allusione a questi «numeri» e di­ ce solo che Noè fece entrare nell'arca animali puri e impuri, senza fa­ re alcuna differenza, cioè esattamente l'opposto di quanto viene detto in 7,2 ! Esempi di questo tipo non sono pochi. Quelli presentati basta­ no a convincere della difficoltà di accettare la teoria classica senza ri­ tocchi importanti. Certamente, il racconto jahwista non è completo, anzi è molto frammentario, più di quanto si voglia ammettere. 2. Se il cosiddetto racconto jahwista del diluvio non è completo, difficilmente può essere considerato una fonte indipendente. Si trat­ ta piuttosto di una serie di frammenti redazionali. 3. Se, come detto prima, il vocabolario del cosiddetto racconto jahwista di Gen 6-9 è, da una parte, diverso dal vocabolario utilizza­ to da questa fonte in altri testi simili e, dall'altra, è simile a quello di testi sacerdotali tardivi, l'ipotesi più semplice è quella di considerare queste parti tradizionalmente attribuite a J come redazioni più tardi­ ve del racconto sacerdotale. In altre parole, i testi di } in Gen 6-9 so­ no aggiunte redazionali al racconto sacerdotale.

1 5 D fenomeno è stato studiato a fondo da McEVENUE, The Na"ative Style, 49·50 e passim.

Il racconto biblico del diluvio

241

Questa spiegazione è più semplice perché non obbliga a ricorre­ re a un «redattore» che sarebbe intervenuto qua e là per introdurre frasi o espressioni di stile sacerdotale in un testo jahwista, come per esempio in Gen 7,3a.6-9.16 Il testo attribuito allo jahwista dalla teo­ ria documentaria classica, e queste aggiunte tardive, provengono dal­ la stessa mano di un redattore postsacerdotale. Questa nostra nuova ipotesi obbliga a rivedere alcuni punti es­ senziali del modo di concepire la genesi di questi racconti. Il primo racconto completo del diluvio è dunque quello sacerdotale. Signifi­ ca, in altre parole, che prima dell'esilio non si parlava di «diluvio». Noè era probabilmente una figura conosciuta, e forse vi erano tracce di un evento simile al diluvio nelle tradizioni bibliche.17 La Mesopo­ tamia, invece, conosce molte versioni di questo racconto e non sa­ rebbe troppo sorprendente se Israele avesse mutuato questo raccon­ to dai babilonesi durante l'esilio. In realtà, un elemento interessante è il parallelismo stretto di almeno tre elementi del racconto biblico con i racconti mesopotamici: la chiusura dell'arca, l'invio di uccelli e il sacrificio. Ora, questi elementi sono presenti solo nel racconto jahwista. Inoltre, l'invio degli uccelli si trova soltanto nel racconto mesopotamico di Gilgamesh (XI,l45-154), racconto che risale, alme­ no nella sua versione scritta, solo al VII secolo a.C. Siamo anche qui lontani dall'epoca di Davide e Salomone.18 Questo dettaglio suffraga l'ipotesi di un'origine tardiva del racconto biblico. Ma perché allora raccontare questa storia?

16

Su questo problema, cf. CAMPBELL - O'BRIEN, Sources, 217-219. 17 Per Noè, cf. Is 54,9; Ez 14,14.20; 1Cr 1,4. Tutti questi testi, comunque, so­ no tardivi. Per il diluvio stesso, il solo testo che utilizza la parola che ritroviamo in Gen > in questi testi è ':jj�. Su questo punto, d. SKA, Le passage, 5 1 ; Io., «Séparation des eaux et de la terre ferme dans le récit sa­ cerdotal», in NRT 103(1981), 5 12-532, spec. 525-528.

Il racconto biblico del diluvio

247

zio che significa morte per gli uni e vita per gli altri. n simbolismo bi­ blico delle acque e della terra asciutta è ben chiaro: le acque del ma­ re sono le acque del caos primitivo e della morte; la terra asciutta è stata creata affinché vi si sviluppi la vita secondo l'ideale del disegno divino, un ideale di armonia pacifica e di giustizia, non di violenza o di brutalità. 3.

L'ALLEANZA E LARCOBALENO

Non possiamo sviluppare qui il simbolismo dell'arca, che rasso­ miglia più a un tempio che a una vera e propria nave.J> Come un tem­ pio, l'arca è un microcosmo, una imago mundi, un'immagine del mondo, e contiene pertanto il nucleo di un nuovo universo. L'arca si ferma su un'alta montagna, altro simbolo cosmico, e da lì scenderan­ no gli esseri viventi per «riempire la terra» (9,1 ) . Tuttavia, l'ordine dell'universo deve essere cambiato. Se l'univer­ so di Gen l era pacifico e vegetariano, adesso non è più possibile. Per­ ciò Dio cambia la «dieta» degli uomini: passiamo da un mondo total­ mente vegetariano a uno in cui si mangia carne. In questo modo la violenza viene «canalizzata>> e regolata. Inoltre, Dio stabilisce che la violenza deve essere esclusa dai rapporti fra uomini (9, 1 -3). Queste norme spiegano perché gli uomini uccidono animali per nutrirsi. Una certa «violenza» fa parte del mondo imperfetto del do­ po diluvio. Inoltre, Dio stabilisce un'alleanza con Noè (9,8- 17) e promette di non distruggere l'universo. Nel racconto sacerdotale, vi sono due «alleanze», l'una con Noè (Gen 9) e l'altra con Abramo (Gen 17).34 Questo fano può sorprendere, perché l'alleanza più importante delJJ Cf. alcuni accenni in questa direzione in McEVENUE, The Narrative Style, 44, n. 37; C. WESTERMANN, Genesis, 1: Kapitel 1-11, Neukirchener, Neukirchen 1974, 356; WENHAo.,, Genesis, 173. 34 La parola ebraica per «alleanza» è n''}:;l; il suo significato non si limita a quello della parola italiana «alleanza». Designa m realtà ogni tipo di relazione sta· bilita ufficialmente e pubblicamente fra persone e sancita da un documento o un gesto panicolare. Cf., fra l'altro, D.J. McCAIITHY , Treaty and Covenant. A Study in Form in the Ancient Orienta! Documents and in the 0/d Testament (AnBib 2 1A), Pffi, Rome 1978, 10- 1 1 , 20-2 1 .

Letture bibliche

248

l'AT è quella del Sinai. Ma il racconto sacerdotale, nella sua versione della teofania del Sinai (Es 19-3 1 ) , evita con grande cura di parlare di «alleanza». Il suo racconto descrive piuttosto l'istituzione dd cul­ to ufficiale d'Israele (Es 24-3 1 ; 35-40). Per quale ragione? La spie­ gazione è da ricercare nell'epoca di redazione di questo scritto e nel­ la sua intenzione. Il racconto sacerdotale risale all'epoca del primo ritorno dall 'esilio (dopo il 530 a.C. ). Per Israele, l'esilio è stato la con­ seguenza dell'infedeltà alla legge del suo Dio. Secondo la concezio­ ne del Deuteronomio, l'alleanza di Dio con il suo popolo era condi­ zionale: la benedizione era legata alla fedeltà d'Israele al suo Dio. Ora, Israele è stato infedele e, perciò, è stato maledetto.35 Dopo l'e­ silio si pone il problema della ricostruzione d'Israele. Su quali fon­ damenta sarà possibile ricostruire? Non più sulla fedeltà d'Israele, poiché questo si è mostrato troppo fragile; occorre dunque «scava­ re» più profondamente e trovare un fondamento più solido. n rac­ conto sacerdotale lo trova nell'alleanza con Abramo, perché questa alleanza è unilaterale e senza condizioni. Dio promette con un giura­ mento ad Abramo di dargli un paese, una numerosa discendenza e di essere il suo Dio, ma non richiede niente in cambio da parte di Abramo. Siccome questa alleanza non dipende dalla fedeltà o dal­ l'infedeltà di Abramo, è indistruttibile e irrevocabile.36 Su questa ba­ se, e solo su questa base, l'Israele postesilico può costruire senza ti­ more il suo avvenire, perché costruisce sulla fedeltà di Dio e non sul­ la debolezza umana. Nel racconto sacerdotale, questa alleanza di Dio con Abramo (Gen 17) è la pietra angolare della storia d'Israele. Il suo corrispon­ dente nella storia dell'universo è l'alleanza con Noè. Vi sono parec­ chie somiglianze fra queste due alleanze. Ambedue sono unilaterali e incondizionate. Ambedue sono anche accompagnate da un «segno»: l'arcobaleno per l'alleanza con Noè (Gen 9,12-17), la circoncisione per l'alleanza con Abramo (Gen 17,9-14). Se l'alleanza con Noè suc­ cede al diluvio, l'alleanza con Abramo risponde alle domande del pon

Cf., fra l'altro, Dt 28; 30,15-20.

36 Cf. W. ZIMMERLI, , in TZ 16(1960), 268-280 Gotteso/fenbarung, Gesam­ melte Au/siitze (TBii 19), Kaiser, Miinchen 1963, 205-216. =

Il racconto biblico del diluvio

249

polo d'Israele dopo l'esilio. Abbiamo visto prima il parallelismo fra diluvio e distruzione di Samaria e Gerusalemme. n > (Gen 1 1,1) non è esat­ ta. Il testo ebraico usa in effetti un'espressione particolare, «un solo labbro», e non «una sola lingua». Le due espressioni non hanno esat­ tamente lo stesso significato. Se l'autore del racconto avesse voluto dire «tutti gli uomini parlavano la stessa lingua», avrebbe benissimo potuto usare questa parola in ebraico, e non la parola «labbro». Non l'ha fatto e quindi occorre interrogarsi sull'intenzione di questa espressione particolare che si trova, infatti, solo qui in tutta la Bibbia.

2.

LA CITIA E LA TORRE, O SOLO LA TORRE?

Il titolo abituale della storia biblica, «La torre di Babele>>, può essere fuorviante, perché molti lettori dimenticano che l'impresa de­ scritta nel testo comporta anche la costruzione di una città. Dio scen­ de dal cielo non solo per vedere la torre, ma anche la città. Entram­ be destano il suo sospetto e creano un certo fastidio (Gen 1 1 ,5-6). D'altronde, il testo ebraico parla esplicitamente di una torre, non di un tempio. Il vocabolario è diverso e non favorisce l'interpretazione «religiosa» del testo. Ancora una volta, un esame attento del vocabo­ lario induce a prendere le distanze dall'interpretazione tradizionale per chiedersi qual è il significato preciso della tematica trattata nel brano.

ili. UNA NUOVA INTERPRETAZIONE Sono due gli esegeti che hanno proposto, indipendentemente l'uno dall'altro, un'interpretazione nuova del brano che stiamo di­ scutendo. Il primo è Emanuele Testa, già citato in precedenza;18 il se­ condo è un esegeta svizzero, specialista dell'epigrafia ebraica, Chri-

l8

Si veda il riferimento nella nota 7.

264

Letture bibliche

stoph Uehlinger.19 Entrambi poggiano la loro lettura su paralleli ac­ cadici, vale a dire testi che provengono dalla Mesopotamia. l.

«UN

SOLO LABBRO»,

«UNA SOLA IMPRESA»20

Le espressioni «un solo labbro» e «uniche parole», ossia «uniche imprese», si ritrovano abbastanza spesso nei documenti dell'impero neoassiro (883-606 a.C.). Queste espressioni hanno come scopo di descrivere l'unità dell'impero attorno al re che è riuscito a pacificare il suo immenso impero. n problema non è dunque quello della lin­ gua parlata, ma piuttosto della pace e della concordia che esiste in un grande impero sottomesso alla volontà di un solo sovrano. Alcuni testi più rilevanti mostrano che si tratta davvero di una serie di espressioni molto diffuse nei documenti assiri dell'epoca. Questi testi hanno come primo scopo non di documentare 1'attività dei re, ma piuttosto di magnificare le loro opere e di convincere in questo modo le popolazioni sottomesse a non ribellarsi. Si tratta dun­ que, in parole semplici, di opere di propaganda regale. Sargon di Agade (2300 a.C. circa) , uno dei primi sovrani semiti della Babilonia nella Mesopotamia centrale, è ricordato per aver con­ quistato un immenso impero e avere imposto un governo centrale. n testo della cronaca descrive questa impresa di conquista e di centra­ lizzazione con un'espressione che, tradotta letteralmente, recita: «Egli fece la bocca [del suo impero] una sola».21 n re assiro Tiglat-Pileser I ( 1 1 15- 1077 a.C.) sconfisse ben quaran­ tadue principi durante i primi cinque anni del suo regno, conquistò i loro regni, li riunì tutti in un unico impero e li sottopose a un solo go­ verno. n testo originale dice: «Una bocca feci avere loro», vale a dire 19 UEHLINGER, Weltreich (si veda nota 14).

20

UEHLINGER, Weltreich, 345·360.

2 1 Si veda la «Cronaca di Sargom>, testo neobabilonese del VI secolo a.C. cir­ ca, in J.B. PRtTCHARD , Ancient Near &stern Texts ReltJting to the Old Testament,

Universiry Press, Princeton (NJ) ' 1 969, 266. Ciro questa edizione di testi del Medio Oriente antico perché molto diffusa e molto conosciuta sotto l'abbreviazione ANET. Esistono edizioni più recenti, ma meno accessibili. Si veda anche, per questo testo, TESTA, Genesi, 199; per un'accurata analisi dei testi, si veda UEHLINGER, Weltreich, 435-482.

Una città e una torre (Gen 1 1, 1 -9)

265

«un solo discorso feci tenere loro».22 La stessa espressione si ritrova ne­ gli annali dei re assiri Adad-Nirari II (91 1-891 a.C.), Assurbanipal II (883-859 a.C.), Tiglat-Pileser III (745-727 a.C.) e Sargon II (721-705 a.C.), il re che si vanta di aver conquistato la città di Samaria (d. 2Re 17,1-6).23 In molti testi, secondo Uehlinger, l'espressione appare lega­ ta a due temi: da una parte le conquiste e dall'altra le imponenti co­ struzioni. L'organizzazione e l'unificazione dell'impero è quindi una delle attività essenziali delle quali si vantano i re della Mesopotamia, in particolare i re assiri. Ritroviamo certamente accenni ad alcuni di que­ sti temi in Gen 1 1 ,1-9, come per esempio la costruzione di una città e di una torre per formare un solo impero compatto e ben unificato. L'espressione «avere una bocca>> ossia «tenere lo stesso discorso» è ambivalente, come fa notare Uehlinger, e può significare in alcuni contesti «complottare», «organizzare una ribellione», «congiurare», «cospirare».24 Per esempio, il re Sargon II parla in un'iscrizione della ribellione di un certo Jaubidi di H amat e dice testualmente: «) aubidi di Hamat, un arrivista senza diritto al trono, un maligno siro, cercò di impadronirsi del regno di Hamat e incitò Arpad, Smirra, Damasco e Samaria contro di me, fece determinare una bocca [fece tenere un so­ lo discorso, ordì una congiura] e si preparò all a battaglia>>.25 La medesima espressione si ritrova in un testo che descrive una cospirazione contro Assurbanipal (668-625 a.C.), erede di Esarradon (680-669 a.C.).26 Altrimenti, l'espressione è usata per descrivere l'u­ nità e la stabilità del regno sotto la guida del re assiro.27 ll contesto, in ogni modo, è prettamente politico e fa parte del formulario utiliz­ zato dalla propaganda reale per affermare la potenza del sovrano e incitare le popolazioni sottomesse a non ribellarsi.

22

fonte).

21

TESTA, Genesi, 199-200; UE!ll.INGER, Weltreich, 462 (con indicazione della

UEHLINGER, Weltreich, 462·482; cf. TESTA, Genesi, 200. 24 UE!ll.INGER, Weltreich, 438·444. 25 UEm.INGER, Weltreich, 439. :u. UEHLINGER, Weltreich, 440-44 1 ; cf. espressioni simili citate da TESTA, Ge­ nesi, 200. 27 UEHLINGER, Weltreich, 44 1 -444.

266

Letture bibliche

Una cosa occorre menzionare in conclusione a proposito di que­ ste espressioni. La situazione descritta dalle formule «un solo lab­ bro», «una sola bocca)) e «uniche parole>) («una sola impresa») rap­ presenta sì un ideale da raggiungere, specialmente per i re dell'Assi­ ria. Tuttavia, questa «concordia» è ottenuta con la forza e la violen­ za. Niente in questi testi lascia trapelare una volontà popolare. La pa­ ce è imposta dal potere dei grandi re dell'Assiria e non è affatto il frutto di un consenso o di un accordo libero fra popolazioni. Possia­ mo certo parlare di >.

18 Cf. gli autori citati da GUNKEL, Genesis, 194-194, al v. 3 (Gunkel critica que­ sta posizione). Più recentemente, cf. R. Kn.IAN, Die vorpriesterlichen Abrahamsuber­ lie/erungen literarkritisch und traditionsgeschichtlich untersucht (BBB 24 l, Hanstein, Bonn 1 966, 96-189.

Gen 18, 1-15 alla prova dell'esegesi

285

ma è piuttosto literarkritisch, siccome gli autori cercano di indivi­ duare fonti o documenti antecedenti al testo attuale. Dividono il rac­ conto in due strati «verticali>>, e non più «orizzontali>>, come nel ca­ so di Van Seters e Westermann; ciascuno di questi strati comprende una versione completa della visita divina e delle sue conseguenze. Altri esegeti hanno confutato tali obiezioni per difendere l'unità essenziale del passo.19 L'analisi narrativa offre una base solida per en­ trare in questa discussione, e farà pendere la bilancia dal lato dell'u­ nità del racconto. L'argomentazione poggerà su due elementi: alcune strategie essenziali del racconto e i paralleli biblici ove queste strate­ gie vengono usate con lo stesso scopo. II.

L'UNITÀ DELLE DUE SCENE

L'inizio del racconto è di grande importanza. L'analisi narrativa individua nei vv. 1-2 di Gen 18 alcuni tratti importanti per capire la strategia del racconto. Il v. l a è un «sommario prolettico»; il v. l b usa un participio e appartiene all' «esposizione>> del racconto; infine il v. 2 introduce il primo elemento drammatico del brano per mezzo del cosiddetto cambiamento di «prospettiva». Riprendiamo questi ele­ menti l'uno dopo l'altro. Il «sommario prolettico» corrisponde ai nostri titoli o sottotito­ li,20 che i manoscritti dell'antichità non adoperavano, come pure non conoscevano la nostra puntuazione. Vi sono molti esempi di «som­ mari prolettici>> nella Bibbia e nelle altre letterature del Medio Orien­ te antico. Dal punto di vista narrativo, però, la funzione del «som­ mario prolettico>> di Gen 18,la è particolarmente significativa: inten· de informare il lettore - ma non il personaggio di Abramo! - sul con-

19 Cf. specialmente E. BLVM, Die Komposition der Viitergeschichte (WMANT 57), Neukirchener, Neukirchen-Vluyn 1984, 276-277, n. 18, e la reazione di VAN SETERS, Prologue, 257-261. 2° Fatto già notato da GuNKEL (Generis, 193), che menziona come altri esem­ pi Gen 22,1a e 2Re 2,1a. Per maggiori panicolari, cf. ].L. SKA, «Sommaires prolep­ tiques en Gen 27 et dans l'histoire de Joseph>>, in Biblica 73( 1992), 5 18·527; o Io., «Quelques exemples de sommaires proleptiques dans les récits bibliques», in Con­ gress Volume Paris 1992 (VT.S 61), Brill, Leiden 1995, 63-71.

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Letture bibliche

tenuto di tutto il brano. n lettore di Gen 1 8 sa dal principio che il racconto descriverà un'apparizione di YHWH e su questo punto egli ne sa più di Abramo e di Sara. Gen 22,1 usa una simile strategia quando comunica al lettore che il racconto descrive una «prova», co­ sa che verrà rivelata al personaggio Abramo solo al v. 1 1 . Questa pri­ ma osservazione ha una conseguenza di grande rilievo sull'interpre­ tazione del passo. n problema iniziale del racconto è un problema di conoscenza. La domanda non è più: che cosa accadrà? n lettore co­ nosce la risposta, che è stata data dal narratore in 1 8, 1a. La profon­ da domanda del racconto sarà un'altra. Secondo la terminologia tec­ nica introdotta da Aristotele, l'intreccio non sarà un «intreccio di azione» o «di risoluzione», ma «un'intreccio di rivelazione».21 La do­ manda verrà chiarita nei versetti seguenti e riguarderà la conoscenza da parte di Abramo.22 n perno del racconto sarà pertanto un «Sape­ re» e non esattamente un «accadere». Il v. 2b appartiene all'«esposizione» del racconto, cioè agli ele­ menti che compongono il quadro dell'azione.23 Questa esposizione introduce tre informazioni essenziali per il seguito: Abramo si trova a) seduto, b) all'entrata della tenda, c) nell'ora calda della giornata. YHWH, invece, appare presso «le querce» di Mamre. Questi pochi dettagli della messa in scena riappariranno nei momenti chiave del­ l'azione (vv. 8b.9. 10b). Infine il v. 2 introduce il primo elemento drammatico del rac­ conto per mezzo di un cambiamento di «prospettiva».24 Dopo aver detto che YHWH apparve ad Abramo, il narratore presenta il «pun­ to di vista» del protagonista e fa vedere quello che il patriarca ha vi21 Su questo vocabolario, d. SKA, «Our FatherS», 18; d. pure STERNBERG, The Poetics, 172-179; S. CHATMAN, Story and Discourse. Narrative Structure in Fiction an d Film, ComeU Universi!)> Press, Ithaca-London 1978, 1988, 48; tr. it. Storia e discorso, Pratiche, Parma 1987. 22 Cf. BLVM, Komposition, 274: l'attenzione del lettore si concentra sull'atteg· giamento di Abramo. 21 Notato anche da GUNKEL (Genesis, 193), che dà altri esempi: Gen 28,10- l l ; 32,23-24; Es 3,1-2. SuUa terminologia, d. SKA, «Our FatherS», 20-25. 2� Sulla terminologia, d. SKA, , 65-82. Riprendiamo la teoria di G. GENETTE, Figures III, Seui!, Paris 1 972, 183-224; tr. it. Ftgure lll, Einaudi, Torino 1976. D cambiamento di prospettiva è stato notato fra l'altro da G. VON RAD, Das errte Buch des Mose. Genesis (ATD 2-4), Universitiitsverlag-Vandenhoeck & Ruprecht, Freiburg Schweitz-Gottingen 101976; tr. it. Genesi, Paideia, Brescia 1978.

Gen 18, 1 -15 alla prova dell'esegesi

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sto, cioè «tre uomini». L'apparizione divina viene descritta, così, se­ condo la percezione limitata di Abramo e non più dalla prospettiva onnisciente e panoramica del narratore. Qui la differenza di cono­ scenza fra il lettore e Abramo è evidente: il lettore ha un'altra visio­ ne degli awenimenti, una visione superiore a quella del personaggio Abramo.25 A questo punto la domanda del racconto può essere for­ mulata in modo semplice: Abramo riconobbe YHWH quando gli apparve sotto le querce di Mamre? Alle osservazioni appena svolte occorre aggiungerne altre, alla r­ gando l'indagine ad alcuni testi paralleli. Ora, vi sono nella Bibbia dei procedimenti analoghi a quelli di Gen 18,1-2. Quattro teofanie inizia­ no in modo molto simile con la frase «l'angelo di YHWH (o: YHWH) apparve a X in tale luogo». Si tratta di Gen 1 8 , 1 ; Es 3 ,2a; Gdc 6,12; 13,3. Gen 1 8, l a è il solo testo che parla di YHWH. Negli altri appare l'angelo di YHWH. ll verbo è lo stesso, ossia il verbo r'h alni/al. n de­ stinatario dell'apparizione viene introdotto dalla preposizione 'el ( Gen 18,1a; Es 3 ,2a; Gdc 6,12; 1 3 ,3a) e il luogo o il posto dalla preposizio­ ne be in Gen 18,1a e Es 3 ,2a. ln Gdc 6,12 e 1 3 ,3 questa specificazione è inutile perché il versetto precedente contiene un'indicazione di luo­ go: la quercia di Ofra (Gdc 6,1 1) , o Zorea ( 1 3 ,2). n cambiamento di prospettiva si ritrova in Es 3 ,2 con un vocabolario simile: vedere, ed ec­ co (w"hinneh) seguito da un nome e da un participio. In Gen 1 8,2 Abramo vede «tre uomini stanti» e in Es 3 ,2b Mosè vede «un roveto bruciante». Inoltre molti racconti di teofania iniziano con lo stesso ver­ bo r'h (vedere) al nzfal, che significa/arsi vedere, apparire.26 Siamo ora in grado di rispondere ad alcune domande poste all'i­ nizio di questa indagine. Sembra poco ragionevole attribuire Gen 18,1 a un redattore.27 La tecnica di «sommario prolettico» è molto diffusa. Es 3 ,2 fornisce un parallelo stretto a tutto ciò che troviamo in Gen 18, 1 -2. E infine troppe teofanie cominciano nella stessa ma­ niera. Non si vede bene perché bisognerebbe trattare Gen 1 8,1a in

" Nel vocabolario di STERNBERG (The Poetics, 163-172), abbiamo una «reader­

elevating position». Cf. anche SKA, «Our FatherS», 54-56. 26 Cf. Gen 12,7; 17,1; 18,1; 26,2.24; Es 3,2; 16,10; Nm 16,19; 17,7; 20,6; Gdc 6,12; 13,2 ... 27 Come GuNKEL, Genesis, 193; WESTERMANN, «Arten>>, 62; ID., Genesis, Il, 355.

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Letture bibliche

un modo differente. Oltre a ciò l'analisi di Gen 18,1-2 ha evidenzia­ to il tipo di racconto al quale appartiene il testo. L'intreccio è un in­ treccio di «rivelazione», non di «risoluzione». La tensione dramma­ tica proviene da una «ignoranza», non da un conflitto o un proble­ ma che provocano in seguito un cambiamento di situazione.28 In pro­ posito alcuni autori notano che la scena di ospitalità si conclude nor­ malmente con la rivelazione graduale o improvvisa della divinità.29 Una volta identificato questo elemento, il lettore scopre senza diffi­ coltà la coerenza del brano, questione che vorremmo affrontare ora. Il primo problema è quello della connessione fra le due scene, cioè il problema della «forma» del racconto. La risposta poggia sui risultati dell'analisi narrativa riguardo agli schemi adoperanti nei rac­ conti biblici. Questa analisi rientra nella parte relativa all'esame del­ l'«intreccio». Spesso si parla in questo contesto di «convenzioni let­ terarie» o di .31 Cioè la divinità deve necessariamente, dopo esser stata ricevuta, reagire o positivamente o negativamente a seconda del tipo di accoglienza. Questo è un primo punto. Il secondo è che l'annuncio di nascita è un modo naturale di «sanzionare» una scena di ospitalità, e questa seconda scena ( 18,916) richiede la prima per essere capita.32 Nuovamente alcuni paralle­ li biblici suffragano l'opinione appena esposta.

28 Come sostiene WESTERMANN, Genesis, II, 331. Un «intreccio di risoluzione>> descrive in genere un passaggio dalla felicità all'infelicità (> propriamente detta, ove i personaggi sono ano­ nimi. Un'ultima sfaccettatura del racconto si nasconde nel verbo ebraico ridere (�q), che si ritrova poi nel nome di Isacco, mai pro­ nunciato durante l'episodio. Questa radice viene adoperata per ben tre volte durante la terza scena (vv. 12 e 15), ed è anche l'ultima pa­ rola del racconto, nel v. 15b: «Sì, hai riso>>. n messaggio finale riguarda dunque il modo in cui YHWH si è rivelato allorquando ha annunziato la nascita di Isacco, dalla quale dipendevano tutte le promesse e dal quale è sorto il popolo d'Israe­ le. Ora, il lettore virtuale del racconto è un membro del popolo d'I­ sraele e questo racconto gli comunica qualcosa circa la sua origine, che è legata a un «riso>>.63 Tale messaggio è inseparabile dall'espe­ rienza della lettura e dal contributo attivo del lettore, che rimane il solo incaricato di rispondere alle domande del racconto. n quale pos­ siede pertanto un carattere unico, così come lo sono gli avvenimenti della storia. L'esperienza della lettura ne coglie l'essenziale solo quan­ do raggiunge questo livello di unicità, e non semplicemente una qual­ siasi rivelazione di un Dio eterno e anonimo. Per il lettore virtuale o implicito, l'inizio della storia del suo popolo coincide con una «risa­ ta>> segreta, provocata e poi scoperta da YHWH stesso quando an­ nunziò ai suoi antenati, Abramo e Sara, la nascita di un figlio, il cui nome sarà il ricordo legato a questa vicenda. 62 Per maggiori particolari, cf. J.L. SKA, «Narrativa ed esegesi biblica>>, in ÙJ Civiltà Cattolica 3 (1991), 219-230 (in questo volume, al capitolo 9, pp. 193-206).

b} n lettore virtuale o implicito è il lettore ideale che l'autore ha in mente quan­ do scrive la sua opera. Cf. SKA, «Our Fatherl», 42-43 («virtual» o «implied reader»).

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Letture bibliche

Per concludere questi brevi spunti di riflessione, potremmo dire che il racconto dipinge un'esperienza unica, l'annuncio della nascita di Isacco. L'esperienza della lettura del brano, dal canto suo, consi· ste in fondo nello scoprire un Dio che fa ridere Sara, un Dio che sco· pre la sua risata, mentre elle stava ridendo di nascosto, e che rivela in questo agire qualche cosa del suo mistero. Per partecipare a questa esperienza originaria per il popolo d'Israele, il lettore viene invitato a rinvenire gli altri sorrisi nascosti - ovvero l'ironia segreta - del rac­ conto.

14. LA SCOPERTA DEL DISEGNO DI DIO NELLA STORIA DI GIUSEPPE

La storia di Giuseppe e dei suoi fratelli (Gen 37-50) si distingue in vari modi dalle altre storie patriarcali. Una delle caratteristiche più note di questi ultimi capitoli della Genesi è l'apparente assenza di Dio dalla quasi totalità della storia. Se si eccettuano il capitolo 39 (Giuseppe e la moglie di Potifarre)1 e la visione di Giacobbe a Beer­ sheva (46,1-5),2 Dio non interviene mai direttamente nel racconto, ma solo nei dialoghi, cioè sulla bocca dei personaggi,) in particolare sulla bocca dello stesso Giuseppe.4 Significa pertanto che il piano di­ vino non è mai esplicito in questo racconto e che gli attori del dram­ ma, anzitutto il suo protagonista, Giuseppe, debbono scoprirlo a ma­ no a mano nelle varie vicende che compongono la narrazione. Qual era dWique questo disegno di Dio? Per rispondere alla domanda, oc­ corre prima dipanare la matassa dell'intreccio di Gen 37-50 ed evi­ denziarne gli elementi più significativi.

1 Si veda la menzione di )'HWH in 39,2.3.5[2x] .21.23; Giuseppe, tuttavia, uri­ lizza l'appeUativo «Dio» (C'il''-") quando parla aUa moglie di Potifarre (39,9). 2 E la sola > (45,5).

I fratelli avevano «mandato» Giuseppe in Egitto per allontanar­ lo definitivamente. Ma questa è solo un'interpretazione superficiale dei fatti, secondo Giuseppe. In realtà, Dio stesso ha mandato Giu-

n Si veda la distribuzione dei ruoli in Israele secondo Ger 18,18: il compito dd sacerdote è !'«amm aestramento» (i1")1n); quello dd saggio è il «consiglio» (i1��) e quello del profeta la «parola» (i�.,). 16 H. GuNKEL, Genesis. Universitiitsverlag-Vandenhoeck & Ruprecht, Frei­ burg Schweitz-Giittingen 31908, 459; cf. anche R. E. LONGACRE, ]oseph. A Story o/Di­ vine ProVJdence, Eisenbrauns, Winona Lake 1989, )-42.

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Letture bibliche

seppe. Ma come vede Giuseppe la mano di Dio in questa storia di odio? E perché non muove nemmeno un rimprovero ai suoi fratelli? Proprio qui è racchiuso un messaggio essenziale della storia di Giu­ seppe: «Dio mi ha mandato per salvarvi», letteralmente «per la con­ servazione della vita» (45,5b); «per farvi vivere» (45,7; 50,20b) . Giu­ seppe capisce che il suo potere gli permette di salvare la vita della sua famiglia come quella di tutto l'Egitto. In parole povere, e forse mol­ to generiche, si potrebbe dire che il saggio è colui che usa la sua in­ telligenza per far trionfare la vita sulla morte. In particolare, sa tro­ vare i mezzi adatti per risolvere le crisi naturali, come una carestia, o umane, come il conflitto sorto nella sua famiglia. n disegno di Dio è sempre un disegno di vita, non di morte. Nel capitolo 50 Giuseppe contrappone nuovamente il disegno divino di salvezza al disegno di morte dei fratelli: «Voi avete pensato a farmi del male ma Dio ha pensato diversamente e l'ha fatto servire al bene, come ha fano oggi, e alla sopravvivenza di un grande popolo>> (traduzione libera di Gen 50,20; vedi sopra).

Alcuni proverbi illustrano bene questa opposizione fra piano di­ vino e piano umano, e questo conferma ancora una volta l'esistenza di similitudini fra il mondo della sapienza e quello di Giuseppe. Pr 16,1 dice: . Tuttavia, Giuseppe non oppone soltanto il disegno divino di sal­ vezza al disegno umano di nefandezza. Secondo lui, Dio ha utilizza­ to il disegno di morte per far trionfare la vita. Ed è per questo che Giuseppe non vuoi vendicarsi: se i fratelli non lo avessero venduto come schiavo, mai egli sarebbe arrivato al potere in Egitto e, dunque, non sarebbe stato in grado di aiutare la sua famiglia. n disegno di Dio si è pertanto servito del piano umano per capovolgerlo. Qui si trova l'intuizione più profonda del protagonista e la manifestazione più

La scoperta del disegno di Dio nella storia di Giuseppe

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chiara delle sue doti di sapiente. E così si avvicina molto al NT, in cui la morte violenta di Gesù Cristo verrà interpretata in modo analogo. Senza voler forzare il paragone oltre i limiti ragionevoli, si può, per concludere, vedere un'analogia fra le prime e le ultime pagine della GenesiY Non si può, certamente, vedere in Gen 50,20-21 un accenno intenzionale ai testi di Gen 2-3 o alla storia di Caino e Abe­ le. Tuttavia, il paragone si giustifica a livello di lettura sincronica di tutto il libro, così come l'hanno composto i suoi ultimi redattori. Tre sono i punti più importanti. Là dove i primi genitori hanno ceduto alla tentazione di «diventare come Dio» (Gen 3 ,5), Giuseppe resiste: «Sono io al posto di Dio?» (50,19b). Là dove i primi genitori hanno peccato mangiando il frutto proi­ bito (3,6), Giuseppe salva la sua famiglia procurandole cibo per il suo sostentamento (50,21). Là dove i primi genitori hanno introdotto il male nel mondo invece del bene, Giuseppe rovescia la direzione del male per farne derivare il bene (50,20). Così riesce a cancellare, al­ meno in parte, la maledizione che grava sull'umanità e apre una nuo­ va strada per arrivare all'albero della conoscenza del bene e del ma­ le e per fare, questa volta, la scelta giusta.18

17 Si veda, in proposito, il libro di L. Ai.ONSO SCHOKEL, Dov è tuo /rate/lo' Pa­ gine di fraternità nel libro della Genesi, Paideia, Brescia 1987. '

18

Per maggiori panicolari sulla storia di Giuseppe, si può consultare, in ita·

liano, A. BoNORA, La storia di Giuseppe: Dio in cerca dei fratelli. Genesi 37-50 (LOB 1.3 ), Queriniana, Brescia 1982; In., ) a 4,19 («Il Signore disse a Mosè in Madian: "Va', torna in Egitto, perché tutti quelli che cercavano di toglieni la vita sono morti"»). Es 3 , 1 -4 , 1 8 è anch'esso un testo composito e molto complesso. Non esiste oggi alcuna spiegazione soddisfacente dd­ la sua genesi letteraria. 7 Questi due tesù sono attribuiti alla fonte sacerdotale, redatta verso la fine dd­ l'esilio o durante gli anni che seguirono immediatamente la fme dell'esilio (536 a.C.). 8 Cf. A. NEPI, Esodo (Capitoli 1-15). Introduzione e commento (Dabar - Logos - Parola. Lecùo divina popolare), Messaggero, Padova 2002, 47 48.

r:erode, il nome di Dio e la storia d'Israele

3 19

Lv 25,43.46.53 ed Ez 34,4. In ognuno di questi brani, il termine ha un senso giuridico abbastanza preciso. Lv 25 proibisce di brutalizza­ re gli schiavi ed Ez 34 è un lungo oracolo di Dio contro i pastori, os­ sia i re d'Israele, che hanno brutalizzato le pecore del gregge a loro affidato, ossia i loro sudditi. 9 Secondo questi testi il diritto biblico condanna chiaramente questo modo di agire. Sia i padroni sia i re so­ no tenuti a osservare questo principio di diritto. n testo dell'Esodo estende questo diritto persino all'Egitto perché lo stesso faraone sarà condannato per aver agito con brutalità nei con­ fronti del popolo d'Israele. Tutto questo, tuttavia, non è esplicito. Oc­ corre cogliere la sfaccettatura giuridica del testo per capirne la portata. n brano descrive, in effetti, un reato, un'ingiustizia grave, e crea nel racconto una prima tensione drammatica che si risolverà quando Dio ristabilirà la giustizia a favore del suo popolo. Le diverse fasi di questo processo, secondo il nostro racconto, sono comuni ad altri te­ sti.10 Primo, la vittima grida per chiedere giustizia e qualcuno sente il grido, molto spesso un parente, un amico o un alleato, ma sempre qualcuno che ha la possibilità di intervenire. Non dobbiamo dimen­ ticare che la giustizia in quei tempi non era organizzata come oggi. L'amministrazione della giustizia dei nostri Stati moderni risale nella maggioranza dei casi a più o meno due secoli e quella dell'antichità era abbastanza diversa. Una delle cose più importanti, nel mondo an­ tico in genere così come nel mondo biblico, era di trovare un «ap· poggio», un potente «protettore» che si chiama spesso, nella Bibbia, il «difensore» o il «consolatore».11

9 Questi due testi sono vicini al testo di Es 1,13-14 perché il libro del Leviti­ co e il libro di Ezechiele sono entrambi di stampo «Sacerdotale». 10 Per una visione globale di queste procedure, si vedano, fra gli altri, P. Bo­ VATI, Ristabilire la giusti:r.ill. Procedure, vocabolario, orientamenti (AnBib IlO), PIB, Roma 1 986; H.J. BoECKER, Recht und Gesetz im Alten Testament und im Alten Orient (NStB 10), Neukirchener, Neukirchen-Vluyn 1976 (tr. ingL Law and the Administ ra­ tion of]ustice in the Old Testament and Ancient East, Augsburg, Minneapolis (IN) 1980; H. N IEHR, Recht'fJrechung in lsrael. Untersuchungen zur Geschichte der Geri­ chtsorganisation im Alten Testament (SBS 130), Katholisches Bibelwerk, Stuttgart 1987; ]. BLENKINSOPP, Wisdom and Law in the Old Testament. The Ordering of Li/e in Israel and Early ]udaism (Oxford Bible Series), Katholisches Bibelwerk, Univer­ sity Press, Oxford 21995. 1 1 Su questo concetto, cf. BovATI, R istabilire la giustizia, 2 14-218, )08-)10.

Letture bibliche

320

Questo «difensore» prende allora l'affare nelle sue mani e prova a far valere il diritto del suo «alleato» o del suo «protetto». n pro­ cesso, in questi casi, assomiglia molto a una lotta fra due contenden­ ti davanti a una platea di spettatori che può anch'essa intervenire per appoggiare l'una o l'altra parte. L'esito finale dipende in gran parte dalla capacità del «difensore» di far trionfare il suo punto di vista. In ogni modo, il processo finisce con la vittoria dell'uno e la sconfitta dell'altro, e si sa che purtroppo la forza trionfa più spesso dello stes­ so diritto. Nel caso del libro dell'Esodo, però, il racconto tende a eviden· ziare con vigore da quale parte sta il diritto. Vedremo in seguito che la prova non sarà tanto una «prova di forza» quanto piuttosto una «prova di ragione», se è lecito parlare così. 2.

L'INTERVENTO

DI

DIO A FAVORE

n'ISRAELE

TI secondo brano che contribuisce a far capire meglio la cosid­ detta «vocazione di Mosè» si colloca proprio fra i primi episodi del­ la «storia di Mosè» (Es 2,1-22) e la scena del roveto ardente (Es 3,1-4,18). Il brano tratta in sostanza due punti importanti: da una parte, la reazione d'Israele oppresso, vale a dire il suo grido di ap­ pello, e dall'altra, la reazione di Dio (2,23-25):12 �li figli d'Israele gemevano a causa della schiavitù e alzavano delle gri­ da; e le grida che la schiavitù strappava loro salirono a Dio. 24Dio udì i loro gemiti. Dio si ricordò del suo patto con Abramo, con !sacco e con Giacobbe. 2SDio vide i figli d'Israele e ne ebbe compassione».n

Israele oppresso in Egitto fa sentire il suo grido di aiuto - atto che corrisponde alla «querela» nei processi formali 14 e colui che sente il lamento d'Israele oppresso e interviene a suo favore è nien-

12 La traduzione dei testi è quella della Nuovissima versione della Bibbia, Pao­ line, Roma 1995, con alcuni leggeri ritocchi. Su questo testo d. BovATI, Ristabilire la giustizia, 290; NEPI, Esodo, 81-87. 13 U testo originale dice solo: «E Dio conobbe». Come vedremo, il testo ha un ,

significato giuridico abbastanza preciso. 14 BovATI, Ristabilire la giustizia, 281·303.

I.:esodo, il nome di Dio e la storia d'Israele

321

temeno che il Dio che ha concluso un'alleanza con gli antenati d'I­ sraele, Abramo, Isacco e Giacobbe. In virtù di questo «patto», Dio si è legato ai patriarchi e a tutti i loro discendenti e per questa ragione si decide a intervenire nel conflitto che oppone Israele all'Egitto. Dio sarà quindi il «difensore» d'Israele nel conflitto che l'oppone al fa­ raone e agli egiziani. Un'espressione di Es 2,23-24 merita una breve spiegazione. Si tratta delle ultime parole: «Dio vide i figli d'Israele e ne ebbe com­ passione», espressione che, tradotta più letteralmente, recita: >, in CBQ 40(1978), 3 1 1 -322. ·

I.:esodo, il nome di Dio e !IJ storia d'Israele

325

si ponevano o, se lo facevano, ciò avveniva in un modo ben diverso del nostro perché essi non avevano a disposizione tutte le risorse del­ la filologia comparata della nostra epoca. Per loro contava molto di più il significato esistenziale delle parole e dei testi. Nel caso concre­ to della rivelazione del nome divino in Es 3 , 14-15, questo significato è abbastanza palese poiché il nome di Dio è in gran parte legato alla missione di Mosè : «lo sono mi ha mandato da voi», «YHWH, il Dio dei vostri padri, il Dio d'Abramo, il Dio d'Isacco, il Dio di Giacob­ be mi ha mandato da voi» (3 , 14b e 3 ,15). Questo Dio è un Dio che manda e si rivela nel mandato di Mosè. In altre parole, possiamo di­ re che la missione di Mosè è il primo luogo dove si rivela il nome di­ vino. Questo nome divino si identifica quindi con una volontà di sal­ vare il popolo e di iniziare una storia di liberazione. Di conseguenza, il nesso fra il nome di Dio e la storia dell'esodo e la storia d'Israele è strettissimo. Dio, quando rivel�t il suo nome, afferma di essere vicino a Israe­ le come popolo e di prendere a cuore la sua situazione. Un testo che illustra questo modo di pensare è Is 52 ,4-6: 20 o «controversia» che op­ pone Dio al faraone, le piaghe hanno come scopo primo di rivelare chi è il Signore degli ebrei. Ritroviamo quindi il «nome» di Dio, Si­ gnore della storia, che si manifesta proprio nella storia. Alcuni elementi basteranno a chiarire questo punto. n primo elemento si trova in Es 5,2. Quando Mosè e Aronne vanno per la pri­ ma volta a trovare il faraone per chiedergli di affrancare gli ebrei, co­ stui risponde: «Chi è YHWH, che io debba ubbidire alla sua voce e lasciare andare Israele? lo non conosco YHWH e non lascerò affat­ to andare Israele». Il problema del faraone è un problema di cono­ scenza e le piaghe dell'Egitto gli offriranno gli elementi di risposta al­ la sua domanda. Es 7,1-5 è un testo chiave che serve a strutturare tutto il rac­ conto delle piaghe. In questo oracolo, Dio spiega a Mosè quale stra­ tegia egli ha adottato per convincere il faraone a lasciar partire il suo popolo.23 «1II SIGNORE disse a Mosè: "Vedi, io ti ho stabilito come Dio per il faraone e tuo fratello Aronne sarà il tuo profeta. l'fu dirai tutto quello che ti ordinerò e tuo fratello Aronne parlerà al faraone, perché lasci partire i figli d'Israele dal suo paese. 3Ma io indurirò il cuore del fa­ raone e moltiplicherò i miei segni e i miei prodigi nel paese d'Egitto. 4ll faraone non vi darà ascolto e io metterò la mia mano sull'Egitto; farò uscire dal paese d'Egitto le mie schiere, il mio popolo, i figli d'Israele, mediante grandi atti di giudizio. 5Gli egiziani sapranno che io sono

22 Su questo punto, cf. ].-L. SKA, «Les plaies d'Égypte dans le ·récit sacerd otal (Pg)>>, in Biblica 60(1979), 23-35; In., (Le 19,48; 20,19; cf. 20,6; 22,2). e) La passione. n racconto della passione conferma questa evo­ luzione. Luca distingue con grande accuratezza i vari gruppi (cf. 23, 1 3 : i sommi sacerdoti, le autorità e «il popolo»). E non usa mai la parola «popolo» quando si tratta della folla ostile a Gesù (Le 22,47; 23,4; specialmente 23, 18-25). I nemici di Gesù invece la usano per accusarlo di aver «sobillato il popolo» (23 ,5.14). n «popolo» sembra rimanere fedele a Gesù. Infatti lo ritroviamo dietro a lui quando sale il Golgota (23 ,27 ): «Lo seguiva una grande moltitudine di popolo». n «popolo» consta quindi di coloro che seguono Gesù che porta la sua croce (d. 9,23-27; 14,27 e l'esempio di Sirnone di Cirene che solo in Luca «porta la croce dietro a Gesù»). Infine il «popolo» guarda (23,35) mentre i capi del popolo scherniscono Gesù. L'opposizione non potrebbe essere più chiara. f) I.:eucaristia. Per concludere questo rapido percorso, vale la pena, sembra, rileggere il testo dell'istituzione dell'eucaristia (Le 22, 1 9-23 ) . n Vangelo di Luca ha mostrato come Gesù radunò attorno a sé il «popolo» di Dio. La condizione di appartenenza al «popolo» non sembra essere la nascita, ma l'accettazione di Gesù Cristo. n rac­ conto dell'istituzione dell'eucaristia lo pone chiaramente in risalto. Un paragone con Es 24,3-8 permette di evidenziare gli dementi più importanti del testo. Gesù si ritrova un'ultima volta con i dodici (Le 22,3; Luca adopera la parola «dodici» in poche occasioni). Gesù e i dodici riecheggiano l'altare e le dodici stele: Dio e il suo popolo. Gli apostoli rappresentano il vero Israele, quello che ha accolto il Messia. n pasto riprende altri elementi della conclusione dell'allean­ za del Sinai. Gesù è il mediatore come Mosè lo fu in Es 24. Non c'è libro nel vangelo, perché Gesù è la parola vivente di Dio. E la paro­ la è anche il pane che dà ai suoi discepoli: il suo corpo. Questo pane prende il posto dd libro di Es 24. I discepoli possono non soltanto

Popolo sacerdotale e popo!CJ dell'alleanw

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ascoltare, ma mangiare. La parola non rimane esterna, ma diventa in­ teriore. Lo stesso vale per il «sangue». In Es 24 Mosè lo versò sull'al­ tare e lo sparse sul popolo. Il sangue di Es 24 rimase pertanto ester­ no al popolo. Adesso Gesù presenta il calice «della nuova alleanza nel suo sangue»: bere al calice significa interiorizzare l'alleanza. La dimen­ sione di interiorità è ciò che distingue la nuova dalla prima alleanza. E perciò Gesù in Luca come in lCor 1 1 ,25 parla di nuova al­ leanza. Riprende le parole di Ger 3 1 ,3 1. La prima alleanza fu rotta (Ger 3 1 ,32). Nella nuova alleanza, Dio porrà la sua legge in mezzo al suo popolo e la scriverà sui loro cuori (Ger 3 1 ,33). È proprio la di­ mensione di interiorità che Luca sottolinea nel suo racconto dell'isti­ tuzione dell'eucaristia. Il popolo di Dio sarà dunque il popolo che si ritrova attorno a Gesù, che accoglie la sua parola e glorifica Dio per le sue opere, un popolo che interiorizza il suo messaggio e ne fa il suo cibo e la sua bevanda. L'evento che permette di rinnovare il legame dell'alleanza non è soltanto la lettura del libro, come in Es 24, ma l'incontro vero con Cristo nella celebrazione dell'eucaristia. g) Il popolo del perdono. E se c'è una caratteristica del popolo di Dio radunato attorno a Cristo che deve attirare l'attenzione, è il fat­ to che questo popolo è nato dal perdono. Il vero fondamento della comunità cristiana nel NT e specie in Luca è quello che Cristo ha perdonato (Le 23,34). Il solo vero legame, che può ormai unire gli uomini fra di loro nel popolo di Dio, è questo perdono. E il messag­ gio essenziale della comunità cristiana è pure un messaggio di per­ dono (24,47). La nuova alleanza stabilita fra Dio e il suo popolo nel sangue di Gesù Cristo non può essere rotta perché è fondata sulla mi­ sericordia di Dio.6

6 Cf.

specialmente J. DUPONT, «Un people d'entre !es nations», in NTS

3 1 (1985), 3 12-335.

18. LA STORIA DI RUT, LA MOABITA, E IL DIRITTO DI CITTADINANZA IN ISRAELE

La genealogia di Gesù che apre il Vangelo di Matteo ( 1 , 1-17) comporta, come ben si sa, una serie di particolarità fra le quali la più appariscente è la menzione di cinque donne: Tamar (v. 3 ) , Raab (v. 5), Rut (v. 5), la moglie di Uria (ossia Betsabea, v. 6) e Maria (v. 16). n proposito di Matteo è, innanzitutto, di spiegare il carattere anomalo della nascita di Gesù: Giuseppe è il padre legale di Gesù, ma il figlio è stato concepito «per opera dello Spirito Santo» ( 1 , 1 8). Matteo cer­ ca di spiegare quest'anormalità in un modo abituale nella sua cultu­ ra, citando alcuni precedenti: prima di Maria, vi sono stati altri casi anomali, per esempio quelli di Tamar, Raab, Rut e Betsabea. n caso di Maria, di conseguenza, non deve stupire più di tanto. Il nostro proposito non è di fare l'esegesi della genealogia di Ge­ sù nel Vangelo di Matteo, ma piuttosto di approfondire il significato della presenza di una di queste figure femminili nel testo matteano, quella di Rut. La ragione principale di questa scelta è semplice: Rut è l'eroina di un intero libro di quattro capitoli e quindi offre ampia materia alla riflessione. I.

RUT, LA CENERENTOLA BIBLICA

Rut può essere chiamata la «Cenerentola della Bibbia>> perché la sua storia sviluppa un tema del folclore universale, quello di una ra­ gazza povera o di origine modesta che trova un marito ricco e po­ tente, il «principe azzurro» di tante fiabe popolari. n tema conosce

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Letture bibliche

variazioni infinite secondo l'epoca e la cultura. Nel caso di Rut, l'e­ roina è certo povera, e inoltre anche vedova e straniera. Gli ostacoli che l a separano dal matrimonio con un uomo ricco si accumulano pertanto sull a sua strada, dal momento che la sua situazione è una delle peggiori che si possano immaginare nel mondo antico. Come donna e vedova, in effetti, non ha diritti, perché una donna nel mon­ do antico si trova in genere in una situazione di dipendenza quasi to­ tale. Prima di essere sposata, lei dipende in tutto da suo padre e, do­ po il matrimonio, dal marito. Una vedova può essere protetta, in li­ nea di massima, dai figli; ma Rut non ha figli. Come straniera si tro­ va in una situazione ancora inferiore alle persone che possono conta­ re sulla solidarietà che regna all'interno di una nazione o di una tribù. Rut è isolata, senza protezione, senz'appoggi e senza difesa. In parole semplici, è una vedova senza futuro o con un futuro piuttosto cupo. Rut però riuscirà a rimuovere o superare gli ostacoli che si pre­ sentano sulla sua strada, e nessuno degli svantaggi legati alla sua si­ tuazione le impedirà di trovare una sistemazione più che soddisfa­ cente. L'originalità del racconto si trova proprio nel modo nel quale Rut riesce ad arrivare alla meta che deve raggiungere: il matrimonio con Booz. Tutti capiscono evidentemente, quando il racconto intro­ duce Booz all'inizio del secondo capitolo (2, 1 ) , che sarà lui il marito atteso. Nessuno, però, riesce a indovinare come si farà un matrimo­ nio che appare, di primo acchito, impossibile. Questo tratto del rac­ conto contribuisce non poco al suo fascino. II. RUT E NOEMI Vedere in Rut la protagonista del racconto e nella storia una ver­ sione originale del tema di Cenerentola è certo legittimo, ma forse, così facendo, si corre il rischio di tralasciare alcuni elementi impor­ tanti della trama che danno al libro biblico una fisionomia unica. Occorre notare innanzitutto che Rut non è sola. Dall'inizio del racconto si presenta come la nuora di Noemi e come colei che ac­ compagna sua suocera quando quest'ultima ritorna nella sua patria di Beùemme. ll racconto insiste molto sulla presenza di Noemi, al punto che è difficile separare le due figure. Se la situazione di Rut

La storia di Rut e il diritto di cittadinanza

.37 1

non è invidiabile, quella di Noerni è ancor peggiore: costei è vedova, ha perso i due figli ed è troppo anziana per poterne avere altri (Rt l, 1 1 - 12). Ora, ben si sa che, nel mondo biblico, morire senza figli era considerata una maledizione (cf. Gen 15,2-3).1 Morendo la persona moriva la stirpe, ossia, per usare il linguaggio biblico, il «nome» dd defunto (cf. Rt 4,5.10). Rut, nonostante tutto, decide di legare la sua sorte a quella di Noerni impegnandosi a risolvere tutti i problemi della suocera. D rac­ conto in realtà non si conclude quando Rut si sposa, bensì quando si capovolge la situazione di Noerni; quando, cioè, grazie a Rut e Booz, potrà avere un figlio in sostituzione dei suoi figli defunti (4,1 6-17). m. I PROBLEMI CONCRETI DEL RACCONTO

Rut, abbiamo detto, accompagna sua suocera e cerca di risolve­ re i suoi problemi. Ma quali sono i problemi concreti del racconto? Sono almeno due: il primo è di ordine economico e il secondo di na­ tura più sociale. l.

IL PROBLEMA

ECONOMICO DEL CIBO

Un racconto classico parte, in genere, da una domanda o da un problema e descrive le varie tappe che conducono alla soluzione dd problema iniziale. Nel racconto in questione il problema iniziale è quello della farne (1 ,1), che rimane presente in modo esplicito o im­ plicito fino alla fine del racconto. La famiglia di Elirnelek lascia Be­ tlemme e va a stabilirsi nelle campagne di Moab a causa di una care­ stia che imperversa a Betlemme ( l ,1). Noerni, dopo tanti anni, torna a Betlemme perché vi è di nuovo possibile trovare cibo: «Dio ha vi-

1 L'AT conosce diversi casi di mogli sterili che riescono, dopo molte tribola­ zioni, a dare alla luce un figlio. In genere questo figlio ha un destino eccezionale. È il caso di Sara (Gen 1 1 ,)0), Rebecca (Gen 25,2 1), Rachele (Gen 29,3 1), la moglie di

Manoa e madre di Sansone (Gdc 13,2) e di Anna, madre di Samude (lSam 1,5). D caso di Noemi è diverso perché ha avuto figli, ma sono morti prima di avere loro stessi una discendenza (Rt 1 ,5).

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372

sitato il suo popolo per dargli pane» ( 1 ,6). n secondo capitolo de­ scrive la spigolatura di Rut nel campo di Booz, spigolatura che ha co­ me evidente scopo la ricerca di cibo. Rut, quando ritorna a casa, por­ ta una gran quantità di grano oltre a quello che avanza dal suo pasto (2,18). Vedendo quanti viveri Rut porti a casa, Noemi benedice il be­ nefattore di sua nuora (2,19). n problema del cibo sembra risolto al­ meno fino alla fine della mietitura, perché Booz ha permesso a Rut di spigolare nei suoi campi durante tutto questo periodo (2,2 1 .23). n terzo capitolo non è tanto centrato sul nutrimento come tale, quanto piuttosto sul futuro matrimonio fra Booz e Rut. Cionono­ stante, quel tema è ugualmente presente nel retroterra, visto che la fi­ ne della mietitura significa pure la fine della spigolatura (cf. 2,23 ). Dove si troverà cibo quando le due vedove avranno consumato tutto quello che Rut ha raccolto? La risposta del terzo capitolo ·è semplice: con il matrimonio di Rut con Booz non ci si dovrà più preoccupare di cercare cibo ogni giorno. Inoltre, il tema riappare alla fine della scena, quando Booz, sul far del mattino, dà a Rut sei misure d'orzo (3 ,15). L'ultimo capitolo (4) non parla più di cibo perché il problema è effettivamente risolto con il matrimonio di Booz e Rut. 2.

IL

PROBLEMA SOCIALE DEL MATRIMONIO

La soluzione al problema iniziale è quindi il matrimonio, che di­ venta progressivamente il vero centro d'interesse del racconto. n pri­ mo problema, quello del cibo, ne nasconde però un altro, più serio: quello della condizione di Noemi e di Rut. Dover cercare cibo ogni giorno e vivere continuamente nell'incertezza a proposito dell'indo­ mani è uno dei segni più visibili della situazione molto precaria delle due vedove. Nel mondo biblico, una delle poche soluzioni al problema, se non l'unica, è quella di trovare un marito. Essendo Noemi troppo an­ ziana per poter sperare di avere ancora figli, è Rut a dover trovare un marito. Rut può ancora sposarsi e, come vedremo, «dare» un figlio a Noemi grazie alle possibilità offerte dalle consuetudini e dal diritto di quel tempo. Booz, il personaggio introdotto in 2 , 1 , è il candidato ideale co­ me marito di Rut perché è ricco e - questo elemento è essenziale nel-

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l'economia del racconto - appartiene al clan di Elimelek, il defunto marito di Noemi. È ricco e può quindi risolvere i problemi economi­ ci delle due vedove. Appartiene al clan di Elimelek ed è quindi in grado, come vedremo, di risolvere il problema della discendenza. Un figlio di Booz e Rut, in effetti, può essere considerato come figlio di Elimelek e Noemi, e così «perpetuare il nome del defunto Elirnelek» in Israele (cf. 4,5. 10). Vi sono tuttavia due grossi ostacoli al matrimonio di Rut e Booz: quest'ultimo è un ricco ebreo, mentre, come abbiamo visto, Rut è straniera e povera. Ella, per poter sposare Booz, dovrà in qualche modo ottenere prima l'equivalente del «diritto di cittadinanza» e, in secondo luogo, alcuni titoli che le permetteranno di salire nella scala sociale dell'epoca. Non dobbiamo dimenticare che la società antica è abbastanza intollerante su questo punto. Diverse leggi in Israele proi­ biscono il matrimonio con donne straniere (cf. Dt 7 ,3 ; Esd 9,2; Ne 10,3 1 ; 13,23-27). Le barriere sociali sono anch'esse molto rigide ed è quasi impossibile sposare una persona che non appartiene al proprio ceto. Rut, però, riuscirà a superare tutti questi ostacoli per poter spo­ sare Booz e dare una discendenza a sua suocera Noemi. Come? La disamina della costruzione del racconto fornirà una risposta soddi­ sfacente a questa domanda. IV. LA COSTRUZIONE DEL RACCONTO n libro si suddivide in quattro capitoli che corrispondono in mo­ do netto alle quattro parti del racconto. Ciascuna parte ha il suo ar­ gomento e il suo quadro temporale. Così come molti racconti popo­ lari, la storia di Rut gioca su variazioni all'interno di un sistema di ri­ petizioni e di costruzioni simmetriche. Vale la pena soffermarsi su questa costruzione formale che aiuta a cogliere il significato del rac­ conto: «La forma appropriata è l'espressione necessaria del contenu­ to», diceva il grande esegeta tedesco Hermann Gunkel.2

2 In Reden und Au/siitze, Vandenhoek & Ruprecht, Goningen 1913, 23 .

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n primo capitolo descrive un viaggio: all'inizio siamo a Betlem­ me e alla fine siamo di nuovo a Betlemme. n racconto dedica però molto più tempo al viaggio di ritorno che non al viaggio di andata, riassunto in poco più di un versetto ( 1 , 1 -2). La parte più lunga e per­ ciò anche più importante del brano è il dialogo di Noemi con le due nuore, Orpa e Rut, dialogo nel quale Rut decide di tornare con la suocera nonostante le forti obiezioni di quest'ultima ( 1 ,8-18). n dia­ logo è preceduto da un riassunto della permanenza della famiglia di Elimelek nelle campagne di Moab (1,1-5) e da una breve introduzio­ ne al viaggio di ritorno (l ,6-7). n capitolo si conclude con l'arrivo di Noemi e Rut a Betlemme ( 1 ,19-22). L'ultimo versetto ( 1 ,22) funge da cerniera fra il primo e il secondo capitolo: menziona un'ultima volta il tema del capitolo, il ri­ torno a Betlemme, e i nomi di due dei principali personaggi del libro, Noemi e Rut; poi un'indicazione di tempo, «all'inizio della mietitura dell'orzo», prepara il lettore al capitolo seguente, che descrive pro­ prio quello che accadrà all'inizio di questa mietitura. n secondo e il terzo capitolo seguono lo stesso schema nella lo­ ro costruzione: una scena centrale in cui i personaggi principali sono Rut e Booz (2,3-17; 3,6- 15) è preceduta e seguita da una conversa­ zione di Rut con Noerni (2, 1 -2 e 3 , 1 -5; 2 , 1 8-23 e 3 , 16- 18). La prima conversazione serve a «dare il tono» a tutto il capitolo poiché Rut e Noemi vi decidono insieme il daffarsi. La scena centrale ha come sco­ po di awicinare Rut e Booz e di mostrare come SJ?ariscono i princi­ pali ostacoli che impediscono il loro matrimonio. E quello che acca­ de sul campo di Booz dove Rut è venuta a spigolare (2,3-17) e sull'aia durante la notte (3 ,6- 15). La conversazione finale fra Rut e Noemi al­ la fine di ognuno di questi due capitoli dà l'occasione a Noemi di trarre le conclusioni da quanto è awenuto. Abbiamo notato che l'ultimo versetto del primo capitolo offriva una transizione fra il primo e il secondo capitolo. Ritroviamo la stes­ sa procedura nei capitoli seguenti. L'ultimo versetto del secondo ca­ pitolo dice due cose importanti (2 ,23) . Primo, Rut continua a spigo­ lare nei campi di Booz fino alla fine della mietitura dell'orzo e del fru­ mento; secondo, lei abita con sua suocera. Come abbiamo visto, la domanda che il lettore si pone immediatamente è sul dopo: che cosa faranno le due vedove per trovare cibo quando non si potrà più spi-

La storia di Rut e il diritto di cittadinanza

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golare? Fino a quando avranno cibo? n terzo capitolo risponderà a questa domanda. . Alla fine del terzo capitolo, Noemi indica a Rut che Booz sta per prendere una decisione definitiva l'indomani (3,18). n lettore, quin­ di, è invitato a leggere immediatamente il quarto capitolo che scioglie tutti i nodi del racconto. Questo quarto capitolo è leggermente diverso dagli altri per la so­ la ragione che conclude l'insieme. Booz, nella discussione alla porta di Betlemme, riesce a superare l'ultimo ostacolo: la presenza di un po­ tenziale rivale (4,1-8); dopo di che egli può prendere ufficialmente Rut come sposa davanti agli anziani e a tutta la popolazione di Betlemme (4,9-12). Segue il racconto della nascita del figlio di Booz e Rut, Obed, considerato giuridicamente - ed è l'espressa volontà dei genitori - co­ me figlio di Noemi e di Elimelek (4, 13- 17). La genealogia di Davide collocata alla fine del racconto è un'aggiunta tardiva che fa di Rut, la straniera, la bisnonna di Davide, nativo di Betlemme (4,18-22).3 Questo breve riassunto, di ordine piuttosto formale, ci aiuterà adesso a capire meglio il significato del racconto,

V.

LA PROGRESSIONE DEL RACCONTO

Abbiamo visto qual è il problema fondamentale del racconto e quali sono le principali articolazioni dell'intreccio. Occorre adesso vedere più da vicino come si sviluppa l'azione. Riprenderemo a que­ sto scopo le quattro scene per esaminarle in dettaglio e vedremo con più precisione come i diversi protagonisti del racconto, e principal­ mente Rut, riescono a superare i diversi ostacoli che si presentano sulla strada che conduce alla soluzione dei problemi iniziali.

3 Si tratta di un'aggiunta, perché le genealogie precedono i racconti e non li se­ guono. Inoltre, Obed è presentato come figlio di Booz e Rut, mentre il racconto lo considera giuridicamente come figlio di Elimelek e Noemi. In ogni modo, la genea logia insiste sul fatto che Davide, il primo e più grande re d'Israele e Giuda, ha co­ me bisnonna una straniera. La città di Betlemme, d'altronde, ha molto probabil­ mente fornito l'aggancio che ha permesso di collegare la storia di Booz e Rut a quel­ la di Davide, anche lui oriundo beùemm.ita ( lSam 16).

·

376

l.

Letture bibliche

IL PROLOGO E LA PRIMA SCENA ( 1 , 1 -22) n prologo del primo capitolo ( 1 , 1 -5) è l'unica pane di tutto il li­

bro, con la genealogia finale (4, 18-22), che non contiene alcun dialo­ go. Questi pochi versetti descrivono la situazione iniziale e tutti i suoi problemi: alla carestia di l , l si aggiunge la mo ne, prima di Elimelek, poi dei due figli Maclon e Chilion ( 1 ,3 .5).4 La situazione, nello spazio di cinque versetti, diventa drammatica: tre vedove senza figli riman­ gono sole e indifese ad affrontare tutte le vicissitudini dell'esistenza. Interviene in questo punto del racconto l'elemento nuovo che fa scaturire tutta l'azione del capitolo e, di conseguenza, del racconto: Noemi viene a sapere che il Signore ha visitato il suo popolo e che vi è di nuovo pane a Betlemme - nome che, fra l'altro, significa lette­ ralmente «casa del pane» - e si decide a tornare in patria. La do­ manda che sorge subito è di sapere chi tornerà con lei: Noemi sarà accompagnata o meno dalle due nuore, Rut e Orpa? n lungo dialogo ( 1 ,8-18) , prima con Rut e Orpa ( 1 ,8-14), poi con Rut sola ( 1 , 15-18), dà al lettore una risposta a questa domanda: sola­ mente Rut accompagnerà Noemi, mentre Orpa tornerà a casa sua. La scena, inoltre, fornisce al lettore informazioni essenziali sulla posta in gioco in questo momento concreto. Gli elementi più importanti con­ cernono l'avvenire concreto di Noemi e delle nuore. Ora, vi sono ap­ parentemente poche ragioni di essere ottimisti. Per questa motiva­ zione, Noemi, nella discussione con le sue nuore, cerca soltanto di scoraggiarle a tornare con lei a Betlemme. Quali sono i suoi motivi? In poche parole, Noemi dice alle nuore che non avranno alcun futu­ ro a Betlemme, in una terra straniera (non dimentichiamo che Rut e Orpa sono moabite - d. 1 ,4).

4 I nomi dei personaggi hanno un significato che può, in alcuni casi, essere in· teressante (nomen, omen). Elimelek significa: oppure , , «deperimento»; Orpa è un nome apparentato alla voce che significa «nu· ca», forse perché rivolge la nuca alla suocera quando la lascia; sul nome di Rut si di· scure: potrebbe significare «amica>>, «compagna>>, o evocare il conforto, o anche l'abbondanza. Booz significa «forza in lui»; Mara: «amara»; Obed: «servente>>, «ser­ vitore [del Signore]>>.

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n passo richiede una breve spiegazione perché mette in ballo al­ cuni elementi giuridici poco conosciuti. Noemi dice di essere trop­ po vecchia per avere altri figli che potrebbero sostituire quelli mor­ ti e sposare le due nuore vedove ( 1 ,1 1). Poi, aggiunge, anche se po­ tesse - caso puramente immaginario - concepire e dare alla luce fi­ gli, esse dovrebbero aspettare troppo a lungo prima di poterli spo­ sare ( 1,12-13 ). Noemi allude in queste frasi alla cosiddetta «legge del levirato>> che obbliga il fratello di un marito defunto a sposare la vedova qua­ lora la coppia non avesse figli.' Inoltre, il primo figlio del fratello del defunto e della vedova è considerato come figlio del marito defunto. Noemi insiste quindi presso le sue nuore per riaffermare che le due giovani vedove devono trovare una sistemazione altrove: Noemi non può in alcun modo aiutarle a trovare un ulteriore marito, unica solu­ zione per una vedova nella società antica (cf. l ,9). Noemi aggiunge però un argomento teologico a quanto ha appe­ na detto: «La mano del Signore si è protesa contro di me>> ( 1 ,13). Se­ condo questa sua interpretazione dei fatti, le disgrazie accadute nel passato sono dovute all 'azione divina: lo stesso Signore non si è mo­ strato benevolo nei confronti di Noerni. Ragione in più, evidentemen­ te, per non accompagnare Noemi: persino Dio si mostra contrario. Orpa si arrende a questi argomenti e nessuno può veramente rimproverarle di non seguire la via del buon senso ( 1 , 14). Rut, inve­ ce, insiste e rifiuta di seguire sua cognata ( 1 , 15- 18). Per convincere la suocera Rut fa una promessa accompagnata da un giuramento e, do­ po questo discorso, Noemi si arrende ( 1 , 1 8). In questo discorso ab­ bastanza famoso ( 1 , 1 6-17), Rut inserisce alcuni argomenti molto for· ti per dimostrare a Noemi che essa non era pronta a cedere. Vale la pena rileggere il testo per intero:6

' La parola latina levir significa «cognatO>>. La legge del levirato si trova in Dt 25,5-10. Si allude a questa legge nel racconto di Giuda e Tamar (Gen 38,6- 1 1 ) e nel caso sottoposto a Gesù dai sadducei nel quale una donna è stata sposata successiva­ mente da sette fratelli (Mt 22,23-33; Mc 12,18-27; Le 20,27-40). 6 Riprendo, con qualche leggera modifica, la traduzione della Nuovissima ver­ sione della Bibbia, Paoline, Roma 1995. Sarà il caso anche per le altre traduzioni dei testi biblici citate in questo articolo.

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Letture bibliche «16Non forzarmi a !asciarti e ad allontanarmi da te, perché dove tu andrai, andrò anch'io e dove tu dimorerai anch'io dimorerò; il tuo popolo sa rà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio. 17Dove tu morirai, morrò anch'io e là sarò sepolta. TI Signore mi faccia questo male e peggio ancora, se altra cosa che la morte separerà te da me e me da te».

Tre elementi meritano di essere evidenziati. Primo, Rut decide di appartenere al popolo di Noemi e di adottare il suo Dio. Nel mondo antico, lasciare il proprio popolo e il proprio Dio era una cosa quasi impensabile perché significava perdere ogni appoggio sociale e urna· no. Rut però è decisa a fare questo passo incredibile. In altre parole, Rut vuoi cambiare cittadinanza per diventare a pieno titolo membro del popolo d'Israele. Secondo, lei vuoi essere sepolta con la suocera. Basta rileggere le storie patriarcali per capire l'importanza di essere sepolto nella pro­ pria terra.7 Abramo acquista a caro prezzo una tomba per Sara nella terra promessa perché questa è la sua terra (Gen 23 ). Giacobbe si fa trasportare dall'Egitto per essere sepolto con i suoi antenati nella tomba comprata da suo nonno Abramo (Gen 50,1-14). Mosè dovrà prendere con sé le ossa di Giuseppe quando Israele uscirà dall'Egit­ to, e queste ossa saranno sepolte da Giosuè nei pressi di Sichem (Gen 50,25; Es 1 3 ,19; Gs 24,32). Rut, invece, come Abramo, vuoi essere sepolta in una terra straniera. Infine, Rut giura nel nome del Dio di Noemi, il Signore (YHWH), sebbene sappia benissimo che questo Dio si è dimostrato poco gene­ roso nei confronti di sua suocera ( 1 ,17; cf. 1 , 13). Perché, allora, Rut decide di accompagnare Noemi? TI testo non lo dice chiaramente in questo capitolo. ll lettore, però, può indovinare che Rut è guidata principalmente dal suo affetto e il racconto confermerà questa opi­ nione (cf. 2 , 1 1 ).

7 Avere una tomba in una terra significava anche avere diritto ad abitare e vi­ vere in questa terra. Perciò è così importante mostrare che Abramo ha voluto ac­ quistare a caro prezzo una tomba nella terra promessa (Gen 23 ).

LA storia di Rut e il diritto di cittadinanza

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Rimane però un problema che dovrà essere risolto in seguito: Rut ha ragione o meno a seguire sua suocera? La sua scelta non potrebbe essere, per caso, sbagliata? Se Dio non è dalla parte di Noemi, perché adottarlo e perché ostinarsi a sperare in lui? Non è infine temerario giurare dicendo: «Che YHWH mi faccia questo male e anche peg­ gio... quando si sa che ha già fatto morire tre persone, Elimelek, Ma­ don e Chilion, fra le quali si trova il marito di Rut ( Maclon)? La scena si conclude con l'arrivo a Bedemme e l'incontro di Noemi con le donne del suo paese ( 1 ,19-22 ). In questa scena finale, non succede niente di speciale, ma assistiamo a un breve dialogo che ha una funzione simile a quella del coro in una tragedia greca. Non si tratta tanto di fare progredire l'azione quanto di creare una certa atmosfera o di insistere su un elemento importante della trama. In 1 , 19-23 l'elemento sul quale si insiste è l'infelicità e la disgrazia di Noemi - «mia dolcezza» - che si fa chiamare Mara - .u

«Tacere sarebbe morire>> ( 1 3 , 19): Giobbe rischia dunque la vita per poter parlare davanti a Dio e difendere la propria causa. Nel capitolo 3 1, Giobbe fa un ultimo passo per ottenere da Dio il favore di un «processo>> giusto. In una lunga «confessione>>, si sot­ tomette interamente al giudizio di Dio. Se sono colpevole, dice, che Dio mi castighi. Se sono innocente, però, che mi faccia sapere perché devo soffrire. Dio, infatti, risponde a Giobbe in due lunghi discorsi (Gb 38-39; 40-41 ) . Perché risponde? La ragione non è palese e gli esegeti pro­ pongono diverse risposte. Taluni dicono che, nel capitolo 3 1 , Giobbe si mostra presuntuoso quando afferma con troppa foga la sua inno­ cenza. L'irruenza di questo discorso obbliga Dio a reagire e ad ammo­ nire Giobbe. Questo Dio, però, è di una crudeltà inconcepibile. Men14 Si veda il primo poema di Giobbe (Gb 3,3-26), dove maledice il giorno del­ la sua nascita. " Traduzione di S. VIRGULIN, nella Nuovissima versione della Bibbia, 740.

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tre Giobbe chiede aiuto e conforto, rimane silenzioso, ma appena Giobbe si mostra tracotante, Dio gli risponde. TI movente dell'agire di­ vino non è la compassione, ma solo l'amor proprio. Dio difende il suo onore, non l'esistenza fragile della sua creatura. Questo atteggiamento darebbe ragione a Giobbe: Dio è un essere crudele e autoritario. A mio parere, la risposta di Dio giunge proprio quando e perché Giobbe ha fatto il necessario per arrivare in presenza del suo creato­ re. Si è purificato nella sua ribellione a tal punto che la sua vita e la sua felicità importano meno della risposta di Dio. In parole povere, ha dato a Dio il posto che gli spetta nella propria esistenza: Dio è più essenziale della propria vita, perché la vita senza Dio o lontana da Dio non è più vita. Arrivato a questo punto della purificazione, Dio può rivelarsi a Giobbe. Che cosa risponde Dio a Giobbe? Non è facile capire le imma­ gini e il linguaggio poetico di questi discorsi. Sembra che quando parla Dio il linguaggio si faccia ancora più astruso e impenetrabile. In un primo tempo, Dio prende Giobbe per mano e gli fa visita­ re l'universo. Lo scopo di questo primo discorso sulla creazione è di far capire a Giobbe che essa è troppo vasta per essere capita da un essere debole come un uomo incapace, per esempio, di comandare all 'aurora o di porre una frontiera al mare (Gb 38,8- 1 1 . 12). Contra­ riamente alla Sapienza di Pr 8, Giobbe non era presente quando Dio ha creato l'universo (38,4-7). Però Dio era presente. Egli conosce que­ sto universo immenso e misterioso. Conosce anche tutti gli animali, da quelli più familiari a quelli più strani. Se Giobbe non riesce a co­ gliere il significato di ogni creatura, esiste un'intelligenza superiore, quella di Dio. Esistono anche un ordine e una giustizia che in gran parte sfuggono a Giobbe. Questo primo discorso, però, non può soddisfare completamente né Giobbe né il lettore. Dio non ha ancora risposto alla domanda fon­ damentale di Giobbe: Perché soffro? Perché la sofferenza degli inno­ centi? Questo è l'argomento del secondo discorso di Dio (40-4 1 ) . In questi due capitoli, Dio descrive solo due animali, m a con do­ vizia di particolari: l'ippopotamo e il coccodrillo (Beemot e Levia­ tan). La descrizione però non intende presentare due animali scono­ sciuti in Israele. Sono piuttosto due mostri del caos primordiale, due creature che impersonano le forze indomite della violenza che regna

I volti «insoliti» di Dio

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ancora nell'universo. Molto spesso, questi due animali sono rappre­ sentati assieme nell'arte iconografica egiziana come forze nemiche dell'ordine cosmico. Però Dio riesce a domare e a sconfiggere queste forze sovrumane. Che cosa significa questa affermazione, se non che lo stesso Dio combatte il male e l'ingiustizia? E che solo lui riesce a vincere in que­ sta battaglia cosmica? Se Giobbe si ribella contro l'ingiustizia, in realtà è Dio che si ribella in Giobbe, perché Dio è il primo a com­ battere l'assurdità e l'ingiustizia in questo mondo. La battaglia non è finita. Ma dove si combatte, è sempre Dio che combatte e vince. Giobbe scopre Dio, perché Dio è presente nella ri­ bellione di Giobbe, e non nelle spiegazioni «lenitive» dei suoi amici. Questo non spiega ancora l'esistenza del male. Perché Dio ha creato Beemot e Leviatan? Perché non elimina l'ingiustizia e il male da questo mondo? Da dove viene il male? Questa domanda non riceve una risposta teoretica nella Bibbia. Dio non spiega a Giobbe perché soffre. Gli dice solo che lui, Dio, si ribella con Giobbe e in Giobbe. Dio sta dalla parte di Giobbe. Nel NT, si scoprirà che Dio soffre addirittura con Giobbe e in Giobbe. In Gesù Cristo, è Dio che soffre a causa dell'ingiustizia. In realtà, se­ condo il modo di pensare della Bibbia, il «male» è l'inspiegabile. Ar­ rivare a spiegare il male significherebbe giustificarlo. Orbene, nella Bibbia, il «male» come tale non può essere giustificato e perciò non può essere spiegato. La domanda sulla causa del male è infatti una domanda molto «occidentale». Quando le cose vanno male, la mentalità occidentale cerca un «colpevole». Anche il diritto romano accorda grande im­ portanza alla ricerca del colpevole quando è stato commesso un rea­ to. Il diritto semitico, in particolare il diritto biblico, è diverso. Nel mondo biblico la vittima importa di più del colpevole. Quello che conta non è tanto di sapere chi è il colpevole. Importa di più aiutare e risarcire la vittima.16 1 6 ll NT partecipa

di questa mentalità. Nell'ultimo giudizio descri11o in Mt

25,31 -45, il Figlio dell'uomo non separa i «colpevoli» dai >. Se gli anziani sono chia­ mati come testimoni, la loro funzione in seguito sarà certamente di rammentare al popolo le «meraviglie>> del deserto. Gli anziani saran­ no in questo modo gli eredi della tradizione di Mosè e i messaggeri delle azioni salvifiche di Dio nel deserto. 11 testo di Es 18,1-2 propone un'altra situazione.9 letro, il suoce­ ro di Mosè, lo raggiunge nel deserto. Tutta la famiglia si ritrova, per­ ché Mosè rivede sua moglie e i suoi figli. Poi Mosè racconta a letro tutte le vicende dell'esodo e del soggiorno nel deserto ( 1 8,5-8). Segue un atto sacrificale e un pasto rituale al quale partecipano Aronne e gli anziani. Il momento è solenne perché si offrono i primi sacrifici nel

6

Cf. BucHHOLZ, Die Altesten, 43-44. 7 B.S. ]ACKSON, The/t in Early ]ewish Law, Clarendon, Oxford 1972, 241; P. BovATI, Ristabilire la giustizia. Procedure, voCJJbolario, orientamenti (AnBib 1 10), PIB, Roma 1986, 193. 8 Cf. BucHHOLZ, Die Altesten, 48-49. 9 Cf. BucHHoLZ, Die Altesten, 49-50.

I.:istituzione degli anziani

451

deserto, prima dell'istituzione del culto d'Israele. Perciò le autorità non possono essere assenti in questo atto cultuale e ufficiale. Questo spiega perché Aronne e gli anziani sono menzionati in Es 18,12. D'al­ tronde significa che il sacerdozio di Aronne e l'istituzione degli anzia­ ni sono i due organismi più importanti nella vita del popolo d'Israele. Lv 9, 1 -24 suppone un contesto simile a quello di Es 18,12.10 ll passo descrive le prime celebrazioni cultuali nel deserto; ossia, l'i­ naugurazione ufficiale del culto d 'Israele, dopo la consacrazione di Aronne e dei suoi figli. Questi offrono i primi sacrifici della storia d'Israele. La scena si conclude con un'apparizione della gloria di YHWH (9,23 ), seguita dai canti di gioia e dell'adorazione del popo­ lo (9,24). Ma la scena si è aperta con una convocazione da parte di Mosè, convocazione indirizzata ad Aronne, ai suoi figli e agli anzia­ ni. Questi ultimi saranno dunque presenti come testimoni a questa inaugurazione solenne del culto che conferma, d'altronde, la posi­ zione privilegiata del sacerdozio d'Aronne in Israele. In Lv 9, Aron­ ne è attivo, gli anziani sono passivi. Nm 1 1 ,14-17.24b-30 è forse il brano più importante per il nostro scopo.11 Il capitolo unisce due racconti. Il primo, simile a quello di Es 16, descrive il dono della manna e soprattutto delle quaglie (Nm 16,4-10.13.18-24a.31-35). L'altro (1 1 , l l - 12.14-17.24b-30) risponde a un'altra domanda: Mosè ha bisogno di aiuto per dirigere il popolo. Un racconto parallelo si trova in Es 18,13-17. Questa volta YHWH presiede all'istituzione ufficiale dei «settanta anziani», conferendo lo­ ro una parte dello spirito di Mosè. Il punto chiave del brano non è tanto il «dono dello spirito» o l'inizio della profezia in Israele, profe­ zia legata in modo speciale a Mosè.12 Lo scopo di Nm 1 1 è piuttosto

IO

Cf. BuGIHOLZ, Die Altesten, 35-36. Cf. BucHHOLZ, Die Altesten, 5 1 -52. 12 Si vedano gli autori citati da P.]. Buon, Numbers (Word Biblica! Commen­ rary 5), Word Books, Waco (TX) 1984, 126. È l'opinione, fra l'altro, di M. NoTH, Das vierte Buch Mose. Numeri (ATD 7), Universitlitsverlag-Vandenhoeck & Rup­ recht, Freiburg Schweitz-GOttingen 1966, 75·79: ]. DE VAULX, Les Nombres (SB), Gabalda, Paris 1972, 155; d. anche E. BLUM, Studien zur Komposition des Pentateuch (BZAW 189), de Gruyter, Berlin-New York 1990, 79-80; P-E. DION, «La RWH dans l'heptateuque: la protestation pour la liberté de la prophétie en Nh 1 1,26-29», in Science et Esprit 42(1990), 167-191. 11

Diritto e istituzioni nella Bibbia

452

di ancorare l'istituzione dei settanta anziani nella tradizione mosaica. Sono loro i veri eredi e rappresentanti di Mosè perché possiedono il suo «spirito». Questo, più che alcun altro fatto, legittima e autentica la loro autorità dinanzi al popolo d'Israele.B Infatti, il dono dello spirito è limitato nel tempo ( 1 1 ,25). Non sarebbe il caso se gli anziani fosse­ ro diventati veri profeti. Per di più, nessun testo stabilisce un rappor­ to stretto fra profezia e gli anziani. La loro funzione è piuttosto giuri­ dica e lo spirito di Mosè è quello che è anche presente nella tradizione dell'esodo e in tutta la legislazione promulgata al Sinai e trasmessa da Mosè al popolo. TI testo stesso di Nm 1 1, 14.17 stabilisce il loro ruolo: «portare» con Mosè il peso del popolo, cioè guidare, amministrare la giustizia, «governare>> nel senso ampio della parola. Saranno «respon­ sabili>> con Mosè del buon andamento della vita del popolo.14 Questi testi sono fra i più significativi che troviamo nella sezione centrale del Pentateuco, cioè l'uscita dall 'Egitto e la teofania del Sinai. In questi due momenti, gli anziani sono presenti in prima fila, come te­ stimoni degli eventi o come destinatari dei messaggi di YHWH. Però questo privilegio viene spesso conteso da Aronne che prende più di una volta il loro posto. Nella maggioranza dei passi studiati, Aronne e i sacerdoti godono di una posizione o di un'autorità superiore a quel­ la degli anziani. Ciò significa che Aronne e i sacerdoti sono stati inse­ riti in un'epoca più recente nei testi, come nella storia d'Israele, e che non hanno sempre occupato il posto dato loro in un testo come Es 4,27-3 1 o 24,14. I.:autorità più antica era penanto quella degli anziani. Il. GLI ANZIANI NEL DEUTERONOMIQI5

Nel libro del Deuteronomio, gli anziani sono presenti in due se­ rie di testi, quelli legislativi e quelli narrativi. Li analizzeremo in que­ st'ordine. " Opinione di Buno, Numbers, 130; A. ScHART, Mose und lsrael in Konflikt. Eine redaktionsgerdhchtliche Untersuchung zu den Wustenerziihlungen (OBO 98), Universitatsverlag-Vandenhoeck & Ruprecht, Freiburg Schweitz-Giittingen 1990,

162-164.

Cf. G. HENTON DAVIES, > (Gen 1,28) ........................ .............. ill . La nuova speranza di Dio dopo il diluvio .......... . l. Il giusto Noè (Gen 6, 9) .. .. . . .. . .. . .. 2. Il sacrificio di Noè (Gen 8,20-22) .................... J. !:alleanza di Dio con Noè (Gen 9, 1 - 1 7) ........ . . Conclusione ................................................................ . l. Il

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1 1. NEL SEGNO DELL'ARCOBALENO IL RACCONTO BIBLICO DEL DILUVIO (GEN 6-9) l. n racconto biblico del diluvio e i suoi doppioni IL Le difficoltà di questa spiegazione ...................... III. Tentativo di soluzione ............................... ......... . IV. L'intenzione del racconto sacerdotale ................ .

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l . La violenza ...................................................... 2. Il simbolismo delle acque ............................... . 3. I:alleanza e l'arcobaleno ................................ V. L'intenzione delle aggiunte postsacerdotali ........ Conclusione ................................................................ .

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12. UNA CITTÀ E UNA TORRE (GEN 1 1 , 1-9) ........ l. L'esegesi tradizionale del testo ............................

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to"e che raggiunge il cielo ......................... .

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2. L'hybris dell'umanità ..................................... . .

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l. La

confusione delle lingue .............................. . . 4. Origine dell'interpretazione tradizionale ........ . 5. Conclusione ..................................................... .

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Indice generale

n. Le difficoltà dell'esegesi tradizionale .................. .

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1. «Una sola lingua»? ......................................... 2. La città e la torre, o solo la torre? .................. III. Una nuova interpretazione ................................. l . «Un solo labbro», «una sola impresa» ............ 2. La costruzione di una città e di una torre ...... J. La torre: tempio o cittadella? .......................... 4. Una «torre la cui cima sia in cielo» (Gen 1 1,4) 5. Il > ................................................ ....... . IV. Qualche riflessione conclusiva ............................ l. La costruzione del racconto ............................ 2. I.:ironia del racconto ........................................ 3. Il contesto letterario ........................................ 4. Conclusione: la teologia del racconto ..............

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13. GEN 18,1-15 ALLA PROVA DELL'ESEGESI CLASSICA E DELL'ESEGESI NARRATIVA ........ l. I problemi critici e la loro soluzione .................. Il. L'unità delle due scene ....................................... m. Il singolare e il plurale . ....................................... . IV. Breve lettura narrativa di Gen 18,1 - 16 ..............

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14. LA SCOPERTA DEL DISEGNO DI DIO NELLA STORIA DI GIUSEPPE ............................ I. Le caratteristiche del racconto ........................... . l. Gen 37-50 e le tradizioni patriarcali .............. . 2. I.:apertura al mondo esterno ............................ 3. I.:umanesimo ................................................... n. La storia di Giuseppe e la politica ...................... III. La storia di Giuseppe e la sapienza .................... IV. La storia di Giuseppe e il piano di Dio .............. .

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15. L'ESODO, IL NOME DI DIO E LA STORIA D'ISRAELE ..................................... . Introduzione l. Il nome di Dio (Es 3,14) .................................... . Il. n contesto ............................................................

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Indice generale

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l . Il delitto degli egiziani .................................... 2. I:intervento di Dio a favore d'Israele ..............

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III . La vocazione di Mosè ................................... ...... IV. Le piaghe dell'Egitto ................................. .......... .

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Conclusione

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16. RICCHEZZA E POVERTÀ NELL'ESPERIENZA E LA LEGISLAZIONE DELL'ESODO . . . . . . . . . . . . • . . . . . l. L'originalità dell'esperienza dell'esodo .............. . l. Lo straniero in genere ..................................... . 2. Israele straniero e schiavo .............................. . 3. Dio accanto allo straniero e allo schiavo ......... . 4. I:uscita dall'Egitto ........................................... . II. n decalogo ............................................................ . III. La legislazione dd codice dell'alleanza e dd Levitico ............................................................... . l. Il codice dell'alleanza (Es 20,22-23,33) .......... . 2. Le leggi del Levitico ........................................ Bibliografia ................................................................ .. .

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17. POPOLO SACERDOTALE E POPOLO DELL'ALLEANZA NELL'ANTICO E NEL NUOVO TESTAMENTO l. Es 6,2-8: la storia d'Israele e la rivdazione dd nome di Dio ......... . . . .. . .. . .. .. . . .......... . . . . . .. . . II. Israele, popolo sacerdotale: Es 19,3 -6 . . . . .... ... . .. III. Es 24,3-8: la conclusione dell'alleanza . .... . . . . . . . .. . IV. n popolo di Dio nd Vangdo di Luca .... . . . . ... .

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18. LA STORIA DI RUT, LA MOABITA, E IL DIRITTO DI CITTADINANZA IN ISRAELE I. Rut, la Cenerentola biblica .. .... . . ... ... .. . ... . . . . . . Il. Rut e Noenù . . . . .. ......... . . . . . III. I problemi concreti dd racconto . . . . . . . . l . Il problema economico del cibo ........................ 2. Il problema sociale del matrimonio .... . . . . .

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IV. La costruzione del racconto ............................... V. La progressione del racconto . 1. Il prologo e la prima scena (1, 1-22) ................ . 2. La spigolatura nel campo di Booz (2, 1-23) ...... 3. La notte sull'aia (3, 1-IB) ................................ .

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a. Redenzione e !evirato ............................... b. I titoli di nobiltà di Rut ............................ . 4. ];ultimo atto: la discussione alla porta, il matrimonio e la nascita de/figlio (4, 1-22) .............. Conclusione ..................................................... ........... Bibliografia ..

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19. DAVIDE E ASSALONNE, LA RAGIONE DI STATO E IL CUORE DEL PADRE Introduzione ........ ...................................................... L L'inizio del dramma (2Sam 1 1 , 1 -27) ................... II. Il primo atto del dramma: Assalonne, Tamar e A.Jnnon (2Sam13-14) .......................................... l . Amnon e Tamar: la violenza (2Sam 13, 1-22) .. 2. Davzde: l'impotenza (2Sam 13,6-7.21) ........... 3. Assalonne: la vendetta (2Sam 13,23-39) ........ . 4. Davide e Arralonne: riconciliazione provvisoria (2Sam 14, 1 -33) ............................................... m. Il secondo atto del dramma: la ribellione di Assalonne (2Sam 15-18) . . . .. . . . I. Le ambizioni di Assalonne (2Sam 15) ........... 2. La ribellione, la morte di Assalonne e il dolore di Davzde (2Sam 16-IB) . . .. . . .. . . Conclusione . . . . . .. . Bibliografia . . . . .. . . . 20. I VOLTI «INSOLITI» DI DIO NELL'ANTICO TESTAMENTO ........................... .. . .. . . L Il Dio del gioco (Pr 8,22-3 1 ) I. Il testo de/ libro di Pr 8, 22-3I .... ..................... 2. La Sapienza egiziana e il gioco .......................

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Il contrasto con il mondo mesopotamico . ........ Il Nuovo Testamento ... .................................... a. Mt 6,25-30: «Guardate gli uccelli !» ........ b. La parabola degli operai dell'undicesirna ora (Mt 20, 1-15) ....................................... II. ll Dio di Giobbe o il Dio della ribellione ........... 3. 4.

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PARTE TERZA DIRITTO E ISTITUZIONI NELLA BIBBIA ............

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2 1 . IL SACERDOTE NELL'ANTICA E NELLA NUOVA ALLEANZA ............................ I. La storia delle religioni .... ................................... Il. L'Antico Testamento ...... .................................... l. Le tre funzioni del sacerdozio nell'A T ........... 2. Evoluzione: abbandono dell'insegnamento della Legge a favore dei sacri/ici .......................... 3. Il «regno sacerdotale» (Es 1 9, 6) ...................... III. n Nuovo Testamento ........... ............................... l. Gesù, Paolo e il tempio nuovo ........................ 2. Giovanni e il culto «in spirito e verità» (Gv 4,23) a. Dove dobbiamo adorare (Gv 4,20)? ........ b. «ll Verbo è diventato carne» (Gv 1,14) .. .. 3. La Lettera agli Ebrei ...................................... a. L'importanza del tempio per gli ebrei e i cristiani b. n messaggio della Lettera agli Ebrei ........ IV. L'evoluzione nel mondo cristiano ...................... l. Dagli inizi all'epoca di Costantino .................. 2. Il tempo di Costantino e il medioevo ............... 3. Il cona1io di Trento (1545-1563) .................... . 4. Il concilio Vaticano II ...................................... .

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22. L'ISTITUZIONE DEGLI ANZIANI . NELL'ANTICO TESTAMENTO . . . l. Gli anziani come testimoni e destinatari nell'Esodo e nel Levitico . .. . . . .. . . .. . . . ....

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ll. Gli anziani nel Deuteronomio ............................ l. Gli anziani nei testi legislativi ........................

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2. Gli anziani nella «narrazione» del Deuteronomio m. Gli anziani nella storia deuteronomistica ........... . IV. Gli anziani durante e dopo l'esilio ...................... . V. L'investitura degli anziani (Es 24,9- 1 1 ) .............. . l. Mangiare «al cospetto del re» ......................... 2. La visione ................................ ........................ Bibliografia ................................................................. . . . . . . . . . . . . ...................... . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . .............

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23 . DIRITTO BIBLICO

E DEMOCRAZIA OCCIDENTALE l. La riforma di Gregorio VII e il diritto occidentale Il. Le radici giuridiche della riforma gregoriana ..... III. Le origini bibliche di alcuni princìpi della democrazia occidentale ................................................ 1. La dignità umana, privilegio universale .......... . 2. La libertà .................... ..................................... 3. Il diritto e la legalità ....................................... 4. Alleanza e consenso ................. ....................... . 5. Responsabilità ................................ ............ ..... 6. Il giudizio ultimo e la responsabilità personale

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INDICE DELLE CITAZIONI BIBLICHE .................. .

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INDICE TEMATICO ..................................................... .

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INDICE DEGLI AUTORI ............................................

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NOTA BIBLIOGRAFICA ..............................................

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