Della divinazione

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MARCO TULL/0 ClCERONE

DELLA DIVINAZIONE lntroduzume, traduzione e note di SEIJAS'f/ANO TIMPAIVARO

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Garzanti

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edizione: novembre 1988

IV ediziom' riveduta c'aggiornata: !!ettcmbre

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edizione: giugno 2020

Per e.�sere informrzto sulle not>itcì rlel Gruppo editorirzle Mauri Sprlflllol t>isita: www.illihraio.it

Traduzione dal latino di Sebastiano Timpanaro 'litolo originale ddl'opera: De dit•inatione ISHN 978-88-11-:�6.'360-6

© Garzanti Editore S.fl.a., 1988 © 1999, Garzanti s.r.l., Milano Gruppo editoriale Mauri Spagnol Printed in ltaly www.garzanti.il

1998

Marco Tullio Cicerone

la vita prolìlo storico-critico dell'autore e dell'opera guida hibliogra{ica

La vita e le opere

Nato nel 106 a.C. ad Arpino (cittadina nell'odierna pro­ vincia di Frosinone, in zona montuosa, già patria di Ga­ io Mario), di famiglia romana non nobile ma agiata, Marco Tullio Cicerone ricevé a Roma un'accurata edu­ cazione giuridica, retorica e filosofica. Già allora ebbe il primo contatto diretto con un filosofo greco, Filone di Larissa, uno degli ultimi rappresentanti della cosiddetta Accademia nuova (cfr. più oltre, p. XIX), che si era rifuc giato a Roma in seguito all'invasione della Grecia da parte di Mitridate, re del Ponto; a Filone, come ricorde­ rà molti decenni più tardi, C. •Si dette interamente, spin­ to da uno straordinario amore per la filosofia•, pur sen­ za abbandonare l'aspirazione alla vita politica e alla car­ riera di avvocato. La sua prima prova oratoria e politica importante fu, nell'SO, la difesa di Sesto Roscio di Ameria (Pro Sexto Roscio Amerino), accusato ingiustamente di parricidio per istigazione di Crisògono, un J?Otente liberto di Silla. Fu un atto di coraggio, m un penodo in cui Silla eserci­ tava ancora la dittatura. La Vittoria rese C. ben accetto ai popolari (che, dopo gli sfortunati tentativi riformatori dei Gracchi, di Saturnino, di Mario, erano oppressi dalla reazione sillana) e ai cavalieri, cioè al ceto non aristocra­ tico i cui massimi esponenti si erano arricchiti con spe­ culazioni commerciali e finanziarie, e a cui Silla aveva tolto le importanti mansioni che esercitava nell'ammini­ strazione della giustizia. Nel 79-78 compì un viaggio d'istruzione in Grecia e in Asia minore, insieme col fratello Quinto; ad Atene udlle lezioni di Antioco d'Ascalona, un eclettico che, pur tro­ vatosi ufficialmente a capo dell'Accademia nuova dopo Filone, ne aveva abbandonato l'indirizzo scettico e enti­ co e aveva tentato una conciliazione tra platonismo, ari­ stotelismo e stoicismo; a Rodi fu allievo di Apollonia Molone, un maestro di retorica che mirava a tenersi egualmente lontano dal troppo ridondante e fiorito stile •asiatico• e dal troppo arido stile «attico•: C. ebbe per lui grande affetto e ammirazione (già lo aveva conosciu­ to a Roma) e si professò suo allievo. Ritornò a Roma nello stesso anno 78, quando Silla aveVII

va già rinunziato alla dittatura, ma era ancora in vigore la restaurazione aristocratica. Sposò in questo penodo Terenzia, dalla quale ebbe i due fij;li Tu)[ia e Marco. Il matrimonio con Terenzia, donna di ragguardevole fami­ glia, durò ben trent'anni, prima di concludersi con un senile divorzio; Terenzia fu saggia amministratrice del patrimonio di C., ma anche abile speculatrice per pro­ prio conto; e alla vita politica e intellettuale del marito rimase sostanzialmente estranea. Nel 75 ottenne la questura e il governo della Sicilia occi­ dentale. Mèmori della sua onesta amministrazione (un fatto raro in quei tempi), i siciliani lo vollero, pochi anni dopo, loro avvocato nel processo contro Verre, un se­ guace di Silla che aveva spadroneggiato nell'isola com­ piendovi ruberie e violenze. Il processo si concluse con una vittoria più rapida del previsto: benché difeso dal più famoso oratore del tempo, Quinto Ortensio Òrtalo, l'accusato si recò in esilio senza nemmeno attendere la fine del dibattimento (70); perciò il secondo e più ampio gruppo delle •orazioni verrine• (In C. Verrem actio se­ cunda, cinque in tutto) non fu pronunciato da C., ma scritto e pubblicato dopo la vittoria, sulla base del vasto materiale d'accusa raccolto in Sicilia. Ancora nel movimento di rivincita dei popolari e dei ca­ valieri contro la reazione aristocratica di Silla s'inserisce l'orazione a favore dei pieni poteri a Gneo Pompeo per la guerra contro Mitridate, il temibile e ancora non vinto nemico di Roma (Pro lege Manilia e De imperio Cn. Pompei). In quel momento (66, anno della pretura di C.) Pompeo, che aveva fatto le sue prime fortune appog­ giandosi a Silla, ma si era poi distaccato dai suoi seguaci, era bene accetto sia ai popolari, avendo restituito i rote­ ri tradizionali ai tribum della plebe, sia ai cavalieri, avendoli riammessi nell'amministrazione della giustizia. Ma, ridimensionata la potenza dell'oligarchia senatoria, aboliti i più reazionari tra i provvedimenti di Silla, gli in­ teressi dei popolari e dei cavalieri erano destinati a non coincidere piu. E C. optò per i cavalieri, anzi mirò ad un'alleanza tra questi e i senatori e, più in generale, a un ·blocco d'ordine• di tutti i boni cives, che s1 opponesse a qualsiasi nuova proposta delle temute leggi agrarie. Nel 63, quando si profilò una possibilita -di nvincita dei popolari, l'aristocrazia comprese che quell'•uomo nuo­ vo•,1 da essa fin allora avversato, era l'unico capace di l Homo nov11s era chiamato chi aveva intrapreso la vita poli tica pro­ venendo da una famigl ia nel la quale nessuno, prima di lui, aveva ri· col?.erto cariche che dessero diritto a far parte del senato. Ma coniro un in terpretazione t ro pr.o restrittiva dr. ora D. R. Shackleton Bailey, in •Amer. Journ. of Phtlologyo. CVII, 1986, pp. 255-260. VIli

raccogliere attorno al suo nome una larghissima maggio­ ranza in difesa dell'ordine costituito; e C. fu eletto con­ sole. Accanto a lui, con un numero di voti molto minore, riuscì eletto Gaio Antonio, una scialba figura; non riusci Catilina, un nobile rovina tosi finanziariamente e passato ai popolari, uomo coraggioso ed eloquente, ma animato da torbida ambizione dì potere l?ersonale, non da since­ ro spirito democratico (tentativi di revisione di questo giudìzio non sembrano riusciti, sebbene non si debba di­ menticare che noi conosciamo il personagsio solo attra­ verso ciò che ne hanno detto e scri tto i suo1 avversari). Alle aspettative dei suoi elettori C. non venne meno. Pronunciò con successo alcune orazioni contro una pro­ posta di legge agraria presentata da Publio Servilio Rul­ lo (De lege agraria); difese il vecchio senatore Rabirio, che si era vantato di avere ucciso molti anni innanzi il tribuno della plebe Saturnino, fautore anch'esso di leggi agrarie (Pro Rabirio perduel/ionis reo : in latino perduel!io, sostantivo femminile, è l' • alto tradimento• contro le istituzioni statali, quindi anche il delitto poli tico). Con­ tribuì, infine, in modo decisivo (62) a far fallire una se­ conda e più grave congiura ordita da Catilina (un primo tentativo abortito aveva avuto luogo nel 65), pronun­ ciando con tro lui e i suoi seguaci le quattro orazioni •ca­ tilinarie» e facendo giustiziare senza processo, trascinato dalla maggioranza conservatrice del senato, cinque con­ giurati. Poco dopo, Catilina, che si era allontanato da Roma con un gruppo di fedeli, cadde combattendo con grande valore contro le truppe di un luogotenente di C. Antonio, presso Pistoia. C . ebbe onori straordinari, poi­ ché anche la maggioranza del popolo più umile, in quel momento, vide in lui il salvatore da un pericolo di pau­ roso sovvertimen to e di lotta fratrici da: fu proclamato •padre della patria » , e su questo episodio, che lo legava ormai definitivamente alla coalizione conservatrice, non cessò, l?er tutto il resto della sua vita, di costruire e ab­ bellire Ii proprio mito. Un appoggio alla coalizione di cui appariva il capo poli­ tico-morale (anche se ne era stato piUttosto lo strumen­ to), C. credette di trovarlo in Pompeo, reduce vittorioso dalla guerra contro Mitridate, e mirante, anche lui, più ad una posizione di onorifico • principato• che ad un ef­ fettiva dittatura. Ma fu breve illusione : Pom p eo, respin­ to dagli oligarchi più intransigenti e passatistJ (tra i quali la più forte personalità era Marco Porcio Catone mmo­ re, discendente del famoso Catone il censore vissuto un paio di secoli prima), si accostò a Cesare e a Marco Lici­ nio Crasso, che avevano avuto qualche parte nella con­ giura di Catilina, pur non impegnandovisi fino in fondo, e con essi formò il cosiddetto primo triumvirato (60) : IX

non una nuova istituzione politica, ma un accordo p riva­ to di tre •potenti • che, di fatto, esautoravano il senato come organo collegiale supremo della repubblica e blan­ di vano i popolari con promesse e concessioni demagogi­ che. Tra le vittime di questo accordo vi fu C., costretto all'esilio (58) in séguito a una legge del tribuno Publio Clodio Pulcro (anche lui un nobile passato ai popolari) contro chi avesse fatto uccidere un cittadino senza rego­ lare processo e appello al popolo: tale era stato, in effet­ ti, come vedemmo, il comportamento di C. contro i cin­ que catilinari arrestati, anche se, da un punto di vista strettamen te giuridico, non mancavano appigli per di­ fendere la legalità di tale procedura. L'esilio, trascorso a Dura1zo (nell'odierna Aloania) e a Tessalonica (Salonic­ co, nell'odierna Grecia settentrionale}, non procurò a C. gravi di sagi materi ali, ma gravissima prostrazione psi­ chica, sensazione di essere stato abbandonato da falsi amici : lo si vede bene dalle lettere alla moglie e ai pochi rimastigli fedeli . Fu, tuttavia, un esilio breve, durato po­ co più di un anno: gli fu revocato per intercessione di Pompeo, che, pur non essendo intimamente amico di C., non poteva ignorare che la disgrazia toccata a un suo fautore indeboliva anche lui di fronte a Cesare . Di ri torno a Roma, C. ebbe festose accoglienze, ottenne il diritto alla riedi ficazione della propria casa distrutta dopo l a condanna, attaccò in alcune orazioni i responsa­ bili più diretti del suo esilio, Clodio in particolare; s'illu­ se nuovamente di poter ristabilire una politica conserva­ trice onesta, aliena da violenze, alla quale aderisse tutto il popolo, libero dal nocivo influsso dei •dema�oghi • (questo programma è esposto, con continui rifenmenti autoapologetici, soprattutto nell'orazione Pro Sestio). Anche con Cesare, nei lunghi anni in cui questi fu impe­ gnato nella conquista della Gallia, i rapporti furono buoni, addiri ttura amichevoli. A rafforzare l'amicizia con tribui il valoroso comportamento di Quinto Cicerone in quella guerra; C., del resto, non aveva ancora compre­ so che Cesare sarebbe stato l 'affossatore del vecchio re­ gime re ubblicano; e Cesare, che aveva già ben chiaro in mente i proprio disegno politico, aveva stima per C. co­ me uomo di cultura e pensava che quell'intellettuale ric­ co di prestigio avrebbe potuto essere prezioso per il regi­ me che egli intendeva instaurare : una monarchia milita­ re, ma non rozzamente militare e nemmeno veramente • popolare•, forte anche del consenso degli intellettuali. A Roma la situazione rimaneva tuttavia a� tata. Nel 52 u n capo di bande armate al servizio degh aristocratici, Tito Annio Milone, uccise Clodio. C. ne assunse la dife­ sa; ma, nel Foro presidiato dai soldati di Pompeo (che, nominato • console senza collega • mentre Cesare era an-

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cora in Gallia, teneva ad apparire severamente imparzia­ le), fra le grida dei seguaci di Clodio, si emozionò e pro­ nunziò un discorso titubante e impacciato, ben diverso da quello, fin troppo splendido per veemente oratoria, che poi pubblicò e che ci è pervenuto (Pro Milone); Mi­ Ione, condannato, dovette andare esule a Marsi�ia. L'anno seguente C. si recò come proconsole (espressiOne usata di solito per gli ex consoli nominati governatori di una provincia; ma cfr. anche nota 1 82 al lio. 1) in Cilicia, nell'Asia minore. Agi con grande onestà, come aveva fatto tanti anni prima in Sicilia: il buon governo delle province (divenuto rarissimo, come si è detto, nella tar­ oa Repubblica, mentre migliorò più tardi, sotto l'Impe­ ro) fu un'esigenza sempre ribadita da C., nei discorsi e negli scritti come nella prassi; nel comprendere come l'e­ soso sfruttamento delle province fosse un motivo di sra­ ve discredito e di crisi del regime repubblicano egh fu politicamente lunsimirante. Per un facile successo mili­ tare contro alcum barbari della Cilicia fu proclamato imperator (generale vittorioso) dai suoi soldati; tornato a Roma (50), brigò a lungo, con ingenua vanità, perché �li fosse concesso di celebrare il trionfo, una cenmonia m onore dei comandanti che avevano riportato grandi vit­ torie; ma non l'ottenne, anche perchè avvenimenti ben più drammatici stavano per scuotere dalle fondamenta la Repubblica. Se gia l'accordo tra Cesare e Pompeo (Crasso era morto in una sfortunata e dissennata campagna militare contro i Parti, un popolo stanziatosi in Persia e in Mesopota­ mia, che i romani non riuscirono mai a soggiog,are) ave­ va escluso C. da ogni effettivo potere politico, il gradua­ le peggioramento dei rapporti fra i due e infine lo scop­ pio della guerra civile lo gettarono in grave angoscia. Vedeva che in ogni caso la vecchia Repubblica avrebbe ricevuto un colpo mortale; capiva che Pompeo era trop­ po più irresoluto e impolitico di Cesare, troppo privo di truppe veramente fede1i e disposte a battersi fino all'ulti­ mo, destinato perciò probabilmente alla sconfitta nono­ stante le sue indubbie qualità militari; non dimenticava le prove d'ingratitudine che Pompeo gli aveva dato, mentre ben diverso, come si è detto, era stato l'atteggia­ mento di Cesare (e nell'imminenza del conflittto Cesare non risparmiava sforzi per portarlo dana sua parte, o an­ che per indurlo a rimanere fuori dana mischia). Ma Pompeo si era r;>osto definitivamente daila parte deii'oli­ garcfiia senatona, ana quale anche C. si sentiva ormai le­ gato da troppo tempo; e la stessa nullità politica di Pompeo lo rendeva meno pericoloso ai fini di una so­ pravvivenza, sia pur vuota di contenuto, dene vecchie Istituzioni. Su quest'ultimo punto C., come appare dalle Xl

lettere al suo amico Attico, ebbe oscillazioni: non mancò di temere che anche Pompeo, se avesse vinto, sarebbe stato un tiranno. Finì tuttavia col recarsi presso l'eserci­ to di Pompeo in Epiro, senza alcun entusiasmo, anzi con una sarcastica amarezza che rasentava il disfattismo. Dopo la sconfitta di Farsàlo (estate del 48) ritornò in Italia. Ammirava la coerenza di Catone che continuò a resistere in Africa (e dopo la sua sconfitta e il suo suici­ dio ne scrisse un coraggwso elogio, controbattuto da Ce­ sare con un altro scritto; entrambi sono andati perduti); ma non lo seguì, ·giudicando ormai perduta, almeno per lungo tempo, la causa della • libertà • rep ubblicana. Alla diversità dì comJlortamento pratico cornspondeva anche un dissenso ideologico, come vedremo; basti intanto di­ re che C. non condivideva l'ultrarigorismo etico di Cato­ ne e, già nel pieno della lotta anticatilinaria, aveva difeso Lucio Murena dalle accuse di broglio elettorale, in un'o­ razione piena di humour (Pro Murena): predominava al­ lora in �.. il ti more di perde�e u� alle!lt? nella. lotta con­ tro Catilina, ma la garbata 1roma ne1 nguard1 del para­ dossale rigorismo stoico corrispondeva anche a una sua sincera convinzione. Cesare non sottopose C. ad umiliazioni; anzi, dopo un breve periodo di ritiro dalla vita pubblica, egli poté ri­ prendere la parola in senato e in tribunale, a favore di pompeiani che erano o si fingevano pentiti: M . Claudio Marcello e Q. Ligario nel 46, il re Deiòtaro di Galazia nel 45. Dovette avere qualche illusione che la clemenza di Cesare preludesse a un'attenuazione della dittatura, e specialmente nell'orazione Pro Marcello questa illusione lo spinse a pron unciare, all'indirizzo di Cesare, parole troppo adulatorie. Ma presto ritornò alla lucida com­ prensione che l'antica libertà (nel senso conservatore che la vecchia oligarchia aristocratica attribuiva a questo concetto) era finita. Alle amarezze politiche si aggiunse­ ro quelle familiari: il divorzio da Terenzia (47), iT breve e infe1ice matrimonio con la giovane e ricca Publilia (al quale C., per quanto risulta, si lasciò indurre per interes­ se economico, non Jler erotismo senile), e, dolore più grave e tragico di tutti, la morte della figlia Tulllola (feb­ braio 45 : Tullìola è diminutivo affettuoso di Tullia). S'immerse allora, con attività febbrile, negli studi: in po­ chi mesi scrisse la maggior parte delle sue opere filosofi­ che, precedute da alcune operette retoriche (vedi più ol­ tre). L'ucci sione di Cesare (marzo del 44) gli ridette, sul mo­ mento, nuovo prestigio: Bruto e gli altri con � urati con­ sideravano C. come un loro maestro di liberta. Ma sùbi­ to, a raccogliere l'eredità di Cesare e a tentarne uno svi­ luppo in senso militare-demagogico, sorse Marco AntoXII

nio, mentre Bruto mostrava una fatale irresolutezza e un desiderio irrealistico di conciliazione, e i senatori (non solo quelli nominati da Cesare, ma anche i vecchi antice­ sariani) si rivelavano privi di ogni energia e volontà poli­ tica. Contro Antonio C. scagliò, con una veemenza Ispi­ ratagli dalla consapevolezza che si trattava dell'ultima, disperata battaglia politica, le quattordici orazioni Filip ­ piche (l'epiteto vuo1 richiamare alla mente quelle pro­ nunci ate aa Demostene contro Filippo n di Macedonia). Sperò di trovare un alleato nel giovane Ottaviano, nipo­ te di Cesare, maestro nell'arte di dissimulare, e grandi lodi ne fece pubblicamente e nelle lettere ad amici. Ma nell'effimero accordo concluso tra Ottaviano, Antonio e Lepido (il •secondo triumvirato • ), Antonio ottenne che tra i proscritti vi fosse C. , e Ottaviano pagò questo prez­ zo senza troppi rimorsi. C. s'imbarcò a Gaeta per trova­ re scampo in Greci a, dov'erano ancora Bruto e Cassio coi loro seguaci ; respinto verso la costa dal vento, fu as­ salito da • tedio della fuga e della vita • ( Livio). Ritornò a terra con la consapevolezza di andare incontro alla mor­ te e, i ncontrati i soldati di Antonio che lo cercavano, si lasciò uccidere senza opporre resistenza (7 dicembre del 43). Come uomo politico, lo abbiamo accennato, C. fu il fau­ tore di una concordia delle classi interessate al manteni­ mento dell'ordine costituito. L'esaltazione della costi tu­ zione romana come •costituzione mista • , basata su un equilibrio di poteri e di interessi, che egli nell'opera De republica ( Sullo Stato • ) riprende non pedisseq_uamente dallo stoico Panezio, da Polibio e da altri teonci greci, avendo sempre come modello ideale Platone,2 è àa lui •

2 Il De repuh/ica fu composto tra il 54 e il 5 l . in sei l i bri. Il testo dci l i bri 1-111 fu scoperto, p u rtroppo con mol te lacu ne, nel l 820 da Ange­ lo M a i in un pali nsesto (codice ri scriuo) del l a B i blioteca Vat icana, e pubblicato n e l l 822. Prima di a l lora si era salvata ( ol tre a vari b ra n i riporta t i o riassu n t i da au10ri più tard i ) solo l a parte fi nale del l i b ro VI, c o n t e nent e il •Sogno di Scipione • . tramandata in mol l i codici med i eval i: del .sogno• u n grammatico ed erudito della tarda anti­ chi tà, M acrobio. scri sse u n ampio commento i sp i rato a idee neopla­ lon iche, che ci è g i u n t o anch ' esso. Una sorta dr complemento a f De repuhlira è il De legihus (•Sulle legll i • ), pervcnutoci anch'esso i ncom­ pleto: su l l a sua data di composizrone si i; mollo d i scusso. ma pare sicuro che C. lo abbia i n iziato subito dopo il De republica. lo a b bia poi i n terrotto e non abbia p i ù trovato tempo o vogl i a d i portarlo a termi ne: esso non è mcnz.ionato nel l'elenco delle proprie opere ( • fi­ losofic he • in senso lato) che C. fa a ll'i nizio del l i bro n del De divina­ lione (cfr. q u i sotto. p. LXXIII): fu con ogni proba bil ità pubblicato post u mo ; ma l a parte a noi giu nta è ancor p i ù i ncompleta di c[ò che arrivò a scrivere C. (cfr. l'accurato studio d i P.L. Schmidt, Die Abfa. del periodare ciceroniano, sulla !?referenza un po' ecces­ siva di C. per certe clausole ritmiche ( , ), si è spesso esagerato. Nella prosa ciceroniana non sono rari i periodi che rimangono in sospeso o cambiano di soggetto (i cosiddetti anacoluti), e conferi­ scono varietà e movimento allo stile. Ne incontreremo più d'uno nel De divinatione, e soltanto pochi saranno da attribuirsi al fatto che mancò a quest'opera l'ultima ma­ no dell'autore, poiché se ne trovano anche in opere da lui • ri finite » . Gli arcaismi stessi - rari, c{)me si è detto - vi sono, e a torto furono, un tempo, considerati errori di copisti, e altrettanto a torto, da qualche studioso re­ cente, sono attribuiti a un'artificiosa • arcaizzazione• che il testo ciceroniano avrebbe subito nel sec. 1 1 d.C. Vi so­ no, anche, parole coniate da C. e usate da lui una volta sola, e non dai suoi successori (alcune ricompaiono solo in autori cristiani). E le clausole? In linea generale, è ve­ ro, per C. come per tutta la prosa d'arte antica, che il ritmo prosastico si differenzia volutamente da quello poetico, e che per es. una chiusa di esametro come esse videtur ( ) è meno amata di esse videatur ( ), incompatibile con lo schema metrico dell'esametro e, si direbbe, di qualsiasi altro verso latino. Eppure, come meglio di tutti ha osservato Eduard Fraenkel, quella clausola esametrica •proibita• si trova in C. assai più volte di quanto si era creduto (ne trovere­ mo anche nel De divinatione, ad es. I 98 sanguine fluxit, I 1 00 esse videmus, 11 33 non potuerunt). Scarsa fortuna ebbero fin dall'antichità i componimenti poetici di C., pervenutici soltanto in frammenti. Tuttavia alcuni brani della sua libera versione dei Fenomeni e pro­ gnostici di Arato (Aratea : qualcuno ne leggeremo qui sotto, I 1 3- 1 5) mostrano vers1ficazione elegante e un nu­ scito tentativo di sintesi fra gusto arcaico e neoterico: al­ cuni precorrono, non indegnamente, brani bellissimi del­ le Georeiche di Virgilio. Anche sull'avversione di C. nei riguardi dei • poeti nuovi » come Calvo, Catullo, Elvio Cmna ecc. conviene esprimersi con cautela: egli non amò (e le derise) certe loro preziosità ultra-alessandrine e forse, per un altro lato, certo loro linguaggio poetico colloquiale, non timoroso dell'espressione oscena; non condivise, e qui ebbe ragione, il loro disprezzo per En_

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nio; ma fu tutt'al tro che un passatista, anzi nella tecnica metrica fu un precursore de1 poeti aug ustei . Peggio do­ vette riuscire in alcuni poemetti scri ttt per celebrare le proprie e,esta politiche (qualche esempio, anche qui, in alcune Citazioni nel De divinatione, specialmente I 1 722); è tuttavia interessante notare come certe carat teri­ stiche di turgidezza espressiva, di • barocchismo • che si trovano in questi componimenti ,precorrano lo stile poe­ tico dell'età post-augustea, •sal tando• , per cosi dire, al di là di quello che sarà il classicismo dei grandi poeti au­ gustei . E infine, l'ampiezza e la libertà del suo gusto si rivela nel suo giudiziO sul poema di Lucrezio : p oema d'un ammiratore incondizionato di Epicuro; ma ctò non impedì a C. di curarne la pubblicazione dopo la morte dell'autore e di riconoscere che Lucrezio aveva possedu­ to in egual misura due qualità che non facilmente si tro­ vano unite: la trascinante ispirazione poetica e l'elabora­ zione formale. 14 Il «De divinatione» 1 5

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Cenni sulla divinazione nell'antichità greco-romt• · · �

Il D e divinatione è , nello stesso tempo, una delle opere più artisticamente vive e filosoficamente intelligenti di Cicerone e una miniera di notizie sulle credenze e sui riti della religione romana (credenze e riti man mano accre­ sciuti da apporti greci ed etruschi) e sulle dottrine filoso­ fiche grecfte riguardanti la possibilità o meno di sapere ciò a cui non giunge la pura conoscenza razionale. Si può, dunque, valersi di quest'opera in due modi: come • fonte• per ricostruire la storia della religione e della fi­ losofia antica in una delle sue parti più caratteristiche e suggestive, e come espressione del pensiero, dell'ideolo14 Il g i udizio su Lucrezio in una l�llera al fr � tello Q u i n to ( n 10 •. 3) è stato m vano modo fra i n teso c sospel l a to d1 errore nella t radiZIOne manoscri lla. È'. ormai sostenuta dai più l' i n terpretazione a w i sopra acc è nniamo ( per il signi ficato d i ingenium c ars cfr. anch � qui sot to, . p. XXXIV). Certo, b i So g n a tener conto d e l fatto c h e q uel giU d iZIO cosi elogiativo è, t u l lavia, fret toloso, e con tenuto in una lettera privata, i n forma d i consenw ad u n analo go giudizio c h e S i à doveva essere stato espresso da Qumto; e che negh scntt1 destmall alla pubbhcaz1one C. tace sempre su Lucrezio, pur risentendone probabil mente l'in n usso nei compon i menti poet ici e nelle stesse opere in prosa (cfr. più oltre.

p. lXXVI). 15 L'abbrcviatione d . sign i fica d'ora i n nanzi • d ivi nazione • . Le cita­

zioni consi stenti solo i n u n n umero romano seguito da uno arabico si riferiscono ai l i bri e paragra Fi ( non capitol i ) d el De divinatione. Nel testo e nel l a traduzione i paragrafi (che, come i n tutte le edizioni mo­ derne delle opere di C., hanno una n u mera1.ione progressiva per cia­ scun l i bro) sono stampati in neretto. Anch'essa moderna, ma pil! vecchia, è la suddivisione in capi toli ( i nd icati in mai uscoletto), che nelle citazion i ,; suole omet tere. bastando i paragrafi , più brevi , a in­ dividuare u n passo.

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gia politico-religiosa, dell'arte di Cicerone in uno dei pe­ riodi della sua vita più fecondi di opere e, insieme, più travagliati biograficamente e politicamente. Poiché il presente volume non è un trattato sulla religione e sulla filosofia greco-romana, è chiaro che a noi interessa il se­ condo modo (e, anch'esso, nei limiti di un'edizione desti­ nata non ai filologi, ma a un pubblico più ampio e non specializzato; benché si speri che anche ai filologi questa edizione non sia del tutto inutile). Ciò nonostante, sarebbe impossibile capire il testo cice­ roniano senza P.ossedere alcune noziom generali sulla d. antica : poiché il De divinatione, come vedremo, è, nel li­ bro I, una difesa, nel li bro II una confutazione (corri­ spondente al p ensiero dell'autore) delle credenze e prati­ che divinatone, e solo in via subordinata un'esposizione di esse. C. si rivolge a lettori che conoscevano la d. gre­ co-romana e - in misura e con motivazioni molto diver­ se - vi credevano o, senza credervi, ne osservavano i precetti : non ha quindi bisogno di ripetere cose note a chi legge, e le notizie che il De divinatione contiene sono, rer lo più, allusioni inserite nella polemica, in funzione ili essa. Qualche cosa in più, dunque, il lettore odierno ha bisogno di apprenderla. Noi Cl limiteremo a infor­ marlo, il più sinteticamente possibile, su ciò che è indi­ spensabile per capire il testo ciceroniano (per vari parti­ colari si vedano anche le note ai singoli passi). In ogni parte del mondo e in o�i epoca l'uomo (l'uomo • primitivo • , e quel fondo primitivo che ha continuato a sussistere nella psiche di gran p arte dell'umanità cosid­ detta civile e moderna) ha sentito l'esigenza, susci tatagli dalla coscienza della propria debolezza di fronte alle for­ ze della natura e a poteri sociali e politici oppressivi, di conoscere il futuro, ma anche ciò che del passato e del presente gli era ignoto e non era conoscibile per via me­ ramente razionare, "' e di placare quelle forze, di espiare le colpe che, per lo più mconsciamente e involontaria­ mente, credeva di aver commesso trasgredendo qualche divieto. Con lo svilupparsi della reli �ione, le forze miste­ riose della natura furono sempre piu concep ite come di­ vinità 1 7 affini all'uomo, ma immuni, o quas1, da tutto ciò 16 G i à n e l l ' I liade. t 70. i l famo s o i ndovi n o C a lca n t e sa • le cose p re ­ sen t i , le f u t u re c le passate • . l 7 Qualche accen no a esaltazione profetica cau s a t a non d a d i v i n i tà. m a d a ogget t i naturali ( bosch i , ri u m i , m a ri ) c'è a nc o ra nel De divin . , sopra t t u t t o t l 1 4 . U n a q uestione a c u i p oss ia m o s o l t a n t o accennare ( a nche se è i m p ort a n t e per la d e fi n i zione !lenerale d e l l a d . ) è la d i ­ s t i nzione tra d . e m agi a ( u n buon accen n o smtet ico a l l a voce manrica dell'Enciclopedia eumpea Garza11ti, vn, M i la no 1 978, p. 1 78). Qual­ che p u n t o d i c o n ta t to si ha per es. n e l l a evocazione delle a n i m e dei mort i ( nccromanzia o psi c om u n l i a ) a c u i C . acce n n a appena i n 1 1 3 2 XXVIII

che nell'uomo è i mpotenza o debolezza; e anche quando si è passati a forme più elevate di religione, questo insie­ me di paure, sensi dì colpa, bisogno di propiziarsi la di­ vinità (sapendo in anticipo ciò clie si dovesse fare o non fare, e prevenendo quindi lo scatenarsi della sua ira) non è scomparso, a meno di non concep ire la divinità come un essere perfettissimo dal quale l uomo non abbia al­ cunché da temere, ma nemmeno da sperare. Tuttora, ac­ canto alle grandi religioni della salvezza (non prive nem­ meno esse di elementi di profezia, di d.), prospera il mondo degli astrologi, dei veggenti, dei magfii, frequen­ tato non solo dai • poveri ignoranti • , ma anche da perso­ ne di ceto elevato. Dai greci l'insieme dei modi di conoscere, per il tramite di individui privilegiati, ciò che all'esperienza comune o all'indagine razionale rimaneva precl uso, e di volgerlo a buon fine nei casi (i più frequenti) in cui esso si presen­ tasse minaccioso o infausto, fu chiamato mantik�. agget­ tivo riferito al sostan tivo (per lo p iù sottinteso) técfine: •(arte) profetica • . Mantis (da cui l aggettivo mantikos, al femminile mantiH) è l'indovino. Platone (Fedro, 244 C) fa derivare mantik� dal verbo mainesthai, • esser furen­ te• , • esser folle • : questa etimologia (menzionata anche da C., 1 l ) è oggi ritenuta giusta, anche se l'itinerario per cui Platone arnva dall'una all'altra parola è contorto e inaccettabile. Il nome greco si addice dunque, propria­ mente, a una parte sola della d., cioè all'esaltazione pro­ fetica (vedi sotto). I romani usarono (cfr. ancora 1 l ) il termine divinatio, connesso con divus (sinonimo più so­ lenne di deus, •dio • ) attraverso divinus (a�et tivo, •divi­ no• e, più specificamente, • ispirato dalla i:hvinità • e, co­ me sostan tivo, • indovino• ), da cui il verbo divinare ( • presagire il futuro • ) e infine divinatio (capacità di divi­

nare).

Le forme di d. che erano praticate (o delle quali, pur ca­ dute in disuso, si serbava il ricordo) al tempo di C. i n Greci a, a Roma e presso tutti gli altri popoli che i greci e i romani chiamavano •barbari • , erano moltissime, e si basavano, anche prima della loro trasfigurazione filoso­ fica, su presupposti molto diversi. Già i greci e i romani sentirono, qumdi, il bisogno di classificarle, di distin­ �uerle in gruppi. La classificazione più comune (non tdeata dagfi stmci per primi, ma da essi diffusa, e accol ta

(dr. nota 29 1 i v i ) . Il term i n e stesso di • magh i • i n d i ci> in ori gi ne. presso i pers i a n i , gli a s tro l ogi e i n dovi n i (cfr. nota 1 56 a l l i b ro t). Ma cara l !eristica della magia, nel senso com unemente adonato gia nel­ l'an t i c h i tà , è l a fiducia d i cos tri n jlcrc le forze soprannaturali a obbe­ d i re a l l ' u omo, m e n t re la d . i m p hca un a l !eggiamento d i t i more c di obbedienza a t a l i forze e agli d e i . XXIX

anche da C.) è quella tra • d . naturale• e • d . artificiale • I l O, n 26-27, e, con espressioni leggermente variate nel le quali compa­ iono però sem pre le l? arole natura e ars, I I l , 1 34, u l 00). In alcune trattaZioni moderne si legge che le corri­ spondenti espressioni greche, che c. avreobe tradotto in latino, sa rebbero state mantikt! atechnos ( • d . senz'arte • ) e m . technikt! ( • con arte• ) . I n veri tà i greci, mentre ebbe­ ro chiara la distinzione tra le due categorie, non usarono mai quei termini, per q uel che ci risulta: usarono perifra­ si varie, in cui compatono anche � i aggettivi atechnos e technikos, o si servirono dei neutn sostantivati to atech­ n on e 16 technikon, • l a parte priva d'arte• e • la parte ar­ tificiale • della d. La questione non ha grande importan­ za, ma conviene non fare uso, come se fosse antica, di una terminologia che nei testi a noi giunti non si trova. Più i mporta guardarsi da un equivoco che rotrebbero suscitare le espressioni • nat urale • e • artifi ciale • , fi no a farne i nvertire i signi ficati. Il latino natura, come il greco phjsis, riferito alla d., non è l'opposto d ella divinità: (del • so e rannaturale • ), anzi è, secondo la concezione stoica, tutt uno con la divinità, o un aspetto di essa; e la •d. na­ turale• è quella in cui si attua un interven to diretto della divinità, la quale rivel a il futuro all'uomo parlandogli in stato di veglia o, pi ù spesso, di sogno (di solito aopo aver assunto le sembianze di qualche persona umana, o med i an te altre visioni simbolicbe), o aandogli la capaci­ tà di • vedere• il futuro in punto di morte (cfr. 1 47, 1 64 s. con riferi mento a un famoso episodio omerico), o, co­ me si è accennato a proposi to del l'etimologi a di mantikt! da mainesthai, • impossessandosi • di una persona, ren­ dendola come fol le e parlando per bocca sua. Tutti gli dèi, a cominciare dal più potente, Zeus greco corrispon­ dente a G iove (luppiter) latino, sanno il futuro e possono comunicarlo agli uomini; ma il dio che ha come u no dei suoi principal i attributi la d. è Apollo, ed è lui che di so­ lito eserci ta il tipo di d. a cui abbiamo accennato per ul­ timo. " Come tramite, come medium il dio sceglie per lo

(d. naturalis e d. artificiosa : cfr. I 72, I 1 09 e

1 8 Svi ati d a l l a fa mosa distinzione d i !'l i etzsche fra • a p oll i n eo • e • d i o n b i a c o • ( u n a d i s t i n zi o n e �u ggestiva c non priva di ve r i t à . purché non l a s i asso l u t i zzi). a l c u n i e m i nenti studiosi, come E. Rohdc ne l l 'o­ pera Psyclte. sosten nero che la d. n a t u r a l e d"rivava sem pre, seco n d o i

greci, d a l l ' i s p i ra z i o n e d i Dion iso ( Bacco). I n realtà ciò che con t rad­ il i s t i ng u e la r e l i g i o ne dionis iaca é l'esa ltazione ( t a l v ol t a profc t ica. più spesso no) col l e t t i v a . di grup p, i crrahondi di uom i ni c d o n n e ; ma la parre p r e min en t e che fi n d a l i i n i z i o ehbe Apollo come ispi r a to re della d . n a t u r a l e è i ncontesta b i l e : cfr. E. Dodds. l �reci e l'irraziona· le. tra d . i t . . F i rcn1c 1 97 3 . r i s t . 1 978, pp. 83-86. Anche a Roma, come acce n n e remo , l a pcnctrazione d e l l a d . g re c a è stretta m ente con n essa con la grad u u l � penet razione de l c u l to di Apollo. In C . non si parla xxx

più un person a� io fem mi nile: può trattarsi di una don­ na q ualsiasi, un unica volta (come nel finale del lib. 1

d el l a Pharsa/ia di Lucano; un caso più raro, di un uomo, I 68 s.), o di una J?. TOfetessa, che ha il dono di predire più vol te, o sempre, Il fut u ro . Questo • dono • è in realtà, sia pure in varia misura, una sofferenza: il • possesso • da parte del d i o è per lo più rappresentato come un accesso oi pazzia fu riosa (juror è il termine usato più e più volte da C., cor ri spondente a mania i n greco), con caratteristi­ che analoghe in parte all'attacco epilettico, in parte al­ l'orgasmo sessuafe nel suo aspetto doloroso (la profetes­ sa è, in certo senso, • violentata• dal dio), in parte anche all'ispirazione poetica (anch'essa vicn fatta oerivare da Apollo , come è noto). La profetessa sventurata per ec­ cellenza, nel mito greco, è Cas s andra, che, per aver re­ spinto l'amore di Apollo, fu da lui resa preannunciatrice di mali a cui nessuno prestava fede. C., che naturalmen­ te non credeva nella realtà storica di questo personaggio (n 1 1 2 s.), ne sentì fortemente il pathos poetico quale era stato reso da Ennio neli'A /exander, libera versione di una tragedia di Euripide della quale ci sono rimasti (come anche del dramma enni ano) solo pochi frammenti (cfr. I 66 s., 1 1 4; ad A tt. vm I l , 3). Figure analoghe di profetesse, in epoca storica, erano le Pizie (cfr. 1 3 ll e a l ­ trove; in greco Py th ia, in latino Pjthia), sacerdotesse­ profetesse dell'oracolo di Apollo a Delfi in Grecia, pres­ so il mon te Parnaso (Pythb è il nome più antico di Dcl fi, gr. DelphOi, lat. Delp hi; per la leggenda di Apollo ucciso­ re del drago Pi tone e per una concezione dell'oracolo co­ me originaria emanazione di p otenze sotterranee, cfr. 1 3 8 ; 1 79; n 1 1 5 e 1 1 7 . 1 9 La Ptzia enunciava però i suoi in

mai di Bacco come i s p i r a tore di profeli c ( u n acce n n o i n d i re t to, for­ se. in t 1 1 4, dr. nota 260), sebbene ai Bacca n a l i . repressi nel 1 86. avessero partec i p a t o profe t i mvasati ( c fr. qui sot to, p . LVI). L'oracolo d i Dcl fi è a n cor a per C. escl usivamente a po l l i neo: solo p i ù tard i , co­ mc ci a ue,ta l' l u t a rco ( sec. 1 d .C . ). il c u l to di D i o n i s o v1 s' i n t rod u sse • a l l a pari • con q u e l l o d i A p o l l o ( c fr. Marie Delco u r t . L 'oracle de Delphes, P a r i s 1 95 5 , pp. 1 94-200), ne l l ' a m b i to di u n a p i ù genera le fu­ sione ( • si ncre t i s m o • ) tra l e d u e d i v i n i t à : cfr. Macrob1o, Satuma/ia. 1 1 8 (dove i n vece di A ri.t ica i n termed i a fra i ndeuro r eo e si ngole l i ngue occiden t a l i o c e n t ro· occ i d e n t a l i (cel t i co , german rco, l a t i no-siculo. osco- u m b r). Cfr. p i ù sot lo, p. x x x v m e n . 27. a pro p osito d e l l ' e t i m o logi a di ciugur. 24 Cfr. A. Tra i n a nel sagg i o m t rod u t l i vo a E. Stolz-A. Debrun ner, Storia d. ling ua farina, ed. 11., Bologna 1 968, p . x e b i b l i ografia ivi, n . 3 . È'. g i u s t o m s i s terc s u l carauere • momen taneo• d i q u e s t a e d i molle a l t re d i v i n i tà roma n e pri m i t i ve : ma per Aius Loc u t i u s b i sog n a anche tener conto d i q u e l p rocesso d i • i s t i tuzional inazio n e • che, come è noto ( c fr. q u i sot t o , p. LI ss.), è tipico della religione roma n a : q u e l l a che era stata u n a voce m i steriosa d i v i e n e u n d i o c o l suo t e m p i o , col suo c u l t o ; l ' aspc t l o anòmalo e terri fica n te viene i n qualche modo esorcizzato, a nche se, come osserva i ronicamente C., da a l l or a in poi il dio • pa r l a n t e • n o n p a r l a p i ù ! Qualcosa d i a n a l ogo riguardo a G i u ­ none M o ne ta, se s i accetta l 'eti mologia d a monére ( a ncora t IO l e 11 69, cfr. nota 246 a l l i bro t). XXXl l l

negatori della d . , ma non il significato • defi n i torio • del­ l'aggettivo, i n contrapposizione a • n a t ura l e • ), né a ci ò che noi chiamiamo • arte• come attività distinta dal pen­ si ero l og ic o. L'ars, come l a téchne greca, è anzitutto una te c n i c a , un • a r tigi an a to • (dai più umili fino ai più alt i s i_gn i fic a ti ) . Anche quando gli antichi parlano di poesia, distinguono l'ingenium, cioe l ' i s p i r a zi on e , dono mnato, dall'ars, cioè dalla r a ffi n a te zza stilistica, fru tto di lungo s tudio, potremmo anche d ire di • m e sti ere • nel senso mi­ gliore del termine. Nella • d . arti Ficiale • l'uomo n o n ha la rivelazione imm edi a ta del futuro, non subisce un raptus, ma riceve dalla divinità u n • segno • (sign um, i n greco seméion : è questo il termine più generale, che nel De di­ vinatione s ' i nc ontra spessi ssimo; di qui a nche significare nel senso di • ma ndare un segno con valore di av v ert i ­ mento sop rannaturale • , o praesignificare, cfr. 1 82, 11 1 0 1 ). Tale • segno• impressiOna l ' uomo per la sua mag­ giore o minore eccezionalità e gl i fa supporre che esso sia il preannuncio di qualcosa che avverrà in futuro (o a nche di qualcosa che, già accaduto, è rimasto ignoto), di un • evento • : nel linguaggio d el l a d., signum ea even ­ tus (o even tum ; l a forma neutra è p er ò rara al singolare; la parola greca corrispondente è ékbasis) sono t e r m i ni correl at i ; il secondo è l 'avverarsi di ciò che era stato in­ dicato dal pri mo . L' uomo comune, però, non è in grado di capire elle co s a il signum p rea n nunc i : deve ricorrere a un « In terprete» (gr. exeghet�s. lat. in terpres ; per designa­ zioni più sp e c i f i cbe come « àugure • ecc. vedi più oltre). L'interprete non è un • i n v a s a to • ; pretende anzi di esse­ re, in certo senso, uno • scienziato • : l'arte dell'interpre­ tazione divinatoria, della coniectura, si è formata (diran­ no gli s t o i c i , traendo q uesto modell o sop r a t t utto d a ll ' a ­ s t rol ogi a) a poco a poco, nel corso dei secoli, con l'osser­ v a zi one attenta e r e i ter a ta c col • prender nota • dell'at­ t u arsi di determinati even ti in ségui to a determinati se­ gni (I 1 2 e spessissimo altrove). Seguendo fino i n fondo questa concezione del l a d. arti fi­ ciale, si può arrivare a metterla sullo stesso p i a no della medicina, della meteorologia, d e l l ' a gron o m ia (I 1 2- 1 6), d i tutte q ue ll e • scienze i nesatte • , di quelle pratiche em­ piriche elle, p ur il,\norando le vere e proprie cause, i pro­ cessi per cui cert1 fenomeni danno origine a ce r t i altri, sono m grado di prevedere con una certa approssimazio­ ne che, dato un certo segn o o sin tomo, accadrà il tale ev ento . Lo stoico Boeto di Sidone (sec. 11 a . C . , cfr. 1 1 3, n 47), prendendo le mosse da tali discipline em p iri che , aveva probabilmente tentato di giusti ficare in modo analogo la d., riducendo al m a ss i m o o forse eliminando il ricorso al soprannaturale. Del resto già Aristotele ave­ va proposto spiegazioni fisio-patologiche di certi sogni XXXIV

profetici e delle profezie fatte dai pazzi, cioè di fenomeni pertinenti alla O. naturale (cfr. I 8 1 e Dodds [cit. sopra, nota 1 8), pp. 1 54- 1 56). Tuttavia la concezione originaria della d. arti ficiale non arriva fi n qui, e, tranne le sporadiche eccezioni a cui si è ora accennato, non vi arrivarono neppure i filosofi fau­ tori della d . L'in terprete, anche se non è un •invasato• , è un • ispi rato• : di un aiuto dall'alto l'interpretazione ha bi sogno, tant'è vero che non a tutti è dato essere indovi­ ni (le cose stanno in modo· diverso p er la d. romana •po­ liticizzata • , basata sull'in terpretaziOne di pochi segni o sulla lettura di • libri • , cfr. qui sotto, p. LIII ss.). Come ispirati dagli dèi - spesso non fin dalia n ascita, ma per una sorta di compenso a qualche sventura mandata da un dio come p umzione - vennero considerati i famosi indovin i dei cicli leggendari tebano e troiano : Anfiarao, Tiresia, Calcante. Efeno figlio di Priamo (capace di d . artificiale, a differenza della sorella Cassandra) : cfr. 1 87-89 e altrove. Del resto, questi indovini non sempre sono in ter preti di • segn i » : talvol ta essi • apprendono• dagli dèi CIÒ che agli al tri è ignoto, per una Ispirazione diretta, la quale tuttavia li lascia in stato di calma, non di furor. Calcante è rammentato una vol ta nell'/liade ( II 29 9 ss. : il brano è tradotto da C., 11 63 s.) come interpre­ te di un prodi gio, e ancor prima (I 69) è chiamato da Omero • il migliore degli oionopoloi • , degli interpreti di uccelli, corrispondenti agli àuguri rornam di cui diremo tra breve ; ma quando nvela Il motivo della pestilenza mandata da Apollo, non si dice che abbia compiuto al­ cuna osservazione di segni, e non par possibile cbe alcun segno abbia potuto fargli comprendere che Apollo è sde­ gnato perche Agamennone ha ri fiutato di rendere la fi­ glia al sacerdote Crise: no, egli • sa • il • messa&gio divi­ no • (theopropion, cfr. Iliade, I 85). Ancor più chiaro è un passo del lib. VII (44-52): Èleno, che altrove (m 76) è chiamato anche lui oionopolos come Calcante, questa volta, senza bisogno di segni, •intende nel l'animo• la volontà di Apol lo e di Atena, che Ettore sfidi a duello uno dei greci, e comprende anche che da quel duello Et­ tore uscirà illeso. Questo è quel fenomeno a cui allude brevemente C. in I 65 s., come ad un tipo di ispirazione più blanda che il furor, ma pur inviata oirettamente da­ gli dèi talvol ta anche a uommi comuni ( • me lo diceva il cuore, che ... »). E d'altra parte anche il • segno • profetico, come abbia­ mo accennato, ha sem p re un che di eccezionale, che am­ monisce e allarma (piu di rado incoraggia), come qual­ cosa che non rientra nel corso dei fatti naturali. Qumto, il fratello di C., che nel libro 1 sostiene la validità della d., se a un certo punto della sua esposizione (I 1 2- 1 6 già xxxv

cit . : pro�nostici meteorologici, previsioni mediche ecc.) sembra Identificare la d. artificiale con la scienza accen­ nando soltanto a una leggera riserva (I 1 3 : • quei feno­ meni che, pur appartenendo a un genere diverso, sono tuttavia alquanto affini alla d . • ), più oltre (I I I I s.) di­ stingue la previ sione puramente umana dalla profezia (cfr. la replìca di C., 11 1 4, derivata da Carneade, e, per l'espediente con cui gli stoici tentarono di superare la difficoltà, qui sotto, p. LXV). Le due discipline m cui (liù a lungo rimase difficile separare la d. (e la ma�a) dalla scienza furono, anche in temp i molto più recenti di quel­ li a cui ci riferiamo, la medicma e l'astrologia, anche per­ ché, storicamente, la medicina nacque da un faticoso processo di laicizzazione e razionalizzazione di pratiche aivinatorie (quanto alla sintomatolo�ia e alla prognosi) e magiche (quan to alla cura), e del pan lo sviluppo scienti­ fico dell'astronomia è consistito nell'espungere le cre­ denze mitiche ( • influssi astrali• sulla vita umana, ecc.) dalle osservazioni astronomiche condotte con metodo scientifico : in greco e in latino, del resto, il termine astrologia designò sempre anche l'astronomia. Se non ci soffermiamo su queste due discipline, è perché nel De di­ vin. ai medici vengono fatti soltanto accenni saltuari (I 1 3 ; 1 24; II 1 45) e dell'astrologia non c'è la difesa nel lib. 1 (aprena un accenno in 1 85), c'è soltanto la confutazio­ ne nel II (88-99): si vedano le note a quei paragrafi e qui sotto, p. xcu. Daton di • segn i • - in Grecia e ancor più presso i roma­ ni, gli • italici • (osco-umbri), gli etruschi - sono in par­ tico1are gli animali : gli uccelli (sui quali ritorneremo sùbito sotto), i serrenti (I 36, I 72, e in u 63 s. la profezia di Calcante a cui si è già accennato), le viscere delle be­ s tie sacrificate (cfr. qu1 sotto, p. XL ss.), le nascite di ani­ mali mostruosi (cfr. q ui sotto, l'· XLIII). Il volo degli uc­ celli era argomento d1 d. anche m Grecia fin dai tempi di Omero, ma a Roma e presso altri popoli italici e asiatici assunse un'importanza p articolare.25 In latino l'osserva­ zione a scopo divinatoriO del volo degli uccelli, dei luo25 Q u a n t o ai grec i , a b b i a mo già menzi onato i l t e r m i n e oionopòlos ( d a oitimh • ucce l l o • c po/{:6 · freq u e n t o • ); e c'è anche il verbo oirinizomai • osservo ( p e r trarne p resagi) il volo degl i uccel l i • e al tre parole d i formazione a n aloga ( cfr. anche � u i sotto, p. LXI, su Pla to­ ne). Quanto agli i ta l ici, un augurio, assai d t ve rso d a quello dei roma­ ni. è descri t to nelle fa mose Tavole di G u b b i o ( t rad. e i n terpretazione i n G . Devoto, Le Tavole di Gubbio. F i renze 1 948, pp. 1 9 , 29·3 1 . 757 7 ) . Fama d i àugu r i , ma di à u g u r i c i a r l a t a nesch i, avevano i marsi (cfr. no t e 250 i n fi n e e 29 1 a l l i b ro 1 ) . S u l l a s t i m a c h e n e l l i b. 1 Qu i n to d i mostra verso gli • à uguri • dell'Asia m i nore ( t 2 5 , 1 92, 1 94; d i con­ t ro C., 1 1 80) e s u l l ' i n ffusso d i Posidonio rig u a rd o a questa simpatia per i . barbari • vedi o l t re , p . L X V .

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ghi donde venivano e dove si posavano, del loro cibarsi - e di altri segni, che come diremo, potevano anche presentarsi • non richiesti • - è indicata, fin dall'età ar­ caica, con due parole usate SJ? esso come equivalenti : au­ spicium e au!JUrium, che sigruficavano anche il risul tato dell'osservaziOne, il segno favorevole o sfavorevole; a quei • nomi di azione• corrispondono rispettivamente, come • nomi di persone agenti » , au�pex e augur. Una dif­ ferenza di significato, tuttavia, c'è, anche se presto andò obliterandos1 nel parlar comune, ma non nel linguaggio giuridico-sacrale. L'auspicium (dal tema au- di avis, co­ me in auspex di cui s'è detto, in auceps • uccellatore• , e dal verbo arcaico spécere • guardare • ; di qui il sostantivo sp_ectio, sinonimo di auspicium) è, nel senso più vicino al­ l etimologia, l'atto di osservare gli uccelli a scopo divina­ torio, senza tuttavia una capacità • tecnica • d'interpreta­ re i segni da essi forniti. Nella vita pubblica romana, l'auspicium (o la spectio) è anche il • diritto• di far com­ piere tale osservazione prima d'intraprendere atti impor­ tanti, d alle elezioni popolari alle imprese mili tari alle fondazioni di città. Tale diritto (ausp icia habére) spetta­ va solo ai magistrati, innanzi tutto at consoli (per succes­ sive estensiom, dall'epoca di Silla in poi, cfr. n 77 e nota 1 03 al lib. n); si comP.rende, perciò, come auspicium sia passato anche a sigmficare, già in Plauto, il • comando militare • , e auspex sia stato usato genericamente nel sen­ so di • comandante • , o addirittura d i • chi intraprende !J Ualcosa • , • autore • . Interpretare i segni dati daglt uccel­ h era, invece, compito den'àugure, il quale non aveva il diritto di ordinare l'auspicium, ed entrava in azione, co­ me • tecnico divinatorio• , sol tanto dopo l 'ordine dato dal magistrato : fra le mansioni del magistrato • laico • , senza il quale però il rito religioso non si poteva intra­ prendere, e le mansioni dell'àugure c'era quindi una di­ visione, che è bene spiegata da C., Philipp. n 8 1 . L'eti­ mologia di augur, augurium non è altrettanto trasparente quanto quella di auspex, auspicium. L'opinione, già ac­ cennata da qualche autore antico e oggi generafmente accolta, che augur sia connesso con augére • aumentare• , è , a mio avviso, ben poco attendibile. Essa presupp or­ rebbe che l'augurium fosse in origine un rito rehgwso agricolo, per ottenere dagli dèi !' · accrescimento•. del raccolto; ma gli eventuali fondamenti di questa ipotesi (che di solito non ci si è nemmeno preoccupati d'indica­ re) sono troppo scarsi e labili.26 L'augurium, come risulta 26 L ' • augurio• d i Atto N avio ( l 3 1 ) è co l l oc a t o dalla tradizione rela­

t i vam e n t e turdi, e non ha il ca ra t t e re di mero accertamento del vole­ re d i v i n o che è t i p ico. come ved remo, degli a u gu r i i o r i gin a r i . I n De leg. 1 1 2 1 fra le a t tribuzioni degl i àuguri si c i t a , non per pri mo, un XXXV I l

da una documentazione sostanzialmente unanime, non è un • accrescimento• o un • potenziamento• concesso da­ gli dèi, a rigore non è nemmeno una profezia (sebbene già C. chiami talvolta augures anche i profeti non roma­ ni, cfr. per es. I 87-88, n 76 e 82 s.), ma un accertamento del consenso o del dissenso degli dèi, di un • Si • o di un • no • rispetto ad una certa azione che il p rivato cittadino o, più spesso, il magistrato si propone dt compiere, come si è detto; accertamento basato, per Io più, sul volo o sul canto degli uccelli. Come hanno ben detto il Mommsen e al tri, • Un auspidum spiegato [sui limiti di tale "spie&a­ zione" ci siamo già soffermati] è un augurium• . Perctò, con tutta la cautela che è d'obbligo, riteniamo che l'eti­ mologia giusta di augur e di aug urium sia un'altra, ripro­ posta una decin a d'anni fa da G. Neumann Y da au- te­ ma di avis e da una radice indeuropea che compare in celtico e in germanico, probabilmente anche in un uso del verbo greco ghéuein lat. gustare, e che signi fica • sperimentare • , •valutare • . L a • contesa augurale• , narrata gi à da Ennio, per stabili­ re chi, tra Romolo e Remo, dovesse fondare la nuova città (il brano di Ennio è riportato da C., I 1 07 s. : cfr. la nostra nota a q uel passo), non corrisponde al ri to, certa­ mente più antico e mantenutosi in epoca storica, descrit­ to da V arrone, De lingua Latina, vn 7 s. Poiché a q uesto rito C. accenna solo molto fugacemente in I 30 (una sua variante, non riferita però al volo degli uccelli, è l'episo­ dio già ricordato di A tto N avio in 1 3 1 ), noi, attenendoci al criterio di fornire solo un aiuto per la lettura del De divin. , non lo riassumiamo: qualcosa direnio solo nelle note a q u e i passi (spec. nota 1 09 al lib. 1). Qui avvertia...

augurio r i • ua r d n n t c •i vigneti c i •·irge/CI (cespugl i . "macch ie' ' ) • : ma s i t r a t l a, C. s t esso li i ce, d i leggi • i n ve n t at e • da lui nello s t i l e del le X l i Tamle, con ri feri m e n t i . �erto, a usan1.c arcaiche, m a c o n v a · r i u n t i e agg i u n te. N e l De dil'in. 1 1 80, là dove pone i l problema d i una ricerca sulle origi n i dcll 'auxurium, C. si ri fe ri sce anzi t u t to agl i ucce l l i . 27 G . N e u m a n n . Zur Etymologie l'Oli lat. •augur • . in • W ii r7. b u rgcr J a hrhO�her • . N . F. 1 1 . 1 976, pp. 2 1 2-229 ( p reced u t o i n parte da A . F. Pott e da a l t r i s t u d i osi o t t occn tcsc h i ) . Per l ' u s o d i v i natorio del verbo greco ghéuein a cui acce n n i a m o nel testo . il passo più signi fica t i vo (non Cl t . d a l N eum ann) è Sofocle, A ntigone, 1 00 5 . P e r q u a n to riguar· d a g l i à u gu r i . ol tre i tes t i s u l l a d . ro m an a c i t . p i ù sotto n e l l a G u i d a b i bfl ografica, u n a raccol t a a m p i a d i d a t i c u n a d i scussione accu ratis­ s i m a , talvolta fi n t roppo m i n u t a , si trova nel vol. I ( l ' u n i co uscito) d i P. C a t a l a no, Conrrihuri allo studio del diritto augurale, Tori n o 1 960 ( p p . 7- 1 86 s u l l a d i s t i nzione fra au.rpicium e augurium; ma a n c h 'egl i , p . 23, accel l a l 'et i mologia d i augur da augeo). N e l frammento di E n ­ n i o c i t. in I 1 07 ( v . 2) non è s1curo che auspicio augurioque s i a n o si no­ m i n i : come notò G. W i ssowa ( i n Pauly-Wissowa. II 258 1 , l s s . ) Ro­ molo c Remo sono e n t ra m b i àuguri. e n t r a m b i aspi ran t i al potere po­ l i tico, e q u i nd i capaci sia d i i n traprendere l 'au>picium, sia di i n tcrpre­ tarlo (augurium).

fome

XXXVI I I

mo sol tanto che era considerata di buon augurio la com­ parsa di uccell i (come, del resto, di altri signa, per es. di t uoni o fulmini a ciel sereno, cfr. il verso a i Ennio in n 82) da oriente. Siccome l'àugure romano, durante il ri to, era rivolto a sud, aveva l'oriente alla sua sinistra, e qui n­ di l'aggettivo laevus ( • sinistro• ), o più raramente sinister, sign ifica • d i buon augurio • . 28 Al con trari o, i greci e al tri popoli, pur non praticando una cerimonia come quella descri tta da Varrone, consideravano valido il se­ gno ricevuto mentre erano rivolti verso nord, e avevano roriente alla propria destra : in greco, quindi, gli aggetti­ vi che signi ficavano • destro • e • si nistro• indicavano, ri­ spettivamente, il buono e i l cattivo augurio. Più tardi an­ che in latino (probabilmente per influsso �reco) laevus, e ancor p i ù sinister, assunse spesso il significato di cattivo augu rio (entrambi i si �ni ficati, per es., si alternano in Virgili o ; e ancor oggi m italiano • Sinistro • ha il valore tras1ato di • infausto • , e • un sinistro • , sostantivato, è un grave incidente). C. osserva (n 80-82), come un'i ncon­ gruenza che scredita la d., il con trasto fra la terminolo­ gia romana e la greca, ma non sembra consapevole del carattere non sostanzi ale del contrasto (o si tratta di una forzatura polemica? Cfr. anche nota I l O al li bro II). U na vera eccezwne, non puramente terminologica, era invece rappresentata da alcuni uccelli, per es. non era n o stati. eviden temen te. a n­ cora proge t t a t i .

1 1 5. c h e tuttavia io i n tendo n o n come espressione d i desiderio che a l l a filosofia si volgano sol tanto pochi giova n i . ma che se n e t rovino a l meno poc h i d ispost i a far ciò (già questo sarebbe u n bel risultato. ed è i l l usorio pretendere d i più i n un primo tempo). Non si tratta, d u nque, d i u n a posizione tanto elitaria q u a n to ad alcuni è sembra to. Lo stesso si dica quanto al >oli sumu> d i n 28 ( c fr. nota 45 i v i ) . C f r . a n c h e 11 l , d o v e C. d ice d i aver voluto ri volgere le sue opere d i filosofia c ui suoi concittad i n i o . Non si vuole a ffat to, con ciò, 1 n ven tare un C . d i ffusore • democratico• di cul t u ra, ma presentarlo come intell igentemente preoccupato di allargare e conso lidare l'egemonia della clusse conservatrice ( accenni in q uesto senso già. tanti a n n i p rima, ne l l a Pro Semo). 81 Un ritorno di o t t i m i smo C. lo ehbc ancora alla fi ne d i agosto del 44, q ua ndo, dopo aver vagabondato tra le sue ville ed essersi i m ba r­ cato per due volte allo scopo di raggiungere il figlio ad A tene (ma tutt'c d u e le volte i venti e la sua stessa i ndecisione lo ri sospi nsero a terra. come poi g l i accadrà una tel7.a e u l t i m a vol ta, g u ando troverà l a morte, cfr. sopra, p. Xlii), fu richiamato dagli amic1 a Roma e i n i 7. i ò l a lolla con t ro A n tonio. M a a quell'epoca C. aveva già pubbl ica­ to. con ogni p robabi l i tà, il De divin. (vedi q u i souo nel testo). e non si può pensare a u n 'aggi u n t a cosi tardiva del n proemio.

80 C f r . I l paul'i utin a m d i

LX X l i i

sospettare che egli non abbia fatto in tempo a pubblica­ re tutto ciò che Ila scritto. Ma se si vuole, andando oltre questo sospetto generico, sostenere che il De divin. , nella forma in cui ci è giunto, è una sorta di • brogliaccio» non ancora pubblicabile (come hanno sostenuto per es. il Sanders, il Falconer, che qui non dimostra il suo consue­ to equilibrio di giudizio, e, con qualche dubbio, anche \' Ax), si imbocca una strada errata. Giustamente il Phi­ lippson ha sostenuto82 che alcune negligenze di espres­ SIOne si ritrovano anche in opere che C. pubblicò senza dubbio (soltanto sul De officiis è lecito avere, per questo riguardo, forti perplessità); e d'altra parte - anche que­ sta è osservazione del Philippson - sembra difficile non intendere alla lettera le parole del De fato, l : in iis (sot­ tint. libris) quos de divinatione edidi. Nell'insieme, il De divin. rappresenta la punta più avan­ zata raggiunta da quello che potremmo chiamare l' • illu­ minismo neoaccademico» di C. Per la verità, ci si può chiedere se questo titolo di merito non spetti, piuttosto, al De natura deorum. In quest'opera, infatti, il portavoce dell'Accademia nuova, Aurelio Cotta, lascia da parte, come si è detto, la d., ma attacca a fondo il concetto stoico di Provvidenza (lib. m), e d'altronde, benché alcu­ ni punti (ben pochi, a mio modesto avviso) della sua po· !emica contro gli dèi di Epicuro possano apparire sfona­ ti, nega giustamente, come si è accennato, che una beati­ tudine inerte e indifferentistica sia la dote più alta della divi nità (lib. 1); condivide, alla fine del lib. I, l'obiezione stoica di larvato ateismo mossa a Epicuro, ma in quello stesso libro (paragrafi 60-63) ricorda che pensa tori aper­ tamente atei vi sono stati e che non sono facilmente con­ futabili. La divinità dovrebbe essere provvidenziale, ma troppe cose, in questo mondo, dimostrano che non lo è; e se non lo è, non è degna di tanta venerazione, o forse è inesistente. Qui, sulle orme di Carneade, la religione nel suo complesso è, non recisamente negata, ma dìchiarata indimostrabile e improbabile. D'altra parte, però, il De natura deorum ha (m confronto al De divin., che, come vedremo, non ne è del tutto privo neanch'esso) più • con­ trobilanciamenti » , più alternanze di audacie e di cautele. Non mi riferisco alla dichiarazione • per fatto personale» di Cotta, a cui ho già accennato sopra, p. u; da questo punto di vista, come diremo tra breve, il De divin. è sullo stesso piano. Mi riferisco, piuttosto, all'acredine con cui sono espresse anche le argomentazioni giuste contro Epicuro, all'ampio spazio che è concesso nel lib. n al di82 In LXX I V

Pa u ly-Wissowa. X I I I A . col 1 1 5 7, 16

ss.

scorso di Balbo in difesa dello stoicismo, e al finale • a sorpresa • di tutta l'opera, in cui C., che ha assistito al dialogo, si dichiara p1ù propenso a dar ragione a Balbo che a Cotta. Il Philippson ha ragione di d1chiarare g uel finale . non del tutto sincero•,83 ma l'insincerità tradisce forse una certa interiore titubanza (la retorica stoica di Balbo, la sua esaltazione delle • meraviglie dell'univer­ so • , non sono condivise da C. sul piano razionale,84 ma non a caso egli le ha scritte con tanto pathos) e, in ogni caso, mira a non épater troppo i lettori. Il De divin., quanto all'assunto esplicito, appare più limi­ tato e meno ardito del De natura aeorum : C. vuole salva­ re la religione eliminandone la parte più grossolanamen­ te superstiziosa, cioè appunto la d., che vanamente di stoici hanno cercato di nobilitare e di filosofizzare. (a credenza nella d. rischia di screditare la religione nel suo insieme : soppressa la d., la religione ne uscirà rafforzata. E il secondo motivo per cui C. dichiara valida la religio­ ne (del primo diremo qualcosa tra breve), cioè che e ia bellezza dell'universo e la regolarità dei fenomeni celesti ci obbliga a riconoscere che vi è una possente ecl � • .. m a natura, e che il genere umano deve alzare ad essa lo sguardo con venerazione e ammirarla • (n 1 48), ha un'impronta certo più stoica che neoaccademica ed è in contrasto con ciò che nella nota 84 abbiamo riassunto dal discorso di Cotta nel De natura deorum, sebbene, po­ co dopo, l'opera si concluda nel nome di Carneade. A giudicarlo da quella sola frase che abbiamo ora citato, si airebbe che il De divin., più che a battere in breccia la teologia stoica, miri a depurarla e a farne una nobile for­ ma di deismo, quale piacerà (per citare il nome più fa­ moso, non certo l'umco) a Voltaire.85 Ep p ure, se lo si legge tutto, il De divin. mira, si, a un bersaglio più limita­ to, ma colpisce più duramente e coerentemente. L'attac­ co alla superstiZione divinatoria è condotto da C. nel li b. 1 1 con una continua tensione, con ironia per le credenze

8 3 Ci t . . col . 1 1 56, 1 2 ss. A nalog a mente . benché in modo un po' i n vo· l u to.

K. B ri ngma n n .

UlllersucTrungen zum spliten Cicero. Gotti ngen

1 97 1 . p. 1 73 ; sofistico A.S. Pease, comm. a l De nat. deor. , Cambnd­ ge. Mass. 1 955, 1 . p p . 3 3 s s . 84 N e l l a replica di Cotta (m 23 s s .) si asserisce, con una strin gente e

brillante a rgomen tazione, che l' • Ordine• dell'universo, la regola ri tà d i tanti movimenti e altri fenomen i, la belle7.za s tess a del mondo, possono ben essere i n tri nseche alla natura ( a u n a natura non identi­ ficabile con Dio e nemmeno gove rn ata da un Dio trascenden te). Cfr. anche ihid. , 27-28. 85 Vedi per es. V o l t a i re , Oeuvres a c. di L. M ol and , xxv, p. 464, e moltissimi altri pas si . Si noti che le preferenze di Voltaire non vanno, d i sol i to, a C. neoaccadem ico, ma a C. platonico-stoico ( t a l volta per­ fi no epi c u reo ) . o a ciò che, senza aderi rvi , egl i riferisce da tali dottrine.

LXXV

stolte e grossolane,"6 con sdegno ancor maggiore per la legittimazione che hanno voluto dar loro gli stmci. E non gli stoici sol tanto : la grande maggioranza dei filoso­ fi greci , come abbiamo accennato, ha creduto nella d. o in una parte di essa; l'attacco di C. è _globale, non rispar­ mia nemmeno l'amico peripatetico Cratipp o, che voleva salvare la cd. naturale• . Il De divin. è (insteme agli A ca ­ demica, ma con una forza polemica che gli Academica, più esclusivamente ragionatlvi, non potevano avere) l'o­ pera di C. più legata a Carneade, ma, come diremo, è anche uno. sviluppo, in parte, originale del pensiero di Carneade. Accanto a Carneade, fra i pochissimi negatori della d., c'era Epicuro. Benché con dolore, C. riconosce apertamente che gli epicurei hanno tutte le ragioni di de­ ndere gli stoici quanto alla d. (n 39 s.), e si spinge fino a mostrare che proprio nella logi ca - il vanto degli stoici, e un tradizionale motivo di btasimo contro Epicuro - è Epicuro che, su un problema importante, si nvela supe­ riore (n 103 s.). Ed epicurea suo malgrado è, nonostante la netta distinzione fra religione e superstizione (che del resto, in un altro senso, non è estranea nemmeno all'epi­ cureismo), "7 la perorazione finale contro le ansie e i ter­ rori superstiziosi prodotti dalla d . : giustamente alcuni studiost hanno sentito in quella perorazione (II 1 48- 1 50) un afflato lucreziano. A Epicuro, lo abbiamo detto, si concede non poco anche nel De natura deorum, ma in modo che il lettore quasi non se ne accorga (Cotta dice molte cose • quasi epicuree • contro Balbo, ma C. si è premurato, all'inizio dell'opera, di farlo polemizzare a lungo contro l'epicureo Velleio). E mentre C., pur nel­ l'ambito di una posizione generale antiatomistica e anti­ materialistica, ha spesso nelle sue opere presentato Epi­ curo come un mezzo plagiario e mezzo • guastatore • del­ la dottrina di Democrito, nel De divin. è Democrito che, come si è detto, viene attaccato per le sue credenze divi­ natorie. Da tempo ci si è chiesti come mai C., che in alcune ora­ zioni (per es. nella Catilinaria III 1 8-2 1 ) aveva fatto in86 Non pretenderemo da C. una • comprensione storica • della su­ perst izione e. i n p a r t icol are , della d.: si trallava d i comballere una bauagl i a tu uora a u uale. Tullavia che C. non s i a sta to , nei riguardi del l a d . , u n • arido raziona l ista • . e ne a b b i a i n teso a l c u n i aspe l l i p s i ­ cologicamente e poeticamente a ffa sci n a n ti p u r negandone senza esi­ tazioni l a veri tà, lo di mostra i l l i bro 1: vedi p. LXXXIX. M a a certi fau tori d i u n miMicismo francese a l l ' u l tima moda, commisto d i strut­ turalismo c psi c a na l i s i . cii! sembrerà a ncora i ns u fficiente; ed essi tro­ vano ora seguaci a nche in I nghi l terra : cfr. qui solto, p. XCVI. 87 In Lucrezio, come è noto. religio equ ivale a .1·uperstitio, una parola che egli non usa. M a egl i, d'accordo con Epicuro, a m me t te l'esisten­ za di una vera pietas (cfr. specia l mente De rer. nar. v 1 1 98- 1 203). LX X V I

tendere al popolo la sua ferma fede nel significato veridico dei prodigi, e nel De legibus (n 20 s., 32 s.) aveva espresso sulfa d. un giudizio positivo, e si era cmt�piaciu­ to della nomina ad aut�ure (dr. qui sopra, nota 43) e an­ cor prima, nel suo vtaggio giovanile in Grecia, aveva consultato l'oracolo di Delfi,MM si sia poi scagliato con tanta foga contro ogni credenza e pratica divinatoria. La risg osta, nell'essenziale, è stata già data più d'una vol­ ta, 9 e forse ha bisogno di qualcbe piccolo ritocco solo per ciò che riguarda l'opportunità di non distinguere troppo recisamente l'atteggiamento di C. nei riguardi della d. da quello verso la religione in generale. E vero che, come si è visto, questa distmzione è stata fatta da C. stesso; ma, a veder 6ene, è una distinzione non mante­ nuta coerentemente. Bisogna, credo, distinguere tre piani (anziché due, come si tende a fare) : l'atteggiamento di C. verso la religione (e la d.) in quanto cittadino e magistrato; le sue credenze personali, nella vi ta guotidiana, non nella specifica me­ i:litazione filosofica; le idee espresse nelle opere filosofi­ che e gli scopi a cui mirano. Come cittadino e magistra­ to, C. non può non accettare le istituzioni religiose roma­ ne, le cariclie religiose, i riti in tutto il loro formalismo pedantesco, si tratti di d. o di altri campi della religione romana. Abbiamo visto come la religione romana Tosse inscindibile da tutto l'insieme degli istituti politico-giuri­ dici della Repubblica. Un conservatore politico come C. non voleva certo l'abolizione del collegto degli àuguri o dei pon tefici, né voleva che si trascurasse dt •prendere gli auspici i • in tutti i casi in cui ciò era prescntto dalla Iegge : questo ritualismo faceva parte def mo� maiorum, era un potente fattore di conservazione. Abbiamo accennato sopra (p. LXXV) al secondo motivo per cui, nel De divin. n 1 48 , C. dice che, sopprimendo la superstizione (ossia la d.), non per ciò si deve sopprime88 Cfr. P l u t arco , Cic. 5, l. Si è s upposto che in q u e gl i anni giovanili egli fosse ancora sotto l ' influenza di Posidonio: m a si puo anche pensare che abbia volu to consultare l'oracolo più per • cunosità• che per vera fede. Cfr. ora anche G u i llau m on t [ci t. a l la nota seguente], p. 1 02 s. 89 Cfr. so p r a tt u t to R.J. Goar, Cicero and rhe State Religion, Amster­ dam 1 972, che c i t a c d i sc ute anche molti lavori preceden ti: cfr. i n particolare pp. 4 1 -45, 56-72 (sull'orazione De haru.1picum re. Dunque il naufragio di tanti famosissimi condottieri e sovrani ha tolto ogni credito all 'arte di pilotare le navi? Oppure l'arte94 militare non val niente, per il fatto che poco tempo fa un comandante supremo è fuggito lasciando l'eserci­ to sconfitto ?95 O la capacità e l'awedutezza nel governare lo Stato non esistono, perché in molti errori incorse Gneo Pompeo, in parecchi Marco Catone, in qualcuno anche tu? Uguale è il caso dei responsi degli arùspici, e ogni genere di divinazione è opinabile : si basano su congetture, oltre le quali non è possibile spingersi. 25 Può darsi che talvolta la congettura sia ingannevole, ma spessissimo conduce alla verità : il suo inizio, difatti, si perde nella notte dei tempi, e siccome innumerevoli volte, dopo che si erano manifestati gli stessi presagi, accadevano quasi sempre gli stessi eventi, si è costituita l'arte divinatoria con l'osservare e col registrare più volte le stesse cose.96 xv Quale valore, poi, hanno i vostri auspicii ! I quali, invero, attualmente vengono ignorati dagli àuguri romani ( non te ne avere a male se lo dico ) , mentre sono ancora in vigore presso gli abitanti della Cilicia, della Panfilia, della Pisidia, della Licia .97 26 Non ho bisogno di rammentare il nostro ospite, il re Deiòtaro, uomo insigne ed eccellente, il quale non fa mai nulla se non dopo aver preso gli auspicii . Una volta egli aveva progettato e iniziato un viaggio. Ammonito dal volo

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proposito et constituto revertisset aquilae admonitus volatu, conclave illud, ubi erat mansurus, si ire perrexisset, proxima nocte corruit. 27 Itaque, ut ex ipso audiebam, persaepe revertit ex itinere, cum iam progressus esset multorum dierum viam . Quoius quidem hoc praeclarissimum est, quod, postea­ quam a Caesare tetrarchia et regno pecuniaque multatus est, negat se tamen eorum auspiciorum, guae sibi ad Pompeium proficiscenti secunda evenerint, paenitere; senatus enim auc­ toritatem et populi Romani libertatem atque imperii dignita­ tem suis armis esse defensam, sibique eas aves, quibus auctoribus officium et fidem secutus esset, bene consuluisse ; antiquiorem enim sibi fuisse possessionibus suis gloriam. Ille mihi videtur igitur vere augurari. Nam nostri quidem magi­ stratus auspiciis utuntur coactis ; necesse est enim offa obiecta cadere frustum ex pulii ore, cum pascitur; 28 quod autem scriptum habetis, t autt tripudium fieri, si ex ea quid in solidum ceciderit, hoc quoque, quod dixi, coactum tripudium solistimum dicitis . Itaque multa auguria, multa auspicia, quod Cato ille sapiens queritur, neglegentia collegii amissa piane et deserta sunt . XVI Nihil fere quondam maioris rei nisi auspicato ne privatim quidem gerebatur, quod etiam nunc nuptiarum auspices declarant, qui re omissa nomen tantum tenent. Nam ut nunc extis ( quamquam id ipsum aliquanto minus guam olim), sic tum avibus magnae res impetriri solebant. Itaque, sinistra dum non exquirimus, in dira et in vitiosa in­ currimus . 29 Ut P . Claudius, Appi Caeci filius, eiusque collega L. Iunius classis maxumas perdiderunt, cum vitio navigassent . Quod eodem modo evenit Agamemnoni ; qui,

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sfavorevole di un'aquila, tornò indietro ; ebbene, la stanza nella quale avrebbe sostato se avesse proseguito il suo percor­ so, crollò la notte seguente. 27 Da lui stesso ho sentito dire che più volte ritornò sui suoi passi dopo aver già compiuto un percorso di molti giorni. E di Deiòtaro è particolarmente splendido ciò che ora dirò .98 Dopo essere stato punito da Cesare con la perdita della tetrarchia, del regno, di un'ingente somma di denaro, continua a dire che non si lagna di quegli auspicii che gli si rivelarono favorevoli quando partl per unirsi all'esercito di Pompeo: ché le sue armi difesero l'autorità del senato, la libertà del popolo romano, la dignità del suo comando, e perciò gli uccelli per ammonimento' dei quali egli segul la via del dovere e della lealtà gli dettero un buon consiglio : la sua gloria doveva valere di più'l9 che i suoi possessi. Lui sl -che, a mio parere, ha seguito con spirito di verità l'arte augurale ! I nostri magistrati, invece, praticano auspicii forzati : è inevitabile che, offerto il cibo, un pezzetto di 10 esso cada giù dalla bocca del p ollo mentre sta mangiando. 0 28 Ma quanto alla p rescrizione dei vostri libri, che è favorevo ­ le l ' auspicio se dalla bocca dell ' uccell o cade a terra un pezzo del cibo, voi considerate particolarmente favorevole anche questo auspicio che ho chiamato forzato. 101 Perciò molti augu ­ rii , molti auspicii sono stati del tutto obliati o trascurati per negligenza del collegio: di ciò si duole Catone, il riostro saggio antico . 1 02

XVI Nemmeno quanto agli affari privati, se avevano qual­ che importanza, si soleva fare alcunché, nei tempi andati, senza ricorrere agli auspicii. Tuttora ciò è indicato dagli " àuspici delle nozze " , i quali, andato in disuso il loro còmpito, mantengono solo il nome. 10> Come ora all'osservazione delle viscere (sebbene anche questa pratica sia alquanto meno in vigore che un tempo) , cosl allora eran soliti, in cose importan­ ti, chiedere consiglio al volo degli uccelli . 104 Perciò, se non ricerchiamo con cura i presagi favorevoli, andiamo soggetti a quelli malauguranti e infausti. 29 Per esempio Publio Clau­ dio, figlio di Appio il c i eco , e il suo collega Lucio Giunio persero ingenti flotte, perché avevano preso il mare con auspicii contrari. 100 Parimenti ciò accadde ad Agamennone, il

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cum Achivi coepissent " fnter sese strépere aperteque artem obterere extispicum, s6lvere imperat secundo rumore adversaque avi. " Sed quid vetera? M. Crasso quid acciderit videmus, dirarum obnuntiatione neglecta. In quo Appius, collega tuus, bonus augur, ut ex te a udire soleo, non satis scienter virum bonum et civem egregium censor C. Ateium notavit, quod ementitum auspicia subscriberet. Esto ; fuerit hoc censoris, si iudicabat ementitum ; at illud minime auguris, quod 'adscripsit oh eam causam populum Romanum calamitatem maxumam cepisse. Si enim ea causa calamitatis fuit, non in e.o est culpa, qui obnuntiavit, sed in eo, qui non paruit. Veram enim fuisse obnuntiationem, ut ait idem augur et censor, exitus adproba­ vit ; quae si falsa fuisset, nullam adferre potuisset causam calamitatis. Etenim dirae, sicut cetera auspicia, ut omina, ut signa, non causas adferunt, cur quid eveniat, sed nuntiant eventura, nisi provideris. 30 Non igitur obnuntiatio Atei causam finxit calamitatis, sed signo obiecto monuit Crassum, quid eventurum esset, nisi cavisset . Ita aut illa obnuntiatio nihil valuit aut, si, ut Appius iudicat, valuit, id valuit, ut peccatum haereat non in eo qui monuerit, sed in eo qui non obtemperarit . XVII Quid ? Lituus iste vester, quod clarissumum est insigne auguratus, unde vobis est traditus? Nempe eo Romulus regiones dire'x it ' "ium, cum urbem condidit. Qui quidem Romuli lituus, id est incurvum et leviter a summo inflexum bacill u m, quod ab eius litui, quo canitur, similitudipe nomen invenit , cum situs esset in curia Saliorum, quae est in Palatio,

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quale, poiché gli Achei avevano incominciato " a schiamazzare tra loro e a denigrare apertamente l'arte degli scrutatori di viscere, ordina di salpare col plauso delle truppe e con l'ostilità dei presagi. " 1 06 Ma a che scopo rievocare fatti remoti? Che cosa . sia accaduto a Marco Crasso lo sappiamo, per avere spregiato il divieto dei presagi infausti. 107 In questa circostanza108 Appio, tuo collega e bravo àugure (come spesso mi hai detto ) , con scarsa cognizione di causa, in qualità di censore, inflisse un

biasimo a Gaio Ateio, ottimo uomo ed egregio cittadino , per­ ché ( q uesta la motivazione) aveva annunziato auspicii falsi. Sia pure, ammettiamo che quello fosse il suo dovere d i censo­ re, se giudicava che Ateio avesse trasgredito quel divieto; m a non fece i l s u o dovere di àugure, d a l momento che aggiunse per iscritto che per quella causa il popolo romano aveva subì­ to una gravissima sciagura . Se, infatti, fu quella la causa della sciagura, la colpa non va attribuita a chi la predisse, ma a chi non obbedì alla d issuasione. Che la dissuasione fosse giusta, come disse Appio, àugure e censore nello stesso tempo, fu dimostrato dagli eventi; se fosse stata falsa, Appio non avreb­ be saputo a d d u rre alcuna altra causa della s ciagura . E in realtà le predizioni infauste, come gli altri auspicii, presagi, segni, non ci dicono le cause per cui qualcosa awerrà, ma ci annunziano che qualcosa di m ale awerrà se non correrai ai ri­ pari. 30 La premonizione di Ateio, d unque, non c reò la cau­ sa della sventura , m a , mostrando il segno infausto, awertì C rasso di che cosa sarebbe awen uto se egli non avesse rinun ­ ciato ai suoi p rogetti . Dunque o quell' ammonimento non va­ leva niente , o , se valeva (e di ciò Appio era persuaso) , la colpa doveva essere non di chi aveva ammonito, ma di chi non ave­ va obbedito.

xvn E quel vostro lituo, 109 che è la più cospicua insegna degli àuguri, donde vi è stato tramandato ? Fu con esso che Romolo tracciò le regioni del cielo quando fondò la città. Questo lituo di Romolo - cioè un bastoncino curvo e legger­ mente piegato nella parte superiore, che derivò questo suo nome dalla somiglianza col lituo, tromba di guerrauo - era conservato nella curia dei Salii, sul Palatino, e, quando essa fu

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eaque deflagravisset, inventus est integer. 31 Quid ? Multis annis post Rom ulum, Prisco regnante Tarquinio, quis veterum scriptorum non loquitur quae sit ab Atto Navio per lituum regionum facta discriptio ? Qui cum propter paupertatem sues puer pasceret, una ex iis amissa, vovisse dicitur, si recuperas­ set, uvam se deo daturum, quae maxima esset in vinea; itaque, sue inventa, ad meridiem spectans in vinea media dicitur constitisse, cumque in quattuor partis vineam divisisset trisque partis aves abdixissent , quarta parte, guae erat reliqua, in regiones distributa, mirabili magnitudine uvam, ut scriptum videmus, invenit . Qua re celebrata, cum vicini omnes ad eum de rebus suis referrent, erat in magno nomine et gloria . 32 Ex quo factum est, ut eum ad se rex Priscus arcesseret . Cuius cum temptaret scientiam auguratus, dixit ei cogitare se quiddam ; id possetne fieri, consuluit. Ille augurio acto posse respondit. Tarquinius autem dixit se cogitasse cotem novacula posse p raecidi; tum Attum iussisse experiri. Ita cotem in comitium allatam inspectante et rege et populo novacula esse discissam . Ex eo evenit ut et Tarquinius augure Atto Navio uteretur et populus de suis reb us ad eum referret. 33 Cotem autem illam et novaculam defossam in comitio supraque impositum p uteal accepimus. Negemus omnia, comburamus annales, ficta haec esse dicamus, quidvis denique potius quam deos res humanas curare fateamur; quid quod scriptum apud te est de Ti. Graccho, nonne et augurum et haruspicum cornprobat disci­ plinam? Qui cum tabernaculum vitio cepisset inprudens, quod inauspicato pomerium transgressus esset, comitia consu­ libus rogandis habuit. Nota res est et a te ipso mandata monumeritis. Sed et ipse augur Ti. Gracchus auspiciorum

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distrutta dalle fiamme, fu ritrovato intatto. 1 1 1 31 E ancora : c'è qualche scrittore antico che non racconti come, molti anni dopo :Romolo, sotto il regno di Tarquinio Prisco , 1 12 sia stata fatta da Atto Navio una ripartizione delle regioni celesti mediante il lituo ? Costui era un povero ragazzo che menava al pascolo le scrofe. Si dice che, avendone perduta una, fece voto a un dio11l che, se l'avesse ritrovata, gli avrebbe offerto la più bella uva di una vigna che c'era 11. Trovata la scrofa, dicono, sostò in mezzo alla vigna, rivolto verso sud, 1 14 e divise la vigna in quattro parti. Tre parti ricevettero dagli uccelli segni sfavorevoli; avendo allora distribuita in regioni la quarta parte restante, trovò (lo tramandano gli scrittori) dell'uva di meravi­ gliosa grandezza. La cosa si seppe : tutto il vicinato si rivolgeva a lui per chieder consigli; aveva acquistato grande rinomanza e prestigio . 32 Avvenne quindi che il re Tarquinio Prisco lo mandasse a chiamare. Desideroso di mettere alla prova le sue doti di àugure, w il re gli disse che stava pensando a una cosa: gli chiese se questa cosa si poteva fare. Atto, dopo avere compiuto il rito augurale, gli rispose che era possibile. 1 16 Tarquinio allora disse che aveva pensato alla possibilità di tagliare una cote1 1 7 con un rasoio, e ordinò ad Atto di provare a far ciò . 11 H Ed ecco che una pietra, portata nel comizio, 1 19 alla presenza del re e del popolo fu spaccata con un rasoio. In seguito a ciò Tarquinio assunse Atto Navio come àugure, e il popolo andava a chiedergli consiglio per il da farsi. 3} Quanto a quella pietra e al rasoio, furono deposti in una fossa scavata nel comizio, e tutt'intorno fu innalzato un parapetto : cosl si narra. Neghiamo pure tutto ciò, bruciamo gli annali, 120 diciamo che son tutte finzioni, dichiariamo che tutto è possibile tranne che gli dèi si curino delle cose umane. 1 2 1 Ma ciò che tu stesso hai scritto quanto a Tiberio Gracco122 non conferma la dottrina degli àuguri e degli arùspici ? Egli per sbadataggine aveva posto la tenda augurale violando le leggi divine, perché aveva attraversato il pomerio senza prendere gli auspicii; e presiedette i comizi per eleggere i nuovi consoli. 12J Che cosa accadde allora, è noto e tu stesso lo hai tramandato nella tua opera . Ma Tiberio Gracco, àugure egli stesso, avvalorò l'auto-

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auctoritatem confessione errati sui comprobavit, et haruspi­ cum disciplinae magna accessit auctoritas, qui recentibus comitiis in senatum introducti negaverunt iustum comitiorum rogatorem fuisse. XVIII 34 lis igitur adsentior, qui duo genera divinationum esse dixerunt, unum, quod particeps esset artis, alterum, quod arte careret. Est enim ars in iis, qui novas res coniectura persequuntur, veteres observatione didicerunt . Carent autem arte ii, qui non ratione aut coniectura observatis ac notatis signis, sed concitatione quadam animi aut saluto liberoque motu futura praesentiunt, quod et somniantibus saepe contin­ git et non numquam vaticinantibus per furorem, ut Bacis Boeotius, ut Epimenides Cres, ut Sibylla Erythrea. Cuius generis oracl a etiam habenda sunt, non ea guae aequatis sortibus ducuntur, sed illa quae instinctu divino adflatuque funduntur; etsi ipsa sors contemnenda non est, si et auctorita­ tem habet vetustatis, ut eae sunt sortes, quas e terra editas accepimus ; guae tamen ductae ut in rem apte cadant fieri credo posse divinitus. Quorum omnium interpretes, ut gram­ matici poetarum, proxime ad eorum, quos interpretantur, divinationem videntur accedere. 35 Quae est igitur ista calliditas, res vetustate robustas calumniando velle pervertere? " Non reperio causam . " Latet fortasse obscuritate involuta naturae; non enim me deus ista scire, sed his tantum modo uti voluit. Utar igitur nec adducar aut in extis totam Etruriam delirare aut eandem gentem in fulgoribus errare aut fallaciter portenta interpretati, cum terrae saepe fremitus, saepe mugi­ tus, saepe motus multa nostrae rei publicae, multa ceteris

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rità degli auspicii confessando il proprio errore, e ne risultò molto accresciuto il prestigio della dottrina degli arùspici, i quali, fatti venire in senato poco dopo che si erano iniziati i comizi, dichiararono che colui che aveva presieduto i comizi non aveva agito secondo le regole. 124 xvm 34 Io sono dunque d'accordo con quelli che hanno sostenuto l'esistenza di due generi di divinazione, 125 l'uno partecipe dell'arte, l' altro estraneo all'arte. Si attengono all'ar­ te coloro che interpretano per congettura i fatti nuovi, conoscono quelli vecchi per le osservazioni del passato. 126 Sono invece privi d'arte coloro che presagiscono il futuro non con ragionamenti e congetture, in base ai segni osservati e registrati, ma in seguito a non so quale eccitazione psichica, per un moto dell'animo libero e sciolto dal raziocinio : ciò accade spesso in sogno, talvolta a quelli che gridano profezie in stato di esaltazione, come Bacide in Beozia, come Epimeni­ de a Creta, come la Sibill a eritrea. 127 Di questo genere sono da considerare anche i responsi degli oracoli, non quelli che vengono dati mediante sorti " pareggiate " , 128 ma quelli che vengono p ronunciati per ispirazione e afflato divino. Tuttavia nemmeno le sorti sono da disprezzare, se sono anche129 autorevoli per la loro antichità, come quelle che, a quanto ci assicurano, sono state estratte dal terreno ; uo se poi, tratte a caso, accade che formino un discorso di senso compiuto, credo che ciò possa attribuirsi a intervento divino. I J I Gli interpreti di tali sorti, come i filologi interpreti dei poeti, sembrano, più di tutti, vicini alla natura di quegli dèi che essi interpretano. m 3.5 Che malizia è questa, dunque, di volere infirmare con cavilli cose che attingono forza dalla loro antichità? " Non trovo una causa di questi fatti, " ripetono. m Probabilmente la causa è ascosa, sepolta nell'oscurità della Natura : ché la divinità non ha voluto che io sapessi queste cose, ma soltanto che me ne servissi. Dunque me ne servirò, e non mi lascerò indurre a credere che, quanto ai presagi delle viscere, l'Etruria tutta134 sragioni, né che quel popolo si sbagli riguardo ai fulmini, né che interpreti falsamente i prodìgi, poiché tante volte i rumori e i boati sotterranei e i terremoti hanno predetto al nostro Stato e alle altre genti molti fatti

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civitatibus gravia et �ta-praedixerint. 36 Quid-? qui inride­ tur partus hic mulae nonne, quia fetus exstitit in sterilitate naturae, praedictus est ab haruspicibus incredibilis partus malorum? Quid ? Ti. Gracchus Publi filius, qui bis consul et censor fuit, idemque et summus augur et vir sapiens civisque praestans, nonne, ut C. Gracchus, filius eius, scriptum reli­ quit, duobus anguibus domi comprehensis haruspices convo­ cavit ? Qui curo respondissent, si marem emisisset, uxori brevi tempore esse moriendum, si feminam, ipsi, aequius esse censuit se maturam oppetere mortem quam P. Africani filiam adulescentem ; feminam emisit, ipse paucis post diebus est mortuus. XIX Inrideamus haruspices, vanos, futtiles esse dicamus, quorumque disciplinam et sapientissimus vir et eventus ac res comprobavit contemnamus ; etiam Babylo­ nem et eos qui e Caucaso caeli signa servantes numeris et motibus stellarum cursus persequuntur ; condemnemus, in­ quam, hos aut stultitiae aut vanitatis aut impudentiae, qui quadringenta septuaginta milia annorum, ut ipsi dicunt, mo­ numentis comprehensa continent, et mentiti iudicemus nec saeculorum reliquorum iudicium, quod de ipsis futurum sit, pertimescere . 37 Age, barbari vani atque fallaces ; num etiam Graiorum historia mentita est ? quae Croeso Pythius Apollo, ut de naturali divinatione dicam, quae Atheniensibus, quae Lacedaemoniis , quae Tegeatis, quae Argivis, quae Co­ rinthiis responderit, quis ignorat ? Conlegit innumerabilia oracula Chrysippus nec ullum sine locuplete auctore atque teste; quae, quia nota tibi sunt, relinquo ; defendo unum hoc: numquam illud oraclum Delphis tam celebre et tam clarum fuisset neque tantis donis refertum omnium populorum atque regum, nisi omnis aetas oraclorum illorum veritat:em esset experta. 38 " Idem iam diu non facit. " Ut igitur nunc minore gloria est, quia minus oraculorum veritas excellit, sic

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gravi e veri. 36 E ancora: questo famoso parto di una mula, che viene deriso, non è stato dichiarato dagli arùspici eccezio­ nale parto di sventure, proprio perché in un organo genitale sterile si era formato un feto ? m E Tiberio Gracco figlio di Publio, che fu due volte console e censore e àugure di grande autorità e uomo saggio e cittadino esemplare, non chiamò forse gli arùspici perché aveva trovato in casa sua una coppia di serpenti? Ce ne ha lasciato notizia scritta suo figlio Gaio Gracco. m Gli arùspici risposero che, se avesse lasciato andar via il serpente maschio, entro breve tempo sarebbe morta sua moglie; se la femmina, sarebbe morto lui. Considerò più giusto morire lui, già arrivato vicino al termine della vita, piuttosto che sua moglie, figlia ancor giovane di Publio Scipione Africano : lasciò andar via il serpente femmina, e pochi giorni dopo morl. x r x Deridiamo pure gli arùspici, chiamiamoli ciurmadori e sciocchi, spregiamo la loro dottrina che pur fu dimostrata vera da un uomo di somma sapienza e da ciò che in effetti gli accadde. m Condanniamo anche i Babilonesill8 e coloro che, osservando gli astri dall'alto del Caucaso, IJ9 coi loro calcoli indagano i movimenti delle stelle. Condanniamoli, dico, per stoltezza o leggerezza o malafede, essi che, per loro stessa dichiarazione, conservano le registrazioni scritte riguardanti 470.000 anni, e sentenziamo che mentiscono e non temono il giudizio che su di loro p ronunceranno i secoli futu,­ ri. 3 7 Ma, si dirà, i barbari sono infidi e mentitori. E intessuta di menzogna anche la storia dei greci ? Chi non sa parlo della divinazione naturale - i responsi dati da Apollo delfico a Creso, e poi ancora agli ateniesi, agli spartani, ai tegeati, agli argivi, ai corinzi? 1 4° Crisippo raccolse innumerevo­ li oracoli, ciascuno con copiose testimonianze e documenti. Poiché li conosci, non sto a enumerarli. Questa cosa sola voglio asserire : l'oracolo di Delfi non sarebbe mai stato cosl frequentato e cosl famoso, né arricchito di cosl splendidi doni di tutti i popoli e i re, se in ogni tempo non si fosse sperimentata la veridicità dei suoi responsi. 38 " Ma, " dico­ no, " già da tempo non si comporta più cosl. " 141 Ebbene, come adesso gode minore fama perché la verità delle sue profezie è

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tum, nisi summa veritate, in tanta gloria non fuisset. Potest autem vis ill a terrae, quae mentem Pythiae divino adflatu concitabat, evanuisse vetustate, ut quosdam evanuisse et exaruisse amnes aut in alium cursum contortos et deflexos videmus . Sed ut vis acciderit (magna enim quaestio est ) , modo maneat id quod negari non potest nisi omnem historiam perverterimus: multis saeclis verax fuisse id oraculum. xx 39 Sed omittamus oracula, veniamus ad somnia. De quibus disputans Chrysippus, multis et minutis somniis conli­ gendis, facit idem quod Antipater, ea conquirens quae, Anti­ phontis interpretatione explicata, declarant ill a quidem acu­ men interpretis, sed exemplis grandioribus decuit uti. Dionysi mater, eius qui Syracosiorum tyrannus fuit, ut scriptum apud Philistum est, et doctum hominem et diligentem et aequalem temporum ill o rum, cum praegnans bune ipsum Dionysium alvo contineret, somniavit se peperisse Satyriscum . Huic interpretes portentorum, qui Galeotae tum in Sicilia nomina­ bantur, responderunt, ut ait Philistus, eum, quem illa peperis­ set, clarissimum Graeciae diuturna cum fortuna fore. 40 Num te ad fabulas revoco vel nostrorum vel Graecorum poetarum ? Narrat enim et apud Ennium Vestalis ill a : " Et cita cum tremulis anus attulit artubus lumen, talia tum memorat lacrimans, exterrita somno : 'Eurydica prognata, pater quam noster amavit, vires vitaque corpus meum nunc deserit omne. Nam me visus homo pulcher per amoena salicta et ripas raptare locosque novos. lta sola postilla, germana soror, errare videbar tardaque vestigare et quaerere te, neque posse

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meno insigne, così allora non avrebbe raggiunto una fama così grande se non in virtù della sua somma veridicità. Può darsi, del resto, che quella potenza, emanante dalla terra, che investiva di afflato divino la mente della sacerdotessa, si sia affievolita col passare del tempo, allo stesso modo in cui vediamo che certi fiumi sono svaporati e si sono inariditi, o hanno cambiato direzione e si sono avviati per un itinerario diverso dal p recedente. Scegli pure l'ipotesi che preferisci (poiché si tratta di una questione molto incerta), a condizione che rimanga fermo ciò che non può esser negato se non vogliamo sovvertire tutta la storia : per molti secoli quell 'ora­ colo fu verace. xx 39 Ma lasciamo stare gli oracoli, veniamo ai sogni. Nel trattare di essi Crisippo, raccogliendo molti sogni anche di scarsa importanza, segue lo stesso sistema a cui si è attenuto poi Antipatro, cioè indaga quelli che, spiegati mediante l'interpretazione di Antifonte, rivelano, certo, l'acume dell'in­ terprete; ma meglio sarebbe stato ricorrere a esempi di maggior rilievo. 142 La madre di Dionisio, di quello che fu tiranno di Siracusa, a quanto si legge in Filisto, uomo dotto e accurato e vissuto in quegli stessi tempi, mentre era appunto incinta di Dionisio sognò di aver partorito un satiretto. 1 4 1 Gli interpreti dei prodigi, che allora in Sicilia si chiamavano Galeoti, 144 le dissero (ce lo testimonia ancora Filisto) che il figlio che essa stava per dare alla luce sarebbe stato l' uomo più fa m o s o d e l l a G r e c i a e avr e b b e a v u t o una fo r t u n a costante 40 Vuoi che ti rammenti le leggende narrate dai poeti nostri o dai greci ? Anche in Ennio quella famosa vestale narra : 145 "E appena la vecchia, frettolosa, ebbe portato una lucerna con mani tremanti, essa cosl dice piangendo, svegliatasi spaurita dal sonno : 'O figlia di Euridice, che nostro padre amò, io sento tutto il mio corpo privo di forza e di spirito vitale. Mi pareva, in sogno, che un uomo bello mi rapisse portandomi per ameni filari di salici e per rive e per luoghi mai visti. E così, poi, sola mi sembrava di vagare, sorella mia cara, 146 e di avanzare a passi incerti e di cercare te, ma di non poter raggiungerti nella mia mente : 147 nessun sentiero guidava

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corde capessere: semita nulla pedem stabilitat.

4 1 Exim compellare pater me voce videtur

his verbis: O gnata, tibi sunt ante gerendae aerumnae, post ex fluvio fortuna resistet. Haec ecfatus pater, germana, repente recessit nec sese dedit in conspectum corde cupitus, quamquam multa manus ad caeli caerula tempia tendebam lacrumans et blanda voce vocabam. V ix aegro cum corde meo me somnus reliquit . ' " xxr 42 Haec, etiamsi ficta sunt a poeta, non absunt tamen a consuetudine somniorum. Sit sane etiam illud commenti­ cium, quo Priamus est conturbatus, quia

" mater gravida parere se ardentém facem visa est in somnis Hécuba ; quo facto pater rex fpse Priamus somnio, mends metu perculsus, curis sumptus suspirantibus, exsacrificabat hostiis balantibus. Tum coniecturam postulat pacém petens, ut se édoceret obsecrans Apollinem quo sése vertant tantae sortes somnium. !bi éx oraclo voce divina édidit Apollo : puerum, pdmus Priamo qui foret postfl.la natus, témperaret tollere : eum ésse exitium Troiae, pestem Pérgamo. " 43 Sint haec, ut dixi, somnia fabularum , hisque adiungatur

etiam Aeneae somnium, quod nimirum in Fabi Pictoris Graecis annalibus eius modi est, ut omnia guae ab Aenea gesta sunt quaeque illi acciderunt, ea fuerint guae ei secundum quietem visa sunt . xxu Sed propiora videamus. Cuiusnam modi est Superbi Tarquini somnium , de quo in Bruto Acci loquitur ipse ? " Quoniam quieti corpus nocturno impetu dedi, sopore placans artus languidos, visust in somnis pastor ad me appéllere 44

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sicuro 148 il mio piede. 41 Poco dopo, ecco, mi sembra che il padre mi rivolga queste parole: - O figlia, dapprima dovrai sopportare affanni, poi la tua fortuna riemergerà da un fiume -. Come ebbe detto ciò, sorella mia, il padre scomparve d'un tratto, né si mostrò al mio sguardo benché nel mio cuore lo desiderassi: a nulla valse che più volte io tendessi le mani all'azzurra volta del cielo149 e lo· invocassi con tenere parole. Or ora il sonno mi ha abbandonato lasciando il mio cuore afflitto. "' XXI 42 Anche se tutto ciò è invenzione poetica, non si discosta da tanti altri tipi di sogni realmente accaduti. Ammet­ tiamo pure che sia inventato quel sogno dal quale Priamo rimase turbato, perché150 " la madre, Ecuba, mentre era incin­ ta, sognò che partoriva una fiaccola ardente. In seguito a ciò il padre, il re Priamo in persona, preso da timore in cuor suo per questo sogno, afflitto da ansie che si effondevano in sospiri, compiva sacrifici di vittime belanti. Quindi, implorando pace, chiede un responso, scongiura Apollo di fargli sapere a che cosa accennino presagi di sogni così gravi. Allora con voce divina Apollo rispose dall'oracolo : il bambino che per primo nascesse tra breve a Priamo, si guardasse bene dall ' allevarlo : sarebbe stato rovina a Troia, sciagura a Pergamo. " 43 Ammettiamo pure, ripeto, che queste siano leggende immaginarie, ul e a esse aggiungiamo anche il sogno di Enea, che, come ben sai, negli Annali scritti in greco da Fabio Pittore è narrato in modo che tutto ciò che fu poi compiuto da Enea e che gli accadde corrisponda esattamente alle cose a lui apparse mentre era immerso nel sonno. 1 52 xxu Ma vediamo eventi meno remoti. Che dire del sogno di Tarquinia il Superbo, che egli stesso narra nel Bruto di Accio ?153 44 " Dopo che, al cadere della notte, ebbi abbandonato il corpo al sonno, rilasciando nel sopore le membra stanche, mi apparve in sogno un p astore che spingeva verso di me un gregge lanoso di straordinaria bellezza; mi pareva che da quel

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pecus lanigerum exfmia pulchritudine; duos c6nsanguineos arietes inde éligi praeclarioremque alterum immolare me; deinde éius germanum c6rnibus conftier, in me arietare, eoque fctu me ad casum dari; exfm prostratum térra, graviter saucium, resupfnum in caelo c6ntueri maxumum ac mirfficum facinus : déxtrorsum orbem flammeum radiatum ;olis lfquier cursu novo. " 45 Eius igitur somnii a coniectoribus quae sit interpretatio facta videamus :

" Réx, quae in vita usurpant homines, c6gitant curant [vident, quaéque agunt vigilantes agitantque, éa si cui in somno [accidunt, minus mirandum est ; séd in re tanta baud témere visa [se 6fferunt. Pr6in vide ne, quém tu esse hebetem députes aeque ac [pecus, fs sapientia munitum péctus egregium gerat téque regno expéllat; nam id, quod dé sole ostentum est tibi, p6pulo commutationem rérum portendft fore pérpropinquam. Haec béne verruncent p6pulo ! Nam quod [ad déxteram cépit cursum ab laeva signum praepotens, pulchérrume auguratum est rém Romanam publicam summam fore. " xxm 46 Age nunc ad externa redeamus. Matrem Phalari­ dis scribit Ponticus Heraclides, doctus vir, auditor et discipu­ lus Platonis, visam esse videre in somnis simulacra deorum, quae ipsa domi consecravisset ; ex iis Mercurium e patera, quam dextera manu teneret, sanguinem visum esse fundere; qui cum terram attigisset, refervescere videretur sic, ut tota domus sanguine redundaret . Quod matris somnium immanis

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gregge venissero scelti due arieti consanguinei e che io immolassi il più imponente dei due; poi il fratello dell'ucciso puntava le corna, si avventava per colpirmi e con quell'urto mi abbatteva. Io allora, prostrato a terra, gravemente ferito, alzavo supino gli occhi al cielo e vedevo un fatto immenso e straordinario : il disco fiammeggiante del sole, effondendo i suoi raggi, si dileguava verso destra invertendo il suo cammino nel cielo . " 45 Ebbene, vediamo quale fu l'interpretazione di quel sogno da parte degl'indovini: 1" " O re, le cose che nell.a vita gli uomini sogliono fare, le cose che pensano, curano, vedono, e che da svegli compiono e alle quali s'affaccendano, non c'è da meravigliarsi se accadono a qualcuno in sogno ; ma in una circostanza così straordinaria non senza motivo le visioni si p resentano. Sta dunque attento, che colui che tu stimi sciocco al pari di una bestia, non abbia una mente munita di ingegno , al di sopra del gregge, e non ti sbalzi dal trono. Ché quello che ti è apparso riguardo al sole, dimostra che avverrà per il popolo un mutamento assai vicino nel tempo. Possa tutto ciò volgersi in bene per il popolo ! Il fatto che l'astro più potente abbia intrapreso il suo corso verso destra da sinistra, è un faustissimo augurio che lo Stato romano sarà eccelso. " XXIII 46 Suvvia, torniamo ora a fatti di paesi stranieri. Eraclìde Pontico, uomo dotto, uditore e scolaro di Platone, scrive che alla madre di Falàride sembrò di vedere in sogno le immagini degli dèi d�e essa stessa aveva consacrato nella sua casa. Una di queste, l'immagine di Mercurio, sembrava versas­ se del sangue dalla coppa che teneva con la mano destra ; appena aveva toccato terra, il sangue ribolliva, sl che tutta la casa era un lago di sangue. Questo sogno della madre fu

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filii crudelitas comprobavit. Quid ego, quae magi Cyro illi principi interpretati sint, ex Dinonis Persicis libris proferam? Nam cum dormienti ei sol ad pedes visus esset, ter eum scribit frustra adpetivisse manibus, cum se convolvens sol elaberetur et abiret ; ei magos dixisse, quod genus sapientium et docto­ rum habebatur in Persis, ex triplici adpetitione solis triginta annos Cyrum regnaturum esse portendi. Quod ita contigit ; nam ad septuagesimum pervenit, cum quadraginta natus annos regnare coepisset . 47 Est profecto quiddam etiam in barbaris gentibus prae­ sentiens atque divinans, siquidem ad mortem proficiscens Callanus Indus, cum inscenderet in rogum ardentem, " O praeclarum discessum, " inquit, " e vita, cum, ut Herculi contigit, mortali corpore cremato, in lucem animus excesse­ rit ! " Cumque Alexander eum rogaret, si quid vellet, ut diceret, " Optume , " inquit ; " propediem te videbo. " Quod ita contigit ; nam Babylone paucis post diebus Alexander est mortuus . Discedo parumper a somniis, ad quae mox revertar. Qua nocte templum Ephesiae Dianae deflagravit, eadem constat ex Olympiade natum esse Alexandrum, atque, ubi lucere coepisset, clamitasse magos pestem ac perniciem Asiae proxuma nocte natam. XXIV 48 Haec de Indis et magis; redeamus ad somnia. Hannibalem Coelius scribit, cum columnam auream, quae esset in fano Iunonis Laciniae, auferre vellet dubitaretque, utrum ea solida esset an extrinsecus inaurata, perterebravisse, cumque solidam invenisset, statuisse tollere. Ei secundum quietem visam esse Iunonem praedicere ne id faceret, minari­ que, si fecisset, se curaturam ut eum quoque oculum, quo bene videret, amitteret; idque ab homine acuto non esse neglectum ; itaque ex eo auro, quod exterebratum esset, buculam curasse faciendam et eam in summa columna conlocavisse. 49 Hoc item in Sileni, quem Coelius sequitur, Graeca historia est (is autem diligentissume res Hannibalis

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confermato dall'efferata crudeltà del figlio. m C'è bisogno che io citi dai Libri persiani di Dinone la profezia che i maghi rivelarono a Ciro, quel famoso antico re? Scrive Dinone che, in sogno, parve a Ciro che il sole gli si posasse ai piedi ; tre volte Ciro cercò di toccarlo con le mani, ma invano : il sole, girando su se stesso, gli sfuggiva e si allontanava. I maghi venerati in Persia come una stirpe di sapienti e di dotti - da questo triplice tentativo di afferrare il sole trassero la profezia che Ciro avrebbe regnato per trent'anni. E così awenne : giunse fino all'età di settant'anni, e il suo regno incominciò quando ne aveva quaranta. 1'6 47 C ' è senza dubbio anche nei popoli barbari una capacità di presentimento e di divinazione. m L 'indiano Callano, recan­ dosi alla morte, nell'atto di salire sul rogo ardente, esclamò : " Oh, splendida separazione dalla vita ! Come accadde a Ercole, dopo che sarà incenerito questo corpo mortale, la mia anima ascenderà al regno della· luce. " E siccome Alessandro gli chiese di dire se desiderava qualcosa prima di morire, egli rispose : " Grazie : fra poco ti rivedrò . " 1' 8 E cosl awenne: pochi giorni dopo Alessandro morì a Babilonia. Mi sto allontanando per un poco dai sogni, ai quali presto ritornerò. 1'9 Si sa che, nella stessa notte in cui fu distrutto dalle fiamme il tempio di Diana Efesia, Olimpiade diede alla luce Alessandro, e appena si fece giorno i maghi si misero a gridare che nella notte allora trascorsa era nata la rovina, la sciagura per l' Asia . 160 XXIV 48 Basti ciò quanto agli indiani e ai maghi; ritornia­ mo ai sogni. Celio Antipatro161 scrive che Annibale, desideroso di portar via una colonna d'oro che si trovava nel tempio di Giunone Lacinia, ma dubbioso se fosse d'oro massiccio o soltanto dorata all'esterno, la fece trapanare e, accertatosi che era tutta d'oro, decise di asportarla. Durante il sonno gli apparve Giunone e lo ammonì a npn farlo, minacciandolo che, se l'avesse fatto, essa gli avrebbe fatto perdere anche l'unico occhio con cui vedeva bene. Quell'uomo sagace non trascurò l'ammonimento e, con quella parte d'oro che era stata tolta nella trapanazione, fece fare una piccola effigie d'una giovenca e la fece collocare in cima alla colonna. 49 Un altro episodio è riferito nella storia, scritta in greco, di Sileno, da cui lo

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persecutus est) : Hannibalem, cum cepisset Sagunì:um, visum esse in somnis a Iove in deorum concilium vocari; qua cum venisset, Iovem imperavisse, ut Italiae bellum inferret, ducem­ que ei unum e concilio datum, quo illum utentem cum exercitu progredì coepisse ; tum ei ducem illum praecepisse ne respiceret; illum autem id diutius facere non potuisse elatum­ que cupiditate respexisse ; tum visam beluam vastam et imma­ nem circumplicatam serpentibus, quacumque incederet, om­ nia arbusta, virgulta, tecta pervertere, et eum admiratum quaesisse de dea quodnam illud esset tale monstrum, et deum respondisse vastitatem esse Italiae praecepisseque ut per­ geret protinus, quid retro atque a tergo fieret ne laboraret. 5 0 Apud Agathoclem scriptum in historia est Hamilcarem Karthaginiensem, cum oppugnaret Syracusas, visum esse audire vocem se postridie cenaturum Syracusis ; cum autem is dies inluxisset, magnam seditionem in castris eius inter Poenos et Siculos milites esse factam ; quod cum sensissent Syracusani, improviso eos in castra inrupisse Hamil­ caremque ab iis vivum esse sublatum: ita res somnium comprobavit. Piena exemplorum est historia, tum referta vita communis . 51 At vero P. Decius ille Quinti filius, qui primus e Deciis consul fuit, cum esset tribunus militum M. Valeria A. Cornelio consulibus, a Samnitibusque premeretur noster exercitus, cum pericula proeliorum iniret audacius monereturque, ut cautior esset, dixit, quod exstat in annali­ bus, sibi in somnis visum esse, cum in mediis hostibus versaretur, occidere cum maxuma gloria. Et tum quidem incolumis exercitum obsidione liberavit; post triennium au­ tem, cum consul esset, devovit se et in aciem Latinorum inrupit armatus. Qua eius facto superati sunt et deleti Latini. Cuius mors ita gloriosa fuit, ut eandem concupisceret filius. xxv 52 Sed veniamus nunc, si placet, ad somnia philoso-

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attinse Celio (Sileno narrò con grande accuratezza le imprese di Annibale ) . 162 Dopo la presa di Sagunto, Annibale sognò che era chiamato da Giove nel concilio degli dèi . Giunto là, si sentl ordinare da Giove di portar guerra all'Italia, e gli venne dato come guida un dio del concilio . Seguendo le indicazioni di costui, incominciò' a mettersi in marcia con l'esercito . Quel dio, allora, gli ordinò di non voltarsi a guardare indietro . Ma Annibale non riuscì a resistere a lungo, e, cedendo alla bramosia di vedere, si voltò. Vide una belva enorme e orrenda, cinta da serpenti, la quale, dove passava, abbatteva ogni albero, ogni virgulto, ogni casa. Annibale, stupefatto, chiese al dio che lo guidava che cos'era mai un mostro di quella sorta; e il dio rispose che quella era la devastazione dell'Italia e gli ordinò di continuare il cammino, senza curarsi di ciò che avveniva dietro, alle sue spalle. 50 Nella Storia di Agatocle1M si legge che ad Amilcare cartaginese, mentre assediava Siracu­ sa, parve di udire una voce che gli diceva : " Domani cenerai a Siracusa. " Appena spuntata l'alba del giorno dopo, nel suo accampamento sorse una grande rissa fra i soldati cartaginesi e quelli slculi. I siracusani se ne accorsero, fecero un'irruzione improvvisa nell'accampamento e presero vivo Amilcare: cosl i fatti confermarono la verità del sogno. Di esempi analoghi è p iena la sto ria , è a d d i rittura ricolma la vita q uoti­ diana. 5 1 Esempio più illustre che mai, 164 Publio Decio figlio di Quinto, il primo della famiglia dei Decii che fu eletto console, quando era tribuno militare sotto i consoli Marco Valerio e Aulo Cornelio e il nostro esercito era incalzato dai sanniti, poiché affrontava con eccessiva temerità i pericoli del combattimento e lo ammonivano a esser più prudente, disse lo narrano le storie - che in sogno gli era parso di morire gloriosissimamente nel folto della mischia. E quella volta rimase incolume e liberò l'esercito dalla morsa dei sanniti; ma tre anni dopo, quando fu console, offrì se stesso in sacrifizio agli dèi e, indossate le armi, si lanciò contro l'esercito dei latini. Grazie al suo impeto, i latini furono sconfitti e annienta­ ti; e la sua morte fu cosl gloriosa, che suo figlio volle ottenerne una uguale. �65 xxv 52 Ma, se sei d'accordo, passiamo ai sogni dei filoso-

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phorum . Est apud Platonem Soc:rates, cum esset in custodia publica, dicens Critoni, suo familiari, sibi post tertium diem esse moriendum ; vidisse se in somnis pulchritudine eximia feminam, guae se nomine appellans diceret Homericum quen­ dam eius modi versum : " Tertia te Phthiae tempestas laeta locabit . " quod, ut est dictum, sic scribitur contigisse. Xenophon Socra­ ticus (qui vir et quantus ! ) in ea militia qua cum Cyro minore perfunctus est sua scribit somnia, quorum eventus mirabiles exstiterunt. 53 Mentiti Xenophontem an delirare dicemus? Quid, singulari vir ingenio Aristoteles et paene divino ipsene errat an alios vult errare, cum scribit Eudemum Cyp rium, familiarem suum, iter in Macedoniam facientem Pheras venis­ se, guae erat urbs in Thessalia tum admodum nobilis, ab Alexandro autem tyranno crudeli dominatu tenebatur; in eo igitur oppido ita graviter aegrum Eudemum fuisse, ut omnes medici diffiderent ; ei visum in quiete egregia facie iuvenem dicere fare ut perbrevi convalesceret, paucisque diebus interi­ turum Alexandrum tyrannum, ipsum autem Eudemum quin­ quennio post domum esse rediturum. Atque ita quidem prima statim scribit Aristoteles consecuta : et convaluisse Eudemum, et ab uxoris fratribus interfectum tyrannum; quinto autem anno exeunte, cum esset spes ex ilio somnio in Cyprum illum ex Sicilia esse rediturum, proeliantem eum ad Syracusas occidisse ; ex quo ita illud somnium esse interpretatum, ut, cum animus Eudemi e corpore excesserit, tum domum rever­ tisse videatur. 54 Adiungamus philosophis doctissimum ho­ minem, poetam quidem divinum, Sophoclem ; qui, cum ex aede Herculis patera aurea gravis subrepta esset, in somnis vidit ipsum deum dicentem qui id fecisset. Quod semel ille iterumque neglexit . Ubi idem saepius, ascendit in Arium pagum, detulit rem ; Areopagitae comprehendi iubent eum, qui a Sophocle erat nominatus; is quaestione adhibita confes­ sus est pateramque rettulit . Qua facto fanum illud Indicis Herculis nominatum est.

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fi. Si legge in Platone166 che Socrate, trovandosi in carcere, disse al suo amico Critone che gli sarebbe toccato di morire tre giorni dopo : aveva visto in sogno una donna bellissima che, chiamatolo per nome, gli aveva detto un verso press'a poco così, simile a uno di Omero : " ll terzo giorno di bel tempo ti farà giungere a Ftia. " E si trova scritto167 che ciò accadde proprio come era stato detto. Senofonte, discepolo di Socrate (quale uomo e di quanto valore ! ) , nel racconto dell'impresa militare che compì sotto Ciro il giovane, riferisce i suoi sogni, che mirabilmente si avverarono . 168 53 Diremo che Senofon­ te dice il falso o è fuor di senno ? E Aristotele, uomo d'ingegno eccezionale e direi quasi divino, s'inganna o vuole ingannare gli altri quando narra l'episodio che ora riferirò? 169 Eudemo di Cipro, suo intimo amico, durante un viaggio verso la Macedo­ nia, arrivò a Pere, città della Tessaglia, assai rinomata a quei tempi, ma oppressa dalla feroce tirannide di Alessandro. In quella città, dunque, Eudemo si ammalò così gravemente, che tutti i medici disperarono della sua salvezza. Gli apparve in sogno un giovane di bellissimo aspetto, e gli disse che fra breve sarebbe guarito, che entro pochi giorni il tiranno Alessandro sarebbe morto, e che lui, Eudemo, sarebbe ritor­ nato in patria dopo cinque anni. Scrive Aristotele che i primi eventi accaddero subito : Eudemo guarì, il tiranno fu ucciso dai fratelli di sua moglie. Verso la fine del quinto anno, poi, quando quel sogno dava a Eudemo la speranza che dalla Sicilia sarebbe ritornato a Cipro, egli cadde in combattimento sotto le mura di Siracusa. Il sogno, quindi, fu interpretato nel senso che l'anima di Eudemo, liberatasi dal corpo, era ritornata alla sua vera patria. 54 Ai filosofi aggiungiamo un uomo dottissimo, Sofocle, poeta davvero divino. Era stata sottratta dal tempio di Ercole una coppa d'oro massiccio . Sofocle, in sogno, vide proprio Ercole che gli disse chi aveva commesso il furto . Una prima e una seconda volta non si curò del sogno . Ma poiché la ste'ssa apparizione si ripeteva, sall all'Areòpago/70 denunciò il fatto. Gli Areopagiti ordinano che sia arrestato quel tale di cui Sofocle aveva fatto il nome; costui, sottoposto a interrogatorio, 171 confessò e restituì la coppa. In seguito a ciò quel tempio fu chiamato il tempio di Ercole Rivelatore. 1 72 45

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xxvi ;; Sed quid ego Graecorum ? Nescio quo modo me magis nostra delectant . Omnes hoc historici, Fabii, Gellii, sed proxume Coelius: cum bello Latino ludi votivi maxumi primum fierent , civitas ad arma repente est excitata, itaque ludis intermissis instaurativi constituti sunt . Qui ante quam fierent, cumque iam populus consedisset, servus per circum, cum virgis caederetur, furcam ferens ductus est. Exin cuidam rustico Romano dormienti visus est venire qui diceret praesu­ lem sibi non placuisse ludis, idque ab eodem iussum esse eum senatui nuntiare; illum non esse ausum. Iterum esse idem iussum et monitum, ne vim suam experiri vellet; ne tum quidem esse ausum . Exin filium eius esse mortuum, ean � em in somnis admonitionem fuisse tertiam. Tum illum etiam debilem factum rem ad amicos detulisse, quorum de sententia lecticula in curiam esse delatum, cumque senatui somnium enarravisset, pedibus suis salvum domum revertisse. Itaque somnio comprobato a senatu ludos illo s iterum instauratos memoriae proditum est . 56 Gaius vero Gracchus multis dixit, ut scriptum apud eundem Coelium est, sibi in somnis quaesturam petenti Tiberium fratrem visum esse dicere, quam vellet cunctaretur, tamen eodem sibi leto , quo ipse interisset , esse pereundum. Hoc, ante quam tribunus plebi C. Gracchus factus esset, et se audisse scribit Coelius et dixisse multis. Quo somnio quid inveniri potest certius ? xxvn Quid ? ill a duo somnia, quae creberrume commemo­ rantur a Stoicis, quis tandem potest contemnere? Unum de Simonide : qui, cum ignotum quendam proiectum mortuum vidisset eumque humavisset haberetque in animo navem conscendere, moneri visus est, ne id faceret, ab eo quero sepultura adfecerat; si navigavisset, eum naufragio esse peritu· rum ; itaque Simonidem redisse, perisse ceteros, qui turo

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LIBRO PRIMO, ,.,6 XXVI 55 Ma a che scopo dilungarsi sui greci? Non so perché, mi piacciono di più le cose nostre. 173 Questo episodio lo r!lccontano tutti gli storici, come Fabio, come Gellio, ma per ultimo Celio : 174 durante la guerra latina, mentre avveniva­ no per la prima volta i ludi votivi massimi, improvvisamente tutti i cittadini furono chiamati alle armi; perciò, essendo stat� interrotti quei ludi, furono celebrati i " ludi sostitutivi" . Prima che essi incominciassero, quando già gli spettatori si erano seduti, uno schiavo fu strascinato per il circo, costretto a portar la forca, mentre intanto lo si percuoteva con le verghe. Poco dopo un romano del contado vide in sogno presentargli­ si un tale che gli disse che nei ludi il capo dei danzatori sacri non gli era stato ben accetto, m e gli ordinava di far noto ciò al senato. Quel tale non osò obbedire al sogno. Una seconda volta egli ricevette in sogno quest'ordine e fu ammonito a non sfidare la potenza di colui che gli appariva ; ma nemmeno allora osò obbedire. Dopo di ciò suo figlio morì, e in sogno per la terza volta si ripeté quell'ammonizione. Allora egli, già176 indebolito, riferì il fatto agli amici, e per loro consiglio fu portato in lettiga nella Curia ; e dopo che ebbe raccontato ai senatori il sogno, poté tornarsene a casa a piedi sano e salvo. Accertata la veridicità del sogno, il senato indisse da capo quei ludi: cosl si narra. 56 Un altro esempio : Gaio Gracco raccontò a molti - lo riferisce il medesimo Celio - che nel periodo in cui aspirava alla questura177 gli apparve in sogno il fratello Tiberio e gli disse che indugiasse pure quanto voleva, ma sarebbe morto della stessa morte che era toccata a lui. Celio scrive che, prima che Gaio Gracco fosse eletto tribuna della plebe, egli aveva sentito dire ciò da lui stesso, e che lo aveva detto a molti altri. 178 Che sogno si può citare più sicuro di questo ? xxvn Chi, poi, può negar fede a quei due sogni che sono tante volte citati dagli stoici ?179 Il primo riguarda Simonide: egli vide il cadavere di uno sconosciuto abbandonato a terra, lo seppelll, e si proponeva poi d'imbarcarsi; quel tale a cui egli aveva dato sepoltura gli apparve in sogno e lo dissuase dal suo proposito : se si fosse imbarcato, sarebbe perito in un naufra­ gio . Simonide allora tornò indietro, gli altri che si erano

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navigassent. 5 7 Alterum ita traditum clarum admodum somnium : cum duo guidam Arcades familiares iter una facerent et Megaram venissent, alterum ad cauponem dever­ tisse, ad hospitem alterum. Qui ut cenati guiescerent, concu­ bia nocte visum esse in somnis ei qui erat in hospitio illum alterum orare ut subveniret, guod sibi a caupone interitus pararetur; eum primo , perterritum somnio, surrexisse ; dein, cum se conlegisset idgue visum pro nihilo habendum esse duxisset, recubuisse; tum ei dormienti eundem illu m visum esse rogare, ut, guoniam sibi vivo non subvenisset, mortem suam ne inultam esse p ateretur; se interfectum in plaustrum a caupone esse coniectum et supra stercus iniectum ; petere, ut mane ad portam adesset, prius guam plaustrum ex oppido exiret . Hoc vero eum somnio commotum mane bubulco praesto ad portam fuisse, guaesisse ex eo, guid esset in plaustro ; illum perterritum fugisse, mortuum erutum esse, cauponem, re patefacta, poenas dedisse. Quid hoc somnio dici potest divinius? x x v m 58 Sed guid aut plura aut vetera guaerimus ? Saepe tibi meum narravi, saepe ex te audivi tuum somnium : me, cum Asiae pro consule praeessem, vidisse in quiete, cum tu, equo advectus ad guandam magni fluminis ripam, provectus subito atgue delapsus in flumen nusguam apparuisses, me contre­ muisse timore perterritum ; tum te repente laetum exstitisse eodemgue equo adversam ascendisse ripam, nosgue inter nos esse complexos . Facilis coniectura huius somnii, mihigue a peritis in Asia praedictum est fore eos eventus rerum qui acciderunt. 59 Venio nunc ad tuum . Audivi eguidem ex te ipso, sed mihi saepius noster Sallustius narravit, cum in ill a fuga nobis gloriosa, patriae calamitosa in vill a guadam campi Atinatis maneres magnamgue partem noctis vigilasses, ad lucem denigue arte et graviter dormitare coepisse ; itague,

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inibarcati perirono. 57 L'altro sogno, famosissimo, è il se­ guente : due àrcadi, amici intimi, viaggiavano insieme e arriva­ rono a Mègara. Uno dei due prese alloggio in casa d'un taverniere, I' altro presso un suo ospite. 180 Cenarono e andaro­ no a dormire. A notte già inoltrata quello dei due che dormiva presso l'ospite vide in sogno l'altro che lo pregava di recargli soccorso, perché il taverniere si apprestava a ucciderlo. In un primo momento egli balzò su, atterrito dal sogno; poi, riavutosi dallo spavento, pensò che a quell'apparizione non si dovesse dar peso, e tornò a letto. Di nuovo, allora, gli apparve in sogno l' amico, e lo pregò che, non avendogli recato aiuto quando era ancora vivo, almeno non lasciasse invendicata la sua morte; il suo cadavere era stato buttato dal taverniere su un carro, e vi era stato sparso sopra del letame; gli chiedeva di trovarsi alla porta della città all' alba, prima che il carro uscisse verso la campagna. Emozionato da questo sogno, egli si recò di buon mattino all a porta, fermò il carrettiere, gli domandò che cosa c'era nel carro . Quello, atterrito, scappò via; il morto fu tratto fuori; il taverniere, venuto in luce il suo delitto, fu condannato a morte. Quale sogno si può considerare più p ro­ fetico di questo ? XXVIII 5 8 Ma a che scopo continuare con altri esempi, ed esempi antichi?18 1 Spesso io ti ho raccontato un mio sogno, spesso me ne hai raccontato uno tuo. Io, quando ero, come proconsole, governatore della provincia d'Asia, 182 vidi in sogno te che andavi a cavallo verso la riva di un gran fiume, ti slanciavi d ' un tratto e, scivolato giù nel fiume, non ricomparivi più, mentre io, atterrito, ero preso da tremore. Poi, all'improv­ viso, tu riemergevi con aspetto lieto e, su quello stesso cavallo, risalivi l'altra sponda del fiume, e noi ci abbracciavamo. Era facile l'interpretazione di questo sogno, e in Asia gli esperti mi predissero ciò che poi in effetti accadde. 18' 59 Ed eccomi al tuo sogno : l'ho udito da te direttamente, ma ancor più spesso me l'ha narrato il nostro Sallustio. 1 84 Quando, in quell'esilio glorioso per noi, rovinoso per la patria, tu ti trovavi in una casa di campagna del territorio di Atina e per gran parte della notte eri rimasto sveglio, verso l'alba, finalmente, ti abbando­ nasti ad un sonno greve e profondo. 18' E sebbene il tempo

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quamquam iter instaret, tamen silentium fieri iussisse neque esse passum te excitari; cum autem experrectus esses hora secunda fere, te sibi somnium narravisse : visum tibi esse, cum in locis solis maestus errares, C. M arium cum fascibus laureatis quaerere ex te quid tristis esses, cumque te tu patria vi pulsum esse dixisses, prehendisse eum dextram tuam et bono animo te iussisse esse lictorique proxumo tradidisse ut te in monumentum suum deduceret, et dixisse in eo tibi salutem fare. Tum et se exclamasse Sallustius narrat reditum tibi celerem et gloriosum paratum, et te ipsum visum somnio delectari. Nam illud mihi ipsi celeriter nuntiatum est, ut audivisses in monumento Mari de tuo reditu magnificentissu­ mum illud senatus consultum esse factum, referente optumo et clarissumo viro consule, idque frequentissimo theatro incredibili clamore et plausu comprobatum, dixisse te nihil ilio Atinati somnio fieri posse divinius. XXIX 60 " At multa falsa. " lmmo obscura fortasse nobis. Sed sint falsa quaedam ; contra vera quid dicimus ? Quae quidem multo plura evenirent, si ad quietem integri iremus. Nunc onusti cibo et vino perturbata et confusa cernimus. Vide quid Socrates in Platonis Politia loquatur. Dicit enim cum dormientibus ea pars animi guae mentis et rationis sit parti­ ceps sopita langueat, illa autem in qua feritas quaedam sit atque agrestis immanitas cum sit immoderato obstupefacta patu atque pastu, exsultare eam in somno immoderateque iactari. " ltaque huic omnia visa obiciuntur a mente ac ratione vacua, ut aut cum matre corpus miscere videatur aut cum quovis alia vel homine vel deo, saepe belua, atque etiam trucidare aliquem et impie cruentari multaque facere impure atque taetre cum temeritate et impudentia. 61 At qui salu-

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stringesse, tuttavia Sallustio ordinò che si facesse silenzio e non permise che ti svegliassero . Quando poi ti svegliasti verso le otto del mattino, gli narrasti un sogno : ti era sembrato che, mentre vagavi mestamente in un luogo deserto, Gaio Mario, coi fasci ornati di alloro, ti domandasse perché eri addolorato; e avendogli tu detto che eri stato con la violenza cacciato via dalla patria, egli ti strinse la mano, ti esortò a star di buon animo, ordinò al littore più vicino a lui di condurti al tempio da lui fatto costruire e ti disse che in quello avresti trovato la salvezza. Sallustio narra di avere allora esclamato che il destino ti riserbava un ritorno prossimo e glorioso, mentre tu stesso apparivi rasserenato da quel sogno. Anche a me fu ben presto riferito che tu, quando apprendesti che nel tempio edificato da Mario era stata presa quella splendida decisione del senato sul tuo richiamo dall'esilio su proposta del console di allora, uomo eccellente e ragguardevolissimo, e che il decreto era stato accolto con incredibili grida di gioia e applausi dal popolo assiepato nel teatro, dicesti che nulla avrebbe potuto accadere di più presàgo di quel sogno che avevi avuto presso Atina. 1H6 XXIX 60 " Ma molti sogni son falsi. " 1 8 7 Piuttosto, forse, sono per noi di difficile comprensione. Ma ammettiamo che ve ne siano di falsi : contro quelli veri che cosa diremo ? E risulterebbero veri molto più spesso se ci disponessimo al sonno in perfette condizioni. Ora, ripieni di cibo e di vino, vediamo in sogno cose alterate e confuse. Rammenta le parole di Socrate nella Repubblica di Platone. 188 Egli dice: " Poiché nel sonno quella parte dell'anima che appartiene alla sfera razio­ nale è assopita e debole, quella invece in cui risiede un istinto ferino e una rozza violenza è abbrutita dal bere e dal cibo eccessivo, questa si sfrena e si esalta smoderatamente mentre dormiamo. Ad essa, perciò, si presentano visioni d'ogni genere, prive di senno e di ragionevolezza : si ha l'impressione di unirsi carnalmente con la propria madre o con qualsiasi altro essere umano o divino, spesso con una bestia ; di trucidare addirittura qualcuno e di macchiarsi empiamente le mani di sangue; di fare molte altre cose impure e orrende, senza ritegno né pudore. 61 Ma chi, condpcendq una vita e

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bri et moderato cultu atque victu quieti se tradiderit ea parte animi quae mentis et consilii est agitata et erecta saturataque bonarum cogitationum epulis, eaque parte animi quae volup­ tate alitur nec inopia enecta nec satietate adfluenti ( quorum utrumque praestringere aciem mentis solet, sive deest naturae quippiam, sive abundat atque adfluit ) , ill a etiam tertia parte animi, in qua irarum exsistit ardor, sedata atque restincta, ­ tum eveniet, duabus animi temerariis partibus compressis, ut illa tertia pars rationis et mentis eluceat et se vegetam ad somniandum acremque praebeat : tum ei visa quietis occurrent tranquilla atque vera eia. " Haec verba ipsa Platonis expressi. xxx 62 Epicurum igitur audiemus potius? Namque Car­ neades concertationis studio modo ait hoc, modo illud; at ille quod sentit : sentit autem nihil umquam elegans, nihil deco­ rum . Hunc ergo antepones Platoni et Socrati ? Qui ut ratio­ nem non redderent, auctoritate tamen hos minutos philoso­ phos vincerent. Iubet igitur Plato si è ad somnum proficisci corporibus adfectis, ut nihil sit, quod errorem animis pertur­ bationemque adferat . Ex quo etiam Pythagoreis interdictum putatur, ne faba vescerentur, quod habet inflationem magnam is cibus tranquillitati mentis quaerenti vera contra­ riam. 63 Cum ergo est somno sevocatus animus a societate et a contagione corporis, tum meminit praeteritorum, prae­ sentia cernit, futura providet ; iacet enim corpus dormientis ut mortui, viget autem et vivit animus. Quod multo magis faciet post mortem, cum omnino corpore excesserit . ltaque adpro­ pinquante morte m ulto est divinior. Nam et id ipsum vident, qui sunt morbo gravi et mortifero adfecti, instare mortem ; itaque iis occurrunt plerumque imagines mortuo­ rum, tumque vel maxume !audi student, eosque, qui secus guam decuit vixerunt, peccatorum suorum tum maxume pae-

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una dieta salubre e moderata, si lascia andare al sonno quando quella parte dell'anima che partecipa della ragione è attiva e vigorosa e saziata dal cibo dei buoni pensieri, e l' altra parte dell'anima che è alimentata dai piaceri non è né sfinita dalla fame né gravata da troppa sazietà (l'una e l'altra di queste due condizioni, o che l'organismo sia privo di qualcosa o che ne sovrabbondi, suole offuscare l'acutezza della mente) , e infine anche la terza parte dell' anima, nella quale risiede l'ardore delle passioni, è calma e smorzata, - allora accadrà che, essendo tenute a freno le due parti intemperanti dell'anima, la terza parte, quella del senno e della ragionevolezza, rifulga e si disponga a sognare piena di vigore e di acume : quel tale, allora, avrà nel sonno apparizioni tranquill e e veritiere. " Ho tradotto proprio le parole di Platone. xxx 62 Daremo retta, dunque, piuttosto a Epicuro ? Ché Carneade, per il gusto di polemizzare contro tutti, dice ora questo, ora quello. Epicuro no, dice quel che pensa ; ma non pensa mai niente di bello, niente di onorevole. Costui, dunque, lo anteporrai a Platone e a Socrate? I quali, anche se non dimostrassero appieno le loro dottrine, egualmente supe­ rerebbero per autorità quei filosofucci . 1 89 Platone, dunque, prescrive che ci si abbandoni al sonno col corpo in condizioni tali da non arrecare nessun motivo di errore o di turbamento all ' anima. Per la stessa ragione si ritiene che anche ai pitagorici190 fosse vietato di mangiar fave, poiché questo cibo produce una grande flatulenza, dannosa alla tranquill i tà della mente che ricerca la verità. 63 Quando, dunque, nel sonno l'anima è sottratta all'unione col corpo e al contagio che ne deriva, allora si ricorda del passato, scorge il presente, prevede il futuro : ché il corpo del dormiente giace come quello d'un morto, mentre l'anima è desta e viva. E in questa condizione si troverà tanto più dopo la morte, quando sarà del tutto uscita dal corpo. Perciò, all' approssimarsi della morte, è molto più dotata di virtù profetica. Quelli che sono affetti da malattia grave e mortale questo anzitutto prevedono, l'imminenza della loro morte. A essi di solito appaiono le immagini dei morti, e in quei momenti più che mai desiderano di meritarsi lode, e se sono vissuti in modo sconveniente, allora soprattutto si

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nitet. 64 Divinare autem morientes ilio etiam exemplo con­ firmat Posidonius, quod adfert, Rhodium quendam morien­ tem sex aequales nominasse et dixisse, qui primus eorum, qui secundus, qui deinde deinceps moriturus esset. Sed tribus modis censet deorum adpulsu homines somniare : uno, quod provideat animus ipse per sese, quippe qui deorum cognatio­ ne teneatur; altero, quod plenus aer sit immortalium animo­ rum, in quibus tamquam insignitae notae veritatis appareant ; tertio, quod ipsi di cum dormientibus conloquantur. Idque, ut modo dixi, facilius evenit adpropinquante morte, ut animi futura augurentur. 65 Ex quo et illud est Callani, de quo ante dixi, et Homerici Hectoris, qui moriens propinquam Achilli mortem denuntiat. xxxi Neque enim illud verbum temere consuetudo adpro­ bavisset, si ea res nulla esset omnino: " praesagibat animus frustra me fre, cum exirém domo. " Sagire enim sentire acute est ; ex quo sagae anus, quia multa scire volunt, et sagaces dicti canes . Is igitur qui ante sagit guam oblata res est, dicitur praesagire, id est futura ante sentire. 66 Inest igitur in animis praesagatio extrinsecus iniecta atque inclusa divinitus. Ea si exarsit acrius, furor appellatur, cum a corpore animus abstractus divino instinctu concitatur:

H. " Séd quid oculis rabere visa es dérepente ardéntibus ? ubi illa paululo ante sapiens vfrginalis modéstia ? " C. " M ater, optumatum multo mulier melior mulierum, missa sum supérstitiosis hariolati6nibus, méque Apollo fatis fandis démentem invitam ciet. Virgines vere6r aequalis ; patris mei meum factum [pudet, 6y tumi viri; mea mater, tui me miseret ; méi piget. Optumam progéniem Priamo péperisti extra me: hoc [dolet :

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pentono. 1 91 64 Che i morenti abbiano capacità divinatoria lo dimostra anche Posidonio adducendo quel famoso caso : uno di Rodi/92 in punto di morte, fece i nomi di sei coetanei e disse quale di essi sarebbe morto per primo, quale per secondo, e cosl di seguito tutti gli altri . In tre modi, del resto, Posidonio ritiene che gli uomini sognino per impulso divino: nel primo, perché l'anima prevede da sé, essendo unita da parentela con gli dèi; nel secondo, perché l' aria è piena di anime immortali, nelle quali i segni della verità appaiono, per così dire, chiaramente impressi; nel terzo, perché gli dèi stessi parlano coi dormienti. E che le anime predìcano il futuro avviene più facilmente all 'appressarsi della morte, come ho detto or ora. 65 Si comprende cosl quell'episodio di Callano, a cui ho accennato prima, e quello dell'Ettore omerico, che, moren­ te, predlce ad Achille la morte vicina. 193 XXXI Né l'uso avrebbe consacrato a caso quella parola " presagire " , se a essa non corrispondesse proprio alcuna realtà : " Me lo presagiva il cuore, uscendo di casa, che sarei venuto inutilmente. " Sagire, difatti, significa aver buon fiuto; donde si chiamano sagae le vecchie fattucchiere, perché pretendono di saper molto, e " sagaci " son detti i cani. Perciò chi ha la sensazione (sagit) di qualcosa prima che accada, si dice che " pre- sagisce " , ossia sente in anticipo il futuro. 1 94 66 C'è dunque nelle anime una capacità di presagire infusa dall'esterno e penetrata per opera della divinità. 19' Se questa capacità s 'infiamma con più veemenza, si chiama " follia profetica " , quando l'anima svincolatasi dal corpo è eccitata da un impulso divino: 1 96 (Ecuba) " Ma come mai, d'un tratto, sei apparsa in preda al furore, con gli occhi fiammeggianti? Dov'è più quella saggia, virginale modestia di poco prim a ? " ( Cassandra) : " Madre mia, di gran lunga la migliore donna delle nobili donne troiane, io sono assalita da deliri profetici, e Apollo mi istiga a d ire, folle, contro la mia volontà, il futuro. Mi vergogno dinanzi alle fanciulle mie coetanee; ho rossore di ciò che faccio perché disonoro mio padre, uomo eccelso; di te, madre mia, ho compassione; di me stessa mi dolgo. Tu hai partorito a Priamo figli eccellenti, tranne me: è questo che mi addolora : -

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mén obesse, ill 6 s prodesse, me 6bstare, illos 6bsequi ! " O poema tenerum et moratum atque molle ! 67 Sed hoc minus ad rem ; ill u d, quod volumus, expressum est, ut vatici­ nari furor vera soleat : " Adest, adest fax obvoluta sanguine atque incéndio. multos annos latuit ; cives, férte opem et restfnguite ! " Deus inclusus corpore humano iam, non Cassandra loquitur. " Iamque mari magno classis cita téxitur; exitium éxamen rapit; adveniet, fera vélivolantibus navibus complebit manus litora. " xxxu 68 Tragoedias loqui videor et fabulas. At ex te ipso non commenticiam rem , sed factam eiusdem generis audivi: C . Coponium ad te venisse Dyrrachium, cum praetorio imperio classi Rhodiae praeesset, cumprimo hominem pru­ dentem atque doctum, eumque dixisse remigem quendam e quinqueremi Rhodiorum vaticinatum madefactum iri minus xxx diebus Graeciam sanguine, rapinas Dyrrachii et conscen­ sionem in naves cum fuga fugientibusque miserabilem respec­ tum incendiorum fore; sed Rhodiorum classi propinquum reditum ac domum itionem dari. Tum neque te ipsum non esse commotum Marcumque Varronem et M. Catonem, qui tum ibi erant, doctos homines, vehementer esse perterritos. Paucis sane post die.bus ex Pharsalia fuga venisse Labienum ; qui cum interitum exercitus nuntiavisset, reliqua vaticinationis brevi esse confecta. 69 Nam et ex horreis direptum effu­ sumque frumentum vias omnis angiportusque constraverat, et naves subito perterriti metu conscendistis et noctu ad oppi­ dum respicientes flagrantis onerarias, quas incenderant milites quia sequi noluerant, videbatis ; postremo a Rhodia classe deserti verum vatem fuisse sensistis.

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che io sia di danno, essi di aiuto, io riottosa, essi obbedienti ! " Oh, brano di poesia dolce, espressivo, 197 delicato ! 67 Ma esso non riguarda da vicino il nostro argomento ; quello che c'interessa il poeta l'ha espresso in quest'altro passo : come la follla , di solito, predica il vero : " Eccola, eccola la torcia awolta nel sangue e nelle fiamme ! Per molti anni rimase occulta. Cittadini, recate soccorso e spegnetela ! " 1 98 Non è più Cassandra che parla, ma il dio che è penetrato in un corpo umano. " E già nel vasto mare una flotta veloce vien costruita; essa trascina uno sciame di sciagure; arriverà, feroce, un esercito su navi volanti con le vele, riempirà le nostre spiagge. " 199 xxxn 68 Può sembrare che io spacci per verità finzioni sceniche.200 Ma proprio da te ho udito un fatto dello stesso genere, non inventato ma effettivamente awenuto. Gaio Coponio, uomo eminente per saggezza e cultura/01 nel tempo in cui comandava la flotta di Rodi con la carica di pretore, venne da te a Durazzo e ti disse che un rematore di una quinquireme dei rodii aveva vaticinato che entro meno di trenta giorni la Grecia sarebbe stata immersa in un bagno di sangue, sarebbero awenute rapine a Durazzo, molti marinai avrebbero dovuto imbarcarsi e fuggire per mare e, nell'allon­ tanarsi, si sarebbero volti a guardare il tristissimo spettacolo degli incendi; soltanto alla flotta rodia sarebbe stato concesso un prossimo ritorno e rimpatrio. Neppure tu sfuggisti a un grave turbamento, e Marco V arrone e Marco Catone, uomini dotti, che si trovavano lì anch 'essi, rimasero gravemente atterriti. Pochissimi giorni dopo arrivò Labieno fuggiasco da Farsàlo, e dopo che ebbe recato l' annunzio della disfatta dell'esercito, in breve tempo si awerarono le altre cose che erano state vaucmate. 69 Il grano sottratto ai depositi e sparso qua e là aveva ricoperto tutte le strade e i vicoli, e voi, atterriti, vi imbarcaste senza indugio, e nella notte, guardando verso la città, vedevate le navi da carico in preda alle fiamme, incendiate dai soldati perché non avevano voluto seguirvi. Quando, infine, foste abbandonati dalla flotta rodia , vi accor­ geste che l'indovino aveva detto il vero.

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70 Exposui quam brevissime potui somnii et furoris oracla, quae carere arte dixeram . Quorum amborum generum una ratio est, qua Cratippus noster uti solet, animos hominum quadam ex parte extrinsecus esse tractos et haustos (ex quo intellegitur esse extra divinum animum, humanus unde duca­ tur) , humani autem animi eam partem, quae sensum, quae motum, quae adpetitum habeat, non esse ab actione corporis seiugatam; quae autem pars animi rationis atque intellegentiae sit particeps, eam tum maxume vigere, cum plurimum absit a corpore. 7 1 Itaque expositis exemplis verarum vaticinatio­ num et somniorum Cratippus solet rationem concludere hoc modo : " Si sine oculis non potest exstare offidum et munus oculorum, possunt autem aliquando oculi non fungi suo munere, qui vel semel ita est usus oculis, ut vera cerneret, is habet sensum oculorum vera cernentium . Item igitur, si sine divinatione non potest et officium et munus divinationis exstare, potest autem quis, cum divinationem habeat, errare aliquando nec vera cernere, satis est ad confirmandam divina­ tionem semel aliquid esse ita divinatum, ut nihil fortuito cecidisse videatur. Sunt autem eius generis innumerabilia; esse igitur divinationem confitendum est . " xxxm 72 Quae vero aut coniectura explicantur aut even­ tis animadversa ac notata sunt, ea genera divinandi, ut supra dixi, non naturalia, sed artificiosa dicuntur; in quo haruspices, augures coniectoresque numerantur. Haec inprobantur a Peripateticis, a Stoicis defenduntur. Quorum alia sunt posita in monumentis et disciplina, quod Etruscorum declarant et haruspicini et fulgurales et rituales libri, vestri etiam augura­ les ; alia autem subito ex tempore coniectura explicantur, ut

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70 Ho esposto il più brevemente che ho potuto le predizio­ ni del sogno e dell'eccitazione divina, che, come avevo detto, sono estranee all' " arte " .202 Di entrambi questi tipi di divinazio­ ne unica è la motivazione, alla quale suole richiamarsi il nostro Cratippo : le anime umane derivano e sono tratte in parte dall'esterno - e da ciò si comprende come vi sia al di fuori di noi un'anima divina, dalla quale è derivata l'umana -; ma quella parte dell'anima umana che consiste in sensazione, in movimento, in appetizione non è separata dall'influsso del corpo; quella, invece, che è partecipe della razionalità e dell'intelligenza è più che mai vivida quando è distanziata il più possibile dal corpo. 7 1 Pertanto, dopo avere citato esempi di vaticinii e sogni veridici, Cratippo suole argomenta­ re in questo modo : " Se senza occhi non può svolgersi la funzione e il còmpito degli occhi, e tuttavia può accadere talvolta che gli occhi non adempiano bene al loro còmpito, chi anche una volta sola ha usato gli occhi in modo da scorgere le cose come sono in realtà, possiede il senso della vista capace di percepire la realtà. Allo stesso modo, dunque, se, non esisten­ do la divinazione, non può svolgersi né la funzione né il còmpito della divinazione stessa, e tuttavia può accadere talvolta che qualcuno, pur dotato di capacità divinatorie, erri e non veda la realtà, è sufficiente a dimostrare l'esistenza della divinazione che anche una volta sola un fatto sia stato divinato in circostanze tali da non sembrare che ciò possa in alcun modo attribuirsi al caso. Ma ci sono esempi innumerevoli di questo genere: bisogna dunque ammettere che la divinazione esiste. " 2 0J

xxxm 72 Quanto a quei segni profetici che vengono spiegati mediante interpretazione oppure risultano osservati e registrati in coincidenza con ciò che accade in séguito, essi, come ho detto sopra/04 vengono chiamati non naturali ma artificiali; in questo campo si annoverano gli arùspici, gli àuguri, gli altri interpreti. Questi generi di divinazione sono negati dai peripatetici, difesi dagli stoici. Alcuni sono basati sui documenti e sulla dottrina, quale è esposta nei libri aruspidni, fulgorali e rituali degli etruschi, nonché nei vostri libri augurali ; altri invece vengono spiegati dagli indovini

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apud Homerum Calchas, qui ex passerum numero belli Troiani annos auguratus est, et ut in Sullae scriptum historia videmus, quod te inspectante factum est, ut, cum ille in agro Nolano immolaret ante praetorium, ab infima ara subito anguis emergeret, cum quidem C. Postumius haruspex oraret illu m, ut in expeditionem exercitum educeret; id cum Sulla fecisset, tum ante oppidum Nolam florentissuma Samnitium castra cepit. 73 Facta coniectura etiam in Dionysio est, paulo ante quam regnare coepit ; qui cum per agrum Leonti­ num iter faciens equum ipse demisisset in flumen, submersus equus voraginibus non exstitit ; quem cum maxima contendo­ ne non potuisset extrahere, discessit, ut ait Philistus, aegre ferens . Cum autem aliquantum progressus esset, subito exau­ divit hinnitum respexitque et equum alacrem laetus adspexit, cuius in iuba examen apium consederat. Quod ostentum habuit hanc vim, ut Dionysius paucis post diebus regnare coeperit . XXXIV 74 Quid ? Lacedaemoniis paulo ante Leuctricam calamitatem quae significatio facta est, cum in Herculis fano arma sonuerunt Herculisque simulacrum multo sudore mana­ vit ! At eodem tempore Thebis, ut ait Callisthenes, in tempio Herculis valvae clausae repagulis subito se ipsae aperuerunt , armaque, quae fixa in parietibus fuerant, ea sunt humi inventa. Cumque eodem tempore apud Lebadiam Trophonio res divina fieret, gallos gallinaceos in eo loco sic adsidue canere coepisse, ut nihil intermitterent ; tum augures dixisse Boeotios Thebanorum esse victoriam, propterea quod avis illa vieta silere soleret, canere, si vicisset. 75 Eademque tempe­ state multis signis Lacedaemoniis Leuctricae pugnae calamitas denuntiabatur. Namque et in Lysandri, qui Lacedaemonio­ rum clarissumus fuerat, statua, quae Delphis stabat, in capite corona subito exstitit ex asperis herbis et agrestibus, stellae­ que aureae quae Delphis erant a Lacedaemoniis positae post navalem illam victoriam Lysandri qua Athenienses concide-

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sull'istante, per interpretazione immediata, come in Omero Calcante, che dal numero dei passeri aveva predetto il numero degli anni della guerra di Troia, o come leggiamo nelle Memorie di Silla - e tu stesso fosti presente al fatto - : mentre egli nel territorio di Nola compiva un sacrificio dinanzi al pretorio, dal di sotto dell'altare sbucò all'improvviso un serpente, e allora l'arùspice Gaio Postumio lo esortò a· muovere all'offensiva con l'esercito. Sill a gli diede ascolto, e dinanzi alla città di Nola espugnò l'accampamento dei sanniti, ben fornito di armi e vettovaglie. 2 '" 73 Anche a proposito di Dionisio fu fatta una profezia poco prima che salisse al trono/06 Viaggiava per il territorio di Lentini e fece scendere in un fiume il suo cavallo; travolto dai gorghi, questo sprofondò nelle acque. Dionisio, dopo lunghi e vani sforzi di farlo venir su, si allontanò amareggiato, come narra Filisto. Ma dopo aver camminato per un poco, a un tratto udì un nitrito e si allietò vedendo il cavallo vivo e fremente, sulla cui criniera si era posato uno sciame d'api. L'effetto di questo prodigio fu che Dionisio divenne tiranno di Siracusa pochi giorni dopo. XXXIV 74 E ancora : 2 07 quale p resagio toccò agli spartani poco prima della battaglia di Leuttra, quando nel tempio di Ercole le armi risonarono e la statua di Ercole si copri tutta di sudore ! E contemporaneamente, come narra Callistene, a Tebe nel tempio di Ercole i battenti delle porte, chiusi da sbarre, si aprirono da sé all'improvviso, e le armi che erano appese alle pareti furon trovate sul pavimento. E ancora nel medesimo tempo, mentre presso Lebadla si svolgeva un rito in onore di Trofonio, i galli in tutta quella contrada incomincia­ rpno a cantare cosl insistentemente da non smetterla più. Gli àuguri della Beozia dissero allora che la vittoria sarebbe spettata ai tebani, perché i galli sogliano tacere quando son vinti, cantare quando hanno vinto. 75 Frattanto2 °8 gli sparta­ ni ricevevano molti preannunci del disastro nella battaglia di Leuttra. C 'era a Delfi una statua di Lisandro, il più famoso degli spartani; sulla testa della statua comparve all'improvviso una corona di erbe spinose e selvatiche; e le stelle d 'oro che erano state poste a Delfi dagli spartani dopo la famosa vittoria navale riportata da Lisandro, che segnò la rovina degli

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runt, qua in pugna quia Castor et Pollux cum Lacedaemonio­ rum classe visi esse dicebantur, - eorum insignia deorum, stellae aureae, quas dixi, Delphis positae, paulo ante Leuctri­ cam pugnam deciderunt neque repertae sunt. 76 Maximum vero illud portentum isdem Spartiatis fuit, quod, cum oraclum ab love Dodonaeo petivissent de victoria sciscitantes legatique illud in quo inerant sortes collocavissent, simia, quam rex Molossorum in deliciis habebat, et sortes ipsas et cetera guae erant ad sortem parata disturbavit et aliud alio dissupavit. Tum ea, quae praeposita erat oraclo, sacerdos dixisse dicitur de salute Lacedaemoniis esse, non de victoria cogitandum . xxxv 77 Quid ? Bello Punico secundo nonne C. Flami­ nius, consul iterum, neglexit signa rerum futurarum magna cum clade rei publicae ? Qui exercitu lustrato cum Arretium versus castra movisset et contra Hannibalem legiones duceret, et ipse et equus eius ante signum lavis Statoris sine causa repente concidit nec eam rem habuit religioni, obiecto signa, ut peritis videbatur, ne committeret proelium. Idem, cum tripudio auspicaretur, pullarius diem proelii committendi differebat. Tum Flaminius ex eo quaesivit, si ne postea quidem pulli pascerentur, quid faciendum censeret. Cum ille quiescendum respondisset, Flaminius: " Praeclara vero auspi­ cia, si esurientibus pullis res geri poterit, saturis nihil geretur ! " ltaque signa convelli et se sequi iussit. Quo tempore cum signifer primi bastati signum non posset movere loco, nec quicquam proficeretur plures cum accederent, Flaminius re nuntiata suo more neglexit . ltaque tribus iis horis concisus exercitus atque ipse interfectus est. 78 Magnum illud etiam , quod addidit Coelius, eo tempore ipso, cum hoc calamitosum

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atemest, giacché si diceva che in quella battaglia Càstore e Pollùce erano apparsi dalla parte della flotta spartana, - le stelle d'oro che ho detto, dunque, poste a Delfi come insegne di quegli dèi, caddero giù poco prima della battaglia di Leuttra e non si ritrovarono più. 76 Ma il prodigio più grave, ancora a danno degli spartani,209 fu quest'altro : quando chiesero un responso a Giove dodonèo per sapere se avrebbe­ ro vinto, e i messi ebbero collocato al suo posto il recipiente in cui si trovavano le sorti, una scimmia, che il re dei molassi aveva molto cara, scompigliò e buttò qua e là le sorti e tutti gli altri oggetti che erano stati portati per compiere il sorteggio. Si narra che allora la sacerdotessa preposta all'oracolo disse che gli spartani avrebbero dovuto pensare alla loro salvezza, non alla vittoria. xxxv 77 E nella seconda guerra punica Gaio Flaminio, console per la seconda volta/10 non trascurò i presagi del futuro, con grande sventura della repubblica ? Dopo che ebbe compiuto la cerimonia di purificazione dell'esercito, avendo intrapreso la marcia in direzione di Arezzo per condurre le sue legioni contro Annibale, ecco che egli stesso e il suo cavallo caddero tutt'a un tratto senza alcuna causa dinanzi alla statua di Giove Statore; gli esperti giudicarono che questo segno doveva dissuaderlo dal dare battaglia, ma egli non si fece alcuno scrupolo di ciò. Poi, quando prese gli auspicii median­ te il tripudium, fu consigliato dal pullario a rimandare il giorno del combattimento. Flaminio allora gli domandò : " Se nemme­ no in seguito i polli avranno voglia di mangiare, che cosa ritieni che si dovrà fare? " Il pullario rispose che si sarebbe dovuto stare ancora fermi. E Flaminio: " Belli dawero questi auspicii ! Quando i polli avranno fame si potrà dar battaglia, quando saranno sazi non si potrà far più nulla. " Ordinò dunque che si svellessero dal suolo le insegne e lo si seguisse. Il portatore dell'insegna del primo manipolo di astati non riuscì a smuovere l'insegna, nemmeno con l'aiuto di parecchi altri; Flaminio , quando ciò gli fu annunziato, secondo il suo solito non si curò del prodigio . E cosl in quelle tre terribili ore l'esercito fu trucidato e Flaminio stesso fu ucciso. 78 È importante anche quello che aggiunge Celio : proprio nel

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proelium fieret, tantos terrae motus in Liguribus, Gallia compluribusque insulis totaque in Italia factos esse, ut multa oppida conruerint, multis locis labes factae sint terraeque desiderint fluminaque in contrarias partes fluxerint atque in amnes mare influxerit. xxxvr Fiunt certae divinationum coniecturae a peritis. Midae illi Phrygi, cum puer esset, dormienti formicae in os tritici grana congesserunt. Divitissumum fare praedictum est; quod evenit. At Platani cum in cunis parvulo dormienti apes in labellis consedissent, responsum est singulari illum suavita­ te orationis fare : ita futura eloquentia provisa in infante est . 79 Quid? amores ac deliciae tuae, Roscius, J)um aut ipse aut pro eo Lanuvium totum mentiebatur? Qui cum esset in cunabulis educareturque in Solonio, qui est campus agri Lanuvini, noctu lumine apposito experrecta nutrix animad­ vertit puerum dormientem circumplicatum serpentis ample­ xu. Qua aspectu exterrita clamorem sustulit . Pater autem Rosei ad haruspices rettulit, qui responderunt nihil illo puero clarius, nihil nobilius fare. Atque hanc speciem Pasiteles caelavit argento et noster expressit Archias versibus. Quid igitur expectamus? An dum in foro nobiscum di immortales, dum in viis versentur, dum domi? Qui quidem ipsi se nobis non offerunt, vim autem suam longe lateque diffundunt, quam tum terrae cavernis includunt, tum homi­ num naturis implicant . Nam terrae vis Pythiam Delphis incitabat, naturae Sibyllam. Quid enim? Non videmus guam sint varia terrarum genera ? Ex quibus et mortifera quaedam pars est, ut et Ampsancti in Hirpinis et in Asia Plutonia quae vidimus, et sunt partes agrorum aliae pestilentes, aliae salu­ bres, aliae guae acuta ingenia gignant, aliae guae retusa: guae omnia fiunt et ex caeli varietate et ex disparili adspiratione terrarum. 80 Fit etiam saepe specie quadam, saepe vocum gravitate et cantibus, ut pellantur animi vehementius, saepe etiam cura et

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tempo in cui si svolgeva quella disastrosa battaglia, vi furono in Liguria, in Gallia, in parecchie isole e in tutta l'Italia terremoti cosl forti che molte città furono distrutte, in molte località awennero frane e sprofondamenti del suolo, i fiumi invertirono il loro corso, il mare penetrò nei corsi d'acqua. XXXVI Gli esperti sono capaci di prevedere spesso con certezza il futuro. 2 1 1 A quel famoso Mida frigio, ancora bambino, delle formiche ammucchiarono in bocca, mentre dormiva, chicchi di grano . Fu predetto che sarebbe divenuto ricchissimo; e la predizione si awerò. Ma a Platone, da piccolo, delle api si posarono sulle labbra mentre dormiva in culla. Gli indovini dettero il responso che egli sarebbe stato dotato di straordinaria dolcezza di eloquio : così la sua elo­ quenza futura fu prevista quando era ancora un neonato. 79 E Roscio,2 12 da te tanto amato e ammirato, mentiva egli stesso o mentiva per lui tutta Lanuvio ? Era ancora in culla ed era allevato nel Solonio, che è una località campestre presso Lanuvio. Di notte, la sua nutrice si svegliò (una lampada accanto faceva luce) , e vide che il bambino addormentato era awolto entro le spire di un serpente. Atterrita da quella vista, lanciò un grido . Il padre di Roscio riferl la cosa agli arùspici, i quali risposero che nulla al mondo sarebbe stato più insigne, più famoso di quel bambino. E questa scena Pasitele la cesellò in argento e il nostro Archia la narrò in poesia. Che cosa aspettiamo, dunque? Che gli dèi immortali s'in­ trattengano con noi nel fòro, per la strada, in casa ? Certo, essi non si presentano a noi direttamente, ma diffo ndono per lungo e per largo il loro influsso ; e ora lo immettono negli antri sotterranei, ora lo infondono in anime umane. La forza della terra ispirava la Pizia a Delfi, w la forza della sua stessa indole incitava la Sibilla . E non vediamo dunque quanto varii siano i tipi di terra ? Ve ne sono di mortiferi, come Ampsancto in Irpinia e i Plutonia che io ho visto in Asia;2 '4 vi sono piaghe, alcune pestifere, altre salubri; in alcune nascono uomini di ingegno acuto, in altre ottuso; tutto ciò dipende sia dalla diversità dei climi, sia dalle differenti esalazioni dei terreni. 80 Awiene anche che spesso per qualche apparizione, spesso per voci profonde o canti, l'animo umano subisca una

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timore, qualis est ill a " flexanima tamquam lymphata aut Bacchi sacris comm6ta in tumulis Téucrum commemorans suum . " xxxvn Atque etiam ill a concitatio declarat vim in animis esse divinam. Negat enim sine furore Democritus quemquam poetam magnum esse posse, quod idem dicit Plato . Quem, si placet, appellet furorem , dum modo is furor ita laudetur ut in Phaedro [Platonis] laudatus est . Quid? Vestra oratio in causis, quid ? ipsa actio potest esse vehemens et gravis et copiosa, nisi est animus ipse commotior? Equidem etiam in te saepe vidi et, ut ad leviora veniamus, in Aesopo, familiari tuo, tantum ardorem vultuum atque motuum, ut eum vis quaedam abstra­ xisse a sensu mentis videretur. 8 1 Obiciuntur etiam saepe formae, quae reapse nullae sunt, speciem autem offerunt; quod contigisse Brenna dicitur eius­ que Gallicis copiis, cum fano Apollinis Delphici nefarium bellum intulisset . Tum enim ferunt ex oraclo ecfatam esse Pythiam :

" Ego pr6videbo rem fstam e t albae vfrgines. " E x quo factum ut viderentur virgines ferre arma contra et nive Gallorum obrueretur exercitus. xxxvm Aristoteles quidem eos etiam, qui valetudinis vitio furerent et melancholici dicerentur, censebat habere aliquid in animis praesagiens atque divinum. Ego autem haud scio an nec cardiacis trib uendum hoc sit nec phreneticis ; animi enim integri, non vitiosi est corporis divinatio. 82 Quam quidem esse re vera hac Stoicorum ratione concluditur: " Si sunt di neque ante declarant hominibus quae futura sint, aut non diligunt homines, aut quid eventurum sit ignorant, aut existumant nihil interesse hominum scire quid sit futurum, aut non censent esse suae maiestatis praesignificare hominibus quae sunt futura, aut ea ne ipsi quidem di significa-

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particol are eccitazione; spesso anche per ansia e timore, come quella " con l' animo sconvolto, come invasata o scossa dal furore dei riti bacchici, su per i colli, invocando il suo Teucro " .m xxxvii E anche quell'esaltazione dimostra che nell'anima c'è una forza divina. Democrito, in effetti, sostiene che nessuno può essere un grande poeta senza una specie di follìa, e la stessa cosa dice Platone. La chiami pure follla, purché ne venga fatto un elogio come nel Fedro.2 16 D'altronde, i discorsi di voi oratori nei processi, i vostri gesti stessi/ 17 possono essere veementi, elevati, eloquenti, se anche l'animo di chi parla non è alquanto commosso ? In verità, spesso ho veduto in te, o, per passare a un genere meno solenne, nel tuo amico Esopo un tale ardore di espressioni del volto e di movimento, che si sarebbe detto che una forza misteriosa lo avesse tratto fuori dalla piena consapevolezza di sé.2 18 8 1 Spesso anche si presentano alla vista delle immagini che non hanno realtà alcuna, ma ne hanno l'apparenza. Ciò, si narra, accadde a Brenno e ai Galli suoi soldati, quando quel re scatenò un'empia guerra contro il tempio di Apollo delfico . Dicono che allora la Pizia parlò solennemente cosl dall'oraco­ lo : "A questo provvederò io, e con me le bianche vergini. " Accadde allora che delle vergini sembrassero avanzarsi armate, e che in realtà l'esercito dei Galli fosse sepolto sotto la neve.219 xxxviii Aristotele riteneva che anche i veri e propri ammalati di pazzia furiosa e i cosiddetti atrabiliari avessero nelle loro anime qualcosa di profetico e divinatorio. Ma io non direi che questa qualità vada attribuita ai biliosi e ai frenetici: la divinazione è dote di anime integre, non di corpi ammalati.220 82 Che davvero la divinazione esista si dimostra con questa argomentazione degli stoici : " Se gli dèi esistono e non fanno sapere in anticipo agli uomini il futuro, o non amano gli uomini, o ignorano ciò che accadrà, o ritengono che non giovi affatto agli uomini sapere il futuro, o stimano indegno della loro maestà preavvertire gli uomini delle cose che avverranno, o nemmeno gli dèi stessi sono in grado di farle sapere. Ma non

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re possunt. At neque non diligunt nos (sunt enim benefici generique hominum amici), neque ignorant ea quae ab ipsis constituta et designata sunt, neque nostra nihil interest scire ea quae eventura sint (erimus enim cautiores, si sciemus) , neque hoc alienum ducunt maiestate sua (nihil est enim beneficentia praestantius ) , neque non possunt futura praenoscere. 83 Non igitur sunt di nec significant futura. Sunt autem di; significant ergo. Et non, si significant, nullas vias dant nobis ad significationis scientiam (frustra enim significarent) ; nec, si dant vias, non est divinatio: est igitur divinatio. " xxxrx 84 Hac ratione et Chrysippus et Diogenes et Anti· pater utitur. Quid est igitur cur dubitandum sit quin sint ea, quae disputavi, verissuma, si ratio mecum facit, si eventa, si populi, si nationes, si Graeci, si barbari, si maiores etiam nostri, si denique hoc semper ita putatum est, si summi philosophi, si poetae, si sapientissumi viri, qui res publicas constituerunt , qui urbes condiderunt ? An dum bestiae lo­ quantur exspectamus, homin um consentiente auctoritate con­ tenti non sumus? 85 Nec vero quicquam aliud adfertur cur ea quae dico divinandi genera nulla sint, nisi quod difficile dictu videtur quae cuiusque divinationis ratio, quae causa sit. Quid enim habet haruspex, cur pulmo incisus etiam in bonis extis dirimat tempus et proferat diem ? Quid augur, cur a dextra corvus, a sinistra cornix faciat ratum? Quid astrologus, cur stella Iovis aut Veneris coniuncta cum luna ad ortus puerorum salutaris·· sit, Saturni Martisve contraria? Cur autem

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è vero che non ci amino (sono, infatti, benèfici e amici del genere umano ) , né è possibile che ignorino ciò che essi stessi hanno stabilito e predisposto, né si può am mettere che non ci giovi sapere ciò che accadrà ( ché, se lo sapremo, saremo più prudenti ) , né essi ritengono che ciò non si confaccia alla loro maestà (niente è, difatti, più glorioso che fare il bene) , né p o s s o n o e s s e r e i n c a p a c i di p r e v e d e re22 1 il fu t u r o . 83 Dunque, dovremmo concludere, gli dèi non esistono e non predicono il futuro . Ma gli dèi esistono; dunque predicono. E se dànno indizi, non è ammissibile che ci precludano ogni mezzo di interpretare tali indizi ( ché darebbero gli indizi senza alcun frutto) , né, se essi ci forniscono quei mezzi d'interpreta­ zione, è possibile che non vi sia la divinazione. Dunque c'è la divinazione. " XXXIX 84 Di questa argomentazione si servono Crisippo, Diogene e Antipatro .222 Che motivo c'è, dunque, di rimanere incerti sull'assoluta verità di ciò che ho esposto, se dalla mia parte stanno la ragione, l' avverarsi dei presagi, i popoli, le genti, i greci, i barbari, i nostri stessi antenati, se insomma a queste cose si è sempre creduto, se vi hanno creduto i più grandi filosofi, i poeti, i saggissimi uomini che istituirono gli stati e fondarono le città? Forse, non bastandoci la concorde a u t o r i t à d e g l i u o m i n i , a s p e t t i a m o che p a rlino le bestie?223 85 Del resto, chi sostiene che i generi di divinazio­ ne di cui parlo non hanno alcun valore, obietta soltanto questo : che appare difficile dire quale sia il procedimento razionale, quale la causa di ciascuna divinazione. Che motivo può addurre l' arùspice per cui un polmone che presenta una fenditura, anche se le viscere sono in complesso di buon augurio, debba far sospendere il tempo di un'azione e farla rinviare a un altro giorno ?224 Che motivo ha l'àugure di sentenziare che un corvo che gràcida da destra, una cornac­ chia da sinistra, sono di buon augurio ? Che motivo ha l'astrologo di dire che l'astro di Giove o di Venere in congiunzione con la luna è di buon auspicio per la nascita dei bat:nbini, mentre gli astri di Saturno o di Marte sono infausti ? E ancora, perché la divinità ci ammonisce mentre dormiamo, non si cura di noi quando siamo svegli?m Che ragione c'è per

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deus dormientes nos moneat, vigilantes neglegat ? Quid dein­ de causae est, cur Cassandra furens futura prospiciat, Priamus sapiens hoc idem facere non queat ? 86 Cur fiat quidque, quaeris . Recte omnino; sed non nunc id agitur; fiat necne fiat, id quaeritur: ut si magnetem lapidem esse dicam qui ferrum ad se adliciat et adtrahat, rationem cur id fiat adferre ne­ queam, fieri omnino neges. Quod idem facis in divinatione, quam et cernimus ipsi et audimus et legimus et a patribus accepimus. Neque ante philosophiam p atefactam, quae nuper inventa est, hac de re communis vita dubitavit, et, posteaquam philosophia p rocessit, nemo aliter philosophus sensit, in quo modo esset auctoritas. 87 Dixi de Pythagora, de Democrito, de Socrate, excepi de antiquis praeter Xenophanem neminem, adiunxi veterem Academiam , Peripateticos, Stoicos; unus dissentit Epicurus. Quid vero hoc turpius, quam quod idem nullam censet gratuitam esse virtutem ? XL Quis est autem, quem non moveat clarissumis monu­ mentis testata consignataque antiquitas? Calchantem augurem scribit Homerus longe optumum, eumque ducem classium fuisse ad Ilium, auspiciorum, credo, s cientia, non locorum. 88 Amphilochus et Mopsus Argivorum reges fuerunt, sed iidem augures, iique urbis in ora marituma Ciliciae Graecas condiderunt ; atque etiam ante hos Amphiaraus et Tiresias non humiles et obscuri neque eorum similes, ut apud Ennium est, " quf sui quaestus causa fictas suscitant sentént ias,

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sed dari et praestantes viri, qui avibus et signis admoniti futura dicebant; quorum de altero etiam apud inferos Home­ rus ait solum sapere, ceteros umbrarum vagari modo; Am­ phiaraum autem sic honoravit fama Graeciae, deus ut habere­ tur, atque ut ab eius solo, in quo est humatus, oracla peterentur. 89 Quid ? Asiae rex Priamus nonne et Helenum filium et Cassandram filiam divinantes habebat, alterum augu-

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cui Cassandra veda il futuro in stato di folle esaltazione, e non sia in grado di far ciò Priamo trovandosi perfettamente in senno ? 86 Tu chiedi perché ciascuna di queste cose avven­ ga. Curiosità del tutto legittima ; ma qui non di questo si tratta: si discute se quei fatti avvengano o no. Sarebbe come se, dicendo io che la calamita è una pietra che alletta e attrae226 .a sé il ferro ma non sapendo dire perché ciò avvenga, tu negassi senz ' altro il fatto. È ciò che fai riguardo alla divinazione, che constatiamo di persona, di cui sentiamo parlare e leggiamo, la cui dottrina ci è giunta dai nostri antenati. E già prima dell'inizio della filosofia, che risale a tempi recenti, l'opinione comune non ebbe alcun dubbio quanto a ciò ; e quando si fece avanti la filosofia, nessun filosofo dotato di un minimo di autorità la pensò altrimenti. 87 Ho menzionato227 Pitagora, Democrito, Socrate; tra i più antichi non ho dovuto far eccezioni per nessuno tranne per Senofane. Ho aggiunto l'Accademia antica, i peripatetici, gli stoici. Dissente solo Epicuro ; ma che cosa c'è di più turpe del fatto che il medesimo Epicuro sostiene che non esiste alcuna virtù disinte­ ressata ? XL Chi, d 'altra parte, non rimane impressionato dall'anti­ chità dei fatti testimoniati e garantiti da documenti di gran valore?228 Omero dice che Calcante fu l' àugure di gran lunga migliore di tutti, e che guidò le navi greche fino a Ilio, grazie alla sua conoscenza degli auspicii, credo bene, non a quella dei luoghi. 88 Anfiloco e Mopso furono re degli argivi, ma anche àuguri, e fondarono città greche sulla costa della Cilicia . E ciò fecero prima di loro Anfiarao e Tiresia, non gente bassa e ignota, non simili a quelli di cui parla Ennio, " che per bisogno di guadagnare inventano false profezie " , ma uomini famosi e valenti, che interpretando il volo degli uccelli e i segni premonitori dicevano il futuro. Del secondo di essi Omero dice che anche negl'ìnferi è l'unico ad aver senno, gli altri errano al pari di ombre; quanto poi ad Anfiarao, la fama acquistatasi presso i greci gli procurò tanto onore, che fu considerato un dio e gli si chiedevano oracoli che emanassero dal suo suolo, là dove era stato sotterrato.229 89 E Priamo, il re dell'Asia, non aveva due figli capaci di divinazione, Eleno e

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riis, alteram mentis incitatione et permotione divina ? Quo in genere Marcios quosdam fratres, nobili loco natos, apud maiores nostros fuisse scriptum videmus. Quid ? Polyidum Corinthium nonne Homerus et aliis multa et filio ad Troiam proficiscenti mortem praedixisse commemorat ? Omnino apud veteres, qui rerum potiebantur, iidem auguria tenebant ; ut enim sapere sic divinare regale ducebant : [ut] testis est nostra civitas, in qua et reges augures et postea privati eodem sacerdotio praediti rem publicam religionum auctoritate rexe­ runt. XLI 90 Eaque divinationum ratio ne in barbaris quidem gentibus neglecta est, siquidem et in Gallia Druidae sunt, e quibus ipse Divitiacum Haeduum hospitem tuum laudatorem­ que cognovi, qui et naturae rationem, quam cpvowÀoy{av Graeci appellant, notam esse sibi profitebatur, et partim auguriis, partim coniectura, quae essent futura dicebat, et in Persis augurantur et divinant magi, qui congregantur in fano commentandi causa atque inter se conloquendi, quod etiam idem vos quondam facere Nonis solebatis ; 91 nec quisquam rex Persarum potest esse, qui non ante magorum disciplinam scientiamque perceperit . Licet autem videre et genera quae­ dam et nationes huic scientiae deditas. Telmessus in Caria est, qua in urbe excellit haruspicum disciplina ; itemque Elis in Peloponneso familias duas certas habet, Iamidarum unam, alteram Clutidarum, haruspicinae nobilitate praestantes. In Syria Chaldaei cognitione astrorum sollertiaque ingeniorum antecellunt. 92 Etruria autem de caelo tacta scientissume animadvertit, eademque interpretatur quid quibusque osten­ datur monstris atque portentis. Quocirca bene apud maiores nostros senatus, turo cum florebat imperium, decrevit ut de principum filiis x ex singulis Etruriae populis in disciplinam traderentur, ne ars tanta propter tenuitatem hominum a

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Cassandra, il primo mediante gli augurii, l'altra per esaltazione e follia divina ?210 Profeti di questo secondo genere furono p resso di noi in tempi antichi (ne abbiamo menzione scritta) certi fratelli Marcii, di famiglia nobile.m E Poliido corinzio, non predisse la morte - lo narra Omero - al figlio che p artiva per la guerra di Troia, e molte altre cose ad altri ?212 In generale, nei tempi antichi i sovrani erano anche maestri di arte augurale: consideravano come una dote regale la divina­ zione al pari della sapienza nel governare. Ne è testimone la nostra città, nella quale dapprima furono àuguri i re, poi alcuni privati cittadini, muniti di questa stessa carica sacerdo­ tale, governarono la repubblica con l'autorità promanante dalle credenze religiose. XLI 90 Questi procedimenti divinatorii non sono trascura­ ti nemmeno dai barbari. In Gallia vi sono i Druidi: ne ho conosciuto uno anch'io, l'èduo Divizfaco, tuo ospite e ammi­ ratore, il quale dichiarava che gli era nota la scienza della natura, chiamata dai greci physiologla, e in parte con gli augurii, in parte con l'interpretazione dei sogni, diceva il futuro.m Tra i persiani, interpretano gli augurii e profetano i maghi, i quali si riuniscono in un luogo sacro per meditare sulla loro arte e per scambiarsi idee, il che anche voi eravate soliti fare nel giorno delle None;234 91 né alcuno può essere re dei persiani se non ha prima appreso la pratica e la scienza dei maghi. È facile, d'altronde, vedere famiglie e genti dedite alla divinazione. In Caria c'è la città di Telmesso, nella quale l:arte degli arùspici si distingue particolarmente; cosi pure Elide nel Peloponneso ha due determinate famiglie, quella degli Iàmidi e quella dei Clltidi, famose più di tutte per l'aruspicina. In Siria i Caldei eccellono per conoscenza degli astri e per acutezza d'interpretazione.m 92 L'Etruria cono­ sce profondamente i presagi tratti dai luoghi colpiti dal fulmine, e sa interpretare il significato di ciascun prodigio e di ciascuna apparizione portentosa. Giustamente, perciò, al tem­ po dei nostri antenati, quando il nostro Stato era in pieno fiore, il senato decretò che dieci figli di famiglie eminenti, scelti ciascuno da una delle genti etrusche, fossero fatti istruire nell'aruspicina, per evitare che un'arte di tale importanza, a

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religionis auctoritate abduceretur ad mercedem atque quae­ stum. Phryges autem et Pisidae et Cilices et Arabum natio avium significationibus plurimum obtemperant, quod idem factitatum in Umbria accepimus. XLII 93 Ac mihi quidem videntur e locis quoque ipsis, qui a quibusque incolebantur, divinationum opportunitates esse ductae. Etenim Aegyptii et Babylonii in camporum patentium aequoribus habitantes, curo ex terra nihil emineret quod contemplationi caeli officere posset, omnem curaro in siderum cognitione posuerunt ; Etrusci autem, quod religione imbuti studiosius et crebrius hostias immolabant, extorum cognitioni se maxume dediderunt , quodque propter aeris crassitudinem de caelo apud eos multa fiebant, et quod oh eandem causam multa invisitata partim e caelo, alia ex terra oriebantur, quaedam etiam ex hominum pecudumve conceptu et satu, ostentorum exercitatissumi interpretes exstiterunt. Quorum quidem viro, ut tu soles dicere, verba ipsa prudenter a maioribus posita declarant. Quia enim ostendunt, portendunt, monstrant, praedicunt, ostenta, portenta, monstra, prodigia dicuntur. 94 Arabes autem et Phryges et Cilices, quod pastu pecudum maxume utuntur, campos et montes hieme et aestate peragrantes, propterea facilius cantus avium et volatus notaverunt ; eademque et Pisidiae causa fuit et huic nostrae Umbriae . Turo Caria tota praecipueque Telmesses, quos ante dixi, quod agros uberrumos maximeque fertiles incolunt, in quibus multa propter fecundidatem fingi gignique possunt, in ostentis animadvertendis diligentes fuerunt. XLIII 95 Quis vero non videt in optuma quaque re publica plurimum auspicia et reliqua divinandi genera valuisse ? Quis rex umquam fuit, quis populus, qui non uteretur praedictione divina? Neque solum in pace, sed in bello multo etiam magis,

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causa della povertà di quelli che la praticavano, scadesse da autorevole disciplina religiosa a oggetto di traffico e di guadagno.236 Quanto, poi, ai frigi, ai pisidii, ai cilici, al popolo arabo, essi obbediscono scrupolosamente ai segni profetici dati dagli uccelli; e sappiamo che lo stesso è awenuto per lungo tempo in Umbria.237 XLII 93 E a me sembra che l'opportunità di praticare i diversi generi di divinazione sia derivata anche dai luoghi che erano abitati dai vari popoli.2J8 Gli egiziani e i babilonesi, che abitavano in distese di campi pianeggianti, poiché nessuna altura poteva ostacolare la contemplazione del cielo, posero tutto il loro studio nella conoscenza degli astri. Gli etruschi, poiché, sommamente religiosi, immolavano vittime con zelo e frequenza particolare, si dedicarono soprattutto all'indagine delle viscere; e siccome, per l'aria pregna di vapori, erano frequenti nella loro patria i fulmini, e per lo stesso motivo si verificavano molti fatti straordinari provenienti in parte dal cielo, altri dalla terra, taluni anche in seguito al concepimento e alla generazione degli esseri umani e delle bestie, acquistaro­ no una grandissima perizia nell'interpretare i prodigi. Il cui significato, come tu sei solito dire,239 è dimostrato dalle parole stesse foggiate sapientemente dai nostri antenati: poiché fanno vedere (ostendunt) , prognosticano (portendunt), mostrano (monstrant) , predicono (praedicunt) , vengono chiamati appari­ zioni miracolose (ostenta ) , portenti (portenta ) , mostri (mon­ stra), prodigi (prodigia) . 94 Gli arabi, i frigi e i cilici, poiché sono soprattutto dediti alla pastorizia, percorrendo le pianure d'inverno e le montagne d'estate/40 hanno perciò notato più agevolmente i diversi canti e voli degli uccelli; e per lo stesso motivo hanno fatto ciò gli abitanti della Pisidia e quelli di questa nostra Umbria. E ancora, tutti i carii e in particolare gli abitanti di Telmesso, di cui ho detto sopra, siccome vivono in piaghe ricchissime ed estremamente fertili, nelle quali per la fecondità del terreno molte piante e animali possono formarsi e generarsi, osservarono con accuratezza gli esseri abnormi. XLIII 95 Chi, del resto , non vede che in ogni Stato bene ordinato gli auspicii e gli altri tipi di divinazione hanno sempre goduto altissimo credito ?241 Quale re c'è mai stato, quale

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quo maius erat certamen et discrimen salutis. Omitto nostros, qui nihil in bello sine extis agunt, nihil sine auspiciis domi [habent auspicia] ; externa videamus. Namque et Athenienses omnibus semper p ublicis consiliis divinos quosdam sacerdo­ tes, quos /lcXV"CELç vocant, adhibuerunt, et Lacedaemonii regi­ bus suis augurem adsessorem dederunt, itemque senibus (sic enim consilium publicum appellant) augurem interesse volue­ runt, iidemque de rebus maioribus semper aut Delphis oraclum aut ab Hammone aut a Dodona petebant . 96 Lycurgus quidem, qui Lacedaemoniorum rem publicam temperavit, leges suas auctoritate Apollinis Delphici confirma­ vit ; quas cum vellet Lysander commutare, eadem est prohibi­ tus religione. Atque etiam qui praeerant Lacedaemoniis, non contenti vigilantibu s curis, in Pasiphaae fano, quod est in agro propter urbem, somniandi causa excubabant, quia vera quietis oracla ducebant . 97 Ad nostra iam redeo . Quotiens senatus decemviros ad libros ire iussit ! Quantis in rebus quamque saepe responsis haruspicum paruit ! nam et cum duo visi soles essent, et cum tres lunae, et cum faces, et cum sol nocte visus esset, et cum e caelo fremitus auditus, et cum caelum discessisse visum esset atque in eo animadversi globi. Delata etiam ad senatum labes agri Privernatis, cum ad infinitam altitudinem terra desidisset Apuliaque maximis terrae motibus conquassata esset . Quibus portentis magna pop ulo Romano bella perniciosaeque seditio­ nes denuntiabantur, inque his omnibus responsa haruspicum cum Sibyllae versibus congruebant. 98 Quid cum Cumis Apollo sudavit, C apuae Victoria ? Quid, ortus androgyni nonne fatale quoddam monstrum fuit ? Quid cum fluvius Atratus sanguine fluxit ? Quid quod saepe lapidum, sanguinis

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popolo che non ricorresse alle predizioni divine? E questo non solo in tempo di pace, ma anche, molto di più, in guerra, perché tanto maggiore era la posta in giuoco e in più grave rischio la salvezza. Lascio da parte i nostri, i quali non intraprendono nulla in guerra senza aver esaminato le viscere, nulla fanno in pace senza aver preso gli auspicii; vediamo gli stranieri. Gli ateniesi in tutte le pubbliche deliberazioni ricorsero sempre a certi sacerdoti divinatori che essi chiamano manteis, e gli spartani posero a fianco dei loro re un àugure come consigliere, e vollero, parimenti, che un àugure parteci­ passe alle riunioni degli anziani ( così chiamano il consiglio statale) ; e così pure, in tutte le questioni importanti, chiedeva­ no sémpre responsi a Delfi o ad Ammone o a Dodona. 96 Licurgo, che dette la costituzione allo Stato spartano, volle confermare le · proprie leggi con l'approvazione di Apollo delfico; e quando Lisandro le volle riformare, ne fu impedito dal divieto del medesimo oracolo. Non basta : i governanti degli spartani, non ritenendo sufficienti le cure che davano al governo durante il giorno, andavano a giacere, per procurarsi dei sogni, nel tempio di Pasifae, situato nella campagna vicina a Sparta, perché consideravano veritiere le profezie avute nel sonno. 97 Ecco, ritorno alle cose nostre. Quante volte il senato ordinò ai decemviri di consultare i libri sibilli ni ! 242 In quanto importanti e numerose occasioni obbedì ai responsi degli arùspici ! Ogni volta che si videro due soli, e tre lune, e fiamme nell'aria; ogni volta che il sole apparve di notte, e giù dal cielo si sentirono dei rumori sordi e sembrò che la volta celeste si fendesse, e in essa apparvero dei globi. Fu anche annunziato al senato il franamento del territorio di Priverno, quando la terra s'abbassò fino ad una profondità immensa e la Puglia fu squassata da violentissimi terremoti. E da questi portenti erano preannunciate al popolo romano grandi guerre e rovi­ nose sedizioni, e in tutti questi casi i responsi degli arùspici concordavano coi versi della Sibilla. 98 E ancora/43 quando a Cuma sudò la statua di Apollo, a Capua quella della Vittoria ? E la nascita di un andrògino non fu un prodigio funesto ? E quando le acque del fiume Atrato si tinsero di

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non numquam, terrae interdum, quondam etiam lactis imber effluxit ? Quid cum in Capitolio ictus Centaurus e caelo est, in Aventino portae et homines, Tusculi aedes Castoris et Pollucis Romaeque Pietatis ? Nonne et haruspices ea responderunt, quae evenerunt, et in Sibyllae libris eaedem repertae praedic­ tiones sunt ? XLIV 99 Caeciliae Q. filiae somnio modo Marsico bello templum est a senatu Iunoni Sospitae restitutum. Quod quidem somnium Sisenna cum disputavisset mirifice ad ver­ bum cum re convenisse, tum insolenter, credo ab Epicureo aliquo inductus, disputat somniis credi non oportere. Idem contra ostenta nihil disputat exponitque initio belli Marsici et deorum simulacra sudavisse, et sanguinem fluxisse, et disces­ sisse caelum, et ex occulto auditas esse voces, quae pericula belli nuntiarent, et Lanuvii clipeos, quod haruspicibus tristis­ sumum visum esset, a muribus esse derosos. 100 Quid quod in annalibus habemus V eienti bello, cum lacus Albanus praeter modum crevisset, Veientem quendam ad nos homi­ nem nobilem perfugisse, eumque dixisse ex fatis, quae Veien­ tes scripta haberent, V eios capi non posse, dum lacus is redundaret, et, si lacus emissus lapsu et cursu suo ad mare profluxisset, perniciosum populo Romano ; sin autem ita esset eductus, ut ad mare pervenire non posset, tum salutare nostris fore ? Ex quo illa mirabilis a maioribus Albanae aquae facta deductio est. Cum autem Veientes bello fessi legatos ad senatum misissent, tum ex iis quidam dixisse dicitur non omnia ill u m transfugam ausum esse senatui dicere: in isdem enim fatis scriptum Veientes habere fore ut brevi a Gallis Roma caperetur, quod quidem sexennio post Veios captos factum esse videmus .

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sangue ? E che dire del fatto che più volte cadde giù una pioggia di pietre, spesso di sangue, talvolta di terra, una volta anche di latte ? E quando sul Campidoglio fu colpita dal fulmine la statua di un Centauro, sull'Aventino porte delle mura e uomini, a Tùsculo il tempio di Càstore e Pollùce, a Roma il tempio della Pietà ? In tutte queste circostanze gli arùspici non dettero responsi conformi a ciò che poi accadde, e nei libri sibill i ni non furono trovate le stesse profezie? XLIV 99 Non molto tempo fa, durante la guerra màrsica, in seguito a un sogno di Cecilia, figlia di Quinto, il tempio dedicato a Giunone Sospita fu fatto ricostruire dal senato.244 Sisenna aveva dimostrato che quel sogno corrispondeva mira­ bilmente, alla lettera, coi fatti; poi, inaspettatamente, credo per influsso di qualche epicureo, si mette a sostenere che non bisogna credere ai sogni. Eppure contro i prodìgi non obietta nulla, e narra che all 'inizio della guerra màrsica le statue degli dèi sudarono, e scorsero fiumi rossi di sangue, e che il cielo si spaccò, e si udirono voci misteriose che annunziavano pericoli di guerra, e a Lanuvio alcuni scudi furono rosicchiati dai topi : agli arùspici questo parve un presagio funestissi­ mo. 1 00 E che dire di ciò che leggiamo negli annali?w Durante la guerra contro Veio, essendo cresciute oltre misura le acque del lago Albano, un nobile di Veio passò dalla nostra parte e disse che, secondo i libri profetici che i veienti conservavano, Veio non poteva esser presa finché il lago non fosse giunto a traboccare; ma se le acque, fuoriuscendo, si fossero scaricate in mare secondo il loro deflusso spontaneo, sarebbe stata una rovina per il popolo romano; se invece fossero state incanalate in modo da non poter raggiungere il mare, sarebbe stata la vittoria per i nostri. In seguito a ciò i nostri antenati scavarono quel mirabile canale di scarico dell 'acqua del lago Albano . Ma quando i veienti, spossati dalla guerra, mandarono ambasciatori al senato per trattare la resa, allora uno di essi - si narra - disse che quel disertore non aveva avuto il coraggio di dire tutto al senato : ché in quegli stessi libri profetici posseduti dai veienti si diceva che tra breve Roma sarebbe stata conquistata dai Galli: e in effetti, come sappiamo, ciò avvenne sei anni dopo la presa di Veio.

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LIBER PRIOR, IDI-103 XLV 1 0 1 Saepe etiam et in proeliis Fauni auditi et in rebus turbidis veridicae voces ex occulto missae esse dicuntur; cuius generis duo sint ex multis exempla, sed maxuma. Nam non multo ante urbem captam exaudita vox est a luco Vestae, qui a Palati radice in novam viam devexus est, ut muri et portae reficerentur; futurum esse, nisi provisum esset, ut Roma caperetur. Quod neglectum cum caveri poterat, post accep­ tam illam maximam cladem expiatum est; ara enim Aio Loquenti, guam saeptam videmus, exadversus eum locum consecrata est . Atque etiam scriptum a multis est, cum terrae motus factus esset, ut sue plena procuratio fieret, vocem ab aede lunonis ex arce exstitisse; quocirca Iunonem ill a m appellatam Monetam . Haec igitur et a dis significata et a nostris maiori bus iudicata contemnimus ? 1 02 Neque solum deorum voces Pythagorei observitave­ runt, sed etiam hominum, guae vocant omina. Quae maiores nostri quia valere censebant, idcirco omnibus rebus agendis " quod bonum, faustum, felix fortunatumque esset " praefa­ bantur, rebusque divinis, guae publice fierent, ut " faverent linguis " imperabatur, inque feriis imperandis ut " litibus et iurgiis se abstinerent " . ltemque in lustranda colonia ab eo qui eam deduceret, et cum imperator exercitum, censor populum lustraret, bonis nominibus qui hostias ducerent eligebantur. Quod idem in dilectu consules observant, ut primus miles fiat bono nomine. 1 03 Quae quidem a te scis et consule et imperatore summa cum religione esse servata. Praerogativam etiam maiores omen iustorum comitiorum esse voluerunt.

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XLV 1 0 1 Spesso anche si narra che nelle baftaglie si udirono le voci dei Fauni,246 e, nel corso di tumulti,·.Parole che predicevano il vero, provenienti chissà da dove. Tra i molti esempi di questo genere, bastino due soli, ma di gran rilievo. Non molto prima che la città fosse presa dai Galli, si udl una voce proveniente dal bosco sacro a Vesta, che dai piedi del Palatino scende verso la Via Nuova : la voce ammoniva che si ricostruissero le mura e le porte ; se non si provvedeva, Roma sarebbe stata presa dai nemici. Di questo ammonimento, che fu trascurato allora, quando si era in tempo a evitare il danno, fu fatta espiazione dopo quella terribile disfatta : dirimpetto a quel luogo, fu consacrato ad Aio Loquente un altare, che tuttora vediamo protetto da un recinto. L 'altro esempio : molti hanno scritto che, dopo un terremoto, una voce proveniente dal tempio di Giunone sul Campidoglio ammonì che si sacrificasse in segno di espiazione una scrofa gravida : perciò la Giunone a cui era dedicato quel tempio fu chiamata Moneta. Questi fatti, dunque, annunciati dagli dèi e sanzionati dai nostri antenati, li disprezziamo ? 102 Ma i pitagorici consideravano assiduamente non solo le voci degli dèi, ma anche quelle degli uomini, chiamate òmina.241 E siccome i nostri antenati ritenevano che esse avessero valore profetico, ogni volta che dovevano compiere un atto importan­ te incominciavano col dire : " Sia questa cosa buona, fausta, felice e fortunata " ; e nelle pubbliche cerimonie religiose si ordinava che i presenti " facessero silenzio " , e, nel proclamare le ferie, che " si astenessero da liti e risse " . Così pure, nel fondare con un rito di purificazione una colonia, colui che la fondava sceglieva, perché conducessero le vittime al sacrificio, persone dai nomi di buon augurio ; e così faceva il comandante quando purificava l'esercito, il censore quando purificava il popolo. Alla stessa norma si attengono i consoli nella leva : che il primo soldato arruolato abbia un nome di buon augurio. 1 03 Tu sai bene che, quando sei stato console e comandante militare, hai osservato queste norme con grande scrupolo . Anche riguardo alla centuria che votava per prima nei comizi, i nostri antenati ritennero che per il suo nome essa costituisse un buon auspicio di elezioni conformi alla legge.

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XLVI Atque ego exempla ominum nota proferam . L. Paulus consul iterum, cum ei bellum ut cum rege Perse gereret obtigisset, ut ea ipsa die domum ad vesperum rediit, filiolam suam Tertiam, quae tum erat admodum parva, osculans animadvertit tristiculam. " Quid est, " inquit, " mea Tertia ? quid tristis es ? " " Mi pater, " inquit, " Persa periit. " Tum ill e artius puellam complexus : " Accipio, " inquit, " mea filia, omen . " Erat autem mortuus catellus eo nomine. 1 04 L. Flaccum, flaminem Martialem, ego audivi, cum diceret Caeci­ liam Metelli, cum vellet sororis suae fùiam in matrimonium conlocare, exisse in quoddam sacellum ominis capiendi causa, quod fieri more veterum solebat. Cum virgo staret et Caecilia in sella sederet, neque diu ulla vox exstitisset, puellam defatigatam petisse a matertera, ut sibi concederet paulisper ut in eius sella requiesceret ; ill am autem dixisse: " Vero, mea puella, tibi concedo meas sedes. " Quod omen res consecuta est ; ipsa enim brevi mortua est, virgo autem nupsit, cui Caecilia nupta fuerat . Haec posse contemni vel etiam rideri praeclare intellego, sed id ipsum est deos non putare, quae ab iis significantur contemnere. XLVII 1 0.5 Quid de auguribus loquar? Tuae partes sunt, tuum, inquam, auspiciorum patrocinium debet esse. Tibi App . Claudius augur consuli nuntiavit addubitato salutis augurio bellum domesticum triste ac turbulentum fore; quod paucis post mensibus exortum paucioribus a te est diebus oppressum . Cui quidem auguri vehementer adsentior; solus enim multorum annorum memoria non decantandi augurii, sed divinandi tenuit disciplinam. Quem inridebant collegae tui eumque tum Pisidam, tum Soranum augurem esse dice­ bant ; quibus nulla videbatur in auguriis aut praesensio aut scientia veritatis futurae; sapienter aiebant ad opinionem imperitorum esse fictas religiones. Quod longe secus est; neque enim in pastoribus ill i s, quibus Romulus praefuit, nec in ipso Romulo haec calliditas esse potuit, ut ad errorem

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XLVI Ed io ti rammenterò ben noti esempi di òmina.248 Lucio Paolo, console per la seconda volta, essendogli- toccato l'incarico di condurre la guerra contro il re Perse, quando in quello stesso giorno, sull'imbrunire, ritornò a casa, nel dare un bacio alla sua bambina Terzia, ancora molto piccola a quel tempo, si accorse che era un po' triste. " Che è successo, Terzia ? " le chiese; " perché sei triste ? . " E lei: " Babbo, " disse, "è morto Persa. " Egli allora, abbracciandola forte, disse : " Accetto il presagio, figlia mia. " Era morto un cagnolino che si chiamava cosl. 104 Ho udito raccontare io stesso da Lucio Placco, flàmine marziale/�9 che Cecilia, moglie di Metello, volendo far sposare la figlia di sua sorella, si recò in un tempietto per ricevere un presagio, secondo l'uso degli antichi. La nipote stava in piedi, Cecilia era seduta ; per molto tempo non si senti nessuna voce; allora la ragazza, stanca, chiese alla zia che le permettesse di riposarsi un poco sulla sua sedia. E Cecilia : " Certo, bambina mia, ti lascio il mio posto. " E il detto si avverò : Cecilia morì poco dopo, e la ragazza sposò colui che era stato il marito di Cecilia. Lo capisco fin troppo bene : queste cose si possono disprezzare o si può anche riderne; ma disprezzare i segni inviati dagli dèi e negare la loro esistenza, è tutt ' uno. XLVII 105 E degli àuguri, che dire ?210 È materia di tua pertinenza; a te, dico, deve spettare la difesa degli auspicii. Quando eri console, l'àugure Appio Claudio ti annunziò avendo giudicato ambiguo l'" augurio della salvezza " - che vi sarebbe stata una guerra civile funesta e tempestosa. E pochi mesi dopo scoppiò, e tu la soffocasti in ancor più pochi giorni. Quell'àugure io lo stimo altamente, perché egli solo, dopo molti anni, non si limitò a ripetere le solite formule augurali, ma mantenne in vita l'arte della divinazione. I tuoi colleghi lo deridevano, lo chiamavano àugure di Pisidia o di Sora : essi credevano che negli augurii non vi fosse nessun presentimen­ to, nessuna conoscenza della realtà futura ; erano stati accorti, dicevano, quelli che avevano inventato le credenze religiose per darle a intendere agli ignoranti ! Ma la realtà è ben diversa: né quei pastori di cui Romolo fu il re, né Romolo in persona poterono essere tanto smaliziati da inventare delle parvenze di

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multitudinis religionis simulacra fingerent . Sed difficultas laborque discendi disertam neglegentiam reddidit; malunt enim disserere nihil esse in auspiciis quam, quid sit, ediscere. 106 Quid est ilio auspicio divinius, quod apud te in Mario est ? ut utar potissumum auctore te: " Hic lovis altisoni subito pinnata satelles arboris e trunco, serpentis saucia morsu, subrigit ipsa, feris transfigens unguibus anguem semianimum et varia graviter cervice micantem . Quem se intorquentem lanians rostroque cruentans iam satiata animos, iam duros ulta dolores abicit ecflantem et laceratum adfligit in unda seque obitu a solis nitidos convertit ad ortus. Hanc ubi p raepetibus pinnis lapsuque volantem conspexit Marius, divini numinis augur, faustaque signa suae laudis reditusque notavit, partibus intonuit caeli pater ipse sinistris. Sic aquilae clarum firmavit luppiter omen . " XLVIII 1 0 7 Atque ille Romuli auguratus pastoralis, non urbanus fuit, nec fictus ad opiniones imperitorum, sed a certis acceptus et posteris traditus. ltaque Romulus augur, ut apud Ennium est, cum fratre item augure

" Curantes magna cum cura, tum cupientes regni dant operam simul auspicio augurioque. tln montet Remus auspicio se devovet atque secundam solus avem servat; at Romulus pulcher in alto quaerit Aventino, servat genus altivolantum. Certabant, urbem Romam Remoramne vocarent ; omnibus cura viris uter esset induperator. Exspectant, veluti consul cum mittere signum volt, o.ti:mes avidi spectant ad carceris oras, 1 08 quam mox emittat pictis e faucibus curr!Js: sic exspectabat populus atque ore timebat

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religione per trarre in errore la moltitudine. Ma la difficoltà e la fatica d'imparare hanno reso eloquenti i fannulloni: meglio fare forbiti discorsi sul valore nullo degli auspicii, che appren­ derne con cura l'essenza. 1 06 Che c'è di più profetico di quell' auspicio che si legge nel tuo Mario ?m Della tua testimo­ nianza mi piace servirmi più che di ogni altra : " Allora, d'improvviso, l'alata ministra di Giove altitonante, ferita dal morso del serpente, lo strappa a sua volta dal tronco dell'albero, trafiggendo con gli artigli spietati il rettile semivi­ vo, guizzante a gran forza col collo variegato. Essa dilania e insanguina col becco il serpente che si divincola; poi, ormai saziata l'ira, ormai vendicato l'aspro dolore, lo lascia cader giù spirante, lo fa precipitare nelle onde già ridotto a brani ; ed essa si rivolge dal lato dove il sole tramonta verso il lato donde sorge splendente. Appena Mario, àugure della volontà divina, ebbe visto l'aquila che volava scorrendo per il cielo con le ali veloci, ed ebbe inteso il fausto presagio della propria gloria e del proprio ritorno, ecco che il Padre stesso degli dèi tuonò dalla parte sinistra del cielo . Così Giove confermò lo splendi­ do presagio dell'aquila. " XLVIII 107 E quell'augurio ottenuto da Romolo fu un augurio da pastore, non da esperto cittadino, non inventato per dar soddisfazione alle credenze degli ignoranti, ma ricevu­ to da persone fededegne e tramandino ai posteri.252 Or bene, Romolo àugure, come leggiamo in Ennio, e suo fratello àugure anche lui, " procedendo con gran cura, e desiderosi di regnare, si accingono all'auspicio e all'augurio. tSul montet * * * * Remo si dedica all'auspicio e da solo attende che appaia qualche uccello; dal canto suo, Romolo dall'aspetto divino osserva il cielo sull'alto Aventino, attende la stirpe degli altovolanti. Gareggiavano per decidere se dovessero chiamare la città Roma o Rémora; tutti attendevano ansiosamente chi sarebbe stato il sovrano. Aspettano, come quando il console sta per dare il segnale nella corsa dei carri, tutti guardano avidamente le aperture dei cancelli, 1 08 attenti al momento in cui lascerà uscire dalle dipinte imboccature i carri: allo stesso modo il popolo aspettava coi volti pallidi nell'attesa degli eventi, chiedendosi a quale dei due sarebbe toccata la

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rebus, utri magni victoria sit data regn.i. Interea sol albus recessi� jn infera noctis. Exin candida se radiis dedit icta foras lux, et simul ex alto longe pulcherruma praepes laeva volavit avis. Simul aureus exoritur sol, cedunt de caelo ter quattuor corpora sancta avium, praepetibus sese pulchris.que locis dant. Conspicit inde sibi data Romulus esse priora, auspicio regni stabilita scamna solumque. " XLIX 109 Sed ut, unde huc digressa est, eodem redeat oratio : si nihil queam disputare quam oh rem quidque fiat, et tantum modo fieri ea quae commemoravi doceam, parumqe Epicuro Carneadive respondeam? Quid si etiam ratio exstat artificiosae praesensionis facilis, divinae autem paulo obscu­ rior? Quae enim extis, quae fulgoribus, quae portentis, quae astris praesentiuntur, haec notata sunt observatione diuturna; adfert autem vetustas omnibus in rebus longinqua observatio­ ne incredibilem scientiam; quae potest esse etiam sine motu atque impulsu deorum, cum quid ex quoque eveniat et quid quamque rem significet crebra animadversione perspectum est . 1 1 0 Altera divinatio est naturalis, ut ante dixi; quae physica disputandi subtilitate referenda est ad naturam deo­ rum, a qua, ut doctissimis sapientissimisque placuit, haustos animos et libatos habemus ; cumque omnia completa et referta sint aeterno sensu et mente divina, necesse est cognatione divinorum animorum animos humanos comm overi . Sed vigi­ lantes animi vitae necessitatibus serviunt diiunguntque se a societate divina vinclis corporis impediti. 1 1 1 (Rarum est quoddam genus eorum qui se a corpore avocent et ad divinarum rerum cognitionem cura omni studioque rapian-

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vittoria nella gara per il gran regno. Frattanto il sole lucente si calò nelle profondità della notte. Ed ecco, la fulgida luce riapparve raggiante, spinta fuori nel cielo ; e nello stesso tempo, lontano, dall'alto, volò un uccello bellissimo, di buon augurio, da sinistra. Appena sorge l'aureo sole, scendono dal cielo dodici corpi sacri di uccelli, si posano su luoghi fausti e bene auguranti. Da ciò Romolo comprese che a lui era stata data la preferenza, che in seguito all'auspicio gli era assicurato il seggio regale e il territorio. " XLIX 109 Ma, per ritornare al punto da cui ha preso le mosse il mio discorso/n anche se io non fossi per nulla in grado di spiegare perché avviene ciascuno di questi fatti, e dimostrassi soltanto che i fatti che ho menzionato avvengono, sarebbe debole la mia replica a Epicuro e a Carneade? Ebbene, che diremo se esiste anche la spiegazione, facile quella delle profezie ottenute mediante l' arte, alquanto più oscura, in verità, quella delle profezie derivanti da esaltazione divina ? Le profezie ricavate dalle viscere, dai fulmini, dai portenti, dagli astri si basano sulla registrazione di osservazio­ ni costanti; e in ogni campo la lunga durata, accompagnata da lunga osservazione, ci procura straordinarie conoscenze. Que­ ste si possono ottenere anche senza l'intervento e l'impulso degli dèi, quando, con frequenti esperienze, si arriva a capire che cosa accada in conseguenza di ciascun segno e quale sia il valore di premonizione di ciascun fenomeno . 1 10 L' altra forma di divinazione, l'ho già detto, è quella naturale. Essa, con sottili ragionamenti riguardanti la scienza della natura, va riferita all'essenza degli dèi, dall a quale, secondo i pensatori più dotti e sapienti, noi abbiamo tratto le nostre anime, come se le avessimo aspirate o bevute; e poiché il Tutto è compene­ trato e riempito di spirito eterno e di intelligenza divina, avviene necessariamente che le anime umane subiscano l'effet­ to della loro affinità2'4 con le anime divine. Ma, nello stato di veglia, le nostre anime devono occuparsi delle necessità della vita, e quindi si disgiungono dalla comunanza con la divinità, impedite come sono dai legami corporei. 1 1 1 Soltanto poche persone sono capaci di astrarsi dal corpo e di innalzarsi, mettendo in opera tutte le loro energie, fino alla conoscenza

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tur) . Horum sunt auguria non divini impetus, sed rationis humanae; nam et natura futura praesentiunt, ut aquarum eluviones et deflagrationem futuram aliquando caeli atque terrarum ; alii autem in re publica exercitati, ut de Atheniensi Solone accepimus, orientem tyrannidem multo ante prospi­ ciunt. Quos prudentes possumus dicere, id est providentes, divinos nullo modo possumus, non plus quam Milesium Thalem, qui, ut obiurgatores suos convinceret ostenderetque etiam philosophum, si ei commodum esset, pecuniam facere posse, omnem oleam, ante quam florere coepisset, in agro Milesio coemisse dicitur. 1 12 Animadverterat fortasse qua­ dam scientia olearum ubertatem fore. Et quidem idem primus defectionem solis, quae Astyage regnante facta est, praedixisse fertur. L Multa medici, multa gubernatores, agricolae etiam multa praesentiunt, sed nullam eorum divinationem voco, ne illam quidem, qua ab Anaximandro physico moniti Lacedaemonii stint, ut urbem et tecta linquerent armatique in agro excuba­ rent, quod terrae motus instaret, tum cum et urbs tota corruit et e monte T aygeto extrema [montis] quasi puppis avolsa est . Ne Pherecydes quidem, ille Pythagorae magister, potius divi­ nus habebitur quam physicus, quod, cum vidisset haustam aquam de iugi puteo, terrae motus dixit instare. 1 13 Nec vero umquam animus hominis naturaliter divinat, nisi cum ita solutus est et vacuus, ut ei plane nihil sit cum corpore; quod aut vatibus contingit aut dormientibus. ltaque ea duo genera a Dicaearcho probantur et, ut dixi, a Cratippo nostro ; si propterea quod ea proficiscuntur a natura, sint summa sane, modo ne sola ; sin autem nihil esse in observatione putant,

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delle cose divine.m Le profezie di costoro non dipendono da afflato divino, ma da ragionamento umano : essi prevedono i fenomeni che avverranno per cause naturali, come le alluvion i o quella deflagrazione del cielo e della terra che un giorno avverrà; altri fra costoro, avendo pratica di cose politiche, sanno prevedere con molto anticipo il sorgere di una tiranni­ de, come sappiamo che fece l'ateniese Solone.256 Questi li possiamo chiamare " prudenti " , cioè " preveggenti " , ma certa­ mente non dotati di divinazione. Lo stesso si può dire di Talete di Mileto, il quale, per mettere a tacere i suoi denigrato­ ri e per mostrar loro che anche un filosofo, se gli aggrada, può far guadagni, comprò - si racconta - tutti gli olivi del territorio di Mileto prima che incominciassero a fiorire. 1 12 Si era forse accorto, per certe sue osservazioni scientifiche, che gli olivi avrebbero dato un ottimo raccolto. Fu anche Talete che, a quanto si dice, previde per primo un'eclissi di sole, che in effetti avvenne sotto il regno di Astiage.257 L Molte previsioni giuste le fanno i medici, molte. i navigan­ ti, molte anche i contadini, ma nessuna di esse io chiamo divinazione:25 8 nemmeno quella famosa previsione con cui il filosofo della natura Anassimandro avvertì gli spartani di lasciare la città e le case e vegliare armati nei campi, poiché era imminente un terremoto: e in realtà tutta la città fu rasa al suolo e il contrafforte estremo del monte Taigeto fu divelto come la poppa di una nave. Nemmeno Ferècide, il famoso maestro di Pitagora, dovrà essere considerato come un profeta anziché come un filosofo della natura, per aver detto che erano imminenti dei terremoti dopo che ebbe esaminato dell' acqua attinta da un pozzo perenne. 1 13 La divinazione naturale, l'anima umana non la compie se non quando è talmente sciolta e libera da non avere assolutamente alcun legame col corpo. Ciò accade soltanto ai vaticinanti e ai dormienti. Perciò questi due generi di divinazione sono ammessi da Dicearco e dal nostro Cratippo, come ho detto.259 Se essi li ammettono perché derivano dalla natura, diciamo pure che sono i più importanti, purché non gli unici; ma se ritengono che l'osservazione dei segni profetici non valga nulla, sopprimono molti indizi utili per la condotta della vita.

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multa tollunt quibus vitae ratio continetur. Sed quoniam dant aliquid, idque non parvum [vaticinationes cum somniis] , nihil est quod cum bis magnopere pugnemus, praesertim cum sint , qui omnino nullam divinationem probent. 1 14 Ergo et ii, quorum animi spretis corporibus evolant atque excurrunt foras, ardore aliquo infiammati atque incitati cernunt illa profecto guae vaticinantes pronuntiant, multisque rebus inflammantur tales animi, qui corporibus non inhaerent, ut ii qui sono quodam vocum et Phrygiis cantibus incitantur. Multos nemora silvaeque, multos amnes aut maria commo­ vent, quorum furibunda mens videt ante multo guae sint futura. Quo de genere ill a sunt : " eheu videte ! iudicavit fnclitum iudfcium inter deas tris aliquis, qu6 iudicio Lacedaemonia mulier, Furiarum una, [adveniet. " Eodem enim modo multa a vaticinantibus saepe praedicta sunt, neque salurn verbis, sed etiam "versibus quos olim Fauni vatesque canebant. " 1 1 5 Similiter Marcius et Publicius vates cecinisse dicuntur; quo de genere Apollinis aperta prolata sunt. Credo etiam anhelitus quosdam fuisse terrarum, quibus inflatae mentes oracla funderent. LI Atque haec guidem vatium ratio est, nec dissimilis sane somniorum . Nam guae vigilantibus accidunt vatibus, eadem nobis dormientibus. Viget enim animus in somnis liber ab sensibus omnique impeditione curarum, iacente et mortuo paene corpore. Qui guia vixit ab omni aeternitate versatusgue est cum innumerabilibus animis, omnia guae in natura rerum sunt videt, si modo temperatis escis modicisque potionibus ita est adfectus, ut sopito corpore ipse vigilet. Haec somniantis est divinatio. 1 16 Hic magna guaedam exoritur, negue ea naturalis, sed artificiosa somniorum [Antiphonis] interpretatio eodemgue 90

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Ma poiché concedono qualcosa e non di poco conto [le profezie in stato di esaltazione e i sogni ] , non c'è alcun motivo, per noi, di discutere violentemente con essi, tanto più che vi sono quelli che non ammettono alcuna divinaziçme ! 1 14 Dunque quelli le cui anime, sprezzando il corpo, volano via e trascorrono fuori, infiammati ed eccitati da una sorta di ardore, vedono senza dubbio le cose che dicono nei loro vaticinii. Anime di questo genere, capaci di non rimanere attaccate ai corpi, sono infiammate da molte cause. Vi sono, per esempio, quelle che subiscono l'eccitazione di qualche voce melodiosa o dei canti frigi. Molte sono esaltate dalla vista dei boschi e delle foreste, molte dai fiumi o dai mari; e la loro mente, in un accesso di follia, vede il futuro molto prima che accada.260 A questo tipo di divinazione si riferiscono quei famosi versi :261 " Ahimè, guardate ! Qualcuno ha giudicato un giudizio memorabile fra tre dèe; e per quel giudizio arriverà una donna spartana, una delle Furie. " Allo stesso modo molte profezie sono state spesso fatte da vaticinanti, e non solo in prosa, ma anche " coi versi che un tempo cantavano i Fauni e i vati. " 262 1 15 Similmente i vati Marcio e Publicio cantarono oracoli, a quanto si dice; e allo stesso modo furono profferiti gli enigmi di Apollo. Credo anche che dalle fenditure della terra uscissero esalazioni che inebriavano le menti e le inducevano a effondere oracoli.26' LI E questo è il modo di profetare dei vati, non dissimile, invero, da quello dei sogni. Ciò che accade ai vati da svegli, accade a noi quando dormiamo. Nel sonno l' anima è in pieno vigore, libera dai sensi e da ogni preoccupazione che la frastorni, poiché il corpo giace come se fosse morto.264 E poiché l'anima esiste da sempre e ha avuto rapporti con altre innumerevoli anime, vede tutto ciò che esiste nell'universo, purché, grazie a un cibo leggero e a bevande modiche, si trovi nella condizione di essere essa desta mentre il corpo è immerso nel sonno . Questo è il genere di divinazione di chi sogna.265 1 1 6 E qui si fa valere un'importante interpretazione dei sogni [dovuta ad Antifonte], e anche degli oracoli e dei

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modo et oraculorum et vaticinationum : sunt enim explanato­ res, ut grammatici poetarum. Nam ut aurum et argentum, aes, ferrum frustra natura divina genuisset, nisi eadem docuisset quem ad modum ad eorum venas perveniretur, nec fruges terrae bacasve arborum cum utilitate ulla generi humano dedisset, nisi earum cultus et conditiones tradidisset, materia­ ve quicquam iuvaret, nisi confectionis eius fabricam habere­ mus, sic cum omni utilitate quam di hominibus dederunt ars aliqua coniuncta est per quam ill a utilitas percipi possit. Item igitur somniis, vaticinationibus, oraclis, quod erant multa obscura, multa ambigua, explanationes adhibitae sunt inter­ pretum. 1 1 7 Quo modo autem aut vates aut somniantes ea videant, quae nusqu am etiam tunc sint, magna quaestio est. Sed explorata si sint ea quae ante quaeri debeant, sint haec quae quaerimus faciliora. Continet enim totam hanc quaestionem ea ratio, quae est de natura deorum, quae a te secundo libro est explicata d ilucide. Quam si obtinemus, stabit ill ud quod hunc locum continet de quo agimus : esse deos, et eorum providentia mundum administrari, eosdemque consulere re­ bus humanis, nec salurn universis, verum etiam singulis. Haec si tenemus, quae mihi quidem non videntur posse convelli, profecto hominibus a dis futura significati necesse est. LII 1 1 8 Sed distinguendum videtur quonam modo. Nam non placet Stoicis singulis iecorum fissis aut avium cantibus interesse deum ( neque enim decorum est nec dis dignum nec fieri ullo pacto potest ) , sed ita a principio incoh�tum esse mundum, ut certis rebus certa signa praecurrerent, alia in extis, alia in avibus, alia in fulgoribus, alia in ostentis, alia in stellis, alia in somniantium visis, alia in furentium vocibus. Ea

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vaticinii: un'interpretazione basata non sulla natura, ma sul­ l'arte : ché vi sono interpreti di queste profezie, come i filologi sono interpreti dei poeti. Giacché, come la natura divina avrebbe creato invano l'oro e l'argento, il rame, il ferro, senza poi insegnare il modo di arrivare ai loro giacimenti, e senza alcuna utilità avrebbe dato al genere umano le messi della terra e i frutti degli alberi, se non ne avesse insegnato la coltivazione e la conservazione, e a nulla servirebbe il legna­ me, se non sapessimo l'arte di fabbricare con esso tante cose, allo stesso modo con ogni beneficio che gli dèi hanno dato agli uomini è stata congiunta un'arte grazie alla quale quel benefi" cio potesse essere goduto. Dunque anche ai sogni, ai vaticinii, agli oracoli, poiché presentavano molte oscurità e ambiguità, furono fornite le spiegazioni degli interpreti. 1 1 7 In qual modo, poi, i vati o quelli che sognano vedano le cose che ancora non esistono in alcun luogo, è oggetto di un'ardua discussione. Ma se indaghiamo ciò che dovrà essere discusso preliminarmente, la soluzione diverrà più facile. Tutto questo problema, difatti, fa parte di quel più vasto argomento riguardante la natura degli dèi, che tu hai spiegato con gran chiarezza nel libro secondo della tua opera.266 Se ci atterremo a quei princlpi, rimarrà accertato ciò di cui fa parte la questione che stiamo indagando adesso. Si trattava di questo : gli dèi esistono; il mondo è governato dalla loro provvidenza ; essi si curano delle cose umane, non solo nel loro insieme, ma anche per ciò che riguarda i singoli individui. Se teniamo fermi questi punti, che a me non sembrano confutabi­ li, senz'altro è necessario che gli dèi facciano sapere il futuro agli uomini. LII 1 1 8 Ma bisogna precisare in che modo ciò avvenga.267 Gli stoici non ammettono che la divinità si occupi delle singole fenditure del fegato delle tante vittime o dei singoli canti degli uccelli (ciò non sarebbe decoroso né degno degli dèi né possibile in alcun modo), ma ritengono che il mondo sia stato formato fin dall 'inizio in modo che determinati eventi fossero precorsi da determinati segni, alcuni nelle viscere, altri nel volo degli uccelli, altri nei fulmini, altri nei prodigi, altri negli astri, altri nelle visioni in sogno, altri ancora nelle grida degli 93

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quibus bene percepta sunt, ii non saepe falluntur; male coniecta maleque interpretata falsa sunt non rerum vitio, sed interpretum inscientia. Hoc autem posito atque concesso, esse quandam vim divinam hominum vitam continentem, non difficile est, quae fieri certe videmus, ea qua ratione fiant suspicari. Nam et ad hostiam deligendam potest dux esse vis quaedam sentiens, quae est toto confusa mundo, et tum ipsum, cum immolare velis, extorum fieri mutatio potest, ut aut absit aliquid aut supersit; parvis enim momentis multa natura aut adfingit aut mutat aut detrahit. 1 19 Quod ne dubitare possimus, maximo est argumento quod paulo ante interitum Caesaris contigit. Qui cum immolaret ilio die quo primum in sella aurea sedit et cum purpurea veste processit, in extis bovis opimi cor non fuit. Num igitur censes ullu m animai, quod sanguinem habeat, sine corde esse posse? Qua ille rei < non est> novitate perculsus, cum Spurinna diceret timendum esse ne et consilium et ,vita deficeret : earum enim rerum utramque a corde proficisci. Postero die caput in iecore non fuit. Quae quidem illi portendebantur a dis immortalibus ut videret interitum, non ut caveret. Cum igitur eae partes in extis non reperiuntur, sine quibus victuma illa vivere nequis­ set, intellegendum est in ipso immolationis tempore eas partes, quae absint, interisse. LIII 120 Eademque efficit in avibus divina mens, ut tum huc, tum illuc volent alites, tum in hac, tum in illa parte se occultent, turo a dextra, tum a sinistra parte canant oscines. Nam si anima! omne, ut vult, ita utitur motu sui corporis, prono, obliquo, supino, membraque quocumque vult flectit, contorquet, porrigit, contrahit eaque ante efficit paene quam

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invasati. Coloro che sanno comprendere bene questi segni, di rado s'ingannano; le profezie e le interpretazioni compiute inesattamente vanno a vuoto non per difetto della realtà, ma per imperizia degli interpreti. Posto e concesso questo princi­ pio, che esiste una forza divina la quale dà regola alla vita umana, non è difficile supporre in che modo awengano quelle cose che, come vediamo, awengono senza dubbio. Per esem­ pio, a scegliere una vittima può2 68 esserci guida un intelletto divino che pervade tutto il mondo; e proprio nell'istante in cui stai per immolare la vittima può awenire nelle sue viscere un mutamento, in modo che qualcosa manchi o sia di troppo : bastano alla natura pochi istanti per aggiungere o mutare o togliere qualcosa. 1 19 A impedirci di dubitare di ciò, una prova decisiva è data da quel che accadde poco prima della morte di Cesare.2 69 Quando compì un sacrificio in quel giorno in cui per la prima volta sedette su un seggio dorato e si mostrò in pubblico con una veste purpurea, tra le viscere della vittima, che era un bove ben pasciuto, non si trovò il cuore. Credi dunque che possa esistere un animale dotato di sangue che non abbia il cuore ? Dalla stranezza di questo fatto egli sbigottito, sebbene Spurinna gli dicesse che c'era da temere che egli perdesse il senno e la vita: l'uno e l'altra, infatti, hanno origine dal cuore.270 Il giorno dopo, in un'altra vittima non si trovò la parte superiore del fegato. Questi segni gli erano mandati dagli dèi immortali perché prevedesse la propria morte, non perché la evitasse.27 1 Dunque, quando nelle viscere non si trovano quelle parti senza le quali l'animale destinato al sacrificio non avrebbe potuto vivere, bisogna concluderne che le parti mancanti sono scomparse nel mo­ mento stesso in cui vien compiuto il sacrificio. LIII 120 E lo spirito divino produce analoghi effetti sugli uccelli, in modo che gli " alati " volino ora in una direzione ora in un'altra, si nascondano ora in un luogo ora in un altro, e gli " uccelli profetici " cantino ora da destra ora da sinistra. Ché se ogni animale muove il proprio corpo a suo piacimento, mettendosi ora prono, ora di fianco, ora supino, e piega, contorce, stende, contrae le membra in ogni direzione da lui voluta, e spesso esegue questi movimenti, si può dire, prima 95

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cogitat, quanto id deo est facilius, cuius numm1 parent omnia ! 12 1 Idemque mittit et signa nobìs eius generis, qualia permulta historia tradidit, quale scriptum illud vide­ mus : si luna paulo ante solis ortum defecisset in signo Leonìs, fore ut armis Dareus et Persae ab Alexandro et Macedonibus [proelio] vincerentur Dareusque moreretur; et si puella nata biceps esset, seditionem in populo fore, corruptelam et adulterium domi; et si mulier leonem peperisse visa esset, fore ut ab exteris gentibus vinceretur ea res publica, in qua id contigisset_ Eiusdem generis etiam illud est quod scribit Herodotus, Croesi filium, cum esset infans, locutum; quo ostento regnum patris et domum funditus concidisse. Caput arsisse Servio Tullio dormienti quae historìa non prodidit ? Ut igitur qui se tradidit quieti praeparato animo cum bonis cogitationibus, tum rebus ad tranquilli tatem adcommodatis, certa et vera cernit in somnis, sic castus animus purusque vigilantis et ad astrorum et ad avium reliquorumque signorum et ad extorum veritatem est paratior. LIV 122 Hoc nimirum est illud, quod de Socrate accepi­ mus, quodque ab ipso in libris Socraticorum saepe dicitur: esse divinum quiddam, quod c5att-t6vwv appellat, cui semper ipse paruerit numquam impellenti, saepe revocantL Et Socra­ tes quidem ( quo quem auctorem meliorem quaerimus ? ) Xe­ nophonti consulenti sequereturne Cyrum, posteaquam expo­ suit guae ipsi videbantur, "Et nostrum quidem, " inquit, "humanum est consilium ; sed de rebus et obscuris et incertis ad Apollinem censeo referundum, " ad quem etiam Athenien­ ses publice de m aioribus rebus semper rettulerunt. 123 Scriptum est item, cum Critonis, sui familiaris, oculum adligatum vidisset, quaesivisse quid esset; cum autem ille respondisset in agro ambulanti ramulum adductum, ut remis-

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ancora di averci pensato, quanto più facile dev'essere ciò alla divinità, al cui volere tutto obbedisce ! 272 12 1 È anche la divinità quella che ci invia quei segni che in grandissimo numero ci tramanda la storia. Ad esempio leggiamo profezie come queste:27' se la luna avesse avuto un'eclissi poco prima che il sole sorgesse nella costellazione del Leone, Dario e i persiani sarebbero stati sconfitti in guerra da Alessandro coi suoi macedoni e Dario sarebbe morto; se fosse nata una bambina con due teste, vi sarebbero state sommosse popolari, corruzioni e adulteri nelle famiglie; se una donna avesse sognato di partorire un leone, lo Stato in cui ciò fosse avvenuto avrebbe sublto una sconfitta da un popolo straniero. Dello stesso tipo è anche il fatto narrato da Erodoto, che il figlio di Creso si mise a parlare mentre prima era muto: per il qual prodigio il regno di suo padre e la dinastia andarono del tutto in rovina. Che a Servio Tullio, mentre dormiva, brillò una fiamma sulla testa, quale storia non lo racconta? Come, dunque, chi si abbandona al sonno con animo ben preparato sia da buoni pensieri, sia da cibi che predispongono alla tranquillit à, vede in sogno cose certe e vere, cosl l'anima di chi, nella veglia, si mantiene casto e puro è meglio disposta a cogliere la verità insita negli astri, nel volo degli uccelli e negli altri segni, nonché nelle viscere degli animali. uv 122 Questo è appunto ciò che sappiamo riguardo a Socrate274 e che egli stesso dice in tanti passi delle opere dei suoi discepoli: che in lui c'era qualcosa di divino, da lui chiamato dèmone, al quale egli sempre obbediva, e che non lo sospingeva mai a fare qualcosa, ma spesso lo distoglieva. E proprio Socrate (della cui autorità quale altra potrebb'essere migliore ? ) , quando Senofonte gli chiese se dovesse andare in guerra al seguito di Ciro, gli espose prima la propria opinione, e poi aggiunse : " Il mio è il consiglio di un uomo ; ma, trattandosi di cose oscure e incerte, ritengo che si debba ricorrere all'oracolo di Apollo, " al quale, anche gli ateniesi ricorrevano sempre per le questioni statali più importanti. 123 Di Socrate si legge anche2n che, avendo visto un giorno il suo amico Critone con un occhio bendato, gli chiese che cosa gli era successo. Critone gli disse che, 97

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sus esset, in oculum suum recidisse, tum Socrate!>: a Non enim paruisti mihi revocanti, cum uterer, qua soleo, praesagatione divina. " Idem etiam Socrates, cum apud Delium male pugna­ tum esset Lachete praetore fugeretque cum ipso Lachete, ut ventum est in trivium, eadem, qua ceteri, fugere noluit. Quibus quaerentibus cur non eadem via pergeret, deterreri se a deo dixit ; cum quidem ii, qui alia via fugerant, in hostium equitatum inciderunt. Permulta conlecta sunt ab Antipatro, quae mirabiliter a Socrate divinata sunt ; quae praetermittam ; tibi enim nota sunt, mihi ad commemorandum non necessaria. 124 Illud tamen eius philosophi magnificum ac paene divinum, quod, cum impiis sententiis damnatus esset, aequissimo animo se dixit mori; neque enim domo egredienti neque illud suggestum, in quo causam dixerat, ascendenti signum sibi ullum, quod consuesset, a deo quasi mali alicuius impendentis datum. LV Equidem sic arbitror, etiamsi multa fallant eos, qui aut arte aut coniectura divinare videantur, esse tamen divinatio­ nem ; homines autem, ut in ceteris artibus, sic in hac posse falli. Potest accidere ut aliquod signum dubie datum pro certo sit acceptum, potest aliquod latuisse aut ipsum aut quod esset illi contrarium . Mihi autem ad hoc, de quo disputo, proban­ dum satis est non modo plura, sed etiam pauciora divine praesensa et praedicta reperiri. 125 Quin etiam hoc non dubitans dixerim, si unum aliquid ita sit praedictum praesen­ sumque, ut, cum evenerit, ita cadat, ut praedictum sit, neque in eo quicquam casu et fortuito factum esse appareat, esse certe divinationem, idque esse omnibus confitendum.

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mentre passeggiava in campagna, un ramoscello da lui scòsta­ to e poi lasciato libero gli era andato a colpire l'occhio. E Socrate: " Ecco, non mi hai dato retta quando ti dicevo di non andare in campagna, e te lo dicevo per quell'ammonimento divino che spesso mi viene in aiuto. " Ancora Socrate,276 quando gli ateniesi guidati da Lachete avevano subìto una sconfitta presso Delio, ed egli batteva in ritirata insieme con Lachete, allorché furono giunti a un trivio, non volle prender la strada che prendevano gli altri. E siccome quelli gli chiesero perché non seguitava per il loro stesso cammino, rispose che il dèmone lo sconsigliava. E in effetti quelli che avevano prose­ guito la fuga per l'altra strada si trovarono alle prese con la cavalleria nemica. Antipatro ha raccolto moltissimi casi in cui Socrate dette mirabile prova della sua capacità di prevedere il futuro ;277 io li tralascerò: tu li conosci, io non ho bisogno di rammentarli per il mio scopo. 124 Ma un detto solo, splen­ dido e, direi, divino, voglio ricordare di quel filosofo : condan­ nato da un'empia sentenza, disse che moriva con piena serenità, perché, né quando era uscito di casa, né quando era salito sulla tribuna dalla quale aveva pronunciato la sua difesa, aveva ricevuto dal dèmone alcuno dei soliti segni premonitori di qualche male. LV Questo è, in verità, il mio parere:278 sebbene molte volte coloro che hanno fama di indovini esperti nell'osservazione dei segni o nella previsione del futuro cadano in errore, tuttavia la divinazione esiste; gli uomini, del resto, possono sbagliarsi in quest'arte, come in tutte le altre. Può accadere che un segno dato come dubbio sia interpretato come sicuro; può rimanere inosservato un segno, o un altro contrastante col primo. Ma per dimostrare la tesi che io sostengo è sufficiente che si accerti l'esistenza, nemmeno di una maggioranza di previsioni e predizioni avveratesi ma anche solo di una minoranza. 125 Anzi, non esiterei a dire che, se un unico fatto qualsiasi è stato predetto e presentito in modo che, venuti al punto, si verifichi con esatta conformità alla predizio­ ne, né in questa coincidenza alcunché possa apparire dovuto al caso, la divinazione esiste senz'altro, e tutti devono ammet­ terlo. 99

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Quocirca primum mihi videtur, ut Posidonius 'facit, a deo, de quo satis dictum est, deinde a fato, deinde a natura vis omnis divinandi ratioque repetenda. Fieri igitur omnia fato ratio cogit fateri. Fatum autem id appello, quod Graeci el/1-a(J/J-ÉV1JV, id est ordinem seriemque causarum, cum causae causa nexa rem ex se gignat. Ea est ex omni aeternitate fluens veritas sempiterna. Quod cum ita sit, nihil est factum quod non futurum fuerit, eodemque modo nihil est futurum cuius non causas id ipsum efficientes natura contineat. 126 Ex quo intellegitur ut fatum sit non id quod superstitiose, sed id quod physice dicitur, causa aeterna rerum, cur et ea, quae praeterierunt, facta sint et, quae instant, fiant et, quae sequun­ tur, futura sint . Ita fit ut et observatione notari possit quae res quamque causam plerumque consequatur, etiamsi non sem­ per (nam id quidem adfirmare difficile est ) , easdemque causas veri simile est rerum futurarum cerni ab iis qui aut per furorem eas aut in quiete videant . LVI 127 Praeterea, curo fato omnia fiant, id quod alio loco ostendetur, si quis mortalis possit esse, qui conligationem causarum omnium perspiciat animo, nihil euro profecto fallat. Qui enim teneat causas rerum futurarum, idem necesse est omnia teneat quae futura sint. Quod cum nemo facere nisi deus possit, relinquendum est homini, ut signis quibusdam consequentia declarantibus futura praesentiat. Non enim illa quae futura sunt subito exsistunt, sed est quasi rudentis explicatio sic traductio temporis nihil novi efficientis et primum quidque replicantis. Quod et ii vident, quibus natura­ lis divinatio data est, et ii, quibus cursus rerum observando notatus est . Qui etsì causas ipsas non cernunt, signa tamen.

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Perciò mi sembra che, come fa Posidonio, ogni capacità e maniera di divinare debba essere fatta risalire innanzi tutto alla divinità ( riguardo alla quale abbiamo già detto abbastan­ za), in secondo luogo al fato, in terzo luogo alla natura.2 79 Che tutto avvenga per determinazione del fato, la ragione ci costringe ad ammetterlo. Chiamo fato quello che i greci chiamano heimarméne, cioè l'ordine e la serie delle cause, tale che ogni causa concatenata con un'altra precedente produca a sua volta un effetto. Questa è la verità sempiterna, svolgentesi da tutta l'eternità. Stando così le cose, nulla è accaduto che non dovesse accadere, e del pari nulla accadrà le cui cause, destinate a produrre appunto quell'effetto, non siano già presenti nella natura. 126 Da ciò si comprende che il fato è da concepire, non superstiziosamente ma scientificamente, come la causa eterna in virtù della quale le cose passate sono avvenute, le presenti avvengono, le future avverranno. Per questo, grazie all'osservazione, da un lato280 si può nella maggior parte dei casi indicare quale effetto risulterà da una data causa (nella maggior p arte dei casi, non sempre, poiché un'affermazione così perentoria sarebbe arrischiata) ; d'altro lato, è verosimile che le medesime cause degli eventi futuri siano scòrte da coloro che hanno visioni in stato di esaltazione o in sogno. LVI 127 Inoltre, siccome tutto avviene per determinazione del fato, come dimostreremo altrove,281 se potesse esservi un uomo capace di abbracciare col proprio intelletto l'intera concatenazione delle cause, costui saprebbe certamente tutto. Chi, infatti, conoscesse le cause degli avvenimenti futuri, necessariamente conoscerebbe tutto il futuro. Ma poiché nessuno può far questo tranne la divinità, bisogna che l'uomo si accontenti di prevedere il futuro in base ad alcuni segni che gli indicano ciò che da essi conseguirà. Il futuro non sorge all'improvviso: come lo sdipanarsi di una gomena, tale è lo scorrere del tempo che non produce nulla di nuovo e ritorna sempre al punto da cui mosse.282 Questo lo vedono sia coloro che hanno avuto in dote la divinazione naturale, sia coloro che con l'osservazione hanno compreso il corso degli eventi. Costoro, anche se non scorgono le cause vere e proprie, 101

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causarum et notas cernunt; ad quas adhibita memoria et diligentia et monumentis superiorum efficitur ea divinatio, quae artificiosa dicitur, extorum, fulgorum, ostentorum signo­ rumque caelestium. 128 Non est igitur ut mirandum sit ea praesentiri a divinantibus quae nusquam sint ; sunt enim omnia, sed tempore absunt. Atque ut in seminibus vis inest earum rerum, quae ex iis progignuntur, sic in causis conditae sunt res futurae, quas esse futuras aut concitata mens aut soluta somno cernit aut ratio aut coniectura praesentit. Atque ut ii qui solis et lunae reliquorumque siderum ortus, obitus motusque cognorunt, quo quidque tempore eorum futurum sit multo ante praedicunt, sic, qui cursum rerum eventorum­ que consequentiam diuturnitate pertractata notaverunt, aut semper aut, si id difficile est, plerumque, quodsi ne id quidem conceditur, non numquam certe quid futurum sit intellegunt. Atque haec quidem et quaedam eiusdem modi argu.menta, cur sit divinatio, ducuntur a fato. LVII 129 A natura autem alia quaedam ratio est, quae docet, quanta sit animi vis seiuncta a corporis sensibus, quod maxime contingit aut dormientibus aut mente permotis. Ut enim deorum animi sine oculis, sine auribus, sine lingua sentiunt inter se quid quisque sentiat (ex quo fit ut homines, etiam cum taciti optent quid aut voveant, non dubitent quin di illud exaudiant) , sic animi hominum, cum aut somno soluti vacant corpore aut mente permoti per se ipsi liberi incitati moventur, cernunt ea quae permixti cum corpore [animi] videre non possunt . 1.30 Atque hanc quidem rationem natu­ rae difficile est fortasse traducete ad id genus divinationis, quod ex arte profectum dicimus ; sed tamen id quoque rimatur, quantum potest, Posidonius. Esse censet in natura

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scorgono però i segni e gli indizi delle cause; per di più, con l'aiuto della memoria, dell'attenzione e di ciò che ci è stato tramandato dagli scritti dei nostri antenati, ecco che si forma quella divinazione che è chiamata artificiale, basata sull'esame delle viscere, dei fulmini, dei prodigi e dei segni provenienti dal cielo. 128 Non c'è dunque motivo di meravigliarsi del fatto che gli indovini prevedano ciò che non vi è ancora in nessun luogo;28J tutte queste cose vi sono, ma sono ancora lontane nel tempo . E come nei semi è lnsita la potenza generativa delle future piante, così nelle cause sono racchiusi gli eventi futuri; il loro avvento, lo prevede la mente invasata o immersa nel sonno, o anche il ragionamento e l'interpretazio­ ne. E come quelli che conoscono il sorgere, il tramontare, i moti del sole, della luna e degli altri astri sono in grado di predire con molto anticipo in quale tempo ciascuno di quei fenomeni avverrà, così quelli che con lunghe osservazioni hanno notato lo svolgersi dei fatti e il rapporto tra segni ed eventi comprendono il futuro, o sempre, o, se ciò può sembrare arrischiato, nella maggior parte dei casi, o, se neppur questo mi si vuoi concedere, almeno parecchie volte. Questi argomenti, dunque, e altri dello stesso genere a favore della divinazione, sono tratti dall'esistenza del fato. LVII 129 Un altro argomento, poi, si desume dalla natura/8' che ci insegna quanto sia grande il potere dell'anima separato dalle sensazioni corporee; e ciò avviene soprattutto a chi dorme o a chi è invasato. Difatti, come le anime degli dèi, senza bisogno di avere occhi, né orecchi, né lingua, intendono reciprocamente ciò che ciascuno intende ( cosicché gli uomini, anche quando esprimono tacitamente un desiderio o un voto, possono essere sicuri che gli dèi li odono) , così le anime umane, quando, immerse nel sonno, sono sciolte dal corpo oppure, essendo invasate, si muovono da sé, libere, con tutto il loro vigore, vedono ciò che non possono vedere quando sono commiste al corpo.285 1.30 Questo argomento tratto dalla natura, forse, non è facile riferirlo a quel genere di divinazione che, come si è detto, deriva dall'arte; e tuttavia Posidonio, per quanto può, scruta anche questo campo.286 Egli ritiene che vi siano in natura dei segni premonitori del futuro. Sappiamo, ad 1 03

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signa quaedam rerum futurarum . Etenim Ceos accepimus ortum Caniculae diligenter quotannis solere servare coniectu­ ramque capere, ut scribit Ponticus Heraclides, salubrisne an pestilens annus futurus sit : nam si obscurior quasi caligi­ nosa stella exstiterit, pingue et concretum esse caelum, ut eius adspiratio gravis et pestilens futura sit; sin inlustris et perluci­ da stella apparuerit, significati caelum esse tenue purumque et propterea salubre. 13 1 Democritus autem censet sapienter instituisse veteres ut hostiarum immolatarum inspicerentur exta; quorum ex habitu atque ex colore tum salubritatis, tum pestilentiae signa percipi, non numquam etiam quae sit vel sterilitas agrorum vel fertilitas futura. Quae si a natura profecta observatio atque usus agnovit, multa adferre potuit dies, quae animadvertendo notarentur, ut ille Pacuvianus, qui in Chryse physicus inducitur, minime naturam rerum cognos­ se videatur: " nam isti qui lingua m avium intéllegunt plusque éx alieno iécore sapiunt quam éx suo, magis audiendum quam auscultandum cénseo. " Cur, quaeso, cum ipse paucis interpositis versibus dicas satis luculente: " Quidquid est hoc, 6mnia animat, f6rmat, alit, augét, creat, sépelit recipitque in sese omnia 6mniumque idémst pater, indidemque eadem aeque oriuntur de integro atque [eodem 6ccidunt . " Quid est igitur cur, cum domus sit omnium una, eaque communis, cumque animi hominum semper fuerint futurique sint, cur ii, quid ex quoque eveniat, et quid quamque rem significet, perspicere non possint ? Haec habui,» inquit, «de divinatione quae dicerem. LVIII 132 Nunc ill a testabor, non me sortilegos neque eos, qui quaestus causa hariolentur, ne psychomantia quidem, quibus Appius, amicus tuus, uti solebat, agnoscere; non habeo denique nauci Marsum augurem, non vicanos haruspices, non 1 04

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esempio, che gli abitanti di Ceo sono soliti, ogni anno, osservare attentamente il sorgere della Canicola e da ciò prevedere se l'annata sarà salubre o malsana, come riferisce Eraclìde Pontico :m se l'astro sorgerà alquanto velato e quasi caliginoso, l'aria sarà densa e piena di vapori, sicché la respirazione risulterà penosa e nociva ; se invece la costellazio­ ne apparirà chiara e lucente, vorrà dire che l'aria sarà sottile e pura, e quindi salubre. 13 1 Democrito, a sua volta, ritiene che gli antichi saggiamente prescrissero di osservare le viscere delle vittime immolate: dalla loro forma e dal loro colore, egli dice, si possono trarre indizi sia di salubrità dell'aria sia di pestilenza, qualche volta anche di sterilità o di fertilità dei campi. E se l'osservazione e la pratica dei fenomeni naturali è in grado di prevedere queste cose, molte altre si possono, col lungo trascorrere del tempo, scrutare e annotare. Sicché non sembra che conosca affatto la natura quello scienziato che nel Crise di Pacuvio288 viene introdotto a dire : " Costoro che intendono il linguaggio degli uccelli e traggono la loro sapienza più dal fegato degli animali che dal proprio, io ritengo che sia meglio starli a sentire che dar loro retta. " Perché, dimmi un poco, parli così, dal momento che tu stesso, pochi versi dopo, dici in modo eccellente:289 " Qualunque sia questo essere, esso anima, forma, nutre, accresce, crea; seppellisce e accoglie in sé tutto, e di tutto, al tempo stesso, è padre; e le medesime cose sorgono da esso di nuovo e in esso si dissolvono . " Perché, dunque, s e l a sede d i tutti gli esseri è unica e a tutti comune, e se le anime umane sono sempre esistite e sempre esisteranno, perché, dico/90 non dovrebbero essere in grado di intendere quale effetto risulti da ogni singola causa e quale segno preannunci ciascun evento? Questo», concluse Quinto, «è ciò che avevo da dire sulla divinazione. LVIII 132 Ora, però, dichiarerò solennemente291 che io non do credito ai volgari estrattori di sorti, né a quelli che fanno gl'indovini per trame guadagno, né alle evocazioni delle anime dei morti, alle quali ricorreva il tuo amico Appio. Non stimo un bel nulla gli àuguri marsi, né gli arùspici di strada, né gli astrologi che fan quattrini presso il Circo, né i profeti 1 05

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de circo astrologos, non lsiacos coniectores, non interpretes somniorum ; non enim sunt ii aut scientia aut arte divini, sed " superstitiosi vates fmpudentesque harioli aut inertes aut insani aut qufbus egestas fmperat, quf sibi semitam non sapiunt, alteri monstrant viam ; qufbus divitias p6llicentur, ab iis dracumam ipsf petunt . De hfs divitiis sfhi deducant dracumam, reddant cétera. " Atque haec quidem Ennius, qui paucis ante versibus esse deos censet, sed eos non curare opinatur quid agat humanum genus. Ego autem, qui et curare arbitror et monere etiam ac multa praedicere, !evitate, vanitate, malitia exclusa divinatio­ nem probo» . Quae cum dixisset Quintus, «Praeclare tu quidem, » inquam, «paratus ****

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d'Iside, ne 1 ciarlatani interpreti di sogni. Essi non sono indovini per scienza ed esperienza, ma sono292 "vati supersti­ ziosi e impudenti spacciatori di frottole, incapaci o pazzi o schiavi del bisogno : gente che non sa andare per il proprio sentieruccio e pretenderebbe d'indicare la strada al prossimo. Da quelli a cui promettono ricchezze, chiedono un soldo. Da quelle ricchezze prendano per sé un soldo di ricompensa, e ci dlano, come è dovuto, tutto il resto ! " E questo lo dice Ennio, che pochi versi prima293 afferma che gli dèi esistono, ma ritiene che non si curino delle cose umane. lo invece, che ritengo che gli dèi non solo se ne curino ma anche ci ammoniscano e ci predicano molte cose, credo nella divinazione, quando se ne siano escluse le forme sciocche, mendaci, fraudolente.)) Dopo che Quinto ebbe cosl finito di parlare, io dissi : «Tu hai davvero sostenuto con bellissimi argomenti la tua tesi ****

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I l Quaerenti mihi multumque et diu cegitanti quanam re possem prodesse quam plurimis, ne quando intermitterem consulere rei publicae, nulla maior occurrebat, quam si optimarum artium vias traderem meis civibus; quod compluri­ bus iam libris me arbitrar consecutum. Nam et cohortati sumus ut maxime potuimus ad philosophiae studium eo libro qui est inscriptus Hortensius, et, quod g énus philosophandi minime adrogans maximeque et constans et elegans arbitrare­ mur, quattuor Academicis libris ostendimus. 2 Cumque fundamentum esset philosophiae positum in finibus bonorum et malorum, perpurgatus est is locus a nobis quinque libris, ut quid a quoque et quid contra quemque philosophum dicere­ tur intellegi posset. Totidem. subsecuti libri Tusculanarum disputationum res ad beate vivendum maxime necessarias aperuerunt. Primus enim est de contemnenda morte, secun­ dus de tolerando dolore, de aegritudine lenienda tertius, quartus de reliquis animi perturbationibus, quintus eum locum complexus est, qui totam philosophiam maxime inlu­ strat : docet enim ad beate vivendum virtutem se ipsa esse contentam. 3 Quibus rebus editis tres libri perfecti sunt de natura deorum, in quibus omnis eius loci quaestio continetur. Quae ut piane esset cumulateque perfecta, de divinatione ingressi sumus his libris scribere; quibus, ut est in animo, de fato si adiunxerimus, erit abunde satisfactum toti huic quae-

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r l Mi sono chiesto e ho molto e lungamente riflettuto come avrei potuto giovare alla maggior parte dei miei concitta­ dini, per non essere costretto in nessun caso a smettere di agire a vantaggio dello Stato. 1 La soluzione migliore che mi venne in mente fu di render note ad essi le vie per raggiungere le più elevate attività dello spirito. Credo di aver già ottenuto questo scopo con molti miei libri. Nell'opera intitolata Orten­ sio ho esortato i lettori, quanto più ho potuto, allo studio della filosofia; nei quattro Libri Accademici ho mostrato quale sia, a mio parere, l'indirizzo filosofico meno arrogante e più coeren­ te ed elegante. 2 E poiché la base della filosofia consiste nello stabilire qual è il sommo bene e il sommo male, ho chiarito a fondo questo argomento in un'opera composta di cinque libri, in modo da far comprendere che cosa ciascun filosofo sostenesse e che cosa gli obiettassero i suoi avversari. Nei libri delle Discussioni Tusculane, venuti sùbito dopo, altrettanti di numero, ho esposto ciò che soprattutto è neces­ sario a raggiungere la felicità. Il primo di essi tratta del disprezzo della morte; il secondo del modo di sopportare il dolore fisico ; il terzo del mitigare le afflizioni dello spirito; il quarto di tutte le altre perturbazioni dell'anima; il quinto affronta quell'argomento che più di tutti dà splendore alla filosofia, giacché dimostta che la virtù basta a se stessa per ottenere la felicità/ 3 Esposti quegli argomenti, ho portato a termine i tre libri Sulla natura degli dèi, nei quali questo problema è discusso da ogni punto di vista. E perché l'esposi­ zione fosse completa e del tutto esauriente, ho intrapreso a scrivere questi due libri Sulla divinazione. Se ad essi aggiunge­ rò, come mi riprometto, un'opera Sul fato, tutto questo problema sarà stato trattato in modo da soddisfare anche i più

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stioni. Atque his libris adnumerandi sunt sex de re publica, quos tum scripsimus, cum gubernacula rei publicae teneba­ mus : magnus locus philosophiaeque proprius a Platone, Ari­ stotele, Theophrasto totaque Peripateticorum familia tractatus uberrime. Nam quid ego de Consolatione dicam ? quae mihi quidem ipsi sane aliquantum medetur, ceteris item multum illam profuturam puto. lnteriectus est etiam nuper liber is, quem ad nostrum Atticum de senectute misimus; in primisque quoniam philosophia vir bonus efficitur et fortis, Cato noster in horum librorum numero ponendus est. 4 Cumque Ari­ stoteles itemque Theophrastus, excellentes viri cum subtilitate tum copia, cum philosophia dicendi etiam praecepta coniun­ xerint, nostri quoque oratorii libri in eundem librorum nume­ rum referendi videntur: ita tres erunt de oratore, quartus Brutus, quintus Orator. n Adhuc haec erant ; ad reliqua alacri tendebamus animo sic parati, ut, nisi quae causa gravior obstitisset, nullum philoso­ phiae locum esse pateremur, qui non Latinis litteris inlustratus pateret . Quod enim munus rei publicae adferre maius melius­ ve possumus, quam si docemus atque erudimus iuventutem, his praesertim moribus atque temporibus, quibus ita prolapsa est, ut omnium opibus refrenanda ac coercenda sit ? .S Nec vero id effici posse confido, quod ne postulandum quidem est, ut omnes adulescentes se ad haec studia convertant. Pauci utinam ! quorum tamen in re publica late patere poterit industria. Equidem ex iis etiam fructum capio laboris mei, qui iam aetate provecti in nostris libris adquiescunt ; quorum studio legendi meum scribendi studium vehementius in dies incitatur; quos quidem plures quam rebar esse cognovi. Magnificum ill ud etiam Romanisque hominibus gloriosum, ut Graecis de philosophia litteris non egeant ; 6 quod adsequar profecto, si instituta perfecero.

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esigenti. A questi libri, inoltre, vanno aggiunti i sei Sulla Repubblica, che scrissi quando reggevo il timone dello Stato: ) argomento fondamentale e appartenente anch'esso alla filoso­ fia, già trattato amplissimamente da Platone, Aristotele, Teo­ frasto e da tutta la schiera dei Peripatetici. E che dire della Consolazione? Anche a me essa arreca qualche conforto; agli altri, del pari, credo che gioverà molto.4 Poco fa ho inserito il libro Sulla vecchieua, che ho dedicato al mio Attico; e siccome più che mai la filosofia rende l'uomo buono e forte, il mio Catone è da annoverare fra i libri filosofici.' 4 E se Aristote­ le e con lui Teofrasto, eccellenti sia per acume d'ingegno sia per facondia, aggregarono alla filosofia anche i precetti dell'ar­ te del dire, ne risulta che le mie opere retoriche devono appartenere anch'esse alla schiera dei miei libri filosofici: vi apparterranno, dunque, i tre libri Dell'oratore, per quarto il Bruto, per quinto l'Oratore.6 n A questo punto ero arrivato; al resto del lavoro mi accingevo con animo alacre, col fermo proposito di non tralasciare alcun argomento filosofico la cui esposizione io non rendessi accessibile in lingua latina, a meno che qualche motivo più importante7 non si fosse frapposto. Quale servizio maggiore o migliore, in effetti, io potrei rendere alla mia patria, che istruire e formare la gioventù, specialmente in questi tempi di corruzione morale in cui è talmente sprofonda­ ta da rendere necessario lo sforzo di tutti per frenarla e ridarle il senso del dovere? ; Non m'illudo, beninteso, di poter raggiungere lo scopo, che non si può nemmeno pretendere, di indurre tutti i giovani a questi studi. Potessi indurvene anche pochi! La loro attività potrà pur sempre espandersi largamen­ te entro lo Stato. Del resto, io mi considero remunerato della mia fatica anche da quelli che, già avanti negli anni, trovano conforto nei miei libri. Dal loro desiderio di leggere trae sempre maggior ardore, di giorno in giorno, il mio desiderio di scrivere; e ho saputo che essi sono più numerosi di quanto io pensassi. È anche una cosa magnifica, e un motivo di orgoglio per i romani, il non aver bisogno, per la filosofia, di opere scritte in greco;8 6 e questo risultato lo raggiungerò certa­ mente, se riuscirò a portare a termine il mio progetto. 111

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Ac mihi quidem explicandae philosophiae causam attulit casus gravis civitatis, cum in armis civilibus nec tueri meo more rem publicam nec nihil agere poteram, nec quid potius, quod quidem me dignum esset, agerem reperiebam. Dabunt igitur mihi veniam mei cives, vel gratiam potius habebunt, quod, cum esset in unius potestate res publica, neque ego me abdidi neque deserui neque adflixi neque ita gessi quasi homini aut temporibus iratus, neque porro ita aut adulatus aut admiratus fortunam sum alterius, ut me meae paeniteret. Id enim ipsum a Platone philosophiaque didiceram, naturales esse quasdam conversiones rerum publicarum, ut eae tum a principibus tenerentur, tum a populis, aliquando a singulis. 7 Quod cum accidisset nostrae rei publicae, tum pristinis orbati muneribus haec studia renovare coepimus, ut et animus molestiis hac potissimum re levaretur et prodesse­ mus civibus nostris qua re cumque possemus. In libris enim sententiam dicebamus, contionabamur, philosophiam nobis pro rei publicae procuratione substitutam putabamus. Nunc quoniam de re publica consuli coepti sumus, tribuenda est opera rei publicae, vel omnis potius in ea cogitatio et cura ponenda; tantum buie studio relinquendum, quantum vacabit a publico officio et munere. Sed haec alias pluribus; nunc ad institutam disputationem revertamur. III 8 N am cum de divina tione Quintus frater ea disseruis­ set guae superiore libro scripta sunt, satisque ambulatum videretur, tum in bibliotheca guae in Lycio est adsedimus. Atque ego : «Adcurate tu quidem, » inquam, !J!�, anche più tardi, C. è assai miglior traduttore di poesia 245

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che poeta in proprio) ; ma è interessante perché precorre per vari aspetti la poesia «retorica» post-augustea. Cfr. anche H. D. Jocelyn in « Ciceroniana», 1984, p. 39 sgg. 67 Concezione stoicizzante di Giove (Zeus) , identificato col fuoco che penetra e anima tutto il mondo, comprese le anime umane. Il verbo petessere, usato da C. anche in prosa, è un cosiddetto desiderativo di peto. Non equivale, probabilmente, al verbo semplice, ma mette in risalto la volontà benefica della divinità di identificarsi col cosmo. Retentat, propriam. «trat­ tiene» . 68 Cioè plfmetes (singol. pllmes), usato come attributo di astéres («stelle») o anche, da solo : in lat., tardo planétae (da un'altra, forma greca, planetai, singol. planetes, donde «pianeta» ) . L'ine­ sattezza del termine è notata più volte in altre opere di C . , e già da Platone: cfr. Pease, p. 103 . Nel cosmo, che è divino, nulla c'è di « irregolare»: vedi la chiusa di questo lungo brano, che è come un proemio alla menzione dei prodigi: un proemio mirante a garantire che tutti i fenomeni celesti sono voluti dalla divinità (secondo questa concezione, della cui debolezza il neo-accademi­ co C. era ben consapevole, l'esistenza della divinità è dimostrata sia dalla regolarità delle leggi di natura, sia dalle infrazioni «miracolose» a tale regolarità: cfr. n 44 sg. e altrove, e tutto il lib. 111 del De nat. deor. ; vedi anche qui sotto, n 148, per un cedimento di C . alla concezione stoica del cosmo) . 69 L e Ferie latine erano celebrate ogni inverno sul monte Albano, dalla comunità delle città laziali, in onore di Giove laziale (luppiter Latiaris) . Oltre i commenti di Pease e Soubiran, cfr. Der kleine Pauly, II 537 sg. , e la bibliografia ivi cit . 70 I «movimenti alati» saranno di stelle cadenti (meteoriti) , cfr. qui sopra, nota 5 ; le «congiunzioni» di pianeti tra loro o con la luna erano oggetto di predizioni astrologiche: cfr. esempi di congiunzioni fauste e infauste più oltre, 1 85 , e la nota ivi del Pease, nonché il brano di I I 88 sgg. contro l'astrologia. Per le comete, considerate preannuncio di sconvolgimenti politici, cfr. Pease, p. 106 sg. Quanto a «tremolanti», Soubiran dice che tale non è la luce delle comete, e suppone, dubbiosamente, un significato attivo (« che fanno tremare») ; a me pare che nessun lettore antico avrebbe riconosciuto qui il significato attivo, e che intendere > commessa con la punizione efferata di quello schiavo : mentre gli altri autori parlano solo della seconda rinnovazione. Quanto alla «forca», si trattava d'un arnese di legno a forma di angolo acuto: il collo del condannato era legato al vertice, le braccia alle due estremità. 1 75 Praesul (o praesultator, in Livio) è, da prae e dal tema di salire nel senso di «danzare» (cfr. sopra, nota 1 1 1 ) , «colui che danza davanti agli altri» ; ma qui deve avere già (o forse ebbe sempre) il significato più ampio di «sovrintendente>>, «preposto», che di solito gli viene riconosciuto solo in autori più tardi; altrimenti no_n si capirebbe perché la divinità Io ritenesse respon­ sabile delle sevizie allo schiavo, awenute prima che le danze sacre incominciassero. La contraddizione è in qualche modo sanata (ma, a quanto sembra, con una rabberciatura poco convincente) da Dionisio, Ant. vu 9, l e da Plutarco, Corio!. 25. Non p/acuisse ha valore sacrale : cfr. la traduzione. 176 Etiam si dovrà intendere «come suo figlio» (il figlio era morto, anche lui si approssimava alla morte) . È possibile; ma non escluderei che si debba correggere etiam in iam, che darebbe un senso migliore : per confusioni tra ùzm ed etiam nella tradizione manoscritta, cfr. Thesaurus !ing. Lat. v 2, 926, 49 sg. e VII l, 80, 82 e 8 1 , 24 sgg. 177 La lezione petenti (che era stata corretta in petere dubitanti o, peggio, in non petenti) è mantenuta dagli editori recenti, dopo che due diverse difese ( cfr. Pease, p. 1 9 1 sg. ) furono proposte da Usener (lo stato di eccitazione in cui si trovava Gaio già risoluto a intraprendere la carriera politica spiega bene il sogno) e da Zochbauer (più lambiccato, ma più adatto a spiegare quam vellet cunctaretur: Tiberio rimprovererebbe il fratello di aspirare alla questura e non al tribunato, che era la carica necessaria per riprendere i suoi progetti di riforma agraria) . Mantengo anch'io la lezione tramandata, ma credo che si debba supporre una certa frettolosità espositiva di C . ; la prima delle due correzioni cit. sopra, dovuta allo Halm, ha pur sempre una certa probabilità. Cfr. anche La Penna, Aspetti . . ( cit. qui sopra, p . LXXXVIII nota 1 0 1 ) , p. 1 1 1 n. l . =

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178 Altro passo di lezione incerta. Il soggetto di dixisse sembra essere se (cioè Celio), ma il senso richiede che sia Gracco. Di qui l'integrazione et dixisse multis di C. F. W. Miiller, forse da accettare. In difesa di un cambiamento di soggetto, quale sarebbe richiesto dalla lezione tramandata, l' Ax cita un passo di Seneca (De clementia, n l, 1 ) , dove tuttavia il trapasso è alquanto meno duro ; gli altri passi di Livio e di C. stesso (qui sopra, 1 5 1 ) cit. dal Giomini non mi sembrano pertinenti. È anche strana la ripetizio­ ne di ciò che C. aveva già scritto poco sopra ( Gaius vero Gracchus multis dixit . ) , che potrebbe indurre a espungere et dixisse multis. Ma tutto questo passo reca i segni della fretta (cfr. nota prec . ) , e bisognerà probabilmente conservare la lezione tramandata senza pretendere di difenderla fino in fondo e senza escludere, tuttavia, correzioni poco costose come l'integrazione eum cit. A ogni modo, le minute trascuratezze, se pur vi sono, non infirmano l'alto valore tragico del racconto: ancora una volta un presagio di morte ineluttabile (cfr. sopra, nota 1 64, e sotto, nota 192 ; e si rammenti che C . , ostilissimo ai Gracchi, non ne disconobbe mai l'alto ingegno e il coraggio, e soltanto deplorò, nel suo inguaribile conservatorismo, che tante doti fossero state spese per una causa ingiusta: cfr. Brutus, 1 03 sg. , 125 sg. ) . 179 Cfr. qui sopra, nota 142 i n fine. li primo sogno, narrato con brevità, è più vicino a quella che doveva essere la maniera di Crisippo; il secondo, pur tratto da Crisippo, reca il segno dell'arte ciceroniana. Proiectus si dice spesso dei cadaveri «buttati Il», senza sepoltura ( cfr. per es. n 143 ) . 180 L'Arcadia è una regione montuosa nel centro del Pelopon­ neso. Mègara è una città sull'istmo di Corinto: in greco Mégara neutro plur. , in lat. anche (per es. qui sotto, n 135 ) , oppure femminile singol . , come qui. Nell'antichità, proprio per la diffi­ coltà (o la pericolosità, come in questo racconto) di trovare alberghi, era molto utile avere, con cittadini di altre città, un rapporto reciproco di ospitalità, regolato da particolari consuetu­ dini: hospes è quindi, come in greco xénos, attivo e passivo insieme, «ospitante» (come in questo caso) e «o�pitato». Quanto a caupo («taverniere», «oste») , esiste anche la forma contratta copo : in questo brano (come anche spesso altrove in C . ) i codici hanno ora la forma con -au-, ora quella con -o- quasi sempre corretto in -au- (cfr. l'apparato critico del Giomini, che, come l'Ax, preferisce scrivere nel testo -o- ; a me, come a vecchi editori e ancora al Pease, sembra che il capostipite dei codici dovesse avere -au-, poi sostituito in molti punti dalla forma più popolare e . .

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quindi ricorretto ; ma una decisione sicura è impossibile ) . Quanto a ciò che segue, concubia nox è quella parte della notte, già abbastanza inoltrata, in cui s'incomincia a dormire (cfr. cubare e �ondmbere; la notte più inoltrata era desig� ata da� 'aggett. mtempesta, «che non ha tempo adatto ad aglre») . D1 nuovo ricorre qui il motivo del «sogno ripetuto», poiché al primo non si è dato retta, come in I 54 e I 55 ; ma questa volta il danno lo subisce non chi trascura il primo sogno, ma l'altro che gli appare; anche qui, a ogni modo, la d. non evita la tragedia, il colpevole viene punito, ma troppo tardi. Nota anche, nella frase che incomincia tu m ei dormienti , la propos. finale con la ridondanza ut ne invece del solo ne, frequente in frasi ciceroniane lunghe. Nell'interrogativa finale l'aggett. divinus non è «divino», ma «divinatore» (pur con una certa maggiore enfasi) , come di nuovo in I 59 alla fine, e in I 63 (cfr. Introd. , p . XXIX, e I l e nota 2 ) . 1 8 1 Benché meno esplicita, anche questa è una formula di trapasso del tipo di quelle indicate in fine alla nota 15 1 . Se i sogni narrati dai poeti sono soltanto verosimili ma non propriamente veri, se quelli narrati dagli storici meritano fiducia, ancor più sicuri sono quelli che abbiamo avuto noi direttamente. Nello stesso tempo, Quinto lusinga l'amor proprio del fratello ( come già aveva fatto in I 1 7-22 ) ricordandogli fatti per lui dolorosi, ma conclusi felicemente, e sempre connessi col suo grande «merito patriottico» : il disvelamento della congiura di Catilina. 182 Dal 6 1 al 58. La provincia d'Asia comprendeva la parte occidentale dell'odierna Anatolia ( cfr. anche sopra, nota 9 ) . Quinto era stato pretore, non console; m a il titolo d i proconsole non implicava necessariamente un precedente consolato. Dopo verbi indicanti il vedere, l'udire ecc. si può trovare, invece di una proposizione infinitiva (che qui sarebbe stata particolarmente scomoda, dovendo dipendere da un'infinitiva precedente) , il cum col congiuntivo : vidisse . . . cum . . . 183 Cioè, come è ovvio, l'esilio d i C . ( sparizione nelle acque del fiume) e il suo ritorno in patria (riemersione) . 184 Un intimo amico di C . , probabilmente non un suo liberto, nominato anche nel suo epistolario (Gundel in Der kleine Pauly, IV 15 12 sg. ) . Fuga è spesso sinonimo di exsilium (cfr. i n questo senso il gr. phyghi) , con un pathos alquanto maggiore; le due parole si trovano spesso associate, in lat. arcaico e in C. - Atina è probabilmente la città dell a Lucania (oggi Atena Lucana) , .no n l'omonima città nel territorio dei Volsci (oggi Atina, in prov. di Frosinone) . . . .

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185 Con ragione il Giomini mantiene dormitare dei codici, contro la correzione banalizzante dormire accolta da molti edito­ ri; non fanno difficoltà arte et graviter, poiché il «frequentativo» (o meglio « continuativo», come ben vide il Leopardi a proposito di tutta questa categoria di verbi) dormitare equivale per il senso a dormire e, caso mai, accentua la continuità e profondità del sonno ( solo in certi passi significa «sonnecchiare», «appisolarsi», e anch'essi andrebbero forse riveduti) . Soltanto, il te, piuttosto che dopo dormitare, va collocato con F. A. Wolf dopo arte (ll può essere stato più facilmente omesso dopo il -te di arte, e inoltre -tare coepisse è un'ottima clausola, cfr. Introd. , p. XXVI, che non va guastata) . Così pure il se, poco sotto, va integrato dopo iussisse (C.F.W. Miille r) piuttosto che dopo tamen (Giomini) : s'intende che se è riferito a Sallustio. 186 C. oscillò sempre fra l'ostilità che avrebbe dovuto avere per il «democratico» Mario (cfr. per es. De o// 111 79) e una persistente simpatia, dovuta al comune luogo di nascita, all'ostili­ tà per Silla, al confronto tra il proprio esilio e l'esilio di Mario (cfr. 11 140, e già Pro Sestio, 50) . Prevalse, in complesso, la simpatia, non solo negli anni giovanili. Sul poemetto Marius cfr. più sotto, 1 1 06 e nota 25 1 . In questo sogno Mario appare a C. in veste di generale trionfatore, accompagnato dai littori coi fasci ornati d'alloro. Quello che da C. stesso, in alcune orazioni, è chiamato monumentum Mari, è il tempio che Mario, in ricordo (perciò monumentum, da m6neo, cfr. méminz) della sua vittoria sui Cimbri e i Teutoni, fece costruire dedicandolo all'Onore e alla Virtù (personificazione e divinizzazione di astratti, frequente nella religione romana) . Il senato si riuniva normalmente nella Curia Hostilia, ma anche in qualche tempio, come avvenne quando fu decretato il richiamo di C. dall'esilio, su proposta del console P. Cornelio Lentulo. Su questi fatti cfr. le orazioni pronunciate da C. dopo il suo ritorno, e in particolare Pro Sestio, 1 16 sg. Quanto a divinius cfr. sopra, 1 57 e nota 180 (non a caso tutt'e due le volte in fondo a una narrazione, in posizione enfatica) . Una minuzia : ho mantenuto la lezione cumque te tu, possibile (tu te Moser e molti editori, anche Giomini; altri eliminano te, cfr. l'appar. del Giomini, oppure tu [Castigliani in «Athenaeum», 1939, p. 89] ) . 187 Per l'espressione dell'obiezione cfr. sopra, nota 133. Secon­ do la religione tradizionale greca, gli dèi stessi potevano mandare agli uomini sogni falsi, per ingannarli: si ricordi l'inizio del lib . n dell'Ilùzde e la molto discussa chiusa del VI dell Eneide (sulla '

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quale cfr. il comm. di E. Paratore, vol. m, Milano 1979, p. 366 sg. ) . Ma gli stoici, o i platonico-pitagorici, le cui idee sono qui esposte da Quinto, non potevano ammettere una simile concezio­ ne d'una «divinità cattiva» ; perciò Quinto risponde che i sogni apparentemente falsi sono forse sogni di difficile spiegazione, e ammette poi che possano esservene di. falsi, quando l'anima nel sonno non sia in stato di purezza (vedi sùbito sotto, e Introd. , p . XLVI) ; l'esistenza d i sogni falsi, comunque, non è u n buon motivo per negar fede a quelli che risultano veri (c'è non identità, ma una certa somiglianza con l'argomentazione di 1 24) . Poco sotto, il verbo evenire corrisponde al termine tecnico eventus (Introd. , p . XXXIV) .

188 Platone, Repubblica ( in C . Politfa, cioè il greco Politéia), IX, 5 7 1 C- 5 72 A. La dichiarazione finale di Quinto (Haec verba ipsa ecc.) va intesa nel senso di una fedeltà sostanziale, ché la traduzione è tutt'altro che letterale. Gli editori recenti non accolgono, con ragione, i molti emendamenti proposti per rende­ re la versione più vicina al testo platonico ; anche opstupefacta (Platone dice > , i n senso spregiativo, contrariamente all'opinione d i Posidonio ripetuta da Quinto, cfr. r 25 e 92 ) e «di Sora» (città di origine volsca, tuttora esistente in prov. di Frosinone, non lontana dal territorio dei Marsi, i cui àuguri sono svalutati anche da Quinto, cfr. I 132 ) . Sapienter andrà collegato con /ictas (Pease : l'impostura religiosa può essere anche oggetto di lode, per chi la ritenga un instrumentum regni necessario ; né, aggiungo, è esclusa una sfumatura ironica) ; ma non per questo è opportuno, con Pease e Ax, segnare virgole prima e dopo aiebant. Si noti che con pastoribus illis . . Quinto designa una élite di coadiutori di Roma­ lo, il senato che in De rep. I 12 è chiamato subagreste consilium : a essi è contrapposta la multitudo, i sùdditi. 25 1 L'epoca di questo poemetto (di cui, oltre il brano qui cit . , ci sono giunti solo tre versi isolati) è molto controversa (cfr. Soubiran, C. , Fragm. poétiques cit . , pp. 42 -5 1 ) . Non è detto che si tratti di opera giovanile; C. ammirò Mario anche più tardi (cfr. sopra, nota 186) e, se si pensa al sogno narrato in I 59, al confronto che in esso, e negli avvenimenti successivi, è implicito tra l'esilio di Mario e quello di C . , al fatto che il brano qui riportato è un augurio di ritorno dall'esilio, si è portati a supporre che il poemetto sia stato scritto poco dopo il rimpatrio di C. (5 7 ) . Con tutta probabilità C . avrà «interrotto i n tempo» i l proprio racconto, senza parlare delle vendette di Mario ritornato in Roma né della sua fine. Lo stile è analogo a quello del brano del De consulatu suo (cfr. sopra, I 17 sgg. e nota 66) , anche se la riuscita appare più felice. Lo spunto è tratto da Omero, Iliade, XI I 200 sgg. ; il linguaggio è ricco di ennianismi (che non possiamo soffermarci a notare : cfr. Pease e Soubiran) , ma c'è una sovrab­ bondanza e tensione retorica che non è enniana; Virgilio (Aen. XI 75 1 sgg.) è più sobrio, ma è probabile che, accanto al modello america, si sia ricordato anche di questo exploit ciceroniano. In .

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semianimum la prima i è consonantizzata, come già in Ennio An n. 473 Vahlen2 , 484 Skutsch, e poi in Virgilio, Aen. x 396 (i codici di C. oscillano tuttavia tra questa lezione e semanimum, elle è grammaticalmente possibile e che non è escluso sia stata preferita da C . ) ; in abicit la prima sillaba è, come di norma, lunga (in realtà ab;icit) ; nello stesso verso, la vecchia correzione in undam è plausibile, tuttavia l'ablativo con verbi di moto si trova anche in C. prosatore e un po' in tutta la latinità. Il volgersi dell'aquila verso oriente (che non c'è in Omero e in Virgilio : di qui innanzi i raffronti coi passi cit. vengono meno) può significare in generale buon augurio (così il Soubiran), ma potrebbe anche indicare il «mutamento della sorte» di Mario, .come il mutamento del corso del sole da ovest ad est' nel Brutus di Aedo (sopra, 1 45 ) . Praepes, fin da Ennio (cfr. Contributi di filologia cit . , p . 34 sg. e nota 3 1 , e il lungo frammento enniano cit. poco oltre, n 108), può significa­ re semplicemente «veloce» oppure «beneaugurante», e talvolta, come qui, è difficile stabilire quale dei due significati sia prevalen­ te (in ogni caso, non c'è motivo di supporre con Skutsch, comm . ad Ennio, p. 236, un errore di C . ) . Quanto ad augur (che, col genitivo oggettivo divini numinis, ha il significato originario di «interprete dei segni dati dagli uccelli», cfr. Introd. , p. xxxvm) , C . si sarà anche ricordato che Mario, dal 9 7 , era stato effettiva­ mente àugure (Ad Brut. 13, 3 ) . Quanto alla conferma dell'augu­ rio, data da Giove col tuono da sinistra, cfr. Virgilio, Aen. n 689-693 , e forse già Ennio, secondo una mia ipotesi accolta da Skutsch, p . 301 sg. (ma al v. 146 Sk. credo ancora che olim «allora» si possa conservare; su ciò altrove) . Omen ha qui valore generico («augurio») ; clarum è inteso da Raffaele Giomini «che era già chiaro», ma avrà qui più un valore retorico (« éclatant», Soubiran) che denotativo («intelligibile» ) . 252 Riprende i l motivo di 1 105 (cfr. nota 250) . I l brano d i Ennio che segue (Ann. 77 sgg. Vahlen2, 7 2 sgg. Skutsch) è uno dei più difficili di quanti ci siano rimasti di questo poeta. Qui ancora meno che per altre citazioni poetiche il lettore può aspettarsi da me spiegazioni esaurienti o discussioni di tutti i passi Ìncerti. Devo rimandare al commento di Skutsch, pp. 222 -238, e all'art. di Jocelyn in «Proceedings of the Cambridge Philol. Soc.», nr. 197, 197 1 , pp. 44-74; cfr. anche una mia recensione in «Gno­ mon», 1970, p. 359, e adesso Traglia, Poeti lat. are. cit., pp. 4 10-4 12 . Come appare dalla mia traduzione, in alcuni punti mi discosto dagli studiosi che ho menzionato, o perché ho opinioni diverse, o perché non vedo ancora soluzioni sicure. I confronti 311

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con altri autori latini non servono molto, perché la narrazione di Ennio, che rispecchia certo uno stadio anteriore della leggenda, è assai diversa. Un punto, tuttavia, rimane fermo attraverso tutta la tradizione: l'augurio per la fondazione della nuova città (sulla distinzione tra auspicium e augurium in questo passo cfr. Introd., p . xxxvm n.) costituisce un caso eccezionale, perché non c'è, come di solito nella fondazione di città o in altre occasioni, un àugure che in base alla direzione del volo degli uccelli comprende se l'atto che si sta pe·r compiere è gradito o sgradito alVi dèi, ma due fratelli rivali, àuguri entrambi, che chiedono agli dèi una decisione su chi debba fondare la città e darle il nome (Roma o Rémora; in realtà, come è noto, Romulus è un derivato di Roma e non viceversa; Rémora, non attestato altrove, sarà stato coniato da Ennio). Ancora: la gara è risolta non nel senso che uno dei due fratelli ottenga un auspicio favorevole e l'altro un auspicio contrario: si tratta di due auspicii entrambi favorevoli ( anche l'uccello [avis femm. ] che appare a Remo è pulcherruma, praepes, laeva: tre aggettivi con valore sacrale di buon augurio; questo significato ha anche pulcherruma, cosl come praepetes e pulchri sono i luoghi dove si posano gli uccelli che appaiono a Romolo : su praepes cfr. nota preced . , su laevus Introd. , p . XXXIX) , e vin­ citore risulta non chi ha ottenuto l' auspicium per primo, ma chi ha visto un numero maggiore di uccelli. Ciò rimane anche nelle versioni posteriori; e uguale, in esse, è anche il numero di uccelli veduti da Romolo, dodici (ter quattuor per duodecim è dovuto a comodità metrica, ma ha anche un valore più solenne e sacrale; e altrettanto solenne è la perifrasi corpora sancta avium : «santi» per­ ché inviati dagJi dèi come augurio). Remo, invece, in Ennio non vede, come nella tradizione che diverrà vulgata, sei uccelli: ne vede uno solo. Che avis del v. 16 sia, come si è pensato, un singolare collettivo, sembra a me (come a Traglia) impensabile: al numero definito di uccelli visti da Romolo deve contrapporsi un numero altrettanto definito di uccelli visti da Remo. In un altro punto Ennio non sarà segulto dalla tradizione posteriore: Romolo, per prendere gli auspicii, si colloca sulla cima dell'Aventino, non sul Palatino. Dove si collochi Remo, se sul Palatino (come a me sembra tuttora non improbabile) o ai piedi dell'Aventino stesso, è difficile dire, perché in monte sono parole o corrotte o segulte da lacuna (e proba­ bilmente si sono prodotti entrambi i guasti; la congettura in Murco di Skutsch è dotta e ingegnosa ma troppo incerta, e la correzione di se devovet in sede t, ben argomentata, lascia tuttavia dubbiosi); che in monte siano parole riassuntive di C . , il quale avrebbe, come in 312

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altri casi, omesso alcuni versi di Ennio, è impossibile (bene su que­ sto punto lo Skutsch) , perché quelle due sole parole non «riassu­ merebbero» nulla, e di nuovo bisognerebbe postulare una lacuna. A ogni modo, Remo «da solo» (v. 4 ) , cioè appartatosi (cosl Skutsch e T raglia) , avem servat, « aspetta che venga qualche uccello» : nean­ che qui penserei a singolare collettivo, piuttosto a singolare « inde­ fmito» di una formula augurale. L' at dello stesso verso 4 si riferirà solo al diverso luogo di osservazione; tuttavia rimane un dubbio: che i due fratelli chiedano ciascuno un diverso auspicio , e Romolo risulti vincitore perché ha chiesto qualcosa di più difficile a verifi­ carsi, molti uccelli (genus altivolantum) e non uno solo. Accenno rapidamente ad altri punti. Al v. l persisto a ritenere che tum , in quella posizione, non possa significare « allo ra», ma «e inoltre», o addirittura un semplice «e» ( cfr. Contributi difilologia cit . , p . 152 e n. 58; il diniego di Skutsch mi riesce incomprensibile); quindi pon­ go virgola dopo cura. Al v . 7 induperator è forma arcaica (endo o in­ du in ) p e r imp erator che non potrebbe entrare nell'esame­ tro (_ u Li ) . Nella similitudine Expectant . . . (per la cui struttura cfr. Skutsch, p. 228, che ha solo il torto di proporre, sia pure dub ­ biosamente, correzioni inutili) , pictis e faucibus si riferisce ai carce­ res ancora di legno (cfr. Valmaggi, comm. a Ennio, 1/ramm. degli «Annali», Torino 1900, p . 2 4 ) ; l a congettura pictos, riferita a cur­ rus, è tuttavia assai attraente. Nel v. 19, priora è probabilmente un grecismo (tà pr6ta ) : il cod . B. ha prioram come correzione di pro­ priam, derivata probabilmente da un altro codice perduto; gli altri codd . propriam, da cui L. Mueller e Skutsch ricavano propritim, ma cfr. «Gnomon» cit . , e Jocelyn, art . cit . , p . 7 3 . Infine, quanto alla metrica, vi sono (cfr. sopra, nota 145 ) delle -s finali non pronuncia­ te : w. 7 omnibu ', lO faucibu ', 12 albu '; al v. 1 1 populus ha l'ultima sillaba lunga in cesura per necessità metrica ( u u u non entrereb­ bero nell 'esametro ) ; conservazione della vocale lunga originaria c'è invece in servii! del v. 4; per stabilt�a con l'ultima lunga dinanzi alle due consonanti della parola seguente (v. 20) cfr. qui sopra, no­ ta 60. 25 3 n punto da cui Quinto vuoi riprendere il discorso non sarà, come ritiene il Pease, I 105 in fine, ma I 85 sg . , come il Pease stesso suppone; potrebb'essere addirittura I 1 1 sgg . , poiché fin dall' inizio Quinto ha sostenuto , e qui lo ribadisce, che per difendere la d. basta constatare l'awerarsi delle predizioni, anche se non se ne conoscono le cause ( ancora una volta, provocatoria­ mente, Epicuro è nominato insieme a Carneade e prima di lui, cfr. sopra, nota 1 89) . Ma ora, con Quid si . , Quinto vorrebbe fare =

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ancora un passo avanti, e dimostrare la possibilità d'indicare anche le cause (ratio è in sostanza un sinonimo di causa, cfr. le due parole accoppiate in I 85 : «spiegazione razionale», o «proce­ dimento intelligibile che conduce dalla causa all'effetto») . Senon­ ché la delusione del lettore è grande : quanto alle cause della d. artificiale, Quinto indica, ancora una volta, l'observatio diuturna, da lui già spessissimo invocata a partire da I 12 ma non come vera spiegazione, bensì come notazione reiterata del susseguirsi dell'e­ ventus al signum; quanto alla d. naturale, ripete l'argomento aristotelico (con influssi stoici) di Cratippo, cfr. I 70 dove c'è già l'espressione animos . . . haustos (questa derivazione da Cratippo, che sarà nominato poco sotto, I 1 13 , è stata giustamente sostenuta dal Reinha('dt in Pauly-Wissowa, xxn, 796, 34 sgg . ) . C'è di più : la d. artificiale, in I 109 in fine, è considerata non necessariamente di origine divina, tenderebbe quindi a risolversi in scienza, secondo la teoria di Boeto (cfr. I 1 3 ) , non sappiamo se accolta anche da Cratippo (può anche darsi che Boeto e Cratippo risalgano indipendentemente a fonti peripatetiche) ; poco dopo (I 1 1 1 sg. ) , ancor più recisamente, s i nega che la previsione scientifica sia d . , senza preoccuparsi, dunque, d i lasciare alla d. artificiale uno spazio, come aveva tentato Posidonio (Introd. , p. LXVI, e la famosa definizione di I 9 ) ; perfino la previsione dell' ekpy rosù stoica (vedi qui sotto, nota 255 ) è considerata «scientifica» come se fosse basata su dati sperimentali. All'inizio di I 1 1 3 l'unica vera d. è considerata (ancora una volta, con Cratippo) la d. naturale; ma poco dopo Quinto dichiara (sint summa ecc.) che la tesi di Cratippo è già importante perché non nega qualsiasi d., ma che alla d. artificiale va pur concesso un posto, seppure alquanto subordinato. E ancora : in contrasto con questa «dissacrazione» della d. artificiale, si ammette ( 1 1 1 all'inizio) l'esistenza, sia pur rara , di uomini capaci di un'«estasi meramente umana» che li porta a conoscere le «cose divine» (cfr., un po' diversamente, I 65 e nota 194), cioè di ciò che sembra escluso poco dopo ( 1 1 3 all'inizio) . È difficile dire se tutte queste oscillazioni siano dovute a frettolosità eccessiva di C . , o se (come tenderei a supporre) siano intenzionali: C. ha voluto presentare il fratello simpatizzan­ te (come era in effetti) per la tesi di Cratippo, ma costretto a sobbarcarsi anche alla difesa stoica della d. A frettolosità si dovrà forse attribuire solo qualche transizione troppo brusca. Ci siamo soffermati forse un po' troppo su quest 'analisi, perché qui il Pease è estremamente frettoloso, e nemmeno il Reinhardt convin­ ce del tutto. ,

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254 I codici hanno cognitione, che è stato corretto in cognatione (Marsus, Pease) o in contagiane (Davies, Ax, Giomini); preferisco il primo emendamento, che è un ritocco leggerissimo (cfr. I 64, e qui, poco oltre, societate divina: l'anima umana è «della stessa stirpe» dell'anima divina; cognitionem per cognationem hanno i codici anche in n 3 3 ) . Si noti, inoltre, che in C . , e non in lui solo, contagio ha, nella grande maggioranza dei casi, un valore negati­ vo : « Contatto dannoso» (cfr. I 63 , 1 1 58), se non addirittura «contagio» ; poche le eccezioni. 255 L' et prima di natura richiederebbe un altro et correlativo («sia . . . sia»), che invece non c'è, come talvolta in C. (cfr. sopra, nota 1 45 e altrove) ; come secondo termine si può considerare autem dopo a/ii. Poco sotto, con deflagrationem futuram . . . , si allude, come già abbiamo accennato, alla ekpyrosis (da pyr «fuoco»), cioè alla dottrina di origine vagamente eraclitèa, soste­ nuta già da Zenone e poi dagli stoici successivi (con qualche dubbio da parte di Panezio), secondo la quale, al termine di ogni periodo cosmico o «grande anno», quando tutti gli astri si ritrovano nella medesima posizione reciproca, l'universo è di­ strutto dal fuoco, per poi ricostituirsi. Cfr. anche sopra, nota 253 , e Pohlenz, La Stoa cit . , I, pp . 144- 157. 256 Solone previde (in versi che ci sono almeno in parte giunti: fr. 10 DiehP) l'instaurarsi della tirannide di Pisistrato ( circa il 560) : in quei versi c'è un'analogia tra il rapporto causa-effetto nei fatti fisici (meteorologia) e nei fatti sociali; tanto più si comprende come C . , o la sua fonte, citasse la previsione politica di Salone accanto a previsioni fisiche . La connessione linguistica (giusta, una volta tanto) fra prudens e prov,fdens si trova altre volte in C. ; cfr. Pease; per il frammento dell'Hortensius vedi ora fr. 96 Grilli (C. Hort. , Milano-Varese 1962 ) . 257 Dei due aneddoti riguardanti Talete, il primo è narrato anche da Aristotele, Polit. I 1259 a, e da Diogene Laerzio I 26, che cita come fonte il peripatetico Ieronimo di Rodi : da lui, o da Aristotele stesso, potrebbe derivare C. È stato osservato che nel racconto di C. non si dice che Talete comprò gli olivi a basso prezzo ed ebbe cosl un eccezionale guadagno : quel che importa a C. è soltanto la capacità di previsione scientifica di T alete. Quanto ai « denigratori», può trattarsi di un'altra versione, più generica, del famoso aneddoto di Talete caduto nel fosso mentre contemplava gli astri e della vecchia (o dell'ancella) che lo schernisce (Diog. Laert. I 34, e già Platone e Aristotele) . Ancor più famosa è la previsione dell'eclissi di sole (28 maggio 585 ) , 315

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menzionata da C. anche in De rep. I 25 (dove però si attribuisce a Talete più la spiegazione del fenomeno che la previsione) . Secondo Erodoto, I 74, all'epoca d i quell'eclissi non regnava in Persia Astiage, ma suo padre Ciassare (Kyaxares) , e pare che Erodoto abbia ragione: si tratterà di un lapsus di C. o di un errore tratto dalla sua fonte. I codici hanno qui la forma latinizzata Thalem, in II 58 la forma greca Thalen ; cfr. Pease, p. 3 00. 258 Su tali previsioni cfr. I 1 3 - 16, I 24, n 9 - 1 4 . Sul terremoto previsto da Anassimandro e sulle difficoltà di datazione, cfr. Pease. Quanto ad excubarent, lo intenderei, con altri interpreti, come «vegliare» (si accorderebbe meglio con armatt) , non come «dormir fuori» (Pease, cfr. I 96) ; ma non vi è certezza. Il massiccio del Tafgeto si trova a ovest di Sparta; extrema va riferito a puppis, con un costrutto abbastanza ardito: «l'estrema, per cosl dire, poppa del monte» (cosl come in una tempesta può schian­ tarsi la poppa di una nave) . Plinio (N. H. II 1 9 1 ) , che senza dubbio, come appare da tutto il passo, deriva da C . , scrive più chiaramente e banalmente extrema Taygeti montis magna pars, ad /ormpm puppis eminens. Il Davies espungeva extrema montis, come glossa; se mai, preferirei espungere il solo montis, un po' fastidioso a causa di monte che precede (i raffronti del Mayor a cui rimanda il Pease non sono del tutto pertinenti) . Ferècide di Siro (una delle isole Cicladi nel mar Egeo), maestro di Pitagora anche secondo Diogene Laerzio, è personalità evanescente; l'epi­ sodio qui narrato è riferito anche da altri autori (cfr. Pease, anche per altre osservazioni antiche sul rapporto tra fenomeni idrici e terremoti) ; cfr. 11 3 1 , da cui risulta che il terremoto sarebbe stato previsto in base a un mutamento di colore dell'acqua (secondo altre fonti, in base al sapore). 259 Cfr. sopra, nota 253 per tutto l'andamento del discorso ; e nota 24 per l'accoppiamento di Dicearco e Cratippo. Poco più sotto, le parole in parentesi quadre sono certo una glossa da espungere. 260 Qui, indubbiamente, la ripetitività diviene eccessiva, anche se si deve ammettere che quando si tratta di d. naturale (quella prediletta da Quinto, e di cui C. ha sentito il fascino pur senza credervi) il discorso è sempre vivo e arricchito da nuovi modi espressivi. L'et dopo ergo è, come altre volte in C . , l'inizio di una correlazione il cui secondo termine viene obliato : cfr. sopra, nota 255 (qui come secondo termine si potrebbe, con qualche difficol­ tà, considerare il -que di multisque rebus). Quanto all'eccitazione prodotta dai « canti frigi» (dei seguaci di Cibèbe o Cìbele), affine 3 16

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al furor dionisiaco, cfr. Introd. , p. xxx, e sopra, I 80 e nota 2 15 (anche per gli elementi del paesaggio, sui quali, oltre il Pasquali ivi cit . , sono utili alcuni rinvii in Pease, p. 3 05 ; è vero che, come osserva il Pease, qui C. non si riferisce esplicitamente ai monti, come farà nel Laelius, 68 [e come ha fatto in I 80 attraverso la citazione di Pacuvio, se l'interpretazione da noi preferita di in tumulis è esatta] , ma nell'insieme anche qui il paesaggio è dionisiaco, seppur considerato con un certo distacco, il che non meraviglia in C . ) . 261 Ancora una citazione dall'Alexander d i Ennio (Se. 6 9 sgg. Vahlen2, 47 sgg. Jocelyn) : è di nuovo Cassandra che parla invasata, cfr. I 67 e più oltre, II 1 12 . L'allusione è al giudizio di Paride e all'arrivo di Elena, la «donna spartana» che sarà, come una delle tre Furie, distruggitrice dei troiani ( Troiae et patriae communis Erinys, è detta n ell' Eneide, II 573, in un passo non sicuramente, ma, a mio parere, probabilmente autentico) . Dopo l'esclamazione Eheu videte!, che potrebbe essere fine di un verso o, meglio, stare a sé come spesso le brevi frasi esclamative in poesia scenica, vi sono due ottonarii trocaici, entrambi con la lunga dell'ultimo piede sciolta in due brevi. Iudicavit non va corretto in Iudicabit con Haupt, Pease, Giomini: Cassandra vede il giudizio come già avvenuto, cfr. Jocelyn, p. 2 1 7 (e « Gnomon» 1968, p . 668 ) ; esprime p o i con u n verbo futuro l e conseguenze. 262 E un verso di Ennio (A nn. 2 14 Vahlen2, 207 Skutsch) appartenente a un proemio polemico del lib . VII (in forma più ampia, benché sempre incompleta, ce lo tramanda C. stesso nel Brutus, 7 1 e 75 ) : i versi a cui qui si allude sono i saturnii, usati ancora da Nevio nel Bellum Poenicum e considerati un'«antica­ glia» da Ennio, che introdusse nella poesia latina l'esametro greco ; l' allusione ai Fauni e ai vates (cfr. Introd. , pp. xxxii s . , LXVII, e sopra, 1 1 0 1 ) è i n Ennio, non i n C . , sprezzante. Poco sopra, verbis, contrapposto a versibus, dovrebbe significare «in prosa» ; tuttavia di questo significato mancano altri esempi, e andrà accolta l'integrazione del Thoresen verbis, non menzionata da Ax e Giomini (soluta oratio è detta spesso la prosa, e solutis può essere stato facilmente omesso dopo solum : lo stesso inizio di parola) . 263 S u Marcio e Publicio cfr. Introd., p . xxxii; quo de genere va inteso nel senso che anche gli oracoli di Apollo erano in versi (non in versi saturnii) ; tuttavia la frase quo de. . . prolata sunt, collocata Il, fa qualche difficoltà, e la sua trasposizione dopo oracla funderent, proposta da J.F. Meyer e da A.C. Clark, è forse 317

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da accettare. Sulle esalazioni della terra cfr. 1 38 e 1 79 (in connessione con l'oracolo di Apollo a Delfi ) . Il passato fuisse perché, almeno a Delfi, queste esalazioni non vi erano più (cfr. i passi cit . ) . 264 I l brano che segue sui sogni è una ripetizione d i quanto è stato detto in I 60-63 ; e anch'esso deriva da Platone, con un elemento platonico in più, cioè l'affermazione che l'anima vixit ab omni aeternitate: la d. (come conoscenza anche del passato, cfr. Introd . , p. xxvm, e qui sopra, nota 1 9 1 ) è derivata dalla dottrina della metempsicosi e della «reminiscenza». 265 Questo paragrafo 1 16 segna uno stacco forte nel ragiona­ mento, come è indicato anche dall'enfasi iniziale Hic magna q. exoritur. . . (magnus, in simili contesti, significa «importante», «grave», anche «difficile» ; cfr. I 1 1 7 magna quaestio est) . Quinto deve confessare esplicitamente ciò che è già implicitamente risultato in molte narrazioni di sogni e di vaticinii: la d. naturale ha quasi sempre bisogno del sussidio di interpreti, ossia della d. artificiale (cfr. sopra, nota 142 ) . Ciò era stato ammesso anche da Platone (cfr. Introd. , p. LXI ) ; ma Quinto ricorre al provvidenziali­ smo stoico : la divinità, benefica verso gli uomini, non può aver dato a essi sogni, responsi di oracoli, vaticinii oscuri (che sarebbero inutili) senza avere accompagnato a questo dono quello di un'arte interpretativa (cfr. già il sillogismo di Crisippo, sopra, I 82 sg. ) . Antiphonis (forma assimilata alla declinaz. latina, possibile accanto ad Antiphontis) è espunto da tutti gli editori di C . , a cominciare dal Baiter, come glossa derivata da I 39 e intrusa nel testo; conservano invece la lezione tramandata il Diels ( Vorsokratiker", ed. Diels-Kranz, 87 B 79) e con lui gli altri editori o traduttori dei Sofisti (M. Timpanaro Cardini, M. Untersteiner) : certo il cumulo dei due genitivi somniorum Antiphonis sarebbe estremamente duro e, soprattutto, qui si parla dell'interpretazio­ ne dei sogni in generale, non di un singolo interprete. Può darsi che, con la maggioranza degli editori, si debbano espungere anche le parole da sunt enim a poetarum, che possono essersi intruse qui da I 34; ma io rimango incerto, perché la ripetizione, di per sé, non è argomento decisivo in un brano che di ripetizioni abbonda (cfr. anche i paragrafi precedenti) , e un indizio, pur non decisivo, di autenticità è costituito dalla parola explanator (non derivata da I 34), la quale si trova, in tutta la latinità, altre due volte in C. e poi in scrittori cristiani (cfr. Thesaurus /ing. Lat. v 2 , 1 7 10) ; analogamente immolator s i trova i n n 36 e poi nel cristiano Prudenzio. Più oltre, conditiones (da non confondersi con condi3 18

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ciones) deriva dal verbo condìre, che significa non tanto «condire» nel senso a noi più consueto, quanto «aggiungere sostanze conservanti» ( sale, ecc.) . Materia ha l'originario significato con­ creto di