Da Roma a Taprobane. Dai Collectanea rerum memorabilium. Testo latino a fronte 8843057413, 9788843057412

Evocazione favolosa di terre vicine e lontane, i "Collectanea rerum memorabilium" di Solino - un letterato del

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Da Roma a Taprobane. Dai Collectanea rerum memorabilium. Testo latino a fronte
 8843057413, 9788843057412

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Caio Giulio Salino

DA ROMA A TAPROBANE Dai Collectanea rerum memorabilium

Carocci

l Collectanea rerum mcmorabzltu m ("raccolta di dati memorabili") di Caio Giulio Solino, letterato della tarda età imperiale romana - metà del m secolo. forse-. sono un'enciclopedia geografica che ricostrui­ sce. da fonti greche e latine, l'ecumene allora noto: dalla Spagna al­ l I n dia dall'ultima Tule all'Etiopia, dalla cizia a Taproban e Manua­ le dtffus iss i mo dall'epoca bizantina all'età di Dante, è celebre per le desc rizion i di popolaziom barbare, piante e pietre preziose, animali feroci (e fantastici) pu nt ualmente diffuse in Europa da cosmografie, besuari e lapidar i del Medioevo. La scelta a ntolog i ca la traduzione e il commento scientifici- i primi in I talia- permettono al lettore il pe­ riplo di un testo suggestivo, nel cuore della scienza europea fino alla rivoluzione apportata dalle scoperte geografiche dell'ultimo Quattro­ cento. Un testo che continuerà ad affasc i nar e 1 moderni, come il Flau­ b ert della Tentation de Sam t Antotne. '

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Bruno Basile e professore ordmario di Letteratura italiana presso la Fa­ coltà eh Lettere e Filosofia dell'Università di Bologna. Filologo e storico delle idee, ha raccolto i suot saggi critici nei volumi Poeta melancholtcus. Trodrvone classica e follia nell'ultùno Tasso (Pisa r984l: L'ùwenvone del vero. La leueratura scientz/ù:a da Galilei ad Algarolli (Roma 1987 ) ; Il tem­ po e le /orme. Studi letteran da Dante a Gadda (Modena 1990); L'esi!to ef /imero. Scrtllort 111 gtardmo (Bologna 1992); Il tempo e la memoria. Studt di crrtzca testuale (Modena 1994); La /inestra socchiusa. Rtcerche tematiche su Dostoevskij, Kafka, Moravia e Pavese (Roma 2003). Per la "Biblioteca medievale" ha curato La fenice Da Claudiano a Tasso (2004); Marbodo di Rennes, Laptdari. La magia delle ptetre preziose (2oo6, seconda ristampa); Aurelio Prudenzio Clemente, Psychomachta La lotta dei VIVe delle vzrtù (2007); Bernardo ilvestre, Commento all'Enetde. Libri /-VI (2oo8). Edito­ re di classici e scienziati tra Quattro e Settecento, è cultore di studi egit­ tologict e numismatici.

In copertina: particolare dal De propnetatzbus rerum di Bartolomeo Anglico (secondo quarto dd Xlll sec.), Amtens, Bibliothèque Muntctpale.



21,00

ISBN 978-88-430-5741-2

BIBLIOTECA ME DIEVALE / 128

Collana diretta da Mario Mancini, Luigi Milone e Francesco Zambon

A Ezio Raimondi TPOCJlELU

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore via Sardegna 50, oor87 Roma, telefono o6 42 8r 84 17, fax o6 42 74 79 31

Visitateci sul nostro sito Internet: http://www carocci.it

Caio Giulio Salino

Da Roma a Taprobane Dai Collectanea rerum memorabilium A cura di Bruno Basile

Carocci editore

Volume pubblicato con il contributo del MIUR e dell'Università di Bologna

edizione, novembre 2010 © copyright 2010 by Carocci editore S.p.A., Roma Ia

Realizzazione editoriale: Studioagostini, Roma Finito di stampare nel novembre 2010 dalle Arti Grafiche Editoriali Srl, Urbino ISBN 978-88-430-5741-2

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Introduzione l 9

di Bruno Basile Bibliografia l 27 Nota critica al testo e alla traduzione l31

CO LLECTANEA RERVM MEMORABILIVM

Solinvs Advento salvtem l34 [Dedica] Solino porge ad Advento i suoi saluti l35 I

l38

I [Le origini di Roma] l39 Il

l 46

II [Vigore e valentia degli antichi] l 47 III

l 56

III [L'Italia] l 57 IV

168

IV [Isole del Mediterraneo] l 69

v

v 178 [Curiosità della Grecia] l 79

VI l

86

VI [Macedoni e Traci] l 87 VII l 94 VII [Orrori e tesori della Scizia] l 95 VIII l 104 VIII [Germania, Gallie, Britannia, Spagna] l 105 IX l II4 IX [Africa: belve e serpenti] l n5

xl 122 X [Mostri, piante e pietre preziose] l 123 XI l 130 XI [Meraviglie dell'India] l 131 XII l 144 XII [Taprobane e il mare delle perle] l 145

Note al testo latino l 153

Introduzione Apud nostros Plinius, Solinus et Pomponius de geographia lzbros pulcherrimos ediderunt. Z. Lilio, De origine et laudibus scientiarum, Florentiae, 1496

Non abbiamo notizie sull'autore dei Collectanea rerum me­ morabilium, evocazione favolosa di terre vicine e lontane che rappresenta l'inventario del mondo più diffuso nella cultura tardoantica e medievale1• I manoscritti dell'opera, centinaia di codici redatti da amanuensi così zelanti da cor­ redare il testo di mappe dettagliate e miniature, non offro­ no la minima indiscrezione su Salino. Anzi, il più delle vol­ te non trascrivono neppure i tria nomina che sarebbero scontati per uno scrittore romano, alternando il semplice Salino a un Giulio Salino in rari casi divenuto C. Giulio Salino. Pur ammettendo che la forma più completa sia quella esatta, resta nondimeno un fantasma senza riscontri storici. Ricerche epigrafiche e linguistiche non hanno dato corpo a questa etichetta, giungendo solo ad ipotizzare un letterato - grammaticus per qualche glossatore - ascrivibi­ le più che a Roma a una delle province dell'impero2• r. Vuoto documentario assoluto e qualche ipotesi registrano M. Schanz, C. Hosius, G. Kriiger, Geschichte der romischen Literatur, Beck, Miinchen 1959, vol. III, pp. 224-7 e E. Diehl, in A. Pauly, G. Wissowa, Real-Encyclopiidie der classischen Altertumswissenschaft, vol. x/1, Metzler, Stuttgart 1957, coli. 823-38. Liquida il problema in poche righe A. von Albrecht, Storia della letteratura latina, Einaudi, Torino 1995. vol. III, p. 498. 2. Sui manoscritti di Solino, cfr. H. I. Beli, A Solinus Manuscript /rom the Library ofColuccio Salutati, in "Speculum", IV, 1929, pp. 45161; J. A. Guy, A Lost Ms. ofSolinus. Five Fragments /rom Bury St. Ed­ munds in the Library ofClare College, Cambridge, in "Transactions of

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Lo scrutinio dei codici ha rimarcato oscillazioni nel titolo dell'opera, ora contratto (Collectanea), ora variato (Collectio o Collectarium rerum memorabilium), e persi­ no riscritto con prolissità appena credibile (Liber de situ orbis terrarum et de singulis mirabilibus quae mundi am­ bitu continentur). Ed esiste il dubbio che un titolo ulte­ riore, Polyhistor, a lungo creduto un'invenzione dei co­ pisti di età bizantina, caratterizzi una seconda stesura dell'opera. Redazione dovuta al medesimo Salino che, ottenuto un lusighiero successo, avrebbe ritoccato il te­ sto, preferendogli un titolo dotto. Una dicitura lontana da quel riferimento a memorabilia o mirabilia che ri­ chiamano non tanto il manuale erudito (Polyhistor) quanto una raccolta di curiosità. Silloge certamente affi­ ne ad opere greche dovute ad autori definiti non a caso, per il culto del meraviglioso, taumasiografi3• the Cambridge Bibliographical Society", VI, 1962, pp. 65-7; L. Coglia­ ti Arano, Il manoscritto C.245 inf della Biblioteca Ambrosiana. Salino, in G. Vailati Schoenburg Waldenburg (a cura di), La miniatura zta­ liana in età romanica e gotica. Atti del I Congresso di storia della mi­ niatura italiana (Cortona, 26-28 maggio 1978), Olschki, Firenze 1979, pp. 239-58; V. von Biiren, Vom Nutzen literarischen Handschrz/ten als historische Quellen: das Beispiel der Solintradition im 9. Jahrhundert, in H. Keller, F. Neiske (hrsg.), Vom Kloster zum Klosterverband. Das Werkzug der Schriftlichkeit, Fink, Miinchen 1997, pp. 88-99. Per l'ori­ gine provinciale di Salino (il cui nome rivela una radice celtica, dalla dea Sul, Sulinos) , cfr. A. M6csy, Zu einigen Galliern in der Literatur der Kaiserzeit, in "Acta Academiae Scientiarum Hungaricae", XXX, 1982-84, specialmente pp. 384-5. 3· Cfr. R M. Rouse, Solinus, in L. D. Reynolds (ed.), Text and Tran­ smission. A Survey o/the Latin Classics, Clarendon Press, Oxford 1983, pp. 391-3, e, per la letteratura dei taumasiografi (o paradossografi), A. Giannini (a cura di), Paradoxographorum reliquiae, Istituto Editoriale Italiano, Milano [1965] e [Antigonus Carystius], Rerum mirabilium col­ lectio, ed. O. Musso, Bibliopolis, Napoli 1985. Note acutissime su que­ sta scrittura sono in P. M. Fraser, Ptolemaic Alexandria, Clarendon Press, Oxford 1972, vol. I, pp. 761-84 e in F. J. G6mez Espelosin, Para­ doxogra/os griegos. Rarews y maravillas, Gredos, Madrid 1996. Sui li-

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Per sfuggire a dati così !abili, gli studiosi si sono con­ centrati sulla Prae/atio all'opera, nella prima e più diffu­ sa stesura - essendo la seconda sospetta di apocrifia -, perché porta il nome di un dedicatario che dovrebbe condurre ad un'epoca precisa. Ma il misterioso Adven­ to chiamato in causa da Solino non offre una certa iden­ tità, neppure indiziaria. Il noto Q. Antistio Advento Po­ stumio Aquilino, console nel 168 della nostra era, poi go­ vernatore della Britanni a all'epoca di Marco Aurelio, conduce troppo addietro nel tempo rispetto ai dati con­ tenuti nei Collectanea. Il secondo candidato, M. Oclati­ nio Advento, console nel 218, prae/ectus urbis negli anni di Caracalla, è personaggio difficile da proporre, per la sua cultura solo militare, confermata dagli storici anti­ chi. Anche accettandolo, non si capisce poi perché Soli­ no, certo ossequioso alle dovute norme di rispetto ge­ rarchico in uso nella dedica di un testo letterario, avreb­ be omesso, scrivendola, il titolo spettante a un perso­ naggio di tale rango (clarissimus vir)4. Si possono aggirare queste difficoltà attingendo alla seconda dedica, considerandola come approdo dei Col­ lectanea ad un revisionato Polyhistor dello stesso Solino. Vi si scopre che in qualche codice il dedicatario non è più Advento, ma Costanzo, forse Costanzo II (337-371), il figlio di Costantino. Poco credibile, però, che il letteramiti della credulità greca ha pagine suggestive P. Veyne, I Greci hanno creduto ai loro miti?, il Mulino, Bologna 1984. 4· Cfr. E. Klebs (hrsg.), Prosopographia !mperii Romani. Saec. I, II, III, Apud Reimerum, Berolini 1897, pars I, p. 10 e H.-G. Pflaum, Les carrières procuratoriennes equestres sous tHaut-Empire Romain , Geuthner, Paris 196o-61, vol. II, pp. 662-7 e III, p. 992. Dopo la morte di Caracalla (nel 212), Oclatinio Advento fu alleato del nuovo impe­ ratore M. Opellio Macrino, con il quale emanò leges (Cod. lust. , X, 51, 1) che ne rendono improbabile una generica menzione. È rievocato in Dion. Cass., LXXVIII, 14, 1-4 ed Herodian., IV, 14, 2.

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to offrisse in dono ad un imperatore un'opera già nota ritoccandone la stesura. Dawero ardua l'ipotesi che il primo dedicatario fosse Costanzo, poi sostituito da Ad­ vento, un qualche burocrate palatino, dopo che l'impe­ ratore lasciò Roma, nel 357, per raggiungere la nuova ca­ pitale Costantinopoli5. Meglio abbandonare questi per­ corsi senza certezze e attenersi, come fece T heodor Mommsen, che studiò dal r864 al 1895 il testo di Salino, ai dati interni emergenti dai Collectanea. L'opera fu trascritta - questo, almeno, i copisti lo re­ gistrano - da un archetipo del V secolo per mandato im­ periale di Teodosio II (408-450). Visto che il dinasta bi­ zantino organizzò una scuola di Stato nel425, è lecito cre­ dere che allora il manuale di Salino iniziasse, come clas­ sico, ad essere noto. Una prova esiste, dato che sant'A­ gostino utilizza il nostro autore nel De civitate Dei, capo­ lavoro concluso proprio nel 426. Ma si può risalire anco­ ra nel tempo: Ammiano Marcellino impiega i Collectanea tra le fonti geografiche delle sue Res gestae, diffuse - lo sappiamo dal retore Libanio - dopo i1 397, e Salino è poi chiaramente nominato da Servio nel suo commento alle Georgiche di Virgilio, forse del4oo. Potrebbero essere gli anni vicini alla composizione dei Collectanea, ma Mommsen lo escluse. Salino menziona la città di Bisan­ zio non ancora divenuta Costantinopoli (r, 79), si dimo­ stra all'oscuro delle riforme territoriali dioclezianee, non rivela nel suo testo la minima allusione al cristianesimo. 5· Questa tesi è stata sostenuta da P. L. Schmidt, Solins Polyhistor in Wissenschaftsgeschichte und Geschichte, in "Philologus", CXXXIX, 1995. pp. 23-35· Nell'età di Costanzo II fu redatta un'Expositio totius mundi et gentium tradotta dal greco: cfr. Anonimo del IV secolo, De­ scrzzione del mondo e delle sue genti, a cura di U. Livadiotti, M. Di Branco, Salerno Editrice, Roma 2005, e anche G. Marasco, L'Exposi­ tio totius mundi et gentium e la politica religiosa di Costanzo II, in "An­ cient History", XXVII, 1996, pp. 182·20).

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Meglio dunque risalire nel tempo, magari agli anni degli imperatori Valeriano e Gallieno (253-268), che non offro­ no discrepanze cronologiche col nostro testo6. L'autorità di Mommsen ha reso accetta questa cro­ nologia sino a tempi recenti, anche se non mancano dub­ bi. Solino è infatti poco aggiornato sul piano storico, non registra imperatori dopo Vespasiano, talora si chiude in riferimenti d'epoca repubblicana. Dunque quella sco­ moda Bisanzio potrebbe solo essere la trascrizione ser­ vile da fonte datata, la stessa che ci nega le riforme poli­ tiche di Diocleziano. E non è poi da escludere l'esisten­ za di uno scrittore pagano in tempi di trionfante cristia­ nesimo. Ragionando come Mommsen, si dovrebbe por­ re nell'epoca di Valeriano e Gallieno anche il Marziano Capella del De nuptiis Philologiae et Mercurii, enciclo­ pedia pagana del V secolo. Se si vuole evitare - ricorren­ do al Polyhistor- di scorgere dubbie relazioni tra i Col­ lectanea e Costanzo II, adattabili, purtroppo, anche al­ l'imperium di Costanzo I (293-306), non resta che torna-

6. T. Mommsen, Auctor et auctoritates, in C. Iulii Solini Collecta­ nea rerum memorabilium, Apud Weidmannos, Berolini 1895, pp. I­ XXIV, e, per il problema di Solino fonte di Ammiano, Ammians Geo­ graphica, in "Hermes", XVI, 1881, pp. 602-36 (rist. in T. Mommsen, Ge­ sammelte Schri/ten, Weidmann, Berlin-Ziirich 1965, vol. VII, pp. 393425). La citazione di Sen•io creò dubbi allo storico: nel commento al­ le Georgiche (Il, 215), il nome di Solino potrebbe essere corruzione per Filino, secondo G. Knaak, Analecta, in "Hermes", XVIII, 1883, p. 33· Ma l'edizione critica ha confermato- a dispetto del Filino caldeggia­ to anche da E. Rohde - la lezione Solino: cfr. Sen;i Grammatici In Virgilii carmina commentarti, ed. G. Thilo, H. Hagen, rist., Olms, Hil­ desheim 1986, vol. III, p. 239. Su Solino- e Filino- studiosi di serpenti cfr. C. Salemme, Varia iologica, in "Vichiana", I, 1972, pp. 338-43 e D. Paniagua Aguilar, «Solinus et Nicander qui de his rebus scripserunt» (Serv. ad Georg 2, us): Salino como autoridad ofi6logica en el com­ mentario de Servio, in AA.VV., Munus quaesitum meritis. Homenaje a C. Codoiier, Universidad de Salamanca, Salamanca 2007, pp. 685-93.

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re all'età più prossima alle prime menzioni accertate di Salino (390-400 circa). Ma questa strada, ripercorsa nel 2001 da Francisco Ferniìndez Nieto, non ha offerto dati più certi di quelli di Mommsen. Indubbiamente Salino evoca come Diana la Nemesi di un tempio di Oropo (7, 26), svelando il sincretismo tra le due divinità: ma è un fatto religioso difficilmente databi­ le (fine II secolo, inizio del III). Lo scrittore dichiara in ro­ vina la città palestinese di Engaddi (35, 12): ma Eusebio di Cesarea che notifica invece la rinascita dell'abitato, offre coordinate troppo generiche, verso il 4oo, per rendere in­ dicativa, sul piano cronologico, l'indiscrezione. Parimen­ ti è vero che Salino (30, 2-3; 31, 4) si dichiara perplesso su unioni matrimoniali barbariche non conformi alla legisla­ zione in uso. Anche nella certezza che si tratti di un rife­ rimento al giure dell'epoca di Diocleziano e Massimino, si ottiene solo il rinvio ad un anno dopo il 295. Forse Ferniìndez Nieto è più suggestivo annotando che il filo­ sofo Sòpatro di Apamea, allievo di Giamblico, avrebbe usato - stando al Patriarca Fozio - per una sua opera un testo greco, perduto, di cui non è indicato l'autore, ma il titolo che, tradotto in latino, darebbe proprio Collectanea rerum memorabilium. Sòpatro morì nell'età di Costantino (306-337), epoca in cui potrebbe aver scritto il nostro au­ tore, capace di ricalcare un testo à la page. Ma purtroppo non esistono prove di un certo riferimento a quel libro e non piuttosto ad uno affine, magari antecedente, opera di un qualche taumasiografo di età imperiale?.

7· Solino, Colecci6n de hechos memorables o el erudito, introduc­ ci6n, traducci6n y notas de F Fernandez Nieto, Gredos, Madrid 2001, pp. 25-7. Sui taumasiografì di età imperiale, sono indispensabili A. Giannini, Studi sulla paradossografia greca, II, Da Callimaco all'età im­ periale, in "Acmé", XVII, 1964, pp. 99-140 eia sintesi di M. M. Sassi,Mi­ rabilia, in G. Cambiano, L. Canfora, D. Lanza (a cura di), Lo spazio !et·

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Un secolo di dibattiti accesi per confermare solo un nome e l'incerta cronologia dell'opera (Salino e i suoi Callectanea redatti comunque prima del 4oo) deve però correlarsi ad un'altra sottile questione, i cui prodromi so­ no più antichi. Le enciclopedie erudite latine erano state oggetto di studi profondi da parte degli umanisti del Ri­ nascimento. Esiste tutta una critica del testo che si affina analizzando la Naturalis histaria di Plinio Seniore e il De charagraphia di Pomponio Mela. Impossibile accostarsi a questi capolavori dimenticando le Castigatianes Plima­ nae et in Pampanium Melam (Roma 1492-93) di Ermolao Barbaro il Giovane. Scontato che qualche erudito si de­ dicasse su quella scia allo studio dei Callectanea solinia­ ni, riproposti, con l'invenzione della stampa, tra le opere ormai di consultazione. Ma quando Claude Saumaise pubblicò le sue Plimanae exercitatianes in C. Iulù Salini Palyhistara. Item Salini Palyhistar ex veteribus libris emendatus (Parisr629) il libro destò sorpresa e inquietu­ dine. Vi era contenuta la dimostrazione impeccabile che il testo di Salino riuniva assieme, con scarsa originalità, segmenti narrativi di Plinio e di Mela8• I Callectanea ri­ sultavano così un'enciclopedia di enciclopedie. !erario della Grecia antica, vol. l, La produzione e la circolazione del te­ sto, t. II, I.:Ellenismo, Salerno Editrice, Roma 1993, pp. 449-68. Chiose sulle matrici di questa cultura in H. Diller, Kleine Schrzften zur antiken Literatur, Beck, Munchen 1971, pp. n9-43; G. Traina, Il mondo di C Li­ cinio Muciano, in "Athenaeum", LXXV, 1987, pp. 397-406; E. Gabba, Cultura classica e storiografia moderna, il Mulino, Bologna 1995, pp. n37· Se stiamo ad Aulo Gellio (IX, 4), i erano venduti a Brindisi per un pubblico di amateurs. 8. Cfr. H. Barbari Castigationes Plinianae et in Pomponium Me­ lam, ed. a cura di M. Pozzi, Antenore, Padova 1973-74 (4 voli.), e sul lavoro filologico del Saumaise, J. E. Sandys, A History of Classica! Scholarship, rist., Hafner Publishing Company, New York-London 1967, vol. II, pp. 285-6 e]. Jeasse, Saumaise, in C. Native! (éd.), Centu­ riae latinae. Cent une figures humanistes de la Renaissance aux Lu­ mières offertes à ]. Choumarat, Droz, Genève 1997, pp. 726-30.

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Mommsen confermò il fatto, cercando poi, da par suo, di cogliere altri repertori (Solino cita circa sessanta classici greci e latini) da cui sarebbe nata quella sinossi. L'autore romano impiegò testi per noi perduti, come una Chronologia di Cornelio Bocco edita nel 49 e una Choro­ graphia forse di epoca adrianea. L'inevitabile suggeri­ mento a proseguire la rilevazione di opere chiaramente alluse nei Collectanea ha aggiunto, dopo Mommsen, nuo­ ve candidature (i Rerum memoria dignarum lzbri di Ver­ rio Fiacco e le Historiae Philippicae di Pompeo Trogo) e persino la possibilità di riscontri con frammenti, noti, di qualche ulteriore enciclopedia (i Prata di Svetonio, in particolare)9. Ma il dato critico di fondo non muta. Il ma­ nuale di Solino è solo un patchwork compilativo sul ge­ nere di altre sillogi, oggi dimenticate, della tarda età im­ periale (poniamo il De die natali di Censorino o il De pro­ digiis di Giulio Ossequente). E, inoltre, non inserisce nel suo dettato preziosi frammenti di autori antichi, ma solo un déjà-vu che lo allontana dal fine repertorio erudito di opere come le Noctes Atticae di Gellio o il De Caesaribus di Aurelio Vittore10• E c'è di peggio. 9· C. Suetonius Tranquillus, Praeter Caesarum libros reliquiae, ed. A. Reifferscheid, rist., Olms, Hildesheim 1971, pp. 226-312 (Pratorum reliquiae) . Sull'opera, cfr. G. Brugnoli, Sulla possibilità di una rico­ struzione dei Prata e della loro attribuzione a Svetonio, in "Memorie della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche dell'Accademia dei Lincei", s. VIII, VI, 1954, pp. 1-32. 10. Solino per questo motivo neppure appare citato, ad esempio, in E. Norden, La letteratura romana, Laterza, Bari 1958. Ma tale ro­ mantica intolleranza per i compendi dimentica l'identico pot-pourri di fonti nei maestri di Solino: cfr. P. Mela, De chorographia libri tres, ed. P. Parroni, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1984 e K. G. Sallman, Die Geographie des iilteren Plinius in ihrem Verhà"ltnis zu Varro, De Gruyter, Berlin-New York 1971. Studioso di manuali antichi fu H.-L Marrou in Saint Augustin et la fin de la culture antique, De Boccard, Paris 1958, libro trascurato dai filologi classici tedeschi, sempre a disa·

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Il caleidoscopio di curiosità registrate - veramente de omnibus rebus et de quibusdam aliis- non si eleva a trat­ to distintivo di rilevanza letteraria. L'aura affabulatrice, eco dei taumasiografi greci, è raggelata da Salino in un repertorio collezionistico fine a sé stesso. La summa pre­ vale sulla critica, e la curiosità non ha nulla a che sparti­ re «con la percezione dell'ente, piena di meraviglia, che appartiene al filosofo». Qui «si cerca di sapere, ma uni­ camente per aver saputo», secondo un modulo erudito ridisegnato da Martin Heidegger che unisce assieme no­ tizie storiche, dati naturalistici, e dicerie suggestive, pro­ prio quei rumores che noi moderni escludiamo dalla scrittura scientifica. Eppure questa valutazione, dovero­ sa per la nostra filologia, non coincide affatto con gli sti­ li di lettura del mondo antico e medievale. Prodigi, biz­ zarrie naturalistiche, tradizioni popolari erano inestrica­ bilmente uniti nel discorso scientifico, il cui statuto epi­ stemologico allineava - come dimostra la più recente storiografia della scienza - sullo stesso piano di credibi­ lità quanto percepito tramite i sensi e quanto narrato dalla tradizioneu. In fondo, anche nell'enciclopedia sa­ pienziale di Aristotele convivevano cataloghi di meravi­ glie (De mirabilibus auscu!tationibus) e sinossi di fenogio col sapere medievale: cfr. C.]. Classen, La filologia tedesca 1911? 1998, in A. Destro (a cura di), Acta Germanica IV. Atti delle giornate del­ le Nationes, Università di Bologna 4-5 novembre 1988, CLUEB, Bologna 1989, pp. 165-89. n. Sul tema cfr. G. E. R. Lloyd, Magia, ragione, esperienza. Nasci­ ta e forme della scienza greca, Boringhieri, Torino 1982 e D. Lanza, O. Longo (a cura di), Il meraviglioso e il verosimile tra antichità e me­ dioevo, Olschki, Firenze 1989. Per il rapporto ente-meraviglia-curio­ sità è ancora fondamentale una pagina- qui citata- di M. Heidegger, Essere e tempo, UTET, Torino 1969, p. 275 (ed. or. 1927). La matrice gre­ ca agì anche sulla cultura araba: cfr. Zakariyya' ibn Muhammad al­ Qazw!nl, Le meraviglie del mondo e le stranezze degli esseri, a cura di S. von Hees, Mondadori, Milano 2008.

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meni oggetto d'interpretazione possibilistica (Problema­ fa). E, sul piano della rassegna, i Collectanea di Salino non sono troppo lontani da qualche altra silloge di età imperiale (le Natura/es quaestiones di Seneca, ad esem­ pio). La ricchezza delle fonti riassunte era considerata un pregio, non un limite all'epoca dei Deipnosophistae di Ateneo e dell'Anthologium di Stobeo. L'autorità di un testo proveniva proprio dalla possibile iterazione di ex­ cerpta narrativi già noti: Salino non ripeteva, ma confer­ mava gli orrendi serpenti di Lucano, l'araba fenice, le magiche pietre preziose, i mostri che abitavano le terrae incognitae. Siamo già nella logica compendiosa medie­ vale, è caduta ogni remora critica verso la memoria affa­ bulatrice degli antichi. E, soprattutto, a dispetto di ogni categoria creativa romantica, la letteratura in questo ca­ so si rivela disarmante nelle sue origini indiscusse: nar­ razione che nasce da un precedente modello'2• Inoltre Salino, che non nasconde affatto la sua qua­ lità di compilatore nella dedica ad Advento, ha una stra­ tegia compositiva di qualità sorprendente. Scrive un pe­ riplo, una periegesi del mondo noto, ma sostituisce agli occhi del viaggiatore, di necessità rapsodici negli itine12. Un 'idea della passione enciclopedica in età imperiale si dedu­ ce da D. Braun, J. Wilkins (eds . ) , Athenaeus an d His World. Reading Greek Culture in the Roma n Empire, University of Exeter Press, Exe­ ter 2000. Lavoro che è utile correttivo alle categorie di " plagio " , "compilazione" \�ve da A . Boeck, La filologia come scienw storica. En­ ciclopedia e metodologia delle scienze filologiche [1888] , a cura di A. Garzya , Guida, Napoli 1991, p. 265 a W. Deonna, Du miracle grec au miracle chrétien, Birckhaeuser, Baie 1946-48, vol. III, p. 173. Aveva mu­ tato molte prospettive il saggio di L. Mercklin, Die Citiermethode und Quellenbenutzung des A. Gellius in den Noctes Atticae, in "Jahrbii­ cher fiir classische Philologie" , suppl. 3, 1857-60, pp. 633-710, ma ri­ mase appannaggio di pochi eruditi. Si è �ssuto a lungo nel mito del­ la decadenza letteraria del tardo impero: cfr. H..I. Marrou, Saggi sul­ la decadenw, Medusa, Milano 2002.

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raria antichi, la meditazione sapiente del geografo, ca­ pace di sottili parametri narrativi'l. Lo scrittore procede nel suo racconto dal noto all'ignoto, dal centro (l'Urbe, Roma) alle periferie marginali, mescolando la storia ac­ clarata - di città, regni, colonie, santuari - con indagini etniche e leggendarie vieppiù favolose non appena si la­ scia il cuore dell' Europa romana - dalla Spagna alla Grecia, dalla Gallia al Nord Africa - per raggiungere le piaghe ignote: le terre della Germania, le pianure sar­ matiche, i territori africani di là dall'Etiopia, l'India. Se­ condo i parametri dell'etnologia greco-latina, Solino contrappone il mondo della storia, coincidente con l'e­ cumene classico, a quello della barbarie, i popoli di na­ tura che sembrano assediare, oltre illimes delle conqui­ ste imperiali, l'Europa. Britanni, Traci, Sarmati, Gara­ manti - etnie tribali del tatuaggio, del cannibalismo, di misteriose religioni - rappresentano il volto dell'ignoto, oltre il quale si entra nel regno del mito, dove i Pigmei lottano con le gru, gli Arimaspi prossimi al mar Caspio hanno un occhio solo, e gli ultimi bagliori di certezze ter­ ritoriali si perdono tra il mare di Taprobane e il mistero delle Isole Fortunate (ro, n; 15, 20; 53, 1-8; 54, 14-19)'4. 13. Per i possibili modelli, cfr. Geographi graeci minores, recensuit C. Miiller, rist., Olms, Hildesheim 1965 (2 voli. e tabulae); Geographi latini minores, collegit A. Riese, rist. , Olms, Hildesheim 1964, e L. Casson, Viaggi e viaggiatori nell'antichità, Mursia, Milano 1978. Utile mise au point in P. Arnaud, r;image du globe dans le monde romain: science, iconographie, symbolique, in " Mélanges de l'École Française de Rome. Antiquité" , CJCVI, 1984, pp. 53-n6. 14. Cfr. K. E. Miiller, Geschichte der antiken Ethnographie und ethnologischen Theorienbildung von den An/iingen bis auf die byzan­ tinischen Historiographen , Steiner, Wiesbaden 1980 (2 voli.); C. Jacob, Géographie et ethnographie en Grèce ancienne, Colin, Paris 1991. L'im­ maginario mitologico di Salino coincide con quello greco; per Pigmei e gru si può ricorrere a A. Ballabriga, La malheur des Nains. Quelques aspects du combat des grues con/re les Pygmées dans la lzttérature grecque,

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Rafforza questo schema interpretativo il proliferare dei nomi topografici nell'area dell'imperium romanum che si oppone al vuoto - angoscioso - dei territori della Scizia, dove i guerrieri sarmati, in tribù nomadi, bevono il sangue di nemici trucidati, e brindano in coppe rica­ vate dai loro crani (15, 15), o dell'Africa centrale, il cui animale simbolo - l'elefante - è immaginato vittima, in feroci lotte, dei draghi presenti in quelle savane (25, n)'5• E Solino sottolinea il contrasto tra civiltà e barbarie, ri­ correndo alla ricostruzione storica delle regioni accultu­ rate, dalla Grecia a Creta, dalla Macedonia all'Italia, il cui destino storico dominante, grazie a Roma, è ripreso dalle Origines di Catone e, quasi certamente, dal De gen­ te populi Romani e dalle Antiquitates di Varrone. Il mon­ do dei secoli d'oro di Alessandro Magno e d'Augusto è reso singolarmente prestigioso, affidando alla cultura classica latina, sintesi suprema di tempi costruttivi, il più perfetto dei calendari, evocato nelle sue strutture (r, 3452, forse dal De anno Romanorum di Svetonio), discri-

in "Revue cles études anciennes" , LXXXIII, 1981, pp. 57-74; per gli Ari­ maspi a J. D. P. Bolton, Aristeas of Proconnesus, Clarendon Press, Oxford 1962; per le Isole Fortunate a Th. J. Cachey Jr. , Le Isole For­ tunate. Studi di storia letteraria italiana, L'Erma di Bretschneider, Ro­ ma 1995 e A. Arioli, Le isole mirabili. Periplo arabo medievale, Einau­ di, Torino 1989. 15. La feritas delle popolazioni sarmatiche è confermata, con gli stessi esempi, da altre fonti (Amm . , XXXI, 16, 6, per un barbaro che , Paolo Diacono, Historia Langobardorum, II, 27 per Alboino che beveva nel cranio del vinto re Cunimondo): e sarà da ri­ ferire a ritualità guerriere; cfr. J. O. Maenchen-Helfen, The World of the Huns. Studies in Their History an d Culture, University of Califor­ nia Press, Berkeley-Los Angeles-London 1973. La lotta tra elefanti e dracones era un mito orrifico: cfr. I. Hofmann, Zur Kombination von Elefant und Riesenschlange im Altertum, in "Anthropos " , LXV, 1970, pp. 625-32 e V. Cirlot (coord. de) , El drac en la cultura medieval, Fun· daciò Caixa de Pensions, Barcelona 1987.

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mine intellettuale verso il vissuto istintivo - tra Sole e Luna - dei popoli barbarici. Tema non trascurabile, poi attivo nella riflessione occidentale dal De temporibus li­ ber di Beda il Venerabile (672-735) fino al capolavoro di Denis Petau, l'Opus de doctrina temporum (I627)'6• Geografo capace di stilare anche un trattato sull'an­ tropologia dell'Occidente (I, 53-127), unendo dati scien­ tifici greco-latini in un vero liber de homine, Solino ac­ quista tonalità suggestive quando entra nei territori si­ tuati oltre lo spazio, noto, del mare nostrum, il Mediter­ raneo. Lo scrittore conosce, da fonti odeporiche, noti­ zie sul corso del Nilo, sul Tigri e l'Eufrate, sulle remote Porte Caspie e sull'India (32, I-8; 37, 5-6, 47, I-2; 54, I ss.). Ma anche sottolineando qualche pagina davvero pre­ ziosa per ogni storico - gli itinera nordeuropei per rag­ giungere l'ambra, le vie della seta e delle spezie per l'O­ riente (20, 9-I3; 50, 2; 46, I ss.) - quanto domina nei Col­ lectanea è altro. Il dotto latino evoca terre lontane per le quali non ha alcun dato di misura geografica, ricorren­ do, con una prassi poi comune alle Mappae mundi me­ dievali'?, a due categorie intellettuali ripetute con coe­ renza assoluta. 16. Per V arrone in Solino, è ancora fondamentale P. Mirsch, De M. Terenti Varronis Antiquitatum rerum humanarum libris XXV, in G. Curtius, L. Lange, O. Ribbeck, H. Lipsius (hrsg.), Leipziger Studien zur klassischen Philologie [1882] , rist. , Olms , Hildesheim 1972, vol. V/VI, pp. 66-74; sul modello catoniano cfr. Caton, Les origines (Frag­ ments), éd. M. Chassignet, Les Belles Lettres, Paris 1986: da qui deri­ va il mito imperiale romano studiato dallo stesso curatore in Caton et l'imperialisme romain au II' siècle av. f. C. d'après !es Origines, in " La­ tomus " , XLI, 1987, pp. 285-300. Per la quaestio del calendario, utili F. Maiello, Storia del calendario, Einaudi, Torino 1994, e il più tecnico A. Kirsopp Michels, The Calendar of the Roman Republic, Princeton University Press, Princeton 1987. 17. Cfr. K. Miller (hrsg. ) , Mappae mundi. Die iiltesten Weltkarten, J. Roth, Stuttgart 1895-98 (6 voli.); O. A. Wentworth, Greek and Ro-

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La prima è una mentalità strettamente merceologica, l'unica che dia un senso a contatti perigliosi con popo­ lazioni ostili e remote. Ma per Solino - e la cultura del­ l' età sua - il vantaggio commerciale (schiavi a parte) si misura sui proventi di spezie e pietre preziose. I Collec­ tanea sono un catalogo di piante rare e un lapidario già pronto per fondaci e trattati medievali'8• La seconda è il culto per la teratologia. Lo scrittore, convinto della di­ versità biologica dei mondi lontani, stila un resoconto su esseri abnormi viventi oltre i nostri climi. Belve, mostri che vedono alternarsi il noto (elefanti, rinoceronti, gi­ raffe, scimmie, serpenti velenosi: esseri vitandi o da por­ tare sulle arene imperiali per affascinare il pubblico) e l'ignoto. E nessuno sa dare all'ignoto il volto terribile prescelto da Solino, che descrive giganti e nani, uomini dalle teste di cane e mostri terribili come sciapodi, pa­ randri, corocotte, manticore, catoblepe, basilischi. Que­ sto romano etnocentrico è il vero padre dei bestiari me­ dievali e della nascita del Liber monstrorum de diversis generibus, scritto forse nel VII secolo'9.

man Maps, Cornell University Press, Ithaca (1"\Y) 1985. Per gli itinera­ commerciali è in eludibile J. In n es Miller, Roma e la via delle spe­ zie, Einaudi, Torino 1974. 18. R. Bedon, Un aspect des Collectanea rerum memorabilium de So/in: l'inventaire des ressources de l'ozkoumène en productions rémar­ quables, in M. Clavel-Lévèque, E. Hermon (éds.), Espaces intégrés et ge­ stion des ressources naturelles dans l'Empire Romain, Actes du Colloque de l'Université de Laval-Québec (5-8 mars 2003) , Presses universitaires de Franche-Comté, Besançon 2004, pp. 59-73- Per un più ampio qua­ dro storico, cfr. C. Nicolet, L'inventario del mondo. Geografia e politica alle origini dell'impero romano, Laterza, Roma-Bari 1989. 19. C. Bologna (a cura di) , Liber monstrorum de diversis generibus, Bompiani, Milano '977· La curiosità teratologica nacque in Roma nel­ l'età di Marziale, stando alle ricerche di L. Frieiliiinder, Darstellungen aus der Sittengeschichte Roms in der Zeit von Augustus bis zum Aus­ gang der Antonine, Hirzel, Leipzig 1862-71 (2 voli.). rùt

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Ma anche senza questa scienza, diventata per noi ro­ manzo fantastico, Solino ebbe in sorte, per la sua opera, un destino inatteso. Il declino della cultura greca, l'o­ blio, per lungo tempo, dei geografici classici (la Geo­ graphia di Strabone e di Tolomeo, a cui si aggiunse l'eco sempre più fievole di Pomponio Mela)'0 fecero dei Col­ lectanea un'opera indispensabile. Tutti ne conoscevano la natura compilativa, ma proprio per la sua caratteristi­ ca di summa molto agile divenne un manuale compulsa­ to, tanto da sfidare, per fama, come riassunto delle res mondane, l'altro prodigio citazionale che apre, regi­ strando verba, la cultura medievale: le celeberrime Ety­ mologiae d'Isidoro di Siviglia. Il grigiore della sorte sco­ lastica - Solino nel XII secolo è tra gli autori scelti (con Cicerone, Seneca, Svetonio e Simmaco) di una lista pe­ dagogica di classici redatta da Alessandro di Neckam­ non avvilisce però il destino del geografo. Certo, viene usato anch'egli come fonte per altre enciclopedie, se­ condo quel mito del liber librorum che attraversa tutto il Medioevo. Non sorprende trovare brani soliniani di­ spersi nelle cornucopie erudite del XIJI secolo come il De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico, il Liber de natura rerum di Tommaso di Cantimpré o lo Speculum naturale di Vincenzo di Beauvais". 20. C fr. G. Aujac, Strabon et la science de san temps, Les Belles Lettres, Paris 1966 e Claude Ptolémée, astronome, astrologue, géo­ graphe, Éd. du CTHS, Paris 1993; C. M. Gormley, M. A. Rouse, R. H. Rouse, The Medieval Circulation o/ the De chorographia of Pompo­ nius Mela, in "Mediaeval Studies " , XLI, 1984, pp. 266-320. 21. Analisi di questi repertori in M. de Boiiard, Encyclopédies mé­ diévales sur la connaissance de la nature et du monde au Moyen Age, in " Revue des questions historiques" , CXII, 1930, pp. 258-305; H. Mayer, Die Enziklopiidie des Bartolomdus Anglicus. Untersuchungen zur Oberlie/erungs- und Rezeptionsgeschichte von De proprietatibus re­ rum, Fink, Miinchen 2ooo; S. Lusignan, M. Paulmier-Foucard, M.-C . Due h enne (éds.), Lector et compilato r. Vincent de Beauvais frère pré-

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Stupisce, invece, apprendere che Solino è matrice di­ chiarata di opere scientifiche e letterarie di qualità per un arco di tempo vastissimo. Il monaco irlandese Decuil si serve dei Collectanea per il De mensura orbis terrae scritto nell'825 per l'imperatore Ludovico il Pio. Il suo esempio è ripetuto da altri studiosi medievali sensibili a questioni corografiche: Adamo di Brema (Descriptio in­ sularum aquilonis, XI secolo), Fulcherio di Chartres (Hi­ storia Hyerosolimitana, XII secolo), Giraldo di Cambrai (Topographia Hiberniae, XII secolo), Enrico di Hunting­ don (Historiae Anglorum, XII secolo), Elinando di Froid­ mont (Chronicon, XIII secolo). Ma dalla scienza si passa alla letteratura con i poemi soliniani di Thierry de Saint­ Trond (De mirabilibus mundi, XII secolo) e di Onorio di Autun (De monstris Indie, XII secolo). E nel Trecento ita­ liano, secolo d'oro della poesia, nella Firenze di Brunet-

cheur: un intellectuel et san milieu au Xm' siècle, Crea phis, Grane [France] 1997; B. Ribémont, De natura rerum. Études sur !es ency­ clopédies mediévales, Paradigme, Orléans 1995: P. Binkley (ed. ) , Pre­ Modern Encyclopaedic Texts. Proceedings o/ the Second COMERS Con­ gress (Groningen, 1-4}uly 1996) , Brill, Leiden-Kiiln 1997. Calchi di So­ lino sono anche in un compendio dell'epoca di Carlo il Calvo (840-887) - Anonymi Leidensis De situ orbis libri duo, ed. R. Quadri, Antenore, Padova 1974 - e nell'enciclopedia naturalistica più misteriosa del Me­ dioevo: l. Droelants, Le Liber de virtutibus herbarum, lapidum et ani­ malium (Liber Aggregationis). Un text à succès attribué à Albert le Grand, Sismel-Edizioni del Galluzzo, Firenze 2007. Segnaliamo­ sfuggiti agli studiosi - codici di opere medievali erudite ricche di ex­ cerpta soliniani: Guido Carmelita, Miscellanea. Historica, geographica et alia (m9) , Firenze, Bibl. Riccardiana, ms. 881; Lamberto di Saint­ Omer, Liber Floridus (ma), Genova, Bibl. Durazzo Giustiniani, Racc. Durazzo, ms. A. IX. 9 (olim B IX. 9); Gossuin de Metz, Image du Mon­ de (1246) , Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana, ms. Ashb. 114- Utile D. Lecoq, La mappemonde du Liber Floridus ou la vision du monde de Lambert de Saint-Omer, in "Imago M un di" , XXXIX , 1987, pp. 9-49; ob­ soleto L'Image du monde de maistre Gossuin, rédaction en prose, !ex­ te du ms. BN fr. 574, éd. O. H. Prior, Payot, Lausanne 1913.

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to Latini e di Dante, Fazio degli Uberti nel Dittamondo, il più importante poema allegorico scritto dopo la Com­ media, sceglie, nel r36o, Salino come guida - perfetto equivalente del Virgilio dantesco - per l'evocazione del­ la machina mundi, in terzine che rendono a un tempo li­ rici e concettosi gli splendori del maestro latino22• Que­ sti è emarginato dalla cultura solo alla fine del Quattro­ cento, quando la scoperta di nuove terre (in America e Asia) rende l'opera una curiosità inattuale3• Una curio­ sità però che, date alla mano, ha avuto entusiasti lettori per un millennio. BRUNO BASILE

22. Fazio degli Uberti, Il Dittamondo e le Rime, a cura di G. Cor­ si, Laterza, Bari 1952 ( 2 voli . ) . A Firenze Salino era stato compendia­ to da Brunetto Latini - maestro di Dante - nel Tresor (I, 121-124): cfr. Tresor, a cura di P. G. Beltrami, P. Squillacioti, P. Torri, P. Vatteroni, Einaudi, Torino 2007. Per altri riscontri, cfr. E. R. Curtius, Letteratu­ ra europea e Medio Evo latino, La Nuova Italia, Firenze 1992, p. 59 che però dimentica il Roman de la Rose, 5857 e 9188 (dove Salino è citato come auctoritas accanto a Tito Livio). 23. Salino compare nelle letture di Cristoforo Colombo: docu­ menti in G. Cavallo (a cura di) , Cristoforo Colombo e l'apertura de­ glia spazi. Mostra storico-cartografica (Genova , Palazzo Ducale) , Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1992, vol. I, p. 471. Nel­ la lettera a L. Santangel relativa alla scoperta di nuove terre (in ver­ sione latina De insulis Indiae supra Gangem nuper detectis, S. Planck, Romae 1493) il navigatore dichiara di non avervi trovato monstra, confermando di attendersi dall'India- dove credeva di essere giun­ to - i noti esseri abnormi di Plinio e Salino. Per la fortuna dei Col­ lectanea in Spagna , cfr. F. Rico, Il nuovo mondo di Nebrija e Colom­ bo. Note sulla geografia umanistica in Spagna e sul contesto intellet­ tuale della scoperta dell'America, in R. Avesani et al. (a cura di) , Ve­ stigia. Studi in onore di Giuseppe Billanovich, Edizioni di Storia e Let· teratura, Roma 1984, vol. II, specialmente pp. 592-3.

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Bibliografia

Edizioni

Le prime edizioni di Solino sono incunaboli che ripro­ ducono i codici della tradizione manoscritta, riprenden­ done il dettato scorretto e i titoli approssimati: De situ et memarabilibus arbis capitula, N. lenson, Venetiis 1473; Palhistar sive de situ arbis ac mundi mirabilibus, P. Caesar & I. Sto!, Parisiis 1475; Palyhisthar seu memara­ bilia mundi, ed. B. Mombritius, J. Bonus, Mediolani 1475; Rerum memarabilium callectaneae, Per A. Porti­ liam, Parmae 1480; De memaralibus mundi, Per J. Britannicum, Brixiae 1498. Di alcuni di questi esempla­ ri, rarissimi, esistono ristampe di anni successivi. I primi tentativi di emendare il testo sono: Palyhistar, sive de me­ marabilibus mundi apus, a Ph. Beroaldo emendatus, Per B. Hectorem, Bononiae 1500; De memarabilibus mundi, ed. B. Ascensus, J. Petit, Parrhisiis 1503; Pomponius Me­ la. Julius Solinus. Itinerarium Antanini. A. Vibius Se­ quester. P. Victor, De regianibus urbis Ramae. D. Afer, De situ arbis, Prisciano interprete, In aed. Aldi et A. So­ ceri, Venetiis 1518 (è la miscellanea aldina dei Geagraphi latini). La più celebre edizione tardo-rinascimentale, quella del Saumaise (H. Drouart, Parisiis 1629), è da con­ sultare nella ristampa, accuratissima, C. Salmasius, Pli­ nianae exercitatianes in C Salini Palyhistara. Item Salini Palyhistar ex veteribus libris emendatus, J. Vande Water,

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Trajecti ad Rhenum 1689. L'unica edizione critica mo­ derna, splendida, è C. Iulii Salini Collectanea rerum me­ morabilium, iterum recensuit T. Mommsen, Apud Weidmannos, Berolini 1895 (la prima stampa è del 1864; la seconda, revisionata con acribìa leggendaria, è stata ri­ proposta dallo stesso editore nel 1958). Nell'opera sono pubblicati anche ventidue esametri - Salini quae dicun­ tur Pontica, pp. 232-5 - di un componimento da taluni codici attribuito al nostro scrittore. Testo ripreso in E. Baehrens (ed.), Poetae latini minores, Teubner, Leipzig 1881, vol. III, pp. 172-3. Critica

La critica soliniana è nata dopo l'edizione dei Collecta­ nea curata da Mommsen, soprattutto ad opera di lati­ nisti che hanno fornito contributi tecnici, ma occasio­ nali. Rivestono pertanto solo un valore storico G. Land­ graf, Zur Sprache und Kritik des Solinus, in "Bliitter fiir das Gy mnasial-Schulwesen", XXXII, 1896, pp. 400-4; G. M. Columba, Le fonti di Giulio Salino, in "Rassegna di Antichità Classica", I, 1896, pp. 7-43, 105-15 (ampliate in Ricerche storiche, I, Geografia e geografi nel mondo an­ tico, Trimarchi, Palermo 1935, pp. 179-349); F. Rabenald, Qaestionum Solinianarum capita tria, Ty p. Wischani et Burckhardi, Halis Saxonum 1909; W. More!, Iologica, in "Philologus", LXXXIV, 1928, pp. 345-89. Il rinnovarsi del­ l'esegesi, grazie allo studio di nuovi manoscritti, è rap­ presentato da H. Walter, C. ]ulius Solinus und seine Vor­ lagen, in "Classica et Mediaevalia", XXIV, 1963, pp. 86-157; Id., Die Collectanea rerum memorabilium des C. Iulius Solinus. Ihre Entstehung und die Echtheit ihrer Zweit­ fassung, Steiner, Wiesbaden 1969; V. von Biiren, Une édi­ tion critique de Solin au IXe siècle, in "Scriptorium", L,

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1996, pp. 22-87; R. Bedon, Le grammaticus So/in et la dif fusion des connaissances antiques, in L. De Poli, Y. Leh­ mann (éds.), Naissance de la science dans l'Italie antique et moderne, Actes du Colloque franco-italien des r e 2 déc. 2000 (Université de Haute-Alsace), Lang, Bern­ Frankfurt am Main 2004, pp. 71-92. Notevoli saggi sono giunti da storici della scienza, che hanno riscritto il pro­ filo di Solino disegnato dai geografi del positivismo (spe­ cialmente E. H. Bunbury, A History o/ Ancient Geo­ graphy Among the Greeks and Romans,]. Murray, Lon­ don 1879 e ]. O. Thomson, A History o/ Ancient Geo­ graphy, Cambridge University Press, Cambridge 1948). Decisivi i lavori di L. Thorndike, History o/ Magie and Experimenta! Science, Columbia University Press, New York 1923, vol. I, pp. 326-31 e W. H. Stahl, La scienza dei ro­ mani [1962], Laterza, Bari 1974, pp. 182-90; 229-30; 292-3, vere matrici per le acquisizioni di R. French, Gli antichi e la natura. Historiae meravigliose e storia naturale [1994], ECIG, Genova 1999 e di P. Zumthor, La misura del mondo. La rappresentazione dello spazio nel Medioevo [1993], il Mulino, Bologna 1995, il più importante libro per comprendere Solino. La questione, complicata, del­ la presenza dei Collectanea nella cultura medievale, ini­ zia con le ricerche erudite di M. Manitius, Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalters, Beck, Miinchen 1911-31 (vol. III, ad indicem, s.v. Solin) e conosce contribu­ ti di valore: P. Toynbee, Brunetto Latino's [sic] Obliga­ tions to Solinus, in "Romania", XXIII, 1894, pp. 62-77; F. Lammert, De C. Iulii Solini Collectaneis a Guzdone de Ba­ zochiis adhibitis, in "Philologus", LXXII, 1913, pp. 403-13; ]. G. Préaux, T hierry de Saint-Trond auteur du poème pseudo-ovidien De mirabilibus mundi, in "Latomus", VI, 1947, pp. 353-66; F. Pfister, Nachrichten des Solinus iiber Alexander in der Historia de Preliis, in "Rheinisches

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Museum", CXV, 1972, pp. 73-7; C. Hi.inemorder, Das Lehrgedichte De monstris Indie (I2 ]h.). Ein Beitrag zur Wirkungsgeschichte des Solinus und Honorius Augusto­ dunensis, in "Rheinisches Museum", CXIX, 1976, pp. 26784; A. Maranini, Una nota di Poliziano a Salino (2, 22) nel Ms. MCL. 754, in "Giornale italiano di Filologia", XLII, 1990, pp. 117-28; V. von Bi.iren, Isidore, V égèce et Titanus au VIII' siècle, in P. Defosse (éd.), Mélanges C. Decoux. f. Christianisme et Moyen Age, Latomus, Bruxelles 2003, pp. 39-49. Lo studio di Solino è stato rinnovato, sotto il profilo delle illustrazioni presenti nei manoscritti, da R. Wittkower, Le meraviglie d'Oriente: una ricerca sulla sto­ ria dei mostri [1942], in Allegoria e migrazione dei sim­ boli, Einaudi, Torino 1987, pp. 84-152. Un saggio da cor­ relare a]. Baltrusaitis, Il Medioevo fantastico. Antichità ed esotismi nell'arte gotica, Adelphi, Milano 1973; Id., Ri­ svegli e prodigi. La metamorfosi del gotico, Adelphi, Mi­ lano 1999. Per una singolare ripresa di Solino da parte di un romanziere moderno (Flaubert), cfr. J. Seznec, Saint Antoine et le monstre. Essai sur !es sources et la signi/ica­ tion du fantastique en Flaubert, in "Pubblications of the Modern Language Association of America", LVIII, 1943, pp. 195-222. Preziosi i riscontri di F. Feraco, Echi virgi­ liani nei Collectanea rerum memorabilium, in "Bolletti­ no di studi latini", XXXVI, 2006, pp. 460-88; Salino 29, I-4 e la /onte di Debris, in "Invigilata lucernis", XXVIII, 2006, pp. 85-107 e Salino 52, 43-45: il pappagallo indiano e la pre­ senza di Apuleio nei Collectanea rerum memorabilium, in "Res publica litterarum", XXI, 2008, pp. 39-67. Sugge­ stivo D. Balestracci, Terre ignote, strana gente. Storie di viaggiatori medievali, Laterza, Roma-Bari 2008 (ad indi­ cem, s.v. Solino).

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Nota critica al testo e alla traduzione

I passi antologizzati rispettano il testo stabilito da Theo­ dor Mommsen nella sua edizione critica di Solino (Col­ lectanea rerum memorabilium, Apud Weidmannos, Be­ rolini 1958J). La scelta, ampia, che rispecchia il profilo dell'opera delineato nell'Introduzione, esclude solo al­ cuni luoghi tecnici (il calendario e la sua storia, cenni di anatomia umana) e regioni dell'ecumene descritte in modo riassuntivo (isole minori del Mediterraneo, Creta, i territori della Persia, l'Egitto e il Nord Africa). Si sono omesse alcune divagazioni - confessate come tali da So­ lino - su animali noti (poniamo i cervi o i delfini) e su ca­ taloghi di piante e pietre preziose talora di prosa grigia e sommatoria. Non si sono parimenti trascritti sia l'ap­ parato di varianti del testo latino dovuto ai copisti me­ dioevali - troppo vasto - sia le doppie redazioni - della Dedica e di alcuni capitoli - che avrebbero complicato a un lettore, anche di alta cultura, la fruizione del testo. Abbiamo conservato le peculiarità grafiche dell'ope­ ra, comprese le parentesi quadre che, opportunamente, racchiudono segmenti del testo dubbi, forse dovuti alla trascrizione di glosse tarde portate nel dettato da qualche antico copista. Si sono escluse, però, le doppie barrette verticali in cui Mommsen racchiudeva sezioni del testo derivate da fonti precise (Plinio, Pomponio Mela, opere perdute). Tali matrici dei Collectanea soliniani vengono infatti puntualmente indicate nelle note critiche di com-

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mento, tutte arricchite da bibliografia moderna su ogni problema esegetico. Si è fatta owiamente cadere la com­ matizzazione - rigo per rigo - di Mommsen, indispensa­ bile allo studioso per indicare di ogni parola trascritta la ricorrenza nei codici antichi e le varianti subite dagli amanuensi. Conservata, invece, l'accuratissima scansione a periodi numerati sul margine del testo in modo da per­ mettere una citazione dalla nostra antologia assoluta­ mente conforme all'originale. La versione del dettato latino - laconico, tecnico, ar­ duo - è stata condotta con la maggiore accuratezza pos­ sibile. E ha nei suoi difetti certi e pregi eventuali una pre­ rogativa curiosissima: è la prima condotta nella nostra lingua dall'età umanistica. E il fatto non appare fortuito o dovuto dimenticanze e disprezzi per un testo della tar­ da latinità. La parola di Solino mette in discussione tut­ to quanto si crede di sapere sul latino, trasformando ogni ricalco nella nostra lingua in un esercizio di pa­ zienza sofferente. Ma questa, si sa, è la definizione più corretta - e spietata - della filologia, da noi accolta nel suo valore di divisa morale, come pegno per non tradire la voce, nel tempo divenuta amica, di uno scrittore di ci­ viltà lontana.

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COLLECTANEA RERVM MEMORABILIVM

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Solinvs Advento1 salvtem

Cum et aurium clementia et optimarum artium studiis praestare te ceteris sentiam idque oppido expertus de benivolentia tua nihil temere praeceperim, e re putavi examen opusculi istius tibi potissimum dare, cuius vel industria promptius suffragium vel benignitas veniam spondebat faciliorem. liber est ad conpendium praeparatus, quantum­ que ratio passa est ita moderate repressus, ut nec prodiga sit in eo copia nec damnosa concinnitas. cui si animum propius intenderis, velut fermentum cognitionis magis ei inesse guam bratteas eloquentiae deprebendes. exqllisitis enim aliquot voluminibus studllisse me inpendio fa teor, ut et a notioribus referrem pedem et remotis largius inmorarer. locorum commemoratio' plurimum tenet, in guam partem ferme inclinatior est universa materies. quorum meminisse ita visum est, ut inclitos terrarum situs et insignes tractus maris, servata orbis 4

distinctione, suo quaeque ordine redderemus. inseruimus et pleraque differenter congruentia, ut si nihil aliud, saltem varietas ip sa legentium fastidio mederetur. inter haec hominum et aliorum animalium naturas expressimus. addita pauca de arboribus exoticis, de extimarum gentium formis, de ritu dissono abditarum nationum, nonnulla etiam digna memoratu, guae praetennittere incuriosurn videbatur quorumque aucto­ ritas, quod cum primis industriae tuae insinuatum velim, de scripto­ ribus manat receptissimis. qllid enim proprium nostrum esse possit, cum nihil omiserit antiquitatis diligentia, quod intactum ad hoc usque aevi permanere!? quapropter quaeso, ne de praesenti tempore editionis hllius fidem libres, quoniam quidem vestigia moneta e veteris persecuti opiniones universas eligere maluimus potius guam innovare. ita si qua ex istis secus guam opto in animum tuum venerint, des velim

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[Dedica] Solino porge ad Advento i suoi saluti

Mi è giunta notizia che tu sei superiore ad ogni altro, sia per il rispetto con cui sai ascoltare, sia per gli studi delle più nobili scienze e, immaginando che nulla debbo temere dalla tua benevolenza per averla veramente provata, mi è parso opportuno raccomandare la lettura di questa piccola opera proprio a te: il tuo scrupolo mi garantiva un più sollecito appoggio, e la tua generosità un più facile perdono. [Questo] è un libro preparato a guisa di compendio, fin dove può permetterlo la mia competenza, ma con tale criterio che non vi si trova né una farragine di dati, né un'eccessiva concisione. Se lo valuti at­ tentamente, imparerai che raccoglie un fervore di conoscenza, più che gli or­ pelli della retorica. Confesso infatti di aver molto studiato tal uni dei libri più raffinati al fine di potermi distaccare dai dati noti per indugiare piuttosto su quelli più singolari. La menzione delle località terrestri è il tema dominante, e verso di questa tende coerentemente la maggior parte del trattato. Mi è par­ so bene ricordar!e in modo tale che, mantenendo la struttura del mondo, po­ tessi parlare ordinatamente dei luoghi noti della terra e dei tratti di mare più famosi. Vi ho aggiunto anche parecchi temi più o meno congruenti: se non altro, almeno la varietà narrativa può mitigare la noia di chi legge. Tra questi soggetti è approfondita la natura dell'uomo e degli altri animali. Vi sono ag­ giunti alcuni particolari degli alberi esotici, dell'aspetto delle genti più lon­ tane, del costume insolito di sperdute popolazioni, ed anche non poche ul­ teriori tematiche degne di ricordo, che ci sembrava ingiusto tralasciare, la cui importanza - la vorrei apprezzata proprio dal tuo ingegno - deriva da quan­ to detto dagli scrittori più moderni. Infatti che potrà mai esserci di assoluta­ mente personale, se lo scrupolo del passato non ha lasciato nulla d'inedito fi­ no ai tempi presenti? Perciò chiedo che non stimi il valore di quest'opera con i criteri attuali, dato che si è preferito, seguendo l'uso della moneta già circo­ lante, scegliere opinioni diffuse piuttosto che innovare. Pertanto, se qualcosa di quanto detto provocherà un'opinione diversa dalla mia, ti vorrei capace di

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infantiae meae veniam: constantia veritatis' penes eos est quos secuti sumus. sicut ergo qui corporum formas aemulantur, postpositis guae reliqua sunt, ante omnia effigiant modum capitis, nec prius lineas destinant in membra alia, guam ab ipsa ut ita dixerim figurarum arce auspicium faciant inchoandi, nos quoque a capite orbis, id est ab urbe Roma principium capessemus, quamvis nihil super ea doctissimi auctores reliquerint, quod in novum praeconium possit suscitari, ac supervacuum paene sit relegere tramitem decursum tot annalibus. ne tamen prorsus dissimulata sit, originem eius quanta valemus perse· quemur fide.

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discolpare la sprowedutezza: il vero inoppugnabile è nelle mani dei modelli perseguiti. Infatti, come quelli che disegnano le forme di un corpo, tralascia­ ti i particolari di poco rilievo, prima di tutto rappresentano la testa, e non si affrettano a delineare le altre membra senza trarre l'auspicio di finire proprio dal capo - rocca, per così dire, della figura - egualmente, nel mio caso, pren­ derò inizio dalla capitale del mondo, owero la città di Roma, benché su di lei gli antichi scrittori non abbiano tralasciato alcun particolare che possa pro­ muovere nuovi elogi, e paia quasi inutile ripercorrere un terreno segnato da tante cronache. Tuttavia, per non celarne il ricordo, racconterò la sua origine con tutta la fedeltà possibile.

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I, r

Sunt qui videri velint Romae vocabulum ab Euandro' primum datum, cum oppidum ibi offendisset, quod extructum antea Valentiam dixerat iuventus Latina, servataque significatione inpositi prius nominis, Romam Graece Valentiam nominatam'. quam Arcades quoniam habi­ tassent in excelsa parte montis, derivatum deinceps, ut tutissima urbium arces' vocarentur. Heraclidi• placet Troia capta quosdam ex Achivis in ea !oca ubi nunc Roma est devenisse per Tiberim, deinde suadente Rome nobilissima captivarum quae his comes erat, incensis navibus posuisse sedes, struxisse moenia et oppidum ab ea Romen vocavisse. Agathocles' scribit Romen non captivam fuisse, ut supra dictum est, sed Ascanio natam Aeneae neptem appellationis istius

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causam fuisse. traditur etiam proprium Romae nomen, verum tamen vetitum publicari, quoniam quidem quo minus enuntiaretur caerimo­ niarum arcana sanxerunt, ut hoc pacto notitiam eius aboleret fides placitae taciturnitatis, Valerium denique Soranum, quod contra inter­ dictum eloqui id ausus foret, ob meritum profanae vocis neci datum.

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inter antiquissimas sane religiones sacellum colitur Angeronae, cui sacrificatur, ante diem XII k. !an. : guae diva praesul silenti ipsius praenexo obsignatoque ore simulacrum habet6• Ambiguitatum quaestiones excitavit, quod quaedam ibi multo ante Romulum culta sint. quippe aram Hercules, guam voverat, si amissas boves repperisset, punito Caco patri Inventori dicavit7• qui Cacus habitavit locum, cui Salinae nomen est: ubi Trigemina nunc porta. hic, ut Gellius8 tradidit, cum a Tarchone Tyrrheno, ad quem legatus venera! missu Marsyae regis, socio Megale Phryge, custodiae foret datus, frustratus vincula et unde venerar redux, praesidiis ampliaci­ bus occupato circa Vulturnum et Campaniam regno, dum adtrectare

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[Le origini di Roma]

C'è chi accetta la versione secondo la quale il primo a dare il nome a Ro­ ma fu Evandro, quando s'imbatté in qud luogo in una città fortificata, prece­ dentemente costruita: Valentia per la giovane stirpe latina; e costui, conser­ vando il significato dd primo nome, designò Valentia con termine greco: Ro­ ma. E dato che nella vetta montuosa della località avevano preso dimora de­ gli Arcadi, accadde che le zone più protette dell'Urbe venissero chiamate ar­ ces. Eràclide sostiene che, conquistata Troia, un gruppo di Achei raggiunse, risalendo il Tevere, i luoghi dove oggi si trova Roma, e poi, persuasi da Rome, la più nobile delle prigioniere che erano al loro séguito, diedero fuoco alle na­ vi, costruirono il loro accampamento, eressero le mura e, per ricordare la don­ na, chiamarono Rome la città fortificata. Agàtocle scrive che Rome non fu una semplice prigioniera, come si disse, ma figlia di Ascanio e nipote di Enea avrebbe dato piuttosto spunto per qud nome. Narra anche la tradizione che il nome proprio di Roma era proibito proferirlo; infatti, i riti misteriosofici sancirono che rimanesse occulto, e in tal modo l'accordo di mantenere il se­ greto avrebbe cancellato la sua memoria. E così Valeria Sorano, che osò di­ chiararlo a dispetto della proibizione, pagò con la morte il suo sacrilego pro­ clama. Fra i culti più antichi si venera il tempio di Angerona, a cui si offrono sacrifici il 21 di dicembre: una dea che, patrona dd proprio silenzio, ha una statua con la bocca coperta davanti e sigillata.

I: esistenza a Roma di certi culti, molto anteriori a Romolo, suscitò ricer­ che circostanziate su storie dai risvolti ambigui. È il caso dell'altare promesso da Ercole, una volta trovata la mandria di buoi dispersi, e consacrato al Pater Inventar, dopo aver dato a Ca co la punizione meritata. Questo Caco abitò nel luogo che conosciamo come Saline, dove si trova ora la porta Trigemina. Qui, secondo quanto scritto da Gellio, Caco fu imprigionato da Tarconte Tirreno, che aveva raggiunto come ambasciatore personale del re Marsia assieme a Me­ gale Frigio, ma scappò dalla prigione ritornando ai luoghi d'origine, e con aiu-

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etiam ea audet, guae concesserant in Arcadum iura, duce Hercule qui tunc forte aderat oppressus est9• Megalen Sabini receperunt, disci10

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plinam augurandi ab eo docti". suo quoque numini idem Hercules instituit a ram, guae maxima apud pontifices habetur, cum se ex Nico· strate, Euandri matre, guae a vaticinio Carmentis" dieta est, inmor· talem conperisset. consaeptum etiam, in tra quod ritus sacrorum, factis bovicidiis, docuit Potitios", sacellum Herculi in Boario foro est, in qua argumenta et convivii et maiestatis ipsius remanent. nam divinitus neque muscis illo neque canibus ingressus est''· etenim cum visce· rationem sacrificolis daret, Myiagrum'4 deum dicitur inprecatus, clavam vero in adi tu reliquisse, cuius olfactu refugerunt canes: id usque n une durat. aedem etiam, guae Saturni aerarium fertur, comites eius con-

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diderunt in honorem Sa turni, quem cultorem regionis illius cogno­ verant extitisse. iidem et montem Capitolinum Saturnium nominaverunt. castelli quoque quod excitaverunt portam appellaverunt Satur­ niam, guae postmodum Pandana vocitata est. pars etiam infima Capitolini montis habitaculum Carmentae fuit, ubi Carmentis nunc fanum est, a qua Carmentali portae nomen datum''· Palatium nemo dubitaverit quin Arcadas habeat auctores, a quibus primum Pallan­ teum oppidum conditum'6: quod aliquamdiu Aborigines habitarunt, propter incommodum vicinae paludis, guam praeterfluens Tiberis fecerat, profecti Reate postmodum reliquerunt. sunt qui velint a balatibus ovium mutata littera, vel a Pale pastorali dea, aut ut Silenus p roba t a Palantho

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Hyperborei filia, guam Hercules ibi conpressisse visus est, nomen monti adoptatum'7• Sed quamquam ista sic congruant, palam est prospero illi augurio deberi gloriam Romani nominis, maxime cum annorum ratio faciat cardinem veritati: nam, ut adfirmat Varro auctor diligentissimus,

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nulli Marte et Ilia: dictaque primum est Roma quadrata, quod ad aequilibrium foret posita'8• ea incipit a silva guae est in area Apol·

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Romam condidit Romulus, Marte genitus et Rea Silvia, vel ut non·

linis, et ad supercilium scalarum Caci habet terminum, ubi tugurium fuit Faustuli'9• ibi Romulus mansitavit, qui auspicato murorum funda·

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ti assai consistenti occupò un trono nei circondari fra il Volturno e la Campa­ nia, dove si trovò a governare anche le terre cadute nelle mani degli Arcadi; Ercole, che a quell'epoca si trovava in quei paraggi, ebbe il comando su chi lo vinse. I Sa bini accolsero Megale, da cui appresero la scienza degli àuguri. Er­ cole in persona eresse un altare, che godette di grandissima fama presso i Pon­ tefici, consacrato proprio alla sua divinità, quando scoprì di essere immorta­ le tramite Nicòstrata, madre di Evandro che, per i suoi vaticinii, fu chiamata Carmenta. Esiste anche nel Foro Boario un tempietto circolare chiuso nel cui interno [Ercole] insegnò ai Potizi, dopo avere immolato dei buoi, le sacre ce­ rimonie del suo culto, di cui ancora rimangono tracce del banchetto e della sua grandezza. In effetti è un prodigio divino che non vi entrino né mosche, né cani. Poi, mentre [Ercole] distribuiva la carne tra i partecipanti ai sacrifi­ ci, si dice che invocasse il dio Miagro e che, avendo lasciato la clava nel sacro ingresso, i cani disdegnarono di porre lì il muso: fenomeno che si ripete an­ cor oggi. I suoi compagni costruirono quindi il tempio conosciuto come Era­ rio di Saturno, in onore del dio, che seppero essere stato abitante di quel ter­ ritorio. Furono proprio quegli stessi che chiamarono Saturnio il colle del Campidoglio. Allo stesso modo, alla porta della fortezza che costruirono die­ dero il nome di Saturnia, diventata in séguito Porta Pandana. La parte più bas­ sa, poi, del colle Campidoglio, dove oggi si trova il tempio di Carmenta, fu la dimora di Carmenta, da cui deriva il nome di Porta Carmentale. Nessuno met­ terà in dubbio che il Pala tino è opera degli Arcadi, da cui fu fondata la prima rocca, il Pallanteo: qui vissero, per qualche tempo, i nativi, ma per il disagio arrecato da una vicina palude, creata da una esondazione del Tevere, abban­ donarono la località portandosi poi a Rieti. C'è chi pretende, riguardo al no­ me del colle Palatino, che derivi dal "belato delle pecore" per sostituzione di lettera, o da Pale, dea dei pastori, o - come sottolinea Sileno - da Palanto, fi. glia d'Iperboreo; sembra che Ercole proprio lì la possedesse. Ma per quanto tali versioni possano essere accettabili, è chiaro che la glo­ ria del nome romano si deve a un felice auspicio, soprattutto perché il com­ puto degli anni costituisce il cardine della verità. Difatti, come afferma Var­ rone, scrittore molto preciso, Romolo, il figlio di Marte e di Rea Silvia o, co­ me sostengono alcuni, di Marre e llia, fondò Roma: e dapprima si chiamò Ro­ ma Quadrata, perché era stata costruita con una proporzione stabile. Ha ini­ zio dal bosco che è entro il recinto del tempio di Apollo e il termine nella ci­ ma della scalinata di Caco, dove era posta la capanna di Faustolo. Qui abitò

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menta iecit duodeviginti natus annos, XI k. Mai., hora post secundam

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ante tertiam [plenam] , sicut L. Tarruntius prodidit mathematicorum nobilissimus", love in piscibus, Saturno Venere Marte Mercurio in scorpione, Sole in tauro, Luna in libra constitutis. et observatum dein­ ceps, ne qua hostia Parilibus caederetur, ut dies iste a sanguine purus esset, cuius significationem de partu lliae tractam volunt. idem Romulus regnavit annos septem et triginta. de Caeninensibus egit primum triumphum et Acroni regi eorum detraxit spolia, quae lovi Feretrio primus suspendit et opima dixit. rursum de Antemnatibus triumphavit, de Veientibus tertio". apud Capra e paludem nonis Quin­ tilibus apparere desiit".

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Ceteri reges quibus locis habitaverunt, dicemus. Tatius in arce, ubi nunc aedes est lunonis Monetae: qui anno quinto quam ingressus urbem fuerat a Laurentibus interemptus est. septima et vicesima olym­ piade hominem exivit''· Numa in colle primum Quirinali, deinde propter

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tribus et quadraginta: [sepultus sub Ianiculo] . Tullus Hostilius in

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Velia, ubi postea deum Penatium aedes facta est: qui regnavit annos duos et triginta, obiit olympiade quinta et tricesima'4• Ancus Marcius

aedem Vestae in regia quae adhuc ita appellatur: qui regnavit annis

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in summa sacra via, ubi aedes Larum est: qui regnavit annos quattuor et viginti, obiit olympiade prima et quadragesima''· Tarquinius Priscus ad Mugoniam portam supra summam novam viam: qui regnavit annos septem et triginta. Servius Tullius Esquilinus supra clivum

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Urbium: qui regnavit annos duos et quadraginta. Tarquinius Super­ bus et ipse Esquilinus supra clivum Pullium ad Fagutalem lacum'6• qui regnavit annos quinque et viginti.

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Cincio Romam duodecima olympiade placet conditam'7: Pictori octava'8: Nepoti et Lutatio opiniones Eratosthenis et Apollodori com­ probantibus olympiadis septimae anno secundo'9: Pomponio Attico et M. Tullio olympiadis sextae anno tertio''· conlatis igitur nostris et

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Graecorum temporibus invenimus incipiente olympiade septima Romam conditam, anno post Ilium captum quadringentesimo tricesimo tertio''. quippe certamen Olympicum, quod Hercules in honorem atavi materni Pelopis ediderat, interrnissum Ifitus Eleus instauravit post excidium Troiae anno quadrigentesimo octavo''. ergo ab Ifito numeratur olym­ pias prima. ita sex mediis olympiadibus interiectis, quibus singulis

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lungamente Romolo, il quale, con favorevole auspicio, posò le prime pietre delle mura a diciotto anni di età, il 21 di aprile, [esattamente] fra la seconda ora e la terza, così come afferma il più illustre dei matematici, Lucio Tarrun­ zio, quando [il pianeta] Giove aveva dimora nei Pesci, Venere, Marre e Mer­ curio [erano] nello Scorpione, il Sole nel Toro e la Luna nella Bilancia. E poi si prestò cura perché nessuna vittima fosse immolata durante le Parilie, in mo­ do che questo giorno si serbasse immune dal sangue: e ciò si spiegherebbe, se­ condo alcuni, col parto di llia. n nostro Romolo regnò trentasette anni. n suo primo trionfo militare lo celebrò sui Ceninensi al cui re Acrone strappò le spo­ glie militari, che offrì in dono a Giove Feretrio chiamandole opime. Poi trionfò sugli Antemnati e, per la terza volta, sui Veienti. Scomparve un sette di luglio, nei pressi della palude di Capra. Ricordiamo dove ebbero dimora gli altri re [di Roma] . Tazio nella rocca dove ora è il tempio di Giunone Moneta: fu ucciso dai Laurenti il quinto an­ no dopo il suo ingresso nell'Urbe. n decesso avvenne nella ventisettesima Olimpiade. Numa visse prima sul colle del Quirinale, poi nella reggia presso il tempio di Vesta, che si chiama ancora così: regnò quarantatré anni; [e fu se­ polto presso il Gianicolo] . Tullo Ostilio abitò in Velia, dove in séguito fu po­ sto il tempio degli dèi Penati: regnò trentadue anni, morì nella trentacinque­ sima Olimpiade. Anco Marzio prese dimora nella parte superiore della Via Sa­ cra, dove si trova il tempio dei Lari: regnò ventiquattro anni, scomparve nel­ la quarantunesima Olimpiade. Tarquinio Prisco visse vicino alla porta Mugo­ nia, nel tratto superiore della Via Nuova: regnò trentasette anni. Servio Tullio fu sull'Esquilino, in cima al poggio Urbio: regnò quarantadue anni. Tarquinio il Superbo visse anch'egli in cima al poggio Pulito presso la conca Fagutale: regnò venticinque anni. Cincio colloca la fondazione di Roma nella dodicesima Olimpiade; Pit­ tore nell'ottava; Nepote e Lutazio, seguendo le opinioni di Eratostene e Apol­ lodoro, nell'anno secondo della settima Olimpiade; Pomponio Attico e Mar­ co Tullio [Cicerone] nel terzo anno della sesta Olimpiade. Confrontate dun­ que le cronologie nostre e quelle greche, stabiliamo che Roma fu fondata al­ l'inizio della settima Olimpiade, nell'anno 433 dopo la caduta di Troia. Poiché il certame olimpico, istituito da Ercole in onore di Pèlope suo quarto avo ma­ terno, fu interrotto, Ifito di Elide lo rinnovò 408 anni dopo la rovina di Troia. Per questa ragione, la prima Olimpiade si conta a partire da Ifito. In modo che, intercalando sei Olimpiadi, ciascuna delle quali conta quattro anni, dato

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anni quaterni inputantur, cum septima coeptante Roma condita sit, 29

inter exortum urbis et Troiam captam iure esse annos quadringentos triginta tres consta t. huic argumento illud accedi t, quod cum C. Pom­ peius Gallus et Q. Veranius urbis conditae anno octingentesimo primo" fuerint consules, consulatu eorum olympias septima et ducentesima actis publicis adnotata est. quater ergo multiplicatis sex et ducentis olympiadibus erunt anni octingenti viginti quattuor, quibus septima olympiade adnectendus primus annus est, ut in solidum conligantur

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anni octingenti viginti quinque. ex qua summa detractis quattuor et viginti annis olympiadum retro sex, manifeste anni octingenti et unus reliqui fient. quapropter cum octingentesimo primo anno urbis con­ ditae ducentesima septima olympias conputetur, par est Romam sep­

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timae olympiadis anno primo credi conditam. In qua regnatum est annis ducentis quadraginta uno. decemviri creati anno trecentesimo secundo". primum Punicum bellum anno quadringentesimo octogesimo nono, secundum quingentesimo tri­

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cesimo quinto, tertium sescentesimo quarto, sociale sescentesimo sexagesimo secundo". ad A . Hirtium et C. Pansam consules anni septingenti decem: quorum consulatu Caesar Augustus est consul creatus, octavum decimum annum agens36: qui principatum ita in­ gressus est, ut vigilantia illius non modo securum, verum etiam tutum

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imperium esset. quod tempus ferme solum repertum est, quo pluri­ mum et arma cessaverint et ingenia floruerint, scilicet ne inerti iustitio langueret virtutis opera, bellis quiescentibus.

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che Roma fu fondata all'inizio della settima, non vi è dubbio che tra la nasci­ ta di Roma e ia caduta di Troia esiste certamente uno scarto di 433 anni. A que­ sta prova va aggiunto che quando Caio Pompeo Gallo e Quinto Veranio fu­ rono consoli, nell'anno 801 della fondazione di Roma, negli atti ufficiali si an­ notò l'Olimpiade 207 come data del consolato. Infatti se moltiplichiamo 206 Olimpiadi per quattro, si ottengono 824 anni, ai quali deve aggiungersi il pri­ mo anno della settima Olimpiade per ottenere, con precisione, 825 anni. Da tale somma sottraendo i ventiquattro anni delle sei prime Olimpiadi è evi­ dente che restano 801 anni. In definitiva, come si calcola che l'Olimpiade 207 coincide con l'anno 801 della fondazione dell'Urbe, è corretto rilevare che Ro­ ma fu fondata durante il primo anno della settima Olimpiade. In Roma la monarchia ebbe una durata di 241 anni. I decemviri furono creati nell'anno 302. La prima guerra Punica ebbe luogo nell'anno 489, la se­ conda nel m, la terza nel 6o4, la guerra sociale nel 662. Per giungere al con­ solato di Aulo Irzio e Caio Pansa trascorsero 710 anni: sotto il loro consolato Cesare Augusto ottenne quella carica a diciotto anni; Augusto iniziò il suo principato in modo tale che l'impero per la sua vigile politica non solo acqui­ stò in sicurezza, ma fu indenne da minacce. Costituì probabilmente l'unica epoca durante la quale, come dato dominante, cessarono le guerre e fioriro­ no gl'ingegni, dimostrando che, nella tregua data alle armi, le opere virtuose non languivano in una sterile paralisi.

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Nunc si de ipsis hominum formis requiramus, liquido manifestabitur nihil de se antiquitatem mendaciter praedicasse, sed corrup­ tam degeneri successione subolem nostri temporis per nascentum detrimenta decus veteris pulchritudinis perdidisse'. licet ergo pleri­ que definiant nullum posse excedere longitudinem pedum septem, quod intra mensuram istam Hercules fuerit', deprehensum tamen

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est Romanis temporibus sub divo Augusto Pusionem et Secundillam denos pedes et amplius habuisse proceritatis, quorum reliquiae adhuc in conditorio Sallustianorum videntur3: postmodum divo Claudio principe Gabbaram nomine ex Arabia advectum novem pedum et totidem unciarum4• sed ante Augustum annis mille ferme non apparuit forma huiusmodi, sicut nec post Claudium visa est. quis enim iam aevo isto non minor parentibus suis nascitur? priscorum autem testantur molem etiam Orestis suprema, cuius ossa, olympiade quinquagesima et octava Tegeae inventa a Spartanis oraculo monitis, discimus implesse

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longitudinem cubitorum septem5• scripta quoque ex antiquitate memorias accersunt in fidem veri bello Cretico, cum elata flumina plus guam vi amnica terras rupissent, post discessum fluctuum inter plura

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humi discidia humanum corpus repertum cubitum trium atque triginta: cuius spectandi cupidine L Flaccum legatum, Metellum etiam ipsum6 inpendio captos miraculo, quod auditu refutaverant, oculis potitos. non omiserim Salamine Euthymenis filium crevisse in triennio tria cubita sublimitatis, sed incessu tardum, sensu hebetem, robusta voce, pubertate festina, statimque obsessum morbis plurimis, immoderatis aegritudinum suppliciis conpensasse praecipitem incrementi celeritatem7•

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[Vigore e valentia degli antichi]

Se indaghiamo ora l'aspetto fisico degli uomini, si vede chiaramente che gli antichi non caddero per nulla in errore parlando di sé, e la stirpe della no­ stra epoca, così corrotta nella serie delle generazioni, ha perduto, in conse­ guenza delle crisi delle precedenti ere, il decoro della vecchia venustà. Infat­ ti, ad esempio, per quanto i più stabiliscono che non vi sia alcuno alto più di sette piedi, perché questa è la misura raggiunta da Ercole, tuttavia i Romani contemporanei del divino Augusto scoprirono che Pusione e Secundill a ol­ trepassarono la statura di dieci piedi; i loro resti ancor oggi sono visibili in un sepolcro entro gli Orti sallustiani: e pochi anni dopo, regnando il divo Clau­ dio, fu portato dall'Arabia un uomo di nome Gabbara, alto nove piedi e al­ trettante once. Senza dubbio in quasi mille anni prima di Augusto non ci fu una persona di tale statura, e nulla di simile si vide dopo Claudio. Esiste per caso qualcuno che nei nostri giorni non nasca di minor altezza del padre? Ri­ guardo invece agli antichi, è attestato che anche la complessione di Oreste fosse di suprema grandezza; dato che le sue ossa, trovate dagli Spartani in Te­ gea avvertiti da un oracolo, durante la cinquattottesima Olimpiade, sappia­ mo che misuravano un'altezza di sette cubiti. I testi pervenuti dall'antichità, registrano pure la notizia, a favore del vero, che durante la guerra di Creta i fiumi, straripando dal loro corso, invasero la terra con violenza superiore a quella della corrente e poi, ritirandosi il flutto, nella poltiglia fangosa si trovò un corpo umano di trentatré cubiti. Mossi dal desiderio di vederlo, il legato Lucio Placco e anche lo stesso Metello rimasero impressionati dal prodigio, allorché lo guardarono con i propri occhi, dopo averne rifiutata la notizia. Non vorrei scordare che a Salamina il figlio di Eutimene in un triennio creb­ be di tre cubiti; in cambio era incerto nel camminare, ottuso, di voce caver­ nosa, ebbe una pubertà prematura e poi fu afflitto da un'infinità di mali: com­ pensò la rapidità sconcertante della crescita con i tormenti intollerabili delle malattie.

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Mensurae ratio bifariam convenit: nam quantus manibus ex-

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pansis inter digitos longissimos modus est, tantum constat esse imer calces et verticem: ideoque physici hominem minorem mundum iudicaverunt8• parti dexterae habilior adscribitur motus, laevae firmitas

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maior: unde altera gesticulationibus promptior est, altera oneri ferundo accommodatior. pudoris disciplinam etiam inter defuncta corpora

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natura discrevit: ac si quando cadavera necatorum fluctibus evehuntur, virorum supina, prona fluitant feminarum9• Verum ut ad pernicitatis titulum transeamus, primam palmam velocitatis Ladas quidam adeptus est, qui ita supra cavum pulverem cursitavit, ut harenis pendentibus nulla indicia relinqueret vestigiorum". Polymestor Milesius puer cum a ma tre locatus esset ad caprarios pastus, ludicro leporem consecutus est et ob id statim productus a gregis domino olympiade sexta et quadragesima, ut Bocchus auctor est, victor in stadio meruit coronam". Philippides biduo mille ducenta quadraginta stadia ab Athenis Lacedaemonem decucurrit. Anystis Lacon et Philonides, Alexandri Magni cursores, Elin abusque Sicyone mille ducenta stadia uno die transierunt. Fonteio Vipsanoque consulibus in Italia octo annos puer natus quinque et LXX milia passuum a

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meridie transivit ad vesperum". Visu deinde plurimum potuit Strabo nomine, quem superspexisse per centum triginta quinque milia passuum Varro significa t, solitumque exeunte a Carthagine classe Punica numerum navium manifestissime

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ex Lilybitana specula notare''· Cicero tradit lliadam omnem ita sub­ tiliter in membranis scriptam, ut testa nucis clauderetur''. Callicrates formicas ex ebore sic scalpsit, ut portio earum a ceteris cerni nequiverit''· Apollonides perhibet in Scythia feminas nasci, guae bitiae vocantur: has in oculis pupillas geminas habere et perimere visu si forte quem iratae aspexerint. [hae sunt et in Sardinia.l'6 Praevaluisse fortitudine apud Romanos L. Sicinium Dentatum titulorum numerus ostendit. tribunus hic plebi fuit non multo post exactos reges, Sp. Tarpeio A. Aterio consulibus. idem ex provocatione octies victor XLV adversas habuit cicatrices, in tergo nullam notam: spolia ex hoste tricies quater cepit: in phaleris hastis puris armillis coronis CCCXII dona meruit: novem imperatores, qui opera eius vicerant, triumphantes prosecutus'7.

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li calcolo della statura si ottiene in due modi: infatti, una volta allargate le braccia, la stessa distanza intercorrente tra le dita estreme delle mani si ritro­ va misurando dai piedi al capo: e perciò i filosofi naturali valutarono l'uomo come un piccolo mondo. Al lato destro del corpo si attribuisce maggior de­ strezza, a quello sinistro più forza: da ciò deriva che il primo è più adatto alla gesticolazione, il secondo più idoneo a sopportare i pesi. La natura stabilisce anche tra i corpi defunti una legge del pudore: quando i flutti portano cada­ veri di uccisi, quelli degli uomini galleggiano supini, proni quelli delle donne. Veniamo ora al capitolo riguardante l'agilità; il primo posto nella corsa veloce lo conquistò un certo Ladas, che corse in tal modo sulla polvere sotti­ le [della pista] che non lasciò alcuna orma dei piedi sull'arena sottostante. Po­ limestore di Mileto, un fanciullo posto dalla madre a pascolare le capre, inse­ guì, per divertirsi, una lepre, e per quella [felice] prova fu inviato subito dal padrone del gregge all'Olimpiade quarantaseiesima, come registra Becco, e, da vincitore, meritò nello stadio la corona. Filippide corse in due giorni i 1. 240 stadi da Atene a Sparta. Anisti della Laconia e Filonide, corrieri di Alessan­ dro Magno, coprirono in un sol giorno, da Sicione ad Elide, 1.200 stadi. Du­ rante il consolato di Fonteio e Vipsanio un bimbo di otto anni fra il mezzo­ giorno e il vespero corse per 75-000 passi. Quanto poi all'acutezza visiva, ebbe un testimone d'eccezione nell'uomo chiamato Strabone, di cui racconta Varrone che potesse osservare quanto di bisogno alla distanza di IJj.ooo passi, e distinguere dal monte Lilibeo il nu­ mero delle navi della flotta punica che salpava da Cartagine. Cicerone ricor­ da che l'Iliade intera fu trascritta su pergamena in lettere così minuscole da potersi chiudere in un guscio di noce. Callìcrate scolpì in avorio delle formi­ che così piccole, che a nessun'altra persona era dato coglierne certi particola­ ri. Apollonide racconta che nella Scizia nascono donne, che si chiamano bi­ tiae, che hanno due pupille per occhio, e uccidono con lo sguardo se per ca­ so fissano qualcuno essendo adirate. [Donne simili ci sono in Sardegna] . Che Lucio Sicinio Dentato fosse il primo tra i Romani per valentia lo di­ mostra il numero dei suoi titoli. Fu tribune della plebe non molto tempo do­ po la cacciata dei re, quando ebbero il consolato Spurio Tarpeio e Aule Ate­ rio. Lo stesso riportò per otto volte la vittoria in duello, ebbe quarantacinque cicatrici, ma nessuna alle spalle: trentaquattro volte prese le spoglie al nemico; fra medaglie, !ance [d'onore] senza ferro, armill e e corone fu insignito di 312 ri­ compense; seguì in trionfo nove generali che avevano vinto grazie al suo aiuto.

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Post bune M. Sergius duobus stipendiis primis adverso corpore ter et vicies vulneratus, secundo stipendio in proelio dexteram perdidit: qua de causa postea sibi manum ferream fecit, et cum neutra paene idonea ad proeliandum valeret, una die quater pugnavit et vicit sinistra, duobus equis eo insidente confossis: ab Hannibale bis captus refugit, cum viginti mensibus, quibus captivitatis sortem perferebat, nullo momento sine conpedibus fuerit et catenis: omnibus asperrimis proeliis, guae tempestate illa Romani experti sunt, insignitus donis militaribus, a Trasimenno Trebia Ticinoque coronas civicas rettulit: Cannensi quoque proelio, de quo refugisse eximium opus virtutis fuit, solus

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accepit coronam: beatus profecto tot suffragiis gloriarum, nisi heres in posteritatis eius successione Catilina tantas adoreas odio damnati nominis obumbrasset'8. Quantum inter milites Sicinius aut Sergius, tantum inter duces, immo ut verius dicam inter omnes homines Caesar dictator enituit. huius ductibus undecies centena XC et II milia caesa hostium: nam quantum bellis civilibus fuderit, noluit adnotari. signis conlatis quin-

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quagies et bis dimicavit, M. Marcellum solus supergressus, qui novies et triei es pari modo fuerat proeliatus. ad haec nullus celerius scripsit, nemo velocius legit: quaternas etiam epistulas perhibetur simul dictasse: benignitate adeo praeditus, ut quos a rmis subegerat clementia magis vicerit'9• Cyrus memoriae bono inclaruit, qui in exercitu, cui numerosissimo praefuit, nominatim singulos adloquebatur. fecit hoc idem in populo Romano L. Scipio. sed et Cyrum et Scipionem consuetudine credamus profecisse: Cineas Pyrrhi legatus postero die, quam ingressus Romam fuerat, et equestrem ordinem et senatum propriis nominibus salutavit. rex Ponticus Mithridates duabus et viginti gentibus, quibus imperitabat, sine interprete iura dixit. memoriam et arte fieri palam factum est, sicut Metrodorus philosophus, qui temporibus Diogenis cynici fuit, in tantum se medita tione assidua provexit, ut a multis simul dieta non modo sensuum, sed etiam verborum ordinibus detineret". nihil tamen in homine aut metu aut casu aut morbo facilius

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Dopo di lui Marco Sergio [Silo] : durante le due prime campagne milita­ ri, fu ferito frontalmente ventitré volte, nella seconda perse il braccio destro in battaglia: per questo motivo sostituì la mano con una pròtesi di ferro e, per quanto ormai nessuna delle due gli fosse di aiuto nel combattimento, in un giorno affrontò quattro scontri, e li vinse con la sinistra, vedendo uccisi, sot­ to di sé, due cavalli; preso prigioniero da Annibale, e per due volte, fuggì, per quanto nei venti mesi di prigionia che ebbe in sorte non fu un solo istante sen­ za ceppi e catene. In tutte le durissime battaglie che ebbero i Romani in quei tempi, fu insignito di decorazioni militari, ed ebbe la corona civica al Trasi­ meno, alla Trebbia e al Ticino: persino alla battaglia di Canne, dove la sola ri­ tirata fu un atto di valore, fu l'unico a ricevere la corona; veramente sacro per tante attestazioni di gloria, se Catilina, suo erede di sangue nella successione del tempo, non avesse macchiato così grandi trionfi militari con il suo nome condannato alla prescrizione. Quanto come soldati rifulsero Sicinio o Sergio, tanto brillò tra i generali il dittatore Cesare, o, per meglio dire, fra tutti gli uomini. Sotto il suo gover­ no furono uccisi I.I 9 2.ooo nemici: dato che quelli eliminati nelle guerre civili non volle contarli come tali. Affrontò cinquantadue battaglie in campo aper­ to, unico a superare Marco Marcello, che aveva combattuto trentanove volte nello stesso modo. E poi non ci fu nessuno che scrivesse come lui con mag­ giore rapidità, né che leggesse più velocemente: si racconta che dettasse nello stesso tempo quattro lettere; era così dotato di generosità, che i vinti con le ar­ mi era poi capace di conquistarli con la sua virtù longanime. Ciro fu famoso per le sue doti di memoria, dato che parlava, chiamando­ li per nome, ai soldati del numerosissimo esercito di cui era capo. Fece lo stes­ so Lucio Scipione con tutti i cittadini di Roma. Pensiamo, però, che tanto Ci­ ro quanto Scipione si avvantaggiassero da una lunga consuetudine [di rap­ porti ] . Cinea, ambasciatore di Pirro, il giorno dopo il suo ingresso a Roma, sa­ lutò col loro proprio nome sia i cavalieri romani, sia i senatori. Mitridate re del Ponto amministrò la giustizia, senza necessità d'interprete, a ventidue po­ polazioni su cui esercitava la signoria. È chiaro che la memoria si mantiene con una tecnica, come dimostra l'esempio del filosofo Metrodoro, vissuto al tempo di Diogene il cinico, che tanto progredì con metodo tenace da ricor­ dare, nel caso di molti parlanti ad un medesimo tempo, non solo l'ordine del­ le idee, ma anche quello delle parole. Tuttavia, è verificato che non c'è altra cosa nell'uomo che [al pari della memoria] si cancelli più facilmente o per uno

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intercipi saepe perspectum est. qui lapide ictus fuerat accepimus oblitum litterarum, Messalam certe Corvinum" post aegritudinem quam m m

tulerat percussum proprii nominis oblivione, quamlibet alias ei sensus vigeret. memoriam metus perimit: invicem vocis interdum est inci­ tamentum, quam non solum acuir, sed etiam si numquam fuerit extorquet. denique cum olympiade octava et quinquagesima victor Cyrus intrasset Sardes Asiae oppidum, ubi tunc Croesus latebat, Atys filius regis, mutus ad id usque temporis, in vocem erupit vi timoris; ex­ clamasse enim dicitur: parce patri meo, Cyre, et hominem te esse

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ve! casibus disce nostris". Tractare de moribus superest, quorum excellentia maxime in duobus enituit. Cato princeps Porcia e gentis, senator optimus, orator optimus, optimus imperator, causam tamen quadragies et quater dixit, diversis odiorum simultatibus adpetitus, [semper absolutus]''- unde

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Scipionis Aemiliani laus propensior, qui praeter bona, quibus Caro clarus fui t , etiam publico amore p raecessit. vir optimus Nasica

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Scipio iudicatus est non privato tantum testimonio, sed totius senatus sacramento: quippe quod inventus dignior non fuit, cui praecipuae religionis crederetur ministerium, cum oraculum moneret arcessi sacra 116 117

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deum matris Pessinunte'4• Plurimi inter Romanos eloquentia floruerunt: sed hoc bonum hereditarium numquam fuit nisi in familia Curionum, in qua tres serie continua oratores fuere. magnum hoc habitum est sane eo saeculo, quo facundiam praecipue et humana et divina mirata sunt'5• quippe tunc percussores Archilochi poetae Apollo prodidit, et latronum facinus

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deo arguente detectum. cumque Lysander Lacedaemonius Athenas obsideret, ubi Sophoclis tragici inhumatum corpus iacebat, identidem Liber pater ducem monuit per quietem, sepeliri delicias suas sineret: nec prius destitit, quam Lysander cognito quis obisset diem et quid

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a numine posceretur, indutias bello daret, usque dum congruae sup remis talibus exequiae ducerentur'6. Pindarum lyricum e convivii loco, cui imminebat ruina, ne cum ceteris interiret, forinsecus Castor et Pollux vocaverunt inspectantibus universis: quo effectum, ut solus

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spavento o per un incidente o per una infermità. Abbiamo saputo che un in· dividuo vittima di una sassata scordò le parole ed è certo che Messala Corvi· no, dopo una malattia subita, fu colpito dall'amnesia del proprio nome, per quanto l'intelletto fosse lucido sugli altri punti. La paura uccide la memoria: tuttavia, a volte, sollecita la parola, che non solo rende pungente, ma provoca nel caso fosse del tutto assente. E così, durante la cinquattottesima Olimpia· de, al momento dell'entrata di Ciro vittorioso in Sardi, città dell'Asia, dove al­ lora si rifugiava Creso, Atis, figlio di quest'ultimo re, che era rimasto muto si­ no a quel momento, cominciò a parlare dominato dalla paura; si racconta in­ fatti che disse: . Ci resta da trattare del carattere, la cui forza rifulse soprattutto in due per­ sone. Catone, capo riconosciuto della gente Porcia, fu un ottimo senatore, un ottimo oratore e un ottimo generale; con tutto ciò seppe difendersi in qua­ rantaquattro processi intentatigli dai diversi risentimenti che genera l'odio, [e sempre risultò assolto] . Però la fama di Scipione Emiliano ha più valore, da­ to che oltre avere le virtù che ill ustrarono Catone, lo superò anche per amore verso la repubblica. Scipione Nasica fu ritenuto tra gli uomini migliori, e non per testimonianza di privati, ma per attestazione unanime del senato: infatti non si trovò uno più degno a cui raccomandare un ufficio religioso, dopo che un oracolo aveva rivelato come il culto della madre degli dèi si dovesse far ve­ nire da Pessinunte. Moltissimi tra i Romani furono insigni per eloquenza: ma questo dono non poté trasmettersi in eredità, se non presso la famiglia dei Curioni, nella quale vi furono tre oratori che si succedettero senza interruzione. È certo che quell'abito [eloquente] si considera importante durante l'epoca nella quale uomini e dèi tributarono particolare venerazione all'eloquenza. Proprio allo· ra Apollo scoprì gli assassini del poeta Archiloco, e con la denuncia del dio divenne noto il crimine dei !adroni da strada. Mentre lo spartano Lisandro sta· va assediando Atene, al cui interno giaceva insepolto il corpo del poeta tragi­ co Sofocle, il Padre Libero avvertì il condottiero nel sonno che permettesse di seppellire l'oggetto della sua stima; e non cessò d'insistere fino a che Lisan­ dro, avendo riconosciuto il defunto, e capito le ragioni della richiesta, conce­ dette una tregua per il tempo dei funerali accordati a quei famosi resti morta­ li. Càstore e Pòlluce, sotto gli occhi di tutti, trassero fuori il poeta Pindaro dal luogo di un banchetto minacciato di crollo, perché non morisse: e grazie a

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impendens periculum evaderet'7. numerandus post deos Cn. Pompeius Magnus intraturus Posidonii domum, clarissimi tunc sapientiae pro­ fessoris, percuti ex more a lictore fores vetuit, summissisque fascibus,

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quamlibet confecto Mithridatico bello et Orientis victor, sententia propria cessit ianuae litterarum'8. Africanus prior Q. Ennii statuam imponi sepulcro suo iussit'9• Uticensis Cato unum ex tribunatu militum philosophum, alium ex Cypria legatione Romam advexit, professus plurimum se eo facto senatui et populo contulisse, quamlibet proavus eius saepissime censuisset Graecos urbe pellendos''· Dionysius tyrannus vittatam navem Platoni obviam misit: ipse cum albis quadrigis egre­ dientem in litore occurrens honoratus est''· perfectam prudentiam soli Socrati oraculum Dephicum adiudicavit''· Pietatis documentum nobilius quidem in Metellorum domo effulsit", sed eminentissimum in plebeia puerpera reperitur. humilis haec atque ideo fama e obscurioris cum ad patrem, qui supplicii causa claustris poenalibus continebatur, aegre obtinuisset ingressum, exquisita

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saepius a ianitoribus ne forte parenti cibum administraret, alere eum uberibus suis deprehensa est: quae res et locum et factum conse­

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cravit: nam qui morti destinabatur, donatus filiae in memoriam tanti praeconii reservatus est": locus dicatus suo numini Pietatis sacellum est. navis a Phrygia gerula sacrorum, dum sequitur vittas castitatis, contulit Claudiae principatum pudicitiae". at Sulpicia Paterculi filia, M. Fulvii Flacci uxor, censura omnium matronarum e centum pro­ batissimis baud temere delecta est, quae simulacrum Veneris, ut Si­

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byllini libri monebant, dedicaret'6• Quod attinet ad titulum felicitatis, necdum repertus est, qui felix censeri iure debuerit: namque Cornelius Sulla dictus potius est quam fuit felix". solum certe beatum cortina Aglaum iudicavit, qui in angustissimo Arcadiae angulo pauperis soli dominus numquam egressus paterni cespitis terminos invenitur'8•

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questo fu l'unico che sfuggisse a un pericolo imminente. Subito dopo gli dèi è da collocare Cneo Pompeo Magno: accingendosi ad entrare nella casa di Po­ sidonio, allora affermatissimo maestro di filosofia, vietò al littore che, secon­ do l'uso, bussasse alla porta, e fatti abbassare i fasci, lui che aveva concluso la guerra con Mitridate ed era il vincitore dell'Oriente, per propria decisione si degnò di accostarsi alla porta del sapere. n Primo Africano ordinò di colloca­ re la statua di Ennio sopra la propria tomba. Catone l'Uticense, concluso il tri­ bunato militare, condusse un filosofo a Roma, e un altro dopo aver avuto l'in­ carico di legato a Cipro, assicurando che con tali decisioni aveva offerto un grandissimo servizio al senato e al popolo, per quanto il suo avo avesse stabi­ lito, più volte, che i Greci erano da espellere dall'Urbe. n tiranno Dionisio mandò incontro a Platone una nave impavesata: ed egli stesso gli dette il ben­ venuto, correndo a riceverlo sulla spiaggia in una quadriga tirata da bianchi cavalli, non appena sbarcò. Socrate fu l'unico uomo a cui ]'oracolo di Delfo attribuì una perfetta saviezza. La più nobile testimonianza di devozione pietosa brillò senza dubbio nel­ la famiglia dei Metelli, ma la più straordinaria si trova in una donna puerpera di famiglia plebea. Costei, di umile condizione, e per questo priva di ogni fa­ ma, avendo ottenuto a fatica di poter vedere suo padre, chiuso in prigione per essere suppliziato, era spesso ammonita dai carcerieri perché non portasse del cibo al suo genitore, e fu sorpresa mentre lo allattava al seno; questo fatto re­ se sacro sia il luogo che il gesto: infatti chi vi era condannato a morte fu sal­ vato per consacrarlo alla figlia in memoria di una condotta degna di fama; e il luogo è ora un tempio della Pietà dedicato al suo potere. La nave che porta­ va dalla Frigia la statua di un sacro culto, mentre veniva tratta al séguito di ca­ ste bende, portò a Claudia la palma della pudicizia. E poi Sulpicia, figlia di Patercolo e sposa di Marco Fulvio Fiacco, per decreto di. tutte le matrone, fu non a caso scelta fra le cento più considerate donne, perché consacrasse una statua a Venere, in accordo con la raccomandazione dei Libri Sibillini. Per quanto riguarda ]'obiettivo della felicità, non si è ancora trovato qual­ cuno finora che, a ragione, possa essere considerato felice: e infatti Cornelio Sill a più che felice, portò il nome di felice. Certamente l'oracolo di Apollo giu­ dicò beato solo Aglao, che essendo padrone di un povero appezzamento in un piccolissimo terreno ai margini dell'Arcadia, non fu mai visto abbandonare i confini dell'eredità paterna.

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III

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De homine satis dictum habeo. nunc, ut ad destinatum revertamur, ad locorum commemorationem stilus dirigendus est atque adeo principaliter in !taliam, cuius decus iam in urbe contigimus. sed Italia tanta cura ab omnibus dieta, praecipue M. Catone', ut iam in­ veniri non sit, quod non veterum auctorum praesumpserit diligentia, largiter in laudem excellentis terrae materia suppetente, dum scrip­ tores praestantissinti reputant locorum salubritatem, ca eli temperiem, ubertatem soli, aprica collium, opaca nemorum, innoxios saltus, vitium olearumque proventus, nobilia pecuaria, tot amnes, lacus tantos, bifera violaria: inter haec Vesubium flagrantis animae spiritu vapora­ tum, tepentes fontibus Baias', colonias tam frequentes, tam assiduam novarum urbium gratiam, tam clarum decus veterum oppidorum, guae primum Aborigines Aurunci Pelasgi Arcades Siculi, totius pos­ tremo Graeciae advenae et in summa victores Romani condiderunt: ad haec laterum portuosa, orasque patentibus gremiis commercio orbis adcommodatas.

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Verum ne prorsus intacta videatur, in ea guae minus trita sunt animum intendere baud absurdum videtur et parcius depasta levibus vestigiis inviare. nam quis ignora t vel dieta vel condita a !ano !ani­ culum, a Sa turno Latium atque Saturniam, a Dana e Ardeam, a comitibus Herculis Polyclen', ab ipso in Campania Pompeios, qua victor ex Hispania pompam boum duxerat? in Liguria quoque lapi­ darios campos', quod ibi eo dimicante creduntur pluvisse saxa: regionem lonicam ab Ione Aulochi filia, guam procaciter insidentem vias Her­ cules ut ferunt interentit': Archippen a Marsya rege Y,dorum, quod

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III

[L'Italia]

Ho parlato a sufficienza della natura dell'uomo. Ora, per ritornare al mio progetto, debbo condurre la mia penna alla menzione delle località [geogra­ fiche] , e principalmente quelle dell'Italia, la cui gloria è stata evocata menzio­ nando Roma. Ma l'Italia è stata descritta da tutti con tanta cura, e in partico­ lare da Marco Catone, che non esiste la possibilità di trovare un punto tale da non essere stato oggetto dell'attenzione degl'interpreti antichi, anche quando abbiamo materia idonea ad elogiare simile straordinario paese. [E questo] mentre scrittori di altissimo rango lodano la salubrità delle sue terre, il clima temperato, la fertilità del suolo, i monti aprichi, i folti boschi, i passi montani transitabili, la ricchezza delle vigne e degli olivi, gli armenti di buona razza, tanti fiumi, tanti laghi, le viole che fioriscono due volte l'anno: e fra tali mera­ viglie il Vesuvio, soffocato dal fumo che esala dal suo profondo petto, Baia dalle tiepide fonti [termali] , le colonie così frequenti, l'incanto ricorrente del­ le nuove città, il nobile decoro degli antichi luoghi fortificati, i cui primi abi­ tatori furono gli Aborigeni, gli Aurunci, i Pelasgi, gli Arcadi, i Siculi, più tar­ di i coloni della Grecia, e, infine, i Romani vittoriosi; e bisogna aggiungervi la quantità di porti presenti nelle coste, e le spiagge, grazie alle insenature libe­ re, adatte al commercio internazionale. Ma perché non sembri che la si voglia lasciare senza menzione, non mi pare inutile prendere in esame dell'Italia certi aspetti che sembrano meno vul­ gati, e camminare con passo lieve per i luoghi percorsi con scarsa frequenza. Difatti, chi ignora che il Gianicolo fu fondato e denominato da Giano, il La­ zio e Saturnia da Saturno, Ardea da Danae, Policle dai compagni di Ercole, Pompei da Ercole medesimo, in Campania, dove aveva condotto, vittorioso, dalla Spagna quella mandria di buoi? Pure in Liguria i Campi Lapidari deb­ bono il loro nome alla storia che, mentre [Ercolel lì combatteva, piovvero sas­ si; la regione ionica ebbe il suo nome da Io figlia di Auloco, alla quale Ercole diede la morte per il suo modo insolente di sbarrargli il cammino; Archippe,

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hiatu terrae haustum dissolutum est in lacum Fucinum: ab lasone templum lunonis Argivae: a Pelopidis Pisas: a Cleolao Minois filio Daunios: Iapygas ab lapyge Daedali filio: Tyrrhenos a Tyrrheno Lydiae rege: Coram a Dardano: Agyllan a Pelasgis, qui p rimi in Latium !itteras intulerunt: ab Haleso Argivo Faliscam: a Faleria Argivo Falerios: Fescenninum quoque ab Argivis: portum Parthenium a Phocaensibus6: Tibur, sicut Cato tacit testimonium7, a Catillo Arcade praefecto classis Euandri; sicut Sextius, ab Argiva iuventute8• Catillus enim Amphiarai filius, post prodigialem patris apud Thebas interitum, Oeclei avi iussu cum amni fetu ver sacrum missus tres liberos in Italia procreavi!, Tiburtum Co ram Catillum, qui depulsis ex oppido Siciliae veteribus Sicanis a nomine Tiburti fratris natu maximi urbem voca­ verunt. mox in Bruttiis ab Ulixe extructum templum Minervae. insula Ligea appellata ab eiecto i bi corpore Sirenis ita nominatae9: Par­ thenope a Parthenopae Sirenis sepulcro, quam Augustus postea Neapo­ lim esse maluit": Praeneste, ut Zenodotus", a Praeneste Ulixis nepote 10

Latini filio; ut Praenestini sonant libri, a Caeculo", quem iuxta ignes fortuitos invenerunt, ut fama est, Digidiorum sorores. Notum est a Philoctete Petiliam constitutam, Arpos et Beneventum a Diomede, Patavium ab Antenore, Metapontum a Pyliis, Scylaceum ab Athenien­ sibus, Sybarim a Troezeniis et a Sagari Aiacis Locri filio, Sallen­ tinos a Lyctiis, Anconam a Siculis, Gabios a Galatio et Bio Siculis fratribus, ab Heraclidis Tarentum, insulam Tempsam ab Ionibus, Paestum a Dorensibus, a Myscello Achaeo Crotonam, Regium ab Chalciden­ sibus, Cauloniam et Terinam a Crotoniensibus, a Nariciis Locros, Heretum a Graecis in honorem Herae (sic enim lunonem Graeci

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vocant)'', Ariciam ab Archilocho Siculo, unde et nomen, ut Herninae'4 placet, tractum. hoc in loco Orestes oraculo monitus simulacrum Scythicae Dianae, quod de Taurica extulerat, priusquam Argos peteret consecravit. a Zanclensibus Metaurum locatum, a Locrensibus Meta­ pontum, quod nunc Vibo dicitur, Bocchus absolvit. Gallorum veterum propaginem Umbros esse M. Antonius'5 refert; hos eosdem, quod tempore aquosae cladis imbribus superfuerint, Umbrios Graece no-

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minatos. Liciniano'' placet a Messapo Graeco Messapiae datam originem,

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che fu inghiottita da una frattura del suolo nel lago Fùcino, fu fondata da Mar­ sia, re dei Lidi. Il tempio di Giunone Argiva fu fondato da Giasone; Pisa dai Pelopidi; i Dauni discendono da Cleolao figlio di Minosse; gli Iapigi da Iapi­ ge figlio di Dedalo; i Tirreni da Tirreno, re di Lidia; Cora fu fondata da Dàr­ dano; Agilla dai Pelasgi, che per primi portarono le lettere dell'alfabeto in La­ zio; Falisca dall'argivo Aleso; Falerio dall'Argivo Falerio. Fescennio fu fon­ data anch'essa dagli Argivi; il porto Partenio dai Focesi; Tivoli, per la testi­ monianza di Catone, dall'Arcade Catillo, ammiraglio della flotta di Evandro; ma, al parere di Sestio, dai giovani Argivi. Catillo poi, figlio di Anfiarao, do­ po la prodigiosa morte di suo padre di fronte a Tebe, fu inviato per ordine del suo avo Oecleo, con tutta la sua discendenza, come voto di primavera per gli dèi, e procreò in Italia tre figli, Tiburte, Cola e Catillo, i quali, cacciati gli an­ tichi Sicani dalla loro fortezza in Sicilia, la battezzarono con il nome di Ti­ burro, il maggiore dei fratelli. In epoca posteriore, Ulisse costruì nel Bruzio un tempio a Minerva. L'isola di Ligea ricevette questo nome per via del cor­ po di una sirena così nominata ivi reperto. Partenope, che poi Augusto pre­ ferì fosse chiamata Napoli, deve il suo nome dal sepolcro della sirena Parte­ nope. Preneste, come sostiene Zenodoto, lo prese da Preneste, nipote di Ulis­ se e figlio di Latino; però, secondo quanto menzionano i Libri Prenestini, da Cèculo, che, come recita la tradizione, fu incontrato dalle sorelle dei Digidii mentre si rifocillava presso un focolare di fortuna. È cosa nota che Petilia fu costruita da Filottete, Arpo e Benevento da Diomede, Padova da Antenore, Metaponto da gente di Pilo, Squillace dagli Ateniesi, Sibari dai Trezenii e da Sàgari, figlio di Aiace di Locri, i Salentini dai Littii, Ancona dai Siculi, Gabii dai fratelli siculi Galazio e Bione, Taranto dagli Eràclidi, l'isola di Tempsa da­ gli Ioni, Pesto dai Dori, Crotone dall'acheo Miscello, Reggio dai Calcidesi, Caulonia e Terina dai Crotoniati, Locri dai Nàrici, Ereto dai Greci in onore di Era (così infatti chiamano Giunone), Aricia da Archiloco il siciliano, da cui prese il nome la città, secondo l'opinione di Emina. Fu questo il luogo in cui Oreste, per monito dell'oracolo, prima di partire per Argo, consacrò la statua di Diana Scitica che aveva sottratto dal territorio dei Tauri. Bocco dice che Metauro fu fondata dagli abitanti di Zancle, e Metaponto, chiamata oggi Vi­ bo, dai Locresi. Marco Antonio riferisce che gli ultimi rappresentanti dei Gal­ li antichi sono gli Umbri; più precisamente sono gli stessi che, in lingua gre­ ca, chiamarono Umbri perché sopravvissero alle acque all'epoca del diluvio. Pensa Liciniano che da Messapo, greco, trasse origine Messapia, che poi più

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versam postmodum in nomen Calabriae, guam in exordio Oenotri 13

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frater Peucetius Peucetiam nomina vera t . a gubernatore Aeneae appellatum Palinurum, a tubicine Misenum, a consobrina Leucosiam insulam inter omnes perspicue convenit; a nutrice Caietam, ab uxore Lavinium, quod post Troiae excidium, sicuri Cosconius'7 perhibet, quarto anno extructum est. Nec omissum sit Aenean aestate ab Ilio capto secunda Italicis litoribus adpulsum, ut Hemina tradit'8, sociis non amplius sescentis, in agro Laurenti posuisse castra: ubi dum simulacrum, quod secum ex Sicilia advexerat, dedicat Veneri matri guae Frutis dicitur, a Diomede

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Palladium suscepit'9, tribusque mox annis cum Latino regnavit socia potestate, quingentis iugeribus ab eo acceptis: quo defuncto summam

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biennio adeptus apud Numicium" parere desiit anno septimo. patris Indigetis ei nomen datum. deinde constituta ab Ascanio" longa Alba,

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Fidenae, Arieia; Nola a Tyriis, ab Euboensibus Cumae. ibidem Sibyllae sacellum est, sed eius guae rebus Romanis quinquagesima olympiade interfuit" cuiusque librum ad Comelium usque Sullam pontifices nostri consulebant tunc enim una cum Capitolio igni absumptus est'': nam priores duo, Tarquinia Superbo parcius pretium offerente guam postu­ labatur'', ipsa exusserat. huius sepulcrum in Sicilia adhuc manet. Delphicam autem Sibyllam ante Troiana bella vaticinatam Bocchus autumat, cuius plurimos versus operi suo Homerum inseruisse mani­ festai''· hanc Herophilen Erythraea annis aliquot intercedentibus inse­ cuta est Sibyllaque appellata est de scientiae parilitate, guae inter alia magnifica Lesbios amissuros imperium maris multo ante prae­

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monuit guam id accideret. ita Cumanam tertio fuisse post has loco ipsa aevi series probat'6• Ergo Italia, in qua Latium antiquum antea a Tiberis ostiis ad usque Lirim amnem pertinebat, universa consurgit a iugis Alpium, porrecta ad Reginum verticem et litora Bruttiorum, quo in maria meridiem versus protenditur. inde procedens paulatim se Appennini montis dorso attollit, extenta imer Tuscum et Adriaticum, id est imer supernum mare et inferum, similis querneo folio, scilicet proceri-

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tate ampli or guam latitudine. ubi longius abiit, in cornua duo scinditur, quorum alterum Ionium spectat aequor, alterum Siculum'7:

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tardi cambiò il suo nome in Calabria terra che all'origine Peucezio, il fratello di Enotrio, l'aveva chiamata Peucezia. Tutti sanno che Palinuro ricevette il suo nome dal timoniere di Enea, Miseno dal suo trombettiere, l'isola di Leucosia dalla sua prima sorella, Gaeta dalla sua nutrice, Lavinio dalla moglie: una città edificata quattro anni dopo la distruzione di Troia, come afferma Cosconio. Non deve essere dimenticato che Enea giunse alle coste italiane l'estate seguente la caduta di Troia, come conferma Emina, con non più di seicento compagni, e installò il suo accampamento nei campi di Laurento: in questo luogo, mentre dedicava una statua che aveva portato con sé dalla Sicilia a sua madre Venere, che ora s'invoca come Frutis, ricevette il palladio da Diomede, e regnò in séguito tre anni con Latino, da cui ricevette cinquanta iugeri di ter­ ra, dividendo equamente il potere; alla morte di Latino ottenuto il grado più alto del comando per due anni, compiuto il settimo anno, cessò di vivere pres­ so il Numicio. Gli fu concesso il titolo di Pater Indiges. Piu tardi furono edi­ ficate da Ascanio Albalonga, Fidene ed Ariccia; Nola dai Tirii, Cuma dagli Eu­ boici. Proprio lì esiste un piccolo santuario della Sibilia, di colei che partecipò alle vicende storiche dei Romani al tempo della cinquantesima Olimpiade, e il suo libro sacro lo consultavano i nostri Pontefici all'epoca di Cornelio Silla e poi fino quando fu consunto dalle fiamme assieme al Campidoglio. Infatti i due primi libri sacri li aveva bruciati lei stessa, perché Tarquinia il Superbo le offriva un prezzo inferiore a quello richiesto. ll suo sepolcro si conserva an­ cora in Sicilia. Bacco afferma, da parte sua, che la Sibilla Delfica vaticinava prima della guerra di Troia, sottolineando che Omero introdusse moltissimi di quei versi nel suo poema. Dopo di lei, passati alcuni anni, ci fu Eròfile Eri­ trea, e fu chiamata Sibilla per eguale scienza; tra altre meraviglie predisse che i Lesbii avrebbero perduto il loro impero marittimo molto prima che ciò av­ venisse. In tal modo, la sequenza cronologica dimostra che la Sibilla Cumana ebbe il terzo posto dopo queste ricordate. E così l'Italia, al cui interno il primitivo Lazio si estendeva, originaria­ mente, dalle bocche del Tevere fino al fiume Liri, nasce dalla cresta delle Al­ pi e si estende fino alla punta estrema di Reggio e alle spiagge del Bruzio, do­ ve il territorio prosegue verso il mare andando a sud. Venendo da lì [dalle Al­ pi] , si eleva a poco a poco con gli Appennini, si distende tra il mare Toscano e l'Adriatico, ossia tra quello superiore e inferiore, simile a una foglia di quer­ cia, vale a dire più estesa in altezza che in latitudine. Lì dove più si allunga, si divide formando due punte: una di esse guarda il mare Ionio, l'altra quello Si-

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imer quas prominentias non uno margine accessum insinuati freti recipit, sed linguis proiectis saepius a c procurrentibus distinctum pro-

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muntoriis pelagus accipit, ibi, ut obvia sparsim notemus, arces Tarentinae, Scylacea regio cum Scyllaeo oppido et Crateide flumine Scyllae matre, ut vetustas fabulata est''; Regini saltus, Paestanae valles, Sirenum saxa, amoenissimus Campaniae tractus, Phlegraei campi, Circae domus Tarracina insula ante circumflua inmenso mari, nunc aevo nectente addita continenti diversamque fortunam a Reginis experta, quos fretum medium a Siculis vi abscidit, Formiae etiam Laestrygonibus habitatae, multa praeterea pollentissimis ingeniis

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edissertata, guae praeterire guam inferius exequi tutius duximus''· Verum Italiae longitudo, guae ab Augusta Praetoria'' per urbem Capuamque porrigitur usque ad oppidum Regium, decies centena et viginti milia passuum colligit, latitudo ubi plurimum quadringenta decem, ubi minimum centum triginta sex; artissima est ad portum quem Hannibalis castra dicunt, n eque enim excedit quadraginta milia; umbilicum, ut Varro tradir, in agro Reatino habet''· at in solidum

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spatium circuitus universi vicies centena quadraginta novem sunt''· in qua ambitu adversa Locrensium fronte ortus a Gadibus finitur Europae sinus primus; nam secundus a Lacinio auspicatus in Acro­ ceraunio metas habet". Ad haec Italia Pado clara est, quem mons Vesulus superantissimus imer iuga Alpium gremìo suo fundit, visendo fonte in Ligurum finibus, unde se primum Padus proruit summersusque cuniculo rursus in agro Vibonensi" extollitur, nulli amnium inferior claritate, a Graecis

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dictus Eridanus. intumescit exortu canis tabefactis nivibus et liquen­ tibus brumae pruinis auctusque aquarum accessione triginta flumina in Adriaticum defert mare. Memorabilibus inclutum et insigniter per omnium vulgatum ora, quod perpaucae familiae sunt in agro Faliscorum quos Hirpos" vocant. hi sacrificium annuum ad Soractis montem Apollini faciunt: id operantes gesticulationibus religiosis impune insultant ardentibus lignorum strui­ bus, in honorem divinae rei flammis parentibus. cuius devotionis ministerium'6 munificentia senatus honorata Hirpis perpetuo consulto omnium munerum vacationem dedit.

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culo. Tra queste prominenze l'accesso del mare che vi penetra non lambisce una sola costa, ma riceve le acque divise da promontori o più spesso suddivi­ so da lingue prominenti di terra. In quel luogo s'incontrano, in rapida rasse­ gna, la fortezza di Taranto, la regione di Squillace con la rocca di Scilla e il fiu­ me Crati, dalla cui onda nacque Scill a , almeno secondo le antiche leggende, le forre di Reggio, le valli di Pesto, gli scogli delle Sirene, gli ubertosi paesag­ gi della Campania, i Campi Flegrei, l'isola di Terracina, dimora di Circe, in al­ tri tempi circondata da un mare vastissimo, oggi unita al continente dall' azio­ ne del tempo - sorte ben differente da quella degli abitanti di Reggio, che il mare separò violentemente, con uno stretto, dai Siculi -, vi si trova Fortnia, abitata dai Lestrigoni, e altri luoghi più volte trattati da scrittori ragguarde­ volissimi, che è meglio tralasciare che non esporre più banalmente. Comunque la longitudine d'Italia, che da Angusta Pretoria, passando per Roma e Capua giunge fino alla città di Reggio, comprende 1.02o.ooo passi, la latitudine, per la parte più ampia, 4JO.ooo passi, per quella più piccola IJ6.ooo passi. È strettissima all'altezza del porto che chiamano Accampamenti di An­ nibale, dove infatti non oltrepassa i 4o.ooo. li centro esatto è situato, come ri­ corda Varrone, a Rieti. Quanto all'intero perimetro, raggiunge una lunghezza totale di 2.049.ooo passi. Quivi, di fronte alla costa di Locri, termina il primo golfo d'Europa, che nasce a Gades; infatti il secondo, che inizia a capo Laci­ nio, ha il suo tertnine nel capo Acroceraunio. Bisogna aggiungere che l'Italia è famosa per il Po, che sgorga dall'altissi­ mo Monviso tra i gioghi delle Alpi, da visitarsi, entro il territorio dei Liguri; da lì il Po inizia il suo corso e, dopo essersi sprofondato in canali sotterranei, rimonta in superficie nel territorio vibonense; la sua fama non è inferiore a quella di alcun altro fiume; i Greci lo chiamarono Eridano. S'ingrossa al sali­ re della canicola, con le nevi liquefatte e le gelate invernali sciolte e, arricchi­ to dall'apporto di trenta affluenti, sbocca nel mar Adriatico. Un fenomeno ill ustre, degno di ricordo, e che viene veramente commen­ tato da tutti, è che nel territorio dei Falisci vi sono alcune comunità chiamate lrpi. Costoro celebrano, ogni anno, presso il monte Soratte, un sacrificio ad Apollo; e mentre effettuano la cerimonia, tra altri gesti devoti, passano, senza patirne, su di un mucchio di legna ardente, che mostrano inoffensivo per pro­ va di reverenza alla cerimonia. La generosità del Senato, in compenso per il servizio del culto, concede agli lrpi l'esenzione da tutti doveri pubblici, tra­ mite un senatoconsulto sempre vigente.

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Gentem Marsorum serpenti bus inlaesam esse nihil mirum: a Circae filio genus ducunt et de avita potentia deberi sibi sciunt servitium venenorum: ideo contemnunt venena37• C. Coelius'' Aeetae tres filias dicit Angitiam Medeam Circen: Circen Circeios insedisse montes, carminum maleficiis varias imaginum facies mentientem: Angitiam vicina Fucino occupavisse ibique salubri scientia adversus morbos resistentem, cum dedisset homines vivere, deam habitam: Medeam ab lasone Buthroti sepultam filiumque eius Marsis imperasse. Sed quamvis Italia ha beat hoc praesidium familiare, a serpentibus non penitus libera est. denique Amunclas, quas Amyclas ante Graeci condiderant, serpentes fugavere". illic frequens vipera insanabili morsu: brevior haec ceteris quas in aliis advertimus orbis partibus ac propterea, dum despectui est, facilius nocet. Calabria chersydris frequen­ tissima et boas gignit4', quem anguem ad inmensam molem ferunt convalescere. capta t primo greges bubulos et guae plurimo lacte rigua bos est, eius se uberibus innectit, suctuque continuo saginata longo in saeculo ita fellebri satietate ultimo extuberatur, ut obsistere magnitudini eius nulla via queat, postremo depopulatis animalibus regiones quas obsederit cogat ad vastitatem. Divo Claudio principe, ubi Vaticanus ager est, in alvo occisae boae spectatus est solidus infans�. Italia lupos habet quod cum ceteris simile non sit, homo quem prius vi d erit conticescit, et anticipatus obtutu nocentis, licet clamandi votum habeat, non habet vocis ministerium. sciens de lupis prae­ tereo multa: spectatissimum illud est. caudae animalis huius villus amatorius inest perexiguus, quem spontivo damno abicit, cum capi metuit: nec habet potentiam, nisi viventi detrahatur. coeunt lupi toto anno non amplius dies duodecim. vescuntur in fame terram. a t hi quos cervarios dicimus, quamvis post longa ieiunia repertas aegre carnes mandere coeperint, ubi quid casu respiciant obliviscuntur, et inmemores praesentis copiae eunt quaesitum guam reliquerint satie­ tatem".

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Non c'è nulla di straordinario nel fatto che il popolo dei Marsi sia immu­ ne dalle morsicature di serpenti: si dichiarano stirpe del figlio di Circe e sanno che, in virtù di poteri ancestrali, sono chiamati a testimoniare l'inoffensività dei veleni: questo è il motivo per cui li disprezzano. Caio Celio scrive che furono tre le figlie di Eete: Angizia, Medea e Circe. Circe stabilì la sua dimora nei mon­ ti Circei, imitando con gl'inganni dei suoi incantesimi le forme diverse dell' ap­ parenza corporea. Angizia prese sede nelle terre prossime al Fùcino, e lì curò le infermità mediante l'arte medica: e dando la vita agli uomini, fu ritenuta dea. Medea fu sepolta da Giasone a Butroto, e suo figlio regnò sui Marsi. Ma per quanto l'Italia abbia questa tutela familiare, non è del tutto libe­ ra dai serpenti. E infatti le serpi spopolarono Amuncla, che i Greci avevano fondato come Amicla. In quelle terre abbonda la vipera, il cui morso è incu­ rabile: questo rettile è di taglia inferiore a quella che caratterizza altre che in­ contriamo in diverse parti del mondo, e proprio per questo, sottovalutata, ha possibilità di arrecare danno. La Calabria è piena di serpenti d'acqua, e gene­ ra i boa, una razza di rettili che, dicono, è caratterizzata da una mole enorme. Cerca innanzi tutto gli armenti bovini, e si attacca agli ùberi di quella vacca che è più pregna di latte; si nutre, per molto tempo, di questa suzione continua e, finalmente, sazio del cibo, diventa aggressivo, di modo che non esiste forza al­ cuna capace di reggere la sua mole invadente; in ultimo, quando ha decimato gli animali, porta alla rovina le regioni che patiscono la sua aggressione. Du­ rante il regno del divino Claudio, dove sono i campi del Vaticano, nel ventre di un boa che avevano ucciso, apparve la spoglia di un bambino intero. Lltalia ha un genere di lupi ben diversi dagli altri: l'uomo che per pri­ mo li vede ammutolisce, e messo subito in difficoltà dallo sguardo della fie­ ra, per quanto abbia desiderio di gridare, resta afono. Tralascio altre cose che so dei lupi: ma una curiosissima non posso negarvela. Nella coda di que­ sto animale c'è un pelo, piccolissimo, con virtù afrodisiache, di cui si disfa spontaneamente e a suo danno, quando teme di essere catturato; ma non sortisce alcun effetto se non viene strappato al lupo vivo. I lupi si accoppia­ no, durante tutto l'anno, per non più di dodici giorni. Se sono affamati si nutrono di terra. Quelli che chiamiamo lupi cervieri, per quanto dopo un lungo digiuno comincino a divorare la carne faticosamente reperita, non ap­ pena per caso rivolgono attenzione a qualcosa, nascondono il cibo, e, di­ mentichi dell'abbondanza che hanno dinanzi, vanno a cercare altrove la sa­ zierà appena trovata.

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In hoc animalium genere numerantur et lynces, quarum urinas coire in duritiem pretiosi calculi fatentur qui naturas lapidum exqui­ sitius sunt persecuti. istud etiam ipsas lynces persentiscere hoc do­ cumento probatur, quod egestum liquorem ilico harenarum tumulis quantum valent contegunt, invidia scilicet ne talis egeries transeat in nostrum usum. ut Theophrastus perhibet, lapidi isti ad sucinum color est, pariter spiritu adtrahit propinquantia, dolores renum placa!, medetur regio morbo, lyncurium dicitur43•

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Tra queste specie di animali, si possono annoverare anche le linci, la cui orina, stando a ciò che dicono coloro che hanno studiato a fondo la natura delle pietre, si converte, solidificandosi, in gemma preziosa. Che le stesse lin­ ci siano consapevoli del fatto, è provato dal seguente indizio: ricoprono subi­ to il liquido evacuato, meglio che possono, con mucchi di terra, col capzioso progetto d'impedire, naturalmente, che tale ricchezza cada in nostro potere. Come riferisce Teofrasto, il colore di tale pietra è simile a quello dell'ambra, attrae con identica forza quanto le si avvicina, calma il dolore dei reni e cura l'itterizia; si chiama lincurio.

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Sardinia quoque, quam apud Timaeum Sandaliotin legimus, lchnusam apud Crispum', in qua mari sita sit, quos incolarum auctores habeat, satis celebre est. nihil ergo attinet dicere [ut] Sardus Hercule, Norax Mercurio procreati cum alter a Libya, alter ab usque Tartesso Hispaniae in hosce fines permeavissent, a Sardo terrae, a Norace Norae' oppido namen datum, mox Aristaeum regnando bis proximum in urbe Caralis, quam condiderat ipse coniuncto populo utriusque sanguinis, seiuges usque ad se gentes ad unum morem coniugasse, imperium ex insolentia nihil aspematas. Sed ut haec et Iolaum' qui ad id locorum agros ibi insedit, praeterea et Ilienses et Locrenses transeamus, Sardinia est quidem absque serpentibus. sed quod aliis locis serpens, hoc solifuga Sardis agris, anima! perexiguum aranei forma, solifuga4 dieta qood diem fugiat. in metallis argentariis plurima est, nam salurn illud argenti dives est: occultim reptat et per inprudentiam supersedentibus pestem facit. buie incommodo accedit et herba Sardonia', quae in defluviis fontaneis provenir iusto largius. ea si edulio fuerit nescientibus, nervos contrahit, diducit rictu ora, ut qui mortem oppetunt intereant facie ridentium. Contra quidquid aquarum est varie commodis servir. stagna pisculentissinia. hibernae pluviae in aestivam penuriam reservantur, nam homo Sardus opem plurimam de imbrido caelo habet: hoc collectaneum depascitur, ut sufficiat usui ubi defecerint scaturrigines. fontes calidi et salubres aliquot locis effervescunt, qui medelas afferunt aut solidant ossa fracta aut abolent a solifugis insertum venenum aut etiam ocularias dissipant aegritudines. sed qui oculis medentur, et

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[Isole del Mediterraneo]

È abbastanza noto in quale mare sia posta la Sardegna, che da Timeo ve­ diamo battezzata col nome di Sandaliotide, e da [Sallustio] Crispo come lc­ nusa, e quale origine abbiano i suoi abitanti. Non c'è dunque altro da dire se non [che] Sardo fu generato da Ercole, e Norace da Mercurio quando giun­ sero in questi luoghi, il primo dalla Libia, l'altro venendo da Tartesso, in Spa­ gna, e che da Sardo l'isola ricevette il suo nome, e da Norace la città di Nora. E che poco dopo Aristeo, regnando vicino ad essi nella città di Cagliari, da lui stesso fondata, unendo popolazioni dell'uno e dell'altro sangue, rinsaldò in un medesimo genere di vita popoli prima del suo intervento separati, e capaci di non disprezzare la sua autorità a dispetto dell'origine diversa. Ma per sorvolare questi dati e giungere a Iolao, che poi abitò stabilmen­ te queste terre, e ai Troiani e ai Locrensi, bisogna dire che la Sardegna è pri · va di serpenti. Ma la funzione che il rettile ha in altre contrade, qui, nel paese sardo, la svolge la solìfuga, animale insignificante, simile al ragno, così chia· mara perché sfugge la luce del giorno. È assai frequente nelle miniere di ar· gento, dato che il terreno dell'isola ne è ricco, striscia senza farsi vedere, e in· fetta coloro che, per inawertenza, vi si pongono sopra. A questo guaio deve aggiungersi anche l'erba Sardonica, che cresce nelle diramazioni acquose del· le fonti, e in modo sovrabbondante. Questa pianta, usata come alimento da chi non la conosce, paralizza i nervi, deforma il volto con una smorfia tale che chi affronta la morte la raggiunge con il sorriso. Al contrario, tutte le acque che vi sono forniscono diversi vantaggi. Gli stagni sono assai pescosi. Le piogge invernali si conservano per combattere la siccità estiva; infatti l'uomo sardo trae il maggior soccorso dal cielo piovoso: si alimenta di questa riserva accumulata, perché copre le necessità quando vengono a meno le sorgenti. In alcuni luoghi ribollono fonti termali e salubri che curano varie affezioni, o saldano le fratture ossee o medicano il veleno iniettato dalle solìfughe o rimediano persino le affezioni oculari. Tuttavia

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coarguendis valent furibus: nam quisquis sacramento raptum negat, lumina aquis adtrectat: ubi periurium non est, cemit clarius, si perfidia abnuit, detegitur facinus caecitate et captus oculis admissum fatetur. Si respiciamus ad ordinem temporum vel locorum, post Sardiniam res vocant Siculae. primo quod utraque insula in Romanum arbi­ tratum redacta isdem temporibus facta provincia est, cum eodem anno Sardiniam M. Valerius, alteram C. Flaminius praetor sortiti sint6• adde quod freto Siculo excipitur nomen Sardi maris. Ergo Sicilia , quod cum primis adsignandum est, diffusis prominentibus triquetra specie figuratur. Pachynus aspectus in Pelo­ ponnesum et meridianam plagam dirigit, Pelorias adversa vespero ltaliam videt, Lilybaeum in Africam extenditur. inter guae Pelorias praestat laudata unico soli temperamento, quod neque umido in lutum madefiat n eque fatiscat in pulverem siccitate. ea ubi introrsum recedit et in latitudinem panditur, tres lacus optinet, quorum unus quod piscium copiosus est, non equidem ad ntiraculum duxerim. sed quod ei proximans condensus arbustis inter virgultorum opaca feras nutria t et adntissis venantibus per terrenos tramites, quibus pedestres accessus excipit, duplicem piscandi venandique praebeat voluptatem, numeratur inter exintia. tertium ara sacrum adprobat, guae in medio sita brevia dividit a profundis. qua ad eam pergitur, aqua crurum tenus per­ venit: quod ultra est, nec explorari licet nec attingi et si fiat, qui id sit ausus malo plectitur quantamque sui partem ingurgitaverit, tantam perditum vadit. ferunt quendam in haec alta guam longissimam poterat iecisse lineam, eam ut recuperaret dum merso brachio nisum adiuvat, cadaver manum factam. Peloritana ora habitatur colonia Tauromenia, guam prisci Naxum7 vocabant, oppido Messana Regio ltaliae apposita. quod Regium a dehiscendi argumento 'f1ytol' Graeci dictitabant. Pachyno multa thynnorum inest copia ac propterea semper captura larga. Lilybitano

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quelle idonee a curare gli occhi servono anche per scoprire i ladri: dato che chiunque dichiara di non aver commesso un furto, si sfrega gli occhi con l' ac­ qua; se non ha commesso uno spergiuro, vede con maggiore limpidezza; se tenta di confermare la sua malafede, il crimine si manifesta con la cecità e, pri­ vato della vista, confessa il delitto. Se guardiamo alla successione dei tempi e dei luoghi, dopo la Sardegna ci richiamano le peculiarità della Sicilia. Innanzitutto perché entrambe le iso­ le, sottomesse all'autorità romana, l'una e l'altra furono dichiarate province negli stessi tempi, dato che, nel medesimo anno, la Sardegna ebbe come pre­ tore Marco Valerio e la Sicilia Gaio Flaminio. Si aggiunga a ciò che il nome del mare di Sardegna è compreso dentro il mare di Sicilia. La Sicilia, poi, cosa da segnalare tra le prime, con i suoi estesi promonto­ ri mostra la forma di un triangolo. Pachino dirige il suo capo verso il Pelo­ ponneso e la regione meridionale; capo Peloro, opposto in occidente, guarda l'Italia, Lilibeo si prolunga verso l'Africa. Tra questi emerge capo Peloro, menzionato per la straordinaria costituzione del suo terreno, che quando è in­ zuppato [di pioggia] non si dissolve in fango, né durante la siccità si perde in polvere. Tale promontorio, proseguendo nell'interno, amplia la sua superficie contenendo tre laghi, dei quali uno, per il fatto di essere ricco di pesce, io, sin­ ceramente, non lo ritengo un caso miracoloso. Piuttosto, il fatto che, vicino, fitta di vegetazione, l'ombra dei virgulti favorisca la selvaggina e, permetten­ do la caccia, per via di terra, ammette l'ingresso a piedi, procurando il doppio diletto della venagione e della pesca, questo lo ritengo tra le cose singolari. Un altare ci dimostra che il terzo lago è sacro; situato al centro, indica la separa­ zione tra le acque basse e le profonde. Sul lato che conduce all'altare, !' acqua giunge alle ginocchia; quanto si trova oltre, non lo si deve né cercare, né rag­ giungere e, nel caso lo si facesse, chi ha osato tanto è colpito da una sventura, e rischia di veder perire tanta parte del suo corpo quanta se ne è immersa in acqua. Raccontano che una persona in quelle profondità gettò una corda, la più lunga che poté, e quando immerse il braccio nello sforzo di recuperarla, la mano si rattrappì come quella di un cadavere. La costa peloritana è popolata dalla colonia di Tauromenio, che gli anti­ chi chiamavano Naxo, e dalla fortezza di Messina, posta di fronte a Reggio in Italia. Questa Reggio i Greci la chiamavano col nome di Rhegion per via di uno sprofondamento [tellurico] . Pachino ha una grande ricchezza in fatto di tonni, e proprio per questo la pesca è abbondante. La gloria del promontorio

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Lilybaeum oppidum decus est Sibyllae sepulcro. Sicaniae diu ante Troiana bella Sicanus rex nomen dedit, advectus cum amplissima Hiberorum manu: post Siculus Neptuni filius, in hanc plurimi Corin­ thiorum Argivorum lliensium Doriensium Cretensium confluxerunt: imer quos et Daedalus fabricae artis magister'. principem urbium Syra­ cusas habet, in qua etiam cum hiberno conduntur serena, nullo non die sol est. adde quod Arethusa fans in hac urbe est. Eminet montibus Aetna et Eryce. Vulcano Aetna sacer est, Eryx Veneri. in Aetnae vertice hiatus duo sunt, crateres nominati, per quos eructatus erumpit vapor, praemisso prius fremitu, qui per aestuantes cavernarum latebras longa mugitu intra terrae viscera divol­ vitur, nec ante se flammarum globi attollunt guam interni strepitus antecedant•. [mirum hoc est: nec illud minus quod in illa ferventis naturae pervicacia mixtas ignibus nives praefert, et licet vastis exundet incendiis, apicis canitie perpetua brumalem detinet faciem. ita invicta in utroque violentia nec calar frigore mitigatur nec frigus calore dissolvitur.] laudant alias montes duos Nebroden et Neptunium. e Neptunio specula est in pelagus Tuscum et Adriaticum. Nebroden dammae et hinnulei gregatim pervagantur: inde Nebrodes". Quidquid Sicilia gignit sive soli sive hominis ingenio, proximum est bis guae optima iudicantur11, nisi quod fetus terra e Centuripino croco vincitur. hic primum inventa comoedia: hic et cavillatio mimica in scaena stetit": bine domo Archimedes'' qui iuxta siderum disciplinam machinarius commentar fuit: bine Lais'4 illa guae eligere patriam maluit guam fateri. gentem Cyclopum testantur vasti specus: Laestrygonum sedes adhuc sic vocantur''· Ceres inde magistra sationis fructuariae. hic ibidem campus Hennensis in floribus semper et amni vernus die: quem popter est demersum foramen, qua Ditem patrem ad raptus Liberae'6 exeuntem fama est lucem hausum. imer Catinam et Syra­ cusas certamen est de inlustrium fratrum memoria, quorum nomina sibi diversae partes adoptant: si Catinenses audiamus, Anapius fuit et Amphinomus: si quod malunt Syracusae, Emantiam putabimus et Critonem: Catinensis tamen regio causam dedit facto. in guam se

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di Lilibeo è l'omonima città per via del sepolcro della Sibill a . Molto prima del­ la guerra di Troia, diede il suo nome alla Sicania il re Sicano, giuntovi con una folta moltitudine di Iberici: poi venne Siculo, figlio di Nettuno. In questa iso­ la confluirono moltissimi Corinti, Argivi, lliaci, Doriensi, Cretesi: e tra di lo­ ro fu Dedalo, maestro di costruzioni. A capo delle città c'è Siracusa, nella qua­ le, anche d'inverno, si mantiene un tempo sereno e non c'è giorno in cui man­ chi il sole. Aggiungi poi che la fonte Aretusa è in questa città. Spiccano tra i monti l'Etna e Èrice. L'Etna è sacro a Vulcano, ed Èrice a Venere. Nella cima dell'Etna vi sono due voragini, chiamate crateri, attraver­ so le quali, non appena si è fatto sentire il terremoto, emana un vapore; que­ sto, con un lungo brontolio, attraversando ardenti cunicoli sotterranei, esala tra le viscere della terra, e dinanzi a lui non vengono eruttate lave, se non an­ nunciate da fragori interni. [Tutto ciò è ammirabile: però non lo è meno il fat­ to che quella costante presenza di materia ignea, mostri la neve mescolata al fuoco e, per quanto erutti il vulcano con grandi incendi, il monte mantiene il suo aspetto invernale nella perpetua bianchezza della sua cima. In questo mo­ do la forza di entrambi gli elementi è invincibile, e il calore non si mitiga con il freddo, né il freddo col calore.] Alcuni celebrano altri due monti, i Nebro­ di e il Nettunio. Dal Nettunio si possono vedere il mar Tirreno e Adriatico. Cerve e cerbiatti vagano in gruppi per i Nebrodi: da qui il nome Nebrodi. Tutto quanto si produce in Sicilia, sia per la condizione del suolo, sia per il talento umano, si avvicina molto a ciò che viene definito eccellente, con l' ec­ cezione dello zafferano di Centuripe che supera ogni prodotto della terra. Qui s'ideò la prima commedia; qui s'introdusse sulla scena la danza mimica; di qui trae le sue origini Archimede, che fu inventore di macchine conformi alla scienza astronomica; di qui era nativa quella Laide che preferì scegliere un'al­ tra patria piuttosto che confessare la propria. Le vaste caverne sono testimo­ nianza della razza dei Ciclopi; le abitazioni del Lestrìgoni portano ancora il lo­ ro nome. Cerere, signora delle messi, è originaria di quei luoghi. Proprio lì si trova il campo di Enna, sempre fiorito e in abito primaverile tutto l'anno: è vi­ cina una profonda voragine attraverso la quale, dice la tradizione, il padre Di­ te percepì la luce del sole quando risalì per rapire Libera. Tra Catania e Sira­ cusa c'è una disputa sopra la storia relativa a due celebri fratelli, i cui nomi vengono riportati da una parte e dall'altra in forma diversa: stando a quelli di Catania si chiamavano Anapio e Anfìnomo; se seguiamo le preferenze di Si­ racusa, dovremmo optare per Emanzia e Critone: nondimeno fu il territorio

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cum Aetnae incendia protulissent, iuvenes duo sublatos parentes evexerunt inter flammas inlaesi ignibus. horum memoriam ita poste­ ritas munerata est, ut sepulcri locus nominaretur campus piorum'7• De Arethusa et Alpheo verum est hactenus, quod conveniunt fons et amnis'8• fluminum miracula abunde varia sunt. Dianam'9 qui ad Camerinam fluit si habitus inpudice hauserit, non coibunt in corpus unum latex vineus et latex aquae. apud Segestanos Helbesus" in medio flumine subita exaestuatione fervescit. Acidem" quamvis dimissum Aetna nullus frigore antevertit. Himeraeum" caelestes mutant plaga e: amarus denique est, dum in aquilonem fluit, dulcis ubi ad meridiem flectitur. Quanta in aquis, tanta novitas in salinis. salem Agrigentinum si igni iunxeris, dissolvitur ustione: cui si liquor aquae proximaverit, crepitar veluti torreatur. purpureum Aetna mittit, in Pachyno translucidus invenitur. cetera salinarum metalla, guae sunt aut Agrigento aut Centuripis proximantia, funguntur cautium ministerio: nam illinc excluduntur signa ad facies hominum ve! deorum''· Thermitanis locis" insula est harundinum ferax: hae accommodatissimae sunt in omnem sonum tibiarum, seu praecentorias facias, quarum locus est ad pulvi­ naria praecinendi, sive vascas guae foraminum numeris praecentorias antecedunt, seu puellatorias quibus a sono clariore vocamen datur, sive gingrinas guae breviores licet subtilioribus tamen modis insonant, aut milvinas guae in accentus exeunt acutissimos, aut l;rdias quas et turarias dicunt, ve! Corinthias ve! Aegyptias aliasve a musicis per di­ versas officiorum et nominum species separatas''· In Halesina regione fons alias quietus et tranquillus cum siletur, si insonent tibiae, exultabundus ad cantus elevatur, et quasi miretur vocis dulcedinem, ultramargines intumescit'6. Gelonium stagnum taetro odore abigit proximantes. ibi et fontes duo, alter de quo si sterilis sumpserit fecundatur: alter quem si fecunda hauserit vertitur in sterilitatem. stagnum Petrensium'7 serpentibus noxium est, homini salutare. in lacu Agrigentino'8 oleum supernatat: hoc pingue haeret harundinum comis de assiduo volutabro, e qua rum capillamentis legitur unguentum medicum contra armentarios morbos.

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di Catania che diede fama al fatto. Quivi, quando si estese un incendio pro· vocato dall'Etna, i due giovani, presi a carico i genitori, li sottrassero alle fiam· me, rimanendo illesi. Così i posteri ricompensarono adeguatamente la loro memoria battezzando Campo dei pii il luogo del sepolcro. Riguardo ad Aretusa e Alfeo, si ritiene oggi per acquisito che la fonte e il fiume convergano in un luogo. I prodigi dei fiumi sono svariatissimi. Se qual· cuno attingesse acqua dal Diana che fluisce a Camarina con un intento dissa­ crante, i liquidi del vino e dell'acqua non si mescolerebbero insieme. Presso Se­ gesta, nel centro del fiume Elbeso, l'acqua zampilla per improvviso ribollire. Nessuna corrente supera il gelo di Acide, per quanto nasca dall'Etna. Riguardo al fiume d'Imera, cambiano le zone di orientamento: è amaro, infatti, mentre scorre in direzione nord, dolce quando flette il suo corso verso mezzogiorno. Quante curiosità hanno le acque, tante sorprese riservano le saline. Se collochi vicino al fuoco il sale di Agrigento, si dissolve col calore; se vi awici­ ni dell'umor acqueo, crepita come fosse tostato. l:Etna produce un sale ros­ so, che si trova trasparente a Pachino. Le altre miniere di sale, che sono pros­ sime o ad Agrigento o a Centuripe, vengono sfruttate per attenerne blocchi: poiché da lì si ricavano statue per dar forma a uomini o dèi. Nel territorio di Termini si trova un'isola piena di canne; queste sono adattissime ad ogni tipo di flauto da musica o che venga costruito per il canto, la cui funzione è into­ nare la melodia nei luoghi di culto: sia flauti obliqui che precedono, quanto a numeri di fori, quelli cultuali; sia virginali, il cui nome deriva dal suono più limpido; oppure ocarine che, essendo più corte, danno, senza dubbio, un suo· no più sottile; oppure tibie "milvine" che raggiungono toni acutissimi; o le li· die, chiamate "turarie", o le corinzie o le egizie e altre diverse distinte dai mu· si ci sulla base delle rispettive funzioni o dei nomi. Nel territorio di Alesa esiste una fonte che, mentre c'è silenzio, resta quie· ta e tranquilla, però, se suonano i flauti, si ridesta esultante ai canti e, come estasiata dal fascino della melodia, tende a tracimare. La laguna di Gela al­ lontana coloro che le si approssimano col suo odore pestilenziale. Proprio qui vi sono due fonti: in una di quelle se beve una donna sterile resta incinta, nel­ l' altra se si disseta una femmina feconda cade nella sterilità. La laguna di Pe­ tra è nociva ai serpenti, ma salutare agli uomini. Sopra la superficie di un la­ go di Agrigento, galleggia una sostanza oleosa: questa morchia aderisce alle foglie delle canne con una patina persistente, dalle cui cime si raccoglie un un­ guento medicamentoso contro i morbi del bestiame.

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Nec longe in de collis Vulcanius'', in quo qui divina e rei operantur ligna vitea super aras struunt nec ignis apponitur in hanc congeriem: cum prosicias intulerint, si adest deus, si sacrum probetur, sarmenta licet viridia sponte concipiunt et nullo inflagrante halitu ab ipso numine fit accendium. ibi epulantes adludit fiamma, quae flexuosis excessibus vagabunda quem contigerit non ad uri t nec aliud est quam imago nuntia perfecti rite voti. idem ager Agrigentinus eructat limosas scaturrigines et ut venae fontium sufficiunt rivis subministrandis, ira in hac Siciliae parte solo numquam deficiente aeterna reiectatione terram terra evomit. Achaten lapidem Sicilia primum dedit in Achatae fluminis ripis repertum'', non vilem, cum ibi tantum inveniretur, quippe interscri­ bentes eum venae naturalibus sic notant formis, ut cum optimus est uarias praeferat rerum imagines. unde anulus Pyrrhi regis, qui ad­ versus Romanos bella gessit, non ignobilis famae fuit, cuius gemma achates erat, in quo novem Musae cum insignibus suis singulae et Apollo tenens citharam videbantur, non inpressis figuris sed ingenitis. nunc diversis locis parer. da t Creta quem curalliachaten vocant curallio similem, sed inlitum guttis auro micantibus et scorpionum ictibus resistentem. dat India reddentem nunc nemorum nunc ani­ malium facies, quem vidisse oculis faver, quique intra os receptus sedat sitim. sunt et qui usti redolent myrrhae odorem: haemachates sanguineis maculis inrubescit: sed qui maxime probantur vitream habent perspicuitatem, ut Cyprius: nam qui sunt facie cerca abun­ dantes trivialiter negleguntur. omnis ambitus huius insulae clauditur stadiorum tribus milibus''.

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Non !ungi dal lago, il colle di Vulcano, sul quale coloro che compiono sa­ crifici ammucchiano sarmenti sopra gli altari, e non portano il fuoco a questa ramaglia: non appena vi pongono le viscere delle vittime, se compare il dio e accetta l'offerta, la sterpaglia, anche se verde, inizia ad ardere per suo conto e senza bisogno di attizzare il fuoco soffiandovi: è il nume che causa l'incendio. n fuoco scherza con i partecipanti al sacro banchetto, poi s'innalza in forma di lingue sinuose, senza bruciare coloro che sfiora, e non ha altro significato se non quello di segnale annunciante che i voti si son compiuti in modo conforme alle prescrizioni. Lo stesso territorio di Agrigento erutta fontanaz­ zi di fango e proprio come le scaturigini delle fonti bastano ad alimentare i fiu­ nti, così in questa parte di Sicilia la terra vomita terra, in un perpetuo rigurgi­ to, senza che si verifichi mai scarsità di suolo. La Sicilia è la prima regione che fornì la pietra àgata, scoperta nelle spon­ de del fiume Agate, di valore fino a quando si trovò solo in quel posto; nel re­ perto le striatu re interconnesse vi disegnano forme così naturali che quando la pietra è di ottima qualità, fornisce distinte figure di oggetti. Per questa ra­ gione l'anello del re Pirro, che condusse campagne militari contro i Romani, godette di speciale rinomanza; la pietra incastonata era un'àgata nella quale si distinguevano le nove Muse, ciascuna con le sue caratteristiche, e Apollo con la cetra, non incisi, ma creati dalla natura. Ora [tale pietra] si trova in diversi paesi. Creta diffonde quella che chiamano àgata-corallo, simile al corallo, ma coperta di brillanti gocce d'oro, capace di proteggere contro la puntura dello scorpione. L'India ne produce una varietà che riproduce tanto forme vegeta­ li che animali, idonea a tutelare gli occhi di chi la guarda e, portandola in boc­ ca, a togliere la sete. Ve ne sono alcune che, bruciate, esalano odore di ntirra. La emàgata è arrossata da macchie color del sangue: ma le àgate di maggior valore hanno una trasparenza cristallina, come quella di Cipro. Quelle poi che sono di aspetto cèreo, sono così correnti che si trascurano come comuni. n pe­ rimetro di questa isola comprende tremila stadi.

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Propter oppidum Patras Scioessa' locus novem collium opacitate umbrosus et radiis solis ferme invius nec aliam ob causam memora­ bilis. in Laconica spiraculum est Taenaron: est et Taenaron pro­ munturium adversum Africae. in quo fanum Methymnaei Arionis, quem delphine eo advectum imago testis est aerea ad effigiem casus et veri, operis expressa: praeterea tempus signatum: olympiade enim undetricesima, qua in certamine Siculo idem Arion victor scribitur, id ipsum gestum probatur'. est et oppidum Taenaron' nobili vetustate: praeterea aliquot urbes, inter quae Leuctrae non obscurae iam pridem Lacedaemoniorum foedo exitu4: Amyclae silentio suo quondam pessum datae': Sparta insignis cum Pollucis et Castoris templo tum etiam Othryadis inlustris viri' titulis: Therapne unde primum cultus Dianae: Pitane quam Arcesilaus stoicus inde ortus prudentiae suae merito in lucem extulit': Anthia et Cardamyle8• ubi quondam fuere Thyrae', nunc locus dicitur, in quo anno septimo decimo regni Romuli inter Laconas et Argivos memorabile fuit bellum. nam Taygeta mons et flumen Eurotas" notiora sunt quam ut stilo egeant. lnachus Achaiae amnis Argolicum secat tractum, quem rex lnachus a se nominavit, qui exordium Argivae nobilitati primus dedit". Epi­ dauro" decus est Aesculapii sacellum, cui incubantes aegritudinum remedia capessunt de monitis somniorum. Pallanteum Arcadiae quod Palatio nostro per Euandrum Arcada appellationem dederit, sat est admonere''· in qua montes Cyllene et Lycaeus, Maenalus etiam diis alumnis inclaruerunt: inter quos nec Erymanthus in obscuro est. imer flumina Erymanthus Erymantho monte demissus et Ladon ille Herculis pugna'', hic Pane clara sunt'5•

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[Curiosità della Grecia]

Vicino alla città di Patrasso si trova Scioessa, luogo tenebroso per la den­ sa ombra di nove colli e quasi impenetrabile ai raggi del sole, e non degna di ricordo per alcun altro motivo. In Laconia c'è lo spiraglio [infernale] di Tè­ naro: esiste anche il capo Tènaro esteso verso l'Africa. Qui si eleva il tempio di Metimna e di Arione: una scultura di bronzo che rappresenta le figure del­ l'evento e la realtà del caso, testimonia che Arione fu trasportato lì da un del­ fino; per di più vi è inciso l'anno: infatti nella ventinovesima Olimpiade, nel­ la quale Arione fu dichiarato vincitore nella gara sicula, s'innalzò quest'offer­ ta. Proprio lì si trova la rocca di Tènaro, d'insigne vetustà: vi sono altre città, fra le quali si annovera Leuctra, conosciuta da lungo tempo per la disastrosa sconfitta degli Spartani; Amicla, che cadde in rovina per aver mantenuto il si­ lenzio in una certa occasione; Sparta, famosa in primo luogo per il tempio di Càstore e Pòlluce, e anche per le celebri armi del suo campione Otriade; Te­ rapne, il primo luogo dove nacque il culto di Diana; Pìtane che il filosofo stoi­ co Arcesilao, lì nato, rese famosa con il dono della sua sapienza; Antea e Cardàmine. Dove ebbero sede, la località è detta oggi Tirea, qui, durante il di­ ciassettesimo anno del regno di Romolo, avvenne una battaglia memorabile tra Spartani e Argivi. Quanto al monte Taigeto e al fiume Eurota sono abba­ stanza noti da non richiedere l'impegno della mia penna. TI fiume Ìnaco di Acaia percorre il territorio dell'Argolide; il re Ìnaco, che fu il primo a dare origine alla aristocrazia argiva, gli dette il proprio nome. La gloria di Epidauro risiede nel santuario di Esculapio, lì i sofferenti per malat­ tia traggono rimedio da moniti ricevuti in sogno. Di Pallanteo, in Arcadia, ba­ sti il ricordo che dette il suo nome al nostro Palatino tramite l'arcade Evan­ dro. In questa regione sono celebri i monti Cillene e Liceo, così come il Mè­ nalo sacri agli dèi: e tra di loro non è meno conosciuto l'Erimanto. Tra i fiumi sono famosi l'Erimanto che sgorga dall'omonimo monte, e il Làdone: il pri­ mo per la fatica di Ercole, il secondo perché caro a Pan.

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Varro perhibet fontem in Arcadia esse cuius interimat haustus. in eadem parte de avibus hoc solum est non indignum relatu, quod cum aliis locis merula furva sit, circa Cyllenem candidissima est'6. nec lapidem spreverimus quem Arcadia mittit: asbesto'' nomen est, ferri colore, qui accensus semel extingui nequitur. In Megarensium sinum lsthmos exit, ludis quinquennalibus et delubro Neptuni inclitus: quos ludos eapropter institutos ferunt, quod sinibus quinque Peloponnesi ora e alluuntur, a septentrione Ionio, ab occidente Siculo, a brumali oriente Aegaeo, a solstitiali oriente Myrtoo, a meridie Cretico'8• hoc spectaculum per Cypselum tyrannum intennissurn Corinthii olympiade quadragesima nona'' sollemnitati pristinae reddiderunt. ceterum Peloponneson a Pelope" regnatam nomen indicio est. ea ut platani folium recessibus et prominentiis figurata divortium facit inter Ionium et Aegaeum mare, quattuor non amplius milibus" dispescens utrurnque litus excursu tenui, quem Isthmon dicunt ob angustias. Hinc Hellas incipit, quam proprie veram habent Graeciam. quae nunc Attice, Acte prius dieta: ibi Athenae. cui urbi saxa Scironia propinqua sunt, porrecta sex milibus passuum, ob honorem ultoris Thesei" et memoriam nobilis poenae sic nominata. ex istis rupi bus !no se cum Palaemone filio in profunda praecipitem iaculata auxit maris numina''· nec Atticos montes partitim tacebimus. est lcarius, est et Brilessus, est Lycabettus et Aegialus: sed Hymetto'4 meritissime ac iure tribuitur principatus, quod adprime florulentus eximio mellis sapore et externos omnes et suos vincit. Callirhoen stupent fontem, nec ideo Cruneson'' fontem alterum nullae rei nume­ ra n t. Atheniensibus iudicii locus Arios pagos. Marathon campus factus memorabilis opinione proelii cruentissimi'6. multae quidem in­ sulae obiacent Atticae continenti, sed suburbanae ferme sunt Salamis Sunium'7 Ceos Coos, quae, ut Varro testis est, suptilioris vestis amicula arte lanificae scientiae prima in omatum feminarum dedit'8• Boeotia Thebis enitet. Thebas condidit Amphion'', non quod lyra saxa duxerit, neque enim par est ita gestum videri, sed quod

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Varrone afferma che in Arcadia esiste una fonte le cui acque uccidono. In questa stessa regione c'è un solo dato sugli uccelli che sia degno d'essere rife­ rito: mentre in tutti gli altri luoghi i merli sono neri, nei pressi del monte Cil­ lene sono bianchissimi. E non disprezziamo la pietra che produce l'Arcadia, porta il nome di asbesto; ha il colore del ferro e, se la si pone al fuoco, non c'è verso di vederla consumata. Nel golfo di Mègara termina l'istmo, famoso per i suoi giuochi quin­ quennali e per il tempio di Nettuno: si dice che questi giuochi furono istitui­ ti perché le coste del Peloponneso sono bagnate da cinque golfi: a nord dal­ l'Ionio, a occidente dal Siculo, all'oriente iemale dall'Egeo, all'oriente solsti­ ziale dal Mirtoo, al sud dal Cretese. Sospeso questo spettacolo dal tiranno Cì­ pselo, i Corinti gli ridonarono la sua antica solennità durante la quarantano­ vesima Olimpiade. Del resto, il nome dimostra che il Peloponneso fu retto dal re Pèlope. Questo territorio la cui forma è simile, per le sue rientranze e sa­ lienti a una foglia di platano, marca la separazione tra il mar Ionio e l'Egeo di­ videndo entrambe le coste con non più di quattromila passi, mediante una te­ nue lingua di terra che chiamano istmo per la sua strettezza. Da qui comincia l'Ellade, la quale giustamente si considera la vera Gre­ cia. La parte conosciuta come Attica, fu dapprima denominata Acte: lì è po­ sta Atene. Vicino a questa città si trovano le rocce Scironie, che si estendono per seimila passi, così chiamate in onore di Teseo, il vendicatore, e in ricordo del castigo esemplare. Da questi dirupi !no, gettandosi a precipizio col figlio Palèmone, ebbe in sorte di aumentare le divinità marine. E non vogliamo ta­ cere neppure uno dei monti dell'Attica. C'è il Brileso, il Licabetto e l'Egìalo: ma il primato l'ottiene, con grandissimo merito e a ragione, l'Imetto, dato che quando è coperto di fiori supera ogni monte dell'Attica o straniero per la squi­ sita dolcezza del suo miele. La fonte Callìroe desta ammirazione, ma non per questo si crede che manchi di valore una seconda fonte, quella di Cruneso. L'Areopago è il luogo dove gli Ateniesi celebrano la giustizia. La pianura di Maratona si è resa degna di ricordo per la fama della sanguinosissima batta­ glia. In vero, di fronte al territorio dell'Attica si trovano molte isole, ma quel­ le site in prossimità di Atene sono Salamina, Sunio, Ceo e Coo, quest'ultima, stando a Varrone, fu la prima che fabbricò vestiti di tela per adornare le don­ ne, con la tecnica della tessitura del vello di lana. La Beozia risplende grazie a Tebe. Anfione fu il fondatore di Tebe, non perché abbia attirato dietro di sé i sassi al suono della lira - e non è da crede-

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adfatus suavitate homines rupium incolas et incultis moribus rudes ad obsequii civilis pellexerit disciplinam. urbs ista numinibus apud se ortis gloriatur, ut perhibent qui sacris carminibus Herculem et Liberum celebrant. apud Thebas Helicon lucus est, Cithaeron saltus, amnis lsmenus, fontes Arethusa Oedipodia Psamathe Dirce, sed ante alios Aganippe et Hippucrene: quos Cadmus'' litterarum primus repertor quoniam equestri exploratione deprehendisset, dum rimatur quaenam insideret !oca, incensa est licentia poetarum, ut utrumque pariter disseminaretur, et quod aperti forent alitis equi ungula, et quod poti inspirationem facerent litterariam. Euboea insula laterum obiectu efficit Aulidis portum, saeculis traditum Graiae coniurationis memoria''· Boeoti iidem sunt qui Leleges fuerunt: per quos defluens Cephisos amnis se in maria condit''· in hac continentia Opuntius sinus, Larisa oppidum, Delphi, Ramne quoque, in qua Amphiarai fanum et Phi­ diacae signum Dianae". Varro opinatur duo in Boeotia esse flumina", natura licet separi, miraculo tamen non discrepante: quorum alterum si ovillum pecus debibat, pullum fieri coloris quod induerit, alterius haustu quaecumque vellerum fusca sint in candidum verti. addit videri ibi puteum pestilentem, cuius liquor mors est. perdices sane cum ubique liberae sint ut aves universae, in Boeotia non sunt nec cum volant sui iuris, sed in ipso aere quas transire non audeant metas habent: inde ultra notatos iam terminos numquam exeunt nec in Atticum salurn transmeant. hoc Boeotis proprium: nam quae communia sunt omnibus, generatim persequemur. concinnantur a perdicibus nidi munitione sollerti: spineis enim fruticibus receptus suos vestiunt, ut animalia quae infestant arceantur asperis surculorum. ovis stra­ gulum pulvis est atque clanculo revertuntur, ne indicium loci conversatio frequens faciat. plerumque feminae transvehunt partus, ut mares fallant, qui eos saepissime adfligunt inpatientius adulantes. dimicantur circa conubium victosque credunt feminarum vice venerem sustinere: ipsas libido sic agita t, ut si ventus a masculis flaverit

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re sia awenuto così - ma perché, con amabili parole, attrasse gli uomini che vivevano tra le rocce, rozzi per i costumi selvaggi, verso i princìpi della civile convivenza. Questa città si gloria delle divinità a cui ha dato origine, come ri­ feriscono coloro che nei rispettivi sacri poemi cantano le glorie di Ercole e Bacco. Vicino a Tebe si trova il bosco sacro di Elicona, le selve del Citerone, il fiume Ismeno, le fonti Aretusa, Edipodia, Psàmate e Dirce, e, più impor­ tanti delle altre, Aganippe e lppocrene: dato che, avendole scoperte Cadmo, l'inventore dell'alfabeto, nel corso di una ricognizione a cavallo, mentre cer­ cava un luogo per insediarsi, si accese la fantasia dei poeti fino al punto da di­ vulgare due versioni a un tempo del fatto, ossia che tali fonti siano state aper­ te dallo zoccolo del cavallo alato, e che alimentassero, con le loro acque be­ vute, l'ispirazione letteraria. l:isola di Eubea forma, estendendo le sue coste, il porto di Àulide, nome trasmesso durante i secoli in ricordo dell'alleanza tra i Greci. l Beoti sono la stessa gente che si chiamò Lèlegi: nel loro territorio corre il fiume Cèfiso che si nasconde nel mare. Nelle vicinanze c'è il golfo di Opunte, la città di La rissa, Delfo e pure Ramne, dove si trova il tempio di An­ fiarao e la statua di Diana scolpita da Fidia. Varrone sostiene che vi siano due fiumi in Beozia che, pur possedendo ciascuno una diversa origine, non si distinguono per le loro straordinarie ca­ ratteristiche: se un gregge ovino beve in uno di essi, il vello che le ricopre pren­ de il colore nero, e quando le pecore di colore scuro si abbeverano nell'altro fiume diventano bianche. Aggiungi che in quel paese può vedersi un pozzo infetto, la cui acqua è mortale. Le pernici poi, essendo ovunque libere, al pa­ ri degli altri uccelli, in Beozia non possiedono la stessa caratteristica, né vola­ no a piacer loro, ma hanno limiti nello stesso spazio aereo che non osano var­ care: perciò non escono mai da confini precedentemente stabiliti o trasmi­ grano nel territorio dell'Attica. Questo è proprio delle pernici della Beozia: infatti noi sottolineiamo, in genere, le cose comuni a ogni specie. Le pernici si preparano il nido con una struttura geniale: difatti rivestono i loro covi con ramoscelli spinosi, in modo che gli animali assalitori siano respinti dalle spine aguzze. Le uova stanno poste in uno strato di polvere e [le pernici] vi ritor­ nano di nascosto, perché temono che una permanenza assidua ne localizzi la posizione. Molto spesso le pernici madri cambiano posto ai piccoli, per in­ gannare i maschi che sovente causano danno alle uova mentre le covano con troppo zelo. Combattono per accoppiarsi e si crede che i vinti sostengano l' as­ salto erotico al posto delle femmine: la lussuria infiamma le pernici in tal mo-

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fiant praegnantes odore. tunc si quis hominum ubi incubant pro­ pinquavit, egressae matres venientibus sese sponte offerunt et simu­ lata debilitate vel pedum vel ala rum, quasi statim capi possint, gressus fingunt tardiores. hoc mendacio inlicitant obvios et eludunt, quoad provecti longius a nidis avocentur. nec in pullis studium segnius ad cavendum: cum visos se persentiscunt, resupinati glebulas pedibus attollunt, quarum obtentu tam callide proteguntur, ut lateant deprehensi35•

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do che se il vento soffia dalla parte dei maschi, se ne ingravidano per il solo odore. E poi, se qualcuno si accosta al luogo dove covano, le femmine, uscite dal nido, si offrono spontaneamente al curioso e, fingendo una debolezza del­ le zampe o delle ali, tale da permetterne subito la cattura, ostentano una deam­ bulazione assai lenta. Con questo tranello disorientano gli aggressori e li schi­ vano, fino ad allontanarli separandoli dai nidi. E nei piccoli non è meno for­ te l'arte di proteggersi: quando notano di essere scoperti, sdraiati, con le zam­ pine alzano zolle di terra, e mediante questa cortina si mimetizzano con tale abilità che, per quanto sorpresi, si nascondono.

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Nune de incolis reddam. Emathius qui primus in Emathia' occepit principatum, seu quia indago originis eius aevo disperiit seu quia ita res est, genuinus terrae habetur. post bune in Macedonis exortum Emathiae nomen perstitit: sed Macedo Deucalionis matemus nepos, qui solus cum domus suae familia morti publicae superfuerat, vertit vocamen Macedoniamque a se dixit'. Macedonem Caranus3 insequitur dux Peloponnesiae multitudinis, qui iuxta responsum dictum deo, ubi caprarium pecus resedisse adverterat urbem condidit quam dixit Aegas', in qua sepeliri reges mos erat: nec alter excellentium virorum bus­ tis apud Macedonas priscos dabatur locus. Succedit Carano Perdicca, secunda et vicesima olympiade5, primus in Macedonia rex nominatus. cui Alexander Amyntae filius6 dives habitus, nec inmerito: ita enim affluenter successus eius proficiebant, ut ante omnes Apollini Delphos, levi Elidem statuas aureas dono miserit. voluptati aurium indulgentissime deditus: sicut plurimos qui fidibus sciebant, dum vivit, in usum oblectamenti denis tenuit liberalibus, inter quos et Pindarum lyricum7• ab hoc Archelaus8 regnum excepit, pru­ dens rei bellicae, navalium etiam commentor proeliorum. hic Archelaus in tantum litterarum mire amator fuit, ut Euripidi9 tragico consilio­ rum summam concrederet: cuius suprema non contentus prosequi sumptu funeris, crinem tonsus est et maerorem quem animo conceperat vultu publicavit. idem Pythias et Olympiacas palmas qua­ drigis adeptus, Graeco potius animo quam regali gloriam illam prae se tulit.

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[Macedoni e Traci]

Ora parliamo degli abitanti [della Macedonia] . Emazio, il primo che eb­ be il trono in Emazia, forse perché la ricerca sulle sue origini andò perduta, o forse perché il dato è semplicemente vero, si ritiene originario di questa re­ gione. Dopo la sua elevazione al trono di Macedonia, il nome di Emazia si mantenne: tuttavia Macedone, il nipote per linea materna di Deucalione, l'u­ nico che sia sopravvissuto, con tutta la schiatta del suo casato, al disastro del­ l'umanità, le cambiò il nome e la chiamò, con il suo, Macedonia. ll successo­ re di Macedone fu Carano, il capo della gente del Peloponneso, il quale, in conformità a un responso oracolare da cui aveva appeso che avrebbe guidato una mandria di pecore, fondò una città che chiamò Egea, dove era in uso sep­ pellire le spoglie dei re: e non esisteva nessun altro luogo, presso gli antichi Macedoni, per l'inumazione di personaggi eminenti. A Carano succedette Perdicca, nella ventiduesima Olimpiade, il primo re eletto fra i Macedoni. Dopo di lui regnò Alessandro, figlio di Aminta, ri­ tenuto ricco, e non a torto: infatti i doni si succedevano con tanta larghezza dalle sue mani, che superò tutti [i Greci] nel far omaggi di statue d'oro ad Apollo delfico e al Giove di Olimpia. Fu uomo dedito a soddisfare, con mas­ sima compiacenza, i diletti musicali: e infatti, durante la sua vita, mantenne, con liberali donazioni, per suo piacere, molti suonatori di lira, tra i quali an· che Pindaro. Dopo Alessandro ottenne il regno Archelao, cauto nelle que­ stioni belliche, e anche stratega delle battaglie navali. Questo Archelao fu tanto mirabile estimatore delle lettere, da confidare tutti i suoi progetti al tra­ gico Euripide: non contento di tributargli gli estremi onori funebri, si tagliò i capelli e il suo volto attestava la profonda amarezza che awertiva nell'ani­ mo. Proprio lui che riportò la vittoria olimpica nella corsa delle quadrighe, mostrando l'animo più di un greco che non di un re, ad ogni altro titolo di gloria preferì quello.

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Post Archelaum Macedonica res dissensione iactata in Amyntae regno stetit, cui tres liberi: sed Alexander patri succedit. quo exempto, Perdiccae primo data copia amplissimae potestatis indupiscundae". qui obiens hereditarium regnum fratri Philippo reliquit, quem captum oculo dextro apud Mothonam supra diximus"; cuius debilitatis omen praecesserat: nam cum nuptias ageret, acciti tibicines carmen cyclopium quasi de colludio concinuisse traduntur. hic Philippus Magnum procreai, quamlibet Olympias Alexandri mater nobiliorem ei patrem adquirere adfectaverit, cum se coitu draconis consatam adfirmaret". ita tamen et ipse egit, ut deo genitus crederetur. peragravit orbem, rectoribus Aristotele et Callisthene'' usus, subegit Asiam Armeniam Hiberiam Albanian'' Cappadociam Syrias Aegyptum: Taurum Cauca­ sumque transgressus est: Bactros domuit: Media et Persia imperavi!: cepit Indiam, emensus omnia guae Liber et Hercules'' accesserant. forma supra hominem augustiore, cervice celsa, laetis oculis [in­ lustribus] , malis ad gratiam rubescentibus, reliquis corporis non sine maiestate quadam decoris'6• victor omnium vino et ira victus'7: sicut morbo vinolentiae apud Babylonem humiliore guam vixerat fortuna exemptus est. post quem qui fuerunt magis ad segetem Romanae gloriae guam ad hereditatem tanti nominis ortos invenimus. Macedonia lapidem gignit quem paeanitem'8 vocant. bune eundem et concipere et parere et parturientibus opitulari fama prodiga est. circa Tiresae sepulcrum plurimus invenitur. N une in Thraciam locus pergere et ad validissimas Europae gentes vela obvertere'9• quas qui sedulo experiri velint, non diffi­ culter deprehendent Thracibus barbaris inesse contemptum vitae ex quadam naturali sapientiae disciplina. concordant omnes ad interi­ rum voluntarium, dum nonnulli eorum putant obeuntium animas reverti, alii non extingui, sed beatas magis fieri. apud plurimos luctuosa sunt puerperia, denique recens natum fletu parens excipit: contraversum laeta sunt funera adeo, ut exemptos gaudiis prosequantur. uxorum

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Lo Stato dei Macedoni, minato dalla discordia dopo Archelao, riottenne la pace col regno di Aminta che ebbe tre figli: ma Alessandro fu successore del pa­ dre. Morto questo, si dette all'inizio a Perdicca la possibilità di confermare po­ teri troppo indeboliti. Alla sua morte, diede l'eredità del suo regno al fratello Fi­ lippo, di cui ricordammo la perdita dell'occhio destro presso Motona; riguardo a questa mutilazione aveva ricevuto previamente un presagio: infatti, durante il suo matrimonio, si racconta che i flautisti convocati intonarono, come se fosse un giuoco, il canto dei Ciclopi. Questo Filippo è il padre di [Alessandro] Ma­ gno, sebbene Olimpiade, madre di Alessandro, cercò a tutti i costi di dargli un più nobile genitore, assicurando di essere stata ingravidata dall'amplesso di un mostruoso serpente. Nondimeno lo stesso [Alessandro] si comportò in tal ma­ niera da credersi figlio di un dio. Visitò tutte le parti del mondo, si servi di Ari­ stotele e Callistene come maestri, sottomise l'Asia, l'Armenia, l'Iberia, l'Alba­ nia, la Cappadocia, la Siria e l'Egitto; attraversò il Tauro e il Caucaso, sottomi­ se i Battriani, regnò sui Medi e Persiani, conquistò l'India, percorrendo tutto il territorio che avevano visitato Libero ed Ercole. Ebbe una bellezza sovrumana ed eccelsa, il collo slanciato, gli occhi vivaci [scintillanti] , le guance appena ro­ sate, e il resto del corpo non era privo di una certa maestosa venustà. Vincitore di tutti, ma vinto dal vino e dall'ira: e infatti terminò i suoi giorni a Babilonia, distrutto dall'ubriachezza, e ridotto in uno stato più vile della fortuna che co­ nobbe in vita. Dopo di lui, coloro che vissero li sappiamo nati più per accrescere la gloria di Roma, che per essere i depositari dell'eredità di un simile nome. La Macedonia produce una pietra che chiamano peanite. È molto diffu­ sa la credenza che proprio questa sia la pietra che fa concepire, partorire e da­ re assistenza durante il parto. Se ne trovano in grande quantità presso il se­ polcro di Tiresia. Ora è già il momento per avviarci verso la Tracia e orientare le vele [del nostro pèriplo] verso le genti più forti d'Europa. Coloro che vogliono stu­ diarli, con coscienza, scopriranno che questi barbari traci mostrano indub­ biamente un disprezzo per la vita nato da un certo modello d'innata sapien­ za. Tutti concordano nell'accettare una morte volontaria, mentre una parte di essi credono che le anime dei defunti si reincamino, gli altri suppongono che non si estinguano, ma, al contrario, trasmigrino in una vita più felice. Nella maggioranza di loro le nascite sono avvertite come un lutto; e così il nuovo pa­ dre accoglie il figlio piangendo; al contrario, i funerali sono talmente allegri che si seguono i defunti tra manifestazioni di giubilo. Gli uomini si vantano

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numero se viri iactant et honoris loco iudicant multiplex matrimo­ nium. quae feminae tenaces sunt pudicitiae, insiliunt defunctorum rogos coniugum et, quod maximum insigne ducunt castitatis, praecipites in flammas eunt. nupturae non parentum arbitrio transeunt ad maritos, sed quae prae aliis specie valent subhastari volunt et licentia taxationis admissa non moribus nubunt, sed praemiis: quas formae premit dedecus, dotibus emunt quibus coniungantur. uterque sexus epulantes focos ambiunt, herbarum quas haben t semine ignibus superiacto, cuius nido re perculsi pro laetitia habent imitati ebrietatem sensibus sauciatis". De ritu ista sunt, de locis et populis quae secuntur. Stry­ monem accolunt dextro latere Denseletae, Bessorum quoque multa nomina ad usque Mestum amnem, qui radices Pangaei circumfluit. Hebrum Odrysarum salurn fundit, qui fluvius excurrit inter Priantas Dolongos Thynos Corpilos aliosque barbaros: tangit et Ciconas. deinde Haemus sex milibus passuum arduus, cuius aversa Moesi Getae Sarmatae Scythae et plurimae insidunt nationes". Ponticum litus Sithonia gens obtinet, quae nato ibi Orpheo va te inter prin­ cipes iudicatur: quem sive sacrorum sive cantuum secreta in Sper­ chivo promunturio agitasse tradunt". deinde stagnum Bistonium. nec longe regio Maronia. in qua Tirida oppidum fui t equorum Diomedis stabulum'': sed cessit aevo solumque turris vestigium ad­ huc durat. lnde non procul urbs Abdera, guam Diomedis soror et condidit et a se sic vocavit, mox Democriti domus physici'4 ac si verum rimere, ideo nobilior. hanc Abderam olympiade prima et tricesima'' senio conlapsam Clazomenii ex Asia ad maiorem faciem restitutam oblitteratis quae praecesserant nomini suo vindicaverunt. Locum Doriscon inlustrem reddidit Xerxis'6 adventus, quod ibi recoluit militis sui numerum. Polydori tumulum ostendit Aenus'7, in parte, quam Aroteres Scythae tenuerunt, celebrant quondam urbem Geraniam (Cathizon vocant barbari), unde a gruibus Pygmaeos ferunt pulsos'8. manifestum sane est in septemtrionalem plagam

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del numero delle mogli e considerano un segno d'onore l'aver contratto mol­ ti matrimoni. Le donne sono di orgogliosa pudicizia, salgono sulla pira fune­ raria del coniuge, e - questo rappresenta per loro la massima prova d'integrità - si precipitano tra le fiamme. Le ragazze da accasare non scelgono il coniu­ ge sulla base della volontà paterna, ma quelle che sono più belle delle altre si mettono all'asta e, una volta permessa la libera contrattazione, non si sposa­ no secondo una regola di qualità, ma sulla base delle offerte; le giovani che sanno di essere non avvenenti, comprano con la dote un uomo da sposare. Uo­ mini e donne, mentre mangiano, si collocano vicino al focolare, e vi gettano sopra i semi di un'erba che hanno con sé e, inebriati dall'aroma, considerano piacevole imitare l'ubriachezza con tutte le loro facoltà stordite. Questa è la descrizione dei loro costumi; quanto segue riguarda località e popoli della Tracia. Sulla riva destra dello Strimone vivono i Denseleti, così come molte stirpi dei Bessi sono disperse fino al fiume Mesto, che corre in­ torno alle falde del monte Pangeo. li territorio degli Odrisii vede nascere l'E­ bro; un fiume che scorre per le terre dei Prianti, Dolonghi, Tini, Corpili e al­ tre tribù barbare: e bagna anche il paese dei Ciconii. C'è poi il monte Emo, alto seimila piedi, alle cui falde vivono Mesi, Ceti, Sarmati, Sci ti e moltissime altre popolazioni. Le rive del Ponto le occupa la tribù dei Sitoni, considerata una delle principali perché proprio lì nacque il vate Orfeo: di lui si racconta che abbia praticato i segreti dei suoi riti sacri e delle sue melodie musicali pres­ so il promontorio Spercheo. Infine c'è il lago Bistonio. Non troppo !ungi il territorio di Maronea, nel quale esistette la fortezza di Tirida, stalla dei caval­ li di Diomede: ma non ha resistito al tempo, e oggi ne sono pervenute solo le vestigia di una torre. Non lontano da lì, troviamo la città di Abdera, che la sorella di Diomede fondò dandogli il proprio nome, patria poi dello scienziato Democrito: se la si osserva con la dovuta attenzione, appare ancor più insigne. Questa Abde­ ra, all'epoca della trentunesima Olimpiade distrutta dal tempo, fu riportata al primitivo fulgore dai Clazomenii venuti dall'Asia che, dimenticando la storia trascorsa, la ritennero come opera propria. La spedizione di Serse rese famosa la località di Dorisco, dato che lì pas­ sò in rivista le sue truppe. Eno mostra il sepolcro di Polidoro. Nella zona che occuparono gli Sciti Aroteri, si narra che vi fosse un tempo la città di Gerania (i barbari la chiamano Catizo), dove raccontano che i Pigmei fossero stati cac­ ciati dalle gru. È cosa unanimemente accetta che d'inverno le gru migrino, in

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hieme grues frequentissimas convolare. nec piguerit meminisse qua­ tenus expeditiones suas dirigant. sub quodam militiae eunt signo, et ne pergentibus ad destinata vis flatuum renitatur, harenas devorant sublatisque lapillulis ad moderatam gravitatem saburrantur. tunc contendunt in altissima, ut de excelsiori specula metentur quas petant terras. fidens meatu praeit catervas: volatus desidiam castiga! voce quae cogit agmen, ea ubi obraucata est succedit alia. Pontum trans­ iturae angustias captant, et quidem eas (nam promptum est oculis deprehendere) quae inter Tauricam sunt et Paphlagoniam, id est inter Carambim et Criumetopon. cum contra medium alveum adventasse se sciunt, scrupulorum. sarcina pedes liberant. ita nautae pro­ diderunt conpluti saepe ex illo casu imbre saxatili. harenas non prius revomunt quam securae sedis sua e fuerint. concors cura omnium pro fatigatis, adeo ut si qua defecerit congruant universae lassatas­ que sustollant usque dum vires otio recuperentur. nec in terra cura segnior. excubias nocte dividunt ut exsomnis sit decima quaeque. vigiles ponduscula digitis amplectuntur, quae si forte exciderint som­ num coarguant. quod cavendum erit clangor indica t. aetatem in illis prodit color: nigrescunt senectute'9• Veniamus ad promunturium Ceras Chryseon Byzantio'' oppido nobile, antea Lygos dictum, quod a Dyrrhachio abest septingentis undecim milibus passuum: tantum enim patet inter Adriaticum mare et Propontidem.

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grandissimo numero, verso settentrione. E non costa nulla ricordare in qual modo organizzino le loro migrazioni. Viaggiano secondo un certo schiera­ mento militare, e perché l'impeto dei venti non opponga resistenza a quelle che s'affrettano alla meta, inghiottono terriccio e, portando sassolini, si za­ vorrano per equilibrare il peso in volo. Poi raggiungono altissime quote, in modo da distinguere le terre a cui volano da un punto d'osservazione assai ele­ vato. Sicura della rotta, una cicogna precede lo stormo: quella che lo chiude sollecita con strida nel caso d'indugi nel volo e, non appena si mostra arro­ chita, ne subentra un'altra. Per attraversare il Ponto, cercano gli stretti e, in concreto (poiché risulta facile a loro distinguerli), quei passaggi che s'incon­ trano tra il [Chersoneso] Taurico e la Paflagonia, ossia tra [i promontori] Ca­ rambis e Criumetopon. Quando poi avvertono che sono giunte al centro del­ l'alveo marino, liberano le zampe dalla zavorra dei sassi. Questo almeno lo raccontano i marinai, spesso raggiunti da quella pioggia accidentale di pie­ truzze. n terriccio non lo vomitano prima di sentirsi al sicuro sull'obiettivo raggiunto. Tutte le gru si preoccupano congiuntamente di quelle stanche per il volo, tanto che se qualcuna perde quota, si raggruppano assieme e sosten­ gono quella in crisi fino a che, grazie al riposo, non recupera le forze. E al suo­ lo la premura non è inferiore. Durante la notte dividono turni di guardia, in modo che resti sveglia almeno una decima parte di loro. Le sentinelle strin­ gono con le zampe un piccolo peso, in modo tale che, se per caso cade al suo­ lo, riveli il colpo di sonno. Uno stridio acuto le avverte del pericolo. n passa­ re degli anni lo mostra il colore delle piume: diventano nere con l'età. Veniamo al promontorio Ceras Criseo, celebre per la città di Bisanzio, prima chiamata Ligos, che dista da Durazzo 7II.ooo passi: è esattamente la di­ stanza che intercorre fra il mare Adriatico e la Propontide.

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lnter Anthropophagos in Asiatica parte numerantur Essedones qui et ipsi nefandis funestantur imer se cibis. Essedonum mos est pa­ rentum funera prosequi cantibus et proximorum corrogatis coetibus corpora ipsa dentibus lancinare ac pecudum mixta carnihus dapes fa­ cere: capitum etiam ossa auro incincta in poculorum tradere mini­ sterium'. Scythotauri pro hostiis caedunt advenas. Nomades pabula secuntur. Georgi in Europa si ti agros exercent. Asiatae perinde in Europa siti neque mirantur aliena neque sua diligunt. Satarchae usu auri argentique damnato in aeternum se a publica avaritia vindicarunt. Scytharum interius habitantium asperior ritus est: specus incolunt: pocula non ut Essedones, sed de inimicorum capitibus mo­ liuntur: amant proelia: interemptorum cruorem e vulneribus ipsis bibunt: numero caedium honor crescit, quarum expertem esse apud eos prohrum est: haustu mutui sanguinis foedus sanciunt non suo tantum more, sed Medorum quoque usurpata disciplina'. bello deni­ que, quod gestum est olympiade nona et quadragesima, anno post llium captum sescentesimo quarto, imer Alyatten Lydum et Astyagen Mediae regem, hoc pacto firmata sunt iura pacis'. Colchorum urbem Dioscuriadem Amphitus et Cercius aurigae Castoris et Pollucis con­ diderunt, a quibus Heniochorum gens exorta est•. Ultra Sauromatas in Asia sitos, qui Mithridati latebram et qui bus originem Medi dederunt, confines sunt Thali his nationihus quas ab oriente contingunt Caspii maris fauces: quae fauces mirum in modum maciantur imbribus, crescunt aestibus5• Heniochorum montes Araxen, Moschorum Phasidem fundunt. sed Araxes brevihus intervallis ab Euphratis ortu

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[Orrori e tesori della Scizia]

Fra gli Antropofagi della regione asiatica si annoverano gli Essedoni, che si macchiano proprio col vizio abominevole di divorarsi gli uni con gli altri. È usanza degli Essedoni di celebrare con canti le esequie dei genitori e, riuniti in gruppo tutti i parenti, di dilaniare con i denti quegli stessi cadaveri e di al­ lestire un banchetto mescolandone i pezzi con altra carne di quadrupedi: e poi usano i crani come coppe, ricoprendoli con un fondo d'oro. Gli Scitotauri uccidono gli stranieri, come se fossero vittime sacrificali. I Nomadi ricercano pascoli. I Georgiani, insediati in Europa, coltivano i cam­ pi. Gli Asiati, anch'essi europei, non si curano delle cose altrui, né apprezza­ no le proprie. I Satarchi si liberarono dell'avarizia della loro stirpe, condan­ nando l'impiego dell'oro e dell'argento. n genere di vita degli Sciti che abita­ no più addentro [nell'Asia] è assai duro: vivono in grotte, non confezionano coppe come gli Essedoni, se non con le teste dei nemici. Sono amanti della guerra; bevono il sangue dei caduti uccisi succhiando dalle piaghe. n numero dei nemici massacrati incrementa la considerazione sociale, e si considera tra loro un obbrobrio essere privi di un simile trofeo. Sanciscono i patti beven­ dosi reciprocamente il sangue, non solo per proprio costume, ma come usan­ za copiata dai Medi. Infatti, nella guerra che oppose Aliatte Lidio ad Astiage re dei Medi, nella quarantanovesima Olimpiade, 604 anni dopo la ceduta di Troia, il giuramento di pace fu ratificato proprio in questo modo. Dioscuria­ de, città della Colchide, fu fondata da Amfito e Cercio, aurighi di Càstore e Pòlluce, da cui discende il popolo degli Eniochi. Oltre i Sauromati che vivono in Asia, diedero rifugio a Mitridate e di­ scendono dai Medi, ci sono i Talii, limitrofi delle popolazioni i cui territori so­ no contigui, nel settore orientale, alle bassure del mar Caspio. Queste decre­ scono, incredibilmente, nella stagione delle piogge, riprendono di livello d'e­ state. Nei monti degli Enìochi nasce il fiume Arasse, il Fasi scende da quelli della Moscovia. Tuttavia l'Arasse ha le sue scaturigini a poca distanza dalle fon-

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caput tollit ac deinde in Caspium fertur mare'. Arimaspi circa Ges­ clithron positi uniocula gens est. ultra hos et Riphaeum iugum regio est assiduis obsessa nivibus: Pterophoron dicunt, quippe casus continuantium pruinarum quiddam ibi exprimit simile pinnarum. dam­ nata pars mundi et a rerum natura in nubem aeternae caliginis mersa ipsisque prorsus aquilonis conceptaculis rigentissima. sola terrarum non novit vices temporum nec de caelo aliud accipit guam hiemem sempiternam7• In Asiatica Scythia terrae sunt locupletes, inhabitabiles tamen: nam cum auro et gemmis affluant, grypes tenent universa, alites fero­ cissimi et ultra omnem rabiem saevientes. quorum inmanitate obsis­ tente advenis accessus rarus est: quippe visos discerpunt, velut geniti ad plectendam avaritiae temeritatem. Arimaspi cum bis dimicant, ut intercipiant lapides, quorum non aspernabimur persegui qualitatem8• smaragdis hic locus patria est, quibus tertiam imer lapides dignitatem Theophrastus9 dedit: nam licet sint et Aegyptii et Calchedonii et Me­ dici et Laconici, praecipuus est honos Scythicis. nihil bis iucundius, nihil utilius vident oculi. in primis virent ultra aquaticum gramen, ultra amnicas herbas: deinde obtutus fatigatos coloris reficiunt leni­ late, nam visus quos alterius gemmae fulgor retuderit smaragdi re­ creant. nec aliam oh causam placuit, ut non sculperentur, ne offen­ sum decus imaginum lacunis corrumperetur: quamquam qui verus est difficulter vulneretur. probantur hoc pacto, si aspectus trans­ mittant: si cum globosi sunt proxima sibi inficiant aere repercusso, aut cum concavi sunt inspectantium facies aemulentur: si neque umbra neque lucernis neque sole mutentur. optimos tamen sortiuntur situs quibus planities resupina est et extenta. inveniuntur etesiis flanti­ bus: tunc enim detecto solo facillime internitent: nam etesiae p l uri­ mum harenas movent. alii minus nobiles in commissuris saxorum ve! in metallis aerariis apparent, quos chalcosmaragdos nuncupant. vitiosi eorum intrinsecus quasdam sordes habent, ve! plumbo ve! capillamentis ve! etiam sali similes. laudantur austeri. sed mero

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ti dell'Eufrate, e poi sbocca nel Caspio. Gli Arimaspi, che vivono intorno al Gesclitro, sono una razza umana con un occhio solo. Oltre i loro territori e i monti Rifei esiste una regione ricoperta da nevi perenni: la chiamano Pteròfo. ro, dato che l'incessante caduta di neve lì riproduce qualcosa di molto simile a una pioggia di piume. È una parte maledetta del mondo, naturalmente im­ mersa in una caligine di eterna oscurità, e tutta gelata dalle stesse zone di pro­ venienza dei venti aquilonari. È l'unica fra tutte le terre che non conosce il rit­ mo delle stagioni e null' altro riceve dal cielo se non un freddo perpetuo. Nella Scizia asiatica vi sono territori ricchi, ma però inabitabili: infatti benché abbondino d'oro e di pietre preziose, sono proprietà dei grifoni, uc­ celli ferocissimi, e capaci d'infierire oltre ogni crudeltà immaginabile. Per la loro persistente ferocia, pochi sono i forestieri che si spingono sin lì, dato che straziano gl'intrusi, come se fossero uccelli nati per punire la bramosia. Gli Arimaspi sono in guerra con loro, per impadronirsi delle gemme, del cui va­ lore vale la pena parlare. Questo territorio è la patria degli smeraldi, a cui Teo­ frasto diede il terzo posto fra le pietre preziose: quantunque ve ne siano del­ l'Egitto, della Calcedonia, della Media e della Laconia, i più preziosi sono quelli scitici. Nulla è più piacevole per gli occhi [degli smeraldi] , nulla è più vantaggioso. In primo luogo hanno un verde più intenso di quello del prato umido, più forte delle stesse piante fluviali. Inoltre, grazie alla delicatezza del colore, alleviano gli occhi affaticati, dato che gli smeraldi rinnovano la perce­ zione visiva abbacinata dal brillìo di altra gemma. Non esiste altro motivo di non provvedere alla loro incisione, se non quello di non distruggerne la bel­ lezza, lesa dal profilo di figure: per quanto un vero smeraldo sia difficile da in­ tagliare. Si valutano così: se appaiono trasparenti; se, quando sono convessi, col riverbero della luce colorano gli oggetti vicini; se, quando sono concavi, rispecchiano il volto di chi li guarda; se non trascolorano né stando al buio, né alla luce delle candele, né sotto il sole. Tuttavia ottengono la migliore va­ lutazione quelle pietre la cui superficie presenta una leggera inflessione e so­ no schiacciate. [Gli smeraldi] si trovano quando soffiano i venti etèsii: pro­ prio allora, essendo pulito il suolo, si rivelano dal brillìo con estrema facilità; infatti i venti etèsii soffiano via la sabbia [che li ricopre] . Altri di minor valo­ re si scoprono nelle commessure dei sassi o nelle ntiniere dei metalli: li chia­ mano calcosmeraldi. Quelli imperfetti hanno nel loro interno mondiglie o di piombo o di filamenti erbosi o anche di grani salini. Ricevono pregio dal co­ lore deciso. Ma con l'olio migliorano, bagnati, la purezza del loro verde, per

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viridi proficiunt oleo, quamvis natura inbuantur. et cyaneus e Scythia est, optimus si caerulo coruscabit. cuius gnari in marem et feminam genus dividunt: feminis nitor purus est, mares punctillis ad gratiam interlucentibus auratilis pulviculus variat". Istic et crystallus, quem licet pars maior Europae et particula Asiae subministret, pretiosissimum tamen Scythia edit. multus ad pocula destinatur, quamlibet. nihil aliud quam frigidum pati possit. sexan­ gulus invenitur. qui eligunt purissimum captant, ne quid rufum, ne nubilum ve! spumis obsitum arceat perspicuitatem: tunc ne duritia iusto propensior obnoxium fragilitati magis faciat. putant glaciem coire et in crystallum corporari: sed frustra: nam si ita foret, nec Alabanda Asiae nec Cypros insula hanc materiam procrearent, quibus admodum ca!or iugis est. Livia Augusti ad magnitudinem CL librarum imer Capitolina donaria crystallum dedicavit". Fabulae erant Hyperborei et rumor irritus, si quae illinc ad nos usque fluxerunt, temere forent eredita: sed cum probissimi auc­ tores et satis vero idonei sententias pares faciant, nullus falsum re­ formidet. de Hyperboreis rem loquemur. incolunt pone Pteropho­ ron, quem ultra aquilonem accipimus iacere. gens beatissima. eam Asiae quidam magis quam Europae dederunt. alii statuunt mediam inter utrumque solem, antipodum occidentem et nostrum renascentem: quod aspernatur ratio tam vasto mari duos orbes interfluente. sunt igitur in Europa. apud quos mundi cardines esse credunt et ex­ timos siderum ambitus, semenstrem lucem, aversum una tantum die solem: quamquam existant qui putent non cotidie ibi solem, ut nobis, sed vernali aequinoctio exoriri, autumnali occidere: ita sex mensibus infinitum diem, sex aliis continuam esse noctem. de caelo magna clementia: aurae spirant salubriter: nihil noxium flatus habent. do­ mus sunt nemora ve! luci: in diem victum arbores sumministrant.

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quanto ne siano dotati dalla natura. Anche il ciano proviene dalla Scizia, e il più stimato è quello che ha riflessi cerulei. Gl'intenditori distinguono due ti­ pi, il ciano maschio e il ciano femmina: quest'ultimo è di un puro nitore, il ma­ schio è adorno di una superficie puntiforme screziata di riflessi d'oro, che gli danno fascino. Proprio qui nasce il cristallo, e per quanto lo producano la maggior par­ te d'Europa e una ristretta area dell'Asia, tuttavia quello della Scizia è il più prezioso. Lo si destina per lo più alla fabbrica dei bicchieri, malgrado sia so­ lo capace di resistere alle cose fredde. Lo si trova in pezzature esagonali. Co­ loro che lo raccolgono ricercano il più puro, in modo che la sua trasparenza non sia compromessa da alcuna vena rossastra o nebulosità o deposito spu­ gnoso e, in ultima istanza, che nessuna durezza più rilevante del normale lo esponga al pericolo della frattura. Si crede che il ghiaccio si comprima e for­ mi il cristallo: ma a torto, perché se fosse così, né Alabanda, in Asia Minore, né Cipro, dove nei monti c'è molto caldo, produrrebbero simile materiale. Li­ via, la moglie di Augusto, tra i doni offerti al Campidoglio, consacrò un cri­ stallo che pesava 150 libre. Gli lperborei sarebbero favolosi e nome privo di valore se le notizie a noi giunte da quei luoghi fossero tranquillamente accettate: ma poiché scrit­ tori intemerati e davvero molto esperti mantengono idee identiche, nessuno deve temere di scrivere il falso. Parliamo [dunque] degli lperborei. Abita­ no dietro il Pteròforo, che sappiamo esteso oltre l'aquilone. Sono un popo­ lo felicissimo. Alcuni lo hanno localizzato più in Asia che in Europa. Altri credono che vivano nel punto intermedia tra l'uno e l'altro sole, quello che si pone agli antipodi e quello nostro che risorge: è una teoria tale da respin­ gere la ragione, considerando che tra i due territori corre un così vasto ma­ re. Vivono, di conseguenza, in Europa. Si crede che nel loro territorio s'in­ contrino i cardini del firmamento e il punto estremo della rivoluzione degli astri, che la luce del giorno duri sei mesi, e che il sole stia nascosto soltanto un periodo; per quanto vi siano persone che ritengono il sole incapace di rendersi visibile ogni dì - come avviene da noi - ma che sorga nell'equino­ zio di primavera e tramonti in quello di autunno; in questo modo il dì è con­ tinuo per sei mesi, e durante gli altri sei la notte è perpetua. [Lì] il cielo è temperato, le brezze soffiano in modo salutare, i venti non portano nulla di nocivo. Le loro case sono le foreste e i boschi: la vegetazione arborea som­ ministra di giorno in giorno il sostentamento. Non conoscono discordie,

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discordiam nesciunt: aegritudine non inquietantur: ad innocentiam omnibus aequale votum. mortem accersunt et voluntario interitu castigant obeundi tarditatem: quos satias vitae tenet, epulati delibutique de rupe nota praecipitem casum in maria destinant: hoc sepulturae genus optimum arbitrantur". aiunt etiam solitos per virgines pro· batissimas primitiva frugum Apollini Delio missitare: verum ha e quo­ niam perfidia hospitum non inlibatae revenissent, devotionis guam peregre prosequebantur pontificium mox intra fines suos receperunt'3• Altera in Asia gens est ad initium orientis aestivi, ubi deficiunt Riphaeorum montium iuga. Hyperboreis similes dicunt Arimphaeos'4• et ipsi gaudent frondentibus arbustorum: bacas edunt. iuxta viros ac feminas taedet crinium: uterque sexus comas tondet. amant quietem, non amant laedere. sacri habentur attrectarique eos etiam a ferocis­ simis nationibus nefas ducitur. quicumque periculum a suis metuit, si ad Arimphaeos transfugerit, tutus est, velut asylo tegatur. ultra hos Cimmerii et gens Amazonum'5 porrecta ad Caspium mare, quod dilap­ sum per Asiatica e plagae terga Scythicum inrumpit Oceanum. Magnis deinde spatiis intercedentibus ostia Oxi fluminis Hyrcani ha ben t, gens silvis aspera, copiosa inmanibus feris, feta tigribus'6• quod bestiarum genus insignes maculis notae et pernicitas memora­ bile reddiderunt. fulvo nitent: hoc fulvum nigrantibus segmentis interundatum varietate ad prime decet. pedum motum nescio ve­ locitas an pervicacia magis adiuvet. nihil tam longum est quod non brevi penetrent: nihil adeo antecedit, ut non ilico adsequantur. ac maxime potentia earum probatur, cum maternis curis incitantur, cum catulorum insistunt raptoribus: succedant sibi equites licet et astu quantolibet amoliri praedam velint, nisi in praesidio maria fuerint, frustra est ausum omne. notantur frequentissime, si quando latrones suos renavigantes vident, in litore irrita rabie cemuari, velut propriam tarditatem voluntaria castigantes ruina: quamquam de fetu universo vix unus queat subtrahi'7• Pantherae quoque numerosae sunt in Hyrcania, minutis orbi­ culis superpictae, ita ut oculatis ex fulvo circulis ve! caerula ve! alba

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non sono assillati da malattie, e tutti vivono in uno stato d'innocenza. Invo­ cano la morte, e col suicidio puniscono l'eccessivo protrarsi della vita: quel­ li che sono stanchi di vivere, dopo il pranzo e una toeletta profumata, deci­ dono di precipitarsi in mare da una rupe stabilita. Credono che questa sia la migliore sepoltura. Raccontano anche che siano soliti inviare ad Apollo De­ lio le primizie dei loro raccolti per mano di fanciulle vergini: ma poi, dato che le giovani non erano ritornate illibate per la perfidia degli ospiti, scelse­ ro di realizzare questo voto: che la devozione prima compiuta in un paese straniero fosse esercitata entro il proprio territorio. Esiste un altro popolo in Asia, sito all'inizio dell'oriente estivo, dove ter­ minano le catene dei monti Rifei. Affini agli lperborei, si chiamano Arinfei. E anch'essi traggono sollievo dalla vegetazione arbustiva: mangiano bacche. Tanto gli uomini quanto le donne disprezzano la capigliatura: entrambi i ses­ si si tagliano i capelli. Amano la pace, non sono aggressivi. Li si considera una stirpe sacra e, persino fra le popolazioni più feroci, si ritiene un sacrilegio as­ salirli. Chiunque teme un pericolo nella sua patria, se fugge presso gli Arinfei, è al sicuro, come se fosse protetto dal diritto di asilo. Oltre costoro abitano i Cimmeri e la stirpe delle Amazzoni, estesa fino al mar Caspio, il quale, dila­ gando sulla superficie della steppa asiatica, irrompe nell'Oceano sci ti co. Da lì, superate grandi estensioni di terreno, gli lrcani abitano le foci del fiume Oxo; un paese di boschi selvaggi, ricco di fiere feroci, pieno di tigri. Questo genere di belve è famoso per la pelle maculata e la ferocia aggressiva. Hanno un colore fulvo: e questo pelame dorato, screziato a bande nere, le si adatta a meraviglia. Non so se le caratterizzi di più, riguardo allo scatto delle zampe, la velocità o l'ostinazione aggressiva. Non c'è uno spazio così vasto che non lo attraversino in breve tempo: niente può sorpassarle di tanto che non sia subito braccato. La loro forza si mostra soprattutto se sono provocate nel­ l' amore materno, quando inseguono chi ha catturato i loro cuccioli: per quan­ to i cavalieri si alternino nella corsa e credano di sfuggire alla cattura con un qualche stratagemma, tutta la loro fatica sarebbe vana se il mare non servisse da scampo. Si avverte in particolare che allorché vedono i trafugatori dei lo­ ro piccoli gettarsi nuovamente tra le onde, si precipitano sulla spiaggia, quasi volessero punire la propria lentezza [a vendicarsi] con una morte volontaria: anche se di tutta la sua cucciolata può a stento prendersi un tigrotto. Anche le pantere sono numerose in lrcania, screziate di minute macchie, in modo tale che la loro pelle dorsale, chiara o scura che sia, si distingue per

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distinguatur tergi supellex. tradunt odore earum et contemplatione armenta mire adfici atque ubi eas persentiscant properato convenire nec terreri nisi sola oris torvitate: guam ob causam pantherae ab­ sconditis capitibus guae corporis reliqua sunt spectanda praebent, ut greges stupidos in obtutum populentur secura vastatione. sed Hyr­ cani, ut hominibus intemptatum nihil est, frequentius eas veneno guam ferro necant. aconito carnes inlinunt atque ita per compita spargunt semitarum: quas ubi esae sunt, fauces angina obsidentur. ideo gramini nomen pardalianchem dederunt'8• sed pantherae ad­ versus hoc virus excrementa humana devorant'9 et suopte ingenio pesti resistunt. lenta illis vivacitas, adeo ut eiectis interaneis mortem diu differant. in bis silvestribus et pardi sunt, secundum a pantheris genus, noti satis nec latina exequendi: quorum adulteris coitibus degenerantur partus leaenarum et leones quidem procreantur, sed ignobiles".

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macule di color fulvo. Raccontano che gli armenti sentano una strana attra­ zione per l'odore della pantera e per contemplare il suo aspetto e che, quan­ do percepiscono la sua presenza, le corrono incontro rapidamente e non si mostrano spaventati se non dalla ferocia del muso; questo è il motivo per cui le pantere nascondono la testa e lasciano vedere il resto del corpo, per proce­ dere poi, in sicurezza, alla strage del bestiame in attonita contemplazione. Ma gli Ircani, dato che gli uomini non hanno mai lasciato nulla d'intentato, le uc­ cidono più frequentemente con il veleno che non con le armi. Ricoprono di aconito dei pezzi di carne e li spargono così preparati per gl'incroci dei sen­ tieri: quando viene ingoiato il cibo, le fauci restano paralizzate. Per questo die­ dero all'erba il nome di pardalianche. Ma le pantere contro questo veleno di­ vorano sterco umano, e con un proprio ritrovato fanno fronte alla malattia mortale. Hanno una tenace forza vitale, tanto che, rigettando [il contenuto] delle interiora, allontanano a lungo la morte. In questi luoghi silvestri si tro­ vano anche i pardi, una specie secondaria di pantere, abbastanza noti e non tali da richiedere ulteriori spiegazioni. Dalle unioni adultere con i pardi na­ scono i figli bastardi delle leonesse, e sono leoni, ma d'ignobile razza.

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Mons Saevo ipse ingens nec Riphaeis minor collibus initium Germaniae facit'. lnguaeones' tenent, a quibus printis post Scythas nomen Germanicum consurgit. dives virum terra, frequens populis nume­ rosis et inmanibus. extenditur inter Hercynium saltum' et rupes Sar­ matarum. ubi incipit Danuvio, ubi desini t Rheno perfunditur. de intemis eius partibus Alba Guthalus Viscla amnes latissinti praecipitant in Oceanum4• Saltus Hercynius aves gignit, quarum pennae per obscurum emi­ cani et interlucent, quamvis obtenta nox dense! tenebras'. unde ho­ ntines loci illius plerumque noctumos excursus sic destinant, ut illis utantur ad praesidium itineris dirigendi, praeiactisque per opaca cal­ lium rationem viae moderentur indicio plumarum refulgentium. in hoc tractu sane et in omni septentrionis plaga visontes6 frequen­ tissimi, qui bovis feri similes, saetosi colla, iubas hon-idi, ultra tauros pernicitate, capti adsuescere manu nesciunt. sunt et uri7, quos in­ peritum vulgus vocat bubalos, cum bubali paene ad cervinam faciem in Africa procreentur. istis porro quos uros dicimus taurina comua in tantum modum protenduntur, ut dempta ob insignem capacitatem inter regias mensas potuum gerula fiant. est et alce mulis compa­ randa, adeo propenso labro superiore, ut nisi recedens in posteriora vestigia pasci non queat8• Gangavia insula e regione Germaniae ntittit anima! quale alce, sed cuius suffragines ut elephantis flecti ne­ queunt: propterea non cubat, cum dormiendum est, tamen somnulen­ tam arbor sustinet, guae prope casuram secatur, ut fera dum adsuetis fulmentis innititur faciat ruinam. ita capitur: alioquin difficile est eam mancipari: nam in illo rigore poplitum inconprehensibili fuga

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[Germania, Gallie, Britannia, Spagna]

li monte Sevo, di per sé imponente, e non minore dei monti Rifei, dà ini­ zio alla Germania. Qui abitano gli lngueoni, i primi da cui nasce, dopo gli Sci­ ti, il nome di Germani. È una terra ricca di uomini, piena di tribù numerose e feroci. Si estende tra la selva Ercinia e le rocce della Sarmazia. All'inizio è bagnata dal Danubio, dove termina dal Reno. Dalle regioni interne del paese si versano nell'Oceano larghissimi fiumi, l'Alba, il Gùtalo e la Vistola. La selva Ercinia dà vita a uccelli le cui piume brillano ed emettono riflessi nell'oscurità, per quanto la notte fonda possa raddensare le tenebre. Perciò gli abitanti di questa zona generalmente organizzano le loro spedizioni not­ turne servendosi di tali uccelli come aiuto per dirigere la marcia e, tenendoli dinanzi per l'oscurità dei sentieri, regolano il cammino con la guida che of­ frono le loro piume brillanti. In questo territorio e in tutta la regione setten­ trionale sono molto comuni i bisonti, animali simili ai buoi selvatici, col collo pieno di pelo, il vello crespo, più aggressivi dei tori, una volta catturati im­ possibili da addomesticare. Vi sono pure gli uri, che il volgo ignorante chia­ ma bufali, quando questi, con un muso simile ai cervi, nascono in Africa. Non­ dimeno ad animali simili, che chiamiamo uri, spuntano corna da toro talmen­ te lunghe che, una volta tagliate, s'impiegano come coppe da bere, per la lo­ ro capienza, nelle mense dei re. Qui vive anche l'alce, paragonabile ai muli, con il labbro superiore talmente pronunciato che non può pascolare se non re­ trocedendo sui propri passi. I:isola di Gangavia, della regione germanica, ve­ de nascere un animale simile all'alce, le cui zampe posteriori, come quelle del­ l'elefante, non si possono piegare: perciò al momento di prendere sonno non si sdraia, e un albero lo sostiene mentre dorme; tale pianta viene tagliata in mo­ do da farla cadere alla minima pressione, così che la bestia, mentre si appog­ gia al solito sostegno, rotola rovinosamente. Si prende con tale stratagemma, altrimenti è difficile catturarla in altro modo: difatti nella forza dei muscoli po-

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pollet'. de Germanicis insulis Gangavia maxima est, sed nihil in ea magnum praeter ipsam. Nam Glaesaria" dat crystallum, dat et sucinum: quod sucinum Germani gentiliter vocant glaesum". qualitas materiae istius summatim antea Germanico autem Caesare" omnes Germaniae oras scrutante conperta: arbor est pinei generis, cuius mediale autumni tempore sucino lacrimat. sucum esse arboris de nominis capessas qualitate: pinum vero, unde sit gignitum, si usseris, odor indicabit. pretium operae est scire longius, ne Padaneae silvae credantur lapidem fievisse''· hanc speciem in Illyricum barbari intulerunt: quae cum per Pannonica commercia usu ad Transpadanos homines foret devoluta. quod ibi primum nostri viderant, ibi etiam natam putaverunt. munere Neronis principis adparatus omnis sucino inornatus est: nec diffi­ culter, cum per idem tempus tredecim milia librarum rex Germaniae donum ei miserit'4. rude primum nascitur et corticosum, deinde in­ coctum adipe lactentis suis expolitur ad quem videmus nitorem. pro facie habet nomina: melleum dicitur et Falernum, utrumque de similitudine aut vini aut utique mellis. in aperto et quod rapiat folia, quod trahat paleas: quod vero medeatur multis vitalium in­ commodis, medentium docuit disciplina. et India habet sucinum, sed Germania plurimum optimumque. quoniam ad insulam Glaesa­ riam veneramus, a sucino coeptum. Nam in Germaniae continentibus gallaica reperitur, quam gemmam Arabicis anteponunt: vincit enim gratia. Arabes quidem dicunt non alibi eam deprehendi quam in nidis avium quas melancoryphos vocant: quod nullus recepit, cum apud Germaniae populos quamvis rara in saxis tamen appareat''· honore et pretio ad smaragdos viret pallidum. nihil iucundius aurum decet. cerauniorum porro genera diversa sunt. Germanicum candidum est: splendet tamen caerulo et si sub divo habeas, fulgorem rapit siderum'6•

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steriori risiede il motivo della sua fuga improvvisa. Delle isole della Germania Gangavia è la maggiore, ma non ha nulla di grande, tranne lei stessa. !:isola Glesaria poi produce cristallo, e genera pure l'ambra, che i Ger· mani chiamano, nella propria lingua, gleso. La qualità di questa materia, pri· ma conosciuta in modo sommario, si rivelò quando Germanico Cesare venne esplorando tutto il litorale della Germania; c'è un albero del genere dei pini, il cui interno distilla, durante l'autunno, gocce di ambra. Che si tratti del suc­ co di un albero, puoi dedurlo dalla denominazione: che tale albero, da cui de­ riva l'ambra, sia un pino, realmente, te lo rivelerà il suo odore bruciandolo al fuoco. Vale la pena approfondire l'argomento, perché non si creda che i bo­ schi della Padania distillino tale pietra. Questo prodotto lo portarono i bar­ bari nell'illiria: e poiché attraverso i commerci fu trasportato dalla Pannonia agli abitanti della Transpadania - per loro utile -, quando i nostri compatrio­ ti la videro lì per la prima volta, immaginarono che fosse originaria proprio di quel luogo. In uno dei giuochi [circensi] organizzati dall'imperatore Nerone, tutto l'apparato della festa era adornato con ambra: e questo non risultò dif­ ficile, dato che proprio in quel tempo il re della Germania gl'inviò in dono tre­ dicimila libbre di ambra. Allo stato naturale si presenta rozza e rugosa, poi, dopo esser stata cotta nel grasso di un animale giovane, si pulisce fino ad as­ sumere il nitore che conosciamo. A seconda del suo aspetto riceve diversi no­ mi: si chiama mèllea e Falerno, ed entrambe le denominazioni per l'analogia con il vino o con il miele. È un dato notorio che attira le foglie e fa avvicinare le pagliuzze: quanto poi al fatto che costituisca un valido rimedio per le ma· lattie, lo insegna la scienza medica. !:ambra c'è anche in India, ma la Germa· nia ne ha la quantità maggiore e la qualità migliore. Dato che abbiamo alluso all'isola Glesaria, l'abbiamo celebrata per l'ambra. Nella Germania continentale si trova poi la gallaica, gemma che è pre· ferita a quelle dell'Arabia: le supera in splendore, infatti. Gli Arabi, a loro volta, assicurano che non si trova da altra parte che nei nidi degli uccelli chia· ma ti melancorifi: ma questa storia è priva di fondamento, infatti presso le po­ polazioni dei Germani, sia pur non frequentemente, si trova però nelle roc­ ce. Ha un colore verde pallido, che si stima e apprezza come quello degli sme­ raldi. Non esiste altra pietra che meglio si combini con l'oro in modo più ele­ gante. Per di più, vi sono varie specie di ceraunie. Quella della Germania è candida, però ha un riflesso azzurrino e se la porti alla luce del giorno, toglie brillìo alle stelle.

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Galliae inter Rhenum et Pyrenaeum, item inter Oceanum et montes Cebennam ac luris porriguntur, praepinguibus glebis accom­ modae proventibus fructuariis, pleraeque consitae vitibus et arbustis, amni ad usum animantium fetu beatissimae, riguae aquis fluminum et fontium, sed fontaneis interdum sacris et vaporantibus. infaman­ tur ritu incolarum, qui ut aiunt (veri enim periculum non ad me recipio) iniuria religionis humanis litant hostiis'7• ex isto sinu qua­ qua orbis velis exeas: in Hispanias et in ltaliam terra marique: in Africam mari tantum: si Thracia sit petenda, excipit ager Raeticus optimus et ferax, inde Noricus frigidus et parcius fructuosus, tum Pan­ nonia viro fortis et solo laeta, deinde Moesiae'8, quas maiores nostri iure Cereris horreum nominabant. in quarum parte quae Pontica est appare! h erba, qua inficitur oleum quod vocant Medicum: hoc ad in­ cendium excitatum si obruere aqua gestias, ardet magis nec alia so­ pitur quam iactu pulveris'9• Finis era t orbis ora Gallici litoris, nisi Brittania insula non qualibet amplitudine nomen paene orbis alterius mereretur": octin­ genta enim et amplius milia passuum longa detinet", ita ut eam in Calidonicum usque angulum metiamur. in qua recessu Ulixem Ca­ lidoniae adpulsum manifesta! ara Graecis litteris scripta [votum]". Multis insulis nec ignobilibus circumdatur. quarum Hibemia ei proximat magnitudine, inhumana incolarum ritu aspero, alias ita pa­ bulosa, ut pecua, nisi interdum a pastibus arceantur, ad periculum agat satias''· illic nullus anguis, avis rara, gens inhospita et belli­ cosa. sanguine interemptorum hausto prius victores vultus suos oblinunt'4• fas ac nefas eodem loco ducunt. apis nusquam: advectum inde pulverem seu lapillos si quis sparserit inter alvearia, examina favos deserent. sed mare quod inter hanc et Brittaniam interluit un­ dosum inquietumque toto in anno nonnisi pauculis diebus est navigabile idque in centum viginti milia passuum'' latitudinis diffundi qui fidem ad verum ratiocinati sunt aestimarunt. Siluram'6 quoque insu­ lam ab ora guam gens Brittana Dumnonii tenent turbidum fretum distingui!. cuius homines etiamnunc custodi un t morem vetustum: nummum refutant: dant res et accipiunt: mutationibus necessaria

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Le Galli e si estendono fra il Reno e i Pirenei, e pure fra l'Oceano e le mon­ tagne delle Cevenne e del Giura; sono favorite dal suolo molto fertile, dai rac­ colti fruttuosi; per la maggior parte sono coltivate a vigne ed alberi, risultano ricchissime di qualsiasi tipo di prodotti idonei a sostentare i viventi, irrigate dall'acqua di fiumi e fonti, e talvolta pure da risorgive sacre che esalano va­ pori. Sono famigerate per le cerimonie degli indigeni che, a quanto si dice (ma io non mi faccio carico se questo risponda a verità), oltraggiando la religione, offrono in sacrificio vite umane. Da questo territorio puoi raggiungere qua­ lunque meta del mondo romano: la Spagna e l'Italia per terra e per mare; l'A­ frica solamente per mare; se devi viaggiare in Tracia, ti accoglie il territorio della Rezia, fertile e ricco, segue il Nòrico, freddo e non molto ferace, poi la Pannonia, doviziosa d'uomini e di prospero suolo, e poi ci sono le Mesie, che i nostri antenati definirono, a ragione, "il granaio di Cerere". In una loro zo­ na, chiamata Pòntica, esiste un'erba che viene intrisa di un olio detto di Me­ dia: una volta incendiata, se vuoi spegnerla con acqua, arde con più vigore, e non esiste altro modo di soffocarne le fiamme che gettarvi della polvere. Le coste del litorale delle Gallie costituirebbero il limite estremo della ter­ ra, se l'isola della Britannia, per la sua estensione dawero rilevante, non me­ ritasse di essere definita quasi un nuovo mondo. Ha, in effetti, una longitudi­ ne superiore agli 8oo.ooo passi, sempre che la misuriamo fino alla punta estre­ ma della Caledonia. In questo luogo remoto, un altare [votivo] con un'iscri­ zione greca rende manifesto che Ulisse arrivò fino in Caledonia. È circondata da molte e non trascurabili isole. Tra queste l'Irlanda, che pos­ siede simili dimensioni: isola selvaggia per i rozzi costumi dei suoi abitanti e, d'altra parte, così ricca di pascoli, che il bestiame, se non fosse talora allontana­ to dalla pastura, potrebbe morire satollo. Non vi si trova alcun serpente, gli uc­ celli sono scarsi, la popolazione è inospitale e bellicosa. Dopo una vittoria, si co­ spargono il volto col sangue dei vinti e prima lo bevono. Pongono a uno stesso livello il lecito e l'illecito. Non vi sono api in alcun luogo: se qualcuno sparge tra gli alveari polvere o terriccio [dell'isola] gli sciami abbandonano i favi. Ed an­ che il mare che separa quest'isola dalla Britannia, burrascoso e mosso, non è na­ vigabile tutto l'anno se non per pochi giorni, e coloro che hanno fatto calcoli af­ fidabili, conclusero che questo mare ha una larghezza di 120.000 passi. Un tem­ pestoso braccio di acque separa anche l'isola di Silura dalla costa abitata da una tribù di Britanni, i Durnnoni. La sua gente mantiene sino ad oggi vecchie usan­ ze: non accettano moneta, praticano il baratto; si procurano il necessario con

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potius quam pretiis parant: deos percolunt: scientiam futurorum pariter viri ac feminae ostentant. at Tanatus insula'7 adspiratur freto Gallico, a Brittaniae continente aestuario tenui separata, felix frumen­ tariis campis et gleba uberi, nec tantum sibi verum et aliis salubris locis: nam cum ipsa nullo serpatur angue, asportata inde terra quo­ quo gentium invecta sit angues necat. 9 (n) Multae et aliae circa Brittaniam insulae, e quibus Thyle ultima'', in qua aestivo solstitio sole de cancri sidere faciente transitum nox nulla: brumali solstitio perinde nullus dies. ultra Thylen acci­ pimus pigrum et concretum mare''· Circuitus Brittaniae quadragies octies septuaginta quinque milia IO (r8) sunt''· in quo spatio magna et multa flumina, fontes calidi opiparo exculti apparatu ad usus mortalium: quibus fontibus praesul est Mi­ nervae numen, in cuius aede perpetui ignes numquam canescunt in n (r9l favillas, sed ubi ignis tabuit vertit in globos saxeos''· praeterea, ut ta­ ceam metallorum largam variamque copiam quibus Brittaniae solum undique generum pollet venis locupletibus, gagates hic plurimus optimusque est lapis'': si decorem requiras, nigrogemmeus: si natu­ ram, aqua ardet, oleo restinguitur: si potestatem, attritu calefactus 12 (w ) adplicita detinet atque sucinum. regionem partim tenent barbari, quibus per artifices plagarum figuras iam inde a pueris variae ani­ malium effigies incorporantur, inscriptisque visceribus hominis in­ cremento pigmenti notae crescunt: nec quicquam mage patientiae loco nationes ferae ducunt, quam ut per memores cicatrices pluri­ mum fuci artus bibant". 13 , r Reversos ad continentem res Hispanienses vocant. terra rum plaga conparanda optimis, nulli posthabenda frugis et soli copia, sive vinearum proventus respicere sive arborarios velis. omni materia afflui t, quaecumque aut pretio ambitiosa est aut usu necessaria. argentum vd aurum requiras, habet: ferrariis numquam deficit: non cedit vitibus, vincit olea. dividua est provinciis tribus, secundo

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scambi più che valutando i prezzi [giusti], adorano gli dèi, e tanto gli uomini quanto le donne si ritengono capaci di praticare la divinazione. Invece l'isola di Tanato, che resta separata dalle terre della Britannia per un piccolo braccio di acque, si vede favorita dal mare delle Gallie; è ricca di campi di frumento e di terreno fertile, e non solo risulta di vantaggio a sé, ma anche ad altri luoghi: in­ fatti, dato che non vi si trova alcun serpente, la terra portata via da lì uccide qual­ siasi rettile in ogni parte del mondo sia trasportata. Vi sono anche molte altre isole attorno alla Britannia, la più estrema tra queste è Tule, dove, durante il solstizio d'estate, quando il sole muove i suoi passi nella costellazione del Cancro non viene mai notte; durante il solstizio d'inverno, in parallelo, non è mai giorno. Al di là di Tu!e, sappiamo che il ma­ re è immobile e congelato. il perimetro della Britannia è di 4 -875.ooo passi. Ha al suo interno molti e grandi fiumi, fonti termali con dovizioso conforto, accogliente per gli uo­ mini: la protettrice di queste fonti è la dea Minerva, nel cui santuario il fuoco perpetuo non si converte mai in bianche ceneri, ma quando la fiamma si spe­ gne muta invece in grumi sassosi. Inoltre, per tacere la grande e varia abbon­ danza di minerali che rendono il suolo della Britannia ricco dovunque di ve­ ne metalliche di ogni genere, dirò che qui c'è grande quantità di àgata, e del­ la migliore specie: se sei interessato alla bellezza, ha riflessi nereggianti; se al­ le sue qualità naturali, s'incendia con l'acqua e si spegne con l'olio; se ti atti­ rano i suoi effetti, una volta riscaldata per attrito trattiene tutto ciò che le si pone a fianco, inclusa l'ambra. Una parte del paese è occupata da barbari, che nei loro corpi fin da bambini, con tatuaggi ingegnosi, rappresentano diverse figure di animali; quando la carne è segnata, con la crescita del corpo vanno allargandosi le tracce di colore; e questi popoli selvaggi a nessun'altra attività prestano attenzione maggiore che a ricoprire le loro membra con moltissimo colore, servendosi di queste marche indelebili. Ritornando al continente, ci richiamano i dati della Spagna. È un' esten­ sione di terreno da paragonare con le migliori, e non cede ad alcuna il suo ruo­ lo per quanto concerne le messi e l'ubertosità del suolo, si guardi al provento delle vigne o alla produzione arboricola. Possiede in abbondanza qualunque tipo di materiale, sia quello che è stimato per il suo valore, sia quello che è ne­ cessario per un impiego. Le puoi chiedere argento o oro: li possiede; non im­ poverisce mai le sue miniere di ferro; non si mostra inferiore quanto a vini; ma supera tutti per l'olivo. È divisa in tre province, e cadde in nostro potere do-

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Punico bello nostra factaH. nihil in ea otiosum, nihil sterile: guic­ guid cuiuscumgue modi negat messem, viget pabulis: etiam guae arida sunt, ab sterilitate rudentum materias nauticis subministrant. non coguunt ibi sales, sed effodiunt. depurgant in minium nitellas pulveris. fucant vellera, ut ad ruborem merum depotent cocci venenum. In Lusitania promunturium est guod Artabrum alii, alii Olisi­ ponense dicunt". hoc caelum terras maria distinguit: terris His­ paniae latus finit: caelum et maria hoc modo dividit, guod a cir­ cuitu eius incipiunt Oceanus Gallicus et frons septentrionalis, Oceano Adantico et occasu tenninatis. ibi oppidum Olisipone Ulixi conditum'': ibi Tagus flumen. Tagum ob harenas auriferas ceteris praetule­ runt. in proximis Olisiponis eguae lasciviunt mira fecunditate": nam aspiratae favonii vento concipiunt et sitientes viros aurarum spiritu maritantur. Hiberus amnis toti Hispaniae nomen dedit, Baetis pro­ vinciae: utergue nobilis. Carthaginem apud Hiberos, guae mox colonia facta est, Poeni condiderunt, Tarraconem Scipiones'8: ideo caput est provinciae Tarraconensis. Lusitanum litus floret gemma ceraunio plurimum, guod etiam Indicis praeferunt: huius cera unii color est e pyropo: gualitas igni probatur: guem si sine detrimento sui perferat, adversum vim fulgurum creditur opitulari39• Cassiterides insulae spectant adversum Celtiberiae latus, plumbi fertiles: et tres Fortunatae'', e guibus salurn vocabulum signandum fuit. Ebusus guae a Dianio abest septingenta stadia. serpentem non habet: utpote cuius terra serpentes fuget. Colubraria guae Sucronem versus est feta est anguibus. Bocchoris regnum Baleares fuerunt4', usgue ad eversionem frugum cuniculis animalibus guondam copiosae. in capite Baeticae, ubi extremus est noti orbis terminus, insula a con­ tinenti septingentis pedibus separatur, guam Tyrii a Rubro profecti mari Erythream, Poeni lingua sua Gadir", id est saepem nominaverunt. in hac Geryonem aevum agitavisse plurimis monumentis probatur, tametsi guidam putent Herculem" boves ex alia insula abduxisse, guae Lusitaniam contuetur.

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po la seconda Guerra Punica. In questo paese non c'è qualcosa che non sia produttivo, o infecondo: la terra che nega messi di ogni genere è ricca di pa­ scoli, anche i suoli aridi dalla loro sterilità donano materiali per corde ai na­ viganti. Non vi si secca il sale, ma lo estraggono cavandolo dal suolo. Decan­ tano le pepite d'oro nel cinabro. Tingono le lane, in modo da portare al rosso scuro l'estratto del kermes. In Lusitania esiste un promontorio chiamato da taluni Artabro, da altri Li­ sbonense. Questo punto separa il cielo, la terra e il mare. Dal lato di terra, qui finisce un confine della Spagna; il cielo e il mare li divide in questo modo: alla volta del promontorio cominciano l'Oceano delle Gallie e la parte settentrio­ nale, dato che terminano l'Oceano Atlantico e quello settentrionale. Qui si tro­ va la città di Lisbona, fondata da Ulisse; lì il fiume Tago. Si considera il Tago più importante degli altri corsi d'acqua per via delle sue sabbie aurifere. Vici­ no a Lisbona si trovano cavalle di sorprendente fecondità, perché concepisco­ no allo spirare del vento favonio, e quando sono bramose di maschi si unisco­ no al soffio della sua brezza. n fiume Ebro diede il nome a tutta la Spagna, e il Baetis alla provincia: l'uno e l'altro sono celebri. I Punici fondarono, nella re­ gione degli Iberici, Cartagine, che più tardi divenne colonia [romana] , e gli Sci­ pioni Tarragona: per questo motivo è la capitale della provincia Tarraconese. n litorale della Lusitania contiene, in grande quantità, la pietra ceraunia, che si considera superiore persino a quella degli Indiani: il colore di tale ce­ raunia è simile a quello del piropo. La sua qualità è verificabile mediante il fuoco: se lo sopporta senza riportarne danno, si ritiene che aiuti a respingere le scariche delle folgori. Le isole Cassiteridi guardano verso la costa della Celtiberia, e sono ricche di stagno; lì sono pure le tre isole Fortunate, il cui solo nome è degno di esse­ re segnalato. lbiza, che dista settecento stadi da Dianio, non ha serpenti; e al­ lo stesso modo la sua terra scaccia i rettili. Colubraria, che si trova di fronte a Sucrone, è piena di bisce. Le Baleari furono il regno di Boccoris, in altro tem­ po ricche, fino alla distruzione dei campi coltivati ad opera dei conigli. Nel­ l'estremità della Baetica, dove si trova l'ultimo confine del mondo conosciu­ to, c'è un'isola lontana settecento piedi dal continente, che i Tirii, provenien­ ti dal Mar Rosso, chiamarono Eritrea, i Punici, nella loro lingua, Gadir, cioè "siepe" . Molte testimonianze dimostrano che in questa isola passò la sua vita Gerione, anche se alcuni ritengono che Ercole portò via i buoi da un'altra iso­ la, che guarda verso la Lusitania.

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Interna eius plurimae quidem bestiae, sed principaliter leones tenent. quorum trifariam genus scinditur: nam breviores et iubis crispi ple­ rumque ignavi sunt et inbelles: longiores et coma simplici acres magis: at bi quos cream pardi in plebe remanent iubarum inopes. pariter omnes parcunt a sagina, primum quod alternis diebus potum, altemis cibum capiunt ac frequenter, si digestio non est insecuta, [solitae] cibationi superponunt diem: tum quod cames iusto amplius devoratas, cum gra­ vantur, insertis in ora unguibus spante protrabunt. sane et cum fugiendum est in satietate, idem faciunt'. senectam defectio probat dentium. nam clementiae indicia multa sunt: prostratis parcunt: in viros potius quam in feminas saeviunt: infantes nonnisi in magna fame perimunt. nec a misericordia separantur: assiduis denique exem­ plis patet eos pepercisse, cum multi captivorum aliquot leonibus obvii intacti repatriaverint: Gaetulae etiam mulieris nomen lubae libris con­ prebensum est, quae ab testata occursantes feras inmunis rediit'. aversi coeunt3: nec bi tantum, sed et lynces et cameli et elepbanti et rbinocerotes et tigrides. leaenae feto primo catulos quinque edunt, deinde per singulos numerum decoquunt annis insequentibus et postremo cum ad unum materna fecunditas recidit, sterilescunt in aeternum. animos leonum frons et cauda indicant, sicut motus equini de auri­ bus intelleguntur: dedit enim bas notas generosissimo cuique natura. vis summa in pectore est, firmitas in capite praecipua4• cum pre­ muntur a canibus, contemptim recedunt subsistentesque interdum ancipiti recessu dissimulant timorem: idque agunt, si in campis nudis

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[Africa: belve e serpenti]

Al suo interno vi sono moltissime fiere, ma principalmente i leoni. Que­ sta specie si divide in tre classi: infatti i più piccoli nel corpo e di folta crinie­ ra sono di solito indolenti e non aggressivi, i più grandi, di criniera assai rada, sono molto feroci: ma quelli generati da pardi si ritengono leoni comuni, ti­ pici per assenza di vello. Tutti questi animali assumono parcamente il cibo, so­ prattutto perché bevono a giorni alterni e mangiano con identica scansione di tempo e frequentemente; se non hanno digerito, rinviano di un giorno il [so­ lito] pasto. Ma anche per il fatto che le carni ingurgitare oltre il necessario, sentendole in eccesso, le allontanano mettendo gli artigli nelle fauci. E davve­ ro, satolli, fanno lo stesso se c'è da fuggire. La loro vecchiezza è testimoniata dalla caduta dei denti. Quanto poi ai segni di compassione [verso le prede] sono molti: risparmiano quelle stramazzate al suolo; i maschi più che le fem­ mine sono vittime della loro crudeltà; non uccidono cuccioli se non costretti dal più impellente stimolo della fame. E non mancano gl'istinti misericordio­ si: infatti risulta dimostrato da numerosi esempi che hanno usato riguardo, ri­ sparmiandoli, verso alcuni prigionieri giunti nei pressi di leoni e che tornaro­ no a casa sani e salvi. Nei libri di Giuba figura anche il nome di una donna della Getulia la quale supplicò con insistenza tali belve che le sbarravano il passo e rimase salva. [! leoni] si accoppiano a ritroso: e non solo loro, ma an­ che le linci, i cammelli, gli elefanti, i rinoceronti, le tigri. Le leonesse mettono al mondo, al primo parto, cinque cuccioli, poi, negli anni seguenti, riducono il numero di una unità, e infine, dopo che la feconda generazione della madre si è ridotta a una creatura, rimangono sterili per sempre. li muso e la coda ri­ velano gli umori dei leoni, allo stesso modo in cui le emozioni del cavallo si manifestano nelle orecchie: infatti la natura ha concesso ad ogni più nobile animale simili mezzi di espressione. La maggior forza [del leone] è nel petto, la sua principale solidità nel capo. Quando sono braccati dai cani, retrocedo­ no con disprezzo e, incalzati di nuovo, con una ritirata indecisa dissimulano

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ac patentibus urgeantur, nam silvestribus locis, quasi testem ignaviae non reformident, quanta possunt se fuga subtrahunt. cum insequun­ tur, nisum saltu adiuvant: cum fugiunt, non valent salire. gradientes mucrones unguium vaginis corporum claudunt, ne acumina adtritu retundantur. hoc adeo custodiunt, ut nonnisi aversis falculis cur· rant. saepti a venantibus obtutu terram contuentur, quo minus con· spectis venabulis terreantur. numquam limo vident minimeque se volunt aspici. cantus gallinaceorum et rotarum timent strepitus, sed ignes magis'. leontophonos vocari accipimus bestias modicas, quae captae exuruntur, ut earum cineris aspergine carnes pollutae iactae· que per conpita concurrentium semitarum leones necent, si quantu· lumcumque ex illis sumpserint. propterea leones naturali eas premunt odio atque ubi facultas data est, morsu quidem abstinent, sed dilan­ cinatas exanimant pedum nisibus6. spectaculum ex his primus Romae edidit Scaevola Publii filius in curuli aedilitate7• Hyaenam quoque mittit Africa, cui cum spina riget collum continua unitate flectique non quit nisi toto corporis circumactu. multa de ea mira: primum quod sequitur stabuia pastorum et auditu assiduo addiscit vocamen quod exprimere possit imitatione vocis humanae, ut in hominem astu accitum nocte saeviat8• vomitus quoque humanos mentitur falsisque singultibus sollicitatos sic canes devorat: qui forte si venantes umbram eius dum sequuntur contigerint, latrare nequeunt voce perdita'. eadem hyaena inquisitione corporum sepultorum busta eruit. praeterea pronius est marem capere: feminis enim ingenita est callidior astutia. varietas multiplex inest oculis colorumque mutatio. in quorum pupulis lapis invenitur, hyaeniam dicunt, praeditum illa potestate, ut cuius hominis linguae fuerit subditus, praedicat futura". verum hyaena quodcumque anima! ter lustraverit, movere se non potest: quapropter magicam scientiam inesse ei pronuntiaverunt". in Aethiopiae parte coit cum leaena, unde nascitur monstrum: coro·

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la loro apprensione. E si comportano così allorché sono inseguiti in campi spogli e aperti, mentre invece nelle zone selvose, quasi non temendo la taccia di codardia, si sottraggono [all'inseguimento] con la fuga più veloce possibi­ le. Quando aggrediscono, aiutano lo sforzo con un balzo; se fuggono, non hanno energia per farlo. Mentre camminano, tengono celate le punte degli ar­ tigli in una guaina del proprio corpo, perché gli unghioni non siano smussati dall'attrito [col suolo]. Osservano questo comportamento a tal punto che non corrono se non con gli artigli retroflessi. Se sono scoperti dai cacciatori, vol­ gono a terra lo sguardo, in modo da non essere sgomenti per la visione delle !ance aguzze. Non guardano mai di traverso, e non gradiscono neppure che li si osservi in tal modo. Sono timorosi del canto del gallo e dello stridore delle ruote, ma sono spaventati dal fuoco. Sappiamo che vi sono animali di picco­ la taglia chiamati leontofoni che, una volta presi, si bruciano al fine di avvele­ nare, intrisi delle loro ceneri, dei pezzi di carne, e collocati agli incroci dei sen­ tieri, quelli frequentati dai leoni, ucciderli, anche nel caso che assumano una piccola parte di quelle esche. Proprio per questo i leoni sentono verso tali be­ stie un'avversione innata e, presentandosene l'occasione, si guardano bene dall'azzannarle, ma le uccidono straziandole con le zampe. D primo che fornì a Roma uno spettacolo [circense] con i leoni fu Scevola, il figlio di Publio, du­ rante la sua carica di edile curule. L'Africa genera pure la iena, un animale il cui collo fonna un tutto rigido e continuo con la spina dorsale e le impedisce di girarsi, a meno che non dia la volta a tutto il corpo. Di lei si raccontano molte meraviglie: la prima è che segue gli accampamenti dei pastori, e con un paziente ascolto impara le paro­ le da pronunciare poi contraffacendo la voce umana, in modo che di notte ag­ gredisce l'uomo attirato con astuzia. Sa imitare i conati del vomito umano, e così divora i cani richiamati dai falsi singulti; se per caso, mentre inseguono una iena per cacciarla, i cani sfiorano la sua ombra, non possono più latrare, perdendo la voce. La stessa iena rimuove le tombe per cercare corpi sepolti. Inoltre è più facile catturare i maschi [della iena] , dato che le femmine pos­ siedono dalla nascita un'astuzia più sottile. I loro occhi adottano innumere­ voli fonne e cambi di colore. Nelle pupille delle iene si trova una pietra chia­ mata ienia, dotata di tal potere da pennettere la predizione del futuro all'uo­ mo che se la ponga sotto la lingua. Inoltre ogni animale intorno al quale la ie­ na effettua tre giri, non può più muoversi dal suo posto: per questo si è cre­ duto che possegga arti magiche. Nei territori dell'Etiopia la iena si accoppia

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cottae nomen est". voces hominum et ipsa pariter adfectat. numquam cohibet aciem orbium, sed in obtutum sine nictatione contendit. in ore gingiva nulla, dens unus atque perpetuus, qui ut numquam retun­ datur, naturaliter capsularum modo clauditur. Inter ea quae dicunt herbatica eadem Africa onagros habet, in quo genere singuli inperitant gregibus feminarum. aemulos libidinis metuunt. inde est quod gravidas suas servant, ut. expositos mares, si qua facultas fuerit, truncatos mordicus privent testibus, quod caventes feminae in secessibus partus occulunt''· Africa serpentibus adeo fecunda est, ut mali huius merito illi potissimum palma detur. cerastae praeferunt quadrigemina cornicula'', quorum ostenta tione veluti esca inlice sollicitatas aves perimunt: nam reliqua corporis de industria harenis tegunt nec ullum indicium sui praebent nisi ex ea parte, qua invitatis dolo pastibus necem praepetum aucupentur. amphisbaena consurgit in caput geminum, quorum alterum loco suo est, alterum in ea parte qua cauda: guae causa efficit, ut capite utrimque secus nitibundo serpat tractibus circulatis''· iaculi arbores subeunt, e quibus vi maxima turbinati penetrant ani­ mal quodcumque obvium fortuna fecerit'6• scytale tanta praefulget tergi varietate, ut notarum gratia videntes retardet et quoniam rep­ tando pigrior est, quos adsequi non qui t, mira culo sui capiat stupentes. in hoc tamen squamarum nitore hiemales exuvias prima ponit'7• plures diversaeque aspidum species, verum dispares effectus ad nocendum: dipsas siti interficit: hypnale quod somno necat, teste etiam Cleopatra'' emitur ad mortem. aliarum virus quoniam medellas admittit, minus famae meretur. haemorrhois morsu sanguinem elicit et dissolutis venarum commerciis quicquid animae est evoca t per cruorem. prester quem percussit, distenditur enormique corpulentia necatur extuberatus. ictus sepium putredo sequitur. sunt et ammodytae, est et cenchris, elephantiae, chersydri, chamaedracontes'9. postremo quantus nominum tantus mortium numerus. nam scorpiones scinci lacertaeque vermibus,

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con la leonessa, e ne nasce un mostro: si chiama corocotta. Anch'essa imita nel medesimo modo la voce umana. Non abbassa mai lo sguardo, ma lo mantie· ne fisso sulla preda senza incertezza. Nelle fauci non ha le gengive, possiede un dente solo e non caduco; questo, per evitare che si spunti, l'incastra a gui· sa della serratura di un baule. Nella classe di animali che definiamo erbivori, l'Africa stessa dà vita agli onagri, nella cui razza i maschi [dominanti] guidano mandrie di femmine. Te­ mono i rivali in amore. Questa è la ragione per cui vigilano le proprie femmi­ ne pregne, per privare dei testicoli i maschi nati senza protezione, mutilando­ li a morsi; per evitarlo, le femmine nascondono i figli in luoghi appartati. L'Africa ha tale abbondanza di serpenti, da riportare con tutto merito il primato di questa piaga. Le ceraste alzano sul capo quattro cornetti e, agitan­ doli come esca, uccidono gli uccelli che s'incuriosiscono di quelli: infatti oc­ cultano fraudolentemente il resto del corpo sotto la sabbia, e non mostrano altro indizio della loro presenza se non quell'appendice con la quale portano alla fine i volatili attratti con un inganno alimentare. L'anfisibena si presenta con due teste, l'una delle quali è presente al solito posto, l'altra, invece, all'e­ stremità dove si trova la coda: la conseguenza è che non appena il capo trae il corpo da entrambe le estremità, questo si muove con tratti circolari. Gli iacu­ li strisciano sugli alberi, dai quali, guizzando con estrema forza rapinosa col­ piscono a fondo qualsiasi animale che il caso abbia loro messo a tiro. Lo sci­ tale risplende di una tale varietà colorata di livrea dorsale, che con la bellezza dei pigmenti trattiene chi lo osserva e, dato che è piuttosto lento a strisciare, quelli che non riesce a raggiungere li coglie sorpresi dal suo splendore. Tutta· via, con tanta bellezza nelle squame della pelle, è la prima serpe che compie la muta invernale. Vi sono molte e diverse specie di aspidi, veramente diffe­ renti quanto al modo di nuocere: la dipsade uccide provocando sete, la ipna­ le che causa una letargìa mortale, si ricerca per [compiere] il suicidio, come dimostra il caso di Cleopatra. n veleno delle altre, che ammette rimedi, meri­ ta minor rinomanza. n morso della emorroe provoca fuoriuscita di sangue e, messa in crisi la comunicazione venosa, allontana per via ematica quanto è vi­ ta. La prester produce a chi è morso una tumefazione, e uccide generando una abnorme gonfiezza. La ferita delle saepe causa l'infezione purulenta. Vi sono anche le ammoditi, così come le ceneri, le elfantie, i quersidri, i camedracon­ ti. Esistono, in definitiva, tanti tipi di morti quanti sono i nomi dei serpenti. Infatti scorpioni, scinchi e lucertole sono da classificare tra i vermi, e non tra

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non serpentibus adscribuntur. monstra haec si sibilant, clementius feriunt. habent adfectus: non temere nisi coniuges evagantur: capto altero vel occiso uter superfuerit efferatur. subtiliora sunt capita feminis, alvi tumidiores, pestis nocentior. masculus aequaliter teres est, sublimior etiam mitiorque. igitur anguibus universis hebes visus est. raro in adversum contuentur, nec frustra, cum oculos non in fronte habeant, sed in temporibus, adeo ut citius audiant quam aspiciant".

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i rettili. Questi animali ripugnanti se sibilano feriscono con minor forza. Pos­ seggono comportamenti affettuosi: non vanno da un posto all'altro se non in coppia; se si cattura o uccide uno dei due il sopravvissuto si adira diventando crudele. Le femmine presentano teste più fini, il ventre più spesso, il veleno più nocivo. li maschio ha una costituzione proporzionata, possiede maggior presenza, è di minore aggressività. Nondimeno tutti i rettili hanno vista de­ bole. Raramente si guardano alle spalle, e non a caso, dato che hanno gli oc­ chi non sulla fronte, ma nella parte temporale, tanto che sentono più rapida­ mente di vedere.

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Aethiopia omnis ab oriente hiberno ad occidentem hibernum tener. quicquid eius est sub meridiano cardine, lucis nitet, qui maxime virent hieme. a media parte mons editus mari inminet, ingenuo igni per aeternum fervidus et in quiete iugis flagrantibus': inter quae in­ cendia iugis aestus draconum magna copia. veris draconibus ora parva et ad morsus non dehiscenria et artae fistulae, per quas trahant spi­ ritus et linguas exerant: quippe non in dentibus vim, sed in caudis habent et verbere potius quam rictu nocent'. exciditur e cerebris draconum dracontia lapis, sed lapis non est nisi detrahatur viventi­ bus: nam si obeat prius serpens, cum anima simul evanescit duritie soluta. usu eius Orientis reges praecipue gloriantur, quamquam nul­ lum lenocinium artis admittat soliditate et quicquid in eo nobile est, non manus faciant nec alterius quam naturae candor si t quo reluceat. auctor Sotacus gemmam hanc etiam visam sibi scribit et quibus inter­ cipiatur modis edocet. praestantissimi audacia viri explorant anguium foveas et receptus: inde praestolati ad pastum exeunres praetervecti­ que percitis cursibus obiciunt gramina medicata quantum potest ad incitandum soporem: ita somno sopitis capita desecant et de manu­ biis praecipitis ausi praedam revehunt temeritatis3• Quae locorum Aethiopes tenent, feris piena sunt, e quibus quam nabun vocant nos camelopardalim dicimus, collo equi similem, pedi­ bus bubulis, capite camelino, nitore rutilo, albis maculis superspersa. animai hoc Romae circensi bus dictatoris Caesaris primum publicatum4.

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[Mostri, piante e pietre preziose]

Tutta l'Etiopia si estende dal levante invernale all'occidente invernale. Di questa estensione, quanto si trova sulla verticale del mezzogiorno è coperto di boschi, che verdeggiano soprattutto durante l'inverno. Nella regione centra­ le domina il mare un monte elevato, che arde di continuo per un fuoco inter­ no naturale e, anche quando è quieto, mostra la sua cresta infuocata; fra gl'in­ cendi, propri del calore delle cime, si muove un gran numero di draghi. I ve­ ri draghi hanno una bocca piccola, che non si apre per mordere, e strette fau­ ci da cui respirano e saettano la lingua: dato che la loro forza non risiede nei denti, ma nella coda; e infatti arrecano con quella maggior danni che con la bocca. Dal cervello dei draghi si estrae la pietra dragontia, ma tale pietra non prende corpo salvo quando è estratta da un animale vivente: in effetti, se il ret­ tile muore prima, la pietra si sfalda con l'anima di quell'essere, dopo aver per­ so di solidità. I re d'Oriente si vantano in modo particolare di possederla, e in effetti la sua particolare natura non ammette alcun inganno, e quanto v'è di prezioso in essa non lo si deve alle mani [umane] , al pari della sua bianchez­ za risplendente per natura. Sòtaco, lo scrittore, conferma nelle sue opere che ha visto tale gemma, e dice in quali modi si possa prendere. Uomini d'incre­ dibile audacia esplorano le tane e i rifugi di questi rettili: poi colgono l'attimo in cui riemergono alla ricerca di cibo, sul terreno antistante spargono erbaggi impregnati, al meglio, di droghe al fine di addormentarli; così, caduti in le­ targo, li privano della testa, e dalle spoglie dell'animale morto hanno il corag­ gio di prendere il premio della loro temerarietà. I territori dove abitano gli Etiopi, sono pieni di bestie selvagge, e tra que­ ste l'animale che chiamano nabu, a cui diamo il nome di camelopardo; per il collo simile a un cavallo, per le zampe a un bue, per il capo a un cammello, di un brillante pelame fulvo, cosparso di macchie bianche. Questo animale fu mostrato al pubblico a Roma, per la prima volta, nei giuochi [circensi] offer-

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iisdem ferme temporibus illinc exhibita monstra sunt, cephos appel­ lant, quorum posteriores pedes crure et vestigio humanos artus men­ tiuntur, priores hominum manus referunt: sed a nostris non amplius quam seme! visa sunt'. ante ludos Cn. Pompeii rhinocerotem Romana spectacula nesciebant: cui bestiae color buxeus, in naribus cornu unicum et repandum, quod su binde attritum cautibus in mucronem excitat eoque adversus elephantos proeliatur, par ipsis longitudine, brevior cruribus, naturaliter alvum petens, quam solam intellegit ictibus suis perviam6• luxta Nigrim fluvium catoblepas nascitur modica atque iners bestia, caput praegrave aegre ferens, aspectu pestilenti: nam qui in oculos eius offenderint, protinus vitam exuunt7. formicae ibi ad for­ mam canis maximi harenas aureas pedibus eruunt, quos leoninos habent: quas custodiunt, ne quis auferat, captantesque ad necem persequuntur8• eadem Aethiopia mittit lycaonem: lupus est cervice iubatus et tot modis varius, ut nullum colorem illi dicant abesse9• mittit et parandrum, boum magnitudine, bisulco vestigio, ramosis cornibus, capite cervino, ursi colore et pariter villa profundo. hunc parandrum adfirmant habitum metu vertere et cum delitescat fieri adsimilem cuicumque rei proximaverit, sive ill a saxo alba sit, seu frutecto virens, sive quem alium modum praeferat. faciunt hoc idem in mari polypi, in terra chamaeleontes: sed et polypus et chamaeleon glabra sunt, ut pronius sit cutis laevitate proximantia aemulari: in hoc novum est ac singulare hirsutiam pili colorum vices facere. hinc evenit ut difficulter capi possit". Aethiopicis lupis proprium est, quod in saliendo ita nisus habent alitis, ut non magis proficiant cursu quam meatu: homines tamen numquam impetunt. bruma comati sunt, aestate nudi: thoas vocant". hystrix quoque inde loci frequentissima, erinacii similis, spinis ter­ gum hispida, quas plerumque laxatas iaculatione emittit voluntaria, ut assiduis aculeorum nimbis canes vulneret ingruentes". illius caeli ales est pegasus: sed haec ales equinum nihil praeter aures habet. tra­ gopan quoque avis maior aquilis, cornibus arietinis praeferens arma­ rum caput'3•

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ti dal dittatore Cesare. Quasi negli stessi tempi, lì furono esibiti mostri chia· mari cefi, i cui piedi posteriori assomigliano a membra dell'uomo per la for· ma degli arti e delle piante; quelli anteriori sono come le mani umane: però non sono stati visti dai Romani che una volta sola. Prima dei giuochi [circen· si] di Cneo Pompeo gli spettacoli a Roma non conoscevano il rinoceronte: una bestia che ha il colore grigio [della corteccia] del bosso, nelle narici un corno solo e ricurvo, che affila in punta sfregandolo alle rocce, e lo utilizza per lot· tare contro gli elefanti; ha la loro stessa lunghezza, più corte, però, le gambe, e attacca al ventre, che capisce essere l'unica parte dove possono penetrare i colpi inferti col corno. Presso il fiume Nigri nasce il catoblepa, animale di scarsa taglia, e indo­ lente, porta a fatica il suo capo assai greve, lo sguardo è pernicioso: infatti chi s'imbatte nei suoi occhi perde immediatamente la vista. Vi sono pure lì delle formiche della forma di un cane di grossa taglia: con le loro zampe, identiche a quelle del leone, estraggono sabbie aurifere; sorvegliano perché nessuno pos­ sa sottrarle e uccidono coloro che tentano il furto. La stessa Etiopia dà vita al licaone: è un lupo con la criniera al collo, e così screziato, che potrebbe dirsi fornito di ogni colore. Genera anche il parandro, che ha la corpulenza di un bue, lo zoccolo scisso, le corna ramose, la testa da cervo, il colore dell'orso e il pelame egualmente spesso. Dicono che tale parandro muta il suo aspetto ester­ no a causa della paura e che, quando si nasconde, diviene simile a tutto ciò che gli è vicino, si tratti di un bianco sasso, o del verde di un arbusto, o di un qual­ siasi altro colore glì garbi. Fanno la stessa cosa in mare i polipi, in terra i ca­ maleonti: ma sia il polipo, sia il camaleonte non hanno pelo, di modo che so­ no meglio attrezzati a emulare le cose vicine con la finezza della pelle: il fatto nuovo ed eccezionale di questo caso è che la densità del vello pilifero possa ac­ quisire colore. Per questo risulta difficile che venga catturato. È caratteristico dei lupi dell'Etiopia che nel salto sono affini al volo di un uccello, tanto da non guadagnare nella corsa rispetto al passo: ma in ogni ca­ so non assalgono l'uomo. In inverno appaiono coperti di pelo, d'estate sono nudi: si chiamano thoas. È anche molto comune l'istrice in quel territorio, si­ mile al riccio, con il dorso pieno di spine, che per lo più scaglìa con un getto intenzionale, in modo da ferire con un nembo di aculei i cani che lo perse­ guitano. Un uccello di quei cieli è il pègaso: ma tale volatile non ha nulla di equino tranne le orecchie. C'è anche il tragopan, uccello più grande dell'a· quila, che presenta una testa armata con corna da ariete.

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Aethiopes legunt cinnamum. id frutectum si tu brevi nascitur, ramo humili et represso, numquam ultra duas ulnas altitudinis: quod gracilius provenerit eximium magia ducitur: quod in crassitudinem extuberatur despectui est. verum legitur per sacerdotes hostiis prius caesis: guae cum litaverint, observatur, ut messis nec ortum solis anticipet nec egrediatur occasum. quisquis principatum tenet, sar­ mentorum acervos basta dividit, guae sacrata est in hoc ministerium: atque ita portio manipulorum soli dicatur: guae si iuste divisa est, sponte incenditur'4• lnter haec guae diximus nitore caerulo hyacinthus invenitur, lapis pretiosus'', si quidem inculpabilis reperiatur: est enim vitiis non parce obnoxius: nam plerumque aut violaceo diluitur aut nubilo ob­ ducitur aut albicantius in aquaticum eliquescit: optimus in ilio tenor, si nec densiore fuco sit obtunsior nec propensa perspicuitate detec­ tior, sed ex utroque temperamento lucis et purpurae fucatum suaviter florem trahat. hic est qui sentit auras et cum caelo facit: nec aequaliter rutilat, cum aut nubilosus est aut serenus dies. praeterea in os missus magia friget. scalpturis certe minime adcommodatus, ut qui tritum respuat, nec tamen penitus invictus: nam adamante scribitur et notatur. ubi hyacinthus, ibi et chrysoprasus'6 apparet: quem lapidem. lux celat, produnt tenebrae. haec enim est in illo diversitas, ut nocte igneus sit, die pallidus. ex ipso solo sumimus haematitem rubore sanguineo ac propterea haematitem vocatum'7• Quod ab Atlante usque Canopitanum ostium panditur, ubi Libyae finis est et Aegyptium limen, dictum a Canopo Menelai guber­ natore sepulto in ea insula guae ostium Nili facit, gentes tenent dis­ sonae, guae in aviae solitudinis secretum recesserunt''. ex his Atlantes ab humano ritu prorsus exulant. nulli proprium vocabu­ lum, nulli speciale nomen. diris solis ortus excipiunt, diris occasus prosequuntur ustique torrentis plagae sidere oderunt deum lucis''·

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Gli Etiopi raccolgono il cinnamomo. Questo arbusto nasce in una picco­ la regione, presenta rami bassi e poco estesi, mai oltre due braccia di altezza: quello che cresce più stentatamente è considerato il più prezioso; quello che si sviluppa in grossezza è valutato davvero poco. In concreto lo raccolgono di propria mano i sacerdoti, dopo aver immolato delle vittime: e quando le han­ no sacrificate, si mantiene per regola che la raccolta non si faccia prima del sorgere del sole, né dopo il tramonto. n sacerdote che officia divide con un'a­ sta i mucchi di sarmenti; lancia consacrata per compiere tale funzione: e così una parte del raccolto è dedicata al sole; proprio quella che, se risulta separa­ ta in modo giusto, s'incendia spontaneamente. Tra le cose mirabili di cui si sta parlando, figura il giacinto, pietra prezio­ sa, di un colore ceruleo, sempre che la si trovi esente d'imperfezioni: infatti è oggetto di frequenti difetti. Per lo più o degrada nel violaceo, o resta mac­ chiata da qualche velatura, oppure, se tende al bianco puro, si scorpora in co­ lore simile all'acqua. n suo tono è il migliore se non appare molto alterato o per l'eccessiva densità di una sfumatura rossa o chiarito da troppo accentua­ ta trasparenza, a meno che da entrambi prenda il tipico brillìo, squisitamente temperato da una combinazione di luce e di porpora. n giacinto è una pietra che capta l'atmosfera e si pone in relazione con il cielo: infatti non risplende egualmente quando il giorno è rannuvolato o sereno. Inoltre, messo in bocca, diventa più freddo. Di certo, non si adatta in alcun modo ad essere inciso, per­ ché non ammette la lavorazione per attrito pur non essendo resistente a tutte [le pietre] , dato che il diamante gli provoca incisioni e tracce rimarcabili. Do­ ve si trova il giacinto, lì appare anche il crisoprasio una pietra che rimane oc­ cultata dalla luce, mentre l'oscurità la pone in rilievo. Porta infatti in sé que­ sta contraddizione, che di notte è del colore del fuoco, di giorno risulta palli­ do. Dallo stesso terreno si estrae l'ematite, di color rosso sangue, e questa è la ragione per cui riceve tale nome. Tutto il territorio che si estende dall'Atlante al porto di Canopo, dov'è il confine della Libia e l'inizio dell'Egitto - così chiamato da Canopo, il pilota di Menelao, sepolto in questa isola che dà forma alla foce del Nilo - lo abita­ no diverse popolazioni, che si rifugiarono nelle solitudini di un deserto inac­ cessibile. Una di queste, gli Atlanti, sono davvero remoti dalla civiltà umana. Non possiedono un proprio nome; e tanto meno una qualche speciale deter­ minazione. Accolgono il sorgere del sole con maledizioni, e con maledizioni il suo tramonto: bruciati dall'astro della zona torrida, odiano il dio della luce.

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adfirmant eos somnia non videre et abstinere penitus ab animalibus universis. Trogodytae specus excavant, illis teguntur. nullus ibi habendi amor: a divitiis paupertate se abdicaverunt voluntaria. tan­ tum lapide uno gloriantur, quem hexecontalithon nominamus, tam diversis notis sparsum, ut sexaginta gemmarum colores in parvo orbi­ culo eius deprehendantur". homines isti carnibus vivunt. serpentium ignarique sermonis stridunt potius guam loquuntur. Augilae vero solos colunt inferos. feminas suas primis noctibus nuptiarum adul­ teriis cogunt patere, mox ad perpetuam pudicitiam legibus stringunt severissimis. Gamphasantes abstinent proeliis, fugiunt commercia, nulli se extero misceri sinunt". Blemyas credunt truncos nasci parte qua caput est, os tamen et oculos habere in pectore". Satyri de homini­ bus nihil aliud praeferunt guam figuram''· Aegipanes hoc sunt quod pingi videmus. Himantopodes fluxis nisibus crurum serpunt potius guam incedunt et pergendi usum lapsu magis destinant guam ingressu. Pharusi cum Herculi ad Hesperidas pergenti forent comites, itineris taedio hic resederunt. hactenus Libya'4•

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Dicono che costoro non abbiano sogni e che si astengano [dal cacciare] tutti gli animali. I Trogloditi scavano grotte dove trovano riparo. Qui nessuno mo­ stra una qualche propensione al possesso: hanno rinunciato alla ricchezza per una deliberata povertà. Si ritengono importanti solamente per una gemma, da noi chiamata execontàlito, così screziata da diversi colori, che all'interno del suo piccolo globo si possono distinguere le sfumature caratteristiche di ses­ santa pietre preziose. Questa gente vive di carni di serpente e, all'oscuro di una lingua, gridano invece di parlare. Gli Augili conoscono solo il culto delle divinità infernali. Costringono le loro donne a praticare l'adulterio la prima notte di nozze, e poi le obbligano a una perpetua castità mediante leggi seve­ rissime. I Ganfasanti evitano i combattimenti, sfuggono ai commerci, e non permettono ad alcun forestiero di unirsi ad essi. Si crede che i Blemmii na­ scano incompleti nella parte del corpo dov'è il capo, dato che hanno bocca e occhi nel petto. I Satiri non hanno null'altro di umano che la figura. Gli Egì­ pani sono proprio come li vediamo rappresentati. Gli Imantopodi, con il lo­ ro passo vacillante, strisciano piuttosto che camminare, e risolvono la neces­ sità deambulatoria più cadendo che col normale incedere. I Farusi, che furo­ no compagni di Ercole quando si dirigeva verso le Esperidi, annoiati per la lunghezza del viaggio, si fermarono qui. Nient'altro sulla Libia.

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A Medis montibus auspicatur India, a meridiano mari porrecta ad eoum'. favonii' spiritu saluberrima in anno bis aestatem habet, bis legit frugem, vice hiemis etesias patitur. hanc Posidonius adver· sam Galliae statuit'. sane nec quicquam ex ea dubium: nam Ale­ xandri Magni armis comperta et ali o rum postmodum regum diii­ gentia peragrata penitus cognitioni nostrae addicta est•. Megasthenes sane apud Indicos reges aliquantisper moratus res Indicas scripsit, ut fidem, guam oculis subiecerat, memoriae daret5• Dionysius quoque, qui et ipse a Philadelpho rege spectator missus est, gratia pericli­ tandae veritatis paria prodidit6• Tradunt ergo in India fuisse quinque milia oppidorum praecipua capacitate, populorum novem milia. diu etiam eredita est tertia pars esse terrarum. nec mirum sit ve! de hominum ve! de urbium copia, cum soli Indi numquam a natali solo recesserint7• Indiam Liber pater primus ingressus est, utpote qui omnium primus trium­ phavit. ab hoc ad Alexandrum Magnum numerantur annorum sex milia quadringenti quinquaginta unus additis et amplius tribus mensi­ bus, habita per reges conputatione, qui centum quinquaginta tres tenuisse medium aevum deprehenduntur'. Maximi in ea amnes Ganges et Indus. quorum Gangen qui· dam fontibus incertis nasci et Nili modo exultare contendunt: alii volunt a Scythicis montibus exoriri. Hypanis etiam ibi nobilissimus fluvius, qui Alexandri Magni iter terminavit, sicuti arae in ripa eius positae probant. minima Gangis latitudo per octo milia passuum, maxima per viginti patet: altitudo, ubi vadosissimus est, mensuram centum pedum devorat9•

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[Meraviglie dell'India]

l:India, che si estende dal mare di mezzogiorno verso oriente, comincia dai monti Emodii. Grazie allo spirare, assai salutifero, del favonio gode di due estati ogni anno, ha due raccolte di messi, e invece dell'inverno patisce il sof­ fio dei venti etesii. Posidonio la situò nella parte del mondo opposta alla Gal­ lia. A dire il vero, non c'è un solo aspetto di questo paese che sia rimasto oscu­ ro: infatti, scoperta dai soldati di Alessandro Magno e ripercorsa per iniziati­ va di altri re, si è inserita in modo definitivo nella nostra cognizione del mon­ do. Megàstene, che effettivamente soggiornò per un certo periodo di tempo presso i re dell'India, scrisse sulla civiltà del paese per mantenere nel ricordo quanto aveva visto con gli occhi. Del pari Dionisio, che fu inviato come os­ servatore dal re Filadelfo, ci ha lasciato una relazione analoga al fine di con­ fermare la verità dei fatti. Raccontano, dunque, che in India vi siano cinquemila città particolar­ mente spaziose, e novemila genti diverse. E poi a lungo fu creduta come par­ te costituente un terzo delle terre abitate. E non appare sorprendente questa ricchezza di genti e città, dato che gl'Indiani sono l'unica popolazione che mai emigrò dal suolo natale. Padre Libero fu il primo che giunse in India, tenen­ do conto che fu il primo di tutti a ottenere [per questo] il trionfo. Da lui ad Alessandro Magno passano 6. 451 anni e tre mesi, computo che si determina tramite i re: costoro, che furono 153, consta che occuparono l'arco di tempo che intercorre [tra entrambi] . I maggiori fiumi di quel paese sono il Gange e l'Indo. Fra questi il Gan­ ge, credono alcuni, che abbia origine da ignote sorgenti e straripi come il Ni­ lo, altri pensano che scaturisca dai monti della Scizia. Lì si trova pure il fa­ mosissimo fiume Ìpani, che segnò la fine della spedizione di Alessandro Ma­ gno, così come testimoniano gli altari eretti sulle sue rive. La larghezza mini­ ma del Gange è di ottomila passi, la maggiore di ventimila; la profondità, do­ ve si trova al più basso livello, è di cento piedi almeno.

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Gangarides extimus est lndiae populus: cuius rex equites mille, elephantos septingentos, peditum sexaginta milia in appara tu belli habet. lndorum quidam agros exercent, militiam plurimi, merces alii: optimi ditissimique res publicas curant, reddunt iudicia, adsident regi­ bus. quietum ibi eminentissimae sapientiae genus est vita repletos incensis rogis mortem accersere. qui vero ferociori sectae se dedide­ runt et silvestrem agunt vitam, elephantos venantur, quibus perdomitis ad mansuetudinem aut arant aut vehuntur". in Gange insula est populosissimam continens gentem, quorum rex peditum quinqua­ ginta milia, equitum quattuor milia in armis habet". omnes sane, quicumque praediti sunt regia potestate, non sine maximo elephan­ torum, equitum etiam peditumque numero militarem agitant disci­ plinam. Prasia gens validissima. Palibothram urbem incolunt, unde quidam gentem ipsam Palibothros nominaverunt. quorum rex sescenta milia peditum, equitum triginta milia, elephantorum octo milia omnibus diebus ad stipendium vocat". ultra Palibothram mons Malleus, in quo umbrae hieme in septemtriones, aestate in austros cadunt, vicissitudine hac durante mensibus senis. septemtriones in eo tractu in anno seme! nec ultra quindecim dies parent, sicut auctor est Baeton'', qui perhibet hoc in plurimis Indiae locis evenire. Indo flumini proximantes versa ad meridiem plaga ultra alios torrentur calore: denique vim sideris prodit hominum color. montana Pygmaei tenent'4• at bi quibus est vicinus Oceanus sine regibus degunt. Pandaea gens a feminis regitur, cui reginam primam adsignant Herculis filiam. et Nysa urbs regioni isti datur, mons etiam lovi sacer, Meros nomine, in cuius specu nutritum Liberum patrem veteres Indi adfirmant: ex cuius vocabuli argumento lascivienti famae creditur Liberum femine natum. extra Indi ostium sunt insulae duae Chryse et Argyre adeo fecundae copia metallorum, ut plerique eas aurea sola habere prodiderint et argentea''· Indis omnibus promissa caesaries, non sine fuco caerulei aut crocei coloris, cultus praecipuus in gemmis. nullus funerum appa­ ratus. praeterea, ut Iubae et Archelai'6 regum libris editum est, in

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I Gangaridi sono un remoto popolo dell'India: il loro re tiene pronti per la guerra mille cavalli, settecento elefanti, sessantamila soldati a piedi. Alcuni degl'Indiani coltivano i campi, i più sono guerrieri, altri si dedicano ai com· merci; i migliori e i più ricchi governano lo Stato, amministrano la giustizia, assistono i re. Vive pure lì una quinta classe di persone, prowiste di altissimo sapere, che, quando hanno terminato la loro esistenza, si procurano la morte bruciandosi su di una pira. Coloro invece che si sono dati a un regime di vita più violento e conducono un'esistenza selvaggia, danno la caccia agli elefanti, che impiegano, una volta che sono stati perfettamente addomesticati, o per arare o per farsi trasportare. C'è un'isola nel Gange dove abita una numero­ sissima popolazione, il cui monarca dispone di un esercito di cinquantamila fanti e quattromila cavalieri. Inoltre, tutti coloro che sono prowisti di dignità regale, non praticano l'arte militare se non con un gran numero di elefanti, di cavalieri e di fanti. n popolo dei Prasii è il più valido. Abitano la città di Palibotra, ragione per cui taluni chiamarono la popolazione proprio Pali botri. n loro re mantie­ ne al soldo, permanentemente, seicentomila fanti, trentamila cavalieri e otto­ mila elefanti. Oltre Palibotra c'è il monte Màlleo, nel quale le ombre calano dal nord in inverno e dal sud in primavera, e tale alternanza dura sei mesi. In questo paese l'Orsa Minore è visibile una sola volta l'anno, e non più di quin­ dici giorni, come indica Betone, il quale afferma che questo fenomeno si ri­ pete nella maggior parte delle località dell'India. Nella regione orientata a mezzogiorno, le genti rivierasche dell'lodo si abbronzano più del resto degli Indiani per via del calore [solare] : la tinta delle persone rivela, insomma, la forza del sole. I Pigmei occupano le zone montane. Invece i popoli che abita­ no presso l'Oceano vivono senza re. n popolo dei Pandia è governato da don­ ne, e si attribuisce loro, come prima regina, una figlia di Ercole. La città di Ni­ sa si trova pure in questo territorio, così come un monte consacrato a Giove, chiamato Mero; in una sua caverna, dicono gl'Indiani, fu nutrito il Padre Li­ bero: e per testimonianza di questa parola si diede corpo alla tradizione dis­ sacrante di un Libero nato da un femore. Fuori dalla foce dell'lodo si trova­ no due isole, Crisa e Argira, tanto ricche e traboccanti di metalli, che la mag­ gior parte degli autori afferma che abbiano il terreno d'oro e d'argento. Tutti gli Indiani portano i capelli lunghi, e li tingono di un colore azzur­ ro o croceo. n loro principale ornamento sono le pietre preziose. Celebrano i riti funebri senza solennità. Inoltre, come si dice nei libri dei re Giuba e Ar-

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quantum mores populorum dissonant, habitus quoque discrepantissimus: alii lineis, alii laneis peplis vestiuntur, pars nudi, pars obscaena tantum amiculati, plurimi etiam flexibilibus libris circumdati. quidam populi adeo proceri, ut elephantos velut equos facillima insultatione transiliant. plurimis placet neque anima! occidere neque vesci carnibus. plerique tantum piscibus aluntur et mari vivunt. sunt qui pro­ ximos parentesque priusquam annis aut aegritudine in maciem eant, velut hostias caedunt, deinde peremptorum viscera epulas habent: quod ibi non sceleris, sed pietatis loco numerant. sunt etiam qui, cum in­ cubuere morbi, procul a ceteris in secreta abeunt nihil anxie mortem expectantes'7• Astacanorum gens laureis viret silvis, lucis buxeis: vitium vero et arborum universarum, quibus Graecia dulcis est, proventibus copiosissima. philosophos habent Indi (gymnosophistas vocant), qui ab exortu ad usque solis occasum contentis oculis orbem candentissimi sideris contuentur in globo igneo rimantes secreta quaedam harenisque ferventibus perpetem diem alternis pedibus insistunt'8. ad montem, qui Nulo dicitur, habitant quibus aversa e plantae sunt et octoni digiti in plantis singulis'9• Megasthenes per diversos Indiae montes esse scribit nationes capitibus caninis, armatas unguibus, amictas vestitu tergorum, ad sermonem humanum nulla voce, sed latratibus tantum sonantes rictibusque". apud Ctesiam legitur quasdam feminas ibi seme! parere natosque canos ilico fieri": esse rursum gentem alteram, guae in iuventa cana sit, nigrescat in senectute, ultra aevi nostri terminos perennantem. legimus monocolos quoque ibi nasci singulis cruri­ bus et singulari pernicitate, qui ubi defendi se velint a calore, resupinati plantarum suarum magnitudine inumbrentur". Gangis fontem qui accolunt, nullius ad escam opis indigi odore vivunt pomorum silvestrium longiusque pergentes eadem illa in praesidio gerunt, ut olfactu alantur. quod si taetriorem spiritum forte traxerint, exanimari eos certum est. perhibent esse et gentem feminarum, qua e quin-

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chelao, in linea di massima i costumi delle popolazioni sono differenti, e per­ sino gli abiti appaiono diversissimi: alcuni si coprono con vesti di lino, altri con drappi di lana, parte sono nudi, parte si ricopre solo le pudenda, moltis­ simi si abbigliano con cortecce d'alberi adattabili al corpo. Certe popolazioni raggiungono una tale statura che, con un lievissimo balzo, saltano sugli ele­ fanti come fossero cavalli. Tantissimi [Indiani] non approvano né l'uccidere animali né cibarsi di carne. Tanti altri, poi, si alimentano solo di pesce e vivo­ no di quanto offre il mare. Vi sono certi che uccidono come vittime sacrifica­ li i parenti prossimi e i genitori prima che siano cadenti per età o malattia, e poi celebrano un banchetto con le viscere dei morti: e un simile procedimen­ to non ha per loro il valore di un delitto, ma piuttosto il significato di un rito devoto. Non mancano di quelli che poi, quando sono afflitti da un'infermità, si ritirano in un luogo solitario, lontano dalla gente, e affrontano la morte sen­ za alcuna angoscia. La gente degli Astacani vive circondata di verdi boschi di allori e da for­ teti di bosso; ricchissima per i frutti delle vigne e degli alberi tutti che rendo­ no la Grecia amena. Gli Indiani hanno dei filosofi (li chiamano gimnosofistil, i quali dal sorgere al calare del sole guardano verso il disco dell'astro incan­ descente con occhi fissi, cercando certi misteri reconditi, e trascorrono il gior­ no intero appoggiandosi alternativamente su uno solo dei piedi sopra le are­ ne ardenti. Vicino al monte chiamato Nulo vivono persone che hanno i piedi rivolti in alto e in ciascuno otto dita. Megàstene scrive che in diversi monti del­ l'India esistono tribù che hanno teste di cane, sono fomite di unghioni, han­ no le spalle coperte di pelli, e non emettono alcun suono paragonabile alla vo­ ce umana, ma solo latrati e ululati. Si legge in Ctesia che alcune donne india­ ne partoriscono una sola volta e che i neonati diventano subito canuti e, al contrario, che esiste un'altra razza che nella sua giovinezza presenta capelli bianchi, poi scuri in vecchiaia e capace di una vita più lunga del limite della nostra. Abbiamo letto che lì nascono anche i monocoli fomiti di una sola gam­ ba e di una straordinaria agilità: i quali, quando desiderano proteggersi dal ca­ lore [solare], si lasciano cadere supini per farsi ombra con l' enonne pianta dei piedi. Coloro che abitano presso le sorgenti del Gange vivono, senz' aiuto di alcun cibo, con l'aroma dei frutti silvestri, e quando effettuano lunghi viaggi prendono la precauzione di portarli con sé, proprio quelli, per alimentarsi an­ nusandoli. Quanto poi alla possibilità che possano respirare un effluvio assai disgustoso, ne consegue l'inevitabile perdita della vita. Raccontano anche che

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quennes concipiant, sed ultra octavum annum vivendi spatium non protrahant. sunt qui cervicibus carent et in umeris habent oculos. sunt qui silvestres, hirti corpora, caninis dentibus, stridore terrifico. apud eos vero, quibus ad vivendi rationem exactior cura est, multae uxores in eiusdem viri coeunt matrimonium, et cum maritus homine decesserit, apud gravissimos iudices suam quaeque de meritis agunt causam, et guae officiosior ceteris sententia uicerit iudicantium, hoc palmae refert praemium, ut arbitrio suo ascendat rogum coniugis et supremis eius semet ipsam det inferias: ceterae nota vivunt''· Enormitas in serpentibus tanta est, ut cervos et animantium alia ad parem molem tota hauriant, quin etiam oceanum lndicum quantus est penetrent insulasque magno spatio a continenti separatas pabulandi petant gratia. idque ipsum palam est non qualibet magni­ tudine evenire, ut per tantam sali latitudinem ad !oca permeent destinata'"'. Sunt illic multae ac mirabiles bestiae, quarum e multitudine et copia ve! particulam persequemur. leucocrota velocitate praecedit feras universas: ipsa asini feri magnitudine, cervi clunibus, pectore ac cruribus leonis, capite melium, bisulca ungula, ore ad usque aures dehiscente, dentium locis asse perpetuo. haec quod ad formam: nam voce loquentium hominum sonos aemulatur'5• Est et eale, alias ut equus, cauda elephanti, nigra colore, maxillis aprugnis, praeferens cornua ultra cubitalem modum longa ad obse­ quium cuius velit motus accommodata: neque enim rigent sed moven­ tur, ut usus exigit proeliandi: quorum alterum cum pugnat proten­ dit, alterum replica t, ut si ictu aliquo alterius acumen offenderit, acies succedat alterius. hippopotamis comparatur: et ipsa sane aquis fluminum gaudet'6• Indicis tauris color fulvus est, volucris pernicitas, pilus in contrarium versus, hiatus omne quod caput. hi quoque circumferunt

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esiste una razza di donne capaci di concepire a cinque anni, ma inidonee a prolungare il tempo della vita oltre l'ottavo anno. Vi sono genti che sono pri­ ve della cervice e hanno gli occhi posti sugli òmeri. Altre sono selvagge, con il corpo peloso, denti da cane, ed emettono ululati spaventosi. È vero che quel­ le popolazioni capaci di avere una più profonda vocazione ad un vivere civile hanno molte donne che contraggono matrimonio col medesimo uomo, e quando il marito muore, ciascuna di esse difende presso giudici molto in­ transigenti la causa relativa ai propri meriti [civili] : e colei che, per sentenza del tribunale, risulta vincitrice, dimostrando di essere stata più compiacente delle altre, ottiene in premio della sua vittoria di salire, per sua scelta, sulla pi­ ra funeraria del coniuge, come sacrificio funebre, alle esequie del defunto; le altre [sopravvissute] vivono subendo condanna [morale]. La dimensione dei serpenti è talmente smisurata che inghiottono un cer­ vo intero e altri animali di simile dimensione e, per di più, si addentrano nel­ l'immensità dell'Oceano indiano, e sono capaci di raggiungere isole situate a grande distanza dal continente per far razzia di cibo. Ed è chiaro come ciò non sia possibile con una stazza fisica qualsiasi, che permetta di giungere alle me­ te prescelte attraverso una così estesa superficie del mare. Esistono in quei luoghi molte e mirabili fiere; ne tratteremo solo un pic­ colo gruppo data la loro quantità e abbondanza. La leucocrota supera in ra­ pidità tutte le belve: ha la medesima taglia di un asino selvatico, la parte po­ steriore da cervo, il petto e le zampe da leone, la testa da tasso, lo zoccolo di­ viso, la bocca spalancata fino alle orecchie, e al posto dei denti un osso senza soluzioni di continuità. Questo riguardo all'aspetto esteriore; infatti, quanto a voce, imita la parola degli uomini. Vi è pure l' eale, che è simile a un cavallo nei tratti esteriori, con una co­ da da elefante, colore oscuro, mascelle da cinghiale, con due corna davanti che oltrepassano la lunghezza di un cubito e paiono adatte a seguire i movimenti richiesti: infatti non sono rigide, ma mobili come esige la necessità del com­ battimento; quando lotta ne erge uno, l'altro lo mantiene ripiegato, in modo che se qualche colpo smussa la punta del primo, prende posto in sua vece l'a­ cutezza del secondo. Lo si avvicina agli ippopotami: e senza dubbio tale fiera trae piacere dalle acque dei fiumi. I tori indiani hanno un colore fulvo, un'estrema agilità, il vello a con­ tropelo, la bocca larga come la testa. Anch'essi possono girare le corna con la flessibilità che desiderano. La durezza della pelle respinge qualsiasi ar-

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cornua flexibilitate qua volunt. tergi duritie omne telum respuunt et tam inmiti ferita te, ut capti animas proiciant furore'7• Mantichora quoque nomine inter haec nascitur, triplici dentium ordine coeunte vicibus alternis, facie hominis, glaucis oculis, sanguineo colore, corpore leonino, cauda velut scorpionis aculeo spiculata, voce tam sibila ut imitetur modulos fistularum [tubarumque concinentum] . humanas carnes avidissime affectat. pedibus sic viget, saltu sic potest, ut morari eam nec extentissima spatia possint nec obstacula latis­ sima'8. sunt praeterea boves unicornes [et tricornes] solidis ungulis nec bifissis'9• Sed atrocissimus est monoceros, monstrum mugitu horrido, equino corpore, elephanti pedibus, cauda suilla, capite cervino. cornu e media fronte eius protenditur splendore mirifico, ad magnitudinem pedum quattuor, ita acutum ut quicquid impetat, facile ictu eius per­ foretur. vivus non venit in hominum potestatem et interimi quidem potest, capi non potest''· Aquae etiam gignunt miracula non minora. anguillas ad tricenos pedes'' longas educa t Ganges. quem Statius Sebosus'' inter praecipua miracula ait vermibus abundare caeruleis nomine et colore. bi bina habent brachia longitudinis cubita non minus sena, adeo robustis viribus, ut elephantos ad potum ventitantes mordicus con­ prehensa ipsorum manu rapiant in profundum". Indica maria balaenas habent ultra spatia quattuor iugerum", sed et quos physeteras" nuncupant, qui enormes supra molem in­ gentium columnarum ultra antemnas se navium extollunt haustosque fistulis fluctus ita eructant, ut nimbosa adluvie plerumque deprimant alveos navigantium. Sola India mittit avem psittacum colore viridem torque puniceo, cuius rostri tanta duritia est, ut cum e sublimi praecipitat in saxum, nisu se oris excipiat et quodam quasi fundamento utatur extraordinariae firmitatis: caput vero tam valens, ut si quando ad discendum plagis sit admonendus (nam studet ut quod homines loquatur), ferrea clavicula sit verberandus. dum in pullo est atque adeo intra alterum aetatis suae annum quae monstrata sunt et citius discit et retinet tenacius: paulo senior et obliviosus est et indocilis. inter nobiles et ignobiles discretionem digitorum facit numerus: qui praestant,

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ma appuntita e sono animali così selvaggiamente fieri che, nel caso di ca t­ tura, si lasciano morire di rabbia impotente. Nasce anche tra quelle fiere la manticora, con una triplice fila di denti che s'incastrano alternativamente, con volto umano, occhi glauchi, colore del san­ gue, corpo da leone, la coda prowista di aculeo al modo di uno scorpione, la voce tanto stridula che ricorda un accordo di zampogne e [di trombe soffiate assieme]. Ha una passione morbosa per le carni umane. Possiede tanto vigo­ re nelle zampe, tanta potenza nel salto, che non possono fermarle il passo né gli spazi più estesi, né gli ostacoli più impervi. Vi sono anche buoi con uno [o tre corni] e gli zoccoli compatti, non scissi. Ma il più spaventoso è il monocero, mostro dall'orrendo bramito, corpo di cavallo, piedi da elefante, coda di porco, testa di cervo. Nel mezzo della sua fronte porta un corno, di mirabile splendore, lungo quattro piedi, così acuto che qualunque cosa sia aggredita, la perfora con il suo colpo. Non cade vivo nel potere dell'uomo, e può, al massimo, essere ucciso e non catturato. Anche le acque generano portenti non meno singolari. il Gange produ­ ce anguille di trenta piedi. Secondo Stazio Seboso, fra le principali meraviglie di questo fiume figura l'abbondanza di vermi chiamati cerulei per il colore. Questi hanno due braccia di non meno di sei cubiti di lunghezza, e di forza tanto robusta che, prendendo con un morso la tromba degli elefanti quando vanno ad abbeverarsi, li trascinano in fondo al fiume. I mari dell'India hanno balene di un corpo superiore all'estensione di quattro iugeri, così come altre che chiamano fiseteri i quali, immensi, con maggior mole di un'enorme colonna, balzano fin oltre gli alberi delle navi e, attraverso [loro] condotti [interni] eruttano con tanta forza l'acqua che mol­ to spesso inondano i vascelli dei naviganti con uno scroscio tempestoso. L'India è l'unico paese che dia vita al pappagallo, uccello di colore verde e con un collare purpureo, il cui becco è di tale solidità che quando vola giù dall'alto su di un masso, si afferra con la forza del becco e lo impiega come un supporto di sostegno di eccezionale solidità; e ha una testa tanto dura, che se qualche volta lo si deve prendere a botte perché impari (infatti si sforza di par­ lare come gli esseri umani), bisogna batterlo con una verga di ferro. Mentre è giovanissimo e fino a che non ha compiuto i due anni impara con più sveltez­ za quanto gli hanno insegnato e lo trattiene con maggiore tenacia: un poco più vecchio diventa smemorato e persino incapace di apprendere. La differenza tra quelli di razza e gli usuali la stabilisce il numero delle dita: i pappagalli di

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quinos in pedes habent digitos, ceteri ternos. lingua lata multoque latior guam ceteris avibus: unde perficitur, ut articulata verba peni­ tus eloquatur. quod ingenium ita Romanae deliciae miratae sunt, ut barbari psittacos mercem fecerint'6• Indorum nemora in tam proceram sublimantur excelsitatem, ut transiaci ne sagittis quidem possint". pomaria ficus habent, quarum codices in orbem spatio sexaginta passuum extuberantur: ramorum umbrae ambitu bina stadia consumunt: foliorurn latitudo formae Amazonicae peltae conparatur: pomum eximiae suavitatis''· guae palustria sunt, harundinem cream ita crassam, ut fissis internodiis lembi vice vectitet navigantes". e radici bus eius umor dulcis exprimitur ad melleam suavitatem4'. Tylos Indiae insula est: ea fert palmas, oleam creat, vineis abundat. terras omnes hoc miraculo sola vincit, quod quaecumque in ea arbos nascitur, numquam caret folio�. Ibi mons Caucasus", qui maximam orbis partem perpetuis iugis penetrar, fronte qua soli obversus est arbores piperis ostenta t, quas ad iuniperi similitudinem diverse fructus edere adseverant. qui paene inmaturi exeunt, dicitur piper longum: quod incorruptum est, piper album: quorum cutem rugosam et torridam calor fecerit, nomen trahunt de colore". Hebenurn ex India Mithridatico triumpho Romae primurn Magnus Pompeius exhibuit44• mittit India et calamos odoratos et multa alia fragrantia mirifici spiritus suavitate. Indicorum lapidum in adamantibus dignitas prima, utpote qui lymphationes abigunt, venenis resistunt, mentium vanos metus pellunt. haec primum de bis praedicari oportuit, guae respicere ad utilitatem videbamus: nunc reddemus guae adamantium sint species et quis colos cuique. eximius in quodam crystalli genere invenitur, materiae in qua nascitur adaeque similis splendore liquidissimo, in mucronem sexangulum utrimque secus leviter turbinatus nec umquam ultra magnitudinem nuclei Abellani repertus. buie proximus in excellentissimo auro deprehenditur, pallidi or ac magis ad argenti colorem renitens. tertius in venis cypri appare!, propior ad aeream faciem. quartus in metallis ferrariis legitur, pendere ceteros antecedens, non tamen et potestate. nam et hic et qui in cypro deprehenduntur frangi queunt, plerique etiam adamante altero perforantur. at illi quos pri-

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maggior qualità hanno cinque dita per zampa, gli altri tre. La lingua è larga, e molto più espansa che negli altri uccelli: per tale motivo dicono parole per­ fettamente scandite. I raffinati circoli romani ammirarono tanto questo tratto singolare che i barbari trasformarono il pappagallo in mercanzia. I boschi dell'India si elevano a tale altezza, che non possono essere supe­ rati neppure dal lancio di frecce. Gli orti hanno i fichi i cui tronchi, abbrac­ ciano una grossezza di sessanta passi in tondo: l'ombra dei loro rami copre un'area di due stadi; la profilatura delle loro foglie assomiglia nella forma al­ lo scudo delle Amazzoni; il frutto è di dolcezza squisita. I terreni palustri ge­ nerano una canna talmente grossa che, aperta fra due nodi, trasporta i navi­ ganti a guisa di barca. Dalle sue radici si estrae un succo dolce, paragonabile, per la soavità, al miele. Tilo è un'isola dell'India: produce palme, genera l'oli­ vo, e abbonda di vigne. Vince tutte le altre terre per questo prodigio, che qual­ siasi albero vi nasce non perde mai le foglie. n monte Caucaso, che penetra la maggior parte del mondo con la sua ca­ tena ininterrotta di monti, lì offre, nel versante orientato al sole, gli alberi del pepe, che, dicono, a somiglianza del ginepro, producono frutti differenti. Quelli che spuntano quasi immaturi si chiamano pepe lungo; quello che è in­ tatto, pepe bianco; quelli che presentano una pellicola rugosa e secca per via del calore solare, assumono il nome dalla tinta. Pompeo Magno fu il primo che mostrò a Roma, durante il suo trionfo per la vittoria sopra Mitridate, l'ebano dell'India. L'India produce anche i càlami aromatici e molti altri profumi con il fascino di essenze esotiche. Tra le gemme indiane il posto d'onore spetta al diamante, visto che scac­ cia i deliri, combatte i veleni, allontana dalla mente le vane angustie. Occor­ reva, innanzi tutto, anticipare quelle qualità che ci sembravano spettanti al suo impiego: ora andremo ad esporre le classi di diamanti che esistono e i loro cor­ rispettivi colori. n più bello s'incontra in un certo genere di cristallo, è prati­ camente identico, nella sua brillante trasparenza, alla materia in cui si genera; forma con finezza, dall'uno e dall'altro lato, la figura appuntita di un cono esa­ gonale, e mai se ne è trovato alcuno di dimensioni maggiori di una noce avel­ lana. Quello che segue per qualità s'incontra nell'oro di maggior purezza, tut­ tavia è meno luminoso, e il suo fulgore è più comparabile alle tonalità dell'ar­ gento. n terzo per qualità si rinviene nelle vene del rame, e si awicina all'a­ spetto del bronzo. n quarto si raccoglie nelle miniere di ferro; precede gli al­ tri sul piano del peso, ma non certo su quello della resistenza. Infatti sia que-

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mos significavimus nec ferro vincuntur nec igni domantur: verum tamen si diu in sanguine hircino macerentur, non aliter quam si calido ve! recenti, malleis aliquot ante fractis et incudibus dissipatis aliquando cedunt atque in particulas dissiliunt45• guae fragmenta scalptoribus in usum insigniendae cuiusce modi gemmae expetuntur.

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sto sia quelli raccolti nel rame possono spezzarsi e, nella maggior parte, sono atti ad essere perforati con un altro diamante. Tuttavia, quelli che abbiamo ca­ talogato come primi, non si fanno incidere dal ferro o lavorare dal fuoco; non­ dimeno, se a lungo sono fatti macerare nel sangue di capro - non importa se caldo o freddo -, finalmente cedono e si frangono in particelle, non senza aver prima mandato in pezzi parecchi magli ed eroso delle incudini. Tali frammenti sono ricercati attivamente dagli intagliatori, al fine di utilizzarli per lavorare gemme di ogni tipo.

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Taprobanem insulam', antequam temeritas h umana exquisito penitus mari fidem panderet, diu orbem alterum putaverunt et quidem quem habitare Antichthones' crederentur. verum Alexandri Magni virtus ignorantiam publici erroris non tulit ulterius permanere, sed in haec usque secreta propagavi! nominis sui gloriam. missus igitur Onesicritus' praefectus classis Macedonicae terram istam, quanta esset, quid gigneret, quomodo haberetur, exquisitam notitiae nostrae dedit. patet in longitudinem stadiorum septem milia, in latitudinem quinque milia•. scinditur amni interfluo5• nam pars eius bestiis et elephantis repleta est maioribus multo guam fert India: partem homines tenent. margaritis scatet et gemmis omnibus. sita est inter ortum et occasum. ab eoo mari incipit praetenta lndiae. a Prasia Indorum gente dierum viginti primo in eam fuit cursus, sed cum papyraceis et Nili navibus ilio pergeretur: mox cursu nostrarum navium septem dierum iter factum est. mare vadosum interiacet altitudinis non amplius senum passuum, certis autem canalibus depressum adeo, ut nullae umquam ancorae ad profundi illius fundamenta potuerint pervenire. nulla in navigando siderum observatio: utpote ubi septemtriones nequa· guam videntur vergiliaeque numquam apparent. lunam ab octava in sextam decimam tantum supra terram vident. lucet ibi canopos sidus clarum et amplissimum. salem orientem dextra habent, occidentem sinistra. observatione itaque navigandi nulla suppetente, ut ad desti· natum pergentes locum capiant, vehunt alites, qua rum meatus terram petentium magistros habent cursus regendi. quaternis non amplius mensibus in anno navigatur6.

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[Taprobane e il mare delle perle]

Prima che l'audacia umana spiegasse la sua sicumera nei mari già esplo­ rati, a lungo si credette che l'isola di Taprobane costituisse un altro mondo, e in sostanza immaginavano che la abitassero gli Antictonii. Tuttavia il valore di Alessandro Magno non sopportò che l'ignoranza di un pubblico errore si per­ petuasse, ma estese la gloria del suo nome fino a quei luoghi remoti. Pertan­ to, inviato Onesicrito, ammiraglio della flotta dei Macedoni, ci permise di co­ noscere informazioni precise su questa terra, quali fossero le sue dimensioni, che producesse, in che modo fosse organizzata. Ha un'estensione di settemi­ la stadi di longitudine e di cinquemila in latitudine. È attraversata, al centro, da un fiume. Non a caso una sua parte è piena di bestie ed elefanti in misura maggiore di quanto avvenga in India, l'altra è occupata dalla popolazione. È ricca di perle e di ogni genere di pietre preziose. È posta tra l'oriente e l'occi­ dente. Comincia dal mare orientale ed è parallela all'India. Dalla popolazio­ ne indiana dei Prasi a quest'isola la navigazione durava prima venti giorni, ma quando vi si dirigevano con imbarcazioni di papiro proprie del Nilo; oggi, con la rotta delle nostre navi, si è convertita in un viaggio di sette giorni. In mez­ zo si frappone un mare di bassi fondali, di un'altezza non superiore a sei pas­ si, ma tuttavia in certi canali è tanto profondo che nessuna àncora ha potuto mai toccare il fondo di quegli abissi. Nella navigazione non si può tenere al­ cun conto delle stelle: dato che lì non si vede affatto l'Orsa Minore e non ap­ paiono le Pleiadi. La luna compare sopra l'orizzonte solamente dall'ottavo al sedicesimo giorno del suo ciclo. Lì risplende Canopo, stella luminosa e gran­ dissima. Hanno il sole quando nasce alla loro destra, e quando tramonta a si­ nistra. E pertanto, non possedendo regole di navigazione per raggiungere la meta prescelta, portano con sé degli uccelli il cui volo verso la terra ferma prendono come guida per la rotta da seguire. Vi si naviga non più di quattro mesi all'anno.

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In Claudii principatum de Taprobane haec tantum noveramus: tunc enim fortuna patefecit scientiae viam latiorem. nam libertus Annii Plocami, qui tunc Rubri maris vectigal adrninistrabat, Arabiam petens, aquilonibus praeter Carmaniam raptus, quinto decimo demum die adpulsus est ad hoc litus portumque advectus qui Hippuros nomi­ natur. sex deinde mensibus sermonem perdoctus admissusque ad conloquia regis quae compererai reportavit7• stupuisse scilicet regem pecuniam quae capta cum ipso erat, quod tametsi signata disparibus foret vultibus, tamen parem haberet modum ponderis: cuius aequali­ tatis contemplatione cum Romanam arnicitiam flagrantius concupivisset. Rachia principe legatos ad nos usque misit, a quibus cognita sunt universa8• Ergo in de homines corporum magnitudine omnes homines antecedunt: crines fuco inbuunt, caeruleis oculis ac truci visu, terrifico sono vocis. quibus inmatura mors est in annos centum aevum tra­ hunt: aliis omnibus annosa aetas et paene ultra humanam extenta fragilitatem. nulli aut ante diem aut per diem somnus. aedificia modice ab humo elevata. annona eodem semper tenore. vites nesciunt: pomis abundant9. colunt Herculem". in regis electione non nobilitas praevalet, sed suffragium universorum. populus eligit spectatum moribus et inveterata clementia, etiam annis gravem. sed hoc in eo quaeritur, cui liberi nulli: sunt: nam qui parer fuerit, etiamsi vita spectetur, non admittitur ad regendum: et si forte dum regnar pignus sustulit, exuitur potestate: idque eo maxime custoditur, ne fiat hereditarium regnum. deinde etiamsi rex maximam prae­ ferat aequitatem, nolunt ei totum licere: triginta ergo rectores accipit, ne in causis capitum solus iudicet: quamquam sic quoque si displi­ cuerit iudicatum, ad populum provocatur atque ita datis iudicibus septuaginta fertur sententia, cui necessario adquiescitur. cultu rex dissimili a ceteris vestitur syrmate", ut est habitus, quo Liberum patrem amiciri videmus. quod si etiam ipse in peccato aliquo arguitur, morte multatur": non tamen ut cuiusquam attrectetur manu, sed con­ sensu publico rerum omnium interdicta ei facultate: etiam conloquii

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All'epoca del principato di Claudio, su Taprobane non sapevamo più di questo: ora, invece, la fortuna ha aperto una porta più ampia alla nostra co­ noscenza. Infatti un liberto di Annio Plòcamo, che amministrava la riscossio­ ne dei tributi del Mar Rosso, dirigendosi in Arabia [per mare] , spinto dai ven­ ti aquilonari oltre la Carmania, finalmente il quindicesimo giorno arrivò a que­ ste coste [di Taprobane] e giunse al porto chiamato Hippuro. Poi, dopo sei mesi, istruito nella lingua, e ricevuto in udienza dal re [locale] , fece una rela­ zione delle cose apprese. n re, poi, rimase stupito per le monete che erano sta­ te requisite con il prigioniero, dato che, sebbene fossero caratterizzate da di­ versi volti [di regnanti] , tuttavia mantenevano la stessa misura ponderale, e, per provare tale regolarità, ardendo del desiderio di stringere amicizia con i Romani, mandò fino a noi degli ambasciatori, guidati da Rachia, grazie ai qua­ li si è avuta una piena cognizione di tutte le cose [di questo paese] . Dunque: le sue genti superano in taglia fisica tutti gli uomini: si tingono i capelli di colore rossastro, hanno occhi azzurri, e sguardo truce, e uno spa­ ventoso suono di voce. Quelli che muoiono prematuramente arrivano sino a cent'anni: tutti gli altri hanno una vita prodiga di anni ed estesa quasi al limite di quanto comporta l'umana caducità. Nessuno dorme né prima del giorno, né durante il giorno. Le loro abitazioni si elevano di poco sulla superficie del suo­ lo. L'insieme delle provviste per vivere è sempre stabile. Non conoscono le vi­ ti: c'è abbondanza di alberi da frutto. Adorano Ercole. Riguardo all'elezione del re, non decide una classe di nobili, ma il suffragio universale. n popolo de­ signa una persona di costumi rispettabili e di accertata clemenza, e per di più avanti con gli anni. Nondimeno si desidera che non abbia figli: infatti, chi è pa­ dre, per quanto esemplare sia stata la sua vita, non è ammesso a regnare; e se per caso ha un figlio durante il regno, è privato del potere; e ciò lo si stabilisce a tal fine: che il regno non sia ereditario. Inoltre, per quanto il re manifesti la massima equità, non permettono che gli sia concessa ogni cosa; infatti è con­ trollato da trenta magistrati per non essere il solo giudice in processi capitali: per quanto poi, se c'è disaccordo sulla colpa, ci si appella al popolo, e una vol­ ta nominati settanta giudici, si pronuncia la sentenza, alla quale si deve sotto­ stare di necessità. Quanto all'abito, il re lo porta differente da tutti, una veste talare del tipo di quella che vediamo indossata dal Padre Libero. Nel caso poi che lo stesso re cada in qualche grave colpa, è condannato a morte: e non ac­ cade che sia colpito dalla mano di qualche persona, ma per pubblico assenso gli si proibiscono i diritti su ogni materia [civile] , inclusa la possibilità di par-

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potestas punito denegatur. culturae student universi. venatibus in­ dulgent nec plebeias agunt praedas, guippe cum tigrides aut elephanti tantum reguirantur. maria guogue piscationibus inguietant marinasgue testudines capere gaudent, guarum tanta est magnitudo, ut superficies earum domum faciat et numerosam familiam non arte receptet''· Maior pars insulae huius calore ambusta est et in vastas deficit solitudines. latus eius mare adluit perviridi colore fruticosum, ita ut iubae arborum plerumgue gubernaculis atterantur. cernunt latus Sericum de montium suorum iugis. mirantur aurum et ad gratiam poculorum omnium gemmarum adhibent apparatum. secant marmora testudinea varietate'4. margaritas legunt plurimas maximasgue. con­ chae sunt, in guibus hoc genus lapidum reguiritur, guae certo anni tempore luxuriante conceptu sitiunt rorem velut maritum, cuius desi­ derio hiant: et cum maxime liguitur lunaris imber, oscitatione guadam hauriunt umorem cupitum: sic concipiunt gravidaegue fiunt. de saginae gualitate reddunt habitus unionum: nam si purum fuerit guod acce­ perint, candicant orbiculi, si turbidum, aut pallore languent aut rufo innubilantur. ita magis de caelo guam de mari partus habent. deni­ gue guotiens excipiunt matutini aeris semen, fit clarior margarita, guotiens vespere, fit obscurior guantogue magis hauserit, tanto magis proficit lapidum. magnitudo. si repente micaverit coruscatio, intem­ pestivo metu conprimuntur clausaegue subita formidine vitia contrahunt abortiva; aut enim perparvuli fiunt scrupuli aut inanes. con­ chis ipsis inest sensus: partus suos maculari timent cumgue flagran­ tioribus radiis excanduit dies, ne fucentur lapides solis calore, subsidunt in profundum et se gurgitibus ab aestu vindicant. huic tamen providentiae aetas opitulatur: nam candor senecta disperi! et grandescentibus conchis flavescit margarita. in agua mollis est unio, duratur exemptus. numguam duo simul reperiuntur: inde unioni­ bus nomen datum. ultra semunciales inventos negant''· piscantium insidias timent conchae: unde est, ut aut inter scopulos aut inter

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!are in pubblico. Tutti praticano l'agricoltura. Sono dediti alla caccia e non ca t· turano animali qualsiasi, dato che risultano capaci di prendere di mira solo ti· gri ed elefanti. Battono anche il mare a pesca, e si dilettano a prendere testug· gini marine, la cui grandezza è tale che il loro carapace può dar luogo a una ca· sa e accogliere comodamente una famiglia numerosa. La maggior parte di questa isola è bruciata dal calore [solare] e termina in vaste solitudini [desertiche]. Bagna le sue coste un mare di color verde in­ tenso, pieno di vegetazione, in modo tale che i timoni delle navi s'impigliano tra i rami degli alberi. Dalle vette dei suoi monti si distingue la costa della Ci­ na. Apprezzano l'oro e abbelliscono le coppe decorandole con gemme di ogni tipo. Tagliano marmi variegati come la testuggine. Raccolgono un'infinità di perle e della massima grandezza. Esistono conchiglie al cui interno si trova questo tipo di gemme, le quali, durante un certo periodo dell'anno, ansiose di procreare, desiderano la rugiada per marito, e per questo stimolo [sessuale] aprono le valve. E allorché tale pioggia lunare viene gocciolando in stilie, as­ sorbono, quasi come sbadigliando, l'umore concupito: e così concepiscono e restano feconde. La qualità delle perle è frutto della finezza dell'alimento [ge­ nerante]: se quello che hanno ricevuto è puro, le sfèrule sono di un bianco lu­ cente, se torbido, diventano di un candore pallido, o macchiate di un rosso scuro. In tal modo producono un frutto più celeste che marino. Pertanto, tut­ te le volte che assorbe il seme [fecondante] con la luce mattutina la perla ac­ quista un riflesso più luminoso, se invece lo accoglie di sera, nasce più oscu­ ra. Infine, quanto maggiore è la percentuale di seme assunto, tanto più gran­ de è la gemma. Se all'improwiso assorbono un riflesso di luce, [le conchiglie] vengono colte da un repentino timore, e chiuse [le valve] per tale imprevista angoscia, soffrono disturbi abortivi: si formano, in effetti, pietruzze o insigni­ ficanti o vuote. Le stesse conchiglie hanno sensazioni: temono che le loro crea­ ture abbiano delle macchie, e quando il giorno si è illuminato con i suoi rag­ gi più ardenti, perché le perle non siano tinte dal calore [solare] , discendono verso il fondo del mare e si proteggono nelle profondità dall'afa. Senza dub­ bio anche l'età contribuisce a questa prevenzione, perché il candore si perde completamente con la vecchiaia e, mano a mano che la conchiglia si sviluppa, la perla s'imbiondisce. Dentro l'acqua la perla è molle, fuori, diventa solida. Non si sono mai trovate due perle unite, per questo si chiamano "uniche". Si dice che non siano reperibili perle di più di mezza oncia. Le conchiglie temo­ no le insidie dei pescatori: da ciò consegue che si celano spesso tra gli scogli e

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marinos canes'6 plurimum delitescant. gregatim natant: certus exa­ mini dux est: illa si capta sit, etiam quae evaserint in plagas rever­ tuntur. Da t et India margaritas, da t et litus Brittanicum: sicut divus lulius thoracem, quem Veneri genetrici in tempio eius dicavit, ex Brit· tanicis margaritis factum subiecta inscriptione intellegi voluit'7• Lol· liam Paulinam Gaii principis coniugem vulgatum est habuisse tunicam ex margaritis sestertio tunc quadringenties aestimatam: cuius parandae avaritie pater ipsius Manilius spoliatis Orientis regionibus offendit C. Caesarem Augusti filium interdictaque amicitia principis veneno interiit. illud quoque expressit vetus diligentia, quod Sullanis pri· mum temporibus Romam inlati sunt uniones'8•

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gli squali. Nuotano a banchi; il mucchio ha un capo stabilito, ma se questo vie­ ne catturato tutte le sopravvissute finiscono nelle reti. L'India produce delle perle, ma le genera anche la costa della Britannia: co­ me volle ricordare il divino Giulio [Cesare] con una iscrizione posta ai piedi di una corazza consacrata al tempio di Venere Genitrice che era fabbricata con perle britanniche. È di pubblico dominio che Lollia Paulina, moglie dell'impe­ ratore Gaio [Caligola] , ebbe una tunica di perle valutata, alla sua epoca, qua­ ranta milioni di sesterzi: per l'ambizione di avere una simile gioia, Manilio, il p a­ dre di Lollia, dopo aver saccheggiato i territori d'Oriente, cadde in disgrazia agli occhi di Caio Cesare, figlio di Augusto, e, escluso dall'amicizia del principe, morì prendendo un veleno. Lo scrupolo dei tempi passati ci ha fornito la noti­ zia che le perle giunsero a Roma per la prima volta all'epoca di Silla.

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Note al testo latino

[ Dedica]

1. Advento: nulla sappiamo del destinatario dell'opera (rappre­ sentato, in miniatura, nei codici medievali: ad esempio British Li­ brary, ms. Egenon 818, c. 2r) . Sulla dedica, cfr. C. Santini, La lettera pre/atoria di Giulio Salino, in C. Santini, N. Scivoletto, L. Zurli (a cu­ ra di) , Prefazioni, prologhz� proemi di opere tecnico-scientifiche latine, Herder, Roma 1998, pp. 33-49. 2. locorum commemoratio: prassi descrittiva tipica - su modelli greci - della geografia antica: cfr. A. Klotz, Quaestiones Plinianae geo­ graphicae, Apud Weidmannos, Berolini 1905; C. Jacob, La description de la terre abitée de Denys d'Alexandrie ou la leçon de géographie, A. Miche!, Paris 1990; W. Hiibner (hrsg.) , Geographie un d verwandte Wissenscha/ten , Steiner, Stuttgan 2ooo, dov'è ricordato Solino (ad in­ dicem) . Fondamentale P. Gautier Dalché, La Géographie de Ptolémée en Occident (IV"-XVI' siècle), Brepols, Turnhout 2009. 3· constantia veritatis: concetto non estraneo alla letteratura cri­ stiana, secondo Z. von Martels, Between Tertullian an d Vincentius Li­ rinensis on the Concept Constantia Veritatis and Other Christian In­ fluences on Solinus, in A. A. MacDonald, M. W. Twomey, G. J. Rei­ nink (eds.), Learned Antiquity. Scholarship and Society in the Near-East, the Greco-Roman World and the Early Medieval West, Peeters, Leu­ ven 2003 , pp. 63·9. Se fosse vero - e nutriamo foni riserve - Solino scriverebbe dopo il 197 d.C., data dell'Ad Nationes di Tenulliano. Pe­ riodo condiviso («poco dopo il 2oo d.C.>>) solo da E. H. W. [arming­ ton] , in Dizionario delle antichità classiche di Oxford, Edizioni Paoli­ ne, Roma 1981, vol. II, p. 1973. I

[ Le origini di Roma]

1. Euandro: l'eroe patrio (indiges) dei Romani, che condusse una colonia pelasgica dall'Arcadia al Lazio. Accolto dal re Fauno, ponò alle popolazioni indigene le ani, la musica e il culto di Ercole (Dion.

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Ha!. I, 31-33; Strab. , V, 3, 3; Liv., I, 7; Ovid. , Fast. , l, 471 ss. ecc.). Cfr. D. Musti, Evandro, in Enciclopedia virgiliana, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1966', vol. II, pp. 437-45 e anche A. Grandazzi, Ùl fon­ dazione di Roma, Prefazione di P. Grimal, Laterza, Roma-Bari 1993; R. Bloch, Le origini di Roma, Il Saggiatore, Milano 1997. Classico A. Mo­ migliano, Roma arcaica, Sansoni, Firenze 1989. 2. Valentiam ... nominata m: cfr. Serv., Ad Aen . , I, 273; si tratta di una pseudo-etimologia creata forse in ambienti culturali ellenistici: I. Opelt, Roma PQMH und Rom als Idee, in " Philologus " , CIX, 1965, pp. 47-56; G. Urso, Roma "città greca": nota a Strabone V, J, 5[2p], in " Ae­ vum " , LXXV, 2001 , pp. 25-35 (la voce Roma è etrusca) . Sulle leggende menzionate da Solino nel prosieguo del testo, cfr. A. Carandini, Re­ mo e Romolo. Dai rioni dei Quiriti alla città dei Romani (775/750 7oo/675 a. C.), Einaudi, Torino 2006 e, per i dati archeologici, E. Gjer­ stad, Early Rome, Acta Instituti Romani Regni Sueciae, Lund 1953-73 (6 voll.). 3· arces: acropoli. Cfr. Varr. , De !ing. lat. , v, 151; Serv. , Ad Aen., l, w; Isidoro, Etym. , xv , 2, 32. 4- Heraclidi: Eràclide Lembo, storico greco (II secolo a.C. ) , cit. al­ lo stesso proposito da Serv. , Ad Aen . , l , 273. 5· Agathocles: Agàtocle di Cizico, storico greco (IV-V secolo a.C. ) , ricordato anche d a Plut. , Rom., 2, r per l e ricerche sulle origini del­ l'Urbe. 6. traditur. . . habet: Plin., Nat. hist. , III, 65. Valerio Sorano fu uc­ ciso nell'anno 82 a.C.; il tabù religioso concerneva però la divinità tu­ telare di Roma (Macr. , Sat., III, 9, 3-4, incerto tra Giove, Luna, Ange­ rona, Ops Consivia) . Cfr. L. Alfonsi, r.;importanza politico-religiosa dell'Enunciazione di Valeria Sorano, in " Epigraphica " , XI, 1949, pp. 47-8 e G. Brizzi, Il nomen segreto di Roma e l'arcanum imperii in Pli­ nio, in L. Alfonsi, A. Ronconi (a cura di) , Plinio il Vecchio sotto il pro­ filo storico e religioso. Atti del Convegno ( 5-7 ott. 1979), [New Press] , Como 1982, pp. 237-51. Sulla dea Angerona, che scaccia >, un promonto­ rio - letteralmente " Carrozza degli dèi" - non identificabile con cer-

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tezza, ma connesso a rilievi geografici provenienti, forse, dal Periplo del cartaginese Annone. Per gli antichi l'Etiopia coincideva con l'A­ frica centro-meridionale: cfr. Tolomeo, Geographia, Firenze, Bibl. Med. Laur. , ms. Plut. 30.3, cc. 75v-76r (carta del XV secolo, ma da mo­ delli classici) . Bibliografia in N. Biffi, I;Africa di Strabone. Libro XVII della Geografia, Ed. del Sud, Modugno [Bari] 1999. Fondamentali J. Desanges, Recherches sur l'activité des Méditerranéens aux con/ins de l'Afrique, École française de Rome, Roma 1978 e L. Cracco Ruggini, Conoscenze e utopie: i popoli dell'Africa e dell'Oriente, in AA.VV. , Sto­ ria di Roma, Einaudi, Torino 1993, vol. III, t. I, pp. 443-86. 2. draconum . . . nocent: Solino aveva già alluso ai draghi come ne­ mici degli elefanti (cfr. l'Introduzione, nota 15), ma qui ne precisa i contorni, con minuzia superiore alle fonti a lui note (Herod., II, 75-76; III, 107-109; Lucan. , IX, 727-733) , offrendo un modello a tutta la lette­ ratura medievale, che contaminò questo rettile mostruoso col ricordo biblico (Is. , 27, 1; 51, 9; Apoc., 12, 9). Cfr. L. Dumont, Le Tarasque. Es­ sai de description d'un fait !oca! du point de vue éthnografique, Galli­ mard, Paris 1951; C. Hiinemorder, Isidorus verstficatus. Eine anonymes Lehrgedicht iiber Monstra und Thiere aus dem 12. ]ahrhundert, in "Vi­ variu m " , XIII, 1975, pp. 103-8; J. Le Goff, Culture ecclésiastique et cul­ ture folklorique au Moyen Age: Saint Marcel de Paris et le dragon, Gal­ limard, Paris 1977, pp. 236-79. Credeva ancora ai draghi di Solino U. Aldrovandi, Serpentum et draconum historiae libri duo, Apud C. Fer­ ronium, Bononiae r64o. Per i significati simbolici, cfr. J. E. Cirlot, A Dictionary ofSymbols, Routledge & Kegan Pau!, London 1967, pp. SI5· Suggestivo R. Bianchi Bandinelli, Teratologia e geografia, in "Ac­ me" , XXIV, 1981, pp. 227-49 per comprendere la forma mentis che crea il mostruoso negli antichi. 3· dracontia . . . temeritatis: Plin. , cit., XXXVII, 158 (pietra - bezoar? ­ cit. in R. Halleux,J. Schamp, éds., Les lapidaires grecs, Les Belles Let­ tres, Paris 1985, p. 176 e Posidippo, Epigrammi, ed. G. Zanetto, S. Poz­ zi, F. Rampichini, Mondadori, Milano 2008, p. 8). Per Sotacus, scien­ ziato del III secolo a.C., cfr. G. Plinio Secondo, Storia naturale. Gem­ me e pietre preztose, a cura di C. Lefons, Sillabe, Livorno 2000, p. 33· 4· Quae . . . publicatum: Plin. , cit . , VIII, 69; i giochi cesariani sono quelli del 46 a.C., celebrati dopo la vittoria di Tapso; cfr. Dion. Hai., XLIII, 23. Sul tema cfr. M. Beard, The Roman Triumph, The Belknap Press, Cambridge-London 2007, pp. 102-4. 5· cephos . . . suni: Plin. , cit . , VIII, 70, che ricorda i giuochi pom­ peiani del 55 a.C. , dove accanto a leoni furono mostrate scimmie (bab­ buini? scimpanzé?): cfr. Beard, The Roman Triumph, cit . , pp. 7-14 e il classico G. Jennison, Animals /or Show and Pleasure in Ancient Ro­ me, University of Manchester Press, Manchester 1937.

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6. ludos. . . perviam: Plin. , cit . , III, 20-21 e 71. Per questi giuochi, cfr. anche Plut. , Pomp., 52, e, sull'aggressività - presunta - del rinoceron­ te verso l'elefante, Aelian., Nat. anim., XVII, 44· 7· Iuxta Nigrim . . . exuunt: Plin. , cit . , VIII, 77· Fiume e animale non identificabili anche se si è pensato (ricordando Aelian. , Nat. anim., VII, 5) per la belva a uno gnu africano. Cfr. H. Leitner, Zoologische Ter­ minologie beim A lteren Plinius, Gerstenberg, Hildesheim 1972, p. 74· 8. formicae . . . persecuuntur: Herod. , III, I02; Strab., XV, 1, 44; Arr. , Ind. , xv, 4-5, che pongono in India questi mostri: cfr. W. Reese, Die griechischen Nachrichten iiber Indien bis zum Feldzuge Alexanders des Grossen, Teubner, Leipzig 1914, p. 69. Si tratta di un genere di mar­ motte, stando a Mahiibhiirata, II, 186o c. 9· lycaonem . . . abesse: calco da Plin. , cit . , VIII, 123, che identifica così il canis pictus africano. IO. parandrum . . . possz't: Plin. , cit., VIII, 124, che però chiama il mo­ stro tarandrum e lo colloca nella Scizia. La variante di Salino si spie­ ga con un errore di lettura (tarandrum: parandrum) ; incomprensibile invece la trasposizione di questa alce - caratterizzata da mimetismo pilifero - in Africa. Salino dipende da una fonte greca mal utilizzata, e dovuta a un taumasiografo, dato che compare anche in Arist . , De mir. ausc. , 832b IO ss. (30) . Cfr. Aristotele, Racconti meravigliosi, a cu­ ra di G. Vanotti, cit., pp. 68 e 150-1. n . Aethiopicis . . . vocant: Plin. , cit . , VIII, 123; si tratta dello sciacal­ lo, come conferma il nome greco (thoas). 12. hystrix . . . ingruentes: Plin . , cit., VIII, 125. 13. pegasus . . . caput: non sappiamo a quali animali Salino alluda, pur ironizzando su un uccello che ha il nome del cavallo di Belle­ rofonte: cfr. Plin. , cit . , VII, 72; X, 136; Mela, III, 8, 88. Alcuni di questi mostri entrarono con le loro tipologie composite nei bestiari del Me­ dioevo: cfr. C. Kappler, Demoni, mostri e meraviglie alla fine del Me­ dioevo, Sansoni, Firenze 1983; I. Malaxecheverria, Bestiario medieval, Siruela, Madrid 1986. Per la presenza di questi esseri nell'arte gotica (capitelli, doccioni) cfr. R. Pinedo, El simbolismo en la escultura me­ dieval espaiiola, Suarez, Madrid 1930 e J. Baltrusaitis, Risvegli e prodi­ gi. La metamorfosi del gotico, Adelphi, Milano 1973. 14- Aethiopes . . . incenditur: Plin. , cit . , XII, 86-90. Per la spezia, cfr. J. Innes Miller, Roma e la vùt delle spezie, Einaudi, Torino 1974, cap. VIII, La via del Cinnamomo. 15. hyacintus . . . pretiosus: Plin., cit . , XXXVII, 125-126. Sulla pietra, cfr. Marbodo di Rennes, Lapzdari, a cura di B. Basile, cit., pp. 54 e IOI. 16. chrysoprasus: anche per questo calcedonio, cfr. Marbodo di Rennes, Lapidari, a cura di B. Basile, cit . , pp. 94 e I09. 17· haematitem . . . vocatum: Plin., cit . , XXXVI, 144.

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18. Quod. . . recesserunt: Plin., cit., V, 43 e 128: è località presso l'at­ tuale Abukir, nota agli antichi, che ne favoleggiarono l'etimo (Tac., Ann., II, 68; Serv. , Ad Georg., IV, 287) nel modo ripetuto da Salino; ma è voce egizia, Kahinub, ossia "terreno aureo" (copto Ka'h-nnub). 19. Atlantes . . . lucis: Plin. , cit . , v , 45 e Mela, I , 7, 43· 20. Trogodytae . . . deprehendantur: Plin., cit . , v , 145 e XXVII, 167 e, per la pietra, Marbodo di Rennes, Lapùlari, a cura di B. Basile, cit . , p p . 7 8 e 106. 21. Augilae . . . sinunt: popoli registrati da Plin. , cit., ma già in He­ rod., IV, 174 e 182. 22. Blemyas . . . pectore: Herod. , IV, 191; Nonno, XVII, 385; Amm., XIV, 4, 3; Avien. , Orb., 329; sarebbero vissuti , mo­ stri poi tipici delle Mappae mundi medievali. 23. Satyri. . . figuram: come popolazione africana sono ricordati in Plin. , cit., v , 46 e Mela, I, 4, 23 e 48. 24· Aegipanes . . . Libya: calco da Plin., cit. XI

[Meraviglie dell'India]

1. A Medis. . . eoum: Plin. , Nat. bist. , VI, 56. La fonte permette di cor­ reggere quel Medis (di tutta la tradizione manoscritta, un lapsus di So­ lino?) in Emodis, i monti che, per gli antichi, rappresentavano l'attuale catena dell'Himalaya (più frequentemente Hemodit] : cfr. C. Tolomeo, Cosmographia [trad. di J. Angeli da Scarperia] , Napoli, Bibl. Naziona­ le Vittorio Emanuele III , Ms. , V.F. 32, Asiae tabula decima, cc. II9V-12or) . Conferme in Arr., Ind., II, 3; Amm., XXIII, 6, 64; Avien. , Orb., 926. 2. /avonii: il favonio è sinonimo di zefiro, il vento primaverile. 3· Posidonius . . . statuit: Plin. , cit., VI, 57 (cfr. Posidonio, Testimo­ nianze e frammenti, a cura di E. Vimercati, Bompiani, Milano 2004, p. 183) . 4· Alexandri Magni. . . est: la spedizione di Alessandro, re dei Ma­ cedoni, in India nel 326 a.C. fece conoscere il paese all'Occidente: cfr. J. Sedlar, Indùz and the Greek World. A Study in the Transmission of Culture, Rowan & Littlefield, Totowa 198o; R. M. Cimino (ed.) , An­ cient Rome and India. Commercia! and Cultura! Contacts between the Roman World and India, Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente-Munshiram Monaharlal Pubi., Roma-New Delhi 1994- Per la deformazione dei dati subita dalle fonti, cfr. R. Stoneman, Romantic Ethnography: Centra! Asia and India in the Alexander Romance, in "Ancient World " , XXV, 1994, pp. 93-107. 5· Megasthenes . . . dare/: lo storico greco che tra il 302 e il 291 a.C. risiedette a Pataliputra in qualità di ambasciatore del re di Siria Se-

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leuco I Nicatore presso la corte di Candragupta, il fondatore della di­ nastia Maurya. Cfr. Megasthenes, Indica. Fragmenta collegit E. A. Schwanbeck, rist. , Hakkert, Amsterdam I966 e anche T. S. Brown, The Reliability of Megasthenes, in "American Journal of Philology" , LXIV!, I955, pp. I8-n; Id., The Merits a nd Weakness of Megasthenes, in " Phoenix " , XI, I957, pp. 12-24; A. B. Bosworth, The Historical Setting o/ Megasthenes' India, in "Classica! Philology" , XLI, I996, pp. 113-27. Solino lo riprende da Plinio, ma poteva conoscerne i testi; cfr. J. An­ dré, ]. Filliozat (éds . ) , L:Indie vue de Rome. Textes latins de l'Antiquité relatifs à l'Inde, Les Belles Lettres, Paris I986, pp. I44-62. 6. Dionysus . . . prodidit: Plin. , cit . , VI, 55; Dionisio uno è storico dell'epoca di Tolomeo II Filadelfo (285-247 a.C.), la cui opera è per­ duta, tranne qualche frammento di tradizione indiretta. 7· Tradunt . . . recesserint: Plin. , cit . , VI, 59· 8. Indiam . . . deprehenduntur: collage di Plin. , cit . , VI, 59; VII, I9I; VIII, 4· La leggenda su Padre Libero, ossia Diòniso, deriva da Mega­ stene (Arr. , Ind. , II, 4) , cfr. S. Hartman, Dyonisos and Heracles in In­ dia According to Megasthenes: a Counter-argument, in "Temenos " , I, I965, pp. 55-649· Maximi. . . devorat: notizie desunte da Plin. , cit., VI, 62 e 60-65, ma diffuse a Roma anche da fonti ellenistiche: cfr. A. Karttunen, In­ dia and the Hellenistic World, Finnish Orientai Society, Helsinki I997· Le misure per il Gange (n,6 km; 29 km; 30 m circa: tutte errate) era­ no accettate dagli antichi: Aelian., Nat. anim., XII, 4I) . Cfr. D. Kienast, Alexander und der Ganges, in "Historia " , XIV, I965, pp. I8o ss. Si noti che Solino confonde I'Hypanis (ossia il fiume Bug) , con I'Hypasis in­ diano (Arr. , Ind., IV , I; Curt., IX, I, 35), il moderno Beas (sanscr. Vi­ pasa). Per gli altari eretti da Alessandro, Plin. , cit . , VI, 49 (e Strab., III, 5. 5). IO. Gangarides . . . vehuntur: Plin. , cit., V I , 66 (i Bengalesi: Serv., Ad Georg., III, 27) . La stratigrafia sociale dell'India antica è in Strab . , XV, 1 , 46-52 e Arr. , Ind., XI, I ss.: cfr. N. Biffi, L:Estremo Oriente di Strabo­ ne. Libro XV della Geografia, Edipuglia, Bari 2005 (con ampia biblio­ grafia). Sulla morte degli asceti, Diod., XVII, IO?; Strab . , XV, I, 4; Plut. , Alex. , 69; Aelian., Var. hist., v , 6 ; Cic . , Tusc. , I I , 52. n . insula . . . habet: Plin., cit . , VI, 67-68. 12. Prasia . . . vocat: Plin. , cit., VI, 68; la città di Palibothra è la Pataliputra di Megàstene (cfr. qui la nota 5). Il calcolo degli armati è pre­ cario nelle fonti antiche: Diod., XVII, 93, 2; Curt. , IX, 2, 3, contraddet­ ti da Plut . , Alex., 62. I3. Baeton: Plin. , cit . , VI, 69. Dallo stesso autore (6I) apprendiamo che : era­ no topografi.

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14- Pygmaei. . . tenent: calco da Plin., ci t. I Pigmei erano collocati dai geografi antichi sia in Africa che in Asia: cfr. V. Dasen, Dwarfs in Ancient Egypt and Greece, Oxford University Press, Oxford 1993. Ri­ petono Solino Mart. Cap., 6, 695; Augustin. , De civ. Dei, XVI, 18; Fo­ zio, Bibl. , 46a-b. 15. Pandaea . . . argentea: compilazione da Plin. , cit . , VI, 74-80 e Mela, III, 7, 60-70. La battuta ironica su Libero-Diòniso si spiega col fatto che Meros in greco vale " muscolo " , e Dioniso nel mito era na· to da una coscia di Giove (jemur: /emine natus) . Cfr. Curt . , VIII, 10, u-12. Non sappiamo molto delle due isole citate (Mart. Cap . , 6, 695; Isidoro, Etym. , XIV, 3 , 5 ) . Plinio e Solino, forse, dipendono da noti­ zie sul periplo greco di Scìlace: cfr. D. Panchenko, Scylax Circum­ navigation o/ India an d Its Interpretations in Early Greek Geography, Ethnography and Cosmography, Il, in "Hyperboreus " , IX, 2003, pp. 273-94· 16. Iubae et Arche/ai: oltre ai Libri di Giuba, Solino attingeva ad Archelao di Cappadocia, che, all'epoca di Augusto, scrisse sui terri­ tori d'Oriente. 17. populi. . . expectantes: Mela, III,7, 61. 18. Astacanorum . . . insistunt: Plin., cit., VI, 79 e VII, 22. Solino rie­ voca, dopo la tribù della stirpe degli Asaceni, un profilo dei filosofi jainisti: cfr. K. Karttunen, The Country o/ Fabulous Beasts an d Naked Philosophers. India in Classica! an d Medieval Literature, in "Arctos " , XXI, 1987, pp. 43-52. 19. Nula . . . singulis: Plin. , cit . , VII, 23. 20. Megasthenes . . . rictibusque: sulla fortuna degli uomini-cane di Megàstene (confermati da Tzetz. , Chi!. , VII, 705-707) cfr. R. Wittkower, Le meraviglie dell'Oriente: una ricerca sulla storia dei mostri, in Id., Al­ legoria e migrazione dei simboli, Einaudi, Torino 1987, pp. 86-8 e M. A. Ladero Quesada, Mondo reale e mondi immaginari: fohn Mandeville, in P. Novoa Portela, F. ]. Villalba Ruiz de Toledo (a cura di) , Viaggi e viaggiatori nel Medioevo, Jaca Book, Milano 2008, pp. 64-6. 21. Ctesiam . . . fieri: Ctesia di Cnido, contemporaneo di Senofon­ te, fu in Persia tra il 416 e il 399 a.C. , all'epoca di Ciro il Giovane, e scrisse sui paesi orientali: D. Lanfant (éd. ) , Ctésias de Cnide. La Per­ se, l'Inde, autres /ragments, Les Belles Lettres, Paris 2004- So lino po­ teva conoscere i suoi Indica, ampiamente riassunti in Plinio; Ctesia è la fonte su animali e mostri d'Oriente: cfr. L. Bodson, Ancient Greek Views an the Exotic Animals, in " Arctos " , XXXII, 1998, pp. 61-85. 22. monocolos. . . inumbrentur: sono i famosi sciapodi, poi descrit­ ti, nel Medioevo, da Tommaso di Cantimpré (Liber de monstruosis ho­ minibus) e illustrati nel Bestiario di Westminster; ma già presenti nel Liber monstrorum de diversis generibus: cfr. la nostra Introduzione.

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23. Gangis . . . vivunt: Plin. , cit . , VII, 23 , 24, 25, 30; mostri ripresi da tutta la letteratura tardoantica: cfr. J. B. Friedman, The Monstrous Ra­ ces in Medieval Art an d Thought, Harvard University Press, Cam­ bridge (MA) , 1981; M. Mund-Dopchie, Autour des Sciapodes et des Cy­ nocephales: la péri/érie dans l'imaginaire antique, in " Analele Univer­ sitari Bucuresti. !storie" , XLI, 1992, pp. 31-9. Sul sacrificio delle vedo­ ve indiane ricordato dai classici, fondamentale W. Heckel,J. C. Yard­ ley, Roman Writers an d the Indian Practice o/ Suttee, in " Philologus " , cxxv, 1981, pp. 305-JI. 24· Enormitas . . . destinata: Plin. , cit . , VIII, 36 (ma il pitone india­ no, che può predare un cervide, non entra in acque profonde). 25. leucocrota . . . aemulatur: Plin. , cit., VIII, 72, che però chiama il mostro leucrocota. 26. Est . . . gaudet: Plin., cit. , VIII, n C'è chi ha pensato ad un bu­ falo selvatico: W. George, The Yale, in "Journal of the Warburg and Courtauld Institutes " , XXXI, 1968, pp. 422-8. 27. Indicis . . . furore: Plin., cit., VIII, 74· 28. Mantichora . . . latissima: Plin., cit., VIII, 75· Si tratta - come ri­ vela l'etimo persiano martijaqdra - di una " mangiatrice d'uomini" , animale fantastico imparentato con la tigre: cfr. Arist., Hist. anim. , II, 1, 501a 24; Aelian., Nat. anim. , IV, 21; Paus., IX, 21, 4-5. 29. boves . . . bifissis: Plin., cit., VIII, 73 e 76. 30. monoceros . . . potest: il rinoceronte indiano (genda in urdu). So­ lino, incapace di rilevarne la parentela con quello africano - cfr. Curt., IX, 1 , 5 - offre alla letteratura medievale un vero unicorno: cfr. M. Re­ stelli, Il ciclo dell'unicorno, Marsilio, Venezia 1992, pp. 49 ss. e anche il classico O. Shepard, La leggenda dell'unicorno, Sansoni, Firenze 1984. Fondamentale la mediazione di Brunetto Latini, Tresor, l, 198. 31. tricenos pedes: 8,8 m: notizia favolosa tratta da un taumasio­ grafo: cfr. nota seguente. 32. Statius Sebosus: taumasiografo latino del I secolo d.C., cit. da Plin. , cit., IX, 46. Un suo profilo in K. Sallman, Die Geographie des iil­ teren Plinius in ihrem Verhiiltnis zu Varro, De Gruyter, Berlin-New York 1971, p. 42, che rinvia anche a C. Miiller, Studien zur Geschichte der Erkunde im Altertum. 1. Die Kunde des Altertums von den Kana­ rischen Inseln. 2. Statius Sebosus, Diss., Breslau 1902. 33· vermibus. . . pro/undum: da Plin. , cit . , IX, 46 (ma parla di bran­ chie, non di braccia ! ) , che riprende Ctesia: cfr. Lanfant (éd.), Ctésias de Cnide. La Perse, l'Inde, autres/ragment, cit., p. 184 (Indica, 46) . Una conferma in Ep. Alex., 72: ma non si fanno illazioni sulle creature; cfr. André, Filliozat (éds.) , L:Inde vue de Rome, cit . , p. 182. 34- quattuor iugerum: 2. 500 mq; iperbole orrifica poi diffusa da te­ sti medievali che parlano di balene-isole (ad esempio la Naviga/io

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Sancti Brendanzì: cfr. A. Arioli, Le isole mirabili. Periplo arabo medie­ vale, Einaudi, Torino 1989, p. 40 (Il pesce-isola) . 35· physeteras: le balene azzurre; cfr. Plin., cit., IX, 8. 36. lndia .. . /ecerint: cfr. Plin., cit . , x, II7-II9. La notizia di Solino sui pappagalli grati alle classi colte romane è confermata; a pappagal­ li dedicarono testi celebri Ovidio, Stazio, Apuleio: cfr. Apuleius, Flo­ rida, ed. V. Hunink , J . C. Gieben, Amsterdam 2001, pp. 127-32. 37· Indorum . . . possint: Plin., cit., VII, 21. 38. pomaria . . . suavitatis: si tratta - seguendo Plin. , cit . , XII, 23 della ficus bengalensis o ficus indica, che attirò la curiosità dei Greci (Theophr. , Hist. plant. , I, 7, 3; IV, 4, 4-5) e dei Romani (Curt . , IX,1, 9w). Ma le dimensioni sono eccessive (circa 30 m e 355 m ! ) . 3 9 · palustris . . . navigantes: dato pliniano (XVI, 162) , confermato da Tzetz. , Chil. , VII, 731-732, ma fantastico. Tagliando la canna tra i nodi si ottiene, al più, un recipiente, come sanno i lettori di G. Verne, L'i­ sola misteriosa, Longanesi, Milano 1947, p. 301 (da fonte scientifica). 40. umor. . . suavitatem: Plin., cit . , XII, 32: ma non si capisce se par­ la del succo della canna da zucchero, o dell'umore dolciastro di certe radici. 41. Tylos . . . folio: Plin. , cit . , XII, 40: secondo alcuni è un'isola del­ le Barhein (attingendo a Plin. , cit . , VI, 148 e Theophr., Hist. plant. , IV , 7, 7) . Non è localizzata in Augustin. , De civ. Dei, XXI, 5 e Isidoro, Etym., XIV , 3, 5 e 6, 13. 42. Caucasus: il Caucaso indico, o Himalaya; Isidoro, Etym. , XIV, 8, 2-3 (confermato da Arr. , Ind. , v , w). 43· arbores . . . colore: Plin. , cit., XII, 26: il pepe era considerato tra le spezie più ambite: cfr. Innes Miller, Roma e la via delle spezie, cit . , p p . 81-4 (dove s i tratta del piper longum e del pzper nigrum) e P. Freed­ man, Il gusto delle spezie nel Medioevo, il Mulino, Bologna 2009, pp. 154-5 e 171-91. 44· Mithridatico . . . exhibuit: il trionfo a Roma di Pompeo Magno è del 61 a.C., confermato da Plut., Pomp., 45 e Appian., Mithr. , n6-n7. 45· Indicorum . . . dissiliunt: Plin . , cit . , XXXVII, 56-61. La prezio­ sità della pietra orientale restaura, col suo miraggio di splendore, l'alterità indiana che spaventava Greci e Latini: cfr. J. C. Carrière, É . Geny, M.-M. Mactoux, F. Paul-Lévy, Inde, Grèce ancienne: ré­ gards croisés en anthropologie de l'espace, Les Belles Lettres, Paris 1995. Ancora valide le postille antropologiche di G. Sarton , Ancient Science Through the Golden Age of Greece, Dover, New York 1993'. pp. 326-30; ulteriori note in G. Besso Mussino, Il "miraggio india­ no" tra Oriente e Occidente: prospettive su Megastene, in M. Sordi ( a cura di) , Studi sull'Europa antica, Ed. dell 'Orso , Alessandria 2000, pp. III-21.

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[Taprobane e il mare delle perle]

1. Taprobanem insulam: l'isola di Ceylon, l'attuale Sri Lanka (san­ scr. TamrapariJi) , confine del mondo per Greci e Latini: cfr. D. P. M. Weerakkody, Taprobané Ancient Srf Lanka as Know to Greeks an d Ro­ mans, Brepols, Turnhout I997; S. Faller, Taprobane im Wandel der Zeit. Das Srf Lanka-Bild in griechischen und lateinischen Quellen zwi­ schen Alexanderzug und Splitantike, Steiner, Stuttgart 2000. L'isola sarà descritta per la prima volta analiticamente da Marco Polo (capp. CL-CLV de! Milione) , ma compariva nella Mappa mundi di Tolomeo, in Cosmographia, Firenze, Bibl. Med. Laur. , ms. Plut. 30.2, cc. 68v-69r (ricostruita da Pietro del Massaio, I455-1462 circa) . Bibliografia in K. N. Chauduri, L:Asia prima dell'Europa. Economia e civiltà nell'Ocea­ no indiano, Donzelli, Roma I9942. Antichthones: coloro che vivono agli antipodi: Mela, I, I, 4 e 54; III, 7, 70; Ampel., VI, I; Augustin. , De civ. Dei, XVI, 9· J. Onesicritus: Strab . , XV, I, I5; Plut . , Alex. , 46. Cfr. T. S. Brown, Onesicritus. A Study in Hellenistic Historiography, University of Ca­ lifornia Publications, Berkeley I949 e F. F. Schwarz, Onestkritos und Megasthenes iiber den Tambapannidipa, in "Grazer Beitriige" , v , I976, pp. 2JJ-6J. 4· longitudinem . . . milia: rispettivamente 1 . 295 km e 925 km: mi­ sure eccessive dovute a un calcolo, pare, di Eratostene. Andrebbero corrette in 435 km per 225 circa. 5· scinditur. . . inteifluo: allusione - precisa - all'odierno fiume Ka­ lany. 6. Prasia . . . navigatur: Plin . , Nat. hist. , VI, 82-83 e 87. Cfr. Strab., XV, 1, 14. L'uso di orientare verso terra la navigazione tramite uccelli è an­ tichissimo: cfr. Horn., Od. , XII, 6I-65. 7· Claudii. . . reportavit: Plin. , cit., VI, 84- Il nome del liberto era Li­ sas; di Annio Plòcamo si sono trovate tracce documentate: D. Mere­ dith, Annius Plocamus. Two inscriptions/rom Berenice Road, in "Jour­ nal of Roman Studies " , XLIII, I95J, pp. 38-40. Sulle relazioni tra l'im­ peratore Claudio (IO a.C.-54 d.C.) e Ceylon, cfr. Faller, Taprobane im Wandel der Zeit, cit. 8. stupuisse . . . universa: Plin. , cit . , VI, 85 (dove si trova pure quel Rachia, storpiatura evidente di rajah) ; cfr. F. F. Schwarz, Ein singale­ sischer Prinz in Rom. Beobachtungen zu Plinius, N. H. 6, 81-91, in "Rheinisches Museu m " , CXVII, I974, pp. I66-76. Lo stupore del re per le monete di diversi regnanti, ma eguali per modulo, è legato alla co­ stanza del peso numismatico voluta dai Romani: cfr. T. Mommsen , Histoire de la mannaie romaine [I865-1875l , rist. , Forni, Bologna s.a.,

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t. II, spec. pp. 144 ss. e anche K. Karttunen, Early Roman Trade with South India, in "Arctos , XXIX, 1995, pp. 81-91. 9· Ergo . . . abundant: Plin. , cit . , VI, 88. IO. colunt Herculem: si tratta, owiamente, di Buddha, frainteso dalla storiografia latina, adorato a Ceylon dal III secolo a.C. Cfr. Plin. , cit., VI, 89. II. syrmate: per questo tipo di veste con strascico, cfr. Sen., Herc. Fur., 474; Prud. , Psych., 362 ecc. 12. si etiam . . . multatur: Plin., cit., VI, 91. Secondo Ch. G. Starr, The Roman Emperor an d the King o/Ceylon, in " Classica! Philology" , LI, 1956, pp. 27-30 il brano pliniano - e quindi il riassunto d i Solino ­ apparterrebbero a una vena di polemica politica ami-imperiale. Tesi poco persuasiva, visti i modi dell'opposizione sotto i Cesari: cfr. G. Boissier, L'opposition sous !es Césars, Hachette, Paris 1905 e F. de Oli­ veira, ldeias moraz's e politicas em Plfnio-o-antigo, Imprensa de Coim­ bra, Coimbra 1986. 13. testudines . . . receptet: notizia favolosa - anche leggendo Ae­ lian. , Nat. anim. , XVI , 17 - nata dall'infelice giustapposizione di due passi di Plin. , cit., VI, 9 e IX, 35· In Curt., IX, IO, IO, si legge di Indiani che «tuguria conchis et ceteris purgamentis maris instruunt>>. 14. Maior. . . varietate: Plin. , cit., VI, 87-89. Curiosa l'allusione - as­ surda - al latus Sericum, che chiama in causa la Cina, così poco nota ai Romani: Amm. , XXIII, 3, 64-67; Mela, III, 7, 6o. Cfr. i cenni in F. Altheim, Geschichte des Hunnen , De Gruyter, Berlin 1962; N. Pigu­ lewskaja , Bizanz auf den Wegen nach Indien, Hakkert , Amsterdam 1969 e L. N. Gumilev, Gli Unni, Einaudi, Torino 1972. 15. margaritas . . . negant: Solino riassume, abilmente, Plin., cit., VI, 107-I09, offrendo così una vera scheda già pronta ad essere inserita nei lapidari del Medioevo: cfr. Marbodo di Rennes, Lapidari, a cura di B. Basile, cit . , pp. 86-8 e I08, e anche M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, a cura di P. Angelini, Bollati Boringhieri, Torino 2008, pp. 400 ss. 16. marinos canes: cfr. Aelian. , Nat. anim., l, 55 e Plin. , cit., VI, 109-m. 17. Dat. . . voluit: Plin. , cit., VI, II?. Su Cesare avido di perle e ric­ chezze della Britannia (da lui invasa, come sappiamo dal Bellum gal­ licum) cfr. Svet. , Iul. , 47; sull'enigma delle perle inglesi, cfr. W. Clau­ sen, Bede and the British Pearl, in " Classica! Journal " , XLII, 1947, pp. 277-80. 18. Lolliam . . uniones: eco da Plin. , cit . , VI, II8 e 123; ma quel Ma­ nilius è errore per Marco Lollio; sugli uniones, cfr. ancora Plin. , IX, 123. Gaio Giulio Cesare Germanico, detto Caligola per la calzatura militare che era solito portare fin da bambino (caliga) , succedette a Tiberio nel 37. La notizia delle perle fatte conoscere a Roma in epo-

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ca sillana è confermata da un frammento degli Anna/es di L. Fene­ stella , di ambito augusteo: Peter (hrsg.) , Historicorum romanorum re­ liquiae, cit . , vol. II, p. 82 (frg. 1 4). Bibliografia sullo scrittore in G. Delvaux, Fénestella et Plutarque, in " Les études classiques " , LVII, 1 989, pp. 1 27·46.

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