Da Omero ai Magi: la tradizione orientale nella cultura greca
 8831771582, 9788831771580

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Walter Burkert

Da Omero ai Magi La tradizioneorientale nella,culturagreca a cura di Claudia Antonetti

Marsilio

© 1999 BY MARSILIO

EDITORI® S.P.A. IN VENEZIA

ISBN 88-317-7158-2

INDICE

DA OMERO AI MAGI

3 Tratti orientalizzanti in Omero 35

Cosmogonie greche e orientali: temi comuni e scelte contrastanti

59 L'Orfismo riscoperto 87

L'avvento dei Magi

113 Fonti e Bibliografia 123

Indice dei nomi e dei temi

VII

PREMESSA

Questo testo nasce da un evento di rilievo nella storia della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Ca' Foscari di Venezia: il ciclo di lezioni tenuto nell'aprile del 1996 da Walter Burkert quale professore a contratto di storia greca. Nel corso, che volle intitolare Near Eastern Influence on Greek Culture, egli fece il punto sul tema complesso del debito della civiltà greca nei confronti dell'antico Oriente, utilizzando quattro temi-chiave: tratti orientalizzanti in Omero; cosmogonie greche e cosmogonie orientali; i Magi, elementi iranici nella filosofia pre-socratica; l'Orfismo riscoperto. L'occasione si trasformò, com'era prevedibile, in un momento di dibattito interdisciplinare per tutta la Facoltà e attirò a Venezia colleghi di altre sedi universitarie. Lucio Milano ed io sollecitammo perciò il prof. Burkert a pubblicare queste lezioni veneziane, poiché il loro argomento è centrale nelle ricerche storiche del nostro Dipartimento. Egli rispose con generosità, acconsentendo anche a dare loro la veste di una pubblicazione di Dipartimento. L'interesse di questo agile testo consiste, fra gli altri, proprio nello sforzo operato dall'autore per riassumere, semplificare e riconsiderare problematiche essenziali della civiltà greca che da sempre sono al centro della sua vita di studioso: anche per questo gliene siamo riconoscenti. luglio 1998

CLAUDIA

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ANTONETTI

DA OMERO AI MAGI

Questo libro trae origine da quattro conferenze tenute all'Università degli Studi di Venezia nell'aprile del 1996. Ho cercato di conservare l'articolazione autonoma di ciascuna conferenza e di resistere alla tentazione di aggiungere una massa di riferimenti alle controversie specialistiche, seppellendo tutto sotto una bibliografia gigantesca. Ho cercato di presentare un'introduzione leggibile, non un thesaurus. I miei ringraziamenti vanno al Dipartimento di Scienze dell'Antichità e del Vicino Oriente dell'Università degli Studi di Venezia, a Lucio Milano e specialmente a Claudia Antonetti per la sua ospitalità e per la sua iniziativa e perseveranza nella realizzazione della pubblicazione. Per la traduzione sono riconoscente a Marco Dorati (1 e II lezione) e a Roberta Sevieri (111 e 1v lezione); mi assumo invece la responsabilità degli errori.

I.

TRATTI ORIENTALIZZANTI IN OMERO

Il tema «Omero e l'Oriente» non è nuovo. Almeno fin dai tempi di Hugo Grotius, «Omero e l'Antico Testamento» aveva costituito un soggetto di interesse costante, anche a causa della secolare controversia relativa alla priorità dei Greci o degli Ebrei, di Mosè o di Omero. Già allora si era notato che Isaia presenta una bella similitudine «omerica» con il leone (31, 4), e che Yahweh giura sul Cielo e la Terra (Deuteronomio 4, 26), proprio come fa Era in Omero 1 • Il parallelo tra il sacrificio di Ifigenia e quello della figlia di Iefta (Giudici 11, 29-40) fu messo in evidenza persino nell'opera lirica. Gli storici avevano inoltre richiamato l'attenzione su Fenici ed Egiziani, che campeggiano nell'Odissea. La rottura giunse al principio del XIX secolo, con gli inizi dello storicismo 2 • Le guerre napoleoniche avevano provocato un'ondata di nazionalismo in seno al Romanticismo, specialmente in Germania. Da quel momento in poi si ritenne che la cultura dovesse essere cultura nazionale; Omero, definito il «genio originario» già da Wood nel 17693 , as~urse al rango di genio originario della cultura ellenica. Proprio allora la scoperta della famiglia delle lingue indoeuropee tracciò la grande linea di separazione rispetto ai Se1

Cfr. Burkert, 1991. Bemal, 1987; Burkert, 1991 e 1992. ' R. Wood, An essayon the originaigenius and writings o/Homer, London 1769.

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miti, gli Ebrei dell'Antico Testamento 4 • Omero, considerato il vero inizio della cultura, divenne il vessillo di un'alleanza germanico-greco-protestante - in linea con l'orientamento dell'Humanistisches Gymnasium -. La conseguenza fu che il progresso più importante negli studi dell'antichità fu scarsamente notato sia nell'ambito degli studi ellenici sia all'interno del Gymnasium: la riscoperta dell'antico Oriente infatti, con la decifrazione dei geroglifici e della scrittura cuneiforme, ha aggiunto alla nostra memoria culturale circa duemila anni di storia documentata. Parallelamente alla scoperta della letteratura egiziana e cuneiforme procedettero i grandi scavi archeologici in Egitto e in Iraq (1842-1855). Nel 1872 suscitarono scalpore le nuove informazioni riguardanti una storia babilonese del diluvio - le tavolette x/xi del Gilgamesh -; più o meno nello stesso periodo furono tradotti i testi egiziani relativi alla battaglia di Qadesh, nello stile di una vera e propria aristeia omerica, con tanto di carri di battaglia e intervento divino nel corso del combattimento5, e inoltre quei testi risalenti al 1200 a.C. circa, riguardanti i «Popoli del mare», che comprendevano Achei, Dardani, Filistei e Teucri 6 • Nel 1884 fu avviata l'edizione del Gilgamesh e fu pubblicata la Catabasi di Ishtar. Nel 1901 apparve un'edizione tedesca del Gilgamesh 7 • Però Gilgamesh fece la sua èomparsa come Izdubar, il suo amico Enkidu come Eabani - si vedano il Lessico di Roscher e il saggio di Usener sul «mito» del diluvio 8 -. Gli esperti di scrittura cuneiforme sanno come ciò sia potuto accadere; per i classicisti, che sono in una posizione marginale rispetto al cuneiforme, questo fatto non poteva ispirare una particolare fiducia. Infatti l'antico Oriente è rimasto qualcosa di esotico quasi fino ai giorni nostri. 4

Cfr. L. Poliakov, Le mythe arien, Paris 1971. Cfr. n. 40. 6 ANET, pp. 262-263. 7 Si veda Burkert, 1991, pp. 158 s. 8 A.Jeremias, in RML, voi. II, 1890-1897, pp. 773-823; H. Usener, DieSintfluthsagen, Bonn 1899, pp. 6-13. 5

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TRAITI ORIENTALIZZANTI IN OMERO

Conseguentemente, gli studi su «Omero e l'Oriente» sonorimasti un campo di ricerca marginale. William Ewart Gladstone (1809-1898), meglio noto come primo ministro britannico, richiamò l'attenzione sui testi egiziani riguardanti i Popoli del mare e sulle scoperte in scrittura cuneiforme: fu il primo a paragonare Oceano e Teti nell'Iliadedi Omero ad Apsiì e Tiamat dell'inizio del poema epico babilonese della creazione, - detto l' Enuma elish dalle prime due parole «Quando sopra» - 9 , ma i classicisti espressero con indignazione il loro rifiuto. Alcuni orientalisti sopravvalutarono in modo eccessivo l'importanza del Gilgameshper la letteratura mondiale - Peter Jensen, Hugo Winckler, Adolf Jeremias - e ciò ebbe un effetto controproducente. Pochi lessero il libro di Cari Fries (1910), che interpretava l'Odissea come un dramma rituale - il titolo, derivato dal sumerico, significherebbe «inizio dell'anno», «nuovo anno»-. Più sensati furono Hermann Wirth (1921), e Arthur Ungnad. Ma i loro libri non ebbero alcun successo; il libro di Ungnad non trovò neppure un editore e fu pubblicato a sue spese nel 192310• Non si deve tuttavia dimenticare che alcune notevoli osservazioni riguardo i rapporti tra Omero e l'Oriente provengono da questi studi dell'inizio del secolo, come ad esempio il confronto tra il viaggio di Gilgamesh in cerca di Utnapishtim con alcuni motivi dell'Odissea,o l'apparizione del fantasma di Enkidu a Gilgamesh con quello della psyché di Patroclo che si presenta in sogno ad Achille (IliadeXXIII 54-107), un parallelo che persino uno scettico come G.S. Kirk ha trovato «pressoché irresistibile» 11 • Un nuovo impulso giunse dalle scoperte compiute nel nostro secolo: l'ittita fu reso accessibile da Friedrich Hrozny a partire dal 1915, l'ugaritico dai semitisti a partire dal 1930-3112 • Ciò avvicinò notevolmente l'antico Oriente al Mediterraneo greco: l'ittita 9

W.E. Gladstone, HomericSynchronism, London 1876. Si veda anche l'appendice di Landmarks o/HomericStudy, London 1890. Cfr. n. 47; cap. n, n. 61. 10 C. Fries, Das Zagmuk/est auf Scheria, 1910; H. Wirth, Homer und Baby/on, 1921; A. Ungnad, Gilgamesch Epos und Odyssee; si veda Burkert, 1991, pp. 162-165. 11 G.S. Kirk, Myth, Berkeley 1970, p. 108. Cfr. Burkert, 1993, p. 88 con n. 1. 12 Cfr. Burkert, 1991, pp. 165-166.

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è, dopo tutto, una lingua indoeuropea. E dopo poco apparvero i paralleli con Esiodo: nel 1930 Walter Porzig scrisse su illuyankas e Tifone, nel 1935 Forrer fornì le prime informazioni a proposito di Kumarbi 13• Fra i classicisti fu tuttavia solo F ranz Dornseiff a reagire a questo ampliamento di orizzonte, assumendo egli stesso un ruolo «marginale» nella filologia classica. «Quando verrà ufficialmente messa da parte l'immagine del provinciale isolamento dei popoli intorno al 1000-650?», egli scrisse nel 193514• Il cambiamento giunse dopo il 1945, con la pubblicazione dei testi ittiti Dominio del cielo (1946) e Ullikummi (nome di un mostro mitologico) (1952)15 • La loro affinità con Esiodo era innegabile. Allo stesso tempo, nel 1952-53, fu decifrata la Lineare B, i documenti greci di Micene, Pilo e Cnosso. Questo fatto produsse un entusiasmo senza precedenti per l'età del bronzo, ad esempio in T.B.L. Webster e D.L. Page; a Cyrus Gordon si deve lo slogan di «koiné dell'età del bronzo» 16• In un secondo momento, con gli studi di A. Heubeck e di altri studiosi, l'attenzione si focalizzò nuovamente sulle fasi immediatamente successive all'età· del bronzo 17• La ricerca si è sviluppata lungo queste linee nel trattare il II e il I millennio a.C. ed è tuttora lontana dall'essere conclusa 18 •

In ciò che seguirà, la letteratura mesopotamica avrà un ruolo rilevante. Questo percorso, che sembra portare lontano dalla Grecia, richiede una giustificazione: in primo luogo, la letteratura 13

W. Porzig, Illuyankas und Typhon, in «KAF», 1, 3, 1930, pp. 359-378; E.O. Forrer, Eine Geschichte des Gotterkonigtums aus dem Hatti-Reiche, in Mélanges Cumont, 1936, pp. 687-713. 14 F. Domseiff, Kleine Schri/ten, voi. 1, Leipzig 1952, p. 30: «Wann wird die Vorstellung von der provinzialen Abgeschlossenheit der Volker um 1000-650 amtlich aufgegeben werden?». u H.G. Gueterbock, Kumarbi. Mythen vom chu"itischen Kronos, Ziirich 1946; H. Otten, Mythen vom Gotte Kumarbi, Neue Fragmente, Berlin 1950; H.G. Gueterbock, The Song o/ Ullikummi, New Haven 1952. 16 T.B.L. Webster, Homer and Eastern poetry, in «Minos», 4, 1956, pp. 104-116; From Mycenae to Homer, London 1958; D.L. Page, History and the Homeric Iliad, Berkeley 1969; C.H. Gordon, Homerand Bible, in «HebrUCA», 26, 1955, pp. 43-108. 17 Heubeck, 1955. 18 Burkert, 1992, pp. 88-127; Rollinger, 1996; Morris, 1997; West, 1997.

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TRAITI ORIENTALIZZANTI IN OMERO

cuneiforme rappresenta il più esteso corpusnell'ambito delle letterature dell'antico Oriente, molto più ricca di quella ittita, per non parlare di quella ugaritica; la letteratura micenea è finora inesistente. La letteratura cuneiforme è notevole non solo per varietà e per complessità, ma anche per l'elevato livello qualitativo di alcune opere come Atrahasis, Gilgameshed Eniima elish. Fu trasmessa per secoli, anzi millenni, attraverso la tradizione delle scuole di scribi, le «case delle tavolette». In secondo luogo, Mesopotamici - cioè Assiri - e Greci furono in contatto diretto a partire dall'800 a.C. circa. I Greci, in particolare gli Eubei, stabilirono stazioni commerciali nella Siria settentrionale - quella meglio conosciuta è Al Mina, presso la foce del fiume Oronte - alla fine del IX secolo; ciò avvenne dopo che i conquistatori assiri avevano già raggiunto il Mediterraneo sotto la guida di Assurnasirpal 19 • Intorno al 738 a.C. un documento cuneiforme proveniente dalla Siria menziona per la prima volta le scorrerie degli Ioni sulle coste della Siria - il popolo che viene dalla «terra Iaunaia» 20 -. All'incirca in questo periodo, dei Greci - commercianti, mercenari o briganti - entrarono in possesso di alcuni splendidi esemplari di armature equestri, che erano appartenute ad Hazael, re di Damasco alla fine del IX secolo. I pezzi furono dedicati dai Greci nel santuario di Apollo a Eretria e nell'Heraion di Samo nel corso dell'v111 secolo 21 • Poco dopo il 700 a.C. ci fu una battaglia marittima tra Ioni e Assiri nelle vicinanze di Tarso in Cilicia22 • Cipro, abitata in parte da Greci fin dall'età del bronzo, fu conquistata dagli Assiri all'incirca in quel periodo; il re Esarhaddon vi lasciò una stele in caratteri cuneiformi 23 • Ciò non significa negare l'esistenza di rapporti nel corso dell'età del bronzo: quelli di epoca assira sono tut19

Burkert, 1992, pp. 9-14. H.W. Saggs, in «Iraq», 25, 1963, pp. 76-78; Burkert, 1992, p. 12. 21 H. Kyrieleis, W. Rollig,Ein altorientalischerP/erdeschmuckaus dem Heraion von Samos, in «MDAI(A)», 103, 1988, pp. 37-75; Burkert, 1992, p. 16 e fig.2. 22 A. Momigliano, Su una battagliatra Assiri e Greà, in «Athenaeum», 12, 1934, pp. 412-416 = Quinto contributo alla storia degli studi classià e del mondo antico, Roma 1974, pp. 409-413. 23 R Borger, Die lnschri/tenAsarhaddons,Konigs von Assyrien, Graz 1956. 20

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DA OMERO Al MAGI

tavia molto meglio documentati, e furono probabilmente anche più intensi. L'archeologia conferma contatti ininterrotti dei Greci con la Siria settentrionale e la Cilicia, con i «tardi Ittiti», o meglio Luvi, Aramei, Fenici, a partire almeno dal IX secolo; l'importanza dell'Egitto aumentò qualche tempo dopo. Questo fu anche il tempo in cui giunse in Grecia il più importante prodotto d'importazione orientale: l'alfabeto. Le testimonianze fino ad oggi disponibili indicano la prima metà dell'v111secolo (800-750 a.C.) come epoca probabile per l' avvenimento 24. In linea di principio, la scrittura cuneiforme risultava superata da secoli rispetto al sistema molto più pratico della scrittura alfabetica; tuttavia, quanto a possibilità di sopravvivenza, le tavolette di argilla superano di gran lunga i rotoli di pergamena o di papiro e le tavolette lignee, vale a dire i materiali impiegati per la scrittura alfabetica: su questi .supporti, dall'Eufrate fino all'Anatolia e alla Palestina, quasi nulla si è conservato. Tanto più importante è il fatto che il nome di Gilgamesh appaia ancora in un libro in lingua aramaica proveniente da Qumran25:è probabile che siano esistite rielaborazioni in lingua aramaica di testi letterari cuneiformi. Ma, a parte le tavolette cuneiformi, nulla ci è trasmesso. Resta uno iato che non può essere colmato completamente. Per certi aspetti, l'epica greca è una fioritura del tutto autonoma. Il sistema formulare che Milman Parry ha scoperto e di cui ha spiegato la funzione indispensabile all'interno della tradizione orale, è legato alla lingua greca. Da questo punto di vista Omero è diventato un esempio classico di tradizione orale 26. L'epica orientale, viceversa, almeno in Mesopotamia, è basata su una tradizio24

Burkert, 1992, pp. 25-33; R. Woodard, Greek Writing/rom Knossos to Homer, Oxford 1997. L'iscrizione greca(?) più antica finora nota proviene da Gabii: A.M. Bietti Sestieri, LA necropolilazialedi Osteriadell'Osa, Roma 1992, pp. 209-212. 2' Burkert, 1992, pp. 32 s. e n. 32. 26 The Making o/ Homeric Verse. The CollectedPaperso/ Mi/man Parry,a cura di A. Parry, Oxford 1971. Per i problemi omerici, si veda Zweihundert Jahre Homer-Forschung,a cura diJ. Latacz, Stuttgart 1991 (Colloquium Rauricum 2).

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TRATII ORIENTALIZZANTI IN OMERO

ne consolidata di scrittura e di scuole di scribi che copre un arco di più di duemila anni. Nell'ambito di questa tradizione, le tavolette vengono copiate e ricopiate in continuazione, e talvolta anche tradotte all'interno del sistema cuneiforme. Ci si dovrebbe dunque aspettare di incontrare principi stilistici assai differenti in Oriente e in Occidente. Se tuttavia si ha cura di considerare entrambi i versanti, si resta colpiti piuttosto dalle somiglianze. Diamo dunque un resoconto rapido di queste somiglianze nell'ambito dello stile epico 27 • Le più importanti sono state segnalate molto tempo fa; già Cecil Maurice Bowra, nel suo HeroicPoetry (1952), fa ampio riferimento al Gilgamesh. In entrambi i casi, «epica» significa poesia narrativa che, quanto alla forma, impiega un verso lungo che si ripete indefinitamente senza divisione strofica. Quanto al contenuto, il racconto riguarda dèi e grandi uomini del passato, che spesso interagiscono tra di loro. Principali caratteristiche stilistiche sono gli epiteti fissi, i versi formulari, la ripetizione dei versi, le scene tipiche. Gli epiteti sono sempre apparsi come una caratteristica peculiare dello stile omerico. «Zeus adunatore di nembi», «Odisseo costante», «Odisseo ricco d'astuzie» ci sono familiari. Ma anche nell'epica accadica e ugaritica i personaggi principali hanno i loro epiteti caratteristici 28 • Il dio più importante, Enlil, appare spesso come «Enlil l'eroe», l'eroe del diluvio è «Utnapishtim il lontano», i malvagi Sette dell'epopea di Erra sono «i campioni senza pari». Analogamente, l'epica ugaritica presenta formule fisse come «la vergine Anat» o «Danel il Refaita». Si avvicina ancor di più all'uso omerico qualificare un combattente come «riconoscibile in battaglia». Risulta meno chiaro perché la «Signora degli dèi» sia «abile nel grido», ma era poco chiaro persino ai Greci stessi perché tanto Calipso quanto Circe fossero «dee terribili dalla parola umana», òELVTl0Eòç aÙòTJEO'O'a. Sia quel che sia, non si può fare poesia epica senza epiteti: la Terra è la «vasta terra» e un dio del cielo può essere chiamato «padre degli dèi e degli uomini». Gli 27 28

Cfr. Burkert, 1992, pp. 114-120; West, 1997, pp. 164-275. Burkert, 1992, pp. 115 s.; West, 1997, pp. 220 s.

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epiteti sono decorativi nella misura in cui non sono essenziali per il contesto immediato dato dalla situazione e non sono modellati in funzione di essa. Ma essi sono, tra l'altro, estremamente utili per riempire il verso o fare un emistichio. Tra i versi formulari ciò che maggiormente colpisce è la complessa introduzione del discorso diretto. L'ampio uso del discorso diretto e la rappresentazione di intere scene in forma di dialogo sono in effetti una peculiarità del genere. In accadico la formula introduttiva, tradotta letteralmente, è: «aprì la bocca e parlò, a... disse (la parola)» 29. Il semplice significato di «parlare» è espresso con tre sinonimi - proprio come la ben nota formula omerica «parlò, disse parole fugaci», q>WVT)tÀEt, a mio parere trae origine da una precisa osservazione: se si scava la terra per vedere la crescita del germe si distrugge la pianta 71 • ucrtçdivenne lo slogan della prima filosofia greca, la «filosofia naturale presocratica», anche se si affermò soltanto due generazioni dopo Eraclito. Se riflettiamo più attentamente, tuttavia, vediamo che quasi nessuno tra i successori di Eraclito può fare a meno del concetto di creatore. Parmenide introduce un demone femminile che «governa tutte le cose», Jtav-cal('U~EQVO.L, e crea potenze divine come Eros 72 ; Anassagora assegna una funzione simile a Nouç, «mente», il principio che era all'origine di ogni differenziazione; in Empedocle «Amore» costruisce organi e organismi nella propria officina; fu solo Democrito a cercare di escludere vouç, «mente», dalla formazione del macrocosmo e del microcosmo 73 ; la reazione giunse con Platone e Aristotele: il Timeo di Platone stabilì definitivamente il termine «creatore», briµtouQyoç, nella filosofia greca. Fin qui non c'è alcuna ragione di separare le cosmogonie mitiche dei Greci - Orfeo, Omero o Esiodo - dai loro equivalenti orientali. È evidente che appartengono alla stessa famiglia; ed è non meno evidente che i cosiddetti Presocratici stiano seguendo 71 72

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Eraclito, B 30 e B 123 Diels-Kranz. Parmenide, B 12-13 Diels-Kranz. Democrito, A 1 Diels-Kranz = Diogene Laerzio,

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le loro orme. Limitiamoci a ricordare che ci sono anche altri campi più razionali dove la dipendenza dei Greci dalla Mesopotamia è di una chiarezza non comune: la matematica e l'astronomia. I nostri nomi dei pianeti - Mercurio, Venere, Marte, Giove - traducono indirettamente i termini accadici, attraverso i nomi greci, che a loro volta traducevano direttamente Nabu, Ishtar, Nergal e Marduk. Essi sono stati tradotti al più tardi all'epoca di Platone, forse anche qualche decennio prima 74. La divisione del cerchio in 360 gradi, con le suddivisioni di 60 gradi primi e 60 gradi secondi - sulle quali a tutt'oggi gli scolari si affaticano - costituisce l' eredità babilonese più diretta nel campo dell'astronomia e della geometria: essa fu adottata forse solo dopo Alessandro 75 • Le conseguenze che si traggono da quanto s'è detto possono sembrare sorprendenti: in primo luogo, i rapporti tra speculazione greca e «orientale» non si limitano ad un unico stretto corridoio che, intorno al 700 a.C., dalla Cilicia degli Ittiti e la Siria dei Fenici conduce ad Esiodo; ci furono contatti continui, con esiti diversi - si confrontino le teogonie dell'Iliade,di Esiodo e di Orfeo, ognuna delle quali ha specifici punti di contatto con testi accadici, ittiti e fenici -; si aggiungano la cosmogonia dell'acqua di Talete e le ruote di Anassimandro disposte secondo l'ordine iranico76.In secondo luogo, non è il caso di affermare che gli orientali rappresentino il pre-razionale, il livello mitico da cui i Greci hanno preso le mosse per dare inizio all'illuminismo; la dipendenza dei Greci è evidente soprattutto nel campo dell'astronomia, dove i Babilonesi svilupparono metodi di calcolo assolutamente razionali77, mentre nelle cosmogonie il mito continuò a dominare anche tra i Greci. È diventato un luogo comune che siano stati i Greci a compiere l'intero cammino dal µu0oç al À.oyoç.In tempi più recenti 74Burkert,

1972, pp. 299-301. n Sicuramente attestata in lpsicle, ed. V. de Falco, M. Krause, O. Neugebauer, Gèittingen 1966, pp. 36-47; probabilmente usata già da Eudosso. 76Burkert, 1963. Si veda cap. IV n. 41. 77 O. Neugebauer, A History o/ Ancient Mathematical Astronomy, voi. I, Berlin 1975.

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COSMOGONIE

GRECHE E ORIENTALI

è stato osservato che anche gli orientali, ad esempio i dotti assiri, erano già su questa strada. Alasdair Livingstone ha pubblicato nel 1986 un libro sugli scritti di mistica e mitologia dei sapienti assiri e babilonesi che contiene alcuni testi importanti. Limitiamoci a dare un'occhiata a uno di questi testi, provienente dalla casa di una famiglia di sacerdoti-Magi di Assur (650 a.C. circa). Il testo afferma l'esistenza di tre terre e di tre cieli. Cito: «Egli (scii. il dio) pose le anime degli uomini sulla Terra Superiore, al centro; sulla Terra Intermedia fece sedere suo padre Ea, al centro» - Ea, vale a dire, le acque sotterranee -; «nella Terra Inferiore rinchiuse i 600 dèi dei morti (Annunaki), al centro». Questo discorso presuppone tre piani nel nostro mondo, la terra su cui viviamo, con l'acqua al di sotto, proprio come in Talete, e ancora più in profondità, al livello infimo, il mondo infero con gli dèi che gli competono. Anche il cielo, in corrispondenza, ha tre livelli: il piano superiore appartiene al dio del Cielo stesso, Anu, insieme a trecento dèi celesti; il Cielo Intermedio, fatto di pietra lucente - forse ambra - costituisce il trono di Enlil, il dio che governa; il piano inferiore, fatto di diaspro, è il luogo delle costellazioni: «vi tracciò sopra le costellazioni degli dèi» 78 • Un testo di questo genere sembra costruito per fare coesistere la tradizione mitica con le speculazioni sulla natura del cosmo nel quale viviamo. Il racconto mantiene tuttora la forma di un mito cosmogonico: il dio fece questo e questo e questo, e così è. Il risultato è l'esistenza di un cosmo che potrebbe essere raffigurato meglio con un disegno che con una narrazione. Secondo Livingstone, questi testi «cercano di porre in un più preciso accordo la teologia esistente con la realtà del mondo della natura». Più o meno la stessa cosa è stata detta di Ferecide di Siro, il supposto contemporaneo di Anassimandro, da Hermann Schibli, il suo ultimo editore: «Ferecide, in breve, voleva fornire una versione alternativa alla Teogonia; egli probabilmente credeva che la sua versione riuscisse a spiegare l'origine del mondo e gli dèi del mito in un 78

Livingstone, 1986. Cfr. Burkert, 1994.

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modo più conseguente e accurato» 79 • Il dotto assiro intorno al 650 e lo scrittore greco intorno al 540 sembrano compiere tentativi del tutto paralleli. Con loro, siamo molto vicini ai Presocratici. Ferecide parlava ancora di dèi, pur modificandone i nomi per renderli più significativi: Zaç, che allude a «vita», invece di Zeus, Xg6voç, «tempo», invece di Kg6voç 80 • Anassimandro e Anassimene, per quanto possiamo vedere, non introdussero più nomi di dèi, ma si attennero a una designazione neutra del «divino», 0ELOV.Il sistema di Anassimandro, tuttavia, richiama anche i tre cieli del testo assiro, dal momento che egli, in particolare, parlava di «cieli», oùgavoi., un plurale assolutamente atipico in greco; esso fu in parte frainteso dalla dossografia81. Il contributo originale di Anassimandro consistette nel combinare i tre cieli con tre categorie di corpi celesti: stelle, luna e sole - e in questo fu influenzato, con ogni probabilità, dalla tradizione iranica -. Egli ha in effetti scoperto «il Àoyoç delle misure e delle distanze» dei corpi celesti, secondo la formulazione di Eudemo, il discepolo di Aristotele 82 • Anassimene pose le stelle a una distanza maggiore del sole, e disse che sono fissate a un cielo di cristallo, «come disegni», ~wygaq>~µat'a. Ciò suona quasi come una traduzione del testo assiro: Enlil «tracciò» o «disegnò» le costellazioni sul cielo di diaspro 83. Un altro testo accadico di contenuto astronomico, l'Enuma Anu Enlil («Quando Anu ed Enlil»), presenta la stessa idea con un colorito più teologico: sul cielo «gli dèi tracciarono le stelle a loro somiglianza»; Peter Kingsley ha richiamato l' attenzione sul fatto che la stessa espressione ricorre nell' Epinomide platonico: le costellazioni sono «immagini divine, come simulacri, costruiti dagli dèi stessi» 84 • Il testo assiro, con i suoi tre cieli e il trono di Enlil posto al 79

Livingstone, 1986, p. 10. Cfr. Schibli, 1990, p. 133. La tradizione è confusa: cfr. Schibli, 1990, p. 17 e pp. 27 -29. 81 Burkert, 1963, p. 103. 82 Eudemo, fr. 146 Wehrli; Burkert, 1972, pp. 308-310. 8 } Si veda Kingsley, 1992. 84 Platone, Epinomide 983 a s.: 0e&v EtKovaç wç àyciì..µa-ra, 0e&v aù-r&v ÈQyacraµÉvoov;Kingsley, 1995, p. 203. 80

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COSMOGONIE

GRECHE

E ORIENTALI

centro di essi, ha anche qualcosa a che fare con la visione di Ezechiele di Y ahweh sul trono, fissato su un carro di struttura complessa, dotato di ruote che vanno avanti e indietro. Il trono è di ambra, come ad Assur 85 • Il testo di Ezechiele è databile al 593-92, proprio a metà tra i Magi assiri e Anassimandro. Non dimentichiamo che, secondo la tradizione, Anassimandro scrisse proprio all'epoca in cui Sardi fu conquistata dai Persiani 86 , mentre Gige aveva tenuto regolari contatti con Ninive più di un secolo prima, e il fratello di Alceo, un mercenario, era andato nella Babilonia di Nabucodonosor 87 • Qual è dunque la novità dei Presocratici? Cosa ha introdotto la «filosofia» rispetto alla speculazione mitica e r::..i:::1onale? I Presocratici conoscevano naturalmente e utilizzavano le tradizioni più antiche, se non altro come impalcatura 88 • Senza dubbio questa impalcatura preesistente costituiva un aiuto notevole per la costruzione, ma è possibile anche che molte strane distorsioni siano dovute ad essa. In nessun altro luogo, inoltre, sorse la filosofia nella forma in cui sorse in Grecia. Fu solo il particolare talento dei Greci a giocare il ruolo principale, o piuttosto una diversa situazione sociale, priva di re, sacerdoti potenti e «case delle tavolette»? Anche nel campo della matematica i Greci svilupparono una forma di dimostrazione deduttiva del tutto nuova 89 • Limitiamoci a dare un'occhiata a Parmenide, con il quale entra in scena una forma speciale di dimostrazione e di argomentazione consapevole. Il suo celebre paradosso, la tesi che l'essere è, il non-essere non è, e che pertanto non può esserci né il cominciare né il cessare di esistere, né la nascita né la morte, può essere in certa misura considerato origi81

Ezechiele 6. Cfr. West, 1971, pp. 88 s. e Kingsley, 1992. Anassimandro, A 1 Diels-Kranz = Diogene Laerzio, 11 2 = ApolloJoro, FGrHist 244 F 29. 87 Cfr. W. Burkert, «Konigs-E//en» hei Alkaio.l",in «MH», 53, 1996, pp. 69-72. 88 Burkert, 1963, pp. 131 s. 89 B.L. Van der Waerden, Science Awakentnl!,, cir.; ulteriori specificazioni in H.]. Waschkies, An/iinge der Arithmetik im Alten Orienl und her den Grrechen, Amsterdam 1989, in particolare pp. 302-326. 86

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nato proprio dalla lingua e dal sistema verbale dei Greci: la lingua greca presenta un'accentuata contrapposizione degli aspetti verbali, quello durativo, espresso ad esempio da Èo- (è), e quello puntuale, espresso ad esempio da q>u-o da yev- (diviene). Eì, yàQ («Se venuto all'esistenza, non è»), scrisse ParÈyev-r', oÙK ÈITTLV menide90,come se facesse un esercizio di grammatica greca. Ma il fatto davvero strano e sorprendente è che con questa formula e quel che ne consegue, Parmenide coglieva un principio che domina, fino ad oggi, la nostra visione del mondo fisico, il principio della conservazione della dualità di massa ed energia, come viene espresso oggi. Nulla può crearsi solo dal nulla, e nulla può semplicemente distruggersi - di qui tutti i nostri problemi di quei rifiuti che non possono essere distrutti -. Si possono tuttavia trovare alcuni antecedenti nel più antico linguaggio mitico delle cosmogonie, anche al di fuori della lingua greca. Nell' Enuma elish, ad esempio, il dio Anshar viene così apostrofato: «il tuo cuore è grande, tu, che stabilisci i destini; qualunque cosa è creata o distrutta, esiste con te»; gli dèi dicono a Marduk: «di distruggere e costruire comanda: siano compiuti» 91 • Troviamo dunque già in accadico che i tre concetti di «divenire» o «creare» (banu), «distruggere» (hulluqu), e «esserci» (bashu), si combinano in un sistema; «tutto» si connette a quel modello - «nascere e morire, essere e non essere», y(yveo0a( -re1eaì,ÒÀ.À.uo0at,elva( -re1eaì, oùx(,per usare la terminologia di Parmenide-. Però l' Enuma elish presuppone che il dio possa solo «ordinare la distruzione», e sarà così; no, reagisce Parmenide, non può fare questo - e la nostra concezione di scienza concorda con Parmenide -. La più antica speculazione cosmogonica, trasformata nella lingua greca, ha trovato con Parmenide la legge del vero essere. Tutto ciò viene ora stabilito con un'argomentazione razionale. Inoltre Platone ha introdotto i fondamenti della matematica nella dimostrazione, il concetto di a priori - e ancor oggi cerchiamo di comprendere e di dominare la cosiddetta natura con il ra90

Parmenide, B 8, 20 Diels-Kranz.

91

Enuma clish 11 65, p. 241 Dalley; IV, 22, p. 250 Dalley.

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COSMOGONIE GRECHE E ORIENTALI

gionamento razionale, anzi matematico -. Parmenide sottolinea allo stesso tempo che il linguaggio è diretto verso l' «essere», il che significa anche: verso la verità in un senso assoluto, al di là di ogni interesse personale, sociale o politico 92 • L'idea di verità assoluta è, specialmente oggi, gravemente a rischio, per lo meno nel campo delle scienze sociali e delle Geisteswissenscha/ten. Si deve sperare che l'eredità greca non vada perduta. Non c'è ragione di isolare i Greci dagli altri, ma noi continuiamo a fare filosofia e persino a pensare secondo le linee tracciate dai Greci. Non penso che sia «eurocentrico» insistere, con Parmenide, sul fatto che il pensare e il parlare debbano essere conformi all'«essere». È un altro problema invece stabilire se il principio fisico della conservazione formulato per primo da Parmenide debba essere visto come un evento all'interno della «teoria evolutiva della conoscenza»"\ La sapienza fa progresso puntuale; i confini della filosofia restano aperti.

2

Non si può Jiscutere qui la problematica del concetto di «essere»: si veda Ch. Kahn, The verh Be in A11c1cnlGrcck, Dordrccht 1973; U. Hèilschcr, Dcr S11111 1•011 «.\cm» 111 ,l,·raltcrcn grià·hischc11Philowphic, Sitzungsbcr • Hcidelberg 1976, p. 3. 1 '' K. Lorcnz, Dic Rù,-J.-11·i1t• des Spicgcls. Vcnuch cincr Natur/'..EIA, e poi IQMA- 'PYXH («Corpo Anima»); IQMA è la nuova lezione, fornita da Vinogradov nel 1991. Siamo in presenza senza dubbio di «Orfismo» a Olbia nel v secolo, e molto probabilmente di «Orfici» - fatto che confuta de11

Nilsson. 1967, tav. 48, 1. OF 31; Orfeo, B 23 Diels-Kranz. 11 Rusajeva, 1978, pp. 87-104; West, 1983, pp. 17-20; Zhmud', 1992; Dettori, 1996. 14 J.G. Vinogradov, Zur sachlichenund geschichtlichenDcutung der Orphiker-Bliittchcn uon Olbia, in Borgeaud, 1991, pp. 77-86. 12

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1,'ORPISMO

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finitivamente la conclusione di Wilamowitz del 1931, che c'erano 'OQq>Ucama non 'OQq>LKOL -. Con ogni probabilità essi sono connessi con Dioniso. Ciò che più contal ci sono indizi di una speculazione di genere piu elevato riguardo all'anima e al tema della vita e della morte. BIOl: 0ANATOl: BIOl:, «Vita - Morte - Vita» è altamente suggestivo: la formula dei testi di Pelinna, «ora sei morto e ora sei nato tre volte beato, in questo giorno», è quasi un commento a queste parole; non meno suggestivo è Pindaro quando proclama che l'iniziato ai misteri «conosce la fine della vita, conosce l'inizio dato da Zeus» (fr. 137 Maehler). Pindaro è pressoché contemporaneo dei graffiti di Olbia. Inoltre, appare una forma di pensiero basata sugli opposti, tracce di dualismo che hanno fatto pensare subito ad Eraclito. t particolarmente impressionante l'insistenza sulla «verità» contrapposta alla «menzogna». Il rapporto con Eraclito non è però di semplice dipendenza. Abbiamo le frasi minacciose di Eraclito contro i µùyoL che vagano di notte, i Bacchi, le Baccanti, gli iniziati, VlJK'tL3tOÀOLç µayoLç, ~OICXOLç, À~VaLç,µucrtaLç, perché SO· no iniziati a convenzionali misteri umani lontani dal sacro; dunque «la giustizia condannerà gli artefici e testin1oni di menzogne», ~LKll KatuÀ~'!Jt::taL '!JEUOÉwvtÉK'tovuç KucàKai Ba1C)::LKa, misteri orfico-bacchici rivolti soprattutto a una condizione di beatitudine dopo la morte. Le testimonianze cominciano con la tomba di Olbia, diventano esplicite nella prima metà del v secolo con le laminette di Olbia e l'iscrizione di Cuma, sono pienamente chiarite dal testo di lpponio del 400 circa, seguito da tutte le laminette auree del IV e III secolo; si aggiungono l'iscrizione di Mileto e il papiro di Gurob 40 • Abbiamo anche testi paralleli nella letteratura classica, da Eraclito attraverso Pindaro a Erodoto, fino a Posidippo. Questi misteri sono paralleli alle istituzioni eleusine, ma non sono organizzati attorno a un centro; sono fatti circolare, come sembra, da 'tEÀEm:aL(«iniziatori») itineranti. Perciò essi differiscono tra sé per formule e aspetto esteriore e probabilmente nella pratica rituale. Permane tuttavia una chiara affinità fra le testimonianze che impedisce di costituire gruppi totalmente separati al loro interno. Ora è il momento di considerare la pittura vascolare apula, che è rappresentata da un vasto insieme di reperti. È chiarameni7

Edita da Rusajeva, 1978; Dubois, 1996, nr. 92. JH El' Al si trova anche graffito su un frammento di skyphos da Berezan, VI secolo a.C., SEG XXXII, 1982, 779; Dettori, 1996, p. 302. 2 i 9 L.H. Jeffery, The Locai Scripts o/ Archalc Greece , Oxford 1990, p. 240 nr. 12; Burkert, 1991, p. 33. 40 Supra,nn. 21 e 24.

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te una particolarità della pittura vascolare dell'Italia meridionale del IV secolo combinare l'iconografia dionisiaca con il culto dei morti in un modo sistematico e coerente: molti di quei vasi furono creati espressamente per le tombe, come i crateri a volute, ad esempio, e le cosiddette anfore a cilindro; altri hanno fori sul fondo ed erano dunque inutilizzabili nella vita quotidiana 41 • Ci sono due gruppi di iconografia standard in questo contesto: scene presso la tomba e scene bacchiche. La prima categoria è caratterizzata dal monumento funebre che costituisce il centro della scena, una stele o una aedicula.Su entrambi i lati appaiono figure di giovani, con i maschi generalmente nudi, che portano doni alla tomba; essi sono evidentemente viventi che rendono omaggio al defunto. Si possono notare tre particolarità sorprendenti: queste persone non esprimono dolore o cordoglio; appaiono a coppie, maschi e femmine in egual numero, spesso interessati gli uni agli altri; i doni che portano comprendono regolarmente caratteristici oggetti dionisiaci, uva, timpani, foglie d'edera - talvolta grandi foglie d'edera sono dipinte senza una concreta connessione con la scena -; talvolta appaiono tirsi e anche satiri. Anche i defunti rappresentati nelle aediculaepresentano attributi dionisiaci: il tirso, il kdntharos,la cesta con le foglie d'edera. Aggiunte sorprendenti sono i bacili d'acqua, sia presso la tomba che all'interno dell' aedicula,insieme a recipienti per le abluzioni che possono essere utilizzati per il «bagno>>,vale a dire per versare acqua sulla testa e sulle spalle. Nell'altra categoria, le scene bacchiche, troviamo due sottotipi che possono essere chiamati komos e systasis:o un gruppo marcia verso la festa dionisiaca, accompagnato da satiri, con recipienti pieni di vino, torce, tirsi ecc., oppure un fanciullo e una fanciulla stanno di fronte, uno seduto e uno in piedi, non di rado accompagnati da satiri, sempre con tirsi. Si può suggerire che questa scena alluda ai rituali iniziatici: il «sedersi» senza dubbio ne rappresenta una fase, prima che !'iniziando si alzi per 41

Opere di riferimento sono A.D. Trendall, The Red-/igured Vases o/ Lucania, Campania and Sicily, Oxford 1967; A.D. Trendall, A. Cambitoglou, The Red-Figured Vases o/ Apulia, 3 voli., Oxford 1978-1982. Per l'Orfismo, si vedano Schmidt, 1975; Schmidt-Trendall-Cambitoglou, 1976.

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prendere parte al tiaso festivo. Bacili e recipienti per l'acqua rimandano alle purificazioni precedenti. In altre parole, queste pitture apule sembrano illustrare non tanto le normali attività dionisiache, simposio e komos, ma sembrano rimandare ai 'tEÀ.E'taL che hanno a che fare con la beatitudine ultraterrena. Un vaso apparso sul mercato nel 1992 e pervenuto a Toledo negli Stati Uniti presenta una scena unica 42 : Dioniso è giunto nell'Ade e stringe la mano al dio degli inferi, "ALòaç, come dice l'iscrizione. Dioniso è accompagnato da menadi con timpano e torce e un giovane satiro si mette a giocare con Cerbero. Anche Ermete, guida dell'oltretomba, è presente. Troviamo qui la connessione di Dioniso con l'aldilà in una forma mitica, che conferma l'impressione che abbiamo ricavato dal culto dionisiaco presso le tombe e dalle altre scene bacchiche: non esiste terrore del1'aldilà per Dioniso. Non è chiaro se questa raffigurazione di Dioniso rappresenti un particolare mito. Si raccontava a Lerna che Dioniso si recò nell'oltretomba per prendere Semele4 \ ma Semele non appare in questa pittura. Ritorna alla mente un passo di Orazio che menziona la catabasi di Dioniso, mentre Cerbero gli lecca i piedi 44 • Orazio però menziona un Dioniso che porta le corna, le quali non appaiono nella pittura vascolare: le tradizioni bacchiche non sono uniformi. Molto più popolare, nella pittura tarentina, è la catabasi di Orfeo. Ci sono numerose varianti, note da lungo tempo, di un grande quadro dell'oltretomba. Orfeo suona la lira nel palazzo di Ade e Persefone, alla presenza di tutti gli abitanti degli inferi: Tantalo, Sisifo, le Danaidi, le Erinni, Cerbero, i figli di Medea e anche Eracle. Può darsi che in origine ci sia una pittura murale di T aranto 45 • Un'allusione ai misteri sembra contenuta in un gruppo che è chiamato «la famiglia beata», persone in una condizione di beatitudine senza un'identità mitologica. Più interessanti per il S.I. Johnston, T.J.McNiven, Dionv.ws and the Underworld in Toledo, in 53, 1996, pp. 25-36. 41 Pausania, 11 37, 5. 44 Orazio, Carmi II 19, 29-32. 45 Schmidt, 1975. taw. 10-13; Bianchi, 1976, figg. 69-71. 42

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«MH»,

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nostro contesto sono le rappresentazioni di Orfeo tra i Traci, dove bacili d'acqua e supporti per incenso costituiscono una strana presenza tra i barbari 4". Non si può fare a meno di parlare di una «purificazione orfica». Più esplicito è il vaso, che si trova ora a Basilea, pubblicato da Margot Schmidt nel 197547 • Orfeo sta suonando la lira non all'ingresso del palazzo di Ade, ma presso un'aedicula normale, dove siede un vecchio d'aspetto nobile; un dettaglio unico: tiene un rotolo di papiro in mano. Tutto ciò combina Orfeo, la beatitudine nell'aldilà e il libro in un modo che non può essere una pura coincidenza. Il messaggio deve essere: è il canto di Orfeo, contenuto nel libro, che garantisce una quieta felicità per i defunti. Esistono confuse testimonianze riguardo ad Orfeo in Italia meridionale 48 • Se il rotolo orfico nella mano del defunto contenga una guida per l'aldilà del genere della laminetta di Ipponio, o la Teogonia di Orfeo, o qualcosa di simile al papiro di Derveni, o al papiro Gurob, non possiamo dirlo. Invano tenteremmo di identificare il suo contenuto tra gli Orphicorum Fragmentasuperstiti. Non discuterò il gruppo di terracotta di Orfeo e le Sirene, che giunse, senza dubbio provenendo da una tomba apula, al Paul Getty Museum a Malibu nel 197649 • Si possono interpretare Orfeo e le Sirene nel senso di una ascesa celeste, come io ho indicato altrove: uno degli scoli a Virgilio afferma che la cetra di Orfeo ha sette corde corrispondenti alle sfere celesti, e che «le anime non possono ascendere verso il cielo senza la cetra», et negantur ani-

mae sine citharapasse ascendere50 • Un'ultima, unica raffigurazione di questo corpus51 : un'erma 46

47

Schmidt, 1975, tavv. 1-6. Schmidt, 1975, tavv. 7-8; Schmidt-Trendall-Cambitoglou,

1976, pp. 7-8 e 33-35;

tav. 11. 48

Burkert, 1972, p. 130. The P.]. Getty Museum. Handbook o/ the Collection, Malibu 1986, p. 33; A. Bottini, P.G. Guzzo, Orfeo e le sirene al Getty Museum, in «Ostraka», 2, 1993, p. 52. io J.J. Savage, in «TAPhA», 56, 1925, p. 236; W. Burkert, Orphism and BacchicMysteries: New Evidence and Old Problems o/ Interpretation, The Center for Hermeneutical Studies, Colloquy 28, Berkeley 1977, p. 31. ii Schmidt, 1974, pp. 120 s. e tav. 14; British Museum F 270. 49

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segna il centro della rappresentazione, una frontiera; a destra si trova un giovane, una lira in mano, che tiene Cerbero al guinzaglio, mentre un altro giovane con il suo vecchio servitore si awicina da sinistra. La sezione superiore presenta un satiro, Ermete e Afrodite. Il suonatore di lira deve essere certamente Orfeo - ci sono altre rappresentazioni apule di Orfeo senza berretto frigio -; l'interpretazione diviene allora chiara: al limite dell'Ade, marcato dall'erma, Orfeo, con la sua lira, domina il terrore dell'oltretomba, soggiogando Cerbero. Manteniamo una posizione di prudenza: una religione unitaria orfico-italica dell'aldilà non è documentabile attraverso l'iconografia apula. Le raffigurazioni non sono sostituti dei testi di Orfeo che devono essere circolati ali'epoca in Italia, ma che risultano per noi perduti. La presenza di Orfeo caratterizza solo un piccolo settore dell'ambiente dionisiaco illustrato nei vasi apuli; non è da ritenere che tutto il simbolismo funerario, e addirittura il credo funerario, di carattere bacchico o dionisiaco, debbano essere allo stesso tempo «orfici». In questa prospettiva l'orfismo appare piuttosto come un movimento elitario all'interno di una tradizione di culto bacchico più vasta; il legame con i libri rimarrebbe in ogni caso privilegio della classe superiore. Attualmente sappiamo per certo che Dioniso non era un «dio nuovo», ma una delle antiche divinità greche, collegata a Zeus già nell'età del bronzo 52 , venerata con continuità specialmente nel territorio degli Ioni, Atene compresa. Non possiamo essere sicuri che i misteri, con il loro orientamento in direzione della beatitudine nell'aldilà, fossero realmente un nuovo sviluppo databile diciamo - al VI secolo, anche se è allettante vedere la correlazione con ciò che è stato chiamato «la scoperta dell'individualità» in questa epoca. Se siamo in cerca di qualunque influsso possa aver operato in questo periodo, salvo l'evoluzione interna della società greca, una direzione verso cui guardare è chiaramente l'Egitto. La preoccu52

Il testo decisivo, da Chanià, è stato pubblicato in «Kadmos», 31, 1992, pp. 75-81.

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pazione per una condizione di beatitudine dopo la morte aveva dominato la civiltà egiziana per millenni. Fin dal Regno Nuovo era stato Osiride la divinità fondamentale per la via attraverso l'aldilà. Più precisamente, la scena nei testi del tipo di Ipponio, coi guardiani al lago, l'anima assetata, le formule da dire loro, hanno sempre richiamato alla memoria una scena del Libro dei Morti. Ci sono l'albero, l'acqua, i guardiani, e la preghiera dell' assetato, che sono comuni. Persino Zuntz è disposto ad accettare questa connessione 53 • Da notare che i testi egiziani erano regolarmente accompagnati da raffigurazioni; doveva quindi essere più facile per i Greci in Egitto comprendere di che cosa si trattasse. Ma Osiride, il dio dei morti in Egitto, fu identificato con Dioniso già nel V1 secolo, il che doveva sospingere anche Dioniso nella sfera dei morti, se non aveva questa funzione fin dalle origini54 • Si noti che anche il famoso «carro navale» di Dioniso è di derivazione egizia55 • I dettagli del contatto culturale, che deve aver avuto luogo già nella prima metà del V1 secolo, ci sfuggono tuttora e non appaiono nella nostra documentazione. Ma ci sono anche alcune indicazioni che puntano piuttosto in direzione del versante iranico. Ciò condurrebbe alla seconda metà del VI secolo, dopo l'impatto causato dalla conquista della Ionia da parte di Ciro nel 547 a.C. Da notare i µciyoLche appaiono tra i Bacchi nel testo di Eraclito (B 14 Diels-Kranz)' 6 • L'idea della «ascesa al cielo» sembra essere iranica; ma questa non è prominente nelle laminette auree, anche se l'aggiunta di 'Acr-cÉQLOç (Asterios) ovoµci µoL in una di esse 57 mostra una tendenza verso l'immortalità astrale. L'indizio più puntuale deriva dalle tavolette di Olbia: l'insistenza sull'antitesi verità- menzogna, AAH0EIA - 'VEY'L\O~, rimanda alla fondamentale opposizione tra asha e drug nella tradizione zoroastriana, che risuona anche dalle iscri51

Zuntz, 1971, pp. 370-376; E. Homung, Das Totenbuch der Àgypter, Ziirich 1979, pp. 128-130. Si veda anche Maass - Lindemann e Maass, 1994. H Erodoto, n 42, 2; 144, 2. Si veda Casadio, 1996. 55 Boardman, 1980, pp. 137 s. con figg. 162-3; Casadio, 1996, pp. 220-273. 56 Si veda cap. IV n. 19. 57 Pugliese Carratelli, 1993, p. 36.

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zioni di Dario. Se terminiamo con una sorta di miscuglio sincretistico, ciò non è per nulla sorprendente. MayoL itineranti e 'tEÌ..oùvi:Eç 'tWL ~LOV'\JOWL («iniziati ai misteri di Dioniso») potevano ben incontrarsi prendendo elementi gli uni dagli altri. Si ricordi come, molto più tardi, Simon Mago desiderava prendere parte al potere effettivo di San Pietro (Atti 8, 9-24). Il papiro di Derveni è l'unico testo papiraceo mai rinvenuto in Grecia, in forma carbonizzata, in una tomba macedone del IV secolo a.C.; non è ancora stato edito in modo definitivo, a trentacinque anni dalla sua scoperta. Una pubblicazione incompleta, non autorizzata ma necessaria, data già al 1982 (nella rivista «Zeitschrift fiir Papyrologie und Epigraphik»). Nel 1993 si è tenuta a Princeton una conferenza sul papiro di Derveni, organizzata da André Laks e Glenn Most, alla presenza di Konstantinos Tsantsanoglou, professore dell'Università di Salonicco a cui compete l'edizione finale. Egli ha indicato nuove lezioni del papiro, specialmente i frammenti delle prime colonne 58 • Io accetto una datazione al 330 circa per la combustione del rotolo e una datazione al 420-400 per la composizione del testo. Le nuove colonne sono estremamente frammentarie - erano quelle situate sulla parte più esterna del rotolo -; la loro interpretazione spesso non va oltre il livello di un tentativo. Sappiamo ora che Eraclito è citato per nome nella colonna 4 (nuova numerazione), con due frasi già note in precedenza 59 • Ma il commento dell'autore a Eraclito e lo scopo della sua citazione sono piuttosto oscuri. Ciò che è emerso in modo definitivo è che la designazione del testo come «commento presocratico alla Teogonia di Orfeo» 60 non corrisponde al testo nella sua interezza; il commento inizia solo alla colonna 7 (nuova numerazione). Un titolo TIEQL 'tEÀE'tWV 58

Laks-Most, 1997, con traduzione inglese di tutto il testo e bibliografia completa di M. Funghi, e l'articolo di Tsantsanoglou, 1997. 59 Eraclito, B 3 e B 94 Diels-Kranz; D. Sider in Laks-Most, 1997, pp. 129-148; Tsantsanoglou, 1997, pp. 96 s. 1 QJt EQd notviJy àno6t6ovi:Eç, i:otùÈ 6 LEQOt[ç]ÈJtLOJtÉVùOUOLV u[ùVJtEQ lCClL ,:àç 7 xoàç JtOLOUOL. ClV