Commedie
 8802047529

Table of contents :
Introduzione
Andria
Heautontimorumenos
Eunuchus
Phormio
Hecyra
Adelphoe

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C L A S S I C I

L A T I N I

C O L L E Z IO N E F O N D A T A D A A U G U S T O R O S T A G N I

DIRETTA DA

ITALO

LANA

CLASSICI

UT ET

© 1993 Unione Tipografico-Editrice Torinese corso Raffaello, 28 - 10125 Torino

Composizione: Com pedit - Torino Stampa: Stam peria A rtistica Nazionale - T orino ISBN 88-02-04752-9

INTRODUZIONE

a Barbara

Per la struttura delle commedie di Terenzio, momento fondamentale è la definizione dei modi in cui il Poeta ha utilizzato i modelli greci. Nella polemica svolta nei prologhi Terenzio denun­ cia, sia pure strumentalmente, l’estenuazione della tematica della palliata, ridotta alla ripiOposizione di situazioni e tipi fissi (Eun. 41, nullum st iam dictumst quod non sit dictum prius ) x. La riproposizione pura e semplice deiroriginale era perciò de­ stinata al fallimento: un arricchimento, un’attualizzazione non con gli stessi mezzi, ma con la stessa libertà di Plauto12, era operazione teatralmente e culturalmente necessaria, un’operazione che non possiamo immaginare limitata al semplice fatto scritturale 3 (per esempio, nell’uso dei dialoghi), ma che doveva avere esiti più com-

1. C. Q uesta {Maschere e funzioni nelle commedie di Plauto, «MD» 8, 1982, p. 18) ha rilevato che la denuncia avviene attraverso lo statuto scenico delle maschere fisse {Eun. 35 sgg.: quod si personis isdem huic uti non licei... currentem servum... bonas matronas, meretrices malas, parasitum edacem, gloriorum militem). Il riferimento alla fissità delle fabulae 0 trame di base {puerum supponi, falli per servom senem, amare, odisse, suspicari) serve a denunciare che al poeta comico non resta che l’autonomia della ‘disposizione strategica’ «attraverso l’organizzazione dell’intreccio» (su ‘intreccio’ e fabula applicati al teatro, cfr. E. E lam , Semiotica del teatro, Bologna, 1988, p. 123 e C. Segre , Teatro e romanzo. Due tipi di comunicazione letteraria, Torino, 1984, pp. 15-16)· Si tratta di un aspetto della polemica antiaristotelica contro la commedia ‘di rigidi scenari’, che passa attraverso la denuncia della estenuazione di tale tematica (L. Cicu, L originalità del teatro di Terenzio alla luce della nuova estetica e deliapolitica del circolo scipionico, «Sandalion» 1, 1978, p. 77). 2. An. 18-28. Sulla neglegentia plautina, cfr. n. ad l. 3. M. Pagnini, Per una semiologia del teatro classico, «Strumenti critici» 4» I97°» p. 122. Al ‘prodursi di senso’ dello spettacolo, oltre al testo teatrale, concorrono ‘strategie comunicative’, sulla base di un ipotizzato ‘testo spettacolare’ (M. D e Marinis, Semiotica del teatro. L ’analisi testuale dello spettacolo, Milano, 1982, p. io).

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plessi anche nell’esecuzione operativa o scenica (musica, scenogra­ fia, numero degli attori, abiti e così via)45 . Praticare la contam inano5 voleva dire limitare l’utilizzazione di un primo modello alla struttura fondamentale dell’azione scenica6, traendo scene e spunti da un secondo modello, non per semplice constatazione dell’insufficienza dell’intreccio 7. Un primo dato ope­ rativo, strutturalmente rivoluzionario, era l’aver soppresso il pro­ logo informativo (argum entativus 8) del modello ed averlo sostitui­ to col prologo polemico, in cui discutendo di problemi connessi alla fabula, il poeta travalica lo specifico del teatro, ponendosi in rapporto diretto col destinatario 9, senza nessuna mediazione del personaggio-narratore. Avendo introdotto questo elemento ‘metateatrale’, la comples­ siva situazione dell’originale diventa diversa, non soltanto perché allo spettatore non vengono immediatamente fomiti diegeticamente notizie sugli antefatti, sui personaggi e sugli esiti della vicenda, ma perché veniva a cadere la condizione di privilegio del destina­ tario. L ’ironia drammatica dello spettatore si esercita quando può conoscere molto più di quello che sanno i singoli personaggi: con la soppressione del prologo informativo egli è nella stessa condizione dei personaggi, e questa coincidenza lo coinvolge senza superiore

distacco nelle scelte che il personaggio compie, non conoscendo egli tutte le altre scelte e gli esiti possibili. Eliminando l’elemento diegetico del prologo informativo, Te­ renzio doveva introdurre all’interno dell’azione scenica le necessa­ rie informazioni «con nesso causale» 10*: questa funzione è stata trasferita qua e là nella commedia, ma complessivamente trasmes­ sa nei monologhi e dialoghi delle prime scene. Donato ci testimo­ nia che Terenzio ha introdotto in tre commedie vari personaggi protatici11 nella prima scena. La prima scena deU’Andria menandrea si svolgeva come monologo del senex : Terenzio la trasforma in dialogo con l’introduzione dello schiavo Sosia, verosimilmente esemplandolo sull’analogo dialogo che, nel secondo modello, la Perinthia, si svolgeva tra il senex e la moglie 12. NelYHecyra, Filotide è personaggio introdotto da Terenzio ac­ canto ad un altro, Syra, che nel modello svolgeva da solo la stessa funzione protatica 13. Così è per Davo nel Phorm io 14 che, dopo aver pronunciato un breve monologo per giustificare la sua presenza in scena, provoca con le sue domande a Geta il racconto dei prece­ denti del dramma. (Poiché la vicenda si concludeva sempre con Yanagnorisis, la necessità di fornire gli elementi che la preparano diveniva più cogente). Ma vi è anche il caso degli Adelphoe, in cui Terenzio dal prologo rinvia alle prime scene della commedia per conoscere le informazioni necessarie sugli antefatti15.

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4. Privilegiare il testo, nell’analisi, come componente «presente e persistente» o «in­ variante», non può far dimenticare che esso è finalizzato alla «transcodificazione spetta­ colare» (M. D e Marinis, Semiotica, cit., p. 24) e che è correlato alle componenti non verbali. Al livello letterario si aggiungono come significanti gli elementi della trascrizione spettacolare. Vi è persino chi ha pensato che l’unico oggetto pertinente a una semiotica teatrale propriamente detta è la messa in scena «reale-concreta». 5. Sull’interpretazione della categoria storico-letteraria del contaminare un comples­ sivo riesame in G. G uastella , La contaminazione e il parassita. Due studi sul teatro e cultura romana, Pisa, 1988, con un’indagine antropologica sull’opposizione puro e impuro e sulla connessa categoria di contaminazione per impurità (e del disordine). Si vedano anche le nn. ad An. 15 ed Heaut. 17. 6. Sul concetto di ‘fabula dominante’, cfr. C. Segre , Teatro, cit., p. 23. 7. Ogni realtà intertestuale, che per il teatro si estrinseca essenzialmente in processi combinatori, non può essere disgiunta dalla ricezione, cioè dal complessivo processo comunicativo di un testo drammatico (M. D e Marinis, Semiotica, cit., p. 12). Cfr. J. M. L otman, Semiotica della scena, «Strumenti Critici» 15, 1981, pp. 23 sgg. 8. Exponens fabulae argumentum è definito negli Excerpta de comoedia, conservatici da Donato (.Donatus, Commentum Terenti, ree. P. Wessner, Stutgardiae, MCMLXII, p. 27). Era stata la sua funzione principale (W. B eare, I Romani a teatro, trad. it., Bari, 1986, p. 109; O. B ianco, Terenzio. Problemi e aspetti dell’originalità, Roma, 1962, p. 35 sgg.). Sul prologo del capocomico, cfr. C. Questa , Maschere, cit., pp. 44-46. 9. Secondo lo specifico teatrale teorizzato da C. Segre (Teatro, cit., pp. 16-17), solo per i prologhi o gli epiloghi (o nei cori) e negli a parte è prevista una comunicazione diretta tra «io-personaggio» (nel nostro caso, il personaggio del prologo; cfr. n. ad Heaut. 45) ed il ricevente (pubblico). Sulla comunicazione a teatro, cfr. M. D e Marinis, Semiotica, cit., PP- 158 Sgg.

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M. B a g n i n i , Per una semiologia, c i t . , p . 1 3 5 . 11. Negli Excerpta de comoedia di Evanzio (p. 18, W.): tum etiam Graeci prologos non habent more nostrorum, quos Latini habent. deinde ’&εους από μηχανής, id est deos argumentis narrandis machinatos, ceteri Latini ad instar Graecorum habent, Terentius non habet. ad hoc προτατικα πρόσωπα, id est personas extra argumentum arcessitas, non facile ceteri habent, quibus Terentius saepe utitur, ut per harum inductiones facilius pateat argumentum. Su questo passo molto complesso e non molto chiaro, cfr. G. E. D uckworth, The Nature of Roman Comedy, Princeton, 19744, p. 211 sgg.; L. P erelli, Il teatro rivoluzionario di Terenzio, Firenze, 1973, pp. 191-192; e E vanzio, De fabula, introd., testo critico, trad. e note a cura di G. Cupaiuolo, Napoli, 1979, pp. 177-181 e la bibliografia ivi citata. Il personaggio protatico appartiene alla protasis della commedia e compare solo nelle scene di apertura (W. B eare, I Romani, cit., p. 112). 12. Donato, ad An. 14: quia conscius sibi est primam scaenam de Perinthia esse translatam, ubi senex ita cum uxore loquitur, ut apud Terentium cum liberto, at in Andria Menandri solus est senex. Si veda la n. ad l. 13. Donato, ad Hec. 58: novo genere hic utraque προτατικα πρόσωπα inducuntur, nam et Philotis et Syra non pertinent ad argumentum fabulae. hoc autem maluit Terentius quam aut per prologum narraret argumentum... haec persona Terenti more extrinsecus assumitur, ut sii per quam argumenti obscuritatem spectator effugiat. Si veda la n. ad l. 14. Donato, ad Ph. 35: quod in omnibus fere comoediis, in quibus perplexa argumenta sunt, fieri solet, id in hac quoque Terentius servai, ut προταζικόν πρόσωπον, id est personam extra argumentum, inducat; cui dum hoc ipsum, quod veluti aliena a tota fabula est, res gesta narratur, discat populus textum et continentiam rerum sitque instructus ad cetera. 15. Vv. 22-24. 10 .

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Ma la parte più cospicua della rielaborazione del modello è co­ stituita da quello che comunemente si è inteso per contaminano. Di essa informa Terenzio stesso nei rispettivi prologhi per YAndria, YEunuchus e gli Adelphoe. Mentre negli ultimi due casi è possibile individuare con buona approssimazione le scene o gli spunti de­ sunti dal secondo modello, per YAndria la dichiarazione fatta nel prologo sembra invece riferirsi ad un uso del secondo modello sulla base di valutazioni stilistiche o di effetto 16:

con cui gli antichi classificavano le fabulae 19, è facile concludere che la Perinthia di Menandro non aveva un intreccio con due in­ namorati. Ed è quello che voleva significare Donato, quando affer­ ma che Terenzio è andato al di là dello schema menandreo {ad v. 977): et audacter et artificiosissime binos amores duorum adulescen-

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Menander fecit Andriam et Perinthiam. Qui utramvis recte norit, ambas noverit: ita non dissimili sunt argumento, et tamen dissimili oratione sunt factae ac stilo. Quae convenere in Andriam ex Perinthia fatetur transtulisse atque usum prò suis. Non si comprende che senso avrebbe l’utilizzazione del secondo modello se dovesse intendersi come il trasferimento puro e sem­ plice della coppia Carino e Birria, contrapposta a quella di Panfilo e il suo servo. L ’affermazione va considerata in modo diverso: l’introduzione della seconda coppia, che è originale innovazione terenziana, ha la funzione di integrazione 17 della fabula dominan­ te. Terenzio ha inteso accentuare la densità dell’intreccio, realiz­ zando, come nelle altre commedie in cui si ha sempre una doppia vicenda, uno sfruttamento più intenso dei tempi dell’azione, pro­ prio per essere aristotelicamente limitato ad una unità di tempo e luogo fortemente circoscritta 18. La fabula finiva con l’assumere un ritmo più accelerato con lo sviluppo di un intreccio collaterale (l’innamoramento di Carino) accanto alla vicenda principale. Le due commedie menandree utilizzate erano, come testimonia lo stesso poeta, sim iles argumento: tenendo conto dei criteri formali

16. Prol. w . 9-14; cfr. n. ad l. 17. Per il concetto, si veda C. Segre , Teatro, cit., p. 23. 18. Di qui la prevalenza di «azioni statiche» (in cui tutti i personaggi si riuniscono nello stesso luogo) sulle «azioni cinetiche» (in cui i protagonisti si spostano da un luogo all’altro per rendere possibili gli incontri), secondo la definizione di Tomasevskij (in C. Segre , Teatro, cit., p. 21). Pur concedendo che le incisioni delle diverse edizioni di Te­ renzio della fine del '400 (specie quella di Lione del 1493) non siano testimonianza del­ l’antico allestimento scenico, è evidente che in una scena, che ha sullo sfondo gli ingressi delle case dei vari protagonisti, «gli attori agiscono davanti alle case su una specie di proscenio, che deve rappresentare una strada o una piazza...; diventa (così] evidente il principio dell’unità di luogo (piazza o strada, dove tutti i personaggi possono facilmente incontrarsi) » (A. Statole , Scenografia, in II teatro italiano nel Rinascimento, a cura di F. Cruciani e D. Seragnoli, Bologna, 1987, p. 72).

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tium et binas nuptias in una fabula machinatus est, et id extra praescriptum Menandri, cuius comoediam transferebat.

Noi sappiamo anche che le due commedie erano identiche a tal punto che la prima scena era quasi simile e che due passi, di undici e di otto versi, erano stati ‘riusati’ da Menandro nell A n d ria 20*. Per YEunuchus, accanto al personaggio del m iles e del parasitus {prol. 30-32): Colax Menandri est; in ea est parasitus colax et miles gloriosus; eas se non negat personas transtulisse in Eunuchum suam, Terenzio introduce anche - ma lo apprendiamo da Donato - il personaggio di Antifone {ad v. 539): bene inventa persona est, cui narret Chaerea, ne unus diu loquatur, ut apud M enandrum 21. Di qui la trasformazione in dialogo del monologo in cui Cherea racconta­ va la vitia tio22. Lo stesso accade per l’altra commedia ‘contaminata’, gli A d el­ phoe. Terenzio ha assunto dai Synapothnescontes di Difilo il locus del ratto (II, 1) e, come apprendiamo da Donato, ha modificato il finale {ad v. 938: apud Menandrum senex de nuptiis non gravatur: ergo Terentius ευρητιχώς), rendendo lo scettico Micione riluttante alle nozze con n n ’ anus decrepita 23. Ma anche per YHecyra, che è commedia non ‘contaminata’, Do­ nato ci testimonia - a proposito del monologo in cui la meretrix

19. B. Castiglioni, ΓΙ prologo delVHeaut. e la commedia eduplex’, «Athenaeum» 45, I957>P- 257 sgg. 20. Donato, ad v. io: prima scaena Perinthiae fere isdem verbis quibus Andria scripta est, cetera dissimilia sunt exceptis duobus locis, altero ad versus XI, altero ad XX, qui in utraque fabula positi sunt (cfr. 0 . B ianco, Terenzio, cit., p. 87). 21. Col racconto di Antifone non c’è diretta complicità tra personaggio e pubblico. Sulla rappresentazione scenica e i suoi almeno due livelli di comunicazione, «uno infrascenico (tra i personaggi) e uno extrascenico (tra scena e pubblico)», cfr. M. Carlson , Teoria del teatro. Panorama storico e critico, trad. it., Bologna, 1988, p. 538. 22. 0 . B ianco, Terenzio, cit., p. 163. 23. Chi intende gravatur passivo, conclude che Micione nell’originale menandreo non si sposa (un puntuale esame in H. Haffter , Terenzio e la sua personalità artistica, introd., trad. e app. bibliografica di D. Nardo, Roma, 1969, pp. 85-86 e 139-140. Dello stesso Nardo , Terenzio e Vironizzazione del sapiens, in «Atti Ist. Ven. Se. Lett. ed Arti, Cl. se. mor. lett. ed arti», 126, 1967-68, pp. 162 sgg.).

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Bacchide racconta l’awenuto riconoscimento (v. 816 sgg.)24 - che Terenzio ha contratto questo segmento (stereotipo) dell’intreccio, perché nell’originale Yanagnorisis avveniva sulla scena (ad v. 825):

(Hecyra); tal altra il giovane rifiuta l’imposizione e per significare l’irrimediabilità della rottura crea la separazione ‘spaziale’, andan­ do ad arruolarsi in un paese lontano (Heautontimorumenos ). La violazione della volontà - e potestà - paterna avviene anche nel Phormio, proprio perché affidata alla vigilanza di un servo, in assenza dei padri. Nell’E unuchus invece la relazione con la meretrix è tollerata, secondo il costume greco, e la violazione della norma avviene perché un adulescens violenta una fanciulla schiava, che poi si scopre di condizione libera. Anche negli Adelphoe, dove il dissidio tra padri e figli è più centrale ed argomentato, il padre più tollerante dirà: «non pretendo di far valere in ogni cosa i miei diritti» (w . 51-52). In generale può dirsi che, là dove la situazione giuridica è più prossima alla norma romana, la rottura tra padri e figli a causa di questi amori sembra farsi più profonda.

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brevitati consulti Terentius, nam in Graeca (seti., comoedia) haec aguntur, non narrantur. In questo modo, anche attraverso l’im­ provvisa soluzione offerta da un topos, la causalità si sposta dal

prevalente gioco degli eventi alle qualità specifiche del personaggio della meretrix: il tutto sembra determinato da una causalità psico­ logica e morale, che sposta anche sul piano temporale l’evento (Γanagnorisis), con il privilegiamento del diegetico. Infine anche per YHeautontimorumenos, altra commedia non ‘contaminata’, possiamo esser certi che Terenzio ha modificato il tempo dell’azione, portando da uno a due giorni la durata degli eventi della fabula 252 . 6 Quello di Terenzio, è stato detto, è un teatro di giovani25. Sono essi che introducono la tensione, il disordine, la violazione del mos, il desiderio di libertà e di decidere da soli della propria vita. È per questo che il dramma si svolge nell’ambito liminale dell’organiz­ zazione sociale, la famiglia. La rottura che genera la crisi è dovuta quasi sempre al fatto che i giovani infrangono la norma, controllata dai padri, secondo la quale essi debbono prender moglie su loro indicazione, sotto la loro potestas. Ma i giovani sognano l’amore e instaurano una rela­ zione con una fanciulla che il padre non conosce e che potrà con­ siderare indegna del proprio rango, per il fatto stesso che è stata scelta con un atto di disubbidienza. Scattano allora i meccanismi di compensazione, attraverso il recupero della potestà giuridica del padre di imporre subito la moglie, con l’obbligo di troncare ogni rapporto con la fanciulla amata. Talvolta i giovani si sottomettono (Andria ) e la situazione regredisce - 0 sembra regredire - nella riconciliazione e nel ripristino della normalità sociale e dei ruoli 24. Il teatro terenziano soggiace a questo schema archetipico in cui il superamento dei vari ostacoli avviene con una svolta improvvisa, magari per mezzo di un’anagnorisis (M. Pagnini, Per una semiologia, cit., p. 127). 25. W. B eare, I Romani, cit., pp. 241 sgg.; si veda anche n. ad Heaut. 170. 26. Più precisamente, come ha ben rilevato I. L ana (Rapporti interpersonali nel teatro di Terenzio, in A A .W ., Teatro e pubblico nell’antichità, «Atti del Convegno Nazionale Trento 25/27 aprile 1986», p. 151), «l’elemento comune, unificatore, del teatro terenziano, in ciò che ha di nuovo, è il dibattito sulla formazione delle nuove generazioni maschili... i problemi dei rapporti familiari vi sono visti prima di tutto come i problemi dei rapporti tra padri e figli maschi». Sulla relazione antinomica iuvenis/senex, si veda D. A verna , Male, malum, metuo, Palermo, 1990, p. 14. Si veda anche G. Cupaiuolo , Terenzio: teatro e società, Napoli, 1991, pp. 112 sgg.

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La violazione che crea il dramma obbliga alla separazione per fazioni, per cui i giovani sono solidali con i giovani; ma - ed è questa la rivoluzione terenziana - non sempre i padri solidarizzano col padre il cui figlio è stato sedizioso. Nasce da questo la messa in questione dei valori, dei principi stessi sui quali i padri fondano la loro potestas, con una disputa che non avviene mai - come rimessa in questione radicale - tra figli e padri, ma tra padri e padri; sicché questa si trasforma in confidenza, in confessione del proprio ma­ lessere e della propria esperienza. È per questo che anche il padre portatore del nuovo valore, quello di far vivere i giovani secondo la loro volontà, non è mai immune da infortuni o da rimessa in questione. La stessa ricomposizione avviene poi non per mezzo dell’intervento degli uomini, ma per neutrale e fortuita evoluzione delle cose, con un meccanismo semplicistico, come l’agnizione, che ripristina in qualche modo la regolarità del costume, del ritmo della vita sociale, con in fondo l’utopica convinzione che si possa conciliare la sedizione dei figli, perché la rottura è guida positiva. Il teatro di Terenzio però non è la semplice trasposizione della società greca che riflette su se stessa, come era stata rappresentata nel modello: partendo da strutture della vita familiare o della realtà socio-culturale di cui i Romani percepivano ed accettavano le regole, diventa un ‘metacommento’ 27, una riflessione o un dram­ ma che la società romana rappresenta su se stessa. 27. V. T urner, Dal rito al teatro, trad. it., Bologna, 1986, p. 85. Sulla «funzione metateatrale» dello schiavo plautino, cfr. M. B e t o n i , Verso un'antropologia dell'intreccio, «MD» 7, 1982, p. 52 (= Pisa, 1991, p. 25); la definizione è nel fondamentale saggio di M. B archiesi, Plauto e il «metateatro» antico, «Il Verri» 31,1969, p. 113 sgg. (— Imoderni alla

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Il suo teatro però, anche in forza della norma che vietava di portare in scena personaggi viventi28, non sembra aver ripreso immediatamente i problemi e le crisi della società romana contem­ poranea, trasferendoli in situazioni ed immagini di scena, per illu­ minarli, indagarne e discuterne gli aspetti, prospettando le moda­ lità di risoluzione. L ’attenzione alla realtà quotidiana, l’esaspera­ zione e la deformazione delle circostanze, era invece un modo semplice per provocare la riflessione. Terenzio, salvo nei prologhi, non sembra preoccupato di per­ suadere e di servirsi del palcoscenico come tribuna e di rendere simbolica l’azione scenica. Il suo teatro si pone in un lontano m i­ lieu e il conflitto trasposto sulla scena non sembra immediatamen­ te presente nella società romana - anche se le situazioni giuridiche rinviano spesso alle sue norme - e quindi non scoprire i termini e gli elementi dei conflitti che vi sono in atto. Tutto è collocato all’interno di una abbastanza coerente ricostruzione della società greca, senza nessuna frattura o allusione, e perciò come un con­ flitto attenuato, che investe i processi sociali di una realtà alquanto lontana29. Questa ambientazione si pone oggettivamente come un mecca­ nismo di difesa. Il prevalere nel suo teatro dell’ ethos dei sentimenti, delle qualità e possibilità individuali rispetto a\Yeidos, ai valori delle culture, ai ricerca di Enea, Roma, 1981, p. 147 sgg.). Si veda anche G. Chiarini, La recita. Plauto, la farsa, la festa, Bologna, 19833, p. 46. 28. In verità, tale divieto (Cicerone, de re p. 4, 12 veleribus displicuisse Romanis vel laudari quemquam in scaena vivum hominem vel vituperari), riferito forse ad un genere teatrale più severo (la praetexta), non deve intendersi dettato da sterile e ombroso mo­ ralismo. Esso sembra piuttosto un’autolimitazione che Γélite del potere intese darsi con­ tro le emergenze individuali al suo interno, allorché si rese conto del ruolo di propaganda che poteva svolgere il teatro. Ciò fa giustizia anche dell’assurdo che un cittadino romano potesse essere biasimato 0 lodato sulla scena solo da morto. La violazione operata da Ennio a favore di Marco Fulvio Nobiliore, nel 189, con VAmbracia, può formalmente non sussistere, se non di una praetexta si tratta, ma, come lo Scipio, di un carme celebrativo. Quel carme era allora una maniera per aggirare il divieto e per non rinunciare alla produzione letteraria come strumento di propaganda politica (sebbene in una forma meno immediata e di massa, come quella del teatro). La reazione di Catone ne è la prova, ed individua il versante culturale e politico che osava sfidare l’accusa di strumentalizza­ zione. L ’aggiramento di quel divieto comportò anche, per lo stesso Ennio, un mutamento di metodo negli ultimi libri degli Annales, allorché dovette celebrare personaggi contem­ poranei (cfr. S. Maeiotti, Lezioni su Ennio, Torino, 1951, p. 25). La diceria che homines nobiles aiutassero Terenzio nella composizione delle commedie appartiene alla fase più recente di questo conflitto, un’accusa che all’interno dell’aristocrazia venne fatta, quando la ‘tutela’ sui letterati in genere e sugli uomini di teatro cominciava ad esercitarsi più ostentatamente (si v. anche n. ad Ad. 15). 29. In Terenzio lo spazio topico trapassa nella funzione dello spazio utopico (A. J. G reimas, Maupassant. La sémiotique du texte. Exercices pratiques, Paris, 1976, pp. 99-roo).

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mondi definiti, rende in parte simbolica l’azione scenica, riferen­ dosi all’uomo in generale. Ma ciò non vuol dire che il riferimento, la forma stessa, i contenuti del dramma scenico non rinviino alla sfera latente dei processi sociali che investono la realtà romana. Per Terenzio però non vi è circolarità tra il dramma scenico ed il dramma sociale, come avveniva in Menandro, e come, in una realtà e modi diversi, avveniva anche in Plauto. Ciò che Terenzio vuol dire è che, dietro la maschera dei ruoli - e non solo nel caso di padri e figli, ma anche di matrone e pro­ stitute -, dietro i postulati e i comportamenti istituzionalizzati in rapporto alla famiglia, esiste la possibilità di far vivere il sentimen­ to ed il desiderio. I suoi drammi son sorretti anche dalla convin­ zione che solo eliminando quelle maschere, con uno scavo di rea­ listica e limitata destrutturazione, si può ritornare all’identità au­ tentica di ciascuno; e che anzi la maschera dei ruoli sanziona la incomunicabilità, ingenera la prevenzione e rende impossibile il dialogo 30. Non è una critica allo status o al ruolo sociale dei padri: questo sarebbe apparso sovversivo; né una denuncia di ipocrisia o una critica all’assetto della struttura sociale; ma un suggerimento di come l’uomo possa recuperare o creare la communitas, offren­ dosi integralmente, volontariamente nella sua integrità e limpidità di coscienza. Il che non significa che il teatro terenziano immagini una umanità senza classi, ma solo che il dialogo, la verifica dei modi di essere e dei sentimenti dell’altro, può realizzare quel mon­ do da cui nessun tipo umano è escluso, neppure lo stolido miles dell’Eunuchus. L ’uomo vive al di là dello statuto sociale. Questa è la sua pri­ gione. E i padri lo apprendono dai figli. La relativa comicità delle commedie di Terenzio discende dal fatto che non v ’è sempre lo scontro frontale tra valore e disvalore, tra il personaggio positivo e quello portatore della negatività o dell’ottusità umana. Ed infatti proprio quest’ultima provoca il riso perché il portatore della negatività diventa il bersaglio dell’aggres­ sività comica: così sono Demea negli Adelphoe; i due vecchi nel Phormio; il soldato e Cherea nell’Eunuchus·, il vecchio Cremete nella seconda parte àeìYHeaut.·, l’ingenuità degli adulescentes nelYAndria; mentre non compare affatto nelYHecyra. Nelle sue commedie manca anche la discriminazione tra mondo 30. Ma già Aristofane, rileva G. Paduano (Menandro, Le commedie, a cura di G. Paduano, Milano, 1980, p. XXIV), che per dieci delle undici commedie a noi note aveva sempre fatto «dell’agone dialettico il fatto e il momento risolutivo, nelPundicesima, il Fiuto, mostrava improvvisa e inquieta coscienza del tramonto della civiltà del logos».

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dei furbi e degli inetti (anche Formione si fa accettare alla fine per aver operato a fin di bene), tra prepotenti ed inermi, con una pro­ spezione più problematica dell’uomo, come realtà più complessa, in cui convivono possibilità di segno opposto: l’uomo comunque detiene una dignità ed una innata positività (quella che è stata chiamata la sanità etica) che prescinde dalle sue contraddizioni. È per questo che tutti possono essere al tempo stesso oggetto e sog­ getto dell’aggressione comica, della irridente inquisizione dei suoi costumi, dei suoi peccata, dei suoi eccessi; e ciascuno concorre alla costruzione della nuova solidarietà, con l’ammissione dei propri errori e dei propri egoismi e con la ritrattazione della propria vita. La contraddizione spesso riscontrata tra l’agire del personaggio e la sua tipizzazione (e il rapporto tra rappresentazione diretta e indiretta)31 è dovuta al fatto che in Terenzio è attenuato il ruolo di indagine del teatro menandreo - che pur conosce, come i Caratteri teofrastei, la rigidità e la generalizzazione della maschera - ed il connesso moralismo, il tono e le situazioni canzonatorie (come il ‘sermone’ di Onesimo a Smicrine nel finale degli Epitrepontes ) 32. La rigidità, la generalizzazione e l’astrazione dei caratteri sono superate con la necessità non solo di rivitalizzare un ammasso scontato di tip i33, ma di definire con più gelosa identità la singola creatura, Yhomo.

politiche, sociali e religiose in cui il teatro di Menandro si colloca­ va, la funzione finiva per essere diversa, perché diverso ne era il destinatario. La commedia di Menandro si rivolge al cittadino di Atene de­ luso della sua irrilevanza in relazione al nuovo aggregarsi della realtà politica; quello romano invece ha l’orgoglio di sentirsi signo­ re del mondo unificato 35. Ma pur sorretto da questo senso della suprema istituzione romana, la res publica, egli non può far riferi­ mento a istituzioni intermedie 36, ed il senso, l’orgoglio di essere civis, protagonista unificatore della società degli uomini, poteva esporlo alla tentazione dell’intolleranza ed alla chiusura autorita­ ria. Con Terenzio però il cittadino si fa homo, anch’egli sperduta unità nella società umana (homo sum: hum anì n il a me alienum puto). Perché ogni uomo ha il fardello dei suoi problemi, la cecità verso la realtà più prossima, pur nell’accettazione della comunità degli uomini. E questo crea in Terenzio la risoluzione come senso di colpa, come autocorrezione, confessione, ammissione dei propri torti, superamento di uno stato di incolpevole chiusura, riconcilia­ zione. Lo iato tra la realtà trasposta sulla scena e quella del mondo romano, di cui non a caso mancano quelle intrusioni o assunzioni così care a Plauto, crea la funzione rivoluzionaria del suo teatro, facendone una comunicazione diversa. In Menandro vive, seppur attenuata, la solidarietà tra attori e pubblico; ma essa sopperiva validamente, seppur limitatamente 37, al rimando metateatrale ‘della finzione in quanto finzione’, che aveva il suo luogo istituzionale nei prologhi recitati dall’onnipo­ tente Tyche o da un’entità onnisciente. Le allocuzioni al pubblico, la solidarietà invocata dal personag­ gio sono forme metateatrali di riproposizioni (e di richiamo) di quella solidarietà iniziale, di quella convenzionale complicità. In Terenzio non c’è più nulla di tutto questo: mancano le allocuzioni al pubblico, mancano i prologhi che inquadrano la vicenda. Omettendo il prologo informativo e sostituendolo con quello polemico, Terenzio chiede al pubblico di essere suo alleato, con un coinvolgimento però che non riguarda la finzione in quanto fin­ zione, ma un altro momento della vita del teatro, le vicissitudini e le contese dei creatori delle sue finzioni. Nasce una nuova forma di

Il teatro di Terenzio, si diceva, investe in particolare i legami familiari, con una tendenza che lo pone vicino alla novella, alla trama romanzesca, e privilegia «il sistema combinatorio degli eventi casuali»34; ma, a differenza che in Menandro, sembra che tutto avvenga per un positivo ed ottimistico predisporsi degli even­ ti, e non per l’azione onnipotente e capricciosa della Tyche, comun­ que forza impersonale ed esterna al tessuto umano. Il suo teatro appartiene ad un mondo diverso. Certo, della commedia menandrea (e apollodorea) egli conserva i tratti essenziali, la fondamen­ tale impostazione drammatica: essendo però diverse le condizioni

31. I. L ana, Terenzio e il movimento filellenico in Roma, «Riv. di Filol.», 75, 1947, p. 64. 32. V. 729 sgg. Cfr. Menandro, Le commedie, ed. critica e trad. a cura di D. Del Como, I, Milano, 1966, p. 178. 33. Il narratore, dice C. Segre , Teatro, cit., p. 25 - inteso nel senso più ampio — «attinge a motivi e temi nel costruire la sua fabula. Ma se anche la struttura della fabula acquista una sua autonomia, un suo rigore, essa non può non mostrare, in trasparenza, le tracce dei materiali non strutturati o poco strutturati che vi sono confluiti. Ogni fabula è dunque il risultato di una interferenza». 34. G. Papuano , Menandro, cit., p. III.

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35. A. T raina (Comoedia. Antologia della palliata, Padova, 19693, pp. 12-17) ha scritto pagine notevoli sull’orizzonte spirituale del civis e la sua crisi a contatto con l’esperienza greca nel III e II secolo a. Cr. 36. Cfr. V. T urner , Dal rito, cit., p. 32. Si veda anche la n. ad Ad. 439. 37. G. Paduano, Menandro, cit., V ili.

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comunicazione sociale, e la solidarietà richiesta dal poeta (o dal capocomico) non prevede nessuna integrazione tra mondo della scena e pubblico, anzi sembra sottilmente escluderla, rendendo improponibile una solidarietà che si costruiva col demistificare la realtà del farsi delle finzioni, i suoi temi e le sue regole, le vicende della trasformazione in messaggio ed in spettacolo. Terenzio non cerca che questo consenso. Plauto presuppone un pubblico socialmente più individuato, con le sue classi, i servi, l’ambiente, la comunità municipale, per la quale il pettegolezzo, la provocazione allusiva sono ancora motivo di sollecitazione comica; Terenzio invece prefigura una comunità più impersonale, una metropoli di tipo ellenistico, com’era ormai la Roma del suo tempo, attenta ai problemi di una realtà più am­ pia, con lo sguardo sul mondo.

A ciascuno viene riassegnata una funzione, perché in Terenzio non esiste una situazione binaria e oppositiva, che colloca e discri­ mina definitivamente gli uomini sull’uno o sull’altro versante. Ma è soprattutto importante rilevare che tale recupero dell’oppositore, dopo che si è esaurita questa sua specifica funzione, è innovazione terenziana. Non sappiamo se n ell’Eunuco di Menandro il miles ve­ niva riammesso nell’ entourage di Taide per intervento del parassi­ ta, come in Terenzio 40; ma quel che accade nel finale degli A d el­ phoe, con la ‘conversione’ di Demea che, deliberatamente e con coerente dismisura, abbandona il ruolo di oppositore - ed anzi, a sua volta, lo attribuisce astutamente al fratello, che era stato de­ positario della concezione più applaudita -, è per noi di grande significato. Aver costretto il fratello a prender moglie (in M enan­ dro, dice Donato, senex de nuptiis non gravatur) serve a portarlo alla condizione in cui egli stesso si è trovato ad operare, e a fargli abbandonare la posizione di egoistico privilegio da cui ha potuto ottenere solo vantaggi. Anche nell’Andria, sebbene con un esito di non pari evidenza, l’introduzione del secondo adulescens innamorato permette, come già notavano gli antichi41, di non lasciare abbandonata Filumena - che pure è personaggio che non compare mai in scena -, quando Panfilo può realizzare il suo amore con Glicera e perciò disinteres­ sarsi della fanciulla che gli era stata imposta per moglie. Nel Phorm io il parassita diventa amico di famiglia; ed anche il vecchio marito, che Nausistrata scopre aver avuto una relazione (con figlia), viene perdonato e in qualche modo reintegrato. Nel1’Hecyra la cosa è evidente nella pacificazione complessiva, e so­ prattutto nell’integrazione morale della meretrix, che diventa arte­ fice e testimone del ritorno del suo ex amante alla moglie. Anche nell’Heaut. l ’agnitio, che restituisce alla sua condizione la fanciulla un tempo esposta, e la possibilità riconosciuta al fratello di sposare la ragazza che vuole, sono due momenti della ricompo­ sizione e del più generale riconoscimento di innocenza. In Terenzio non vi è un ruolo privilegiato per alcuno, ma una posizione assunta in particolari situazioni; perciò con la possibilità del passaggio dal ruolo di oppositore a quello di benefattore. Il suo è un teatro in cui le differenze tendono a attenuarsi, le opposizioni ad estinguersi, i conflitti ad estenuarsi. Sembra quasi che il conflitto esploda per la necessità di esaurirsi. In tali condi-

I ruoli attanziali, per dirla con Greimas 3S, o dramatis personae che ritroviamo in Terenzio sono quelli del soggetto destinatore, spesso un giovane che «desidera» una ragazza e che cerca di otte­ nerla sostenuto da un aiutante (di norma, un servo o un amico), e dell’oppositore, che ostacola il suo desiderio (in genere è il padre o, comunque, un senex, e mai un antagonista rivale; oppure, come nell’Hecyra, un ’anus, la suocera sospettata di odiare la nuora); altra volta, come nel caso delVEunuchus, il soggetto destinatore è la protagonista Taide, che vuol restituire la persona amata alla sua condizione di cittadina libera39. Comunque, ogni vicenda, per una serie di casi fortunati (la relazione teleologica), magari attraverso la funzione compensativa d e ll’anagnorisis, si conclude ricomponendo in un ordine stabile ogni cosa, con un intervento nella funzione di arbitro anche dell’antagonista. A differenza che in Plauto dove l’oppositore, una volta ingan­ nato o sconfitto, viene abbandonato al suo destino, in Terenzio anch’egli viene recuperato e risistemato in un ordine sociale. Demea, nel finale degli Adelphoe, diventa il referente morale dei figli, scalzando da quel ruolo il fratello; e lo stesso miles delVEunuchus viene associato alla brigata che sta intorno a Taide.3 * 9 8

38. La semantica strutturale, trad. it., Milano, 1968, p. 223. Discussione su questo schema in E. E lam, Semiotica, cit., pp. 134 sgg. e M. B ettini, Verso un’antropologia, cit., pp. 4-6 (= Pisa, 1991, pp. 18-19); D. A verna, Malo, cit., p. 133. 39. M. Pagnini, Per una semiologia, cit., p. 127. Si veda S. Paduano, L ’illecito nella Commedia Nuova: tecniche di esorcizzazione, in A A .W ., Scena e spettacolo nell'Antichità. Atti del Convegno intemazionale di studio (Trento, 28-30 marzo 1988), Firenze, 1989, pp. 223 sgg.

40. Cfr. n. al v. 1080. 41. Cfr. n. doàAn. 301.

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zioni è inimmaginabile il postulato che il personaggio sia definito per opposizione 42.

realtà esistente; la proposta di una nuova figurazione della realtà, una metafora per la comprensione del dramma umano e sociale; epperò la tendenza a non individuare, per collocazione oppositiva, lo statuto delle dramatis personae, riducendo l’azione umana entro i termini di una intenzionalità positiva, che, quando è fraintesa, genera incomprensione e risentimenti. Certo, i personaggi sono dialetticamente contrapposti, ma tale contrapposizione è precaria e deve necessariamente esaurirsi. L ’opposizione non è più nello statuto del personaggio. Anche la ‘conclusione’ del mondo drammatico sulla scena, per cui gli elementi deittici {Me, isti, etc.) non rinviano mai al mondo romano48, ma sempre al luogo della scena, al meno compromet­ tente (e idealizzato) mondo del modello greco; l’assenza di allocu­ zioni al pubblico, così frequenti in Plauto 49, rientrano nella defini­ zione che Terenzio volle dare del suo mondo drammatico. Terenzio tende al diegetico. Il monologo narrativo allontana nel tempo: al «qui» ed «ora» egli preferisce il luogo ed il tempo lon­ tano («là» ed «allora»)50. La trama di base si trasforma così in un complesso intreccio, organizzato secondo un disegno che non è rigorosamente mimetico. Il conflitto e il dramma non solo è ‘agito’, ma spesso narrato. Gli avvenimenti, con una minore accentuazione per 1’Eunuchus ed il Phormio, non vengono ‘visti’ . Si aggiunga poi che, proprio per de­ purare il personaggio dallo stereotipo, è la situazione che costrui­ sce il personaggio. È per questo che in Terenzio è affievolito il ruolo del destinatore. Ciò che tutto governa è l’imprevedibile, la circostanza.

Un’analisi attanziale dei singoli personaggi, considerati non tan­ to - idealisticamente - «come un insieme unificato, più o meno complesso, di tratti psicologici e sociali» 43, ma piuttosto una fun­ zione in una struttura drammatica, lascia cogliere evidentemente che in Terenzio i personaggi - tranne quelli femminili, Taide, la suocera e la meretrix nell’Hecyra e, in parte, il parassita Formione - non hanno una funzione preminente nello sviluppo dell’a­ zione. A ciò si aggiunga il fatto che il personaggio della palliata è definito nella sua posizione dal ruolo sociale (senex, adulescens, meretrix, servus, matrona ) 44, cioè dallo ‘statuto intertestuale’, per cui il miles, per le caratteristiche ed i ruoli già assegnati, sarà prevedibilmente gloriosus, colax il parasitus, tristis il senex, qualità che venivano significate con l ’abito (che è anche indicatore della posizione sociale) 45, le caratteristiche fisiche, l’andatura, il trucco e, se c’era, dalla maschera. Ora, nella commedia terenziana convivono tali stereotipi - ele­ menti del dramma popolare - modificati sia nei personaggi che nelle situazioni; ma del dramma popolare non sopravvive la cen­ tralità dell’azione, il passaggio repentino delle situazioni (il poeta stesso lo riconosce nei prologhi e chiede comprensione per la sua commedia fattasi stataria e non più motoria) 46, dove però è com­ presente un ruolo consistente dell’intreccio, ad arricchire il quale serve spesso la contaminano, ma con un residuo di tendenza alla meditazione, al commento della propria azione, al definirsi raccontando 47. Originalità nella creazione della nuova struttura, dunque, come modellazione di un mondo desunto dai modelli ed ancorato ad una 42. E. E lam, Semiotica, cit., p. 137. 43. E. E lam , Semiotica, cit., p. 135. 44. Si veda quanto ha rigorosamente dimostrato il Questa (Maschere, cit., pp. 21 sgg.) sulle norme che regolano la narratio nei prologhi della 'tea (ed in Plauto), nella quale i personaggi vengono menzionati «con termini che ne designano i rapporti familiari o lo stato giuridico-sociale ». Cfr. anche E. R affaelli, Nomi di senes nei prologhi plautini, «MD» 8, 1982, pp. 66 sgg. 45. E. E lam , Semiotica, cit., p. 32; cfr. F. D ella C orte, La tipologia del personaggio della palliata, in A A .W ., Actes du IX Congrès, Assoc. G. Bude, Paris, 1975, p. 387. 46. Comoediae autem motoriae sunt aut statariae aut mixtae. Motoriae turbulentae, statariae quietiores, mixtae ex utroque actu consistentes (Evanzio, de fabula, 4, p. 22 W.); cfr. G. Cupaiuolo , Evanzio, cit., p. 193. 47. Sui debiti di Terenzio verso Menandro, si veda G. Paduano, Menandro, cit., pp. XXV-XXVI.

Se il teatro è ipertrofia del dramma sociale, «un’esasperazione di processi giuridici e rituali»51, quello di Terenzio, che sembra rifuggire dal n im is 52, e ricomporre il superamento della trasgres­ sione con l’irretimento del processo a se stesso, divenendo conse­ guentemente racconto del proprio tormento, allora non può avere

48. Cfr. n. ad Ad. 43. 49. Era stato già notato dagli antichi (Evanzio, de fabula 8, p. 20 W.): illud quoque mirabile in eo (scil., Ter.) ... quod nihil ad populum facit actorem velut extra comoediam loqui, quod vitium Plauti frequentissimum. Cfr. H. Haffter , Terenzio, cit., p. 54; O. B ian­ co , Terenzio, cit., pp. 53 sgg.; G. Cupaiuolo , Evanzio, cit., pp. 186-189. 50. Si pensi AVanagnorisis ‘narrata’ nelVHecyra (si veda la n. al v. 821). 51. V. T urner , Dal rito, cit., p. 34. 52. Cfr. P. V eyne , La vita privata dall’impero romano all’anno mille, Bari, 1986, p. 131.

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la risonanza scenica del vigore tribunizio o dell’unilateralità pro­ vocatoria. Il dramma sociale latente, che passa per le fasi di rottura, di crisi, di compensazione 53 e dénouement (positivo o negativo), in Terenzio - si pensi innanzitutto a ìYHecyra ed agli Adelphoe, ma anche al Phorm io - non si conclude mai con l’accettazione dello scisma, ma sempre con la riconciliazione e la ricomposizione. Va da sé però che questo non riguarda (o non sembra riguardare, a prima vista) la società nel suo complesso, raffermarsi della neces­ sità dell’innovazione e del mutamento. Il ‘processo’ teatrale terenziano non mette in questione lo status sociale o i ruoli, ma l’indi­ viduale, la relazione interindividuale, che perciò comporta sempre la prospettiva di una restaurazione dei rapporti, nonostante la loro degenerazione. È per questo che la rottura, che in fondo chiede mutamento di rapporti, si ricompone poi un po’ sotto tono, e la conclusione della commedia sia sempre la riconciliazione, sia pure talvolta col tono deluso dell’autoironia (come negli Adelphoe), che giunge sino all’accettazione della prostituta (come n e ìl’Hecyra e n e ll’Eunuchus), perché buona e generosa, in cui perciò scompare la ‘persona sociale’. Per Terenzio, il conflitto che scatena il dramma mostra le zone d’ombra dell’individuo e le dissipa, forse, in una idealizzazione della tolleranza e d e ll’humanitas, che è costretta a non vedere il malessere sociale. Lo ‘spazio sociale’ in cui il dramma terenziano si attua, come si è detto, è la famiglia o la piccola rete di conoscenze, in primo luogo il vicinato. Di qui l’importanza della ‘casa’, il cui ‘interno’ è sempre fortemente incidente sulla vicenda, e l’importanza che hanno i per­ sonaggi di cui si ode talvolta la voce e che non compaiono in scena (si pensi alla partoriente dell’Hecyra e dell’Andria). Terenzio non mette in questione l’assetto sociale; però ne discu­ te i principi, ne rivede le premesse. Questa è la sua indiretta rivo­ luzione. Il teatro terenziano è legato alla festa, non a quella utopica, rivoluzionaria del mondo à l ’envers 54, con la sospensione del tempo e l’abolizione dei rapporti gerarchici o delle regole sociali, come nei S a tu rn a lia 55* . È la festa organizzata dal potere, l’occasione del di­ vertimento di massa, nella quale, tra le varie attrazioni, il ludus 53. V. T urner, Dal rito, cit., p. 191. 54. Cfr. F. R igotti , Festa, rivoluzione e utopia, in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia - Università di Siena, III», Firenze, 1982, p. 213; F. Cruciani, Il teatro, cit., p. 32. 55- M. B achtin , L ’opera di Rabelais e la cultura popolare, trad. it., Torino, 1979, p. 13.

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scenico non era neppure il preferito, giacché, come attestano le vicissitudini dell ’Hecyra e come testimonia anche Orazio, il popolo era solito u isum aut pugiles intep caim ina pascei'e (ep. 2, 1, 185)· La partecipazione avviene non in quanto il popolo si autocostituisce come spettacolo o si riconosce come comunità: questo ele­ mento della festa popolare ed utopica, a cui è legato il teatro ro­ mano delle origini, sopravvive in qualche modo solo nell’italico Plauto 5fi. L ’assenza di allocuzioni al pubblico nelle commedie di Terenzio ne è una prova: la scena non è una tribuna. Spettacoli ufficiali, in un teatro costruito per l’occasione - il luogo della finzione, socialmente strutturato -, per rituali celebra­ zioni religiose o civili57 o anche per circostanze commemorative, come quella in cui furono rappresentati gli Adelphoe (la morte di Lucio Emilio Paolo)58, sono manifestazioni legate a momenti poli­ ticamente rilevanti, che perciò non possono che svolgersi nell’am­ bito della cultura egemone. Servono a segnalare la presenza del potere. La commedia terenziana è allora un evento che va visto non tralasciando la considerazione degli spettatori contemporanei59 e del potere committente. È un elemento di una festa che ha una sua funzione socio-politica, la sospensione della normalità quotidiana e la dimostrazione delle capacità di realizzazione del potere60. Essa soggiace a quella necessità per cui, come diceva Machiavelli, il principe deve, «ne’ tempi convenienti dell’anno, tenere occupati e popoli con le feste e spettacoli»61. Attività straordinarie che inter­ vallano le attività abituali, celebrazione privilegiata di un comune sostrato ideologico 62. Un momento dell’effimero, dunque, in cui Plauto aveva salvaguardato qualcosa di ‘popolare’ e di coinvolgente, non marcando 56. Cfr. G. Chiarini, La recita, cit., pp. 216 sgg. 57. Si veda l’introduzione alle Didascalie. 48. Si veda la Didascalia degli Adelphoe. 40. Oualsiasi testo, dice U. E co (Lector in fabula. La coopcrazione interpretativa nei testi narrativi, Milano, 1979, pp. 5Z‘ 53) «postula il proprio destinatario come condizione indispensabile non solo della propria capacità comunicativa concreta, ma anche della propria potenzialità significativa. In altri termini il testo viene emesso per qualcuno che lo attualizzi». Cfr. anche M. Corti, Principi della comunicazione letteraria, Milano, 1970, 60. cfr. F. Colucci , Festa e fenomenologia del potere, in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofìa - Università di Siena, III», Firenze, 1982, p. 224. 61. Π principe, cap. XXI. . . . . 1 62 Si tratta, dice F. Cruciani, I l teatro, cit., p. 32, «di riconoscere alla festa un valore concettuale ed ideologico, di assumerla come unità strutturante, all’interno della quale vengono a porsi in modo privilegiato certe forme di spettacolo in cui confluiscono, m se autonome, diverse forme espressive».

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nettamente la distinzione tra scena e platea63, tra finzione scenica e vita, tra spettatore e attore. Nel teatro di Terenzio non c’è più l’esultanza dissacratrice della parola e della farsa. Terenzio quindi non può farsi esplicitamente rivoluzionario: il suo teatro è emblematizzazione colta di un mondo, con una preci­ sa, voluta, seppur non esplicita funzione sociale. Di qui la diversa fortuna delle sue commedie 64 e la loro così diversa identità. La sua rivoluzione è però di già nel non rispettare l’esigenza di un spetta­ colo «organizzato sul principio del riso » 65. Il suo teatro chiama in questione, ma non immediatamente, perché lo spettatore è tenuto in una posizione salda e distaccata di fronte a una vicenda o a situazioni, presentate come specchio di una realtà, che egli non dovrà necessariamente affrontare e su cui può talvolta sorridere 66. L esigenza dello spettacolo voleva che anche la sua commedia fosse, in definitiva, un lusus. Anche il teatro di Terenzio conserva l’opposizione tra città e campagna, tra Yurbanus e il ru sticu s 67, tra chi vive in otto e in conviviis e chi in campagna lavora senza risparmiarsi, come si con­ dannerà a fare Menedemo nelYHeaut. o com’è nella condizione del senex (Lachete) neìYHecyra e di Demea, in opposizione al fratello, negli Adelphoe. Non è la contrapposizione tra la società ben rego­

63. T testi di Plauto, sottolinea il B ettini, Verso u n ’antropologia, cit., p. 41 (= Pisa, 1991, p. 13), sono invece «a destinatario soverchiante, testi che hanno qualcosa di simile alla cosiddetta creazione collettiva’ o popolare; nel senso che il gruppo a cui essi si rivolgono, con le sue attese da non frustrare, e le sue censure inappellabili, svolge un ruolo non indifferente nella creazione letteraria». 64. Sulla resistenza del pubblico terenziano alle innovazioni, I. Lana, I rapporti, cit., p. 148. Dice il B ettini (Verso un antropologia, p. 42): «Chi pretenderà di far preponderare il versante della innovazione o della parola sul sistema collettivo, come Terenzio, non potrà che avere carriera faticosa e stentata». 65. M. B achtin , L ’opera, cit., p. 15. 66. Una comunità, dice M. B ettini, cit., p. 99 (= Pisa, 1991, p. 74), «va a teatro per divertirsi... ma ci va anche perché quegli intrecci che vede rappresentati sulla scena svolgono un fondamentale ruolo di mediazione culturale fra se stessa e le prescrizioni che promanano dal codice collettivo (e credo che questa opera si potrebbe anche chiamarla, per altri risvolti, “ catarsi” , oppure ascriverla tranquillamente fra le ragioni di quel “di­ vertimento” di chi va a teatro)». F. Cruciani, Il teatro, cit., p. 38, aveva osservato: «Nella dimensione festiva acquista significato più pieno il concetto di commedia come gioco e gusto razionale... il pubblico è, nella festa, nella posizione distaccata e tranquilla di chi è al di sopra, quasi una divinità di fronte all’agitarsi umano, saldo e sicuro nella sua proiezione ideale (una società statica ed ordinata): può vedere tutto perché nulla lo chiama in causa». Si veda quanto abbiamo detto sopra sulla festa. 67- /^· 863 sgg.; cfr. Μ. I. F inley , L ’economia degli antichi e dei moderni, trad. it., Bari, 1974, pp. 189 sgg.; E. Gabba , Arricchimento e ascesa sociale in Plauto e in Terenzio, «Index» 13, 1985, p. 15.

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lata, in territorio ‘ordinato’ 68* e ben munito, perché difeso dalle mura, di fronte all’irrazionale e al non civile. Perché anzi la cam­ pagna è il luogo del rifugio (lo è per il giovane Fedria nell’Eunuchus ) e dello spirituale ristoro rispetto alla seducente, ma sconvol­ gente realtà della città, che è il luogo in cui si scatena la libido. Sul piano esistenziale, la campagna è allora il luogo dell’immobilità, dell’immodificabilità - come sarà poi nell’idealizzazione ci­ ceroniana - della serenità interiore. La città è vista dalla campagna. Così era anche in Menandro. Ma la campagna è il luogo del senex, come la città lo è dei giovani. NeìYHecyra, la suocera sospettata di essere la causa del dissidio tra il figlio e la nuora, decide di tirarsi in disparte andando a vivere in campagna, dove già vive e lavora suo marito (v. 586). A questo così motiverà la sua decisione (v. 610): ahi rus ergo Mnc: ib i ego te et tu me feres. La città insidia la convivenza, non insegna la sopporta­ zione, l’accettazione dell’altro. La fatica insegna a vivere. In Terenzio però la campagna non è la sola depositaria delle ancestrali virtù quiritarie, della positività del vivere o del principio di coerenza con se stesso, con la propria immagine (o del decoro), e quindi di uno statico e consolidato comportamento sociale. La campagna fa da contrappeso al rischio del disordine, al concitato edonismo della società urbana: perché la città è esposta alle solle­ citazioni che vengono dall’esterno, da altri mondi, dalla ricchezza. Si comprende allora la funzione che ha nel teatro terenziano l’ambientazione scenica. In Plauto essa è sempre collocata in una città di mare (Atene, Epidauro, Epidamno, Efeso), quando non addirittura sulla spiaggia (Rudens e Vidularia); in Terenzio l’ambientazione è sempre nella città di Atene (nell’Heaut., più precisamente, nel demo di Ali), in ciò seguendo anche i modelli. Questo permette ai due poeti di rendere centrale la funzione della via del p o rto ®. Il porto, certo, è ‘la via del ritorno’, talvolta inatteso e indesiderato (Panfilo neìYHecyra e i due senes nel Phormio), un ritorno che crea sconvolgimento, un’accelerazione della vicenda drammatica (Heaut. 182). Ma è anche la via dello scambio, 1 itine­ rario verso l’ignoto, l’uscita dalla disperazione per emigrare. Met­ tersi per mare era una necessità tremenda, perché a rischio della v ita 70. Così era per il romano. Però è anche la via per uscire dalla stasi, per evadere dalla miseria, per commerciare, per arricchirsi. 68. F. Cruciani, Il teatro, cit., p. 33. 69. R. R affaelli, in C. Questa-R. R affaelli , Maschere Prologhi Naufragi nella com­ media plautina, Bari, 1984, p. 122. 70. Diventa un vero e proprio topos; cfr. n. ad Hec. 419.

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In questo lo spettatore romano era coinvolto in maniera diversa da quello greco. Ciò che è soprattutto rilevante è che nel teatro terenziano lo schema dicotomico città-campagna è superato. La mediazione cul­ turale che il poeta offriva, avvalendosi dei modelli, introduceva una visione politica ed una dinamica sociale ed economica nuova. Che non era certo quella di Catone 71. Seppur diversa da quella di Plauto, la commedia di Terenzio rimane una composizione in cui si alternano parti recitate, parti cantate e parti che dovevano essere declamate con l’accompagnamento, in sottofondo, del flauto. In Terenzio compaiono solo tre volte le parti cantate (i veri e propri cantica 72), nella prima com­ media, VAndria (481-488, 625-6380), e nell’ultima, gli Adelphoe (610617; negli ultimi due casi si tratta di monologhi), quelle parti che Plauto aveva sapientemente distribuite per tutte le commedie (tranne nella Casina, dove i cantica sono presenti soprattutto nella seconda parte) e che facevano della sua composizione un prodotto più vicino al nostro dramma con musica. Ma quello di Terenzio non è neppure uno Sprechdrama. Terenzio però tende, sia pur sensibilmente, a rendere meno preminente il ruolo della musica. È stato calcolato da H. H affter73 che nella prima commedia, VAndria, il verso ‘parlato’ (il senario) costituisce quasi il cinquanta per cento del testo; la percentuale sale di poco

71. La concessione che per motivi economici è costretto a fare nella praefatio del de ax- 1 a favore delle attività di scambio (est interdum praestare mercaturis rem quaerere), ricordandone anche i rischi (nisi tam periculosum sit... mercatorem autem strenuum studiosumque rei quaerendae extistimo, verum... periculosum et calamitosum), è subito cor­ retta con motivi di immagine sociale e ruolo morale (et ex agricolis et viri fortissimi et milites strenuissimi gignuntur, maximeque pius quaestus stabilissimusque consequitur minimeque invidiosus). È evidente che Catone si riferisca qui alla magna mercatura (cfr. E. Narducci, Valori aristocratici e mentalità acquisitiva nel pensiero di Cicerone, «Index» 13, 1985, p. n i ) ; essa rimane però moralmente dubbia, come la tennis m. ed ogni quaestus legato al mercari. 72. Sulla distinzione tra deverbium (contrassegnato con D) e canticum (C), intendendo per deverbium il recitato e per canticum il cantato; sulla complessa questione posta dal­ l’affermazione di Donato che alcuni cantica erano contrassegnati con l’indicazione M■ m ■ c, cioè mutatis modis cantica (Ad. praef 1, 7 saepe tamen mutatis per scaenam modis cantata, quod significai titulus scaenae habens subìectas personis litteras M-M-C; item deverbia ab histrionibus crebro pronuntiata sunt, quae significantur D- et V- litteris secundum personarum nomina scriptis in eo loco, ubi incipit scaena); e sulla necessità di intendere che, tranne le parti in senari, tutte le altre dovevano essere accompagnate dalla musica, testimonianze e discussione in G. W ille , Musica Romana. Die Beduetung der Musik in Leben der Romer, Amsterdam, 1967, pp. 164-165; si veda anche W. B eare, I Romani, PP· 251-254. 73. Terenzio, cit., p. 44.

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per VHeaut. e VEunuchus (52%) per raggiungere il 57 ed il 56 per cento per il Phorm io e gli Adelphoe. Un caso a sé diventa VHecyra, che noi abbiamo nella terza redazione 74, nella quale le parti ac­ compagnate dalla musica hanno il sopravvento, riducendo lo spa­ zio dei senari al quaranta per cento del testo. È comprensibile che questo è connesso alla particolare atmosfera melodrammatica del­ la commedia. Accanto ai tre brevi cantica, Terenzio conosce i dimetri giambi­ ci, trocaici e eretici, che Plauto usa così frequentemente (nell’riwdria abbiamo 27 versi di questo tipo, mentre nelle altre commedie ve ne sono da 4 3 12). Il metro più caro a Plauto, il settenario trocaico, è presente in pari misura in Terenzio, come il settenario giambico; ma Terenzio usa in proporzione maggiore l’ottonario giambico. Più frequente è anche in Terenzio l’ottonario trocaico (90 volte, 150 in Plauto), che è riunito in brevi serie, talvolta sino a quattro versi e solo in Eun. 339-346 di otto. Elemento rilevante è anche l’alternarsi dei metri (89 volte nell’Andria, 85 nelYHecyra) ed il suo decrescere sino al Phorm io (63 volte) e negli Adelphoe (61 volte). Un parallelo sviluppo si rileva anche nel raggruppamento dei senari75. Ciò prova non tanto che la musica va progressivamente perden­ do ruolo nel teatro terenziano, ma piuttosto che si va definendo una caratteristica, se è vero che nella sfortunata e problematica Hecyra - che, pur composta subito dopo VAndria, fu sottoposta ad una duplice rielaborazione in vista delle successive rappresen­ tazioni 76 -, troviamo compresenti alcuni elementi, come l’alto nu­ mero di mutamento di metri (85 volte), che l ’accomuna all’Andria, insieme ad un’estensione delle parti accompagnate dalla musica, in quanto quelle ‘parlate’ sono circoscritte al quaranta per cento della commedia, mentre nei coevi Adelphoe il verso ‘parlato’ raggiunge il 56%. L ’intento di restituire il testo drammatico alla situazione origi­ naria, comunque irripetibile (e, per certi versi, come nel caso di una specifica rappresentazione, contingente), obbliga a non consi­ derare le commedie terenziane come un semplice testo scritto (o Lesetext), non soltanto perché, come qualunque testo teatrale, con­ tiene in sé gli elementi (didascalici) per la sua rappresentazione (per questo il complesso operativo va distinto dal complesso 74. Cfr. O. B ianco, La cronologia delle commedie di Terenzio, «ANSN», serie II, 25, 1956, p. 18. 75. Si veda lo stesso H. Haffter , Terenzio, cit., pp. 44-45. 76. Cfr. 0 . B ianco, Terenzio, cit., pp. 99-100.

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scritturale)77, ma per stabilire che il livello del linguaggio si pone in rapporto integrativo non solo con gli elementi che formano il complesso operativo (vestiti, mimica, scena, trucco ecc.), ma anche con un elemento coessenziale al testo a livello non linguistico, co­ me la musica e, comunque, ad esso fortemente integrato. Basterà pensare che il suo autore - Fiacco, schiavo di Claudio - non poteva procedere senza tener conto dei metri adoperati da Terenzio per le singole scene (o suggerendoli), ed anche della complessiva fisiono­ mia della commedia. Se l’accompagnamento musicale non era una semplice colonna sonora, è indubbio, almeno per i cantica, che la musica era un significante di assoluto rilievo nel complesso semiologico della commedia, coessenziale e non contingente, come gli elementi ope­ rativi della rappresentazione o le soluzioni di regia. Sulle orme di Plauto e secondo le attese del pubblico, Terenzio, dunque, realizza un dramma con musica, di cui non possiamo ri­ costruire e far rivivere un elemento fondamentale.

parto, la perorazione della suocera, il suo impegno a non farne parola, e la circostanza che Filumena ha subito violenza prima del matrimonio. Il particolare ruolo del monologo ‘cantato’ permette di dare una diversa presenza e funzionalità - insieme all’accompagnamento strumentale - ad alcuni elementi di spettacolo, come la prevalenza nella recitazione di un’impostazione di tipo ‘oratorio’ . Il cittadino romano, adusato ad ascoltare le orationes, trovava naturali le lun­ ghe rheseis recitate da un personaggio, che poteva avanzare sino al limite della ribalta. La musica, poi, sia nei cantica, sia nelle parti in cui ha comun­ que un ruolo, attua un decantamento della situazione di fondo e mette in rilievo ‘l’agire’ del personaggio, la sua ‘voce’. Ma la mu­ sica è anche sospensione del tempo narrativo: si legittima così il parlar di sé in metri non ‘parlati’. Il fatto che ciò accada prevalen­ temente nei monologhi conferma la tendenza al racconto del teatro terenziano. Al pubblico romano doveva risultare gradevole non soltanto ‘vedere’ l’azione, ma anche ascoltarne la narrazione. La musica però ha un suo tempo; la recitazione invece lo co­ struisce. Per il teatro di Terenzio - e forse per tutto il teatro latino - la musica non poteva, per il tempo della recitazione, caratteriz­ zare, isolandole, solo alcune parti delle commedie: perché comun­ que era un elemento coordinato ai metri. Così la scelta dei metri unificava il testo. Se è lecito allora immaginare anche per Terenzio il così detto teatro materiale, cioè l’attività degli autori del teatro nel loro con­ testo culturale e operativo, dobbiamo supporre che le sue comme­ die sono in primo luogo il risultato di una costante collaborazione tra il poeta e l’autore della musica80. Ma a noi è rimasto solo quello che ha creato Terenzio.

È evidente che non ci poniamo il problema di restituire il testo spettacolare, quello prodotto nel teatro, che secondo alcuni è l’u­ nico testo che interessa la semiotica teatrale 78; ma solo riaffermare che, per un testo apprestato per il teatro, perché fosse cioè rappre­ sentato, non è possibile restituire col solo testo drammatico o scrit­ to tutti i livelli di linguaggio di cui constava, in primo luogo quello della musica (ed il suo ruolo)79. Ma qualcosa possiamo ipotizzare. L ’opera di Terenzio ha una struttura narrativa che meglio si configura in un confronto col melodramma. La riduzione dei can­ tica rispetto a Plauto ne accentua la funzione drammaturgica. Lo stesso può dirsi delle altre parti accompagnate dalla musica. 11 lungo monologo di Panfilo nélYHecyra (w . 361-408, in settenari trocaici, il metro italico più caro al teatro latino, più i w . 409-414 in senari giambici), di una dimensione cioè che un attore è in con­ dizione di recitare solo perché ‘cantato’, serve a meglio definire l’ethos del personaggio ed anche a far conoscere la scoperta del

77. Cfr. M. D e Marinis , Semiotica, cit., p. 61. Sull’importanza che Aristotele attribuiva alla musica, al canto ed airallestimento dello spettacolo, cfr. M. G igante, La parola e la voce, in A A .W ., Scena e spettacolo nell1antichità. Atti del convegno internazionale di studio. Trento, 28-30 marzo ig88, Firenze, 1989, p. 15. 78. E. E lam , Semiotica, cit., p. 11. 79. Nulla sappiamo neppure su come le note musicali venissero poste per iscritto (G. W ille , Musica, cit., p. 169).

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80. Nella storia del teatro latino vi è un capitolo che difficilmente potrà essere scritto, quello dell’aventiniano Conlegium scribarum histrionumque. Sulla collaborazione tra at­ tore ed autore, oltre che tra questi e l’autore della musica, non soltanto nel momento della composizione, ma poi anche in quello dell’allestimento (il prologo deU’IÌMM. deve essere stato scritto o riscritto dopo le prove; cfr. w . 22 sgg.), sappiamo solo quello che ci è attestato da Terenzio. Il mondo del teatro nasce in Roma come emarginato, autonomo, un mondo che si autoriproduce. Il potere lo chiama e se ne serve, quando si accorge che può essere un’arma di propaganda (cfr. n. 28). Anche nel teatro romano si sarà scritto qualche volta per l’attore. Il senso che va dato alle parole di Turpione in Heaut. 35 sgg. è quello di una concessione ad un attore ormai vecchio (qualcosa di simile a quello che era stato fatto per Livio Andronico, che era stato anche attore dei suoi drammi, quando gli fu concesso di mimare i brani cantati e di servirsi di un puer per il canto; cfr. W. B eare , I Romani, cit., p. 35), ma anche come suggerimento dell’attore al commediografo di un nuovo tipo di testo (cfr. M. Carlson , Teoria, cit., p. 43).

NOTA BIBLIOGRAFICA

Per la bibliografia terenziana disponiamo della sistematica raccolta di H. M a r t i , Terenz 1909-1959, «Lustrum» 6, 1961, 114-238; 8, 1963, 5-101; I d ., Addenda zu Terenz 1909-1959, Teil I, «Lustrum» 8, 1963, 244-264 e di quella ancora più organica e pregevole di G . C u p a i u o l o , Bibliografia Terenziana (1470-1983), Napoli, 1984, oltre a bibliografie per singole commedie ed a rassegne di studi recenti: A. R o n c o n i , Sulla critica terenziana, «C & S» 1, 1961-1962, 35“4°; M. R. P o s a n i , Orienta­ menti della critica terenziana, «A&R» n.s. 7, 1962, 129-143; B. A. Tal a d o i r e , L ’état présent des questiona relatives à la comédie latine, m AA.W ., Actes du VIF Congrès Ass. G. Bude, Paris, 19645 166-1745 P e r e l l i , Rassegna di studi terenziani (1968-1978), «Boll. Stud. Lat.» 9, 1979, 281-315; S. M . G o l d b e r g , Scholarship on Terence and thefragment of Roman comedy. 1959-1:980, «C W» 75, 1981-1982, 77-115. Ci limiteremo perciò ad indicare qui di seguito i lavori più signifi­ cativi per ciascuna sezione. E d iz io n i 1

Tra le almeno 350 edizioni di Terenzio va ricordata Yeditio princeps (Argentorati, 1470), che è senza il nome del curatore, dell’editore e senza data; quella di A. M o r e t u s (Venetiis, 1472); R. R e g i u s (Venetus, 1:473); quella senza nome del curatore e accompagnata dal commento di A. D o n a t u s et J. C a l p h u r n i u s (Tarvisii, 1474), riprodotti sempre in tutte le successive edizioni, talvolta con l’aggiunta di commenti più recenti; di J. B. A s c e n s i u s (Lugduni, 1491); G. J u v e n a l i s (Parisiis, 1492); B. P h i l o l o g u s (Florentiae, 1505); M. A. W o e s t e n f e l d i u s (Lipsiae, 1508); V. M i n u t i a n u s (Mediolani, 1514); P- M e l a n c h t o n (Tubingae ’ 1516); A. P o l i t i a n u s et A. N e b r i s s e n s i s (Caesaraugustae, 1524);

1. La data si riferisce alla prima edizione. 2 — T erenzio, Commedie.

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NOTA BIBLIOGRAFICA

NOTA BIBLIOGRAFICA

R. S t e p h a n u s (Parisiis, 1529); D. E r a s m u s (Basileae, 1532); B. L a t o m u s (Parisiis, 1534); J. R i v i u s (Brixiae, 1536); G. F a b r i c i u s (Argentorati, 1548); P. M a n u t i u s (Venetiis, 1553); M . A. M u r e t u s (Venetiis, 1555); G. F a e r n u s (Florentiae, 1572) che, dopo il Poliziano, comprese l’impor­ tanza del Bembino, anche per la divisione in versi; D. H e i n s i u s (Lugduni Batavorum, 1615); J. P. P a r e u s (Neapoli Nemetum, 1619); T. F a r n a b i u s et M . C a s a u b o n u s (Amstelodami, 1651); J. H . B o e c l e r u s et F. G u y e t u s (Argentorati, 1657); T. F a b e r (Salmurii, 1671); A. W i n t e r t o n u s (Edinburgi, 1704); C. H u g e n i u s (Amstelodami, 1710); F. H a r e (Londini, 1724); quella di R. B e n t l e i u s (Cantabrigiae, 1726), che, se in qualche caso rifece il testo con emendamenti non sempre necessari, costituì per i suoi studi de metris Terentianis un punto di grande pro­ gresso per la sistemazione del testo. Degna di essere ricordata è l’edizione di E. A. W e s t e r h o v i u s (Agae Comitum, 1726); S. G a u d i n u s (Neapoli, 1770); D. R. a b O v i e d o (Ma­ triti, 1775); F . H. B o t h e (Manheimii, 1788-1789); B . F . S c h m i e d e r (Halae, 1794); R. F . B r u n c k (Argentorati, 1797); F . C. G. P e r l e t (Lipsiae, 1821); R. R l o t z (Lipsiae, 1838-1840); A. F l e c k e i s e n (Lipsiae, 1842); C. O. G o o d f o r d (Londini, 1854); T. V a l l a u r i (Augustae Taurinorum, 1855); E. S. J. P a r r y (Londini, 1857); G. W a g n e r (Cantabrigiae, 1869). Con l’edizione di F. U m p f e n b a c h (Berolini, 1870) per la prima volta il testo è corredato di un eccellente ed oggi ancor valido apparato critico. Ad essa seguono molte riedizioni del F l e c k e i s e n (l’ultima è del 1916); quella molto pregevole di C. D z i a t z k o (Lipsiae, 1884), dotata anche di una limpida Adnotatio critica·, quella di R. Y e l v e r t o n T y r r e l l (Oxonii, 1902); quella con commento di S. G. A s h m o r e (New York, 1910); di R. K a u e r et W. M. L i n d s a y (Oxonii, 1926; O. S k u t s c h nel 1958 ne ha curata la revisione, con un supplemento dell’apparato critico); di J. M a r o u z e a u (Paris, 1947-1949) con traduzione; di S. P r e t e (Heidelberg, 1954); hi L. R u b i o (Barcelona, 1957-1966), con traduzione. E d iz io n i

c o m m e n t a t e d e l l e s in g o l e c o m m e d ie

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Andria

R. Klotz (Leipzig, 1865); E. B e n o i s t (Paris, 1866); L. Q u i c h e r a t (Paris, 1866); A. S p e n g e l (Berlin, 1875, 1888); C. M e i s s n e r (Bernburg, 1876); W. W a g n e r (Cambridge-London, 1882, 1897); C. E. F r e e m a n and A. S l o m a n (Oxford, 1885, 1936); H. R. F a i r c l o u g h (Boston, 1901, 1905); F. N e n c i n i (Roma-Milano, 1905); E. H. S t u r t e v a n t (New York, I 9I 4); P· F o s s a t a r o (Napoli, 1915); M. B a r o n e (Milano-Roma-Napoli, 1917, 1929); U. M o r i c c a (Firenze, 1921, 1931); R. K a u e r (Bielefeld und Leipzig, 1930); G. L a M a g n a (Milano, 1931, 1969); P. H o e k s t r a (Haar­ lem, 1937); G. P. S h i p p (London, 1938, 1979); A. T h i e r f e l d e r (Heidel­ berg, 1951, i960); R. D e R o s e (Firenze, 1970); O. B i a n c o (Torino, 1970, 2. L a seconda data si riferisce all’ultima ristampa.

1983); M . C a s a l i (Torino, 1970); W . D e M e d e i r o s (Coimbra, 1988); R. P o s a n i (Bologna, 1990; ed. critica e traduzione).

35 M.

Heautontimoroumenos

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Ph. Fabia (Paris, 1895, 1898); G. B . B o n i n o (Roma-Milano, 1909, 1910); F. A r n a t .p t (Napoli, 1947 col commento di Donato); L. M a r e l l i (Torino, 1975). Phormio

K. Dziatzko (Leipzig, 1874, 1885; la quarta edizione fu rifatta da E. Leipzig, 1898; ultima rist. 1967); J. B o n d & A. S . W a l p o l e (London, 1879, 1931); W. W a g n e r (London, 1881, 1891); A. S l o m a n (Oxford, 1887, 1957); C. F. L i n d e r s t r Om -L a n g (Kobenhavn, 1893); Η. C. E l m e r (Boston-New York-Chicago, 1895,1931); H . R. F a i r c l o u g h & L. J. R i c h a r d s o n (Boston-New York, 1909, 1934); J. S a r g e a u n t (Cam­ bridge, 1914); F. G u g l i e l m i n o (Firenze, 1922, 1932); P. G i a r d e l l i (To­ rino, 1923); G. L a M a g n a (Milano, 1931, 1944); R. H. M a r t i n (London, 1959); E. M. C o u r y (Chicago, 1982). H au ler,

Hecyra

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L. Quicherat (Paris, 1832, 1849); J. G e o f f r o y (Paris, 1848, 1893); A. (Berlin, 1879, 1905); K . D z i a t z k o (Leipzig, 1881, 1885; la se­ conda edizione fu rifatta da R. K a u e r , Leipzig, 1903, 1964); W. W a ­ g n e r (London, 1881, 1893); R. A. P e s s o n n e a u x (Paris, 1881, 1894); J. P s i c h a r i (Paris, 1881, 1914); F. P l e s s i s (Paris, 1884); A. S l o m a n (Oxford, 1886, 1959); A. Βουέ (Paris, 1887, 1898); E. S t a m p i n i (Torino, 1891, 1923); P h . F a b i a (Paris, 1892, 1924); S. G. A s h m o r e (London, 1893, 1936); W. L. C o w l e s (Boston, 1896, 1927); G. C u p a i u o l o (RomaMilano, 1904); A. G u s t a r e l l i (Milano, 1909); U. M o r i c c a (Torino, 1923, 1933); G. H o l t z (Leipzig, 1927); A. C a n i l l i (Roma, 1930); Μ. L u p o G e n t i l e (Milano, 1931, 1955); C- Z i t o (Milano, 1931); G. L a M a ­ g n a (Napoli, 1931,1932); S. C o l o m b o (Torino, 1931,1932); P. G i a r d e l l i (Firenze, 1933); A. N u c c i o t t i (Firenze, 1935); B. A. S e l f a (Madrid, 1947); V. N i e b e r g a l l (Frankfurt, 1954); O. B i a n c o (Roma, 1966, 1977); P. T r e m o l i (Milano-Messina, 1968); M. C a s a l i (Torino, 1969); A. P e -

Spen g el

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NOTA BIBLIOGRAFICA

NOTA BIBLIOGRAFICA

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T raduzioni in italiano

È giusto considerare N. Machiavelli il primo traduttore di Teren­ zio per la sua versione in prosa àelYAndria. Sappiamo che L. A riosto aveva tradotto 1’Andria, VEunuchus e forse il Phormio. AII’A riosto viene anche attribuito un prologo a quest’ultima commedia, conser­ vato nel codice Riccardiano 1616 3. Una traduzione delYEunuchus fu fatta da T. B occalini 4. La prima traduzione di tutte le commedie di Terenzio nel Cinque­ cento è dovuta a G. B. da B orgofranco (Venezia, 1533, più volte ristampata; la ristampa del 1544 fu riveduta da P. Manuzio). Maggiore fortuna conobbe quella di G. F abrini (Venezia, 1548), ristampata an­ cora a distanza di quasi un secolo. A Roma è stampata (nel 1612) la traduzione attribuita a Cristoforo R osario. In endecasillabi sciolti - siamo nel Settecento - è la traduzione di L uisa B ergalli (Venezia, 1727), come quella di N iccolò F orteguerri (Milano, 1740)5. Nel 1772 esce a Napoli la traduzione di C. Paolino . In endecasillabi traduce anche G. Pagliuca (Napoli, 1796); nello stesso metro è quella severa di V. A lfieri (Londra, 1806). Torna alla traduzione in prosa A. Cesari (Verona, 1816; nel 1805 aveva pubblicato la traduzione délYAndria): una ristampa di questa fortunata traduzione fu curata da C. L anza (Napoli, 1867) e, da ultimo, da G. Rigutini (Milano, 1885). Pietro Fanfani tradusse solo YAndria (Firenze, 1865); la stessa commedia fu tradotta da Cesare D el Chicca (Firenze, 1868), che però la fece seguire da quella delYHeaut. (Firenze, 1870). Torna agli endecasillabi L. Ma ­ riani (Napoli, 1873). Tutto Terenzio nuovamente in prosa era invece tradotto da T emistocle Gradi (Livorno, 1876). Del nostro secolo vanno ricordate le traduzioni di U. L imentani (Milano, 1905; riedita in Roma nel 1923-24); di G. L attanzi (Milano, 1926; rist. 1928); di M. S candola (Milano, 1951); di V. S oave (Torino, 1:953); di A. R onconi (Firenze, i960; poi Milano, 1977); di A. A rici (Bologna, 1965); di B. P roto (Torino, 1974); di F. B ertini-V. Faggi (Milano, 1989). Tra le traduzioni parziali più recenti meritano di essere ricordate quella di A. Gustarelli per gli Adelphoe (Milano, 1933); di A. Pratesi

3. Si veda La favola di Orfeo e Aristeo. Festa drammatica del secolo X V edita da G. Mazzoni, con un prologo al (Formione>terenziano attribuibile a L odovico A riosto , Firenze, 1906. 4. Cfr. L. F irpo , Tacito e Terenzio nelle ignote versioni di Traiano Boccalini, «Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino» 77, 1941-1942, pp. 221 sgg. 5. Cfr. G. Cupaiuolo , Bibliografia, cit., p. 22. Si veda anche B. P roto , Terenzio. Le Commedie, Torino, 1974, p. XLVL

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35-37-

CODICUM CONSPECTUS

A

= codex Bembinus (Vat. lat. 3226) saec. V; desunt Andr. 1-888,

Hec. 1-37, Ad. 915-97; A 1 = correcturae ab ipso librario factae; A 2 = manus secunda quae ante Iovialem paucis locis textum

>> ^

Ιου.

C P

D

G

L p V

a

mutavit. = Ioviales, qui ante scholiastas (saec. VI) textum recensuit et distinxit (Umpfenbachii «corrector recens») et passim nomen subscripsit. = corrector recens, saec. VII-Vili. = fragmentum Lugdunense (bibl. munic. Lugd. 788) saec. IX; continet Heaut. 522-904. = codex Vaticanus (Vat. lat. 3868) saec. IX cum picturis; desunt Andr. 804-53, Eun. periocha, prologus (supplevit scholiasta). = codex Parisinus (Par. lat. 7899) saec. IX cum picturis; desunt Andr. 804-53, Eun. periocha, prol. 1-30 (supplevit manus saec. X), 643-51 (supplevit, post v. 667, manus saec. XV). = codex Victorianus (Laur. XXXVIII 24) saec. X; desunt Andr. 98-179, 384-453, 846-903, Eun. periocha, Heaut. 466-517, Phorm. 588-633; versus omissos, praeter periocham Eun., supplevit manus saec. XV. = codex Decurtatus (Vat. lat. 1640) saec. XI; desunt Eun. 8481021, Heaut. periocha, 1-313,1049-67, Phorm. 779-1055, Hec. 1-194, 310-880. = codex Lipsiensis (bibl. munic. Lips. I 37) saec. X; desunt An­ dr. 74-376. = codex Parisinus (Par. lat. 10304) saec. X; desunt Andr. 1-304, Phorm. init. 1-25, Ad. periocha, prol. 1-12 (supplevit p2). = fragmentum Vindobonense (Vind. phil. 263) saec. X; continet Andr. 912-81, Ad. periocham, 26-158. = fragmentum Admontense (bibl. monast. Admont. 227) saec. X-XI; continet Heaut. 464-516, 602-42.

8o

CODICUM CONSPECTUS

= codex Riccardianus (Fior. M. IV/XXX = 528) saec. XI; desunt Andr. periocha, 1-39 (suppl. manus ree.), Eun. periocha, Phorm. 900-1055. F = codex Ambrosianus (Ambr. H 75 inf.) saec. X cum picturis; desunt Andria, Eun. 1-415, 424-36, 454-7, Phorm. 832-1055. v = codex Valentiennensis (bibl. Val. 448 [420]) saec. XI. π = fragmentum Parisinum (in Par. lat. 12244 et 12322) saec. X; continet Ad. 944-88, Hec. 280-327, 628-701. η = codex Einsidlensis I (bibl. monast. Eins. 362) (folium quod Andr. 296-387 continet nunc in cod. Sangallensi 1394) saec. X; desunt Andr. 1-90, 128-47, 287-96, 385-489, 690-981, Eun. 753-836, 1034-94, Heaut. 1-16, 310-822, 903-81, Hec. 85-261, 333-484, 516-880, Phorm. 1-643, 749-820, 856-63, Ad. 60-302, 379-45V 54«-6ioa, 932-97· ε = codex Einsidlensis II (bibl. monast. Eins. 362) (duo folia quae Andr. 102-272, 955-1053 continent nunc in cod. Sangallensi 1394 exstant) saec. X; desunt Andr. 125-954, 962-81, Eun. 1-27, 38-101, Hecyra, Phormio, Ad. 33-350, 387-997. codd. = omnium codicum consensus. Σ = libri praeter A. γ = IC P E Fv πηε. E

S

= DGLpVx. SIGLA EDITIONUM

B. Fleck. Umpf. Dz. L.-K. Mar. Pre. Pra.

R.

= R. B entley , P. Terenti Afri comoediae, Cantabrigiae, 1726 et Amstelodami, 1727. = A. F leckeisen , P. Terenti Afri comoediae, Lipsiae, 1857 Ad­ atterà 1916-1917). = F. U mpfembach, P. Terenti Afri comoediae, Berolini, 1870. = K. Dziatzko, P. Terenti A fri comoediae, Lipsiae, 1884. = W. M. L indsay-R. Kauer , P. Terenti Afri comoediae, Oxonii, 1926 (supplementa apparatus curavit O. S kutsch, Oxonii, 1958). = J. Marouzeau, Térence, Comèdies, Paris, 1947-1949 (t. I, 19795; t. II revue par J. Gérard, 19845; t. Ili, 19784). = S. Prete, P. Terenti Afri comoediae, Heidelberg, 1954. = A. Pratesi, P. Terentius Afer, Phormio Hecyra Adelphoe, Roma, 1952. = L. R ubio , P. Terencio Afro, Comoedias, Barcelona, 19571966.

NOTA CRITICA

L a tradizione manoscritta

Le commedie di Terenzio sono state tramandate in un numero notevole di codici b comunemente raggruppati in due famiglie, con­ traddistinte dagli editori con le sigle A e Σ. In verità, della prima famiglia abbiamo un unico testimonio, il cod. Vat. lat. 3226, che risale al V sec.2, detto Bembino, dal nome di uno dei suoi possessori Ber­ nardo Bembo, padre di Pietro. È un codice che ha subito vari inter­ venti di correttori, oltre che dello stesso librarius; ma è difficile molto spesso differenziare, sulla base di elementi grafici e dell’inchiostro, l’una e l’altra mano; uno dei correttori però è identificato in Joviales (VI sec.?) e nel così detto corrector recens 3. È un codice ricco di scoli4. La seconda famiglia consta di due rami: γ e δ 3. Nessun codice risale ad età anteriore al IX sec. I rappresentanti di questa famiglia si diffe-

1. Sono esattamente 732 quelli elencati e studiati nell’eccellente e meritorio lavoro di C. V illa , La «Lectura Terentii». I: Da Ildemaro a Francesco Petrarca, Padova, 1984, pp. 295 sgg. Non tutti naturalmente contengono le commedie per intero: in alcuni casi si tratta di testimoni con pochi versi. 2. Cfr. A. P ratesi, Appunti per la datazione del Terenzio Bembino, in A A .W ., Paleographica Diplomatica et Archivistica. Studi in onore di G. Battelli, I, Roma, 1979, pp. 71 sgg.; R. R affaelli , Prologhi, perioche, didascalie nel Terenzio Bembino (e nel Plauto Am­ brosiano), «S & C» 4, 1980, pp. 41 sgg.; R. R ibuoli , Per la storia del codice Bembino di Terenzio, «RFIC» 109, 1981, pp. 163 sgg. 3. Cfr. S. P rete , Il codice di Terenzio Vaticano Latino 3226, Città del Vaticano, 1970, P- 31· 4. Editi d a j. F. Mountford (Londini, 1934; rist. 1969). 5. Si è pensato di aggruppare i codici di questa famiglia anche in un terzo sottogrup­ po, il così detto ramo misto (μ), che sarebbe il risultato della contaminazione costante tra γ e δ. Il suo carattere ‘misto’ è anche la prova della sua origine più tarda (si veda J. N. G rant, Contamination in thè Mixed MSS ofTerence: A Partial Solution?, «TAPhA» 105, 1975, pp. 123 sgg.; Studies in thè Textual Tradition ofTerence, Toronto, 1986, pp. 97 sgg.; utile ancora P. F ehl , Die interpolierte Recension des Terenztextes, diss. Kòln, 1938).

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NOTA CRITICA

NOTA CRITICA

renziano per vari caratteri e sono contraddistinti dalla presenza del nome del revisore Calliopio nella sottoscrizione di ciascun manoscrit­ to, con una formula leggermente variata, che risulta essere Feliciter Calliopio bono scholastico in γ e Calliopius recensui (o recensuit) in δ. Poiché è difficile collocare l’età di Calliopio al di là del V sec.6, questa famiglia dev’essersi formata intorno a quel tempo. Il ramo γ si caratterizza in particolare per la presenza in alcuni esemplari di miniature ed illustrazioni aH’inizio di ogni scena. La successione delle commedie è diversa nelle due famiglie. In A si ha la così detta successione ‘cronologica’: An. Eun. Heaut. Ph. Hec. Ad.; in δ quella ‘alfabetica’: An. Ad. Eun. Ph. Heaut. Hec. in γ si hanno prima le quattro commedie derivate da Menandro e poi quelle da Apollodoro: An. Eun. Heaut. Ad. Hec. Ph. L ’ordine di γ deriverebbe da un’edizione in due libri in cui era seguito quello del Bembino; nel secondo volume, che conteneva Ph., Hec. ed Ad., quest’ultima sarebbe stata poi anticipata7. I codici della recensio Calliopiana sono contraddistinti dalla presen­ za di lacune comuni (Andr. 804-853 manca in C P) 0 per lezioni ed errori comuni (in Ad. 506 C E F P omettono intro-, D G aggiungono quicquam a gravius al v. 140). Sui problemi dei rapporti dei due rami più antichi di questa recensio col loro capostipite, se cioè si siano distaccati indipendentemente da esso oppure siano derivati l’uno dall’altro, si ritiene che il ramo 8 sia quello più vicino all’archetipo e che abbia subito in minor misura i processi di trivializzazione e di banalizzazione che caratterizzano il ramo γ. Quest’ultimo però dev’essersi differenziato in età non troppo lontana da quella in cui è sorta la recensio, come rileverebbero le mi­ niature che contraddistinguono questo ramo, per il fatto che testimo­ niano tendenze artistiche che non possono farsi risalire al di là del VI sec. 8. Quanto ai rapporti tra A e Σ, l’opinione prevalente è che essi risal­ gano ad un comune archetipo (Φ) e che perciò per Terenzio ci si trovi di fronte ad una tradizione unitaria 9. La sostanziale unità delle due famiglie è attestata dalla presenza di errori comuni e dall’identità della divisione in scene. Si è pensato di collocare l’archetipo da cui derivano i due rami della tradizione intor­

no alla seconda metà del III sec., in un’età cioè posteriore alla così detta edizione di Probo 10. Ad alcuni studiosi però è parso molto dif­ ficile pensare ad una tradizione unitaria per un testo tanto diffuso ed usato nelle scuole u. Anche sul valore da attribuire ai due rami della tradizione per la costituzione del testo si può dire che, dopo l’eccesso di predilezione di Umpfenbach per A, il problema vien posto con maggiore equilibrio. Se è vero infatti che Σ è caratterizzato da trivializzazioni per la necessità di rendere più accessibile il testo (Terenzio è autore molto letto sino al Rinascimento)12, talvolta facendo violenza al metro 13, è però anche vero che mutamenti e trasposizioni sono presenti in A. È evidente tuttavia che l’antichità del Bembino lo pone su un piano di prevalente autorità; Σ però conserva un gran numero di lezioni che non possono essere pregiudizialmente considerate meno attendibili. Un problema a parte per il testo di Terenzio è costituito dall’ampio e composito commento di Donato (oltre a quello molto più esile di Eugrafio)14, che a noi è giunto privo della parte relativa a\YHeaut. :

6. Cfr. G. Pasquali, Storia della tradizione e critica del testo, Firenze, 19622, p. 365. 7. Cfr, C. V illa , Lectura, cit., p. 2. 8. Cfr. L. W. J ones-C. R. Morey , The miniatures of thè manuscripts of Terence prior to theXn.Th century, Princeton, 1931, e l’importante capitolo che vi ha dedicato J. N. G rant, Studies, cit., pp. 18-48. 9. Cfr. G. Jachmann, Die Geschichte des Terenztextes im Altertum, Basel, 1924, pp. 72 sgg·

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10. S. Prete , P. Terenti Afri Comoediae, Heidelberg, 1954, p. 35· 11. Pensano che i nostri codici risalgano indipendentemente, dopo una lunga ed autonoma evoluzione all’interno delle singole famiglie, alPoriginale di Terenzio, J. A ndrieu , Étude critique sur les sigles de personnages et les rubriques de scène dans les anciennes édìtions de Terence, Paris, 1940, pp. 12 sgg.; J. Marouzeau , Terence, Andrienne-Eunuque texte établi et traduit par J. Μ., I, Paris, 1947, pp. 85 sgg.; L. Rumo, P. Terencio Afro, Comedias. Texto revisado y traducido par L. R., I, Barcelona, I957>PP· LIII-LIV. 12. «Dimmi dov’è Terenzio nostro antico» (Dante, Purg. XXII, 97). Virgilio e Teren­ zio tra i poeti, Cicerone e Sallustio tra i prosatori, formano l’esemplare quadriga ipotiz­ zata da Arusiano Messio: come nell’età imperiale, così nel medioevo, Terenzio fu insieme a Virgilio il poeta più studiato. 13. Il processo di banalizzazione portò anche, soprattutto in età gotica, alla consue­ tudine di trascrivere l’opera di Terenzio come se fosse un testo in prosa. Già Quintiliano non era più in grado di apprezzare la varietà dei metri di Terenzio (Inst. X, 1, 99); pochi secoli dopo si era persino perso coscienza del carattere metrico del testo, tanto che Prisciano poteva esclamare (De metris Terentii III, 418): miror quosdam vel abnegare esse in Terentii comoediis metra. Nel celebre mimo tra Terenzio ed il Delusor - un componimento anonimo di 64 versi, probabilmente incompleto, attribuito al VII sec., ma forse da collocare nell’ambito della scuola carolingia (cfr. C. V illa, Lectura, cit., p. 98), conservato nel monumentale codice Parigino Lat. 8069 - ad un certo punto della polemica il Delusor esclama (v. io): An sii prosaicum, nescio, an metricum. Questo v. è stato inteso come «chiara e antica testimo­ nianza che Terenzio fu ritenuto un prosatore per tutto il medioevo» (E. F ranceschini, Teatro latino medioevale, Milano, i960, p. 41). Si tratta invece solo di «una scaltra ripresa» (C. V illa , Lectura, cit., p. 88) del passo di Prisciano sopra citato. L ’anonimo infatti ben sa che le commedie di Terenzio sono scritte in versi. Al v. 3 dice: Vade poeta vetus quia non tua carmina curo. È opportuno ricordare che le prime edizioni a stampa riproducono il testo di Terenzio senza distinzione di metri. Una prima sistemazione fu tentata da Benedictus Philologus nell’edizione fiorentina del 1505. Il contributo del Poliziano, nei confronti del quale il Philologus si dichiara debitore per la costituzione del testo, può essere stato notevole anche sotto questo aspetto. 14. Il commento di Donato fu conosciuto e cominciò a diffondersi solo nel X V sec. L ’edizione di P. W essner (Aeli Donati quodfertur Commentum Terenti. Accedunt Eugraphi

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NOTA CRITICA

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esso costituisce un aspetto particolare della tradizione, talvolta deci­ sivo per confermare una lezione, anche perché molto spesso ci conser­ va notizia - da vagliare certamente con cautela - di varianti su cui era già incerta l’esegesi terenziana antica 15. Anche il resto della tradizione indiretta ha un peso notevole nella costituzione del testo di Terenzio, trattandosi, come si è detto, di un autore molto letto, le cui citazioni per numero sono forse inferiori solo a quelle di Virgilio 16.

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I L ’a n d r i a

Didascalia

La didascalia manca nei codici. La si può tuttavia ricostruire da quan­ to ci conserva Don. (p. 26 W.). 3. Dz. e Pre. espungono il nome di questo capocomico. Umpf. scrive Hatilius; Fleck. inverte la successione dei nomi, dando la precedenza a quello di Ambivio Turpione. Periocha

4. nam] namque Umpf. Dz. Fleck. Pre. -desponderat] desponsaverat D* E* Mar. 8. suasu] persuasu Dz. Fleck. Testo

8. adtendite DON. (legitur et ‘attendite’) NON. 39 edd.; advertite Σ DON. PRISC. FI 357 Mar. An. adtendite è formula terenziana nei pro­ loghi (Eun. 44, Ph. 24, Ileo. 28). Commentum et Scholia Bembina, Lipsiae, 1902-1908, ristampata nel 1962) rimane ancora insuperata. 15. Nelle annotazioni del tipo ad An. 202 legitur et ‘usar es’; 236 in aliis factu aut inceptu’ fuit; o ad Ad. 511-517 hi sex versus in quibusdam non feruntur. 602-604 hi versus deesse possunt, quos multa exemplaria non habent·, o come ad Ph. 643 apud quosdam diversae personae cum verbis singulis-, o infine come ad Eun. 380, dove nel lemma si ha ne nimium calidum (insieme allo scolio Bembino), spiegato con periculosum, ma aggiungen­ do: sed melius ‘callidum’ legitur, che è la lezione di tutti i nostri codici. In casi come quest’ultimo si può pensare che calidum sia nato per semplice scempiamento di callidum e che poi sia stato glossato con periculosum-, perciò non va considerato inattuale l’ammonimento del L indsay (Clearings from glossaries and scholia, III: On Donatus Terencecommentary, «CQ» 20, 1926, pp. 102 sgg.) sulla cautela con cui vanno considerate le varianti conservateci come tali nel commento donatiano. Si tratta infatti di un testo che conserva, accanto a parti della redazione donatiana, glosse inseritesi posteriormente, insieme ad altro e più vario materiale esegetico che è molto difficile secernere (cfr. Η. T. K arsten , Commenti Donatiani ad Terenti fabulas scholia genuina et spuria probabiliter separare conatus est, Lugduni Batavorum, 1913). Sui rapporti tra il testo di Terenzio trasmessoci da Donato e la tradizione manoscritta rappresentata dal Bembino e dalla recensio Calliopiana, cfr. S. P rete , Comoediae, cit., p. 37, e J. N. G rant, Studies, cit., pp. 84-85. 16. Non a caso Donato dedicò a questi due poeti i suoi monumentali commenti. Dice Eugrafio in esordio al suo commento (III, 3 W.): Cum omne poetae virtutem oratoriam semper versibus exequantur, tum magis duo viri apud Latinos, Virgilius et Terentius. Questo «sistema binario che poggia sulle opposte - e reciprocamente complementari - idee di comico e tragico» consacrò la nobile ‘biga’ per tutto il medioevo. E durò anche oltre: «Seguire la straordinaria fortuna di Terenzio in età umanistica significa pressappoco rifare la storia della cultura e della civiltà quattrocentesca» (C. V illa, Lectura, cit., pp. 262-263).

33. eis edd.·, his G C2 e DON. EUGR. Mar. R. Eis è in contrapposizione ad istac del v. precedente. 42. E t è trasposto dal Mar., seguito dal R., dall’inizio di questo v. alla fine di quello precedente. 51. Sosia (et)] Et non è conservato in Don., come invece annotano alcuni edd. Immotivata è l’espunzione di Sosia-potestas proposta da C. F. Hermann seguita da Dz. e Pre. 79. dein C P Fleck. Umpf. Pre.; dehinc cett. codd. L.-K. Mar. R. 103 quid obstat] quid igitur ob. G D* C2 v η2. Fleck. Dz. Pre., per conservare igitur, espungono il concorde verae. 107. amabant] Altera lo status della vicenda Yamarant del Muretus B. Dz. Fleck. Pre.

121. quia C P v2DON. Dz. L .-K Mar. R.; quae G E B. (quae cum) Umpf. Fleck. Pre. Quae è assolutamente errato, perché quia è ripreso dall’et quia del v. 122. 155. nolit codd. DON. Fleck. Mar. Nolet è testimoniato da Donato (le­ gitur et ‘nolet’) ed accolto da tutti gli altri edd. 167. Alcuni editori accettano la variante expurgandus, conservataci da

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NOTA CRITICA

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Donato (legitur et ‘expurgandus’. si ‘expurgandus’ CUI lege, non QUI, quia et CUI per Q veteres scripserunt): in tal caso bisogna - seguendo Donato - correggere qui in cui (così L.-K., quoi Mar., qui dativo R.). Ma exorandus, oltre che dai codd. e DON., è attestato da NONIO 378 (così Umpf. Fleck. Dz. Pre.).

171. I codd. hanno SI. prima di Ip rae (così Umpf. Dz. Mar. R.). Altri edd. anticipano la sigla prima di eamus. Ma è più verosimile che simili parole le dica il padrone e non un liberto al padrone. Quanto a sequor (sequar D* P E schol. G e v η PRISC. II 345) non solo può essere un praesens prò futuro, ma è ben attestato e trova conferma in DON. ad Ad. 167 e PRISC. I I 29. 189. adfert] defert di CIC. ad farri. Χ Π 25, 5 è accolto da B. e L.-K. La lezione dei codd. (adfert) è confermata anche da ragioni prosodiche (R. H. Martin, Three notes on Terence’s Andria, «CR» 78, 1964, pp. 3-4). 202. circuitione C P D E DON. Mar. (circum itione B. Umpf. Dz. Fleck. L .-K , circumitione R.). -usus es] Non vi è ragione per accettare la variante conservataci da Donato (legitur et ‘usor es’), come fa il Mar. 205. dices] dicas D G DON. L.-K. Pre. In verità Don. nel lemma attesta sia dices che dicas, anche se poi aggiunge: vera lectio ‘neque haut dicas’. Dicas può essere stato influenzato dal facias che precede: in ogni caso il futuro esprime azione più immediata. 212. in nuptiis D2 E edd. pi., nuptiis D G C P e v DON. Mar. 225. Il Ritter (P. Terenti Andria, Berolini 1833) espunse tutto il v., seguito dal Dz. e Pre. 228. Donato annotava: «utrum ‘iamdudum audivi’ an ‘iamdudum iubes’, incerta distinctio est». Gli editori moderni propendono per la prima soluzione. 232 facultatem] facilitatem G Dz. Fleck. Pre. Su facilitas si veda la nota critica ad Ad. 391. 236. factu aut inceptu DON. (in aliis ‘factu aut inceptu’ fuit) edd. pi. ; factum aut inceptum codd. DON. Umpf. Dz. Pre. (Fleck. e Pre. espun­ gono però officium). 242. quia me D edd. pi.·, quoniam me cett. codd.·, quom me Fleck.·, quoniam Mar., che rende il verso un ott. giambico, come il v. 243. Donato ad An. 392: hoc est quod supra (I 5, 7) ‘id mutavit, quia me immutatum videt’. Non si può omettere il pronome compì, ogg. (me). 256. aut] Dz. Pre. lo espungono; P e Fleck. (che espunge ullam) lo collocano all’inizio del v. seguente.

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258. nunc] Lo omettono DON. EUGR. Fleck. Dz. Pre. 265. de illa aliquid] aliquid de illa codd. Omettono aliquid B. Umpf. Dz. Pre.

307. ex animo γ; ab animo δ DON. Fleck.·, animo Mar. Donato aggiun­ ge: legitur ‘ex corde eicias’. — amoveas tuo codd. Fleck. (istam qui ab animo amoveas tuo)·, tuo om. cett. edd. 328. hae codd. DON. L.-K. Mar. R.; haec B. Umpf. Dz. Fleck. Pre. Do­ nato ad An. 656 dice: «hae nuptiae: legitur et ‘haec nuptiae’; sic enim veteres dixerunt». Sia in An. 328 e 656 che 438 e 700 si dovrà scrivere hae, come in Ad. 785, perché è sempre in qualche modo attestato; mentre haec è da accettare per Hec. 289. È evidente che in Ter. le due forme non sono ancora nettamente differenziate. Cfr. M. L e u m a n n , Lateinische Laut-und Formenlehre, Munchen, 19772, pp. 468-69; A. E rn o u t , Morphologie historique du latin, Paris3, 1974, p. 92. 331. adponij poni G DON. (bis) SERV. adAen. VI 664 Mar. 337. scire codd. L.-K. Mar. R.; sciri Fabricius cett. edd. 343. quo G L P DON. edd. pi.; aut quo D p E Dz. Fleck. Mar. Pre. -adloqui] conloqui D p L.-K. 352. Prete non attribuisce a PA. Qui scis?, forse per errore di stampa. 355. haec tibi D edd. pi.; tibi haec G2 C P E v η Mar.; hoc tibi p; om. G. 356. ascendo] escendo C P p L.-K. Mar. R. Stessa oscillazione in Ad. yo3 (escendit A C P ascendit cett.). 369. ferre] Fere è l’inutile emendamento di L.-K. 377-378. Bothe Dz. Fleck. antepongono il v. 378 al v. 377. 381. ac] Lo espungono Dz. Fleck. L.-K. Pre. R.; ma anche in Heaut. 760 e 904 è ben attestato. 408. apud te ut sies codd. edd. p i; Donato (che lo cita due volte) ed Eugrafio omettono l ’ut; fac però è sempre costruito con ut e il cong. in Ter. Accettano comunque apud te sies Fleck. Mar. 428. Meglio staccare illam da virginem: così non si separa (come invece fanno Mar. e R.) l’abl. di qualità (forma bona) dal sostantivo a cui si riferisce. 439. È preferibile la correzione àeWErasmus accolta dal R. (huiusce p. cons. hospitae), che consiste in un semplice spostamento di parole (propter huiusce hosp. cons. codd. DON. L.-K. che però scrivono hospital). Il Mar. ritiene il v. irrimediabilmente guasto. Dz. e Pre. inseriscono eius

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NOTA CRITICA

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all’inizio del v., con spostamento di parole (eius p. cons. huiusce h.); num Fleck., che fa seguire la stessa successione di parole.

successione dei codd. (audies v.), L.-K. e Mar. sono costretti ad espun­ gere heus. L’interiezione, come richiamo rivolto all’interno della casa, mentre Simone si avvicina alla porta, è necessaria perché segnala a chi è indirizzato l’ordine di Simone.

461. Attribuisco ita est ancora a DA. con L.-K. Mar. e R. e non a SI., come fanno B. JJmpf. Dz. Fleck. Pre.

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481. oportet] oportent E DON. L.-K. Pre. È difficile ammettere qui e in Heaut. 536 il costrutto personale, che è attestato molto tardi.

592. audio codd. Umpf. Dz. L.-K. Pre. R.; audiam DON. (legitur et ‘audiam’) B. Fleck. Mar. Si tratta di un’esclamazione pronunciata in un ‘a parte’: il futuro audiam altera la situazione.

483. ista C P DON. EUGR. PRISC. Π de metr. Ter. p. 423 edd. pi.·, istaec D G E v C 2 L.-K. R. Don. annota: ‘ista’ quae ex puerperio sordebant. quidam ‘ista’ ipsam puerperam dicunt - sic enim et Menander - sed imperitiae accusantur, quod non continuo solent post puerperium la­ vare, sed diebus omissis.

607. file est schol. L D z. Fleck. Pre.; illic est codd. Umpf. Mar. (che però omettono perdidit); illic [e]st L.-K. R.; -perdidit me] me perdidit codd. DON. EUGR. Fleck. (che scrive confiteor m ihi); me hodie perdidit B.; me hodie Umpf. Mar. (hodie in sostituzione del tràdito perdidit).

-ut] Lo espungono L.-K. e R. (accettando istaec), come al v. 408. - post codd. Mar.·, poste cett. edd. 484. ei dari codd. (ei om. D G L p DON. EUGR. L. K. R.); ei dare v PRISC. IL 136. È difficile omettere ei, non solo perché è ben attestato, ma perché ciò renderebbe impersonale la prescrizione, in contrasto con Vista del v. precedente. 500. L.-K. e R. espungono hoc per conservare 1’adsimularier dei codd. Ma hoc riprende 1’haec della precedente battuta di Davo (v. 499): la sua omissione darebbe ad adsimularier il significato di «fare una messin­ scena». Heaut. 716 me aet. censes velie id adsimularier conferma la necessità di mantenere l 'hoc (qui adsim. è in fine di v.). Adsimularier è un iperarcaismo, come sollicitarier del v. 689. 507. referetur mox huc puer D L p DON. EUGR. (om. mox) L.-K. Mar. R.; puerum deferent huc C P E G v D2. La soluzione accolta dalla maggior parte degli edd., sulla scia del Bentley, nasce da una ‘conta­ minazione’ delle varianti: mox puerum huc deferent. 533-534. Umpf. L.-K. e R. fanno cominciare la battuta di CH. da optato advenis, attribuendo a SI. solo et ego te. Ma è Cremete che sopravviene: perciò è verosimile che solo Simone, che è già in scena, possa dire advenis.

536. paucis] pauca p DON. PRISC. I l 281, 320 L.-K. Mar.·, paucas C P. Don. attesta: et ‘paucis’ et ‘pauca’ legitur. Cfr. Eun. 1067, Ileo. 510, Ad. 806. Donato ad An. 29 (paucis te volo) dice: deest ‘colloqui’ aut ‘verbis’. Cfr. J. N. Grant, Studies, cit., p. 64.

548. id oro te] Correzione molto semplice déVVid te oro dei codd., pro­ posta dal Fabricius e seguita da B. Umpf. L.-K. Pre. R.; id ego te oro Dz.; id te obsecro Fleck.; idem te oro Mar. 579. verba audies Faernus Umpf. Dz. Fleck. Pre. R. Per conservare la

610. ego cod.v di DON. SERV. ad Aen. I X 230 edd. pi.; ergo D C P L G2 e v DON. SERV. ad Aen. Χ Π 332 Mar. R., che accettano anche per le parole che seguono la successione dei codici (inultum id n.) e non la trasposizione dell’Erasmus. Ergo è una banalizzazione: è superfluo ri­ levare la funzione deittica di ego e la sua importanza drammatica nel gioco mimico e gestuale (J. B. H ofmann, La lingua d ’uso latina, trad. it., Bologna, 1980, p. 240). 611. sat scio fore me G L p C P (satis D) DON. EUGR. Umpf. Dz. Pre. R. Il Mar. omette me e scrive hoc nunc si dev. con < 5; in.sat s.me v L .-K , perciò con omissione di fore; nunc si devito hoc γ cett. edd. (omettono nunc Dz. e Pre.). Nunc è necessario, perché è contrapposto a posthac. 613. audacia gloss. Riccard. 360J edd. pi. (cfr. Eun. g$8 qua audacia tantum facinus audet); fiducia codd. DON. Mar. che pone inter cruces qua fiducia id facere audeam. Fiducia non è altrimenti attestato in Ter.; Don. cerca di spiegarlo in questo modo: et ‘fiducia’ modo impudentiam significat. 614. quid nunc me D L p DON. PRISC. I I 16 L.-K. Mar. R.; me nunc C P v η Umpf. Dz. Pre.; nunc de me G; de me nunc E; -me quidem D Umpf; me equidem Dz. Pre.; mequidem Fleck. L.-K. R.; quid me atque B. Mar.; quidem me G C P e; quidem de me C2 E v. 615. producam codd. Umpf. Fleck.; productam DON. (et ‘productam’ legitur) R.; productem Fleck. Dz. L.-K. Mar. Pre.; productam tam -oh] Alla fine di questo v. P v η edd. p i; all’inizio del v. 616 cett. codd. Umpf. L.-K.

616. consiliis tuis Umpf. L.-K. (che hanno oh! all’inizio del v.); tuis cons. codd. DON. Fleck. Dz. Mar. Pre. R. Per Fleck. e L.-K. il verso è un ottonario giambico; Dz. Mar. Pre. R. ne fanno un ottonario troc. Ri­ tengo che esso debba essere ricostruito come ottonario giambico, tro­ vandosi in una serie che va dal v. 610 al 620. Tutto ciò è connesso con quanto si dirà in seguito, -miserum] Solo P Dz. Mar. Pre. R.

NOTA CRITICA

NOTA CRITICA

lo collocano alla fine di questo v.; gli altri codici (ed editori) lo pre­ sentano all’inizio del v. 617. Gli edd. che collocano miserum al v. 616 rendono i w . 617-618 sett. trac. (Mar.) o sett. troc. e ott. giambico.

vulgo dicitur iuramentum) L.-K. Mar. R.; ius iurandum codd.; iurato B.

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631. ubi tempus C P DON. L.-K. Mar. Pre. R.; ubi tempus est ceti. codd. Umpf; ubist tempus Dz. Fleck. 638a. nihil opust Umpf. Dz.·, n. opus est codd. DON. EUGR. Fleck. Mar. Pre. R.; opus (om. est) L.-K. Se si scrive opust al v. 638, non si può non ripeterlo a questo v. 639. sed quid agam? codd. edd. Ego prò agam Mar. -adeamne] adeon D L p PRISC. IIig 4 , 288 L.-K. Mar. R.; ma adeamne, oltre che dagli altri codd. e Don., è conservato da ARUS. 453. 647. falsus [es] ] falsu’s edd. (falsus es codd. L.-K. che però correggono nonne in non e satis in sat). -nonne] non Fleck. L.-K. -tibi esse satis δ Umpf. Mar. R.; tibi satis esse tibi sat esse Dz. L.-K. Pre.·, satis tibi esse Fleck.

669. Scio è attribuito a Carino quasi unanimemente dai codd. ed edd.; a Panfilo da L.-K. con D L. 670. adgrediemur codd. edd.; odoriemur DON. (‘adorili’ proprie dicitur repente ex insidiis aliquem invadere) L.-K. Lo stesso DON. ad Ad. 404: ‘aggredimur’ de longinquo, ‘adorimur’ ex insidiis et ex proximo. 689. sollicitari B. edd. pi.; sollicitarier codd. DON. L.-K. Mar. R., per ottenere un ottonario giambico; ma i versi che precedono e seguono sono settenari giambici. 698. MY. Resipisco R. L.-K. Mar. Pre. R. L’attribuiscono a CA (rino) con i codd. Umpf. e Fleck. 700. Per hae, cfr. n. al v. 328. 702. fortis codd. Dz.; forti’s edd. Va omesso es con i codd., perché fortis ha valore esclamativo. Attibuisco la battuta a CH. con la maggior parte degli edd. (a PA. Dz. Fleck. L.-K. Pre.). 713-714. Spengel Dz. Fleck. Pre. attribuiscono ancora a DA. γ si quid e solo domi ero a CA. 720. laborem γ EUGR. edd. pi.; dolorem δ DON. Fleck. 723. memoria D E G L p P DON. (‘memoria’ ut praecepta retineat Davi... ut memor sit Davi praeceptorum... ‘memoria’ modo prò intellegentia) L.-K. Mar. R.; malitia C D2 EUGR. Umpf. Dz. Fleck. Pre. Malitia è superfluo: subito dopo abbiamo astutia. 728. iurandum DON. (aut enim deest ‘ius’, ut sit: ius iurandum, aut ut

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Umpf. Dz. Fleck. Pre.

742. tun codd. L.-K. Mar. R.; tu B. Umpf. Dz. Fleck. Pre. -posisti L.-K. Mar. R.; posuisti γ p Spengel; apposuisti D G L; adposisti Ritschl Umpf. Dz. Fleck. Pre. 765. Fleck. Dz. e Pre. attribuiscono Idem a CH. e poi quid a DA. 770. gratiam] gratias γ G Mar. 784. an tu haec omnia G Umpf. Dz. Pre.; anne haec tu o. L.-K. Mar. R.; an haec tu C P E; ah nec tu omnia et nec tu omnia DON. (’audisti’ subauditur). 807. appuli] attuli PRISC. U 68 B. Fleck. Dz. Pre. 809. semper eius dictast D L p DON. ad Ad. 48 EUGR. L.-K. R. (dictast eius Mar.); semper enim dieta est codd. DON. Umpf. Dz. Pre.; semper ei dictast Fleck. 817. DA. O optume hospes! MY. Poi, Crito, etc. Spengel Fleck. Gli altri edd. attribuiscono tutto il v. a MY. L ’esclamazione, a questo punto della scena, in bocca a Miside è inverosimile, perché già conosce Critone. Conviene perciò attribuirla a Davo: sarebbe un ‘a parte’ e si aggiungerebbe all’unica battuta che lo schiavo pronuncia in tutta la scena (v. 819). 836. ficta] facta L D Umpf. Dz. Pre. F id a è lectio difficilior. 838. at] Lo traspongono alla fine di questo v. L.-K. Mar. R. Gli altri edd. lo omettono con A. 839. praesenserat] praesenserant L .-K ; cfr. J. N. Grant, Studies, cit., p. 65. 841. Et è attestato dai codd. all’inizio di questo v.; lo pongono alla fine del v. precedente L.-K. Mar. R. 849. responde codd. SERV. auct. ad Aen. X I 373 edd.; respondes DON. (deest ‘an non’) L.-K. Mar. L ’imperativo è più verosimile: per giunta Simone si rivolge al suo schiavo. 857. severitas G E D ' P E C 2 p2 SERV. ad Aen. X 612 Georg. I l i 37 Umpf. L.-K. R.; veritas C P p DON. ad Eun. 839 NON. 409 M. (= 659 L.; ma nell’archetipo forse vi era severitas) Dz. Mar. Pre. Severitas è attestato solo qui in Ter.; veritas ancora in An. 68, dove significa ‘dire la verità’. Sul piano della semiologia scenica severitas (in voltu) è da preferire, perché determina la ‘maschera’ di un personaggio su un elemento già rilevato (cum faciem videas). Del resto in verbis fidem verrebbe a significare la stessa cosa che veritas.

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NOTA CRITICA

NOTA CRITICA

893. L.-K. Mar. e R. spostano alla fine di questo v. Vat che alcuni codd. hanno all’inizio del v. seguente. Lo spostamento non è necessario ed è immotivato. At comunque non è necessario.

(is) dall’inizio del v. successivo (935) alla fine di quello precedente. Per far questo è costretto ad accogliere nel v. 935 il tum che compare solo in D G L V.

908. CH. Hic. CR. Simo! SI. Men q.? Eho tu Bothe Umpf. L.-K. Mar. R.; CH. Hic. CR. Simo men q. eho C; CH. Hic. SI. Simo men q. eho P; CH. Hic. SI. men q. cett. codd.·, CH. Hic. CR. Simo men q.? SI. Eho B. Dz. Pre.; CH. Hic Simost. CR. Men q.? SI. Eho Fleck.

936. postilla Σ; posilla A; post ibi Lachmann Umpf.; post id Spengel Dz. Accettano come difendibile postilla Fleck. Pre.

912. sanusne es codd. Umpf. Mar.·, sanun es edd.; sanus es Kauer. 921. feras A edd. pler.; feres Σ Umpf. Mar. 923. ad] apud γ G PRISC. 1 344 Mar. Al v. 222 (navem is fregit apud Andrum insulam) la specificazione informativa (insulam) giustifica l ’apud. 927. Il Mar., seguito dal R., trasferisce (come al v. 893 e 934) un mo­ nosillabo (is) dall’inizio del v. seguente alla fine di questo. 928-929. Seguo la soluzione di L.-K., che è sostanzialmente quanto attestato da A (e Donato, come vedremo in seguito), attribuendo a CR. da nomen sino ad aiebat esse (930). La situazione nella recensio Calliopiana è la seguente: Phania CH. hem / SI. Perii CR. verum P; Phania CH. hem / perii CH. verum cett. codd.·, Bentley e Fleck. attribuiscono Phania a PA, immaginando perciò che il giovane suggerisca a CR. il nome che non ricorda (PA. Phania. CH. Hem / perii! CR. Verum). Umpf. Dz. e Pre. attribuiscono hem/perii, come un ‘a parte’ a PA. (PA. Hem/perii. CR. Verum). Questa soluzione, che pur prescinde dalle si­ gle dei codd., comporta la espunzione di Phania. Simile alla distribu­ zione del B. è quella del Mar. (PA. Phania. CR. Hem/perii verum). L’Andrieu, Étude, cit., 15-16, propose la seguente: Phania. CH. Hem. / PA. Perii. CR. Verum, seguita dal Rubio. Quest’ultima soluzione pre­ vede la successiva presenza di due interventi ‘a commento’, il secondo dei quali - quello attribuito a PA(nfilo) - è l’unico verosimile, perché pronunciato da un personaggio che partecipa alla situazione scenica con questo tipo di intervento (non è ‘interlocutore’ sino al v. 939). È importante infine quanto osserva Donato, che certamente rinvia ad una situazione testuale in cui c’era già una contrapposizione nelle sigle che indirettamente può risalire a diverse soluzioni di regia: PHANIA hoc ita dicit Crito, ut nemo audiret, scilicet adhuc dubitans an ipse sit. HEM sunt qui putent Simonem dicere irascentem filio Critonem submonenti. Hoc Pamphilus propter iracundiam patris. an Chremis est dolentis vel eius mentionem. 931. tum audivere] Tum secludunt B. Umpf. Dz. Pre.·, tum audiere D G V p; tum audire Fleck. L.-K. R.

934' 935· Il Mar., seguito dal R., trasferisce anche qui un monosillabo

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945. Accetto la soluzione di Umpf. (CH. ipsa (ea) est CR. east), seguita

da L.-K. Mar. R.; CR. ipsa est. CH. ea est Σ; CHR. ipsast. CR. east A; CR. et CHR. ipsa ea est Bothius Thierf; Pasibulast. CH. Pasibula? ipsast. CR. east. Fleck. Dz. Sulla difficoltà di scansione di questo v. come ott. giambico (o sett. troc.), R. Raffaelli, Ricerche, cit., p. 64, n. io. Pre. accetta non patiar heus di Σ (heus A) all’inizio del v. 950. PA. Nempe id. SI. Scilicet] Così la maggior parte degli edd.; PA. nempe SI. scilicet C P DON. (‘nempe’ et ‘scilicet’ dicentes manu vel vultu dotem significant. alii ‘scilicet’ Chremetis faciunt personam); nempe id scilicet A (Vid è stato cancellato dal corr. ree); nempe SI. at scilicet E; nempe. SI. id scilicet 8 E2 e v Mar. R. Ma scilicet nelle risposte non è accompagnato da altro termine (quando è ironico, è all’interno di un contesto); cfr. Eun. 1040; Ph. 792; Hec. 467; Ad. 729; mentre nempe, sia quanto è confermativo (An. 371, 387, 567; Heaut. 639; Eun. 158), sia nelle interrogazioni (An. 30; 195; Ph. 307; Hec. 105; si veda anche Eun. 563 nempe, opinor, Thaidem; An. 618; Ph. 310; Ad. 742), è accompagnato dall’oggetto dell’asseverazione. 957. fors me putet Dz. L.-K. Pre. R.; al. forsitan me p. codd. Il Mar., per conservare forsitan, sposta putet al v. successivo e ne modifica il me­ tro: il 957 diventa sett. giambico, il 958 un ott. giambico, e poi dal 959 iniziano i sett. trocaici, che vanno sino al v. 981, cioè alla fine della commedia. Accettando la correzione del Dz., il v. 957 rimane un ott. giambico, l’ultimo di una serie che comincia dal v. 929; e col v. 958 inizia la serie dei sett. trocaici (w. 958-981) che concludono la com­ media. 962. ego mihi potissimum A D p V edd.; ego p. mihi γ Mar.; mihi ego p. G; ego p. L. EUGR. -optem A L EUGR.; exoptem cett. codd. Fleck. Mar., che scrivono ego potissimum m. 964. In A γ EUGR. non vi è nuova scena. Tra gli edd. moderni intro­ ducono nuova scena Mar. e R. Ma evidentemente Davo, che è perso­ naggio non annunciato, è entrato in scena all’inizio della V, 5. ALTER EXITUS 8. amicitia nostra] amicitie nostra γ; amicitiae nostrae Umpf. Mar. 9. Umpf. Dz. L.-K. Pre. R. introducono un non necessario sed prima di studui.

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NOTA CRITICA

13. magissime del R. è incredibile. 14. abs termine, Chreme, ego) expeto R. 16. quoadeumque] quocumque Dz. L.-K. Pre. R. 20. PA. Ita res est Guy et. Umpf. Mar.·, CHR. Ita res est.gnatam Dz. Pre.·, attribuisce ancora a CHA. ita res est R. II I l punitore di se stesso Didascalia

nota critica

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63-64. Dz. Fleck. Pre. espungono agrum nel v. 63 e lo inseriscono dopo meliorem nel v. 64. 69. Conviene, con Eugr., unire denique a quello che segue (così anche Joviales). Donato invece annota {ad Ph. 121): more suo Terentius ‘de­ nique’ posuit in fine sensus. et est adverbium ordinis. sic et in Heaut..., ut sit ‘denique’ vel deinde vel ad postremum. Anche in CIC. de fin. I, 3 denique è legato a quello che precede (seguono questa soluzione Fleck. e L.-K ). 71. at] È conservato all’inizio del v. successivo in A (ma ad) e in DON. ad Ph. xj2 SERV. ad Ecl. LI 34, Aen. 1 547; lo spostano alla fine di questo v. L.-K. Mar. R. Altri edd. non lo ritengono necessario (con A1).

4 egere -Praenestinus Σ L. K. Mar. R.; egit Ambivius Turpio A Fleck. Dz. Pre. Scrivono però Hatilius Mar. e R.

94. ah] at A2 D L p C P F v η SACERDOS 468 Mar. R. Conviene interpungere in questo modo: ah, quid dixi? habere me?

5. acta primum] actal p. A; primo Σ.

115. Il v. manca in A e fu aggiunto fra le righe da Joviales in questa redazione: putavit me aetate et sapientia, che è il testo accolto con un semplice spostamento da Dz. e Pre. (aet. me put. et s.). Sapientia, al posto del concorde benevolentia, non si spiega insieme al plus scire con cui è connesso.

7. facta III] f. IV D; f. II L Dz. Pre.; f. secunda E v. 8. M\ Iuventio Ti. Sempronio] Cn. Cornelio Marco Iuuenio A; M. Iunio Sempronio Σ (Marco Tullio Iulio Simphronio E). Periocha

6. arcesseret] arcesserit P; accersiret E; accerseret E2 L.-K. Pre. Testo

6. duplex-simplici] duplex-duplici A (corr. A2) Guyet.; simplex-duplici B. Sul testo di questo v. molto controverso, si veda la n. ad l; Dz. traspose i w . 4-6 dopo il v. 15, espungendo il v. 6 e ponendo lacuna prima del v. 16; Fleck. espunse i w . 6-ro. 13. sed codd. edd.; si B. Dz. Fleck. Pre. 39. sint mihi codd. pi. edd.; sit mihi A; sint (sunt D2) seni C P E2 F v ε L.-K. Mar. R.; sunt mihi seni L. Seni è evidentemente ripreso dal v. 43, dove è posto nella stessa sede. 45. si] sin D L C P E2 F v Mar. R. L ’opposizione può essere espressa anche in asindeto. Cfr. R. K ùhner-C. Stegmann, Ausfùhrliche Grammatik, Darmstadt 19553, II, p. 431. 54. Non c’è nessuna necessità di mutare il concorde quod in quom con Fleck. Dz. Pre.6 1

61. È conservato un aut in fine di v. da L p E DON. ad Eun. 45 L.-K. Mar. R. Lo omettono gli altri codd.

129. sunt] L’emendamento sint di Faber TJmpf. Dz. Fleck. Pre. non è necessario. 143. exercirent] exercerent codd. (exercent L E) EUGR. Lo Schol. Bemb. glossa con ‘ resarcirenf. Accettano exercirent Umpf. Dz. Mar. Pre.; exsercirent Palmerius Fleck. L.-K. R. 154. hoc ibi fit] ibi è ricavato per correzione di qui in P p v2; hoc qui fit? L.-K. Mar. R.; hoc quod fit B. Dz. Pre.; hoc ubi fit ibi Fleck. 165. in(pe)pulerim] Preferibile mi sembra questa soluzione del L.-K. Inpulerim (implerim D) codd. La maggior parte degli edd. accoglie 1F in e pepulerim del B.; ma è difficile che da hinc p. si sia passati ad inpulerim. Meglio pensare ad una caduta del raddoppiamento. 169. Il v. è tramandato senza il primo piede {monere me h. v. Ph.). Tempust è l’integrazione, non del tutto persuasiva - ma generalmente accolta - del B. (segue infatti a tempus est del v. precedente, che ha un’accezione diversa). Più opportuno parrebbe un decet o, ancor me­ glio, opust. Al v. 171 è detto: nihil opus fu it monitore. Si veda la nota al v. 170. 174. Manca in A e lo espungono Umpf. Dz. Pre. È un intervento non sufficientemente giustificato ed assurdo, perché le parole di questo v. precisano e completano la domanda di quello precedente, ed hanno la funzione di annunciare la venuta in scena di un nuovo personaggio. Dopo crepuerunt fores è sempre specificato, com’è scenicamente neces-

NOTA CRITICA

NOTA CRITICA

sano, di quale porta si tratta delle case poste sulla scena (cfr. v. 6x3 e n. ad An. 682).

soluzione che accolgo è in fondo il testo di A, seguito già da L.-K. Mar. R. Tra i numerosi interventi vanno citati quello del B. (nulla mala re interpolatam muliebri); del Fleck. (nulla arte malas expolitam muliebri); del Dz. (nulla mala re os expolitam muliebri); ed infine quello del Pre. (nulla mala arte esse expolitam m.). -nulla] nullam ε; -mala] malam γ D

φ

183. mihi cum eo Σ (praeter D p F2) edd.; mihi magna cum eo A p F2Dz. Pre., che però devono espungere usque; magna mihi cum eo D; mihi cum eo magna EUGR. 192. crederest codd. DON. ad Hec. 535 L.-K. Mar. R.; crederes Lachmann edd.; quem minimum est credere EUGR. 199. illene codd. EUGR. L.-K. Pre. R .; illecine Umpf Dz. Fleck.; illic ne Mar.

201. aliquanto Σ L.-K. Mar. R.; aliquantum A cett. edd. 209. Ometto hoc con P, perché mi sembra superfluo. Lo conservano L.-K. Mar. R.

211. nobis cenae quid siet L C P F v Mar.; n.quid c.siet. Ar Umpf. Dz. Pre.\ n.q. in cena siet L.-K. R.; in cena q.n.siet Fleck.·, nobis q.incensiet A; cenae quid (quod D E) n.siet D E p η. 214- Non ometto iam di Σ, con Mar. e R. 218. peccati A v edd.·, peccatis cett. codd. schol. Bemb. Mar. Locus è attestato col genitivo: cfr. An. 134, 320, 354. 225. satagit at tamen Mar. R.; satagit attamen codd. (non F) L.-K.·, sat agitat tamen F B. edd. 228. Omettono ei con A e GELL. TV g, 1 1 Umpf. L.-K. Pre. 238. adessent p η ε edd.; adesset cett. codd. Mar. R. Con adesset la preoccupazione di Clinia si riferirebbe ad un solo personaggio (la sua ragazza, Antifila); invece la risposta di Clit. riguarda tutti (iam aderunt). -quando istuc erit codd. Umpf. L.-K. Mar. R.; quando istuc iam erit Palmerius Dz. Fleck. Pre. 242. SY2.] om. E Mar., che attribuisce a DR (omone) da sic a relictae. 245. DR.] SY. codd. Fleck. Mar. R. 253. esse c. codd. L .-K Mar. R.; ei esse è l’integrazione non necessaria del Bergk accolta da Umpf. Dz. Fleck. Pre. (ea esse ε; esse ea D p; esse ista D2).

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Lp. 290. pexus A DON. ad Ph. 106 Dz. L.-K. Mar. Pre. R.; passus Σ Umpf. Fleck.; -prolixus codd. L.-K. Mar. R.; promissus B.; prolixe Dz. Pre.; prolixe et Fleck. 297. et sordidam codd. edd.; et horridam Madvig Dz. Pre. Lo scolio Bembino: «habitu sordidatam et veste, corpore sordidam et inluvie». 300. eisdem munerarier codd. plerique Umpf. L.-K. Pre. R.; eis demunerarier P (his F e) Dz. Mar. 306-307. Mar. e R. trasferiscono ut dall’inizio del v. 307 alla fine del v. 306. Questo permette di conservare tuo, assolutamente necessario per il senso ed espunto dagli edd. dopo Bothe, benché attestato concorde­ mente dai codd. ed EUGR. Anche in An. 309 facile è all’inizio di v. (ott. g.), come in 307. 333. Il v., un sett. troc., lo si restituisce espungendo o il secondo amicam con Faernus Mar. R. (tuam amicam huius esse.:: Pulchre: cedo, quid hic faciet sua) o cedo (attestato da tutti i codd., eccetto D G) ed Me (altrettanto concordemente attestato da ΑΓΣ; quale fosse il testo di A, non è possibile decifrare) come fanno Umpf. Dz. L.-K. Pre. (tuam ami­ cam huius esse amicam.:: Pulchre: quid faciet sua. Fleck. espunge solo cedo e sposta hic: Pulchre: hic quid faciet sua). È più fondato pensare che il secondo amicam sia una glossa integrativa inserita per rendere autosufficiente il testo (al lettore); per lo spetta­ tore invece il gesto che doveva accompagnare huius - indicando Clinia (il testo ‘agito’) - lo rendeva intellegibile. Per altro, l’inserimento di altri elementi deittici, come cedo ed hic, non sembra possa attribuirsi alla sapienza di un copista. Sulla ‘deissi fortemente esortativa’ espres­ sa da cedo, cfr. J. B. H ofmann, La lingua d’uso, cit., p. 143. 338. quod ambo confiteamini] Omette quod Umpf; correggono ambo quod fateamini Dz. Pre.

259. minus sum A Umpf. Dz. Mar.; minus Σ DON. ad Ph. 408 cett. edd.

339-340. SY. maxume. / Ibo] CLIN. marame. / SY. ibo A L .-K ; -hinc revortantur] B. Dz. Pre. correggono hinc in huic e, quindi, revortantur in revortatur.

276. aperuit codd. Umpf. L.-K. Mar. R.; l’emendamento aperit del B., seguito da Dz. Fleck. Pre., non tien conto che segue se coniecit, con cui ap. è connesso.

365. miserum quemdam Σ EUGR. Mar.; q. misere A cett. edd.

289. Umpf. ritenne guasto il v.; sospetto lo considerò invece Mar. La

379. salutem A edd.; salutare ΑΓ Σ Fleck. Mar. Ma saltem in Ter. è sempre accompagnato dal congiuntivo. 4 — T erenzio, Commedie.

g8

NOTA CRITICA

NOTA CRITICA

390. imminuta est A edd.; immutata est Ar Σ B L.-K. Ma imminuta, attestato solo qui in Ter., è lectio difficilior.

Mar. R.; sed te demiror p P2. Negli altri tre casi in cui il verbo ricorre in Ter. {Heaut. 362, Ph. 235, Hec. 529) non è mai attestato nella forma semplice. Cfr. però n. critica ad Eun. 673.

408. animo exoptatam meo p Faernus edd. pi.; exoptata A D G L; expectata γ; exoptata a.meo Fleck.; a. exspectatam meo L.-K. Expectata può essere stato suggerito daWexpectat del v. successivo. 461. habui codd. EUGR. L.-K. (segue a relevi del v. precedente); habuit B. edd. Eugr. spiegava: sollicitos habui: hoc est ebrios. Più rettamente 10 Schol. (Schlee, p. 119): «i.e. omnes servos occupatos in servitio illarum». L ’emendamento del B. rende soggetto la meretrix, mentre quel­ lo di relevi è il senex. 471. technis codd. EUGR. Mar.; techinis edd. Anche in Eun. 718 i codd. hanno technam. Perciò la forma techina in Ter. è insostenibile (il cod. G di EUGR. ha tegnis). 484-485. L ’ipercorrettismo razionalistico, che vedeva questi versi non bene inseriti nel tessuto logico del contesto, indusse il B., e poi il Dz. e Pre., ad espungerli. Il Fleck. invece riscrisse così il v. 484: quodquomque est, quom ei inciderit in mentem, volet.

488. quo A. È preferibile al qui degli altri codd., accolto da Fleck. L.-K. 489. minitabitur] minabitur A P Umpf Dz. Pre. In Ter. è più frequente minitor (4 casi) rispetto a minor (2 casi). In Eun. 957 A insieme ad E ha 11 corretto minatur, mentre quasi tutti gli altri codd. hanno minitatur. Tuttavia qui il ‘frequentativo’ si lascia preferire per una certa intensità affettiva. Minatur sese abire è formula di una situazione topica della commedia (cfr. Plauto, Ms. 604). 499-508. Mantengo la trasposizione operata dal B. e seguita da tutti gli edd. Nei codd. dopo il v. 497 seguono i w . 509-511. 498. negoti D G p edd. pi.; hoc negoti γ L a Fleck. Mar.; negotii A. 499. hic Ar Σ EUGR. Fleck. Dz. L.-K. Pre. R.; hinc A Umpf. Mar. Hinc non dà senso. 502. adero codd. L.-K. Mar. R.; adsum B. cett. edd. 509. prehendendus Umpf. Mar. R. con lo Schol. Bemb.; prendendus Fleck. Dz. L.-K. Pre.; prehendus A; adprehendendus Σ (forse suggerito da adhortandus). 512. inveniundumst codd. EUGR. Dz. L.-K. Pre. R.; inveniundum L ε Mar.; inveniundum es B. Umpf. Fleck.

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526. miserum codd. Umpf. L.-K. R.; misere Bothe edd. Ma l’emenda­ mento non è necessario. 530. SY. Quem? CH. Istunc s. A edd.; SY. Quem istunc? CH. Servolum Mar. sulla base di una proposta di Havet. E diffìcile immaginare insie­ me l’interrogativo quem ed il deittico istunc (istum ΑΓΣ). 536. oportebat A edd. pi.; oportebant Σ L.-K. Mar. R. (questi due ultimi edd. non accettano però Yoportent di E per An. 481). Non trova nessun sostegno il costrutto personale di oportet in Ter. (Leumann-HofmannSzantyr, Lateinische Grammatik, Mùnchen, 19812, II. 2, p. 417). 540. iam huic codd. L.-K. R.\ huic iam Guy et. B. Umpf. Pre.; vel iam huic Dz. Fleck.; iam iam huic Mar.; iam primum huic Gp. 543. hic A Umpf. Dz. L.-K. Pre.; hinc Σ B. Fleck. Mar. R. Hic è Clima, il figlio di Menedemo, l’oggetto del discorso. An-abeat, senza l’indica­ zione del personaggio {hic), risulterebbe generico per lo spettatore. 568. here A Umpf. L.-K. Mar.; heri Ar Σ EUGR. cett. edd. La forma è così spiegata da Donato {ad Ph. 36): Propter cognationem e et i litterarum non dubitaverunt antiqui et here et heri dicere et mane et mani et vespere et vesperi. Lo Schol. Bemb. ad Heaut. 67: vesperi et vespere, heri et here. Ancora Quintiliano {Inst. Orat. I, 7, 22): here nunc e littera terminamus: at veterum comicorum adhuc libris invenio heri ad me venit {Ph. 36) quod idem in epistulis Augusti, quas sua manu scripsit aut emendavit deprenditur. 572. L.-K. omettono hinc con A E F v ε: allora bisognerà scandire estó. 579. istic Σ L.-K. Mar. R.; iste A cett. edd. 589-590. Il Mar., seguito dal R., anticipa l’ at dal v. 590 alla fine del v. 589. Fleck. e Umpf. li riscrivono così: CL. D i te eradicent, Syre, qui me hinc extrudis. SY. At tu istas tibi / Poi posthac compromito manus (quindi, un ottonario giambico e un quaternario giamb.). Ho seguito la soluzione proposta dal B. (e accolta dal Dz. e dal Pre.), che prevede il semplice spostamento di Syre alla fine del v., confermando i due versi come senari giambici. Ritengono senario, ma irrimediabilmente gua­ sto il v. 589 L.-K. 591. credas A edd.; credis Σ EUGR. R.

515. Cliniai B. edd.; Cliniae codd.; adulescentis Dz. Pre. Ritengono gua­ sto il v. Mar. e R.

595. Dz. Fleck. Pre. espungono aut.

518. sed te miror A Dz. Fleck. L.-K. Pre.; te demiror (om. sed) Σ Umpf.

596. dum etiam] Espunti dal Guyet. e dagli altri edd., tranne Mar., che ritiene il v. guasto.

ΙΟΟ

NOTA CRITICA

NOTA CRITICA

601. drachmarum codd. Mar.·, drachumarum edd. Anche in An. 451 drachumis di molti edd. è congetturale.

701. quin A D G L p C2 E F v ε EUGR. Umpf. Dz. Fleck. Pre. R.; qui DON. adEun. 2 11 L.-K. Mar. Quin, oltre che autorevolmente attestato, nelle risposte ha significato «asseverativo e accrescitivo (quin etiam)» (J. B. H ofmann, La lingua d ’uso, cit., p. 192), risultando dallo sviluppo

611. ages D G p a Fleck. L.-K. Mar.; agis A γ D2G2L ceti. edd. Quid agis in genere serve a chiedere il perché di un comportamento. Ma la scelta è comunque difficile. 626. me gravidam B. Dz. Mar. Pre. R.; me esse g. codd. EUGR. Umpf L.-K.; me g.esse Fleck. Si tratta di un’ellissi di risparmio. 638.

quid codd. Mar. R.; quod Bothe cett. edd.

645. a.natu gravior, ignoscentior codd. SERV. auct. in Aen. IX 28g Umpf. (che ritiene guasto il v.) L.-K. Mar. R.; quanto tu me es annis gravior, tanto es ignoscentior B.; quanto tu e. a.[natu] gravior eo sis i. Dz. Pre.; quando tuos est animus, mi vir, natura ignoscentior Fleck. 655. CH. Quid i. n. A γ D Umpf. L.-K. Mar. R.; attribuiscono la frase ancora a SY. Dz. Fleck. Pre.: la battuta infatti è un ‘a parte’. 661. CH. Quid r.olim fecisse? SO. Id q.i. codd. Umpf. Mar.; SO. fecisse id Ar D p Dz. Fleck. L.-K. Pre. R. È preferibile accorpare fecisse alla domanda. 667. est codd. L.-K. Mar. R.;fert è la superflua correzione del B ., accolta da molti edd. 676. nihil est codd. Umpf. Dz. Fleck.; nilst L.-K. Pre. R.; nihil Mar. Il testo è così tramandato: opinor idem ad me ego illud hodie fugitivom A; opinor ad me idem illud fugitivom C P L E F v ε; illue opinor ad me f. D G p (idem illud D2); opinor ad me illud f. λ. Le soluzioni degli edd. prevedono o l’espunzione del necessario opinor (Umpf.) o di ego (Dz. Pre.). La soluzione del L .-K , accettata da Mar. e 678.

R.: Retraham hercle opinor ad me (6j8) / Idem ego illue hodie fugitivom argentum tamen (6y8a) interrompe la serie degli ott. giambici (668 sgg.)

e, senza passare al metro dei w . successivi (679-707 sett. troc.), intro­ duce un dimetro giambico cat. assolutamente senza precedenti e so­ prattutto un senario giambico, il 6y8a., cioè un verso ‘parlato’ in un contesto fatto di versi comunque accompagnati dalla musica (come del resto lo stesso dimetro proposto per il v. 678). Ho accolto la soluzione del Fleck. che non sacrifica nessuna parola del testo e perché consente di ottenere un ott. giambico, come i w . precedenti. 685. quoi L .-K ; cui codd. Mar.; quoiquam B. cett. edd. 693. opinor codd. Per conservare hanc, che non è attestato in tutti i codici (si trova in A D G p), L.-K. Mar. R. emendano opinor in opino, forma assolutamente insostenibile (cfr. 678). Hanc è una glossa inter­ polata (J. N. G rant , Studies, cit., 171).

IOI

di un quin ‘perché no?’ poi trasformatosi con l’intonazione nella frase asseverativa.

707. satis A L.-K. Mar. Pre.; satin Ar cett. edd.; -aut Σ edd.; et A Umpf. L.-K.

739. transeundumst nunc tibi huc Fleck. Dz. Pre.; transeundum huc nunc tibi D G Mar. (che scrive Menedemum est); nunc om. L; huc om. A Umpf. L.-K. R. Non è difficile spiegare la perdita dei due ‘deittici’ nunc o huc; nessuno di essi però è inessenziale per l’efficacia della battuta. 743. SY1. codd. Umpf. L.-K. Mar. R.; CL. Dz. Fleck. Pre., che poi attri­ buiscono solo heus Dromo a SY1. 776. Mar. e R. scrivono non per nihil (nil L.-K.) senza alcuna spiega­ zione.

786. suaserat] iusseras Σ L.-K. Stessa variante in Ph. 828: suadeat A δ, iubeat D2 L2 P C F E. 798. omnes te in lauta et bene acta parte putant] Così nei codd. ed EUGR. Verso irrimediabilmente guasto secondo L.-K. Mar. R. Il Guyet. lo espunse. B., seguito da Umpf. Dz. Pre., lo restituì in questo modo: lauta esse et bene aucta re putant; Fleck.: inlautum esse in bene parta re putent.

813. is tu C λ L.-K. R.; is hinc A; ii hinc G p; in hinc D Fleck.; i tu hinc P2L2 E F2p2v2; in tu hinc D2; ut tu hinc ε; ibin hinc B. Umpf. Dz.; ein tu hinc Mar. 826-827. Seguo il cambiamento della successione dei versi operato dal Muretus. Nei codd. sono tramandati in ordine inverso (in L vengono

dopo il v. 824). 829. hic est] hinc est A Mar. Manca nella scena ogni elemento che faccia presupporre un’indicazione di direzione che giustifichi hinc (che, per giunta, sarebbe accompagnato da est). 831. i G p edd.; ii A; ei γ L D2 Mar. 836. Hortamentis è la lezione di EUGR., che così spiega: hoc est nutrimentis: hortatores enim dicuntur equorum, qui nutriunt; e di C p2 λ gloss. I I L.-K. Mar. R. I codd. hanno in prevalenza ornamentis - evi­ dentemente tratto dal v. successivo - talvolta corretto prò orn. (D G) o prò alimentis (E2 F Umpf. Dz. Fleck. Pre.). 845. me ac A L.-K. Mar.; et me et Σ cett. edd.

103

NOTA CRITICA

NOTA CRITICA

846. cedo Σ Fleck. L.-K. Mar. R.; die A Umpf. Dz. Pre. La scelta è difficile.

898. idem Ar Σ (om. G p) Fleck. L.-K. Pre. R.; isdem A Umpf. Mar.; eisdem Dz.

848. quid est A p Dz. L.-K. Pre. R.; quid cett. codi. edd.

913. ah C P L.-K. R.; ah hahe D C2; hahehe G; ahahhe L E v; hahahe p ε; ahhae F2; ahhe Mar.; om. A Umpf. Dz. Fleck. Pre.

851. Dopo questo v. i codd. della recensio Calliopiana (talvolta in mar­ gine, come C2 P2) hanno: erravi res acta est quanta de spe decidi (851 a. verso ametrico). L.-K. lo accoglie nel testo, così modificato: erravi? actast res? etc.

928. multo malo Σ Fleck. L.-K. Mar. R.; potius multo A. Umpf. Dz. Pre., per accettare potius, espungono multo.

10 2

853. amica. Ita aiunt] B. Fleck. Mar. e R. attribuiscono ita aiunt a CR(emete), non ritenendo che siano le ultime parole della battuta di ME(nedemo). È più verosimile pensare che queste parole I9 dica Menedemo, perché, al v. successivo, Cremete riprende Vita aiunt con tono irritato e canzonatorio (et illuni aiunt velie uxorem; attribuendo a lui ita aiunt, avremmo un’insistenza che può parere anche ripetizione). La situazione testuale è piuttosto disordinata: A non ha alcuna sigla; ME. ita aiunt. CH. et tu credis D G C P E F p; ME. omnia (v. 854 CH. et illum) E L P2C2F2D2p2v η ε; il corr. ree. in A introdusse CHR. davanti a et illuni·, la sigla di SY. davanti a ita aiunt; e quella di ME. davanti a omnia.

854. desponderim Σ Dz. Fleck. Pre.; desponderis A cett. edd. Despondere si dice propriamente del padre - in questo caso, Cremete - che pro­ mette in sposa la propria figlia (v. 779, 784); desponderis si riferirebbe al padre dello sposo, Menedemo, significando genericamente ‘dare il proprio assenso alle nozze’. La lezione di A trova un sostegno però nel fatto che in An. T02 è il padre del ragazzo che dice despondi. La pre­ ferenza per desponderim comunque è data dal fatto che è Menedemo che sta chiedendo a Cremete - che è il padre della sposa e che pro­ nuncia la battuta - la mano della figlia per suo figlio.

932. capies Σ L.-K. Mar. R.; accipies A Umpf. Dz. Fleck. Pre. Si ha sempre capere con miseriam, laborem e sim. (Eun. 449, 573, 925, 97J; Ph. 73, J67). 950. Syrum quidem A edd., eccetto L.-K. che con Σ e DON. ad Ad. 400 scrivono: ME. quid eum? CH. egone si vivo. Cfr. J. N. Grant, Studies, pp. 92-93. -ego ne Mar. R.; ergo me G E; ego Umpf; ego hodie Fleck.; egone cett. codd. edd. 956. factum A G ε Umpf. Dz. Fleck. Pre. R.; facinus γ (praeter ε) D2L p2 L.-K. Mar.; om. D p. 960. adstare γ L Fleck. L.-K. Mar. R.; stare D G p; esse A Umpf. Dz. Pre. Adstare è meno generico e più consueto, -aibas Fleck. L.-K. Mar. R.; aiebas codd. cett. edd. 980. a fame C P F e edd.; fame Α δ Ρ Ε ν ε Umpf; fami Mar. 989. qui A Fleck. L.-K. Mar.; qua Ar Σ cett. edd. 997. Verso conservato in maniera controversa: i.m.u.namque adulescens maxume huic/erit A; i.m.u. namque adulescens quam maxume spe situs erit Iov.; i.m.u.nam quam maxume huic visa haec suspicio/erit vera quamque adulescens maxume quam in minima spe situs Σ; di qui L.-K. ricavano due w .: in m. venit; nam q. maxume huic visa haec

869. istanc D G p L.-K. Mar. R.; istam A γ L cett. edd.

susp. (997) erit vera, quamque adulescens maxume quam in minima spe situs (997α), che son quasi la somma delle correzioni e delle inter­

870. haec uti sunt A Umpf. Dz. Fleck. Pre.; haec utut sunt p Mar. R.; haec ut sunt G; ut uti istaec sunt P L .-K ; ut ut istaec sunt C λ; haec ista ut sunt D L F2 v η ε; haec ita ut sunt L2 E; haec ut ista ut sunt F.

polazioni. Eugrafio ha: nam cum adulescens in minima ope situs erit.

873. scientem A D G v ARUS. 510 edd.; sciente γ (praeter v) L D2 p EUGR. Mar. 879. iam desine deos Σ L.-K. Mar. R.; [...] esine inquam deos A; desiste inquam deos Fleck. Umpf. Dz. ; desine inquam deos Pre. 884. nuntiastin Σ edd. pi.; nuntiavisti A Umpf. Mar. 890. mane codd. EUGR. L.-K. R.; mane mane Mar.; mane dum B. cett. edd., per evitare iato.

1001. miror non continuo hinc me abripuisse.ad Menedemum hunc pergam Fleck.; miror continuo hunc adripuisse A (miror non iusse me adripi Ar); non c.adripi iusse L.-K. Mar. R.; c.abripi iusse Dz. Pre.; ilico adripi iusse Umpf; iussisse ilico arripi me Σ. -ad Men.hunc pergam A edd. pi.; ad Men.hinc p. Ar D G Mar.; hinc nunc ad Men.p. C P L E F v; ad Men.hinc nunc p. D2 p2η ε; ad Men. hinc p. La soluzione del Fleck. salva alcuni elementi teatralmente importanti (hinc, hunc) e conserva al v. il metro (sett. giambico) del precedente e di quello che segue. Insostenibile poi mi pare la forma iusse non altrimenti attestata. 1006. mulier] mulier odiosa A Fleck.

NOTA CRITICA

NOTA CRITICA

ioio. ad integrum codd. L.-K. Mar. R.; integra Fleck. Dz. P r e de inte­ gro Umpf.

4. modos fecit A; modulavit Σ; item modulante DON. -duabus dextris] tibiis dextra et sinistra DON.

1015. au te obsecro] au obsecro te codd.; la correzione è del Guy et., accettata da quasi tutti gli edd.; au ob. (omisso te) Mar.

Pre.

io4

1018-1020. Fleck. espunge i w . 1018-1019; espungono da magis (v. 1018) a nam (v. 1020) Dz. e Pre.; Umpf. espunge il v. 1020. -quod (v. 1018) Σ edd. ; cum A; quom Mar. 1021. quin sit et itidem tibi Mar.; quin siet itidem tibi Umpf. L.-K. R.; quin idem itidem sit tibi Fleck.; quin sit idem itidem tibi Dz. Pre.; qui sit et idem tibi A; quin itidem sit tibi Σ. Non è facile ammettere siet all’interno del v. 1025. dictus filius] filius om. Mar., vitio preli, ut videtur. 1027. quod peto aut volo Σ Umpf. Mar.; quod peto aut quod volo A cett. edd.

1043. puduit A edd. p i; piguit δ Mar. R.; piguit tacere γ L.; -ego nunc A G Fleck. Mar.; quam nunc cett. codd. edd. 1050. exorem δ C2 E F2 v η ε Fleck. L.-K.; exorent A C P F cett. edd.; exoret Ar. Non si comprende il soggetto del plurale exorent. -egon A p edd. p i; om. Guy et. B. Umpf. Dz.

1057. SO. Perii; an dubitas, Clitipho? A Umpf. Mar.; CL. Perii. SO. An dub., Cl.? Σ cett. edd. 1064. immo A edd. p i; quid istic? Σ Mar. R. Quid istic indica sconcerto, cfr. n. ad Ad. 133. 1066. perplacet Σ L.-K. Mar. R.; satis placet A cett. edd. Perplacet è lectio difficilior.

I°5

6. facta] acta Σ; secunda] haec edita tertium est DON.; tertia Dz. Fleck. 7. C. Fannio] Fan A; C. Mummio Fannio Σ Umpf. Periocha

io. introiit A edd. p i; intro ivit Umpf; intro ut it Dz. Fleck.; introitur G. Testo

10-12. in Thensauro-thensaurus] È vero che Donato annota al v. io: ‘thesaurum’ Latini veteres secundum Graecos sine N littera proferebant; ma la forma thensaurus è bene attestata e soprattutto va accolta coerentemente. In Thesauro scrivono al v. io con DON. L.-K. Mar. R.; in Thensauro Fleck. Umpf. Dz. Pre.; in thensaro A; in thesauros C p; a thesauris D G L C2 P E v. Al v. 12 Mar. scrive thesaurus con D G P E (perciò con una certa coerenza); L.-K. e R. invece scrivono thensaurus dopo Thesauro del v. io. 30. Il R. scrive parasitus Colax, intendendo, come si evince anche dalla traduzione, che Colax sia il nome del parasitus. Ma allora, perché an­ che il miles gloriosus non ha un nome? 33. sed eas fabulas] s.e. ab aliis factas Ritschl Dz. Pre.; ea ex fabula Fleck. La sostituzione operata dal Ritschl {ab aliis per fabulas) costrin­ ge a riferire eas a personas (v. 32), alterando profondamente i termini della polemica letteraria. Terenzio parla di personae trasferite in Eunuchum suam ex Graeca {scil., fabula). Se perciò poi scrive eas factas prius Latinas, evidentemente si riferisce al Colax di Nevio e di Plauto (v. 25), non ai personaggi, che egli dichiara di aver preso dal Kolax di Menandro (w. 30-32).

Ili E unuco Didascalia

1. Megalensibus] Romanis A, funebribus L. 2. Donato omette i cognomina Albino e Merula. Omettono il nome del secondo console C P p; M. Iunio Lucio Iulio A. 3. egere] egit A. D on .: Agentibus etiam tunc personatis L. Minucio Prothymo L. Ambivio Turpione. -L. Atilius Praen.] Lo espungono Dz. Pre. La maggior parte degli edd. scrive Hatilius.

50. Il Bembino attribuisce ancora a PH (AEDRIA) i w . 50-56, insieme a D P C DON. EUGR. e poi - insieme a tutti gli altri codd. - premette la sigla PA(RMENO) al v. 57. Accettando l’indicazione di A, come fa Mar., si va incontro alla durissima difficoltà costituita dal fatto che nei w · 50-55 Fedria si rivolgerebbe a se stesso come ‘un interlocutore esterno’ - e ciò mentre sta parlando con lo schiavo Parmenone -; inoltre la struttura del dialogo (4 versi a Fedria, poi 21 versi a Parme­ none, quindi ancora 4 versi a Fedria) risulterebbe radicalmente alte­ rata (si vedano le finissime argomentazioni di A. Minarini, Studi terenziani, Bologna, 1987, soprattutto pp. 24-25). 79. eccam] ecca codd. Mar. R. Il forte deittico non si può considerare concordato con ipsa. Cfr. J. B. H ofmann, La lingua d ’uso, cit., p. 144.

ιο 6

NOTA CRITICA

NOTA CRITICA

87. Dz. e Pre. omettono recta con A. Donato osserva: quasi parum fuerit ‘introibas’, satis mire additum ‘recta’. Ma recta non è neppure un’ovvia ridondanza della lingua parlata. 102. adstringo A C P η L p ARUS. 456 edd. pi.; astringo E DON. (ma abstringo il cod. B) Fleck.; abstringo ό ν ε ; obstringo Mar. 104. fictumst Σ DON. (ben cinque volte) Mar.; finctum A edd. In An. 836 è attestato concordemente fid a (facta D L). Su ficturn (non finctum) cfr. K ùhner, I, 763. 106. taceri γ D L2 DON. edd. pi.; tacere cett. codd. Umpf Dz. Pre. L’impersonale taceri è preferibile, anche perché è ripetuto - in identica situazione - al v. 108. 113. potuerat] poterai DON.; potis erat B. («ne potuerat peccet tem­ pore, lege potis erat») edd. Nella tradizione terenziana non si hanno esempi di passaggio da potis / potè erat / erant a poterai 0 poterant. Conviene rilevare che potuerat sarebbe in fine di v. come potueris in Heaut. 362 (senario) e potuerit in Heaut. 1005 (ott. giamb.) ed Hec. 3 e 139 (senari). Lo stesso caso di An. 691, dove potuerat è all’interno del v. (un sett. giamb.), ma prima della dieresi, ne conferma l’uso per comodità metrica. La difficoltà che crerebbe poi neque potuerat dopo neque scibat non sussiste, perché neque scibat esprime una condizione e neque potuerat una considerazione, una possibilità che, a causa dell’età (per aetatem), non avrebbe potuto sussistere (cfr. A. R onconi, Il verbo latino. Problemi di sintassi storica, Firenze, 19592, pp. 98-100). 129. Credo ingiustificato attribuire già a TH(AIS) Oh dubium id est? con Dz. Fleck. Pre., e non a PA(RMENO), come fanno concordemente i codici. 132. ubi esse hanc p edd. pi.; esse om. cett. codd. DON. Mar. 145. cupio A2 E DON. edd. pi.; cupiam A cett. codd. PRISC. F I338 Umpf. Mar. Il presente indicativo è più immediato. 149-150. Mar. e R. trasferiscono id dall’inizio del v. 150 alla fine del v. 149. Lo spostamento non trova nessuna giustificazione. 157. dictast] dieta est A p QUINT. IX 2 38 edd. pi. ; est dieta Σ (praeter p) DON.; dieta Mar. La soluzione del Mar. è degna di attenzione. 160. nisi A D G E ε DON. Mar.; nisi si cett. codd. edd. La forma raffor­ zata (e popolare) è attestata quasi concordemente ai w . 524 e 662, 902, in An. 249 (ma non al v. 671), in Heaut. 3 g i e Ad. 594. N isi si si trova per lo più dopo un’interrogativa, quando si introduce una spiegazione: qui invece si verrebbe a trovare in una frase interrogativa. 197. forsitan codd. DON. Mar. Gli edd. accettano il non necessario

10 7

forsan del B. (fors fuat an Fleck.). -parvam A D 2 P E DON. edd. pi.; parum D G L p C; il Mar. accetta il parvom del Lindsay e àell’Havet.

215-216. Il Mar. corregge in eu Yau di P E v C2p2attestato al v. 216 (au memini) e lo trasferisce alla fine del v. precedente (215). 219. adiget DON. (legitur et ‘adiget’, ut sit ‘insomnia’ numeri singularis) Dz. Fleck. L.-K. Pre. R.; adigent codd. DON. in lemm. Umpf. Mar. Insomnia è sing. femm. già in Ennio, Pacuvio, Cecilio (e poi in Sallu­ stio, Suetonio, Gellio). 240. sit Ar p DON. Umpf. Dz. Fleck. Pre.; esset A; siet Σ (praeter p) L.-K. Mar. R. È sempre difficile dover accogliere siet in sede diversa dall’ul­ tima (per giunta non è mai concordemente attestato; cfr. w . 479, 562, 655, 663, Hec. 637, Ad. 83). 255. adventamus A p edd. pi.; advenimus D G L C2P v ε Fleck. L.-K. R.; convenimus C P2 E (non esiste un venimus di DON., come scrive R ). Stilisticamente qui il ‘frequentativo’ ha un valore diverso. 260. me esse tanto honore Σ {me v. in t.h. p) DON. B. Fleck. Mar. R.; mi esse tantum honorem A Umpf. Dz. L.-K. Pre.; me esse in tantum ho­ norem A2; -et] om. Fleck. Dz. Pre. All’inizio del v. 261 A. 264. parasiti itidem ut Σ EUGR. Mar. R.; parasiti ita ut A Umpf. Dz. L.-K. Pre.; ut parasiti item Fleck. Per itidem ut cfr. w . 93, 385; Hec. 150, 312, 866; Heaut. 698; Ph. 413 (i codd. hanno itane, item e itidem), 476. 267. Thaidis codd. DON. in lemm. Umpf; Thaidii Bothe; Thainis DON. (legitur et ‘Thainis’) L.-K. Mar. Pre. R.; Dz. sostituisce il nome proprio con hoc astare, che diventa huius stare in Fleck. Già B. aveva sostituito Thaidis con opperiri ed il Muretus con meretricis. 268. res est codd. edd.; res[es]t L .-K , per accettare 1’hic homines di Ar SERV. Georg. I V 104, Aen. 1 436 (ma hic non è necessario). 273. tristis es codd. Umpf; tristi’s edd. -quidem] equidem A L p; quidem et equidem DON. 286. etiam nunc tu hic stas Ar p edd. pi.; e.nunc hic stas A Σ Mar.; etiamne tu hic s. Fleck. Il pronome ‘deittico’ mi pare necessario oltre il nunc.

288. qui placeat A DON. in comm. L.-K. Mar. R.; quae placeant DON. in lemm. SERV. in Aen. 166 g cett. edd. Il passaggio dall’ablativo qui al plurale (quae placeant) è una banalizzazione (DON.: potest tamen et pluraliter intellegi). 289. advenire A γ p2 edd.; adventare δ Mar. Il frequentativo non solo è meno autorevolmente attestato, ma qui è senza senso: il verbo appar-

NOTA CRITICA

NOTA CRITICA

tiene ad una formula che serve per annunciare l’arrivo in scena di un nuovo personaggio.

376. dixisti Umpf. Dz. Mar. Pre., per ottenere un ott. giambico (sono ott. giamb. i w . 367-390); dixti codd. Fleck. L.-K. R. (il v. diventa un sett. troc.). Lo stesso passaggio si ha al v. 322: amisisti A G2 L DON. edd. pi.; amisti (amisti eam E) cett. codd.; eam amisti L.-K.

ιο 8

300. dices Σ EUGR. PRISC. Π 50 L.-K. Mar. R.; dicet A ARUS. 503 ceti, edd. L’impersonale dices è preferibile alla personalizzazione razionaliz­ zante di dicet (il vecchio): si tratta di un’espressione proverbiale (cfr. LIVIO 28, 42, 1), che perciò va lasciata nella sua formulazione esclamativa e impersonale. 303. restiterim Ar edd. pi.; ei rest. A L.-K. R. Resisto in Ter. è sempre in forma assoluta. 305-306. È un unico verso in A L ε. L.-K. ne fanno un dim. troc. acat. (unde is-hercle) e un ott. giamb. (neque unde-mei). Seguo la soluzione di JJmpf. e di quasi tutti gli edd., che dividono il v. in un sett. troc. (■unde-quorsum eam) e un quaternario giamb. (ita-mei). -sum oblitus Σ DON. L.-K. Mar.; oblitus sum Ar cett. edd.; prorsum oblitus A. 307. nunc, Parmeno, te ostenderis DON. B. Umpf. Dz. Mar.; nunc te Par.te ostendes A; nunc te Par.ostendes D; Par.n.te ostendes E; n.Par.tu ostendes v; n.Par.te ostendes A2 G C P; n.Par.tu te ostendes Kauer R.; n.Par.tu ostendes te Fleck.; n.Par.ostendes te Lindsay. 312. si codd. L.-K. R.; sive DON. EUGR. B. Mar. Pre.; est Dz.; sic Fleck. Umpf. I codd. attribuiscono il v. a Parmenone. Don. però osserva: si persona Parmenonis est, ‘sive’ abundat... si Chaerea dicit, hic ordo et sensus est: fac si vis nunc, si adeo digna res est, ubi tu n.i.tuos -res[es]t L.-K. Pre. R.

316. iunceas Σ DON. ad An. 941, NON. 493 Fleck. L.-K. Mar. R., iunceam A Umpf. Dz. Pre. Il plurale generalizzante è richiesto da amantur del v. 317. 319. flos ipse A2 Σ PROBUS 213 Umpf. Dz. L.-K. Pre; ipsus Fleck. Mar.; ipsum A Havet (Rev. Philol. XXX 251). -(nunc) hanc] G. Hermann Umpf. Dz. Pre.; hanc (nunc) Mar.; ipsam hanc Fleck. L.-K. R.; hanc codd.

326. Σ attribuisce quid-sceleris a PA(rmenone) e perii a CH(erea), se­ guito da Fleck. e Mar. Non il Bembino e DON., che considerano queste parole la conclusione del discorso di Parmenone (come poi la maggior parte degli edd.). 356. tum] Dopo B. viene espunto da tutti gli edd., tranne Mar., per conservare illumne (illum D C P v Mar.): la scelta della soluzione è difficile, benché sembri preferibile mantenere illumne, metri causa. 362. ac] Espunto da Bothe Fleck. Umpf. Dz. Pre. 370. tu]

om. A Fleck. Umpf. Dz. Pre.

109

380. calidum DON. schol. Bemb. edd.; callidum (calide v) codd. DON. (sed melius ‘callidum’ legitur) Fleck., che però per restituire il metro scrive: vide modo hoc ne nimis sit callidum. Va rilevato che a fronte di 7 occorrenze di callidus in Ter., calidus comparirebbe solo qui. DON. 10 spiega con periculosum, lo schol. Bemb. con improvidum, temerarium; subitum et festinatum C.G.L. V 332, 34. Si tratterebbe di espres­ sione proverbiale: cfr. CIC. off. 1 24, 82; inv. 2, 9, 28. 390. numquam-sequere] Gli edd. attribuiscono queste parole ancora a CH(erea), i codd. a PA(rmenone) (Dz. e Pre. attribuiscono a Parmenone sequere-bene). -defugio A Umpf. Mar. R.; defugiam A2 Σ DON. cett. edd. 11 presente è più coerente con lo stato emotivo del personaggio: segue inoltre ad altri due verbi nello stesso tempo. 425. homo impudens Ar Σ Mar.; homini A edd. pi. Ma legare inquam a homini non sembra possibile (cfr. v. 239): inquam è sempre parentetico (R. K ùhner, II, p. 533); apparente eccezione An. 254 con inquit (ma mihi è molto lontano e può essere spiegato con l’ellissi del verbo). 449. metuit A DON. edd. pi.; metuat G F p2; metuet cett. codd. Mar.. Il riferimento è al presente: spostare con metuet la situazione al futuro significa renderla ininfluente sulla realtà psicologica del miles, che al momento è quello che preoccupa il suo adulatore. Il verbo non va neppure separato da semper. 463. bene poi fecisti Σ DON. Mar.; poi fecisti A edd. pi. È preferibile porre punto dopo hodie con Dz. e Mar.; legare invece hodie ad itura, come fanno gli altri edd., sfiora la contraddizione. 479. sit A Fleck. Umpf. Dz. Pre.; siet cett. codd. edd. 493. post huc D G p Umpf. Dz. Mar. Pre. R.; post A; poste gl. I L.-K ; poste huc Fleck.; postea γ L; postea huc schol. D DON. (legitur et ‘post’, ut sit prò ‘postea’, quomodo ‘post’ prò postremo); post hinc D C cett. edd.

499. cura Palmerius edd.; curre codd. DON. L.-K. R. Negli altri casi in cui ricorre, curre è sempre un ordine rivolto ad uno schiavo fH.ec. 359, 443, 719, Ad. 354). Accettando il tradito curre, la frase ut sint domi parata sarebbe esortativa. Al v. 500 Taide a sua volta dice alla sua schiava fac cures. 502. maneat codd. EUGR. Scrivono redeat per maneat in questo v. B. Fleck. Dz. Pre., che poi son costretti a scrivere maneat per redeat al v. successivo.

no

NOTA CRITICA

511. quid Σ DON. EUGR. edd.: quid rei A Umpf Dz. 529. quid Σ DON. L.-K. Mar. R.; quod A Fleck. Umpf. Dz. Pre. 539. aliquot] aliquod A C Pre.; -coiimus C2 edd. pi.; coimus ceti. codd. DON. EUGR. Mar. 546. hominis A Umpf. Dz. Mar. Pre.; hominist Fleck. L.-K. R.; hominis est Σ DON.; -ornatust edd. nonn.; ornatus est codd.; ornatus E Mar.; omatist schol. v B. Fleck. 553. neminemne] neminem hic D G L F E v p 2C2sY]; neminemne hic Mar. La preoccupazione di Cherea non può essere puntualizzata e cir­ coscritta dalVhic.

559. sis codd. DON. Mar. R.; es schol. D E G v η edd. p i; -satine sanus] satin sanus es (vel sat insanus es) γ DON.; satisne sanus D G; satin sanus A; satine sanu’s edd. L ’omissione della copula conserva il valore di imprecazione alla battuta, che con sanu’s invece si trasforma in una domanda. Non va neppure dimenticato che es manca nel Bembino. 560. Testo con un senso e concordemente tramandato dai codd. DON. EUGR.; ‘sed scansio non constai’, dice il R. Pensano che possa essere un ott. troc. L.-K. Non è il caso di elencare le moltissime soluzioni adottate dagli edd. (Fleck. è giunto persino a fame due versi, con alcune aggiunte). Dz. e Pre. espungono hominis (Dz. aggiunge in fine di v. hominum omnium, Pre. (est quod) dopo quid, per fame un sett. troc.). Umpf. e Mar. pongono crux. 561. nemost quem ego A DON. Umpf Dz. Mar. Pre.; nemost hominum A2Fleck. L.-K. R.; n.omnium Σ; -nunciam A Umpf. Dz. Mar. Pre.; nunc ΑΓΣ DON. L.-K. R. Sia per chi scrive nemost hominum quem ego nunc (L.-K. R.; nemo hominumst Fleck.) sia per chi accetta l’altra soluzione (nemost quem ego nunciam), il v. è un sett. giamb., come i w . 55I_552> 557 (i w . 553-556, 562-590 sono ott. giamb., mentre i w . 558-559 sono ott. troc. e il v. 560 è metricamente incerto). 562. siet codd. Fleck. Mar. R.; sit ceti. edd. Siet è all’interno del v. in fine di battuta con cambio di personaggio. 566. ipsum me] me ipsum γ DON. ad 296 et 564; ipsus me Dz. Fleck.

ΝΟΤΑ CRITICA

III

strativum et gestu explicandum. Non c’è ragione per non preferire la forma riflessiva. 603. satine A Umpf. Mar.; satin cett. codd. edd. 606. simulabar A D G edd.; adsimulabar cett. codd. Mar. Cfr. PLAUT., Miles 152.

624-625. È difficile accettare l’emendamento puere dell’Erasmus (heus inquit puer Pamphilam codd.), accolto da quasi tutti gli edd., non solo perché puer è attestato dai codd. DON. e EUGR., ma perché il vocativo in Ter. è sempre puer (pmere si trova in Plauto, Asin. 382, Pseud. 241). Bentley propose puer i; L .-K , che pur accettano puere, suggeriscono in apparato heus pu.accerse Pam. (om. inquit). Credo che la soluzione vada collegata con quella del v. 625, dove la maggior parte degli edd. espunge col Guyet. Yexclamat concordemente tramandato dai codd. e DON. Potrebbe esser accolta la soluzione del Fleck.: ‘heus, Pamphilam’ inquit ‘puer, arcesse, / ut delectet etc. I versi sono sett. troc. come dal 623 sino al 628. Don. ha: accerse Pamphilam al v. 624 e fa cominciare con ut delectet il v. 625. 651. egon A2 Σ DON. Fleck. L.-K. R.; ego A cett. edd. 655. PY. Perii] Il Mar. attribuisce perii ancora a PH(aedria), contro l’indicazione dei codd. -temulenta es codd. Mar.; temulenta’s cett. edd.; -sint codd. edd.; sient DON. Mar. 656. quod A' p C2 ε Umpf. Dz. L.-K. Pre. R.\ quid cett. codd. Fleck. Mar.; -monstrum A ε DON. e gli edd. che accettano quod; monstri cett. codd. Fleck. Mar. (quid-monstri). Donato: Ordo: quodnam istuc monstrum fuit. 663. sit] siet δ E Mar. 671. mutatio Σ DON. L.-K. Mar. R.; mutatiost A Umpf. Dz. Fleck. Pre. 673. adornarat] ornarat A p2 v L.-K. R.; adomabat D G L p DON. EUGR. (?); adornat E η ε. Anche qui Σ conferma la tendenza (J. N. Grant, Studies, pp. 91-92, 94) a sostituire rispetto ad A il composto al verbo semplice (An. 331 promereat/mereat, Eun. 632 reputo/puto, Ph. 148 exspectatis/spectatis, Ad. 356 adfuisse/fuisse, 510 evomam/vomam).

Pre.; me ipse B.

674. habesne codd. DON. Mar.; haben edd.

572. cum ilio Σ L.-K. Mar. R.; cum eo A cett. edd. Dopo è detto prò ilio, riferito alla stessa persona.

690. emerim DON. B. Mar.; egerim codd. edd. pi. Emerim, che è lectio difficilior, è ripreso (e confermato) dall’emin del v. successivo, e si riferisce al problema che Fedria vuol chiarire, cioè l’identità dell’eu­ nuco acquistato.

591. feci codd. L .-K Mar. R.; secludit Dz.; fecerim B. Pre.; facerem Fleck. 595. la v a m u r] la v a m u s γ G p 2

Fleck. Dz. Pre. D O N . a n n o ta : d em o n -

699. nec-dicier] Mancano in A C P v e sono espunti da B. Fleck. Dz. L.-K. Pre. Espungono anche igitur del v. 700 Dz. Fleck. Pre., formando

II3

NOTA CRITICA

n o t a c r it ic a

un solo v. (non unde i. fratrem meum esse scibas Parmeno, come nei codd. su citati): non viene attribuito a DO(rus), unde-scibas a PH(aedria) e poi Parmeno-hanc nuovamente a DO(rus).

ha molto senso che CH. risponda con un iam adero a TH., se gli in­ giunge omitte. Il timido ed atterrito campagnolo ha fretta di allonta­ narsi e di trarsi d’impaccio: proclama che ritorna subito (iam adero), ma Taide ha bisogno di trattenerlo, perché dovrà dichiarare al miles che Panfila è sua sorella. Perciò non può che ingiungergli due volte

112

703. sobriam esse me Σ EUGR. edd.; me sobriam esse A; sobriam me DON. Mar. Il Bembino tende a porre l’infinito (esse) in posizione finale (Eun. 766, 779, 1038, Hec. 215); cfr. J. N. Grant, Studìes, cit., p. 92.

mane. η%7,. ipsus G L p edd. pi.; ipse A D γ DON. Fleck. Dz. Pre.

706. istuc paullum Mar.·, istuc paululum codd. edd. pi. Paullum evita di espungere nunc, come fanno invece, dopo il Muretus, L.-K. R., o di correggere, con soluzione equivalente, il concorde secondo paululum con Fleck. Dz. Pre. in paulum.

803. ego caput tuum hodie γ (praeter E) DON. L.-K. Mar. R.; caput tibi D L Fleck.; tibi caput A Umpf Dz. Pre.; ego caput h. p ; tibi ego caput tuum h. E.

710. Gli edd. hanno dovuto espungere o nunc (Guyet. Umpf. Dz. L.-K. Pre.) o esse (Fleck. Mar. R.). L’infinito esse può essere una successiva

810. satis A DON. Fleck. Mar.; sat cett. edd.; CH. satis Σ. -ais] Secludunt Umpf. Dz. L.-K. Pre. R.; agis P.

integrazione; ma quel che è più grave è che gli edd. che espungono nunc sono costretti ad emendare il concorde credis in credes. Il che è una vera violenza alla situazione scenica. Si veda anche il v. 711. 711. ni tu credas A2 Σ DON. L.-K. Mar. R.; ne credas A; ni tu credis ceti. edd.

718. technam codd. DON. Mar. R.; techinam cett. edd. cum Ritschl. 721. utrum taceamne an praedicem A γ p DON. R.; utrumne taceam an praedicem D L; utrumne taceam an praedicam G; utrumne taceam an praedicemne L .-K ; utrum taceamne an praedicam Mar.; utrum praedicemne an taceam cett. edd. cum B.

821. quid Ar Σ DON. L.-K. Mar. R.; aut quid A cett. edd. 826. is codd. edd.; id Mar. 832. ovem lupo commisisti codd. (praeter ε) DON. EUGR. ACRON in Hor. C. 1 3, 1 1 Dz. L.-K. Pre. R.; ovem comm.lupo NON. 249; ovem 1.commisti ε Umpf. Mar.; lupo ov. commisisti Fleck. Cfr. n. ad l. 873. et A L.-K. Mar. R.; all’inizio del v. 874 negli altri codd. Lo omette la maggior parte degli edd. 889. TH. Tamen si pater... CH. Ah, quid] Attribuiscono anche Ah, quid a Taide, dopo il B. Fleck. Dz. Pre.

722. scis A D G L p DON. EUGR. edd.; scias γ G2 p2 Kauer Mar. Tu nescis quod scis ritorna in Heaut. 748: è un detto proverbiale, come già osservava Donato.

912. supposuit codd. DON. Mar.; supposivit B. edd. DON.: proprie ‘supposuit’; nam ut subduci dicuntur, quae volumus amittere, ita supponi, quae non desideramus.

726. tu aufer Σ (praeter v) Fleck. L.-K. R.; om. tu A v cett. edd. È stata rilevata più volte l’importanza del deittico: qui si contrappone a ego.

912-913. move vero ocius/te, nutrix Σ L .-K Mar. R.; oro ocius/te mea nutrix A; vero ocius/te mea n. A2; vero te ocius, mea n. DON. te oro ocius/mea n. Fleck. Umpf. Dz. Pre.

733. multo codd. DON. L.-K. Mar. R.; multon Fleck. Umpf. Dz. Pre.; -an codd. pi. edd.; anne δ E F v η ε L.-K. R.

739. a me] om. A L.-K.

928. eam] ea A; eum B. Dz. Pre. (eum et eam Fleck.). Eum sarebbe riferito ad amorem, che è parola abbastanza lontana (al v. 926).

L.-K. Pre.

936. cum amatore suo quom cenant A γ (praeter C E) D2p1 DON. Mar.; om. suo D p Umpf. L.-K. R.; cum am.suo c. E; c.a.vocant L; cum amatores vocum C; dopo il Guy et. espungono il v. B. Dz. Pre.; Fleck. lo riscrive così: quam cum amatore cenam quom ligurriunt.

765. Per l’attribuzione delle battute seguo Σ (praeter G qui CH2 om.) con L.-K. e Mar. Il Bembino ha: CH. Melius est. TH. Omitte. CH. Iam adero. TH. Nihil opus est istis, Chreme, (al posto di mane, a TH. è attribuito omitte, che perciò è tolto a CH.; Ar cancellò tutt’e due le sigle CH.). Al v. precedente TH. già pronuncia un mane; ma soprattutto non

968. an non] ad non A; -dicam huic an non dicam codd.; gli edd. ac­ cettano rinserimento di un altro dicam dopo an non (dicam h.an non dicam? dicam) del B. e Umpf; ma è difficile ammettere la presenza di tre dicam nello stesso v.: perciò L.-K. integrano non ei dicam. Preferi­ sco indicare il guasto.

741. ego] Lo espungono Guy et. B. Fleck. Dz. Pre. 758. atque Σ DON. Dz. Mar. R.; atqui A PRISC. LI 101 Fleck. Umpf.

NOTA CRITICA

NOTA CRITICA

969. subveniam A JJmpf. Dz. Mar. Pre.; subveniat Σ Fleck. L.-K. R. Non si comprende come PY. possa poi esprimere a Parmenone il suo ap­ prezzamento (sapis), se questi dice genericamente che bisogna aiutare Cherea (con subveniat). Del resto la sua battuta comincia con un quid

8. Il Bembino omette i nomi dei consoli. Donato li dà in successione inversa.

II4

igitur faciam miser.

II5

Periocha

5. gnatum fidicinam] gnatam phidicinam A; fidicinam gnatum Fleck.

978. quid est quid D L p L.-K. Mar. R.; quid est quod tu E Fleck.·, quid est quod Umpf. Dz. Pre. ; quid est quid tu (quid est qui tu e) γ D2; quid trepidas A (om. q. est), -salve codd. DON. edd.·, salvae E F Fleck. Umpf. R. DON. annota: ‘salve’ integre, recte, commode. Plautus in Trinumm0 (V 2, 53)··· satin salve? die mihi; -Nunc adverbium est producta E littera. -Sallustius (Hist. I fr. 34 M.) ‘inde ortus sermo percunctantibus utrimque, satin salve, quam grati ducibus suis, quantis familiaribus copiis agerent’. 1010. non possum satis narrare A edd.\ non potest satis narrari δ E Mar.; satis potest narrari γ Fleck.

1017. dixti codd. edd. pi.; dixisti Umpf. Dz. Pre. Cfr. n. al v. 376. 1056. conlubitumst D G L p P DON. EUGR. Fleck. Dz. Pre.; conlubitum Ioviales L.-K.; conlubuit A cett. edd.; collibuit ceti. codd. -effeceris] feceris A L.-K. Pre.; efficeris F; efferis G. 1057. feres ΑΓ Σ Umpf. Mar. R.; auferes A cett. edd. Questa lezione introduce una contraddizione: il donum praemium viene dato.

L.-K.

12. adgnitam] agnitam G E F Umpf. Testo

14. prologum po[tui]sset B. edd. fere omnes; prol.potuisset codd. EUGR. Mar. L ’emendamento del Bentley è necessario, perché negli altri casi in cui prologus compare in Ter. (A n. 5, Heaut. 11, Hec. 9, ) ha sempre la prima sillaba lunga. Mar. ammette che negli ultimi due casi la sillaba debba essere necessariamente lunga; mentre propone per An. 5 iato metrico (nàm/tn pròlogis). Potuisset potrebbe essere nato per assimila­ zione con lacessisset. Sostiene potuisset e la scansione anapestica di prologum L. Ceccarelli, La norma, cit., p. 12. 15. Il v. fu espunto da Guyet. e ritenuto spurio anche da Ihne (Quaest. Ter., p. 15) e Ritschl (Parerg. 55J, n.). Così anche Fleck. Dz. Pre., che annota: offendit maxime diceret prò scriberet. Ma sarebbe sostenibile male scriberet? Se si espunge il v., vien meno la ripresa di haberet con 1’habeat del v. seguente.

1076. possit codd. L.-K. Mar. R.; possint B. cett. edd., per accettare suppeditari di A (poi corretto in suppedìtare, con gli altri codd.). La

17. tractent A Umpf. L.-K. Mar. R.; tractant ΑΓΣ DON. Dz. Fleck. Pre.

variante era nota a Donato: aut prò ‘suppeditari’ aut deest ‘se’, -ad codd. (all’inizio del v. seguente G P e v); lo espungono B. Fleck. Umpf.

21. sibi esse id Σ Umpf. Mar.; id sibi esse A; sibi esse Dz. L.-K. Pre. R.; id sibi DON. EUGR. Fleck.

Dz. Pre.

1086. istoc Σ DON. L.-K. Mar. R.; isto A cett. edd.

IV F ormione Didascalia

1. Romanis Σ edd.; Megalensibus A DON.

78. is A L.-K. Mar. R.; eis (vel his) cett. codd.; eis cett. edd. 98. cognatus A γ edd. pi.; vicinus δ DON. EUGR. L.-K. Mar. Cfr. An. yi, Eun. 148, Ph. 4g6; Hec. 592. La scelta tra le due lezioni è però difficile. 120. ille A edd. pi.; illene ΑΓΣ Mar. L’espressione è esclamativa più che dubitativa. 135. persuasumst A DON. edd. pi.; persuasit Σ L.-K. R. La lezione del Bembino è più coerente con gli altri due verbi che seguono: factumst, ventumst. J. N. Grant, Studies, p. 83, preferisce la lezione dei Callio-

2. L. Postumio-curulibus Σ edd.; Q. Caspione Gn. Servilio coss. A. Donato dà i nomi degli edili curuli in successione inversa.

piani.

3. egere-tota] om. A; agentibus L. [Cassio] Atilio et L. Ambivio DON. Scrivono egit Dz. e Pre., che espungono L. At. Praen.

Mar.

5. imparibus] Serranis L DON.

154. veniat A DON. edd. pi.; venit ΑΓ Σ DON. (legitur et ‘venit’) L.-K. 155. eum Σ L.-K. Mar. R.; om. A DON. cett. edd. Riprende Veius del v. precedente.

NOTA CRITICA

NOTA CRITICA

171. quocum Σ edd. pi.·, quo A Umpf R. La ripresa della preposizione è necessaria.

249. molendum esse in A D G L DON. in lemm. L.-K. R.; molendum usque in DON. in comm. («unde quidam non ‘esse’ sed ‘usque’ legunt») ceti. edd. Alcuni codd. hanno ambedue le varianti (mol.mihi esse usque in L2 C F; mol.m.usque esse v) che diventa molendum mihi est usque in D2P. mol.est mihi in E, mol.mihi esse in p (molendumst in B. Dz.). Non si può ammettere che nell’enumerazione dei castighi riservati allo schiavo (molendum in pistrino, vapulandum, hdbendae compedes, opus ruri faciundum) solo per il primo (molendum) sia indicato che è per sempre (usque; l’avverbio infatti non può essere esteso alle altre cir­ costanze). L’effetto comico è nella pura enunciazione.

ιι6

176. sit A DON. SERV. adAen. X I 669 L.-K. Mar. R.; ius sit F v Guyet. B. Umpf. Fleck.·, eius sit Ar ceti. codd. Dz. Pre. È difficile ammettere che Antifone parli di ius amittendi: può darsi che ius derivi da eius. La specificazione (eius) non sembra appropriata al Prete («magis placeat huius»), i8ia. È ripreso da An. 208. A D L p lo inseriscono dopo il v. 181; altri codd. dopo il v. 182. Il v. non è commentato né da Donato né da Eugrafio. L.-K. lo considera autentico; J. N. Grant, Studies, cit., p. 173, ritiene invece che sia interpolato insieme al v. 182. 183. quid illic A G edd.; quidnam ille Ar Σ DON.; quidnam illic Mar. 194. sanum es DON. (το πλήρες ‘sanusne es’) edd. pi.; sanusne es A D L p; sanus es D2 G γ L.-K.; secludunt Fleck. Dz. 199. me, patruom tuom Ar Σ Fleck. Dz. Mar. Pra.; me et patruom t. A Umpf. L.-K. Pre. R. Patruom tuom è apposizione di huius patrem. Geta dice di aver visto suo (indica Antifone) padre, tuo zio. Non si tratta di due persone diverse. Lo rilevava già Donato: reddit utrique proprium, ut ille qui timebat paucis intellegeret et ille qui erat securus pluribus edoceretur. 217. mane A p C P edd.; mane mane D G L C2 F v DON. Mar. Cfr. FLeaut. 890.

232. ac A D p DON. in comm. edd.; age D2 G L γ DON. in lemm. Mar. R. Donato annota anche: legitur et ‘ac’. Age, come esortativo rivolto a se stesso da Demifone, è difficile da spiegare. 243. Dz. espunge il v.; CIC. Fuse. 3, 14, 30 lo cita in questo modo: pericla damna peregre rediens semper secum cogitet. Il testo fu accolto così da Um pf, contro tutta la trad., che presenta solo oscillazioni gra­ fiche e spostamenti di parole: damna exilia A δ DON.; exsilia damna γ (exitia Fleck.); -rediens] veniens D G L; reveniens p; -cogitet A DON. CIC. edd.; cogites Σ Fleck. 245. com.esse h. fieri posse ut ne q. an.sit n. codd. DON. EUGR. edd. pi. (A omette fieri, poi aggiunto da Joviales); com.esse h. nequid horum numquam accidat an. n. CIC. Tusc. I l i 14, 30 Umpf. Fleck. Nella cita­ zione ciceroniana scompare ut ne, tipico in simili espressioni, in cui l’ut consecutivo, che diventa pleonastico, si sovrappone al costrutto finale (o ottativo indipendente) ne quid a. sit novom. Cfr. An. 699; Heaut. 899; Eun. 942; Ad. 626.

247. incredibilest] incredibile[st] B. Fleck. Dz. L.-K. Pre.

il 7

256. satin Σ DON. edd. pi.; satine A Umpf. Mar. 259. id A DON. edd.; tu id γ D2 G p Mar. 265. quom noris] cum noris A L2B. Dz. L.-K. Pre.; unum cognoris ceti, codd. DON. Fleck. Umpf. Mar. Pra. -noris2] noveris D E. Con cognoris si perde il giuoco di parole noris/noris. Cfr. An. io. 266. noxiast A D 2G p C P E F edd. pi.; noxast (vel noxa est) cett. codd. DON. L .-K ; noxia Mar., metri causa, -defendundam codd. edd.; deferendam D; dicendam Palmer. Dz. Pre. Non c’è ragione per emendare defendundam, che è confermato dall’ad defnoxiam del v. 225, per il quale D presenta la stessa alterazione, deferendam per defend. 284. ibi obstupefecit ΑΓδ B. L.-K. Mar. Pra. R.; ibi stupefeci A; obstupefecit γ; illic obstupefecit Umpf. Dz. Pre.; subito stup. Fleck. 293-294. mitto omnia./Do. edd. pi.; addo A; adde Σ (ad C, ad te G); mitto omnia, ac/do Havet (Rev. Phil. 1901, p. 293) Mar. R. A parte la difficoltà di immaginare un ulteriore monosillabo in fine di v., l’emen­ damento Havet altera la trama stilistica del passo, dove tutti i verbi sono in asindeto. 296. necesse codd. (praeter C P) edd. pi.; necessum C P L.-K. Mar. R. Non vi sono altri casi di attestazione certa di necessum (Kùhner, 2. I, 669). 309. huc adduce Dz. L.-K. Pre. R.; huc adduc A Fleck. Umpf. Pra.; adduce huc Σ DON.; adduc huc Mar. 310. illue] ilio DON. Mar.; -at A D2 L2 γ Mar. R.; om. D G L cett. edd. 312. aliquos A C L.-K. Mar.; aliquot cett. codd. DON. cett. edd. 315. adventum A δ EUGR. edd. pi.; conspectum γ DON. Mar. Con adv. si conserva l’allitterazione con admodum. 324. o v.fortis atque amicus codd. DON. Mar. Pra. R.; forti’s Fleck. L .-K ; amicu’s Umpf. Dz. Pre. Con l’introduzione della copula si toglie il valore esclamativo alla frase (Pre. pone perciò virgola dopo 0).

ιι8

NOTA CRITICA

NOTA CRITICA

328. Il Pre. non spiega perché espunge questo v. insieme a Fleck. e Dz.

malum esse et incommodum sibi, sed tantum magni terroris plenum adventum patrui? Del resto, salvom venire è formulare; cfr. Heaut. 407; Eun. 976; Ph. 255, 286, 610; Hec. 353; Ad. 80. Per J. N. Grant, Studies, cit., pp. 89-90, invece, venire è corruttela di videre.

SS0^ 1· tenditur codd. DON. EUGR. Mar. R.; tennitur DON. (legitur et ‘tennitur’: habet enim N littera cum D communionem) ceti, edd., che perciò correggono anche il concorde tenditur del v. 331. 356. Espunge il v., col B., la maggior parte degli edd. Lo conservano L.-K. Mar. Pra. R. L ’informazione contenuta in esso serve a testi­ moniare che la ragazza non ha mai sentito parlare del suo parente Stilfone. 368. i in A Umpf. Dz. Pre.·, i’ in Mar. R.: in’ L.-K.·, i’n Pra. (inspiega­ bilmente Dz. Fleck. Pre. espungono ut). 373. ain tandem codd. DON. L.-K. Mar. Pra. R.; ain tamen B. cett. edd. In proposizione interrogativa si ha tandem. 388. noris Σ DON. PS.-ASCON. in Cic. Verr. I I 1,10 5 Mar. R.; nosses A cett. edd. Negli altri innumerevoli casi in cui compare quasi compara­ tivo-ipotetico in Terenzio, è sempre accompagnato dall’indicativo o dal cong. presente. 406. adipiscier codd. L.-K. Mar. Pra. R.; apiscier B. cett. edd. Il verbo è sempre concordemente attestato sia al v. 412 (dove però, costretti dal metro, gli stessi edd. devono scrivere adipiscar), sia in An. 332, dove, trovandosi ancora in fine di v. - questa volta sett. troc. -, qualche editore l’ha emendato in apiscier. 423. ducendi L p DON. L.-K. Pre. Pra. R.; ducenda A; ducendum D; ad ducendum cett. codd. Fleck. Umpf. Dz.·, ducendae Hauler Mar. 430. feras Σ DON. EUGR. Mar. R.; feres A; fers Faernus cett. edd. 444. hac Σ L.-K. Mar. Pra. R.; ea A cett. edd. La lezione di Σ è prefe­ ribile, perché il riferimento è a cosa immediata. 451. aequomst et bonum A edd.·, aequom esse et bonum δ DON. Mar.·, aeq. ac b. est γ {praeter F); aeq. et b.est F. 458. HE. numquid n.v. γ D L2 p Dz. Mar. Pre.·, CRA. n.n.v. A cett. edd. Egione ha parlato per primo: è verosimile che ponga lui la domanda di congedo. 476. Il primo in è omesso in C P E v, il secondo in A (così fanno Umpf. Dz. Pre.). La preposizione va iterata come al v. 171. 479. dixi A δ Fleck. Dz. Mar. Pre. Pra.·, dico Ar γ cett. edd. 482. metus est codd. L.-K. Mar. Pra. R.; metuist Fleck. cett. edd. -venire Σ Mar.·, videre A edd. pi. Venire è confermato da Donato: non optat salvum patruum venire secundum Apollodorum, et ostendit non congruere salutem eius cum commodo suo. Poi aggiunge: an non dicit

119

491. GE. idem e.v. codd. edd. pi.·, anticipano l’intervento di GE(ta) da suo suat capitiB. L.-K. Pre. Pra.·, il Fleck. sopprime la sigla e riscrive il v.: metuo lenonem nequid huius consuat capiti, Geta. E più corretto attribuire l’imprecazione suo suat capiti - dopo una sospensione - an­ cora ad Antifone, come suggeriscono i codd., pensando che essa so­ pravvenga come un sussulto nella sua battuta, piuttosto che nella ri­ sposta dello schiavo. 494. somnia A Fleck. Umpf. Dz. Pre. ; somnium Σ cett. edd. 499-500. Phaedria/ut γ D G Umpf. Dz. Pre.·, Phaedria ut/me Mar. R.; Ph./me ut L p L.-K. Pra.·, Ph. sine modo ut me A; sine modo/ut Fleck. -me et meam γ edd. pi.·, et meam A δ L.-K. Mar. Pra. R. 501. veris codd. DON. Umpf. L.-K. Mar. Pra.·, verbis Gz cett. edd. (lectio facilior).

505. tibi] Tranne che da Mar. e Pra., è espunto da tutti gli edd. (Pre. non lo indica neppure nel testo). Al v. 73 si ha mihi usus venit. 511. suo Σ DON. (belle ‘suo’ quasi de tertia persona) edd. pi.·, meo A Fleck. Umpf. Dz.

515. obtundis A Umpf. Pre.·, optunde Σ (praeter G) cett. edd.·, obtundes G. L ’imperativo non ha senso. -Dorio] Secludunt Fleck. Umpf. Dz. Pre. 516. hic A δ edd.·, hoc γ D2 L.-K. 519. PH. A edd.·, GE. γ G L p D2Dz. Pre. 524. istud A Umpf. Mar. Pra.·, istuc Σ cett. edd. 526. stercilinum C Umpf. Mar.·, stercilinium A D G p C2 P2 E F v; sterculinum L P edd. pi. 528. sic A edd.·, sicin Σ L.-K. R. -decipis codd. edd. pi.·, decipi D2 Umpf. Mar.·, decipis tu Fleck. 537. adiuuerit codd. DON. Mar. R.; adiuerit F (prior manus) cett. edd.·, adiurit B. Donato annota: secundum V pronuntiari (non) debet. La forma è sempre attestata come per questo v. 561. ΑΝ. Σ edd.; PH. A L.-K. -ecferet EUGR. edd. pi.; feret A; hic feret Jov.; et feret (efferet p) Σ; ei feret Mar. 573. a u d ie ra s A δ

Fleck. Dz. Pre. R.; a u d iv e r a s γ cett. edd.

12 0

NOTA CRITICA

577. audisti A edd. p i; audistin Σ EUGR. Fleck. L.-K. 589. umquam A γ Mar.; usquam L p; usque ceti. codd. PRISC. I 314; Π 231 ceti. edd. -adeo] ego γ. 597-598. se Ar C P L E P v EUGR. Mar.; sese D* G p F; ipse Pre. Pra. R.; esse Lachmann edd. pi., che perciò son costretti ad emendare al v. 598 il concorde esse dei codd. ed EUGR. in sese ({se) esse Pre. Pra. R.).

n o t a c r it ic a

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A, di cui seguo il testo con Umpf. Dz. Mar.). L.-K. e R. accettano oppositust pignori ob/decem minas inquit γ; minas est inquit S; decem ob minas est Fleck.; ob d.minas est [inquit]. DE. (Em)... Age Pre. Inquit è un’evidente interpolazione: non si può sconvolgere il testo per conservarlo. 664. petito hasce codd. EUGR. Mar. R.; repetito h. Fleck. Dz. L.-K. Pre.; petito (tu) h. Havet Pra.; petito illasce B. Umpf.

609. hosce] Lo espungono B. Fleck. Dz. Pre. per conservare 1’o salve di A (salve 0 Fleck.), evidentemente ripreso dall’o noster Chreme.

668. proinde A; perinde ΑΓΣ L.-K.

618. CH1. qui Phormio? GE. Is qui i.] Σ Umpf Mar. R.; DE. prò GE. A celi. edd. In questa fase Demifone non interviene nel dialogo tra Geta e Cherea.

689. Due manoscritti (E F2) hanno in margine il seguente v.: huic mandes qui te ad scopulum e tranquillo auferat, accolto da Umpf. Fleck. Dz. Pre. Pra. Gli altri codici concordemente trasmettono: huic mandes quod quidem recte curatum velis, identico ad Ad. 372 (h.m. siquid r.cur.

630. pono A edd.; pone Σ EUGR. L.-K.

velis).

631. eius codd. L.-K.; ei B. edd.

715. quoi edd.; quom L.-K. Pra. R.; cum A γ; cui δ Umpf. -cautust A Fleck. L.-K. R.; cautus F M ar. Pra.; cautus est cett. codd. edd. -opust] est opus γ Fleck. Mar. Pra.

633. hic inquam A edd.; inquam hic Σ Mar. Pra.; -die quid Σ Fleck. Dz. Mar. Pra.; quid A cett. edd. 643. quantum lubuit CH. Die L.-K. Mar. R. (qui libuit scribunt); quantum licuit. CH. Die A; q.libuit. DE. Die Σ. Libuit è anche in EUGR. e DON., che ci conserva notizia di una diversa soluzione nell’attribu­ zione delle battute negli esemplari di cui disponeva: apud quosdam diversae personae cum verbis singulis (cfr. ARRUNT. CELS. apud CHAR. 207: ‘nimium quantum’ Terentius in Phormione; ubi Celsus ‘prò nimium, ut immane quantum, incredibile quantum, licet quidam sic legant’ inquit ‘ut nimium servus dicat, quantum vero senex; sed sequentia non intellegunt’.). La maggior parte degli edd. accoglie in­ vece la soluzione del Palmerius, che consiste nell’espungere il verbo (lubuit), facendo terminare con quantum la battuta di GE., e nell’introdurre un secondo quantum da attribuire a CH. (cioè: GE. Quid? nimium quantum flubuit]. CH. (Quantum?) die. GE. S i quis darei). Supporre un’aplografia di quantum è anche possibile, soprattutto in

alternanza di personaggio; ma questo non spiega perché al suo posto compaia il concorde libuit - confermato dal licuit di A -, necessario per il senso. Sull’importanza attribuita a licuit/libuit da Jachmann e Pasquali per la datazione dell’archetipo, cfr. J. N. Grant, Studies, cit., pp. 9-10.

718. non A v edd. pi.; num cett. codd. Mar. Scenicamente non è vero­ simile che Geta risponda con una domanda: si dovrebbe pensare che abbia bisogno di scusarsi. 722. nihil Σ EUGR. edd. pi.; non A Umpf. Dz. Pre. 724. sat P C F E v L.-K. Mar. Pra.; satis A cett. edd. Ma il v., così come è tramandato da questi codd., è metricamente insostenibile (J. N. Grant, Studies, cit., pp. 173-174): perciò con satis gli edd. accolgono lo spostamento operato dal Guyetus (id si non; si non id codd.). 726. convenit A edd.; congruet γ Mar.; congruit δ Fleck. Congruit sem­ bra glossa di convenit. Donato ad Ad. 59 dice: NON CONVENIUNT nova locutio... prò non congruunt. Si può aggiungere che convenire di An. 366 è glossato con congruere (C.G.L. V, 531, 51). 728. quoi L.-K. Mar. Pra. R.; cui Σ; quo A cett. edd. 737. adeo maneo A edd.; adeon an maneo Σ Jov.; adeo an maneo Fleck. 747. em γ edd. pi.; om. A δ Umpf. Dz. Pre. 748-749. exis/ubi A D G edd. p i; exis aut/ubi γ D2 p; exis/aut ubi Mar.

650. iam Σ EUGR. Mar. Pra. R.; lo omette la maggior parte degli edd. con A.

753. isti ipsi codd. pi. Umpf. Mar. R.; ipsi isti G; isti inquam ipsi F v; istic ipsi Fleck. cett. edd.

661-662. Ob è all’inizio del v. 662 in A (opp.pignorisiob d.minas, poi corretto dal corr. ree. pignorisi insieme alla cancellazione di una parola dopo minas, di cui non si legge bene il testo in rasura: si è supposto che fosse un est; alcuni edd. informano non esattamente sulla situazione di

754. Il Mar. non segnala né spiega perché sposta quid alla fine del v. precedente. 759. atque γ D L Fleck. Mar. Pra.; et A p cett. edd. -conlocatam

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NOTA CRITICA

NOTA CRITICA

(gnatam)] L ’integrazione del Faernus è accolta da quasi tutti gli edd.; conlocatam amare A (non amari, come scrive L.-K . ); c.filiam Σ PRISC. I 574 > filiam locatam B. Fleck. Gnatus o guata son parole che non risultano mai alterate o omesse nella tradizione: questo lascia qualche riserva sulla integrazione del Faernus, insieme alla difficoltà di spie­ gare la genesi di amare del Bembino (con amare o amari, secondo il testo di L.-K., conlocatam rimarrebbe senza sostantivo).

tradizione non è concorde e ut ut è attestato solo da C). È interessante quanto Donato annota ad Ad. 630: ‘ut’ enim certam qualitatem significat, ‘utut’ incertam, quasi dicat: quoquo modo, male bene.

761. hic solus DON. in comm. Fleck. Dz. Pre. R.; haec sola Σ DON. in lemm.; s.h. EUGR.; solus A cett. edd. Il deittico è necessario. Donato osservava: si ‘hic’ legerimus, Antiphonem intellegemus, si ‘haec’, Sophronam. 765. ex Σ Fleck. Umpf. Mar. Pra. R.; e A cett. edd. -audieri's] Ho accolto con molte riserve l’emendamento del Weise, seguito da Fleck. Dz. Pre. Pra. (audies codd.). Il verbo è necessario, perché è formulare e perché se si espunge audies, come fanno L.-K. Mar. e R., la frase rimane sospesa (intus cetera) ed il v. diviene un senario giambico, all’interno di una lunga serie di sett. giambici. Audietis ha il vantaggio di far ritor­ nare un sett. giamb.: lo stesso metro si recupera con audiemus del B. e Fleck. 783. eius codd. edd. pi. ; huius Both. Fleck. Dz. Pre. ; senis Palmerius. Con h. ci si riferirebbe a Nausistrata, mentre eius rinvia a Formione. 790. em Jov. Mar. Pra. R.; om. A F v edd. pi.·, hem cett. codd. -binam A L F edd. pi.·, bina cett. codd. edd. 791. duo talenta Σ edd. pi.·, t. bina A Fleck. Umpf. Dz. Bina è ripreso dai w . precedenti. 792. natum vellem edd. pi.·, natam vellem Σ Jov. L.-K. Pra. R.; natuuellem A. 795. ex tej abs te Dz. Mar. Pra. Exeo è sempre costruito con a (Heaut. 510, Eun. 545, Ph. 484). 806. hoc siet A D L p F Y L.-K. Mar. Pra. R.; hoc est C P D2 E; omettono hoc gli altri edd. 810. parvam A D L p F v edd. pi.·, parum C P E F2; parvom Mar. -vin A L p F v edd. pi.·, vis D C P E Mar. -credere A edd. pi.·, hoc credere Σ Mar.

818. potuit A edd. pi.·, id potuit Σ Fleck. Mar. Cfr. An. 327. Più frequen­ te è la forma assoluta ed impersonale (Heaut. 677, Ph. 478, 6J4, Ad. 568).

820. utut D p C E edd. pi.·, ut A L P F Umpf. Dz. Pre.·, utcumque v.; cfr. v · 468, 53 L Heaut. 200, Ad. 248, 630 (diverso è Heaut. 8yo, dove la

12 3

827-828. Ut alla fine del v. 827 codd. pi. L.-K. Mar. Pra. R.; all’inizio del v. 828 A D L P F Fleck. Dz. Pre. (che espungono però tutto il v.); espungono solo ut B. Umpf. -suadeat A 8 edd. pi.; iubeat γ D2 L2L.-K. Mar. Pra. R. La stessa opposizione di varianti in Heaut. j86. 863. reprehendit A Mar. Pra. R.; reprendit L.-K. Pre.; adprehendit ΑΓΣ Umpf; prendit Dz. Fleck. 877. AN. A edd.; PH. Σ. -ego A edd. pi.; hercle ego Σ DON. Mar. Pra. 882. o mi Jov. Σ edd.; heus A L.-K. 901-902. verebamini A edd. pi.; an verebamini 5; an veremini γ D2 B.; an rebamini Dz. Fleck. Pre. -ne non id facerem codd. edd.; son costretti ad emendare me non id facere Dz. Fleck. Pre. (dopo an rebamini). 905. Lo colloca prima del v. 894 Both., prima del v. 896 Fleck. Dz. -DE. A Umpf. Mar. R.; CH. Σ cett. edd. Naturalmente, anche l’attribuzione di oppido è inversa: a CH. in A, a DE. in Σ. -uti edd.; ut codd. 906. idque ad vos v. 8 L.-K. Pra. R.; idque adeo v. ad vos A; itaque ad vos v. γ; idque adeo v. cett. edd. 913. nunc viduam extrudi Σ edd. pi.; eam nunc extrudi A Umpf. L.-K. R.

936-937· Per conservare dopo in ius ambula, un nuovo in ius? En. attribuito a PH., come nei codd., Mar. e Pra. lo distribuiscono su due versi (in v. 936/ius v. 937): ciò li costringe ad espungere il concorde e necessario esse di v. 937. Per l’espunzione del secondo in ius un qual­ che sostegno può essere trovato in Donato, che sembra far cominciare la battuta di Formione da enimvero·. ENIMVERO principium aliquid per iracundiam dicturi. 949. sententia codd. edd. pi.; inconstantia Fleck. Umpf. Dz. 958. peccatum tuom codd. L.-K. R.; tuom p. cett. edd. per evitare iato; peccatum (tu) t. Mar. Pra. 976. Fleck. Dz. Pre. e Pra. espungono il v. perché è uguale a PLAUT., Most. 655. Ma si tratta di un’espressione formulare. Cfr. w . 123, 519. 986. Riferisco inpurum ad os, con la maggior parte degli edd.; pongono punto esclamativo dopo opprime Umpf. Mar. R. Prima di inp. pone la sigla DE. Σ. Staccato da os opprime, inpurum dev’essere inteso come agg. sostantivato.

NOTA CRITICA

NOTA CRITICA

989. exculpe A edd. pi.·, exclude Σ L.-K. P r a excludito PRISC. I I g8; exlide Fleck.

MENANORV FACTA EST V: ACTA PRIMO SINE PROLOGO DATA SECVNDO: CN. OCTAVIO TITO MANLIO COS.: RELATA EST LVCIO AEMILIO PAVLO: LVDIS FVNERA LIBVS NON EST PLACITA: TERTIO RELATA EST Q. FVLVIO: LVC. MAR­ CIO AEDILIBVS CVRVLIBVS EGIT: LVC. AMBTVIVS LVC. SERGIVS TVRPIO PLACVIT.

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993. credwas] È l’emendamento ancora insostituibile del Faernus, se­ guito da tutti gli edd. (credas codd.). 1002. narras Σ L.-K. Mar. R dices A ceti. edd. Al v. precedente vi è tibi narret, che dev’essere ripreso nella battuta di risposta. 1015. qui Ar L.-K. Mar. Pre. Pra.·, quin A v Fleck. Umpf. Dz. R .; quae Σ ceti. edd.

1028. sum mactatum DON. (‘sum’ modo prò eo quod est ‘eum’; sic frequenter veteres) L.-K. Mar. Pra. R.; sit mactatus A D L Fleck. Dz. Pre.·, eum m. D2 L2 p γ Umpf.

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Didascalia secondo Σ:

incipit hecyra : acta lvdis romanis sex . iv l . CAES. CN. CORNELIO AEDILIBVS CVRV LIBVS: NON EST PERACTA: MODOS FECIT FLACCVS CLAVDI TIBIIS PARILIBVS TOTA[M]: CN. OCTAVIO T. MAN­ LIO. COS. RELATA EST ITERVM L. AEMILIO PAVLO LVDIS FVNEBRIBVS: RELATA EST TERTIO Q. FVLVIO L. MARTIO AEDIL. CVRVL.

1029. Prima di questo v. pongono lacuna Fleck. Dz. Pre.

Questo è invece il testo di Donato: acta sane est ludis Megalensibus S. Iulio C. Rabirio aedilibus curulibus egitque L. Ambivius. modulatus est eam Flaccus Claudi tibiis paribus. tota Graeca est, facta et edita quinto loco Cn. Octavio T. Manlio consulibus.

1040. adeo C P v L.-K. Mar. Pra.; adeon cett. codd. edd.

Le discordanze più rilevanti tra i tre testi sono:

1047. satin tibi est. PH. immo codd. pi. edd.; satis t.est. PH. immo C P η; satis tibi(n)e. PH. immo L.-K. Pra. R.; satin t. est id. CH. immo Mar.; satin t.e. PH. satis immo Krause Umpf; satin tibist. DE. ita. CH. immo Dz. Pre.; satin tibist. DE. satis. CH. immo Fleck. Non sembra fondato modificare la sigla PH. dei codd. ed ancor meno introdurre altri personaggi nel dialogo, come fanno Dz. Fleck. Pre. Nausistrata sta parlando con Formione: è verosimile che egli pronunci la battuta im­ mo etc. in risposta. Immaginare che intervenga CH(remete) obbliga a ritenere che la battuta venga pronunciata ‘tra sé’, interrompendo una situazione comica di epilogo in cui la risoluzione è come rinfacciata al personaggio soccombente. Del resto Nausistrata si rivolge subito dopo ancora a Formione: ciò rende verosimile che anche la risposta che precede sia pronunciata da questo personaggio.

i. Megalensibus] Romanis Σ (Megalensibus C); om. P D p.

1054. PH. A Umpf. Mar. Pra.; DE. Σ cett. edd. L ’indicazione del Bembino è più verosimile, perché coerente: qui parla solo Nausistrata e PH(ormio).V

V La

suocera

Didascalia

Date le notevoli differenze è utile riportare le Didascalie secondo il testo di A e Σ. Didascalia secondo A: incipit T erenti h ecyra : acta lvdis mega - len SIBVS SEXTO IVLIO CAESARE: CN. CORNELIO DOLABELLA AEDILIBVS CVRVLIBVS: MODOS FLACCVS FLACCVS CLAVDI TIBIS PARIBVS: TOTA GRAF.CA

6. ApollodoruJ Menandru A. 8. acta-secundo secludunt Dz. Pre. R. Acta primo sine prologo Fleck. Mar.

12. funebribus] funeralibus A. Periocha

5. dein profectus] prof, dein Fleck. Dz. Pre.; deinde p. E. -in] om. Umpf. 6. utero] vitio Fleck. Pre.; ut eo ex vitio Dz.; -ne id sciat socrus Σ edd. pi.; comperit A Dz.; postquam comperit Fleck. Testo

1-2. Hecyra est codd. DON. ARUS. 494 SERV. in Aen. I 267 PRISC. de metr. Ter. 423 edd. pi.; Hecyrae est B.; Hecyraest Fleck. Dz. Pre. -haec cum datast/nova codd. DON. edd. pi.; haec cum data/novast Mar.; He­ cyra quom datast/nova ei Dz.; haec nova quom datast/novae Fleck.; haec quom datast/nova ei B. Pre. 7. iterum possit codd. pi. edd.; i.posset v DON. Fleck. Dz. Pre.; posset i. p. Dopo questo v. W. Bine, seguito da quasi tutti gli edd. (tranne L.-K. Mar. R.), pose lacuna, pensando che l’argomentare di Ter. rimanga sospeso. Dz., seguito dal Pre., pensò di riempire la lacuna trasferendo qui i w . 7-10 del prologo deìYHeaut. Ma anche in questo modo l’esor­ tazione del v. 8 interviene bruscamente.

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NOTA CRITICA

NOTA CRITICA

22 remotum] remmotum DON. (geminavit secundum antiquos, qui oranes in verbis liquidas duplicabant) Pra.

è la situazione per gli infiniti passivi con desinenza arcaica (deludier; claudier etc.), che compaiono solo in fine di v., metri causa. La scansione in sinizesi di perduint permette di considerare il v. un senario, come i versi che precedono (1-133) e seguono (135-197); L.-K. invece, che scrivono istoc (con D p PSEUD.-ACRON. in Hor. sat. L 7, 6), 10 rendono immetodicamente un sett. troc. Cfr. L. Ceccarelli, La norma, cit., p. 132, 7.

I 2Ó

23. Fleck. espunge immotivatamente questo v. 34. Il v. è anche citato da PORPH. in Hor. sat. I io , 28. Ritenuto spurio da Grautoff (Turp. com. rei. 1853). Lo espungono Dz. e Fleck. 49-51. Gli stessi w . in Heaut. 48-50. La maggior parte degli edd. li conserva in questa commedia; Dz. invece pensa che essi stiano al loro posto nell’Heaut. -statui pretium A Umpf Mar. R. Pra.; p.statui Σ cett.

163. Il v., che pur è concordemente tramandato ed è commentato da Donato ed Eugrafio, è espunto, dopo Guyetus, da Dz. e Pre.

edd.

167. animus] animi Dz. Pre.; animo Fleck.

58. paucos codd. DON. in lemm. edd.; paucis DON. in comm. (quidam non ‘paucos’, sed ‘paucis’ legunt; sic enim Apollodorus όλίγαις έραστής γέγον’ έταίραισιν, Σύρα, βέβαιος) Mar. Così l’aggettivo si riferi­ rebbe a meretricibus, come nell’originale greco.

174. relinquit A D p F DON. edd. pi.; reliquit cett. codd. DON. in comm. (legitur et ‘reliquit’) L.-K. Pra. È più verosimile il presente come extrudit del v. 173.

64. misereat Σ (mis.te A2 P2 schol. C) DON. edd. pi.; misereas A Umpf. Mar. R. Nei 13 casi in cui il verbo è attestato in Ter. non è mai co­

104.

struito personalmente. 97. negoti A P Mar.; negoti est (negotist) cett. codd. DON. edd. -quae Σ DON. L.-K. Mar. Pra. R.; quod A cett. edd. Quod potrebbe essere stato introdotto per normalizzare la sintassi (J. N. G rant, Studies, cit., p. 49). 104. DON.: incerta distinctio, utrum ‘prolato hoc’ an ‘hoc percontarier’. Interpungono dopo hoc Fleck. L.-K. Pra. R.; fanno dipendere hoc da pere, gli altri edd. Opus est è costruito col part. peri, passivo (come al v. 431, 865-866, e An. 490, 523, 715, 728; Heaut. 80; Ph. 584, 716, 1003; Ad. 342, 601) in luogo dell’astratto. Hoc può essere ablativo o acc. (cfr. Ph. 762, Ad. 996). Separando hoc da pere., l’invito diventa più perentorio e meno circoscritto. 119. praesidium codd. pi. DON. edd.; praesidiam A; praesidia D p Mar. Quest’ultima variante è del tutto insostenibile, perché D ha modificato ulteriormente il testo (praesidia senectutis, contro il concorde praesi­ dium senectuti di tutti gli altri codd.). Praesidium senectuti è formulare.13 4 134. perduint codd. pi. L.-K. Mar. Pra. R.; perdent p2 F v; faxint B. Fleck. Umpf.; perdant Dz. Pre. Questa forma di ottativo è sopravvissu­ ta in formula di esecrazione (ritorna al v. 441, ed in Heaut. 811, Ph. 123, sempre in fine di v., come duini in An. 666, Ph. 519, 976, 1005). Il fatto che qui non compaia nella sede metricamente più comoda non è ra­ gione sufficiente per emendare la concorde lez. dei codd. Lo stesso problema si è posto per le altre forme di originario ottativo presenti in Ter. (siem, sies, siet, sient etc.), che compaiono normalmente in fine di v., ma negli ottonari giamb. anche davanti alla dieresi. Diversa infine

177. primos A edd. pi.; primo A ' D p L .-K ; primum γ D L p2 PRISC. I 201. Il v. è espunto da B. Dz. Pre. (Dz. dice: «hunc v. a sensu et a numeris mancum, quo antecedente sententia v. 202 vel debilitatur... si genuinus est, post v. 202 transponi debet»). Umpf. lo riteneva guasto, ipotizzando poi un’insostenibile iterazione di oderunt (cfr. W. L indsay, «Class. Quart. » XIX, 1925, p. 29), accettata dal Pra., per il quale perciò 11 v. non è più un senario giambico (il Pra. non dà un indice dei metri). Il v. può essere un senario, perché all’interno di una scena in cui si alternano ott. giambici (198-200, 202-204, 207 sgg.) e senari g. (205206). Non va trascurato il fatto che il v. è commentato da Donato ed Eugrafio, che lo cita per intero. 203-204. et] om. A edd. pi. et ei Σ DON. all’inizio del v. seguente; trasferiscono et alla fine del v. 203 L.-K. Mar. R. Pra. Per il senso non è necessario. 205-206. LA. Hem codd. edd.; lo trasferisce all’inizio del v. 206 Mar.; hem tu nescias Fleck., che poi espunge tu nescis del v. 206 che diviene: SO. Non edepol scio quid me velis, ita me di bene ament, mi L.; Dz. scrive nescio al posto di non, perciò l’inizio del v. 206 diventa: Tu nescis? SO. Nescio. -ita me di ament\ ita me di bene ament Dz G p F v Fleck. Umpf. L.-K. Pra. R. Donato ha due volte di a. ed una volta di bene a. La formula più semplice è preferibile. 208. LA. scio. codd. edd. pi.; attribuiscono scio ancora a SO. Guy et. B. Dz. Fleck. Mar. Ciò consente di far cominciare la battuta di LA. con la ripresa delle parole più significative di quella di SO., te inmerito. La soluzione del Guyetus non è senza fondamento. 260. magnificare codd. pi. edd.; magni tacere Ar D2 L p C P F2 Fleck. L.-K. Pra. R. Si tratta di una banalizzazione.

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NOTA CRITICA

NOTA CRITICA

262. huc redeat γ D2 L DON. Fleck. Mar.·, redeat A p2ARUS. 308L.-K. Pre.; ut redeat A1 D G p Umpf Dz. L’endittico sembra necessario.

392. conscius codd. DON. Umpf. Mar.; consciu’s cett. edd.; conscius es EUGR.

281. ego plura A ' D G p F v DON. bis EUGR. edd. pi.·, plura ego C P L E η π; plura A DON. semel Umpf. L.-K. -esse] Lo omettono Dz. Fleck. Pre., con spostamento di parole {ex amore acerba credo).

393-394. Li espungono Dz. Pre. Pra. Si veda la nota ad l. -aiunt] ait Fleck.; -concubuisse A edd.; concubuisse eam Σ DON.; -tum postquam] primum quam Fleck.; -agitur hic iam] iam h.ag. A; hic ag.iam E.

283. quoi] Nei codd. (cui) è all’inizio del v. seguente; lo spostò alla fine di questo v. Fleck. emendandolo in hui, seguito dalla maggior parte degli edd. (ah B.). Conservano cui con lo spostamento Mar. Pra. R.

406. bona codd. DON. in lemm. PS. ACRON. in Hor. carm. 1 3 4 ,14 edd. p i; data DON. (legitur et ‘data’, nam et sic prò ‘bona’ intellegitur necessario) L.-K. Mar. Pra.

286-287. Fleck. espungeva questi versi per i quali Donato ci ha conser­ vato il corrispondente passo dell’originale greco; vedi n. ad l.

408. idem codd. pi. DON. in lemm. edd.; item C P Bothe Fleck. R.; idem 0 eidem DON. in comm. (legitur ‘idem’ et ‘eidem’; (si ‘idem’ ), ego, si ‘eidem’, hoc est amori), -huic] nunc huic codd. (nunc huc Ar C). La maggior parte degli edd. espunge nunc ed emenda huic in hunc (huc L.-K. Pra.); huic nunc Mar. La soluzione da me seguita - e che si limita all’espunzione di nunc - fu già adottata dal Bothe e Umpf

289. haec edd.·, hae codd. Fleck. Cfr. n. ad An. 328. 306. haud codd. DON. edd. pi.·, aut B. Fleck. Dz. -parvom A C P edd.·, paruum est cett. codd. DON.; parum Ar L.-K. Mar. Pra. R. pongono due punti prima di parvom. Fleck. scrive: aut quidem, ere, parvom. 307. Così il v. fu rifatto dal B. : non maxumae, quae max. sunt int. trae, iniuriae; diversamente Fleck. (non max. eas, quae max. int. irae, iniuriaé) e Dz. (non maxumae sunt maximas quae int. iras iniuriae). 313. concivisse L.-K. Mar. Pre. Pra. R.; concivisse ere B. Fleck. Umpf. Dz.·, concluserit A; concivisset Ar; conciverit Σ; conscivisse DON. (legitur et ‘conscivisse’); consciverit DON. in lemm. 320. profecto] prospecto A Umpf-, -celas A D p edd. pi.·, celant γ D2 L p2 EUGR. L.-K. Pra. Con celant la battuta assume il tono di una con­ fidenza allo schiavo, non un rimprovero. 332. introisse codd. L.-K. Pra. R.; intro ivisse Umpf-, intro iisse EUGR. cett. edd.·, introire DON. 360. veniant A edd.·, redeant Σ DON. La stessa razionalizzazione in Ad.

378· 363. perspexi codd. EUGR. edd.; prospexi DON.; -his codd. pi. DON. EUGR. Umpf. Mar. Pra.·, hisce D p cett. edd.·, -accepi Σ edd. pi.; percepì A Fleck. Dz. La lezione di A può essere dovuta ad assimilazione col perspexi che precede.

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430. nunc] Espunto dal Guyetus e poi da tutti gli edd. -et quidem codd. edd.; equidem DON. in priore lemmate. 450. his codd. pi. Umpf Mar.; hisce γ D2 L cett. edd. La stessa opposi­ zione al v. 363. 452. quam causam ΑΓ Σ edd. p i; causam quam A L.-K. Mar. Pra. R.; causae quid Fleck. 455. LA. γ D edd. pi.; PH. cett. codd. Umpf. Mar. È più corretto attri­ buire la battuta a LA., perché è il personaggio che si fa la domanda (v. 453). -hoc] hic D p F v (lo omette C) Fleck.; -agebam] aiebam D2 E. 457. atque adeo id quod A edd. (id secl. Dz. Pre.); et adeo quod Σ DON. 462. huc plus una hac B. edd.; huc plus una Σ Umpf. Mar.; plus una A; plus hac una Ar. 478. quoi] cui codd. DON. Mar. R.; quae Ar Bothe cett. edd., che però son costretti a correggere ancora col B. in eiusque il concorde cuiusque dei codd.

479. potest codd. edd. pi.; potis est DON.; potis B. Fleck. Umpf Mar.

quae te hodie obtulit.

485. inpulsus A D L p E2 F v DON. EUGR. Fleck. Dz. Pre.; pulsus C D E cett. edd.; la forma attestata in Ter. è inpulsus (v. 484 e An. 99): sembra difficile ammettere un mutamento della formula (ira/iris inpulsus) a distanza di un v. e per giunta in parole riprese in risposta. Il Fleck. scrisse: quid ego ira inpulsus nunc, per quibus iris, proprio per­ ché al v. 484 si ha ne ira inpulsus. Difende pulsus J. N., Grant, Studies, cit., pp. 174-175·

390. ut A DON. edd. pi.; uti Σ L.-K. Mar. Pra. R.

487. meritam id quod vellem DON. Fleck. Mar.; id quod vellem meri-

365. intro me ut Σ (praeter L) Umpf. L.-K. Mar. Pra. R.; intro ut me L cett. edd.; me intro ut DON. EUGR.; me intro A. 370. illis codd. pi. edd. fere omnes; illue D P Mar.; illic p L.-K. Pra. Al v. 386 il riferimento è ancora alle persone: quaeque fors fortunast... nobis

5 — T erenzio, Commedie.

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NOTA CRITICA

tam A; meritarti quod vellem Σ Umpf. R. (quod veliera m. D p F v ceti, edd.). Non si può omettere id. Il testo di Donato evita di violare la norma di Meyer (L. Ceccarelli , La norma, cit., p. 123). 495. ades A DON. Umpf. Dz. Mar. Pra.; mane γ D2 L Fleck. L.-K. Pre. R. ; ades mane D p. Ades è poi cancellato da Ar. Mane - al posto di ades è ripreso dal v. seguente. 509. est A edd. pi.·, sit Σ DON. Fleck. Mar. Il v. in A è così attestato: velitne an non uxorem ut alii si huic non est siet. 513-514. Spostano ad dall’inizio del v. 514 alla fine del v. 513 Mar. e R. 523. Fleck. espunge atque, Dz. e Pre. video, per fare del v. un sett. giamb., ma accogliendo nel contempo con la maggior parte degli edd. mihine mi vir di Ar DON. (mihine vir A C P L E F v L.-K. Mar. Pra. R.; per questi edd. il v. è un ott. giamb.). 527. quo codd. edd. fere omnes; qui DON. L.-K. Mar. Pra. Donato così annota: bene ‘ex qui’, quia argumentum impudicitiae est puerperium taciturnum. 530. tantopere A edd. pi.·, tantopere hunc D1 p L; tant. hoc γ D2; hunc t. Fleck. L.-K. Pra. 537. de DON. ad v. 711 edd.·, ex codd. EUGR. Mar.

NOTA CRITICA

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596. expectet A D p DON. edd. pi.; exoptet cett. codd. Fleck. 597. me concedere A edd. pi.; om. me Σ DON. NON. 270 Umpf. Mar. R. L ’omissione del soggetto dell’ogg. dà significato di considerazione a delle parole che devono essere una decisione; al v. seguente Sostrata dice: sic optime... omnis causas praecidam omnibus. 604. ita sunt Σ DON. edd. pi.; sunt ita A Umpf; -ut vis] tu ut vis Σ; -itaque] itaque ea Mar. -uti] ut Fleck. -illa Erasmus edd. fere omnes; illam codd. DON. Mar. 608. est sapere] sapere est Fleck. Dz. Pre., che considerano il v. un sett. troc. come i due successivi, -possis γ L p2 L.-K. Mar. Pra. R.; possit cett. codd. DON. cett. edd. 609. Il v. è espunto da Dz. (che annota: desunt in utraque parte versus eae voces, quibus vis sententiae nititur) e Pre. Lo ritiene guasto Umpf, lo aveva espunto - nella prima ed. - e sottoposto a vari interventi Fleck. -sit faciendum D2 L C P E L.-K. Mar. Pra. R.; faciendum sit A1 cett. codd. DON. cett. edd.; faciendum est A. -fortasse post D p F v L.-K. Mar. Pra. R.; post fort. cett. codd. edd.; quod faciendum sit post e quod post f. sit DON. -hoc nunc si feceris] h. n. fecerit sic ultra Fleck. 611. ecastor Σ DON. EUGR. Umpf. L.-K. Mar. Pra. R.; mecastor A (ecastor Ar) cett. edd.

564. parere hanc qui Σ DON. L.-K. Mar. Pra. R.; qui p. hanc A cett. edd.

617. Il testo e l’interpretazione - anche metrica - sono molto contro­ versi. Alcuni codd. e DON. hanno concordes magis (omettono magis D2 L C P E L .-K ), ma tutti hanno si non reducam (redducam A; anche DON. ha si non), accolto dal L.-K. Credo che si possano sottoscrivere le annotazioni di Donato: sententiose dixit tunc posse inter se congruere et concordare mulieres, cum et illa esse desierit socrus et illa nurus: haec enim inter illas est discidiosa coniunctio... satis ingeniose dictum: tolle enim inter mulieres proximitatem et nulla causa discordiae est. È preferibile perciò espungere magis - che, del resto, non è concorde­ mente attestato - e conservare non, con L.-K. La maggior parte degli edd. invece espunge non con B. e salva magis: rimane comunque un alto tasso di banalità nel testo con l’una o l’altra soluzione, -credo codd. DON. edd. pi.; non credo Fleck. Dz. Pre.

573. ei tum quicquam est Σ Fleck. L.-K. Mar. R.; ei est quicquam A Umpf. Dz. Pre. Pra. -qui posset post A L.-K. Mar. Pra. R.; qui post possit Σ (F v om. post) cett. edd. -nosci A p edd.; noscier cett. codd.

618. nescias] nescio A Umpf. Dz. Pre.; nescias nequeas D2 C2 L p v; nescias neque eas E F; -id] om. A C DON. Fleck. Umpf. Dz. Pre. -illaec A edd. pi.; illae Σ Fleck. -fecerint] fecerit A.

579-580. quae exopto codd. pi. edd.; qua exoptem A; quae exoptem D p Fleck. L.-K. Pra. R. Il Fleck. trasferì l ’ut iniziale del v. 580 (scrivendo però uti) alla fine del v. 579: così fanno anche L.-K. Mar. Pra. R. -illam mei Faernus edd.; illamei A p; illa odium mei EUGR.; illam ei C; illa mei cett. codd.

620. fabulae codd. Umpf. L.-K. Mar. R.; fabula T. Faber cett. edd.

543. Mar. conserva omnibus (espunto dal B. e da tutti gli altri edd.) e considera guasto il v. 555. quicum codd. pi. DON. edd. pi.·, quacum A v Umpf. Dz. Pre. R. Così Donato: non ‘quacum’ sed ‘quicum’, ut ‘a quibus’ non ‘a quis’. 557. solum solus A Umpf. Mar.; solus solum Σ cett. edd. 558. uxorem an non A L.-K. Pra.; an non ux. Σ DON. cett. edd. 561. fuerat ea par Σ DON. B. L.-K. Mar. Pra. R.; ea par fuerat A Umpf; par f. ea Dz. Pre.; par ea f. Fleck.

628. aperiam] operiam B. Fleck. Dz. Pre. 633. L’attribuzione delle parole mutatiofit a PA. è dovuta al Goueanus, seguito dal B. e dalla maggior parte degli edd. Attribuisce ancora a

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NOTA CRITICA

NOTA CRITICA

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PH. queste parole ed il resto del v. Umpf; invece Pra. pensa che sia LA. a pronunciare le parole mutatio fit, per cui la battuta non sarebbe più pronunciata tra sé. In ogni caso, se ea nos perturbai viene pronun­ ciato dallo stesso personaggio che dice mutatio f , come vogliono i codd. ed Umpf. - per cui Fidippo parla dal v. 630 al v. 633 - ea parrebbe riferirsi a mutatio, non ad uxor. È per questo che Donato spiegava: ‘ea’ non ea mutatio sed uxor, hoc est Myrrina.

734. Dopo il Faernus, mihi è espunto dalla quasi totalità degli edd.; lo conservano solo L .-K Mar. R.

643. natum illum] n. filium A. L.-K. omettono illum; ma scrivendo solo gaudeo natum, per natum si dovrebbe intendere Panfilo, il figlio del senex che parla, non il puer appena nato e suo nipote. Per questo L.-K. sono poi costretti ad espungere et (et tibi A p DON. edd.; tibi et γ D2L): tibi illam salvam diventa allora un’espressione assoluta, molto difficile da giustificare.

edd.

649. quom (cum) eam sequitur F2B. edd. pi.; cum eam consequitur cett. codd. DON.; eam cum sequitur Mar. Pra. 656. se esse Σ Jov. EUGR edd.; sese A Fleck. L.-K. Pra.; aut esse DON. 657. quae C P p D E2EUGR. L.-K. Mar. Pra. R. ; quod A DON. cett. edd. 661. id est Σ DON. edd. pi. Per accettare id siet di A L.-K. Pre. Pra. emendano in mirandum il concorde mirandumne dei codd. e DON. 666. Fleck. Umpf. Dz. Pre. spostano questo v. dopo il 667 con Bothe. 676. id A D p edd.; hoc D2 Mar.; hoc id γ L. -sollicitere codd. pi. DON. edd. pi.; solliciter A sollicitare Ar E L.-K. Mar., che però traduce «de ce qui te tourmente». 688 e 690. B. Dz. Fleck. e Pre. li espungono; Umpf. espunge solo il v. 688. 689. induxti] adiunxti Fleck.; adduxti Dz. 704. tollent Σ edd.; tollet A Umpf; tolli DON. 709. Il Fabricius espunse il non necessario mea conservato da tutti i codd.; lo ha seguito la maggior parte degli edd. Lo conservano Dz. e Pre., che scrivono mea uxor. 719. curre puer F B. Fleck. R.; puer curre cett. codd.; puere curre cett. edd. Anche in Eun. 624, dove molti edd. scrivono puere, i codd. hanno puer e puere è dell’Erasmus, come per questo v. 721. at te] et te Σ L.-K. R. 729. hanc codd. DON. edd. pi.; hinc B. Fleck. Dz. Pre. -possiem edd.; possim codd. DON.

735. obsiet Faern. edd.; obstet codd. DON. EUGR. 736. dicis codd. edd. pi.; dices D p DON. Mar.; dicas v. 737. Iam aetate ea Σ Fleck. L.-K. Mar. Pra.; ea aet. iam A DON. cett. 739. nam si id nunc Σ Mar.; nam si A Umpf. Dz. R.; nam si id DON. ad v. 764 L.-K. Pra.; nunc si id Fleck. 740. tibi inmerenti edd.; tibi me inm. Σ Fleck.; tibi merenti A. 741. magna ec. gratia... quam codd. DON. Umpf. L.-K. Pra. R.; ma­ gnani ec. gratiam... quod Guy et. cett. edd. 744. uxorem] Lo espungono Dz. (ma prima di lui Conradt) e Pre. Hic scrive in sostituzione Fleck. In tal modo il v. non è più un ott. giamb., ma un sett. troc. 745. Il Mar. ritiene corrotto il v. -quod volui] quod te volui B. Fleck. Dz. Pre. (per evitare iato in pausa sintattica tra voliti ed Me; cfr. L. Ceccarelli , Studi, cit., p. 76, n. 11). -uxorem habet] habet ux. p Umpf. Pra. 746. Per far tornare il v., che il Mar. ritiene guasto come il precedente (il Mar. omette il primo tibi con DON. ed il secondo con γ D2L DON.), bisogna espungere o amicum (firm. amie. Σ, amie. firm. A) con Umpf. L.-K. Mar. Pra., o consulendi con Dz. Fleck. Pre. R. Il v. è un ott. troc., come il seguente. Può aggiungere un argomento al non necessario amicum il fatto che Donato, che cita il lemma quattro volte, lo omette nelle prime tre e spiega: ‘firmiorem’ prò firmo: non enim firmum esse concedit Pamphilum, quem vult intellegi deceptorem esse Bacchidis, non iam amatorem stabilem. Se nel testo di cui disponeva Donato era già presente amicum, nella sua parafrasi non sarebbe apparso il più pertinente amatorem. Amator è detto l’innamorato ad tempus della pro­ stituta (cfr. w . 59, 835, An. 718, Heaut. 839, Eun. 665, 835, 936). Ancora Donato ad Eun. 148 dice: bene hoc apud amatorem (cioè il ‘suo’ Fedria, con cui Taide sta parlando), nam aliud est amator, aliud amicus: amator qui ad tempus, amicus qui perpetuo amat. 747. tu eadem istac aetate Σ DON. L.-K. Mar. Pra. R.; tu ead. ista aetas A; tu ead. ista aetate Ar Umpf. ; ista aetas tibi Fleck. Dz. Pre. 750. aliud si scirem codd. DON. edd. pi.; si aliud se. Umpf. Dz. Pre.; si se. aliud Guyet. Fleck.; alid si se. B. 752. me segr. codd. DON. L.-K. Mar. Pra. R. (il v. è un ott. giamb.,

NOTA CRITICA

NOTA CRITICA

come i w . 753-754). Espungono me B. e gli altri edd., per far del v. un sett. troc. come il 751.

Umpf. Dz. Fleck. -unde] om. A; -nactus] codd. (nactus es p); nactu’s edd. pi.

753. vis codd. L.-K. Mar. Pra. R., gli stessi edd. che non espungono me nel v. 752 e che ritengono anche questo v. un ott. giamb.; espungono vis, dopo il Muretus, tutti gli altri edd., per fare un sett. troc., come il v. 752 con l’espunzione di me.

826. id video D p E Dz. L.-K. Pre. Pra.; om. id ceti. codd. edd. fere omnes.

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758. nolo esse falsa fama C P E (esse om. A) edd. pi.; esse falsa f. nolo D F p π Mar.; nolo falsa f. esse DON. 766. hoc te] hoc D p L.-K. (te hoc A), -qualis sim amicus] amicus q. sim Fleck. Dz. Pre.

772. has codd. Umpf Dz. Pre.; eas p DON. ceti. edd. Dopo Γendittico e spregiativo istae - la meretrix è presente in scena - è più verosimile has.

779. se uxor] Lo espungono Fleck. Dz. -credidisse D p DON. edd. pi.; falso credidisse γ D2 L Fleck. Dz.; se cred. A. 787. vin A D edd. pi.; vis C P Dz L E F v DON. Mar.; -ergo] ego D p E L.-K. Pra.; -i atque] itaque A (corr. A1); i itaque atque p; espungono atque col Brix Umpf. Fleck. Dz. Propone ita atque exple J. N. Grant, Studies, cit., p. 116. 789-790. Il Conradt li espunse, seguito dal Dz. e Pre. Il Fleck. espunge solo il v. 790 (cfr. J. S. Phillimore, Terentiana, «Class. Quart.» 16, 1922, p. 166).

791. Questo v. manca in A - e perciò anche le parole del v. successivo vengono attribuite a LA. In D p compare dopo il v. 783; è eraso in E, ma è commentato da Donato. Lo ritengono interpolato Umpf. e Mar. 797. Il v. è espunto da Fleck. e Dz. 798. referet A D edd. pi.; referetque γ D2 L; referretque C; refert B. Umpf; feret Fleck. (feret gratiam eius; nella I ed., gratum ei; referet gratum ei Dz.). -iunget] codd. pi. edd.; iungit A C Umpf. Mar. Dopo referet diventa necessario iunget: per questo Umpf. accoglieva il refert del B. (e iungit). 803. quaeso mihi p L.-K. Mar. Pra. R.; quaeso ceti. codd. Umpf; mi quaeso Dz. Fleck. (mihi) Pre. -es tu] codd. DON. edd. pi.; prima di Dz. gli edd. (anche Umpf.) accettavano tun es del Goueanus, approvato dal B. 813. audierit] audiverit L.-K. 818. harunc A edd. pi.; harum Ar Σ Fleck. Umpf. 825. exanimatus obsecro es A Umpf. Dz. Fleck. Pre.; om. es D p DON.; es ex. obsecro γ Dz L; exanimatu’s obs. L .-K Mar. Pra. R. -aut] secl.

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830. habentem codd. Mar. R.; habente B. cett. edd. 832. compressam esse A edd. pi.; esse c. Σ Mar. 842. conicias D F p L.-K. Mar. Pra. R.; hoc c. cett. codd.; conlicias Palmerius Fleck. Umpf. Dz. Pre.; pellicias B. Coniciam propone J. N. Grant, Studies, p. 166. 845. dixisse codd. DON. Fleck.; dixe B. cett. edd. Questo geniale emen­ damento rende il v. un sett. troc., come i w . 842-846; conservando la lez. dei codd. il v. è un ott. giamb., come i w . 853, 862-868 di questa stessa scena, in cui si alternano anche ott. troc. (841, 847), senari (854858), oltre a dim. troc. catal. (850) e sett. troc. (848-849, 851-852, 869880). Nulla autorizza però ad accogliere il rarissimo dixe. 849-850. quid quid codd. pi. DON. Umpf. Dz. Pre. R.; qui qui D p E Fleck. Mar. (che scrivono ancora qui al v. 850 contro il concorde quid dei codd.) L.-K. Pra.; quid qui L E F; quid negem quod v. -nihilo A Fleck. L.-K. Mar. Pra.; nihil Ar Σ cett. edd. 853. ignavom A L.-K. Mar. Pra. R.; ingratum Σ cett. edd. Donato adAn. 277 così spiega: ignavus est, qui vim non potest ferre, qui non est perseverane. È fuor di dubbio che ignavom è lectio difficilior. 859. voluptati] legitur et ‘voluntate’ DON.; -adventus] om. Bothe Umpf; adfatus B. Fleck. 860. siet] A D p v L.-K. Mar. Pra. R.; sit cett. codd. edd. Va rilevato che siet è in fine di battuta; cfr. n. al v. 134. 861. omnium homo A edd. pi.; hominum homo Σ L.-K. Pra.; omnium hominum homo Fleck.; -numquam] nusquam Fleck. -quisquam] om. A; quisque F. 865. harum] harunc p L.-K.; -dixti] dixisti P -iam Σ L .-K Mar. Pra. R.; meo A cett. edd. 865-866. Il Mar. separa opus est da adeo muttito, intendendo muttito imperativo futuro; ma adeo lo rende improbabile. Donato glossa adeo muttito con vel tenui dicto: è probabile che anch’egli lo considerasse un abl. participiale; cfr. An. 505. 872. Dopo questo v. Fleck. pone un’ampia lacuna. 877-879. vero] om. Fleck. Dz. Pre. -an] È all’inizio del v. 878 in A (così Umpf; ah Dz. Fleck.), in cui, come in p manca la sigla PAR. prima di an: perciò Umpf. attribuisce a PAM. da ego istuc sino a Parmeno del

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NOTA CRITICA

v. 879. Oltre a Σ, anche Donato attribuiva an-sit a Parmenone: TEME­ RE QUICQUAM PARMENO sibi ipsi hoc dicit et se nominat. (Va ri­ cordato che in D al v. 879 si ha PAR. per PAM. all’inizio del v.). Bentley pensa che il v. 878 sia pronunciato da Bacchide; «sed eam iam post v. 872 scaenam dereliquisse veri simile est», annota Dz. Infatti l’invito ad uscire di scena è fatto da Panfilo al solo Parmenone (v. 879, sequere me intro, Parmeno), senza alcuna attenzione per altro personaggio presen­ te in scena, come in An. 978 (sequere hac me intus, rivolto a Carino, e tu, Dave, ahi domum, propera, ingiunto allo schiavo), o come in Ph. 1054 (eamus intro hinc), dove, secondo la norma, l’invito riguarda tutti i personaggi.

NOTA CRITICA

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Periocha

6. amorem A η edd. pi.; amoris cett. codd. Umpf; -sese A edd. pi.; se Σ Umpf

8. idem Σ edd. pi.; eidem A L.-K. Testo

3. Pongono lacuna dopo questo v. Umpf. (negli Anal., p. 4, ma non nell’edizione), Fleck. Dz. Pre., con conseguenze sulla cronologia delle commedie. 16. hunc Vita Ter. 4 edd. pi.; eum codd. DON. Umpf. R. 24. Dopo questo v. pongono la lacuna di un v. B. Fleck. Umpf. Dz.

VI I DUE FRATELLI Didascalia

1. funebribus Σ edd. pi.; funeralibus A Fleck.; ludis scaenicis funebri bus DON. 2. quos] modos A; secl. Fleck. Dz. 3. egere-Turpio A edd. pi.; e. L. Atilius Praen. Minutius Prothymus Σ. In Don., dopo agentibus L. Ambivio et L., manca il nomen ed il cognomen del secondo capocomico (integrato dal Wilmanns con Minucio Prothymo); a queste parole però segue: qui cum suis gregibus etiam tum personati agebant. Ciò prova che nel testo di Donato erano indi­ cati due nomi di capocomici. Per l’integrazione si potrebbe anche uti­ lizzare il nome del capocomico che il Bembino dà per primo (L . Atilius Praenestinus) che ha lo stesso praenomen L. Il Dz., seguito dal Pre., mantiene solo l’indicazione L. Ambivius Turpio, il capocomico per il quale Terenzio scrisse il prologo e che portò per primo in scena questa come le altre commedie. È da supporre che sia questo il motivo per cui L.-K. fanno precedere il nome di Ambivio Turpione a quello di Atilio Prenestino, che evidentemente portò in scena la commedia in un secondo tempo. 5. Sarranis] serranis A; imparibus η; Don.: modulata est autem tibiis dextris, id est Lydiis, ob seriam gravitatem, qua fere in omnibus comoediis utitur hic poeta. 7. VI A edd.; om. Σ. Don.: haec dicunt ex Terentianis secundo loco actam etiam tum rudi nomine poetae. 8. M. Cornelio Cethego L. Anicio Gallo coss. edd.; M. Cornelio Cethego L. Gallo cos. A; Anicio M. Cornelio cons. Σ.

34. Il v. è espunto da Umpf. e Pre. perché manca in A e non è com­ mentato da DON. ed EUGR. Può essere caduto perché comincia con la stessa lettera di quello successivo. 60. clamans Guyetus B. Umpf. Dz. Fleck. Pre.; clamitans codd. DON. CIC. de invent. I 27, VICTOR, in Cic. Rhet., p. 203 H. cett. edd. La lezione dei codd. è metricamente insostenibile. Si è pensato di consi­ derare breve l’ultima sillaba di clamitans (finale di parola eretica), con una motivazione che in L.-K. è sconcertante: ‘an rhytmus abnormis trepidationem exprimit?’. Alcuni edd., come Wagner, Spengel e Stam­ pini, per conservare clamitans espungono agis o, come Mar., lo cor­ reggono in ais con G, considerandolo per giunta monosillabo. Clamo ricorre in Ter. altre 9 volte (An. 491, Ph. 664, Hec. 41, Ad. 91, 380, 407, 727, 789, 791) e solo nell’An. si ha tre volte clamito (144, 767, 814), il che non è senza significato sul piano stilistico. In tutti i passi in cui clamo o clamito sono attestati la testimonianza dei codd. è univoca. Si può pensare che clamitans nel nostro caso sia stato provocato dal saepe che precede. Vero è che Donato dice: congrue, postquam ‘saepe’ dixit, adiecit aptius verbum non dicens ‘clamans’ sed ‘clamitans’. 82-83. ubi nobis Aeschinust?/Aesa.s| u.n. Aeschinus/siet codd. DON. (anche al v. 789) EUGR. Va per prima rilevato che è difficile sostenere siet o altre forme arcaiche di esse in sedi che non siano l’ultima 0 - negli ott. giambici - davanti a dieresi. Il Ritschl lo emendava in scin iam; Dz. e Pre. ubi n. Aeschinust?/Sciet q.t. ego sim?, supponendo che queste ultime parole siano pronunciate tra sé; il che è scenicamente insoste­ nibile, perché devono essere la risposta ad una domanda (quid tristis es?). Fleck. accetta sic est dello Schoell; Spengel emenda in sit et. La maggior parte degli edd. segue la lezione dei codd. (ubi n. Aescinus/siet? quid tristis ego sim?), immaginando che la seconda domanda sia in qualche modo rivolta a se stesso o che Demea se la ponga in quel momento e che non sia provocata dalla domanda del fratello. Ed in­

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NOTA CRITICA

n o t a c r it i c a

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vece il tema della tristitia di Demea è elemento essenziale in questo inizio di scontro tra i due fratelli, debitamente annunciato: nescio quid tristem video (v. 79), dice Micione, vedendo arrivare il fratello, indican­ do così la tipologia del personaggio che sopravviene. Per questo la sua prima domanda è: quid tristis es. Ad essa Demea deve rispondere (o non rispondere) con rabbia o con ironia. Per questo L.-K. e Mar. ac­ cettano sum per sim (quid tristis ego sum) di G L V E DON. al v. 83, che rende esclamativa la frase, più che interrogativa. Il nescis da me in­ trodotto è suggerito dal nescio q. tristem video del v. 79, perché ad esso rinvia - nella memoria dello spettatore - la risposta di Demea.

E2 F v). Se si attribuisce anche in parte la battuta a Parmenone, sa­ rebbe l’unica pronunciata da questo personaggio in tutta la scena ed in tutta la commedia (si veda J. A ndrieu, Étude, cit., pp. 35-38).

87. designavit A E DON. EUGR. Umpf Mar. Pra.; dissignavit ceti, codd. edd. La testimonianza di NONIO 96 M. (= 136 L.: dissignare, cum nota et ignominia alquid facere) non è pertinente. Designare (che è confermato da P lauto, Most. 413 e Orazio, ep. 1, 5 , 16) è così spiegato

207. adulescentium est codd. pi. edd.; est adulescentulum D G; adulescentulum est Mar.

da Donato: designare est rem novam facere in utramque partem, et bonam et malam. nam et designatores dicti, qui ludis funebribus praesunt... simul etiam ut turbae retineantur, quae fiunt in spectaculis aut in litibus... designatores ludis funebribus multitudinem retinent. Eugrafio dice: designare proprie dicitur aliquid signatum legibus rumpere. 116. fero A edd. pi.; feram Σ DON. Fleck. Mar. 127. tun A edd. pi.; tu DON. Mar.; tune Σ. -consiliis A edd. pi.; consulis (consilis E) Σ DON. CHARIS. 242 L.-K. Pra. R. Non va dimenticato che si tratta di una battuta in risposta al consiliis ego del v. precedente. 141. Propongono di interpungere prima di tamen con la maggior parte degli edd. B. S chneider, Zwei Bemerkungen zu den Adelphen des Terenz, «Rh.M.» 127, 1984, pp. 133-134; J· B. A shley , R. J. Clark , Sense and Punctuation at Terence, Adelphoe 141-147, «Rh.M.» 129, 1986, pp. 260 sgg. Ritengo invece che sia più coerente con 1’usus terenziano interpungere dopo tamen, soprattutto perché in fine di v. (senario) 0 come al v. 687 ed in An. g4, Eun. 243, 866 (diverso è il caso di Ad. g$o). Anche Donato legava tamen alle parole che precedono. 165-166. Mi attengo con L.-K. Mar. Pra. R. al testo tramandato da A F P, dove il v. 165 è un ott. troc. e il v. 166 un ott. giamb. Mutando l’ordine delle parole (dabitur ius iur.indignum/te es.in hac), Dz. e Pre. formano un ott. troc. e un sett. troc.; il Fleck. due sett. troc.; mentre Umpf. ne ricava tre versi.17 2 172. Davanti a omitte mulierem A pone il simbolo (Γ) che corrisponde alla sigla di PAR(menone), non attribuendo perciò la battuta da em a mulierem ad Eschino, ma distribuendola tra i due personaggi (così fanno Umpf. L.-K. Mar. R.). Gli altri codd. attribuiscono tutta la bat­ tuta em-mulierem 0 ad Eschino (G D2C P E) o a Parmenone (D U C2P2

173. ei misero mihi A DON. edd. pi.; ei miseriam Σ L.-K. Pra. E i o è adoperato come semplice interiezione (An. 73, 106, Ph. 178, 490, 501, 797) o è accompagnato da mihi. In Heaut. 234 si ha la stessa formula (ei misero mihi) del nostro passo. Il Mar. congettura ehi misero! Aha! 199-200. La successione di questi versi fu invertita dal Muretus seguito da Umpf. Dz. Pre. Il Fleck. espunse il v. 199.

232. ac tum agam] È correzione del B., accettata da quasi tutti gli edd. I codd. e Donato hanno actum agam, accolto da L.-K. Pra. R. Donato attesta che si tratta di una formula del linguaggio giudiziario: quod enim in iure semel iudicatum fuerit, rescindi et iterum agi non potest (cfr. Ph. 4ig ‘actum’, aiunt, ‘ne agas’; cfr. A. Otto , Die Sprichworter und sprichwortlichen Redensarten der Romer, Hildesheim 1962, p. 9). Ma nel nostro passo actum agam rende superfluo il nihil est del v. successivo, che è in correlazione con ubi Mine rediero. U ac tum è confermato dall 'aut tum (o aut tunc di Joviales e G) del v. 235. 235. quam hic nunc δ Fleck. L.-K. Pra.; q.aut nunc A cett. edd.; ambe­ due le varianti in γ (q.aut hic nunc) -tum] cum A tunc Jov. 272. Non v’è ragione per correggere nos paene sero scisse et paene in eum locum dei codd. in et in eum rem locum col B.; et rem in eum locum Umpf; nos sero rescisse et rem paene in eum l. Fleck. 279. quam vis] Lo legano a ne tam quidem del v. 278 Dz. Fleck. L.-K. Pre. Pra. R. (Donato: quamvis etiam prò quantum vis). Dz. e Fleck. correggevano però conseguentemente ne in non, giustamente preoccu­ pati del valore deittico di ne tam quidem («neanche tanto!»). 287. hilare Palmerius edd. pi.; hilarem codd. Umpf. Dz. Mar. R. Hilarus è la forma più certa in Ter. (Ad. 756, 842); ma hilaris è già in Plauto. Probo attesta: hilaris et hilarus in Terentio (G.L. I V 13 K ); per esclu­ sione, hilaris - sotto forma di hilarem - si dovrebbe avere nel nostro v. Ma si può opporre la più specifica testimonianza di Carisio (II 200): hilariter ab eo quod est hilaris; hilare autem ab hilarus, ut Helenius Acron in Terenti Adelphis, ubi Terentius (287) ‘hilare hunc sumamus’ inquit ‘diem’. 288. Il secondo fiet di γ in A δ risulta fiat (così la maggior parte degli edd.). Preferisco con L.-K. e Pra. pensare ad una ripresa della parola nella battuta di risposta, il che preserva anche lo schema paratattico.

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NOTA CRITICA

NOTA CRITICA

297. genere codd. DON. L.-K. Mar. Fra. R.; ingenio B. cett. edd. La tradizione non legittima Pintervento del B. L ’espressione era stata già limpidamente illustrata da Donato: genus iam ad vivos pertinet, familia etiam ad defunctos. alii genus ad nobilitatem referunt, familia ad copias... ut sit ‘ex tanta familia’ ex tam divite domo... TALI GENERE ab his quae exstrinscus sunt, id est ab honestate generis. Si può anche rilevare che ingenio, dopo talem, sarebbe superfluo. Cfr. w . 408-409 dove allo stesso Eschino è rinfacciato: haec te admittere indigna genere nostro. La motivazione è ideologica.

si riscontra in Heaut. 919, respicies per respicis (P. F ehl , Die interpo­ nente, pp. 99-100).

302. se] A D L DON. edd. pi.; è omesso negli altri codd. (così Urnpf. e Mar.).

313. Il v., un ott. giamb. (sono ott. giamb. dal 306 al 316), fu espunto dal Guyetus e poi da Dz. Pre., perché di difficile scansione (iato del monosillabo dum davanti ad iniziale lunga?). Il Fleck. ne espunse solo la seconda parte. Umpf. integrò (meo) modo; ma modo va legato a dum; lo Stampini congetturò dum illos (ego), accettato poi dal Kauer, che spostava ego prima di illos. Lo stesso Stampini divise il v. in due dimetri trocaici. Va ricordato che il v., oltre ad essere tramandato concordemente, è citato da Carisio (II 2if). 320. inpertire Σ EUGR. (che lo spiega participem fare) ARUS. 481 edd. pi.; inpertiri A Umpf. Dz. L.-K. Pra. L ’altro passo in cui il verbo com­ pare in Ter., Eun. 271, è in forma attiva. 336. CA] SO. C P D E L F η. Donato annotava: hoc ex persona nutricis legendum est.

356. fuisse A DON. edd. pi.; adfuisse Σ Fleck. Mar. 378. venero Σ (revenero G) L.-K. Mar. Pra.; rediero A cett. edd. Venero è futuro puntuale; rediero razionalizza. Cfr. Heaut. 86,108.]. N. Grant, Studies, cit., p. 26, osserva che la lez. rediero presuppone che Siro lo dica mentre sta lasciando la casa. Rediero sembra una glossa. 391. facilitas G E P2 F2 D2 DON. edd. pi.; facultas cett. codd. Mar. Pra. R. In An. 232 date facultatem è divenuto d. facilitatem in G (così Dz. Fleck. Pre.). Ma facilitas è nel senso di indulgentia, bonitas (C.G.L. V 334, 11; Donato spiega: ‘lenitas’ ad permittendum, ‘facilitas’ ad ignoscendum), come in Heaut. 648, Eun. 1048, Hec. 248, e negli stessi Ad. 861, facilitate nihil esse homini melius neque clementia. Importante è anche Ad. g86, quod te isti facilem et festivom putant, dove l’accusa di Demea al fratello viene letteralmente ribadita. Facilis è ancora l’attri­ buto del padre in Heaut. 2iy (ne ille facili me utetur patre); cfr. anche Hec. y6i, facilem benivolemque lingua tua iam tibi me reddidit. La faci­ litas è sempre accompagnata da una qualità affine (lenitas, bonitas, clementia). 401. hunc] hinc E P F2 v2 DON. Mar. 452. pater is Σ DON. edd. pi.; pater eius A Umpf. Dz. Pre. Separano is da pater Mar. e R.; Fleck. inserisce un at (at pater?). Donato osserva: abundat ‘is’; ma poi: aut ‘is’ prò ipse.

347. amiserat] miserai A L.-K. Pra. La ree. Calliopiana attesta concor­ demente amiserat, pur in presenza dell’interpolazione di un ipse in alcuni codici (amiserat ipse D ipse amiserat E η v D2 p). Amiserat è confermato da EUGR. Umpf. ritiene guasto il testo. Il topos della vitiatio (v. 308, per vim) prevede la perdita dell’anello (in Hec. 572-573 della virgo).

456. tu pater codd. edd. pi.; tu es pater D2E η ε; tu es parens DON. Mar.

350. accedo codd. DON. EUGR. LACT. PLAC. ad Theb. V 343 PRISC. II 85 Mar. R.; cedo B. edd. pi. -dicis PRISC. II 85 Dz. Mar. Pre.; dicas codd. DON. EUGR. cett. edd. L ’ut causale è sempre con l’ind.; cfr. An. 738, ut tu plus vides. -tu quantum potest edd. pi. (potis Fleck.); potes codd. DON. Il Mar. pone queste parole tra cruces. J. N. Grant, Three passages in Terence’s Adelphoe, «A J Ph» 97, 1976, p. 239, propone:

cett. codd. edd.

experiar. CA. quid istic? GE. cedo: melius dicis.

351. huius] eius A Pre. La parola è accompagnata da un gesto che indica la casa di Panfila, come al v. 334 e 341. 353. respicit Σ edd. pi.; respiciet A L.-K. Pre. Pra. La motivazione al futuro non ha senso. In A può essersi prodotta la stessa alterazione che

475. V. metricamente guasto. La maggior parte degli edd. espunge hic con B., che è conservato invece da tutti i codd. e da LACT. PLAC. ad Theb. 1 576. Lo conservano Mar. (che scrive decimust) e R. 480. servorum A p EUGR. PRISC. I I 286 Umpf. Dz. Pre. R.; servolorum 499a. Il v. non è commentato da Donato e da Eugrafio e manca in A (ma è stato aggiunto in margine da Joviales): è evidentemente ripreso da Ph. 461. L.-K. non lo ritengono interpolato. 509. evadet Σ DON. EUGR. edd. pi.; evadit A Umpf. L.-K. Pra. Il futuro è necessario. Evadit può essere inteso come praesens prò futuro. 510-516. Il Pra. ritiene non autentici questi versi, sulla base della notizia di Donato: hi sex versus in quibusdam non feruntur. Cfr. G. Jachmann, Die Geschichte, cit., p. 88. 514. si est facturus codd. L.-K. Mar. Pra. R.; si ita est f. B.; is, si est f.

NOTA CRITICA

NOTA CRITICA

Spengel·, si est is f. Guy et. cett. edd. Per si est... ut, cfr. Hec. 501, 558, 637, 724, 796; Ph. 270, 925. Sussiste la necessità di ammettere iato.

i.iam relevabis a. Fleck.; nam et i.ita a.iam relevabis Dz.; nam et illi(c) a.iam relevabis L.-K. Pre. Pra. R. Donato annota: ‘illi’ maluit quam ‘numi’ dicere.

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519. defetigarit (defatigari L) Σ edd. pi.; defatigarit A Umpf Mar. Defetigo è più concordemente attestato negli altri tre casi in cui compare in Ter. (An. 669, Eun. 220, Ph. 794). In Ph. 589 defetiscar in A è dive­ nuto defitiscar. 527. ego hodie toto A L.-K. Pra.; quem ego toto Σ Mar. R.; ego hoc te toto Krauss cett. edd. L ’omissione del pronome compì, ogg., per giunta in esclamazione, è consueta nella lingua della commedia. 540. ne ego homo sum infelix primum] G. Hermann espunse primum, seguito da Umpf. Dz. Fleck. Pre., rendendo il v. un sett. troc. - come i versi che seguono - anche per il fatto che è il primo v. della scena. Lo stesso esito si ottiene espungendo sum con B. e Mar. Il principio è metodologicamente corretto; tuttavia sum non può essere omesso, co­ me non si può espungere primum, perché segue praeterea. La testimo­ nianza dei codd. e Donato è univoca (solo E omette homo). È necessa­ rio perciò intendere il v. un ott. giam. {ne ego homo). Cfr. R. R affaelli, Sulla formazione, cit., p. 167. 542. rari codd. edd. pi.; rare CHARIS. I 142 L.-K. Pra. Sarebbe l’unico caso in Ter. 554. hic quidem codd. DON. edd. pi.; hic qui volt NON. 285 Fleck. Dz. L.-K. Pre. Pra.

560. esse] om. Mar. 573. hanc deorsum D L E v ε DON. (bene ‘hanc deorsum’, quia non est una) edd. pi.; hac d. cett. codd. Fleck. Dz. Pre. Hanc è riferito a.porticum: con hac si introduce un altro dettaglio (hac deorsum), che finisce col privare dell’endittico l’elemento principale. 600-601. fratrem eius esse et illam Σ Dz. L.-K. Mar. Pre. Pra. R.; propter fratrem esse: eius esse illam B. Umpf. Fleck.; fratrem eius se et illam A; f.eius isse et illam Ar; -illam] istam ε. Fleck. nella prima ediz. pose lacuna dopo il v. 600 ed espunse il v. 601; nella seconda ediz. si limitò ad espungere questo v. Dz. e Pre. pongono lacuna dopo il v. 600, pensando che siano caduti i versi nei quali Micione spiega ad Egione i fatti; ma la ratio scaenica comporta l’opportunità di non ripetere, per esigenza di un personaggio, dei fatti che lo spettatore già conosce. L ’intervento di questi edd. è provocato dall’annotazione di Donato al v. 601: sane hi versus de (esse pos)sunt, quos multa exemplaria non habent ‘nam et illi animum iam relevabis’ et deinceps. 602. nam et illi a.iam relevabis Σ (iam om. L p) Ar (rellevabis Mar.; B. scriveva n.et illi i.a. rellevaris, seguito da Umpf. nella disposizione delle parole, ma con relevaris); nam illa nimium relevabis A; nam et

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603. tuo officio codd. ARUS. 474 edd. pi.; tuom officium Fleck. Dz. 607. claudier A DON. (legitur et ‘claudier’ id est claudicare) edd. pi.; neclegi Ar Σ DON.; ludier B. Fleck. Dz. Semper se credunt contemni, chiosa EUGR. Cfr. An. 573, Eun. 163-164, e n. ad l. 610-617. certum siet] certus siem D G L.-K. Pra.; certum sit Dz.; certum est DON. Cfr. C. Questa, Lyrica Terentiana (Ad. 610-617), in N u ­ meri innumeri, Roma, 1985, p. 399, di cui accetto la divisione colome­ trica del canticum. 618. vidi DON. L.-K. Mar. R.; eam vidi A cett. edd.; vidi eam Σ. 636. sunt codd. edd. pi.; sint A1 Fleck. Umpf. Dz. Pre. 640. credere Σ DON. edd. pi.; dicere A Umpf. Dz. Pre. Credere è lectio difficilior; cfr. Heaut. 156, 926. 648. eas A D2 G p edd. pi.; has cett. codd. DON. Umpf. Mar. 649. migrarunt A edd. pi.; commigrarunt Σ Mar. 660. videntur Σ Ar DON. edd. pi.; videtur A Umpf. Dz. Pre.; -postea codd. DON. edd. p i; poscere Bothe Umpf. Dz. Pre.; poscier Fleck. Con videtur poscere si è costretti ad intendere iusta in funzione avverbiale. Postea è parola ridondante (Donato: videtur enim mihi ‘postea’ sic

abundare), che Ter. usa sempre in fine di v. (ott. giamb., sett. trac., senari) ben 11 volte (si veda 0 . B ianco, Sul testo, cit., pp. 103-104). Mar. e R. pongono punto interrogativo dopo videntur e pensano che postea sia la prima parola di un discorso che rimane sospeso. 666. illa A DON. in lemm. ARUS. 460 Umpf. Dz. Pre.; illam DON. (legitur et ‘illam’ et dicebant veteres hanc rem consuevi) cett. edd.; cum illa Σ SERV. auct. ad Aen. LV 408; quicum ea B. Fleck. In Ph. 873 ed Hec. 555 consuesco è costruito col cum e abl. 673. huc] hinc DON. B. Mar. 687. magnum (indignum)] magnum codd. Mar. che segna lacuna; sane magnum L.-K. R.; magnum magnum Muretus cett. edd. Il Kauer pensò di leggere sane su primum in A, che, dice il Pra., ‘revera deest’. Cfr. O. B ianco, Sul testo, cit., p. 104. 697. num 1. DON. DIOM. 346 Umpf. Dz.; nunc 1. A L.-K. Pre. Pra.; ambedue le varianti in δ (num 1. nunc tu) e γ (num 1. tu nunc; num l.tu michi nunc E, num l.tunc me e), num nunc 1. Mar.; nunc 1. tun me R.

NOTA CRITICA

NOTA CRITICA

703. escendit A C P L.-K. Mar. Pra. R.; ascendit cett. codd. DON. cett.

pronome soggetto dell’oggettiva è consueta nella lingua parlata; cfr. w . 151, 162, 193, 270, 359, 401, 402 etc.

144 edd.

712. ne morae meis A ARUS. 493 edd. pi.·, in mora meis DON. Mar.·, ne mora meis Σ. 727. non insanis? MI. Non, malim q. codd. Umpf. Dz. L.-K. Pra. R.; non insanis? Non... MI. malim q. Mar.; MI. Non. DE. Malim quidem Fleck. Pre. Già Donato annotava: alii volunt Micionem dicere ‘malim qui­ dem’, alii Demeam. Al v. 737 lo stesso personaggio dice: non, si queam. 737-738. si queam/mutare Σ edd. pi.; si queam/id m. A. Mar. e R. conservano id e lo spostano alla fine del v. 737. 766. lubitum est ΑΓ Σ edd. pi.; lubuit A Umpf. Mar. R. Cfr. An. 263. 770. tu G P p Umpf. Dz. Fleck. Pre.; tun cett. codd. edd. Con tun si pensa che la frase sia interrogativa (Hec. 849, Ph. 431). 771-772. exemplo B. edd. pi.; exemplum Σ; exempla A L.-K. Mar. Pra. L’aver accettato tun nel v. precedente obbliga questi edd. a sostenere la lezione di A e, con Mar., ad emendare il concorde esses del v. 772 in essent. Esses è invece la parola che il senex e il servo riprendono pro­ vocatoriamente (tu si meus esses/dis quidem esses/curarem ut esses). La difficoltà sintattica e la funzione scenica si oppongono ad exempla es­ sent.

774. potatis Ar Umpf. L.-K. Pra.; potis A; potasti (potestati L η ε) Σ Fleck. Dz. Pre.; potastis DON. Mar. R. 791. ilicet A L SERV. ad Aen. I I 424 edd. p i.; scilicet γ G L2DON. Fleck. Dz. Pre. Cfr. Heaut. 974, Eun. 54. Donato ad Ph. 208 dice: semper ilicet finem rei significat, ut actum est (An. 463). 803. MI. Non aeq.dicis. DE. Non? MI. nam v. codd. edd. pi.; attribuisce il secondo non ancora a MI. Mar., sulla base di questa annotazione di Donato: confidenter ‘non’ repetivit non habens rationem quam subiceret, nisi illi proverbium venisset in mentem. Ma allora si dovrebbe­ ro porre dei puntini di sospensione dopo il secondo non, e non consi­ derarlo una semplice iterazione per ribadire il primo. 809. tollebas γ edd. pi.; tolerabas A S F 2 L.-K. Pra. R. Tolerare in Ter. non ha mai per oggetto una persona: Ph. 555, 731, Heaut. 147, 478, 544. 820. amborum A Dz. L.-K. Pre. Pra.; ipsorum ΑΓΣ DON. EUGR. Fleck. Umpf. Mar.

826. inesse illis A L.-K. Pra. R.; in illis esse (illis esse invideo p) Σ; illis inesse DON.; inesse in illis cett. edd. 827. Eos manca in A e lo omettono Fleck. L.-K. Pre. L ’omissione del

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828. scire est Σ (scire E v) edd. pi.; scire et A; scires Lachmann Umpf; siris Fleck.; seiris Dz. Cfr. Heaut. 192 crederest che Lachmann correg­ geva con crederes, non ammettendo il grecismo sintattico. 840. ego ras A (ego del. Joviales) edd. pi.; ego om. Σ DON. Mar. 845-846. atque ibi A C P D edd. pi. al v. 846; il B., seguito da Mar. e Ti., spostò atque alla fine del v. 845, scrivendo nel contempo illi con E D2 P2 C2 F2 p η ε (illa G; come correzione di illi v). 850-852. In A (con L C P E F v η) atque-cubet è attribuito a DE.; quindi derides a MI. (con L v); fortunatus-sentio nuovamente a DE. (con v). Cfr. J. A n d r i e u , Étude, p. 18. 860. propre iam excurso] iam decurso EUGR. ad v.