Cinéma. La creazione di un mondo 8880121766, 9788880121763

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Cinéma. La creazione di un mondo
 8880121766, 9788880121763

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LES CAHIERS DU MOIS

--------- 1925 ---------

CINEMA la creazione di un mondo i cura di Michele Canosa

< jnciecj Bologru

Le Mani

Cinema Titolo assoluto e francese. È il titolo del numero speciale della rivista, letteraria e di cultura vana, Les (Miners du Mois*: Parigi, nn. 16/17. anno 1925. 1925: anno dirimente per la cinematografia francese, per il cinema. Per le teorie cinematografìe he. Si rifletti- sul eira ma I film si riflettono nelle teorie Co teoriche o poetiche) e vice­ versa Si discute La posta? La creazione di un mondo. Questo numero della rivista, in forma esemplare, e Li lesti monianzn più luminosa e prospettica Li creazione di un mondo attraverso il cinema.

Li presente traduzione integrale di Cinema mira, intanto, a ricomporre la fisionomia del corpus testuale originano e. in questa forma, a renderlo finalmente accessibile al lettore ita­ liano. Intende, così, rievocare la ricchezza e la vitalità (e le contraddizioni) di un dibattilo cinematografico: in un deter­ minato momento (metà anni Venti), nel cinema, in Francia. Scritti di Jean Epstein, René Clair. Marcel 1 Ilerbicr, Germaine Dulac. Jacques Feyder, Rolx'rt Mallet Stevens. Blaise Cendrars, Jean Cocteau, Rene CrvveI, Robert Desnos, Philippe Soupaull E altri.

Cinema Ritrovalo 2001 XV edizione Derrière les silences - II cinema francese degli anni Venti con il contributo di Ministero per i Beni e le Attività Culturali * Dipartimento dello Spettacolo Regione Emilia-Romagna - Assessorato alla Cultura Programma Media* dell'unione Europea

Cura editoriale di Paola Cristalli e Valeria Dalle Donne

Edizione originale: © «Les Cahiers du Mois-: Chiòma, Paris, Editions Emile-Paul Frères. n. 16/17. 1925 Traduzione di Paola Cristalli. Cristiana Querzè, Sandro Toni

Redazione e impaginazione di Enrica Z. Merio I edizione italiana: 2001 © 2001 Le Mani - Microart's Edizioni, via dei Fieschi 1 16036 Recto - Genova tei. 0185-730111 - fax 0185-720940 http://www.lemanieditore.com e-mail microarts® interbusiness, il © 2001 Cineteca del Comune di Bologna

ISBN 88-8012-176-6

Indice Introduzione di Michele Canosa

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I. La creazione di un mondo attraverso il cinema Un nuovo mondo sensibile Lo sguardo del vetro (Jean Epstein) Ritmo (René Clair) L’attore (Jaque Catelain) Cinema-espressione (Jean Tédesco)

13 15 17 21 24 28

Un’emozione nuova 35 Spirito del cinematografo (Marcel L’Herbier) 37 La formazione della sensibilità. Il ruolo de) -soggetto* (Lionel Landry) 44 Le tendenze del cinematografo Il disegno animato e, più in generale, il cinema visto come mobilitazione dell’assurdo (Gus Bofa) L'essenza del cinema. L'idea visiva (Germaine Dulac) Trasposizione visiva (Jacques Feyder) Realismo ed espressionismo (Emile Vuillermoz) I) film astratto (Georges Charensol) Seconda tappa (Henri Chomette) Due note: Cinema puro e cinema commerciale. Cine­ ma e Surrealismo (René Clair)

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n. Influenza del cinema sulle arti

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Architettura e cinema (Robert Mallet-Stevens) Osservazioni sull’influenza del cinematografo sulle arti plastiche (Alberto Cavalcanti) Pittura e cinema (Jean-Francis Laglenne) Pittura e cinema (Fernand Léger) Il cinema e il music-hall (Gustave Fréjaville) Musica e cinema (Frank Martin)

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61 68 77 82 90 95

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L’influenza del cinema sulla musica (Paul Ramain) Nota (Bétove)

123 129

III. Le lettere, il pensiero moderno e il cinema. Inchiesta 131 Risposte: Alexandre Arnoux 133 André Beucler (Il poema cinematografico) 135 Dominique Braga 137 Blaise Cendrars (Intervista sul cinema) 138 Jean Cocteau 143 René Crevel 144 Joseph Delteil 147 Robert Resnos 148 André Desson (Qualità del cinema) 149 André Harlaire (L'occasione del cinema) 155 Louis Martin-Chauffìer 161 Jean Paulhan 165 Léon Pierre-Quint (Significato del cinema) 166 Jacques Poisson (Cinema e psicanalisi) 172 C.F. Ramuz 174 Philippe Soupault (Rabbia, Forza, Addio, Gloria, Rimpianto) 176 Jules Supervieille 180

IV. Stato del cinema

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La critica dei film (Lucien Wahl) 185 Il film francese (Pierre Henry) 192 Le due tendenze del cinema attuale (Marcel Gromaire) 201 Un esempio: il futuro del cinema svedese (Folke Holmberg) 204 L’adattamento dei film stranieri (André Chancerei) 207 Stato del cinema (Léon Moussinac) 211 Il cinema al servizio di un’umanità migliore (Jacques De Baroncelli) 214 Indice dei film

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Introduzione Parigi, 1925. La città ribolle: siamo nel bel mezzo delle ■années folles-. Tra aprile e ottobre, si svolge la grande Ex­ position Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modemes. Qui trova posto - legittimo o legittimato - anche il cinema. Mostre, proiezioni, conferenze e dibattiti si sus­ seguono. All'Expo come già al Musée Galliera, come nella fìtta rete parigina dei ciné-clubs e delle sale specializzate. Le presentazioni dei film si alternano ai discorsi. Ricciotto Canudo e Louis Delluc non sono morti per nulla. Si riflette sul cinema. 1 film si riflettono nelle teorie (o teoriche o poetiche) e viceversa. In alcuni casi, più che di film com­ piuti, si tratta di brani esemplari delle ricerche estetiche più progredite oppure florilegi dimostrativi, film di compilazio­ ne. Teorici e cineasti spesso coincidono (Germaine Dulac, Jean Epstein, Marcel L'Herbier, René Clair...), altre volte so­ no critici cinematografici che diventeranno storici del cine­ ma (Léon Moussinac, Georges Charensol, il giovane Jean Mitry...) oppure sono scrittori, scienziati, filosofi. In queste occasioni tornano le definizioni, spesso pole­ miche, del Cinema Arte, non-Arte, non ancora, “contro l'Arte" (Marcel L’Herbier. prima di Walter Benjamin). sixième art o le cinquième art o le septième art o la dixième muse. Cinema arte autonoma (-specifico fìlmico-) o dipen­ dente (eteronoma). Cinema che influenza le altre arti, o da queste influenzato, o sintesi. Cinema industria (fabbrica delle immagini) e tecnica. Realismo e lirismo e sogno. Ri­ produzione e espressione. Fotogenia (l’aura degli oggetti del mondo che solo il cinema sa rivelare; oppure l'invisibi­ le reso visibile). Fotogenia e cinegrafia. -Linguaggio-, scrit7

CINEMA • LA CREAZIONE (X UN MONOO

tura, ideografia. Trovate: primo piano, angolazioni inusita­ te, ralenti e accelerato, inversioni, mascherini, flou, mon­ taggio rapido, sovrimpressioni, split-screen... Film a domi­ nante narrativa o plastico-figurativa. Ritmo: musicale o meccanico. 1 generi popolari (.serials) e i generi laterali (di­ segni animati, documentario scientifico). Comunque contro l’acre nemico (il Teatro o la Letteratura). E poi il cinema americano (invadente, invasore, che però ha dato Griffith, The Cheat, i cow-boys e Fairbanks), la cinematografìa ame­ ricana contro quella francese. Alternativi, l’esempio tedesco (Caligari) e svedese. Chariot, indiscutibile, per tutti (mario­ netta cubista o vagabondo umanista). Ci si appassiona, si discute con fervore e innocenza. A volte con trasalimento. Con ambizione, anche. Non resta molto tra cielo e terra, tra corpi e luce, che il cinema non possa comprendere. Per questo il cinema crea un altro mondo. Creation d’un mon­ de par le cinéma. Un gran numero di dette (dette assai in fretta) questioni attraversano i testi apparsi nel 1925 sul n° 16/17 della rivi­ sta -Les Cahiers du Mois- che qui proponiamo, integralmen­ te, in traduzione. Queste e altre questioni. Anche in ambito cinematografico, penetra il termine -avanguardia». E per certuni, l'avanguardia è un cuneo, per altri non è che una malattia infantile. Poi, per Georges Sa­ doul, nella sua Histoire du cinéma mondial, il movimento dell’avanguardia cinematografica data: 1925, appunto mentre chiama la scuola francese precedente -impressionisme-. Ma l’avanguardia è solo un laboratorio di ricerche avanzate per rinnovare l'industria del cinema o è un movi­ mento autonomo e antagonista? Non tutti sono d'accordo sulle definizioni, sui nomi e sulle date. Certo è che questo 1925 costituisce un anno di riferimento per le forme più in­ novative, e i relativi discorsi, del cinema realizzato, o solo visto, in Francia: è una linea di displuvio. Ecco un’altra ra­ gione per rendere disponibili, come qui proponiamo, gli scritti dei -Cahiers-. Con -avanguardia-, altri termini concorrono: cinema mo8

INTRODUZIONE

demo, astratto, assoluto, integrale, sperimentale (che però è adottato piuttosto in area anglosassone)... Cinema puro. Questione presto vexata, questa del cinema puro, che ri­ chiama, e forse anticipa, nello stesso anno, la controversia sulla poésie pure avviata dall'abate Bremond in una celebre conferenza all'Institut de France: 24 ottobre 1925. Dentro questo moto di idee, di discorsi, di pellicole, sor­ ge a Parigi una iniziativa di spicco: due cicli di conferenze con proiezioni di film: 1) Creation d’un monde par le ciné­ ma (dal 28 novembre 1925; 2) Creation du cinéma (a par­ tire dal 28 febbraio 1926). 11 programma previsto del primo ciclo di conferenze (Création d’un monde) è il seguente: Signification du Cinema / Leon Pierre-Quint (28 novembre) Pbologénie du monde mécanique / Pierre Hamp (5 dicembre) Vaieurpsycboiogique de l'image / Dr. Allendy (12 dicembre) La formation de la sensibilité / Lionel Landry ( 19 dicembre) L’émotion bumaine / Charles Dutlin (2 gennaio) Le fantastique et l’humour / Pierre Mac Orlan (9 gennaio) Le comique / André Beuder (16 gennaio) Le Cinéma et le temps/Jean Tédesco (23 gennaio) lmagrazione perché la sua arte si trasformi con la creazione di uno stile e di una tecnica nuovi, i quali a poco a poco in­ vaderanno il campo sinfonico, come ha fatto l’opera nel se­ colo scorso. Parlare dei risultati di questa collaborazione non può che limitarsi a un modesto esercizio profetico e ciò che dirò sarà soltanto per esprimere un desiderio personale, una visione particolare. Perché questo nuovo stile si manife­ sti, infatti, è necessario che una domanda equivalente a quella del piano-bar o del music-hall obblighi un certo nu­ mero di compositori a specializzarsi in questo campo, a coltivarlo, a vivere di esso. Del resto è molto probabile che tra non molto questo accada. A mio avviso la musica, nel cinema, ha soltanto lo sco­ po di tenere occupato l’udito mentre tutta l'attenzione si concentra sulla visione, impedendo di percepire, nel silen­ zio esasperante, il rumore dell’apparecchio e i movimenti del pubblico. È importante, dunque, che essa non attiri l’at­ tenzione con una ricchezza o una novità che impediscano di seguire lo spettacolo. Per i miei gusti ci vorrebbe una musica facile, spirituale, che si possa ascoltare con estremo piacere, ma che si pos­ sa anche ignorare e che non susciti rimpianto se, tutti presi 119

C1NÉMA ■ LA CREAZIONE DI UN MONDO

dalla visione, ne perdiamo lunghe parti. La sua forma non deve quindi avere nulla di sinfonico: con questo intendo che dovrebbe essere composta da una successione di pic­ cole forme assai brevi, che si possano eliminare singolar­ mente senza nuocere alla costruzione d'insieme, come una sona di variazioni senza tema fìsso, e che ognuna di queste piccole forme sia facilmente percepibile, senza alcuno sfor­ zo, come nel caso della musica da ballo la quale, per quan­ to nuova nell’espressione, frizzante nei ritmi e strana nella sonorità, non richiede tuttavia alcuna concentrazione della mente e si può sentire anche senza ascoltarla. Queste condizioni si realizzano in modo abbastanza cor­ retto quando i film vengono accompagnati da una musica presa dal repertorio del piano-bar o da frammenti molto brevi e molto semplici di musica classica. Ma in questo ca­ so, oltre a mancare l'unità d’intenti, non si ha mai quel per­ fetto adattamento al film che soltanto una partitura apposi­ tamente composta può garantire. Ci auguriamo che le case di produzione aumentino le ordinazioni e che i composito­ ri abbiano il tatto di non attribuire eccessiva importanza al loro ruolo, trasformando i cinema in sale da concerti. Vediamo ora che impressione il cinema ha esercitato sul­ lo spirilo dei musicisti e come abbia potuto modificare la loro concezione della musica. In questo caso la sua azione si confonde con quella di numerose altre cause: la rapidità della circolazione che ci obbliga a essere sempre pronti a tutto, il gusto letterario dell’annoiazione rapida di fatti e di sensazioni isolale, senza che ne vengano espresse le reci­ proche relazioni, il culto del caso particolare che non giu­ stifica alcuna generalizzazione, e molle altre cose ancora; che noi trascureremo per parlare soltanto del cinema, per­ ché è quest’ultimo che crea nella mente la tipica reazione del caso, grazie aH’atteggiamento che esso richiede da par­ te dello spettatore. Cioè una grande passività unita ad un’attenzione costantemente desta, la capacità di cogliere all'istante ogni tipo di mutamento visivo o emotivo, senza mai indugiare sulla scena passata, un'inaudita leggerezza 120

FRANK MARTIN

che giunge fino alla distruzione dell'inerzia personale fatta di ricordi, sogni, pensieri. Cercate di pensare al cinema o di immaginare ciò che vi mostra: sarete sempre in ritardo. Bi­ sogna seguire, stare al passo e, dopo tutto, lasciarsi sopraf­ fare. Sopprimendo questa sensibilità residua, il cinema, da magneti permanenti che eravamo, ci trasforma in elettro­ magneti capaci di reagire alla minima variazione di corren­ te e di capovolgere all'istante la nostra polarità. La musica non è rimasta insensibile a questa nuova con­ dizione di spirito e di sensibilità, manifestandola a sua vol­ ta. Ciò avviene attraverso l’esposizione scabra di una serie di impressioni musicali, melodie complete o motivi cortissi­ mi che, nel corso dei brani, ritornano tali e quali oppure ri­ vestiti di armonie e ritmi diversi, nella stessa forma se non addirittura con lo stesso colore, ma assolutamente non scomposti nei loro elementi e ricomposti in altro modo, co­ me avveniva nella fuga e nello sviluppo classici. E anche attraverso il deciso rifiuto di cercare nell'espressione diretta di una psicologia sentimentale la propria ragion d'essere e la propria forma. La musica diviene così un'arte del succes­ sivo, dell'immediato, e richiede al cultore una coscienza chiara, pronta in qualsiasi momento a godere di ogni parti­ colare, un’attenzione infantile fatta di sorpresa e meraviglia in un eterno presente, un’assenza di peso e una sensibilità simili a quelli degli apparecchi di misura ultrarapidi. Non serve più quella concentrazione della mente grazie alla quale manteniamo attivo il ricordo di ciò che è appena stato, necessaria a conoscere la gioia grave e la soddisfa­ zione di cogliere, nella durata, l’organizzazione dell’opera, identificandosi con essa al punto da non riconoscerne più la durata se non attraverso la stessa. Non serve più nem­ meno quella passività passionale che conduce i nervi e tut­ ta la persona alla magia di un'arte onnipotente. 11 senso dell’immediato, del presente sgravato dal peso di ogni ricordo, la volontà e il gusto di non stabilire alcun rapporto noto tra due fatti successivi, nella musica è più difficile da cogliere rispetto a ogni altra arte, perché la mu121

CINÉMA • LA CREAZIONE tH UN MONDO

sica, pur facendo uso di tutte le facoltà della mente, le esprime in un linguaggio particolare che nessuna traduzio­ ne, né alcun commento possono rendere accessibile a chi non lo comprende. Gli altri, invece, percepiscono piena­ mente il nuovo elemento che vi si è infiltrato, a parte l’uso sempre più libero dei dodici toni delia gamma temperata. Se il cinema ha influenzato la musica, ciò non è avvenuto nei suoi elementi più evidenti, la linea melodica, l’armonia o il colore sonoro, ma nella sua tessitura più intima e se­ greta, in tutto ciò che in essa si ricollega alla durata e alla memoria e che, seppure impropriamente, chiamiamo for­ ma. Frank Martin

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L'influenza del cinema sulla musica -L’avvenire del Cinema è nella Musica così come l’avvenire della Musica è nel Cinema*.

a Maurice Imbert

Da tempo ci siamo schierati contro l'accompagnamento musicale del film serio e veramente artistico o, più sempli­ cemente, del -cinema-’. E dopo aver a lungo studiato alcu­ ni Film pensati e composti in modo intelligente, siamo giun­ ti alla conclusione che la musica si trova insita nel film stes­ so e viene generata nella nostra mente dalla visione12; così come siamo arrivati a concludere che la composizione di un film si deve basare quasi esclusivamente sulle varie leg­ gi della composizione musicale sinfonica. Queste due arti, entrambe nate dal Sogno, sono sorelle, ma non devono, pe­ na l'eresia, amalgamarsi o fondersi. Tecnica del sogno nel Cinema, che solo può rappresentare per gli occhi le mani­ festazioni del subconscio e le emozioni oniriche, e scoppio del sogno proprio delia Musica che esprime per le orecchie le stesse manifestazioni: entrambi vanno di pari passo se­ guendo leggi parallele, ma non dovranno mai accoppiarsi, pena la distruzione reciproca del loro fine: quello di far vi­ brare i sentimenti profondi, sottili e complessi, che procu­ rano alla nostra mente e al nostro spirito quelle rare sensa­ zioni di ordine estetico che ricerchiamo nel corso delia vi­ ta, con la stessa asprezza e speranza impiegate dal poeta 1. Cfr. Le CourrierMusical del 1° e del 15 febbraio 1925, LAne d'Qr del giugno 1925, Les Amitiés Languedociennes, Cinéa-Ciné e Cinémagazine da maggio a settembre 1925, ecc. 2. Idem.

123

CINEMA ■ LA CREAZIONE

Di

UN MONDO

Fr. Novalis nel trovare la sua chimera, -il fiore azzurro dal cuore d'oro». Poiché condanniamo il legame acustico e visivo nella presentazione pubblica di un film, per lo stesso motivo condanniamo ancora di più il grande errore alla moda rap­ presentato dalla partitura cinegrafìca. Una musica compo­ sta su misura e con un tempo rigorosamente imposto risul­ ta inevitabilmente spezzata nella sua ispirazione e nel suo sviluppo. Se il film è bello, la musica viene sopraffatta dal­ le immagini, essendo la forza visiva sempre maggiore di quella uditiva; e se la musica è sublime, il film viene so­ praffatto da quest’ultima. Perché, fino a nuovo ordine, la musica è un'arte superiore al cinema in quanto arte auto­ noma, mentre il cinema - a parte una dozzina di ammire­ voli eccezioni - non basta ancora a se stesso*. Ritorniamo dunque al nostro punto di partenza, l'autonomia del Cine­ ma. Tale autonomia si produrrà soltanto quando il Cinema, arte visiva del Sogno, sarà soggetto alle stesse regole di composizione della Musica, arte del Sogno uditivo e sua sorella maggiore. I nostri più intelligenti registi, francesi e stranieri, l’hanno capito fin dalle prime sinfonie ottiche rea­ lizzate da Gance e F. Lang: La Roue e Les Trois Lumières, e anche da V. Sjòstrom con il suo Kórkarien. Ma i nostri più illustri compositori - a parte qualche ec­ cezione - sembrano ancora ignorare la situazione, e la par­ titura cinematografica cosi com’è concepita, se non uccide la musica ammazzando il cinema, indirizza queste due arti in un’unica via, quella della catastrofe estetica, del catacli­ sma intellettuale. Questo mostro ibrido partorito dallo spiri­ to commerciale, quest’arte teratologica creata dall’inesorabi­ le corsa al dollaro non può e non deve sopravvivere. Oc­ corre soffocarla prima che avvenga il disastro. 3.

Nonostante lo stato d'animo e l'educazione attuali, non abbiamo ti­ more di affermare che l'arte popolare non sarà mai un'arte eccelsa. Il punto di partenza del Cinema — cioè quello di arte popolare - se da un lato rappresenta la forza della sua industria, dall'altro ne costi­ tuisce l'enorme debolezza dal punto di vista dello sviluppo artistico. A meno di non operare una selezione delle sale cinematografiche.

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PAUL RAMAIN

Se è inutile e pericoloso creare una musica per accom­ pagnare la visione di un capolavoro cinegrafìco, è invece vantaggioso e indispensabile per l'avvenire e l’autonomia del Cinema creare un film a partire da una composizione sinfonica. Da tempo sosteniamo questa teoria, grazie alla quale si arriverebbe così a poco a poco al Cinema assoluto, privo di sceneggiatura. Più il film si avvicinerà alla musica, più esso si allontanerà dalla letteratura, più il Cinema cre­ scerà e vivrà di una poesia e di una nuova estetica, e più il pubblico intellettuale gli si avvicinerà. Siamo convinti che per arrivare al Cinema integrale è necessario che il film aitraversi la fase della musica silenziosa. Nessuna legge bio­ logica o psicologica si oppone allo schiudersi, nel nostro intimo, di sensazioni analoghe generate dall'udito e dalla vista. Semplice questione di adattamento sensoriale.

♦ ♦* Ma è vero anche il contrario. Se l’avvenire del Cinema è nella Musica, l'avvenire della Musica è nel Cinema. L’in­ fluenza dell’Arte Muta Sull’Arte Sonora può essere notevole, ed è già maggiore rispetto a quanto avviene in letteratura. Senza insistere troppo sull’argomento, per il momento pos­ siamo dire che alcune opere musicali contemporanee han­ no inconsciamente subito l'influenza del cinema e l’attra­ zione del film, sia nella loro genesi, sia nella loro composi­ zione, sia nei loro sentimenti. Senza dubbio un bel film, attualmente, può servire a creare una sinfonia, un quartetto o un poema di musica pu­ ra offrendo nuovi spunti al compositore. La vita commo­ vente delle immagini in movimento sullo schermo costitui­ sce una straordinaria fonte d'ispirazione per un musicista, perché le sensazioni che ne derivano favoriscono in modo estremamente efficace il manifestarsi delle stesse sensazioni sepolte nel cuore e nella mente umana le quali, non riu­ scendo ad esprimersi, necessitano di una sferzata. Queste immagini agiscono dunque come un efficacissimo eccitante 125

CINEMA ■ LA CREAZIONE £M UN MONDO

a condizione che il compositore dia libero corso alla pro­ pria ispirazione e non la costringa in «compartimenti sta­ gni», adattandola cronometricamente al film, fonte di ispi­ razione della sinfonia. Il terribile pericolo della castrazione volontaria dell'ispirazione è sufficiente a rendere la musica schiava del film, a prescindere dalla maestria del composi­ tore e dagli stratagemmi ardui e strazianti che egli stesso impone al suo spirito creativo per sfuggire all'inevitabile di­ sastro. Charles Tenroc, parlando una volta del Miracle des toups, aveva perfettamente individualo l'errore e il pericolo. Ma per noi questo film rappresenta quasi il modello perfet­ to di quanto non si deve fare al Cinema*, e cioè una gigan­ tesca e succulenta lagna piena di buona volontà, come l'in­ ferno. In quanto alla musica di Henri Rabaud, malgrado la sua ingegnosità essa è soltanto un tentativo - con alcune belle idee, certo -, un pallone sonda vuoto e nell’insieme leggero che, se sale troppo in alto, finirà per scoppiare fa­ cendo poco rumore, con il progressivo rarefarsi dell'atmo­ sfera musicale. Henri Rabaud, che è pur sempre un Maestro (il suo delizioso Marouf basta a dimostrarlo), ha creato una specie di mosaico, una sorta di caleidoscopio ordinato le cui immagini musicali rimangono però embrionali, spezzet­ tate dai secondi durante i quali passano le immagini visive. Questa concezione della musica a compartimenti stagni cioè quella della partitura adattata a un film - non è fatta per gli spiriti musicali di una certa levatura, ma si addice unicamente agli strimpellatori senza grandi idee che voglio­ no guadagnare qualche soldo e una facile fama popolare. Personalmente ci chiediamo con curiosità, e con una certa preoccupazione, come la ribollente e apocalittica immagi­ nazione musicale di Florent Schmitt potrà creare in sei me­ si la partitura del film Salammbo. Da questo film non ci aspeltiamo nulla di straordinario, ammettiamolo, perché questa concezione cinegrafica della messinscena a catapul4.

Il film si salva in parte per la sobria e geniale interpretazione di Lui­ gi XI ad opera di Charles Dullin. Alcune scene sono di buon cinema (la battaglia di Montlhéry nel 1465 e rincontro di Péronne),

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PAUL RAMAIN

ta è un nonsenso per l’Arte muta integrale. E crediamo che in questo caso la musica di Florent Schmitt annienterà facil­ mente la visione dello schermo, anche se essa dovesse avere le ali tarpate e le unghie mozze. Sì, l'influenza del Cinema sulla Musica, così come si ma­ nifesta attualmente, è dannosa. Finché la musica sarà un accessorio del film, essa avrà soltanto il valore di un rumo­ re. Finché il film avrà bisogno di un -rumore- su cui regger­ si - riprendendo l’espressione di Arthur Honegger -, il Ci­ nema segnerà il passo e rimarrà una caricatura dell’Arte. Il Cinema, tuttavia, può esercitare sulla musica pura un’in­ fluenza seria e positiva se tale musica vi si ispira senza confondervisi. Esattamente com’è vero il contrario, ripetia­ molo. Grazie alle emozioni e alle sensazioni visive che risve­ gliano sentimenti profondi, il film è una nuova fonte d'im­ maginazione musicale. Grazie alla sua tecnica di sogno, il ci­ nema può rinnovare l'ispirazione musicale - essendo quest’ultima una forma di sogno - senza che la forma della mu­ sica e persino la composizione sinfonica di un'opera ne ri­ sentano. Perché, bisogna riconoscerlo, e non se ne abbiano a male alcuni dei nostri giovani compositori a cui danno noia i geni scomparsi, la forma musicale ha raggiunto la propria perfezione assoluta con gli ultimi quartetti di Beetho­ ven. Il Cinema rinnoverà dunque l’immaginazione e creerà nuovi sviluppi melodici e armonici. La visione di un film produrrà idee musicali più facilmente di quanto non abbiano fatto fino ad ora la natura agreste, la letteratura, la pittura o I’architettura: visioni immobili e arti antiche che hanno finito per rendere stabile la nostra immaginazione sensoriale. Da un film come La Roue, Honegger può trarre una viva­ ce sinfonia dinamica: del resto, non vi si è ispirato per la sua Pacific 23/? Prima influenza del Cinema sulla Musica con­ temporanea. Da un film come L’Inhumaine, Stravinskij può trarre un poema sonoro che, iniziando con una o più sem­ plici melodie, terminerà in una feroce e tumultuosa esacerbazione ritmica. Ma cosa vi è di più cinematografico del Sa­ cre du Printemps? Infine, da un film come Les Trois Lumières 127

CINEMA ■ LA CREAZIONE 01 UN MONDO

- vera e propria sinfonia ottica — Vincent d'Indy può costrui­ re una sinfonia ciclica, a lui cara, su un unico tema: La Mor­ te. La sinfonia potrà seguire il film senza essere obbligata a commentarlo cronometricamente. L'ispirazione si svilupperà liberamente e il tema musicale manterrà comunque tutti i propri valori nelle sue successive trasfonnazioni, così come il tema visivo mantiene i propri valori nell’opera di Fritz Lang. A proposito, cosa vi è di più plastico e di più simile ai -film integrale» del poema musicale /star di Vincent d’Indy?

*** Questa è la vera influenza del Cinema sulla Musica. Ma per coloro che sostengono caparbiamente l’accompagna­ mento musicale del film, diciamo che nulla vale quanto un buon adattamento di opere conosciute e continuamente ri­ petute. Perché la musica, al Cinema, dovrà rimanere quel rumore preconizzato da Honegger, quell'effetto fusa di gat­ to preconizzato da noi e destinato a non essere ascoltato, ma a creare il silenzio in sala. E se la partitura cinematografica deve sopravvivere mal­ grado il proprio duplice errore visivo e acustico, è a queste fusa che i musicisti dovranno ricorrere. Come ha fatto giusta­ mente notare Otto Vend', Claude Debussy nel suo Pelléas et Mélisande ci fornisce un geniale esempio di queste fusa in cui la materia armonica crea l’atmosfera, l’ambiente neces­ sario allo svolgersi dell’azione psicologica sulla scena. Ciò che Claude Debussy ha fatto per il teatro altri musi­ cisti potranno fare per il Cinema. Ma, di fronte alla potenza dello schermo, il brusio sonoro perderà il proprio sapore musicale e il proprio valore artistico. Paul Ramain

Nernier (Haute Savoie), Agosto 1925. 5.

Otto Vend, Le Cinèmatograpbe et les adaptations orchestrates, in Tri­ bune de Genève del IO giugno 1925.

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Signore,

certamente vi è un 'influenza del Cinema sulla Musica per tutti coloro i quali sono capaci di comprendere quanto di gigantesco possa esistere nel cinema. Ma pochi musicisti sono capaci di lasciarsi influenzare perché molti, se non tutti, si limitano semplicemente alla Musica, trascurando tutto ciò con cui può avere rapporto. 1 musicisti - in generale - sono esseri ignavi e ottusi, fer­ mamente decisi a non allargare la propria visione delle co­ se - fatto purtroppo deplorevole - alcuni sono pigri, altri ignorano cosa sia la vita, altri sono settari e altri ancora al­ legri dilettanti che approfittano dell'ignoranza o dell'inge­ nuità della gente del giorno d’oggi. Dunque esiste un’influenza del Cinema sulla Musica, ma non è ancora stata messa a profitto. In quanto all'influenza della Musica sul Cinema, a mio avviso essa è tale per cui, quando tutte le persone che si oc­ cupano di cinema capiranno che cos'è il cinema, si servi­ ranno della Musica come noi ci serviamo dell'ossigeno per vivere. Ma, settari ed ignavi come la maggiorparte delle per­ sone che costruiscono, essi preferiscono attribuire tutto ai lo­ ro sforzi verso il nulla momentaneo, piuttosto che riconosce­ re una briciola di millesimo di millimetro di successo a qual­ siasi altra cosa (sia pure la Musica) che venga loro proposta. Anche dall’Angelo della Ragione e della Chiaroveggenza che cavalca le luci deirAvvenire. Ciò che voi avete la gentilezza di chiedermi è qualcosa che mi tocca profondamente ma che- datigli uomini di og­ gi - può limitarsi soltanto al campo delle chiacchiere inutili. Cordialmente, Bétove

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Ill Le lettere, il pensiero moderno e il cinema (Inchiesta)

Ogni materiale nuovo genera nuove possibilità espressi­ ve. Il ferro, il cemento armato, hanno modificato le tecni­ che dell'ingegnere, dell'architetto. Un ponte moderno non scavalca il fiume come un ponte ad archi brevi: cambia, in qualche modo, l’idea che ci facciamo del fiume, della resi­ stenza che oppone, e il senso stesso della parola fiume ne viene modificato. Perché il cinema, nuovo strumento, inse­ rito nella nostra vita quotidiana, non dovrebbe insegnarci a pensare per successione di immagini, non dovrebbe pro­ porci una ginnastica visiva sconosciuta ai nostri padri? E se impariamo a maneggiare questo linguaggio, è naturale che lo usiamo per tradurci. Ciò che più manca alla nostra fanta­ sia è la facilità di spostamento; ogni uomo costituisce un obietlivo unico, piuttosto rigido. Se il cinema ci insegna a spostare il nostro punto di vista, a girare attorno alle cose, a dominarle, a coglierle da prospettive poco usuali, a ral­ lentare o accelerare la velocità del loro movimento, avrà aggiunto al volto del mondo una specie di bellezza mobile, e, inversamente, ci avrà permesso di cogliere e di fissare cadenze sfuggenti, attitudini finora sommerse, per noi, nel loro scorrere. Il fatto che possano nascere anche certe for­ me di emozione lirica, è evidente. Sareblx! la prima volta nella storia dei secoli che i poeti avranno fallito nella loro missione, quella di incorporare la meccanica nell’anima. Lo schermo avrà poeti propri? Lo spero. Il periodo attivo del semplice perfezionamento materiale sembra finito, e si avvicina il momento, forse, delle vere realizzazioni, libere da ogni ansia di stupire. L'influenza del cinema sulla letteratura comincia a essere 133

CINÉMA • la CREAZIONE 01 UN MONDO

percepibile. Si manifesta con una certa negligenza del lega* me fra le immagini, poiché l'occhio dello scrittore e del let­ tore è più allenato, con un'analisi più profonda delle sensa­ zioni rapide, con la facoltà, nelle persone più sensibili, di decomporre e di scrutare senza spezzare il ritmo, conser­ vando il valore relativo delle diverse fasi del movimento. Alexandre Arnoux

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Il poema cinematografico Esiste un poema del visivo. Ma è forse perché si basano su una sceneggiatura scritta, concepita per una lettura astratta, che i film correnti sono in genere così brutti, così poco artistici, così simili, alla fine dei conti, ai loro fratelli in volgarità nello scenario sociale: il feuilleton, il vaudeville, il giornale sportivo, la cartolina per le feste? Quel che amia­ mo in certi film - Caligari, Torgus, Genuine, gli Chariot, i Douglas, i Mosjoukine, Fièvre, La Roue, La Femme de nulle part, ecc. - non è l’aneddoto o il racconto, ma certi pas­ saggi del racconto, la loro metamorfosi nello specchio del­ la velocità. Libero dagli stratagemmi di tutte le altre indu­ strie artistiche, il film potrebbe diventare il poema per ec­ cellenza poiché si situa nella pura durata. Vivrebbe ciò che vive un movimento, ne costituirebbe il dato immediato, l'immagine concomitante prodotta da azzurri meccanismi simili a quelli della nostra fantasia. Le fotografie più felici, le più inattese mai viste sullo schermo hanno sempre sod­ disfatto esigenze visive. In effetti, quando linee improvvise si uniscono allo spa­ zio bianco che esce vergine dal silenzio, quale canto di for­ me senza legami, quali spirali potrebbero meglio alludere all’agile Dio che gioca e rigioca incessantemente con l’o­ scuro materiale del nostro mondo? Questo poema del visivo, non possediamo abbastanza volontà per determinarlo. Eppure esso si propone ad ogni istante, su tutti i fogli bianchi del giorno, di colmare quei larghi buchi di noia che il tempo produce nella nostra du­ rata: passeggiare lungo un muro coperto di manifesti, la­ sciarsi portare da un tramway, sfogliare un album di imma­ 135

CINEMA - LA CREAZIONE O< UN MONDO

gini, un catalogo, guardare delle tipografie o il primo spet­ tacolo urbano che capita, quando si sa assumere una posi­ zione d'attesa. Operazioni sensuali che si effettuano in chis­ sà qual momento dell’essere senza l'aiuto delle esigenze di cui ogni specie di educazione ci ha caricato. L’assenza di letteratura preliminare, di volontà artistica di cui gli apparecchi da ripresa non potrebbero essere un lin­ guaggio, è alla base del successo dei Him comici, in parti­ colare di quelli di Chariot, che sarebbero poemi da cima a fondo se non esistessero delle organizzazioni avide di met­ tere didascalie a ciò che è innovazione perpetua, invenzio­ ne fotografica, variazione di atteggiamento o di movimento. Visto che questi testi sono aggiunti in un secondo tempo, significa che sono inutili. Ma il pubblico è prosaico, e quin­ di è necessario che esistano due generi di cinema. Che gli almanacchi, i libri di cucina, i romanzi da edico­ la e da metrò abbiano il loro corrispondente cinematografi­ co, giustissimo, niente di più utile all'equilibrio sociale. Ma perché non dovrebbe esistere sullo schermo, per la voluttà degli occhi, un’immagine fìsica del sogno, uno spettacolo destinato solo alla dolce tranquillità della vista? Il film è verbo o sostantivo. Propongo dei segni rivolti innanzitutto all’attesa degli occhi e poi, prima di deporsi sul fondo della ragione, alle mille vertigini intermedie che imi­ tano così perfettamente, nell'associazione delle idee, quello spettacolo senza strappi ma senza logica che è il mondo vi­ sibile. In questo mondo visibile, il cinema che non è ribelle al­ la mano dell’uomo e si offre a ogni combinazione che deformi, esageri o intensifichi il suo potere, dovreblx? of­ frirci un piacere di guardare paragonabile al piacere di pen­ sare - un poema cinematografico. André Beucler

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DOMINIQUE BRAGA

Certo che credo al cinema, ma come giustificare in po­ che parole questa fede. Mi sembra che la scoperta del ci­ nema nei tempi moderni corrisponda più o meno a quella della stampa nel xv secolo. Questa ha permesso la diffusio­ ne di una certa cultura che potremmo chiamare storica e che è stata quella dei nostri nonni e padri dal Rinascimen­ to alla fine del xix secolo. Ma i vuoti di questa cultura li­ bresca cominciano già a farsi evidenti. Grazie al cinema ve­ dremo svilupparsi un’altra forma di cultura, moderna, e che potremmo definire geografica. Attualmente il prezzo di costo di un libro cinematografi­ co, o film, è troppo alto perché si possa stampare in imma­ gini altro che dei feuilletons. Bisogna perseguire le grandi tirature. Non appena sarà possibile, gli artisti cercheranno di utilizzare questo strumento che permetterà loro di rag­ giungere una velocità di espressione fino ad ora sconosciu­ ta. Qui la sensibilità della retina è sfruttata al massimo e l'immagine si traduce direttamente in conoscenza senza la mediazione dei vocaboli e dei concetti corrispondenti. Nell'attesa il cinema si accontenta di esercitare sull’esteti­ ca un'influenza obliqua. Sta per assassinare sicuramente il teatro. Modifica la visione del romanziere. Visto che bisogna citare esempi personali, dirò che nel racconto che ho pub­ blicato l'anno scorso sono state trovate delle pagine di ra­ lenti che mi sono costate diverse critiche. Se ci rifletto, rifles­ sione indotta dalia vostra inchiesta, il libro che pubblicherò il prossimo inverno si svolge nel movimento continuo di una pellicola cinematografica. Ma è un’interpretazione d'autore!... Dominique Braga

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Intervista a Blaise Cendrars sul cinema Lunedi 25 ottobre 1925 •Caro Signore, • Di passaggio a Parigi......................................................

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riparto giovedì,.................................

Cordialmente vostro, Blaise Cendhars-

Si trattava dunque di incontrare Cendrars, di riconoscer* lo, di farlo parlare. Le due prime condizioni non presenta­ rono nessuna difficoltà. Ma la terza ci dava qualche preoc­ cupazione, poiché la fiducia che nutrivamo nelle nostre ca­ pacità di intervistatori era minima. Tuttavia, dopo avere fat­ to conoscenza con l’autore dell’Or, decidemmo di andare a pranzare tutti e tre assieme in un ristorantino caro ad Apol­ linaire; e qui, nell'atmosfera di intimità prodotta dagli odori della cucina e dal rumore delle stoviglie, ogni reticenza è 138

BLAISE CENORARS

scomparsa e non abbiamo avuto nessuna difficoltà a far parlare la nostra vittima. Non ci restava che ascoltare. - Le vostre domande mi interessano troppo perché ri­ sponda in due parole come ho fatto per altre inchieste. Mi chiedete in primo luogo se io credo che il Cinema porti nuove emozioni, ma per me non c'è il minimo dubbio! Il Cinema è un'invenzione formidabile! Ma se ha un'influenza su di me, è soprattutto per via dei suoi primi film, che era­ no sciocchi ma meravigliosi. È qui la vera scoperta, la no­ vità: mi ricorderò sempre di un certo Voyage dans la lune, che si proiettava alcuni anni prima della guerra, dove c'era­ no dei tizi che si imbarcavano per la luna proprio in mezzo ai balletti dello Chàtelet. E cosa trovano sulla luna? Un cor­ po di ballo! E via andare! Questo sì era sconvolgente. Oggi in Europa crediamo di fare delle scoperte, di trasformare il cinema, utilizzando tutti i procedimenti tecnici possibili, ma non è questo il problema, affatto, fe necessario che le sce­ neggiature si accordino con le soluzioni tecniche adottate, se no è come se si preparasse un roast beef con la raffina­ ta tecnica dei cocktail. I cinegrafisti francesi hanno ripreso con intelligenza e sensibilità procedure americane che in America però non erano state adottate. Poiché, in materia di cinema, tutto viene dall’Ainerica, e tutte le migliori qualità del cinema si rivelano proprio quando meno ce lo aspettia­ mo. C'è come Un alfabeto del cinema di cui non conoscia­ mo che pochissime lettere. Una di queste, per esempio, è il -primo piano-. L'ha tro­ vato Griffith, una vera rivoluzione, che tuttavia Griffith ha pagato con la perdita del posto in casa di produzione. Ma non dobbiamo credere che avesse introdotto il primo pia­ no per verificare una teoria. No, ci sono interviste recenti di Griffith in cui parla solo della sua vita pratica, dei suoi tentativi commerciali. Non ha nessuna idea di quello che fa, eppure ha scoperto una lettera dell’alfabeto cinemato­ grafico. Ce ne sono ancora molte altre che il caso ci fa a volte intravvedere. Mi ricordo per esempio di un vecchio 139

CtNÉ MA - LA CREAZIONE DI UN MONDO

film, dove si vedeva una folla di persone, e in questa folla c'era un ragazzino con il berretto sotto il braccio. Ad un tratto, ecco che questo berretto, uguale a tutti gli altri ber­ retti, acquista, senza muoversi, una vita intensa, quasi fos­ se pronto a scattare, come un leopardo! Come mai? Non lo so. Era una questione di luce, di effluvi, che ne so. Esisto­ no fenomeni misteriosi che sembrano indicare che la pelli­ cola può essere sensibile a impressioni che sfuggono ai nostri sensi e anche alla nostra scienza. In una drammatica scena un’indiana era stata fatta prigioniera e piangeva. Svi­ luppando il film, appariva, in mezzo alle immagini nelle quali l’indiana aveva gli occhi dolorosamente chiusi, un'immagine, una sola, in cui l'occhio era spalancato. Ora, alla velocità della ripresa, era materialmente, scientificamente, impossibile che l'occhio fosse rimasto aperto per il tempo di una sola immagine. Sembrava quasi che avesse agito una specie di effluvio psichico, emanazione di questa indiana che, a causa della sua razza o dell'emozione della scena da interpretare, era forse più suscettibile di un'altra alla produzione di emanazioni spirituali di questo tipo. Di solito sono piuttosto scettico di fronte a spiegazioni del genere, ma il cinema ci propone a ogni istante tali motivi di stupore che non si può fare a meno di formulare ipote­ si che escano daH’ordinario. Solo il cinema può fare vivere mille uomini come un solo essere, o un frammento d'esse­ re, mentre nella realtà questa unità profonda non appare come un essere intero. Quando la stessa scena può essere ripresa sul Monte Bianco o in studio, è certo che la scena effettivamente girata in montagna possiederà qualcosa di più: resteranno scie luminose o d'altro tipo che hanno agi­ to nel film e che gli hanno donato un’anima. Cendrars si interrompe e porge il piatto alla sua cagna bianca perché finisca il cibo. - Ma, chiede uno di noi, non bisognerebbe inserire fra queste lettere dell'alfabeto cinematografico anche il ritmo, 140

BLAISE CENDRARS

che riveste un ruolo così importante in certi film di oggi, in particolare in quelli di L'Herbier? - Sì, ma io preferisco il ritmo di certi film comici ameri­ cani, anche se sono totalmente stupidi. Il ritmo di L'Herbier mi sembra un ritmo musicale più che un ritmo pro­ priamente cinegrafìco. Tutto quello che le altre arti appor­ tano al cinema non è più cinema. Fare scenografìe con cu­ bi o altro non è fare dell'avanguardia. La scenografia è una cosa, il cinema un’altra. Le modificazioni della prima non fanno progredire il secondo, sono indipendenti. Nem­ meno nella recitazione degli attori consiste il cinema pro­ priamente detto. Un giorno ho proposto al direttore di una grande casa cinematografica di fornirgli un’attrice eccezio­ nale, la più straordinaria delle star: la luna! Ha creduto che lo prendessi in giro, eppure si sarebbero potute fare cose straordinarie con la luna - non avete mai visto un’alba sul circo di Tycho? Volendo si poteva ricamare sopra una pic­ cola storia d’amore: la figlia di un vecchio astronomo, in­ namorata di un giovane astronomo rivale del padre... ecc. Ceni una lente all’osservatorio a cui si sarebbe potuto fis­ sare l’obiettivo di una macchina da presa. Era un’occasione splendida... - E ora? Ci hanno detto che anche voi avete fatto a volte del cinema. State preparando un film? - Certo! Fare del cinema è una passione, come bucarsi con la morfina. Una volta che si è provato non c’è più mo­ do di rinunciare. Tra poche settimane parto per il Sudamerica dove girerò una specie di epopea, la storia del Brasile. - Quali saranno i vostri personaggi principali? - ...I fiumi, la foresta, personaggi inauditi. Tutta la storia del Brasile sta nella storia di questa foresta.

Cendrars si interrompe ancora per controllare il cibo della sua cagnetta, la quale non pare molto interessata alle nostre chiacchiere. - Ma, riprendiamo, vista la vostra passione per il cinema, non potrete negare la sua influenza sui vostri libri. Del resto 141

CINÉMA ■ LA CREAZIONE DI UN MONDO

appare evidente in ogni pagina dell'or o della Fin du mon­ de. — Davvero? Per L’or non saprei. Quanto alla Fin du mon­ de, è quasi una sceneggiatura senza le indicazioni tecniche. In generale non credo a un'influenza speciale del cinema, ma piuttosto di tutta la vita moderna, delFautomobile, del­ l'idraulico che sistema lo scaldabagno, delle compagnie di navigazione, ecc. Tutto agisce su di noi. Così...

Così in effetti la conversazione ha preso un’altra strada, ed è continuata prima davanti ai bicchieri e ai piatti vuoti, poi davanti alla tavola sparecchiata. E a poco a poco, sen­ za rendercene conto, era giunta l’ora di ritornare ciascuno alle proprie occupazioni. Francois e André Berge

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JEAN COCTEAU

Hòtel Welcome, Villefranche-sur-Mer Caro Signore, fra la pigrizia, la pesca e il lavoro, mi resta ben poco tempo per rispondervi, ma non voglio che il mio silenzio vi sembri causato da scarsa predisposizione alla vostra in­ chiesta. In poche righe, penso che le bellezze accidentali del ci­ nema facciano ormai parte del nostro nutrimento (volumi, velocità, ecc.). Aggiungo che i film di Harold Uoyd e Zigoto (Ridolini) mi commuovono. La loro poesia va al di là del riso. Si è tanto detto che Chaplin era un poeta che ha volu­ to diventarlo. Peccato. Il vostro fedele Jean Cocteau

Scusatemi per questo affrettato P.S., ma ho appena visto a Nizza l'ultimo film di Chaplin, La Rouée vers l'Or, e mi vergogno delle riserve che avevo. Questo film è un capola­ voro assoluto. Jean Cocteai;

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CINÉMA • LA CREAZIONE 01 UN MONDO

Anche se bisogna pur rassegnarsi a scegliere un certo modo d'espressione, le arti (mezzo per mostrare agli altri o per fargli capire ciò che non si può non mostrare o far ca­ pire) sono strumenti, di un tipo particolare ma pur sempre strumenti, né più né meno. Quindi, se parole come lettera­ tura hanno assunto il senso peggiorativo che tutti cono­ sciamo, come non ammettere che la colpa di tutto questo è degli artisti, i quali, maldestri come sono, o, al contrario, troppo abili a mascherare un’impotenza di fondo, hanno voluto conferire un valore in sé a procedimenti il cui ruolo non è quello di creare ma di trasmettere quell’emozione che il vostro questionario definisce -poetica-. Senza dubbio perché fa parte di una sensualità più dif­ fusa, stavo per dire più volgare, quella cioè di preferire e rispettare le forme e i colori più che le parole: la scultura e la pittura, che io sappia, non sono mai state colpite dal­ lo stesso disprezzo riservato alla letteratura. Del resto, quanto alle arti tradizionali, le emozioni che suscitano in noi un quadro, una statua, sono meno suscettibili di anali­ si dell’impressione che ci dà un romanzo o una poesia. La trasparenza delle parole (dovuta forse, in gran parte, all’u­ sura) lascia così quasi sempre intrawedere la volontà arti­ stica. Comunque sia - e poiché si tratta di emozioni parlerò delle sole di cui sono più o meno sicuro, le mie - le ope­ re che mi hanno più colpito e quindi indubbiamente con­ dizionato - i primi quadri di De Chirico, Les frères Karamazow, Le Rouge et le Noir - sfuggono, mi sembra, a ciò che comunemente viene definito arte. Domandate a coloro 144

RENÉ CREVEL

che fanno della pittura-pittura cosa pensano di De Chirico. Cominceranno col dirvi che non è un pittore. Per quel che riguarda Dostoevskij, le sue opere spezzano lutti i parame­ tri, anche quelli del bello stile, e siccome le traduzioni hanno rispettato il suo originale difetto di scrittura, non è certo l’arte che in lui può sedurre. Quanto a Stendhal su­ perato dai suoi protagonisti, dice meno di quel che lascia cercare e trovare. Ma, si obietterà, l'eleganza dell’arte è tale solo se non si fa notare. Infatti, appunto. De Chirico, Dostoevskij, Stendhal, si notano e, naturalmente, non certo per l'eccesso dei gesti. Del resto non hanno mai pensato di fare i lord Brummel, né di affidare ai maggiordomi - discepoli o imi­ tatori - il compito di portare le loro idee o i loro sogni. Tutto questo preambolo per dire che il cinema, settima arte e votata agli stessi pericoli delle altre sei, le arti tradi­ zionali, non potrebbe esercitare in sé e per sé alcuna in­ fluenza. Che i tecnici, i registi, gli attori, ecc., non alzino la voce e si accontentino di fare il loro mestiere, che è quello di permettere a coloro che, avendo qualcosa da dire, han­ no scelto il cinema come mezzo espressivo, di servirsene al meglio ma senza credere che la semplice abilità e i trucchi possano sostituire la reale poesia interiore. Del resto, niente è più detestabile della deformazione si­ stematica, di cui molti, obnubilati dal successo di Caligari, pare vogliano fare uno stile cinematografico. Cosa c’è di più piatto e penoso, per esempio, di un Crime et Chàtiment in cui tutte le case sono di traverso, come se dei mu­ ri di sghimbescio potessero illustrare meglio il disordine spirituale. Invece di un dramma abbiamo una farsa, e non certo delle meno grottesche. Caligari invece era un’opera perfetta - a condizione di arrivare a metà film evitando co­ sì la sciocca razionalità dell'inizio. Ma supponiamo che, contrariamente a quello che si è fatto con Crime et Cbàtiment, un romanziere si ispirasse al Cesare di Caligari per descrivere tutte le meraviglie della follia e le sorprese di una cittadina ricreata in sogno. Invece di quelle magnifiche 145

CINEMA • LA CREAZIONE 01 UN MONDO

avventure dello schermo avremmo senz’altro un’opera pu­ ramente e semplicemente idiota. Morale: non ha niente da guadagnare e non guadagna niente chi crede di rinnovarsi rinnovando i propri procedi­ menti o adottando quelli di un’arte più giovane. Il che non significa che il cinema non possa avere e non abbia avuto una sua influenza sui pittori, gli scultori, i poe­ ti, ecc. Da parte mia, se non fosse per quel maledetto inizio (per cui sarei quasi tentato di credere che i cineasti pensa­ no sempre ai domestici o ai bottegai del sabato sera), ag­ giungerei Caligari alla lista delle opere che mi hanno im­ pressionato. Ma da Caligari (e nemmeno dalle altre opere citate, del resto) non deve nascere un’ispirazione diretta, e l’ansimare di una lingua che certi critici direbbero segnala dall’influenza del cinema, cioè dinamica, non è segno di essenzialità, anzi, mi sembra segno più di impotenza che di virilità. 11 fatto è che è impossibile cercare consapevolmen­ te e trovare le nostre possibilità negli altri, nelle persone, nelle loro opere. Chi si ostina e crede alla fine di avere tro­ valo la vera fonte, finisce sempre per essere costretto ad accorgersi che per calmare la propria sete non ha a dispo­ sizione che l’acqua tiepida di un bicchiere quasi vuoto. René Crevel

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JOSEPH DELTEIL

...Non ho qui né penna né inchiostro, lo sapete. Sono nudo. Tuttavia voglio dirvi che il cinema è mio padre. Gli devo la vita e lo amo. 11 cinema è la pillola Pink della lette* ratura; gli dà sangue e colore. Dfxteil

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CINEMA • lA CREAZIONE DI UN MONDO

Non credo all’influenza di una forma espressiva su un'altra: la pittura sulla scrittura, la scultura o l'architettura sulla musica, ecc. C’è solo, ad un tempo, un'attitudine per l’una e per l’al­ tra forma, il predominio di un senso. Gautier non è un poeta pittorico ma visivo. Hugo è il poeta dei cinque sensi. Bach non è un musicista architettonico ma musicista e architetto, ecc. I sensi sono gli incroci dei modi espressivi. Se l’influen­ za dell’uno prevale su un altro che non si trova in corri­ spondenza diretta, questo non significa che il modo espres­ sivo logico abbia una qualche influenza. Perciò non parlatemi dell’influenza del cinema sulla scrittura (sic). Se si vuole parliamo dell’influenza del cine­ ma sul costume, che è un’influenza reale. L’amore moderno deriva direttamente dal cinema, e con questo intendo non solo le immagini sullo schermo, ma anche la sala, la notte artificiale. Ma questo non ha più nulla a che vedere con le vostre domande. Robert Desnos

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Qualità del cinema Nei confronti del cinema adotterò la stessa posizione che tempo fa mi parve corretto adottare per la psicanalisi. E senza dubbio, leggendo le risposte dei giovani autori all’in­ chiesta dei Cabiers du Mois, sarei tentato di rivolgergli le stesse obiezioni che su un'altra questione rivolsi una volta a Jean Hytier. Ho detto -tentato-... Ma questa posizione, si può dire realmente che l’adot­ ti? Significherebbe ammettere anche tutte le altre; se il campo è libero per tutte, non lo sarebbe più per nessuna. Poiché non è tanto l’opinione dell'uno o dell'altro che ci interessa, in fin dei conti, ma piuttosto un determinato at­ teggiamento.

♦ ♦♦ Il cinema ci dà molto. Prima di tutto ci impartisce una lezione di gusto. Ciò che sembra divenuto, per la letteratura, una costri­ zione sterile e superflua, una composizione semplice eppur sottile, il cinema, proprio come un tempo l’arte classica, l’invoca come una necessità sovrana. Ci sono pochi libri oggi, anche buoni, scritti con il rigo­ re di un film, anche mediocre. Il cinema ci insegna a conferire un ordine gerarchico e preciso a tutti gli elementi dell'opera, secondo leggi ad un tempo spontanee e necessarie, come ho detto... Ci insegna la grande virtù classica: il cinema ci insegna a scegliere. A questo proposito niente di più significativo dei film di Chariot: quello che i superficiali vedono come confusione, 149

CINÉMA ■ LA CREAZIONE O« UN MONDO

in realtà è il risultato voluto dall’artista, l’effetto quasi mora­ le dell’opera. Come sono corti quei film! Niente di inutile. Nessuna ri­ dondanza. Una tale purezza, che io sappia, non esiste in nessuno dei nostri film, tranne forse in quella deliziosa Pit­ ie de Peatt - una purezza dovuta quasi esclusivamente alla forma. Ma ci sono altre ricchezze, più segrete.

* ♦♦ Parlare dell’influenza di un oggetto qualsiasi su un'arte qualsiasi significa in primo luogo assecondare implicita­ mente una concezione dell’arte falsa e, aggiungerei, piutto­ sto puerile. Vuol dire ammettere che l'essenza di un’arte risiede nel­ la forma, nella tecnica - quello che si analizza, quello che si vede. Oppure, per ridurre l’antinomia dei termini, signifi­ ca affermare semplicemente che l’arte è fatta solo di tecni­ ca. Non vuol dire solo escludere la parte più importante, la materia (e come la mettete con ciò che conta più di ogni altra cosa, raccerto?). Non significa solo misconoscere la natura stessa di ogni arte, quella natura e le sue leggi da cui tutte le altre derivano. Significa fare ben di più: signifi­ ca dimenticare che la vera e propria essenza dell’arte, come di tutto ciò che è opera umana, è l'uomo. E dell'uomo, mio Dio, cosa dirò di tanto semplice? Ma capisco: si tratta solo di parole... ogni persona dota­ ta di giudizio saprà trovarvi ciò che cerca. Ahimè, troppo spesso i peggiori malintesi sono dovuti, nel campo dell'arte, a una carente definizione dei termini, all’ignoranza di al­ cuni principi, più psicologici che estetici, semplicemente. Si parla di influenza tra cinema e letteratura. Sarebbe troppo comodo fermarsi ai rapporti più semplici, peggio, al primo e più immediato rapporto, quello della pura identità. Non ci sarebbe più un'influenza allora, ma una fusione, una fusione cieca, una confusione. 150

ANDRÉ D€SSON

Quali prove ci portano di tale influenza, se non opere in cui il cinema si sostituisce semplicemente alla letteratura, ne fa le veci... opere che sono, per così dire, scritte - cioè pensate - in cinema. Opere del genere, che cos'hanno di particolare? Non so­ no sceneggiature pronte a essere realizzate, potrebbe dar­ si... non si è nemmeno mai pensato, scrivendole, che lo do­ vessero essere, d'accordo... tuttavia, che siano solo sceneg­ giature, e solo questo? (al contrario di quelle opere pura­ mente letterarie che le case di produzione, troppo spesso oggi, portano sullo schermo). Che tali tentativi, anche concepiti al di fuori di ogni de­ stinazione cinematica, siano biasimevoli, non lo pensiamo affatto; nessuna possibilità di arricchimento deve essere scartata. Auspico anzi che si formi un’arte adiacente - adia­ cente al cinema, non alla letteratura - una specie di cinema scritto, capace di aprire la strada al cinema realizzato, a il­ luminare i suoi progressi, e a prepararli (dirò di piti: di questi progressi deve divenirne la fonte). E le sei sceneg­ giature che questa rivista ha recentemente pubblicato sono in questo senso una precisa promessa. Ma si tratta (grossolanamente) di un'arte nuova, non di letteratura. E se si può parlare a questo proposito di in­ fluenza, è una influenza della letteratura sul cinema, non l’inverso. E non solo sua; credo che quest'arte adiacente raggiungerà la perfezione solo quando avrà potuto contare sull'aiuto di tutte le arti. È importante dissipare almeno un equivoco, fin dall'ini­ zio, dissiparlo ancora prima che sia nato, se è possibile... (non tutte le sei sceneggiature di cui parlavo poco sopra mi assicurano che non lo sia). Immagino opere concepite in uno spirito puramente letterario, in cui non solo la materia ma anche la forma e lo stile siano letterari, e che pure sfrutterebbero certi detta­ gli tecnici, scrittori che tentassero di servirsi del cinema, e trarre da esso Ispirazione, un po’ come fecero con la pittu­ ra Flaubert e Gautier (il primo in modo più accettabile ma 151

CINEMA - LA CREAZIONE CH UN MONOO

tutto sommato non più valido), con la musica i poeti sim­ bolisti. ancora con la pittura e con certi ritmi non ancora classificati che la vita moderna ci propone, alcuni poeti più recenti... Tentativi del genere sarebbero evidentemente detestabi­ li, poiché tutto ciò che nell'opera non è intimamente legato a un profondo disegno interiore (proprio così, disegno) è superfluo; ogni elemento formale, espressivo o stilistico che non è comandato di necessità dall’emozione o dal pen­ siero. resta lettera morta... Non solo l'opera non ci guada­ gna niente, ma ci rimette - rischia di perdersi compietamente. 11 che spiega perché l'estetica è una scienza così va­ na.- è fatta solo di difese. Del resto bisogna notare che tali opere, per questo stes­ so fatto votate all’insuccesso, lo sarebbero ugualmente an­ che senza. Esse infatti non possono esistere che in virtù di quella dottrina dell’arte per l’arte che, benché sia un’inven­ zione recentissima, alcuni ritengono un dogma intangibile. Opere interamente formali da cima a fondo, in cui la forma stessa è priva di valore (infatti, da cosa può nascere se non da un’imitazione?), opere senza materia, senza vita, che si distinguono solamente per il maggiore o minor grado dì abilità esecutiva, opere senz’anima.

♦ *♦ Ma non voglio sottovalutare l'influenza del cinema. Vo­ glio solo renderla legittima. Se si esercita direttamente, allo­ ra è solo accidentale, e, credo di averlo dimostrato, si nega da sé. La sola influenza che conta — che è anche la più profon­ da, la più generale, la più necessaria - è l'influenza morale. Con questo intendo le modificazioni che il cinema non può mancare di introdurre nelle nostre emozioni, nei nostri pensieri, e, per inciso, nella rappresentazione che di essi abbiamo e che abbiamo del mondo (che del resto non è separato: sono la stessa cosa). Possiamo aspettarci dal cine­ 152

ANDRÉ DESSON

ma una specie di trasmutazione secondaria, potrebbe esse­ re, dei valori; dei nostri valori più comuni, potrebbe essere ancora, ma abbiamo imparato a non disprezzare niente. Tutto ciò che porta qualche cambiamento nell'uomo, cioè, tutto ciò che apre all’uomo nuove possibilità, nuove ric­ chezze, è importante, oserei dire: è un bene. In questo sen­ so, e solo in questo senso, l’influenza del cinema potreblx; sembrarmi auspicabile. Che una tale trasmutazione, per quanto infima, ne sia l'effetto, è impossibile, ne convengo, che le nostre opere non l’accusino, direi quasi: non l’accusino più di ogni altra cosa. Ma non l’avremo voluto; tutto qua. Le nostre opere, infatti, ciò che accusano, più che le no­ stre costanti, le nostre invarianti, e il substrato comune a tutti gli uomini, non sono forse le nostre differenze? È vero che questa base comune, questa invariante, non abbiamo altro modo di conoscerla, non abbiamo su di essa nessuna presa se non attraverso queste stesse differenze: le diffe­ renze permettono il contatto.

♦ *♦ E certamente, di fronte a preoccupazioni ben più fonda­ te, questa resta è ben modesta... Del resto non si tratta nemmeno di una preoccupazione, quanto di un problema particolare... Ne faccio appena un cenno. Forse non valeva neanche la pena che le dedicassi queste poche pagine, probabilmente. Ma ormai il cinema occupa nella nostra vi­ ta un posto diffìcilmente trascurabile... tanto piti che è già, più di ogni altra arte, un modo di pensare, un modo di vi­ vere. Posto non più essenziale, certamente, di tanti oggetti, tanti scopi, di cui non parliamo mai, ma se non lo facciamo noi, altri l'hanno fatto prima di noi, senza dubbio; ci sono così familiari da essere diventati quasi inesistenti; sono un dato infuno quanto la nostra esistenza. Ma la materia da cui attingiamo le nostre emozioni, le nostre opere, non è nulla? Il cinema è una realtà nuova; sentiamo il bisogno di 153

CINÉMA • LA CREAZIONE 01 UN MONDO

adattarsi a questa realtà, di riconoscerla, e, più semplicemente: di conoscerla. Non è staio inutile forse soffermarsi un attimo a vagliare la sua importanza in rapporto a ciò che costituisce per noi l'essenziale - e anche a ciò che, proprio perché non lo è, certo, nondimeno ha diritto a un qualche riguardo: quell’attività letteraria di cui mettiamo qui in dubbio perfino il senso. André Desson

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L’occasione del cinema i

Non sono molto d’accordo che al cinema si attribuisca­ no aspetti di tipo letterario (o relativi a qualsiasi altra arte). Vorrei assaporarlo in se stesso, e solo per quello che è. Non penso che esista un altro mezzo espressivo che ab­ bia dovuto coltivare lo spirito di sacrifìcio più che il cine­ ma. A pensarci bene, alla base di ogni conquista del cine­ ma c’è la rinuncia. E tali conquiste hanno questo di bello: non appena toccano la loro compiutezza, le intuiamo per­ fette. Perfezione rara d’acchito, ma che, anche quando ostacoli passati ne sbarrino il cammino, si rivela immediata­ mente possibile. Sembrava che il campo del cinema potesse essere illimi­ tato. Illimitato? forse, nella messa in gioco delle proprie ric­ chezze, illimitate in realtà, ma resta definito, accerchiato da ogni parte. Per questo non c'era affatto bisogno di un con­ corso estraneo, e basta largamente la lezione delle lentezze e delle esitazioni del film. Uno degli errori più gravi che il cinema avrebbe potuto commettere sarebbe stato quello di non accettare quegli errori e di volervi porre rimedio con la tecnica o l’adesione a una realtà trasmessa da forme diver­ se. Riconoscere i propri errori per sfruttarli consapevolmen­ te ha permesso invece al cinema una valutazione delle pro prie risorse. Le sue deformazioni, il suo ritmo, troppo viva­ ce o troppo lento, la necessità di esibire i propri valori. L'esuberanza del cinema non è mai profusione inop­ portuna, e, se riesce, non è disordine. Le sue più straordi­ narie scoperte restano una lezione di misura, voglio dire: 155

CINÉMA • LA CREAZIONE Di UN MONDO

la subordinazione del minimo elemento, e anche del più pazzo, all’elemento centrale. Tutto si raggruppa attorno al­ la figura che si deve illuminare. Penso ai migliori film di Marcel L’Herbier (L'inhumaine...). Dove trovare esempio piii totale di abnegazione? L’abilità del regista deve essere quella di rinunciare sempre. Di chinarsi fino alla completa sottomissione all'oggetto. Quell'oggetto che crea da se stesso. Poiché la questione non era quella di attenersi alle cose e al loro fortuito incontro. È qui che trionfa l’opera d'arte. Niente può essere lasciato al caso. Non c'è un se­ condo in cui la mano sia assente; eppure non è mai visibi­ le, ed è attraverso l'abbandono (meglio: l’assoggettamen­ to) della propria personalità che il regista realizza l’opera più personale. Il cinema trascura in continuazione i margi­ ni, il gusto del dettaglio, l’accumulo, essenzialmente. Non voglio dire che va dritto allo scopo, in un gioco semplifi­ cato di chiari e scuri. Questo è un punto essenziale, e ci sono mille modi per ottenerlo. Lo si attacca di fronte, di la­ to, lo si accerchia pazientemente, lo si mina. E restano pur sempre, per afferrarlo, dei dettagli che un semplice pos­ sesso non potrebbe svelare: da cui quelle ripetizioni così frequenti al cinema, ciascuna delle quali insiste con sem­ pre più disinvoltura. A volte, deviazioni pericolose riesco­ no, se usate bene, a evocare meglio e più profondamente proprio il dramma da cui sembravano, all'inizio, allontana­ re l'atienzione. Il cinema, se trascura molto, ci guadagna mollo. Un me­ todo si precisa (starei per dire: si monda, si fissa) a poco a poco, i risultati ottenuti si ampliano. Essere solo se stesso, e ripudiare gli apporti letterari o pittorici che volentieri lo intasano: così il cinema avrà forse la possibilità di espri­ mersi completamente. Sarebbe pericoloso confondere i mezzi espressivi con l’espressione. Riducendo quelli si po­ trà spezzare ogni limite attorno a questa. Per troppo tempo ci si è rifiutati di ascoltare la lingua del cinema. E nei mez­ zi di cui si serve si sono voluti vedere all’inizio dei risulta­ ti. Poiché utilizzava immagini visive e faceva appello a un 156

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senso nuovo del ritmo e dello spazio, si è voluto limitare il cinema alle peripezie, all’aneddoto, alla mimica. (Si è mai preteso di fare della pittura un semplice eccitante visivo so­ lo perché si indirizzava solamente all’occhio?). Certi attori (Chariot) hanno reso plausibile un'ambizione maggiore. Ma ecco che anche le opere dei registi... Il cinema diventa ci­ gni giorno più adatto a cogliere quell’elemento, il più indi­ spensabile, forse, proprio quello di fronte al quale lo si sa­ rebbe creduto più disarmato: il gioco delle passioni e dei valori umani. Ci sono scene in cui la semplice combinazio­ ne di elementi cinegrafici conferisce al senso psicologico e morale del dramma una singolare ricchezza. Ùna citazione fra le tante: La Roue, girato due anni fa da Abel Gance, as­ sistito da Blaise Cendrars. Fra lungaggini anche troppo rea­ li e trovate che presto sembreranno superate, si sviluppa un dramma: la lenta passione di Sisifo il meccanico per la figlia adottiva. Il tema è semplice. Non credo che si possa trovare facilmente una simile conoscenza dell’anima, una progressione più approfondita e più sicura all'interno dei sentimenti. II

Anche se a volte si rischia di fraintenderla, non per que­ sto la lingua del cinema è meno nuova e seducente. Ci sa­ rebbe molto da dire su ciò che si è soliti definire come l’in­ fluenza reciproca tra cinema e letteratura. Forse sarebbe meglio vederla, oltre che come influenza, come un sempli­ ce incontro. Eppure mi pare pressoché certo che sono stati gli esiti (anche imperfetti) del cinema a giustificare — ma di­ rei volentieri: a scusare - una certa tecnica letteraria, una certa visione, un certo modo nuovo di mettere insieme vec­ chi elementi (e ciò a) di là di ogni letteratura, no, di ogni modo di espressione letteraria). La simultaneità, la velocità, indubbiamente. Un senti­ mento piuttosto inatteso del meraviglioso (e penso a certi 157

CINEMA - LA CREAZIONE 01 UN MONDO

film assai semplici e puri, La Fitte de l’eau, più che al Fantòme du Moulin Rouge...). Cioè uno sforzo disperato per raggiungere l’indispensabile e solo (’indispensabile, ma attraverso tutte le vie possibili. La poesia, il romanzo, il rac­ conto... attingono a ritmi inconsueti e il loro merito minore non è quello di rappresentare l’uomo, più profondamente di quello che ci si sarebbe aspettato. Oh, non si parla di una scoperta improvvisa, quella che certi spirili improvvidi non mancherebbero di chiamare progresso. Ma piuttosto: una valorizzazione più sottile. E senza dubbio non invano il film ci avrà abituato a cogliere nel gioco delle luci quell'esatta ripartizione di chiari e scuri; una duttilità più marca­ ta che non si fissa sui contorni, per quanto minuziosi siano; e quella tendenza a vedere le cose e la gente illuminate in sé, di una luce che le penetra. Di più: quel dono dell’eminenza, infine recuperato, che, dalla nostra tragedia classica, avevamo anche troppo tra­ scurato. Quell’elemento che pudore d’accenti e una certa costrizione conferiva tanto naturalmente alla tragedia, sia­ mo forse sul punto di ritrovarlo, anche se per via indiretta? Lo dovremo forse a quella commovente cura dell'essenzia­ le, e, peraltro, ai mezzi più propizi alla creazione di un’o­ pera d’arte: a forza di artifici e di deformazioni, di stilizza­ zioni forse, mettere a nudo la vita nella sua più immediata (e segreta) realtà; creare una vita la cui fonte sia invisibile e insostituibile. È un’avventura che stiamo tentando. Tutto, del resto, porta la letteratura a prendervi parte. La sua stessa natura... Non c’è arte che sia più avida, più insaziabile, più impa­ ziente di approfittare delle minime ricchezze. Non c’è buon risultato, di qualunque tipo, che la letteratura non sia pron­ ta a sfruttare. Perché non trarre nessun insegnamento? Ci dicono che oggi, per un'ora, la letteratura va a scuola dal cinema. In altre occasioni l'abbiamo vista cercare la lezione della musica o della pittura.

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ANDRÉ HARLAIRE

IH Nonostante tutto ci sono certi esempi mai troppo medi­ tati, e lezioni mal digerite più pericolose che una bella ignoranza. La poesia, il romanzo, dovettero i loro fallimenti più drammatici, in certi anni del XIX secolo, al fatto di vo­ ler ricalcare perfino i metodi della pittura (della scuola allo­ ra trionfante in pittura, ma questa è un'altra questione). Non è forse un misconoscimento un po’ crudele delle esi­ genze di vera semplicità dell'opera d’arte, quale che sia? Mi bastano come testimonianza solo queste poche righe scritte nel 1874, dall’uomo più onesto del mondo, se mai ce ne fu uno, nella sua doppia autorità di pittore e letterato': -Un’i­ dea può esprimersi in due maniere alla volta, purché si presti o la si adatti a tali maniere. Ma una volta scelta la for­ ma, la propria forma letteraria, dico, non mi pareva che tut­ te le sue esigenze si ritrovassero nel linguaggio scritto-. Non sarebbe una buona scelta, per lo scrittore, utilizzare le scoperte cinematiche, o ancor più cinegrafìche, come un nuovo campo da sfruttare. Sarebbe un'esperienza illegitti­ ma. Un'-influenza- del cinema sulla letteratura? come cre­ derci? Non è un arricchimento addizionale che ci si può at­ tendere quanto piuttosto una più lucida coscienza di ric­ chezze addormentate. Vedrei piuttosto nel successo del ci­ nema un esempio per la letteratura, un catalizzatore. 11 film scioglierebbe l'opera scritta da inutili precauzioni per met­ tere in luce qualità preesistenti traviate o misconosciute. Ogni conquista vera è sempre, alla fine dei conti, una conquista di se stessi. Non bisogna temere che così si arri­ vi rapidamente all’esaurimento. Il campo è infinito, e una scoperta del genere ha valore solo se annuncia scoperte fu­ ture. La letteratura non potrà probabilmente negare i suoi debiti nei confronti del cinema-, più esattamente: gli dovrà molto non appena riconoscerà deliberatamente il profitto che può trarne. Ma, perché tale guadagno sia durevole, do­ vrà trovare in se stessa immediatamente l'origine e l’esem1.

Eugène Fromentin, Un étè dans le Sahara, prefazione.

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pio degli elementi del cinema. 11 cinema non presenta né forme né risultati già confezionati. Un insegnamento, ma soprattutto un esempio. Non c’è dubbio che queste nuove scoperte corrono il ri­ schio di limitarsi alla tecnica. Ma, cinema o letteratura che sia, che cos'è la tecnica se non un quadro, una forma ne­ cessaria: a ciascuna delle sue puntuali realizzazioni corri­ sponde una virtù non meno precisa ma più profonda, più esigente, e che è inerente all'opera stessa. Se per due modi espressivi così differenti la tecnica pare a volte assumere lo stesso linguaggio, questa virtù, più segreta, ne misura i valori e le dissimiglianze. La letteratura sceglie fra le qua­ lità più belle del cinema. Attenta ad alcune, le altre resta­ no inutilizzate. Scelta legittima: tutto ciò che il cinema of­ fre sono o beni già posseduti (il dono dell’eminenza...) e che la letteratura ha perso, o il segreto di rendere fertili al­ tri beni che fino a oggi aveva lasciato in un canto. Quel particolare senso del ritmo, quella possibilità di cogliere con un unico gesto il fuoco incrociato dei ricordi, dei sen­ timenti (che si sarebbe creduto una proprietà autentica e esclusiva del film), la letteratura non se ne sarebbe così avi­ damente impadronita se non avessero corrisposto a un bi­ sogno di esprimere con un giro più sottile una più imme­ diata (meno semplice) realtà. L’opera di Marcel Proust, fra le altre, in cui questo senso del ritmo è da cima a fondo co­ sì persuasivo, ce lo illustra bene. Precisare ciò che il romanzo o la poesia guadagnerebbe­ ro a servirsi del film, sarebbe un non-senso. L’apporto del cinema alla letteratura sarà tanto più sensibile quanto più eviterà di attaccarsi a qualcosa che sia innanzitutto letterario. E, se è giusto parlare di lezione, mi piacerebbe che fosse deliberatamente praticata quella virtù che il cinema, per vi­ vere, pratica suo malgrado: il sacrifìcio di ogni sovraccarico estraneo, inutile - mentre nessun lusso, e nessun rigore, sembra troppo costoso per definire da vicino, nell’opera d’arte, l'essenziale.

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HaKIjMRE

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Siccome il cinema ha mezzi di espressione propri, La Pa­ tisse avrebbe tutte le ragioni di crederlo capace di esprime­ re forme di emozione particolari. Di questi mezzi, alcuni gli sono rigorosamente propri, mentre gli altri diventano originali solo per il ruolo che ri­ vestono in un ambito fino ad allora inedito. Quindi non ha il privilegio del gioco delle forme, dei movimenti, delle om­ bre e delle luci, dei vasti scenari naturali: le arti plastiche, la danza, lo sport o il teatro, per esempio, gliene disputano le risorse. Ma è la raccolta di questi elementi sparsi che farà della loro collaborazione un uso privilegiato. Nessuna arte richiede o esige una partecipazione così ampia dell'artificio; ma nessuna, per contro, sa sfruttare con maggiore ingegno l'artificio. Ora, io credo che si possa mi­ surare la potenza di illusione di un'arte dalle sue risorse ar­ tificiali. Più dispone di mezzi per operare la magica traspo­ sizione, più si mostrerà capace di generare le emozioni che lo spettacolo della vita agiterebbe in noi se sapessimo ve­ derlo: il senso e il gioco di tale spettacolo, di solito confu­ so, è l’arte che ce li rivela, grazie all'ordine che istituisce, le scelte che fa, l’accento che imprime. E ricreandolo a forza di artifici per nostro uso personale, lo rende più reale di quel che era, poiché colto chiaramente dal nostro sguardo privo di forza. Il cinema ha sulle altre arti il vantaggio di un realismo non schematico. Sarà protetto da questa semplificazione che altera la rappresentazione della vita mostrandone trop­ po nettamente la finzione, svela la presenza dell’interme­ diario, mentre l’operazione dello spirito ritocca e ricompo161

CINÉMA - LA CREAZIONE DI UN MONDO

ne prima di comunicare i dati del reale. Senza dubbio sce­ glie - condizione dell’arte - ma la sua scelta non è limitata dalle costrizioni che gravano sulle altre arti. Dispone a suo piacere del tempo e dello spazio. Inoltre il suo movimento specifico, la rapida successione delle immagini, gli permet­ te di moltiplicare quei dettagli significativi che avrà infera­ mente risvegliato attraverso gli anni e i paesi. Se considero solo l'uomo, pare che «l’arte del silenzio» sia priva della più comoda espressione dell’anima, il lin­ guaggio; nello stesso tempo l'assenza di ogni letteratura le impedirà di correggere con il commento, di tradurre col racconto, o di indagare con l’analisi, gli errori o le imperfe­ zioni del linguaggio parlato, le emozioni, i pensieri, le re­ gioni segrete dell’anima in cui si elaborano i motivi. Ma proprio questa privazione, obbligandola a ricorrere a meno facili artifici, le permetterà di rendere sensibili e visi­ bili - dunque piti intensamente se non profondamente commoventi - attraverso il gesto e l’immagine non solo l’e­ spressione della personalità ma la sua figura più segreta. Sarà in particolare il più fedele traduttore, il più ingegnoso regista dei giochi della memoria e della fantasia. Che bisogno c’è di parole, per esempio, quando l’imma­ gine ci mostrerà nello stesso tempo un uomo preoccupato e l'oggetto dei suoi timori, un atto e l’insieme delle cause (pur invisibili a chi lo compie) che si realizzano in lui, e di cui egli è, nella confusione del passato in cui esse si elabo­ ravano, nello stesso tempo il termine, il legame, e la parola tardivamente pronunciata che spiega determinandola la lo­ ro connessione — poiché collaboravano senza conoscersi e ciascuna produce altri cento effetti. L’arte sta tutta nello stabilire o nello scoprire rapporti nuovi, associazioni forti. Il cinema ci mostrerà gli oggetti stessi di quei rapporti, ce li renderà così evidenti che non avranno bisogno di espressione. Ma il passaggio stesso da un oggetto aH'altro, che sembra un’operazione intellettuale, avverrà sotto i nostri occhi. Quale ulteriore prova per i pa­ ragoni e le immagini di cui si servono i nostri giovani lette­ 162

LOUIS MAfmN-CHAUfTlER

rati' Prendo un esempio facile: dal muso di un mastino in­ ferocito che appare sullo schermo, si può ottenere alla fine, con una lenta trasformazione di cui si possono seguire le singole fasi e verificarne la fedeltà, la faccia da mongolo di Clemenceau. Tutto entra in noi attraverso le immagini, tutto si con­ serva e si prevede per immagine. Il cinema farà uscire tut­ to attraverso le immagini, ricondurrà tutta la vita alla sua più pura espressione: un libro di immagini animate. Parla­ vo poco fa della memoria. Quale arte se ne impadronirà a tal punto, da poter confrontare in modo più patetico il pas­ sato come è stato e come sopravvive in noi? Immagino un uomo che sogna e rimpiange la giovinezza. Il cinema ci mostrerà i begli ambienti, il volto dell’amore, il futuro proiettato nella forma abbellita e malinconica che la me­ moria gli presta quando crede di ricordare. E, accanto a queste immagini completamente fantastiche, il passato così com’era, nella sua mediocre realtà. Confronto patetico e più illuminante di qualunque commento, di qualunque ge­ sto, lo stato attuale dell’anima sognatrice, colla in flagrante, in pieno movimento di deformazione sentimentale, e che si denuncia da sé, sia per la propria capacità di illudersi, sia per la natura degli oggetti su cui indugia. Confronto re­ so ancora più commovente per la presenza dell’uomo in­ vecchiato che ricorda e che oppone nello stesso tempo il sogno e la realtà, due età estreme della vita, mostra netta­ mente il divario tra le promesse e i risultati, e ripercorre le stesse strade. Ma si può fare ancora meglio, rendere sensibile l’ignoto, e, accanto a ciò che fu, si dovrebbe mostrare ciò che avrebbe potuto essere, farci toccare col dito le conseguenze del caso che cambia una vita intera, sottolineare per quan­ to poco a volte perdiamo la grande occasione. Vedremo la vanità delle azioni e la fragilità dei progetti se, mentre un uomo lavora per realizzare un certo progetto, assistiamo contemporaneamente alla nascita della causa imprevista che renderà vani tutti i suoi calcoli. E noi seguiremo, con 163

CINÉMA • LA CREAZIONE DI UN MONDO

qual sentimento tragico! il doppio e ineluttabile movimento che spinge i due elementi a incontrarsi, la speranza che cresce a mano a mano che si avvicina il sogno e il fatale ostacolo che farà inevitabilmente crollare tanti sforzi e tanti desideri, una certezza senza scampo. Ipotizziamo solo que­ sto caso: un treno velocissimo al cui interno si fanno pro­ getti, si abbozzano idilli. Ad un tratto ci appare il luogo in cui non si potrà evitare un incidente mortale, dove lutto è predisposto per il dramma a venire. Siamo nello stato d'a­ nimo di chi conosce il futuro con sicurezza senza potere in­ tervenire, ma non può fare altro che osservare, conoscendo il momento preciso, ciò che in un istante sarà distrutto. Con quale angoscia seguirà i movimenti di coloro che, senza sa­ perlo, corrono incontro alla morte, e sono intenti a prepa­ rare, a immaginare, tutto ciò che non sarà mai. Vogliamo ricordare un'altra caratteristica del cinema? È il solo capace di rendere l’impressione dell'universale attra­ verso la simultaneità. Il cinema ci restituisce la frizzante sensazione di quello che i giornali dell'ultima ora riportano solo parzialmente. Nella medesima ora Paul Claudel scrive una poesia, Suzanne Lenglen batte Mrs Mallory, un colle­ zionista contempla il Millet che ha appena acquistato e che dall’altra parte di Parigi un furfante si prepara a rubargli; un altro collezionista sorseggia il suo cioccolato mattutino mentre in un atelier di Montparnasse un imbrattatele affa­ mato comincia il falso Picasso che l'altro comprerà a occhi chiusi dal mercante d’arte che sogna il castello in cui si riti­ rerà, sulle rive di un fiume pescoso, ecc... Si tratta solo di modeste considerazioni che non esauri­ scono affatto il soggetto. Ma testimoniano a sufficienza la mia fiducia in un’arte che non ha ancora mantenuto le sue promesse. Quando gli sceneggiatori avranno talento e i re­ gisti gusto, resterà ancora da fare l’educazione del pubbli­ co, che è del tipo più volgare. Accontentiamoci almeno che non siamo americani: di fronte agli esperti di laggiù la peg­ giore delle nostre sale sembra un’assemblea d’élite.

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Martin-Chauffier

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...Mi sembra che il cinema abbia sbarazzato la letterati!* ra da diversi assurdi pensieri, del tipo: movimenti, rapidità, inseguimenti, colpi di scena, come la fotografìa aveva final­ mente guarito la pittura dalla preoccupazione della «somi­ glianza*. Le arti si aiutano meno per ciò che si prestano vi­ cendevolmente che per ciò che si tolgono. La cosa si vede bene nel feuilleton: Rocambole è scritto e strutturato esattamente come un film. Fanfómas è già molto più vicino a un romanzo di Paul Bourget. Jean Paulhan

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Significato del cinema Per capire la novità che ha portato il cinema, bisogna chiamare in causa il problema dell'arte. Senza voler tentare una definizione, credo che ogni arte, attraverso certi mezzi tecnici che costituiscono la continuazione di uno dei nostri sensi, ci fa fare delle scoperte grazie alle quali riusciamo a cogliere meglio l’essenza della vita. Nella misura in cui, de­ stabilizzando le nostre abitudini, rinnovando le nostre abi­ tuali prospettive, il cinema ci fa penetrare nella coscienza degli uomini e delle cose, allora è capace, secondo i termi­ ni dell’inchiesta dei Cabiers du Mais, -di esprimere e di pro­ vocare certe forme di emozione artistica che sfuggono alla letteratura così come alle altre arti codificate». Confessiamolo: il più delle volte ci riesce male. Lo spet­ tacolo della vita ce lo presenta appunto nel suo aspetto più banale, più familiare; ci mostra dei personaggi che si muo­ vono come sulla scena di un teatro, che esprimono il loro dolore o la loro gioia con smorfie note da migliaia d’anni; i paesaggi e la natura appaiono sempre foto di cartoline; i soggetti dei film non sono altro che copie, trasposizioni, adattamenti di soggetti letterari. Così non esce mai dalla con­ venzionalità. E capisco bene il disprezzo nutrito nei suoi confronti da un certo pubblico di intellettuali, di scienziati, di borghesi colti. Sono rimasti ai film d’anteguerra, che, salvo qualche co­ mica, non facevano altro che proporre i motivi più stereoti­ pati delle altre arti. -Sono sciocchezze-, dicono, e lasciano sdegnosamente questa distrazione alla loro portiera o alla dattilografa. Eppure, dall’alto della loro intelligenza, una cosa non hanno capito, che la loro intelligenza appunto a166

LÉON PIERRC QUINT

vrebbe dovuto fargli capire, ed è che, poiché la vita cambia in continuazione, il cinema si è modificato. Ci sono stati molti tentativi. Per seguirli, le nuove generazioni non van­ no più al cinema di quartiere, a caso, senza conoscere i programmi; come nelle altre arti, al di là di una quantità di produzioni popolari e industriali, esistono opere di valore che si tratta di scoprire e di definire. I primi sforzi originali del cinema hanno avuto carattere tecnico; hanno cercato di arricchire il senso della vista. I cambiamenti di campo dell'obiettivo, i primi piani, le ripre­ se di un oggetto piccolo isolato, le dissolvenze, le sovrim­ pressioni, i negativi, i ralenti, gli accelerali, i flou, le inqua­ drature capovolte, le riprese all’indietro e altri trucchi, tutti questi procedimenti diversi creano visioni nuove. Ci sono esempi ormai classici: quello del seme che germoglia in po­ chi istanti, dello stelo che nasce, si allunga, il bocciolo fiori­ sce, produce un frutto, poi il frutto dà il seme dell'inizio. Il ciclo è chiuso. C'è la scomposizione dei movimenti, fra cui quelli di un cavallo al galoppo, che pare muoversi in un ambiente molle, in un'aria densa. Con mezzi meno diretti, presentando un oggetto da diversi punti di vista, per dritto, per rovescio, dall'interno, dall'esterno, quasi simultanea­ mente, tutto sommato, il cinema ci propone un’immagine che non può venire da altri che da se stesso. Così in Paris qui dori, René Clair mostra la torre Eiffel: da lontano, da ogni piano, dalla gabbia delle scale, dall'ascensore, dal trafo­ ro metallico delle superfìci. Assistendo alla prima di questo film, feci la conoscenza di una torre Eiffel nuova, ricompo­ sta dall'artista in modo da suggerire un'emozione originale. Tuttavia un’impressione del genere non è molto diversa da quella che provo guardando al microscopio le radici di una pianta o le zampe di una mosca. Anche in questo caso ottengo un'immagine completamente nuova. Ogni inven­ zione scientifica che prolunga la portata di uno dei nostri sensi crea in noi un’eccitazione fino a quel momento sco­ nosciuta alla nostra coscienza. Ma - ecco il problema perché si formi una nuova arte, bisogna che quelle eccita­ 167

CINÉMA > LA CREAZIONE DI UN MONDO

zioni originali si moltiplichino, si fondano le une con le al­ tre secondo un certo ritmo, in modo da evocare i grandi sentimenti umani. Il microscopio è solo un occhiale da la­ boratorio perché l’emozione legata a ogni immagine che ci presenta è conchiusa, completa in sé, senza legame con le altre. Ognuna delle visioni dovute ai procedimenti tecnici del cinema può essere paragonata al suono di uno stru­ mento musicale appena inventato. Recentemente ho ascol­ tato in un bar notturno un giovanotto che faceva scivolare un archetto sulla lama allentata di una sega. La sega sarà un’arte se intanto i suoni che produce non appartengono a nessun altro strumento, e poi se questi suoni in succes­ sione possono arrivare a comporre un brano, un insieme. Ugualmente il cinema sarà un'arte se crea immagini che né il teatro, né il varietà, né una fotografìa normale potrebbe­ ro produrre, poi se queste immagini, svolgendosi sotto i nostri occhi, assumono un significato astratto e generale, che permette alla nostra intelligenza e alla nostra coscienza di toccare le profondità della vita. Riprendiamo allora l’e­ sempio di Paris qui dori. Attraverso mezzi suoi particolari René Clair è giunto, l’abbiamo detto, a darci una torre Eif­ fel veramente cinematografica. È andato più lontano anco­ ra: è arrivato a tradurre in termini cinematografici senti­ menti diversi, per esempio il sentimento della paura, pro­ prio servendosi delle immagini della torre Eiffel. Ci abita un guardiano. Una mattina si sveglia angosciato. Come viene espressa questa angoscia? Vediamo la torre, come una gio­ stra, girare attorno a un immaginario perno centrale; solle­ vata nello spazio, si rovescia con la punta in basso e i quat­ tro piedi in alto, e, a una velocità sempre maggiore, sem­ pre come se fosse sospesa a un punto posto al centro, gira, gira... Il turbine di immagini raffigura lo sconvolgimento che ha luogo nella testa del guardiano, in preda a una crisi violenta. Purtroppo una simile interpretazione cinematografica dei nostri sentimenti è eccezionale. La si incontra occasio­ nalmente nei film migliori. Il cinema, in quanto arte, è alla 168

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ricerca di se stesso. I perfezionamenti tecnici sembrano aver raggiunto oggi un periodo di stasi e di ristagno. Da questo punto di vista i progressi sono stali consistenti: per­ mettono di produrre meravigliosi •documentari" poco lonta­ ni dalla perfezione. Si tratta anche, soprattutto oggi, di or­ ganizzare questa materia prima secondo parametri artistici, cioè in maniera da far vibrare la nostra anima; si tratta di applicare le visioni originali del cinema all’approfondimen­ to della nostra coscienza e della vita. Per il momento ogni regista ha il suo metodo; di qui queste incessanti e inesau­ ribili polemiche. Sono pochi i soggetti che in questi ultimi tempi hanno dato luogo a una letteratura così abbondante, in cui si confondono profani e specialisti. Tanti commenti teorici sulla filosofìa di un'arte (non parlo qui della critica dei film) è una prova che quest’arte sta muovendo i suoi primi passi. Tutti questi documenti scritti permettono di delineare al­ cune tendenze generali. Prima di tutto - e René Clair l'ha mostrato assai bene - il cinema è in parte un’industria e quindi sottomesso alle esigenze del pubblico. Qui più che in altri campi, dunque, lo sforzo dell'artista che cercherà di liberarsi dalle convenzioni e di creare in piena libertà sarà ostacolato, vanificato. Tale sforzo tuttavia non deve consi­ stere nell’affrancare sistematicamente e in una sola volta il cinema dalla collaborazione delle altre arti. L’abbiamo visto nel caso particolare delle didascalie. Certi registi, nel tenta­ tivo di liberare il film da ogni forma di letteratura e di sop­ primere dalle immagini la parola scritta, sono stati obbliga­ ti a ricorrere a immagini simboliche ancora più convenzio­ nali della proiezione di frasi scrìtte. Ugualmente, quando il cinema, per liberarsi sempre di più dal teatro, ha voluto so­ stituire le scene con il «plein air-, non ha sortito risultati mi­ gliori; un film di Douglas Fairbanks che si svolge in una città medievale di cartapesta produce la stessa illusione di un film francese girato nella città reale. Sembra risultarne che il cinema non sarà mai un’arte completamente origina­ le. Più di quanto lo sia il canto rispetto alla musica e l’af­ 169

CINEMA - LA CREAZIONE 01 UN MONDO

fresco rispetto all'architettura, resterà tributario di alcune altre arti. Nella misura in cui sfuggirà a questa tutela, la sua produzione sarà più o meno riuscita. Fino ad oggi ci ha da­ to qualche capolavoro nella commedia; esiste, svincolato dal sistema degli «inseguimenti*, un comico propriamente cinematografico1; e poi c’è Chariot, uno dei più grandi arti­ sti della nostra epoca.

* ♦* Non mi resta più spazio per parlare dell’influenza del ci­ nema. Su una questione che ha prodotto una glossa di tale rilievo è innanzitutto necessario ritornare alle idee più sem­ plici per arrivare a una messa a punto suscettibile di svi­ luppi. Si può constatare che le arti in ogni epoca si sono sviluppate in parallelo. Il Rinascimento, il Romanticismo hanno influenzato sia la poesia che il romanzo e la musica. Ugualmente, oggi, poesia, romanzo, musica, e anche il ci­ nema, nella misura in cui è un’arte originale, subiscono l'impronta della nostra civiltà occidentale, che è, da un cer­ to punto di vista, quella dell’aereo e del telefono. Credo che quello che si chiama spesso influenza del cinema sulla letteratura è dovuto a una confusione. Si vuole dire che la letteratura è improntata a un certo cosmopolitismo ultrara­ pido. Se esiste, è dovuto direttamente all'atmosfera moder­ na che agisce sulle lettere come sulle altre arti e sul cinema. Senza contare che spesso il cinema, per la scelta dei sog­ getti, i luoghi dell'azione, i personaggi, è meno del nostro tempo che le altre arti; ultimo arrivato, ha più pregiudizi da superare. Ma ci si fa una falsa idea del cinema; si pensa che, essendo il cinema scientificamente fondato sul movi­ mento, i film simboleggino in qualche modo la frenesia I. SarvNx.- interessante studiare questo tipo di comicità - dall'/tmasei/r arrosé, dei primi anni del secolo, fino all’ultimo Chariot - alla luce del Rire di Bergson, per esempio, che così spesso fa riferimento al ci­ nema nei suoi paragoni.

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LÉON PIERRE-QUINT

della vita contemporanea e così si confonde cinema e vita moderna. Se si vuole indagare l’influenza propria del cinema, si scoprirà in primo luogo quella che ha in quanto strumento scientifico. Ha permesso di scomporre il movimento, per esempio, e Salomon Reinach faceva osservare recentemente quale immensa importanza ha avuto sulla rappresentazione del gesto in pittura; i cavalli al galoppo con le quattro zam­ pe all'aria di Géricault ci paiono ridicoli e la ballerine di Degas, che a lungo ci hanno stupiti, rientrano oggi nella realtà familiare... Forse se non avessimo visto i pugili o i corridori al rallentatore, le poesie di Montherlant o i saggi così penetranti di Jean Prévost sarebbero differenti. Su que­ sto argomento ci sarebbero interi studi da fare. Sbarazzato il campo da tutte queste influenze resta po­ sto ancora per l’influenza diretta del cinema in quanto arte nuova. Bisognerebbe operare numerose distinzioni. Lo svi­ luppo parallelo di diverse azioni, che sembra una caratteri­ stica del cinema, lo ritroviamo anche nei drammi di Shake­ speare o di Musset. La rapidità degli spostamenti, la rap­ presentazione pressoché simultanea di diverse città, di di­ versi paesi, se spesso le constatiamo oggi in letteratura, so­ no dovute, come detto, non al cinema ma all’accelerazione generale che gli ultimi progressi della scienza hanno impo­ sto al ritmo della vita. Per contro, si direbbe che il cinema, che sostituisce il discorso col movimento, contribuisca in letteratura alla sostituzione dell'analisi con l'immagine, che è la traduzione letteraria del movimento. È in questo senso che ho intenzione di scrivere il mio prossimo romanzo, Raoul Vergeon, ampio studio psicologico la cui presenta­ zione rapida e diretta... Ma il giorno in cui sarà pubblicato, il lettore giudicherà. Léon Pierre-Quint

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Cinema e psicanalisi Il cinema è semplicemente la prima possibilità che ab­ biamo mai avuto di capire il movimento, il ritmo profondo di un essere isolando il gesto dalla parola, conferendo ai suoi automatismi la stessa importanza attribuita ai suoi at­ teggiamenti volontari. Non si tratta più della mimica teatra­ le che appoggia il pensiero parlato, aiuta il personaggio a spiegare instancabilmente al pubblico la propria mentalità, le sue reazioni di fronte agli eventi. Si tratta di far vivere sullo schermo la maschera e il volto che nella vita si allon­ tanano e si avvicinano in continuazione, di penetrare nei sotterranei dell'inconscio in cui finiscono archiviate le im­ magini percepite con tutte le loro associazioni di idee che comportano amore o odio, desiderio o disgusto, espressi da un movimento volontario che smentisce la maschera, sdoppia il dramma, sovrappone alla sceneggiatura il reale conflitto psicologico ignorato da tutti i personaggi che lo subiscono come Fatalità e credono di vincerlo con le loro modeste intelligenze, come se l'uomo potesse giocare a scacchi col Destino! Ed è già Cinema acquisito: Charlie Chaplin, geniale atto­ re del dramma completo - sofferenza dell’inconscio (frene­ sia dei gesti) neU’incomprensione dei fatti esterni sempre comici (impassibilità della maschera). Ma il cinema che ci ha insegnato l’incredibile meccani­ smo di un toro che scalpita o di un uomo che salta con l’a­ sta, ci deve il processo e il ritmo, accelerato o rallentato, del Pensiero-Immagine, dell'immagine sognata, indebolita, rimpicciolita, ingrandita, ravvicinata, deformata, fissa, osses­ siva, del mondo segreto in cui ci ritiriamo da svegli o du172

JACQUES POISSON

rente il sonno, di questa vita più grande della nostra vita in cui dormono ì delitti e gli eroismi che non compiremo mai, in cui annegano le nostre delusioni e germinano le nostre più folli speranze. Il meccanismo soggettivo che dà spesso­ re al personaggio mastra che tutti i suoi gesti, i suoi atteg­ giamenti più comuni come quelli più decisivi sono schiavi delle immagini che porta in sé fin dagli intensi minuti delia più lontana infanzia1. Che film si potrebbe fare con lo studio scientifico del mondo psicologico di un uomo (attraverso lo smembra­ mento dei sogni) dalla nascita alla morte, mentre, povero burattino, crede di fare la propria vita e organizzare la sua vittoria! Ed è, credo, il cinema del futuro: Buster Keaton perso­ naggio funambolico che vive, o sogna, tutte le angosce e tutte le gioie sul Navigator alla deriva in mezzo ai flutti. Jacques Poisson

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Il donor Allendy nota a questo proposito che la nostra attenzione e la nostra memoria operano una scelta tra le cose che ci circondano, secondo le nostre intime preoccupazioni, e secondo la natura dei complessi che ci guidano-, e che il cinema è la sola arie capace di rendere sensibile questa realtà psicologica profonda. Cfr. soprattutto i Him di Jean Epstein, il primo cinegrafìsta che abbia compreso ed espresso tali possibilità.

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CINÉMA • LA CREAZIONE Di UN MONDO

3 ottobre 1925

Can> signore, sono molto commosso dalla vostra gentile insistenza e sarei veramente scorretto se non rispondessi almeno alle due domande precise che mi ponete.

1® Pensate che il cinema sia capace di esprimere o pro­ vocare certe forme di emozione (poetica) che sfuggono alla letteratura e alle arti già -arrivate*? No. Il cinema è un'arte fatta di apporti successivi come la letteratura e la musica; nessuno dei suoi effetti sfugge a queste due arti, che voi definite •arrivate- e che forse non lo sono poi tanto. È vero che i mezzi sono differenti. Ma non credo di esagerare affermando che cominciamo a intrawedere appena la vastità dei mezzi di cui dispone il cinema e che con difficoltà finora esso stesso ha separato da quelli che aveva preso a prestito -già fatti- (dal teatro, per esem­ pio). 2® Influenza possibile o reale del cinema sulla letteratu­ ra, e in particolare sulla vostra?

Rispondo, immodestamente, solo alla seconda di queste domande (la prima dipende da competenze che mi manca174

C. F. RAMUZ

no). Non penso, in tutta sincerità, che il cinema abbia avu­ to una qualunque influenza su di me, voglio dire sulla for­ mazione stessa delle mie «idee». Quel che è vero, per con­ tro, è che mi ha fortemente incoraggiato più di una volta a utilizzare certi effetti di cui io già disponevo ma dei quali non riuscivo a distinguere la portala. Scusatemi, caro signore, se qui mi limito a sfiorare ap­ pena un soggetto molto affascinante ma le cui dimensioni mi spaventano. Estetica, sociologia, metafìsica: non c’è nes­ suna delle nostre discipline che il cinema non tocchi in profondità e che non rimetta in questione. Non parlo nem­ meno dei problemi tecnici che solleva e che da soli costi­ tuiscono un mondo intero. Ricordiamoci solamente che si tratta di un’arte il cui modo di presentarsi (per la prima vol­ ta nella storia) è meccanico, quindi sottratto all'interpreta­ zione umana e alle sue fluttuazioni, di un'arte che dispone così (grazie alla meccanica) dì una perfetta uguaglianza universale d’esecuzione. Vi prego di gradire, caro signore, l’espressione dei miei più devoti sentimenti C. F.

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Ramuz

CINÉMA • LA CREAZIONE DI UN MONDO

Alcuni anni fa già andavo quasi quotidianamente al ci­ nema. Eccettuati i film comici, posso dire che tutto ciò che sì proiettava allora era assolutamente cretino. Ma non mi perdevo d’animo. Al di là dello schermo vedevo immensi spazi. Le poesie cinematografiche che leggerete risalgono a quel periodo. Volevo, grazie al film, dare un’impressione, non netta, non precisa, ma simile a un sogno.

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PHILIPPE SOUPAULT

RABBIA

Entro in un bar. Appoggiato al bancone, vedo un cliente seduto da solo a un tavolino, guardo il suo braccio, poi la mano, quindi le dita che racchiudono il bicchiere. Il cliente si alza ed esce: lo seguo; gli passo davanti nel momento in cui un’automobile arriva a tutta velocità. Mi fermo per chiudermi la giacca e seguo l’auto sulla quale riesco a saltare prendendo il volante dopo avere abbattuto il guidatore. Ma l’auto sbatte contro un muro che compare davanti e alla fine mi fermo davanti a un bar. Appoggiandomi al bancone vedo un cliente che riconosco e guardo il suo braccio, la mano e le dita che racchiudono il bicchiere. FORZA

Sto scrivendo in camera. Insensibilmente divento grande mentre la stanza rimpic­ ciolisce: quando mi alzo sto per toccare il soffitto ma mi di­ rigo verso la porta che, ingrandendosi, mi permette di usci­ re. Ci sono degli uomini che passano, dei bambini che cor­ rono, le automobili sfrecciano e io cammino senza fretta. Tuttavia sorpasso le automobili, i bambini e i passanti. Un uomo alto riesce a raggiungermi, mi saluta e mi stringe la mano. Gli tengo la sua per qualche istante e d’un tratto l’uomo scompare. Attraverso una strada, inciampo sul bordo del marcia­ piede. Cado con la testa in avanti, mi raddrizzo con un sal­ to pericoloso. Mi appoggio contro un muro e sullo schermo ormai si ve­ de solo la mia testa, poi la mia bocca che sorride.

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CINEMA • LA CREAZIONE Ol UN MONDO

ADDIO

Tre uomini, due donne e io in un giardino ascoltiamo parlare un uomo due volte più grande di noi. Lui fa un se­ gno a uno dei nostri compagni che, alzandosi, diventa al­ iimprovviso grande come lui. Gii altri quattro personaggi si alzano, diventano più grandi e se ne vanno. Io resto solo sulla panchina. Mi alzo anch 'io ed esco dal giardino. A poco a poco il paesaggio cambia, gli alberi si fanno più rari e arrivo in una pianura. Mi fermo e mi siedo ai piedi di un pioppo. Le foglie dell’albero cadono rapidamen­ te e io scompaio lentamente. Da lontano i miei compagni arrivano di corsa. GLORIA

La folla acclama una statua, io scendo dal piedistallo, fuggo e correndo arrivo in una strada vicina. Passo su un ponte; un mendicante in ginocchio tende il cappello. Mi fer­ mo perfargli l'elemosina. Un tram si avvicina, io salgo e il tram passa accanto al piedistallo della statua, davanti al quale la folla manifesta il suo disappunto. Mi riconoscono e sono obbligato a scappare inseguito dalla folla. Ripasso sul ponte. // mendicante si alza, mi fer­ ma e mi getta dal parapetto. Cado sul ponte di un rimor­ chiatore che trascina lento pesanti chiatte. Taglio il cavo e il rimorchiatore avanza allora molto più rapidamente ma va a sbattere contro l'arco di un ponte e comincia ad affondare. Guadagno a nuoto la riva, dove la folla mi sta aspettando. Certi uomini mi afferrano, mi trascinano via e mifanno arrampicare sul piedistallo. La folla acclama.

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PHILIPPS SOUPAULT

RIMPIANTO

Seduto su una sedia a dondolo fumo lentamente. Di fronte a me scorgo un planisfero nel quale sono tracciate le linee di navigazione delle compagnie internazionali. Esco e compro un giornale. Mi siedo su una panchina lungo la strada. A una a una le cose che mi circondano scompaiono. Innanzitutto il pi­ sciatoio, poi i lampioni, le auto, l'albero vicino e, quando mi alzo, la panchina. Arrivo sui quais di un porto e mi imbarco su un moto­ scafo che mi conduce a bordo di un transatlantico. Non ap­ pena salito salpa. La nave entra in un porto e numerosi negri vengono a prendere i bagagli. Passo la soglia di un hotel e entro nella hall; vi ritrovo la mia sedia a dondolo e mi ci siedo subito fumando lentamente. Philippe Soupault

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cinéma

• la creazione di un mondo

Se i pittori, gli scultori e un buon numero di scrittori (so­ prattutto poeti) non cercano piti la somiglianza, lo schermo ci rivela i volti più espressivi, più esagerati che abbiamo co­ nosciuto fino ad oggi. Fa dei veri e propri colpi d'anima, dei prelievi di fisionomia, di sentimenti allo stato puro. Quale isolamento drammatico in certi istanti di una Lil­ lian Gish, di uno Chariot, di un William Hart! Le altre arti possono dare una simile impressione di incomunicabilità fra gli uomini, separare con tanto senso patetico, conferen­ dogli un'importanza miracolosa, quella mano, quegli occhi, quel piede, quel gesto, e il loro peso d'eternità? Abbiamo qui un maestro meraviglioso. Può fare ritorna­ re il mondo alle sue origini sullo scivolo delle ere. Oppure, non potrebbe metterlo al di fuori del tempo, accanto a Dio, nella freschezza della Creazione? È perché rimette costantemente in questione l'essenza stessa delle cose che il cinema mi sembra debba esercitare un’utile influenza sulle arti -già arrivate». Nessuna di loro ci permette di entrare così violentemente e così clandestina­ mente nella realtà. Al cinema ogni spettatore diventa un grande occhio, grande quanto la sua persona, un occhio che non si accontenta delle sue funzioni abituali ma vi ag­ giunge anche quelle del pensiero, dell’odorato, dell'udito, del gusto, del tatto. Tutti i nostri sensi si ocularizzano. Nelle altre arti sentiamo che una guida ci prende per mano. Qui... ma non avete l'impressione di crearle voi stes­ si tutte queste immagini che vi passano sotto gli occhi, in una sorta di paralisi della volontà vostro malgrado? Lo

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JULES SUPERVIE1LLE

schermo, non è forse uno specchio magico che precisa e ordina le confuse suggestioni della vostra intimità? Eccoci separati dal nostro inconscio. Esso si svolge. Ed è come se le strade, i fiumi, le città, le foreste, le montagne si mettes­ sero a pensare, a divagare, a sottomettersi, a ribellarsi da­ vanti a noi. Quale arte potrebbe rendere meglio il movimento ral­ lentato, gelido di sogno e dubbioso di sé oppure quelle sconosciute velocità del delirio? Signore del tempo e dello spazio, delle dimensioni e della luce, i mezzi del cinema ci spaventano. Pare soffrire di un eccesso di possibilità. Eppu­ re cos’è questo bisogno della letteratura e della musica che ancora gli servono da stampelle? Non abbiamo mai conosciuto fin qui un tale assimilatore d'inverosimile. Sopprime le transizioni, le spiegazioni, confonde, e ci fa confondere, il reale e l'irreale. Può di­ struggere ogni cosa e ricostruirla. Ci ha dato fiducia nei so­ gni in un’epoca resa così diffidente dalle difficoltà della vi­ ta e dalle avances della morte. Ha avuto qualche influenza sulle mie opere? Direi di sì. Mi ha aiutato, penso, a uscire da più di un labirinto, mi ha passato degli attrezzi per sfondare ceni muri. E io gii sono debitore di avermi liberato dalla tirannia del verosimile.

JULES SUPERVIELLE

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IV Stato del cinema

La critica dei film Nel 1911, in un quotidiano, un cronista si augurava che nascesse una critica cinematografica. Da allora ci si è messi a studiare, come era doveroso, l'arte dello schermo, a cui. ogni tanto, venivano dedicati degli articoli e perfino dei li­ bri. Un giornale della sera e due giornali che escono a mezzogiorno, subito dopo la guerra, hanno affidato a degli specialisti una rubrica cinematografica, voglio dire una ru­ brica di critica. Già si parlava di immagini in movimento nelle gazzette dedicate agli spettacoli. Poi ci furono delle riviste, prima la Connaissance, poi il Mercure de France. I quotidiani hanno quasi tutti, oggi, una cronaca di cinema, e alcuni fra i più diffusi una critica. La cronaca, in diversi milioni di esemplari, ha capito qual è il suo compito. Come intendere oggi l’espressione -critica cinematografi­ ca-? Credo che si possa trattare solo, aH’occorrenza, di criti­ che di film, con commenti sui principi generali. Non si so­ no mai considerati cronache scientifiche gli articoli firmati dai dottori che consigliano le pillole Pink. Come fare dunque la critica dei film? Sto per parlare alla maniera di un La Patisse risuscitato e quindi con un certo coraggio. Per criticare dei film bisogna averli visti. Bisogna averli visti interamente. E per criticare dei film regolarmen­ te, bisogna vedere il maggior numero possibile di film, cioè assistere alla presentazione dei film. Bisogna conoscere i classici del cinema, l’evoluzione del cinema, bisogna cioè averlo seguito attentamente dalla sua nascita. Come, direte voi, un giovane non può criticare i film? E,

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CINÉMA • LA CREAZIONE DI UN MONDO

fra trentanni, chi mai potrà aver visto i principali film? E dopo ancora? Il teatro si studia nei libri, ma un film non lo si può im­ maginare solo leggendo la sceneggiatura. Evidentemente, ma più tardi, avremo dei film caratteri­ stici che ci dispenseranno dal conoscere gli altri, e, del re­ sto, probabilmente esisterà un repertorio. Anche oggi, se non si può rivedere, per esempio, Pour sauver sa race, è possibile assistere alla proiezione di film importanti che hanno segnato una data: H. Lepage e Duvivier hanno realizzato una specie di raccolta di brani scelti che altri probabilmente seguiranno. Per fare critica cinematografica, bisogna dunque avere un po' studiato il cinema, si deve aver visto i film di cui si par­ la, bisogna parlarne in tutta libertà, cioè senza avere alcun interesse, diretto o indiretto, in un'azienda cinematografica. Ci sono scrittori che ogni tanto commentano il cinema con talento. Non è di loro che si tratta qui, né del loro ruo­ lo. Si tratta dei critici, cioè, come si è detto poco fa, di co­ loro che vedono il maggior numero possibile di film e ne parlano liberamente. Se esistono altre persone che firmano regolarmente articoli relativi ai film, non è il loro lavoro che vogliamo qui mettere in discussione, e nemmeno la lo­ ro esistenza. Non è nelle nostre intenzioni. Non si chiederà nemmeno a certi giornali che aprano una colonna di critica se non l'hanno fatto fino ad oggi. Pen­ sano di non avere tempo da perdere. Un critico, dunque, fa il suo lavoro. Come può farlo nel­ le migliori condizioni? Deve parlare dei film ai lettori quando i film vengono presentati al pubblico o dopo che sono stati presentati ai membri delle corporazioni cinematografiche? Deve parlare di tutti i film? Deve parlare solo dei film? Se commenta dei film, sia dopo la prima presentazione sia dopo la proiezione pubblica, ma sempre senza preoc­ cuparsi di queste stesse proiezioni pubbliche, il lettore avrà 186

LUCIEN WAHL

dimenticato i giudizi del crìtico quando i film saranno in programmazione nei cinema. Certamente. Ma il lettore potrà conservare quegli artico­ li. Poi, il critico si incarica di consigliare al lettore di andare a vedere questo o quel film? Si può considerare questo il compito di un critico? Niente affatto. Il critico informa il lettore, esprime i suoi pareri personali, motivati, e può tornare sulle proprie opi­ nioni più tardi, se si tratta di un Him valido. Il lettore subisce o piuttosto deve subire un’influenza morale del suo critico, ma voi credete che obbedisca ai suoi consigli? Tranne qualche eccezione, se ama il cinema, va a vedere i film nel suo quartiere, a caso o regolarmente. E il lettore, spesso, non va mai al cinema. Se il critico glie­ lo fa amare, il lettore ci andrà, ma non per tutti i film, tran­ ne qualche eccezione. Confesso di essere incapace di scrivere un articolo serio e sincero su un qualunque film visto sei mesi prima. E a volte lo si presenta al pubblico due anni dopo la loro proiezione privata! Inoltre, certi film meritevoli di critica non sono mai pre­ sentati al pubblico. Allora non si deve parlarne? L’importante è che la critica parli di un film secondo co­ scienza e, quale che sia la stagione, non dovrà temere rim­ proveri. Ogni giornale può avere le sue ragioni per agire in un certo modo, e anche ogni critico. Ma il critico non può pensare di esercitare un'influenza immediata e diretta sul pubblico. Del resto non è il suo ruolo. Si può andare anche oltre, nemmeno la pubblicità a oltranza è sempre utile. Un film come Les Nibelungen, le cui qualità sono state celebrate in tutti i modi da critici e da articoli pubblicitari, non ha quasi ottenuto successo, all’ini­ zio, e Cyrano de Bergerac, un pessimo film su cui si sono letti molli elogi, non è stato accolto favorevolmente dal pubblico. Bisogna essere severi o moderati? Bisogna cercare di es­ sere giusti senza affermare di non sbagliarsi. Non c’è nien­ 187

CINEMA ■ LA CREAZIONE DI UN MONDO

te di più difficile da giudicare di un film, perché in un film sono in gioco molti elementi: sceneggiatura, attori, sceno­ grafie, ritmo, regia, luci, che ne so? E ciascuno di noi, per temperamento e cultura, è più sensibile a certi elementi che ad altri. Eppure bisogna sempre segnalare la sciocchezza, la buona ispirazione e il mestiere privo di arte pur ricono­ scendo che molti adorano quelle manifestazioni. Non ci sono regole generali. Ci sono attori eccellenti an­ che senza talento perché incontrano ruoli in cui devono so­ lo obbedire agli ordini. Altri possono sbagliare, ma merita­ no che li si citi e li si studi. E si può disinvoltamente dire bene di un’opera banale ma criticare minuziosamente un film migliore solo perché l'autore, per la sua personalità, richiede di essere esamina­ lo con più attenzione. Ci sono critiche severe che sono ve­ ri e propri omaggi. È evidente che non mi riferisco ai giornali di categoria, che hanno uno scopo preciso. Si rivolgono a clienti che la­ vorano nel cinema, non sono messi in vendita, e, di conse­ guenza, i loro direttori sanno bene ciò che devono fare e come farlo. Sono organi particolari molto differenti dai quotidiani e dalle riviste.

* *♦ Non si troveranno qui né precetti né sentenze. Questo articolo non ha altra pretesa che quella di indicare a coloro che si interessano un po’ di cinema come i critici vedono le proprie funzioni. Non possono sempre esercitarle come vorrebbero, in primo luogo e soprattutto perché, nella maggior parte dei giornali, non trovano spazio e, quando possono, pubblica­ no articoli in diverse testate, proprio per questa ragione, e anche perché il mestiere porta via molto tempo ma non rende ricchi, ma questa è un'altra questione. Se si vuole far­ lo, non bisogna fare fìnta... 188

LUCtEN WAHL

* ** Si potrebbe provare a stabilire delle teorie estetiche. A che pro? Studiando i film lo si fa senza volerlo. Con questo esame rapido non si vuole stabilire un manuale di cinema. Il critico coscienzioso può cambiare punto di vista a secon­ da dell’opera presa in esame. È una prerogativa di ogni cri­ tico, non solo al cinema: non si studia un romanzo come un libro di storia, non si parla del Pèlerin come deH’/Lscension du Mont Everest.

♦ ♦* Ma è sufficiente tenersi al corrente dei fatti del cinema? Necessariamente il critico s’interessa alla letteratura, alla pit­ tura, all'architettura, alla musica. Anche senza approfondir­ le, non può restare estraneo alle manifestazioni delle arti che danno il loro contributo al cinema. È certo che, per esempio, guardando certi quadri di un film ispirato a Bra­ que, si sentirà preso in giro se non sa niente della pittura moderna. Per conoscere gli scrittori classici, non può ignorare la letteratura contemporanea, soprattutto quella che subisce, consapevolmente o no, l'influenza dello schermo, mentre è un’altra letteratura che influenza oggi il cinema. Si dirà: «Ci vuole del tempo». Evidentemente, ma se si vuole viaggiare molto, vendere cose e stare delle ore a par­ lare d’affari per guadagnare denaro, non è possibile eserci­ tare il mestiere di critico di cinema.

♦ *♦ Se la critica cinematografica è poco conosciuta dal pub­ blico, autori e produttori la conoscono? Le indicazioni for­ nite da scrittori attenti potrebbero pemettere dei migliora­ menti o magari anche dei peggioramenti. I produttori? Certuni non ignorano la critica, ma la se­ 189

ONÉMA - LA CREAZIONE DI UN MONDO

guono un po’ da lontano, visto che si occupano delle infor­ mazioni pubblicitarie sotto qualunque forma. Se stimano la critica, non devono temerla. Anche se spesso sono criticati, non sempre il torto è dalla loro parte. L'attuale sistema di noleggio, la lotta fra trust gli impediscono di agire per il be­ ne del cinema. Da commercianti dipendono da altri com­ mercianti. I registi, loro, la critica non la tengono in nessun conto, neanche teorico. Come potrebbero sbagliarsi? 1 registi accet­ tano o rifiutano, tagliano e lesinano. Qualche fischio per lo­ ro esprime un'opinione generale. È anche vero che hanno avuto tanto successo con della spazzatura che non bisogna ritenerli colpevoli di ogni peccato. E si ricordano il principio americano della vedette e del titolo, ma questo è fuori tema. A poco a poco molte idee dei critici sono realizzate da qualche raro professionista. Questi critici non devono van­ tarsene troppo, poiché le idee-guida prima o poi si impon­ gono da sole. Se per caso i produttori se la prendono con la critica vuol dire che le rendono omaggio. In genere i produttori non leggono la critica. Si sono segnalati, per esempio, degli errori di testo, degli errori flagranti commessi in un film di Chaplin, ma non sono mai stati corretti. Mai si è dato ascolto ai critici a proposito delle presentazioni in serie o si­ multanee e altro ancora. Certi produttori mandano ai critici delle note destinate ad agenti pubblicitari, e esprimono an­ che la speranza di vederli a una presentazione per parlare loro del lancio di un film, come se la cosa potesse non so­ lo interessarli ma anche riguardarli! Bisogna scusare le confusioni, poiché in molti giornali la critica cinematografica non esiste ancora (e non funzionerà forse mai).

♦ *♦ Di recente ho assistito a una riunione della stampa cine­ matografica organizzata dalla filiale francese della più im­ 190

LUCIEN WAHL

portante casa di produzione americana. È la stessa società che ha convocato, mesi fa, un giornalista che quasi mai si occupa di cinema - un giornalista, dico - osando offrirgli del denaro per citare un film in uno dei suoi articoli quoti­ diani. Il nostro collega si è irritato. Perché arrabbiarsi e stu­ pirsi per l’atteggiamento di un industriale che non sa nien­ te del giornalismo e lo confonde con ciò che non gli somi­ glia affatto? Nella riunione di cui parlo, ho udito l'amministratore di quella società rispondere con intelligenza a coloro che at­ taccano la produzione americana. E ha avuto pure il buon gusto di non toccare i brutti film francesi, ha anche ipotiz­ zato ingegnose produzioni combinate franco-americane, ma si è rivolto all'intera stampa cinematografica come se parlasse a dei collaboratori diretti. Ignorava che certi gior­ nali hanno completamente separato, come è giusto, la cro­ naca dalla critica. Stando così le cose, come può rendersi conto anche solo dell'esistenza e della funzione dei critici? Non bisogna mai prendersela con chi non sa. Bisognerebbe addirittura rendere omaggio a ogni sincerità, a ogni buona volontà. Quanto ai registi, quelli sinceri si rendono conto della sincerità degli altri. Coloro che non si abbandonano al vile commercio, voglio dire alla facile lusinga dei bassi istinti, prendono tanto più in considerazione i complimenti dei critici quanto più li sanno disinteressati. Fra gli autori che fabbricano merci in quantità su ordinazione, alcuni non mancano né di intelligenza, né di spirito e nemmeno di­ sprezzano i critici, ma deplorano il fatto che le circostanze li costringano a un mestiere senza arte, ecco tutto. Altri, in­ fine. disprezzano la critica, ma, se si sentono toccati da una parola, allora protestano. L’evento è abbastanza raro, poi­ ché manca lo spazio ai critici per dilungarsi su prodotti troppo vili. Lucien Wahl

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Il film francese

Origini, influenze, situazione attuale

Da trent’anni, i trent’anni della sua esistenza - cioè dal­ l'agosto 1895, epoca delle prime sedute di proiezioni cine­ matografiche pubbliche e a pagamento, promosse davanti al pubblico che si accalcava all’Esposizione dei Cotoni di Atlanta dagli inventori Jenkins e Armat - il cinema in gene­ rale, e il cinema francese in particolare, vanta degli storici, ma storici quasi esclusivamente interessati alla storia intrica­ tissima dell'invenzione del dispositivo da ripresa e da proiezione. Dell’arte del film, della sua nascita e della sua lenta cre­ scita fino al suo attuale sviluppo, non si parla mai... Le difficoltà sono parecchie, del resto. In primo luogo, ci troviamo ora nell'impossibilità di prendere conoscenza del­ le prime prove dei cineasti (?) dell'inizio secolo. Lasciando da parte le primissime pellicole dei fratelli Lumière (La Sor­ tie des Usines Lumière à Lyon, L'Arrivèe d’un train, L’Arroseur arrosé, ecc....), che sono state religiosamente conser­ vate, non resta nulla dei primi film di Pathé e Zecca, di Méliès e altri pionieri della prima ora... Bisogna risalire al 1907 per ritrovare alcune delle prime opere dello schermo. Non esiste ancora nessuna -cineteca-, nessun museo del film in cui lo storico dell’arte delle immagini animate possa oggi cercare le basi della sua documentazione. D’altra parte, coloro che si interessano all’arte del film sono in genere dei giovani, in ogni caso dei neofiti i cui ri­ cordi precisi non risalgono a più di otto o dieci anni, cioè 192

PIERRE HENRY

all'epoca in cui il cinema ha cominciato a diventare un mezzo di espressione artistica. Quanto all’opinione dei vec­ chi commercianti di cinema e dei primi registi, è diffìcile farne troppo conto, visto che sarebbero giudici e parte in causa nello stesso tempo, e del resto non hanno preoccu­ pazioni di questo genere... La cosa più sicura che abbiamo in questo momento, per nostra edificazione, è il curiosissimo film frutto dell’iniziati­ va di Duvivier e Lepage l’anno scorso: La Machine à refaire la vie, che costituisce una vera iniziazione visiva all’arte cinegrafìca. Infatti in questo film dei film si trovano dei documenti retrospettivi assai preziosi come La Sortie des Usines Lumiè­ re. È un'ottima idea riportarsi così alle origini del cinema e misurare il cammino percorso dalì’Arroseur arrosé a The Gold Rush. Nell'antologia che ci presentano Duvivier e Le­ page si trovano anche esempi di scuola, -spezzoni- simboli­ ci. documentari scientifici. Rassegna un po' disordinata dei tentativi dei registi, sintesi assai incompleta delle scuole na­ scenti. massa a nostro avviso troppo compatta in cui mille cose si contraddicono e si elidono. Bisogna nondimeno ri­ conoscere alla Machine à refaire la vie tutte le qualità pro­ prie di un nobile sforzo. Diciamo anche che tutta la pellicola, malgrado la splen­ dida fede che l’anima, mostra una certa malinconia. In ef­ fetti, quando si pensa alla formidabile evoluzione del cine­ matografo, non ci si può che allarmare per la velocità con la quale si deteriora. Un grande film ha giustificato mille speranze, è costato più di un anno di lavoro, vi si sono in­ vestite delle fortune, dei talenti prima morti hanno brillato di luce splendente. Per qualche mese è coronato dal suc­ cesso nel mondo intero. E qualche anno dopo tutto è fini­ to. Mentre il libro e l’opera drammatica sono eterni, il film è per natura deperibile. Sembra che i suoi elementi interio­ ri, il soffio che lo ispira, la sua anima, per così dire, risen­ tano della fragile natura della sua materia, la pellicola. Così, quando la Machine à refaire la vie sarà scomparso. 193

CINÉMA - LA CREAZIONE Di UN MONDO

sarà ancora possibile leggere quello che ne ha detto la stampa e senza dubbio anche quello che stiamo qui scri­ vendo... * ♦ * Prima di vedere quali siano siate le opere che hanno se­ gnato un autentico passo in avanti nella lunga e spinosa strada dell’arte del film, sarebbe bene, credo, precisare in poche parole cos’è che fa la differenza artistica tra ciò che si proiettava sugli schermi attorno al 1900 e quello che si vede oggi. *11 vero film drammatico, ha dichiarato Louis Delluc, è nato il giorno in cui qualcuno ha capito che la trasposizio­ ne sullo schermo degli attori di teatro e della loro telegrafia plastica doveva nascondersi di fronte alla natura. Quando dico la natura, voglio dire natura morta. Piante o oggetti, interni o esterni, dettagli materiali, insomma, tutta la mate­ ria conferisce un rilievo nuovo al tema drammatico. Sottoli­ neata, questa natura morta o muta si anima a seconda del posto in cui l’utilizza il compositore del film. Tale rilievo dato alle cose attenua la personalità dell’uomo, dell’attore, che diviene anche lui solo un dettaglio, un frammento del­ la materia del mondo. È una nota nella grande composizio­ ne del musicista visivo. Le cose, il cui ruolo è immenso nel­ la vita e nell’arte, ritrovano il loro vero ruolo e la loro elo­ quenza fatidica. Quando fu fatto questo passo verso la sin­ tesi dell'orchestrazione cinematografica, il cinema, arte d’e­ spressione, ha cominciato a esistere realmente*. Il pittore e il musicista possono scegliere e comporre, si continua a dire, mentre il cinegrafìsta si accontenta di ri­ produrre, di copiare. •Che errore, risponde Vuillermoz, in un articolo del Tem­ ps. 11 cinegrafìsta sceglie e compone due volte. Ci sono due momenti creativi, due iniziative artistiche distinte nella con­ fezione di un film. C’è una prima vera creazione nella con­ cezione della sceneggiatura, nella sua scansione in scene. 194

PIERRE HENRY

nella sua realizzazione, nella scelta delle luci e delle atmo­ sfere, nella scelta di questo o quel dettaglio espressivo di un paesaggio o di un volto, ecc. •Ma c'è un secondo intervento artistico più sottile e de­ cisivo, che non deve niente alle altre tecniche e che è la vi­ ta stessa della cinegrafìa. Il film è composto e “girato”. Cen­ tinaia di piccoli frammenti di pellicola impressionata stanno lì, davanti all’autore. Ora inizia la vera “composizione”. È l'ora della scelta ispirata, dell’interpretazione personale, della vita "scorta attraverso un temperamento”. È l'ora dello “stile". Un manovale e un artista, a partire dagli stessi ele­ menti faranno due film totalmente diversi. Il primo incol­ lerà uno dietro l'altro questi frammenti assecondando passi­ vamente l’azione e così avremo uno di quei racconti insipi­ di e interminabili che sgranano giorno e notte i nostri ven­ ditori di nastri stampati. Il secondo procederà a ricerche di tutt'altro tipo. Si metterà pazientemente a giustapporre, a inserire, a ritagliare, ad accostare, a opporre tutte queste cellule viventi, calcolerà il ritmo di queste immagini, il loro incrocio e la loro sovrapposizione, doserà le impressioni vi­ sive e le emozioni psicologiche, creerà a sua piacimento una potente “progressione” drammatica, un decrescendo, un ritorno, una diversione, una fuga nel sogno o un severo ri­ chiamo alla realtà. Se questo non è fare opera da artista, se questo non vuol dire aggiungere qualcosa ai modello, allo­ ra bisogna escludere dall’ane la pittura, la musica, la scul­ tura e la letteratura, poiché la loro tecnica è esattamente la stessa». Ecco dimostrato che, per la scelta delle immagini e del ritmo che assumono dalla loro giustapposizione, il film è assolutamente un mezzo di espressione artistica.

* ** Da trentanni il pubblico delle sale cinematografiche as­ siste a quella lenta evoluzione che ci permette di definire così il cinema. 195

CiNÉMA ■ LA CREAZIONE 01 UN MONDO

All'origine i fratelli Lumière si accontentavano di cinegrafare la vita pura e semplice. I cinegiornali di oggi sono ciò che più si avvicina a quella forma primitiva di arte ci­ negrafica, anche se bisogna dire che l'inquadratura è più duttile e varia, e in questo è già piti artistica... Il primo sforzo dei filmatoti delle origini, una volta spentosi il successo dovuto alla curiosità, fu quello di in­ corporare nelle loro pellicole un’azione drammatica, di sta­ bilire una sceneggiatura, pur rudimentale, insomma: di rac­ contare una storia. A partire dal 1896 vediamo uno dei grandi precursori del film di oggi, Georges Méliès, girare Voyage dans la Lu­ ne, un «grande* film che durava quattro minuti, poi VHomme-Orcbestre, in cui lui solo interpretava non meno di di­ ciotto parti, e ancora Les Voyages de Gulliver, senza dubbio il primo «adattamento* per lo schermo di un’opera lettera­ ria. A meno che non sia antecedente una realizzazione arnericana girata nello stesso anno: Rip van Winkle, tratta dall’opera di W. Irving per la Biograph con un noto artista di teatro, Joseph Jefferson, certamente la prima vedette tea­ trale apparsa in un film «drammatico*. Nel 1902 vediamo apparire i primi film veramente dram­ matici. È L’Histoire d’un crime (120 metri) realizzato da Zecca per Pathé. Nello stesso periodo Edwin Porter realiz­ zava La Vie d’un pompier per Edison. Per la prima volta vi si trova l’applicazione di uno dei procedimenti stilistici del cinema d’oggi: le azioni parallele: il regista aveva mostrato alternativamente i pompieri che si preparavano a correre verso l’incendio, la madre e il bambino minacciati dalle fiamme, i pompieri che passano a tutta velocità per la stra­ da, la madre circondata dalle fiamme e pronta a scavalcare la finestra. Da questo metodo Griffith aveva tratto gli effetti sconvolgenti che sappiamo. Ma l’ossessione del teatro e della letteratura avrebbe ben presto ostacolato i progressi della futura arte cinema­ tografica. Si considera nel 1907 un evento gravido di conseguenze 196

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favorevoli: la creazione della Film d’Art, che alle scene di tela già universalmente utilizzate aggiunse una ispirazione esclusivamente teatrale c scene tratte direttamente da pieces teatrali. Ed ecco I7lssastfna/ du Due de Guise. Oedipe-roi e altri errori. Nello stesso periodo viene presentata alle Variétés la prima de L'Enfant prodigio», una pantomima filma­ ta. Poco dopo infine viene fondata la Société Cinématographique des Auteurs et Gens de Lettres, che farà inter­ pretare da noti attori degli adattamenti, più teatrali che ci­ nematografici, di opere letterarie. La grande eresia dell’epoca è di pensare che il cinema, per acquisire una qualche dignità, debba avvicinarsi il più possibile al teatro e alla letteratura, t errore è generale in Francia come in America, in cui vediamo gli attuali diretto­ ri della Paramount lanciare la loro giovane società con una Reine Elisabeth girata da Sarah Bernhardt e un Le Prisonnier de Zenda interpretalo da James Hackett, un grande at­ tore shakespeariano, I veri precursori, quelli che seguono la retta via, sono misconosciuti, come sempre... Il cinema, non ci sono dub­ bi, doveva molto di più a uomini come Méliès, un vecchio illusionista che intuì immediatamente lo splendido sentie­ ro che si apriva nei campo del meraviglioso. È a Georges Méliès che dobbiamo l'apparizione sullo schermo delle dissolvenze, per i cambiamenti progressivi da una scena all’altra, dei mascherini, per esposizioni doppie e multi­ ple, delle sovrimpressioni, del ralenti e dell’accelerato, procedimenti normalmente utilizzati oggi dai nostri mi­ gliori cineasti. Oltre all’innovazione delle azioni parallele, ricordate più sopra, vediamo lo stesso Edwin Porter cercare di variare i piani registrati dalla macchina da presa e girare per la pri­ ma volta un primo piano, in The Great Train Robbery, pri­ mo piano che mostra un bandito che punta il revolver con­ tro il pubblico (Edison fece uscire il film nel 1903). I Méliès, i Porter, e certamente altri i cui nomi non sono giunti fino a noi, erano i veri pionieri dell'arte muta. 197

CINÉMA ■ LA CREAZIONE DI UN MONDO

Si insiste sugli stessi errori fino a! 1914. Il cinema tratta una gran quantità di soggetti ma sempre nella stessa ma­ niera verbosa e teatrale. Forse solo il film comico cerca di uscire da questo vico­ lo cieco. I vecchi film di Max Linder, soprattutto, sono si­ gnificativi in questa ottica. Le sceneggiature, l’interpretazio­ ne e anche parzialmente la regia, testimoniano dell'orienta­ mento verso un racconto visivo sempre meno tributario delle altre arti nella ricerca degli «effetti*. Dall’Italia ci vengono grandi film, che tuttavia procedo­ no, su scala maggiore, dalle medesime pessime tendenze. Anche se si può notare, in Cabiria, una ripresa mobile, rea­ lizzata facendo avanzare l'apparecchio su una piattaforma munita di ruote. Indubbiamente i registi dell'epoca meritano pienamente il nome di -metieurs-en-scène-, e gli studios in cui girano sono proprio dei «teatri di posa-. Dal punto di vista commerciale, l’industria cinematogra­ fica (è un po’ presto per parlare d’arte), superato il perio­ do difficile in cui il successo della novità era ormai scema­ to, aveva conquistato un pubblico fedele e in continua crescita. In Francia la situazione era in costante miglioramento, anche se, contrariamente all'opinione oggi accettata, la pro­ porzione dei film stranieri era considerevole. Nel 1910 le nostre esportazioni raggiungono i sei milio­ ni, contro i nove delle importazioni-, nel 1911, otto contro quindici; nel 1912, diciannove contro ventitré. Nei primi mesi del 1914 esportazioni e importazioni si equivalevano, anche se i direttori dei nostri cinema si vedevano presenta­ re, per esempio il 2 e 3 giugno, diciassettemila metri di film stranieri su un totale di ventimila. Dunque, la leggenda del film francese rovinato dalla guerra e dalla conseguente invasione straniera è piuttosto dubbia. Il bilancio della guerra è già abbastanza pesante senza che gli si aggiunga anche questa aggravante...

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♦ ♦ *

All'improvviso, nel 1916: Forfaiture. Questo è un film. Sceneggiatura sostanzialmente visiva, regia che si ispira alla realtà e alla vita e non al teatro, veri attori di cinema, tutto concorre a produrre quest’impressione profonda che qual­ cosa è cambiato sia nella tecnica che nell’ispirazione del film. E questa piccola rivoluzione viene confermata dall’u­ scita di diversi altri film. La Triangle, fra le altre case, sotto­ linea ancora una volta la differenza profonda che esiste con i film d’anteguerra. La verità è che gli americani erano sulla buona strada già da diversi anni. 1 Griffith, gli Ince, i De Mille, i Mack Sennett lavoravano da diverso tempo alla formula del cine­ ma veramente «cinema- che aveva appena fatto sensazione. Solo che non si era prestata abbastanza attenzione a quegli elementi di progresso che già si sarebbero potuti cogliere nel corso dei due o tre anni precedenti la guerra; si era ca­ talogato frettolosamente il cinema americano come -avven­ ture di cow boys-, A torto, perché in potenza già contene­ va le future Conquète de l’Or e Pour sauver sa race... Il dominio quasi assoluto dello straniero, favorito del re­ sto dalla nostra inerzia forzata, si prolungò, confermato dal 1918 dall'uscita di Terje Virgen, poi dai Proscrits, e dalle al­ tre opere semplici e grandi della Svenska. Il vero risveglio, il vero rinnovamento della produzione francese si manifesta alla fine della guerra. Appaiono nuovi autori che non si accontentano di seguire l’esempio dell'A­ merica e della Svezia ma cercano ancora più lontano. Na­ scono i Delluc, con la Féte espagnole, Le Silence, poi Fièvre-, i Marcel L'Herbier, con Rose-France, L 'Homme du large e El Dorado-, gli Abel Gance, con La Roue-, gli Epstein, le Ger­ maine Dulac, i Jacques Feyder, i Baroncelli, gli Hervil, i R. Bernard. Giovani, arrivano all'arte silenziosa sicuri di por­ tarvi con dovizia e intensità il carico di sensibilità che anni prima sarebbe stato dedicato alla musica, alla letteratura, al­ le arti plastiche o al teatro... 199

Cinema - la creazione di

un mondo

E se oggi continua Io scambio di film fra i vari paesi, se ancora assistiamo alla nascita di prodotti stranieri significa­ tive di nuove tendenze — come è il caso di Caligari, Le Rail, Les Trois Lumières e altre opere tipiche della scuola tedesca - la corrente di opere e idee è oggi abbastanza forte da noi perché non si avverta più nei nostri film l'influenza onni­ potente, irragionevole, generatrice di tristi plagi. Ciò che maggiormente manca al cinema francese, in questo 1925, a dieci anni di distanza dall'entrata nella vera via cinegrafìca, è la disponibilità materiale, senza la quale la vita della produzione può essere solo precaria. Da questo punto di vista non si è forse fatto tutto ciò che era possibile. Eppure vengono messi a punto accordi di scambio europei, che sono indispensabili all'ammortamento e al profitto dei film forzatamente costosi del giorno d'oggi. Il fatto è che, in materia di cinema come in diversi altri campi, il paese piccolo è il meno favorito; i tremila schermi di Francia non sono niente di fronte ai ventimila schermi americani. La questione dell'esportazione è per noi fondamentale. La nostra arma migliore è la qualità artistica di gran par­ te dei nostri film, ma, per raggiungere il successo, bisogna che si doti anche della qualità commerciale. La sorte del film francese è legata a questa doppia riu­ scita. Della prima siamo sicuri; per la seconda non possia­ mo che formulare i nostri migliori auguri, e lavorare perché si realizzi. Pierre Henry

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Le due tendenze del cinema attuale Da sei o sette anni quasi tutte le risorse del mestiere so­ no state utilizzate. I progressi tecnici sono innegabili. Certi film hanno fatto il giro del mondo e conquistato tutti i pub­ blici. Vuol dire che il cinema ha raggiunto la purezza di una grande arte? Non lo credo. La materia ha progredito, ma lo spirito rimane per strada, e la confusione è tale che a volte il meglio e il peggio si sfiorano. Solo un grande istin­ tivo come Charlie Chaplin ci ha qualche volta soddisfatto appieno. Sicuro della sua poetica, si arroga il diritto di es­ sere da solo il film. Le sue comparse, le scene, non sono che il prolungamento di se stesso. È una caratteristica del genio quella di accaparrarsi tutto. Ma dal -caso* Chaplin non ci sono molte conclusioni pratiche da trarre. È un esempio pericoloso. Si può dire che Chaplin ha ucciso il cinema americano facendone un’arte di divi. Poveri divi, che, contrariamente al maestro, fanno il vuoto attorno. Nessuna ricerca viene a sostenere i personaggi fittizi. 1 film americani non hanno eco e sono deplorevolmente sentimentali. Dobbiamo tutta­ via all’America certe realizzazioni aH'aperto in cui folle gio­ vani e ardite marciano verso il proprio destino. Nella Cara­ vane vers t'Quest abbiamo riconosciuto i pionieri di Whit­ man. Ma rari sono i film di tale qualità, e l'errore di divi sentimentali ha cancellato tutto. E poi è arrivato Caligari, il romantico Caligari e il suo chiaroscuro; un chiaroscuro piuttosto avvincente, in scenari da cubismo monachese. Nel paese di Diirer, ci vogliono scheletri ad ogni angolo di strada. Film farraginoso e am­ polloso, ma con passaggi nervosi e emozionanti. E, stanchi 201

CINÉMA ■ LA CREAZIONE DI UN MONDO

delle cavalcate d’Oltreatlantico, abbiamo respirato con pia­ cere quest’aria rarefatta. Intanto, il cinema francese, schiacciato da alcune azien­ de un po' ingenue, si muoveva a fatica. E se ogni venerdì abbiamo sopportato il peso degli episodi e anche accettato di subire Aimé Simon Girard, vuol dire che ogni tanto si ve­ deva qualcosa di intelligente e di vero. Delluc, L’Herbier, Gance, Epstein, Léger, hanno a volte sbagliato, ma senza di loro in Francia non ci sarebbe niente. Quel che si può dire è che oggi come oggi il cinema francese è forse il meno falso e il più promettente (Chaplin escluso). Vi si scontrano due tendenze, entrambe legittime, che avrebbero tutto da guadagnare a coesistere senza fondersi. La prima, con Fer­ nand Léger, si sforza di creare scene interamente originali, vero a priori della regia. Arte nettamente idealista, ma che deve andare fino in fondo. Bisognerebbe che queste scene inerti cessassero di essere semplici scenari, e che da essi emergessero personaggi immaginari, maschere moderne, che darebbero nascita a un dramma che solo loro sarebbe­ ro in grado di interpretare. Concezione senza dubbio diffì­ cile; un Eschilo sarebbe il benvenuto. Speriamo. L’altra tendenza, al contrario, si serve solo di elementi realisti. Partendo dall'idea che il cinema può isolare ciascu­ na delle nostre sensazioni visive, il poeta cerca di situare con intelligenza il carattere di ogni spettacolo. Ogni ogget­ to familiare, quotidianamente disprezzato da noi che pas­ siamo senza vederlo, può essere un centro di emozioni. Considerato successivamente da ogni parte, vestito di luci diverse, disseccato dal ralenti, posto in ambienti diversi, di­ venta un soggetto di stupore non appena ci viene rivelata la sua verità profonda. È quello, si dirà, che fa il pittore, che fa ogni poeta. D’accordo, con la differenza essenziale che il pittore si sforza di ricondurre a un'immagine sintetica e statica le successive fasi dello spettacolo, mentre il -cinea­ sta- le moltiplica, si accanisce a analizzarle, e si serve in pri­ mo luogo del suo proprio modo espressivo: il movimento. Che singolare bellezza questo movimento, questa cadenza 202

M. GRQMAtRE

della plastica mobile! Nella Roue di Abel Gance, sceneggia­ tura fra le più spaventose, c’erano delle ruote di locomoti­ va, dei segnali, delle rotaie che possedevano una bellezza del genere. E in Coeurfìdèle di Epstein, c’era persino una sorprendente giostra da fiera. Ma fino a oggi questi risultati sono solamente aggiunti a una storia, e che storia, spesso! Indubbiamente ci vuole un racconto; il cinema è un’arte popolare e il popolo ama le storie. Ma è un ben singolare errore quello di credere che il pubblico ami solo le storie stupide. Errore di comodo che coltivano accuratamente i produttori e i gestori dei cinema. Il che non impedisce al pubblico di giudicare, e a volte an­ che in modo crudele Tuttavia bisognerà pure che un giorno i mercanti dello spettacolo si accorgano della noia e del disgusto di cui so­ no causa. Malgrado la loro imprudenza, malgrado la loro tenacia nell’operare male e nel respingere ogni iniziativa, lo spettacolo moderno è nato. Il cinema e il varietà hanno fat­ to scricchiolare l’ossatura del vecchio teatro, e non è lonta­ no il giorno in cui queste due forme d’arte, ampie, ariose e movimentate come il nostro tempo, troveranno la levatura che saprà conferirgli la qualità di cui ancora mancano. M.

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Gromairf.

Un esempio: il futuro del cinema svedese •Il futuro del cinema svedese* non è il vero soggetto di queste poche righe, perché si può mai predire il futuro se non si è -veggenti»? Senza tuttavia voler estremizzare, se non condivido, almeno in fatto di cinema, l’opinione di Victor Hugo secondo cui il futuro appartiene a Dio, possia­ mo almeno dire che il futuro del cinema svedese dipende... dagli americani, e anche un po’ dagli stessi svedesi. Vi ricordate, sei o sette anni fa, quando i film della Svenska fecero la loro prima apparizione in Francia, la simpatica accoglienza che incontrarono presso il pubblico francese? Se il loro successo -commerciale- ha lasciato a volte a desi­ derare, il successo presso i cineasti e gli amici del cinema fu molto rilevante. Era un’epoca in cui i film americani non avevano ancora occupato lo spazio che ricoprono oggi non solo in Francia ma in tutti i paesi del mondo. La Svezia aveva allora solo due registi di prim'ordine, Victor Sjòstròm e Maurice Stiller. La produzione di questi due registi non bril­ lava per il numero dei film ma per la serietà della conce­ zione, la semplicità del soggetto, la verità e l'umanità dei dettagli, la naturalezza e la precisione della realizzazione. La tecnica era molto buona, ma non superiore a quella de­ gli americani. Fra i primi film della Svenska venuti in Fran­ cia. bisogna citare IVb/o, L’Etrange Aventure de l'ingénieur LebeL seguiti immediatamente da Terje Virgen, un film pas­ sato quasi sotto silenzio in Francia. Gli ultimi due film sono di Victor Sjòstròm, mentre Wolo è di Maurice Stiller. Del 1920 sono Dans les remous, La Fitte de la tourbière, Les Proscrits e Le Trésor d’Arne, Le Monastère de Sendomir 204

FOLKE HOLMBERG

e Ze Mariage de Joujou. Poi fu la volta dell’indimenticabile La (Sbarrette fantóme, realizzato e interpretato da Victor Sjòstróm. Di tutti i film svedesi quest'ultimo è quello, credo, che ha sollevalo più polemiche, più ammirazione, ma nes­ sun film è stato più severamente criticato, per usare una parola che non urta nessuno... Mi ricordo ancora che, alla presentazione del film al Gaumont Palace, nell’immensa sa­ la risuonò un fischio fortissimo, seguito immediatamente da molti altri fischi. Non solamente a Parigi il pubblico mani­ festò il tal modo il suo dissenso; pare che a Lione il gesto­ re di un cinema abbia dovuto togliere il film dalla pro­ grammazione... Niente di più naturale di una reazione simi­ le nei confronti di un film così diverso rispetto ai canoni correnti! Credo che sia uno dei primi film, se non il primo, nel quale il regista ha utilizzato scene di sovrimpressione. Lo sdoppiamento delle immagini era fatto con arte sottile, era un’opera notevolissima. Questi ultimi due o tre anni non sono stati molto prolifi­ ci in fatto di produzione cinematografica, poiché, dopo la partenza del nostro miglior regista. Victor Sjòstròm, per il paese dei dollari. Maurice Stiller ha girato pochissimi film, tra cui quella famosa La Legende de Gèsta Beriing, tratta dal­ l’opera di Selma Lagerlof, che forse vedremo anche in Fran­ cia. prima o poi. Nessuno resiste al potere del dollaro, e an­ che Stiller è stalo ingaggiato, a sua volta, dagli americani. La Svenska ha dunque perduto i suoi migliori registi, e qui siamo al punto cruciale del futuro cinematografico in Svezia. Quale sarà l’avvenire del cinema svedese? Un paese che, a parere di quasi tutti i pubblici, ha dato al cinema tante belle cose di cui alcune resteranno nella memoria, sarà dunque condannato a produrre solo film medi, film che non oltrepasseranno i confini nazionali? 1 tentativi nel­ l’arte cinematografica che furono tocchi da maestro, reste­ ranno senza futuro? Non vedremo piti sullo schermo quelle storie semplici, quegli interpreti perfetti? Non ci commuo­ vemmo più davanti a quelle leggende scandinave di cui la letteratura nordica è così ricca? 205

CINEMA • LA CREAZIONE 01 UN MONDO

Certamente no. Il cinema svedese non è ancora al suo canto del cigno. Se la Svenska non ha prodotto molti film in questi ultimi tempi, la causa è da ricercare solo nella partenza per l’America dei due registi, ma è ipotizzabile che tale partenza non sia definitiva e che la madrepatria li rivedrà presto. Non rientra negli scopi di questo articolo emettere giudizi sui film realizzati in America da Victor Sjóstròm, ma mi sembra difficile che un regista di formazione e concezione così decisamente scandinave possa adattarsi alla mentalità americana senza che U suo talento ne abbia a soffrire. Ora, gli studios della Svenska non sono restati inattivi in questi ultimi tempi. Si è lavorato duro, e ne vedremo i ri­ sultati sugli schermi francesi fra pochi mesi. Ne avremo an­ cora di quei film caratteristici, dall’atmosfera così fluida, con quegli attori così sinceri, dall’arte così sobria eppure tanto espressiva e umana. Vedremo ancora quei bellissimi racconti in cui si rivela lo spirito fresco e poetico degli abi­ tanti di quei paesi. Potremo ammirare la tecnica avanzata delle produzioni svedesi e vedremo l’impeccabile fotografia tipica dei film della Svenska, il tutto senza pregiudicare i miglioramenti che il progresso porta quotidianamente nel campo del cinema. Ci saranno ancora giorni felici per il cinema svedese! Folke Holmberg

Parigi, 23 settembre 1925

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L'adattamento dei film stranieri Anni fa avevo sottoposto un progetto di sceneggiatura a un grande direttore di produzione. - Il vostro soggetto è buono, mi rispose l’uomo del me­ stiere, ma non mi è possibile accettarlo. Il film avrebbe suc­ cesso forse a Parigi, forse nel Nord, ma in tutto il Midi, nes­ suna speranza di piazzarlo. Così ho imparato a mie spese che il gusto del pubblico non è lo stesso, anche all’interno del medesimo paese. A maggior ragione la questione si pone se si tratta di una pro­ duzione destinata a passare la frontiera. Che è ora la situa­ zione abituale, visti gli enormi capitali richiesti oggi per la realizzazione di un film, capitali che solo gli Stati Uniti pos­ sono ammortizzare sul proprio territorio. Il him è essenzialmente un articolo da esportazione, e la vita dell’arte cinematografica di un paese è intimamente le­ gata alla possibilità di tale esportazione. Proprio quest'anno Maurice de Cannonge. nell’intento di aiutare la nostra pro­ duzione ad attraversare (‘Atlantico, non si è spinto fino a ipotizzare una versione dei nostri film adattata al gusto americano? Ai produttori francesi di giudicare l'opportunità di questa idea, ma fino ad oggi l’abitudine di confezionare diverse versioni di un film non è ancora entrata a far parte delle nostre abitudini. Ci arriveremo? Non lo so. Il solo punto fermo fino a og­ gi è il rimaneggiamento sempre più frequente dei film da parte dei paesi acquirenti. Non abbiamo forse visto uno dei nostri migliori film francesi ridotto negli Stati Uniti alle di­ mensioni di un documentario sulle Halles di Parigi? Per fortuna sono casi eccezionali, ma resta vero nondi­ 207

CINÉMA • LA CREAZIONE Ol UN MONDO

meno che è assai raro vedere oggi un film distribuito all’e­ stero nella sua versione originale. -Verità al di qua dei Pirenei, errore al di là-. E il mondo è pieno di quei Pirenei! Innanzi tutto, e in ogni caso, c’è un adattamento neces­ sario: è quello della traduzione delle didascalie, dei testi. Ora. in questo caso, la parola traduzione normalmente usa­ ta è particolarmente impropria. Infatti più che una traduzio­ ne si tratta di vera e propria interpretazione. Un film con le didascalie semplicemente tradotte la maggior parte delle volte urta, come se l'armonia dell’opera ne venisse distrut­ ta. I personaggi non sembrano più pronunciare le parole che gli si fa pronunciare e i loro sentimenti sono espressi con minore aderenza per la comprensione del pubblico di quanto può fare un adattamento più libero, ma di più faci­ le comprensione. La cura apportata alla redazione dei testi è apparsi) alle case di produzione di tale importanza che è divenuta oggi pratica sempre più corrente quella di ricorre­ re a dei professionisti per fare le didascalie di un film. Sì, il mestiere di titolatore di film è nato per rispondere a una necessità. Ci sono dei buoni titolatoli di drammi, altri che eccellono nella commedia. Lo spirito non è il medesimo a latitudini diverse, e nemmeno la sensibilità. E abbiamo an­ che visto delle case cinematografiche, attente al buon lan­ cio dei loro film, affidarne la parte letteraria ad autori noti, il cui nome figura nell’affisso, come quello di Maurice Dekobra per il film americano presentato in Francia con il titolo Souvent bomme varie. Ma, di solito, la preparazione di un film per un determi­ nato pubblico esige dei rimaneggiamenti profondi, e spes­ so una modifica delle immagini stesse. Saremo d’accordo, per esempio, sul fatto che le produ­ zioni tedesche presentano spesso per noi francesi delle lun­ gaggini. La mente tedesca si compiace nello sviluppare in­ tegralmente i propri temi al punto che dei capolavori pos­ sono diventare insopportabili. Citeremo, fra gli altri, il caso

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ANDRÉ CHANCEREI

di Wagner, di cui la maggior parte di noi preferisce ascolta­ re le magnifiche opere in selezione, ai concerti, piuttosto che integralmente. Ora, sono molti i film che hanno queste lungaggini, for­ se non della stessa qualità, ma del medesimo ordine: detta­ gli superflui o lentezza di ritmo, a cui è indispensabile por­ re rimedio, per quel che è possibile. E spesso lo è. Ma è proprio qui che si vede il mestiere, nel senso più profondo, dell’adattatore, che deve anche sapere ritoccare le immagi­ ni; conoscenze più specificamente professionali il cui insie­ me si chiama «montaggio». Ci sono contingenze in effetti a cui non ci si può sot­ trarre; regole che il pubblico avverte confusamente ma che creano difficoltà a cui il regista non può sottrarsi. Anche l’a­ dattatore, dunque, deve conoscere il montaggio del film; deve sapere ritoccare le immagini, condensarle, pur conser­ vando le loro qualità di fondo; mestiere delicato, nel quale la materia già è stata formata una prima volta, e che richie­ de spesso molta ingegnosità. Se la censura rimanda indietro il film con delle note «da sopprimere-, se gli esercenti lo trovano troppo lungo per il normale sfruttamento, è sempre all’adattatore che tocca il compito della messa a punto. E non è sempre facile conci­ liare tali modifiche arbitrarie con il dovere di rispettare un'opera e di conservarne la concezione originale. Bisogna allora inventare dei raccordi, a volte modificare l’intreccio, arrivando fino alla soppressione di un personaggio. Si trat­ ta di misure estreme non certo da incoraggiare, ma sono state necessarie e lo saranno ancora. 11 film è una merce, e una merce costosa; che la si fab­ brichi o che la si compri, bisogna presentarla in modo da trarne il massimo profitto. Il film deve dunque partecipare di un programma capa­ ce di soddisfare le esigenze degli esercenti, obbedire al pa­ rere della censura, piacere al pubblico. Tutto il resto viene in secondo piano, compresa, a volte, ahimè, la stessa Arte.

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C4NÉMA ■ LA CREAZIONE M UN MONDO

Ma i registi cominciano solo oggi a conoscere a fondo un mestiere che hanno il merito di avere creato. Quanto agli adattatori di film, bisogna rendergli questo merito, che molti di loro fanno di necessità virtù del compito spesso delicato che viene loro affidato. André Chancerel

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Stato del cinema Sembrerebbe che un’arte in formazione, come il cinema, che fa - idealmente - appello a tante attività nuove, inge­ nue, profonde, che risponde anche intimamente a aspira­ zioni giovani, dovrebbe bastare ad alimentare numerose cronache in cui non si farebbe che segnalare e studiare le sue commoventi esitazioni, i suoi errori, le sue scoperte, i suoi successi sporadici, i suoi progressi costanti. Senza chiedergli ancora troppo. La sua nascita patetica, in effetti, basterebbe ad appagarci. Niente di tutto questo. È già mol­ to se ogni tanto riteniamo utile fare il punto della situazio­ ne. Il cinema non ha critica perché non c'è ancora cinema. Ma la produzione cinematografica ha gli agenti pubblicitari che gli sono necessari. Forse abbiamo avuto troppa fretta. Aspiriamo a annotare delle date storiche. Se ne abbiamo già avute due o tre, non lamentiamoci. La nostra immaginazione deve bastare a col­ mare la nostra impazienza. Ecco perché i poeti sanno e hanno fede nel cuore di questa nostra epoca di transizione, le cui catastrofi non potrebbero né stupire né spaventare sollievi dolorosi, attesi, a causa della loro diffusione e dei soprassalti umani che annunciano. Nasce il cinema. Cosa vogliamo di più? Nasce alla fine di un’epoca a cui è estra­ neo per annunciare gli slanci segreti di un'epoca che na­ scerà con lui. Risponde a delle energie collettive. Soffre delle attenzioni di un individualismo che si esaurisce esa­ sperandosi. Si sviluppa in un sistema di forze ostili e di for­ ze indifferenti che lo soffocano di dolcezza. Tutta l’econo­ mia sociale coalizzata si accanisce contro le attenzioni mal­ destre e le abnegazioni di alcuni. 211

CiNÉMA - LA CREAZIONE DI UN MONDO

Il fatto è che si vuole vivere di cinema invece di farlo vivere. Questo è lo stato attuale del cinema. Non potrebbe es­ sere altro finché un rovesciamento completo dei prìncipi, che comporta il cambiamento assoluto dei metodi e dei si­ stemi, non avrà totalmente trasformato le basi della produ­ zione cinematografica. Si dice: arte o industria. Si contrap­ pongono le parole e i fatti. Gioco di parole. L’Exposition des Arts décoratifs giunge a proposito a fornirci l’esempio di un fallimento generale della bellezza. Ditemi quali diffe­ renze ci sono, a proposito delle vere creazioni di questo tempo, fra l’ingegnere e l’architetto. E pensate se la mecca­ nica uscita dalla più nuda equazione non ha per caso, sen­ za volere, messo in piedi un’estetica. Perché questi sono i termini. Tutte le volontà alleate non creano uno stile, ma ragione e sentimento creano l'arte. Non c’è opera in cui non ci sia disinteressamento dell’artista di fronte all'opera. E il film, più o meno, come le grandi costruzioni collettive a cui si avvicina per più aspetti e anche per l’originalità e l'autorità che reclama dal capomastro, sarà anonimo o non sarà. Il cinema dirà l'unità umana. È nato per questo. Il suo carattere internazionale è la sua prima virtù. Anonimo. Cerco di spiegarmi. Una firma, al cinema, varrà meno di una data, e se il film rivela una personalità, questa si esprimerà in una sintesi. Lo schermo ci rende nel­ la loro pienezza la semplicità e la purezza del sentimento. Ce ne rivela le fasi ignorate e - ralenti - le ricchezze con­ centrate. 11 film raccoglierà gli slanci, i desideri, le gioie, le sofferenze, gli entusiasmi delle folle, quando queste folle saranno unanimi. Realizzerà in un secondo, in qualche mi­ nuto, in un’ora, una partecipazione commossa e generale, insomma, farà esplodere lo stesso grido da un polo all'al­ tro. Ecco il grande evento che si annuncia. E che si annun­ cia già nei film oscuri o mediocri di oggi, non meno che nei saggi cinegrafìci un po’ esoterici di certuni: valore d’e­ sperienza. Quei due esseri che si separano con banalità e in cui l’obiettivo anima bruscamente i fremiti impercettibili 212

LÉON MOUSSINAC

dei complessi umani, nello sguardo, nei mille movimenti fuggitivi fino ad allora inafferrabili, ci annunciano già la ve­ rità delle grandi opere. Non chiediamo di più, lo ripeto. Siamo soddisfatti. Non meritiamo di più. Un film può presentarsi oggi diversamente da una derra­ ta commerciale a guadagno variabile che provoca vari con­ flitti d’interesse? Il capitale detta i suoi ordini. Un esempio recente e noto: chiedete alla Gaumont, che era in auge quando finanziava gli sforzi di un L’Herbier o di un Poirier, perché ha chiuso con la produzione e, alleata ormai a una grande casa americana, perché si dedica unicamente a piazzare da noi le peggiori produzioni di Los Angeles? Il «genio francese» dei banchetti e delle cerimonie ufficiali non c’entra niente con questa storia. Interessi di denaro. Non se ne esce. È inutile parlare di estetica: polemiche di bottega e di bottegai; affari che si trattano più o meno onorevolmente e alle cui combinazioni i registi si prestano più o meno segretamente: bisogna pur vivere. Bilancio del cinema! Arte, certo, ma quando? E se non è il solo a soffri­ re dell'attuale stato di cose, ne è forse la vittima più signifi­ cativa, perché la più colpita e nello stesso tempo la più trionfante. Musica, architettura, poesia, cinema: sopravvis­ suti sulla zattera del diluvio. In dispane, in attesa del dramma, e per conseguenza in una situazione notevolmente precaria, alcuni uomini di buona volontà comprendono e lottano, corazzati di fede. Sono rari. Oscuri come i problemi che li tormentano, ma certi di una luce vicina. Nell’attesa fiammeggiano sul fron­ tone: importazione e esportazione, 100 per 100, difesa del film francese, cioè europeo, ecc. L’economia riconduce l’e­ stetica al valore di modesto contrattempo. Questione d’ur­ genza. Fermiamoci qui. 11 cinema verrà. Léon Moussinac

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Il cinema al servizio di un'umanità migliore È il destino del cinema quello di tradurre in immagini sensibili le nostre grandi vibrazioni spirituali e morali, di tradurle e perpetuarle. Il cinema conferisce durata all’istan­ te e fa del lampo una scia di luce. Siamo lontani dalla lan­ terna magica, dalla ricreazione dei bambini e del popolo. Il cinema comincia a darci i suoi drammi e i suoi romanzi. Propizia alle azioni dinamiche, improvvise, la sua chiarezza ben diretta, intelligente, cade sui volti e sulle anime, scruta, analizza, rivela, raccoglie e incide in sintesi forti le forme ondeggianti e fuggitive della vita. È un’arte ancora recente che ci è dato vedere svilupparsi sotto i nostri occhi di anno in anno, di stagione in stagione. I giovani autori si rivolgo­ no a questo linguaggio brillante, rapido, diretto, condensa­ to. Ancora un po’ e potremo misurare con mano la distesa e la ricchezza di questa nuova sfera di bellezza. Già è manifesta attorno a noi l’influenza del cinema. Nelle Lettere, lo stile fatto di immagini, lo stile dagli im­ provvisi contrasti, lo stile ellittico, lo stile a visioni differen­ ziate e condensate si impone naturalmente, voglio dire sen­ za calcolo né procedimenti, a molti giovani e non di poca importanza. Ma il credito intellettuale della nostra arte non si limita a queste promesse o a questi primi effetti. Una chiara e viva immagine al rallentatore, scomposta, ripetuta, può apportare un efficace ausilio aH’intelligenza, allo sforzo di ricerca, al lavoro, meglio di ogni schema, disegno o pre­ ventivo. Quando sarà la nostra arma, che sopravvenga un cataclisma o un’immensa invasione, sarà sufficiente ai po­ chi superstiti, su un lontano Ararat, avere salvato qualche 214

JACQUES OC OARONCEU.)

rullo di pellicola per ricostituire dopo la catastrofe non so­ lo la figura della civiltà inghiottita ma i suoi segreti, le sue risorse, le sue forze. A diverse riprese lo spirito umano, in punti diversi del globo, ha costruito e organizzato i suoi im­ peri: arte, scienza, morale, diritto. Cosa ne è rimasto, a par­ te qualche traccia, libri o monumenti che sono, nella verti­ gine del passato (i bisonti delle caverne del Perigord hanno più di 35.000 anni) degli isolotti vicinissimi alla nostra era, date e tappe recenti? Grazie agli uomini nuovi che ogni se­ ra fanno muovere le loro immagini davanti a noi, non esi­ steranno più, speriamo, quei vuoti che spezzano, per seco­ li e secoli, gli sforzi dell’umanità. E poi ci sono i viaggi meravigliosi, il giro del mondo in poltrona, in poche ore, in pochi minuti forse. Questo spet­ tacolo, meglio di tutti i discorsi e tutti i libri, mentre avvici­ na le diverse classi sociali nel momento in cui rende sensi­ bile, sotto differenze superficiali, la povera argilla comune a tutti, crea lentamente uno spirito universale, umano. Lo si è detto: il cinema è il vero esperanto. È la lingua mondiale. Sui grandi temi umani, un giorno, potrà aprire i cuori a più intelligenza, carità, simpatia, accordo. Lo so: bisognerà gira­ re molti film prima che questa lingua faccia capire agli uo­ mini che i loro giorni sono miserabili, limitati e che unire la propria fragilità, nella fraterna civiltà, significa ristabilire, at­ traverso le calde potenze dello spirito e delle anime, l’età d’oro e l’eden. Ma è anche umano attribuire destini divini all’arte a cui ci si è votati. Sarò il più felice dei cineasti se, per riprendere una celebre immagine, il lettore volesse tro­ vare, sotto la paglia delle parole, il grano dorato di una nuova realtà. Jacques De Baronceiii

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Indice dei film

Amours de la Reine Elisabeth (Queen Elizabeth, Henri Desfontaìnes e Louis Mercanton 1912). 197 Arrivéed'un train, L'(Louis Lumiè­ re 1895). 113. 192 Arvivée du Train de Vincennes, L' (possibile riferimento a L'Arrivée d'un train gare de Vincen­ nes, Georges Méliès 1896). 91 Arroseur arrosé, L' (Louis Lumière 1895). 113, 170 n., 192, 193 Assassinai du Due de Guise, L ' (An­ dré Calmettes e Charles Le Bargy 1908), 197 Atre. /.'(Robert Boudrioz 1922). 79 Baigneuses, Les (Louis Lumière ?). 113 Ballet mècanique (Femand Léger 1925). 92 Brasier ardent, Ie (Ivan Mosjoukine e Alexandre Volkoff 1923). 31 Brière, La (Léon Poirier 1924). 56 Cabinet du docteur Caligari, Le (Das Kabinett des Dr. Caligari. Robert Wiene 1921). 8. 31, 53. 87. 135. 145 Cabiria (Giovanni Pastrone 1914). 108. 198 Cannane vers l’Ouest (The Cove­ red Wagon, James Cruze 1923). 201 Celui qui pate (Those who pay. Raymond B. West 1917), 78

Charrette fantóme, La (Kòrlarken, Victor SjòsuOm 1921). 31. 205 Civilisation (Civilization, Regi­ nald Barker e Thomas H. Ince 1916), 78 Coeur fìdèle (Jean Epstein 1923). 92, 203 Conquète de l'or (A Sister of Six, Sidney Franklin 1916), 199

Dans les Remous (Sangen on den Eldreda Btómman, Mauritz Stil­ ler 1918), 204 Départ du paquehot, Le (Louis Lu­ mière. ?), 113 Dernier des bommes, Le(DerLetzte Mann, Friedrich Wilhelm Murnau 1924). 87 Docteur Mabuse, Le (Dr. Mabuse, der Spieler, Fritz Lang 1922), 57 El Dorado (Marcel L'Herbier. 1921). 199 £>kr’oc/e(René Oak 1924), 10.90.92 Etrange aventure de Tingénieur Le­ bel, L' (Dodskyssen, Victor SjbstrOm 1916). 204

Fantómas (Louis Feuillade 1913). 165 Fantóme du Moulin Rouge, Le (René Clair 1925), 158 Femme de nulle part. La (Louis Dclluc 1922), 47. 79, 135 Fète espagnoie. La (Germaine Du­ lac 1920). 79. 199

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CINÉMA ■ LA CREAZIONE DI UN MONDO

Fièvre (Louis Delluc 1921). 135, 199 Monastèri tie Sendomir, Le (Kiostret Fille de l'eau, La (Jean Renoir 1924), t Sendomir, Victor Sjòstròm 150, 158 1919). 204 Fitte de la Tourbière. La ( Tósen frati stormyrtorpet. Victor Sjòsiròm Nanouk (Nanook of the North, Ro­ 1917). 204 bert J. Flaherty 1922), 56, 95 Fotfaiture (The Cheat, Cecil B. De­ Nihelungen, Les (Die Nibelungen, Mille 1915). 95, 116. 199 Fritz Lang 1924). 53. 187 Nótre Dame de Paris (The Hunch­ Genuine. (Robert Wicne 1920), 57. back of Nótre Dame. Wallace 135 Worsley 1923), 80 Great Traiti Robbery, The (Edwin S. Othello (Dimitri Buchowetzski Porter, 1903). 197 Guillaume Teli (Wilhelm Teli, Ru­ 1922). 57 dolf Dworsky e Rudolf WaltherFein 1923). 57 Paris qui dori (René Clair 1923), 167, 168 Histoire d’un crime (Ferdinand Pèlerin. Le ( The Pilgrim, Charlie Zecca. 1902). 196 Chaplin 1923). 189 Homme aux yeux clairs, L' (Blue Penseur, Le (Léon Poirier. 1920). 79 Blazes Ratvden, William S. Hart Pbotogénie (Jean Epstein, 1925), 92 Pour sauver sa race (The Aryan, Re­ 1918). 78 Homme Cyclone, L' (The Cyclone, ginald Barker e William S. Hart Clifford Smith 1920). 90 ' 1916). 56. 78. 186. 199 Homme du large, L' (Marcel L'Her- Premier Amour (The Girl I loved. Joseph De Grasse 1923). 26 bier, 1920). 199 Homme-Orcbestre, L' (Georges Mé­ Prisonnier de Zenda, Le ( The Priso­ ner of Zenda, Hugh Ford e Ed­ liès. 1900). 196 win S. Paper 1913). 197 fnhumaine, L‘ (Marcel L'Herbier. Proscrits. Les (Berg Evijnd ocb batts 1924). 83. 127, 156 busiru, Victor SjbstrOm 1917), 56, 199, 204 Kean (Alexandre Volkoff, 1923). 32 Rayon morte!, Le ( The Death Ray, episodio di The Exploits of Elai­ Legende de Gosta Beriing, La (Gosta Berling Saga, Mauritz Stiller ne. Louis J. Gasnier e George B.Seitz 1914). 90 1924). 205 Retour à la raison, Le (Man Ray Machine à refaire la vie, La (Julien 1923). 92 Duvivier e Henri Lepage, 1924), Rip tan Winkle (William K. L. Dick­ son. 1903). 196 193 Rose-France (Marcel L’Herbier Maison de la Mort, La (Yakov Protazanov 1916). 57 1918). 199 Mariage de Joujou. Le (Dunungen. Roue, La (Abel Gance 1922). 79, 92, 124, 127, 135. 157, 199. 203 Ivan Hedqvist 1919). 205 Miracle des loups, Le (Raymond Rouée tvrs For, La ( The Gold Rush, Chadie Chaplin 1925). 25, 143 Bernard. 1924). 126

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INDICE DEI FILM

Rite, La (.Die StràjSe, Cari GrUne Trésor d’Arne, Le (Mauritz Stiller 1919), 204 1923). 52 TTois Lumières, Les (Der Mftde Tbd, SaiammM (Pierre Marodon 1924). 126 Fritz Lang 1921). 53. 124, 127, Sberiock Holmes Junior (Sberiock 200 Junior. Buster Keaton 1924), 98 Silence. Le (Louis Delluc 1920). 79, Vie d'un pompier, La (Life of an A199 merica Fireman, Edwin S. Por­ ter 1903). 196 Sortie des Usines Lumière ù Lyon, La Voleur de Bagdad, Le (The Thief of (Louis Lumière 1895), 192 Souriante Madame Beudet, La Baghdad, Raoul Wafeh 1924), 24 (Germaine Dulac 1923), 47 Voyage dans la Lune (Georges Mé' liès. 1902). 139. 196 Terje Virgen (Victor Sjdstriim. Voyages de Gulliver, Les (Georges ’ Méliès. 1902). 196 1916), 199, 204 Tbrgus (Hanns Kobe 1921). 135 Travail des Elépbants dans t’lnde. Woto (Balettprimadonnan, Mauritz Le (Louis Lumière ?). 113 Stiller 1916), 204

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