Beppe Fenoglio. La grande saga del partigiano Johnny

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Beppe Fenoglio. La grande saga del partigiano Johnny

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BEPPE FENOGLIO LA «GRANDE SAGA» DEL PARTIGIANO JOHNNY,

COOPERATIVA LIBRARIA IULM MILANO =1986

Edizione a cura della Cooperativa Libraria I.U.L.M. © 1986 by Cooperativa Libraria ILU.L.M. Piazza dei Volontari, 3 - 20145 Milano

Prima edizione: marzo 1986 E°’ vietata la riproduzione anche parziale o ad uso interno o didattico con qualsiasi mezzo effettuata, non autorizzata.

ISBN 88-7695-0214

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PARTE II La ‘Grande Saga”

Contenuto e limiti cronologici della ‘Grande Saga” .......

Primavera di: bellezza

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2. Aspetti della querelle intorno al ‘Partigiano Johnny”

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(La datazione — Il ‘*Partigiano Johnny" in rapporto alle altre opere resistenziali fenogliane — Significato del linguaggio del ‘Partigiano Johnny”)

67 . Premesse alla lettura del “Partigiano Johnny” ........ non zione rappresenta La — (Dalla cronaca alla dimensione letteraria agiografica della Resistenza — Il significato etico del partigianato di Johnny-Fenoglio — La Resistenza come metafora esistenziale — Il linguaggio)

Guida alla lettura del ‘‘Partigiano Johnny” .... Nlli:Particiano Johnny?“— prima redazione E n IPrIMOIOCCO MATTA VOLA IIESECONAOIDIOCCOMATTALIVO MARE

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. Il “Partigiano Johnny” — seconda redazione

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Dal “Partigiano Johnny 1” al “Partigiano Johnny 2” ...

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(Varianti strutturali — Varianti linguistiche e stilistiche)

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161

(Il titolo — La data di composizione — La materia — Il ridimensionato mito inglese — Il tramonto di un Impero — La nuova partigianeria — Il “grande compromesso” — La morte e la “piccola patria” — La lingua)

Bibliografia

PARTE

PRIMA

BEPPE FENOGLIO

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BePPE FENOGLIO:

LA VITA

Beppe Fenoglio nasce ad Alba il 1° marzo 1922 da famiglia della piccola borghesia. I genitori sono di estrazione campagnola, immigrati in città per esercitarvi un’attività commerciale (gestiscono in Alba una macelleria); provengono, il padre dalla zona collinare delle Langhe, la madre dal territorio di pianura dell’Oltretanaro. E’ al paese di origine paterna che Fenoglio si sentirà particolarmente legato, e col quale si riconoscerà sempre un’affinità istintiva. Nel racconto Ma il mio amore é Paco, uscito nel 1962 sulla rivista “Paragone” e che gli valse il prciin Alpi Apuane, dirà di se stesso: Quanto a inc, debbo dire che quella miscela di sangue di langa e di pianura mi faceva già ca allora battaglia nelle vene, e se rispettavo altamente i miei parenti materni, i paterni li amavo con passione, e, quando a scuola ci accostavamo a parole come ‘“atavismo” e “ancestrale” il cuore e la mente mi volavano subito e invariabilmente ai cimiteri sulle langhe.

La singolare attitudine rivelata dal ragazzo negli studi induce i genitori ad iscriverlo, anziché alla scuola tecnica cui era

desiinato, al Liceo classico.

L’esperienza

liceale, coi suoi interessi

culturali e i suoi

incontri umani rappresenta il periodo più felice ed appagante nella vita dello scrittore. In Primavera di bellezza, mediandosi attraverso il protagonista del romanzo,

dichiarerà in proposito: “Non amavo l’Università per aver troppo amato il Liceo”. E nei momenti più drammatici della sua vita si volgerà col ricordo e la nostalgia a questa sua felice stagione come a cercarvi

refrigerio e appoggio: ‘Oh, to be at school now!” esclamerà il suo alter ego Johnny, sempre in Primavera di bellezza, dopo aver assistito allo sconvolgente bombardamento di Roma del luglio ’43; e in uno dei momenti di più disperata solitudine durante la guerra partigiana, ritornerà col pensiero al suo vecchio liceo, a Chiodi che spiegava gli stoici, e a Cocito, che saltava Oriani per fare Baudelaire fuori programma. E’ durante gli anni ginnasiali e liceali che matura in lui l’interesse per la lingua, la letteratura, la storia anglosassoni. Della lingua inglese prende rapidamente possesso, tanto che finisce col sentirla più sua dello stesso italiano (e vedremo nell’analisi dei suoi testi quanta parte essa avrà nella sua attività di scrittore); della letteratura inglese predilige Shakespeare e gli Elisabettiani; della storia, l’età puritana di Cromwell. Scrive Pietro Chiodi che gli fu insegnante ed amico: Fenoglio, fin dagli anni del ginnasio ad Alba, si era immerso, come un pesce si immerge nell’acqua, nel mondo della letteratura inglese, nella vita, nel costume, nella lingua, particolarmente dell’Inghil-

terra elisabettiana e rivoluzionaria [...] Più volte mi disse che da adolescente aveva spesso sognato di essere un soldato dell’esercito di Cromwell “con la Bibbia nello zaino e il fucile a tracolla”. E Gina Lagorio ricorda che tra le carte fenogliane ‘‘abbondano sulla storia anglosassone, specie del Seicento, e c’è, intera, la traduzione dell’opera di C. H. Firth dedicata a Crom-

gli appunti

well e al regime puritano in Inghilterra”. Quali le ragioni di questa scelta linguistica e culturale così assoluta che inciderà in vario modo nella sua vita di uomo e di scrittore? Probabilmente esse sono molteplici. Qualcuno vi ha visto un ingenuo bisogno di affermazione individualistica in un ambiente come il liceo classico albese. considerato

1 P. Chiodi, Fenoglio scrittore civile, in “La cultura”, genn. 1965.

? G. Lagorio, Fenoglio, in “Il Castoro”, La Nuova Italia, 1970.

la scuola

dell’alta borghesia,

dei “signori”,

e nel quale il ra-

gazzo, con la sua estrazione proletaria, si sentiva in qualche modo ‘‘diverso’’; altri a una naturale consonanza con la lingua inglese alimentata e favorita dal fatto che per lui, di famiglia dialettofona e dialettofono a sua volta nell’infanzia, l’italiano non era una lingua “infusa”, non era ancora un possesso così ricco e saldo, uno strumento così duttile da contrastare l’avanzata di una congeniale lingua straniera; altri infine un modo in cui si esprimeva il suo individualismo solitario, non contrad-

detto dai cordiali rapporti coi compagni, e che costituì per tutta la vita il fondo del temperamento fenogliano. Probabilmente queste, e altre del genere, sono tutte ragioni valide, almeno per Fenoglio ragazzo. Ma presto il mondo inglese, idealizzato nella sua fantasia, divenne per lui un paradigma esistenziale, si.identificò col rigore morale (la predilezione per Cromwell è significativa, anche se per Fenoglio si trattò sempre di un rigore morale laico), col rifiuto della retorica, del pressapochismo, della volgare faciloneria, con tutto ciò insomma che era l’antitesi del clima instaurato nella società italiana dal fascismo, e che egli andava sperimentando quotidianamente

il fascismo militari),

nella

costrizione

del

pensiero,

nelle

attività

costringeva i giovani (il servizio nell’UNPA,

attività

che li mettevano

a contatto

cui

i pre-

e alla mercè

di

ottusi fanatici o di tronfi gerarchetti provinciali. Di

conseguenza

l’amore

per una

idealizzata

Inghilterra,

per ‘England and things English”, per usare le sue parole, vengono a coincidere e coincideranno poi sempre col suo antifascismo. Un antifascismo non, o non ancora, politico (la Gimensione strettamente politica del resto non sarà mai primaria in Fenoglio), ma piuttosto etico e di gusto. In direzione antifascista lo orientava lo stesso liceo albese nella persona di due insegnanti, il comunista Cocito e il liberale Chiodi: e sostanzialmente restia al fascismo era la città stessa

di Alba,

suoi interessi

clericale

e monarchica,

e per

di più lesa nei

pratici dalla politica economica del regime, dalle

10

“ristrettezze dell’ ‘economia autarchica’ e dagli ‘ammassi ob39991 Dl satoris.s: La conclusione degli studi liceali di Fenoglio (estate del ?39) coincide praticamente con l’entrata in guerra dell’Italia. La maturità classica, dice con amara ironia Cocito in Primavera di bellezza, viene offerta a questi giovani ‘su un piatto di piombo”. Fenoglio si iscrive alla facoltà di lettere presso l’Università di Torino, ma deve interrompere gli studi per il richiamo al servizio militare. Viene assegnato al Corso allievi ufficiali, che frequenta prima a Ceva, poi a Roma. A Roma lo coglie l°8 settembre. Sfuggendo fortunosamente ai tedeschi che presidiano tutte le stazioni, riesce a raggiungere Alba, e vi trascorre nascosto

un breve periodo, in attesa che gli eventi si chiari-

scano. Quando ha notizia che sulle Langhe cominciano a costituirsi i primi gruppi partigiani, li raggiunge. Milita prima nelle Alte Langhe nella formazione organizzata dal tenente Rossi detto il Biondo; è una formazione politicamente ancora non ben definita (come del resto tutti i gruppi partigiani al loro inizio), ma sostanzialmente di sinistra, alla quale, nella trasfigurazione letteraria del Partigiano Johnny.Fenoglio darà una decisa connotazione rossa, comunista. Dopo la sconfitta di Mombarcaro che ha per conseguenza lo sbandamento del gruppo del Biondo e dove il Biondo stesso trova la morte, Fenoglio, dopo un periodo di riflessione e di attesa, si unisce agli uomini di Piero Balbo, ex ufficiale di marina che opera nelle Basse Langhe. Si tratta questa volta di un ambiente che Fenoglio sente più vicino a sé per cultura, per estrazione sociale e per idee politiche. E’ infatti una formazione (presto sarà indicata come “azzurra” o ‘badogliana’’) che si dichiara apolitica, cioè indipendente da ogni partito politico, impegnata unicamente nella lotta al fascismo e ai tedeschi, e fedele ai cosiddetti valori della tradizione (l’esercito, la patria, il re). Con questa

1

F.DeNicola, Fenoglio partigiano e scrittore, Argileto, Roma, 1976.

11

formazione

Fenoglio

sarà accanto,

ex ufficiale di Mango,

combatterà tutta la guerra partigiana; gli fedele e modello etico, il tenente Ghiacci, d’aviazione e comandante partigiano del presidio amico

che avrà vita artistica negli scritti fenogliani col no-

me di Pierre. Negli ultimi mesi della Resistenza, per la sua conoscenza dell’inglese, Fenoglio funge da ufficiale di collegamen-

to e da interprete presso la missione inglese di stanza nell’Astigiano e nel Monferrato. Dopo il 25 aprile, a guerra conclusa, ritorna ad Alba. A differenza di tanti personaggi della sua narrativa. non subisce, o almeno

mostra di non subire, il trauma del reinserimento nella vita borghese. Per ragioni economiche rinuncia a portare a

termine gli studi universitari e si impiega come corrispondente estero presso un’azienda vinicola della sua città. E comincia la sua tenace e appartata attività di scrittore, che persegue fino alla morte

prematura,

che lo coglie nel momento

più inten-

so del suo lavoro. il 18 febbraio 1963.

LE OPERE

Poche

sono

le opere

fenogliane pubblicate vivente l’auto-

re, e precisamente: / ventitré giorni della città di Alba (Einaudi, 1952). raccolta di 12 racconti, di cui 6 di argomento partigiano (il più famoso di essi dà il titolo al volume), e 6 di argomento contadino-langarolo; La malora (Einaudi, 1954), racconto lungo o romanzo breve, genere in quegli anni molto in voga; il

romanzo Primavera di bellezza (Garzanti, 1959). Inoltre alcuni racconti pubblicati sparsamente in riviste.

E’ rimasto invece inedito e allo stato di incompiutezza un vastissimo materiale. La mole di scritti incompiuti è dovuta in parte alla morte immatura dello scrittore, ma per molta parte, come è apparso chiaro dall’esame del fondo Fenoglio ad Alba. dal suo metodo di lavoro. Egli infatti non aveva l’abitudine di dedicarsi di volta in volta ad un’opera singola per portarla a termine e darla alle stampe. Avviato un lavoro, spesso lo interrompeva per dedicarsi a un altro o ad altri, che a loro volta lasciava incompiuti con l’intenzione di riprenderli in tempi successivi. Inoltre, instancabile correttore di se stesso, stendeva di un’opera successive, magari parziali, redazioni non eliminando via via le precedenti; o spostava episodi da un’opera all’altra, da un contesto all’altro, così che uno stesso passo, pur con qualche variante, rimaneva inserito, a livello evidentemente provvisorio, in scritti diversi. Questa situazione fluida, a volte quasi magmatica, di tanta parte del materiale inedito, con l’aggravante della scarsità di datazioni apposte dall’autore ai suoi manoscritti, ha reso molto difficile e in taluni casi oggettivamente insicuro, il lavoro di quegli studiosi che meritoriamente hanno cercato di pubblicare gli inediti fenogliani. Oggi tutta l’opera di Fenoglio, tanto quella edita lui vivente quanto quella lasciata inedita, è stata pubblicata in edizione critica (ad eccezione delle traduzioni) da un’équipe di studiosi sotto la direzione di Maria Corti (Einaudi, 1978). Ma alcune opere lasciate da lui inedite erano già state precedentemente date alle stampe, e precisamente, nell’ordine, le seguenti: nel 1963 Un giorno di fuoco, volume già disposto per la stampa da Fenoglio nel periodo immediatamente precedente la morte, e perciò sicuramente rispondente alla sua volontà. E’ una raccolta di 12 racconti, di cui alcuni (fra cui quello che dà il titolo al libro) già precedentemente editi; sono seguiti dal romanzo incompiuto Una questione privata. Sempre nel 1963 escono nel “Cratilo”, a cura di Lorenzo Mondo, alcune pagine di un romanzo incompiuto, col titolo provvisorio di Frammenti di romanzo; nel 1968 viene

13

pubblicato, sempre a cura di Lorenzo Mondo // partigiano (Einaudi); nel 1969 esce La paga del sabato (Einaudi), già presentata da Fenoglio all’editore nel 1951 e da questi allora rifiutata; nel 1973 infine, sempre presso Einaudi, Un Fenoglio alla prima guerra mondiale.

Johnny

I NUCLEI

NARRATIVI

FENOGLIANI

La produzione di Fenoglio si svolge intorno a due nuclei tematici fondamentali: il mondo contadino langarolo e la Resistenza; questi due temi si articolano nei vari scritti in poliedrica ricchezza. Elemento unificante fra i due filoni è il paesaggio delle Langhe, che, già entrato nell’arte per opera di Pavese, qui perde i caratteri simbolici e decadenti pavesiani per mostrarsi nella sua concreta realtà: di terra avara da coltivare, o di sfondo alle azioni guerresche, ora maternamente accogliente, ora incolpevole strumento di imboscate e di morte. Il tema langarolo ha la sua più alta e complessa espressione nel romanzo La malora. La irriducibile sventura, la ‘°malora” appunto, simile a un fato implacabile, vi si esprime col suo carico di povertà, di fatica, di durezza e di morte. Accanto alla Malora si collocano molti racconti langaroli: in alcuni ritorna il tragico tema della morte: morte che un personaggio, attraverso la sua malattia porta su di sé, tanto che sembra di sentirne il ripugnante odore (L'odore della morte), o che si traduce in suicidio nelle acque del Tanaro, ed è generata da stanchezza o da protesta esistenziale (Acqua verde, Superino). Al tema della morte si intreccia spesso, come nella

14

Malora, quello della “roba”, che è passione tanto violenta che può portare all’omicidio; nel racconto Un giorno di fuoco il contadino Gallesio uccide a colpi di doppietta fratello, cognata e parroco perché è convinto che l’abbiano rovinato nell’interesse (“e i torti nell’interesse sono quelli che ti avvelenano”’); poi resiste con le armi ai carabinieri e si uccide infine con l’ultima pallottola rimastagli. La sua resistenza assume agli occhi dei compaesani un tono di epicità barbarica; diventa la ‘“battaglia di Gallesio coi carabinieri”, una battaglia impari ed eroica perché Gallesio “si è tirato addosso lo Stato”. In altri racconti invece il tema langarolo è più sereno e disteso: un amore di giovani in un ambiente parentale dai costumi duri e chiusi (Nove

lune),

una

ragazzetta

perversa

ed

ingenua

venuta

in

vacanza dalla città che mette a soqquadro la fantasia e i sensi degli adolescenti campagnoli (Quell’antica ragazza). E non manca neppure in alcuni racconti la dimensione ludica: la stessa povertà e la avidità più elementare, quella del cibo, di un buon pranzo di nozze, è rappresentata dall’autore con un sorriso divertito nel breve racconto La pioggia e la sposa; e il lungo racconto, ricco di temi e di ambientazioni, Ma il mio amore è Paco, ci porta in una dimensione di lieta e incosciente scioperataggine; ne è protagonista un buontempone e matuto dongiovanni campagnolo che si gioca i suoi beni in una delle tante osterie-bische delle Langhe nella speranza di farsi i soldi per portarsi una ragazza in Riviera. La parte più vasta dell’opera fenogliana è però occupata dal tema della Resistenza, che fu esperienza centrale anche nella vita di Fenoglio. E precisamente: la situazione pubblica che sta alle spalle del moto resistenziale e che ne è la premessa e la causa, in Primavera di bellezza; la vasta saga del partigiano Johnny, che occupa tutto il periodo resistenziale sulle Langhe fino alla vigilia del 25 aprile; le drammatiche crisi di adattamento alla modesta quotidianità borghese che travolgono alcuni partigiani nell'immediato dopoguerra (La paga del sabato): episodi specifici della Resistenza (/ 23 giorni della città di Alba),

15

È ca l'intreccio di guerra e amore, di; storia; e fantasia: nel romanzo incompiuto Una questione privata.

FENOGLIO

E IL NFOREALISMO

La produzione di Fenoglio appartiene a quegli anni Cinquanta in cui il neorealismo rappresenta ancora il clima letterario dominante, ma su di esso e contro di esso incalzano nuove tendenze che richiamano l’attenzione dei lettori dal sociale al privato, dall’impegno pubblico alla introspezione e riflessione individuale e interiore, dai contenutialle sperimentazioni formali. Si impone quindi una domanda: Fenoglio può essere considerato neorealista, e per quali aspetti? Possiamo con sicurezza individuarne alcuni:

a)

i suoi temi: la rappresentazione e la denuncia della condizio-

ne contadina e la Resistenza sono stati dei veri e propri t6poi della produzione neorealistica fin dalla nascita di tale movimento b) l’impegno documentario. Fenoglio, tanto in ambito contadino-langarolo quanto in ambito resistenziale parte da proprie esperienze dirette. Il mondo della Langa era il suo mondo, che egli conosceva di persona fin dalle lunghe vacanze infantili, quando era ospite dei parenti paterni; e parenti ed amici langaroli erano il tramite, quando non era stato egli stesso spettatore, per cui veniva a conoscere vicende, situazioni, tradizioni paesane. Spesso egli dichiara esplicitamente di essere stato testimonio diretto, magari nella sua infanzia, di quanto racconta;

16 altre volte, non senza una certa civetteria documentaria, cita con precisione, con nome e cognome, le sue fonti. Ad esempio,

in calce al racconto La sposa bambina annota: ‘“Sentita da Francesco Calleri, sposo di Carmelina Fenoglio”; a proposito del racconto Quella antica ragazza: “Raccontata a una festa di parenti a Murazzano da Teobaldo Fenoglio ecc”. In calce a L'acqua verde, con riferimento al protagonista suicida, annota: “Si tratta di Eugenio Tarulla, che fu aiutante di mio zio Paco nel suo commercio di bestiame. Nel 1936 scese da Feisoglio ad Alba con l’apparente intenzione di cercarvi un lavoro fisso ... Ma dopo appena una settimana si annegò nel Tanaro pare alla terza rotonda a monte del ponte” ecc. Anche quando personaggi e situazioni sono d’invenzione, partono però da modelli reali: dice Fenoglio in un suo frammento di diario a proposito dei personaggi della Malora: Da dove sono seduto vedo un gran tratto a Cigliè. Osservo ad una ad una le cascine creste e quale emergente appena coi tetti ca sicurezza mi pervade alla certezza che

di langa, da Sant'Antonio che vi stanno, quale sulle dai rittani, e una balsamiin ognuna di esse può be-

nissimo viverci, così come io le ho fatte vivere nella Ma/ora, una fa-

miglia Rabino

e una Braida. [Sono due famiglie del romanzo] (v.

edizione critica Einaudi, vol. III, p. 204).

Dalla stessa attenzione al reale muovono le opere resistenziali. E° stato riferito, da chi nel periodo partigiano ebbe consuetudine con lui, che Fenoglio era solito, durante le pause della guerriglia, prendere nota su di un taccuino di quel che si svolgeva intorno a lui. E certo egli volle autorappresentarsi, nell’ Ur Partigiano Johnny, in quel comandante partigiano Marino che era diligente cronista della vicenda che stava vivendo. Il romanzo è scritto in inglese, ma diamo qui per comodità la traduzione italiana: Tra le mani irrequiete e femminili di Marino saltò fuori un taccuino con legatura spessa e variopinta copertina. — Potrei schizzare il tuo ritratto?

L7

— Che intendi? Un disegno o una cosa scritta? — Scritta. Sto scribacchiando un libro su di noi e sulle nostre avventure. Ti sorprende? — Nient’affatto. Io stesso conosco molti, di partigiani, che raccolgono un florilegio del genere, e viaggiano con un taccuino come il tuo nello zaino. — Davvero? sbottò Marino, impacciato per la prima volta. — Te ne posso citare almeno dieci nella sola divisione di Nord. A cose finite non si preoccuperanno di altro che di trovare editori.

c)

Altro

elemento che apparenta Fenoglio al neorealismo è in alcune sue opere, di un linguaggio non let-

il perseguimento, terario,

e, nella Ma/ora,

l’introduzione

nella lingua italiana di

apporti lessicali e sintattici tratti dal dialetto langarolo, arricchimenti ‘“dal basso” che è procedimento comune a molti neorealisti. Mentre in direzione del tutto opposta al neorealismo vanno

valutati,

come

vedremo,

gli apporti inglesi, e la inventi-

vità creativa e metaforica del linguaggio nel Partigiano Johnny. Se le istanze neorealistiche sono in Fenoglio ancora presenti e stimolanti, egli non è però riducibile all’ambito del neorealismo. Il documento non è mai in lui — come è invece in molti neorealisti — fine a se stesso, ma è un saldo e sofferto punto di partenza per un intervento creativo. Ne consegue la dilatazione

del particolare cronachistico a significato e valore universali. Ad esempio la condizione langarola, con le povere storie di Tobia, di Agostino, di Gallesio e degli altri personaggi dei racconti

contadini,

è costretto

diventano

l’uomo

contro

espressione

della lotta perenne

cui

forze avverse

che gli incombono e da serie resistenziale, l’esperienza E alla fine lo sopraffanno. concreta di episodi da Fenoglio vissuti o sentiti raccontare o veduti, assume — mediatore il filtro creativo dello scrittore — trasfigurazione che giustamente è stata definita simbolico-metaforica: diventa la tragedia dell'umanità ciclicamente

una

sconvolta dalla violenza, ma anche il banco di prova sul quale gli uomini possono misurare la loro coerenza e la loro dignità.

Per giungere a questo risultato era necessario — cosa che molti degli scrittori neorealisti non avevano saputo fare — staccarsi, forse anche nel tempo, dalla materia cronachistica grondante passione e sangue, per riuscire a dominarla e quindi per trasfigurarla nell’arte. Fenoglio l’aveva capito. Così infatti prosegue, con linguaggio favoloso e suggestivo, il dialogo che abbiamo appena sopra riferito: — E chi otterrà la corona il libro dei libri su di noi? no di voi, nessuno di noi. uomo non ancora nato. La

d’alloro? Chi sarà quello che avrà scritto Johnny rispose con un sospiro: — NessuIl vero libro su di noi sarà scritto da un donna che lo porterà in grembo è anco-

ra una bambina in fasce, che cresce circondata dalle nostre gesta.

PARTE

SECONDA

LA «GRANDE

SAGA»

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CONTENUTO

E LIMITI CRONOLOGICI

DELLA

‘‘GRANDE

SAGA?”

Più volte, in lettere agli editori e agli amici, Fenoglio ha espresso la sua intenzione di comporre un grande affresco di storia resistenziale che comprendesse l’arco di anni 1939-1945. La morte gli ha impedito di portare a termine questo progetto, e perciò quella che abbiamo chiamato ‘la grande saga” non esiste — o esiste solo in parte — come prodotto finito. Esistono però di essa le varie sezioni portate a livelli di elaborazione diversi. Accanto a Primavera di bellezza, pubblicata vivente l’autore, e che perciò ne testimonia la volontà definitiva e che copre gli anni 1939-sett. 1943, abbiamo le due stesure, di cui una incompleta, del Partigiano Johnny, relative al periodo settembre 1943-febbraio 1945, e l’originaria stesura inglese di quello che viene chiamato V' Ur Partigiano Johnny (dalla battaglia di Valdivilla, 24 febbraio 1945 alla vigilia del 25 aprile di questo stesso anno). Tanto del Partigiano Johnny come dell’Ur Partigiano Johnny non abbiamo certezze circa la data di composizione; i due stessi titoli non sono di Fenoglio ma sono stati dati dagli studiosi che ne hanno curato gli inediti. Proprio per ricostruire l’arco narrativo che Fenoglio aveva in animo di tracciare abbiamo esaminato in successione queste opere sulla base del loro contenuto, e precisamente, nell’ordine, Primavera di Bellezza, Il Partigiano Johnny, 1° e 2* stesura, 1 Ur Partigiano Johnny, naturalmente informando di volta in volta il lettore circa la problematica della loro data di composizione.

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PRIMAVERA DI BELLEZZA

Dopo il successo della Malora (1954) Fenoglio lascia il tema langarolo e torna a quello storico-civile già materia dei Ventitré giorni; nel 1958 presenta a Garzanti un romanzo dal titolo ironicamente

allusivo, Primavera di bellezza (era questo il secondo verso dell’inno ufficiale fascista, e vi figurava come apposizione all’ ‘‘incipit’’ Giovinezza, Giovinezza). Il volume che egli presentò all’editore era in parte diverso da quello che fu poi dato alle stampe. In esso la vicenda narrata si stendeva dal ’39 all’8 settembre del ’43 e ai giorni immediatamente successivi, quando il protagonista, allievo ufficiale a Roma, veniva sorpreso dal disfacimento del nostro esercito. riusciva avventurosamente a sfuggire alla cattura da parte dei tedeschi che occupavano ormai tutti i nodi di transito e in particolare le stazioni ferroviarie, e a ritornare alla sua terra d’origine, il Piemonte. L’ultima pagina di questa stesura lo mostrava mentre, giunto a Moana (nome d’invenzione corrisponden-

te a Ceva), a pochi chilometri minaccioso proclama firmato

dalla sua città, Alba, leggeva il dal maresciallo Graziani che

richiamava i soldati dello sbandato esercito a ripresentarsi ai distretti per la difesa della costituentesi Repubblica Sociale Italiana. La lettura suscitava in lui un sentimento di incontrollabile odio, un fino ad allora sconosciuto istinto omicida,

‘l’istantaneo,

lucidissimo

desiderio

della

morte

del

maresciallo Graziani: per la prima volta in vita sua voleva e progettava l’eliminazione di un uomo, e poteva vedersi come esecutore materiale, agevolmente, anzi con un empito

di gioia morale”. Il romanzo così com'era. e che rappresentava la premessa dell’azione partigiana vera e propria. non fu accettato da

26

Garzanti!, che propose allo scrittore due modificazioni: 1) eliminare la parte iniziale riguardante gli studi liceali e gli interrotti studi universitari del protagonista, l’ambiente albese, la fastidiosa trafila di servizio nelle ronde UNPA e le esercitazioni premilitari, ecc., e dare inizio alla narrazione col richiamo del giovane protagonista al servizio militare, e la sua conseguente assegnazione al corso allievi ufficiali; 2) aggiungere qualche capitolo che presentasse il personaggio già in veste e in attività di partigiano. Fenoglio aderì alla richiesta anche se non integralmente: eliminò gli otto capitolo iniziali ma ne recuperò, sotto forma di flash-back, e pur con molti tagli e varianti, circa due (il 6° e parte dell’8°, che entrarono poi a far parte rispettivamente del 9° e del 3° nella stesura definitiva), e aggiunse tre capitoli (15-17) di argomento resistenziale a chiusura del romanzo. Per il resto l’opera rimase pressoché invariata, e in questa veste uscì presso Garzanti nel 1959. Le modificazioni proposte, e praticamente imposte dall’esterno, hanno avvantaggiato o danneggiato il romanzo? Poiché siamo oggi in possesso di ambedue le stesure è possibile proporre una valutazione.

A nostro parere sono vere sia l’una che l’altra cosa: giovò indubbiamente

all’opera l’eliminazione, o almeno la riduzione, dei capitoli iniziali, per lo più troppo lentamente e minuziosamente cronachistici, aduggiati da un respiro provinciale da cui lo scrittore si lascia spesso coinvolgere e che non riesce se non raramente a dominare nell’arte. Si aggiunga il molto di dejà vu rinvenibile sia nella rappresentazione dell’ambiente scolastico sia in quella dell’ambiente paramilitare. Gli nocque invece l’aggiunta dei capitoli partigiani, che risulta affrettata, alquanto

1

Questa prima stesura è ora leggibile nell’edizione critica einau.

x

‘po

elszia

+,°

.

diana diretta da Maria Corti. All’ed. critica facciamo riferimento, in tutto il

lavoro, per l’indicazione delle pagine.

affastellata, ottenuta evidentemente con l’usufruizione di materiale che l’autore aveva già in pronto ad altro scopo; e la decisione del protagonista di aggregarsi alle bande partigiane risulta qui priva di quelle motivazioni psicologiche che sono invece ben presenti, in situazione analoga, nel Partigiano Johnny.

Nel romanzo così come è uscito alle stampe si possono distinguere tre successivi momenti: il periodo che va dall’inverno 40-42 all’8 settembre del ’43, con il breve interludio di speranze del 25 luglio (capp. 1-11); l’armistizio dell’8 settembre con il conseguente sfascio dell’esercito italiano e il ritorno del protagonista nel natio Piemonte (capp. 12-14); i tre capitoli finali (1517) di argomento partigiano. Le tre parti sono nettamente distinguibili non solo per la scansione cronologica ma anche per il diverso valore artistico; di gran lunga superiore artisticamente è infatti la parte centrale. La vicenda che si svolge in Primavera di bellezza è a un tempo individuale e corale. Protagonista è Johnny, personaggio per gran parte autobiografico. Non soltanto le vicende militari di Johnny coincidono con quelle di Fenoglio: servizio miallievo ufficiale prima in Piemonte, a Ceva (che nel romanzo diventa Moana), poi a Roma; fuga da Roma dopo 1°8 settembre, rientro in Piemonte e ingresso nellé forze partigiane. litare come

Ma

su se stesso Fenoglio ha esemplato il ritratto fisico del suo

personaggio:

Johnny era alto e asciutto, anzi magro, negli occhi il suo punto di forza e di bellezza (p. 1431) e ne ha indicata la condizione nella vita civile:

Al momento della chiamata alle armi si trovava a metà degli studi per diventare professore di lingua e di letteratura inglese (ivi).

Gli insegnanti di Johnny hanno la connotazione di quegli insegnanti del Liceo albese che contarono nella formazione di Fenoglio: Corradi e Monti (cioè nella realtà Cocito e Chiodi) e l’insegnante di inglese, ‘“miss’’ Lucia Marchiaro. Johnny, come Fenoglio, è anglofilo; e il nome di Johnny, attribuito nel libro a una scherzosa iniziativa dell'insegnante di inglese, è un po’ la traduzione esterna di questa anglofilia: A ribattezzarlo Johnny era stata l’insegnante di inglese, in terza ginnasio; il nome

era entrato subito nell’uso dei compagni di scuola,

poi dei suoi di casa e infine di tutti nella sua città (ivî).

Un’anglofilia, si badi, che già negli anni liceali e soprattutto universitari, aveva assunto un valore etico e protestatario. Nel II capitolo, poi eliminato, della prima stesura intercorre un significativo dialogo fra Johnny e un amico: Per te — dice quest’ultimo — angiomania è un termine ridicolmente inadeguato. Tu sei più inglese di un inglese, ecco — Pensi? — disse Johnny protendendosi con maggiore intimità: — Eppure io non baratterei l’Italia con nessun altro paese al mondo, sia pure l’Inghilterra. Ma tu dovresti comprendere facilmente la mia posizione: l’anglofilia, l’anglomania, se vuoi, come espressione del mio desiderio, della mia esigenza di un'Italia diversa, migliore.

E, come Fenoglio, Johnny è un individualista.

Se Johnny è l’elemento coagulante della situazione, Primavera di bellezza è però anche un romanzo corale. Scrive il Sali nari che Fenoglio qui ‘ripropone il tema del romanzo corale pur senza rinunziare a delinearci il personaggio umanissimo di 231

.

.

.

.

1 C. Salinari, // testamento di Fenoglio, in Preludio e fine del realismo in Italia, Morano, Napoli, 1967.

Johnny,uno dei pochissimi autentici e non retorici eroi positivi della nostra letteratura”; quella coralità — aggiungiamo — che ha tanta parte nella produzione neorealistica. Intorno a lui infatti, specie nella prima parte del romanzo, si muovono molte figure, di segno umanamente positivo o negativo: ufficiali e sottufficiali istruttori, e soprattutto commilitoni che variamente partecipano alla stessa avventura che vive il protagonista. Per questa ampia galleria di personaggi vale quanto abbiamo osservato per le figure e le situazioni dei capitoli soppressi della prima stesura. Spesso cioè Fenoglio cade qui nei tradizionali fopoi della vita militare: l'ufficiale o il sottufficiale capace ma dalla disciplina vessatoria, quello disinteressato, quello che per affettare cameratismo coi soldati usa un linguaggio da postribolo, il bellimbusto, il retore logorroico, ecc. E di contro sta la massa dei soldati, infastiditi, ironici, disinteressati a quanto stanno facendo, pronti alla protesta, alla burla goliardica. Certo Fenoglio è troppo artista e troppo padrone del mestiere di scrittore per ridursi del tutto a questo convenzionale appiattimento. Non mancano perciò alcuni rapidi schizzi di personaggi che prendono rilievo in virtù dell’efficacia creativa del linguaggio. Si tratta ad esempio di effetti ottenuti mediante l’accostamento inatteso di due vocaboli, per lo più di due aggettivi, di segno antitetico: “il sergente dal viso bello, la voce triviale” (p. 1432), il napoletano allievo ufficiale Raffaele D’Addio ‘‘laido e fascinoso”, e il ritratto continua, questa volta sul gioco antitetico delle immagini, con esito fortemente espressionistico: ‘con una tragicomica massiccia vecchia testa pendula su un gracile tronco e gambe arcuate sicché nel suo atteggiamento consueto pareva un virgolone animato” (p. 1439); il maggiore Di Leva ‘piccolo malsano ma elettrico” (p. 1441); il massiccio tenente Jacoboni ‘‘superbamente inelegante”’ (p. 1433). A volte l’efficacia rappresentativa nasce da una appena accennata sfumatura ironica che offre una chiave interpretativa al ritratto; si veda la presentazione del “lealista”’ capitano Vargiu: “Era un bruno fatale, sulle guance l’ombra azzurrina

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della rasatura a zero, di voce profonda e dosata; indossava inimitabilmente la sua ancora splendente divisa, davanti a lui Jacoboni batteva i tacchi da sformarsi i piedi” (p. 1461). O nasce anche dall’inedito accostamento fra un vocabolo grossamente popolaresco (terrone) e la riminiscenza colta (trace): Auriemma era il più grigio terrone a Moana, di profilo negroide, normalmente più tetro di un trace (p. 1460). Notevoli

anche,

per il loro indubbio

rilievo, alcuni grot-

teschi, sia individuali che “di gruppo”: ad es. l’immagine di un anziano generale intento ai ‘‘salti con capovolta” in omaggio al mito fascista del perenne giovanilismo: Ginnasticare, ginnasticare, ginnasticare.

Sapete, allievi, che alla sua non più verde età Sua Eccellenza il generale Bergonzoli esegue salti con capovolta semplicemente perfetti, fantastici? Ginnasticare, ginnasticare, ginnasticare (p. 1441).

O il grottesco mordente e impietoso del maresciallo De Bono in visita ai soldati che fanno istruzione nell’Agro: Nell’Agro tutte le mattine a un’ora precisa, bisognava comporsi in riga e presentare impeccabilmente le armi a un vecchietto dalla barba bianca il quale, sbucato indenne dalla vampa immane che il sole accendeva al limite dell’Agro, avanzava al trotto ..., mandando un metallico scrocchio d’ossa ritmicamente scrollate: scortato da un magnifico ufficiale d’ordinanza, era Emilio De Bono, quadrumviro del fascismo e maresciallo d’Italia (p. 1473).

Qui l’effetto grottesco è accentuato dal contrasto fra i titoli altisonanti che prendono rilievo dalla collocazione in fine periodo, e la miseria anche fisica (vecchietto, scrocchio d’ossa) del personaggio. Fra i grotteschi che si possono definire collettivi indubbiamente il più originale è quello che conclude il capitolo 2. Già stanchi delle esercitazioni che li stremano durante il giorno,

Si

gli allievi

vengono

svegliati

la notte

dalla

sirena

dell’allarme

aereo, e sono costretti a correre al riparo, non senza prima, come vuole il regolamento, essersi vestiti e armati di tutto punto. Decidono di risparmiarsi almeno quest’ultima fatica, e, approfittando dell’oscuramento che li nasconde agli occhi degli ufficiali, lasciano la caserma in abbigliamenti assoluta-

mente di fortuna. Quando una notte il maggiore e il tenente, insospettiti, fanno puntare su di loro la luce dei riflettori, si trovano davanti a un quadro degno del migliore Bosch: [I soldati] si mettevano pronti in cinque minuti, ma gli ufficiali sospettavano qualche irregolarità, che barassero. Così una notte, rientrando

in caserma

ad allarme cessato, li fermarono

in cor-

tile e sul terrazzo della palazzina-comando i riflettori si accessero di schianto. Quella celerità fu spiegata a luce meridiana: pareva un’ospedalata di cronici e deficienti a cui si fosse imposto, per macabro scherzo, un equipaggiamento militare; chi senza fasce, chi in mutande,

altri nudi sotto il pastrano, tutti con le buffetterie sfib-

biate e le scarpe slacciate, qualcuno in pantofole. Si vide il maggiore Di Leva vacillare sul terrazzo, sotto i riflettori un impressionante afflusso di sangue alla testa di Jacoboni (p. 1444).

Ma il vero grande personaggio e il grande accusato di questa prima parte del romanzo è l’esercito italiano. Spira dalle pagine che lo ritraggono un’atmosfera laida di decomposizione che lo scrittore traduce nelle ricorrenti immagini fecali, culminanti nella descrizione di quella dissenteria che, con un chiaro valore emblematico, riempe di sterco la caserma: In una notte le latrine divennero impraticabili e non si poteva lavorare allo spurgo essendo assolutamente inarrestabile la processione degli allievi con facce ippocratiche e calzoni già ai ginocchi. La seconda sera lo sterco costellava gli androni, faceva diga sulla soglia delle camerate (p. 1462).

Già la pagina con cui il romanzo si apre introduce il lettore

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in questo clima di degrado. Siamo al distretto di Fossano, dove si deve decidere l’assegnazione delle reclute al corso Allievi ufficiali. La caserma è fatiscente: Ci pioveva attraverso il tetto d’eternit; tutti giacevano coperchiati dal telo-tenda e lo stillicidio dell’aspro tessuto somigliava al ticchettio di migliaia di sveglie (p. 1431).

“Sgangherata” è la impalcatura dei letti a castello; insufficienti i lavatoi; le camerate sono sature del “puzzo ammoniacale” lasciato dalla truppa precedente. E il degrado non è solo dei muri, ma anche degli uomini. Si rivela nel modo stesso con cui ufficiali e sottufficiali portano l’uniforme (“quel lercio maresciallo del primo ufficio che portava l’uniforme come una camicia da notte”; o il colonnello medico che ‘in perfetta divisa, calzava sotto i gambali fruste pianelle di marocchino”’); nella volgarità delle parole e dei gesti (‘Bisognava passare una seconda visita, e un fante ai servizi li smistò alla sala medica distribuendo pacche sul sedere”); nei diffusi comportamenti carenti di dignità e privi di ogni rigore etico: il maresciallo ha ‘i cassetti della scrivania pieni di omaggi e pedaggi in viveri e tabacco”; da parte dei soldati addetti ai lavori nel distretto è continuo ‘“l’accattonaggio di sigarette e panini imbottiti”.

E disprezzo della dignità umana traspare dal modo assurdo con cui vengono distribuite le divise, quasi senza tener conto di dimensioni e statura dei destinatari; si direbbe con l’inconscia volontà di trasformare i giovani soldati in ignobili clowns. Da parte dei soldati nasce immediato il rifiuto di questa struttura militare in cui dovranno rimanere inquadrati; tuttavia, con giovanile ottimismo conservano un barlume di illusione che questo esercito che cominciano a sperimentare non sia l’esercito tout-court. E’ l’ostinata e fiduciosa speranza che Johnny e l’amico parimenti anglofilo, Lorusso, si comunicano alla fine della loro prima giornata militare:

33

Hang it all' Yet the army is an honourable thing [Tutto sulla forca / Ma l’esercito è una onorevole cosa] (p. 1437).

Presto la realtà ha però ragione dei più tenaci ottimismi. E il rifiuto etico ed estetico che si alimenta fra le giovani reclute è tanto più grave in quanto il paese è in guerra, e l’addestramento militare non è, come in tempo di pace, una parentesi della vita civile, ma è il preludio di un gioco drammatico che ha per posta la vita. Su questi giovani incombe la morte, come

sui loro immediati

questo destino in una stivamente coesistono:

predecessori;

e lo scrittore sintetizza

frase in cui l’elegia e il sarcasmo

Si ricoprirono, percorsero

sugge-

una fuga di stanzoni arredati solo dal

puzzo ammoniacale dell’antica truppa. attualmente sopra o sotto terra, su di un fronte imperiale (p. 1433).

disseminata,

Da Fossano a Moana, a Roma la situazione non cambia. A Roma questo esercito ‘imperiale’ non trova neppure una caserma disponibile, ed è costretto a prendere alloggio in una scuola elementare evacuata: Appendevano armi e zaini agli attaccapanni degli scolari. Il residuo odore di merendina fu rapidamente sopraffatto dal puzzo di concia dei soldati (p. 1472).

All’interno di queste caserme si impartisce una assurda istruzione militare: un’istruzione fiscale, che ha per somma divinità il regolamento anche nelle sue norme più viete e formalistiche; e perciò inadeguata alla condizione di guerra che il paese sta vivendo. Con l’obbligo dell’obbedienza cieca si fiaccano le forze intellettuali di giovani che dovranno domani esser capaci di iniziative per affrontare gli imprevisti della guerra; e con la durezza degli esercizi si fiaccano le loro forze fisiche che nella guerra dovranno provarsi. Alcuni esercizi militari (il famigerato ‘ordine chiuso”) e gli esasperati, ossessivi esercizi

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ginnici, possono portare al punto di collasso o storpiare gambe e braccia e incrinare spine dorsali: Uscirono in piazza d’armi. Jacoboni ... li sottopose a un’ora di ordine chiuso, a un ritmo infernale, accelerando, complicando, invertendo i movimenti come se intendesse portare il motore oltre il

massimo dei giri per vederlo spaccato ... Al centesimo dietro front Zummo ruotò nel senso sbagliato e crollò nella polvere (p. 1464).

La ginnastica sfoltiva: gente si fratturava le gambe ai funghi dall’aspetto innocente, al salto mortale uno

si lesionò la colonna ver-

tebrale (p. 1441). Questa sozzona

di ginnastica — commenta

l’allievo Auriemma



ci porterà tutti quanti all’infermeria o all’ospedale ... Salvo errore siamo

in guerra,

e ci sarà bisogno

di noi in Africa, in Russia, e

fors’anche più vicino.

La verità è che coloro che hanno il compito di preparare i quadri dell’esercito italiano, cioè di un paese in guerra, sembrano paradossalmente ignorare la guerra e le sue leggi. La guerra che intanto, fuori dalle caserme, incalza. Fenoglio ne indica la rovinosa parabola con un ricorrente polemico contrappunto:

Sui fronti la situazione precipitava (p. 1453). La voce burocratica del tenente colonnello Ostorero annunciò che

i nemici stavano sbarcando in Sicilia (p. 1463). In Sicilia gli alleati progredivano metodicamente (p. 1472). Tutte le notizie, ufficiali e non, dalla Sicilia sottolineavano la strapotenza materiale del corpo di spedizione americano (p. 1475 JE

Il giorno in cui le intontite truppe dell’Asse evacuarono la Sicilia ecc. (p. 1503).

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La decomposizione dell’esercito, che inutilmente si mimetizza dietro il rigore di una disciplina formale, in questo scorcio di fascismo ha il suo correlativo nella vita civile. che

A Roma i soldati in libera uscita vanno in visita ai luoghi sono il cuore politico e sociale della città, il Quirinale,

Villa Borghese,

piazza

Venezia

e, sotto

la pompa

di superfi-

cie, vi scoprono sudiciume o retorica clownesca: Furono davanti al Quirinale a commisurarsi al corazziere di fazione, passeggiarono per villa Borghese: vi giravano pizzardoni a cavallo così fastosi da offuscare un ufficiale dei lancieri del Bengala in alta uniforme, ma i tappeti erbosi pullulavano di cartacce e profilattici (p. 1474). Con Lorusso andò in piazza Venezia, guardando in cagnesco ogni sua pietra. Una camicia nera sceltissima evoluiva davanti al portale, slanciando arti a squadra, con dietro front rapaci, coi tacchi incidendo il porfido, la nappa del fez canagliesco bussava inviperita

alla sua nuca (p. 1474). Di fronte a questo ritratto-caricatura, parodia dandystica di efficienza militare e uno dei più perfidamente graffianti ritratti del romanzo, il lettore ricorre col pensiero alla scalcagnata truppa italiana quale è apparsa agli occhi di Johnny una tappa del trasferimento da Moana a Roma:

in

Si accostarono soldati coi bidoni del caffè, Johnny riconstatò, e più nettamente nel malessere di quel risveglio, quanto fosse unta e scalcagnata, zingaresca, la truppa italiana: a soldati anglosassoni doveva apparire tale e quale appariva a lui la truppa balcanica all’assedio di Adrianopoli sulle fotografie della collezione del ‘Pro Familia” ereditata dalla zia cattolica (pp. 1469-70).

Da questo stato di umiliazione nasce in Johnny, al di là di ogni convinzione politica, una sorta di amara invidia per quella batteria contraerea tedesca che staziona nell’Agro romano, e nel cui comportamento intravede il rigore militare che l’esercito italiano ignora. I biondi soldati germanici, chiusi in

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se stessi. difesi dalla severità stessa delle loro strutture, gli appaiono quasi una specie di barbari semidei nordici. I suoi cannoni [della postazione] tacevano da sempre, in erezione contro il cielo smaltato ... al vento sporadico garrivano le sue tende mimetiche a livello dei terrapieni, i suoi serventi come nomadi da troppo tempo accampati all’orlo del deserto, monastici, inaccostabili, seminudi; soltanto verso l’ora dei pasti li riallacciava al formicolante mondo una camionetta che arrivava da chissà dove, beccheg-

giando su una pista dell'Agro, senza rumore (p. 1476).

In tali condizioni l’atteggiamento di Johnny, che è incapace — come fa invece ia maggior parte dei compagni — di annegare la delusione nel mugugno, nelle chiacchere sboccate o nella consuetudine dei postriboli, si traduce in evasione: evasione nella fantasticheria, nella natura, nel ricordo, nelle lontane e amate letture. E’ uno stato d’animo che, se corrisponde al temperamento sognante (dai compagni era chiamato dream boy) e soprattutto individualistico del personaggio, è però anche la forma in cui si traduce il suo senso di impotenza. Nella notte romana,

affacciato

a una

finestra della caser-

ma, Johnny si abbandona all’ascolto di un suono di pianoforte; e gli sembra che la musica esprima il senso di assurdo di cui egli sta soffrendo. Durante la fatica degli esercizi militari nel soffocato cortile della caserma, fugge con la fantasia a una visione di alte e intatte vette: Johnny

prese a sognare

una marcia, magari di cento

chilometri,

verso le Alpi; le vette erano tante bottiglie di purissimo cristallo e di forme più che bizzarre riempite a livelli diversi di un liquore verdeazzurro. Marciare all’infinito per una strada di campagna, elastica, fiancheggiata da una bealera gelida (p. 1440).

Durante

la campagna

un’esercitazione

romana,

lungo

al tiro, nella luminosità delle rive di un fiume, cade in una

ST

specie

di france,

di oblioso rifiuto della realtà che sta vivendo, e sente come realtà vera solo l’intatto paesaggio, il resto un sogno fatto di incubi: Nel filone della brezza che faceva vorticare le foglie dei pioppi come tante elichette, accennò ad aprirsi la giubba: si opposero le giberne, ma l’impedimento non valse a ricordargli ciò che le giberne rappresentavano. Scavalcato un arginello, gli apparì l’acqua; stagnava, profonda e muta, quasi solida nella sua immobilità e nel modo con cui combaciava con l’altra riva, un arenile ammiccante

sotto il sole. Da una macchia al limite della sabbia un misterioso uccello mandò il suo verso spaventato e cattivo, ultimo. Nel silenzio che seguì Johnny si concentrò tutto nell’acqua: era sorella dell’acqua del fiume che lo aveva allevato, quella dei suoi solitari bagni mattutini, dove e quando la millimetrata immersione gli procurava una pungente lunga voluttà quale nessuna donna ancora aveva saputo regalargli. Stremato da quell’eccesso di libertà e di oblio, dovette appoggiarsi al tronco di un pioppo; sentì la scorza tenera e tiepida, non udì la tromba lontana suonare il cessate il fuoco. Questa del fiume era la realtà, il sogno morboso era l’esercito italiano, la guerra che esso stava disastrosamente perdendo (p. 1455).

Dopo la tragedia del bombardamento di Roma del luglio del ’43, sazio di visioni di morte e di sangue, rievoca la sua lon-

tana terza liceo (‘“— Oh! to be at school now —”’). E quella che era stata una ‘bella classe”, e ‘magnifica nella settimana che precedette le vacanze natalizie del 1939”, rivive nel flash back, coi suoi professori, colle luminose ragazze, i compagni che fanno con lui il tifo per l’Inghilterra, e anche il compagno filonazista, Arduino, dalla ‘forte nuca forforosa, il bastone appeso allo scrittoio e la gamba anchilosata fuori tutta, riversa nel breve passo tra fila e fila di banchi”. E° il compagno fiero delle

vittorie di Hitler che l’adolescente Johnny ha detestato, quello che opponeva “la sua nuca rocciosa ai marosi di speranze che i compagni-nemici spingevano avanti”; ma ora anche lui gli appare nella sua indifesa giovinezza, nella sua onesta fedeltà ai suoi, quali che fossero, ideali, nell'’ammirazione per una forza

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che egli non avrebbe mai posseduto: ‘era un ragazzo disgraziato per la vita, e aveva occhi belli e cavallereschi”. A volte, come abbiamo detto, l’evasione di Johnny si alimenta dei suoi adorati scrittori inglesi. Il ricordo delle favole arturiane riesce persino a fargli dimenticare la graveolente e affollata tradotta che lo porta a Roma: Sotto un cielo neutro e turgido, il primo mare era pallidissimo eppure follemente cangiante ed effervescente; più al largo era d’un azzurro fisso, con minima maretta, le crestine bianche come spasmi agonici di gabbiani abbattuti. — What do you see? — domandò Lorusso.

Gli rispose come a Re Artù Sir Bedivere: — I see nothing but wawes and winds (p. 1470).

Quella che abbiamo indicata come prima parte del romanzo si conclude con due avvenimenti di portata storica: il bombardamento di Roma da parte alleata il 19 luglio e la caduta del fascismo il 25 luglio del ’43. Il bombardamento di Roma toglie alla capitale la sicurezza di invulnerabilità che i Romani hanno da sempre alimentato, convinti che gli Alleati non avrebbero mai distrutto opere d’arte ormai considerate retaggio di tutto il mondo occidentale, e inoltre fiduciosi nella presenza di quella entità internazionale che è il Papato. Nei primi periodi del capitolo 8° Fenoglio ritrae con efficacia l’atmosfera di pacifica quotidianità che precede il bombardamento, non scalfita dall’apparizione in cielo degli aerei nemici:

S9

L’allarme li colse mentre di ritorno dall’Agro sfilavano oltre il collegio delle vigilatrici della Gil. Si limitarono a sveltire il passo e come ogni altro cittadino romano ponzavano dove andassero a sganciare le fortezze volanti a quell’ora sbagliata. Nel rantolo del secondo allarme intesero le note della loro tromba, esigue e strazianti, e il 7

sbarrato accelerare modicamente verso il capolinea ... Donne sorprese ai fornelli si inarcavano sui davanzali per un più largo spicchio di cielo o gridavano richieste di orientamento alle amiche scese in piazza. Erano le undici passate e il cielo tutto un termitaio turchino (p. 1480).

Proprio perché inaspettata, la rovina della città. con le case distrutte, le migliaia di morti, i cimiteri con le tombe sconvolte, ha sui Romani un violentissimo impatto. Al dolore si uni-

sce l’esasperazione contro Mussolinie anche sembrano assenti nel momento del bisogno: A Palazzo

Venezia non

contro

il re, che

so, lui non c’era, questo si sapeva. Il re?

Booh, il re (p. 1485).

Solo il Papa è comparso fra il popolo, e con la sua bianca figura, “le sue interminabili braccia aperte in croce” sembrava l’immagine stessa della pietà. E assurdamente a lui il popolo chiedeva la pace: Lo chiamavano Padre e Pastore, guardasse le rovine, gli hanno invocato pace, pace, pace (p. 1486).

Il bombardamento di Roma è anche l’ultima campana a morto per il fascismo. Pochi giorni dopo il re comunica alla radio la destituzione di Mussolini da capo del governo. La caduta del fascismo si identifica per il popolo e i soldati colla riacquistata autonomia del paese. Per quanto riguarda la struttura del romanzo, ta storica ha una funzione di antitesi. Il miserando liano dalle fetide caserme si trasforma all’occhio dei civili in quello che avrebbe da sempre dovuto essere:

questa svolesercito itasoldati e dei espressione

40

di un popolo che ha in mano il proprio destino. In questa chiave va letto tanto l’entusiasmo che pervade i soldati all’idea di partire all'attacco di una divisione di Camicie nere che non ha accettato il mutamento politico, quanto la gioia e il calore popolare che circonda i soldati: Viva i soldati ... E° voi che vogliamo, non più la milizia ... Le donne preponderavano, ed erano le più inebriate, gli uomini in seconda linea come vergognosi di stare a terra senza divisa né un’arma ... Nugoli di estivi marmocchi gridavano alli sordati ... I soldati ammiccavano e ridevano, di nuovo bellicosi e fidenti, invincibili nella grande vecchia, cara compagine del re (pp. 1495-6).

In questa atmosfera di recuperata solidarietà, di passione quasi risorgimentale, si diffonde tra i giovani soldati una carica emozionale che brucia malumori e risentimenti: ufficiali e compagni sono tutti amati di un uguale amore: Perego si issò sul cassone, Jacoboni in cabina, ed essi li amarono entrambi. Volavano per la Nomentana, gli autieri guidavano da assassini, ma i

fanti li amavano attraverso il finestrino della cabina (p. 1495).

Ma l'illusione è breve: la divisione di Camicie nere si è ritirata, o si è lasciato che si ritirasse, sui monti dell’ Abruzzo; in questa giornata storica, nulla di eroico e neanche solo di coraggioso è stato possibile fare. I soldati ritornano alle corvées consuete, controllo di documenti, guardia al mercato. Tutto si reimmerge nella immobile inerzia di sempre: Forse era una balla anche il liberato giubilo delle masse, la trionfale volata attraverso l’urbe un’illusione. Il presente era opaco e miserabile come le impannate cartacee oscuranti le finestre delle case popolari. In certe isole di silenzio che si formavano e trapassavano come isolette in un cielo in siesta, tintinnavano le posate per la cena nelle case più vicine. Ora si cena, accantonato tutto, la storia, il re, Mussolini, la guerra, milizia e soldati, ora si cena (p. 1497).

41

Lo scrittore traduce questo stato di delusione in una immagine che forse ha mutuata dalla “decomposta fiera’ ungarettiana (In memoria): l’immagine di una piazza cosparsa di resti putrescenti a mercato finito: L’Autocentro

arrivò

a mezzogiorno

spaccato,

il mercato

deserto,

simile a un letto di fiume disseminato di alghe putrefatte (p. 1501).

Il crollo dell’esercito italiano dopo la proclamazione dell'armistizio dell’8 settembre del ’43 è la conclusione naturale e tragica di quel suo degrado che Fenoglio ha denunciato nella prima parte del romanzo. L’$8 settembre l’esercito si è letteralmente disgregato perché era già marcio nelle sue strutture, nei suoi quadri, soprattutto nei quadri dirigenti al livello più alto: il re, che dell’esercito era costituzionalmente capo supremo; Badoglio che alla sua carica militare aveva aggiunto quella politica di capo del governo; gli altri generali, cui il paese aveva affidate specifiche responsabilità di organizzazione, autonoma da influenze politiche e che invece erano diventati succubi

del fascismo. Il negativo dell’esercito dunque andava ben più in là delle fatiscenti caserme e dell’ottusità dell’istruzione che vi si impartiva. L’8 settembre Badoglio trasmette alla radio un proclama equivoco che insospettisce i tedeschi e nel quale mancano esplicite direttive sul comportamento che l’esercito italiano deve tenere nei loro confronti; poi, insieme col re, abbandona Roma, rovesciando ogni responsabilità di azione sui quadri intermedi. I quali, di assumersi una qualsivoglia responsabilità sono incapaci perché sono stati rigorosamente educati a non assumersela. a obbedire senza discutere. Così quelli fra loro che non

42

sono felloni e che non si danno alla fuga in abiti borghesi, rimangono nelle caserme, ma come colpiti da paralisi della volontà. Indicativa è nel romanzo la figura di quel capitano Vargiu, il sardo “ferito e decorato”, presentato non senza un lieve sorriso all’inizio del romanzo nel suo fanatico lealismo (‘nessuno ne dubitava, era pronto a morire per il re sorridendo, accarezzando la sua sciarpa azzurra”, p. 1461). Costui, nella caserma ormai semivuota e diventata pericolosa, sta seduto un angolo del cortile in preda all’inazione e alla vergogna:

in

Johnny vide seduto un ufficiale, alla divisa il capitano Vargiu, con la faccia sepolta nelle mani (p. 1520). Rivide il capitano Vargiu: si era spostato al fondo della scala dalla quale aveva pronunciato il discorso del 26 luglio, e fumava, mostrando una guancia brunita e ispida; poi buttò il mozzicone, e restò iconico, nell’estasi della vergogna (p. 1522).

Di fronte organizzazione lia: con colpi soldati che non

alla paralisi dell’esercito italiano ha facile gioco la dei pur non numerosi tedeschi presenti in Itadi mano occupano le caserme, catturano quei fanno in tempo a fuggire:

Venti tedeschi hanno fatto arrendere un caserma con dentro tremila

di noi (p. 1517). Un tedesco, uno, fa calar le brache a un reggimento nostro (p. 1515).

E Johnny pensa costernato all’ ‘“‘ossessionante caso della capitale di un regno cospicuo soggiogato da un fantomatico pugno di uomini”.

Nella

struttura

del romanzo

un

capitolo

(111°)

fa da

trait d’union fra le speranze del 25 luglio e la tragedia dell’8 settembre. Nel lasso di tempo intercorrente fra questi due avvenimenti lo stato d’animo diffuso fra i soldati è contraddittorio. A parole si dichiarano sicuri che la caduta del fascismo ha resa

43

problematica la permanenza dei tedeschi in ro altro non desiderano che di ottenere un il Brennero; ma a livello inconscio è diffusa fessata inquietudine, che si esprime in uno

Italia, e che costosalvacondotto per fra loro una inconspirito rissoso che cerca pretesti per tradursi in parole e gesti violenti; o nel tedio che li spinge in sgradevoli postriboli. Ancora una volta è Johnny, il più sensibile di loro, a prendere coscienza di questa inquietudine e a interpretarla come un avviso di indeterminato pericolo: Le notti d’agosto, nell’insonnia cronicizzata, Johnny stava sempre più a lungo alla finestra, opponendosi con tutte le forze all'angoscia di cui era carica l’aria, coperchiata la città falsa-dormiente. Le lame dei riflettori ora sciabolavano la tenebra come carne

viva, tradivano

soprassalto

e terrore,

tardi a scoprire una forza nemica bersaglio (p. 1503).

Con accortissimo

quasi saettassero

già mortalmente

troppo

avventata

sul

taglio narrativo Fenoglio fa sì (cap. 12)

che la notizia del firmato armistizio e delle sue conseguenze venga appresa dai nostri personaggi in maniera anomala e per-

ciò anche più traumatizzante. Johnny e cinque suoi compagni della squadra mortaisti, il pomeriggio dell’8 settembre. appena prima dunque della comunicazione radiofonica di Badoglio, sono dislocati nell’Agro romano per il turno di guardia a una polveriera. La passeggiata verso la campagna, l’idea di sfuggire per una giornata alle fatiche e al tedio della caserma li hanno messi in uno sta-

to d’animo felicemente svagato, da scampagnata:

44 Ci andarono a fantasioso passo di strada; all’ultima borgatella, appiccicata come un fortino all’orlo del deserto, Lippolis deviò a comprare uva e marmellata per tutti; la marmellata era orrendamente artificiale, l’uva gonfia e acquosa, proprio come la desideravano (p. 1509).

E l’atmosfera di vacanza continua per tutto il resto del pomeriggio: messi due di loro di sentinella alla polveriera, gli altri gironzolano a torso nudo prendendo il sole. A buio sopravvenuto, mentre i compagni, ‘‘sazi e quasi spauriti da quell’abbondanza di libertà”, decidono di andare a dormire, l’individualista Johnny si gode la solitudine e il silenzio ‘°deciso a sfruttare fino all’ultimo atomo quell’occasione unica di ripossedersi interamente” (p. 1512).

Il giorno seguente, questa calma che sembra fuori del tempo è interrotta improvvisamente da lontani rumori d’arma da fuoco di provenienza indecifrabile, tanto che nasce nei

sei giovani la speranza che sia in atto l’atteso sbarco alleato: Cannoni tuonavano da ogni parte (p. 1513). Numerose mitragliatrici rafficavano senza posa (p. 1513).

Segue un silenzio carico di tensione; poi un Cicogna tedesco li sorvola e — fatto per loro incomprensibile — si abbassa a mitragliarli; poi, più forte, riprende il rumore di armi e di cariaggi in movimento: A notte fatta echeggiarono esplosioni a sud senza che il cielo lumeggiasse. Più taedi subentrò un rumore reumatico e poderoso e tutti pensarono la città.

Il loro stupore dato nell’Agro

a un grosso reparto motocorazzato in movimento presso

è accresciuto dal fatto che non è stato manil normale avvicendamento, e dalla caserma

nessuno

è arrivato

rendersi

conto

col rancio.

di essere l’esercito in rovina.

ormai

Tuttavia

un

sono

lacerto

ben lontani dal

abbandonato

del-

45

Il senso di questi fatti e rumori è chiarito durante la notte dall’apparire di immagini spettrali che passano furtive nella solitudine dell’Agro, tanto che Johnny e i compagni li sospettano disertori e cercano di fermarli. Sono invece soldati fuggiti dalle caserme, anche di città lontane, per non cadere nelle mani dei tedeschi, e diretti fortunosamente alle proprie regioni e alle proprie case. Nel crollo delle strutture pubbliche, la famiglia, la casa, il paese sono rimasti gli ultimi punti saldi, le ultime ancore. Le passioni — paura, umiliazione, odio, desolazione affollano nell’animo e nelle parole di questi fuggiaschi:

— si

I tedeschi non hanno accettato il nostro armistizio, i tedeschi ci han-

no dichiarato subito guerra e hanno occupato le nostre caserme. Chi non scappa è preso ed ammazzato. Nel migliore dei casi ti spe-

discono prigioniero in Germania (p. 1515). — E gli ufficiali? Esplosero tutti insieme:

— Chiamali ufficiali. Non mi si parli mai

più di ufficiali. Scapparono i primi, i bellimbusti avevano il vestito borghese bell’e pronto e stirato nelle pensioni. Pensare a tutto l’onore e rispetto che si è dovuto portargli, pensare che per tre anni ci hanno fatto ingoiare merda, una bella porzione ogni giorno (p. 1517).

Non ci sarà mai più un esercito in Italia (p. 1518).

A Johnny e ai cinque compagni dimenticati nell’ Agro non rimane che lasciare la postazione e tornare in caserma per rendersi conto di quello che succede, ben decisi intanto a usare le armi se qualche tedesco cercherà di fermazrli: Pallottola in canna si rientra a Montesacro.

Se arrivando troviamo

il battaglione a ramengo, ciascuno se ne va alla sua ventura (ivi).

Ma mentre ripercorrono le note strade grava su loro il peso di questa sconfitta senza battaglie; ora che non c’è più esercito, quelle che imbracciano non sembrano più loro onorevoli

46

armi di soldati, ma armi di fuorilegge. E si sentono parte di una generazione avvilita e perduta, indegna di esprimere da sé padri, mariti, amanti. Riferiamo per intero due fra i passi più intensi e ricchi di dolorose valenze allusive: La divisa li fasciò come una tenuta di vergogna e di morte, e i fucili che ancora impugnavano non li sentivano più onorevoli armi nazionali, ma individuali armi di caccia o di banditismo (p. 1516). Attraversarono la borgatella, muta e sprangata, solo una gelosia si scostò mostrando una esangue corolla di visi di ragazze, che fissarono tragicamente i soldati, i disgraziati uomini della generazione dalla quale avrebbero estratto i loro sposi e amanti (p. 1519).

A questo punto la vicenda cessa di essere corale. Johnny vi campeggia solitario, e il suo schifo morale ancora una volta si traduce in laide sensazioni olfattive e visive. Nella caserma vuota, “ormai simile a un obitorio”’, gli viene incontro “il puzzo ferale delle uniformi disseminate”, i pavimenti sono coperti ‘da un urinoso strato di uniformi gettate”. Per lo schifo e la vergogna la volontà di Johnny è paralizzata e inoperante: pur conscio del pericolo di essere sopraggiunto da qualche pattuglia

tedesca,

si muove

tuttavia

come

un

automa,

trance, fra i pagliericci vuoti, mastica oziosamente

galletta che qualcuno ha abbandonato

quasi

in

una vecchia

su un davanzale, pensa

persino di uscire per una passeggiata, e se lo dice dentro di sé, con aria svagata, parlando in inglese, che è la lingua dei suoi

soliloqui interiori: “I°m going to take a long stroll’”’. Solo all’ultimo, oziosamente,

si decide a cercarsi un vestito borghese.

47

Fenoglio

traduce il vuoto e la desolazione del suo personaggio in un'immagine dal respiro quasi biblico: Si rizzò barcollando, aveva sicuramente la febbre, non poteva dire

quante linee. L’assalì la nostalgia della tromba, avrebbe dato metà del suo sangue per sentirla emettere un qualunque segnale, ma tutte

le trombe dell’esercito giacevano nella polvere (p. 1523).

La

coralità

nel romanzo

ricompare

nelle pagine

in cui

Johnny, lasciata la caserma, cerca di raggiungere la stazione nella speranza di trovare un treno per il Nord. ‘Coro’ è ora il popolo italiano, già visibilmente un popolo di sconfitti, che pochi tedeschi armati bastano a tenere in dominio. E Johnny sente anche se stesso miserabile e spregevole come questa impaurita massa umana: Vagolò a lungo tra la gente borghese e travestita, mischiandovisi perfettamente soddisfatto di constatarsi alla bassezza dei civili che frusciavano

intorno,

fetide acque

di cloaca che si spartissero

davanti agli scogli dei soldati germanici (p. 1530).

Il ritorno in Piemonte, fra minacciosi controlli tedeschi, fucilazioni, in treni sovraccarichi, nell’arsura della sete, occupa la seconda parte del capitolo 14°. “Tutto il viagcatture,

gio di Johnny verso il Piemonte — scrive il Barberi Squarotti* — ha una cadenza altissima, indimenticabile, con i rapidi scorci dell’Italia vinta e oppressa, e i suoi personaggi tristi e oscuri, impauriti e isterici, le città bombardate, i treni pieni, i tedeschi

ovunque”. Finalmente,

giunto

a Genova,

Johnny

intravede

lontano

il cielo del suo paese:

1 Fenoglio, in Poesia e narrativa del secondo Novecento, Mursia, Milano, 1961.

48

era, in profondo, cielo del Piemonte, austero, con rallentatissime evoluzioni di nuvole e una promessa di pioggia ... Non gli uscì voce

per salutarlo, ma un minuto (p. 1536).

restò col dito puntato a quel cielo

Arrivato a Moana, che è l’ultima tappa del suo viaggio in treno, ed è anche il paese dove ha cominciato la sua avventura militare (così il ciclo si chiude), Johnny e un altro giovane sbandato in cui si è imbattuto, sono richiamati, come già abbiamo accennato, dal bando di Graziani affisso a una cantonata, che convoca i giovani ai distretti. Mentre il compagno reagisce con sardonico disimpegno (Per me — disse calmo — io ormai vado in c... a diecimila marescial-

li Graziani) (p. 1540).

in Johnny scoppia, come ria omicida. Sono quelli furori”’. Ma per il nostro sformarsi presto nell’azione

Guerra dell'autore,

partigiana non

doveva

già abbiamo visto, una specie di fuche Vittorini chiamava gli ‘astratti personaggio saranno destinati a traconcreta della guerra partigiana.

peraltro entrare

che,

nell’intenzione

in questo

romanzo,

iniziale ideato

come il romanzo del fallimento e dello scacco. Perciò nella sua prima stesura, in quella cioè non condizionata da influenze esterne, esso si concludeva con la situazione che abbiamo or ora ricordata. Ed era, a nostro parere, conclusione ben più adeguata allo spirito del libro di quella che sarà definitiva. La tragedia politica e militare del paese, figlia dell'ignoranza, della corruzione, della volgarità moraie. non poteva portare nell'immediato che a due possibili approdi

49

i giovani che l’avevano vissuta: o a uno scettico qualunquismo, 0 — ed è il caso di Johnny — a una esasperazione violenta ma consumata in se stessa, un “astratto furore” appunto. destinata solo più tardi, in un contesto storico avviato a modificarsi attraverso la costituzione delle prime bande partigiane, e dopo una pausa di orientamento e di riflessione del protagonista, a diventare azione. Proprio perché non rispondenti allo spirito e all’ottica quale l’opera era stata concepita, le pagine partigiane aggiunte (capp. 15, 16, 17) vi risultano giustapposte anziché organicamente inserite, e danno al lettore uno spiacevole senso di affrettato e di gratuito. Affrettata ad esempio, e non abbastanza giustificata sul piano psicologico, è la troppo improvvisa decisione di Johnny di aggregarsi al gruppo di partigiani da cui è stato raggiunto nell’ultima tappa del suo ritorno da Roma, sulla strada colli nare che da Moana lo porta ad Alba. E la sbrigativa carenza di motivazione psicologica ci stupisce tanto più se pensiamo alla gradatio di situazioni e di sentimenti attraverso la quale si attua l’ingresso di Johnny nelle bande partigiane nel romanzo pubblicato postumo che da lui prende nome. Troppo rapida inoltre, e non sempre sufficientemente coordinata è poi la successione delle azioni militari cui Johnny partecipa. Esse sono: lo scontro fra il camion dei partigiani su cui Johnny è appena salito e la macchina degli ufficiali tedeschi; l'attacco a un deposito militare a Monzù e lo scontro a fuoco coi carabinieri del paese; la spedizione per requisire nafta a Benecarenna; l’attacco tedesco in forze contro Garisio, sede del comando partigiano, con la conseguente distruzione di case e morte di compagni; infine l’azione di rappresaglia partigiana contro una colonna motorizzata tedesca, nella quale Johnny trova la morte. Sono tutte vicende realmente accadute nelle Langhe, ma in una dimensione temponella

1ale più vasta dei pochi giorni (dal 10 al 19 settembre) che esse

occupano

nel romanzo.

Scrive F. De Nicola, attento studioso

50

dell’opera fenogliana Langhe (op. cit.):

in relazione

alla storia partigiana

nelle

Johnny si arruola in una banda di partigiani che già a metà settembre si mostra organizzata e operante. In realtà la formazione di efficienti bande non si realizza nelle Langhe in questo periodo, perché anche i gruppi di Cossano e degli altri reduci della IV armata sopra citati si trovano ancora in una fase organizzativa e incerta: analogamente gli episodi dell’assalto alla caserma di Monzù (che sta per Carrù) e della spedizione per approvvigionamento a Benecarenna (cioè Benevagienna) sono ispirate ad azioni effettivamente compiute nella prima fase di attività delle bande partigiane, ma comunque databili in periodi successivi almeno di qualche mese. L’episodio conclusivo poi è collocato dallo scrittore al 19 settembre, quando nella zona delle Alte Langhe avverrebbe un massiccio rastrellamento tedesco, con cannoneggiamenti ed incendi di abitazioni civili; in effetti però il primo episodio di questo genere si avrà qui solo nel gennaio del ’44.

Fenoglio ha invece accumulato queste azioni alterando la verità storica; e questo non in funzione di un’alta tecnica costruttiva e creativa, come avviene più volte nel Partigiano Johnny, ma solo con l’intento di dare sbrigativamente una certa

consistenza

al tema

resistenziale,

nel limitato

numero

di pagine che gli era consentito di occupare senza che si creassero squilibri nella struttura del libro.

L’esito dell’operazione è stato un impoverimento di tali vicende in confronto al respiro e alla ricchezza che esse hanno in altri testi di quest’autore. Così come impoverite, per carenza di caratterizzazione e di spessore ne escono le figure dei partigiani, ridotte a poco più che nomi. Persino Tito, il compagno che tanta e calda parte ha nel Partigiano Johnny, qui è figura forzata e poco significante; e la sua morte è del tutto priva di quel pathos che la caratterizza nel romanzo postumo. Conseguenza dello scarso interesse che Fenoglio ha in questa sede per il tema resistenziale è l’atteggiamento convenzionalmente agiografico con cui presenta la Resistenza. Vi è del tutto assente quella dimensione eticamente critica che abitualmente coesiste con la passione resistenziale dello scrittore.

SI

Quando nel °59 uscì Primavera di bellezza, giudizi dei critici furono positivi circa la materia a molti appariva ormai vecchia, usurata negli scritti postbellici usciti dal clima neorealista. Ma

non sempre i trattata, che innumerevoli tutti furono concordi nell’individuare la positività linguistica e stilistica di Fenoglio; e non mancò neppure chi, ingiustamente sottovalutando la passione etica da cui tutta l’opera è percorsa, vide nell'argomento scelto niente più che un pretesto per una ardua ricerca e sperimentazione formale.

La critica prese atto non senza stupore della singolarità linguaggio in cui confluivano componenti diverse innestandosi originalmente fra loro, un linguaggio “a più strati”, colto, ma lontano da ogni accademismo letterario, e, come dice il Salinari, ‘sempre verosimile”’, cioè sempre accettabile come strumento di diffusa comunicazione. Cerchiamo ora qui di individuare e isolare alcune delle più importanti fra queste componenti: di un

1) La lingua inglese. Per dichiarazione dello stesso Fenoglio il romanzo fu inizialmente scritto in inglese: Potrà forse interessare — affermava lo scrittore in un'intervista a Filippo Accrocca! — questa piccola rivelazione: Primavera di bellezza venne concepito e steso in lingua inglese. Il testo quale lo conoscono i lettori italiani è quindi un mera traduzione.

Ad

accreditare questa affermazione richiamiamo quanto, la testimonianza dei suoi familiari. Fenoglio era solito che quando si accingeva a scrivere. la parola inglese gli

secondo

dire:

1 F. Accrocca, libro, Venezia, 1960.

Ritratti su misura di scrittori italiani, Sodalizio del

52

veniva spesso alla mente più rapidamente che non la corrispondente italiana. Dell’originaria stesura inglese poco rimane nel romanzo presentato alla stampa. Si tratta di alcuni passi in cui la presenza della lingua inglese è giustificata dalla situazione. Ad esempio parlano in inglese Johnny e i due prigionieri britannici che il nostro personaggio incontra a Garisio presso il comando partigiano. E l’inglese dei due interlocutori ha una decisa coloritura dialettale, per coerenza linguistica con lo stato sociale e culturale dei due personaggi. Altra volta l’inglese è una specie di lingua privata di Johnny, e in essa si esprimono i suoi segreti momenti di emozionalità. Oh, to be at school now! egli invoca dentro di sé dopo il bombardamento di Roma, quasi volesse sfuggire all’orrore circostante mediante un recupero del suo lontano passato di liceale. Parimenti in inglese, quasi lingua dell’anima, si esprime la sua esasperazione contro il compagno ostinatamente filonazista: Great God, I felt I could kill him!; e la dichiarazione di guerra dell’Italia trova in Johnny il suo negativo sigillo in una sintetica ed efficacissima frase inglese: /faly at her falsest against Britain at her truest. L’inglese rappresenta anche un mezzo di comunicazione privilegiata di Johnny con chi egli sente affine a sé, come il parimenti anglofilo compagno Lorusso; e l’amata lingua straniera diventa allora una specie di barriera protettiva che li isola, aristocraticamente complice, dalla massa degli altri: That ’s beginning of the end — quasi musicalmente mormorò J ohnny verso Lorusso

alla notizia che gli Alleati stanno ormai sbarcando in Sicilia. E precedentemente già abbiamo ricordato la funzione di evasione liberatoria che il ricordo della favola arturiana (‘“/ see nothing but wawes and winds”) ha per i due giovani amici durante lo squallido viaggio verso Roma nella bruciante e maleodorante tradotta.

DI

L’influenza della lingua inglese è peraltro individuabile anche là dove la sua presenza non è così esplicita come in questi casi. Essa è denunciata ad esempio nel contesto italiano dalla molto inglese abbondanza di gerundi e di participi, questi ultimi per lo più in funzione aggettivale, e dalla presenza di parole composte all’uso inglese, creatrici di rapide sintesi espressive: la città falsa-dormiente, i carri unicingolati, ecc. Più generalmente poi ci richiama al diaframma inglese attraverso il quale è passato l’italiano di Fenoglio la pragmatica secchezza dell’esposizione. Il filtro costituito da questa lingua straniera portata alla sintesi e alla concretezza ha aiutato lo scrittore — dice giustamente la Corti — a liberarsi degli elementi scolastici e libreschi del suo iniziale italiano! .

2) Apporti di derivazione popolare e di derivazione colta, 0, come dicono i linguisti, apporti dal basso e dall’alto. Estrapoliamo

dal romanzo

alcuni esempi degli uni e degli altri, ricor-

dando che le espressioni acquisite dal basso, cioè popolari, sono per lo più in presa diretta, sono cioè inserite in battute di conversazione e di dialogo. A tale categoria appartengono espressioni come ve /i cacceremo a calcioni (i tedeschi fuori d’Italia); ‘dovranno ragionare e non prenderci per i pantaloni agli stinchi”; ‘°se vi siete fatta una pupa romana potete spappolarvela con un certo comodo”; ‘farsi fregare dai tedeschi”; gli ufficiali che per tre anni “ci hanno fatto ingoiare merda”; “il battaglione a ramengo”. E non manca neppure un timido recupero di dialetto romanesco: ‘Nugoli estivi di marmocchi gridavano alli sordati”. Qualche esempio di apporto dall’alto: “I tedeschi in scudata segregazione”, dove l’aggettivo è ottenuto dal sostantivo scudo, classicamente considerato come mezzo di difesa

1 M. Corti, Beppe Liviana, Padova 1980.

Fenoglio.

Storia di un continuum

narrativo,

54

per antonomasia;

‘le pareti morganiche

della grande trappola

Italia”: anche qui l’inusitato aggettivo ‘“‘morganico”’, che significa mortuario, spirante morte, è di derivazione colta, da morgue, vocabolo che indica camera mortuaria tanto in inglese che in francese; il maggiore Vargiu ‘buttò il mozzicone e restò iconico,

nell’estasi della vergogna” (è di fronte alla polverizzazione dell’esercito e si sente impotente). In questo caso alla derivazione colta dell’aggettivo iconico, cioè immobile come un'icona, si

aggiunge il rapporto analogico: l’icona richiama stati d’animo mistici come l’estasi religiosa; un’estasi è anche la vergogna perché

assorbe

totalmente

il personaggio

come

un’estasi

mi-

stica.

3) L'uso non denotativo ma creativo dei vocaboli, soprattutto degli aggettivi, con esiti non di rado espressionistici: ‘Si riscosse all’arrivo di un compagno ciabattante, malsano, terrone”; “il puzzo ammoniacale dell’antica truppa”; ‘‘l’ufficiale scravattato”; “i dietrofront rapaci e il fez canagliesco” della camicia nera

di guardia a Palazzo Venezia; la squamosa unicingolata nudità della divisione corazzata; le case popolari /eucemiche della periferia romana, l’alito agliaceo del barbiere militare; ecc. A volte, meno frequentemente, la dimensione creativa è affidata al sostantivo: la carboniosità della stazione. O al verbo: “le lampade del rifugio scampanavano”, cioè oscillavano fortemente per lo spostamento d’aria prodotto dalle bombe; il rozzo ed energico tenente Jacoboni, turbato persino lui dalla condizione di presfascio ormai recepibile nell’esercito, tenta di scaricare la sua esasperazione in violente camminate per la campagna: caricava lontano alla campagna scrive Fenoglio, suggerendo l’immagine di un toro infuriato che cerca un oggetto su cui sfogare la sua furia.

4) La dimensione metaforica: è indubbiamente la più suggestiva nella pagina fenogliana, e non solamente in quest'opera. E’ una dimensione non priva a volte di barocchismo, che Fenoglio

55

ha certo mutuato, a livello più o meno conscio, dai suoi amati scrittori elisabettiani. Le metafore sono così numerose che in pratica costituiscono la tramatura dell’opera. Perciò ne ricordiamo solo alcune fra le più suggestive, lasciando ai lettori il compito di individuare le altre numerose. I soldati in transito sulla tradotta passano nella notte davanti a una fabbrica di prodotti chimici. Il passo nella sua prima parte richiama certo analogismo futurista e il futuristico amore per la tecnica e l’industria, mentre la parte ultima si dilata in una dimensione quasi shakespeariana: “Riflessi velenosi [i prodotti della fabbrica sono stati prima definiti “letali”’] iridavano

il ventre

sidereo delle torri di catalisi; men-

tre veloci pattuglie di vapori picrici [l'acido picrico viene usato come esplosivo] decollavano ad affrontare disperatamente /a statica armata della notte”:

cioè, fuori metafora, la ferma oscurità notturna. E ancora a Shakespeare ci richiama l’immagine di Johnny che camminando nell’oscurità dell'Agro, immerso nei suoi pensieri, ‘con prodigiosa facilità spostava i pesanti sipari della bassa notte”. Parimenti nel silenzioso e indeterminato suono notturno dell’Agro, è rinvenibile un suggestivo timbro elisabettiano: L’Agro si rifece silenzioso, salvo un lontano liquido suono di vento sognato.

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freddi”. (Dal Partigiano Johnny)

IL PARTIGIANO JOHNNY

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L’EDIZIONE

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1968 E GLI INEDITI

Nel 1968 usciva a cura di Lorenzo Mondo, presso l’editore Einaudi, il romanzo resistenziale di Fenoglio // partigiano Johnny. Per l'argomento si presentava come la prosecuzione di Primavera di bellezza, o meglio della prima stesura di Primavera di bellezza, quella non rimaneggiata per intervento dell’editore. Era materia del nuovo romanzo l’inserimento e la partecipazione di Johnny alla guerra partigiana sulle Langhe, e copriva l’arco di tempo dall’immediato post-8 settembre fino ai primi mesi del ’45. Quest’opera, insieme con Primavera di bellezza e con Ur

partigiano

opportunamente, le che

Fenoglio

Johnny

di cui parleremo,

costituire aveva

quel

in animo

grande

doveva,

rielaborata

affresco

resistenzia-

di scrivere,

come

risulta

da

una lettera a Calvino del 21 gennaio 1957: Sto effettivamente lavorando a un nuovo libro. Un romanzo propriamente non è, ma certo è un libro grosso (alludo allo spessore). Non ne ho ancora terminata la prima stesura e mi ci vorrà certamente un sacco di tempo per averne la definitiva. Il libro abbraccia il quinquennio 1940-45.

L’opera

si presentava

così al curatore dell’edizione einau-

diana: Frano conservate nel Fondo Fenoglio di Alba due stesure dattiloscritte del romanzo, ambedue peraltro in diverso modo

incomplete:

la prima

aveva

inizio col capitolo indicato

come

60

ca16°, cioè con l’arrivo di Johnny ad Alba (i primi quindici belpitoli evidentemente erano stati usufruiti in Primavera di lezza), e proseguiva fino all'indomani della battaglia di Valdivilla (24 febbraio 1945); vi mancavano inoltre il capitolo DAI che probabilmente era andato perduto, e alcuni altri fogli. La seconda stesura, evidente rifacimento della prima, aveva inizio col periodo successivo alla sconfitta partigiana di Mombarcaro (marzo 1944) nelle Alte Langhe; vi mancava cioè tutta la parte iniziale, quella che riguardava la decisione di Johnny di aggregarsi alle bande partigiane, la sua salita in montagna e il periodo di partigianato presso le formazioni

“rosse”,

cioè

di orientamento

comunista.

Anch’essa

inoltre

presentava qualche lacuna interna. Si concludeva, anche se in modo un po’ diverso, alla stessa data della prima stesura. Altra differenza fra le due stesure era costituita dal fatto che mentre nella prima i personaggi erano generalmente indicati col loro vero nome, nella seconda venivano per lo più indicati con nomi di invenzione: i professori Cocito e Chiodi diventavano Corradi e Monti, il comandante “azzurro” delle Basse Langhe, Mauri, prendeva il nome di Lampus, ecc. Lorenzo Mondo, rendendosi conto del valore dell’opera, e d’altra parte dell’impossibilità di presentarla a un vasto pubblico di lettori così come Fenoglio l’aveva lasciata, decise di compiere un montaggio fra le due stesure: usufruì tutta la seconda stesura che era in uno stato di più avanzata rielaborazione e

quindi più vicina alla volontà ultima dello scrittore, e la fece precedere da quei capitoli della prima stesura mancanti nella seconda; inoltre intervenne con alcune varianti perché la discrepanza fra le due stesure non risultasse troppo grave. Ma lasciamo la parola al curatore: Fenoglio — egli scrive nella pretazione all’edizione del 68 — credeva a queste pagine e ci lavorò con accanimento, come dimostra l’esistenza di una seconda parziale stesura: dove la scrittura è più rapida ed essenziale, minore

l’indugio

descrittivo,

più meditata e

61

filtrata l'invenzione linguistica; e talvolta due capitoli vengono fusi e contratti in uno solo. Abbiamo naturalmente salvato questa parte definitiva, che corrisponde a venti capitoli, provvedendo alla sutura fra i due tronconi con l’uniformare i nomi di alcuni personaggi e località. Inoltre, quando erano decifrabili, abbiamo tenuto conto delle correzioni autografe dell’autore sul dattiloscritto del romanzo. Si trattava,

come

ognuno

capisce, di un’operazione

som-

mamente

spregiudicata dal punto di vista filologico; ma praticamente meritoria agli effetti della diffusione dell’opera su vasto raggio e agli effetti della valutazione adeguata di un autore di cui finora non si conoscevano opere di tale rilievo.

Inoltre l’opera si presentava così nella continuità tematica che Fenoglio si proponeva, anche se non nella forma defi. nitiva che Fenoglio avrebbe voluto (e quale sarebbe stata questa forma non lo sapremo mai con certezza).

Una lezione filologicamente corretta del testo fenogliano di Partigiano Johnny la si ebbe, dieci anni dopo l’edizione curata da Mondo, nell’edizione critica einaudiana già più volte ricordata (1978), e curatrice ne fu Maria Antonietta Grignani. Ivi la studiosa presenta in successione le due stesure, che indica rispettivamente come Partigiano Johnny 1 e Partigiano Johnny 2, coll’intento — usiamo le sue parole — di “restituire l’opera alla sua vera identità di lavoro imperfetto, metterne i materiali a disposizione del lettore”. (Nota al testo di PJ).

Dunque l’edizione critica non si prefigge — né sarebbe stata cosa possibile — di presentare un romanzo ‘‘autonomamente leggibile da cima a fondo” che si affiancasse o sostituisse quello presentato nel ’68, ma di offrire uno strumento prezioso per chi volesse studiare il romanzo di Fenoglio nel suo divenire, e penetrare così nell’‘‘officina fenogliana”.

62

ASPETTI DELLA ‘‘QUERELLE ’’ INTORNO AL ‘‘PARTIGIANO JOHNNY”

>

La pubblicazione del Partigiano Johnny in edizione critica, richiamando su di esso l’interesse degli studiosi, stimolò anche il nascere di alcuni problemi: 1) quale fosse la data di stesura sia di Partigiano Johhny I che

di Partigiano Johnny 2 2) quale fosse il suo rapporto sia stilistico che tematico con le altre opere resistenziali fenogliane, edite vivente l’autore, o postume

3) quale significato e valore si dovesse attribuire alla lingua composita, una specie di anglo-italiano, in cui l’opera, soprattutto nella sua prima stesura (P/ 1), era stata scritta.

A tali problemi i critici hanno

dato risposte discordanti,

a volte antitetiche, nessuna delle quali presenta caratteri di assoluta certezza. La impossibilità infatti di arrivare a risposte oggettivamente sicure è in re, nella insufficienza di elementi di appoggio di portata definitiva. Siamo perciò costretti a muoverci fra ipotesi, più o meno convincenti, più o meno affascinanti.

La datazione

mente

Le posizioni dei critici sono sostanzialmente due, e inizialhanno messo capo rispettivamente a M. Corti e ad E.

Corsini! .

1

x

.

IO

6

M. Corti, Trittico per Fenoglio, e La composizione del Partigiano Johnny alla luce del Fondo Fenoglio, in Metodi e fantasmi, Feltrinelli, Milano, 1969 — idem, Realtà e progetto dello scrittore nel Fondo Fenoglio,

63

Per la Corti la stesura di Partigiano Johnny 1 risale all’immediato dopoguerra, fra il 1945 e il 1949, Si tratterebbe, secondo la studiosa, di ‘‘un’affascinante stesura a caldo, di poco posteriore alla vicenda della guerra partigiana, vissuta con tanta partecipazione dallo scrittore” (Trittico per Fenoglio, cit.). Quanto a Partigiano Johnny 2, la Corti, dopo alcune oscillazioni. fissa come data ante quem il 1954 (ma pensa che Fenoglio ci abbia lavorato almeno dal 1951).

Nella stessa direzione della Corti si colloca un’altra studiosa, la De Maria!, che però dilata il periodo di elaborazione del Partigiano Johnny 2 dal 1949 al 1958. Sulle stesse posizioni della Corti si attesta anche M. A. Grignani che ha curato il testo del Partigiano Johnny nell’edizione critica einaudiana (Beppe Fenoglio, Opere, vol. primo, II, 1978). Si colloca invece su posizioni diversissime E. Corsini, che attribuisce ambedue i ‘Partigiani Johnny” ad epoca parecchio più tarda, e precisamente Partigiano Johnny 1 al 1956-57, Partigiano Johnny 2 a un periodo fra il 1958 e il 1959. Anche Lorenzo Mondo colloca l’opera immediatamente prima della composizione di Primavera di bellezza. La Corti giustifica le sue conclusioni cronologiche adducendo pezze d’appoggio di tipo filologico e stilistico, cioè

in ‘Strumenti critici”, n. 11, gennaio 1970 — idem, La duplice storia dei ‘“Ventitrè giorni”, in Un augurio a R. Mattioli, Sansoni, Firenze, 1970 — idem, Basteranno dieci anni?, in ‘Strumenti critici”, n. 14, febbraio 1971 — idem, Per una cronologia delle opere di Beppe Fenoglio, in “Nuovi argomenti”, nn. 35-36, sett.-dic. 1973 — idem, Storia di un continuum narrativo, Liviana, Padova, 1980. E. Corsini, Ricerche sul Fondo Fenoglio, in “Sigma”, n. 26, sett.

1970. ! porti

1973.

B. De Maria, Le due redazioni del Partigiano

interni

e datazione,

in “Nuovi

argomenti”,

nn.

Johnny. 35-36,

Rap-

sett.-dic.

64

interne all'opera, pezze d’appoggio che affianca con alcune testimonianze esterne (notazioni di Fenoglio su alcuni dattiloscritti, lettere agli editori, ecc.); il Corsini giustifica le proprie valendosi di una più vasta e complessa raggera di testimonianze esterne, alcune delle quali gli pare contraddicano le posizio-

ni della Corti. Su posizioni analoghe a quelle del Corsini si sono attesta-

ti recentemente anche R. Bigazzi! e E. Saccone?, che collocano ambedue i “Partigiani” nei secondi anni Cinquanta.

Il ‘‘Partigiano Johnny” in rapporto alle altre opere resistenziali fenogliane

La collocazione cronologica data dalla Corti, che in sostanza viene a riconoscere in Partigiano Johnny, almeno in Partigiano Johnny 1, la prima opera in italiano di Fenoglio, comporta, secondo la studiosa, una particolare valutazione dell’opera stessa in relazione agli altri scritti resistenziali dello scrittore. Secondo la Corti Partigiano Johnny 1 sarebbe un vastissimo materiale cronachistico, una ‘grande cronaca” come la chiama, in cui Fenoglio, subito dopo la fine della guerra avrebbe fissato la vasta materia resistenziale accumulata nella memoria e probabilmente nei taccuini che, a detta dell’amico Ghiacci (‘Pierre’”’ nel romanzo), lo scrittore durante il periodo

1 R. Bigazzi, La cronologia dei ‘Partigiani’ di Fenoglio, in “Studi e problemi di critica testuale”, n. 21, ott. 1980, ora in Fenoglio, personaggi e narratori, “Quaderni di filologia e critica”, Salerno ed., Roma, 1983. 2 E. Saccone, Tutto Fenoglio. Questioni di cronologia a proposito del Partigiano Johnny, in “MLN”, January 1980.

65

della Resistenza portava costantemente su di sé. Da questa cronaca Fenoglio sarebbe andato via via estrapolando episodi o sequenze che avrebbe elaborate con tecniche diverse in opere distinte: Fenoglio cominciò ad estrarre dall’affascinante stesura a caldo blocchi o sequenze narrative e microracconti e a lavorarli a parte.

Recuperi di tale natura sarebbero i capitoli finali di Primavera di Bellezza,

i Ventitrè

giorni della città di Alba, e Una que-

stione privata per lo sfondo resistenziale. Questa strutturazione sostanzialmente globale di tutta la produzione resistenziale fenogliana non può ovviamente venire accettata da chi attribuisce a Partigiano Johnny, anche nella prima stesura, una data tarda. Peraltro qualche riserva in proposito viene avanzata anche da uno

studioso

che

pur si muove

nell’area

della Corti, Gio-

vanni Falaschi! il quale esita ad accettare una derivazione diretta delle altre opere partigiane dalla ‘grande cronaca” di Partigiano Johnny. Egli pensa che non si tratti tanto di una filiazione diretta di questi scritti dal Partigiano, ma di convergenze tematiche autonome, con usufruizione da un testo all’altro di soluzioni espressive che, una volta trovate, l’autore sentiva particolarmente adeguate a rappresentare la situazione.

Significato del linguaggio del ‘‘Partigiano Johnny”

Per quanto

vamente

riguarda

italo-inglese

il linguaggio

di questo

testo,

ibridamente e inventiesso, secondo la Corti.

G. Falaschi, La resistenza armata nella narrativa italiana, Einaudi, Torino, 1976, cap. su Fenoglio. 1

66

e in coerenza con la datazione da lei data all’opera, rappresenterebbe una fase temporanea di scrittura, che avrebbe dovuto poi sfociare, nell’elaborazione ultima, in un italiano analogo a quello di Primavera di bellezza, un linguaggio cioè che, per la sua regolarità e usualità (ma abbiamo visto che la lingua di

Primavera di bellezza non è poi così usuale), sarebbe rapportabile al clima neorealistico in cui Fenoglio si era formato. Il Corsini, dal canto suo, ricordando che per Fenoglio l’inglese rappresenta, per concorde ammissione, una ‘parlata ideale” con tutte le implicanze culturali, morali e politiche che la cosa comporta, sostiene che la presenza di tale lingua debba considerarsi ‘‘una caratteristica costante di tutto l’itinerario artistico di Fenoglio”, e non si debba perciò fare di essa ‘fun momento limitato esclusivamente agli inizi letterari dello scrittore”. In tal caso, quella di Partigiano Johnny sarebbe una ulteriore sperimentazione formale fenogliana che lo avvicinerebbe a certo espressionismo linguistico, ovviamente ormai del tutto fuori del neorealismo, e per il quale varrebbe indicativamente il nome di Gadda (il Pasticciaccio brutto di via Merulana di Gadda esce nel 1957). Una acutissima e suggestiva valutazione del linguaggio fenogliano nel Partigiano Johnny come di un momento altamente creativo dello scrittore, è data da Gian Luigi Beccaria! ,

che lo definisce “il grande stile”, uno stile ‘‘epico’’ che si colloca “a distanza astrale da ogni attualità neorealistica”.

1984.

1 G. L. Beccaria, La guerra e gli asfodeli, Serra e Riva edd., Milano,

67 PREMESSE

ALLA LETTURA

DEL ‘‘PARTIGIANO

JOHNNY”?

Per facilitare la lettura dell’opera ne indichiamo qui alcuni aspetti fondamentali.

Dalla cronaca alla dimensione letteraria

La vicenda bellica del Partigiano Johnny è presentata nel romanzo attraverso numerosi episodi e personaggi, e s’impernia sulla figura del protagonista che, come in Primavera di bellezza, è Johnny, per gran parte “alter ego” di Fenoglio. L’argomento, e lo svolgersi dei fatti in successione ordinatamente temporale, può facilmente suggerire l’impressione che — valore artistico a parte — il Partigiano Johnny rientri nel numero delle molte cronache postresistenziali nate nel clima del neorealismo e puntigliosamente documentarie. Scrive ad esempio Pietro Chiodi del proprio resoconto-cronaca Banditi: “Questo libro non è un romanzo, né una storia romanzata. E’ un documentario storico, nel senso che personaggi, fatti, emozioni sono effettivamente stati. L’autore ne assume in proposito la più completa responsabilità”. Nel caso invece del Partigiano Johnny, se mettiamo a confronto lo svolgimento della guerriglia sulle Langhe quale è documentata dagli storici e la trascrizione fattane da Fenoglio x

nel romanzo!,

ci rendiamo

conto

che, se l’opera si alimenta

della cronaca partigiana come di un irrinunciabile succo vitale, non si riduce però ad essa, e neppure ne rimane condizionata.

1 Il lavoro è stato fatto egregiamente da F. De Nicola, nel volume Fenoglio partigiano e scrittore, citato.

68

L’autore

non ha esitato ad allontanarsene

(modificando situa-

di zioni, dilatando o accorciando i tempi, inserendo elementi invenzione) quando lo riteneva opportuno per attuare un suo ben definito disegno: di delineare cioè un grande affresco

della guerra partigiana che fosse fedele allo spirito più che alla minuziosa lettera degli avvenimenti, ne fissasse le grandi direttive militari e spirituali, le passioni e le energie che l’avevano attraversata.

Un affresco inoltre che obbedisse a quelle leggi interne di struttura inelusibili in un’opera letteraria, e alle quali non sempre poteva adeguarsi la non strutturata verità cronachistica! . Anche per il personaggio di Johnny vale quanto abbiamo detto per la Resistenza. Johnny è indubbiamente Fenoglio stesso, ma l’autore non esita a distaccarlo dalla dimensione autobiografica quando questo consenta, senza alterare verità di sostanza, maggiore efficacia e rapidità al racconto.

La rappresentazione non agiografica della Resistenza

Se si accettuano gli ultimi infelici capitoli di Primavera di bellezza, l’agiografia è del tutto assente dall’opera resistenziale di Fenoglio, che anche in questo si differenzia dalla maggior

1 L’evidente intento letterario in Partigiano Johnny ha indotto alcuni studiosi (R. Bigazzi, La cronologia dei “Partigiani” di Fenoglio, in ‘Studi e problemi di critica testuale”, n. 2, ott. 1980) a non accettare

l’ipotesi che si tratti di una cronaca a caldo, serbatoio di materiale narrativo da elaborare e sfruttare in tempi ed opere successive. Se si voglia supporre l’esistenza di uno scritto delegato a questo scopo si deve se mai — essi sostengono — postulare una precedente stesura in inglese che abbracci tutto l’arco 1939-45; stesura della quale Fenoglio ci avrebbe data notizia limitatamente a Primavera di bellezza, e della quale sarebbe giunto a noi, unico lacerto, l’Ur Partigiano Johnny.

69

parte dei memorialisti che scrivevano sotto l’impulso delle non passioni, a guerra appena finita. Fenoglio accetta che la Resistenza è stata tatta da uomini, e che perciò, come tutte le opere degli uomini, ha le sue luci e le sue inevitabili ombre. E non esita a dichiarare le une e le altre, cosciente che la grandezza di questa esperienza storica, compiuta per di più in condizioni inusitate e difficili (‘E° certamente un mestiere difficilissimo — dirà Johnny — e gli Italiani lo fanno per la

ancor decantate

prima volta”) sulle ombre.

sta nel fatto che in essa le luci sono prevalenti

Da questa disposizione mentale ed emotiva nasce anche quell’assenza di manicheismo che caratterizza l’opera di questo scrittore. Se risulta ben chiaro da che parte stanno la sua passione e il suo cuore, da che parte stanno per lui i valori, e da che parte i disvalori; se l’avversario vi è combattuto senza tregua e senza clemenza, esso non viene però programmaticamente demonizzato. Anche fra quelli che stanno sull’altra sponda, non manca, accanto ai molti ottusi e feroci, chi ha scelto in buona fede la ‘parte sbagliata”; e non mancano neppure le vittime di una situazione che non hanno capito e

che li ha superati e travolti.

Il significato etico del partigianato di Johnny-Fenoglio

Fenoglio appartiene a quella generazione di giovani cresciuti sotto una dittatura che, come tutte le dittature, inibiva il dibattito politico, i quali ebbero scarsissima e a volte nulla l’informazione e la dimensione politica. Lo stesso diffuso antifascismo che correva fra loro era per lo più umorale ed epidermico, privo di reale interesse e di spessore storico. Così lo stesso Fenoglio descrive, in Pri-

mavera di bellezza, questa condizione giovanile:

70

La stragrande maggioranza [degli allievi ufficiali compagni di Johnny] era afascista, i pochi restanti antifascisti, distribuiti fra settentrionali

e meridionali; con questa sostanziale differenza: che per gli anti del Sud i fascisti erano buffoni, per gli anti del Nord criminali.

Nei migliori fra loro, come in Johnny, l’antifascismo si traduceva in disgusto estetico e morale, e poi, a guerra rovinosamente condotta, in sdegno per l’irresponsabilità di cui il fascismo dava prova: comunque in direzione che non arrivava ad essere politica. A questa carenza di formazione e di informazione va rapportato anche il fatto — testimoniato sempre in Primavera di bellezza — che, al momento della caduta del fascismo, la maggior parte di questi giovani non seppero concepire soluzioni alternative che non fossero un ritorno al passato prefascista e ai suoi miti (quali il re e l’esercito visto come ‘salda compagine del re’’), senza

accorgersi

che la compromissione

col fascismo

li aveva ormai contaminati e corrosi. Lo stesso anticomunismo di Fenoglio, che egli trasfonde x in Johnny, non è un punto di arrivo politicamente meditato, ma è viscerale ed emotivo, frutto per metà del suo individualismo libertario, e per metà alimentato dalla pregiudiziale anticomunista assai diffusa nell'ambiente albese. Significativo in proposito è un passo che incontriamo proprio all’inizio del romanzo, in cui Johnny si interroga sul suo essere anticomunista:

Comunista? Ma che significava, e che comportava esattamente l’essere comunista? Johnny non ne sapeva nulla all’infuori della stretta relazione con la Russia.

E° ovvio quindi che la scelta partigiana di Fenoglio-Johnny non possa avere motivazioni di natura politica. Essa è piuttosto una scelta morale, di dignità umana. Aggregarsi ai partigiani voleva dire non piegarsi alla prevaricazione rappresentata dai tedeschi

e dai risorgenti

tascisti,

dell’8 settembre, e riprendersi

non

accettare

il cedimento

invece in mano le proprie deci-

TA

sioni e la propria vita, rientrando — usiamo scrittore — nella propria ‘dimensione d’uomo”. In

particolare

per

Johnny,

innamorato

le parole da

sempre

dello del

mondo inglese e dei suoi miti libertari, significava anche fedeltà alle proprie radici culturali. Una ragione, quest’ultima, che

è stata acutamente individuata da Pietro Chiodi in un ritratto postumo dello scrittore che in parte già abbiamo riferito: Fenoglio, fin dagli anni del ginnasio ad Alba, si era immerso, come un pesce si immerge nell’acqua, nel mondo della letteratura inglese,

nella vita, nel costume, nella lingua, particolarmente dell’Inghilterra elisabettiana e rivoluzionaria: viveva in questo mondo, fantasticamente ma fermamente rivissuto, per cercarvi la propria ‘formazione”, in una lontananza metafisica dallo squallido fascismo provinciale che lo circondava ... L’immedesimazione di Fenoglio col mondo dell’Inghilterra rivoluzionaria non era per lui un’evasione da ingenuo provinciale, come qualcuno ha creduto ... Fenoglio andava alla ricerca di un modello umano, di una ‘formazione’ e di uno stile diverso da quello che il fascismo gli offriva ... Autoeducatosi al culto rigoroso della libertà, e della gentilezza che ne costituisce l’estrinsecazione sociale, Fenoglio al momento della scelta partigiana si è trovato brutalmente posto dinanzi all’alternativa di rinunciare di colpo all’intiero significato della sua scelta originaria, o di andare fino in fondo lungo la linea di rigore di questa scelta assumendone integralmente le dimensioni di ‘‘necessitudo’’. Nel primo caso sarebbe divenuto un velleitario, un “letterato” e avreb-

be dato alla sua formazione così eccentrica il significato di un’evasione

provinciale; ma

nel secondo

caso

avrebbe

dovuto assumere

sopra di sé il destino di una tensione terribile tra ciò che voleva essere e ciò che avrebbe dovuto fare per esserlo (Fenoglio scrittore civile, cit.).

La Resistenza come metafora esistenziale

Ma nelle pagine del Partigiano Johnny la Resistenza assume anche un significato maggiore, esistenziale. Colla mediazione

A

di un ricco linguaggio metaforico, si allarga a simbolo del travagliato destino dell’uomo, sul quale e contro il quale incombono misteriose e implacabili forze avverse (si pensi al significato simbolico di quel vento che imperversa sempre sulle colline, e che è ben altro che una connotazione metereologica), e cui è toccato in sorte di difendere la propria dimensione umana non

solo con la sofferenza e magari con la morte, ma anche con l’uso disumano della violenza; è toccato cioè di salvare i “valori” praticando anche i ‘‘disvalori’’ dell’odio e della ferocia. Per Fenoglio la guerra, e in questo caso la guerra partigiana, è una delle manifestazioni storiche di quella dimensione esistenziale che già un dolente poeta, il Tasso, aveva chiamata “l’aspra tragedia dello stato umano”. E l’uomo manifesta la sua dignità accettando di affrontare tutte le battaglie. E’ questo il significato simbolico del bellissimo passo che conclude il capitolo 24: Una

battaglia è una

cosa

terribile, dopo

ti fa dire, come a certe

puerpere primipare: mai più, non mai più. Un'esperienza terribile, bastante, da non potersi ripetere [...].. Eppure Johnny sapeva che sarebbe rimasto, a fare tutte le battaglie destinate, imposte dai partigiani o dai fascisti, e sentiva che si sarebbero ancora combattute battaglie, di quella medesima ancora guerra, quando egli e il Biondo e Tito e tutti gli uomini sull’aia [...] sarebbero stati sotterra, messi da una battaglia al coperto da ogni più battaglia (p. 483).

Il linguaggio

La cosa che, dal punto di vista linguistico, colpisce per prima il lettore del Partigiano Johnny è la massiccia presenza della lingua inglese, non più usata solo in funzione strettamente

mimetica (come ad esempio in Primavera di bellezza nella conversazione di Johnny coi due prigionieri inglesi) e neppure solo come linguaggio interiore dell’anglofilo Johnny, ma come

73

vistosa componente nella lingua della narrazione. L’inserimento di stilemi inglesi o anglo-italiani nell’italiano di Partigiano Johnny è così frequente, che possiamo parlare di un vero e proprio bilinguismo. Scrive il Lunetta: Fenoglio comprende, già intorno al ’60, che l’ambito di una lingua può anche non coincidere con quello di un linguaggio espressivo, e di quest’ultimo quindi allarga le risorse fino a servirsi di una lingua straniera come se fosse la sua nativa, incurante degli squilibri che l'esperimento inevitabilmente comporta in sede di assaggio di prova (e difatti nella prima parte del Partigiano non mancano goffaggini e superfluità dovute a una padronanza ancora imperfetta del registro bilingue), ma consapevole anche dell'ampliamento delle possibilità permesso da uno strumento bifronte, in situazione di

scontro-simbiosi dialettici! . La coesistenza

di inglese e di italiano si realizza in modi

diversi. A volte le due lingue sono presenti in un unico vocabolo, con una tecnica che potremmo chiamare folenghiana. E’ il caso del prefisso inglese ur che indica negazione, seguito da un aggettivo italiano (unvedenti, unsceglibile, unintenzionali, unrisparmiante) o del prefisso italiano in, che parimenti significa negazione, seguito da un aggettivo solo apparentemente italiano (insimpatetica; vedi l'inglese sympathetic = comprensivo, affettuoso, indulgente). Più spesso vocaboli o espressioni inglesi si alternano con vocaboli ed espressioni italiane senza mediazione alcuna. Dobbiamo inoltre notare che l’inglese qui introdotto da Fenoglio non è l’inglese normale parlato o scritto ai nostri giorni, ma è una specie di lingua mentale dell’autore, nella quale convergono e coesistono forme lessicali appartenenti ad epoche diverse, talune arcaiche, per lo più elisabettia-

ne, e spesso

decadute

dall’uso, altre moderne

te o colto. altre audacemente questa lingua composita ‘non

1

di uso corren-

neologistiche. E per di più su reale e non praticabile” come

M. Lunetta, // Partigiano Johnnv, in “Rinascita”, 15 nov. 1968.

74 scrive Gian Luigi Beccaria (La guerra e gli asfodeli, cit.) Fenoglio innesta innumerevoli alterazioni e forzature inventive. La lingua inglese è presente, oltre che in modo così diretto, anche nei calchi lessicali e sintattici con i quali si sovrappone alla lingua italiana. Ne elenchiamo alcuni dei più vistosi, tenendo presente che essi prevalgono nella prima redazione del Partigiano: a)

calchilessicali:

springò in piedi: dall’inglese fo spring to one 's feet = saltare, balzare in piedi

meniali: dall’inglese menial = umile

crepevano

(‘le raffiche

crepevano”):

dall’inglese fo creep

= strisciare, insinuarsi graspando : dall’inglese to grasp = afferrare

moroso: dall’inglese morose = cupo, imbronciato

feerica: dall'inglese fairy = fatato! Ma anche senza pervenire a questi casi estremi, di calco inglese sono i molti astratti coniati da Fenoglio, come

tfrucità, tremen-

dità, erroneità. Lo stesso vale per le numerose parole composte: ‘si appoggiò al giusto-sufficiente tronco”; ‘‘silente-aggressiva ammirazione per l'America”; ‘aria tutto-sopportante”; ‘neve e lastro-ghiaccio”, ecc. b)

calchi sintattici:

La frequentissima collocazione dell’aggettivo, o di una serie di aggettivi, prima del sostantivo (configurazione d'’egizio o

! Siamo debitori di questi e di altri dei successivi esempi a M. L. Lombardi che ha studiato la lingua di Fenoglio nella sua tesi di laurea sostenuta presso lo IULM nel giugno del 1979.

#

d'atzeco uomo; l’arsenicale precoce, ingannevole disgelo; una vaga gratuita, ma pleased e pleasing reputazione d’impraticità). L’uso frequentissimo dei gerundi e participi (‘Fu bello e riscaldante sedere sulle presto tiepide lastre di pietra fra l’erba tornante elastica”). Un

genitivo

sassone,

incredibile

nel

testo

civette’s occhiate delle spie; e altre clamorose tattiche

inglesi

desiderava

in lessico

entrare

italiano

italiano:

alle

costruzioni sin-

(“dell’esercito

che Johnny

in”; “tutta la sua vita era passata in sparan-

dos): non

Accanto a queste imponenti presenze inglesi, Fenoglio manca di introdurre, anche se raramente, vocaboli fran-

cesi, touché, o vocaboli

surmenagés, francesi

ma

démodé, con

stilé, s'enfongca, pavé, ecc.;

desinenza italiana: derangeate,

dal

francese déranger = disturbare. Questa pluralità linguistica ha suggerito ad alcuni studiosi il nome di Joyce. “Sullo sfondo”, del linguaggio fenogliano sta anche, come

dice il Carlucci! , una forte e saldamente recepita “lezione dei classici latini”. Il critico la individua per lo più nelle strutture sintattiche di Partigiano Johnny: Solo la lezione del latino gli poteva permettere di giocare liberamente coi gerundi, i participi, cosicché la liberissima prosa del Partigiano sembra voler riproporre sullo schematismo delle lingue moderne la libertà della sintassi latina.

Ma

l’influenza

delle

lingue classiche, e non

solo del latino, è

visibile anche nel lessico:

“strade proditoriate”. sulle quali cioè incombe il tradimento, dal lat. prodo = tradisco

1 C. Carlucci, L'inglese di Beppe Fenoglio, in “! ‘anprodo letterario: .n::93 marzo 1941].

76 “voce ... anarrativa”, cioè disadatta al raccontare: uso del-

l’alfa privativo greco “la faccia meteca

del gerarca Pavolini”, cioè dai tratti so-

matici non italici (dal greco métoicos, che indicava lo straniero che viveva libero ma non as-

similato in Grecia)

“ora atramente propizia”: dal lat. after = cupo. Ecc. A volte il ricordo classico dalla lingua passa suggestivamente alle immagini. Nel cap. 25° di Partigiano Johnny 1, Tito, il giovane compagno di Johnny è morto in un’imboscata, ei partigiani lo hanno composto nel lenzuolo funebre: Nella portata alla chiesa il Biondo lo scappucciò, lo scoprì fino alla cintola. He sailed on front of Johnny: ci vide un sigillo d’eternità, come fosse un greco ucciso dai persiani due millenni avanti

(p. 492).

_ Abbiamo detto che Fenoglio opera audaci forzature sull'inglese. L'osservazione vale ben più accentuatamente per l’italiano, che viene letteralmente violentato nella sua normale regolarità, tanto che il Beccaria parla di un autentico ‘corpo a corpo” di Fenoglio con la lingua. La forzatura dell’italiano non avviene soltanto per l’intrusione nel suo corpus delle lingue straniere, come abbiamo visto, ma avviene all’interno del suo stesso statuto mediante le alterazioni inventive e creative operate dallo scrittore sui vocaboli e sui costrutti d’uso, e mediante la coniazione geniale di nuovi vocaboli: vocaboli di visiva sinteticità, come stascò le mani, culsaccata falange; o gli originali aggettivi in -oso, creati ex novo dal corrispon-

u

dente sostantivo (frodosa torma di pezzenti; brividosa paura; fango frappoloso; atmosfera sognosa; voce birignaosa); o anche

la coniazione dei verbi, sempre dal corrispondente sostantivo (lo zampare del cane; lo stamburare dei passi sul selciato); o infine immagini che, come dice felicemente il Beccaria, hanno un “forte senso ponderale del materico” (tenebra squadrata; oscurità macignosa). Quello che più stupisce in questa singolarissima operazione linguistica è la totale assenza di quel compiacimento dilettantesco che si accompagna in genere agli sperimentalismi formali. La verità è che, alla base di essa, sta un modo

nuovo di

vedere le cose, che le libera della patina dell’usato; e vi si adegua la novità linguistica, che ne è in qualche modo necessitata. Concludendo, quale è il significato ultimo di questa anomala e complessa operazione sulla lingua, che rende il Parti giano Johnny un ‘‘unicum’ anche all’interno dell’opera fenogliana? La risposta che giunge più a fondo, in quanto, partendo da un esame grammaticale, sintattico, retorico, perviene all’essenza del fenomeno linguistico fenogliano, ci sembra quella di Gian Luigi Beccaria nell’opera già più volte citata: Fenoglio, secondo il Beccaria, avrebbe cercato e trovato un linguaggio lontano sia dalla facilità neorealistica e dalla medietà espressiva, sia dal formalismo letterario della “prosa d’arte”; un linguaggio inusufruibile nell'uso perché assoluto e assolutizzante, tale da collocare la vicenda narrata in una dimensione astorica di perennità; Beccaria definisce questo linguaggio il “grande stile” di Fenoglio, e lo fa coincidere con lo stile epico, colle-

gando l’opera fenogliana “al lontano biblico e omerico”.

78

GUIDA

ALLA

LETTURA

DEL ‘‘PARTIGIANO

JOHNNY””

Nel prendere in esame il romanzo (ma ricordiamo che il titolo gli è stato attribuito da Lorenzo Mondo nell’edizione del 68; probabilmente per Fenoglio tutta la saga di Johnny doveva essere compresa sotto il titolo di Primavera di bellezza, che invece è ormai attribuito alla prima parte di essa) cominceremo con l’analizzarne la prima più ampia redazione, indicata nell’edizione critica einaudiana come Partigiano Johnny 1, e successivamente analizzeremo la seconda redazione (Partigiano John-

ny 2) per individuarne le differenze con la prima, e quindi il procedimento revisionistico di Fenoglio.

IL ‘‘PARTIGIANO

JOHNNY”



PRIMA

REDAZIONE

Il romanzo consta di tre ampi blocchi narrativi che comprendono rispettivamente: 1) il periodo albese di Johnny, che

si stende dal suo ritorno in città dopo l’8 settembre del ’43 fino al dicembre dello stesso anno, periodo in cui Johnny matura la decisione di arruolarsi nelle bande partigiane (capp. 16-19); 2) la sua militanza presso le formazioni partigiane ‘rosse’ nelle Alte Langhe (capp. 20-28); 3) la successiva militanza presso le formazioni ‘azzurre’ nelle Basse Langhe (capp. 29-56). A questo terzo blocco appartengono due ampi momenti narrativi di particolare rilievo tematico e artistico: la conquista partigiana e la perdita di Alba

(che è anche il tema del racconto

uscito alle stampe nel ’52, / ventitré giorni della citta di Alba),

79

e la resistenza solitaria di Johnny sulle montagne nel drammatico inverno 1944-45.

Il primo blocco narrativo

Il primo blocco narrativo ha inizio, nel manoscritto trovato nel

Fondo

fenogliano,

ed ora nell’edizione

critica einaudiana,

col capitolo 16 (ricordiamo ancora che i capitoli 1-15 furono evidentemente usufruiti da Fenoglio in Primavera di bellezza). La vicenda in esso contenuta è la prosecuzione diretta di Primavera di bellezza quale si presentava nella prima stesura inviata nel ’56 all’editore, cioè senza l’aggiunta dei tre capitoli partigiani. In essa il lettore lasciava Johnny a Moana, sulla via del ritorno a casa, esasperato di fronte al proclama di arruolamento di Graziani. All’inizio del nuovo romanzo Johnny è ormai ad Alba; e i capitoli di questo primo blocco narrativo ne rappresentano la “vigilia d’armi”’, la pausa meditativa di chiarificazione e di orientamento da cui vedremo nascere, con convincente gradualità psicologica, la sua scelta partigiana. Il primo impulso di Johnny dopo le umilianti esperienze romane e il pericoloso viaggio che lo ha riportato a casa, è di lasciarsi alle spalle il passato, di reimmergersi nella quotidianità della sua vita borghese di giovane studioso. Già sulla strada del ritorno, rivolgendosi a se stesso nell’amato inglese dei suoi monologhi interiori, si era autoconvinto che letteratura e amore sarebbero stati d’ora innanzi sufficienti a riempirgli la vita: “Literature and love-making will make me forget the whole affair”. E accetta perciò di buon grado l’esortazione dei parenti a rifugiarsi in una villetta sulla collina, al riparo da per-

quisizioni tedesche e fasciste. Ma, diceva già Brecht, ci sono momenti in cui “discorrere

80

d’alberi è quasi un delitto, / perché su troppe stragi comporta il silenzio” (A coloro che verranno). E presto Johnny se ne rende conto. Intorno a lui i tempi si sono fatti di ferro: la violenza tedesca incombe su Alba, e già i paesi vicini, come Boves, ne portano il segno tragico; i fascisti alla loro ombra si riorga-

nizzano; la città della sua fanciullezza e giovinezza ha cambiato volto. Nelle vecchie e note strade che, colla sintetica suggesti vità inventiva propria di questo libro, Fenoglio definisce ‘proditoriate””, incombe ora la minaccia delle retate nemiche e quella subdola delle spie; i giovani renitenti, se vi si muovono, lo fanno

in modo

quasi clandestino; molti non

escono

dai rifugi

delle case; e aleggia intorno dolorosa l’antica immagine di giovinezza di quelli che non sono tornati: Gege era morto ... nessuno più vi sarebbe stato, dopo Gege, che corresse con le braccia ad ali di gabbiano (p. 393).

“Tante ne succederanno — dice il padre di Johnny, e le sue parole hanno una disperazione intensa ed elementare, da tragedia greca — che non ne avremo mai più gli occhi asciutti”. In questa atmosfera diventa chiara a Johnny l’insufficienza di un rifiuto solo passivo quale è il suo; e sente che non potrà mai più sentirsi uomo (il leit-motiv di queste pagine è “non mi sento un uomo”’) se non si farà coinvolgere attivamente nel-

le drammatiche vicende in cui si è trovato a dover vivere. Comincia intanto a correre tra la gente di Alba la notizia, vaga e imprecisa, di partigiani che si stanno organizzando sulle colline. La stessa parola “‘partigiano”’, che gli italiani pronunciano per la prima volta nella loro storia, sembra un messaggio di rischio e di speranza: Tutti erano

intenti, ognuno

per suo conto, a pesare nella sua aerea

sospensione, quella nuova parola, nuova nell’acquisizione italiana, così tremenda e splendida nell’aria dorata (p. 409).

Ed è anche la parola che orienta la vita di Johnny e gli consente

81

— usiamo

la parola di Fenoglio

— di riacquistare davanti a se

stesso “Ila misura d’uomo” (p. 472). La passata sosta in collina gli appare allora non come un approdo, ma come un punto di

partenza per riprendere lena, una “breve licenza” che ha chiuso il suo lungo, passato servizio militare e lo ha preparato a una nuova militanza. L'incontro successivo di Johnny coi due professori del suo liceo,

Chiodi

e Cocito,

entrambi

antifascisti e stimolatori di (incontro descritto nel capitolo 17°) non avvenne

antifascismo nella realtà della vita di Fenoglio: al suo ritorno ad Alba Cocito era già salito in montagna a organizzare una banda partigiana, e con Chiodi lo scrittore non ebbe allora possibilità di trovarsi. Peraltro esso appartiene all’autobiografia fenogliana se non in senso materiale in senso psicologico. Rappresenta infatti quel ritorno di Johnny-Fenoglio alle sue radici cui abbiamo prima accennato, nelle quali, prima di prendere la strada delle montagne alla ricerca di una banda partigiana cui aggregarsi, cerca la conferma della bontà della sua scelta. Inoltre, l’incontro con Chiodi e Cocito è estremamente funzionale nell'economia dell’opera: propone e chiarisce infatti i vari modi — che vedremo poi in azione — di intendere il partigianato: fortemente politicizzata è la posizione del comunista Cocito,

per il quale partigiano è solo colui che combatte

in vista di un preciso progetto di trasformazione rivoluzionaria della società; apolitica, o almeno priva di un vero progetto poli tico per il futuro, è la posizione del liberale Chiodi, per il quale è partigiano chiunque combatta contro i fascisti per restaurare e difendere la libertà. Ed è questa seconda, sostanzialmente, la posizione anche di Johnny. Di cui inoltre viene qui preannunciato un aspetto che caratterizzerà il suo comportamento durante tutta la Resistenza: un tenace individualismo, una irriducibile tendenza all’iniziativa autonoma. Per questo Cocito lo accosterà scherzosamente. nel bene e nel male (o almeno in quello che, nella sua istanza collettivistica egli giudica male). a Robin Hood, il leggendario e solitario bandito inglese della

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foresta di Sherwood, campione contro gli invasori normanni.

della resistenza

anglosassone

Johnny, mi permetto di pronosticare che sarai uno splendido Robin Hood. Ma come Robin Hood sarai infinitamente meno utile, meno serio, meno meritevole, e, bada bene, meno bello, dell'ultimo parti giano comunista (p. 411).

Da questo momento gli eventi esterni — l’incrudelire ulteriore della repressione fascista, la cattura dei genitori dei giovani renitenti alla leva repubblicana, l’assalto alla caserma per liberarli, assalto cui Johnny partecipa compromettendosi gravemente con l’autorità — non fanno che accelerare una decisione già presa.

Questa parte del romanzo si conclude così con la partenza di Johnny verso le colline per raggiungere l’ ‘‘arcangelico regno dei partigiani”, che gli appaiono appunto, come dice il connotante aggettivo, simili agli arcangeli biblici, gli incontaminati e implacabili vendicatori e giustizieri: Partì verso le somme colline, la terra ancestrale che l’avrebbe aiutato

nel suo immoto possibile, nel vortice del vento nero, sentendo come è grande un uomo quando è nella sua normale dimensione umana ... Ed anche fisicamente non era mai stato così uomo, piegava erculeo il vento e la terra.

Non privo di diseguaglianze nella resa artistica (alcuni personaggi e alcune situazioni non sono abbastanza funzionali e creano dispersione; inopportuno ad esempio è il rendezvous

modo

di Johnny

e Chiodi

nel postribolo

di Alba, che è sì un

di sfuggire ai tedeschi ma è anche situazione bohémien

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e ottocentesca, di gusto superato) questo primo gruppo di capitoli ha però il merito di una sostanziale compattezza. Vi si intersecano, movimentandolo, piani diversi: la città “inabitabile”.

‘anticamera della Germania”, la campagna “in livrea d’amore autunnale” che Johnny domina dal suo rifugio presso Alba, e che gli si distende davanti attraversata dal fiume, “pianura fluviale”; la casa dove la famiglia di Johnny vive in preoccupazione, i rapidi flash back sul passato, il comportamento esterno e la dimensione interna del personaggio. Ma questa parte, come

del resto tutto il libro, trova la sua

maggior giustificazione artistica nella originalità creativa del linguaggio di cui già abbiamo definito i caratteri, e di cui perciò ci limitiamo a dare qui solo qualche esempio particolarmente suggestivo e significativo. 1) espressioni inusitate e pregnanti: i giovani, minacciati dal bando di arruolamento, si muovono

so-

lo nell’oscurità atramente propizia (p. 394); Johnny, nella villa sulla collina, non riesce più a sopportare l’incubosa solitudine (p. 394); Y8 settembre, la breve resistenza contro i tedeschi al-

la stazione di Milano si è svolta in una atmosfera sognosa da Cinque giornate (p. 394); nella strada gli scarsi passanti si muovono

velocitati come

in un film di Ridolini (p. 397); la radio in

casa degli zii è l’esoterico apparecchio, è ancora sentita cioè come prodotto misterioso della tecnica (p. 395); Johnny umiliato dalla latitanza, sente ormai come estranea a sé la sua pisto-

la, non ne trae sicurezza, non si sentiva affatto addizionato (p. 414); i giovani che attaccano in massa compatta la caserma di Alba accalcandosi rischiosamente in una strada senza uscita (a cul-de-sac), sono una culsaccata falange (p. 429): l'operaio che conversa con Johnny lungo il fiume ha un'aria tutto-sopportante (p. 417); Chiodi e Cocito si erano polemizzati poco prima (p. 409); gli areoplani. sganciate le bombe. se ne vanno come apungiglionati (p. 404)

84 2) rapidi, incisivi ritratti, in linguaggio fortemente creativo: il grosso e apprensivo zio di Johnny: “uomo montagnoso e jelly” (= flaccido) (p. 395); l’omone dallo ‘‘smaniare sudoroso” (p. 396); la zia “silente-aggressiva” (p. 396); Chiodi dalla “‘orsiccia massiccità di montagnino corretto da anni di esistenza pianurale’”’ (p. 406). Velenosamente grottesco il ritratto di Fiorello La Guardia, il sindaco di New York di origine si-

ciliana, la cui voce “scoppia” nella radio degli zii, stoltamente incalzando gli italiani ad attaccare i tedeschi a mani nude. Johnny lo definisce “un repellente ibrido di corvino sudore siciliano e di amara antisepsi anglosassone” (p. 396). Non dimentichiamo in proposito che l’anglofilia dell’aristocratico Fenoglio si ferma al signorile controllato mondo della Gran Bretagna, e non si estende alla più sbracata e democratica America. Un potente ritratto di gruppo, inciso sul filo del disprezzo e dell’odio è quello di un riorganizzato reparto militare di Graziani: Uomini che avevano rinnegato il giuramento al re per tener fede alla foederis arca germanica: apparivano atletici, estremamente efficienti, infinitamente più dei consimili reparti del fu Regio Esercito, modernissimi, germanlike, tutti con sorrisi di esplodente fiducia, con un risultato visivo verminoso, apertamente, deliberata-

mente fratricida (p. 398).

3) Paesaggi e atmosfere. Il paesaggio autunnale, triste e cupo, che Johnny vede dalla casa in collina, la cui connotazione si esprime attraverso vocaboli ricchi di ‘immagini concomitanti”: nera tristezza piombata sulle colline derubate dei naturali colori, una trucità da mozzare il fiato nella plumbea colata del fiume annegoso (p. 397).

85

Nel breve periodo coesistono una tensione dolorosa e sinistra (tristezza, trucità) che dalla natura si riflette sul guardante e viceversa; tinte cupe e metalliche (l’acqua del fiume è una “plumbea colata’’), e dal fiume si effonde una tragica e sognante atmosfera mortuaria (il ‘fiume annegoso’’).

Altrove, l'ampio e veloce tramonto, con un traslato meta‘‘niagarico’’ (p. 436). E, in tutt’altra direzione, ricordiamo un’altra barocca e pregnante metafora: Johnny si è recato in città dal rifugio collinare, contro tutte le raccomandazioni dei suoi; ora, passando accanto alla casa paterna, affretta il passo ‘per strapparsi al cordone ombelicale del rimorso” (p. 404). forico, diventa

II secondo blocco narrativo

Prima di iniziare l’esame di questo secondo blocco narrativo è opportuno fare alcune precisazioni che esemplifichino il libero modo con cui Fenoglio usufruisce la cronaca partigiana in genere, e quella partigiano-autobiografica in particolare. Nel romanzo, Johnny sale in montagna nel dicembre del ’43; e si diversifica per la data da Fenoglio, che prenderà anch’egli la stessa decisione del suo personaggio, ma solo qualche tempo dopo, nel gennaio del ‘44. Analogamente, dopo la sconfitta di Mombarcaro (marzo del ’44) che disperde la formazione in cui si è arruolato, Johnny riprende subito, senza interruzione alcuna, l’attività partigiana spostandosi presso un’altra banda politicamente a lui più con-

geniale, ed esclude la possibilità di un ritorno, anche temporaneo, a casa: “No, non torno a casa — risponde con decisione a un compagno che lo interroga sulle sue intenzioni. — Torno nei partigiani, ma altri partigiani” (p. 525).

86

Fenoglio invece, nella stessa situazione, lascia passare qualche tempo — nascondendosi alle perquisizioni e alle minacce fasciste ora nella casa paterna di Alba ora in quella dei parenti a Murazzano — prima di risalire in montagna. Le ragioni di questa discrepanza fra l’autore e il suo personaggio sono evidentemente di natura artistica. Fenoglio sa bene che i motivi che hanno condizionato e in qualche modo rallentato il suo comportamento sono plausibilissimi in sede logica e storica (sfiducia iniziale in un’azione militare collettiva dopo la prova di debolezza dell’8 settembre; incertezza circa l'opportunità di appoggiare con la guerriglia le forze alleate mentre esse sono ancora lontane e si muovono lentamente nella risalita per la penisola; e poi, dopo Mombarcaro, la necessità di una più oculata scelta “politica” dei compagni). Ma si rende anche conto che, in sede artistica, tali indugi non solo rallenterebbero il ritmo narrativo del romanzo, ma soprattutto toglierebbero al suo personaggio quella assolutizzazione ed esemplarità che egli, pur rifuggendo retorici, vuole attribuirgli.

dai toni agiografici e

Johnny infatti, nel racconto fenogliano, si identifica con l’esperienza partigiana; è, nel bene e nel male, l’esperienza partigiana. I suoi pensieri, i suoi propositi, gli sconforti e le inquietudini, così come le sue indomite prove di coraggio, si muovono dentro il cerchio di questa esperienza, tanto che gli è psicologicamente

al mondo

impossibile

cittadino, il mondo

un ritorno, anche temporaneo,

dei “non impegnati”, che gli ap-

paiono ormai dei diversi. Significativo in questo senso è il suo casuale incontro con l’industriale albese sfollato con la famiglia sulle colline, qualunquista l’uno, frivolmente mondana l’altra. Johnny, che ha alle spalle un’esperienza di guerra e di morte, si rende presto conto che fra lui e questa gente può al più intercorrere una fugace cortesia di facciata, ma che niente ormai essi hanno in comune, e manca fra loro ogni punto d’intesa. Perciò abbandona la confortevole casa dove ha sostato qualche ora, e, con gesto deciso ed emblematico, riprende la via dei monti.

87 Proprio non poteva più comunicare con quel tipo umano, nessun ulteriore rapporto, se non un muto sorriso, sfingico ... No, non c’era più nessun possibile rapporto, tra quella gente e se

stesso, il suo breve ed enorme passato, Tito e il Biondo [sono i compagni morti], le vedette notturne, le corvée di rifornimento, le ucci-

sioni (p. 534). Un rapporto Johnny lo può stabilire soltanto con gli altri come lui, vicini o lontani, presenti o assenti: Johnny [...] gli domandò degli altri, di tutti gli altri, degli assenti. I

giovani erano tutti lontani: la metà semplicemente intanata, ma l’altra metà sicuramente partigiana.

E Johnny invia una specie di mentale fraterno appuntamento a questa seconda metà: Johnny 531).

sorrise

a quel grande, muto,

separato appuntamento

(p.

Un’altra sfasatura fra la realtà e il recupero che ne fa lo scrittore è rinvenibile circa le formazioni partigiane sulle Langhe nel periodo in cui Johnny entra a farne parte. Johnny, salendo in montagna ai primi di dicembre del ’43 si imbatte in una banda partigiana dal carattere politicamente già ben definito. E’ una formazione ‘rossa’, comunista; e se alcuni ne fanno parte solo perché è la prima banda nella quale si sono

imbattuti

(è il caso di Tito, l’amico

di Johnny,

e di

Johnny stesso), i più portano la stella rossa sui baveri dei cappotti, e un commissario presiede al loro indottrinamento politico. Ma in realtà — come ci testimonia il De Nicola (op. cit.), che si è avvalso, nelle sue ricerche, di documentate cronache albesi — al tempo in cui Johnny sale in montagna, e anche al tempo in cui vi sale Fenoglio (cioè rispettivamente alla fine del

88

?43 e al principio del ’44), non vi erano ancora nelle Langhe formazioni militari con definito orientamento politico e collegate ai partiti. Solo nell’avanzata primavera del ’44 nasceranno le prime bande politicizzate. Per quanto riguarda poi più specificamente la formazione di cui Johnny entra a far parte, quella del tenente Rossi detto il Biondo, essa certo era stata fin dall’inizio genericamente di sinistra, data la condizione prevalente dei suoi componenti, per lo più operai dell’entroterra ligure, o contadini delle Alte Langhe, cioè delle Langhe più povere, ecc. Ma essa verrà agganciata dal PCI, e assumerà una precisa connotazione partitica, solo dopo la morte del suo capo, il Biondo, cioè dopo che Johnny ne sarà già uscito. Parimenti non trova rispondenza

nella situazione storica reale neppure l'aspirazione di Johnny ad entrare in una brigata ‘‘azzurra”, cioè badogliana, non appena si rende conto (e cioè non appena vi è entrato) che la banda del Biondo non gli è congeniale. “Il medio ceto”, egli dice a un compagno, ... ‘si trova in quelle già famose formazioni azzurre, alle quali penso sempre e dove sono destinato a finire”. Ma nel dicembre del ‘43, sempre secondo la documentata testimonianza del De Nicola, come non erano ancora organizzate bande comuniste, analogamente

era prematuro parlare di bande azzurre, le quali cominceranno ad avere seguito nelle Langhe dopo il trasferimento in questa zona, verso la metà di marzo, degli uomini di Enrico Martini Mauri [un ex capitano dell’esercito]. Prima di questo periodo si poteva solo parlare di gruppi, come quello dei Balbo, comandati da ex ufficiali dell’esercito, e che radunavano, anche per essere stati costituiti in zone di più bassa collina, e più cittadine, giovani maggiormente istruiti di quelli delle Alte Langhe, e appartenenti a classi sociali diverse rispetto ai compagni di Johnny: non più contadini e operai, ma giovani di famiglie borghesi o comunque dalle esperienze più vicine a quelle del protagonista del romanzo. Il quale tuttavia non può verisimilmente augurarsi già da allora di imbattersi negli azzurti.

89

E’ un altro caso in cui l’infedeltà cronachistica di Fenoglio, che qui si manifesta nella forzatura e restringimento dei tempi e nella schematizzazione delle situazioni, risponde a un’esigenza artistica: di evitare dispersioni informative e di raggiungere una efficiente rapidità ed essenzialità narrativa. Del resto, infedele alla lettera, anche questa volta Fenoglio rimane fedele alla sostanza della situazione storica. Coglie infatti e fissa le linee maestre del dissenso politico che fu vivo nella Resistenza e in particolare sulle Langhe, cioè il contrasto fra quei due modi di intendere il fine ultimo della azione partigiana che già Cocito all’inizio del libro aveva delineato: da una parte la linea politicizzata, di sinistra, che si proponeva, a guerra finita, il rinnovamento

della vecchia società fin dalle radici;

e dall’altra la linea che si autodefiniva apolitica perché impei suoi esponenti soltanto nella lotta contro il fascismo, rimandando a dopo, a fascismo sconfitto e a guerra finita, la definizione dell’assetto politico dell’Italia, che peraltro solitamente concepivano in un’ottica statica e conservatrice.

gnava

Le vicende contenute in questi nove capitoli si riferiscono. come già abbiamo detto, al periodo trascorso da Johnny presso la formazione partigiana rossa del tenente Biondo attestata sulle Alte Langhe, nel piccolo paese di Mombarcaro. Si succedono in questi capitoli situazioni e vicende molteplici fra le quali le azioni guerresche. col loro carico di morte, hanno grande parte; e vi fanno la loro comparsa amici e nemici, prevaricatori e vittime. Si muovono sullo sfondo dell’aspro paesaggio delle Alte Langhe figure di partigiani — capi e gregari —, gente di varia provenienza approdata da vie diverse alla formazione del Biondo.

90

E accanto ai militari vi compare anche la popolazione civile del posto, che la presenza partigiana coinvolge nei danni e nei pericoli della guerra: requisizioni, rappresaglie fasciste e tedesche, queste ultime che mettono a repentaglio i loro averi e la loro stessa vita. Non mancano neanche le figure femminili: ragazze che fanno da informatrici e da staffette ai partigiani, e anche pacifiche donne del luogo, intente, in uno strano con-

trasto con questa atmosfera di rischio e di guerra, alle loro faccende quotidiane nelle case o nelle strade del paese, con gesti che, proprio per la loro quotidianità, diffondono intorno una illusoria atmosfera di pace: E dal paese tutto fluiva un brusio normale, letificante perché normale, finendo con suonare

come festivo, data l’epoca e la situazio-

ne. Donne già circolavano, da e per il forno e la fontana, guardavano ed erano guardate dai partigiani con una cordialità sorridente, anche se il loro sorriso era un po’ costretto agli angoli della bocca dal presentimento di ciò che i partigiani potevano da un giorno all’altro costare a loro stesse, ai loro uomini e al loro tetto (p. 449).

Ma su tutti, partigiani e civili, uomini e donne, grava come un

incubo, relegato nel fondo delle coscienze ma non cancellabile, la minaccia tedesca e fascista. Fenoglio la traduce in una fantasia surreale, da dies irae, che per la sua potenza vale la pena di riferire: C'erano a volte allarmi, ma tutti falsi ... Dappertutto, dalla neve, non

rispondeva che il muto grido della inviolata natura. I fascisti avevano ancora altro da pensare, stavano organizzandosi: sarebbero saliti poi, a schiacciarli tutti d’un sol piede, per ora stavano ritirati nella pianura imbottigliata di brume, nella amara febbrilità dell’organizzazione, scattando a volte i brucianti occhi dal grigio esaltante mare delle carte e dei piani e prospetti verso la mirifica alta visione dell’azione perfezionata, i partigiani stesi nel loro gore-sangue, penduli da diecimila rami, la gente strisciante, inginocchiata, agguattata, saliente

da quell’orizzontalità soltanto per il braccio steso nel saluto romano (p. 458).

91

Tralasciando una puntuale e continuata narrazione delle vicende di questa parte del romanzo, che affidiamo alla lettura diretta anche perché traggono il loro fascino maggiore dalla intensità e originalità dei particolari e del linguaggio, ci limitiamo a soffermarci su alcune situazioni e figure che ci appaiono particolarmente significative.

1) L'impatto di Johnny col mondo partigiano Il difficile impatto della giovane recluta col mondo partigiano è motivo ricorrente nella narrativa fenogliana. Accennato sbrigativamente e aproblematicamente in Primavera di bellezza, esso viene svolto più ampiamente e con maggior approfondimento nella parte del Partigiano Johnny che stiamo esaminando e inoltre in un racconto pubblicato vivente l’autore, Gli inizi del partigiano Raoul. Nel racconto lo studente Raoul, a mala pena diciottenne, uno di quei “minorenni” sui quali spesso Fenoglio indugia con affettuosa ironia, decide, all'indomani della conquista e della perdita di Alba, e dunque intorno al novembre del ’44, di salire in montagna, nonostante le trepide resistenze materne; e si presenta a una formazione partigiana di azzurri. che agisce nei pressi di Castino. Ma l’impatto con la banda è per lui sconvolgente. Abituato, nei suoi sogni adolescenziali. a pensare ai partigiani come

a cavalieri purissimi dell’ideale, è addirittura traumatizzato quando si trova davanti uomini comuni, spesso rozzi per origine e cultura, induriti dalle esperienze affrontate, e con lo scherzo e la risata grossi e volgari. Lo stesso mitizzato capo partigiano, colto di sorpresa dal suo arrivo, gli appare davanti

nel non mitizzabile gesto di abbottonarsi i calzoni dopo aver fatto all'amore. Raoul, preso da una sorta di disperazione, infantilmente invoca dentro di sé la madre. e sogna un’immediata

diserzione.

mattina

facilità giovanile

la stessa

Con

seguente

col nuovo

mondo

peraltro

si riconcilierà la

che gli è toccato in sorte,

quando, dopo una notte d’incubo, la sua angoscia si scioglierà in una risata liberatoria, condivisa col compagno che gli ha dormito accanto. Lo stesso tema ricorre, abbiamo detto, ma in forma più complessa e drammatica, nel Partigiano Johnny. Anche Johnny,

partito alla ricerca degli “arcangelici partigiani”’, si scontra con una realtà del tutto difforme da quella che aveva idealizzata. I primi partigiani in cui si imbatte, un gruppo di pochi uomini distaccati per una requisizione, e successivamente gli altri che incontra alla base, gli appaiono tali da respingerlo persino fisicamente, tanto diversi sono da lui, dal suo mondo di civiltà e di cultura (non si dimentichi

fra l’altro il reclutamento

ple-

beo della banda del Biondo): Stava constatando

come ognuno di quegli uomini, suoi nuovi com-

pagni, gli fosse abissalmente interiore per distinzione fisica, proprio come fatti d’altra carne e d’altre ossa (p. 441) e ribadisce: Nessuno era lontanamente della sua classe, fisica e non, a meno che

un giorno o poco più di quella disperata vita animale giunglare non imprimesse su tutti, anche su un genio di imminente sbocciatura, quel marchio bestiale.

Ma soprattutto si rende conto, lui visceralmente anticomunista, di essere capitato in una brigata comunista:

Vide subito le stelle rosse ricucite sui baveri e sulle visiere dei più. E

conclude

amaramente,

col suo

monologo

inglese

dei

momenti intensi: “I°m in the wrong sector of the right side”. Cioè giusta e ineludibile rimane per lu1 la guerra da combattere, sbagliata invece gli appare l’angolatura da cui gli toccherà iau

53

di combatterla. Nella prima notte che passa alla base della formazione partigiana, al pensiero della sua vicenda, si sente vittima di una beffa del destino, e pensa come diversa poteva essere stata la sua sorte: Ma dovevano

esserci

sulle colline altre formazioni,

formazioni

...

“azzurre”, ecco, nelle quali egli non potesse così dolorosamente avvertire lo stacco qualitativo, non aver più motivo a quella superiore diversità che al momento lo angosciava, lo torturava, come nella laida risata di una

nella concreta

frode trionfante.

tenebra, pareva

illuminare

Il suo occhio, radarico

e scrutinare

l’umanità

circostante, inferiore, miserabilmente abbandonata nel sonno plum-

beo. Con questa gente ora gli era in sorte di combattere e ... morire. Se catturato in massa, con questa gente avrebbe dovuto spartire il muro o il greppio e il piombo fascista (p. 447).

La crisi di Johnny non si risolve con rapida facilità come quella di Raoul. Johnny non è fatto della creta facile dell’adolescente

del racconto;

i suoi ventidue

anni sono

passati

per

esperienze che l’hanno maturato e indurito, che lo hanno radicato nelle sue convinzioni. Accetta con un impegno della volontà la situazione che gli si è presentata, pensando che la cosa essenziale è che la guerra partigiana sia combattuta (‘erano partigiani, e questo poteva e doveva bastargli”’), ma si chiude più che mai nel suo duro individualismo, 0, come avrebbe detto Cocito, nel suo spirito da Robin Hood. Saranno

i rischi

che

correranno

in comune,

la morte

in

comune sfiorata e in comune sfuggita, a far cadere il diaframma che lo isola fra i suoi. E proverà allora un’emozione intensa — forse sperimentata a suo tempo in prima persona anche dal-

l’intellettualmente aristocratico Fenoglio — che, allargandogli l’anima, si riflette nel calore della pagina con cui il cap. 24 si conclude: Il cuore-di Johnny s’apriva e scioglieva [si è appena concluso felicemente un rischioso combattimento], girò tutta l’aia apposta per farsi partecipe e sciente d’ogni uomo. Erano gli uomini che avevano combattuto con lui, che stavano dalla sua parte anziché all’opposta.

94

E lui era uno di loro, gli si era completamente liquefatto dentro il senso umiliante dello stacco di classe. Egli era come loro, bello come loro se erano belli, brutto come loro, se brutti. Avevano combattuto con lui, erano nati e vissuti, ognuno con la sua origine,

giochi, lavori, vizi, solitudine e sviamenti, per trovarsi insieme a quella battaglia (p. 482).

2) Due personaggi: Tito e “il Biondo” Durante il soggiorno a Mombarcaro, due soli personaggi riescono a far breccia nella dura scorza del risentito individualismo di Johnny, il giovane partigiano Tito e il “tenente” Biondo, che sono poi, per ragioni diverse, i ‘‘personaggi positivi” di questa parte del racconto. Il diciannovenne

Tito



ma

sono

diciannove

anni

che,

pur non avendo perso nulla della loro freschezza, i tempi hanno reso carichi di esperienza — fa parte del gruppo di partigiani che Johnny incontra per primi sulla montagna. Tito è fisicamente brutto, a prima vista appare quasi repellente: male infagottato in un pelliccione invernale, magro e minuto di figura, porta nei lineamenti del viso la deformante eredità della miseria contadina, che Johnny, nel suo stato d’animo incomprensivo, scambia a prima vista per una sorta di eredità delinquenziale: Come si voltò regalò a Johnny tutta la sua faccia, un testo integrale di sintomatologia criminale lombrosiana (p. 440).

E non meno impietoso è un successivo più puntuale ritratto: Aveva un naso esageratamente minuscolo, ma malignamente pianta-

to nella esagerata infossatura delle occhiaie, la fronte irregolare e bozzosa come divorata dalla piantatura fitta e volgare dei capelli neri e senza lustro, con qualche striscia innaturalmente bianca, repellente come bisce morte dissanguate e imprigionate nel catrame. La bocca era torta e il mento sfuggente (p. 445).

95

Inoltre Tito è incolto, e si porta dietro senza problemi la sua condizione contadina di poco più che analfabeta. Ma la sua mente è agile e sicuro il giudizio. E soprattutto promana da lui una carica intensa, vincente, di simpatia umana, che non si esprime con parole ma coi comportamenti: Da lui fluiva — usiamo l’espressione di Fenoglio — una direttezza, una dryness e cordialità paradossali, da stropicciarsene gli occhi (p. 445).

E il chiuso Johnny ne è conquistato. L’intesa istintiva si radica via via nella comunanza di alcune convinzioni: Tito ha, come Johnny, una natura fondamentalmente anarchica, e guarda ai capi, alle ‘“gerarchie”’, con ironica diffidenza: Johnny notò che Tito pronunciava i gradi con una ironia scortecciante eppure sommamente indiretta (p. 449).

Come Johnny, anche Tito non approva la strategia militare dei capi, che giudica inadeguata alla guerra partigiana. Alla tattica di posizione (occupare una posizione, arroccarvisi e cercare di tenerla salda) che i capi partigiani, sia rossi che azzurri, si ostinano a perseguire mentre è adatta solo ad eserciti regolari numerosi e bene armati, il ragazzo contrappone, come Johnny-

Fenoglio, l’ideale di piccole formazioni mobili, presenti ovunque e ovunque sfuggenti, tali da potere, anche in carenza di

armi e di uomini, disorientare l’avversario. Dal dialogo fra Johnny e Tito esce un vero trattato di tecnica della guerriglia: Qui si formano le guarnigioni come nell’esercito regolare, qui si tiene conto dello spazio occupato, come nella guerra del 15. Pazzi male-

detti, giani anche fermi,

ci faranno morire tutti per la loro maledetta pazzia! I partisono l’opposto diametrale dei reparti regolari, lo capirebbe un bambino. Dobbiamo inapparire, agire e risparire, mai sempre ubiquitous, e pochi e mai in divisa. Dobbiamo sape-

re compiere il sacrificio della divisa, ma vaglielo a far capire! Ora vedrai che carnevale di divise. Dobbiamo dare la puntura alle spalle

96 e svanire, polverizzarci e tornare alla carica alla stessa misteriosa maniera. I fascisti superstiti debbono avere l’impressione che i loro morti sono stati provocati da un albero, da una frana, da ... un’influenza nell’aria, debbono impazzire e suicidarsi per non vederci

mai. Invece no: pazzi maledetti, formano la guarnigione regolare e sognano il giorno in cui le cose staranno in modo da consentire le parate (p. 451).

E, soprattutto, Tito non è comunista. una

formazione

comunista

E’ capitato per caso in

e, a differenza

di Johnny, ci rima-

ne senza farsene troppi problemi. Alla domanda di Johnny: “Tu sei comunista, Tito?” Io no — risponde —. Io sono niente e sono tutto. Io sono soltanto contro i fascisti. Sono nella Stella Rossa perché la formazione che ho incocciata era rossa, il merito era loro di averla organizzata e d’averla presentata a me che tanto la cercavo (p. 446).

Tito morirà in un’imboscata fascista in un’azione di routine che sembrava senza rischio e senza importanza. E al suo cadavere verrà data sepoltura vicino al campo partigiano, nei luoghi dove ha vissuto l’ultima parte della sua breve esistenza. Nel passo fenogliano la sua figura, avvolta nel lenzuolo-sudario, esposta ai compagni durante il mortorio in una specie di rito primordiale, assume una trasfigurazione epica che colloca il piccolo e brutto partigiano contadino accanto agli splendenti eroi del passato classico, in una dimensione di eternità. Ma sul suo viso quasi di bimbo, come sul viso di tutti gli adolescenti che la morte in guerra ha prematuramente ucciso, sembra ancora resistere il desiderio di una giovinezza non vissuta, che rifiuta la morte: Tito era chiuso nel lenzuolo [...] chiuso ermetico, come un morto

in montagna o in mare. Nella portata alla chiesa il Biondo lo scappucciò, lo scoprì fino alla cintola. He sailed in front of Johnny: ci vide un sigillo di eternità, come fosse un greco ucciso dai Persiani due millenni avanti. Profonda era l’occhiaia, la pelle già ridotta a pura fremente cartilagine, sentente la brezza, e la bocca lamentava l'assenza di baci millenari (p. 492).

L’altro personaggio della simpatia e della solidarietà fenogliane è il “tenente Biondo”. Si trattava nella realtà di un ex tenente dell’esercito, tale tenente Rossi, uno dei primi organizzatori delle forze partigiane nelle Alte Langhe. Nel racconto fenogliano il Biondo non è ufficialmente il capo del gruppo, dato che al di sopra di lui sta un graduato superiore, il capitano Zucca, e che il campo decisionale in ambito non militare è parzialmente occupato dal commissario politico Nemega; ma è il capo effettivo în re. Scrive uno studioso di storia militare, Lucio Ceva, che in ogni formazione partigiana, anche se altri avevano cariche di comando, il vero capo era uno solo, vero nel senso che era quello che gli uomini avevano scelto. Non che,

tranne eccezioni, lo avessero eletto. Ma era quello che si era imposto per prestigio, che aveva rivelato la sua qualità di capo di uomini, quello cui erano riconosciute certe doti di coraggio, di capacità militare, di maturità, quello che, se c’era una fatica era il primo a com-

pierla, che si collocava nel posto più pericoloso, che sceglieva il turno di guardia più scomodo, che quando c’era da mangiare si serviva per ultimo, che si sceglieva il posto peggiore per dormire!.

A questo identikit risponde la figura del Biondo che nel testo fenogliano unisce alla capacità logistica, al tonificante dominio

su se stesso

e sugli uomini, una solidarietà umana

tanto

profonda quanto taciturna e chiusa. A proposito di questo personaggio è necessaria una precisazione e una osservazione. Nel testo di Fenoglio il Biondo non è — come lo fu invece nella realtà — un ex tenente dell’esercito, ma un sottufficiale, un ex sergente: Il tenente Biondo non era certamente un tenente, nell'esercito era, per sua ammissione, un fresco sergente (p. 453).

1 Relazione tenuta presso il “Centro di studi della Resistenza” di Mantova, il 27 maggio 1985.

98

Ci troviamo dunque di fronte a una ulteriore alterazione della realtà storica, che in questo caso ha più che mai una precisa funzionalità nell'economia del romanzo. Attraverso questo personaggio Fenoglio vuole evidentemente introdurre, in un’opera che ha per materia una guerra di popolo, uno di quei ‘“‘capi popolari” — cioè non usciti dalle Accademie o dalle Scuole di guerra, ma riconosciuti capi sul campo dai soldati per le loro doti naturali — che non mancarono nella guerra partigiana, specie nelle formazioni di sinistra dove meno erano confluiti gli ufficiali di carriera dell’esercito, e che avevano i loro grandi modelli nei comandanti ‘popolari’ della guerra antifranchista di Spagna. La vita del Biondo si conclude in quella battaglia di Mombarcaro che disperde la sua banda e segna anche la fine della militanza di Johnny nelle formazioni rosse. E il suo elogio funebre è chiuso nel sintetico commento alla sua morte che è comune a partigiani e civili, e nel quale, in piena assenza di retorica, viene riconosciuta la irriducibile coerenza del personaggio: “Era la sua fine. Prima o poi”. Ma il giudizio su di lui era già stato formulato da Johnny in un

suo

caldo

monologo

interiore,

nell’emozionalità

di un

dopo azione dal Biondo magistralmente condotta: Tu sei solo un sergente, tenente Biondo. Ma hai comandato splendidamente. Eppure non potevamo pretendere che tu fossi un vero capo. Gente sola, e giovane, e malmessa come noi poteva bastarle che tu fossi il capo nel senso di darle il segnale dell’inizio della battaglia. Ma tu, sergente, sei un vero capo. Hai comandato magistralmente (pp. 482.3).

99

L’elogio al Biondo, forse il più alto e il più esplicito rivolto da Fenoglio a un capo partigiano, ci porta alla considerazione che l’anticomunismo ideologico di Fenoglio non gli impedisce l’equità del giudizio nel confronto dei rossi. I suoi criteri di valutazione — come dice giustamente il Ferretti! — ‘‘attraversano con estrema imparzialità gli ‘azzurri’ e i ‘rossi’, privilegiando sempre, nell’uno e nell’altro schieramento, coloro che sanno recitare con più coerenza e grandezza (anche ai livelli più umili) il loro ruolo in una situazione eccezionale ineludibile”. Anzi, si direbbe che cavallerescamente la sua solidarietà vada a volte di preferenza ai rossi perché nella guerra antifascista sono i più svantaggiati: non usufruiscono dei lanci alleati che sono rigidamente destinati agli azzurri, e le armi se le devono conquistare con colpi di mano rischiosi; se fatti prigionieri, è difficile che per loro si possa effettuare qualche scambio, e sono destinati quasi con sicurezza a tortura e morte. Significativo in proposito il racconto Un altro muro, in cui nella stessa cella si trovano insieme due giovani partigiani, un badogliano e un rosso. Mentre il badogliano impreca e si lamenta (e sarà alla fine risparmiato dopo una finta esecuzione), il rosso accetta con coraggio e compostezza il suo destino. Ferma restando la distinzione fra scrittore e personaggio, non è forse fuori luogo pensare a una solidarietà di fondo dell’anticomunista Fenoglio con quel partigiano di un suo racconto che, dopo aver riferita a un amico la morte del commissario della sua banda rossa impiccato dai tedeschi con un gancio da macellaio,

interrogato

da lui se intenda diventare comunista

o

se già lo sia, risponde: Non sono comunista, e nemmeno lo diventerò. Ma se qualcuno, fossi anche tu, si azzardasse a ridere della mia stella rossa, io gli mangio il cuore crudo (7/7 padrone paga male).

1 G. Ferretti, Fenoglio-Johnny contro la solitudine, Atti del Convegno di Alba del 1973, in “Nuovi argomenti”, nn. 35-36, sett.-dic. ‘73.

100

3)

Le azioni militari

Dopo la lunga tregua invernale, verso la metà di febbraio, hanno inizio per gli uomini del presidio di Mombarcaro le azioni armate con il loro carico di morte. Cinque sono quelle decritte da Fenoglio nei capitoli 22-27: due delle quali organizzate a scopo di approvvigionamento, rispettivamente, a Carrù, per svuotare gli ex depositi militari in vista di nuove reclute partigiane da vestire ed armare, e a Marsaglia per il prelievo di tabacco alla privativa locale. Concepite entrambe come innocue e incruente operazioni di routine, si risolvono l’una e l’altra in scontri sanguinosi: la prima in un conflitto a fuoco coi carabinieri del paese, la seconda con un’imboscata fascista nella quale due partigiani trovano la morte, di cui uno è Tito, l’amico di Johnny. La terza è una spedizione punitiva contro il segretario politico di Carrù che tiene la popolazione civile sotto l’incubo di ‘“‘fucilazioni, incendi, deportazioni”; e l’azione si complica inopinatamente per lo scontro del camion partigiano con la macchina di un alto ufficiale tedesco, la cui cattura sarà una delle cause dell’attacco tedesco a Mombarcaro. Infine due azioni di guerra vere e proprie: la prima, una spedizione dei partigiani per respingere i fascisti che si avvicinano pericolosamente al loro presidio e terrorizzano i civili delle abitazioa Mombarcaro; la seconda, l’attacco in forze di tedeschi e fascisti congiunti che sopraffà e disperde la formazione del Biondo. ni sottostanti

Si tratta di scontri in cui i partigiani hanno di fronte un nemico agguerrito, la cui portata in organizzazione e numero Fenoglio non minimizza mai; di scontri quindi ad armi impari, costretti come sono i partigiani a misurare avaramente i colpi delle scarse munizioni. Erano così male armati, erano così disarmati — constata amaramen-

te Johnny — che esisteva un’arma ogni due o tre uomini, se la passavano a turno (p. 467).

101

La situazione si aggrava via via che al gruppo originario si uniscono nuovi partigiani, che si presentano senz’armi: ‘il più attrezzato di loro, commenta ironicamente il Biondo, si presenta con uno scacciacani”’ (p. 474). In un emblematico passo del romanzo Johnny sintetizza questa disparità di armamento in un’immagine: da una parte gli par di vedere gli elmi metallici dei fascisti, dall’altra i domestici e imbelli copricapi, o addirittura le teste nude, dei partigiani: I più fra i partigiani erano a testa nuda, pochi in basco, un paio in passamontagna. Ì fascisti dovevano calcare elmetti, li calcavano certamente; ed ecco che a Johnny, nei preliminari della battaglia, essa si configurava come lo scontro tra gli elmetti e le teste nude (p. 476).

La maggiore di queste azioni militari, la ‘°grande partita” per eccellenza, è l’attacco congiunto di tedeschi e fascisti al presidio di Mombarcaro. E nel romanzo è ricostruita nella sua complessa, orchestrata drammaticità. E’ preannunciata da un

lontano

rumore

di armi, il cui particolare

suono

richiama

al Biondo, quasi premonizione, la tragica vicenda di Boves. Si tratta dell’eco lontana dell’attacco nemico a un’altra formazione partigiana, che cercherà poi anch’essa rifugio a Mombarcaro. Segue la grande attesa carica di tensione. Quindi ai piedi e intorno alla collina del presidio partigiano si snoda la lunga teoria dei camions

tedeschi, i cui ‘diabolici

fanali rossi

e bianchi” fendono i vapori serali. Infine “l’urlo dell’accerchiamento, uno dei più terribili nella gamma umana degli urli’ (p. 513), cui risponde, come nell’imminenza di catastrofi naturali, il disperato latrare dei cani per le cascine: I cani dei pagliai di cresta e di mezza costa latrarono insieme (p. 513).

Le ore successive, in attesa dell’attacco, coinvolgono civili e partigiani. Da una parte i civili che temono con angoscia

102

la rappresaglia che si scatenerà poggiato i partigiani:

su di loro, accusati di aver ap-

Da dentro la disperazione esplodeva. Le donne piangevano

sugli

usci, i bambini dai lettini e dalle culle, gli uomini spallavano nelle viuzze, alla cieca, tutte le cose di casa che tradivano un contatto, un uso partigiano.

Dall’altra parte i partigiani che, dividendosi per gruppi, tentano lo sganciamento. Il gruppo del Biondo, di cui Johnny fa parte, riesce nella notte, attraverso la neve fonda, a superare lo sbarra-

mento dei camion tedeschi e arriva in salvo verso Murazzano, ma per cadere l’indomani all’alba in un’imboscata fascista in cui molti uomini, tra i quali il Biondo, trovano la morte. Per Johnny che, in una specie di sonnambolico stato d’animo, è riuscito miracolosamente a mettersi in salvo, la sconfitta di Mombarcaro segna la fine della sua esperienza coi rossi.

4)

Il paesaggio

Anche in questi capitoli, come del resto in tutto il romanzo, nell’azione si innesta il paesaggio, che viene a costituire come una specie di muto ma significativo comprimario. Rittani invernali, gelidi ma salvifici per i partigiani perché, nel folto del fogliame marcescente che li ricopre, l’occhio del nemico non riesce a penetrare; dirupi dai quali gli uomini si lasciano

rotolare nelle fughe disperate mentre i nemici dal ciglione puntano su di loro le armi; cespi stenti di vegetazione sempreverde dietro i quali si può trovare rifugio. Ma anche grandi “mammelloni” scoperti di colline, o aperte radure dall’impossibile scampo; fango che “tonnelleggia” gli scarponi dei partigiani; neve che attutisce il rumore dei loro passi nei difficili sganciamenti, ma può diventare una trappola mortale perché ne rallenta il cammino, e può trasformarli in pressoché immobili bersagli:

103

La neve, se da una parte rappresentava una sicurezza di cuscinetto, dall’altra significava, comportava la più orrida, la più ferma delle morti. [...] Johnny non poteva scacciarsi dalla mente il racconto del Biondo della morte del primo caduto della brigata, trampling in un campo di neve vergine. [...] Vi si era trovato come un alato nel miele, così sicura preda che quelli avevano addirittura esagerato nello sbagliar mira, lo colsero quando furono stufi del gioco, il suo sangue rosso sulla neve era vistoso (p. 475).

La stessa splendente luce lunare può diventare un mortale pericolo perché rivela e mette in evidenza le figure degli uomini. Così a Mombarcaro il suo apparire nel cielo è atteso con

sgomento

cerchiamento

dai partigiani che si accingono a sfuggire all’actedesco:

Poi Johnny sollevò gli occhi alia luna, veleggiava verso la parte sgombra del cielo, avrebbe in breve luccicato nettamente,

da platinare

il deserto di neve giù verso Murazzano.

Più spesso il paesaggio invernale (la primavera, anche nelle ultime azioni, vi appare raramente, e solo come attesa e speranza, come vita potenziale sotto le chiazze del disgelo) si traduce in atmosfera: un’atmosfera di angoscia e di incubo, che si esprime in un cupo linguaggio metaforico che suggerisce pe-

ricolo e morte. Le colline nella notte sono ‘funeree nella coltre di neve senza più barbagli”, e le chiazze di terra scoperta appaiono come macchie di ‘lebbra arsenicale” (p. 438); la nebbia è un “basso sudario brumoso” da cui emergono a stento case e campanili (p. 438); il buio che sale agli alti greppi ha l’aspetto di ‘un iscampabile agguato”; Mombarcaro, nell’incipiente notte, sembra un’antica barca arenatasi sulla cresta di un monte

“come

sul maroso

di un mare procelloso fermato d’un colpo”

(p. 441), o ha l’aspetto di un paese metafisico, ‘’orribilmente fantomatizzantesi nella notte precipite” (p. 442); a notte,

la chiesa di Mombarcaro alta su un dirupo sembra ‘una più nera nave ormeggiata sulla cresta del nulla” (p. 445); una distesa

104

innevata è “un incubo di desertica desolazione” (p. 517); e il bosco invernale “nella sua truce nudità” ha l’aspetto di ‘un magazzino di forche” (p. 477). E su

tutto

e su tutti

imperversa,

come

una

condanna,

un vento selvaggio. Fenoglio gli attribuisce una gamma di sempre negative qualificazioni: “il vento vilissimo e già pieno notturno (p. 443); “il vento vorticando le bestemmie e quasi i corpi degli uomini”’ (ivi); il vento che ti piega in due a spezzarti “come una barra di ferro” (p. 444); il “vento furente” (p. 448), “la ventosa tenebra delle alte colline (p. 536); “E fuori fischiava eternamente un vento nero” (p. 459); “il vento rapi-

noso” (p. 460).

5)

La morte e il tempo

All’interno e al margine delle dure vicende belliche corrono, legati al personaggio Johnny, due fili emotivi e meditativi: il tema della morte e quello del tempo. Non vogliamo qui riferirci alla morte nella sua concretezza, che è un dato di fatto inscindibilmente connesso con le vicende belliche, ma alla morte come stato d’animo, come inquietudine esistenziale, che fa da controcanto, arricchendoli, al coraggio e all’impegno d’azione di Johnny. Ricordiamo alcuni momenti particolarmente indicativi di questo intenso paesaggio interiore, che è del nostro personaggio e che verosimilmente fu anche del partigiano Fenoglio.

La morte è a volte intesa come destino che la guerra accelera, ma anche come estrema ingiustizia, perché saranno altri, gli immeritevoli e gli immemori, a cogliere i frutti della nostra morte: Noi moriremo di questi errori [gli errori tattici dei capi] — dice Johnny — ... Io ... già d’ora sono convinto che la cosa migliore sarà di uscire vivi. Ma siamo talmente al principio, e la fine è così lontana, che nessuno di noi la vedrà.

105 Era, ciononostante, sessualmente malinconico pensarsi morti, sepolti in un cantuccio di quella immensa collina, mentre fuori nella scoppiettante primavera i successori, gli immemori, disparaging maybe, trionfanti successori, in altre divise, altre armi, altre menta-

lità, chiudevano i pugni intorno alla vittoria (p. 451).

Morte, anche, come fatalità:

indeterminato presentimento e ineludibile

Johnny pensò che su quella particolar terra, sotto quella universal luna, fra un paio d’ore sarebbe stato morto o prigioniero (p. 515). Viaggiavano alla morte, senza un voto, senza una preghiera (p. 521). E, anche, morte come tentazione. Nel cuore dell’accerchiamento, al pensiero di Johnny torna il morto Tito, come uno che finalmente è in pace: Johnny sighed, noisily in the dead silence; pensava a Tito, che l’aveva già fatto, che era fuori dell’accerchiamento, pur giacendone nel cuore ... era poi tanto difficile? (p. 516).

Infine, ed è questa la dimensione più singolare, la morte come tragico ma giusto pareggio nel libro mastro dell’esistenza. Un pareggio che assolve chi è costretto a dare la morte perché a sua volta è destinato a ricevere morte. Davanti al primo nemico ucciso dai suoi, e della cui uccisione ha accettato la logica, Johnny pensa di se stesso che la sua partita è ora aperta a suo debito,

e che la sua

morte,

se verrà, sarà il ristabilirsi

di una

giustizia: Ora poteva essere ucciso, perché aveva già ucciso. pur se la raffica l’aveva fatta il Biondo:

era triste, ma

tonico essere del tutto nella

partita, con un conto. non essere più sentito né sentirsi più vittima (p. 472).

A sua volta, la dimensione del tempo cui qui ci riferiamo non è cronologica e oggettiva, ma soggettiva e psicologica. Più volte l’enormità delle vicende vissute e compiute dilata per Johnny la dimensione temporale, e proietta il presente, o il recente passato, in un passato remoto o remotissimo. Nascono così i suggestivi motivi di vicinanza-lontananza che non di rado si incontrano nel Partigiano. Nel capitolo 25°, Tito è morto in un’imboscata

fascista dalla quale Johnny e un compagno si sono salvati con una corsa precipitosa, sul discrimine fra la morte e la vita. Quando in una sosta della fuga il pensiero dell'amico appena morto torna alla memoria di Johnny, le emozioni ne hanno distaccata da lui l’immagine, l’hanno rimandata indietro nel tempo: Allo Johnny si ricordò di Tito, e lo pensò, ma come un morto mol-

ti secoli fa (p. 490). Più tardi, davanti al funerale e alla tomba di Tito, si rende conto che il drammatico e terribile vorticare della guerra renderà perpetua questa remotezza temporale: Tito fu rapidissimamente calato e rapidamente interrato. E guardando alla tomba fresca, Johnny si disse che, per quanto presto la guerra finisse, quella tomba fresca gli sarebbe sempre rimasta lontanissima, come a un altro polo (p. 494).

Analogamente, al capitolo 27°, a poche ore dalla conclusa azione di Mombarcaro, a Johnny — che è passato attraverso l'accerchiamento, la fuga, l’imboscata fascista, attraverso la morte del Biondo e il rischio della propria morte — l’ “ieri” di Mombarcaro appare a un tratto remoto di secoli. Perciò, quasi stranito e a fatica riconosce nel ragazzo che gli chiede la

strada una delle ultime reclute del Biondo:

107

Ora lo ricordava, apparteneva il ieri di Mombarcaro (p. 525).

sì, ai vecchi

secolari giorni che fu

Del resto questo meccanismo psicologico èIS dichiarato esplicitamente da Fenoglio nel cap. 28, quando Johnny, scendendo verso le più basse colline alla ricerca di una banda azzurra,

scorge

a un tratto, da una sella fra i monti, il panorama

della sua città. ‘“La città episcopale — il suggestivo movimento stilistico ci richiama al Joyce dei Dublinesi — giaceva nel suo millenario sito, coi suoi tetti rossi, il suo verde diffuso”. E Johnny al vederla sente di lei una nostalgia che travalica la misura temporale della sua assenza, perché il tempo della sua assenza è stato dilatato dall’eccezionalità sconvolgente degli eventi intercorsi: La nostalgia della città lo travagliava ferocemente. Ne era via da poco più di tre mesi; statole lontano forse trenta chilometri in linea d’aria, ma in quell’assenza e in quella distanza aveva combattuto ed ucciso, visto uccidere ma come per diretta personale uccisione. ed aveva corso almeno tre rischi di morire ed esser sepolto lontano da casa (p. 529).

6)

Illinguaggio

Anche per questi capitoli richiamiamo l’attenzione alcune singolari forme del linguaggio fenogliano.

su

1)

Verbi coniati ex novo da sostantivi o da aggettivi: AI compagno di corriera di Johnny la barba di parecchi giorni gramignava le solide guance (p. 438): la scoperta si enormizzò per Johnny (p. 445): era la lenta forcipata nascita della coscienza fiscale ecc.? (p. 457); la vita del capitano Zucca, che scende sistematicamente in città per arruolare forze partigiane. è trabocchettata (p. 459); il commissario Nemega appare

sull’uscio inconsistentizzato ed insieme appesantito (p. 461): Johnny si sente sporco e malesserato (ivi); gli enormi depositi

108

che i partigiani vanno a saccheggiare erano nanifacenti gli uomini che stavano accanto ad essi (p. 469); analogamente i fascisti appaiono nanizzati dalla distanza (p. 481); gli stessi, nella luce crepuscolare, ne appaiono ce/lofanati (ivi); il cappotto di agnello botolava, cioè rendeva simile a quella di un tondo cagnetto (botolo) la magrissima figura di Tito (p. 485); dalla distesa davanti ai partigiani non fungarono elmetti, cioè non comparvero elmi fascisti fitti come funghi (p. 480); le scarpe di Johnny fonnelleggiavano, cioè pesavano tonnellate per il fango da cui erano avvolte (p. 487); sotto la fronte del Biondo gli si vedeva il cervello, nella difficile scelta di una via di scampo, acrobatizzare con le probabilità (p. 518); il sole brillantava le divise dei partigiani (p. 449). 2)

Sintetiche forme composte:

Vita animale-giunglare: l’espressione fonde insieme con la dimensione animalesca quella del selvaggio (giungla). A volte le parole sono italo-inglesi: i partigiani stesi nel loro gore-sangue (gore = sangue, nel senso di sangue sgorgato dalle e rappreso sulle ferite; cfr. il lat. cruor e l’ital. cruore). Qui specifica visivamente l’immagine del sangue. A proposito di accostamenti di lingue straniere si veda quello trilingue di p. 461: la neve cedevole era no carpet per l'asprissimo pavé.

3) Aggettivi e participi aggettivali ricchi di metaforiche valenze suggestive:

La

nebbia

nebbiose

danzava

discinta

e sensuosa

(p. 512);

le pianure

e fiatanti (p. 468); la nebbia otturante (p. 475); i va-

pori sfilacciati (p. 476); Mombarcaro nella notte appare a Johnny un “lazzarico paese” (lazzaro = lebbroso), gli suscita cioè sensazioni angosciose e repellenti (p. 439); l’enormità della distanza psicologica fra Johnny e gli altri partigiani che gli stanno fisicamente vicini è continentale (p. 447).

109

4) Metafore di gusto barocco: Johnny che non riesce ad addormentarsi, spera che gli sopraggiunga una spossatezza che finalmente lo immerga nel sonno: ma la spossatezza, annunciata da tanti araldi, non scese schierata in campo, ecc. (p. 448); i partigiani, ormai a corto di armi, cessano di sparare contro i fascisti e si ritirano in fuga: “Gli uomini scrambled to feet come sopra un terreno elettrizzato, sparando uno sguardo frenetico al fronte fascista, l’apparizione di un elmetto non più bersaglio, ma tromba di fuga” (p.

480). 5) Ritratti fortemente

caratterizzati

attraverso

l’efficacia lin-

guistica:

Spesso

sono fissati mediante la esasperata caratterizzazione di un particolare fisico; nei primi due casi che seguono, rispettivamente dall’accento dialettale e dal timbro di voce dei due personaggi. La stretta sicilianità del partigiano in cui si imbatte Johnny al suo primo arrivo in montagna si esprime nel suo accento e si traduce in un arditissimo ed efficace paragone: Gli diede il chi va là ed il fermo là, con un accento così disperatamente

siciliano,

liberantesi

dai suoi denti come

dalla meccanica

stretta di una macchina per maglieria (p. 439).

... protestò il siciliano, più che mai le parole uscendogli di bocca, come da una gualchiera, il discorso come lacerato dalla dentiera di una macchina (p. 440).

Il commissario politico comunista Nemega, sul quale si appunta l’ironia graffiante di Johnny, ha una voce “brillanti nata, birignaosa della quale si compiace libidinosamente” (p. 454).

110

6) Richiami biblici e classici che si traducono in un'immagine o anche solo in una parola: Il vecchio contadino cui viene requisito un vitello sta abramicamente seduto fra le donne della sua famiglia patriarcale (p. 457). Un duplice riferimento biblico, all’arca di Noè atterrata sul monte Ararat, e alle onde del Mar Rosso schiuse e fer-

mate da Mosè per consentire il passaggio degli Ebrei, è visibile nel passo già da noi riferito in cui Mombarcaro è paragonato a una antica barca arenatasi sulla cima di un colle simile a un maroso di colpo immobilizzato (p. 441)!. La mitragliatrice, l’unica posseduta, e tenuta dai partigiani con cura quasi devota, durante un combattimento è collocata in posizione centrale e preminente, ‘‘parente più un palladio (cioè una simbolica garanzia di salvezza come per i greci la statua di Pallade Atena, o palladio) che un'arma”. A volte il richiamo classico è in funzione ironica di contrasto con la mediocrità delle situazioni e dei personaggi: il tranquillo e burocratico maresciallo Mario, preposto alla sussistenza della formazione del Biondo, è il possessore di uno sten cui i partigiani ambiscono, ma non lo cede e neppure lo presta per ragione alcuna al mondo: Sebbene non l’usasse, nemmeno lo prestava, e non si poteva neppure sperare di sottrarlo al suo cadavere. Se sì, ci sarebbe stato un omerico carosello intorno al suo cadavere nient’affatto achilleo ecc. (p. 456).

1 Ecfr. in proposito G. Falaschi, L'isola, îl calendario, i due libri mastri, in “Atti dell’incontro di studio su B. Fenoglio” (Lecce, 25-26 nov. ’83), Olschki, Firenze, 1984.

IRici

Il terzo blocco narrativo (capp. 29-56)

1) L’arruolamento di Johnny nelle formazioni badogliane Johnny si è ormai lasciata alle spalle l’esperienza presso i rossi, e si arruola nelle formazioni badogliane. Ma il periodo coraggioso e tragico di Mombarcaro lo ha segnato dentro. Più volte, nella nuova esistenza e fra i nuovi compagni si troverà a ricordare le vicende e i compagni d’allora: nel silenzio anelava indietro per i giorni déracinés di Mango, e più di Mombarcaro (p.666);

dopo aver compiuto la sua prima azione militare con gli azzurri, gli ritorneranno alla memoria, come momenti irripetibili e incancellabili, le battaglie combattute col Biondo e con Tito: Ora non provava il sollievo che pensava dovesse dargli ogni battaglia; era tutto disperatamente diverso da quel gelido giorno di irradiato sole col Biondo e con Tito (p. 561);

gli aeroplani inglesi diretti alle Alte Langhe gli faranno pensare alle tombe del Biondo e di Tito, turbate dal loro ‘‘infocato re-

spiro”: era affondato a pensare come l’infocato respiro di quei bassi, tanto bassi aeroplani stesse scuotendo la pace e l’erba sulle tombe di Tito e del Biondo (p. 721).

112

L’ingresso di Johnny nelle formazioni badogliane acquartierate sotto il paese di Mango, nelle Basse Langhe, dove ha sede il comando azzurro di Nord, è ben lontano dall’essere traumatico come quello nelle formazioni rosse di Mombarcaro. Johnny trova coi nuovi capi e compagni sostanziale analogia di civiltà, di costume e di cultura: trovò nel nuovo ambiente almeno un comune linguaggio esteriore, una comune affinità di rapporti e di sottintesi, un poterci stare insieme non soltanto nella non necessitante battaglia, ma più principalmente nei lunghi periodi di attesa e di riposo (p. 540-1).

Eppure neanche questa volta Johnny riesce ad identificarsi del tutto con l’ambiente: ‘Johnny era un altro uccello in questo stormo”. Fra lui e gli altri esistono differenze meno vistose certo, e più sottili, ma non meno profonde, di quelle che ne avevano fatto un isolato fra i rossi di Mombarcaro. E si esprimono, fin dall’inizio del capitolo 29, nella non celata ironia con cui il nostro personaggio prende da loro le distanze. I capi badogliani, signorili ed eleganti, dai buoni studi e dalle buone maniere, per lo più ex ufficiali dell’esercito, sono legati, imbalsamati addirittura anacronisticamente, nel culto di antichi miti che in Johnny sono stati ormai intaccati dall’esperienza: essi ranked con fin eccessiva evidenza dal Regio Esercito, mentre i garibaldini facevano del loro acre meglio per scostarsene radicalmente; il fatto si era che i capi badogliani, eleganti, gentlemanlike, vagamente anacronistici, consideravano la guerriglia nient'altro che il proseguimento di quella guerra antitedesca di cui la disastrosa fretta dell’8 settembre non aveva permesso la formulazione dettagliata (p. 539).

In ambito politico poi, i capi badogliani sono “vagamente liberali e decisamente conservatori”’; e questa etichetta politica si riflette anche

sulle loro formazioni.

Ma, si badi, si tratta solo di

un'etichetta

cui il loro reale modo

di sentire non corrisponde

113

del tutto, perché in genere sono mensione politica:

completamente

sordi alla di-

la loro professione politica, bisogna riconoscere, era nulla, sfiorava pericolosamente il limbo agnostico, in taluni di essi si risolveva nel puro e semplice esprit de bataille (p. 540).

Troppo, anche per un animale non politico come Fenoglio. Saldo e indiscusso peraltro il loro antifascismo, che è “integrale, assoluto, indubitabile”’, e che costituisce, oltre alla civiltà delle forme, il vero punto di aggancio fra loro e Johnny. La superiore formazione militare che hanno avuto nelle Scuole di guerra, non impedisce agli ufficiali badogliani di commettere gli stessi errori tattici dei rossi, quegli errori già denunciati da Tito ai tempi di Mombarcaro; concepiscono la guerra partigiana come una guerra regolare, con uomini regolarmente addestrati e inquadrati, con presidi fissi e autonomi l’uno dall’altro, ignorando le leggi della guerriglia: Ed in tutti regnava una lancinante nostalgia ed inclinazione alla regolarità, una dolorosa accettazione di quella irrimediabile irregolarità per la quale non era possibile schierarsi e combattere nei vecchi cari ed onorati schemi. Per questo forse essi tendevano a fare delle Basse Langhe una vasta isola armata, come un sacrato suolo dove tutto doveva essere regolare, secondo il loro sacro e caro concetto di regolarità (p. 541).

Ovviamente,

non

c’è posto fra loro per uomini

“nuovi”,

autorivelantisi “capi” sul campo: Come capitò a Johnny di sentire in una delle non infrequenti e non troppo amichevoli conferenze tra garibaldini e azzurri, questi ultimi sostenevano

la loro semplici tipi così ti di una

e vantavano

estrazione rossi che imprevisti misteriosa

la loro ufficialità, il grado di istruzione e

sociale, implicitamente svilendo e criticando i si affidavano ciecamente ad operaiacci e ad altri e déracinés da apparire assolutamente i prodotgenerazione spontanea (p. 540).

114

E per il lettore che ricorda la splendente figura del Biondo, questo passo fenogliano si scopre chiaramente e duramente ironico.

2)

Icapiei compagni

Se tutti i partigiani azzurri delle Langhe sono alle dipendenze dell’ex capitano degli alpini E. Martini Mauri, nome di battaglia Lampus, che ha posto il suo quartier generale sulle Alte Langhe, nei territori già rossi, a Mombarcaro, “sulle balze

jemali misurate dai solitari passi di Tito e del Biondo” (p. 552) (ma è personaggio che rimane però alquanto defilato sullo sfondo), il capo per eccellenza, nel romanzo di Johnny, è Piero Balbo, nome di battaglia Nord, ex capitano di marina, operante nelle Basse Langhe già all’indomani dell’8 settembre e solo successivamente unitosi al Mauri. I due ex ufficiali (Nord alle dipendenze di Mauri) mirano a fare delle Langhe — come dice Fenoglio sfumando d’ronia il discorso — una

vasta

isola

armata,

come

un

sacrato

suolo

dove

tutto

doveva

essere regolare, secondo il loro sacro e caro concetto di regolarità.

E sostanzialmente ci riescono, ‘a parte quelle poche ma aggressive e self-affirming enclaves comuniste che per i capi azzurri costituivano contaminazione del suolo sacrato e riservato poco meno che i puntanti reparti nazifascisti” (p. 541). Rapido ma esplicito accenno quest’ultimo alla ostilità, a volte molto dura e tale da compromettere la collaborazione contro il nemico comune, fra azzurri e rossi durante la guerra partigiana sulle Langhe.

Il giudizio di Fenoglio su Nord si bilancia su due versanti: ammirazione

e fascino

da una

parte,

distacco

critico a volte

LES

severo

dall’altra, anche se sostanzialmente il fascino esercitato da Nord prevale. L’eccezionale carisma di Nord, un carisma che si impone ai suoi e persino ai nemici, deriva per gran parte dalla eccezionale bellezza fisica del personaggio, una bellezza maschia e matura da eroe omerico. La sua stessa sfrenata passione per le rutilanti divise, che d’altronde fanno parte del suo potere di suggestione, viene solo sfiorata dall’ironia di Fenoglio, perché esse

sembrano assumere su Nord il significato delle splendenti armi degli eroi classici, di Achille, Ettore, Enea, che sono componenti non secondarie del loro successo di guerrieri. Nord aveva allora trent'anni scarsi, aveva cioè l’età in cui, a un ragazzo appena sviluppato come Johnny, la maturità trentenne appare fulgida e lontana ma splendidamente concreta come un picco alpestre. L’uomo era così bello quale mai misura di bellezza aveva gratificato la virilità, ed era così maschio

come

mai la bellezza aveva

tollerato di essere così maschia (p. 542).

Nord uscì sulla radura. La sua bellezza era solare (p. 597). Nord campeggiava tra la sua guardia e gli ufficiali invitati. Vestiva una tuta, così semplice come Johnny e mai altro avevano visto più semplice, ma la sua bellezza e fasto fisico erano tali che pur in tuta appariva in state (p. 572).

Ed è una bellezza che neppure l'ira riesce a scomporre:

Lo scacco del lancio [il lancio inglese sottratto dai rossi al gruppo di Nord] aveva compresso i suoi lineamenti in una grim, medagliesca bellezza. nella vera attitudine da ricordarlo memorialmente (p. 601).

Ma se il fascino di questo personaggio parte dalla sua bel lezza. si alimenta ovviamente di altri elementi. Nord è un coraggioso: nel drammatico inverno 1944-45, nonostante le taglie messe dai fascisti sulla sua persona, è fra i pochi partigiani che resistono sulle montagne. E all’appuntamento di fine gennaio coi suoi uomini, i non più impeccabili

116

vestiti che indossa portano i segni del durissimo inverno trascorSO: Vestiva il prestigioso cappotto da ufficiale inglese impellicciato di astrakan; ma quanto frusto e guasto, dicendo a prima vista le marce

e i nascondimenti e le salite e discese a stalle e fienili. Sul capo portava con una certa coquetery, il suo berretto da ufficiale di marina [...). Appariva grinzuto e raffreddato, stazzonato dalla testa ai piedi, e Johnny conobbe a prima vista che aveva disperatamente svernato a modo suo, e ne fu lieto e orgoglioso (p. 908).

Ed è un trascinatore di uomini. Si legga il suo discorso ai partigiani convenuti all'appuntamento di fine gennaio, dove speranze per il futuro, memoria di un passato terribile ma che sarà poi splendido da ricordare (‘‘scommetto la testa che ci piglierà una barbara nostalgia di questo tremendo inverno, e piangeremo, sì piangeremo sulla sua memoria”), pathos, scherzo e ironia si alternano con efficacissimi risultati: Echeggiò un evviva selvaggio, da sentirsi da Bormida a Tanaro (p. 909).

Nord alla guida

è inoltre di una

costituzionalmente

organizzata,

ma

un

uomo

pur sempre

di potere:

precaria forza

partigiana, tratta coi nemici da pari a pari, come detentore di un indiscusso potentato militare e politico. Di fronte all’indugio dei fascisti a ritirarsi da Alba, Nord, “inguainato nella sua tuta di gomma nera, con le cerniere cromate:

dominante,

solo, monolitico

e arcano come

un duce as-

siro” (e il paragone suona forza e spietatezza), schiera i suoi uomini sulla cresta della collina dominante la città, e accompagna la minacciosa manovra con un duro ultimatum, come di

generale che già si sente la vittoria in pugno: Gridò, che tutti sentissero: — Dî loro che io scendo con tutti i miei

uomini all'ultimo sobborgo e che se entro le undici non hanno purgato la città io userò tutte le armi perché non esca più uno vivo

(p. 627).

e)

Con l’autorevolezza di un capo di potentato, che rispetta le leggi della diplomazia, offre il salvacondotto, sui territori azzurri come su suoi domini, all’ufficiale fascista perché possa assistere alle esequie del fratello partigiano (pp. 607-8). E un’affermazione di forza e di potere è l’ingresso regale di Nord e di Mauri in Alba liberata: Tutti si distrassero a contemplare la autovettura in cui i due comandanti della Prima e della Seconda Divisione s’apprestavano a entrar la città; una enorme, gialla, guerriera macchina, lampante preda bellica ai tedeschi, con sui parafanghi guardie del corpo armate di Thompson e dietro, sulle immote teste dei due capi, un uomo pillarlike brandeggiava un bren girevole (p. 627).

Ma dell’uomo di potere Nord ha anche i difetti. E’ avido di successi e di affermazioni personali (e a questo principalmente

sarà dovuta

in proprio,

anche

la infelice impresa di Alba); decide a volte su cose gravissime,

senza

consultarsi

demo-

craticamente coi capi minori, che devono poi sostenere il peso delle sue decisioni; è anche troppo disponibile al compromesso politico (cfr. Ur Partigiano Johnny); e soprattutto è sensibile all’omaggio, e anche alla piaggeria cortigiana: tiene perciò intorno a sé una sgradevole corte interessata e servile da cui è lusingato e che lusinga: La guardia del corpo di Nord era odiata e disprezzata da tutta la divisione, così odiosa e cialtrona e poltrona e tracotante, così ben

equipaggiata e superarmata, sche che partigiani poveri feria del grande territorio Nord che le aveva lavishly guard (p. 544).

così onusta di insegne fasciste e tedediavoli avevano conquistato alla peridivisionale e omaggiato al grande capo profused upon his undeserving body-

Sono questi gli aspetti che il puritano Johnny meno può accettare, e che psicologicamente lo allontanano da Nord, così come Nord è infastidito dal puritanesimo di Johnny:

118

Johnny ne aveva abbastanza del quartier generale e anelava fino alla smania per il salubre avamposto di Mango, anelava a Pierre e Kyra. E Nord ne aveva abbastanza di Johnny e di quanti gli somigliavano,

che

lo

dall’abbandonarsi

rattenevano

come

da suo

desiderio e nativa ispirazione ai full plays con la sua guardia del corpo (p. 601).

Non è dunque in uomini come il pur fascinoso Nord che Johnny cercherà i suoi amici, ma nei lontani compagni di adolescenza ritrovati, come Ettore, o in personaggi ‘etici’ come Pierre, l'ex tenente di aviazione preposto al presidio di Mango, la cui intrepida dirittura, che si traduce nel suo fermo e onesto

sguardo, sarà a Johnny di modello: quel suo unico sguardo a disposizione, di lealtà e di quasi interrogativa

serietà,

lo sguardo

con

cui confrontava

Nord

e i fascisti,

la morte e Dio (p. 756);

o anche nel sergente Michele, personaggio per molti aspetti simile al Biondo di Mombarcaro, un siciliano taciturno, coraggioso, responsabile e umano, gran addestratore e paterno castigatore di quei ‘‘minorenni’’ che costituiscono il grosso degli uomini di Johnny. Michele morirà nella difesa di Alba, e lascerà in Johnny un vuoto difficilmente colmabile: Il sergente era prono, la testa sotto il treppiede, la canna della sua abbandonata mitragliatrice pareva abbeverarsi nel fango. Un bimbo poteva conoscerlo morto fulminato. [...] Johnny si tuffò nel fango e nuotò dal sergente. L’abbatiè tutto nel canale, la docilità di quel caro corpo di molti ed antichi digiuni, lo voltò e lo sdraiò

nel fango, una mano sotto la aspra nuca (p. 698).

3) Le vicende

Le numerose vicende di questo terzo blocco narrativo occupano un lungo arco di tempo, dall ‘‘early primavera” del °44 alla fine febbraio del ’45. Sono strutturate intorno a quattro

DIO

grossi nuclei fra loro relazionati:

1) il periodo di stasi, dal mar-

zo all'ottobre ’44, in cui matura il progetto dell’occupazione di Alba; 2) l’impresa di Alba (10 ottobre - 2 novembre ’44); 3) il grande rastrellamento tedesco-fascista che disperde le forze partigiane e colpisce dolorosamente la popolazione civile; 4) il terribile inverno ’44-45, e il successivo reimbandamento.

Marzo-ottobre ’44

Le vicende di questo periodo occupano i capitoli 29-34 del Partigiano Johnny 1. E sono fra i capitoli meno felici del romanzo, affollati di personaggi e situazioni che sembrano fine a se stesse, non abbastanza giustificate né in sede storica né, soprattutto, in sede artistica. Linguaggio a parte, si direbbe che Fenoglio si sia fatto qui condizionare dal gusto minuziosamente cronachistico del neorealismo, e che manchi in questi capitoli quella tendenza a ‘‘costruire’’ coi dati di cronaca una narrazione organica, tendenza che abbiamo visto fin qui quasi costante. Dispersive sono ad esempio figure come quelle del cassiere

divisionale,

del prete

scambiato

per

una

spia fascista e

liberato da Johnny, dell’altro prete che chiede di essere qualche volta esonerato dal fare assistenza ai condannati a morte, del-

l’ufficiale austriaco disertore. del sabotatore Antonio e del guastatore Franco, ecc. Troppo insistita inoltre la descrizione del paese di Santo Stefano Belbo, diventato centro ricreativo per i partigiani rossi e azzurri. Gratuita e anche in sé poco felice l’evasione di Johnny nel sogno, col recupero della sua infanzia sulla spiaggia di Alassio, evasione così lontana da quelle intense riflessioni cui siamo abituati. Lo stesso episodio di Kyra, valido in sé, è quasi un racche non si aggancia sufficientemente col conto autonomo resto del romanzo.

120

Troppo protratta inoltre la polemica fra rossi e azzZuIti, dove peraltro è da notare in Fenoglio l’alternanza di attrazione e repulsione nei confronti delle brigate comuniste. Se Johnny penserà quasi con odio alla possibilità che siano i rossi i primi ad entrare in Alba (Johnny puntò e colse un nevrotico sciamare di forse trecento garibaldini già agitantisi alle prime case della città, pronti a rom-

pere la tregua e a fare il primo ingresso. — Sta a vedere che entrano i primi. Ed io non voglio, non fosse perché mi disgusta quella loro schifosa proneness to propaganda) (p. 626),

è indubbia l'ammirazione che egli prova per le loro forti tempre di combattenti,

come

se qualcosa

si riverberasse

su loro del-

l’antico, severo fascino del Biondo e di Tito: Gli azzurri erano più eleganti e flessuosi, stupendamente atti al bel gesto od al lungo autocritico riposo. I garibaldini avevano nella thoughness la loro principale caratteristica fisica, apparivano più tagliati per la lunga grigia campagna, per lo sforzo pianificato e perpetuo, e soprattutto, con un terrificante aspetto di saper andar oltre quando per gli azzurri tutto era già finito da un pezzo (p. 581).

E una forza selvaggia sente sprigionarsi dal canto russo “Fischia il vento, infuria la bufera” che i garibaldini hanno adottato come proprio: Allora egli [il giovane partigiano rosso] cantò “Fischia il vento, infuria la bufera”, nella versione russa, e con una splendida, colpente voce di basso, il tipo di grande voce che annulla o ridicolizza l’accompagnamento orchestrale. Tutti erano calamitati al podio, anche gli azzurri, anche i borghesi, ad onta dell’oscura ripugnanza per quella canzone così genuinamente, tremendamente russa (p. 584).

Quanto alle vicende militari vere e proprie, è questo il periodo della grande stasi partigiana seguita al rafforzamento delle formazione azzurre pressoché su tutte le Langhe. L’inazione, se da una parte consente agli uomini una confortevole tregua

121

alla tensione

dei

combattimenti,

diventa

però

anche,

via via

che passano i giorni, una specie di ottundente narcosi: Intanto la sicurezza era giunta a un livello narcotico, al punto che

i parenti cittadini dei partigiani giungevano, con domenicale puntualità, in visita regolare familiare, trasformando i reparti in vestiboli di rispettabili collegi (p. 550).

La primavera avanzata e poi l’estate vede i partigiani azzurri e rossi occupati a fare all'amore con le ragazze dei dintorni, a guidare ‘‘ebbramente”, per le strade delle Langhe su vecchie automobili requisite, a frequentare il vicino paese di Santo Stefano Belbo, “il più grosso ed evoluto di tutti i paesi delle Langhe”, una specie di mecca partigiana. E’ una spensieratezza tuttavia sulla quale Fenoglio proiet-

ta ripetutamente la minacciosa ombra del futuro: A quell’innaturale periodo di sicurezza presque borghese seguì un tanto più lungo periodo di orribile e disperata exertion, d’innumerevoli morti e di impensabili atrocità (p. 550).

L’unico vero scontro armato di questo periodo è contro i fascisti di Asti che hanno attaccato il presidio di Mango. I partigiani ne bloccano l’avanzata, ma sono poi costretti a ripiegare sul colle della Torretta, riscattando la loro ritirata con un agguato teso ai camion fascisti sulla via del ritorno. Si va intanto maturando il proposito della conquista partigiana di Alba, voluta come affermazione di prestigio da Mauri e da Nord. Alcune pagine sono occupate dalle ar: Linentazioni di Johnny — argomentazioni militari, psicologiche, politiche — per distogliere i capi da questa impresa che egli giudica pericolosa e inopportuna.

{2

pa

La conquista e la perdita di Alba La vasta estensione del dominio partigiano sulle Langhe spinge dunque i capi delle forze badogliane a tentare l’occupazione di Alba, la città del fondovalle. Scrive il Martini Mauri: Le Langhe sono ormai diventate un paese interamente nostro, un piccolo stato libero nel territorio della repubblica sociale fascista ... Manca solo la capitale ... Guardiamo ad Alba, la capitale delle Langhe. La cittadina ... ci attira inavvertitamente, irresistibilmente! .

L’occupazione delle città del fondovalle ha sempre rappresentato,

durante

la Resistenza,

una

forte

tentazione

per

le

formazioni partigiane attestate sui monti. Il loro possesso offriva indubbi vantaggi: ospedali a disposizione, possibilità di usufruire di piccole industrie cittadine, maggior facilità di approvvigionamenti, possibilità per i partigiani di avvicendarsi al coperto durante i rigori invernali; era inoltre una affermazione di potenza nei confronti del nemico e della stessa popolazione civile su cui ricadeva per buona parte il mantenimento delle forze partigiane. Ma erano vantaggi che presentavano parecchie contropartite, che sono poi sostanzialmente quelle esposte da Johnny a Nord nel cap. 34° del Partigiano. Anzitutto la possibilità, anzi la quasi sicurezza di rappresaglie contro la popolazione civile, fatalmente compromessasi con i partigiani durante l’occupazione, quando questi ultimi fossero stati costretti a ritirarsi; né si poteva pensare che le esigue forze partigiane, povere di munizioni, potessero resistere a tempo indefinito alle organizzate, numerose ed armatissime forze fasciste, spesso appoggiate da quelle tedesche. Si offriva inoltre ai fascisti l’occasione di attaccare i partigiani, asserragliati

1947.

1 E. Martini Mauri, Con la libertà e per la libertà, SET, Torino,

123

in città, in battaglia campale, mentre la tattica partigiana vincente era quella del rapido assalto e dello sganciamento. Infine la probabilità che i fascisti, cacciati i partigiani dalle città, li inseguissero sulle montagne con rastrellamenti di massa per fiaccarne definitivamente le forze. Nel caso

di Alba, nonostante

le ragioni in contrario, pre-

vale comunque la decisione dei maggiori capi badogliani, di Mauri e di Nord, che Johnny accusa di aver agito per ambizione e con leggerezza, e soprattutto di aver deciso in modo autonomo senza tener conto dell’opinione dei comandanti minori, specie di quelli originari di Alba, più direttamente coinvolti nella situazione.

La vicenda

dell’occupazione

e della perdita di Alba (10

ott. - 2 nov. del ’44) è materia di due scritti fenogliani: dei capitoli del Partigiano Johnny che stiamo esaminando e del

lungo

racconto

pubblicato

vivente

l’autore

/ ventitré giorni

della città di Alba. Corrono fra i due scritti evidenti rapporti: non soltanto tematici,

il che sarebbe ovvio, ma anche formali: frasi, espressioni, a volte interi brani compaiono identici o quasi nell’uno e nell’altro scritto, tanto che i critici si sono posti il problema di una loro derivazione reciproca. Ma in quale direzione la derivazione si sarebbe attuata? Dal Partigiano Johnny ai Venti trè giorni, o dai Ventitrè giorni al Partigiano Johnny? La rispo-

sta è legata strettamente alla datazione del Partigiano Johnny che. come abbiamo visto, è tutt’altro che definitivamente accertata; e rimane perciò in giudicato. E del resto non è neppure

fuori luogo pensare per entrambi i testi a una derivazione autonoma da qualche scritto di Fenoglio andato perduto, o magari

124

più probabilmente da appunti presi da Fenoglio durante la Resistenza. Ma nonostante l’analogia, e talora l’identità di alcune loro parti, le due opere risultano sostanzialmente diverse per il taglio dato alla materia e per la tecnica narrativa. Nei Ventitrè giorni l’azione è narrata al passato; la vicenda di Alba si è ormai compiuta e lo scrittore mostra di volerla rievocare col tono imparziale del cronista: Alba la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in duecento il 2 novembre dell’anno 1944.

Una imparzialità peraltro solo apparente, perché in realtà il racconto è percorso da profonde emozioni che affiorano con maggior efficacia proprio perché appena accennate, suggerite rapidamente da una battuta, da una frase, da un aggettivo. Quanto alla tecnica narrativa, nei Ventitrè giorni il racconto si svolge per grandi linee, rapido e sintetico; donde il risultato di una splendida compattezza lievitata dal pathos e dall’ironia. In Partigiano Johnny la vicenda — con esito artistico indubbiamente meno felice — è invece narrata analiticamente nel suo svolgersi, e coinvolge molteplicità di azioni minori, di personaggi, di situazioni. Inoltre il racconto non si propone come oggettivo, ma è legato alla persona, e quindi al modo di sentire e di giudicare, di Johnny. Il quale rimane fino alla fine decisamente ostile a questa impresa anche se, nel momento dell’ingresso dei partigiani in città, non saprà sottrarsi neppure lui a una specie di emozionata ebbrezza: L’ondata toppled and shot forward, sballottando, affogando l’immoto Johnny, al vertice dell’emozione, realising now the true glory di tutto ciò, ad onta delle grige premesse e delle nere futurità. La sua era la prima città libera dell’Alta Italia, l’unica, combattente Italia (p. 627).

125

Era fatta, ecco quello che c’era sotto la lunga, deprimente procedura dello sgombero: la liberazione della città dal fascismo, libertà ed autogoverno, ed una disfatta del fascismo ed il primato nella Italia combattente. E Johnny e Pierre s’abbracciarono all'impazzata sulle acque che gli lambivano i piedi, mentre sul nudo argine gli uomini ballavano al tempo delle campane e hurravano a squarciagola (p. 633).

Ma sarà uno stato d’animo momentaneo; presto lo riprenderà la triste certezza che l’impresa di Alba è destinata a non avere futuro, e che la sua fine amara, col suo carico di sofferenze e di morti, coinvolgerà le precise responsabilità di chi l’ha voluta: Johnny s'alzò dell’olmo con vera, campale gli apparve un gno,

in tutta la sua statura fuori dal riparo del tronco un intontimento che era quello della disfatta. Una disfatta, personalmente lavorata e subita ... E tutto vorticoso sogno, e nulla realtà ... Ma non era un so-

e non era un sogno la morte

di Michele, ed il suo cadavere,

in qualche posto laggiù nei rolling vapori, mezzo sepolto in perfunctory tomba (p. 703).

Vale la pena a questo punto di ricordare che, già nel tempo in cui la conquista di Alba avvenne, non mancarono nello stesso campo partigiano le riserve e i dissensi. Vi si opposero soprattutto, quando ne ebbero notizia, i garibaldini della Bassa Langa, che non erano stati consultati dai capi badogliani e che, come Fenoglio, non trovavano “decente” l’acquisto della città attraverso accordi col nemico che per di più gli consentivano di allontanarsi armato; e inoltre consideravano l’occupazione di Alba un fatto prematuro e pericoloso. Ne è testimonianza un rapporto del CLN — Corpo volontari della libertà — C.do VI Div. d’assalto Garibaldi “Langhe” del 12 ottobre 1944

riferito dal De Nicola, op. cit. p. 99:

126 L’occupazione di Alba avveniva senza che da parte di Mauri c GL si fosse informato né il Comando della VI Divisione, né il Comando della 48% Brigata, come sarebbe stato logico avvenisse nello spi-

rito di stretta collaborazione fra tutte le formazioni partigiane, prima di prendere una decisione di tale importanza. Noi non possiamo che giudicare prematuro questo passo, data la scarsa possibilità di difendere Alba nel caso di un ritorno offensivo del nemico in forza ... Considerato che un forzato abbandono di Alba provocherebbe un effetto politicamente disastroso nei confronti dei partigiani da parte della popolazione, non avremmo certamente aderito al patto ove ne fossimo stati avvertiti in precedenza. Saremmo stati eventualmente del parere di fare un’azione militare in forza su Alba, con l'occupazione temporanea della città e il disarmo del presidio, senza ricorrere al compromesso

di fare ritirare il presidio

stesso con tutte le armi ... Siamo convinti che l’occupazione di Alba ha avuto origine, più da ragioni politiche (e di bassa politica personale) nei nostri confronti che per ragioni militari o ragioni politiche nei riguardi dei tedeschi e degli alleati.

I rossi si acconceranno poi ad unirsi ai badogliani dietro indicazione del PCI torinese che vuole impedire un eccessivo predominio in zona degli azzurri di Mauri. Ma avanzano riserve in proposito anche i gruppi di ‘“Giustizia e Libertà”, che insinuano addirittura il dubbio di inaccettabili accordi sotterranei fra Mauri e i tedeschi. Scrive il giellista Bianco: Quel che rimane per me e per tutti inesplicabile mistero è il fatto che i tedeschi ... lascino che Mauri faccia delle cose come l’occupazione di Alba, mentre a noi non danno pace. Si comincia con

gli “accordi”?!.

UD

Bianco, Guerra Partigiana, Einaudi, Torino, 1954.

IZ,

Le tappe fondamentali della conquista e della perdita di Alba, che costituiscono poi anche la travatura portante della narrazione fenogliana nel Partigiano Johnny, sono le seguenti: A partire dal settembre ’44: ripetuti attacchi partigiani (uno di

essi, guidato da Johnny, è descritto minutamente nel cap. 35°) e sabotaggi notturni al presidio militar-fascista albese, con l’intenzione di minarne la resistenza. Lo inducono così ad abbandonare almeno momentaneamente la città lasciando libero accesso ai partigiani, mediatore del “passaggio delle consegne” il clero locale. 10 ottobre: ingresso dei partigiani in Alba. 24 ottobre: fallito tentativo fascista di riprendere Alba con le armi. Subito dopo: richiesta dei capi fascisti di un abboccamento coi capi partigiani per ottenere una pacifica riconsegna della città. La risposta partigiana è negativa. 2 novembre: attacco fascista in forze; resistenza e sconfitta partigiane. La descrizione della vita albese nei 23 giorni in cui Alba rilibera è in Fenoglio ricca di situazioni, di atmosfere, di personaggi. Ricordiamo alcuni momenti significativi: mane

Fin dalla prima notte dell’occupazione partigiana, è diffuso sulla città uno stato d’animo bivalente, di gioia e anche di timore al pensiero del prezzo che la città avrebbe pagato a una futura non impossibile riconquista fascista: [Johnny] camminava raso alle case come a meglio cogliere l’immurabile loro alito di paura, una paura dell’impresa e del castigo, paura d’aver troppo espresso di gioia e d’approvazione alla luce del sole alle civette’s occhiate delle spie. Johnny marciava, compietando la

sua liberata città (p. 641).

128

E il timore si farà più concreto e pesante via via che si farà evidente l’impossibilità di una lunga resistenza partigiana, e culminerà nei giorni finali: La città appariva come assente a se stessa, la circolazione assoluta. mente

minima,

ogni attività di traffico e commercio

visibilmente

languente, i negozi apparivano aperti ma non per questo accessi bili (p. 677).

Dal canto loro, i partigiani, abituati alla libertà delle colline, soffrono

in Alba

il chiuso

della caserma,

che nella notte

sembra loro una specie di trappola, e preferiscono essere impiegati nella faticosa ma aperta veglia notturna sugli argini. Anche Johnny del resto è ormai del tutto disabituato alla vita borghese di un tempo e si trova nella sua città come uno sradicato. Salendo a casa dei suoi inutilmente cerca di reimmettersi nei gesti del suo passato: Saliva le scale già buie, tentando il suo vecchio passo di pace d’allora, ma invano, la rampa angusta e gli scalini parevano rimbombare ad un alieno passo (p. 637).

E, a parte il caldo affetto

che lo lega ai suoi, nulla trova più

nella sua casa che si confaccia alla sua vita attuale: Andava invano frugando in mente, a memoria, per qualcosa da portar via di casa per immetterlo nella sua nuova vita: ma nulla trovò di necessario, od anche solo di consentaneo (p. 640).

Anch’egli si troverà nel suo elemento vero solo lungo il fiume, coi suoi soldati, nella fattoria Gambadilegno, una grande fattoria patriarcale adibita a postazione per il controllo e la difesa degli argini: un soggiorno quasi idillico finché la pioggia e l’umidità sopraggiunte non lo renderanno intollerabilmente malsano, specie nelle ore di vigilanza notturna. Intorno a Johnny, nel periodo albese, si muovono numerosi personaggi, alcuni della sua passata, altri della sua nuova vita: il padre e la madre col loro carico di affetto e pena:

120

i compagni

della sua giovinezza che, seguendo

versa, si sono

una strada di-

imboscati

in città, e portano nel fisico e nel carattere i segni amari del loro isolamento; figure di capi, come al

solito guardati da Johnny con scarsa simpatia, come quel capitano Fede dall’ “immortale” sorriso stampato sul volto; o gli opportunisti dell’ultima ora, come i quattro ufficiali albesi venuti a presentare i loro servigi al comando partigiano, e che intanto guardano con disprezzo le raccogliticce truppe partigiane. Pierre, ufficiale

di carriera come loro, ma da loro diversissimo per tempra umana, li giudica con severa durezza: Essi hanno calcolato tutto e noi nulla, essi cominciano dalla città noi abbiamo cominciato dalle colline; se perderemo la città noi torneremo sulle colline senza batter ciglio, nella vena del nostro destino, ma essi non lasceranno la città. Si strapperanno d’indosso precipitosamente la loro divisa, maledicendo la loro ingenuità, il loro sentimentalismo, noi che li abbiamo costretti a reindossare

la divisa e che non siamo veri soldati ... (p. 648).

E poi il bizzarro ufficiale della I Divisione dal tono ironicamente salottiero, ma con ‘una malinconica determinazione lucente al fondo dei suoi intelligenti, consapevoli occhi”’. quella determinazione che lo ha indotto a rifiutare il comodo rifugio svizzero consentitogli dal denaro paterno, per combattere la guerra partigiana dove troverà la morte; poi i capi partigiani e fascisti impegnati in un abboccamento simile a una ‘“commedia delle reticenze”; e poi ancora le persone a Johnny più vicine: la gran matriarca della cascina Gambadilegno, Pierre, il sergente Michele, e i ‘‘minorenni’’, cioè i trenta giovanissimi che costituiscono la sua modesta ‘‘armata” (“l’uomo dei minorenni” lo chiamano scherzosamente). Sono questi poco più che adolescenti che dell'adolescenza hanno conservato il carattere felice: la smemorata storditezza. Passano rapidamente e irresponsabilmente dall’angoscia all’allegria, affogano il più cupo timore in sonni profondi e pacifici. se riescono a mettere le mani su qualche vecchia automobile sono della schiera dei

130

“dilettanti, imparaticci e purtuttavia scatenati guidatori partigiani”, non di rado si addormentano nei turni di guardia, spesso nelle azioni militari perdono la testa e sparano fuori tempo, giocano fra loro con le armi fuori sicura; ma sono anche fra i non molti che non lasceranno Alba nel momento della resa dei conti, che sosterranno coraggiosamente l’attacco fascista (per quattro ore, dice Fenoglio nei Ventitrè giorni “quei dilettanti della trincea inchiodarono i primi fucilieri della repubblica”), e a battaglia conclusa correranno

il rischio di farsi uccidere o catturare dal nemico perché indugeranno a ritirarsi “pensando che la città era sì perduta, ma che erano le 14,15 e faceva un mondo di differenza perderla alle 15”.

A partire dal cap. 38° si innesta nella vicenda bellica e ne diventa parte inscindibile un’altra dimensione, la forza violenta della natura. Il Tanaro si gonfia per la pioggia e, minacciando di rompere gli argini, diventa anch’esso un incombente pericolo per la città: ‘la gente smise d’aver paura dei fascisti e prese ad aver paura del fiume”. La pioggia che cade implacabile, e fa marcire la terra e sembra faccia marcire anche le ossa degli uomini, assume la dimensione di un flagello biblico: Il sole non brillò più, seguì un’era di diluvio. Cadde la più grande pioggia nella memoria di Johnny: un liquido rullo compressore, pioggia nata grossa e costante, inarrestabile, che infradiciò le terre, gonfiò il fiume a un volume pauroso [...] e macerò le stesse pietre della città (p. 664).

E, con la pioggia, il fango, simile a castigo di Dio, nel quale i passi dei partigiani si impantanano, che nelle salite fa scivolare a terra i combattenti, che durante le battaglie si accumula sui loro abiti, sulle loro armi, sui loro volti, rendendo gli uomini simili a semoventi e grottesche statue di fango.

131 Il rastrellamento

Secondo il ritmo di diastole-sistole che caratterizza la narrazione nel Partigiano Johnny, alla drammatica tumultuosa vicenda della battaglia di Alba succede un periodo di pace, una pace stanca, figlia della sconfitta, in cui gli azzurri vanno ricostituendo i loro presidi resi smilzi dalle perdite d’uomini durante e dopo Alba.

Anche la violenza della stagione dell’ultimo periodo albese ha ceduto il posto a una tranquilla malinconica estate di San Martino, una specie di indugio della natura prima della morte invernale: C’era un misto di bellezza e dolorosità, e religiosità anche, come nell’ultimo decretato abbraccio con una partente amante. Tutta

la natura aveva un più libero eppur sospeso respiro, come uno stadio di miglioramento avanti il finale declino e catalessi (p. 720). Lo stato di pace è tale da concedere spazio a un episodio quasi amoroso: l’incontro di Johnny con Elda, la ragazza sfollata dalla città. Episodio che peraltro è artisticamente assai modesto. Vale anzi la pena a questo punto di ricordare che la corda amorosa suona poco e male nel Partigiano Johnny: né Elda, né Sonia, né Dea nell’Ur sono figure riuscite; l’unico scritto fenogliano in cui il binomio amore-guerra raggiunga esiti artistici di alta rilevanza è Una questione privata. Se mai, del Partigiano, richiamiamo qui il passo, una specie di istantanea femminile di gruppo, in cui sono ricordate le giovani partigiane del campo azzurro, nelle quali amore e gio-

vinezza proclamano

il loro diritto ad esistere anche all'ombra

della morte:

Esse in effetti praticavano il libero amore, ma erano giovani donne, nella loro esatta stagione d’amore coincidente con una stagione di morte, amavano uomini doomed e l’amore fu molto spesso il penultimo gesto della loro destinata esistenza. Si resero utili, combatterono,

132 fuggirono per la loro vita, conobbero strazi e orrori e terrori sopportandoli quanto gli uomini. Qualcuna cadde, e il suo corpo disteso worked up the men to salute them military. E quando furono catturate e scamparono, tornarono infallantemente, fedelmente alla base, al rinnovato rischio, alle note sofferte conseguenze, dopo aver

visto e subito cose per cui altri od altre si sarebbero sepolti in convento (pp. 541-2).

E’ proprio nella blanda inerzia della natura e degli uomini che, verso la metà di novembre, si scatena sulle Langhe il grande rastrellamento. Johnny, come sappiamo, ne attribuisce la responsabilità all’azione di Alba; e questa fu senz’altro una delle sue cause. Alla quale però ne va aggiunta un’altra; cioè la necessità per i tedeschi di togliere ai partigiani, in particolare agli azzurri, il controllo delle strade che collegavano la Liguria col Piemonte, e che erano loro indispensabili ‘per far affluire uomini intorno alla linea gotica o avvicendarli con altri provenienti dalle retrovie” (cfr. De Nicola, cit.). Un grosso lancio inglese di armi agli azzurri di Mauri, fatto in pieno giorno, provoca l’anticipo del rallestramento già in preparazione, allo scopo di impedire la distribuzione delle armi ai vari dislocati presidi: Quel grande lancio sotto il loro naso non fece che avanzare la lancetta sull’ora X del loro grande attacco, e tre ore dopo il lancio l’artiglieria tedesca aprì il primo grande fuoco sulle colline e la fanteria fascista s’arrampicò verso le superbe linee di Mauri (p. 722).

La complessa rappresentazione del rastrellamento, in cui sulla verità storica di fondo si innestano elementi di invenzione, è costruita su due piani interrelati: il piano esterno, cioè l’azione

133

nel suo svolgimento, e il piano interno, cioè l’azione vissuta dai tre personaggi della storia fenogliana, e cioè Johnny, Pierre ed Ettore (altri due personaggi si aggiungeranno a loro, ma si perderanno per via). Il rastrellamento si svolge in due fasi: una prima, più massiccia azione contro i badogliani, ad opera dei fascisti e dei tedeschi; una seconda, all’inizio di dicembre, ni, ad opera dei fascisti. L’attacco il forte

agli azzurri comincia

distaccamento

di Mauri.

contro

i garibaldi-

nelle Alte Langhe, dove è

Gli uomini

Johnny ed Ettore, che tengono il presidio tono i colpi lontani e ne vedono i primi fuga diretti verso la parte più bassa delle digli predisposti, e che portano notizie di sioni tedesche e fasciste:

di Pierre, tra cui

di Castagnole, ne seneffetti: contadini in Langhe o in nascondevastazioni ed ucci-

(Sî, certamente hanno ammazzato una quantità di partigiani, e forse anche qualche civile è stato preso e impiccato ... — Grande il numero delle case e delle fattorie e dei granai incendiati, lassù il cielo era tutto affumicato, ed enorme la quantità di bestiame asportato, da viverci su loro abbondantemente per tutto l’inverno) (p. 729);

partigiani che disertano, ricreando intorno un’aria da 8 settem-

bre: Ettore notava

come

tutto questo, su scala minima, rassomigliasse

al giorno dell’armistizio (p. 730). Quindi l’ultima

telefonata

con

Nord,

che li esorta a spo-

starsi alla Cascina della Langa, e il viaggio dei tre, e degli uomini che hanno accettato di seguirli, verso la Cascina, in un paesaggio mortuario e spirante presagi mortuari: un vento sinistro, come nascente da un camposanto di collina, sof-

fiava a strappi (p. 732).

134

A questo punto entra nel romanzo, e vi ritornerà più volte fino alla fine, una singolare figura, la padrona della Cascina della Langa, una specie di barbarica regina contadina, gran vivandiera dei partigiani perché li ama, ma anche perché è avida del guadagno che gliene proviene, sprezzante del pericolo, capace di fronteggiare persino i fascisti, che, dopo averla arrestata, sono costretti a rilasciarla. La padrona era una delle più forti e audaci e cupide donne delle colline, e dava da mangiare alle squadre e brigate in transito, e alla

fine d’ogni mese presentava il conto a Nord, che sempre pagava al centesimo. E lei li avrebbe ospitati e nutriti anche coi tedeschi salienti per il sentiero, e i fascisti sbucanti nella sua propria aia (p. 133). Si tratta di un personaggio reale, che veramente ospitò Fe-

noglio nella sua cascina sul cucuzzolo di un colle, dove viveva con la famiglia; e i fascisti la portarono via insieme con una figlia. Ma Fenoglio, con felice intuizione artistica, ha fatto intorno a lei il vuoto di ogni legame familiare, e l’ha rappresentata sola, nella sua casa isolata e circondata da boschi, difesa da una cagna lupa, feroce contro gli estranei come un mostro mitologico, ma cameratesca e giocherellona coi partigiani dei quali diventa una specie di compagna. I partigiani pernottano dunque alla Langa; ma l’indomani mattina, mentre, richiamati da un fragore di armi (‘‘Quando tutte le armi — un mondo di armi — andò a fuoco nella valle

del Belbo” ecc. p. 736) guardano sgomenti dall’alto l’attacco tedesco e fascista contro Castino, li sopraggiunge all’improvviso un’avanguardia tedesca, e si salvano disperdendosi in fuga. Da questo momento comincia contro di loro la grande caccia. La fuga porta i tre amici, con corse sfiancanti, da una collina all’altra, da un declivio all’altro, da una cima all’altra, senza meta, o meglio con l’unica mobile meta di sfuggire ai rastrellatori che sciamano ormai su tutte le colline e ne controllano

135

ogni metro quadrato coi binocoli. E intanto li colpiscono visioni e suoni di morte: paesi bruciati, fucilate di plotoni di esecuzione. Non è possibile al lettore seguire il disperato cammino dei fuggiaschi, tante sono le deviazioni, i ritorni sui loro passi, le

soste nei luoghi più rischiosi e più ardui, le riprese della fuga dopo i brevi e gelidi riposi, nell’affannosa ricerca di un varco libero per raggiungere la Bormida, il fiume che fa da confine alle Langhe e al di là del quale c’è la salvezza. Fenoglio stesso, in una lettera al generale Ghiacci, il Pierre d’allora, dichiara di non essersi preoccupato di disegnare l’esatto itinerario della corsa disperata, ma di aver cercato di renderne la terrificante suspense, l’angoscia per la sopravvivenza. ‘Ci metto — scriveva all'amico — anche qualche collina in più, ma devo ottenere l’effetto incalzante e senza respiro del rastrellamento”. E perciò, sempre

secondo

la testimonianza

di Ghiacci, volutamente

avrebbe tracciato nel racconto una rotta più confusa di quanto fosse stata nella realtà, tanto da rendere pressoché impossibile localizzare i posti anche a chi li conosceva. La fuga dura due notti e tre giorni, senza cibo, quasi senza sonno, col gelo notturno che rimane nelle ossa, in una atmosfera allucinata (donde la presenza di vocaboli come “stregato”, “streghesco”’), popolata da presenze grottesche e macabre, come il viso del servo idiota che li individua da una fattoria e a gran voce cerca di denunciarli ai fascisti. In contrasto con l’affanno della loro fuga è la tranquilla e quasi ilare sicurezza dei nemici, che si sentono forti del loro esorbitante numero e armamento: E giù per la soleggiata strada principale della collina già riscendeva una parte degli attaccanti, in ordinati plotoni e compagnie, i più senza elmetto per sollievo e tregua, cantando o celiando, e li segui

va un’interminabile teoria di gruppi e carri di bottino e cattura ... Stavano impartendo una vera e propria lezione di rastrellamento, ed essi avrebbero portato la lezione nella tomba (p. 742).

136

E intorno agli uni e agli altri il paesaggio delle Langhe, non già grembo materno, ma arena impassibile e indifferente alle contese sanguinose degli uomini. Finalmente, nell’incombere della terza notte, l’arrivo dei tre al fiume, il traghetto, il riaggancio con la normalità dell’esistenza nella serena fattoria d’oltre Bormida che li accoglie. Spuntate lame di luce uscivano dalle finestrelle e con esse uscivano sognosi suoni e rumorini di cena, di riposo e godimento di famiglia, che avevano per essi un’implicazione d’altro mondo (p. 776).

Il coinvolgimento quasi casuale dei tre nel rastrellamento del dicembre che ha per scopo la distruzione delle bande garibaldine è narrato da Fenoglio secondo lo stesso schema del precedente: sorpresa, fuga disperata con rischio di morte, salvezza finale, questa volta nell’ospitale Cascina della Langa dove i tre si ritrovano. Con l’aggiunta di un tema nuovo, che a un certo punto diventa campeggiante, quello della solitudine. Fuggendo, Johnny a un tratto si accorge che gli amici non sono più con lui. Allora li pensa morti e lo prende la disperazione dell’essere ormai solo: Sono solo, solo, solo, e tutto è perduto e finito (p. 791).

E gli sembra non abbia più Soltanto la sua volontà

che tutto, anche senso.

la guerra

che sta combattendo,

con uno sforzo sopra di sé riuscirà a riaffermare

di non arrendersi, una volontà di lotta contro le forze avverse del destino, che ha un chiaro significato morale:

137

Ma

non

l’avrebbero

catturato:

una

orgogliosa, grande calma

lo

stava invadendo, possedendo, anche dall’esterno adattandoglisi attillatamente come una lucente corazza di forza e di invulnerabilità (p. 793).

L’inverno 1944-45

I rastrellamenti del novembre e degli inizi di dicembre hanno praticamente disfatta l’organizzazione partigiana, hanno addirittura messo in crisi — dice Fenoglio — “la stessa natura e possibilità del partigianato”’.

Così agli occhi di Johnny, di Pierre e di Ettore si presentano i luoghi un tempo fervidi della vita dei loro presidi: La diserzione e la vacuità delle grandi colline era tanto lampante da ferirne gli occhi: i fascisti li avevano ridotti da parecchie migliaia a poche centinaia. Quanto a queste migliaia, pensava Johnny andando, dove avevano preso rifugio e nascondiglio? La terra doveva averli inghiottiti. Anche Castino, l’antico Gran Quartiere Generale, ora stava vacuo e squallido, come mummificato nel suo ciglione calcinato, spoglio d’erba. Tutto cancellato: i quartieri, i posti di blocco, le linee telefoniche, le linee di conduzione elettrica ... tutto cancellato. Quella ultraviva, colorita blatant vita ribelle letteralmente sra-

dicata (p. 798). I contadini, un tempo amici dei partigiani, ora sono com-

battuti fra l’antica solidarietà e il timore di rappresaglie, reso più grave dalla convinzione che spie fasciste travestite si aggirino per le Langhe. Dello stesso Nord sembra essersi persa la traccia; lo splendido e amato Nord è diventato nella fantasia popolare una specie di errante figura mitica che solo nella lontananza e nella fuga può trovare salvezza: Dicono

che viaggia nelle Alte Langhe, viaggia giorno e notte senza

fermarsi mai (p. 798).

138

Il proclama

del generale

Alexander

infine (13 nov.

’44)

che esorta i partigiani a un assurdo rientro nelle loro città e nelle loro case, lasciando intendere che per tutto l’inverno gli alleati non faranno lanci di viveri né di armi, suona per le forze partigiane come una specie di campana a martello. Anche i più pacatamente razionali dei personaggi del nostro racconto non sanno sottrarsi a cupe previsioni mortuarie: Vedo un futuro nero e breve, il più nero e breve possibile — conclude Pierre —. Restiamo uno per collina ed i fascisti lo sanno, e ci sistemeranno molto presto. Cinque o sei della grande guarnigione di Alba verranno su per la collina e spacceranno l’uno di noi su di essa. Così saremo tutti morti prima della primavera (p. 796).

Sono quasi le stesse parole dei due partigiani provenienti dalle Alte Langhe che portano sul viso e nella persona i segni di una lunga angosciosa marcia: Spadroneggeranno per tutto l’inverno, e noi non ci sveglieremo mai in un mattino di questa primavera (p. 797).

Quando Nord finalmente riappare, concreto e solido nelle sue deliberazioni, è per sotterrare le grandi armi collettive e per nascondere nel fondo dei boschi i due grossi camion del Comando in attesa della sperata riscossa di primavera. Poi, anche lui scompare senza dire per dove, e la lontananza assume una dimensione indeterminata spaziale e temporale: AI colmo del buio Nord e i suoi uomini partirono, partirono per settimane e mesi, e tale era la tenebra che dopo un metro non sapevi più dire se avevano preso a nord o a sud ... Allora Johnny ed Ettore compresero appieno la solitudine e il più pieno significato della parola “sbandamento” (p. 804).

139

Quanto a Johnny, Pierre ed Ettore, essi, rimasti nella Cadella Langa, vanno incontro al lungo inverno e al loro destino. Che questa volta non sarà consentito loro di dividere scina

in comune:

presso

Pierre,

la fidanzata;

malato,

sarà costretto

a rifugiarsi a Neive Ettore, in una giornata di nebbia fittissi-

ma, sarà sorpreso dai fascisti nella stalla della Langa, e su di lui incombe il pericolo di una condanna a morte; Johnny, dopo aver cercato affannosamente un prigioniero da scambiare con Ettore, rimane solo nella cascina devastata dall’incursione nemica, e priva di presenze vive perché anche la padrona, e persino la cagna, sono state portate con Ettore nella prigione di Alba.

La storia dell’inverno di Johnny si svolge sullo sfondo di un vasto paesaggio di neve, spesso splendente sotto il sole freddo. Una copertura bianca che per le abbondanti ripetute nevicate mantiene intatto il suo biancore, e su cui si svolgono, pacifiche nonostante la guerra, le opere e i giorni dei contadini. Dalla neve emergono, nitidi come in un quadro di Bruegel, i tetti delle case, le chiome degli alberi, le figure degli uomini intenti ai lavori: Tutto il mondo collinare candeva di abbondantissima neve che esso reggeva come una piuma. Assolutamente non restava traccia di strada, viottolo o pista, e gli alberi dei boschi sorgevano, tronchi bianchi

a testa e coda, nerissimi al centro, come

se estrosamente

mutilati. E le case dei villaggi circostanti indossavano a funny look, di lieta accettazione del blocco e dell’isolamento. Pareva un giorno del tutto estraneo, come stralciato al periodo di guerra, di prima o di dopo essa (p. 838).

La pace che spira dalla natura è però illusoria. In realtà tutta la collina è dominata dal terrore delle spie. soldati fascisti travestiti da viandanti, da mercanti, da commercianti di pelli, che percorrono la Langa, scovano i rifugi dei partigiani, così x

che le loro pattuglie possono poi sorprenderli senza scampo, o addirittura li uccidono sparando loro alle spalle.

140

Il tema delle spie, che nella cano con lo spirito del male per noi cristiani come tanti demoni, corre per tutta quest’ultima parte tro finale e all’uccisione di una di cisione che assume una funzione

fantasia popolare si identifieccellenza (“le spie sono tra come il Demonio” p. 807) del romanzo fino allo sconesse ad opera di Johnny, ucquasi simbolicamente libera-

toria.

L’altro tema campeggiante è la solitudine di Johnny, una solitudine che si accompagna a fame, freddo, angoscia. Gli stessi contadini che pure scambiano con lui semplici parole e semplici pensieri, che a volte lo invitano, pur con rischio, nel calore delle loro case, possono solo scalfirla, perché ormai Johnny e loro appartengono a due mondi diversi: loro, come usano definirsi, sono ‘‘uomini di pace”, e Johnny invece è stato costretto a diventare uomo di sangue e di guerra. In questa solitudine riaffiora il tema della relatività del tempo. Le ore hanno una ‘durata biblica” (p. 900); la lontananza dalla primavera è “astrale”; il giorno che Nord ha fissato con i suoi uomini per il reimbandamento, il 31 gennaio, è separato dal presente da un così sconfinato spazio che niente e nessuno sembra che possa varcarlo. Quel giorno, dice mentalmente Johnny a Nord in uno dei suoi monologhi interiori, ‘al mattino ti alzerai e chiamerai, ma ti risponderà soltanto il silenzio delle colline” (p. 877). Questa sconfortante solitudine strappa Johnny fuori del suo aristocratico individualismo, e fa nascere violento in lui il desiderio dei compagni; non soltanto della piccola scelta schiera di amici nei quali si è sempre riconosciuto, ma di tutti i compagni, ibuoni e i grami, i vivi e i morti: Il suo cuore si rompeva per la brama dell’antica comunità, la faziosa, criticabile, repellente comunità, e dèi vecchi campi di battaglia, e del-

la compagnia di Pierre, di Michele, di Ettore, la compagnia dei vivi, dei morti, dei catturaii. Anelò al reimbandamento, per esso avrebbe pagato metà del suo sangue (p. 876).

141

Intanto, uno dopo l’altro, vengono uccisi i pochi partigiani rimasti sulle colline. Muore Geo denunciato dalle spie, e muoiono in uno scontro coi fascisti anche i partigiani più scaltri, come Ivan e Luis, che hanno fatto innamorare di sé le ragazze e si sono fatti accogliere nelle loro case. ‘Stanno facendovi cascare come passeri dal ramo”, commenta pietosamente il mugnaio di Manera, dopo aver dato sepoltura ai due ultimi morti. Ed esorta Johnny a lasciare la montagna, a nascondersi fino a guerra finita, a non sfidare più oltre la sorte:

E tu Johnny sei l’ultimo passero su questi nostri rami, non è vero? Tu stesso hai ammesso d’aver avuto fortuna fin qui, ma la fortuna si consuma, e sarà certamente consumata entro il 31 gennaio. Perché dunque circolare ancora, in divisa e con le armi, digiunando e

battendo i denti? Pare che tu lo voglia proprio e ti ci prepari a quel colpo loro di caccia ... Da’ retta a me, Johnny. La tua parte l’hai fatta, la tua coscienza è sicuramente a posto (p. 897).

Si innesta

così, sul tema

della solitudine, il grande tema

della dignità umana, cui abbiamo accennato fin dall’inizio di questa analisi. Johnny non cederà alla durezza della sorte; e non perché attribuisca alla sua resistenza un valore pratico, militare o politico, che essa in questo momento non può avere, ma perché contrappone alla saggezza utilitaria del mugnaio di Manera

la logica assoluta dei valori etici. Rinunciare a resi-

stere “sarebbe una maniera di dir di sì’ dopo che si è giurato di ‘dir di no fino in fondo”. E dir di sì ai fascisti vorrebbe dire rinunciare alla lotta contro le forze negative del mondo, di cui il fascismo

non

è che una delle tante, ricorrenti, manife-

stazioni storiche. E Johnny pensa con desiderio e affetto a una futura generazione

felice, forse quella dei bimbi d’oggi, che, anche per

merito del suo sacrificio, da queste forze negative sarà risparmiata: in questo senso l’indugio affettuoso del suo sguardo sui

142

bambini

e sui loro giochi, diventa — e in questo concordiamo

col Ferretti! — una specie di messaggio. Un frusciare costante ed un acuto e felice stridere di bimbi ... lo fece volgere al pendio più vicino. Lunghesso i marmocchi dei casali vicini stavano slittando a volontà su rudimentali slitte da fieno ... Scendevano in un baleno, e poi lottavano un buon quarto d’ora per riguadagnare il poggio di lancio, spendendo in grida, ansiti, fatica, le loro prodigiose riserve di fiato. Johnny sedette sulla neve solidificata e si mise ad osservarli, certo a priori che non se ne sarebbe stancato

presto. Da re dei loro d’occhi, la con la neve

lassù poteva nettamente discernere il gigantesco anelaminuscoli toraci, l’esaltata rosità delle guance e nerità formidabile nervità delle loro minuscole gambe in lotta e l’erta. E li amò, e accettò quel loro esser tanto più

giovani'di lui e pertanto così tanto fuori dalla guerra, e sperò che i bambini dimenticassero rapidamente e totalmente questa guerra in cui avevano marginalmente scalpicciato coi loro piedi innocenti, ed augurò loro bene e fortuna nel mondo che sarebbe stato dopo e che egli aveva così scarse chances di spartire con loro. Il giorno era di tanta pace che i contadini avevano pensato di liberare i loro cani da guardia alla catena per tutto l’anno, ed eccoli incrociare

in beata furia sulla neve con i loro marmocchi padroni, con pari inventiva e capacità di divertimento (p. 839).

Il 31 gennaio, con un Nord splendente di energie e di risorse, ha luogo in Mango il reimbandamento delle forze partigiane. Johnny ritrova i vecchi compagni, Pierre e Franco, ma il lungo distacco ha calato fra loro e lui una ombra leggera che la vicinanza in battaglia presto dissolverà. Il romanzo si conclude

1

G. Ferretti, Fenoglio-Johnny

contro la solitudine, Atti del Con-

vegno di Alba del 1973, in “Nuovi argomenti”, nn. 35-36, sett.-dic. °73.

143

infatti con l’attacco dei partigiani, non appena sono state distribuite le armi dei nuovi lanci, contro i fascisti, fra le case di Valdivilla (24 febbr. 1945). E’ un assalto non abbastanza preparato, e si risolve in un confuso insuccesso; ma ha messo in moto la grande ruota della guerra partigiana: Poi Pierre lo guardò e gli sorrise tristemente ma a cuore pieno. E nell’inizio della marcia gli venne a fianco e a fianco gli marciò, e Johnny si sentì bene come non più da secoli. Ma più avanti Pierre s'aggrottò e disse a Johnny che era stato un pasticcio. — Ma andava fatto, — disse Johnny, guardando il cupo, ma non ostile cielo. (p. 924).

4)

Linguaggio creativo e dimensione metaforica

Data la vasta mole di questo terzo blocco ci limitiamo a un’indicazione molto parziale dei modi e delle forme linguistiche tipicamente fenogliane che vi appaiono. Essa può bastare peraltro e rendere evidente la persistenza, in tutto il Partigiano

Johnny, della dimensione di questo scrittore. a)

creativa e metaforica

del linguaggio

participi, participi aggettivali, aggettivi coniati da sostantivi:

la sentinellata (cioè guardata da sentinelle) trasmittente del maggiore inglese (p. 522) — i partigiani, dopo il lancio che li ha riforniti, sono

indivisati (p. 552) — i partigiani rivestiti di tutto

punto dopo il lancio, sono uomini mannequineschi (p. 552) — la folle corsa in macchina è bdrividosa (p. 591) — le rossigne fortezzose mura del Vescovado di Alba (p. 626) — la presenza di un fitto numero di fascisti al traghetto del Tanaro è una presenza arressata (p. 628) — una radura ricca di pioppi è pioppita (p. 629) — le case di Alba occupata sembrano emanare un îimmurabile (= non contenibile entro le mura) alito di paura (p. 641) — sonno incuboso della città (p. 643) — l’area su cui il fiume minaccia di straripare è imperigliata dalle alluvioni

144 (p. 644) — l’assalto cavigliare (= alle caviglie) della guazza nell'erba (p. 644) — i castali (simbolo di casta, di grado militare in questo caso) stivali di un ufficiale (p. 649) — il fango trappoloso (p. 694) — il borgo di Boglietto è croceviale (sta cioè a un crocevia) — un luogo correntoso (cioè percorso da correnti).

b) verbi coniati su aggettivi o sostantivi: il giovane partigiano è aggressivato, cioè reso aggressivo dalla

conquistata sicurezza in se stesso (p. 562) — i partigiani hurravano a squarciagola (p. 633) — i fascisti pianavano (cioè facevano piani) per la riconquista di Alba (p. 641) — il fango che li ricopre fa tutt'uno,

uomini

simbiosizzati

(p. 740) — rittano

l’enorme

(p. 753)



fa una

simbiosi, di armi e di uomini: “gli alle loro armi (p. 696) — il cielo boatò

onda i fascisti

della collina crepacciava in un . dovevano

freguare

(p. 755) —

i

bambini sono stavolati (cioè tolti da tavola e mandati a letto (p. 843) — il barcaiolo ha il fiato che sa di vino e d’aglio: “boccava nella ricettiva aria cruda vapori di vino e d’aglio”’ (p. 780). c)

creazione di vocaboli astratti:

la desertità

collinare

(p. 627) — la riabitudinazione,

cioè la ri-

presa delle antiche abitudini (p. 638) — la rossità della ronda garibaldina (p. 641) — agità pianurale (cioè condizione di agio della vita di pianura) — la rosità delle guance dei bimbi e la nervità delle loro gambette (p. 839). d) vocaboli composti all'inglese: il cielo-inferno luce (la luce che si diffonde dal cielo infernale (p. 613) — gli uomini bocchisgranati (a bocca aperta per lo stupore) (p. 613) — l'erba è passoresistente (p. 618) — le chiome pioggiasquassate dell’alberata (p. 705) — il cielo bestemmietirante (p. 665) — l’acqua gelida fiatomozzante e le soglie delle case ventospazzate (p. 822) — la corsa in salita polmoni esplodente (p. 826) — i partigiani che hanno dormito sul fienile appaiono all’alba al contadino in fieno-adorna, sonno-gonfia

145

presenza (p. 777) di una autunnoresistente vegetazione (p. 790) — la colpo-di-fulmine devozione per Nord (p. 543). e)

negazioni ottenute col prefisso inglese -un, ecc.: riva del torrente unperseguita (p. 583) — Mango, ancora unentrato (cioè non penetrato, non occupato) (p. 605) — le colline unresponsive (cioè che non danno risposta agli inquieti dubbi dei partigiani in fuga) (p. 730); ecc.

f) vocaboli derivati da apporti colti: cinque agnomi, cioè cinque sconosciuti (dal greco alfa privativo e ghignosco = conosco) — la voce atarassica di Nord = che non rivela emozioni (dal greco ataraksîia = imperturbabilità) (p. 731) — piano asfodelico, cioè mortuario. (L’asfodelo era considearto dagli antichi il fiore dei morti) (p. 746) — l’elmetto posa tersitescamente sulla ‘‘grezza faccia contadina” di un fascista. (Tersite è in Omero il simbolo del soldato incapace e vile) (p. 789).

g) componente creativo-metaforica: la valle è una fornace di venti (p. 567) — i grandi aerei alleati veleggiavano grandiosamente, da galeoni (p. 569) — le ragazze di Santo Stefano Belbo stiche, cioè hanno una

sono eleganti, cittadinesche, fioretticivetteria agile e sottile (p. 581) —

sulla prima divisione azzurra viene riversata una Go/conda di armi, cioè armi in abbondanza (Golconda fu una opulentissima città dell’antica India; significa abbondanza per antonomasia)



la curva

stava

eruttando

a fiotti continui

i fascisti

(p. 556) — uomini lemurali sono definiti i fascisti che appaiono ai partigiani come ombre nella sera. / lemuri erano per gli antichi romani gli spiriti vaganti dei morti; e l’aggettivo suggerisce anche un incombere di morte sui fascisti che stanno per caderc in una imboscata partigiana (p. 562) — Nella truce canizie (cioè grigiore) della notte vicina (p. 614) — la mareante erba, cioè l’erba mobile, fluttuante come mare (p. 615) — una sparata

146

staffetta:

cioè una staffetta che arriva veloce come

di fucile (p. 626) —

sul pianerottolo

una palla

della casa di Johnny c’è

“una gialla, segosa, chiazza di luce”: cioè una luce esile come da candela di sego (siamo in oscuramento) (p. 637) — Si poteva cogliere il moscio affondare delle pallottole fasciste nel ventre pneumatico (molle come di gomma) dell’argine (p. 658) — cosmogonico (cioè da origine del mondo) caos di acque e di fanghiglia (p. 665) — le cortine di ghisacea (cioè cupa come

ghisa) pioggia (p. 686) — Alba rioccupata dai fascisti è deflorata (p. 705) — le bestie, liberate dalle stalle, prendono a carosellare all’impazzata

(v. carosello

=

antica forma

di torneo

a

cavallo) — i fascisti facevano una specie di muraglia umana che sipariava i fuggiaschi dal fiume (p. 744) — La terra fontanellò sotto i colpi di arma da fuoco, cioè mandò in alto spruzzi di terra come di acqua di fontana (p. 746) — “le subdole, cinesi dita della fame nei loro stomaci” (i supplizi cinesi erano famosi per la loro ferocia) (p. 750) — una corsa in discesa così veloce da non riuscire a controllarla è una infimonabile corsa (p. 767) — la luce dei fari degli autocarri nemici che illuminandoli espone i partigiani a morte è una pugnalesca luce (p. 774) — il mattino avanzato è il ‘“canuto alto mattino” (p. 797) — l’antico centro partigiano è sudariato, cioè spira senso di morte, come se fosse avvolto in un sudario (p. 822).

Spesso le metafore non sono implicite come nei casi sopra riferiti, ma esplicite e svolte, e non di rado hanno un andamento di tipo barocco:

Il luogo dove si trova il Quartier Generale di Nord è “una immobile boa ... in tutto un mosso mare di colline, pietrificatosi a un cenno” (p. 593) — la città di Alba nella notte: ‘da lassù

appariva lunga e compatta, favolosa, come un incrociatore di ferro nero bloccato su un mare qua piatto e là apocalitticamente ondoso” (p. 620). Per la frequenza delle immagini marine e sul loro significato si rimanda

a Ferretti, cit. —

Nord,

147

cupo e deciso ad ottenere quanto ha stabilito è “un espugnante vento nero” (p. 606) — Alba come lago pietrificato: ‘“Scendevano alla very nera sponda del lago pietrificato che era la città” (p. 614) — “La notte ingoiava come bocconi i profili delle alte colline” (p. 723) — “La tenebra swept on mobilely come soffiata da qualche enorme bocca nemica” (p. 727) — il tramonto è “la precoce morte del sacro giorno” (p. 758) — lo scendere della sera è “la sera planante” (p. 773) — Johnny ha fatto la sentinella notturna “nella fiumana incessante della notte” (p. 816) — il cielo, pesante di neve che non riesce a scendere, è “gravido di impartoribile neve” (p. 825) — il nascere dell’alba è “il cielo travagliato dalle doglie della luce” (p. 622) — il giorno

appena tramontato è l’“ancor caldo cadavere del giorno” (p. 883).

5) I ricorrenti temi della morte e del tempo

Già li abbiamo indicati nell’esame dei blocchi precedenti. Li richiamiamo qui perché anche in questa parte essi ricorrono con singolare valore suggestivo:

La morte come prevedibile destino: Johnny nell’inerzia estiva del °44: ‘Ora ridiamo, ridiamo fatalmente il giorno che piangeremo ... Poi naturalmente ritornerà il momento che rideremo, il grande ultimo riso. Ma io sarò di quelli che attraverseranno il grande pianto per approdare al grande riso?” (p. 582).

troppo.

Ma

verrà

La morte come un ristabilirsi della giustizia: “Aveva fatto un’imboscata ed aveva sicuramente ucciso: era un passo in avanti verso e della sua propria morte” (p. 567).

L'accelerazione psicologica del tempo per la gravità degli eventi che lo occupano: E’ appena conclusa la sparatoria contro la caserma di Alba: ma per Johnny

“la sparatoria al seminario-caserma era un fatto

148

di settimane addietro e la prova dei mortai un evento della sua infanzia, o era mai avvenuto?” (p. 621). Durante l’azione di Alba Johnny si trova a pensare ai non lontani nella realtà “giorni déracinés di Mango, e più di Mobarcaro. Quanto tempo era passato dall’accerchiamento di Mombarcaro? Generazioni e generazioni di partigiani” (p. 666). E’ la fine di una lunghissima giornata di fuga durante il rastrellamento. Fenoglio ribadisce la relatività della dimensione

temporale: “Il giorno si spegneva, lungo come un millennio per il vivente e inezia-breve, inesistente per il postero” (p. 743). A volte i temi morte-tempo si intrecciano: Johnny ed Ettore nell’inverno e nella solitudine alla Cascina della Langa: ‘‘passarono un vacuo pomeriggio ... sentendo il freddo, e l’alito dell’inverno, l’assenza del sole, i domani e la passività e la prestezza della loro morte e l’astrale lontananza della primavera”’ (p. 801).

IL ‘‘PARTIGIANO

JOHNNY”?



SECONDA REDAZIONE

Dal “Partigiano Johnny 1” al ‘‘Partigiano Johnny 2”

La seconda redazione del Partigiano Johnny (la indichiamo d’ora innanzi con la sigla PY 2) è, come abbiamo già detto, una revisione. della prima stesura (PJ 1), di quella stesura cioè

che abbiamo finora presa in esame! .

1 Si vedano in proposito arche i due studi B. De Maria, Le due

149

Una revisione peraltro parziale, che non si estende a tutta la materia di P/ I. Vi manca il periodo trascorso da Johnny ad Alba e quello della sua militanza presso i rossi, con l'eccezione dell’episodio della battaglia di Mombarcaro. E’ scoperto anche il periodo dell’ingresso di Johnny presso gli azzurri; e le sue vicende in questa formazione cominciano con lo scontro fascista contro le forze badogliane che Fenoglio colloca il giorno della liberazione di Roma. In questa seconda stesura il materiale è raggruppato non più in capitoli, ma in blocchi stagionali (Preinverno, Estate,

Inverno,

ecc.) evidentemente

per sottolineare

lo stretto

rap-

porto intercorrente fra la guerra partigiana e l’ambiente in cui essa si svolse; o locali (Città 1, Città 2, Città 3, Città 4 per l’azione di Alba). Fenoglio tende inoltre a sostituire, come già abbiamo detto, ai nomi reali dei personaggi nomi di invenzione: mentre i professori Chiodi e Cocito in PY I sono indicati con i loro nomi, vengono invece in P/ 2 chiamati rispettivamente Monti e Corradi; il capo partigiano Martini Mauri viene chiamato col fittizio nome di battaglia di Lampus (il suo vero nome di battaglia fu Adolfo). Ritornando alla parziale revisione del romanzo in PJ 2, è praticamente impossibile dire se la parte mancante sia andata perduta o se Fenoglio abbia lavorato alla revisione estrapolando

da PJ 1 di volta in volta alcune parti.

redazioni del ‘Partigiano Johnny”: rapporti interni e datazione (Atti del Convegno di Alba, in ‘Nuovi argomenti”, nn. 35-36, sett.-dic.

1973) e A. Grignani, Virtualità del testo e ricerca della lingua da una

“stesura all’altra del “Partigiano Johnny”, 1978.

in “Strumenti

critici”, ott..

150

Comunque dal materiale in nostro possesso è possibile individuare le linee di tendenza seguite dall’autore nel suo lavoro correttorio. Le indichiamo qui per sommi capi.

1) Varianti strutturali

Il procedimento

correttorio fenogliano è prevalentemente

di tipo eliminatorio. Passando da PY / a PJ 2 vengono espunti dalla narrazione episodi e personaggi che l’autore ha giudicato non essenziali, e perciò fuorvianti o anche solo rallentanti l’azione. Fra i più importanti episodi espunti ricordiamo quello di Kyra (capp. 30-34, passim), forse il più importante e il più artisticamente valido fra i sacrificati. Ne è protagonista il giovanissimo partigiano Kyra ‘il miglior uomo agli ordini di Pierre”, dotato di singolari attitudini meccaniche tanto che a lui è affidata la difficile e aleatoria manutenzione dell’unico fucile mitragliatore in possesso dei partigiani di Mango. Kyra muore con altri cinque compagni in seguito allo scoppio di un lanciabombe cui sta lavorando. Tratteggiato nel fisico con mano felice, il giovane partigiano è figura di ricco spessore anche psicologico per il dramma che soffre silenziosamente dentro di sé: legato di grandissimo affetto a un fratello maggiore che ha sempre considerato come un modello di vita e che è diventato uno dei più brillanti ma anche dei più fanatici ufficiali delle Bande Nere, Kyra ha fatta la scelta partigiana mettendosi in duro e sofferto contrasto con lui; fra i due si è aperto un solco che neanche la morte potrà colmare. Al funerale di Kyra il fratello non verrà, pur avendo avuto da Nord l’offerta di un salvacondotto. ‘Gli altri cinque ebbero intorno le convocate famiglie, ma Kyra andò sotto terra senza il suo sangue” (p. 608). Eliminata è anche la storia di Sonia, la staffetta partigiana di Nord, catturata e torturata dai fascisti (cap. 52). Altri episodi minori eliminati sono il racconto della conta-

151

dina che denuncia a Johnny le malversazioni subite ad opera di due partigiani della Stella Rossa che si accompagnano a un gigantesco prigioniero russo (cap. 51); e il conseguente episodio della fucilazione dei tre decisa dal Comando partigiano dopo il reimbandamento (tema analogo a quello trattato nel racconto Vecchio Blister della raccolta / ventitré giorni) E’ eliminato inoltre l’episodio del prete scambiato per spia dagli uomini di Nord e liberato per l’intervento di Johnny; l’incontro di Johnny con Nord al Comando, incontro in cui Johnny fa presenti a Nord le difficoltà dell’azione di Alba (probabilmente queste pagine furono giudicate da Fenoglio di carattere troppo teorico-militare per entrare in un romanzo); ecc. Sono tutti episodi la cui scomparsa giova senza dubbio alla compattezza dell’opera. Come giova per lo più la abbreviazione di alcuni episodi, che rimangono, ma sfrondati di particolari. Lo stesso vale per i molti personaggi che passano rapidamente nel romanzo, la cui presenza non è né abbastanza necessitata né abbastanza caratterizzata. Ne abbiamo già ricordati alcuni: il cassiere divisionale del Quartier Generale di Nord, l’ufficiale austriaco disertore, il sabotatore Antonio, ecc.; aggiungiamo la Jennifer di Alassio che torna nel ricordo-fantasia di Johnny, la maestrina della fattoria Gambadilegno, Alessandro, l’amico albese di partigiani un bivalente

Johnny, che si è imboscato e ha verso i sentimento di detestazione e di attra-

ZIONE ecc.

Particolare significato ha l’eliminazione della figura del vecchio padre di Nord, che in P7 / è rappresentato come lo stimolatore dello scontro di Valdivilla. In P/ 2 è invece Pierre a decidere e a stimolare i compagni all’attacco. Evidentemente la figura del vecchio è apparsa a Fenoglio un’intrusione indebita — e tanto più nel momento cruciale del reimbandamento — fra i giovani partigiani che avevano avuto finora ruolo di auto-

nomi protagonisti, col loro coraggio e la loro iniziativa.

152

Discutibile invece l’eliminazione di passi che presentano alcuni dei momenti interiori di Johnny, alcuni suoi inquieti stati d’animo. Essa finisce col ridurre — in nome di una maggior obiettività del racconto — un aspetto molto notevole del personaggio Johnny, e cioè la sua complessa sensibilità di intellettuale, che dà un più pieno significato anche al suo

impegno di combattente. Sempre rimanendo in ambito strutturale, dobbiamo far cenno alla possibilità di una diversa conclusione del romanzo prevista in P/ 2. In PJ 1 Johnny si allontana con Pierre, dopo lo scontro di Valdivilla, ed è evidente che i due si preparano alle nuove ‘imminenti azioni; in P/ 2 la conclusione è molto più vaga e indeterminata: Johnny si alzò col fucile di Tarzan ed il semiautomatico mesi dopo la guerra era finita.

... Due

E può far pensare che Fenoglio avesse intenzione di concludere qui la vicenda di Johnny con la sua morte.

2)

Varianti linguistiche e stilistiche

a)

Il ridotto uso dell’inglese

Nel passaggio da P/ 1 a PJ 2 assistiamo a una massiccia riduzione dell’uso dell’inglese: la parola o l’espressione inglese viene spesso sostituita dal corrispettivo italiano. Il che non significa peraltro intenzione nello scrittore di eliminare la variegata varietà linguistica che caratterizza la sua opera. Lo dimostra il fatto che, accanto alle molte espressioni inglesi, e alcune francesi, eliminate nel passaggio da P/ / a PJ 2, altre ne sono introdotte in PJ 2 in sostituzione delie corrispettive forme italiane di PJ 1.

153

E si tratta di casi, se non frequentissimi, non però eccezionali. Alcuni sono stati indicati dalla De Maria (op. cit.); la Lombardi poi, nella sua tesi di laurea precedentemente citata, esaminando metodicamente i primi undici capitoli di P/ 2 ha trovato ben 37 casi di espressioni inglesi introdotte ex novo. Presentiamo qualche esempio, facendo riferimento, nell’indica-

zione delle pagine, all’edizione critica einaudiana: PJ1,p.498:

PJ1,p.561:

‘conversando al suo meglio e facendo l’amore al suo più”; diventa in PJ 2, p. 928: “conversando at his best, facendo l’amore at his mightiest” ‘atterrò la terza coppiola, ancora inesatta, ma

inesorabilmente perfezionantesi”; diventa in PJU2‘p:0951: “Poilatterrò la terza=coppiola; ancora inesatta, ma ranging inesorabilmente” PJ 1,p.573: ‘della sua sigaretta con bocchino di sughero”; diventa in P/ 2, p. 959: “la sua sigaretta corktipped”’ 6 PJ 1,p. 641: la ronda comunista passa per Alba “splendidamente isolata nella sua rossità”; diventa in PJ 2, p. 985: “splendidamente isolata nella sua redness” Pialsp032:Mall'ufticialestfascistalichechiedertalePiers nega Johnny che cosa faranno loro partigiani dell’Italia, se l’Italia verrà nelle loro mani, Johnny risponde ‘una cosa alquanto piccola ma del tutto seria”; che diventa in P/ 2, p. 983: “Une petite affaire toute serieuse”.

Di pari passo con la riduzione dell’inglese va anche la riduzione

anglicizzanti applicate all’italiano. Non sol incompatibili espressioni assolutamente scompaiono di forme

tanto con la nostra lingua come le civette’'s occhiate delle spie più volte citate, che diventano le civettesche occhiate; ma anche le parola composte, costruite sul modello inglese, tendono a

154

sciogliersi in nessi di più parole; ad esempio fiatomozzante, polmoniesplodente,

detto

di una

corsa, diventa sfiatante,

delete-

ria ai polmoni. Analogamente si riduce l’uso inglese del parti cipio presente in funzione aggettivale, che si trasforma o in una vera e propria forma verbale (“il calderone conservante effluvio” diventa ‘che ancora emanava effluvio”’) o si trasforma in aggettivo vero e proprio.

b) La semplificazione linguistico-stilistica Se positiva agli effetti della resa artistica è la riduzione del sovraccarico di vocaboli stranieri o di costruzioni straniere, non si può dire lo stesso della tendenza che Fenoglio rivela in questa revisione a ridurre nel linguaggio la dimensione metaforica e metaforico-espressionistica e la dimensione creativa, col risultato di orientarsi verso una più convenzionale lingua d’uso. Il fenomeno non è tanto imponente da alterare la sostanziale caratteristica linguistica del libro, ma è abbastanza notevole; e ne deriva, in questi casi, il venir meno di quelle che Foscolo chiamava le ‘idee accessorie o concomitanti”, cioè il ridursi della dimensione poetico-suggestiva. Facciamo in proposito alcuni esempi.

In PJ 1, p. 720, l’inizio del capitolo 41 suggerisce lo smagato rilassamento psicologico di Johnny ed Ettore, rilassamento che li mette quasi fuori del tempo: Il mattino dopo — che giorno era? la riacquistata vergine barbarietà li faceva soddisfatti di sapere che era novembre.

Il corrispondente passo di P/ 2, p. 1053, elimina tutte queste suggestioni e si traduce in una secca datazione: ‘Verso la metà di noveinbre”.

155

In P/ I, p. 724, nell’imminenza del rastrellamento, i civili in fuga sono bloccati, nel buio della notte, dai frequenti chi va là delle sentinelle partigiane. Essi ‘’s’arrestavano con uno scarto”: espressione che esprime soprassalto istintivo e incontrollato. In P7 2, p. 1056 Yespressione diventa ‘s’arrestavano netti”; è indicata cioè semplicemente l’azione e lasciata da parte la componente psicologica che l’accompagna in PJ 1. In PI I, p. 733, la padrona della Cascina della Langa ospita i partigiani anche in situazioni per lei pericolose; il pensiero è qui espresso con efficacia di visiva concretezza:

E lei li avrebbe ospitati e nutriti anche coi tedeschi salienti per il sentiero, e i fascisti sbucanti nella sua propria aia. Piatta

e scolorita

è invece

la riduzione

che

il

periodo subisce in P/ 2, p. 1065 Li avrebbe ospitati e nutriti anche nell’imminenza di un attacco generale.

In PJ I, p. 736, fascisti e tedeschi in rastrellamento salgono verso Castino; Johnny e i compagni ne seguono dall’alto con l’occhio i movimenti: Lasciarono i paraggi della fattoria e ascesero l’eccelso poggio dirimpettaio, spaziante sulla strada di Alba e sul l’intera collina di Castino. Un tranquillo sciamare di loro stava attaccando i primi gradienti di Castino. Johnny si stese sull’erba già asciutta e sprofondò in una sognosa visione di quel grande attacco. Strade e viottoli e sentieri ne contenevano, salienti colla superba quiete ecc.

156

Questo 1068:

passo

viene

in PS Za DI

così contratto

Gettarono lo sguardo sull’ultima collina di Castino e ci videro sui primi gradienti tutto uno sciamare pacato di loro.

Strade

e viottoli

contenevano,

e sentieri ne

salienti con la superba tranquillità ecc.

In questo caso la fusione dei primi due periodi di PJ 1 toglie al testo vastità di ritmo e dilatazione al paesaggio, Inoltre, insieme con la fi gura

di Johnny,

viene

eliminata

la polivalenza

semantica dell’aggettivo sognosa: che gli appare come un incubo sognato? o svagata, come di chi cerca di straniarsi col pensiero da una real-

tà che si profila tragica? In PJ I, p. 737 il bestiame che i contadini hanno fatto uscire dalle stalle che minacciano

di essere incendiate,

è distallato (vocabolo creativo); 1069 è liberato (vocabolo d’uso).

in P/ 2, p.

In PJ 1, p. 737 i partigiani, durante l’attacco a Castino, ne seguono le fasi con tensione spasmodica: Lo spettacolo così lo [Ettore] ipnotizzava che soltanto un peristaltico volgersi di un ragazzo lo fece gridare all’allarme e voltarsi tutti a destra.

La

struttura

sintattica

felicemente

irregolare

dà rilievo al gesto collettivo, cioè allo scatto degli uomini al movimento del ragazzo. Inoltre il vocabolo peristaltico è un audace ed efficace traslato che implica nel ragazzo una violenta contrazione emotiva da cui nasce il suo ‘vol gersi””. In PY 2, p. 1069 abbiamo invece con scolorita ovvietà

RST

Erano così ipnotizzati avanti dallo spettacolo dell’attacco che soltanto un casuale volgere di testa di un ragazzo li fece tutti voltarsi verso destra.

In PJ 1, p. 737 i partigiani vedono i tedeschi che portano via dei civili prigionieri: Il nuovo spettacolo li reipnotizzò ... sicché una invista avanguardia tedesca li accerchiò a sinistra ecc.

Il verbo reipnotizzò suggerisce una specie di angosciosa trance in cui cadono i partigiani, tanto che i tedeschi li possono sorprendere non visti. In P/ 2, p. 1069 assai meno efficaceinente Fenoglio usa il più generico verbo ‘soggioparcar Questo nuovo spettacolo li soggiogò a sua volta, lasciandoli a bocca aperta ecc.

In P/ 1, p. 740. Sempre durante il rastrellamento Johnny, Ettore e Pierre stanno fuggendo: In quella la cresta sussultò e boatò mentre l’immenso cielo soprano era schiantato dal tuono dei cannoni.

IniP/24pa L071 In quella la cresta ebbe come un terremoto, mentre l’immenso cielo ecc.

Una espressione d’uso sostituisce dunque quella fortemente creativa (il vb. doatare tratto dal sostantivo boato) che suggerisce una violenta emozione visiva e acustica.

158

In PJ 1, p. 742 i tre compagni in fuga non sanno quale strada prendere per sfuggire ai rastrellatori che ormai sopravvengono da tutte le parti: Pierre, ma senza cogenza nelle parole ... disse che si poteva tentar di vedere se la cresta era sempre occupata.

Il vocabolo cogenza, dal latino cogere, implica autorità, diritto ad esigere obbedienza. Qui

Pierre è il capo, ma è confusa,

anche per lui la situazione

e perciò non

si sente di dare ordini,

di imporre la sua volontà; perciò parla ‘senza cogenza”. E° una componente psicologica che va del tutto perduta in PJY 2, dove la frase diventa: ‘Pierre, senza forza nella voce ecc.” (che fa se mai pensare a voce debole per la stanchezza della precedente corsa). In PJ 1, p. 742 Ettore e Johnny in fuga intuiscono e temono dovunque la presenza dei rastrellatori: — Ci sono, sicuri come la morte. — Non potevi dirlo meglio «Johnny, — disse Ettore — più sicuri della morte.

In questo tonale

caso la ripetizione e l’accentuazione

(“più sicuri”

ecc.) trasforma un comune

modo ai dire (‘sicuri come la morte”) in una tragica previsione di rovina. Suggerimento che va perduto in PY 2, p. 1073 con la caduta del secondo stilema: ‘Ci sono, sicuri come la morte — disse Ettore”.

In PJ I, p. 742, sempre durante la fuga, in un momento angoscioso di forzata immobilità e di attesa, Johnny si stacca dai compagni retta:

per accendere

una

siga-

159

Per un migliore schermamento [della sigaretta accesa] salì distante da loro. Al suonare dei suoi passi il ragazzo [si tratta di un giovane partigiano che si è unito a loro nella fuga] si destò con un accesso. Johnny lo calciò nuovamente giù disteso, con una pedata gentile. Poi riprese a salire, come un solitario, meditabondo passeg-

giatore dei boschi, poi si fermò e rivolse. E allora cennò agli altri che lo raggiungessero a monte e vedessero quel che vedeva lui.

Lo stesso passo diventa in PJY 2, p. 1073: Per miglior schermo salì distante da loro. Al suonar dei suoi passi sulla terra il ragazzo si destò di soprassalto, ma Johnny lo ridistese con una pedata leggera. Salî ancora, poi si fermò e rivolse a Castino. E allora cennò agli altri che salissero al suo livello a vedere.

Manca in P/ 2 la dimensione psicologica implicita nel paragone (‘come un solitario e meditabondo”, ecc.) che rappresenta Johnny in un momento di pensierosa solitudine di fronte al suo destino. Inoltre il periodo finale di PJY 1, col lento susseguirsi delle coordinate, suggerisce la ormai rassegnata stanchezza del personaggio, suggerimento che è venuto meno, o è molto

attenuato in P/ 2. In PJ 1, p. 626 Nord, dall’alto dei colli sovrastanti, guarda ad Alba, dove sembra che il presidio fascista tardi ad arrendersi: Solo, Nord, inguainato nella sua tuta di gomma nera con le cerniere cromate: dominante, solo, monolitico e arcano come un duce assiro.

160 Il paragone suggerisce una impressione di forza e di feroce decisione; che manca del tutto in

PIEZEDI9NO sul sedile posteriore solitario Nord, inguainato in una breath-taking tuta di gomma nera con cerniere abbaglianti.

Gli esempi che abbiamo portato sono stati tratti prevalentemente dai capitoli del grande rastrellamento. Ma nella stessa misura se ne possono trarre dalle altre pagine di PJ 2.

L’UR PARTIGIANO JOHNNY

Il titolo

Il titolo di Ur Partigiano Johnny non è fenogliano. E’ stato dato a questo scritto da Maria Corti in quanto la studiosa vi ha visto un archetipo di Partigiano Johnny 1 e di Partigiano Johnny 2, che, a suo parere, sono stati composti in tempi più tardi. E’ chiaro peraltro che il problema della natura archetipica o meno dell’Ur si lega a quello della sua datazione (cfr. il paragrafo successivo). L’opera è scritta in inglese, un inglese tutto particolare avanti verrà analizzato; e consta di 10 capitoli. Di questi il 1° manca, evidentemente andato perduto; del 3° lo scrittore ha steso poco più di una traccia schematica; lacune che

più

si trovano all’interno dei capitoli 4°, 6°, 10°; e il 10° inoltre risulta visibilmente incompiuto.

La data di composizione

Anche per l’Ur PJ la data di composizione è controversa. Per la Corti esso è da collocare nell’immediato periodo successivo alla liberazione, ed è cronologicamente il primo degli scritti fenogliani di argomento partigiano giunti a noi. Da escludersi infatti, secondo la studiosa. l’ipotesi che ‘i nove capitoli in inglese siano stati composti come seguito di P/ /, perché l’impianto scopertamente autobiografico. i nomi autentici dei

164

protagonisti, lo stile, alcune ingenuità e abbandoni sentimentali lo denunciano prima esperienza letteraria sulla tematica

partigiana”. Di altro parere è invece il Bigazzi? che pone come termine post quem per la composizione dell’Ur PJ il 1952. Vi si trova infatti — egli afferma — l’espressione egg-head (testa d’uovo), usata non nel senso letterale di testa a forma d’uovo, ma nel senso ironicamente traslato di “intellettuale”. E poiché questo vocabolo, in tale accezione, è entrato per la prima volta nella lingua inglese durante la campagna presidenziale americana del

1952,

riferito ad Adlai Stevenson e agli uomini della sua équipe, la composizione dell’Ur PJ deve essere spostata, secondo il Bigazzi, negli anni Cinquanta?. “Di conseguenza — egli

conclude — l’Ur non è più né la prima opera partigiana di Fenoglio (visto che viene dopo i racconti nella loro duplice redazione, Racconti della guerra civile del °49 e Ventitré giorni del ?52, né il magmatico punto di partenza da cui si sarebbe sbozzolato il narratore maturo e ironico appunto di quei racconti”.

Quale che sia comunque la data di composizione dell’opera, Ur PJ è evidentemente l’unico spezzone rimastoci di una ipotizzabile e ipotizzata vasta stesura in inglese di tutta la saga

1 M. Corti, Storia di un continuum narrativo, cit.., pp. 634.

? R. Bigazzi, Fenoglio, Personaggi e narratori, cit. Nel

romanzo l’espressione è usata a proposito del capo partigia-

no Tek. Quando Johnny vede il singolare comportamento

di Tek coi suoi

uomini, un comportamento a mezza strada fra ‘‘l’evangelismo e la cavalleria da Accademia militare” (“ranging midway between evangelism and academical chivalry”, p. 277) gli viene il dubbio che Tek sia un “egg-head in the superlative” (“una testa d’uovo al massimo grado”). Sarà la parti

giana Dea a chiarirgli le idee in proposito dicendogli che Tek ha fatto appena la quinta elementare. — Citiamo come sempre dall'edizione critica einaudiana, e diamo la traduzione che per tale edizione critica ha curato Bruce Merry.

165

di Johnny dal ’39 al ’45, la cui esistenza, almeno per la prima parte di essa, per la materia cioè di Primavera di bellezza, è esplicitamente dichiarata da Fenoglio, come a suo luogo abbiamo visto. In quanto parte di una stesura iniziale della saga possiamo quindi accettare per quest’opera la denominazione di Ur, quale

che ne sia la data di composizione.

La materia

Ur Partigiano Johnny

copre,

come

già abbiamo

detto, il

periodo partigiano di Johnny dalla battaglia di Valdivilla (24 febb. ’'45) all’imminenza del 25 aprile. L’ultima data esplicitamente indicata nel testo è, all’inizio del capitolo 9°, 111 aprile: It was the eleventh day of april. The Fifth Army was at X, the

Fighth was past Y (p. 295)

(Era l’undici aprile. La V armata era

a X, l’Ottava era a Y.

E segue

subito

dopo

un’allusione

esplicita all'imminente

25

aprile: And Mark, one of the most ruthless fighters among Tek's, said to

Johnny: — I see this will be all over in a couple of weeks (p. 295) (Marco, uno dei più spietati degli irrequieti uomini di Tek, disse a Johnny: — E’ chiaro, sarà tutto finito fra una quindicina di giorni).

L’inizio dell’Ur si aggancia direttamente alla fine di PJ I: viene ripreso infatti il tema della morte del vecchio padre di Nord nello scontro di Valdivilla, morte che era stata descritta nelle ultime pagine di P/ /, e si dà notizia del tragico desti no dei due partigiani Tarzan e Set, la cui sorte era rimasta in sospeso nella fine di PY 1: mentre là infatti si era visto Tarzan

166

ferito a Valdivilla e Set che lo portava sulle spalle in cerca di scampo, qui il lettore viene a sapere che i due sono stati sopraggiunti dai fascisti e fucilati. Risulta dunque evidente una linea diretta di collegamento fra la prima stesura di Primavera di bellezza (Pdb 1), la prima stesura del Partigiano Johnny (PJ 1) e PVUr PJ, linea da cui restano escluse la seconda stesura di Primavera di bellezza (Pdb 2) e la seconda stesura del Partigiano Johnny (PJ 2). La materia dell’Ur Partigiano Johnny è in breve la seguente. Dopo la battaglia di Valdivilla, Johnny viene aggregato come interprete alla missione inglese paracadutata presso Nord e costituita dal. capitano Boxhall e dai tenente Whitaker, e ha l’incarico di accompagnarli con una scorta a Moncalvo nel Monferrato. Successivamente Johnny viene addetto, sempre come interprete, a una seconda missione inglese, anch’essa paracadutata allo scopo di individuare luoghi e opportunità per i prossimi lanci alleati. Essa è costituita dal maggiore Hope, dal capitano Keany, da due sergenti, Macfayden e Milland, e dal giovanissimo caporale Perkins. A proposito di questa seconda missione ricordiamo che, secondo un procedimento che ormai ben conosciamo, Fenoglio ancora una volta modifica la verità storica con l’evidente scopo di evitare ripetitività e particolarità dispersive. Due infatti, e non una, furono le missioni paracadutate: quella del maggiore Hope, e quella di Massimo Salvadori, della quale, e non della prima, faceva parte il capitano Keany! .

Johnny

scorta questa seconda missione a Cisterna d’Asti,

dove ha sede la VI Divisione partigiana azzurra al comando di un ex colonnello dell’esercito, Otello, col quale gli inglesi

1 Cfr. M. Salvadori. Resistenza e azione, Laterza, Bari, 1951, citato in Bigazzi, Fenoglio ecc., cit., pp. 98-9, nota 13.

167

devono accordarsi per i lanci di armi. E’ una Divisione in cui è rimasto

intatto

il formalismo

del vecchio

esercito, e dove le

doti positive

di frugalità e di rigore si colorano mente di una plumbea piattezza:

malinconica-

but the VI division men looked all so poored into gravity, se down at a schoolmaster’s level. Yea, some scores of country-schoolmasters have gathered into a division and chosen Othello as their right chief and commander (p. 59) (Gli uomini della VI apparivano tutti impoveriti nella gravità, e in modo squallido, al livello di maestri di scuola. Sembrava proprio che dozzine di maestri di scuola rurale si fossero agglutinati in una divisione, e avessero scelto Otello come il giusto comandante in capo).

Fa eccezione e spicco in questo compassato figura di Leo, il comandante in seconda di Otello:

ambiente

la

from step to glance to speech he was the very diametral opposite of any Sixth officier Johnny had met till now (p. 63) (era diametralmente opposto a ogni altro ufficiale della VI che Johnny avesse finora incontrato).

Leo non è un giovinetto come la maggior parte dei soldati partigiani. Ha passato i trent'anni e ha dietro di sé una vita scontenta e irregolare. Fenoglio ne traccia un efficace ritratto psico-fisico: all his minute though muscular body was incroyably young and boylike; yet his face, so neat and hard, and wrinkled explained only too well that he had attended billiards and brothels and made indigestion of them when Johnny was beginning gymnasiums (p. 71) (il suo minuscolo corpo muscoloso era incredibilmente giovane, da ragazzino. Eppure il suo viso, così nitido duro rugoso, svelava fin troppo bene che aveva frequentato biliardi e postriboli, e se n’era fatto venire una nausea fin dai tempi che Johnny cominciava il ginnasio).

168

Alle parole di cato quanto gli altri affida il drammatico finita, dei partigiani che del romanzo La

costui, psicologicamente agile e spregiudiufficiali sono lenti e conformisti, Fenoglio tema del difficile riadattamento, a guerra alla vita civile. Un tema che è materia an-

paga del sabato e del racconto Ettore va

al lavoro. He pondered only a little, in grim dejecteness. — Then all is over. The war, I mean, — and it worded it as defeat was that over. And his mates went just questioning and reproaching and arguing with him about that tune and expression, and he faced them all with a grim sadness and a melancholy superiority. He wawed in

silentiation and scorn his left hand, a nervy, browned, yet somewhat

rotten

hand,

and

said:



If you

were as old as I am, and

the difference between 23 and 33 years is an actual chasm, you would not surely welcome the victory day. 24 hours of cheers and pattings and offerings, then ... tomorrow, the bleak tomorrow, with obligatory work, the need of money and empire, and ... women. We shall have to think of marrying, and we will marry ... strumpets, of course, for we shall sort of this irregular and we won°t like any longer, regular women and we shall feel as obliged to marry strumpets. And all things outside will be venom, quite, for the rigimint of things will be kept and held by the old people, make no illusion in that (p. 73) (Rimase soprapensiero un attimo, cupo e scoraggiato: — Allora è tutto finito, la guerra, voglio dire —. E sillabò queste parole come se la sconfitta stesse in quel “finito”. I suoi compagni lo interrogavano e rimbrottavano per le sue parole, e lui li affrontò tutti con cupa malinconia e una triste aria di superiorità; agitò la mano sinistra per imporre il silenzio e esprimere il suo disprezzo, una mano nervosa, abbronzata, eppure con un non so che di guasto. — Se voi aveste la mia età, e la differenza fra 23 e 33 anni è un vero abisso,

allora non sareste tanto contenti che si stia avvicinando il giorno della vittoria. Saranno 24 ore di applausi, pacche e generosità. Poi ci sarà l'indomani, lo squallido indomani, con il lavoro obbligatorio,

il bisogno e la potenza del denaro, e ... le donne. Dovremo pensare a sposarci, e ci sposeremo ... con delle donne da poco ovviamente, perché uscendo da tutta questa irregolarità non vorremo più donne regolari, e ci sentiremo obbligati a sposare donnette. Tutto il resto sarà tanto veleno, perché il governo delle cose sarà sempre in mano

a quelli di prima, non vi fate illusioni).

169

Durante il soggiorno presso Otello Johnny partecipa al glorioso fatto d’armi di Cisterna, in cui i fascisti attaccanti vengono respinti dai partigiani che nel frattempo i lanci hanno rifornito di armi; e all’azione si aggiunge l’attacco alla retroguardia motorizzata fascista sulla via del ritorno.

Presso Otello Johnny incontra un giovane aviatore americano il cui aereo è stato colpito dai nemici e che si è salvato paracadutandosi. Costui spasima nevroticamente per il desiderio di rientrare fra i suoi oltre le linee tedesche. Col pretesto di accompagnarlo a un aerodromo organizzato da inglesi e partigiani nelle Langhe, e che collega le forze partigiane alle linee alleate dell’Italia centrale, Johnny ritorna per un breve periodo presso i suoi antichi compagni di Mango. Vi ritrova Pierre, Franco e anche Ettore, che nel frattempo è stato liberato con uno scambio. Ma è costretto a ripartire subito perché incaricato di raggiungere, sganciandosi da quella di Hope, un’altra missione inglese che si trova in qualche indeterminata parte del Monferrato; e di convincerne il capo, il maggiore Leach, a promuovere un lancio per una formazione azzurra del Monferrato, quella di Tek. Johnny parte tanto più a malincuore in quanto ha avuto notizia di una prossima probabile azione per liberare Alba, alla quale teme di non fare a tempo a partecipare. Durante

il percorso verso il Monferrato, che gli appare land’, sosta a Rocca d’Arazzo, il quartier ormai generale di Marino, il capo partigiano che già abbiamo ricordato come diligente cronista delle vicende partigiane, e nel quale si configura l’immagine, in cui anche Fenoglio evidentemente si riconosce, del combattente-futuro scrittore. Si innesta a questo punto nel racconto la vicenda amorosa fra Johnny e la bella partigiana Dea, la donna che ha l’incarico di scortarlo nell’attraversamento del fiume e poi in Monferrato fino al Quartier generale di Tek, nei dintorni di Montemagno. Ma sia l’episodio amoroso che la figura femminile riuna

‘‘exile

sultano fiacchi e convenzionali.

170

Johnny,

aiutato da Tek, cerca inutilmente di aver notizia

della missione del generale Leach e di agganciarla. Nel frattempo i fascisti sferrano un duro attacco a Montemagno. Neli affronta nonostante la scarsità di armi in suo possesso, asserragliandosi nel castello di Montemagno. Ma il sopravvenire di forze tedesche lo costringe alla resa. Johnny, che ha parteci pato allo scontro, lamenta dentro di sé la cattiva distribuzione delle armi fra i partigiani, e il cattivo coordinamento delle forze partigiane. Finalmente, quasi per caso, si imbatte nel maggiore Leach e nei suoi uomini, ma per sentirsi dire che tutti i lanci ormai sono stati fatti. Il piccolo gruppo degli inglesi di Leach e gli uomini di Tek che sono con Johnny, affrontano, al ponte di Feliz.zano sul Tanaro, un gruppo di tedeschi, avanguardia di un grosso reparto repubblicano in spostamento, e li costringono alla

resa. Intorno ormai si respira aria di fine guerra.

Artisticamente l’opera è diseguale. Alcune parti appaiono eccessivamente prolungate, come la minuziosa descrizione della battaglia di Cisterna; altre addirittura gratuite e artisticamente mal riuscite. E° tale, come già abbiamo detto, l’incontro amoroso di Johnny con Dea dove per di più l’episodio è appesantito dal recupero memoriale del lontano amore di Johnny per Mimma. Scarse di spessore psicologico, non surrogato da certi curiosi aspetti del loro carattere, sono le figure dei due capi partigiani Marino e Tek. Troppo insistita la presenza delle giovani convittrici del collegio di Muntemagno e la partecipazione di Johnny alle loro partite di palla-canestro. Ingiustificata la figura dello strano padrone — antiinglese, antieuropeo, antiamericano —

171

della

casa

sul fiume

nel territorio di Marino. Sono probabilFenoglio, abituato a correggere riducendo, avrebbe eliminate o almeno ridotte; come probabilmente avrebbe provveduto a correggere l'andamento troppo piattamente cronachistico di alcuni passi. Ma al di là di questi limiti prevalgono nell’Ur le coimponenti positive, che per lo più si concretano in temi intensi e mente

parti

suggestivi.

che

Ne indichiamo i fondamentali.

Il ridimensionato mito inglese

Nei primi tempi del suo soggiorno presso gli azzurri (PJ I, cap. 30°) Johnny viene a sapere che al campo di Mauri a Mombarcaro è presente un maggiore inglese. Esortato da Pierre, che conosce l’anglofilia dell'amico, a recarsi lassù per incontrario, Johnny prende tempo senza apparente ragione: “Vedrò — di-

ceva Johnny +: tutti i giorni sono buoni” (p. 552). E tanto indugia che l’inglese morirà in un incidente senza che egli l’abbia conosciuto. Fin da allora scattava dunque in lui una specie di inconscio meccanismo difensivo che lo spingeva a rimandare il contatto diretto con l’idoleggiato mondo inglese nel timore di rimanerne

deluso. E’ uno stato d’animo che si rinnova (Ur P7, cap. 2°) quando Johnny, nella primavera del ’45, viene chiamato a fare da interprete presso la missione inglese paracadutata in zona partigiana, quella del capitano Boxhall e del tenente Whitaker. Alla notizia che i due, dalle colline circostanti, hanno se-

guito la battaglia di Valdivilla Johnny”s heart stopped beating ... and he cast eyes to the opposite

hills, luridously outlined

into the black-blue deep sky, thinking

THEY were somewhere up there (p. 5)

172 (a Johnny il cuore cessò di battere per un istante ... e guardò verso le dirimpettaie colline, luridamente profilantisi contro il cupo nero-

azzurro cielo, pensando che LORO stavano da qualche parte lassù);

dove si veda l’efficacia di quel LORO usato in senso assoluto: loro per eccellenza, gli attesi, i sognati; e dove l’espressione somewhere up (da qualche parte lassù) suggerisce non tanto una collocazione topografica eminente, ma una condizione psicologica di affascinante superiorità. La suggestione per il mondo inglese si traduce a questo

punto

per Johnny

in un intenso

desiderio

di identificazione

con esso: And Johnny yearned to be one of them, to de them, and the khakhi the very colour he was born in and for, and to have had all their experience, — and their borning and growing environment, and their homesickness for the witchisland and that present solitude,

and their appeal from their own history, and their own chiefs, and their own waiting women, and the convoys, and A. S. and El Alamein and Sicily ... (pp. 7-9) (E Johnny desiderò ardentemente di essere uno di loro, di essere loro, vestirsi di cachi, il colore nel quale e per cui era nato, aver avuto tutta la loro esperienza, quell’ambiente per nascerci e per crescerci dentro, la loro nostalgia per l’isola stregata, la loro solitudine in questo momento, la sfida che percepivano nella propria storia, i loro capi, le loro donne che li aspettavano, i convogli di El Alamein e la Sicilia ...).

Ma nello stesso tempo la vigile coscienza critica lo ammonisce a non chiedere troppo agli uomini che sta per incontrare, a non esigere che essi siano al livello dei grandi personaggi del

mondo anglosassone che per tutta la sua giovinezza ha venerato: As to him, Johnny was painfully anxious and pessimistic, feeling like the lover going to meet at last his lady-love to whom he has so far sent only love-letters, the greatest love-letters in the world’s

history. Delusion was viciously ranging together with the 1 to 100 chance of meeting the dreamt perfection, the English just as Johnny expected, drawing them out from their history and men-gallery.

173

Johnny shook his head in an impulsive and mad way made the escort look puzzledly at him. I must start with the lower standard,

he thought. I’m a fool of the first water in wanting to meet men with something of Lawrence, and something of Raleigh and something of Gordon in them (pp. 5-7). (In quanto a Johnny era pensosamente ansioso e pessimista, sentendosi come l’amante che va finalmente all’incontro con la donna amata, a cui finora non ha mandato che lettere d’amore, le più ma-

gnifiche lettere d’amore nella storia del mondo. Il disappunto stava iniquamente mescolandosi alla probabilità di cento contro uno che avrebbe finalmente incontrato la sognata perfezione, gli inglesi come lui se li aspettava, estrapolati dalla loro storia e galleria di eroi. Johnny scosse il capo in modo impulsivo e pazzo, e la scorta lo guardò incuriosita. “Devo abbassare le mie aspettative — pensò, — sono uno sciocco di prima mano a voler incontrare uomini con qualche cosa del calibro di Lawrence, o di Raleign, o di Gordon”).

E, ahimè, non appena li incontra di persona si rende conto di essere stato saggio ad abbassare le proprie aspettative. I due inglesi gli appaiono esponenti men che mediocri del loro popolo, tanto che Johnny è costretto a concludere con amarezza: These are poor Englishmen. The poorness of these Englishmen (p. 9) (Questi sono poveri inglesi. Oh la povertà di questi inglesi). Successivamente, nel rapporto più ravvicinato, i due si rivelano infatti snob (Whitaker sembra non poter rinunciare alle sue aristocratiche cavalcate e sfianca un cavallo da tiro trattandolo da cavallo da corsa), boriosi (rifiutano le timide avances con cui Johnny tenta di inserirsi nel loro mondo, di partecipare in qualche modo alla loro ‘‘inglesità’’). E per di più disprezzano quegli stessi italiani al cui fianco sono stati mandati ad impegnarsi:

Whitaker pensa di “farsi” le donne italiane, e presume che quei black bastards (bastardi neri) dei loro uomini non protesteranno poi tanto, dato che degli inglesi hanno bisogno: They are too much depending on us, aren't they? ... Ill go through all these black bastards (pp. 17-19)

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(Dipendono un po’ troppo da noi, vero? ... ti ripeto che te li spaccio tutti io questi bastardi negri).

La italianità di Johnny è ormai offesa a tal punto dal loro contatto che, quasi assurdamente, gli vien fatto di buttare in faccia ai due sprezzanti inglesi persino la capacità militare dei fascisti, che alla fine sono italiani, e che gli inglesi faranno bene a non sottovalutare. Alla notizia di un possibile sbarramento nemico che può impedire il procedere della missione e della sua scorta, gli inglesi chiedono

se si tratti di tedeschi

o di fascisti: German or Reps? — Reps —. Boxhall disparagingly wawed off the difficulty. Johnny grinned: — You see, capt’n: the least respite the war-end will have and you’ll learn only too soon that reps are not at all less fearable than nazis in this kind of war (p. 25) (Tedeschi o repubblica? — Repubblica — Boxhall fece un gesto sprezzante come a minimizzare la difficoltà. Johnny disse con una smorfia: — Senti capitano, ancora un pochetto di questa guerra, e imparerai presto che in questo tipo di guerriglia i repubblichini non sono meno da temere dei nazisti).

Della volgarità di questi primi esponenti del mondo inglese Johnny si vendicherà nel momento del commiato, attribuendo a Boxhall il gesto del dantesco Barbariccia: as the march began, Boxhall began petando freely, in the good, healthy northern style (p. 31) (Boxhall, in procinto di partire, aveva cominciato a scorreggiare senza ritegno, nella salubre maniera nordica).

Non molto più felice è l’incontro di Johnny con la terza missione inglese. quella del maggiore Leach. Leach è lento e vagamente ottuso, e già lo rivelano tale il volto e i gesti: He had a parrot-face, Leach, and a pathetic, quite English, seal of slow-brainedness, infact all was slow in him, the detachment of lips for wording was slow, slow the movement of his eyes (p. 347).

195

(Leach aveva un viso da pappagallo, e un tranquillo patetico suggello di lentezza di comprendonio, all’inglese; difatti in lui tutto era lento, lento era il movimento delle sue labbra per sillabare le parole, lento era il roteare degli occhi).

E non vale neppure gran che come stratega. Se il suo modo, a un tempo sicuro e svagato, di muovere verso il possibile scontro col nemico richiama la abitudine guerriera del suo popolo, la sua capacità decisionale non è al livello delle tradizioni ‘‘ot

the english warrior in the centuries long”. Nello scontro coi tedeschi è incerto e confuso sugli ordini da dare, e agonizza di indecisione e perplessità: major ... was evidently in an agony of undecision and puzziement

(p.1357): Né Johnny guarda con occhio più benevolo i suoi uomini, che gli appaiono stolidi sassoni senza un briciolo di agile componente celtica: Plantigrades, brachigrades, all heavy infantrymen, almost all saxons, stolid and absolutely trusty, with no traces of feminility in them, not a gram of Celticness and so not a whit of english glamour (p.

349) (Erano tutti plantigradi, brachicefali, fanteria pesante, quasi tutti sassoni, stolidi e fidati al cento per cento, senza la minima traccia di femminilità, senza un grammo di elemento celtico e perciò privi di fascino inglese);

e per di più, camminando e sudando, emanano uno sgradevole odore ammoniacale. Quanto al capitano scozzese Ballard, che Johnny incontra al Quartier Generale di Nord, e che è destinato a rimanere sulle Langhe fino al giorno della vittoria a scopo di collegamento e di controllo (to oversee over them all the time left to V-day, p. 179), gli occhi di Johnny sembrano cogliere in lui, appena appena intuibile, ma intuibile, qualche persistenza del comportamento dei funzionari imperiali che l’Inghilterra mandava per

176

il mondo non come trollori di sudditi:

alleati in cerca di alleanze, ma come

con-

Oh, yes! Ballard was much than ... all other Englishmen so far met with by Johnnv the standard empire-man Engiand had centuries long sent forth for her overseas service and empire-work (pp. 179-

181) (Ballard rappresentava più ... che tutti gli altri inglesi che Johnny avesse finora incontrati, il tipico funzionario che da secoli l’Inghilterra inviava al servizio del suo impero oltremare).

I soli inglesi che in qualche modo rispondano alle speranze di Johnny sono quelli della seconda missione cui egli è aggregato, la missione del maggiore Hope. Hope, nella vita civile ricco avvocato del Sud Africa, di Capetown, ha partecipato a questa guerra e si è fatto volontariamente paracadutare fra i partigiani perché ha creduto nella loro causa; di qui il clima di rispetto e anche di affetto reciproco che si è stabilito fra loro. Quando Hope perderà la vita in un assurdo incidente, le parole di Johnny testimonieranno questo caldo sentimento: the late major was very much more loved than any else English officer can dream to be (p. 211) (Volevamo tutti molto bene al maggiore. Molto più che qualsiasi altro ufficiale inglese potrebbe mai sognarsi).

Ma è soprattutto nel capitano Keany, l’altro ufficiale della missione, che Johnny vede finalmente concretarsi il suo ideale modello di inglesità: You in partic'lar — sono le parole che Johnny gli rivolge in uno dei loro amichevoli e intensi dialoghi — are the Englishman iess far-off from my dreamt Englishmanship (p. 107) (tu sei precisamente l’inglese meno lontano dalla mia sognata inglesità).

Keany,

nella

vita

civile, è uno

scrittore,

e a Johnny

lo

accomuna la sensibilità ai valori dell’arte e la passione culturale. L’amato mondo della letteratura inglese, lo stesso paesaggio

177

inglese, prendono respiro e vita agli occhi di Johnny attraverso le parole di lui. Ma soprattutto Johnny è conquistato dalla gentilezza e nello stesso tempo dal non ostentato vigore dell’amico. Quasi femmineo nella cortesia del rapporto quotidiano,

sensibile

ha tempra

d’acciaio

no.

A Johnny,

e

caldo

nella sua ritenutezza, Keany nello scegliere e accettare il suo destiche prospetta per tutti loro una maggior pos-

sibilità di morte nel momento finale della guerra, Keany risponde con fermezza: ‘Faut étre disponibles, Johnny”. Sono parole che rivolge tanto a Johnny che a se stesso, e la sua vo-

ce nel pronunciarle e dura:

perde

l’abituale

morbidezza,

si fa decisa

Keany said to himself and Johnny, with his hardest and unprecedently hard voice (p. 109).

Come Hope, anche Keany scomparirà dalla vita di Johnny. Destinato a una missione individuale, lascerà i suoi. E a Johnny

non sarà più dato di reincontrare the only man was desiring to meet with, as in a God-design and fate (p. 339) (il solo uomo che desiderava incontrare, come se l’avesse prescritto e destinato Iddio).

Solo da altri saprà che Keany sta muovendosi per le pericolose strade del Monferrato. (Per la cronaca il vero capitano Keany, quello pracadutato colla missione Salvadori, morì in Monferrato in uno scontro coi tedeschi. V. Bigazzi, cit., p. Jelele in}'345):

178

Il tramonto di un Impero

AI raffinato, sensibile capitano Keany, Fenoglio affida il (ema del tramonto del grande Impero britannico sotto l’incalzare della nuova e un po’ selvaggia forza americana. Fra le ragioni che hanno indotto Keany a lasciare le comode retrovie di Firenze e a farsi paracadutare al Nord, egli confessa esserci stata la sua intolleranza a vivere a fianco degli Americani, questa razza emergente, povera di tradizioni e forte anche di questa povertà che le consente di proiettarsi del tutto e aproblematicamente verso il futuro: Mainly I was driven to it by my not canning abide any longer contract with the Americans ... I did see all flowing, all being done for them, and our loss of power, at the end of all (p. 49) (Non potevo più sopportare il contatto con gli Americani ... Ho visto come

tutto

scorreva bene, come

tutto si compiva a loro van-

taggio, con una nostra corrispondente perdita di potere, a conti fatti).

E’ una situazione pubblica che lo svoglia persino del suo privato lavoro di scrittore, giacché non si sente le forze bastan-

ti per creare, come hanno fatto Dante e Milton, un’opera di tale respiro che possa consolare lui e i suoi di questa perdita di potere: Had I at least a centesim of Milton’s genius, and I would work an deathless thing of poetry, to console me of the loss of power ... As you surely know, something alike has happened to your Dante. What is the Comedy but the ranging attempt to erase the loss of power? The German emperor had failed him, King Charles returned home on Milton’s back, and now we are working for U.S.A. up and us down ... (p. 49-50) (Se io avessi soltanto una centesima parte del genio di Milton inventerei un’epopea immortale per consolarmi del potere che stiamo perdendo. Lei sa benissimo che una cosa del genere toccò al vostro Dante. Che cos’altro è la Commedia se non un rabbioso tentativo di

1779

cancellare il ricordo della perdita del potere? L’imperatore germanico aveva deluso Dante, il Re Carlo ritornò a casa sulle spalle di Milton, e ora stiamo lavorando a far salire gli Stati Uniti e a far calare noi stessi). Neanche Johnny ama gli americani, che nell’Ur sono rappresentati nella figura del giovane tenente d’aviazione Temple abbattuto in volo col suo apparecchio e ora al campo di Otello. La indubbia capacità tecnica di costui, che ne aveva fatto a poco più di vent'anni ‘il solo capo e responsabile di una fortezza volante”, non compensa la sua elementarità psicologica e la sua mancanza di stile. Ma, a differenza di Keany, Johnny è affascinato dalla vitalità americana, incontenibile e prorompente come una forza della natura, e che gli sembra esprimersi nella loro musica. Il potente boogie-woogie, che esplode dalla radio e riempie lo spazio sembra a Johnny identificarsi con la tumultuosa e inarrestabile avanzata del popolo americano nel mondo: a glorious, full-orchestra boogie-woogie shot forth, scaring and overlording that whole little world ... As to Johnny, he literally gaped at the rythm which made the radioset throb. Never a musical tempo had impressed him so much as this new one, never a contemporary tempo appeared to him to be, like this, the tempo of the tempo. And America contributed it, nay, IT WAS AMERICA, an epic and nonchalant tempo ensemble, ensemble a tirteian aphrodisiac to field and fight and in the same time the peana of the already conquered victory. The playing now was at its fullest before cloîture, and enormous was the swell in it of mock, of energy and confidence. More affine and loving with the two self-contained, taut-lipped, half-shut eyed englishmen, Johnny could not tunemove as Temple, yet it understood, and nearly coveted, the moving of Temple. They had been playing it all the war through and it they would have played on the victory hour and much time after ... (pp. 91-93) (Si scatenò un possente boogie-woogie con piena orchestra, paurosamente impadronendosi di quel lillipuziano tocco di mondo ... Johnny era letteralmente affascinato dal ritmo che faceva pulsare la trasmittente. Mai e poi mai un ritmo musicale l'aveva impressionato

180

quanto quest’ultima novità, mai un ritmo gli era apparso tanto il ritmo dei ritmi, il tempo del nostro tempo. Veniva dall’ America, anzi

ERA

L'AMERICA;

un

ritmo

insieme

epico e noncurante,

un

afrodisiaco tirtaico che li spingesse al campo di battaglia, e allo stesso tempo un peana alla già riportata vittoria. La musica aumentava d’intensità prima del finale, e enorme era il clangore di sprezzante speranza e fiducia. Johnny si sentiva più affine e affezionato ai due inglesi, ravviluppati in sé, a labbra serrate e occhi socchiusi,

ed era incapace di muoversi al ritmo del jazz, come Temple, eppure capiva e quasi ne invidiava il moto. Gli americani l’avrebbero suonato durante tutta la guerra ed era quello che avrebbero suonato all’ora della vittoria e ancora dopo ...).

La nuova partigianeria

Sono bastate poche settimane di assenza perché Johnny, ritornando nel marzo alle Langhe, vi trovi tutto cambiato. “Vita nuova e splendida” gli comunica il traghettatore. Il paese dove nell’inverno era rimasto un partigiano per collina, che il giorno del reimbandamento aveva visto poche centinaia di uomini duramente provati, ora pullula delle nuove leve partigiane. Sono le leve dell’ultima ora che vengono a raccogliere i frutti della dura resistenza passata, i ‘‘giovani della primavera” di cui Johnny nel Partigiano prevedeva l’arrivo, e che avrebbero preso in mano, nelle loro mani non stanche e non provate, la bandiera partigiana, incuranti e ignari di chi l’aveva difesa nei mesi del rischio e della morte. Questi ‘‘nuovi rampolli del regolare esercito partigiano”’, inquadrati dagli inglesi che ormai sono a profusione nelle Langhe, sono tutti ben vestiti nel cachi dell’esercito inglese, cui hanno apportato ‘tutti gli squisiti ritocchi suggeriti e richiesti dalla eleganza giovanile italiana”. E sono tutti armati a profusione, anche i “rossi”, colle armi che gli Alleati hanno ormai paracadutate senza distinzione di orientamento politico, perché ormai tutti i partigiani fanno al

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loro gioco. E sono strafottenti e pieni di pretese, tanto da esasperare lo stesso equilibratissimo Pierre. Johnny si rende conto che è ormai finita la partigianeria brada, avventurosa, stracciona ed eroica, quella che per lui rimane la vera sola partigianeria. E mentre lo prende un duro orgoglio per essere stato uno dei primi a salire sulle montagne, per ‘‘esserci stato dentro da lungo tempo, fin dall’inizio” (it is precious

to have

been in it, since long, since the beginning, p. 333), ha però la sensazione che il suo passato, e coloro che

sono stati dentro il suo passato, siano così difformi dal presente da essere proiettati in una remota assurda lontananza: And he wondered whether Mombarcaro was a dawn or maybe a twilight, for the dawn was this, this as now lived and acted by these

last-new-comes. And he wondered whether it may produce any effect in their thoughtless, egocentrical spavalderia if he got on talking to them of Tito, of Biondo, of Miguel, killed so many years, centuries ago (p. 173) (Si chiese se Mombarcaro era stato un’alba o magari un tramonto, perché l’alba era questa, vissuta e recitata in pieno dagli ultimi arrivati. Arrivò persino a domandarsi che effetto avrebbe fatto se si fosse messo a fare i nomi di Tito, Biondo, Miguel, morti anni, secoli addietro).

Il ‘‘grande compromesso”

E si rende anche conto che è finita ormai la Resistenza come fatto etico, la sola Resistenza per cui valeva la pena di impegnarsi, e che essa è entrata in una equivoca fase politica. AI Quartier Generale di Nord, che come sempre gli appare vestito di una splendida divisa, ‘quale qualsiasi partigiano avrebbe sognato per la muda primaverile delle penne partigiane??, Johnny trova come aiutante un maggiore fascista che ha appena disertato, e che Nord si tiene caro in vista delle prossime

182

azioni di massa sulle città, dato che pare sia un genio tattico uscito dalla Accademia di Modena: But North says he is right from the Mutina Academy and he a true janius at tactics, and just the man the partisans missed and needed badly (p. 177) (Però Nord sostiene che ha un vero genio in quanto a tattica bellica, viene proprio dall'Accademia Mutina, e avevamo veramente bisogno di un elemento del genere).

Costui, che — dice un partigiano — ‘avremmo tutta coscienza conscience

fucilare

a prima

ought to shoot

vista”

(a man

dovuto in

surely

we

in

at sight), ora sta vicino a Nord, in

mezzo ai suoi uomini di più fidata anzianità, ‘“dardeggiando fra le palpebre semichiuse quel consapevole sguardo della vittoria” — dunque i fascisti hanno vinto un’altra volta! — “con quei suoi occhi plumbei sotto l’ombra nera del suo nero berretto di paracadutista” hovering his halfshut, knowing, self-sure, victorious glance from those machicolated eyes of his own, under the black shadow of his

black paratroop-berret (p. 179).

E Johnny ha la sconfortante certezza che i valori etici, il voler ‘sentirsi uomini”, che erano stati i grandi motori della Resistenza siano stati ormai messi in soffitta e sia ormai cominciato il ‘grande compromesso”, quel grande compromesso che avrebbe pesato sul futuro e avrebbe impedito alla vita italiana di rinnovarsi dopo e mediante la Resistenza. E’ uno dei passi più drammatici dell’Ur, in cui il venir meno di quella che Johnny ha sempre definito “la decenza”, coincide per lui col fallimento della stagione resistenziale: A quiet despair, a violent, intoxicating amaritude peeped through all Johnny's body and soul. So, it had begun, it had begun, as it was only too natural, as it seemed yet only to immoral too. The trick had begun, the compromise had begun, the shadows were lurching

183 and peeping upon the neatly divided, dazzingly clear chessboard, and all the game was confused, fouled and boulversé (p. 177.9) (Una quieta disperazione, un acre, inebriante rancore prese a serpeggiare per tutto il corpo e l’anima di Johnny. Allora era cominciato, era cominciato come era naturale, era giunto il momento del grande compromesso, tanto immorale quanto facilmente prevedibile.

L’inganno

si era messo

in moto, le ombre

avevano

preso

a barcollare e ghignare sopra la scacchiera finora così nitidamente divisa, così allucinante e limpida, e già tutta la partita era confusa, lordata e boulversée).

La stessa marcia vittoriosa sulle grandi città, che si profila prossima, non gli procura l’ebbrezza che un tempo avrebbe pensato, perché ormai appare ai suoi occhi un mero fatto politico e militare.

La morte e la ‘‘piccola patria”

Già ricorrente negli altri due Partigiani, il tema della mor-

te diventa più insistente nell’Ur, a volte quasi ossessivo, con presentimenti che, per usare le parole di Fenoglio, intrecciano intorno al suo personaggio ‘una rete di continuo distrutta e

risorta”: presentimenti non dilettantisticamente ma — come dice Johnny a Dea — subiti (p. 254). E? un’insistenza

tematica

assaporati,

che suggerisce con molta vero-

simiglianza l’intenzione dello scrittore di concludere la saga con la morte del suo personaggio, che sarebbe avvenuta in una delle ultime azioni militari da collocarsi fra la interrotta fine dell’Ur e il 25 aprile. La morte, nel testo fenogliano che stiamo prendendo in esame, assume a volte il carattere di una funesta datazione del tempo. Il giorno del suo ventitreesimo compleanno, con aria solo apparentemente scherzosa, Johnny così lo comunica a Keany:

184

Yea, capt’n, today I’ve passed for the twentythird time before my death-day (p. 35) (Sì, capitano, vuol dire che oggi sono passato per la ventitreesima volta in faccia al giorno della mia morte). Le previsioni di Leo per la loro vita nel periodo postbellico gli appaiono addirittura assurde, perché sembrano non tener conto della possibilità di una loro morte nelle ultime più peri-

colose azioni: But I cannot acanton the thought of my death, nay, I think of it more and more, for the end and its whereabouts will have the grander number of dead. — These ali are mad! (p. 75) (Ma io non posso accantonare il pensiero della mia morte, anzi ci penso sempre di più, perché alla fine e verso la fine avremo il maggior numero di morti. Questi soi tutti pazzi).

E anche là dove non è così esplicito e diretto, il tema della morte si esprime in atmosfere e in situazioni. Ettore, condannato a morte, e perciò vissuto a lungo entro l’alone della morte, ora, pur libero, rivela nel suo sorriso apparentemente non mutato la presenza di una “zona vuota” e turbata, che ormai occupa la parte più profonda e nascosta del suo spirito: And Hector smiled as warmly and openly and widely as the others all did, but he too had a blank patch in his inner soul: the place where he had lived in death, amongst the men, himself one of them, whom other men treated and reduced, on the threshold of death, as morva treated and reduced the canides ... (p.175) (Ettore sorrise, con lo stesso sorriso aperto e caloroso degli altri, ma anche lui aveva una zona vuota nel suo intimo: il luogo dove era vissuto nella morte, in mezzo a uomini, e anche lui uno di loro, uomini che altri uomini trattavano e riducevano sulle soglie

della morte, come la morva cani ...).

aveva trattato e ridotto la razza dei

185

Pronostici sembrano l’assurda, imprevedibile morte del maggiore Hope!, e la fucilazione dei due ufficiali fascisti che avviene proprio al momento della partenza di Johnny per il Monferrato. La frase superstiziosa di uno dei partigiani della scorta “evil suits evil” (“il male chiama male”, p. 217) assume un sapore di presentimento.

Al

tema

nostalgia

della

di Johnny

stretto a trascorrere

morte

si lega strettamente

quello

della

per le Langhe.

Il Monferrato, dove è cocon gli inglesi l’ultimo periodo di guerra,

gli appare terra infida, d’esilio. Solo verso la fine (cap. 10°) con rassegnato stoicismo si acconcerà a compiere lì le sue ultime imprese di guerra. Ma come, nel primo Partigiano, Johnny sceglieva con deliberazione per il suo partigianato le Langhe, perché erano la sua ‘terra ancestrale”, di lì veniva la sua gente e lì sentiva le sue

radici,

il destino

così ora sente

sarà di morte,

che avrebbe

di morire

il diritto, se per lui

sulle sue colline, alle quali

non si sazia di volgere gli occhi dalie pianure del Monferrato. In proposito sono ricche di significato le battute del suo dialogo, già ricordato, con Keany. All’inglese, che lo ammonisce

che bisogna essere disponibili anche alla morte, Johnny risponde che sente di avere il diritto di scegliersi il luogo della propria morte: Yes, but I will be far more disponible, feel far more disponible, on my own places. and amongst my own men ... I feel I have a right to prefer to be disponible here or there (p. 109) (Sì, ma sarò disponibile, mi sentirò infinitamente più disponibile nell'ambiente

mio, fra i miei concittadini

... mi sembra

di avere

1 Probabilmente per attribuirle questo carattere di funesto presagio prima della partenza di Johnny per il Monferrato, la morte di Hope, che avvenne il 18 aprile, è anticipata nel romanzo ai primi giorni di aprile (v. Bigazzi, cit.).

186

diritto a scegliere di essere disponibile in un posto piuttosto che in un altro).

E non è alla liberazione delle grandi città che desidera partecipare, ma alla liberazione della sua piccola città, di Alba; e lo tormenta il pensiero che la lontananza, per quel suo mestiere di ‘‘venditore di lanci” al quale l'hanno crocifisso, gli impedirà di essere coi suoi compagni quando essi vi entre-

ranno: I want to be back to prepare to free Alba and to free it. You understand, Keany, you or not anyone out of a very partisan: I cannot miss it, for this is, I firmly believe, my very aim and essence of being an mondial partisan and warrior, the very sense of it lays in it, for all of us: anyone of us freeing and purging of THEM our own native place (pp. 107-109) (Voglio tornare a preparare la liberazione della città, e liberarla. Se non lo capisci tu, Keany, lo potrà capire solo un partigiano. Non posso mancare; sono convinto che questo è il vero scopo e significato della mia essenza di partigiano e guerriero mondiale; per

ognuno di noi l’essenziale è questo, purgare e purificare il luogo natio da LORO).

Questo richiamo costante e viscerale della “piccola patria” non è in Fenoglio limitante né grettamente provinciale. La piccola patria è l’ancoraggio sicuro, la specola salda da cui chi vuole — e fra questi Johnny e Fenoglio — può protendersi verso il mondo per leggerlo e capirlo e agire in esso. E così il partigiano albese può diventare, come nel passo sopra citato, ‘an mondial partisan and warrior”, un “partigiano e guerriero mondiale”.

187

La lingua

L’Ur Partigiano Johnny è scritto in inglese (sia pure un particolare tipo di inglese sul quale torneremo) intersecato da alcune, in genere brevi, inserzioni italiane, e con qualche raro vocabolo francese. Linguisticamente dunque l'Ur può considerarsi speculare rispetto ai due Partigiani: nei Partigiani la base linguistica italiana è attraversata da vocaboli ed espressioni inglesi, nell’Ur la base linguistica inglese è attraversata da vocaboli ed espressioni italiane. Si tratta a volte di un singolo vocabolo inserito nel contesto inglese: blunding polverone (p. 71); The dritti old jerries (p. 71); The atmosphere was ... warm and molla (p. 89); out of the feritoie (p. 153); the baracconi (p. 167); Was°nt it a porcata? (p. 201); on the vast conca (p. 213); The penitent morituro (p. 221) ecc. A volte si tratta di battute di dialogo (ma abbiamo anche un ‘“Ghiacci disfece la tavola”, p. 195), per lo più brevi, e che avrebbero una giustificazione in sede logica nel fatto che sono pronunciate da o rivolte a persone che ignorano l’inglese (VAPPR215093499 AL 11L13-12717lece) Asetabirualmente in analoghe situazioni Fenoglio non usasse la lingua inglese. L’unico brano italiano piuttosto lungo è alle pp. 251-53,

in cui Johnny spiega al partigiano Nick che il conservatorismo di cui Nick accusa l’Inghilterra è solo apparente, perché è il risultato di precedenti conquiste rivoluzionarie.

Ma, prescindendo da questi inserti italiani, che tipo di inglese usa Fenoglio nell’Ur? Rimandiamo in proposito alla Nota di Bruce Merry che la sua traduzione dell’Ur nell’edizione critica accompagna einaudiana (1978), allo studio di John Meddemmen, L'inglese come forma interna dell'italiano di Fenoglio, in ‘*Strumenti critici”, febbraio 1979, e ricordiamo la tesi di laurea della

188

Lombardi già citata (1979), soprattutto per l’ampio e diligen-

te spoglio linguistico in Appendice. Nell’inglese fenogliano si alternano forme moderne, dell’inglese parlato, con forme arcaiche ed auliche, specie elisabettiane.

Inoltre — ed è il fenomeno più vistoso — come nei Partigiani 1 e 2 l'italiano era forzato e praticamente violentato dall’inglese, qui lo stesso fenomeno si verifica in direzione opposta: è l’inglese ad essere forzato dall’italiano. Sono ad esempio numerosi i casi di vocaboli coniati da Fenoglio con una radice italiana cui viene giustapposta una desinenza vagamente inglese. Esempi: Le guardie del corpo di Nord sportelled Johnny nella macchina (p. 5); the russian redux (p. 21); formicolant (p. 9), sawed down by raffle (p. 27); in disinvolt english (p. 29); the last hill-contrafforts (p. 37); sfrutting (p. 97); sfuggent (p. 99); stazzoning (p. 109); sbarrament (p. 201). Non mancano vocaboli inglesi intesi in senso errato per la suggestione fonica dell’italiano. Es. ‘‘tasting their ammunition bags”, dove il verbo fo faste è usato nel senso di ‘‘tastando”’, e non come in inglese nel senso di “assaggiando” (p. 315); “standing on his sane leg”, dove sane è usato nel senso di sana, mentre in inglese significa sensata; ecc. L’influenza dell’italiano si fa a volte sentire anche in ambito sintattico. Indichiamo alcune costruzioni evidentemente ricalcate sulle corrispondenti italiane: “and in it had laid North’s father’s corpse’” (e dentro ci avevano allestito il cadavere del padre di Nord) p. 3; ‘Shall we have as many and as strong?” (Ne avremo noi altrettanti e altrettanto buoni?) p. 73; “For hours and hours innumerable” (per innumerevoli ore ed ore) p. 141. Oltre a queste influenze italiane, troviamo nell’Ur forme composte coniate da Fenoglio sull’uso inglese ma non usate in inglese: shoulder-violinist (p. 29); all-minimising smile (p. 99); the long-workings wheels (p.41); candy-white legs (p. 231, CCI):

189

Per questa serie di ragioni e per altre ancora, il Meddemmen, quando parla dell’inglese di Fenoglio, preferisce mettere fra virgolette la parola (“inglese’’), per evidenziare la sua differenza con l’inglese vero e proprio. Per lui la superficie linguistica, inglese, del testo si presenta ‘‘come una zona burrascosa di incontri e scontri, di distorsioni e rifrazioni”. E conclude giustamente, come del resto quasi tutti gli studiosi, che l’inglese dell’Ur è una lingua provvisoria di cui Fenoglio si avvaleva nella prima stesura, una specie, come la definî Calvino, di ‘lingua mentale”, destinata poi a scomparire per l’avanzata, totale o parziale, dell’italiano.

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curate da Maria Antonietta Grignani; l’Ur Partigiano Johnny Meddemmen, traduzione di Bruce Merry.

da John

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Ill

Finito di stampare nel mese di febbraio 1986 dal Centro Stampa Rozzano, via Milano 99 - Rozzano (MI)



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