Unendo il rigore del giurista alla penetrazione del filosofo, Schmitt delinea in questo libro i tratti distintivi del co
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Italian Pages 179 [178] Year 2005
Pi c c ol aBi bl i ot ec a529 CARLSCHMI TT
Te o r i ad e lp a r t i g i a no
ADELPH I
«Occorre operare da partigiani ovunque vi siano partigiani» esortava Napoleone, nel tentativo di rispondere alla guerriglia spontanea che da anni, in Spagna, teneva in scacco la più imponente e perfezionata macchina militare dell’epoca. Napoleone e i suoi contemporanei non potevano saperlo, ma con quei guerrilleros aveva fatto irruzione sulla scena della storia la figura che ne avrebbe rivoluzionato il corso. E di questa figura l’analisi tuttora più stringente è quella che Carl Schmitt sviluppa nel 1962 in Teoria del partigiano. Dove anzitutto precisa, unendo il rigore del giurista alla penetrazione del filosofo, i caratteri distintivi del combattente «irregolare», ossia di colui che «si è posto al di fuori dell’inimicizia convenzionale della guerra controllata e circoscritta per trasferirsi in un’altra dimensione: quella della vera inimicizia». Muovendo dunque dal remoto progenitore spagnolo, Schmitt illustra l’inarrestabile evoluzione del «partigiano»: dalle teorie di Clausewitz al rivoluzionario di professione di Lenin alla «nazione in armi» di Mao, fino al duplice terrorismo nell’Algeria ancora francese. Ma si può dire che solo oggi siamo in grado di misurare la pervasività planetaria del fenomeno. Tanto basterà a far capire come la Teoria del partigiano sia un testo indispensabile per capire il presente – ossia l’epoca caratterizzata da quella che Schmitt chiama, con una formula definitiva, «l’inimicizia assoluta».
Traduzione di Antonio De Martinis. Con un saggio di Franco Volpi.
€ 10,00
DELLO STESSO AUTORE:
Donoso Cortés
Ex Captivitate Salus Il nomos della terra Terra e mare
CARL SCHMITT
Teoria del partigiano INTEGRAZIONE AL CONCETTO DEL POLITICO
Traduzione di Antonio De Martinis Con un saggio di Franco Volpi
ADELPHI EDIZIONI
TITOLO ORIGINALE:
Theorie des Partisanen Zwischenbemerl!ung zum Begriff des Politischen
@ 2002 © 2005
DUNCKER & HUMBLOT GMBH
ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO
WWW.ADELPHI.IT ISBN 88-459-1966-8
INDICE
Premessa
9
TEORIA DEL PARTIGIANO INTRODUZIONE
13
Uno sguardo sul punto di partenza: 1808-1813
13
Orizzonte delle nostre osservazioni
20
Termine e concetto di partigiano
26
Sguardo sulla situazione dal punto di vista del diritto internazionale
35
LO SVILUPPO DELLA TEORIA
50
Il cattivo rapporto dei prussiani con il partigiano
50
Il partigiano come ideale prussiano nel 1813 e la svolta teorica
59
Da Clausewitz a Lenin
69
Da Lenin a Mao Zedong
77
Da Mao Zedong a Raoul Salan
86
ASPETTI E CONCETTI DELL'ULTIMO STADIO
L'aspetto spaziale La disgregazione delle strutture sociali Il contesto politico mondiale
95 95 101 1 03
Dal vero nemico al nemico assoluto
107 1 13 1 18 1 25
N ote
1 33
L'aspetto tecnico Legalità e legittimità Il vero nemico
L' ul tima sentinell a dell a terra di Franco Volpi
1 59
PREMESSA
La presente trattazione sulla T eoria del parti g iano nasce da due conferenze da me tenute all'inizio del 1 962, il 1 5 marzo a Pamplona su invito dell'Estudio Generai de Navarra, e il 1 7 marzo all'Università di Saragozza nel quadro di un ciclo promosso dalla Catedra Palafox, su invito del suo direttore Luis Garcfa Arias. Alla fine del 1962 questa se conda conferenza è apparsa nelle pubblica zioni della Catedra. Il sottotitolo, Integrazione al concetto del Pol iti co, si spiega con la particolare circostanza in cui il testo viene pubblicato. La casa editrice ripropone ora, infatti, il mio scritto risalente al 1932_1 Negli ultimi decenni si sono avuti molti interventi su questo tema. Il presente saggio non vuole esserne l'ennesimo corol lario, ma si presenta, seppure a grandi linee, come un lavoro autonomo, il cui argomento conduce inevitabilmente al problema della distinzione tra amico e nemico. Vorrei per ciò presentare questa elaborazione delle mie conferenze nella semplice forma di in9
tegrazione, rendendola così accessibile a quanti hanno fin qui seguito con attenzio ne il complesso dibattito sul concetto del Politico. Febbraio
1963
Cari Schmitt
IO
TEORIA DEL PARTIGIANO INTEGRAZIONE AL CONCETTO DEL POLITICO
a Ernst Forsthoff per il suo sessantesimo compleanno 13 settembre 1 962
INTRODUZIONE
U no sgu ardo sul punto di partenza: 1808-1813
Il punto di partenza delle nostre riflessioni sul problema del partigiano è la guerra di guerri glia che il popolo spagnolo condusse, fra il 1 808 e i1 1 8 1 3, contro l'esercito di un invasore straniero. In questa guerra si scontrarono per la prima volta un popolo - preborghese, pre industriale e preconvenzionale - e un eserci to regolare, moderno, ben organizzato, uscito dalle esperienze della Rivoluzione francese. Con ciò si aprirono nuove prospettive di guer ra, si svilupparono nuove concezioni in tema di strategia, e nacquero nuove teorie intorno alla guerra e alla politica. Il partigiano combatte da irregolare. Ma la distinzione tra combattimento regolare e ir regolare dipende da una precisa definizione del .. regolare '' , e solo nelle moderne forme di organizzazione nate dalle guerre della Ri voluzione francese diventa una concreta contrapposizione e trova con ciò la sua for mulazione concettuale. Nella storia dell'u manità e delle sue molte guerre e battaglie ci sono sempre stati regolamenti di guerra e 13
regole di combattimento, e di conseguenza ci sono sempre stati anche il mancato rispet to e la violazione di quelle regole. In parti colare in tutti i periodi di grande crisi - ad esempio durante la guerra dei Trent'anni in Germania ( 1 61 8-1648) -, così come in tutte le guerre civili e in tutte le guerre coloniali della storia umana, si sono avuti fenomeni che possiamo definire di guerra partigiana. Nell'elaborare una teoria generale del parti giano non si deve tuttavia dimenticare che l 'importanza e il significato della sua "irre golarità,. dipendono dall'importanza e dal significato attribuiti al «regolare,. che la lot ta partigiana mette in discussione. Ed è pro prio questa regolarità, dello Stato come del l 'esercito, che riceve da Napoleone una nuova, esatta definizione, tanto nell'ambito dello Stato francese quanto in quello delle sue forze armate. Le innumerevoli guerre dei conquistatori bianchi contro i pellirosse americani dal XVII al XIX secolo, ma anche i metodi dei Riflemen durante la guerra d'Indipendenza americana contro l'esercito regolare inglese ( 1 774- 1 783) e la guerra ci vile in Vandea fra Chouans e Giacobini ( 1 793-1 796) , appartengono ancora allo sta dio prenapoleonico. La nuova arte bellica delle armate regolari di Napoleone era il portato di un nuovo modo di combattere, un modo appunto rivoluzionario. E l 'intera campagna napoleonica del 1 806 contro la Prussia parve, a un ufficiale prussiano di 14
quell 'epoca, soltanto Parteigii ngerei im Gr os sen, , come è accaduto nella Convenzione di Ginevra del 1 2 agosto 1 949 (cfr. sotto, p. 39) . Partigiano, in tedesco, si dice Parteigii ng er [membro di un partito], uno che si muove seguendo la linea di un partito, il che in con creto assume un significato molto diverso a seconda del diverso momento storico, sia ri guardo al partito o allo schieramento con cui uno si schiera, sia riguardo al suo modo di « prender partito », di simpatizzare, di lot tare insieme agli altri, che può anche impli care la comune prigionia. Esistono partiti belligeranti, ma anche partiti nell 'ambito di un processo in tribunale, partiti della demo crazia parlamentare, partiti d'opinione e partiti d'azione. Nelle lingue romanze la pa rola può essere adoperata sia come sostanti vo sia come aggettivo: in francese si parla perfino di partisan di una qualche opinione; insomma, una denominazione assolutamen te generica, polisemica, diventa all' improv viso un termine eminentemente politico. Il parallelo linguistico con un vocabolo gene rico come status, che d'un tratto può si gnificare Stato, è evidente. Nei periodi di di28
sgregazione - come nel Seicento, all'epoca della guerra dei Trent'anni - il soldato irre golare finisce per confondersi con i grassato ri e i vagabondi, fa la guerra per conto pro prio e diventa una figura da romanzo picare sco, come il picaro spagnolo di Estebanillo Gonzales, il quale, trovatosi coinvolto nella battaglia di N òrdlingen ( 1 635 ) , ne Ja un rac conto nello stile del B uon sold ato Svejk, o co me possiamo trovare nel Simplicissimus di Grimmelshausen e osservare nelle incisioni e nelle acqueforti dijacques Callot. Nel Set tecento il Parteigii ng er fa parte dei panduri o degli ussari o di altri tipi di truppe leggere, che . Anche questa possibi lità rientra nella sua esistenza di oggi, e una 34
teoria del partigiano non può non prender la in considerazione. Con questi quattro criteri - irregolarità, ac cresciuta mobilità, intensità dell 'impegno po litico e carattere tellurico -, e senza dimenti care le possibili conseguenze di un ulteriore incremento della tecnicizzazione, dell'indu strializzazione e della deruralizzazione, abbia mo delimitato, sul piano concettuale, l'oriz zonte delle nostre osservazioni. Un orizzonte che va dal guerrigliero napoleonico al parti giano ben equipaggiato del nostro tempo, dall'Empecinado a Fidel Castro, _passando per Mao Zedong e Ho Chi Minh. E un cam po assai vasto, sul quale storiografia e scien za militare hanno elaborato un materiale enorme, che cresce ogni giorno. Ce ne ser viremo nella misura in cui abbiamo potuto avervi accesso, e cercheremo di trarne alcu ne conoscenze per la formulazione di una teoria del partigiano.
Sgu ardo sull a situaz ione dal punto di vista del diri tto internaz ional e
Il partigiano combatte da irregolare. Ma alcune categorie di combattenti irregolari sono equiparate alle forze armate regolari e godono dei diritti e delle prerogative di ogni combattente regolare. Ciò vuol dire che le loro azioni militari non sono illegali, 35
e qualora cadano in mano al nemico hanno diritto al particolare trattamento riservato ai prigionieri di guerra e ai feriti. La situazione giuridica ha trovato una codificazione nel Regolamento per la guerra terrestre del l'Aja del 1 8 ottobre 1907, che oggi è ricono sciuto come universalmente valido. Dopo la seconda guerra mondiale si è avuto un ulte riore sviluppo attraverso quattro Convenzio ni stipulate a Ginevra il 1 2 agosto 1 949, due delle quali regolano la sorte dei feriti e degli ammalati nella guerra terrestre e marittima, una terza il trattamento dei prigionieri di guerra, e la quarta la protezione della popo lazione civile in tempo di guerra. Numero si Stati, sia del mondo occidentale che del blocco dell' Est, le hanno subito ratificate, e anche il nuovo manuale militare di diritto di guerra terrestre americano del 1 8 luglio 1956 vi si è adeguato. Il Regolamento per la guerra terrestre del l'Aja del 1 8 ottobre 1907 aveva equiparato alle forze armate regolari - a certe condizio ni - le milizie, i corpi volontari e quanti si univano a sollevazioni popolari spontanee. Più avanti, quando tratteremo del cattivo rapporto che i prussiani ebbero con i parti giani, faremo riferimento ad alcuni punti controversi e ad alcune ambiguità di questo regolamento. Il processo che portò alle Con venzioni ginevrine del 1 949 è caratterizzato dal riconoscimento di un progressivo allen tarsi delle maglie di un diritto internaziona36
le europeo fino allora puramente intersta tuale. U n numero sempre maggiore di par tecipanti alla guerra si vede riconosciuta la qualifica di combattente. Anche la popola zione civile delle zone militarmente occupa te dal nemico - dunque il campo di batta glia caratteristico del parùgiano, che com batte alle spalle degli eserciti nemici - gode ora di una protezione legale maggiore di quella stabilita nel Regolamento per la guer ra terrestre del 1 907. Molti partecipanù ai combattimenù che finora erano staù consi derati partigiani sono adesso equiparaù ai combattenti regolari, e ne hanno gli stessi diritti e prerogative. A rigore non dovrebbe ro più essere chiamati parùgiani. Ma i con cetù sono ancora vaghi e incerti. Le formulazioni delle Convenzioni di Gine vra tengono presenù le esperienze europee, ma non le guerre partigiane di Mao Zedong e gli ulteriori sviluppi della guerra partigia na moderna. Negli anni immediatamente successivi al 1 945 non si aveva ancora chiara coscienza di ciò che un conoscitore della materia come Hermann Foertsch ha com preso e formulato, e cioè che le operazioni belliche dopo il 1 945 assunsero il carattere di guerriglia parùgiana perché i detentori di bombe atomiche rifuggivano, per ragioni umanitarie, di farne uso, e coloro che non le detenevano poterono contare su questo scrupolo - una conseguenza inattesa sia del la bomba atomica sia delle ragioni umanita37
rie. Per quanto concerne il problema del partigiano, i punti fondamentali delle norme stabilite a Ginevra derivano da situazioni de terminate. Sono un preciso riferimento, une référ ence pré cise (come si dice nell'autorevole commento della Croce Rossa Internazionale diretto da Jean S. Piete t, vol. VI, 1 958, p. 65) ai movimenti di resistenza della seconda guerra mondiale, dal 1 939 al 1945. Le Convenzioni non mirano a un mutamen to profondo del Regolamento per la guerra terrestre stabilito all'Aja nel 1 907. Sostan zialmente ci si attiene anche alle quattro condizioni classiche per l'equiparazione al le truppe regolari (superiori responsabili, contrassegni fissi e visibili, armamento esibi to apertamente, rispetto delle regole e degli usi del diritto di guerra) . La Convenzione sulla protezione della popolazione civile, tuttavia, vale non solo per le guerre intersta tuali, ma per tutti i conflitti armati interna zionali, e dunque anche per le insurrezioni, le guerre civili e così via. È anche vero che con questo si mirava solo a creare i fonda menti giuridici per gli interventi umanitari del Comitato Internazionale della Croce Rossa (o di altre organizzazioni al di sopra delle parti ) . Inter arma cari tas. Nell'articolo 3, quarto comma, viene espressamente sot tolineato che lo stato giuridico le statut j u ri dique- delle parti in conflitto non ne viene toccato (cfr. Pictet, op. cit. , vol. III, 1 955, pp. 39-40) . In una guerra interstatuale la poten-
38
che occupa militarmente una regione conserva sempre il diritto di dare disposizio ni alla polizia locale per il mantenimento dell'ordine e per la repressione di azioni mi litari irregolari, e di conseguenza anche per la caccia ai partigiani, « senza riguardo alle idee da cui questi ultimi possano essere ispi rati" (Pictet, op. c it. , vol. IV, 1 956, p. 330) . Ne consegue che la distinzione dei partigia ni - nel senso di combattenti irregolari, non equiparati alle truppe regolari è sostan zialmente man tenuta anche oggi. Il parti giano in questo senso non ha i diritti e le prerogative del combattente; è un criminale comune, e lo si può rendere inoffensivo con procedimenti sommari e misure repressive. Questo è stato sostanzialmente riconosciuto anche nei processi ai criminali di guerra do po la seconda guerra mondiale, in particola re nelle sentenze di Norimberga contro i ge nerali tedeschi (]odi, Leeb, List) , fermo re stando, ovviamente, che le atrocità, le misu re terroristiche, le punizioni collettive o ad dirittura la partecipazione a stermini di mas sa- tutte azioni che vanno al di là del neces sario nella lotta ai partigiani - rimangono crimini di guerra. Le Convenzioni di Ginevra ampliano il no vero di coloro che vengono equiparati ai combattenti regolari soprattutto per il fatto che assimilano i membri di un « movimento di resistenza organizzato,, a quelli di corpi volontari o di milizie, conferendo loro, in za
-
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questo modo, i diritti e le prerogative dei combattenti regolari . Per goderne non è neppure posta espressamente come condi zione una organizzazione militare (art. 1 3 della Convenzione sui feriti e art. 4 sui pri gionieri di guerra) . La Convenzione sulla protezione della popolazione civile equipa ra i " conflitti internazionali » condotti con la forza delle armi alle guerre interstatuali del diritto internazionale europeo classico, cogliendo così il nocciolo di un tipico istitu to giuridico del diritto di guerra finora in vi gore: la occupatio bell ica. A questi amplia menti e allentamenti, cui si può qui solo ac cennare a titolo d'esempio, si aggiungono le grandi trasformazioni e i mutamenti che appaiono in seguito all 'evoluzione della mo derna tecnica bellica, e che si ripercuotono, tanto più intensamente, sulla lotta partigia na. Che significato può avere, ad esempio, la disposizione che l'armamento deve essere « apertamente esibito " per un combattente della resistenza al quale il sopraccitato ma nuale sulla guerriglia dello Schweizerischer Unteroffiziersverband (p. 33) dà le seguenti istruzioni: " Spostati solo di notte, e durante il giorno riposati nei boschi »? E che significa to ha poi il requisito di un contrassegno visi bile a distanza in uno scontro notturno o di fronte alle armi di lunga gittata della moder na tecnica bellica? Molte domande del ge nere si affollano quando la riflessione cade sul problema del partigiano, tenendo con40
to anche degli aspetti legati al mutamento spaziale e allo sviluppo tecnico-industriale, che illustreremo più avanti (si veda sotto, pp. 95, 1 07) . La protezione della popolazione civile in un paese occupato militarmente presenta di versi aspetti. La potenza occupante ha tutto l'interesse che nella zona occupata regnino la tranquillità e l' ordine. Si tiene per fermo che la popolazione della zona occupata sia tenuta non già alla fedeltà, ma certo all'ob bedienza nei riguardi delle disposizioni del la potenza occupante ammesse dal diritto di guerra. Anche i funzionari statali - e la stes sa polizia - devono continuare il proprio la voro con correttezza, e in conformità con questo devono essere trattati dall' occupan te. L'insieme è un faticoso e difficile com promesso fra gli interessi della potenza oc cupante e quelli dei suoi nemici. Il partigia no viene a turbare pericolosamente questa sorta di ordine nella zona occupata. Non sol tanto perché opera alle spalle del fronte ne mico, ostacolando i trasporti e i rifornimen ti, ma anche perché viene più o meno ap poggiato e protetto dalla popolazione locale. « La popolazione è il tuo migliore amico'' si legge nella sopraccitata Klei nkri egs anwei sung fur j eder mann (p. 28) . Proteggere la popola zione in questo caso significa dunque, po tenzialmente, proteggere anche dei parti giani. Si spiega così il fatto che nel corso del lo sviluppo del diritto di guerra, nell'ambito 41
delle discussioni all'Aja sulle norme della guerra terrestre e nei successivi approfondi menti, si assista sempre al formarsi di due caratteristici fronti: le grandi potenze milita ri, virtuali occupanti, esigono che l' ordine nelle regioni militarmente occupate venga rigidamente garantito, mentre gli Stati più piccoli - Belgio, Svizzera, Lussemburgo -, temendo di essere invasi, tentano di far vale re la maggior protezione possibile della po polazione civile e dei combattenti della resi stenza. Anche da questo punto di vista gli sviluppi registratisi dopo la seconda guerra mondiale hanno condotto a nuove acquisi zioni, e l'aspetto della disgregazione delle strutture sociali, che esamineremo più avan ti (p. 1 0 l), induce a chiedersi se non possa no darsi casi in cui la popolazione abbia bi sogno di essere protetta dai partigiani. Con le Convenzioni di Ginevra del 1 949 so no state introdotte, all'interno dell 'istituto giuridico classico della occupati o belli ca- che il Regolamento per la guerra terrestre del l'Aja aveva disciplinato con precisione -, modifiche i cui effetti restano per molti ver si imprevedibili. Combattenti della resisten za che prima sarebbero stati considerati par tigiani vengono ora equiparati ai combat tenti regolari non appena risultino organiz z ati. Gli interessi delle popolazioni delle zo ne occupate vengono sottolineati con tale decisione rispetto a quelli della potenza oc cupante che, almeno in teoria, è reso possi42
bile ogm tipo di resistenza contro l' occu pante, anche quella partigiana, purché essa sorga da motivi rispettabili quel tanto che basta per farla apparire non illegale. D ' altro canto la potenza occupante deve conservare la facoltà di ricorrere a misure repressive. In questa situazione il partigiano agirebbe in modo non propriamente legale ma neppu re in modo propriamente illegale, bensì so lo a proprio rischio e pericolo, e in questo senso ri schiosamente. Quando si usano parole come ri schio e ri schioso in senso generico e non pregnante, va subito chiarito che in una zona militar mente occupata dal nemico e battuta dai partigiani non sono assolutamente solo que sti ultimi a vivere rischiosamente. Nel senso generale di insicurezza e pericolo, l' intera popolazione della zona si trova in una situa zione di grande rischio. Quei funzionari che, conformemente al Regolamento del l'Aja, vogliano continuare correttamente il loro lavoro, vanno incontro a rischi supple mentari sia per il loro operato sia per le loro omissioni, e in particolare il funzionario di polizia finisce per trovarsi fra l' incudine e il martello: la potenza occupante esige da lui il mantenimento della sicurezza e dell' ordi ne, che proprio il partigiano viene però a turbare; il suo Stato nazionale esige da lui fedeltà, e alla fine della guerra gli chiederà conto del suo operato; la popolazione alla quale appartiene si aspetta una lealtà e una 43
solidarietà che, riguardo all'attività di un funzionario di polizia, può portare a conse guenze pratiche assolutamente contraddit torie, a meno che non si decida a diventare lui stesso un partigiano; e alla fine sia il par tigiano sia il suo avversario lo trascineranno nel loro circolo vizioso di rappresaglia e controrappresaglia. Parlando in generale, l 'azione (o omissione) arrischiata non rap presentano uno specifico carattere distinti vo del combattente partigiano. La parola ri schioso assume un significato più pregnante quando chi agisce in modo ri schioso si espone personalmente al perico lo e coscientemente mette nel conto anche eventuali conseguenze negative delle sue azioni o delle sue omissioni, in modo da non poter gridare all'ingiustizia quando quelle conseguenze lo colpiscono. D'altro canto, se si mantiene entro i limiti della legalità, egli ha la possibilità di compensare il rischio at traverso un contratto di assicurazione. La pa tria giuridica del concetto di ri schio, il suo to pos giurisprudenziale, resta il diritto assicu rativo. L'uomo vive in mezzo a pericoli e in sicurezze di ogni genere, e assegnare con consapevolezza giuridica la designazione di ri schio a un pericolo o a una condizione di scarsa sicurezza significa rendere assic urabili quelli e la parte lesa. Nel caso del partigiano, questo probabilmente naufragherebbe con tro l' irregolarità e l'illegalità delle sue azioni, anche se per il resto ci fosse una disponibi44
lità a proteggerlo da un rischio troppo gran de mediante un suo inserimento, dal punto di vista della tecnica assicurativa, nella classe di rischio più elevata. Le situazioni create dalla guerra e dall' espli carsi dell' ostilità rendono necessaria una ri flessione sul conce tto di rischio. Da noi la pa rola è stata introdotta nella teoria del diritto internazionale di guerra attraverso il libro di Josef L. Kunz Kri egsrecht und Neu tral itii tsrecht (1935, pp. 1 46, 274) . Tutta�a lì non ci si riferisce alla guerra terrestre, e tanto meno al partigiano. Non sono assolutamente chiama ti in causa. Se prescindiamo dal diritto assi curativo come patria giuridica del concetto di ri schio, e tralasciamo usi non pregnanti della parola - per esempio il paragone col prigioniero fuggito che «rischia >> di essere fucilato -, appare che l 'uso proficuo del con cetto di «rischioso >> , dallo specifico punto di vista del diritto bellico, in Kunz si riferisce solo al diritto di guerra marittima e alle figu re e situazioni tipiche di questa. Nella mag gior parte dei casi la guerra marittima è una guerra commerciale; rispetto alla guerra ter restre possiede un suo proprio spazio e i pro pri concetti di nemico e di bottino. Perfino il miglioramento della sorte dei feriti ha porta to, nel regolamento ginevrino dell'agosto 1949, a due Convenzioni separate, una per la terraferma e una per il mare. Rischiosamente, in questo senso specifico, agiscono due partecipanti alla guerra marit45
tima: il neutrale che forza un blocco navale e il neutrale che pratica il contrabbando. In relazione a loro il termine ri sc hi oso ha il suo senso preciso e pregnante. Sia l'uno che l'al tro « si avventurano in un 'attività commer ciale molto redditizia ma anche molto ri schiosa >> ( cfr. Kunz, op. ci t. , p. 2 77 ) , giacché nel caso vengano individuati rischiano basti mento e carico. Essi non hanno però di fronte un nemico, anche se il diritto di guer ra marittima li tratta da nemici. L'ideale so ciale di costoro sono i buoni affari . Il loro campo di attività è il mare aperto. Non pen sano a difendere casa e focolare e patria da un invasore, come è proprio dell' archetipo del partigiano autoctono. Stipulano anche contratti assicurativi per bilanciare i rischi che corrono, e in questo caso le tariffe sono conformemente elevate , commisurandosi ai mutevoli fattori di rischio, per esempio l 'af fondamento ad opera di sommergibili: mol to rischioso, ma ad alta copertura. Un termine preciso come ri schi oso non do vrebbe essere estrapolato dall 'ambito con cettuale del diritto di guerra marittima e dis solto in un concetto generale dove tutto sfu ma. Per noi, che ci atteniamo al carattere tellurico del partigiano, questo è particolar mente importante. E se in passato mi è acca duto di chiamare '' partigiani del mare >> i pi rati e i bucanieri del primo capitalismo (Der N omos der Erde, cit., p. 1 45) ,2° vorrei oggi cor reggere quella imprecisione terminologica. 46
Il partigiano ha un nemico e « rischia ,, qual cosa di m olto diverso rispetto a chi forza un blocco e a chi pratica il contrabbando. Egli rischia non solo la propria vita, come ogni combattente regolare. Sa, e non fa nulla per evitarlo, che il nemico lo considera al di fuori di ogni diritto, legalità e onore. La stessa cosa fa del resto il combattente ri voluzionario, che dichiara il nemico un cri minale e considera un inganno ideologico tutte le opinioni del nemico su diritto, legge e onore. Nonostante i legami e le commi stioni - caratteristici della seconda guerra mondiale e del dopoguerra fino ai giorni nostri - fra i due tipi di partigiano, il difen sore autoctono della propria patria e l'attivi sta rivoluzionario che ha per campo d'azio ne il mondo intero, l'antitesi resta. Questa si basa, come vedremo, su concetti fondamen talmente diversi di guerra e di inimicizia, che si realizzano in tipi diversi di partigiano. Laddove la guerra viene condotta da en trambe le parti come uno scontro non di scriminatorio di uno Stato contro l ' altro, il partigiano è una figura marginale, che non fa saltare il quadro della guerra e che non muta la struttura complessiva del processo politico. Quando però si passa a considera re il nemico che si combatte un vero e pro prio criminale, quando la guerra diventa per esempio come una guerra civile tra ne mici di classe, il suo scopo primario è l ' an nientamento del governo dello Stato nemi47
co, e allora il rivoluzionario effetto dirom pente della criminalizzazione del nemico trasforma il partigiano nel vero eroe della guerra. Egli esegue sentenze di morte con tro criminali, e rischia, da parte sua, di esse re trattato come un criminale o un vandalo. È questa la logica di una guerra per una j u sta causa senza il riconoscimento di un j ustus hostis. Attraverso di essa il partigiano rivolu zionario diventa la vera figura centrale del conflitto. La problematica del partigiano diventa però la migliore pietra di paragone . I diversi tipi di guerra partigiana possono mescolarsi e fondersi nella pratica dell'odierna condotta di guerra, ma nei loro presupposti fonda mentali rimangono così distinti da costitui re il criterio su cui si fonda la classificazione amico-nemico. Abbiamo ricordato poco so pra il tipico schieramento formatosi duran te i lavori preparatori del Regolamento per la guerra terrestre dell'Aja: le grandi poten ze militari di fronte ai piccoli paesi neutrali. Durante le consultazioni per le Convenzioni di Ginevra del 1949 fu raggiunta, con molta fatica, una formula di compromesso che e quiparava il movimento di resistenza orga nizzato alle formazioni volontarie. Anche qui, quando si trattò di accogliere entro norme di diritto internazionale le esperien ze della seconda guerra mondiale, si ripro dusse lo schieramento tipico. Anche questa volta le grandi potenze militari, virtuali oc48
cupanti, si trovarono in contrasto con i pic coli Stati, timorosi di una possibile occupa zione del loro territorio; ma con una diffe renza tanto vistosa quanto sintomatica: la più grande potenza terrestre del mondo, il potenziale occupante di gran lunga più for te, l' Unione Sovietica, era ora a fianco dei piccoli Stati.21 Le quattro Convenzioni di Ginevra del 1 2 agosto 1 949 sono il frutto di sentimenti u mani e di uno sviluppo dei princìpi umani tari che meritano ammirazione. Garanten do anche al nemico non soltanto di essere considerato uomo, ma pure la giustizia - nel senso del riconoscimento dei suoi diritti -, rimangono fedeli al diritto internazionale classico e alla sua tradizione, senza la quale una simile opera umanitaria sarebbe impro babile. Il loro fondamento resta la statualità della conduzione della guerra e una conse guente delimitazione di questa, con le sue chiare distinzioni fra guerra e pace, militare e civile, nemico e criminale, guerra fra Stati e guerra civile. Ma dove allentano o addirit tura mettono in discussione queste essenzia li distinzioni, spianano la strada a un tipo di guerra che distrugge scientemente quelle chiare separazioni. Ecco allora che qualche norma di compromesso cautamente stilizza ta appare soltanto un esile ponticello sopra un abisso che cela in sé un profondo muta mento, gravido di conseguenze, dei concetti di guerra, nemico e partigiano. 49
LO SVILUPPO DELLA TEORIA
Il
cattivo rapporto dei prussiani con il partigiano
In Prussia, prima potenza militare della Ger mania, la sollevazione antinapoleonica della primavera del 1 8 1 3 fu prodotta da un forte sentimento nazionale. Il grande momento passò presto, ma rimase così essenziale nella storia del partigiano che dovremo trattarlo a parte più avanti. Innanzitutto dobbiamo tener conto del l'incontestabile fatto storico che l ' esercito prussiano - e quello tedesco guidato dalla Prussia - dal 1 8 1 5 fino alla seconda guerra mondiale inoltrata fornisce l'esempio clas sico di una organizzazione delle forze arma te che ha radicalmente rimosso l 'idea del partigiano. I trent'anni di dominio coloniale tedesco in Mrica, dal 1 885 al 1 9 1 5 , non furono militar mente abbastanza importanti da indurre gli eccellenti teorici dello Stato Maggiore prus siano a in teressarsi seriamente al proble ma. L'esercito austroungarico conosceva la guerra partigiana dei Balcani, e aveva già un regolamento per affrontare la guerriglia. 50
L'esercito prussiano-tedesco, invece , duran te la seconda guerra mondiale invase la Rus sia, il 22 giugno del 1 941 , senza neppure pensare all' eventualità di una guerra parti giana. La sua campagna contro Stalin iniziò con questo motto: la truppa combatte il ne mico, gli sbandati vengono resi inoffensivi dalla polizia. Soltanto nell 'ottobre del 1 941 si ebbero le prime specifiche disposizioni per la lotta contro i partigiani; nel maggio 1944, a poco meno di un anno dalla fine di quei quattro anni di guerra, fu diramato il primo regolamento completo del Comando Supremo della Wehrmacht.�2 L'esercito prussiano-tedesco nell'Ottocento divenne la più famosa ed esemplare orga nizzazione militare del mondo eurocentrico di allora. Ma doveva questa fama esclusi vamente a vittorie militari contro altri eser citi regolari europei, in special modo della Francia e dell'Austria. Soltanto durante la guerra franco-prussiana del 1 870-1871 si era trovato ad affrontare la guerra irregolare, nelle sembianze dei cosiddetti franc -tireurs in tedesco Hec kensc hiitzen , che trattò infles sibilmente secondo la legge marziale, così come avrebbe fatto qualsiasi esercito regola re. Quanto più un esercito è rigidamente di sciplinato, tanto più è la correttezza con cui distingue i militari dai civili, considerando nemico solo l'avversario che indossa un'u niforme, e tanto più sensibile e nervoso di venta quando dall'altra parte partecipa ai -
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combattimenti anche una popolazione civi le priva di uniforme. I militari reagiscono al lora con dure rappresaglie, fucilazioni, arre sti e distruzioni di centri abitati, consideran do tutto questo una legittima difesa contro perfidia e slealtà. Quanto più, dunque, si è disposti a rispettare il regolare avversario in uniforme quale nemico, anche negli scontri più cruenti, tanto più spietatamente si trat terà da criminale il combattente irregolare. Tutto questo è la naturale conseguenza del la logica del diritto di guerra europeo classi co, che distingue i militari dai civili, i com battenti dai non combattenti, e trova la rara forza morale di non considerare il nemico di per sé un criminale. Il soldato tedesco ha conosciuto il franc-tireur in Francia, nell 'autunno del 1 870 e nel sus seguente inverno 1 870-187 1 , dopo la gran de vittoria riportata a Sedan il 2 settembre contro l'esercito regolare dell 'imperatore Napoleone III. Se fosse andata secondo le norme della guerra classica fra eserciti rego lari, una simile vittoria avrebbe dovuto se gnare la fine del conflitto e l' inizio delle trattative di pace. Invece lo sconfitto gover no imperiale venne deposto, e il nuovo go verno repubblicano, guidato da Léon Gam betta, proclamò la resistenza nazionale con tro l 'invasore straniero, la guerra à outrance. Continuò ad arruolare in tutta fretta nuovi eserciti, e a gettare sui campi di battaglia masse di soldati non addestrati. Nel novem52
bre del 18 70 segnò perfino un successo mili tare a suo favore, sulla Loira. La situazione delle armate tedesche si era fatta minaccio sa, e quella della politica estera della Ger mania era diventata difficile, perché non si era previsto un conflitto di lunga durata. La popolazione francese si accese di entusia smo patriottico, e partecipò nelle forme più disparate alla lotta contro i tedeschi. Questi ultimi presero in ostaggio un certo numero di cosiddetti notabili, fucilarono i franc-ti reurs che avevano sorpreso con le armi in pugno, misero sotto pressione la popolazione fran cese con rappresaglie di ogni tipo. La situa zione diede inizio a una controversia, dura ta oltre un cinquantennio, fra giuristi di di ritto internazionale e pubblici propagandi sti di entrambe le parti, pro e contro il franc ti reur. E nella prima guerra mondiale le di spute sul franc-ti reur divamparono nuova mente, questa volta fra belgi e tedeschi. Sul l'argomento sono state scritte biblioteche intere, e ancora negli ultimi anni, fra il 1 958 e il 1 960, una commissione di storici tede schi e belgi di chiara fama ha tentato di ve nire a capo almeno di uno dei punti contro versi (appunto il franc-ti reur belga del 1 914) di questa complessa questione.23 Tutto questo insegna che una normativa in torno al problema del partigiano è giuridi camente impossibile, a meno di non voler correre il rischio di formulazioni giuridiche che non colgano la concreta fattispecie e 53
siano inficiate da giudizi di valore generici e aleatori. Sin dal Settecento la tradizionale delimitazione europea della guerra intersta tuale derivava da ben precisi concetti che vennero, sì, messi al bando dalla Rivoluzio ne francese, ma che poi furono tanto più efficacemente confermati dall ' opera di re staurazione del Congresso di Vienna. Questi concetti di delimitazione della guerra e in dividuazione del nemico, nati al tempo del le monarchie assolute, hanno valore di nor ma nei rapporti fra gli Stati solo quando en trambe le parti belligeranti vi si attengono allo stesso modo, tanto all 'interno dello Sta to quanto nei rapporti interstatuali, quando insomma i loro concetti - tanto nazionali quanto interstatuali - di regolarità e irrego larità, di legalità e illegalità, collimino nel contenuto, o almeno siano in qualche misu ra strutturalmente omogenei. In caso con trario la normativa interstatuale, invece di promuovere la pace, otterrà il solo risultato di fornire pretesti e spunti per accuse reci proche . Dopo la prima guerra mondiale si è raggiunta gradualmente una piena consape volezza di questa semplice verità. Ma la fac ciata ideologica del tradizionale armamen tario concettuale è ancora molto forte. Per ragioni di carattere pratico gli Stati spesso hanno interesse nel ricupero dei cosiddetti concetti classici, anche se in altri casi se ne erano sbarazzati come di idee superate e reazionarie. A questo si aggiunga che i giuri54
sti del diritto internazionale europe o hanno cocciutamente rimosso dalla loro coscienza un'immagine della nuova realtà che era già riconoscibile nel 1900 .21 Se tutto questo vale già, in generale, per la distinzione tra la guerra interstatuale euro pea di vecchio tipo e una guerra democrati ca di popolo, a maggior ragione per una guerra di popolo improvvisata e à outrance come quella proclamata da Gambetta nel settembre del 1 8 70. Il Regolamento per la guerra terrestre fissato all'Aja nel 1 907 ha tentato - così come tutti quelli che lo hanno preceduto nel corso dell'O ttocento - di ri solvere c on un compromesso il problema del franc-tireur. Richiede dunque certe con dizioni perché il soldato improvvisato , vesti to di una uniforme altrettanto improvvisata, possa venire riconosciuto come combatten te ai sensi del diritto internazionale: supe riori responsabili, contrassegni fissi e visibili da lontano, e soprattutto l'aperta esibizione delle armi. L'ambiguità concettuale della regolamen tazione dell'J\ja e delle conven zioni ginevrine è grande, e confonde i ter mini del problema.��· Partigiano, infatti, è proprio colui che evita di esibire aperta mente le armi, colui che per combattere fa uso di imboscate, che si mimetizza in mille modi, ora con l 'uniforme rubata al nemico ora servendosi di abiti civili, è colui che ado pera i contrassegni più vari a seconda delle circostanze. La clandestinità e l'oscurità so55
no le sue armi più potenti, alle quali egli non può onestamente rinunciare senza per dere lo spazio dell'irregolarità, vale a dire senza cessare di essere un partigiano. Il punto di vista militare dell ' esercito rego lare prussiano riguardo al significato della guerriglia non peccava né di scarsa intelli genza né di ignoranza. Lo prova l'interessan te libro di un tipico ufficiale di Stato Maggio re prussiano, che aveva conosciuto il modo di combattere dei franc-tireu rs nel 1870-1 871 , e che rese pubblica la sua opinione nel 1 877 in un volume dal titolo Lé on Gambetta und sei ne Armeen. L'autore, barone Colmar von der Goltz, cadde in battaglia durante la prima guerra mondiale mentre, col nome di Pascià Goltz, comandava un' armata turca. Con as soluta obiettività e con la massima precisione il giovane ufficiale prussiano si awede del madornale errore di strategia commesso dai repubblicani, e dichiara: '' Gambetta voleva condurre una vera e propria guerra, e lo ha anche fatto, per sua disgrazia; giacché per le armate tedesche, nella Francia di allora, una piccola guerra, una guerriglia, sarebbe stata assai più pericolosa » . 26 Il comando dell' esercito prussiano-tedesco alla fine riuscì a capire, anche se tardi, la na tura della guerra partigiana. Il 6 maggio 1 944 il Comando Supremo della Wehr macht emanò, come abbiamo già ricordato, le direttive generali per la lotta contro i par tigiani. Prima della sua fine, l 'esercito tede56
sco ha così fatto in tempo a capire la figura del partigiano. Quelle direttive del maggio 1 944 nel frattempo sono state riconosciute valide sotto ogni aspetto anche da un ne mico della Germania. Il brigadiere inglese Dixon, che dopo la guerra ha pubblicato, insieme a Otto Heilbrunn, un significativo libro sui partigiani, riproduce in extenso il te sto delle direttive tedesche quale modello esemplare di una efficace lotta contro i par tigiani, e il generale inglese Sir Reginald F.S. Denning osserva, nella sua prefazione al li bro di Dixon e Heilbrunn, che le direttive tedesche per la lotta al partigiano del 1 944 non sono meno valide per il fatto di riguar dare la lotta dell' esercito tedesco contro i partigiani russi. 27 Verso la fine della guerra, nel 1 944-1945, ap paiono in Germania due formazioni combat tenti che non si debbono ascrivere alla Wehr macht, anzi si possono considerare piuttosto la sua antitesi: il Volkssturm e il cosiddetto Werwolf. Il Volkssturm fu creato con un de creto del 25 settembre 1 944, ed era inteso come una milizia territoriale per la difesa na zionale i cui appartenenti erano, durante le loro operazioni, soldati ai sensi del diritto di guerra e combattenti secondo il Regolamen to per la guerra terrestre dell'Aja. Sulla loro organizzazione, l' equipaggiamento, l' impie go , lo spirito combattivo e le perdite ci infor ma uno scritto, apparso recentemente, del generale di divisione Hans Kissel, che dal 57
novembre 1 944 fu capo di Stato Maggiore del Volkssturm tedesco. Kissel ci rende noto che gli alleati occidentali avevano ricono sciuto il Volkssturm come truppa combatten te, mentre i russi lo consideravano una orga nizzazione partigiana e ne fucilavano i pri gionieri. A differenza di questa milizia terri toriale, il Werwolf era concepito come una organizzazione partigiana di giovani. Sui suoi risultati così riferisce il libro di Dixon e Heilbrunn: ; una cosa del genere sarebbe parsa loro poco rassicu59
rante, e anche poco prussiana. E pure per i timidi tentativi rivoluzionari del governo te desco e del suo Stato Maggiore durante la prima guerra m ondiale la parola acheronteCJ sarebbe stata eccessiva. Peraltro, anche il viaggio di Lenin dalla Svizzera in Russia, nel 1 9 1 7, rientra certamente in questo contesto. Ma tutto quello che allora possono aver pensato e progettato i tedeschi nell ' organiz zare il viaggio di Lenin è stato superato e travolto dalle conseguenze storiche di que sto tentativo rivoluzionario, e in misura tale che la nostra tesi del cattivo rapporto della Prussia con il partigiano ne risulta confer mata piuttosto che confutata.29 E tuttavia il militaresco Stato prussiano nella sua storia ha avuto, una volta, un momento davvero acheronteo. Fu nell'inverno e nella primavera del 1 8 1 2-1813, quando un'élite di ufficiali dello Stato Maggiore provò a scatena re tutta la forza dell'ostilità popolare verso Napoleone e a prenderne le redini. La guer ra tedesca contro Bonaparte non fu una guerra partigiana, ed è difficile anche definir la una guerra popolare. Tale la fece diventa re, come dice giustamente Ernst Forsthoff, solo « una leggenda creata per interesse poli tico >>.3° Fu facile convogliare subito quelle forze elementari entro i robusti argini del l 'ordine statale e del combattimento regola re contro l' esercito francese. Tuttavia questo breve momento rivoluzionario serba per la 60
teoria del partigiano un'importanza straor dinaria. A questo punto il pensiero correrà subito a un celebre capolavoro della scienza milita re, il libro Dell a guerra del generale prussia no von Clausewitz. E a ragione. Ma Clau sewitz allora era ancora soltanto un allievo di maestri quali Scharnhorst e Gneisenau, e il suo libro fu pubblicato solo dopo la sua morte, nel 1 832. Esiste invece un altro mani festo dell' ostilità contro Napoleone, risalen te all 'immediata primavera del 1 8 1 3, che può essere annoverato fra i più sbalorditivi documenti di tutta la storia del partigiano: l'editto prussiano sulla milizia territoriale ( Landsturm) del 2 1 aprile 1 8 1 3. Si tratta pro prio di un editto firmato dal re di Prussia, pubblicato secondo tutte le regole nella rac colta di leggi prussiane. I modelli cui si ispi ra sono senz' ombra di dubbio lo spagnolo Regl amento de Partidas y Cuadrill as del 28 di cembre 1 808 e il decreto noto con il nome di Corso terrestre, del 17 aprile 1 809. Questi ultimi tuttavia non sono personalmente firmati dal sovrano.�� Si resta attoniti nel leg gere il nome di un legittimo regnante sotto un simile appello alla guerra partigiana. Queste dieci pagine della raccolta di leggi prussiane del 1 8 1 3 (pp. 79-89) sono certa mente da annoverare fra le più inusitate di tutte le gazzette ufficiali del mondo. Ogni cittadino - così suona l' editto - ha il dovere di opporsi al nemico invasore con 61
qualsiasi tipo di arma. Scuri, forconi, falci e lupare vengono espressamente raccoman dati nel paragrafo 43. Ogni prussiano ha il dovere di non obbedire ad alcun ordine del nemico, bensì di danneggiarlo con ogni mezzo possibile. Anche se il nemico volesse ristabilire l ' ordine pubblico, nessuno è au torizzato a obbedirgli, perché così facendo si finin;bbe per facili tarne le operazioni mi litari. E espressamente affermato che gli , che richiama le esperienze della guerra popolare spagnola e mira, in caso di necessità, a lasciar tranquillamente " rispon dere ali' efferatezza con l' efferatezza, alla violenza con la violenza ,, . E in questo docu mento si può già discernere chiaramente l' editto prussiano sulla milizia territoriale dell' aprile 1 8 1 3.32 Dovette essere una grande delusione per Clausewitz il fatto che quanto si era aspetta to dali' insurrezione " non accadde » . 3� Guer ra di popolo e partigiani Parteig ii ng er, se condo la sua definizione - erano stati da lui individuati come elementi essenziali delle " forze che esplodono in guerra ,, , e in quan to tali li aveva inseriti nel sistema della sua teoria della guerra. In particolare nel capi tolo VI del sesto libro del suo Dell a gu erra « Estensione dei mezzi di difesa ,, - e nel ce lebre capitolo VI B d eli ' ottavo libro - " La guerra è uno strumento della politica ,, - ha riconosciuto la nuova " potenza >>. Nella sua opera troviamo inoltre sorprendenti osser-
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vazioni isolate piene di sottintesi, come il passo sulla guerra civile in Vandea, dove di ce che p ochi singoli partigiani talvolta pos sono persino del 1941-1 945 descrive il glo rioso partigiano che scompiglia le retrovie dell' esercito nemico. Negli enormi spazi della Russia, con un immenso fronte di cen tinaia di chilometri, per la strategia tedesca qgni divisione era indispensabile. La conce zione di fondo che Stalin aveva del partigia no prevedeva che questi dovesse sempre -
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combattere alle spalle del nemico, secondo la nota massima: alle spalle i partigiani, al fronte fraternizzazione. Stalin riuscì a combinare il forte potenziale della resistenza nazionale e patriottica - vale a dire la forza tellurica, essenzialmente di fensiva, della lotta contro un invasore stra niero - con l'aggressività della rivoluzione comunista mondiale. L'unione di queste due forze eterogenee è oggi alla base di ogni lotta partigiana in tutto il mondo. Con ciò l' elemento comunista finora è rimasto per lo più avvantaggiato, per via della sua ri solutezza e dell'appoggio di Mosca o Pechi no. I partigiani polacchi che durante la se conda guerra mondiale combatterono con tro i tedeschi furono crudelmente sacrificati da Stalin. Le lotte partigiane in Jugoslavia del 1 941-1 945 non sono state soltanto una difesa comune contro l' invasore straniero, ma anche uno scontro fratricida, altrettanto brutale, fra partigiani monarchici e partigia ni comunisti. Nel corso di questa lotta, Tito, il capo dei partigiani comunisti, grazie an che all' aiuto di Stalin ha sconfitto e annien tato il suo avversario interno jugoslavo, il ge nerale Mihajlovié, che era sostenuto dagli inglesi. Il più grande esperto nella pratica della guerra rivoluzionaria contemporanea è di ventato anche il suo più famoso teorico: Mao Zedong. Alcuni suoi scritti " sono oggi lettura obbligatoria nelle scuole di guerra 78
occidentali >> , come ricorda Hans Henle. Fin dal 1 927 egli cominciò ad acquisire espe rienze nel movimento comunista, e trasse profitto dell 'invasione giapponese del 1932 per sviluppare sistematicamente tutti i mo derni metodi della guerra civile nazionale e internazionale . La « Lunga Marcia >> dalla Ci na fino alla frontiera mongola, iniziata nel 1 934 e protrattasi per oltre 1 2.000 chilome tri con enormi perdite, costituì una serie di prove ed esperienze partigiane che produs se, quale risultato, il Partito Comunista Ci nese, partito di conta� ini e soldati, con il partigiano al centro. E una coincidenza si gnificativa il fatto che Mao Zedong abbia composto tutte le sue opere più importanti tra il 1 936 e il 1938, vale a dire nel periodo in cui la Spagna seppe difendersi, con una guerra di liberazione nazionale, dalla fago citazione del comunismo internazionale. In questa guerra civile spagnola il partigiano non ha svolto un ruolo di primo piano. Mao Zedong invece deve la sua vittoria sul pro prio avversario interno, il Kuo Min Tang e il generale Chiang Kai-shek, esclusivamente alle esperienze della lotta partigiana cinese contro i giapponesi e il Kuo Min Tang. Le formulazioni teoriche più importanti di Mao Zedong, almeno per quanto riguarda il nostro argomento, si trovano in uno scritto del 1 938 intitolato Strategia della guerra parti giana contro l'invasione giapponese. Ma si devo no prendere in considerazione anche altri 79
suoi scritti per avere un'immagine completa della dottrina militare di questo nuovo Clau sewitz.41 Di fatto si tratta di un coerente, si stematico e consapevole sviluppo dei con cetti elaborati dagli ufficiali dello Stato Mag giore prussiano. Solo che Clausewitz, con temporaneo di Napoleone I, non poteva an cora presagire il grado di totalità - oggi ov via - della guerra rivoluzionaria dei comuni sti cinesi. L'immagine caratteristica di Mao Zedong è tutta contenuta nella seguente si militudine: « Nella nostra guerra la popola zione armata e la guerriglia partigiana da un lato e l'Armata Rossa dall'altro si posso no paragonare alle due braccia di un uomo; o volendosi esprimere più concretamente: la morale della popolazione è quella della nazione in armi. E di questo il nemico ha paura » . La " nazione i n armi » era notoriamente an che la parola chiave degli ufficiali dello Sta to Maggiore prussiano che organizzarono la guerra contro Napoleone. Clausewitz era uno di loro. Abbiamo visto che allora il vigo roso slancio nazionale di un ben preciso strato culturale venne recepito dall'esercito regolare. Anche i pensatori militari più radi cali di quell'epoca distinguono fra guerra e pace e considerano la guerra una situazione di emergenza, nettamente distinguibile dal la pace. Neppure Clausewitz avrebbe potu to, nella sua vita di ufficiale di professione di un esercito regolare, sviluppare così siste80
maticamente e fino in fondo la logica del partigiano come sarebbero riusciti a fare Le nin e Mao nella loro esistenza di rivoluzio nari di professione. Per quanto riguarda Mao, poi, si aggiunge un altro fatto concre to, che gli permise di avvicinarsi ancor più di Lenin al cuore della problematica parti giana, e di definirla concettualmente in mo do ancor più completo. Per dirla in due pa role: la rivoluzione di Mao ha un fondamen to più « tellurico » di quella di Lenin. L'a vanguardia bolscevica che si impadronì del potere in Russia nell 'ottobre del 1 9 1 7 sotto la guida di Lenin mostra grosse differenze nei confronti dei comunisti cinesi che rag giunsero finalmente il potere nel 1949 - do po una guerra ultraventennale -, differenze sia nella struttura interna dei gruppi sia nei rapporti con il paese e con il popolo di cui si impadronirono. La controversia su quale ideologia propugnasse Mao - se autentico marxismo o leninismo - diventa, davanti al fatto inaudito di un partigiano tellurico di queste dimensioni, secondaria quasi quanto la domanda se gli antichi filosofi cinesi non avessero già espresso concetti simili a quelli di Mao. Si tratta di una reale «élite rossa •• , forgiata dalla lotta partigiana. Ruth Fischer ha chiarito l ' aspetto essenziale richiaman dosi al fatto che i bolscevichi russi del 1 9 1 7, dal punto di vista nazionale, erano una mi noranza « guidata da un gruppo di teorici la cui maggioranza era composta da ex emi81
granti '' · Nel 1 949 i comunisti cinesi sotto la guida di Mao e dei suoi amici avevano già al le spalle due decenni di lotte sul proprio suolo nazionale contro un avversario inter no - il Kuo Min Tang -, condotte sulla base di una gigantesca lotta partigiana. Può darsi che riguardo all'estrazione sociale fossero classificabili come proletariato urbano, così come lo erano i bolscevichi originari di Mo sca e Pietroburgo, ma quando arrivarono al potere recarono con sé le formative espe rienze di pesanti sconfitte e una capacità or ganizzativa in grado di « trapiantare i loro princìpi in un contesto contadino, dove li avrebbero ulteriormente sviluppati in modo nuovo e imprevisto ,, . 42 Qui risiede l ' origine profonda delle differenze « ideologiche ,, fra comunismo cinese e comunismo russo, ma anche una contraddizione interna alla situazione dello stesso Mao, che fonde il nemico di classe marxista - un nemico as soluto m ondiale, globale , senza uno spazio definito - con il nemico reale, territorial mente delimitabile, della difesa cino-asiati ca contro il colonialismo capitalista. È il contrasto fra One World, una unità politica della terra e dei suoi abitanti, e una plura lità di grandi spazi, razionalmente equili brati all'interno e controbilanciati gli uni con gli altri . L' idea pluralistica di un nuo vo Nomos della terra è stata espressa da Mao in una poesia, intitolata Kunlun, in cui dice: 82
Se il cielo mi fosse patria sguainerei la mia spada e ti taglierei in tre pezzi: uno in regalo all'Europa, uno ali ' America, ma uno lo terrei per la Cina, e sarebbe la pace a dominare il mondo.
Nella situazione concreta di Mao convergo no diversi tipi di inimicizia, la quale s' inten sifica sino a diventare assoluta. L'ostilità raz ziale contro i coloni bianchi sfruttatori; l ' o stilità di classe verso la borghesia capitalisti ca; l' ostilità nazionale contro gli invasori giapponesi appartenenti alla stessa razza; l ' avversione crescente per il proprio conna zionale, alimentata durante lunghe e acca nite guerre civili: tutto questo non deter minò una reciproca paralizzazione o relati vizzazione, come sarebbe di per sé possibile, ma si rafforzò e si intensificò nella situa zione concreta. Durante la seconda guerra mondiale Stalin riuscì a collegare il partigia no tellurico del suolo patrio con l 'ostilità di classe del comunismo internazionale. Ma in questo Mao lo aveva preceduto già da parec chi anni. Egli ha sviluppato la formula della guerra come continuazione della politica, anche a livello di consapevolezza teorica, al di là dello stesso Lenin. L'operazione men tale che sta alla base di tutto questo è sem plice quanto potente. La guerra trova il suo senso nell 'inimicizia. Dal momento che essa è la continuazione della politica, anche que st'ultima contiene sempre in sé, almeno in 83
potenza, un elemento di inimicizia; e se la pace reca in sé la possibilità della guerra - e l' esperienza ha insegnato che purtroppo è davvero così -, allora contiene anche un momento di potenziale inimicizia. La que stione, dunque, è se l' inimicizia possa essere circoscritta e controllata, se cioè sia una ini micizia relativa o assoluta. E questo può de ciderlo solo colui che sta combattendo una guerra a proprio rischio e pericolo. Per Mao, che pensa da partigiano, la pace di og gi è soltanto la forma esteriore di una inimi cizia effettiva, che non cessa nemmeno nella cosiddetta « guerra fredda ,, . Quest'ultima, dunque, non è una via di mezzo tra la guer ra e la pace, ma una maniera, adatta alle cir costanze, di mettere in azione una reale ini micizia con mezzi diversi da quelli aperta mente violenti. Solo dei deboli e degli illusi possono ingannarsi su questo punto. In sostanza ne emerge la questione del rap porto quantitativo che esiste tra l ' azione del l' esercito regolare della guerra aperta e gli altri metodi della lotta di classe non aperta mente militari. A questo proposito Mao for nisce cifre precise: la guerra rivoluzionaria è per i nove decimi guerra non aperta, non re golare, e per un decimo guerra militare aper ta. Un generale tedesco, Helmut Staedke, ne ha ricavato una definizione del partigiano: il partigiano è il combattente dei suddetti no ve decimi di una strategia che lascia solo il restante decimo alle forze annate regolari.4� 84
Mao Zedong vede bene come quest'ultimo decimo resti decisivo per una positiva con clusione della guerra. Ma proprio qui noi europei di vecchia tradizione dobbiamo guardarci dal ricadere nei concetti conven zionali classici di guerra e pace, che si riferi scono alla guerra europea circoscritta del XIX secolo, e dunque a una inimicizia non assoluta, ma relativa e delimitabile. L'Armata Rossa regolare fa la sua apparizio ne solo quando la situazione è ormai ma tura per la fondazione di un regime comu nista. Solo allora il paese viene occupato in modo apertamente militare. Questo non punta certo a una conclusione della pace nel senso del diritto internazionale classico. L'importanza pratica di una simile dottrina verrà prepotentemente dimostrata a tutto il mondo dopo il 1 945 dalla divisione della Germania. Le operazioni militari cessaro no 1'8 maggio 1 945; la Germania, sconfitta, capitolò senza condizioni. A tutt'oggi, nel 1 963, non si è ancora giunti a una pace fra gli alleati vincitori e la Germania; ma ancora adesso la frontiera fra Est e Ovest corre esat tamente lungo la linea che diciotto anni fa delimitò le zone d' occupazione americana e sovietica. Tanto il rapporto fra guerra fred da e guerra militare aperta (indicato di 9 a l ) quanto il sintomo della divisione della Germania dopo il 1945, assai significativo per la politica mondiale, sono per noi solo esempi atti a chiarire la teoria politica di 85
Mao. La sua essenza risiede nel partigiano, il suo segno distintivo oggi è la vera inimicizia. La teoria bolscevica di Lenin ha individuato e riconosciuto il partigiano. Ma a paragone della realtà tellurica e concreta di quello ci nese, Lenin resta ancora un po' astratto e intellettuale nella determinazione del nemi co. Il conflitto ideologico fra Mosca e Pechi no, che nel l962 emerge con sempre mag giore evidenza, ha le sue radici più profon de in questa realtà concreta e diversa di un'autentica lotta partigiana. Anche qui la teoria del partigiano si dimostra la chiave per comprendere la realtà politica.
Da Mao Zedong a Raoul Salan
Sono stati gli ufficiali di carriera francesi rientrati dall'Asia a portare in Europa la fa ma di Mao Zedong, considerato il più mo derno maestro di strategia. In lndocina la guerra coloniale vecchio stile si scontrò con la guerra rivoluzionaria contemporanea. Laggiù i francesi avevano sperimentato sulla propria pelle la forza d'urto dei ben ponde rati metodi di una strategia sovversiva e del terrore di massa in combinazione con la guerra partigiana. Mettendo a frutto le lo ro esperienze poterono dunque sviluppare una teoria della guerra psicologica, sovversi86
va e insurrezionale su cui esiste già una con sistente letteratura. 44 In tale teoria si è voluto ravvisare il tipico prodotto di una mentalità da ufficiale di car riera, e precisamente da colonnello. Non è qui la sede per discutere questa categoria del > (e non « lega le ») quando vogliono affermare che sono nel gius to. Il caso Salan dimostra però che anche una legalità messa in discussione re sta più forte, in uno Stato moderno, di ogni altro genere di giustizia. Ciò dipende dalla forza decisionista dello Stato e dalla sua ca pacità di trasformare il diritto in legge. Non è necessario, qui, approfondire la questio ne."" Forse le cose cambieranno completa mente quando lo Stato un giorno « morirà » . Per il momento la legalità resta l' inevitabile modo di funzionamento di ogni esercito sta tuale moderno. Il governo legale decide chi sia il nemico contro il quale l' esercito deve combattere. Chi non si vuole sottomettere alla scelta operata dal governo in carica, e ri vendica la facoltà di decidere chi sia il nemi co, rivendica una propria, nuova legalità.
Il vero nemico
Una dichiarazione di guerra è sempre l'in dividuazione di un nemico; questo è eviden te , e in una dichiarazione di guerra civile lo è più che mai. Quando Salan la dichiarò, si rivolse in realtà a due differenti nemici: al fronte algerino, annunciando il prosegui mento della guerra regolare e irregolare; al governo francese, iniziando una guerra civi le illegale e irregolare. Niente riesce a far 1 18
comprendere meglio in quale vicolo cieco si fosse cacciato Salan quanto una riflessione intorno a questa duplice dichiarazione di ostilità. Ogni guerra su due fronti solleva la questione su chi mai si debba considerare il vero nemico. Non è forse un segno di scis sione l'aver più di un solo vero nemico? Il nemico è la messa in questione di noi come figure. Se la nostra figura è determinata con chiarezza, come si crea questa duplicità del nemico? Il nemico non è qualcosa che si debba eliminare per un qualsiasi motivo, o che si debba annientare per il suo disvalore. Il nemico si situa sul mio stesso piano. Per questa ragione mi devo scontrare con lui: per acquisire la mia misura, il mio limite, la mia figura. Salan considerava il partigiano algerino co me il nemico assoluto. Ma improvvisamente apparve alle sue spalle un nemico per lui as sai peggiore, e molto più accanito: il proprio governo, il proprio superiore, il proprio fra tello. Nei suoi fratelli di ieri vide improvvisa mente un nuovo nemico. È questa la sostan za del caso Salan. Il fratello di ieri si rivelò il nemico più pericoloso. Nel concetto di ne mico stesso deve esserci una certa confusio ne, che è in relazione con la teoria della guerra. Ora, alla conclusione della nostra e sposizione , tenteremo un chiarimento. Uno storico potrà sempre trovare, per ogni particolare situazione, esempi e paralleli nella storia universale. Abbiamo già traccia1 19
to alcuni paralleli con gli avvenimenti della storia prussiana fra il 1 8 1 2 e il 1 8 1 3 . Abbia mo anche mostrato come il partigiano abbia ricevuto la sua legittimazione filosofica nelle idee e nei piani della riforma militare prus siana del 1 808-1 813, e le sue credenziali sto riche nell'editto prussiano sul Landsturm del l'aprile 1 8 1 3 . Così non sarà più tanto sor prendente, come sarebbe potuto sembrare di primo acchito, se per sviscerare meglio la questione centrale prendiamo la situazione in cui si trovava il generale prussiano York nell 'inverno 1 8 1 2-1 8 1 3 come un esempio a contrario. Saltano all ' occhio subito, natural mente, le enormi differenze: da una parte Salan, un francese di formazione repubbli cana di sinistra e moderno tecnocrate, e dal l'altra un generale del regio esercito prus siano dell'anno 1 8 1 2, al quale di sicuro non sarebbe mai venuto in mente di dichiarare guerra al suo re e ai comandanti dell'eserci to suoi superiori. Davanti a queste differen ze di epoca e di profilo umano appare se condario e perfino casuale che anche York abbia combattuto come ufficiale nelle colo nie delle Indie orientali. Peraltro proprio le differenze più appariscenti chiariscono an cor meglio che la questione centrale è la medesima. Perché in ambedue i casi si tratta di decidere chi sia il vero nemico. La precisione decisionista domina il funzio namento di ogni organizzazione moderna, e in particolare di ogni moderno esercito 1 20
regolare e statuale. In questa situazione, per un generale contemporaneo la questione centrale si presenta in modo assai chiaro, come un assoluto aut aut. L'alternativa lace rante fra legalità e legittimità è solo una conseguenza della Rivoluzione francese e del suo contrasto con la monarchia legitti ma, poi restaurata nel 1 8 1 5 . In una monar chia legittima prerivoluzionaria, come nel regno di Prussia di allora, si erano conserva ti molti elementi feudali nei rapporti fra su periori e sottoposti. La fedeltà non era an cora diventata qualcosa di '' irrazionale '' • e non si era ancora dissolta in un mero e cal colabile funzionalismo. Già allora la Prussia era uno Stato in senso eminente; il suo esercito non poteva negare le ascendenze fridericiane; i riformatori militari volevano modernizzare, e non ritornare a qualche forma di feudalesimo. Tuttavia all' osserva tore di oggi l' ambiente della monarchia le gittima prussiana di allora potrebbe sem brare, anche in caso di conflitto, meno rigi do e aspro, meno statolatrico-decisionista. Non è necessario spender qui troppe paro le. L'importante è che l'impronta dei costu mi delle diverse epoche non cancelli la questione centrale, cioè quella di chi sia il vero nemico . Nel 1 8 1 2 York comandava una divisione prussiana che, alleata di Napoleone , era in serita nell' armata francese del generale Macdonald. Nel dicembre del 1 8 1 2 York 121
passò al nemico, ai russi, concludendo con il generale russo von Diebitsch la convenzio ne di Tauroggen. Alle trattative e alla stipu lazione partecipò, come negoziatore per la parte russa, il tenente colonnello von Clau sewitz. La missiva che York indirizzò il 3 gen naio 1 8 1 3 al proprio re e comandante su premo è divenuta un documento storico fa moso. E a buon diritto. Con estrema reve renza, il generale prussiano scrive che atten de dal re la sentenza se lui, York, debba avanzare > oppure se il re condanni l'azione del suo generale. Frattanto restava in attesa con la fedele de dizione di sempre, pronto, in caso di con danna, ,, ad aspettare la pallottola mortale accanto ai sacchi di sabbia, così come sul campo di battaglia >> . L' espressione > è degna di Clausewitz, e coglie nel segno. Nella lettera del generale York al suo re è scritto effetti vamente così. Che il generale sia pronto > è proprio del soldato che si assume la responsabilità delle sue azioni, non diversamente da come il genera le Salan era pronto a gridare Vive la France! davanti al plotone di esecuzione nel poligo no di Vincennes. Ma il fatto che York, pur protestando una totale devozione al re, si ri servi la decisione su chi sia > conferisce al suo scritto quel peculiare sen so di tragica ribellione. York non era un par122
ug1ano, e certo mai lo sarebbe diventato. Sulla base però del concetto e del significa to di vero nemico, darsi alla lotta partigiana non sarebbe stato né insensato né incoe rente . Ma tutto questo, certo, è solo una finzione euristica, ammissibile solo per quel breve momento nel quale alcuni ufficiali prussiani avevano elevato il partigiano a intuizione, e dunque solo per quel lasso di tempo che portò all 'editto sul Landsturm del 1 3 aprile 1 8 1 3 . Solo pochi mesi più tardi l' idea che un generale prussiano potesse diventare un partigiano sarebbe sembrata grottesca e as surda anche come finzione euristica, e tale sarebbe poi sempre apparsa, almeno finché ci fu un esercito prussiano. Come fu possibi le che il partigiano, decaduto a picaro nel XVII secolo e truppa leggera nel XVIII seco lo, fra il 1 8 1 2 e il 1 8 1 3 apparisse per un atti mo una figura eroica, per poi diventare nel nostro tempo, più di un secolo più tardi, ad dirittura una figura chiave della storia mon diale? La risposta risiede nel fatto che l ' irregola rità del partigiano continua a dipendere dal significato e dal contenuto di un concreto sistema regolare. Dopo la dissoluzione so ciale che aveva caratterizzato il Seicento te desco, nel XVIII secolo si era sviluppata la regolarità dei Kabinettskriege. Essa prescrive va alla guerra limiti così ridotti che quest'ul tima si poteva considerare un gioco al quale 1 23
truppe leggere e mobili partecipavano irre golarmente, e dove il nemico finiva per es serlo nel modo più convenzionale: un avver sario al gioco della guerra. La guerriglia spa gnola iniziò quando Napoleone, nell'autun no del 1 808, sconfisse l'esercito regolare spa gnolo. Qui risiede la differenza con la Prus sia del 1 806-1 807, che dopo la sconfitta del le sue truppe regolari concluse immediata mente una pace umiliante. Il partigiano spa gnolo ristabilì la serietà della guerra, e preci samente di fronte a Napoleone, dunque sul lato difensivo dei vecchi Stati continentali europei, la cui vecchia regolarità, ormai sca duta a gioco convenzionale, non era più al l ' altezza della nuova, rivoluzionaria regola rità napoleonica. Il nemico ritomò così a es sere un vero nemico, e la guerra una vera guerra. Il partigiano, che difende il suolo na zionale contro l' invasore straniero, diventò l'eroe che combatte veramente un vero ne mico. Questo era il grande avvenimento che aveva condotto Clausewitz alla sua teoria e alla stesura di Della guerra. Quando, cento anni più tardi, la teoria militare di un rivolu zionario di professione come Lenin distrus se ciecamente tutte le delimitazioni tradizio nali della guerra, quest'ultima diventò guer ra assoluta, e il partigiano si trasformò in portatore dell'inimicizia assoluta contro un nemico assoluto.
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Dal vero nemico al nemico assoluto
Nella teoria della guerra si tratta sempre di distinguere esattamente l 'inimicizia, che conferisce alla guerra il suo senso e il suo ca rattere. Ogni tentativo di limitare o circo scrivere la guerra deve essere sostenuto dal la convinzione che, relativamente al concet to di guerra, inimicizia è concetto primario, e che una distinzione fra diversi tipi di ini micizia precede quella fra diversi tipi di guerra. Altrimenti tutti gli sforzi per limita re e circoscrivere la guerra restano solo un gioco, che non resiste all'esplosione di una vera inimicizia. Dopo le guerre napoleoni che la guerra irregolare venne rimossa dalla coscienza generale dei teologi, dei filosofi e dei giuristi europei. Ci furono effettivamen te alcuni pacifisti che nell'abolizione e nella messa al bando della guerra convenzionale del Regolamento dell'Aja sulla guerra terre stre scorsero la fine della guerra in genera le; e ci furono giuristi che considerarono ogni teoria della guerra giusta qualcosa di giusto eo ipso, dato che già san Tommaso d'Aquino aveva insegnato alcunché di simi le. Nessuno ebbe il presagio di che cosa po tesse significare lo scatenarsi della guerra ir regolare. Nessuno ha ben riflettuto sulle ri percussioni della vittoria del civile sul milita re se un giorno il cittadino indossa l'unifor me, mentre il partigiano se la toglie, per continuare a combattere senza di essa. 1 25
Questa mancanza di un pensiero che tenes se conto della realtà concreta ha completato l' opera di�truttiva dei rivoluzionari di pro fessione . E stata una grande disgrazia, per ché con quelle limitazioni della guerra l'u manità europea era pervenuta a qualcosa di straordinario: la rinuncia alla criminalizza zione del nemico, e dunque la relativizzazio ne dell ' inimicizia, la negazione dell'inimici zia assoluta. Ed è davvero qualcosa di straor dinario, un segno di incredibile umanità, portare gli uomini a rinunciare alla discri minazione e alla diffamazione dei loro ne mtct. Proprio questo oggi pare rimesso in discus sione dal partigiano. Fra i suoi criteri, come abbiamo visto, rientra quello della estrema intensità dell 'impegno politico. Quando Che Guevara afferma che " il partigiano è il gesuita della guerra » , pensa all ' assolutezza dell 'impegno politico. La biografia di ogni partigiano famoso, a cominciare dall' Empe cinado, lo conferma. Colui che è stato priva to di ogni diritto cerca il suo diritto nell' ini micizia. In essa egli trova il senso del suo agi re e il senso del diritto, dopo che si è ro tto il guscio di protezione e di ubbidienza all 'in terno del quale aveva abitato fino a quel mo mento, dopo che si è dilacerato quel tessuto normativa della legalità dal quale potev� aspettarsi diritto e protezione giuridica. E allora che il gioco convenzionale cessa. Ma questa cessazione della protezione giuridica 1 26
non fa di per sé il parUgiano. Michael Kohlhaas, che il sentimento di giustizia tra sformò in bandito e assassino, non era un partigiano, perché non raggiunse una di mensione politica, e lottò esclusivamente per il suo diritto privato violato, non contro un invasore straniero, e non per un causa ri voluzionaria. In casi simili l'irregolarità non è politica, e diviene puramente criminale, perché perde la relazione positiva con una regolarità prese-nte da qualche parte. Per questo il partigiano si distingue dal capoban dito, nobile o vile che sia quest'ultimo. Parlando delle relazioni con il contesto poli tico mondiale (si veda sopra, p. 103 ) , abbia mo sottolineato che il terzo interessato assume una funzione essenziale quando viene a for nire quel riferimento al regolare del quale l' irregolarità del partigiano ha bisogno per rimanere nell' ambito del Politico. L'essenza del Politico non è l'inimicizia pura e sempli ce, bensì la distinzione fra amico e nemico, e presuppone l'amico e il nemico. Il potente terzo interessato all'azione del partigiano può pensare o agire egoisticamente, ma il suo interesse lo situa politicamente a fianco del partigiano. Ciò produce un'amicizia po litica, ed è già una forma di riconoscimento politico, anche quando non arriva a ricono scimenti pubblici e formali quale partito combattente o governo. All ' Empecinado ve niva riconosciuta una statura politica dal suo popolo, dall'esercito regolare e dalla 1 27
potenza mondiale inglese. Non era né Mi chael Kohlhaas né Schinderhannes, i cui terzi interessati erano bande di ricettatori . La posizione politica di Salan invece nau fragò tragicamente perché a livello di politi ca interna, in patria, divenne illegale, e all ' e sterno, nella politica mondiale, non solo non trovò nessun terzo interessato, ma al contrario cozzò contro il fronte compatto dell ' anticolonialismo. Il partigiano ha dunque un vero nemico, ma non un nemico assoluto. La cosa deriva dal suo carattere politico. Un altro limite della inimicizia consegue poi dal carattere tellurico del partigiano. Egli difende un pezzo di terra col quale ha un rapporto au toctono. La sua posizione fondamentale re sta difensiva, nonostante l' accresciuta mobi lità della sua tattica. Egli si comporta esatta mente così come precisò Giovanna d'Arco davanti al tribunale ecclesiastico. Giovanna non era una partigiana, e combatteva con tro gli inglesi come soldato regolare. Quan do il giudice ecclesiastico le pose la doman da - una vera trappola teologica - se ella so stenesse che Dio odiava gli inglesi, rispose: « Se Dio ama gli inglesi o li odia, io non lo so; so solo che devono essere cacciati dalla Francia » . La stessa risposta l ' avrebbe data ogni normale partigiano impegnato a difen dere il suolo nazionale. Una posizione fon damentalmente difensiva come questa de termina anche una fondamentale limitazio1 28
ne dell'inimicizia. Il vero nemico non viene considerato un nemico assoluto, e nemme no un nemico dell' umanità in generale ."7 Lenin ha trasferito sul piano politico il ful cro concettuale della guerra, vale a dire la distinzione fra amico e nemico. Il che era sensato, e secondo Clausewitz costituiva un coerente sviluppo dell 'idea della guerra co me continuazione della politica. Solo che Lenin, in quanto rivoluzionario di professio ne della guerra civile mondiale, andò oltre, e fece del vero nemico il nemico assoluto. Clausewitz aveva parlato di guerra assoluta, ma presupponendo la regolarità di una struttura statuale. Certo non poteva ancora immaginare lo Stato come strumento di un partito e un partito che comanda uno Stato. Con l 'assolutizzazione del partito, anche il partigiano diventava qualcosa di assoluto, e veniva elevato a portatore di una inimicizia assoluta. Non è difficile, oggi, riconoscere l'artificio concettuale che ha prodotto que sto mutamento del concetto di nemico. Al contrario risulta di gran lunga più difficile confutare un altro tipo di assolutizzazione del nemico, giacché pare immanente alla presente realtà dell 'epoca nucleare. Lo sviluppo tecnico-industriale ha infatti po tenziato le armi dell'uomo fino a farne mez zi di annientamento. Ciò conduce a una provocatoria sproporzione fra protezione e obbedienza: metà dell 'umanità diventa o staggio dell'altra metà, ossia dei potenti do1 29
tati di mezzi di distruzione nucleari . Questi mezzi distruttivi assoluti richiedono un ne mico assoluto, se non vogliono apparire di sumani. Ma non sono i mezzi di annienta mento che annientano, bensì gli uomini che, con questi mezzi, annientano altri uo mini. Già nel XVII secolo il filosofo inglese Thomas Hobbes aveva afferrato l'essenza del fenomeno (De homine, IX, 3) , che formulò con assoluta precisione, benché allora (nel 1 659) in paragone le armi fossero pressoché inoffensive. Hobbes dice: l' uomo che si sen ta minacciato da altri uomini è più pericolo so per questi ultimi di qualsiasi animale, così come le armi dell' uomo sono più pericolose delle cosiddette armi naturali delle fiere, quali le zanne, gli artigli, le coma e il veleno. E il filosofo tedesco Hegel aggiunge: le armi sono l' essenza stessa dei combattenti. Questo significa, in sostanza, che armi extra convenzionali presuppongono uomini ex traconvenzionali. E li presuppongono non come postulato di un lontano futuro, ma co me realtà già presente. L'estremo pericolo non risiede perciò neppure nell' esistenza dei mezzi di annientamento o in una pre meditata malvagità dell 'uomo. Risiede nella ineluttabilità di un obbligo morale. Gli uo mini che adoperano simili mezzi contro al tri uomini si vedono costretti ad annientare questi altri uomini - cioè le loro vittime e i loro oggetti - anche moralmente. Devono bollare la parte avversa come criminale e di1 30
sumana, come un disvalore assoluto. Altri menti sarebbero essi stessi dei criminali e dei mostri. La logica di valore e disvalore di spiega tutta la sua devastatrice consequen zialità e costringe a creare sempre nuove e più profonde discriminazioni, criminalizza zioni e svalutazioni, fino all'annientamento di ogni vita indegna di esistere. In un mondo nel quale gli interlocutori si spingono a vicenda nel baratro della totale svalutazione, prima che ci si annienti anche fisicamente devono nascere nuovi tipi di ini micizia assoluta. L'inimicizia diventa così terribile che forse non è più nemmeno leci to parlare di nemico e inimicizia; entrambi questi concetti sono addirittura condannati e banditi formalmente prima che possa co minciare l' opera di annientamento . L'an nientamento diventa quindi del tutto astrat to e assoluto. Non si rivolge più contro un nemico, ma è ormai al servizio solo di una presunta affermazione oggettiva dei valori più alti - per i quali, notoriamente, nessun prezzo è troppo alto. Solo la sconfessione della vera inimicizia spiana la strada all' ope ra di annientamento di una inimicizia asso luta. N el l 9 1 4 i popoli e i governi europei en tra rono barcollando nella prima guerra mon diale senza una vera inimicizia. La vera ini micizia sorse solamente dalla guerra stessa, che cominciò come una guerra convenzio nale interstatuale propria del diritto inter131
nazionale europeo e si concluse con una guerra civile mondiale dell'inimicizia di classe rivoluzionaria. Chi potrà impedire che in maniera analoga, ma in misura infini tamente più grande, sorgano nuovi e inatte si ùpi di inimicizia, il cui realizzarsi susciterà inattese forme di un nuovo parùgiano? Il teorico non può far di più che salvaguar dare i concetti e chiamare le cose con il loro nome. La teoria del partigiano sfocia nel concetto del Poliùco, nella domanda su chi sia il vero nemico e in un nuovo nomos del la terra.
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NOTE
l . Der Begnff des Politischen. Text von 1 932 mit ei nem Vorwort und drei Corollarien, 6• ediz., Duncker & Humblot, Berlin, 1 963 [ trad. i t. Il concetto di 'politico '. Testo del 1 932 con una premessa e tre corol lari, in Le categorie del 'politico '. Saggi di teoria politi ca, a cura di G. Miglio e P. Schiera, Il Mulino, Bo logna, 1 972, pp. 8 7-208] [N. d. T] .
2. Cfr. E. Kessel, Die Wandlung der Kriegskunst im Zeitalter der Jranr.asischen Revolution, in « Histori sche Zeitschrift » , CXLVIII, 1933, pp. 248 sgg. ; CXCI, 1 960, pp. 397 sgg. (recensione a R.S. Quimby, The Background of Napoleonic Warfare. The Theory of Military Tactics in Eighteenth Century France, Columbia University Press, New York, 1 957) ; W. Hahlweg, Preujische &formzeit und revo lutioniirer Krieg, in « Wehrwissenschafùiche Rund schau », suppl. 18, settembre 1 962, pp. 49-50: « Napoleone ne ha tratto [dal nuovo modo di combattere dell'esercito rivoluzionario di mas sa] un sistema compiuto quasi perfetto, le sue operazioni militari in grande stile, la sua grande tattica e la sua grande strategia » . Fu l 'ufficiale prussiano e pubblicistajulius von VoB a dire che tutta la campagna napoleonica del 1 806 poteva
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« essere definita una guerriglia in grande " (cfr. Hahlweg, op. cit. , p. 14) . 3. Fra le pubblicazioni della Catedra " Genera! Palafox » dell'Università di Saragozza, si veda F. de Salas Lopez, Guerrillas y quintas columnas, in La guerra moderna, Universidad de Zaragoza, 1955, vol . II, pp. 181 -2 l l ; J.M . Jover Zamora, La guerra de la independencia espaiiola en el marco de las guerras europeas de liberacion (1 808-1814), in La guerra de la independencia espaiiola y los sitios de Za ragoza, Universidad y Ayuntamiento de Zarago za, 1 958, pp. 41-1 65; F. Salano Costa, La resisten cia popular en la guerra de la independencia: los guer rilleros, ibid. , pp. 38 7-423; A. Serrano Montalvo, El pueblo en la guerra de la independencia: la resi stencia en las ciudades, ibid., pp. 463-530. Si veda no poi i due saggi fondamentali di L. Garda Arias, Sobre la licitud de la guerra moderna, in La guerra moderna, cit., vol. I, e El nuevo concepto de defensa nacional, in Defensa nacional, 1960. F. Sola no Costa osserva, alla fine del saggio citato, co me finora non esista una storia documentata del movimento popolare spagnolo contro Napoleo ne. Dobbiamo tuttavia considerare il suo saggio - così come quello di jover Zamora - una eccel lente sintesi, e ricordare con gratitudine che è stato per noi una importante fonte di informa zioni. Le opere storiche spagnole trattano la guerriglia in vario modo, ma in ogni caso non esiste una trattazione generale adeguata ali' o dierno interesse per questo problema (C. de To reno, M. Lafuente, R. de Solis, J.M. Garda Ro driguez) ; la più dettagliata rimane ancora quella di J. Gornez de Arte che nella sua Guerra de la in dependencia. Historia Militar de Espaiia de 1 808 a 1814, voll. IV, V, VII, IX, XI, XIV. L'esame delle
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pubblicazioni francesi, inglesi e tedesche ci por terebbe troppo lontano (cfr. un eccellente pa norama di queste in F. Soiano Costa, El guerrillo y su trascendencia, nelle pubblicazioni del I I Con greso Historico Intern�cional de la Guerra de la lndependencia y su Epoca, Zaragoza, Institu cion Fernando el Catolico, marzo-aprile 1959; ivi anche S. Amado Loriga, Aspectos militares de la guerra de la Independencia, e J. Mercader Riba, La organizacion administrativa francesa en Espaiia) . 4. Sull' argomento, cfr. F. Solano Costa, op. cit. , pp. 387, 402, 405. La parte riguardante l'Empe cinado in F. Hardman, Peninsular Scenes and Sketches, Edinburgh, 1 846, è stata tradotta in spa gnolo da G. Maraii. on (El Empecinado visto por un inglés, 2• ediz., Espasa-Calpe, Buenos Aires, 1 946) . De Arteche pubblica nel vol. XIV, in appendice, una conferenza sull 'Empecinado. Accanto al l'Empecinado si dovrebbe citare anche il parroco Merino, al quale è dedicato l'ultimo racconto nel l'Empecinado a cura di G. Maraiion. Nel 1 823, quando i francesi invasero la Spagna per ordine della Santa Alleanza (i famosi « centomila figli di san Luigi » ) , l'Empecinado e il parroco Merino si trovarono su fronti opposti: il primo dalla parte dei costituzionalisti, il secondo da quella della re staurazione assolutista e dei francesi. 5. P. Rassow, Die Wirkung der Erhebung Spaniens auf die Erhebung gegen Napoleon I, in '' Historische Zeitschrift » , CLXVII, 1 943, pp. 3 1 0-35, tratta del volantino del ministro spagnolo Ceballos, di Ernst Moritz Arndt e del Katechismus der Deut schen di Kleist. Sullo stesso argomento, si veda W. Hahlweg, op. cit. , p. 9, note 9-1 3 (sulle insurre zioni in Germania dal 1 80 7 al 1 8 1 3) . Anche il colonnello von Schepeler, che in seguito di-
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ventò noto come storico della guerra d'indipen denza spagnola, collaborò dal nord ai piani au striaci di sollevazione armata contro i francesi. Cfr. H. Jureschke, El colone[ von Schepeler. Caracter y valor informativo de su obra historiogrrifica sobre el reinado de Fernando VII, in « Revista de Estudios polfticos », CXXVI (numero speciale sulla Costi tuzione di Cadice del 1 8 1 2 ) , 1 962, p. 230. 6. Rudolf Borchardt inserì la poesia di Kleist An Palafox nella sua raccolta Ewiger Vorrat deutscher Poesie ( 1 926) . Il generale Palafox, difensore di Saragozza, non era peraltro un partigiano, ma un regolare ufficiale di carriera, e l'eroica difesa della città da parte dell'intera popolazione, uo mini e donne, non era ancora una lotta partigia na ( come sottolinea H. Schomerus, Partisanen, in « Christ und Welt », XXVI, 1949) , bensì una regolare resistenza contro un regolare assedio. 7. C. von Clausewitz, Politische Schriften und Briefe, a cura di H. Rothfels, Drei Masken, Miinchen, 1922, p. 2 1 7. 8. Tutta una serie di restaurazioni operate dal Congresso di Vienna sono state recepite come ta li dalla coscienza generale, per esempio il princi pio di legittimità dinastica e la monarchia legitti ma, e inoltre l'alta nobiltà in Germania, lo Stato della Chiesa in Italia e, mediante il papato, l'ordi ne dei gesuiti. Si ha minore coscienza della gran de opera restaurativa riguardo allo jus publicum Europaeum e alle sue limitazioni della guerra ter restre fra Stati sovrani europei, una restaurazione che, almeno nei manuali di diritto internaziona le, si è mantenuta sino a oggi come facciata « clas sica >> . Nel mio libro Der Nomos der Erde im Volker recht des jus publicum Europaeum [ trad. i t. Il nomos
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della terra, Adelphi, Milano, 1 99 1 ] non ho tratta to in .modo sufficientemente dettagliato la cesu ra rappresentata dalle guerre della Rivoluzione francese e del periodo napoleonico. H. Wehberg ha giustamente sottolineato questa lacuna nella sua recensione in « Friedenswarte », L, 1 95 1 , pp. 305-14. Tuttavia posso ora rimandare, almeno a parziale integrazione, alle ricerche di R. Schnur sulle idee e la prassi di diritto internazionale in Francia dal 1 7 89 al 1815, che hanno prodotto finora il saggio Land und Meer, in « Zeitschrift fiir Politik », 1 961, pp. 1 1 sgg. Nel quadro dell'opera restaurativa riguardo alla limitazione della guer ra europea rientra anche la permanente neutra lità della Svizzera e la sua permanente situation unique (cfr. Der Nomos der Erde, ci t., p. 222 [ trad. i t. ci t., p. 320] ) .
9. lbid., alle pagine indicate nell'Indice analitico sotto le voci « guerra civile ,., « nemico " • «justa causa belli>> e «justus hostis». 10. A questo proposito, si veda il mio Weiter entwicklung des totalen Staates in Deutschland ( 1 933) , in Verfassungsrechtliche Aufsiitze, Duncker & Humblot, Berlin, 1958, p. 366. 1 1 . Ernesto « Che >> Guevara, On Guerrilla War fare, with an Introduction by M>, 1 940, LXIV, 6, pp. 641-46; Lorenz von Stein, zur Preussischen Verfassungsfrage, Verlag W. Keiper, Berlin, 1 94 1 , pp. 61-70) e in una conferenza su Donoso Cortés (Donoso Cortés in gesamteuropaischer lnterpretation, Greven, Kòln, 1 950, p. 1 00 [ trad. i t. Donoso Cortés interpretato in una prospettiva paneuropea, Adelphi, Milano, 1 996, p. l 02] ) . In un saggio scritto in occasione del duecentocinquantesimo anniversario della morte di J J. Rousseau (Dem wahren Johann Jakob Rousseau, in « Zurcher Woche », 26, 29 giugno 1962) , richiamandomi a R. Schroers e a HJ. Sell, mi sono servito della figura del partigiano per chiarire la discussa immagine del filosofo francese. Nel frattempo ho potuto conoscere un saggio di H. Guillemin, JJ Rousseau, troublejéte, che sembra confermare questa interpretazione. Guillemin ha curato l 'edizione di Rousseau, Let tres écrites de la Montagne, Éditions ldes et Calen des, Neuchatel, 1 962, accompagnata da una pre gevole introduzione. 1 7. Mentre Schroers (si veda la nota 1 4) ravvisa nel partigiano l'ultima resistenza contro il nichi lismo di un mondo completamente tecnicizzato, l'ultimo difensore della specie e della terra, in somma l ' ultimo uomo in generale, il partigiano di G. Ne bel ( Unter Partisanen und Kreuzfahrern, Ernst Klett Verlag, Stuttgart, 1950) appare, esat tamente al contrario, come una figura del nichi lismo moderno, che - come il destino del nostro
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secolo - abbraccia tutte le professioni e tutte le condizioni, il prete, il contadino, l'intellettuale, e così anche il soldato. Il libro di Nebel è il dia rio di guerra di un soldato tedesco in Italia e in Germania fra il 1 944 e il 1 945, e varrebbe la pe na di confrontare la sua descrizione del partigia no nell'Italia di allora con l'interpretazione di Schroers ( op. cit. , p. 243 ) . In particolare il rac conto di Nebel coglie benissimo il momento in cui un grande esercito regolare si dissolve e, tra sformatosi in canaglia, o viene ucciso dalla po polazione oppure si dà a sua volta all 'assassinio e al saccheggio, potendosi chiamare partigiani en trambe le parti. Quando però Nebel, al di là del le efficaci descrizioni, qualifica quei poveri dia voli e furfanti come tanti >. Cfr. Dixon-Heilbrunn, op. cit. , p. 3. 29. Si veda O. von Bismarck, Gedanken und Erin nerungen, 4 voli., Stuttgart, 1 898-1 901 , vol. I, cap. xx; vol. III, capp. I, x, dove la citazione «Acheron ta movebo>> serve a fare l'uccello del malaugurio. Bismarck esagerava per evidenti ragioni. In realtà, come ha osservato lo storico moderno Egmont Zechlin, egli aveva raccolto intorno a sé
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> - e di quelle che oggi si chiamano « operazioni militari diverse dalla guerra >> - la loro forza. Soprattutto, sembra divenuta obsoleta la defini zione del partigiano in base al suo presunto ca rattere « tellurico >> . Per Schmitt il legame con la terra è essenziale per definire con nettezza il partigiano nella sua autenticità, giacché tale le game conferisce un carattere difensivo alla sua lotta, una « piccola guerra >> , la cui aggressività è per natura limitata. Quando invece il legame tel lurico viene meno, l' irregolarità comprensibile e giustificabile del partigiano puro " si snatura >> nella « aggressività assoluta di un'ideologia tec nicizzata o di una rivoluzione mondiale >> .2 Non dimeno ci domandiamo: il partigiano è davvero « una delle ultime se n ti nelle della terra >>?� O la l . Si veda sopra, p. 1 1 2. 2. Ibid., p. 32. 3. Ibid., p. 99.
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storia non ha prodotto invece il fenomeno con trario, cioè lo sradicarsi del partigiano da una collocazione territoriale, il suo organizzarsi sul piano internazionale e il suo operare ovunque e in qualsiasi modo egli possa colpire interessi ne mici? E questo non per un'arbitraria escalation della violenza, bensì per combattere con mag giore efficacia in una situazione d'inferiorità in cui altrimenti avrebbe partita persa. Nella concezione " tellurica » del partigiano al cuni analisti scorgono, non a torto, una tenden za comune alle " teorie reazionarie delle guerre civili della moderni tà » , da Clausewitz a Carl Schmitt, che sarebbe incompatibile con •• i pro getti rivoluzionari di natura repubblicana >> ovve ro con l' opposta " tendenza modernizzatrice del l'unificazione delle lotte in un esercito popola re >> . 1 Naturalmente è questione di punti di vista: ciò che per Carl Schmitt è una deriva pericolosa - ossia la radicalizzazione e l'universalizzazione dell'inimicizia che hanno luogo nella lotta rivo luzionaria - per quegli analisti è un bene. Ma la loro critica conferma, benché rovesciandola, la diagnosi schmittiana. Anche il criterio più evidente e persuasivo adotta to da Schmitt, quello dell'irregolarità, può appa rire oggi superato in considerazione del fatto che il diritto di guerra contempla ormai a pieno titolo la figura del partigiano. Nell' articolo 4 della terza Convenzione di Ginevra del l2 agosto 1 949 - pe raltro ben nota a Schmitt - si riconosce anche ai partigiani lo status di combattenti regolari, a con dizione tuttavia che presentino alcuni requisiti, primo fra tutti l'identificabilità di militari, distinti dalla popolazione civile. Tali requisiti sono trattal . Cfr. M. Hard t-A. Negri, Moltitudine. Guerra e democrazia nel
nuovo ordine imperiale, Rizzoli, Milano, 2004, pp. 94 sgg.
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ti e ulteriormente specificati in un protocollo in tegrativo del 10 giugno 1977 - mirante ad appia nare l'intrinseca contraddizione che si crea tra la volontà di riconoscere al partigiano lo stato di combattente, da un lato, e la contemporanea pre tesa che egli rinunci ai tratti « irregolari " che lo contraddistinguono come tale, dall'altro. Una contraddizione, questa, che segnala il per manere del problema che Schmitt scorge, ovvero la radicale antitesi tra la guerra regolare e il com battimento irregolare, l'ordine militare e la sua rottura, quindi l'oggettiva difficoltà di regola t.:nentare giuridicamente l'irregolarità partigiana. E vero che oggi il partigiano è stato ormai assor bito nella normalità giuridica. Al suo posto è però comparsa sulla scena mondiale una variante mici diale del combattente irregolare, che interpreta in forma ben più inquietante quell'irregolarità: il terrorista e il terrorista-kamikaze.' Considerato > - di una straordinaria lungimiranza e luci dità. Certo, definire il partigiano " ultima senti nella della terra » può apparire oggi, rispetto ai vertiginosi sviluppi della realtà attuale, un resi duo di romanticismo. Ma il problema che egli rappresenta, e che Cari Schmitt ha scorto con lucidità e lungimiranza, non è scomparso . Anzi, si ripresenta oggi in forma nuova e impellente: la radicalizzazione dello scontro fino alla guerra senza limiti, quali che siano le figure che la in carnano - partigiano, guerrigliero, fedayin, mujahidin, terrorista o kamikaze -, richiama con forza l'esigenza di un nuovo ordine geopoli tico, di un nuovo nomos della terra. Vero è come insegna la storia - che a volte le soluzioni sono la maschera con cui si presenta no nuovi problemi. -
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