Teoria del partigiano. Integrazione al concetto del politico
 8845919668, 9788845919664

Citation preview

Pi c c ol aBi bl i ot ec a529 CARLSCHMI TT

Te o r i ad e lp a r t i g i a no

ADELPH I

«Occorre operare da partigiani ovunque vi siano partigiani» esortava Napoleone, nel tentativo di rispondere alla guerriglia spontanea che da anni, in Spagna, teneva in scacco la più imponente e perfezionata macchina militare dell’epoca. Napoleone e i suoi contemporanei non potevano saperlo, ma con quei guerrilleros aveva fatto irruzione sulla scena della storia la figura che ne avrebbe rivoluzionato il corso. E di questa figura l’analisi tuttora più stringente è quella che Carl Schmitt sviluppa nel 1962 in Teoria del partigiano. Dove anzitutto precisa, unendo il rigore del giurista alla penetrazione del filosofo, i caratteri distintivi del combattente «irregolare», ossia di colui che «si è posto al di fuori dell’inimicizia convenzionale della guerra controllata e circoscritta per trasferirsi in un’altra dimensione: quella della vera inimicizia». Muovendo dunque dal remoto progenitore spagnolo, Schmitt illustra l’inarrestabile evoluzione del «partigiano»: dalle teorie di Clausewitz al rivoluzionario di professione di Lenin alla «nazione in armi» di Mao, fino al duplice terrorismo nell’Algeria ancora francese. Ma si può dire che solo oggi siamo in grado di misurare la pervasività planetaria del fenomeno. Tanto basterà a far capire come la Teoria del partigiano sia un testo indispensabile per capire il presente – ossia l’epoca caratterizzata da quella che Schmitt chiama, con una formula definitiva, «l’inimicizia assoluta».

Traduzione di Antonio De Martinis. Con un saggio di Franco Volpi.

€ 10,00

DELLO STESSO AUTORE:

Donoso Cortés

Ex Captivitate Salus Il nomos della terra Terra e mare

CARL SCHMITT

Teoria del partigiano INTEGRAZIONE AL CONCETTO DEL POLITICO

Traduzione di Antonio De Martinis Con un saggio di Franco Volpi

ADELPHI EDIZIONI

TITOLO ORIGINALE:

Theorie des Partisanen Zwischenbemerl!ung zum Begriff des Politischen

@ 2002 © 2005

DUNCKER & HUMBLOT GMBH

ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO

WWW.ADELPHI.IT ISBN 88-459-1966-8

INDICE

Premessa

9

TEORIA DEL PARTIGIANO INTRODUZIONE

13

Uno sguardo sul punto di partenza: 1808-1813

13

Orizzonte delle nostre osservazioni

20

Termine e concetto di partigiano

26

Sguardo sulla situazione dal punto di vista del diritto internazionale

35

LO SVILUPPO DELLA TEORIA

50

Il cattivo rapporto dei prussiani con il partigiano

50

Il partigiano come ideale prussiano nel 1813 e la svolta teorica

59

Da Clausewitz a Lenin

69

Da Lenin a Mao Zedong

77

Da Mao Zedong a Raoul Salan

86

ASPETTI E CONCETTI DELL'ULTIMO STADIO

L'aspetto spaziale La disgregazione delle strutture sociali Il contesto politico mondiale

95 95 101 1 03

Dal vero nemico al nemico assoluto

107 1 13 1 18 1 25

N ote

1 33

L'aspetto tecnico Legalità e legittimità Il vero nemico

L' ul tima sentinell a dell a terra di Franco Volpi

1 59

PREMESSA

La presente trattazione sulla T eoria del parti­ g iano nasce da due conferenze da me tenute all'inizio del 1 962, il 1 5 marzo a Pamplona su invito dell'Estudio Generai de Navarra, e il 1 7 marzo all'Università di Saragozza nel quadro di un ciclo promosso dalla Catedra Palafox, su invito del suo direttore Luis Garcfa Arias. Alla fine del 1962 questa se­ conda conferenza è apparsa nelle pubblica­ zioni della Catedra. Il sottotitolo, Integrazione al concetto del Pol iti­ co, si spiega con la particolare circostanza in cui il testo viene pubblicato. La casa editrice ripropone ora, infatti, il mio scritto risalente al 1932_1 Negli ultimi decenni si sono avuti molti interventi su questo tema. Il presente saggio non vuole esserne l'ennesimo corol­ lario, ma si presenta, seppure a grandi linee, come un lavoro autonomo, il cui argomento conduce inevitabilmente al problema della distinzione tra amico e nemico. Vorrei per­ ciò presentare questa elaborazione delle mie conferenze nella semplice forma di in9

tegrazione, rendendola così accessibile a quanti hanno fin qui seguito con attenzio­ ne il complesso dibattito sul concetto del Politico. Febbraio

1963

Cari Schmitt

IO

TEORIA DEL PARTIGIANO INTEGRAZIONE AL CONCETTO DEL POLITICO

a Ernst Forsthoff per il suo sessantesimo compleanno 13 settembre 1 962

INTRODUZIONE

U no sgu ardo sul punto di partenza: 1808-1813

Il punto di partenza delle nostre riflessioni sul problema del partigiano è la guerra di guerri­ glia che il popolo spagnolo condusse, fra il 1 808 e i1 1 8 1 3, contro l'esercito di un invasore straniero. In questa guerra si scontrarono per la prima volta un popolo - preborghese, pre­ industriale e preconvenzionale - e un eserci­ to regolare, moderno, ben organizzato, uscito dalle esperienze della Rivoluzione francese. Con ciò si aprirono nuove prospettive di guer­ ra, si svilupparono nuove concezioni in tema di strategia, e nacquero nuove teorie intorno alla guerra e alla politica. Il partigiano combatte da irregolare. Ma la distinzione tra combattimento regolare e ir­ regolare dipende da una precisa definizione del .. regolare '' , e solo nelle moderne forme di organizzazione nate dalle guerre della Ri­ voluzione francese diventa una concreta contrapposizione e trova con ciò la sua for­ mulazione concettuale. Nella storia dell'u­ manità e delle sue molte guerre e battaglie ci sono sempre stati regolamenti di guerra e 13

regole di combattimento, e di conseguenza ci sono sempre stati anche il mancato rispet­ to e la violazione di quelle regole. In parti­ colare in tutti i periodi di grande crisi - ad esempio durante la guerra dei Trent'anni in Germania ( 1 61 8-1648) -, così come in tutte le guerre civili e in tutte le guerre coloniali della storia umana, si sono avuti fenomeni che possiamo definire di guerra partigiana. Nell'elaborare una teoria generale del parti­ giano non si deve tuttavia dimenticare che l 'importanza e il significato della sua "irre­ golarità,. dipendono dall'importanza e dal significato attribuiti al «regolare,. che la lot­ ta partigiana mette in discussione. Ed è pro­ prio questa regolarità, dello Stato come del­ l 'esercito, che riceve da Napoleone una nuova, esatta definizione, tanto nell'ambito dello Stato francese quanto in quello delle sue forze armate. Le innumerevoli guerre dei conquistatori bianchi contro i pellirosse americani dal XVII al XIX secolo, ma anche i metodi dei Riflemen durante la guerra d'Indipendenza americana contro l'esercito regolare inglese ( 1 774- 1 783) e la guerra ci­ vile in Vandea fra Chouans e Giacobini ( 1 793-1 796) , appartengono ancora allo sta­ dio prenapoleonico. La nuova arte bellica delle armate regolari di Napoleone era il portato di un nuovo modo di combattere, un modo appunto rivoluzionario. E l 'intera campagna napoleonica del 1 806 contro la Prussia parve, a un ufficiale prussiano di 14

quell 'epoca, soltanto Parteigii ngerei im Gr os­ sen, , come è accaduto nella Convenzione di Ginevra del 1 2 agosto 1 949 (cfr. sotto, p. 39) . Partigiano, in tedesco, si dice Parteigii ng er [membro di un partito], uno che si muove seguendo la linea di un partito, il che in con­ creto assume un significato molto diverso a seconda del diverso momento storico, sia ri­ guardo al partito o allo schieramento con cui uno si schiera, sia riguardo al suo modo di « prender partito », di simpatizzare, di lot­ tare insieme agli altri, che può anche impli­ care la comune prigionia. Esistono partiti belligeranti, ma anche partiti nell 'ambito di un processo in tribunale, partiti della demo­ crazia parlamentare, partiti d'opinione e partiti d'azione. Nelle lingue romanze la pa­ rola può essere adoperata sia come sostanti­ vo sia come aggettivo: in francese si parla perfino di partisan di una qualche opinione; insomma, una denominazione assolutamen­ te generica, polisemica, diventa all' improv­ viso un termine eminentemente politico. Il parallelo linguistico con un vocabolo gene­ rico come status, che d'un tratto può si­ gnificare Stato, è evidente. Nei periodi di di28

sgregazione - come nel Seicento, all'epoca della guerra dei Trent'anni - il soldato irre­ golare finisce per confondersi con i grassato­ ri e i vagabondi, fa la guerra per conto pro­ prio e diventa una figura da romanzo picare­ sco, come il picaro spagnolo di Estebanillo Gonzales, il quale, trovatosi coinvolto nella battaglia di N òrdlingen ( 1 635 ) , ne Ja un rac­ conto nello stile del B uon sold ato Svejk, o co­ me possiamo trovare nel Simplicissimus di Grimmelshausen e osservare nelle incisioni e nelle acqueforti dijacques Callot. Nel Set­ tecento il Parteigii ng er fa parte dei panduri o degli ussari o di altri tipi di truppe leggere, che . Anche questa possibi­ lità rientra nella sua esistenza di oggi, e una 34

teoria del partigiano non può non prender­ la in considerazione. Con questi quattro criteri - irregolarità, ac­ cresciuta mobilità, intensità dell 'impegno po­ litico e carattere tellurico -, e senza dimenti­ care le possibili conseguenze di un ulteriore incremento della tecnicizzazione, dell'indu­ strializzazione e della deruralizzazione, abbia­ mo delimitato, sul piano concettuale, l'oriz­ zonte delle nostre osservazioni. Un orizzonte che va dal guerrigliero napoleonico al parti­ giano ben equipaggiato del nostro tempo, dall'Empecinado a Fidel Castro, _passando per Mao Zedong e Ho Chi Minh. E un cam­ po assai vasto, sul quale storiografia e scien­ za militare hanno elaborato un materiale enorme, che cresce ogni giorno. Ce ne ser­ viremo nella misura in cui abbiamo potuto avervi accesso, e cercheremo di trarne alcu­ ne conoscenze per la formulazione di una teoria del partigiano.

Sgu ardo sull a situaz ione dal punto di vista del diri tto internaz ional e

Il partigiano combatte da irregolare. Ma alcune categorie di combattenti irregolari sono equiparate alle forze armate regolari e godono dei diritti e delle prerogative di ogni combattente regolare. Ciò vuol dire che le loro azioni militari non sono illegali, 35

e qualora cadano in mano al nemico hanno diritto al particolare trattamento riservato ai prigionieri di guerra e ai feriti. La situazione giuridica ha trovato una codificazione nel Regolamento per la guerra terrestre del­ l'Aja del 1 8 ottobre 1907, che oggi è ricono­ sciuto come universalmente valido. Dopo la seconda guerra mondiale si è avuto un ulte­ riore sviluppo attraverso quattro Convenzio­ ni stipulate a Ginevra il 1 2 agosto 1 949, due delle quali regolano la sorte dei feriti e degli ammalati nella guerra terrestre e marittima, una terza il trattamento dei prigionieri di guerra, e la quarta la protezione della popo­ lazione civile in tempo di guerra. Numero­ si Stati, sia del mondo occidentale che del blocco dell' Est, le hanno subito ratificate, e anche il nuovo manuale militare di diritto di guerra terrestre americano del 1 8 luglio 1956 vi si è adeguato. Il Regolamento per la guerra terrestre del­ l'Aja del 1 8 ottobre 1907 aveva equiparato alle forze armate regolari - a certe condizio­ ni - le milizie, i corpi volontari e quanti si univano a sollevazioni popolari spontanee. Più avanti, quando tratteremo del cattivo rapporto che i prussiani ebbero con i parti­ giani, faremo riferimento ad alcuni punti controversi e ad alcune ambiguità di questo regolamento. Il processo che portò alle Con­ venzioni ginevrine del 1 949 è caratterizzato dal riconoscimento di un progressivo allen­ tarsi delle maglie di un diritto internaziona36

le europeo fino allora puramente intersta­ tuale. U n numero sempre maggiore di par­ tecipanti alla guerra si vede riconosciuta la qualifica di combattente. Anche la popola­ zione civile delle zone militarmente occupa­ te dal nemico - dunque il campo di batta­ glia caratteristico del parùgiano, che com­ batte alle spalle degli eserciti nemici - gode ora di una protezione legale maggiore di quella stabilita nel Regolamento per la guer­ ra terrestre del 1 907. Molti partecipanù ai combattimenù che finora erano staù consi­ derati partigiani sono adesso equiparaù ai combattenti regolari, e ne hanno gli stessi diritti e prerogative. A rigore non dovrebbe­ ro più essere chiamati parùgiani. Ma i con­ cetù sono ancora vaghi e incerti. Le formulazioni delle Convenzioni di Gine­ vra tengono presenù le esperienze europee, ma non le guerre partigiane di Mao Zedong e gli ulteriori sviluppi della guerra partigia­ na moderna. Negli anni immediatamente successivi al 1 945 non si aveva ancora chiara coscienza di ciò che un conoscitore della materia come Hermann Foertsch ha com­ preso e formulato, e cioè che le operazioni belliche dopo il 1 945 assunsero il carattere di guerriglia parùgiana perché i detentori di bombe atomiche rifuggivano, per ragioni umanitarie, di farne uso, e coloro che non le detenevano poterono contare su questo scrupolo - una conseguenza inattesa sia del­ la bomba atomica sia delle ragioni umanita37

rie. Per quanto concerne il problema del partigiano, i punti fondamentali delle norme stabilite a Ginevra derivano da situazioni de­ terminate. Sono un preciso riferimento, une référ ence pré cise (come si dice nell'autorevole commento della Croce Rossa Internazionale diretto da Jean S. Piete t, vol. VI, 1 958, p. 65) ai movimenti di resistenza della seconda guerra mondiale, dal 1 939 al 1945. Le Convenzioni non mirano a un mutamen­ to profondo del Regolamento per la guerra terrestre stabilito all'Aja nel 1 907. Sostan­ zialmente ci si attiene anche alle quattro condizioni classiche per l'equiparazione al­ le truppe regolari (superiori responsabili, contrassegni fissi e visibili, armamento esibi­ to apertamente, rispetto delle regole e degli usi del diritto di guerra) . La Convenzione sulla protezione della popolazione civile, tuttavia, vale non solo per le guerre intersta­ tuali, ma per tutti i conflitti armati interna­ zionali, e dunque anche per le insurrezioni, le guerre civili e così via. È anche vero che con questo si mirava solo a creare i fonda­ menti giuridici per gli interventi umanitari del Comitato Internazionale della Croce Rossa (o di altre organizzazioni al di sopra delle parti ) . Inter arma cari tas. Nell'articolo 3, quarto comma, viene espressamente sot­ tolineato che lo stato giuridico le statut j u­ ri dique- delle parti in conflitto non ne viene toccato (cfr. Pictet, op. cit. , vol. III, 1 955, pp. 39-40) . In una guerra interstatuale la poten-

38

che occupa militarmente una regione conserva sempre il diritto di dare disposizio­ ni alla polizia locale per il mantenimento dell'ordine e per la repressione di azioni mi­ litari irregolari, e di conseguenza anche per la caccia ai partigiani, « senza riguardo alle idee da cui questi ultimi possano essere ispi­ rati" (Pictet, op. c it. , vol. IV, 1 956, p. 330) . Ne consegue che la distinzione dei partigia­ ni - nel senso di combattenti irregolari, non equiparati alle truppe regolari è sostan­ zialmente man tenuta anche oggi. Il parti­ giano in questo senso non ha i diritti e le prerogative del combattente; è un criminale comune, e lo si può rendere inoffensivo con procedimenti sommari e misure repressive. Questo è stato sostanzialmente riconosciuto anche nei processi ai criminali di guerra do­ po la seconda guerra mondiale, in particola­ re nelle sentenze di Norimberga contro i ge­ nerali tedeschi (]odi, Leeb, List) , fermo re­ stando, ovviamente, che le atrocità, le misu­ re terroristiche, le punizioni collettive o ad­ dirittura la partecipazione a stermini di mas­ sa- tutte azioni che vanno al di là del neces­ sario nella lotta ai partigiani - rimangono crimini di guerra. Le Convenzioni di Ginevra ampliano il no­ vero di coloro che vengono equiparati ai combattenti regolari soprattutto per il fatto che assimilano i membri di un « movimento di resistenza organizzato,, a quelli di corpi volontari o di milizie, conferendo loro, in za

-

39

questo modo, i diritti e le prerogative dei combattenti regolari . Per goderne non è neppure posta espressamente come condi­ zione una organizzazione militare (art. 1 3 della Convenzione sui feriti e art. 4 sui pri­ gionieri di guerra) . La Convenzione sulla protezione della popolazione civile equipa­ ra i " conflitti internazionali » condotti con la forza delle armi alle guerre interstatuali del diritto internazionale europeo classico, cogliendo così il nocciolo di un tipico istitu­ to giuridico del diritto di guerra finora in vi­ gore: la occupatio bell ica. A questi amplia­ menti e allentamenti, cui si può qui solo ac­ cennare a titolo d'esempio, si aggiungono le grandi trasformazioni e i mutamenti che appaiono in seguito all 'evoluzione della mo­ derna tecnica bellica, e che si ripercuotono, tanto più intensamente, sulla lotta partigia­ na. Che significato può avere, ad esempio, la disposizione che l'armamento deve essere « apertamente esibito " per un combattente della resistenza al quale il sopraccitato ma­ nuale sulla guerriglia dello Schweizerischer Unteroffiziersverband (p. 33) dà le seguenti istruzioni: " Spostati solo di notte, e durante il giorno riposati nei boschi »? E che significa­ to ha poi il requisito di un contrassegno visi­ bile a distanza in uno scontro notturno o di fronte alle armi di lunga gittata della moder­ na tecnica bellica? Molte domande del ge­ nere si affollano quando la riflessione cade sul problema del partigiano, tenendo con40

to anche degli aspetti legati al mutamento spaziale e allo sviluppo tecnico-industriale, che illustreremo più avanti (si veda sotto, pp. 95, 1 07) . La protezione della popolazione civile in un paese occupato militarmente presenta di­ versi aspetti. La potenza occupante ha tutto l'interesse che nella zona occupata regnino la tranquillità e l' ordine. Si tiene per fermo che la popolazione della zona occupata sia tenuta non già alla fedeltà, ma certo all'ob­ bedienza nei riguardi delle disposizioni del­ la potenza occupante ammesse dal diritto di guerra. Anche i funzionari statali - e la stes­ sa polizia - devono continuare il proprio la­ voro con correttezza, e in conformità con questo devono essere trattati dall' occupan­ te. L'insieme è un faticoso e difficile com­ promesso fra gli interessi della potenza oc­ cupante e quelli dei suoi nemici. Il partigia­ no viene a turbare pericolosamente questa sorta di ordine nella zona occupata. Non sol­ tanto perché opera alle spalle del fronte ne­ mico, ostacolando i trasporti e i rifornimen­ ti, ma anche perché viene più o meno ap­ poggiato e protetto dalla popolazione locale. « La popolazione è il tuo migliore amico'' si legge nella sopraccitata Klei nkri egs anwei sung fur j eder mann (p. 28) . Proteggere la popola­ zione in questo caso significa dunque, po­ tenzialmente, proteggere anche dei parti­ giani. Si spiega così il fatto che nel corso del­ lo sviluppo del diritto di guerra, nell'ambito 41

delle discussioni all'Aja sulle norme della guerra terrestre e nei successivi approfondi­ menti, si assista sempre al formarsi di due caratteristici fronti: le grandi potenze milita­ ri, virtuali occupanti, esigono che l' ordine nelle regioni militarmente occupate venga rigidamente garantito, mentre gli Stati più piccoli - Belgio, Svizzera, Lussemburgo -, temendo di essere invasi, tentano di far vale­ re la maggior protezione possibile della po­ polazione civile e dei combattenti della resi­ stenza. Anche da questo punto di vista gli sviluppi registratisi dopo la seconda guerra mondiale hanno condotto a nuove acquisi­ zioni, e l'aspetto della disgregazione delle strutture sociali, che esamineremo più avan­ ti (p. 1 0 l), induce a chiedersi se non possa­ no darsi casi in cui la popolazione abbia bi­ sogno di essere protetta dai partigiani. Con le Convenzioni di Ginevra del 1 949 so­ no state introdotte, all'interno dell 'istituto giuridico classico della occupati o belli ca- che il Regolamento per la guerra terrestre del­ l'Aja aveva disciplinato con precisione -, modifiche i cui effetti restano per molti ver­ si imprevedibili. Combattenti della resisten­ za che prima sarebbero stati considerati par­ tigiani vengono ora equiparati ai combat­ tenti regolari non appena risultino organiz ­ z ati. Gli interessi delle popolazioni delle zo­ ne occupate vengono sottolineati con tale decisione rispetto a quelli della potenza oc­ cupante che, almeno in teoria, è reso possi42

bile ogm tipo di resistenza contro l' occu­ pante, anche quella partigiana, purché essa sorga da motivi rispettabili quel tanto che basta per farla apparire non illegale. D ' altro canto la potenza occupante deve conservare la facoltà di ricorrere a misure repressive. In questa situazione il partigiano agirebbe in modo non propriamente legale ma neppu­ re in modo propriamente illegale, bensì so­ lo a proprio rischio e pericolo, e in questo senso ri schiosamente. Quando si usano parole come ri schio e ri­ schioso in senso generico e non pregnante, va subito chiarito che in una zona militar­ mente occupata dal nemico e battuta dai partigiani non sono assolutamente solo que­ sti ultimi a vivere rischiosamente. Nel senso generale di insicurezza e pericolo, l' intera popolazione della zona si trova in una situa­ zione di grande rischio. Quei funzionari che, conformemente al Regolamento del­ l'Aja, vogliano continuare correttamente il loro lavoro, vanno incontro a rischi supple­ mentari sia per il loro operato sia per le loro omissioni, e in particolare il funzionario di polizia finisce per trovarsi fra l' incudine e il martello: la potenza occupante esige da lui il mantenimento della sicurezza e dell' ordi­ ne, che proprio il partigiano viene però a turbare; il suo Stato nazionale esige da lui fedeltà, e alla fine della guerra gli chiederà conto del suo operato; la popolazione alla quale appartiene si aspetta una lealtà e una 43

solidarietà che, riguardo all'attività di un funzionario di polizia, può portare a conse­ guenze pratiche assolutamente contraddit­ torie, a meno che non si decida a diventare lui stesso un partigiano; e alla fine sia il par­ tigiano sia il suo avversario lo trascineranno nel loro circolo vizioso di rappresaglia e controrappresaglia. Parlando in generale, l 'azione (o omissione) arrischiata non rap­ presentano uno specifico carattere distinti­ vo del combattente partigiano. La parola ri schioso assume un significato più pregnante quando chi agisce in modo ri­ schioso si espone personalmente al perico­ lo e coscientemente mette nel conto anche eventuali conseguenze negative delle sue azioni o delle sue omissioni, in modo da non poter gridare all'ingiustizia quando quelle conseguenze lo colpiscono. D'altro canto, se si mantiene entro i limiti della legalità, egli ha la possibilità di compensare il rischio at­ traverso un contratto di assicurazione. La pa­ tria giuridica del concetto di ri schio, il suo to­ pos giurisprudenziale, resta il diritto assicu­ rativo. L'uomo vive in mezzo a pericoli e in­ sicurezze di ogni genere, e assegnare con consapevolezza giuridica la designazione di ri schio a un pericolo o a una condizione di scarsa sicurezza significa rendere assic urabili quelli e la parte lesa. Nel caso del partigiano, questo probabilmente naufragherebbe con­ tro l' irregolarità e l'illegalità delle sue azioni, anche se per il resto ci fosse una disponibi44

lità a proteggerlo da un rischio troppo gran­ de mediante un suo inserimento, dal punto di vista della tecnica assicurativa, nella classe di rischio più elevata. Le situazioni create dalla guerra e dall' espli­ carsi dell' ostilità rendono necessaria una ri­ flessione sul conce tto di rischio. Da noi la pa­ rola è stata introdotta nella teoria del diritto internazionale di guerra attraverso il libro di Josef L. Kunz Kri egsrecht und Neu tral itii tsrecht (1935, pp. 1 46, 274) . Tutta�a lì non ci si riferisce alla guerra terrestre, e tanto meno al partigiano. Non sono assolutamente chiama­ ti in causa. Se prescindiamo dal diritto assi­ curativo come patria giuridica del concetto di ri schio, e tralasciamo usi non pregnanti della parola - per esempio il paragone col prigioniero fuggito che «rischia >> di essere fucilato -, appare che l 'uso proficuo del con­ cetto di «rischioso >> , dallo specifico punto di vista del diritto bellico, in Kunz si riferisce solo al diritto di guerra marittima e alle figu­ re e situazioni tipiche di questa. Nella mag­ gior parte dei casi la guerra marittima è una guerra commerciale; rispetto alla guerra ter­ restre possiede un suo proprio spazio e i pro­ pri concetti di nemico e di bottino. Perfino il miglioramento della sorte dei feriti ha porta­ to, nel regolamento ginevrino dell'agosto 1949, a due Convenzioni separate, una per la terraferma e una per il mare. Rischiosamente, in questo senso specifico, agiscono due partecipanti alla guerra marit45

tima: il neutrale che forza un blocco navale e il neutrale che pratica il contrabbando. In relazione a loro il termine ri sc hi oso ha il suo senso preciso e pregnante. Sia l'uno che l'al­ tro « si avventurano in un 'attività commer­ ciale molto redditizia ma anche molto ri­ schiosa >> ( cfr. Kunz, op. ci t. , p. 2 77 ) , giacché nel caso vengano individuati rischiano basti­ mento e carico. Essi non hanno però di fronte un nemico, anche se il diritto di guer­ ra marittima li tratta da nemici. L'ideale so­ ciale di costoro sono i buoni affari . Il loro campo di attività è il mare aperto. Non pen­ sano a difendere casa e focolare e patria da un invasore, come è proprio dell' archetipo del partigiano autoctono. Stipulano anche contratti assicurativi per bilanciare i rischi che corrono, e in questo caso le tariffe sono conformemente elevate , commisurandosi ai mutevoli fattori di rischio, per esempio l 'af­ fondamento ad opera di sommergibili: mol­ to rischioso, ma ad alta copertura. Un termine preciso come ri schi oso non do­ vrebbe essere estrapolato dall 'ambito con­ cettuale del diritto di guerra marittima e dis­ solto in un concetto generale dove tutto sfu­ ma. Per noi, che ci atteniamo al carattere tellurico del partigiano, questo è particolar­ mente importante. E se in passato mi è acca­ duto di chiamare '' partigiani del mare >> i pi­ rati e i bucanieri del primo capitalismo (Der N omos der Erde, cit., p. 1 45) ,2° vorrei oggi cor­ reggere quella imprecisione terminologica. 46

Il partigiano ha un nemico e « rischia ,, qual­ cosa di m olto diverso rispetto a chi forza un blocco e a chi pratica il contrabbando. Egli rischia non solo la propria vita, come ogni combattente regolare. Sa, e non fa nulla per evitarlo, che il nemico lo considera al di fuori di ogni diritto, legalità e onore. La stessa cosa fa del resto il combattente ri­ voluzionario, che dichiara il nemico un cri­ minale e considera un inganno ideologico tutte le opinioni del nemico su diritto, legge e onore. Nonostante i legami e le commi­ stioni - caratteristici della seconda guerra mondiale e del dopoguerra fino ai giorni nostri - fra i due tipi di partigiano, il difen­ sore autoctono della propria patria e l'attivi­ sta rivoluzionario che ha per campo d'azio­ ne il mondo intero, l'antitesi resta. Questa si basa, come vedremo, su concetti fondamen­ talmente diversi di guerra e di inimicizia, che si realizzano in tipi diversi di partigiano. Laddove la guerra viene condotta da en­ trambe le parti come uno scontro non di­ scriminatorio di uno Stato contro l ' altro, il partigiano è una figura marginale, che non fa saltare il quadro della guerra e che non muta la struttura complessiva del processo politico. Quando però si passa a considera­ re il nemico che si combatte un vero e pro­ prio criminale, quando la guerra diventa per esempio come una guerra civile tra ne­ mici di classe, il suo scopo primario è l ' an­ nientamento del governo dello Stato nemi47

co, e allora il rivoluzionario effetto dirom­ pente della criminalizzazione del nemico trasforma il partigiano nel vero eroe della guerra. Egli esegue sentenze di morte con­ tro criminali, e rischia, da parte sua, di esse­ re trattato come un criminale o un vandalo. È questa la logica di una guerra per una j u­ sta causa senza il riconoscimento di un j ustus hostis. Attraverso di essa il partigiano rivolu­ zionario diventa la vera figura centrale del conflitto. La problematica del partigiano diventa però la migliore pietra di paragone . I diversi tipi di guerra partigiana possono mescolarsi e fondersi nella pratica dell'odierna condotta di guerra, ma nei loro presupposti fonda­ mentali rimangono così distinti da costitui­ re il criterio su cui si fonda la classificazione amico-nemico. Abbiamo ricordato poco so­ pra il tipico schieramento formatosi duran­ te i lavori preparatori del Regolamento per la guerra terrestre dell'Aja: le grandi poten­ ze militari di fronte ai piccoli paesi neutrali. Durante le consultazioni per le Convenzioni di Ginevra del 1949 fu raggiunta, con molta fatica, una formula di compromesso che e­ quiparava il movimento di resistenza orga­ nizzato alle formazioni volontarie. Anche qui, quando si trattò di accogliere entro norme di diritto internazionale le esperien­ ze della seconda guerra mondiale, si ripro­ dusse lo schieramento tipico. Anche questa volta le grandi potenze militari, virtuali oc48

cupanti, si trovarono in contrasto con i pic­ coli Stati, timorosi di una possibile occupa­ zione del loro territorio; ma con una diffe­ renza tanto vistosa quanto sintomatica: la più grande potenza terrestre del mondo, il potenziale occupante di gran lunga più for­ te, l' Unione Sovietica, era ora a fianco dei piccoli Stati.21 Le quattro Convenzioni di Ginevra del 1 2 agosto 1 949 sono il frutto di sentimenti u­ mani e di uno sviluppo dei princìpi umani­ tari che meritano ammirazione. Garanten­ do anche al nemico non soltanto di essere considerato uomo, ma pure la giustizia - nel senso del riconoscimento dei suoi diritti -, rimangono fedeli al diritto internazionale classico e alla sua tradizione, senza la quale una simile opera umanitaria sarebbe impro­ babile. Il loro fondamento resta la statualità della conduzione della guerra e una conse­ guente delimitazione di questa, con le sue chiare distinzioni fra guerra e pace, militare e civile, nemico e criminale, guerra fra Stati e guerra civile. Ma dove allentano o addirit­ tura mettono in discussione queste essenzia­ li distinzioni, spianano la strada a un tipo di guerra che distrugge scientemente quelle chiare separazioni. Ecco allora che qualche norma di compromesso cautamente stilizza­ ta appare soltanto un esile ponticello sopra un abisso che cela in sé un profondo muta­ mento, gravido di conseguenze, dei concetti di guerra, nemico e partigiano. 49

LO SVILUPPO DELLA TEORIA

Il

cattivo rapporto dei prussiani con il partigiano

In Prussia, prima potenza militare della Ger­ mania, la sollevazione antinapoleonica della primavera del 1 8 1 3 fu prodotta da un forte sentimento nazionale. Il grande momento passò presto, ma rimase così essenziale nella storia del partigiano che dovremo trattarlo a parte più avanti. Innanzitutto dobbiamo tener conto del­ l'incontestabile fatto storico che l ' esercito prussiano - e quello tedesco guidato dalla Prussia - dal 1 8 1 5 fino alla seconda guerra mondiale inoltrata fornisce l'esempio clas­ sico di una organizzazione delle forze arma­ te che ha radicalmente rimosso l 'idea del partigiano. I trent'anni di dominio coloniale tedesco in Mrica, dal 1 885 al 1 9 1 5 , non furono militar­ mente abbastanza importanti da indurre gli eccellenti teorici dello Stato Maggiore prus­ siano a in teressarsi seriamente al proble­ ma. L'esercito austroungarico conosceva la guerra partigiana dei Balcani, e aveva già un regolamento per affrontare la guerriglia. 50

L'esercito prussiano-tedesco, invece , duran­ te la seconda guerra mondiale invase la Rus­ sia, il 22 giugno del 1 941 , senza neppure pensare all' eventualità di una guerra parti­ giana. La sua campagna contro Stalin iniziò con questo motto: la truppa combatte il ne­ mico, gli sbandati vengono resi inoffensivi dalla polizia. Soltanto nell 'ottobre del 1 941 si ebbero le prime specifiche disposizioni per la lotta contro i partigiani; nel maggio 1944, a poco meno di un anno dalla fine di quei quattro anni di guerra, fu diramato il primo regolamento completo del Comando Supremo della Wehrmacht.�2 L'esercito prussiano-tedesco nell'Ottocento divenne la più famosa ed esemplare orga­ nizzazione militare del mondo eurocentrico di allora. Ma doveva questa fama esclusi­ vamente a vittorie militari contro altri eser­ citi regolari europei, in special modo della Francia e dell'Austria. Soltanto durante la guerra franco-prussiana del 1 870-1871 si era trovato ad affrontare la guerra irregolare, nelle sembianze dei cosiddetti franc -tireurs ­ in tedesco Hec kensc hiitzen , che trattò infles­ sibilmente secondo la legge marziale, così come avrebbe fatto qualsiasi esercito regola­ re. Quanto più un esercito è rigidamente di­ sciplinato, tanto più è la correttezza con cui distingue i militari dai civili, considerando nemico solo l'avversario che indossa un'u­ niforme, e tanto più sensibile e nervoso di­ venta quando dall'altra parte partecipa ai -

51

combattimenti anche una popolazione civi­ le priva di uniforme. I militari reagiscono al­ lora con dure rappresaglie, fucilazioni, arre­ sti e distruzioni di centri abitati, consideran­ do tutto questo una legittima difesa contro perfidia e slealtà. Quanto più, dunque, si è disposti a rispettare il regolare avversario in uniforme quale nemico, anche negli scontri più cruenti, tanto più spietatamente si trat­ terà da criminale il combattente irregolare. Tutto questo è la naturale conseguenza del­ la logica del diritto di guerra europeo classi­ co, che distingue i militari dai civili, i com­ battenti dai non combattenti, e trova la rara forza morale di non considerare il nemico di per sé un criminale. Il soldato tedesco ha conosciuto il franc-tireur in Francia, nell 'autunno del 1 870 e nel sus­ seguente inverno 1 870-187 1 , dopo la gran­ de vittoria riportata a Sedan il 2 settembre contro l'esercito regolare dell 'imperatore Napoleone III. Se fosse andata secondo le norme della guerra classica fra eserciti rego­ lari, una simile vittoria avrebbe dovuto se­ gnare la fine del conflitto e l' inizio delle trattative di pace. Invece lo sconfitto gover­ no imperiale venne deposto, e il nuovo go­ verno repubblicano, guidato da Léon Gam­ betta, proclamò la resistenza nazionale con­ tro l 'invasore straniero, la guerra à outrance. Continuò ad arruolare in tutta fretta nuovi eserciti, e a gettare sui campi di battaglia masse di soldati non addestrati. Nel novem52

bre del 18 70 segnò perfino un successo mili­ tare a suo favore, sulla Loira. La situazione delle armate tedesche si era fatta minaccio­ sa, e quella della politica estera della Ger­ mania era diventata difficile, perché non si era previsto un conflitto di lunga durata. La popolazione francese si accese di entusia­ smo patriottico, e partecipò nelle forme più disparate alla lotta contro i tedeschi. Questi ultimi presero in ostaggio un certo numero di cosiddetti notabili, fucilarono i franc-ti reurs che avevano sorpreso con le armi in pugno, misero sotto pressione la popolazione fran­ cese con rappresaglie di ogni tipo. La situa­ zione diede inizio a una controversia, dura­ ta oltre un cinquantennio, fra giuristi di di­ ritto internazionale e pubblici propagandi­ sti di entrambe le parti, pro e contro il franc­ ti reur. E nella prima guerra mondiale le di­ spute sul franc-ti reur divamparono nuova­ mente, questa volta fra belgi e tedeschi. Sul­ l'argomento sono state scritte biblioteche intere, e ancora negli ultimi anni, fra il 1 958 e il 1 960, una commissione di storici tede­ schi e belgi di chiara fama ha tentato di ve­ nire a capo almeno di uno dei punti contro­ versi (appunto il franc-ti reur belga del 1 914) di questa complessa questione.23 Tutto questo insegna che una normativa in­ torno al problema del partigiano è giuridi­ camente impossibile, a meno di non voler correre il rischio di formulazioni giuridiche che non colgano la concreta fattispecie e 53

siano inficiate da giudizi di valore generici e aleatori. Sin dal Settecento la tradizionale delimitazione europea della guerra intersta­ tuale derivava da ben precisi concetti che vennero, sì, messi al bando dalla Rivoluzio­ ne francese, ma che poi furono tanto più efficacemente confermati dall ' opera di re­ staurazione del Congresso di Vienna. Questi concetti di delimitazione della guerra e in­ dividuazione del nemico, nati al tempo del­ le monarchie assolute, hanno valore di nor­ ma nei rapporti fra gli Stati solo quando en­ trambe le parti belligeranti vi si attengono allo stesso modo, tanto all 'interno dello Sta­ to quanto nei rapporti interstatuali, quando insomma i loro concetti - tanto nazionali quanto interstatuali - di regolarità e irrego­ larità, di legalità e illegalità, collimino nel contenuto, o almeno siano in qualche misu­ ra strutturalmente omogenei. In caso con­ trario la normativa interstatuale, invece di promuovere la pace, otterrà il solo risultato di fornire pretesti e spunti per accuse reci­ proche . Dopo la prima guerra mondiale si è raggiunta gradualmente una piena consape­ volezza di questa semplice verità. Ma la fac­ ciata ideologica del tradizionale armamen­ tario concettuale è ancora molto forte. Per ragioni di carattere pratico gli Stati spesso hanno interesse nel ricupero dei cosiddetti concetti classici, anche se in altri casi se ne erano sbarazzati come di idee superate e reazionarie. A questo si aggiunga che i giuri54

sti del diritto internazionale europe o hanno cocciutamente rimosso dalla loro coscienza un'immagine della nuova realtà che era già riconoscibile nel 1900 .21 Se tutto questo vale già, in generale, per la distinzione tra la guerra interstatuale euro­ pea di vecchio tipo e una guerra democrati­ ca di popolo, a maggior ragione per una guerra di popolo improvvisata e à outrance come quella proclamata da Gambetta nel settembre del 1 8 70. Il Regolamento per la guerra terrestre fissato all'Aja nel 1 907 ha tentato - così come tutti quelli che lo hanno preceduto nel corso dell'O ttocento - di ri­ solvere c on un compromesso il problema del franc-tireur. Richiede dunque certe con­ dizioni perché il soldato improvvisato , vesti­ to di una uniforme altrettanto improvvisata, possa venire riconosciuto come combatten­ te ai sensi del diritto internazionale: supe­ riori responsabili, contrassegni fissi e visibili da lontano, e soprattutto l'aperta esibizione delle armi. L'ambiguità concettuale della regolamen tazione dell'J\ja e delle conven­ zioni ginevrine è grande, e confonde i ter­ mini del problema.��· Partigiano, infatti, è proprio colui che evita di esibire aperta­ mente le armi, colui che per combattere fa uso di imboscate, che si mimetizza in mille modi, ora con l 'uniforme rubata al nemico ora servendosi di abiti civili, è colui che ado­ pera i contrassegni più vari a seconda delle circostanze. La clandestinità e l'oscurità so55

no le sue armi più potenti, alle quali egli non può onestamente rinunciare senza per­ dere lo spazio dell'irregolarità, vale a dire senza cessare di essere un partigiano. Il punto di vista militare dell ' esercito rego­ lare prussiano riguardo al significato della guerriglia non peccava né di scarsa intelli­ genza né di ignoranza. Lo prova l'interessan­ te libro di un tipico ufficiale di Stato Maggio­ re prussiano, che aveva conosciuto il modo di combattere dei franc-tireu rs nel 1870-1 871 , e che rese pubblica la sua opinione nel 1 877 in un volume dal titolo Lé on Gambetta und sei­ ne Armeen. L'autore, barone Colmar von der Goltz, cadde in battaglia durante la prima guerra mondiale mentre, col nome di Pascià Goltz, comandava un' armata turca. Con as­ soluta obiettività e con la massima precisione il giovane ufficiale prussiano si awede del madornale errore di strategia commesso dai repubblicani, e dichiara: '' Gambetta voleva condurre una vera e propria guerra, e lo ha anche fatto, per sua disgrazia; giacché per le armate tedesche, nella Francia di allora, una piccola guerra, una guerriglia, sarebbe stata assai più pericolosa » . 26 Il comando dell' esercito prussiano-tedesco alla fine riuscì a capire, anche se tardi, la na­ tura della guerra partigiana. Il 6 maggio 1 944 il Comando Supremo della Wehr­ macht emanò, come abbiamo già ricordato, le direttive generali per la lotta contro i par­ tigiani. Prima della sua fine, l 'esercito tede56

sco ha così fatto in tempo a capire la figura del partigiano. Quelle direttive del maggio 1 944 nel frattempo sono state riconosciute valide sotto ogni aspetto anche da un ne­ mico della Germania. Il brigadiere inglese Dixon, che dopo la guerra ha pubblicato, insieme a Otto Heilbrunn, un significativo libro sui partigiani, riproduce in extenso il te­ sto delle direttive tedesche quale modello esemplare di una efficace lotta contro i par­ tigiani, e il generale inglese Sir Reginald F.S. Denning osserva, nella sua prefazione al li­ bro di Dixon e Heilbrunn, che le direttive tedesche per la lotta al partigiano del 1 944 non sono meno valide per il fatto di riguar­ dare la lotta dell' esercito tedesco contro i partigiani russi. 27 Verso la fine della guerra, nel 1 944-1945, ap­ paiono in Germania due formazioni combat­ tenti che non si debbono ascrivere alla Wehr­ macht, anzi si possono considerare piuttosto la sua antitesi: il Volkssturm e il cosiddetto Werwolf. Il Volkssturm fu creato con un de­ creto del 25 settembre 1 944, ed era inteso come una milizia territoriale per la difesa na­ zionale i cui appartenenti erano, durante le loro operazioni, soldati ai sensi del diritto di guerra e combattenti secondo il Regolamen­ to per la guerra terrestre dell'Aja. Sulla loro organizzazione, l' equipaggiamento, l' impie­ go , lo spirito combattivo e le perdite ci infor­ ma uno scritto, apparso recentemente, del generale di divisione Hans Kissel, che dal 57

novembre 1 944 fu capo di Stato Maggiore del Volkssturm tedesco. Kissel ci rende noto che gli alleati occidentali avevano ricono­ sciuto il Volkssturm come truppa combatten­ te, mentre i russi lo consideravano una orga­ nizzazione partigiana e ne fucilavano i pri­ gionieri. A differenza di questa milizia terri­ toriale, il Werwolf era concepito come una organizzazione partigiana di giovani. Sui suoi risultati così riferisce il libro di Dixon e Heilbrunn: ; una cosa del genere sarebbe parsa loro poco rassicu59

rante, e anche poco prussiana. E pure per i timidi tentativi rivoluzionari del governo te­ desco e del suo Stato Maggiore durante la prima guerra m ondiale la parola acheronteCJ sarebbe stata eccessiva. Peraltro, anche il viaggio di Lenin dalla Svizzera in Russia, nel 1 9 1 7, rientra certamente in questo contesto. Ma tutto quello che allora possono aver pensato e progettato i tedeschi nell ' organiz­ zare il viaggio di Lenin è stato superato e travolto dalle conseguenze storiche di que­ sto tentativo rivoluzionario, e in misura tale che la nostra tesi del cattivo rapporto della Prussia con il partigiano ne risulta confer­ mata piuttosto che confutata.29 E tuttavia il militaresco Stato prussiano nella sua storia ha avuto, una volta, un momento davvero acheronteo. Fu nell'inverno e nella primavera del 1 8 1 2-1813, quando un'élite di ufficiali dello Stato Maggiore provò a scatena­ re tutta la forza dell'ostilità popolare verso Napoleone e a prenderne le redini. La guer­ ra tedesca contro Bonaparte non fu una guerra partigiana, ed è difficile anche definir­ la una guerra popolare. Tale la fece diventa­ re, come dice giustamente Ernst Forsthoff, solo « una leggenda creata per interesse poli­ tico >>.3° Fu facile convogliare subito quelle forze elementari entro i robusti argini del­ l 'ordine statale e del combattimento regola­ re contro l' esercito francese. Tuttavia questo breve momento rivoluzionario serba per la 60

teoria del partigiano un'importanza straor­ dinaria. A questo punto il pensiero correrà subito a un celebre capolavoro della scienza milita­ re, il libro Dell a guerra del generale prussia­ no von Clausewitz. E a ragione. Ma Clau­ sewitz allora era ancora soltanto un allievo di maestri quali Scharnhorst e Gneisenau, e il suo libro fu pubblicato solo dopo la sua morte, nel 1 832. Esiste invece un altro mani­ festo dell' ostilità contro Napoleone, risalen­ te all 'immediata primavera del 1 8 1 3, che può essere annoverato fra i più sbalorditivi documenti di tutta la storia del partigiano: l'editto prussiano sulla milizia territoriale ( Landsturm) del 2 1 aprile 1 8 1 3. Si tratta pro­ prio di un editto firmato dal re di Prussia, pubblicato secondo tutte le regole nella rac­ colta di leggi prussiane. I modelli cui si ispi­ ra sono senz' ombra di dubbio lo spagnolo Regl amento de Partidas y Cuadrill as del 28 di­ cembre 1 808 e il decreto noto con il nome di Corso terrestre, del 17 aprile 1 809. Questi ultimi tuttavia non sono personalmente firmati dal sovrano.�� Si resta attoniti nel leg­ gere il nome di un legittimo regnante sotto un simile appello alla guerra partigiana. Queste dieci pagine della raccolta di leggi prussiane del 1 8 1 3 (pp. 79-89) sono certa­ mente da annoverare fra le più inusitate di tutte le gazzette ufficiali del mondo. Ogni cittadino - così suona l' editto - ha il dovere di opporsi al nemico invasore con 61

qualsiasi tipo di arma. Scuri, forconi, falci e lupare vengono espressamente raccoman­ dati nel paragrafo 43. Ogni prussiano ha il dovere di non obbedire ad alcun ordine del nemico, bensì di danneggiarlo con ogni mezzo possibile. Anche se il nemico volesse ristabilire l ' ordine pubblico, nessuno è au­ torizzato a obbedirgli, perché così facendo si finin;bbe per facili tarne le operazioni mi­ litari. E espressamente affermato che gli , che richiama le esperienze della guerra popolare spagnola e mira, in caso di necessità, a lasciar tranquillamente " rispon­ dere ali' efferatezza con l' efferatezza, alla violenza con la violenza ,, . E in questo docu­ mento si può già discernere chiaramente l' editto prussiano sulla milizia territoriale dell' aprile 1 8 1 3.32 Dovette essere una grande delusione per Clausewitz il fatto che quanto si era aspetta­ to dali' insurrezione " non accadde » . 3� Guer­ ra di popolo e partigiani Parteig ii ng er, se­ condo la sua definizione - erano stati da lui individuati come elementi essenziali delle " forze che esplodono in guerra ,, , e in quan­ to tali li aveva inseriti nel sistema della sua teoria della guerra. In particolare nel capi­ tolo VI del sesto libro del suo Dell a gu erra « Estensione dei mezzi di difesa ,, - e nel ce­ lebre capitolo VI B d eli ' ottavo libro - " La guerra è uno strumento della politica ,, - ha riconosciuto la nuova " potenza >>. Nella sua opera troviamo inoltre sorprendenti osser-

-

66

vazioni isolate piene di sottintesi, come il passo sulla guerra civile in Vandea, dove di­ ce che p ochi singoli partigiani talvolta pos­ sono persino del 1941-1 945 descrive il glo­ rioso partigiano che scompiglia le retrovie dell' esercito nemico. Negli enormi spazi della Russia, con un immenso fronte di cen­ tinaia di chilometri, per la strategia tedesca qgni divisione era indispensabile. La conce­ zione di fondo che Stalin aveva del partigia­ no prevedeva che questi dovesse sempre -

77

combattere alle spalle del nemico, secondo la nota massima: alle spalle i partigiani, al fronte fraternizzazione. Stalin riuscì a combinare il forte potenziale della resistenza nazionale e patriottica - vale a dire la forza tellurica, essenzialmente di­ fensiva, della lotta contro un invasore stra­ niero - con l'aggressività della rivoluzione comunista mondiale. L'unione di queste due forze eterogenee è oggi alla base di ogni lotta partigiana in tutto il mondo. Con ciò l' elemento comunista finora è rimasto per lo più avvantaggiato, per via della sua ri­ solutezza e dell'appoggio di Mosca o Pechi­ no. I partigiani polacchi che durante la se­ conda guerra mondiale combatterono con­ tro i tedeschi furono crudelmente sacrificati da Stalin. Le lotte partigiane in Jugoslavia del 1 941-1 945 non sono state soltanto una difesa comune contro l' invasore straniero, ma anche uno scontro fratricida, altrettanto brutale, fra partigiani monarchici e partigia­ ni comunisti. Nel corso di questa lotta, Tito, il capo dei partigiani comunisti, grazie an­ che all' aiuto di Stalin ha sconfitto e annien­ tato il suo avversario interno jugoslavo, il ge­ nerale Mihajlovié, che era sostenuto dagli inglesi. Il più grande esperto nella pratica della guerra rivoluzionaria contemporanea è di­ ventato anche il suo più famoso teorico: Mao Zedong. Alcuni suoi scritti " sono oggi lettura obbligatoria nelle scuole di guerra 78

occidentali >> , come ricorda Hans Henle. Fin dal 1 927 egli cominciò ad acquisire espe­ rienze nel movimento comunista, e trasse profitto dell 'invasione giapponese del 1932 per sviluppare sistematicamente tutti i mo­ derni metodi della guerra civile nazionale e internazionale . La « Lunga Marcia >> dalla Ci­ na fino alla frontiera mongola, iniziata nel 1 934 e protrattasi per oltre 1 2.000 chilome­ tri con enormi perdite, costituì una serie di prove ed esperienze partigiane che produs­ se, quale risultato, il Partito Comunista Ci­ nese, partito di conta� ini e soldati, con il partigiano al centro. E una coincidenza si­ gnificativa il fatto che Mao Zedong abbia composto tutte le sue opere più importanti tra il 1 936 e il 1938, vale a dire nel periodo in cui la Spagna seppe difendersi, con una guerra di liberazione nazionale, dalla fago­ citazione del comunismo internazionale. In questa guerra civile spagnola il partigiano non ha svolto un ruolo di primo piano. Mao Zedong invece deve la sua vittoria sul pro­ prio avversario interno, il Kuo Min Tang e il generale Chiang Kai-shek, esclusivamente alle esperienze della lotta partigiana cinese contro i giapponesi e il Kuo Min Tang. Le formulazioni teoriche più importanti di Mao Zedong, almeno per quanto riguarda il nostro argomento, si trovano in uno scritto del 1 938 intitolato Strategia della guerra parti­ giana contro l'invasione giapponese. Ma si devo­ no prendere in considerazione anche altri 79

suoi scritti per avere un'immagine completa della dottrina militare di questo nuovo Clau­ sewitz.41 Di fatto si tratta di un coerente, si­ stematico e consapevole sviluppo dei con­ cetti elaborati dagli ufficiali dello Stato Mag­ giore prussiano. Solo che Clausewitz, con­ temporaneo di Napoleone I, non poteva an­ cora presagire il grado di totalità - oggi ov­ via - della guerra rivoluzionaria dei comuni­ sti cinesi. L'immagine caratteristica di Mao Zedong è tutta contenuta nella seguente si­ militudine: « Nella nostra guerra la popola­ zione armata e la guerriglia partigiana da un lato e l'Armata Rossa dall'altro si posso­ no paragonare alle due braccia di un uomo; o volendosi esprimere più concretamente: la morale della popolazione è quella della nazione in armi. E di questo il nemico ha paura » . La " nazione i n armi » era notoriamente an­ che la parola chiave degli ufficiali dello Sta­ to Maggiore prussiano che organizzarono la guerra contro Napoleone. Clausewitz era uno di loro. Abbiamo visto che allora il vigo­ roso slancio nazionale di un ben preciso strato culturale venne recepito dall'esercito regolare. Anche i pensatori militari più radi­ cali di quell'epoca distinguono fra guerra e pace e considerano la guerra una situazione di emergenza, nettamente distinguibile dal­ la pace. Neppure Clausewitz avrebbe potu­ to, nella sua vita di ufficiale di professione di un esercito regolare, sviluppare così siste80

maticamente e fino in fondo la logica del partigiano come sarebbero riusciti a fare Le­ nin e Mao nella loro esistenza di rivoluzio­ nari di professione. Per quanto riguarda Mao, poi, si aggiunge un altro fatto concre­ to, che gli permise di avvicinarsi ancor più di Lenin al cuore della problematica parti­ giana, e di definirla concettualmente in mo­ do ancor più completo. Per dirla in due pa­ role: la rivoluzione di Mao ha un fondamen­ to più « tellurico » di quella di Lenin. L'a­ vanguardia bolscevica che si impadronì del potere in Russia nell 'ottobre del 1 9 1 7 sotto la guida di Lenin mostra grosse differenze nei confronti dei comunisti cinesi che rag­ giunsero finalmente il potere nel 1949 - do­ po una guerra ultraventennale -, differenze sia nella struttura interna dei gruppi sia nei rapporti con il paese e con il popolo di cui si impadronirono. La controversia su quale ideologia propugnasse Mao - se autentico marxismo o leninismo - diventa, davanti al fatto inaudito di un partigiano tellurico di queste dimensioni, secondaria quasi quanto la domanda se gli antichi filosofi cinesi non avessero già espresso concetti simili a quelli di Mao. Si tratta di una reale «élite rossa •• , forgiata dalla lotta partigiana. Ruth Fischer ha chiarito l ' aspetto essenziale richiaman­ dosi al fatto che i bolscevichi russi del 1 9 1 7, dal punto di vista nazionale, erano una mi­ noranza « guidata da un gruppo di teorici la cui maggioranza era composta da ex emi81

granti '' · Nel 1 949 i comunisti cinesi sotto la guida di Mao e dei suoi amici avevano già al­ le spalle due decenni di lotte sul proprio suolo nazionale contro un avversario inter­ no - il Kuo Min Tang -, condotte sulla base di una gigantesca lotta partigiana. Può darsi che riguardo all'estrazione sociale fossero classificabili come proletariato urbano, così come lo erano i bolscevichi originari di Mo­ sca e Pietroburgo, ma quando arrivarono al potere recarono con sé le formative espe­ rienze di pesanti sconfitte e una capacità or­ ganizzativa in grado di « trapiantare i loro princìpi in un contesto contadino, dove li avrebbero ulteriormente sviluppati in modo nuovo e imprevisto ,, . 42 Qui risiede l ' origine profonda delle differenze « ideologiche ,, fra comunismo cinese e comunismo russo, ma anche una contraddizione interna alla situazione dello stesso Mao, che fonde il nemico di classe marxista - un nemico as­ soluto m ondiale, globale , senza uno spazio definito - con il nemico reale, territorial­ mente delimitabile, della difesa cino-asiati­ ca contro il colonialismo capitalista. È il contrasto fra One World, una unità politica della terra e dei suoi abitanti, e una plura­ lità di grandi spazi, razionalmente equili­ brati all'interno e controbilanciati gli uni con gli altri . L' idea pluralistica di un nuo­ vo Nomos della terra è stata espressa da Mao in una poesia, intitolata Kunlun, in cui dice: 82

Se il cielo mi fosse patria sguainerei la mia spada e ti taglierei in tre pezzi: uno in regalo all'Europa, uno ali ' America, ma uno lo terrei per la Cina, e sarebbe la pace a dominare il mondo.

Nella situazione concreta di Mao convergo­ no diversi tipi di inimicizia, la quale s' inten­ sifica sino a diventare assoluta. L'ostilità raz­ ziale contro i coloni bianchi sfruttatori; l ' o­ stilità di classe verso la borghesia capitalisti­ ca; l' ostilità nazionale contro gli invasori giapponesi appartenenti alla stessa razza; l ' avversione crescente per il proprio conna­ zionale, alimentata durante lunghe e acca­ nite guerre civili: tutto questo non deter­ minò una reciproca paralizzazione o relati­ vizzazione, come sarebbe di per sé possibile, ma si rafforzò e si intensificò nella situa­ zione concreta. Durante la seconda guerra mondiale Stalin riuscì a collegare il partigia­ no tellurico del suolo patrio con l 'ostilità di classe del comunismo internazionale. Ma in questo Mao lo aveva preceduto già da parec­ chi anni. Egli ha sviluppato la formula della guerra come continuazione della politica, anche a livello di consapevolezza teorica, al di là dello stesso Lenin. L'operazione men­ tale che sta alla base di tutto questo è sem­ plice quanto potente. La guerra trova il suo senso nell 'inimicizia. Dal momento che essa è la continuazione della politica, anche que­ st'ultima contiene sempre in sé, almeno in 83

potenza, un elemento di inimicizia; e se la pace reca in sé la possibilità della guerra - e l' esperienza ha insegnato che purtroppo è davvero così -, allora contiene anche un momento di potenziale inimicizia. La que­ stione, dunque, è se l' inimicizia possa essere circoscritta e controllata, se cioè sia una ini­ micizia relativa o assoluta. E questo può de­ ciderlo solo colui che sta combattendo una guerra a proprio rischio e pericolo. Per Mao, che pensa da partigiano, la pace di og­ gi è soltanto la forma esteriore di una inimi­ cizia effettiva, che non cessa nemmeno nella cosiddetta « guerra fredda ,, . Quest'ultima, dunque, non è una via di mezzo tra la guer­ ra e la pace, ma una maniera, adatta alle cir­ costanze, di mettere in azione una reale ini­ micizia con mezzi diversi da quelli aperta­ mente violenti. Solo dei deboli e degli illusi possono ingannarsi su questo punto. In sostanza ne emerge la questione del rap­ porto quantitativo che esiste tra l ' azione del­ l' esercito regolare della guerra aperta e gli altri metodi della lotta di classe non aperta­ mente militari. A questo proposito Mao for­ nisce cifre precise: la guerra rivoluzionaria è per i nove decimi guerra non aperta, non re­ golare, e per un decimo guerra militare aper­ ta. Un generale tedesco, Helmut Staedke, ne ha ricavato una definizione del partigiano: il partigiano è il combattente dei suddetti no­ ve decimi di una strategia che lascia solo il restante decimo alle forze annate regolari.4� 84

Mao Zedong vede bene come quest'ultimo decimo resti decisivo per una positiva con­ clusione della guerra. Ma proprio qui noi europei di vecchia tradizione dobbiamo guardarci dal ricadere nei concetti conven­ zionali classici di guerra e pace, che si riferi­ scono alla guerra europea circoscritta del XIX secolo, e dunque a una inimicizia non assoluta, ma relativa e delimitabile. L'Armata Rossa regolare fa la sua apparizio­ ne solo quando la situazione è ormai ma­ tura per la fondazione di un regime comu­ nista. Solo allora il paese viene occupato in modo apertamente militare. Questo non punta certo a una conclusione della pace nel senso del diritto internazionale classico. L'importanza pratica di una simile dottrina verrà prepotentemente dimostrata a tutto il mondo dopo il 1 945 dalla divisione della Germania. Le operazioni militari cessaro­ no 1'8 maggio 1 945; la Germania, sconfitta, capitolò senza condizioni. A tutt'oggi, nel 1 963, non si è ancora giunti a una pace fra gli alleati vincitori e la Germania; ma ancora adesso la frontiera fra Est e Ovest corre esat­ tamente lungo la linea che diciotto anni fa delimitò le zone d' occupazione americana e sovietica. Tanto il rapporto fra guerra fred­ da e guerra militare aperta (indicato di 9 a l ) quanto il sintomo della divisione della Germania dopo il 1945, assai significativo per la politica mondiale, sono per noi solo esempi atti a chiarire la teoria politica di 85

Mao. La sua essenza risiede nel partigiano, il suo segno distintivo oggi è la vera inimicizia. La teoria bolscevica di Lenin ha individuato e riconosciuto il partigiano. Ma a paragone della realtà tellurica e concreta di quello ci­ nese, Lenin resta ancora un po' astratto e intellettuale nella determinazione del nemi­ co. Il conflitto ideologico fra Mosca e Pechi­ no, che nel l962 emerge con sempre mag­ giore evidenza, ha le sue radici più profon­ de in questa realtà concreta e diversa di un'autentica lotta partigiana. Anche qui la teoria del partigiano si dimostra la chiave per comprendere la realtà politica.

Da Mao Zedong a Raoul Salan

Sono stati gli ufficiali di carriera francesi rientrati dall'Asia a portare in Europa la fa­ ma di Mao Zedong, considerato il più mo­ derno maestro di strategia. In lndocina la guerra coloniale vecchio stile si scontrò con la guerra rivoluzionaria contemporanea. Laggiù i francesi avevano sperimentato sulla propria pelle la forza d'urto dei ben ponde­ rati metodi di una strategia sovversiva e del terrore di massa in combinazione con la guerra partigiana. Mettendo a frutto le lo­ ro esperienze poterono dunque sviluppare una teoria della guerra psicologica, sovversi86

va e insurrezionale su cui esiste già una con­ sistente letteratura. 44 In tale teoria si è voluto ravvisare il tipico prodotto di una mentalità da ufficiale di car­ riera, e precisamente da colonnello. Non è qui la sede per discutere questa categoria del > (e non « lega­ le ») quando vogliono affermare che sono nel gius to. Il caso Salan dimostra però che anche una legalità messa in discussione re­ sta più forte, in uno Stato moderno, di ogni altro genere di giustizia. Ciò dipende dalla forza decisionista dello Stato e dalla sua ca­ pacità di trasformare il diritto in legge. Non è necessario, qui, approfondire la questio­ ne."" Forse le cose cambieranno completa­ mente quando lo Stato un giorno « morirà » . Per il momento la legalità resta l' inevitabile modo di funzionamento di ogni esercito sta­ tuale moderno. Il governo legale decide chi sia il nemico contro il quale l' esercito deve combattere. Chi non si vuole sottomettere alla scelta operata dal governo in carica, e ri­ vendica la facoltà di decidere chi sia il nemi­ co, rivendica una propria, nuova legalità.

Il vero nemico

Una dichiarazione di guerra è sempre l'in­ dividuazione di un nemico; questo è eviden­ te , e in una dichiarazione di guerra civile lo è più che mai. Quando Salan la dichiarò, si rivolse in realtà a due differenti nemici: al fronte algerino, annunciando il prosegui­ mento della guerra regolare e irregolare; al governo francese, iniziando una guerra civi­ le illegale e irregolare. Niente riesce a far 1 18

comprendere meglio in quale vicolo cieco si fosse cacciato Salan quanto una riflessione intorno a questa duplice dichiarazione di ostilità. Ogni guerra su due fronti solleva la questione su chi mai si debba considerare il vero nemico. Non è forse un segno di scis­ sione l'aver più di un solo vero nemico? Il nemico è la messa in questione di noi come figure. Se la nostra figura è determinata con chiarezza, come si crea questa duplicità del nemico? Il nemico non è qualcosa che si debba eliminare per un qualsiasi motivo, o che si debba annientare per il suo disvalore. Il nemico si situa sul mio stesso piano. Per questa ragione mi devo scontrare con lui: per acquisire la mia misura, il mio limite, la mia figura. Salan considerava il partigiano algerino co­ me il nemico assoluto. Ma improvvisamente apparve alle sue spalle un nemico per lui as­ sai peggiore, e molto più accanito: il proprio governo, il proprio superiore, il proprio fra­ tello. Nei suoi fratelli di ieri vide improvvisa­ mente un nuovo nemico. È questa la sostan­ za del caso Salan. Il fratello di ieri si rivelò il nemico più pericoloso. Nel concetto di ne­ mico stesso deve esserci una certa confusio­ ne, che è in relazione con la teoria della guerra. Ora, alla conclusione della nostra e­ sposizione , tenteremo un chiarimento. Uno storico potrà sempre trovare, per ogni particolare situazione, esempi e paralleli nella storia universale. Abbiamo già traccia1 19

to alcuni paralleli con gli avvenimenti della storia prussiana fra il 1 8 1 2 e il 1 8 1 3 . Abbia­ mo anche mostrato come il partigiano abbia ricevuto la sua legittimazione filosofica nelle idee e nei piani della riforma militare prus­ siana del 1 808-1 813, e le sue credenziali sto­ riche nell'editto prussiano sul Landsturm del­ l'aprile 1 8 1 3 . Così non sarà più tanto sor­ prendente, come sarebbe potuto sembrare di primo acchito, se per sviscerare meglio la questione centrale prendiamo la situazione in cui si trovava il generale prussiano York nell 'inverno 1 8 1 2-1 8 1 3 come un esempio a contrario. Saltano all ' occhio subito, natural­ mente, le enormi differenze: da una parte Salan, un francese di formazione repubbli­ cana di sinistra e moderno tecnocrate, e dal­ l'altra un generale del regio esercito prus­ siano dell'anno 1 8 1 2, al quale di sicuro non sarebbe mai venuto in mente di dichiarare guerra al suo re e ai comandanti dell'eserci­ to suoi superiori. Davanti a queste differen­ ze di epoca e di profilo umano appare se­ condario e perfino casuale che anche York abbia combattuto come ufficiale nelle colo­ nie delle Indie orientali. Peraltro proprio le differenze più appariscenti chiariscono an­ cor meglio che la questione centrale è la medesima. Perché in ambedue i casi si tratta di decidere chi sia il vero nemico. La precisione decisionista domina il funzio­ namento di ogni organizzazione moderna, e in particolare di ogni moderno esercito 1 20

regolare e statuale. In questa situazione, per un generale contemporaneo la questione centrale si presenta in modo assai chiaro, come un assoluto aut aut. L'alternativa lace­ rante fra legalità e legittimità è solo una conseguenza della Rivoluzione francese e del suo contrasto con la monarchia legitti­ ma, poi restaurata nel 1 8 1 5 . In una monar­ chia legittima prerivoluzionaria, come nel regno di Prussia di allora, si erano conserva­ ti molti elementi feudali nei rapporti fra su­ periori e sottoposti. La fedeltà non era an­ cora diventata qualcosa di '' irrazionale '' • e non si era ancora dissolta in un mero e cal­ colabile funzionalismo. Già allora la Prussia era uno Stato in senso eminente; il suo esercito non poteva negare le ascendenze fridericiane; i riformatori militari volevano modernizzare, e non ritornare a qualche forma di feudalesimo. Tuttavia all' osserva­ tore di oggi l' ambiente della monarchia le­ gittima prussiana di allora potrebbe sem­ brare, anche in caso di conflitto, meno rigi­ do e aspro, meno statolatrico-decisionista. Non è necessario spender qui troppe paro­ le. L'importante è che l'impronta dei costu­ mi delle diverse epoche non cancelli la questione centrale, cioè quella di chi sia il vero nemico . Nel 1 8 1 2 York comandava una divisione prussiana che, alleata di Napoleone , era in­ serita nell' armata francese del generale Macdonald. Nel dicembre del 1 8 1 2 York 121

passò al nemico, ai russi, concludendo con il generale russo von Diebitsch la convenzio­ ne di Tauroggen. Alle trattative e alla stipu­ lazione partecipò, come negoziatore per la parte russa, il tenente colonnello von Clau­ sewitz. La missiva che York indirizzò il 3 gen­ naio 1 8 1 3 al proprio re e comandante su­ premo è divenuta un documento storico fa­ moso. E a buon diritto. Con estrema reve­ renza, il generale prussiano scrive che atten­ de dal re la sentenza se lui, York, debba avanzare > oppure se il re condanni l'azione del suo generale. Frattanto restava in attesa con la fedele de­ dizione di sempre, pronto, in caso di con­ danna, ,, ad aspettare la pallottola mortale accanto ai sacchi di sabbia, così come sul campo di battaglia >> . L' espressione > è degna di Clausewitz, e coglie nel segno. Nella lettera del generale York al suo re è scritto effetti­ vamente così. Che il generale sia pronto > è proprio del soldato che si assume la responsabilità delle sue azioni, non diversamente da come il genera­ le Salan era pronto a gridare Vive la France! davanti al plotone di esecuzione nel poligo­ no di Vincennes. Ma il fatto che York, pur protestando una totale devozione al re, si ri­ servi la decisione su chi sia > conferisce al suo scritto quel peculiare sen­ so di tragica ribellione. York non era un par122

ug1ano, e certo mai lo sarebbe diventato. Sulla base però del concetto e del significa­ to di vero nemico, darsi alla lotta partigiana non sarebbe stato né insensato né incoe­ rente . Ma tutto questo, certo, è solo una finzione euristica, ammissibile solo per quel breve momento nel quale alcuni ufficiali prussiani avevano elevato il partigiano a intuizione, e dunque solo per quel lasso di tempo che portò all 'editto sul Landsturm del 1 3 aprile 1 8 1 3 . Solo pochi mesi più tardi l' idea che un generale prussiano potesse diventare un partigiano sarebbe sembrata grottesca e as­ surda anche come finzione euristica, e tale sarebbe poi sempre apparsa, almeno finché ci fu un esercito prussiano. Come fu possibi­ le che il partigiano, decaduto a picaro nel XVII secolo e truppa leggera nel XVIII seco­ lo, fra il 1 8 1 2 e il 1 8 1 3 apparisse per un atti­ mo una figura eroica, per poi diventare nel nostro tempo, più di un secolo più tardi, ad­ dirittura una figura chiave della storia mon­ diale? La risposta risiede nel fatto che l ' irregola­ rità del partigiano continua a dipendere dal significato e dal contenuto di un concreto sistema regolare. Dopo la dissoluzione so­ ciale che aveva caratterizzato il Seicento te­ desco, nel XVIII secolo si era sviluppata la regolarità dei Kabinettskriege. Essa prescrive­ va alla guerra limiti così ridotti che quest'ul­ tima si poteva considerare un gioco al quale 1 23

truppe leggere e mobili partecipavano irre­ golarmente, e dove il nemico finiva per es­ serlo nel modo più convenzionale: un avver­ sario al gioco della guerra. La guerriglia spa­ gnola iniziò quando Napoleone, nell'autun­ no del 1 808, sconfisse l'esercito regolare spa­ gnolo. Qui risiede la differenza con la Prus­ sia del 1 806-1 807, che dopo la sconfitta del­ le sue truppe regolari concluse immediata­ mente una pace umiliante. Il partigiano spa­ gnolo ristabilì la serietà della guerra, e preci­ samente di fronte a Napoleone, dunque sul lato difensivo dei vecchi Stati continentali europei, la cui vecchia regolarità, ormai sca­ duta a gioco convenzionale, non era più al­ l ' altezza della nuova, rivoluzionaria regola­ rità napoleonica. Il nemico ritomò così a es­ sere un vero nemico, e la guerra una vera guerra. Il partigiano, che difende il suolo na­ zionale contro l' invasore straniero, diventò l'eroe che combatte veramente un vero ne­ mico. Questo era il grande avvenimento che aveva condotto Clausewitz alla sua teoria e alla stesura di Della guerra. Quando, cento anni più tardi, la teoria militare di un rivolu­ zionario di professione come Lenin distrus­ se ciecamente tutte le delimitazioni tradizio­ nali della guerra, quest'ultima diventò guer­ ra assoluta, e il partigiano si trasformò in portatore dell'inimicizia assoluta contro un nemico assoluto.

1 24

Dal vero nemico al nemico assoluto

Nella teoria della guerra si tratta sempre di distinguere esattamente l 'inimicizia, che conferisce alla guerra il suo senso e il suo ca­ rattere. Ogni tentativo di limitare o circo­ scrivere la guerra deve essere sostenuto dal­ la convinzione che, relativamente al concet­ to di guerra, inimicizia è concetto primario, e che una distinzione fra diversi tipi di ini­ micizia precede quella fra diversi tipi di guerra. Altrimenti tutti gli sforzi per limita­ re e circoscrivere la guerra restano solo un gioco, che non resiste all'esplosione di una vera inimicizia. Dopo le guerre napoleoni­ che la guerra irregolare venne rimossa dalla coscienza generale dei teologi, dei filosofi e dei giuristi europei. Ci furono effettivamen­ te alcuni pacifisti che nell'abolizione e nella messa al bando della guerra convenzionale del Regolamento dell'Aja sulla guerra terre­ stre scorsero la fine della guerra in genera­ le; e ci furono giuristi che considerarono ogni teoria della guerra giusta qualcosa di giusto eo ipso, dato che già san Tommaso d'Aquino aveva insegnato alcunché di simi­ le. Nessuno ebbe il presagio di che cosa po­ tesse significare lo scatenarsi della guerra ir­ regolare. Nessuno ha ben riflettuto sulle ri­ percussioni della vittoria del civile sul milita­ re se un giorno il cittadino indossa l'unifor­ me, mentre il partigiano se la toglie, per continuare a combattere senza di essa. 1 25

Questa mancanza di un pensiero che tenes­ se conto della realtà concreta ha completato l' opera di�truttiva dei rivoluzionari di pro­ fessione . E stata una grande disgrazia, per­ ché con quelle limitazioni della guerra l'u­ manità europea era pervenuta a qualcosa di straordinario: la rinuncia alla criminalizza­ zione del nemico, e dunque la relativizzazio­ ne dell ' inimicizia, la negazione dell'inimici­ zia assoluta. Ed è davvero qualcosa di straor­ dinario, un segno di incredibile umanità, portare gli uomini a rinunciare alla discri­ minazione e alla diffamazione dei loro ne­ mtct. Proprio questo oggi pare rimesso in discus­ sione dal partigiano. Fra i suoi criteri, come abbiamo visto, rientra quello della estrema intensità dell 'impegno politico. Quando Che Guevara afferma che " il partigiano è il gesuita della guerra » , pensa all ' assolutezza dell 'impegno politico. La biografia di ogni partigiano famoso, a cominciare dall' Empe­ cinado, lo conferma. Colui che è stato priva­ to di ogni diritto cerca il suo diritto nell' ini­ micizia. In essa egli trova il senso del suo agi­ re e il senso del diritto, dopo che si è ro tto il guscio di protezione e di ubbidienza all 'in­ terno del quale aveva abitato fino a quel mo­ mento, dopo che si è dilacerato quel tessuto normativa della legalità dal quale potev� aspettarsi diritto e protezione giuridica. E allora che il gioco convenzionale cessa. Ma questa cessazione della protezione giuridica 1 26

non fa di per sé il parUgiano. Michael Kohlhaas, che il sentimento di giustizia tra­ sformò in bandito e assassino, non era un partigiano, perché non raggiunse una di­ mensione politica, e lottò esclusivamente per il suo diritto privato violato, non contro un invasore straniero, e non per un causa ri­ voluzionaria. In casi simili l'irregolarità non è politica, e diviene puramente criminale, perché perde la relazione positiva con una regolarità prese-nte da qualche parte. Per questo il partigiano si distingue dal capoban­ dito, nobile o vile che sia quest'ultimo. Parlando delle relazioni con il contesto poli­ tico mondiale (si veda sopra, p. 103 ) , abbia­ mo sottolineato che il terzo interessato assume una funzione essenziale quando viene a for­ nire quel riferimento al regolare del quale l' irregolarità del partigiano ha bisogno per rimanere nell' ambito del Politico. L'essenza del Politico non è l'inimicizia pura e sempli­ ce, bensì la distinzione fra amico e nemico, e presuppone l'amico e il nemico. Il potente terzo interessato all'azione del partigiano può pensare o agire egoisticamente, ma il suo interesse lo situa politicamente a fianco del partigiano. Ciò produce un'amicizia po­ litica, ed è già una forma di riconoscimento politico, anche quando non arriva a ricono­ scimenti pubblici e formali quale partito combattente o governo. All ' Empecinado ve­ niva riconosciuta una statura politica dal suo popolo, dall'esercito regolare e dalla 1 27

potenza mondiale inglese. Non era né Mi­ chael Kohlhaas né Schinderhannes, i cui terzi interessati erano bande di ricettatori . La posizione politica di Salan invece nau­ fragò tragicamente perché a livello di politi­ ca interna, in patria, divenne illegale, e all ' e­ sterno, nella politica mondiale, non solo non trovò nessun terzo interessato, ma al contrario cozzò contro il fronte compatto dell ' anticolonialismo. Il partigiano ha dunque un vero nemico, ma non un nemico assoluto. La cosa deriva dal suo carattere politico. Un altro limite della inimicizia consegue poi dal carattere tellurico del partigiano. Egli difende un pezzo di terra col quale ha un rapporto au­ toctono. La sua posizione fondamentale re­ sta difensiva, nonostante l' accresciuta mobi­ lità della sua tattica. Egli si comporta esatta­ mente così come precisò Giovanna d'Arco davanti al tribunale ecclesiastico. Giovanna non era una partigiana, e combatteva con­ tro gli inglesi come soldato regolare. Quan­ do il giudice ecclesiastico le pose la doman­ da - una vera trappola teologica - se ella so­ stenesse che Dio odiava gli inglesi, rispose: « Se Dio ama gli inglesi o li odia, io non lo so; so solo che devono essere cacciati dalla Francia » . La stessa risposta l ' avrebbe data ogni normale partigiano impegnato a difen­ dere il suolo nazionale. Una posizione fon­ damentalmente difensiva come questa de­ termina anche una fondamentale limitazio1 28

ne dell'inimicizia. Il vero nemico non viene considerato un nemico assoluto, e nemme­ no un nemico dell' umanità in generale ."7 Lenin ha trasferito sul piano politico il ful­ cro concettuale della guerra, vale a dire la distinzione fra amico e nemico. Il che era sensato, e secondo Clausewitz costituiva un coerente sviluppo dell 'idea della guerra co­ me continuazione della politica. Solo che Lenin, in quanto rivoluzionario di professio­ ne della guerra civile mondiale, andò oltre, e fece del vero nemico il nemico assoluto. Clausewitz aveva parlato di guerra assoluta, ma presupponendo la regolarità di una struttura statuale. Certo non poteva ancora immaginare lo Stato come strumento di un partito e un partito che comanda uno Stato. Con l 'assolutizzazione del partito, anche il partigiano diventava qualcosa di assoluto, e veniva elevato a portatore di una inimicizia assoluta. Non è difficile, oggi, riconoscere l'artificio concettuale che ha prodotto que­ sto mutamento del concetto di nemico. Al contrario risulta di gran lunga più difficile confutare un altro tipo di assolutizzazione del nemico, giacché pare immanente alla presente realtà dell 'epoca nucleare. Lo sviluppo tecnico-industriale ha infatti po­ tenziato le armi dell'uomo fino a farne mez­ zi di annientamento. Ciò conduce a una provocatoria sproporzione fra protezione e obbedienza: metà dell 'umanità diventa o­ staggio dell'altra metà, ossia dei potenti do1 29

tati di mezzi di distruzione nucleari . Questi mezzi distruttivi assoluti richiedono un ne­ mico assoluto, se non vogliono apparire di­ sumani. Ma non sono i mezzi di annienta­ mento che annientano, bensì gli uomini che, con questi mezzi, annientano altri uo­ mini. Già nel XVII secolo il filosofo inglese Thomas Hobbes aveva afferrato l'essenza del fenomeno (De homine, IX, 3) , che formulò con assoluta precisione, benché allora (nel 1 659) in paragone le armi fossero pressoché inoffensive. Hobbes dice: l' uomo che si sen­ ta minacciato da altri uomini è più pericolo­ so per questi ultimi di qualsiasi animale, così come le armi dell' uomo sono più pericolose delle cosiddette armi naturali delle fiere, quali le zanne, gli artigli, le coma e il veleno. E il filosofo tedesco Hegel aggiunge: le armi sono l' essenza stessa dei combattenti. Questo significa, in sostanza, che armi extra­ convenzionali presuppongono uomini ex­ traconvenzionali. E li presuppongono non come postulato di un lontano futuro, ma co­ me realtà già presente. L'estremo pericolo non risiede perciò neppure nell' esistenza dei mezzi di annientamento o in una pre­ meditata malvagità dell 'uomo. Risiede nella ineluttabilità di un obbligo morale. Gli uo­ mini che adoperano simili mezzi contro al­ tri uomini si vedono costretti ad annientare questi altri uomini - cioè le loro vittime e i loro oggetti - anche moralmente. Devono bollare la parte avversa come criminale e di1 30

sumana, come un disvalore assoluto. Altri­ menti sarebbero essi stessi dei criminali e dei mostri. La logica di valore e disvalore di­ spiega tutta la sua devastatrice consequen­ zialità e costringe a creare sempre nuove e più profonde discriminazioni, criminalizza­ zioni e svalutazioni, fino all'annientamento di ogni vita indegna di esistere. In un mondo nel quale gli interlocutori si spingono a vicenda nel baratro della totale svalutazione, prima che ci si annienti anche fisicamente devono nascere nuovi tipi di ini­ micizia assoluta. L'inimicizia diventa così terribile che forse non è più nemmeno leci­ to parlare di nemico e inimicizia; entrambi questi concetti sono addirittura condannati e banditi formalmente prima che possa co­ minciare l' opera di annientamento . L'an­ nientamento diventa quindi del tutto astrat­ to e assoluto. Non si rivolge più contro un nemico, ma è ormai al servizio solo di una presunta affermazione oggettiva dei valori più alti - per i quali, notoriamente, nessun prezzo è troppo alto. Solo la sconfessione della vera inimicizia spiana la strada all' ope­ ra di annientamento di una inimicizia asso­ luta. N el l 9 1 4 i popoli e i governi europei en tra­ rono barcollando nella prima guerra mon­ diale senza una vera inimicizia. La vera ini­ micizia sorse solamente dalla guerra stessa, che cominciò come una guerra convenzio­ nale interstatuale propria del diritto inter131

nazionale europeo e si concluse con una guerra civile mondiale dell'inimicizia di classe rivoluzionaria. Chi potrà impedire che in maniera analoga, ma in misura infini­ tamente più grande, sorgano nuovi e inatte­ si ùpi di inimicizia, il cui realizzarsi susciterà inattese forme di un nuovo parùgiano? Il teorico non può far di più che salvaguar­ dare i concetti e chiamare le cose con il loro nome. La teoria del partigiano sfocia nel concetto del Poliùco, nella domanda su chi sia il vero nemico e in un nuovo nomos del­ la terra.

1 32

NOTE

l . Der Begnff des Politischen. Text von 1 932 mit ei­ nem Vorwort und drei Corollarien, 6• ediz., Duncker & Humblot, Berlin, 1 963 [ trad. i t. Il concetto di 'politico '. Testo del 1 932 con una premessa e tre corol­ lari, in Le categorie del 'politico '. Saggi di teoria politi­ ca, a cura di G. Miglio e P. Schiera, Il Mulino, Bo­ logna, 1 972, pp. 8 7-208] [N. d. T] .

2. Cfr. E. Kessel, Die Wandlung der Kriegskunst im Zeitalter der Jranr.asischen Revolution, in « Histori­ sche Zeitschrift » , CXLVIII, 1933, pp. 248 sgg. ; CXCI, 1 960, pp. 397 sgg. (recensione a R.S. Quimby, The Background of Napoleonic Warfare. The Theory of Military Tactics in Eighteenth Century France, Columbia University Press, New York, 1 957) ; W. Hahlweg, Preujische &formzeit und revo­ lutioniirer Krieg, in « Wehrwissenschafùiche Rund­ schau », suppl. 18, settembre 1 962, pp. 49-50: « Napoleone ne ha tratto [dal nuovo modo di combattere dell'esercito rivoluzionario di mas­ sa] un sistema compiuto quasi perfetto, le sue operazioni militari in grande stile, la sua grande tattica e la sua grande strategia » . Fu l 'ufficiale prussiano e pubblicistajulius von VoB a dire che tutta la campagna napoleonica del 1 806 poteva

1 33

« essere definita una guerriglia in grande " (cfr. Hahlweg, op. cit. , p. 14) . 3. Fra le pubblicazioni della Catedra " Genera! Palafox » dell'Università di Saragozza, si veda F. de Salas Lopez, Guerrillas y quintas columnas, in La guerra moderna, Universidad de Zaragoza, 1955, vol . II, pp. 181 -2 l l ; J.M . Jover Zamora, La guerra de la independencia espaiiola en el marco de las guerras europeas de liberacion (1 808-1814), in La guerra de la independencia espaiiola y los sitios de Za­ ragoza, Universidad y Ayuntamiento de Zarago­ za, 1 958, pp. 41-1 65; F. Salano Costa, La resisten­ cia popular en la guerra de la independencia: los guer­ rilleros, ibid. , pp. 38 7-423; A. Serrano Montalvo, El pueblo en la guerra de la independencia: la resi­ stencia en las ciudades, ibid., pp. 463-530. Si veda­ no poi i due saggi fondamentali di L. Garda Arias, Sobre la licitud de la guerra moderna, in La guerra moderna, cit., vol. I, e El nuevo concepto de defensa nacional, in Defensa nacional, 1960. F. Sola­ no Costa osserva, alla fine del saggio citato, co­ me finora non esista una storia documentata del movimento popolare spagnolo contro Napoleo­ ne. Dobbiamo tuttavia considerare il suo saggio - così come quello di jover Zamora - una eccel­ lente sintesi, e ricordare con gratitudine che è stato per noi una importante fonte di informa­ zioni. Le opere storiche spagnole trattano la guerriglia in vario modo, ma in ogni caso non esiste una trattazione generale adeguata ali' o­ dierno interesse per questo problema (C. de To­ reno, M. Lafuente, R. de Solis, J.M. Garda Ro­ driguez) ; la più dettagliata rimane ancora quella di J. Gornez de Arte che nella sua Guerra de la in­ dependencia. Historia Militar de Espaiia de 1 808 a 1814, voll. IV, V, VII, IX, XI, XIV. L'esame delle

1 34

pubblicazioni francesi, inglesi e tedesche ci por­ terebbe troppo lontano (cfr. un eccellente pa­ norama di queste in F. Soiano Costa, El guerrillo y su trascendencia, nelle pubblicazioni del I I Con­ greso Historico Intern�cional de la Guerra de la lndependencia y su Epoca, Zaragoza, Institu­ cion Fernando el Catolico, marzo-aprile 1959; ivi anche S. Amado Loriga, Aspectos militares de la guerra de la Independencia, e J. Mercader Riba, La organizacion administrativa francesa en Espaiia) . 4. Sull' argomento, cfr. F. Solano Costa, op. cit. , pp. 387, 402, 405. La parte riguardante l'Empe­ cinado in F. Hardman, Peninsular Scenes and Sketches, Edinburgh, 1 846, è stata tradotta in spa­ gnolo da G. Maraii. on (El Empecinado visto por un inglés, 2• ediz., Espasa-Calpe, Buenos Aires, 1 946) . De Arteche pubblica nel vol. XIV, in appendice, una conferenza sull 'Empecinado. Accanto al­ l'Empecinado si dovrebbe citare anche il parroco Merino, al quale è dedicato l'ultimo racconto nel­ l'Empecinado a cura di G. Maraiion. Nel 1 823, quando i francesi invasero la Spagna per ordine della Santa Alleanza (i famosi « centomila figli di san Luigi » ) , l'Empecinado e il parroco Merino si trovarono su fronti opposti: il primo dalla parte dei costituzionalisti, il secondo da quella della re­ staurazione assolutista e dei francesi. 5. P. Rassow, Die Wirkung der Erhebung Spaniens auf die Erhebung gegen Napoleon I, in '' Historische Zeitschrift » , CLXVII, 1 943, pp. 3 1 0-35, tratta del volantino del ministro spagnolo Ceballos, di Ernst Moritz Arndt e del Katechismus der Deut­ schen di Kleist. Sullo stesso argomento, si veda W. Hahlweg, op. cit. , p. 9, note 9-1 3 (sulle insurre­ zioni in Germania dal 1 80 7 al 1 8 1 3) . Anche il colonnello von Schepeler, che in seguito di-

1 35

ventò noto come storico della guerra d'indipen­ denza spagnola, collaborò dal nord ai piani au­ striaci di sollevazione armata contro i francesi. Cfr. H. Jureschke, El colone[ von Schepeler. Caracter y valor informativo de su obra historiogrrifica sobre el reinado de Fernando VII, in « Revista de Estudios polfticos », CXXVI (numero speciale sulla Costi­ tuzione di Cadice del 1 8 1 2 ) , 1 962, p. 230. 6. Rudolf Borchardt inserì la poesia di Kleist An Palafox nella sua raccolta Ewiger Vorrat deutscher Poesie ( 1 926) . Il generale Palafox, difensore di Saragozza, non era peraltro un partigiano, ma un regolare ufficiale di carriera, e l'eroica difesa della città da parte dell'intera popolazione, uo­ mini e donne, non era ancora una lotta partigia­ na ( come sottolinea H. Schomerus, Partisanen, in « Christ und Welt », XXVI, 1949) , bensì una regolare resistenza contro un regolare assedio. 7. C. von Clausewitz, Politische Schriften und Briefe, a cura di H. Rothfels, Drei Masken, Miinchen, 1922, p. 2 1 7. 8. Tutta una serie di restaurazioni operate dal Congresso di Vienna sono state recepite come ta­ li dalla coscienza generale, per esempio il princi­ pio di legittimità dinastica e la monarchia legitti­ ma, e inoltre l'alta nobiltà in Germania, lo Stato della Chiesa in Italia e, mediante il papato, l'ordi­ ne dei gesuiti. Si ha minore coscienza della gran­ de opera restaurativa riguardo allo jus publicum Europaeum e alle sue limitazioni della guerra ter­ restre fra Stati sovrani europei, una restaurazione che, almeno nei manuali di diritto internaziona­ le, si è mantenuta sino a oggi come facciata « clas­ sica >> . Nel mio libro Der Nomos der Erde im Volker­ recht des jus publicum Europaeum [ trad. i t. Il nomos

1 36

della terra, Adelphi, Milano, 1 99 1 ] non ho tratta­ to in .modo sufficientemente dettagliato la cesu­ ra rappresentata dalle guerre della Rivoluzione francese e del periodo napoleonico. H. Wehberg ha giustamente sottolineato questa lacuna nella sua recensione in « Friedenswarte », L, 1 95 1 , pp. 305-14. Tuttavia posso ora rimandare, almeno a parziale integrazione, alle ricerche di R. Schnur sulle idee e la prassi di diritto internazionale in Francia dal 1 7 89 al 1815, che hanno prodotto finora il saggio Land und Meer, in « Zeitschrift fiir Politik », 1 961, pp. 1 1 sgg. Nel quadro dell'opera restaurativa riguardo alla limitazione della guer­ ra europea rientra anche la permanente neutra­ lità della Svizzera e la sua permanente situation unique (cfr. Der Nomos der Erde, ci t., p. 222 [ trad. i t. ci t., p. 320] ) .

9. lbid., alle pagine indicate nell'Indice analitico sotto le voci « guerra civile ,., « nemico " • «justa causa belli>> e «justus hostis». 10. A questo proposito, si veda il mio Weiter­ entwicklung des totalen Staates in Deutschland ( 1 933) , in Verfassungsrechtliche Aufsiitze, Duncker & Humblot, Berlin, 1958, p. 366. 1 1 . Ernesto « Che >> Guevara, On Guerrilla War­ fare, with an Introduction by M>, 1 940, LXIV, 6, pp. 641-46; Lorenz von Stein, zur Preussischen Verfassungsfrage, Verlag W. Keiper, Berlin, 1 94 1 , pp. 61-70) e in una conferenza su Donoso Cortés (Donoso Cortés in gesamteuropaischer lnterpretation, Greven, Kòln, 1 950, p. 1 00 [ trad. i t. Donoso Cortés interpretato in una prospettiva paneuropea, Adelphi, Milano, 1 996, p. l 02] ) . In un saggio scritto in occasione del duecentocinquantesimo anniversario della morte di J J. Rousseau (Dem wahren Johann Jakob Rousseau, in « Zurcher Woche », 26, 29 giugno 1962) , richiamandomi a R. Schroers e a HJ. Sell, mi sono servito della figura del partigiano per chiarire la discussa immagine del filosofo francese. Nel frattempo ho potuto conoscere un saggio di H. Guillemin, JJ Rousseau, troublejéte, che sembra confermare questa interpretazione. Guillemin ha curato l 'edizione di Rousseau, Let­ tres écrites de la Montagne, Éditions ldes et Calen­ des, Neuchatel, 1 962, accompagnata da una pre­ gevole introduzione. 1 7. Mentre Schroers (si veda la nota 1 4) ravvisa nel partigiano l'ultima resistenza contro il nichi­ lismo di un mondo completamente tecnicizzato, l'ultimo difensore della specie e della terra, in­ somma l ' ultimo uomo in generale, il partigiano di G. Ne bel ( Unter Partisanen und Kreuzfahrern, Ernst Klett Verlag, Stuttgart, 1950) appare, esat­ tamente al contrario, come una figura del nichi­ lismo moderno, che - come il destino del nostro

1 39

secolo - abbraccia tutte le professioni e tutte le condizioni, il prete, il contadino, l'intellettuale, e così anche il soldato. Il libro di Nebel è il dia­ rio di guerra di un soldato tedesco in Italia e in Germania fra il 1 944 e il 1 945, e varrebbe la pe­ na di confrontare la sua descrizione del partigia­ no nell'Italia di allora con l'interpretazione di Schroers ( op. cit. , p. 243 ) . In particolare il rac­ conto di Nebel coglie benissimo il momento in cui un grande esercito regolare si dissolve e, tra­ sformatosi in canaglia, o viene ucciso dalla po­ polazione oppure si dà a sua volta all 'assassinio e al saccheggio, potendosi chiamare partigiani en­ trambe le parti. Quando però Nebel, al di là del­ le efficaci descrizioni, qualifica quei poveri dia­ voli e furfanti come tanti >. Cfr. Dixon-Heilbrunn, op. cit. , p. 3. 29. Si veda O. von Bismarck, Gedanken und Erin­ nerungen, 4 voli., Stuttgart, 1 898-1 901 , vol. I, cap. xx; vol. III, capp. I, x, dove la citazione «Acheron­ ta movebo>> serve a fare l'uccello del malaugurio. Bismarck esagerava per evidenti ragioni. In realtà, come ha osservato lo storico moderno Egmont Zechlin, egli aveva raccolto intorno a sé

1 45

> - e di quelle che oggi si chiamano « operazioni militari diverse dalla guerra >> - la loro forza. Soprattutto, sembra divenuta obsoleta la defini­ zione del partigiano in base al suo presunto ca­ rattere « tellurico >> . Per Schmitt il legame con la terra è essenziale per definire con nettezza il partigiano nella sua autenticità, giacché tale le­ game conferisce un carattere difensivo alla sua lotta, una « piccola guerra >> , la cui aggressività è per natura limitata. Quando invece il legame tel­ lurico viene meno, l' irregolarità comprensibile e giustificabile del partigiano puro " si snatura >> nella « aggressività assoluta di un'ideologia tec­ nicizzata o di una rivoluzione mondiale >> .2 Non­ dimeno ci domandiamo: il partigiano è davvero « una delle ultime se n ti nelle della terra >>?� O la l . Si veda sopra, p. 1 1 2. 2. Ibid., p. 32. 3. Ibid., p. 99.

1 75

storia non ha prodotto invece il fenomeno con­ trario, cioè lo sradicarsi del partigiano da una collocazione territoriale, il suo organizzarsi sul piano internazionale e il suo operare ovunque e in qualsiasi modo egli possa colpire interessi ne­ mici? E questo non per un'arbitraria escalation della violenza, bensì per combattere con mag­ giore efficacia in una situazione d'inferiorità in cui altrimenti avrebbe partita persa. Nella concezione " tellurica » del partigiano al­ cuni analisti scorgono, non a torto, una tenden­ za comune alle " teorie reazionarie delle guerre civili della moderni tà » , da Clausewitz a Carl Schmitt, che sarebbe incompatibile con •• i pro­ getti rivoluzionari di natura repubblicana >> ovve­ ro con l' opposta " tendenza modernizzatrice del­ l'unificazione delle lotte in un esercito popola­ re >> . 1 Naturalmente è questione di punti di vista: ciò che per Carl Schmitt è una deriva pericolosa - ossia la radicalizzazione e l'universalizzazione dell'inimicizia che hanno luogo nella lotta rivo­ luzionaria - per quegli analisti è un bene. Ma la loro critica conferma, benché rovesciandola, la diagnosi schmittiana. Anche il criterio più evidente e persuasivo adotta­ to da Schmitt, quello dell'irregolarità, può appa­ rire oggi superato in considerazione del fatto che il diritto di guerra contempla ormai a pieno titolo la figura del partigiano. Nell' articolo 4 della terza Convenzione di Ginevra del l2 agosto 1 949 - pe­ raltro ben nota a Schmitt - si riconosce anche ai partigiani lo status di combattenti regolari, a con­ dizione tuttavia che presentino alcuni requisiti, primo fra tutti l'identificabilità di militari, distinti dalla popolazione civile. Tali requisiti sono trattal . Cfr. M. Hard t-A. Negri, Moltitudine. Guerra e democrazia nel

nuovo ordine imperiale, Rizzoli, Milano, 2004, pp. 94 sgg.

1 76

ti e ulteriormente specificati in un protocollo in­ tegrativo del 10 giugno 1977 - mirante ad appia­ nare l'intrinseca contraddizione che si crea tra la volontà di riconoscere al partigiano lo stato di combattente, da un lato, e la contemporanea pre­ tesa che egli rinunci ai tratti « irregolari " che lo contraddistinguono come tale, dall'altro. Una contraddizione, questa, che segnala il per­ manere del problema che Schmitt scorge, ovvero la radicale antitesi tra la guerra regolare e il com­ battimento irregolare, l'ordine militare e la sua rottura, quindi l'oggettiva difficoltà di regola­ t.:nentare giuridicamente l'irregolarità partigiana. E vero che oggi il partigiano è stato ormai assor­ bito nella normalità giuridica. Al suo posto è però comparsa sulla scena mondiale una variante mici­ diale del combattente irregolare, che interpreta in forma ben più inquietante quell'irregolarità: il terrorista e il terrorista-kamikaze.' Considerato > - di una straordinaria lungimiranza e luci­ dità. Certo, definire il partigiano " ultima senti­ nella della terra » può apparire oggi, rispetto ai vertiginosi sviluppi della realtà attuale, un resi­ duo di romanticismo. Ma il problema che egli rappresenta, e che Cari Schmitt ha scorto con lucidità e lungimiranza, non è scomparso . Anzi, si ripresenta oggi in forma nuova e impellente: la radicalizzazione dello scontro fino alla guerra senza limiti, quali che siano le figure che la in­ carnano - partigiano, guerrigliero, fedayin, mujahidin, terrorista o kamikaze -, richiama con forza l'esigenza di un nuovo ordine geopoli­ tico, di un nuovo nomos della terra. Vero è come insegna la storia - che a volte le soluzioni sono la maschera con cui si presenta­ no nuovi problemi. -

1 79