Archeologia delle chiese. Dalle origini all’anno Mille 9788843051670

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Archeologia delle chiese. Dalle origini all’anno Mille
 9788843051670

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Archeologia delle chiese Dalle origini all'anno Mille Nuova edizione

Alexandra ChavaniaAmau

Carocci editore

@, Studi Superiori

Carocci editore

@, Studi Superiori

La Chiesa, in quanto istituzione, ha rappresentato il legame più forte tra il mondo classico e quello medievale ed è stata garante della preservazione del carattere urbano della società medievale. Allo stesso tempo ha costituito l'elemento più innovativo dell'età di transizione e uno dei principali agenti del cambiamento. Studiate come documenti storici, le chiese sono potenziali fonti di informazione sulla società, l'economia e il contesto politico, spia preziosa di un'epoca nella quale altre forme architettoniche sono meno visibili. Il volume ne presenta gli aspetti principali attraverso fonti scritte e dati materiali: le prime ci parlano dei committenti, della ritualità e della liturgia in rapporto ali' articolazione degli spazi; i secondi ci permettono di ricostruire le sequenze dei monumenti, le modalità di utilizzo e il contesto insediativo. In questa nuova edizione, oltre al necessario aggiornamento bibliografico e alla quasi completa sostituzione dell'apparato iconografico, sono stati approfonditi alcuni temi tra cui quello delle chiese costantinopolitane e della Terra Santa, il loro impatto sull'architettura occidentale e le conseguenze dell'arianesimo nella costruzione della topografia cristiana. Alexandra Chavarria Arnau è professore associato all'Università di Padova

dove insegna Archeologia medievale, Archeologie postclassiche e Archeologia dell'architettura e urbanistica medievale. È la coordinatrice per l'Italia del progetto CARE (CorpusArchitecturae Religiosae Europeae) e della piattaforma WIKICAR.E_Jtalia. Ha pubblicato numerosi lavori sull'archeologia dei periodi tardoantico e medievale nel Mediterraneo e sull'archeologia delle chiese.

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9

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Corso Vittorio Emanuele II, n9 00186 Roma telefono 06 42. 81 84 17

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Alexandra Chavarria Arnau

Archeologia delle chiese Dalle origini all'anno Mille Nuova edizione

Carocci editore

L'editore è a disposizione per i compensi dovuti agli aventi diritto. 2.' edizione, ottobre 2.018 edizione Studi Superiori, febbraio 2.011 (8 ristampe) 1' edizione Università, novembre 2.009 (1 ristampa)

1'

© copyright

2.018

by Carocci editore S.p.A., Roma

Realizzazione editoriale: Omnibook, Bari Finito di stampare nell'ottobre 2.018 da Grafiche VD srl, Città di Castello (PG) ISBN 978-88-430-9312-o

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22. aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione,

è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Introduzione. Archeologia delle chiese: definizione e obiettivi

11

Parte prima Simboli, forme e significati

I.

La liturgia

I.I.

1.8.

La costruzione di un calendario liturgico La liturgia nella chiesa Il battesimo Il culto dei santi La liturgia stazionale Liturgia e culto delle reliquie tra due imperi: bizantini e carolingi Le codificazioni liturgiche e la "romanizzazione" carolingia Consacrazione, dedicazione e deposizione di reliquie

2.

Architettura e arredo

2.1.

Prima di Costantino La monumentalizzazione dell'architettura cristiana

I.2.

1.3. 1.4. 1.5. 1.6.

1.7.

2.2.

so 53

57

2.2.1. Piante a sviluppo longitudinale/ le/ 2.2.3. Le absidi

7

2.2.2.

Chiese a pianta centra-

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

2..3.

Organizzazione interna delle chiese e principali annessi 2..3.1. L'orientamento degli edifici / 2..3.2.. Gli spazi di accoglienza: atrio, vestibolo e nartece/ 2..3.3. L'aula o quadratum populi I 2..3.4. Il presbiterio / 2..3.5. Le chiese ad absidi contrapposte o con doppio coro/ 2..3.6. Le sagrestie / 2..3-7. Le cripte/ 2..3.8. Il transetto/ 2..3.9. Il battistero/ 2..3.10. Le chiese doppie

3.

Dalla costruzione al culto

115

3.1. 3.2..

Il costo per costruire una chiesa I committenti: vescovi, imperatori e aristocrazie Architetture e status sociale

115 118 12.8

3.3.

3.3.1. Il controllo delle maestranze / 3.3.2.. Le tecniche costruttive / 3-3.3. L'uso di spolia

Parte seconda Contesti e funzioni

4.

Chiese e città

4.1.

La cattedrale e il complesso episcopale

143

4.1.1. Cronologia / 4.1.2.. Topografia / 4.1.3. La domus episcopi I 4.1.4. Il quartiere episcopale: strutture economiche e di assistenza

4.3.

Le chiese del suburbio Le altre chiese urbane

5.

Chiese e campagna

183

5.1. 5.2.. 5.3.

La cristianizzazione delle campagne Le funzioni delle chiese rurali secondo i testi Chiese, villaggi e castelli in età tardoantica Oratori e chiese in ville La diffusione delle chiese private

183 184 187

4.2..

5+ 5.5.

8

194 199

INDICE

La rete ecclesiastica nel territorio della disputa tra Arezzo e Siena

201

6.

Chiese e sepolture

203

6.1. 6.2.

L'ubicazione delle sepolture Sepolture, chiese e insediamenti

204 213

5.6.

6.l.I. Le sepolture in ambito urbano/ 6.l.l. Dai mausolei alle chiese funerarie in campagna/ 6.l.3. Le sepolture nei monasteri

Dalle tombe ad sanctos ai cimiteri parrocchiali

219

Parte terza Stratigrafie e interpretazione

7.

Individuazione e analisi stratigrafica di una chiesa

227

7.1. 7.2. 7.3. 7.4. 7.5. 7.6. 7.7. 7.8. 7.9.

Fonti scritte Testimonianze epigrafiche Arredo scultoreo Prospezioni geofisiche Stratigrafie murarie, materiali e tecniche costruttive Segni particolari Stratigrafie sepolte Le datazioni (relative e "assolute") Evidenze relative allo sviluppo strutturale dell'edificio

229 230 232 234 236 238 238 239 242

7.9.1. Evidenze relative alle fasi costruttive e alle attività di cantiere / 7.9.l. Resti di pavimenti e di arredo

8.

Dalla strategia alle interpretazioni

Bibliografia Indice dei luoghi

9

247

Introduzione Archeologia delle chiese: definizione e obiettivi

La Chiesa, in quanto istituzione, ha rappresentato il legame più forte tra il mondo classico e il mondo medievale ed è stata il garante della preservazione del carattere urbano della società medievale. Allo stesso tempo ha costituito l'elemento più innovativo dell'età di transizione e uno dei principali agenti del cambiamento. A loro volta le chiese, per la loro diffusione e continuità, sono tra le testimonianze materiali più facilmente riconoscibili e quelle che hanno ricevuto una maggiore attenzione da parte degli specialisti. Se studiate come documenti storici, sono potenziali fonti di informazione sulla società, sull'economia e sul contesto politico e quindi rappresentano per noi, archeologi, una spia preziosa di un'epoca, nella quale altre forme architettoniche, quali quelle residenziali, sono archeologicamente poco visibili. Se per i primi secoli dopo la morte di Cristo esistono poche testimonianze che ci permettano di comprendere appieno il rapporto e il progressivo distacco dalla religione ebraica e la conformazione degli ambienti di culto cristiani, a partire del IV secolo e grazie al supporto dell'imperatore Costantino la cristianizzazione acquistò una visibilità e monumentalità che, oltre a penetrare e trasformare tutti gli ambiti della vita pubblica e privata, impattò anche sul rinnovamento del tessuto urbano e del paesaggio rurale. La vita della popolazione dall'epoca tardoantica in poi cominciò ad essere regolata da un ritmo periodico segnato dalla domenica e dalle grandi feste del ciclo liturgico annuale: Pasqua, Pentecoste, Natale, i giorni dedicati ai santi, oltre ad alcune feste occasionali come l' inaugurazione di una chiesa o l'arrivo di nuove reliquie. Queste festività costituivano un evento di fondamentale rilevanza, non solo per il loro carattere religioso. In alcuni insediamenti, le chiese erano spesso l'u-

Il

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

nico edificio pubblico e in rapporto ad esse si sviluppavano numerosi eventi extrareligiosi come fiere, mercati e altre attività di carattere amministrativo, giudiziario, produttivo, assistenziale ed educativo. Vi si svolgevano tra l'altro alcuni dei principali momenti della vita degli individui, dal battesimo al funerale e, dopo la morte, la chiesa che ne accoglieva le sepolture rimaneva un luogo di riferimento importante per i familiari dei defunti, talora per più generazioni. Gli edifici di culto cristiano diventarono quindi punto focale di interazione sociale e scambio non solo tra i vivi ma anche con i morti, tramite pratiche e memoriali relazionati con la credenza nell'aldilà. L'interesse per l'origine del cristianesimo risale al XVI secolo nel contesto delle controversie su Riforma e Controriforma, quindi su una base teologico-apologetica nella quale le vestigia dei primi cristiani venivano studiate come prova dell'esistenza di usanze della Chiesa primitiva e di eventi legati alla storia ecclesiastica più che come una scienza autonoma1• A questa epoca risalgono la scoperta e le prime ricerche dedicate alle catacombe romane, testimonianza irrefutabile del culto dei primi martiri, da parte di Cesare Baronio (1538-1607 ), autore di una storia della Chiesa dalle origini al 1198, e di Antonio Bosio (1575-1629), cui si deve una Roma Sotterranea, studi che verranno proseguiti poi da altri autori, ma reimpostati criticamente solo nel XIX secolo a opera di Giovanni Battista de Rossi (1822-1894). Nel 1924 prende avvio la "Rivista di Archeologia Cristiana" e nel 1925, per iniziativa di Pio XI e con Johann Peter Kirsch (1861-1941) come primo rettore, viene istituito il Pontificio istituto di archeologia cristiana, centro che ancora oggi costituisce Wl punto di riferimento fondamentale per l'insegnamento e la ricerca scientifica sulla nascita e lo sviluppo del cristianesimo e il suo inserimento nella società e nelle culture del periodo tardoantico, in particolare a Roma. Le distruzioni causate in molte regioni europee dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale portarono a una profonda riflessione sulle caratteristiche e l'origine delle prime chiese stimolata, da una parte, dalla necessità di ricostruire gli edifici e, dall'altra, dalla possibilità di indagare archeologicamente alcuni complessi che erano stati molto danneggiati come, in Germania, le cattedrali di Colonia e di Treviri, in Gran Bretagna Londra o York (Old Minster), scavi che misero in

1. Una storia dell'archeologia cristiana fìno agli anni Duemila si può trovare in Frend (1993); Saxer (1998); Brandenburg (1006).

12

INTRODUZIONE

luce la complessità stratigrafica di questi edifici. Risultato di questa importante stagione di riflessioni e scavi fu anche la pubblicazione di fondamentali studi sull'origine delle basiliche cristiane, quali quelli di Friederich Deichmann (1964), D. Willy Rordorf (1964) e Richard Krautheimer (1939, ripubblicato nel 1969). Come in altri settori dell'archeologia l'applicazione dei metodi stratigrafici allo scavo e poi all'analisi degli elevati ebbe un enorme impatto qualitativo nella conoscenza delle chiese. In Svizzera trovò applicazione con lo scavo del complesso episcopale di Ginevra, indagato archeologicamente da Louis Blondel nel 1933 e poi ripreso nel 1979 da Charles Bonnet (Bonnet, 2012) promotore, insieme aJean Terrier, di importanti analisi territoriali sulle chiese rurali della Svizzera. In Italia le indagini stratigrafiche trovano un precursore fin dagli anni Trenta con Nino Lamboglia (1912-1977 ), che operò in Liguria, indagando, tra le altre, la chiesa di San Paragorio di Noli già oggetto di scavi nell'Ottocento da parte di Alfredo d'Andrade. Da quelle esperienze, oltre che dalle ricerche promosse da Gian Piero Bagnetti (1902-1963) a Castelseprio dopo la scoperta e lo scavo fin dal 1948 della chiesa di Santa Mariafaris portas, presero avvio nel 1958 le ricerche sul San Salvatore di Brescia, a opera di Gaetano Panazza (1914-1996), e negli anni Settanta quelle sulle chiese pavesi promosse da Adriano Peroni (1930-). È questo uno dei filoni dai quali si è sviluppata la moderna archeologia delle chiese italiane, alla quale si devono un ampliamento oltre il VI secolo dell'ambito cronologico tradizionalmente tenuto come limite degli archeologi cristianisti, l'estensione, sull'esempio inglese, della ricerca al contesto insediativo e l'impiego di rigorosi metodi stratigrafici applicati ai depositi sepolti e alle murature in elevato combinati poi recentemente con le più recenti metodologie di datazioni scientifiche (per Castelseprio cfr. Brogiolo, 2013a; per Santa Giulia di Brescia, Brogiolo, 2014b; per Lomello, Brogiolo, 2015b; sul duomo di Padova, Brogiolo, Chavarria Arnau, Nuvolari, 2017 ). In Gran Bretagna nel 1968 la legislazione ecclesiastica dispose l'eliminazione di tutti gli edifici religiosi superflui, prescrivendone la riconversione ad altre funzioni o la demolizione, il che diede avvio a numerosi progetti di scavo di chiese. Nel 1972 ebbe luogo la fondazione del Churches Committee all'interno del Council far British Archaeology per promuovere, insieme alla Society of Antiquaries, gli studi archeologici sulle chiese. Nel loro primo raduno nazionale avvenuto a Norwich nel 1973 si cominciò a discutere anche della possibilità di scavare chiese an-

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

cara in funzione e dell'importanza di indagare pure i loro cimiteri. Uno dei progetti più interessanti fu quello della chiesa di Rivenhall (Essex) (Rodwell, Rodwell, 1985; 1993). Particolarmente importante, negli anni Sessanta, fu il progetto di studio della città medievale di Winchester, con lo scavo della cattedrale, del palazzo episcopale e di alcune piccole chiese nell'area di Lower Brook Street. Figura di spicco è stato Harold Taylor, che ha analizzato numerosi edifici e pubblicato fondamentali studi per la storia dell'architettura delle chiese anglosassoni (Taylor, Taylor, 1965; Taylor, 1978). Agli inglesi si devono non solo i primi scavi stratigrafici di contesti ecclesiastici, le prime analisi dettagliate delle murature (Taylor, 1974; Rodwell, 1997, pp. 8-12.) e lo sviluppo dell'archeologia dei cimiteri legati alle chiese, ma anche le prime indagini che studiavano gli edifici non più come monumenti architettonici isolati, ma come fulcro ali' interno di una comunità in trasformazione (Blair, 2.005) e come una componente fondamentale del paesaggio (Morris, 1989 ). Un altro importante indirizzo di studi nasce in Francia, sempre durante gli anni Settanta, con lo sviluppo delle indagini sulla topografia cristiana, un'analisi sistematica delle chiese nelle città tardoantiche per capire la relazione degli edifici di culto con il contesto urbano e il loro ruolo nello sviluppo delle città". L'équipe della Topographie chrétienne (attiva dal 1973) approfondì le conoscenze sulla cristianizzazione dello spazio urbano a partire da un modello di lavoro seguito in paesi vicini come l'Italia o la Spagna. Particolarmente sviluppato in Francia è stato anche lo studio delle chiese rurali, soprattutto per l'origine delle parrocchie, dei loro cimiteri e, più in generale, per il rapporto tra chiese e sepolture (Fixot, Zadora-Rio, 1994; Galinié, Zadora-Rio, 1996; Delaplace, 2.005). Alla scuola francese si deve pure la pubblicazione del fondamentale corpus delle chiese tardoantiche e altomedievali di Francia e del Nordafrica3. Purtroppo nel Nordafrica, come in Oriente, la maggior parte delle chiese fu indagata tra XVIII e XIX secolo, prima della diffusione dei metodi stratigrafici e quindi le informazioni sono soprattutto di carattere architettonico e liturgico

l. Cfr. TCCG, il cui progetto fu presentato all'x1 Congresso internazionale di Archeologia cristiana tenutosi a Lione nel 1986 per iniziativa di Charles Pietri, Paul Albert Février e Noel Duval. Sintesi storiografica sull'origine e l'evoluzione del progetto, in Camino Wataghin (loo3), e principali risultati in Beaujard (l010 ). 3. PMCF; Duval (1971-73); Gui, Duval, Caillet (199l) per l'Algeria; Barane et al. (l014) per la Tunisia.

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INTRODUZIONE

senza che spesso si possano attribuire cronologie certe o fare considerazioni di carattere topografico relative alla posizione della chiesa nel tessuto urbano 4 • In Spagna, l'archeologia delle chiese è legata fino agli anni Ottanta al nome di Pedro de Palol (1923-2005) e alla sua scuola, che oltre a condurre numerosi studi sulle testimonianze cristiane della Penisola iberica (cfr. Palol, 1967 ), organizza periodicamente le Riunioni di archeologia cristiana. Un fondamentale contributo si deve anche alle ricerche sviluppate dal Deutsches Archaologisches Institut di Madrid e, in particolare, da Helmut Schlunk (1906-1982), Thilo Ulbert (1939-) e più recentemente Achim Arbeiter (1958-) 1• Una svolta fondamentale per la conoscenza del patrimonio ecclesiastico della Penisola iberica è stata possibile grazie all'applicazione, a partire degli anni Novanta, dell'analisi stratigrafica degli elevati, un contributo innovativo che non ha peraltro evitato forti discussioni sulla cronologia delle chiese altomedievali6. Il XXI secolo è cominciato in modo spettacolare per l'archeologia delle chiese con la moltiplicazione dei corpora che includono l'Egitto, la Giordania, la Dalmazia, le regioni alpine, la Penisola iberica, Malta, l'Irlanda, i Balcani e il catalogo online del progetto CARE in formato WIKI che dovrebbe progressivamente censire tutte le chiese europee

4. Nel XVIII secolo, le buone relazioni diplomatiche tra l'Europa e l'Impero ottomano favorirono l'esplorazione del Vicino Oriente cristiano da parte di aristocratici di origine francese e britannica, quali Eugène Melchior de Vogiié (1848-1910), William M. Ramsay (1852-1916) o Gertrude Lowthian Beli (1868-1926) tra altri. Nel corso del XIX secolo invece le spedizioni militari nel Nordafrica, iniziate in Egitto con Napoleone I nel 1798, portarono poi alla documentazione e allo scavo di numerosi complessi cristiani, come quelli condotti da Stéphane Gsell (1864-1932), indagini che proseguirono nel secolo successivo, grazie al lavoro di archeologi quali Paul Albere Février (1931-1991; Algeria), Noel Duval (1929-; Tunisia) e John Ward-Perkins (1912-1981; Libia). Importanti ricerche in Terra Santa si devono invece agli archeologi italiani, in particolare francescani, tra cui padre Virgilio Corbo e padre Michele Piccirillo, scuola ancora oggi impegnata nel restauro e studio della chiesa della Natività a Betlemme. 5. Cfr. Schlunk, Hauschild (1978); Ulbert (1978); Arbeiter, Noack Haley (1999) o lavori più recenti come quello di Schlimbach (2012) sulla chiesa di San Juan de Bafios. 6. Cfr. ad esempio gli interventi pubblicati in Caballero, Mateos (2000 ).

15

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

costruite tra IV e XI secolo e che si complementa con i vari corpora nazionali di scultura in corso in varie aree dell' Europa7• Nelle ultime decadi, la ricerca archeologica sulle chiese ha constatato come la cristianizzazione del paesaggio urbano e rurale sia un fenomeno che si sviluppa in un arco cronologico molto lungo e con evoluzioni locali assai più complesse e diverse tra di loro di quanto ipotizzato dalla storiografia tradizionale, basata principalmente sulla testimonianza delle fonti scritte. Nelle città la cronologia e la localizzazione dei primi complessi episcopali sono ancora oggetto di dibattito, almeno in alcune regioni del Mediterraneo, soprattutto a causa della frammentarietà degli interventi archeologici e della difficoltà di datare le prime fasi di edifici sorti a volte a partire da strutture precedenti e oggetto di profonde rimodellazioni successive. In generale, pare che nel v secolo nella maggior parte delle città del Mediterraneo si fosse affermata una topografia cristiana "classica" con una chiesa episcopale intraurbana e vari edifici martiriali suburbani con funzione funeraria. Nel corso dell'Altomedioevo la rete di chiese urbane si arricchirà di edifici monastici, chiese costruite da privati, strutture assistenziali o di altra funzione. Nei principali centri, l'evolvere delle circostanze politiche ed economiche trova riscontro nell'organizzazione ecclesiastica con nuove costruzioni, ampliamenti o abbandoni, legati a cambiamenti di status o a imprevisti, quali l'arrivo di popolazioni che possono favorire l'emergere di nuovi poli religiosi o la trasformazione degli usi funerari con la comparsa delle sepolture intra muros e il loro rapporto o meno con la presenza di edifici di culto. La diffusione delle chiese nelle campagne non sembra anteriore al V secolo. Per tutto il IV secolo, e con

7. Studi e corpora pubblicati tra l'ultima decade del xx e le prime del XXI secolo: Cilicia e Isauria: Hill (1996); Egitto: Grossman (2.002.); Giordania: Miche! (2.001); area alpina: Sydow (2.001); Sennhauser (2.003); Italia: Brogiolo (2.001; 2.003); Citter (2.006); Brogiolo, Ibsen (2.009 ); Campana et al. (2.008); Carella (2.ou); Marazzi et al. (2.018); Penisola iberica: Garda de Castro Valdés (1995); Godoy (1995); Utrero Agudo (2.006); Balcani: éurcié (2.010); Pillinger (2.015); Irlanda: O'Carragain (2.010); Germania: Ristow (2.007). Un punto di riferimento è, dal 1995, il colloquio internazionale che viene organizzato annualmente dall'Istituto internazionale per le ricerche sul Tardoantico e il Medioevo di Montona (Croazia) e pubblicato puntualmente nella rivista "Hortus Artium Medievalium". Per il corpus CARE ( Corpus Architetturae Religiosae Europeae), nato nel 2.000 con l'obiettivo di registrare e analizzare le chiese europee costruite era IV e X-XI secolo, cfr. Brogiolo,Jurkovic (2.012.); Brogiolo (2.015) e per la piattaforma WIKI Chevalier (2.012.) e Chavarria Arnau (2.018b).

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INTRODUZIONE

l'eccezione dell'hinterland di Roma, la costruzione di chiese rurali è esigua, sia per quanto riguarda le chiese battesimali nei pressi di abitati e vie di comunicazione, sia per quelle costruite dai proprietari privati all'interno delle loro ville. Probabilmente alcune famiglie possedevano degli spazi per il culto domestico nelle loro residenze in campagna ma, a tutt'oggi, risultano invisibili archeologicamente. Dal v secolo in poi le chiese si moltiplicano e compaiono in tutti i tipi di insediamento includendo i castelli. Tuttavia si osserva oggi come la cristianizzazione non fu un processo lineare, ma ebbe periodi di rapida crescita alternanti a fasi di sviluppo più lente. Se in Italia il v secolo e fino alle guerre greco-gotiche rappresenta un momento particolarmente vitale per le chiese, nella Penisola iberica un forte sviluppo si ha solo nella metà del VI, forse come conseguenza della concorrenza tra cattolici e ariani (come era già successo a Ravenna alcuni decenni prima). Anche in Oriente il VI secolo portò sia a un profondo rinnovamento dell'architettura ecclesiastica costruita nei secoli precedenti sia alla costruzione di nuovi edifici. Le riconquiste di Giustiniano nel Mediterraneo occidentale, con l' obiettivo di recuperare l'Impero agli eretici barbari, favorirà la diffusione di forme architettoniche e stili decorativi portati direttamente dall'Oriente, un modello, quello imperiale, che godette, per tutto l'Altomedioevo, di un enorme prestigio in Occidente. L'adesione dei sovrani barbarici al cristianesimo e la convinzione che il prestigio dell'autorità ecclesiastica potesse essere strumentalizzato per gli interessi del regno rappresentano, pur con tempi e modalità diversi da regione a regione, uno degli elementi più incisivi del Medioevo. La conversione delle monarchie barbariche e del loro popolo al cattolicesimo, a partire da quella di Clodoveo e dei franchi nel 496, poi dei visigoti nel 589, infine dei longobardi alla fine del VII secolo, favorì l'uso delle chiese e delle gerarchie religiose come strumento di affermazione e prestigio da parte dei re e delle aristocrazie. Questi sviluppi furono tuttavia seguiti, in alcune aree, da momenti di stasi o persino di regressione, causati da circostanze differenti, quali un contesto politico avverso che portò all'abbandono momentaneo o definitivo o alla distruzione degli edifici esistenti (in casi eccezionali, come a Montecassino, all'arrivo dei longobardi in Italia a fine VI secolo, più diffusamente con gli slavi nel Norico o gli avari nell'attuale Croazia tra il 600 e il 6w, in Spagna dopo la conquista araba nel corso dell'vm secolo). Nelle isole britanniche, anche se l'archeologia dimo-

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

stra che questi territori avevano manifestato una precoce cristianizzazione nel IV secolo, dopo la caduta dell'Impero le aristocrazie anglosassoni preferirono far riemergere forme di culto paganizzanti (Frend, 2003). Il cristianesimo ritorna solo dalla fine del VI secolo in poi grazie alla missione di Agostino spedita da papa Gregorio nel regno di Kent (Blair, 2005, p. 24). Infine solo tra il IX e l'x1 secolo si verifica l'espansione del cristianesimo oltre i confini dell'antico Impero romano con la conversione degli scandinavi e degli slavi (Carver, 2003; 6 Carragain, Turner, 2016a). E tuttavia il cristianesimo convisse con gruppi e pratiche ancora pagani soprattutto nelle forme di religiosità popolare per tutto il Tardoantico e parte dell'Altomedioevo. Nell'avanzato VI secolo il paganesimo costituiva ancora un problema, come indicano alcune lettere molto note di Gregorio Magno che alludono alla lotta contro le pratiche magiche o superstiziose dei rustici (Registrum epistolarum IV, 23) o come denuncia il De correctione rusticorum, un manuale per le visite pastorali dei vescovi della Galizia, che rivela come una parte della popolazione rurale continuasse a praticare riti agresti 8• Consuetudini non solo della campagna. Ancora nell'vm secolo Bonifacio (672/5754) descrive celebrazioni del nuovo anno "alla pagana" con canti e balli fuori della basilica di San Pietro a Roma (Epistola 50, MGH Epp III, PP· 299-302). Un altro dato significativo, messo in rilievo negli ultimi anni soprattutto grazie al progetto CARE, è l'enorme densità di chiese innalzate prima dell'xr secolo, momento in cui queste cominciano ad essere visibili nella documentazione scritta, ma che in molti territori esistevano già nell'Altomedioevo come indicano le ricerche archeologiche e l' analisi di edifici ancora in elevato, i frammenti di arredo liturgico spesso riutilizzati nelle murature delle chiese ricostruite e altri dati come le intitolazioni a martiri e santi caratteristici del periodo preromanico. Oggi lo studio delle chiese non può prescindere da una prospettiva diacronica per comprendere il rapporto e la trasformazione della

8. «Nam ad pecras et ad arbores et ad fontes et per trivia cereolos incendere [ ... ] Divinaciones et auguria et dies idolorum observare; Vulcanalia et Kalendas observare, mensas ornare, et lauros ponere, et pedem observare [... ] et fondere infoco super cruncum frugem ec vinum, et panem in fontem micce re [... ] Incantare herbas ad malefìcia et invocare nomina daemonum incantando» (Marcino di Braga, 1991).

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INTRODUZIONE

rete ecclesiastica in città, ma soprattutto in campagna, che comincia ad essere studiata in una visione complessa con l'uso delle metodologie legate all'archeologia del paesaggio (cartografia storica, toponomastica, remote sensing, GIS per mappare e interpretare dati spaziali) e analizzando la diversa e spesso giustapposta funzione delle chiese rurali (cura d'anime, private, commemorative, monastiche, funerarie) per comprendere il rapporto con la popolazione rurale e come interagiva quotidianamente con questi edifici. In particolare, dopo l'anno Mille, quando pare consolidarsi l'organizzazione della rete parrocchiale e il legame (spesso attraverso la creazione dei cimiteri legati agli edifici di culto) tra chiese rurali e insediamenti che caratterizzerà l'intero Medioevo. Quadri estremamente articolati del rapporto tra chiese e insediamenti sono stati costruiti per alcune aree campione in Italia (Brogiolo, 2013b; 2015; Brogiolo, Chavarria Arnau, 2008; Brogiolo et al., 2013), Svizzera (Terrier, 2005; 2014; Terrier, Odenhardt-Donvez, Fauduet, 2007) e in Gallia (Schneider, 2014). In questa prospettiva, grazie soprattutto ai censimenti e alle schedature sistematiche, come quelli del CARE, si è cominciato a indagare il fenomeno complessivo della costruzione e trasformazione delle reti ecclesiastiche, attraverso dinamiche che di volta in volta possono essere locali o di più ampia portata. Localmente come riflesso delle relazioni sociali dei vari gruppi che compongono una comunità e tra questi e le autorità, laiche ed ecclesiastiche dalle quali dipendevano. A scala più ampia, regionale, nazionale o all'interno degli imperi che si sono succeduti sulla scena geopolitica, come supporto delle strategie adottate nei vari periodi della storia. Quale sia l'ambito nel quale collocheremo i risultati delle nostre ricerche, prioritarie sono corrette datazioni, necessarie per riuscire a inquadrare storicamente la fondazione e le principali trasformazioni degli edifici, un problema che negli ultimi anni ha coinvolto numerosi centri di ricerca, in particolare sulla datazione delle malte, e al quale verrà dedicata attenzione anche in questo volume. Destinato a chi si rivolge per la prima volta alla comprensione delle chiese, presenta alcuni temi di base, integrando fonti scritte e dati materiali. Mentre le prime sono ormai note, sempre più consistenti divengono i secondi, grazie al moltiplicarsi degli scavi archeologici e degli studi stratigrafici sulle architetture conservate in alzato. Un avanzamento delle nostre conoscenze potrà dunque venire dal lavoro degli archeologi, ai quali anzitutto è dedicato il volume, che tuttavia non

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

dovranno dimenticare l'apporto delle fonti documentarie. D'altra parte non si possono comprendere le chiese senza analizzare il contesto insediativo in rapporto al quale sono state costruite in città e poi nelle campagne. Ho affrontato la conoscenza delle chiese del Mediterraneo da differenti angolazioni, pur limitando, per ragioni di spazio e per le mie conoscenze, l'arco cronologico al primo millennio. Sono state prese in considerazione sia le chiese urbane e suburbane, sia quelle rurali, sia gli edifici destinati principalmente alla cura d' anime, sia le chiese martiriali e quelle funerarie. Solo in modo marginale mi sono occupata delle chiese inserite in complessi monastici oggetto di eccellenti sintesi recenti (Marazzi, 2015). Rispetto all'edizione del 2009, oltre al necessario aggiornamento bibliografico, ho approfondito alcune tematiche che all'epoca erano state appena sfiorate ma che oggi mi appaiono fondamentali. Ad esempio, il tema delle chiese costantinopolitane e della Terra Santa, il cui effetto sull'architettura occidentale fu enorme per tutto il Medioevo, così come la rilevanza e l'impatto del conflitto ariano nella costruzione della topografia cristiana. Ho semplificato alcuni capi coli (l'ubicazione e il significato delle sepolture) provando a equilibrare anche gli esempi relativi alle varie aree geografiche trattate riducendo quelli provenienti dalla Spagna, che trovano oggi uno studio monografico in Chavarria Arnau (2018a). Ho pure rivisto gli ultimi due capitoli tenendo conto dell'avanzamento delle ricerche, soprattutto per quanto riguarda i metodi di datazione delle chiese. È stato infine quasi completamente rifatto l'apparato iconografico per migliorarne la qualità. Nel CAP. 1 ho ripercorso le tappe dell'affermazione di una liturgia che dai particolarismi locali dei primi secoli assumerà poi, con l'età carolingia, connotazioni più omogenee. Conoscere la liturgia significa comprendere l'articolazione degli spazi dei luoghi di culto, al di là delle differenti tipologie architettoniche, esaminate nel CAP. 2. Tipologie e tecniche costruttive nelle quali si esprimono, come si accenna nel CAP. 3, le committenze, attraverso il controllo degli spolia, delle maestranze e soprattutto delle reliquie, in grado di assicurare l'afflusso di fedeli nelle chiese. I CAPP. 4 e s descrivono il rapporto tra chiese e insediamenti, dapprima in città e poi nelle campagne, delineando il progressivo processo di cristianizzazione degli spazi, che è stato uno degli elementi fondanti di quel nuovo mondo, o quantomeno negli aspetti ideologici e culturali, e che si è venuto precisando tra il IV e il

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INTRODUZIONE

v secolo, nel superamento in Occidente dell'Impero romano in una nuova unità che è riconosciuta nella comune adesione al cristianesimo. Le chiese, come sede di sepolture, sono state altresì, fin da quei secoli di radicali cambiamenti, luoghi di autorappresentazione e di confronto tra i differenti segmenti di una società multiculturale e multietnica, aspetti riassunti nel CAP. 6. Per ricostruire questi molteplici aspetti, l'archeologo dovrà acquisire un percorso di conoscenza che inizia con la ricostruzione della sequenza delle singole chiese e del loro contesto, tende poi a una visione di rete a scala più ampia e si propone infine un'interpretazione storica basata su tutte le fonti a disposizione. Nel CAP. 7 vengono date indicazioni su come riconoscere l'antichità di una chiesa e quali strumenti e metodi si possono utilizzare per l'indagine. E nel CAP. 8, infine, ci si sofferma sull'iter della ricerca, dall' impostazione di una strategia adeguata all'interpretazione dei risultati ottenuti.

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Parte prima Simboli, forme e significati

I

La liturgia

Con la cristianizzazione si diffonde un nuovo sistema di valori, un'ideologia totalizzante che si concretizza nelle seguenti forme: 1. un calendario liturgico cristocentrico, ma che riprende tradizioni ebraiche e si sovrappone ad alcune festività pagane; 2. un insieme di cerimonie che accompag nano l'individu o dall'appre ndimento della dottrina (catecumenat o) all'ingresso nella comunità con il battesimo e fino alla sua morte; 3. il culto dei martiri e dei santi che spesso si traduce 4. nello sviluppo di una liturgia stazionale e di cerimonie itineranti sotto forma di processioni che definiscono una nuova topografia cristiana delle città, emozionale e fisica al contempo .

I.I

La costruzio ne di un calendario liturgico Il calendario liturgico cristiano si basò, fin dalle origini, sui momenti cruciali della vita di Cristo, dal Natale (Nascita) alla Pasqua (Passione), all'Ascensione (Resurrezione)'. Le feste relative al Natale pare siano state istituite in epoca tardoantic a per contrastar e le festività pagane del solstizio d'inverno, ma a dicembre si tenevano già le feste relative all'Hannu kkah ebraico, religione dove trovano origine anche le festività di Pasqua e Pentecoste. All'inizio erano entrambe in relazione con Sull'origine, l'evoluzione e il significato del calendario liturgico cristiano: Martimort (1963, pp. 719-842 - e in particolare i saggi ivi contenuti diJounel sulla domenica e il Natale, pp. 725-42, 782-93, e di Chavasse, pp. 745-81 sul ciclo pasquale). Sulle origini ebraiche del culto cristiano cfr. Colafemmin a (1987 ); Cousin, Masso net, Lémonon (1998). Una sintesi recente fondamenta le in Metzger (2015, pp. 8-114). 1.

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

il ciclo pastorale e agricolo e presero poi un significato legato agli avvenimenti storici del popolo ebraico. Pasqua (che significa "passaggio") era inizialmente una festa di pastori, durante la quale veniva sacrificato un agnello; venne poi fusa con le celebrazioni agricole che festeggiavano il cambiamento di stagione e il nuovo raccolto. Nella religione ebraica, questa festa fu collegata alla liberazione dall'Egitto e al passaggio del Mar Rosso sotto la guida di Mosè. Per influenza babilonese, Israele aveva adottato come inizio dell'anno il primo mese di primavera (il Nisan) ed era il 14 di quel mese che veniva sacrificato l'agnello in commemorazione della Passione di Cristo. Cinquanta giorni dopo Pasqua (da cui il nome greco di Pentecoste) cadeva invece la festa di shavuot ("settimane"), così chiamata perché la Bibbia prescriveva di contare prima della sua celebrazione sette settimane corrispondenti al tempo dedicato alla mietitura dell'orzo e del grano. Questa celebrazione agricola assunse nel mondo ebraico il significato di festa di commemorazione del Decalogo, ovvero della consegna delle leggi da parte di Dio a Mosè. La festa di Pasqua si celebrava dappertutto già nel II secolo e divenne il periodo più importante dell'anno come ricordo solenne della liberazione dal peccato a opera di Cristo, che con la sua Resurrezione aprì a tutti le porte della vita eterna. Originariamente la Pasqua si svolgeva la domenica che seguiva il 14 Nisan degli ebrei; poi, dal Concilio di Nicea (325) venne deciso di seguire la tradizione romana e il vescovo di Alessandria ne faceva calcolare ogni anno, con metodi astronomici, la data e la comunicava, il giorno dell'Epifania, al resto della cristianità. Da quel momento viene celebrata nella domenica che segue la prima luna piena dell'equinozio di primavera, fissato il 21 di marzo. Con il tempo, la festività di Pasqua è stata scomposta nel Giovedì santo, nel Venerdì di Passione, nella Domenica di Resurrezione, nell'Ascensione di Cristo e nella Pentecoste o discesa dello Spirito Santo. Gli Evangeli e i principali testi sottolineano l'importanza del primo giorno della settimana del calendario ebraico per la celebrazione del giorno che vide la Resurrezione di Cristo: Giorno del Signore (Kuriaké) e dunque, in latino, "domenica". Al contempo, con l'affermarsi del culto dei martiri, il calendario cristiano si arricchiva di altri importanti punti di riferimento, che contribuirono a definire le identità dei singoli centri caratterizzati dalla devozione a determinati santi.

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I.

LA LITURGIA

1.2

La liturgia nella chiesa La liturgia cristiana si basa su tre elementi essenziali: una struttura gerarchizzata dell'assemblea della comunità; la proclamazione della Parola Divina; la celebrazione dei Sacramenti ( il battesimo come rito d'iniziazione e il sacrificio eucaristico come testimonianza rinnovata del sacrificio di Cristo). Per tutto il periodo tardoantico e altomedievale non esiste un'unica liturgia, bensì numerose e diverse tra loro, che si trasformano continuamente e interagiscono reciprocamente in base alle varie espressioni geografiche, linguistiche, culturali e teologiche delle distinte chiese emerse nei primi secoli del cristianesimo (Martimort, 1963; Jungmann, 1962a; 19626; Bradshaw, 1992). Persino in epoca carolingia l'uniformità liturgica dell'Impero era più un ideale che una realtà. Le fonti descrivono il modo in cui si svolgeva la messa in un luogo e in un'epoca precisa, ma pure quando il testo si presenta come normativo non aveva, in realtà, valore generale. Nonostante queste difficoltà, è necessario avere delle nozioni basiche di liturgia per capire l'articolazione interna dei luoghi di culto e la funzione dei diversi spazi ed elementi di arredo. Gesù e i primi discepoli erano ebrei devoti e frequentavano, come descrive il Nuovo Testamento, il tempio costruito da Salomone a Gerusalemme e le sinagoghe (Cousin, Massonet, Lémonon, 1998, pp. 274-89; cfr. FIG. 1.1). È dunque normale che il servizio liturgico cristiano si ispirasse al culto ebraico e ai suoi rituali. Nel tempio di Gerusalemme, centro della vita religiosa per gli ebrei, venivano offerti dei sacrifici ogni giorno, mattina e sera, e il servizio era presieduto da un sacerdote e da migliaia di preti. La CHstruzione del tempio nel 70 e poi nel 135 d.C. fu quindi un duro colpo per il popolo ebraico che tuttavia continuò a riunirsi nelle sinagoghe come faceva almeno dopo l'esilio in Babilonia (586 a.C.). Centro della liturgia nelle sinagoghe era la lettura delle scritture ebraiche, seguita dall'interpretazione del testo e da varie orazioni rituali. Il responsabile del culto era l' arcisinagogo, scelto tra gli uomini più ragguardevoli della comunità. I seguaci del movimento di Gesù si riunivano nelle sinagoghe per ascoltare la lettura dei testi sacri e pregare, e nelle case private per la preghiera comune, per la predicazione evangelica e soprattutto per la coena domini o

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA I.I

Tempio di Salomone a Gerusalemme

a

50m

b



a) Rappresentazione su mosaico (cappella della Theotokos nella chiesa sul monte Nebo); b) struttura del tempio: ingresso (ulam) (1); area di culto (hecha{) (2.); santuario o sancta sanctorum (dvir) (3). Altri elementi del tempio erano l'altare (4) e il cortile delle donne (5). L'ingresso a tutto il complesso si trovava ad est. Per gli ebrei, Dio era presente in tre elementi: l'Arca (aron) dell'Alleanza che conteneva le Sacre Scritture, il Tabernacolo (miskan), una tenda mobile che dai tempi di Mosè si identificava come il luogo della rivelazione e comunicazione con Dio e, finalmente, il tempio di Gerusalemme (casa di Yawveh o casa di Dio), edificato da Salomone nel 968 a.C., costruzione che passò poi a contenere Arca e Tabernacolo. Il tempio ebbe un immenso impatto nell'architettura delle chiese (soprattutto da un punto di vista allegorico) (cfr. Hamblin, Seely, 2.007, pp. 91-116; Ousterhout, 2.010 ). Fonte: Ousterhout (2010, fìg. 3, p. i30; fig.

1, p. n4).

cena del Signore, cerimonia nella quale va ricercata l'origine dell' Eucaristia. Nel corso di questa cena si celebrava il rito definito come "lo spezzare del pane" (jractio panis), nel ricordo del gesto del Cristo che, nella cena che precede la sua Passione, prese il pane, lo spezzò e lo distribuì ai discepoli come se fosse il suo proprio corpo, invitandoli a ripetere questa azione in suo ricordo. Dopo la morte di Gesù gli apostoli associarono alla cena del sabbat ("sabato") la commemorazione di Cristo, dando un nuovo significato a due riti già esistenti nel cerimoniale ebraico: la consacrazione e la distribuzione del pane all' inizio della cena, accompagnate da una preghiera di ringraziamento (eucaristia) e la benedizione del calice, alla fine, come solenne azione di grazie nel sabbat. Come si è detto, durante i primi secoli, il culto cristiano non si basava su formule uniche e uniformi per ogni azione liturgica. Alcuni

I.

LA LITURGIA

cesti ne illustrano le modalità\ ma si tratta di esempi, non di formulari della Chiesa di quel tempo. Ogni vescovo era libero di creare le sue preghiere e quelli meno eloquenti potevano usare quelle sericee da altri vescovi. Con l'arricchirsi del rito e l'ingrandirsi delle comunità, fu abbandonata la cena e la cerimonia prese la forma di una messa: la denominazione.fractio panis fu sostituita dalla parola "eucaristia", cioè "preghiera di ringraziamento". Cambiò anche lo spazio dove si celebrava il rito e si passò dalla sala da pranzo a un ambiente più spazioso con un'unica mensa (mensa domini), sulla quale celebrava l'officiante. La scomparsa del pasco rituale fece sì che i suoi elementi cosci cucivi diventassero forme simboliche, come l'offertorio derivato dal contributo individuale al pasco. È molco probabile che: mano a mano che la liturgia andava strutturandosi, la ripetizione nella medesima casa delle celebrazioni eucaristiche e battesimali trasformasse quelle abitazioni in una specie di sede stabile del culco cristiano, con le conseguenti sistemazioni architettoniche. Tuttavia l'archeologia non è riuscita a individuare questi spazi, forse perché gli unici elementi riferiti al culco erano mobili e dunque non si sono conservaci. Tra le testimonianze relative alla liturgia di questo periodo è particolarmente importante un documento della metà del II secolo (prima Apologia del marcire Giustino), dove si descrivono i principali atei della messa che si teneva a quel tempo, che già presenta una scansione in due parei: 1. ministero della Parola (poi chiamata "messa" dei catecumeni) con la lettura dell'Antico e Nuovo Testamento e dei Profeti, seguita da un discorso esplicativo e complementare (homilia) da parte dell'officiante e poi da una preghiera comune; 2. ministero del Sacramento (canon missae o messa dei fedeli), consistente nell'offertorio e nella preghiera eucaristica seguita dalla comunione. Il cucco si concludeva con una preghiera finale. A partire dal III secolo, il cristianesimo acquisisce più forza e una migliore organizzazione, favorita da un periodo di tolleranza religiosa durante il regno di Commodo e dei Severi, che permise alle comunità

l. Ad esempio la Didaché, una specie di manuale per la comunità probabilmente di origine siriana, databile tra la fine del I e l'inizio del II secolo con notizie relative allo svolgimento della liturgia primitiva; cfr. Martimorc (1963, pp. l8o-l); Liccardo (l005, pp. l3-6).

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

di diventare più ampie, eterogenee e opulente e di amministrare le loro proprietà. Le prime notizie relative alla costruzione di edifici di culto monumentali risalgono, infatti, a questo periodo, che si interrompe con le persecuzioni di Diocleziano agli inizi del IV secolo. La storiografia, fin dall'Antichità, ha attribuito all'imperatore Costantino un ruolo decisivo nella storia del cristianesimo e nella nascita dell'Europa cristiana3• Acclamato dall'esercito come successore di suo padre Costanzo il 25 luglio 306 a York, nel 312 marcia su Roma per lottare contro Massenzio, e il 28 ottobre lo sconfigge al ponte Milvio. Secondo la tradizione, Costantino avrebbe attribuito la vittoria al favore del Dio cristiano, che nel giorno precedente alla battaglia gli avrebbe mostrato il segno della croce. Tale episodio e il successivo editto di tolleranza (il cosiddetto "editto di Milaho" del 313), con il quale gli imperatori Costantino e Licinio autorizzano una piena libertà di culto, sono stati valutati come eventi fondamentali per il consolidamento del cristianesimo. La ricerca storica più recente ha sottolineato invece come la figura dell'imperatore sarebbe stata fortemente idealizzata dalle fonti antiche, in particolare da Eusebio di Cesarea, e che in realtà l'azione di Costantino contro il paganesimo e contro l'aristocrazia pagana fu meno radicale di quanto attribuitogli dalla storiografia antica. Le sue azioni a favore del cristianesimo continuavano la politica di tolleranza che già Galliena aveva promosso nei confronti dei cristiani (con il cosiddetto "editto di restituzione") e che Galerio aveva ripristinato dopo la breve fase di persecuzione. Ma è indubitabile che l'accettazione e la legittimazione da parte di Costantino della religione cristiana segnarono un profondo e radicale cambiamento nella scala in cui si era mossa la Chiesa. L'imperatore creò le necessarie condizioni politiche, giuridiche ed economiche per favorire il cristianesimo e la sua diffusione in ampie zone dell'Impero, dove cominciarono ad essere costruite numerose chiese. È importante tuttavia ricordare come siano rapidamente sorte dispute dogmatiche che Costantino si sforzò di risolvere convocando il

3. Il lavoro classico su Costantino e sulla sua importanza nella cristianizzazione dell'Impero è Barnes (1981). Una revisione recente della figura di questo imperatore in Van Dam ( 2007) e nei lavori raccolti nei volumi delle mostre organizzate a Rimini (Donati, Gentili, 2005) e a Treviri (Demandt, Engemann, 2007 ).

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I. LA LITURGIA

I Concilio di Nicea (325). La principale riguardava la natura di Cristo in relazione al Padre, cioè se fosse uguale al Padre o da lui creato, come proponevano i seguaci di Ario di Alessandria, tra i quali Eusebio di Cesarea, entrambi presenti al concilio. Alla fine si votò contro gli ariani e da quel momento essi furono considerati eretici rispetto al cristianesimo niceno (cfr. FIG. 1.2) 4 • La discussione non si chiuse e ancora alla fine del IV secolo si ebbe a Milano il noto episodio conosciuto come "la disputa delle basiliche" tra il vescovo Ambrogio (difensore del cattolicesimo e arrivato alla cattedra con una manovra tesa a sostituire i vescovi filoariani) e la famiglia imperiale (di confessione ariana). Esplose nella Pasqua del 386, quando Ambrogio si rifiutò di concedere a Valentiniano II e alla sua famiglia alcune chiese perché gli ariani potessero praticare il loro culto, in particolare quella chiamata Porziana, già sequestrata dall'imperatore Graziano per limitare la escalation di tensione. Come vedremo, il conflitto di Milano terminò grazie al rinvenimento di una serie di reliquie, utilizzate da Ambrogio per riaffermare la sua posizione all'interno della comunità milanese di fronte alle pressioni e interferenze imperiali 5• L'arianesimo fu poi adottato dalla gran parte delle popolazioni barbariche che si insediarono nell'Impero a partire del v secolo (goti, franchi, suebi, vandali, burgundi) e diventerà un segno di identificazione e identità rispetto a una popolazione romana che dal v secolo era principalmente cattolica. I conflitti tra cattolici e ariani (in Africa anche donatisti, in Frigia montanisti) saranno protagonisti della maggior parte delle riunioni conciliari, di molti scritti dei Padri della Chiesa tardoantica e dei rapporti che si stabilirono tra romani e barbari durante tutto il periodo tardoantico e alcomedievale. Procopio appunta come esistessero ancora numerose comunità ariane anche in Oriente fino all'epoca di Giustiniano (Storia Arcana II, 15). Di fatto l'unificazione ortodossa fu la principale "scusa" politica che indusse Giustiniano a intraprendere la riconquista per recuperare le aree occidentali del Mediterraneo dagli eretici barbari. La conversione al cattolicesimo in

4. E quindi perseguitati per la legge: Codex Theodosianus XVI, 5, 8 (381), XVI, 5, 11-13 (383-384); Codex lustinianus I, 5, 12 (527 ), Novellae 45 (537 ). 5. Narrato dallo stesso Ambrogio nella famosa Epistola ad sorores 76. Ampia analisi di questo episodio in Da8mann (1975); Kraucheimer (1983); Colish (2002); Visonà (2013) era molti altri. Assai discussa è ancora (come vedremo infra, pp. 166-7)

l'identificazione della basilica contesa eh iamaca Porziana.

31

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 1.2.

Durante il Concilio di Nicea ariani

(32.5),

Costantino condanna al rogo i libri degli

Fonte: Archivio capitolare di Vercelli, manoscritto datato al IX secolo d.C.

32.

I. LA LITURGIA

momenti diversi di franchi, burgundi, suebi, visigoti e longobardi rappresenta d'altra parte una delle principali linee di ricerca sulla società di quel periodo. Purtroppo gran parte della documentazione liturgica ariana non si è conservata e, tranne qualche diversità rilevante relativa, ad esempio, al modo in cui si svolgeva il rito del battesimo, non sappiamo se ci fossero differenze significative rispetto alla liturgia dei cattolici. Dalla fine del IV secolo compare un'ampia letteratura liturgica legata alla diversificazione dei riti della Chiesa e al fatto che in Occidente ogni messa del ciclo temporale e santorale venne dotata di un contenuto proprio, con l'eccezione dell' anaphora (canon missae), che in alcune chiese restò invariabile. Si pensa che questo rinnovamento liturgico abbia avuto origine nel Nordafrica perché dalle normative di alcuni concili africani della fine del IV e del v secolo si evince che esistevano già collezioni di libelli missarum. Nel corso del v secolo diversi vescovi della Gallia composero libri liturgici (lezionari, responsori, sacramentari, libri di omelie) e a Roma il Liber Pontijìcalis attribuisce a Gelasio I (492-496) la composizione di alcune opere per la liturgia. Nessuno di questi testi si è conservato, ma tali notizie ci indicano come fossero già stati fissati molti dei riti della liturgia cristiana, con la formalizzazione scritta del canone e delle principali formule liturgiche 6• La messa, comunque, a grandi tratti non era cambiata rispetto a quella descritta nell'Apologia del martire Giustino e continuava strutturata nella missa cathecumenorum e nel canon missae. Nel corso dell'Altomedioevo si svilupparono liturgie specifiche per varie occasioni. In Spagna, nel VII secolo esisteva già un rito per il matrimonio che cominciava il giorno prima, alle nove del mattino, con la benedizione del talamo (ordo ad talamum benedicendum) (Kurt, 2015). I matrimoni erano di norma celebrati di domenica, ma molti preferivano il venerdì in quanto giorno di Venere, una delle tante reminiscenze pagane che ancora impregnavano il cristianesimo nell'Altomedioevo. Alcune messe erano legate alla morte e ai funerali.

6. Africa: Concilio di Cartagine (397), Breviarium hipponense, 36; Concilio di Cartagine c. 10 ( 407 ); Gallia: Musaeus (presbitero di Marsiglia), Claudius Marnertus o Sidonio Apollinare (Hen, 1995, pp. 52.-3); Italia: Charta Cornutiana (libri liturgici donati a una chiesa nel 471 da Valila); Liber Pontifìcalis 51, p. 6 (libri composti da Gelasio 1).

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

I defunti venivano poi ricordati periodicamente con messe sia nella chiesa sia (per quanto criticate dalle autorità religiose) nei cimiteri (Paxton, 1990; 2.008). Testimonianza della liturgia di epoca tardoantica e visigota in Spagna è il "rito mozarabico", conservato dopo l'arrivo degli arabi in alcune chiese peninsulari e straordinariamente resistente ali' introduzione della riforma gregoriana che permise alle parrocchie di Toledo di mantenere questa liturgia particolare, ancora oggi celebrata in alcune chiese (cfr. Férotin, 1904; 1912.).

1.3

Il battesimo Un capitolo a parte merita il sacramento del battesimo, cerimonia che costituiva il rito più solenne della liturgia cristiana perché intimamente legato al mistero della morte e alla Resurrezione di Cristo (Paolo, Romani 6, 3-4; cfr. Saxer, 1988; Metzger, 2.015, pp. 2.81-91). Rappresentava, inoltre, il trionfo del cristianesimo sul paganesimo e la nascita di un nuovo cristiano. Il battesimo aveva anche un'enorme rilevanza sociale dal momento che, con l'istituzione del padrino, creava legami, obbligazioni e responsabilità reciproche tra i diversi componenti di un gruppo sociale. In aree di convivenza tra ariani e niceni, il battesimo costituiva un momento importantissimo di adesione a una fede e quindi di tensione per le autorità religiose. All'inizio il battesimo veniva amministrato in ambito domestico e consisteva in un bagno rituale, conferito con un'invocazione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, proclamata dal neofita a ognuna delle tre immersioni. Il rituale, che si ispirò al battesimo di Cristo da parte di Giovanni, era comunque in continuità con pratiche rituali di bagni e lavaggi del giudaesimo contemporaneo ( Collins, 1995). In generale, sembra che la forma di battesimo preferita fosse quella per immersione, anche se in caso di necessità era pure accettato il rito per infusione7. Verso la fine del II secolo si istituzionalizzò il concetto di "catecumenato", periodo di severa preparazione al bat-

7. Cioè versando l'acqua sul battezzando con un recipiente, come mostrano moltissime rappresentazioni.

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I. LA LITURGIA

tesimo. I catecumeni (nel significato etimologico, "coloro che ricevono l'istruzione") avevano il diritto di partecipare alla prima parte della messa e ricevevano inoltre un insegnamento speciale. Dopo tre anni, sostenevano un esame per dimostrare che la loro condotta corrispondeva all'ideale cristiano, quindi iniziavano la preparazione al battesimo, che si teneva nel battistero della chiesa ed era officiato dal vescovo alla vigilia di Pasqua: tra il giorno della morte e quello della Resurrezione di Gesù, anche se a volte si celebrava nella vigilia di Pentecoste e dell'Epifania. Comprendeva tre fasi principali: 1. esorcismo e rinuncia a Satana; 2. battesimo; 3. conferma episcopale per unzione o cresima; alla fine si andava in processione fino alla ecclesia dove si teneva una messa finale (Saxer, 1988, pp. 341-8). A Milano, all'epoca del vescovo Ambrogio (339-397 ), ma anche in altri territori, la cerimonia del battesimo cominciava con il "mistero dell'apertura'' o "apertura dei sensi': con la quale il vescovo toccava naso e orecchie del catecumeno e, dopo l'unzione postbattesimale, si passava al lavaggio dei piedi del battezzato da parte del vescovo in segno di umiltà e di partecipazione al mistero di Cristo (Beatrice, 1983). Già nel corso del IV secolo e soprattutto nei secoli successivi, il periodo di catecumenato tende a ridursi e in alcuni concili ispanici del VI secolo era già di soli quindici giorni (Godoy Fernandez, 2017, p. 175). Nel corso del VI secolo si generalizza il battesimo infantile, spesso celebrato nei primi giorni di vita del bambino, pur se continuavano a esistere battesimi di adulti, come dimostrano molte vasche (assai profonde) costruite in questo momento. Solo dal IX secolo sarà universale il battesimo infantile, a eccezione delle aree più a nord e ad est dell'Europa, dove vivevano ancora popolazioni in corso di cristianizzazione. Ma l'evoluzione non è lineare: in Gran Bretagna si preferiva il rito per immersione persino nel Bassomedioevo (Gilchrist, 2012, p. 186). La diffusione del battesimo infantile darà luogo al progressivo ridimensionamento del catecumenato e poi alla sua scomparsa (Saxer, 1988, p. 529). Oltre che nella cattedrale, dal v secolo il battesimo verrà celebrato anche in altre chiese urbane, nel suburbio, nei santuari martiriali e di pellegrinaggio o nelle chiese rurali, dove semplici preti avevano il privilegio di officiarlo. In caso di emergenza ( ad esempio per i neonati in pericolo di morte) il battesimo poteva essere impartito da un familiare.

35

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

1.4

Il culto dei santi Parallelamente ai riti eucaristici e battesimali, si sviluppò molto presto un'altra forma di liturgia: il culto dei santi martiri, individui che per i meriti acquisiti con il sacrificio della vita diventavano intercessori presso Dio delle preghiere e dei voti dei credenti e, come cittadini privilegiati del cielo, venivano considerati accompagnatori delle anime al Giudizio divino 8• Ben presto si diffuse anche la convinzione che i corpi dei santi possedessero poteri soprannaturali. La testimonianza più antica di questo culto risale al 2.3 febbraio del 155 o 156, quando venne martirizzato Policarpo, vescovo di Smirne. Gli atti del martirio, concepiti in forma di lettera, spiegano che dopo la sua morte i cristiani raccolsero le sue ossa e le depositarono «lì dove era il rito». In questo modo, ogni volta che potevano, festeggiavano la ricorrenza, in ricordo suo e di quanti avevano subito la stessa sorte e come preparazione per quelli che l'avrebbero affrontata in futuro (Martyrium Polycarpi 18). In Africa sappiamo, grazie alla testimonianza del vescovo Cipriano di Cartagine, che alla metà del III secolo si svolgevano nei cimiteri atti liturgici comunitari in occasione degli anniversari dei martiri. È molto plausibile che quando l'editto di persecuzione di Valeriano ( 2.58) vieta le riunioni nei cimiteri si riferisca precisamente alle celebrazioni in onore dei martiri 9 • In origine, il culto dei martiri veniva celebrato nel luogo della tomba o del martirio, dove era stato eretto un monumento, attorno al quale si radunavano i fedeli per venerare le vestigia o celebrare l'anniversario della loro morte ( il dies natalis). Di

8. Sull'origine e sullo sviluppo dei diversi culti: Delehaye (1933). Sul fenomeno in generale: Brown (1981). Sul pellegrinaggio ai luoghi santi Hunt (198l). In Gallia, il culto dei santi locali e la loro connessione con alcuni protagonisti della scoria politica, sociale e religiosa della Gallia merovingia sono ben conosciuti grazie alla testimonianza di Gregorio di Tours: Graus (1965); Brown (198l); Van Dam (1993); Hen (1995); Wood (l001; lOol). Una buona sintesi di tutte le problematiche in Aigrain (lOOO ). 9. Cipriano di Cartagine, Epistulae XII, l; XXXIX, 3. In particolare sull'Africa, cfr. Duval (198l); Saxer (1980). Il passo relativo all'editto di Valeriano ( «ne in aliquibus locis concilia buia faciunt nec coemeteria ingrediantur» ), in Acta Cypriani 1, 7 ed Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica VII, 11, 10.

I. LA LITURGIA

queste cerimonie abbiamo testimonianza nei graffiti e nelle iscrizioni che invocano la loro intercessione. Il giorno della passione del martire, che diveniva il giorno della sua nascita come santo, era ricordato con un evento al quale partecipavano grandi numeri di fedeli di tutti gli strati sociali, perché, come ricorda Prudenzio relativamente alla festività di sant'lppolito a Roma: «la fede abbatte le distinzioni di nascita» (Peristephanon XI, 199-202). Le celebrazioni consistevano in una solenne messa tenuta sulla tomba del martire, introdotta da una vigilia notturna ad corpus (nei cimiteri), durante la quale si leggevano testi biblici e la passio (vicende della sua vita e della sua santità), intercalate da canti e preghiere. Le cerimonie si concludevano con un grande banchetto funerario nel quale, talvolta, la popolazione cantava, mangiava, beveva e ballava, a volte smisuratamente, provocando le critiche delle autorità ecclesiastiche. Tra i tanti episodi, basti ricordare i canti e i balli che, secondo Basilio di Cesarea, si tenevano «nelle basiliche dei martiri di fronte alle mura delle città», dove donne impudiche attiravano lo sguardo dei giovani «agitando i capelli[ ... ], alzando le vesti, danzando con occhi lascivi e risa smodate, prese come da un furore irrefrenabile»' Per ricordare l'anniversario della morte dei martiri furono creati i calendari o martirologi, elenchi che contenevano il nome del martire, la data e il luogo della sepoltura. Questa pratica esisteva già nel III secolo, quando Cipriano specifica quali erano i veri martiri, raccomandando di registrare l'anniversario della loro morte. Il più antico calendario cristiano conservato si trova nel Calendario di Filocalo o Cronografo del 354, compilato da Furio Dionisio Filocalo, calligrafo di papa Damaso, e contiene due elenchi, noti come Depositio martyrum e Depositio episcoporum, nei quali vengono rispettivamente ricordati le date e il luogo di sepoltura dei martiri e dei vescovi romani". Con la costruzione delle chiese sulle tombe o sulle memoriae presso i cimiteri (in genere già monumentalizzati con strutture particolari) si sviluppa enormemente il culto dei martiri, ai quali cominciano ad esse0



10. Basilio di Cesarea, Homilia in Ebriosos 1. Su queste celebrazioni, cfr. Fiocchi Nicolai (2003, pp. 935-8), dove si raccolgono numerosi episodi con tutte le citazioni. II. Delehaye (1933: sui dies natalis, pp. 34-6; sui calendari, pp. 260-99; sulle prime celebrazioni in onore dei martiri, pp. 40-6). Sul Calendario del 354, cfr. Salzman (1990); Fraschetti (2004, pp. 294-300).

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

re associaci anche nomi di altri insigni cristiani, in particolare vescovi (conjèssores), dell'età delle persecuzioni, forse perché avevano pure loro sofferto il martirio o perché la loro vita era ritenuta degna di venerazione. Si afferma anche in modo spettacolare il culto delle reliquie, corporee o (più spesso) rappresentative, oggetti che si credeva possedessero gli stessi poteri taumaturgici dei corpi completi dei personaggi venerati. Il culto dei santi avrà un enorme impatto nella liturgia ufficiale e nella pietà popolare e sarà uno degli elementi più significativi per spiegare particolari dispositivi liturgici delle chiese, come la moltiplicazione di altari e absidi, di controcori e Westwerk (corpo architettonico tipo torre inserito in facciata) e la creazione delle cripte, oltre che la diffusione delle inumazioni ad sanctos, cioè vicino alle tombe o alle reliquie venerate. Soprattutto in Oriente, si diffuse la pratica dello spostamento dei corpi dei santi dalle loro tombe per poter così dotare di reliquie le città sprovviste di martiri propri. La più antica traslazione è ritenuta quella che ebbe luogo nel 351, quando il corpo del vescovo e martire san Babila fu trasportato dal luogo della sua sepoltura ad Antiochia, in particolare nell'area suburbana di Dafne, dove venne edificata una chiesa per sostituire un importante tempio dedicato ad Apollon. Sorprendentemente, e pur se la legislazione contemporanea vietava cali spostamenti, questa traslazione fu possibile grazie all'autorizzazione dell'imperatore Costanzo II (figlio di Costantino), che fece anche trasferire i corpi di sanc'Andrea, san Luca e san Timoteo nella chiesa dei Santi Apostoli di Costantinopoli. Più tardi, all'epoca di Teodosio I e dei suoi successori, arrivarono a questa chiesa le reliquie di san Foca, dei martiri egiziani, dei santi Terenzio e Africano e la testa di san Giovanni Battista (Downey, 1951; Mango, 1990; Effenberger, 2000 ). Alla fine del IV secolo inizia un altro fenomeno che avrà enormi conseguenze: la scoperta o inventio dei corpi di santi da parte delle autorità ecclesiastiche. In Occidente, cale fenomeno ha un momento di avvio con il vescovo Ambrogio di Milano che, durante il conflitto delle basiliche, fu indotto da un sogno a scavare due tombe, all'interno delle quali furono rinvenuti «due scheletri di grande statura, ben conservaci e ancora con tanto sangue», immediatamente identificaci con Gerva-

Il. Sulla traslazione del corpo di san Babila riportata da Sozomeno (Historia Ecclesiastica V, 19): Downey (1961, pp. 364, 387-8).

1. LA LITURGIA

sia e Protasio, vittime delle persecuzioni di Diocleziano (Ambrogio, Epistulae XXII, 2). Tali corpi servirono al vescovo per consacrare nel 386 la basilica Martyrum (oggi Sant'Ambrogio) e per rafforzare la sua posizione nel contesto del conflitto contro gli ariani di Milano. Simile episodio si ripete a Bologna nel 393, con la inventio dei corpi dei santi Vitale e Agricola e la traslazione dei corpi dei santi Nazario e Celso nel 395. Parte di queste reliquie venne rapidamente distribuita in Italia e in altre aree dell'Occidente, su iniziativa dello stesso Ambrogio, per diffondere la fede nicena in aree probabilmente "a rischio" (Delehaye, 1933, pp. 355-8). A Vienne, in Gallia, le ricorda l'epitaffio funerario di Foedula, che sarebbe stata battezzata da san Martino di Tours tra il 386 e il 389, altro personaggio che avrà un ruolo di prim'ordine nelle lotte per la ortodossia cattolica, non solo in vita ma anche nei secoli successivi, come mostrano le numerosissime intitolazioni a questo santo in chiese altomedievali. Un grande impatto ebbe il rinvenimento delle reliquie di santo Stefano, rinvenute, nel 415, a Cafargamala (Palestina) e rapidamente oggetto di grande venerazione. Il culto si diffuse ampiamente grazie all'intervento del prete ispanico Orosio, che si trovava in Palestina nel momento della scoperta e portò parte delle reliquie nelle Baleari, nella Penisola iberica e poi nel Nordafrica dove le consegnò a sant'Agostino' 3• Dall'Africa furono poi trasportate a Roma, sotto il pontificato di Leone I (440-461), da Anicia Demetriade, esponente di spicco della potente famiglia romana degli Anicii, che costruì una basilica nella sua proprietà al terzo miglio della via Latina e vi depose le reliquie del santo; più tardi l'imperatrice Elia Eudocia (401-460), moglie di Teodosio II, edificò un santuario a Gerusalemme, dove fu sepolta nel 460, e la sua pronipote Anicia Giuliana eresse una chiesa intitolata a questo santo a Costantinopoli. In Gallia il culto si documenta in numerose città tra cui Bordeaux, Clermont, Marsiglia, Metz e Tours. L'arrivo di reliquie in una città (adventus reliquiae) portava al raduno di gran parte della sua popolazione, che in processione le scortava con torce e cantando inni, evento frequentemente descrit-

13. Sulla scoperta del corpo di santo Stefano e l'arrivo delle sue reliquie a Costantinopoli, cfr. Baynes (1949, pp. 167-70). Sul ruolo di Orosio, cfr. Gauge (1998). Sulla diffusione del suo culto in Occidente, cfr. Thacker (2.002., pp. 12.-4).

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 1.3 Avorio conservato nel tesoro della cattedrale di Treviri

L'arrivo o adventus di reliquie in una città prevedeva tre fasi: arrivo delle reliquie nel suburbio e raduno dell'intera comunità; processione solenne verso la chiesa che doveva accoglierle; depositio in un luogo apposito e messa. In questo avorio è rappresentata la processione delle reliquie trasportate in un reliquiario a forma di sarcofago da due vescovi su un carro. Il corteo, condotto dall'imperatore, seguito da alti funzionari che portano ceri, e diretto verso una chiesa, dove li aspetta l'imperatrice, con una croce processionale nella mano sinistra. Sul tetto della chiesa alcuni operai stanno ancora ultimando i lavori, quindi si tratta plausibilmente della cerimonia di deposizione di reliquie che precede la consacrazione dell'edificio. Gli studiosi hanno proposto varie identificazioni dei personaggi e della chiesa qui rappresentati. Tra le più accreditate quella che collega la scena con l'inaugurazione della chiesa di Santa Maria in Calcoprateia da parte di Pulcheria (399-453), sorella di Teodosio Il, nel 449 a Costantinopoli (cfr. Holum, Vikan, 1979; Wortley, 1980 ). Fonte: Brogiolo, Chavarrla Arnau (2007, p. IOI).

to nella letteratura religiosa e ravvisabile in alcune rappresentazioni tardoantiche e in manoscritti medievali (cfr. FIG. 1.3) 14 • Spesso delle nuove reliquie potevano essere motivo sufficiente per costruire una chiesa dedicata al santo. In questo senso, le intitolazioni di alcune chiese possono costituire una spia preziosa della data di fondazione,

14. Dettagliata descrizione di uno di questi eventi, nel De laude Sanctorum di Victrizio di Rouen (Hen, 1995, pp. 109-11). Sul rapporto tra l'adventus reliquiae e l' adventus dell'imperatore, cfr. MacCormack (1972.; 1981).

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I. LA LITURGIA

corrispondente al momento in cui tali reliquie ebbero particolare successo e vennero diffuse in modo più o meno ampio in un territorio. Apparentemente, gli imperatori si impegnarono a difendere il riposo eterno dei santi vietando l'apertura delle tombe, la frammentazione e la diffusione dei corpi'\ anche se, come abbiamo visto nel caso di Antiochia e di Costantinopoli, la traslazione avvenne per loro iniziativa. A Roma, la proibizione di violare i sepolcri sopravvisse fino all'vm secolo, soprattutto a causa della volontà dei pontefici di controllare il culto dei santi romani, che li indusse a rifiutare le numerose richieste degli imperatori e poi dei monarchi barbarici (Delehaye, 1933, pp. 52.-3; McCulloh, 1980; Crook, 2.000, pp. 2.3-5). Tra gli episodi più noti, quello relativo all'imperatore Giustiniano, che nel 519 chiese a papa Ormisda i corpi dei santi Pietro, Paolo e Lorenzo, ricevendone un rifiuto, in quanto tale richiesta era contraria alle consuetudini in vigore a Roma (contra consuetudinem sedis apostolicae); in cambio, il papa gli inviò frammenti delle catene di san Pietro e della graticola sulla quale soffrì il martirio san Lorenzo (Epistolae Romanorum Pontifìcum Genuinae). Alla fine del VI secolo, Costantina, moglie dell'imperatore Maurizio, chiese la testa di san Paolo o un'altra parte del suo corpo per deporli in una basilica dedicatagli a Costantinopoli, ma anche questa volta il papa si limitò a spedire frammenti delle catene di san Pietro, perché lo smembramento dei corpi dei santi non era Romana consuetudo (Gregorio Magno, Registrum epistolarum IV, 30 ).

r.s La liturgia stazionale Di grandissima importanza per la cristianizzazione della città fu lo sviluppo, a partire dal V secolo, della liturgia stazionale, perché serviva a rinsaldare il rapporto tra il vescovo e le altre chiese urbane, comprese

15. Una legge del 352 promulgata a Milano imponeva una multa a quelli che danneggiavano una tomba e a quelli che trafficavano con corpora sepolta aut reliquias (Codex Theodosianus IX, 17, 4; Codex Iustinianus IX, 19, 4). Nell'anno 386, un decreto del Codex Theodosianus IX, 17, 7 vietava di muovere un corpo dalla sua tomba, dividerlo o venderlo, solo si autorizzava la costruzione dei martyria sui sepolcri dei martiri.

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

quelle del suburbio, grazie alle processioni che accompagnavano determinate festività e che coinvolgevano un'ampia parte dei cittadini. Le prime evidenze di un sistema "stazionale" provengono da Gerusalemme, in particolare dall'itinerario della pellegrina Egeria (381-384), che descrive e compara i rituali di questa città con quelli dell'Occidente da dove lei proveniva. Secondo Egeria, il Santo Sepolcro era il fulcro della liturgia ma accenna anche alla chiesa sul monte Sian, a quella sulla tomba di Lazzaro, la chiesa del Getsemani, il luogo dell'Agonia, quella dell'Ascensione sul monte degli Olivi (Eleana) e, a Betlemme, la chiesa della Natività16 • Molti di questi edifici ospitavano più messe quotidiane ma, durante le festività più importanti, soprattutto la Natività, la Pasqua e l'Encaenia il 13 settembre, che ricordava la scoperta della Croce, la dedicazione del Santo Sepolcro nel 335 e quella del tempio di Salomone'7, le messe diventavano itineranti e ogni giorno si celebravano in un edificio diverso dove si recava il vescovo guidato dalla congregazione. I rituali contemporanei della corte imperiale ebbero un'importante influenza su queste cerimonie, nelle quali il vescovo sembra prendere il posto dell'imperatore. Nel corso del tempo l'itinerario si arricchì di nuove stazioni costruite dopo il Concilio di Efeso (431) nei luoghi che commemoravano la Theotokos o "Madre di Dio": la chiesa di Kathisma e quella sulla sua tomba, entrambe costruite all'epoca del vescovo Giovenale (425-458), forse con il contributo dell'imperatrice Elia Eudocia, in esilio in questa città dal 440 circa, e fondatrice nel suburbio di una chiesa intitolata a santo Stefano. A Giustiniano si deve invece la costruzione della Nea, chiesa dedicata alla Theotokos (543) e l'allungamento del cardo massimo per poter connetterla con il Santo Sepolcro (cfr. FIG. 1.4). Particolarmente significative erano a Costantinopoli le processioni in rapporto alla Theotokos, considerata suprema protettrice della città e alla quale erano dedicate numerose chiese, tra cui quella di Blacherne, nell'estremità nord-ovest della città e immediatamente al di fuori della cinta muraria (dove era custodito il maphorion o "velo della Vergine"), quella nel distretto di Calcoprateia, vicina a Santa Sofia, o quella di

16. Per la liturgia stazionale a Gerusalemme cfr. Baldovin (1987, pp. 55-64); Shalev-Hurvitz (2.015, pp. 33-42.). Sul collegamento tra le processioni cristiane e quelle imperiali tardoantiche, cfr. MacCormack (1972.). 17. Fraser (1995), seguendo Wilkinson (1993a, p. 17 ), propone che l'Encaenia sia un'appropriazione cristiana della festa ebraica del Tabernacolo.

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I.

LA LITURGIA

FIGURA 1.4

Ubicazione delle principali chiese tardoantiche di Gerusalemme Santa Maria Maddalena



~

Ascensione _

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chiesa dì Eleona

Getsemani

1

nu \\,, Sant'Anna

.

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1:::::::,\

8---_ Santo Stefano



a

-------

500m

b a) Pianta della città; b) rappresentazione della città nel mosaico di Madaba (vr secolo) con evidenziate le chiese di Santo Sepolcro (1); la chiesa della Nea (2.); la chiesa sul monte Sion (3) e il cardo massimo (4). 1-ònte: Ovadiah (1999).

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

1.5 Ubicazione delle principali chiese rardoantiche di Costantinopoli

FIGURA

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San Pofleucto



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Porla Pege

Fonte: elaborazione dell'autrice.

Pege, nelle vicinanze della Porta Aurea (cfr. FIG. 1.5). Le processioni a Costantinopoli erano molto elaborate e spesso, oltre alla popolazione e alla gerarchia ecclesiastica, partecipavano l'imperatore e la sua corte. Avevano quindi non solo un significato religioso, ma anche un ruolo importantissimo dal punto di vista politico' 8• A Roma, la liturgia stazionale era soprattutto celebrata durante il periodo pasquale, quando le diverse chiese della città (stationes) accoglievano ogni giorno, a turno, il pontefice per una messa solenne. Il senso delle stationes era quello di legare l'assemblea generale del popolo

18. Oltre a Baldovin (1987), cfr., su Costantinopoli, Bauer (2.001); Tafc (l0o6). Sull'importanza del culco della Theotokos e delle sue chiese a Costantinopoli: Baynes (1949); Cameron (1978); Mango (1998); Speck (l003).

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I. LA LITURGIA

cristiano di Roma attorno al vescovo per la celebrazione dell'Eucaristia. In relazione ad alcune stazioni vi era la collecta, raduno del clero e dei fedeli, che poi raggiungevano la stazione cantando salmi e litanie, mentre il clero portava croci e icone. Il culto stazionale, sviluppatosi durante il papato di Leone I e sistematizzato all'epoca di Gregorio Magno (590-604), fu praticato ininterrottamente fìno al XIV secolo, quando la corte papale si spostò ad Avignone' 9 • Un'altra componente importante della liturgia che si sviluppa a partire dal v secolo sono le processioni. Queste potevano tenersi: 1. occasionalmente, ad esempio in relazione a un evento catastrofico come terremoto, epidemia o assedio da parte delle popolazioni barbariche (servivano quindi per implorare il soccorso divino) o per l'arrivo di reliquie nella città; 2.. periodicamente, legate al calendario liturgico in rapporto alle feste cristologiche e al culto dei santi. In genere, esse avevano un carattere di supplica, perciò, oltre alla salmodia, comprendevano lunghe preghiere di invocazione. Nella Gallia vennero istituite le Rogationes, cerimonie che avevano luogo tre giorni prima dell'Ascensione, nelle quali si evocava la grazia divina tramite la penitenza praticata con il digiuno e l'astinenza (Nathan, 1998). Durante i giorni delle Rogationes, la popolazione non doveva lavorare e le autorità incoraggiavano particolarmente le donazioni ai poveri. Secondo la testimonianza di Sidonio Apollinare, furono inventate da Claudianus Mamertus, vescovo di Vienne nel 450, come reazione a una serie di catastrofi che avevano colpito la città. L'informazione è ribadita da Avito, successore di Mamertus, e poi da Gregorio di Tours. Sidonio istituì le Rogationes a Clermont-Ferrand nel 473 ed è possibile che tali cerimonie si siano diffuse con rapidità per tutta la valle del Rodano. Il canone 2.7 del Concilio di Orléans, celebrato nel 511, le ufficializzò poi in tutta la Gallia e da lì, nel Medioevo, si diffusero anche altrove (cfr. Sidonio Apollinare, Epistula XIII, 7, 1; Avitus, Homilia in Rogationibus; Gregorio di Tours, Historia Francorum II, 34). In Nortumbria si praticavano all'inizio dell' VIII secolo. Le rogazioni pare avessero una sorta di funzione apotropaica, anche in relazione ad aspetti sociopolitici più complessi come indicherebbe il fatto che percorrevano i limiti della loro parrocchia (cfr. Ashley, Hiisken, 2001; Gittos, 2.013, pp. 55-145).

19. Oltre a Baldovin (1987), cfr., per Roma, Chavasse (1993); Saxer (2000).

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

1.6 Liturgia e culto delle reliquie tra due imperi: bizantini e carolingi Il ritorno dell'Impero nel Mediterraneo, con le campagne militari promosse da Giustiniano, tra 534 e 553, contro vandali, goti e visigoti, si innesta in un processo di intensificazione della cristianizzazione del tempo e dello spazio. Le chiese diventano punti di riferimento della topografia urbana ed è in rapporto alle chiese che spesso bisogna capire le trasformazioni che sperimentano quartieri e viabilità. L'espansione delle truppe imperiali nei Balcani e nel Mediterraneo fu accompagnata da una intensa attività edilizia in forma di fortezze, acquedotti, ponti, terme e chiese che, pur seguendo spesso le tradizioni architettoniche locali, contribuì alla diffusione di tipologie architettoniche provenienti dalla capitale orientale. Si diffuse l'arredo liturgico realizzato in marmo proconnesio proveniente dalle cave imperiali del Mar di Marmara, il che diede luogo altresì all'affermazione di un particolare linguaggio figurativo (Sodini, Barsanti, Guiglia Guidobaldi, 1998). Vennero anche introdotti nella liturgia occidentale alcuni elementi provenienti dall'Oriente, come una particolare attenzione alla liturgia della parola e quindi all'ambone. In Africa, la testimonianza di Procopio sul numero delle opere promosse da Giustiniano (De Aedifìciis VI, 2-7) è stata corroborata dagli studiosi, che situano nel VI secolo la costruzione o il restauro di numerose chiese e si attribuiscono a questo momento la realizzazione di cupole, di controabsidi per riorientare le chiese e le fabbriche in un'opera quadrata particolarmente accurata (Duval, 1971-73). Testimonianza diretta delle strette relazioni con l'Impero e l'Italia è probabilmente la presenza di maestranze costantinopolitane nella costruzione di San Vitale a Ravenna (cfr. FIG. 1.6), iniziata dopo un soggiorno del vescovo Ecclesio nella capitale nel 525, dove poté essere testimone degli importanti cantieri che si stavano sviluppando in quel momento, tra cui la chiesa di San Polieucto. Si legano anche ai rapporti con Oriente l'arrivo di nuove reliquie (come la testa di sant'Anastasio, spedita dall'imperatore Eraclio all' abbazia delle Tre Fontane a Roma) e le intitolazioni a santi orientali poco noti fino a quel momento, come san Teodoro, san Giorgio o i santi Sergio e Bacco e la Theotokos, dedica, quest'ultima, caratteristica della po-

I. LA LITURGIA

FIGURA 1.6 Mosaico dell'area absidale, chiesa di San Vitale (Ravenna)

La scena rappresenta il solenne momento di ingresso in una chiesa secondo un ordine prestabilito: il prete con incenso, l'Evangelo (come rappresentazione della divinità), la croce (portata dall'arcivescovo Massimiano), l'imperatore con una patena per l'Eucaristia. Atcorno ali' imperatore alcuni alti funzionari e la guardia imperiale. Fonte: foto dell'autrice.

litica imperiale dopo la riconquista dell'Italia, in quanto patrona dell'esercito e dell'intero Stato. È in questo momento che si data, tra l'altro, la costruzione di numerose chiese nel Foro romano, proprio con queste intitolazioni (cfr. FIG. 1.7). Al tempo di papa Giovanni III (561-574) arrivano invece reliquie della Vera Croce, custodite in parte nel palazzo di Costantinopoli e usate dall'imperatore Giustino II (565-578) con finalità diplomatiche (un frammento fu anche spedito alla regina franca Radegonda) (Frolow, 1961, p. 39 ). Le intitolazioni denunciano pure in Sardegna un forte impatto dei culti africani e orientali (apostoli, santi militari, Costantino, Elena, o il culto alla Croce), arrivati probabilmente dopo l'occupazione bizantina (Martorelli, 2006; Coroneo, Martorelli, 2013). Tra i pontificati di Onorio I ( 625-638) e di Adriano I ( 772-795), ci furono ben nove, su un totale di venticinque, pontefici di origine "orien-

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

1.7 Ubicazione delle principali chiese tardoantiche del Foro di Roma

FIGURA

Santa Maria Antiqua (4) fu edificata nel Foro, ai piedi del Palatino, riutilizzando quello che era stato forse il vestibolo di accesso al palazzo imperiale. La cristianizzazione di questo spazio avviene in anni prossimi alla conversione del Templum Pacis nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano ( 7) a opera di papa Felice IV ( 526-530) (Liber Pontiflcalis 56, p. 2). Una profonda trasformazione dell'edificio di Santa Maria Antiqua è collegata tradizionalmente al tempo di Giustino 11, in base al ritrovamento di tre monete di questo imperatore sotto una colonna, e rientrerebbe nelle chiese dedicate alla Theotokos dopo la conquista imperiale. I fondatori potrebbero essere stati il generale Narsete - che viveva e morì sul Palatino (Liber Pontiflcalis Ecclesia Ravennatis 95) e che, secondo Evagrio, era un grande devoto della Theotokos (Historia Ecclesiastica IV, 3) - o l'aurifèx Amantius e forse sua moglie, una certa Ippolita, ricordati in due epigrafi rinvenute in una delle cappelle della chiesa. Grazie al suo interro nell'847 a causa di un terremoto, si sono conservati sette strati di dipinti murali, tra i quali quello di Giovanni VII ( 705-707 ), papa di origine greca che trasferì il centro episcopale sul Palatino (Andaloro, Bordi, Morganti, 2016). Altre chiese costruite sempre nel Foro nel periodo considerato sono Sant'Adriano (1); Santa Martina (2); Santi Sergio e Bacco (3); Sant'Andrea (5); San Lorenzo in Miranda ( 6); Santi Pietro e Paolo (8); San Cesario in Palatio (9); Sant'Anastasia (rn ); San Teodoro (11). Fonte: Spera (1016, fìg. 1, p. 98).

I. LA LITURGIA

tale" (tre greci, tre siriaci, due antiocheni, uno tracio), il che indusse un importante rinnovamento della liturgia romanaw. Nella città di Costantinopoli, la liturgia aveva assunto nel VI secolo un carattere molto elaborato e solenne, in particolare durante la messa, che includeva varie processioni: 1. la processione di ingresso, o prima processione, quando il vescovo, tutti gli ecclesiastici e i fedeli, a volte anche l'imperatore e la sua corte, si radunavano nel nartece e nell'atrio ed entravano insieme nella chiesa per iniziare la liturgia della Parola; 2. la grande processione, dei misteri o del pane e del vino, che andava dal luogo di preparazione al presbiterio per dare inizio alla liturgia eucaristica21 • Ai legami delle regioni bizantine con l'Oriente fa riscontro il processo di assimilazione delle popolazioni germaniche attuato con la loro conversione. Risultato di questa fusione sono da un lato il forte coinvolgimento dei vescovi nel sistema politico amministrativo dei regni, dall'altro una intensificazione nell'attività edificatoria di chiese e monasteri da parte delle aristocrazie. L'acquisizione di nuove reliquie dei santi acquista, in questo contesto, una forte valenza politica, come testimoniano, ad esempio, il trasporto delle reliquie di sant'Agostino dalla Sardegna a Pavia da parte di re Liutprando (712-744), che le depone nella chiesa di San Pietro, detta in Ciel d'Oro o, qualche anno più tardi, le vicende connesse all'asportazione di reliquie del suburbio di Roma da parte del re longobardo Astolfo (749-756), nel corso dell'assedio del 756. Dopo questo drammatico evento il pontefice Paolo I ( 757-767) provvede a spostare in città numerosi corpi di santi romani (Liber Pontiflcalis 2, pp. 451-2), con il risultato di una massiccia redistribuzione dei patronati non solo a Roma e dintorni. Astolfo depose alcune reliquie nella chiesa dei Santi Apostoli a Pavia, costruita come proprio mausoleo, mentre altre (quelle di san Silvestro) servirono a suo cognato ( 750/i) per fondare il monastero di Nonantola. Reliquie provenienti dalle catacombe romane (si discute se siano state razziate da Astolfo o donate dal papa) raggiunsero il monastero regio di San Salvatore a Brescia

lo. Sul periodo bizantino a Roma cfr. Bauer (loo4) e Coates Stephens (2006;

lOII). li. Agile descrizione di come si svolgeva questo rito, in Tafc (2006). La parte che l'imperatore giocava in questa liturgia è conosciuta in dettaglio grazie alla descrizione che ne fece Costantino Porfìrogenito nel De ceremoniis, opera che, pur con un carattere antiquario importante, si data al X secolo (cfr. Bury, 1907 ).

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

dove, per volere di Desiderio, venne trasferito anche il corpo di santa Giulia, proveniente dall'isola di Gorgona, in Toscana (Brogiolo, 2000).

1.7

Le codificazioni liturgiche e la "romanizzazione" carolingia Pur se già all'epoca di Gregorio Magno (590-604) aveva avuto luogo un importante processo di codificazione liturgica, il periodo compreso tra il VII e il x secolo è di fondamentale rilevanza per la formazione e fissazione della liturgia latina e dei libri liturgici. In Spagna un ruolo fondamentale ebbe Isidoro di Siviglia (560636) che presiedette il rv Concilio di Toledo del 633, nel quale si trattarono numerosi aspetti relativi a un'omogeneizzazione della liturgia e dell'educazione e alla disciplina del clero. Vennero anche redatti nuovi messali, affinché i preti amministrassero correttamente i sacramenti, e numerosi altri libri per la formazione di ecclesiastici e monaci, nonché l' Ordo su come dovevano svolgersi le riunioni conciliari; potrebbe pure essere il momento in cui venne compilata la Collectio Hispana, che ci ha tramandato le conclusioni dei principali concili (Munier, 1963). Dalla metà del VII secolo si intensifica il flusso di pellegrini ed ecclesiastici che viaggiano dalla Gallia a Roma per visitare i principali centri martiriali e, nel caso degli ecclesiastici, per conoscere e introdurre nella propria terra il rito romano. Al loro ritorno portavano reliquie e manoscritti, tra cui alcuni libri liturgici (Vogel, 1960, pp. 189-91 ). Successivamente i Carolingi si impegnarono nel riformare la liturgia e la vita dei fedeli con più interesse, mezzi e successo, grazie a una nuova situazione politica determinata dall'alleanza con il papato». Questa romanizzazione della liturgia obbediva sia alla particolare venerazione che i monarchi franchi avevano per la sede romana e per San Pietro, sia a motivazioni di carattere politico in chiave antibizantina (dopo l' iconoclastia) e antilongobarda (per contenere l'aggressività di re Astolfo).

2.2. Tra l'ampia bibliografia esistente sul tema della riforma carolingia sottolineerei Wallace-Hadrill (1983); de Jong (l005); McKitterick (2008; in particolare pp. 292-380 ). Sulla relazione tra i Carolingi e il papato, cfr. il catalogo della mostra Carlo Magno a Roma (Roma 2001).

so

I. LA LITURGIA

Tale atteggiamento produsse dapprima la distruzione del regno longobardo ( 774), poi le sanguinose campagne militari contro i sassoni ( 780-790 ), con il pretesco della loro conversione, e infine, dopo l' annichilimento degli avari ( 795), la restaurazione, nella notte di Natale dell'8oo, dell'Impero d'Occidente. Nel rinnovato Impero, amalgamato con la fede, non vi era più spazio per una liturgia regionalizzata. Il processo inizia dopo che Pipino III il Breve ( 751-768) venne unto dal pontefice Stefano II a Parigi, ateo che legittimò la dinastia carolingia e affermò le relazioni era i Carolingi e il papato. Il soggiorno del papa in Gallia permise al clero franco di osservare e ammirare le celebrazioni e la liturgia papale e ispirò il vescovo Crodegango di Metz ( 742-766) nelle riforme da lui attuate. Poco dopo ( 760 ), il vescovo Remigio di Rouen ( t772), fratello di Pipino il Breve, visita Roma con il proposito di ottenere da papa Paolo I il permesso per riportare con sé Simeone, secundus della scola cantorum, per mostrare gli usi romani ai chierici della sua cattedrale (Remigio di Rouen, Epistula 41). Carlo Magno ( 768-814), i cui principi generali per la riforma della Chiesa sono raccolti nellaAdmonitio Generalis del 789, espande, dunque, e consolida il processo iniziato da suo padre, istituendo altresì un sistema di controllo perché i nuovi rituali venissero osservaci da tutti gli officianti. Inviò Paolo Warnefrid (Paolo Diacono) a Montecassino con la missione di chiedere a papa Adriano I ( 772-795) una copia originale del Sacramentario Gregoriano. Il papa la spedì qualche anno dopo, e questo volume, che verrà conosciuto come Hadrianum, venne depositato nella biblioteca palatina di Aquisgrana>\ Tuttavia, non si trattava di un sacramentario normale, bensì di un libro stazionale, destinato cioè al papa quando, durante la Quaresima, celebrava la messa nelle diverse chiese della città. Secondo Vogel, è possibile che Adriano I non disponesse di nessun altro sacramentario di qualità adeguata all'imperatore, difficoltà che potrebbe spiegare anche il ritardo nella consegna. L'insufficienza di questo sacramentario per la liturgia delle chiese del regno rese necessario redigere un supplemento, con le parei mancanti dell 'Hadrianum e con elementi delle tradizioni locali. Hadrianum e Supplementum furono così la base della liturgia romano-

23. Il volume, che conosciamo da una copia realizzata intorno all'812-813, pare redatto a Roma dopo il pontificato di Gregorio II (715-731); cfr. Vogel (1960, pp. 278-86).

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

franca (l'antenato diretto del Missale Romanum ), destinata a diventare la liturgia latina universale all'epoca degli Ottoni. I re e i vescovi franchi si proposero di mettere al primo posto, nella devozione dei fedeli, il sacramento dell'Eucaristia e incoraggiarono il culto dei santi e delle reliquie per rafforzare la fede e la coesione della società'4 • Una fama particolare ebbero le reliquie provenienti da Roma. I pontefici ne fecero dono ai monarchi franchi per creare o consolidare le alleanze e per accrescere il ruolo di Roma come leader spirituale. I Carolingi le utilizzarono a loro volta per istituire una rete di relazioni tra le diverse regioni dell'Impero e nella propaganda rivolta contro i bizantini. Conseguenza di questo movimento di reliquie furono la moltiplicazione degli altari nelle chiese e la diffusione delle cripte sotto il presbiterio (Crook, 2000 ). Un altro aspetto particolarmente interessante di questa "romanizzazione" della liturgia riguarda l'organizzazione stazionale della Quaresima in città come Colonia o Metz. Un importante cambiamento, che ebbe luogo in quest'epoca, riguarda la liturgia della morte. L'originario carattere trionfale del cristianesimo fu gradualmente sostituito, visto il ritardo con cui sembrava arrivare la seconda venuta di Cristo, da un forte senso di pessimismo, e le preghiere assunsero un carattere profondamente penitenziale. Si diffuse una profonda ansietà per il destino individuale dopo la morte, il che aumentò il valore delle intercessioni in favore dei vivi e soprattutto dei morti. Le preghiere per i defunti lasciarono in secondo piano il potere salvifico dei santi e delle reliquie, cambiamento che si riflette anche nelle iscrizioni funerarie, dove i riferimenti alla posizione ad sanctos delle tombe furono sostituiti da formulari che invocavano le preghiere dei fedeli per l'anima dei defunti. Tale cambiamento ebbe come conseguenza specifici ricordi dei morti ali' interno della messa e la diffusione delle messe funerarie private per l'anima del defunto, chieste dai sovrani e dalle aristocrazie (cfr. Angenendt, 1984; 2008; McLaughlin, 1994, p. 29; Treffort, 1996). Diventò una pratica stabile nominare le persone morte durante la messa, pratica che esisteva già sicuramente in Occidente nel VII secolo,

2-4- Sull'importanza dell'Eucaristia (considerata reliquia in quanto "corpo e sangue di nostro signore Gesù Cristo") e sulle analogie che si stabiliscono era Eucaristia e culto dei santi in epoca carolingia, cfr. Cristiani (1968). Sul culto delle reliquie nel regno carolingio, cfr. Michalowsk.i (1981); Geary (2.000, pp. 33-60); Fouracre (1999); Smith (2.000 ).

I. LA LITURGIA

ma che si generalizzò nell'vm-Ix secolo, quando, subito prima della celebrazione eucaristica, venne declamato il Memento, un'intercessione in favore dei membri estinti della comunità, seguita dalla lettura pubblica dei loro nomi (McLaughlin, 1994, pp. 50-1). Le messe votive per i defunti figuravano già nei più antichi sacramentari del VI secolo, conservati nei libelli missarum di Verona e nel Sacramentario Gelasiano del VII secolo. Nella seconda metà dell'vm secolo, la messa privata era ormai una pratica acquisita, secondo quanto riporta l' Ordo Romanus xv, la cui origine risale agli anni 75of780. Potevano beneficiare di queste messe i defunti sepolti nelle chiese e nei dintorni o quelli i cui nomi erano ricordati sui dittici dell'altare o nei libri memoria/es. Questo tipo di messa trovò inoltre, a partire dall'epoca carolingia, un'eco molto favorevole nei monasteri, diventati luoghi privilegiati di sepoltura delle aristocrazie laiche. Tra i secoli VIII e IX vengono create delle confraternite specificamente monastiche legate ali' importanza degli uffici per i defunti e alla redazione dei libri memoria/es, confraternitatis o vitae, libri in cui erano scritti tutti i nomi che dovevano essere commemorati. In generale, questi nomi erano dei membri della congregazione, ma in cambio di qualche buona azione anche i laici potevano essere inseriti negli elenchi e integrati nella commemorazione comunitaria. L'importanza del ruolo dei defunti nella liturgia sarà accompagnata da un aumento delle donazioni ad sepulturam e delle disposizioni testamentarie destinate ad assicurare al defunto preghiere regolari ed efficaci da parte di gruppi di ecclesiastici, spesso monaci. Grazie a queste donazioni, i monasteri riuscirono ad accumulare immensi patrimoni che furono, almeno in parte, investiti nella trascrizione e nella miniatura di manoscritti e nella costruzione e decorazione di edifici di culto (Angenendt, 2008).

r.8 Consacrazione, dedicazione e deposizione di reliquie Nel mondo romano, un edificio, una volta costruito, veniva consacrato, cioè trasferito dalla sfera del profanum a quella del sacrum e dedicato, ossia donato alla divinità. I due riti venivano celebrati contemporaneamente e formavano parte in ugual modo del processo di sacralizzazio-

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

ne dell'edificio 11 • Pare che fino al IV secolo questi riti fossero estranei alle comunità cristiane perché non rientrava nella loro idea ritenere sacri i loro luoghi di riunione. A partire dal IV secolo, con l' imperializzazione del culto, cominciano a celebrarsi inaugurazioni di chiese, atti che originariamente avevano un carattere festivo e trionfale. La prima testimonianza è riferita da Eusebio di Cesarea in rapporto alla cattedrale di Tiro, in Libano, e pare seguire l 'Encaenia o festa inaugurale del tempio di Gerusalemme (Historia Ecclesiastica X, 4, 37-45). Infatti compara Paolino, vescovo della città, con Bezalel, Salomone e Zerubbabel, costruttori del Tabernacolo e del tempio di Gerusalemme. Il richiamo al tempio ebraico continuerà ad essere presente nei secoli successivi, come si osserva, ad esempio, nei sermoni di dedicazione di Zeno di Verona (362.-372.), Cromazio di Aquileia, Gaudenzio di Brescia o Agostino 16 • Le prime chiese venivano sì dedicate (al Salvatore, ad esempio), ma chiamate con il nome di chi le aveva fondate: basilica Costantiniana a Roma, basilica Ursiana a Ravenna in ricordo del vescovo che la fondò, basilica Porziana a Milano (forse perché il donatore fu un tale Portius) o la Eudoxiana, nome con cui i contemporanei conoscevano la cattedrale di Gaza e la chiesa di San Pietro in Vincoli a Roma, entrambe finanziate dall'imperatrice Licinia Eudossia. Soprattutto dopo il Concilio di Efeso del 431, acquisirono intitolazioni a Maria o ad altri santi. Nel 538 il pontefice Vigilia scriveva a Profuturus, vescovo di Braga nel Nord-Ovest della Penisola iberica, indicando che la celebrazione dell'Eucaristia era sufficiente per dedicare una chiesa ( Vigilius, Epistulae I, 4). L'attore principale della cerimonia era il vescovo, perché solo

2.5. Sull'origine di questi riti e sulla loro cristianizzazione, cfr. Iwaszkiewicz-Wronikowska (2.002.). In generale sulle dedicazioni delle chiese, cfr. Fraser (1995); Repscher (1998). Sul rito a Roma, cfr. Andrieu (1931-61, voi. IV, pp. 359-84). Cfr. anche le riflessioni di Markus (1994). 2.6. Zenone di Verona, De Aedificatione domus Dei a Salomone (Tractatus 11, 6), Cromazio di Aquileia (Opera Omnia, Sermo xxvi), Gaudenzio di Brescia: De dedicationis basilica conci/ii sanctorum o Agostino (Sermo cccxxxv1-cccxxxvm) e ancora dopo Giona di Orleans nel IX secolo, Cantino Wataghin (2.014, p. 566, nota 7 ). In Oriente il riferimento compare ad esempio nell' himno di dedicazione della cattedrale di Edessa nel VI secolo, su cui cfr. Mango (1986, pp. 57-60 ). Sul noto testo di Eusebio relativo alla cattedrale di Tiro cfr. ad esempio Wilkinson (1982.).

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I. LA LITURGIA

lui garantiva la sacralità e la legalità dell'edificio, e questa cerimonia veniva spesso documentata in un'epigrafe e ricordata annualmente nel calendario liturgico della chiesa'7• Tuttavia, fin dal IV secolo, i cristiani avevano cominciato a sviluppare un rituale di consacrazione più complesso che richiedeva, anche se giuridicamente non era obbligatoria' 8, la deposizione di reliquie in rapporto all'altare. La presenza di reliquie diventa fondamentale per affermare il prestigio delle chiese e dei loro fondatori. Vengono perciò accuratamente elencate nelle iscrizioni che si trovano in alcuni altari, negli stessi reliquiari e nei racconti relativi alle fondazioni. In questo modo, le chiese diventavano non solo luogo di incontro eucaristico, ma anche templi dedicati ai martiri. Lo testimonia il sermone tenuto, attorno al 400 d.C., dal vescovo bresciano Gaudenzio per la consacrazione della chiesa intitolata al Concilium sanctorum in riferimento alle 50 reliquie che vi erano conservate. Si trattava delle reliquie dei santi Giovanni Battista, Andrea, Tommaso, Luca evangelista; Gervasio, Protasio e Nazario; dei martiri dell'Anaunia Sisinnio, Martirio e Alessandro e dei 40 martiri della Cappadocia, reliquie ottenute dallo stesso vescovo durante un suo viaggio verso Gerusalemme (Gaudenzio, Sermo xvII). A partire dal VII secolo, il rito della consacrazione e della dedicazione si completa e in epoca carolingia diviene un complesso rituale nel quale tutto l'edificio (e non soltanto l'altare come nei secoli precedenti) viene sacralizzato, grazie alle processioni attorno alla chiesa e ali' aspersione e unzione dei muri (Lauwers, 2005, pp. 55-111). Tra VI e IX secolo esistevano vari rituali: 1. nell' Ordo quomodo in sancta romana ecclesia reliquiae conduntur ( Ordo XLII; cc. 700-750: Andrieu, 1965) si descrive il rito per la consacrazione dell'altare con la deposizione delle reliquie e di tre particole del pane eucaristico; 2. nell' Ordo quomodo ecclesia debeat dedicari ( Ordo XLI; cc. 750-775) si elenca il cerimoniale che constava di processione iniziale, litania, prostrazione, tracciato dell'alfabeto sul pavimento della chiesa, preparazione dell'acqua santa,

2.7. Concilio di Calcedonia, c. 4; Codex lustinianus I, 3, 2.6; Novellae 67; 131, 7; Concilio di Braga, c. 19 (561); II Concilio di Braga, cc. 5, 6 (572.); canone VII del II Concilio di Siviglia ( 619 ). Per Roma si stabilisce la normativa ali 'epoca di Gelasio 1. 2.8. Il solo riferimento conciliare relativo ali' obbligatorietà della presenza di reliquie negli altari si trova nel Concilio di Cartagine del 401 (c. 83), ma pare che non avesse una valenza universale; cfr. Hermann-Mascard (1975, pp. 143-92.). I

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

tracciato di croci con l'acqua santa, consacrazione dell'altare, benedizione degli strumenti liturgici e dei tessuti che coprivano l'altare, deposizione delle reliquie e velatio dell'altare; l' Ordo prescriveva infine la celebrazione della sinassi eucaristica per un'intera settimana; 3.1' Ordo ad benedicandam ecclesiam, più completo e combinante i riti gallici e romani, ebbe una grande diffusione in Occidente dal IX e fino al XII secolo (Repscher, 1998).

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2

Architettura e arredo

Dal gran numero di testimonianze scritte, relative alla costruzione di chiese tardoantiche, emerge come la realizzazione di un edificio ecclesiastico fosse percepita dai contemporanei simultaneamente in termini materiali e simbolici'. Da una parte, era il luogo di riunione dei cristiani ed era quindi il fulcro della loro identità, dall'altra la chiesa fu anche percepita metaforicamente come un corpo vivente costruito da Cristo nel quale i fedeli di tutto il mondo erano le pietre e gli apostoli e i profeti le fondamenta (Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica x, 4, 21). Molti testi sottolineeranno infine il rapporto tra le chiese cristiane e il tempio di Salomone a Gerusalemme, non tanto dal punto di vista fisico ma come rappresentazione o metafora ( Ousterhout, 2010, pp. 22 4-5). Le differenti tradizioni tipologiche sono condizionate, oltre che dal contesto geografico e culturale, dal tipo di materiali disponibili in un territorio e dalla presenza di maestranze con conoscenze tecniche capaci di erigere edifici particolarmente complessi. Le trasformazioni subite dalla pianta di un edificio nel tempo possono invece dipendere da differenti circostanze. Alcune sono motivate da cambiamenti nella liturgia o dall'arrivo di reliquie e riguardano soprattutto l'area presbiteriale. Quelle che comportano uno sviluppo dimensionale, invece, sono in genere imputabili all'incremento demografico della popolazione che frequenta l'edificio, alla disponibilità economica o al desiderio di autorappresentazione da parte di un esponente del clero ( in genere il vescovo) o delle aristocrazie laiche radicate in quel centro. Le riduzioni nelle dimensioni di una chiesa mostrano invece un calo

1.

Cantino Wacaghin (l014, pp. 574-6) con documentazione esaustiva.

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

demografico e/ o delle risorse disponibili, un cambiamento di funzione o un aumento nel numero di chiese di uno stesso territorio o motivazioni pratiche come, ad esempio, l'impossibilità di procurarsi travi di una certa lunghezza.

2.1

Prima di Costantino Nei primi secoli, ai cristiani importava, più che il luogo di raduno, soprattutto la riunione stessa, attitudine che si riflette nel senso originale della parola chiesa (ecclesia), che etimologicamente significa "assemblea di fedeli': termine che solo a partire dal III secolo passa a designare l'edificio di celebrazione del culto eucaristicol. La chiesa cristiana, quale luogo destinato alla riunione per la preghiera, doveva contenere un gruppo di persone, sovente ampio, che includeva sia officianti e membri della gerarchia ecclesiastica, sia fedeli. In questo senso differisce radicalmente dal tempio pagano, concepito come casa della divinità, e dal tempio di Gerusalemme, dimora del Signore e contenitore dell'Arca. Secondo la tradizione, il primo ambiente di culto specificamente cristiano fu il Cenacolo, o Camera alta, dove Maria e i discepoli si riunirono a pregare dopo la morte di Cristo. Ma, in generale, i cristiani continuarono a frequentare la sinagoghe (per ascoltare le letture dei testi sacri) e a riunirsi in ambienti domestici, più o meno riservati e adattati alla pratica del culto eucaristico, ai quali, per convenzione, si dà il nome di domus ecclesia. L'esempio più noto di edificio cristiano primitivo è quello di Dura Europos (in Siria) con un ambiente di culto che poteva accogliere una settantina di persone e uno spazio battesimale riccamente decorato (cfr. FIG. 2..1). Un altro è l'edificio rinvenuto recentemente a Kefar 'Othnay, antico insediamento militare romano di Legio, nel Nord della Palestina, dove una stanza pavimentata con mosaico aveva iscrizioni che ne attestano il carattere cultuale cristiano. La datazione

2.. Sull'evoluzione della terminologia utilizzata per definire i luoghi di riunione e culto cristiano, cfr. Mohrmann (1962.; su ecclesia in particolare, pp. 158-64). Sui luoghi di riunione cristiani prima del IV secolo, tema molto dibattuto dopo la Seconda guerra mondiale, cfr. oltre ai lavori già citati supra, p. 13, Snyder (1985) e White (1990-97 ). Una buona sintesi in Duval (2.006).

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2.. ARCHITETTURA E ARREDO

FIGURA 2..1

Edificio di culto cristiano di Dura Europos (Salhiyeh, Siria)

Dura Europos era un importante centro commerciale, ubicato presso l'Eufrate, alla frontiera con la Mesopotamia. Gli scavi realizzati nel 1931-32. scoprirono una casa utilizzata come luogo di riunione cristiana, articolata intorno a un cortile con una sala per l'assemblea che poteva accogliere 50-60 persone e un'altra adibita a battistero con vasca battesimale e pareti affrescate con scene dell'Antico e Nuovo Testamento. La distruzione della città da parte dei persiani nel 2.56 offre un prezioso terminus ante quem per la datazione. Vicino a questo edificio di culto cristiano furono anche documentate una sinagoga, un mitreo e un tempio pagano (cfr. Hopkins, 1934; Kraeling, 1967).

Fonte: Orlandos (19s2-S4, voi. I, p. 1s, fìg. 6).

intorno al 230 d.C. (proposta a partire dal mosaico, dalle caratteristiche paleografiche e dal contenuto delle iscrizioni e dei rinvenimenti materiali) permette di identificarlo come uno tra i più antichi spazi di culto cristiano mai documentati (FIG. 7.1). Infine si può citare la casa di Pietro a Cafarnao in Israele, luogo di devozione, dove fu ospitato Gesù dopo aver lasciato Nazareth e usata dopo la sua morte come sito di riunione della comunità cristiana locale, che vi lasciò un grande numero di graffiti devozionali. Questo spazio

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

ebbe un'occupazione ininterrotta fino alla metà del v secolo, quando fu sostituito da un edificio ottagono ( Corbo, 1972.; 1993; cfr. FIG. 2..2.). Pur se questi tre esempi si sviluppano probabilmente attraverso la ristrutturazione di uno spazio domestico, è importante sottolineare come non fossero "case private nelle quali si radunavano i cristiani", bensì veri e propri spazi usati esclusivamente per il culto cristiano che ne escludeva quindi un uso residenziale. Non si sviluppò quindi alcun tipo particolare di architettura sacra fino a quando la crescita delle comunità e delle loro risorse portò a una istituzionalizzazione che richiese edifici più adeguati al culto. Questa trasformazione era già compiuta probabilmente nel corso del III secolo: Eusebio di Cesarea (2.65-339) evoca come dopo la persecuzione di Valeriano (2.56-2.67) ci fu una certa libertà di culto e moltitudini di cristiani riempirono le domus di preghiera {,proseukteria) facendo sì che questi luoghi domestici (oikodomeseis) non fossero piu sufficienti e venissero costruite chiese con nuove piante di grandi dimensioni (Historia Ecclesiastica VIII, 1, 5). Nel IV secolo, Lattanzio descrive una chiesa di Nicomedia, contemporanea dell'imperatore Diocleziano, come un edificio imponente, costruito su una collina in un quartiere popolato ed elegante. Il filosofo Porfirio (ca. 2.74) critica i cristiani perché: «imitando la costruzione dei templi edificavano grandissimi edifici ali' interno dei quali si riunivano per pregare» (frammento 76)3. In Africa, alcuni "processi verbali" e altri documenti datati all'epoca delle persecuzioni dioclezianee si riferiscono a edifici che, almeno per quanto riguarda l'organizzazione interna, possedevano già alcune caratteristiche distintive delle chiese. Negli Acta purgationis Felicis Abthugnitani (redatti tra il 313 e il 315, ma riferiti a eventi del 305) un duumviro pagano menziona la distruzione di basiliche cristiane in varie città del Nordafrica. La chiesa di Tiro, per la quale Eusebio scrisse il sermone di inaugurazione, venne costruita come ampiamento di un edificio più piccolo (Historia Ecclesiastica x, 4, 14, 2.7-37 ). E negli atti del Concilio ispanico di Elvira (canon 36), datato al 300, si fa riferimento ai dipinti nelle pareti delle chiese, che quindi esistevano. Molte, all'inizio del IV secolo, furono

3. Cfr. Cipriano di Cartagine, Epistulae XXXIX, 4, 1 e 5, 2; Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica VIII, 1, 5; Porfirio, Contro i cristiani, frag. 76; Lattanzio, De mortibus persecutorum 12, 3-4; Caseau (2001, p. 57, nota 73). Analisi della testimonianza di Eusebio in White (1990-97, voi. I, pp. 127-30 ).

60

2..

ARCHITETTURA E ARREDO

FIGURA 2..2.

La casa di Pietro a Cafarnao (Kefar Nahum, Israele), oggetto di scavi negli anni Sessanta e Ottanta

a

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10m

b a) Lo spazio domestico fu modificato per accogliere riunioni di culto dopo la morte di Gesù; nel IV secolo fu dotato di un ampio recinto e alcuni ambienti vennero leggermente trasformati; b) l'edificio di culto venne completamente demolito e si ricostruì come una chiesa ottagonale monumentale verso la metà del v secolo. Fonte: Corbo (1993, pp. 7~-3).

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

distrutte dalle fondazioni al tetto e non fu fino a Costanzo Cloro (305306) e Galerio (311) che fu permesso di nuovo ai cristiani di costruire edifici per le loro riunioni (Historia Ecclesiastica VIII, 17, 9 ). I testi latini identificano gli edifici di culto come domus orationis con la loro corrispondente greca (proseukteria). Molto raro è invece l'uso di domus ecclesiae che compare in Gaudenzio come sinonimo di ecclesia ( «nos qui sumus in domo ecclesia congregati», Tractatus IV, 50). In alcuni casi viene già usato il termine basilica, senza specificare se si tratti di una chiesa episcopale, suburbana o di un edificio minore (ad esempio in Gerolamo, Epistolae LXXII) mentre Eusebio di Cesarea si riferisce agli edifici del III secolo come ecclesiae (Historia Ecclesiastica VII, 15). In conclusione, pur tenendo conto (per alcuni autori che vissero nel IV secolo) di una possibile proiezione al passato della situazione contemporanea, è dunque evidente che la convergenza di tutte queste testimonianze indica che esistevano già chiese monumentali prima di Costantino. Purtroppo, di queste prime chiese non ci sono riscontri archeologici, probabilmente perché vennero distrutte durante le persecuzioni o forse perché, per convenzione, alcuni edifici sono stati datati all'epoca costantiniana quando, in realtà, potrebbero risalire alle decadi precedenti. In base alla quantità e relativa omogeneità di chiese che compaiono in tutto l'Impero nel primo quarto del IV secolo, è verosimile che esistesse già una tradizione architettonica più antica. Per quello che riguarda Roma, oggi si conviene che l'attribuzione a epoca precostantiniana delle 25 chiese menzionate dal Liber Ponti:ficalis è sicuramente una forzatura di questo documento per collocare tali spazi all'epoca delle persecuzioni. Non c'è dubbio sull'esistenza di luoghi in cui i cristiani si riunivano per pregare prima della Pace della Chiesa, ma le cosiddette domus ecclesiae sono a tutt'oggi, salvo qualche rara eccezione, invisibili archeologicamente. li problema delle domus ecclesiae si intreccia con il tema dei tituli romani che vede numerose chiese dei secoli IV e v ubicate nel luogo dove esistevano edifici residenziali e quindi in continuità con le chiese domestiche precostantiniane. In realtà la mancanza di evidenze archeologiche per sostenere tale continuità ha fatto oggi abbandonare questa ipotesi 4.

4. Il tema fu affrontato da Kirsch (1918) e criticamente rivisto da Pietri nel 1976. Sulla mancanza di riscontri archeologici relativi a questi spazi di culto cristiani di

2. ARCHITETTURA E ARREDO

2.2

La rnonurnencalizzazione dell'architettura cristiana Nelle chiese la comparsa di una tipologia monumentale risale al IV secolo, a partire dalla promozione, da parte dall'imperatore Costantino, di una serie di edifici che dovevano svolgere la funzione di chiese vescovili e di altri edifici destinati a commemorare luoghi legati alla morte e alla Resurrezione di Cristo. Attualmente si accetta il fatto che, anche se alcuni tipi di pianta erano sicuramente più adatti alla sinassi (quelle longitudinali) o al culto martiriale (quelle centrali), la scelta di una o dell'altra può essere indipendente dalla funzione dell'edificio, perché tutte le chiese erano fondamentalmente concepite per la liturgia eucaristica, a prescindere dal fatto che fossero state costruite su un luogo particolarmente sacro (la tomba di Cristo o di san Pietro, la grotta della Natività, ad esempio), o ospitassero o meno una reliquia prestigiosa1• Le prime, con piante longitudinali, probabilmente si ispirarono alle basiliche civili romane; per le seconde, a pianta centrale, gli architetti di Costantino trassero ispirazione dai grandi mausolei imperiali di quel periodo. 2.2.1. PIANTE A SVILUPPO LONGITUDINALE

I primi edifici monumentali edificati ex novo per ospitare il culto eucaristico avevano una pianta longitudinale per favorire l'esistenza di un asse est-ovest, con l'altare in uno dei lati brevi e l'ingresso nell'estremità opposta. Le due aule rettangolari parallele che componevano l' ecclesia episcopalis di Aquileia ne rappresentano il modello più semplice e, probabilmente, uno dei più antichi (FIG. 2..3). Una composizione ad aule rettangolari parallele avevano anche il primo complesso episcopale di Parenzo e quello di Treviri, fondato poco dopo il 32.6 e costituito da due basiliche e da un battistero rettangolare.

tipo domestico (salvo qualche caso isolato, come quello del titulus Pammachi socco la chiesa dei Santi Giovanni e Paolo), cfr. Pietri (1976, voi. I, pp. 92-6, 461-514). Si veda anche la critica di Wataghin (2014, pp. 583-90) e Guidobaldi (2000 ). 5. Contrariamente quindi a quanto stabilito da André Grabar (1943-46), che legava le forme centrali a edifici con funzione marciriale, importante lavoro che ha avuto una notevole ripercussione negli scudi successivi. Una recensione critica a questo lavoro in Kraucheimer (1969, pp. 151-60 ).

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 2..3 Il complesso episcopale di Aquileia

a

b

e

a) Aule teodoriane, datate, grazie a un'epigrafe dedicatoria in mosaico (b) all'epoca del vescovo Teodoro, che partecipò al Concilio di Arles nel 314. Le due aule, divise in tre navate, formavano con un altro edificio uno schema a U, e lo spazio intermedio tra le aule era occupato dal battistero; e) ubicazione del complesso episcopale e delle chiese suburbane ad Aquileia (cfr. Bertacchi, 1986a; 1986b; da ultimi, con riferimenti precedenti, cfr. Villa, 2.003, pp. 501-IO; Cuscito, 2.006). Fonte: Lusuardi Siena, Baracco (2013, p. 192, fìg. 37 ).

Queste prime chiese si ispiravano alle basiliche imperiali romane, costruzioni ampie a pianta longitudinale, spesso suddivise da colonnati e concluse o meno da un' abside6, grandi complessi promossi dall'imperatore Costantino (tra cui la basilica del Laterano a Roma, quella degli Apostoli a Capua, come altre chiese in Ostia, Napoli, Antiochia, Gerusalemme e Costantinopoli; cfr. FIG. 2.4). Questa tipologia di edificio e la sua struttu-

6. Per assemblee, tribunale, mercato, sala di udienza ecc. Sul tema dell'origine e significato della basilica cristiana esiste un'esauriente bibliografia dai classici lavori di Kraucheimer (1939, 1954, 1967); Ward-Perkins (1954); Duval (1962.), con l'analisi critica di questi lavori fatta da Finney (1988), in cui sottolinea il background teologico dei vari studiosi e la sua ripercussione nelle loro conclusioni.

2.. ARCHITETTURA E ARREDO FIGURA 2..4 La basilica Costantiniana a Roma

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Dedicata originalmente al Salvatore e poi a San Giovanni fu iniziata dopo il 312. e verosimilmente consacrata entro il 32.4; era concepita per il culco "regolare" presieduto dal vescovo e costituita da un'enorme aula longitudinale di 100 x 56 m, con copertura a capriate, articolata in una navata centrale e quattro laterali di altezza via via minore. La navata centrale poggiava su due fìle di ventuno colonne alce 9,60 m che sostenevano una trabeazione orizzontale continua, mentre le lacerali avevano colonne di 3,5 m su cui poggiavano archi in laterizi. La navata centrale possedeva una sorca di corridoio processionale ( 4) per collegare l'ingresso principale con l'estremità ovest occupata da una grande abside. L'area del presbiterio era preceduta da una struttura denominata fastigium (5) ed era dominata dall'altare (1), con una cattedra presso l'abside (2.) e un banco presbiceriale o synthronos (3). Il battistero, a pianta centrale, si trovava a 60 m della chiesa (cfr. Kraucheimer, 1937-80, voi. v, pp. 1-96; de Blaauw, 1994, pp. 107-37). Fonte: de Blaauw (2016, fìg. 1, p. s61; fìg. 2, p. s62).

razione spaziale compaiono contemporaneamente in molte regioni senza che ci fosse l'intervento imperiale: è il caso della cattedrale di Tiro, descritta da Eusebio di Cesarea e probabilmente anteriore alla chiesa di Roma7•

7. Analisi di questa descrizione, realizzata con motivo dell'inaugurazione della chiesa, infra, pp. 79-80. Sull'attività edilizia di Costantino cfr. Wilkinson (1993b) (per la Palestina) e da ulcimo i cesti raccolci nel XVI Congresso internazionale di archeologia cristiana dedicato a L'innovazione Costantiniana, le sue radici e i suoi sviluppi, pubblicato nel 2.016 (xvi CIAC).

65

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA l.5

Chiesa siriana con copertura in pietra

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In alcune aree, nelle quali il legno scarseggiava, i tetti potevano essere costruiti in pietra: a) pianta della chiesa; b) sistema di costruzione di un tetto in pietra. Fonte: Orlandos (1952-54, voi. 11, p. 137, fìg. 232).

Molte chiese costruite tra IV e VI secolo si conservano ancora in alzato a testimoniarne la funzionalità, che non è venuta meno neppure con i cambiamenti nella liturgia. Il carattere neutro che nel IV secolo aveva il termine "basilica" fece in modo che questa parola diventasse rapidamente sinonimo di "chiesa", senza peraltro assumere una specifica connotazione architettonica, perché non sempre le "basiliche" avevano pianta longitudinale. Le coperture delle chiese basilicali erano generalmente a capriate, caratteristica che rese necessario, nelle chiese più grandi, una divisione in navate con pareti che sostenevano il tetto coperto da tegole. In alcune regioni, come in Siria, la scarsità di legno richiese tipologie particolari con strette navate rivestite da blocchi di basalto (cfr. FIG. 2.5). I pavimenti delle chiese potevano essere in marmo o mosaico, laterizio, cocciopesto o in semplice battuto e a volte se ne utilizzavano varie tipologie per distinguere le varie aree della chiesa. Avevano invece funzione di cimiteri cristiani coperti le chiese a deambulatorio o circiformi, caratteristiche del suburbio di Roma, così dette in quanto la loro planimetria richiama quella dei circhi romani

66

2. ARCHITETTURA E ARREDO

FIGURA 2.6

Resti della basilica circiforme presso la via Ardeatina (Roma)

La basilica fu fondata da papa Marco: nell'immagine la ricostruzione proposta dopo gli scavi archeologici. Fonte: Fiocchi Nicolai (~016, p. 666, fig. ~o).

(cfr. FIGG. 2.6 e 2.7) 8• Vennero edificate nel IV secolo lungo le strade che portavano alla capitale, in onore di martiri: Santi Marcellino e Pietro sulla Labicana, Santi Apostoli sulla via Appia, Santa Agnese sulla Nomentana, San Lorenzo sulla Tiburtina, la basilica di Tor de' Schiavi sulla via Prenestina. Quella scoperta da Vincenzo Fiocchi Nicolai sulla via Ardeatina, presso la catacomba di Callisto, a 600 m circa dal bivio Quo Vtidis, è stata identificata come la basilica che papa Marco edificò intorno al 336, grazie al contributo dell'imperatore Costantino (Liber Pontificalis 1, p. 202; Fiocchi Nicolai, 1999; 2002). Importanti luoghi di venerazione, queste basiliche furono fondamentalmente concepite come spazi funerari di grande dimensione, ed erano quasi interamente occupate da sepolture (cfr. FIG. 2.7). Ad alcune di queste chiese furono addossati inoltre mausolei monumentali, in

8. Cfr. Guyon (1987); La Rocca (2000); Fiocchi Nicolai (2001a, pp. 53-8; 61-2, sull'edificio di via Ardeatina; 2002); Lehmann (2003). In particolare sulla basilica Apostolorum cfr. Nieddu (2009).

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA

2..7

Pianta della basilica Apostolorum presso la via Appia (Roma) con tutti gli annessi funerari

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Fonte: Fiocchi Nicolai (2016, p. 66s, fìg. 28), a partire da Nieddu (1999).

certi casi imperiali, come quello inizialmente concepito per Costantino presso la basilica dei Santi Marcellino e Pietro, ma dove poi fu sepolta sua madre Elena, il mausoleo di Santa Costanza presso la chiesa di Santa Agnese o quelli costruiti a sud del transetto della basilica di San Pietro. 2.2.2. CHIESE A PIANTA CENTRALE

Un'altra tipologia che trae origine dalle architetture tardoantiche, in particolare dai mausolei monumentali, è quella a pianta centrale che compare per la prima volta in Palestina, in rapporto alla monumentalizzazione dei luoghi legati alla morte e Resurrezione di Cristo 9 • Il più

9. Sulle chiese a pianta centrale si vedano le monografie di Untermann (1989) e Shalev-Hurvitz (2.015), oltre agli articoli di sintesi di Cantino Wacaghin (1996) e Duval (1996).

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2.. ARCHITETTURA E ARREDO

FIGURA 2..8

Il Santo Sepolcro a Gerusalemme, la prima chiesa a pianta centrale I•

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La chiesa fu costruita per desiderio di Costantino come monumento funerario di Cristo nel luogo in cui fu rinvenuta la sua tomba. All'Anastasi (di pianta centrale) (1) che sovrastava il Sepolcro (4), si aggiunse poi una basilica ad est (6) preceduta da un atrio (9) che si affacciava sul cardo massimo (11) di Gerusalemme. A nord della Rotonda si trovava il palazzo del vescovo (3) e a sud il baccistero ( 7), poiché il Santo Sepolcro aveva la funzione di caccedrale della ciccà. Alcri elementi erano: chiesa della Croce (s); chiesa del Golgota (8); ingresso (10); ubicazione del foro di Adriano (12.). Fonte: Wilkinson (199}. p. 25), con modificazioni dell'aurrice.

importante è la rotonda dell'Anascasi (o Resurrezione), più conosciuta come Santo Sepolcro in Occidente (cfr. FIG. 2.8 ). Fu costruita per iniziativa dell'imperatore Costantino nel luogo dove venne scoperta la tomba di Cristo e inaugurata nell'anno 335 (Pacrich, 1993; Shalev-Hurvicz, 2015). Sempre a pianta centrale era anche la chiesa realizzata, era il 327 e il 341, presso il palazzo di Antiochia, identificata con l'edificio ottagonale rappresentato in un mosaico rinvenuto nel suburbio della città. In questo caso non ne è chiara la funzione (cattedrale, martyrium o chiesa

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA l,9

Chiese a pianta centrale databili tra IV e VIII secolo

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a) Kathisma (Gerusalemme); b) San Lorenzo (Milano); e) San Gereon (Colonia); d) Santa Sofia di Benevento. Fonte: elaborazione dell'autrice.

palatina?) (Downey, 1961, pp. 342, 345; Deichmann, 1972). L'Anastasi ispirerà poi numerose chiese monumentali nella stessa Palestina, come quelle edificate dopo il Concilio di Efeso per ricordare i luoghi della vita della Theotokos ("Genitrice" o "Madre di Dio"): come la chiesa di Kathisma sulla pietra in cui si sedette nel viaggio a Betlemme e molti altri edifici in Oriente e in Occidente. In Occidente gli esempi più antichi includono la chiesa suburbana di San Lorenzo a Milano, San Gereon a Colonia (cfr. FIG. 2.9) e Santo Stefano Rotondo sul Celio a Roma, costruita tra il 468 e il 483 10 • È interessante ricordare come poco dopo la costruzione della rotonda del Sepolcro di Cristo, l'imperatore Costantino pianificò di edificare una chiesa a Costantinopoli per onorare la memoria dei dodici apostoli,

10. Su San Lorenzo, cfr. Fieni (2.005). Su San Gereon, cfr. Ristow (2.007, pp. 116l2.). Su Santo Stefano Rotondo, cfr. Brandenburg (2.001) e Brandenburg, Pii (2.000 ).

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2..

ARCHITETTURA E ARREDO

FIGURA 2..10

Chiese a pianta centrale edificate nel VI secolo

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a) San Polieucto (Costantinopoli); b) Santa Sofia (Costantinopoli); e) Santi Sergio e Bacco (Costantinopoli); d) San Vitale (Ravenna). Fonte: elaborazione dell'autrice.

nella quale poi chiese di essere sepolto. L'edificio potrebbe aver avuto in origine una pianta circolare (poi ricostruita come cruciforme da Giustiniano"), non dissimile da quella del mausoleo di sua madre Elena che, tra l'altro, è contemporaneo all'Anastasi e al mausoleo di sua figlia Costantina (ca. 340) (Shalev-Hurvitz, 2015, pp. 174-6). Non è comunque ancora chiaro, a causa dell'ambiguità delle descrizioni dei contemporanei, se questa chiesa-mausoleo fu subito (forse in epoca del figlio di Costantino, Costanzo) affiancata da una basilica cruciforme, forma poi ripresa dalla ricostruzione giustinianea (Johnson, 2009, pp. 119-28 ). Le piante centrali ebbero un enorme sviluppo nel VI secolo, durante e dopo il governo di Giustiniano. Tra i primi esempi, San Polieucto (520-526), costruita a Costantinopoli da Anicia Giuliana per rivendicare la nobile origine della sua famiglia. L'edificio fu poi imitato da Teodora e Giustiniano nella chiesa dei Santi Sergio e Bacco (527-536) e superato (almeno in dimensioni) da Santa Sofia (537) (cfr. FIG. 2.10 ). Il successo e il prestigio di questi edifici ispirarono anche San Vitale a Ravenna (ca. 526-547 ), la chiesa di Santa Maria ad Perticas di Pavia (cfr.

11.

pp.

Una sintesi recente su quesro edificio con ampia bibliografia in Leeb (1992., oltre a Downey (1951); Janin (1953, pp. 46-55); Dark, Ozgiimii~ (2.002.).

93-12.0 ),

71

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 2.11

Santa Maria ad Perticas (Pavia), sezione longitudinale in una incisione settecentesca

Fonte: disegno di G. A. Veneroni.

FIG. 2.u), fondata nel 680 dalla regina longobarda Rodelinda, quella di Santa Sofia di Benevento, costruita dal duca Arechi II ( 758-787) attorno al 760 e la cappella palatina di Carlo Magno ad Aquisgrana ( 796). Questi edifici erano molto apprezzati dai contemporanei in quanto richiedevano una notevole perizia tecnica, in particolare per la costruzione di volte sugli ambulacri laterali e di cupole centrali che davano luogo a spazi molto ampi con muri "dematerializzati" e gran quantità di luce naturale (éurcié, 2010, p. 21). Basti ricordare le difficoltà tecniche per la costruzione della grande cupola di Santa Sofia e lo stupore che la chiesa di San Vitale di Ravenna suscitava ancora nel IX secolo nel cronista Agnello, tanto da fargli scrivere che non esisteva in Italia nessuna chiesa simile per architettura e accorgimenti tecnici (Agnello di Ravenna, Liber Pontiflcalis Ecclesiae Ravennatis 59 ). Le chiese cruciformi nascono dalla ricerca di un'architettura significativa per le memorie dei martiri. Già dal primo cristianesimo la croce divenne un potente simbolo per i cristiani, dal momento che rappresentava sia il martirio di Cristo sia la sua vittoria, come segna-

72

2..

ARCHITETTURA E ARREDO

lava un'iscrizione dedicatoria che decorava la chiesa cruciforme dei Santi Apostoli, poi San Nazaro, edificata dal vescovo Ambrogioll. La croce diventò anche (ma non solo) una immagine molto legata al potere imperiale, prima a Costantino (e alla sua visione precedente alla battaglia sul ponte Milvio) poi, grazie alla presenza di reliquie della croce nel palazzo di Costantinopoli, agli imperatori successivi. Cruciforme era il martyrium che, nell'ultimo venticinquennio del IV secolo, costruì il vescovo Gregorio di Nissa; viene edificata con questa forma pure la cattedrale di Gaza per espresso desiderio dell' imperatrice Licinia Eudossia' 3• In Occidente erano cruciformi ad esempio, oltre alla chiesa dei Santi Apostoli a Milano, quelle di San Lorenzo ad Aosta, San Lorenzo a Grenoble o Santo Stefano di Verona. In epoca giustinianea furono costruiti degli edifici di grande monumentalità, come la chiesa dei Santi Apostoli a Costantinopoli (ricostruita), o di San Giovanni a Efeso. Con la riconquista, tra VI e VII secolo, questo tipo di chiesa si diffonde in Sardegna e nella Penisola iberica soprattutto nel VII secolo' 4 (cfr. FIG. 2..12.). Ancora nell'xI secolo la pianta cruciforme venne utilizzata per la basilica di San Marco a Venezia, ispirata alla chiesa giustinianea dei Santi Apostoli di Costantinopoli non solo per quanto riguarda la pianta ma anche, custodendo le reliquie di san Marco, per le aspirazioni politiche e commerciali della città nei confronti della capitale bizantina. Un simbolismo ripreso poi nella cattedrale romanica di Cefalù dedicata ai Santi Apostoli e concepita come mausoleo dinastico dal re normanno Ruggiero II (u30-u54), a sottolineare la potenza e la cristianità del regno normanno in Sicilia. Una tipologia particolare di pianta centrale è costituita dagli edifici a tricora (con quattro o tre absidi ubicate sui lati di un quadrato; cfr. FIG. 2..13). Eredità del mondo tardoantico quando venne usata per sale da pranzo monumentali, spazi termali e mausolei, questo tipo di edificio viene impiegato in costruzioni ecclesiastiche a partire dal v secolo. Le tricore possono essere di vari tipi: r. tricora libera; 2.. tricora

12.. Secondo la Silloge di Lorsch (rLcv, n. 1800) del IX secolo: «Forma crucis cemplum est, templum victoria Christi. Sacra criumphalis signat imago locum ». 13. Marco Diacono, Vita Porphyrii 75; cfr. Mango (1986, pp. 30-2.); un commento del cesto in Sodini (2.013, p. 841). 14. Sulle chiese cruciformi in Sardegna, cfr. Coroneo, Martorelli (2.013);Johnson (2.009); per la Penisola iberica, cfr. Chavarria Arnau (2.018a, pp. 166-8).

73

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

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Chiese a piama cruciforme

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a) Santi Apostoli (Costantinopoli); b) San Giovanni Evangelista (Efeso); e) Santi Apostoli/San Nazaro (Milano); d) San Marco (Venezia). Fonte: elaborazione dell'aurrice.

iscritta in un quadrato; 3. tricora che si sviluppa successivamente in un corpo longitudinale. Pare che per il suo carattere simbolico (si tratta di una croce con i lati terminanti in absidi) fosse usata particolarmente per costruzioni di tipo martiriale o funerario (chiesa di Cnosso, sepoltura di Mosè sul monte Nebo in Giordania, a Concordia) o, più raramente, in battisteri (Invillino, Giustiniana Prima), il cui significato, come sappiamo, sarebbe comunque da riportare alla sfera funera-

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2.. ARCHITETTURA E ARREDO

FIGURA 2..13

Chiese e battisteri a pianta tricora

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a) Betika (Croazia); b) lnvillino (Friuli); e) Campo la Fontana (Capriati al Volturno, Caserta); d) Santa Mariaforis portas (Castelseprio, Varese); e) Bilice (Croazia);

j) Miistair (Svizzera). Fonte: elaborazione dell'autrice.

ria. Forme trilobate sono anche state utilizzate in edifici con funzione di cattedrale, ad esempio a Se. Peter in Holz (nel Norico), Resafa e Bosra in Siria. 2..2.-3- LE ABSIDI

Un ruolo rilevante, nella pianta, assume la presenza di un'abside sviluppata verso l'esterno. Ad Aquileia e nell'area dipendente dal suo patriarcato, numerose sono le chiese prive di abside. Sono anche frequenti le chiese con absidi semicircolari iscritte in una muratura rettilinea, ad esempio in Siria, Giordania, Nordafrica, Adriatico e

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 2..14

Tipologie diverse di absidi

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a) Chiesa senza absidi; b) ad abside semicircolare; e) ad abside inscritto; d) ad abside poligonale; e) ad abside quadrangolare. Fonte: elaborazione dell'autrice.

isole Baleari. Molto più diffuse sono peraltro le absidi semicircolari, che, come si è visco, compaiono già con le prime basiliche e saranno in uso per tutto l'Altomedioevo, pur con varianti locali e temporali (ad arco oltrepassato, a ferro di cavallo, semicircolare, prolungata). A Costantinopoli e nei Balcani sono frequenti le absidi poligonali (cfr. FIG. 2..14). L'abside quadrangolare compare a partire almeno dal VII secolo in costruzioni di piccole dimensioni, soprattutto chiese funerarie di area visigota, merovingia e longobarda, ed è in uso almeno fino al XII secolo. Nel corso del Tardoantico e dell'Altomedioevo si assiste alla moltiplicazione delle absidi nelle chiese, fenomeno che potrebbe derivare da un'intensificazione del culto dei santi e dalla necessità di incrementare il numero di altari per deporre reliquie (cfr. FIG. 2..15). A Parenzo, ad esempio, la basilica Eufrasiana (VI secolo) moltiplica le absidi rispetto alla fase precedente che non ne aveva. In Lombardia, la tipologia a tre absidi compare a partire dall'vm secolo ed è stata legata a un'altissima committenza, spesso regia, come rivelerebbero le chiese triabsidate a una sola navata (Santa Maria in Valle di Cividale, Santa Maria d'Aurona di Milano, San Salvatore di Pavia) o a tre navate e tre absidi (Santa Maria alle Cacce di Pavia e San Salvatore a Brescia). Sono anche frequenti in chiese ispaniche datate a partire dal VII seco-

2., ARCHITETTURA E ARREDO

FIGURA 2..15

Chiese con tre absidi distribuite lungo l'arco alpino

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Schloss Tir Le tre absidi compaiono nell'Altomedioevo in chiese con un'alta committenza e plausibilmente avevano la funzione di accogliere e presentare più reliquie all'interno di ciascuno dei tre altari che occupavano gli spazi absidali. Fonte: Sennhauser (wo~. fìg. 8).

lo, dove sono state tra l'altro identificate tracce degli altari in ciascuna abside. In Occidente, in epoca carolingia, diventano caratteristiche di alcune aree come la Rezia o l'Alto Adriatico, in cui tale tipologia perdurerà fino a epoca romanica' 1•

15. Per l'Italia, cfr. Lo Martire (2.003); per la Rezia, cfr. Sennhauser l'Alto Adriatico, cfr. Jurkovié (2.001 ).

77

(2.003);

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

2.3

Organizzazione interna delle chiese e principali annessi Le tre componenti essenziali della liturgia cristiana (struttura gerarchizzata dell'assemblea della comunità cristiana, proclamazione della Parola Divina e amministrazione dei Sacramenti, in particolare battesimo ed eucaristia) costituiscono i principali elementi che condizionano l'organizzazione interna e definiscono l'arredo liturgico delle chiese, oltre che la presenza di annessi e determinate specificità planimetriche. Un'organizzazione gerarchica dello spazio richiede, in primo luogo, una divisione tra l'area degli officianti che svolgevano il culto e quello dei fedeli che vi partecipavano, divisione eseguita in genere con tendaggi (li descrive Egeria nel suo ltinerarium 25, 8) e cancelli. La proclamazione della Parola Divina richiede un posto elevato per la lettura, mentre il battesimo implica la presenza di uno spazio particolare per svolgere il rito; infine, il sacrificio eucaristico ha bisogno dell'altare. Speciali sistemazioni, a volte molto complesse, esigeranno poi il culto dei santi e delle reliquie. Oltre a queste componenti di base, ogni tradizione liturgica comporta varianti nell'organizzazione dello spazio e dell'arredo: tali elementi si trasformano con il tempo, quindi uno scavo minuzioso dovrebbe permettere di percepire e datare i cambiamenti che rispecchiano le trasformazioni nella liturgia. Per poter mettere in relazione organizzazione degli spazi, mobiliario e liturgia è imprescindibile che le evidenze archeologiche e le fonti scritte coincidano sia dal punto di vista geografico, sia da quello cronologico. D'altra parte è fondamentale tener conto che non solo le dimensioni e l'importanza di un determinato edificio, ma anche la sua funzione (cattedrale, chiesa di pellegrinaggio, martiriale, pievana, monastica, privata) ne determina alcune specificità liturgiche e quindi la sua strutturazione interna e la monumentalità dei dispositivi. L'obiettivo di questo capitolo è di dare alcune indicazioni generali sull'organizzazione liturgica dello spazio delle chiese, sulla posizione del mobilio che serviva per lo svolgimento dei riti (altare, banco presbiteriale o synthronon, cathedra, ambone) e sulla posizione delle recinzioni che servivano a proteggere l'area presbiteriale o i movimenti del clero al di fuori di quest'area' 6 •

16. Cfr. Van der Meer, Mohrmann (1958, pp. 135-9); Doig (2.008). Sul tema "architettura e liturgia" cfr. in particolare i lavori di Mathews (1962.; 1971); Peeters

2.. ARCHITETTURA E ARREDO

Tra il 314 e il 317, nel discorso d'inaugurazione della basilica di Tiro, probabilmente la chiesa episcopale di questa città del Libano, Eusebio di Cesarea descrive accuratamente l'organizzazione dello spazio: ha assegnato all'edificio una totalità di superficie molto maggiore di quella che ebbe l'anteriore [chiesa]. Ha munito il suo ambito di un muro che lo circonda interamente e che forma un validissimo propugnacolo a tutto il complesso edilizio. Un vestibolo grande e molto elevato che egli ha fatto ergere della parte della luce del sole, offre a coloro, pure che stanno lontano e fuori del santo recinto, una comprensiva immagine di ciò che si contempla dentro e attira gli sguardi persino degli estranei alla nostra fede verso i primi accessi[ ... ]. Non ha permesso che chi varcasse la soglia entrasse direttamente nell'interno del santuario con piedi sudici e non lavati. Ha lasciato tra il tempio e i suoi primi accessi uno spazio più vasto possibile che ha circondato e adornato di quattro portici formanti un organismo quadrangolare, sostenuto da ogni lato da colonne. Gli intercolumni sono chiusi da diaframmi di legno a forma di reticolato che si elevano a conveniente altezza. Lo spazio di mezzo però egli ha lasciato scoperto, perché si potesse vedere il sole e l'aria fosse pura ed esposta ai raggi dello stesso sole. Qui egli ha posto simboli di purificazione sacra, mentre di fronte al tempio ha disposto fontane, le quali con getto copioso offrono acqua lustrale a coloro i quali intendono entrare nell'interno del recinto sacro. Tale luogo, dove dapprima si soffermano i frequentatori della chiesa, procura a tutto l'insieme ornamento e gaiezza e per coloro che hanno bisogno delle prime nozioni [della fede] è un ritrovo ben adatto.[ ... ] Al centro dei propilei interni, ancora più numerosi, egli ha fatto aprire ampi ingressi alle navate della chiesa, e vi ha posto da un lato, esposte ai raggi del sole [nascente] tre porte, delle quali ha voluto che quella centrale sorpassasse di gran lungo le altre due laterali per altezza e larghezza. Per distinguerla l'ha adornata di pilastri di bronzo legati in ferro, di cesellature varie in bassorilievo [... ]. Terminata così la costruzione del tempio [Paolino] lo ha provvisto di sedili molto elevati per onorare quelli che vi presiedono e inoltre di banchi disposti ordinatamente per tutto il tempio con convenienza. Soprattutto ha eretto al centro il Santo dei Santi, cioè l'altare, e, perché ad esso non ci accedesse la moltitudine, lo ha chiuso con transenne lignee, nella parte superiore lavorate con straordinaria

(1969) e, più recenti, quelli di Sible de Blaauw (2.001; 2.008, coli. 353-393; 2.012.; 2.016). All'organizzazione liturgica delle chiese sono stati dedicati due Colloquia IRCLAMA (il v, pubblicato nel 1999, e il xv, del 2.009) e il colloquio Architektur und Liturgie (Altripp, Nauerth, 2.006). Per una sintesi delle principali problematiche, cfr. Duval (1993; 1999; 2.006; quest'ultimo più completo, ma senza immagini).

79

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 2..16

Proposta ricostruttiva di una chiesa tardoancica

Ambienti annessi

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Fonte: elaborazione dell 'aucrice.

finezza artistica, per modo che offrisse agli spettatori una visione stupenda. Anche al pavimento egli non ha negato la sua attenzione e lo ha adornato di marmo di ogni bellezza. Così pure si è curato dell'esterno del tempio, e ha fatto preparare in tutt'e due i lati con senso d'arte esedre e locali assai vasti, che si uniscono insieme ai lati della basilica e sono connessi con gli ingressi

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2..

ARCHITETTURA E ARREDO

conducenti al centro dell'edificio. Tali ambienti sono stati costruiti dal nostro pacifico Salomone edificatore della casa di Dio per coloro che hanno ancora bisogno di purificazione e abluzioni date a mezzo dell'acqua e dello Spirito Santo (Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica x, 4). La descrizione di Eusebio riferisce già nel dettaglio tutti gli elementi che caratterizzeranno l'architettura e l'organizzazione interna delle grandi chiese tardoantiche: atrio esterno, ingresso tripartito tramite un vestibolo monumentale, area presbiteriale protetta da cancelli e dove si trova l'altare, e il synthronon o banco per il clero' 7• Altre descrizioni come quella delle Costituzioni apostoliche, scritte in Oriente tra il 375 e il 38o d. C., ma basate in parte sulla Didascalia del III secolo, e quella del Testamentum Domini confermano e aggiungono, come vedremo, ulteriori informazioni di utilità (cfr. FIG. 2.16). 2.3.1. L'ORIENTAMENTO DEGLI EDIFICI

Uno degli aspetti più discussi nello studio dell'architettura ecclesiastica primitiva è quello dell'orientamento delle chiese, ed è legato alla volontà di privilegiare i sacerdoti o i fedeli nel rivolgere lo sguardo ad est durante la celebrazione (cfr. FIG. 2.17 ) 18 • I primi edifici monumentali che conosciamo avevano l'ingresso a oriente e quindi il sacerdote ufficiava verso i fedeli e verso est, mentre questi erano invece rivolti ad ovest: aveva questo orientamento la basilica di Tiro, come abbiamo appena visto, quella lateranense e la maggior parte delle basiliche di Roma, la chiesa del Santo Sepolcro a

17. Alcuni passaggi sono ancora discussi era gli studiosi, come quello relativo ai banchi (per i fedeli o per il clero?) - cfr. Mango (1986, p. 5, nota 6); Camino Wataghin (2.014, p. 595); o quello relativo alle esedre, ambienti esterni forse per i catecumeni. È interessante notare come l'orientamento (con facciata ad est), la struttura tripartita (con naos e sancta sanctorum) e alcuni elementi, quali la presenza di colonne o di tendaggi per distinguere gli spazi, ricalcano il tempio di Salomone, che persino menziona alla fine della descrizione; cfr. Hamblin, Seely (2.007, pp. 103-5); Wilkinson (1993a, p. 2.2). 18. Il tema dell'orientamento delle chiese antiche viene indagato a partire del Concilio Vaticano II per legittimare il cambiamento di orientamento della messa versus populum. Cfr. de Blaauw (2.010 ); Rauwel (2.010 ), che analizzano i lavori di Nussbaum (1965); Metzger (1971). Più in generale Piva (2.013), che lega a questo tema le chiese a doppia abside.

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 2..17

L'orientamento delle chiese

Illustrazione tratta dall'Evangeliario di Dogron, in cui l'officiante e il clero sonorivolti verso est e quindi verso la cathedra durante la messa. Fonte: Heitz (1987, fig. 3).

Gerusalemme, alcune chiese in Africa. In questo modo quando in alcuni sermoni sant'Agostino dice, dopo l'omelia, «conversi ad dominum oremus », starebbe indicando ai fedeli di girarsi verso est e pregare. Nelle Costituzioni apostoliche si stabilì per la prima volta, invece, che le chiese dovessero avere il santuario nell'estremità est dell'edificio per permettere la preghiera dell'assemblea verso oriente, anche se esse non indicano su quale lato dell'altare si collocasse l'ufficiante. Questa "norma" pare abbia avuto molte eccezioni, derivate spesso dall'orientamento di impianti edilizi precedenti o dalla rete viaria nella quale si inserivano gli edifici di culto. Paolino di Nola, all'inizio del v secolo, si riferiva ancora alle chiese occidentali (con ingresso ad est) come quelle abituali (Epistolae XXXII, 13). L'orientamento verso est degli edifici si impone soltanto a partire dal VI secolo per impulso probabilmente dell'imperatore Giustiniano; sarà poi adottato ovunque nell'Impero carolingio. I liturgisti franchi dell'vm-Ix secolo sono abbastanza precisi in questo senso, indicando

l. ARCHITETTURA E ARREDO

per i celebranti l'orientamento ad est per la preghiera regolare e il versus populum come un movimento occasionale legato a momenti della liturgia in cui si rivolgevano direttamente ai fedeli 19 • Nell'830 Valafrido Strabone considerava l'abside ad est come usus frequentior perché permetteva ai fedeli di orientare lo sguardo, anche se l'abside ad ovest non era certo disdicevole, giacché ricordava quella del Santo Sepolcro a Gerusalemme e di San Pietro a Roma 1°. La collocazione ad ovest (come nel rito romano) o ad est del principale polo liturgico ( con l'altare eucaristico) e la direzione della messa furono probabilmente il motivo principale che portò ad alcune particolarità architettoniche e a strutture liturgiche specifiche nelle chiese tardoantiche e altomedievali, come le chiese ad absidi contrapposte, i controcori, l'ambone siriano, forse anche i Westwerk. 1.3.2. GLI SPAZI DI ACCOGLIENZA: ATRIO, VESTIBOLO E NARTECE

La facciata degli edifici (ad est o ad ovest) presentava generalmente uno o più ingressi principali (generalmente tre, come ricordo della Trinità) in corrispondenza con le navate (Testamentum Domini I, 19). A volte esistevano anche accessi secondari situati nei muri nord o sud dell'edificio e nelle prossimità del presbiterio, forse riservati al clero. Nei grandi complessi ecclesiastici l'ingresso poteva essere preceduto da un ampio cortile con portici (atrium) di tre o quattro lati. Oltre a costituire uno spazio di passaggio tra l'esterno e la chiesa e a monumentalizzare l' edificio di culto, gli atria potevano avere varie funzioni: 1. luogo di raduno dei fedeli prima dell'inizio della messa (a Costantinopoli); 2. collegamento tra chiesa e altri annessi (battistero, complessi termali, strutture monastiche) o tra due chiese nel caso dei complessi doppi, quindi luogo dove si svolgevano le processioni che andavano da un edificio all'altro; 3. accoglienza di pellegrini e ammalati che aspettavano di entrare nelle chiese o attendevano una guarigione, o asilo per quelli che fuggivano dalla giustizia; 4. luogo di raduno per il vescovo e la popolazione per at-

19. «quando dicimus "pax vobiscum" sive "Dominus vobiscum" quod est salutatio, ad populum sumus versi, quos salutamus eis faciem praesentamus. Deinde revertitur episcopus ad orientem et dicir "oremus"» (Amalario, Liber offìàalis, pp.

l88-90 ).

lo. Valafrido Strabone, Libellus de Exordiis et lncrementis Quarandum in Observationibus Ecclesiasticis Rerum, ed. A. Knoepfler.

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

tività extraliturgiche (distribuzione di alimenti ai poveri); 5. area funeraria; 6. spazio per lavaggi rituali prima di entrare in chiesa. Nessun documento scritto appoggia invece l'ipotesi, avanzata da alcuni studiosi, che l'atrio fosse il luogo dove i catecumeni seguivano la messa o, ancor meno, che con il nome atrium si designassero i complessi episcopali l i . Prima di entrare in chiesa poteva esserci un semplice vestibolo, un portico di facciata o un nartece. Il termine "nartece" (spesso utilizzato erroneamente per semplici vestiboli, ovvero ambienti di ridotte dimensioni che precedevano l'ingresso delle chiese) in testi della liturgia orientale designa un ampio corpo trasversale che occupava tutta la facciata dell'edificio e aveva numerose porte d'ingresso dall'esterno (o dall'atrio) e verso la chiesa. Questo tipo di anticorpo, che si trova fondamentalmente nel Mediterraneo orientale (in particolare a Costantinopoli), nell'Illirico, in aree dell'Africa settentrionale e in alcune chiese di Ravenna, veniva utilizzato per il raduno dagli officianti prima della messa, luogo da dove cominciava la processione che dava inizio alla liturgia della Parola. Nel caso della partecipazione dell'imperatore, il nartece era lo spazio in cui egli attendeva l'arrivo del vescovo e scambiava i saluti prima della processione; aveva quindi dimensioni notevoli ed era architettonicamente e decorativamente molto curato (Mathews, 1971, pp. 145-7; Picard, 1989c, pp. 530-1). Le estremità del nartece potevano talora assumere la forma d'abside ed essere provviste, in alcuni casi (come ad Apollonia in Cirenaica), di sedili, forse con una funzione liturgica. Si è ipotizzato che fosse questo lo spazio dal quale i catecumeni seguivano la Messa eucaristica (Tsafrir, 1993b, p. 12.). 2..3.3.

L'AULA O QUADRATUM POPULI

L'area destinata ad accogliere i fedeli (chiamata nei testi antichi aula, quadratum populi dagli studiosi moderni) era generalmente strutturata in navate che permettevano la copertura di ampie superfici. Di regola erano dispari, generalmente tre: una centrale, più ampia (lanavata propriamente detta), e due navatelle laterali, più strette e più basse

21. In generale sugli atria degli edifici cristiani cfr. i contributi pubblicati da Sapin (2002). Sugli atria per catecumeni, cfr. Testini (1980, p. 562); contro Mathews (1971, p. 125); Picard (1989c, pp. 528-9 ). Sugli atria come palazzi episcopali, cfr. Godoy Fernandez (1995); contro Duval (2000, pp. 465-71). Sui portici legati ai grandi complessi suburbani di Roma cfr. Spera (2011a).

l. ARCHITETTURA E ARREDO

FIGURA l.18

Transenna della chiesa di San Polieucto (Costantinopoli)

,1) Frammenti di transenna scoperei durante gli scavi; b) ricostruzione del manufatto. hmte: Harrison (1989, p. 116).

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

in modo da assicurare, tramite alte finestre, l'illuminazione di quella centrale. La divisione tra le navate era formata da pareti sostenute da arcate o trabeazioni poggianti su colonne o pilastri. Più rare le basiliche a cinque navate che caratterizzano alcune fondazioni imperiali. Le chiese tardoantiche erano ampiamente illuminate da grandi finestroni nella facciata, nelle navate e nell'abside. Ali' interno delle navate i fedeli erano generalmente divisi per sessi, tuttavia non pare che fossero sedutiu. I catecwneni erano separati dal resto, ma non troppo lontani affinché potessero sentire parte della messa. Questa divisione poteva anche essere sottolineata dalla decorazione musiva (come ad Aquileia o Grado) o persino (nella chiesa dell'Alcudia di Elche in Spagna) con iscrizioni che specificavano il posto che ogni fedele doveva occupare. In alcune chiese dell'Illirico e della Grecia, la presenza di transenne che chiudevano gli intercolumni della navata centrale porta a pensare che questa fosse completamente riservata agli atti liturgici e che i fedeli occupassero soltanto le navate laterali e le tribune (cfr. FIG. 2..18). Nelle chiese ad absidi contrapposte della Penisola iberica, l'uso liturgico della navata centrale lo si desume dall'esistenza di uno stretto corridoio assiale recintato. Alcune fonti, relative a Costantinopoli, descrivono i fedeli che affollavano le navate delle chiese e si spingevano contro i cancelli che proteggevano il mobiliario ubicato nella navata centrale (solea e ambone); pare dunque evidente come fosse il luogo in cui i fedeli seguivano la messa (Mathews, 1971, pp. u7-25; Taft, 1998). Sempre a Costantinopoli e in aree sottoposte alla sua influenza esisteva, al di sopra delle navate laterali e a volte pure sopra l'ingresso, c'era un piano sopraelevato (tribuna) che si affacciava sulla navata centrale. Alcune fonti indicano come da queste tribune (chiamate cathecumena o gyneceum) potevano seguire la messa le donne, anche se esse disponevano di uno spazio ulteriore al piano terra degli edifici. Il termine cathecumena per designare le tribune compare a partire dal VI secolo; secondo Mathews (1971), le loro caratteristiche (separate dalla navata e con accesso proprio) le rendeva luoghi ideali per i catecumeni (un'altra opinione, in Taft, 1998). In seguito queste tribune potevano essere riservate a personaggi, laici ed ecclesiastici, di particolare rango.

22.

Fanno riferimento a questa divisione Les Constitutions apostoliques (n, 57) e

il Testamentum Domini (I, 19).

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l. ARCHITETTURA E ARREDO

2.3.4. IL PRESBITERIO

La parte terminale della chiesa, conclusa o meno da una o più absidi, riceveva il nome di presbiterium, sacrarium, sanctuarium, altarium, tribunale o, in Oriente, di bema. Era la zona più sacra dell'edificio (perciò chiamato anche sancta sanctorum, denominazione ripresa, ancora una volta, dal tempio di Salomone a Gerusalemme), considerata la porta del Paradiso, e potevano quindi accedervi soltanto gli ecclesiastici (e l'imperatore in occasioni eccezionali), poiché era destinata all'ufficio divino. Spesso era sopraelevata rispetto alla quota della navata, per favorire la visibilità degli atti liturgici e l'ascolto degli officianti. L'area presbiteriale era separata dal resto dell'edificio tramite una recinzione in muratura, metallo, pietra, marmo o legno (cfr. Ibsen, 2017 ), costituita da pilastri con incavi sui lati longitudinali, nei quali si inserivano i cancelli, che potevano essere composti da lastre di pietra (plutei) o a traforo (transenne), talora anche da muretti o da parapetti in legno. In origine questa separazione tramite cancelli era bassa ma, con il tempo e soprattutto in Oriente, la sua altezza andò aumentando e diede luogo a una chiusura più complessa (templon), con i cancelli sormontati da colonne che reggevano archi o trabeazioni e con tende che occultavano il presbiterio in determinati momenti della messa. Dal IX secolo in poi gli spazi furono occupati da rappresentazioni di Cristo, della Madonna e dei Santi (icone) dando luogo a quella che poi verrà chiamata iconostasi, che rendeva invisibile il santuario ai fedeli. Le recinzioni presbiteriali erano decorate talvolta con schemi geometrici, repertori floreali o motivi allusivi al sacrificio (croce), all'Eucaristia (foglie di vite) o al Paradiso (albero della vita, uccelli). La figura umana compare in rare occasioni. Spesso le recinzioni originali non si conservano in situ e si trovano reimpiegate in strutture successive (ad esempio, in tombe o in murature più recenti). Ma in genere si possono avanzare delle ipotesi sulla loro posizione originaria grazie alle tracce delle basi o ai segni in negativo lasciati nei pavimenti o, a volte, in base alla collocazione di alcune sepolture interne che sembrano rispettare un limite costituito dalla recinzione presbiteriale. Le dimensioni e la forma del presbiterio cambiano a seconda della zona geografica e degli usi liturgici. In Africa, ad esempio, nei secoli IV e v l'altare era molto avanzato nella navata e quindi l'area recintata da cancelli si estendeva per una parte assai ampia dell'edificio. La

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 2..19

Rappresentazione di una chiesa del Nordafrica con tribuna

Fonte: Duval (2.001, p. 439, fig. 6).

collocazione dell'altare poteva essere indicata da un pannello musivo con un'immagine particolare (a Orléansville, ad esempio) o da una piattaforma rialzata. Lo spazio terminale del presbiterio era molto sopraelevato (da 0,50 cm a I m), sicuramente per favorire l'acustica, perché era lì che si svolgeva l'azione liturgica ( cfr. FIG. 2.19 ). Illustra questa disposizione il mosaico funerario di Valentia, rinvenuto in una chiesa di Tabarka, che mostra la rappresentazione ideale di una chiesa africana (cfr. FIG. 2.20). A partire dal VI secolo l'altare tende a situarsi immediatamente davanti all'abside e si riducono quindi le dimensioni dell'area protetta da cancelli (come nel caso di Sbeida). A Costantinopoli, l'altare si trova qualche metro davanti all'abside e viene protetto da una recinzione a forma di pi greco. Questa disposizione si trova anche in chiese dei Balcani o in alcuni edifici dell'Adriatico in epoca bizantina. In altre zone, come il Nord della Siria o la Spagna, l'altare si trova all'interno dell'abside, dove era prevista soltanto la presenza dell'officiante, il quale doveva spesso di necessità

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2.. ARCHITETTURA E ARREDO

FIGURA 2..2.0

Chiesa africana di età tardoamica

a) Mosaico funerario proveniente da Tabarka, in cui viene rappresentata una chiesa (ca. 400 d.C.; Museo del Bardo, Tunisia); b) proposta ricostruttiva. Fonte: Duval (1991a, p. s1).

pregare verso est ( versus orientem ), con le spalle rivolte ai fedeli (cfr. FIG. 2.21 ).

Nel presbiterio il clero era seduto in banchi semicircolari in muratura o legno, organizzati, a volte, a gradinate (synthronon), addossati all'abside (come nelle chiese di Costantinopoli, in quelle balcaniche o nella Giordania) o isolati, tipologia molto frequente nelle chiese del Norico e dell'Istria e in numerose chiese rurali dell'Italia settentrionale. Pare che solo il gradino superiore fosse utilizzato come sedile. Al centro della curva delsynthronon poteva trovarsi la cathedra (thronos o tribuna[), per il vescovo. Era generalmente in legno, ma se ne conservano anche alcuni esempi in muratura, pietra, marmo o in materiali più preziosi. Il principale elemento del presbiterio era l'altare: qui si celebra il sacrificio eucaristico e costituisce quindi un elemento di grande rile-

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA

2..2.1

Diversi tipi di recinzioni e aree presbiteriali

Fonte: Orlandos {1952.-S4, voi. Il, pp. 490-3, 497, fìgg. 516-52.8, 531).

vanza e venerazione, in quanto simbolo del sacrificio di Cristo e luogo in cui la sua presenza è tangibile attraverso l'Eucaristia. La sua origine è quindi duplice: da un lato deriva dalle are sacrificali romane, dall'altro dal tavolo dell'Ultima cena, il che spiega la terminologia (ara e mensa) usata per nominarlo13 • Inizialmente, gli altari erano semplici tavole di legno mobili, ma con il tempo diventano fissi e vengono realizzati in pietra, marmo o muratura (cfr. FIG. 2..2.2) 14 • La forma classica è quella di una mensa con una lastra rettangolare sorretta da quattro colonnette (stipites) negli angoli. Meno abituali sono gli altari con cinque, sei o otto colonne, dovuti a un particolare peso o alla fragilità della mensa. Dall'altezza

2.3. Sugli altari, oltre al classico lavoro di Braun (192.4), cfr. i contributi presentati all'x1 Colloquio IRCLAMA, pubblicato nel 2.005. 2.4. Il Concilio di Epaone (517) (canon 2.6) proibisce la consacrazione di altari non di pietra ( «Altaria nisi lapedea crismatis unctione non sacrentur»; il che indica comunque che ancora ve n'erano).

2.. ARCHITETTURA E ARREDO

FIGURA 2..2.2.

Principali tipologie di altari tardoantichi e altomedievali

e

d

e

a) A forma di tavolo; b) a supporto unico; e) tipo adriatico o ravennate; d) a blocco o a cippo; e) a cassa. Fonte: disegno di E. Scabio.

delle colonne (da 70 cm a 1 m), alle quali va aggiunto lo spessore della mensa, si deduce per questo tipo di altari un'altezza media di 1-1,20 m. Molto spesso è documentata soltanto la base, o zoccolo, generalmente in marmo, di forma rettangolare, con incavi per le colonne. A volte nel centro c'è un altro incavo che conteneva il reliquiario. Abbastanza frequenti sono gli altari a unico supporto, costituito da una colonna, un cippo o un'ara pagana su cui poggiava la mensa, ovvero strutture monolitiche come quelle adriatiche (un blocco rettangolare vuoto con finestrella per visualizzare le reliquie) o gli altari "cippo" della Gallia; tutti erano comunque legati a una mensa rettangolare che spesso poggiava su quattro stipites ubicati negli angoli. In Africa e nella Penisola iberica esistono anche delle mense di forma semicircolare (sigma), ma si discute se si tratti di altari o di mense funerarie o per le offerte. Più tardi sono gli altari a cassa e in muratura. Questa evoluzione è stata ben documentata nelle chiese della Giordania, dove l'altare fisso (a quattro supporti e mensa rettangolare) è ben noto soltanto a partire dalla metà

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

del v secolo e si impone soprattutto a partire dal VI, come mostrano i segni lasciati dalle basi degli stipites sui mosaici. Verso il VII secolo molti altari a tavola vengono invece sostituiti da strutture in muratura, tipologia che diventa abituale nell'vm secolo (Michel, 2001, pp. 61-9 ). L'evoluzione non è comunque omogenea. In alcune zone dell'Occidente l'altare fisso esiste già dalla fine del IV secolo e gli altari a quattro o a un unico supporto saranno predominanti fino al Bassomedioevo. Come abbiamo già visto, l'ubicazione dell'altare varia a seconda dell'area geografica: all'interno dell'abside, immediatamente davanti all'abside, nella navata. Questa varietà probabilmente era anche legata alla posizione del celebrante che cambiava durante la messa (rivolto all'assemblea o rivolto ad est). Spesso gli altari erano sormontati da una struttura chiamata ciborio, che aveva la funzione di attirare l'attenzione dei fedeli verso l'altare e compensarne la semplicità (Bogdanovic, 2017 ). I cibori potevano essere in legno impreziosito da rivestimenti in argento (come quelli tardoantichi di Roma, Ravenna o Costantinopoli) o in pietra (come quelli che a partire dall'vm secolo cominciano a decorare le chiese adriatiche). Pur se non era obbligatorio, in epoca tardoantica si fece strada l'esigenza che ogni altare conservasse le reliquie di un santo. Esse potevano trovarsi nella stessa struttura dell'altare: in quelli su una colonna o a base monolitica erano sistemate in una cavità ubicata nella parte superiore; negli altari a cassa, in uno spazio della base spesso visibile tramite la confessio o fenestella confèssionis, o in una struttura sottostante all 'altare chiamata loculus. Questa struttura si presenta in forme variegate: a croce, come in alcune chiese costantinopolitane quali San Giovanni Studio o Santa Maria in Calcoprateia o, in Italia, a Concordia, a Santa Maria del Pernone (Riva del Garda) e nella chiesa vescovile di Canosa; ma sono più frequenti quelle di forma rettangolare o quadrata, con gradini in asse o laterali. Nel Nord della Siria e in Cirenaica, invece, le reliquie venivano custodite in reliquiari a forma di sarcofago, collocati in un locale a fianco dell'abside. In Giordania potevano talvolta essere deposte in una nicchia. Dalle fonti sappiamo che, in altri casi, le reliquie potevano essere sospese alle pareti della chiesa (Gregorio di Tours, Historia Francorum VII, 31). Grazie al Liber Pontificalis, che ci informa delle sette tavole d'argento donate dall'imperatore Costantino per la cattedrale di Roma, è noto che la basilica del Laterano è la prima chiesa in Occidente con più altari secondari (de Blaauw, 1994, pp. 483-5, 566-81). Essi potevano

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l. ARCHITETTURA E ARREDO

avere differenti funzioni: per deporre le offerte dei fedeli, per contenere reliquie, più avanti in rapporto alla diffusione di forme individuali di devozione e di commemorazione dei defunti, parallelamente alla consuetudine di celebrare messe private. Alcuni altari presentano delle iscrizioni, sia sulla tavola sia nelle basi, che si riferiscono all'acca di dedicazione e consacrazione degli edifici da parte del vescovo e ricordano le reliquie che vi sono deposte. Un altro tipo di iscrizione, spesso in forma di graffiti, riporta nomi di persone, a volte accompagnaci dal loro incarico (in genere ecclesiastico). Questi elenchi erano stati interpretaci come nomi di pellegrini o visitatori o come testimonianza dei preci che avrebbero officiato nell'edificio, ma ora sembra prevalere l'idea che si tratti di elenchi di persone da commemorare durante il Memento, nomi associati per sempre al sacrificio eucaristico. Nelle chiese in cui l'abside era piccola e l'area presbiteriale con l' altare era riservata esclusivamente all'officiante (come nelle chiese rurali della Penisola iberica), il clero poteva a volte trovare posto in un'area situata tra l'abside e la navata. Questo spazio nelle fonti viene denominato "coro" (Godoy Fernandez, 1995, pp. 55-65), anche se altri preferiscono utilizzare questo termine per designare più in generale l'area presbiteriale (Duval, 2.000, pp. 438, 442.-4). In alcune aree della Siria, una sorta di synthronon collocato all'inverso (cioè con l'apertura verso est) viene posto in mezzo alla navata, in un recinto con pianta a ferro di cavallo; ha quindi le funzioni di bema, anche se alcuni studiosi lo chiamano, erroneamente, "ambone siriaco"(cfr. FIG. 2..2.3) '5. Non sappiamo come fossero in Occidente i dispositivi creati per la lettura delle Scritture, poiché non sono differenziati architettonicamente, anche se plausibilmente la liturgia della Parola si svolgeva nell'area del presbiterio più vicina alla navata. In Oriente, dove la liturgia enfatizzava il momento delle letture, vi si diede particolare rilievo con l'inserimento dell'ambone, tribuna sopraelevata ubicata nelle navate, tra i fedeli (Sodini, 1975; Jakobs, 1987; Chevalier, 1995; Pavié,

l5. Cfr. Lassus, Tchalenko (1951) e Taft (1968). In Icalia alcuni studiosi usano la parola bema (che, come abbiamo visto all'inizio di questo paragrafo, è il termine orientale per riferirsi al presbiterio) per designare una piattaforma rialzata e protetta da cancelli che sporgeva dall'area presbiteriale verso la navata e poteva servire per ospitare il clero. Testini (1980, pp. 591-l) chiama invece questo spazio solea (termine che altri usano per riferirsi a un semplice corridoio assiale). Sulla solea cfr. infra, pp. 94-5.

93

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA

2..2.3

Chiesa di Kimar (Siria) con ambone siriaco

Fonte: Tchalenko (1979, p. 97, fìg. 171).

2006; FIG. 2.24). Sozomeno ci racconta che Giovanni Crisostomo, per pregare, utilizzava l'ambone (e non la cathedra, come sarebbe stato abituale), in questo modo poteva essere meglio ascoltato dalla moltitudine presente alla messa (HistoriaEcclesiastica VIII, 18, 7-8). Si conoscono amboni a pianta ovale, esagonale e ottagonale, a unica o doppia scala. Potevano trovarsi in posizione centrale o un po' più decentrata (in genere verso sud) per favorire l'assialità della cerimonia d'ingresso, che dava inizio alla liturgia in alcune chiese orientali (cfr. FIG. 2.25).

94

l, ARCHITETTURA E ARREDO

FIGURA 1.2.4

Vari tipi di ambone

a

b a) BasilicaEufrasiana (Parenzo, Croazia); b) Santi Minàs, Vittore e Vincenzo (Salonicco); e) basilica Ursiana (Ravenna). Fonte: a) Chevalier (199s, p.

111,

fìg. 9); b) Orlandos (19s2-S4, vol.11, p. S47, fìg. s12); e) foto dell'au-

trice.

A volte, per facilitare la processione degli Evangeli durante la Messa, l'ambone era collegato alla zona dell'abside tramite un percorso leggermente elevato e delimitato da cancelli (solea). In Giordania e in Cirenaica, l'ambone era direttamente in comunicazione con l'area presbiteriale. In Gallia sono state rinvenute tracce di amboni in chiese databili al v secolo (Boppard, Treviri, Ginevra; cfr. Ristow, 2.006). In altre zone, come l'Africa, ad ovest della Tripolitania, o in Spagna, l'ambone pare sconosciuto. Dalla seconda metà del VI secolo, l'uso dell'ambone si diffonde in Occidente, in particolare nelle chiese situate in zone con forte influenza imperiale, come l'Adriatico, la Sicilia o la Tripolitania (Pavié, 2.006, pp. 43-4). A Roma, la prima menzione di un ambone compare nella seconda metà del VI secolo e la sua introduzione è dovuta a pontefici di origine siriaca o greca che inseriscono pratiche liturgiche orientali nella Chiesa romana (Liber Pontificalis 1, p. 7 ). Oltre che per collegare l'area del presbiterio all'ambone, la funzione della solea era di proteggere i movimenti del clero o l'ingresso

95

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 2..2.5

Posizione degli amboni nelle chiese

I

b

a

I 1 .... J. .....

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.

l!I l!r Oi

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d

e

a) Ambone annesso all'area presbiteriale; b-tf) amboni ubicati nella navata; e) ambone sporgente rispetto all'area presbiteriale. Fonte: Orlandos (1952-S4, voi. II, pp. S49, 550, S42, fìgg.

514, 515, 505-506).

FIGURA 2..2.6

Basilica di San Clemente (Roma)

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1--

a

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!.-,-·e-••

a) Ricostruzione planimetrica della recinzione di VI secolo; b) proposta ricostruttiva. Fonte: Guidobaldi (2001, p. 82, fìgg.

1-2).

2. ARCHITETTURA E ARREDO

solenne degli officianti attraverso la navata centrale, quindi poteva anche unire il presbiterio con l'ingresso o tra le due estremità di una chiesa nel caso della presenza di un doppio polo liturgico. Nel Liber Pontiflcalis e nell' Ordo Romanus, questo corridoio è conosciuto come ruga o rugae ed era sicuramente una componente essenziale nelle chiese coinvolte nella liturgia stazionale (Saxer, 2001). In alcuni casi, questo corridoio si amplia nell'area davanti al presbiterio per creare uno spazio recintato intermedio, come a San Clemente (cfr. FIG. 2.26) o a Santa Maria Antiqua. È stato ipotizzato che questo spazio servisse anche per avvicinare il clero ai fedeli e favorire la consegna dei doni nel momento dell'offertorio e/o la distribuzione dell'Eucaristia (Mathews, 1962). 2.3.5. LE CHIESE AD ABSIDI CONTRAPPOSTE O CON DOPPIO CORO

In molti edifici di culto tardoantichi è possibile identificare due poli liturgici importanti ubicati generalmente in ognuna delle estremità lunghe degli edifici. Questi poli possono assumere la forma di un'area recintata (e vengono chiamati controcori), di un'abside (dando luogo alle chiese con abside contrapposta) o di strutture più articolate tipo i corpi costruiti nelle facciate di alcune chiese ( Westwerk ). Anche se non è ancora chiara la funzione specifica di questi spazi cultuali, in alcuni casi sono da mettere in rapporto con l'orientamento della liturgia. Ad esempio, in Africa il fatto che molte chiese avessero il presbiterio a occidente portò in epoca giustinianea a costruire un nuovo presbiterio a oriente, dando luogo a chiese con absidi contrapposte (cfr. FIG. 2.27 ). La necessità di avere un polo puntuale nel settore occidentale (per imitare la liturgia romana) potrebbe essere pure l'origine dei Westwerk di epoca carolingia, una sorta di corpo turriforme costruito nell'estremità occidentale delle chiese. In altri casi il "secondo" polo potrebbe essere legato al culto dei santi e delle reliquie, e nasce già con la chiesa originaria (in Spagna, ad esempio), o alla necessità di dotare la chiesa di un'area funeraria particolarmente privilegiata, come mostrano le tombe rinvenute a volte in queste zone. Anche se tradizionalmente si attribuisce l'invenzione del Westwerk all'epoca carolingia, Duval lo ha messo in relazione con le chiese a doppia abside o con controcoro, dove l'area opposta al presbiterio avrebbe una funzione particolare nello svolgimento della liturgia. A partire dai documenti liturgici del monastero di Saint-Riquier-

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 2..2.7

Chiese con absidi contrapposte

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a) Tebessa (Algeria); b) Casa Herrera (Badajoz); e) Cirene (Libia); d) Torre de Palma (Manforte, Portogallo) (piante non a scala). Fonte: elaborazione dell'autrice.

Centula ( 790-800 ), primo complesso dove si costruisce cale struttura, Carol Heicz (1963) ha legato questo spazio alla diffusione della liturgia stazionale pasquale e al culto del Salvatore, come riflesso della chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Secondo Jean Huberc (1952), si traccerebbe invece di un adattamento di un'architettura orientata (absidi ad est) alla liturgia romana, concepita soprattutto per chiese con abside a occidente. Altri studiosi propongono di riferire questo spazio alla presenza imperiale o, in ogni caso, di un personaggio egemone della comunità (Jurkovié, 2.001). Anticorpi occidentali a più piani, abbastanza elaboraci, dotaci a volte di balconi esterni, compaiono in Gran Bretagna a partire della fine dell' VIII-IX secolo e si attribuiscono loro varie funzioni: culto delle reliquie, cappella privata, spazio funerario, coro (Gictos, 2.013, pp. 160-9, fig. 52). Si tratta, a cucc'oggi, ancora di una questione aperta ( cfr., oltre ai cesti già ci caci, Lobbedey, 2002; Kriiger, 2.006).

2. ARCHITETTURA E ARREDO

2.3.6. LE SAGRESTIE

Ai lati dell'abside (in particolare quando questa è inquadrata in una muratura rettilinea) c'erano frequentemente degli ambienti con varie funzioni: per la preparazione del pane e del vino, per custodire le reliquie, come spogliatoio, per conservare oggetti e libri di uso liturgico, come archivio, come battistero o come ambiente funerario. Nelle fonti vengono chiamati sacrarium, thesaurus, receptorium, donarium, skeuphilakion o gazophylacium e in un'iscrizione musiva, rinvenuta nell'accesso di uno di questi ambienti in una chiesa in località Mire deU' isola di Krk ( Croazia), compaiono come secretaria (Starac, 1996). Per il periodo tardoantico è scorretto chiamarle pastophoria (e, più precisamente, prothesis e diaconicon ), termine che compare solo nella liturgia di epoca successiva16 • Per capirne la funzione specifica è fondamentale conoscerne l' articolazione e gli accessi (verso l'abside o le navate), le caratteristiche dell'arredo interno o la presenza di elementi come armadi o sepolture. Ritrovare installazioni liturgiche (un altare o una vasca) può svelare un uso come reliquiario o battistero. A Colombarone (Pesaro), nella chiesa di San Cristoforo ad Aquilam, citata nel Liber Pontificalis come sede di un incontro avvenuto nell'anno 743 tra l'esarca Eutichio e papa Zaccaria, il rinvenimento di oltre IOO monete, di una porzione di stadera in bronzo e di numerosi elementi dell'apparato liturgico in vetro porta a identificare la stanza come gazophylacium (dove si conservavano le offerte dei fedeli alla chiesa) (Tassinari, 2007, pp. 157-65). A San Giusto (Lucera), ilgazophylacium fu identificato grazie al rinvenimento, presso una delle stanze annesse alla chiesa A, di circa 1.500 monete in bronzo di piccola taglia, databili tra la fine del III e l'inizio del VI secolo, insieme ad altri elementi attribuibili alla suppellettile liturgica, come lampade di vetro e due spatheia o anfore di piccole dimensioni (Leone, 2007 ). Il rinvenimento nel 1993 di un gran numero di papiri permette di identificare una stanza annessa alla chiesa di Santa Maria a Petra (Giordania) come un archivio nel quale si conservavano non solo

26. Nel Testamentum Domini si menziona il diaconicon come lo spazio dove i fedeli presentavano le offerte al diacono, ma specifica che si trovava a destra dell'ingresso della chiesa; cfr. Wilkinson (1993a, p. 21). Più tardi lo si chiama prothesis e si situa a nord dell'abside.

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

documenti ecclesiastici, ma anche e soprattutto contratti di compravendita (Fiema, Maynor Bikai, 2.001). Nelle chiese che non disponevano di questi ambienti (come alcune di Costantinopoli) si pensa che esistessero edifici annessi con simili funzioni. 2..3.7. LE CRIPTE

Spazi devozionali sotterranei dove si conservavano corpi di santi o reliquie sono conosciuti dal IV secolo nelle basiliche di Roma (San Lorenzo fuori le Mura, San Sebastiano e nella chiesa della Santa Croce in Gerusalemme), in Giordania (chiesa del profeta Elia a Madaba), Africa (Djémila), in Gallia (basilica di Clos de la Lombarde a Narbona, San Martino di Tours, San Gervasio di Ginevra, sulla quale cfr. FIG. 2..2.8). Molte, come la basilica di Santa Eulalia a Mérida, in Spagna, potrebbero aver avuto origine da un primitivo monumento funerario tipo memoria o mausoleo, poi inglobato in una chiesa 7• Non solo la devozione per le reliquie, ma anche il desiderio di essere sepolti presso di esse (in particolare nel caso dei vescovi) daranno un forte impulso allo sviluppo di questi spazi. In genere, si trovavano nell'area del presbiterio in connessione con l'altare, ma poteva succedere che fossero altrove per il riuso di un ambiente precedente. Nel 513-516 il vescovo Avito di Vienna, in una famosa omelia, descrive un edificio costruito su due livelli: una basilica superiore e una inferiore, questa interpretata come cripta (Sapin, 2.016, p. 35). Probabilmente una delle cripte più note e influenti per l'architettura successiva fu quella ideata a Roma da Gregorio Magno per permettere la circolazione dei fedeli attorno alla tomba di san Pietro senza disturbare la messa (cfr. FIG. 2..2.9) 28 • Si trattava di un corridoio anulare coperto da una piattaforma sulla quale si trovava l'altare maggiore. Il modello venne poi ripreso a partire dall'vm secolo in rapporto alla ricollocazione delle reliquie del suburbio (San Pancrazio, Santa Prassede, San Crisogono, San Marco). A Lucca, nel 780, 2

27. Sull'origine, caratteristiche ed evoluzione delle cripte, cfr. Angelini et al. (1976); de Blaauw (1995); Caillet (1999); Crook (2000); Guidobaldi, Sabbi (2016); Sapin (2016). 28. «Hic fecit ut super corpus beati Petri missas celebrarencur» (Liber Pontificalis 1, p. 312).

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2, ARCHITETTURA E ARREDO

FIGURA 2.28

Cripta tardoantica di San Gervasio a Ginevra 'ì- ·-

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Fonte: Sapin (2016, p. 34, figg. 26-27, secondo Ch. Bonnet). FIGURA 2.29

Esempi di cripte anulari

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a) Proposta ricostruttiva dell'area presbiteriale della basilica di San Pietro dopo la costruzione della cripta. Altri esempi di cripte: anulari: b) Sam'Apollinare in Classe (Ravenna); e) Santa Prassede (Roma); d) Saim-Luzius (Coira, Francia). Fonte: a) Kraucheimer (196s): b) Crook (2000, p. 87, fig. 22); e) ivi (p. 86, fig. 21); d) ivi (p. 96, fig. 26).

il vescovo Giovanni costruì una cripta per le reliquie di san Regolo; a Luni, la cripta semianulare si lega all'arrivo, nel 782, del Volto Santo e dell'ampolla con il sangue di Cristo. Sempre a partire dall'vm secolo si diffondono anche Oltralpe, come rivelano gli esempi di Saint-Luzius a Coira, Saint-Médard a Soissons e in Gran Bretagna

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

a Brixworth, Canterbury o Wing (Crook, 2000, pp. 93-106, 130-2). Queste cripte ebbero come conseguenza il rialzamento dell'area presbiceriale che assunse una posizione preminente e venne raccordata alla navata per mezzo di due rampe di scale, tra le quali si apriva la Jenestella confessionis, che permetteva ai fedeli di vedere le reliquie della cripta. Molte delle cripte di area longobarda sono invece "a corridoio occidentale", cioè consistono in un corridoio rettilineo trasversale con una o più nicchie o absidiole, raggiungibili dalla navata tramite scale lungo i perimetrali, come rivelano gli esempi pavesi di Santa Maria alle Cacce (prima metà dell'vm secolo) e di San Salvatore (ca. 760) e della coeva chiesa di San Salvatore di Sirmione, fondata dalla regina Ansa. A Roma cale tipo di cripta è stato individuato nella chiesa di San Valentino sulla via Flaminia (795-816). In Italia meridionale cripte di questa tipologia compaiono nel monastero di San Vincenzo al Volturno ( cripta di sant' Epifanio) e nella recentemente scoperta chiesa di San Marco a Benevento, con una cripta a corridoio trasversale (cfr. Marazzi et al., 2016) voltato e interamente affrescato con scene di martiri databili al IX secolo. Davanti al corridoio si aprivano delle absidiole in cui erano collocate le arche con le reliquie, che, nell'esempio conservato di San Felice di Pavia, assumono la forma di altari a cassa, con tettuccio a doppio spiovente, provvisti di finestrelle per vedere le reliquie e decorati con pasta vitrea (oggi perduta) inserita in alveoli geometrici (cfr. FIG. 2.30). La cripta di San Salvatore a Brescia, che ospitava le reliquie di santa Giulia e di alcuni santi romani, ha invece una pianta del tutto particolare, con accesso tramite corridoi direttamente dalla navata centrale (Brogiolo, 2014b, pp. 57-75). Grandi cripte si diffondono a partire dell'epoca carolingia per ospitare sepolture privilegiate: a Brescia il corpo dell'imperatore Ludovico II (875) nella cripta di san Filastro nella cattedrale di Santa Maria o reliquie particolarmente prestigiose: quelle di san Marco a Venezia (1x secolo) o san Matteo nella cattedrale di Salerno (1080 ). Molto frequenti saranno anche, a partire dall'x1 secolo, le cripte costituite da spazi o camere più o meno ampi con o senza supporti (colonne o pilastri), a volte riproducendo la forma di una piccola basilica. A Roma il prototipo per la cripta a camera con colonne si identifica in Santa Maria in Cosmedin (cfr. FIG. 2.31) ed è attribuita alla ristrutturazione della chiesa voluta da papa Adriano I ( 772-795).

102

2.. ARCHITETTURA E ARREDO

FIGURA 2..30

Planimetria di San Felice di Pavia, chiesa dotata di una cripta a corridoio assiale e focopiano degli altari conservaci all'interno della cripta

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Fonte: pianta e foto di G. P. Brogiolo. FIGURA 2..31

Santa Maria in Cosmedin (Roma), planimetria della cripta e relative scale di accesso

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Fonte: Guidobaldi, Sabbi (1016, p. 479, fig. IO).

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

2.3.8. IL TRANSETTO

In alcune chiese a pianta basilicale, tra le navate e la parte terminale della chiesa, esiste un corpo trasversale chiamato transetto. La pianta basilicale con transetto, utilizzata per la prima volta nella basilica costantiniana di San Pietro, viene adottata anche in varie basiliche martiriali suburbane di Roma (come San Paolo fuori le Mura) e altrove (ad esempio, nella chiesa di San Simpliciano a Milano e in quella di Santo Stefano a Verona) e nel corso del ve VI secolo si diffonde nel Mediterraneo, particolarmente in Egitto e nell'Egeo. Si possono distinguere tre tipi di transetto: 1. continuo, in cui i colonnati si arrestano all'altezza del corpo trasversale, che non ha alcuna divisione architettonica; 2. tripartito, in cui pilastri o colonne prolungano le divisioni della navata; 3. avvolgente, dove i colonnati si inseguono contornando lo spazio centrale e prolungando le navatelle attorno alla navata centrale. Dalla tipologia del transetto e dalla situazione degli accessi dipendeva sicuramente anche la sua funzione: favorire la circolazione di fedeli nell'area vicina all'altare o alla tomba venerata, area in cui venivano raccolte le offerte, ospitare la schola canthorum. 2.3.9. IL BATTISTERO

Il significato del battesimo e il suo legame con il mistero della Resurrezione condizionarono direttamente le caratteristiche formali dei battisteri sia per la tipologia architettonica, derivata dai mausolei tardoantichi, sia per la frequenza con cui compare l'ottagono negli edifici e nelle vasche> 9 • L'otto infatti rievocava il giorno della Resurrezione di Cristo ed è quindi sinonimo di rigenerazione e di salvezza come ricorda l'iscrizione del vescovo Ambrogio che decorava il battistero della

l9. Sintesi e catalogo di monumenti in Ristow (1998). Per l'Italia cfr. i volumi dell'vm Congresso nazionale di archeologia cristiana (CNAC) dedicato a questo tema e Brande (lOil) (per gli aspetti architettonici). Per la Gallia, cfr. Guyon (lOoo ). Per la Hispania, cfr. lturgaiz (1970); Godoy Fernandez (1989). Per la Dalmazia, cfr. Chevalier (1988). Tra i complessi monumentali studiati di recente si vedano quelli di San Giusto e Santa Maria di Canosa in Puglia (Volpe, 1988; loo7b); di Burrine in Albania (Bowden, Perzhita, loo4); di Poitiers (Boissavic-Camus, lo14); di Lomello (De Marchi, Palazzo, lo14); di Myrrilis (Lopes, l015).

104

2.. ARCHITETTURA E ARREDO

basilica Nova di Milano: «Octachorum sanctos templum surrexit in usus octagonus fons est munere dignus eo. Hoc numero decuit sacri baptismatis aulam surgere, quo populis vera salus rediit luce resurgentis Christi» (PL 13,414). I battisteri si trovano, oltre che presso le chiese episcopali e in quelle con cura d'anime (in città e campagna), anche in chiese suburbane nei pressi di santuari martiriali o ai complessi monastici, in particolare quelli fondati da asceti celebri, per favorire i fedeli che desideravano essere battezzati nel giorno dell'anniversario del santo 30• In Gran Bretagna i monasteri fondati dai re anglosassoni, collocati in punti nodali del territorio (Minsters), avevano funzione di cura d'anime e quindi erano dotati di battisteri (Blair, 1988). Il rapporto topografico e architettonico del battistero rispetto alla chiesa è molto variabile, anche se ci doveva necessariamente essere un legame tra i due spazi, poiché nella chiesa si celebrava la prima messa che seguiva i riti battesimali. Possono presentarsi come: 1. edifici indipendenti architettonicamente (San Giovanni in Laterano, Ravenna, Nocera Superiore, Marsiglia, Lione); 2. edifici connessi alla chiesa ma con corpo di fabbrica indipendente (San Giovanni a Castelseprio, basilica di lnvillino), a volte collegati da un atrio (Santa Maria a Canosa, Parenzo, Hemmaberg, nella basilica post-teodoriana di Aquileia) o da un corridoio. Per quanto riguarda l'ubicazione, i battisteri si possono trovare vicino al presbiterio, alla facciata ( in genere in asse con l'altare, spesso uniti alla chiesa da un atrio) o su un lato dell'edificio (cfr. FIG. 2.32).

Quando si tratta di edifici autonomi, hanno generalmente pianta centrale: rotonda, quadrata, cruciforme e, soprattutto, ottagonale. O quadrata all'esterno e ottagonale all'interno con presenza di nicchie semicircolari negli angoli, tra le altre possibili varianti (cfr. FIG. 2.33). Possono esistere battisteri a pianta rettangolare con terminazione absidale (come il battistero di Santo Stefano a Lione), che non è sempre

30. Oltre a quelli edificati vicino ai santuari del suburbio di Roma come Santa Agnese, le fonti ricordano quello che Paolino di Nola fece costruire presso la basilica di San Felice a Cimitile nel suburbio di Nola (Paolino di Nola, Cannina 2.8); o quello che nell'ultimo terzo del v secolo il vescovo Perpetuo edifica nel complesso di San Martino a Tours (Historia Francorum x, 31, 19). Un battistero monumentale si trovava anche nel santuario che ricordava il luogo di sepoltura di Mosè sul monte Nebo, in Giordania.

105

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA

2..32.

Posizione del battistero rispetto alla chiesa episcopale

b



e

a) Fréjus; b) Riez; e) Nizza; d) Aix-en-Provence; e) Marsiglia. Fonte: Guyon (2010, p. 189, fig. 3).

contemporanea alla fondazione (a Incino d'Erba, ad esempio, viene aggiunta in età carolingia). Secondo la Vita Caesarii Arelatensis II, 17, l'abside serviva per ospitare il seggio del vescovo dal quale egli benediceva i nuovi cristiani (seggi sono documentati a Grenoble e a Lione). In alcuni casi era però occupata da un altare, come nel battistero di Poitiers. Gli altari dei battisteri non potevano servire, almeno durante l'epoca tardoantica e al principio dell'Altomedioevo, alla sinassi postbattesimale, poiché sappiamo che la prima messa alla quale dovevano assistere i nuovi cristiani si teneva nella chiesa. Poteva essere utilizzato 106

1., ARCHITETTURA E ARREDO

FIGURA 1..33 Battisteri tardoancichi in Gallia

b

a) Ricostruzione del battistero di Névers; b) planimetria del battistero di Limoges; e) planimetria del battistero di Portbail. Fonte: Guyon (2010, pp. 191-2, 201, figg. s, 6, 12).

come tavolo ausiliario per deporre il crisma e l'olio santo, o come contenitore di reliquie che servivano per potenziare il ruolo del battesimo in relazione al culto martiriale 3'. Le vasche sono spesso a pianta centrale (quadrata, circolare, ottagonale o cruciforme) generalmente costruite, più raramente monolitiche (in Giordania e in un caso nelle Baleari) (cfr. FIG. l.34). Come l'ottagono, la croce aveva una profonda carica simbolica dal momento che si riferiva al martirio e alla Resurrezione di Cristo, evento che ricordavano i partecipanti quando discendevano e risalivano dalla vasca. Questo simbolo era tra l'altro citato più volte durante il rituale (Jensen,

31. Nel battistero di Albenga la presenza di reliquie pare attestata dall'iscrizione musiva che si riferisce ai martiri romani e a santo Stefano. Le fonti le ricordano nel battistero di Ugello (Ennodio, Cannina II, 1.0, in Ennodio, Opera) e in quello di San Martino a Tours, dove Gregorio depose reliquie dei santi Giovanni e Sergio (Historia Francorum x, 31). Picard (1989b); Février (1986).

107

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

2.017, pp. 38-40). In genere si osserva un'evoluzione dalle forme semplici (circolari o quadrate) a quelle più complesse o simboliche (come le cruciformi) (cfr. FIG. 2..35). In alcune occasioni questa evoluzione è stata documentata nella stessa chiesa. Possono presentare gradini ad ovest (per la discesa) e ad est (per l'ascesa), in genere tre per ogni lato. La profondità varia dai 0,35 cm ai 2. m, rivelando diversi tipi di battesimo (per immersione, per infusione). I dispositivi di adduzione e scarico dell'acqua potevano essere in piombo o in legno, ma in alcuni casi, mancando questi dispositivi, si doveva ricorrere all'immissione manuale dell'acqua. Molto spesso le vasche, come gli altari, potevano essere sormontate da un ciborio. In alcuni battisteri sono state identificate due vasche battesimali, generalmente di dimensioni e profondità diversa, fenomeno ancora non ben chiarito. Quando una vasca piccola è unita a una più grande, si è pensato a un bacino per le abluzioni preliminari, come il lavaggio dei piedi che precedeva (nella liturgia aquileiense) o seguiva (in quella milanese) l'atto sacramentale del battesimo. Si è anche proposto che servisse per il battesimo infantile ( Godoy Fernandez, 1986; Pavié, 2.006, pp. 48-51). È ancora da accertare se invece appartengano o meno a due fasi diverse le due vasche del battistero di San Giovanni di Castelseprio (le quote rivelano due fasi distinte) e se indichino un cambiamento nel rito (da immersione a infusione) (cfr. FIG. 2..36). L'evoluzione del culto battesimale, che portò dal battesimo per immersione degli adulti a quello per infusione e al battesimo infantile, ha lasciato delle tracce nel registro materiale con la progressiva riduzione della dimensione e della profondità di alcune vasche ( Ginevra, Aosta, Lione, Tolmo de Minateda, Santa Margarida d'Empuries). A partire dal VI secolo, la generalizzazione del battesimo infantile porta, in alcune zone, all'unificazione di chiesa e battistero e alla sostituzione della vasca con il fonte battesimale. Tuttavia, è da tener conto che queste evoluzioni non furono sempre lineari e omogenee: nel VI secolo, quando il battesimo infantile doveva essere già generalizzato, vengono costruite numerose vasche monumentali, forse come riflesso della concorrenza tra vescovi cattolici e ariani e per dare più risalto a questo particolare momento nella vita del fedele ( Chavarria Arnau, 2.018a, p. 12.2.). In Italia e in Provenza, invece, il battistero indipendente si mantenne fino all'vIII secolo e oltre (Reynaud, 2.014, p. 417 ). Spesso negli edifici battesimali si documentano spazi ausiliari ri-

J08

2..

ARCHITETTURA E ARREDO

FIGURA 2..34 Vasche battesimali dei battisteri

a) Sbeicla; b) Mércola; e) Cimiez; a) San Pedro de Alcantara (Malaga); e) Son Bou (Minorca);}) Riva Ligure;g) Bafios de la Reina (Alicante); h) Son Pereto (Maiorca). Fonte: elaborazione dell'autrice.

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 2..35 Evoluzione del battistero di Grenoble

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____ J ~ "'"' Fonte: Baucheron, Gabayet, Montjoye (1998, p. 103, fìg. 73). FIGURA 2..36 Battistero di San Giovanni nel castrum di Castelseprio (Varese)

Le due vasche battesimali, una circolare e una ottagonale, sono state collegate in passato alle componenti ariana e cattolica. In realcà, è plausibile che quella ottagonale sia dovuta a una trasformazione attuata in età carolingia. Fonte: foto dell'autrice.

spetto a quello principale in cui si trovava la vasca battesimale, ma risulta difficile assegnare loro una funzione concreta. Le fonti accennano al cathecumeneum, destinato all'educazione preliminare dei catecumeni, al consignatorium, dove il vescovo officiava l'unzione dei nuovi battezzandi nella confermazione, e a una sorta di vestibolo dove i battezzan-

IIO

2.. ARCHITETTURA E ARREDO

di rinunciavano al demonio. La disposizione delle diverse stanze, dei loro accessi e delle scale della vasca permettono talvolta di identificare il tragitto dei cortei dei catecumeni e del clero durante la cerimonia. In rapporto ad alcuni battisteri sono stati rinvenuti ambienti riscaldati che tendono ad essere identificati come terme, anche se si potrebbe presupporre che fossero spazi in cui i catecumeni aspettavano il momento del battesimo. 2.3.10. LE CHIESE DOPPIE

Il significato e la funzione delle chiese doppie, due edifici di pianta simile costruiti a poca distanza e disposti in parallelo (più raramente uno dietro l'altro), a volte, ma non sempre, con un battistero tra di loro, sono ancora incerti 3i. Si è d'accordo che l'interpretazione di questa duplicazione non sia univoca e vada dal desiderio di ampliare lo spazio di riunione alla necessità di distinguere la sinassi regolare da altri culti più specializzati, come quello martiriale o funerario, o di separare i fedeli dai catecumeni. I resti archeologici permettono raramente di stabilire la funzione precisa dei due edifici. A volte nascono contemporaneamente, più spesso la duplicazione è il risultato di un'aggiunta posteriore. In Italia, fonti scritte del IX secolo identificano nel complesso cattedrale una chiesa d'estate e una d'inverno (basilica aestivalis e hiemalis), quest'ultima in genere più piccola e ubicata a sud per favorirne il riscaldamento (a Pavia, Verona, Bergamo, Brescia). I complessi più antichi (Aquileia e Treviri) si datano alla prima metà del IV secolo, e se ne conoscono numerosi casi in Africa (Djémila, Sbeida, Bulla Regia), nell'Adriatico (Grado, Pola, Srima, Parenzo), in Italia (Torino, Brescia, Napoli), in Illirico (Vranje) e in Gallia (Ginevra) (cfr. FIG. 2.37). Molto interessante è il caso di Hemmaberg (Globasnitz, Carnia) dove ali' inizio del VI secolo furono costruì ti ben due complessi di chiese doppie a poca distanza uno dall'altro (cfr. FIG. 4.19 ). Franz Glaser li ha interpretati come due complessi episcopali (uno cattolico e l'altro ariano) con una chiesa nord di funzione eucaristica e la basilica sud di

32.. Cfr. gli atti del colloquio organizzato nel 1994 a Grenoble dall'Association pour l'Anciquicé Tardive e pubblicato nel 1996 nella rivista "Anciquicé Tardive~ 4, e le sintesi di Hubert (1977 ); Sodini, Kolokocsas (1984, pp. 2.55-312.); Piva (1990 ).

III

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 2.37

Basiliche doppie in ambito urbano

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e

a) Pola (Croazia); b) Aliki (Grecia); e) Srima (Croazia). Fonte: elaborazione dell'autrice.

carattere martiriale-funerario, anche se sepolture si trovano in entrambi i complessi 33 • Nel Bassomedioevo, in alcuni complessi doppi, si distingue tra chiesa del vescovo e la chiesa del capitolo o della comunità. Non esiste tuttavia alcun elemento che permetta di far risalire queste funzioni a epoche anteriori. È importante sottolineare come recenti rinvenimenti indichino che la tipologia della chiesa doppia non è una prerogativa delle cattedrali e dei centri urbani. Castra, villaggi e persino insediamenti rurali appaiono dotati di questi complessi, come dimostrano i casi di Vranje (castrum in Slovenia), di Villeneuve (villaggio ad Aosta), di Podvrsje-Glavcine (Dalmazia) o nelle vicinanze della villa di San Giusto (Lucera) (cfr. FIG. 2.38). In questo ultimo caso la duplicazione della chiesa principale in un secondo momento sembra rispondere alla necessità di contare su uno spazio funerario distinto dall'edificio in cui si svolgeva il culto regolare (Volpe, 1988). A Garlate (Lecco), la chiesa di Santo Stefano, parallela a quella di San Vincenzo (battesimale), del v secolo, è il risultato della trasformazione di un mausoleo funerario avvenuta non prima del VII secolo (Brogiolo, 2002a). Ma le chiese doppie in ambito rurale possono anche corrispondere a un

33. Glaser (2016, pp. 33-66). Le datazioni, ottenute da analisi archeometriche, in Schnepp (2007). Sull'idencifìcazione di chiese gote e longobarde legate all'arianesimo in area alpina, cfr. Glaser (1996); Bierbrauer (1998).

II2

2. ARCHITETTURA E ARREDO

FIGURA 2.38

Basiliche doppie in ambito rurale

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a) Vranje (Slovenia); b) Villeneuve (Aosta); e) San Giusto (Lucera). Fonte: elaborazione dell" aurrice.

progetto unitario, come quello di Primuliacum, costruito da Sulpicio Severo nella sua proprietà, tra la fine del IV e l'inizio del v secolo, con due basiliche e un battistero (Paolino di Nola, Epistulae xxx, XXXI, XXXII).

113

3

Dalla costruzione al culto

3.1

Il costo per costruire una chiesa L'investimento nella costruzione di chiese e nel loro arredo rappresenta uno degli aspetti più caratteristici della società tardoantica e medievale. Il fenomeno ha origine nell'evergetismo civico romano, ma se ne differenzia in quanto accessibile a tutti i membri della comunità che potevano partecipare con piccoli contributi. Un'altra diversità è che, come ricordano spesso le iscrizioni, le offerte venivano fatte, oltre che per ottenere prestigio sociale, in cambio di una ricompensa nell'aldilà: pro anima, per la salvezza eterna del committente e della sua famiglia. Queste donazioni potevano assicurare il finanziamento di un edificio di culto in modo determinante, fornendo gran parte dei mezzi economici necessari alla sua costruzione, o limitarsi alla decorazione interna, ad esempio ai mosaici e all'arredo liturgico (cancelli o cibori), agli strumenti necessari allo svolgimento del culto (patene, calici, libri) o a doni particolari come le famose corone auree offerte da vescovi e re visigoti alle chiese di Toledo in Spagna. Un investimento talora cospicuo poteva riguardare la donazione di proprietà per garantire il mantenimento del clero incaricato dell'ufficio o l' illuminazione dell'edificio. Le fonti scritte rivelano come, nella maggior parte dei casi, la costruzione di una chiesa fosse il risultato della partecipazione di più persone, a volte di intere comunità, che collaborarono al lavoro fornendo denaro, materiali e manodopera volontaria, spesso grazie all'iniziativa e sotto la supervisione del vescovo. In diverse occasioni i testi fanno allusione a donazioni singole, ma raramente possiamo essere sicuri che

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

corrispondessero al costo dell'intero edificio o ne coprissero soltanto una parte'. Una famosa iscrizione scoperta a Narbona mostra come, a metà del V secolo (445), il prefetto del pretorio Marcello donò 600 solidi per pagare gli artigiani (artiflces) e 1.s00 per sovvenzionare altre attività necessarie (opera et cetera) alla ricostruzione della cattedrale di questa città promossa dal vescovo Rustico (Marrou, 1970; Chalon, 1973). Il denaro proveniva da due anni di amministrazione urbana (per bienium administrationis); ciò indica che non si trattava di fondi propri del prefetto, ma dei soldi derivanti dalle casse cittadine, quindi di un contributo pubblico. La stessa iscrizione riporta anche che a questi 2..100 solidi, si sommarono le donazioni di altri personaggi, principalmente ecclesiastici locali o di alcre province, ma senza specificare gli importi di ognuno. Non possiamo sapere, di conseguenza, la quantità di denaro necessaria alla costruzione di tutto l'edificio. Sempre a Narbona lo stesso sistema di finanziamento fu utilizzato per la costruzione della basilica suburbana di San Felice, dove il vescovo fu sostenuto dalle istituzioni ecclesiastiche della città (s6 solidi), da diversi membri della gerarchia ecclesiastica (presbetero Proiectus, diacono Venantius, subdiacono Innocentius) e da potentes locali come il uir inluster Salutius, il uir clarissimus Lympidius e una cale Glismonda/Glismoda comitissa, donatrice di 1.000 solidi. Anche in questo caso non sappiamo quanto costò alla fine la chiesa, giacché gli importi donati dai vari evergeti sono stati registrati solo in parte. A volce la somma offerta da un evergeca è così importante che possiamo supporre si trattasse di un lavoro promosso da un singolo individuo. Prezioso è, in questo senso, il racconto sulla costruzione da parte dell'imperatore Giustiniano della basilica di Santa Sofia a Costantinopoli>. In primo luogo Giustiniano inviò funzionari imperiali in tutto il Mediterraneo per recuperare materiali da templi pagani, antiche terme e case abbandonate, in particolare colonne, rivestimenti, parapetti, lastre, cancelli, porte. Una volca accumulaci i materiali, il secondo passo

Una versione più sviluppata di questo tema in Chavarria Arnau (2017b). l. La descrizione è contenuta nel testo noto come Patria Constantinopolitana, ispirato alla storia biblica della costruzione del tempio di Salomone. Dagron (1984, pp. l66-7 ), lo colloca nella seconda metà del IX secolo tra i regni di Teofìlo e Leone VI. Sul legame tra la descrizione della costruzione e alcuni episodi narrati nell'Antico Testamento cfr. ivi, pp. l93-309. 1.

u6

3. DALLA COSTRUZIONE AL CULTO

(ancora prima dell'inizio dei lavori) fu l'esproprio delle proprietà attorno alla chiesa precedente, che non sembra essere stato facile né a buon mercato. In seguito, Giustiniano ne tracciò la pianta sul terreno e diede inizio alla costruzione. La manodopera era costituita da un centinaio di maestranze provenienti da tutto il mondo (Procopio, De Aedifìciis I, r, 23), ciascuna delle quali portò 100 operai che lavorarono in contemporanea, metà sul lato destro e l'altra metà sul lato sinistro dell'edificio. Tra gli operai c'erano pure scalpellini, muratori e carpentieri. Il costo totale fu di 3.200 kentenaria (23.040.000 solidi), senza contare gli oggetti liturgici.L'importo è molto alco, forse esagerato, ma in ogni caso, la descrizione risulta importantissima poiché comprende le varie voci di spesa, che non sono sempre specificate nelle fonti: costi del terreno, dei materiali, dei trasporti, della manodopera (che potrebbe includere il vitto dei lavoratori per tutta la durata della costruzione e, se provenienti da un'altra regione geografica, anche l'alloggio). Per l'area occidentale le fonti registrano i 26.000 solidi donati da Giuliano l'Argentario per finanziare la chiesa di San Vitale a Ravenna (Agnello di Ravenna, Liber Pontifìcalis Ecclesiae Ravennatis 24). Anche in questo caso non sappiamo se corrispondano al costo totale della costruzione: lo stesso Giustiniano inviò materiali direttamente da Costantinopoli e pare che la proprietà, dove venne costruita la chiesa, sia stata donata dal vescovo Ecclesio (Johnson, 2018 ). I testi registrano che lo stesso Giuliano finanziò la costruzione pure di altri edifici della città, quali Sant'Apollinare in Classe, Sanµichele in Africisco e forse Santa Maria Maggiore, sottolineando così l'eccezionale ricchezza di questo personaggio, almeno per gli standard di quel tempo e per la parte occidentale dell'Impero. Per edificare una chiesa modesta, invece, erano sufficienti tra i 400 e i 700 solidi, meno di quello che poteva costare una residenza di una certa qualità (Haensch, 2006, p. 48, nota 10 ). Alcune donazioni non riguardano la costruzione, ma successivi ampliamenti o decorazioni. Vi allude Giovanni Crisostomo in uno dei suoi sermoni: un fedele con risorse limitate poteva realizzare una chiesa semplice, e i suoi discendenti o alcri evergeti futuri successivamente ampliarla (Homiliae in Acta Apostolorum xvm). È il caso, ad esempio, della chiesa di Santa Eufemia a Costantinopoli: iniziata nel 462 da Elia Eudocia, moglie di Teodosio II, fu completata e dotata del supporto economico necessario per mantenerla da sua figlia Placidia con il marito Olybrio. Alla fine, Anicia Giuliana la decorò e ampliò, come ricorda, tra l'altro, un poema che sottolinea come tre generazioni avessero con-

II?

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

tribuito alla sua costruzione (Antologia Palatina

1,

12.; Thomas, 1987, p.

23). Passaggi come questo dovrebbero farci riflettere quando studiamo la sequenza di una chiesa e le implicazioni e i signifìcati che possono avere le diverse fasi relative ad ampliamenti e nuovi apparati decorativi.

3.2

I committenti: vescovi, imperatori e aristocrazie Come è stato appena accennato, nella maggior parte dei casi la realizzazione di una chiesa era il risultato della partecipazione di individui diversi, talora intere comunità, che collaboravano fornendo mezzi economici, materiali e, a volte, manodopera. Tuttavia, molto spesso la direzione e la gestione dei lavori venivano assunte dai vescovi (cfr. FIG. 3.1), perché, come ricorda Venanzio Fortunato, la costruzione di edifìci di culto era per loro una delle principali attività ( Carmina IX, 9 ). Più difficile è stabilire da dove provenissero i fondi per queste costruzioni: fedeli, chiesa, fortuna personale del vescovo, fondi dallo Stato? In Oriente le iscrizioni e i testi esprimono il prestigio e la gloria che ottenevano i vescovi costruttori e la concorrenza che si instaurava tra le città per chi edifìcava le chiese più monumentali3. In Occidente dell' importanza che i contemporanei davano a questo evergetismo sono testimoni soprattutto i racconti agiografici. A Tours, il vescovo Gregorio ricostruì non solo la cattedrale, ma ridecorò anche la chiesa suburbana di San Martino, restaurò il suo battistero (trasformandolo in oratorio) e ne edificò uno nuovo, dotandolo delle reliquie dei santi Giovanni e Sergio (Gregorio di Tours, Historia Francorum x, 31). L'attività edilizia dei vescovi di Mérida durante il VI secolo, in particolare Fidel e Masona, ci è nota grazie alle Vitas Sanctorum Patrum Emeretensium. In Italia, oltre alla testimonianza per i pontefìci di Roma nel Liber Pontificalis, conosciamo l'attività edilizia del vescovo Sabino di Canosa (514-566), importante fìgura del cristianesimo meridionale che, secondo la sua biografìa, fondò numerosi edifìci di culto sia nelle città, sia nelle campagne; lo confermano le ricerche archeologiche, che hanno messo in luce alcune costruzioni con laterizi bollati con il monogramma di questo

3. Anche se ovviamente l'intenzione era di glorificare i martiri e Dio. Cfr. Saradi

(2006, pp. 413-5) e Sodini (2013), entrambi con numerosi esempi e bibliografia.

u8

3. DALLA COSTRUZIONE AL CULTO FIGURA 3.1 Chiesa dei Santi Martiri nel complesso suburbano di Cimitile (Nola), protiro di fìne IX-inizio del x secolo

Sui capitelli due mensole recano l'iscrizione LEO TERTIUS e (nell'immagine) EPISCOPUS FECIT. Fonte: foto dell'autrice.

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

vescovo, tra cui le cattedrali di Canosa, Barletta e Canne, il complesso suburbano di San Pietro e la chiesa di San Giovanni, entrambi a Canosa (Volpe, 20076; Baldassarre, 2009 ). Alcuni autori cristiani criticano l'eccessivo impegno costruttivo di certi vescovi che avrebbero potuto, in alternativa, investire il denaro nell'aiutare poveri e ammalati (Palladio, Dialogue sur la Vie de Saint]ean Chrysostome VI, 58-64). È importante sottolineare come i vescovi non si limitarono alle chiese cristiane, ma collaborarono anche all'edificazione di strutture assistenziali, infrastrutture urbane e persino fortificazioni, spesso in collaborazione con le autorità civili, attività che fu riconosciuta da una serie di leggi e regolamenti nel corso del VI secolo (cfr. Liebeschuetz, 2001; Rapp, 2005). L'evergetismo ecclesiastico non fu circoscritto ai vescovi: l'epigrafia ricorda altri componenti minori della gerarchia (presbiteri, diaconi, lettori ecc.) che contribuirono, in modo più o meno sostanzioso, alla costruzione di chiese e al loro arredo. In campagna, essa rivela anche il ruolo importante dei membri della gerarchia minore, che, in diverse occasioni, costituivano il canale attraverso il quale le aristocrazie locali intervenivano in alcuni edifici, come è stato ipotizzato per il territorio gardesano (Ibsen, 2007 ). L'iniziativa imperiale nella fabbricazione di chiese inizia con Costantino e trova in lui uno dei suoi massimi esponenti. Eusebio di Cesarea racconta che l'imperatore sostenne la ricostruzione delle chiese distrutte durante la persecuzione di Diocleziano; finanziò a Roma la chiesa vescovile e otto chiese suburbane, erette sui sepolcri dei principali martiri; in Palestina le chiese che commemoravano la nascita, il sepolcro e l'Ascensione di Cristo. Nella nuova capitale, Costantinopoli, egli edificò la prima chiesa di Santa Sofia, che sostituì quella di Santa Irene come chiesa vescovile, e una chiesa in onore dei Santi Apostoli, ispirata al monumento del Santo Sepolcro, che diventò anche il suo mausoleo. Altre chiese furono costruite, sempre per sua iniziativa, a Nicomedia e in Antiochia. Costantino invitò pure altri membri dell'amministrazione a restaurare «quei luoghi che erano diventati sacri grazie ai corpi dei martiri e conservavano la memoria della loro morte gloriosa». Promosse inoltre leggi che disponevano come i governatori provinciali dovevano occuparsi di onorare le memorie dei martiri con la costruzione di edifici di culto, senza badare a spese, utilizzando fondi delle stesse casse imperiali se necessario (Eusebio di Cesarea, Vita Costantini II, 40; IV, 23; cfr. Liverani, 2007; Lenski, 2016).

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3. DALLA COSTRUZIONE AL CULTO

È probabilmente in base a questo ruolo "ufficiale" che Marcello, il prefetto della Gallia, contribuì con 2.000 solidi alla ricostruzione della cattedrale di Narbona, poiché, come dice l'iscrizione già commentata, provenivano da due anni di amministrazione urbana. Tale attività, perseguita da Costantino e dai suoi successori, si pone in continuità con l'evergetismo degli imperatori precedenti, che si preoccuparono di edificare e restaurare templi pagani in numerose città dell'Impero. L'esempio di Costantino fu seguito dai suoi successori durante tutto il IV e il v secolo e importante fu anche il protagonismo delle donne legate alla famiglia imperiale come Galla Placidia, Pulcheria, Eudocia, Eudossia. Ampiamente riconosciuta dalle fonti contemporanee fu l'attività edilizia promossa da Giustiniano (cfr. FIG. 3-2), al quale Procopio ascrive la costruzione e il restauro di più di una trentina di edifici a Costantinopoli, in Terra Santa, nei luoghi santi dell'Oriente, in Africa, nei Balcani e in Italia, mentre Giovanni d' Efeso gli attribuisce quasi un centinaio di edifici (cfr. Downey, 1950 ). L'attività evergecica imperiale poteva pure essere opera di alci funzionari ricordaci nella documentazione epigrafica, come il magister militum Maurizio, citato in un'epigrafe di Torcello, o Giovanni, anch'egli magister militum, presente tra il 552. e il 575 alla curia di Ravenna e finanziatore nella costruzione della cattedrale di Pesaro, individui che, probabilmente come i governatori del IV secolo, agivano in nome dell'imperatore. Un ruolo sicuramente simile è quello del prefetto del pretorio Opilione che promosse, sotto mandato del re Teodorico, la realizzazione del sacello di Santa Giustina a Padova, nell'ambito di una serie di trasformazioni, nell'area meridionale della città, legate al potenziamento delle difese urbane (Brogiolo, 2.017a) (cfr. FIG. 3.3). Anche i re barbarici assunsero il ruolo di evergeci cristiani. Il re ostrogoto Teodorico è quello meglio conosciuto grazie alle numerose chiese di culto ariano costruite durante il suo mandato, non solo a Ravenna, ma in altre città del regno. Probabilmente ariana fu pure la chiesa che il re visigoto Leovigildo costruì nella città di Reccopolis, da lui fondata in onore di suo figlio. E ariane erano alcune delle chiese che i longobardi eressero nelle principali città del loro regno. Dopo la loro conversione al cattolicesimo, il franco Clodoveo ( 500 ), seguito dal visigoto Recaredo (589) e più tardi dai monarchi longobardi, eresse cappelle palatine, chiese e monasteri urbani e rurali, attività che continueranno con la costruzione dei grandi monasteri regi di epoca carolingia (cfr. FIG. 3.4). Le iniziative evergetiche private, infine, costituirono un elemento

12.1

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 3.2

Iscrizione monumentale che celebra la costruzione della chiesa Nea ( 543)

Si tratta del più ampio progetto urbanistico intrapreso dall'imperatore Giustiniano a Gerusalemme, in quanto implicò l'allargamenro del cardo massimo porticato della città e la costruzione di una enorme piattaforma artificiale sulla quale fu edificata la chiesa. Fonte-. Avigad (1993, pp. 134-5).

fondamentale nella formazione del paesaggio ecclesiastico tardoantico e altomedievale. In questo caso sarebbe importante differenziare tra chiese costruite con mezzi privati, ma con gestione ecclesiastica e uso comunitario, e chiese che, dopo la consacrazione del vescovo, rimase-

122

3.

FIGURA

DALLA COSTRUZIONE AL CULTO

3.3

Testimonianze dell'attività evergecica di alci funzionari

e

a

a) Sacello di Santa Giustina a Padova, epigrafe che ricorda la fondazione a carico del prefetto del pretorio del re Teodorico, Opilione; b) Torcello, epigrafe relativa al magister militum Maurizio; e) Pesaro, cattedrale, iscrizione che ricorda l'intervento evergecico del magister militum Iohannes. Fonte: foto dell'autrice.

ro sotto il controllo privato, operazione difficile perché già nell'epoca tardoantica esisteva una notevole ambiguità giuridica nello status di questi edifici (Thomas, 1987; Wood, 2006). Un noto esempio del primo caso è quello della chiesa di Santo Stefano sulla via Latina, edificata per desiderio e con le risorse messe a disposizione dalla già citata Anicia Demetriade 4 • Nell'iscrizione commemorativa della costruzione, rinvenuta durante gli scavi, si precisa che papa Leone Magno aveva dato attuazione al proposito di Demetriade, espresso ex voto in punto di morte, di edificare una chiesa nella sua proprietà (ut s[a}crae surgeret aula d[omus}) e che la chiesa fu costruita sotto la sorveglianza del prete romano Tigrino ( Tigrinus, p[resbyter instans}); stando a quanto riporta il suo probabile epitaffio metrico (diversis reparo tecta sacrata locis), lo stesso presbitero svolse incarichi simili in altri luoghi. Sia l'epigrafe fondazionale, sia la tipologia dell'edificio (una chiesa di ampie dimensioni - 29 x 19 m - con un ambiente battesimale costruito contemporaneamente alla chiesa e ad essa direttamente collegato) fanno supporre che sia nata come edificio comunitario adibito alla cura pastorale, interpretazione rafforzata dalla sua

4. L'analisi di questo episodio, riferito dal Liber Pontiflcalis, e del sito archeologico, in Fiocchi Nicolai (1999; 2.007) con ampia bibliografia. Sugli Anici e le loro opere evergetiche cfr. Capizzi (1997 ).

123

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA

3.4

Il duca Arechi II durante la costruzione della chiesa di Santa Sofia di Benevento (attorno al 760) (Fachechi, 1997)

Fonte: Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 49~9. fa8v.

posizione al terzo miglio di un'importante via di comunicazione. In questo caso, si tratta quindi di una fondazione realizzata con mezzi privati, ma costruita sotto stretta sorveglianza delle autorità ecclesiastiche, che ne assunsero il controllo fin dal momento della realizzazione. Vi sono anche le chiese costruite da evergeti privati che venivano gestite direttamente dal fondatore e restavano perciò al di fuori del

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3. DALLA COSTRUZIONE AL CULTO

controllo ecclesiastico. Questo tipo di fondazioni (spesso piccoli edifici con funzione di oratori, chiese funerarie e strutture monastiche) si moltiplicano soprattutto a partire dal VII secolo, divenendo un elemento caratteristico del paesaggio urbano e rurale. In Oriente, il Concilio di Calcedonia del 451 comincia a regolare il funzionamento di questi edifici disponendo che tutti dovessero essere sottomessi all'autorità del vescovo, che ne doveva anche autorizzare la costruzione. La prima regolazione generale delle chiese private, che si data all'epoca dell'imperatore Zenone (474-491) (Codex lustinianus 1, 1, 15), sottolinea che per fabbricare un nuovo edificio era necessario disporre di sufficienti risorse per garantirne la sostenibilità economica. Giustiniano impose poi un rituale di inaugurazione delle nuove chiese presieduto dal vescovo (Novellae 133, 32). Procopio dice persino che non era possibile, né a Costantinopoli né altrove, costruire chiese se non con fondi imperiali, ma ovviamente si trattava più di un desiderio di monopolio che di una realtà, poiché sappiamo che altri evergeti edificarono chiese proprio in questo periodo 5• Leggendaria fu ad esempio l'edificazione della chiesa di San Polieucto (520-526) a Costantinopoli per iniziativa di Anicia Giuliana, nipote dell'imperatrice Licinia Eudossia (moglie di Valentiniano m). Oltre a un'architettura particolare, poi copiata in alcuni degli edifici più importanti realizzati da Giustiniano, aveva una straordinaria decorazione architettonica e una lunga iscrizione sulle arcate del piano inferiore che ricordava la nobile origine della stirpe teodosiana, di lei stessa e di suo figlio, aspirante al trono preso poi da Giustiniano (Antologia Palatina I, 10) (cfr. FIG. 3.5). Secondo Gregorio di Tours, Anicia Giuliana evitò anche, con questo investimento, che l' imperatore si appropriasse della sua fortuna (De Gloria Martyrum 793, c. 103 ). Il desiderio di conservare il patrimonio familiare è spesso alla base della costruzione di alcune chiese e monasteri privati, ai quali venivano donati proprietà e beni che in questo modo passavano sotto la giurisdizione delle chiese. Una consuetudine che viene sfruttata soprattutto nelle fasi di contrasto politico, come avvenne in Italia alla fine del regno longobardo (ad esempio, Desiderio e Ansa nella fondazione del monastero di San Salvatore di Brescia nel 753). Numerose iscrizioni

5. Procopio, De Aedifìciis I, 8, 1. Cfr. Giustiniano (Novellae 67, 32. del 538). Su questo provvedimento e, in generale, sulla legislazione giustinianea relativa alle chiese private in Oriente cfr. fondamentalmente Thomas (1987, pp. 37-58).

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 3.5 L'iniziativa di Anicia Giuliana nella chiesa di San Polieucto a Costantinopoli

b

a

a) Frammento d'iscrizione in greco, rinvenuto durante gli scavi di San Polieucto, che faceva parte della decorazione delle arcate della chiesa e riportava versi del!' Antologia Palatina; b) rappresentazione di Anicia Giuliana in un manoscritto miniato del VI secolo. Fonte: Harrison (1989, pp. p, 136).

attestano anche il contributo delle aristocrazie longobarde per dotare alcune chiese di un arredo liturgico prestigioso, ad esempio il ciborio di Chiusi offerto da Gregorio, nipote di Liutprando con la moglie Austregonda verso il 729, l'altare dell'abbazia di San Pietro in Valle a Ferentillo (Umbria), donato dal duca Hilderico e da sua moglie nel 739 (cfr. FIG. 3.6); o il famoso altare di Ratchis a Cividale del Friuli nel 744. Oltre a qualche epigrafe e a riferimenti vari nelle fonti, sono le epistole papali e i concili a rivelare l'intensità del fenomeno e la preoccupazione dell'autorità ecclesiastica, soprattutto quando i fondatori pretendevano di riservarsi la gestione liturgica ed economica degli edifìci6.

6. Le prime norme sulle chiese costruite in possessionibus propriis provengono dall'epistolario di papa Gelasio (492.-496), ove si precisa che nessuna chiesa di nuova fondazione può essere consacrata senza l'autorizzazione del papa. Nel caso le chiese fossero passare sorto il controllo della Chiesa, dovevano essere regolarmente riconsacrate dal vescovo e il fondatore non aveva altro diritto che di accedervi. Per l'Italia rimane imprescindibile Violante (1982.) e adesso Fiocchi Nicolai (2.017 ). Per la Gallia, cfr. Pietri (2.005). Per la Spagna, cfr. Chavarria Amau (2.006; 2.007a; 2.018a, pp. 97-116).

12.6

3. DALLA COSTRUZIONE AL CULTO FIGURA 3.6 Lastra di una recinzione presbiceriale, abbazia di San Pietro in Valle (Ferentillo)

Ricomposta come altare, era decorata con una serie di dischi e piccole figure una delle quali mostra un personaggio maschile con scalpello e l'iscrizione URSUS MAGISTER FECIT. Un'epigrafe corre lungo la parte superiore della lastra e prosegue sul margine sinistro: + HILDERICUS DAGILEOPA + IN HONORE SCI PETRI ET AMORE SCI LEO ET SCI GRIGORII (P )ROREMEDIO AM. L'abbazia fu fondata nell'vm secolo dal duca longobardo Faroaldo II, dopo aver trovato le spoglie dei due santi eremiti Lazzaro e Giovanni (cfr. Ghisalberti, 1992, pp. 307-8). Fonte: foto dell'autrice.

Per garantirsi il controllo, la Chiesa si impegnò inoltre a restringere sia le cerimonie religiose svolte nelle chiese private, sia le attribuzioni e i diritti dei proprietari, ma evidentemente i risultati dovevano essere scarsi a giudicare dall'insistenza con cui le prescrizioni e i divieti si ripetono concilio dopo concilio.

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

Archeologicamente è molto difficile distinguere una chiesa fondata da un'autorità pubblica da una privata e precisare se tale edificio fosse aperto a una comunità più o meno ampia o se invece il suo uso fosse ristretto al fondatore e alla sua famiglia. Dimensioni, articolazione interna degli spazi e presenza o meno di elementi particolari (battisteri, sepolture) possono suggerirne la funzione, ma non sono conclusivi senza una conferma da parte di una fonte scritta o di un'epigrafe.

3.3 Architetture e status sociale Le tecniche costruttive e i materiali impiegati nella costruzione di una chiesa costituiscono una fonte informativa importante, non solo della posizione sociale, ma anche degli obiettivi contingenti perseguiti dai fondatori. Nell'ordine, considereremo: il controllo delle maestranze specializzate, le tecniche costruttive e l'uso di spolia. 3.3.1. IL CONTROLLO DELLE MAESTRANZE

Lo status del costruttore si coglie soprattutto nel controllo di maestranze specializzate in grado di proporre architetture di prestigio attraverso le piante e le soluzioni tecnologiche e decorative impiegate. A partire dal v secolo le maestranze si fanno sempre più rare a causa della diminuzione della domanda e operano soltanto per soddisfare l'alta committenza, l'unica a disporre di risorse economiche adeguate per erigere chiese e palazzi. Queste maestranze edili non erano fisse in un territorio specifico, ma itineranti. Particolarmente apprezzati erano gli architetti siriaci. Già per la costruzione del Santo Sepolcro, Costantino affidò i lavori a Zenobio, un architetto forse di questa origine. Anche quelli che costruirono il mausoleo del re goto Teodorico e la chiesa del suo palazzo a Ravenna si presume che fossero siriani (Johnson, 2016, pp. 370-1). Il movimento di maestranze da una regione a un'altra non era raro e poteva obbedire ad altre motivazioni, oltre che la competenza tecnica. In una lettera scritta tra il 373 e il 383, Gregorio di Nissa chiese al vescovo Anfìloquio di lconia di occuparsi della redazione dei contratti per un gruppo di operai specializzati per la costruzione di una chiesa poiché, a parere di Gregorio, gli operai di lconia, a parità di compe-

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3. DALLA COSTRUZIONE AL CULTO

tenze, risultavano più economici di quelli locali e sapevano costruire edifici interamente in pietra ( Gregori Nysseni Opera, Epistula xxv). Per la costruzione della cattedrale di Gaza, di committenza imperiale (Licinia Eudossia), il vescovo Porfirio incaricò l'architetto Rufino di Antiochia, «affidabile e molto esperto» (Marco Diacono, Vita Porphyrii 78), mentre per i grandi lavori che comportò la costruzione della chiesa dedicata alla Theotokos a Gerusalemme (la Nea) Giustiniano scelse un architetto della capitale chiamato Teodoro (Procopio, De Aediflciis v, 6). È probabile che le maestranze che lavorarono per San Polieucto a Costantinopoli partecipassero anche al cantiere della chiesa dei Santi Sergio e Bacco e potrebbero essersi poi spostate in Italia per la costruzione di San Vitale, forse su richiesta del vescovo di Ravenna Ecclesio, che avrebbe visitato Costantinopoli nel 52.6 (Harrison, 1989, p. 141; Johnson, 2.018). Procopio, come già si è menzionato, ricorda che nel cantiere di Santa Sofia a Costantinopoli intervennero maestranze di tutto il mondo. Anche in Italia le aristocrazie longobarde fecero ricorso a maestranze orientali, evidenti soprattutto per l'uso di particolari motivi e tecniche decorative, come è stato dimostrato per il cosiddetto tempietto longobardo di Cividale (costruito attorno alla metà del1' vm secolo) e per il di poco successivo San Salvatore di Brescia, opera del re longobardo Desiderio (Leal, 2.014). Particolari motivi decorativi, la presenza di cupole, piante centrali e opera quadrata di alcune chiese costruite nella seconda metà del vrr secolo nella Penisola iberica potrebbero spiegarsi con la presenza di maestranze orientali adoperate dalle più alte aristocrazie della corte visigota ( Chavarria Arnau, 2.018a, PP· II4-6, 153-8). Intorno al 710, Nechtan, re dei pitti, popolazione delle regioni settentrionali della Britannia, chiede all'abate del monastero di Jarrow in Northumbria l'invio di maestranze in grado di costruire una chiesa iuxta more Romanorum; in cambio il re promette di dedicarla a san Pietro (Beda Venerabilis, Historia ecclesiastica gentis Anglorum v, 2.1). In un altro testo, riferito al 675, lo stesso Beda descrive la richiesta, da parte di Benedict Biscop, abate di Wearmouch, di operai della Gallia (che denomina cementarios) per costruire un monastero iuxta Romanorum morem (Beda Venerabilis, Historia abbatum Wiremuthensium v). In epoca carolingia, nel contesto dei grandi centri monastici si moltiplicano le notizie di progetti e opere architettoniche e vengono ricordati i nomi di ecclesiastici costruttori come il magister et monachus

12.9

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

Racolfò del monastero di Fulda o il monaco architetto Winiardo di San Gallo. Insigne esempio di questa nuova architettura carolingia è l'aula palatina di Aquisgrana, dove un'epigrafe, oggi persa, ricordava sia il committente, Carlo Magno, sia l'architetto, l' egregius magister Odo Melensi (Tosco, 2.003, pp. 55-9 ). 3.3.2. LE TECNICHE COSTRUTTIVE

I principali materiali di costruzione, usaci nelle chiese cardoantiche e alcomedievali, erano il laterizio, la pietra e - più raramente nel Mediterraneo - il legno, spesso, ma non sempre, di reimpiego. In Occidente, dal v secolo, lo sfruccamenco in estensione delle cave entrò in crisi, il che portò a una semplificazione del processo produttivo della pietra (con un sistema di estrazione più agevole e un facile trasporto) e all'uso preferibilmente di pietre che non erano di cava o di conci di riuso. Divennero frequenti le tecniche che permettevano di combinare vari materiali, come l'opera listata nella quale i filari di laterizi era corsi di pietra servivano a regolarizzare i paramenti (come nel bacciscero di Capua, opera di Costantino, con laterizio e tufo nero, o nella prima fase del San Salvatore di Spoleto, con opera che alcerna filari di blocchetti litici e filari di mattoni) o quelli ( i paramenti) che consentono di utilizzare materiali non perfettamente lavoraci o senza alcuna elaborazione come l'opera incerta o l'opera africana (nelle murature del complesso episcopale di Ginevra o Barcellona). Fondamentale in questo contesto diventa la produzione di calce che permette di legare (con la malta) i materiali da costruzione o di coprirne le superfici con intonaci. La qualità delle malce (con una più grande quantità di calce o - al contrario - più terrose) può essere utilizzata come indicatore della qualità dell'opera e delle abilità tecniche delle maestranze. Un elemento che denota l'architettura alcomedievale di qualità è l'opera quadrata, tecnica che richiedeva un notevole impegno in termini di maceria prima e di lavoro specializzato: dalla cava al trasporto dei pesanti conci, dalla loro finitura in cantiere all'aeprontamento di macchine per sollevare i blocchi e metterli in opera. E questo il modo di disporre il materiale costruttivo al quale le fonti si riferiscono quando parlano di opera o more Romanorum, non canto alludendo alle opere degli "antichi" romani, quanto piuttosto, credo, in associazione con le opere che costruivano i romani di Oriente, gli imperiali che, nel corso del VI secolo, reintrodussero l'opera quadrata nelle fortificazioni

3. DALLA COSTRUZIONE AL CULTO

e nelle chiese costruite nei territori riconquistati in Occidente (particolarmente in Africa, nella Sardegna e probabilmente pure in Spagna). Nella Penisola iberica, l'opera quadrata comincia ad essere impiegata, a partire dal VI secolo, nella città di Mérida, roccaforte romana e cattolica di fronte al potere visigoto, e nelle principali città della costa mediterranea per i complessi episcopali di Barcellona o Valencia. Poi anche nella chiesa della città di Reccopolis, fondata da re Leovigildo nel 581 (Arbeiter, 1995; 2000 ). A partire dal VII secolo questa tecnica compare in numerose chiese di pianta cruciforme, legate tra l'altro all'ambiente aulico del regno visigoto di Toledo (San Juan de Bafios, San Pedro de la Nave, San Pedro de la Mata; cfr. Schlimbach, 2012), probabilmente quale strumento per manifestare un certo prestigio legato all' imitazione di modelli imperiali "romani': a cui le fonti fanno riferimento in più occasioni e che daranno poi il nome a quella tecnica (mos Romanorum o opera Romanorum), indizio, per sé stessa, di qualità (Chavarrfa Arnau, 2018a, pp. 152-6) 7• Conferma questa interpretazione la Vita del vescovo Desiderio di Cahors (580-655), ricordato per aver costruito in opera Romanorum alcuni edifici del complesso episcopale, caratterizzati da grandi pietre squadrate e lisciate (in quadris ac dedolatis lapidibus) in tutto il paramento (ad summa usquef astigia) ( Vita Desideri 16, c. 31; Rey, 1953). Menziona anche questa tecnica, in opposizione a una opera Gallicana, il Memoratorio de mercedes commacinorum (in Azzara, Gasparri, 2005, pp. 245-50) di fine VII-inizio VIII secolo (Brogiolo, 2013c). A partire dalla fine del VII secolo, nell'Italia soggetta ai longobardi 1' incremento della domanda e la moltiplicazione delle fondazioni ecclesiastiche favorirono lo sviluppo di maestranze specializzate. Se osserviamo le tecniche costruttive degli edifici superstiti, notiamo spesso un notevole impaccio esecutivo, dalle absidi di Santa Maria alle Cacce di Pavia (edificate con più riseghe a rientrare) al San Salvatore di Brescia (nella realizzazione della cripta inserita probabilmente a posteriori), alla Santa Sofia di Benevento (con una copertura dell'ambulacro tramite archi asimmetrici). Forse non è casuale che nel Memoratorio de mercedes commacinorum (tariffario tecnico per lavori edili dell'epoca di re Liutprando) non ritroviamo una citazione esplicita delle volte.

7. Secondo Cagnana (2.007, p. 136), invece, l'opera Romanorum sarebbe l'opus incertum.

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 3,7

Chiese in legno documentate nei dintorni di Ginevra

1 ;·/'

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10m

a) Céligny, VI-VII secolo; b) Satigny, VIII-IV secolo; e) Vuillonnex, IX secolo. Fonte: Terrier, Odenhardt-Donvez, Fauduet (wo7, fìgg. 46, 47, 48).

Una delle caratteristiche più note dell'Altomedioevo è la diffusione dell'edilizia in legno, soprattutto in costruzioni di carattere residenziale, che alcuni hanno messo in relazione con la presenza di popolazioni provenienti dal Nord Europa. Chiese in legno si trovano prevalentemente nelle aree alpine, nelle isole britanniche e in Irlanda, dove le costruzioni lignee furono poi in alcuni casi sostituite da edifici in pietra che a volte riproducevano la forma dell'edificio precedente. Ma non sempre. Scavi recenti stanno dimostrando come, in alcuni casi, evidenze negative (buche di palo), interpretate come i supporti di chiese precedenti in legno, sono invece relative alle impalcature per la costruzione. La presenza di chiese in pietra in Gran Bretagna si lega in genere al cordone giurassico che attraversa il paese da sud-ovest a nord-est, e quindi in parte il materiale usato dipende dalla disponibilità più che da una particolare evoluzione (Morris, 20II, pp. 183-7 ). Nel Nord dell'Europa, invece, le costruzioni lignee rimasero predominanti per tutto il Medioevo e anche più tardi (Ahrens, 2001). Compaiono

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3. DALLA COSTRUZIONE AL CULTO

chiese in legno pure nel territorio di Ginevra (cfr. FIG. 3.7 ), in Svizzera, principalmente a partire dall'vm secolo (Terrier, Odenhardt-Donvez, Fauduet, 2007, pp. 89-91 ). In Italia, dove sono assai rare e talora dubbie le testimonianze di chiese costruite in legno, possiamo ricordare San Tomè di Carvico, in provincia di Bergamo. 3-3.3. L'uso DI SPOLIA

Fra Tardoantico e Altomedioevo, la posizione sociale del committente si coglie nella possibilità di ottenere materiali di spolio provenienti da edifici pubblici romani, nella disponibilità di risorse per affrontare il loro trasporto (talvolta a grande distanza) e infine, in cantiere, nella capacità tecnica necessaria al loro sollevamento e alla messa in opera. L'uso di marmi e colonne di reimpiego durante i restauri e i rifacimenti di edifici pubblici esisteva già in epoca altoimperiale, anche se si intensifica a partire dal III secolo, quando cominciano a verificarsi cambiamenti nelle cave imperiali di Carrara e nella distribuzione dei marmi a causa dell'insabbiamento del porto di Luni. Tradizionalmente, l'uso di spolia è stato visto in chiave negativa, come legato alla crisi economica dell'Impero 8• Altre spiegazioni, oggi superate, vedevano nell'impiego di materiale di spolio un ipotetico atto di sottomissione dell'antico, in quanto pagano, al cristianesimo o il desiderio di stabilire un legame simbolico con il mondo imperiale romano. Oggi se ne sottolineano gli aspetti positivi, soprattutto il valore estetico attribuito ai monumenti classici già dai contemporanei, secondo quanto mostrerebbe il discorso che Teodosio (a parere di Prudenzio) fece ai membri del Senato: «Lavate, senatori, i marmi insudiciati dallo spruzzo infetto. Sia lecito che le statue si innalzino pure, opere di grandi artisti; divengano esse bellissimi ornamenti della nostra patria» (Contra Orationem Symmachi I, 501-505; cfr. Krollpfeifer, 2017), esortazione che trova riscontro in varie leggi che invitano a conservare alcuni edifici pagani per il loro valore estetico ( Codex Theodosianus XVI, ro, 8); o la bellezza che si poteva conseguire con la combinazione di marmi di colori diversi, effetto costantemente ricordato nelle descri-

8. Sul tema dell'uso di spolia nell'architettura tardoantica, cfr. Deichmann (1975), Brenk (1987; 2.003); Alchermes (1994); Ward-Perkins (1999); Cressier (2.001); Greenhalgh (2.012.).

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

zioni di chiese da parte dai contemporanei. Ma in molte zone l'uso di

spolia era sicuramente una necessità economica e pratica: l'estrazione di materiali di cava era diventata troppo costosa e nelle città vi erano ormai numerosi edifici romani caduti in rovina che potevano essere smontati e riutilizzati come materiale da costruzione. Nel caso di monumenti pubblici (soprattutto anfiteatri, teatri e templi), il loro uso (e distruzione per ricavarne materiali) era strettamente controllato dalle autorità civili. Lo precisano, ininterrottamente, le prescrizioni contenute nel Codex Theodosianus, nelle "Variae di Cassiodoro e nei privilegi degli imperatori dell'Altomedioevo. Ancora ali' inizio del IX secolo l'abate Giosuè di San Vincenzo al Volturno chiese l'autorizzazione al re Ludovico (in seguito imperatore) di demolire un vecchio tempio di Capua e riusarne le colonne nella costruzione di una nuova chiesa ( Chronicon Volturnense 220-221 ). Pertanto la presenza di spolia in un edificio rivela l'esistenza di un committente che disponeva delle necessarie relazioni sociali e politiche e delle risorse economiche per procurarsi i materiali. Non è dunque da stupirsi se numerose sono le attestazioni dell'impiego di spolia nella costruzione di luoghi di culto patrocinati da imperatori. Tale pratica la si ritrova anche tra i re longobardi: Paolo Diacono ricorda le colonne provenienti da Roma che Liutprando fece portare, nella prima metà dell'vm secolo, a Corteolona, nei pressi di Pavia, per realizzare presso il suo palazzo suburbano la chiesa dedicata a sant'Anastasio (Paolo Diacono, Historia Langobardorum VI, 58). Materiali di spolio servirono allo stesso re per costruire Santa Maria alle Cacce a Pavia, e ai suoi successori Astolfo e Desiderio per fabbricare due altri importanti edifici ancora conservati in elevato: il tempietto di Cividale del Friuli e il San Salvatore di Brescia. Carlo Magno fece trasportare ad Aquisgrana materiali di Ravenna per reimpiegarli nella cappella del suo palazzo e nella chiesa del monastero di Saint-Riquier a Centula, notizie raccolte nel Codex Carolinus e nella Vita Karoli (cfr. Binding, 1997-98; 1998). Pure le autorità subordinate, soprattutto quelle che aspiravano a un'autonomia politica, si distinsero nell'uso di spolia. I casi più interessanti di questa pratica li offrono il tempietto del Clitunno e la chiesa suburbana di San Salvatore di Spoleto, sede di un importante ducato longobardo, che alcuni studiosi riferiscono a quel contesto storico (rispettivamente Emerick, 1998; Jaggi, 1998 ), anche se non è da escludere una cronologia originale di epoca precedente poi rinnovata tra la fine del VI e l'inizio del VII secolo. Pani Ermini e Pensabene (2012) propon-

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3. DALLA COSTRUZIONE AL CULTO

FIGURA 3.8 Tempietto del Clitunno e presbiterio di San Salvatore a Spoleto

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b

Tempietto del Clitunno (a) (facciata occidentale) e presbiterio di San Salvatore a Spoleto (b); entrambi gli edifici fanno uso di un gran numero di colonne, capitelli e trabeazioni di epoca romana. Fonte: Emerick (2014, p. 63, fig. 2; p. 66, fig. 4).

gono un'epoca tardoantica, ma potrebbero anche appartenere all'età gota. Il tempietto ripropone la forma di un luogo di culto pagano, mentre nel San Salvatore vengono reimpiegate colonne e trabeazioni di un tempio dorico (cfr. Emerick, 2014) (cfr. FIG. 3.8). Anche a Benevento numerosi edifici di epoca altomedievale riusarono fregi decorativi, capitelli e altri elementi spogliati dai numerosi monumenti di questa città romana. Il fenomeno continua in epoca islamica, come dimostra la presenza di colonne, capitelli e altre parti architettoniche nelle moschee; ci sono poi numerose testimonianze che raccontano dell'attrazione per la raccolta e il reimpiego di materiali provenienti da costruzioni precedenti (cfr. Greenhalgh, 2012). Per la costruzione del palazzo di Madinat al-Zahra' a Cordova furono utilizzate colonne di marmo verde e rosa di Cartagine, Ifriqiya, Roma e Costantinopoli, queste ultime regalo

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

dell'imperatore. Nell'xI secolo, marmi di Gerusalemme furono portati in varie città della Spagna ( Calvo Capilla, lo14). Agli occhi dei contemporanei, il valore del reimpiego non consisteva solo nella qualità e nel pregio dei monumenti, ma anche nella difficoltà e nel grande dispendio di mezzi che richiedeva il trasporto a una lunga distanza, come nel caso delle 3l colonne di marmo, di breccia verde di Caristos, spedite dall'imperatrice Licinia Eudossia per la cattedrale di Gaza, che arrivarono via mare e furono trasportate a una a una su carri (Marco Diacono, Vita Porphyrii 84) (cfr. FIG. 3.9 ), o quelle colonne che Liutprando fece portare da Roma, forse via mare con il periplo dell'Italia per poi risalire il Po e il Ticino e arrivare a Corteolona, infine le esplicite testimonianze di Paolino di Perigueux, che evoca le difficoltà per trasportare le colonne, plausibilmente di spolio, fino al cantiere di una chiesa ( Vita Sancti Martini v, l64-l89) o le colonne spedite alla fine del v o agli inizi del VI secolo dal vescovo di Eauze, al suo amico Ruricius di Limoges e trasportate in veicula per una distanza di 300 km (Claro di Eauze, Epistula II, 63, in Mathisen, l001). Comunque è interessante sottolineare che nonostante l'uso di spolia fosse una pratica ampiamente diffusa, quando era possibile i grandi committenti (a Costantinopoli o a Ravenna, ad esempio) preferivano l'utilizzo di materiali nuovi (Ward-Perkins, 1984, pp. l14-5). Legato agli spolia, ma con una problematica diversa, è il fenomeno del riuso di edifici antichi come chiese, tema ampiamente studiato e che affronterò brevissimamente 9• Particolarmente adatte erano le basiliche civili e i complessi termali. Rara è invece, almeno per il IV secolo, la realizzazione di chiese in templi pagani, i quali venivano evitati sia per motivazioni pratiche (la cella dei templi era troppo piccola per le riunioni comunitarie), sia perché, quando vennero costruite le prime chiese, essi erano ancora in funzione. Le fonti scritte e quelle archeologiche indicano due processi diversi: la distruzione di un tempio e la sua sostituzione con una chiesa, e la conversione di un tempio in chiesa. La testimonianza più antica relativa alla distruzione di un tempio per fare spazio a una chiesa è datata all'epoca di Costantino, quando secondo Eusebio di Cesarea, l'imperatore ordinò la demolizione del tempio di Afrodite a Gerusalemme per cercare la tomba di Cristo e poi erigerci

9. Cfr., tra tanti altri, Deichmann (1939; 1975); Hanson (1978); Vaes (1989 ); Caillet (1996); Cantino Wataghin (1999); Ward-Perkins (2.003); Aree (2.006).

3. DALLA COSTRUZIONE AL CULTO

FIGURA 3.9 Trasporto di una colonna su un carro raffìguraco in un mosaico del Museo del Bardo, Tunisi

Le descrizioni delle chiese sottolineano il ruolo delle colonne, le loro dimensioni, la qualità del materiale e i colori. Utilizzate per suddividere le navate, nelle facciate, nei portici, esse provenivano generalmente da monumenti antichi (cfr. Emerick, lo14). Fonte: Guiderti (w16, tìg. 9).

la chiesa del Samo Sepolcro. Almeno per l'Oriente, il fenomeno della distruzione di templi non fu marginale, a giudicare dalla legislazione esistente per proteggere questi edifici e i numerosi esempi documentati a partire dal v secolo' Le fonti ricordano, ad esempio, come la cattedrale di Gaza fu costruita sullo spazio prima occupato da un tempio (Marneion): alcuni volevano che la chiesa avesse persino la stessa pian0



10. Pet l'episodio del Santo Sepolcro, cfr. Fraser (199s, pp. 8l-3); sui rinvenimenti archeologici, cfr. Patrich (1993); Gibson, Taylor (1994). In generale sul fenomeno della distruzione e riuso di templi in Oriente, cfr. Meier (1996); Caseau (wo1, pp. 31-3); Saradi (wo6, pp. 398-401).

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

ta (circolare), ma l'imperatrice Licinia Eudossia (che finanziò l'opera all'inizio del v secolo) stabilì che doveva essere cruciforme. L'edificio fu iniziato dopo che le rovine del Marneion furono sgombrate, salvo alcuni elementi come le lastre di marmo che servirono per pavimentare lo spazio davanti alla chiesa (l'atrio?) (Marco Diacono, Vita Porphyrii 75-76).

In Occidente, invece, più che essere sottoposta a distruzioni massicce pare che la maggioranza dei templi nelle città tardoantiche fu progressivamente abbandonata, senza che si osservi un sistematico riuso come chiese. Per l'Italia la prima notizia, che si data poco prima del 500, la fornisce Ennodio in relazione a un tempio di Novara. Nel VI secolo si colloca la conversione in cattedrale del tempio di Minerva a Siracusa, e nel 597 quella del tempio della Concordia ad Agrigento. A Roma, la prima conversione importante è quella ricavata nel cosiddetto tempio di Romolo (che diventa il vestibolo) e nel tempio della pace (utilizzato per la navata) della chiesa dei Santi Cosma e Damiano, monumenti donati nel 52.7 a papa Felice IV probabilmente da Amalasunta, figlia di Teodorico. Nel 609 si data invece la conversione del Panteon per concessione dell'imperatore Foca durante il pontificato di Bonifacio IV ( 608-615).

Parte seconda Contesti e funzioni

4

Chiese e città

Dal V secolo si percepisce una graduale trasformazione in molte città della pars occidentalis dell'Impero come conseguenza di mutazioni nel sistema del potere, della crisi delle aristocrazie tradizionali e dell' amministrazione cittadina che ad esse faceva capo'. L'inizio di questo processo e il ritmo delle trasformazioni dipendono dal ruolo della città e dalle circostanze politiche della regione, ma le conseguenze furono le stesse ovunque: le strutture pubbliche (terme, edifici di spettacolo, templi) divennero inutili e caddero in disuso o furono impiegate per altre funzioni di carattere marginale (attività artigianali, abitati o aree funerarie) o come cave di materiale edilizio per nuove costruzioni. Le grandi residenze private tardoantiche sperimentarono un processo di lento degrado, fìno a che vennero abbandonate o sostituite da nuove forme abitative più semplici. Oltre a questo sviluppo di carattere negativo, due sono gli elementi che caratterizzano la città tardoantica e altomedievale: da un lato, la ricostruzione delle cinte murarie, che in momenti diversi (dall'epoca tetrarchica al VII secolo) coinvolge pressoché tutte le regioni dell'Impero e, dall'altro, la realizzazione di chiese, monasteri e altre infrastrutture cristiane con la conseguente, progressiva, cristianizzazione del paesaggio urbano. Il cristianesimo nasce nelle città e sarà fondamentalmente una religione urbana, sia per il tipo di popolazione che tende ad attirare inizialmente (commercianti, artigiani ed élite cittadine), sia per la sua struttura organizzativa, ereditata dal sistema amministrativo romano. L'istituzione ecclesiastica, e il vescovo in particolare, diventano uno

1. La bibliografia sulla città tra Tardoantico e Altomedioevo è immensa. Cfr., come lavori di sintesi più innovativi, Liebeschuetz (l001); Saradi (2.006) (per il Mediterraneo orientale); Leone (l007) (per l'Africa); Brogiolo (2.011) (per l'Italia).

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

degli elementi più importanti nel garantire la continuità dei nuclei urbani e la conservazione del loro status, da una parte per la conservazione e la costruzione di edifici monumentali e di infrastrutture pubbliche, dall'altra per l'assunzione progressiva di molte delle prerogative delle autorità civili. Infatti, a misura che le istituzioni romane e le strutture amministrative imperiali si degradavano, la gerarchia ecclesiastica divenne un mezzo attraverso il quale i potenti potevano conservare ricchezza, influenza e potere (Liebeschuetz, 1990; Brown, 1992; Rapp, 2005). Le chiese urbane sono un indicatore chiave per comprendere questi processi: tra i secoli IV e VI costituiscono la principale evidenza del potere politico dei vescovi e della loro capacità di polarizzare le risorse economiche delle aristocrazie e, più in generale, dei cittadini. Le chiese portarono alla trasformazione dei quartieri nei quali erano state costruite e ne divennero spesso un importante polo di riferimento non solo religioso, dal momento che presso di esse si sviluppò un'ampia serie di attività economiche (commerciali e produttive), amministrative (ci si appendevano decreti imperiali, vi si dispensava la giustizia, vi si teneva la documentazione di archivio), assistenziali (distribuzione di alimenti, bagni pubblici), luogo di riunione. I percorsi devozionali tra le varie chiese urbane e del suburbio contribuirono a trasformare la viabilità romana consolidando alcuni assi a scapito di altri e legando fortemente l'area suburbana e il centro urbano. Il processo di monumentalizzazione dello spazio in chiave cristiana iniziò con la costruzione e lo sviluppo delle chiese intramuros, in particolare di quella vescovile, seguita (nel caso di Roma il fenomeno è contemporaneo) dalle basiliche erette nel suburbio. In generale, si trattò di un processo molto lento, visibile archeologicamente dall'epoca di Costantino, ma sviluppatosi soprattutto nel corso del secolo successivo, quando la maggior parte delle città dell'Impero doveva essere dotata di una topografia ecclesiastica "classica", costituita da una ecclesia vescovile con annesso battistero e una o più chiese funerarie nelle aree cimiteriali costruite al di sopra delle memorie dei martiri e dei protovescovi cristiani. Nel VI secolo le chiese tendono a dominare lo spazio urbano e sono ormai diventate il principale focus della città, non solo dal punto di vista religioso o architettonico, ma probabilmente anche da quello sociale ed economico. La costruzione di chiese e infrastrutture cristiane continuerà poi per tutto l'Altomedioevo.

4. CHIESE E CITTÀ

Dagli anni Novanta gli studiosi hanno cercato di capire come le chiese si siano inserite nel tessuto urbano di epoca romana e di comprenderne il ritmo delle trasformazioni, la natura delle continuità e delle discontinuità1 • Si tratta di un approccio globale alla topografia urbana dove città e suburbio sono due spazi intimamente collegati ma con funzioni diverse (città come spazio monumentale, di rappresentazione e di abitato; suburbio per le attività industriali e funerarie), differenze che in alcuni casi si mantengono, in altri tendono ad allentarsi o mutare. Per comprendere appieno la topografia ecclesiastica urbana è fondamentale ricordare, che dal III secolo in poi, le città subirono cambiamenti radicali nella loro dimensione e che l'edificazione di nuove fortificazioni alterò in alcuni casi il tracciato dell'antico pomerium o limite sacro fondazionale. Talora il perimetro si allargò occupando aree che prima erano suburbane e quindi destinate a sepolture (a Milano, Ravenna, Costantinopoli) e in altre si ridusse. I complessi episcopali tendono comunque sempre a restare ali' interno del primo circuito difensivo, perché precedenti ali' ampiamento o perché rispettano comunque l'antico pomerium. Ci sono però alcune eccezioni, come il complesso episcopale di Ginevra, edificato al di sopra di un'area funeraria precedente che era stata inserita nel nuovo circuito urbano.

4.1

La cattedrale e il complesso episcopale La cattedrale, designata nelle fonti tardoantiche come ecclesia mater, senior, maior o semplicemente ecclesia, è l'edificio di culto principale di una città e della sua diocesi, dove il vescovo ha il suo trono o cathedra. La sua funzione principale è quella di essere luogo di raduno, preghiera, liturgia eucaristica domenicale e, inizialmente, principale luogo di battesimo della comunità urbana 3• Purtroppo, anche se nelle ultime

Cfr. i volumi del grande progetto Topographie chrétienne des cités de La GauLe per un'analisi dettagliata dell'evoluzione delle città in Gallia (esattamente 121 città e 748 edifici). Una sintesi a partire da questi dati in Beaujard (2010) e nel volume di sintesi a cura di Gaillard, Prevot, Gauthier (2016). 3. Per l'Italia il lavoro classico è Testini, Cantino Wataghin, Pani Ermini ( 1989 ); 2.

(TCCG)

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

decadi la conoscenza della topografia cristiana urbana ha fatto dei passi avanti notevoli, sono ancora pochi i complessi episcopali cardoantichi indagati archeologicamente in modo estensivo e stratigrafico e dove siano stati utilizzati metodi di datazione assoluta. Per cale motivo ancora oggi vi sono grandi difficoltà nel datare le fasi originali di molti edifici e, in alcuni casi, se ne discute persino l'ubicazione. 4.1.1. CRONOLOGIA

Oltre alle cattedrali datate in epoca costantiniana, che conosciamo grazie alle testimonianze delle fonti scritte o epigrafiche (a Tiro, Gerusalemme, Costantinopoli, Antiochia, Orléansville nel 324, Roma, Ostia, Napoli, Capua, Aquileia, Treviri), scavi archeologici in città come Ginevra, Barcellona e Padova mostrano come la monumentalizzazione delle prime cattedrali urbane nel IV secolo fu probabilmente un fenomeno diffuso. Le medesime indagini evidenziano un'articolata evoluzione con successive ricostruzioni che mascherano spesso le fasi primitive. Inoltre, questi primi complessi sono spesso edificati a partire da strutture precedenti e non risulta per niente facile determinare da quale momento acquisiscano una funzione liturgica. In generale, esiste ancora in molte città una certa distanza cronologica tra la menzione dei primi vescovi locali (mo IV secolo) e le evidenze architettoniche del primitivo complesso episcopale che diventa visibile solo dopo un lasso di tempo variabile. Ad esempio, Victrizio di Rouen si vantava di aver acquistato un terreno per costruire l' ecclesia nel 396, ma un vescovo di questa città, già nel 314, assiste al Concilio di Arles (TCCG 16, pp. 30-2). A Narbona, ad esempio, la prima notizia sulla cattedrale proviene da un'iscrizione monumentale che ne celebra la costruzione alla metà del v secolo, ma l'epigrafe sottolinea come si tratti della ricostruzione di un edificio precedente rovinato da un incendio. A Tours esisteva una chiesa al tempo del vescovo Littorius (337 /8-370 ), ma fu ricostruita da Gregorio di Tours sulle medesime fondazioni, sebbene più alca e più ampia (Gregorio di Tours, Historia Francorum x, 31, 19; Venanzio Fortunato, Carmina X, 6, 11-18). In molti casi si sperimenta una fase di grande monumentalizzazio-

cfr. anche Lusuardi Siena, Baratto (2.013) (per l'Italia settentrionale) e il più recente Brenk (2.016) (specificamente centrato sul tema cattedrale-reliquie).

144

4. CHIESE E CITTÀ

FIGURA 4.1

Monumencalizzazione della cattedrale di Ginevra nel tempo

VII-VIII secolo d C.

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Ginevra costituisce probabilmente uno dei complessi episcopali tardoantichi meglio conosciuti grazie a trent'anni di ricerche stratigrafiche a opera di Louis Bionde! e poi di Charles Bonnet, che ne hanno chiarito la complessa evoluzione. Datato alla metà del IV secolo, le sue strutture ecclesiastiche e la domus episcopi si andranno ampliando nei secoli successivi fino a occupare quasi un quarto del!' area urbana. Fonte: Bonnet (loo6, fìg. 55).

ne architettonica e decorativa durante il VI secolo, come a Barcellona, Ginevra, Parenzo (cfr. FIGG. 4.1-4.2). Anche a Cordova le vestigia conosciute (mosaici, scultura) si datano al VI secolo, il che probabilmente non è un indizio dell'antichità del complesso, bensì di una fase di monumencalizzazione particolarmente significativa.

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA

4.2.

Le ere fasi del complesso episcopale a Parenzo (Croazia), in rapporto alla viabilità romana

---I

a

b

a) IV secolo; b) epoca preeufrasiana; e) epoca eufrasiana: basilica (1); atrio (2.); battistero (3); palazzo (4); memoria del vescovo Mauro (5). Fonte: Matejèié, Chevalier (2.012., p. 166, fìg. 2.).

Casi particolari costituiscono le città con occupazione gota o poi longobarda, dove al complesso episcopale tardoantico si aggiunge un nuovo polo cultuale per accogliere la comunità ariana. In mancanza di un'identificazione sicura (per adesso solo nel caso della cattedrale ariana di Ravenna, costruita ali' epoca di re Teodorico) è soltanto la presenza di due battisteri monumentali che permette di ipotizzare lo sdoppiamento della chiesa vescovile. Esemplare, da questo punto di vista, è il caso di Mantova, dove, all'interno del nucleo urbano, sono stati individuati ben due battisteri di epoca tardoantica-altomedievale (Brogiolo, 2004; Manicardi, 2016). Il primo (identificato nel 2012 in via Rubens s-u) a pianta ottagonale fu costruito su uno strato datato al v secolo. Nel VII secolo, nel deambulatorio viene deposta una sepoltura privilegiata longobarda, appartenente a individuo infantile con ricco corredo, ma non è chiaro se il battistero mantenesse ancora la sua funzione liturgica. Al VII secolo si data invece un altro battistero monumentale nell'area della cattedrale attuale, presso il quale vengono sistemate alcune sepolture, tre a cassa in muratura, una decorata con agnelli, un'altra contenente un individuo che indossava un vestito dalle maniche di broccato con fili d'oro, mentre in un sarcofago ornato con motivi architettonici il defunto aveva un corredo costituito da scramasax e crocetta aurea. È forse il battistero ariano, costruito dai longobardi poco dopo la conquista della città nel 603, collegato da un atrio alla cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, probabilmente una reintitolazione. Nei pressi, sorse anche una cappella dedicata a santa Speciosa, una santa mantovana nella cui Vita si segnala la sua azione contro gli ariani (cfr. FIG. 4.3).

4. CHIESE E CITTÀ

FIGURA 4.3

Battisteri monumentali a Mantova

a

b

a) Planimetria dei due battisteri, identificati l'uno come ariano (in alto), l'altro come cattolico (in basso), rinvenuti nel centro urbano; b) collocazione dell'antico centro urbano: 1. battistero presso la chiesa dei Santi Pietro e Paolo; bens 5-11.

2..

battistero in via Ru-

Fonte: Manicardi (2.016, foto aerea a p. n).

La nascita di nuovi poli insediativi, il cambiamento di status di alcuni siti già esistenti o il ruolo più importante di alcune città, rispetto ad altre in crisi, porteranno alla creazione di nuove sedi episcopali, come nel caso di Grado dove le chiese vengono datate genericamente nel v secolo, ma sono monumencalizzace dal patriarca Elia (571-586), quando si produce il trasferimento della sede episcopale da Aquileia. Una fondazione di età cardolongobarda è quella di Ceneda, in Veneto, che solo alla fine del VII secolo diviene centro episcopale. Anche altri ceneri bizantini, a vocazione commerciale, sviluppatisi lungo le cosce alcoadriaciche, verranno talora dotati di sedi vescovili: oltre a Torcello (Vecchi, 1982) si possono ricordare gli scavi recenti di Comacchio, che hanno messo in luce, nell'Isola del Vescovo, evidenze materiali (frammenti di arredo liturgico e un forno per la produzione di vetro) che collocherebbero la primitiva cattedrale nel cardo VII o nel corso dell'vm secolo (Gelichi, 2009). In Gran Bretagna pur se i vescovi di York, Londra e Lincoln assistono al Concilio di Arles del 314, per ora non sono state identificate

147

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA

4.4

Topografia cristiana di Canterbury nel VII secolo (a) e relativo complesso episcopale della principale area suburbana (b)

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100m

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San Martino S. Pancrazio

b

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Fonte: Gittos (~013, p. 130, fig. 37 ).

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300m

4. CHIESE E CITTÀ

tracce di complessi episcopali così antichi (Lorans, 2.016, pp. 311-2.). A Canterbury esiste una topografia cristiana classica dal VII secolo, con una cattedrale intitolata al Salvatore e il battistero di San Giovanni Battista. In un'area funeraria del suburbio fu costruita un'abbazia con tre chiese, la più importante intitolata ai Santi Apostoli. Questa abbazia accolse poi le sepolture della famiglia reale di Kent e gli arcivescovi di Canterbury (Gittos, 2.013) (cfr. FIG. 4.4). 4.1.2.. TOPOGRAFIA

I complessi episcopali si ubicano invariabilmente all'interno delle città e non, come sostenuto dalla tradizione, nel suburbio in relazione ai cimiteri e alle chiese martiriali 4 • La convinzione che alcune cattedrali fossero originariamente situate nel suburbio (ad esempio a Padova) deriva probabilmente dalle pretese di alcuni monasteri che, nel corso del Medioevo, volevano sfuggire al controllo episcopale sostenendo di avere un passato più antico della cattedrale. Soprattutto è fondamentale ricordare che, nel momento in cui questi complessi acquistano monumentalità (1v secolo), il cristianesimo non era più una religione perseguitata, ma, al contrario, un movimento trionfante e intimamente legato al potere politico. La vulgata è stata appoggiata dal fatto che sono pochissimi gli scavi all'interno delle cattedrali mentre si conoscono molto meglio le prime vestigia dei complessi suburbani che, come vedremo, nascono poco dopo le chiese episcopali. Le ricerche sviluppate nelle province occidentali dell'Impero mostrano un ampio ventaglio di possibilità circa l'ubicazione del complesso episcopale, collocazione che, in origine, sembra dipendere soprattutto da fattori pratici: consistenza economica della comunità, ruolo del vescovo, condizione materiale della struttura urbana, cronologia della fondazione. In molti casi si trovano in un angolo della città, nelle vicinanze della cinta muraria: a Ostia, Brescia, Verona, Bologna, Parenzo, Ginevra, Arles, Barcellona, tra tanti altri. Spesso sorsero in pros-

4. Secondo la storiografia tradizionale, molte chiese episcopali sarebbero state originariamente costruite fuori dalla cinta muraria, presso le aree cimiteriali: cfr. Violante, Fonseca (1966, pp. 344-5, per l'Italia); Griffe (1965, pp. p9, per la Gallia); Gurt, Sanchez Ramos (2011, per la Spagna). Contro Prévot (2.003, pp. 2.0-4); Beaujard (2.010, p. 2.08); Chavarria Arnau (2.ow; 2.018a, pp. 78-80 ).

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

simità di una delle porte urbiche, forse per favorire la frequentazione dei fedeli del suburbio e delle aree rurali, obbligati a recarsi all' ecclesia in determinate festività. La prossimità alle mura poteva anche avere un carattere simbolico, una sorta di rinforzo delle difese cittadine. L'ubicazione del complesso episcopale di Roma a ridosso delle mura aureliane fu innanzitutto determinata dalla posizione delle caserme degli equites singulares, reparto militare che costituiva la guardia del corpo dell'imperatore Massenzio e la cui sede fu rasa al suolo per rappresaglia5. Non si tratterebbe, come argomentato in passato, di un settore marginale della città, bensì di un'area residenziale nella quale si trovavano l'abitazione di Costantino e della sua famiglia, tra cui la domus Faustae, dove già nel 313 papa Miliade tenne un concilio. Studi sull'evoluzione topografica del cristianesimo a Roma indicano anche che i centri monumentali (Fori e Campo Marzio) restarono relativamente marginali alla cristianizzazione (nel IV e v secolo) per il loro carattere pubblico e rappresentativo, oltre che per la mancanza di popolazione stanziata in questa zona, uno dei primi requisiti, a giudicare dalla distribuzione delle chiese, per la costruzione di luoghi di culto cristiano. A Milano la cattedrale ha origine probabilmente in epoca costantiniana e in particolare durante l'episcopato di Merocle (313-314)6. Il primo complesso, chiamato da Ambrogio vetus o minor, fu costruito ad est della città, vicino al primitivo recinto murario repubblicano (poi ampliato in epoca di Massimiano), in un'area residenziale in uso fino al pieno IV secolo, forse dotata anche di un tempio. Le analisi di termoluminescenza sui laterizi e le rilevazioni al ' 4 C hanno confermato una datazione preambrosiana per il battistero poi intitolato a santo Stefano (con vasca ottagonale all'interno di un vano quadrilatero), probabilmente collocato in mezzo a due basiliche come quelle di Aquileia o

5. L'analisi archeologica di questa zona è in Liverani (1004); sul significato politico dell'ubicazione, cfr. Van Dam (1007, pp. 85-7 ). La basilica dei Santi Pietro e Marcellino nella via Labicana fu costruita in un'area di proprietà imperiale su un cimitero con numerose tombe di equites singulares. Lo spolio del cimitero e la costruzione della basilica sono stati messi in relazione con la damnatio memoriae di Massenzio; cfr. Guyon (1987, pp. 30-3, 130-9 ); Curran ( 1000, p. 99 ). 6. La bibliografia sulla cattedrale e la topografia cristiana di Milano, oggetti di estese ricerche per tutto il xx secolo, è assai ampia. Sintesi critiche in Neri, Spalla, Lusuardi Siena (1014) e (sulle chiese suburbane) Lusuardi Siena, Neri (1013). oltre al capitolo su Milano di Krautheimer (1987 ).

4. CHIESE E CITTÀ FIGURA 4.5

Complesso episcopale di Milano

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Gli scavi eseguiti tra il 1997 e il 2.010 hanno permesso di chiarire la sequenza dei vari edifici che componevano il complesso episcopale con un primo battistero (1) (Santo Stefano) forse collocato tra due basiliche gemelle (2.), ampliato poi all'epoca di Ambrogio, quando vennero costruiti il battistero di San Giovanni (3) e la basilica Nova (4). Questa nuova cattedrale straordinariamente ampia (So x 45 m) poteva accogliere fino a 3.000 persone, non molte di meno che la cattedrale di Roma (Krautheimer, 1987, pp. I18-9). Fonte: Lusuardi Siena, Neri, Greppi (201s, p. 71).

Treviri. A epoca ambrosiana risalgono invece il battistero di San Giovanni e la basilica Nova (poi Santa Tecla), ad ovest delle strutture più antiche (cfr. FIG. 4.5)7, edifici che saranno oggetto di interventi ricostruttivi e decorativi tra la seconda metà del v e l'inizio del VI secolo a opera del vescovo Lorenzo8• I complessi episcopali si installano spesso in quartieri residenziali e su case private (Ginevra, Barcellona, Luni), ma bisogna essere cauti sull'interpretazione poiché la vulgata casa privata = donazione di un pio cristiano non sempre corrisponde al vero. Talora le fonti parlano di donazioni, ma in altre occasioni si tratta di acquisti da parte dei vesco-

7. Nomi che utilizza lo stesso Ambrogio per descriverle: « basilica vetus, basilica baptisteri, basilica nova quac maior est, ecclesia basilica minor» (nell'Epistola 76 di Ambrogio indirizzata a sua sorella Marcellina). 8. Secondo Ennodio e Massimo di Torino come conseguenza delle distruzioni di Attila; cfr. Neri, Spalla, Lusuardi Siena (2.014, pp. 198-9 ).

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

vi o di espropriazioni da parte dello Stato (nel caso, ad esempio, della Santa Sofia giustinianea). Quando si collocano su spazi pubblici è necessario l'accordo con le autorità municipali: terme nel caso di Cimiez o Reims; parte del foro ad Aix o a Valentia; macellum presso il foro a Benevento, quartieri artigianali o magazzini a Poitiers o Aquileia. La graduale crescita del potere secolare della Chiesa e della sua ricchezza economica indurrà alcuni vescovi a manifestare questa nuova posizione, non solo nelle dimensioni e nella sontuosità delle chiese, ma anche come dominio dello spazio urbano, con il trasferimento della chiesa episcopale al centro della città. È il caso di Arles, dove Cesareo (502.-542.) trasforma la primitiva ecclesia mater, situata nell'angolo sud-est della città, in un monastero femminile, mentre dalla metà del v secolo il complesso episcopale viene spostato nell'area forense, dove si trova l'attuale Saint-Trophime (da ultimo Heijmans, 2.006) (cfr. FIG. 4.6). O di Auxerre, dove il vescovo Amatore sollecita a un notabile locale la cessione della propria dimora, ubicata in posizione centrale, per trasferirvi la cattedrale, che si trovava vicino a una delle porte della città (Guyon, 2.005, pp. 2.0-1). Ad Aix-en-Provence la cattedrale, costruita sul foro intorno all'anno 500 riusando un grande edificio pubblico, doveva trovarsi originariamente altrove, visto che almeno dal 408 esisteva un vescovo, forse nelle vicinanze delle mura verso ovest, dove i testi medievali ricordano una beata Maria sede (TCCG 2., p. 2.6). A Sabratha, la prima cattedrale del IV secolo, a nord del teatro, è sostituita plausibilmente nel v secolo da un nuovo complesso sistemato nella basilica civile del foro. In altre città, i complessi episcopali occupano uno spazio via via maggiore, come a Ginevra o nella città africana di Sbeida. Molto rare sono invece le cattedrali costruite fìn dall'origine nel suburbium. In Francia si ritiene possibile un'ubicazione suburbana a Metz, dove la chiesa vescovile, intitolata a santo Stefano, probabilmente edificata presso l'anfiteatro, venne poi trasferita nel V secolo nell'area centrale della città, in prossimità del foro (rccG 1, pp. 42.-3). Tra le rarissime eccezioni si fa spesso riferimento al suburbio di Camus, in Sardegna, dove in un'area funeraria è stato rinvenuto un complesso ecclesiastico con chiesa, battistero e strutture residenziali, identificato come complesso episcopale - ma tale identificazione è del tutto ipotetica9• Per Velletri,

9. Giuncella, Pani Ermini (1989 ); con le perplessità di Istria, Pergola (2010) e più recentemente Fiocchi Nicolai, Spera (2015).

4. CHIESE E CITTÀ

FIGURA 4.6 Topografia cristiana di Arles, con ubicazione delle cattedrali e delle chiese suburbane

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A

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500m

1. Cattedrale primitiva; l. cattedrale del V secolo; 3. residenza episcopale; 4. monastero femminile; 5. basilica funeraria di San Genesio; 6. monumento a san Genesio sul luogo del suo martirio; 7. monastero suburbano maschile; 8. basilica funeraria degli Apostoli; 9. monastero maschile di Aureliano.

Fonte: Heijmans (2006).

dove Gregorio Magno si riferisce al trasferimento della cattedrale in locum qui appellatur Arenata ad sanctum Andream apostolum (Registrum epistolarum II, 17), Fiocchi Nicolai (2.0016) ha ricordato che si tratterebbe di un caso particolare (dovuto alla minaccia longobarda) e che, soprattutto, questa cattedrale provvisoria non fu collocata nel suburbio, bensì a più di una ventina di chilometri dalla città. In Spagna sono state proposte, ancora di recente, ubicazioni extramuros per alcuni complessi episcopali (Siviglia, Girona, Cordova ... ), basate sempre sulla presenza di elementi come tombe di vescovi e battisteri e sulla mancata identificazione della chiesa episcopale all'interno delle mura. Le fonti accennano anche ad alcuni casi: quello del monastero di Dumio (Braga nel Nord-Ovest della Penisola iberica), che diventò sede vescovile quando l'abate esercitò quella funzione (Diaz, 1993), e quelli

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

di alcune chiese suburbane o rurali che furono innalzate a sedi episcopali al tempo del re dei visigoti Wamba, nella seconda metà del VII secolo. Tuttavia, l'eccezionalità del fenomeno fu già sottolineata dai contemporanei e la situazione tornò poi rapidamente alla normalità ( Chavarria Arnau, 2010; 2018a, pp. 47, 80 ). Da verificare ancora l'ipotesi che, a partire dall'epoca gota, alcune basiliche suburbane siano state usate come chiese ariane, possibilità deliberata da Teodosio e che potrebbe aver provocato il riuso o la costruzione ex novo di cattedrali ariane extramuros ( Codex Theodosianus xv, 5, 6 del 381). Questa è l'interpretazione data alla chiesa suburbana rinvenuta nella città di Teurnia, nel Norico (St. Peter in Holz), edificio monumentale dotato di cappelle laterali e di tre altari, costruito, almeno in parte, da un vir spectabilis dux Ursus (con la sua sposa), membro del governo del re goto Teodorico (Glaser, 2016, pp. 33-40). Una simile interpretazione potrebbe essere anche suggerita per il complesso suburbano di Santa Giustina a Padova, realizzato dal prefetto del pretorio del regno goto, Opilione (cfr. supra, p. 121 ). In questo caso, l'ipotesi di un'identificazione come episcopio (ariano) potrebbe essere confermata dalla documentazione testuale altomedievale che, pur in modo confuso, sembra riferirsi alla presenza di due vescovi in città, uno dei quali avrebbe avuto la sua sede nella basilica martiriale (per un'analisi di questo complesso problema, cfr. Brogiolo, 2017a). Si tratta, tuttavia, di un fenomeno ancora poco studiato e non sappiamo fino a che punto e a quale momento la legislazione teodosiana fu rispettata o meno. 4.1.3.

LA DOMUS EPISCOPI

Legislazione ecclesiastica e fonti contemporanee indicano che la residenza del vescovo (chiamata domus ecclesiae o domus episcopi, per poi diventare "palazzo episcopale" nel Medioevo), si trovava presso I' ecclesia materw. In genere, e salvo alcune eccezioni, queste residenze

10. Lo prescrive ad esempio il canone 14 del IV Concilio di Cartagine e gli Statuta Ecclesia Antiqua (cfr. Munier, 1960) (seconda metà del v secolo): «domus episcopi sic vicinus Ecclesiae» o anche «Ut episcopus non longe ab Ecclesia hospitiolum habeat» (CCL 148B, pp. 166, 186). Il vescovo Gallo sentiva i cantici che provenivano dall' ecclesia nel suo letto di morte ( Gregorio di Tours, Vita Patrum VI, 7 ). Cfr. da ultimo Balcon-Berry et al. (2.012.), atti di un convegno dedicato a questo tema (Des "domus ecclesiae" aux palais épiscopaux).

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4. CHIESE E CITTÀ

sono difficili da distinguere rispetto a una normale abitazione aristocratica e soprattutto sono mal conosciute a causa del carattere parziale e frammentario degli scavi e della loro continuità d'uso, a volte fino ai nostri giorni. Infatti, queste residenze tendono a trasformarsi in concomitanza con il crescente potere economico, politico e sociale del vescovo e dei compiti che progressivamente assume (Marana, 2007 ). Lo hanno messo in evidenza gli scavi di Charles Bonnet a Ginevra, che ne mostrano l'evoluzione continua con varie sale di rappresentanza, una delle quali (riscaldata) collegata alla cattedrale sud, oratori privati, sale da pranzo, cucine e magazzini (Bonnet, 2.012). Ne è un altro esempio la città di Clermont, dove il vescovo Eparchia possedeva una piccola residenza presso l' ecclesia, trasformata con il tempo in un salutatorium e sostituita infine da un edificio, che nel 479 fu capace di accogliere tutti i cives nel banchetto per il funerale di Sidonio Apollinare". A Roma il primitivo palazzo episcopale potrebbe aver riutilizzato una grandiosa domus aristocratica donata da L. Sextius Lateranus a Settimio Severo, poi passata a una cerca Fausta, forse della potente famiglia degli Anicii, che la mise a disposizione dei vescovi di Roman. I dati archeologici sono molto scarsi poiché l'edificio fu distrutto da Sisto v per edificare il palazzo apostolico lateranense, ma dalla documentazione letteraria sappiamo che fu progressivamente ampliato per comprendere varie cappelle, sale di udienze (definite basiliche nelle fonti) e una grande aula (triclinium maius), eretta da papa Leone III (795-816) (cfr. FIG. 4.7). Di grande prestigio doveva anche essere il palazzo episcopale di Ravenna, costruito probabilmente insieme alla cattedrale verso la fine del IV-inizi del v secolo in concomitanza con il trasferimento della capitale in questa città (da ultimo Rizzardi, 2.012). Ubicato dietro l'abside della basilica Ursiana, era composto da diversi edifici costruiti progressivamente dai vari presuli. Le fonti fanno riferimento a un ambiente di rappresentanza dove si tenevano i concili (salutatorium), un tricli-

11. Gregorio di Tours, Historia Francorum II, 21: «et quiae tempore ecclesia parvam infra muros urbis possessionem habebat, ipsi sacerdoti in ipso, quod modo salutatorium dicitur, mansio erat» (poi ivi II, 23). 12. In questa domus Faustae si celebrò un concilio a Roma nel 313. Per una sintesi recente, cfr. Liverani (2012) con ampio apparato bibliografico.

155

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA

4.7

Complesso del patriarcato a Roma presso la chiesa di San Giovanni in Laterano

Fonte: Liverani (2012, p. 126, fìg. 5, secondo Luchrerhandr, 1999).

nio monumentale poliabsidato, costruito all'epoca del vescovo Neone (451-473), un balneum rinnovato dal vescovo Vittore nella prima metà del VI secolo e strutture per accogliere il clero (un edificio detto "Tricoli"), un archivio e un oratorio di pianta cruciforme dedicato a Cristo e poi a sant'Andrea, ancora oggi conservato (cfr. FIG. 4.8). Un palazzo episcopale tardoantico praticamente intatto si conserva a Parenzo, in Croazia. Opera del vescovo Eufrasio (metà del VI secolo), è costituito da un edificio monumentale, a due piani, preceduto in facciata da un nartece ad arco triplo. Ogni piano è articolato in un ambiente centrale absidato di grandi dimensioni, ai lati del quale si dispongono due serie di due locali minori absidati. La sala principale (di 9,40 x 9,40 m senza abside) si trovava nel piano superiore e presentava, nella corda dell'abside, una tripla arcata (tribelon) decorata con marmo, stucco e intonaci dipinti, in corrispondenza al seggio sul quale si sedeva il vescovo per presiedere la episcopalis audientia (da ultimo Matejcié, Chevalier, 2012) (cfr. FIG. 4.9).

4, CHIESE E CITTÀ

FIGURA 4.8 Interpretazione delle strutture rinvenute e identificate come episcopio di Ravenna

1. Attuale cattedrale; 2.. battistero cattolico; 3. basilica primitiva; 4. domus Quinque accubita; 5. secretarium/ salutatorium; 6. mensa; 7. oratorio di Sanc'Andrea.

fònte: Rizzardi (wu, p. 138, fìg. 3).

Più problematica è l'identificazione del palazzo episcopale di Giusciniana Prima ( Caricin Grad), riconosciuto da alcuni studiosi negli edifici ubicaci all'interno del recinto fortificato dell'Acropoli, di fronte alla cattedrale, su una strada porticata (cfr. FIG. 4.21). Si tratta di vari edifici monumentali era cui un'aula di 25 x 20 m, plausibilmente di due piani, decorata con mosaici e pitture, riconosciuta come aula di udienze. Non si conosce tuttavia la funzione degli edifici che affiancavano quesc' aula e non è da scartare l'idea che potessero avere funzioni amministrative o di rappresentanza. È stato ipotizzato recentemente che la residenza vera e propria del vescovo potrebbe trovarsi invece dall'altra parte della strada e in diretta connessione con la cattedrale (Caillec, 2012) o, secondo un'altra proposta, fuori dal recinto fortificato, con accesso diretto tramite una porca collocata nella parte nord della cinta muraria (Bavant, 2007, pp. 364-7 ).

157

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA

4.9

Palazzo del vescovo Eufrasio a Parenzo (Croazia)

b

a

e

a) Planimetria del palazzo; b) dettaglio degli stucchi nell'arco centrale; e) la stanza vista dall'ingresso. Fonte: a) Macejéié, Chevalier (2012, p.

168, fig.

}); b-c) foro dell'autrice.

4. CHIESE E CITTÀ

FIGURA 4.IO

Le chiese di Grado (Udine)

S:1.nta Eufnni.i

San ( ;jovanni

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b

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a) Topografia cristiana di Grado; b) pianta della chiesa di Santa Eufemia; e) mosaico del salutatorium. Fonte: Trovabene (2010).

Anche a Grado, nella chiesa di Santa Eufemia è stato identificato come salutatorium/secretarium, e quindi sala di udienze del vescovo, un ambiente annesso al lato sud della chiesa, spazio dotato di un pavimento musivo con iscrizioni che riproduce il monogramma del vescovo Elia (fondatore della chiesa) e il nome di varie autorità civili ed ecclesiastiche (Caillet, 1993, pp. 220-1, 246-50, 255) ( cfr. FIG. 4.10 ). In realtà, come già abbiamo visto dall'esempio lateranense (la domus Faustae), la residenza del vescovo poteva corrispondere perfettamente a una domus aristocratica contemporanea, poiché, in parte, le

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 4.11

Quartiere episcopale di Byllis (Albania)

Databile al V secolo, questo quartiere episcopale attraversa un'importante fase nel vr, quando si sviluppa un settore dedicato ad attività economiche tra cui la produzione di vino, testimoniata dai torchi. Fonte: Beaudry, Chevalier (lo14).

sue funzioni non erano canto diverse rispetto a quelle di un potente cittadino cardoantico e aveva bisogno degli stessi spazi: sala udienze (nelle fonti secretarium o salutatorium), triclinio, balneum, biblioteca, un oratorio, cubicula, spazi per magazzino ... Solo la continuità di utilizzo, come a Parenzo, e la presenza di fonti scritte (come a Roma o a Ravenna) ne permette una sicura identificazione (Duval, 1987 ). Nella maggior parte delle altre città è soprattutto l'ubicazione nei pressi della chiesa vescovile e la monumentalità a suggerirne l' interpretazione, come nel caso di Barcellona, Salona, Byllis (cfr. FIG. 4.rr), Stobi o nei complessi episcopali delle città nordafricane. In quasi tutti questi esempi la fase di monumencalizzazione si data nel VI secolo, anche se la loro origine risale almeno al secolo precedente.

160

4. CHIESE E CITTÀ

4.r.4. IL Q_UARTIERE EPISCOPALE: STRUTTURE ECONOMICHE E DI ASSISTENZA

Testi e archeologia confermano che la chiesa episcopale generò la costruzione di numerosi edifici ausiliari, quali abitazioni per il clero, balnea, spazi per ospitare attività assistenziali (xenodochia), monasteri, magazzini ecc. ' 3 Spazi dedicaci alla produzione di manufatti ceramici, vetro, oggetti di metallo, calchere e così via possono spesso essere legaci alla costruzione e decorazione delle chiese o dei loro annessi. Tra i più noti, l'officina vetraria rinvenuta davanti alla chiesa di Santa Maria di Torcello, impiantata nel VI secolo per realizzare le tessere vitree utilizzate per la decorazione dell'edificio di culto e le suppellettili in vetro (Marcorelli, 1999, pp. 572.-4). Una volta conclusi i lavori, l'officina fu eliminata per far posto a un piazzale antistante all'edificio di culto. A Egnazia ( in Puglia), nell'area a sud della basilica episcopale, è stata trovata una calchera rimasta in uso dalla fine del IV e per tutto il v e il VI secolo, il che ne fa presupporre un uso, oltre che per la costruzione del primo impianto episcopale, per altri edifici o per la commercializzazione della calce (Mascrocinque, 2.014, pp. 42.4-5). Anche altre officine rimasero in funzione a lungo, allorquando producevano oggetti d'uso ecclesiastico (lampade o recipienti in vetro, ad esempio) o souvenirs, come le chiavi con proprietà taumaturgiche a imitazione di quella della confessio di San Pietro, che Gregorio Magno era solito donare (Registrum epistolarum I, 2.5-2.9-30, in Marcorelli, 1999, pp. 593-4). Sicuramente l'esempio più straordinario è quello della Crypta Balbi a Roma, dove un'officina monastica (quindi non connessa alla cattedrale) produceva un'ampia serie di oggetti preziosi legaci o meno al mondo ecclesiastico, e che venivano poi distribuiti pure fuori Roma in aree e per clienti longobardi. Un altro tipo di attività economica, identificata nei principali complessi ecclesiastici delle città, corrisponde all' immagazzinaggio e alla trasformazione di prodotti agricoli probabilmente provenienti dalle proprietà ecclesiastiche. I principali ritrovamenti riguardano torchi per vino e olio che potevano servire al consumo interno, per la distribuzione di beni necessari ai poveri e agli am-

13. Che evolvono poi nei quartieri dei canonici; cfr. Picard (1994).

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

malati o alla distribuzione e commercializzazione, come rivelano a volte le anfore o i dolia o i recipienti con iscrizioni e tituli picti relativi a chiese (Saradi, 2006, p. 423, nota 2358). Secondo Helen Saradi, queste attività proseguono la tradizione dei templi pagani, aperti a lavori di produzione e distribuzione di beni per le necessità proprie dei templi classici o dei fedeli, ma in rapporto alle chiese si incrementarono e diversificarono notevolmente (ivi, pp. 214-6, 423). Il che spiega anche come le piazze e le strade, presso le principali chiese, siano diventate aree commerciali più o meno fisse (ivi, p. 423).

4.2

Le chiese del suburbio Le chiese costruite nel suburbio vanno messe in relazione alla prima fase della cristianizzazione intimamente legata al mondo funerario. Insieme a quelle pagane, le sepolture cristiane si trovano originariamente al di fuori delle cince urbane, lungo le principali vie di ingresso e di uscita dalla città. Dal III secolo, per iniziativa dei vescovi, si cominciano a organizzare i primi grandi cimiteri cristiani comunitari. Allo stesso modo dei comuni cristiani, anche i martiri furono sepolti in questi cimiteri suburbani, dando luogo poi alla costruzione di memorie, mausolei e monumenti in loro onore. A Roma, queste memorie, frequentate dalla metà del 111 secolo da pellegrini provenienti dall'Italia e presumibilmente dall 'Africa, furono poi monumentalizzate in epoca costantiniana con la costruzione di chiese: la basilica Apostolorum (poi San Sebastiano) sulla via Appia, San Lorenzo sulla via Tiburtina, Santi Marcellino e Pietro sulla via Labicana, Santa Agnese sulla via Nomentana, e la chiesa circiforme della via Ardeatina, attribuita a papa Marco' 4 • I primi documenti ufficiali dell'organizzazione del culto martiriale nel suburbio di Roma sono la Depositio episcoporum e la Depositio martyrum, scritte intorno al 336 e poi inserite nel Cronografo del 354. Il pontificato di Damaso (366-384) costituì un'ulteriore acce-

14. Sulla cristianizzazione del suburbio di Roma e il rapporto era chiese e cimiteri cfr. i lavori di V. Fiocchi Nicolai (da ulcimo 2.016, con ampia bibliografia).

4. CHIESE E CITTÀ

lerazione del culto martiriale, finalizzato, tra l'altro, a rivendicare l'esclusività papale del controllo e della gestione del culto. La politica damasiana risulta evidente non solo negli interventi monumentali realizzati presso le tombe venerate (per le quali compose oltre 60 carmi, facendoli incidere su lapidi da apporre presso i loro sepolcri), ma anche nell'ulteriore sviluppo del santoriale romano: dai 46 martiri e vescovi celebrati nelle Depositiones si passa alle 150 commemorazioni annotate nella prima metà del v secolo dal Martirologio geronimiano. Le tombe degli apostoli Pietro e Paolo costituivano sicuramente le mete preferite dei fedeli, ma le fonti rivelano che già dalla metà del IV secolo esisteva un iter devozionale più completo e sistematico. Paolino di Nola, durante uno dei suoi soggiorni romani nel 398, racconta di aver passato mattinate intere a visitare le sacre tombe dei martiri. Nel 500, il vescovo Fulgenzio di Ruspe non mancava, secondo il diacono Ferrando, suo biografo, di sacra martyrum loca venerabiliter circuire' 5• Dall'incrocio di queste notizie con le guide compilate tra il pontificato di Onorio I e la metà del VII secolo si può ricostruire il quadro della topografia martiriale del suburbio di Roma, che nel VII secolo comprendeva ben 45 chiese (Reekmans, 1989). A Roma quindi, come in altre città con martiri propri, le aree funerarie suburbane nel corso del tempo vennero dotate di chiese, che compresero i sepolcri venerati. A loro volta, queste chiese attrassero rapidamente le sepolture dei fedeli, tra cui gli stessi vescovi, che si fecero seppellire vicino ai martiri (ad sanctos ). A Cartagine, grazie ai sermoni di sant'Agostino, sappiamo che esistevano due memoriae relative a san Cipriano, martirizzato nel 2.58: una nel luogo della sua sepoltura e dove, secondo l'identificazione di Noel Duval, fu poi costruita la chiesa di Santa Monica; per l'altra (mensa Cipriani), dove il vescovo fu martirizzato, sono state proposte varie identificazioni nei suburbi a nord della città (cfr. A. Leone, 2.007, pp. II0-1, con bibliografia). Ad Arles, la basilica funeraria eretta sulla tomba di san Genesio e quella dei Santi Apostoli si trovavano presso la via che portava a Marsiglia, a sud della città (TCCG 3, pp. 73-84; cfr. FIG. 4.6). A Treviri, si formarono due poli

1s. Paolino di Nola, Epistulae XVII, gentii 13-2.7.

2.;

Prudenzio, Peristephanon XI, 1-2.; Vita Ful-

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

cultuali suburbani: il primo a sud, dove secondo la tradizione vi era la tomba di Eucario, primo vescovo della città anteriore alla Pace della Chiesa, il secondo a nord, a 500 m dalla Porta Nigra, sulla tomba del vescovo Massimiano (330-347), basilica, questa, che godeva di grande prestigio nel VI secolo (rccG 1, pp. 2.7-30; Ristow, 2.007, pp. 183-2.15). La città tedesca di Xanten prende il nome proprio dall'ubicazione ad sanctos della chiesa (oggi cattedrale) costruita su un edificio funerario, secondo tradizione, quello dei santi Vietar e Mallosus, esistente al di fuori dell'accampamento altoimperiale della Colonia Ulpia Traiana (Ristow, 2.007, pp. 88-95). Gli scavi archeologici dimostrano come all'origine di molte chiese si trovino monumenti funerari, in genere del IV secolo, poi inglobati ( a volte in forma di cripta) o trasformati in chiese tramite il loro ampliamento e l'aggiunta di particolari apprestamenti liturgici. Uno dei complessi più interessanti recentemente scavato, è quello di rue Maraval, nel suburbio a nord di Marsiglia perché presenta la particolarità di conservare l'organizzazione liturgica originale di V secolo, con una serie di dispositivi nell'area presbiteriale legati a reliquie e corpi di santi, dei quali purtroppo non ne conosciamo il nome. La chiesa diede luogo a un'estesa necropoli con approssimativamente 300 deposizioni datate trave VI secolo (cfr. FIG. 4.12.). È stato suggerito che si tratti della chiesa di Santo Stefano la quale, secondo Gregorio di Tours, si trovava "vicino alla città", ma non è l'unica chiesa del suburbio. Sempre a Marsilia e in rapporto a una cava dismessa, fu edificata la chiesa di San Vittore, databile al v secolo, oggetto anche di grande venerazione (Fixot, Pelletier, 2.009 ). È importante altresì sottolineare come, nella maggior parte di esempi noti, la costruzione di chiese suburbane fu un'iniziativa dei vescovi, nel quadro di una strategia di monumentalizzazione dei sepolcri dei martiri e dei primi vescovi. A Milano la formazione di una ricca e complessa topografia ecclesiastica suburbana risale probabilmente alla prima metà del IV secolo e si accresce all'epoca di Ambrogio, in rapporto alle particolari circostanze politiche cui abbiamo già accennato (cfr. FIG. 4.13) 16 • Prima di Ambrogio esistevano le basiliche suburbane di Sane' Eustorgio,

16. La sintesi più recente con bibliografia aggiornata in Lusuardi Siena, Neri

(2013).

4. CHIESE E CITTÀ

FIGURA 4.12.

La chiesa suburbana di rue Maraval (Marsiglia)

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e

Oggetto di interventi nel 2.003-04, sotto la direzione di Manuel Moliner, la chiesa si trova presso una strada a poca distanza da una porta a nord della città. L'edificio, databile al V secolo, presenta una struttura classica con una navata di 30 x 16 m conclusa da un'abside semicircolare ad est di 12. mdi diametro. La chiesa e i dintorni erano occupati da sepolture, con una particolare intensità nella zona del presbiterio (a), dove si sono potuti scavare il dispositivo originale delle reliquie (b-c) e una memoria coperta con una lastra in marmo che, attraverso fori e condotti in piombo, poteva mettere in contatto (forse con dell'olio?) i fedeli con i corpi venerati in due sarcofagi di pietra, che racchiudevano altre due casse in piombo. Fonte: Moliner (2006, pp. 134-s; fìgg. 64, 6s, 67).

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 4.13

Topografia ecclesiastica di Milano con cucce le chiese tardoanciche del suburbio

Fonte: elaborazione dell'aurrice.

dei Santi Nabore e Felice, di San Vittore in Ciel d'Oro e la basilica Faustae. Precedente ad Ambrogio è anche la famosa basilica Porziana, prima sequestrata dall'imperatore Graziano per sedare i disordini tra ariani e cattolici e poi oggetto di forte contesa nel 385 o 386. Ancora oggi la sua identificazione è oggetto di discussione, essendo state proposte varie possibilità: 1. che corrisponda alla chiesa di San Lorenzo, ubicata nel suburbio sud-ovest, in base all'eccezionale pianta dell'edificio che potrebbe indicare un legame imperiale; 2. che si tratti invece della basilica di San Vittore al Corpo, costruita presso il mausoleo imperiale di Massenzio, seguendo quindi il modello delle chiese romane; 3. che coincida con San Simpliciano, nel suburbio

r66

4. CHIESE E CITTÀ

nord di Milano, tenuto conto della sua somiglianza con la basilica imperiale di Treviri' 7• L'ipotesi più accattivante, e quella tradizionale, identificherebbe la Porziana con l'edificio a pianta centrale di San Lorenzo (Kinney, 1972; Krautheimer, 1987, pp. 140-2; Colish, 2002, tra gli altri), monumento ricordato nelle Laudes Mediolanensis Civitates dell'vm secolo, con una cappella tra l'altro dedicata a sant'Aquilino, famoso per la lotta antiariana. Tuttavia, la sua cronologia è incerta: il riutilizzo di pietre del teatro per la sua costruzione fa propendere per una datazione verso la fine del rv secolo, cronologia che sembrano confermare le più aggiornate analisi di termoluminescenza dei laterizi e il 14 C dei carboni delle malte per cui sarebbe impossibile che fosse questo l'edificio in cui si voleva riunire la comunità ariana nel 385 (Fieni, 2005). Proprio relativamente al "conflitto delle basiliche" va interpretata la consacrazione della basilica Martyrum o ambrosiana (19 aprile del 386), costruita ad ovest del circo, in una delle principali aree funerarie della città, dopo la scoperta delle reliquie di Gervasio e Protasio. Lo stesso vescovo Ambrogio realizzò poi la basilica Apostolorum o San Nazaro, a sud presso la via romana. San Simpliciano, successore di Ambrogio, potrebbe essere il responsabile dell'edificio eretto a nord della città, nelle vicinanze della strada verso Como. Particolarmente interessante fu lo sviluppo precoce, in relazione ad alcuni di questi santuari suburbani, di ampi complessi architettonici che comprendevano terme, portici, alloggi e altre strutture assistenziali per la folla di pellegrini che anelavano visitare i santuari. Questi quartieri assumevano spesso la struttura di un monastero, gestito da un abate e abitato da monaci, una delle cui funzioni principali era la cura della chiesa martiriale. Uno dei più noti, già in antico, è quello di Martinopolis, nome con cui veniva identificato il vicus Christianorum, sviluppatosi in rapporto alla sepoltura di san Martino nel suburbio di Tours, a circa 800 m dalle mura (cfr. FIGG. 4.14-4.15). Comprendeva la chiesa di San Martino, un edificio di 53 x 20 m, con la navata preceduta da un atrio. La sepoltura del santo si trovava nell'area presbiteriale e il complesso ospitò anche le tombe dei successivi vescovi di Tours. La basilica fu dotata di battistero e di numerosi ambienti ed edifici ausiliari, tra cui un salutatorium, cellulae per la comunità monastica che gestiva il santuario,

17. Cfr. Lusuardi, Neri (2013) per un'analisi delle varie ipotesi.

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 4.14

Topografia ecclesiastica di Tours intorno all'Soo

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Fonte: Galinié (~007, fig. 50). FIGURA 4.15

Evoluzione del suburbio di Tours tra v e IX secolo

Fonte: Galinié (~007, fig. 48).

un monastero femminile, strutture per i poveri. Nei secoli successivi sorsero altre basiliche, oratori e monasteri, come la cappella dei Santi Pietro e Paolo, il monastero di San Venanzio, la basilica di San Vincenzo, quella Sancti Iuliani ... All'inizio del x secolo venne costruita

168

4. CHIESE E CITTÀ

FIGURA 4.16 Area suburbana di San Pietro (Canosa)

Gli scavi hanno rinvenuto un grande complesso ecclesiastico con un atrio funerario (1), mausolei (l), spazi produttivi ( 4) e una abitazione (3), probabilmente del vescovo. I bolli su alcune lastre laterizie pavimentali mostrano l'anagramma del vescovo Sabino. Fonte: foto di G. Volpe.

una fortificazione intorno al complesso di San Martino chiamata, nelle fonti, castrum novum' 8• Iniziativa soprattutto del vescovo Paolino e dei vescovi successivi fu invece la monumentalizzazione della tomba venerata del vescovo Felice, nell'area cimiteriale del suburbio di Nola (Cimitile), struttura che diede luogo a un ampio complesso religioso che arriverà a comprendere ben sette edifici di culto di cronologia tardoantica e altomedievale, tra cui la basilica di San Felice, la basilica Nova, la basilica di Santo Stefano e quella di San Tommaso, i Santi Martiri e San Calionio (Ebanista, 2.003; Lehmann, 2.004).

18. « Obiit in pace et sepultus est in ipsius vici cimitero, qui erat christianorum » (Gregorio di Tours,Historia Francorum X, 31, 1; cfr. Pietri, 1983, pp. 405-lo). La stessa denominazione è applicata al complesso suburbano di Clermont (quartiere SaintAllyre): «Qui dum frequenter vicum, quem christianorum vocant, ad persequendos christianos adit, Cassium repperit christianum» (Gregorio di Tours, Historia Francorum 1, 33). Su Clermont cfr. Pietri (1980).

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

Queste aree funerarie provviste di basiliche martiriali diventarono talora sede di edifici residenziali per gli stessi vescovi. Sappiamo, ad esempio, che papa Simmaco fece costruire presso la basilica di San Pietro due episcopia destinati ad accogliere il vescovo di Roma e, forse, anche i vescovi stranieri che visitavano il complesso (Liber Pontiflcalis 1, p. 2.62.; Fiocchi Nicolai, 2.003, p. 942.). Una situazione simile pare documentata archeologicamente in altri centri urbani, come a Canosa, in Puglia, dove un'area funeraria dotata di un edificio di culto con ampio atrio (la chiesa in sé purtroppo non si conosce) fu affiancata da una serie di costruzioni residenziali a due piani all'epoca del vescovo Sabino (514-566). La struttura architettonica e la decorazione denotano un certo prestigio da legare plausibilmente alla figura dello stesso vescovo. Oltre ad aule per la rappresentanza e per le funzioni amministrative, il complesso era anche provvisto di spazi per la trasformazione e l'immagazzinamento di prodotti agricoli (Giuliani, 2.oIO, pp. 141-7 ). Nell'atrio della chiesa sono venute in luce tracce di strutture temporanee in legno che potevano corrispondere a negozi o a spazi per attività artigianali (Volpe et al., 2.007, p. 1137) (cfr. FIG. 4.16). Nel corso dell'Altomedioevo si formarono anche a Roma grandi borghi suburbani in rapporto alle chiese di San Paolo (Johannipolis, dopo la fortificazione fatta da Giovanni VIII nell' 846), San Pietro ( Città Leonina, dopo che fu fortificata da Leone IV nell' 852.) e San Lorenzo (chiamataLaurentopolis, dopo che venne fortificata nel 12.00). Fu sicuramente questa "cristianizzazione" o "trasformazione cristiana" del suburbio il tratto più significativo della topografia cristiana tardoantica. Grazie alle chiese suburbane, spesso collocate nelle vicinanze delle principali porte, le cinte murarie erano protette dai "superpoteri" delle tombe e delle reliquie sante, concetto che compare spesso negli scritti degli autori tardoantichi e altomedievali, i quali ricordano questi santi come turris, murus, moenia o propugnaculum (Gauthier, 1999, p. 2.09; Fraschetti, 2.004, pp. 2.78-84). A Costantinopoli, la grande protettrice, dopo il Concilio di Efeso che ne stabilì il ruolo di Madre di Dio, come detto, divenne la Theotokos, i cui santuari suburbani (Blacherne nell'area sud-ovest e Pege vicino alla Porta Dorata) erano visti come « invincibili protezioni della cinta della città» (cfr. Procopio, De Aediflciis I, III, 9; Baynes, 1949; Cameron, 1978; Mango, 1998). Gregorio di Tours racconta che la città di Treviri fu protetta dalla peste dalla presenza nel suburbio delle tombe dei vescovi Eucario e Massimiano ( Vitae Patrum 17, 4). La città di Mérida fu difesa in più occasioni grazie all' interven-

170

4. CHIESE E CITTÀ

to della martire locale: nel 42.9 dallo svevo Heremigario, che dopo aver offeso la martire Eulalia annegò nel fiume Anas, e nel 456 dal goto Teodorico, dissuaso dall'attaccare la ci età dai prodigi della martire ci ccadina (Hidazio, Chronica So, 175). Un episodio simile viene raccontato da Gregorio di Tours per la città di Saragozza, protetta dal martire Vincenzo nel 531 dall'attacco dei re franchi Childeberto I e Lotario I (Historia Francorum III, 2.9 ). A Cordova fu invece il figlio del re visigoto Agila a passare a miglior vita dopo che suo padre aveva profanato il santuario suburbano del santo locale, sanc'Acisclo, sacrilegio per il quale subì una pesante sconficca a opera della popolazione locale, grazie, ovviamente, all'intervento del martire (Isidoro di Siviglia, Historia Gothorum, 45). Lo stretto legame era città e martiri, tramandato nella letteratura tardoantica, sarà ripreso con forza nelle laudes civitatum alcomedievali, composizioni che sottolineano l'importante ruolo dei santi nella coscienza urbana che si va consolidando. Le Laudes Mediolanensis Civitatis, scritte era il 739 e il 744, all'epoca di Liucprando, ricordano Milano come urbium regina, celebre per dimensioni, per solidità delle costruzioni, per posizione, per le mura in cui si aprivano nove porte monumentali, per le strade lastricate, per l'acquedotto, per le chiese, per le sepolcure di un gran numero di santi, per la sua religiosità cristiana, per la sua floridezza. L'obiettivo dell'autore era di stabilire il diritto di Milano ad essere la capitale religiosa dell'Italia settentrionale, ruolo conteso da alcre città come Pavia. Il primato era garantito dalla pietà del suo popolo, dalla protezione dei suoi santi e dall'eccellenza della sua liturgia (Picard, 1981).

4.3

Le altre chiese urbane Uno dei fenomeni più caratteristici delle città poscclassiche è il numero straordinario di chiese che vengono costruite sia all'interno della cinta muraria sia nell'immediato suburbio. Molte città, alcune di medie o persino di piccole dimensioni, contavano decine di edifici di culto, spesso in uno spazio assai limitato ed è ancora oggi difficile capire a cosa servissero tutte queste chiese. In Oriente il fenomeno è impressionante: a Costantinopoli la Notitia Urbis Constantinopolitanae registra nel v secolo 14 chiese, numero che cresce nel VI secolo quando numerose alcre chiese furono costruite o ricostruite, anche per iniziativa pubbli-

171

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

ca (vescovi o imperatori) o privata. Decine di chiese esistevano nel VI secolo in città come Efeso, Gerasa o Apamea (Saradi, 2006, pp. 397-9 ). A Ossirinco i papiri rivelano come ci fossero 12 chiese all'inizio del VI secolo e, poco dopo, nel 535-536, più di 40; ad Aphrodito e nel suo territorio tra chiese e monasteri erano più di 50; a Hermopolis 39 chiese e 42 monasteri. È vero, come sottolinea Saradi, che i papiri offrono un' informazione sovradimensionata perché non tutti questi edifici funzionavano allo stesso tempo, ma queste fonti sono sicuramente più vicine alla realtà di quelle archeologiche, più frammentarie (ivi, p. 406). In Occidente la situazione era simile, anche se il numero di chiese sembra più contenuto, come rivelano gli studi sulle città dell'Africa, dell'Italia, della Gallia e della Hispania. In parte, questa moltiplicazione deriva dalla crescita delle comunità cristiane all'interno delle città, ma non solo. Per quanto riguarda Roma, le prime chiese, oltre al complesso episcopale, vennero edificate a partire dal IV secolo per iniziativa, fondamentalmente, dei pontefici, che cominciarono a dotare di spazi di culto i diversi quartieri della città al fine di garantire alla popolazione l'assistenza pastorale' 9 • Ma la diffusione delle chiese nel tessuto urbano di Roma ebbe luogo soprattutto tra la fine del IV e la prima metà del v secolo. Queste nuove chiese si situano in zone abitate e in punti strategici della città, nella vicinanza degli accessi ai quartieri più popolati e quindi in rapporto o nello spazio di transito prima del centro monumentale. Sono quasi assenti, come detto, nelle zone come i Fori o il Campo Marzio, aree che ancora svolgevano le loro funzioni pubbliche e rappresentative. La conquista dell'antico centro monumentale della città ( il Foro) è il tratto più caratteristico dell'evoluzione della topografia cristiana di Roma nel VI secolo: molti edifici furono probabilmente opera delle aristocrazie bizantine, come rivelano le intitolazioni: la chiesa dei Santi Sergio e Bacco, nell'area dei rostra, la cappella di San Teodoro e Santa Maria Antiqua (la Theotokos dei bizantini) nelle pendici occidentali del Palatino (cfr. FIG. 1.7 ). La consacrazione della curia in chiesa di Sant'Adriano fu opera invece di papa Onorio r. Numerose chiese e diaconie furono costruite nell'area compresa tra il Foro e il Foro Boario, dove esisteva sicuramente un quartiere di popolazione greca. Nel Campo Marzio furono fondate sei chiese votive,

19. Per l'evoluzione della topografia cristiana di Roma, cfr. Piecri (1976); Kraucheimer ( 1987 ); Reekmans ( 1989 ); Spera ( lOII b; 2.016) (sulle aree centrali della città).

4. CHIESE E CITTÀ

quattro diaconie, sette monasteri e tre xenodochia. Negli altri quartieri continuarono ad essere costruiti (anche se in numero minore) nuovi edifici di culto, in particolare monasteri e diaconie. Dall'elenco di luminarie in argento donate da papa Leone III ( 795-816) a tutte le chiese di Roma sappiamo che in età carolingia esistevano più di un centinaio di chiese (cfr. FIG. 4.17) (Liber Pontifì,calis 2, 1, p. 24; 1, p. 20 ). L'evoluzione urbanistica e la moltiplicazione di edifici di culto a Ravenna sono strettamente legate al suo importante ruolo politico quale capitale dell'Impero dall'inizio del v secolo, sede della corte ostrogota dal 493 e, fino alla metà dell'vm secolo, dell'esarca, la più alca carica bizantina in Italia (cfr. Deichmann, 1969-89; Cirelli, 2008; Mauskopf Deliyannis, 2010; Johnson, 2016). I primi edifici cristiani della città furono la chiesa episcopale e il suo battistero, edificati tra la fine del IV secolo e l'inizio del v dal vescovo Orso, all'interno e a ridosso del circuito difensivo. Tra la cattedrale e il palazzo imperiale fu costruita la basilica Apostolorum grazie alla committenza dell'imperatore Onorio e del vescovo Neone (451-473). Durante la reggenza di Galla Placidia (421-450) e il regno di Valentiniano III (425-455), vennero edificate la basilica di San Giovanni Evangelista e quella cruciforme della Santa Croce, preceduta da un corpo trasversale alle cui estremità si trovavano due edifici anch'essi cruciformi con funzione funeraria: Santi Nazario e Celso (cosiddetto mausoleo di Galla Placidia) e San Zaccaria. Si data al v secolo la chiesa di Santa Agata Maggiore e, tra il 460 e il 476, quella di Santa Agnese, nelle vicinanze del Foro. Tra la fine del V e il VI secolo ci fu una fase di forte sviluppo edilizio grazie a Teodorico, che promosse, oltre a numerose opere pubbliche per abbellire gli spazi del potere, anche la costruzione di chiese per il culto ariano, concentrate principalmente nell'area nord-orientale della città, tra cui la chiesa di Sant'Apollinare Nuovo (in origine chiesa del Salvatore, poi di San Martino), a ridosso del palazzo e quindi plausibilmente concepita come cappella palatina, e la ecclesia Gothorum o cattedrale ariana, a nord del palazzo stesso, gli edifici di Sane' Eusebio, Sant'Andrea dei Goti, e le chiese suburbane di San Giorgio, San Sergio in Classe e San Zeno in Cesareal Mentre gli ortodossi, a loro volta, avrebbero ricostrui0



lo. Da notare come le intitolazioni di moire di queste chiese (San Martino, Sanc'Eusebio, San Zeno) corrispondano a quelle della loro esaugurazione con nomi di vescovi antiariani.

173

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 4.17

Topografia ecclesiastica di Roma nell'Alcomedioevo secondo l'itinerario di Einsiedeln

Fonte: Sticgemann, Wemhoff(1999, p. 608).

to la cattedrale di Santa Maria Maggiore, San Vitale, un battistero a Classe, San Michele in Africisco e Sant'Apollinare in Classe. Tra VIII e X secolo, le fonti scritte riportano la fondazione di altri 41 edifici cristiani, tra cui San Salvatore ad Calchi e Santo Stefano in Fundamento Regis (cfr. FIG. 4.18 ).

174

4. CHIESE E CITTÀ

FIGURA 4.18

Principali chiese tardoantiche costruite a Ravenna

Fonte: elaborazione dcli' autrice.

Il caso di Ravenna esemplifica quanto presumibilmente accadde in altre città importanti, con presenza di popolazione gota e dove convissero comunità cattoliche e ariane, in Italia, Gallia e soprattutto in Hispania, anche se il terna è stato insufficientemente affrontato per mancanza di testimonianze scritte e per l'impossibilità di distinguere le chiese adibite al culto ariano da quelle cattoliche (cfr. FIG. 4.19) 11 •

A Gerusalemme (cfr. FIG. r.4) fu il prestigio come luogo santo quel-

21. In generale, si pensa fossero poche le differenze a livello liturgico e quindi formale, particolarità poi cancellate nel momento dell'esaugurazione e riconversione al culto cattolico (cfr. Ward-Perkins, 2010 ).

175

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 4.19 Pianta di Hemmaberg (Globasnitz, Carnia)

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Fonte: éurèié (2010).

vo. All'epoca di Giustiniano aveva acquisito già proporzioni preoccupanti, a giudicare da una legge che cercava di incoraggiare i benefattori a restaurare chiese già esistenti invece di costruirne di nuove (Novellae 67, 32., del 538). Nel VI secolo le chiese avevano già occupato a poco a poco il centro e le principali arterie praticamente in cucce le città cristiane del Mediterraneo. Nella Gallia carolingia, la compresenza di più chiese in uno stesso nucleo urbano è stata messa in rapporto con lo sviluppo della liturgia stazionale introdotta da Crodegango dopo la sua visita a Roma nel 753. A Mecz nell'vm secolo si contavano più di 40 chiese. Un documento composto nel IX secolo contiene l'elenco degli edifici (35) in cui il vescovo doveva celebrare la messa dopo il primo giorno di Quaresima:

179

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA

4.2.2.

Topografia ecclesiastica di Pavia nell'Alcomedioevo

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Fonte: elaborazione dcli' autrice.

cominciava con le chiese ubicate nelle aree a nord della città, continuava con quelle ad est, poi a sud, per concludere con l'area ovest, dove si trovava la cattedrale, luogo esclusivo di celebrazione del triduum pasquale e della settimana di Pasqua 11. Un caso simile è quello di Clermont, dove il Libellus de Ecclesiis Claromontanis (cfr. Levison, in MGH SRM, 7), datato al x secolo, elenca 34 chiese sotto il controllo episcopale, 9 monastiche, 20 dei nobili (conti o vassi dominici). All'interno di queste chiese si trovavano II2 altari con reliquie corporee di 48 santi e tantissime altre di santi non

22. Analisi del documento in Wood (2001; 2002). Per la topografia cristiana della città e la sua evoluzione cfr. TCCG 1, pp. 42-53.

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4. CHIESE E CITTÀ

identificabili. Nella chiesa di San Venerando erano conservate 6.200 reliquie! In questo caso, la moltiplicazione delle chiese va legata non solo alle necessità liturgiche (stazionali), ma anche, come succedeva nelle città longobarde, alla competizione sociale e politica tra le aristocrazie urbane. In questo senso la topografia religiosa di un centro urbano rispecchia ed è intimamente legata alla struttura sociale e politica delle città.

5

Chiese e campagna

5.1 La cristianizzazione delle campagne Come per le città, per comprendere appieno il significato delle chiese rurali, cioè chi le costruisse, chi le utilizzasse e che funzioni avessero, occorre tener conto del contesto insediativo in cui vennero edificate, che dal v secolo è sottoposto a profonde mutazioni. Se, come abbiamo già detto, il cristianesimo nasce fondamentalmente nelle città dove i vescovi hanno la loro sede, è normale che - come indicano le fonti scritte e l'evidenza archeologica - la fondazione delle chiese rurali sia più tarda. È inoltre possibile che, almeno in territori assai urbanizzati, la popolazione rurale tendesse a frequentare le città per la liturgia domenicale (come ricorda il martire Giustino nell'Apologia r, 67, 3) 1• Inoltre, fino all'inizio del v secolo, i vescovi si lamentavano che le comunità agricole continuassero a praticare sacrifici, riti divinatori e a venerare le divinità pagane, a volte con la complicità dei proprietari. Non a caso, nel Codex Theodosianus numerosi decreti proibiscono le pratiche di carattere eretico e i sacrificil. In questo sen-

1. Tuttavia, non dimentichiamo che la più antica testimonianza letteraria relativa alla presenza di gruppi cristiani nelle campagne compare in una lettera di Plinio il Giovane (61-113 d.C.), indirizzata all'imperatore Traiano in cui si dice che nella Bitinia il "contagion di questa superstizione si era diffuso non solo nelle città, ma anche nei villaggi (Plinio il Giovane, Epistula X, 96, 9 ). Già il canon 2 del Concilio di Arles del 314 fa riferimento ai preci ordinaci fuori città. 2. Cfr. la legislazione nel libro XVI del Codex Theodosianus; Massimo di Torino (Sermo 107); Zeno di Verona (Tractatus I, 25, 6); Gaudenzio di Brescia (Tractatus Xlii, 28). Sulla presenza di templi rurali nelle campagne cardoantiche, cfr. Caseau (2004).

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

so, saranno i vescovi a spingere i primi investimenti delle aristocrazie nella costruzione di chiese rurali nei propri possedimenti. Dovevano servire ai contadini per pregare ogni giorno prima di andare al lavoro e attrarre catecumeni di altre proprietà vicine. Allo stesso tempo, la costruzione di una chiesa consolidava il prestigio del fondatore grazie a orationes, hymnes e sinaxes tenuti in suo onore (Thomas, 1987, pp. 29-30; Chavarria Arnau, 2007a: entrambi analizzano le parole di Giovanni Crisostomo in Homiliae in Acta Apostolorum xvm). L' azione dei vescovi fu determinante nel processo di cristianizzazione delle campagne poiché, come era già successo in città, saranno loro a incanalare le donazioni dei fedeli, indicando dove la costruzione di una chiesa battesimale poteva essere più necessaria. Tuttavia, le chiese con cura d'anime non erano gli unici edifici di culto esistenti nelle campagne. È anche importante tenere presente che le chiese di campagna, forse con più frequenza rispetto a quelle urbane, cambiano spesso di status, passando da battesimali a funerarie (con l'obliterazione del battistero), da semplici cappelle a chiese con cura d' anime, da chiese private a monastiche ecc. È perciò fondamentale comprenderne la sequenza, le trasformazioni nelle dimensioni e nell'organizzazione liturgica e il rapporto con l'insediamento (pure questo in evoluzione) al quale servivano. In genere, senza un riferimento scritto specifico, è difficile identificare le varie tipologie di luoghi di culto sia nei resti archeologici sia nei testi, assai generici e con una terminologia polisemica (oratorio, basilica, monasterium), probabilmente perché alcuni di questi complessi potevano persino svolgere varie funzioni.

5.2 Le funzioni delle chiese rurali secondo i testi Almeno secondo le fonti legislative, nei secoli IV e v le chiese potevano appartenere a due categorie o tipologie distinte: chiese poste sotto la giurisdizione del vescovo 3, le sole che potevano amministrare il battesimo (chiamataparoecia dal greco pairochia, "vicinato", nei concili della Gallia 4 )

3. Che non chiamerei comunque "vescovili" (come si usa ad esempio per la chiesa in località Pava a San Giovanni d'Asso, Siena) perché non era quella la sede stabile del vescovo. 4. Nella documentazione giuridica della Gallia il termine parrocia si riferisce già

5. CHIESE E CAMPAGNA

e oratori o basiliche destinate al culto privato del proprietario (generalmente un possidente terriero), della sua famiglia e dei suoi dipendenti. La differenza stava principalmente nella funzione e nelle caratteristiche architettoniche: quelle con cura d'anime erano in genere di dimensioni maggiori e dotate di un battistero, mentre le altre erano più piccole e spesso svolgevano anche una funzione funeraria come luogo di sepoltura del dominus e della sua famiglia. Una chiesa con cura d'anime poteva essere costruita, sotto la supervisione pastorale del vescovo, con il contributo e per iniziativa di un privato e collocata nei terreni di sua proprietà. Oppure nascere per volere dell'istituzione ecclesiastica o di una comunità rurale, nei pressi delle vie di comunicazione o all'interno di un abitato. Paradigmatico è l'esempio del complesso ecclesiastico costruito da Sulpicio Severo, un aristocratico della Gallia, in una sua proprietà chiamata Primuliacum, non lontana da Tolosa, tra la fine del IV e il v secolo (Colin, 2008, pp. 105-7 ). Paolino, vescovo di Nola, lo descrive strutturato in due chiese e un battistero, per i quali lui stesso avrebbe procurato delle reliquie per la consacrazione e composto versi per illustrare i dipinti con la vita di san Martino, che decoravano uno degli edifici (Paolino di Nola, Epistulae xxx, XXXI, xxx11). La funzione del complesso, per la presenza di battistero e doppia basilica, sembra pubblica e sottoposta al controllo vescovile, ma il testo riferisce che Sulpicio e la sua famiglia avevano fondato una sorta di monastero. La presenza di reliquie importanti, i dipinti e l'interesse di Paolino nel descriverli in versi sembrano indicare che le basiliche di Primuliacum avessero anche potuto attrarre qualche sorta di pellegrinaggio. Meno informazioni da Sidonio Apollinare su altre chiese che, verso la metà del v secolo, un tale Consenzio possedeva nell 'ager Octavianus (definito sacrarium) o sulla Cantillensem ecclesiam costruita da Germanico nella sua proprietà (Sidonio Apollinare, Epistula VIII, 4, I e IV, I 3, I). Un altro esempio, già citato in precedenza, è quello della chiesa che la nobile Anicia Demetriade costruì, verso la metà del v secolo, in predio suo, al terzo miglio della via Latina, nel suburbio di Roma (cfr. FIG. 5.I). In questo caso, noto anche dai resti architettonici, non solo le grandi dimen-

dal v secolo a un edificio sottomesso al controllo del vescovo e spesso con funzione battesimale. Sempre per la Gallia, alcuni testi accennano anche, dal VI secolo, al pagamento delle decime, ma si tratta di notizie puntuali (cfr. in.fra, per la nascita del sistema parrocchiale vero e proprio).

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 5-1

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sioni e la presenza di W1 battistero, ma pure le fonti scritte e l'epigrafia indicano come la sua funzione fosse probabilmente di carattere "pubblico", e infatti sappiamo che fu eseguita in stretta collaborazione con il pontefice romano1• La presenza di reliquie di santo Stefano (portate dalla stessa Demetriade dall'Africa) potrebbe far supporre che questo complesso fosse un luogo frequentato dai pellegrini (Marazzi, 2015, pp. 31-2). Oltre alle chiese con cura d' anime e agli oratori privati, le fonti attestano luoghi di pellegrinaggio costruiti sulla tomba di un personaggio

5. La fondazione è proprio ricordata dal Liber Pontifìcalis nella biografia del papa Leone I e poi in un'epigrafe che si riferisce al ruolo del presbitero Tigrino come supervisore dei lavori di costruzione (lnscriptiones Christianae Urbis Romae n.s. VI, 15764). Cfr. Fiocchi Nicolai (2.007; 2.017 ). Alcuni studiosi ne sottolineano invece il carattere familiare e privato: ad esempio, Bowes (2.008, p. 78); Machado (2.ou, pp. 502.-5) anche se poi quest'ultimo afferma: «chis foundation had an importane pastora) function, and as such muse have followed che incencions of che bishop himself, and nor only those of ics ariscocracic patron» ( ivi, p. 505).

186

5. CHIESE E CAMPAGNA

venerato (ad esempio, il complesso dedicato a San Mancio in Portogallo, con due basiliche e un battistero), edificati da vari benefattori privati nel corso del VI secolo per ringraziare il santo che era apparso loro e aveva dato consigli, o legati a complessi monastici costruiti per iniziativa vescovile, aristocratica (compresi i re) o di un eremita. In tutti i casi citati è evidente che tra vescovi e proprietari non esiste alcun tipo di concorrenza, piuttosto un'attività programmata e congiunta per cristianizzare la popolazione rurale che abitava nei villaggi, nei castelli e nei pressi delle ville, i tre tipi di insediamento nei quali il primo Concilio di Toledo, celebrato nell'anno 400, stabiliva che i preti dovessero celebrare ogni giorno una messa.

5.3 Chiese, villaggi e castelli in età tardoantica I dati archeologici mostrano come molte chiese rurali, nel v secolo, furono fondate prevalentemente nei villaggi, in rapporto alla rete viaria o in punti nodali del territorio. Senza riferimenti puntuali, tuttavia, non sempre è semplice determinare se un sito, dove è stata costruita la chiesa, corrisponda a un villaggio o a una stazione stradale tipo statio o mansio. In teoria, molte di queste chiese svolgevano una funzione di cura d' anime per servire la popolazione rurale ed erano frequentemente dotate di installazioni battesimali (cfr. FIGG. 5.2-5.3). In Gallia sono particolarmente interessanti due siti citati nell' Itinerario Burdigalense, datato nel 333, relativo alla strada che portava da Bordeaux a Gerusalemme: la mansio Elusione, identificata con il sito di Montferrand (Mérél-Brandenburg, 2.003) e quella dell'Isle Jourdain, dove si trovava la mansio Bucconis (Cazes, 1996; Codou, Colin, Le Nèzet-Célestin, 2007, pp. 66-7 ). In entrambi i casi gli scavi archeologici hanno portato alla luce complessi con due chiese di dimensioni notevoli e dotate di battisteri. Una o ambedue le chiese vennero usate come spazio funerario. Complessi con due chiese e battistero si trovano anche (come abbiamo visto supra, pp. u2-3) a Villeneuve (Aosta) e San Giusto (Lucera), di cui si dirà più avanti. In molti casi questi complessi erano ubicati nelle vicinanze di un'agglomerazione di abitato che ne giustifica le dimensioni e la funzione pastorale ( Cantino Wataghin, Fiocchi Nicolai, Volpe, 2007) (cfr. FIG. 5.4).

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

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Poiché non sempre comprendiamo perfettamente le caratteristiche di un determinato insediamento e soprattutto le sue dimensioni, risulta difficile capire a quanti fedeli servisse una determinata chiesa battesimale, che certamente, oltre che dalla popolazione del villaggio, poteva essere utilizzata, specialmente se edificata in un punto nodale, anche dagli insediamenti sparsi collocati nei dintorni (nel raggio di 3/5 km). In alcune occasioni si è ipotizzato che una chiesa particolarmente

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5. CHIESE E CAMPAGNA

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5.3

Chiesa e battisteri di Santa Maria di Pomenove a Bedizzole (Brescia)

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sviluppata possa essere riflesso di un ruolo amministrativo esercitato da un insediamento, come nel sito di Riva del Garda (Trentino), località San Cassiano (con una continuità d'uso dal Tardoantico a tutto l'Altomedioevo), o in quello di Guran in Istria (datato al IX se-

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 5.4 Pianta del complesso della Gravette a Isle Jourdain ( Gers, Francia)

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Ubicato in una stazione viaria come rivela l'Itinerario Burdigalense, sorgeva comunque vicino a un'agglomerazione di abitato tipo vicus. Fonte: Codou, Colin, Le Nèzec-Célescin (2007, p. 68, fìg. 29).

colo), quest'ultimo caratterizzato da un muro di cinta, abitazioni di prestigio e una chiesa con tre absidi. In entrambi i casi è stato proposto che si tratti di proprietà tipo curtis private o a carattere pubblico 6 •

6. Su San Cassiano, cfr. Brogiolo (2013b); sul sito di Guran, cfr. Terricr,Jurcovié, Marié (2014). Per l'interpretazione come proprietà fiscali, cfr. Brogiolo (2017b).

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5. CHIESE E CAMPAGNA

5.5 Castrum di Castelseprio (Varese)

FIGURA

Topografia ecclesiastica del castello di Castelseprio, con le chiese di San Giovanni (battesimale) (1); San Paolo (2.); Santa Mariaforis portas (fuori del castrum e vicina al borgo) (3) e Santa Maria di Torba (4), con la torre della fortificazione diventata parte di un monastero nel!' alto medioevo. Fonte: disegno di P. Vedovecco.

A partire dalla fìne del v secolo e nel corso del secolo successivo, vengono dotati di chiese anche i castelli. Le caratteristiche di questi edifici ne rispecchiano sicuramente le variegate funzioni: piccole chiese castrensi nel caso delle fortezze a funzione puramente militare con uso funerario ridotto (San Martino di Lundo, Rocca di Garda), chiese pubbliche monumentali dotate di battistero nei castelli più grandi (Ragogna, lnvillino, Roc de Pampelune), che a volte imitano l'organizzazione urbana con una o varie chiese intramuros e chiesa cimiteriale esterna, come a Castelseprio e Sirmione (cfr. FIGG. 5.5-5.8). Interessante notare

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 5.6 Pianta dell'insediamento ed evoluzione della chiesa rinvenuta a Ragogna (Udine), in un importante castello citato più volte in testi del VII secolo

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a) Chiesa div secolo; b) chiesa di VII secolo; e) chiesa romanica. Fin dall'origine l'edificio venne dotato di battistero (a nord-est) ed ebbe un limitato utilizzo funerario. Fonte: Lusuardi Siena, Villa (1001, pp. 711, 713-s, fìgg. 1, S, 6,?).

come alcuni di questi castelli furono fondati in epoca e per ordine del re Teodorico, quindi in alcuni casi le chiese costruite al loro interno sarebbero state, almeno in origine, di confessione ariana. A partire dalla seconda metà del VI secolo il legame di alcuni vescovi con i castelli, ampiamente documentato dalle fonti scritte, sottolinea l'importante ruolo giocato da questo tipo di insediamento, non solo nella difesa, ma anche nell'organizzazione politico-amministrativa del territorio (Brogiolo, 2.014a). Un ruolo talmente rilevante da rivaleggiare con la città, quando assume la dignità di civitas, cui non doveva essere indifferente la presenza di edifici di culto. In Italia si possono citare i casi del vescovo Agrippina nel castello d'Isola Comacina, Filacrio e alcri vescovi di Novara a San Giulio d'Orca, i vescovi Marcello, Maternino e lngenuino a Sabiona, Elias a Grado ecc. (Brogiolo, Chavarria Arnau, 2.005, pp. 76-7 ). In Tracia e Dacia, dove sono stati studiati numerosi castelli con chiese tardoantiche, alcune fortezze potevano persino essere amministrate dalla Chiesa e gli abitanti lavorare nelle sue proprietà7• Ma non sempre. In ogni caso è evidente che il numero

7. Dinchev (2.007, p. 503): «probably some of che forcifìed setdemencs were administered by che Church and che inhabitants were coloni who worked on land owned by che Church».

5. CHIESE E CAMPAGNA

FIGURA 5.7 Fortificazione di Roc de Pampelune (Argelliers), nella diocesi di Nimes (Francia)

Costruita alla fìne del V secolo e occupata per due-ere generazioni, la chiesa con il battistero, edificata nel punto più alto del castrum, non attira un cimitero importante, bensl alcune sepolcure infantili e una tomba con due individui femminili (545-646). Il castrum era probabilmente dotato almeno di un'altra chiesa ubicata dall'altra parte dcli' insediamento. Fonte: Schneider (:z.014, p. 435, fig. 4). FIGURA

5.8

Castrum e chiesa di Molles a La Couronne (Allier, Francia)

Costruito verso la metà del v secolo riutilizzando una cisterna dell'insediamento, l'edificio accolse sepolcure in sarcofago praticamente dall'inizio e l'uso funerario prosegui fino all'vm secolo. Fonte: Schneidcr (:z.014, p. 441, fig. 6).

e soprattutto le caratteristiche monwnentali di alcuni complessi ecclesiastici riflettono il desiderio di un avanzamento amministrativo, giacché era la Chiesa che poteva assicurare privilegi come lo status urbano.

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

5.4

Oratori e chiese in ville La ricerca archeologica documenta come numerose chiese rurali furono costruite nell'ambito di una villa cardoancica. Questo dato di fatto ha portato numerosi studiosi a sottolineare l'importante ruolo esercitato dai proprietari nella cristianizzazione delle campagne. Senza negare completamente cale conclusione (confermata anche dalle fonti scritte, come abbiamo già visto), il problema è più complesso e merita un'analisi approfondita caso per caso, senza cadere in automatismi che leghino cucce le chiese rurali all'iniziativa privata solcanco perché costruite sul sedime di una villa. È molco probabile che alcuni proprietari terrieri, cristianizzaci, avessero riservato un ambiente della loro residenza alla preghiera e al raccoglimento spirituale (oratorio), ma in genere questi spazi sono difficili da identificare archeologicamente. Per l'Occidente è stata proposta l'esistenza di un oratorio cristiano in una data molco precoce (360390) solcanco nella villa di Lullingstone (Kenc), in Gran Bretagna, ciò a partire dalla decorazione pittorica con motivi cristiani presence in varie stanze ubicate nell'area nord del complesso (Meates, 1979-87; White, 1990-97, voi. II, pp. 243-57 ). Tuttavia, questo presunto spazio di culto (dove non è stato identificato alcun apprestamento liturgico particolare) non sembra aver avuto continuità e il suo uso finisce, insieme alla villa, nel v secolo. Dopo un ampio lasso temporale, viene costruita una nuova chiesa, ma non sul luogo dove si trovava l'oratorio, bensì nell'area in cui erano esistiti un tempio e un mausoleo. A volte gli edifici cristiani acquistano un carattere più connotato, come nella villa di Sizzano in provincia di Novara, in cui nel v secolo viene inserita un'ampia chiesa di 15,40 x 11 m ad aula unica con abside a semicerchio olcrepassato (Pejrani Baricco, 2003, pp. 63-70 ). La fine della villa, entro il VI secolo, porca anche all'abbandono del luogo di culco, incorno al quale si sarebbe sviluppato un cimitero «probabilmente riservato alla famiglia dei proprietari», secondo la Pejrani Baricco. L'abbandono si collega allo sviluppo della chiesa plebana di San Vittore, costruita nella seconda metà del v secolo e ubicata a poche centinaia di metri dalla villa, in rapporto forse a una agglomerazione abitata. Ville e villaggi appaiono quindi complementari e mutui referenti per la cristianizzazione del territorio circostante ( Cantino Wataghin, Fiocchi Nicolai, Volpe, 2007, p. 99 ).

1 94

5, CHIESE E CAMPAGNA

FIGURA

5.9

Pianta dell'insediamento rurale e ricostruzione del complesso ecclesiastico di San Giusto a Lucera (Puglia)



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Il complesso è costituito da due basiliche e un battistero monumentale, a pianta circolare, di 16 mdi diametro, costruiti quando l'edificio residenziale della villa era già stato riutilizzato per la produzione di vino. Fonte: Volpe (1988, p. w, fig. 29).

Un sito eccezionale è quello di San Giusto (Lucera), dove in rapporto a una villa, i cui spazi residenziali erano stati riconvertiti in area di produzione, vengono costruiti, intorno alla metà del v secolo, una basilica e un battistero (cfr. FIG. 5.9); successivamente, nel VI secolo, viene edificata una seconda basilica con funzione funeraria. In questo caso, le caratteristiche del complesso ecclesiastico (grande basilica con battistero monumentale e l'aggiunta di un'altra basilica) e una serie di notizie nelle fonti - che collegherebbe il territorio in cui si trovano gli edifici a una proprietà di tipo pubblico - portano a riconoscerlo come complesso pubblico, forse (ma non per forza) come episcopio rurale (Volpe, 1988, pp. 32.5-38; 2007b; 2.007c).

In genere l'evidenza archeologica (per quanto difficile sia datare l'abbandono di una villa sottoposta a processi di rioccupazione, riutilizzo ecc.) rivela come le chiese vengano costruite in ville in fase di abbandono o, almeno, siano successive al momento di monumentalizzazione di questi complessi residenziali. Quindi esistono sì numerose chiese fondate nell'ambito di ville tardoantiche, ma in pochi casi è possibile dimostrare archeologicamente che vi sia una contemporaneità tra i due edifici e spesso, se coevi, che l'edificio

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA po Sequenza del sito di Monte Gelato a Mazzano Romano (Roma)

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a) Villa di età augustea; b) chiesa tardoantica in villa abbandonata (v secolo); e) la chiesa viene dotata di un battistero; d) la chiesa pare cambiare funzione e viene occupata da sepolture. Fonte: Pottcr, King (1997).

interpretato come chiesa non sia, in realtà, un mausoleo, almeno quando non vi è alcun elemento che faccia pensare a una funzione liturgica cristiana. Rimane da capire chi ne siano stati i committenti e quali funzioni esse avessero: per avere una risposta plausibile, è necessario studiarle caso per caso, in base alle loro caratteristiche. La presenza di tombe particolari può indicare che il sito è diventato un luogo di venerazione (come nel caso di Diaporit in Albania, dove, dopo l'abbandono di una villa nel IV secolo, viene costruita una grande chiesa con tre sepolture nell'abside; cfr. infra, p. 209). A volte le fonti ci

5. CHIESE E CAMPAGNA FIGURA 5.11

Territorio-della villa di Loupian e chiesa di Santa Cecilia

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a) Territorio dove si trovava la villa di Loupian: villa (1); porto (2.); chiesa di Santa Cecilia (3); villaggio medievale (4); 5-17 corrispondono ad altri siti archeologici di epoca romana-medievale identificati nel territorio; b) chiesa di Santa Cecilia. Fonte: elaborazione dell'autrice a partire da Pellecuer (1995).

informano che la proprietà era passata alla Chiesa, come nel caso della villa di Monte Gelato (Mazzano Romano) a nord di Roma in cui, dopo l'apparente abbandono e una rioccupazione con strutture in materiali deperibili, viene costruita una chiesa, agli inizi del v secolo, forse nel momento del passaggio di proprietà, per divenire poi una domusculta dipendente da Santa Cornelia (Potter, King, 1997, p. 75). In questo caso inoltre è stata messa in evidenza nei pressi la presenza di un agglomerato abitativo, a cui avrebbe provveduto la chiesa (Potter, King, 1997, pp. 11-2.; Fiocchi Nicolai, 1999, pp. 4647) (cfr. FIG. 5.10). Un caso singolare è quello di Loupian, in cui una chiesa battesimale, ben datata all'inizio del V secolo, fu edificata a 800 m della villa di Près Bas (Hérault) in coincidenza (e forse da parte delle stesse maestranze) con la monumentalizzazione del settore residenziale (Maune, 1998; Pellecuer, 1995). Le dimensioni dell'edificio (con una superficie di 2.50 mq) e la presenza del battistero non propendono per l'identificazione come chiesa privata, ma forse come parrocchia costruita in collaborazione tra dominus e vescovo per servire alla popolazione del territorio, dipendente o meno dal proprietario (cfr. FIG. 5.u). Nel Sud della Gallia pare verificarsi una maggiore continuità nell'occupazione delle ville aristocratiche, testimoniata sia dalla

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 5.12.

Villa di Séviac (Montréal du Gers, Francia)

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documentazione scritta, sia dai dati archeologici, e vi sono esempi più chiari della presenza di chiese ( in genere databili a partire dal VI secolo) ali' interno di residenze private in uso, come nella villa di Séviac (Gers) (cfr. FIG. 5.12). Sempre nel Sud della Gallia alcuni documenti (principalmente testamenti) rivelano il passaggio di pro-

5. CHIESE E CAMPAGNA

prietà private alle istituzioni ecclesiastiche soprattutto dal VII secolo, passaggio anche dovuto al fatto che molti aristocratici finiscono con l'entrare a fare parte della gerarchia ecclesiastica (Chavarria Arnau, in press). Risulta interessante (cfr. CAP. 6) come molte di queste chiese costruite nelle ville abbiano origine da un'area funeraria e, in particolare, da un monumento funebre nel quale plausibilmente era sepolto il dominus con la propria famiglia. Gli esempi, assai numerosi in Italia, Gallia e anche nella Penisola iberica, mostrano come in alcuni casi - e come già suggeriva Giovanni Crisostomo - fosse il desiderio di essere ricordati tramite le preghiere a convincere i potentes a edificare chiese nella loro proprietà (per l'Italia alpina, cfr. Brogiolo, 20026; per la Penisola iberica, Graen, 2008; per la Gallia, cfr. Chevalier, Sapin, 2012).

5.5 La diffusione delle chiese private Se nei secoli IV e V la collaborazione tra autorità ecclesiastiche e le aristocrazie proprietarie è un fatto assodato ( tra l'altro si tratta spesso di persone che provengono dagli stessi circoli sociali), dalla fine del v secolo in poi si osserva il tentativo, da parte dei vescovi, di sottomettere tutte le fondazioni alla propria autorità, limitandone le attribuzioni. Le prime norme si ritrovano nell'epistolario di papa Gelasio ( 492-496) e si diffondono a partire dal VI secolo (canon 21, Concilio di Agde del 506); esse stabiliscono una differenza tra chiese parrocchiali rurali e chiese costruite in agro proprio, soggette a tutta una serie di restrizioni (Pietri, 2005). Queste normative indicano probabilmente che il rapporto di collaborazione iniziale tra aristocrazie laiche e vescovi stava iniziando a sgretolarsi, forse perché con la caduta dell'apparato politico e amministrativo centrale dell'Impero le gerarchie del potere laico erano meno controllabili. Nei secoli successivi, mentre continuano ad essere costruiti edifici di culto con funzione di cura d' anime, diventano sempre più evidenti, da un punto di vista archeologico, anche le chiese di piccole dimensioni a uso prevalentemente funerario. In molte regioni europee, la costruzio-

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 5-13 Chiesa privata altomedievale di San Zeno di Campione (Como)

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L'esempio migliore di una chiesa privata, per la possibilità di confrontare il dato archeologico con le fonti scritte, è quello di San Zeno di Campione (Como). Loscavo ha messo in luce una piccola chiesa ad aula unica, abside semicircolare e atrio, con due sepolture privilegiate nell'aula (di cui una con decorazione a croci dipinte) e tre nell'atrio (una con broccato in fìlo d'oro e un'altra con gioielli). Sepolture di un gruppo familiare del quale possiamo ricostruite le vicende grazie alla documentazione scritta: commercianti di schiavi e prestatori di denaro al tempo di Cuniperto (fìne VII secolo) investirono il denaro accumulato in proprietà terriere sul lago di Como. L'oratorio venne utilizzato come cappella funeraria per tre generazioni, a partire dal fondatore Gunduald fìno a Totone, che nel 777 ne farà dono al monastero di Sant'Ambrogio di Milano. Fonte: Brogiolo (2005).

ne di piccole chiese rurali connesse a proprietà aristocratiche è uno dei fenomeni più importanti, non solo per il VII e l'vm secolo, ma sicuramente anche per l'epoca carolingia; è stato interpretato come un indizio del consolidamento delle proprietà fondiarie delle nuove aristocrazie alto medievali e dunque del loro potere. L'obiettivo, oltre che religioso e spirituale, era di rafforzare il prestigio e di ottenere benefici economici, e soprattutto di dotarsi di uno spazio privilegiato di sepoltura per il fondatore e per la sua famiglia (cfr. FIG. 5.13). Nel caso vi fossero poi reliquie di santi, queste avrebbero garantito la protezione in vita e nell'aldilà (Wood, 2006).

2.00

5. CHIESE E CAMPAGNA

5.6 La rete ecclesiastica nel territorio della disputa tra Arezzo e Siena Quattro documenti di straordinaria importanza, per lo studio della cristianizzazione delle campagne toscane alla fine del VII secolo, riguardano una contesa tra le diocesi di Arezzo e di Siena per la giurisdizione su alcune pievi (Delumeau, 1982). Gli estensori del documento conclusivo (datato al 715) conservano la memoria storica che le chiese oggetto della contesa sono state fondate, in un arco di tre secoli, a partire dal tempo degli imperatori romani. Si menzionano nove chiese e due fonti battesimali, costruite per iniziativa dei vescovi, della nobiltà longobarda e in un caso del re, l'istituzione di tre monasteri, della ristrutturazione di chiese preesistenti o dell'aggiunta di altari. Tale fervido evergetismo è stato in parte accentuato dalla rivalità tra i due vescovi confinanti, ma riflette un forte dinamismo insediativo e sociale e l'esistenza di un surplus economico da destinare ai luoghi di culto. Il documento delinea anzitutto la complessità dell'insediamento, che ha le sue radici nell'età tardoromana e sembra in continua evoluzione tra habitat sparso, villaggi e castelli. In questo paesaggio i luoghi di culto, siano o meno in rapporto diretto con gli insediamenti, costituiscono un importante punto di riferimento non solo della topografia delle campagne, sottolineato dai testi, ma anche uno strumento essenziale nella definizione di una geografia del potere, alla quale concorrono in prima istanza le massime autorità cittadine: vescovi e gastaldi. Tra i personaggi senesi di alto rango con beni nelle campagne, compaiono il gastaldo Uilerat che restaura a fundamentis il monastero di Sant'Ansano, suo figlio Zotto, cui si deve la fondazione di un secondo monastero, Sant'Arcangelo in fundo Luco, e il gastaldo Uarnifrit che de sua substantia dota il monastero di San Pietro di Asso, istituito da re Aripert. Accanto a queste aristocrazie legate alle cariche pubbliche, vengono menzionati altri due donatori, di cui non sono specificate né la posizione sociale né le risorse patrimoniali, ma che pure dovevano essere cospicue: l'arimanno Ursus, che fonda il monastero Sancti Peregrini in loco Passeno, e Ago de Castello, che ha costruito una chiesa in Plausena. Attraverso la fondazione di chiese e monasteri e la moltiplicazione degli altari destinati al culto delle reliquie, i vescovi e le aristocrazie

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

laiche concorrono a marcare un territorio conteso, promuovendo un'identità locale legata alla protezione dei santi e in rapporto alla città di riferimento, in modi analoghi a quanto si andava nello stesso periodo delineando nelle città longobarde. In questa costruzione di un'identità locale erano coinvolti anche altri livelli di una società rurale gerarchizzata, quale emerge dai testi che sottoscrivono i documenti: un Marcus, scarione della coree regia di Sessiano, ed esercitali, centenari, liberi homines, che costituiscono il grado sociale più elevato di chi viveva in campagna. Alcuni studiosi hanno sottolineato la rilevanza che, a partire dal1' vm secolo, acquisiscono determinate pratiche paraliturgiche collegate ali' altare: doni, testamenti, scambi di beni, il tutto riflesso di profondi cambiamenti nei rapporti sociali, con il consolidamento dei poteri locali e la nascita di una nuova identità che ha nella chiesa il principale punto di riferimento (lagna Prat, 2006, p. 44). A partire dal x secolo, come indicano le fonti scritte, comincia inoltre a prendere forma l'organizzazione ecclesiastica delle campagne e la parrocchia si definisce nei caratteri, che si manterranno per tutto il Medioevo, come luogo dove la popolazione rurale «riceve il battesimo, l'eucaristia, assiste regolarmente alla messa, riceve la penitenza per i suoi peccati, la visita nella malattia, la sepoltura dopo la morte, offre la decima e le primizie» 8•

8. Dalla lettera di Amulo di Lione a Teodboldo di Langres, dell'853 circa; cfr. Reynaud (1999, p. 83, ci cando la resi di C. Trefforc, Genese du cimetiere chrétien, Lyon 1994). Sugli aspetti archeologici del problema, cfr. gli acci dei convegni pubblicaci in Pergola (1999) e Delaplace (2005).

202

6

Chiese e sepolture

Chiese e sepolture sono, fin dal IV secolo, due elementi strettamente legati. Inumare negli edifici di culto è una pratica che caratterizza i cristiani, impensabile nei templi pagani e assolutamente vietata dagli ebrei. La presenza di sepolture vicino alle chiese è un fenomeno costante e costituisce un significativo cambiamento negli usi funerari della popolazione, fino a quel momento seppellita nei cimiteri suburbani o nelle necropoli rurali connesse alle ville o ai villaggi. Il fenomeno delle sepolture nelle chiese è, tra l'altro, collegato alla nascita dei cimiteri collettivi cristiani, sorti, nel III secolo, nel suburbio, grazie allo sviluppo delle comunità cristiane che crearono e gestirono cimiteri propri. Su questi verranno poi, nel corso del IV secolo, edificate le prime chiese funerarie. La presenza di cimiteri intraurbani intorno alle chiese è - salvo qualche eccezione - un fenomeno più tardo, sporadico prima del VII secolo e diffuso soprattutto a partire dal IX secolo. In campagna, l'esistenza di sepolture in chiesa è costante, con più o meno intensità almeno fino al IX secolo. Tuttavia, fino al x secolo, la Chiesa non impose un particolare luogo per deporre i corpi dei defunti cristiani e le sepolture in chiesa sono soltanto uno dei possibili modi in cui la popolazione tardoantica e altomedievale poteva essere seppellita fino a che, dopo l'anno Mille, i cimiteri presso le chiese diventeranno obbligatori: fino a quel momento possiamo trovare sepolture in cimiteri prediali o comunque legati a nuclei abitati, altre isolate in punti specifici del territorio, presso le case, all'interno di edifici in rovina ... ' Dal punto di vista archeologico, l'argomento viene reso complesso dalla scarsità di sepolture ben datate, indispensabili per stabilire un'e-

1. Per una sintesi sugli usi funerari nell'Alcomedioevo, cfr. Raynaud (2.006); e per gli aspetti topografici Chavarria Arnau (2.018c).

203

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

voluzione delle pratiche funerarie. Le tipologie tombali (alla cappuccina, a cassa di laterizi o di lastre di pietra, in muratura, in nuda terra, in sarcofagi di piombo o pietra, a volte reimpiegaci) hanno una datazione molto ampia. È noto che dopo il III secolo e soprattutto nelle tombe di tradizione romana, i corredi o i depositi funerari si fanno sempre più rari. Ritornano nelle necropoli di goti e longobardi a partire dal VI secolo, ma poi si rarefanno di nuovo nell'vm secolo. Le sepolture, infine, specialmente se in contesto ecclesiastico, sono spesso oggetto di deposizioni multiple, il che provoca danni o persino fa scomparire le deposizioni originarie. Per fortuna, sono sempre più frequenti le datazioni delle ossa con il 14 C e le analisi dei resti antropologici che permettono di identificare non solo l'età e il sesso ( informazioni fondamentali per stabilire la presenza di aree riservate a uomini, donne, bambini, anziani nei cimiteri), ma anche stato di salute, occupazioni, causa della morte e persino questioni più complesse, come la dieta o i rapporti parentali.

6.1 L'ubicazione delle sepolture La posizione delle sepolture all'interno delle chiese non era casuale, ma in rapporto allo status del defunto. Questa constatazione presuppone l'esistenza di un'autorità che controllasse chi avesse o meno il privilegio di essere seppellito in determinate aree, controllo confermato da alcuni testi epigrafici che vi fanno direttamente accenno o si riferiscono al modo in cui un fedele poteva procurarsi un luogo di riposo eterno nella chiesa: principalmente dipendeva dai suoi meriti, ma era anche possibile accrescerli grazie a un contributo economico (Scholkmann, 2.003). Nel 386, Ambrogio, scrivendo alla sorella Marcellina in occasione del ritrovamento dei corpi dei martiri Gervasio e Protasio, evento che diede fine al "conflitto delle basiliche", al quale abbiamo già accennato\ segnala di aver previsto la propria sepoltura sotto l'altare della basilica Martyrum (detta in seguito Ambrosiana) da lui costruita nel suburbio ad ovest della città. Tale insolita disposizione venne giustificata da Ambrogio per il fatto che, così come il luogo più adeguato per i martiri era

Ambrogio, Epistula XXII, in cui l'autore riporta i due sermoni pronunciati il il 19 giugno nella basilica Faustae e nella basilica Ambrosiana in occasione della

2.

18 e

traslazione dei corpi.

204

6. CHIESE E SEPOLTURE

FIGURA 6.1

Basilica suburbana di Santa Eulalia a Mérida (Spagna)

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Gli scavi hanno confermato le informazioni fornite dalle Vitae Sanctorum Patrum Emeretensium sull'ubicazione ab altario, in una struttura tipo cripta coeva alla basilica del VI secolo, delle sepolture dei vescovi Paolo, Fedele, Masona, Innocenzo e Renovato. Fonte: Maceos (1999).

l'altare su cui Cristo aveva sofferto il martirio, tale ubicazione era anche opportuna per gli ecclesiastici (in particolare per i vescovi), che celebravano l'Eucaristia (Dafsmann, 1975, p. 51; Kraucheimer, 1987, pp. 113-5). Tale luogo di sepoltura, locum sepolturae paratissimum et sanctissimum ( Vita Caesarii Arelatensis I, 57 ), verrà scelto successivamente da numerosi vescovi; lo dimostrano sia la documentazione archeologica, sia le fonti scritte, che precisano spesso l'esatta collocazione delle tombe in rapporto all'altare (cfr. FIGG. 6.1-6.1) 1•

3. Nella basilica di Santa Maria ad Arles, il vescovo Cesario (t543) venne sepolto « ad medium throni », plausibilmente nello spazio dell'area presbiceriale esistente era l'altare e il synthronon (Vita Caesarii Arelatensis I, 58), mentre la tomba di santa Rusticula ( t632.) si trovava «ad dexteram partem altaris», perché era questo il luogo che occupava la Vergine in rapporto a Cristo ( Vita Rusticulae sive Marciae Abatissae Arelatensis 2.5). Nella stessa posizione ( «ad dextro cornu altaris») era posta la sepoltura del vescovo Vedastes di Arras (t550 ca.).

105

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 6.2

Chiesa di San Lorenzo ad Aosta

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a) Pianta della chiesa; b) struttura liturgica e funeraria (con synthronon) ad est della chiesa; e) fotografia dell'area est della chiesa. Dodicifarmae rettangolari di 1,77 x 0,87 m (otto nel!' area antistante il synthronon e quattro nello spazio ad ovest recinto da cancelli) furono inizialmente costruite nell'area presbiteriale, sopra il reliquiario. Quasi tutte queste tombe (alcune attribuite ai vescovi grazie alle epigrafi) vennero più volte riutilizzate, anche dopo un breve intervallo di tempo, come si deduce dai resti ossei, ancora in posizione anatomica, dei primi inumati. Fonte: Perinetti (1989).

Nella chiesa di San Lorenzo di Gozzano (Novara; cfr. FIG. 6.3), nel castrum dell'Isola d'Orca, numerose tombe furono disposte in modo radiale era il muro dell'abside e il synthronon, forse in rapporto alla tomba di san Giuliano, sepolto in questo edificio (Pancò, Pejrani Baricco, 2.001, pp. 42.-8; Pejrani Baricco, 2.003, pp. 72.-3; Beghelli, 2.0u). L'analisi antropologica degli inumaci ha dimostrato come la maggior parte di queste sepolture fosse di adulti di una cerca età, il che ha por-

2.06

6. CHIESE E SEPOLTURE FIGURA 6.3 San Lorenzo di Gozzano (Novara), disposizione delle sepolture

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Fonte: Panrò, Pejrani Baricco (Loo1, p. 4s).

tato a identificarli come membri del clero. Una delle tombe (T2), nelle vicinanze dell'altare, conteneva una sorca di balsamario in vetro, forse da mettere in relazione con l'olio santo utilizzato, dal vescovo o dal suo delegato, nei battesimi. Uno dei corpi presentava una disposizione anomala, con la testa ad est. Questa localizzazione per una tomba privilegiata ( in rapporto a una sorca di synthronon esterno) si ripete a San Pietro in Mavinas (Sirmione) (cfr. FIG. 6.4), dove è venuta alla luce una tomba monumentale, probabilmente da identificare con la deposizione di un ecclesiastico, come potrebbe indicare - oltre alla posizione - anche il rinvenimento di frammenti di vetro, forse pertinenti a uno degli strumenti e contenitori liturgici che, talora, l'officiante portava con sé nella tomba 4 • In altri casi, più che a tombe di ecclesiastici si pensa, come per le tre sepolture monumentali nell'area dell'abside della chiesa di Diaporit,

4. Cfr. Breda et al. (2.ou). In una tomba della chiesa di Barton-on-Humber, in Gran Bretagna, furono rinvenuti calice e patena (cfr. Rodwell, Rodwell, 1985, p. 164, fìg. 71). Nella chiesa di Quintanilla de las Vifias, in Spagna, il rinvenimento di una brocca in bronzo all'interno di una sepoltura potrebbe identificare il defunto come membro del clero (cfr. liiiguez Almech, 1955, p. 89, fìg. 108).

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 6.4 Chiesa di San Pietro in Mavinas (Sirmione), disposizione delle sepolture

Fonte: Breda et al. (rn11, p. 48, fìg. 17 ).

in Albania, che si trattasse di quelle di santi o comunque di personaggi veneraci dalla popolazione locale (cfr. FIG. 6.5). Divenuta un importante centro di pellegrinaggio nel VI secolo, Diaporic fu abbandonata completamente verso il VII o VIII secolo (Bowden, Perzhica, 2.014). Grazie all'accurata analisi antropologica realizzata sullo scheletro, un'interessante identificazione è stata proposta per la tomba di VIII secolo rinvenuta davanti al presbiterio e dentro la solea della chiesa cardoantica in località Pava a San Giovanni d'Asso (Siena) (cfr. Felici, 2.016) (cfr. FIG. 6.6). Si tratta di una sorca di loculo nel quale fu deposta una sepoltura secondaria di un giovane vissuto nel VII secolo. Di età compresa tra i r8 e i 20 anni aveva pesanti malformazioni e, secondo le rilevazioni con gli isotopi stabili, abitava in zona, dati che hanno fatto ipotizzare una traslazione e rideposizione in un'area molto privilegiata di un personaggio importante, forse persino un santo (cfr. Campana et al., 2.015). Anche le aree con una particolare funzione liturgica, come le controabsidi e i controcori, venivano prevalentemente usate per la sepoltura di membri del clero. Un'altra zona funeraria di grande privilegio era il battistero, luogo dove si amministrava il sacramento per eccellenza,

208

6. CHIESE E SEPOLTURE FIGURA 6.5 Chiesa di Diaporit (Albania)

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La chiesa venne costruita verso la fine del V o già nel VI secolo, sul sedime di una villa abbandonata, con ere tombe monumentali nell'arca del presbiterio e una serie di edifici sussidiari come magazzini, terme, una torre e una cappella che suggeriscono si trattasse di una sorta di luogo di devozione, dotato, come nelle chiese suburbane, di installazioni per gestire il flusso di pellegrini. Fonte: Bowden, Perzhita (~014, p. 479, fig. 13).

simbolo della funzione episcopale oltre che edificio legato idealmente al concetto di "morte e Resurrezione". L'archeologia testimonia come fosse una pratica diffusa, seppur con varianti locali: in Africa, le sepolture si trovano sia all'interno sia all'esterno degli edifici, mentre in Italia settentrionale si concentrano all'esterno o in appositi annessi. L'ambiente con la vasca battesimale venne raramente usato per installare sepolture, come tra l'altro ci indica la prescrizione contenuta nel

2.09

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 6.6 Pianta della chiesa in località Pava a San Giovanni d'Asso (Siena)

La freccia indica la posizione della sepoltura privilegiata. Nell'area circostante alla chiesa si sviluppa una vasta necropoli bassomedievale, della quale sono state scavate centinaia di sepolture. Fonte: Campana et al. (w15).

canone 14 del Concilio di Auxerre: Non licet in baptisterio corpora sepelire. Non è invece infrequente la presenza di aree riservate alle inumazioni infantili nei battisteri; più che di individui non battezzati (come si propone abitualmente) potrebbe trattarsi di posizioni privilegiate per bambini ancora innocenti e con la salvezza assicurata. Numerose sepolture vennero generalmente deposte nelle navate delle chiese, talora occupandone tutta la superficie, altre volte in setto-

2.10

6. CHIESE E SEPOLTURE

ri specifici. Nel primo caso, sarebbe interessante capire se ci fu un' occupazione progressiva a partire da aree particolari. Nei casi in cui ci siano poche tombe o in cui sia stato possibile ricostruire una sequenza delle deposizioni, si osserva una tendenza a privilegiare lo spazio in asse con l'altare e l'area meridionale della chiesa, ovvero a occupare le navate laterali, disponendo le sepolture contro i muri o in arcosolia. Un altro luogo particolarmente ambito per le sepolture era sotto la soglia o davanti all'ingresso principale in facciata, in quanto spazio consacrato dal passaggio del clero e dei fedeli, ideale dunque per attirarne l'attenzione e conseguire in questo modo le loro preghiere. Nella Vita, scritta prima del 700, di Amatus, abate di Remiremont (t630 ), si racconta come avesse fatto a preparare la sua sepoltura tra i due battenti del portale (infra valvas, in introitu hostii), segnalata da un'iscrizione nella quale chiedeva a tutti i visitatori di pregare per lui per aiutarlo a redimere i suoi peccati (Vita Amati II; 13). Un'altra motivazione che spiega le sepolture ubicate nelle vicinanze della porta della chiesa è offerta dai contemporanei: Gregorio di Tours chiese di essere seppellito ante portam in segno di umiltà, perché lì la sua tomba sarebbe stata calpestata da tutti. Un'identica giustificazione indusse il re franco Pipino ad essere sepolto davanti alla porta della basilica di Saint-Denis 1• In altri casi, il privilegio veniva accordato come premio per una morte gloriosa, come rivela l'episodio del diacono Senone, che dopo aver dato la vita per difendere re Cuniperto nel corso delle lotte con il duca Alachi, venne sepolto davanti all'ingresso della chiesa di San Giovanni Domnarum, fondata dalla regina Gundiperga nella città di Pavia (Paolo Diacono, Historia Langobardorum v, 40-41). La zona davanti alla chiesa, sovente contraddistinta da un portico, in epoca tardoantica era denominata atrium. A partire dalla fine del1' vrn secolo cominciò ad essere chiamata paradisus, mentre il termi-

5. Odo Abbas, Vita sancti Gregorii 2.6: «nam in tali loco se sepeliri fecit»; Pipino, Epistulae variorum 19: «cum [... ] humilitate ante limina basilicae sanctorum martyrum». Un'interpretazione più complessa è proposta da Angenendt (1994), per il quale le sepolture ante portam avrebbero un significato teologico basato sulla classificazione, stabilita da Agostino, dei luoghi destinati ai defunti: i valde boni sarebbero andati nel Paradiso, i non valde boni sarebbero rimasti presso la porta del Paradiso, i non valde mali nel Purgatorio, e i valde mali sarebbero andati all'Inferno. L'assimilazione del Paradiso con la chiesa avrebbe fatto sì che quelli che si consideravano non valde boni venissero sepolti alle porte dell'edificio di culto.

2.11

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 6.7 Chiesa di San Pietro di Limone (Brescia)

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10m

Chiesa datata dagli scavi archeologici all'vm-rx secolo e dotata di un ricco arredo in pietra. Le sepolture furono tutte deposte all'esterno della chiesa e una di loro fu costruita insieme al perimetrale sud dell'edificio, verso l'angolo ad ovest. Gli scavi del 2.013 hanno rinvenuto un grande edificio rettangolare ad est. Per motivi di carattere amministrativo non fu esaurita la stratigrafia e quindi non possiamo datarlo, ma potrebbe trattarsi della residenza del proprietario di questa chiesa. Fonte: planimetria dell'autrice.

ne atrium passò a identificare lo spazio funerario intorno alla chiesa. Pure i portici, costruiti esternamente lungo i fianchi delle chiese per proteggere gli ingressi laterali, venivano usati per sepolture; come quelli previsti nella basilica di San Felice a Cimitile, riservati, secondo Paolino di Nola, alla preghiera, alla meditazione e alle sepolture dei fedeli ( Carmina 2.7; Epistulae xxxn). Salvo alcune eccezioni,

2.12.

6. CHIESE E SEPOLTURE

l'archeologia conferma l'uso funerario degli atria, talora fin dalla fondazione, a volte successivamente, in tutti i tipi di chiese: dalle ecclesiae episcopali a quelle con funzione principalmente funeraria, ai piccoli oratori privati 6 • I morti potevano infine trarre vantaggio dalla pioggia benedetta dal tetto della chiesa e quindi essere sepolti accanto ai muri perimetrali dell'edificio. Come ci riferisce Gregorio di Tours, tale ubicazione (sub stillicidio) venne scelta per la tomba di re Clodoveo 7• Pur se in epoca tardoantica esistevano già delle tombe presso i muri delle chiese, pare che tale posizione sia diventata di particolare privilegio a partire dal IX secolo, quando, come vedremo, si riduce l'uso funerario dell'area interna degli edifici. Di particolare interesse, a questo riguardo, è la sepoltura in muratura rinvenuta a ridosso del muro meridionale e verso la facciata nella chiesa di San Pietro di Limone, legata al perimetrale e quindi prevista fin dall'origine (cfr. FI G. 6.7 ). Il carattere privilegiato della tomba è confermato dagli oggetti rinvenuti al suo interno: un filo d'oro appartenente al broccato del vestito del defunto e, in corrispondenza della testa, una cassetta con sigillatura in piombo, caratteristiche che hanno suggerito di identificare la tomba come quella del fondatore e la chiesa come funeraria privata ( Chavarda Arnau, 2.0076 ).

6.2

Sepolture, chiese e insediamenti 6.2..1. LE SEPOLTURE IN AMBITO URBANO

Dalla metà del v secolo a.C., la legge delle Dodici tavole stabiliva che tutte le sepolture dovevano essere deposte, salvo rare eccezioni, fuori della città, divieto che sarà ripetuto nella legislazione fino alla fine del IV secolo d.C., quando si vieta il seppellimento presso le tombe degli apostoli e dei martiri e in qualsiasi luogo della città all'interno delle mura, divieto che verrà ripreso nel Codice di Giustiniano 8• Una note-

6. Picard (1989a); Sapin (2002); con le cautele di Duval (19916, pp. rn-4). 7. Gregorio di Tours, Historia Francorum VIII, 10: «Nam quando Chlodovechus incerfectus est ac sub stillicidio oratorii cuiusdam sepultus, metuens regina, ne aliquando invencus cum honore sepeliretur, iussit eum in alveum Matronae fluminis proici ». 8. Codex lustinianus 3, 44, 12. Tra le eccezioni si trovano alcuni re, gli eroi e i

2.13

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

vole eccezione a questa regola è costituita dal mausoleo costruito, nel IV secolo, dall'imperatore Costantino all'interno della cinta muraria di Costantinopoli (poi affiancato dalla chiesa dei Santi Apostoli), che divenne poi luogo di sepoltura di gran parte degli imperatori successivi9. In questo caso bisogna però ricordare che gran parte della città occupava l'antico suburbio, dopo la costruzione della cinta costantiniana, e che si espanse su antiche aree cimiteriali, fenomeno che si ripete successivamente con la costruzione delle mura di Teodosio II (Saradi, 2.006, pp. 433-4). Un'altra eccezione è l'Africa settentrionale, dove, fin dal IV secolo, ci sono sepolture in complessi ecclesiastici urbani, un uso che risponde soprattutto a tradizioni locali e sicuramente alla particolare intensità del culto martiriale. Esse sono frequenti a Haidra e Sbeida, ma non sono state rinvenute ad esempio a Sabratha, dove la consuetudine funeraria si limita alle chiese martiriali del suburbio (Duval, 1986). In Occidente, pare che la tradizione di seppellire i defunti nelle aree funerarie suburbane venne di solito rispettata fino all'avanzato Altomedioevo, e che le autorità ecclesiastiche, e in generale la maggior parte della popolazione urbana, preferirono interrarsi extramuros, presso le principali chiese martiriali costruite sui cimiteri (Picard, 1988; Chavarda Arnau, Giacomello, 2.014). In Italia, ad esempio, le sepolture in città sono documentate in modo sporadico a partire dal v secolo, ma sembra che il fenomeno si debba, più che alla presenza di chiese, ad altre motivazioni, quali il degrado dell'assetto urbanistico - che rese disponibili numerosi edifici pubblici ormai abbandonati e ampi spazi vuoti -, l'arrivo di popolazioni barbariche - che seppellivano i loro morti nelle vicinanze delle strutture abitative e dal VII secolo anche nelle chiese urbane - e, occasionalmente, alcuni episodi bellici e assedi urbani - che impedirono agli abitanti di deporre i loro defunti ali' esterno delle cinte murarie ( Chavarda Arnau, 2.018c). La connessione tra tombe ed edifici di culto urbano comincerà ad essere rilevante a partire soprattutto dall'vm secolo. La presenza di

fondatori delle città oltre, in alcuni centri orientali, come Efeso, benefattori, politici e figure illustri (cfr. Koccing, 1965, pp. 93-5; Saradi, 2006, pp. 43l-3). 9. La motivazione non è ancora chiara. Un'ipotesi plausibile è che, come fondatore della città, Costantino considerasse un diritto essere sepolto ali' interno della cinta muraria. Su questo edificio cfr. supra, pp. 70-1.

2.14

6. CHIESE E SEPOLTURE

sepolture vescovili in traurbane del v secolo a Ravenna (chiesa dei Santi Apostoli, dove fu deposta la tomba di Neone) è stata spiegata con il fatto che in origine l'edificio si trovava fuori dalle mura e sarebbe poi diventato urbano con la costruzione della fortificazione tardoantica (Farioli Campanati, 1986, p. 166). Nel caso della sepoltura di Esuperanzio (nella chiesa intraurbana di Santa Agnese), non è chiaro se vi fosse dall'origine ( t 477) o se si tratti di una traslazione (ibid.). Ad eccezione di Aquileia, dove sono attestate sepolture in età tardoantica, la presenza di inumazioni nei complessi cattedrali pare un fenomeno più tardo, risalente alla fine del VI secolo (a Grado, ad esempio, nella chiesa di Santa Eufemia) e diffuso in modo graduale e limitato a personaggi privilegiati in altri centri urbani. Non si accentua fino a epoca carolingia, in connessione con il processo di ridistribuzione di reliquie che ebbe luogo all'epoca, e nel momento in cui verrà favorito dal culto della memoria e dalla costruzione di cripte (Picard, 1988). Un caso singolare è quello di Ginevra dove pare che il primo complesso episcopale, costruito nella seconda metà del IV secolo, sia già nato in rapporto a un monumento funerario, una sorta di memoria legata a un edificio residenziale di prestigio ( il praetorium o residenza del responsabile dell'amministrazione urbana?) (Bonnet, 2.006, p. m). Il monumento funerario sarebbe tuttavia sorto in un'area funeraria precedente, inglobata poi all'interno del perimetro urbano, il che forse spiegherebbe l 'anomalia' 0 • Come abbiamo già visto, in genere i vescovi e le aristocrazie si fanno seppellire nei pressi delle chiese edificate sulle tombe dei martiri, nel suburbio, all'interno degli edifici (a volte concepiti per questa funzione, come le chiese circiformi), in mausolei addossati o nelle vicinanze delle chiese, nell'area circostante, secondo differenti schemi per ciascuna città. 6.2..2.. DAI MAUSOLEI ALLE CHIESE FUNERARIE IN CAMPAGNA

In campagna, fin dall'epoca repubblicana, le aristocrazie venivano sepolte all'interno delle loro proprietà. I testi e le iscrizioni funerarie mostrano come nel II secolo a.C. le tombe monumentali fossero un

10. «Sous la partie orientale de la terrasse morainique s'étendait encore un'aire funéraire: une des tombes continuera d'étre vénérée dans !es constructions successives établies ensuite à cet émplacement» (Bonnet, 2.006, p. m).

2.15

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA

6.8

Due casi di trasformazione da mausoleo a chiesa

► b

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a) A Vandoeuvres, nel territorio di Ginevra, un mausoleo rettangolare datato al IV secolo, forse addossato a un primitivo oratorio di una villa, all'inizio del v è stato trasformato in chiesa, con l'aggiunta di una recinzione presbiteriale in legno; b) a SaintJulien-en-Genevois una chiesa con abside viene invece addossata, nel v secolo, a un edificio funerario di pianta rettangolare. In altri esempi, come a Grand Sasonex, la modifica è più carda, incorno al VI-VII secolo. Fonte: Terrier, Odenhardt-Donvez, Fauduet (ioo7, p. 87 ).

elemento familiare del paesaggio rurale, dove, a differenza del suburbio, le aristocrazie erano più libere nel costruire i propri monumenti funerari. La tipologia di questi edifici in epoca tardoantica è molto varia: a pianta rettangolare o quadrangolare, con absidi in uno dei lati, quadrangolari con absidi contrapposte. Raramente esistono elementi che permettano di identificare la scelta religiosa dei destinatari di queste costruzioni. Numerosi mausolei dei secoli IV e v diventano chiese solo a partire dal VI (e soprattutto nel VII e VIII), conversione considerata un indizio del loro carattere cristiano o persino di un teorico uso liturgico fin dall'origine; una tale supposizione, in assenza di evidenze archeologiche chiare, manca però di fondamento (cfr. FIGG. 6.8-6.9). È da chiedersi quali motivazioni portarono gli individui di VIVIII secolo a riusare un mausoleo precedente come tomba propria e a convertirlo in edificio di culto. Alcuni ricercatori anglosassoni hanno rimarcato il ruolo che ebbero in questo processo moti-

2.16

6. CHIESE E SEPOLTURE FIGURA 6.9 Edifici funerari tardoancichi diventano chiesa in epoca altomedievale

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a) Santi Agata e Sisinnio, Ossuccio (Como); b) San Pietro in Gravesano (Svizzera); e) Santi Nazario e Celso, Airolo (Svizzera); d) Santo Stefano, Muralto (Svizzera). Fonte: Brogiolo (2.002.b, p. 2.94).

vazioni di carattere simbolico, legate al prestigio delle rovine del passato (Bell, 1998; Effros, 2001). Tuttavia, almeno in determinati casi, potrebbero tradire anche la sopravvivenza di alcune famiglie aristocratiche tardo romane che in certe regioni (della Gallia e della Hispania soprattutto, ma non solo) mantennero una loro identità fino almeno al VII secolo (Wickham, 2005, a proposito dei Vittoridi di Coira). La continuità d'uso di spazi funerari una volta abbandonate le ville potrebbe essere anche legata a questioni di proprietà dello spazio specificamente funerario, tema che bisogna indagare ulteriormente (cfr. Remesal, Rodriguez, 2002, p. 375). Alcune fonti, infine, alludono al desiderio delle aristocrazie altomedievali di procurarsi delle pseudoreliquie per i loro spazi di culto privati (Morris, 1989, pp. 40-5), il che potrebbe spiegare l'attrazione degli spazi funerari antichi come luogo di costruzione di chiese, fenomeno che le autorità ecclesiastiche provarono a controllare. In ogni caso, la trasformazione di mausolei in chiese funerarie si inserisce all'interno di un più ampio processo, già analizzato nel CAP. 5, che consiste nella moltiplicazione di chiese private con funzione funeraria nel corso dell'Altomedioevo. La tendenza degli ecclesiastici a limitare il diritto delle sepolture in chiesa e la volontà delle aristocrazie

217

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 6.10

Iscrizione in versi a Vaison, inizio del VI secolo

Panthagatus si costruì una chiesa nella sua proprietà, intitolandola a san Vincenzo e agli altri martiri di Saragozza di cui si era procurato le reliquie. Fonte: Guyon (w10, p. 213, fìg. 214).

di procurarsi uno spazio privilegiato per la propria tomba potrebbero aver favorito tale moltiplicazione in rapporto alle residenze e alle proprietà rurali in campagna (cfr. FIG. 6.Io ). 6.2.-3- LE SEPOLTURE NEI MONASTERI

A partire dal VII secolo cominceranno pure a farsi frequenti le sepolture in monasteri, prima da parte dei monaci e di altri membri della gerarchia ecclesiastica", in seguito anche da alcuni laici. Quando questi ottengono l'immenso privilegio di essere sepolti nel monastero, beneficiano di uno

11. Uno dei primi casi attestati è quello di Cesario di Arles, sepolto accanto alla tomba della sorella, badessa nel monastero femminile di San Giovanni ( Vita Caesarii Arelatensis I, 57 ). Cfr. Gilchrisc, Sloane (2.005) sui cimiteri dei monasteri in Gran Bretagna, ma con interessanti riflessioni di carattere più generale.

2.18

6. CHIESE E SEPOLTURE

spazio a parce, un cimitero "di laici" come quello cicato nel Liber tramitis cluniacense, dell'inizio dell'x1 secolo (Treffort, 1996, p. 154). Potrebbe identificarsi con uno di questi cimiteri quello rinvenuto durante i recenti scavi dell'abbazia di Maguzzano, dove a nord e lungo i muri di un edificio di culto di IX secolo si imposta nell'x1 una serie di sepolture monumentali, una delle quali, grazie a un'iscrizione incisa sulla malta che rivestiva la tomba, è stata identificata come quella di Ubertus laicus, un personaggio legato al monastero, plausibilmente identificabile con Uberto, figlio di Arduino, conte di Parma, che compare in due documenti del 1090, in uno dei quali dona un appezzamento di terra alla chiesa di Santa Maria di Maguzzano, mentre nell'altro sottoscrive un atto nella Rocca di Manerba, località che dista meno di 10 km dall'abbazia. La tipologia monumentale di questa e delle altre sette tombe di questo settore e alcuni fili d'oro rinvenuti nelle sepolture suggeriscono di identificare la zona come cimitero privilegiato di laici ( Chavarda Arnau, 2009 ).

6.3 Dalle tombe ad sanctos ai cimiteri parrocchiali La motivazione che portava i cristiani a farsi seppellire in una chiesa era duplice. Da una parte, essi erano convinti che dai corpi dei santi e dalle loro reliquie emanasse un potere salvifico che impregnava i muri, i pavimenti delle chiese e il corpo di tutti quelli sepolti all'interno, per cui, al momento della Resurrezione e della presentazione al Giudizio finale, questi avrebbero goduto di un'intercessione privilegiata (conresuscitatio ), concetto ripreso frequentemente nell'epigrafia funeraria Il. Dall'altra parte, e come ha sottolineato di recente Vincenzo Fiocchi Nicolai (2016), già dall'epoca di Costantino esisteva l'idea che lepreghiere dei vivi fossero fondamentali per garantire la salvezza eterna, idea sulla quale insistevano i principali padri della chiesa, tra i quali sant'Agostino o Gregorio Magno. A partire dall'vm secolo il valore dell'intercessione del santo lascia il passo alle orazioni e, soprattutto, alle celebrazioni eucaristiche, che diventano determinanti per la salvezza dei defunti. Il crescente ca-

12.. La bibliografia sulle sepolture ad sanctos è immensa: cfr. tra gli altri Kotting (1965, pp. 95-7 ); Duval (1982.; 1988) (per l'Africa).

219

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

rattere penitenziale e il rafforzamento del concetto di salvezza tramite la preghiera resero meno indispensabile la vicinanza alle reliquie e preferibili posizioni più vicine a coloro che pregavano. Diventò anche fondamentale la possibilità di individuare le sepolture e la presenza di iscrizioni che aiutassero a non dimenticare i morti e, conseguentemente, le preghiere in loro onore' 3• Allo stesso tempo, si fa strada l'idea che i defunti partecipassero idealmente alle messe e quindi continuassero ad acquisire meriti per la loro salute eterna (Pietri, 1986, p. 137 ). La creazione di ampi spazi con una funzione prevalentemente funeraria al di sotto delle aree presbiteriali (le cripte) potrebbe essere messa in relazione con questo rapporto tra i defunti e la celebrazione della messa. Pur se in generale fino al IX secolo la chiesa si preoccupava relativamente poco di dove venisse sepolta la popolazione cristiana (il che ha come conseguenza un'enorme varietà di pratiche funerarie nel corso dell'Altomedioevo), l'uso delle chiese per tumulare i defunti fu legato a una serie di norme: il primo divieto di seppellire nelle chiese compare nel canone 18 del I Concilio di Braga (563) - un sinodo celebrato nel Nord-Ovest della Penisola iberica' 4 - , che proibisce le sepolture nell'interno delle chiese (ut corpora defunctorum nullo modo intra basilicam sanctorum sepeliantur) e autorizza soltanto quelle a ridosso dei muri (si necesse est, de foris circa murum basilicae ). Nel canone si spiega il motivo: se fino a ora nelle città della Gallia si era proibito di inumare all'interno dei muri delle città, a maggior ragione si doveva rispetto ai martiri venerabili. Contemporaneo è il divieto delle sepolture in battisteri, accolto nel Concilio di Auxerre (561-605). Non è casuale che, immediatamente dopo questi concili, comincino le riflessioni di Gregorio Magno, partendo da Agostino e dal ruolo delle preghiere nella salvezza dell'anima, su chi poteva o meno essere sepolto all'interno delle chiese e sul divieto per i peccatori (Dialoghi IV, 53, 54, 55-56). Tutte queste testimonianze, relative alla seconda metà del VI secolo, rivelano la preoccupazione dei vescovi e ci testimoniano, per la prima

13. Idea già sintetizzata da Isidoro di Siviglia (Etymologiae sive Originum Libri

xx xv 11, 1): «Monumentum ideo nuncupatur eo quod mentem moneta ad defunti memoriam. Cum enim non videris monumentum, illud est quod scriptum est: Excidi tamquam mortuus a corde. Cum autem videris, monet mentem et ad memoriam te reducit, ut mortuum recorderis». 14. Ebbe un'ampia diffusione perché inserito nella Collectio Hispana e nella collezione pseudoisidoriana (cfr. Scholz, 1998, p. 2.87 ).

220

6.

CHIESE E SEPOLTURE

volta, il loro sforzo di regolare l'uso funerario degli edifici, riservandosi il diritto di scegliere (dapprima tra peccatori e non, in seguito era quelli che lo meritavano e gli altri) chi poteva godere di cale privilegio. Il che portò prevedibilmente a un forte sviluppo di edifici privati, che potessero svolgere questa stessa funzione, il che provocò a sua volta l'emanazione di nuove normative anche per le chiese private. Pelagio r ( 556-561 ), con una lettera indirizzata al vescovo di Sicilia Eleuterio, autorizza la consacrazione di un oratorio a condizione che non ci fosse alcuna sepoltura e che nel futuro non venisse dotato né di battistero né di clero fisso - Pelagii papae epistulae quae supersunt (556-56I) 86. Il formulario di Pelagio, poi ripreso da Gregorio Magno in varie occasioni, cercava di evitare la consacrazione di aree funerarie preesistenti o di sepolture in chiese che non fossero state ancora consacrate. Come nel caso ricordato da Beda: Agostino (t609 ), primo arcivescovo di Canterbury, e Aidano di Lindisfarne (t652) furono sepolti fuori delle chiese, perché non erano state ancora ultimate (e consacrate). Una volta finiti i lavori, i corpi furono traslaci all'interno degli edifici (Beda Venerabilis, Historia ecclesiastica gentis Anglorum II, 3; III, 17 ). Una vera legislazione relativa al controllo delle sepolture nelle chiese compare a partire dal IX secolo, insieme a una nuova concezione degli edifici, che ne sottolinea il ruolo eucaristico e che favorisce I' istituzione di spazi specificamente funerari ubicati nell'immediata vicinanza degli stessi. Nei capitolari di Teodolfo di Orléans (ca. 760821) si stigmatizza l'uso di seppellire i defunti all'interno delle chiese, anche se si autorizzano le sepolture degli ecclesiastici e degli uomini giusti quae per vitae meritum talem vivendo suo corpori defuncto locum acquisivi!. In un altrn capitolare, si specificano le aree della chiesa che possono ospitare sepolture: l'atrio, il portico e l'abedra (termine che potrebbe derivare da "esedra"), mentre si vietano assolutamente le navate e le aree vicine all'altare (Theodulfo di Orleans, Capitolare 2, c. 1). Nel capitolo 14 dei Capitula Episcoporum di Carlo Magno, si decreta che nessuno venga sepolto nelle chiese, e il tema viene anche discusso, nell'813, nel Concilio di Magonza (canone 52), che limita il diritto di sepolcura a episcopi aut abbates aut digni presbiteri uelfide/es laici, e in quello di Arles, celebrato lo stesso ar.no (cfr. Treffort, 1996, pp. 138-41; Scholz, 1998, pp. 294-306; Lauwers, 2005, pp. 30-9 ). L'archeologia dimostra come durante il IX secolo si osservi unariduzione nel numero di chiese usate come spazio funerario e una mag-

221

ARCHEpLOGIA DELLE CHIESE

giare presenza di sepolture all'esterno' 1• Quest'ultima costituisce la premessa alla nascita dei ci~iteri parrocchiali, spazi di sepoltura collettivi intorno alle chiese, consacrati dal vescovo con un rituale di cui abbiamo notizia a partire dal X secolo (Treffort, 1996). Tale consacrazione trasforma il carattere intrinseco dello spazio funerario, non più sacro per la prossimità alle reliquie o alla chiesa, ma grazie a un atto specifico di sacralizzazione. La costruzione del cimitero altomedievale è dunque conseguenza di un'elaborazione dottrinale che sottolinea la differenza tra gli spazi riservati al rito eucaristico e quelli funerari (Lauwers, 2.005). Con questa evoluzione, il prete diventa l'unico gestore dello spazio funerario, concepito in forma comunitaria, mentre i fedeli non considerano più tanto importanti le sepolture individuali, quanto lo spazio funerario sacro nel quale vengono inserite. Come conseguenza, le tombe diventano più semplici, in nuda terra, a poca profondità e con scarsi elementi di segnalazione, il che conduceva a frequenti sovrapposizioni tra le tombe. Le sepolture venivano inoltre usate più volte e le ossa precedenti raccolte in un angolo o riseppellite in ossari. La formazione dei cimiteri parrocchiali è anche il riflesso di una stabilizzazione dell'insediamento, sviluppo che è stato inoltre collegato al pagamento della decima e alla necessità di legare la popolazione a determinati poli e territori precisi (Zadora-Rio, 1989; 2.003). I cimiteri diventano perciò uno spazio di socializzazione, luogo di riunione in occasione di assemblee, patti giudiziari, mercati ecc. (Lauwers, 2.005, pp. 49-54), e in questa prospettiva meriterebbero un'attenzione non inferiore rispetto a quella dedicata ai cimiteri con corredo dei secoli precedenti o alle aree funerarie tardoantiche, anch'esse luoghi pubblici di aggregazione collettiva. E tuttavia, salvo alcune aree privilegiate come la Gran Bretagna o la Francia, dove la Churchyard Archaeology ha avuto un'ampia tradizione di studi (Rahtz, 1976; Rodwell, 1981; 1989, pp. 143-80; 1997; Zadora-Rio, 2.003; Morris, 2.0II, pp. 180-4), l'analisi dei cimiteri medievali legati alle chiese è ancora trascurata dall'archeologia medievale nei pae-

15. Analisi dei cesti in Trefforc (1996, pp. 137-42); esempi in Eggenberger, UlrichBochsler, Schaublin (1983) (Kancon Bern); Terrier (2004) (Meinier); Chavarda Arnau (20076) (San Pietro di Limone).

2.2.2.

6. CHIESE E SEPOLTURE

si mediterranei, fondamentalmente a causa della difficoltà implicita nello scavo (le tombe, distribuite su ampie superfici, sono stratificate orizzontalmente e verticalmente e presentano scarsi elementi di datazione) e della poca spettacolarità dei risultati, per l'assenza, dopo il VII secolo, di corredi. Lo sviluppo delle metodologie di remote sensing e di prospezione geofisica aiuta almeno a delimitare l'estensione di questi cimiteri, a identificare la presenza di strutture architettoniche al loro interno, a capire la relazione tra cimitero, edificio di culto e insediamento circostante.

22~

Parte terza Stratigrafie e interpretazione

In questo volume, per lo studio delle chiese, è stato finora proposto un percorso che tiene conto della loro funzione in relazione all'evoluzione della liturgia, delle tecniche e dei tipi costruttivi, nonché del rapporto con gli insediamenti e con gli individui che le hanno commissionate, frequentate e vi hanno trovato sepoltura; aspetti analizzati alla luce dei risultati delle discipline e degli indirizzi di ricerca che se ne sono occupati. Tuttavia, la ricerca non è finita; facendo tesoro della conoscenza acquisita, ma utilizzando nuovi strumenti e nuovi orientamenti, possiamo proporci ulteriori obiettivi. Nel prossimo capitolo verrà data qualche indicazione pratica su come riconoscere l'antichità di una chiesa e su come progettarne una corretta indagine archeologica. In quello ancora successivo, ci si soffermerà sull'iter della ricerca, dall'impostazione di una strategia adeguata all'interpretazione dei risultati ottenuti.

7

Individuazione e analisi stratigrafica di una chiesa

Come individuare le chiese potenzialmente antiche? Numerose sono le informazioni da cui partire. Un primissimo orientamento offre l' intitolazione della chiesa, che però va assunta come semplice indizio e non come prova di antichità. Alcune intitolazioni acquisiscono una particolare popolarità in determinati periodi (i martiri milanesi Gervasio e Protasio nei secoli IV e v, santo Stefano nel v, santi militari di origine orientale nel VI, come i santi Sergio e Bacco o san Teodoro). È anche vero che le intitolazioni delle chiese erano spesso soggette a cambiamenti per una molteplicità di motivi: particolare devozione da parte di un committente fondatore, relazione con la chiesa episcopale di riferimento, spostamento di un abitato e della chiesa e così via. Ad esempio, a Capua, una fonte del X secolo ricorda come la cattedrale, edificata da Costantino in onore degli apostoli ma chiamata "costantiniana", cambiò intitolazione nel VI secolo (519) quando il vescovo Germano vi depose le reliquie di santo Stefano e santa Agata, ricevute, durante una sua visita a Costantinopoli, dalle mani dell'imperatore Giustino ( Chronicon Beneventanum 19 ). La dedica a san Martino, molto popolare in epoca tardoantica in Gallia, Pannonia e nell'Italia nord-orientale, ma con una successiva diffusione capillare in alcune zone, venne spesso utilizzata per esaugurazioni di chiese ariane, come per la cappella palatina costruita da Teodorico a Ravenna (oggi Sant'Apollinare Nuovo) e per numerose chiese con questo titolo documentate in relazione a insediamenti goti e longobardi. Potrebbe anche essere il caso di chiese con sepolture con corredo longobardo, come San Martino di Trezzo (Milano), o di chiese comunque legate a un insediamento di quel periodo, come San Martino di Gusnago (Mantova), San Martino di Piove di Sacco (Padova), o dei castelli delle Giudicarie trentine, costruiti dai goti e poi occupate

227

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

dai longobardi, quasi tutti con chiese intitolate a questo santo (Lusuardi Siena, Spalla, 20II). Altre intitolazioni a santi impegnaci nella lotta contro l'arianesimo, come Eusebio e Zeno, ricorrono parimenti in chiese di età longobarda. A sane' Eusebio, lo dice espressamente Paolo Diacono, fu riconsacrata la cattedrale ariana di Pavia. Anche nelle campagne i longobardi costruirono chiese ariane, come quella di Fara Gera d'Adda, fondata da Aucari ( 584-590 ), un re che, come ricorda Gregorio Magno (Registrum epistularum I, 17 ), aveva emanato un editto che proibiva ai longobardi di battezzare i loro figli nella fede cattolica. La basilica que dicitur Fara (et nominatur ecclesia Autareni ab Autari rege} venne poi donata da re Grimoaldo (662-671) al vescovo di Bergamo, affinché la convertisse al cattolicesimo. La chiesa è stata identificata con Santa Felicita, realizzata su un edificio precedente romano per una comunità (fora) evidentemente ariana. Potrebbero essere state ariane pure San Zeno di Moncichiari, in rapporto a una grande necropoli di VII secolo, o San Zeno di Campione d'Italia (Como), fondata attorno al 680 come cappella privata di un ricco longobardo (cfr. Brogiolo, 2005) (FIG. 5.13). Durante le lotte in favore o contro il dogma cristologico, proclamato nel Concilio di Calcedonia del 451, ebbe un particolare significato l'intitolazione a santa Eufemia. La martire era infatti associata alla chiesa dove si tenne questo importante concilio per cui dedicarle una chiesa significò schierarsi in favore del dogma. Chiese consacrate a questa martire furono costruite rapidamente non solo a Costantinopoli, ma anche a Calcedonia, Antiochia, Ravenna (quattro), Roma (due), Tivoli, Grado ecc. (cfr. Capizzi, 1997, pp. u8-9). Quando disporremo di analisi sistematiche basate su altri parametri, potremo valutare statisticamente l'affidabilità della dedica, ma per ora consideriamola solo come un elemento aggiuntivo rispetto ad altre fonti. Le prime tre - fonti scritte, resti di arredo scultoreo, specifiche piante e peculiari elementi costruttivi - fanno parte da tempo delle competenze di cui si avvale lo studioso. La quarta comprende le prospezioni geofisiche: messe a punto per tutti i depositi sepolti, sono applicabili anche alle chiese. Altre, più propriamente archeologiche, costituiscono il lavoro diretto dell'archeologo sulle strutture della chiesa e sono il risultato dell'applicazione, negli ultimi trent'anni, dei metodi stratigrafici alle murature conservate in elevato, ai "segni particolari", ai depositi sepolti.

228

7. INDIVIDUAZIONE E ANALISI STRATIGRAFICA DI UNA CHIESA

7.1

Fonti scritte Le fonti scritte costituiscono anzitutto una spia preziosa della cronologia di una chiesa, non solo quando ne riferiscono la data di fondazione (e allora è da controllare se non si tratti in realtà di una rifondazione, come ad esempio nella chiesa del monastero di San Salvatore di Brescia, eretta dal re Desiderio e dalla regina Ansa nell'vm secolo su un edificio di culto del VII secolo), ma anche quando forniscono un termine ante quem di prima attestazione. Spesso, però, sia quelle che trattano la vita di un santo o la scoria di un monastero, sia i registri di privilegi e le descrizioni di proprietà (i polittici), ci sono pervenuti in copie alterate, quando non addirittura falsificate, per cui questi dati vanno comunque sottoposti al vaglio critico di un diplomatista. Particolarmente rilevanti sono i cataloghi di chiese dipendenti da un monastero (come quelle elencate nel polittico del monastero di Santa Giulia, della fine del IX secolo; cfr. Pasquali, 1978) o da un vescovo (abbastanza esaustive sono le Rationes decimarum ltaliae, censimenti delle decime corrisposte su base diocesana, redatti peraltro in modo sistematico solo dal XIII-XIV secolo). Un'attenzione particolare meritano i resoconti delle visite pastorali, anche se in genere non sono anteriori al xv secolo, in quanto vi si trovano annotazioni, talvolta assai puntuali, su architetture e arredi liturgici successivamente demoliti o alteraci. Assai precisa è, ad esempio, quella del vescovo padovano Pietro Barozzi, nel 1489, alle chiese della sua diocesi: si sofferma non solo sulle fasi costruttive, ma ne riporta in dettaglio le misure, annotazioni che permettono quasi sempre una ricostruzione accendibile (cfr. ad esempio Brogiolo, 2016; 2017c). Oltre che per la datazione, le fonti scritte sono utilissime per conoscere le committenze, le funzioni, le caratteristiche architettoniche, le decorazioni, l'organizzazione dello spazio in relazione alla liturgia ecc., anche se in genere offrono informazioni parziali, legate a uno specifico tema o a chi ha richiesto l'opera. Spesso sono di difficile interpretazione perché combinano elementi reali con aspetti simbolici o riferimenti biblici, oppure utilizzano schemi descrittivi propri dell'architettura classica, come si è detto a proposito delle dedicazioni degli edifici cristiani.

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

7.2

Testimonianze epigrafiche Tra IV e VII secolo, il maggior numero di testimonianze epigrafiche si concentra presso le chiese, in quanto luogo principe di autorappresentazione e di costruzione di una memoria collettiva'. Si possono suddividere in sette categorie principali: 1. commemorative, che ricordano la dedicazione e la consacrazione di chiese e altari, la presenza di reliquie, il nome del committente, del donatore di un particolare manufatto (come quelle musive o relative a oggetti liturgici o dell'arredo), degli artefici (magistri e artigiani); 2. documentarie, impropriamente definite anche chartae lapidariae, che riportano stralci di documenti riguardanti donazioni alla chiesa, esenzioni, privilegi; 3. didascaliche, a commento di figurazioni (ad esempio, quando riferiscono i nomi dei personaggi), citazioni bibliche, liturgiche, inni sacri, testi di riflessione spirituale e per l'edificazione del lettore; 4. calendari liturgici; 5. bolli, sigle e nomi su laterizi, note di cava o di cantiere; 6. graffiti devozionali e obituari; 7. epigrafi funerarie. Le prime quattro tipologie in genere si concentrano nell'area presbiteriale (nei mosaici dei catini absidali o nell'arredo liturgico, su cibori e pergulae), ma se ne trovano anche sui pavimenti delle navate e vicino all'ingresso degli edifici. I testi più importanti (dal punto di vista dell'informazione che a noi interessa) sono evidentemente le iscrizioni che segnalano la fondazione dell'edificio, eventualmente la data e il nome del fondatore. In Oriente, le numerosissime iscrizioni su mosaico permettono spesso di seguire la sequenza costruttiva e decorativa delle chiese e la ripartizione di funzioni (quali finanziatori, progettisti, realizzatori) tra vescovi, altri ecclesiastici di minor grado (diaconi, sottodiaconi, lettori ... ), artigiani e donatori privati (cfr. l'esempio di Evron in Sodini, 2013, p. 847-8)

(cfr. FIG. 7.1).

I problemi principali, per le epigrafi, sono la difficoltà di datazione e il possibile spostamento in un luogo diverso per il quale furono originariamente concepite, come nel caso, particolarmente complesso, dell'epigrafe monumentale rinvenuta sull'arco trionfale della chiesa di

1. La bibliografia su questo rema è molto ampia; cfr. a titolo esemplificativo Favreau (1992.); Duval (1997); Rico Camps (2.009); Sodini (2.013); Velazquez Soriano

(2.014).

7. INDIVIDUAZIONE E ANALISI STRATIGRAFICA DI UNA CHIESA

FIGURA 7.1

Edificio di culto pavimentato con mosaico dotato di iscrizioni a Kefar 'Othnay ( nord di Israele)

a) L'aula di culto qui rinvenuta corrisponde a uno spazio di riunione e preghiera comunitario, probabilmente dell'accampamento militare di Legio. L'edificio, orientato nord-sud, comprendeva una sala principale di 5 x 10 m con accesso ad est e vari annessi. Tre iscrizioni (in greco) attestano, rispettivamente: b) «ad Akeptos, che ha offerto l'altare (trapeza) in memoria di Dio Gesù Cristo»; e) «a Primilla, Ciriaca, Dorotea e Creste»; d) «a Gaio, chiamato anche Porfirio, centurione, nostro fratello, che ha pagato questo pavimento con suoi fondi come atto di liberalità, mentre Brutius lo ha eseguito». Fonte: Tepper, Di Segni (2006).

San Juan de Bafios, in Spagna. Il testo in esametri ricorda re Recesvinto come committente dell'edificio intitolato a san Giovanni e datato al 661 (cfr. FIG. 7.2): al pari di altre iscrizioni monumentali e funerarie di chiese legate alla coree coledana, esso è attribuito a Eugenio II, arcivescovo di Toledo al tempo dei re Chindasvinco e Recesvinco (metà VII secolo) ( Chavarria Arnau, 2018a, pp. m-4). Gli epigrafi.sci non dubitano dell'autenticità dell'epigrafe diJuan de Bafios e gli scudi più recenti confermano che si trova in situ. Tuctavia, queste interpretazioni si scontrano con una fonte di archivio che cita l'epigrafe (probabilmente per errore di chi riporta la notizia) in rapporto a un'altra chiesa (vicina), il che ha fatto dubitare della sua collocazione originaria e quindi della sua stessa datazione (cfr. la discussione in Velazquez Soriano, Hernando, 2000 ). Le iscrizioni sono fondamentali anche per ricostruire il culto dei santi e la diffusione delle reliquie, poiché rimangono spesso l'unica testimonianza della loro presenza in una chiesa, come negli altari con

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 7.2

Iscrizione dedicata al re visigoto Recesvinto ( 653-672), ubicata nella chiesa di San Juan de Baii.os (Palencia, Spagna)

Fonte: foto ddl' autrice.

iscrizioni di VII secolo rinvenuti nel Sud della Spagna (Y. Duval, 1993) o nell'epigrafe di Santa Maria di Gazzo, nel Veronese (Lusuardi Siena, 1989, pp. 172.-87 ).

7.3 Arredo scultoreo Raramente si trovano ancora in situ gli elementi di arredo architettonico e liturgico di una chiesa; nella maggior parte dei casi sono stati riutilizzati, talora più volte, per nuove strutture o come materiali da costruzione o gettati come riporto in strati di livellamento. E dal momento che oggi sono dunque molto spesso decontestualizzati presso chiese o musei, dobbiamo provare a ricomporli, partendo dai frammenti rinvenuti, nel tipo di arredo liturgico cui appartenevano (recinzioni, cibori, amboni, altari ecc.). Non sempre è chiaro, inoltre, se questi materiali si riferiscano alla

7. INDIVIDUAZIONE E ANALISI STRATIGRAFICA DI UNA CHIESA

FIGURA 7.3 Chiesa di San Lorenzo (Tenno, Trentino)

a

m

b

e

a) Disegno ricostruttivo della recinzione presbiteriale; b) abside romanica con frammenti di spolia di età carolingia; e) dettaglio di una finestra realizzata con un pluteo decorato. Fonte: Vedovecto (2011, p.

133,

fig. 9).

chiesa in cui sono reimpiegati o se provengano, alla stregua di altri materiali, da un altro edificio di culto o se facessero parte di una fase specifica dell'edificio o se il loro uso si sia prolungato nel tempo. Da soli non consentono, quindi, di attribuire con certezza un edificio all'Altomedioevo, periodo al quale in genere si datano molti manufatti basandosi, soprattutto, sull'analisi stilistica. A questa va aggiunta, ai fini di determinare le cave di provenienza, l'indagine

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FIGURA 7.4 Marmi nella chiesa di Sam'Anastasio in Bulgaria

..

Le analisi realizzate sull'insieme dei frammenti rinvenuti hanno permesso di differenziare due diverse tipologie e provenienze del marmo (cave di Dokimeion nel Proconneso e di Paros). La comparazione con altri siti dello stesso territorio ha documentato, tra la seconda metà del V e la prima metà del VI secolo, un sistema organizzato di commercio di manufatti finiti, con un predominio di elementi in marmo proconnesio. Gli oggetti particolari, come i tavoli di altare a "sigma~ venivano invece prodotti con il marmo di Dokimeion. Fonte: Biernacki, Yocov, Mintev (2.01s).

petrografica in sezione sottile combinata con l'analisi degli isotopi stabili del carbonio e dell'ossigeno, e confrontata poi con una banca dati petrografico-isotopica di riferimento (cfr. FIGG. 7.3-7.4) 1 •

7.4

Prospezioni geofisiche Le prospezioni geofisiche possono essere utilmente impiegate per individuare sia edifici di culto distrutti e sepolti, sia fasi più antiche di edifici ancora conservati in elevato. Nel caso di uno scavo

2.. Analisi recenti in Biemadci (2.009 ); Beghelli (2.013); Vedovetto (2.014); Biemadci, Yotov, Mincev (2.015). Sul commercio dei marmi in epoca tardoantica cfr. Sodini (2.000 ).

234

7. INDIVIDUAZIONE E ANALISI STRATIGRAFICA DI UNA CHIESA

FIGURA 7.5 Pianta completa di una basilica con atrio e battistero a Ostia

La combinazione di prospezioni, fotografia aerea e sondaggi ha permesso di tracciare la pianta della basilica nella vicinanza della cinta muraria; essa è da identificare plausibilmente con il complesso episcopale costantiniano. Fonte: Bauer, Heinzdmann, Martin

(2000,

fìgg.

1-2).

possono indirizzare la strategia di ricerca e fornire indicazione per integrare in una pianta complessiva le strutture documentate (cfr. FIG.

7.5).

Sono poco costose e in siti monostrati6.cati permettono di ricostruire con un cerro dettaglio e con molta attendibilità la pianta di strutture sepolte. Sono di vario tipo; le più diffuse sono quelle magnetiche e geo radar. Le prime, impiegate in area aperta, si basano sul cambiamento del campo magnetico terrestre prodotto da fattori geologici o dalla presenza nel sottosuolo di strutture e manufatti, i quali rivelano anomalie

235

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

per il contrasto di suscettività magnetica (differenza tra le proprietà magnetiche della struttura sepolta e il terreno circostante) e la magnetizzazione termorimanente (magnetizzazione permanente di alcuni materiali, come l'argilla, sottoposti a temperature molto elevate). Le prospezioni georadar, adatte invece ad aree pavimentate, quali l' interno di una chiesa ancora conservata in elevato, impiegano l'invio di onde elettromagnetiche nel sottosuolo.

7.5 Stratigrafie murarie, materiali e tecniche costruttive Le stratigrafie murarie, quando non sono ricoperte da intonaci, consentono di ricostruire una prima sequenza con risultati significativi, soprattutto per quelle chiese, in genere di aree marginali, che hanno subito minime trasformazioni nel tempo. Quando ci si propone un'analisi stratigrafica, è necessario stabilirne il grado di approfondimento, che può porsi come obiettivo preliminare una macrolettura delle fasi costruttive oppure estendersi all'individuazione delle fasi di cantiere, magari scandite fino al livello delle giornate di lavoro o di alternanza/compresenza di differenti muratori. Nel caso di decorazioni, quali stucchi, affreschi ecc., l'analisi stratigrafica va estesa, con opportuni accorgimenti, anche a tali rivestimenti, fino a distinguere, se necessario, le differenti fasi di esecuzione. Ad esempio nell'affresco, lo studio, realizzato da una specifica figura professionale di stratigrafo-restauratore, consiste nel documentare separatamente intonaco di base, intonachino, eventuali sinopie o linee guida per l'esecuzione fino ai differenti livelli di stesura di colore. In genere, le stratigrafie forniscono una sequenza relativa dell'edificio, permettendo anche, se particolarmente consistenti, di ricostruirne l'evoluzione planimetrica. Spesso, nelle ristrutturazioni, ci si è limitati infatti a un ampliamento (in facciata o nel presbiterio) e la pianta originaria è perfettamente identificabile. La nostra investigazione non deve fermarsi a osservare quanto visibile nelle superfici esposte, ma deve pure controllare nei sottotetti o al di sopra delle volte, dove mancano le fasi più recenti di intonaco. Parallela all'analisi stratigrafica è quella dei materiali impiegati,

7. INDIVIDUAZIONE E ANALISI STRATIGRAFICA DI UNA CHIESA

per i quali è indispensabile, in primo luogo, saper distinguere se siano nuovi o di riutilizzo. Operazione non difficile, ma che richiede talora una certa attenzione, come nel caso della pietra squadrata che in alcuni monumenti è il risultato di un'accurata rimessa in opera che si distingue con difficoltà dall'utilizzo di materiali nuovi. Se poi il prodotto reimpiegato è il mattone di epoca romana, risulta impossibile orientarsi su una cronologia dell'edificio, perché esso è stato utilizzato per periodi più o meno lunghi; ad esempio, a Padova, mattoni romani ancora in buono stato si ritrovano sia nelle murature di VI secolo del sacello di Opilione a Santa Giustina, sia in quelle romaniche ( XII secolo) della chiesa di Santa Sofia, sia ancora in edifici del xvn secolo. Lo studio delle tecniche murarie va anzitutto condotto in relazione ad alcuni specifici periodi storici, ad esempio quelli che hanno accompagnato la conquista di Giustiniano del Mediterraneo orientale o lo sviluppo dell'architettura carolingia o del romanico sotto l'egida dell'Impero di Germania. Utili sono anche rassegne regionali, come quelle condotte nel Lazio e nella Tuscia (rispettivamente Fiorani, 1996; Chiovelli, 2007 ), o su specifiche tecniche, come quella in tufelli (Esposito, 2008, per l'area romana) o in mattoni e laterizi (Montelli, 2011, per Roma e il Lazio). Secondariamente, occorre comprendere se la stratigrafia, talora associata a diverse tecniche murarie, corrisponda non a rifacimenti, ma alle successive fasi di un cantiere che si è prolungato nel tempo per carenza di fondi, vicende politiche o per non interrompere l'uso liturgico della chiesa. In quest'ultimo caso veniva in genere adottato un progressivo sistema costruttivo per parti. Ad esempio, nell'ampliamento, in stile neoromanico e con inversione dell'abside a occidente, della chiesa di San Martino di Piove di Sacco, si procedette dapprima alla costruzione dell'abside e dei nuovi più ampi muri perimetrali e alla fine alla demolizione del settore absidale della chiesa costruita tra 1090 e 1110 (cfr. Brogiolo, 2016). In altri casi le pause, talora prolungate, di cantiere potrebbero dipendere da differenti partite di materiale; una verifica, questa, piuttosto difficile in edifici altomedievali, come il San Salvatore di Brescia, dove all'imperizia tecnica delle maestranze si sommano anche variazioni di progetto in corso d'opera (cfr. Brogiolo, 2014b).

237

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

7.6

Segni particolari Archeologi e restauratori, addestrati a riconoscere le disomogeneità dei materiali di un muro o di un rivestimento, sono inoltre in grado di individuare i "segni particolari", che costituiscono sovente la traccia esclusiva di un arredo, ora scomparso, o di un'"attività" realizzata dai fedeli o dagli officianti. Innanzitutto le chiese, oggi sovente con pareti piuttosto spoglie, erano in realtà rivestite e suddivise da tendaggi ed elementi in legno e in marmo che ne frazionavano gli spazi, come ad esempio accade ancora nelle chiese di rito ortodosso. Di questo arredo rimangono tracce sulle superfici, sotto forma di: a) unità stratigrafiche (us) negative (scanalature e fori, nei quali si inserivano transenne, verghe per appendere tendaggi, chiodi per icone e quadri); b) limiti netti di us positive (quali intonaci, la cui stesura finiva contro strutture dell'arredo); e) us di trasformazione (come nel differente grado di usura di un intonaco contro cui era addossata una struttura, ad esempio un altare). Numerose, e spesso di grande valore storico, sono anche le tracce lasciate da chi ha frequentato nel tempo la chiesa. Pure in questo caso possiamo ragionare in termini stratigrafici di: a) us negative, cui appartengono tutti i segni incisi su una superficie, dalle iscrizioni ai semplici graffi, testimonianza di una frequentazione più assidua di uno spazio piuttosto che di un altro; b) us positive, nel caso i segni siano stesi con colore, carbone, laterizio ecc., ovvero rappresentino un accumulo di materiale (quale cera, nerofumo) per l'azione delle candele, di torce ecc.; e) us di trasformazione (ad esempio, in un'urna per reliquie indicano l'area in cui i fedeli stendevano la mano in segno di venerazione, come si può notare sulla lastra di Sant'Antonio a Padova; mentre l'usura dei gradini aiuta a ricostruire i percorsi di visita delle reliquie, ad esempio nelle scale di accesso alle cripte).

7.7

Stratigrafie sepolte Dopo lo studio di quanto si conserva in alzato, lo scavo delle stratigrafie sepolte costituisce la fase finale dell'azione dell'archeologo, peraltro l'unica quando l'edificio è stato interamente demolito e l' a-

7. INDIVIDUAZIONE E ANALISI STRATIGRAFICA DI UNA CHIESA

rea è stata destinata ad altra funzione, ad esempio ad attività agricola, grazie al trasporto di terra che ne ha sigillato i ruderi. Tuttavia, non è sufficiente applicare i metodi stratigrafici per ottenere un buon risultato. L'archeologo vede solo ciò che la sua impostazione teorica e la strategia specifica adottata gli consentono di individuare e di interpretare. Come si è visto nei capitoli precedenti, la sequenza stratigrafica delle chiese (un manufatto ad alta concentrazione ideologica e in genere di lunga durata) è il risultato di due distinti fattori. In primo luogo dell'ideologia dei committenti (laici ed ecclesiastici) in relazione a liturgia, funzione, desiderio di autorappresentazione, disponibilità di maestranze e di materiali. A questo si aggiungono la cultura e le consuetudini di chi ha utilizzato il luogo di culto (officianti, fedeli). Il primo fattore ha prodotto stratigrafie circoscritte nel tempo, attraverso attività di costruzione, di demolizione, restauro. Il secondo ha agito nella lunga durata, con attività prevalentemente di trasformazione (usura di manufatti, accumulo di grasso, polvere ecc.) o intenzionali (disposizione di arredi mobili, graffiti ecc.). Spesso il deposito archeologico è molto rovinato sia a causa delle numerose fasi di vita di un edificio sia, soprattutto, per le tombe che hanno finito con il tagliare gli strati. Talora, la crescita di questi ultimi è abbastanza lenta e quindi si possono trovare molte fasi compresse in un deposito di modesto spessore, il che ne rende più difficile la comprensione. In conclusione, per ricostruire la storia dell'edificio è importante scavarne sia l'interno sia le aree circostanti, in relazione a più classi di informazione relative a a) fasi e attività di cantiere; b) sequenza degli spazi riservati al culto e degli annessi; e) ornamenti e arredo; a) tracce d'uso e di frequentazione; e) sepolture e altre attività.

7.8 Le datazioni ( relative e "assolute") Il risultato di un'indagine stratigrafica è la costruzione di una sequenza relativa in più fasi e periodi. Da questa è poi importante passare a una determinazione cronologica delle varie fasi, che possiamo anzitutto ricavare da tutte le fonti che abbiamo passato in rassegna. Quando queste mancano o suscitano interpretazioni divergenti, possiamo ri-

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correre a numerosi sistemi tecnico-scientifici di datazione, purtroppo quasi sempre con un ampio arco e con vario grado di probabilità. Su questa linea di ricerca si sono ottenuti alcuni progressi in questi ultimi anni, nei quali sono state proposte tecniche di analisi non solo di resti organici (tramite 14 C), di laterizi e superfici cotte (con la termoluminescenza e l'archeomagnetismo), ma anche delle malte. Poter disporre di datazioni attendibili significa far fare grossi passi avanti alla ricerca, pur tenendo conto delle difficoltà e dei problemi che possono emergere sia nella progettazione delle analisi sia nell'interpretazione dei risultati (Sanjurjo Sanchez, 2016). Analisi radiocarboniche consentono di determinare la percentuale residua di carbonio 14, isotopo instabile assimilato dall'ambiente o dalle fonti di nutrimento durante il ciclo vitale di un organismo (quindi quello che viene datato è il momento della morte di quest'ultimo). Si applicano non solo al materiale organico, quale legno, ossa (nelle chiese spesso di individui sepolti) ecc., ma pure al carbonato di calcio che, assorbendo carbonio dell'atmosfera, si è formato al momento della produzione della malta. L'archeomagnetismo sfrutta il magnetismo terrestre ed è applicabile a laterizi e malte che non abbiano subito spostamenti. Il metodo si basa infatti sul fatto che i minerali presenti nella fase di formazione si orientano in base al Nord magnetico e, dal momento che questo varia nel tempo, si può risalire alla data di realizzazione. La termoluminescenza sfrutta il decadimento radioattivo di mattoni e malta che, dopo la cottura o l'esposizione alla luce, iniziano a rilasciare energia sotto forma di fotoni (luce). Questa tecnica ha permesso di datare, dopo un'attentissima analisi stratigrafica, le varie fasi di costruzione di monumenti molto complessi in mattoni come il battistero di Santo Stefano (preambrosiano) o San Lorenzo di Milano (fine IV-inizio v secolo, confermato dalle datazioni al 14 C dei carboni delle malte) (Fieni, 2005). Fra quelli tradizionali, il metodo più economico e più preciso consiste nella datazione di travi e altri componenti lignei tramite la dendrocronologia, ovvero la crescita annuale degli alberi in relazione alle variazioni climatiche indicate dallo spessore degli anelli. È un metodo molto preciso, ma indica solo quando l'albero è stato tagliato. E non sempre si può disporre di una specie per cui sia stata ricostruita la sequenza (è il caso della trave di castagno in Santa Maria faris portas di Castelseprio, per la quale si è dovuti incrociare

7. INDIVIDUAZIONE E ANALISI STRATIGRAFICA DI UNA CHIESA

la dendrocronologia con il 14 C; cfr. Martinelli, Pignatelli, 2013). In alcune chiese altomedievali della Penisola iberica, come San Pedro de la Nave e San Juan de Baflos, nelle quali erano reimpiegate travi di IV secolo, una datazione corretta al VII è stata fornita delle grappe in legno che legavano le varie travi, predisposte per l'occasione (cfr. Alonso Matthias, Rodriguez Trobajo, Rubinos Pérez, 2004). In molti casi sono stati comunque ottenuti risultati definitivi, come, ad esempio, nella datazione al VI secolo delle travi del tetto del monastero di Santa Caterina del Sinai, della fase giustinianea della basilica della Natività a Betlemme!, di chiese tardoantiche di Roma (cfr. Brandenburg, Cramer, Valeriani, 2002). Considerati i problemi di queste datazioni tradizionali, diventa fondamentale datare l'unico elemento quasi sempre presente e che non può essere riusato, ovvero la malta con cui venivano legati i materiali di costruzione. Per questo motivo nell'ultima decade vi sono state investite molte risorse, non sempre con successo. I metodi basati sulla datazione 14 C dei materiali organici presenti all'interno della malta ( in genere carboncini di legno) forniscono la cronologia del momento del taglio dell'albero che può essere avvenuto anche secoli prima della elaborazione della malta. I metodi di datazione basati sull'indurimento o carbonatazione della malta non sono precisi perché il processo di carbonatazione in alcuni punti della stessa muratura - quelli più interni, ad esempio - potrebbe richiedere persino secoli, e quindi non ci permette di datare la costruzione dell'edificio. Tra i nuovi metodi applicati alle malte uno dei più recenti e promettenti riguarda la luminescenza stimolata tramite la luce ( OSL), anche se ancora in fase di affinamento. Prende in considerazione i microgranuli di quarzo, presenti all'interno della malta, per datare il momento del mescolamento della calce con l'aggregato. In questa fase, una buona parte dei granuli di quarzo viene esposta alla luce e pochi secondi sono sufficienti per azzerare ogni luminescenza residua accumulata dai cristalli nel corso di millenni, a causa della radioattività naturale e geologica. I granuli non esposti o parzialmente esposti conserveranno almeno parte di questa loro "luminescenza geologica". Allorché la calce viene allettata, i granuli di quarzo che si trovano

3. Con una darazione tra la metà del VI e la merà del VII secolo, grazie a l'uso di dendrocronologia e ••C (cfr. Bianchi, Campana, Fichera, rn16, pp. 1578-9 ).

ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

nelle parti più interne della struttura muraria rimarranno isolati dalla luce e inizieranno nuovamente ad accumulare energia dalle fonti radioattive naturali. Il campione di calce da esaminare dovrà dunque essere prelevato in profondità e analizzato in totale assenza di luce visibile con un procedimento assai complesso. Per una singola datazione viene infatti misurata la luminescenza di alcune migliaia di granuli di cristallo al fine di discriminare, in fase di analisi statistica, i granuli portatori di una "luminescenza geologica" - risultato di una esposizione di diverse migliaia di anni - da quelli portatori di una più debole "luminescenza archeologica". Misurando in situ la dose di radioattività naturale annuale è infine possibile datare con precisione il momento del mescolamento della malta. Anche per le ultime tecniche sulle malte, ancora in fase di sperimentazione, è evidente che la loro validità dipende in primo luogo da una lettura stratigrafica attenta, che collochi con precisione una determinata unità stratigrafica nella sua sequenza. Allo stato la soluzione migliore è di adottare più metodi confrontandoli tra loro (cfr. Urbanova, Guibert, 2017 ).

7.9

Evidenze relative allo sviluppo strutturale dell'edificio La maggior parte delle chiese fu costruita a partire da una pianta semplice che, per alcune, si è poi ampliata e articolata durante il Medioevo e l'Età moderna, fino a comprendere più navate e annessi quali cappelle, sagrestie, portici e campanili. In alcuni casi, le chiese primitive vennero erette in materiali deperibili (quali il legno, con esempi in Italia settentrionale e soprattutto oltralpe) e con piante estremamente semplici, sostituite poi da edifici in pietra. Tranne che nei casi di un ampliamento accentuato, lo sviluppo architettonico di un edificio prevedeva ristrutturazioni parziali che permettevano la continuità di culto. 7.9.r. EVIDENZE RELATIVE ALLE FASI COSTRUTTIVE E ALLE ATTIVITÀ DI CANTIERE

Per capire questo punto è fondamentale tener conto dell'edificio in sé e dell'area circostante in cui venivano predisposti (nel caso

7. INDIVIDUAZIONE E ANALISI STRATIGRAFICA DI UNA CHIESA

di pietre) o prodotti (nel caso della malca, talora anche dei laterizi, degli elementi in metallo ecc.) i materiali necessari per la costruzione. Le prime e più evidenti tracce connesse alla costruzione dell'edificio sono quelle relative alle impalcature, che possiamo trovare nelle pareti, nel suolo o in entrambi. Nelle pareti prendono la forma di buche quadrangolari, più raramente rotonde, disposte in filari paralleli, conosciute come "buche pontaie". Nel suolo si possono rinvenire buche distribuite regolarmente, in parallelo ai muri. All'interno della chiesa, la presenza di buche può essere dovuta sia alle impalcature per la costruzione dei muri, sia a lavori di risistemazione dell'edificio (nuove decorazioni pittoriche, sostituzione delle coperture ecc.). Per realizzare chiese in pietra e laterizi era necessario disporre di una grande quantità di malca, che veniva, se non prodotta, almeno rilavorata in loco. La lavorazione di materiale lapideo (pietre squadrate, sbozzate o spaccate) da parte degli scalpellini, spesso in specifici spazi esterni alla chiesa, produceva una grande quantità di scaglie, che formavano uno strato consistente. Durante la costruzione non si poteva evitare che cadessero a terra piccole quantità di malta e schegge di materiali e che, di conseguenza, si formassero strati, più o meno omogenei, di malca e rifiuti, che talora inglobavano manufatti di grande importanza, al giorno d'oggi, per la datazione delle diverse fasi costruttive di una chiesa. Non è infrequente il rinvenimento di piccole forge per riparare gli strumenti di lavoro o per produrre chiodi e altri elementi necessari alla costruzione, lavoro che veniva eseguito all'interno dell'edificio. In questo modo si evitava che il cattivo tempo e il vento potessero raffreddare troppo rapidamente il metallo fuso (Rodwell, 1989, p. 126; cfr. FIG. 7.6). Anche la presenza di officine per la produzione di tessere di mosaico e di vetro presso alcune chiese si può collegare all'attività di cantiere, soprattutto quando la cronologia di queste installazioni produttive è limitata e coincide con quella di fondazione o di fasi significative dell'edificio di culco, come è il caso del forno per il vetro di VII secolo identificato davanti alla chiesa di Torcello o della calchera di VIII-IX secolo rinvenuta nella Crypta Balbi a Roma, collegata alla ricostruzione del vicino monastero di San Lorenzo in Pallacinis.

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ARCHEOLOGIA DELLE CHIESE

FIGURA 7.6 Rappresentazione ipotetica del cantiere costruttivo di Santa Maria foris portas di Castelseprio (Varese)

Fonte: disegno di P. Vedovecco.

Fornaci per campane sono state documentate in numerosi scavi, per lo più in contesti tardomedievali e moderni (cfr. Neri, 2006; Lusuardi Siena, Neri, 2007 ). 7.9.2. RESTI DI PAVIMENTI E DI ARREDO

I pavimenti delle chiese potevano essere, a seconda della qualità dell'edificio, in roccia naturale, terra battuta, malta, cocciopesto, laterizi o lastre di pietra; nelle chiese più importanti venivano utilizzati mosaici e marmi lavorati, talora di reimpiego. Una stessa chiesa poteva avere vari tipi di pavimento, per differenziare aree di diverso uso liturgico (presbiterio, corridoi assiali o navate, ad esempio). In alcuni casi essi sono ancora conservati, in altri sono riconoscibili dall'impronta in negativo. I nuovi pavimenti venivano generalmente realizzati su quelli precedenti, a volte con vespai o riporti di livellamento, a volte direttamente. In tal modo si creava una serie di strati, più o meno sottili in base al tipo di pavimentazione e, soprattutto, delle dinamiche di crescita dei piani di calpestio esterni.

2.44

7. INDIVIDUAZIONE E ANALISI STRATIGRAFICA DI UNA CHIESA

Nello scavo dei pavimenti è importante prestare molta attenzione, poiché spesso conservano evidenze dell'arredo liturgico delle chiese, quali impronte dei pilastrini o dei plutei di cancelli, degli altari, di cibori, lettorini o amboni ecc. L'analisi dettagliata di queste tracce permette non solo di localizzare tali elementi, ma anche di identificarne la dimensione e la posizione, talora pure il materiale, come nel caso del legno, che lascia un'impronta facilmente riconoscibile per le venature. In alcune chiese la posizione dell'altare viene rimarcata da un riquadro nel pavimento o da una particolare disposizione della decorazione, nel caso di mosaici o litostrati; in altre rimangono le impronte degli stipiti dell'altare. È da ricordare che nel corso del tempo l'arredo liturgico poteva essere spostato, pertanto le tracce lasciate nei pavimenti sono l'unica evidenza della posizione originaria e delle trasformazioni nell'organizzazione degli spazi. Un altro elemento importante per capire la posizione originaria dell'arredo liturgico è costituito dalle sepolture, la cui disposizione può indicare, ad esempio, dove si trovavano la recinzione presbiteriale e l'altare. La presenza di materiale archeologico (ceramica, monete, vetri) all'interno delle chiese è generalmente scarsa, soprattutto se il piano pavimentale era di buona qualità e soggetto a pulizia quotidiana. In rari casi è possibile rinvenire depositi fondazionali composti da ossa animali, monete o altro.

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8 Dalla strategia alle interpretazioni

Come si è visco nel CAP. 7, le chiese costituiscono sistemi stratigrafici complessi, articolati in una serie di sottoinsiemi, ciascuno dei quali richiede specifici approcci metodologici. Le tappe di un progetto di ricerca su una chiesa devono perciò comprendere: 1. una valutazione complessiva del bacino stratigrafico, ovvero una conoscenza preliminare dei vari elementi che la compongono (murature, decorazioni, sepolture, attività ecc.) e della loro potenzialità informativa; 2. la scelta di una strategia appropriata attraverso una gradualità e una campionatura commisurate alla potenzialità del deposito e alle risorse disponibili; 3. scavo e documentazione, ai quali devono concorrere più specialisti; 4. un'ulteriore progettualità, a scavo concluso, per pianificare gli studi e le analisi che porteranno a una pubblicazione dei risultati. Queste tappe dell'iter progettuale non sono peraltro automaticamente riproducibili, ma vanno adattate agli obiettivi storici che si intendono raggiungere. Solo a partire da una conoscenza approfondita dei molteplici problemi storiografici, di cui si è fornita una sintesi nei capitoli precedenti, si può sfruttare la potenzialità del deposito per ottenere nuovi risultati che andranno a implementare il livello di conoscenza dal quale siamo partiti. Al di là degli specifici obiettivi storiografici che riguardano le chiese, ci dobbiamo anche proporre una ricerca che, nell'ambito della teoria della complessità, colleghi i vari sottoinsiemi stratigrafici e le relative potenzialità informative per ricostruire non solo la scoria dell'edificio e della rete insediati va ed ecclesiastica nella quale era inserito, ma pure le sue relazioni con gli individui che a vario titolo lo frequentavano. Lo studio di una chiesa può essere determinato da un interesse accademico orientato alla valutazione del patrimonio ecclesiastico di un certo territorio. Ma raramente lo scavo di una chiesa è dettato

2 47

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esclusivamente da obiettivi di ricerca. Sempre più spesso, anche se con frequenza diversa da regione a regione in relazione alla sensibilità dei funzionari preposti alla tutela, la ricerca archeologica è richiesta come conoscenza preliminare a un intervento di restauro (nuove installazioni idrauliche, sostituzione di un pavimento). In questo caso, è il committente a imporre i limiti di spazio, di tempo e di denaro alla ricerca archeologica. In genere, se il problema è un'infiltrazione di umidità di risalita dal terreno, l'archeologo si sentirà proporre in prima istanza di limitarsi a scavare stratigraficamente le trincee del drenaggio e, se accettasse questa proposta, il risultato sarebbe una conoscenza assai limitata delle fondazioni della chiesa, della stratificazione che le si addossa e di quella che dalla chiesa è tagliata. Se invece occorre costruire un drenaggio sotto l'intera pavimentazione, l'opportunità sarà di poter indagare tutta la superficie interna, ma il committente potrebbe proporre uno scavo limitato alla profondità necessaria per realizzarlo, facendo in tal modo perdere le informazioni sulle fasi più antiche. La strategia è dunque, nella maggior parte dei casi, il risultato di una contrattazione, nella quale l'archeologo deve conoscere esattamente su quali sottoinsiemi stratigrafici puntare e con quale gradualità intervenire. Ad esempio, la sequenza dell'edificio, con la documentazione delle principali fasi costruttive e di ristrutturazione, non richiede uno scavo integrale: la chiesa, come si è visto nel CAP. 7, è prevedibile nelle sue varie parti e può essere sufficiente un progetto di analisi stratigrafica delle murature e scavi mirati per documentarla. Analogamente, per definire la natura dell'insediamento nel quale è inserita (castello, villaggio, una residenza aristocratica isolata ecc.) possono bastare ricognizioni, se l'area è libera, o sondaggi mirati, se è all'interno di un insediamento ancor oggi vitale. Se invece vogliamo scoprire quale campione di popolazione lautilizzasse come luogo di sepoltura è necessaria un'indagine esaustiva per documentare il cimitero annesso alla chiesa, e se non ci accontentiamo di scavare, rilevare e asportare gli scheletri e l'eventuale corredo, ma vogliamo conoscere il trattamento del corpo, le modalità di deposizione, l'alimentazione e le patologie del defunto, ci deve soccorrere la presenza fin dallo scavo di un antropologo. E tutto ha un costo (come risorsa e come competenza), che si può calcolare con buona approssimazione. I cardini sui quali poggia la strategia sono la campionatura (su quali parti dei sottoinsiemi ci conviene

8. DALLA STRATEGIA ALLE INTERPRETAZIONI

puntare prioritariamente) e la gradualità (ossia quale livello di dettaglio e di analisi si vuole raggiungere per ciascuna unità stratigrafica). La costruzione di una sequenza, più o meno dettagliata a seconda della strategia adottata, ma comunque articolata in attività, fasi, periodi, è il primo risultato che l'archeologo si propone (sia di un deposito sepolto, sia di stratigrafia in elevato). Nel caso delle chiese, strutture di lunga durata, la suddivisione della sequenza presenta alcune difficoltà rispetto a una sequenza insediativa, che vede radicali trasformazioni nel corso del tempo. Se infatti definiamo il periodo sulla base di continuità di pianta e di funzione, molte chiese tardoantiche, che non hanno sùbito trasformazioni, sono ancora nel periodo I e teoricamente, almeno in alcuni casi, potrebbero essere ancora nella fase 1, definita sulla base di cambiamenti strutturali che, senza alterare la funzione, modificano solo parzialmente la pianta e la struttura dell'edificio (ad esempio, l'aggiunta di un portico, la sostituzione di una copertura o di un pavimento, la modifica delle aperture, l'inserimento o il rifacimento di arredi liturgici, cicli complessivi di decorazione). Problemi peculiari presenta anche il passaggio da una sequenza relativa (semplice successione di eventi privi di una cronologia) a una assoluta, perché le chiese sono bacini stratigrafici che attirano in genere pochi reperti, salvo il caso di sepolture con corredi, e le datazioni su base stilistica delle architetture e dell'apparato decorativo hanno talora incertezze superiori al secolo. È dunque necessario, in molti casi, ricorrere a datazioni assolute offerte da documenti, epigrafi o dalle analisi 14 C, dalla termoluminescenza, dall'archeomagnetismo ecc. La sequenza va poi interpretata attraverso una serie di percorsi. a) In quale contesto ecclesiastico si inserisce la nostra chiesa? Può essere parte di un complesso religioso sviluppatosi localmente con più edifici di culto, che andranno descritti seguendo la sequenza. Ad esempio, nel periodo I sorge una chiesa battesimale con mausoleo in area funeraria; nel periodo 2 il mausoleo viene trasformato in chiesa; nel periodo 3 viene fondata una terza chiesa e quella battesimale viene ricostruita. Oppure può sorgere isolata, ma essere inserita in una rete ecclesiastica più ampia, diocesana, se è una chiesa con cura d'anime, o locale, se è un semplice oratorio campestre di fondazione privata. b) Quale è stata la sua funzione nel tempo e come attestarla ( in base alla struttura/dato archeologico o sulla scorta di altra documentazione)? Questa domanda ha una pluralità di possibili risposte: episcopale, monastica, martiriale, battesimale, funeraria privata o pubblica, eremi-

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tica ecc. Sottolineando, ove testimoniato il passaggio da una funzione all'altra: da mausoleo a chiesa funeraria a chiesa battesimale; da battesimale a funeraria, da funeraria a battesimale. e) Quale è il rapporto con la committenza (non solo per la fondazione, ma anche per le principali attività e fasi) testimoniato dalle fonti scritte o da iscrizioni, o ipotizzabile in base al dato materiale? Un indirizzo da cui partire è l'utilizzo delle medesime maestranze legate a una determinata autorità, laica o ecclesiastica, come la famiglia di chiese dell'vm secolo con tre absidi commissionate dalle aristocrazie legate alla corona longobarda. àJ Quale rapporto si stabilisce con l'insediamento? Una domanda che deve tener conto delle peculiarità del sito ove è stata costruita la chiesa (geologia, geomorfologia, rapporti con la viabilità attuale, con insediamento o altri edifici) e delle preesistenze (relazioni con il paesaggio antico, strutture precedenti ali' impianto della chiesa, viabilità antica di terra e d'acqua), distinguendo tra il contesto urbano (dove la chiesa può essere intramuros o extramuros e in rapporto con un certo tipo di edificio - domus, tempio, portico, foro, circo, teatro, anfiteatro, edificio industriale, necropoli, mausoleo, altro) e quello rurale (dove la chiesa può sorgere al di sopra o nei pressi di una villa, un vicus, una statio o mansio, un edificio industriale, una necropoli, un mausoleo ecc.). In ogni caso, occorre stabilire se questo edificio preesistente fosse abbandonato o ancora in uso, e con quale funzione, nel momento in cui venne costruita la chiesa. Ancor più complesse sono le relazioni con l'insediamento coevo, sia nel contesto urbano (intramuros, extramuros: edifici residenziali, edifici pubblici, spazio aperto, necropoli, mausoleo, altro), sia rurale (agglomerato, forme di insediamento sparso, edifici industriali, necropoli, mausoleo, altro), perché dobbiamo porci anche il problema di quali effetti di attrazione/stabilità/gerarchizzazione ecc. abbia avuto la chiesa sull'insediamento. Domanda che non ha una risposta univoca, ma che va calibrata caso per caso.

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