Annali. Dalla morte del divo Augusto
 8818160095, 9788818160093

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I CLASSICI DI STORIA sez10ne greco-romana Direzione di Ida Calabi Limentani

XXVI

Tacito

Annali dalla morte del divo Augusto

Traduzione di Enrico Oddone Introduzione, note, bibliografia a cura di Matilde Caltabiano

Rusconi

Prima edizione febbraio 1978 Tutti i diritti riservat i © 1978 Rusconi Libri S.p.A., Vi a Oldofredi 23, 20124 Milano Provenienza delle fotografie: Arborio Mella, tavv. I-II-VII-X-XI-XII-XIII-XIV-XV; Fototeca Unione , tavv. III-IV-VI-VIII-IX-XVI; Rheinisches Landesmuseum, tav. V. Carte geografiche di Riccardo Orsolano

INTRODUZIONE

l.

LA VITA DI TACITO

È naturale che il lettore, trovandosi dinanzi ad un'o­ pera della complessità e della potenza degli Annali, la cui fama per il valore culturale, storico e politico, è ancor oggi universalmente riconosciuta, desideri essere informato sia sul periodo storico in cui visse l'autore, sia sulla posizione che egli occupò nella vita pubblica del suo tempo. Pur­ troppo, però, mentre potrà agevolmente soddisfare la sua curiosità per quanto concerne la vita , i costumi, i problemi di politica interna ed estera di Roma e dell'Impero nel pe­ riodo in cui visse Cornelio Tacito, tra il principato di Ne­ rone e quello di A dri ano , la sua asp et tativa rimarrà delusa per dò che riguarda la vita privata ed in gran parte anche la carriera pubblica dello storico , che pure militò nella poli­ tica attiva e rivesti le più alte cariche pubbliche . Non esiste biografia di Cornelio Tacito . L'autore nel­ le sue opere ha generalmente evitato di parlare di sé, in parte perché rifuggiva dall'esibizionismo (Annali XI 11 ), in parte perché riteneva di aver acquisito con la sua opera sufficiente gloria. Minimi sono i riferimenti personali an­ che nella biografia del suocero Agricola; alla sua carriera politica accenna marginalmente in un'appassionata dichia­ razione nel proemio delle Storie (I l), affermando il dovere per lo storico di difendere la propria indipendenza e di evitare di piegarsi al dominatore per servilismo: « Io non conosco Gaiba, Otone, Vitellio né per benefici, né per in­ giurie. Non potrei negare che la mia carriera politica ini­ ziata da Vespasiano, sia stata accresciuta da Tito e abbia fatto progressi ancora sotto Domiziano, ma chi ha fatto pro-

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fessione di verità incorruttibile, deve riferire di ciascuno senza benevolenza né avversione>>. I dati biografici su di lui, pertanto, si ricostruiscono soltanto su accenni suoi od altrui. La fonte principale sono le Epistole di Gaio Plinio Secondo (61-112 d.C.) che ebbe con Tacito lunga amicizia, consuetudine di studi e di atti­ vità oratoria. Persino il prenome, la data ed il luogo di nascita di Cornelio Tacito sono incerti. Secondo Sidonio Apollinare ( 430-479 d.C . , circa) i l prenome era Gaio (Epi­ stole IV. 14, l; 22, 2), mentre secondo le annotazioni po­ ste sotto i libri I e III degli Annali nel Codice Mediceo I si sarebbe chiamato Publio; uno studioso moderno, infine, avanza l'ipotesi, Sesto 1• La nascita potrebbe porsi nel 56/57 d.C. nella Gallia Belgica, dove Plinio il Vecchio (Storia Naturale VII l 7, 76) conobbe un procuratore della provincia che potreb­ be essere stato padre o zio di Tacito. Si formu;lano diverse altre ipotesi: il luogo non è determinabile, la data si col­ loca nei primi anni del principato di Nerone; a questo corrisponde J>indicazione di Plinio il Giovane (Epistole VII 20, 3 ) . È del tutto verosimile, anche se non documen­ tato, che abbia seguito studi di retorica e praticato l'ora­ toria. Nel 77 d . C. sposò la figlia di Giulio Agricola, legato in Britannia (Agricola 9) e forse questo agevolò la sua carriera politica. Seguì una normale carriera sotto i Flavii e sotto Nerva e Traiano: la pretura è attestata nell'anno 88 ed in questo stesso anno l'appartenenza al collegio dei quindecemviri ; come membro di questo collegio si occupò dell'allestimento dei Ludi Secolari, voluti da Domiziano (Annali XI 11). Era assente da Roma nel 93, alla morte di Agricola, per un incarico provinciale durato almeno quattro anni e che non è possibile determinare (Agricola 45). Divenne console nella seconda metà del 97; della sua attività in que1 I potes i formulata dal Mattingly (Tacitus' praenomen. The politics of a moderate, in « Rivista Storica dell'Antichità», II, 1972, pp. 169-185), in base ad una nuova lettura di un'iscrizione greca, rinvenuta a Mylasa, nella Caria inferiore ( O rientis Graeciae Inscriptiones Select ac , 487).

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sta funzione si sa soltanto che pronunciò un'orazione fu­ nebre per Verginio Rufo, tutore di Plinio il Giovane (Pli­ nio, Epistole II l, 6), grande uomo politico, che aveva rifiutato l'offerta dell'impero , e che in quello stesso anno era stato collega di Nerva nel consolato. Nel 99-100, fu avvocato dell'accusa insieme a Gaio Plinio nel processo contro Mario Prisco, già proconsole d'Africa (Plinio, Epi­ stole II 11, 2); dopo questo processo per molti anni non si hanno notizie di Tacito. Dall'epistolario dell'amico Pli­ nio risultano assenze da Roma, probabilmente in funzioni ufficiali. Un'iscrizione in lingua greca prova che Tacito fu proconsole d'Asia da un'estate all'altra, quasi certamente nel112-113 2• Non esiste indicazione sulla data della morte. La sua attività letteraria fu quasi totalmente dedicata alla storia e si colloca, con sufficiente approssimazione, negli anni successivi al consolato.

2. LE

OPERE

a) Le opere accertate di Tacito sono, in ordine cro­ nologico: l) De vita et moribus Iulii Agricolae {Vita e ca­ rattere di Giulio Agricola o Agricola), una biografia ed elogio del suocero, 97-98 d.C., circa; 2) De origine et situ Germanorum (Origine e sedi dei Germani o Germania), trattazione etnico geografica sui Germani, 98 d.C.; 3) Hi­ st oriae (Storie), storia del principato da Gaiba a Domi­ ziano ( 69-96 ), probabilmente in dodici libri. Si sono con­ servati solo i primi quattro libri e parte del quinto, che narrano le vicende dell'Impero fino all'anno 70 d.C.; 4) An­ nales (Annali) o Ab Excessu Divi Augusti (Dalla mor­ te del divo Augusto), storia del principato dalla morte di Augusto a quella di Nerone (14-68 d.C.). Ci sono arrivati i libri dal I al VI e dall'XI al XVI, incompleti, la cui com2 È la già citata iscrizione di Mylasa, si veda sopra la nota l. La datazione del proconsolato d Asia è proposta dal SYME, Tacito (tr. it.), Brescia 1971, vol. II, p. 869 e ss. '

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posizione si data approssimativamente nel corso dell'impero di Adriano (117-138). In alcuni manoscritti di Tacito ·si trova anche un Dia­ lo gus de oratoribus (Dialo go sugli oratori) che ricerca le cause della decadenza dell'oratoria, la cui attribuzione a Tacito è molto discussa; si ritiene che si tratti di un'opera giovanile.

b) Gli Annali Struttura

e

contenuto

Il titolo di Annali con cui quest'opera è comunemente conosciuta e che si collega con il tradizionale metodo an­ nalistico della storiografia romana non sarebbe, in realtà, stato scelto da Tacito, per il quale annali è semplicemente la storia (egli preferisce questo termine che è latino a quello di storia che deriva dal greco ) ; l'autore avrebbe invece intitolato il suo lavoro Dalla morte del divo Augusto, cioè con il titolo o il sottotitolo che ci è giunto attraverso la tradizione del Codice Mediceo II. San Gerolamo (Com­ mento a Zaccaria III 14) afferma che « Tacito espose in trenta volumi le vite dei Cesari dopo Augusto , fino alla morte di Domiziano ».È evidente che gli Annali e le Storie erano considerati un tutto unico. È dubbio come i trenta libri fossero divisi tra le due opere. Il Syme, il più com­ pleto studioso di Tacito, ipotizza una divisione in cinque gruppi di sei libri ciascuno, di cui tre spetterebbero agli Annali (diciotto libri ) e due alle Storie (dodici libri) 3• Gli Annali comprendevano la storia romana dell'im­ JWI'o di Tiberio, di Caligola, di Claudio e di Nerone {14-68 c Il : ); purtroppo molti libri sono andati perduti. La p rima parte (I-VI), che segue rigidamente canoni ''""nlistici , comprende ventitré anni di storia: dalla morte .Il Augusto (14 d.C .) a quella di Tiberio (37 d.C.). È la più ltllc·gra, rimangono infatti i libri I-IV, due frammenti del .

3 SYME, op. cit., vol. I, p. 337. Questa suddivisione non è da 11111i acce ttata in particolare ad essa si oppongono E. PARATORE (Tacito\ Homa 1962, p. 439 e ss.) e C. QuESTA (Studi sulle fonti degli Annales di Tacito, Roma 1960, p. 108). ,

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V ed il VI mancante della parte iniziale: per questo il quadro dell'impero di Tiberio è ·senza dubbio il più com­ pleto. Nei libri I, II, III il passaggio del potere da Augu­ sto a Tiberio, gli atti di governo di quest'ultimo impron­ tati a deferenza nei riguardi del Senato e della tradizione repubblicana e ad ossequio verso i consigli e le disposizioni testamentarie del predecessore, il rifiuto dell'adulazione e della facile popolarità, sono giudicati, nel ·loro complesso, in modo positivo. In questa parte dell'opera, è centrale, come giustamente sottolinea il Syme, la figura di Germa­ nico, nipote di Tiberio e adottato come figlio, che serve allo storico , XXIX, 1936, p. 99 e ss. 10 D. FLACH, Tacitus und seine Quellen in de n Annalen-biichern I-VI, in « Athenaeum », LI, 1973, pp. 92-108. Anche per quanto ri­ guarda l'impero di Claudio e di Nerone il Flach (Di e taciteische Q wllen­ behandlung in den Annalen- biichern XI bis XVI, in « Museum Helve­ tic u m », XXX , 1973, pp. 86-103) accusa Tacito di usare spe sso un pro­ cedimento arbitrario, selettivo e pieno di imprecisioni. 11 QU ESTA, op. cif., pp. 104-105. n SYME, op. cit., vol. I, p. 366 e ss.

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e ciò sarebbe confermato dalla luce in cui è presentato Cor­ bulone, lo storico avrebbe attinto ai Commentarii di questo generale. A queste fonti letterarie perdute se ne devono aggiun­ gere altre di carattere diverso. Particolare importanza avreb­ be avuto la consultazione degli '"atti del Senato" in cui erano raccolti i verbali di tutte le sedute senatorie ed in cui lo storico avrebbe potuto leggere non solo il testo delle proposte di legge e dei dibattiti, ma anche quello dei di­ scorsi degli imperatori. È verosimile poi (come ha soste­ nuto il Paratore 13), che Tacito si fondasse su una tradi­ zione orale viva nell'ambiente della aristocrazia senatoria, animata da spirito ostile nei confronti del principato e da una ormai inattuale nostalgia della repubblica. In partico­ lare, per gli ultimi anni di :Nerone e soprattutto per la congiura pisoniana, dovette avere informazioni dalla viva voce di chi era stato presente.

4. IL VALORE Gli Annali restano fonte massima per la conoscenza della storia del principato Giulio-Claudio, anche se pochi sono gli elementi di confronto per valutarne l'attendibilità. Le Vite dei Cesari di Svetonio, appartenendo al gene­ re biografico, che per gli antichi è nettamente distinto dallo storico, non possono costituire un elemento di paragone . Lo stesso periodo storico è trattato in parte, come si è detto, da Cassio Dione nella sua Storia Romana , ma è dub­ bio se egli abbia utilizzato Tacito o una fonte comune a Tacito . Per H principato di Tiberio, offre un problematico raffronto il Compendio di Storia Romana di Velleio Pater­ colo che di Tiberio fu collaboratore ed ammiratore e dà di questo principe, pur nella corrispondenza dei fatti, un'im­ magine profondamente diversa. 13

PARATORE, op. cit., p. 637

e ss.

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Tacito fa esplicita professione di ricerca della verità ed assicura di narrare senza rancore o simpatia (Annali I l), cio è con obbiettività. Naturalmente trattandosi di uno storico antico, non bisogna pensare ad una documentazione esatta come si intende oggi, né ad una trattazione sistema­ tica di fatti, di istituzioni, di causalità. Molti hanno visto negli Annali un'opera squisitamente �etteraria che narrando i fatti mira a delineare dei carat­ teri, a scolpire personaggi, a celebrare la virtù e a depre­ care la malvagità . Essi ·sono stati confermati in questa loro opinione dall'affermazione programmatica espressa in III 65, in cui Tacito dice di proporsi il compito di preservare dall'oblio gli atti virtuosi e di far in modo che contro le parole e le azioni disoneste vi sia il timore dell'infamia presso i p osteri . Ma il proposito di Tacito non è solo questo: sarebbe avventato giudicare la sua opera solo dal punto di vista artistico e letterario o considerarla alla stre­ gua di un trattato di morale. Egli è in primo luogo uno storico ed è perfettamente conscio della propria missione in quanto tale e delle diffi­ coltà che incontrerà nel riferire la storia dell'impero . Si rende conto che gli avvenimenti che si accinge a narrare pos­ sono apparire di scarso rilievo ed indegni di essere tra­ mandati ai posteri e, soprattutto, che n on possono essere paragonati a quelli riferiti dagli scrittori che si sono occupati delle antiche vicende del popolo romano. Gli storici repub­ blicani avevano la po s sibi lità di spaziare Hberamente, nar­ rando imprese grandios e , conquiste, libere discussioni tra i magistrati, lotte per l'equiparazione degli ordini. Quella che si offre a lui, invece, è una fatica circoscritta ad un campo limitato e senza gloria; una pace non soggetta a mutamenti o appena turbata, un principe che non si dà pensiero di ampliare i confini dell'impero. E continua af­ fermando che tuttavia non sarà stato vano esaminare quei fatti, di scarsa importanza per un osse rvatore superficiale, ma dai quali spesso traggono origine i grandi avvenimenti (Annali IV 32). È proprio questo sforzo di ricercare le cause, pur do-

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vendo indagare in una materia tanto ingrata, con la consa­ pevolezza, per di più, di non godere della stessa libertà degli storici repubblicani ( si veda a questo proposito il discorso di Cremuzio Cordo, Annali IV 34-35) e che quanto rife­ rirà potrà suscitare il risentimento di qualcuno (IV 33), che fa di lui uno storico coraggioso ed un innovatore. Per altri aspetti egli rientra interamente nella tradi­ zione ma è assai più vicino a Sallustio che a Tito Livio , per la concezione pessimistica dell'uomo, per il moralismo e per lo stile. Il suo linguaggio è profondamente espressivo, sinte­ tico, denso, ricco di scorci. Alterna con la stessa efficacia periodi complessi e frasi brevissime. Quando, sempre se­ condo la consuetudine degli storici antichi, fa pronunciare ai suoi personaggi dei discorsi (che sono di sua invenzione), adegua il linguaggio al carattere di chi parla. Questo ele­ mento fa parte della cura che egli dedica alla psicologia dei personaggi, rappresentati con molta evidenza ed efficacia, si tratti di figure positive come Germanico, Agrippina Mag­ giore, Epicari, Trasea, Sorano o di figure negative come Ti­ berio, Seiano, Tigellino, Agrippina Minore, Nerone. Nel delineare i caratteri segue procedimenti diversi: a volte usa un metodo indiretto, riferendo l'impressione che un determinato personaggio ha pro d ot to sui contemporanei o il g iudizio dei contemporanei su di lui (segue questo pro­ cedimento nel delineare la figura di Augusto, Annali I 9 e ss. ), altre volte si serve degli elogi funebri per dare risalto a virtù e vizi del defunto - si vedano gli elogi di Sulpicio Quirino (III 48), di Ateio Capitone (III 75), di Quinto Aterio .(IV 61), di Domizio Afro (XIV 19), per non citarne che alcuni. Più spesso la caratterizzazione (come nel caso di Ti­ berio ), nasce gradualmente dalle parole, d agli atteggiamenti, dalle decisioni del personaggio e persino dalla sua descri­ zione fisica. Benché Tacito, sempre secondo la tradizione, concepi­ sca la storia come fatti di uomini eminenti, non sottovaluta la psicologia collettiva e rappresenta efficacemente, in for-

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ma sintetica, gli umori della folla, le sue reazioni di fronte agli avvenimenti; spesso cita con molta penetrazione le voci, le dicerie che corrono per la città o per gli accampa­ menti 14• Egli, tuttavia, non prova alcuna inclinazione per il popolo o per il volgo, come in diverse occasioni lo defini­ sce. Lo considera incostante ed incapace di sentimenti dura­ turi: descrivendo la simpatia della folla per Germanico, in­ fatti, e ricordando l'analogo sentimento mostrato dal popolo nei riguardi del padre del principe, Druso, e dello zio Mar­ cello, commenta amaramente che gli amori del popolo romano sono di breve durata ed infausti (Annali II 41 ). Ritiene il popolo sprovveduto e pronto a credere a qualsiasi cosa (IV 64), avido di piaceri (XIV 14), incline alle cat­ tive interpretazioni {XV 64), imprudente, ma al riparo dai rischi che corrono gli appartenenti alle classi superiori, pro­ prio grazie alla sua condizione modesta (XIV 60 ). La forma di governo che egli auspica, ma che giudica di impossibile attuazione, è costituita dall'unione degli ele­ menti migliori delle tre costituzioni conosciute nel mondo antico (democrazia, oligarchia, monarchia) come afferma in Annali IV 33. Pur giudicando in modo severo il princi­ pato e gli imperatori, come mostra tutta la sua opera, e pur nutrendo ammirazione per le istituzioni repubblicane, di­ chiara di seguire quelle dell'Impero e sebbene si auguri che vi siano dei buoni imperatori, è disposto a tollerare quelli che ci sono, comunque siano (Storie IV 8). È questa una dichiarazione di rassegnazione e di impotenza che nasce dal­ la consapevolezza che la repubblica è tramontata per sem­ pre e che non c'è alternativa al regime imperiale. È difficile dire se Tacito abbia una fede o se abbia ade1"ito ad una corrente filosofica: gli dèi sono nominati rara­ mente, una certa attenzione è data a prodigi e vaticinii, più, sembra, in conformità alla tradizione e alle fonti annali­ stiche, che per interesse dell'autore che in V I 22 dichiara la sua incertezza nel decidere se la vita degli uomini sia 14 Questo particolare procedimento di Tacito è stato esauriente­ mente chiarito da J. SHATZMAN, Tacitean rumours, in « Latomus », XXXIII, 1974, pp. 549-578.

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dominata dal fato o dal caso e riferisce agnosticamente le opinioni dei filosofi 15• La sua fede è in Roma: Tacito tende ad essere un antico romano ed è convinto che Roma nonostante la corruzione dei tempi presenti ed i cattivi go­ verni debba avere potenza perpetua. Gli uomini dell'epoca gli sembrano vili e corrotti al confronto degli antichi ed il timore che questo nuoccia a Roma determina il suo severo giudizio morale. Un passato idealizzato, ricco di grandi uomini e di grandi virtù, suscita in lui nostalgia e crede di vederne il riflesso nelle forze in corrotte dei barbari (da ciò un'implicita ammirazione per Arminio e per Boudicca ). Il dominio di Roma sugli altri popoli gli appare del tutto naturale e teme soltanto che possa essere compromesso dalla degenerazione interna di Roma. A differenza di altri scrittori romani non mostra interesse o ammirazione per i Greci, anzi sottolinea la vacuità del loro attaccamento a gl orie antiche. In sintesi, lo spirito di Tacito ci appare dominato da una profonda amarezza, da un radicale pessimismo sul­ l'umanità che egli conosce ; all'opera dei suoi personaggi attribuisce facilmente motivazioni negative e, non vedendo nulla di luminoso nel presente e nel futuro, cerca qualche luce illusoria nel passato . Non è tuttavia un gretto lodatore del buon tempo antico, ma appare angosciato dalla povertà del presente: forse pesò sempre su di lui l'ombra cupa della tirannia di Domiziano, dopo la quale, come dice nell'Agri­ cola (cap . 2), si sentiva superstite di se stesso.

MATILDE CAL TAB!ANO

15 Questo problema è stato molto dibattuto, ma è sostanzialmente irrisolto; verosimilmente ha ragione il Lucas (Les obsessions de Tacite, Leiden 1974, pp. 131-147) quando afferm a che T acito « è mo lto verosi­ milmente cred en te , benché la sua opera non permetta di considerarlo se­ guace di una dottrina particolare ».

ANNALI

NOTA DEL TRADUTTORE La versione è stata condotta sul testo stabilito da C.D. Fisher, nei classici della Collezione di Oxford, Clarendon Press, 1906; ri­ stampa 1951. Da questo testo si registrano, con segni diacritici, an­ che i punti dubbi: con la "croce", dove esso non dà senso soddi­ sfacente; con le parentesi quadre, dove esso è lacunoso o dà sospetto di lacune ed è quindi stato integrato.

LIBRO PRIMO

Anno 14 d.C. Anno 15 d.C.

Consoli: Sesto Pompeo e Sesto Appuleio. Consoli: Druso Cesare e Gaio Norbano Flacco.

1-4. Sintesi della situazione di Roma dalle origini alla morte di Augusto 5. Morte di Augusto e successione di Tiberio. 6. Assassinio di Agrippa Postumo. 7. Giuramento di fedeltà a Tiberio e deliberazione del Senato sugli onori da rendere ad Augusto. 8. Testamento di Augusto e suoi fune­ rali. 9-10. Opinioni correnti su Augusto. 11-13. Esitazioni di Tiberio nel­ l'assumere il potere: prime inimicizie. 14. Il senato propone il conferi­

mento di onori a Livia. Viene concesso il potere proconsolare a Germanico. 15. I comizi vengono trasferiti al Senato. 16-30. Rivolta delle tre legioni della Pannonia: Druso, figlio di Tiberio, riesce a placarle a stento. 31-49. Analoga rivolta delle legioni di Germanico repressa con l'uccisione dei col­ pevoli. 50-52. Germanico marcia contro il nemico: devasta il territorio dei Marsi, dei Tubanti, dei Brutteri e degli Usipeti. Tiberio elogia, ma senza sincerità, queste imprese. 53. Morte della figlia di Augusto, Giulia, e assas­ sinio di Sempronio Gracco. 54. Istituzione dei collegi sacerdotali in onore di Augusto. Disordini provocati dagli istrioni. 55-58. Germanico attraversa il Reno per la seconda volta, marcia contro i Catti, devasta il loro terri­ torio e libera Segeste dall'assedio di Arminio. Le legioni vittoriose lo acclamano "imperator". 59-62. Spedizione contro i Cherusci: si ritrovano i resti delle legioni di Varo e si rendono loro gli onori funebri. 63-71. Diffi­ coltà e pericoli incontrati sulla via del ritorno dalle truppe guidate da Cècina che, alla fine, con una fortunata sortita, riesce a respingere e a mettere in fuga il nemico. 72-75. Tiberio rifiuta di essere chiamato "padre della patria". Viene rimessa in vigore e severamente applicata la legge di lesa maestà. 76. Inondazione del fiume Tevere. Giochi gladiatorii presieduti da Druso. 77-78. Misure diverse per reprimere i disordini nei teatri. 79. Il Senato rinuncia a far deviare le acque degli affluenti del Tevere. 80. Ten­ denza di Tiberio a lasciare in carica a vita i magistrati da lui nominati. 81. I primi comizi consolari dell'impero di Tiberio.

La storia di Roma comincia con il dominio dei re 1• Fu Lucio Bruto, primo console, a stabilire una libertà civile2• Dittatori venivano eletti solo in occasioni eccezio1.

1.

1 La città di Roma, fondata secondo la tradizione nel 753 a.C., ebbe al 509 a.C. 2 Lucio Giunio Bruto, tradizionalmente primo console insieme a

un governo monarchico fino

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Libro I l

nali ; né il potere dei decemviri andò oltre un biennio, né il potere consolare dei tribuni militari ebbe lunga durata 3• Neppure lunghe furono la tirannia di Cinna e quella di Silla; infine, il potere di Pompeo e di Crasso finì presto nelle mani di Cesare, la potenza armata di Lepido e di Antonio in quelle di Augusto, che col titolo di principe prese sotto la propria signoria l 'intera situazione politica, resa precaria dalle discordie civili 4• Ma storici illustri han­ no registrato l'antica storia, in bene e in male, del popolo Collatino, fu anche l'autore della cacciata dei Tarquinii e della fine della monarchia. Tacito lo ricorda ancora più avanti (cfr. XI 22 e 25). Il con­ solato, la più alta magistratura di Roma, fu caratterizzata dalla collegialità (i consoli dovevano essere sempre due; in caso di morte di uno di essi si doveva procedere alla sua sostituzione mediante l'elezione di un console straordinario, suffectus) e dall'annualità (restavano in carica un anno). Quest'ultima condizione venne meno durante l'Impero: infatti i consoli ordinari che aprivano e davano il nome all'anno, dopo qualche tempo, venivano sostituiti con dei suffetti. 3 Elenco di magistrature straordinarie con poteri eccezionali: a) la dittatura alla quale si ricorreva in circostanze di particolare gravità, nelle quali si riteneva opportuno rimettere lo Stato nelle mani di una guida suprema ed unica; ma il dittatore sino ai tempi di Silla restava in carica al massimo sei mesi; b) il collegio dei decemviri, organo costituente e le­ gislativo, composto da dieci persone, fu eletto nel 451 a.C. e nuovamente nel 450 a.C. Redasse la prima pubblicazione di leggi scritte: le leggi delle XII Tavole (cfr. III 27); c) i tribuni militari forniti di potere consolare furono istituiti allo scopo di arrivare ad un accordo circa l'ammissione dei plebei al consolato. Il Senato ebbe cioè la facoltà, ove lo ritenesse oppor· tuno, di sostituire i consoli (allora solo patrizi) con tribuni militari che potevano essere anche plebei. Questa magistratura durò dal 444 al 367 a.C. 4 Tacito sottolinea la breve durata che ebbero poteri costituiti al di fuori della legalità repubblicana: a) quello di C inna che fu illegalmente console dall'87 all'84 a.C.; b) quello di Lucio Cornelio Silla che assunse una speciale dittatura dall'82 al 79 a.C.; c) quello esercitato da Pompeo, Crasso e Cesare durante il primo triumvirato (60 a.C.) che fìnl per passare nel 49 a.C. nelle mani del solo Giulio Cesare; d) e infine, quello di Lepido, Antonio ed Ottaviano, durante il secondo triumvirato (43-32 a.C.) che portò nel 27 a.C. alla realizzazione del principato di Augusto. Lo storico conferma qui, quanto aveva già espresso nell'Introduzione delle Storie I l: «Fu utile alla pace affidare il potere nelle mani di uno solo». Anche se egli considera che la forma di governo auspicabile, pur di difficile rea­ lizzazione, sia quella costituita dall'armonica unione degli elementi migliori delle tre forme tradizionali (monarchia, oligarchia, democrazia) - cfr. IV 33 , tuttavia è consapevole che il principato augusteo, inevitabile conse­ guenza delle guerre civili, fu portatore di pace; per questo giudica la mo­ narchia positiva per Roma e per il popolo esausto, a causa del lungo pro­ trarsi delle discordie interne -

.

Libro I 1 -2

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romano 5; e l'età di Augusto non mancò di nobili scrittori che la illustrarono, almeno sino a quando non ne furono dissuasi da una sempre più diffusa adulazione 6 • La storia di Tiberio, di Caligola, di Claudio e di Ne­ rone, finché essi furono al potere, fu falsificata per paura ; quando essi morirono, fu ispirata da avversione ancora bru­ ciante. Perciò il mio intento è di dare in succinto la storia degli ultimi anni di Augusto, poi del principato di Tiberio, e cosl via degli altri, senza alcun sentimento di vendetta o di partigianeria, perché in me non c'è affatto motivo per suscitarle 7• 2 . Col suicidio di Bruto e di Cassio t, caddero le armi per la difesa della libertà, anche perché al figlio di Pompeo toccò un'irreparabile sconfitta in Sicilia 2• Al par­ tito di Cesare, dopo l'esautoramento di Lepido 3 e la tra5 Probabile allusione alle Storie di TITO LIVIO (59 a.C.-17 d.C. ), in cui si narravano gli avvenimenti di Roma dalle origini al tempo di Augu­ sto. L'eloquenza e l'onestà di Livio sono lodate nel discorso di Cremuzio Cardo {dr . IV 34). 6 Asinio Pollione, autore di Storie riguardanti il periodo cesariano (vedi più avanti capitolo 12 n. 3 ) ; Tito Labieno che scrisse un trattatello sulle guerre civili distrutto per ordine del Senato; Cremuzio Cardo, pro­ cessato nel 25 d.C. sotto l'impero di Tiberio ed i cui Annali furono dati alle fiamme (dr. IV 34-35). 7 Tacito anticipa qui quello che sarà il contenuto dei suoi Annali; intende occuparsi delle vicende storiche relative ai primi quattro successori di Augusto: di Tiberio ( 14-37 d.C.), di Gaio Giulio Cesare, detto Caligola (per l'origine del soprannome vedi più avanti capitolo 4 1 ) ( 37-41 d.C.), di Clandio {4-54 d.C.) e, infine, di Nerone (54-68 d.C.). La decisione di trattare questo argomento gli è suggerita anche dalla constatazione della scarsa attendibilità delle opere degli storici che prima di lui si erano occu­ pati di tali vicende: Aufidio Basso, Servilio Noniano, Cluvio Rufo, Plinio il Vecchio e Fabio Rustico che, probabilmente, Tacito consultò per la reda­ zione della sua opera.

1 Bruto e Cassio, gli uccisori di Giulio Cesare, dopo la sconfitta di 2. Filippi {42 a.C . ) sublta ad opera di Ottaviano ed Antonio, si uccisero. 2 Sesto Pompeo, figlio di Pompeo Magno, fu sconfitto a Nauloco ( sulla costa settentrionale della Sicilia, probabilmente l'odierna Bagni ) nel 36 a.C . da Ottaviano e da Marco Vipsanio Agrippa; fuggito in Asia fu messo a morte dagli ufficiali di Antonio. 3 Marco Emilio Lepido nel 36 a.C., fu costretto da Ottaviano a dimettersi dal triumvirato e a ritirarsi a Roma come privato cittadino. Morl nel 13 a. C.

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gica fine di Antonio 4, non restava altra gu i da se non Cesare Ottaviano, che depose la carica di triumviro, presentandosi in veste di console e dicendosi contento del potere tribu­ nizio a difesa del popolo 5• Si rese amici i soldati con grosse ricompense, la gente comune con distribuzioni annonarie 6, tutti quanti col ritrovato piacere della pace; e così a poco a poco cresceva in po tenza politica e accentrava in sé le prerogative del Senato, dei magistrati e delle stesse leggi . Nessuno gli si opponeva. Gli uomini più fieri erano caduti sul campo di battaglia, o vittime di prescrizioni ; gli altri appartenenti alla nobiltà, quanto più si degradavano nella servitù, tanto più salivano nella scala della ricchezza e delle cariche ; e quindi, favoriti dal nuovo regime, preferivano il sicuro presente al passato rischioso. Le province non ave­ vano motivo di rifiutare quella nuova condizione politica, perché più non si fidavano del potere del popolo e del Senato per l'infuriare delle lotte dei potenti e l'avidità dei governatori, senza nemmeno av ere l'appoggio delle leggi, continuamente svilite dalla violenza, dai maneggi e dalla corruzione 7• • Marco Antonio si diede la morte qualche mese dopo la sconfitta ad Azio (31 a.C.). � Sono presenti ·m questo passo alcune imprecisioni cronologiche: nel 32 a.C. Ottaviano concluse il secondo triumvirato, quando gli altri due triumviri erano già spariti dalla scena politica; rivestl il consolato nel 43, nel 33 e dal 3 1 al 23 a.C. senza interruzione e, proprio nel 23, solo dopo aver abdicato ad esso, il Senato gli diede la potestà tribunizia. Questa gli conferiva nell'ambito della sfera civile i principali poteri dei tribuni della plebe: il diritto di veto (ius intercessi on is ) , contro l'azione delle assemblee e dei magistrati; il diritto di costringere all'obbedienza con la forza i magi­ strati ed i privati (ius coerciti o n is) ; il diritto di adunare e presiedere le riunioni del popolo e del senato (ius agendi cum populo et cum senatu) e infine, la inviolabilità personale (sacrosanctitas). Nel 6 a.C., quando aveva avuto già il titolo di Augusto, egli conferi la potestà tribunizia a Tiberio (vedi più avanti capitolo 7 ) il quale, a sua volta, nel 22 d.C. chiese ed ottenne dal senato la concessione dello stesso potere per il :figlio Druso (cfr. II I 56). 6 AuGUSTO stesso (cfr. Res Gestae 1 5-16, su cui vedi più avanti capitolo 8 n. 9) elenca, partendo dal 44 a.C., anno in cui fece la prima elargizione di trecento sesterzi a testa alla plebe romana, per ottemperare alla volontà testamentaria del padre Cesare, fino al 2 a.C., le elargizioni di denaro e le distribuzioni di grano al popolo e le assegnazioni di terre e di premi in denaro ai veterani. 1 Le province soggette in periodo repubblicano (a questo si riferisce Tacito con l'accenno al governo del popolo e del Senato) all 'esosità dei

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3 . Come rincalzo al proprio potere assoluto, Augu­ · sto sollevò al pontificato e alla edilità curule il figlio gio­ vanissimo della sorella, Claudio Marcello 1, e, a due con­ solati consecutivi, un uomo di nascita oscura, Marco Agrip­ pa, combattente valoroso, a cui andava in parte il merito della sua vittoria 2: anzi, dopo la morte di Marcello, lo volle subito al suo posto come genero ; e quando ancora la sua famiglia era al completo, onorò col titolo impera­ torio Tiberio Nerone e Claudio Druso, suoi figliastrP. In magistrati, avevano interesse ad appoggiare Augusto che si proponeva di instaurare una amministrazione equa e di stroncare gli abusi.

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1 Augusto designò Marco Claudio Marcello alla propria successione. Per prepararlo a questo lo avviò alla carriera politica, conferendogli, quan­ do era ancora giovanissimo, l'edilità ed il pontificato, dandogli in sposa la propria figlia Giulia (vedi più avanti capitolo 53 n. l ), ma Marcello, che fu molto amato dal popolo romano, morl prematuramente nel 23 a.C. (cfr. II 41). II collegio dei Pontefici , in origine in numero di cinque, era stato aumentato sino ad avere sedici membri, al tempo di Cesare; i Pontefici presieduti dal Pontefice Massimo avevano il compito di conservare le tra­ dizioni giuridico-religiose della città, di controllare il culto pubblico e pri­ vato e di assicurare, suggerendo il modo opportuno di soddisfare gli obblighi religiosi, i buoni rapporti tra Stato e divinità. Redigevano i Fasti ( elenco dei magistrati annuali e calendario) e gli Annali in cui venivano registrati annualmente i fatti più importanti dello Stato. L'edilità curule era una magistratura risalente al 367 a.C., creata per affiancarsi alla più antica edilità plebea, con la quale, con l'andare del tempo, finl per formare un unico collegio. Gli edili curuli erano due, potevano essere indifferente­ mente patrizi o plebei : avevano funzioni di polizia cittadina, dovevano sorvegliare i mercati, l'approvvigionamento della città, avevano la giurisdi­ zione sulla compra-vendita degli schiavi ed il compito di organizzare pub­ blici giochi. In periodo imperiale, finirono per perdere molte delle loro prerogative (cfr. XIII 28), tuttavia, conservarono alcune funzioni di poli­ zia, ad esempio quelle relative al controllo della prostituzione (cfr. II 85) e la giurisdizione ed il controllo dei mercati (cfr_ III 52). 2 Marco Vipsanio Agrippa (63-12 a.C . ) combatté per Ottaviano nella guerra di Perugia, sconfisse Sesto Pompeo a Milazzo e a Nauloco ( 36 a.C.). Ebbe il consolato per due anni consecutivi nel 28 e nel 27 a.C. Nel 21, Augusto gli diede in sposa la figlia Giulia (vedi più avanti capitolo 53 e IV 40 ), vedova di Marcello e nel 18 a_C. lo associò alla potestà tribunizia (cfr. III 56) e al comando proconsolare. 3 Tiberio Claudio Nerone (il futuro imperatore Tiberio) e Nerone Claudio Druso (vedi più avanti capitolo 33 n. 3) erano figli di Tiberio Claudio Nerone e di Livia Drusilla (vedi n. 6) che nel 38 a.C. aveva sposa­ to Ottaviano in seconde nozze, benché fosse incinta di Druso. Augusto con­ cesse ai due figliastri il titolo di imperatore (imperator) (vedi più avanti capitolo 9 n. 4 ) , che durante il periodo repubblicano veniva dato per accla­ mazione dai soldati al generale vittorioso e doveva essere ratificato dal Senato.

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un primo tempo aveva chiamato a fare parte della famiglia dei Cesari i figli di Agrippa, Gaio e Lucio : opponendosi solo in apparenza, aveva desiderato con tutta l'anima che essi, non ancora usciti di fanciullezza, fossero chiamati " principi della gi oventù " e destinati ad essere consoli 4• Ma, dopo la morte del padre Agrippa 5, il destino di una morte precoce o le trame insidiose della matrigna Livia 6 tolsero di mezzo Lucio Cesare mentre raggiungeva le ar­ mate di Spagna e Gaio mentre, indebolito da una ferita, ritornava dall'Armenia 7; e poiché Druso era morto da tempo 8, tra i figliastri rimaneva solo Tiberio Nerone 9, su 4 Augusto adottò nel 17 a .C. Gaio e Lucio Cesare, figli di Marco Vipsanio Agrippa (vedi sopra n. 2) e di Giulia; quando compirono quindici anni, cioè prima che avessero deposto la toga pretesta con il raggiungi­ mento del diciassettesimo anno di età, li fece nominare "principi della gioventù", titolo che nel periodo repubblicano spettava ai giovani iscritti ai primi posti nell'elenco delle centurie dei cavalieri ed in periodo impe­ riale, invece, designò i presunti eredi dell'imperatore. Acconsentì anche che fossero designati consoli a condizione che assumessero quella magistratura solo cinque anni dopo, al compimento del ventesimo anno di età. La rilut­ tanza che Augusto mostrò ufficialmente al momento della concessione di questi onori particolari ai nipoti, era determinata dalla preoccupazione, che fu in lui costante, di fare apparire legale ogni suo provvedimento, pre­ so secondo il costume dell'antica repubblica, con il consenso del Senato. Nel 51 d.C. anche Claudio concesse a Nerone, che non aveva ancora l'età prevista, di indossare in anticipo la toga virile (cfr. XII 4 1 ). s Vedi sopra n. 2. Marco Vipsanio Agrippa morl nel 12 a.C. 6 Livia Drusilla, nata il 30 gennaio del 58 a.C., sposò in prime nozze il padre di Tiberio, Tiberio Claudio Nerone (vedi sopra n. 3) e nel 38 a .C., in seconde nozze, Augusto. Essa influenzò gli ultimi atti di Augu­ sto ( adozione e designazione di Tiberio alla successione; esilio di Agrippa Postumo, vedi sotto capitolo 4) ed ebbe un peso notevole nella decisione di Tiberio di eliminare Agrippa Postumo (vedi più avanti capitolo 1 0 ). Fu nemica di Germanico e della sua famiglia (vedi più avanti capitolo 33; II 43 ; IV 12). Entrò nella famiglia Giulia per disposizione testamentaria di Augusto (vedi più avanti capitolo 8) e assunse il nome di Giulia Augu· sta. Morl a ottantasette anni nel 29 d.C. L'elogio funebre è in V l . 7 Lucio Cesare morl improvvisamente a Marsiglia, mentre s i accin­ geva a raggiungere gli eserciti in Spagna (2 d .C.), Gaio Cesare morl due anni dopo in Licia mentre ritornava da una spedizione compiuta in Arme­ nia, cfr. II 4; 42 ; III 48. a Fratello di Tiberio, morl per le conseguenze di una caduta da cavallo nel 9 a.C. È più avanti ricordato per l'amore che seppe suscitare nel popolo romano (vedi più avanti capitolo 33 ; II 41 ; 82 ) e per la sua campagna in Germania {vedi più avanti capitolo 56; II 7; I I I 5; IV 72; XIII 53 ). 9 Tiberio Nerone fu adottato da Augusto nel 4 d.C. e associato al­ l'Impero ed alla potestà tribunizia (cfr. III 56 ).

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cui si volse ogni aspettativa : ormai lui è il figlio di Augu­ sto, associato al suo comando, compartecipe della potestà tribunizia; lui è il nuovo idolo delle forze armate, non attraverso le segrete mene di sua madre, come prima acca­ deva, ma con designazione ufficiale. Livia aveva a tal punto irretito Augusto nella sua vecchiaia, da fargli relegare nell'isola di Pianosa l'unico ni­ pote che egli aveva, Agrippa Postumo 10 : un giovane cer­ tamente privo di cultura e assurdamente fiero della sua forza fisica, ma non mai trovato colpevole di alcun delitto. Augusto fu irremovibile a proposito di Germanico, figlio di Druso : lo mise al comando delle otto legioni stanziate presso il Reno 11 e volle che fosse adottato d a Tiberio . Eppure Tiberio aveva in casa un figlio giovane; ma Au­ gusto voleva una base più ampia al suo potere. Erano anni in cui non era in corso alcuna guerra, ad eccezione di quel­ la contro i Germani, per cancellare il sanguinoso ricordo di un nostro esercito distrutto insieme a Quintilio Varo, piuttosto che per ampliare il nostro dominio o per uno scopo che valesse 12• All'interno regnava la calma; le ma­ gistrature conservavano sempre gli stessi nomi . I più gio­ vani erano nati dopo la vittoria di Azio ; i più vecchi, al­ meno la maggior parte, durante le guerre civili. Quanti mai di loro avevano conosciuto la repubblica di un tempo ? 4. La profonda trasformazione dello Stato non ave­ va lasciato sopravvivere nessuna tradizione antica e genui10

Agrippa Postumo perché nato dopo la morte del padre Vipsanio Agrippa (vedi sopra n. 2), era il terzo figlio di Giulia ; fu relegato dap­ prima a Sorrento e poi a Pianosa. Dopo la morte di Augusto, fu ucciso per ordine di Tiberio che, molto probabilmente , prese questa decisione con la complicità della madre (vedi più avanti capitoli 6 e 53 ; III 30). 11 Le legioni di stanza in Germania erano la II Augusta, la XIII Gemina, la XIV Gemina, la XVI Gallica, la I Germanica, la V Alaude, la XX Valeria Vindtrice, la XXI Rapace. u I Germani, guidati da Arminio, attirarono Publio Quintilio Varo in una imboscata nella selva di Teutoburgo e Io uccisero (vedi più avanti capitoli 43, 55, 6 1 , 65, 71 ; e II 45 ), annientarono le sue tre legioni nel 9 d.C. {vedi più avanti capitoli 10, 57, 61). Questa sconfitta fu considerata tanto grave e disonorevole che le tre legioni distrutte non furono più ricostituite ed il loro numero, considerato infausto, non fu più rinnovato,

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na : perduto il sentimento dell'uguaglianza, altro non si aspettava che il volere di uno solo 1 , senza alcun timore pre­ sente, finché gli anni concessero ad Augusto il vigore per ben orientare la condotta propria, della propria famiglia e di una politica di pace . Ma quando divenne vecchio, tor­ mentato da malattie, né era lontana la sua fine insieme a un mutamento politico, pochi eran quelli che facevan ba­ lenare senza eco gli ideali della libertà; molti invece te­ mevano un conflitto armato e alcuni lo desideravano. Ma la stragrande maggioranza si perdeva in varie congetture sui probabili padroni. Agrippa Postumo - dicevano - era un barbaro, esa­ sperato dagli affronti sublti, ma nient'affatto idoneo a cosl grande incarico, né per età né per esperienza 2• Tiberio Ne­ rone era nella piena maturità e valente condottiero 3, ma apparteneva alla famiglia Claudia, dove la superbia era atavica 4, quasi una seconda natura ; e pur dissimulandoli, lasciava talora trasparire non pochi segni di un tempera­ mento crudele. Dai primi anni di vita egli era stato allevato nella famiglia imperiale 5; fattosi giovane, non aveva più contato i consolati e i trionfi 6; e anche negli anni che aveva trascorso a Rodi, col pretesto di isolarsi, ma in verità come esule 7, uniche sue ossessioni erano state collere, simulazio1 � il trapasso dall'ordinamento repubblicano al potere monarchico 4. del principe. 2 Agripp a Postumo, allora venticinquenne, aveva motivi eli rancore per la relegazione subita ; vedi sopra capitolo 3 n. 10. 3 Tiberio Claudio Nerone, nato nel 42 a.C., aveva allora cinquanta­ sei anni. 4 La superbia e la crudeltà della gente Claudia verso la pleb e è un luogo comune (cfr. LIVIO, Storie II 56 e SvETONIO, Vita di Tiberio 2). 5 A causa delle nozze di sua madre con Ot t aviano, nel 38 a.C., aveva allora quattro anni (vedi sopra capitolo 3 n. 6). 6 Tiberio fu console nel 13 e nel 7 a.C., trionfò nel 9 a .C. sui Pan­ noni e nel 7 a .C. sui Germani (si vede una allusione alle sue campagne germaniche in II 26 ). 7 Dal 6 a.C. al 2 d .C., per la condotta scandalosa della moglie Giulia, figlia di Augusto che, oltre tutto, lo disprezzava e lo considerava indegno di lei ; vedi più avant i capitolo 53. Durante questo esilio volontario Tibe­ rio si abituò a vivere in solitudi ne , a nascondere i propri eccessi (cfr. IV 57 ) e si dedicò allo studio della astrologia sotto la guida di Trasillo ( cfr. VI 20). Non lo accompagnò un gran seguito; sappiamo che portò con sé un solo senatore, Lucillo Longa (dr. IV 15}, oltre a due persone,

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ni, depravazioni tenute ben nascoste . Entrava nelle fosche previsioni anche la madre, priva del senso del limite, come spesso accade alle donne : bisognava dunque sottomettersi a una femmina e per di più a due giovinetti, ora oppressori dello Stato, e un giorno, chissà, eversori 8• Mentre circolavano queste o consimili voci, Au­ gusto ebbe una ricaduta e alcuni pensarono a un delitto della moglie. Lo avvalorava la diceria che Augusto, pochi mesi innanzi, si era recato a Pianosa per rivedere Agrippa, mettendone al corrente poche persone fidate e accompagna­ to soltanto da Fabio Massimo 1• Là fra i due c'erano state lacrime, atteggiamenti affettuosi e n'era sorta la speranza che il giovane Agrippa potesse ritornare nella casa del non­ no. Massimo, però, ne aveva parlato alla moglie Marcia z, e questa a Livia. E lo riseppe Cesare Augusto. E non mol­ to dopo Massimo morl 3, non si sa se di morte procurata; durante i funerali, si udirono i lamenti di Marcia, che si accusava di essere stata la causa della fine del marito. La faccenda restò nel mistero. È certo che non appena Tiberio entrò nell'Illirico 4, fu richiamato da una lettera urgente della madre, e non sappiamo se egli vide Augusto ancor vivo nella sua resi­ denza vicino a Nola, o cadavere 5• Livia aveva sbarrato il 5.

Vesculario Placco e Giulio Marino (dr. VI 10), di cui non conosciamo il rango. Più tardi Tiberio mostrò rancore per quanti in questo periodo non gli avevano reso omaggio (cfr. II 42) e riconoscenza per quelli che si erano recati ad ossequiarlo (cfr. III 48). 8 Allusione a Livia, a Germanico e Druso, rispettivamente moglie, nipote e figlio di Tiberio. 1 Paolo Fabio Massimo, console nell'l l a.C., proconsole di Asia nel '· 10-9 a.C., vi introdusse la riforma del calendario in onore di Augusto; OVIDIO gli dedicò le Lettere dal Ponto (cfr. I 2; III 3, 8) e ricordò la sua morte in IV 6 . 2 Marcia era figlia d i Filippo Marcio (cfr. I I I 72) e d i Azia Minore, sorella della omonima madre di Augusto . 3 Pochi mesi prima di Augusto nel 14 d.C. 4 Fu inviato in questa provincia, per sedare una rivolta militare, da Augusto che lo accompagnò fino a Benevento. 5 Gli storici assumono a questo riguardo atteggiamenti diversi : Vel­ leio Patercolo, contemporaneo di Tiberio, sostiene non solo che Augusto era ancora in vita all'arrivo del figlio, ma che ebbe il tempo di conversare

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palazzo e le vie di accesso con guardie inflessibili. Di quando in quando si diffondevano notizie rassicuranti, fin­ ché si presero tutte le disposizioni adatte alla circostanza. E soltanto allora un solo comunicato informò che Augusto era spirato e che Tiberio Nerone saliva al potere 6• 6. Primo gesto clamoroso del nuovo imperatore fu l'assassinio di Agrippa Postumo 1• Un centurione, che certo non mancava di coraggio, riuscì con fatica a ucciderlo, an­ che se la vittima era stata presa alla sprovvista e senz'armi 2• Davanti al Senato, Tiberio non fece commento sull'acca­ duto. Lasciava supporre disposizioni del padre, che avreb­ be ingiunto al tribuna, incaricato della sorveglianza, di non esitare a sopprimere Agrippa quand'egli fosse spirato 3• Sen­ za dubbio Augusto aveva spesso e aspramente criticato la condotta di quel giovane, ed era giunto a far decretare con un senatoconsulto il suo esilio 4: ma non arrivò mai all'eccesso di uccidere qualcuno del suo sangue; né era credibile che avesse causato la morte di un nipote per dar sicurezza a un figliastro. Mi pare probabile che Tiberio e Livia - il primo per paura, la seconda per odio di matrigna - abbiano agevolato la fine violenta di un giovane ingom­ brante e detestato. Com'è nell'uso militare, il centurione riferì a Tiberio con lui e di fargli le ultime raccomandazioni (cfr. VELLEIO PATERCOLO, Compendio di Storia Romana II 123) e anche SvETONIO, contemporaneo di Tacito, è dello stesso avviso (cfr. Vita di Augusto 98 e Vita di Tiberio 2 1 ). Cassio Diane, invece, che scrisse più di un secolo dop o dubita che Augusto fosse ancora vivo quando Tiberio giunse al suo capezzale (cfr. CASSIO DIONE, Storia Romana LVI 3 1 ). 6 19 agosto 14 d.C. ,

1 L'impero di Tiberio si apre con la notizia di un ass as sinio ; analo6. gamente si ap rirà quello di Nerone, cfr. XIII l . l SvETONIO (Vita di Tiberio 22) sostiene a torto che Agrippa fu ucciso da un tribuna. Il centurione in questione apparteneva al corpo dei pretoriani 3 Agripp a Postumo (vedi sopra c apitolo 3 n. 10) er a stato affidato alla custodia di un tribuno militare, cioè ad un ufficiale della legio ne I posti di tribuna nella legione durante il principato erano sei, dei quali cin­ que riservati ai giovani di rango senatorio (laticlavii) ed uno a giovani di rango equestre ( angusticlavii) . 4 Il senatoconsulto era il parere espresso dal Senato su una questione .

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di aver eseguito il comando ; ma Tiberio replicò di non aver nulla comandato e che egli doveva rispondere del suo gesto davanti al Senato. Sallustio Crispo 5 era fra gli intimi di Augusto ed era stato proprio lui a spedire l'ordine al tribuna ; perciò, quando ne fu al corrente, nel timore di essere coinvolto in un'accusa, dove tanto il vero quanto il falso erano sua rovina, suggerl a Livia di non mettere in piazza i segreti di famiglia, i consigli degli intimi e gli in­ carichi militari . Tiberio non doveva sminuire il prestigio del suo principato chiamando il Senato a discutere su ogni questione. La logica del potere era che il conto si rendesse a uno solo e a nessun altro. 7. E intanto, a Roma, e consoli e senatori e cava­ lieri 1 si cacciavano in una folle gara di servilismo . Quanto più le persone erano illustri per rango tanto più si mostra­ vano ipocrite ; avevano persino una espressione ben studia­ ta, per non parer lieti per la morte di un imperatore, né troppo tristi per l'avvento di un altro ; e così dosavano lacrime e felicitazioni, lagni e piaggerie. I